Il XX giugno 1859. Dall'insurrezione alla repressione 9788862273831, 9788862273848

Nel presente volume vengono pubblicati gli atti di un convegno tenutosi a Perugia nel dicembre 2009 su iniziativa del Co

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Italian Pages 232 [228] Year 2011

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Table of contents :
SOMMARIO
Prefazione
Romano Ugolini, La genesi del xx giugno : il problema dello Stato pontificio nel contesto europeo
Stefania Magliani, La “pesantissima” missione di Luigi Lattanzi tra intelligence e diplomazia
Gabriele Principato, Il xx giugno 1859 nelle carte di Filippo Antonio Gualterio
Pier Tullio Lauri, Schmid e il i reggimento estero contro Perugia
Gian Biagio Furiozzi, Il xx giugno visto da Torino
Francesco Ghidetti, L’eco del xx giugno nelle pagine de « La Nazione »
Vincenzo G. Pacifici, La “carriera” degli uomini del Governo provvisorio nell’Italia liberale
Franco Bozzi, Massoni e gesuiti di fronte al xx giugno
Stefania Petrillo, La rappresentazione del xx giugno: spunti per un Museo del Risorgimento
Indice dei nomi
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Il XX giugno 1859. Dall'insurrezione alla repressione
 9788862273831, 9788862273848

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IL XX GIUGNO 1859. DA L L’ I N S U R R E Z I O N E A L L A R E P R E S S I O N E

isbn 978-88-6227-383-1 isbn elettronico 978-88-6227- 384-8

IL XX GIUGNO 1859 DALL’INSURREZIONE ALLA REPRESSIONE a cura di g i a n b i ag i o f u r i o z z i

risorgimento · idee e realtà, 35.

PISA · ROMA FA B R I Z I O S E R R A E D I TO R E MMXI

R I SORG I M E N T O · I D E E E RE ALT À c o ll an a a cura del comitato d i r om a dell ’ ist it ut o p er la s toria del risorg i m e n t o i t a l i a n o, diretta da r oman o u g ol i n i n uova serie 35.

IL XX GIUGNO 1859 DALL’INSURREZIONE AL LA REPRESSIONE a cu ra di gian biagio fu rio z z i

PIS A · Rom a FABRIZIO SERRA ED ITO RE MMX I

La pubblicazione del presente volume è stata finanziata dalla

* Fabrizio Serra editore ® Casella postale n. 1, Succursale n. 8, i 56123 Pisa, tel. **39 050542332, fax **39 050574888, [email protected] * Uffici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28, i 56127 Pisa Uffici di Roma: Via Carlo Emanuele I 48, i 00185 Roma * Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo effettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2011 by Fabrizio Serra editore®, Pisa · Roma. * www.libraweb.net isbn-978-88-6227-383-1 isbn elettronico-978-88-6227-384-8

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SOMMARIO 9

Prefazione Romano Ugolini, La genesi del xx giugno : il problema dello Stato pontificio nel contesto europeo Stefania Magliani, La “pesantissima” missione di Luigi Lat tanzi tra intelligence e diplomazia Gabriele Principato, Il xx giugno 1859 nelle carte di Filippo Antonio Gualterio Pier Tullio Lauri, Schmid e il i reggimento estero contro Perugia Gian Biagio Furiozzi, Il xx giugno visto da Torino Francesco Ghidetti, L’eco del xx giugno nelle pagine de « La Na zione » Vincenzo G. Pacifici, La “carriera” degli uomini del Governo provvisorio nell’Italia liberale Franco Bozzi, Massoni e gesuiti di fronte al xx giugno Stefania Petrillo, La rappresentazione del xx giugno : spunti per un Museo del Risorgimento

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Indice dei nomi

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PREFAZIONE

N

el presente volume vengono pubblicati gli atti di un convegno tenutosi a Perugia nel dicembre 2009 su iniziativa del Comitato provinciale per la Storia del Risorgimento italiano e del Dipartimento di Scienze Umane e della Formazione dell’Università degli studi di Perugia, con il patrocinio della Regione dell’Umbria, del Comune e della Provincia e il contributo finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. L’occasione del convegno è stata la ricorrenza del 150° anniversario dei fatti del 20 giugno 1859, che furono la tragica conclusione dell’insurrezione iniziata la settimana precedente dai patrioti perugini i quali, forti di un largo sostegno popolare, assunsero il governo della città spodestando le autorità pontificie. L’intento dell’iniziativa non è stato, tuttavia, di carattere celebrativo né tantomeno polemico o recriminatorio rispetto ad un avvenimento che, se pure ha segnato profondamente la storia e la memoria del capoluogo umbro per molti decenni dopo l’Unità, è ormai consegnato alla riflessione storica più che alle reciproche accuse legate al passato. E sulla riflessione storica, fondata sulla documentazione disponibile, si sono basate le nove relazioni presentate al convegno. Romano Ugolini, massimo studioso di quella vicenda, ha illustrato la situazione dello Stato pontificio alla vigilia dell’insurrezione, analizzando l’insieme delle problematiche e delle strategie nazionali e internazionali che vedevano coinvolti Cavour, Napoleone III, Pio IX e il suo segretario di Stato cardinale Antonelli. Stefania Magliani ha esaminato la relazione sulle stragi stilata dal magistrato Luigi Lattanzi, contenente alcune novità assai interessanti e ipotesi anche suggestive su alcuni episodi legati al saccheggio, mentre Francesco Ghidetti ha trattato dell’eco dell’avvenimento sul quotidiano “La Nazione”, fondato a Firenze proprio nel 1859. Vincenzo Pacifici ha ricostruito la carriera di alcuni degli uomini che furono a capo del governo provvisorio, mentre Franco Bozzi ha analizzato le reazioni dei massoni e dei gesuiti italiani, divisi per quasi un secolo da una dura contrapposizione interpretativa, che solo di recente è andata attenuandosi, anche se il posto dei gesuiti è stato assunto da piccoli ma rumorosi gruppi di intellettuali nostalgici di un clericalismo reazionario ormai superato dal tempo e condannato dalla storia.

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prefazione Pier Tullio Lauri ha ricostruito in modo dettagliato la struttura del reggimento estero comandato dal colonnello Schmid, analizzando la composizione dei vari reparti che attaccarono il capoluogo umbro nella giornata del venti giugno e fornendo notizie anche sul numero, abbastanza rilevante, delle diserzioni verificatesi nei giorni successivi, sintomo evidente, sottolinea l’A., della scarsa fiducia riposta nello Stato di cui avevano appena difeso le sorti. Gabriele Principato ha esaminato gli avvenimenti perugini quali emergono dalle carte di Filippo Antonio Gualterio, uomo vicino a Cavour e persona di collegamento tra l’Umbria e il Piemonte. Il sottoscritto ha esposto le reazioni al 20 giugno da parte di Cavour, di Vittorio Emanuele II, della stampa di Torino e degli esuli politici rifugiati in Piemonte, accennando anche ai riflessi che il comportamento dei mercenari svizzeri ebbe sullo sfaldamento dei soldati elvetici al servizio dei Borbone, cosa che favorì la sconfitta dell’esercito napoletano nella battaglia del Volturno, e per conseguenza anche il successivo arrivo delle truppe sarde. I lavori del convegno si sono conclusi con la relazione di Stefania Petrillo, che ha illustrato, con un ampio corredo di foto, la rappresentazione dei fatti del 20 giugno, che si può considerare, ha sottolineato, il vertice dell’iconografia risorgimentale perugina e che costituirebbe il fulcro di un possibile, sempre auspicato e finora non realizzato, Museo del Risorgimento. L’iniziativa, come detto, è stata promossa per commemorare l’insurrezione perugina nel 150° anniversario, ma si è voluto cogliere questa occasione per condurre un’analisi seria e approfondita dell’episodio più significativo del Risorgimento umbro. Si spera che i risultati ottenuti, e qui presentati, apportino un contributo di conoscenza di un certo interesse. G. B. F.

La genesi del XX giugno : il problema dello Stato pontificio nel contesto europeo  

Romano Ugolini

M

i sono occupato degli avvenimenti perugini del giugno 1859 circa quarant’anni or sono, cercando di inserire tali avvenimenti nel contesto più ampio della lotta tra Cavour e Napoleone III per l’egemonia sull’Italia centrale ; avevo poi seguito sul piano mondiale la risonanza che le “stragi” avevano avuto, nell’intento di individuare come tale risonanza si collegasse alle dinamiche dei mutevoli equilibri internazionali dell’epoca. 1 Vi sono ritornato nel 1993, nel quadro complessivo della Storia delle città dell’Umbria edita da Sellino, modificando solo alcuni particolari specifici inerenti i fatti della giornata del 20 giugno. 2 Ora ritorno ai miei antichi studi in occasione della ricorrenza centocinquantenaria della gloriosa settimana vissuta da Perugia tra il 14 e il 20 giugno 1859, e come è consuetudine obbligata in simili circostanze, ho cercato di capire se la nuova documentazione apparsa negli ultimi anni porti a modificare la consolidata interpretazione storiografica sugli avvenimenti perugini, alla quale, ritengo di aver portato un notevole contributo anche in termini di fonti documentarie. Bisogna subito precisare che negli ultimi due decenni gli studi sul 1859 in Italia ed in Europa non hanno goduto dell’interesse manifestatosi nei decenni precedenti ; è una lacuna di rilievo, specie a ridosso delle celebrazioni dell’Unità italiana, poiché risulta difficile comprendere il complesso e articolato percorso che ha portato alla formazione del nostro Stato nazionale se non lo si inserisce nel contesto di un quadro italiano ed europeo in evoluzione, che presenta proprio nel 1859 i suoi nodi fondamentali.  







1  Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1973 ; si veda anche, in precedenza, Idem, Perugia 1859. L’ordine di saccheggio, « Rassegna storica del Risorgimento », a. lix (1972), pp. 353-359. 2  R. Ugolini, Il cinquantanove perugino, in Storia illustrata delle città dell’Umbria, a cura di Raffaele Rossi, Perugia, vol. ii, Milano, Elio Sellino Editore, 1993, pp. 625-640.  





romano ugolini Se il 1859 pone sul tappeto tutte le problematiche inerenti ad un equilibrio europeo ormai in crisi, è anche vero che nessun nodo viene sciolto nell’anno, e questo forse spiega lo scarso appeal di cui gode in sede storiografica. Nessun nodo viene sciolto, dicevamo, ad eccezione di uno : alla fine dell’anno si viene a constatare da parte della diplomazia delle potenze europee e degli Stati preunitari italiani il totale isolamento della Santa Sede e, come conseguenza, si determina l’esigenza di porre fine al potere temporale del Pontefice. Nel nuovo ordine che deve essere assegnato all’Italia, all’interno dell’equilibrio europeo, il potere temporale di Pio IX non costituisce più un nodo da sciogliere ; il problema sarà, nei successivi due anni, definire quali territori lasciare al Papa per preservarne l’indipendenza spirituale e a chi, nell’ambito dei nuovi assetti da stabilire per la Penisola, assegnare il resto dei territori. Ritengo quindi necessario, in questa ottica, riguardare con maggiore attenzione alla politica svolta dalla Santa Sede nel 1859, per tentare di comprendere come si arrivò al risultato negativo del suo isolamento, e, all’interno di questo discorso, chiarire meglio quali furono le spinte e gli obiettivi della severa repressione culminata il 20 giugno con la ripresa, manu militari, della città ed il successivo saccheggio. Rispetto al giudizio storiografico sulle vicende del 1859, i nuovi apporti documentari apparsi di recente – in primis gli ultimi dodici volumi dell’Epistolario cavouriano, 1 ma anche il primo dell’Epistolario di Rattazzi, 2 il quarto volume della Cronaca Roncalli, 3 ed altri contributi minori 4 – poco aggiungono alle riflessioni già compiute sul quadro internazionale e sulla politica del Regno di Sardegna, ma ci offrono, al contrario, elementi nuovi di valutazione sulla politica pontificia, raccordando la documentazione citata in precedenza con 12













1  Camillo Cavour, Epistolario, edizione della Commissione Nazionale per la pubblicazione dei Carteggi del Conte di Cavour (d’ora in poi citato Epistolario Cavour), vol. xvi (1859) in 3 tomi, a cura di Carlo Pischedda e Rosanna Roccia, Firenze, Olschki, 2000 ; vol. xvii (1860) in 6 tomi, a cura di Carlo Pischedda e Rosanna Roccia, Firenze, Olschki, 2005 ; vol. xviii (1861) in 3 tomi, a cura di Rosanna Roccia, Firenze, Olschki, 2008. 2  Epistolario di Urbano Rattazzi, a cura di Rosanna Roccia, vol. i : 1846-1861, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2009. 3  Nicola Roncalli, Cronaca di Roma, vol. iv : 1859-1861, a cura di Domenico Maria Bruni, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 2009 (d’ora in avanti citato come Cronaca Roncalli). 4  Un quadro bibliografico complessivo è offerto da R. Ugolini, Lo Stato pontificio, in Bibliografia dell’età del Risorgimento. 1970-2001, vol. ii, Firenze, Olschki, 2003.  







la genesi del xx giugno 13 quella meno recente, e mi riferisco in particolare alle carte pubblicate da Pietro Pirri 1 e alla “trilogia” pubblicata dall’Istituto per la storia del Risorgimento italiano, sui carteggi tra Roma e le nunziature di Parigi, Vienna e Madrid (ricoperte rispettivamente dai monsignori Sacconi, De Luca e Barili). 2 Cercheremo quindi, in questa sede, di analizzare le vicende del 1859 dal punto di vista di Roma : non è compito facile sia perché, come vedremo, è arduo comprenderne la linearità, soggetta come è stata a numerose correzioni e ad alcune contraddizioni, sia perché risulta non facile individuare con chiarezza il rapporto tra il Papa, Pio IX, 3 ed il suo Segretario di Stato, card. Giacomo Antonelli, 4 e tra quest’ultimo e la Curia. In tale contesto, tuttavia, alcuni punti fermi ci consentono un certo orientamento di fondo : sulla scorta della sua Allocuzione del 29 aprile 1848, Pio IX considera preminente la funzione spirituale universale della Chiesa cattolica, e come viene riaffermato continuamente anche nel 1859, il potere temporale è riguardato unicamente come garanzia dell’autonomia e dell’indipendenza del Vicario di Cristo nell’esercizio dei suoi compiti religiosi. Da tale premessa conseguono per il Segretario di Stato, che deve dare corso alla politica della Santa Sede in ossequio al dettato del Papa, due punti-cardine ai quali non può che adeguare il suo operato. Il primo punto consiste nel distacco del territorio pontificio dal contesto nazionale : se esso deve servire puramente di garanzia al Capo della Chiesa per l’esercizio delle sue funzioni spirituali, viene di fatto “neutralizzato” nei confronti degli altri Stati ; compito delle Potenze cattoliche non può che essere, quindi, quello di garantire integrità e  















1  P. Pietro Pirri S.J., Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, 2 voll., Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1944-1951. Ci riferiamo in particolare al ii tomo del secondo volume (La questione romana 1856-1864) integralmente dedicato ai Documenti. 2  Il carteggio Antonelli-Sacconi (1858-1860), a cura di Mariano Gabriele, 2 voll., Roma, 1962 ; Il carteggio Antonelli-Barili. 1859-1861, a cura di Carla Meneguzzi Rostagni, Roma, 1973 : Il carteggio Antonelli-De Luca (1859-1861), a cura di Carla Meneguzzi Rostagni, Roma, 1983. 3  Su Pio IX resta inarrivata la monumentale biografia in tre volumi di P. Giacomo Martina S.J. : per il nostro tema ci riferiremo prevalentemente al ii volume Pio IX (18511866), Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1986 4 Occorre dire che alla figura del card. Antonelli non ha arriso la fortuna storiografica che la sua carica quasi trentennale alla Segreteria di Stato senz’altro merita : la biografia più valida è di Carlo Falconi, Il cardinale Antonelli. Vita e carriera del Richelieu italiano nella Chiesa di Pio IX, Milano, Mondadori, 1983. Si veda anche Frank J. Coppa, Cardinal Giacomo Antonelli and Papal Politics in European Affairs, Albany, State University of New York, 1990.  







romano ugolini 14 tranquillità all’interno dello Stato pontificio, dove, del resto, truppe francesi a Roma e Civitavecchia, e truppe austriache ad Ancona, Bologna e Ferrara stanziano in permanenza. Il problema consisteva nel convincere la popolazione dello Stato a sentirsi avulsa da ogni idea di nazionalità : non cittadini ma sudditi cattolici protesi nel loro operato a proteggere l’indipendenza di Pontefice e Sovrano. In tal senso va interpretato il viaggio compiuto nel 1857 da Pio IX nei suoi domini, e l’innegabile empito riformatore rivolto, a partire dal 1855-56, alle condizioni economico-sociali dello Stato. Se il primo punto consisteva nel convincere le Potenze cattoliche e le popolazioni dello Stato della particolare natura del potere temporale del Papa, l’altro punto cardine riguardava lo scenario europeo nel suo complesso. Il card. Antonelli sapeva bene che il Congresso di Vienna del 1815 aveva assegnato all’Austria l’egemonia sulla Penisola, e che la Francia, punita in tale Congresso, avrebbe tentato, specie dopo l’ascesa al potere a Parigi di un Terzo Napoleone, di ribaltare la situazione, mutando gli equilibri italiani a proprio favore. Di conseguenza, la politica dell’Austria non avrebbe potuto discostarsi dal mantenimento dello status quo nella Penisola e, al contrario, quella della Francia avrebbe cercato con ogni mezzo, soprattutto militare, di alterarlo per ritornare ad imporre la propria egemonia nella Penisola e quindi in Europa. Stando così le cose, appare logico comprendere come fosse naturale per la Santa Sede vedere nell’Austria la stella polare della propria politica estera e nella Francia il pericolo maggiore alla propria sicurezza. Fissate alcune costanti della politica pontificia, ci corre l’obbligo di spendere alcune parole, prima di scendere nel dettaglio, sulle figure dei nostri protagonisti. Pio IX, come abbiamo già detto, appare dalla documentazione consultata orientato con determinazione al rilancio, in chiave universale, della Chiesa cattolica, e seguiva i consigli e gli indirizzi del suo Segretario di Stato in politica interna ed esterna nella misura in cui essi non ponessero problemi di compatibilità tra potere temporale e potere religioso ; di fatto egli separa nettamente i due poteri e, subordinando in toto il primo al secondo, rendeva scarsamente flessibile, per non dire immobile, la politica temporale della Santa Sede. Il card. Antonelli fondava il suo potere sul rapporto privilegiato che aveva con il Pontefice, e tale rapporto sarebbe rimasto solido ove avesse svolto il suo compito all’interno delle rigide linee guida dettate dal Pontefice. Del resto il Papa sapeva bene che nessun altro Segretario  



la genesi del xx giugno 15 di Stato sarebbe stato così obbediente e disciplinato come il card. Antonelli, e il card. Antonelli, dal canto suo, sapeva altrettanto bene che solo l’appoggio di Pio IX gli garantiva una posizione di vertice all’interno della Curia, dove il suo isolamento e la sua impopolarità trovano ampio riscontro nelle fonti documentarie. Sul piano della politica estera, non si può dire che il Segretario di Stato potesse contare su di una valida collaborazione da parte dei nunzi. A tale proposito è veramente impressionante il confronto con Cavour : se il Conte riusciva ad avere sul suo tavolo per la propria riflessione una quantità enorme di informazioni, frutto del lavoro di una capillare rete internazionale, il card. Antonelli era costretto a chiedere informazioni e delucidazioni ai nunzi su notizie che aveva appreso dagli articoli della stampa italiana ed estera. Per restare ai suoi due principali collaboratori, ovverosia i nunzi a Parigi e a Vienna, occorre sottolineare il grande zelo di mons. Sacconi, referente dalla capitale francese. Impeccabile nel tenere i contatti con l’episcopato transalpino e con il giornalismo cattolico ultramontano, attento all’andamento dell’economia e della borsa, Sacconi non riusciva in alcun modo a superare il muro di gomma che gli veniva opposto da Napoleone III, dai circoli imperiali e perfino da Walewski, per altri versi tendenzialmente favorevole alla Santa Sede. Una certa rigidezza di carattere e un modo di porgersi aggressivo non lo rendevano simpatico e, soprattutto, non rendevano proclivi i suoi interlocutori alla confidenza e a colloqui informali. La sua sola consolazione era la costante attenzione e la familiarità che gli assicurava l’Imperatrice Eugenia, ma il tutto restava sullo stretto piano della fede cattolica che colei professava, e della profonda deferenza rivolta al Santo Padre. Se le indicazioni provenienti da Parigi non erano di molto aiuto al card. Antonelli, quelle che giungevano da Vienna erano del tutto insoddisfacenti, quando non contraddittorie. Mons. De Luca si limitava a rispondere, non sempre velocemente, ai quesiti che il card. Antonelli gli poneva, ma le sue repliche apparivano circoscritte e poco incisive, prive di quello spirito d’iniziativa che gli veniva continuamente raccomandato. Non di rado il card. Antonelli perdeva la pazienza e riprendeva, anche in modo brusco, il suo interlocutore, ma nei fatti i dispacci da Vienna gli erano di scarso aiuto : nonostante i solleciti, non ebbe il polso degli orientamenti del mondo tedesco, ma fu informato più volte della costante devozione dell’Imperatore Francesco Giuseppe verso il Pontefice e delle cattive condizioni della finanza austriaca. Si può asserire, in sostanza, che la bussola per guidare la politica del 



romano ugolini 16 la Santa Sede derivasse per lo più da una attenta lettura della stampa, soprattutto francese, e da un costante contatto con il corpo diplomatico accreditato a Roma, nonché dalle notizie che riusciva a rastrellare, facendo sorvegliare strettamente gli ospiti illustri che giungevano nella Capitale pontificia o per il Carnevale o per missioni particolari. La limitatezza delle informazioni e l’indice piuttosto basso della loro attendibilità ci portano a formulare una prima considerazione : sulla base dei mezzi a sua disposizione, il card. Antonelli non poteva impostare la politica della Santa Sede se non in senso difensivo, carente com’era degli strumenti necessari per poter impostare od orientare una politica attiva e suscettibile di iniziative dinamiche a livello diplomatico. Questa condizione comportò per il Segretario di Stato, di fronte alla rapida evoluzione degli avvenimenti verificatisi tra gennaio e metà febbraio del 1859, l’adozione di una strategia diplomatica difensiva non felice e non appropriata, elaborata come era su dati assai limitati e scarsamente significativi. Il card. Antonelli sapeva dell’alleanza tra il Secondo Impero e il Regno di Sardegna, cementata dal matrimonio tra Gerolamo Bonaparte, cugino dell’Imperatore, e Clotilde, figlia di Vittorio Emanuele II ; ignorava tuttavia gli obiettivi bellici di quell’alleanza. Il Segretario di Stato era consapevole altresì che la situazione nella Penisola aveva guadagnato la priorità nell’agenda delle Grandi Potenze, e che, nel complesso panorama delle questioni italiane, la necessità di truppe austriache e francesi nello Stato pontificio per puntellare il potere temporale del Papa era stata più volte sottolineata. Da ultimo il card. Antonelli ebbe sotto gli occhi il testo del discorso pronunciato il 7 febbraio da Napoleone III all’inaugurazione della sessione parlamentare, nonché in precedenza la trascrizione della discussione avutasi il 3 febbraio alla Camera dei Comuni britannica : in entrambi i casi venivano ribadite l’anomalia della presenza di armi straniere nello Stato pontificio e la necessità di dar corso ad un serio programma di riforme per andare incontro alle aspirazioni della popolazione. Tutto ciò non avrebbe allarmato più di tanto la Santa Sede, che ormai da tempo considerava tali osservazioni come frutto di ingerenze napoleoniche e di preconcetta ostilità anglicana, se non avesse preso consistenza una missione Cowley a Vienna, tesa a promuovere un Congresso delle cinque Grandi Potenze europee, al quale invitare i rappresentanti degli Stati italiani, con l’obiettivo di imporre una soluzione diplomatica alle questioni italiane.  





la genesi del xx giugno 17 Il card. Antonelli vide nel Congresso unicamente il tentativo di porre la Santa Sede sul banco degli imputati e reagì di conseguenza : comunicò subito che Roma non si sarebbe mai seduta in tale assise, a farsi giudicare, oltre tutto, da Governi scismatici ; diede inizio, inoltre, ad una offensiva diplomatica, condotta principalmente su Vienna e sulle capitali degli altri Stati italiani (sola eccezione Torino) per far fallire l’iniziativa. Ma la punta di diamante della strategia del Segretario di Stato fu quella di richiedere, a metà febbraio, ai diplomatici austriaco e francese, accreditati a Roma, Colloredo e Gramont, il ritiro entro sei mesi delle truppe presenti nello Stato pontificio. L’intento era chiaro : disinnescare il principale capo d’accusa che si rivolgeva alla Santa Sede e mostrare sicurezza sulla capacità del Governo pontificio di amministrare il proprio territorio senza aiuti esterni. La strategia elaborata dal card. Antonelli rivelò immediatamente i suoi limiti, sia sul piano interno, che sullo scacchiere internazionale : sul piano interno, la notizia del ritiro delle truppe austriache e francesi dallo Stato, presto diffusasi in Roma, gettò nel panico Curia e autorità governative. Lo stesso Pio IX dovette intervenire per tranquillizzare i cardinali, spiegando la natura tattica dell’iniziativa. A favore del card. Antonelli giocava la perfetta tranquillità del carnevale romano, nel quale, dopo tanti anni, era stato consentito di partecipare mascherati ; di contro vi era la crescente ostilità nei suoi confronti di larga parte della Curia e il suo sostanziale isolamento. Il Segretario di Stato tardò fino al 13 marzo a dare forma ufficiale alla richiesta e, dato significativo, il termine di sei mesi inizialmente indicato a Parigi e Vienna per il ritiro delle loro truppe, era stato portato prudentemente alla fine dell’anno. Non era solo su questo ultimo punto il cedimento del card. Antonelli ai timori della Curia : raccogliendo un suggerimento del nunzio a Parigi, Sacconi, il Segretario di Stato promosse centri di arruolamento, soprattutto in Francia. In tale quadro va sottolineata la partenza per la Svizzera, il 26 marzo, del col. Anton Maria Schmid 1, comandante del 1° Reggimento estero al servizio del Papa, per procedere a nuovi arruolamenti. Se, sul piano interno, il Segretario di Stato non aveva calcolato a pieno la reazione della Curia, sullo scacchiere internazionale la sua strategia si rivelò addirittura controproducente, conseguente ad una grave carenza d’informazione. Egli sembrava ignorare che la missione  













1  N. Roncalli, Cronaca di Roma cit., p. 47.

romano ugolini 18 a Vienna dell’ambasciatore britannico a Parigi, Cowley, aveva come principale obiettivo l’isolamento di Francia e Regno di Sardegna e, di conseguenza, di impedire lo scoppio della guerra tra Parigi e Vienna. Per quanto possa sembrare paradossale, il card. Antonelli lavorò inconsapevolmente per circa un mese in sintonia con Napoleone III e Cavour per impedire l’apertura del Congresso vagheggiato dalla Gran Bretagna : nei fatti contribuì ad indebolire la posizione dell’Austria, manifestando contrarietà non solo alla presenza della Santa Sede nell’assise, ma anche degli altri Stati italiani soggetti all’egemonia viennese. In un Congresso delle sole cinque Grandi Potenze, senza cioè la partecipazione degli Stati italiani, l’Austria sapeva di trovarsi pressoché isolata e di essere costretta a pesanti concessioni : la Francia e la Russia, unite dal 3 marzo da un’alleanza non tanto segreta, le erano, sia pure per motivi diversi, ostili ; la Gran Bretagna, pur non desiderando un’egemonia francese nella Penisola, spingeva per ampie concessioni ; restava la Prussia, che, tuttavia, preferiva restare defilata, senza alcuna intenzione di togliere a Vienna, rivale nel mondo tedesco, alcuna castagna dal fuoco. Fu quindi la sola Austria a rivolgere il 23 aprile al Regno di Sardegna l’ultimatum per il disarmo che, respinto, diede il via alla guerra. La strada delle armi era rimasta per l’orgogliosa Austria l’unica percorribile, stretta com’era da una pesante crisi finanziaria all’interno, e da un isolamento all’esterno foriero unicamente di umiliazioni più o meno pesanti. Il card. Antonelli percepì tardi, ai primi di aprile, che il fallimento della mediazione britannica avrebbe comportato l’eliminazione del maggior ostacolo allo scoppio di un conflitto tra Francia e Austria, conflitto che non poteva non interessare la Santa Sede vista la presenza di truppe dei due contendenti nel territorio pontificio. L’inalterata posizione di Francesco Giuseppe verso Pio IX – l’Imperatore era prodigo di continue rassicurazioni – e la freddezza del Governo austriaco, reticente a prendere impegni verso Roma, costituivano il contenuto costante dei dispacci inviati da Vienna dal nunzio De Luca. Il card. Antonelli cercò di tornare sui suoli passi e mitigare le sue posizioni, fino a prospettare la possibilità di una partecipazione della Santa Sede al ventilato Congresso, ma ormai era troppo tardi per arrestare la china verso la guerra. La guerra quindi scoppiava il 26 aprile, alla scadenza dei tre giorni previsti dall’ultimatum, “sorprendendo” la Santa Sede in una posizione di estrema debolezza : aveva chiesto il ritiro delle truppe francesi e austriache dal proprio territorio, per poi, alla vigilia  









la genesi del xx giugno 19 del conflitto, richiedere insistentemente una forte presenza armata austriaca a Ferrara e Bologna, e francese a Roma. Aveva inviato il col. Schmid in Svizzera per arruolare nuove truppe, ed ora lo richiamava d’urgenza nella Dominante. Non si era riavvicinato alla Francia, ma aveva preso le distanze dall’Austria, sorpresa da una politica romana che faticava a comprendere. Si può aggiungere a questo quadro alquanto deludente che il 27 aprile il Granducato di Toscana perdeva il suo sovrano che accettava pacificamente di lasciare lo Stato e che da Napoli si richiedeva a Pio IX il viatico per il morente Ferdinando II. La Santa Sede non poteva essere più isolata. “Da diversi giorni circolava la voce che il card. Antonelli abbia emesso la rinuncia alla carica di segretario di Stato e se ne dicono in predicato il card. Viale Prelà, ed il card. Santucci”. La “voce” è raccolta dalla Cronaca Roncalli alla data del 26 marzo 1, un mese esatto prima dell’inizio della guerra e, pur se non confermata da ulteriore documentazione, testimonia di un disagio evidente della Curia romana. Era difficile poter presumere, alla vigilia del conflitto e poi a guerra appena iniziata, che Pio IX potesse mutare il suo Segretario di Stato, ma è legittimo pensare che il card. Antonelli dovesse lavorare in un clima sempre più sfavorevole e sospettoso. Dopo il 26 aprile, quindi, mutò strategia, venendo incontro ai timori della Curia : chiese ed ottenne da Parigi e Vienna l’assicurazione della neutralità delle truppe presenti nello Stato, ma si dovette più volte impegnare perché a Bologna si riportasse a livelli di sicurezza la guarnigione austriaca ; sull’altro versante prima richiese alla Francia un maggiore impegno militare per garantire l’ordine a Roma, e successivamente protestò per l’eccessiva numerosità della guarnigione francese del gen. Goyon. Nei fatti il Governo della Santa Sede perse d’autorità sia a Roma che ad Ancona ; a Roma perché il gen. Goyon favoriva apertamente la partenza dei volontari per la Toscana e le dimostrazioni di simpatia verso Francia e Regno di Sardegna, esautorando la gendarmeria pontificia ; ad Ancona il generale austriaco dichiarò lo stato d’assedio, rafforzò le difese nella fortezza costringendo il delegato ad allontanarsi dalla città. Ma tutto l’impegno del card. Antonelli era proteso ad impedire che si dichiarasse violata la neutralità della Santa Sede e che, quindi, vi fosse la giustificazione per la Francia di attaccare gli austriaci in territorio pontificio. In particolare, il cardinale, ignorando la vera natura della strategia napoleonica e la parti 









1  Ivi, p. 46.

romano ugolini 20 ta politica ingaggiata tra Cavour e il principe Napoleone in Toscana, concentrò tutta la sua attenzione sul porto di Ancona, dove una nave militare francese richiese di attraccare, ricevendo un reciso diniego dal generale austriaco. Il card. Antonelli si preoccupò pressoché totalmente, tra metà maggio e l’inizio di giugno, di disinnescare la miccia che rischiava di accendersi ad Ancona e che poteva compromettere, con le inevitabili conseguenze, la tranquillità nello Stato : in tal senso fu instancabile nello scrivere ai nunzi di Parigi e Vienna, e a tenersi in continuo contatto con i diplomatici dei due Paesi accreditati a Roma. Paradossalmente – ed è il secondo caso che incontriamo – chi lavorava più assiduamente del card. Antonelli per preservare lo status quo nei territori pontifici era Cavour, che, temendo l’applicazione degli accordi di Plombières all’Italia centrale, operava in modo assai efficace per mantenere in perfetto ordine la situazione in tali territori, condividendo – e qui sta il paradosso – lo stesso obiettivo perseguito da Antonelli, e cioè impedire un’egemonia francese nei domini della Chiesa. L’esito della battaglia di Magenta e l’ingresso a Milano di Napoleone III e Vittorio Emanuele II segnarono la fine della situazione di stallo in cui era confinato lo Stato pontificio. Nel preparare la rivincita sui campi di battaglia, l’Austria decise, senza avvertire Roma, di riunire tutte le sue forze nel Quadrilatero e richiamò le proprie truppe stanziate a Bologna, Ancona e Ferrara. Si sviluppò quindi, in Toscana, il confronto tra le strategie napoleonica e cavouriana predisposte per l’Italia centrale, confronto che, come è noto, vide la fulminea vittoria di Cavour, con la partenza per i campi lombardi del v Corpo d’Armata francese comandato dal principe Girolamo Bonaparte. Così come, con l’evacuazione delle truppe austriache, la strategia piemontese si distingueva da quella francese, nel medesimo tempo aveva termine la convergenza delle politiche del Regno di Sardegna e della Santa Sede. Entrava in funzione la seconda parte del piano cavouriano : avendo sventato il pericolo francese, fu trasmesso da Torino l’ordine di insurrezione alle Legazioni, alle Marche e parte dell’Umbria. Restavano esclusi da tale ordine il Lazio e l’Umbria meridionale fino a Spoleto. Il 12 giugno Bologna diede l’avvio all’operazione ; il 14 giugno il movimento interessò Perugia dove, pacificamente, un Governo provvisorio sostituì il delegato pontificio, mons. Giordani, che con le truppe lasciò la città per raggiungere Foligno. Le notizie inerenti l’improvviso ritiro delle truppe austriache e il rapido propagarsi delle insurrezioni nelle Legazioni, nelle Marche e  





la genesi del xx giugno 21 a Perugia, raggiungeva Roma in un drammatico succedersi di comunicazioni telegrafiche. A tale tempesta non si poteva più opporre la politica costantemente difensiva portata avanti dal card. Antonelli : del resto la posizione del Segretario di Stato vacillava sempre più ; la Cronaca Roncalli ci riferisce di un rapporto ormai deteriorato tra Antonelli e le autorità militari e diplomatiche francesi, dell’apparire di scritte, nel colonnato di San Pietro, attestanti il suo declino politico, e di un continuo pronostico sul suo successore alla Segreteria di Stato : all’inizio di giugno si indicavano come favoriti i cardinali Di Pietro o Amat 1. La crisi ai vertici della Santa Sede, così apertamente percepita dalla città, si inseriva nel contesto dello spettacolo che i romani avevano continuamente davanti agli occhi : ogni giorno centinaia di giovani affollavano la stazione ferroviaria di Porta Portese o varcavano la Porta di Piazza del Popolo, per andare ad arruolarsi volontari in Toscana ; ogni giorno si dava la caccia alle decine e decine di disertori che abbandonavano la divisa pontificia. Davanti ad un tale livello di crisi, fu del tutto evidente che non ci si poteva più attestare su una posizione d’attesa : non sappiamo se Pio IX avesse in animo di procedere a mutare il titolare della Segreteria di Stato, certo si è che era impossibile farlo in mezzo ad una tempesta che in poche ore, dal 12 giugno in poi, aveva fatto perdere a Roma il controllo su oltre la metà del proprio Stato. Pio IX procedette quindi ad assumere in prima persona la direzione della situazione, assistito in ciò da una congregazione di cardinali che si radunava quotidianamente, e alla quale non sembra partecipasse il card. Antonelli 2. In questo contesto, al card. Antonelli fu comunicato il 14 giugno che il col. Schmid sarebbe dovuto partire immediatamente per Perugia onde riportarla sotto il controllo della Santa Sede ; nella seconda parte della comunicazione, redatta dal Sostituto Ministro dell’Interno, Luigi Mazio, si raccomandava il massimo della severità nella repressione, perché quanto sarebbe avvenuto a Perugia doveva servire di monito e di avvertimento per le altre città dello Stato che erano insorte. Nel primo pomeriggio del 14 giugno, dunque, il 1° Reggimento estero lasciò Roma, composto da ufficiali e soldati prevalentemente svizzeri ; il Reggimento si era dimostrato fino a quel momento piuttosto inquieto, soggetto a diserzioni e contrasti interni, degenerati, a stare  



















1  Ivi, p. 81. 2  Ivi, p. 76 e p. 78. Nelle congregazioni di cardinali che si riunirono intorno al Papa, il card. Antonelli non è mai citato dalla Cronaca Roncalli come presente.

romano ugolini 22 alla Cronaca Roncalli 1, in veri e propri scontri. In tal senso, l’ordine di saccheggio impartito poteva avere anche il significato di una promessa di ricompensa atta a mantenere la precaria disciplina del Corpo. In un contesto più generale, l’ordine impartito al col. Schmid si inseriva in un quadro militare che prevedeva l’abbandono delle Legazioni e la riunificazione nelle Marche della II Divisione pontificia (gen. Allegrini) con la iii già di stanza in Romagna (gen. Kalbermatten). Il contingente francese, come aveva comunicato per iscritto il gen. Goyon al card. Antonelli, avrebbe assicurato l’ordine a Roma e nel Lazio, dove, del resto, le truppe pontificie della I Divisione (gen. De Gregorio) erano ridotte ai minimi termini. Se al Ministero dell’Interno Pio IX aveva dato le disposizioni necessarie a limitare i danni, alla Segreteria di Stato fu conferito il compito di redigere una ferma protesta diretta al Corpo diplomatico accreditato a Roma contro quanto avvenuto nello Stato all’indomani del ritiro austriaco. Nell’atto si denunciava la politica del Regno di Sardegna, si glissava su quella francese e, nel sottolineare il dovere sacro del Pontefice di riconsegnare ai suoi successori uno Stato integro nel suo territorio si specificava nella conclusione che “si riserva la Santità Sua di divenire agli atti occorrenti per serbare illesi con tutti i mezzi che la Provvidenza le ha confidati, i sacrosanti ed inviolabili diritti della S. Sede” 2. Gli atti ai quali si riferiva la nota diplomatica furono posti in essere lo stesso 18 giugno e, successivamente, il 20 giugno, anche se resi pubblici qualche giorno dopo. Il 18 giugno Pio IX si rivolse alla gerarchia cattolica e ai cattolici con l’Enciclica Qui nuper, chiedendo il loro supporto in quelle delicate circostanze ; più determinata fu l’allocuzione in Concistoro segreto del 20 giugno dove si comminava la scomunica maggiore a tutti coloro che avevano avuto parte nei rivolgimenti verificatisi nello Stato. Nell’Allocuzione non vi è alcun nome di persona, ma il nunzio a Parigi, Sacconi, non sappiamo se per iniziativa personale, chiarì all’Imperatrice Eugenia che la moderazione usata verso Napoleone III era dovuta essenzialmente a un riguardo verso la sua persona. Il 20 giugno, come è noto, ebbe luogo la repressione a Perugia : le “stragi” e il successivo saccheggio sono stati già ampiamente studiati,  







1  Ivi, p. 78. In precedenza, numerose sono le pagine in cui vengono citati diserzioni e contrasti interni al Reggimento svizzero. Da notare il riferimento agli incidenti avvenuti a Civita Castellana durante la marcia verso Perugia. 2  Si veda la nota del card. Antonelli al Corpo diplomatico accreditato a Roma del 18 giugno 1859 in Il carteggio Antonelli-Sacconi cit., vol. i, pp. 144-145.

la genesi del xx giugno 23 e non vale in questa sede ritornarvi se non per inserirli nel contesto di tutte le iniziative prese dalla Santa Sede tra il 13 e il 20 giugno per riprendere il controllo di una situazione assai critica. Appare evidente come, nell’immediato, la severità della punizione inferta a Perugia avesse il sopravvento sugli altri atti cui la Santa Sede aveva dato corso : il resto dell’Umbria e, soprattutto, le Marche rientrarono senza ulteriori effusioni di sangue sotto il controllo delle forze pontificie. Non vi è dubbio che, nel far partire il 1° Reggimento estero per Perugia, la Santa Sede abbia dato sfoggio di una notevole audacia ed è altrettanto vero che la determinazione posta nella dura repressione verso Perugia avesse l’obiettivo di mostrare la propria capacità d’iniziativa e la propria volontà di usare il pugno di ferro : risulta pertanto tanto più incongruente pensare che a tale audacia e a tale determinazione non abbia corrisposto un logico e conseguente spirito d’iniziativa verso le Legazioni. Perugia era stata sottomessa il 20 giugno, e, come effetto – lo abbiamo già detto – in poche ore le Marche erano rientrate nell’ordine preesistente al ritiro austriaco : sarebbe stato logico pensare, nel momento di più forte impatto emotivo della repressione perugina, ad una immediata offensiva dei Corpi congiunti di Schmid e di Kalbermatten verso le Legazioni. In realtà tale offensiva non vi fu e si ritornò ad un indirizzo prudente e difensivo, il che, come vedremo, è certamente ascrivibile al ritorno del card. Antonelli alla gestione diretta della politica delle Santa Sede ; resta tuttavia difficile attribuire alla stessa direzione l’audacia e la determinazione mostrate negli atti compiuti tra il 14 e il 20 giugno. Si deve quindi pensare che Pio IX abbia assunto per una settimana la direzione delle questioni politiche, ma che dai suoi atti si attendesse una risposta legata all’ambito eminentemente religioso da parte del mondo cattolico (sovrani, gerarchia ecclesiastica e fedeli), e non all’ambito militare, ambito quest’ultimo che lo interessava meno e che riconsegnò immediatamente al suo Segretario di Stato. Ritorniamo al card. Antonelli che, ricordiamolo, già durante la missione di Schmid a Perugia aveva dato prova della sua consueta prudenza : sua era stata l’iniziativa di inviare in avanscoperta nel capoluogo umbro l’avv. Luigi Lattanzi con il compito di controllare che non vi fossero truppe piemontesi di appoggio agli insorti ; dopo la repressione, invitato ad inviare le truppe pontificie nelle Legazioni, chiese preliminarmente a Parigi di dislocarvi truppe francesi e, ricevuto un nuovo diniego, domandò notizie sulla presenza piemontese in quel  











romano ugolini 24 territorio e garanzie circa eventuali scontri militari diretti. Dopo una ventina di giorni, sollecitato più volte da Sacconi, il Ministro degli Esteri francese, Walewski, cedette e diede una risposta di buon senso : la strada militare per riprendere le Legazioni era percorribile, ma assai rischiosa in caso di sconfitta. Ormai la risposta era anche inutile, visto che a Roma era giunta la notizia sicura della presenza delle truppe piemontesi. Dopo il 20 giugno perugino, tuttavia, i documenti ci dicono del panico che si era diffuso nelle Legazioni, da dove erano partiti una decina di drammatici telegrammi per chiedere a Cavour immediato soccorso. Laconica ed irritata fu la replica di Cavour a Boncompagni : “La Romagne doit se défendre elle-même. Si 2000 Suisses peuvent la subjuguer, elle mérite de rester éternellement sous la domination des prêtres” 1. Non sappiamo se il card. Antonelli non abbia accettato la “sfida” di Cavour perché riteneva assai pericoloso, dopo le vittorie degli alleati franco-piemontesi a Solferino e San Martino, ingaggiare un conflitto diretto, assai improbabile, con truppe piemontesi oppure perché valutava come ostative alla spedizione militare la scarsa disciplina e le diserzioni che minavano la efficienza delle truppe. Di fatto, non dando luogo ad alcun tentativo per riprendere le Legazioni, il card. Antonelli toglieva alla dura repressione e al saccheggio inflitti a Perugia il 20 giugno ogni valenza strategica politico-militare. Il fatto rimase a sé stante, privo di significato e si offrì a Governi e opinione pubblica internazionali come esempio inutile di brutalità e di efferatezza, tanto più grave perché verificatosi per ordine del Pontefice ed eseguito in modo incontrollato dalle sue truppe. L’avvenimento che doveva sottolineare il primo atto della determinazione della Santa Sede di difendere con le armi la sua integrità territoriale, si prestò, così isolato, a essere ripreso in senso ostile, innescando una diffusa campagna, a dimensione mondiale, sulle “stragi” volute dal papa. L’armistizio di Villafranca riaprì le speranze di Roma di riprendere le Legazioni, ma la politica della Segreteria di Stato non modificò il suo carattere difensivo, ricercando invano la riedizione di un intervento simile a quello avvenuto nel 1849, o tentando di costruire un esercito basato su truppe mercenarie e di volontari pronti a improbabili crociate. Bisogna anche dire che al card. Antonelli non arrise la fortuna nello svolgimento della sua azione diplomatica : nel momento topico dell’evoluzione degli avvenimenti nell’Italia centrale non poté conta 







1  Epistolario Cavour cit., 1859, tomo iii, p. 1020, n. 1499.

la genesi del xx giugno 25 re sull’aiuto del Regno delle Due Sicilie, il cui sovrano, Ferdinando II, malato, spirò il 22 maggio. L’11 giugno successivo il Ministero britannico filo-austriaco di Lord Derby fu sostituito da quello liberale, filocavouriano, di Palmerston : proprio queste variazioni nell’equilibrio europeo dovevano chiarire che la restaurazione del 1849 era ormai lontana, ben più dei dieci anni effettivamente trascorsi. La Gran Bretagna non avrebbe più permesso né alla Francia, né all’Austria l’egemonia in Italia, e del resto sia Napoleone III che il suo Governo avevano vari motivi di ostilità verso la Santa Sede, se non di antipatia personale verso il Segretario di Stato. L’Austria riguardava unicamente ai propri problemi interni e, quanto a Prussia e Russia, era del tutto impensabile che Potenze non cattoliche venissero in soccorso del Papa. Alla fine del 1859 l’Europa poteva constatare che la politica della Santa Sede si muoveva fuori del tempo, in una logica completamente estranea alla dinamica delle idee di nazionalità e dei nuovi equilibri internazionali. Cavour poteva ben dire agli inizi del 1860 : “Le singulier expédient auquel Antonelli a recours, de solder dans les plus sales carrefours de la Suisse et de l’Allemagne les plus grands chenapans de l’Europe pour étayer le trône du successeur de Saint-Pierre, s’il a pu réussir au quatorzième siècle lorsque les Papes ont quitté Avignon, n’est plus de mise à l’époque actuelle. Quand même, grâce à ces nouveaux lansquenets, le cardinal parviendrait à piller dix Perugia, il ne rendrait pas plus solide l’édifice qui s’écroule de toutes parts” 1. E una settimana dopo concludeva : “Rome m’effraie moins que vous. Le Pape est trop passionné, et Antonelli a trop compté sur la réaction catholique au delà des Alpes. Ils ont fait de telles fautes qu’ils ne peuvent plus arrêter le mouvement” 2. Restavano gli Atti, eminentemente spirituali, emanati da Pio IX il 18 e il 20 giugno : ad essi Cavour, a nome del Governo italiano, avrebbe dato una sua risposta con i celebri discorsi parlamentari per Roma capitale del marzo-aprile del 1861.  











1  Ivi, 1860, tomo i, p. 29, n. 24. Si veda la lettera inviata a Anastasie di Circourt il 9 gennaio 1860. 2  Ivi, p. 41, n. 38. Si veda la lettera inviata a William De la Rive il 15 gennaio 1860.

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La “pesantissima” missione di Luigi Lattanzi tra intelligence e diplomazia Stefania Magliani

I

l xx giugno 1859, nelle sue premesse, nel suo svolgimento e nelle sue conseguenze, è sufficientemente noto, soprattutto grazie a due opere fondamentali ; la prima è quella data alle stampe da Giustiniano Degli Azzi nel 1909, 1 e la seconda è quella pubblicata da Romano Ugolini nel 1973, 2 che ne indaga anche le relazioni internazionali. L’interesse che si è recentemente riacceso, a 150 anni dall’avvenimento, dimostra però che ci sono ancora aspetti da chiarire e che non possono essere contenuti nella polemica perugina tra “festa” e “strage”. Se si possono avere diverse posizioni sull’opportunità dell’insurrezione del 14 giugno, migliaia di documenti attestano inequivocabilmente la repressione del 20 giugno, una repressione violenta, mal gestita e fondamentalmente sfuggita di mano ai suoi promotori : un giorno di lutto per i perugini, un giorno da dimenticare per il Governo pontificio. In tale ottica può essere interessante ricordare la missione compiuta da Luigi Lattanzi per conto del cardinale Antonelli, a partire dal 19 giugno, e che possiamo ricostruire attraverso un carteggio, in buona parte inedito, conservato a Roma presso l’Archivio Segreto Vaticano, di cui pubblichiamo le lettere che commentano “a caldo” gli esiti della drammatica vicenda. Il Segretario di Stato di Pio IX si era reso conto, mentre il reggimento del colonnello Schmid era già in viaggio per riprendere Perugia, di aver bisogno di un servizio informazioni, ovvero di sapere esattamente quale era lo stato difensivo della città e se questa potesse contare su aiuti esterni. Decise quindi di servirsi di Luigi Lattanzi che era stato giudice e presidente del tribunale di Perugia per sedici anni, fino ai  







1  L’insurrezione e le stragi di Perugia del 20 giugno 1859. Pubblicazione commemorativa in occasione del 50° anniversario, a cura del comitato cittadino per l’erezione di un monumento in memoria del xx giugno, Perugia, Stab. Tip. V. Bartelli & C., 1909. 2  Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1973.

stefania magliani 28 primi del 1859 quando era stato chiamato a Roma a ricoprire il più prestigioso incarico di consigliere di Stato. Del ricordo che aveva lasciato a Perugia tra i colleghi e tra l’amministrazione locale è testimonianza un breve scritto a stampa di elogio, datato 1° febbraio 1859, scritto dagli “avvocati e procuratori perugini” tra i quali compariva persino il nome di Carlo Bruschi, che avrà il Comando della piazza dal governo provvisorio. Tra i tanti complimenti si esprimeva “la manifestazione dei sensi di stima, di riverenza, di ammirazione, insieme a tenera e verace espansione di gratitudine”. 1 Era quindi la persona più adatta per svolgere la delicata missione ; conosceva bene il territorio e le persone ; poteva contare sull’amicizia e sulla stima di molti fedeli sudditi perugini e aveva avuto relazioni anche con alcuni degli insorti. Lattanzi prese molto seriamente il suo compito di intelligence. Il 19 era a Foligno dove ebbe un incontro operativo con il Delegato di Perugia, monsig. Giordani, e con il colonnello Schmid. I tre concordarono : “Essere indispensabile di non differire l’attacco di Perugia, laddove fatalmente avesse voluto resistere, e ciò all’effetto di non dar tempo ad avere dei sussidi dalla vicina Toscana, e di concertarsi colle altre città della provincia insorte”. 2 Ma dopo la decisa dichiarazione di intenti ritennero utile anche mettere in campo “tutte le possibili prattiche per evitare un inutile spargimento di sangue”. 3 Non è chiaro al sangue di chi si riferissero, ma è evidente che avrebbero preferito che la prova di forza rappresentata da un reggimento di 1679 uomini, al quale si erano aggiunti 65 gendarmi e 33 finanzieri, 4 portasse ad una resa senza combattimento. Lattanzi, nel suo primo rapporto ad Antonelli della sera del 20, comunicava al suo superiore che aveva scelto di entrare a Perugia da solo, come privato cittadino – senza una scorta e senza delegazione – per valutare la situazione ed, eventualmente, convincere gli insorti alla resa ; era certo così di essere ascoltato, e di non mettere gli insorti sulla difensiva. Pur considerando, così scriveva,  















1  Cinquanta anni dopo, Degli Azzi, nell’opera citata, lo definirà “foschissima figura di … officioso mediatore” (p. 47). 2  Archivio Segreto Vaticano (d’ora in avanti ASV), Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Luigi Lattanzi al card. Antonelli, Foligno, 20 giugno 1859. La lettera, non completa e con qualche variante, è pubblicata da Nelson Gay, Uno screzio diplomatico fra il Governo pontificio e il Governo americano e la condotta degli Svizzeri a Perugia il 20 Giugno 1859, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1907 (Estratto dal Fasc, n. ii-iii, Anno iii (1907) dell’Archivio del Risorgimento Umbro), pp. 141-142. 3  Ivi. 4  Cfr. R. Ugolini, op. cit., p. 160.

la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 29 il grave pericolo a cui si esponeva, decise di portare a termine il suo intento e alle otto della mattina del 20 si presentò alle porte di Perugia da dove ripartì alle 11.00 per incontrarsi con Schmid, che nel frattempo era giunto alla periferia della città, in località Ponte San Giovanni. Riferiva oralmente al colonnello, e poche ore dopo per lettera al cardinale, che i più, compresa la Magistratura, volevano essere liberati dagli insorti e che auspicavano un sollecito ritorno del lodato monsig. Giordani. A parte queste notazioni propagandistiche, descriveva con un certo allarmismo quanto aveva visto e quanto aveva saputo : “Vidi barricate talune strade e vidi un numero di armati che non avrei mai immaginato”. 1 Aveva saputo, con rapide ma approfondite indagini, che dalla Toscana erano giunti 400 fucili, e che molti abitanti delle frazioni erano saliti in città armati e pronti a combattere. Non si può dire che la missione Lattanzi fosse riuscita ; da un punto di vista strettamente informativo, probabilmente, gli fu fatto credere anche ciò che non era rispetto alla preparazione degli insorti ; dal punto di vista diplomatico ebbe un netto rifiuto ad ogni possibile trattativa. Il colonnello Schmid prese atto delle informazioni ricevute e i due si lasciarono con l’accordo che di lì a due o tre ore, il tempo di portare la truppa a Porta San Costanzo, dopo “la solita intimazione della resa”, dovesse cominciare l’attacco. Lattanzi proseguì per Foligno da dove, conosciuto l’esito dello scontro, informò Antonelli sul suo operato, assicurandolo che la mattina successiva sarebbe tornato a Perugia. Il Segretario di Stato rispose il 22 successivo 2 lodando l’operato del suo interlocutore ; parlava a se stesso nel dichiarare che nulla era rimasto intentato per evitare l’attacco e “le tristissime conseguenze”, che pure ammetteva. Si diceva convinto che si sarebbe subito ristabilito l’ordine, ma forse non lo era davvero se raccomandava a Lattanzi : “Ne Ella manchi di coadiuvare co’ suoi consigli e con la cognizione pratica dei luoghi e delle persone il prelodato Sig. Generale”. Doveva essere preoccupato delle capacità di Governo del neopromosso sul campo, e non doveva essere troppo convinto del largo consenso della popolazione su cui tutti gli interlocutori cercavano di tranquillizzarlo. Lattanzi tornò a Perugia, come annunciato, e come richiestogli, il 21 giugno ; dopo una breve ricognizione scrisse nuovamente al cardi 















1  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Luigi Lattanzi al card. Antonelli, Foligno, 20 giugno 1859. 2  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera del card. Antonelli a Lattanzi, Roma, 22 giugno 1859. La lettera è pubblicata in Nelson Gay, op. cit., p. 145.

stefania magliani 30 nale. 1 Riferì delle voci su un intervento dalla Toscana, anche se non gli dette importanza. Sullo scenario che si apriva davanti ai suoi occhi così si espresse : “Ho trovato la città nel massimo squallore. Si lamenta la ferocia delle truppe dimostrata dopo essere entrate, ferocia che purtroppo è spesso la fatale conseguenza di un assalto. Sono rimasti vittime taluni incauti, meglio però dal rapporto circostanziato che il Colonnello si darà cura di rimettere non appena sarà tutto redatto”. Lattanzi aveva già capito che Schmid era andato oltre la ripresa di possesso della città : era stato lui ad aver esagerato ? Non aveva saputo controllare i suoi uomini ? Aveva ricevuto precisi ordini che egli ignorava ? In ogni caso preferiva lasciare al responsabile delle operazioni il compito di relazionare nei dettagli. Antonelli rispose il 23 giugno ancora pieno di soddisfazione per l’esito dell’impresa ; come egli stesso ammetteva, era ancora in attesa di un preciso rapporto, ma intanto, forse un po’ ingenuamente, si godeva la vittoria. Raccomandava a Lattanzi di fare in modo che non mancasse nulla alla truppa, che fossero assistiti con ogni riguardo i feriti ; si riferiva ovviamente ai soldati del papa, ma gli raccomandava “più particolarmente” il generale : “cui gradirei che alla prima opportunità venisse attestata la piena soddisfazione del S. Padre e del suo Governo per l’azione condotta con esito corrispondente alla fiducia in lui riposta e pel valoroso concorso dei suoi uffiziali”. 2 Lattanzi tornava a scrivere il 27 giugno ; erano passati cinque giorni dalla sua ultima missiva al Governo ; Schmid non aveva ancora preparato alcun rapporto, e non poteva più sottrarsi dal dare conto ad Antonelli sulla situazione della città ; d’altra parte l’incarico che gli era stato affidato era quello di informatore, un compito che fa sorgere qualche dubbio sulla totale fiducia che il Segretario di Stato riponeva sul comandante del reggimento estero. Nel testo della lettera Lattanzi usò i toni della diplomazia ; rassicurò il suo interlocutore sull’assistenza ai militari, sulla tranquillità e sulla fedeltà dei perugini : “Lo spirito pubblico a favore del Governo va facendosi sempre più compatto, poiché finita l’oppressione dei faziosi, i buoni sono liberi nell’esternare i loro voti. Tutti maledicono i capi, e ne invocano la punizione anche in via contumaciale col sequestro dei loro beni per la rifazione dei danni  





























1  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera di Lattanzi al card. Antonelli, Perugia, 21 giugno 1859. 2  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera del card. Antonelli a Lattanzi, Roma, 23 giugno 1859. La lettera è pubblicata in Nelson Gay, op. cit., p. 146.

la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 31 sofferti da tante famiglie”. 1 Si spinse anche a raccontare della festa per l’anniversario dell’incoronazione di Pio IX, con tanto di Te Deum e illuminazione. Poi, ricordando il suo incarico di servizio informativo, cominciò a descrivere gli avvenimenti ; procedeva il disarmo dei civili, che quindi non era ancora completato dopo sette giorni ; riferiva anche che molti erano riusciti a lasciare Perugia armati, diretti verso la vicina Toscana, principalmente ad Arezzo e a Cortona. Il 26 erano stati liberati dal carcere i ragazzi sotto i venti anni, mentre circa 20 persone rimanevano in arresto in attesa che giungesse l’uditore militare richiesto da Schmid al Ministero delle Armi. In realtà giunse il sostituto Giosuè Gorga che istruì il processo concluso con la condanna a morte dei principali accusati, ma che fu poi delegittimato con l’annullamento di tutto il procedimento. 2 Lattanzi riferì anche della nomina di una deputazione municipale, approvata dal Delegato, incaricata di recarsi dal papa per chiedere perdono e per ribadire la fedeltà di Perugia, composta da Alessandro Antinori, allora gonfaloniere, e da Giovanni Carlo Conestabile, Sebastiano Purgotti e Silvestro Friggeri. Lattanzi chiudeva la sua lettera ammettendo lo “sconforto” che regnava in città e confessava di non vedere l’ora di terminare quella missione che gli era stata “pesantissima”. Altrettanto difficile fu per lui presentare il primo rapporto, che decise di stilare in maniera sintetica, generica e anche edulcorata. Divideva la breve relazione in paragrafi cominciando dal Monastero di San Pietro. A porta San Costanzo erano avvenuti i primi scontri, il relatore riferisce di una porta ben guarnita da armati e da barricate, con un vivo fuoco proveniente dal monastero che “obbligò” gli svizzeri ad occuparlo “militarmente”. Siamo già alla prima giustificazione, il consigliere doveva sospettare che Antonelli non sarebbe stato lieto dell’incursione e dei danni provocati nell’insediamento benedettino, ma doveva anche aggiungere che vi erano stati morti, feriti e il “saccheggio in qualche parte”. Sempre più stringatamente riferiva dell’incendio della casa Vignaroli, della tintoria Santarelli, del saccheggio alla tabaccheria Passerini, dove furono uccisi marito, moglie e un’altra donna. 3 Il bollettino  









1  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera di Lattanzi al card. Antonelli, Perugia, 27 giugno 1859. 2  Sull’argomento si veda Stefania Magliani, Uno “storico succinto” sui fatti del giugno 1859. L’inchiesta pontificia di Giosuè Gorga sulla provincia di Perugia, in L’Umbria e l’Europa nell’Ottocento, a cura di Stefania Magliani, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, pp. 191-234. 3  Lattanzi nei suoi rapporti indica diverse vittime ; riportiamo di seguito l’elenco ufficiale dei caduti perugini, riportato nel monumento innalzato nel civico cimitero della  

stefania magliani 32 continuava con la casa di Giacomo Rossi, la farmacia Bellucci, le case Tomassini, Rosa e Salvatori, tutte saccheggiate. Lungo la strada di Porta San Pietro e poi verso il centro cittadino, scriveva ancora, erano state ferite due giovani, uccisi la sarta Polidori, Romolo Vitaletti, Tobia Bellezza “preposti alla porta S. Croce”, un anziano calzolaio e il segretario comunale Giuseppe Porta ; citava anche altre vittime ma, nella confusione del momento, con nomi errati. Sulla locanda di Giuseppe Storti, per intenderci quella che ospitava la famiglia Perkins, scriveva testualmente : “Ucciso il proprietario col cameriere e lo stalliere. Involati molti oggetti anche preziosi ad una famiglia americana che vi alloggiava”. 1 Non sappiamo se Antonelli nell’immediato si sentì tranquillizzato dal rapporto, certo è che ormai la stampa si era impossessata della notizia e altri “osservatori” facevano giungere notizie diverse su quanto era avvenuto a Perugia nella tragica giornata dell’attacco. Il Segretario di Stato cominciava ad innervosirsi ; quella che doveva essere una spedizione punitiva, una prova di forza, rapida e circostanziata, gli stava esplodendo in mano, e il suo uomo sul campo, il fiduciario del suo servizio informativo, taceva, ometteva, minimizzava. Il 28 giugno, la lettera del giorno prima non gli era ancora arrivata, inviò un telegramma a Lattanzi : “Le calunnie e le esagerazioni contenute in taluni giornali circa l’operato della truppa esigono una smentita ed una rettificazione. La interesso quindi ad inviarmi al più presto possibile un rapporto circostanziato e veridico sopra i fatti medesimi”. 2 Antonelli intendeva rilasciare una pubblica smentita, ma voleva anche sapere come erano andate esattamente le cose. Sempre più in ansia, ma ancora con toni formali, la mattina seguente, alle 10, incalzava l’interlocutore con un altro telegramma : “Se fosse possibile, sarebbe al sommo desiderabile, ed utile che inviasse ella qua per domani mattina il rapporto di cui le scrissi ieri, trasmettendolo in tal caso anche per istaffetta”. 3 A questo punto la corrispondenza divenne serrata, e  















città dove è scritto che caddero “combattendo” : Orlando Castellani, Filippo Gasperi, Emidio Lancetti, Vincenzo Maniconi e Nicola Monti ; vittime “inermi” : Andrea Agosti, Vincenzo Agosti, Tobia Bellezza, Luigi Bindocci, Francesco Boromei, Francesco Brugnoli, Domenico Carosi, Luigi Cesarini, Pietro Castellini, Feliciano Cirri, Natale Giovannoni, Emiliano Giuliani, Francesca Morini, Candida Passerini, Carolina Passerini, Mauro Passerini, Irene Polidori, Giuseppe Porta, Giuseppe Storti, Giuseppe Ubaldi, Romolo Vitaletti. 1  Lettera del 27 giugno 1859, cit. 2  Nelson Gay, op. cit., p. 155. 3  Ibidem.  





la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 33 non riuscì più a seguire i normali ritmi di domande e risposte. Nel pomeriggio del 29 il Segretario di Stato ricevette il citato rapporto del 27, già trasmesso quando arrivò a Lattanzi il primo telegramma che chiedeva una puntuale e dettagliata relazione. Antonelli perse la pazienza, quella stessa sera del 29, alle 19, usò di nuovo il telegrafo : “Col rapporto contenuto nel suo foglio del 27 non può raggiungersi pienamente lo scopo accennatole. Solleciti dunque l’invio di quello che le si è indicato, marcando anche per parte di chi e perché sieno stati prodotti i danni …”. 1 La missione di Lattanzi era sempre più “pesante” ; sulla scorta dei due telegrammi del giorno 28 e della mattina del 29 preparò e inviò un nuovo rapporto lo stesso 29 giugno ; 2 la sua preoccupazione dovette certamente aumentare quando si vide recapitare in serata un ulteriore sollecito. Il rapporto era comunque molto più dettagliato del precedente, e cominciava a mutare il tono del relatore. Lattanzi ripeteva di aver fatto di tutto per convincere i perugini alla resa, li aveva avvertiti dei gravi pericoli che correvano, del grande numero di uomini armati anche con cannoni, pronti a entrare con la forza in città. È interessante notare che riferisce anche di aver informato gli insorti che la città sarebbe stata esposta al saccheggio, poiché i soldati “venivano come leoni”. È la prova che il saccheggio fu effettivamente autorizzato dall’alto e che era nelle previsioni dell’operazione già prima dell’ingresso a Perugia. Spiegò quindi che a fronte della fermezza di Guardabassi, Faina e Berardi, dovette abbandonare la città e informare di tutto Schmid, che si trovava a Ponte San Giovanni. C’è poi una prima ammissione su come effettivamente fossero stati eseguiti gli ordini. Era previsto, lo abbiamo ricordato, che prima dell’attacco vi fosse una formale intimazione di resa, che invece non ci fu ; un fatto gravissimo che Lattanzi giustificava dicendo che le truppe furono assalite dai rivoltosi “uomini senza legge e senza unità di dipendenza”, e che gli svizzeri ritennero quindi inutile parlamentare. Dobbiamo quindi prendere atto, e dalla penna dell’informatore pontificio ufficiale, che non furono rispettate neppure le più elementari regole che preludono ad un attacco. Passando poi a descrivere gli eventi dentro la città, ammetteva l’assalto e il saccheggio con morti e feriti per poi giustificarli così : “Ma chi può contenere l’ardore dei soldati che han  













1  Ivi, p. 156. 2  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera di Lattanzi al card. Antonelli, Perugia, 29 giugno 1859.

