Il soggetto rivoluzionario. Attualità di Walter Benjamin
 0458301735, 9788869480652

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Indice

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PREFAZIONE

di Augusto illuminati

Prima edizione: maggio 2017

© ombre corte Via Alessandro Pocrio 9, 37124 Verona

Td./fax: 0458301735; mail: [email protected] www.ombrecorre.ir Progeuo grafico copertina e impaginazione: ombre eone

ISBN: 9788869480652

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INTRODUZIONE

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CAPITOLO PRIMO.

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CAPITOLO SECONDO. Costellazioni

Il soggetto storico

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CAPITOLO TERZO. Radicalità

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Bl8LIOGAAFIA

Prefazione di Augusto Illuminati

Dedico questo lavoro a mio padre e ai giovani della mia vita, insieme speranza e memoria. Ringrazio l'editore, ringrazio Augusto Illuminati - che tanti anni fa mi ha fatto conoscere e amare il pensiero di Benjamin - e tutti gli amici e i com • pagni che mi hanno convinto della possibile utilità di questo lavoro.

Gettato nella spazzatura della storia - secondo la pittoresca espressione affibbiatagli da Trockij-Julij Martov, dopo l'ultima battaglia persa contro Lenin al secondo congresso dei Soviet nel novembre 1917, si dedicò alla riflessione sul bolscevismo, cui attese nei mesi successivi e fra l'abbandono deU' Urss (1920) e la morte in Germania (1923). Nell'incompiuto saggio sul Bolscevismo mondiale (1919), pubblicato frammentariamente su rivista in russo e in tedesco nel 1920-1921 e infine edito in volume nel 1923 (trad. it. Einaudi, Torino 1980), il leader menscevico, oltre a enunciare le classiche critiche (in parte comuni con Rosa Luxemburg) sul rapporto fallito fra democrazia e comunismo bolscevico, si sofferma in modo originale sul ruolo della guerra mondiale come interruzione dell'ascesa del proletariato organizzato. Il punto di partenza è il classico assunto che un dominio temporaneo della piccola borghesia o del proletariato può servire da innesto per la rivoluzione socialista solo se sono state elaborate le condizioni materi.ali che la rendano necessarie: in caso opposto portano inevitabilmente a una dittatura elitaria in nome di masse ancora non mature, giacobinismo o blanquismo. Infine bolscevismo. Quest'ultimo - e qui è la parte originale dell'analisi - nasce dalla I guerra mondiale, ma non è una semplice rivoluzione di soldati, una specie di ammutinamento quale pure all'inizio fu , ma più in generale "comunismo del consumatore", unico interesse sociale che unisce elementi eterogenei per composizione di classe e declassati, cioè staccati dal loro ambiente sociale d'origine come appunto i soldati gettati nelle trincee. Anche una volta smobilitati, questi elementi mancano di un serio interesse per le necessità della produzione sociale, perché in essi predomina il punto di vista del consumatore (e di quel particolare consumatore che è il distruttore bellico) su quello del produttore. Durante la guerra

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la massa operaia è cambiata dal punto di vista qualitativo. I suoi vecchi quadri, dotati di una maggiore educazione di classe, hanno trascorso quat• tro anni e mezzo al fronte e, staccat isi da ogni lavoro produttivo, si sono impregnati della psicologia delle trincee, dissolvendosi spiritualmente nell'ambiente sociale amorfo degli elementi declassati Tornati nelle file del proletariato, vi portano lo spirito rivoluzionario combattivo ma anche lo spirito del ribellismo soldatesco. Nel corso della guerra, i.I loro posto nella produzione fu preso da milioni di nuovi operai, ex artigiani andati in rovina e altri "poveracci", proletari delle campagne e donne della classe operaia. Questi nuovi operai lavoravano in assenza di un movimento politico del proletariato e con un movimento sindacale ridotto a dimensioni pietose. Nonostante la crescita mostruosa della produzione bellica [. ..) la coscienza di e.lasse di queste nuove masse proletarie si sviluppava con grande fatica, mancando ad esse quasi ogni pratica di lotta organizzata a fianco di strati più evoluti di operai.

