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Italian Pages 257 [249] Year 2022
L'idea della metamorfosi è un dono che viene dall'alto, molto solenne, ma al tempo stesso molto pericoloso. (J.W. Goethe, La metamo,fosi delle piante) Per l'esistenza è meglio l'onda. Alle acque eterne ti porterà Proteo-Del.6no. (J.'vV. Goethe, Faust, 8315-8317) Tutto muta, nulla perisce. Lo spirito è errabondo [... ) E dagli animali Passa al corpo umano E il nostro negli animali. E non si consuma nel tempo E come la duttile cera Si plasma in nuove figure. (Ovidio, Metamorfosi, XV. 165) Ciò che dispone il corpo umano cosl che possa essere affetto in pili modi, o che lo rende atto a modificare in più modi i corpi esterni, è utile all'uomo [... ) e al contrario è nocivo ciò che rende il corpo meno atto a queste cose. (B. Spinoza, Etica, IV, 38) Non c'è nessuno tra tutti noi che non potrebbe anche essere un altro. A un cespuglio basta anzitutto essere un cespuglio. Ma un uomo può diventare per cosl dire tutto, incompleto com'è. Oscuro e indefinito come è in sé, nelle sue pieghe. (E. Bloch, Il principio speranza, V)
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Introduzione
Nella prefazione al secondo volume della sua opera fondamentale, Uuomo è antiquato, edito nel 19801, Giinther Anders definisce la sua ricerca un'antropologia filosofica nell'era della tecnocrazia, intendendo per tecnocrazia non già il dominio dei tecnocrati, ma il fatto che il mondo in cui viviamo è, ormai, un mondo completamente tecnico. Che la tecnica sia «omiai diventata il soggetto della storia con la quale noi siamo soltanto "costorici"»2 ha conseguenze non soltanto sul futtu·o degli individui e dell'intera umanità, ma sullo stesso statuto ontologico ed etico dell'umano: come mostra in modo sempre più evidente e inquietante lo straordinario sviluppo delle biotecnologie e dell'ingegneria genetica, l'uomo è tecnicamente modificabile, anzi noi siamo già mutati e «questo esser mutati è cosi fondamentale, che chi parla oggi del suo "essere" [ ... ] è una figura dell'altroieri,,3 • La presente ricerca parte da questo 1. G. Anders, L'uomo è a11tiquato. II. Sulla distn1zio11e della oita nell'epoca della terna riooluzio11e industriale (1980), tr. it. di M.A. Mori, Bollati Boringhieri, Torino 2007. 2. lvi, p. 3. Tale assunzione della tecnica a ruolo di unico soggetto storico viene, però, costantemente dissimulata.
3. Ibidem.
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presupposto che già i teorici primonovecenteschi del carattere rivoluzionario della tecnica avevano intuito\ per estenderlo fino a delineare una sorta di ontologia metamorfica della tecnica, con lo scopo di rintracciare nel concetto di metamorfosi il nucleo fondamentale del fenomeno della tecnica e del mondo da essa improntato. La tecnica è, infatti, la forma più efficace mai sperimentata di dominio sul divenire e la più potente forza di mutazione antropologica: facendo eco alle celebri affermazioni dell'Oratio de hominis dignitate di Pico della Mirandola, l'uomo è ora percepito come l'essere proteiforme per eccellenza, interiormente disposto alla metamorfosi: come afferma ancora Anders, «la capacità di cambiare il nostro mondo (anzi, non soltanto il nostro, ma il mondo in generale) e noi stessi, appartiene paradossalmente alla nostra "natura"»5 • La variante introdotta da Anders del dislivello prometeico come squilibrio tra ciò che possiamo produrre e la nostra capacità di adattamento fisico, etico e morale al cambiamento si potrebbe riformulare nel senso di uno squilibrio tragico tra la capacità di trasformazione del reale e dell'uomo e l'assenza di ogni finalità che possa orientare tale trasformazione. La strabiliante parabola del progresso tecnico-scientifico sembrerebbe ricondurci alla definizione fondamentale del nichilismo formulata da Nietzsche: «Nichilismo: manca il fine; manca la risposta al "perché?"»6 • I.:intera società dei consumi e dell'in4. Mi riferisco qui soprattutto a Oswald Spengler e al suo Der Mensch ,mcl die Teclmik del 1931 (L'uomo e la tecnico. Contributo a una filowfia della vita, tr. it. di G. Gurisatti, Guanda, Parma 1992) e a Emst Junger che, nel suo profetico testo De,· Arbeiter del 1932, sviluppa una vera e propria fenomenologia del mondo tecnicamente modifìcato a partire dall'intuizione della Gestalt del lavoro totale: cfr. E. Jtinger, I.:operalo. Dominio e fon1111 (1932), tr. it. di Q. Principe, Guanda, Parma 1991. 5. G. Anders, L'uomo è antiquato. Il, cit., p. 4. 6. F. Niet:z.sche, Frammenti postumi 1885-1887, in Opere ,/1. Frlellrlch Nletz. scl1e, a cura di G. Colli e M. Montinari, voi. VIII/1, tr. it. di S. Giametta,