stefania magliani 34 veduto cadere ai loro fianchi qualche commilitone e qualche uffiziale, e che a misura che avanzavano trovarono resistenza ed offesa o dai coppi e sassi che si slanciavano dai tetti o dalle archibugiate che provenivano dalle fenestre ?”. Non volendo entrare nel merito dei contenuti, è evidente che la giustificazione era anche una nuova ammissione : il comandante non aveva saputo controllare i suoi uomini. Lattanzi insisteva poi nel dare tutta la responsabilità a Bruschi, già suo collega, che aveva incitato la popolazione a sparare e a gettare oggetti dalle finestre pur di fermare o rallentare l’avanzata, ma, intimorito forse dal fatto che altri avrebbero potuto parlare con il cardinale, continuava anche con le ammissioni di colpa. Attribuiva all’aggressività dei perugini : “i danni dalle truppe cagionati, ed in parte anche alla licenza di alcuni tra i soldati i quali anche superata ogni resistenza tornarono indietro per far bottino”. Sono parole di un Consigliere di Stato pontificio, e non degli insorti, che riconoscono anche furti deliberati, fuori dai combattimenti. Il testo continuava ancora con doppio registro ; ritornava sugli incendi di casa Vignaroli e della tintoria dei Santarelli, e di altri edifici, attribuendoli a qualche proiettile vagante. Si affrettava poi a ricordare l’intervento di un ufficiale che impedì ad un soldato di dare fuoco ad un’altra casa con una candela ; un bel gesto dell’ufficiale che confermerebbe però che gli altri incendi non furono così accidentali. Prese maggiori informazioni su quelli che nella relazione precedente erano i 3 morti nella tabaccheria Passerini. Spiegava che si trattava del fabbro Mauro Passerini, della moglie Carolina e della cognata Candida ; 1 la vicenda era però tinta di giallo : la casa fu incendiata e i tre uccisi, ma perché ? Lattanzi riferisce che la causa si attribuiva al fatto che i militari che entrarono nella casa vi trovarono un loro compagno morto e che quindi per rappresaglia uccisero le persone che vi abitavano. Già questa non sembra una giustificazione molto nobile, ma il relatore non poteva tacere un’altra versione dell’accaduto ; fu un soldato ad uccidere il compagno con il quale si disputava il bottino della casa “e che quindi facesse strage dei componenti quella famiglia”, per non lasciare traccia del suo delitto. L’avvocato sottolineava anche l’onestà di Passerini, ma, soprattutto, introduceva l’ipotesi di strage. Continuava poi con l’elenco dei morti ; sui fatti alla locanda Storti, precisava che dall’interno si sparò uccidendo un soldato e per questo “la for 





















1  Nel monumento nel Cimitero civico di Perugia, Candida è ricordata con il cognome Passerini, si trattava della moglie di Giuseppe, fratello di Mauro.

la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 35 za furibonda” entrò uccidendo tre persone e rubando anche oggetti preziosi appartenenti alla famiglia americana. Nella locanda era stato poi recuperato un “cilindro d’oro”, che teneva in custodia il generale, probabilmente parte dei beni sottratti ai Perkins. Un altro episodio difficile da raccontare era quello dell’uccisione del segretario comunale Porta. Lattanzi non poteva negare che Porta si era avvicinato ai militari con intenzioni pacifiche, per trattare una resa onorevole, ammettendo che era andato “volontariamente ad esporsi” per “trovar modo di fare arrestare il conflitto”, ma lo descrive come un uomo con debiti, facinoroso e che si era esposto ad un evidente pericolo, e con questo tentava di giustificare un altro palese crimine. Non riuscì neanche a tacere che i soldati, ancora il giorno dopo l’assalto, costrinsero i commercianti a dar loro cibo e vino, ma aggiunse che chiese a Schmid di emanare subito un ordine del giorno per richiamare i suoi uomini alla disciplina. Andando a concludere il suo resoconto, Lattanzi cercava di anticipare le critiche ; ammetteva che la truppa aveva esagerato e lodava l’allora colonnello e i suoi ufficiali per aver cercato di “imbrigliare il furore dei soldati” ; era un’altra prova che la spedizione era sfuggita al controllo. Riferiva poi che il comitato insurrezionale, verso sera, si era presentato al Municipio dichiarando : “La difesa è stata eroica, l’onore delle armi italiane è salvo, noi depositiamo il potere nelle mani del Municipio” ; lasciando poi la città. Aggiungeva che il gonfaloniere si affrettò ad alzare la bandiera bianca sulla torre del Municipio, ma fu ignorata ; ci sembra quasi infantile la precisazione che fu però rispettata la bandiera nera dell’ospedale. Lattanzi aggiunse alla sua relazione un articolo di Schmid apparso sull’Osservatore del Trasimeno ; avanzò nuove scuse per non averlo rivisto prima della pubblicazione ; gli si attribuiva un titolo che non aveva, si parlava di 5.000 insorti, mentre ammetteva che erano meno della metà, si asseriva la presenza del colonnello Filippo Cerroti a capo dei rivoltosi, mentre precisava che la notizia era infondata. L’incaricato di Antonelli cominciava a prendere le distanze dal generale, troppo frettolosamente lodato e promosso. Da parte sua il Segretario di Stato era decisamente sotto pressione e sperava che Lattanzi gli desse il modo di uscirne. Intanto esplodeva anche il caso Perkins. Il 30 giugno scrisse al suo uomo a Perugia che gli era giunta una nota di reclamo dall’ambasciatore americano : “Mi occorre quindi che V.S.I. mi informi al più presto possibile sulla verità de’ fatti, e sul valore degli oggetti reclamati, affinché io sia in grado  















36 stefania magliani di dare a quell’estero rappresentante il conveniente riscontro.” 1 Era molto preoccupato anche delle notizie che leggeva sui giornali di Bologna, della Toscana, e non solo, e aspettava che Lattanzi gli provasse che erano infondate : “Aspetto con somma ansietà la relazione .. per smentire tante iniquità”. Alle 10 di quello stesso 30 giugno Antonelli inviava un altro telegramma, aveva ricevuto evidentemente domande alle quali non sapeva rispondere. Questa volta chiedeva con urgenza a che ora, la sera del 20, la truppa si era ritirata in caserma. 2 L’avvocato trasmise la risposta telegrafica alle 12.10 ; 3 riferì che la truppa si era ritirata nelle caserme “verso l’Avemaria”, ad eccezione di una cinquantina di soldati che nella notte bussarono ad alcune porte per controllare se vi erano armi, in realtà per chiedere del vino, ma, sottolineava, “senza recar molestia ad alcuno”. Lattanzi colse l’occasione per ritornare sulla vicenda della locanda Storti con informazioni, per altro non richieste, e che, spiegava, gli erano state fornite dal generale. Siamo di fronte ad una nuova versione : durante il giorno vi fu presso il locale la resistenza più accanita, che portò alla morte di un soldato e al ferimento di un tenente – questa era una aggiunta dell’ultima ora perché non ne aveva mai parlato prima – e fu soltanto nella notte, ad opera dei soldati rimasti fuori dagli alloggi che si consumò il saccheggio. Si trattava di una palese contraddizione rispetto a quanto aveva appena detto : un saccheggio con vittime non era esattamente il comportamento di chi non aveva arrecato molestie. Lattanzi era in pieno imbrazzo ; aveva accettato il suo ruolo di informatore e di mediatore, convinto di saperlo svolgere e, approfittando delle sue conoscenze in città, aveva riferito della situazione prima dell’attacco ; ora si ritrovava a dover rendere conto dell’accaduto nel quale, per altro, non aveva avuto alcuna parte : passava dall’intelligence alla diplomazia, ad un ruolo che sapeva non appartenergli. Si ricordò improvvisamente di non aver posto sufficientemente l’accento sui morti del reggimento estero, e sull’accanimento degli insorti ; elementi che avrebbero potuto, almeno in parte, giustificare agli occhi del Governo, e del mondo, il cruento intervento. Alle 15 e 5 minuti, inviò un altro telegramma di “aggiunta” al precedente, nel quale scriveva : “Anche dopo seguita  























1  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lettera del card. Antonelli a Lattanzi, Roma, 30 giugno 1859. La lettera è pubblicata in Nelson Gay, op. cit., pp. 156-157. 2  Il testo del telegramma è in Nelson Gay, op. cit., pp. 156. 3  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Telegramma di Lattanzi al card. Antonelli, 30 giugno 1859.

la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 37 l’occupazione del Monastero di S. Pietro uno svizzero che con altri si trovava a bere nella cantina del Monastero stesso, fu ucciso da una archibugiata dagli insorti nascosti. Nell’atrio della provvidenza, nella contrada S. Pietro, fu ucciso uno svizzero dagli insorti che in numero di 30 circa erano andati sul tetto per tirare fucilate e sassi”. 1 Lattanzi voleva far quasi apparire che gli attaccanti fossero i perugini e aggiungeva che questi forzarono porte o imposero di aprirle in luoghi sacri e civili per poter sorprendere gli svizzeri ; voleva dire che questi ultimi le porte le trovarono già aperte ? Il 3 luglio Lattanzi inviò al card. Antonelli un articolato rapporto, in risposta alla nota del 30 giugno in cui gli si chiedevano dettagliate spiegazioni in merito all’affare Perkins e alle notizie che ormai circolavano senza freno sulla stampa democratica, e non solo : “Ho letto con fremito di indignazione la privata corrispondenza di Perugia, inserita nel Monitore di Bologna del 27 giugno, che mi si dice riportata anche in altri giornali. Rassegno all’Em.za V.ra R.ma un mio rapporto da cui potrà desumere le notizie che smentiscono le calunniose e denigranti imputazioni a carico della truppa, in aggiunta al rapporto che già trasmisi”. 2 Allegò poi un altro rapporto su quanto scritto dal Monitore toscano 3 dello stesso giorno, e si limitò ad annunciarne uno sul “reclamo della famiglia americana”. Gli argomenti riportati nel commento all’articolo del Monitore di Bologna sono fondamentalmente gli stessi, ma il tono è quello di una arringa della difesa. Lattanzi riparte dal medesimo punto, la sua iniziale missione. Ricorda di aver avvertito i perugini dei rischi che avrebbero corso : “l’impeto delle truppe”, lo “spargimento di sangue” e il “sacco”. Con questo sembrava giustificare quanto era avvenuto, neppure una parola sulle possibili ragioni degli insorti ; si sentiva l’animo in pace : li aveva avvertiti e non avevano voluto ascoltare il suo consiglio alla resa. Poi continuava in maniera metodica ribattendo punto su punto le accuse mosse alle truppe. Anche in questo caso, proponendo una sequenza di “vero” o “falso”, ciò che stupisce non sono tanto le smentite di alcune notizie che, dobbiamo ammetterlo, non hanno mai avuto conferma, ma quanto la reiterata giustificazione di tutte le azioni degli svizzeri che vede, paradossalmente, come azioni di difesa contro le provocazioni  

















1  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Luigi Lattanzi al card. Antonelli, 30 giugno 1859. 2  ASV, Segreteria di Stato, 1860, r. 165, f. 20, Lattanzi al card. Antonelli, 3 luglio 1859. 3  Il Monitore toscano del 27 giugno 1859 riportava in prima pagina l’articolo dal titolo Narrazione dei casi di Perugia.

stefania magliani 38 dei perugini. Ad esempio, si dimentica l’attacco contro San Costanzo e afferma che le prime fucilate vennero dagli insorti che poi si ritirarono dietro le barricate. La seconda parte del rapporto mette a confronto specifiche dichiarazioni del Monitore di Bologna 1 con le sue rettifiche, anche se spesso non si tratta di confutazioni ma di conferme. Comincia con l’affermazione del giornale relativa all’uccisione del garzone dell’Angeletti ; Lattanzi spiega che furono sparati dei colpi al passaggio della truppa, che il garzone tentò di fuggire, e raggiunto dai militari fu ucciso con un colpo di baionetta. Era invece del tutto infondata la notizia di “due squartati e gettati nel fiume” ; si trattava, afferma, di due arrestati, rilasciati subito dopo. Commenta poi la frase : “In casa Spadini furono uccisi marito e moglie ; indi il fabbro ed i coniugi Checcherelli”. Precisa che non si trattava della famiglia Spadini, ma Passerini, come se cambiasse qualcosa, e che l’uccisione dei coniugi avvenne perché nella loro casa era stato trovato uno svizzero morto ; aveva probabilmente dimenticato che nella passata relazione del 29 giugno aveva ammesso che forse l’origine del massacro era ben altra. Riguardo all’incendio della tintoria Santarelli riproponeva la causa accidentale : un proiettile vagante era caduto nei locali del piano terra dove erano custodite sostanze infiammabili e aveva determinato il rogo che si era poi esteso anche ai piani superiori. L’elemento nuovo è la dichiarazione che gli stessi svizzeri, ma ore più tardi, collaborarono allo spegnimento dell’incendio. Nega poi l’uccisione di Alessandro Mori, ma ammette quella del suo garzone nella caffetteria, Feliciano Cirri ; come di consueto la colpa era della vittima. Cirri, a suo avviso malato di mente, si era inopportunamente nascosto in un punto dove infuriavano i combattimenti, ed era stato quindi colpito, secondo la sua teoria, quasi involonatriamente. Ci teneva anche a smentire l’informazione che fosse stata assaltata l’ambulanza, sembrava per lui motivo di orgoglio che fosse stato rispettato l’intero ospedale su cui era stata innalzata la bandiera nera. Falsa era anche l’affermazione dell’uccisione dello speziale Belluni, tra l’altro Bellucci, ma ammetteva l’incursione e i danneggia 















1  L’intero documento è riportato in appendice. Il Monitore di Bologna, del 27 giugno 1859, sotto il titolo Perugia, 22 giugno, esordiva : “Una privata corrispondenza di Perugia, che ci viene cortesemente comunicata, ci fornisce ulteriori e più minuti ragguagli intorno agli orribili fatti accaduti il giorno 20 e 21 in quella infelice città. Dopo descritto il modo con cui le truppe papali se ne impossessarono, prosegue :” Da questo punto in poi è ripresa, tra virgolette, la relazione pervenuta al giornale, alla quale Lattanzi si riferisce.  



la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 39 menti dovuti a dei colpi di fucile che si era pensato provenissero da quei locali. Lattanzi, che parlava al suo superiore, dovette comunque ammettere che i colpi venivano da un’altra zona ; ancora una prova di cieca ferocia. Il giornale riportava poi l’episodio in casa Temperini : Giacomo Temperini ferito ad una mano, tre donne uccise, rubati 2000 scudi. Lattanzi commentava : nessuna donna uccisa e Temperini ferito casualmente perché apriva la porta mentre i soldati sparavano alla serratura ; per quanto riguardava il furto si limitava a riferire, senza commentare : “Si dice che fu tolta quella somma”. Passava poi alla notizia più nota, quella nella locanda Storti. Giustificava la ferocia con il fatto che si trattava del luogo di estrema resistenza degli insorti ; commentando le notizie del Monitore di Bologna negava che vi fosse esposta la bandiera americana, ma, piuttosto, quella tricolore. Ammetteva il furore della soldatesca, l’uccisione dell’oste, di un cameriere e di un altro dipendente, ma non a fil di spada dopo averli fatti spogliare ; tutti gli altri, compresi gli americani, salvati dagli stessi soldati che si opposero alla violenza dei propri compagni. Non vi è cenno della versione fornita da Schmid che aveva precedentemente comunicato al superiore, e che abbiamo già commentato. Confermava la morte di Francesca Morini, ma ancora una vota per imperizia della vittima che si era imprudentemente affacciata alla finestra mentre gli svizzeri sparavano ma, neanche a dirlo, in risposta a colpi perugini. Confutava la morte di due portieri nei pressi di Porta Santa Croce, dimenticando che era stato lui stesso a dirlo nella precedente relazione del 27 giugno, affermando invece che si trattava delle due vittime di porta San Pietro. Passava poi a spiegare l’uccisione del segretario comunale Giuseppe Porta, inerme e con la bandiera bianca in mano che chiedeva di risparmiare la città. Era un fatto particolarmente grave che aveva cercato già di giustificare con il carattere impulsivo e aggressivo della vittima ; ma era un episodio decisamente scomodo ed ampiamente diffuso dalla stampa, per cui serviva una più forte motivazione. È qui che Lattanzi sfocia quasi nel melodramma, se non nel ridicolo, dando ad intendere che si fosse trattato di suicidio. Nega che fosse insieme ad una delegazione, che si era invece ritirata appena compreso il pericolo di avanzare sul corso ; nega che Porta avesse una bandiera bianca, e aggiunge : “Si narra invece che per disesti economici, e per essersi compromesso nella rivolta il Porta già di carattere melanconico – qualche giorno prima era “facinoroso” – andasse incontro da se stesso a certa morte”. Ammetteva poi la morte di Domenico Carosi, di Irene Polidori, di  



















stefania magliani 40 Emidio Lancetti e negava alcune notizie del giornale effettivamente esagerate o false. Non dissimili sono le osservazioni a quanto scritto dal Monitore toscano ; la breve relazione si apre con un nuovo tentativo di difesa che finisce per essere atto di accusa. Insiste ancora che i perugini avrebbero dovuto arrendersi davanti ad una forza tanto consistente, per evitare “l’impeto delle truppe”, lo “spargimento di sangue” e il “Sacco” ; ancora una volta ammetteva che il saccheggio era già stato predeterminato, e che le sorti della città erano già segnate prima dell’attacco. Bisogna comunque ammettere che Lattanzi, da parte sua, fece di tutto per non dispiacere né alla verità né al suo interlocutore ; non poteva fare di più per dare uno strumento di difesa al cardinale Antonelli, ma sapeva, con l’esperienza della sua lunga carriera, che era una debole difesa. L’ambasciatore piemontese a Roma, Della Minerva, il 22 giugno scrisse a Cavour per riferirgli del rapporto ufficiale della Segreteria di Stato ; a proposito di Lattanzi scrive : “spedito dal Governo con commissione d’indurre la popolazione a sottomettersi, se non riuscì nell’affidatogli incarico, pare non riuscisse neppure in quello d’inculcare moderazione nei vincitori, giacché scrisse che se avesse potuto prevedere il modo con cui si condussero le truppe nella città e verso gli abitanti, non avrebbe mai accettato l’uffizio di mediatore”. 1 Dall’esame delle lettere che in questa sede presentiamo, così come da quelle che seguirono nelle settimane successive, possiamo dire che Della Minerva non era lontano dal vero ; Lattanzi aveva sottovalutato la sua missione che definì “pesantissima”. Aveva sbagliato nel credere di poter essere ascoltato da quei cittadini che lo avevano salutato pochi mesi prima raccomandando la città e la provincia “al suo gentile patronato” ; aveva sbagliato nel valutare i mezzi a disposizione degli insorti ; aveva sbagliato nel dare fiducia a Schmid. Era rimasto impressionato nel vedere la città, che aveva sentito sua, saccheggiata e umiliata. Ma, più di tutto, si era trovato in difficoltà nel dover giustificare gli avvenimenti davanti al cardinale Antonelli, che chiedeva a lui spiegazioni per la condotta di altri. La missione di Lattanzi, tra intelligence e diplomazia era fallita, ma era fallita soprattutto la politica del Governo pontificio : non era stata di Lattanzi l’idea di inviare a Perugia il reggimento estero, non era stata sua la decisione di promuovere tanto in fretta lo Schmid a generale ;  





















1  La lettera è pubblicata in R. Ugolini, op. cit., p. 372.

la “pesantissima” missione di luigi lattanzi 41 Antonelli si rese conto troppo tardi di essere stato lui a sbagliare e pretese che Lattanzi gli trovasse una via di uscita : missione impossibile per Lattanzi e per la storia.  

Appendice Le lettere di seguito riportate sono conservate presso l’Archivio Segreto Vaticano, Fondo Segreteria di Stato, 1860, r. 165, fasc. 20. Le lettere inviate da Luigi Lattanzi al cardinale Antonelli sono in originale, mentre per quelle inviate dal cardinale a Lattanzi si tratta di minute. I passi in corsivo sono, nel testo originale, sottolineati. Le lettere nn. 5 e dalla 8 alla 14 sono inedite. Le lettere nn. 1, 2, 4, 7 e 15 sono pubblicate, con alcune varianti, in Nelson Gay, Uno screzio diplomatico fra il Governo pontificio e il Governo americano e la condotta degli Svizzeri a Perugia il 20 Giugno 1859, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1907 (Estratto dal Fasc, n. ii-iii, Anno iii (1907) dell’Archivio del Risorgimento Umbro). Le lettere nn. 1, 3 e 6 sono pubblicate in P. Pietro Pirri S. J, Pio IX e Vittorio Emanuele II dal loro carteggio privato, vol. ii, La questione romana (1856-1864), parte ii, I documenti, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1951, Appendice iii : Il Card. G. Pecci e L. Lattanzi nei moti insurrezionali di Perugia del 1859, pp. 281-294. Si è ritenuto riunirle in sequenza pubblicandole, collazionate, nel loro testo integrale.  

1. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Fuligno, 20 giugno 1859 Eminentissimo Principe, Venerando gli ordini ricevuti in Roma, jeri col corriere giunsi in Fuligno. Si tenne subito un congresso con questo deg.mo Monsig. Delegato Giordani che non so lodare abbastanza per l’impegno ed energia con cui in tempi difficilissimi eseguisce il suo mandato, e poco dopo anche col Sig. Colonnello Schmid pieno anch’egli di ardore in servizio della S. Sede. Si decise unanimemente da tutti e tre essere indispensabile di non differire l’attacco di Perugia, laddove fatalmente avesse voluto resistere, e ciò all’effetto di non dar tempo ad avere dei sussidi dalla vicina Toscana, e di concertarsi colle altre città della provincia insorte. Però apparve ancora ben fatto di promettere tutte le possibili prattiche per evitare un inutile spargimento di sangue. Le mie molte aderenze in quella città e le molteplici prove di affetto che ne ho sempre ricevute fecero sorgere il pensiero che mi fossi colà condotto questa mattina di buon’ora colla sola qualifica di Patrizio Perugino, mentre le truppe sarebbero giunte sul mezzogiorno, e che colà avessi dovuto adoperare quei mezzi di persuasione che fossero compatibili collo stato in cui avessi trovato gli abitanti.

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Trattandosi di un divisamento che non lasciava d’involvere qualche pericolo dubitai se dovessi o nò eseguirlo. Dipoi contando sull’indole dei Perugini mi risolvetti di partire nella notte, e questa mattina alle ore otto mi sono presentato a Perugia. Le porte erano chiuse e guardate da armati. Feci richiedere se all’avv. Lattanzi come cittadino perugino era libero il poter entrare e quindi risortire. N’ebbi in risposta che potevo entrare ed uscire a mio talento. Entrato vidi barricate talune strade e vidi un numero di armati che non avrei mai immaginato. Seppi che dalla vicina Toscana eransi ricevuti nella sera innanzi ben 400 fucili ; che gli armati in gran parte erano Pontiggiani, ossia abitanti dei villaggi a contatto dei ponti situati sul Tevere, e che molti erano venuti muniti di doppiette dagli altri paesi insorti. Seppi ancora, e mi fu di consolazione che per quante suggestioni si fossero adoperate, la generalità dei coloni di cui abbonda il territorio perugino aveva ricusato di associarsi al movimento. Fui all’ingresso circondato da vari cittadini che mi esternarono la loro angustia per vedersi dall’intruso governo provvisorio creatosi da se stesso, ridotta la città a quell’estremo partito che loro non dissimulai. La Magistratura comunale deplorava anch’essa altamente la dura e critica condizione a cui a viva forza erasi voluta trascinare la città, e mi scongiurava a rappresentarlo al Superiore Governo facendo voti che, ristabilito l’ordine e ripristinato il legittimo Governo facesse colà ritorno il delegato Mons. Giordani di cui commendava la saviezza e le altre doti che lo distinguono. I membri del Governo provvisorio mi usarono anch’essi tutti i riguardi che potevo desiderare, ma furono fermi nel voler resistere ad ogni costo millantando esser questo il voto pronunciatissimo di tutti ed aver mezzi sufficienti per riuscirvi. Mi parve di conoscere che ne facessero anche un punto di onore tacendo della salvezza propria. Abbandonai verso le undici la città ed incontrata la truppa al ponte S. Giovanni distante tre miglia da Perugia avvertii il Colonnello dello stato delle cose e rimanemmo di concerto da lì a due o tre ore avrebbe preso le posizioni e, mandata la solita intimazione della resa, avrebbe incominciato l’attacco. E così è avvenuto mentre quand’io giungevo a Fuligno si udivano replicati colpi di cannone segno evidente dell’avvenuto conflitto, terminato dopo tre ore di fuoco, come avrà appreso dal disp.o telegrafico. A dare all’Em.va V.ra R.ma un contrasegno [sic] del pazzo furore dei Ponteggiani le dirò che mentre là l’intero reggimento sfilava sotto quelle case, partirono da talune tre o quattro colpi d’archibugio che motivarono una giusta reazione e taluni arresti. Domani mattina farò ritorno a Perugia. Intanto il Colonnello avrà fatto stampare i proclami che portò seco in minuta e li avrà fatti affiggere. Uno di questi riguarda il ripristinamento nella sua interezza del legittimo Governo Pontificio e la istituzione del Governo militare. L’altro concerne il disarmo ed altre siffatte disposizioni dirette a garantire l’ordine pubblico. Mi riserbo di dare all’Em.va V.ra R.ma ulteriori ragguagli da Perugia, sen 

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tendomi abbastanza stanco per aver perduto due intere notti. Mi dia intanto l’onore di credermi quale umilmente prostrato al bacio della S. Porpora mi godo l’animo di confermarmi Dll’Em.za V.ra R.ma Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Pref.to 2. Il Cardinale Giacomo Antonelli a Luigi Lattanzi Roma, 22 giugno 1859 Non potrei a meno di commendare tutte le pratiche di V. S. fatte onde ridurre a più sani consigli coloro che, dopo essersi ribellati contro il legittimo potere, intendevano opporre resistenza alle Truppe inviate sopra Perugia onde ristabilirlo. Se l’esito non corrispose alle concepite speranze, se fu mestieri ricorrere alla forza, convien pur confessare che nulla si omise per risparmiare alla Città questa misura di rigore e le tristissime conseguenze. La fermezza del Generale Schmid, il Governo militare onde sarà retta quella Città in momenti così difficili, la cooperazione dei buoni al ristabilimento dell’ordine, sono garanzie certe che con il ritorno del Governo Pontificio si consoliderà il regolare andamento della cosa pubblica e la grande maggioranza de’ pacifici cittadini si rassicurerà sempre più. Ne Ella manchi di coadiuvare co’ suoi consigli e con la cognizione pratica dei luoghi e delle persone il prelodato Sig. Generale, su cui pesa ogni responsabilità e della cui energia si ha donde ripromettersi esito corrispondente ai comuni desiderj. Nel porgerle infinite grazie ben estese per la premurosa cura da Lei posta nel far seguito all’onorevole ed insieme delicato incarico affidatole dalla Sovrana benignità, Le confermo Valendomi infine di tale incontro 3. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 21 giugno 1859 Sulle ore due pom.e sono giunto a Perugia. Erasi spar­sa voce per la campagna che sarebbero giunte le truppe toscane per riprendere la città, talché dei legni diretti a questa volta, giunti al Ponte S. Giovanni hanno retroceduto per questa voce ch’ivi principalmente si aveva cura di diffondere ed accreditare con falsi racconti. Anche a me fu data questa notizia ma io non ho dubitato di proseguire il mio viaggio. Ho trovato la città nel massimo squallore. Si lamenta la ferocia dalle truppe dimostrata dopo essere entrate, ferocia che purtroppo è spesso la fatale conseguenza di un assalto. Sono rimasti vittime taluni incauti, meglio però dal rapporto circostanziato che il Colonnello si darà cura di rimettere non appena sarà tutto redatto. Tutti maledicono i membri del Governo prov-

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visorio che non vollero cedere senza spargimento di sangue. Essi però si posero in salvo non appena declinarono a di loro discapito le sorti del conflitto. Rassegno all’Em.za V.ra Rev.ma due esemplari delle due Noti­ficazioni che sono state affisse. Il disarmo si va eseguendo spontaneamente. La prego di scusare se scrivo colla carta di cui unica­mente posso disporre. Le botteghe quest’oggi sono state chiuse meno quelle dei generi necessari al consumo. Si son temute violenze per parte degli Svizzeri perché veramente taluno di loro ha voluto i generi senza pagare dicendo che pel pagamento pensava il Municipio. Il mio arrivo ha sollevato gli animi. Il Colonnello domani farà sorvegliare anche con maggior rigore sulla disciplina delle sue truppe. Con profondissimo ossequio ho l’onore di inchinarmi al bacio della S. Porpora e di proferirmi Dell’Em.za V.ra Rev.ma cui soggiungo che si vanno prendendo le disposizioni onde ripristinare il Governo Pontificio negli altri paesi della provincia, senza indebolire di trop­po le forze qui concentrate Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Pref.to 4. Il Cardinale Giacomo Antonelli a Luigi Lattanzi Roma, 23 giugno 1859 Unitamente al foglio di V.S. in data di ieri l’altro mi giunsero i due proclami del G.le Schmid ; l’uno che dichiara ripristinato il Governo legittimo della S. Sede dichiarando nulli ed irriti tutti gli atti emessi dal Governo rivoluzionario, l’altro che ordina il disarmo della Città entro le 24 ore. A tale invio mi piace corrispondere con i miei ringraziamenti, che anticipo anche per le cure cui son certo vorrà Ella dar opera affinché alla Truppa nulla manchi sia nel casermaggio sia in ogni altra cosa, ed ai feriti in special modo si presti quella affet­tuosa assistenza onde sono meritevoli sott’ogni rapporto. Né qui potrei omettere di raccomandarle più particolarmente il Sig. G.le Schmid, cui gradirei che alla prima opportunità venisse attestata la piena soddisfazione del S. Padre e del suo Governo per l’azione condotta con esito corrispondente alla fiducia in lui riposta e pel valoroso concorso dei suoi uffiziali. Rimango in aspettativa del ripromessomi rapporto, in ispecie per conoscere i nomi di coloro che più si distinsero nel fatto, e per invocare da S. Santità il meritato guiderdone. Mi valgo poi di tale incontro per rinnovarle i sensi  

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5. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 27 giugno 1859 Eminenza Reverendissima Furono per me di molto conforto le benevoli parole del ven.e Disp.o del 22 corr. n. 4276, col quale l’Eminenza Vostra Reverendissima si degnò di approvare il mio operato, Seguendo le istruzioni in quello contenute non ho mancato di coadiuvare co’ miei consigli il Sig. Generale Schmid, e mi trovo di aver fatto il resto che m’insinua con l’altro Ven.e Disp.o del 23 detto. Mi è grato pertanto poterla assicurare che la Truppa fu subito accasermata nei Conventi di S. Agostino, S. Domenico, e S. Fiorenzo, e specialmente nel vasto monastero di S.Pietro dei Monaci Benedettini, e vedo ben animato il Munici­pio di Perugia in corrispondere alacremente alle richieste tutte del Sig. Generale. Ho poi procurato che ai detti Monaci Benedettini fosse lasciato un quartiere libero cor­rispondente ai bisogni, su che sorgeva qualche difficoltà per il sospetto che si aveva dal Sig. Generale che nel mo­nastero si trovassero ancora nascosti degli individuj che avevano preso parte al conflitto, qual sospetto però è an­dato a dileguarsi dietro le perquisizioni eseguite. Ieri dappresso le intelligenze prese coll’Em.o Sig.r Card. Vescovo fu solennizzato l’Anniversario della Incoro­nazione di Sua Santità, e tutte le Autorità assisterono al solenne Te Deum cantato nel Duomo. Il gonfaloniere annun­ ziava la festa colla notificazione a stampa che qui unita rassegno. Il concerto cittadino e quello militare alterna­vano i suoni che furono ripetuti la sera nella illuminazione dei pubblici e privati edifizi, che fu splendida, copiosa, e generale. Il disarmo procede regolarmente, ed a compierlo si è creduto pubblicare altro Avviso che parimenti unisco. Vero è però che molti armati sul finire del combattimento fuggi­rono dalla città, e buon numero di questi, insieme coi principali compromessi sono assicurato che trovansi in To­scana, e specialmente in Arezzo e in Cortona. Ieri profittando della festiva ricorrenza furono dimessi dal carcere i giovani sotto i 20 anni che erano stati arrestati nel giorno della mischia. Vi restano ancora una ven­tina d’individui sui quali la Commissione militare già no­minata si riserba di provvedere dopo la istruttoria da farsi dall’Uditor militare, che il Sig. Generale mi dice di aver richiesto con premura a codesto Ministero delle Armi. Lo spirito pubblico a favore del Governo va facendosi sempre più compatto, poiché finita l’oppressione dei fazio­si, i buoni sono liberi nell’esternare i loro voti. Tutti maledicono i capi, e ne invocano la punizione anche in via contumaciale col sequestro dei loro beni per la rifazione dei danni sofferti da tante famiglie.

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Onde l’Eminenza Vostra Reverendissima abbia un cenno dei maggiori di tali danni mi sono recato a premura di redi­gerne analoga distinta che troverà parimenti qui acclusa. L’Officio di Polizia è ora riattivato per intiero. Gli im­piegati parte tornarono subito, parte e tra questi il Direttore, vennero dopo. Ai primi commisi di compilare un esatto verbale nel prendere la consegna dell’Offi­cio del Municipio, il quale trovò le chiavi per le scale del palazzo pubblico. Il risultato fu che tutto trovavasi in piena regola, tranne la mancanza di 26 fucili oltre una carabina, come meglio dal verbale stesso che fu trasmesso a M.r Delegato, e che troverà unito in copia. Allo stesso M.r Delegato fu inviato subito lo stato della Cassa Camerale. Io me ne procurai una copia che è quella che inserisco. Il Municipio si è data sollecita premura di nominare una deputazione da presentarsi ai piedi di Sua Santità. Monsignor Delegato deve aver implorato il permesso. Si compone del Sig. Gonfaloniere Commend. Alessandro Marchese Antinori, e degli anziani Conte Gio. Carlo Conestabile, Pro­fessor Sebastiano Purgotti, ai quali si unirà probabilmente il Sig. Cav. Silvestro Friggeri altro anziano se le circo­stanze della famiglia glielo permetteranno. Ho insistito presso il Sig.r Generale per la trasmissio­ne del rapporto circostanziato diretto a conoscere il nome di coloro che più si distinsero nel fatto ; ed intanto non ho mancato di nuovamente attestare al detto Sig.r Generale la piena soddisfazione del S. Padre e del suo governo a termini del sullodato dispaccio 23 corrente. I feriti fin dai primissimi momenti ebbero tutti la più filantropica assistenza in questo Ospedale dagli Officiali Sanitari Dottorini e Isidori, e so che il Generale si ri­serba di farne speciale menzione nel rapporto. E degna di ogni elogio è anche la cura che il Sig.r Commendator Di Pietro Capitano Comandante di Piazza spiega per ogni occorrenza sia della Truppa sia dei Cittadini. E qui chiuderò col ripetere che sebbene regni un generale sconforto per l’accaduto, pure i buoni di ogni classe che formano la grande maggioranza degli abitanti non la­sciano di cooperare per l’assodamento dell’azione governativa, e desiderano che possa presto ritornare il primitivo ordine di cose. Dopo ciò vedendo con piacere accellerarsi [sic] il termine della missione di cui sono stato onorato, e che non dissimulo essermi stata penosissima, umilmente prostrato al bacio della Sacra Porpora ho l’alto onore di confermarmi con profondissima venerazione Dell’Eminenza Vostra Reverendissima Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Pref.to  

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cui soggiungo che al più tardi poi domani il Sig. Generale spedirà il rapporto di cui sopra avendo avuto quelli dei Capi dei rispettivi corpi, e che sono al med.o pervenute le istruzioni sul giudizio da farsi contro i contumaci, e l’annuncio del prossimo arrivo dell’Uditor militare e suo attuario. Negli altri paesi della provincia, e principalmente a Città di Castello, Fratta, Magione e Città della Pieve il Governo pontificio fu ristabilito senza uso della forza e i Governatori ed altri funzionari hanno sul luogo cenno dei più gravi danni avvenuti in Perugia nel giorno 20 giugno 1859 dappresso la resistenza fatta all’ingresso delle Truppe Estere in servizio della S. Sede. Monastero di S. Pietro. Trovavansi questo ed il contiguo Frontone occupati da buon numero di armati a difesa della porta S. Costanzo e della barricata di cui era munita. Ivi ebbe luogo l’attacco ed un vivo fuoco che proveniva dalle pertinenze del Monastero obbligò i soldati ad occuparlo militarmente superato ch’ebbero col massimo coraggio il frontone e la barricata. Mo1tissimi guasti derivarono da questa occupazione. Vi furono dei morti e prigionieri taluni dei quali feriti, e fu dato anche il saccheggio in qualche parte. Casetta Vignaroli. La prima nel borgo S. Pietro dopo il Monastero. Questa rimase incendiata e il danno può calcolarsi tra due e trecento scudi. Casa e tintoria dei fratelli Santarelli. Situata nel borgo stesso. Rimase del pari incendiata. Il valore del fabbricato ed oggetti deperiti si fa ascendere ad oltre scudi 4000. Tabaccheria Passerini nel d.o borgo. Fu spogliata e rimasero uccisi il proprietario la moglie e un’altra donna. Casa del possidente Giacomo Rossi. Posta entro la città a non molta distanza dalla porta S. Pietro. Non v’erano abitanti. Fu saccheggiata e tra gli oggetti v’era un calice ed altri oggetti del Monastero delle Colombe. Non si cono­sce la entità del danno. Farmacia Bellucci. Fu manomessa con danno di circa scudi 300. Casa del possidente Tommassini. Soffrì il sacco. Casa del possidente Salvatore Rosa. Saccheggiata. Casa del Conte Salvatori. Ebbero il saccheggio i due piani abitati dal possidente Giacomo Temperini e dal Conte Valenti giudice giubilato. Al primo fu involata vistosa somma e fu pure ferito in una mano ; al secondo fù recato un danno di circa scudi 600.  

Locanda di Giuseppe Storti. Ucciso il proprietario col cameriere e lo stalliere. Involati molti oggetti anche preziosi ad una famiglia americana che vi alloggiava.

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Altra casa nella stessa contrada. Ferite due giovani, uccisa la sartrice Irene Gioja Polidori. Rimasero uccisi pure entro la città la Cruciani che incautamente si affacciava, Romolo Vitaletti e Tobia Bellezza preposti alla porta S. Croce ; Mammoli padre e figlio servigiani del Monastero delle Colombe, un vecchio calzolajo, ed il Segretario comunale Porta.  

Lungo la via di porta S. Pietro, lungo il corso, piazza piccola, ed altre vicine contrade furono dai soldati spa­rati continuati colpi d’archibugio alle finestre ed alle porte dei negozi e precisamente al foro delle serrature. La resistenza e le offese dei faziosi perdurarono quasi a tutta la via detta di porta S. Pietro. 6. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 29 giugno 1859 Importantissima Eminenza Reverendissima In obbedienza ai Ven.ti Disp.ci telegrafici dell’Eminenza Vostra Reverendissima in data di ieri sera e di questa mattina spedisco per staffetta il richiestomi rapporto sui fatti avvenuti in questa Città nel giorno 20 corrente. Incomincerò dal ripetere che nelle ore antimeridiane delle stesso giorno io mi recai in questa città non assumendo altra qualifica che quella di patrizio perugino. Rappresentai alla Giunta del sedicente governo provvisorio che la resistenza sarebbe stata inutile a confronto del poderoso nerbo di truppe munito di cannoni ed altri mezzi guerreschi che marciava sopra Perugia pronto a battersi fino all’ultimo sangue. Rappresentai che laddove si fosse voluto resistere si sarebbero fatte delle vittime, e si sarebbe esposta la città anche al saccheggio, usando questa precisa espressione che i soldati venivano come leoni. Fatalmente non fui inteso. Guardabassi, Faina e Berardi risposero che il paese tutto intiero voleva resistere, e che donne, vecchi, fanciulli avrebbero gittato dalle fenestre e dai tetti quello che avevano per ribbattere [sic] la forza. Riusciti inutili i miei conati dovetti abbandonare la città, e riferire tutto ciò al Sig. Colonnello ora Generale che trovai al ponte S. Giovanni. Era nei concerti che il Sig. Capitan Di Pietro avrebbe intimato la resa ai ribelli ; ma dopo che le Truppe furono ricevute a colpi di fucile al ponte S. Giovanni si credette inutile dai Capi della Forza ogni intimazione, essendosi temuuto pur anco che uomini senza legge e senza unità di dipendenza non avessero rispettato il parlamentario. Questa è la genuina storia dei fatti che precedettero l’attacco, e pregherei l’Eminenza V.ra R.ma a far sì che fossero rettificati in questi termini. Passando ora a parlare dell’operato della Truppa nell’assalto dato alla Città non può negarsi che ne risultassero conseguenze luttuose sia per le  

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persone che rimasero uccise e ferite sia per il sacco dato a talune case. Ma chi può contenere l’ardore dei soldati che han veduto cadere ai loro fianchi qualche commilitone e qualche uffiziale, e che a misura che avanzavano trovavano resistenza ed offesa o dai coppi e sassi che si slanciavano dai tetti o dalle archibugiate che provenivano dalle fenestre ? Più o meno fu questo il contegno dei ribelli dal Monastero di S. Pietro per tutto il borgo per la contrada interna detta di Porta S. Pietro fino a S. Ercolano. Non voglio dire con ciò che per tutta la linea suddetta si sparasse o si scagliassero sassi contro la Truppa, ma ciò si faceva in più di un punto da questa o quella casa, da questo o quel tetto, tal che un tamburro [sic] periva di un colpo di archibugio sulla piazzetta di S. Domenico, un milite incontrava la stessa sorte in vicinanza della locanda Storti prossima a S. Ercolano. Fu il Comandante di piazza degli insorti Carlo Bruschi che vedute venir meno le difese esterne del Frontone e Monastero di S. Pietro entrò nella città gridando ad alta voce che coloro i quali erano stati collocati sui tetti e gli altri dalle fenestre continuassero la resistenza gettando qualunque cosa fosse loro venuta alle mani. Alla perseveranza di questo ostile contegno principalmente si debbono i danni dalle Truppe cagionati, ed in parte anche alla licenza di alcuni tra i soldati i quali anche superata ogni resistenza tornarono indietro per far bottino. Di questi danni diedi già un cenno all’Eminenza Vostra Reverendissima col mio rispettoso rapporto di jer l’altro, ed ora debbo nuovamente ripetere che il Monastero di S. Pietro occupato dai ribelli fu invaso dalle Truppe, le quali ne uccisero qualcuno, qualch’altro ne ferirono, e trassero prigionieri gli altri che non poterono porsi in salvo. Il Monastero soffrì gravissimi danni per il sacco cui soggiacque ; ed i Monaci a stento poterono essere incolumi per il coraggio mostrato dal R.mo P. Abbate Acquacotta, benché rimanesse ferito il suo cameriere Ubaldi. Fu arsa probabilmente da qualche projettile la casetta Vignaroli che è la prima che s’incontra al borgo S. Pietro dopo il frontone. Per la stessa causa si crede incendiata la casa e tintoria dei fratelli Santarelli situata allo stesso borgo. Incendiata pure la casa attigua al salaro Francesco Borromej e lo stesso Borromej ucciso perché si trovava dietro una persiana dove fu tirato un colpo. Non posso però tacere che in una casa giunse in tempo un Ufficiale ad impedire che un soldato con candela accesa desse fuoco al paglione. La casa del fabbro Mauro Passerini posta nello stesso borgo fu invasa e spogliata colla uccisione del Passerini della sua moglie Carolina, e della cognata Candida. Il motivo di tale uccisione si attribuisce al rinvenimento che fecero nella medesima i militi di un loro compagno ucciso. V’ha però chi dice che il milite fu ucciso da un suo compagno per contrasto fra essi avvenuto sul far propria una somma data dal Passerini, e che quindi facesse strage dei componenti quella famiglia. Il Passerini era generalmente tenuto per persona proba. L’ebanista Emilio Lancetta fu ucciso nell’atto che esplodeva da una fenestra l’archibugio contro la forza.  



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La casa del possidente Giacomo Rossi posta nella strada interna di S. Pietro fu saccheggiata. Non v’erano abitanti. Anche la casa di Antonio Tomassini fu saccheggiata come pure quella dell’altro possidente Salvatore Rosa poste entrambe sulla stessa via. Fu ucciso Andrea Agosti servente del Monastero delle Colombe che era uscito di casa, e così Feliciano Cirri giovane di caffè. Nella casa del Conte Salvatori, posta nella contrada stessa, ebbero il saccheggio i due primi piani abitati dal possidente Giacomo Temperini e dal Conte Valenti. Il Temperini fu anche ferito in una mano. La famiglia Valenti si allontanò dalla casa quando sentì rumore di gente sul tetto, lo che mostra che anche dal tetto di quella casa si gettarono sassi. Fu saccheggiata ancora la casa e tabaccheria di Adamo Ceccarelli. La farmacia Bellucci nella stessa via fu manomessa, e minacciato di fucilazione lo stesso Bellucci perché innanzi alla sua farmacia cadde estinto un tamburro, e si credette che il colpo fosse provenuto dalla spezieria. Ma ben presto fu riconosciuto essere invece provenuto da una fenestra dirimpetto. Di fronte alla porta S. Croce fu invasa altra casa dalle fenestre della quale o dal tetto eransi gettate delle pietre. Vi era Irene Gioja Polidori sartrice con due sue giovani. La prima fu uccisa dai militi e le altre due ferite. Dalla locanda di Giuseppe Storti prossima a S. Ercolano fu sparata una trombonata che uccise un soldato, e furono gettate tegole e sassi. La forza furibonda entrò nella locanda ed uccise l’albergatore Storti, il cameriere Luigi Genovesi e l’ex-postiglione Luigi Bindocci uno dei quali due ultimi fu trovato armato di archibugio. Furono involati molti oggetti anche preziosi ad una famiglia americana che vi alloggiava, è stato di poi recuperato un cilindro d’oro che si crede appartenere alla detta famiglia e che ritiene il Sig. Generale in deposito. In vicinanza della detta porta S. Croce rimase ucciso il segr.io Comunale Giuseppe Porta, ed anche due impiegati del dazio Consumo alla porta stessa. Il primo vuolsi che tanto per disesti economici quanto per essersi compromesso nel movimento andasse volontariamente ad esporsi alle palle lasciando molto indietro a sè alcuni membri del Municipio che seco lui eransi diretti per quella parte onde trovar modo di fare arrestare il conflitto, e che per l’evidente pericolo eransi ritirati in luogo sicuro. Gli altri due o erano o furono reputati nemici perché trovati su quella strada ove ferveva il conflitto. Per quella strada quasi tutte le porte e le fenestre furono crivellate dalle palle perché da per tutto si aveva ragione di temere la ripetizione delle offese. Ma è un fatto che queste non ebbero seguito al di fuori della detta contrada. Pur tuttavia le porte e fenestre furono forate dalle palle della furente soldatesca anche lungo il corso, lungo la piazza piccola e la contrada di porta Sole. I colpi erano diretti alla serratura delle porte forse con animo di saccheggiare ; ma soltanto il caffè di Secondo Campi vicino al Corso, e la piccola libreria Gentili sul corso furono aperte e manomesse.  

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Incontro all’Ospedale presso S. Ercolano fu uccisa l’ostessa Francesca Morini che incautamente si affacciò alla fenestra, ed in piazza piccola un vecchio calzolajo rimase ucciso anch’esso. Nella sera ed anche nel giorno appresso alcuni militi vollero dai venditori commestibili e vino senza pagamento, e lo vollero anche da talune case alle quali si presentarono. Non appena ciò seppi al mio arrivo pregai il Generale ad emanare un severo ordine del giorno per richiamare alla disciplina le Truppe, né so che altro eguale disordine siesi in seguito verificato. Questa veridica istoria non può negarsi che sia luttuosa ; ma nelle città prese di assalto con ostinata resistenza esterna ed interna possono deplorarsi tali conseguenze, ma non del tutto impedirsi. Molto si adoperarono in quel frangente ad imbrigliare il furore dei soldati gli Uffiziali e il Colonnello ed è alla loro energia dovuto se i danni non ebbero altro seguito. Il cuore paterno del S. Padre ed anche quello della Eminenza V.ra R.ma saranno al certo commossi da questi avvenimenti ; ma la colpa e l’ignominia ricade tutta sul capo di coloro che vollero spingere le cose all’estremo della umana perfidia, malgrado la disapprovazione della gran maggioranza dei pacifici cittadini. Nel declinare del combattimento i membri della Giunta si presentarono al Municipio proferendo le seguenti parole : “La difesa è stata eroica, l’onore delle armi italiane è salvo noi depositiamo il potere nelle mani del Municipio”. E senz’altro dire se ne fuggirono cogli altri principali compromessi passando per la porta del Bulagajo, e proseguendo pel Colle del Cardinale si diressero verso la Toscana. Il Gonfaloniere e qualche anziano che si trovavano nel palazzo Comunale con animo di fare quel bene maggiore che potessero in tanto disastro pensarono ad alzare la bandiera bianca sulla torre di piazza. Ma o non fu vista o non fu apprezzata perché non essendovi alcuna unità di comando è certo che malgrado la bandiera bianca dai tetti e fenestre della contrada di S. Pietro si continuavano la resistenza e le offese. Fu però rispettata dai militi la bandiera nera dell’Ospedale che rimase illeso. Per altre notizie accludo un esemplare dell’Osservatore del Trasimeno in cui il Sig. Generale ha fatto inserire un articolo. Mi è dispiaciuto però di non averlo prima veduto perché avrei dovuto farvi varie correzioni. Le tre più interessanti sono la qualifica che mi si dà di Commissario Straordinario la quale mi pone in falsa posizione verso il paese, la seconda, la cifra dei combattenti da parte degli insorti che si porta a cinquemila, mentre doveva per lo meno limitarsi alla metà molti dei quali senz’armi ; la terza l’asserita presenza del Colonnello Cerotti 1 alla direzione della resistenza stessa del tutto insussistente mentre sul mezzo giorno vennero in Perugia soltanto tre sedicenti Uffiziali, dell’arrivo de’ quali si valsero i Capi per illudere la massa,  









1  Filippo Cerroti.

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rinfuocolandone anche gli spiriti coll’arrivo fatto credere di rinforzi dalla vicina Toscana. Non vi si fa menzione alcuna di Carlo Bruschi che col titolo di Comandante di piazza diriggeva per il primo gl’insorti. Credo con ciò di avere evaso per quanto era da me gli ordini ricevuti, restandomi solo a rammentar ciò che riferii altra volta, voglio dire l’arrivo in Perugia nella sera del 19 di quattrocento fucili da munizione mandati dal Commissario toscano Buoncompagni 1 senza i quali la sconsigliata resistenza assai probabilmente non avrebbe avuto luogo. Colla più profonda venerazione prostrandomi al bacio della Sacra porpora ho l’alto onore di confermarmi Della Eminenza Vostra Reverendissima  

Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Cons.re di Stato 7. Il Cardinale Giacomo Antonelli a Luigi Lattanzi Roma, 30 giugno 1859 Dal Sig. Ministro residente degli Stati Uniti d’America mi viene diretta una Nota di reclamo, che qui unisco in copia, contro gli attentati de’ soldati del Regg. svizzero entrato in Perugia a carico degli Americani Perkins, Doane e Cleveland, che alloggiavano nell’albergo di Francia di cotesta città. Mi occorre quindi che V.S.I mi informi al più presto possibile sulla verità de’ fatti, e sul valore degli oggetti reclamati, affinché io sia grado di dare a quell’estero rappresentante il conveniente riscontro. Né sarà qui inopportuno che io aggiunga, essersi conosciuto da sicura fonte che la stessa famiglia americana giunta in Firenze affermava essersi potuta salvare con danaro dalla furia de’ soldati, sebbene questi fossero stati violentemente provocati per parte degli uomini, delle donne, e de’ ragazzi dell’Albergo anche con armi alla mano. Tutte le particolarità ch’Ella si darà la cura di enumerarmi su tal fatto gioveranno a rivendicare la condotta de’ nostri soldati. Aspetto con somma ansietà la relazione che secondo il suo dispaccio telegrafico di ieri sera dovrebbe giungermi tra poche ore circa il modo con cui si passarono le cose in Perugia all’ingresso delle truppe, e ciò per smentire tante iniquità che leggonsi nel Monitore di Toscana e di Bologna ed in vari altri giornali sul conto della milizia med.a anche sotto il rapporto morale, religioso ed umanitario. Con sensi 1  Carlo Boncompagni di Mombello.

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8. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 30 giugno 1859 Telegrafi Elettrici Pontifici Stazione del Telegrafo in Roma dispaccio telegrafico con num. 107 parole Accettato in Perugia li 30 Giugno 1859 alle ore 12, minuti 10 pomerid. Arrivato in Roma li 30 giugno 1859 alle ore 12, min. 30 pomerid. Num. 432/222 Verso l’Avemaria della sera del 20 andante la truppa si ritirò nelle caserme, tranne una cinquantina di soldati che vagarono per la città nella notte bussando ad alcune porte di casa colla scusa di cercare armi, ma chiedendo invece del vino senza recar molestia ad alcuno. Crede il Sig. Generale che questi consumassero nella notte il saccheggio nella locanda Storti ove vi era stata nel giorno la maggior resistenza tanto che non solo fu ucciso sotto della medesima un soldato, ma fu ancora ferito il Tenente Crufei del qual ferimento non ho parlato nel rapporto Lattanzi Consigliere di Stato 9. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 30 giugno 1859 Telegrafi Elettrici Pontifici Stazione del Telegrafo in Roma dispaccio telegrafico con num. 243 parole Accettato in Perugia li 30 Giugno 1859 alle ore 3, minuti 5 pomerid. Arrivato in Roma li 30 giugno 1859 alle ore 3, min. 45 pomerid. Num. 436/226 Aggiunto al rapporto. Anche dopo seguita l’occupazione del Monastero di S. Pietro uno svizzero che con altri si trovava a bere nella cantina del Monastero stesso fu ucciso con una archibugiata dagli insorti nascosti. Nell’atrio dell’orfanotrofio della provvidenza nella contrada S. Pietro fu ucciso uno svizzero dagli insorti che in numero di 30 circa erano andati sul tetto per tirare fucilate e sassi. Fuggendo lasciarono sette fucili entro il locale. Fu da loro scalato il tetto del Monastero delle Colombe su cui avevano portato pietre ed altro. Violenta-

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rono la porta dell’altro vicino Monastero della Maddalena per avere accesso ai tetti e fenestre ma non riuscirono a romperla. Avevano dato ordine anche con minacce che si lasciassero aperte le porte delle case nella detta contrada S. Pietro per procurarsi il detto accesso, come avevano sin dalla mattina ordinato nelle case provista [sic] di pietre ed altro, onde essere gettate dalle fenestre anche dalle donne e molti rottami di sassi e tegole furono veduti sparsi nella mattina appresso in vari punti di quella contrada. Dei soldati riportarono offese materie gettate intorno alle vittime nel numero di ventisette, corrispondenti al numero dei sepolti, i pochi che non furono complici, furono sacrificati al furore della soldatesca, o per atti di loro imprudenza o per atti di ostilità operati dagli insorti nelle loro case o tetti anche a loro insaputa. Lattanzi Consigliere di Stato 10. Il Cardinale Giacomo Antonelli a Luigi Lattanzi 1  

Roma, 30 giugno 1859 Nella vista che in pendenza del giudizio da pronunciarsi sul regolare incasso, di cui è incaricato l’uditore militare costà spedito, non si distraggano i beni posseduti dagli autori principali della usurpazione del legittimo potere, e della resistenza a mano armata fatta contro il medesimo in Codesta Città si riconoscerebbe opportuno, che da codesto Sig. Governatore militare si emettesse la ordinanza del tenore riportato nell’unito foglio, diretta ad assicurare la identità dei danni dalla rivolta e resistenza sud. cagionati ai Particolari, al Comune, ed allo Stato. Da tempo pertanto la saggezza di V.S. a prendere ed esporre il tenore della ordinanza sud. e quando non vi trovi rilievi in contrario massime sulla regolarità avrà cura di riferirne subito al Sig. generale Schmid Governatore militare per porre ad atto la ordinanza medesima. Questo atto in copia legalizzata mi trasmetterà per passarla a questo Mons. Comm.io Gen.le della R.C.A. il quale a termini del par. 137 prenderà la iscrizione incaricandone i procuratori fiscali o camerali delle provincie. Sicuro di sotto la di Lei premura per la provata ed accurata corrispondenza sull’oggetto soprad. 1  Nella stessa busta è conservata anche un’altra versione della stessa lettera con poche varianti e brevi passi depennati.

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11. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 3 luglio 1859 Eminenza Reverendissima Sarebbe desiderevole sotto certi rapporti, e specialmente per tranquillità dei particolari danneggiati che s’iscrivesse l’ipoteca sui beni dei principali autori della rivolta e della armata resistenza alle Truppe Pontificie. Chiamato peraltro dall’Eminenza Vostra Reverendissima a prendere in esame il tenore della rimessami ordinanza, ed a passarla al Sig.r Generale quando non vi avessi trovato rilievi in contrario, massime sulla regolarità della medesima, ho creduto di momentaneamente sospendere l’esecuzione, e di subordinare intanto all’alta Sua Sapienza le seguenti osservazioni. Nel paragrafo 117 n. 4 del vigente Regol.o legisl. e giud. si accorda all’erario pubblico l’ipoteca legale indipendentemente dai giudicati e dalle convenzioni a carico degli esattori, agenti ecc. ed altre persone obbligate a render conto pei debiti risultanti dall’esercizio del loro impiego o della loro amministrazione. Sotto questa categoria non apparisce abbastanza che possano comprendervisi coloro che per delitto di lesa maestà hanno usurpato il pubblico denaro. Ad ogni modo quando potesse estendergli anche a questi l’accennato disposto di legge, non vedrei come i diritti dei particolari danneggiati potrebbero essere garantiti in virtù del paragrafo stesso. Passando al regolamento penale trovo nell’art. 85 che i condannati per sedizione o insurrezione contro il Sovrano perdono ogni diritto alla porzione disponibile del loro patrimonio all’epoca del commesso delitto, la qual porzione rimane di ragione, e a disposizione del governo a riparazione di qualunque danno. Non può negarsi che questo sia il caso di cui si tratta ; e sebbene si parli di condannati, pure dovendosi riguardare la porzione disponibile all’epoca del commesso delitto, ciò importa che l’effetto della condanna si retrotragga fino a quell’epoca. Leggo poi nell’art. 719 del Regol. di proced. crim. stabilito per massima generale che per l’assicurazione delle spese e danni non si può fare inventario o sequestro se non dopo emanata la sentenza che stabilisce l’azione per la rifazione. Considerate pertanto le anzidette prescrizioni legislative mi nasce un ragionevole dubbio sulla regolarità della proposta ordinanza, dubbio che potrebbe elevarsi anche dai conservatori delle Ipoteche. Ed è perciò che dovendosi emanare sarei subordinatamente di avviso che in termini espressi si dichiarasse essere tra i poteri straordinari del governatore militare anche la facoltà di potere ordinare la iscrizione di cui si tratta in linea di maggior garanzia e senza pregiudizio del disposto del citato art. 85 del Regol. penale, in forza del quale il governo acquista non un credito, ma il dominio dei beni del condannato.  

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Dopo ciò sono in attesa degli ordini ulteriori della Eminenza Vostra Reverendissima che saranno subito eseguiti ; ed intanto prostrato al bacio della sacra porpora ho l’alto onore di confermarmi con profondissima venerazione Dell’Eminenza Vostra Reverendissima.  

Umilissimo Divotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Consigliere di Stato 12. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Perugia, 3 luglio 1859 Eminenza Reverendissima Ho letto con fremito d’indignazione la privata corrispondenza di Perugia inserita nel Monitore di Bologna del 27 giugno che mi si dice riportata anche in altri giornali. Rassegno all’Em.za V.ra R.ma un mio rapporto da cui potrà desumere le notizie che smentiscono le calunniose e denigranti imputazioni a carico della truppa in aggiunta al rapporto che già trasmisi. In questo momento mi viene consegnato il Monitore toscano del 27 giugno 1859, e intorno alla narrazione ivi contenuta dei capi di Perugia mando altro separato foglio di notizie che pure potrà essere utile a redigere un articolo che smentisca quella bugiarda narrazione. Vado osservando i dati per rispondere al reclamo della famiglia Americana e spero di poterli inviare domani. Prostrato al bacio della S. Porpora ho l’alto onore di confermarmi con profondissima venerazione Dell’Em.za V.ra R.ma Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Cons.re di Stato 13. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Falsità ed esagerazioni dell’articolo circa i fatti di Perugia inserito nel Monitore di Bologna del lunedì 27 Giugno N.11. Asserzioni dell’articolo

Rettificazioni

Al Ponte S. Giovanni fu ucciso un garzone dell’Angeletti

Dalla casa dell’Angeletti o sue vicinanze furono sparati due colpi di fucile al passaggio della truppa. Il garzone dell’Angeletti armato si dava alla fuga, e raggiunto fu ucciso con un colpo di bajonetta.

Altri due squartati e gettati nel fiume

Falso : nessun’altro fu offeso. Furono carcerati altri due individui, ma di 

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messi dopo pochi istanti, prima che finisse di sfilare la Truppa. In casa Spadini furono uccisi marito e moglie ; indi il fabbro ed i conjugi Checcherelli. 1

Non in casa Spadini ma in casa Passerini furono uccisi marito e moglie. Da quella casa come da altre contigue si sparava sulla Truppa, e dentro vi era stato rinvenuto uno svizzero morto. Rimase uccisa in altra casa Candida Passerini perché entrativi i soldati dietro la viva fucilata che partiva da quella, si presentò minacciosa col cortello [sic] imbrandito. Fu ucciso ancora in altra casa Francesco Borromej salajo detto Checherello che stava in prossimità della fenestra alla quale fu sparato, perché da molte di quelle fenestre come dai tetti partivano colpi sulla Truppa, e rimase ucciso uno svizzero. La moglie del Borromej non fu toccata e nessun soldato entrò in quella casa.

Incendiata la tintoria Santarelli

Un proiettile caduto nella sottoposta bottega del tabaccaro dove erano materie combustibili cioè polvere razzi spiriti e fosfori incendiò la bottega, ed il fuoco si propagò ad alcune camere superiori della casa Santarelli. Anche i svizzeri in ora più tarda prestarono mano per estinguere l’incendio.

Ammazzati due portieri a Porta S. Pietro

Sussiste, e questi furono Romolo Vitaletti e Tobia Bellezza, ma si trovavano fuori del loro posto sulla strada dove già ferveva il conflitto.

Ucciso un Mori ed il garzone del Caffè

Falsa la uccisione di Alessandro Mori caffettiere. Vera quella del Cirri che fu un tempo garzone del Caffé.





1  Nel testo dell’articolo “coniugi Ceccherelli”.

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Questi malsano com’era di mente si trovava appiattato in un vicolo che sbocca sulla strada S. Pietro, nella quale ogni passo i Svizzeri incontravano offese e resistenze All’ambulanza dalla bandiera nera (cioè che ospitava i feriti) 1 furono tirate moltissime fucilate

Falso del tutto. L’Ospedale dove era la bandiera, non appena i Svizzeri se ne avvidero, fu rispettato.

Belluni speziale fu ucciso. 2

Vorrà dirsi lo speziale Bellucci. Ma è falso che egli fosse ucciso. Un tamburro [sic] svizzero colpito da fucilata cadde innanzi la sua farmacia. Si credette che il colpo fosse provenuto dalla spezieria, ma poi si conobbe essere partito da altro punto, per cui fu il Bellucci immune da ogni offesa personale, sebbene nel primo impeto la sua farmacia fosse invasa e danneggiata

In casa Temperini furono uccise tre donne : 3 al Temperini tagliate tre dita, e tolti due mila scudi, più l’argenteria

Nessuna donna fu toccata. Il Temperini apriva una porta nel momento stesso in cui una schioppettata fu diretta alla serratura, ed egli ne rimase ferito in due dita. Si dice che fu tolta quella somma. Sul tetto di quella casa ancora vi erano armati.

Il vecchio pastore Brugnoli ferito alle spalle.

Il Brugnoli venditore di paste rimase ferito nel conflitto in Porta S. Pietro

Nella casa dello Storti tutti furono uccisi meno la moglie di lui, che poté rifugiarsi presso una famiglia americana difesa dalla propria bandiera. Egli fu fatto spogliare ignudo

La casa ossia locanda dello Storti fu l’ultimo punto di ostinata resistenza fatta alle Truppe. Da una fenestra della medesima sventolava una grande bandiera tricolore. Molti colpi di









1  Nel testo dell’articolo “che, cioè, ospitava i feriti”. 2  Dopo questo passo manca il brano : “E fucilate furon tratte alle finestre, alle porte ed ai buchi delle serrature delle case e delle botteghe”. 3  Il senso è lo stesso, ma il giornale riporta : “Belluni speziale fu ucciso, e in casa Temperini lo furono tre donne”.  



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coi garzoni e insieme ai garzoni passato a fil di spada.

archibugio furono quivi sparati dagli insorti sopra i soldati, e molti sassi e tegole furono lanciati dal tetto della locanda, tal che vi rimase morto un milite ed altri feriti. Furente entrò la soldatesca in quella locanda, uccise il cameriere e il sottostalliere, uno de’ quali era armato. Uccise anche nel secondo piano il locandiere Storti. Tutti gli altri della locanda insieme ad una famiglia americana che vi si trovava albergata furono salvati da taluni degli stessi soldati che temperavano l’impeto dei compagni. Falsissimo poi che lo Storti ed i garzoni fossero fatti spogliare ignudi e passati a fil di spada. Non è vero che vi fosse la bandiera americana.

Di faccia l’Ospedale 1 restò morta la figlia del Cruciani.

Vero il fatto colle seguenti circostanze. I svizzeri che da tante fenestre della via S. Pietro ed anche da qualche cantina avevano ricevuto dei colpi di moschetto andavano sperando su tutte le fenestre, e Francesca Morini o Cruciani fu colpita mentre imprudentemente si affacciava in una fenestra della sua abitazione poco distante dalla contrada S. Pietro

Alla porta S. Croce furono pure uccisi due portieri, ed a questi per dileggio poi che furono spenti, si misero in bocca dei 2 zolfini accesi.

Due soli furono i portieri uccisi, quei di cui si è parlato di sopra. Falsi i dileggi.

Il Segretario comunale Porta che con bandiera bianca unitamente ad altri andava in deputazione per trattare la dedizione della città fu ucciso da una palla poco lungi dal Corso.

Il Gonfaloniere e qualche anziano mossi dal desiderio di far cessare il conflitto partirono dal Palazzo Comunale e si diressero verso la via S. Pietro. Ma qualche colpo di cannone e la moschetteria li trattenne





1  Nel testo “allo spedale”.

2  Nel testo “degli”.

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stefania magliani dall’avanzarsi ed invece tornarono al palazzo Comunale. Il solo Segr. io Porta volle internarsi per la via S. Pietro senza alcuna intesa degli altri, e rimase ucciso da una palla di archibugio. Non è vero che portasse alcuna bandiera bianca. Si narra invece che e per disesti [sic] economici, e per essersi compromesso nella rivolta il Porta già di carattere melanconico andasse incontro da se stesso a certa morte.

Giù per l’alberato il vecchio Leoni che chiedeva l’elemosina fu lasciato cadavere in mezzo alla strada

Falso

Un disertore de’ fucilieri ferito fu tolto dall’Ospedale e fucilato.

Falsissimo. Tutti i feriti indistintamente hanno ricevuto la necessaria assistenza, e nessuna violenza fu fatta ad alcun individuo accolto nell’Ospedale

Il vecchio portiere del casino dei Nobili trovato fuori della porta trucidato barbaramente.

Domenico Carosi ciabattino al portone delle Camere dei Filedoni fu ucciso mentre imprudentemente transitava per la piazza piccola nel primo accesso che vi fecero le Truppe.