Qui è evidente un certo disprezzo per gli strati inferiori della classe operaia e per la sua componente femminile (al rovescio delle pregnanti analisi di Rosa Luxemburg sullo sciopero generale pre-bellico), ma integrato da acute osservazioni sugli effetti psicologici negativi di un lavoro svolto in condizioni disumane e con lo scopo soprattutto di produrre mezzi di distruzione. Ne conseguì per paradosso che i migliori, quelli che non cedettero al patriottismo imperialista, ricaddero "nell'istinto immediato della collera di classe", in una sorta di «atavismo ideologico» dove risorgevano parole d'ordine e metodi di lotta che avevano avuto la loro funzione all'epoca del bakuninismo o addirittura nei movimenti dei sanculottes lionesi o parigini del 1794 e 1797. Venne così meno, in questo trionfo del comunismo di consumo e del risentimento, l'impegno proletario a "sostenere e assicurare lo sviluppo delle forze produttive", che farebbe tutt'uno con la trasformazione in classe capace di dirigere la società, affrancandosi spiritualmente dall'atmosfera psicologica (consumistica) della società borghese ma allo stesso tempo assorbendone i valori positivi. Troppa grazia! Peggio andrà quando entreranno in scena popoli arretrati - e anche qui con palese disprezzo si cita lo schematismo anti-riformista "decretato da nomadi kirghisi, pastori brasiliani, fellah egiziani" - non più, del resto, dei contadini russi ... Il blanquismo (= bolscevismo) diventa il metodo universale per tutti i rivolgimenti rivoluzionari che si compiono "in circostanze di frammentarietà politica e di mancanza di coesione interna delle masse popolari, allorché il vecchio regime è minato alla radice dal corso dello sviluppo storico". Alla maturità della classe subentra la dittatura di una minoranza rivoluzionaria su di essa,

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sopprimendo le varie tendenze proletarie, la libertà di stampa ecc. Si badi che Martov non era per principio contrario alla repressione della borghesia e perfino alla sua esclusione dal diritto di voto. Il punto cruciale del contrasto con Lenin e retrospettivamente con il Marx apologeta della Comune consisteva (a parte la democrazia all'interno del proletariato) nel far coincidere la rivoluzione con lo sviluppo delle forze produttive gestito da una classe operaia disciplinata, responsabile e in linea con il flusso della corrente storica. Interruzioni e regressi avrebbero dovuto imporre una battuta d'arresto, tempi più lunghi per riprendere la formazione rivoluzionaria. Abbiamo nel perdente Martov (fosse o meno Benjamin consapevole di quelle idee per lettura diretta o per generica circolazione in ambito socialdemocratico) un esempio perfetto del miglior storicismo della Seconda Internazionale, quello non compromesso con l'imperialismo tedesco o francese, men che mai reso supporto al liberalismo e al neo-liberalismo successivo, insomma la testimonianza pura di un ideale socialista la cui realizzazione era affidata alla continuità del progresso e minacciata dalle faglie della reazione, della guerra esterna e civile, delle esplosioni anarchiche e dall'autoritarismo di destra e di sinistra. Tutta l'opera di Benjamin si muove in controtendenza a quella linea, che vernicia di illusorio progressismo umanitario l'inscalfibile credenza borghese nella razionalità della storia e del reale - credenza ben giustificata, a differenza dai socialdemocratici, dal loro posto nel corteo dei vincitori. Rimettersi alla storia o immedesimarsi in essa (nei vincitori, s' intende) è la mossa volenterosa di chi vuole partecipare al corteo e in questa operazione crede di p rodursi quale soggetto. Soggetto passivo e non politico, che maschera la rinuncia nel flusso degli eventi, fino a esserne travolto. Il libro di Buondonno si concentra allora sul posto del soggetto politico attivo nell' opera di Walter Benjamin e legge attraverso esso tutte le altre categorie dell'autore, giustificandone così l' attualità rivoluzionaria. Se il continuum della storia cancella il soggetto e l'attualità del suo agire dentro un'esperienza di massa, l' interruzione e la crisi consentono di restituire l'alterità del soggetto rispetto all'oggetto e ristoricizzare le relazioni umane frammentate dalla precarietà del lavoro e dell'esistenza. La praxis politica, come in Afthusser, l'agire come trasformazione della realtà e di se stesso è l'unico modo per distruggere le immagini reificate di sé e dell'oggetto. La reificazione dell'oggetto e del soggetto fa tutt'uno con l'egemonia ideologica del soggetto sto-