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formazione mass-mediatica potrebbe, forse, interpretarsi come una colossale rimozione di tale tragica affermazione di impotenza teorica, attanagliati come siamo, nelle nostre opulente società occidentali, nella morsa di una collettiva "mancanza di bisogno". In modo sempre più ineluttabile, se pure per lo più inappariscente, le nostre esistenze vengono integrate nell'apparato tecnico-mediatico che sovrasta ogni volontà individuale e segue esclusivamente le proprie ferree leggi di autopotenziamento. Nel presente studio la figura mitica del dio Proteo e la sua ampia costellazione simbolica verranno utilizzate come riferimento per pensare non soltanto il radicale cambiamento antropologico e assiologico deterrrùnato dalla rivoluzione tecnica moderna, ma anche per indagare l'ambiguità insita nella tecnica stessa per cui essa è, secondo la celebre espressione di Oswald Spengler, tattica della vita escogitata dall'uomo per emanciparsi dai limiti biologici e migliorare le condizioni di vita e, al contempo, causa di una tragica opposizione con la natura che da decenni, ormai, si manifesta nelle forme drammatiche del degrado an1bientale e dei connessi rischi per la stessa salute umana. Come già all'inizio degli anni Trenta del secolo scorso affermava Ernst }tinger, la tecnica è determinata dalla Gestalt dinamica e intrinsecamente aggressiva del lavoro; essa esercita la sua potenza metamorfica in quanto principio di sovrabbondanza e di perenne transizione morfologica, che soltanto il nuovo Tipo umano dell'Arbeiter descritto da Jtinger riesce a gestire. Soltanto il lavoro come forma di vita integrale è, infatti, in grado di padroneggiare e legittimare il dominio sul divenire, cosl che la vulcanica produzione tecnica e il magmatico caleidoscopio di forme, di cui le nostre metropoli sono perenni scenari espositivi, si coniugano con Adelphi, Milano 1975, fr. 5 (71], Il nichilismo europeo {Lenzer Heide, 10 giugno 1887), p. 199.
14 la più rigida e razionale «disciplina del cuore e dei nervi,/ del Lavoratore. La possibilità che la tecnica moderna si impadronisca del dominio sulla aristotelica metaboU io quanto causa del divenire come alterazione - la tecnica si rivela la massima forza di trasformazione ilemorfìca del reale da cui resta assente ogni riferimento a cause finali - è data dalla comprensione tipicamente moderna del reale come cristallizzazione del divenire: il reale diviene il luogo dell'operare tecnico, del suo fare e disfare, in quanto, secondo la decisiva intuizione nietzscheana, la volontà di potenza che si manifesta nel divenire proteiforme aspira a stabilizzarsi come essenza dell'essere. La suprema volontà di potenza - ,dmprimere al divenire il carattere dell'essere»8 - si realizza, dunque, nell'imposizione tecnica - il Gestell heideggeriano9 - per cui il reale può venire mobilitato in quanto cela in sé una sotterranea fluidità ontologica e, al tempo stesso, può essere fissato nelle ferree forme della razionalizzazione e dell'efficienza produttiva. In questo contesto la macchina, icona della tecnica e della civiltà moderne, può essere interpretata come un'autonoma centrale di operatività metamorfica da cui si sprigiona una straordinaria potenza di trasformazione del reale poiché in essa avviene, come la macchina a vapore mostra in maniera paradigmatica, la produzione e trasformazione dell'energia, ossia di ciò che, come la fisica mode1na ha chiaramente compreso, produce lavoro e cambiamento. Con l'awento delle macchine
7. E. Jilnger, I.:operolo, cit.• p. 101. 8. •Imprimere al divenire il carattere dell'essere-è questa la suprema volontà cli pote11::a» (F. Niet-ache. Frammenti postumi 1885-1887, cit., fr. 7 [54), p. 297). 9. Cfr. M. Heidcggcr, La questione dello tecnica (1953), in Id., Saggi e cllsco~I, tr. it. dì G. Vattimo, Mursia, Milano 1976, pp. 5-27.