La vecchia Palmira Tieri uccisa, e fu colla bajonetta trapassata una coscia alla figlia di Targioni scolara della sunnominata Tieri, cui rubbarono ogni cosa.

Falso che fosse uccisa la Tieri. Fu uccisa Irene Polidori, la quale dalla sua casa ove sarebbe stata sicura si era recata colle figlie in casa Tieri sulla via S. Pietro. Ferita la giovane Tancioni scolara della Tieri che ricevé quindi tutte le cure dagli ufficiali sanitari svizzeri. Da quella casa e dal tetto furono sparate archibugiate e gettate delle pietre.

I Monaci di S. Pietro aiutarono le Truppe a salire in Convento perché

Falso in tutto. Il Monastero era stato occupato da gran numero d’insorti

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entrassero in città. Questi Monaci avevano rinserrato sette giovani che volevano consegnare alle truppe ; i giovani però si salvarono saltando dalle fenestre.

che si erano anche fortificati nell’orto dei Monaci. Le Truppe non scalarono l’orto ma invece il frontone, e dopo aver sperimentato un fuoco vivissimo che partiva in specie dall’orto entrarono a viva forza nel Monastero. Molti insorti fuggirono, e molti vi rimasero prigionieri.

Entrarono i Svizzeri in casa di Nafferini Fabretti, e l’uccisero dopo averlo svaligiato.

Falso che il Fabretti di nome Vaffrino e non Nafferini fosse ucciso e svaligiato.

Marino Rossi oste fu ucciso colla moglie.

Falso

Ucciso il Lanutti, uccisa la figlia del Capitano Polidori.

Non Lanutti, ma Lancetti fu ucciso nell’atto che aveva sparato sulla truppa. Non la figlia, ma fu uccisa la Irene moglie del Polidori di cui si è parlato di sopra.

Una bambina lattante fu strappata dalle braccia di sua madre, e gettata nel Tevere. 1

Impudente menzogna. Nessuna bambina è stata uccisa, ed il Tevere dista da Perugia circa tre miglia.





14. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli Osservazioni alla narrazione dei casi di Perugia inserita nel Monitore toscano del 27 giugno 1859. I membri del Governo provvisorio furono avvertiti da me che laddove avessero voluto persistere nel proposito di difesa esterna ed interna, nessuna forza umana avrebbe potuto contenere l’impeto delle truppe ed, oltre lo spargimento del sangue avrebbero esposto la Città anche al Sacco. Falsa la contribuzione di scudi 2000 che si dice imposta alla borgata del Ponte S. Giovanni. Ivi le truppe non si trattennero che dieci minuti al più in seguito dei colpi di fucile con cui furono ricevute. Falso che si facesse ricerca della famiglia di un certo Rossi, che se ne uccidesse il garzone, e che se ne saccheggiasse la casa. Vero che fu ucciso il garzone di Francesco Angeletti, come da altri rap1 Manca l’ultimo passo dell’articolo : “Giuseppe Danzetti è ferito, speriamo però che si sia salvato colla fuga”. Si tratta ovviamente di Giuseppe Danzetta.  

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porti, ma falso che ne fosse ferito il cocchiere e saccheggiata la casa e manomesse le botti del vino. È un’impudente menzogna che due altre persone fossero uccise in quel borgo e che i corpi fossero gettati nel Tevere. Le prime fucilate partirono da una compagnia, meglio un mucchio di tiragliori avvanzati [sic] degl’insorti che poi ripiegarono dietro le barricate. Non è vero che le truppe entrassero nell’orto dei Monaci, avendo invece scalato il Frontone, come dal rapporto del Sig. Generale. Quindi è una favola che un fanatico partigiano istruisse i Pontifici della difesa appostata ne1l’orto del Convento. In questo ch’era fortificato a guisa di rocca ebbero ingresso le truppe dalla porta dopo accanita resistenza. Quanto all’incendio Santarelli si è parlato nell’altro rapporto, come dei morti. Non è vero che fosse uccisa la moglie del salajolo, e quel che si dice dei conjugi Busti forse si volle dire dei conjugi Passerini che furono veramente uccisi perché ivi si trovò morto uno Svizzero. Non è vera la uccisione della donna con un fanciullo. Non è vero che si divietasse di estinguere l’incendio che fù suscitato da un projettile, come meglio nell’altro rapporto. Falso che s’innalzasse bandiera bianca sulle mura di Porta S. Pietro, mentre anzi su quella porta sventolava la bandiera tricolore, e finita la difesa esterna, gl’insorti che rientravano prendevano posto sulle fenestre delle case di cui formavano l’ingresso, e gridavano alle persone di cui erano formicolanti i tetti delle case, che avessero gettato sassi, coppi, cenere ecc. sui militi che si approssimavano. Come fossero uccisi i due preposti si è altra volta detto. La donna che imprudentemente si affacciò e fù uccisa fù la Cruciani soltanto. Del Segretario com. le è stato parlato, così anche della Deputazione. Presa la città e cessata la resistenza nessuno fù ucciso, come meglio nel rapporto. L’Ebanista Fabbretti non ha sofferto molestia. Falso il saccheggio del palazzo Ranieri, falsa la uccisione del guarda-portone e delle due donne lì presso che andavano verso porta nuova. L’Ospedale fù rispettato. Ivi furono accolti e riceverono [sic] premurosa assistenza tutti i feriti che vi accorsero e da nessuno ebbero a soffrire molestia. False le uccisioni posteriori al conflitto che si dicono avvenute nel Monastero di S. Pietro, le fucilazioni delle due guardie di finanza, e i tanti arresti di cui si parla. Furono anzi degli arrestati a S. Pietro, ossia nel Monastero dimessi nella successiva domenica quelli ch’erano minori d’età ; per gli altri si forma il processo regolare onde possan legalmente statuirsi sul conto loro. Anche qualche altro arrestato è stato dimesso con precetto come Angeletti, Rossi, Lupattelli.  

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15. Luigi Lattanzi al cardinale Giacomo Antonelli 1  

Perugia, 4 luglio 1859 Eminenza Reverendissima Conosce già l’Eminenza V.ra R.ma dai miei precedenti rapporti i tristi avvenimenti di Perugia nel giorno 20 pp.to cagionati dalla sleale ed accanita resistenza fatta dai ribelli all’ingresso delle Truppe Pontificie. Dopo scalata da queste il Frontone, superati gli ostacoli delle barricate, occupato il Monastero di S. Pietro, in cui e sulle adiacenze gli insorti eransi in gran numero fortificati, dopo percorsa la strada esterna del Borgo e l’altra interna della porta S. Pietro immezzo [sic] ad un vivo fuoco che partiva dalle fenestre, dalle cantine e dai tetti, insieme ad una pioggia di tegole e sassi, giunti i militi non senza perdite vicendevoli presso l’albergo di Francia posto quasi al termine di quella contrada, fu in questo luogo che, dopo tre ore e mezza di sostenuto combattimento, trovarono l’ultimo attacco da superare reso più malagevole dalla presenza di molti degli insorti nella soprastante linea del forte. Sotto le fenestre della locanda fu ucciso un milite e ferito un uffiziale dai colpi di fucile che partivano dalle fenestre e dal tetto di quel fabbricato, dal quale altresì si lanciavano grosse pietre tegole e coppi di cui anche nella mattina appresso rimaneva ingombra la via. Sono state assicurate da un Valentini cugino della locandiera, che ha oggi cura di quell’albergo, aver speso per le principali riparazioni del tetto la somma di scudi quattro, sebbene mi abbia pure soggiunto credere egli che i ribelli vi accedessero dalla casa contigua. Fu in seguito di ciò che furenti i militi penetrarono a viva forza nella Locanda, s’impossessarono di una grande bandiera tricolore, uccisero il cameriere Luigi Genovesi ed il sottostalliere Luigi Bindocci uno dei quali certamente armato di fucile. Assicura anzi un milite, che colui fu sorpreso ed ucciso nell’atto che aveva esploso un fucile dalla persiana della fenestra avendo egli stesso veduto il fumo ed inteso il puzzo della polvere che rimaneva tuttora nella camera. Per colpi di bajonetta rimaneva vittima ancora il padrone della Locanda Giuseppe Storti. Albergava in quella locanda da vari giorni la famiglia americana Perkins 2 composta da sette individui, compresi due domestici, la quale a vero dire non aveva preso alcuna precauzione da posta al sicuro, dai pericoli del conflitto, e troppo incautamente aveva anche rinunziato all’ospitalità ch’erale stata offerta da una famiglia Inglese che villeggiava nel casino Monti a un  

1  Nelson Gay, nell’opera citata, pubblica alcuni “Frammenti di minuta originale” della lettera (pp. 160-165), di cui la presente è la versione che Lattanzi decise di inviare al Segretario di Stato. 2  Nel testo, anche nelle citazioni di seguito, Perkin.

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miglio e mezzo circa fuori della città. Quando i militi invasero la casa tutti gli individui di quella famiglia, insieme alla moglie dell’albergatore, alla madre di questa e ad una domestica della Locanda, si ritrassero in un camerino del secondo piano, la di cui porta per essere uguale al resto della parete poteva rimanere inosservata. E lo fu infatti a taluni soldati che penetrarono nella camera, ma non così al volteggiatore del 1° battaglione Vellanouer Conrad 1 il quale dato col calcio del fucile un colpo alla porta del camerino e resala aperta, si avvide delle persone che vi si trovavano nascoste. Commosso però dalle preghiere del Perkins e degli altri, che gli rappresentarono essere rimasti inoffensivi e trovarsi in quella Locanda di passaggio, il Vellanouer non solo si astenne dal recar loro alcuna offesa, ma si pose ancora di guardia perché i suoi compagni non li offendessero, e rimase con essi per circa otto ore. Circa il qual fatto è ancora da notare come offertaglisi dal Perkins una borsa, egli la restituì non volendo denaro, e restituì eziandio una gregorina da scudi 2,50 che trovò sul tappeto. Pur tuttavia il Perkins volle guiderdonarlo con una cambiale di scudi 60 che rimase depositata presso il Sig. Generale. Mentre però in tal modo erano salvate le persone nel secondo piano della locanda, nel primo ch’era rimasto aperto, com’era rimasta aperta la porta principale, non poterono rimaner salve le robbe, ossia l’equipaggio della famiglia americana che abitava precisamente in questo piano. Gran parte degli effetti furono involati probabilmente dai militi che rimasero vaganti fuori dei quartieri, e che ivi tornarono nella notte accompagnati forse ancora da individui del paese. S’ignora a quanto ammontino le perdite incontrate dalla famiglia americana. È certo però che dal sunnominato Vellanouer furono ricuperate nella mattina seguente due scattole contenenti oggetti preziosi che si ritenevano dall’altro volteggiatore Bossy furono dal Vellanouer stesso restituite immantinente alla famiglia che rimase lietissima di questo ricupero. È certo ancora che altri oggetti sono stati ricuperati dal Sig. Generale e spediti al Perkins in Toscana come dalla nota che qui unita rassegno, e che rimangono ancora presso il lodato Sig. Generale una tabacchiera d’argento ed un braccialetto d’oro come dalla nota stessa. È certo infine che circa 12 colli tra valigie, baulli e sacchi da notte apportò seco la d.a famiglia nel partire per [sic] alla volta di Firenze, come da rapporto di questo ispettorato politico che ugualmente umilio in seno del presente. Non taccio però all’Em.za V.ra R.ma che la prima voce sparsa fu che la famiglia americana avesse perduto circa 2.000 dollari, dai quali dovrebbe detrarsi il valore delle cose ricuperate. Dopo ciò non potranno non apparire perlomeno [sic] esagerate le espressioni adoperate dal Sig. Ministro residente degli Stati Uniti d’America nella sua nota di reclamo che l’Em.za V.ra R.ma si è degnato trasmettermi in copia.  

1  Conrad Wellauer.

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Imperciocché se si considera che la truppa fu gravissimamente provocata, che la invasione della Locanda fu causata dal bisogno di far cessare le offese continuate che ne provenivano per fatto di taluni che dimoravano nell’albergo e di altri che si procurarono l’accesso sul tetto, svaniranno i neri colori con cui si volle rappresentare l’operato della Truppa, essendo purtroppo noto ciò che in somiglianti circostanze suole d’ordinario avvenire. Ed io sono assicurato che lo stesso Sig. Perkins e gli altri di sua famiglia abbiano in Firenze affermato che i soldati furono in quella fatal circostanza troppo violentemente provocati anche con armi alla mano. Credo di avere con ciò dato evasione al ven.mo Dispaccio dell’Em.va V.ra R.ma del 30 passato, né mi resta che l’alto onore di prostrarmi devotamente al bacio della S. Porpora e di confermarmi con profondissima venerazione Dell’Em.va V.ra R.ma Umilissimo Devotissimo Obbligatissimo Servitore Luigi Lattanzi Consigliere di Stato

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Il XX Giugno 1859 nelle Carte di Filippo Antonio Gualterio Gabriele Principato

L

e giornate di Perugia del 1859 1 furono uno dei momenti più dolorosi che la causa italiana patì durante la seconda guerra d’indipendenza. Iniziate con l’insurrezione del 14 giugno, destinate in breve ad estendersi a buona parte dell’Umbria, si chiusero nel sangue appena sei giorni dopo, quando il reggimento svizzero riconquistò il capoluogo soffocando la rivolta. Il marchese Filippo Antonio Gualterio 2 fu uno dei protagonisti di quei giorni giacché, poco tempo pri 



1  Per una panoramica completa delle giornate di Perugia del giugno 1859 si vedano fra tutti : Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, i e ii edizione, Perugia, Tip. V. Bartelli & C.,1909 ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, 1973 ; quest’ultimo lavoro contiene anche una dettagliata bibliografia sull’argomento. Memorie, cronache e moltissimi documenti sono stati editi anche nell’« Archivio Storico del Risorgimento Umbro (1796-1870) », diretto da Giuseppe Mazzantini, Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi e Angelo Fani, Perugia, Unione tipografica cooperativa, aa. i-viii (1905-1912). Per gli ultimi anni possiamo ricordare : Romano Ugolini, Il Cinquantanove perugino, in Il tempo e la città. Storia illustrata delle città dell’Umbria. Perugia, a cura di Raffaele Rossi, Milano, Sellino, 1993, pp. 625-640 ; Luciano Radi, 20 giugno 1859. L’insurrezione e il sacrificio di Perugia nelle vicende diplomatico-militari del Risorgimento, Assisi, Cittadella Editrice, 1998 ; Stefania Magliani, Uno “storico succinto” sui fatti del giugno 1859. L’inchiesta pontificia di Giosuè Gorga sulla Provincia di Perugia, in L’Umbria e l’Europa nell’ottocento, a cura di Stefania Magliani, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 2003, pp. 191-234. 2  Per una bibliografia sul marchese Filippo Antonio Gualterio, utile a ricostruirne le vicende biografiche e la fortuna storiografica si vedano : Leopoldo Sandri, Orvieto 1860. (Nel primo centenario della liberazione, 11 settembre 1960), Orvieto, Tip. Marsili, 1961 ; Walter Maturi, Interpretazioni del Risorgimento. Lezioni di storia della storiografia, Torino, Einaudi, 1962 ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit. ; Michele Risolo, A cento anni dalla morte di F. A. Gualterio. Il Mazzini di Casa Savoia, « La Nazione », 25 febbraio 1974 ; Narciso Nada, Nel centenario della morte di Filippo Antonio Gualterio (1819-1874), in « Rassegna storica Toscana », a. xxi (1975), n. 1, pp. 111-130 ; Bianca Montale, Filippo Antonio Gualterio prefetto di Genova, in « Miscellanea storica ligure », a. viii (1976), n. 1, pp. 85-173 ; Narciso Nada-Vincenzo G. Pacifici-Romano Ugolini, Filippo Antonio Gualterio, Perugia, Quattroemme, 1999 ; Stefania Magliani, La “pazzia” di Gualterio e la Cappella Nova del Duomo di Orvieto, in « Rassegna Storica del Risorgimento », a. lxxxvii (2000), n. 1, pp. 41-60.  















































gabriele principato 68 ma, era stato incaricato dal Conte di Cavour di recarsi a Firenze per tenere i collegamenti con Perugia e il territorio circostante. Questi fu uno dei personaggi più significativi dell’800 umbro, monarchico intransigente, storico di alto livello e politico fedele alle sue idee senza condizioni. Nato a Orvieto il 6 agosto del 1819 da una antica e nobile famiglia locale, Gualterio, conclusi gli studi e pubblicate alcune opere erudite, nel 1846 fu nominato gentiluomo di camera da Carlo Alberto. Nel 1848, dopo la battaglia di Vicenza, ottenne la medaglia d’argento al valor militare e l’anno successivo il passaporto piemontese. Nel 1856, conclusasi la guerra di Crimea, redasse per Cavour un memoriale sulla situazione dello Stato Pontificio da portare al Congresso di Parigi. Scoppiata la guerra, nel 1859, fu nominato Intendente Generale della Divisione di volontari stanziata nel Centro Italia e guidata dal Generale Mezzacapo. La sua attività fu particolarmente intensa, mentre collaborava alla preparazione dell’insurrezione in Toscana, sollecitava i preparativi nei vicini territori pontifici. Alcuni storici hanno attribuito a Gualterio la responsabilità maggiore del grave esito delle giornate di Perugia, accusandolo di aver fomentato anzitempo l’insurrezione. In realtà, recenti studi 1 hanno dimostrato che questi agì sotto lo stimolo di Cavour. Sfortuna volle che Perugia si trovasse ad insorgere proprio mentre si consumava il confronto tra lo statista piemontese e Napoleone III, dal quale dipendeva il futuro di buona parte dell’Italia, portando Cavour a rinunciare ad una espansione del moto al di là delle Romagne. Gualterio, che, per una tragica serie di contrattempi, non ne fu informato in tempo, non poté avvisare i perugini, i quali insorsero e si ritrovarono isolati, in balia degli eventi, “E Perugia pagò all’Italia il suo tributo di sangue”, così come recita l’incipit del monumento innalzato nel cimitero civico nel 1909. Nel 1860, dopo la liberazione, il marchese Gualterio fu a Perugia in qualità, prima, di Intendente Generale dell’Umbria, succedendo a Pepoli e, dall’anno successivo, come Prefetto fino al 1862. Quello stesso anno, mentre proseguiva la sua carriera prefettizia che lo porterà in sedi prestigiose quali Genova, Palermo e Napoli, fu nominato Senatore. Per poco più di due mesi, tra il 1867 e il ’68, fu Ministro dell’Interno del Governo Menabrea e poi Ministro della Real Casa fino al dicembre 1869, suo ultimo inca 

1  In particolare le già citate opere : Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit. ; Narciso Nada-Vincenzo G. Pacifici-Romano Ugolini, Filippo Antonio Gualterio, cit.  



il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 69 rico, almeno ufficialmente, dato che indizi lasciano pensare che ebbe altri incarichi in via ufficiosa. 1 Durante tutta la sua attività Gualterio raccolse un immenso archivio contenente documenti in originale ed in copia su un’infinità di avvenimenti e di personaggi pubblici e privati. Questa ragione, che lo rendeva pericoloso e scomodo, unita al modo in cui svolgeva i suoi incarichi, nonché al suo carattere rigido e severo, fu forse alla base delle voci che corsero su una sua presunta pazzia, tesi accreditata successivamente da molti storici fino ai nostri giorni. Pazzia che forse al tempo servì ai suoi detrattori per svuotare i suoi pesanti giudizi di ogni contenuto e per estrometterlo da incarichi di governo e dalle stanze del re. Recenti studi di Stefania Magliani, 2 di Vincenzo G. Pacifici 3 e Romano Ugolini 4 hanno messo bene in luce come negli anni della cosiddetta “pazzia”, Gualterio, tutt’altro che consumato dalla malattia, continuasse a svolgere un’intensa attività pubblica che lo vide in Senato fino al dicembre 1873 ; la morte lo colse il 10 febbraio 1874. Le sue preziose carte, conservate nella sezione di Orvieto dell’Archivio di Stato di Terni, rappresentano un tesoro archivistico ed una miniera di informazioni. Un precedente studio condotto su queste da Stefania Magliani 5 ha portato alla luce una relazione del tutto ine 











1  Cfr. Demetrio Diamilla Muller, Politica segreta italiana (1863-1870), Torino-Roma, L. Roux e C. editori, 1891, pp. 409-410 (ia ed. 1880) che continua a definirlo ancora ministro della Real Casa nell’agosto del ’70 e lo dice impegnato nella risoluzione della questione romana e nei tentativi di conciliazione con la Santa Sede ; Carlo Falconi, Il cardinale Antonelli. Vita e carriera del Richelieu italiano nella chiesa di Pio IX, Milano, Arnoldo Mondadori, 1983, p. 448, che cita il suo impegno nella raccolta di informazioni durante il Concilio Vaticano i ; Stefania Magliani, La “pazzia” di Gualterio e la Cappella Nova del Duomo di Orvieto, « Rassegna Storica del Risorgimento », cit., che sottolinea la sua partecipazione, seppure non continuativa, all’attività del Senato del Regno, intervenendo l’ultima volta nel dicembre 1873 per il duomo di Orvieto ; quest’ultimo lavoro riporta, inoltre, una lettera di Gualterio, del settembre 1871, che mostra come questi non fosse per nulla un “pazzo inattivo”, indirizzata al ministro Correnti, e che lascia intendere una loro frequentazione e degli affari in corso fra i due. 2  Stefania Magliani, La “pazzia” di Gualterio e la Cappella Nova del Duomo di Orvieto, cit. 3  Vincenzo G. Pacifici, Filippo Antonio Gualterio parlamentare, prefetto e ministro, in Narciso Nada-Vincenzo G. Pacifici-Romano Ugolini, Filippo Antonio Gualterio, cit., pp. 83-142. 4  Romano Ugolini, Filippo Antonio Gualterio ministro della Real Casa, La “pazzia”, gli ultimi anni, in Narciso Nada-Vincenzo G. Pacifici-Romano Ugolini, Filippo Antonio Gualterio, cit., pp. 143-150. 5  Stefania Magliani, Uno “storico succinto” sui fatti del giugno 1859. L’inchiesta pontificia di Giosuè Gorga sulla Provincia di Perugia, in L’Umbria e l’Europa nell’ottocento, a cura di Stefania Magliani, cit.  









gabriele principato 70 dita di parte pontificia sulla rivolta di Perugia del giugno ’59, redatta dall’Uditore divisionario straordinario Giosuè Gorga, un ampio documento che ha rappresentato un prezioso contributo alla studio di questi fatti. Seppure sia vastissima la documentazione già esaminata dagli storici sulle giornate di Perugia del ’59, dalle carte Gualterio emergono tuttora documenti inediti che permettono di osservare da diversi punti di vista vicende più o meno note di quei concitati giorni ; si tratta in particolare di sette missive, due articoli di giornale ed una breve relazione. Primo fra questi in ordine cronologico è una lettera 1 contenente un resoconto completo degli avvenimenti di Perugia dal 18 al 20 giugno, inviata il 24 dello stesso mese al marchese Gualterio da Cesare Mazzoni, 2 al tempo suo Segretario militare, già componente del Comitato Nazionale Romano, importante organo del movimento unitario di stampo filo-piemontese. In essa, pur dichiarando di non essere ancora al corrente circa “i particolari degli ultimi casi della disgraziata Perugia”, fa rapporto sulle prime informazioni giuntegli : dà innanzi tutto notizia che Cesare Leonardi, 3 altro membro del Comitato Nazio 









1  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 8. 2  Cesare Mazzoni, nel 1848 fu tra i volontari romani che combatterono in Lombardia contro gli austriaci, negli anni ’50 entrò nel Comitato Nazionale Romano ed in quanto tale fu condannato dal Tribunale Pontificio a venti anni di carcere. Rilasciato nel 1857 raggiunse Firenze, dove insieme ad altri esuli romani entrò nell’entourage di Gualterio, divenendone il Segretario Militare. Si veda : Processi segreti della Sacra consulta di Roma contro i liberali d’Italia, Milano, Presso F. Colombo librajo editore, 1860 ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit. 3  Cesare Leonardi, nato a Roma, membro del Comitato Nazionale Romano, esule a Firenze entrò nell’entourage di Gualterio, fu volontario con il grado di Sergente nella divisione del Generale Luigi Mezzacapo incaricato dal Governo Sardo di vigilare sui confini dello Stato Pontificio per intervenire al momento opportuno. Nel giugno 1859 fu inviato a Foligno da Gualterio per convincere il suo amico, il capitano Pietro Labruzzi dell’Artiglieria Pontificia, che dieci anni prima aveva valorosamente partecipato alla difesa della Repubblica Romana, a disertare con gli uomini sotto il suo comando ed a fraternizzare con gli insorti perugini. Fallito il tentativo a causa dell’assenza della guarnigione pontificia, Leonardi, in quanto ingegnere, rimase a Perugia per aiutare nell’organizzazione della difesa. Terminato il servizio militare nel 1865 come capitano del genio, prese servizio nelle Ferrovie Meridionali. Nel 1872 fu nominato vicedirettore dell’Ufficio Tecnico Municipale di Roma dove prestò servizio fino al 1900. Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, Cesare Leonardi, in Dizionario del Risorgimento nazionale : dalle origini a Roma capitale : fatti e persone. Direttore Michele Rosi ; collaboratori : Agnelli G. [et al.], vol. iii, Milano, Vallardi, 1933, pp. 357-358 ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 150.  













il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 71 nale Romano, ingegnere, inviato, come è noto, da Gualterio a Perugia per far defezionare una guarnigione pontificia, avendo saputo della partenza da Roma degli artiglieri, aveva deciso di rimanere in città per collaborare con il Governo Provvisorio all’organizzazione della difesa. Mazzoni prosegue riportando il dispaccio telegrafico inviatogli da Leonardi il 18 – “Perugia si difenderà. Aiutatela come potete con armi, munizioni, ufficiali” 1 e precisa che, non avendo al momento altre armi da inviare oltre i quattrocento fucili già mandati, né ulteriori munizioni, come sappiamo, spedì subito tre ufficiali, il Conte Pagliacci, 2 il Del Buono 3 e lo Zucchero, 4 affinché, – scrive – “si ponessero alla testa dei raccolti in Perugia, li ordinassero alla meglio, e l’incuorassero a resistere.” Il giorno 20, Mazzoni mandò altri ufficiali “con una mano di arditi”, ma era ormai troppo tardi : giunti al confine, questi seppero della caduta di Perugia. La lettera prosegue narrando l’andamento dei fatti del 20 giugno, ampiamente noti grazie al lavoro di Romano Ugolini : riporta il tentativo del capitano Pagliacci e compagni di organizzare al meglio la difesa, lo strenuo combattimento fino al crollo di una porta della città sotto i colpi di cannone, la difesa lungo Borgo di  











1  Il telegrama completo, inviato a Cesare Mazzoni – Legazione Sarda – Firenze da Cesare Leonardi (“Perugia si difenderà. Aiutate come potete con armi, munizioni, ufficiali. È questione capitale. Batteria non partita da Roma. Io stesso Perugia fino consumazione permesso.” Accettato in Perugia : ore 7.25 pom. del 18 giugno ; arrivato in Firenze : ore 7.45 pom. del 18 giugno.) è stato pubblicato in Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 150. 2  Giovanni Pagliacci Sacchi (Acquapendente 1823-1884), fu uno dei massimi esponenti della nobiltà liberale viterbese. Conte di nascita, nel 1848 fu volontario con il grado di Tenente dei volontari romani e combattè in Veneto contro gli austriaci. Tribuno del circolo popolare di Viterbo nel 1848-49, in quest’ultimo anno si distinse tra i difensori della Repubblica Romana. Alla caduta di questa emigrò a Parigi. Rientrato in Italia, nel 1859 ebbe il grado di Capitano nel 39° Reggimento di Fanteria dell’Esercito Sardo e fu inviato con due compagni a Perugia durante le giornate di giugno per organizzare la difesa. Nel 1860 fu assistente maggiore del Colonnello Masi nel corpo volontario Cacciatori del Tevere. Dopo sette anni di esilio, nel 1867 prese parte alla campagna dell’Agro Romano e fatto prigioniero fu condannato alla galera a vita, pena poi commutata in venti anni di carcere. Liberato nel 1870 divenne Bibliotecario di Viterbo ed Ispettore Scolastico. G. Badii, Giovanni Pagliacci, Dizionario del Risorgimento nazionale : dalle origini a Roma capitale : fatti e persone. cit., p. 759 ; Mario Signorelli, Vittoria Grossi, Storia Breve di Viterbo, Viterbo, Agnesotti, 1965, pp. 364-368 ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 164. 3  Antonio Del Buono, originario di Ferrara, Tenente sotto il comando del Generale Mezzacapo. Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 164. 4  Vincenzo Zucchero, originario di Palermo, era sottotenente del 19° Reggimento di Fanteria sotto gli ordini del Generale Mezzacapo. Si veda Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 164.  













72 gabriele principato San Pietro, “dove – scrive – ferito mortalmente cadde qualcheduno dei difensori e non pochi dei nemici”, fino a che alle sette e mezzo la città poteva dirsi ricaduta sotto i papalini. Viene riportata anche la notizia della barbara uccisione da parte degli svizzeri del segretario comunale Giuseppe Porta, assassinato, come è noto, mentre a nome della città, innalzando una bandiera bianca, nel precipitare degli eventi, tentava di venire a patti di resa. Mazzoni sottolinea poi, con forte impressione, la violenta azione dei drappelli di svizzeri che, – afferma –, “mandando grida di gioia, […], si misero a percorrere le strade traendo colpi di fucili contro le finestre e contro quanti avevano la sventura d’imbattersi in essi.” Informa di case saccheggiate ed incendiate, di “tre o quattro donne uccise, ucciso un bambino, e uccisi sette poveri disgraziati”, precisando che ciò avveniva “dopo che il combattimento era cessato da un’ora”. Sottolinea inoltre come la differenza numerica fra i difensori, appena quattrocento più circa venti disertori papalini, e gli assalitori, circa duemila, fosse stata fatale, ma che “i tre uomini da qui mandati fecero il loro dovere”. 1 Mette poi al corrente della mancanza di notizie del Leonardi, che faceva temere potesse essere nel novero dei feriti o dei morti : “ciò mi attrista, – scriveva – […] era giovine di belle speranze ed uno de’ miei più cari amici.” Conclude con l’amara considerazione che, se Perugia avesse potuto resistere altre quattr’ore, avrebbe potuto avere un ampio soccorso di uomini e di armi. Il 26 giugno Mazzoni scrisse un’altra breve lettera 2 a Gualterio, dandogli notizia della partenza anticipata per Firenze di Cesare Leonardi, uscito intanto illeso dagli eventi, 3 riportando l’opinione di questi riguardo i fatti da poco vissuti : “i Perugini – afferma il Leonardi – hanno mostrato molto coraggio e […] forse non sarebbero caduti, se avessero avuto armi, le quali mancarono ai difensori.” Alla lette 









1 Opinione ben diversa da quella dei perugini che non gradirono il loro operato, per questo, la pubblicistica liberale giunse quasi a ignorarli e arrivando perfino a mettere in dubbio la loro qualifica di soldati. A tal proposito, si veda l’opuscolo, Una testimonianza inedita sui fatti del 20 giugno 1859 in Perugia, a cura del Libero comitato cittadino, Perugia, Grafica di Salvi & C., 1959, p. 36, nel quale è detto testualmente : “L’ingresso dei tre Commissari piemontesi non fu che una mascherata. Un cappellaio di Assisi, un barbiere ed un dragone smesso erano i tre personaggi che con tanta energia si festeggiavano”. 2  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 8. 3  Leonardi, rimanendo nascosto per alcuni giorni, scampò alla perquisizione della città che seguì alla presa da parte degli Svizzeri, poi, grazie ad alcuni contrabbandieri, raggiunse la frontiera toscana e fece ritorno al suo corpo. Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, Cesare Leonardi, Dizionario del Risorgimento nazionale, cit., p. 358.  

il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 73 ra Mazzoni allegava una lista con un elenco di “fatti atroci commesi dalle truppe Papaline in Perugia, cessato già il combatimento”, ben ventotto punti che risulta interessante ripercorrere : “1. Al Ponte S. Giovanni a due miglia da Perugia posero taglia di Scudi duemila al possidente Francesco Angeletti, la cui casa saccheggiarono. Uccisero un suo garzone, e ferirono il cocchiere.” Questi crimini sono confermati anche da un opuscolo pubblicato quello stesso anno a Firenze dalla Tip. Torelli, La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio ; in questo si spiega inoltre che Angeletti era un uomo anziano, onesto ed alieno alle questioni politiche e che, successivamente all’occupazione della città, questi sarà per un breve periodo rinchiuso in prigione ; viene dato inoltre il nome del garzone ucciso, l’appena ventenne Pietro Castellini. 1 “2. Uccisero due persone al Ponte stesso, e le gittarono nel Tevere” ; queste furono solo una delle violenze che gli Svizzeri compirono ubriachi dopo aver saccheggiato le cantine del villaggio. 2 “3. Incendiarono la casa Santarelli fuori di Porta San Pietro”. I fratelli Santarelli furono taglieggiati di 800 scudi d’oro, la loro casa fu spogliata e incendiata, andò distrutto con l’abitazione l’opificio di lana e di tintoria togliendo così tutti i mezzi di sussistenza a questa famiglia che constava di ben ventidue individui. 3 “4. Uccisero il fabbro ferraio Lazzarini e la sua moglie nel fabbricato incontro alle Derelitte.” Il Mazzoni in questo punto sbaglia il nome della vittima : questi è in realtà il fabbro ferraio Mauro Passerini, che viveva dirimpetto al Conservatorio delle Derelitte, 4 e lì fu ucciso insieme alla moglie Carolina, nonostante avessero offerto 100 scudi per avere salva la vita. In quest’occasione si verificò una lite fra i militari svizzeri sulla divisione del bottino, che finì con la morte di uno di essi. 5 “5. Uccisero la moglie del padre del suddetto Lazzarini nello stesso fabbricato, ma più presso la Porta San Pietro.” In realtà si fa riferimento al fratello del detto Mauro Passerini, Giuseppe, che rimase gravemente ustionato ad una mano nel tentativo di spegnere l’incendio divampato in un fondo, sua moglie Candida fu uccisa dalla ferocia degli Svizzeri ed egli salvò la vita solo grazie ad un nipotino di quattro anni, che gli fece scudo col suo corpo implorando gli aggressori di non ucciderlo. 6 “6. Uccisero i coniugi Busti fuori la stessa porta”. I  























1  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, Firenze, Tipo3  Ivi, p. 22. grafia Torelli, 1859, p. 20. 2  Ibidem. 4  Una suora del detto conservatorio si vide trapassare le mani da un proiettile entrato dalla finestra, mentre era in atto di preghiera. Ivi, p. 21. 5  Ibidem. 6  Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, corredata di documenti per  

74 gabriele principato coniugi Zeffirino Busti ed Albina Castelli, fischettieri, non risultano però nel novero delle vittime, ed anzi, si sa con certezza 1 che sopravvissero agli scontri ; la loro casa però fu saccheggiata per ben due volte. 2 “7. Uccisero il Tabbaccaio Francesco Borromei e sua moglie in una casa vicino alla stessa porta, e saccheggiarono la sua bottega”, se non bastasse entrambe furono date alle fiamme. 3 “8. Uccisero i due portinari della Porta San Pietro”. “9. Devastaron e saccheggiaron le case adiacenti a quella Porta”, in questo borgo infatti, primo ad essere conquistato, si espresse la maggiore ferocia degli Svizzeri. “10. Incendiaron la casa abitata da Angelo Casali”. Questi, insieme a Gaspare Casali, risulta fra i danneggiati negli elenchi riportati da Giustiniano Degli Azzi - Vitelleschi. 4 “11. Trassero molte fucilate sopra i feriti nel combattimento che erano all’ospedale provvisorio a Borgo San Pietro”. Circa una cinquantina di colpi di fucile furono esplosi contro le finestre dell’ospedale, i malati ed i feriti dovettero rotolarsi sotto i letti per salvarsi la vita. 5 “12. Incendiarono il Caffè di Alessandro Mari, nella cui porta trucidarono un infelice tenuto dalla città per domanda.” Il suddetto ‘infelice’ era tal Feliciano Cirri. 6 “13. Distrussero interamente la Farmacia Bellucci”, fu rotto ogni vaso e manomesso ogni utensile. Il farmacista, Sebastiano Bellucci, sospettato di aver ucciso un tamburino, 7 fu trascinato nella piazzetta di S. Domenico per essere fucilato e si salvò solo grazie ad un ufficiale che lo conosceva ed a cui in altri tempi aveva reso servizi ; sua moglie si salvò offrendo ad un soldato tutto il denaro che aveva. 8 “14. Uccisero un bambino e Irene Gioiosa nella Casa del modista Tieri, e vi ferirono la giovine Tancioni.” La casa in questione era della modista Palmira Tieri, i soldati penetrativi dalla finestra, vi trovarono la sorella, l’anziana Irene Polidori (della quale  



















servire alla storia, compilata per cura del Cav. Antonio Zobi, Firenze, Grazzini, Giannini e C, 1860, Vol. ii, p. 134. 1  I coniugi Busti non risultano fra le vittime, ma sono citati fra i danneggiati e sono noti gli atti di violenza che subirono nei giorni seguenti all’occupazione dalle truppe pontificie. Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, cit., pp. 95-96. 2  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, cit., p. 21. 3  Ibidem. 4  Ivi, p. 117. 5  Ivi, p. 24. 6  Ivi, p. 22. ; Carlo Tivaroni, L’italia degli italiani, ( 1859-1866 ), Torino, Roux Frassati e C. Tip. Edit, 1896, p. 111. 7  Luigi Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, Perugia, Tip. Boncompagni, Vol. ii, 1879, p. 627. 8  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, cit., p. 22.  





il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 75 il Mazzoni confonde il nome con Irene Gioiosa) e sei o sette giovani allieve crestaie, con un bambino. Le donne implorarono pietà, mostrando ai soldati il poco denaro che avevano, ma la Polidori fu colpita da un colpo di fucile al bassoventre, Amalia Tancioni, di sedici anni, fu gravemente ferita. Sulle altre donne fu sparata una raffica di colpi, ma nessun’altra di esse riportò ferite gravi ; sfuggirono ad ulteriori oltraggi e salvarono l’onore grazie all’Ufficiale capo che si frappose fra la truppa e le giovani fanciulle. 1 “15. Trucidarono Zefirino Fabbretti, ebanista, alla presenza della moglie e nella propria abitazione.” Probabilmente Mazzoni sbaglia anche questo nome, confondendo due episodi, quello del sacco nella casa dell’artista Quintiliano Fabbretti 2 e l’eccidio dell’ebanista Emidio Lancetti, che sparato un colpo di fucile contro gli Svizzeri, fu da questi trafitto ed ancora palpitante lanciato da una delle finestre di casa Bartoletti. 3 “16. Taglieggiarono di scudi duemila il vecchio Giacomo Temperini, e gli tagliarono due dita”, più precisamente perse le dita per un colpo di fulcile esploso, dai soldati pontifici, contro una porta, mentre egli si apprestava ad aprirla. La sua casa fu saccheggiata, tutto fu rubato o distrutto ed egli stesso fu trascinato con maltrattamenti verso Borgo S. Pietro prima di essere finalmente rilasciato. 4 “17. Saccheggiarono e devastarono la casa Salvadori, uccidendovi due domestiche.” Si fa riferimento alla casa del conte Vincenzo Salvatori, che subì la stessa sorte di quella del Conte Vitali, entrambe situate nel quartiere superiore a quello del Temperini. 5  











1  Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, cit., p. 141. ; Questo episodio è ricordato anche nei versi in ottavi di Luigi Curci, pubblicati nel 1860 dapprima sulla ‘Gazzetta di Pavia’ e poi in un opuscolo edito ad Alessandria presso la Tipografia dell’Astuti, che, nella parte relativa ai massacri così recitano : […] che ti valse beltà di paradiso trilustre Amalia ? Tua gentil persona cadde qual giglio dallo stel reciso. Irene Polidori a terra prona, speri forse coll’or comprar la vita ? L’oro insacca Ab’Uberg, ma non perdona. Questi versi sono stati pubblicati anche in Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, ia e iia edizione, Perugia, Tip. V. Bartelli & C.,1909, p. 315. 2  Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, cit., p. 140. 3  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, cit., p. 22 ; Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, cit., p. 137. 4  Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, cit., p. 142. 5  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, cit., p. 23.  













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gabriele principato “18. La locanda Storti a Sant’Ercolano fu devastata da cima a fondo, ucciso il padrone, un servo e il garzone della scuderia.” La detta locanda, Hòtel de France, fu saccheggiata e furono uccisi il padrone Giuseppe Storti, che, colpito al collo ed al petto con una baionetta, fu lasciato spirante in un pianerottolo, il cameriere Luigi Genovesi, che, ferito, fu lanciato dall’alto di una finestra e lo stalliere Luigi Bindocci. 1 All’interno della locanda fu distrutta ogni cosa, cristallerie, vasellame, specchiere, mobili, preziosi e saccheggiate ovviamente le cantine. “19. A una famiglia americana quivi alloggiata fu tolto ogni effetto, e si salvò da morte per mezzo di uno svizzero, il quale ricusò l’offerta di un orologio e di danari.” Nella suddetta locanda alloggiava la famiglia Perkins, 2 di cui accenneremo più diffusamente appresso, questa salvò la vita grazie alla protezione di un soldato Ernesto Wellauer, che, muovendosi a compassione, li tenne chiusi per alcune ore in un gabinetto. “20. Uccisero una donna ed un fanciullo fuori di Porta Nuova”. 3 “21. Uccisero due vecchi proposti al Dazio e Consumo alla stessa Porta” e più precisamente gli impiegati proposti al Dazio d’introduzione Vitaletti e Supranza. “22. Il Segretario del Comune Giovanni Porta, che andava a parlamentare con bandiera bianca, fu ricevuto a fucilate ed ucciso.” Anche di questi parleremo appresso, va solamente fatto notare che Mazzoni, nel trascriverlo, sbaglia anche questo nome, il segretario comunale non era Giovanni, bensì Giuseppe Porta ; si può ricordare, inoltre, che il suo cadavere, in parte spogliato e lacerato da ulteriori colpi di bajonetta infertigli, fu lasciato insepolto per più di un giorno sulla pubblica strada. “23. Furono saccheggiate quasi tutte le Botteghe in Porta San Pietro ; e al Corso furono saccheggiate la Calzoleria Singhi, le Tabaccherie Pacchetti e Sanguinetti, l’Orologeria Costantini e la Libreria Poggi. In via Nuova fu distrutto il Caffè di  









1  Antonio Zobi, Cronacha degli avvenimenti d’Italia nel 1859, cit., p. 142. 2  Sui fatti relativi alla famiglia Perkins si vedano : Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, cit., in particolar modo il cap. viii ; Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit. 3  Questo punto richiama alla mente un episodio ricordato nei versi del già citato Luigi Curci, riportati in Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, cit., p. 315 : “[…] sparse le chiome al vento, e il seno ignudo, con lattante bambino fra le braccia, osa una madre supplicar quel crudo : Ei pel crine l’abbraccia e al suol la caccia, e, ghermito il bambino, a informe masso le membra tenerissime ne schiaccia. […]”  







il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 77 Secondo Campi, derubate la Pizzicheria Poggini, Pedrini e altre. In altra strada furono saccheggiate altre botteghe” e se ne potrebbero ricordare moltissime altre in tutta la città. “24. Fra il Corso e Piazza Piccola il Martedì 22 furono veduti quindici cadaveri di donne, vecchi e mendicanti”, i cadaveri degli uccisi infatti furono in parte spogliati ed abbandonati nelle strade e piazze fino al giorno seguente la battaglia. “25. Uccisero la Cruciani, ostessa in un Vicolo presso il Corso” o, come vogliono altre cronache dell’epoca, alla sua finestra che dava sulla Piazza del Soprammuro. 1 “26. Uccisero un ciabattino, guarda portone del Palazzo Ranieri”, “27. Bruciarono la ricca biblioteca Cassinese nel Monastero di San Pietro”. Quest’ultima, più che effettivamente bruciata, fu gravemente danneggiata insieme al preziosissimo archivio del Monastero. Sulla sorte che toccò al Monastero, abbiamo riportato nelle pagine seguenti le testimonianze di alcuni monaci che si trovarono lì in quelle ore cupe. “28. Tutte le botteghe trapassate da palle per poterne rompere le serrature”, anche se non tutti i portoni cedettero grazie alla loro solidità. Le carte Gualterio conservano anche un interessante rapporto 2 inviato a Cesare Mazzoni dal tenente Antonio Del Buono, intitolato “Relazione di Perugia della sera dopo il combattimento del giorno 20 dalle ore 7 e ½ alle ore 10 circa”, riguardante la situazione della città dopo la conquista da parte delle truppe del colonnello Schmid e la cessazione degli scontri. Del Buono, uno dei tre ufficiali mandati, come abbiamo detto, da Gualterio, per organizzare la difesa, giunse a Perugia insieme al Capitano Conte Giovanni Pagliacci di Viterbo ed al tenente Vincenzo Zucchero di Palermo il 20 giugno, appena tre ore prima che iniziasse la battaglia. Il rapporto riporta l’evolversi degli avvenimenti dal momento nel quale la città, tornata nelle mani dei pontifici, iniziò ad essere ispezionata, vicolo per vicolo, da drappelli del reggimento svizzero, che terrorizzarono la cittadinanza “tirando  



1  La insurrezione di Perugia : relazione della Giunta di Governo Provvisorio, cit., p. 24. 2  Esiste anche un altro rapporto di Antonio Dal Buono su quegli stessi fatti, dal titolo “Relazione della difesa e conseguenze del giorno 21 (sic) giugno in Perugia”. Esso rappresenta un resoconto completo della missione, affidatagli insieme a Pagliacci e Zucchero, sin dalla partenza da Firenze il pomeriggio del 20 ; con meno particolari è riportato il succedersi degli eventi sino al 22 quando, finalmente giunto a Monte del Lago, si procurò una barca con la quale giunse in prossimità dei confini della Toscana riunendosi al suo reggimento. Questo documento si trovava tratto nell’Archivio di Governo di Toscana – Ministero dell’Interno 1859, ed è stato pubblicato nell’appendice iv° in Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, cit., pp. 403- 407.  



78 gabriele principato continuamente colpi di fucile – scrive – e urlando in modo tale che apparivano tanti selvaggi”. Del Buono ipotizza che in quelle ore poterono consumarsi dei delitti, “giacché – scrive – al rumore dei fucili vi era anche mischiato quello di Cittadini ; urla di spavento e dolore.” Il rapporto, pur riportando fatti a noi già noti, vi aggiunge interessanti particolari, quali gli espedienti che portarono lo stesso tenente a sfuggire alle ronde ; “dovendo anch’io ritirarmi per la mia salvezza, – scrive Del Buono – e trovando un cittadino l’ho pregato ad indicarmi una via di salvezza, questi mi ha accompagnato in un Convento di frati credo Domenicani perché vestiti di bianco, si è presentato un superiore del Convento, e quando mi ha veduto sospettoso mi ha accertato esser egli e tutti i suoi Confratelli Piemontesi, e che nella giornata avea assistito altri fuggiaschi provvedendoli di qualche poco di cibo, e direzione onde potessero sortire sicuri, inteso ciò, ho accettato un quarto d’ora d’ospitalità ed una zuppa che ben poco mi ha profittato giacchè nel Convento stesso si udiva lo spaventevole tumulto suindicato” e fu da una finestra di questo che vide bruciare la già citata abitazione – fabbrica di tintoria fuori porta San Pietro. Riuscito in strada, per poter girare senza pericolo alla ricerca dei suoi compagni, Pagliacci e Zucchero, ebbe la precauzione di travestirsi da “accattone gobbo”. 1 Perse le speranze di trovarli e mentre sulla città, cessati i colpi di fucile intorno alle nove e trenta di sera, si stendeva un “silenzio di morte”, era fuggito raggiungendo Magione, appena dopo aver recuperato i propri effetti alla Locanda della Posta e messo al sicuro quelli dei compagni. 2 Nel frattempo, come è noto, anche Pagliacci e Zucchero erano riusciti ad allontanarsi dalla città, uscendo illesi dai combattimenti. Al 24 giugno risalgono due fogli clandestini, 3 uno dalla “Stamperia della Macchia” 4 e l’altro da “L’alleanza”. 5 Il particolare interesse che  













1  Nella ricerca fu guidato per le strade della città dall’uomo che lo aveva prima accompagnato dai frati e dal suo figlioletto di 8 anni . Travestito, tenendo una cesta da un lato e la mano del bambino dall’altra riuscì a passare inosservato agli occhi dei drappelli di Svizzeri che rastrellavano la città. Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, cit., pp. 403-407. 2  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 8. 3  Il documento tratto dalla Corrispondenza del Questore è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 18, P. 19 bis, f. 21. 4  Probabilmente si tratta di un foglio clandestino dell’editore attivo a Firenze sin dalla fine del xviii secolo. 5  Il giornale “L’alleanza”, quotidiano edito a Genova presso la Tip. Ligure Economi-

il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 79 destano è dovuto ai loro toni, tanto accesi da causarne dapprima il sequestro da parte del delegato di polizia e poi da essere conservati da Gualterio nelle sue carte private, rappresentando una vivida testimonianza dell’ampia e ben nota attività della stampa su questi fatti. Il primo di essi accusava Pio IX con i “suoi fidi Antonelli e Nardoni” di aver scatenato nella città di Perugia, posta “sotto il governo temporale del Vicario di Cristo”, “violenze, arresti, fucilazioni, saccheggi […] uccisioni di donne e di inermi”, solo perché i suoi cittadini si erano pronunciati a “favore della causa Nazionale” e con tono imperativo recitava : “Inorridisca il Mondo e conosca meglio da questo fatto cosa sia il governo pontificio in Italia […]” chiedendosi poi come fosse possibile “tollerare nel bel mezzo dell’Europa Civile Cristiana che popolazioni tranquille innocenti sieno scannate sol perché osino manifestare i loro desideri e i loro voti. Noi chiediamo – recitava l’articolo – vendetta del sangue di tanti inermi cittadini sparso da un branco di Svizzeri ladroni ed assassini, al servizio di un prete che li paga e li benedice per sostenerlo colle loro bajonette sul Trono [permettendo che spoglino] le case e uccidano le persone senza ombra di pietà.” L’articolo terminava definendo Pio IX, Antonelli e Nardoni una vergogna per l’Italia e domandando se dopo gli eccidi di Perugia, si sarebbe ancora dovuto “assistere a simiglianti spettacoli in altre città sventuratamente soggette al poter clericale senza che s’alzi una mano, o una voce che metta alla ragione cotesti carnefici dell’umanità”. Il secondo articolo, tratto dal Giornale « L’alleanza », era intitolato I Massacri di Perugia. Anche in questo i toni erano roventi ; “il sangue dei Cittadini di Perugia grida a noi tutti vendetta” affermava l’articolo gridando “infamia agli Svizzeri mercenari”, definendoli poi “Servitori vilissimi di chi meglio [li] sfama, […] Intrepidi uccisori di Bambini, Vecchi, Donne, ed inermi tremanti !”. 1 L’articolo si concludeva con un appello al futuro primo Re d’Italia : “Oh ! Vittorio sotto il di cui manto la povera Perugia erasi rifugiata avendo inviato il fiore della sua Gioventù a compiere la celebre parola del più grand’uomo del Secolo ‘organizzatevi militarmente’ non lasciare inulto questo nuovo S. Bartolomeo : Vendica nel sangue del tristo mercenario l’orrendo massacro di Perugia, le glorie di Nardoni, e dei nuovi Sanfedisti ! !” Questi due articoli, redatti  





















ca, fu pubblicato dall’8 al 28 giugno 1859 ; era la continuazione del quotidiano “La Nazione” di Genova, giornale attivo sin dal marzo di quell’anno e che dopo la breve parentesi del giugno proseguirà le pubblicazioni sino al 25 novembre. 1  Sottolineatura nel testo originale.  

80 gabriele principato con tanto sdegno, appena pochi giorni dopo la sfortunata difesa della città, non potevano certamente passare inosservati agli occhi dei pontifici ed a buon diritto giunsero all’attenzione del Questore per poi, quando Perugia divenne italiana, essere custoditi da Gualterio. Sempre della fine di giugno sono due interessanti lettere inviate da religiosi del Monastero di S. Pietro, Benedetto Bindangoli Bini 1 e Luigi Manari, 2 rispettivamente a Padre Roberto Ruglioni, 3 Abate di Casale in Badia e Padre Alessandro Belli, 4 cassinese, Abate di S. Maria di Badia. Giunsero probabilmente nelle mani di Gualterio e furono da questi conservate, poiché rappresentavano un’importante e inoppugnabile testimonianza di parte pontificia di uno dei gravi episodi di quelle giornate : il saccheggio e la devastazione da parte del reggimento svizzero del Monastero di S. Pietro, teatro di una strenua resistenza dei perugini. Questa vicenda, ben ricordata da Ugolini data la risonanza che ebbe, assume un peso ed una drammaticità particolare  









1  Benedetto Bindangoli Bini, di famiglia comitale, era originario di Assisi, dove la sua famiglia di commercianti bergamaschi si era insediata sin dalla prima metà del xvii. 2  Il giorno 11 dicembre 1860, in nome di Vittorio Emanuele II, il Marchese Gioacchino Pepoli, Regio Commissario Generale Straordinario per le Province dell’Umbria, stabiliva che “tutte le corporazioni e gli stabilimenti di qualsiasi genere degli Ordini Monastici e delle Corporazioni regolari o secolari esistenti nelle Provincie amministrate da questo Regio Commissario Generale sono soppresse” prevedendo però alcune eccezioni, fra cui i “membri attuali” dei P.P. Cassinesi di San Pietro in Perugia che “continuando a far vita comune secondo il loro Istituto e ad adempiere ai doveri ed ai pesi già inerenti sì alla corporazione che agli individui, riterranno il godimento dei loro beni sino a che saranno ridotti ad un numero minore di tre ; nel qual caso si provvederà a loro riguardo coll’assegnamento di una pensione annua non minore di Lire 800 ciascuna.” Questo perché i Monaci di San Pietro avevano dato solerte e generoso aiuto ai rivoltosi perugini nell’insurrezione del giugno ’59. Nel 1890 P. Luigi Manari fu il terzultimo confratello a morire e con lui vennero meno le condizioni necessarie per il sussistere dell’usufrutto e lo Stato italiano entrò in possesso del patrimonio artistico, edile e terriero di San Pietro. Cfr. Università degli Studi di Perugia, Cento anni della Facoltà di Agraria 1896 / 1996, Perugia, 1996, in http ://www.agr.unipg.it/, pp. 9-10. 3  P. Roberto Ruglioni, monaco cassinese, sin dal 17 giungo 1841 fu curato della Chiesa Abbaziale di S. Maria detta la Badia Fiorentina. Cfr. Raccolta di notizie storiche riguardanti le chiese dell’arcidiogesi di Firenze tratte da diversi autori, a cura di Luigi Santoni, Firenze, Mazzoni, 1847, p. 59. 4  Il P. Alessandro Belli, (Firenze 1810-1870), Professo benedettino nel 1833, fu socio dell’Accademia Romana di Religione Cattolica e di altre illustri accademie della Toscana. Insegnò dogmatica nel Seminario di Firenze nel ’47 - ’49, Filosofia e Teologia nel suo Monastero, più in là resse le Abbazie benedettine di Firenze e di Siena. Compose due opuscoli in confutazione di due libretti dell’ex Camillino Luigi Desanctis, passato al protestantesimo, che riscossero molti elogi a Roma. Pio IX stesso pagò le spese della stampa del secondo lavoro. Si veda : Giacomo Martina, Pio IX e Leopoldo II, Roma, Pontificia Università Gregoriana, 1967, pp. 30-31.  





il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 81 se vista con gli occhi impressionati degli stessi monaci che ne furono vittime. Il 27 giugno il religioso Benedetto Bindangoli Bini scrisse a Firenze a Padre Ruglioni, riportando lo stato miserevole del Monastero dopo la battaglia : “È ridotto un sacco d’ossa – scrive il religioso – non nel materiale, ma nelle mobilie, porte, fenestre, robba, denari, vestiario di ogni genere, libreria, archivio tutte in rovina” e gravissimi furono anche i danni che subì la preziosissima biblioteca. Lo scrivente racconta inoltre di come gli svizzeri, senza mostrare alcun rispetto per il loro abito, derubarono lui ed i suoi compagni ed occuparono il monastero, costringendo la Comunità a fuggire a Casalina e ad Assisi. 1 La seconda missiva del 29 Giugno giunge proprio dalla Rocca di Casalina, nei pressi di Perugia, inviata a Padre Belli a Firenze da Padre Manari. Egli innanzi tutto esprime sgomento per le calunnie rivolte ai monaci di San Pietro : alcuni li accusavano di connivenza con quelli che si fortificarono nel Monastero e da altri di aver cagionato la disfatta di questi. Anche in questa lettera viene messo in luce come gli svizzeri non risparmiarono dalle violenze neanche i monaci, che rischiarono più volte di essere passati per le armi. Padre Manari racconta inoltre come egli, la sera innanzi al giorno del combattimento, fuggì dal Monastero con gli alunni e gli altri monaci con l’Abate si chiusero nella Camera del Noviziato di prova e finirono per essere presi dagli “Svizzeri per briganti, e si videro più volte puntate le baionette al petto : e appena l’autorità di qualcuno dei loro Ufficiali potè trattenere quei furibondi dallo infilzarli”. 2 Viene data inoltre notizia di Ubaldi, cameriere del Priore dell’abbazia Padre Placido Acquacotta, che ricevuta una bajonettata in un piede, dovette subirne l’amputazione, alla quale non  









1  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 8. 2  Le vicessitudini vissute in questo frangente dai monaci, furono ben descritte dall’Abate Acquacotta nella testimonianza resa al Giudice Domenico Ravignani che, con il decreto del 21 settembre 1860, il giorno dopo la liberazione di Perugia, fu incaricato dal Commissario Regio per l’Umbria, Gioacchino Pepoli, di condurre un’inchiesta sui crimini commessi dagli Svizzeri il 20 giugno. Il lavoro del Giudice Ravignani fu mastodontico, ma per ragioni misteriose non fu mai reso pubblico. Uno stralcio della testimonianza dell’Abate Acquacotta fu riportato nella Gazzetta Ufficiale dell’Umbria, n. 90, del 15 dicembre 1860. In essa, il religioso, racconta come, insieme al Priore Bindangoli, al Priore Torelli, al Priore Toselli, al P. Gonfalone, al P. D. Mariani ed al P. Odorisio, si nascosero nell’ultima camera del noviziato di prova, al primo piano, senza sapere dove fossero gli altri della famiglia ; qui recitarono le Litanie Lauretane fino a che, catturati dagli Svizzeri, dovettero assistere, come è noto, alla devastazione del loro Monastero e del patrimonio Archivistico librario in esso conservato.  

gabriele principato 82 sopravvisse. 1 Lo stesso Padre Acquacotta che, come riporta Ugolini, vestito dei paramenti sacerdotali, cercò di far rispettare la sacralità del Monastero, fu vittima di violenza da parte dei soldati pontifici, che gli strapparono dal collo “la catena d’oro con la croce, emblema del suo rango”. 2 Tornando alla corrispondenza diretta a Gualterio, troviamo di notevole rilevanza una missiva datata Torino 5 luglio 1859, di Alberico Spada, 3 già Deputato dell’Assemblea Costituente della Repubblica Romana ed in quell’anno Segretario Generale per gli Affari Interni del Governo di Luigi Carlo Farini in Emilia, che tratteggia il rapporto di grande fiducia esistente fra il Conte di Cavour ed il marchese. Spada, pur conscio dell’impegno di quest’ultimo nelle questioni inerenti l’Italia Centrale, si dice rammaricato per la sua assenza da Torino e non nasconde la preoccupazione per i cattivi consigli che, in momenti così confusi e delicati, avrebbe potuto ricevere il Conte di Cavour. Le persone che stanno al suo seguito e che lo consigliano – scrive – sono “più atte a crescergli le difficoltà e a mostragliele insormontabili, che capaci di secondarlo” ; vi è “taluno, fra quelle, – afferma – che ha considerato sin dalle prime come un imbarazzo ed una noja l’adesione di Perugia e delle Marche”. Questo per paura di contravvenire agli accordi presi con la Francia, quando, a dir dello Spada, sarebbe stato possibile liberare la nazione fin quasi alle porte di Roma. La lettera si conclude con uno sprone a Gualterio : “adopera la tua influenza per ogni parte, perché non si sperdano i beneficii che le attuali congiunture possono arrecarci : parla, scrivi, agisci. – afferma Spada – Cavour ti stima e ti apprezza”, un incitamento ad agire dunque per “soccorrere – come afferma – quelle povere pro 











1  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 8. 2  Cfr. Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 164. 3  Alberico Spada, (Pesaro 1821-Bologna 1860), figlio di Giovan Battista funzionario napoleonico, studiò legge a Roma, nel 1844 fu con il fratello Augusto implicato nella cospirazione Galletti – Montecchi e rinchiuso a Castel Sant’Angelo fino al proscioglimento dalle accuse l’anno seguente. Nel 1849 fu eletto rappresentante per la città di Pesaro alla Costituente Romana e votò per la Repubblica ; al crollo di questa riparò in Piemonte. Nel 1859 fu nominato segretario generale per gli Affari Interni del Governo di Luigi Carlo Farini in Emilia. L’anno seguente fu portato dai cesenati come deputato all’Assemblea di Bologna come voce delle Marche non redente, ma ancor prima di poter essere eletto morì. Si vedano : Gaspare Finali, La vita politica di contemporanei illustri : B. Ricasoli, L.C. Farini, Q. Sella, T. Mamiani, M. Minghetti, C. di Cavour, narrata e commentata da Gaspare Finali, Torino, Roux Frassati, 1895, p. 295. ; D. Spadoni, Gio. Battista Spada, in Dizionario del Risorgimento Nazionale, dalle origini a Roma capitale. Fatti e persone, cit., p. 320.  







il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 83 vincie e Perugia soprattutto ; di cui sarà grande vergogna se non si vendichi l’eccidio”. 1 Vi è poi una lettera di Tiberio Berardi, 2 come è noto membro del Governo Provvisorio della Città di Perugia, datata 23 luglio 1859, con la quale chiedeva al marchese di procurare per l’Ambasciatore inglese a Torino Sir James Hudson un duplicato del rapporto che la famiglia americana, i Perkins, derubata dagli svizzeri nell’albergo nel quale risiedeva a Perugia il 20 giugno, aveva trasmesso al suo Console, affinché questi potesse far rapporto al suo governo. Per procurarselo, Berardi consigliava a Gualterio di rivolgersi, tramite Faina o la Principessa (certamente Maria Bonaparte Valentini, cugina di Napoleone III), direttamente alla famiglia dell’americano, dato che serviva una copia originale. Come sappiamo dal lavoro di Ugolini, 3 Hudson trasmise a Londra i documenti il 30 luglio. Questi, sostenitore della causa italiana ed amico personale di molti esponenti del liberalismo piemontese, agì con decisione sul governo inglese per dare agli eventi del 20 giugno il massimo risalto. La vicenda dell’americano Mr. Edward Newton Perkins e della sua famiglia servì da cassa di risonanza per tutta la vicenda, la sua testimonianza fu riportata dai giornali di gran parte d’Europa e la protesta ufficiale del Governo degli Stati Uniti costrinse il cardinale Antonelli ad ammettere l’accaduto e rifondere i danni. La lettera di Berardi proseguiva auspicando che le interpellanze fatte alla Camera inglese sui fatti di Perugia potessero avere un seguito ed aprire una proficua discussione sulle condizioni dello Stato Pontificio, speranza che almeno in parte non restò delusa. Berardi lamentava inoltre di essere, lui e gli altri fuoriusciti, 4 all’oscuro de 









1  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 29, G. 9, f. 1. 2  Tiberio Berardi, (Perugia 1815-1890), fu tra i protagonisti delle vicende perugine 1859 ricoprendo la carica di Segretario del Governo Provvisorio, dopo il 20 giugno il Governo Pontificio lo condannò a morte in contumacia. Fu Deputato alla Camera nell’viii Legislatura sedendo tra i banchi della Destra ; tra il 1872 ed il 1876 fu prefetto di Potenza, Campobasso, Rovigo e Siracusa, carica dalla quale si dimise sotto il Ministero Nicotera per divergenze politiche. Nel 1880, il iv Collegio di Perugia lo fece eleggere alla Camera nella xiv Legislatura. Nel 1885 divenne sindaco di Perugia. Si vedano : Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, Tiberio Berardi, in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, vol. viii, 1966, p. 241 ; Stefania Magliani, Accentramento e decentramento nei regolamenti di polizia urbana. Perugia, 1859-1869, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2001, p. 117. 3  Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, cit., p. 225, n. 63. 4  Dopo la disfatta del 20 giugno e la presa di Perugia, Berardi, riparò in Toscana dove con scritti pubblici e clandestini si adoperò per far trionfare l’idea liberale.  





gabriele principato 84 gli avvenimenti che si stavano susseguendo in quei giorni e riteneva preoccupante la situazione di incertezza che pendeva sul futuro di molte province dell’Italia Centrale, esprimendo un pessimo giudizio sull’armistizio di Villafranca da poco consumatosi, che definiva “una pace disastrosa”. Informava poi Gualterio di una dichiarazione giunta quella mattina alla “Tribuna” dal Ministero inglese, che affermava che non vi sarebbe stato intervento nell’Italia Centrale, notizia sulla quale Berardi era scettico e che in ogni caso, se si fosse rivelata concreta, avrebbe giovato – scrive – “non a noi disgraziati ricaduti sotto il Card. Antonelli, [ma] ai Ducati della Toscana e forse alle Legazioni”, creando comunque un importante precedente. 1 L’ultima lettera 2 di nostro interesse è del Conte di Cavour e fu scritta nei suoi possedimenti di Leri il 9 novembre 1859. Questa giunge in risposta ad una missiva inviata da Gualterio da Genova per chiedere consiglio sulle cose dell’Umbria. Cavour, che aveva rassegnato le dimissioni l’11 luglio, dopo che il re aveva accettato l’Armistizio di Villafranca e viveva ritirato in quella “remota terra” piemontese ormai da quattro mesi, si dice estraneo alle cose politiche, ma non esita ad esternare l’opinione che “i popoli delle Marche debbono astenersi da qualunque atto rivoluzionario”, ma cercare comunque di affermare con i mezzi meno irregolari le loro intenzioni, voti e speranze perché siano presentati al prossimo congresso. Consiglio che ritiene superfluo, se – scrive – “come ardentemente desidero, il Principe di Carignano accetta la reggenza o le reggenze che gli vennero conferite, in questo caso gli abitanti dell’Umbria dovranno fare capo a lui e seguire scrupolosamente le sue direzioni.” Così avverrà, Cavour sarà richiamato al governo nel gennaio 1860 ; a marzo, l’Emilia e la Toscana saranno annesse ai domini sabaudi, l’Umbria dovrà invece aspettare ancora fino a settembre. Gualterio tornò a Perugia dopo la liberazione ; toccò a lui legarla al nuovo stato nazionale tra entusiasmi e diffidenze. Il suo ruolo nel giugno del 1859, le notizie che aveva raccolto, la documentazione che aveva conservato gli furono sicuramente utili per relazionarsi con la città e per comprenderla a fondo. Il suo prezioso archivio continuò ad  







1  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 29, G. 9, f. 1. 2  Il documento è conservato in Archivio di Stato di Terni, sezione di Orvieto, Fondo Gualterio, B. 24, G. 5, f. 12, ed è stato pubblicato in Camillo Cavour. Epistolario, vol. xvi, 1859 (giugno-dicembre), a cura di Carlo Pischedda e Rosanna Roccia, Firenze, Olschki, 2000.

il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio 85 arricchirsi e ancora oggi ci restituisce pagine che integrano o ci fanno riscoprire eventi chiave della nostra storia. Appendice Le Giornate di Perugia “Ecco un’altra pagina dolente d’aggiungere negli annali d’Italia 20 e 21 Giugno del 1859. Si sono rinovati in Perugia quegli scempi del 15 maggio del 1848 di Napoleone. Le lezioni che Papa Mastai in compagnia dei suoi fidi Antonelli e Nardoni ebbe appresi in Gaeta dalla S. Anima dei Re Bomba hanno già portato il loro frutto Violenze, aresti, fucilazioni, saccheggi della città, orribili ore con uccisioni di donne e di inermi e tutto è stato consumato in Perugia, sotto il governo temporale del Vicario di Cristo. E quale è stato il delitto di Perugia ? E quello di essersi pronunciati in favore della causa Nazionale. Inorridisca il Mondo e conosca meglio da questo fatto cosa sia il governo pontificio in Italia. Noi non troviamo parole per significare l’intignazione, onde siamo giustamente compresi. È tempo per Dio di gridare, e di gridare in alto che tutti ci ascoltino, è tempo di fare appello alla coscienza pubblica e vedere che si debba impienamente tollerare nel bel mezzo dell’Europa Civile Cristiana. Che popolazioni tranquille innocenti sieno scannate sol perché osino manifestare i loro desideri e i loro voti. Noi chiediamo vendetta del sangue di tanti inermi cittadini sparso da un branco di Svizzeri ladroni ed assassini, al servizio di un prete che li paga e li benedice per sostenerlo colle loro bajonette sul Trono permettendogli che spogliano la case ed uccidano le persone senza ombra di pietà. Giovanni Mastai a posto in esecuzione nei suoi stati ciò che i Gyulay, i Zöebel, Urban hanno avuto appena il coraggio di minacciare nei paesi usurpati dal loro padrone. Se noi a buon diritto chiamiamo Borboni gli Austriaci con qual nome chiameremo questi Ministri di Dio, questi Agnelli del perdono mentre li veggiamo superare nelle stragi quei Borboni ? E sono pur troppo italiani : i Mastai, gli Antonelli, gli Nardoni, gli Gyulay, per nostra onta e vergogna. Ma no il prete romano e i suoi sgherri non hanno patria… Essi si vantano di essere sopra tutto cattolici, e come tali cosmopoliti. Dunque su loro, e no su noi, rigada l’infamia. Chiediamo soltanto se dopo gli eccidi di Perugia, dovremo ancora assistere a somiglianti spettacoli in altre città sventuratamente soggette al potere clericale senza che salzi una mano, o una voce che metta alla ragione cotesti carnefici dell’umanità. Estratto dalla staffetta N° 179 delli 24 Giugno 1859 Stamperia della Macchia.”  