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rico delle classi dominanti, ben strutturato entro un sistema di valori cui si aderisce mediante il processo dell'immedesimazione. Quanto si interrompe mediante il meccanismo di distruzione e di tabula rasa è allora proprio il processo di immedesimazione nella storia dei vincito• ri. Farla esplodere significa far saltare fuori dal continuum della storia, dal suo tempo vuoto e omogeneo, il contenuto reale, le tenèlenze soggettive, la qualità storica, cioè la possibilità di un altro andamento, di un futuro anteriore. Gli effetti della guerra sono cosi letti a rovescio della pur suggestiva interpretazione martoviana, recuperando tutta la positività della rottura bolscevica come soggettivazione collettiva. Per questo scopo interruttivo-diversivo (non come supplemento d'anima) serve la teologia, considerata nella sua tensione alla liberazione del soggetto, movimento inverso all'immedesimazione nella storia universale per cui le contraddizioni sono meri accidenti, increspature di un corso inarrestabile e orientato a un fine. Teologia quale costruzionismo temporale, dialettica fra distruzione-destrutturazione e principio di costruzione in alternativa all'immedesimazione, redenzione del passato oppresso reso discontinuo, affiorante dalla memoria involontaria o per citazione nello stato di emergenza. La transitorietà e la multiversa incompiutezza del tempo emergono quando un periodo storico è scomposto in frammenti, citato come traccia e quasi forzato a raccontare un'altra storia, finora restata muta, meramente sintomatica di un diverso decorso possibile. Il punto focale dell'interruzione, la sua stessa figura antropologica è la perdita dell'esperienza, l'impossibilità radicale di immedesimazione. In un passo famoso Benjamin dichiara: "A cosa mai è indotto il barbaro dalla povertà di esperienza? È indotto a ricominciare da capo: a iniziare dal Nuovo; a farcela con il Poco; a costruire a partire dal Poco e inoltre a non guardare né a destra né a sinistra". La possibilità del nuovo radicale nasce dalla povertà radicale, dalla percezione di una perdita non da una mitica pienezza. È il non riconoscersi nella storia piuttosto che l'immedesin1arsi in essa. Quanto viene interrotto è proprio la cattiva partecipazione agli eventi, dal lato del vincitore, la perdita del rifugio individuale o collettivo - sia essa orgoglioso minoritarismo etico o entusiasta adesione subalterna, due Erlebnisse complementari che tengono luogo di un'autentica e dimessa Er/ahrung. Resta valido il proposito benjaminiano di costruire il soggetto contro la macchina-storia, contro il continuum della storia dei vincitori. Resta valida la sintesi di Buondonno, che "solo il soggetto che distrug-

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li

ge l'immagine reificata di sé può reinterpretare la realtà e la propria storia, può essere 'altro"'. Tuttavia qui comincia il problema dell'oggi, insomma quale sia il limite di validità dei concetti di Benjamin in una fase storica succeduta al grande ciclo della seconda guerra mondiale e della ricostruzione fordista. Per Benjamin il soggetto rivoluzionario, se non era il Partito - come per Gramsci :..., aveva comunque molto a che fare con esso. Certo, l'irruzione del Messia dalla piccola porta che si apriva sotto le grandi volte della necessità, ma a prepararlo era qualcosa che interrompeva il decorso del tempo ordinario. Direi che l'enfasi sulla decisione era in forte contrasto con lo spontaneismo invalso nel tardo Novecento e non escludeva neppure un qualche flirt con categorie schmittiane. Un'idea forte di soggettività rivoluzionaria si coagulava intorno alla doppia disillusione della degenerazione socialdemocratica e della controparte staliniana, soprattutto nei mesi del patto Ribbentrop-Molotov che sono anche quelli della fuga disperata di Benjamin verso i Pirenei. E oggi? Un'invenzione benjaminiana che ha addirittura esteso il proprio campo di vigenza è l' estetizzazione della politica: essa si combina con quella forma di immedesimazione "sentimentale" che viene in atto in molte modalità del populismo corrente. Immedesimazione in un popolo costruito {in un significante vuoto riempito di contenuti a piacere), immedesimazione in un leader inteso quale insieme di tratti espressivi più che come concreto programma. Al demagogo carismatico dei totalitarismi contemporanei a Benjamin succedono figure molto più evanescenti e liquide, in perfetta armonia con società posttotalitarie ma anche post-democratiche. Le relazioni di egemonia e subalternità si sganciano da un programma e da un' ideologia, mentre diventano determinanti meccanismi economici semi-automatici - in realtà pesantemente imposti e sempre meno contrattati tramite istituzioni politiche e sindacali. Gli algoritmi sostituiscono le ideologie e la ricerca di consenso, sia pure forzoso. L'economicismo, che in Benjamin designava, come lo Historismus, la naturalizzazione dell'economia e della storia, la sua inesorabile oggettivazione con rimozione del conflitto, è diventata il Tina, There Is No Alternative, del neoliberismo, in cui non c'è più neppure discorso sull'immedesimazione e sulla storia in genere - anzi, la storia è finita, non ci tiene neppure prigionieri perché le sbarre della prigione coincidono con l'intero orizzonte immaginabile. Ora dawero abbiamo la completa esperienza della catastrofe: che tutto continui ad andare così