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moderne si impone anche una progressiva autocomprensione macchinica dell'uomo che genera, secondo le espressioni andersiane, il dislivello e la vergogna prometeiche, ossia lo squilibrio tra l'accelerazione del dominio tecrùco del mondo e la stentata "formazione tecrùca" dell'uomo: imprigionato nella sua precarietà e incompiutezza, egli patisce l'umiliazione di non poter raggiungere la perfezione e l'eternità metalliche della macchina e dei prodotti finiti della tecnica e tende ad autocomprendersi come mero componente funzionale, equivalente e sostituibile, della Megamacchina tecnica. I..:ottocentesca fede nel progresso, dopo le catastrofì delle società occidentali della prima metà del Novecento e la crisi epistemologica delle scienze, riemerge nel secondo dopoguerra come logica inarrestabile dell'autopotenziamento del sistema tecrùco, ma anche nel suo carattere subdolamente distruttivo: la pace e il benessere promessi dal progresso tecnico non sono, in realtà, altro che l'estensione alle società dominate dal principio della massima efficienza delle logiche della guerra. Nell'ontologia dei prodotti proposta da Anders, che potrebbe valere come matrice teorica delle descriziorù elluliane del sistema tecnico10, la guerra, infatti rappresenta «per parafrasare la celebre definizione di Clausewitz, soltanto un proseguimen-
to della distrazione pacifica dei prodDtti con altri mezzi»11• La nietzscheana volontà di potenza si afferma nel sistema tecrùco come predomirùo assoluto della strumentalità dei mezzi rispetto a ogni prospettiva teleologica. Progresso diviene ora 10. Un punto focale del presente studio è rappresentato dalla diagnosi filosofica della tecnica come sistema sviluppata da Ellul negli anni Settanta; in essa è possibile rinvenire una penetrante attualizzmdone delle interpretazioni primonovecentesche della tecnica: J. Ellul, Il sistema tecnico. La gabbia delle società contemporanee (1977), tr. it. di G. Carbonelli, Jaca Book, Milano 2009 (d'ora in avanti ST). 11. G. Anders, L'11011U> t 011t1q11ato. II, cit., p. 264.
16 il nome dell'incessante alternanza di produzione e distruzione degli enti che richiede, pertanto, una disponibilità costante alla trasformazione metamorfica. La tecnica e i suoi val.ori assurgono, peraltro, in modo sempre più irreversibile, se pure per lo più celato da ipocriti proclami morali e politici, a fonte suprema di legittimazione di ogni altra attività umana, dalla scienza alla politica, dal!'etica alla religione, e sostituiscono integralmente l'universo valoriale della tradizione umanistica assumendo essi stessi caratteri sempre più umanistici: il sistema tecnico, infatti, si "umanizza" nella misura in cui assorbe in sé l'umano e lo utilizza come mezzo privilegiato per lo svolgimento dei suoi processi di autoaccrescimento e autoaffennazione. Alla virtualizzazione del mondo e dell'uomo, a cui assistiamo grazie allo straordinario sviluppo delle tecnologie informatiche, si accompagna un progressivo svani mento della struttura ontologica del reale fondata sulla contrapposizione tra soggetto e oggetto caratteristica della modernità. Alla diagnosi di Baudrillard12, secondo cui il nostro mondo si trasformerebbe sempre di più in un universo di oggetti semioticamente connotati, si sostituisce, cosl, la comprensione del reale in termini di equivalenza metamorfica e operatività tecnica. Diviene, dunque, un compito filosofico decisivo comprendere la modalità tipicamente tecnica della metamorfosi, che si contrappone nettamente al concetto di metamorfosi romantico, di ascendenza goethiano, per cui essa rappresenta la forma dinamica dei processi di continua rigenerazione morfologica della natura secondo la rigorosa tensione teleologica che governa la sua mirabile sovrabbondanza morfotipica riconducibile, tuttavia, ad archetipi fondamentali (la Urpfianze goethiana nell'ambito della morfologia botanica).