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Giornale « L’alleanza » I Massacri di Perugia li 24 Giugno 1859  



Il N°. 9 del Bollettino della Guerra che fin’ad ora apportò liete e gloriose notizie per ogni Italiano, coprì oggi invece la nostra città di profonda mestizia, e destò un unanime sdegno. Il sangue dei Cittadini di Perugia grida a noi tutti vendetta, e nella piena degli affetti che si contendel’animo d’ogni Italiano, non odesi che un grido “Infamia agli Svizzeri Mercenari”. Dunque mentre la Gioventù di Romagna lasciò i suoi Lari per accorrerre sotto le Bandiere di V° Emanuele mentre quei Prodi pensano non esistere in Italia altro nimico degl’Italiani che l’Austriaci, i Vecchi Genitori ed i Fratelli saranno infamemente scannati, le loro Donne violate, Saccheggiato l’avere, incendiate le Case ? Oh Servitori vilissimi di chi meglio vi sfama, Giannizzeri della Sagrestia e del Despotismo, Predatori emuli dell’Austriaco, Intrepidi uccisori di Bambini, Vecchi, Donne, ed inermi tremanti ! L’ora della vendetta è giunta : Gl’Italiani più non transigeranno, né oblieranno le vostre vergogne e le vostre infamie : Voi non avete più da trattare con un Popolo in ginocchio, ma con una Nazione Grande e potente, capitanata dal più generoso dei Re, sussidiata dal più potente degli alleati. Oh ! Vittorio sotto il dì cui manto la povera Perugia erasi rifugiata avendo inviato il fiore della sua Gioventù a compiere la celebre parola del più grand’ uomo del Secolo “organizzatevi militarmente” non lasciare inulto questo nuovo S. Bartolomeo : Vendica nel Sangue del tristo Mercenario l’orrendo massacro di Perugia, le glorie di Nardoni, e dei nuovi Sanfedisti ! ! !”  

















“Relazione di Perugia della sera dopo il combattimento del giorno 20 dalle ore 7 e ½ alle ore 10 circa. 7 ½ sono entrati in piazza gli Svizzeri e Gendarmi hanno tirato molti colpi di fucile contro le finestre ed anche lungo le strade e in alto senza direzione : dopo qualche minuto varii Officiali hanno parlato ad alta voce, ed a tal discorso o ordine (in francese e in tedesco) la truppa tutta ha fatto un grido di gioia e discinendosi dalla massa, formandosi in piccoli drappelli si è messa a percorrere tutte le strade anche le più remote tirando continuamente colpi di fucile e urlando in modo tale che parevano tanti selvaggi. Credo forse che in quel momento d’abbandono possa essere accaduto qualche omicidio o furto, giacchè al rumore dei fucili vi era anche mischiato quello di Cittadini ; urlo di spavento e dolore, ma dovendo anch’io ritirarmi per la mia salvezza, e trovando un cittadino l’ho pregato ad indicarmi una via di salvezza, questi mi ha accompagnato in un Convento di frati credo Domanicani perché vestiti di bianco, si è presentato un superiore del Convento, e quando mi ha veduto sospettoso mi ha accertato esser egli e tutti i suoi Confratelli Piemontesi, e che nella giornata avea assistito altri fuggiaschi provvedendoli  



il xx giugno 1859 nelle carte di gualterio

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di qualche poco di cibo e direzione onde potessero sortire sicuri, inteso ciò, ho accettato un quarto d’ora d’ospitalità e una zuppa che ben poco mi ha profittato giacchè nel Convento stesso si udiva lo spaventevole tumulto suindicato. Affacciatomi ad una finestra ho veduto un fuoco, ed ho saputo essere l’abitazione fabbrica di Tintoria fuori porta San Pietro : alle 9 circa sono sortito per cercar di nuovo i miei compagni Sig. Pagliacci e Zucchero, ed in questo tempo ho percorso le vie più remote, ma con molta precauzione giacchè timevo d’incontrarmi con li Svizzeri, benchè avea avuto la precauzione di travestirmi e fingermi un accattone gobbo, mi sono recato di nuovo vicino la Piazza e sono entrato nella locanda della Posta per verificare se per caso i miei compagni fossero partiti portando via i loro effetti. Sono entrato in una Sala, il cameriere mi ha detto essere in una camera indicatami ove mi sono portato, ed entrato mi sono accorto esservi un Colonnello Svizzero : io mi sono caricato dei nostri effetti e quelli dei miei amici li ho consegnati al cameriere dicendogli ad alta voce di portarli al n° 13 così con questo pretesto ho potuto sortire col dispiacere di non aver trovato altra traccia dei miei compagni, cosa per me tanto dispiacente. Lasciata la locanda sono ritornato al Convento portando la mia sacca che i frati si sono incaricati di spedirmi colle altre. Era già le 9 ½, ho intesa sonare la generale, ed han principiato a cessare le fucilate dopo poco tempo un silenzio di morti : profittai di ciò per fuggire scortato da quell’uomo stesso che mi accompagnò dai frati più un suo bambino di anni otto, questi mi guidarono per le vie più remote alla porta ___ 1 dandomi un abbraccio mandandomi con Dio. Erano le 10 : alle 12 (che intesi suonare) mi voltai indietro e non vidi più altro che le fiamme della Tintoria. Giunto alla Magione sono andato da quel Segretario Comunale, ad avvertirlo che mandi un uomo fidato sullo stradale per far retrocedere tutti quelli che potevano andare in Perugia che non fossero informati dell’accaduto, giunsi che avea forte sospetto che la mattina stessa lo gendarmi potessero fare qualche scorreria tale avvertimento è stato giovevole a qualcuno anche dei nostri che non informati andavano a Perugia. Questo è quanto può asserire il sottoscritto per la pura verità. Tte Del Buono”.  









1  Fu lasciato uno spazio nel documento originale perché, probabilmente, nel momento nel quale scrisse questo rapporto, Del Buono, non ricordava con precisione il nome della porta e della via tramite la quale uscì dalla città. Grazie all’altro resoconto già citato che scrisse il tenente, e che fu pubblicato in Giustiniano Degli Azzi Vitelleschi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859,cit., pp. 403-407, scopriamo che Del Buono sortì dalla città imboccando la strada Toscana ed è quindi probabile che uscì dalla Porta Trasimena.

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Schmid e il I reggimento estero contro Perugia Pier Tullio Lauri

N

ello scenario europeo del 1859, dopo l’avvicinamento tra Cavour e Napoleone III, che ha portato agli accordi di Plombières, il governo pontificio prende coscienza del fatto che per la propria sicurezza interna non può più dipendere né dall’Austria, la cui leadership europea è ormai messa in crisi, né tantomeno dalla Francia, sempre più critica dell’immobilismo della struttura politica pontificia della quale vorrebbe un forte cambiamento d’indirizzo. In questo quadro nasce quindi l’idea che la propria sicurezza interna debba basarsi sull’autosufficienza, anche per dimostrare all’esterno l’esistenza di uno Stato solido e determinato nel mantenere l’integrità territoriale fondata su forze autonome ; da qui le missioni all’estero per la formazione di una particolare milizia, proprio per fare fronte ai continui tentativi insurrezionali che minano le fondamenta dello Stato. Convinto della necessità di provvedere ad un’adeguata difesa, il cardinale Giacomo Antonelli incarica quindi degli emissari in vari paesi europei di provvedere all’arruolamento di volontari cattolici nei nuovi reggimenti pontifici. Tra questi delegati vi è il colonnello Anton Schmid, che prima di essere richiamato a Roma per vedersi assegnato il comando delle truppe impegnate nella repressione della rivolta di Perugia, viene inviato nel marzo dello stesso anno in missione di arruolamento nei Cantoni svizzeri. 1 Schmid è “l’Incaricato Superiore del Reclutamento” anche per Marsiglia, e ha come referenti, monsignor Giuseppe Bovieri, incaricato di affari interni alla nunziatura di Lucerna, 2  





1  Per un breve excursus della carriera militare di Anton Schmid, precedente l’incarico di emissario per il reclutamento, Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia Centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la Storia del Risorgimento, 1973, p. 271. 2  Sebbene Schmid lo indichi come nunzio apostolico di Lucerna, è da precisare che mons. Giuseppe Bovieri (1800-1873), anche dopo il ritiro del nunzio Alessandro Macioti nel 1848, rimase sempre incaricato d’affari, in quanto la Santa Sede dopo la fondazione dello Stato Federale, all’indomani della sconfitta dei cantoni cattolici nella guerra di Sonderbund, fu rappresentata solo da incaricati d’affari, facenti le funzioni di nunzio. Sulle vicende della guerra e più in generale si veda Emilio R. Papa, Storia della Svizzera. Dall’antichità ad oggi. Il mito del federalismo, Milano, Bompiani, 1998 pp. 182-189.

pier tullio lauri 90 centro principale del reclutamento in Svizzera, e il console pontificio Carlo Ferrari, per quel che riguarda Marsiglia. I fondi stanziati dalla Santa Sede per l’arruolamento all’estero non vengono direttamente gestiti da Schmid, ma forniti a coloro che rappresentano il governo pontificio nei diversi luoghi. Schmid il 10 marzo 1859 stabilisce in un preventivo le somme occorrenti per il reclutamento del i reggimento estero per il secondo trimestre 1859. La somma richiesta è di 30.000 franchi a favore di mons. Bovieri, per la coscrizione in Svizzera e di 12.000 per il console Carlo Ferrari, per le spese di imbarco e trasporto delle reclute da Marsiglia fino a Civitavecchia. Questo preventivo viene poi inoltrato il 14 marzo dalla Intendenza della prima divisione militare al ministero delle Armi affinché si possa dare luogo all’apertura dei crediti corrispondenti presso la Banca parigina dei fratelli Rothschild. 1 Dal ministero delle Armi il 18 marzo si risponde che al fine di evitare che tale richiesta di 42.000 franchi sia ritenuta eccessiva, in quanto, aggiunta alla somma dei 55.000 già disposta per il primo trimestre 1859 porterebbe a un totale di 97.000 franchi la spesa complessiva per il primo semestre 1859, si propone di inoltrarla in due tranches da 21.000 franchi ciascuna : una subito e l’altra a maggio, considerato inoltre che la somma già stanziata di 30.000 franchi nel dicembre 1858 sarebbe stata inserita anch’essa nel bilancio del 1859. 2 Questo viene puntualmente eseguito : il 21 marzo dal ministero delle Armi si chiede formalmente alla Tesoreria Generale del Ministero delle Finanze la somma di 21.000 franchi, così suddivisi : 15.000 per il reclutamento in Svizzera e 6.000 per quello a Marsiglia. Pronta accettazione avviene il 28, con risposta della computisteria generale del ministero che approva la richiesta, comunicata il 31 alla prima Intendenza della divisione militare. 3 In alcuni casi il notevole contributo delle casse pontificie a favore del reclutamento è dimostrato dal fatto che all’indomani dello stanziamento, il 28 marzo stesso, l’intendente militare informa il ministero delle Armi che il colonnello Schmid aveva comunicato di ritenere sufficienti i fondi concernenti il finanziamento del reclutamento in Marsiglia, e quanto non giudicasse opportuno aprire nuovi crediti per il console Ferrari ; questo almeno fino ad una sua prossima richiesta. Tale comunicazione giunge al ministero delle Armi a somma ormai  













1  Si veda Archivio di Stato di Roma (di seguito, asr), Ministero delle Armi, Affari speciali, busta 1275. 2  Ibidem. 3  Ibidem.

schmid e il i reggimento estero contro perugia 91 già stanziata, e di conseguenza si respinge il differimento. Diversa invece appare la situazione per la Svizzera : a Lucerna il 4 aprile mons. Bovieri inoltra una formale richiesta al cardinale Segretario di Stato, sollecitandolo a prodigarsi per far pervenire il prima possibile un nuovo credito a suo favore, in quanto gli ultimi fondi stavano esaurendosi. Ribadisce allo stesso modo che avrebbe fornito al colonnello Schmid, in caso di sua richiesta, quelle risorse di cui avrebbe avuto bisogno nello svolgimento della sua missione in terra svizzera. 1 Lettera questa che, al momento di essere spedita, viene subito rettificata dallo stesso Bovieri, avvertito prontamente dell’avvenuto stanziamento di crediti in suo favore nella banca parigina. Il I reggimento estero, formatosi sotto il comando di Schmid, è quindi composto da 1679 uomini. 2 A questi si aggiungono nella spedizione di Perugia 65 gendarmi e 33 finanzieri, con a capo rispettivamente il capitano Pietro Mazzotta e il capitano Carlo Leoni. 3 Il I reggimento estero è costituito dallo Stato Maggiore, dallo Stato Minore, da due battaglioni e da una compagnia di fuori rango. Ogni battaglione è formato a sua volta da sei compagnie ciascuno a cui se ne aggiungono due di volteggiatori e due di granatieri ; solo il primo battaglione ha al suo interno anche due compagnie di fucilieri. 4 Alla partenza della truppa da Roma, il 14 maggio, viene preparata una lista divisa per ogni compagnia e controfirmata da ogni suo singolo comandante, con tutti i nominativi dei soldati messi a disposizione del colonnello Schmid per la missione nel capoluogo umbro. Alcuni giorni dopo la presa della città, ne viene compilata una seconda, quasi identica, dove sono aggiornati i nominativi di coloro che non avevano preso parte alla spedizione. 5 Si tratta di piccole variazioni in cui sono indicati quelli che, per differenti ragioni, l’hanno abbandonata anticipatamente. È una cifra modesta, in tutto 46 soldati. Di questi 41 sono ricoverati in ospedale durante la settimana di marcia dal 14 al 20 giugno : numero quasi equamente distribuito tra primo e secondo battaglione, 19 nel primo, 22 nel secondo. È compreso nel totale degli abbandoni anche il numero dei disertori, 4 complessivi, tutti appartenenti alle compagnie dei fucilieri : un caso nella prima e tre nella seconda. Si annovera, infine, anche un  

















1  Ibidem. 2  R. Ugolini, op. cit., p. 160. 3  Sulla storia della Guardia di Finanza pontificia è essenziale Giuliano Oliva, La Guardia di Finanza pontificia, Roma, Museo storico della Guardia di Finanza, 1979. 4  Sulla composizione interna del i reggimento estero ASR, Ministero delle Armi, Rassegne, busta 1752. 5  Ibidem.

pier tullio lauri 92 caso di suicidio, avvenuto il 18 giugno nella quarta compagnia del i battaglione. Analizzando le singole componenti del i reggimento estero ne consegue che lo Stato Maggiore è formato da 15 elementi : oltre al colonnello Schmid, c’è il tenente colonnello Luciano Cropt, i due maggiori Costantino Dupaquier e Giuseppe Jeannerat, il cappellano in seconda Augusto Berard, i due capitani Ignazio Lederger e Giuseppe Bosshardt, i due chirurghi maggiori Alfredo Leigerart e Francesco Kaiser, l’ufficiale di tesoreria Lorenzo D’Orméa, il capo banda Rodolfo Devorschek, il porta bandiera Ferdinando Zeitter, l’aiutante attuario Ferdinando Hefner e due aiutanti del battaglione Carlo Crufer ed Alessandro Bovon. Lo Stato Minore comprende 40 elementi : cinque aiutanti capobanda, un tamburo maggiore, un sergente maggiore della banda, sei bandisti di i classe, un caporale zappatore, sei bandisti di ii classe, otto bandisti di iii classe e dodici zappatori. Le compagnie più numerose sono quelle dei granatieri, composte ognuna da 123 effettivi ; poi seguono quelle dei volteggiatori : la prima con 113 elementi, la seconda con 119. La compagnia del primo battaglione con il maggior numero di effettivi è la quarta con 104 soldati, quella con il minore, la quinta con 89. Del secondo battaglione la più numerosa è la seconda con 93 effettivi, la meno folta la quarta con 82. La compagnia in assoluto col minor numero di elementi, ovvero 42, è quella dei fuori rango composta da tre sergenti e trentanove soldati semplici. Ogni compagnia comprende tre ufficiali, un capitano, un tenente e un sottotenente, alcune ne hanno soltanto due, un capitano e un sottotenente e altre uno solo, ovvero un sottotenente. Ciascuna poi registra un discreto numero di sergenti e caporali, la presenza di un foriere e di due o tre tamburi ; solo nelle due compagnie di volteggiatori al posto dei tamburi ci sono in egual numero le trombe. Il resto della truppa è formata da soldati semplici. All’indomani della spedizione vittoriosa, già il 21 giugno, il colonnello Schmid viene promosso generale di Brigata, a dimostrazione della grande valenza strategica riposta dal governo pontificio nell’impresa. 1 È del 29 la prima missiva del neogenerale al ministero delle Armi, in cui invia un elenco degli uomini distintisi nell’assalto alla cit 











1  R. Ugolini, op. cit., p. 269.

schmid e il i reggimento estero contro perugia 93 tà umbra. Com’egli stesso sottolinea, si tratta di un resoconto frutto di un lavoro meticoloso, che lo ha portato a dividere i meritevoli di encomio in una lista, firmata da lui stesso, ripartita in due categorie a seconda dei meriti. È una nota abbastanza eterogenea, dove si trovano accomunati sia ufficiali che sottufficiali con brevi osservazioni sui meriti individuali. È ovvio che il generale si dilunghi maggiormente sulle benemerenze del singolo ufficiale piuttosto che su quelli del semplice soldato, ma già il fatto di menzionare militi comuni tra i più meritevoli, offre l’idea di quanto sia alta la considerazione della propria truppa. Suffragato ciò anche dalle stesse parole di Schmid, che rimarca come la segnalazione dei più degni non significhi escludere il resto del reggimento non direttamente battutosi negli scontri da un encomio, che invece deve coinvolgere anche la truppa impiegata per la riserva. 1 Nella prima categoria segnala quasi tutto lo Stato Maggiore, quindi il tenente colonnello Cropt, i due maggiori, quattro capitani, otto tra tenenti e sottotenenti. Dello Stato minore annovera un capobanda e tre aiutanti del battaglione e delle altre compagnie, sette tenenti, quattro sergenti maggiori, tre sergenti, due forieri, due tamburi, cinque caporali, nove volteggiatori, sette trombe e sei soldati comuni. Inoltre propone nella stessa categoria cinque elementi della Gendarmeria e quattro della Finanza. Non c’è spazio solo per elementi individuali in questa lista, ma una segnalazione collettiva riguarda le compagnie dei Volteggiatori del i e ii battaglione, e quella dei Granatieri assurte nelle parole di Schmid a “bandiera del Reggimento”. 2 Nella seconda categoria sono invece messi in evidenza : il capitano Bosshardt appartenente allo Stato Maggiore, un aiutante del battaglione dello Stato Minore e delle altre compagnie : sei capitani, tre tenenti, un sottotenente, otto sergenti, cinque caporali, due trombe, due forieri, un tamburo, quattro granatieri, diciotto soldati comuni. A questi aggiunge cinque uomini dell’Artiglieria, cinque della Gendarmeria, quattro della Finanza. Gli ufficiali proposti nella prima categoria avevano mostrato tutte le virtù necessarie in combattimento : il coraggio, il sangue freddo con cui avevano affrontato il fuoco nemico, l’esempio dato alla truppa,  









1  asr, Ministero delle Armi, Rassegne, busta 1752. 2  L’apprezzamento ufficiale dello Schmid per queste compagnie è giustificato dal fatto che esse avevano sostenuto la maggior parte degli scontri, visto che più della metà dei feriti nella presa della città appartiene alle stesse compagnie e che i loro stessi comandanti sono nominati nella prima categoria tra i più meritevoli di encomio.

pier tullio lauri 94 l’abilità del comando, l’ottimismo profuso al contingente. I soldati a loro volta avevano manifestato il loro valore per non essere mai indietreggiati di fronte agli insorti, per non aver mai desistito dagli attacchi, e, aspetto non marginale, per essersi sempre dimostrati obbedienti agli ordini dei superiori. Queste per esempio le parole usate da Schmid nei riguardi del tenente colonnello Cropt : « ha dato prova di coraggio ed attività esemplare, sempre alla testa della truppa ed esponendosi senza riguardo al fuco del nemico ha saputo animarla per il suo esempio. Per la sua energia ha indotto l’Artiglieria a fare il suo dovere ». 1 Segnala poi un blocco di nove volteggiatori, che, per primi, si erano esposti al fuoco e avevano preso d’assalto le postazioni, nonché, seppure come fatto simbolico, si erano impadroniti del primo vessillo nemico. Una menzione particolare la riserva per il sottintendente Giuseppe Monari che, secondo Schmid, grazie alle sue « premurose ed eccellenti disposizioni ha saputo provvedere a tutti i bisogni della truppa […] » contribuendo efficacemente all’esito felice della spedizione. 2 Tralasciando i numerosi interventi del colonnello tendenti a esaltare il valore dei suoi uomini per la riuscita dell’impresa di Perugia, ciò che più cattura l’attenzione è la scelta di Schmid di evidenziare le azioni degli elementi che si erano adoperati per evitare il degenerare di quella violenza, di cui si era macchiata la sua truppa una volta riconquistata la città. 3 Di particolare interesse la menzione dello Schmid per Pietro Wellauer, il soldato volteggiatore che per salvare cinque visitatori americani, bloccati nell’ “Albergo di Francia” nel centro della città, si era frapposto alla furia dei suoi commilitoni abbandonatisi ormai al saccheggio. 4 Così il generale svizzero descrive il meritorio comportamento : « Ha salvato per il suo coraggio una famiglia americana nella Locanda di Francia facendo scudo del suo corpo contro i compagni assalitori infuriati della resistenza trovata in questo sito ». 5 Lo Schmid, forse timoroso dell’eco che avrebbero potuto avere le notizie dei saccheggi e violenze compiute dalla sua truppa, e anche per salvaguardare l’onore dei suoi reparti, segnala questo esempio di valore ; giustifica la presunta furia dei suoi soldati come reazione alla resisten 



























1  asr, Ministero delle Armi, Rassegne, busta 1752. 2  Ibidem. 3  Per tutte le segnalazioni del colonnello Schmid si rimanda al documento pubblicato integralmente in calce al contributo. 4  Per la ricostruzione dell’episodio R. Ugolini, op. cit., pp. 173-174. 5  asr, Ministero delle Armi, Rassegne, busta 1752.

schmid e il i reggimento estero contro perugia 95 za nemica incontrata, e non dalla “brama di saccheggio” della milizia. A questo riguardo il tentativo del colonnello di dimostrare l’impegno degli ufficiali nel frenare le razzie dei soldati dopo la presa della città, non si limita all’esempio del noto volteggiatore, ma include anche il capo banda Rodolfo Devorschek, per aver tenuto un comportamento esemplare prima in battaglia e per avere più tardi contribuito « efficacemente a reprimere la devastazione e impedire il saccheggio[…] ». 1 Sulla stessa falsariga elogia i due tenenti Giorgio De Clossmann e Fortunato Stoeklin, non solo per il valore dimostrato nel combattimento, ma soprattutto perché avevano cercato in seguito di « ritenere la ferocia dei soldati dal saccheggio ». 2 Nella seconda categoria lo Schmid si dilunga meno sui meriti del singolo, mettendo in luce gli uomini più coraggiosi per ogni reparto. Ampio spazio quindi concede al gruppo di capitani e soldati che avevano inciso sul corso degli eventi. Anche qui però non trascurabile è il riferimento a chi, come il capitano maggiore Bosshardt « aveva contribuito a rimettere l’ordine e la disciplina dopo il combattimento ». 3 Nel suo “ecumenismo” il colonnello svizzero rimarca inoltre il ruolo dei cappellani militari, per la cura dei soldati e per l’incoraggiamento profuso « avanzando fin nei primi ranghi dei combattimenti » ; 4 non dimentica nemmeno il ruolo degli Ufficiali Sanitari, che con il loro zelo e grazie alla loro esperienza, si erano presi cura efficacemente dei feriti in battaglia. A poco meno di un mese dalla prima lettera, il 24 luglio, lo stesso Schmid ne invia una seconda, sempre al Ministero delle Armi, in cui, se da una parte ringrazia vivamente la munificenza del Papa per le decorazioni e le gratificazioni concesse alla sua truppa, dall’altra afferma che, al momento di compilare la prima lista non trovandosi ancora a conoscenza di altri episodi di bravura ed eroismo, non aveva potuto menzionare altri elementi della truppa degni di elogio. Per questo allega una lista “suppletoria” di individui, che si erano distinti, inserendo anche gli inclusi nella precedente nota ma non ancora premiati. 5 È il caso del sottintendente militare Monari. Caso da evidenziare questo, Monari è stato uno dei testimoni più significativi nel ricostruire in un proprio rapporto i tragici eventi avvenuti dopo la presa di Perugia. Nella sua descrizione si può mettere in rilievo un passaggio  



















1  Ibidem. 5  Ibidem.

2  Ibidem.

3  Ibidem.

4  Ibidem.









pier tullio lauri 96 indicativo del clima di terrore in città, ad esempio : « i soldati passarono sopra queste barricate, presero d’assalto tutte le case ed il convento ove uccisero e ferirono quanti poterono, non eccettuate alcune donne, e procedendo innanzi fecero lo stesso nella locanda a S. Ercolano, uccisero il proprietario e due addetti, ed erano per fare altrettanto ad una famiglia americana, se un volteggiatore non vi si fosse opposto, ma vi diedero il sacco, lasciando nella miseria la moglie del proprietario […] ». 1 Una copia di questo rapporto, inviato a Roma il 22 giugno, verrà poi nelle mani della Giunta perugina, esule a Firenze, che lo pubblicherà nell’opuscolo L’insurrezione perugina. 2 Oltre a ribadire, quindi, la richiesta per Monari, lo Schmid segnala 30 elementi, tra cui quattro appartenenti allo Stato Maggiore, due capitani e due chirurghi maggiori, questi ultimi per essersi presi cura non solo dei feriti tra i soldati ma anche tra la popolazione civile. Delle altre compagnie sono citati, un capitano, un tenente, un sottotenente, tre sergenti maggiori, cinque sergenti semplici, un foriere, tre caporali, un granatiere e nove soldati comuni. Per quel che riguarda il capitano di Stato Maggiore Bosshardt e altri due capitani del secondo battaglione, sebbene già premiati, in quanto inseriti nella prima lista, compaiono nella seconda, poiché proposti da Schmid per un passaggio dal loro ordine, quello di San Gregorio, ad un ordine superiore. Infine richiede per il Sovrintendente della Finanza, Luigi Casadio, un’ulteriore premiazione oltre a quella già ottenuta. 3 Anche in questa lista, come nella precedente, viene posto in risalto dal colonnello Schmid il ruolo di un nutrito gruppo di sottufficiali, non solo per il valore dimostrato nella presa di Perugia, ma soprattutto per aver contribuito a salvare « individui inermi e proprietà d’altri », ristabilendo l’ordine nelle ore successive la battaglia. Naturalmente le gratificazioni seguono di pari passo i riconoscimenti di natura economica. Di ciò si fa carico il sottintendente Monari che, comunica il 22 giugno al Consiglio di Amministrazione del reggimento le decisioni prese in accordo con il colonnello Schmid, in merito alla concessione alla truppa di un pagamento extra per l’impresa dell’occupazione perugina. Si tratta del cosiddetto “doppio soprassoldo”, da elargire per la giornata del 20 giugno, caratterizzata, nelle parole di Monari, da « un combattimento di circa quattro ore ». 4  















1  R. Ugolini, op. cit., p. 352. 2  Ivi, p. 112 e p. 224. 3  Si rimanda al documento pubblicato in calce alla fine del contributo. 4  asr, Ministero delle Armi, Rassegne, busta 1752.







schmid e il i reggimento estero contro perugia 97 Schmid, oltre a rendere noti i nominativi dei militari distintisi in battaglia, inoltra un riepilogo dei caduti e dei feriti nel combattimento, stilato il 21 giugno, avanzando per questi ultimi un ampio plauso del loro sacrificio. I morti sul campo di battaglia trasmessi sono otto, a cui se ne aggiunge un altro a causa delle ferite riportate : si tratta di un capitano, un sergente, un volteggiatore e di sei soldati comuni. Di questi caduti ben quattro appartengono alla sesta compagnia del secondo battaglione. Di feriti invece se ne elencano 38 : un capitano, un tenente, un sergente maggiore, due sergenti comuni, un foriere, cinque caporali, due tamburi, due gendarmi e ventitré soldati comuni. 1 Numero dei morti e feriti che viene confermato nel computo generale delle perdite del I reggimento estero, per il secondo trimestre 1859. Questa relazione viene poi consegnata il 1° agosto e controfirmata dal presidente del Consiglio di Amministrazione del reggimento stesso. In questo rapporto generale c’è anche il riepilogo del numero dei disertori del I reggimento estero, che per il secondo trimestre è di 49 elementi. Prendendo per autentica la veridicità di questo dato, basato su un resoconto ad hoc, inoltrato già il 26 giugno dall’amministrazione del reggimento, ciò che maggiormente sorprende è che il fenomeno della diserzione riguardi il maggior numero di soldati, ben 42, solo per il mese di giugno. Di questi, 32, ovvero un caporale e 31 soldati semplici, avevano abbandonato la truppa dopo il venti, giorno della presa di Perugia, quasi a significare la scarsa fiducia riposta nello Stato di cui avevano appena difeso le sorti. 2  







1  I feriti sono undici volteggiatori, dieci granatieri, tre elementi del I battaglione : uno ciascuno della seconda, quinta e sesta compagnia ; undici sono del ii battaglione, così distribuiti : tre della prima compagnia, uno della seconda, tre della terza, uno della quinta e due della sesta. Seguono due gendarmi e un soldato della compagnia dei Fuori Rango. 2  Ugolini nella sua opera afferma che gruppi di disertori svizzeri erano fuggiti nella zona di Arezzo, portando con sé il bottino raccolto nel saccheggio di Perugia e avevano dato il via a continui scontri con la popolazione locale e con gli esuli perugini. A tal proposito R. Ugolini, op. cit., p. 215.  





pier tullio lauri

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1° Reggimento estero Prima categoria La bandiera del reggimento : le compagnie Volteggiatori del 1°e 2° battaglione, nonché la compagnia Granatieri.  

Nomi

Gradi

Osservazioni

Cropt Luciano

Tenente Colonnello

Ha dato prova di coraggio ed attività esemplare, sempre alla testa della truppa ed esponendosi senza riguardo al fuoco del nemico ha saputo animarla per il suo esempio. Per la sua energia ha indotto l’artiglieria di far il suo dovere.

Dupaquier Costantino

Maggiore

Jeannerat Giuseppe

Maggiore

Essendo comandanti delle due colonne d’attacco hanno per la loro puntualità nell’eseguire gli ordini ricevuti, nonché per il valoroso contegno e la loro circospezione contribuito altamente al buon successo.

Petzelli Francesco

Capitano

Britschogi Melchiorre

Capitano

De Lavallar Eugenio

Capitano

Alla testa della seconda colonna fu colla sua Compagnia uno dei primi sulle mura del portone di San Pietro sotto un fuoco micidiale degl’insorti, animando colle parole e gesti i suoi bravi granatieri.

Goeldliv Leanzio

Capitano

Ha dato saggio di gran valore, ha respinto il primo gli insorti, ritirati nella fortezza e si è impossessato così del corpo e della parte principale della città.

La bella condotta delle due compagnie di Volteggiatori dispensa di far elogio dei loro comandanti. Furono i primi sulle mura e barricate della città dopo aver già respinto i tiraglioli nemici, furono sempre alla testa della colonna, mostrarono un coraggio ed attività esemplare. Britschogi fu ferito gravemente da tre palle. Per la buona riuscita del loro primo attacco hanno altamente contribuito al successo.

schmid e il i reggimento estero contro perugia De Maistzer Eugenio

Tenente

Crufer Fedele

Tenente

De Clossmann Giorgio

Tenente

Stoeklin Fortunato

Tenente

Staub Giuseppe Clivar Eraldo Rufsel Francesco

Tenente Sottotenente Sottotenente

Epp Domenico

Sottotenente

Devorschek Rodolfo

Capo banda

Hefner Ferdinando

Sottufficiale

Crufer Carlo

Sottufficiale

Bovon Alessandro

Sottufficiale

Richard Luigi Bifrgig Giuseppe Bendeli Giuseppe Hofstetter Giacomo Weindel Giuseppe Egloff Enrico

Sergente Maggiore Sergente Maggiore Sergente Maggiore Sergente Maggiore Foriere Foriere

99

Si è distinto all’assalto del Convento di San Pietro in cui una parte degl’insorti era rinchiuso e nutriva un fuoco vivissimo contro i Volteggiatori che si trovavano tra due fuochi nei giardini del convento. Furono uccisi molti insorti e una gran parte fatta prigioniera. Pieno di coraggio in mezzo delle palle nemiche che piovevano dalla Porta di San Pietro avanzò, fu ferito gravemente ad un piede nella strada di San Pietro. Hanno dato prova di gran sangue freddo ed energia slanciandosi colle loro Compagnie verso le barricate e più tardi cercando di ritenere la ferocia dei soldati dal saccheggio. Staub ha assunto il comando della Compagnia dopo la ferita del sig. Capitano Britschogi. Tutti e tre sempre alla testa delle loro prodi Compagnie hanno dato esempio di valore ed intrepidità. Era sempre lì dove il pericolo era il più grande e ha altamente coadiuvato il suo capitano De Lavallar. Era [Devorschek] sempre alla testa della colonna e col capitano Goeldliv e tenente Staub uno dei primi sul forte, più tardi contribuiva efficacemente a reprimere la devastazione e a impedire il saccheggio, come pure gli altri aiutanti che hanno fatto bella prova di valore e coraggio. Bovon piantò la bandiera del Reggimento sulle mura al posto dello stendardo tricolore. Hefner si prestò molto efficacemente per togliere la prima barricata onde aprire l’ingresso nella città all’artiglieria. Questi sottufficiali sempre animando i loro dipendenti erano infaticabili, mostrarono un valore ed attività esemplare slanciandosi sempre avanti alla testa delle loro Compagnie.

100

pier tullio lauri

Teufel Floriano

Sergente

Sempre esposto al fuoco salvò il ferito tenente Crufer che portò fuori del combattimento fra mezzo di palle nemiche.

Gregoire Leopoldo

Caporale

Baeclar Giovanni

Comune

Hanno per il loro coraggio contribuito alla presa del Convento di San Pietro insieme al tenente De Maistre.

West Antonio

Tamburo

Rio Giuseppe

Tamburo

Grandjean Giuseppe

Sergente Maggiore

Briantz Augusto

Sergente

Lötscher Giuseppe

Caporale

Tanno Adamo

Caporale

Lengen Ambrogio

Caporale

Michant Federico

Caporale

Oberson Pietro

Volteggiatore

Huensli Giuseppe

Volteggiatore

Bouquet Enrico

Volteggiatore

Billonel Teodoro

Volteggiatore

Lzebez Coriolano

Volteggiatore

Lovag Guglielmo

Volteggiatore

Risse Giovanni

Volteggiatore

Lüschez Giacomo

Volteggiatore

Springer Guglielmo

Volteggiatore

Imboden Filippo

Sergente

Bazzar Pietro

Comune

Pizzon Giovanni

Tromba

Windepot Mercurio

Tromba

Odezmatt Giovanni

Tromba

Weinnar Teodoro Guglielmo

Tromba

Levaur Filippo

Tromba

Federer Giovanni

Tromba

Schoenenberger Carlo

Tromba

Sempre alla testa della truppa hanno instancabilmente battuto la carica animando così gli assalitori. Questi bravi volteggiatori furono i primi al fuoco, per il loro impeto hanno sloggiato gli insorti dalle posizioni le più avanzate, hanno i primi assalito le mura a barricate, il sergente maggiore Grandjean ha preso uno stendardo, Oberson era il primo sulle mura impadronivasi del primo vessillo degli insorti. Huensli era il primo sulle barricate del forte. Le trombe suonavano costantemente la carica, il sergente Briantz riportò quattro gravissime ferite.

schmid e il i reggimento estero contro perugia Mockel Francesco

Tromba

Tzoger Benedetto

Tromba

Gendze Luigi

Tromba

Pzejerski Giuseppe

Tromba

Wellauer Pietro

Comune

101

Sonosi maggiormente distinti nei diversi assalti per la loro intrepidezza ed il loro coraggioso procedere.

Ha salvato per il suo coraggio una famiglia americana nella Locanda di Francia facendo scudo del suo corpo contro i compagni assalitori infuriati della resistenza trovata in questo sito.

Gendarmeria Minelli Giuseppe

Gendarme

Cavalieri Paolo

Gendarme

Carassai Eugenio

Gendarme

Poletti Antonio

Gendarme

Carletti Angelo

Gendarme

Politi Francesco

Gendarme

Presero parte al combattimento ed in parte si distinsero per le cure somministrate ai feriti.

Finanza Leoni Carlo

Capitano

Si distinse per l’ardore ed il zelo con cui somministrava tutte le informazioni occorrenti per l’attacco della città, e dopo l’ingresso era per la sua conoscenza della località di somma utilità. È un uomo sicuro, energico pieno di devozione e attaccamento al Governo.

De Magistris Francesco

Sergente

Rossini Tito

Comune

Casalini Angelo

Comune

Furono tra i primi alla barricata sotto l’arco del Frontone e hanno preso parte vivissima al combattimento

Finalmente sono nel dovere di fare i più vivi elogi al contegno del sig. Sottintendente Monari il quale marciando sempre colla colonna per le sue premurose ed eccellenti disposizioni ha saputo provvedere a tutti i bisogni della truppa e così per il suo zelo e le sue cure ha contribuito efficacemente al buon successo della spedizione.

102

pier tullio lauri Seconda categoria

Bosshardt Giuseppe

Capitano

Baselgior Giuseppe

Capitano

De Mortillet Alessandro Capitano Segessar Enrico

Capitano

De Brackel Engilberto

Capitano

Brügger Federico

Capitano

Delpach Giovanni

Capitano

Diede saggio di gran valore nell’assalire e seppe contribuire a rimettere l’ordine e la disciplina dopo il combattimento. Tutti questi ufficiali hanno dimostrato un coraggio personale, un’attività ed energia ammirabile, per il loro contegno seppero animare il valore della truppa per la loro prudenza evitarono danni e più e poterono ristabilire i vincoli di disciplina ed ordini, sciolti un momento per la ferocia del combattimento

De Stockalper Maurizio Capitano De Mervausc Ernesto

Tenente

Roth Giovanni / Cropt Camillo

Tenenti

Zeitter Ferdinando

Porta bandiera

Hefner Massimiliano

Sergente Maggiore

Wasesch Sebastiano

Sergente Maggiore

Oberson Giacomo

Sergente Maggiore

Von Finsten Carlo

Foriere

Von Löwenthal Augusto Sergente Leubin Giuseppe

Sergente

Auderset Giacomo

Foriere

Ulrich Giuseppe

Sergente

Con gran premura ha disimpegnato il suo servizio d’incaricato per gli equipaggi. Sottufficiali che hanno preso la parte più attiva al combattimento e sonosi sotto ogni rapporto particolarmente disitintisi.

schmid e il i reggimento estero contro perugia Bugnard Gaspare

Tamburo

Fassnacht Francesco

Granatiere

Lambert Leopoldo

Granatiere

Hettersdort Federico

Granatiere

Paccart Pietro

Granatiere

Jacquet Giovanni

Comune

Limmont Stefano

Comune

Merjlan Giuseppe

Comune

Guezin Pietro

Comune

Pedrazzini Augusto

Comune

Panchaud Ernesto

Caporale

Liazdet Antonio

Caporale

De Pfeil Ugo

Caporale

Tschopp Carlo

Tamburo

Cordiviola Pietro

Comune

Graneuf Martino

Comune

Berlez Augusto

Comune

Aebischez Martino

Comune

Hans Andrea

Comune

Laembe Luigi

Comune

Joly Eugenio

Comune

Cardinausi Giuseppe

Caporale

Lottaz Ferdinando

Caporale

Romain Pietro

Comune

Iaccard Luigi

Comune

Schaefli Giacomo

Comune

Merz Ferdinando

Comune

Schmid Giuseppe

Comune

Kisslinger Antonio

Tromba

Jollet Giuseppe

Tromba

Bruhi Giuseppe

Comune

Müller Emilio

Sergente

103

Tutti questi bravi soldati sonosi particolarmente distinti per l’uno o un altro fatto di bravura, di coraggio e d’umanità.

Come i precedenti.

Era sempre in mezzo del fuoco e somministrò con singolare coraggio ed ardore le sue cure ai feriti.

pier tullio lauri

104

Debbo menzionare i Sig.ri cappellani, che non soltanto si trattenevano presso l’ambulanza, ma anzi avanzavano fino nei primi ranghi dei combattenti incoraggiando per il loro esempio i soldati. Anche gli Ufficiali Sanitari meritano una menzione onorevole ma anzitutto i Sig. dottori e dottorini Achille ed Isidoro Vincenzi medici primari della città, che soccorrevano dopo il combattimento con premura e zelo esemplare coi mezzi dell’arte i poveri feriti. Artiglieria Channez Giovanni

Maresciallo

Moschini Giovanni

Maresciallo

Mechler Giovanni

Brigadiere

Sernadei Antonio

Brigadiere

Cipolletti Luigi

Artificiere

Sonosi condotti con energia e coraggio e hanno preso parte al combattimento.

Gendarmeria Mazzotta Pietro

Capitano

Rizzoli Giovanni

Gendarme a piedi

Chiarlandin Vincenzo

Gendarme a piedi

Beccacci Pietro

Gendarme a piedi

Pugliesi Fortunato

Gendarme a piedi

Come sopra.

Finanza Rizzi Francesco

Caporale

Fionini Decio

Comune

Luzi Nicola

Comune

Giuliucci Domenico

Comune

Come sopra.

Perugia, lì 26 giugno 1859 Il Generale Comandante il Corpo d’operazioni Anton Schmid

schmid e il i reggimento estero contro perugia

105

Lista suppletoria

Nomi

Gradi

Bosshardt Giuseppe

Capitano St. magg.

De Brackel Engilberto

Capitano

Brugger Federico

Capitano

Monari Giuseppe

Sottintendente militare

Lederger Ignazio

Capitano St. magg.

De Werr Augusto

Tenente

Kaiser Carlo

Sottotenente

Siegerart Alfredo

Chirurgo maggiore

Kaiser Francesco

Chirurgo maggiore

Forti [senza nome]

Capitano del Genio

Osservazioni Questi tre capitani essendo già fregiati dell’Ordine di San Gregorio ad ai quali nuovamente viene conferita la stessa decorazione vengono proposti per qualche altro ordine. Nel mio gran rincrescimento ho veduto, che malgrado da me nel mio primo stato fu classificato nella prima categoria dei distinti, dalla Superiorità non fu preso in considerazione. Gli eccellenti servizi che quest’ufficiale energico e attivo ha reso durante la marcia della colonna d’operazione e dopo l’ingresso in Perugia, lo rendono meritevole di esser posto nei primi ranghi dei premiati e pregherei di conferirgli una decorazione corrispondente. Ufficiali che sonosi particolarmente distinti, il primo come comandante della riserva, il secondo all’attacco della posizione presso la Locanda di Francia, l’ultimo all’assalto del convento di San Pietro. Hanno somministrato le maggiori cure possibili ai feriti non solamente militari ma anche borghesi, durante il combattimento e nella notte seguente e hanno contribuito altamente che il maggior numero dei feriti è già guarito ed in rapida convalescenza. Ha spiegato gran zelo per accasermare la truppa, assisteva al combattimento colla riserva, è un uomo di somma devozione al Governo.

pier tullio lauri

106 Khomale Giuseppe

Sergente maggiore

Cordore Dionigio

Sergente maggiore

Gehrig Alfredo

Foriere

Müller Guglielmo

Sergente

Vetter Giuseppe

Sergente

Dedeley Giuseppe

Sergente

Guinaur Egidio

Caporale

Stempfel Giovanni

Caporale

Schwarz Guglielmo

Caporale

Platz Corrado

Granatiere

Thomet Giovanni

Comune

Imboden Ildebrando

Comune

Delavis Alessandro

Comune

Tutti questi sottufficiali, caporali e soldati sonosi particolarmente distinti per qualche atto di bravura d’umanità od altro, sia che furono tra i primi agli assalti, o che hanno contribuito a salvare individui inermi e proprietà d’altri sia che hanno per il loro esempio ristabilito l’ordine, ed aiutato i feriti, sarebbero dunque a mettere nella prima classe dei premiati.

Weingärtner Guglielmo Sergente maggiore Morard Giuseppe

Sergente

Morard Francesco

Sergente

Schumacher Giuseppe

Comune

Wedder Giusto

Comune

Rietschi Stefano

Comune

Ulrich Benedetto

Comune

Rej Giuseppe

Comune

Jeannot Francesco

Comune

Casadio Luigi

Sottotenente Finanza

Come sopra, sarebbero d’aggiungersi alla seconda classe dei premiati.

della Proposto dal capitano di sua Arma per medaglia, per il suo zelo e la sua devozione, cioè essendo già fregiato della medaglia benemerenti in argento di piccola dimensione per l’altra di media dimensione.

Perugia, lì 24 luglio 1859 Il Generale Comandante Militare Anton Schmid

IL XX GIUGNO VISTO DA TORINO Gian Biagio Furiozzi

T

orino rappresenta un punto d’osservazione importante, direi privilegiato, dei fatti perugini del 20 giugno 1859. In questa sede, intendo esporre brevemente l’atteggiamento di Cavour, della stampa, degli esuli politici residenti nella capitale piemontese, e infine di Vittorio Emanuele. Per quanto riguarda Cavour, il giudizio storico lo ha spesso rappresentato in una veste assai poco positiva, accusandolo di avere abbandonato i patrioti perugini al loro destino nella fase iniziale dell’insurrezione e, dopo il saccheggio della città, di avere strumentalizzato oltre misura l’avvenimento per fini politici, attribuendogli, in sostanza, la doppia colpa del tradimento e del cinismo. 1 Un esame attento e criticamente condotto degli avvenimenti porta però ad escludere che il primo ministro del Regno di Sardegna sia stato un traditore o un cinico. Lo ha del resto ben dimostrato Romano Ugolini nel suo fondamentale lavoro di parecchi anni orsono, basato su una documentazione vastissima e che ha tenuto conto del contesto internazionale nel quale la vicenda perugina si svolse e dalla quale fu condizionata. 2 Certo, il sentimento dell’”abbandono” fu chiaramente espresso nel drammatico messaggio che gli insorti perugini inviarono il 16 giugno al presidente del Governo provvisorio di Firenze Boncompagni, perché intervenisse su Cavour : “Ci hanno detto di mandare dei volontari in Piemonte e poi in Toscana e lo abbiamo fatto ; ci hanno detto di sollevarci al momento giusto e lo abbiamo fatto (…). L’operazione è stata condotta con equilibrio e con assoluta tranquillità. Ed ora perché siamo abbandonati ?”. 3 Ma in verità, secondo Ugolini, nessun appunto può essere mosso a Cavour, che stava combattendo una battaglia di più ampia porta 











1  Si veda ad esempio A. Montesperelli, Perugia nel Risorgimento 1830-1860, Perugia, 1959, pp. 59-62. 2  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, 1973. 3  In L. Radi, 20 Giugno 1859. L’insurrezione e il sacrificio di Perugia nelle vicende diplomatico-militari del Risorgimento, Assisi, 1998, pp. 127-128.

gian biagio furiozzi 108 ta, che certo non poteva illustrare con dovizia di particolari a tutti i suoi lontani interlocutori : evitare, cioè, che le truppe di Napoleone III avessero la giustificazione per occupare il territorio pontificio. 1 D’altra parte, aggiunge, l’ordine generale d’insurrezione provenne da Bologna, anche se quel comitato prendeva formalmente ordini da Torino. Si può parlare, semmai, di “una carenza di collegamenti” tra Firenze e Perugia, anche se, al di là di ciò, va confermato il giudizio del “sacrificio di Perugia sull’altare di interessi di ben altra portata”. 2 Come ha sottolineato il Ghisalberti in occasione del centenario dei fatti del 20 giugno, è vero che i perugini, da Torino, “non hanno avuto altro che incoraggiamenti”, ma essi “sono abbandonati a se stessi perché, Plombières da un lato, il trattato d’alleanza del gennaio dall’altro lato, (…) impediscono qualsiasi permesso agli Italiani di venire oltre la linea del Po, le Legazioni e la Romagna”. 3 Se un responsabile deve essere indicato, questi fu semmai il Gualterio, pervaso di eccessivo ottimismo e accusato, da più parti, di aver fomentato l’insurrezione anzitempo. Ma, anche a lui, vanno concesse delle attenuanti, poiché, come ha osservato Narciso Nada, quando Cavour si vide costretto dalle circostanze a rinunciare ad una espansione del moto rivoluzionario al di là delle Romagne, Gualterio, per tutta una serie di contrattempi e di equivoci, non ne fu informato a tempo e non poté quindi avvisare tempestivamente i perugini, i quali insorsero e poi si trovarono isolati, dovendo “affrontare da soli la furia dei reparti svizzeri al servizio del Papa”. 4 Cavour, forzando la stessa volontà di Vittorio Emanuele II, era partito con l’intento di creare le condizioni di un intervento nello Stato pontificio necessitato da una serie di insurrezioni interne : da Bologna all’Umbria e alle Marche. 5 Anche la Società Nazionale spingeva in  













1  Sui motivi per i quali, da parte sua, Napoleone III non era disposto a consentire la creazione di uno Stato italiano troppo vasto, soprattutto a danno del Papa, si veda A. Omodeo, L’età del Risorgimento italiano, Premessa di G. Pugliese Carratelli, Napoli, 1996, pp. 436-437. 2  R. Ugolini, Filippo Antonio Gualterio da Gregorio XVI a Cavour, in N. Nada-V. Pacifici-R-Ugolini, Filippo Antonio Gualterio, Perugia, 1999, p.64. 3  A.M. Ghisalberti, Il xx giugno a Perugia, « Belfagor », xiv, 1959, p.731. Sul mancato intervento dei reparti del generale Mezzacapo, stanziati in Toscana, si sofferma R. De Cesare, Roma e lo Stato del Papa, i, Roma, 1907, pp. 365 segg. Anche secondo Rosario Romeo, “a questa opposizione francese va attribuita in grande misura la rinuncia, da parte delle forze piemontesi e non piemontesi guidate da Cavour, alla riconquista di Perugia” (R. Romeo, Cavour e il suo tempo (1854-1861), iii, Roma-Bari, 1984, p. 565). 4  N. Nada, Profilo biografico di Filippo Antonio Gualterio, ivi, p.18. 5  Secondo Degli Azzi, Cavour avrebbe voluto “intervenire risolutamente e diretta 



il xx giugno visto da torino 109 questo senso. Fino al giorno 20 egli sperava che si potessero mettere le potenze europee di fronte al fatto compiuto di una annessione di Marche e Umbria al Regno di Sardegna. Per questo, inviò d’urgenza Costantino Nigra da Napoleone III. 1 Lo stesso Pio IX era del resto convinto che l’ispiratore di quelle insurrezioni fosse Cavour, sulla cui testa arrivò ad invocare – per questo – “il fulmine di Dio”. 2 Ma intervennero alcuni fatti nuovi : il rischio concreto di un intervento diretto dell’esercito francese in difesa dell’integrità dello Stato pontificio ; la determinazione fortissima della S. Sede di schiacciare l’insurrezione dei perugini ; infine, i dubbi sulla reale capacità di resistenza da parte di questi ultimi. Del resto, va detto che in quel mese fatidico Cavour si trovò obbligato a rinunciare anche ad un progetto d’insurrezione in Sicilia, prospettatogli da Giuseppe La Masa con modalità che anticipavano di un anno la Spedizione dei Mille. 3 Come ha osservato Umberto Marcelli, se fino a poche settimane prima l’iniziativa del primo ministro piemontese si svolgeva per così dire “a raggiera, in tutte le direzioni possibili”, poi egli dovette concentrarsi in una sola direzione, quella segnata dalle esigenze di una guerra franco-sarda contro l’Austria ; guerra “condizionata nel suo successo dal restare chiaramente circoscritta nello spazio, e, lo si vide assai presto, anche nel tempo”. 4 Secondo un recente biografo cavouriano, Michele Ruggiero, il primo ministro piemontese avrebbe addirittura offerto il possesso di Pe 















mente nei moti dello Stato pontificio” (G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, Perugia, 1909, p.298). Documenta assai bene il pensiero di Cavour a questo proposito quanto egli scrisse a Giuseppe La Farina nel febbraio dell’anno successivo : “Il voler fare assegnamento solo sulla diplomazia è cosa assurda, non potendo essa riconoscere uno stato di cose, che riposa sulla distruzione di troni cosiddetti legittimi, se non come fatti compiuti” (in N. Bianchi, Il conte Camillo di Cavour. Documenti editi e inediti, Torino, 1863, p. 81). 1  Per i rapporti tra Cavour e Napoleone III in quelle settimane si veda H. Hearder, Cavour. Un europeo piemontese, Roma-Bari, 1994, pp. 169-174. Più in generale, G. Del Bono, Cavour e Napoleone III, Torino, 1965 e L. Chiala, Politica segreta fra Napoleone III e Cavour, Torino, 1895. 2  Ne siamo informati da quanto scriveva Diomede Pantaleoni al Salmour il 18 giugno 1859 : “Il Papa ha fatto due o tre tirate, una più scomposta dell’altra, contro colui che, colpito dagli anatemi della Chiesa, ha provocato il sacrilegio dell’insurrezione delle nostre province, e ha predetto che il fulmine di Dio cadrà sulla sua testa” (Carteggio CavourSalmour, a cura della R. Commissione Editrice, Bologna, 1936, pp. 256-257). Secondo il Pantaleoni, il Papa non si riferiva né a Napoleone III né a Vittorio Emanuele II, ma per l’appunto a Cavour. 3  Cfr. U. Marcelli, Giuseppe La Masa e la prima idea della Spedizione dei Mille, in Id., 4  Ivi, p. 253. Studi sul Risorgimento, Bologna, 1976, pp. 247-254.  



gian biagio furiozzi 110 rugia e di Ancona al Regno delle Due Sicilie, in cambio di una sua alleanza con il Piemonte nella guerra in corso contro l’Austria. Proposta che sarebbe stata respinta da Francesco II nonostante “il parere favorevole di Filangieri”. 1 L’autore in questione non cita la fonte di queste notizie. Probabilmente, egli si è riferito – in modo impreciso – a quanto scrisse a suo tempo Raffaele De Cesare nel famoso libro La fine di un Regno,il quale, peraltro, attribuì questa proposta non a Cavour ma a Napoleone III. Secondo De Cesare, l’inviato del conte a Napoli, De Salmour, ne avrebbe parlato con il primo ministro di Francesco II il quale, in stretto dialetto napoletano, gli avrebbe risposto esterrefatto : “Ma questa è roba del Papa !”. Sempre secondo De Cesare, il Salmour avrebbe accennato della cosa ad alcuni amici e riferito l’esito degli incontri a Cavour, in un rapporto che sarebbe andato però perduto. 2 In realtà, in nessun documento, ufficiale o confidenziale, si parla espressamente di Perugia o di Ancona come contropartita di una eventuale alleanza. Tra le carte Salmour di Torino è però conservato un appunto anonimo, e attribuito dai curatori del carteggio CavourSalmour all’esule napoletano Antonio Scialoia, contenente il suggerimento di introdurre nell’eventuale accordo di alleanza “una qualche clausola, la quale senza contenere alcuna promessa determinata, lasciasse aperta la speranza a qualche compenso puramente materiale, in premio della partecipazione di Napoli alla guerra”. 3 Nel rapporto confidenziale inviato a Cavour il 21 giugno, il Salmour lo informava che il ministro degli Esteri Filangieri aveva respinto l’offerta, affermando che egli “non aspirava ad alcun ingrandimento di territorio, che non poteva attuarsi che a danno del Papa”, e che, d’altra parte, ciò avrebbe ripugnato “alla sua coscienza e ai suoi principi religiosi”. 4 Perugia, dunque, così come Ancona, non viene mai nominata. E in ogni caso, considerata la nota posizione di Napoleone III rispetto allo smembramento dello Stato pontificio, ogni proposta in tal senso sarebbe stata comunque irrealizzabile. Quanto all’atteggiamento cavouriano dopo la tragica conclusione dei fatti, la sua reazione immediata è stata consegnata alla storia da  











1 M. Ruggiero, Cavour e l’altra Italia, Milano, 1997, p. 299. La notizia di questa supposta offerta cavouriana è stata ora ripresa anche da A. Petacco, Il Regno del Nord. 1859 : Il sogno di Cavour infranto da Garibaldi, Milano, 2009, pp. 138-140. 2  R. De Cesare, La fine di un Regno, Milano, 1969, p. 560. 3  Carteggio Cavour-Salmour, a cura della Commissione editrice, Bologna, 1961, p. 229. 4  Ivi, p. 266.  

il xx giugno visto da torino 111 una rivelazione di Giuseppe Massari, secondo cui il conte, alla notizia del saccheggio, avrebbe detto : “ Meglio il Papa carnefice che martire”. 1 Ammesso tuttavia che queste parole siano state effettivamente pronunciate, esse vanno considerate per quello che sono : uno sfogo privato e del tutto confidenziale, un momento di rabbia non contenuta, esploso nell’immediatezza di un avvenimento sconvolgente per la sua ferocia e per essere stato commissionato dal capo stesso della Chiesa cattolica. Del resto, lo stesso Massari scrisse a Bettino Ricasoli che la notizia di Perugia aveva fatto “molta impressione” sul conte di Cavour, provocandogli un violento moto di sdegno e d’ira. Solo in un secondo momento subentrò in lui la percezione che la vittoria militare degli svizzeri si risolveva, nei fatti, in una tremenda sconfitta politica e morale dello Stato pontificio. 2 E, sul piano politico, Cavour fece pubblicare un breve resoconto degli avvenimenti di Perugia sul “Bollettino Ufficiale di Guerra” del 22 giugno. Soprattutto, egli si adoperò per trasformare la giornata del 20 giugno “in un capo d’accusa contro il malgoverno pontificio”, dando ad essa ampia pubblicità a livello mondiale e contribuendo a creare, come ha scritto sempre Ugolini, “quel mito delle stragi, destinato ad avere grande peso nel rafforzamento e nella generalizzazione della convinzione che il potere temporale era destinato a scomparire”. 3 Anche se possiamo dire che, quasi certamente, gran parte delle reazioni internazionali, in Europa e nel mondo, vi sarebbero state ugualmente, soprattutto nei Paesi protestanti che, da qualche decennio ormai, come ha documentato Giorgio Spini, seguivano con attenzione e con apprensione le notizie provenienti dallo Stato pontificio, dopo i fatti del 1831 e, soprattutto, dopo quelli del 1848-49. 4 Certo è, ad ogni modo che, per quelle stragi, Cavour depose – è stato osservato – “la vecchia idea di limitare le annessioni al Rubicone e gli eventi posteriori non fecero che confermarlo in questa mutata risoluzione”. 5 A titolo di curiosità, va detto che quando, dopo la liberazione di  













1  G. Massari, Diario dalle cento voci. 1858-1860, a cura di E. Morelli, Bologna, 1959, pp. 476-477. 2  Non per questo, tuttavia, si può arrivare a dire che egli finì “per considerarla positivamente” (A. Montesperelli, op. cit., p. 97). 3  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III…cit., p. 208. 4  Cfr. G. Spini, Risorgimento e protestanti, Milano, pp. 296-325. In particolare sull’atteggiamento dell’Inghilterra, M. De Leonardo, L’Inghilterra e la Questione Romana (18591870), Milano, 1980. 5  L. Bonazzi, Storia di Perugia dalle origini al 1860, a cura di G. Innamorati, con una nota di L. Salvatorelli, ii, Città di Castello, 1960, p. 482.

gian biagio furiozzi 112 Perugia avvenuta il 14 settembre 1860 il generale Schmid, accompagnato da un ufficiale piemontese e da un attendente, risalì la Penisola per rientrare in Svizzera, Cavour volle conoscerlo personalmente e lo ricevette a Torino. “Più debole che feroce, – è stato scritto – il vecchio soldato dovette promettergli di non rimettere più piede nel suolo italiano e di non tornare ad assumere incarichi militari sotto le insegne dello Stato Pontificio”. 1 Vasta risonanza ai fatti di Perugia fu data dalla stampa di Torino. Tra la fine di giugno e i primi di luglio, infatti, tutti i quotidiani dedicarono allo “Stato romano”, e alle vicende perugine in particolare, lunghi editoriali. Le prime notizie riguardanti la giornata del 20 apparse su un organo di stampa furono quelle pubblicate il 23 giugno sulla “Gazzetta piemontese”, giornale ufficiale del Regno sardo. In seguito, questo giornale continuò a dare informazioni sulle violenze subite dai cittadini perugini e a comunicare i primi bilanci dei morti e dei feriti, tanto nei combattimenti tra i difensori e la truppa pontificia, quanto dopo l’ingresso di questa in città. Una pubblicazione ufficiale non poteva spingersi troppo in là senza creare gravi incidenti diplomatici, ma Cavour contava sull’appoggio di altri organi di stampa che, non coinvolgendo direttamente il Governo, potevano dare la massima pubblicità agli avvenimenti perugini. Per esempio “L’Opinione”, il giorno dopo l’uscita del Bollettino di guerra sull’organo ufficiale, usciva con un lungo editoriale nel quale si parlava della “dolorosissima sensazione” destata dagli “eccidi” di Perugia, eccidi che si prevedeva avrebbero commosso il resto d’Italia e d’Europa. Il giorno successivo il giornale torinese attribuiva ai religiosi del convento di S. Domenico la responsabilità di avere aperto ai soldati pontifici la porta che immetteva nei loro orti per agevolarne l’ingresso in città, e pubblicava due lettere, l’una inviata da Perugia il 20 giugno e l’altra da Arezzo il giorno dopo, che rendevano con efficacia e in modo drammatico i momenti dell’assalto dato dal colonnello Schmid alla città. 2 Grande rilievo dettero ai fatti del 20 giugno i giornali piemontesi d’opposizione, come “Il Diritto” e “La Gazzetta del Popolo”. “Il Diritto”, giornale fondato da Lorenzo Valerio, esponente della sinistra  



1  L. Radi, op.cit., p. 177. 2  Un resoconto delle stragi apparve anche sull’“Unione” del 25 giugno (cfr. G. Degli Azzi, op.cit., p. 251).

il xx giugno visto da torino 113 nel Parlamento subalpino e futuro Commissario straordinario nelle Marche dopo la liberazione, il 26 giugno parlò della “nefandezza del fatto di Perugia in ordine agli Svizzeri”. Non diverso da quello del “Diritto” fu l’atteggiamento della “Gazzetta del Popolo”. Il 24 giugno troviamo un articolo di fondo dal titolo, di per se stesso indicativo, Massacri di Perugia, nel quale si affermava che “l’atroce saccheggio” era stato un fatto “pienamente gratuito”, dal momento che il Governo pontificio poteva contare sulla protezione accordatagli dall’imperatore francese. “La Staffetta”, a sua volta, il 24 giugno parlò di “un’altra pagina cruenta da aggiungere negli annali d’Italia !” e riferì di “violenze, arresti, fucilazioni, saccheggio della città per più ore, con uccisione di donne e di inermi” perpetrati “sotto il governo temporale del Vicario di Cristo”. 1 A difendere gli interessi pontifici c’era a Torino solo il giornale clerico-reazionario “L’Armonia”, il quale, in un articolo del 30 giugno dal titolo Finitela cogli orrori di Perugia, arrivò a negare gli eccessi della soldataglia e attaccò in modo così violento il Governo piemontese che fu sequestrato e processato, e il suo direttore condannato a due mesi di carcere. 2 Il terzo aspetto a cui vorrei accennare, è quello della reazione ai fatti del 20 giugno da parte degli esuli politici residenti a Torino. Infatti, se subito dopo quella drammatica giornata diversi patrioti perugini ripararono in Toscana (Cortona, Arezzo e Firenze soprattutto) e alcuni di essi, come Tiberio Berardi e Nicola Danzetta, da qui si recarono a Torino per prendere contatto con personalità politiche e diplomatiche, come l’ambasciatore inglese, 3 nella capitale  