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IL SOGCE'ffO RfVOLUZIONARIO

come sta andando. Il feticismo del presente emerge appieno, constata Buondonno, "quanto più la dimensione immateriale diviene struttura, tanto nei processi produttivi, quanto in quelli comunicativi e relazionali", facendo collimare "atomizzazione reale e apparente socialità", così che "il disvelamento straniante si rende necessario e può realizzarsi solo come espressione di una soggettività critica collettiva". La penetrazione del feticismo a livello produttivo sposta il peso dell'ideol?gia su ogni forma di prassi ed è ridondante rilevare quanto sia ambiguo (ma non assente) il momento collettivo nei socia! media. I_l capitolo da esaminare, appunto, riguarda le condizioni di soggetuvaz1one nella nuova struttura, reale e immaginaria, di oggettività. Per dirne una: l'estrema difficoltà di pensare categorie tradizionali di azione collettiva quali i partiti e i sindacati, che costituivano il veicolo principale di attivazione delle classi subalterne nello scorcio del precedente millennio. In qualche modo l'immedesimazione nel sistema - per esempio i principi di concorrenza mascherati da meritocrazia ma sanzionati da basse retribuzioni e precarietà estrema del lavoro penetra ancora più a fondo nella coscienza individuale, sovraccarica l'individuo quale consumatore privo di potere e fa del frammento uno strumento di sottomissione più che di fuga dal continuum storico. La performatività neoliberista incontra però ben presto un limite effettuale nella crisi: l'immedesimazione nella competizione interiorizzata fallisce per insoddisfazione e devono essere fabbricati dei sostituti. La politica post-democratica e populista tenta di elaborare questo processo, surrogando il deficit ideologico con una forte personalizzazione. In pratica: non si trova un lavoro o non lo si trova stabile e ben retribuito e si investe sui predicatori del merito e della flessibilità. La disillusione è dietro l'angolo e la retorica della globalizzazione comincia a fare acqua. Tuttavia, sulla base della frammentazione della composizione di classe postfordista, il processo di individualizzazione anonima continua a reggere, sia pure con crescenti scompensi e prezzi da pagare in termini economici e geopolitici. Si moltiplicano i segni di disagio e di rivolta, disperdendosi su obbiettivi molteplici e anche fasulli, ma un Angelo che ricomponga l'infranto ancora non è in vista.

Introduzione

Non siamo nati mica ieri Capataz, non siamo nati mica ieri, non siamo mka prigionieri dentro la stella di questa bella modernità. Non siamo nati mica per morire qua. Francesco De Gregori

