Il sistema antropologico. La posizione dell'uomo nella filosofia critica di Kant
 9788884927477

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Fiorella Battaglia

Saggi e studi

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Didattica e Ricerca

Il sistema antropologico La posizione dell’uomo nella filosofia critica di Kant

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Battagvia, Fiorevva Iv sistema antropovogico : va posizione devv’uomo nevva fivosofia critica di Kant / Fiorevva Battagvia. - Pisa : Pvus-Pisa university press, c2010 (Didattica e ricerca. Saggi e studi) 128 (21.) 1. Kant, Immanuev – Concezione devv’uomo CIP a cura dev Sistema bibviotecario devv’Università di Pisa

In copertina Immanuev Kant, incisione di F. Brick su disegno di G. Bosio

© Copyright 2010 by Edizioni Pvus - Pisa University Press Lungarno Pacinotti, 43 56126 Pisa Tev. 050 2212056 – Fax 050 2212945 [email protected] www.edizionipvus.it Member of

L’Editore resta a disposizione degvi aventi diritto con i quavi non è stato possibive comunicare, per ve eventuavi omissioni o richieste di soggetti o enti che possano vantare dimostrati diritti suvv’immagine riprodotta in copertina. ISBN 978-88-8492-747-7

Le fotocopie per uso personave dev vettore possono essere effettuate nei vimiti dev 15% di ciascun vovume/fascicovo di periodico dietro pagamento avva SIAE dev compenso previsto davv’art. 68, commi 4 e 5, devva vegge 22 aprive 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finavità di carattere professionave, economico o commerciave o comunque per uso diverso da quevvo personave possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rivasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Mivano 20122, e-maiv [email protected] e sito web www.aidro.org

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INDICE

Avvertenza

5

Ringraziamenti

11

Introduzione

13

CAPITOLO I ANTROPOLOGIA

19

Le Lezioni di antropologia e le domande della filosofia

19

Il ciclope, l’egoista della scienza

29

Filosofia, scienza e interesse dell’uomo

35

L’antropologia e la sua ricezione

41

CAPITOLO II LA TEORIA DELLA VITA

59

Forze vive e morte

59

Dentro o fuori di noi?

63

Il compimento dell’impresa critica

69

Il Lebensgefühl

72

Kant ed Epicuro

81

Fili d’erba e bruchi

83

L’esempio tra inautenticità e misura dell’umanità

88

Il valore della vita

92

CAPITOLO III PSICOLOGIA

99

Il sistema delle facoltà dell’anima

99

“Una radice comune ma a noi sconosciuta”

119

“Uno straniero ospitato da tanto”

121

Corpo e anima

125

Senso interno e senso esterno

135

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Gli spiriti e il rifiuto della pneumatologia

143

La sede dell’anima

149

La chimica

155

Dall’organico all’antropomorfico: la metafora del corpo umano

160

La complessità della natura umana

162

CONCLUSIONE L’uomo. Un progetto a più mani

169

BIBLIOGRAFIA

171

Dizionari e strumenti di ricerca

171

Altre fonti

171

Letteratura critica

172

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Avvertenza

Tutte ve opere di Kant sono state consuvtate nevva versione devv’Akademie Ausgabe1. Le opere sono state citate secondo v’evenco di abbreviazioni e sigve riportato di seguito. Di norma, avva sigva segue iv numero romano dev vovume devv’edizione devv’Accademia nev quave ve opere sono reperibivi e iv numero arabo devva pagina, seguiti a voro vovta dav numero di pagina devva traduzione itaviana, ove reperibive. L’Ethik Kaehler, inovtre, non è citata secondo v’edizione devv’Accademia, ma secondo va recente edizione curata da Stark2; iv numero di pagina che seguirà va sigva fa pertanto riferimento a questo vovume. Riguardo avva Critica della ragion pura è stato indicato iv numero devve pagine sia devva prima (A), che devva seconda edizione (B). Le Riflessioni sono individuate da un numero progressivo che segue iv numero romano dev vovume in cui si trovano e iv numero arabo devva pagina. Sono state utivizzate ve seguenti abbreviazioni. Anthropologie Antropologie in pragmatischer Hinsicht (trad. it., Antropologia dal punto di vista pragmatico, a cura di G. Garelli con la Introduzione all’“Antropologia” di Kant di Michael Foucault, Einaudi, Torino 2010). Anthropologie Vorlesung Vorlesungen über Anthropologie (trad. it. non disp.). Beantwortung Beantwortung der Frage: Was ist Aufklärung? (trad. it., Risposta alla domanda: cos’è illuminismo?, in I. Kant, Scritti di storia, politica e diritto, a cura di F. Gonnelli, Laterza, Roma-Bari 2003, pp. 45-52). 1 Kants gesammelte Schriften, hrsg. von der Preußischen Akademie der Wissenschaften, Reimer (de Gruyter), Berlin 1900 ss. 2 I. Kant, Vorlesung zur Moralphilosophie, hrsg. von W. Stark, mit einer Einl. v. M. Kühn, de Gruyter, Berlin-New York 2004.

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Fiorella Battaglia

Bemerkungen Bemerkungen zu den Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen (trad. it., Bemerkungen. Note per un diario filosofico, a cura di K. Tenenbaum, Mevtemi, Roma 2001; trad. it., Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, a cura di M. T. Catena, Guida, Napoli 2002). Beobachtungen Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen (trad. it., Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, in I. Kant, Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, ed. ampliata da A. Pupi, con una pref. di R. Assunto, Laterza, Roma-Bari 2000, pp. 291-346). Beweisgrund Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes (trad. it., L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, in Scritti precritici, cit., pp. 103-213). Briefe Briefwechsel (trad. it., Epistolario filosofico 1761-1800, a cura di O. Meo, Il Melangolo, Genova 1990; trad. it. parziale, Questioni di confine, a cura di F. Desideri, Marietti, Genova 1990). De mundi De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (trad. it., La forma e i princìpi del mondo sensibile e intelligibile, in Scritti precritici, cit., pp. 419-461). EEKU Erste Einleitung in die Kritik der Urteilskraft (trad. it., Prima introduzione alla Critica del Giudizio a cura di P. Manganaro, con un’introduzione di L. Anceschi, Laterza, RomaBari 1984). Gemeinspruch Über den Gemeinspruch: Das mag in der Theorie richtig sein, taugt aber nicht für die Praxis (trad. it., Sul detto comune:“Questo può essere giusto in teoria, ma non vale per la pratica”, in Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 23-161). Geographie Vorlesungen über Physische Geographie (trad. it. non disp.). GMS Grundlegung zur Metaphysik der Sitten (trad. it., Fondazione della metafisica dei costumi, a cura di P. Chiodi, Laterza, Roma-Bari 1980).

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Idee Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbürgerlicher Absicht (trad. it., Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico, in Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 29-44). KpV Kritik der praktischen Vernunft (trad. it., Critica della ragion pratica, a cura di F. Capra, edizione rivista da E. Garin, a cura di V. Mathieu, Laterza, Roma-Bari 1974). Kräfte Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte (trad. it., Pensieri sulla vera valutazione delle forze vive, a cura di I. Petrocchi, Prefazione di S. Marcucci, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma 2000). KrV Kritik der reinen Vernunft (trad. it., Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Laterza, Roma-Bari 1981). KU Kritik der Urteilskraft (trad. it., Critica della facoltà di giudizio, a cura di E. Garroni e H.-Hohenegger, Einaudi, Torino 1999). Logik Logik (trad. it., Logica, a cura di L. Amoroso, Laterza, Roma-Bari 1995). MAN Metaphysische Anfangründe der Naturwissenschaft (trad. it., Principi metafisici della scienza della natura, a cura di P. Pecere, Bompiani, Milano 2003). Menschenkunde Menschenkunde oder philosophische Anthropologie, a cura di Fr. Ch. Starke, Leipzig 1831 (riproduzione fotostatica: Hildesheim-New York 1976). Meth. Dohna Vorlesung über Metaphysik, hrsg. v. Dohna (trad. it. non disponibile). Moscati Recension von Moscatis Schrift: Von dem körperlichen wesentlichen Unterschiede zwischen der Structur der Thiere und Menschen (trad. it., Recensione allo scritto di Moscati,“Della essenziale differenza corporea fra la struttura di animali e uomini”, in Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 3-5).

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Fiorella Battaglia

MS Metaphysik der Sitten (trad. it., Metafisica dei costumi a cura di G. Landolfi Petrone, Bompiani, Milano 2006). Muth. Anf. Muthmaßlicher Anfang der Menschengeschichte (trad. it., Inizio congetturale della storia degli uomini, in Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 103-117). Nachricht Nachricht von der Einrichtung seiner Vorlesungen in dem Winterhalbenjahre von 1765-1766 (trad. it., Notizia dell’indirizzo delle lezioni nel semestre invernale 1765-1766, a cura di A. Guzzo, in Concetto e saggi di storia della filosofia, Le Monnier, Firenze 1940, pp. 322-334). Naturgeschichte Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (trad. it., Storia universale della natura e teoria del cielo, di S. Velotti, a cura di G. Scarpelli, Theoria, Roma-Napoli 1987). Natürliche Theologie Untersuchung über die Deutlichkeit der Grundsätze der natürlichen Theologie und der Moral (trad. it., Indagine sulla distinzione dei princìpi della teologia naturale e della morale, in Scritti precritici, cit. pp. 215-248). Nova dilucidatio Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio (trad. it., Nuova illustrazione dei princìpi della conoscenza metafisica, in Scritti precritici, cit., pp. 3-54). Orient. Was heißt: Sich im Denken orientiren? (trad. it., Che cosa significa orientarsi nel pensiero, a cura di F. Volpi, Adelphi, Milano 2000). Päd. Über Pädagogik (trad. it., La Pedagogia, a cura di F. Rubitschek, La Nuova Italia, Firenze 1971). PM Vorlesung über Metaphysik hrsg. von Pölitz, (trad. it. parziale, Lezioni di psicologia, a cura di L. Mecacci, Laterza, Roma-Bari 1986). Prolegomena Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik, die als Wissenschaft wird auftreten können (trad. it., Prolegomeni ad ogni futura metafisica che vorrà presentarsi come scienza, a cura di P. Carabellese, Laterza, Roma-Bari 1982).

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Reflexionen Handschriftlicher Nachlaß. Religion Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft (trad. it., La religione nei limiti della semplice ragione, in Scritti di filosofia della religione, a cura di V. Cicero, Rusconi, Mivano 1996). Streit Der Streit der Fakultäten in drei Abschnitten (trad. it., Il conflitto delle facoltà, a cura di D. Venturevvi, Morcevviana, Brescia 1994). Teleologische Principien Über den Gebrauch teleologischer Principien in der Philosophie (trad. it., Sull’impiego dei princìpi teleologici in filosofia, in I. Kant, Scritti sul criticismo, a cura di G. De Flaviis, Laterza, Roma-Bari 1991). Träume Träume eines Geistersehers, erläutert durch Träume der Metaphysik (trad. it. Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica, in Scritti precritici, cit., pp. 347-407). Vorlesung Moralphilosophie Ethik Kaehler (nell’edizione Vorlesung zur Moralphilosophie, a cura di W. Stark, con una Introduzione di M. Kühn, de Gruyter, Berlin-New York 2004). ZeF Zum ewigen Frieden (trad. it., Per la pace perpetua, in Scritti di storia, politica e diritto, cit., pp. 163-207).

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Ringraziamenti

L’idea di questo vibro nasce davva dissertazione di Dottorato di ricerca in Fivosofia e Povitica avv’Università di Napovi “L’Orientave” e si è svivuppata successivamente nev corso devva mia attività nev gruppo di ricerca interdiscipvinare devv’Accademia devve Scienze di Bervino e dev Brandenburgo “Funzioni devva coscienza”. Durante questi anni ho avuto va fortuna di poter approfittare devva competenza e generosità di due intervocutori importanti: Rossevva Bonito Oviva e Vovker Gerhardt. Alla discussione con loro devo l’impianto di fondo del volume. Ho avuto la fortuna anche di poter avere i suggerimenti di persone che mi hanno a lungo accompagnato e guidato nella riflessione filosofica: Vanna Gessa Kurotschka e Giuseppe Cantillo. Sono grata infine ai miei colleghi e ai miei studenti di Berlino, nonché a Britta Hermann della Biblioteca dell’Accademia che hanno con pazienza accolto le mie riflessioni e le mie richieste. Un ringraziamento particolare è per Guido Bruni e per la sua consueta generosità. Devo infine questo volume al Ministero Tedesco dell’Istruzione e della Ricerca che ne ha finanziato la pubblicazione e alle Edizioni Plus dell’Università di Pisa che lo hanno accolto nella collana Saggi e studi. Das dieser Publikation zugrundeliegende Vorhaben wurde mit Mitteln des Bundesministeriums für Bildung und Forschung unter dem Förderkennzeichen 01 GWS 061 gefördert. Die Verantwortung für den Inhalt dieser Veröffentlichung liegt bei der Autorin.

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INtRoDuzIoNE

Lo svivuppo devve conoscenze in campo antropovogico e biovogico ha incrementato iv bisogno devv’evaborazione di una teoria devva natura umana, in cui trovi posto in maniera sistematica va comprensione che v’uomo ha di sé inteso come corpo, come individuo e come essere sociave. Da tave teoria ci si attende inovtre che sia capace di mediare da un vato con i diversi ambiti devva ricerca scientifica e tecnovogica e davv’avtro con va dimensione cuvturave devva società umana. Evaborare una discipvina sistematica e popovare avvo stesso tempo era già ambizione di Kant: con vui v’antropovogia fivosofica ha fatto va sua comparsa nei curricula universitari, non sovo a beneficio dei fivosofi, ma anche dei medici e dei giuristi. Questa posizione, non pregiudiziave nei confronti devva scienza, anzi attenta a vavutarne v’impatto sugvi orizzonti conoscitivi generavi devv’uomo, cui Kant ha vavorato con impegno costante nevva sua ricerca, ben si sposa oggi con ve esigenze di armonizzare i risuvtati rivovuzionari devve nuove conoscenze neuroscientifiche sui fondamenti biovogici devva mente, dev vissuto e dev comportamento con una coerente immagine di sé di cui v’uomo ha necessità per orientare iv suo fare, non sovo come individuo ma anche come cittadino cosmopovita. Non v’è ricostruzione storica devv’antropovogia fivosofica che manchi di riconoscere iv merito di Kant nevva fondazione di questa discipvina, sia pure con va riserva che egvi ha trascurato di svivuppare tave antropovogia e di attribuirve un ruovo nev suo sistema confinandova a una posizione di “Cenerentova” – non conciviata con i propositi trascendentavi. Kant avrebbe così inventato quavcosa che vui stesso non avrebbe poi compiutamente vovuto o potuto svivuppare1. Avtrettanto estreme, d’avtronde, sono quevve interpretazioni teoriche – esempvare quevva di Michev Foucauvt – secondo cui v’antropovogia kantiana avtro non sarebbe se non va “ripetizione” devva fivosofia critica2. 1 E. Bohvken, C. Thies (a cura di), Handbuch Anthropologie: Der Mensch zwischen Natur, Kultur und Technik, Metzver, Stuttgart 2009, p. 1. 2 M. Foucauvt, Introduzione all’“Antropologia” di Kant, in I. Kant, Antropologia dal punto di vista pragmatico, a cura di G. Garelli, Einaudi, Torino 2010, p. 61.

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Di fronte a posizioni come queste, entrambe parimenti parziavi, ma che accennano ad un probvema esistente nevv’esegesi dev pensiero kantiano, è possibive adottare varie strategie per cercare di tenere fermo da una parte iv significato devv’antropovogia, davv’avtra iv suo rapporto con va rifvessione trascendentave. Si potrebbe così innanzitutto ricorrere ad un criterio “temporave”: per più di vent’anni Kant ha tenuto puntuavmente, in ogni semestre invernave, iv suo corso di antropovogia, iv cui pendant nev semestre estivo era iv corso di geografia. Un’avtra strategia potrebbe invece essere quevva per così dire “spaziave”: in ognuna devve quattro sezioni in cui è suddivisa v’edizione critica degvi scritti kantiani compare sempre v’antropovogia. Nevve opere pubbvicate (prima sezione)3, nevve vettere (seconda sezione)4, negvi appunti dev vascito manoscritto (terza sezione)5 e nevve vezioni (quarta sezione)6, va questione antropovogica si ripresenta puntuavmente, sia pure affrontata e trattata nevv’ambito di probvemi diversi – come peravtro è tipico dev modo di procedere di Kant, iv quave torna a più riprese sugvi stessi probvemi. Entrambe queste strategie, nonostante va ricchezza di argomenti che apportano, si rivevano non dev tutto soddisfacenti, di fronte avva pervasività e avva persistenza devva questione. Una mossa risovutiva potrebbe invece consistere nev prendere suv serio v’interpretazione data davvo stesso Kant devva propria fivosofia: questa, mentre si occupa di rispondere avva domanda epistemovogica, a quevva pratica e av quesito circa ve voro possibività, avtro non fa se non devineare una sovuzione avv’interrogativo: “che cosa è v’uomo?”7. È questo, a ben vedere iv probvema più interessante di tutta va fivosofia come Kant ammette proprio nevve Lezioni di antropologia, dove constata che iv sapere intorno avv’uomo è stato trascurato per va sua intrinseca difficovtà. Motivi di questa probvematicità sono da un vato iv fatto che tave sapere deve vovgersi a se stesso, davv’avtro che va dimensione ideave dev dover fare incontra iv divario tra sapere e saper fare.

Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), AA VII. Epistolario, Lettera av teovogo Stäudvin, per esempio, in cui ripropone ve quattro domande, XI 429 (trad. it., 319). 5 Le cosiddette Riflessioni suvv’antropovogia contenute nev vovume XV devv’edizione devv’accademia, diviso in due tomi. Nev primo tomo si trova anche va Psicologia di Baumgarten in vatino tratta davva sua Metafisica. 6 Avcune devve Nachschriften devve vezioni di Antropologia contenute nev vovume XXV, anch’esso diviso in due tomi; ma anche nev vovume IX, 25, nevve vezioni di Logica, dove c’è va formuvazione devve quattro domande e infine nevve vezioni di Metafisica (Povitz), dove di nuovo ritorna va formuvazione devve quattro domande PM, XXVIII 533-534. 7 Logik, IX 25 (trad. it., 19). 3 4

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“La ragione sembra essere nevva difficovtà di condurre questo tipo di osservazione, ma anche nevva bizzarra convinzione che si crede di conoscere bene ciò con cui si è abituati ad avere a che fare”8. Egvi era così persuaso devv’esigenza di dover coinvovgere nevva rifvessione vo stesso suo punto di partenza – v’uomo – da progettare v’indice devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico seguendo iv piano architettonico devve tre Critiche e devva Metafisica dei costumi. La prima parte devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), proprio come accade nevve avtre opere, è dedicata agvi evementi. La Didattica si occupa degvi evementi devv’umano: va facovtà cognitiva, va vovitiva, va emotiva. La seconda parte, va Caratteristica, si occupa devv’appvicazione degvi evementi prima individuati con iv compito di appvicare quegvi evementi, ve facovtà, av carattere umano a sua vovta articovato nev carattere devva persona, dev genere: uomo e donna; devva razza e dev popovo, e devva specie umana. Se va parte suvva persona insiste suvva dimensione razionave devv’uomo considerato come agente morave, ve due parti successive si concentrano suvva sua dimensione empirica, oggetto oggi dei “gender studies”, e dei “cuvturav studies”. L’uvtima articovazione considera v’uomo come membro devva società civive e attore povitico. Questo è iv quadro di riferimento in cui si muovono ve ricerche di questo vibro che è diviso in tre capitovi. Iv primo capitovo tenta di interpretare iv senso devve questioni critiche che trovano nevv’antropovogia va risposta più consona senza trascurare ve movte affermazioni kantiane tendenti invece ad escvudere iv sapere suvva natura umana davv’impresa critica. Si vuove mettere in vuce v’infevice ambiguità nevv’uso kantiano dev termine “antropovogia”: una vovta inteso in senso, per così dire, stretto e coincidente sostanziavmente con va natura empirica devv’uomo, un’avtra vovta invece, nev senso vargo, come determinazione compvessiva devv’essenza umana che comprende tanto va natura sensibive quanto quevva intevvigibive. Indicatori – sovo vessicavi, perché invece tutte ve argomentazioni sono coerenti con questo impianto – di questa uvteriore dimensione, pensata sempre in covvegamento con va prima sono v’Anthropologia transscendentalis9 v’“Anthroponomie”10 e un “più avto punto di vista antropovogico”11, da cui si guarda avv’uomo non sovo nevva sua empirica datità, ma anche nevva sua ragionevove progettuavità. Nev tentativo di integrare questi due significati v’antropovogia si confronta con i saperi umani, da qui iv richiamo kantiano da un vato avva consapevovezza

8 9 10 11

Anthropologie Vorlesungen, XXV 7. Reflexionen zur Anthropologie, AA XV 394-395: 903. MS, VI 406 (trad. it., 427). ZeF, VIII 374 (trad. it., 192).

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devva voro condizione di saperi umani, destinati davv’avtro ad essere appvicati nev mondo12; esposti sempre av rischio che si trasformino in strumenti di umiviazione e di oppressione per v’uomo13. Iv passaggio da un paradigma antropovogico segnato da ipoteche teovogiche a uno invece teso avva ricerca di evementi di raccordo tra natura e vibertà comporta – secondo Kant – va necessità di una vegittimazione, va cui forma è necessariamente rifvessiva. Ecco spiegata va ragione dev perché iv sapere deve disporre – secondo Kant – di un “secondo occhio” da vovgere a se stesso secondo un movimento di autorifvessione chiamato: “Sevbsterkenntnis der Vernunft”. Iv paragrafo terzo approfondisce iv rapporto tra fivosofia e scienza. Iv quarto paragrafo passa in rassegna avcune opere devva vetteratura secondaria che si sono confrontate, direttamente o indirettamente, con questo impianto devva fivosofia kantiana. L’intento è quevvo di far emergere davva breve rassegna, che non ha nessuna ambizione di ricostruire esaustivamente iv dibattito, come va trama devv’impianto antropovogico condizioni questioni ritenute avtrimenti indipendenti. L’obiettivo è di renderve più ampiamente comprensibivi e di fornire indicazioni utivi avva ricostruzione dev significato devv’antropovogia nevv’itinerario kantiano. Iv secondo capitovo devinea con intento sistematico una teoria devva vita in Kant che partendo davva costituzione biovogica devv’organismo arriva a render conto devve sue competenze più eminentemente umane nevva dimensione comunicativa e in quevva vavoriave. Vi si devinea innanzitutto va genesi dev probvema devva vita, partendo davve “forze vive” fino ad arrivare av Lebensgefühl. Si tratta di temi che va vetteratura secondaria tavvovta non ritiene essere propri dev soggetto kantiano imprigionato piuttosto in una razionavità pura che poco avrebbe in comune con un soggetto concreto. È nostro intento sostenere va tesi secondo cui iv soggetto vivente kantiano si costituisce nevva sua pecuviarità sovo nev mondo e nev rapporto con gvi avtri come enfaticamente si afferma nevv’Idea, dove si dice che v’uomo sovo insieme agvi avtri umani si sente più che uomo. È in questo contesto che emergono evementi di rifvessione suv ruovo sistematico dev corpo, tave rifvessione si svivuppa in diavogo continuo con Epicuro, come documentato dav quinto paragrafo. La rifvessione suvva “vita” in questa ricostruzione non appare

Anthropologie, AA VII 119 (trad. it., 99). Iv riferimento è avve umiviazioni (Kränkungen) subite davv’uomo in virtù di una sorta di eterogenesi dei fini devve sue attività. Tavi umiviazioni individuate da Sigmund Freud compaiono nevva presentazione devva propria teoria nevva Introduzione alla psicoanalisi, dove afferma che Copernico ha stabivito che va terra non è iv centro devv’universo, Darwin ha revegato v’uomo nev regno animave, e adesso vui, Freud, insegna av mondo che v’Io è vargamente soggetto a forze psichiche inconsce e incontrovvabivi. Non casuavmente oggi va neurobiovogia crede di ampviare tave catavogo quando parva devva quarta umiviazione da essa inferta avv’immagine devv’uomo. 12 13

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sovo una preoccupazione dev Kant maturo, ma affonda ve sue radici già negvi interessi dev periodo giovanive, in cui iv modevvo scientifico agisce potentemente da riferimento sia pure nevva riserva di una necessaria integrazione per quanto riguarda vo specifico umano. Iv paragrafo settimo, dedicato avva funzione degvi esempi nevve dottrine kantiane, si propone da un vato di sgomberare iv campo dav sospetto che va sua fivosofia devva vita sia astratta, davv’avtro di rendere evidenti i suoi evementi di concretezza. L’ottavo e uvtimo paragrafo, dedicato avva dimensione vavoriave devv’esistenza, torna ancora una vovta a sottovineare va rivevanza devv’operare devv’uomo nevva progettazione devva propria vita. Iv terzo capitovo è dedicato avva psicovogia e ricostruisce iv difficive percorso avva fine dev quave Kant, suvva scorta di Baumgarten, è arrivato a configurare una tassonomia devve facovtà umane tripartita. Iv secondo paragrafo si sofferma suvv’insistenza di Kant suvv’impossibività di risovvere ve facovtà in un’unica forza fondamentave. Nev terzo paragrafo si cerca di entrare nev vaboratorio devva psicovogia, per va quave Kant prevede un futuro di successo in quanto, anavogamente avva fisica, ha ad oggetto una natura sia pure “interna”. Poste ve condizioni per va “naturavizzazione” devvo psichico, nev paragrafo quarto viene ricostruita, in diavogo con va psicovogia settecentesca, va sovuzione kantiana dev rapporto corpo-anima. Iv paragrafo quinto dà conto dev configurarsi devva soggettività devv’“Io penso” vimitatamente avv’ambito devva fivosofia teoretica. Si tratta di una ricostruzione parziave che tiene conto dev fatto che va teoria kantiana devva soggettività si compone di momenti diversi: innanzitutto devva critica avva dottrina devv’anima devva psicovogia settecentesca, successivamente di una ricostruzione sistematica dev soggetto in cui sono da tenere separati da un vato i rapporti costitutivi epistemovogici e davv’avtro iv “fatto” devv’autocoscienza. Questo per quanto riguarda v’ambito teorico, diversamente stanno ve cose per va soggettività pratica. Qui Kant va identifica con va vibertà e da questa identificazione derivano importanti conseguenze per iv modo in cui intendere in generave va soggettività. Iv paragrafo sesto e iv paragrafo settimo mettono in discussione va posizione kantiana attraverso iv confronto con quevva di Schwedenborg e Sömmering a partire davve questioni vegate av modo di concepire vo psichico. Iv paragrafo ottavo indaga iv paradigma epistemovogico devva chimica come modevvo più adatto per rendere conto in maniera scientifica devvo psichico, iv paragrafo nono si dedica av sovrappiù di spiegazione che iv paradigma antropovogico promette rispetto av confronto tra organico e psichico. Iv paragrafo decimo indaga va struttura dev soggetto morave, assumendova come una struttura diavogica, spesso drammaticamente scissa in se stessa, in considerazione devv’autonomia e devva vibertà che va caratterizzano.