12. J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti (1968), tr. it. di S. Esposito, Bompiani, Milano 2018.
17 La metamorfosi tipica del sistema tecnico indica, invece, uno stato di perenne alterazione e ibridazione di quelle che, in linguaggio nietzscheano, potremmo definire "formazioni provvisorie del divenire". Intesa a partire dalle dinamiche ibridative con l'alterità animale e macchinica, la metamorfosi postumana si rivela, dunque, non soltanto la legge del reale inteso come risultato di un incessante operare, ma anche la logica stessa della tecnica moderna responsabile dell'incessante mobilitazione ibridativa dell'umano. In questo contesto, il confronto con il pensiero del post-umano, espresso negli ultimi due decenni da una molteplicità di autori attraverso innumerevoli approcci teorici, consente di verificare l'ipotesi ermeneutica centrale della presente ricerca- che, nel lessico heideggeriano, potremmo così formulare: "la metamorfosi è l'essenza non tecnica della tecnica" - a partire dalla tematizzazione del decisivo concetto di ibridazione. Attraverso tale concetto, e il suo ampio spettro di applicazione, il postumanismo - che noi qui considereremo soprattutto nella declinazione datane in Italia da Roberto Marchesini- rivendica il superamento dall'antropocentrismo umanistico nella direzione di una correlazione proiettiva ed eteroriferita con l'alterità animale e macchinica: la tecnica che infiltra l'uomo determinerebbe nuovi stili evolutivi e al dominio umanistico su di essa si sostituirebbe il suo decentramento esposto agli agenti ibridativi. Alla luce delle analisi di Ellul e di Latouche del sistema tecnico e della Megamacchina, tuttavia, tali agenti ibridativi si rivelano essere non più degli autentici vettori di differenze, ma piuttosto "attrattori ibridativi" interni al sistema stesso e funzionali alle sue dinamiche di sviluppo endogeno. Il presunto sovvertimento delle categorie classiche della tradizione umanistica e della soggettività moderna da essa scaturita (autonomia, spontaneità, stabilità e univocità identitaria, capacità emanativa e fondativa rispetto al mondo) si rivela essere piuttosto una ripetizione e un potenziamento dei principi
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ontologici fondamentali dell'umanismo stesso, configurando, per utilizzare un'espressione di Peter Sloterdijk, una sorta di "tecno-umanismo". Lo stato di "sovranità limitata" dell'uomo causato dall'accrescersi esponenziale della tecnicizzazione e virtualizzazione delle nostre esistenze non apre, tuttavia, a un incontro con l'alterità se non in senso del tutto funzionale alle logiche operative del sistema stesso. La tecnica, piuttosto, sembra immunizzare l'uomo dall'incontro con l'Altro e dalle sue conseguenze più destabilizzanti, organizzando l'intrinseca tragicità del divenire nei ternùni rassicuranti e narcotici di una "fantasmagoria metamorfica". La metamorfosi ibridativa - nettamente distinta sia da quella "plastica" tipica dei sistemi biologici e delle loro relazioni osmotiche con l'esterno, sia da quella "liquida" caratteristica, come ha mostrato Zygmunt Bauman, dei processi di globalizzazione economica e finanziaria del nostro tempo 13 - si rapporta con l'alterità seguendo il paradigma del contagio e dell'immunizzazione che potenzia la vita soltanto nella misura in cui la espone al rischio della sua negazione14• Il desiderio di proiettarsi nell'alterità e di introiettarla in sé costituirebbe, secondo il postumanismo, il motore dei processi di evoluzione sia filogenetici che ontogenetici e, richiamandosi alla tradizione antispecista e vitalistica di matrice spinoziana e nietzscheana che nel Novecento culmina nella filosofia deleuziana della differenza, determinerebbe la modalità tipicamente metamorfico-ibridativa del rapporto con l'alterità animale e tecnica. Si configura, cosl, una ontologia dell'umano nei termini di una "archeologia relazionale" in cui l'evol1.12ione umana si rivela come una serie infinita di correlazioni dialo13. Z. Baumnn, Vita liq11ida (2005), tr. it. di M. Cupellaro, Latera, RomaBari 2011.