1  Secondo Giovanni Spadolini, Pio IX avrebbe avuto l’unica colpa di aver “ceduto agli ambienti conservatori della Curia” (G. Spadolini, Pio IX e il 1859, “Nuova Antologia”, Giugno 1959, p. 160). La biografia più autorevole sull’ultimo Papa Re resta quella di G. Martina, Pio IX, Roma, 1985. 2  Questo giornale arrivò a paragonare la repressione avvenuta a Perugia con quella avvenuta a Genova nel 1849 ad opera dell’esercito sabaudo comandato dal generale La Marmora. Su questi articoli della stampa torinese si vedano R. Ugolini, Cavour e Napoleone III…cit, pp. 229-234 e G. B. Furiozzi, L’Umbria nel Risorgimento, Perugia, 2002, pp.47-49. Alcuni utili riferimenti in G. Degli Azzi, op. cit., pp. 284-290. Più in generale sui giornali torinesi nel decennio di preparazione, A. Galante Garrone-F. Della Peruta, La stampa italiana del Risorgimento, Roma-Bari, 1979, pp. 467-501. 3  Si veda a questo proposito R. Ugolini, Sull’esulato a Firenze nella seconda metà del 1859 : la Giunta superiore delle Marche e dell’Umbria, « Rassegna Storica Toscana », xxiv, 1978, n. 2, pp. 229-263. Sui collegamenti tra i patrioti riparati in Toscana e quelli residenti da più tempo a Torino si veda Id., Cavour e Napoleone III…cit., p. 313.  





gian biagio furiozzi 114 piemontese risiedevano da diversi anni migliaia di esuli provenienti da tutta Italia. 1 Molti di essi, fin dal 1851, avevano costituito una vera e propria società di mutuo soccorso, la Società dell’Emigrazione Italiana in Torino, basata sul principio della solidarietà reciproca : organizzava conferenze, forniva vestiario e medicine, gestiva una mensa a prezzi modici, favoriva la ricerca di un lavoro ai disoccupati, concedeva sussidi agli esuli bisognosi. Non aveva ufficialmente scopi politici, in quanto ne facevano parte persone di vario orientamento politico : dai repubblicani più accesi ai monarchici, dai rivoluzionari ai moderati. Erano rappresentate tutte le classi sociali, dai nobili agli operai. Il caso volle che, al momento dei fatti di Perugia, alla presidenza di questa Società vi fosse proprio un esule perugino, Ariodante Fabretti, eletto presidente nell’agosto del 1858. Per cui, nonostante il carattere apolitico di essa, previsto dallo Statuto, in questa occasione si fece una eccezione e l’avvenimento fu portato in discussione nel Consiglio. Il 30 giugno, dopo un’ampia discussione, fu approvata la seguente mozione proposta dal socio Felice Scifoni, esule romano : “La ‘Gazzetta del Popolo’ annuncia la costituzione di un Comitato per raccogliere offerte, onde dare la maggiore possibile pubblicità ai fatti di sangue e di barbarie commessi dai soldati pontifici nel riassoggettare Perugia al governo del Papa, e venire in aiuto dei tanti infelici, che per sfuggire la morte o la carcerazione sono stati costretti a emigrare. Non converrebbe a questa Società concorrere ad un atto, che mentre procurerà dei sussidi a nuovi emigrati, avrà pure lo scopo tutto Italiano di portare a conoscenza dell’universale dei fatti, che per la loro infamia non può a meno non convinchino sempre più l’Europa del mal-Governo del Papa, e della sua incompatibilità per la pace d’Italia ?”. 2 Il Consiglio, quindi, deliberò di consegnare 100 franchi al costituendo comitato. Il 3 luglio, però, lo Scifoni annunciò che questo comitato non fu più costituito, per cui l’offerta non poté essere consegnata e rientrò in cassa. 3 Restava comunque il fatto, abbastanza significativo, della presa di posizione ufficiale della Società dell’Emigrazione, ormai trasformatasi, anche se per poche settimane, da società di mutuo soccorso in attivo centro di iniziativa politica. Naturalmente il Fabretti, più di ogni altro, seguì con ansia gli av 













1  Cfr. G. B. Furiozzi, L’emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze, 1979. 2  Biblioteca Augusta Perugia, Ms. 2220-vi-37. 3  Ivi, Ms. 2220-vi-39.

il xx giugno visto da torino 115 venimenti della sua città. Il 29 giugno scrisse all’amico fraterno Annibale Vecchi : “I giorni d’inferno che ho passati in Torino sarebbero stati sopportati se mi fossi trovato tra i combattenti a difesa della terra natale. Povera Perugia ! Ma essa ha fatto il suo dovere, ha riscosso l’ammirazione d’Europa, fa correre da un capo all’altro del mondo civile il suo nome e i nomi dei suoi prodi o assassinati ; ha dato generosamente il sangue perché fecondi il gran concetto italiano. Evviva ai nostri martiri”. 1 Chiese ripetutamente ai suoi corrispondenti di Perugia notizie precise e dati esatti, allo scopo di preparare un resoconto dettagliato degli avvenimenti. “Desidero occuparmi – scrisse – per quanto posso a vantaggio del mio paese ; e, se non in altro, a distendere una compiuta relazione dei fatti”. Relazione che egli, con l’aiuto dello Scifoni, si proponeva di far pervenire al Cavour, il quale, peraltro, era già stato informato oralmente (è lo stesso Fabretti a farcelo sapere) dal Gualterio e dal Danzetta. 2 Nelle settimane successive anche Annibale Vecchi si rifugiò a Torino, contribuendo a sua volta alla raccolta di notizie particolareggiate sullo svolgimento dei fatti attraverso una fitta corrispondenza con i patrioti rimasti a Perugia, in particolare il Cherubini e il Sebastiani. 3 Nel complesso, dunque, gli esuli politici residenti nella capitale piemontese, sia quelli provenienti da Perugia che quelli originari di altre province dello Stato pontificio, sia quelli che vi si erano stabiliti prima dei fatti del 20 giugno, sia quelli che vi si recarono successivamente, fecero il possibile per fornire notizie, preparare resoconti, insomma per tenere desta l’attenzione dell’Italia e dell’Europa sulla vicenda perugina, in una fase cruciale del Risorgimento umbro e nazionale. Non fu forse molto, ma fu abbastanza per la situazione difficile in cui essi  













1  G. Degli Azzi, Di Annibale Vecchi e del suo carteggio politico, “Archivio Storico del Risorgimento Umbro”, i, 1905, n. 3, p. 177. 2  Cfr. ivi, pp. 178-179. Si veda anche G. B. Furiozzi, Ariodante Fabretti tra Mazzini e Garibaldi, Perugia, 1992, pp.16-17. Fabretti scrisse a suo padre che il barone Danzetta, giunto a Torino e saputo dal Gualterio della caduta di Perugia, avrebbe stranamente ingiunto ad altre persone presenti all’incontro di non rivelare la notizia a lui (cfr.F. Mazzonis, Divertimento italiano. Problemi di storia e questioni storiografiche dell’unificazione, Milano, 1992, p. 70). 3  Cfr. F. Bozzi, Annibale Vecchi. Le trame politiche, l’azione massonica, l’impegno civile, Perugia, 1991, pp. 31-34. Per quanto riguarda i resoconti di parte pontificia, si vedano G. Martina, Una relazione inedita sulle “stragi” di Perugia, « Rassegna Storica del Risorgimento », lv, 1968, pp. 461-464 e S. Magliani, Uno “storico succinto” sui fatti del giugno 1859. L’inchiesta pontificia di Giosuè Gorga sulla provincia di Perugia, in Id., (a cura di), L’Umbria e l’Europa nell’Ottocento, Roma, 2003, pp. 191-234.  



gian biagio furiozzi 116 si trovavano ad operare. Il loro impegno non fu inutile, e le loro speranze non avrebbero tardato a realizzarsi. Quanto all’atteggiamento di Vittorio Emanuele, va detto che egli, in genere, non faceva dichiarazioni pubbliche su fatti specifici, tenendo anche conto che, in quei mesi, era direttamente impegnato nelle operazioni militari. Ma egli scriveva molto, anche in quelle settimane convulse, dimostrando di tenersi aggiornato anche riguardo ai movimenti insurrezionali scoppiati nello Stato pontificio. Proprio il 20 giugno, egli scrisse a Urbano Rattazzi : “Cose straordinarie hanno luogo in Torino. Dopo il Toscano, l’affare Romano totalmente rovinato per imperizia. Sono obbligato di starne fuori”, soprattutto perché, aggiungeva, la Francia, a sua volta, era “obbligata per trattato a difendere la Santa Sede”. 1 E ne stette fuori anche dopo l’avvenuto saccheggio di Perugia, la cui notizia dovette giungergli quella sera stessa. Certo, egli poteva fare ormai assai poco. Ma forse poteva almeno dire qualcosa. Infatti scriveva spesso a Pio IX, per la verità più che per motivi politici, per implorare, con insistenza, l’apostolica benedizione (anche in considerazione del rischio della vita che la guerra in corso comportava) cosa che il papa subordinava, con altrettanta insistenza, ad un atto di pentimento e di contrizione per l’avallo dato a suo tempo dal Re alle leggi Siccardi, dirette a ridimensionare gli eccessivi privilegi della Chiesa cattolica in Piemonte. Ebbene, dall’ampio carteggio tra i due, non risulta alcun riferimento ai fatti di Perugia da parte del Re di Sardegna. 2 Eppure, quest’ultimo avrebbe ben potuto chiedere al suo corrispondente romano, magari di sfuggita, se anch’egli non avesse qualcosa da farsi perdonare da nostro Signore per quanto aveva ordinato di fare alle sue truppe in occasione di quel fatidico 20 giugno… Vittorio Emanuele, comunque, riparò a questa lacuna l’anno successivo, dimostrando di non aver dimenticato Perugia. I tragici fatti del 20 giugno 1859 furono addirittura inseriti, all’inizio di settembre del 1860, tra le motivazioni ufficiali della decisione del Regno di Sardegna di procedere alla spedizione nelle Marche e in Umbria. Infatti, la “Gazzetta Ufficiale” piemontese riferiva che “il Re, profondamen 





1  Il carteggio Cavour-Nigra dal 1858 al 1861. Vol. ii . La campagna diplomatica e militare del 1859, Bologna, 1961, p. 222. 2  Cfr. P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele dal loro carteggio privato, ii, La Questione romana 1856-1864, Parte ii . Documenti,Roma, 1951.

il xx giugno visto da torino 117 te commosso dallo stato di quelle popolazioni e dai pericoli loro, ne accettò la protezione, e ha dato ordine alle sue truppe d’entrare in quelle province a tutelarvi l’ordine, e impedire la rinnovazione dei fatti di Perugia”. 1 Così, quello che Romano Ugolini ha definito giustamente come “il sacrificio di Perugia” da parte del Governo di Torino, dovuto a cause di forza maggiore, non fu, tutto sommato, un sacrificio vano. Il torto, se torto vi fu, fu riparato quindici mesi dopo da quello stesso Governo che decise, anche in nome di quell’episodio, la liberazione delle Marche e dell’ Umbria. Da ultimo, vorrei accennare a due aspetti, collegati ai fatti del 20 giugno, che hanno interessato, in qualche modo, il Governo di Torino. Il primo si riferisce al famoso episodio della “rivolta delle bandiere”, ovvero all’ammutinamento, verificatosi il 7 settembre 1859, di due dei quattro reggimenti svizzeri di stanza a Napoli dopo che giunse notizia che il Governo elvetico aveva proibito, proprio a seguito degli avvenimenti perugini, l’inserimento degli stemmi cantonali sulle bandiere dei reggimenti. Decisione, questa, presa anche a seguito delle pressioni del Piemonte, interessato a minare dall’interno il Regno delle Due Sicilie. A seguito della rivolta, furono sciolti tutti e quattro i reparti, che contavano complessivamente 7.500 uomini, e furono ridotti a tre brigate più una compagnia di “veterani”, causando un evidente indebolimento della forza d’urto dell’esercito di Francesco II. 2 Adolfo Omodeo ha scritto che dall’ammutinamento l’ordinamento militare napoletano “ricevette una grave scossa”, in quanto i reggimenti svizzeri costituivano “il nerbo della forza militare”. 3 Anche secondo Alfonso Scirocco, la monarchia borbonica “restò priva del più sicuro sostegno”. 4 E se ne videro gli effetti al momento della battaglia del Volturno. Il secondo aspetto si riferisce ad una pressante raccomandazione rivolta al Governo piemontese dal Commissario straordinario per l’Umbria Gioacchino Napoleone Pepoli nella sua Relazione conclu 







1  Quanto a Vittorio Emanuele II, va aggiunto che, quando il 22 novembre successivo i rappresentanti di Perugia gli consegnarono i risultati del plebiscito, li accolse con queste parole di saluto : “Onore alla città del 20 giugno !” (in G. Degli Azzi, op. cit., p. 286). 2  Cfr. C. La Rosa, Gli Svizzeri nell’esercito napoletano (1734-1861), « Brigantino-Portale del Sud », Luglio 2008 e L. Del Boca, Maledetti Savoia, Casale Monferrato, 2005, pp. 66-67. 3  A. Omodeo, op. cit., p. 444. 4  A. Scirocco, L’Italia del Risorgimento. 1800-1860, Bologna, 1990, p. 401.  







gian biagio furiozzi 118 siva, tendente a sollecitare la creazione di una efficiente Guardia Nazionale, motivandola proprio con quanto accaduto a Perugia il 20 giugno. “Le recenti gesta delle truppe mercenarie al servizio del Papa – scriveva il Pepoli – mostrano l’urgenza di provvedere a questo sconcio, e il dovere di non lasciare più a lungo senza armi dei cittadini che non domandano che di combattere per il Re e per la patria”. 1 Egli, da parte sua, decise la ricostituzione della Guardia Nazionale di Perugia, provvedendo nel contempo all’ acquisto di 10.000 fucili. Non è da escludere che questa decisione, e la connessa sollecitazione perché essa fosse estesa a tutto il territorio nazionale, possa avere avuto una qualche influenza nella decisione, da parte del Governo di Torino, di procedere, nella primavera del 1861, alla ricostituzione, anche se su nuove basi, della Guardia Nazionale. 2 Rosario Romeo ha scritto che l’insurrezione perugina “si concluse con un grave insuccesso per i liberali”. 3 Ora, se questo è senza dubbio vero nell’immediato, non si può negare che essa produsse, nel medio periodo, alcuni non del tutto trascurabili effetti positivi.  





1  G.N. Pepoli, Relazione al Consiglio dei Ministri sul Governo tenuto nell’Umbria, Torino, 1861, pp. 70-71. 2  Sulla quale si veda E. Francia, Le baionette intelligenti. La Guardia Nazionale nell’Italia 3  R. Romeo, op. cit., p. 551. liberale (1848-1876), Bologna, 1999.

L’eco del XX giugno nelle pagine de « La Nazione »  



Francesco Ghidetti

P

rima di entrare nel merito dell’oggetto della mia ricerca – vale a dire il rapporto che il giornale ebbe con le stragi di Perugia del 1859 – credo sia necessario fissare alcuni paletti di discussione per comprendere meglio il contesto in cui « La Nazione » muoveva i suoi passi. I punti da affrontare sono essenzialmente tre. Il primo attiene all’attenzione che il giornale riserva alle stragi. « La Nazione » – di cui nel 2009 abbiamo festeggiato i 150 anni di vita – esce il 19 luglio del 1859, un martedì. In realtà, il 14 luglio, era stato stampato una sorta di “numero zero” formato mezzo foglio. Quindi, a distanza di circa un mese dalla crisi perugina. Anzi, se decretiamo la nascita ufficiosa del giornale, a un mese esatto dal principio della nostra storia che, inutile sottolinearlo – lo ha già fatto Romano Ugolini nella sua fondamentale opera su Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale 1 – non è storia locale, bensì nazionale e, soprattutto, europea. Nostro compito è quindi di cercare di capire il modo in cui vengono affrontati gli avvenimenti successivi al 20 giugno, l’eco e, soprattutto, le conseguenze dell’azione patriottica. Quello della « Nazione », per capirsi, non è affatto un punto di vista neutrale o da – come si usa dire – fatti separati dalle opinioni. Tutt’altro. E non solo per evidenti motivi politici, ma soprattutto per un sottile gioco diplomatico in cui il proprietario del giornale, vale a dire Bettino Ricasoli, è tra i protagonisti assoluti. Ricasoli è il politico potente, Ricasoli controlla una fetta fondamentale dell’informazione. Ricasoli aveva tutto l’interesse, non solo per motivi suoi personali, acché la situazione non sfuggisse di mano, non degenerasse rischiando di compromettere tutto il quadro politico. In ballo, infatti, non ci sono solamente i destini dello Stato papalino, né solo quelli dell’Italia bensì le sorti della “sua” Toscana  













1  Romano Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1973. Un primo “assaggio” sull’argomento ci era stato servito da Ugolini con Perugia 1859. L’ordine di saccheggio, « Rassegna storica del Risorgimento », a. lix (1972).  



francesco ghidetti 120 e di tutta l’Italia centrale. Un atteggiamento “estremistico” avrebbe rischiato di far cadere tutto l’edificio ricasoliano. Detto questo, non si pensi che « La Nazione » abbia un atteggiamento cauto rispetto a Perugia. Né tantomeno moderato o conservatore. Il giornale ha un approccio estremamente, come dire, “ragionato”, “analitico”, attentissimo a registrare il più leggero battito d’ali e, al contempo, a inserire le pene sofferte dalla popolazione e le manovre di palazzo della corte papalina all’interno di un più vasto contesto europeo (e mondiale, visto il non indifferente ruolo degli Stati Uniti in tutta la vicenda). C’è poi da considerare un secondo punto, a mio avviso fondamentale. Infatti, si pone un problema di “qualità” dell’informazione. E credo di poter scrivere con ragionevole certezza che la qualità dell’informazione espressa dal foglio ricasoliano sia estremamente alta, specialmente per quel che riguarda Perugia. Ho cercato di risolvere un mistero, vale a dire chi fosse il corrispondente del giornale. Gli articoli, infatti, mostrano una capacità di analisi e di sintesi davvero straordinari. Hanno essi un alto valore letterario, ma ciò che veramente colpisce, al di là di tutta la retorica che sull’argomento spesso capita di fare, è la freschezza e modernità di linguaggio. Non solo : la scrittura, piana ed essenziale, mostra tutta la sua bellezza giornalistica. Uno studioso come Giustiniano Degli Azzi si pose anch’egli lo stesso problema. Uno studioso che, breve digressione, era andato a lavorare a Firenze all’Archivio di Stato (Archivio di Stato, guarda caso, che oggi ha la sua sede proprio davanti alla « Nazione »…) e che scrive quel volume, tra l’altro recentemente ristampato, 1 che è ancor’oggi, assieme ad altri contributi che non starò qui a ricordare perché già noti alla comunità scientifica, una pietra miliare sull’argomento. Proprio Degli Azzi, dunque, tenta di capire chi fosse il “coraggioso corrispondente” (parole sue). 2 Degli Azzi ha un vantaggio rispetto a noi : e cioè che alcuni dei protagonisti di quegli anni sono ancora vivi. Tra questi il celeberrimo e celebrato Alessandro D’Ancona, direttore della “Nazione” proprio nel biennio 1859-1860. Degli Azzi scrisse  















1  Giustiniano degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, Perugia, Stab. Tip. Bartelli & C., 1909 (l’anastatica curata dal Comune di Perugia di concerto con la tipografia Benucci e le edizioni Volumnia in occasione dei 150 anni delle “stragi” è la ristampa della ii edizione, datata Firenze 1 ottobre 1909). 2  degli Azzi, L’insurrezione... cit, p. 249n.

l ’ eco del xx giugno nella pagine de «la nazione» 121 a D’Ancona, ma questi gli rispose che, a tanti anni dagli avvenimenti, non si ricordava il nome del corrispondente (il volume di Degli Azzi esce, come accennato, nel 1909). Ma l’insigne storico della letteratura italiana non lascia completamente a bocca asciutta il Nostro. Lasciamo la parola a Degli Azzi che sostiene “duole non potere (…) registrar qui il nome del coraggioso corrispondente da Perugia della Nazione : ne facemmo chiedere allo illustre sen. Prof. Alessandro D’Ancona, ch’ebbe allora parte principale prima nella redazione e poi nella direzione di quel giornale, ed egli gentilmente ci fece rispondere aver a tanta distanza di tempo dimenticati molti di quei particolari, ma ricordare benissimo che molte delle comunicazioni sulle cose perugine, specialmente dopo le stragi, venivano alla Nazione per mezzo degli esuli perugini ‘e specialmente del prof. Cesare Ragnotti, del quale – aggiunge il D’Ancona – mi rammento bene anche perché, mezzo cieco, ogni volta che veniva in direzione, urtava col capo o colle spalle in qualunque spigolo’. Anche la Nazione fu proibita dal sospettoso Governo teocratico-militare, ma il Cherubini in una lettera al Vecchi ci assicura che ‘che ne era piena la città, clandestinamente’”. 1 Annotazione, quest’ultima, di sicuro interesse che mostra come la fame di notizie fosse particolarmente vivace e come i confini tra Stato Pontificio e Toscana non fossero poi così impenetrabili. Non è una notazione nuova, me ne rendo conto, ma certamente riveste un sicuro interesse perché assegna un ruolo di primo piano al nostro giornale nelle vicende politiche di quei mesi. Del resto, sulla diffusione dei giornali la bibliografa offre pregevoli e, per certi versi, definitivi saggi. Basti un esempio : in Toscana, specie tra Livorno e Pisa, faceva furore un giornale, il « Corriere Mercantile » pensato e stampato a Genova. Ovviamente non mi dilungherò su Cesare Ragnotti. Come spiegatoci da Ugolini, 2 egli fa parte del Comitato di esuli perugini a Firenze. Come noto, era presente sulla scena politica italiana anche un Comitato aretino e aveva un ruolo di primissimo piano nell’organizzazione che aveva dovuto scegliere la dolorosa via dell’esilio per non incappare nella repressione pontificia. Quindi, per ora, permane il mistero su chi fosse il “coraggioso corrispondente”. E ovviamente ci auguriamo che si faccia luce al più presto su questa curiosità un po’ erudita. Il terzo punto che vorrei analizzare potrebbe sembrare il più banale, eppure è il vettore che ci porta alla “polpa” della piccola ricerca da  











1  Ibidem.

2  Ugolini, Cavour e Napoleone III... cit., p. 223.

francesco ghidetti 122 me svolta. Mi riferisco al fatto che queste corrispondenze, seppure ovviamente di parte, sono preziose perché ci forniscono una enorme quantità di notizie. Notizie scritte, come accennavo, con un garbo letterario che rende la loro lettura particolarmente interessante e non esiterei a dire emozionante. Anche perché sono notizie, con le inevitabili imperfezioni tipiche del mestiere di giornalista, che, messe tutte insieme nel loro svolgersi, ci permettono di gustare ancor più saggi e ricerche sulle stragi del 20 giugno e ci offrono l’opportunità di verificare sul campo la validità dei documenti d’archivio. Dunque, ancora una volta, il giornale, che secondo molta parte della storiografia è lo strumento più “facile”, è la fonte più immediata, si conferma strumento indispensabile per la studio della storia dell’età del Risorgimento. La ricostruzione delle vicende perugine pone un ovvio problema di metodo. È chiaro che nel ricostruire l’eco della tempesta perugina sulla « Nazione » non mi potevo limitare a leggere le sole corrispondenze locali, ma inquadrare le stragi nel più ampio contesto europeo, un po’ come ha fatto Ugolini nel suo saggio più volte ricordato, e dovevo analizzare con attenzione quanto scritto da Ancona, dalle Romagne, da Arezzo e, specialmente, da Roma. Ad esempio, la descrizione che viene fatta di Roma papalina ha del sensazionale, è una specie di romanzo d’appendice basato su cronache vere. Qui è tutto scuro. Qui tutto tace. Qui si compiono le più inenarrabili nefandezze e via dicendo. Ma stiamo attenti. Le notizie vere non mancano, anzi sono la parte preponderante. È il clima, il contesto verrebbe voglia di dire, che rende particolarmente appassionante la lettura. Lo stesso avviene per Perugia. Con un dato importante da sottolineare : l’estrema serietà della popolazione perugina e umbra e serietà non vuol dire “tranquillità”. È l’operosità e la dignità di una popolazione che il corrispondente del giornale sottolinea sempre. In tal senso, potremmo fare un parallelo, semplice semplice, con una cittàsimbolo del nostro riscatto nazionale : Livorno. « La Nazione » registra fedelmente, ad esempio, la scarsa simpatia che i negozianti elvetici riscuotono, dopo il 20 giugno, nella città labronica. Tant’è, come sottolineato da Ugolini, che molti di loro sono costretti a chiudere baracca e burattini. « La Nazione » registra altrettanto fedelmente la passione e l’entusiasmo labronici per gli avvenimenti che stanno portando a compimento il sogno risorgimentale. Ma traspare un timore : che questi entusiasmi siano eccessivi. Traspare insomma quel che Cavour ha reso operativo : a Livorno non c’è un prefetto bensì un tostissimo  



















l ’ eco del xx giugno nella pagine de «la nazione» 123 ufficiale della marina, capace, diciamo così, di farsi intendere dai turbolenti e appassionati labronici. Con risultati, peraltro, tutti da verificare... Nella geografia emotiva perugina, e qui passo a una serie di esempi che, ovviamente, cercheranno di delineare un quadro generale tanti e stimolanti sono i “pezzi” che ho trovato, un posto di rilievo assume Garibaldi. In una corrispondenza apparsa sulla « Nazione » del 7 settembre e datata 4, si legge (con toni peraltro uguali al cronista Fabretti) : “Qui corre voce che Garibaldi co’ suoi venga a liberare queste provincie dall’oppressione. Io nol credo ; perché non mi pare che i nostri fratelli di Romagna si prendano in questo momento molta cura di noi. Mancherà forse il potere, non volontà, perché non posso persuadermi che que’ generosi abbiano dimenticato le Marche e l’Umbria che pure tanto han dato prova di un sentir libero e italiano. Fatto sta che codesta voce ha spaventato svizzeri e preti. Questi hanno smesso la baldanza, quelli sono in piena licenza militare. Le diserzioni continuano numerosissime : stanotte son mancati 10 soldati. In questo momento un ordine del Generale (Schmid ndr) ha fatto chiudere tutte le porte della città, salvo quella di San Pietro. Ivi son mandate molte pattuglie di carabinieri : è un andare e venire come in tempo di assedio. Temo sia qualche minaccia di una diserzione di massa ; e questo timore trae argomento dai fatti testé accaduti. Son si può dire poche ore che sono state chiuse le caserme per contenere i soldati alla più sfrenata licenza. Ma non ha giovato perché i comuni si sono sollevati contro gli ufficiali e li ha costretti a fuggire per salvare la vita. In questo tafferuglio tre o quattro sono stati i morti, parecchi i feriti. Il Generale ha promesso loro di dare per quindici giorni il congedo a chi lo dimanderà. Intanto per quietarli ha distribuito 25 paoli a testa ; denaro offerto, dicesi, da frati, preti e monache perché la città non rimanga senza truppe. Ecco un nuovo incentivo alla ubriachezza e al disordine. I cittadini invece di rallegrarsi come dovrebbero di questo disordine militare, sono in grandissimo timore ; perché gli svizzeri minacciano di voler rinnovare il saccheggio e le uccisioni prima di partire. Oh venissero le truppe romagnole a liberarci ! Scommetto che farebbero una passeggiata senza sparare un fucile. Gran confusione è negli ordini governativi. I nostri padroni hanno perduto la testa. Si vorrebbe essere feroci, ma non si può perché sta per crollar l’edificio : ormai i preti più non lo negano”. La lunga citazione serve a mettere in evidenza vari aspetti : l’attesa, le paure e le speranze, la velata critica al non intervento e poi, ancora,  























francesco ghidetti 124 la scrittura, secca, essenziale, perciò molto moderna : e non è finita perché proprio da questo articolo il giornale comincerà a martellare sulle diserzioni, a dimostrazione di quanto l’impianto statuale papalino sia fragile. La stessa questione noi la possiamo trovare – e siamo in presenza di un notevole esercizio letterario (attenzione : letterario, non di stile) a proposito di un personaggio assai noto alla storiografia risorgimentista : Luigi Mazio, quel Luigi Mazio che – e anche questa è una curiosità che ho appreso da Romano Ugolini 1 – è cugino di uno dei maggiori protagonisti della letteratura ottocentesca : Giuseppe Giaochino Belli. Il Mazio è stato promosso sostituto ministro delle armi il 4 maggio del 1859, praticamente un mese prima dei fatti di cui stiamo discutendo, giorno in cui aveva lasciato la carica di Uditore Generale Militare mostrando subito la sua feroce determinazione e durezza : mi pare interessante, a esempio, quanto riportato dalla “Nazione” di lunedì 5 settembre 1859 in una corrispondenza da Roma del 30 agosto (una questione cui il giornale aveva peraltro già accennato tre giorni prima). “Le angherie ed i soprusi – si legge – del Mazio al Ministero della guerra continuano. Il Felisi, capitano di Artiglieria, assoggetto ad un processo per la diserzione della batteria da lui comandata, fu dimesso innocente ; spedito poscia a Perugia, fu dallo Schmid destinato a far parte della commissione militare che dovea giudicare (…) tutti i reati politici, compresi quelli che fossero antecedenti alla promulgazione della legge stessa. Felisi, uomo onestissimo non volle far parte del Tribunale che emise la sentenza capitale a carico di Faina, Guardabassi, Danzetta ed altri ; e comunicò al Generale questa sua risoluzione per iscritto. Egli era certo nel suo diritto, perché nessuna legge obbliga i militari a formar parte di commissioni incaricate di giudicare individui estranei alla famiglia militare stessa, di più nessun galantuomo può essere tenuto a riconoscer leggi che non sarebbero state tollerate pure nel medio evo. S’insistette molto perché accettasse, gli si fece sentire che sarebbe stato padrone del suo voto, però egli si mantiene sempre fermo nel proposito. Mazio lo richiama, lo condanna agli arresti, e quattro giorni or sono senza nessuna formalità di processo gli liquida d’officio la giubbilazione ; è da notarsi che se fossero scorsi ancora diciotto giorni il giubbilato avrebbe compiuto i venti anni di servizio, ed avuto per conseguenza la metà del soldo, e che ora ne percepisce il terzo soltanto. Un ufficiale domanda a Mazio per quali  

















1  Ivi, p. 112.

l ’ eco del xx giugno nella pagine de «la nazione» 125 ragioni si fosse giubbilato il Felisi. Ragioni ! ragioni ! Risponde il Pro ministro : v’ha bisogno di ragioni ? non godeva più la fiducia del governo, si rimanda a casa. Ci asteniamo dai commenti – è la conclusione amara del corrispondente della “Nazione” – perché il fatto parla da sé”. Frase che in realtà è un chiarissimo commento. Potrei fare molti altri esempi. Una corrispondenza da Perugia che mi pare interessante riproporre ai lettori. Essa appare sulla « Nazione » del 19 agosto e ha una caratteristica fondamentale : di essere scritta molto bene. Leggiamola : “Oggi (si riferisce al 14 agosto) vi fu gran pranzo di ufficiali, che cominciato alle cinque pomeridiane si prolunga fino alle tre dopo mezza notte. Questo festino prese in breve le proporzioni di un’orgia clamorosa e barbarica di Croati, sia per l’indole feroce degli assistenti, sia pel generoso dono del conte Alessandro Baldeschi-Eugani di una cassa di vini stranieri che terminarono di esaltare quella gente solo sensibile ai liquori ed al vino. La città in lutto per le recenti disgrazie e per le continue vessazioni si trovò insultata, anzi provocata da tanto intempestiva e selvaggia allegrezza. Qui si dà per positivo che le truppe svizzere sieno per partire per Pesaro lasciando tre sole compagnie in Perugia. Si dice pure che l’avvocato Lattanzi sia per essere nominato nostro Delegato. Questa mane è stata pubblicata una circolare colla quale si annulla qualunque patente di caccia che non abbia il visto del Comando militare. Amo di trascriverne un brano : ‘Approfitti ciascuno dell’avviso, mentre tempo verrà, e fra poco, che la Gendarmeria tanto nella città che nei Comuni, rispettando quelli che possiedono la suddetta patente, procederà rigorosamente contro gli altri detentori di armi’. La notizia del viaggio delle truppe svizzere è pure confermata dai preparativi di partenza che si fanno coram populo”. Insomma, un quadro fosco. Si pone l’accento su aspetti disgustosi della condotta della “soldataglia”. Ma sempre nella misura e senza mai farsi prendere la mano. In un pezzo apparso mercoledì 24 agosto, a pagina 4, il sentimento di indignazione è evidente. “Alle reiterate provocazioni – leggiamo nella corrispondenza datata Perugia -, agli insulti fatti dalle mercenarie truppe svizzere alla nostra città, ora se ne aggiunge uno che metterà il colmo della misura. Dal concerto svizzero si sta preparando un pezzo di musica intitolato ‘La presa di Perugia’. Deve questo ricordare per mezzo delle melodie e delle armonie tutta la serie dei fatti, anche i più nefandi commessi nella catastrofe del 20 giugno. Il cannone, i colpi di moschetto, le grida dei feriti, il  

















francesco ghidetti 126 fioco lamento del moribondo, e quello indefinibile della madre cui venne barbaramente ucciso il bambino, tutto vi deve essere rappresentato da questa musica infernale, accompagnata dall’urlo selvaggio del soldato che si prepara a rapine, a violenze, e ad ogni maniera di atti crudeli, disonoranti e codardi (…)”. E mi fermo qui, ben disposto a fornire a chi voglia tutte le altre, numerose corrispondenze che ho trovato.

LA “CARRIERA” DEGLI UOMINI DEL GOVERNO PROVVISORIO NELL’ITALIA LIBERALE Vincenzo G. Pacifici

R

omano Ugolini, nel suo volume cardine sulle stragi perugine del 1859, 1 ha dimostrato come l’avvenimento debba essere inserito in un contesto più ampio, recando dati salienti ed indicazioni rilevanti sulle aspirazioni e sugli obiettivi dei governanti italiani ed europei nell’anno cruciale per il processo unitario. Ugolini ha ripercorso la vita, l’attività e le vicissitudini degli uomini direttamente impegnati in quelle giornate sanguinose e drammatiche, in primo luogo i “quattro moschettieri”, componenti del Governo provvisorio. La loro presenza sulla scena politica nazionale, come sappiamo, non si esaurisce con la conclusione del generoso e coraggioso tentativo insurrezionale ma continua anche nelle aule parlamentari ed in un caso, quello di Berardi, con un impegno non lungo ma denso in alcune sedi prefettizie. Ripercorriamo ora la “carriera” nelle istituzioni liberali, a cominciare da Francesco Guardabassi, la figura “simbolo” 2 della Giunta, che, dopo essere stato eletto, con consenso plebiscitario, il 1° luglio 1860 rappresentante del collegio di Castiglion Fiorentino alla Camera subalpina, 3 contemporaneamente allo spoletino Pompeo di Campello e al bolognese Luigi Tanari, futuro prefetto di Perugia (marzo 1862 – novembre 1865), il 20 gennaio 1861 è nominato al Senato per la xxi categoria, riservata ai contribuenti con reddito elevato 4 e la più diffusa tra gli ammessi. Fino alla morte, avvenuta il 20 agosto 1871, pronunzia un solo intervento, breve ma incisivo, nella discussione sul disegno di legge  







1  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale. Il sacrificio di Perugia, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento Italiano, 1973. 2  Ivi, p. 13. 3  Atti Parlamentari (di seguito, A.P), Indice generale degli Atti parlamentari e Storia dei collegi elettorali dal 1848 al 1897 (d’ora in poi, Storia dei collegi), Roma, 1898, p. 168. 4  Contribuenti da un triennio per un’imposizione diretta di 3000 lire “in ragione dei loro beni e della loro industria”.

vincenzo g. pacifici 128 per il reclutamento nell’esercito. Guardabassi il 20 agosto 1862 osserva :  

Dopo le parole del signor Ministro [Agostino Petitti Bagliani] non mi resta a dir nulla se non che a raccomandare al Senato di approvare questa legge come ci venne dalla Camera dei Deputati, poiché senza dubbio il non approvarla com’è, farebbe nascere uno scontento gravissimo, e dove non è la coscrizione e nelle province napoletane in cui ci era la esenzione del figlio unico. Da noi nell’Umbria e nelle Marche e in altri luoghi degli Stati Pontifici non ci è dubbio che questa legge è molto odiosa, perché tale fu resa dalle insinuazioni continue dei nostri contrari che hanno sempre detto : date retta ai liberali e vedrete che vi porteranno via, ve li porteranno al macello. Oggi una madre che si vede portar via il figlio non crede che sia contemporaneamente, crede di non rivederlo più. Questa idea e questa impressione recano un danno gravissimo alla leva. La sola cosa che può renderla meno penosa è la esenzione del figlio unico ivi proposta. 1  



Nella commemorazione della morte il presidente dell’assemblea ricorda “il bene della patria”, da lui posto a “precipuo scopo della vita”, l’impegno, iniziato a Napoli nel 1820 e proseguito nel 1831 in Romagna “per la nazionale redenzione”, l’esilio e la prigionia in Toscana, l’intervento al fianco della popolazione folignate, colpita da un pesante terremoto. Vincenzo Fardella di Torrearsa sottolinea la visione non paternalistica di Guardabassi, che, superato il drammatico 1848, rimasto in patria dopo il ritorno dei vecchi dominatori, si diede all’amministrazione delle provinciali faccende, convinto com’era, che, non potendosi sviluppare la vita politica in più larga sfera, incombeva ai buoni attivare le amministrazioni del Comune e della Provincia, per far nascere nelle popolazioni il bisogno di occuparsi della pubblica azienda come primo e principale motore del vivere libero.

Dopo aver espresso un giudizio di grande rispetto su Perugia, che commossa dalle vittorie che ci condussero al Mincio, precorrendo i tempi, insorse generosa, e indicossi bersaglio alla soldatesca straniera d’un potere già barcollante,

ricorda Guardabassi “oramai attempato” (era nato nel 1793), che limita la propria partecipazione ai lavori della Camera alta, senza perdere 1  A.P., Senato del Regno (di seguito, Senato), leg. viii, sessione 1861-1862, Discussioni, vol. ii, p. 2139.

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 129 l’opportunità di partecipare alla “santa gioia che ha messo nel cuore d’ogni Italiano il compirsi del nostro riscatto, e lo sventolare degli itali colori sulla storica Metropoli”. 1 Prima di esaminare l’attività pubblica di Tiberio Berardi, sono da ripercorrere i percorsi dei due altri componenti del Governo, più giovani di età. Nicolò Danzetta, nato nel 1820, dopo essere stato il primo Sindaco dopo la caduta del potere pontificio, è eletto per la Destra alla Camera nel secondo collegio di Perugia nella legislatura del 1861 ed in quelle successive fino al 1870. Il 6 novembre 1873 è nominato dal governo Minghetti, quale deputato per 4 legislature ed ex presidente del consiglio provinciale sempre dopo tre designazioni (nel caso specifico addirittura 6), 2 a Palazzo Madama. È considerato nell’aula il successore del suocero Francesco Guardabassi. 3 Contemporaneamente a lui sono scelti uomini prestigiosi e ricchi di meriti, quali Aleardo Aleardi, Gaspare Cavallini, Fedele Lampertico, Diomede Pantaleoni, Giuseppe Pica e Luigi Settembrini. Alla Camera è attento ai problemi locali ed in modo speciale alla tutela degli interessi della regione nella scottante e delicata questione ferroviaria con interventi sui progetti di costruzione della Aretina e di collegamento tra Arezzo e la linea Roma-Ancona. 4 Colpito da “inesorabile infermità” (una paralisi progressiva), si spegne il 26 marzo 1895 “dopo ventidue anni di strazi”. 5 È questa la ragione, per la quale l’unico segno della sua presenza a Palazzo Madama è costituito dal messaggio inviato il 23 novembre 1878 in occasione dell’attentato di Giovanni Passanante al sovrano :  











Impossibilitato dalle mie fisiche sofferenze di recarmi in Roma, mi associo di gran cuore a tutte le dimostrazioni di devozione ed affetto, fatte e da farsi 1  La scheda di Guardabassi è in Repertorio dei Senatori dell’Italia liberale. Il Senato subalpino, a cura di Fabio Grassi Orsini e Emilia Campochiaro, vol. i, A – L, Napoli, Bibliopolis, 2003, pp. 543-546. Per la commemorazione v. A.P., Senato, leg. xi, sessione 1871-1872, Discussioni, vol. i, pp. 29-30. Buona per impianto informativo è la “voce” di Francesca Brancaleoni in “Dizionario biografico degli italiani” (di poi, “D.B.I.”), Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. lx, 2003, pp. 270-272, anche se costituisce una gaffe la sottolineatura finale sulla designazione ottenuta nel 1861 : si dice sia stato nominato “senatore a vita”, come a voler distinguere i senatori vitalizi da quelli elettivi ! 2  A.P., Senato, leg. xi, sessione 1873-1874, Discussioni, vol. unico, p. 20. 3  Claudia Minciotti Tsoukas, ad vocem, in “D.B.I.”, vol. xxxii, Roma, 1986, p. 689. 4  A.P., Camera, leg. viii, i sessione, Discussioni, vol. ii, pp. 1253-1255 e ii sessione, vol. iv, p. 1736. 5  A.P., Senato, leg. xix, i sessione 1895, Discussioni, vol. i, p. 28 cit.  



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inverso i nostri amatissimi Sovrani, e della più fiera indignazione contro lo scellerato assassino ! Che Iddio protegga sempre la preziosa esistenza delle Loro Maestà, vera salute e sostegno dell’Italia nostra. 1  



Nelle elezioni suppletive, necessarie nel secondo collegio di Perugia dopo la designazione di Danzetta al Senato, viene eletto Zeffirino Faina, confermato con larghi consensi nelle legislature successive fino alla nomina a Palazzo Madama per la categoria dei deputati, avvenuta il 7 giugno 1886. Al suo fianco entrano, tra gli altri, Cesare Correnti, Domenico Farini ed Emilio Visconti Venosta. A lungo impegnato negli enti locali (Provincia e Comune di Perugia e Sindaco di Marsciano), come Guardabassi e Danzetta e, come vedremo Berardi, pur fautore delle riforme, è legato e rimarrà sempre fedele alle posizioni della Destra moderata. 2 Originario di San Venanzo, comune oggi compreso nella provincia di Terni, muore in tardissima età, novantunenne, il 17 giugno 1917. Di lui sono sottolineati, tre giorni più tardi, nella solenne rievocazione dell’aula, “senno e zelo” nelle amministrazioni e “reputazione di somma integrità ed illibatezza”. 3 Non sono né possono essere rilevati interventi, ma il suo silenzio non va denunziato ma segnalato, al pari di quello di tanti altri, nei termini cauti usati nell’opera di Alberto Malatesta 4 o comunque non censori in “voci” biografiche. 5 Considerato in seno alla Giunta “una figura di secondo piano”, 6 Tiberio Berardi, nato a Perugia nel 1820, rispetto a Guardabassi, Danzetta e Faina, è capace di acquisire uno spazio politico più netto e nel 1876 figurerà tra quanti pagheranno la loro coerenza negli ideali con l’accantonamento dall’ufficio prefettizio, decretato dal debuttante governo di Sinistra. Gli elettori del collegio di Foligno lo indicano come loro rappresentante nella legislatura di apertura dello Stato unitario e lo confermano sempre al I turno quattro anni più tardi. 7 Nel 1867, invece, è sconfitto  











1  Ivi, leg. xiii, sessione 1878-1879, Discussioni, vol. ii, p. 908. 2  Storia dei collegi, pp. 491- 492 ; Elisabetta Orsolini, ad vocem, in “D.B.I.”, vol. xliv, Roma, 1994, pp. 217-219. 3  A.P., Senato, leg. xxiv, I sessione 1913 - 17, Discussioni, vol. iii, p. 3475. 4  A. Malatesta, Ministri, deputati, senatori dal 1848 al 1922, Milano - Roma, E.B.B.I. Istituto editoriale italiano Bernardo Carlo Tosi, 1940-1941, voll. i-iii. 5  Tra le altre, v. quella relativa ad Enrico Cosenz in “D.B.I.”, vol. xxx, Roma, 1982, pp. 17-18, dovuta a Giuseppe Monsagrati. 6  R. Ugolini, op.cit., p. 13. 7  Storia dei collegi, p. 275.  

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 131 al ballottaggio dall’avvocato Luigi Bartolini (1830 – 1902), allora Sindaco di Trevi e consigliere provinciale, dimessosi nel novembre 1868, senza aver mai aperto bocca, “per ragioni di ordine affatto privato”. 1 Al pari di Danzetta ha un occhio speciale per i problemi dell’Umbria e per le istanze da essa provenienti. 2 Negli “Atti parlamentari” sono registrati anche alcuni momenti rilevanti : relatore il 1° giugno 1863 del progetto di legge per sussidi all’emigrazione politica italiana, presenta – e si tratta di una vivida prova delle sue posizioni – questo severo “ordine del giorno” :  







La Camera, confidando che il Governo riformerà l’amministrazione dei sussidi all’emigrazione in guisa che vengano esclusi dal sussidio coloro che non sono veri emigrati politici, e coloro che, essendo tali, possono trovare o nella privata industria o nell’esercito onorato mezzo di sussistenza, e ritenendo che si esigeranno tutte le guarentigie di regolarità, economia e convenienza nella distribuzione, passa all’approvazione della legge.

Nel corso del dibattito, conclusosi con il voto soltanto due giorni più tardi, dopo che la seduta del 2 era stata annullata per mancanza del numero legale, Berardi sollecita ad un voto favorevole “coloro i quali si mostrano gelosi dell’economia nella spesa del pubblico denaro” e rigetta la richiesta di Bixio di assimilare nello status anche gli emigrati per ragioni ideologiche ungheresi e polacchi. 3 Sfatando un luogo comune sulla Destra intesa solo come area conservatrice, retriva e chiusa, vota in favore dell’abolizione della pena di morte. 4 Non può davvero recare il proprio consenso all’esecutivo guidato da Rattazzi e risulta il 17 marzo 1862, al momento del voto di un “ordine del giorno”, considerato dal presidente del Consiglio “come appoggio al governo”, tra gli 80 oppositori, sconfitti dai 210 favorevoli. 5 Nonostante la grande precarietà del momento, Filippo Antonio Gualterio, ministro dell’Interno nell’effimero gabinetto Menabrea in carica dal 27 ottobre 1867 al 5 gennaio 1868, non esita a promuovere un vasto, vario e significativo movimento in campo prefettizio con rimozioni, trasferimenti e nomine.  





1  Su Bartolini v. A.P., Camera, leg. x, sess. 1867, Discussioni, vol. viii, p. 8065. Per la sua attività alla Provincia v. Laura Zazzerini, I Consiglieri Provinciali. Il quinquennio 1871-1875, in “Corrispondenze dell’Ottocento”, 1/2008, p. 54. 2  A.P., Camera, leg. viii, ii sessione, Discussioni, vol. iv, pp. 1733-1734. 3  A. P., Camera, leg. viii, sess. 1863 -64, Discussioni, vol. i, pp. 34-35, pp. 37-40, p. 55 e p. 58. Per la relazione, v. ivi, sess. 1861-1862-1863, vol. x, p. 6985. 4  Ivi, sess. 1863-1864, vol. xi, p. 8663. 5  A. P., Camera, leg. viii, sess. 1861-1862-1863, Discussioni, vol. iv, pp. 1633-1634.

vincenzo g. pacifici 132 Sono destituiti, sospendendoli dalle funzioni o accettandone le dimissioni, i titolari delle sedi di Ancona, Bari, Belluno e Napoli. 1 Assunto come “parafulmine” dell’equivoca posizione governativa, dopo essere stato minacciato di un trasferimento in Sicilia, se la cava con il collocamento in aspettativa “per motivi di salute” Giuseppe Gadda, prefetto di Perugia. 2 Mutamenti si registrano, tra l’altro, negli uffici di Catanzaro, Firenze, Lucca e Sondrio. 3 A Bari arriva, poi, da Potenza il funzionario piemontese Emilio Veglio di Castelletto, che lascia la guida della sede del capoluogo della Basilicata, che conta allora 19.722 abitanti, 4 a Tiberio Berardi, fresco della sconfitta elettorale ma principalmente amico di vecchia data e di tante battaglie unitarie del ministro dell’Interno. Si tratta di un incarico delicato e pesante, considerati i problemi acuti o irrisolti o, anche se per poco, ancora allo stato embrionale, sul tappeto, dal brigantaggio alla arretratezza delle infrastrutture, dalla disastrosa condizione dell’istruzione all’emigrazione. Berardi sarà a Potenza fino allo spostamento nel luglio 1872 a Campobasso, deciso dal governo Minghetti. Saranno anni, in cui dimostrerà di saper operare con un impegno e con un puntiglio, valutati positivamente ancora oggi. Della situazione nel corso di un dibattito alla Camera offre un quadro dettagliato nel 1868 Floriano Del Zio, deputato di Melfi, denunziando una preoccupante recrudescenza del brigantaggio e suggerendo terapie concrete sugli enti locali con riforme di grande e grave spessore nella legge comunale e provinciale. Sintetizza il lungo intervento in un “ordine del giorno”, accolto con “ilarità rumorosa a destra” e “risa a sinistra” a causa del fantasioso ancora più che utopistico punto conclusivo :  









La Camera, preoccupata d’impedire l’aumento del malessere nel Mezzodì d’Italia e di spegnere il germe di una nuova forma di brigantaggio, invita il Ministero [allora guidato da Luigi Federico Menabrea] : 1) A completare la legge della riscossione obbligatoria delle tasse col principio della libera elezione dei sindaci e dell’autonomia economica dei municipi ; 2) A riformare l’ordinamento provinciale secondo il senso delle regioni ; 3) ed a presentare un memorandum a tutti gli Stati di Europa, con cui s’invitino a spedire i loro  





1  Mario Missori, Governi, alte cariche dello Stato, alti magistrati e prefetti del Regno d’Italia, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1989, p. 399, p. 414, p. 417 e p. 527. 2  Ivi, p. 546. 3  Ivi, p. 449, p. 472, p. 505 e p. 595. 4  Regio decreto che approva la nuova tabella di reparto dei Consiglieri provinciali nelle varie Provincie del Regno, eccettuate quelle della Toscana, della Venezia e quella di Mantova, in “Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia”, vol. 18°(1867), p. 722.

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Legati nel Parlamento italiano per questioni di diritto pubblico e compiere pacificamente il moto su Roma. 1  

A conferma della fondatezza delle notizie riportate alla Camera da Del Zio, Berardi nell’aprile 1868, ad esempio, coordina una “battuta generale contro il brigantaggio” lungo le rive del fiume Agri, destinata a durare una ventina di giorni. 2 L’anno successivo si preoccupa di creare con la presenza delle autorità militari effetti morali sulle popolazioni e si mostra con il collega di Salerno “pronto a cooperare nel modo […] creduto più utile”. 3 Anche se dal 1870 le condizioni della sicurezza pubblica segnano un sensibile miglioramento, 4 risale poi al settembre 1871 la distruzione di “una comitiva, composta di sei malfattori, armati di tutto punto”, che “infestano particolarmente i due Circondari di Melfi e Potenza”. 5 A proposito della situazione logistica della provincia, i deputati intervengono a più riprese sia nell’aula parlamentare sia nel corso delle campagne elettorali. Mentre Del Zio ricorda al ministro Girolamo Cantelli l’impegno assunto dal predecessore Antonio Giovanola per un progetto di completamento della rete delle strade nazionali e ottiene una replica evasiva, pesantemente subordinata alle “condizioni finanziarie dello Stato”, 6 Francesco Marolda – Petilli affronta la questione viaria, offrendo una descrizione minuziosa. Il deputato di Muro Lucano riferisce all’assemblea sui tempi e sui modi assai singolari di progettazione della strada nazionale di Matera, “l’unica strada che congiunge i due mari Adriatico e Tirreno ed anima in certo modo le risorse ed i commerci di quelle popolazioni” :  











questa strada fu costrutta nel passato secolo e porta tutti i difetti dell’epoca ; il modo col quale si dice venisse tracciata è veramente curioso. Vuolsi che colui al quale ne venne affidato l’incarico la progettasse a cavalo, ed a norma della maggiore o minore delle gambe del quadrupede a salire venisse costrutta la strada ; di modo che le orme del cavallo segnavano il tracciato dell’attuale strada. Nel 1852 si vide la necessità di portarvi una rettifica, da tutti riconosciuta necessaria, e se ne incominciarono i lavori. Mi piace però  



1  A. P., Camera, leg. x, sess. 1867, Discussioni, vol. v, pp. 4937-4942. Sull’esponente della Sinistra, v. Maria Rascaglia, ad vocem, in “D.B.I.”, vol. xxxviii, Roma, 1990, pp. 409412. 2  Archivio Di Stato Di Salerno (d’ora in avanti, A.S. Salerno), Prefettura, Gabinet3  Ivi, b.57, fasc. 509. to, b. 55, fasc. 412. 4  A.S. Avellino, Brigantaggio, b.9, fasc.455. 5  A.S. Salerno, Prefettura, Gabinetto, b. 60, fasc. 185 bis. 6  A. P., Camera, leg. x, sess. 1867, Discussioni, vol. iv, pp. 4481- 4482.

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di dire che questo giudizio sulla pessima costruzione della strada di Matera venne confermato dall’onorevole Jacini, che, presentando alla Camera nel dì 31 gennaio 1867 un disegno di legge, fra le altre cose, diceva così :”La strada nazionale di Matera essendo in pessime condizioni di praticabilità per lunghe ed erte salite, e malferma per franamenti che attraversano l’attuale strada, al tronco di Campagna per Oliveto Lucano deve essere sostituito [dal]l’altro intrapreso fin dal 1852. 1  



In una “memoria elettorale”, scritta nel 1874 dal deputato eletto nel collegio di Tricarico nel 1870 e confermato nelle tre consultazioni successive (1874, 1876 e 1880), viene denunziato in termini accorati e fondati il quadro in cui vive ed opera Tiberio Berardi. Il parlamentare reca un nome, già ben conosciuto, in seguito “bestemmiato e pianto”, Francesco Crispi. Lamenta che 11 dei 14 Comuni dell’area elettorale siano “divisi dal capoluogo a causa del Basento che bisogna guadare a piedi o a cavallo, non essendovi un sol ponte che ne renda facile il tragitto. Nei tempi di forte piogge, ingrossando le acque, i viaggiatori restano spesso sulle due sponde a guardarsi senza poter passare”. 2 Ancora Marolda – Petilli, nel dicembre 1871, dopo avere sollecitato la realizzazione di un ponte sul fiume Sele, “iniziato da molti anni e che non è ancora compiuto, per cui nell’ultimo novembre e nel passato inverno vi furono vittime”, non esita a definire “gravissimo sconcio” la costruzione a Ruvo del Monte di un tratto di rotabile, “che non comunica con altra strada nazionale o comunale, epperciò riesce perfettamente inutile”. 3 Contro la piaga dell’analfabetismo, al fine di migliorare la preparazione degli insegnanti, sono istituite le cosiddette “conferenze magistrali”, 4 obbligatorie per il personale in servizio e per gli aspiranti. A conclusione della sessione finale di esami è rilasciato il diploma di maestro primario valido per tutte le scuole sia pubbliche sia private. Berardi nel 1868 e nel 1870 emana due circolari. Nella prima presenta l’istituzione, sollecitando i Comuni  





ad inviare alle conferenze, anche con qualche sussidio, alunni ed alunne di distinta moralità, che presentino probabilità di buona riuscita, affinché, ac1  Ivi, pp. 4510-4511. 2  F. Crispi, Memorie di un candidato. Il collegio elettorale di Tricarico in Basilicata, Venosa, Edizioni Osanna, 1994, pp. 13-14. 3  A. P., Camera, leg. xi, ii sessione, Discussioni, vol. i, p. 432. 4  italia Amorosi, L’italiano a scuola in Basilicata nei primi anni dell’Unità, pubblicazione del 2005 in formato PDF a cura del Consiglio regionale della Basilicata, pp. 33-34.

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cresciuto il numero dei buoni insegnanti, si possa accrescere il numero delle scuole elementari, che nella Provincia è di gran lunga inferiore al bisogno.

La seconda stimola i maestri e le maestre alla frequenza delle “conferenze” ed anche i giovani desiderosi di intraprendere la carriera. 1 Da prefetto di una terra, colpita e depauperata dal triste fenomeno dell’emigrazione, mostra una attenzione capillare e preoccupata ed una sensibilità non retorica. I dati pubblicati nell’accurato lavoro di Leone Carpi, apparso nel 1874, indicano sulla Basilicata per il 1870 un fenomeno migratorio, esclusivamente clandestino, di 416 unità mentre l’anno successivo i partenti con passaporto sono 1337, di cui 130 donne, e quelli irregolari 102 (98 uomini e 4 donne). Per il 1870 tra gli espatriati, diretti per la massima parte in Francia (318), 44 sono classificati come contadini, 28 negozianti, 58 artisti e studenti e ben 280 suonatori. 2 Questo mestiere, da intendersi come sinonimo di girovago, è già registrato nel 1868 dal Consolato italiano a Melbourne per due grossi gruppi provenienti da Viggiano e composti da un uomo maturo e da alcuni giovani, tra cui diversi addirittura minorenni, compresi tra gli undici ed i sedici anni, affidati da altre famiglie 3 ma che in ambito europeo, soprattutto in Francia, è esteso e ramificato anche in anni precedenti tanto da avere sanzioni contrattuali. 4 Il 13 settembre 1868, nella relazione inaugurale della sessione del Consiglio provinciale, 5 Tiberio Berardi offre del fenomeno una rivisitazione ben più grave e mortificante. Pur sopravvalutando la situazione delle risorse ambientali, offre questo quadro della provincia :  











la Basilicata, che dà ad un estesissimo territorio, che contiene terreni fertilissimi, capaci delle produzioni più svariate, dall’arancio all’abete ; che dopo le due provincie insulari della Sardegna, è la più spopolata del Regno, e che  

1  Ibidem. 2  Leone Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani all’estero sotto l’aspetto dell’industria, commercio, agricoltura e con trattazione d’importanti questioni sociali, Milano, Tip. Editrice Lombarda, vol. i, 1874, p. 27, p, 31 e p. 49. 3  Gabriella Ciampi, L’Italia e l’Australia nei rapporti diplomatici (1861-1901), in Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Comitato di Roma, Italia-Australia 1788-1988. Atti del Convegno di Studio (Roma, Castel S. Angelo, 23- 27 maggio 1988), a cura di R. Ugolini, Roma, Edizioni dell’Ateneo, 1991, p. 94 e pp. 120-121. 4  Michele Strazza, Emigrazione e tratta minorile in Basilicata nella seconda metà dell’Ottocento. In “A.S.E.I. – Archivio Storico dell’Emigrazione Italiana”, 2008, pp. 2-12. 5  Carmela Silletti, Il problema dell’emigrazione nel discorso del Prefetto della Provincia di Potenza Tiberio Berardi (1868), in www.consiglio.basilicata.it/mondo_basilicata/ mb01/07pdf, pp. 29-30.

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potrebbe dare a vivere al triplo forse della popolazione : la Basilicata dà un largo contingente di emigrazione. Fra questa si distingue quella dei fanciulli, che una crudele e vituperevole speculazione conduce in contrade straniere, a vagabondare fra l’immoralità e gli stenti, esercitando l’abbietto mestiere di suonatori ambulanti”.  

Da liberale addebita la responsabilità allo stato di degradazione, nella quale [sic !] un Governo immorale gittava le popolazioni per dominarle ed opprimerle.  

Parla delle iniziative assunte contro “questo traffico vergognoso” sia a livello internazionale sia nazionale con il Parlamento ed il governo impegnati nel ricercare una soluzione dignitosa. Ricorda di aver disposto che “senza uscire dai limiti della legge, si usassero tutti i maggiori rigori nella concessione dei passaporti”. Berardi si appoggia a due circolari diramate dal ministero dell’Interno a tutti i prefetti nel dicembre 1867 e nel primo mese del successivo 1868, firmate dal Segretario generale Guido Borromeo. Nella prima si incaricano i funzionari di voler dare le occorrenti istruzioni alle Autorità dipendenti, affinché vedano modo di far presenti con tutti mezzi possibili alle popolazioni della Provincia i gravi mali a cui l’esperienza ha provato trovarsi frequentemente esposti gli emigranti, e distolgano il ceto medio dal lasciarsi illudere da promesse e da contratti quasi sempre bugiardi e fallaci.

Con la seconda si conferisce loro l’incarico di avvertire i Sindaci e le autorità di pubblica sicurezza perché dissuadano e, ove necessario, impediscano “l’emigrazione d’Italiani”. 1 In chiusura Berardi reca dati su un sensibile decremento nel numero dei passaporti concessi e sottolinea il progressivo rientro dei fanciulli, “richiesti talvolta da quegli stessi genitori, che con snaturato consiglio li avevano venduti”. 2 Con cadenza frequente i prefetti sono raggiunti da disposizioni sul tema dell’emigrazione, che ne complicano e ne appesantiscono non poco il lavoro. Particolarmente onerosa è la circolare emanata il 20 agosto 1870, in cui il Segretario generale Gaspare Cavallini, dopo aver lamentato incompletezza ed insufficienza nelle repliche inviate dai prefetti a precedenti richieste, fissa le “esatte informazioni” da richie 



1  “Collezione celerifera delle leggi, decreti, istruzioni e circolari” (di seguito “Collezione celerifera”), xlvii (1868), i parte, pp. 367-368 e p. 335. 2  C.Silletti, Il problema dell’emigrazione cit., p. 30.

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 137 dere ai Comuni, così da ottenere una radiografia dettagliata del fenomeno sempre più complesso :  

1. Proporzione approssimativa,e possibilmente in cifre, tra la vera emigrazione con animo di mutar paese più o meno stabilmente e quella occasionale, temporanea o periodica, per ritornare entro l’anno o circa ; 2.Consuetudine più o meno antica di emigrare ; scopi tradizionali od occasionali delle emigrazioni ; professioni o mestieri degli emigranti, e paesi scelti di preferenza e tradizionalmente da essi per esercitare ciascuna professione o mestiere ; 3. Esistenza o no di sollecitatori od uffici d’iscrizione di emigranti ; 4. Successo fausto od infausto, in genere, delle emigrazioni, secondo le professioni ed i mestieri diversi, ed abitudine di ritornare col fatto guadagno ; 5. Movimento verificatosi, decrescente o crescente, dell’emigrazione, si stabile o diuturna, sia temporanea o periodica, da 50 anni a questa parte, secondo le diverse professioni. 1  













Il 9 settembre 1872 il funzionario perugino pronunzia di fronte al consesso provinciale, presieduto da Pietro Lacava, all’epoca ancora semplice deputato di Corleto Perticara, per la quinta volta il discorso inaugurale, da considerare, visto il suo trasferimento a Campobasso ufficiale da oltre un mese, un commiato affettuoso ed un consuntivo attento ed onesto, non una “relazione minuta” sull’anno concluso ma sull’intero, non breve, periodo trascorso nel capoluogo della Basilicata. Berardi, nelle battute di avvio, onestamente definisce l’eventuale progresso della provincia “assai modesto”, perché essa “non si trasforma in un lustro” specie nei municipi bisognosi di “ben altra educazione civile”. L’osservazione del prefetto non vuole suonare come critica diretta ma è fatta condividendo il giudizio sulle difficoltà logistiche e sul personale, espresso in ripetute occasioni ed in angoli diversi dello Stato, come provano le disposizioni emanate dal ministero, con lo scopo esplicito di scongiurare una degenerazione irreversibile degli enti locali, anche nella prospettiva di “un sistema di maggior libertà d’azione”. 2  

1  “Collezione celerifera”, xlix (1870), ii parte, p. 1534. 2  V. la circolare dell’8 novembre 1867 sul provvedimento da adottarsi di fronte alle deliberazioni comunali e provinciali, “aventi scopi politici”, e quelle del 30 settembre e del 17 novembre 1868, contenenti le istruzioni per le designazioni del”Personale dei Sindaci” e del 30 agosto 1869 in “Collezione celeferifera” cit, i parte, pp. 271-272 e ii parte, pp.16611662 e pp. 1843-1844, “Collezione celerifera”, xlviii (1869), ii parte, pp. 1374-1375. Con una

vincenzo g. pacifici 138 Dopo avere in oltre 40 pagine passato in rassegna i diversi settori di competenza, riconoscendone le carenze o evidenziandone i pregi, innalza un inno – lui uomo di destra, per molti quindi simbolo di conservazione retriva – all’istruzione, che “dirozza le menti” e all’educazione, che forma i cuori ed ingentilisce i costumi. Il cammino da compiere secondo Berardi, che ne scandisce i passaggi, è assai arduo e complesso. A suo avviso occorrono altre riforme, occorre un ordine amministrativo più perfetto, occorre meglio provvedere alla pubblica moralità ed alla pubblica educazione ; occorre estendere il pubblico insegnamento ed innalzarne il livello, occorre creare nuove fonti di ricchezza, ed atterrare le barriere che sin qui hanno impedito lo avanzarsi della civiltà. 1  



Tra le “barriere” inserisce naturalmente le difficoltà viarie, costante punto di impegno e di interesse dei deputati delle province, guidate da Berardi, da quelli eletti a Potenza a quelli molisani e a quelli siracusani. In Basilicata, comunque, il prefetto umbro ha di fronte nei 10 collegi della provincia uomini di una qualità, mai incontrata nelle altre 3 sedi di servizio. Oltre a Crispi e a Lacava, più volte ministro, sono eletti Francesco Lovito, in seguito con i governi della Sinistra Segretario generale del ministero dell’Agricoltura e più a lungo di quello dell’Interno, Floriano Del Zio, già ricordato, deputato per ben 7 legislature (ix-xv) e senatore dal 1891, e Ascanio Branca, responsabile di dicasteri nevralgici con di Rudinì e Saracco. Il trasferimento nel capoluogo del Molise è compreso in un movimento di 13 sedi. Si notano gli accantonamenti “in aspettativa per motivi di salute” di due prefetti, tra cui uno dalla carriera autorevole, quale Luigi Torelli, già deputato alla Camera subalpina, senatore dal 1860 e ministro dell’Agricoltura con La Marmora (27 settembre 1864 – 31 dicembre 1865). nuova circolare del 28 maggio 1872 il Ministero, guidato da Giovanni Lanza, rammenta categoricamente che le deliberazioni comunali e provinciali attinenti alla politica “non possono assolutamente permettersi”, perché estranee alle competenze degli enti locali, “determinate tassativamente dalla Legge, e contrarie alla natura, allo scopo e al buon andamento delle Amministrazioni medesime” (“Collezione celerifera”, li (1872), ii parte, pp. 852-853). 1  Discorso pronunziato all’apertura della sessione ordinaria del Consiglio Provinciale della Basilicata nella seduta del 9 settembre 1872, Potenza, 1873. Ringrazio il dott. Lucio Rofrano, responsabile della sala di studio dell’Archivio di Stato di Potenza, per avermene inviata copia fotostatica.