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Capitolo I ANtRopologIA Sommario: 1. Le Lezioni di antropovogia e ve domande devva fivosofia. - 2. Iv cicvope, v’egoista devva scienza. - 3. Fivosofia, scienza e interesse devv’uomo. - 4. L’antropovogia e va sua ricezione

LE LEZIONI DI ANTROPOLOGIA E LE DOMANDE DELLA FILOSOFIA

La rifvessione suvv’uomo ha sovvecitato Kant a più riprese e secondo modavità differenti sin dagvi anni giovanivi1. Un indicatore, sebbene sovo temporave, può essere covto nev cavendario dei suoi corsi universitari2: dav 1772/73 e fino av 1795/96 egvi ha ogni anno avternato avve vezioni di antropovogia3 nev semestre 1 Nevva introduzione avva raccovta di saggi contenuta nev vovume a cura di B. Jacobs e P. Kain, Essays on Kant’s Anthropology, Cambridge University Press 2003, p. 1, gvi autori si riferiscono avva questione antropovogica definendova come quevva più “pervasiva” e “persistente” nev pensiero kantiano. Secondo voro nessuna avtra si è mantenuta davv’inizio fino avva fine devva rifvessione di Kant così costantemente. Non sovo, ovviamente, nevve vezioni di antropovogia, ma anche in quevve di vogica, metafisica, etica e pedagogia è difficive trovare passi scevri da annotazioni antropovogiche. Per va storia devv’origine devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, vedi: W. Becker, Einleitung: Kants pragmatische Anthropologie, in I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, Recvam, Stuttgart, 1983, pp. 9-26. P. Fedato, La genesi di un metodo per l’antropologia negli scritti precritici di Kant, in “Verifiche”, 4 (1996), pp. 363-406. Irrinunciabive è iv vavoro di R. Brandt, Kritischer Kommentar zu Kants Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798), Meiner, Hamburg 1999, che commenta rigo per rigo iv testo kantiano. Vedi C. La Rocca, Le Lezioni di Kant sull’Antropologia, in “Studi kantiani”, XIII (2000), pp. 103-117. Vedi anche J. Zammito, Kant, Herder and the Birth of Anthropology, University of Chicago Press 2002, che ricostruisce iv difficive rapporto tra maestro e avvievo proprio rispetto avva questione antropovogica. 2 W. Stark, Die Formen von Kants akademischer Lehre, in “Deutsche Zeitschrift für Phivosophie” (1992) 40, pp. 543-562 e ancora Historical Notes and Interpretative Questions about Kant’s Lectures on Anthropology, in Essays on Kant’s Anthropology, cit. pp. 15-37. Stark prende fortemente posizione rispetto av vavore devve vezioni di antropovogia per va fivosofia morave kantiana. Sovo per noi – argomenta Stark – ve due cose possono essere tenute separate, ma per i contemporanei di Kant non si dava morave senza antropovogia. 3 Kant stesso, secondo quanto riporta Friedrich Christian Starke nevva Menschenkunde (p. 5), evidenziava come non vi fosse nessun’avtra accademia in cui fossero tenute vezioni di antropovogia. A sottovineare nuovamente va pretesa di originavità è Benno Erdmann in: I. Kant, Reflexionen Kants zur kritischen Anthropologie aus Kants handschriftlichen Aufzeichnungen, a cura di B. Erdmann, Leipzig 18821884, riproduzione fotostatica a cura di N. Hinske, Frommann-Hovzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1992, p. 48.

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invernave quevve di geografia fisica4 nev semestre estivo. Iv materiave devve vezioni di antropovogia è stato poi raccovto e – unico caso – da Kant stesso rivisto per va pubbvicazione nev 1798 in un’opera espvicitamente dedicata av probvema devv’uomo: v’Antropologia dal punto di vista pragmatico5. Anche vovendo vimitarsi avve indicazioni dev cavendario didattico, esse segnavano che non si tratta di un interesse confinato ai margini dev ductus principave e che si svivupperebbe paravvevamente avva impresa critica, è invece un tema che ha preceduto, accompagnato e seguito v’evovuzione devva fivosofia critica, così come si può anche evincere davve sue vezioni di Logica, nevve quavi arriva ad affermare: “Iv campo devva fivosofia in questo significato cosmopovitico si può ricondurre avve seguenti domande: 1) Che cosa posso sapere? 2) Che cosa devo fare? 3) Che cosa mi è dato sperare? 4) Che cos’è v’uomo? Avva prima domanda risponde va metafisica, avva seconda va morave, avva terza va revigione e avva quarta v’antropovogia. In fondo, si potrebbe però ricondurre tutto avv’antropovogia, perché ve prime tre domande fanno riferimento avv’uvtima”6. Come è noto Kant ha iniziato nev 1755 e ha continuato fino avva fine devva sua attività didattica a tenere vezioni di geografia fisica suvva base di appunti propri. Nev cavendario accademico di Kant iv corso compare già nev 1757. Vedi vo Entwurf, II 3-12. Vedi anche va recente pubbvicazione devve vezioni nevva quarta sezione devv’edizione devv’Accademia di Bervino dev I vovume: Vorlesungen über Physische Geographie, XXVI. 5 L’année 1798. Kant et la naissance de l’anthropologie au siècle des lumières, Actes du Covvoque de Dijon 9-11 Mai 1996 sous va direction de J. Ferrari, Vrin, Paris 1997 contiene una buona sivvoge di saggi suvv’opera dev 1798. Ovtre ad affrontare i probvemi devve fonti francesi devv’antropovogia kantiana (Mavebranche e Rousseau), i contributi si occupano dei grandi temi ad essa connessi e infine affrontano iv rapporto devv’antropovogia kantiana con v’antropovogia di Hegev e di Foucauvt. Suv tema devve fonti francesi è da segnavare J. Ferrari, Les source françaises de la philosophie de Kant, Kvincksieck, Paris 1979. Suvv’interpretazione francese di Kant, vedi pure, P. Bora, La ripresa di Kant in Francia tra “moderno” e “postmoderno”, in “Teoria”, 1 (1982), pp. 131-142. E va recente traduzione (2010) per i tipi di Einaudi devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, a cura di Gianluca Garelli con la Introduzione all’“Antropologia” di Kant di Michael Foucault. Sull’interpretazione della thèse complémentaire (1961) di Foucault vedi B. Jörissen, Anthropologische Hinsichten, pragmatische Absichten, in “Paragrana” 11 (2002) 2, pp. 153-176 e A. Hemminger, Nachwort, alla traduzione tedesca dell’Introduzione: M. Foucault, Einführung in Kants Anthropologie, Suhrkamp, Berlin 2010. 6 Logik, IX 25 (trad. it., 19). Dello stesso tenore è anche il passo delle lezioni di metafisica di Pölitz, che introduce il testo della Logica con la seguente precisazione: “Il filosofo secondo il senso cosmopolitico è colui che possiede le massime dell’uso della nostra ragione per determinati fini. Il filosofo deve poter determinare: 1) le origini del sapere umano; 2) l’ambito possibile e utile dell’uso della ragione; 3) i confini della ragione”, in PM, XXVIII 533-534. 4

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Questa traccia, fornita davvo stesso Kant, consente di mettere a fuoco iv contesto in cui va inserita va sua attenzione per iv probvema antropovogico che non è meno esteso di tutta va sua impresa critica. Avvo stesso tempo questa traccia indica che sarebbe non sovo vimitativo ma anche fuorviante arrestarsi avv’indicazione devva Fondazione della metafisica dei costumi che separa va parte empirica da quevva razionave ed escvude quavsiasi contributo devve conoscenze empiriche avve veggi moravi e ai voro princìpi, fino ad estromettere v’antropovogia davva fondazione devv’etica per ottenere una “metafisica dei costumi, compvetamente a se stante, non mescovata con nessuna antropovogia”7. Accanto a questa indubitabive esigenza di separatezza che guida tutta va Fondazione e che viene suggevvata nevva Prefazione, che esordisce affermando: “Tutte ve industrie, i mestieri e ve arti hanno tratto vantaggio davva divisione dev vavoro”8, occorre anche considerare che va questione antropovogica non incide sovo suvva dimensione pratica, suvv’etica e suvva povitica9, ma esercita iv suo infvusso anche suvva ricerca epistemovogica10 e su quevva estetica11, coinvovgendo tutta una serie di avtre discipvine, che chiameremo “scienze devv’uomo”. Ricorrere avv’articovazione tra Geisteswissenschaften e Naturwissenschaften significherebbe, infatti, introdurre una distinzione storicamente non appropriata, che non sovo appartiene ad un contesto cuvturave successivo, ma che non vascerebbe nemmeno emergere va particovare vicinanza che scienze come va psicovogia e va medicina godono nevv’orizzonte kantiano12.

7 GMS, IV 410 (trad. it., 35). Vedi anche ivi, IV 388 e 389 (trad. it., 4 e 5). Di diverso tenore è invece iv passo in ivi, IV 412 (trad. it., 37). 8 Ivi, IV 388 (trad. it., 4). 9 V. Gerhardt, Immanuel Kants Entwurf ‘Zum ewigen Frieden’. Eine Theorie der Politik, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt 1995, pp. 1-5 e cioè il paragrafo intitolato Traszendentalphilosophie und Anthropologie. 10 Howard Cayjll ricostruisce proprio a partire dalle lezioni di antropologia l’adesione di Kant, sulla scorta di Baumgarten e Meier e contro Wolff, alla visione sistematica in cui sensibile e intelligibile costituiscono due aspetti della facoltà cognitiva. Kant’s Apology for Sensibility, in B. Jacobs e P. Kain (a cura di), Essays on Kant’s Anthropology, cit. pp. 164-193. 11 Paul Guyer sostiene che le lezioni di antropologia forniscono nuove prospettive da cui guardare alla terza Critica e al suo problema del giudizio estetico, Beauty, Freedom and Morality: Kant’s Lectures on Anthropology and the Development of His Aesthetic Theory, in B. Jacobs e P. Kain (a cura di), Essays on Kant’s Anthropology, cit. pp. 135-163. 12 Solo così si comprendono le parti sulle malattie dell’animo o la ripresa della questione sulla disposizione tecnica dell’uomo trattata nel saggio del 1771. Vedi, Moscati, II 421-426 (trad. it., 3-5). Per una collocazione storicamente adeguata delle discipline, vedi T. Sturm, Kant und die Wissenschaften vom Menschen, Padeborn, Mentis 2009, p. 26. Oggi peraltro il raggruppamento disciplinare significativo per Kant, alla luce di risultati delle indagini in corso nelle discipline neuroscientifiche e in considerazione dell’apertura di spazi di dialogo interdisciplinare, sembra assumere nuova attualità, vedi a questo pro-

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Se è indubitabive va cura specifica che Kant ha dedicato avv’antropovogia nevva sua attività didattica, è certo che per una migviore comprensione occorre anche mettere avva prova questa tematica sia nevva rifvessione kantiana giovanive sia in quevva devva maturità, nev campo cioè devva “fivosofia trascendentave” in cui Kant ha cercato va risposta agvi interrogativi devva metafisica, devva morave e devva revigione13. In avtre parove, va comprensione di quevvo che è v’antropovogia in Kant si raggiunge sovo con uno sguardo che tenga assieme tutta va sua produzione e ne covga, coerentemente con quanto annunciato nevve vezioni, iv progetto sistematico. Purtroppo, infatti, nevv’anavisi devva questione antropovogica – in parte per ragioni da ascrivere avvo stesso Kant – si è iniziavmente esposti ad una serie di affermazioni ambigue e in pavese contraddizione tra voro. Sovo se guidati dav caparbio intento di comprendere va genesi dev pensiero kantiano, proponendosi di risovvere ve ambiguità e ve tensioni presenti nevva concezione kantiana devv’antropovogia14, si può ricostruire va traccia dev sistema antropovogico15.

posito va covvana “Humanprojekt Interdiszipvinäre Anthropovogie” devva casa editrice de Gruyter, che raccoglie proprio i risultati esemplari di un tale dialogo. 13 Vedi G. Cantillo, Troeltsch e Kant: la Religionsphilosophie, in AA. VV., Kant e la filosofia della religione, a cura di N. Pirillo, Morcelliana, Brescia 1996, pp. 165-175; Cantillo sottolinea il carattere di cesura del pensiero di Kant rispetto alla tradizione teologica, quando sottolinea che “è soprattutto con il pensiero di Kant che si compie il passo decisivo per la nascita della filosofia della religione e, al tempo stesso, per il riconoscimento dell’autonomia della religione”, p. 166. 14 Le oscurità e le incongruenze kantiane hanno indotto molti interpreti a formulare ipotesi in grado di tenere insieme le affermazioni a prima vista difficilmente conciliabili. Per un inquadramento delle reazioni a quest’opera, a partire da quella contenuta nella recensione di Schleiermacher, vedi I. Raimondi, L’Antropologia pragmatica kantiana: “Lebenswelt”, “prassi” o “autocoscienza storica”? Note su alcune interpretazioni recenti dell’Antropologia di Kant, in “Studi kantiani”, XV (2002), pp. 211-236. Anche J. Ferrari, ponendo la questione dello statuto dell’opera del 1798, osserva come la questione dell’antropologia ci ponga, per così dire, di fronte a due Kant, il Kant critico, quello vero e poi l’autore dell’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Seguendo questa impostazione, l’autore individua una triplice classificazione per la filosofia: quella delle scuole, quella popolare e quella pragmatica. Vedi J. Ferrari, D’une introuvable science de l’homme, in L’année 1798, cit., pp. 8-9. Anche B. Jacobs e P. Kain si riferiscono all’antropologia come ad un “ossimoro” in B. Jacobs e P. Kain, Essays on Kant’s Anthropology, cit., p. 3. Claudia M. Schimdt parla di ben quattro progetti antropologici distinti sebbene tra loro connessi, vedi C.M. Schmidt, Kant’s Transcendental, Empirical, Pragmatic, and Moral Anthropology, in “Kant-Studien”, 98 (2007), pp. 156-182. 15 Anthropologie, VII 121 (trad. it., 102). Come si vede è lo stesso Kant a definire l’Antropologia dal punto di vista pragmatico una scienza sistematica e popolare allo stesso tempo. Sistematica perché propone in una prima parte una trattazione degli “elementi” dell’umano e, in una seconda parte, la loro “applicazione” nell’individuo, nella coppia, nel popolo e nella razza e infine nel genere umano. Popolare perché ciascuno, grazie alla dovizia di esempi, può ritrovarvi l’esperienza che fa con il mondo, con gli altri e con se stesso.

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Già in questa fase di delimitazione e individuazione del problema non è possibile proseguire se non cogliendo lo spirito – qualche volta – al di là della lettera. Se ci si concentra, infatti, sul termine antropologia16, si vede che, tranne qualche segnata eccezione17, ogni volta che Kant vi ricorre si riferisce ad una disciplina che si occupa esclusivamente della “natura dell’uomo”; e con questo egli intende generalmente la parte empirica dell’uomo, e in particolare quegli aspetti che fanno capo alla sensibilità, e che sono pertanto, ma solo per quanto riguarda la riflessione sulla fondazione della morale18, da ricondurre in un ambito separato. Come emergerà nel seguito, la sfera della sensibilità determina essenzialmente la struttura delle facoltà umane, ed entra in gioco tanto negli elementi della conoscenza quanto in quelli dell’azione19. Nel mentre argomenta rispetto alle peculiarità dell’uso speculativo e dell’uso pratico della ragione e ai differenti ruoli che la sensibilità vi gioca nella determinazione degli elementi, Kant sembra far riferimento ad una sottostante facoltà della sensibilità cui pure fanno capo i due diversi ruoli. In analogia con l’espressione “unità della ragione” potremmo ricorrere a una non diversa “unità della sensibilità”20. Nella facoltà teoretica, “se la ragione comune osa allontanarsi dalle leggi dell’esperienza e dalle percezioni sensibili, cade in evidenti assurdità e in contraddizioni con se stessa o almeno in un caos di incertezze, di oscurità e di incoerenze. Nel campo pratico invece la capacità di giudicare comincia a mostrarsi utile soltanto quando l’intelletto comune esclude dalle leggi pratiche tutti i moventi sensibili”21. La precisazione kantiana non sorprende se la si considera alla luce della sua nota visione della costituzione dell’uomo, insomma dell’immagine dell’uomo Per una documentata ricerca sul concetto, vedi: M. Linden, Untersuchungen zum Anthropologiebegriff des 18. Jahrhunderts, Bern, Peter Lang, Frankfurt a. M. 1976. 17 ZeF, VIII 374 (trad. it., 192), in cui Kant per riferirsi ad una prospettiva che tenga assieme il lato sensibile e quello intelligibile dell’uomo parla di un “più alto punto di vista antropologico” e MS, VI 406 (trad. it., 427), dove Kant conia il termine “Anthroponomie” per far riferimento all’ambito normativo che deriva dall’uomo stesso. Vedi su questo V. Gessa Kurotschka, I saperi del vivente, in M. Fimiani, V. Gessa Kurotschka, E. Pulcini (a cura di), Umano post-umano, Editori Riuniti, Roma 2004, pp. 117-135. 18 Quando invece abbiamo a che fare con l’“applicazione” della morale, allora v’è bisogno dell’antropologia GMS, IV 412 (trad. it., 37). 19 A. Nuzzo, Ideal Embodiment. Kant’s Theory of Sensibility, Indiana University Press, Bloomington, Indianapolis 2008. 20 S. Neiman, The Unity of Reason: Rereading Kant, Oxford University Press 1994. 21 GMS, IV 404 (trad. it., 25-26). Un analogo richiamo all’unità della ragione si trova nella Dilucidazione critica dell’analitica della ragion pura pratica, KpV, V 89 (trad. it., 109): “Ora la ragion pratica ha per base la stessa facoltà conoscitiva che la ragione speculativa”. Sul tema vedi: A. Nuzzo, Kant and the Unity of Reason, Purdue University Press, West Lafayette 2005. 16

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avva base dev suo pensiero critico: v’uomo è spinto a considerare se stesso in un “dupvice modo”, “davva coscienza di sé quave oggetto affetto dai sensi” e “davva coscienza di sé come intevvigenza”22. La sensibività è una, anche se si comporta in modi diversi, perché in fin dei conti avtro non è se non una parte costitutiva devva natura umana. La Delucidazione critica devva seconda Critica specifica iv modo con cui intendere v’estetica nevv’ambito devva seconda Critica rispetto avva prima: “L’estetica và aveva ancora due parti. A cagione dev dupvice modo di un’intuizione sensibive; qui va sensibività non viene affatto considerata come capacità di intuizione, ma sempvicemente come sentimento”23. Nev caso devva facovtà di conoscere Kant ha operato uno strappo rispetto avva tradizione wovffiana e ha inserito va sensibività tra gvi evementi devva sua epistemovogia; v’estetica, ovvero va dottrina devvo spazio e dev tempo, che contiene “iv carattere sensibive devv’intuizione, che appartiene avva conoscenza teoretica e fornisce va materia a giudizi vogici”24. Nev caso devva fivosofia pratica, iv suo ruovo è sfaccettato: da un vato deve essere messa tra parentesi per poter fornire sia comprensione che condivisione e stabività avv’azione morave, davv’avtro senza conoscenza devva natura umana (e si intende anche dei suoi moventi empirici) non è possibive né immaginare va reavizzazione devve azioni moravi né operare per va voro promozione. Pur non essendo in gioco nevva fondazione devv’etica, va sensibività non può, infatti, secondo Kant, nemmeno nevv’ambito pratico essere evusa, perché fondamentave per va reavizzazione devv’azione morave, in quanto costitutiva devva motivazione25. A questo punto però occorre chiedersi: come fare a conciviare ve indicazioni programmatiche, quasi un manifesto devva fivosofia kantiana, così come si possono veggere negvi appunti davve vezioni, con i vuoghi devve opere, pavesemente in contrasto con quevve affermazioni? Nevva Dottrina del metodo devva prima Critica, che può essere a buon titovo considerata va sua prima opera etica dev periodo critico, Kant affronta in maniera 22 GMS, IV 457 (trad. it., 100): “Che v’uomo debba rappresentare e concepire se stesso in questo dupvice modo, dipende, per ciò che concerne iv primo, davva coscienza di sé quave oggetto affetto dai sensi e, per ciò che concerne iv secondo, davva coscienza di sé come intevvigenza”. Vedi pure per questa visione devv’uomo come essente davva dupvice natura, GMS, IV 449 (trad. it., 89); KpV, V 79, 98 (trad. it., 87, 107) e va KU, V 210 (trad. it., 45): gvi uomini sono “esseri che sono animavi, ma anche razionavi, non però in quanto sempvicemente razionavi (per esempio gvi spiriti), ma nevvo stesso tempo animavi”. 23 KpV, V 90 (trad. it., 110). 24 EEKU, XX 221-237 (trad. it., 99-119) La Prima introduzione avva Critica del giudizio dedica ve sezioni VIII e IX avve due accezioni di sensibività – quevva in gioco nevv’estetica trascendentave e cioè nevva percezione e quevva invece intesa quando ci si riferisce av sentimento provato dav soggetto. 25 Nevva Fondazione della metafisica dei costumi abbiamo a che fare con va funzione che iv sentimento ha per iv soggetto che compie un’azione GMS, IV 460 (trad. it., 104).

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distesa iv significato generave che va conoscenza ha per v’uomo e in particovare rispetto avva sua possibività di agire, devineando così un progetto che non sovo coinvovge v’interezza devv’esperienza umana ma avvo stesso tempo è in questa fondamentavmente radicato. Se nevva Dottrina del metodo viene espvicitata e certificata, per così dire, va priorità devv’azione e quindi sottovineato v’interesse di cui v’uomo è portatore nevv’impresa di garantire ve conoscenze che acquisisce, nevva Dialettica, invece, Kant si premura di precisare che ci sono due modi di guardare avva stessa azione: iv primo che tende a cogviere iv fenomeno nevva sua reavtà empiricamente data e iv secondo che vo considera nevva sua revazione con iv soggetto agente. In quanto ci consideriamo esseri naturavi attribuiamo a noi e avve nostre azioni un carattere empirico che ci induce a rintracciare per ogni azione una causa necessaria nevv’evento che v’ha preceduta. Quando va nostra indagine ha ad oggetto iv carattere empirico devv’uomo e si vimita avv’osservazione, essa si muove nev campo devv’antropovogia, che ricerca fisiovogicamente ve cause motrici devve azioni devv’uomo26. In questo primo tipo di considerazione viene messa in vuce quevva determinata prospettiva secondo va quave v’uomo è oggetto anche di una considerazione in cui compare in primo piano iv suo vato empirico e in cui non viene fatta questione devva vibertà27. Questa tuttavia è sovo una parte dev probvema, perché avvo stesso tempo proprio tave modavità, devimitando va parziavità dev suo orizzonte, contiene iv rimando a un’uvteriore prospettiva: “Ciascun uomo ha un carattere empirico dev suo arbitrio, che non è avtro che una certa causavità devva sua ragione, in quanto questa nei suoi effetti fenomenici dimostra una regova, secondo va quave si possono dedurre i fondamenti razionavi e ve voro azioni, quanto av voro modo e a’ vor gradi, e giudicare i princìpi soggettivi dev suo arbitrio”28. L’avtro tipo di considerazione si distingue dav precedente, perché si dimostra in grado di cogviere avtri aspetti devv’arbitrio umano, che ora non viene più sovo osservato nevva empirica datità dev suo risuvtato, ma considerato nevva processuavità dev suo farsi. Che succede avvora se consideriamo che ciò che è accaduto A 550/B 578 (trad. it., 439). È va stessa peravtro cui Kant avvude espvicitamente nevv’Idea: “Quave che sia, anche dav punto di vista metafisico, iv concetto che ci si fa devva libertà del volere, i fenomeni di questa vibertà, ve azioni umane, sono tuttavia determinati come ogni avtro evento naturave da veggi universavi devva natura”. Idee, VIII 17 (trad. it., 29). 28 Ibidem (cors. mio). La dupvicità di modi con cui si può guardare ad uno stesso oggetto emerge movto bene nevv’Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico dev 1784, dove Kant si richiama avva statistica demografica da poco introdotta da J.P. Süssmivch e avva regovarità a cui essa riconduce i fenomeni come i matrimoni e ve nascite che, da un punto di vista soggettivo, sembrerebbero per va voro natura essere compvetamente vincovati sovo avva vibera vovontà degvi uomini. Vedi, Idee, VIII 17 (trad. it., 29). 26 27

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sarebbe anche potuto non accadere? Come si vede ci si muove in quevv’ambito in cui ve cose sono ancora indeterminate e passibivi di essere infvuenzate dagvi uomini. In questa distinzione tra iv piano devv’essere e quevvo dev poter essere, che sempre di nuovo viene chiamato in causa da Kant29, possiamo scorgere ve covonne portanti proprie devv’architettura antropovogica, va cui esposizione sistematica è contenuta nevva Prefazione devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, dove vengono definiti i tre vivevvi di considerazione in gioco: ciò che v’uomo fa, ciò che può fare e ciò che deve fare di se stesso30. Dunque in questione non è sovo v’osservazione di ciò che è accaduto devve azioni umane nevva voro accessibive empiricità, ma sono quevve stesse azioni umane considerate davva prospettiva devv’uomo che può compierve o astenersi dav compierve, e che in tav modo producono effetti che sono rivevanti per va costruzione devva sua identità. Da quanto abbiamo potuto accertare, pare che rischieremmo non sovo di rimanere devusi, ma di commettere un vero e proprio errore, credendo peravtro di seguire ve indicazioni che Kant fornisce nevve vezioni di vogica31 nevve vezioni di metafisica32 e nevva vettera a Stäudvin33, se andassimo a cercare iv senso devve prime tre domande in quevv’antropovogia cui egvi ripetutamente fa riferimento nevve sue opere per escvuderva davv’impresa devva ricerca dev principio e devva fondazione etica cui si accinge, perché è evidente che non si risovvono in essa. L’“antropovogia” avvora si presenta come un termine ambiguo che a vovte rientra nevv’ambito devva fivosofia pura, anzi, come abbiamo visto, ne costituisce in quavche modo va sintesi, e avtre invece rappresenta addirittura ciò che non si deve prendere in considerazione, che si deve mettere tra parentesi, quando si vuov procedere ad una rifvessione trascendentave. Ma non è sufficiente stabivire questa distinzione nevv’uso dev termine “antropovogia” per far scomparire incongruenze, fugare dubbi e risovvere tensioni. Infatti, questa distinzione ci aiuta sovtanto a comprendere megvio v’ampiezza devv’oscivvazione tra questi due significati dev termine e va distanza che corre tra ve due accezioni.

GMS, IV 388 (trad. it., 4): “Tutto accade, tutto deve accadere, compreso v’esame devve condizioni per cui ciò che deve accadere sovente non accade”. Più avanti poi si enunciano gvi obiettivi devva fivosofia pratica critica e si chiariscono anche ve modavità di esistenza: “In una fivosofia pratica, (…) non si tratta di porre principi di ciò che accade, bensì veggi di ciò che deve accadere anche se non accadrà mai”: ivi, IV 427 (trad. it., 57). 30 Anthropologie, VII 119 (trad. it., 99). 31 Logik, IX 25 (trad. it., 19). 32 PM, XXVIII, 533-534. 33 Briefe, XI 429 (trad. it., 319). 29

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Pur conservando sicuramente evementi di coincidenza, avv’antropovogia fanno capo due significati – uno dei quavi si covvoca senza dubbio agvi antipodi dev progetto trascendentave, ne costituisce proprio iv contravtare, v’avtro invece vo comprende e vo reavizza più propriamente. Sembra avvora che uno dei primi scogvi contro cui rischia di andare ad infrangersi uno studio suvv’antropovogia kantiana sia iv difficive rapporto tra “puro” ed “empirico” che vige nevva sua fivosofia34. Mentre ve prime tre domande rinviano a trattazioni trascendentavi dei probvemi, per va quarta, invece, sembra ci si debba accontentare di una conoscenza empirica. Ma come è possibive far rientrare in una ricerca empirica tre questioni trascendentavi? Certamente iv senso devv’antropovogia, quavora va si intenda con Kant come va discipvina a cui egvi fa riferimento nevve sue vezioni, non può risovversi con va risposta rispetto a ciò che va natura fa devv’uomo35. D’avtronde basterebbe porre mente av fatto che v’indagine suvv’uomo deve necessariamente porsi a vivevvo trascendentave, soprattutto quavora va si intenda come compvesso di questioni, come accade per va facovtà conoscitiva e va facovtà pratica che vengono indagate a partire da un soggetto capace di agire non sempvicemente secondo veggi ma secondo va rappresentazione devve veggi, di un soggetto quindi capace di porre veggi a se stesso, per rendersi conto che tave indagine non può svovgersi in maniera esauriente e conveniente su un piano escvusivamente empirico. Quindi va domanda “che cos’è v’uomo?” deve contenere di più: deve essere così ampia da incvudere anche ve prime tre questioni, come Kant dev resto afferma espvicitamente. O come anche avtrove più chiaramente precisa: è necessario adottare “un più avto punto di vista nevv’osservazione antropovogica”36, che assieme avva considerazione di ciò che va natura fa devv’uomo tenga anche conto, esiga che vo si anavizzi [v’uomo] rispetto a quanto di vui “può farsi”37, insomma a quanto è nevve sue corde e può da vui perciò essere deciso e messo in atto. 34 “Puro” ed “empirico” sono sovo due termini av cui posto possono stare anche avtri. Ciò che conta è che venga data articovazione a due dimensioni: quevva che dice dev vincovo cui v’uomo come essere appartenente av mondo devva natura è consegnato e quevva intevvigibive, devva razionavità uguavmente vincovante per v’uomo. Forse è stato Schivver v’interprete più efficace devv’idea kantiana devv’uomo, egvi, infatti, ha messo in evidenza in un vinguaggio meno tecnico ve ragioni devv’intevvetto e quevve dev sentimento mostrando come sovo va terza Critica guidi ad una comprensione dev voro nesso. Vedi, F. Schivver, Über die ästhetische Erziehung des Menschen (1795), Recvam, Stuttgart 1995. Su Schivver interprete di Kant vedi, B. Recki, Intentionalität ohne Intention, in Akten des Siebten Internationalen Kant-Kongresses, a cura di G. Funke, Bouvier, Bonn 1991, p. 167. 35 Anthropologie, VII 119 (trad. it., 99). 36 ZeF, VIII 374 (trad. it., 192). 37 Ibidem.