14. Cfr. R. Esposito, Immunltas. Protezione e negazione della olta, Einaudi, Torino 2002.
19 giche e connessioni ibridative; il dialogo assume, pertanto, la forma relazionale dell'ibridazione morfologica e del riconoscimento nel partner esterno. Conclusivamente si cercherà, pertanto, di sottrarre l'epifania dell'altro all'interpretazione postumanistica nei termini di un dialogo eterorife1ito e ibridativo, e di ricondurla alla dimensione del colloquio (Gespriich) ermeneutico tra singolarità finite. In questa prospettiva - i cui riferimenti teorici sono soprattutto l'ermeneutica esistenziale heideggeriana e !"'umanesimo dell'altro uomo" di Emmanuel Levinas - l'alterità sfugge alla presa proiettiva dell'uomo perché è essa stessa che lo fa ek-sistere e, al contempo, l'uomo sfugge alla presa ibridativa dell'alterità perché costitutivamente differente da essa. L'identità si rivela, attraverso l'analisi che Heidegger svolge di questa categoria su di un piano prettamente ontologico15, non già come connettività e istanza sistemica - e dunque potenzialmente totalitaria-, ma piuttosto come spazio di 15. Al cuore teorico della presente ricerca risiede un serrato confronto con Upensiero di Heidegger. Non si è seguita, qui, tuttavia, alcuna intenzione di tipo interpretativo del pensiero del fìlosofo di MeBkirch, cui si è già rivolta in passato la mia attenzione (cfr. soprattutto, S. Gorgone, Nel de.serto dell'umano. Potenza e Machenschaft nel pensiero tll Marttn Heldeggcr, Mimesis, MilanoUdine 2011). Nel costante riferimento all'opera heideggeriana, l'obiettivo è stato, piuttosto, quello di considerarne l'attualità e la fecondità per quanto riguarda i temi e gll autori affrontati. Ai fini della presente indagine, decisive si rivelano, infatti, se pure su di un piano squisitamente ontologico, le analisi heideggeriane della tecnica e del mondo moderno, della scienza e della volon• tà di potenza nietzscheana come carattere ontologico distintivo della totalità dell'ente nell'epoca del dominio tecnico. Ma è soprattutto la criticaheideggeriana dell'umanismo fìlosofìco- che egli inserisce nella piil ampia critica della metafìsica occidentale - a costituire, come si è mostrato nel terzo capitolo, la base teorica di molti approcci anti-umanistici contemporanei se pure, a nùo avviso, l'esito dell'itinerario heideggeriano sfoci oell'iodividuaziooe di uo primato della Differenza che non è in alcun modo assimilabUe all'alterità da cui, secondo la maggior parte delle prospettive postumaiùstiche, emergono le "antropotecrùche" e i processi di ibridazione dell'umano.
20 liberazione da ogni processo di soggettivazione e di assoggettamento dell'umano, luogo di confronto e coappartenenza dei differenti per cui il corrispondersi reciproco delle singolarità si livela come oliginaria responsabilità per l'altro. Il superamento dell'uomo - la foucaultiana "morte dell'uomo" - può, dunque, declinarsi come il suo essere destinato all'evento, ogni volta finito, della differenza, al colloquio delle esistenze e al loro corrispondersi etico. I.:uomo a venire non è, dunque, il risultato dell'apposizione di un post- al giàstato dell'umano. Non si tratta, cioè, di superare la "morte dell'uomo" attraverso la potenza metamorfica ed eccedente della tecnica, da cui scaturirebbe il post-uomo come "essere transizionale eteroriferito", il cui carattere fondamentale è la plasticità e la disponibilità all'ibridazione nell'ottica di un superamento dell'opposizione natura-cultura e natura-tecnica. Il futuro dell'uomo è, piuttosto, determinato dall'esito del corrispondere all'appello della differenza che, nel nostro tempo, si manifesta nell'ambiguità ontologica della tecnica e nelle sfide che essa continua a rivolgere all'umanità dell'uomo.