Questo lavoro ha avuto una gestazione piuttosto lunga e controversa. In realtà, affonda nella notte dei tempi della mia tesi di laurea, trent'anni fa, nel pieno di quegli anni Ottanta che non avrebbero lasciato nulla di immutato nella storia, nella politica, nella cultura. Poi, dopo tanti anni, agli inizi di questo secolo (ma senza aver mai smesso di s_e~uire il dibattito teorico e la letteratura critica su Benjamin), avevo m1~1ato a lavorare ad una riflessione, che risentiva molto, allora, della fme del Pci e dell' inizio di una lunga agonia della sinistra europea, che io stesso ho scambiato per innovazione. Successivamente è stato, ancora a lungo, abbandonato (per citare i padri fondatori) "alla critica roditrice dei topi" e ll, sinceramente, la stessa intenzione sarebbe rimasta se, invece, la lezione benjarniniana non avesse scavato silente e non avesse incontrato, molto più in superficie, le mie scelte politiche, la crescita della consapevolezza - determinata, come sempr~'. prevalentem~te dai fatti - del bisogno di ricostruire un pensiero cnuco ed un movunento di trasformazione radicale della società e del mondo. Nessuna presunzione megalomane, naturalmente e nessuna illusione di semplicità; ma la coscienza che a questa necessità, ciascuno con i propri strumenti e la propria storia (dunque anche facendo i conti con i propri errori teorici e politici) deve poter dare un contributo, nella piena consapevolezza delle mutate condizioni storiche e della struttura stessa dei processi produttivi e sociali. La spinta finale, però, alla possibile utilità di questo lavoro (o almeno alla sua non to· tale inutilità), mi è giunta dalla lettura di un passo diJuan Carlos Monedero, uno degli ispiratori teorici del movimento spagnolo Podemos: Le rivoluzioni, diceva Walter Benjamin, non sono momenti in cui la storia accelera per produrre un futuro migliore, al contrario: devono trasformarsi in momenti in cui si fa ricorso al "freno zza la tendenza marxiana di fondare la storicità di ogni funzione umana e la soggcuività di ogni funzione storica. D i

contro, l'oggenivismo è la proie:donc speculare del soggetto puro, l'unica critica radicale dd quale è collocabile nella prassi come soggetto Storico. La prassi, in quanto àltcgoria soggettiva, ci pare inconciliabile con l'economicismo e l'oggeuivismo teorico. con la. rego• fazione politico•istiruzionale dei conOiui sociali~ forme che si sono presentate po.litic-amen• te anche su versanti opposti dcUa sinistra.

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IL SOGGETTO RIVOLUZIONARIO

umane 1\ L' anti storicità del pensiero borghese (parafrasando Lukacs) si manifesta, anche nell'universo teorico, come il "per sé" dell'uomo borghese, il dominio alienato delle forme economiche1'. Che tale rappresentazione del mondo (nella forma di una dilatazione esistenziale e percettiva del presente) sia divenuta, dall'ultimo scorcio del Novecento, la rappresentazione di sé e della vita - appare persino superfluo ricordarlo - è il segno della forza travolgence dell'offensiva neoliberista, della sua penetrazione profonda nella coscienza degli individui e nelle relazioni umane e sociali, nelle forme comunicative di tali relazioni. Ma è anche la conferma del disarmo teorico e politico del pensiero marxista e delle forze ad esso riconducibili, cioè delle forze di massa della sinistra. Disarmo che implica una responsabilità soggettiva, e non si spiega solo con le difficoltà materiali create dalle nuove forme della produzione capitalistica. La de-storicizzazione delle relazioni umane e sociali e dell'analisi delle forme produttive, la precarizzazione e la frammentazione del lavoro e dell'esistenza, la polarizzazione individuo - globo, nella loro 14

•u loro immediato esserci (Dasein) cd essere così (SoseinJ appaiono come l'elemento pri• mario. reale ccl oggcnivo. mentre i loro 'rapporti 1 come qualcosa di scgherese). In questo saggio. il rappono teorico tra socialdemocrazia e s1alinismo è reso esplicito, ma analizzato ncUa sola dimensione politica, come primato della tanica sulla s1raiegia. Il perché queste due impostazioni foccro •(-.dcrc le c,;igenze me1odologkhe clinamico•totali cli Marx e Lenin" non è approfondito. così come non lo è l'analisi del carattere an1idemocratico dello s1alinismo. Lulcics coglie il prevalere della tattica e delJ'e. conomidsmo, ma non il loro nesso oggeuivistico; pensiamo al.la "edificazione" socialista e