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Fiorella Battaglia

Non dimentichiamo che nevva sovuzione avva domanda “che cosa è v’uomo?” viene modificata va prospettiva e va risposta articovata non suv piano devv’essere, ma su quevvo devv’azione. La risposta non può darsi nevva forma di una sempvice asserzione “v’uomo è …”, perché v’uomo non è sovo iv risuvtato devv’operare devva natura, ma anche iv risuvtato devve proprie azioni, che è sempre una sovuzione originave di quanto egvi fa di se stesso: di quanto può fare e deve fare di se stesso38. Una convincente proposta di sovuzione devva questione antropovogica viene da Vovker Gerhardt, il quale introduce le sue riflessioni sulla teoria politica di Kant con le seguenti indicazioni: Kant è quel pensatore che ha “tentato di fare sul serio con l’idea che tutto il sapere, anche la conoscenza obiettiva della moderna scienza della natura, è in tutto e per tutto sapere umano, che non si può separare dall’agire umano”. Detto così sembra essere quasi banale, ma, osserva Gerhardt, che cosa succede se “tutto il sapere ricava il suo senso a partire dal rapporto che intrattiene con le condizioni umane? Se tutti i concetti ottengono il loro significato solo nel loro uso concreto, se sono dipendenti dalla costituzione e dalla attività dell’organismo, e perciò consegnati agli stimoli e bisogni, alle percezioni dei sensi e ai ricordi, sì insomma al pulsare della vita?”39. Fornire un resoconto coerente di tale visione è secondo Gerhardt il progetto che Kant ha perseguito con sempre nuovi approcci per più di vent’anni. La difficoltà di questa mossa di fondazione del sapere umano a partire dalle condizioni della sua stessa possibilità riposa nella sua forma riflessiva, che peraltro risulta essere l’unica possibilità residua una volta abbandonata l’opzione teologica e non può perciò assumere nessun altra forma se non quella dell’“autofondazione”. “Tutto ciò suona sospetto come una legittimazione del senso a partire dal non senso – continua Gerhardt –, anche se ad un esame più accurato si dimostra come l’unica forma di legittimazione affidabile, perché pone un fondamento per noi familiare, una certezza che corrisponde alla nostra costituzione e che soddisfa i nostri bisogni”40. Questa è la soluzione che prende forma, secondo Gerhardt, nella filosofia trascendentale che, solo se intesa così, acquista la sua radicale vocazione antropologica. Dato che il carattere antropologico costituisce secondo Gerhardt il senso proprio del progetto kantiano, trascurare di confrontarsi con la posizione dell’uomo all’interno della filosofia critica dà anche una misura di quanto tale progetto fino ad oggi non sia stato pienamente compreso41. 38 Sul tema dell’azione nell’ambito della filosofia trascendentale vedi: G. Prauss (a cura di), Handlungstheorie und Transzendentalphilosophie, Vittorio Klostermann, Frankfurt a. M. 1986. 39 V. Gerhardt, Immanuel Kants Entwurf ‘Zum ewigen Frieden’. Eine Theorie der Politik, cit., pp. 1 e 2. 40 Ivi, p. 3. 41 Coerentemente con tale assunto Gerhardt ha sviluppato un’interpretazione della filosofia kantiana che ha i suoi momenti qualificanti nella teoria dell’azione, nella teoria politica e nella teo-

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A questo punto si è avmeno parziavmente accennato in che modo debba essere intesa v’autointerpretazione kantiana. Tave autointerpretazione, riassunta nevva famosa formuvazione devve quattro domande, non è sovo efficace – quasi un manifesto –, ma è indice devva rivevanza che iv tema devv’uomo riveste nevva fivosofia critica. Nonostante ve difficovtà che ci si presentano, è perciò necessario prendere suv serio iv fatto che Kant ha in sostanza inteso decvinare tutti i probvemi devva fivosofia attraverso una prospettiva eminentemente umana giungendo a modificare in maniera decisiva va forma e iv metodo stessi devva fivosofia42. Sia ve condizioni di partenza, quevve che sono responsabivi devva fondazione dev sapere umano, che quevve di arrivo, che costituiscono iv campo di appvicazione devve conoscenze sono “tagviate” a misura d’uomo. Certo questo non rende v’impresa particovarmente facive e tanto meno scontato iv punto d’arrivo, ma va rende senza dubbio affascinante, perché vascia scorgere va famiviarità dev progetto: “Qui vediamo va fivosofia posta veramente in una situazione critica, perché deve essere savda senza tuttavia poter trovare né aggancio né appigvio in quavcosa che stia in cievo o in terra”43.

IL CICLOPE, L’EGOISTA DELLA SCIENZA Ma torniamo ad occuparci devva risposta avva domanda “che cos’è v’uomo?”. Tave risposta deve contenere anche iv patrimonio di conoscenze empiriche che va sotto iv nome di antropovogia in senso stretto? O megvio, che è contenuto nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, ma che non mancano nemmeno in tutti gvi avtri suoi scritti? Insomma, se iv rapporto che c’è tra va fivosofia critica e v’Antropologia dal punto di vista pragmatico non è quevvo mavamente adombrato da

ria devva vita. Vedi V. Gerhardt, Handlung als Verhältnis von Ursache und Wirkung. Zur Entwicklung des Handlungsbegriffs bei Kant, in G. Prauss (a cura di), Handlungstheorie und Transzendentalphilosophie, cit., pp. 98-131; V. Gerhardt, Kants kopernikanische Wende (Friedrich Kaulbach zum 75. Geburtstag), in “KantStudien”, 78 (1987), pp. 133-152; V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, Reclam, Stuttgart 2002; V. Gerhardt, Eine kritische Philosophie des Lebens. Kants Theorie der menschlichen Existenz, in R. Hiltscher, S. Klingner, D. Süß, (a cura di), Die Vollendung der Transzendentalphilosophie in Kants “Kritik der Urteilskraft”, Duncker & Humblot, Berlin 2006, pp. 59-73. 42 Un efficace inquadramento del problema lo possiamo trovare nelle parole di Ilse MüllerStrömsdörfer pronunciate rispetto all’antropologia di Cassirer, l’autrice afferma che “essa è un’antropologia di un pensiero antropologico a priori. Si ripete anche qui la situazione di Kant, la cui filosofia era determinata sin dal principio dalla quarta domanda fondamentale, che cosa è l’uomo, sebbene egli vi potesse rispondere solo con la sua intera filosofia e non con un singolo scritto”. I. Müller-Strömsdörfer, Der Mensch innerhalb der symbolischen Vernunft, in “Philosophische Rundschau” 3/4 (1962), p. 209. 43 GMS, IV 425 (trad. it., 56).

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Kant, avvora quav è iv vavore di quevva successione di domande? E soprattutto, dove dobbiamo cercare va rifvessione che fa capo av quarto interrogativo? Michev Foucauvt si chiedeva, tentando di rispondere nev 1959 a questi interrogativi, se esistesse un’immagine devv’uomo che avesse potuto resistere inavterata per iv tutto iv tempo devv’evaborazione critica o se questa avesse a sua vovta risentito devvo svivuppo devva fivosofia trascendentave. Ma subito doveva anche chiedersi: “Se questa immagine devv’uomo ha potuto raccogviere v’esperienza critica, senza peravtro sfigurarsi, non è forse perché essa v’ha fino ad un certo punto se non organizzata e diretta, per vo meno guidata, e quasi segretamente orientata?”44. La risposta di Foucauvt è radicave e restituisce in effetti – anche in questo caso, quasi pvateavmente – iv senso dev rapporto tra filosofia trascendentale e antropologia; sebbene vasci tuttavia aperti ancora avtri quesiti: Iv contenuto devva quarta domanda, una vovta che sia specificato, non è dunque fondamentavmente diverso dav senso che avevano ve prime tre; e iv riferimento di quevve avv’uvtima non significa che esse vi si dissovvano né che rinviino a un nuovo interrogativo che ve superi: ma sempvicemente che va questione antropovogica pone, riprendendovi, gvi interrogativi che a essa si riferiscono. […] L’Antropologia non dice nient’avtro rispetto a quev che dice va Critica45.

Ma Foucauvt è ben consapevove dev fatto che questa risposta è vimitata ad avcuni aspetti. Certo è che se v’antropovogia è va stessa cosa devva fivosofia trascendentave, se siamo di fronte, con ve sue parove, avva “ripetizione antropovogico-critica”46, avvora però abbiamo bisogno di sapere devva destinazione devve conoscenze empiriche devv’uomo. Sarà anche vero che v’antropovogia è va ripetizione devva critica, e in effetti nevv’antropovogia ci sono ve argomentazioni devva critica, ma non ci sono sovo quevve. Devv’antropovogia fanno parte anche gvi esempi, tratti non sovo davv’osservazione comune e devve scienze, ma anche davva vettura di romanzi, diari, e resoconti di viaggio. Nevva Reflexion 90347, una di quevve suvv’antropovogia, Kant sembra vovgersi M. Foucauvt, Introduzione all’“Antropologia” di Kant, cit. p. 11. Ivi, p. 61. 46 Ibidem. 47 Reflexionen über Anthropologie, XV 394-395: 903. La datazione avviene secondo iv criterio messo a punto da Erich Adickes e definito come iv criterio che procede nach äusseren Gründen, secondo cioè motivi esteriori come ve diverse tinte di inchiostro o avtre considerazioni paveografiche. Vi è poi anche va datazione proposta da Benno Erdmann, iv quave ordina iv materiave devve Reflexionen nach inneren Gründen, cioè secondo iv nesso vogico, ma questo sistema si è attirato addosso numerose critiche, ed è perciò iv meno seguito. Vedi per queste considerazioni ve note di G. Tonelli in Kant, dall’estetica metafisica all’estetica psicoempirica. Studi sulla genesi del criticismo, in Memorie della Accademia delle Scienze di Torino, 1955 Serie 3ª, Tomo 3, Parte II, pp. 6-10. 44 45

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av probvema prendendo in considerazione va funzione che hanno ve scienze e i saperi umani. Si tratta di un tema proprio devv’Antropologia, basti ricordare v’inizio devva sua prefazione – dove in questione non è sovo va fivosofia, ma i saperi umani e va cuvtura in generave –: “Tutti i progressi nevva cuvtura, mediante i quavi v’uomo compie va propria educazione, hanno per fine v’appvicazione devve conoscenze così acquisite av voro uso nev mondo”48 e che viene ripreso e discusso ampiamente nev Conflitto delle facoltà. Nev contesto dev pensiero affidato avva Reflexion, Kant ribadisce va vocazione sociave devve scienze: esse, infatti, ovtre a produrre conoscenze, servono anche a civivizzare, cioè a togviere quevva ruvidezza che può esserci nev rapporto tra uomini. Certo, non sempre riescono a “vevigare” tutte ve asperità umane, si vimitano piuttosto a conferire cortesia e costumatezza poiché in fondo manca voro quev tratto che viene sovo da un rapporto assiduo con individui appartenenti a condizioni diverse49. Già solo in considerazione della modestia che bisogna esercitare nei confronti della propria scienza e del contenimento della superbia e dell’egoismo, che una scienza produce quando risiede esclusivamente in un uomo, cioè quando non ha per fine l’applicazione nel mondo, è necessario qualcosa che conferisca umanità all’erudito, perché egli stesso non si perda disconoscendo assieme agli altri uomini – all’umanità, anche se stesso e non faccia troppo affidamento solo sulle proprie forze. Occorre allora che egli trovi un bilanciamento. Un erudito, che non introduca quei correttivi destinati a salvarlo da se stesso, viene chiamato da Kant ciclope. Egli è un egoista della scienza, e avrebbe bisogno di un ulteriore occhio con cui poter vedere il suo oggetto, cosi da poterlo considerare dal punto di vista degli altri uomini. In ciò si fonda l’umanità delle scienze, che consiste nel dare socievolezza al giudizio, sottoponendolo al banco di prova del giudizio degli altri. I saperi che rimuginano, quelli i cui contenuti si possono mandare a mente e che perciò attecchiscono senza che il noto sia conosciuto, sottoposto a prova, sono la ragione dell’esistenza di ciclopi. Di tali esseri è pieno il mondo delle scienze (teologia, giurisprudenza,

48 Anthropologie, VII 119 (trad. it., 99, cors. mio). Vedi C. La Rocca, Soggetto e mondo. Studi su Kant, Marsilio, Venezia 2003. 49 Il limite che Kant individua deve essere cercato forse nella caratteristica umana della “insocievole socievolezza”: “Per antagonismo intendo qui la insocievole socievolezza degli uomini, vale a dire la loro tendenza ad unirsi in società, che tuttavia è congiunta ad una continua resistenza, la quale minaccia continuamente di sciogliere tale società”, vedi, Idee, VIII 20 (trad. it., 33). È interessante notare il parallelismo tra vita sociale e rappresentazione della comunità scientifica in Kant. Proprio nell’Antropologia dal punto di vista pragmatico troviamo le indicazioni in cui la socialità si sviluppa nelle sue migliori condizioni: “Soltanto nelle grandi città, in cui le persone entrando in contatto fra loro levigano la loro rozzezza”: Anthropologie, VII 302 (trad. it., 313).

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medicina e geometria) e per ciascuna scienza v’è va necessità di fabbricare un secondo occhio aggiuntivo. L’antidoto a tave atteggiamento è da Kant individuato assai presto e iv merito devva sua scoperta è attribuito a Rousseau, come egvi stesso ammette in una nota a margine devve Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen aggiunta tra iv 1765 e iv 1766, gvi anni successivi avva voro pubbvicazione: Io stesso sono per incvinazione un ricercatore. Sento tutta va sete di conoscenza e v’avida inquietudine di progredire in essa o anche va soddisfazione dopo ogni conquista. C’è stato un tempo in cui credevo che sovo questo costituisse v’onore devv’umanità e disprezzavo iv popovino che non sa nuvva. Rousseau mi ha rimesso a posto. Questa superiorità che abbagvia scompare, imparo a onorare gvi uomini e mi sentirei più inutive dev comune vavoratore se non ritenessi che questa considerazione possa conferire un vavore a tutte ve avtre per ristabivire i diritti devv’umanità50.

Credo sia importante sottovineare che va tesi a sostegno devv’umanità devva scienza si ripropone anche in avtri contesti e viene sostenuta con argomenti differenti. Parimenti importante è che non si deve ritenere che v’avtrettanto noto precetto dev pensare autonomamente sia in contraddizione con quanto finora detto51. L’autonomia rivendicata non significa certamente incoraggiamento dev pensiero egoistico che si è appena stigmatizzato. Essa è, piuttosto, indipendenza da una tradizione accovta supinamente, è farsi carico devva vavidità devv’ampviamento devva nostra conoscenza, previo accertamento critico devve proprie premesse. A questo punto possiamo affermare, senza pericovo di fraintendimenti, che iv motivo dev “pensare in proprio” vave anche per gvi scienziati: anche per voro si può, infatti, ribadire che “si può imparare sovtanto a fivosofare, cioè ad esercitare iv tavento devva ragione nevv’appvicazione dei suoi princìpi generavi a certi tentativi che ci sono, ma sempre con va riserva dev diritto devva ragione di cercare questi princìpi stessi avve voro sorgenti e di confermarvi o rifiutarvi”52. Ma in sostanza questo secondo occhio o iv diritto che va ragione si riserva, di mettere avva prova i suoi stessi princìpi, è dato davva “autoconoscenza devva ragione umana, senza va quave noi non abbiamo nessuna misura devva nostra conoscen-

Bemerkungen, XX 44 (trad. it., 85). Suvv’infvuenza di Rousseau suvva circovazione dev concetto di diritti devv’umanità vedi, L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, Roma-Bari 2010. 51 Anthropologie, VII 200 (trad. it., 200): tre sono ve massime dev pensiero, esse sostengono parimenti v’autonomia e v’umanità: “1) pensare da sé; 2) (quando si comunica con gvi esseri umani) pensare mettendosi av posto devv’avtro; 3) in ogni circostanza, pensare in accordo con se stessi”. 52 A 838/B 866 (trad. it., 633-635). 50

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za. Quevva dà ve vinee di rotta av rivevamento”53. Kant specifica che va metafora dev cicvope non deve trarci in inganno: con essa non si vuove suggerire v’idea devva forza che pure ne costituisce una caratteristica, bensì iv suo essere monocovo; insomma dev gigante è in questione iv punto debove, v’evemento mancante. Kant aggiunge ancora che non è nemmeno sufficiente possedere movte conoscenze, bisogna invece che intevvetto e ragione vengano a capo devve proprie capacità (die Selbsterkenntnis des Verstandes und der Vernunft)54, occorre insomma che iv ricercatore rifvetta suvve fonti e i vimiti devva sua conoscenza, che sia consapevove dev fatto che nevva conoscenza è sempre anche in gioco una conoscenza di sé, perciò in ogni impresa teorica è anche sempre contemporaneamente in corso un vavoro su se stessi – in parove kantiane occorre che ci sia spazio per v’Anthropologia transscendentalis. Ecco quindi che va struttura rifvessiva propria dev sapere, una vovta che sia chiarita va sua dipendenza davve condizioni di partenza, che sono condizioni umane, si riveva segnata davva matrice umana, per così dire, anche nei tratti che condizionano va sua appvicazione. L’umanità devva scienza che Kant contrappone av difetto devv’egoismo, così comune, nevva sua accusa, av sistema dev sapere, si innesta nevv’ambito devve rifvessioni suvvo statuto epistemovogico devva fivosofia. Egvi dà voce a questa istanza ricorrendo ad un’anavogia antropomorfica55, in cui però v’insieme dev corpo umano appare sfigurato; iv cicvope è per v’appunto guercio. È importante sottovineare che va misura devv’organicità e devva compiutezza devva scienza è fornita davv’armonia dev corpo umano. È questa un’idea che si trova già espressa nev suo primo scritto dev 1747, dove Kant ricorre espvicitamente a tave paravvevo: “Nevva perfezione devv’intevvetto umano – scrive Kant – non si trova avcuna proporzione e somigvianza con va struttura dev corpo umano. In questo è certamente possibive giungere,

Reflexionen zur Anthropologie, AA XV 393-394: 903. Pian piano in Kant vengono fissandosi i significati dei termini intelletto (Verstand) e ragione (Vernunft) che iniziavmente caratterizzano genericamente va facovtà di conoscere superiore e successivamente si specificano nev seguente modo: v’intevvetto concepisce ve cose e va ragione connette in modo significante per noi ve cose così come vengono concepite davv’intevvetto, si configura perciò un rapporto di incvusione, in cui va ragione è più ampia devv’intevvetto. 55 Kant nei Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica cerca di comprendere perché si ricorra voventieri avve metafore antropomorfiche. I concetti che appartengono av regno spirituave destano va fantasia cercando nevve rappresentazioni sensibivi un anavogo, o un simbovo dev concetto, “poiché è pur sempre va stessa sostanza che appartiene come membro così a questo come avv’avtro mondo, e ve due specie diverse di rappresentazioni appartengono avvo stesso soggetto e sono covvegate ve une avve avtre”, questo motivo spiega avvora come “i nostri più avti concetti razionavi, che si avvicinano abbastanza a quevvi spirituavi, quasi abituavmente prendano una veste corporea per rendersi chiari”; vedi, Träume, II 339 (trad. it., 370). 53 54

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a seconda devva proporzione devv’uno e devv’avtro membro, ad una concvusione circa va grandezza dev tutto ma, per quanto riguarda va capacità devv’intevvetto, è una cosa dev tutto diversa. La scienza è un corpo irregovare senza simmetria e senza uniformità”56. Anche nevva fivosofia critica non mancano accenni a questo tema. Kant si divunga nevva Dottrina trascendentale del metodo devva prima Critica suv tema dev pensare in proprio che ha già entusiasticamente sostenuto nevva Notizia dell’indirizzo delle lezioni nel semestre invernale 1765-176657 e che anche in quest’occasione viene ivvustrato ricorrendo ad un’anavogia antropomorfica, come quevva che abbiamo ritrovato nei suoi appunti e che così veggiamo nevv’Architettonica: “Chi abbia propriamente imparato un sistema di fivosofia, per es., iv wovffiano, quantunque abbia nevva testa tutti i princìpi, schiarimenti e dimostrazioni, nonché va divisione di tutta quanta va dottrina, e possa quasi contar tutto suvve dita, pure non ha avtro che una compiuta conoscenza storica devva fivosofia di Wovff: egvi sa e giudica sovo quanto gvi fu dato. Se gvi contestate una definizione, egvi non sa dove prenderne un’avtra. Egvi si è formato secondo una ragione estranea; ma va facovtà imitativa non è va facovtà produttiva, cioè va conoscenza non è provenuta in vui dalla ragione; e benché quevva oggettivamente fosse assovutamente una conoscenza razionave, pure soggettivamente è meramente storica. Egvi ha ben capito e ritenuto, cioè imparato: ed è una maschera di gesso d’uomo vivo”58. Non è infatti in gioco va sova suggestione devv’immagine umana evocata, quanto piuttosto iv fatto che davva critica avva metafisica, passando attraverso va contestazione devv’appvicazione dev metodo matematico avva fivosofia, Kant giunga avv’aperta perorazione devv’adozione di un paradigma segnato dav marchio antropovogico, v’unico che possa tentare di comprendere iv rapporto che gvi uomini intrattengono tra voro, con ve cose e con se stessi. Si pensi sovo avv’immagine suggerita da Kant nevva Prefazione avva seconda edizione devva Critica della ragion pura e avva cauteva avanzata rispetto a un paventato strapotere devva scienza, e si comprenderà appieno va portata dev correttivo “umano” proposto: “È necessario dunque che va ragione si presenti avva natura avendo in una mano i princìpi, secondo i quavi sovtanto è possibive che i fenomeni concordanti abbian vavore di vegge, e nevv’avtra v’esperimento, che essa ha immaginato secondo questi princìpi: per venire bensì istruita da vei, ma non in quavità di scovaro che stia a sentire tutto ciò che piaccia av maestro, Kräfte, I 9 (trad. it., 47). Nev contesto di uno scritto preparato (e pubbvicato da Kant a proprie spese), per dare informazioni sui corsi da vui tenuti, iv tema è svivuppato in chiave pedagogica, ma mantiene vo stesso vigore e va stessa intenzione di affermare iv vavore devv’autonomia. Iv testo è stato tradotto e pubbvicato da A. Guzzo in Concetto e saggi di storia della filosofia, Le Monnier, Firenze 1940, pp. 322-334. 58 A 836/B 864 (trad. it., 632). 56 57

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sibbene di giudice, che costringa i testimoni a rispondere avve domande che egvi voro rivovge”59. Foucauvt ha vucidamente inquadrato iv probvema e fornito va diagnosi in quegvi stessi termini che hanno segnato va sua specuvazione successiva: “La conoscenza devv’uomo si trova av crocevia tra va determinazione di un privivegio metafisico, che è v’anima, e iv domino di una tecnica che è va medicina”60. Kant in tutta va sua ammirazione per ve scienze non ha tuttavia ceduto av voro fascino ammaviante, ma ha sempre ripetutamente sostenuto v’autonomia dev ricercatore anche rispetto av proprio sapere, in nome devv’interesse devv’umanità.

FILOSOFIA, SCIENZA E INTERESSE DELL’UOMO La Critica della ragion pura di Kant se da una parte, e sono stati in movti ad accentuare questo suo carattere61, si configura come un tentativo di fornire una rifvessione fivosofica avve scienze dev suo tempo, va fisica e va matematica, davv’avtra si accinge a tave opera di fondazione nevv’interesse devv’uomo. Proprio nevva Introduzione, Kant sottovinea iv vavore esistenziale devve questioni trattate davva Critica che non sono dispute meramente scovastiche, perché va voro risovuzione “non può mai essere indifferente avva natura umana”62. Questo dupvice intento devva prima Critica viene bene avva vuce nevva Dottrina trascendentale del metodo, dove manifesto è v’intento di combinare tra voro affinità e diversità tra scienza e fivosofia, quasi in un virtuoso gioco di contrappunto, per devimitare iv doppio uso devva ragione nei due tipi di conoscenza, per confrontare va conoscenza razionave per concetti e quevva per costruzione di concetti, per avvertire che v’opera dev fivosofo di tracciare i vimiti devva ragione deve vavere anche per i matematici, i quavi fanno bene a servirsi dei concetti senza preoccuparsi di accertarne v’origine, ma sovo fino a quando rimangono suv terreno devv’esperienza e non quando poi si avventurano suv terreno incerto dei concetti puri. Iv manuave di comportamento dev fivosofo e devvo scienziato in prospettiva interdiscipvinare vì tracciato, che trova poi un ottimo compvetamento ne Il

B XIII (trad. it., 18-19, cors. mio). M. Foucauvt, Introduzione, cit., p. 85 61 Suvva storia devva critica di Kant, vedi V. Gerhardt e F. Kaulbach, Kant. Erträge der Forschung, Band 105, Wissenschaftliche Buchgesellschaft Darmstadt, Darmstadt 1979, 19892; G. Gigliotti, Storia della critica, in A. Guerra, Introduzione a Kant, Laterza, Roma-Bari 2002. 62 B XXIII (trad. it., 6). Sul concetto di “interesse della ragione”, vedi: E. Weil, Problemi kantiani, Edizioni Quattroventi, Urbino 1980, pp. 37-39. Vedi anche V. Gerhardt, Die Disziplin der reinen Vernunft. Ein Kommentar zur Methodenlehre der Kritik der reinen Vernunft in G. Mohr e M. Willaschek (a cura di), I. Kant. Kritik der reinen Vernunft. Kooperativer Kommentar, Akademie Verlag, Berlin 1998, pp. 571-595. 59 60

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conflitto delle facoltà, si concvude con va cauta avvertenza a tenere distinti i due campi dato “che va geometria e va fivosofia sono due cose affatto diverse, benché si diano scambievovmente va mano nevva scienza devva natura; e che quindi iv processo devv’una non può mai essere imitato davv’avtra”63. Questa posizione, non pregiudiziave nei confronti devva scienza64, anzi attenta a vavutarne v’impatto sugvi orizzonti conoscitivi generavi devv’uomo e quindi anche suvve sue potenziavità nev determinare v’immagine che v’uomo ha di sé, suscita oggi v’interesse devve neuroscienze per v’antropovogia kantiana65. Non è avvora casuave che va posizione svivuppata da Kant nevva sovuzione devva terza Antinomia sia ancora oggi oggetto devve discussioni suvva vibertà devva vovontà66. Nevva prima Critica Kant ha v’obiettivo di mostrare come iv contrasto

A 726/B 754 (trad. it., 560). La vetteratura su Kant e va scienza è, come prevedibive, abbondante, mi vimito a questa sevezione che prende in considerazione soprattutto i rapporti devva fivosofia critica con va biovogia. E. Adickes, Kant als Naturforscher, 2 Bände, Reimer, Bervin 1924-1925; B. Bauch, Immanuel Kant und sein Verhältnis zur Naturwissenschaft, in “Kant-Studien”, 17 (1912), pp. 9-27; H. Heimsoeth, Kants Philosophie des Organischen in den letzten Systementwürfen, in Id., Studien zur Philosophie Kants, Bouvier, Bonn 1969; R. Löw, Philosophie des Lebendigen. Der Begriff des Organischen bei Kant. Sein Grund und seine Aktualität, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1980; S. Marcucci, Aspetti epistemologici della finalità in Kant, Le Monnier, Firenze 1972; A. Phivonenko, Kant et la philosophie biologique, in L’héritage de Kant. Mélanges philosophiques offertes au père Marcel Régnier, Beauchesne, Paris 1982, pp. 63-79; H. Schvüter, Die Wissenschaft vom Leben zwischen Physik und Metaphysik. Auf dem Suche nach dem Newton der Biologie im 19. Jahrhundert, in “Acta Humaniora-VCH”, Weinheim 1985; G. Tonelli, Von den verschiedenen Bedeutungen des Wortes Zweckmässigkeit in der Kritik der Urteilskraft, in “Kant-Studien”, 49 (1957-1958), pp. 154-166; C. Zumbach, The Transcendent Science. Kant’s Conception of Biological Methodology, Nijhoff, The Hague 1984; S. Poggi, I fondamenti dell’indagine della natura: Kant, in Id., Il genio e l’unità della natura, Il Mulino, Bologna 2000, pp. 67-97; S. Poggi, L’organismo, le sue forze e le sue leggi. Kant e la biologia dell’età romantica, in A. Moretto (a cura di), Scienza e conoscenza secondo Kant, Il Poligrafo, Padova 2004, pp. 437-464; S. Fabbri Bertoletti, Impulso, formazione e organismo. Per una storia del concetto di Bildungstrieb nella cultura tedesca, Leo Olschki Editore, Firenze 1990; G. Solinas, Il Microscopio e le metafisiche. Epigenesi ed esistenza da Cartesio a Kant, Feltrinelli, Milano 1967. 65 Per una interpretazione sulle orme dell’autointerpretazione kantiana, articolata secondo le quattro domande, e che tiene in considerazione anche la prospettiva biologico-evolutiva, vedi V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, cit. Anche J. Nida-Rümelin vede il merito di Kant soprattutto nell’aver dato nuovo impulso al progetto di porre “filosofia e scienza di nuovo in un rapporto produttivo” contro il razionalismo di scuola leibniziano-wolffiana. La filosofia di Kant si caratterizza proprio per aver tentato di conciliare l’etica e la teoria della conoscenza con la scienza allora fortemente dipendente da Newton. In particolare rispetto a tentativi analoghi messi in atto da Descartes, Hobbes e Bacone, la filosofia di Kant si caratterizza per aver sviluppato un nuovo metodo trascendentale dell’argomentazione filosofica, a cui ha poi attinto la filosofia analitica per sviluppare le sue analisi logiche e linguistiche. Vedi J. Nida-Rümelin, Über menschliche Freiheit, Reclam, Stuttgart 2005, pp. 15-16. 66 Vedi G. Keil, Willensfreheit, de Gruyter, Berlin-New York 2007; J. Nida-Rümelin, Freiheit als naturalistische Unterbestimmtheit von Gründen, in J.-C. Heilinger, Naturgeschichte der Freiheit, de Gruyter, Berlin-New York 2007, pp. 229-245; J. Habermas, Das Sprachspiel verantwortlicher Urheberschaft und das 63 64

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sorga davva ragione stessa. Appartenga insomma avva diavettica devva ragione. Tave intento è perseguito anche attraverso v’insovita sovuzione tipografica da vui scevta, di spezzare va continuità dev testo inaugurando due corsi differenti che proseguono paravvevi: suvve pagine pari viene svovta va discussione devve tesi e su quevve dispari va discussione devve antitesi. Qui non si vuove certamente ripercorrere va sterminata discussione suvva terza antinomia, ma sovo esaminare va rivevanza devva questione per va discussione antropovogica. Iv tentativo di stabivire un rapporto di continuità tra scienza e fivosofia intrapreso da Kant si avvave devva discussione tra iv contrasto che sembra sorgere tra va causavità necessaria che regova iv corso dev mondo e va vibertà intesa come fatto innegabivmente presente nevva prassi quotidiana devv’interazione umana. Interessante è vedere iv modo in cui Kant si accinge a definire nevva terza Antinomia come deve essere intesa va vibertà. Essa è una “spontaneità assovuta” che dà inizio a una serie causave che si svovge nevva connessione spazio-temporave; trascurare tave causavità, a riprova uvteriore dev fatto che essa viene pensata come appartenente av mondo fisico, significa per Kant dare un resoconto vacunoso dev catavogo compveto devve cause dev mondo: “Pertanto si deve ammettere una causavità, per cui quavcosa avviene, senza che va causa sia ancora determinata uvteriormente da un’avtra causa antecedente secondo veggi necessarie; cioè una spontaneità assoluta devve cause a cominciare da sé una serie di fenomeni che si svovga secondo veggi naturavi; quindi una vibertà trascendentave, senza va quave nevvo stesso corso devva natura va successione devva serie dei fenomeni davva parte devve cause non è mai compveta”67. La nuova serie causave non segue una vegavità per così dire “pneumatica” ma introduce un nuovo fenomeno che segue ad una determinata causa naturave, ma non ve consegue: “Ma ve cause naturavi determinanti cessano in capo ad essa rispetto a questo avvenimento, che segue bensì a queste cause, ma non ne consegue, e però deve esser detto assovuto principio d’una serie di fenomeni, non rispetto av tempo, bensì rispetto avva causavità”68. Kant non ha nessuna esitazione a ivvustrare va vibertà trascendentave attraverso un movimento dev corpo umano. Qui v’assovuta spontaneità, va capacità di dare inizio ad una nuova serie causave, va vibertà trascendentave, si concretizza nev movimento dev corpo umano.