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 139 Se la permanenza a Potenza è una delle più lunghe nella storia della sede, 1 l’incarico a Campobasso (circa 13 mesi) dura per un periodo quasi della stessa durata di quello di due qualificati predecessori (Efisio Salaris e Pericle Mazzoleni). 2 Il fenomeno migratorio subisce un netto ridimensionamento (da 234 a 103) tra il 1870 ed il 1871, dovuto alla caduta dello Stato pontificio, verso il quale si dirigeva in precedenza “un forte contingente”. 3 Nel gennaio 1873 viene diffusa una circolare di Lanza, che raccomanda ai prefetti di bloccare l’emigrazione illegale e di condizionare quella regolare a controlli severi, primo fra tutti l’adempimento degli obblighi militari. 4 L’area della provincia ha una superficie di ben oltre la metà inferiore a quella della Basilicata, allora la più estesa d’Italia, 5 con una popolazione assai meno consistente (364.208 contro 510.543) 6 mentre, almeno per il 1870, il numero degli alunni delle scuole elementari è quasi analogo (14.563 e 14.569). 7 L’intero Molise vive sull’agricoltura, che ne condiziona lo sviluppo, e patisce pesantemente l’assenza di infrastrutture. Nel dicembre 1871 il deputato di Larino Scipione Di Blasio con parole accorate e preoccupate dice che  













in quest’anno nella provincia di Campobasso, come in altre provincie vi ha grande miseria per la scarsezza del ricolto dei cereali, e specialmente per la mancanza totale del grano turco. 8  

Un anno più tardi il collega di Isernia Gian Domenico Romano reclama la realizzazione di una linea ferroviaria, programmata da 7 anni, che “metta in diretta comunicazione Roma con Foggia transitando per Isernia, Campobasso e Lucera”, sottolineando, certo di non essere smentito, che le regioni meridionali sono “le più mancanti” “di strade rotabili e di altri mezzi di agevole comunicazione”. 9 Il 20 agosto 1873 Berardi, nel quadro di un movimento di minima  

1  M. Missori, op. cit., p. 561. 2  Ivi, p. 440. 3  L. Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani cit., p. 27, p. 30 e p. 34. 4  “Collezione celerifera”, lii (1873), I parte, pp. 23-25. 5  Il Molise è di poco superiore ai 4.400 kmq mentre l’altra sfiora i 10 mila (v. G [Ottardo] Garollo, Dizionario geografico universale, Milano, Hoepli, ed. 1898, p. 200 e p. 1013). 6  “Collezione celerifera”, lii (1873), i parte, pp. 48- 49 e pp. 99-101. 7  L. Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani cit., pp. 51-52. 8  A. P., Camera, leg. xi, ii sessione, Discussioni, vol. i, p. 465. 9  Ivi, vol. v, pp. 4342-4347. Per ulteriori iniziative dei deputati molisani sullo stesso tema v. ivi, leg. XII, II sessione, Discussioni, vol. ii, pp. 1384-1390.

vincenzo g. pacifici 140 consistenza (appena un altro spostamento nella stessa data), 1 è nominato titolare della prefettura di Siracusa. La permanenza nel capoluogo siciliano avrà termine con l’avvento della Sinistra nell’aprile 1876 e sarà comunque una delle più durature dal 1861 in avanti. 2 Di dimensioni più ridotte rispetto alla sede precedente, conta però un numero di abitanti più elevato. È divisa in 3 circondari 3 ed in 6 collegi elettorali. Nella consultazione del novembre 1874 il quadro politico, in cui si trova ad operare Berardi, si mostra confuso o peggio turbolento in alcune circoscrizioni (Augusta, Comiso e Siracusa) 4 e solo apparentemente tranquillo in altre 2 (Modica e Ragusa), in cui comunque il deputato eletto non può ignorare l’assenteismo consistente ed eloquente di malumori sotterranei. 5 La provincia, che nel decennio 1861-1871 registra un forte incremento della popolazione, 6 è toccata solo in modo marginale dal fenomeno migratorio ma al solito, come provincia dell’Italia meridionale, lamenta la mancanza di ferrovie, tali da consentire alla fertile agricoltura dell’entroterra un proficuo sbocco marittimo. 7 Durante il soggiorno, nel 1875, Berardi redige una relazione sullo stato generale della provincia, destinata alla commissione parlamentare d’inchiesta sulle condizioni della Sicilia. Giuseppe Astuto, l’autorevole studioso che l’ha pubblicata, nota che “non si limita alla descrizione della situazione economica e politica della provincia e dei suoi problemi, ma contiene giudizi e valutazioni personali che rispecchiano la cultura dell’alto funzionario e i criteri con cui questi esplica a livello locale le direttive politico amministrative del Governo”. Dal rapporto emerge anche la “formazione politica della generazione risorgimentale, che sente su di sé la responsabilità di una missione storica : guidare e stimolare le parti meridionali del Regno, considerate non all’altezza dei tempi”. 8 Oggi in questa sede un primo segno  

















1  M. Missori, op. cit., p. 469. 2  Ivi, p. 591. 3  G. Garollo, Dizionario cit,, p. 1219. 4  Storia dei collegi, p. 51, p. 213 e p. 622. 5  Ivi, p. 391 e p. 536. Gli eletti sono Michele Tedeschi – Rizzone e Filippo Nicastro – Ventura. 6  L. Carpi, Delle colonie e dell’emigrazione d’italiani cit., p. 52. 7  Ivi, p. 27 e p. 31 ; A.P.,Camera, leg. xii, ii sessione, Discussioni, vol. ii, pp. 1454-1458. Per un’ analisi più definita dell’area, v. Renata Russo Drago, L’emigrazione nella provincia di Siracusa dalla fine dell’Ottocento al 1915, in “Archivio storico siracusano”, serie iii, xviii (2004), pp. 270-280. 8  G. Astuto, La Provincia di Siracusa nel Rapporto di un Prefetto dell’età liberale, ivi, s. iii, iv (1990), p. 118.  

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 141 sulla considerazione da lui posseduta del livello della classe dirigente e degli obiettivi delle classi sociali si può cogliere in questo passaggio della relazione :  

[…] i partiti politici non sono molto vivaci in questa provincia, ove più che la passione politica prevale l’interesse individuale, causa forse la naturale indole apatica, la educazione, la stessa lontananza dal centro del Governo. Dicendo questo, intendo parlare della classe intelligente, istruita, civile ; ché le masse – e sono numerose – per nulla s’interessano di cose politiche, neppure nel senso di un miglioramento disordinato del loro stato economico, prive come sono d’istruzione e quindi di mezzi di apprendere certe teorie, mancanti di grandi centri d’industria manifatturiera, e dedicate quasi esclusivamente all’industria campestre, che poco si presta alla accettazione e propagazione di idee socialiste”. 1  



Il settore, in cui con tutta probabilità la “rivoluzione parlamentare” provoca gli effetti più eclatanti, è proprio quello prefettizio. Ad appena 24 giorni dall’insediamento (25 marzo), il 19 aprile il ministro dell’Interno Giovanni Nicotera promuove un estesissimo rimaneggiamento nelle sedi di numerose province, che non è esagerato definire terremoto. Trasferimenti, accantonamenti, pensionamenti e dimissioni volontarie interessano una quarantina di capoluoghi, tra cui Siracusa. Tiberio Berardi lascia il posto a Giuseppe Novaro, proveniente da Como, con cui condividerà in agosto il provvedimento della dispensa dal servizio. 2 Nella nuova sede di Rovigo succede ad Antonio Malusardi, che, dopo essere trasferito a Grosseto, a settembre sarà assegnato a Catanzaro, città in cui – episodio, che prova una situazione confusa, se non caotica – tre mesi più tardi lo raggiungerà il collocamento “a disposizione”. Trascorsi solo 10 giorni sarà richiamato in servizio addirittura a Palermo. 3 Il responsabile del dicastero dell’Interno, nel maggio sempre del 1876, dopo una interrogazione di di Rudinì su “alcuni recenti movimenti ordinati nel personale dell’amministrazione provinciale”, replica escludendo di avere agito con “un sistema di rappresaglie”. L’interrogante, invece, si conferma nella valutazione critica, dal momento che “ il modo, la pompa, l’ostentazione colla quale il movimento del personale fu fatto, ha ingenerato negli animi una  





1  Ivi, p.129. 3  Ivi, p. 449 e p. 538.

2 M. Missori, op. cit., p. 591.

vincenzo g. pacifici 142 impressione incancellabile” sulle motivazioni unicamente politiche. 1 Tra la metà di agosto e la prima decade di settembre si ha un ulteriore aggiustamento con Nicotera sempre più esperto delle leve burocratiche. Sono “dispensati dal servizio ed ammessi a pensione”, oltre a Novaro, Giovanni Battista Polidori ad Arezzo, Cesare Borroni ad Ascoli Piceno, Raffaele Solinas a Forlì e Cesare Paladini a Treviso. 2 Sono però tutti prefetti “amministrativi” e non “politici”, come Berardi allontanato senza il beneficio della pensione, data la brevità del servizio prestato. 3 La vita pubblica di Berardi non si chiude ma gli riserva altre due tappe. Nel maggio 1880, al ballottaggio, prevale contro Ariodante Fabretti, esponente della Sinistra, nel 1876 deputato grazie all’appoggio personale di Crispi, 4 nel i collegio di Perugia ma la sua attività nei due anni di durata della xiv legislatura è limitata agli interventi nella discussione del disegno di legge per l’abolizione dei ratizzi nelle provincie meridionali. Si preoccupa principalmente di distinguere i Comuni dalle Province, da lui reputate enti minori e da appoggiare senza la cura usata per i Municipi. 5 Dal 21 maggio 1885 al 17 novembre 1889, poi, succedendo ad Ulisse Rocchi, esponente della Sinistra e precedendo Paolo Angeloni, collocato su analoghe posizioni, è Sindaco di Perugia. La carica però – lo ricordiamo tutti – non è ancora elettiva ma resta di nomina regia, quindi subordinata al parere del governo, nella primavera del 1885 guidato per la penultima volta da Agostino Depretis. È una situazione sulla quale non si è a tutt’oggi indagato, così da accertarne le motivazioni e le ragioni, è una situazione dai risvolti e dagli interrogativi da chiarire e da sciogliere. Tiberio Berardi muore il 1° settembre 1890 ma per lui non si è pronunziata alcuna commemorazione funebre alla Camera, in cui era stato eletto per 3 legislature. La notizia della scomparsa è riportata nella seconda pagina dell’edizione del 3 settembre de “La Nazione”. Dopo aver brevemente rie 









1  A. P., Camera, leg. xii, sessione 1876, Discussioni, vol. i, pp. 1012 -1021. 2 M. Missori, op. cit., p. 405, p. 407, p. 480 e p.613. 3  Ivi, p. 578. Per notizie sulla provincia di Rovigo ed indicazioni sui pochi mesi trascorsi da Berardi, v. Elios Andreini, La Destra storica al governo del Polesine (1869-1877), Rovigo, Minelliana, 2000, ad vocem. 4  Guido Fagioli Vercellone, ad vocem, in “D.B.I.”, vol. xliii, Roma, 1993, p. 734. 5  A. P., Camera, leg. xiv, Discussioni, vol. ix, p. 9267, p. 9273 e p. 9295.

“carriera” degli uomini del governo provvisorio 143 pilogato i momenti salienti della sua vita, si ricorda che nell’ultimo periodo “ era presidente della Congregazione della carità, capo dei veterani perugini e membro della Giunta amministrativa” e lo si loda per avere speso “i settantasei anni della sua vita al servizio della patria, della libertà e della monarchia”. Si sottolinea che “l’accompagnamento funebre della salma del comm. Berardi è stato imponentissimo”, indicando le associazioni presenti e lo “stuolo immenso di autorità, di rappresentanze e di amici”, tra cui il Sindaco Angeloni ed il deputato Cesare Fani “per l’Associazione monarchica, di cui l’estinto fu capo amatissimo”.1 Nel “Dizionario biografico degli italiani”, che accoglie le “voci” degli altri componenti del governo provvisorio del 1859, è ignorato. Nelle schede sui Sindaci e Podestà dal 1860, curate dal Comune di Perugia ed inserite in uno spazio specifico del sito istituzionale, il profilo è veramente sommario : si parla infatti di una sola elezione alla Camera, quella del 1880, avvenuta nel capoluogo, e si ignorano le due precedenti, comunque da segnalare. È una trascuratezza questa come altre, per Berardi immeritata e soprattutto ingiusta. È una damnatio memoriae fuori luogo, figlia della meschineria, nel nostro paese tara inestirpabile della vita pubblica e della lotta politica.  

1  Sono grato per la segnalazione al dott. Francesco Ghidetti.

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MASSONI E GESUITI DI FRONTE AL XX GIUGNO Franco Bozzi

L

e prime notizie sui drammatici eventi della settimana 14-20 giugno 1859 a Perugia furono diffuse dall’« Osservatore del Trasimeno », la gazzetta politico-culturale cittadina che usciva con cadenza trisettimanale, e dava conto della cronaca locale come dei principali avvenimenti desunti dalla grande stampa nazionale ed internazionale ; e dal « Giornale di Roma », un foglio quotidiano che si stampava nella capitale e fino alla Breccia di Porta Pia costituì la voce ufficiale del potere temporale dei papi. 1 Ma fu « La Civiltà Cattolica », riprendendo le due fonti or ora ricordate, corredandole di documenti ufficiali, organizzandole in un discorso unitario, a fornire all’opinione pubblica italiana (e attraverso questa all’opinione pubblica europea) la versione della Santa Sede. La rivista era entrata allora nel decimo anno di vita. Fondata da un gruppo di Gesuiti napoletani dietro l’impulso di Pio IX esule a Gaeta, essa si era data per missione la strenua difesa della civiltà cattolica, messa in crisi dall’illuminismo settecentesco e minacciata, nel corso dell’Ottocento, dallo strumento che di quella filosofia si era fatto propagatore, la Massoneria. La Compagnia di Gesù aveva avuto ampio modo di scontrarsi con il pensiero e i portati della modernizzazione, che al tempo stesso si era proposta di cristianizzare ; ricevendone in cambio pari ostilità, ma anche ammirata attenzione per l’uso accorto, e sovente spregiudicato, delle categorie intellettuali laiche. 2 Al di là della contrapposizione frontale e del virulento  



















1  Cfr. l’« Osservatore del Trasimeno », numeri di mercoledì 15 (cronaca dell’assembramento in piazza, della formazione del Governo Provvisorio e del proclama degli insorti che inneggia alla guerra d’indipendenza e offre la dittatura a Vittorio Emanuele di Savoia) ; di venerdì 17 (atti e decreti del Governo Provvisorio, assenza per servizio di Nicola Danzetta, approcci con il conte di Cavour) ; infine di mercoledì 22 (ripristino del Governo Pontificio ad opera del colonnello comandante militare Antonio Schmid, con perentorio invito ai perugini a rispettare la legge e la legittima autorità). E il « Giornale di Roma », numeri del 27 giugno (che riporta il lungo e dettagliato rapporto dello Schmid qui di seguito riassunto) e del 4-5 luglio (in cui si ritorna sull’argomento per ribattere le accuse avanzate dal « Monitore Toscano » e da quello « Bolognese », dal « Corriere Mercantile » di Genova e dal corrispondente francese del « Journal des Débats »). 2  Valga per tutti il giudizio che su di essa aveva dato Diderot in una celebre voce  



























franco bozzi 146 linguaggio, frutto di mentalità intossicate, le due istituzioni – Libera Muratoria e Societas Jesu – possedevano sin dall’origine affinità facilmente riscontrabili da chi le esamini senza preconcetti. 1 Poi, nell’età della Restaurazione, la Massoneria, (perso l’appoggio napoleonico e perseguitata dai ripristinati sovrani) aveva cercato rifugio nella clandestinità ; la Compagnia, rinata dopo le burrascose vicende che avevano condotto alla sua soppressione nell’età del dispotismo illuminato, aveva aggiornato la sua battaglia accomunando agli antichi nemici i nuovi avversari – giacobini e carbonari, liberali e socialisti – e aveva ideato la nuova rivista come strumento di contrapposizione polemica al giornalismo dell’epoca, figlio della Grande Rivoluzione e portatore di un pensiero agnostico, relativista ed antitradizionale. Fin dagli inizi alcune vessazioni censorie subite nel Regno delle Due Sicilie, che rinverdivano la vecchia sospettosità borbonica nei suoi confronti, avevano però convinto la Compagnia a trasferire la redazione della rivista a Roma, sotto l’ala rassicurante del Papa-Re. Per comprendere l’impostazione della rivista, che certo obbediva a sollecitazioni superiori, occorre riandare alla lettura che della Rivoluzione – illuminista in filosofia, liberaldemocratica in politica – si era venuta affermando, già nel corso del xviii sec., nell’ambito della Curia romana. Le impetuose novità che avevano sconvolto l’Europa dell’ancien régime, e avevano raggiunto l’apice durante il quindicennio napoleonico, erano state attribuite ad un tenebroso complotto contro il trono e l’altare, le cui fila erano tirate dalla “setta dominante” o dal “gran partito” : come veniva definita la nebulosa entità continuamente rimodulata secondo l’alternata presenza di “spiriti forti”, gian 





dell’Encyclopédie : un giudizio interessante perché rivelatore dell’ambivalenza di sentimenti che ha caratterizzato fin dall’origine i rapporti fra gesuiti e massoni, e che si è riproposto anche in tempi recenti, quando allo scontro frontale è subentrata una reciproca attenzione. Diceva dunque il Diderot : “si sono visti, nello stesso tempo e nella stessa Compagnia, la ragione accanto al fanatismo, la virtù accanto al vizio, la religiosità accanto all’empietà, il rigorismo accanto alla rilassatezza morale, il sapere accanto all’ignoranza, il distacco dal mondo accanto allo spirito di cabala e all’intrigo, insomma tutti i contrasti riuniti. Solo l’umiltà non ha mai trovato asilo presso questi uomini”. Vedi Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze delle arti e dei mestieri (1751-1772), a cura di Alain Pons, Milano, Feltrinelli, 1966, vol. secondo, p. 374. 1  A riprova di ciò si può citare l’opinione del Francovich, che parlando di Adam Weishaupt e dell’ordine da lui fondato, afferma che furono presi a modello la rigida disciplina morale gesuitica ai fini della coesione e finalizzazione degli adepti, e la tecnica massonica di rivelare gradualmente a chi se ne fosse dimostrato degno i segreti iniziatici. Cfr. C. Francovich, Gli Illuminati di Weishaupt, in Albori socialisti nel Risorgimento. Contributi allo studio delle società segrete (1776-1834), Firenze, Le Monnier, 1962, pp. 1-2.  



massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 147 senisti, “filosofi ”, sovrani giurisdizionalisti, “tutti soldati del principe Lucifero”, e che infine era stata identificata con la “figlia di Satana” e “nemica di Dio” per eccellenza, l’iniqua e abominevole Massoneria. Concetti e termini di questo tenore si ritrovano frequentemente nella letteratura apologetica umbra fra Sette e Ottocento : della quale è figura di spicco il gesuita catalano, ma trapiantato nello Stato Pontificio, Francisco Gustà. 1 Il pullulare delle società segrete nel decennio 1821/31 non aveva fatto che riconfermare la convinzione della persistenza del complotto : in particolare « La Civiltà Cattolica », gettando un sguardo retrospettivo sul periodo, considerava la Carboneria come una “tremenda setta” che aveva offerto il substrato per il processo unitario, e i cui membri erano tutti antichi massoni, ufficiali napoleonici o murattiani rimasti privi di impiego e fattisi perciò briganti, grassatori ed assassini. 2 Erano poi sopravvenuti i traumi del ’48 e del ’49, e la Santa Sede si era viepiù impegnata in una battaglia propagandistica di denuncia della trama, che si diceva adesso ordita da massoneria, protestantesimo ed ebraismo. 3 Ancora una volta a farsene carico erano stati gli appartenenti alla Compagnia. Un gesuita francese aveva pubblicato, proprio nell’anno che qui più ci interessa, un’opera in cui il centro del complotto veniva focalizzato in un’Alta Vendita carbonara, nella quale agivano fra gli altri un banchiere ebreo (evidentemente incaricato di procurare le finanze necessarie alla setta) e un personaggio nascosto addirittura all’interno del governo romano (spia delle tante  













1  Vedi il testo, a nome Francesco Gusta, intitolato Memorie della Rivoluzione francese tanto politica che ecclesiastica. E della gran parte, che vi hanno avuto i giansenisti, e pubblicato dal tipografo Ottavio Sgariglia di Assisi in due successive edizioni, nel 1792 e 1793. Secondo l’Autore filosofi, giansenisti ed illuminati avevano per comune progetto la distruzione della religione e della monarchia. È stato notato come il Gusta utilizzasse, in luogo di massoni, il termine di illuminati, attribuendo a questa branca della Libera Muratoria or ora ricordata il ruolo di braccio operativo della cospirazione. Cfr. Daniele Menozzi, Cattolicesimo e massoneria nell’età della Rivoluzione francese, in Storia d’Italia. Annali 21. La Massoneria, a cura di Gian Mario Cazzaniga, Torino, Giulio Einaudi, 2006, p. 183. 2  Questa raffinatezza di analisi si trova nell’articolo, non firmato, Il carbonarismo e i costituti di Silvio Pellico e di Pietro Maroncelli, « La Civiltà Cattolica », Quaderno 1285, Anno 55°, 1904, vol. i, pp. 38-39. 3  La tematica complottarda e le sue numerose varianti (specularmente si contrappose al complotto giudaico-massonico un complotto gesuitico, e non mancò chi avanzò una stravagante ipotesi sincretica) è stata sviscerata da Gian Mario Cazzaniga nel saggio Il complotto : metamorfosi di un mito, nel citato volume dell’Einaudi. La teoria del complotto, sempre di sicura presa presso il grosso pubblico, riserva altri inaspettati sviluppi : dagli Illuminati e dai Carbonari si arriva, passando per Mazzini e la Giovine Italia, all’Internazionale dei Lavoratori e alla Comune di Parigi.  







franco bozzi 148 illazioni riguardanti il coinvolgimento di prelati, vescovi e addirittura pontefici nell’istituzione massonica). 1 Il risvolto della teoria del complotto consisteva nell’opinione, fortemente sostenuta dalla rivista gesuitica, che nel 1848 come nel 1859 (a parte una fazione scellerata e tiranna che prima aveva inseguito l’utopia repubblicana ed ora si era acconciata ai voleri del Piemonte) la maggioranza dei popoli italici mostrava di preferire la tranquillità e il pane, bisogni forse meno poetici ma assai più pratici della nazionalità e dell’indipendenza, e più graditi di un regime costituzionale ; nonché di essere contraria alla guerra sabauda, che avrebbe potuto concludersi con una sconfitta in campo aperto, ma che in caso di vittoria dei liberali – anzi dei libertini – avrebbe riservato guai ancora maggiori, a cominciare dalla spoliazione dei beni della Chiesa. Se poi un tale flagello fosse stato scritto nei decreti della divina provvidenza, lo si sarebbe accettato con quella cristiana rassegnazione con cui si subiscono una carestia o una pestilenza : ma almeno si risparmiassero ai fedeli i richiami a voti ed aspirazioni inesistenti. Asserire la smania dell’Italia di diventare nazione indipendente era, per « La Civiltà Cattolica », una solenne impostura. Nel ’59, poi, anche l’ipotesi di un’Italia federata e “neoguelfa” era definitivamente tramontata. Il discorso veniva completato da ammonimenti rivolti alle altre potenze europee (in particolare alla Francia e all’Inghilterra) affinché non si lasciassero trascinare incautamente in una per loro letale avventura. Alle posizioni gesuitiche, espresse tre mesi prima dei fatti di Perugia, la Massoneria in quanto tale (in quel momento dispersa ed acefala) non poteva evidentemente rispondere ; dobbiamo dunque ricorrere, per illustrare la sua posizione, ai commenti espressi a posteriori. Secondo il punto di vista massonico, che riassumeva d’altronde il pensiero liberale nelle sue varie accezioni e sfumature, esisteva una incompatibilità di fondo fra i regimi democratici usciti dalla Grande Rivoluzione e la concezione cattolica, meglio ancora papista, attraccata ad una concezione gerarchica del potere, sostenitrice del diritto divino dei re. L’evoluzione dello Stato in senso costituzionale veniva dunque vissuta come un pericolo mortale, non solo per le monarchie autocratiche e le dinastie sovrane, ma per l’istituzione ecclesiastica che ne rappresentava il pa 











1  Cfr. Jacques Crétineau-Joly, L’Église romaine en face de la Révolution, in due volumi, Paris, Plon, 1859. Scritta su commissione di Gregorio XVI, l’opera vide dunque la luce sotto il pontificato di Pio IX. Ai gradi inferiori, secondo l’Autore, società quale quella del Mazzini erano incaricate di coadiuvare il disegno eversivo con tattiche insurrezionali ed atti di sangue.

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 149 radigma. Di conseguenza venivano respinte sia la prospettiva della secolarizzazione dello Stato, sia la tesi della separazione fra la sfera religiosa e l’elemento civile, frutti del movimento illuminista e riformatore raccolti dalla politica settaria anche in tempi di Restaurazione. “Il desiderio di mantenere ad ogni costo la confusione tra il temporale e lo spirituale nei vari Stati ma soprattutto in quello Pontificio, radicalizzò il contrasto in maniera insanabile dando origine da una parte ad un anticlericalismo pseudofilosofico, fatto di luoghi comuni e di volgarità e dall’altra ad un clericalismo ottuso maledicente a tutta una nazione”. 1 Vediamo adesso, scendendo nello specifico, come « La Civiltà Cattolica » ricostruì il concatenarsi degli accadimenti perugini. Basandosi sulle relazioni presentate da quanti avevano avuto parte attiva nei fatti, essa iniziava col narrare “come il giorno 14 [giugno] alcuni faziosi usurpassero il legittimo governo, e spinti da comitati, che dirigono ovunque la rivoluzione, proclamassero un governo provvisorio, alla testa del quale collocaronsi uomini ben noti anche nella rivoluzione del 1831 e del 1849. Il governo pontificio non poteva mostrarsi indifferente a quell’atto di ribellione : nel dovere di reprimerlo, ricorse ai mezzi necessarii e convenienti ; e nel desiderio di non trovarsi indotto a ricorrere a misure di rigore, volle dapprima inviare a Perugia il sig. cav. Lattanzi, consigliere di Stato, perché profittando dell’autorevole influenza che egli esercitare poteva in quella città, ove per molti anni fu prima giudice e poi presidente del tribunale, cercasse di richiamare i ribelli all’ordine e alla obbedienza verso il proprio governo, anziché esporsi alla conseguenza di una forza armata”. 2 La mediazione del Lattanzi non ebbe buon esito : i membri del governo provvisorio Guardabassi, Faina e Berardi (Nicola Danzetta si era recato a Torino per conferire col Cavour) “risposero, che il paese voleva resistere, che tutti, donne, vecchi e fanciulli avrebbero gettato dalle finestre e dai tetti quanto avessero potuto avere per respingere la forza colla forza. Tornata vana ogni pratica, il signor cavaliere Lattanzi dovette abbandonare la città, e tutto riferire al sig. colonnello Schmid, che alla testa della sua truppa stava nel vicino Ponte S.Giovanni”. 3 L’uffi 















1  G. Peruzzi, Il Risorgimento e la voce della Chiesa, « Rivista Massonica », n. 7, Luglio 1968, vol. lix-iii della nuova serie, p. 325. L’articolo, che si presenta come un aspro contrappunto alle affermazioni gesuitiche, continua per più numeri sulla stessa rivista. 2  Cfr. « La Civiltà Cattolica », Anno Decimo, vol. iii della Serie Quarta (Cronaca Contemporanea, Roma 9 Luglio 1859). Roma, coi tipi della Civiltà Cattolica, 1859, p. 232. 3  Ibidem.  







franco bozzi 150 ciale svizzero comandante la colonna – secondo quanto egli stesso affermava nel suo rapporto – conosciuta la risoluzione degli insorti, e sapendo che essi attendevano rinforzi dalla vicina Toscana, si decideva ad ordinare l’assalto. Dopo tre ore e mezzo di combattimento la truppa si impadroniva, sotto una pioggia battente, della piazza del forte, e fra manifestazioni di giubilo tornava ad innalzare le insegne papali. Tralasciamo i particolari della battaglia (ferimenti, uccisioni, irruzioni in case private) come vengono riferiti dal rapporto, giacché ciascun episodio ebbe in seguito una contrastante versione liberalpatriottica, e veniamo piuttosto alle conclusioni che « La Civiltà Cattolica » riprendeva ed avvalorava, fino farne un punto fermo e autentico dell’interpretazione pontificia in materia. “I membri della giunta sul declinare del combattimento, seguendo l’usato stile di aizzare alla rivolta, e quindi alla vista di un pericolo schermirsene, si presentarono al municipio rinunciando all’usurpato potere : e subito se ne fuggirono cogli altri principali compromessi, passando per la porta del Balagaio [sic], e proseguendo pel Colle del Cardinale si diressero verso la Toscana. I capi della rivolta di Perugia si vantano di aver dato gloria all’Italia, perché hanno potuto adunare intorno a sé una moltitudine di faziosi e di incauti, sedotti con promesse e con denaro, perché hanno immerso la patria nella sventura. A tanto vediamo giunta la depravazione degli animi, che molti reputano non più infamia, ma onore e gloria il ribellarsi al proprio principe, il promuovere e sostenere la rivolta sotto titoli speciosi”. 1 Nessun credito era poi da attribuirsi alle relazioni pubblicate sulla stampa ostile, di ispirazione sabauda ; né tanto meno alle accuse rivolte alla truppa per atti di violenza e barbarie perpetrati con il consenso, ed anzi dietro istruzioni dello stesso governo pontificio. “E quasi che siffatta invenzione fosse poco, i suoi sistematici detrattori fecero impostare in Perugia fogli in bianco, incaricandosi poi eglino medesimi di scrivervi menzogne, esagerazioni e calunnie, e così diffonderle, dando loro un’impronta di vero, perché forniti del bollo postale della città, ove hanno avuto luogo i fatti esposti. Per certuni non vi è risparmio di mezzi immorali per conseguire il loro intento. Le stesse relazioni, che abbiamo visto pubblicate, in gran parte furono scritte in Toscana dagli stessi faziosi autori della rivolta. Il governo pontificio è il primo a deplorare l’avvenimento di Perugia : ma terribile responsabilità pesa su coloro che spinte le cose agli estre 











1  Ivi, pp. 234-235.

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 151 mi, sono poi fuggiti, accompagnati dalle esecrazioni degli onesti loro concittadini”. 1 Nella città ridotta all’obbedienza manu militari il colonnello Schmid fece affiggere, il 21 giugno, un proclama che « La Civiltà Cattolica » riportava integralmente. “Un pugno di faziosi accresciuto dal numero dei sedotti osò di attentare alla Sovranità della S.Sede. Mandato dall’Augusto Sovrano Pontefice Pio IX a ripristinare tra voi il suo legittimo Governo, sarebbe stato mio desidero di evitare ogni conflitto. Coloro però ch’eransi impossessati della cosa pubblica vollero spingere l’audacia fino a resistere armata mano, e le mie truppe in tal frangente non mancarono al loro penoso quanto imperioso dovere. Ora sarà mia cura di ristabilire e tutelare l’ordine pubblico ; al qual effetto valendomi dei poteri conferitimi, dichiaro ed ordino quanto appresso : 1. È ripristinato in tutta la sua integrità il legittimo Pontificio Governo. 2. Tutti gli atti dell’intruso governo provvisorio sono nulli e di niun effetto. 3. È stabilito un governo militare da durare fino a nuove disposizioni. Perugini, rispettate le leggi, ed io rispondo della disciplina delle mie truppe”. Quel medesimo giorno veniva emanata dall’istituito governo militare la seguente notificazione : “Entro ventiquattr’ore dovranno essere depositate presso il comando militare tutte le armi da taglio e da fuoco, e le munizioni di ogni specie. È proibito l’uso di qualunque distintivo militare. È proibito del pari qualunque contrassegno o manifestazione sediziosa. I contravventori saranno puniti a tenore delle leggi marziali. La consegna delle armi e munizioni avrà luogo nella così detta sala dei notari”. 2 Riportato in tal modo l’ordine nella sconvolta città, si poteva dare il via alle feste indette il 26 di giugno per la restaurazione del legittimo governo, accomunate alla celebrazione dell’anniversario dell’incoronazione di Pio IX, sommo pontefice regnante, di cui « La Civiltà Cattolica » forniva ampia e dettagliata notizia. La vigilia della ricorrenza un altro numero della rivista, dopo aver lodato il colonnello Schmid che con soddisfazione dei buoni aveva ricondotto Perugia alla ragione, annunciava : “Il Santo Padre, onde manifestare la somma sua soddisfazione al menzionato Colonnello, si è degnata promuoverlo al grado di Generale di Brigata, ed in attenzione di speciali rapporti, onde premiare quelli che si sono maggiormente distinti, ha ordinato  



















1  Ivi, pp. 235-236.

2  Ivi, p. 230.

franco bozzi 152 che si facessero i dovuti elogi alla truppa, che prese parte a questo fatto, e così bene si distinse”. 1 Questa dunque la ricostruzione dei fatti offerta alla pubblica opinione da parte della rivista gesuitica. Invano vi si cercherebbe un accenno di critica, una presa di distanza, o perfino un moto di pietà per le vittime. Al contrario, la ricostruzione fissava dei punti che sarebbero divenuti luoghi comuni della pubblicistica cattolica in difesa dell’operato della Santa Sede. Punti che possono essere così riassunti : Perugia si era ribellata all’autorità cui era legittimamente soggetta, onde ne conseguiva che il suo sovrano, il pontefice, era titolare del diritto/ dovere di reprimere l’atto sconsiderato ; ciò nonostante, si era cercato in tutti i modi di sedare la ribellione senza il ricorso alla forza, ma i tentativi di una pacifica soluzione del conflitto si erano infranti dinanzi alla volontà degli insorti di resistere e di provocare dei morti da far valere nella più generale vertenza italiana ; la responsabilità di quanto avvenuto, compresi i caduti innocenti, le violenze e le ruberie – purtroppo corredo inevitabile di ogni battaglia – ricadeva sui promotori della rivolta, che per di più si erano coperti d’infamia dandosi alla fuga e abbandonando al proprio destino il popolo ingenuo, sedotto con illusorie promesse di unità, libertà, indipendenza. Seguivano quali corollari gli episodi su cui speculava la stampa liberale, sia italiana che europea : lo sforzo della rivista era quello di dimostrare che il reggimento svizzero inviato a ripristinare l’ordine era stato fatto oggetto di manifestazioni ostili consistenti nel lancio di pietre, liquidi bollenti, colpi di arma da fuoco, che avevano ucciso o ferito alcuni componenti la colonna e provocato il giusto risentimento dei loro commilitoni. Il tutto collocato nello scenario dell’offensiva anticristiana e antilegittimista di cui venivano accomunati nell’accusa, come un tempo i girondini e i montagnardi, così adesso i monarchici della Società Nazionale e i repubblicani della Giovine Italia. « La Civiltà Cattolica » presentava gli uni e gli altri quali eredi di quel complotto massonico riproposto con le varianti del caso fin da quando il gesuita abate Augustin Barruel lo aveva evocato per spiegare le cause della Rivoluzione francese. “Il  













1  Loc. cit., (Cronaca Contemporanea, Roma 25 Giugno 1859), pp. 103-104. La fonte è sempre il « Giornale di Roma », numero del 21 giugno. Poco sotto : “A Perugia è stata pienamente ristabilita l’autorità del Governo pontificio : vi regna l’ordine il più perfetto”. Commenta il Peruzzi che l’annuncio dei “caritatevoli padri compilatori” è analogo a quanto detto da altri “a proposito della rivolta di Varsavia”, e che tali “gloriosi bollettini di guerra” dovevano servire “ad edificazione ed insegnamento per altri colonnelli Schmid” (G. Peruzzi, art. e loc. cit., n. 9, Settembre 1968, p. 423).  







massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 153 ‘mito’ del complotto proprio perché generato dalla paura e dall’odio, anziché dalla documentata ragione, chiudeva gli occhi davanti alle più limpide verità”. 1 La Massoneria medesima sembrò accreditare le più fantasiose ipotesi cospiratorie quando si attribuì (ma siamo orami nel periodo della politica liberale e della cultura positivista) il merito di molte azioni decisive nel processo che aveva condotto all’Unità, e fra queste l’insurrezione e la difesa di Perugia. La ricostruzione classica, fondata su una lunga tradizione orale, non nega che vi fossero all’origine posizioni divergenti fra i maggiorenti del movimento democratico, nel cui ambito potevano distinguersi i repubblicani di Annibale Vecchi, i moderati di Francesco Guardabassi, i savoiardi di Reginaldo Ansidei ; ma sostiene che tali divergenze trovassero una compensazione all’interno della Loggia Fermezza. Quando si giunse al nodo cruciale del 1859, con la guerra sui campi del nord e la sollevazione delle Legazioni, “i maggiorenti delle diverse correnti politiche, previo accordo raggiunto in Loggia nel corso di una tornata di terzo grado, decisero di reclamare presso le autorità pontificie, il passaggio dei poteri ai rappresentanti liberali della città”. 2 Molto più cauta la tesi di chi, basandosi sulla scarsa documentazione esistente, rintraccia sì una pluralità di fermenti culturali e stimoli politici, ma afferma l’evanescenza di un progetto massonico perdurante nel tempo. “Nell’arco di oltre quarant’anni non c’è traccia di logge né nel Lazio né nelle Marche, né nelle Legazioni. Le carte di polizia indicano come settari : carbonari, mazziniani e massoni alla rinfusa. In città piccole come Perugia, la confusione è accresciuta dal fatto che le famiglie coinvolte sono sempre le stesse, già presenti durante il periodo napoleonico e poi nuovamente attive alla vigilia delle vicende del 1859 ; di conseguenza riesce facile disegnare una inesistente continuità nella quale qualun 









1  Aldo A. Mola, Storia della Massoneria italiana dalle origini ai nostri giorni, Bompiani, Milano 1992, p. 90. Nelle pagine immediatamente successive l’Autore evidenzia come durante il papato di Pio IX si intensificassero le condanne contro la Libera Muratoria, considerata il più insidioso e subdolo pericolo per l’ordine europeo fondato sul magistero della Chiesa di Roma e sul diritto divino dei re ; e per converso confluissero nelle Logge le posizioni agnostiche, materialiste, atee di tanta parte del pensiero filosofico e scientifico di metà Ottocento. 2  Ugo Bistoni, Paola Monacchia, Due secoli di Massoneria a Perugia e in Umbria (1775-1975), Perugia, Editrice Volumnia, 1975, p. 113. La proposta sarebbe stata formulata dal Venerabile Vecchi, e dopo un’animata discussione sarebbe stata approvata per un solo voto di scarto. Fonte della notizia una confidenza fatta in età avanzata da Zeffirino Faina a Guglielmo Miliocchi, e da questi riferita a Bistoni (ibidem, in nota).  

franco bozzi 154 que attività cospiratoria – non importa se repubblicana o monarchica, moderata o estremista – diventa de facto anche massonica e viene considerata emanazione della loggia Fermezza, della quale avrebbero fatto parte tutti i perugini politicamente e culturalmente impegnati, dalla Restaurazione al 1860”. 1 Ma si tratta di una ipotesi non suffragata dalle carte. D’altronde un’organizzazione massonica strutturata su tutto, o almeno su gran parte del territorio della penisola (in grado perciò di tessere la trama cospiratoria di cui si favoleggia) non esisteva più. Il Grande Oriente d’Italia, fondato a Milano nel 1805 e posto sotto il maglietto di Eugenio di Beauharnais si era dissolto dopo il crollo dell’impero napoleonico. A quella lontana esperienza, incubatrice delle aspirazioni nazionali che poi sarebbero state coltivate dal pullulare latomico in età di Restaurazione, si richiamò la Loggia Ausonia, costituita a Torino l’8 settembre 1859, cui seguì il 20 dicembre 1860, sempre nella città dei Savoia, una prima Assemblea Costituente del nuovo goi. È dopo la conquista piemontese delle Marche e dell’Umbria che si assiste anche nelle regioni centrali al rifiorire di una attività organica libero-muratoria. Così avvenne anche a Perugia, dove sul finire del ’60 si costituì la Loggia Fede e lavoro in antitesi alla Fermezza : questa essendo di Rito Scozzese e tendenza repubblicana, quella di Rito Simbolico e orientamento liberal-moderato. Non basta : a contrastare il predominio governativo si formò a Torino la Loggia Dante Alighieri, di cui fu esponente di rilievo Ariodante Fabretti, che si impegnò a suscitare una presenza analoga a Perugia tramite i fraterni amici Vecchi e Orazio Antinori. Altri contrasti si verificarono a Roma fra l’ala democratica del cosiddetto partito d’azione e una loggia considerata emanazione della cavouriana Società Nazionale. In opposizione al goi di Torino nacque un goi di Palermo. Noti e dichiarati sono i contrasti che misero a fronte Luigi Pianciani (massone, garibaldino, ma anche crociato al tempo dell’infatuazione collettiva per Pio IX) e la consorteria moderata perugina. Insomma, se tutta la cultura di discendenza illuminista e liberal-democratica trovò il suo approdo nelle logge, non per questo è lecito dedurne l’immagine di una Massoneria monolitica e tentacolare, in grado di dirigere la supposta temutissima cospirazione.  





1  Anna Maria Isastia, Massoneria e sette segrete nello Stato Pontificio, nel citato volume dell’Einaudi, pp. 503-504. “Intorno alle vicende di questa loggia – prosegue l’Autrice – si costruisce un improbabile unanimismo tra vecchi carbonari e nuovi mazziniani e poi, alla fine degli anni Cinquanta, tra repubblicani mazziniani e monarchici liberal-moderati filo-piemontesi” (ibidem).

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 155 La Massoneria si fece tuttavia portavoce degli interessi nazionali unitari, e rivendicò ai suoi adepti la preparazione dei fatti salienti del Risorgimento, fra cui non potevano evidentemente mancare per il loro carattere emblematico quelli rubricati dall’opinione pubblica italiana ed europea (con ricadute pure al di là dell’Atlantico) come le “stragi di Perugia”. A ciò corrispose un impegno antimassonico pressoché quotidiano da parte di papa Mastai, 1 culminato nel Sillabo del 1864. In questo elenco di errori del mondo moderno, comprendente panteismo, naturalismo, razionalismo, indifferentismo e quant’altro, venivano individuate come pestilenze socialismo, comunismo, società segrete, società clerico-liberali. 2 La Massoneria non era esplicitamente nominata, ma fu ancora una volta « La Civiltà Cattolica » a fornire l’esegesi autentica del documento pontificio, certificando che l’istituzione era da considerarsi come l’ultimo frutto dell’antico serpente, cioè di Lucifero, giunto a noi attraverso la legittima discendenza da Caino a Giuda Iscariota, per il tramite di epicurei, sansimoniani, volterriani ed agnostici. 3 Chiaro è che simili esasperate iperboli potevano facilmente provocare altrettanta scomposta virulenza, cosicché alla condanna radicale della modernità da parte della Chiesa si contrappose da parte liberale un’acritica e perfino disarmante esaltazione dello  









1  Secondo i dati forniti dalla Biblioteca del goi “l’ultimo papa-re emise 114 documenti antimassonici, così suddivisi : 11 encicliche, 51 lettere, 33 allocuzioni e discorsi e 19 documenti maggiori di Curia”. Filo conduttore, la tesi della cospirazione contro la Chiesa e i legittimi poteri, cui si faceva risalire il processo rivoluzionario in atto in Italia e in Europa. Tutto il materiale antimassonico fu poi raccolto nella costituzione Apostolicae Sedis, che prevedeva la scomunica latae sententiae contro i massoni e i loro fiancheggiatori. Detta costituzione fu pubblicata nel 1869, un anno prima della breccia di Porta Pia. Vedi [email protected] 2  Vedi il testo del Sillabo, che fu pubblicato il 2 gennaio 1865 sulla rivista dei gesuiti, in Franco Gaeta, Pasquale Villani, Documenti e testimonianze, 2, Milano, Principato, 1983, pp. 260-270. 3  Cfr. Aldo A. Mola, Storia della Massoneria, cit., p. 99. Dal pensiero cattolico, di cui se fece massima interprete la rivista gesuitica, la Massoneria fu definita di volta in volta “degna figlia di Satana”, “succubo e strumento del Diavolo”, “abominevole setta di perdizione”, “palude pestilenziale”, “lebbra immonda”, “torrente di iniquità”, “orrido dragone che suggerisce ogni male”, “sinagoga tenebrosa”, “catacomba del culto di Baal”, ecc. (ivi, e nel citato sito del goi). Per converso i Gesuiti furono paragonati dai loro oppositori all’ “idra di Lerna che muore per rinascere”, e variamente nomati “lue dalle malefiche influenze”, “seme di discordia”, “rappresentanti di un funesto passato”, “torbida e malaugurata compagnia”, “cospiratori”, “corrompitori”, e via discorrendo. « Il Grido del Popolo », settimanale anticlericale di Foligno, descriveva il Vaticano come un “covacciolo secolare di jene umane e di misteriosi delitti”, e a Garibaldi, “primo massone d’Italia”, fu attribuita la definizione di Pio IX come di un “metro cubo di letame”.  





franco bozzi 156 scientismo e del progresso, cardini della nuova società risorgente. 1 Un’ulteriore conseguenza fu il compattamento di tutti i fautori della nazione italiana in un unico fronte anticlericale. 2 Tutto ciò, acuito dal trascinarsi della “questione romana”, costituì in ultima analisi una pesante ipoteca per la corretta interpretazione storica del xx Giugno perugino. Il cinquantenario delle “stragi” (che cadde sotto la Gran Maestranza di Ettore Ferrari) fu l’occasione per il rinfocolarsi della polemica. Massoni e liberali prepararono feste solenni con le quali intendevano, più che onorare la libertà riconquistata sul governo teocratico, ricordare il feroce eccidio perpetrato dai mercenari al soldo del papa-re. La celebrazione del mezzo secolo fu preceduta e accompagnata da manifestazioni di contorno – una commemorazione in sede parlamentare, un libro sull’argomento di un archivista massone – che furono aspramente riprovate dai Gesuiti. “Che la storia riesca pur troppo ad una ‘congiura contro la verità’, quando vada alleata con la politica antireligiosa, – scriveva la loro rivista – si vide ancora una volta riconfermato in questi giorni, con una prova la più disgustosa per ogni storico serio e per ogni uomo onesto, nella commemorazione fattasi alla Camera, il giorno 17 giugno, delle così dette ‘stragi di Perugia’. Precedeva il deputato Fani, portando il grande annunzio all’assemblea della nazione, che la sua Perugia sta per consacrare un monumento alla memoria dei cittadini caduti il 20 giugno 1859, vittime degli sgherri della tirannide papale. Degno di tanto proemio, seguiva lo scrittore dell’Asino con una sua lurida cicalata, fornitagli da un libello, prossimo a pubblicarsi per l’occasione, di un cotale Giustiniano Degli Azzi, il quale ne aveva pure ‘gentilmente comunicato’ le bozze all’Avanti, come questo giornale stesso ci fa sapere (20 giugno), incensando il suo ‘valoroso cultore di storia’. È una storia, ben inteso, fatta e scritta a uso dell’Asino e dei suoi ‘compagni’. Ma, forte del nuovo imparaticcio, col quale da  



1  Il cui precursore e profeta fu individuato in Giordano Bruno. L’erezione del monumento al Nolano a Campo dei Fiori in Roma (1889) segnò forse il punto più alto dello scontro. Perugia non fu comunque da meno, e volle affiggere nel 1907 – su iniziativa dello scienziato massone Terzo Bellucci – una lapide dedicata al filosofo lì “ove imperarono i suoi carnefici”, cioè davanti al complesso di San Domenico, che comprendeva il Palazzetto dell’Inquisizione. 2  Non si spiegherebbe altrimenti perché un liberale moderato quale Guardabassi e un socialista internazionalista quale il marchigiano Stanislao Alberigi Giannini si siano ritrovati a sostenere un convegno di liberi pensatori indetto da Pietro Sbarbaro, che il Mola (op. cit., p. 133) definisce “esponente del razionalismo più allucinato”, a Loreto, proprio in faccia alla Santa Casa.

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 157 più giorni porta il suo lurido contributo ai giornali di ‘alta funzione’ educatrice socialista, Guido Podrecca si empiva la bocca di grosse parole, e le vomitava impavido innanzi al consesso dei rappresentanti della nazione, ricordando anche, per maggior loro ribrezzo, che ‘le armi omicide di quelle orde prezzolate erano colà inviate da Pio IX e benedette da Leone XIII…’ Commosso forse dalla insolita tenerezza del socialista, sorgeva l’on. Fani per associarsi in nome del governo ; e infine, come a suggello dell’associamento governativo alle ciance del pornografo, chiudeva paternamente il presidente Marcora, facendo sue le nobilissime parole degli oratori, e a consolazione di tutti, soggiungendo che ‘per buona ventura, però, l’anno di poi, appunto perché aveva conquistato la propria indipendenza, l’Italia poté sfrattare dalla nobile città e dall’Umbria intera le orde mercenarie che si erano macchiate di quelle stragi”. 1 Seguiva il resoconto dei fatti secondo i canoni della precedente pubblicistica cattolica, che già conosciamo ; cui tuttavia la rivista aggiungeva un elemento nuovo, e cioè il paragone fra i pochi caduti delle supposte stragi e le molte vittime causate dallo Stato unitario per reprimere ogni forma di dissenso : il brigantaggio nel Mezzogiorno, le proteste torinesi per il trasferimento della capitale a Firenze, i moti della Lunigiana, i Fasci siciliani, fino alla rivolta del pane che sul finire del secolo aveva insanguinato Milano. Chi ha la casa di vetro, era la morale gesuitica, non tiri sassate. Per contro la Loggia Francesco Guardabassi (nata nel 1881 dalla fusione delle due logge precedenti, la Fermezza e la Fede e lavoro, e intitolata al capo del Risorgimento perugino) invitò le supreme autorità dell’Ordine e i capi dei Corpi Rituali a prendere parte alle feste indette per il giorno dell’anniversario, che prevedevano un corteo dal centro della città al teatro della battaglia (ribattezzato, nel 1882, Borgo xx Giugno), l’inaugurazione in loco del monumento ai caduti, un vermouth d’onore, un’agape fraterna. Nella circolare d’invito il Venerabile Publio Angeloni rievocava gli accadimenti di quella tragica giornata, e soprattutto l’irruzione delle soldataglie svizzere in  







1  « La Civiltà Cattolica », Anno 60°, 1909, vol. 3, p. 112. Nella rubrica Cronaca Contemporanea. Cose Italiane, Roma 8-22 giugno 1909. L’articolo continua accusando “l’assemblea plaudente alle voci oscene del pornografo” di ignoranza o codardia, avendo volutamente dimenticato che gli avvenimenti furono provocati da bande di armati venuti dalla vicina Toscana, ed unitesi ad alcuni rivoluzionari di Perugia alla cui testa era la principessa Maria Bonaparte Valentini, cugina di Napoleone III (cfr. ivi, p. 113). Per la posizione dei cattolici locali vedi l’articolo non firmato Il xx Giugno mdccclix, che copre tutta la prima pagina del periodico settimanale « Vita Umbra », n.° del 19 giugno 1909.  







franco bozzi 158 una città male equipaggiata ed armata, e per di più sguarnita dei suoi figli migliori accorsi volontari sui campi lombardi a combattere per l’indipendenza della patria. “Pio IX, che aveva raccomandato ‘rigori’ e ‘decapitazioni’, benedisse alle truppe mercenarie, incitate già all’eccidio con la promessa del saccheggio, e le colmò di onori e di premi ; elevò al grado di generale il colonnello Schmid, conferì croci, dispensò medaglie commemorative ; e alle stragi, agli incendi, alle rapine, faceva seguire il terrore, le confische, le proscrizioni e le condanne a morte. Al giorno del martirio seguiva, indi a poco, il 14 settembre 1860, la liberazione, e il 20 settembre dell’anno 1870 redimeva Roma all’Italia e abbatteva per sempre il nefasto potere teocratico”. 1 Le numerosissime logge intervenute presero parte ad una sezione del corteo che raggruppava le società e le leghe operaie, nonché le società anticlericali, repubblicane, socialiste ed anarchiche. Si trattava di un corteo molto composito, in cui avvennero anche episodi bollati come spiacevoli dalla stampa moderata : per esempio il fatto che passando dinanzi alla statua di Vittorio Emanuele nell’omonima piazza (oggi piazza Italia) i repubblicani avessero capovolto le loro bandiere, e i socialisti avessero intonato l’Inno del lavoratori. Questa è un’ulteriore riprova di quanto variegato fosse il fronte che si riconosceva nell’idea di nazione. In quel frangente si ebbe una significativa convergenza fra socialisti e massoni (peraltro divisi in altri momenti e su altri temi), attestata dallo spazio che il giornale della Federazione Socialista Umbra, « La Battaglia », riservò all’avvenimento, e al ruolo centrale giocato dall’istituzione libero-muratoria. 2 Il clou delle manifestazioni fu rappresentato dall’inaugurazione del monumento eretto dinanzi ai giardini del Frontone, dove cinquant’anni prima si era consumata la  













1  Cinquantenario del 20 Giugno 1859 in Perugia, « Rivista Massonica », anno xl, Tipografia F.Centenari, Roma 1909, p. 209. 2  Il numero del 19 giugno 1909 è quasi interamente dedicato alla celebrazione dell’indomani. Il fondo si intitola Cinquant’anni dopo, ed è firmato da Francesco Ciccotti. La prima pagina riporta anche un sonetto di Giosuè Carducci, una lettera di Guido Podrecca che si scusa di non poter partecipare, una ricostruzione storica di forte intonazione anticlericale dal titolo Le stragi di Perugia. Nell’angolo in basso a destra un invito ai compagni a raggrupparsi in vista del corteo. Ancora “comunicazioni di servizio” a p. 2. Sotto la Cronaca di Perugia a p. 3 notizia di un comizio commemorativo al Turreno, con previsti interventi di Sbaraglini e altri esponenti socialisti ; altre informazioni sul corteo e il manifesto della Massoneria più avanti riportato. Annunci : Le stragi di Perugia – Pubblicazione Popolare. Cent. 30. Cartoline Commemorative. Cent. 50. Ampio resoconto della manifestazione nel successivo numero del 28 giugno. Tutta la prima pagina è dedicata all’evento.  







massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 159 sfortunata difesa. 1 Qui ancora oggi, nella mezzanotte fra il 19 e il 20 giugno, la Massoneria perugina depone una corona di fiori e ricorda i caduti con allocuzioni e canti patriottici. Il manifesto che la Loggia Guardabassi fece affiggere in città costituisce una summa di tutti i motivi dell’anticlericalismo militante, espressi con la retorica propria dell’epoca : “Il xx Giugno 1859, per volere di papa Pio IX, per opera delle sue orde mercenarie, Perugia, rea d’italianità, rea d’aver voluto sottrarsi al governo teocratico ed aver costituito un Governo provvisorio nelle persone di egregi cittadini, tutti massoni, dopo aver invano opposto magnanima resistenza rimaneva nelle mani dei sostenitori del vicario di Cristo, che vi seminavano la strage, il saccheggio, gli incendi. Il pontefice benediva i suoi scherani e il vescovo di Perugia Gioacchino Pecci, tre giorni dopo, portava attorno per le vie deserte e desolate della città, ancora macchiate di sangue, il simbolo del Dio della pace, fra due ali di baionette straniere e, mentre non trovava una prece per i perugini eroi caduti combattendo per la libertà e per l’indipendenza della loro terra, per la unità d’Italia, celebrava solenni esequie per i mercenari morti nell’assedio, vilissimi scherani, incendiari e saccheggiatori. Oggi, cinquanta anni dopo quel giorno, Perugia libera e liberale inaugura, a ricordare quelle stragi, a perpetuo obbrobrio dei carnefici, a perpetua gloria dei martiri, un monumento, ed alla solenne inaugurazione la Massoneria prende parte. I nostri labari dati al bacio del bel sole italiano, qui ove due volte un forte popolo abbatté la Rocca dei papi, dove il nostro grande Fratello Giosuè Carducci pensò il ‘Canto dell’Amore’, significhino insieme monito ai retrivi ancor vaneggianti ritorni che la scienza e la storia ripudiano, incoramento ai deboli che combattono le supreme battaglie del Libero Pensiero e della democrazia, speranza a tutti di giorni migliori nel trionfo completo dei nostri ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza”. 2  





1  Cfr. Raffaele Rossi, Un simbolo di libertà. Storia del Monumento al xx Giugno, Perugia, Comune di Perugia – Istituto per la storia dell’Umbria contemporanea, 1988, p. 49, p. 54. A cui adesso si può aggiungere l’opuscolo : Ministero per i Beni e le Attività culturali. Archivio di Stato di Perugia. Archivio storico del Comitato per l’erezione del Monumento a ricordo del xx Giugno 1859. Inventario a cura di Mariella Cotozzolo, Perugia 2009. 2  Pubblicato da Ugo Bistoni nell’articolo Lotte in provincia, che ripete il discorso celebrativo tenuto nel ventesimo anniversario della scomparsa di Guglielmo Miliocchi alla presenza del Gran Maestro Ennio Battelli e di altri dignitari del goi. « Rivista Massonica », n. 5, Luglio 1979, vol. lxx-xiv della nuova serie, pp. 207-208.  





franco bozzi 160 A completare la celebrazione dell’evento, nell’autunno di quell’anno la Loggia Guardabassi dette vita, con uno sciamo pilotato di fratelli, ad un’altra loggia perugina, che assunse per l’appunto il nome della data gloriosa. 1 La Massoneria intendeva in tal modo rivendicare a se stessa non solo il ruolo svolto nel processo nazionale unitario, ma la direzione presente del fronte laico che in quella data-simbolo cercava un comune sentire. Ma questo fronte, nel mezzo secolo trascorso dalle “stragi”, come si era accresciuto di nuovi apporti, così aveva modificato la sua articolazione interna. Accanto alle componenti tradizionali di cui si è parlato, vi erano confluiti i socialisti, gli anarchici, i radicali, gli evoluzionisti darwiniani, i fautori della scienza positiva. Ciò aveva determinato uno spostamento dei liberali moderati che di fronte ai paventati pericoli si erano riavvicinati ai clericali. L’astio manifestato dalla rivista dei Gesuiti verso il deputato Fani trovava la sua spiegazione proprio nel fatto che questi aveva fruito sottobanco del voto cattolico. Di lì a poco tale fittizia intesa (sancita ufficialmente nel 1913 dal Patto Gentiloni) sarebbe andata in frantumi. Le lotte del lavoro, l’impresa di Libia, la Grande Guerra – e ancor di più il fascismo, verso la cui ascesa tanto la Compagnia loyolesca quanto le Osservanze massoniche tennero una condotta non sempre cristallina – scavarono solchi profondi fra e dentro le componenti del fronte anticlericale. 2 Si divisero i massoni, i liberali, i socialisti ; e dall’altra parte si divisero perfino i cattolici. E il fascismo ebbe buon gioco nel far leva su tali divisioni, e nell’imporre, in omaggio alla raggiunta Conciliazione fra Stato e Chiesa, una visione totalmente deformata del xx Giugno perugino. 3  







1  La citata opera di Bistoni-Monacchia, Due secoli di Massoneria, riserva l’intero capitolo 18 (“Nascita della Loggia 20 Giugno 1859. Celebrazione del Cinquantenario”) agli avvenimenti dell’anno 1909. Due, secondo gli Autori, i motivi che portarono all’istituzione della nuova loggia : uno di carattere funzionale, essendo la Guardabassi divenuta troppo numerosa ; l’altro di carattere sostanziale, inteso ad attestare “l’attaccamento della Massoneria perugina alle tradizioni risorgimentali che l’avevano vista impegnata nell’abbattimento del potere temporale” (ivi, pp. 288-289). L’avversione al prete predicata da Garibaldi trovava sbocchi coevi nelle Associazioni del Libero Pensiero, e nei Circoli anticlericali Giordano Bruno e Gesù Cristo. 2  E poiché gli instancabili sostenitori della congiura anticristiana aggiungono al calderone dei congiurati i seguaci dei regimi totalitari e paganeggianti del xx secolo, non sarà inutile ricordar loro che a Perugia il tempio massonico, la sede della Camera del Lavoro, la tipografia ove si stampava « La Battaglia » furono devastati dagli squadristi, i massoni (a cominciare dal Gran Maestro Domizio Torregiani) furono mandati in carcere o al confino, mentre liberali, nazionalisti e cattolici si riconobbero invece, per massima parte, nel regime mussoliniano. 3  Per l’approfondimento del tema si rimanda, oltre che al citato volume di Rossi, Un  







massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 161 Ridotta al silenzio durante il ventennio fascista, la Massoneria riprese la parola nel 1959, celebrandosi il primo secolo dalle “stragi”. Le manifestazioni, cui assistetti da giovane studente universitario, 1 si svolsero nel clima della riconquistata libertà, della ricostruzione e del miracolo economico, ma anche della guerra fredda e della contrapposizione fra il blocco atlantico e quello sovietico. Il Gran Maestro Umberto Cipollone 2 rivolse non solo ai perugini, ma agli italiani tutti, un Manifesto dai toni solenni : “Il martirio di Perugia, di cui si celebra il centenario, esprime e riassume in sé le idealità, gli eroismi ed i sacrifici di quanti, in ogni città d’Italia, con l’immolarsi sui patiboli e nelle galere, si consacrarono alle lotte per il trionfo della libertà e della indipendenza nazionale. In questo giorno, orsono cento anni, Perugia fu selvaggiamente punita per avere scacciato il governo pontificio, costituito un governo provvisorio aderente alla unità nazionale e inviato il fiore della sua gioventù a partecipare alla guerra di indipendenza. I mercenari dello scacciato governo mossero alla riconquista della città ribelle e saccheggiarono, devastarono, incendiarono, massacrarono perfino donne e bambini. E, occupata la città, seguirono ancora confische, punizioni e condanne a morte. Né la rievocazione centenaria è soltanto per le vittorie conseguite sui campi di battaglia, ma anche per le conquiste politiche allora realizzate e poi trent’anni orsono compromesse ; e, a celebrazione e memoria di quei martiri, ascoltate, o italiani, oggi il monito che da quei fatti si esprime, contro la pressione clericale e reazionaria che si presenta in mutate sembianze ; e sorga da quella memoria, lo incitamento alla difesa rigida ed incondizionata della sovranità civile ed a  









simbolo di libertà, all’agile pamphlet di Giorgio Casoli, 1859-2009-xx Giugno a Perugia. Gli Uomini e le Idee. La vicenda della tiara, Benucci Editore, s.d. [ma 2009]. 1  Ho ricordato le celebrazioni, le polemiche che le accompagnarono, la vivezza sorprendente di un evento la cui presa mi sembrava affievolita col tempo nel saggio Il xx Giugno : ancora un mito fondativo ?, apparso sulla rivista « Diomede », N° 6, 2007. Il mio scritto ha suscitato un forum con numerosi interventi, di parte laica e di parte cattolica : ciò che mi ha reso convinto della persistenza insospettata di quel “mito”, se non nel ceto popolare e borghigiano ormai disperso, presso le élites colte della città. È pure significativo che l’Associazione (di quartiere) Porta Santa Susanna abbia dedicato l’annuale ciclo di conferenze 2008/09 all’episodio e alle ripercussioni del 20 giugno 1859, inseriti nel più ampio quadro del Risorgimento nazionale. 2  Cipollone fu uno dei firmatari, il 10 giugno 1944, di un manifesto diffuso da Roma che annunciava la rinascita del goi, e uno dei tre componenti il Comitato di Gran Maestranza che si costituì subito dopo, dichiarandosi erede di Ferrari e Torregiani. Dopo essere stato nel ’49 Gran Maestro pro-tempore, ricoprì la carica dal ’57 al ’60.  









franco bozzi 162 maggiori conquiste di libertà e giustizia sociale. Si riaffermi, con serena e memore fermezza, che tanto lo Stato, quanto le forze politiche che ne compongono il governo, debbono respingere qualsiasi suggestione della fede, il cui magistero spirituale è rispettato e indiscutibile, ma che non deve né può imporre norme di azione politica, né imporre con il carattere dogmatico della sua docenza la negazione della essenza del principio democratico, rendendosi in tal modo altrettanto pericolosa quanto ogni totalitarismo o dittatura di classe. Questo giorno ci è sacro per gli ideali di indipendenza e di emancipazione, e l’evento spinge anche ad ascoltare la voce, soffocata e pur alta, che ci giunge da qualsiasi altra plaga ove si soffre e si anela a libertà. Le aspirazioni dei soggiogati purtroppo seguitano ancor oggi ad essere soffocate nel sangue e nelle stragi. La voce dei martiri e dei combattenti per la libertà ci spinge, o italiani, alla invocazione : ‘libertà e pace, nella eguaglianza’, perché non può esservi pace senza libertà, né libertà senza pace, e uomini e nazioni debbono avere pari dignità”. 1 Questa volta « La Civiltà Cattolica » non intervenne : ma le argomentazioni da essa sviluppate in passato servirono da canovaccio per un’azione di contro-informazione ispirata dalla Curia. Al Comitato civico comunale, presieduto dal Sindaco (il socialista “bassiano” Alessandro Seppilli, alla guida di una Giunta di coalizione psi-pci 2) e composto da un rappresentante per ogni partito, compresa la Democrazia Cristiana, si contrappose un altro Comitato, di emanazione diocesana, il quale – oltre ad intralciare le iniziative ufficiali – si impegnò nella pubblicazione di opuscoli e numeri unici tendenti a riproporre le tesi  











1  Manifesto del Gran Maestro per il centesimo anniversario delle stragi di Perugia, datato Roma, 20 giugno 1959, e firmato Umberto Cipollone. « Lumen Vitae », anno vi, n. 6. Giugno 1959, pp. 157-158. 2  È addirittura emblematico il fatto che Sindaco e Giunta fossero stati eletti nella seduta consiliare del 20 giugno 1956, e che in quella occasione il consigliere anziano, comunista Francesco Innamorati, avesse affermato “che la data della riunione, 20 giugno, ha un profondo significato nella storia e nella vita della città, sia perché ricorda il glorioso contributo di sangue e di sofferenze che i perugini diedero al compimento del Risorgimento nazionale, sia perché ricorda la cessazione della occupazione militare tedesca e della dittatura fascista e con essa l’inizio di una vita nuova democratica che diede al ‘secondo risorgimento nazionale’, alla Resistenza, un nuovo contributo di sofferenze e di sangue” (Cfr. Armando Alberati, Il Governo democratico a Perugia. Tutti gli amministratori del Comune in cinquant’anni di proporzionale 1946-1992, Perugia, Protagon, 1994, p. 67). Com’è risaputo, l’esercito alleato liberò Perugia il 20 giugno 1944. Pare, da testimonianze orali raccolte, che la coincidenza della data fosse stata in realtà predisposta da intese fra massoni locali e fratelli anglo-americani.  



massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 163 care al Vaticano. Fra le altre cose fu riesumata la cronaca manoscritta di un esponente della nobiltà nera, il conte Luigi Rossi Scotti, copiata dalla vedova contessa Lucia Donini e da lei consegnata nel 1904 all’allora arcivescovo di Perugia Dario Mattei Gentili (si noti l’eletta rappresentanza degli ordini privilegiati dell’ancien régime). La cronaca, in sintesi, rovesciava le responsabilità dell’accaduto sul Cavour, i membri del Governo provvisorio, la principessa Maria Bonaparte Valentini ; minimizzava le violenze commesse da soldati a danno di una città che si rifiutava di capitolare ; trattava gli esuli in Toscana alla stregua di una ciurma di popolo cencioso che lamentava danni e miserie inesistenti per lucrare sovvenzioni e benefici ; e soprattutto sposava la tesi legittimista che aveva costituito uno dei capisaldi dell’apologia gesuitica. Ribellatasi Perugia al Pontefice quale sovrano temporale, era nel pieno diritto di questi di ridurla a soggezione : e, fallita la persuasione, con l’uso della forza che è intrinseca al potere politico, non già con milizie armate di corone e di aspersorio. 1 La Massoneria, per bocca del suo Gran Maestro, respinse come subdola e insidiosa questa contro-propaganda. Denunciò gli ostacoli frapposti al programma comunale, non sempre respinti con adeguata fermezza per il desiderio di arrivare a soluzioni di compromesso. Lamentò alcune scorrettezze compiute nei confronti dell’istituzione, cui fu consentito di sfilare in corteo con l’unico labaro del Grande Oriente, ma non nella posizione in precedenza concordata. Espresse delusione profonda per l’orazione ufficiale, tenuta al Teatro Morlacchi dal prof. Alberto Maria Ghisalberti, Presidente dell’Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. In tale frangente, seguitava Cipollone dichiarando lo sconcerto provato da lui e dagli alti dignitari che lo accompagnavano, “dovemmo assistere ad una manifestazione di conformismo clericale deliberatamente intesa a travisare ed a sminuire eroismi compiuti dai perugini sollevatisi e ad attenuare inaudite violenze e repressioni commesse dai mercenari pontifici. Si oltrepassò ogni misura tanto che seguirono vivaci incidenti, nell’atrio del Teatro e fuori, all’uscita dell’oratore, il quale – sia nel discorso, che poi in occasione delle violente reazioni sopravvenute – chiaramente alluse ad enormi pressioni ricevute, manifestando tutta la sua posizione di disagio”. 2  











1  Vedi Una testimonianza inedita sui fatti del 20 giugno 1859 in Perugia, a cura del Libero Comitato cittadino, Perugia 1959. 2  Umberto Cipollone, Sulle cerimonie che avrebbero dovuto rievocare il centenario delle “stragi di Perugia” (xx Giugno 1959), « Lumen Vitae », anno vi, n. 7, luglio 1959, p. 201.  



franco bozzi 164 Si era insomma voluto dare alla manifestazione il carattere di un atto riparatorio : e ciò conformemente alla volontà dell’arcivescovo Pietro Parente, il quale in mattinata aveva celebrato una messa in suffragio tanto di coloro che erano caduti “vittime del dovere”, quanto di coloro che avevano portato “volontarie, cruente testimonianze di un ideale politico” : cioè, al di là delle circonlocuzioni curialesche, dei mercenari svizzeri come degli insorti perugini. Il Gran Maestro rivelava infine di aver declinato l’invito rivoltogli dai partiti laici di tenere nello stesso luogo, a breve, un discorso riabilitativo, consigliando invece di preparare una grande cerimonia per il successivo 20 settembre, dovendosi considerare il 20 settembre 1870 come l’epilogo del 20 giugno 1859, dopo Aspromonte e Mentana. “Invitiamo ora – egli concludeva – tutte le Logge d’Italia a meditare su quanto è avvenuto a Perugia per essere in guardia e per reagire contro tutte le pressioni che in questi tre anni (1959-1961) sono in atto e saranno preordinate contro i fatti compiuti e gli ideali della tradizione laica risorgimentale”. 1 È un appello che torna di sorprendente attualità, nel momento in cui variamente si ricordano i centocinquant’anni dall’evento e si approssima analoga scadenza per la liberazione di Perugia (1960) e per il compimento dell’Unità d’Italia (1961). Nel mezzo secolo intercorso la polemica fra gerarchie ecclesiastiche e libera muratoria si è più volte rinfocolata. In particolare, nel 1985, l’arcivescovo mons. Cesare Pagani ebbe ad attaccare frontalmente la Massoneria, equiparandola ad associazioni di stampo camorristico e mafioso. La risposta, che alcuni adepti avrebbero preferito adeguata alla durezza dell’accusa, altri giocata sul filo dell’ironia (vi fu chi propose di invitare il presule a frequentare le logge, a condizione che dimostrasse, come stabilito dal rituale, di essere uomo libero e di buoni costumi), fu affidata ad un intervento abbastanza soft di Bistoni e ad un manifesto emanato dal Collegio dei Maestri Venerabili dell’Umbria per l’annuale ricorrenza solennizzata dalla consueta visita notturna con deposizione di una coltre di garofani rossi (il che può essere anche letto come una allusione, neppure tanto velata, alla contemporanea stagione del socialismo craxiano, che aveva nelle logge non pochi estimatori). Il testo recitava così : “Il 20 giugno ritorna, come ogni anno, da oltre un secolo, nel ricordo sempre vivo dei cittadini, motivo di orgoglio e di ammaestramento.  