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2. L'immediatezza della cultura oggettivistica schiaccia la soggettività dei processi economico-sociali tra una fattualità oggettiva e l'esercizio di leggi formali che si pretendono esplicative e fondanti allo stesso tempo. Nel rapporto con la realtà, ogni mediazione deve mostrare il punto di vista dell'immediatezza, ma questa immediatezza - scissa e "naturalizzata" - è il riflesso della più generale scissione del punto di vista borghese, della immediatezza dell'oggettualità. Questo terreno di scissione e neutralizzazione del soggetto è ben individuato dallo stesso Lukacs, quando stigmatizza il fatto che, nella subalternità al pensiero borghese, la base storico-materiale che fonda le "antinomie logiche" alfa evoluzione al socialismo, doè al fauo che non vi è rontmddizion~. se non apparente, tra qucst'\lltima e quello che chiamerei il volonrarismo oggeuivistico e autoritario di Sta• lin. Credo che il limi1e teorico di questo pur imponame scri110 di Luk,ks sia superabile solo nella dialettica socialismo - soggetti - democraiia: vuol dire che I, • • ~e orren~1, 1~ un~ certa misura, la critica. "Benjamin si rivolge contro 1concetu d1 stona come svolgimento, di progresso come vigorosa intrapresa di menti riposate, di lavoro come fonte della morale e classe opeFaia come protégés della tecnica "3• E noto come Brecht abbia espresso, in questa nota del 1942 un giudizio sulle Tesi e, precedentemente (Benjamin ancora in vita)' nel 1937, un giudizio altrettanto positivo, a proposito del saggio su Fuchs. Più che semplificato, il giudizio brechtiano pare concentrarsi esclusivamente sulla critica al contenuto feticistico e positivista dei concetti di storia e rivoluzione nella socialdemocrazia, critica che egli doveva sentire come la posizione più vicina a Benjamin. Ma è lo stesso Benjamin, in una lettera ad Horkheimer del 1939 ad esprimere _direttamente, il contenuto teorico di questa critica, e, neÌ contempo, dt una elaborazione nuova, dentro di essa, come urgente 2

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"ll fano però che lknjamin non abbia voluto affrontare il discorso in via direua, ma solo attra~erso allu~ioni e analogie.? sembra non debba essere sottaciuio. Un primo motivo lo possiamo asc~t~ere senza dubbio al fono che le Thescn non dovevano essere per niente un pamphlet polu,co, ma. da un lato, continuare le riflessioni del fuchs e. dati'altro. fondare 1eoricamenre il seguito del Baudclaire" (Desideri, \Valter 8enjam in cir.. p. 310). Bertolt Brecht. Diario di uworo. Einaudi, Torino 1976, voi. I, p. 292.

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IL SOGGETTO RIVOLUZIONARIO

compito politico: "In relazione a questo diverrà importante il problema del concetto di storia e del ruolo che in esso gioca il progresso. La frantumazione delJ'idea di un continuum de!Ja Kultur, che era stata postulata nel saggio su Fuchs, deve avere conseguenze epistemologiche[...]"•. La politicità del problema, non è, dunque, nell'intervento contingente di fronte ad un pericolo, ma nel produrre un concetto di storia, una teoria della storia, che contenesse il pericolo, e dunque non fosse impreparata ad una "situazione di pericolo". È fin troppo evidente il significato che questo punto di vista aveva rispetto al fascismo; e sullo "stato di emergenza" mi soffermerò ulteriormente. Ciò che più mi interessa sottolineare è che la politicità del concetto di storia va, qui, intesa nel senso marxiano più profondo dell'identità tra teoria e prassi; di una filosofia della prassi, nel suo senso più critico, in azione sul nodo fondamentale della storicità, della risoggettivazione della storia contro l'eredità della de-storicizzazione borghese, diretta o mediata dalle culture del movimento operaio. Il problema del rapporto col passato entra direttamente dentro la questione del soggetto, nel senso che un punto di vista unitario definisce la soggettività nel presente, in relazione al suo rapporto, alla sua coscienza critica del passato5. La qualità di questo rapporto definisce l'idea di soggetto che si esprime. Non è scindibile l'esistenza soggettiva, autonoma, dalla forma del suo rapporto con la storia; in questo senso, il soggetto si caratterizza proprio come taglio, come ottica trasversale, tanto rispetto al passato che al presente. !.:autonomia del soggetto è anche, da questo punto di vista, la forma della sua storicità reale, il carattere universale 4

Walter Benjamin, Gesarr1111e/1eSchri/te11, Frankfurt/M. 1974, p. 12225.

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.i,L 'esposizione marerialisti