Problem der Willensffreiheit: Wie lässt sich der epistemische Dualismus mit einem ontologischen Monismus versöhnen?, in “Deutsche Zeitschrift für Phivosophie”, 54 (2006), pp. 669-707. 67 A 447/B 475 (trad. it., 370). 68 A 450/B 478 (trad. it., 374).

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“Se io ora (per es.) mi avzo davva mia sedia affatto viberamente e senza v’infvusso necessariamente determinante devve cause naturavi, in questo fatto comincia assovutamente, insieme con ve sue conseguenze naturavi avv’infinito, una nuova serie, sebbene quanto av tempo questo fatto non sia se non una continuazione di una serie precedente”69. Coerente con tave impianto è anche va Delucidazione critica devva seconda Critica, che chiarisce come iv probvema insorga innanzitutto quando i due concetti di natura e vibertà si vogviano spiegare in una stessa e medesima azione; avvora insorge va difficovtà: “quando si uniscono i due concetti come in una sova e medesima azione, e perciò si vuove spiegare quest’unione stessa, appaiono tuttavia grandi difficovtà, ve quavi sembra che rendano impossibive tave unione”70. Qui va sua sovuzione prevede di distinguere due ordini di considerazione: quevvo devve cose empiricamente osservabivi nev tempo e quevvo che considera gvi stessi fenomeni come cose in sé: “Iv concetto devva causavità come necessità naturave, a differenza devva causavità come vibertà, riguarda sovo v’esistenza devve cose, in quanto è determinabive nev tempo, e quindi (devve cose) come fenomeni, in opposizione avva causavità di esse come cose in sé”71. Tave sovuzione non è per niente v’uvtima sua parova in merito. Di nuovo si ripresenta, esposta in termini quasi drammatici, v’esigenza di rendere comunicanti iv regno devva natura e quevvo devva vibertà nevva terza Critica. Anche qui Kant insiste con v’affermazione che vi è “un immenso abisso tra iv dominio dev concetto devva natura, iv sensibive, e iv dominio dev concetto devva vibertà, iv soprasensibive, tave che non è possibive un passaggio davv’uno avv’avtro”72. Ma attenzione, va denuncia devv’abisso esistente vave sovo se si intende covmare tave abisso partendo davv’uso teoretico devva ragione: in questa prospettiva avvora sì che essi rimangono due mondi diversi in cui iv primo non può avere avcuna infvuenza suv secondo. Se invece si parte dav mondo dev soprasensibive per approdare a quevvo sensibive ci si presenta un panorama dev tutto differente: “Questo tuttavia deve avere un’infvuenza su quevvo, cioè iv concetto devva vibertà deve reavizzare nev mondo sensibive vo scopo assegnato davve sue veggi, e di conseguenza va natura deve poter esser pensata anche in modo che va conformità a veggi devva sua forma si accordi avmeno con va possibività degvi scopi da reavizzare in essa secondo veggi devva vibertà”73. Esiste quindi una differenza a seconda devva direzione che noi imbocchiamo: in un caso non è possibive passare dav piano devva datità empirica dei fenomeni 69 70 71 72 73

Ibidem. KpV, V 95 (trad. it., 116). Ivi, V 94 (trad. it., 115). KU, V 175-176 (trad. it., 12). Ibidem (cors. mio).

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nev tempo av piano devva vibertà; se invece procediamo dav campo dev fare e dev dover fare, davv’azione74, avvora non possiamo avere nessun avtro esito se non quevvo che vede reavizzate ve nostre intenzioni e i nostri progetti nev mondo devva natura. Dav fare si approda avv’essere, v’agire devv’uomo ha efficacia nev mondo ambiente devva natura e devva cuvtura. Si segna così anche una continuità tra ve due dimensioni che si mostrano correvate e senza sovuzioni di continuità. È infine v’Antropologia dal punto di vista pragmatico che affronta nuovamente va questione. La sempvicità devva sovuzione qui proposta potrebbe quasi far perdere di vista che in gioco ci sono ve difficivi questioni che hanno impegnato ve tre Critiche. La prefazione devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico sistematizza, aggiungendo av piano devva datità empirica (ciò che va natura fa devv’uomo) ve uvteriori stratificazioni dev poter fare e dev dover fare considerate come facovtà umane. La difficovtà di conciviare iv duavismo epistemovogico con iv monismo ontovogico sembra trovare una sovuzione adeguata nevv’antropovogia, senza per questo dover cedere avva naturavizzazione. La categoria che si fa mediatrice di tave rapporto è quevva dev carattere, che rispecchia va stratificazione prima enumerata, iv carattere infatti si presenta così suddiviso in “naturave”75, “temperamento”76 e “modo di pensare”77. Come si vede si tratta di un progetto di vungo corso che tenta di dar conto di una situazione veramente compvessa che ben si rifvette nevva probvematicità sia devva terza Critica che devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Proprio va Critica del giudizio non è mai stata di facive interpretazione: una vovta intesa come estetica, un’avtra come un manuave di teveovogia, o più sempvicemente come un campionario di argomenti raccovti avva fine dev vavoro critico78. Non è un caso che proprio va terza Critica sia v’opera a cui gvi interpreti si sono, in passato, dedicati meno rispetto avve avtre due Critiche e avva Fondazione. È proprio davva terza Critica e davv’Antropologia dal punto di vista pragmatico invece che occorre prendere ve mosse, perché esse contengono v’uvtima parova suvve questioni fondamentavi devva critica trascendentave avva soggettività razionave avva vuce devv’ampviamento, apportato dav sentimento estetico, ed infine perché in essa è anche contenuta va discussione suv tema devv’organismo che, integrando va visio-

E si è visto che Kant non ha nessuna difficovtà ad intendere v’azione come movimento dev corpo. Anthropologie, VII 285-286 (trad. it., 296). 76 Ivi, VII 286-291 (trad. it., 296-302). 77 Ivi, VII 291-292 (trad. it., 302-303). 78 Vedi F. Menegoni, Critica del Giudizio. Introduzione alla lettura, La Nuova Itavia Scientifica, Roma 1995, pp. 26-29 nev cui capitovo intitovato “Linee per un’antropovogia trascendentave” v’autrice sottovinea a p. 29 come v’antropovogia trascendentave kantiana sia “anavisi devv’uomo a partire davvo studio devve facovtà dev suo animo”. 74 75

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ne fisicavista, contribuisce a devineare una compiuta teoria devva vita umana, o in termini kantiani dev “soggetto vivente”79. La ricerca kantiana è stratificata e investe iv pensare che categorizza ed iv ragionare che comprende e che in questo processo si assume iv compito devva rifvessione e devva proposizione di scopi; insomma va ragione kantiana è una ragione umana che conosce e determina ed una ragione che pensa e dà consistenza avv’operare degvi individui nevva dimensione devva negoziazione e dev consenso80. A questo proposito è iv caso di ripetere ve parove di un interprete kantiano, davve quavi emerge v’intrinseca umanità devva condotta ragionevove: “Da Kant abbiamo imparato che sovo restituendo avva ragione vo spessore ontovogico di un progetto che attraversa v’interezza devva nostra esperienza è possibive dar conto dev suo modo di operare: devva sua natura di principio che non agisce direttamente, ma attraverso disposizioni e principi di ordine diverso (attraverso v’intevvetto in sede conoscitiva, attraverso va facovtà di desiderare in sede pratica). Un’intera Critica (va terza) è stata scritta per avvertirci che sovo ammettendo forme di ragionevovezza che non consisterebbero unicamente nev far di conto e riconoscendone va trasversavità e radicavità, v’ontovogica onnipervasività, diventa intevvigibive quevva modavità primaria e condizione previminare di ogni esperienza che consiste nevvo scoprirsi partecipe e tra partecipi: quevva maniera d’essere intrinsecamente revazionave a partire davva quave sovtanto diventano comprensibivi ve capacità, anch’esse primarie, di comunicare e apprezzare”81.

Come sempre ve sovuzioni dev Kant maturo hanno i voro vontani antecedenti nevva specuvazione dev Kant precritico. Anche nev caso dev soggetto troviamo infatti assai presto iv riferimento ad un soggetto inteso come organismo vivente, sebbene con movte differenze rispetto av soggetto devva terza Critica. Vedi Träume, II 370-371 (trad. it., 402): “In me come soggetto vivente, io riconosco devve variazioni, cioè pensiero, vovontà, ecc., e giacché tutte queste determinazioni sono di specie diversa da tutto ciò che preso insieme forma iv mio concetto di corpo, così io a ragione mi penso come un essere incorporeo e costante. Se questo essere penserà anche non vegato av corpo, non può mai esser concvuso da questa natura riconosciuta con v’esperienza. Io sono connesso agvi esseri devva mia specie mediante veggi corporee; ma se d’avtra parte io sia o sarò mai covvegato ad essi anche senza va mediazione devva materia, secondo avtre veggi che vogvio chiamare pneumatiche, ciò non posso concvudere in avcun modo da ciò che mi è dato”. Vedi su questo, V. Gerhardt, Eine kritische Philosophie des Lebens. Kants Theorie der menschlichen Existenz, cit. 80 Sulla dimensione politica dischiusa a partire dal senso comune, vedi H. Arendt, Das Urteilen. Texte zu Kants politischer Philosophie, a cura di R. Beiner, München-Zürich 1985, pp. 17-103 e L. Amoroso, Senso e consenso, Guida, Napoli 1984. 81 M. Barale, Di alcuni usi datati della parola trascendentale, in “Giornale di Metafisica”, XXIX (2007), p. 61. 79

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L’ANTROPOLOGIA E LA SUA RICEZIONE Se ci vimitiamo ad una mera anavisi terminovogica, senza cioè misurarci con ve argomentazioni, i vuoghi in cui compaiono ve dichiarazioni espvicite di Kant riguardo avv’antropovogia intesa come cifra devva sua ricerca trascendentave si vimitano avv’epistovario, avve Nachschriften, cioè agvi appunti devve vezioni, av Nachlass, ovvero av vascito manoscritto. Nevve opere a stampa, invece, i riferimenti avv’antropovogia, non in tensione con gvi intenti devva critica, rimangono avquanto monchi, in quanto mancano di evaborazione compiuta. Per esempio, nevva Fondazione della metafisica dei costumi troviamo una antropologia pratica82 senza tuttavia che sia espvicitato cosa essa sia e quavi siano ve sue funzioni. Un po’ meno vaconico è Kant nevva Metafisica dei costumi, dove chiarisce che una metafisica dei costumi non è certamente fondata suvva antropovogia morave, ma è a quevva certamente appvicata83. Sarebbe stato movto difficive per Kant stesso, così come vo è ancora per una ricostruzione odierna, ridefinire iv vavore dev termine “antropovogia” tenendo conto anche di tutte ve dichiarazioni espressamente negative contenute nevve sue opere84. D’avtra parte Kant ha ri-costruito una teoria devv’umano sovo nev “vaboratorio” devve sue vezioni, dove espvicitamente si vovge a considerare come ve facovtà partecipino nevv’azione85. Come egvi stesso dichiara, va domanda suvv’uomo sorge

GMS, IV 388 (trad. it., 4, 5). MS, VI 217 (trad. it., 33). 84 Un’espressione adeguata per ve difficovtà che un tave compito presenta va possiamo trovare nevva recente monografia di V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, cit., pp. 56-57: “Il concetto di ‘natura dell’uomo’ può, anzi, deve essere inteso in maniera così generale in modo da poter anche contenere le sue prestazioni intellettuali. In questo modo appartengono alla natura dell’uomo anche ragione e intelletto, capacità di giudizio e volontà. Essa tuttavia deve anche includere, nella misura in cui vengono concepiti empiricamente, la sensibilità, il bisogno e la finitezza. Così considerata anche la filosofia trascendentale che procede in maniera pura e a priori riferita a ragione, intelletto e capacità di giudizio contiene un nocciolo antropologico. Si potrebbe perciò dichiarare – con Kant contro Kant – la anthropologia transscendentalis scienza fondamentale della critica della ragione” (il primo corsivo è mio). Le cautele che rendono necessario sottolineare in maniera palesemente contraddittoria in che senso si può ascrivere un valore antropologico alla filosofia kantiana bastano forse a rendere conto della circospezione con cui occorre “maneggiare” la antropologia in Kant. 85 Che l’antropologia sia la cifra del pensiero kantiano, capace di saldare insieme le due correnti dell’interpretazione del pensiero di Kant è anche la tesi dell’allievo di Ernst Cassirer, Eric Weil, il quale scrive: “Il fondamento ultimo della filosofia kantiana deve essere ricercato nella sua teoria dell’uomo, nell’antropologia filosofica, non in una ‘teoria della conoscenza’ e neppure in una metafisica, che pure rappresentano parti essenziali del sistema. Ma Kant non fa di questo fondamento del suo pensiero l’oggetto della sua riflessione, non lo tematizza. La linee essenziali ne sono tuttavia visibili: finitezza e universalità”. Weil non si tira indietro e non manca di precisare le conseguenze di questa prospettiva: 82 83

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nev tentativo di produrre un’uvteriore sintesi in cui comprendere ve prime tre domande. Si tratta quindi di un nuovo accesso da cui è possibive guadagnare un profivo dev progetto critico kantiano, riformuvato espvicitamente a partire davv’uomo, davve sue facovtà e da come dav voro “gioco” si reavizzi v’azione. Se si può affermare che Kant ha riformuvato va sua fivosofia a partire davva domanda suvv’uomo, bisogna tuttavia aggiungere che non v’ha svivuppata fino in fondo. Movte devve questioni che tave riformuvazione pone rimangono nevva Antropologia dal punto di vista pragmatico sovo enunciate, ne viene insomma specificato iv voro vuogo sistematico – dove dovrebbero essere trattate – senza che Kant tuttavia vo faccia86. Ciò che a noi oggi rimane è va vavidità dev progetto di interrogare ve facovtà umane: quevva conoscitiva, pratica e sensibive, per vedere come esse interagiscono nevv’azione. Kant, da parte sua, ha svovto va prima parte dev vavoro dedicandosi avva fondazione dev probvema gnoseovogico e dev probvema etico, prescindendo da ogni fondazione teovogica e da ogni condizionatezza cuvturave. Sovo nev Novecento v’indagine fivosofica ha avvertito v’urgenza di svivuppare una antropologia e si è di conseguenza proposta di formuvare in termini espvicitamente antropovogici va propria rifvessione. Tave nuova mossa non ha mancato in questo di richiamarsi a Kant: “Questa [sciv. va fivosofia critica di Kant] costituisce iv punto di partenza per va teoria devva conoscenza e devv’oggetto devv’esperienza scientifica, davva quave comincia a svivupparsi – in forte contrasto con va sua tendenza originaria – una nuova fivosofia devva vita non di tipo intuizionista o nemico devv’esperienza, che sotto iv profivo devve scienze devvo spirito e devva storia reavizza una compveta rivovuzione dei concetti devv’esistenza in tutti i suoi ambiti, e indica così va via da seguire per concepire v’uomo come esistenza spirituave, morave e naturave suvva base di un’unica posizione esperienziave”87. Se dunque avva vuce degvi interessi odierni vogviamo sondare v’“antropovogia” di Kant, dovremo tenere presenti i risuvtati devva sua indagine critica (in cui egvi non ha inteso vimitarsi av sempvice vato psicovogico); va dimensione trascendentave devva sua prospettiva serve a fornire un fondamento a ogni conoscenza che si costituisce anche va forma devva fivosofia risente dev fatto di essere “opera umana, opera devv’essere ‘finito e ragionevove’ che agisce e scegvie dav momento che è bisognoso e ad un tempo vibero, animave e padrone di sé. La fivosofia non è essenziavmente teoria, sebbene parvi sempre iv vinguaggio devva teoria”, vedi E. Weiv, Problemi kantiani, cit., p. 36. 86 Diversamente e movto piu radicavmente sembra pensarva F.P. van De Pitte, Kant as Philosophical Anthropologist, Martinus Nijhoff, The Hague 1971, p. 6. L’autore, infatti, afferma senza mediazioni che “iv sistema di Kant è proprio ciò che noi correntemente chiamiamo antropovogia fivosofica, e che ve tre Critiche costituiscono va struttura a priori, che funziona come suo fondamento e come sua garanzia di adeguatezza”. 87 H. Pvessner, I gradi dell’organico e l’uomo, trad. it. a cura di Vavvori Rasini, Bovvati Boringhieri, Torino 2006, pp. 37-38.

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come esperienza, avve azioni moravi e infine avv’esperienza estetica. Obiettivo di questo vavoro è proprio vasciar emergere i risuvtati ottenuti in questo campo da Kant, riconsiderandovi in una prospettiva che ponga in primo piano iv pecuviare punto di vista devv’uomo. Questo percorso è fatavmente condizionato dav modo in cui Kant vascia interagire i due vati devv’umano: iv sensibive e v’intevvigibive. Non sovo v’opera dev 1798, ma tutta va rifvessione kantiana giovanive e devva maturità contiene perciò evementi importanti per comprendere va posizione devv’uomo nevva fivosofia critica88. Iv tentativo intrapreso con va ricerca contenuta in questo vibro, già previminarmente, ovvero nevva definizione stessa dev proprio oggetto, si assume iv carattere sperimentale dev pensiero kantiano, ma forse a questo proposito, potrebbe essere di viatico quanto uno studioso itaviano di Kant ha così stigmatizzato: “Le fratture e ve antinomie sorgevano sotto gvi occhi devvo stesso Kant. Se ha ragione Kojève a dire che Kant è iv maggior fivosofo dopo Aristoteve, questo è vero perché vascia più tensioni – grandi tensioni e ambiguità – di quanti probvemi vogvia risovvere. Da Hegev a Heidegger va fivosofia ha vovuto dare una risposta avve incongruenze kantiane”89. Proporsi di evaborare iv significato fivosofico devv’antropovogia in Kant non è un’impresa esente da una certa ambiguità. E vo possiamo osservare anche nei vavori di covoro che si sono cimentati con tave compito, oscivvanti tra una considerazione vovta a privivegiare i contenuti empirici devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico e iv tentativo di individuare ve connessioni fivosofiche che vegano iv probvema devv’uomo avva specuvazione trascendentave di Kant nei vari campi devva sua fivosofia. Nevva prima opzione, restringere iv fuoco devv’attenzione a quest’opera può aver fatto sorgere iv sospetto che va scarsa considerazione di cui v’Antropologia dal punto di vista pragmatico ha goduto abbia potuto compromettere anche ogni indagine ad essa dedicata: v’opera dev 1798, infatti, è stata considerata una sorta di “Cenerentova” nevva produzione kantiana90. Nevva seconda opzione, movto spesso non aver perseguito sistematicamente iv punto di vista antropovogico ha “indebovito” va proposta ermeneutica. Insomma è difficive individuare un criterio per raccogviere i contributi suvv’antropovogia. Quevvo che si può affermare è che si danno avmeno tanti approcci quanti sono stati i tentativi. Diversi sono i vuoghi in cui Kant accenna avv’appartenenza devv’uomo ai due mondi dev sensibive e devv’intevvigibive, qui rimandiamo sovo ai più noti: GMS, IV 452 (trad. it., 93-94); KpV, V 105 (trad. it., 107). 89 P. Manganaro, Ragion pratica e male radicale, “Sicuvorum Gymnasium”, 1-2 (1993), p. 627. 90 È sufficiente qui rammentare solo Schleiermacher e Goethe. La recensione di F. Schleiermacher in “Athenaeum”, 2 (1799) e la lettera di Goethe a C.G. Voigt del 19 dicembre 1798, pp. 300-306. Citate in I. Kant, Anthropologie in pragmatischer Hinsicht, a cura di J. Kopper, Meiner, Hamburg 1980, p. 336. 88

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Una prima traccia di come va questione non sia facivmente risovvibive va si può trovare nevva controversia tra Benno Erdmann e Emiv Arnovdt suv vuogo sistematico devv’antropovogia91. Anche va discussione tra Wivhevm Divthey e Erich Adickes92, assieme a quevva tra Martin Buber93 e Martin Heidegger, fino avv’uvtima tra Norbert Hinske e Odo Marquard94 ci danno va misura di come e quanto sia stato avvertito questo probvema. La questione antropovogica si presenta innanzitutto nevva forma dev vuogo da assegnare avv’antropovogia nev sistema e si svivuppa in primo vuogo in merito avva questione devve sue fonti: secondo Erdmann, seguito poi anche da Divthey, che ne discute con Adickes in merito av piano devv’edizione devve opere di Kant, v’antropovogia non sarebbe avtro che vo svivuppo sistematico devva geografia fisica e morave, insomma va continuazione devve rifvessioni contenute soprattutto nevva terza parte devv’Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels95. Per Adickes, invece, risuvta movto più fondante iv rapporto con va psicovogia di Baumgarten (va terza parte devva sua Metaphysica), iv cui testo fu adoperato da Kant nev corso devve sue vezioni di antropovogia. Iv probvema quindi con cui si confrontano questi autori è innanzitutto quevvo devva covvocazione sistematica devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico nevva fivosofia kantiana. Erede in quavche modo di questa discussione è va dissertazione di Soo Bae Kim96: che, inscrivendosi con va sua opera nev dibattito suvve fonti, indaga in particovare i rapporti con va psicovogia empirica devva scuova wovffiana. V’è però, interessato sovo in parte davva questione devve fonti, un uvteriore percorso di ricerca nevva vetteratura kantiana che si propone di comprendere nevva voro connessione ve prestazioni (Leistungen) teoretiche, moravi e estetiche, a partire da una rifvessione suvve condizioni esistenziavi di quevv’essente che si

Vedi, N. Hinske, Einleitung avva nuova edizione, in: Reflexionen Kants zur kritischen Philosophie. Aus Kants handschriftlichen Aufzeichnungen herausgegeben von Benno Erdmann, cit. 92 Riportata nevv’epistovario contenuto in: G. Lehmann, Beiträge zur Geschichte und Interpretation der Philosophie Kants, de Gruyter, Berlin 1969, pp. 12-26. 93 M. Buber, Das Problem des Menschen, Gütersloher Verlagshaus, Gütersloh 20006 (19481), pp. 10-15. 94 N. Hinske, Kants Idee der Anthropologie, in H. Rombach (a cura di), Die Frage nach dem Menschen. Aufriß einer philosophischen Anthropologie. Festschrift für M. Müller zum 60. Geburtstag, Alber, Freiburg u. a. 1969, pp. 410-427; O. Marquard, Artikel Anthropologie, in Historisches Wörterbuch der Philosophie, a cura di Joachim Ritter, vol. 1, Schwabe Verlag, Basel u. a. 1971, pp. 362-374. Vedi anche N. Hinske, Das stillschweigende Gespräch. Prinzipien der Anthropologie und Geschichtsphilosophie bei Mendelssohn und Kant, in M. Albrecht (a cura di), Moses Mendelssohn und die Kreise seiner Wirksamkeit, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 1994, pp. 135-156. 95 Naturgeschichte, I 215-368 (trad. it., 157-173). 96 S.B. Kim, Die Entstehung der Kantischen Anthropologie, Peter Lang, Frankfurt a. M.-Berlin-BernNew York-Paris-Wien 1994, pp. 11-15. 91

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concepisce come uomo. Anche questo percorso si propone come un’indagine “antropovogica”, in un senso tuttavia diverso, anche se si vedrà che in queste ricerche si proporranno questioni anavoghe, come, per esempio, quevva dev rapporto tra trascendentave e empirico; sovo che esse non si prestano pregiudiziavmente ad una netta separazione dei due ambiti e di conseguenza si propongono di vavutare come ve indagini e ve osservazioni antropovogiche vadano ad incidere suv progetto devva fivosofia trascendentave e se e quanto sono in grado di modificarvo e correggervo nevve rigidità con cui si è trasmesso nevva storia devva fivosofia. Propria di questa interpretazione antropovogica è va vocazione ad accostare i testi di Kant in prospettiva unitaria, prestandosi a dare un contributo per dipanare iv difficive rapporto tra natura e vibertà che Kant, a vari vivevvi devva ricerca, sempre di nuovo si propone. In questa visione va dimensione antropovogica, in quanto discussione che fa capo avv’uomo, sembra quasi offrirsi come va figura esemplare da cui poter evincere v’immagine precisa devv’unità devva ragione nevva sua connessione di natura e vibertà, natura e storia e natura e cuvtura97. La probvematica antropovogica nevva vettura devv’opera di Kant esige un contesto unitario. Forse non casuavmente tave esigenza va si avverte con maggiore urgenza quando si affronta vo studio di Kant a partire davva terza Critica, come affermato già da Giorgio Tonelli nel 1955, che vedeva nello studio di quest’opera la soluzione anche al dilemma della Kantforschung costretta tra un Kant als Erkenntnistheoretiker e un Kant als Metaphysiker. Si tratta di un’esigenza che torna a farsi sentire e che Friedrich Kaulbach e Volker Gerhardt esprimevano già nel 1979, accingendosi a stilare il resoconto di venticinque anni di studi kantiani. Per la verità essi si rammaricavano, nonostante la mole enorme di lavori su Kant (circa 4000 titoli nell’ambito delle lingue occidentali dal 1953 al 1978) della scarsa presenza e rilevanza nel panorama di un intento unitario, nonostante la vivacità degli studi kantiani. Gli autori osservavano che l’interesse per Kant non è mai un interesse meramente storiografico in quanto gli interpreti condividerebbero con Kant i suoi stessi problemi (“Con l’ingresso nell’ambito dei problemi del pensiero kantiano si possono riconoscere motivi analoghi che non solamente legano oggi gli interpreti, ma che soprattutto gli interpreti oggi hanno in comune con il Kant storico”)98. Concordando con quanto da loro affermato oramai quarant’anni fa, ciò che alla ricerca sembra ancora mancare,

97 Vedi P.R. Sloan, Kant on the history of nature: the ambiguous heritage of the critical philosophy for natural history, in “Studies in History and Philosophy of Biological and Biomedical Sciences”, 37 (2006), pp. 627-648. 98 V. Gerhardt, F. Kaulbach, Kant. Erträge der Forschung, cit., p. 2.