Katowice (Podlesie), agosto 2021
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Capitolo I
Ambiguità e potenza della tecnica
Tenterà (Proteo) di mutarsi in tutti gli animali che esistono in terra, in acqua e in fuoco prodigiosamente ardente. Voi tenetelo forte e stringetelo ancora di più. (Omero, Odissea, IV, 417-419)
1. Proteo e l'ambiguità della tecnica Figura mitica e ancestrale dotata di un'inquietante ambiguità, Proteo si presta in modo paradigmatico a caratterizzare l'ampiezza semantica e filosofica della tecrùca che dalla conclusione della Grande Guerra occupa in modo sempre più ineluttabile e pervasivo le nostre esistenze configurandosi come forma di vita integrale e delineando, nel suo esplicarsi, il destino stesso della nostra umanità storica. Che l'età della tecnica abbia abolito definitivamente le illusioni "umanistiche" con cui l'uomo pre-tecnologico credeva di poter dispiegare il proprio orizzonte di senso e fondare le strutture epistemologiche e valoriali attraverso cui abitare il mondo, è una convinzione ormai diffusa. Con tale radicale trasformazione, a un tempo ontologica e antropologica, la nostra contemporaneità è abituata a confrontarsi sia in senso critico, ora delineando prospettive di recupero dei valori e delle idee della tradizione umanistica e dell'antropocentrismo filosofico da contrapporre alle derive più minacciose e inquietanti delle tecnoscienze, ora rivendicando un forte ancoraggio umanistico della ricerca scientifica e del progresso, sia
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in senso affermativo, promuovendo un sapere autonomo della tecnica e delle scienze in grado di pensare la soglia di mutazione antropologica che accompagna l'avvento del loro dominio planetario e onnipeivasivo, sia in senso negativo, esigendo una revisione radicale, se non addirittura una rifondazione di tutte le categorie e i concetti tipici dell'età pre-tecnologica1. Proteo è non soltanto, nelle intenzioni del presente studio, la figura simbolica di questa soglia antropologica che mette radicalmente in crisi il paradigma umanistico e il pensiero che su di esso si è strutturato aprendolo a prospettive postumaniste2, ma anche della stessa ambiguità e ambivalenza della tecnica. Nella rappresentazione prevalente dalla cultura classica, egli è un «dio antico, declassato a pastore di esseri anfibi quali le foche, che appartiene ad un pantheon spodestato, un dio straniero e di confine, asociale e attempato (è detto alios ghéron, il Vecchio del Mare) relegato nella dimensione ctonia degli abissi marini e dunque distante dalla serenità olimpica dei suoi successori»3 •
1. «Resta da pensare se le categorie che abbiamo ereditato dall'età pretecnologica e che tuttora impieghiamo per descrivere l'uomo sono ancora idonee per questo evento assolutamente nuovo in cui l'umanità, come sto• ricamente l'abbiamo conosciuta, fa esperien:,.a del suo oltrepassamento» (U. Galimberti, Psiche e tee/me. L'uomo nell'età della tecnica, Feltrinelli, Milano 2000, p. 34). Sulla mutazione antropologica contemporanea, cfr. F. Mora (a cura cli), Metamorfosi clell'11ma110, Mimesis, Milano-Udine 2015. 