1  Ivi, p. 202.

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 165 Gli uomini, che consci e fieri del loro patrimonio ideale, sanno combattere per la propria ed altrui libertà, non temono anzi sfidano la volontà repressiva di chi crede, con la forza delle armi o della distorsione dell’informazione, di conculcare i diritti altrui o di cercare di lederne la figura morale. Generazioni di uomini, talora in silenzio, talvolta, quando occorreva, in azione, hanno dimostrato da sempre che i valori della libertà, che traggono la loro origine dalla nostra capacità di raziocinio, sono insopprimibili, e che limitati o repressi fatalmente conducono alla rovina che ha voluto conculcarli. Questo rammenta agli improvvidi il Monumento al xx Giugno 1859, questo è il ricordo che generazioni di perugini hanno conservato nel cuore e nell’animo, per loro, per i loro figli, e per coloro che verranno, a significare che il concetto di libertà è in loro da sempre, a testimoniare la loro coscienza, la loro convinzione di uomini liberi, capaci di lottare in ogni dove ed in ogni tempo per questo diritto inalienabile del singolo e della collettività. La Massoneria Perugina ed Umbra, ravvivando la fiamma del ricordo, nella memoria di quel giorno, che compendia in sé la pacifica insurrezione dei cittadini, la repressione spietata, ed il ritorno definitivo ai valori di libertà, di tolleranza e di convivenza civile, rammenta ai cittadini accorti, agli sprovveduti ed ai falsi profeti, che in tempi di libertà quali viviamo, frutto del sacrificio di tanti, non è consentito ad alcuno di conculcare i diritti altrui. Ricorda che non è lecito ledere la dignità degli uomini con affermazioni criminalizzanti ed infamanti che finiscono per non esaltare la statura umana e morale di chi crede di parlare in nome di convinzioni e di fedi che traggono la loro essenza dall’amore e dalla fratellanza, gli stessi principi ai quali con la libertà e la tolleranza si ispira, dalle origini, la Massoneria Universale”. 1 A questi duelli verbali è subentrato, in tempi recenti, l’uso di celebrazioni condivise (cui si sono acconciati, dopo la scomparsa sulla scena politica dei socialisti e dei laici, post-democristiani e post-comunisti) che di fatto hanno svuotato il significato originario della/e ricorrenza/e. A Perugia si rimembra ormai il xx Giugno alla presenza  

1  Vedi articolo (Il “potere temporale” ed i Liberi Muratori perugini, di Vittor Ugo Bistoni ; e manifesto (xx Giugno del Collegio dei Maestri Venerabili dell’Umbria), « Hiram », 1985, n. 4, pp. 104-105.  





franco bozzi 166 dell’arcivescovo, 1 a Porta Pia si commemorano in un unico abbraccio gli zuavi e i bersaglieri. Sembrerebbe il superamento definitivo dei cosiddetti storici steccati : in realtà è la negazione in radice del Risorgimento, nella sua matrice massonico-liberale. Il paradosso è che mentre i gesuiti, punta di diamante dell’antica contrapposizione, hanno tentato nell’ultimo quarto di secolo – superando anatemi e scomuniche ricorrenti – di comprendere le ragioni della Massoneria, e di discuterne l’impostazione filosofica, il loro argomentare ottocentesco è stato raccolto da un filone di cattolicesimo integralista assolutamente coriaceo ed impermeabile ad ogni confronto. In nome di un processo di revisione di certe visioni oleografiche o partigiane, che certo nessuno contesta, è stato ripescato dai bassifondi della storiografia un armamentario polemistico che ci si era illusi fosse stato per sempre abbandonato. La Rivoluzione francese ? L’inizio di tutti i mali del mondo moderno, per la negazione della missione salvifica della Chiesa e la pretesa di auto redenzione dell’uomo. Il nuovo ordine napoleonico che si sostituiva agli antichi regimi ? Un ordine fondato sulla potenza di Satana. Il carattere costitutivo di quest’ordine ? Il binomio massoneria-satanismo, attestato anche dal pentalfa imperiale. Il Risorgimento italiano ? Un movimento imposto dalle élites intellettuali ai ceti umili e devoti. Le insorgenze, il brigantaggio ? Reazioni contro la politica autoritaria e accentratrice, dei giacobini prima, dei piemontesi poi. Lo scopo della Massoneria ? La scristianizzazione dell’Europa. Lo scopo della Carboneria ? La corruzione del popolo. La critica al potere temporale ? Una finzione per mascherare il vero obiettivo, l’ateizzazione dell’Italia. Il vantaggio della borghesia ? La soppressione delle corporazioni religiose e l’impossessamento dei loro beni. Il papa, il Granduca di Toscana, il re Borbone ? Sovrani saggi e amati dai loro sudditi, che avrebbero raggiunto l’unità confederale del paese se non avessero incontrato l’opposizione del Piemonte, deciso a formare una repubblica ( ?) italiana atea dalle Alpi alla Sicilia. Vittorio  

























1  Il debutto di un presule sulla scena della rievocazione risale al 20 giugno 1996, essendo divenuto primo cittadino – dopo una sequela di sindaci socialisti, e di amministrazioni dei due partiti della sinistra storica – il cattolico popolare Gianfranco Maddoli. In quella occasione, che servì anche da presentazione della ristampa del libro di Averardo Montesperelli Perugia nel Risorgimento 1830-1860, mons. Giuseppe Chiaretti ebbe a dichiarare che l’insurrezione del 1859, come quella più antica della guerra del sale, erano in fondo manifestazioni della libertas perusina entrata in conflitto con il potere politico del tempo (il pontificio) ma non già con l’identità cristiana del popolo. Cfr. Comune di Perugia, Celebrazioni del xx Giugno 1859, Perugia, xx Giugno 1996, passim.

massoni e gesuiti di fronte al xx giugno 167 Emanuele ? Un re più preoccupato dei propri intrallazzi finanziari e delle proprie avventure amorose che del bene della patria. La Torino dei Savoia ? Un covo di maghi, occultisti e spiritisti. La figura politica di Pio IX ? Quella di un riformatore che tentò di arginare il processo di secolarizzazione, e mise in guardia le pecorelle cristiane contro i pericoli del liberalismo, del socialismo, del comunismo. La sua figura ecclesiale ? Quella di un pastore che si preoccupò di contrastare la deriva ecumenica propugnata dai protestanti fissando cardini dottrinali quali la proclamazione dell’Immacolata Concezione, il primato del pontefice romano, il dogma dell’infallibilità ex cathedra. Il Sillabo ? Un documento profetico. Questo crescendo parossistico di affermazioni in cui brandelli di verità si mescolano a deduzioni insensate, 1 che reclama la reiterazione della condanna della Chiesa nei confronti della Massoneria, si scaglia contro i preti modernisti e sorvola sui ripensamenti degli stessi pontefici (Paolo VI non esitò a dichiarare provvidenziale la perdita del potere temporale ; ma si sa, anche papa Montini fu accusato dai lefebrviani e dai tradizionalisti in genere di essere aderente alla setta, e ne fu portata prova dal pentalfa che era inciso sulla sua mano nella nuova porta di bronzo della Basilica di San Pietro) non poteva tralasciare evidentemente la vicenda perugina. Anni fa la riscrittrice del nostro Risorgimento pubblicò sul quotidiano leghista un articolo il cui titolo già conteneva la tesi sostenuta al tempo dai gesuiti e dal giornale « L’Armonia », organo dei cattolici conservatori piemontesi. In estrema sintesi : la rivoluzione perugina era stata inscenata da pochi iscritti alla locale loggia massonica, cui avevano dato manforte migliaia di uomini ( ?) messi a disposizione dal rivoluzionario governo di Toscana. La resistenza fu decisa da Cavour per screditare il papa, i settari si attennero all’ordine ricevuto e poi gridarono alle stragi, che stragi non furono e la cui responsabilità ricade sul capo dell’agitazione  





















1  Talmente assurde da non sembrare vere : ma facilmente riscontrabili sui siti web (www.unavox.it ; www.totustuus.it ; www.zenit.org). Come autori di riferimento vengono citati Massimo Viglione (che si schiera dalla parte delle insorgenze e del brigantaggio in quella che chiama la guerra civile italiana, e sostiene le radici risorgimentali di nazionalismo, colonialismo e fascismo), Roberto de Mattei (ammiratore di Lepanto e delle Crociate, teologo dalle spericolate incursioni scientifiche che lo hanno portato a sostenere il creazionismo contro l’evoluzionismo, ultimo mito sopravvissuto al tramonto delle ideologie), e soprattutto la Pellicciari lodata da Berlusconi, che riscrive il Risorgimento come l’esito della lotta plurisecolare condotta dalle potenze protestanti, per mezzo della Massoneria, contro la Chiesa cattolica. Onde le due istituzioni sono destinate a scontrarsi in eterno : “Fra Cristo e Belial non vi può essere accordo”.  







franco bozzi 168 italiana. I dati dimostrano, contrariamente a quanto sostenuto dalla stampa nazionale ed estera, la moderazione dei soldati pontifici. Nulla comunque rispetto ad altri eccidi perpetrati dall’esercito sabaudo. 1 A fronte di questa canea, la Massoneria – gettato alle ortiche l’anticlericalismo aggressivo che la caratterizzò in età positivista, e riaffiorò episodicamente nel secondo dopoguerra – ha mostrato una moderazione di toni e una predisposizione al dialogo che si sono espresse in un convegno tenuto, il 19 giugno u.s., nel complesso templare di San Bevignate. 2 Ci sarà ovviamente chi le rinnoverà l’accusa di mimetizzarsi, di utilizzare la semplicità della colomba e la prudenza del serpente, di insinuarsi furtiva come sogliono fare i congiurati. Ma questo è l’insegnamento che le deriva dal suo “bieco illuminismo” : essere tollerante con chi dissente, solidale con chi ricerca, accorta a respingere il dogma, pronta ad aprirsi alla ragione.  





1  L’“insurrezione” di Perugia ? Un falso, di Angela Pellicciari. Lo scontro armato con l’esercito pontificio fu voluto da Cavour e costò assai poche vittime, da « La Padania », 7 ottobre 2001. Vedilo nel sito www.kattoliko.it/leggendanera. 2  Grande Oriente d’Italia. Collegio Circoscrizionale dei Maestri Venerabili dell’Umbria. 1859-2009. xx Giugno a Perugia. Gli Uomini e le Idee. Coordinamento di Franco Bozzi. Relazioni di Santi Fedele, Gian Biagio Furiozzi, Romano Ugolini, Mario Bellucci, Giorgio Casoli. Conclusioni del Gran Maestro Gustavo Raffi.  





La rappresentazione del XX giugno : spunti per un museo del Risorgimento  

Stefania Petrillo La pittura di storia e l ’ iconografia della strage on v’è dubbio che la rappresentazione dei fatti del 20 giugno 1859, per la drammaticità dei contenuti e per la tensione ideologica ed etica ad essi sottesa, costituisca il vertice dell’iconografia risorgimentale perugina. Il tributo più cruento pagato dalla città umbra alla causa nazionale non solo ebbe immediata eco nella testimonianza di alcuni pittori-patrioti, ma si circonfuse subito di un’aura di eroismo destinata a trascendere i limiti spazio-temporali della cronaca. Se infatti il termine “rappresentazione” viene considerato nel suo valore semantico più ampio, ad includere tutte le declinazioni possibili delle categorie “illustrazione”, “celebrazione”, “commemorazione” (dipinti, monumenti, epigrafi e cimeli collegati all’episodio anche in modo indiretto o simbolico), si constaterà che l’attenzione a questo specifico tema si iscrive in un arco di tempo molto esteso, tanto lunga fu l’onda emotiva di una strage che marchiò come un sigillo rovente la memoria cittadina. Il ’59 è del resto, per l’Italia tutta, uno snodo cruciale sulla strada per l’indipendenza e segna parimenti, dietro la spinta di accadimenti irreversibili, un punto di non ritorno verso un’arte esplicitamente “impegnata”, così come si era verificato qualche decennio prima in

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Desidero ringraziare Marina Bon Valsassina, dell’ufficio Cultura del Comune di Perugia, che con la consueta disponibilità ha favorito le mie ricerche ; Catia Chiaraluce, dello stesso ufficio, per avermi assistito durante la ricognizione dei materiali e dei documenti nei depositi del Museo di palazzo della Penna ; Lidia Mazzerioli, che mi ha permesso di studiare gli oggetti e le carte d’archivio conservati presso la Società generale di Mutuo di Soccorso di Perugia ; Fedora Boco, responsabile della Biblioteca e dell’Archivio dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, che ha messo a mia disposizione alcune riproduzioni fotografiche. Abbreviazioni ASP = Archivio di Stato di Perugia ASCP = Archivio Storico del Comune di Perugia “ASRU” = “Archivio Storico del Risorgimento Umbro (1796-1870)” BAP = Biblioteca Augusta di Perugia MCRR = Museo Centrale del Risorgimento, Roma  





stefania petrillo 170 Francia sotto l’egida di David e poi di Delacroix. Senza dilungarci su esempi ben noti a tutti, sarà comunque utile in questa sede rammentare in sintesi le coordinate entro cui matura una nuova concezione della pittura di storia. Dal terzo decennio dell’Ottocento la cultura figurativa ha iniziato ad affrancarsi dall’imperio del classicismo, quindi da temi mitologici e “anacreontici”, per stimolare, soprattutto negli artisti più avvertiti, una riflessione su quella realtà, politicamente e socialmente così lacerata, che si sta imponendo agli occhi di tutti. In Italia, il passaggio dalle “inutili favole” 1 ad una pittura ricca di valori esemplari, quindi investita di una funzione educativa e sociale così come auspicato da Mazzini, si manifesta in modo più lento e contraddittorio. Se si eccettua il caso di Hayez e del “vero storico” con cui egli lucidamente riformula episodi del passato densi di spunti reversibili nel presente, a dominare le tendenze storiciste sono per lungo tempo rutilanti rievocazioni in costume, in cui l’enfasi dei travestimenti troubadour prende spesso il sopravvento su timide velleità didascaliche. “Si ispiri almeno al vero” raccomandava nel 1838 Niccolò Tommaseo parlando del pittore di storia, 2 per il quale comunque di lì a poco Pietro Selvatico, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, avrebbe elaborato una sorta di vademecum. 3 Selvatico arriverà a sostenere la necessità di introdurre l’insegnamento della storia nelle accademie, riconoscendo al precettore un ruolo determinante nella scelta di episodi e protagonisti del passato “degni di vivere perenni nella memoria degli uomini”. Compito del maestro sarà non solo quello di suggerire soggetti moralmente validi, ma di individuare il “punto tragediabile” 4 delle storie raccontate, la cui credibilità è tutta nella filologica ricostruzione delle ambientazioni, dei costumi, del sentimento dei protagonisti. Due dipinti, entrambi del poco noto artista perugino Nicola Benvenuti, tornano qui utili per illustrare tendenze opposte e complementari dello storicismo nell’ambito della pittura umbra. Nell’Incendio di Ottaviano (1856 circa, Fig. 1), l’episodio che ricorda la punizione inferta  







1  L’espressione è di Pietro Selvatico, direttore dell’Accademia di Belle Arti di Venezia (P. Selvatico, Sull’educazione del pittore storico odierno. Pensieri, Padova, Tipi del Seminario, 1842, p. 312). 2  N. Tommaseo, Bellezza e civiltà o delle arti del bello sensibile, Firenze, Le Monnier, 1838, ed. cons. 1875, pp. 146-147. 3  P. Selvatico, Sull’educazione del pittore storico…, cit., 1842. 4  Ivi, pp. 312-313.

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Fig. 1. Nicola Benvenuti, L’incendio di Ottaviano, 1856. Perugia, palazzo Florenzi Waddington.

alla città dall’imperatore romano durante il bellum perusinum, Benvenuti trova una perfetta metafora dell’incandescente clima di tensione e insofferenza di una città che, dopo l’effimera fiammata riformista del 1848-49, è tornata a sentire tutto il peso del dominio pontificio. Vi trasla così, in modo non troppo opaco, i sentimenti libertari dei propri committenti, Evelino e Marianna Waddington, al cui palazzo perugino al Verzaro è destinata la grande tela. 1 A fianco di questa pittura che, parafrasando il poeta, potremmo definire “dello schermo”, giocata sugli allusivi riverberi della storia e destinata ad una lunga fortuna anche negli anni postunitari, ad esempio nei sipari teatrali, fa la propria comparsa un repertorio tutt’altro che criptato, anzi si direbbe lucidato in presa diretta sui fatti dell’attualità. Ed è lo stesso Benvenuti, tra i primi a Perugia, a vestire i panni del cronista, con La distruzione della rocca Paolina il 13 dicembre 1848 (1848) richiesta dalla famiglia Faina (Fig. 2). Certo, lo fa con il timbro distaccato e anodino di chi sembra osservare l’evento attraverso la lente di un cannocchiale rovesciato. Inedito, tuttavia, il prelievo di uno spunto dal vortice di accadimenti in incalzante divenire. Il 1848 segna del resto ovunque, e in ogni settore della cultura, una vistosa accelerazione  

1  Marianna Florenzi, del resto, scrivendo allo storico suo concittadino Ariodante Fabretti, aveva espresso con chiarezza le proprie posizioni, riferendosi al papa e ai tedeschi come ad un “terribile flagello” o affermando che “sotto i tedeschi si starà peggio di tutti, tranne del papa in quanto a progresso” (M. Guardabassi, La marchesa Marianna Florenzi Waddington e Ariodante Fabretti (1849), estratto da “Perusia”, 1950, Perugia, Donnini, 1950, pp. 6-8).

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Fig. 2. Nicola Benvenuti, La distruzione della rocca Paolina il 13 dicembre 1848, 1848. Perugia, collezione privata.

nella scelta di nuovi contenuti e in una sete di verità ormai non più differibile. Dal ’48 in poi ogni storia locale si colloca nel mosaico della storia nazionale ed inizia rapidamente a crescere su se stesso quel memoriale patrio, fatto di immagini, pubblicistica, oggetti e cimeli di ogni tipo, prodotti dalla consapevolezza di assistere ad una fase della storia unica e irripetibile. 1 Prova ne sia un altro dipinto, eseguito proprio in quello stesso 1848, 2 di notevole valore testimoniale per la tempestività con cui manifesta il concreto attivismo di una delle famiglie più coinvolte nel processo di maturazione della coscienza politica umbra di quegli anni. Mi riferisco alla Famiglia Guardabassi (Fig. 3, Perugia, depositi del Museo di palazzo della Penna), l’intenso ritratto di gruppo in cui il pittore Mariano raffigura se stesso insieme al padre Francesco, uno dei maggiori protagonisti del Risorgimento umbro, la sorella Vittoria e il fratello Giunio. I pregnanti riferimenti all’attualità fanno di questo quadro, pure destinato all’intimità delle mura domestiche, un condensato dello stato d’animo e delle aspettative della comunità, tante sono le cifre  



1  C. Vernizzi, Alle origini dei musei del Risorgimento, in Soldati e pittori nel Risorgimento italiano, catalogo della mostra (Torino, Circolo Ufficiali, 25 aprile - 2 giugno 1987), a cura di M. Corgnati, Milano, Fabbri Editori, 1987, pp. 47-52. 2  E non nel 1861, come più volte segnalato, considerando attendibile la data apposta sul retro della tela in anni recenti.

la rappresentazione del xx giugno 173 che alludono ad un condiviso impegno civile che qui sembra rinsaldare lo stesso legame di sangue. 1 Mariano, come vedremo, avrà modo di approfondire, durante il suo soggiorno a Firenze, la conoscenza delle tendenze artistiche più avanzate. Dai primi anni Cinquanta, nel frattempo, molto fruttuoso deve per lui rivelarsi il perfezionamento a Roma, dove tra l’altro ha occasione di frequentare la Biblioteca Angelica sotto la guida del direttore, Clemente Paglialunga, che lo aiuta “a consultare qualche scrittore di storia”. 2 Insieme a Fig. 3. Mariano Guardabassi, La famiglia questo tirocinio erudito, pos- Guardabassi, 1848. Perugia, Museo di pasiamo poi immaginare quan- lazzo della Penna (depositi). ta viva impressione abbia suscitato in lui una città in cui la parentesi repubblicana del 1849, al di là dei suoi drammatici e contraddittori strascichi politici, ha lasciato  



1  Francesco, con la divisa da colonnello della guardia civica, carica cui è stato da poco nominato, reca in mano il foglio “La patria”, fondato da Bettino Ricasoli nel giugno del 1847. Significativo che sulla seconda pagina del periodico un articolo di Vincenzo Salvagnoli sull’istituzione della guardia civica ‒ senza dubbio la più gradita delle riforme di Pio ix – esordisca con una frase emblematica : “Le istituzioni dello Stato non sono efficaci senza la virtù dei cittadini” (V. Salvagnoli, « La Patria », i, 89, 5 dicembre 1847, p. 2) ; Mariano è anch’egli nei ruoli della guardia civica in qualità di sottotenente ; Vittoria, morta la madre Isabella nel 1842, sembra ricoprire un ruolo cardine non solo in seno alla famiglia, come rivela il suo protettivo abbraccio ai congiunti, ma anche rispetto ad una sua probabile appartenenza ad un gruppo, forse massonico, cui potrebbe alludere il fermaglio-coccarda tricolore su cui si legge il motto “Libertà Unione”. Chissà, a questo proposito, che non si tratti della “spilla da petto” regalatale da Nicola Danzetta nel settembre del 1848 (ASP, Fondo Danzetta, b. 12, fasc. 29, lettere alla madre, cit. in C. Minciotti Tsoukas, La trasgressione e la regola. Due modi di essere donna nella società umbra dell’Ottocento, Perugia, Era Nuova, 1997, p. 145). 2  BAP, Fondo Guardabassi, Carteggio di Mariano Guardabassi, ms. 2354, c. 144 (73), lettera di G. Aggarbati a C. Paglialunga, 19 giugno 1858.  









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una delle sue più commoventi testimonianze nel grande dipinto La trasteverina uccisa da una bomba (1850, Fig. 4). 1 Si tratta dell’opera del giovanissimo e a lui coetaneo pittore lombardo Gerolamo Induno, che è tra i volontari accorsi a difendere la Repubblica Romana e che, dopo Fig. 4. Gerolamo Induno, La trasteverina uccisa essersi battuto eroicada una bomba, 1850. Roma, Galleria Nazionale mente contro le truppe d’Arte Moderna. francesi, ha continuato a combattere per le proprie idee, denunciando gli orrori della guerra, con la forza di questo coraggioso “j’accuse”. È proprio nell’intreccio tra arte e vita dell’artista-reporter, mosso dall’urgenza di raccontare ciò che ha direttamente visto e vissuto, che si creano i presupposti per una nuova stagione realista della pittura italiana. Tanto che, quando il 23 settembre 1859 a Firenze verrà bandito dal governo provvisorio di Bettino Ricasoli il ben noto concorso di pittura e scultura, accanto ai temi di storia antica e moderna, sarà per la prima volta sollecitata anche la riflessione sugli avvenimenti appena trascorsi. 2 Gli “episodi militari dell’ultima guerra”, che ha visto tra l’altro una larga partecipazione popolare, non solo ottengono la massiccia risposta da parte degli artisti, che presentano ben ventiquattro bozzetti, ma anche uno straordinario successo di pubblico. Bersaglio  



1  Riapparso sul mercato e acquistato nel 2008 dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il dipinto, noto anche come La ciociara colpita da una bomba, destò enorme scalpore all’Esposizione di Brera del 1850, mostrando una scena, “terribile nella sua semplicità”, come la definì il critico Carlo Tenca, e che divenne subito il simbolo di una “Roma ferita al cuore” (cfr. S. Regonelli, Risorgimento intimo : “la trasteverina uccisa da una bomba” di Girolamo Induno, in “L’uomo nero”, 3, 2006, pp. 356-373 ; F. Mazzocca, L’immagine del popolo nel Risorgimento : la pittura sociale di Domenico e di Gerolamo Induno nel dibattito critico tra Otto e Novecento, in Domenico e Gerolamo Induno. La storia e le cronache scritte con il pennello, catalogo della mostra (Tortona, 15 ottobre 2006 - 7 gennaio 2007), a cura di G. Matteucci, Torino, Allemandi, 2006, pp. 25-34 : 30). 2  C. Bon, Il Concorso Ricasoli nel 1859 : le opere di pittura, in “Ricerche di Storia dell’arte”, 23, 1984, pp. 4-32.  









la rappresentazione del xx giugno 175 delle critiche di chi lo giudica intempestivo, quasi che con esso si pensi ad “erigere un monumento prima che i fatti siano compiuti”, il concorso Ricasoli, pur destinato esclusivamente agli artisti toscani, non nasconde obiettivi normativi “nazionali”. Ai pittori viene riconosciuta la prerogativa di inaugurare una nuova epopea, che esalti e tramandi i momenti più significativi o emotivamente toccanti di queste pagine aurorali della storia d’Italia. Nell’interpretare scene di battaglia, atti di eroismo individuale o piccoli aneddoti dalle retrovie, prevalgono comunque i toni sommessi di chi vuole fissarne la memoria senza retorica, riscattando, con una poetica molto vicina al verismo verghiano, anche i vinti. Insieme al celeberrimo Campo italiano dopo la battaglia di Magenta di Giovanni Fattori, che si aggiudica il primo premio al concorso, sarà opportuno qui ricordare L’eccidio della famiglia Cignoli di Cosimo Conti (Fig. 5), un dipinto dedicato ad un episodio minore che aveva suscitato profonda commozione per l’efferata violenza perpetrata ai danni di un’inerme famiglia di contadini lombardi. “La storia per un pezzo fu la storia dei grandi ; è ora che diventi la storia di tutti”, aveva del resto ammonito Massimo d’Azeglio, egli stesso patriota e pittore. Non può non avere assorbito stimoli e suggestioni da questo contesto artistico e culturale, così sperimentalmente sintonizzato sul dibattito politico, proprio Mariano Guardabassi, lui pure pittore e patriota, già tenente della guardia civica, riparato a Firenze subito dopo la sanguinosa repressione del governo provvisorio perugino da parte delle truppe pontificie il 20 giugno 1859. Ed è lì, molto probabilmente, che mette mano, con l’impeto di un atto di denuncia, a due singolari dipinti, Gli svizzeri a porta San Pietro e Gli svizzeri in casa di Palmira Tieri (Figg. 6-7). Molto distanti dal misurato accademismo che in genere impronta la sua produzione, e di cui pure dà un saggio proprio alla promotrice fiorentina del 1860, 1 i due olî appaiono come il prodotto di una vertigine, espressione di un ricordo doloroso che sgomenta e non si attenua. Mariano ha vissuto momento per momento il rapido svolgersi degli eventi, fin da quando, rientrando da Roma a Perugia, è stato proprio  



1  La morte di Mosè seguita dalla lotta dei due Spiriti del bene e del male, un Ritratto virile, Socrate passeggiando nei pubblici giardini d’Atene, vedendo entrare Alcibiade nel Ninfeo dei Bagni, come suo amico e maestro lo raggiunge e gli addimostra sconvenire al cittadino che onora la patria degradare se stesso coll’abbandonarsi a scorrette passioni (Catalogo delle opere ammesse all’Esposizione solenne della Società Promotrice delle Belle Arti in Firenze, Firenze, Mariani, 1860, pp. 14-15 nn. 234, 236, 246).

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Fig. 5. Cosimo Conti, L’eccidio della famiglia Cignoli, 1860. Firenze, Galleria d’Arte Moderna di palazzo Pitti.

lui – come sembra 1 – a riferire al governo provvisorio, di cui è membro il padre Francesco, l’ormai imminente arrivo dei soldati svizzeri guidati da Anton Schmid. Nelle concitate ore della devastante irruzione in città, si trova nell’abbazia di San Pietro, baluardo-simbolo della resistenza dei perugini, e qui, insieme ai compagni Vincenzo Sabatini e Matteo Gamboni, rimane per tre giorni, grazie alla protezione dell’abate Placido Acquacotta e del frate Stefano Pascali di Amandola, che nascondono i tre nelle soffitte e poi nel vano dei mantici dell’organo della chiesa. 2  



1  R. Gigliarelli, Perugia antica e moderna, Perugia, Unione tipografica cooperativa, 1907, p. 704 ; G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, Perugia, Bartelli, 1859, ed. anast. Perugia, Volumnia, 2009, p. 34. A proposito del Guardabassi, Gigliarelli riferiva anche : “fu egli che cooperò con l’ingegner Leonardi, inviato dal Ricasoli, all’ordinamento delle rozze barricate ; fu egli, che, partito l’altro, lo surrogò del tutto e aperse quella comunicazione fra i conventi di San Girolamo e di San Pietro, la quale doveva riuscire sì utile ai difensori, nella ritirata, quantunque non per lui” (ibidem). 2  G. Bellucci, in Strenna del giornale La Provincia pel 1896, Perugia, Tip. Umbra, 1896, pp. 12-15, in G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi…, cit., p. 91.  





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Fig. 6. Mariano Guardabassi, Gli svizzeri a porta San Pietro, 1859-60. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”.

Ciò che Guardabassi può aver intravisto, udito e immaginato in quelle drammatiche giornate lo si ritroverà puntualmente ricostruito nella relazione che i membri del governo provvisorio, fuggiti in esilio, daranno alle stampe a Firenze poche settimane più tardi. Vi si legge tra l’altro : “I soldati, indossati piviali e pianete, ballarono nella corte [dell’abbazia] un’empia danza fra gli urli e scherni dei loro camerata”. 1 Una circostanza, questa, riportata anche dall’anonimo estensore della Narrazione storica, pubblicata a Cortona nel 1860 : “Schiusi gli armadi [gli svizzeri] ne tolsero i sacri paludamenti e, vestiti di quelli, in una delle corti dell’abbadia danzarono una ridda infernale fra risa  





1  Nota delle rapine, incendi, ferimenti, uccisioni e profanazioni commesse il 20 giugno 1859 dalle truppe estere-pontificie prima e dopo l’ingresso nella città di Perugia, in La insurrezione di Perugia. Relazione della Giunta di Governo Provvisorio. Con documenti, Firenze, Torelli, 1859, pp. 19-25 : 21.  

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Fig. 7. Mariano Guardabassi, Gli svizzeri in casa di Palmira Tieri, 1859-60. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”.

e canti di gioia sfrenata”. 1 Il disprezzo per questa “oscena mascherata sacrilega” 2 è tutto nel primo dipinto di Guardabassi. Non sappiamo se il quadro, insieme al suo pendant, fu pensato come modello per un dipinto di dimensioni maggiori. Certo è che il suo stile abbreviato, da bozzetto, accentua i tratti grotteschi e quasi caricaturali della soldataglia. “All’ebbrezza del furore unirono quella del vino che smodatamente trangugiarono”, si legge ancora nella Narrazione storica. Sguaiati, tutti uguali nelle loro uniformi rosse e blu, con le fulve ca 



1  Narrazione storica dei fatti accaduti in Perugia dal 14 al 20 giugno 1859, Cortona, Tipografia Bimbi, 1860, in L’insurrezione di Perugia (14-20 giugno 1859) nella pubblicistica contemporanea, Perugia, Deputazione di Storia Patria per l’Umbria, 1959, p. 55. 2  A. Montesperelli, Perugia nel Risorgimento 1830-1860, Perugia, Simonelli, 1959, p. 80.

la rappresentazione del xx giugno 179 pigliature e i volti baffuti e rubicondi, gli sgherri si abbandonano alla profanazione dell’abbazia, spregiando la sua secolare storia, incuranti delle inestimabili memorie che vi si custodiscono. Antichi codici, documenti, suppellettili giacciono come membra disiecta della sacralità violata in uno spazio in cui beffardamente sventola il vessillo papale e spicca la scritta “W Pie IX” sulla colonna del pozzo, mentre i religiosi sono oggetto di pesanti atti di scherno. 1 Il chiostro diventa dunque il teatro di uno scempio che, accompagnato dalle prime uccisioni (nove complessivamente), sarà ricordato come uno dei più odiosi delitti di cui si macchia il contingente svizzero, autorizzato anche al saccheggio. Per denunciare il culmine dell’efferatezza, Guardabassi sposta poi il proprio obiettivo su un episodio che ha suscitato grande sdegno e commozione : Gli svizzeri in casa di Palmira Tieri. Piegata l’eroica resistenza delle poche decine di armati sui bastioni del Frontone e dell’abbazia, la furia delle “elvetiche belve” risale come una piena distruttrice lungo il borgo San Pietro e, oltre l’omonima porta, nei pressi della piazzetta San Domenico, irrompe nella casa della “crestaia” Palmira Tieri. In una camera interna della casa, una sorta di piccolo gineceo ove s’indovina l’eco di ore serene, scandite dal lieve ciarlare di donne intente al cucito e al ricamo (sul tavolinetto alla sinistra del dipinto si vede un piccolo telaio), sono “riunite a comune salvezza e conforto l’intera famiglia, la sorella [di Palmira Tieri] Irene Polidori e sue due figlie, alcune giovani scolare modiste, e la vedova nuora rimaritata a Raffaele Omicini”. Proprio contro quest’ultima, moglie dello scultore e patriota Omicini, si appunta l’ira cieca di Carlo Leoni, il capitano di finanza che per vendetta ha guidato qui il manipolo degli assassini. “La rabbia dei soldati si sfogò più feroce, più sanguinosa. […] Tutto derubarono, devastarono, ruppero ; e stoffe, e fiori, e nastri, e veli minutamente tagliati e calpestati, nulla rimase salvo dalla rapacità loro. Le misere donne tremanti e disperate si gittarono sulle ginocchia implorando la vita, ma invano ; che un colpo di fucile atterrava morta la Irene ; ed altro colpo gravemente feriva in una coscia la buona giovanetta Amalia Tancioni”. Guardabassi inquadra la scena da un punto di vista piuttosto ravvicinato e la blocca poi sulla tela – nel “punto drammatico” – con il  









1  Il monaco sulla sinistra, tra l’altro, potrebbe essere identificato con l’abate Acquacotta, come suggerisce la brocca d’acqua posta ben in evidenza a mo’ di attributo iconografico.

stefania petrillo 180 tocco, crudo e delicato insieme, di un cantastorie. Nessun correttivo edulcorante per raccontare le “cose” fatte dagli svizzeri “così barbare, così inaudite da far raccapricciare”, come scriverà sua sorella Vittoria al marito Nicola Danzetta appena quattro giorni dopo. 1 Neppure, però, una cronaca che, pur di condannare senza appello i carnefici, offuschi l’umanità delle vittime e il loro mondo di piccole cose. I due dipinti di Mariano Guardabassi costituiscono probabilmente la prima testimonianza figurativa delle stragi di Perugia e possono plausibilmente datarsi, come accennato, al 1859-60. 2 Non troppo posteriore, a giudicare anche dalla sua committenza, è il dipinto di Napoleone Verga Gli svizzeri a porta San Costanzo il 20 giugno 1859 (1860 circa, Fig. 8). 3 L’olio, appartenuto a Lucio Bonucci, 4 fu probabilmente richiesto dal padre Leone, che Romeo Bartoccini avrebbe ricordato al suo fianco nei drammatici momenti di resistenza al Frontone. 5 All’incipit dell’assalto, nel luogo della battaglia più suggestivo, il pittore affida la sintesi del suo “xx giugno”, formulandone la prima idea in un bozzetto conservato in una collezione privata perugina. 6 Si è appena completato l’assetto tattico delle truppe, con le tre colonne del contingente svizzero pronte a ricongiungersi sotto la porta di San  











1  Donne umbre nel Risorgimento italiano, Perugia, 1961, p. 44. Cfr. C. Zappia, scheda in C. Zappia (a cura di), Museo dell’Accademia di Belle Arti di Perugia, Perugia, Electa Editori Umbri Associati, 1995, p. 147. 2  I due dipinti ad olio (37 × 44 cm e 31 × 37 cm), risultano ancora di proprietà degli eredi Guardabassi nel 1899 (cfr. nota 71 a pagina ???) e nel 1951 (Mostra della pittura dell’800 a Perugia, catalogo della mostra, Perugia, Accademia dei Filedoni, settembre-ottobre 1951, a cura di F. Santi, Perugia, Grafica Editrice, 1951, p. 34 nn. 16-17) ; nel 1959, dopo un probabile passaggio ad Ada Bellucci, come farebbe pensare l’iscrizione a matita sulla cornice, sono invece menzionati nella “Raccolta storico-topografica” della Pinacoteca Civica (Perugia dal 1831 al 1860. Mostra commemorativa, catalogo della mostra, Perugia, palazzo dei Priori, 14 giugno - 14 luglio 1959, a cura V. Mazza, Perugia, Grafica editrice, 1959, p. 55 nn. 333-334). Passeranno quindi alle collezioni della Galleria Nazionale dell’Umbria e, da queste, alla Fondazione Accademia di Belle Arti di Perugia : cfr. C. Zappia, scheda in C. Zappia (a cura di), Museo dell’Accademia…, cit., pp. 147-148. 3  F. Boco, scheda in F. F. Mancini (a cura di), Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia. Le sedi e la collezione, Perugia, Electa Editori Umbri Associati, 2003, p. 123. 4  R. Gigliarelli, Perugia antica e moderna, cit., p. 709. 5  Su Romeo Bartoccini si veda la nota 2 a pagina 181. 6  Il bozzetto è segnalato da R. Ugolini nell’archivio di A. Vitali (R. Ugolini, Perugia verso Torino (1853-58), in R. Rossi (a cura di), Storia illustrata delle città dell’Umbria. Perugia, Milano, Sellino editore, 1993, pp. 609-624 : 624 n. 226) ; un altro disegno, forse però tratto dal dipinto o dalle miniatura, è conservato a Roma, presso il Museo Storico del Risorgimento (R. Ugolini, Il Cinquantanove perugino, in R. Rossi (a cura di), Storia illustrata delle città dell’Umbria. Perugia, cit., pp. 625-640 : 631 n. 233).  









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Fig. 8. Napoleone Verga, Gli svizzeri a porta San Costanzo il 20 giugno 1859, 1860 circa. Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia.

Costanzo. 1 Le sguarnite ma tenacissime squadre perugine, poste a presidio di questa propaggine così vulnerabile della città, difendono come possono i varchi. “Le palle svizzere grandinavano furiosamente su quegli esili ripari, sferzavano le alte cime degli elci secolari, schiantandone i rami”, ricorda ancora Bartoccini, 2 fiero per aver sostenuto un’“accanita e disperata resistenza, […] bersagliando quella massa di calzoni rossi”. 3 Sullo sfondo del muraglione, della porta e, sulla destra, dell’abbazia, il campo brulica di soldati nelle loro divise blu e  





1  G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia…, cit., pp. 68-70. 2  I responsabili dell’“Archivio Storico del Risorgimento Umbro”, pubblicheranno una sua dettagliata testimonianza (Memorie di un combattente nella difesa di Perugia. 20 giugno 1859, iii, 4, pp. 265-272), poi riedita da G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia del giugno 1859, Perugia, Bartelli, 1859, ed. anast. Perugia, 2009, pp. 68-73, nota 1). In una postilla preciseranno che il Bartoccini (nome lì trascritto come “Bartoccioli”) era stato educato dal padre Napoleone e dallo zio Giuseppe, ferventi patrioti, “a sentimenti liberali, talché appena ventenne egli fu affiliato alla Giovane Italia” (Ivi, p. 272). Ricorderanno inoltre le sue doti di “cooperatore efficace ed entusiasta nel ricercare e raccogliere materiale pel nostro Museo”. 3  R. Bartoccini, Memorie di un combattente…, cit., p. 267.

stefania petrillo 182 rosse ravvivate dalle bianche “bellissime ghette di fustagno inglese”. 1 Verga sceglie una prospettiva che sottolinea la sproporzione tra il numero e i mezzi degli svizzeri, intenti persino a bombardare con un cannone – fatto questo che in realtà va riferito alla successiva azione di sfondamento della porta San Pietro 2 – e il manipolo dei perugini, sparuto e male armato, che riesce tuttavia a non soccombere per almeno tre ore. Pur con qualche licenza e stereotipo iconografico (così, ad esempio, i fucili del plotone in primo piano spiegati a ventaglio), Verga impagina la scena con vivace realismo, immergendola nella plumbea atmosfera di quei giorni piovosi. I fumi della battaglia offuscano la spianata antistante la porta. Riprodotta fedelmente, tuttavia, anche al confronto con una coeva immagine fotografica (Fig. 9), è la morfologia di un’area non ancora percorsa dalla strada che verrà tracciata subito dopo il 1870, quando anche molti alberi verranno messi a dimora sul delimitare della “scarpata di terra di facile pendio”, ricordata da Degli Azzi. 3 Tale sistemazione compare invece nella miniatura con cui Verga riproporrà lo stesso soggetto una decina di anni più tardi, 4 privilegiando, però, un marcato virtuosismo grafico non privo di effetti decorativi (Fig. 10). Complici la tecnica e il formato, la rappresentazione della battaglia si trasforma quasi in un compiaciuto esercizio in punta di pennello : ma la battaglia dipinta, come faceva notare Gian Lorenzo Mellini, esprime sempre una verità parziale e soggettiva : la bellezza, infatti, non si coniuga con la fedeltà. 5 In questo caso, ad esempio, la disposizione dei soldati svizzeri sembra più obbedire ad euritmiche rispondenze compositive, con l’incrocio delle diagonali coincidente con il cannone in primo piano, che di reale documentazione dei fatti, mentre del tutto cancellata è la coltre di nubi che, nel dipinto ad olio, incombe sulla città come un sinistro presagio.  













1  Così le ricorderà Alfonso Visconti di Saliceto in una lettera inviata alla madre il 24 settembre del 1860 (G. Degli Azzi, Alfonso Visconti di Saliceto, in “ASRU”, iii, 4, 1907, pp. 284-290 : 287). 2  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III nell’Italia centrale, Roma, Istituto per la storia del Risorgimento italiano, 1973, p. 167. 3  G. Degli Azzi, L’insurrezione e le stragi di Perugia…, cit., p. 68. 4  Si tratta di una tempera e acquarello su carta delle dimensioni di 16,5 × 22 cm : cfr. F. Boco, scheda in Arte in Umbria nell’Ottocento, catalogo della mostra (23 settembre 2006 - 7 gennaio 2007), a cura di F.F. Mancini - C. Zappia, Cinisello Balsamo, Silvana Editoriale, pp. 164-165. 5  G. L. Mellini, Battaglie e battaglisti del Risorgimento, in Soldati e pittori nel Risorgimento italiano, cit., pp. 90-91.  



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Fig. 9. La sistemazione dell’area antistante la porta San Costanzo in una fotografia del 1870 circa.

Tradotta presto in un’incisione, la miniatura conobbe una larghissima diffusione, così come le altre due con cui Verga volle scrivere il proprio reportage di quella tragica giornata di sangue e, poi, dei giorni della liberazione da parte dell’esercito piemontese nel settembre 1860. 1  

1  Le altre due miniature, eseguite ad acquarello e tempera su carta, misurano 13 × 22 cm (Gli svizzeri a porta San Pietro) e 19,5 × 32,5 cm (Gli svizzeri al crocevia) ; sono di proprietà della Galleria Nazionale dell’Umbria in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci” di Perugia (ma attualmente nel Museo di palazzo della Penna). Due di esse appartennero alla contessa P. Montesperelli (Mostra della pittura dell’800…, cit., pp. 35-36 nn. 41-42 ; suoi anche i due acquarelli del Verga riferiti ad episodi del 1860 : Assalto dei Piemontesi a Santa Margherita nel 1860 e Combattimento in Piazza Grande nel 1860, cfr. ivi, p. 36 nn. 44-45), per poi passare nella “Raccolta storicotopografica” della Pinacoteca, in cui sono documentati nel 1959 (Perugia dal 1831 al 1860, cit.).  





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Fig. 10. Napoleone Verga, Gli svizzeri a porta San Costanzo, 1870 circa. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle arti “Pietro Vannucci”.

Si sono invece perdute le tracce di due acquarelli di Cesare Martinelli, altro pittore-soldato impegnato nella difesa della città, rappresentanti la Scalata del Frontone e l’Ingresso alla porta San Pietro delle truppe svizzere al servizio della S. Sede. Dai dipinti, appartenuti al conte Ugolino Montesperelli, sappiamo che furono tratte fotografie distribuite clandestinamente. 1 Inevitabile che, nella rappresentazione del xx giugno, ricorrano alcuni topoi, analoghe ambientazioni delle scene nei quattro punti del borgo in cui, dopo essere stato violato l’accesso al Frontone, “si rinno 

1  Esposizione generale umbra sotto l’alto patronato delle LL.AA.RR. i Principi di Napoli. Catalogo descrittivo della divisione vii. Storia del Risorgimento, Perugia, Tipografia Umbra, 1899, pp. 17-18, nn. 22, 30. I due acquarelli erano stati esposti alla promotrice del 1866 insieme ad altri due, anch’essi appartenuti a U. Montesperelli, che illustravano l’ingresso a Perugia delle truppe italiane il 14 settembre 1860 (Società promotrice delle Belle Arti nell’Umbria, Perugia, Bartelli, 1866, p. 11 nn. 92-95).

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Fig. 11. Napoleone Verga, Gli svizzeri a porta San Pietro, 1870 circa. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle arti “Pietro Vannucci”.

vano i colpi” : 1 presso la porta di San Pietro, alla strettoia in prossimità della piazza San Domenico, al quadrivio di Santa Croce e a Sant’Ercolano. Con il chiaro intento di illustrare i momenti più drammatici della devastazione e seguendo forse gli spunti della già ricordata Narrazione storica, è ancora Napoleone Verga a documentare con un’altra miniatura Gli svizzeri a porta San Pietro 2 (Fig. 11). Il tema, che l’artista replicherà nel 1902 in una pergamena per la matricola della Società di Mutuo Soccorso (Fig. 12), 3 è colto da un punto di vista piuttosto ri 







1  [C. Laurenzi], Processo cronologico dei fatti di Perugia nel giugno 1859 ovvero i casi di Perugia nel giugno 1859 ricondotti alla loro verità, in L’insurrezione di Perugia (14-20 giugno 1859) nella 2  Si veda nota 1 a pagina 183. pubblicistica contemporanea, cit., pp. 104-120 : 111. 3  A. Grohmann, Perugia e la sua Società di Mutuo soccorso 1861-1939, Perugia, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, 2000, pp. 155, 162-163. La miniatura è anche riprodotta sul frontespizio di una romanza offerta al marchese Lorenzo Niccolini, cassiere della commissione di beneficenza a favore dei danneggiati del 20 giugno 1859, dai “sovvenuti perugini” : L’esule perugino in Toscana è il titolo della romanza di A. Rossi musicata da Antonio Tomassini.  



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Fig. 12. Napoleone Verga, Gli svizzeri a porta San Pietro, 1902, miniatura per la matricola della Società di Mutuo Soccorso a Perugia. Perugia, Società Generale di Mutuo Soccorso.

la rappresentazione del xx giugno 187 bassato. “Risaliti dal Frontone”, testimonia Romeo Bartoccini, “giunti […] alla Porta di San Pietro, già diventata bersaglio delle palle svizzere dirette dal campanile dell’abbadia e dai primi tetti e finestre delle case del borgo, […] alcuni di noi si piazzarono tra lo spazio delle due porte, ed altri raggiunsero i combattenti che trovavansi nell’attico superiore della porta stessa”. Protetti dai solidi battenti del monumentale ingresso e dalle barricate che Carlo Bruschi ha fatto innalzare in tutta fretta dalla sera precedente, i perugini filtrano a piccoli gruppi fuori dalla “sola porticina centrale” per far fuoco. L’esito dell’impari confronto, tuttavia, è segnato, anche per il ricorso degli svizzeri all’artiglieria pesante. 1 Il crepitio delle armi sembra far pulsare la stessa scena miniata di Verga, quasi accesa ad intermittenza dalle tante pistolenschüsse, le “pistolettate” che il capomusica svizzero R. Devorshek Jarr non mancherà di riprodurre nella “melodia in forma di marcia” da lui composta con il titolo La presa di Perugia. 2 Sulla sinistra, il palazzetto in fiamme è forse da identificare con quello appartenuto alla famiglia Santarelli, o, più probabilmente, al tabaccaio Francesco Borromei. Così sembrerebbe desumersi dalla Nota delle rapine, incendi, ferimenti, uccisioni e profanazioni…, allegata alla relazione del governo provvisorio, che segnala complessivamente tre case incendiate fuori porta San Pietro, di cui una, di proprietà di Giovanni Vignaroli, ubicata nelle adiacenze della chiesa della Madonna di Braccio e quindi non visibile da questa prospettiva. 3 I dati riportati dalla Nota insieme alle informazioni contenute nella Narrazione storica del 1860 possono essere utilmente incrociati anche con gli elementi di un terzo dettagliato resoconto, lo Stato dei danneggiati, 4 redatto il 6 settembre 1859 per calcolare i risarcimenti destinati alle vittime del saccheggio. 5 Le tre fonti, sostanzialmente coerenti  









1  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III…, cit., p. 167. 2  G. Degli Azzi, Per la storia del 20 giugno ’59 (La Melodia dell’Assassino), in “ASRU”, i, 4, 1905, pp. 291-292 ; Perugia dal 1831 al 1860…, cit., p. 59, n. 350. 3  Nota delle rapine, incendi, ferimenti, uccisioni e profanazioni, commesse il 20 giugno 1859, dalle truppe estere pontificie prima e dopo l’ingresso nella città di Perugia, in La insurrezione di Perugia. Relazione della Giunta di Governo Provvisorio…, cit., p. 21. 4  MCRR, Stato dei danneggiati nel 20 giugno 1859 in seguito della resistenza opposta nella città di Perugia alle truppe Pontificie colla indicazione dei sussidi ottenuti dal Governo e da una Commissione che raccolse i sussidi elargiti dai particolari e colla proposta di una prestanza a taluni di loro, redatti in esecuzione del Veneratissimo dispaccio della Seg.ria di Stato del 6 settembre 1859, segn. F. 064. 89.31. 5  Sono centoventisette i nuclei familiari che fanno richiesta di risarcimento, calcolato nell’ammontare complessivo di 5000 scudi (MCRR, Libro di cassa dei cittadini di Perugia rimborsati dopo i danneggiamenti del 20 Giugno 1859, 19 ottobre 1859, segn. F 064. 89.49).  

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Fig. 13. Napoleone Verga, Gli svizzeri al crocevia, 1870 circa. Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria, in deposito presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”.

e in parte sovrapponibili, consentono di ricostruire il tessuto sociale di questa parte della città, popolata soprattutto di piccoli artigiani e commercianti : l’“occhialaro”, il vetturale, il bettoliere, il filatore di lana, il “bastaro”, il “tabaccaro”, lo stagnino, il “meschino” calzolaio, il “miserabilissimo” barbiere e il locandiere, quest’ultimo il solo ad essere definito “commodo”. Si riescono anche a localizzare con buona approssimazione alcune delle case e delle botteghe prese di mira dalla furia degli assalitori. Così, ad esempio, la rivendita del tabaccaio Adamo Ceccarelli è probabilmente quella visibile sulla sinistra di una terza miniatura di Verga raffigurante Gli svizzeri al crocevia (Fig. 13). 1 Superata la seconda linea difensiva alla porta San Pietro, le truppe pontificie trovano un’altra sacca di resistenza presso la chiesa di Santa Croce (o di San Giuseppe). Gli ultimi scontri e ruberie, prima della salita dei mercenari all’acropoli, si consumano in questo angolo della città, ben documentato dalla miniatura nel nuovo assetto che ha avuto dopo l’apertura nel 1857 della strada proveniente dalla nuova porta dei Tre Archi (trasversale rispetto al punto di vista da cui è ripresa la scena). Vi prospetta sulla sinistra la facciata della chiesa, modificata e ricostruita in stile proprio per essere adattata alla nuova sistemazione  



1  Sulla miniatura si veda la nota 1 a pagina 183.

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Fig. 14. Napoleone Verga ( ?), Gli svizzeri al palazzo dei Priori, 1870 circa, ubicazione sconosciuta. La riproduzione fotografica dell’acquarello è conservata nei depositi del Museo di palazzo della Penna a Perugia.  

dell’area. Ancora una volta, dunque, un’“istantanea” delle stragi, da cui è ormai espunto qualsiasi riferimento all’azione difensiva dei perugini, che hanno contrastato l’avanzata degli svizzeri, secondo quanto riferito dall’ufficiale De Mortillet Bon Sens, “sparando dalle botteghe e dalle finestre, versandoci acqua e olio bollente, lanciando ciottoli dai tetti”. 1 Molto probabile, invece, che con quell’uomo che precipita da una casa, visibile sullo sfondo della miniatura, Verga abbia voluto ricordare il “prode Emidio Lancetti”, il cui “cadavere ancora palpitante” fu gettato dalla finestra. 2 Ancora a Napoleone Verga è probabilmente riferibile un’ultima mi 



1  “Il Risorgimento italiano”, 25 agosto 1859, in BAP, Fondo manoscritti Conestabile della Staffa, b. 2491, fasc. ix. 2  Nota delle rapine …, cit., p. 22 ; Narrazione storica…, cit., p. 59. La casa di Emidio (o Emilio) Lancetti, in realtà, doveva forse trovarsi nei pressi della piazzetta di San Domenico, come si può ipotizzare seguendo la sequenza dei fatti ricostruita nella Narrazione storica… (cit.) del 1860.  

stefania petrillo 190 niatura, nota soltanto attraverso un’antica fotografia, con Gli svizzeri al palazzo dei Priori 1 (Fig. 14). Ugualmente improntato ad un pittoricismo veloce e di tocco, il piccolo dipinto doveva forse completare la cronistoria illustrata di quell’interminabile pomeriggio di morte e distruzione con i soldati pontifici in tripudio sulla piazza pubblica ormai riconquistata. 2  



Simboli ed allegorie della commemorazione postunitaria Se alla pittura è affidata la resa immediata dei fatti, didascalica ed emotivamente pregnante, il proposito di erigere un monumento ai caduti del 20 giugno 1859 e del 14 settembre 1860, cui si comincia a pensare già nell’autunno del 1860, si muove su un piano più concettuale e allegorico. Durante la lunga e movimentata gestazione del progetto, che mette a confronto almeno cinque concorrenti, 3 non ci si allontana mai dall’idea di traslare la memoria dell’evento in una rappresentazione allusiva, non descrittiva, dei fatti. Il clima della riconquistata libertà suggerisce forse di pacificare gli animi e di cristallizzare il ricordo in un sistema di simboli, dotandolo di un alto “coefficiente” epigrafico, visto che nel monumento si darà ampio spazio ai nomi dei caduti incisi nella pietra. Tutt’altro che pacifico, però, si rivela l’iter del concorso. Accantonata la soluzione di un semplice bassorilievo senza figure, presentata dall’architetto Guglielmo Calderini, è di Francesco Moretti, già allievo dell’architetto Giovanni Santini all’Accademia di Belle Arti, il primo articolato progetto, sottoposto alla commissione nel maggio 1864 (Fig. 15). La proposta di un mausoleo di pianta ottagonale da realizzare in travertino e ornato di plinti e bracieri ardenti, con epigrafi commemorative e tabelle recanti i nomi dei caduti, viene però giudicata troppo costosa, essendo stata preventivata una spesa di  

1  La fotografia, conservata nel deposito del Museo di palazzo della Penna, fu esposta alla mostra del centenario del 1959 come tratta da una miniatura di Napoleone Verga (Perugia dal 1831 al 1860…, cit., p. 59 n. 354). 2  R. Gigliarelli, a commento della fotografia di questo acquarello (Perugia antica e moderna, cit. pp. 599, 601), scrive che gli Svizzeri “dopo aver ucciso in via della Chiavica un’aquila e un cane – gli unici esseri viventi che loro apparvero ancora – tirando all’impazzata contro le finestre, mandarono un saluto militare anche a Giulio III nella sala rossa, senza colpire, per fortuna, che un punto dei grotteschi della volta […]”. 3  Una recente e dettagliata ricostruzione della storia del monumento si deve a M. Rossi, Memorie di marmo e di bronzo. Scultura monumentale in Umbria tra Ottocento e Novecento, tesi di laurea, Facoltà di Lettere e Filosofia, Università degli Studi di Perugia, a.a. 2006-2007, pp. 31-42.

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Fig. 15. Francesco Moretti, Progetto per il monumento ai caduti del 20 giugno 1859 e del 14 settembre 1860, 1864. Perugia, Archivio di Stato, ASCP, Amministrativo 1860-70, b. 64a.

16.400 lire. 1 Bocciato è anche il disegno dell’ingegnere comunale Mariano Volpato, che immagina un monumentale grifo, in “travertino compatto”, da collocare su un plinto recante i nomi dei caduti del giugno 1859 e del settembre 1860 (Fig. 16). 2 Le difficoltà legate agli oneri dell’impresa spingono nel maggio del 1864 lo stesso Volpato a scrivere al sindaco di Perugia per suggerire l’organizzazione di una colletta anche presso altri comuni, visto che le stragi del xx giugno non possono essere considerate un tributo versato per la sola Perugia. 3 La mancanza di risorse non è, tuttavia, l’unica causa del ritardato compimento dell’opera. Si apre ben presto, infatti, un lungo contenzioso  





1  ASP, ASCP, Amministrativo 1860-70, 1864, b. 64a, fasc. Atti della Deputazione del Campo Santo, sottofasc. Monumento al Campo Santo, 21 maggio 1864, contenente il disegno e il preventivo di spesa, che viene redatto dall’ingegnere comunale Filippo Lardoni il 21 maggio 1864. 2  Il costo previsto del monumento era di 10.000 lire : ASP, ASCP, Amministrativo 186070, 1864, b. 64a, fasc. Atti della Deputazione del Campo Santo, c.n.n. 3  Ivi, lettera di M. Volpato al sindaco Reginaldo Ansidei, 1° maggio 1964.  

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Fig. 16. Mariano Volpato, Progetto per il monumento ai caduti del 20 giugno 1859 e del 14 settembre 1860, 1864. Perugia, Archivio di Stato, ASCP, Amministrativo 1860-70, b. 64a.

tra altri due aspiranti, Guglielmo Ciani e Ettore Salvatori, professore di scultura all’Accademia di Perugia il primo, suo allievo il secondo, entrambi determinati ad aggiudicarsi la commissione anche a suon di feroci critiche incrociate e pamphlets. Sulla scenografica soluzione proposta dal Ciani, costituita da un lungo portico con l’allegoria di Perugia collocata nel centro (Fig. 17), sarà il progetto di Salvatori ad avere la meglio, per l’efficace sintesi con cui saprà combinare la semplice struttura architettonica (un’edicola monocuspidata in pietra) e il gruppo allegorico con la figura di “Perugia che consegna la memoria dei fatti luttuosi e gloriosi al Genio della Storia, che li scolpisce nel marmo” 1 (Fig. 18). Rispetto, comunque, ad un primo bozzetto presen 

1  Ivi, lettera di E. Salvatori alla Deputazione del Campo Santo, 30 settembre 1864, c.n.n. Nella lettera si fa accenno ad un precedente bozzetto, a detta dell’artista “meno bello del secondo”. Salvatori saprà far tesoro anche delle critiche mossegli dal Ciani, che nel suo disegno ravvisava la struttura di “un altare”, piuttosto che di un monumento, con l’allegoria di Perugia, simile ad una Madonna, e la sconcia posizione del grifo che metteva in evidenza “le parti deretane”. Cfr. Sul Giudizio della Commissione incaricata di

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Fig. 17. Guglielmo Ciani, Progetto per il monumento ai caduti del 20 giugno 1859 e del 14 settembre 1860, 1864. Perugia, Archivio di Stato, ASCP, Amministrativo 1860-70, b. 64b.

riferire intorno ai bozzetti del Monumento da erigersi ai prodi caduti in Perugia il 20 giugno 1859 e il 14 settembre 1860. Osservazioni con relativi allegati, Perugia, 1866, p. 12 ; R. Rossi, Un simbolo di libertà. Storia del Monumento al xx Giugno, Foligno, Editoriale Umbra, 1988.  

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tato nel settembre del 1864, 1 il monumento, inaugurato nel cimitero monumentale soltanto nel 1875, recepirà alcune correzioni prescritte dalla giuria, con la modifica, ad esempio, della posizione del grifo, rappresentato mentre spezza le catene dell’inviso giogo pontificio, che viene ruotato verso l’osservatore. 2 Il sacrificio del xx giugno prenderà così le forme di una ipostatizzazione. A queste date, del resto, sono ormai penetrati in città gli stilemi della retorica celebrativa poFig. 18. Ettore Salvatori, Monumento ai caduti stunitaria, intessuta di del 20 giugno 1859 e del 14 settembre 1860, 1875. Pe- simboli e moduli codirugia, cimitero monumentale. ficati. A dare un saggio del nuovo linguaggio figurativo “nazionale”, esportandolo di peso dalla capitale, è il pittore perugino Domenico Bruschi. Protagonista dei grandi cantieri romani, Bruschi nel 1873 viene chiamato a Perugia a realizzare il complesso piano decorativo del palazzo della Provincia e della Prefettura, appena costruito su progetto di Alessandro Arienti. Sul soffitto della sala del Consiglio il pittore dispone in circolo, come intorno ad una tavola rotonda che sottolinei il concetto della “pluralità nell’unità”, le allegorie dell’Italia, della neo-istituita Provincia dell’Umbria e delle sei città  



1  In quell’occasione lo scultore si impegnava a realizzare il monumento per sole 10.000 lire, manifestando l’intenzione “di fare alla patria tributo delle mie deboli fatiche e del mio scarso ingegno” (ASP, ASCP, Amministrativo 1860-70, 1864, b. 64a, fasc. Atti della Deputazione del Campo Santo, lettera di E. Salvatori al sindaco, 13 ottobre 1864, c.n.n.). 2  Il grifo è stato trafugato nel 2001 (cfr. S. Massini, Il cimitero monumentale di Perugia 1849-1945, appendice n. 17 al “Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria”, Perugia, 2002, pp. 51-53).

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Fig. 19. Domenico Bruschi, Allegoria della città di Perugia, 1873. Perugia, palazzo della Provincia, sala consiliare.

che ne rappresentano le circoscrizioni : Perugia, Terni, Rieti, Spoleto, Foligno, Terni. Giovani fanciulle incarnano le entità geo-politiche appena create (l’Italia, la Provincia dell’Umbria) e i sei municipi, ben riconoscibili dagli attributi iconografici che alludono alla loro storia e al ruolo nel contesto amministrativo appena sancito. L’allegoria di Perugia siede sullo sfondo della piazza dominata dal nuovo palazzo pubblico della Provincia e della Prefettura (Fig. 19). A farle da quinta, sulla sinistra, una veduta verso il “borgo xx giugno”, come esso verrà ribattezzato nel 1882 dalla rinnovata toponomastica cittadina, e, sulla destra, un plinto su cui è incisa la fatidica data : pochi, semplici enunciati, di immediata comprensione, intonano il memento per la comunità, che sul prezzo di quel massacro ha fondato il proprio futuro di libertà.  



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Fig. 20. Edoardo Matania, Gli eccidii di Perugia, 1888, incisione da F. Bertolini, Storia del Risorgimento italiano, Milano, Treves, 1889, n. 75.