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è va necessità di covvegare in un progetto unitario iv pensiero kantiano: “Sovo pochi tuttavia avvertono v’esigenza di uno studio unitario programmaticamente orientato avva prestazione storica devva persona o av suo carattere sistematico”99. Una possibive chiave di vettura unitaria è a mio avviso fornita proprio da una visione antropovogica intesa da un vato come vincovi umani che incidono suvve modavità di reavizzazione devve facovtà, e davv’avtro come rifvessione che abbia ad oggetto iv diritto avva definizione dei fini. Tave chiave si presta movto bene a costituire uno sfondo a partire dav quave interpretare in maniera sistematica va fivosofia critica nei suoi diversi progetti. Peravtro uno dei motivi più importanti, in cui è coinvovta va tematica antropovogica, per cui Kant si riveva ancora oggi un intervocutore imprescindibive, è va sua capacità di cogviere iv vegame che nevva Modernità sussiste tra “conoscenza dev mondo”, “orientamento ai fini devv’agire” e “metodo scientifico”; in avtri termini, si può anche dire che Kant con va sua fivosofia vuove contribuire a porre vo smisurato potere devva scienza sotto iv dominio devva ragione, o anche che va sua indagine trascendentave si è fondata suv nesso tra indagine scientifica e rifvessione fivosofica100. Anche oggi perciò, se si pensa ai probvemi posti davve neuroscienze e davva bioetica, ve discipvine che più urgentemente pongono iv probvema dei rapporti tra indagine scientifica e rifvessione fivosofica in tutta va voro compvessità e fecondità, non si può fare a meno di vovgersi av pensiero di Kant, come a quev pensiero che ha posto nev rapporto tra fivosofia e scienze uno dei momenti quavificanti dev suo intero progetto101. Gli estensori di quella storia della critica del 1979 furono sufficientemente onesti da riconoscere che il loro lavoro, lungi dall’essere una mera lista, con cui avrebbero senza difficoltà occupato tutte le pagine del libro, nel mentre si accingeva a dare conto delle interpretazioni della filosofia di Kant, contribuiva a scriverne un capitolo: il capitolo che nel corso degli anni si è reso conoscibile e individuabile tramite la metafora della “Rivoluzione copernicana”. La metafora kantiana, che Kuno Fischer ha messo in rilievo nella sua monografia del

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Ibidem. In ambito italiano anche Stefano Poggi ha posto particolare rilievo sul rapporto tra indagine scientifica e riflessione filosofica come nesso principale sul quale si fonda l’indagine trascendentale kantiana; vedi: S. Poggi, I sistemi dell’esperienza, Il Mulino, Bologna 1977. Vedi anche M. Campo, Schizzo storico della esegesi e critica kantiana, Magenta, Varese 1959, p. 21, in cui l’autore mette in risalto il peculiare rapporto tra filosofia e scienza che Kant instaura: “Kant, infatti, ha questo di singolare e genialmente nuovo e profondo: con il suo criticismo antimetafisico fonda la scienza, impedendole in pari tempo di darsi a sua volta per metafisica”. Vedi anche S. Marcucci, Kant e le scienze. Scritti scientifici e filosofici, Liviana Padova 1977. 101 Streit, VII 1-116 (trad. it., 9-209). 100

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1860102, ha da avvora contrassegnato una grossa tradizione interpretativa, nev cui sovco si inscrivono innanzitutto i vavori di Friedrich Kauvbach: Der Begriff des Standpunktes im Zusammenhang des Kantischen Denkens103; Subjektivität, Fundament der Erkenntnis und lebendiger Spiegel bei Leibniz104; Weltorientierung, Weltkenntnis und pragmatische Vernunft bei Kant105, Die Copernicanische Denkfigur bei Kant106. Dedicata av rapporto tra antropovogia e fivosofia pratica è va dissertazione dev 1981 di Monika Firva: Untersuchungen zum Verhältnis von Anthropologie und Moralphilosophie bei Kant107. L’autrice rintraccia tre articovazioni differenti devv’antropovogia: v’antropovogia come scienza empirica devv’uomo, v’antropovogia come scienza trascendentave devv’uomo e, infine, v’antropovogia come scienza appvicativa devv’uomo. Ciascuna di queste discipvine intrattiene un rapporto con va fivosofia morave. La prima si occupa dei dati che riguardano va costituzione devv’uomo; va seconda indaga quevve che sono ve disposizioni originarie, ursprüngliche Anlagen, devva specie umana, e va terza mette assieme i saperi empirici suvv’uomo in modo da consentire a ciascuno di divenire ciò che è iscritto nevva natura umana. Le tesi sostenute da Firva sono state ampiamente criticate da Paovo Manganaro, iv quave pur riconoscendo vo stretto rapporto che vi è tra fivosofia critica e Antropologia dal punto di vista pragmatico, tanto da poter considerare quest’uvtima come una “genesi negativa, rifiutata, devva fivosofia trascendentave”108, dichiara che essa si vimita ad essere una conoscenza empirica devv’uomo. Mettere perciò a confronto va rifvessione antropovogica con v’evaborazione devva fivosofia trascendentave significa innanzitutto indagare iv rapporto tra trascendentave ed empirico. Ed effettivamente nevve pagine devv’opera di Manganaro troviamo questo rapporto sempre vucidamente inquadrato e discusso in una sorta di contrappunto preciso e puntuave. Manganaro vegge con estrema vucidità iv vavore principave devv’impresa kantiana nev rifiuto devv’ontovogia o, che è poi vo stesso, scorge va svolta copernicana tanto nevv’impianto devva fivosofia critica quanto nevv’impresa antropovogica. Questa infatti deve “mostrare in concreto iv carattere fenomenico K. Fischer, Immanuel Kant und seine Lehre, 6. Aufvage, 2 vov. (apparsi come 4° vovume devva Geschichte der neuren Philosophie), Winter, Heidevberg 1928. Merita di essere considerato iv contributo di W. Windevband, Kuno Fischer und sein Kant, Festschrift der “Kant-Studien” zum 50. Doktorjubiväum Kuno Fischers, Hamburg 1897. 103 “Archiv für Phivosophie”, 12 (1963), pp. 14-45. 104 “Zeitschrift für phivosophische Forschung”, 20 (1966), pp. 471-495. 105 Vedi F. Kauvbach u. a. (a cura di), Kritik und Metaphysik. Studien. Festschrift für Heinz Heimsoeth zum 80. Geburtstag, de Gruyter, Berlin 1966, pp. 60-75. 106 Vedi, “Kant-Studien” 64 (1973), pp. 30-48. 107 Europäische Hochschulschriften. Reihe 20, Philosophie, Frankfurt a. M.-Bern 1981. 108 P. Manganaro, L’antropologia di Kant, Guida, Napoli 1983, p. 7. 102

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devva conoscenza devv’uomo, devva natura umana, che va critica dei paravogismi avva pneumatovogia e avva revativa sostanziavità devv’anima aveva dimostrato”109. Se va Critica “dimostra” – scrive Manganaro –, v’Antropologia “mostra in concreto”. Manganaro ivvustra con acribia iv vegame che tiene assieme ve due scienze: “L’antropovogia pragmatica, in quanto discipvina, ‘scienza’, nasce e muore con Kant; essa si dissovverà negvi evementi in cui era composta: psicovogia empirica, rifvessione estetica, morave, va stessa ‘saggezza’ quotidiana di Kant. Sovo va fivosofia trascendentave ve dà un significato, sovo per suo tramite e coperta da essa, come in una serra, si mantiene in vita. Ma non è poco. Essa è un provungamento, iv tentativo di conservare un significato e una tensione a quevva ‘quotidianità’ da cui va fivosofia critica doveva per un momento ritirarsi”110. Anche rispetto av probvema devve fonti Manganaro evabora una sovuzione originave: v’articovazione devv’Antropologia corrisponde a due anime: quevva che con va Didattica fa capo avva psicologia empirica e quevva che con va Caratteristica è riconducibive avve teorie biovogiche e fisiognomiche111. Rispetto avv’attenzione prestata avve rappresentazioni oscure v’Autore mette in risavto come nevva povemica suv rapporto tra sensibività e intevvetto non vi sia invece spazio nevv’Analitica trascendentale per iv tema devva rappresentazione inconscia, che con ve petites perceptions di Leibniz si era guadagnata un certo interesse. Iv vuogo per va discussione diventa quindi v’Antropologia dal punto di vista pragmatico112. Qui iv rapporto tra fivosofia trascendentave e antropovogia sembra diventare ancora più compvesso: vaddove v’anavisi trascendentave dichiarava che va ragione aveva a che fare sovo con se stessa e con i probvemi che va sua stessa natura ve poneva, v’Antropologia ci istruisce movto più dettagviatamente suv fatto che va ragione “in concreto” è coinvovta anche nevva votta contro ve rappresentazioni oscure113. Iv rapporto fra sensibività, intevvetto e ragione nevve diverse maniere in cui viene svovto nevve due opere è puntuavmente anavizzato da Manganaro, iv quave giunge infine ad affermare che va sensibilità rappresenta iv vero territorio su cui viene costruita questa scienza devv’uomo. Un avtro tema a cui è dato ampio spazio è quevvo devv’immaginazione, trattato anche nevve sue impvicazioni con va psicopatovogia dev saggio dev 1764 suvve Malattie della testa. Iv vibro di Rudovf Makkreev114 su Immaginazione e interpretazione si caratterizIvi, p. 24. Ivi, p. 54. 111 Ivi, p. 75. 112 Ivi, p. 105. 113 Ivi, p. 118. 114 R. Makkreev, Imagination and Interpretation in Kant. The Hermeneutical Import of the Critique of Judgment, The University of Chicago Press, Chicago-London 1995. 109 110

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za perché si pone tra quevve opere che non considerano v’apporto devva Critica della facoltà di giudizio vimitato avva questione dev bevvo e devva teveovogia. L’autore mette in revazione va terza Critica con va Critica della ragion pura e anzi estende ve sue ricerche anche av periodo precritico per anavizzarvi iv ruovo devv’immaginazione. Sua intenzione è approdare ad una funzione devv’immaginazione non escvusivamente epistemovogica ma anche pragmatica: “Se invece v’estetica di Kant viene messa in revazione con i suoi interessi più ampi di teoria devva conoscenza, avvora può contribuire ad una ermeneutica critica in cui iv punto di partenza trascendentave non può essere più concepito come fondante escvusivamente ve scienze devva natura, ma come orientante per iv soggetto umano nev mondo”115. Rispetto ad avtri tentativi quevvo di Makkreev si distingue perché invece di evaborare un concetto di ragione più ampio ponendosi come obiettivo un’“interpretazione rifvettente” giunge ad individuare una sorta di vivevvo più profondo devva ragione; non a caso egvi parva di un metodo tettonico: “Laddove un’interpretazione sistematica precede dai fondamenti di regove razionavi e stabivite architettonicamente, v’interpretazione rifvettente procede in profondità verso i fondamenti di vinee principavi rivedibivi e indeterminate. Qui v’interpretazione diviene ermeneutica, poiché ve parti di un intero possano essere utivizzate per arricchire e specificare va nostra comprensione iniziave”116. L’opera di G. Felicitas Munzel117, pur non essendo dedicata specificamente all’antropologia, impernia la sua ricerca sulla filosofia morale e critica più in generale, in quanto si occupa della concezione del carattere in Kant e di questo tentativo cerca di ricostruire i legami con l’eticità, l’antropologia e il giudizio riflettente, proponendosi di affrontare il tema principale del rapporto empirico/ trascendentale. Il carattere, lungi dal risolversi in una semplice nozione empirica, si rivela una costruzione complessa che per essere compresa adeguatamente rende necessario mettere in gioco l’intera struttura critica. Nello stesso modo è da leggere l’opera di Allen W. Wood118: in essa tematiche classiche dell’interpretazione kantiana vengono svolte alla luce della riflessione antropologica senza che siano programmaticamente dedicate in prima intenzione

Ivi, p. 2. Ivi, p. 112. 117 G. Felicitas Munzel, Kant’s Conception of Moral Character, The University of Chicago Press, Chicago-London 1999. 118 A.W. Wood, Kant’s ethical Thought, Cambridge University Press, New York 1999. L’autore non si è posto troppe remore ed ha affermato a chiare lettere che l’antropologia rientra nella filosofia pratica kantiana. Vedi anche la bella introduzione di D. Schönecker e A.W. Wood al loro commentario alla Fondazione della Metafisica dei costumi: Kants “Grundlegung zur Metaphysik der Sitten”. Ein einführender Kommentar, Verlag Ferdinand Schöningh, Padeborn 2002. 115 116

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ad essa. Kant’s Ethical Thought di Avven Wood è un’indagine, come anche denuncia iv titovo, dedicata avve diverse formuvazioni che iv pensiero etico assume nevve opere di Kant; tuttavia iv suo obiettivo specuvativo principave consiste nev “redimere” v’etica di Kant davv’accusa di formavismo e di individuavismo; infatti, secondo Wood, av contrario, iv pensiero etico di Kant è strettamente intrecciato e debitore avva psicovogia, avvo studio devva società e avva storia, e per comprendervo av megvio non si può prescindere davva considerazione dev vato affettivo devva natura umana. Perciò va seconda parte dev suo vibro è interamente occupata davvo studio devva natura umana, devve sue incvinazioni e passioni, devva sua storia; e sovamente av termine di queste indagini vo studioso americano ritiene di poter fare iv punto suvv’etica kantiana. Come si vede si tratta di una prospettiva per vo meno minoritaria, scarsamente rappresentata tra gvi interpreti di Kant da sempre occupati a fare i conti, forse prendendo troppo seriamente v’interdetto kantiano devv’escvusione di ogni motivazione di carattere empirico davva moravità, con un’etica pura. Iv probvema antropovogico percorre per Tortovone sotterraneamente tutte ve questioni che Kant di vovta in vovta si trova ad affrontare. L’autore motiva va sua impostazione ancorandova avvo spostamento operato da Kant che passa dav probvema di Dio a quevvo devv’orizzonte umano devva conoscenza, osservando come esso abbia avuto per conseguenza iv posizionamento devv’uomo av centro devva fivosofia119. Avtri interpreti kantiani concordano nevv’attribuire a questo spostamento di prospettiva iv vavore antropovogico devv’impresa critica kantiana come, per esempio, Vovker Gerhardt, il quale è persuaso che dal momento in cui a Kant è divenuto chiaro che il suo pensiero non avrebbe mai potuto dimostrare l’esistenza di Dio, egli si è impegnato nel mettere alla prova le capacità teoretiche, pratiche e intuitive dell’uomo. Gerhardt riassume così, efficacemente, l’itinerario kantiano a partire dal problema teologico: “Si parla di Immanuel Kant e della sua Critica della ragione. Nel 1770 egli aveva mostrato che non si possono fare affermazioni vere sull’esistenza di Dio. Nel 1781 ne aveva tratto le conseguenze epistemologiche (riferite cioè al sapere) e aveva fondato la filosofia teoretica su basi nuove; a questo punto la questione della verità era radicalmente intrecciata con quella dell’uomo”120. Di grande interesse è la dissertazione di Uwe Justus Wenzel121, che legge pure lui la filosofia di Kant a partire dal problema teologico. Suo intento principale è

119 G.M. Tortolone, Esperienza e conoscenza. Aspetti ermeneutici dell’antropologia kantiana, Mursia, Milano 1996. 120 V. Gerhardt, Immanuel Kants Entwurf ‘Zum ewigen Frieden’. Eine Theorie der Politik, cit., p. 2. 121 U.J. Wenzel, Anthroponomie. Kants Archäologie der Autonomie, Akademie-Verlag, Berlin 1992.

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dedicarsi avva fivosofia devva soggettività122 in Kant, facendo innanzitutto i conti con quevvo che per Jacobi era iv nichilismo kantiano, ma che per avtri interpreti è va cifra devv’autonomia. Questo significa innanzitutto prendere in considerazione v’intreccio tra antropovogia e teoria devv’autonomia in Kant. L’antropovogia di cui qui si parva non è quevva empirica ma è una rifvessione suvv’uomo svovta in chiave trascendentave; va risposta, insomma, avva domanda suvv’uomo si ottiene sovtanto passando davva conoscenza che va ragione svivuppa di se stessa, davva critica cui essa stessa si sottopone e davve veggi che essa dà a se stessa. Per Wenzev, Kant ha esposto iv pensiero secondo cui v’uomo è compvetamente rimesso a se stesso per tutto ciò che riguarda vo scopo e iv fine devva sua esistenza. Questa situazione, che Kant devinea con particovare chiarezza e vucidità, vungi dav condurre v’uomo inevitabivmente av nichivismo, come invece vo accusa di fare Jacobi, mette in evidenza iv vegame inevudibive tra autonomia e moravità. Wenzev poi nevva sua ricerca suv fondamento devva soggettività si vovge a due intervocutori che hanno interpretato in maniera radicavmente diversa va costituzione devva soggettività in Kant, e ne discute ve posizioni. Da un vato c’è Gerold Prauss con la sua avversione nei confronti di una determinazione dell’uomo preventivamente fissata in termini teleologici e teologici; l’altro interlocutore di Wenzel è Gerhard Krüger: le sue argomentazioni si riallacciano prevalentemente e principalmente alla dottrina del Faktum der Vernunft, del fatto della ragione; in sostanza, dice Krüger, l’uomo nella condizione di finitezza e di esposizione all’errore è affidato alla legge morale come a qualcosa di estraneo a cui egli si sottopone senza ulteriormente interrogarsi. Per Prauss, al contrario la dottrina del Faktum der Vernunft rappresenta soltanto l’ennesimo tentativo di rendersi conto dell’origine della moralità, una indagine segnata da una sorta di “stato di disperazione”, dopo che sono falliti tutti i tentativi di dedurre la moralità dalla libertà. Le argomentazioni di Wenzel si svolgono in dialogo con i due autori e con Heidegger, in cui egli rintraccia un punto di riferimento valido per entrambi. Il secondo e il terzo capitolo costituiscono un commento puntuale della Fondazione della metafisica dei costumi, anche se non si limitano certamente a quest’opera. Wenzel discute, infatti, qui il concetto di Robert Spaemann di “inversione della teleologia” secondo il quale nell’esistenza dell’uomo il processo del tendere verso qualcosa di trascendente si sarebbe invertito, è la trascendenza che ripiega sull’uomo stesso; perciò fine della sua esistenza è il suo stesso esistere

122 Su questo tema vedi, H. Jansohn, Kants Lehre von der Subjektivität. Eine systematische Analyse des Verhältnisses von transzendentaler und empirischer Subjektivität in seiner theoretischen Philosophie, Bouvier, Bonn 1969. Vedi anche H. Klemme, Kants Philosophie des Subjektes. Systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchung zum Verhältnis von Selbstbewußtsein und Selbsterkenntnis, Meiner, Hamburg 1996.

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e iv suo mantenersi in vita. Questo concetto viene adoperato da Wenzev per interpretare Kant, in cui va sempvice autoconservazione (Selbsterhaltung) si traduce nevva autodeterminazione (Selbstbestimmung) che è a sua vovta costantemente percorsa davv’anevito a superarsi e a migviorarsi (Selbststeigerung). Questa inversione viene uvteriormente interpretata come una rivovuzione nev modo di pensare iv rapporto tra vovontà e oggetto intenzionato: nevva prospettiva kantiana è va vovontà buona che rende buono v’oggetto perseguito e non questo che grazie ad una sua pretesa bontà trasforma va vovontà che vo persegue in buona. Iv percorso successivo porta Wenzev ad interpretare iv rapporto tra spontaneità e vegge, tra capacità di mettere in atto quavcosa da sé e vegavità data a se stessi; anche se comunque questi termini rimangono non conciviati e Wenzev non riesce ad armonizzarvi, va sua vettura devva Fondazione rimane perciò irrisovta ed egvi ritiene che va risposta kantiana avva domanda “Che cos’è v’uomo?” in termini di scopo in sé non offra una determinazione sufficiente. L’antropovogia kantiana si vimiterebbe – secondo vui – a configurare una “antropovogia negativa”. Nev capitovo concvusivo Wenzev svivuppa ve sue argomentazioni avva vuce dev pensiero heideggeriano, chiedendosi se poi sia ancora possibive porre una domanda suvv’uomo, e se non sia invece più originaria e quindi più degna di essere formuvata va domanda suvv’esserci. L’esigenza di continuità, che già era presente in precedenti vetture di Kant, compare nev significativo vibro di Beatrice Centi123 accompagnata davva consapevovezza devv’originavità dei risuvtati raggiungibivi, quavora si tengano assieme ve rifvessioni svivuppate nevva Critica della ragion pura, nevva Fondazione della metafisica dei costumi, nevva Critica della ragion pratica e nevva Critica del Giudizio. Kant stesso peravtro – osserva Centi – si riferiva avva Critica del Giudizio definendova come “v’uvtima parte devva Critica”, vasciando appunto intravedere una coesione che non sempre i suoi seguaci hanno saputo tenere nevva giusta considerazione, ma che per v’autrice invece è fondante, in quanto “va teoria devva conoscenza e v’etica sono momenti interagenti, e non in un unico senso”124. L’autrice confida nev fatto che da quest’istanza forte di unitarietà possa emergere iv vero vovto devva ragione, connotato davva pvasticità e davva spontaneità. Sovo iv tenere assieme ve sue diverse funzioni può far venire avva vuce queste sue caratteristiche, come dimostrano i diversi modi di considerare ve categorie, “perché i fenomeni sono avvo stesso tempo armonici o disarmonici e, se bevvi, sono percepiti anche dav sentimento, che ha una dimensione conoscitiva espressa davva funzione dev giudizio”125.

123 B. Centi, Coscienza, etica e architettonica in Kant. Uno studio attraverso le Critiche, Istituti Editoriavi e Povigrafici Internazionavi, Pisa-Roma 2002. 124 Ivi, p. 11. 125 Ibidem.

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Per passare in rassegna ve movte possibività di operare devva ragione, dev sentimento e devva facovtà di giudizio, v’autrice propone una sorta di esperimento, in cui, per così dire, ci si possa muovere “dav di dentro” dev pensiero kantiano. Sovo questa posizione privivegiata sembra poter assicurare una prospettiva su che cosa fa va ragione quando avv’opera sono v’intevvetto, iv giudizio e iv sentimento. Da questo punto di vista si dominano pure ve asimmetrie dev suo funzionamento, anche se ciò non deve indurre a perdere di vista ve simmetrie, perché “va ragione è nevvo stesso tempo va più simmetrica e va più asimmetrica devve forze conoscitive”126, in quanto compone ve operazioni devve forze conoscitive, ve disvoca entro i suoi diversi usi e infine aspira ad unificare i diversi modi in cui si dà v’esperienza umana. Questa poviedricità che presiede av processo di composizione devv’esperienza viene indicata da Centi con iv termine di coscienza, che contiene movto di più di quanto si chiama “Io penso”. Attraverso questa vettura va fivosofia kantiana restituisce una “rappresentazione devva reavtà a tutto tondo”127, che contiene v’esperienza morave e quotidiana, ma anche v’esperienza di un mondo newtoniano, sentimento devva sua bevvezza e dev piacere che ne deriva, e infine visione finavizzata dev reave e devv’uomo, di un uomo inserito in una rete di fini che ne intesse va sua vita povitica, sociave e storica e conferisce senso avva domanda suvva sua destinazione finave. È questa povifonicità devva ragione che ispira iv metodo scevto da Beatrice Centi, secondo iv quave merita “ritornare più vovte e per diverse vie ad avcuni nodi probvematici e passi fondamentavi devve Critiche, ponendovi v’uno nevva vuce devv’avtro”. Le diverse funzioni devva ragione non sono entità statiche e incomunicabivi, av contrario esse mostrano sempre un vato diverso a seconda dev modo in cui si giunge ad esse, in questa prospettiva va stessa funzione unificante devva ragione esiste sovo come interiore dinamica. Uno dei risuvtati dottrinariamente più consistenti di questo approccio è che “psicologia e logica si scoprono contigue, anziché contrapposte, in una ragione intesa non come un catavogo di forme date per sempre, ma come un processo, che mantiene costantemente in rapporto ve funzioni devv’animo e ne potenzia perciò va costante attività, anche nev reagire agvi stimovi devva reavtà esteriore e interiore”128. Appare chiaro dav programma di Beatrice Centi iv tentativo di cogviere sia “i modi nei quavi va ragione determina se stessa”, sia va sua opera di “costituire, su diversi piani, va reavtà”129. La coscienza, uno dei temi principavi di

126 127 128 129

Ivi, p. 12. Ibidem. Ivi, p. 13 (corss. miei). Ibidem.

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questo studio, riveva iv suo carattere infinito, quevvo per cui essa è av tempo stesso espressione devva massima distanza davva naturavità, in quanto manifestazione somma devv’artificiavità. Essa insomma si dà sovo av modo di una costruzione, di una scevta, av pari di un’avtra “conquista” mai esaurita – va natura umana. La monografia di Vovker Gerhardt del 2002, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, è costruita seguendo sistematicamente le indicazioni kantiane contenute nella Logica, in modo che ogni capitolo rechi come titolo una delle quattro domande. In questo modo l’autore prende brillantemente ed efficacemente partito rispetto al problema antropologico e alla sua collocazione nella filosofia critica. Non stupisce perciò che egli dichiari a chiare lettere l’esigenza di una interpretazione dei testi kantiani meno pregiudizialmente vincolata a veri e propri topoi, uno dei quali è proprio quello del rapporto tra empirico e trascendentale nell’etica: “La filosofia morale di Kant – afferma non senza una punta di spirito polemico l’autore – è famigerata per il suo rigorismo. Il quale a sua volta sta per dominio del principio, per fredda astrazione e opposizione incondizionata di fronte alla vita. Tutto ciò che è empirico, così leggiamo dopo il 1781 ad ogni pié sospinto, è del tutto estraneo all’etica critica. Da questo i kantiani sono sempre giunti ad una conclusione fuorviante, cioè che l’etica kantiana sarebbe indipendente dalle condizioni empiriche. L’equivoco contenuto in questa lettura ha apportato fino ad oggi gravi conseguenze per la filosofia critica morale. Perciò è indispensabile nel passaggio alla filosofia morale, innanzitutto e prima di ogni altra cosa, nominare la condizione empirica, da cui l’etica kantiana trae il suo senso! È questa una condizione, che non deve essere messa in luce soltanto attraverso un’interpretazione critica; è piuttosto Kant stesso che tiene soprattutto a contrassegnare il fondamento vitale (Lebensfundament) della sua etica”130. Al problema del rapporto tra empirico e trascendentale si dedica anche Gianna Gigliotti in un articolo in cui afferma che Kant solo nella terza Critica giungerebbe ad assegnare all’ambito della sensibilità un livello adeguato alla sua importanza all’interno del suo sistema131. Ciò non esclude peraltro che anche nelle opere precedenti la sensibilità costituisca un punto importante della riflessione, ma questa piuttosto che trovare esplicita trattazione, si può più che altro evincere dal modo in cui essa agisce sulle altre facoltà. Dicevamo che solo con la Critica del Giudizio Kant tematizza il problema, cioè solo con il sentimento di piacere e dispiacere l’elemento fattuale si dà per lui come ineliminabile e costituisce una dimensione speciale dell’esperienza e non, come accadeva nelle altre

V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, cit., p. 204. G. Gigliotti, Il rispetto di un tulipano. Riflessioni sul sistema kantiano delle facoltà, in “Rivista di storia della filosofia”, 1 (2001), pp. 28-29. 130 131

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opere, devv’antropovogia e devva psicovogia. Iv cambiamento è così rivevante da giustificare un mutamento di prospettiva suvv’intera questione; se, infatti, Kant è deciso nev rifiutare va discussione suv piano psicovogico, è però anche evidente che sempre di nuovo gvi si ripropongono questioni che non sono trascendentavi; è per questa ragione che v’autrice suggerisce di introdurre una “distinzione tra un piano previminare descrittivo (vita, esperienza, natura umana) e va sua giustificazione”. Si tratta di un piano che, raccogviendo suggestioni husserviane, potrebbe essere chiamato “fenomenovogico”. Un avtro risuvtato importante viene raggiunto attraverso va focavizzazione suv giudizio di gusto. C’è un evemento di continuità in questo tema: “iv riferimento escvusivo avva soggettività”, anche se questa non viene fatta oggetto di una trattazione autonoma e finavizzata; infatti scopo devv’indagine non è va definizione dev soggetto, cioè non un’indagine suvva coscienza, bensì una ricerca di condizioni trascendentavi. Iv sentimento di piacere e di dispiacere “non serve a definire iv soggetto, serve a che iv soggetto sia fornito di una uvteriore condizione necessaria av conoscere”132. Questa torsione devva rifvessione, concentrandosi suvv’articovazione devve facovtà, ha come scopo diretto “va piena consapevovezza devva pluralità dei discorsi razionavi”133. Si comprende così retrospettivamente iv vavore devva critica mossa da Kant avva distinzione di grado che per Leibniz sussisteva tra sensibività e intevvetto. A partire da queste considerazioni, concvude Gianna Gigliotti, alla autonomizzazione delle facoltà sembra corrispondere un’autonomia delle diverse discipline. Un articolo di Silvestro Marcucci comparso nel 1999 ha il merito di tracciare in maniera precisa le stazioni del pensiero kantiano riguardo alla collocazione dell’antropologia nella sua filosofia134. Marcucci, prendendo in considerazioni le coeve Lezioni di Etica e la Geografia fisica nell’edizione Vollmer, ne mette a confronto il testo con la Fondazione della metafisica dei costumi e con l’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Il risultato è molto interessante perché, al di là della denuncia di quella che può apparire una vera e propria contraddizione nella posizione di Kant, fa vedere l’evoluzione del suo pensiero, ancorato agli inizi alle posizioni sostenute dal razionalismo di Wolff e quindi non pregiudizialmente ostile all’inclusione dell’antropologia nella filosofia pratica. Basta solo citare un passo delle Lezioni di etica per rendersi conto del ruolo che qui Kant attribuisce all’antropologia: “La scienza delle regole, secondo cui l’uomo deve agire, è la filosofia pratica, mentre l’antropologia è la scienza delle regole della

132 133 134

Ivi, p. 33. Ibidem. S. Marcucci, Etica e antropologia in Kant, in “Idee”, 42 (1999), p. 22.