2. Si utilir.,88, laddove non vale nessuna rappresentazione fantasmatica della terra e non ha più presa la potenza metamorfica della tecnica. Zarathustra, infatti, cosl ammonisce coloro che vorrebbero ricercare l'essenza dell'umano nella mera natura (la pianta) o - come i transumanisti del nostro tempo - nel puro artificio disincarnato (il fantasma): «Sia il superuomo il senso della terra! Vi scongiuro, fratelli, rimanete fedeli alla terra»~. Al di là dell'evidente confutazione di ogni fuga in mondi dietro il mondo (Hinterwelten) ascetici o ideali, il richiamo al radicamento, lungi dall'indicare fonne di appartenenza a una particolare terra, rimanda, piuttosto, a una possibile interpretazione non tecnica del "superamento dell'uomo": superare l'uomo, cioè, in direzione della propria fìnitezza e non dell'infinità dei mezzi tecnici e delle metamorfosi post-umane; superare l'uomo nella molteplicità delle sue relazioni con gli altri e nell'esposizione al loro appello eticamente significativo. L'olh·euomo, in questa prospettiva, èil senso della terra in quanto radicamento nel fondo abissale da cui sorge ogni alterità che ci coinvolge in un rapporto di senso e che, espropriandoci, ci rivela l'ampiezza della nostra capacità di accoglierci e ascoltarci reciprocamente, di restare nel colloquio che noi stessi siamo e che forse, soltanto, ci fa umani. L'oltreuomo nietzscheano, infatti, è anche colui che è
87. F. Nietzsche, Così parlò Zarathustra, cit., p. 6. 88. lvi, p. 343.
89. lvi, p. 6.
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in grado di accogliere in sé la potenza metamorfica post-umana, il «fìume immondo»90 dell'umano, e di superarne l'impurità. I.:immagine oceanica che qui utilizza Nietzsche - l'oltreuomo è il mare che può ricevere questo torbido fiume senza diventare impuro - e che, peraltro, richiama la metafora del mare aperto impiegata altrove per caratterizzare gli argonauti dello spirito e i filosofi dell' awenire91 , non esprime una purezza ritrovata, né una qualche conciliazione dialettica delle contraddizioni dell'umano, ma indica, piuttosto, l'inappariscente potenza dell'ospitare in sé la differenza senza né assimilarla, né ibridarsi con essa. Il superamento dell'uomo si caratterizza, dunque, non più come mero oltrepassamento (Oberwindung) ibridizzante dei suoi limiti, ma come quel processo di approfondimento (Verwindtmg) e perlustrazione incessante della dimensione multiforme dell'umano, rivendicazione continua della sua frontiera mobile che non può mai essere raggiunta e definita ma che si rivela ogni volta nella sua radicale esposizione al)' altro, nel suo essere schermo invisibile su cui si proiettano le forme molteplici della differenza e in cui il suo appello etico può risuonare e prendere forma. Non è l'eccesso dionisiaco della hybris che determina il carattere metamorfico del post-umano a dischiudere l'awenire, ma l'eracliteo errare senza fine alla
90. lvi, p. 7. 91. «Abbiamo lasciato la terra e ci siamo imbarcati sulla nave! Abbiamo tagliato i ponti alle nostre spalle - e non è tutto: abbiamo tagliato la terra dietro di noi. Ebbene, navicella! Guardati innanzi! Ai tuoi fianchi c'è l'oceano: è vero, non sempre muggisce, talvolta la sua distesa è come seta e oro e trasognamento della bonti\. Ma verranno momenti in cui saprai che è Infinito e che non c'è niente di più spaventevole dell'infinito. Oh, quel misero uccello che si è sentito libero e urta ora nelle pareti di questa gabbia! Guai se ti coglie la nostalgia della terra, come se là ci fosse stata più libertà - e non esiste più "terra" alcuna!» (F. Nietzsche, La gala scle11za, tr. it. di F. Masini, in Opero di Friedrich Nietzsche, a cura di G. Colli e M. Montinari, voi. V/2, tr. it. di F. Masini e M. Montinari, Adelphi, Milano 1965, pp. 11-276: p. 129).