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Il carattere illustrativo della rievocazione tra Otto e Novecento Dopo le auliche allegorie postunitarie, verso la fine dell’Ottocento la rappresentazione del xx giugno si riappropria di un più esplicito registro narrativo. Ne è prova l’incisione con Gli eccidii di Perugia che Edoardo Matania inserisce tra le novantasette illustrazioni a corredo della Storia del Risorgimento italiano di Francesco Bertolini, pubblicata nel 1889 dall’editore Treves di Milano (Fig. 20). A distanza di trent’anni dalle stragi, l’artista napoletano azzarda i sorprendenti effetti dell’“illustrazione fotografica”, un genere questo che conosce ampia diffusione proprio sullo scorcio del secolo e che punta, con l’analitica cura dell’ambientazione, dei costumi e della mimica dei protagonisti, a ricostruire la verità di un racconto come vissuto in prima persona. Nulla invece di più abilmente inventato, almeno in questo caso, sia perché Matania, a differenza dei pittori-patrioti umbri, non è stato testimone diretto dei fatti, sia perché non può avvalersi di nessun ausilio fotografico, punto di partenza per gran parte della ricchissima produzione incisoria, a cui in questi anni non sembra rinunciare nessuno scrittore, incalzato dalle aspettative di un pubblico ormai molto esigente in materia di storie (o cronache) illustrate. Ciò non toglie che molto accurata sia stata la fase preparatoria di studio e documentazione, evidente nella fedele riproduzione dello scorcio urbano, con la porta di San Pietro che delimita il luogo della strage (meno credibili invece le barricate, che sembrano un po’ di repertorio) e con la scelta di un episodio di gratuita crudeltà, esecrato tratto distintivo della repressione pontificia contro gli insorti perugini, che mostra due svizzeri nell’atto di esibire ad una donna il cadavere del marito. La densità dei dettagli, accompagnata da una controllata intonazione patetica, spinge ad una lenta esplorazione dell’immagine e quindi ad una graduale e non superficiale comprensione del suo significato. Si impongono invece con accattivante realismo e immediatezza, anche per la scelta di rappresentare le figure a grandezza naturale, le scene che Annibale Brugnoli inserisce nella decorazione del salone della Banca Commerciale a Perugia nel 1895. Altro allievo dell’Accademia perugina che, come Bruschi, ha già conosciuto una rapida affermazione nella decorazione di molti edifici pubblici e privati, conquistando anche la piazza romana, Brugnoli è il classico artista fin-de-siècle, vate

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Fig. 21. Annibale Brugnoli, La capitolazione del delegato apostolico il 14 giugno 1859, 1895. Perugia, palazzo Graziani.

della nuova borghesia umbertina, con un mestiere che oscilla tra tradizione e seducenti eleganze moderniste. Nel salone della nuova banca, probabilmente condizionato dai committenti, opta per un verismo senza retorica, capace comunque di enfatizzare i contenuti e i valori dei temi rappresentati. Tra i cinque episodi che illustrano i momenti cruciali del nuovo corso della storia perugina, i primi due si riferiscono a quel decisivo 1859 : La capitolazione del delegato apostolico e 20 giugno 1859. 1 Solenne come un fregio antico, con una studiata regìa della composizione e della luce, la prima grande tela rievoca la nascita del governo provvisorio perugino il 14 giugno 1859 (Fig. 21). È l’antefatto delle stragi, il pacifico “pronunciamento” con cui Francesco Guardabassi, insieme a Nicola Danzetta, Zeffirino Faina, Carlo Bruschi, Tiberio Berardi, Annibale Vecchi, Antonio Cesarei, Luigi Piervittori  



1  Gli altri tre dipinti raffigurano : Il magistrato con il gonfaloniere Benedetto Baglioni si reca ad abbattere la prima pietra del Forte Paolino, Bersagliere di guardia al palazzo dei Priori, Il ricevimento in onore di Umberto I (cfr. F. Boco, scheda in F.F. Mancini, a cura di, Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia..., cit., pp. 23-42).  

la rappresentazione del xx giugno 199 e Raffaele Omicini, giunti nelle stanze del palazzo dei Priori, comunicano a monsignor Luigi Giordani le risoluzioni della città in rivolta : sull’esempio di Bologna, i perugini non riconosceranno più l’autorità della Santa Sede, qualora questa non modifichi il proprio atteggiamento di fronte al movimento unitario. 1 Giornate concitate e cariche di tensione hanno preceduto quello che appare un inevitabile epilogo, con una folla di insorti ormai incontenibile, un governo provvisorio sul punto di legittimarsi, il delegato apostolico pronto ad abbandonare Perugia. Brugnoli blocca sulla tela il momento conclusivo e grave, 2 lasciando che a fronteggiarsi siano la determinazione di Guardabassi e la rassegnata reazione di monsignor Giordani, ormai ben consapevole di non poter più nulla contro gli ineluttabili sviluppi della storia. Si dispiega trionfale questo grande manifesto politico che commemora gli albori della Perugia “italiana”. 3 A confronto, il dipinto 20 giugno 1859, che gli si colloca poco distante e che ad esso è concettualmente legato da un nesso di causa-effetto, appare defilato e come ridimensionato anche nell’impatto emotivo (Fig. 22). La rappresentazione dell’assalto e della repressione degli svizzeri, proposta con un’inquadratura di “controcampo” di notevole efficacia, è infatti come lambita da un impercettibile sentimento di pietas che Brugnoli sembra rivolgere agli effimeri vincitori. Così, il soldato in primo piano, isolata e patetica figura di vecchio mercenario, che il pittore studia anche in un bozzetto preparatorio (Fig. 23), 4 appare vittima della sua stessa cieca violenza, un automa manovrato da una volontà che non è sua. Pur conservando un’importante componente figurativa, scompare del tutto, invece, ogni rappresentazione dei soldati svizzeri nel mo 









1  R. Ugolini, Cavour e Napoleone III…, cit., p. 108. 2  Non mi è noto se Brugnoli tradusse in una tela di grandi dimensioni anche il bozzetto (26 × 19 cm) raffigurante la Proclamazione del governo provvisorio, appartenuto a R. Belforti e presentato a Perugia nel 1951 (Mostra della pittura dell’800…, cit., p. 38 n. 78). 3  Del dipinto esiste una replica di dimensioni leggermente ridotte (150 × 370 cm), realizzata in quegli stessi anni dal pittore perugino Lorenzo Carloni (1870-1955) per il conte Claudio Faina di Orvieto, fratello di Zeffirino, presso la cui residenza (oggi sede del Museo Archeologico) tuttora si trova (si veda C. Pettinelli, scheda in Arte in Umbria nell’Ottocento, cit., pp. 166-167). La copia fu esposta alla mostra del centenario dell’Unità d’Italia a Torino nel 1961 con un’errata attribuzione a Domenico Bruschi (L’Unità d’Italia. Mostra Storica, catalogo della mostra, Torino, palazzo Carignano, maggio-ottobre 1961, Milano, Pizzi, 1961, p. 371, tav. cxxxix). 4  Il dipinto, esposto alla Mostra della pittura dell’800 (cit., p. 38 n. 79) è oggi presso il Museo della Fondazione Accademia di Belle Arti “Pietro Vannucci”, attualmente in deposito presso il Museo di palazzo della Penna (si veda C. Zappia, scheda in C. Zappia, a cura di, Museo dell’Accademia…, cit., p. 180).

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Fig. 22. Annibale Brugnoli, 20 giugno 1859, 1895. Perugia, palazzo Graziani.

numento eretto nel 1909 per il cinquantenario dell’eccidio (Fig. 24). 1 Il progetto di Giuseppe Frenguelli per la realizzazione del quale si è  

1  R. Rossi, Un simbolo di libertà…, cit.

la rappresentazione del xx giugno 201 costituito nel 1906 un comitato 1 e si è aperta una sottoscrizione 2 cui hanno partecipato persino i perugini residenti in Argentina 3 prevede infatti sul plinto della colonna onoraria l’inserimento, da una parte, di un grifo che schiaccia con una zampa la tiara pontificia e un’idra a sette teste, dall’altra, di un gruppo bronzeo con la riproduzione a grandezza naturale di due patrioti in azione (Fig. 25). Qui si concentra un distillato dell’evento, con i riflettori puntati unicamente sull’eroica difesa dei perugini, che, dopo l’irruzione delle truppe pontificie dalla porta San Costanzo, stanno ripiegando in direzione della porta San Pietro in soccorso dei compagni schierati su quell’ultima barriera difensiva. Si giustifica Fig. 23. Annibale Brugnoli, Soldato svizcosì anche il loro orientamen- zero, 1895 (bozzetto). Perugia, Fondato nello spazio e del fucile zione Accademia di Belle Arti “Pietro puntato verso la città, oggetto Vannucci”, in deposito presso il Museo di malintesi e critiche. In real- di palazzo della Penna. tà Frenguelli, con l’inserimento dei due popolani, nei quali la tradizione riconosceva un fabbro e un ciabattino che avevano preso parte agli scontri, dimostra di aver ben presente il monumento ai caduti di Mentana e di Monterotondo, realizzato nel 1902 a Firenze dallo  





1  Per le celebrazioni del cinquantenario e l’erezione del monumento al xx giugno si costituisce un apposito comitato presieduto prima da Orlando Calocci, poi, alla morte di questi, da Rodolfo Pucci Boncambi (Per un monumento in memoria del xx giugno 1859, in “ASRU”, ii, 4, 1906, p. 244). 2  Il Comitato cittadino per l’erezione di un monumento a ricordo del xx giugno mdccclix in Perugia, in “ASRU”, iii, 3, 1907, pp. 211-212. 3  Pel monumento xx giugno 1859, in “ASRU”, iv, 3, 1908, p. 262.

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scultore Oreste Calzolari e affine nella disposizione dei due combattenti, l’uno pronto a sparare, l’altro colpito dal fuoco nemico. 1 Non ha avuto dubbi la commissione, costituita dagli scultori Enrico Quattrini ed Emilio Gallori e dal pittore Domenico Bruschi, a scegliere, tra i tredici bozzetti presentati (cfr. Figg. 26-29), 2 quello di Frenguelli, pensato come classicissimo segnacolo del Frontone 3 e, allo stesso tempo, realistico frammento di una pagina gloriosa Fig. 24. Giuseppe Frenguelli, Monumento ai ca- della storia perugina, duti del xx giugno 1859, 1909. Perugia, borgo xx in grado di assurgere a giugno. simbolo senza tempo della lotta per la libertà. L’inaugurazione del monumento, in occasione della quale viene coniata una medaglia e stampata una cartolina (Fig. 30), coincide con il culmine delle manifestazioni commemorative, destinate a ripetersi fino al 1937, anno in cui il podestà ne decreterà la sospensione, giudicando l’avvenimento “ormai superato, in contrasto con il nuovo clima fascista” e vietando “qualsiasi corteo coreografico”. 4 Si ricorderà a questo proposito che proprio in occasione del cinquantenario, la Società di Mutuo Soccorso di porta San Pietro aveva fatto realizza 







1  M. Rossi, Memorie di marmo e di bronzo…, cit., p. 84 nota 161. 2  Progetti per il monumento sono presentati, oltre che da Frenguelli, da Guglielmo Calderini, Giuseppe Odoni, Giuseppe Marrani, Edoardo Vignaroli, Benvenuto Crispolti. 3  Prima della definitiva sistemazione, molto si discusse sulla collocazione del monumento, destinato, tra gli altri luoghi, dapprima alla piazzetta prospiciente la chiesa di San Domenico e poi fuori porta San Pietro. 4  ASP, ASCP, Amministrativo 1871-1953, 1937, b. 930, fasc. 1.

la rappresentazione del xx giugno 203 re, per pavesare a lutto le botteghe e le case del borgo, labari neri con bianche epigrafi, che ricordavano, ad uno ad uno, i nomi delle vittime e i luoghi delle uccisioni e dei più violenti atti di saccheggio (Fig. 31). I labari furono regolarmente esposti fino al 1937, per riapparire poi nel 1959 in occasione del primo centenario della strage. 1 Che ancora in anni non troppo lontani, comunque, il borgo e il monumento al xx giugno si siano dimostrati luoghi sensibili per la coscienza storica collet- Fig. 25. Giuseppe Frenguelli, Monumento ai cativa e per il confronto duti del xx giugno 1859 (particolare), 1909. ideologico lo attesta il vivace dibattito accesosi intorno al restauro dello stesso monumento compiuto tra il 1986 e il 1988. In quell’occasione, particolarmente discussa è stata l’opportunità di reinserire sotto gli artigli del grifo la tiara pontificia e l’idra a sette teste, rimosse nel 1929, quando furono giudicate uno “sconcio massonico” e sostituite rispettivamente da una pietra e da uno scudo. 2 L’operazione di reintegro, funzionale alla piena comprensione del “fondamento ideologico del monumento”, 3 ha comportato in realtà il rifacimento dei due elementi – ormai dispersi gli originali – inseriti però su una copia del grifo, essendo stato  





1  Dismessi dopo qualche anno, ne venne scongiurata la dispersione destinandoli alla sede della Società generale di Mutuo Soccorso di Perugia ove tuttora si trovano. 2  Dell’operazione fu incaricato lo stesso Giuseppe Frenguelli che ricevette un compenso di 220 lire (R. Rossi, Un simbolo di libertà…, cit. p. 58). 3  Così si legge nella relazione del Soprintendente per i beni ambientali, architettonici, artistici e storici, Guglielmo Malchiodi, del 21 gennaio 1988 (R. Rossi, Un simbolo di libertà…, cit. p. 63).

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stefania petrillo il bronzo del Frenguelli trasferito nel palazzo comunale a causa del suo precario stato di conservazione. Per un museo del Risorgimento a Perugia

Sfogliando le pagine della storia dell’Ottocento perugino, siano esse scritte, illustrate o evocate da luoghi e simboli, ci si accorge di avere sotto gli occhi il variegato catalogo di un museo del Risorgimento. È come, tuttavia, trovarsi di fronte a tanti enunciati senza un teorema : formalmente un museo del Risorgimento a Perugia non esiste. Fig. 26. Guglielmo Calderini, Progetto per il monumento ai caduti del xx giugno 1859, 1909. Ar- Non esiste cioè un conchivio di Stato di Perugia, Atti del Comitato per tenitore “dedicato”, che l’erezione di un monumento a ricordo del xx Giu- ospiti secondo la tipologia classica del sacragno 1859. rio patriottico dipinti e sculture, documenti, cimeli ; né la possibilità di seguire un itinerario, anche virtuale, che guidi tra spazi e voci della memoria. Nei depositi del Museo di palazzo della Penna si è sedimentata negli anni, anche con lasciti e donazioni di privati, 1 un’eterogenea raccolta di oggetti, di recente inventariati dopo la riesumazione dalle casse in cui sono stati conservati per decenni (Fig. 32). 2 Quand’anche, tutta 







1  Da ultimo, l’importante nucleo “risorgimentale” delle donazioni Guardabassi, sul quale si veda Per Perugia e per l’Italia. Mostra di armi, quadri, reperti archeologici, libri e marionette, opuscolo della mostra (Perugia, Loggia dei Lanari, 26 giugno-6 luglio 2003), Perugia, Comune di Perugia, 2003. 2  Si vedano le note 5-6 a pagina 212.

la rappresentazione del xx giugno 205 via, vi fosse la volontà di trovare un adeguato spazio espositivo e di procedere ad un organico riordino, ciò non sarebbe sufficiente, credo, a legittimare una sezione risorgimentale tra le collezioni comunali. Almeno non nel modo convenzionalmente inteso. Occorre preventivamente chiedersi quale possa essere la vera e più funzionale identità di un museo del Risorgimento. Ha senso oggi lavorare su un’ipotesi museografica di questa natura ? Con quali criteri e finalità ? E in quali relazioni sarebbe con altre omologhe realtà, non solo regionali, già operanti o di futura istituzione ? Fig. 27. Giuseppe Odoni, Progetto per il monuPrima di esprimere mento ai caduti del xx giugno 1859, 1909. Archivio qualche considerazio- di Stato di Perugia, Atti del Comitato per l’erezione in merito, può forse ne di un monumento a ricordo del xx Giugno 1859. essere utile dare uno sguardo al passato e ripercorrere, intorno alla volontà di allestire un memoriale umbro, la storia di un obiettivo a lungo inseguito ma rimasto di fatto irrisolto. L’idea di un museo del Risorgimento si affaccia molto precocemente in molte città italiane già negli anni Ottanta dell’Ottocento. 1 Il padi 







1  Per una storia dei musei del Risorgimento si veda C. Vernizzi, Soldati e pittori nel Risorgimento italiano, cit. ; M. Baioni, La “religione della patria”. Musei e istituti del culto risorgimentale, Treviso 1994 ; M. Baioni, Il racconto del Risorgimento, in P. Tamassia (a cura di), Rappresentare la storia. Musei e contemporaneità, “IBC. Dossier”, xii, 2, aprile-giugno 2004, pp. 59-62.  



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glione del Risorgimento allestito all’interno dell’“Esposizione generale italiana” di Torino, nel 1884, sollecita la partecipazione di molti municipi, desiderosi di testimoniare il proprio specifico apporto al difficile processo di unificazione nazionale che, nella sostanza, è tutt’altro che compiuto. Tra i comuni umbri, quello di Foligno è l’unico a prendervi parte presentando una significativa selezione di oggetti e documenti databili tra il 1820 e il 1878, 1 che confluiranno nella sala risorgimentale del museo di quella città, aperta venti anni più tardi. 2 Sul piano regionale è Fig. 28. Giuseppe Marrani, Progetto per il monumento ai caduti del xx giugno 1859, 1909. Archivio nell’ambito dell’“Espodi Stato di Perugia, Atti del Comitato per l’erezio- sizione generale umne di un monumento a ricordo del xx Giugno 1859. bra”, inaugurata a Perugia nel 1899, che viene organizzata una prima vera e propria mostra sul Risorgimento, con una notevole messe di materiali ‒ il catalogo annovera oltre duecento pezzi 3 cronologicamente distribuiti per l’intero secolo e inviati soprat 





1  Nell’occasione viene anche pubblicato un catalogo : Documenti e memorie riguardanti la storia del Risorgimento italiano inviati dalla città di Foligno all’Esposizione di Torino aprile 1884, Foligno, Campitelli, 1884). 2  Il 18 settembre 1904 il sindaco Alessandro Mercurelli Salari inaugura la sala del Risorgimento, “solennizzando gli anniversari 44° e il 34° del settembre 1860 e del settembre 1870 e l’entrata delle truppe italiane nell’Umbria, in Foligno ed in Roma” (G.M. [G. Mazzatinti], Il Museo del Risorgimento in Foligno, in “ASRU”, i, 4, 1905, pp. 129-131 : 130). 3  Esposizione generale umbra…, cit.  



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Fig. 29. Edoardo Vignaroli, Progetto per il monumento ai caduti del xx giugno 1859, 1909. Archivio di Stato di Perugia, Atti del Comitato per l’erezione di un monumento a ricordo del xx Giugno 1859.

tutto da privati di molti centri della regione. Sono tuttavia le vicende perugine, dall’occupazione francese alla Restaurazione, dai moti degli anni Trenta all’Unità, ad occupare in quella mostra uno spazio preminente, con carte e memorie recuperate dagli archivi del

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Comune e dalle case di molti reduci e patrioti. Vi compaiono, tra l’altro, tutti e tre i dipinti di Mariano Guardabassi illustrati sopra (Ritratto della famiglia Guardabassi e i due bozzetti con gli episodi del giugno 1859 1) insieme ad una sua lettera di ringraziamento inviata all’abate Acquacotta da Firenze il 10 luglio 1859, 2 gli acquarelli di Cesare Martinelli con relative fotografie 3 ed anche un semibusto in marmo, opera dello scultore perugino Ettore Salvatori, raffigurante il conte Antonio Cesarei, “altro patriota ardente ed operoFig. 30. La cartolina stampata in occasione so, condannato nel 1859 dell’inaugurazione del monumento al xx giu- a dieci anni di galera e gno di Giuseppe Frenguelli, 1909. Archivio di alla confisca dei beni”. 4 È chiaro che un’ostenStato di Perugia, Atti del Comitato per l’erezione di un monumento a ricordo del xx Giugno 1859. sione così ricca e partecipata di “reliquie” faccia ben presto maturare l’ambizione di un museo permanente del Risorgimento umbro. Sei anni più tardi, a partire dal 1905, con la fondazione dell’“Archivio storico del Risorgimento umbro”, i responsabili del periodico, Angelo Fani e Giustiniano Degli Azzi, iniziano sistematicamente a promuoverne il progetto. 5  









1  Esposizione generale umbra…, cit., p. 6 n. 25 ; L’Unità d’Italia. Mostra Storica, catalogo della mostra (Torino, palazzo Carignano, maggio-ottobre 1961), Milano, Pizzi, 1961, p. 169. 2  Esposizione generale umbra…, cit., pp. 14-15 nn. 6-7. 3  Cfr. nota 1 a pagina 184. 4  Esposizione generale umbra…, cit., p. 8 n. 50. Ignoro l’attuale collocazione di questa scultura. 5  A. Fani, Per il Museo del Risorgimento in Perugia, in “ASRU”, i, 4, 1905, pp. 131-134.  

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Fig. 31. I labari realizzati nel 1909 a ricordo delle stragi del 20 giugno 1859. Perugia, Società Generale di Mutuo Soccorso.

Quella che sembra un’imminente attuazione, grazie anche al senatore Eugenio Faina, presidente della Fondazione Agraria di Perugia, che mette a disposizione per la sede del museo alcuni locali dell’abbazia di San Pietro, 1 si trasformerà, in realtà, in una serie indefinita di dilazioni e l’intenzione non troverà mai una compiuta (e completa) risoluzione. Di un museo del Risorgimento si parla con una certa insistenza nel 1906, soprattutto dopo la pubblicazione sulle pagine dell’“Archivio storico” di una lettera circolare, con la quale si invitano enti e privati a “conferire” tutto ciò di cui dispongono per incrementare  

Era lo stesso Fani, comunque, il primo a chiedersi quanto fosse opportuno “togliere dalla loro sede naturale manoscritti, volumi ed opuscoli di così notevole importanza”, pensando soprattutto ai tanti documenti conservati nella biblioteca e nell’archivio comunale di Perugia. 1  Pel Museo Storico del Risorgimento umbro, in “ASRU”, i, 4, 1905, pp. 313-314. I locali, tuttavia, saranno impegnati solo come temporaneo deposito dei materiali (si veda a questo proposito una breve cronistoria del progetto del museo in In omaggio ai Congressisti, in “ASRU”, iii, 4, 1907, pp. 297-299 : 298).  

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Fig. 32. Il deposito del Museo di palazzo della Penna a Perugia.

la raccolta. 1 Da quel momento in poi piccole e grandi donazioni, di cui il periodico dà costanti aggiornamenti, si moltiplicano grazie ad una vera e propria competizione tra i perugini. Il “museo” che si va configurando si identifica prevalentemente con un cospicuo nucleo di documenti di cui Giustiniano Degli Azzi cura il regesto 2 ‒ in gran parte inviati alla Mostra nazionale del Risorgimento organizzata in quello stesso 1906 a Milano. 3 L’obiettivo di un museo si persegue con una certa regolarità fino  





1  Cronaca, in “ASRU”, ii, 1, 1906, pp. 88-89 ; Per il nostro museo, in “ASRU”, ii, 2, 1906, pp. 148-151 ; Pel nostro Museo, in “ASRU”, ii, 3, 1906, p. 198. 2  L’inventario viene pubblicato prima in parti nell’”ASRU” (ii, 3, 1906, pp. 1-32 ; ii, 4, 1906, pp. 33-64 ; iii, 1, 1907, pp. 65-96), poi in una pubblicazione autonoma da G. Degli Azzi, Il Museo storico del Risorgimento umbro in Perugia. Inventario-regesto, Parte i . Omaggio al 1° Congresso e Mostra storica del Risorgimento Nazionale in Milano, Perugia, Unione Tipografica Cooperativa, 1906. 3  Per la Mostra Nazionale del Risorgimento a Milano, in “ASRU”, ii, 3, 1906, pp. 198-199. Angelo Fani riferisce anche di alcuni documenti donati dalla signora Celeste Rossi “al nostro Museo” ed inviati alla Mostra del Risorgimento a Torino in quello stesso anno (A. Fani, Documenti di Storia del Risorgimento umbro alla mostra del Risorgimento in Torino, in “ASRU”, ii, 4, 1906, pp. 218-220).  







la rappresentazione del xx giugno 211 al 1909, 1 anno in cui le commemorazioni del cinquantenario del xx giugno suggeriscono di inserire, tra le tante iniziative previste insieme all’inaugurazione del nuovo monumento di Giuseppe Frenguelli, l’allestimento in palazzo dei Priori di una mostra del Risorgimento “estesa alle regioni dell’antico Stato Pontificio”, 2 i cui materiali sono selezionati da Vincenzo Ansidei e Francesco Briganti, responsabili della biblioteca perugina. 3 Dalle carte d’archivio nulla è emerso che possa lasciar supporre la successiva trasformazione della mostra in un’esposizione permanente e, anzi, gli anni che seguono sembrano segnati da un sostanziale abbandono del progetto. L’apertura del museo, invece, è di nuovo prossima, o addirittura appena avvenuta, nel 1936, se nel gennaio di quell’anno il podestà di Perugia autorizza il direttore dei Musei Civici a prendere in carico carte e oggetti da privati che hanno deciso di farne dono al Comune “per il Museo del Risorgimento”. 4 Proprio gli anni Trenta, del resto, registrano una rinnovata riflessione su mostre storiche e su “musei della patria”. A questo proposito vale la pena rileggere le valutazioni così equilibrate e attuali espresse da Antonio Monti, soprintendente del museo del risorgimento di Milano, 5 molto critico sia verso obsolete consuetudini museografiche operate da direttori che “si perdono nei labirinti delle vanità personali, delle supervalutazioni delle persone e dei fatti locali”, sia verso la  









1  Nel 1907 il progetto sembra ricevere una importante accelerazione, con il contributo, tra l’altro, di 500 lire elargito dal Consiglio Provinciale (Pel nostro Museo, in “ASRU”, iii, 4, 1907, p. 295). L’indisponibilità dei locali in palazzo dei Priori, destinati quell’anno alla grande “Mostra di antica arte umbra”, determinano però un altro rinvio, come si spiega nella premessa all’Inventario-regesto distribuito in occasione del “ii Congresso storico del Risorgimento Nazionale” tenutosi a Perugia sempre in quel 1907 (In omaggio ai Congressisti, cit., pp. 297-299). Continuano, tuttavia, a pervenire molti materiali con depositi e donazioni : cfr. G.D.A., [G. Degli Azzi], I nostri benemeriti, in “ASRU”, iii, 1, 1907, pp. 46-47. 2  Per una mostra del Risorgimento estesa alle Regioni dell’antico Stato Pontificio, in “ASRU”, v, 1, 1909, pp. 85-87. 3  Per la mostra storica del Risorgimento negli ex Stati Pontifici, in “ASRU”, v, 2, 1909, pp. 163-164. 4  ASP, ASCP, Amministrativo 1871-1953, b. 909, lettere di U. Calzoni, direttore del Museo Civico, al podestà di Perugia del 27 dicembre 1935 e del podestà a U. Calzoni del 20 gennaio 1936. Si allude probabilmente anche al calamaio entro cui Carlo Alberto avrebbe intinto la penna per firmare lo Statuto nel 1848 che, in un dattiloscritto conservato alla Biblioteca Augusta di Perugia, si dice “ceduto all’istituendo museo” (BAP, Fondo Nuovo, ms. 3100, c.n.n.). 5  A. Monti, A proposito di mostre e di musei del Risorgimento, « Rassegna storica del Risorgimento », xii, 1934, pp. 625-629.  





stefania petrillo 212 superficialità con cui in quegli anni si allestiscono le mostre storiche temporanee. 1 Ignoriamo la consistenza, la qualità e i criteri espositivi della sezione risorgimentale perugina, sistemata nel 1936 in palazzo Donini, in contiguità con il museo preistorico. 2 Certo è che dovette avere vita effimera se non se ne fa più alcuna menzione già dal 1937 anno in cui, come si accennava, vengono vietate le celebrazioni del xx giugno. Dopo oltre vent’anni, sarà il centenario del 1959 l’occasione, ancora una volta, per una mostra commemorativa, organizzata per sezioni cronologiche 3 e ricchissima di documenti e cimeli, molti dei quali conservati nella “Raccolta storico-topografica della città di Perugia”. Il proposito, tra l’altro, è quello di preparare la partecipazione dell’Umbria alla grande mostra di Torino del 1961 e di dar vita finalmente ad una specifica sezione risorgimentale nella pinacoteca cittadina. 4 Vi viene riproposto il nucleo originario della mostra del 1899, con gran parte delle memorie prelevate dall’archivio e dalla biblioteca comunale e con oggetti che saranno poi depositati nel cosiddetto palazzetto dell’Inquisizione in via del Castellano e qui, nel 1975, parzialmente inventariati. 5 Risale al 23 ottobre 1996, infine, l’ultimo trasferimento di questi materiali dal palazzetto dell’Inquisizione ai depositi di palazzo della Penna. 6 Oggi, l’idea di un museo del Risorgimento a Perugia non è possibile riagguantarla sic et simpliciter dal passato. Intanto perché è maturata la consapevolezza che, più di altri, quello del Risorgimento è un museo “diffuso”. Monumenti, targhe, epigrafi che come un palpabile pulviscolo punteggiano centinaia di edifici 7 piccoli “sacrari” domestici, 8  















1  Il riferimento è soprattutto alla Mostra della Rivoluzione fascista che si era appena conclusa a Roma, in cui, a suo dire, erano state disattese elementari norme espositive e conservative, in nome di un malinteso senso della modernità ‒ di matrice futurista, tra gli allestitori di quella mostra ci sono anche Enrico Prampolini e Gerardo Dottori –, che vuol allontanare a tutti i costi lo spettro del museo. 2  ASP, ASCP, Amministrativo, b. 942, fasc. 2. Musei Civici. 3  Le cinque sezioni riguardano gli anni 1831-1833, 1847-49, 1851-53, 1859, 1860 (Perugia dal 4  Perugia dal 1831 al 1860..., cit., p. 5. 1831 al 1860..., cit.). 5  Il documento, redatto il 30 giugno 1975, contiene l’elenco delle armi della Guardia Civica ed è conservato nell’archivio corrente dell’ufficio Cultura del Comune di Perugia. 6  Nel documento, anche questo conservato nell’archivio corrente dell’ufficio Cultura del Comune di Perugia, sono elencati 103 fucili, 40 baionette, 47 spade, 5 vetrine, 2 credenze, 4 casse di costumi, 9 tamburi e bandiere. 7  Cfr. nota 1 a pagina 214. 8  Ad esempio, la casa Vicarelli, dove Napoleone Verga dipinge un intero ciclo di battaglie risorgimentali (A. Lupattelli, Napoleone Verga a Perugia, « La Democrazia », xxxviii,  



la rappresentazione del xx giugno 213 istituzioni ed enti, ciascuno custode di “rarità”, 1 archivi, biblioteche e, non da ultimo, il cimitero monumentale 2 disegnano un museo dalla fisionomia centrifuga. Certamente si può creare una sua sede d’elezione. Essa da sola, però, non è sufficiente se la si pensa con convenzionali criteri museografici. Il museo del Risorgimento richiede competenze molto diverse ‒ dello storico, dello storico dell’arte, dell’esperto di armi e divise, dell’archivista, del museografo ecc., ‒ e non può risolversi in una raccolta polverosa, e un po’ feticistica, di cimeli. Limitare all’essenziale la presenza di documenti scritti, ad esempio, ed incrementare la componente iconografica, come già giustamente intuito fin dal 1975 per l’allestimento del Museo del Risorgimento di Milano, 3 può essere il giusto parametro per una collezione che deve qualificarsi soprattutto come laboratorio ad alto potenziale comunicativo e didattico. Ovvia, perciò, la necessità di selezionare quei documenti e oggetti “parlanti” capaci più di altri di generare relazioni multiple, che estroflettano lo sguardo del visitatore oltre il contenitore museale. Con logica ipertestuale e puntando sulla multimedialità, penso così ad un museo più virtuale che reale, una formidabile bancadati da poter sottoporre ad infinite “interrogazioni” che introducano alle innumerevoli variabili della ricerca e ai tanti, possibili “percorsi del Risorgimento”, tematici e storico-topografici, nella città e nel territorio. Ne deriverebbe, oltretutto, la possibilità di disegnare un circuito che includa altri centri locali di documentazione sulla storia politica del xix secolo, 4 ai quali, per altro, ogni municipio non rinuncerebbe mai a favore di un’istituzione centralizzata. Oltre alla possibilità di mappare ciò che si è conservato, ma che è magari distribuito nel territorio, come busti, monumenti, epigrafi  







248, 7-8 novembre 1911), oppure il palazzo Martinori, poi Gallenga Stuart, in cui si conserva una delle prime rappresentazioni allegoriche dell’Italia (A. Migliorati, Le decorazioni del palazzo e gli affreschi dell’Aula Magna, in P. Belardi, a cura di, Palazzo Gallenga Stuart a Perugia, Ponte San Giovanni, Quattroemme, 2008, pp. 207-232 : 214). 1  Da questo punto di vista, ad esempio, la Società di Mutuo Soccorso è uno scrigno di materiali di straordinario interesse, così come di notevole valore documentario è il ciclo di decorazioni della sede dell’antica Banca Commerciale (oggi Cassa di Risparmio). 2  Al cimitero si conservano memorie del Risorgimento di interesse non solo locale : cfr. A. Rossi, Uomini e fatti del Risorgimento italiano ricordati nel cimitero di Perugia con epigrafi, Perugia, Boncompagni, 1883. 3  G. Bologna, Musei del Risorgimento e di storia contemporanea, Milano, Electa, 1975, p. 9. 4  Recente, ad esempio, è l’apertura di una sezione risorgimentale nel Museo Comunale di Gubbio e altre se ne stanno progettando, in altre città umbre, in previsione del centenario dell’Unità d’Italia.  



stefania petrillo 214 (per compilarne in questo caso una moderna silloge 1), o segnalare ciò che è andato disperso, 2 l’accesso ad un’emeroteca digitale specializzata dovrebbe integrare le multiformi funzioni del museo, versatile e dinamico, che usasse i propri “pezzi” come pretesti per continue scoperte. Il profilo potrebbe essere simile a quello, tecnologicamente avanzato, adottato per il centro espositivo-informativo “Verso il 2011”, allestito al Vittoriano in preparazione al 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Ha già dimostrato la sua efficacia, infine, un’attività didattica interdisciplinare che punti alla rappresentazione della storia in forma di drammatizzazione attraverso la programmazione di sceneggiature e film-documentari. 3 Insomma sarebbe importante che un nuovo, possibile museo del Risorgimento, da aggiungere ai tanti grani di quel rosario attraverso cui si manifesta la “religione della patria”, 4 non si trasformasse nella stazione di una via crucis, a mortificare ogni curiosità, ma piuttosto in un collettore di valori ancora attuali e in un’occasione per interrogare il passato tentando di rispondere a qualche difficile domanda del presente.  







1  Una sistematica ricognizione di epigrafi nei centri di Perugia, Terni, Spoleto, Assisi, Narni, Magione, Città di Castello, fu pubblicata, a cura di corrispondenti vari, in “ASRU”, i, 2, 1905, pp. 121-128 ; i, 3, 1905, pp. 195-204 ; ii, 1, 1906, pp. 73-76 ; ii, 3, 1906, pp. 177-185 ; iii, 1, 1907, pp. 37-40. 2  Ad esempio, la bandiera ricamata dalle sorelle Moretti e cesellata da Giovanni Minottini che fu offerta da Perugia alla Guardia Nazionale a Roma (Cose d’interesse locale, « Corriere dell’Umbria », ii, 2, 3 aprile 1871). 3  Tali attività sono state sperimentate con successo, ad esempio, al Museo del Risorgimento a Milano. 4  La definizione è di M. Baioni (La “religione della patria”…, cit.).  











Indice dei nomi

Acquacotta Placido, 49, 81, 82, 179, 208 Aebischez Martino, 103 Aggarbati Giuseppe, 173 Agosti Andrea, 32, 50 Agosti Vincenzo, 32 Alberati Armando, 162 Alberigi Giannini Stanislao, 156 Aleardi Aleardo, 129 Allegrini Francesco, 22 Amat Luigi, 21 Amorosi Italia, 134 Andreini Elios, 142 Angeletti Francesco, 38, 56, 61, 62, 73 Angeloni Paolo, 142, 143 Angeloni Publio, 157 Ansidei Reginaldo, 153, 191 Ansidei Vincenzo, 211 Antinori Alessandro, 31, 46 Antinori Orazio, 154 Antonelli Giacomo, 9, 13-25, 27-33, 3537, 40, 41, 43-45, 48, 52-56, 61, 63, 79, 83-85, 89 Arienti Alessandro, 194 Astuto Giuseppe, 140 Auderset Giacomo, 102 Azeglio Massimo Taparelli d’, 175

B

adii Gaetano, 71 Baeclar Giovanni, 100 Baglioni Massimo, 205, 214 Baldeschi Eugani Alessandro, 125 Barili Lorenzo, 13 Barruel Augustin, 152 Bartoccini Giuseppe, 181 Bartoccini Napoleone, 181 Bartoccini Romeo, 180, 181, 187 Bartolini Luigi, 131 Baselgior Giuseppe, 102

Battelli Ennio, 159 Bazzar Pietro, 100 Beauharnais Eugenio de, 154 Beccacci Pietro, 104 Belardi Paolo, 213 Belforti Raffaele, 199 Bellezza Tobia, 32, 48, 57 Belli Alessandro, 80 Belli Giuseppe Gioachino, 124 Bellucci Ada, 180 Bellucci Giuseppe, 176 Bellucci Mario, 168 Bellucci Sebastiano, 32, 47, 50, 58, 74 Bellucci Terzo, 156 Belluni, vedi Bellucci Sebastiano Bendeli Giuseppe, 99 Benvenuti Nicola, 170-172 Berard Augusto, 92 Berardi Tiberio, 33, 48, 83, 84, 113, 127, 129-132, 134-136, 138-143, 149, 198 Berlez Augusto, 103 Bertolini Francesco, 196, 197 Bianchi Nicomede, 109 Bifrgig Giuseppe, 99 Billonel Teodoro, 100 Bindangoli Bini Benedetto, 80, 81 Bindocci Luigi, 32, 50, 63, 76 Bistoni Ugo, 153, 159, 160, 164, 165 Bixio Gerolamo, detto Nino, 131 Boco Fedora, 180, 182, 198 Bologna Giulia, 213 Bon Valsassina Caterina, 174 Bonaparte Napoleone Gerolamo, 16, 20 Bonaparte Valentini Maria, 83, 157, 163 Bonazzi Luigi, 74, 111 Boncompagni di Mombello Carlo, 24, 52, 107

216

indice dei nomi

Bonucci Leone, 180 Bonucci Lucio, 180 Boromei Francesco, 32, 49, 57, 74, 187 Borromej Francesco, vedi Boromei Francesco Borromeo Guido, 136 Borroni Cesare, 142 Bosshardt Giuseppe, 92, 93, 96, 102, 105 Bossy, volteggiatore, 64 Bouquet Enrico, 100 Bovieri Giuseppe, 89-91 Bovon Alessandro, 92, 99 Bozzi Franco, 9, 115, 145, 168 Branca Ascanio, 138 Brancaleoni Francesca, 129 Briantz Augusto, 100 Briganti Francesco, 211 Britschogi Melchiorre, 98, 99 Brügger Federico, 102, 105 Brugnoli Annibale, 197-201 Brugnoli Francesco, 32, 58 Bruhi Giuseppe, 103 Bruni Domenico Maria, 12 Bruno Giordano, 156 Bruschi Carlo, 28, 34, 49, 52, 187, 198 Bruschi Domenico, 194, 195, 197, 199, 202 Bugnard Gaspare, 103 Buoncompagni, vedi Boncompagni di Mombello Carlo Busti Zeffirino, 74 Busti, coniugi, vedi Passerini

Calderini Guglielmo, 190, 202, 204

Calocci Orlando, 201 Calzolari Oreste, 202 Calzoni Umberto, 211 Campello della Spina Pompeo, 127 Campi Secondo, 50, 77 Campochiaro Emilia, 129 Cantelli Girolamo, conte di Rubbiano, 133 Carassai Eugenio, 101

Cardinausi Giuseppe, 103 Carducci Giosuè, 158, 159 Carletti Angelo, 101 Carlo Alberto, re di Sardegna, 68, 211 Carloni Lorenzo, 199 Carosi Domenico, 32, 39, 60 Carpi Leone, 135, 139, 140 Casadio Luigi, 96, 106 Casali Angelo, 74 Casali Gaspare, 74 Casalini Angelo, 101 Casoli Giorgio, 161, 168 Castellani Orlando, 32 Castelli Albina, 74 Castellini Pietro, 32, 73 Cavalieri Paolo, 101 Cavallini Gaspare, 129, 136 Cavour Camillo Benso di, 9-12, 15, 18, 20, 24, 25, 40, 68, 82-84, 89, 107112, 115, 122, 145, 149, 163, 167 Cazzaniga Gian Mario, 147 Ceccarelli Adamo, 50, 188 Cerotti, vedi Cerroti Filippo Cerroti Filippo, 35, 51 Cesarei Antonio, 198, 208 Cesarini Luigi, 32 Channez Giovanni, 104 Cherubini Giovan Battista, 115, 121 Chiala Luigi, 109 Chiarlandin Vincenzo, 104 Ciampi Gabriella, 135 Ciani Guglielmo, 192, 193 Ciccotti Francesco, 158 Cipolletti Luigi, 104 Cipollone Umberto, 161-163 Circourt Anastasie de, 25 Cirri Feliciano, 32, 38, 50, 57, 74 Cleveland, famiglia, 52 Clivar Eraldo, 99 Colloredo-Waldsee Franz de Paula von, 17 Conestabile della Staffa Giovanni Carlo, 31, 46

indice dei nomi Conti Cosimo, 175, 176 Coppa Frank J., 13 Cordiviola Pietro, 103 Cordore Dionigio, 106 Corgnati Maurizio, 172 Correnti Cesare, 69, 130 Cosenz Enrico, 130 Costantini, famiglia, 77 Cotozzolo Mariella, 159 Cowley Edward Henry, 16, 18 Crétineau-Joly Jacques, 148 Crispi Francesco, 134, 138, 142 Crispolti Benvenuto, 202 Cropt Camillo, 102 Cropt Luciano, 92-94, 98 Cruciani, vedi Morini Francesca Crufei, tenente, 53 Crufer Carlo, 92, 99 Crufer Fedele, 99, 100 Curci Luigi, 75, 76

D

’Ancona Alessandro, 120, 121 Danzetta Giuseppe, 61 Danzetta Nicola, 113, 115, 124, 129-131, 145, 149, 173, 180, 198 David Jacques-Louis, 170 De Brackel Engilberto, 102, 105 De Cesare Raffaele, 108, 110 De Clossmann Giorgio, 95, 99 Dedeley Giuseppe, 106 Degli Azzi Vitelleschi Giustiniano, 27, 28, 67, 70, 72, 74-78, 83, 87, 108, 109, 112, 113, 115, 117, 120, 121, 156, 176, 181, 182, 187, 208, 210, 211 De Gregorio Emanuele, 22 Delacroix Eugène, 170 De La Rive William, 25 De Lavallar Eugenio, 98 Delavis Alessandro, 106 Del Boca Lorenzo, 117 Del Bono Giulio, 109 Del Buono Antonio, 71, 77, 78, 87 De Leonardo Massimo, 111 Della Minerva, vedi La Minerva

217

Della Peruta Franco, 113 Delpach Giovanni, 102 De Luca Antonio Saverio, 13, 15, 18 Del Zio Floriano, 132, 133, 138 De Magistris Francesco, 101 De Maistre, tenente, 100 De Maistzer Eugenio, 99 De Mattei Roberto, 167 De Mervausc Ernesto, 102 De Mortillet Alessandro, 102, 189 De Pfeil Ugo, 103 Depretis Agostino, 142 Derby Edward George, 25 Desanctis Luigi, 80 De Stockalper Maurizio, 102 Devorschek Jarr Rodolfo, 92, 95, 99, 187 De Werr Augusto, 105 Diamilla Muller Demetrio, 69 Di Blasio Scipione, 139 Diderot Denis, 145, 146 Di Pietro Camillo, 21 Di Pietro Tito, 46, 48 Doane George Washington, 52 Donini Lucia, 163 D’Orméa Lorenzo, 92 Dottori Gerardo, 212 Dottorini, ufficiale sanitario, 46 Dupaquier Costantino, 92, 98

Egloff Enrico, 99

Epp Domenico, 99

Fabbretti Quintiliano, 75

Fabbretti Zefirino, vedi Fabretti Vaffrino Fabretti Ariodante, 114, 115, 142, 154, 171 Fabretti Vaffrino, 61, 75 Fagioli Vercellone Guido, 142 Faina Claudio, 199 Faina, famiglia, 171 Faina Zeffirino, 33, 48, 83, 124, 130, 149, 153, 198, 199

218

indice dei nomi

Falconi Carlo, 13, 69 Fani Angelo, 67, 208-210 Fani Cesare, 143, 157, 160 Fardella di Torrearsa Vincenzo, 128 Farini Domenico, 130 Farini Luigi Carlo, 82 Fassnacht Fraancesco, 103 Fattori Giovanni, 175 Fedele Santi, 168 Federer Giovanni, 100 Felisi, capitano, 124 Ferdinando II di Borbone, re delle Due Sicilie, 19, 25 Ferrari Carlo, 90 Ferrari Ettore, 156, 161 Filangieri Gaetano, 110 Finali Gaspare, 82 Finsten Carlo von, 102 Fionini Decio, 104 Forti Costantino, 105 Francesco Giuseppe, imperatore d’Austria, 15, 18 Francesco II di Borbone, re delle Due Sicilie, 110, 117 Francia Enrico, 118 Francovich Carlo, 146 Frenguelli Giuseppe, 200-204, 208, 211 Friggeri Silvestro, 31, 46 Furiozzi Gian Biagio, 107, 113-115, 168

Gabriele Mariano, 13

Gadda Giuseppe, 132 Gaeta Franco, 155 Galante Garrone Alessandro, 113 Galletti Giuseppe, 82 Gallori Emilio, 202 Gamboni Matteo, 176 Garibaldi Giuseppe, 123, 155, 160 Garollo Gottardo, 139, 140 Gasperi Filippo, 32 Gay Harry Nelson, 28, 30, 32, 36, 41, 63

Gehrig Alfredo, 106 Gendze Luigi, 101 Genovesi Luigi, 50, 63, 76 Gentiloni Ottorino, 160 Ghidetti Francesco, 9, 119, 143 Ghisalberti Alberto Maria, 108, 163 Gigliarelli Raniero, 176, 180, 190 Giordani Luigi, 20, 28, 29, 41, 42, 199 Giovannoni Natale, 32 Giovanola Antonio, 133 Giuliani Emiliano, 32 Giuliucci Domenico, 104 Goeldliv Leanzio, 98 Gonfalone, religioso, 81 Gorga Josuè, 31, 70 Goyon Charles de, 19, 22 Gramont Agénor de, 17 Grandjean Giuseppe, 100 Graneuf Martino, 103 Grassi Orsini Fabio, 129 Gregoire Leopoldo, 100 Gregorio XVI, papa, 148 Grohmann Alberto, 185 Grossi Vittoria, 71 Gualterio Filippo Antonio, 10, 67-72, 77, 79, 80, 82-84, 108, 115, 131 Guardabassi Francesco, 33, 48, 124, 127-130, 149, 153, 160, 172, 173, 176, 198, 199 Guardabassi Giunio, 172 Guardabassi Isabella, 173 Guardabassi Mariano, 171-173, 175, 177-180, 208 Guardabassi Vittoria, 172, 173, 180 Guezin Pietro, 103 Guinaur Egidio, 106 Gustà Francisco, 147 Gyulay Ferencz, 85

Hans Andrea, 103

Hayez Francesco, 170 Hearder Harry, 109 Hefner Ferdinando, 92, 99 Hefner Massimiliano, 102

indice dei nomi Hettersdort Federico, 103 Hofstetter, Giacomo, 99 Hudson James, 83 Huensli Giuseppe, 100

I

accard Luigi, 103 Imboden Filippo, 100 Imboden Ildebrando, 106 Induno Gerolamo, 174 Innamorati Francesco, 162 Innamorati Giuliano, 111 Isastia Anna Maria, 154 Isidori, ufficiale sanitario, 46

J

acquet Giovanni, 103 Jeannerat Giuseppe, 92, 98 Jeannot Francesco, 106 Jollet Giuseppe, 103 Joly Eugenio, 103

Kaiser Carlo, 105

Kaiser Francesco, 92, 105 Kalbermatten Wilhelm, 22, 23 Khomale Giuseppe, 106 Kisslinger Antonio, 103

Labruzzi Pietro, 70

Lacava Pietro, 137, 138 Laembe Luigi, 103 La Farina Giuseppe, 109 La Marmora Alfonso Ferrero de, 113, 138 La Masa Giuseppe, 109 Lambert Leopoldo, 103 La Minerva Domenico Pes di San Vittorio de, 40 Lampertico Fedele, 129 Lancetti Emidio, 32, 40, 49, 61, 75, 189 Lanutti, vedi Lancetti Emidio Lanza Giovanni, 138, 139 Lardoni Filippo, 191 La Rosa Ciro, 117 Lattanzi Luigi, 9, 23, 27-46, 48, 52-56, 61, 63, 65, 149

219

Laurenzi Carlo, 185 Lauri Pier Tullio, 10, 89 Lazzarini, fabbro, 73 Lederger Ignazio, 92, 105 Leigerart Alfredo, 92 Lengen Ambrogio, 100 Leonardi Cesare, 70-72 Leonardi, ingegnere, 176 Leone XIII, papa, 157 Leoni Carlo, 91, 101, 179 Leubin Giuseppe, 102 Levaur Filippo, 100 Liazdet Antonio, 103 Limmont Stefano, 103 Lötscher Giuseppe, 100 Lottaz Ferdinando, 103 Lovag Guglielmo, 100 Lovito Francesco, 138 Löwenthal Augusto von, 102 Lupattelli Angelo, 212 Lupattelli Lorenzo, 62 Lüschez Giacomo, 100 Luzi Nicola, 104 Lzebez Coriolano, 100

Macioti Alessandro, 89

Maddoli Gianfranco, 166 Magliani Stefania, 9, 27, 31, 67, 69, 83, 115 Malatesta Alberto, 130 Malchiodi Guglielmo, 203 Malusardi Antonio, 141 Manari Luigi, 80, 81 Mancini Francesco Federico, 180, 182, 198 Maniconi Vincenzo, 32 Marcelli Umberto, 109 Marcora Giuseppe, 157 Mari Alessandro, 74 Mariani Giacomo, 81 Marolda-Petilli Francesco, 133, 134 Marrani Giuseppe, 202, 206 Martina Giacomo, 13, 80, 113, 115 Martinelli Cesare, 184, 208

220

indice dei nomi

Masi Luigi, 71 Massari Giuseppe, 111 Massini Sabrina, 194 Matania Edoardo, 196, 197 Mattei Gentili Dario, 163 Matteucci Giuliano, 174 Maturi Walter, 67 Mazio Luigi, 21, 124 Mazza Vincenzo, 180 Mazzantini Giuseppe, 67 Mazzatinti Giuseppe, 206 Mazzini Giuseppe, 147, 148, 170 Mazzocca Fernando, 174 Mazzoleni Pericle, 139 Mazzoni Cesare, 70-73, 75-77 Mazzonis Filippo, 115 Mazzotta Pietro, 91, 104 Mechler Giovanni, 104 Mellini Gian Lorenzo, 182 Menabrea Luigi Federico, 68, 131, 132 Meneguzzi Rostagni Carla, 13 Menozzi Daniele, 147 Mercurelli Salari Alessandro, 206 Merjlan Giuseppe, 103 Merz Ferdinando, 103 Mezzacapo Luigi, 68, 70, 71, 108 Michant Federico, 100 Migliorati Alessandra, 213 Miliocchi Guglielmo, 153, 159 Minciotti Tsoukas Claudia, 129, 173 Minelli Giuseppe, 101 Minghetti Marco, 129, 132 Minottini Giovanni, 214 Missori Mario, 132, 139, 140, 142 Mockel Francesco, 101 Mola Aldo Alessandro, 153, 155, 156 Monacchia Paola, 153, 160 Monari Giuseppe, 94-96, 105 Monsagrati Giuseppe, 130 Montale Bianca, 67 Montecchi Mattia, 82 Montesperelli Averardo, 107, 111, 166, 178

Montesperelli P., 183 Montesperelli Ugolino, 184 Monti Antonio, 211 Monti Nicola, 32, 63 Montijo Eugenia de, imperatrice dei Francesi, 15, 22 Morard Francesco, 106 Morard Giuseppe, 106 Morelli Emilia, 111 Moretti Francesco, 190, 191 Moretti, sorelle, 214 Mori Alessandro, 38, 57 Morini Francesca, nata Cruciani, 32, 39, 48, 51, 59, 62, 77 Moschini Giovanni, 104 Müller Emilio, 103 Müller Guglielmo, 106

N

ada Narciso, 67, 68, 108 Napoleone III, imperatore dei Francesi, 9, 11, 15, 16, 18, 20, 22, 25, 68, 85, 89, 108-110, 157 Nardoni Filippo, 79, 85, 86 Nicastro-Ventura Filippo, 140 Nicotera Giovanni, 83, 141, 142 Nigra Costantino, 109 Novaro Giuseppe, 141, 142

Oberson Giacomo, 102

Oberson Pietro, 100 Odezmatt Giovanni, 100 Odoni Giuseppe, 202, 205 Odorisio Vincenzo, 81 Oliva Giuliano, 91 Omicini Raffaele, 179, 199 Omodeo Adolfo, 108, 117 Orsolini Elisabetta, 130

P

accart Pietro, 103 Pacchetti, famiglia, 77 Pacifici Vincenzo G., 9, 67-69, 108, 127 Pagani Cesare, 164 Pagliacci Sacchi Giovanni, 71, 77, 78, 87

indice dei nomi Paglialunga Clemente, 173 Paladini Cesare, 142 Palmerston Henry John, 25 Panchaud Ernesto, 103 Pantaleoni Diomede, 109, 129 Paolo VI, papa, 167 Papa Emilio R., 89 Parente Pietro, 164 Pascali Stefano, 176 Passanante Giovanni, 129 Passerini Candida, 32, 34, 49, 73 Passerini Carolina, 32, 34, 49, 73 Passerini, famiglia, 31, 34, 38, 47, 57, 62 Passerini Giuseppe, 34, 73 Passerini Mauro, 32, 34, 49, 73 Pecci Gioacchino, 159 Pedrazzini Augusto, 103 Pedrini Francesco, 77 Pellicciari Angela, 167, 168 Pepoli Gioacchino Napoleone, 68, 80, 81, 117, 118 Perkins Edward Newton, 64, 65, 83 Perkins, famiglia, 32, 35, 37, 52, 63, 76, 83 Peruzzi Giuliano, 149, 152 Petacco Arrigo, 110 Petitti Bagliani Agostino, conte di Roreto, 128 Petrillo Stefania, 10, 169 Pettinelli C., 199 Petzelli Francesco, 98 Pianciani Luigi, 154 Pica Giuseppe, 129 Piervittori Luigi, 198 Pio IX, papa, 9, 12-15, 18, 19, 21-23, 25, 27, 31, 79, 80, 85, 109, 113, 116, 145, 148, 151, 154, 155, 157-159, 167, 173, 179 Pirri Pietro, 13, 41, 116 Pischedda Carlo, 12, 84 Pizzon Giovanni, 100 Platz Corrado, 106

221

Podrecca Guido, 157, 158 Poggi, famiglia, 77 Poggini, famiglia, 77 Poletti Antonio, 101 Polidori Domenico, 61 Polidori Giovanni Battista, 142 Polidori Irene Gioja, 32, 39, 48, 50, 60, 61, 74, 75, 179 Politi Francesco, 101 Pons Alain, 146 Porta Giuseppe, 32, 35, 39, 48, 50, 60, 72, 76 Prampolini Enrico, 212 Principato Gabriele, 10, 67 Pucci Boncambi Rodolfo, 201 Pugliese Carratelli Giovanni, 108 Pugliesi Fortunato, 104 Purgotti Sebastiano, 31, 46 Pzejerski Giuseppe, 101

Quattrini Enrico, 202 Radi Luciano, 67, 107, 112

Raffi Gustavo, 168 Ragnotti Cesare, 121 Rascaglia Maria, 133 Rattazzi Urbano, 12, 116, 131 Ravignani Domenico, 81 Regonelli Silvia, 174 Rej Giuseppe, 106 Ricasoli Bettino, 111, 119, 173-176 Richard Luigi, 99 Rietschi Stefano, 106 Rio Giuseppe, 100 Risolo Michele, 67 Risse Giovanni, 100 Rizzi Francesco, 104 Rizzoli Giovanni, 104 Rocchi Ulisse, 142 Roccia Rosanna, 12, 84 Rofrano Lucio, 138 Romain Pietro, 103 Romano Gian Domenico, 139 Romeo Rosario, 108, 118

222

indice dei nomi

Roncalli Nicola, 12, 17, 19, 21, 22 Rosa Salvatore, 32, 47, 50 Rossi Adamo, 185, 213 Rossi Celeste, 210 Rossi Giacomo, 32, 47, 50 Rossi Matteo 190, 202 Rossi Marino, 61 Rossi Raffaele, 11, 67, 159, 160, 180, 193, 200, 203 Rossi Scotti Luigi, 163 Rossi Tommaso, 62 Rossini Tito, 101 Roth Giovanni, 102 Rothschild, famiglia, 90 Rudinì Antonio Starabba di, 138, 141 Rufsel Francesco, 99 Ruggiero Michele, 109, 110 Ruglioni Roberto, 80, 81 Russo Drago Renata, 140

Sabatini Vincenzo, 176

Sacconi Carlo, 13, 15, 17, 22, 24 Salaris Efisio, 139 Salmour Ruggiero, 109, 110 Salvagnoli Vincenzo, 173 Salvatorelli Luigi, 111 Salvatori Ettore, 192, 194, 208 Salvatori Vincenzo, 32, 47, 50, 75 Sandri Leopoldo, 67 Sanguinetti Vincenzo, 77 Santarelli Luigi, 31, 34, 47, 49, 57, 62, 73, 187 Santarelli Natale, 31, 34, 47, 49, 57, 62, 73, 187 Santi Francesco, 180 Santini Giovanni, 190 Santoni Luigi, 80 Santucci Vincenzo, 19 Saracco Giuseppe, 138 Savoia Clotilde di, 16 Sbaraglini Giuseppe, 158 Sbarbaro Pietro, 156 Schaefli Giacomo, 103 Schmid Anton Maria, 10, 17, 19, 21-23,

27-31, 33, 35, 39-41, 43-45, 54, 89-96, 104, 106, 112, 123, 124, 145, 149, 151, 158, 176 Schmid Giuseppe, 103 Schoenenberger Carlo, 100 Schumacher Giuseppe, 106 Schwarz Guglielmo, 106 Scialoia Antonio, 110 Scifoni Felice, 114, 115 Scirocco Alfonso, 117 Sebastiani Filippo, 115 Segessar Enrico, 102 Sellino Elio, 11 Selvatico Pietro, 170 Seppilli Alessandro, 162 Sernadei Antonio, 104 Settembrini Luigi, 129 Sgariglia Ottavio, 147 Siccardi Giuseppe, 116 Siegerart Alfredo, 105 Signorelli Mario, 71 Silletti Carmela, 135, 136 Singhi, famiglia, 77 Solinas Raffaele, 142 Spada Alberico, 82, 83 Spada Augusto, 82 Spada Giovan Battista, 82 Spadini, vedi Passerini Spadolini Giovanni, 113 Spadoni Domenico, 82 Spini Giorgio, 111 Springer Guglielmo, 100 Staub Giuseppe, 99 Stempfel Giovanni, 106 Stoeklin Fortunato, 95, 99 Storti Giuseppe, 32, 34, 36, 39, 47, 50, 53, 58, 59, 63, 76 Strazza Michele, 135 Supransa, doganiere, 76

Tanari Luigi, 127

Tancioni Amalia, 60, 74, 75, 179 Tanno Adamo, 100 Targioni, vedi Tancioni

indice dei nomi

223

Tedeschi-Rizzone Michele, 140 Temperini Giacomo, 39, 47, 50, 57, 75 Tenca Carlo, 174 Teufel Floriano, 100 Thomet Giovanni, 106 Tieri Palmira, 60, 74, 75, 179 Tivaroni Carlo, 74 Tomassini Antonio, 32, 47, 50, 185 Tommaseo Niccolò, 170 Tommassini, vedi Tomassini Torelli Luigi, 138 Torregiani Domizio, 160, 161 Toselli, monaco benedettino, 81 Tschopp Carlo, 103 Tzoger Benedetto, 101

Viglione Massimo, 167 Vignaroli Edoardo, 202, 207 Vignaroli Giovanni, 34, 47, 49, 187 Villani Pasquale, 155 Vincenzi Achille, 104 Vincenzi Isidoro, 104 Visconti di Saliceto Alfonso, 182 Visconti Venosta Emilio, 130 Vitaletti Romolo, 32, 48, 57, 76 Vitali A., 180 Vitali, conte, 76 Vittorio Emanuele II, re di Sardegna, 10, 20, 80, 86, 107-109, 116, 145, 158 Volpato Mariano, 191, 192

U

Waddington Evelino, 171

baldi Giuseppe, 32, 49, 81 Ugolini Romano, 9, 11, 12, 27, 28, 40, 67-71, 76, 81-83, 89, 94, 96, 97, 107, 108, 111, 113, 117, 119, 121, 122, 124, 127, 130, 168, 180, 182, 187, 199 Ulrich Benedetto, 106 Ulrich Giuseppe, 102 Urban Karl von, 85

Valenti Benedetto, 47, 50

Valentini Massimiliano, 63 Valerio Lorenzo, 112 Vannucci Pietro, 177, 178, 183-185, 188, 201 Vecchi Annibale, 115, 153, 154, 198 Veglio di Castelletto Emilio, 132 Verga Napoleone, 180-190, 212 Vernizzi Cristina, 172, 205 Vetter Giuseppe, 106 Viale Prelà Michele, 19 Vicarelli Egidio, 212

Waddington Florenzi Marianna, 171 Walewski Alessandro, 15, 24 Wasesch Sebastiano, 102 Wedder Giusto, 106 Weindel Giuseppe, 99 Weingärtner Guglielmo, 106 Weinnar Teodoro Guglielmo, 100 Weishaupt Adam, 146 Wellauer Conrad, 64 Wellauer Ernesto, 76 Wellauer Pietro, 94, 101 West Antonio, 100 Windepot Mercurio, 100

Zappia Caterina, 180, 182, 199

Zazzerini Laura, 131 Zeitter Ferdinando, 92, 102 Zöbel Friedrich, 85 Zobi Antonio, 73, 75, 76 Zucchero Vincenzo, 71, 77, 78, 87

c o mpo sto in car atter e dan te mo n ot y p e d a l l a f abrizio serr a editor e, p isa · r oma . s tamp ato e rileg ato n e l l a t ipo gra fia di ag n an o, ag n an o p i s a n o ( p i s a ) .

* Marzo 2011 (cz 2 · fg 3)

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RISORGIMENTO · IDEE E REALTÀ Collana diretta da Romano Ugolini 13. Ugolini R. (a cura di), Italia – Australia 1788-1988, Atti del Convegno di Studio, Roma, Castel S. Angelo, 23-27 maggio 1988, 199 , pp. 512. 14. Mazzonis F., Luigi Pianciani. Frammenti, ipotesi e documenti per una biografia politica, 1992, pp. 248. 15. Magliani S. (a cura di), Vincenzo Pianciani al figlio Luigi. Carteggio 1828-1856, i : 1828-1842, 1993, pp. x-574. 16. Magliani S. (a cura di), Vincenzo Pianciani al figlio Luigi. Carteggio 1828-1856, ii : 1843-1846, 1993, pp. vi-586. 17. Magliani S. (a cura di), Vincenzo Pianciani al figlio Luigi. Carteggio 1828-1856, iii : 1847-1848, 1994, pp. vi-450. 18. Zàppia L., Enti locali e potere centrale. L’opposizione all’accentramento (1861-1865). Il caso di Reggio di Calabria, 1994, pp. 256. 19. Nasto L., Le feste civili a Roma nell’Ottocento, 1994, pp. x-146, ill. 20. Magliani S. (a cura di), Vincenzo Pianciani al figlio Luigi. Carteggio 1828-1856, iv : 1850-1856, 1996, cm 15,5 x 22,5, pp. 564. 21. Pacifici V. G., Le provincie nel Regno d’Italia, 1995, pp. 598. 22. Severini M., Armellini il moderato, 1995, pp. 250. 23. Fabbri A., Il movimento socialista a Città di Castello e nell’Alta Valle del Tevere, prefazione di R. Ugolini, 1996, pp. 260. 24. Toschi L., Luigi Pianciani sindaco di Roma, 1997, pp. 248. 25. Proietti A., Benedetto Maramotti. Prefetto e politico liberale (18231896), prefazione di F. Fonzi, 1999, pp. xv-288. 26. Ficcadenti B., Il Partito Mazziniano Italiano, 1999, pp. 268. 27. Nasto L., La questione della mendicità nello Stato Pontificio (sec. xviiixix), 2001, pp. 192. 28. Piccioni R., Diomede Pantaleoni, 2003, pp. ii-266. 29. Ugolini R., Ernesto Nathan tra idealità e pragmatismo, 2003, pp. x-180. 30. Magliani S. (a cura di) L’Umbria e l’Europa nell’Ottocento, Atti del convegno « L’Umbria e l’Europa nell’Ottocento », 2003, pp. xiv-426. 31. Magliani S., Per la storia economica e sociale del territorio umbro. La prima Cassa di Risparmio di Perugia dallo stato pontificio allo stato unitaro, 2005, pp. 288. 32. Magliani S., Per la storia della pubblica incolumità. I piani di risanamento a Palermo (1861-1900), 2007, pp. 296.  











33. Magliani S., Ugolini R. (a cura di), Dalla pubblica incolumità alla protezione civile, 2007, pp. 390. 34. Furiozzi M. (a cura di), Luigi Pianciani e la democrazia moderna, 2008, pp. 172. 35. Furiozzi G. B. (a cura di), Il xx Giugno 1859, dall’insurrezione alla repressione, 2011, pp. 232.

STUDI SULL’ETÀ CONTEMPORANEA Collana diretta da Romano Ugolini 3. Bosworth R., Ugolini R., War, internment and mass migration : the italo – australian experience 1940-1990, 1992, pp. 300. 4. Jannazzo A., Mezzogiorno e liberalismo nell’azione di Zanotti Bianco, prefazione di G. Spadolini, 1992, pp. 216. 5. Bosworth M., Bosworth R., Fremantle’s Italy, 1993, pp. 206. 6. Ferrari U., Risorgimento e liberazione. Diario di Roma 1943-1944, a cura di R. Ugolini, 1994, pp. 220. 7. Pacifici V. G., I prefetti e le norme elettorali politiche del 1921 e del 1925, 2006, pp. 148. 8. Ugolini F. C., Il codice De Folt. Cambiare linguaggio per l’insegnamento dell’Informatica, 2006, pp. 400.  

I

l volume raccoglie gli atti del Convegno tenutosi nel dicembre 2009 a Perugia in occasione del 150° anniversario delle stragi del 20 giugno 1859, che furono la tragica conclusione dell’insurrezione iniziata la settimana precedente dai patrioti perugini i quali, forti di un largo sostegno popolare, assunsero il governo della città spodestando le autorità pontificie. Gli studiosi che vi hanno preso parte hanno colto questa occasione per condurre un’analisi seria e approfondita dell’episodio più significativo del Risorgimento umbro, esaminandone anche i presupposti e le conseguenze di carattere nazionale e internazionale. Contributi di: Romano Ugolini, Stefania Magliani, Gabriele Principato, Pier Tullio Lauri, Gian Biagio Furiozzi, Francesco Ghidetti, Vincenzo G. Pacifici, Franco Bozzi, Stefania Petrillo.