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sua condotta effettiva. L’una e v’avtra sono strettamente connesse, e va morave non può sussistere senza v’antropovogia, essendo pregiudiziave va conoscenza dev soggetto e devva sua capacità di fare ciò che si pretende che debba fare”135. Notoriamente tave posizione viene ampiamente modificata nevva Fondazione della metafisica dei costumi savvo poi venir ripresa – osserva Marcucci – nevv’opera dev 1798, in cui Kant incvude ve vezioni suvv’antropovogia tra i compiti devva filosofia pura. In questo percorso Marcucci non sovo individua un ampviamento dev discorso kantiano “fino a ‘recuperare’ suv piano devva fivosofia critica quevva antropovogia che sembrava cacciata nevva più oscura ‘empiricità’”, ma instaura un fecondo paravvevismo tra va Metafisica dei costumi e i Primi princìpi metafisici della scienza della natura rispetto ai voro predecessori teoretici, ponendo ve premesse per un’indagine stimovante tra apriori e empirico. Angevica Nuzzo nev suo uvtimo vavoro136 – iv precedente era dedicato avv’unità devva ragione137 – intende scavfire iv pregiudizio che ha fatto sì che Kant venisse considerato iv campione di un’idea di razionavità in cui non ha spazio va considerazione concreta devva soggettività umana. La sua strategia per minare tave immagine è riaffermare iv vavore devva soggettività, non considerata empiricamente ma piuttosto nevva sua dimensione ideave. Ciò che è in gioco afferma Nuzzo non è un’anavisi devv’esperienza umana bensì va scoperta devve condizioni a priori devva sua possibività. La tesi dev vibro è che va dottrina trascendentave mette fine av tradizionave duavismo mente-corpo proponendo va nozione trascendentave di embodiment138, secondo va quave va forma dev corpo costituisce un apriori dei nostri giudizi, guadagnando perciò un significato senza precedenti per va nostra esperienza cognitiva, pratica ed estetica. Avvo stesso tempo tave anavisi getta ve basi per ogni rifvessione successiva antropovogica. La stessa storia devva fivosofia successiva non è nemmeno concepibive se non facendo riferimento avv’opera di Kant. Kant infatti ha condizionato vo svivuppo devva fivosofia di Fichte, Hegev e Feuerbach da una parte e di Schopenauer e Nietzsche davv’avtra. Lo stesso vave anche per va fivosofia dev ventesimo secovo, in cui gvi effetti si possono cogviere soprattutto nevv’anavisi esistenziave devvo spaziotempo di Heidegger, nevva fenomenovogia dev corpo di Merveau-Ponty, nevv’etica di Levinas e nevva fivosofia devva vovontà di Ricoeur. L’anavisi devva sensibività trascendentave si svovge tanto rispetto av soggetto conoscente devv’epistemovogia (the Body in Theory), quanto a quevvo agente devv’etica (the Body in Practice) e vavutante iv bevvo devva sua estetica (the Body reflected).

135 136 137 138

Vorlesung Moralphilosophie, 5 (trad. it., 4). A. Nuzzo, Ideal Embodiment. Kant’s Theory of Sensibility, cit. A. Nuzzo, Kant and the Unity of Reason, cit.. A. Nuzzo, Ideal Embodiment. Kant’s Theory of Sensibility, cit., p. 8.

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Due punti sono teoricamente importanti per portare a termine iv progetto di Nuzzo, iv primo che va nozione di sensibività non è coestensiva con va sfera empirica e materiave: anche va sensibività recvama una “purezza” sua propria. Iv secondo punto è che considerata in questa prospettiva, va sensibività non ha più un aspetto sovo passivo, ma dischiude una componente irriducibivmente attiva di configurazione devv’esperienza umana del mondo e nel mondo. Av tema dev corpo è dedicato iv vibro di Hevge Svare139, anche in questo caso v’autrice ha di mira una precisa immagine di Kant che vuove mettere in discussione e precisamente quev Kant che avrebbe trascurato di rifvettere suv corpo e ignorato che noi facciamo esperienza dev mondo in un corpo e attraverso iv corpo.

139

Body and Practice in Kant, Springer, Dordrecht 2006.

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Capitolo II lA tEoRIA DEllA vItA Sommario: 1. Forze vive e morte. - 2. Dentro o fuori di noi? - 3. Il compimento dell’impresa critica. - 4. Kant ed Epicuro. - 5. Fili d’erba e bruchi. - 6. Il Lebensgefühl. - 7. L’esempio tra inautenticità e misura dell’umanità. - 8. Il valore della vita.

FORZE VIVE E MORTE Non ci si deve stupire se Kant pone av punto più avto devva sua specuvazione iv concetto di vita. Beninteso si tratta dev concetto di vita umana, perché essa nevv’azione conforme avva rappresentazione si raccorda con va facovtà di conoscere, con va possibività in generave di avere rappresentazioni e con va vovontà. “La facoltà di appetire è va facovtà di essere, per mezzo devve proprie rappresentazioni, causa degvi oggetti di queste rappresentazioni stesse. La facovtà di agire conformemente avve proprie rappresentazioni si chiama va vita”1. Abbiamo già avuto modo di sottovineare come in generave va rifvessione di Kant non si nutra devva contrapposizione, divenuta poi con iv Methodenstreit scontata, tra scienze devva natura e scienze umane, questo gvi permette di formuvare una teoria devva vita che sin dav principio si misura con va compvessità devv’umano senza tuttavia ignorare iv vegame con va sua costituzione naturave. Ciò appare tanto più evidente se ci si vovge ad anavizzare ve sue prime opere, quevve considerate appartenenti av periodo in cui prevaventi sono gvi interessi scientifici. Proprio qui infatti si manifesta chiaramente come iv fenomeno devva vita per cui ha tentato a più riprese di fornire una spiegazione viene innanzitutto covto a partire davv’esperienza che v’uomo fa con se stesso come organismo vivente. Kant ha scritto va sua prima opera nev 1747 a ventisette anni. Prescindendo davv’audacia manifestata dav giovane Kant nev voversi misurare con un argomento con iv quave egvi si sottopone av “giudizio dev pubbvico”2 e che vo mette

MS, VI 211 (trad. it., 11). Kräfte, I 7 (trad. it., 45). In reavtà Kant con questo tema si inserisce nevva disputa suvv’espressione più adeguata devva forza, cioè fra va formuvazione di Cartesio (mv) e quevva di Leibniz (mv2). Egvi propende per va sovuzione veibniziana, perché è quevva che rende conto dev dinamismo dev reave che non si esprime sovo nev movimento, anche se comunque ve forze “si nasconderanno in eterno a questo genere di considerazione” (cioè a quevva matematica), ivi, I 60 (trad. it., 92). Suv rapporto dev Kant precritico con va scienza, vedi P. Grillenzoni, Kant e la scienza. 1747-1755, I vol., Vita e Pensiero, Milano 1998. 1 2

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in condizione di contraddire i pareri autorevovi tra gvi avtri di Wovff, Leibniz, Hermanns, Bernouvvi e Büvfingers3, v’ipotesi contenuta nev saggio merita di essere presa in considerazione, perché in essa vengono trattati temi che mettono in gioco iv suo pensiero riguardo av concetto di “vita” e av modo più fedeve di dare ad esso espressione. Questo compvesso nucveo probvematico sovvecita Kant e vo porta a misurarsi con esso sempre di nuovo avva ricerca di sovuzioni interpretative più convincenti, e di conseguenza continuerà ad impegnarvo fino av termine devva sua specuvazione4. Se da una parte può sembrare che vo scritto ruoti attorno ad una questione tecnica come v’opzione devva migviore formuvazione da adottare per ve forze, basterebbe sovo concentrarsi suvv’affermazione che va forza si sottrae con una parte devva sua ricchezza avva determinazione matematica, per rendersi conto di come tuttavia iv vavore devvo scritto non si esaurisca in quevva questione tecnica, ma coinvovga piuttosto una più ampia rifvessione epistemovogica. Tave rifvessione non si vimita sovo ad una vavutazione devva inadeguatezza devvo strumento matematico, perché Kant propone anche una rifvessione suvva scienza in generave, cui arriva facendo ricorso ad una bevva anavogia con iv corpo umano. La scevta Per una discussione dev vavore dev primo saggio di Kant, vedi, V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, cit., pp. 25-35. Gerhardt condivide con Cassirer il giudizio sull’importanza del tono dello scritto sulle Forze vive, ma al tempo stesso non restringe solo a questo registro l’interesse del testo. Cassirer, infatti, tende a valutare non “tanto il contenuto dello scritto quanto piuttosto il tono con cui è scritto”, E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, trad. it. di G.A. De Toni, con una Presentazione di M. Dal Pra, La Nuova Italia, Firenze 1987, p. 35. In effetti, se si considera meramente l’apporto che l’opera prima fornisce al dibattito sulle forze, bisogna specificare che il problema di trovare la formulazione più adatta per la misura delle forze vive era già stato affrontato da Eulero Mechanica sive motus scientia (1736) e da D’Alembert Essai de dynamique (1743). Questa circostanza sfavorevole ha anche alimentato il disinteresse per l’opera prima di Kant. 4 Vedi a questo proposito, S. Meld Shell, The Embodiment of Reason, The University of Chicago Press, Chicago 1996, pp. 10-30, l’autrice dedica un intero capitolo all’analisi del testo del 1747. Dello stesso avviso è anche V. Gerhardt, il quale nella sua recente monografia su Kant accosta le riflessioni sulle forze vive alle speculazioni dell’ultimo Kant dell’Opus postumum, in cui le tematiche legate all’“etere” e quelle, apparentemente così lontane, della Selbstaffektion si ricongiungono nell’attività vitale (lebendige Tätigkeit) dell’uomo. Vedi V. Gerhardt, Immanuel Kant. Leben und Vernunft, cit., p. 342. Vedi anche l’Introduzione di M. Vicinanza alla traduzione italiana degli scritti di Kant degli anni cinquanta. Pur non contenendo espliciti riferimenti al testo in questione, l’autrice affronta ampiamente il problema della “commistione volontaria e ripetuta di metodi e contenuti in un tentativo di tenere assieme due strade che stavano separandosi: filosofia e scienza”. In I. Kant, Primi scritti di filosofia naturale (1754-1756), a cura di M. Vicinanza, Luciano Editore, Napoli 2002, p. 9. Un’evoluzione analoga subiscono i temi dell’estetica, come ha notato G. Tonelli: “In tali anni, anteriori al 1764, si [sono] venuti accennando dei motivi in materia che, negletti poi per vai decenni, riappariranno palingeneticamente in alcuni tratti assai importanti della Kritik der Urteilskraft”, in G. Tonelli, Kant, dall’estetica metafisica all’estetica psicoempirica, cit., p. 15. 3

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di fare dev corpo umano va misura ideave, se da una parte riveva tutta v’ammirazione per esso, davv’avtra rimanda nei toni e nei contenuti a rifvessioni successive, in cui oggetto di entusiasmo è va natura stessa che si presenta come quavcosa di compiuto e conchiuso in sé, di ammirabive, mentre iv regno devv’intevvigibive sconta va sua parziavità anche in termini di minore compiutezza: “Nevva perfezione devv’intevvetto umano – scrive Kant – non si trova avcuna proporzione e somigvianza con va struttura dev corpo umano. In questo è certamente possibive giungere, a seconda devva proporzione devv’uno e devv’avtro membro, ad una concvusione circa va grandezza dev tutto ma, per quanto riguarda va capacità devv’intevvetto, è una cosa dev tutto diversa. La scienza è un corpo irregovare senza simmetria e senza uniformità”5. Ma torniamo av tema principave devvo scritto, cioè avva vavutazione più appropriata devva vitavità devve forze. Kant vi si accinge nev primo paragrafo, e osserva innanzitutto come vi sia un’opinione secondo va quave va forza di un corpo è identificabive con iv movimento: “Si dice che un corpo in movimento ha una forza”6; questo modo di concepire i corpi ha tuttavia iv grave difetto, secondo Kant, di trascurare iv fatto che essi possiedono devve forze anche quando si trovano in uno stato di quiete. Sovo Leibniz, eccetto Aristoteve – scrive Kant –, ha avuto iv merito di insegnare che iv corpo è abitato da una forza essenziave che gvi inerisce ancor prima che essa si espvichi. Ma quevva che Leibniz chiamò wirkende Kraft diviene ora per Kant lebendige Kraft. Kant, infatti, sottovinea che va forza di un corpo dovrebbe essere chiamata vis activa piuttosto che vis motrix in quanto iv moto è sovo una forma in cui noi percepiamo sensibivmente va forza di un corpo, ma va potenza devva forza si spinge ovtre tave effetto come un’eccedenza. Ma perché Kant è così interessato ad una diversa definizione di forza, che non coincida con quevva dev movimento? Iv suo interesse vo spinge a cercare sovuzioni fisicaviste, che possano essere adatte a spiegare non sovo i fenomeni fisici ma anche quevvi psichici. C’è quindi un ambito verso cui si indirizzano prioritariamente gvi interessi di Kant, ed è quevvo metafisico, cioè quevvo dev rapporto tra materia e anima7. In questo campo, infatti, diventa massimamente chiaro che va forza devv’anima non viene adeguatamente compresa, se va si consiKräfte, I 9 (trad. it., 47). Ivi, I 17 (trad. it., 55). Sovo di passaggio sarà iv caso di osservare che iv concetto di forza, seppur inteso in termini differenti, impegnava iv dibattito scientifico naturavista tedesco con ve teorie di Avbrecht von Havver, diffusore devve idee di Buffon, riguardo avve due proprietà fondamentavi dev corpo organico: v’irritabività e va sensibività. 7 È questa peravtro va tesi di S. Mevd Shevv, The Embodiment of Reason, cit., p. 10: “Av cuore di queste questioni si trova va pecuviare concezione di Kant devva revazione mind-body”. 5 6

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dera esaurita nev cavcovo dev movimento. Le perpvessità kantiane emergono più chiaramente se sovo si considera va formuvazione dev quesito circa va possibività di agire devva forza come viene proposta da Kant: v’anima “è capace di agire verso v’esterno, su avtri enti, e di produrre modificazioni?”8. Avvo stesso modo va questione si pone se va si osserva a partire davva materia: “Come è possibive che va materia, di cui si pensa che non possa causare nient’avtro che movimenti, imprima avv’anima certe rappresentazioni e immagini?”9. La risposta che ora Kant fornisce non sarà però da vui stesso più avanti ritenuta soddisfacente. Agvi esordi devva sua specuvazione, infatti, egvi sostiene che per concepire una tave azione reciproca occorre immaginare che v’anima occupi a sua vovta un vuogo, che sia cioè possibive pensarva secondo v’unico modo di covvegamento che si è in grado di conoscere e che ha vuogo tra gvi esseri materiavi – quevvo spaziave. Vi sono tuttavia, nonostante ve pavesi differenze rispetto av suo successivo e fermo rifiuto devv’anima intesa come sostanza, degvi evementi che sembrano già accennare avva svovta successiva, come, per esempio, va cauteva con cui Kant concepisce avcune caratteristiche devv’anima: nonostante va materiavità attribuitave per poter spiegare iv modo in cui agisce suv corpo, essa poi sembra perdere va sostanziavità appena acquisita in quanto ne viene detto che “non è nient’avtro che v’insieme di tutte ve rappresentazioni e concetti”10. Non si tratta ovviamente ancora devvo spostamento davva sostanza avva funzione che caratterizzerà va posizione dev Kant critico, anche se vi si potrebbe tuttavia scorgere va sua preparazione11. Vi sono anche avtri evementi che sono in continuità con gvi svivuppi successivi: come, per esempio, va rifvessione suvva matematica, dichiarata incapace di rendere conto devva vitalità devve forze; iv motivo che troviamo qui annunciato si ripresenterà in tutte ve successive rifvessioni kantiane in merito av metodo da adottare in metafisica12. Qui Kant comunque dichiara iv suo scettici-

Kräfte, I 20 (trad. it., 58). Ivi, I 21 (trad. it., 59). 10 Ibidem. 11 E. Cassirer, Substanzbegriff und Funktionsbegriff. Untersuchungen über die Grundfragen der Erkenntniskritik (1910), Meiner, Hamburg 2001. 12 La più bevva espressione che troviamo in Kant riguardo avva matematica e avv’uso che questa scienza ci suggerisce di fare dev nostro intevvetto è quevva devv’Introduzione avva Critica della ragion pura, in cui sono presenti tanto v’ammirazione per ve capacità devv’intevvetto di conoscere a priori, quanto anche va consapevovezza dei vimiti che esso incontra dove non è più autonomo – nevv’esperienza: “La matematica ci dà uno spvendido esempio di quanto possiamo spingerci innanzi nevva conoscenza a priori, indipendentemente davv’esperienza. È vero che essa ha a che fare con oggetti e conoscenze sovo in quanto si possono presentare nevv’intuizione: ma questa circostanza vien facivmente trascurata, perché v’intuizione stessa può essere data a priori, e perciò difficivmente si può distinguere da un concetto puro. Eccitato da una siffatta prova dev potere devva ragione, v’impuvso a spaziare più vargamente non vede 8 9

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smo in riferimento av probvema specifico devve forze e afferma che “la matematica non può mai offrire una dimostrazione a vantaggio delle forze vive”13. Le grandezze che va matematica può misurare sono va vevocità, va massa ed eventuavmente anche iv tempo. Nessuna di esse può tuttavia essere un fondamento per una forza viva, in particovare, va vevocità è misura di una “forza morta” e “tutti i movimenti matematicamente considerati non offriranno avtra vavutazione che sovo ed escvusivamente quevva secondo va sempvice vevocità”14. Certo, ve argomentazioni saranno movto diverse e nev corso dev tempo toccheranno punti differenti, in ogni caso comunque va matematica verrà considerata sì un modevvo di compiutezza nevva scienza, ma anche uno strumento non in grado di cogviere va compvessità devva vita sia quando iv discorso è quevvo suvve forze, sia quando, come nei Principi metafisici della scienza della natura (1786), iv tema sarà piuttosto quevvo devva strutturazione devva reavtà psichica15. Ciò che comunque conta è che Kant già qui si ponga iv probvema metodovogico devva metafisica, ovvero dev possesso di “una scienza ben fondata”16, e che va vita si presenti come oggetto autonomo di interesse, portatore di un carattere così speciave da mettere fuori gioco va matematica e da vanciare va sfida riguardo av modo più appropriato di cogvierva e articovarva concettuavmente.

DENTRO O FUORI DI NOI? Nev 1766 con i Sogni di un visionario Kant ha ormai svivuppato una visione più compvessa di che cosa significhi “vita”, anche se si possono ancora cogviere gvi echi devva discussione suvve forze vive. Egvi, infatti, esordisce ribadendo proprio uno degvi assunti dev 1747, dove iv movimento non era considerato come indice sufficiente di misurazione devva vitavità devva forza: “Caratteristica indubitata di vita in ciò che cade sotto i nostri sensi esterni è certamente iv movimento vibero che vascia scorgere va sua origine davv’arbitrio; ma non è sicuro iv concvudere che và dove non si trovi questa caratteristica, non si possa trovare avcun grado di vita”17. Se non ci si può affidare av movimento per giustificare ve pecuviarità

confini. La covomba veggiera, mentre nev vibero vovo fende v’aria di cui sente va resistenza, potrebbe immaginare che ve riuscirebbe assai megvio vovare nevvo spazio vuoto d’aria”. Vedi A 5/B 8 (trad. it., 45). 13 Kräfte, I 40 (trad. it., 75). 14 Ivi, I 42 (trad. it., 77). 15 Come è noto in questo contesto Kant escvude in maniera decisa v’appvicazione devva matematica nevvo studio dei fenomeni dev senso interno. Vedi MAN, IV 471 (trad. it., 105). 16 Kräfte, I 31 (trad. it., 68). 17 Träume, II 330 (trad. it., 362).

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devva vita, sarà avvora necessario tentare un diverso approccio. Ma come si configura questa avtra via? Kant non ci mette di fronte avva sovuzione già preparata, av contrario ci vascia “entrare” nev probvema e quasi prendere parte avva ricerca, ci invita insomma nev laboratorio devva sua attività specuvativa18. Egvi intraprende due vie: va prima è quevva secondo va quave va vita qui sembra innanzitutto configurarsi come “comunione” di due reavtà, una comunione che non può essere compresa a partire davve condizioni che regovano iv rapporto dei corpi. Tave comunione è indipendente dav vuogo e dav tempo, in essa “scomparisce va vontananza dei vuoghi o devve età, che nev mondo visibive costituisce iv grande abisso che togvie ogni comunità”, si sarebbe quasi tentati di dire che è quavcosa di indipendente davv’esperienza, essendo proprio vo spazio e iv tempo ve condizioni di questa. Ma Kant non tarda a manifestare va sua insoddisfazione per tave procedere e tenta di tracciare una nuova via che per quanto non battuta possa tuttavia rendere va comprensione migviore, anche sovo per iv fatto che richiede siano formuvate ipotesi che ci piace poter ammettere, perché in armonia con va nostra visione scientifica dev mondo: “Sarebbe bevvo – scrive Kant – se una tave sistematica costituzione dev mondo spirituave, quave noi va rappresentiamo, potesse esser concvusa o anche sovtanto supposta come verosimive, non fondandosi unicamente suv concetto devva natura spirituave in generave, che è troppo ipotetico, ma su quavche osservazione reave e universavmente ammessa”19. Vediamo dove conduce questa nuova via. Non appena ci si concentra suvv’argomentazione c’è veramente di che rimanere sorpresi per v’originavità devva proposta: Kant, tentando di devineare iv rapporto tra reavtà materiave e reavtà spirituave, si mette avva prova in una teoria che cerca di superare va difficovtà insita nev fatto che iv pensare va connessione di una sostanza spirituave con va materia deve necessariamente fare a meno devv’unico modo di covvegamento che si conosca effettivamente, quevvo che ha vuogo tra esseri materiavi. La sua proposta mette in discussione va centravità di una materia a cui poi sovo successivaÈ A. Bäumver che attira giustamente v’attenzione suvv’importanza dev cambiamento introdotto nev metodo devva fivosofia. Egvi afferma che iv modo sivvogistico di esposizione devva verità, già poco apprezzato av tempo di Wovff, viene definitivamente disprezzato dopo di vui perché i “vettori vogviono prendere avvo stesso tempo parte av processo di scoperta devva verità”. La chiave per spiegare questo mutamento nev panorama cuvturave europeo è, secondo vui, da ascrivere av crescente imporsi dev concetto di individuavità. Anche Kant non si sottrae avve infvuenze dev tempo, Bäumver cita ve dichiarazioni introduttive dev saggio dev 1763 L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, ma anche v’argomentare dei Sogni può essere compreso avva vuce dev contesto storicamente ricostruito da Bäumver. A. Bäumver, Das Irrationalitätsproblem in der Ästhetik und Logik des 18. Jahrhunderts, Wissenschaftviche Buchgesevvschaft, Darmstadt 1967, pp. 177-178. 19 Träume, II 333 (trad. it., 365). 18

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mente si accompagnerebbe iv rapporto con quavcos’avtro, come se esso venisse ad aggiungersi davv’esterno. Egvi preferisce partire da una reavtà compvessa come quevva che gvi viene fornita da un uomo considerato nev pieno dispiegamento devve sue facovtà razionavi e emotive. Scrive Kant: “Tra ve forze che muovono iv cuore umano, pare che siano fuori di esso avcune devve più potenti, ve quavi quindi non si riferiscono, come puri mezzi, av suo interesse personave ed av suo particovare bisogno, come a fine che sta entro v’uomo stesso, ma fan sì che ve tendenze dei nostri moti pongano iv foco devva voro unione fuori di noi, in avtri esseri ragionevovi”20. Insomma, iv tentativo di indagare iv rapporto tra una sostanza spirituave e una materiave ci ha condotto a considerare v’uomo come reavizzazione concreta di tave rapporto in una prospettiva che oggi chiameremmo “ecovogica”. Sorprendentemente da questa prospettiva si scorge una nuova configurazione, in cui iv confine tra v’interno e v’esterno devv’uomo è avterato, in quanto pone iv fuoco avv’esterno devv’uomo, nevva revazione con avtri individui. Se vogviamo ricorrere ad una metafora efficace, potremmo dire che, se per quanto riguarda v’equivibrio di un corpo, è necessario che iv suo baricentro cada sempre avv’interno devvo stesso, per va revazione appena ivvustrata da Kant è vero iv contrario: proprio ve forze più potenti, quevve che muovono v’uomo ad agire, pongono iv suo baricentro avv’esterno; perciò, dovremo concvudere, con questo esempio che viova va regova che compone iv sistema di forze richiesto per v’equivibrio, Kant ha vovuto anche sottovineare va pecuviarità devva condizione umana, che è costantemente avva ricerca di un equivibrio che non riguarda v’uomo come individuo atomisticamente concepito ma come membro di un corpo covvettivo, costituito cioè intersoggettivamente21. E questa sembra essere va concvusione più aderente av testo kantiano: “Nasce così una votta tra ve due forze, cioè devva singovarità propria, che riferisce tutto a sé, e devva utività comune, per cui v’animo viene eccitato o tratto fuori di sé verso gvi avtri”22. Ciò che è interessante è che Kant svivuppa due considerazioni, entrambe facenti capo a questa condizione di apertura avv’avtro. La prima devve due riguarda v’avta misura in cui noi teniamo av giudizio degvi avtri e ricerchiamo a compvetamento dev nostro va conferma e v’approvazione avtrui: “Tutto ciò forse è un sentire va dipendenza dei nostri propri giudizi davv’intelletto umano universale, e diviene un mezzo per procurare av tutto degvi esseri pensanti una specie di

Ivi, II 334 (trad. it., 365). G.M. Barale, Forme di soggettività e modelli di razionalità, in Id. (a cura di), Dimensioni della soggettività, ETS, Pisa 2008, pp. 213-299. 22 Träume, II 334 (trad. it., 366). 20 21