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ricerca dei connni dell'anima lungo le molteplici soglie della differenza. Analogamente, non è nella dinamica antagonista o dialettizzante del "post-" o in quella tacitamente complice del "trans-" che l'umanesimo tradizionale può essere sottratto alle sue derive antropocentriche, autoreferenziali, identitarie e anti-ecologiche, ma nello spazio eticamente connotato di un nuovo «umanesimo dell'altro uomo»92• In alcune decisive pagine dei Beitriige zur Philosophie, l'opera segreta in cui Heidegger fa i conti con il fallimento del suo pensiero e, forse, soprattutto del suo tentativo di oltrepassare l'antropologia umanistica rinnovando l'eredità nietzscheana dello Obermensch, si rinviene nella concezione dell' esistenza come Dasein il «fondamento della possibilità dell'uomo a venire»93• Il Dasein non sarebbe, dunque, una proprietà dell'uomo, quella "differenza ontologica specifica" che lo distinguerebbe da tutti gli altri esseri viventi, ma il compito fondamentale dell'uomo, il segno del suo essere "futuro": «l'uomo è a venire, in quanto assume di avere da essere il suo ci [Da]»84 • L'uomo, cioè - direbbe Pascal - , supera infinitamente se stesso in quanto è apertura alla differenza, esposizione all'alterità che, pur provenendo dal!'esterno, risuona come la voce silenziosa della coscienza, dentro di sé e sopra (iiber) di sé95, commisurando l'umano con la misura smisurata del cielo96 , sim-
92. Cfr. E. Levinas, Umanesimo dell'altro uomo (1972), tr. it. di A. Moscato, il melangolo, Genova 1998. 93. M. Heldegger, Contributi alla filosofia (Dall'evento) (1989), tr. lt. di A. Iadicicco, Adelpbl, Milano 2007, p. 297 (tr. mod.). 94. Ibidem (tr. mod.). 95. «La chiamata viene do me e tuttavia da sopra di me» (M. Heidegger, Essere e tempo, cit., p. 334). 96. •La nùsura consiste nel modo in cui il Dio che rimane nascosto proprio come tale è manifesto mediante il ciclo» (M. Hcidcggcr, « . . . poeticamente abita l'uomo .. ·" (1954), in Id., Saggi e discorsi, cit., pp. 125-138: p. 132).
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bolo per eccellenza dell'alterità. I.:uomo è a venire perché, come i primi cristiani a cui si rivolge la predicazione di Paolo, insegue se stesso fino al termine della notte attendendo la sua impossibile trasfigurazione messianica. Il suo essere-futuro, dunque, si compie incessantemente nella veglia97 con cui egli, corrispondendo all'appello del darsi ogni volta unico e irripetibile del senso, si apre ali'evento finito della differenza e assume la sfida e il rischio della responsabilità di sé e del mondo.
9i. «La vigilanza dell'uomo [Wà'clite~c/1aft) dell'uomo è però il fondamento di un'altra storia,. (M. Heidegger, Co11trlb11ti alla filosofia, cit., p. 245; tr. mod.).
Indice
Introduzione Capitolo I Ambiguità e potenza della tecnica 1. Proteo e l'ambiguità della tecnica 2. La tecnica: tattica di vita 3. Der Arbeiter: la tecnica in Forma 4. Tecnica e CÙ>minio del divenire 5. La macchina 6. Sub specie machinae
Capitolo II Sistema tecnico e Megamacchina 1. Sistema e progresso tecnico 1. 1. Sistema tecnico e sistema filosofico 1.2. Unità e tmicità del sistema 1.3. La mediazione tecnica 1.4. Il progresso tecnico 2. L'autonomia del sistema 3. Accelerazione e virtualizrM,ione 4. La Megamacchina
p. 11
p. 21 p. 29 p.35 p.42 p.52 p.64
p.87 p.87 p.92
p. 97 p.102 p. 117 p.125 p.137
Capitolo III Antropocene e postumano 1. Fine dell'uomo 2. Contro l'umani.smo? 3. Per una tecnica post-umana 4. Carenza o esuberanza? 5. Desiderio ed epifania Capitolo IV Metarnorfost e differenza 1. Il postumano tra metamorfosi e differenza 1.1. La metanwrfosi goethiana 1.2. La metanwrfosi post-umana 1.3. La macchina antropologica 2. Il dialogo con l'alterità 3. Differenza e ibridazione 4. Alterità come Differenza 5. L'uonw futuro
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