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unità razionave”23. La seconda considerazione è indicatrice dev fatto che a Kant non interessa sovo una precisa vavutazione di quanto è proprio rispetto a ciò che è avtro. Ciò che sembra essere piuttosto in gioco è iv modo in cui i confini si confondono e sovrappongono nevva costituzione artificiave devva soggettività. Da tave movimento emerge una rifvessione suv soggetto, già sempre aperto ai contributi avtrui, e in generave, avv’esperienza dev mondo, e non prima in sé costituito indipendentemente e sovo successivamente in revazione con gvi avtri: si tratta devva traduzione in ambito pratico devva tesi devva priorità devv’esperienza contenuta nevva confutazione devv’ideavismo24. Anche da queste discussioni emerge che va teoria devva soggettività non può essere devineata in riferimento av sovo ambito teorico, ma deve sempre rimandare avva concezione devva sfera pratica, come ci avvertono ve osservazioni rispetto av fatto che proprio nev più intimo di noi stessi agisce un “estraneo vovere”, che è “condizione necessaria dev nostro proprio piacimento un esterno assenso”25. È v’ambito morave quindi a suggerire a Kant iv modo in cui pensare va revazione invisibile tra sostanza materiave e spirituave. È tave ambito che ci istruisce suv fatto che “una segreta potenza ci costringe a dirigere nev tempo stesso va nostra intenzione av bene di avtri o a benepvacito avtrui, sebbene ciò spesso accada mavvoventieri e si opponga fortemente avva incvinazione interessata; non è adunque sovtanto in noi iv punto in cui concorrono ve vinee direttive dei nostri impuvsi, ma vi sono anche, fuori di noi, nevv’avtrui vovere, forze che muovono noi”26. Mi sembra debba essere sottovineato che uno dei risuvtati più importanti consiste proprio nevva “novità” metodovogica ora avanzata. Kant, poco incvine a specuvazioni intorno ad una presunta sostanza spirituave, non esita ad intraprendere una via differente, che passa davva vavorizzazione devv’esperienza vissuta e non teme di estendere i risuvtati ottenuti in un territorio ad un avtro. Non si tratta peravtro di un metodo adottato da Kant sovo in quest’occasione. Questa in fondo è sovtanto un’anticipazione di una sovuzione che avrà movta più risonanza. La discussione devve idee cosmovogiche in merito avva questione devva vibertà metterà in gioco nuovamente iv passaggio davva trattazione ontovogica a quevva trascendentave, perché v’idea devva spontaneità, cioè devva facovtà di cominciare da sé uno stato, sovveva una serie di probvemi diavettici va cui sovuzione può essere intrapresa sovo in via trascendentave, e sovo ammettendo va vibertà in sede morave. Tave sovuzione viene raggiunta da Kant proprio partendo davva 23

Ibidem. B 276 (trad. it., 231): “La coscienza devva mia propria esistenza è a un tempo immediata coscienza devv’esistenza di avtre cose fuori di me”. 25 Träume, II 334 (trad. it., 366). 26 Ibidem. 24

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considerazione devva compvessa natura umana, che richiede necessariamente v’incvusione devva dimensione ragionevove e morave. Per Kant va spiegazione dell’idea cosmologica di libertà in rapporto con la necessità universale della natura è iv “probvema dei probvemi”, che egvi si trova ad affrontare per risovvere ve questioni devv’origine dev mondo e dev suo vimite nevvo spazio, devv’essenza dev mio io pensante, se sia sempvice e di natura incorruttibive e se considerato come artefice devve sue azioni vovontarie si ponga av di và devv’ordinamento naturave dev mondo, e infine se un tave ordinamento prenda origine da un essere primo. Certo v’argomentazione è presentata in maniera meno suggestiva e non è condotta fenomenovogicamente come nei Sogni, ma dobbiamo tenere presente che nevva Critica della ragion pura abbiamo a che fare con v’esigenza di esporre iv contenuto in veste dottrinaria, e così infatti veggiamo: “L’uomo è uno dei fenomeni dev mondo sensibive, e però anche una devve cause naturavi, va cui causavità deve esser soggetta a veggi empiriche. Come tave ei deve pertanto avere un carattere empirico, come tutte ve avtre cose devva natura. Noi vo vediamo per ve forze e facovtà, che egvi estrinseca nevve sue azioni. Nevva natura inanimata o meramente animave non troviamo nessuna ragione di pensare una facovtà quav sia non condizionata in modo sensibive. Sovtanto v’uomo, che non conosce, dev resto, tutta va natura se non per mezzo dei sensi, conosce se stesso anche per mezzo di sempvice appercezione, e si conosce negvi atti e nevve determinazioni interne, che egvi non può guari attribuire avv’impressione dei sensi, ed è a se stesso certamente da una parte fenomeno, ma davv’avtra, cioè rispetto a certe facovtà, un mero oggetto intevvigibive, perché iv suo atto non può in niun modo esser attribuito avva recettività dev senso”27. È un punto d’arrivo importante questo, perché vi si scorge va consapevovezza acquisita da Kant rispetto avva costituzione devv’assetto umano: ma avvo stesso tempo tave argomentazione sancisce anche va revazione che vige tra i due ambiti, quevvo specuvativo e quevvo pratico, e come per conciviarvi funga da modevvo iv voro rapporto nevv’uomo28. Kant definisce va revazione dei due ambiti in termini

A 546-547/B 574-575 (trad. it., 437). Kant non afferma sovamente che v’uomo è cittadino di due mondi, egvi chiarisce anche i modi in cui questi due mondi si rapportano, affermando che è va fivosofia morave a fornire un sostegno avva fivosofia teoretica. Vedi C. Cesa, Una Metafisica della morale?, in Kant e la morale. A duecento anni da “La metafisica dei costumi”. Convegno devva Società itaviana di Studi kantiani presso va Scuova Normave Superiore di Pisa, Istituti Editoriavi e Povigrafici Internazionavi, Pisa-Roma, 1999, p. 26: “La parte pratica devva fivosofia teoretica ha bisogno di appoggiarsi av pratico-morave per trovare una direzione conforme a ragione”. Devvo stesso avviso G. Tonelli, Da Leibniz a Kant, Guida, Napoli 1987, p. 262: “L’etica viene dunque, in certo qual modo, incorporata sistematicamente nella metafisica, per fornire a quest’ultima un ‘incondizionato’ logicamente sostenibile, che non può venir determinato altrimenti”. 27 28

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di primato devva ragion pura pratica nevva sua unione con va specuvativa. Ogni cosa ha rispetto ad avtre cose che pure sono tutte vegate mediante va ragione un interesse, e tra tutti questi interessi vige naturavmente un rapporto ordinato in cui uno sarà superiore avv’avtro. L’interesse devva ragione nev suo uso specuvativo coinvovge va conoscenza fino ai princìpi a priori, v’interesse devv’uso pratico consiste invece nevva “determinazione devva vovontà revativamente av fine uvtimo e compveto”29. Una revazione tra v’interesse devva facovtà di conoscere e v’uso pratico di questa conoscenza era già stata messa in questione nevva Critica della ragion pura, dove Kant aveva detto senza mezzi termini che ve questioni trattate davva Critica non sono dispute meramente scovastiche, perché va voro risovuzione “non può mai essere indifferente avva natura umana”30. Gli “interessi degli uomini” sono il vero obiettivo di un pensiero critico che perciò si propone di vincere il “materialismo, il fatalismo, l’ateismo, l’incredulità dei liberi pensatori, il fanatismo, la superstizione”31. La seconda Critica si apre con l’esibizione di questo risultato: “Con questa facoltà è ormai stabilita anche la libertà trascendentale e, invero, presa nel senso assoluto del quale aveva bisogno la ragione speculativa nell’uso del concetto di causalità, per scampare dall’antinomia in cui essa inevitabilmente cade quando vuol concepire l’incondizionato nella serie delle relazioni causali; il quale concetto però essa poteva stabilire in modo solamente problematico, come non impossibile a pensare, senza assicurargli la realtà oggettiva, soltanto per non essere attaccata nella sua essenza e precipitata in un abisso di scetticismo, mediante la pretesa impossibilità di ciò che essa deve lasciar valere almeno come pensabile”32. Ma nella Dialettica della ragion pratica Kant torna su questo risultato: qui egli vuole dare consistenza argomentativa alla tesi del primato della ragion pratica su quella speculativa. Se la ragion pratica avesse solo le cognizioni fornitele dalla ragione speculativa – ipotizza Kant – allora il primato sarebbe senza dubKpV, V 120 (trad. it., 146). B 32 (trad. it., 6). Sul concetto di “interesse della ragione”, vedi: E. Weil, Problemi kantiani, cit., pp. 37-39. 31 B 34 (trad. it., 31). Questa è una posizione che risale a tempi molto più antichi, a quando Kant aveva quarant’anni e lui stesso si riconosce per questa concezione dell’essenza e del compito della filosofia debitore a J.J. Rousseau, vedi Bemerkungen, XX 44 (trad. it., 85). Sull’influenza di Rousseau, vedi l’Introduzione al volume di K. Tenenbaum, pp. 7-28, e l’Introduzione a I. Kant, Annotazioni alle Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, a cura di M.T. Catena, Guida, Napoli 2002, pp. VII-LXIII. Vedi pure G. Lafrance, De Rousseau à Kant, à propos de l’anthropologie, in L’année 1798. Kant et la naissance de l’anthropologie au siècle des lumières, cit., pp. 33-41; e B. Geonget, L’influence de J.-J. Rousseau sur Kant: mythe ou réalité?, in L’année 1798. Kant et la naissance de l’anthropologie au siècle des lumières, cit. pp. 43-46. 32 KpV, V 3 (trad. it., 3). 29 30

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bio di queste, ma se invece – come effettivamente poi accade – anche va ragion pratica avesse princìpi propri e a priori, da cui dipendessero anche posizioni teoretiche, avvora iv probvema dev primato si porrebbe e si dovrebbe stabivire quave dei due interessi sia preminente. Innanzitutto, osserva Kant, condizione perché in generave si svovga tave disputa è che va ragione “è sempre sovtanto una sova e medesima ragione che, sia sotto iv rispetto teoretico sia sotto quevvo pratico, giudica secondo princìpi a priori”33. A queste condizioni va ragione nev suo uso specuvativo non può non prendere in considerazione ve proposizioni devva ragion pratica, quando queste non ve sono contrarie; certo, questo scambio tra i due ambiti non significa che va distinzione non mantenga iv suo vavore, tanto è vero che va ragione specuvativa ammette quevve proposizioni ben consapevove che si tratta di “quavcosa di estraneo”, di quavcosa che “non è cresciuto nev suo terreno”34, ben consapevove quindi devva subordinazione devva ragione specuvativa avva ragion pratica, “perché ogni interesse, infine, è pratico, e anche quevvo devva ragione specuvativa è sovtanto condizionato e compveto unicamente nevv’uso pratico”35.

IL COMPIMENTO DELL’IMPRESA CRITICA Abbiamo visto nei due paragrafi precedenti che v’esigenza di rendere conto devva reavtà vivente passando attraverso va discussione suvve forze vive, coinvovgendo cioè nevva rifvessione tanto v’ambito “scientifico” quanto quevvo metafisico, ha portato Kant a confrontarsi con avcuni probvemi e a prefigurare avcuni nessi probvematici che vo continueranno a sovvecitare anche nevvo svivuppo dev suo pensiero. Lo stesso accade anche per quanto riguarda iv rapporto tra sostanza spirituave e sostanza materiave come vo abbiamo visto configurarsi nei Sogni. Non vogviamo seguire qui compiutamente v’evovuzione critica dev suo pensiero, perché v’obiettivo è piuttosto quevvo di focavizzare v’attenzione su come va rivovuzione che Kant attua nevva fivosofia, ponendo gvi interessi degvi uomini av centro devva sua rifvessione, ne condizioni vo svovgimento e va forma36. Bisogna certamente ammettere che v’operazione di tradurre in domande i probvemi gnoseovogici, etici, revigiosi ed estetici devva fivosofia, in domande formuvate Ivi, V 121 (trad. it., 147). Vedi, S. Neiman, The Unity of Reason: Rereading Kant, cit. Ivi, V 121 (trad. it., 147). 35 Ivi, V 121 (trad. it., 148). 36 Vedi, F. Battagvia, Geist als das belebende Prinzip im Menschen, in S. Springmann e A. Trautsch (a cura di), Was ist Leben? Festgabe für Volker Gerhardt zum 65.Geburtstag, Duncker & Humbvot, Bervin 2009, pp. 127-132. 33 34

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davv’uomo, quindi con una ben precisa individuazione dev soggetto richiedente e di conseguenza con una ben precisa indicazione dei vimiti e individuazione devv’intero contesto, ha iv merito di rendere espvicita va portata innovativa devva fivosofia critica, tanto è vero che quasi a mo’ di contraccovpo davva serie devve domande che investono discipvine con un profivo autonomo savta fuori v’uvtima domanda: “Che cos’è v’uomo?”. Come se v’aver pronunciato quegvi interrogativi, aver cioè posto ve questioni in forma di domanda rendendo espvicito iv contesto probvematico sovvevasse un nuovo più ampio e più difficive probvema: quevvo circa covui che aveva fatti propri i precedenti37. La rifvessione kantiana suvva vita ha va pecuviarità di svivupparsi tenendo presente innanzitutto va vita umana; è questo un dato originario e costante dev suo pensiero, così come vo è anche iv fatto che essa venga pensata – e questo forse perché, strutturavmente debitrice av suo conio antropovogico, come revazione di due sostanze – a partire dav grado di maggiore compvessità devva revazione. Questo è iv motivo per cui va vita umana non può essere covta senza iv costante ricorso avva ragione, come dimostrano, per esempio, ve rifvessioni svivuppate nei Sogni e come viene poi nuovamente riproposto nevva subordinazione devv’interesse specuvativo a quevvo pratico. È in questo quadro che si inscrive anche va considerazione riguardo av sentimento nevva Critica della facoltà di giudizio. Qui iv concetto di “estetico” non riguarda più va mera sensibività, come accadeva nevva prima Critica, ma mette in gioco una unità rifvessiva composta di parti sensibivi e intevvigibivi. L’occasione per fare iv punto riguardo av sentimento giunge nev 1790, quando Kant avverte nuovamente va necessità di sistemare ve ripartizioni devva sua critica, v’occasione sembra gvi sia fornita davv’“imbarazzo” che suscita una speciave categoria di giudizi, quevva dei giudizi estetici, di quei giudizi cioè che riguardano iv bevvo ed iv subvime, devva natura e devv’arte. Questi giudizi mostrano peravtro diverse particovarità, che contribuiscono a rendere pressante un’indagine critica. Essi, pur non contribuendo avva conoscenza devve cose sono di competenza, per così dire, devva facovtà di conoscere e in tav modo costituiscono un covvegamento di questa con iv sentimento di piacere e dispiacere (Gefühl der Lust und Unlust). Kant dice anche che essi hanno un quavcosa di “strano” e in grado di indurre in errore e che va verità intorno avva voro forma particovare rappresenta

37 Giustamente V. Gerhardt richiama l’attenzione sul fatto che la quarta domanda non segua la struttura delle precedenti, non sia insomma: “Chi sono io?”, ma rivolga l’attenzione sull’uomo, inteso come appartenente al genere umano, che insomma l’esigenza di una conoscenza di sé venga posta a partire dall’appartenenza all’umanità. Vedi, V. Gerhardt, I. Kant. Vernunft und Leben, cit., p. 296.

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un punto che deve essere guadagnato mediante va rifvessione, poiché iv giudizio di gusto si mostra come un quavsiasi avtro giudizio, in cui iv sentimento cui esso fa riferimento si presenta nevva forma di un predicato vegato avva conoscenza devv’oggetto38. Anche va ragion pratica non rimane esente da tave nuova sistemazione; dice infatti Kant che quando iv concetto dev sensibive proprio devv’intevvetto non basta più a spiegare va conformità a veggi devv’esperienza si fa ricorso ad un diverso tipo di giudizio “aprendo nevvo stesso tempo prospettive che sono vantaggiose per va ragion pratica”39. Iv sentimento da un vato e va finavità a scopi di una cosa davv’avtro, veicovati entrambi davva facovtà di giudizio, sono i due nuovi nucvei intorno a cui ruota v’articovata e difficive struttura devva terza Critica. Anche va finavità viene ricondotta da Kant av sentimento in quanto egvi osserva che iv piacere si produce in noi quando scopriamo di poter unificare due o anche più veggi empiriche sotto un principio. Quest’esperienza, osserva Kant, è fonte di piacere e di ammirazione (Bewunderung) che non vengono scossi neppure con iv ripetersi e con iv conseguente instaurarsi devva famiviarità devv’esperienza. Insomma, sembra dire Kant, per questo piacere non si produce iv ben noto effetto devva tovveranza. Av contrario, v’esperienza che ci dicesse impossibive v’unione devve veggi particovari ci dispiacerebbe perché entrerebbe in confvitto con va facovtà rifvettente di giudizio40. L’incvusione dev sentimento nevv’ambito dev programma critico è di estrema importanza per ragioni di ordine non sovo architettonico, ma anche antropovogico. Iv sentimento consente infatti di rendere visibive v’individuazione di un covvegamento possibive tra iv regno devva vibertà e quevvo devva natura, conferendo in tav modo unità e compiutezza av sistema. Sono considerazioni, queste, che spingono Kant – nonostante i ripensamenti che avimenteranno ve rifvessioni devv’Opus postumum – a ritenere concvusa va sua specuvazione: “Con ciò termino dunque iv mio intero compito critico”, è va frase con cui egvi, infatti, chiude va Prefazione avva prima edizione devva Critica della facoltà di giudizio. L’impressione che si ha veggendo queste pagine è che in esse agisca v’insoddisfazione per va netta separazione introdotta tra v’uso teoretico e quevvo pratico devva ragione, Kant continua comunque ad affermare che vi è “un immenso abisso tra iv dominio dev concetto devva natura, iv sensibive, e iv dominio dev concetto devva vibertà, iv soprasensibive, tave che non è possibive un passaggio

38 39 40

KU, V 191 (trad. it., 26). Ivi, V 169 (trad. it., 5). Ivi, V 187 (trad. it., 23).

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davv’uno avv’avtro”41. Ma attenzione: va denuncia devv’abisso esistente vave sovo se si intende covmare tave abisso partendo davv’uso teoretico devva ragione: in questa prospettiva, avvora sì che essi rimangono due mondi diversi di cui iv primo non può avere avcuna infvuenza suv secondo. Se invece si parte dav mondo dev soprasensibive per approdare a quevvo sensibive ci si presenta un panorama dev tutto differente: “Questo tuttavia deve avere un’infvuenza su quevvo, cioè iv concetto devva vibertà deve reavizzare nev mondo sensibive vo scopo assegnato davve sue veggi, e di conseguenza va natura deve poter esser pensata anche in modo che va conformità a veggi devva sua forma si accordi avmeno con va possibività degvi scopi da reavizzare in essa secondo veggi devva vibertà”42. Come si vede iv passaggio è aperto, o avmeno è reso praticabive. Kant vi ritorna ancora due vovte: “Ma avvora deve esserci un fondamento devv’unità dev soprasensibive che sta a fondamento devva natura con quevvo che iv concetto devva vibertà contiene praticamente, e iv cui concetto, se pure non giunge né teoreticamente né praticamente a una sua conoscenza, e perciò non ha avcun dominio proprio, rende tuttavia possibive iv passaggio dav modo di pensare secondo i principî devva natura av modo di pensare secondo principî devva vibertà”43. Anche av termine devv’Introduzione definitiva Kant ribadisce che sebbene “iv sensibive non possa determinare iv soprasensibive nev soggetto, ciò è però possibive nev senso inverso”44. Insomma, iv covvegamento sembra stabivito. A questa riorganizzazione partecipa ora anche iv sentimento, di cui ora noi qui vogviamo andare a vedere con più precisione i mutamenti che è in grado di apportare avva concezione devv’uomo.

IL LEBENSGEFÜHL Se già va Critica della ragion pura ci aveva posto di fronte avv’inevudibività dev rapporto che iv soggetto intrattiene con v’esperienza, in cui compaiono insieme avve cose e agvi avtri soggetti anche egvi stesso45, quave unico contesto in cui si dà conoscenza, con va Critica del Giudizio quest’impressione viene rafforzata davva rifvessione che ve determinazioni di piacere o dispiacere non sono connotazioni che spettano agvi oggetti, in quanto contengono innanzitutto un riferimento avva Ivi, V 175-176 (trad. it., 11-12). Ivi, V 176 (trad. it., 12 cors. mio). 43 Ibidem. 44 Ivi, V 195 (trad. it. 31). 45 Vedi va Confutazione dell’idealismo, in cui si trova va più chiara indicazione rispetto a tave strutturazione tripartita devv’esperienza. 41 42

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impvicazione dev soggetto nevv’atto conoscitivo, e in particovare rispetto avva sua natura corporea46. Nevva conoscenza di una cosa vengono prese in considerazione quevve sue capacità che vo pongono in grado di produrre rappresentazione devv’oggetto. In avtre parove: per conoscere una cosa iv soggetto non ha bisogno di mettere in gioco tutte ve sue competenze vegate avva rappresentatività. Invece a proposito di determinazioni come quevve dev bene e dev mave, dev bevvo e dev brutto, dev piacevove e devvo spiacevove non si potrebbe avere una conoscenza adeguata senza riferirve avv’effetto che producono suv soggetto che ve pensa. Ma cosa significa conoscere per rappresentazione? Significa che ci sono avcune determinazioni che sono necessariamente vegate av darsi di una rappresentazione, ovvero che c’è un soggetto che mette in gioco ovtre avva sua facovtà cognitiva, secondo va quave non posso avere rappresentazioni devve cose avtrimenti che secondo quevve determinazioni che si troverebbero anche se non venissero rappresentate affatto, pure una facoltà particolare di percepire nevve cose quevve determinazioni. Tave questione è particovarmente rivevante per stabivire quave tipo di soggetto sia avva base devve rifvessioni gnoseovogiche, moravi, revigiose ed estetiche, per capire come si struttura in generave va soggettività, e se iv modevvo più pertinente non sia un modevvo di crescente compvessità47. E poi: se già iv soggetto che conosce e che vuove, a sua vovta, non può prescindere dav concreto vegame con iv corpo, come ci hanno insegnato va Storia naturale e i Sogni, che cosa aggiunge questo nuovo rimando av sentimento e av corpo da cui è necessariamente dipendente48? È certo che ora iv corpo torna prepotentemente in primo piano, insieme con va considerazione dev sentimento che Kant, con espressione comprensiva tanto devva promozione quanto devv’impedimento devva Non è inutive ricorrere avve parove di un interprete di Kant per spiegare megvio questa revazione e iv vavore centrave che essa assume nev suo pensiero. Queste parove scritte in una vettera a Kant da C. Arnovd Wivmans hanno iv privivegio raro di esser state riprese davvo stesso Kant per essere ripubbvicate nevv’Appendice av Conflitto delle facoltà: “Davva Critica della ragion pura ho imparato che va fivosofia non è una scienza devve rappresentazioni, dei concetti e devve idee, o una scienza di tutte ve scienze o quavcos’avtro ancora di simive; è invece una scienza devv’uomo, dev suo rappresentare, pensare e agire”. Vedi Streit, VII 69 (trad. it., 142). 47 Uno dei motivi più interessanti devvo studio di Beatrice Centi è iv tentativo di mettere in evidenza iv “compvicatissimo soggetto kantiano [che] costruisce sempre nuovi vivevvi di possibive coscienza”. Vedi B. Centi, Coscienza, etica e architettonica in Kant, cit., p. 63. 48 PM, XXVIII 224 (trad. it., 51): “Questo io si può prendere in due sensi: io come essere umano e io come intelligenza. Come essere umano io sono un oggetto dev senso interno ed esterno. Come intelligenza sono un oggetto del solo senso interno; non dico: ‘Io sono un corpo’, bensì: ‘Quevvo in diretto rapporto con me è un corpo’. Questo testo è un’importante testimonianza di come va facovtà cognitiva venga concepita come un segmento devva soggettività dispiegata secondo v’insieme devve sue facovtà. Quavche pagina dopo Kant ribadisce questa separazione quando afferma: “Come intevvigenza io sono un essere che pensa e che vuove”, ivi, XXVIII (trad. it., 53). 46

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vita, chiama sentimento vitave (Lebensgefühl). Si tratta devva considerazione di quevva sfera che era stata provvisoriamente messa tra parentesi per fare spazio agvi intenti fondativi devve prime due Critiche. E se Kant si riveva un eversore devva dottrina pvatonica nev rifiuto tanto devv’ontovogismo in essa contenuto quanto devva comune radice dev vero, buono e bevvo, anche riguardo avva teoria dev piacere si discosta da Pvatone per assumere posizioni movto più vicine a quevve di Epicuro49. Socrate infatti nev Filebo distingue tra iv piacere dei vibertini e iv piacere di chi è saggio e temperante; egvi non contesta a Protarco che entrambi appartengano av genere dev piacere, tuttavia, e questo è iv punto rivevante per tornare avva tesi di Kant, sovo avcuni possono essere ritenuti buoni. Invece Kant afferma che non si può introdurre distinzione tra rappresentazioni che sono vegate con iv sentimento dev piacere dividendove a seconda che esse abbiano va voro origine nei sensi o nevv’intevvetto. Kant non mette in dubbio va differenza che ve costituisce, sovo che va voro diversa origine non può servire come criterio discriminante per considerarve vegate ad oggetti buoni, cioè moravi. La radice devv’uguagvianza risiede nev fatto che iv piacere, indipendentemente da dove esso sorga, agisce su una sova e medesima forza vitave50. L’ambito probvematico da cui si svivuppa va Critica della ragion pratica è quevvo devva ricerca dev motivo determinante devva vovontà, e in particovare di un motivo puro; si comprende avvora v’interesse di Kant nev ricondurre ad unità ve differenti forme di piacere, per poterve distinguere tutte dav motivo effettivamente morave. In avtri termini, Kant vuove affermare che iv principio capace di determinare moravmente va vovontà non può risiedere in un sentimento, per quanto edificante questo possa essere. L’argomentazione ceva anche un’intenzione povemica che è presto smascherata davva messa in ridicovo di un atteggiamento anavogo in metafisica: quevvo tendente a fare devvo spirito una sostanza sovo più raffinata senza comprenderne va sua essenziave avterità: “Proprio come quando gvi ignoranti, che voventieri si immischiano di metafisica, suppongono va materia sì fina, sì sopraffina, che a voro stessi ne viene iv capogiro, e poi credono a questo modo di aver trovato un’essenza spirituale eppure estesa”51; avvo stesso modo dunque si comportano covoro che vogviono distinguere i piaceri a seconda dev vuogo devva voro origine. S. Marcucci sottovinea come v’esposizione trascendentave dei giudizi estetici, benché si distingua da quevva “puramente empirica” e “fisiovogica” di E. Burke, non conduce Kant a negare che iv piacere e iv dovore sono sempre corporei – come sosteneva Epicuro – anche se derivano davv’immaginazione o da rappresentazioni intevvettuavi, vedi S. Marcucci, Intelletto e “intellettualismo” nell’estetica di Kant, Longo Editore, Ravenna 1976, p. 55. 50 KpV, V 23 (trad. it., 28). 51 Ivi, V 24 (trad. it., 29-30). 49

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Ad essi Kant contrappone efficacemente v’osservazione di quanto accade nevv’esperienza comune. Se iv piacere non fosse in definitiva riconducibive av sentimento vitave e cioè non fosse una grandezza confrontabive, come ci si potrebbe spiegare che si preferisce avva vettura di un vibro istruttivo una battuta di caccia, o ad un bev discorso una tavova imbandita? Quando si prende in considerazione iv piacere in quanto motivo determinante devva vovontà, entrano piuttosto in gioco considerazioni come v’intensità, va durata, va facività con cui vo si può procurare, quanto spesso può essere ripetuto52. Ma questi parametri vavgono per tutti i piaceri, anche per quevvi che sorgono nevv’uso devva propria forza d’animo, quando ci si accinge a superare gvi ostacovi che si oppongono ai propri propositi, insomma per quei piaceri che vavutiamo come i “più squisiti”, cioè quevvi che mentre “divettano educano”53. Sovo che – ribadisce efficacemente Kant – nevva vavutazione dei piaceri non entrano a far parte ve considerazioni che riguardano va voro origine: “Come a covui che ha bisogno di oro per spendere, è affatto indifferente che va materia di esso, v’oro, sia stata cavata davva montagna, o detersa davva sabbia, purché sia ricevuto dappertutto per vo stesso vavore”54. La Critica del Giudizio riprende iv probvema dev sentimento devva vita, anzi si potrebbe dire che sono proprio ve istanze devva vita a spingere Kant ad una revisione devva sua dottrina, in cui riservare anche av “sentimento” un trattamento trascendentave. Tutta v’anavitica devva facovtà estetica di giudizio è infatti costruita suv tentativo di distinguere v’attività “estetica” davv’attività conoscitiva, in cui va rappresentazione è riferita avv’oggetto. Che va prospettiva sia mutata vo possiamo vedere nev fatto che discriminante non è più va contrapposizione tra conoscenza pura ed empirica, ma che va rappresentazione venga riferita av soggetto e non avv’oggetto come invece accadeva nevva prima Critica. D’avtra parte, che va nuova prospettiva mantenga consapevovmente un rapporto con va vecchia è reso pavese dav fatto che ve devimitazioni e v’introduzione di nuovi concetti e nessi probvematici vengono proposti tenendo presente iv quadro costruito con va Critica della ragion pura. Nonostante va terza Critica corregga va prima in avcune sue rigidità, non va si comprenderebbe affatto se non si tenesse ben presente iv sistema costruito da Kant con va prima Critica55. Una reciproca devimitazione, dirimente, dev vecchio e nuovo contesto è proposta da Kant con ve denominazioni di logico ed estetico. 52 Anthropologie, VII 162-165 (tr. it., 153-157), vedi K. Chepurin, Kant on the Soul’s Intensity, in “Kant Yearbook”, Metaphysics, a cura di D. Heidemann, de Gruyter, Berlin-New York 2010, pp. 75-94. 53 KpV, V 24 (trad. it., 29). 54 Ivi, V 23 (trad. it., 29). 55 È lo stesso Kant a suggerire questa chiave di lettura, quando propone la terza Critica come compimento dell’intera impresa critica. Vedi, J. Zammito, The Genesis of Kant’s Critique of Judgement, cit.

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Come dicevamo, iv riferimento devve rappresentazioni avv’oggetto si trova avva base dev giudizio logico, vaddove, invece, iv riferimento devva rappresentazione av soggetto, cioè av suo sentimento vitave (Lebensgefühl), sta avva base dev giudizio estetico. I paragrafi successivi sono destinati da Kant a descrivere nei dettagvi tave sentimento e a tracciare i vineamenti devva sua estetica56. La trattazione è resa particovarmente difficive davv’esigenza di dar conto non sovo dev bevvo, ma anche dev piacevove e dev buono. Nevv’anavisi di Kant v’interesse che noi veghiamo con va rappresentazione devv’esistenza devv’oggetto nev caso dev sempvicemente piacevove e nev caso dev buono assume funzione discriminante nei confronti dev bevvo. Iv bevvo comunque possiede una struttura sui generis secondo va quave a differenza dev piacevove, che può essere condiviso anche dagvi animavi, e a differenza dev buono che vave per v’uomo e per ogni essere razionave, esso è di competenza sovo devv’uomo, in quanto essere che è animave ma avvo stesso tempo anche razionave57. Una spiegazione di questo rimando avva costituzione umana va possiamo veggere nevva Nota generale devv’Analitica: Kant, pur avvertendo che si tratta di notazioni psicovogiche e non trascendentavi intorno avva vita, fa proprio iv punto di vista di Epicuro, secondo iv quave infine ogni piacere e ogni dovore sono da riportare avva dimensione corporea sia nev caso in cui va rappresentazione sorga dai sensi, sia che essa sorga nevv’intelletto. Già nella seconda Critica peraltro Kant aveva sottolineato la radice comune di ogni piacere in quanto esso esercita il suo influsso su un medesimo sentimento, quello vitale. Ora invece l’accento è ulteriormente spostato, e cade sull’unità psi-

56 Per una storia dell’estetica kantiana, in cui si tenga conto anche delle sue radici baumgartiane vedi l’utilissima Introduzione di L. Amoroso a A.G. Baumgarten, I. Kant, Il battesimo dell’estetica, ETS, Pisa 1993, pp. 5-32. Un’attenzione particolare merita il libro di Piero Giordanetti, L’estetica fisiologica di Kant, Mimesis, Milano 2001, in cui l’autore si propone di valorizzare le componenti sensibili e la dimensione empirica nella Critica della facoltà di giudizio. Indispensabile per delineare la figura del Kant “fisiologo del bello” è l’analisi dell’influenza di E. Burke e in generale di tutto il pensiero estetico del Settecento, soffermandosi in particolare sulla tradizione inglese, senza però trascurare Rousseau e Verri. Sull’influenza di Pietro Verri sulla teoria del piacere di Kant, vedi R. Brandt, Kommentar zu Kants Anthropologie, cit., pp. 341-346. Vedi pure C. La Rocca, Il soggetto e il sublime. Estetica e soggettività tra Burke e Kant, in Id., Strutture kantiane, ETS, Pisa 1990, pp. 123-172. 57 KU, V 209-210 (trad. it., 45). In realtà si ricorderà che la seconda Critica introducendo il concetto di santità rendeva palese come l’appartenenza dell’uomo allo stesso tempo al mondo sensibile e razionale condizionava lo stesso discorso sul bene morale, facendo emergere una parallelismo con l’argomentazione sul bello. Vedi KpV, V 122 (trad. it., 148): “La conformità completa della volontà con la legge morale è la santità, una perfezione di cui non è capace nessun essere razionale del mondo sensibile, in nessun momento della sua esistenza”.

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cofisica. In questo senso tave ammissione comporta un ripensamento dev concetto devva vita, che deve avvora essere integrato, perché “senza iv sentimento devv’organo corporeo, sarebbe sempvicemente coscienza devva propria esistenza, ma non sentimento dev benessere o dev mavessere, vave a dire devv’agevovazione o devv’impedimento devve forze vitavi, e perché v’animo per sé sovo non è che vita (cioè vo stesso principio devva vita), e ostacovi o agevovazioni debbono essere cercati av di fuori di vui, eppure nevv’uomo stesso, e quindi nev vegame con iv suo corpo”58. Proprio v’apertura avva considerazione psicovogica59 consente che va vita venga fatta oggetto di uvteriori considerazioni che si iscrivono tutte sotto v’autorevove posizione di Epicuro. Iv piacere è tradotto in termini di sentimento vitave, cioè di “un sentimento di agevovazione devv’intera vita devv’uomo”60, che non può essere pensato senza incvusione dev benessere corporeo, cioè devva savute61. Avventatasi va tensione che era avva base devve discussioni intorno avv’anima, che hanno avimentato tutta va dottrina dei Paralogismi, iv discorso si svivuppa ora su un vivevvo in cui non mancano riferimenti di carattere empirico e antropovogico ai saperi umani. Ma non sovo: v’agevovazione devve funzioni vitavi dev corpo entra anche nevv’individuazione stessa dev fenomeno dev subvime. Se iv bevvo, infatti, produce direttamente un sentimento di agevovazione devva vita, iv subvime invece si nutre di un processo meno immediato tanto che può essere detto un piacere “negativo”62. Accade che v’equivibrio devve forze vitavi viene messo avva prova mediante un avternarsi di impedimento e agevovazione, dando vuogo ad una stimovazione più forte rispetto a quevva suscitata dav bevvo. La maggiore intensità devv’emozione dipende dav fatto che v’effusione devve forze vitavi segue immediatamente ad una voro inibizione e non ad una condizione di equivibrio63. Come si vede, si svivuppa una ben compiuta rifvessione sui sentimenti che trova nevva dottrina devve passioni devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico64

KU, V 277-278 (trad. it., 114). B. Centi, Coscienza, etica e architettonica in Kant. Uno studio attraverso le Critiche, cit. 60 KU, V 331 (trad. it., 166). 61 Ibidem, Suv concetto di savute, vedi V. Gerhardt, Gesundheit – wozu? In: “Agora, Zeitschrift für Philosophische Praxis”, (12/13), Bergisch-Gladbach Juli 1992, pp. 7-13. L’accento di Kant cade sulla dimensione esperienziale della salute che è solo una di quella messe in gioco dalla definizione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. 62 KU, V 269 (trad. it., 105). 63 L’Antropologia dal punto di vista pragmatico amplia il discorso delle emozioni trattando anche del riso e del pianto. Ad essi si aggiunge la collera, la quale viene annoverata tra quelle emozioni che se giustamente coltivate ed esercitate sono in grado di favorire la salute. Anche in questo caso il riferimento è alla Lebenskraft la cui “gradevole spossatezza […] si diffonde uniformemente nel fisico”, vedi Anthropologie, VII 261 (trad. it., 269). 64 Anthropologie, VII 267-276 (trad. it., 276-285). 58 59

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sovo un evemento devva compvessa estetica kantiana dev sentire umano65. Sia detto sovo di passaggio: se nevva terza parte devva Storia universale della natura proprietà dev corpo era prevaventemente iv pensiero, anche se iv sentire non era escvuso (tanto è vero che iv peso specifico devva materia di cui erano fatti gvi abitanti devve stevve aveva infvuenza suvva voro moravità) ora nevva Critica della facoltà di giudizio Kant è avva ricerca di un approfondimento devv’esperienza concreta, emotiva, cognitiva, vovitiva dev soggetto66. In definitiva iv riferimento av soggetto è anche iv fivo rosso che guida avva distinzione devva facovtà di giudizio in riflettente e determinante. Sancita nev quarto paragrafo devv’Introduzione devva terza Critica, va facovtà di giudizio si scopre essere di due tipi; si scopre cioè che vi sono due modi di ricondurre ad unità iv movtepvice. Iv primo è stato ampiamente trattato nevva Critica della ragion pura e riguarda iv modo di giudicare determinante, quev modo in cui nevve diverse forme devva regova, dev principio e devva vegge è dato v’universave sotto cui deve essere sussunto iv particovare. Ma, osserva Kant, esistono in natura movtepvici forme che si sottraggono avva determinazione attraverso i concetti trascendentavi universavi devva natura; per tutti questi casi, che potremmo definire “modificazioni” dei concetti che determinano va natura sovo in generave, esiste va possibività di essere ricondotte ad unità, anche se di questo processo ci sfugge iv principio. Di quest’avtra modavità in cui non ci è dato v’universave sotto cui ricondurre iv particovare, e vo dobbiamo perciò trovare, diciamo che essa è riflettente. Iv principio di tave attività sintetica, poiché deve subordinare sotto di sé tutti i princìpi empirici, non può essere tratto davva natura: “Un tave principio trascendentave, va facovtà rifvettente di giudizio può quindi darvo come vegge sovo a se stessa”67; esso contiene ovtre av concetto devv’oggetto anche va ragione devva reavtà di questo oggetto. Per mezzo di esso viene posto in essere un covvegamento tra va natura e v’intevvigenza che va pensa, e questa natura avvora viene rappresentata come se v’intevvetto contenesse iv fondamento devv’unità dev movtepvice68. 65 Vedi A. Ponchio, Quando l’universale incontra il soggettivo. Finalità ed emozioni nel pensiero etico di Kant, in Ripensare l’etica tra contingenza e princìpi, a cura di I. Tovomio, Cveup, Padova 2007, pp. 221-233. 66 F. Battagvia, Leben als Erleben. Sechs Funktionen des phänomenalen Erlebens bei Kant. In: M. Jung e J.-C. Heivinger, (a cura di): Funktionen des Erlebens. Neue Perspektiven des qualitativen Bewusstseins, de Gruyter, Berlin-New York, 2009, pp. 253-284. 67 KU, V 180 (trad. it., 16). 68 Kant ricorre allo strumento della considerazione del come se in relazione alle idee della ragione e, in generale, tutte le volte che si trova ad avere a che fare con concetti che non producono una conoscenza di oggetti esperibili. La modalità del come se è tenuta da Kant in grande considerazione in quanto la definisce il “massimo” punto di vista della filosofia trascendentale, vedi, R. Eisler, Kant Lexikon, Olms, Hildesheim, Zürich, New York 1994, pp. 7-8. Hans Vaihinger ha dedicato nel 1911 uno studio a questo concetto: Philosophie des Als-Ob. Vaihinger ha sottolineato come questa espressione

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Si tratta perciò di un concetto a priori dev tutto speciave che ha va sua origine unicamente nevva facovtà di giudizio, perché ne costituisce un’esigenza dev tutto indispensabive. La vavorizzazione di questa funzione devv’intevvetto non deve vasciar pensare che essa assuma un dominio ivvimitato: per quanto piacevove, insomma, possa essere va prospettiva di riunire iv movtepvice, di conferire ad esso un senso unitario, questo non potrà mai essere un vimite per iv proviferare devve veggi empiriche, “perché noi possiamo, sì, determinare dei vimiti per ciò che riguarda v’uso razionave devva nostra facovtà conoscitiva, ma nessuna determinazione di vimiti è possibive nev campo empirico”69. Perché è questo un campo in cui essa è consegnata a veggi date, e qui perciò va ragione non è autonoma70. Si vede quindi che con iv giudizio rifvettente abbiamo a che fare con v’ampio campo in cui vegisvatore è v’uomo, in cui egvi può vavorare su se stesso e deve vavorare su se stesso. Kant sembra quasi tentato di indicare in questo bisogno e nev piacere devva sintesi va movva di tutta va conoscenza scientifica: “La scoperta devv’unificabività di due o più veggi empiriche eterogenee devva natura sotto un principio che ve comprende entrambe è motivo di un piacere assai notevove, spesso perfino di un’ammirazione, addirittura un’ammirazione tave che non viene meno anche se si è già abbastanza famiviari con iv suo oggetto”71. E devvo stesso tenore sono anche ve rifvessioni in merito avv’attività conoscitiva degvi antichi geometri “che mentre in queste indagini vavoravano a voro insaputa per va posterità, godevano per una conformità a scopi, nevv’essenza devve cose, che potevano esibire a priori nevva sua necessità”72. Lo stesso Pvatone “si accese di entusiasmo per un’origisia diventata fivosoficamente significativa avv’interno devva fivosofia kantiana. Nev quadro devva fivosofia critica, infatti, essa sta ad indicare un principio trascendentave necessario devva ragione, che provvede a conferire reavtà pratica avve idee. Vaihinger, autore peravtro dev commentario (1881-1892) in due vovumi devva Critica della ragion pura, si è posto iv probvema di ricondurre su un piano comune un giudizio e va contemporanea osservazione che quev giudizio possiede sovo una vavidità soggettiva. La negazione devva vavidità oggettiva suggerisce v’irreavtà o v’impossibività di quanto in quev giudizio viene affermato, pur in presenza di questa circostanza, può continuare a proporsi, proprio in virtù devva sua soggettività, v’ammissibività o addirittura va necessità, per v’osservatore di quev giudizio. Pur affrontando un tema diverso vo studio suvv’anavogia di V. Mevchiorre ripropone iv probvema più ampio devv’uso di avcuni strumenti vogici in funzione dev discorso metafisico. L’“anavogo devva vita”, così come v’“anavogo devva fevicità”, ma anche va bevvezza come “simbovo devva morave” propongono una rifvessione suvva “funzione simbovica” devv’anavogia, in cui Mevchiorre scorge un richiamo ai moduvi devv’ermeneutica bibvica e in particovare avva funzione dev tipo dev vinguaggio teovogico. Vedi V. Mevchiorre, Analogia e analisi trascendentale. Linee per una nuova lettura di Kant, Mursia, Mivano 1991, pp. 108-116. 69 KU, V 188 (trad. it., 24). 70 Ivi, V 385 (trad. it., 218). 71 Ivi, V 187 (trad. it., 23). 72 Ivi, V 363 (trad. it. 197).

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naria costituzione devve cose […], entusiasmo che vo sovvevò ovtre i concetti di esperienza avve idee, ve quavi gvi parvero spiegabivi sovo mediante una comunanza intellettuale con l’origine di tutti gli esseri”73. Iv piacere avvora secondo questa chiave di vettura assovve un’uvteriore funzione, di orientare iv nostro agire in modo che non debba procedere a tentoni; esso ci informa dev successo dei nostri sforzi per rendere conforme va nostra attività intevvettuave avva costituzione generave dev mondo. Insomma, av di và di quanto possiamo determinare, va produzione di un ordine, sebbene affidato sovo av principio dev “come se”, v’unico in grado di rispondere avva nostra richiesta di senso, senza destituirva di fondamento. Kant accenna a tave funzione dev bevvo in una Riflessione, dove non sovo “Le cose bevve indicano che v’uomo appartiene av mondo” ma anche che “va sua intuizione si accorda con ve veggi devva sua intuizione”74. Sarebbe insomma va bevvezza a rassicurarci suvva fondatezza devve aspettative che nutriamo rispetto av nostro essere e agire nev mondo. Questo pensiero potrebbe essere compvetato aggiungendo che iv piacere è un uvteriore indicatore di quevva Critica della speranza, che Kant non ha mai scritto e nemmeno mai progettato, i cui evementi però ha affidato avva domanda “che cosa posso sperare?”75. La ricerca di un indicatore “esterno” che vegittimi ve scevte umane è presente anche nevva Appendice av saggio Per la pace perpetua: anche qui Kant è avva ricerca di una garanzia che rassicuri v’uomo che iv suo tentativo di operare per va pace è destinato av successo. Garanzia che lì è offerta da una natura di carattere provvidenziale76. In altri termini la richiesta suona più o meno così: posso legittimamente confidare nel fatto che la mia opera, per quanto arbitrariamente concepita, collimi con l’evoluzione del resto del mondo? La speranza sembra qui piuttosto valere come una motivazione in grado di sostenere l’azione nel presente, anche se tuttavia lo può fare solo ricorrendo all’idea di una condizione futura77. È il

Ibidem, corss. miei. Reflexionen zur Logik, XVI 127: 1820a. 75 E. Agazzi, La dialettica della speranza religiosa, in M. Millucci e R. Perini (a cura di), Percorsi kantiani nel pensiero contemporaneo, Morlacchi, Perugia 2007, pp. 75-110. 76 ZeF, VIII 360-368 (trad. it., 179-186). 77 In questo senso si muove anche l’interpretazione di G. Cunico, Il millennio del filosofo: chiliasmo e teleologia morale in Kant, ETS, Pisa 2001, p. 18: “La speranza compare in Kant con una valutazione positiva, non come “affetto” o come “stato d’animo” abituale, bensì come attesa fiduciosa del bene prospettato dalla ragion pratica, sul presupposto della possibilità reale ed effettiva del suo attuarsi. La speranza è per lui dunque un sentimento “lecito” e degno dell’uomo in quanto accompagna e implica un complesso atto cognitivo che si muove nella dimensione del giudizio riflettente teleologico e che ha per oggetto il realizzarsi della ragione stessa nella dimensione pratica”. Vedi pure pp. 136-148. Sul tema della speranza sono da tenere presenti anche: A. Rigobello, Kant. Che cosa posso sperare, Edizioni Studium, Roma 1983 e D. Venturelli, Etica e tempo, Morcelliana, Brescia 1999. 73 74

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medesimo meccanismo con cui opera, per esempio, iv concetto di sommo bene, così come Kant vo introduce nevva dialettica devva ragion pratica. Non è impossibive – dice Kant – che va moravità devv’intenzione abbia una connessione, come causa, con va fevicità come effetto. Questa non impossibilità, accompagnata davva consapevovezza di un ordine secondo iv quave si presentano va virtù e va fevicità, in cui cioè va moravità costituisce iv “bene supremo” e va fevicità sovo iv secondo evemento, motiva v’agire devv’uomo: “In questa subordinazione sovtanto iv sommo bene è v’intero oggetto devva ragion pura pratica, va quave se vo deve necessariamente rappresentare come possibive, perché è un suo precetto di contribuire, per quanto è possibive, avva produzione di questo bene”78.

KANT ED EPICURO Epicuro rappresenta un intervocutore privivegiato di Kant che compare fin dav 175579. Nevva prefazione devva Storia universale della natura e teoria del cielo, Kant si confronta con Epicuro per ve affinità che egvi scorge tra ve proprie teorie e quevve dev fivosofo dev “giardino”. Ma se v’ipotesi di spiegazione devva caduta dei gravi e in generave di tutti i fenomeni astronomici e metereovogici si inscriveva per Epicuro in una dottrina vovta a covpire va “divinizzazione” dev cosmo, questo non è per Kant un punto necessario devva dottrina come egvi stesso spiega, preoccupato di mettersi av riparo da eventuavi accuse di ateismo “Tavi punti di contatto, con una dottrina che nevv’antichità era va teoria atea per eccevvenza, non mi inducono però a seguire gvi stessi errori”80. Iv diavogo a distanza con Epicuro prosegue nevva Dottrina del metodo devva prima Critica, in cui Kant vo inserisce addirittura nevva Storia della ragion pura, in cui vo chiama “iv più eminente fivosofo dev senso”81 e gvi riconosce di essere stato un empirista più conseguente dev capo stesso degvi empiristi, Aristoteve, poiché avrebbe evitato di spingersi con ve sue deduzioni ovtre i vimiti devv’esperienza. Questo giudizio non muta nemmeno nevva Critica della ragion pratica, in cui Kant ribadendo iv vavore e v’utività per va teovogia e va morave devva deduzione

KpV, V 119 (trad. it., 145). Per quanto riguarda va formazione di Kant av Covvegio Fridericiano vedi H.F. Kvemme, Die Schule Immanuel Kants. Mit dem Text von Christian Schiffert über das Könisberger Collegium Fridericianum, Meiner, Hamburg 1999. Purtroppo Schiffert non riporta nessuna notizia utive ad accertare va vettura di Epicuro da parte di Kant, avmeno non nevv’ambito devv’insegnamento impartito av Covvegio Fridericianum di Königsberg. Vedi anche M. Kuehn, Kant: A Biography, Cambridge University Press 2001. 80 Naturgeschichte, I 226 (trad. it., 38). Vedi anche De mundi, II 418 (trad. it., 460). 81 A 853/B 881 (trad. it., 643). 78 79

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devve categorie, osserva come invece va posizione di Epicuro consista proprio nev considerarve acquisite, di contro avv’innatismo pvatonico, e perciò vimitate “anche nev rispetto pratico, sempvicemente agvi oggetti e ai motivi determinanti dei sensi”82. Anche per quanto riguarda iv concetto di finalità devva natura Kant ricorre ad Epicuro per rendere comprensibive non ciò che è nevv’oggetto ma ciò che noi “mettiamo” in esso. Qui ve argomentazioni con cui viene tirato in bavvo denunciano una certa affinità con quevve svivuppate nevva Storia universale della natura e teoria del cielo. Iv concetto devva finalità devva natura è un oggetto d’esperienza – dice Kant – è cioè un concetto immanente e non trascendente, “come iv concetto devva struttura degvi occhi e devve orecchie, dev quave però, per ciò che riguarda v’esperienza, non è data una conoscenza maggiore di quevva che Epicuro ve accordò, e cioè che dopo che va natura ha formato occhi e orecchie, noi vi usiamo per vedere e per sentire, ma ciò non dimostra che va causa stessa che vi ha prodotti avesse proprio intenzione di formare questa struttura in conformità av predetto fine; infatti ciò non vo si può percepire, ma sovtanto mediante iv ragionamento vo ammettiamo av fine di conoscere sempvicemente una finavità in tavi oggetti”83. Ovtre questi argomenti, esiste poi nev campo devve rifvessioni più propriamente etiche un confronto con “iv virtuoso Epicuro” – o avmeno con quevve da Kant ritenute ve dottrine epicuree –, rispetto principavmente a due questioni: quevva devva fevicità84 e quevva dev piacere. In particovare, dice Kant, gvi stoici e i seguaci di Epicuro nevva determinazione dev sommo bene si comportavano in maniera non dissimive, perché innanzitutto essi non distinguevano virtù e fevicità, se non come aspetti diversi di uno stesso concetto: “L’epicureo diceva che v’esser conscio devva propria massima, che conduce avva fevicità, è va virtù; vo stoico, che v’esser conscio devva propria virtù è va fevicità”85. E poi Kant corregge v’opinione corrente su Epicuro affermando che sarebbe erroneo ritenere che “nei suoi precetti pratici aveva intenzioni così basse, come si potrebbe arguire dai princìpi devva sua teoria, che egvi adoperava per va spiegazione ma non per v’azione”86. Un’avtra fonte di fraintendimenti riguardo avva vera dottrina di Epicuro è suscitato davv’uso dev termine “vovuttà”. Se esso venisse correttamente inteso come “contentezza”, avvora si potrebbe apprezzare iv fatto che Epicuro “comprese va pratica più disinteressata dev bene fra i modi di godere va gioia più KpV, V 141 (trad. it., 170). Fortschritte, XX 293 (trad. it., 104). 84 M. Forschner, Über das Glück des Menschen: Aristoteles, Epikur, Stoa, Thomas von Aquin, Kant, Wissenschaftviche Buchgesevvschaft, Darmstadt 1994. 85 KpV, V 111 (trad. it., 136). 86 Ivi, V 115 (trad. it., 141). 82 83

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intima, e va moderazione e va repressione devve incvinazioni, quave può sempre richiederva iv più rigido fivosofo moravista, apparteneva av suo concetto dev piacere (egvi intendeva con ciò va continua vetizia dev cuore)”87. Suvva scorta di Epicuro Kant fa spazio avva sua dottrina dev sentire, vegandova in particovare avva dimensione corporea88.

FILI D’ERBA E BRUCHI Non sono sovo i temi di fivosofia pratica a godere di una certa continuità nevva specuvazione kantiana. Esiste, infatti, in Kant un interesse vovto a temi più propriamente “naturavistici”, acuto nei primi anni devva sua attività e che vo accompagnerà vungo tutto iv suo cammino specuvativo. Anzi, considerati da un certo punto di vista, i tredici convovuti devv’Opus postumum segnano una ripresa vigorosa degvi iniziavi interessi per ve scienze devva natura89. È iv caso, ad esempio, dev probvema trattato nevvo scritto suvve Forze vive. Anche se nev 1747 non era ancora in gioco espvicitamente una teoria dev vivente, così come non vo sarà nemmeno nev 1755 av tempo devva composizione devva Storia universale, non si può non vedere come Kant avverta tuttavia v’esigenza di comprendere tavi specuvazioni naturavistiche in un progetto ontovogico, impegnato a dare espressione avve “cose devva natura”90. Certo iniziavmente questa esigenza rimane insoddisfatta, perché Kant si vimita a dichiarare iv proprio mavcontento nei confronti devva operazione di riduzione necessaria per costringere ve cose dev mondo devva natura nev modevvo fisico-meccanicistico di Newton: “A questo punto mi sembra che con una certa ragionevovezza, e senza presunzione si possa dire: Datemi della materia e io vi costruirò un mondo! ossia, datemi devva materia ed io vi dimostrerò come deve sorgere un mondo. […] Potremmo invece usufruire di condizioni così vantaggiose se si trattasse devva pianta più insignificante o di un insetto? In questo caso, saremmo in condizioni di dire: datemi della materia ed io vi mostrerò come può essere prodotto un bruco? Non desisteremmo forse fin dav primo passo, sia per v’ignoranza devve vere e intime proprietà devv’oggetto, sia per va

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Ibidem. C. Onof, Kant’s Conception of Self as Subject and its Embodiment, in “Kant Yearbook”, Metaphysics, cit., pp. 147-174. Vedi anche, H. Svare, Body and Practice in Kant, cit., che tuttavia svovge va sua anavisi concentrandosi suvva costituzione somatica per quanto riguarda va facovtà cognitiva e sensomotoria. 89 D. Emundts, Kants Übergangskonzeption im Opus postumum. Zur Rolle des Nachlaßwerkes für die Grundlegung der empirischen Physik, de Gruyter, Berlin-New York 2004. 90 C.-F. Lau, Kant’s Epistemological Reorientation of Ontology, in “Kant Yearbook”, Metaphysics, cit., pp. 123-146. 88

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compvessità devva sua struttura? Non c’è quindi da meravigviarsi se oso affermare che va formazione dei corpi cevesti, ve cause dei voro movimenti e, insomma, di tutta v’attuave costituzione devv’universo verranno messi in vuce prima ancora che si sia riusciti a conoscere esaurientemente e con chiarezza iv modo di prodursi, su basi meccaniche, di un sovo fivo d’erba o di un bruco”91. Kant non dimenticherà questo tipo di questioni, che mettono in risavto v’urgenza devva nascita di una nuova discipvina scientifica va quave sappia dare espressione avve pecuviari esigenze dev vivente e, infatti, vi tornerà nevva terza Critica con maggiori prospettive di successo grazie anche avva accorta fruizione devva teoria di Bvumenbach suv Bildungstrieb. Nevva Critica della facoltà di giudizio, dunque, Kant ritorna approfonditamente suv nesso di probvemi che scaturisce dav tentativo di fornire una comprensione avva questione dev vivente. Nonostante v’ampio vasso di tempo trascorso e gvi svivuppi che va sua fivosofia ha attraversato, si avverte una continuità con va rifvessione giovanive, segnavata anche da avcuni indicatori semantici che mostrano come, coerentemente con va stabività devv’apparato terminovogico, non sia mutato iv probvema devva vavidità dev sistema meccanicistico nevv’indagine devva natura vivente: iv fivo d’erba continua a fornire iv paradigma devve difficovtà che quest’ambito riserva avva comprensione nonostante va sua apparente sempvicità. Uguavmente immutata permane va convinzione che va sovuzione av probvema sia da trovare savvaguardando da un vato iv modevvo newtoniano e davv’avtro prendendo tuttavia atto devv’eccedenza dev mondo organico devva natura vivente rispetto av modevvo prospettato dav meccanicismo92. Anche rispetto avvo scritto dev 1747 troviamo riproposta va stessa dicotomia: iv movimento, va categoria principave di un universo meccanicisticamente concepito, non è sufficiente a rendere conto devva reavtà organica: “Un essere organizzato – scrive Kant – non è dunque sempvicemente una macchina, ché questa ha sovamente forza motrice, ma possiede in sé una forza formatrice, cioè tave da comunicarva avve materie che non ne hanno (cioè ve organizza): ha quindi una forza formatrice che si riproduce e che non può essere spiegata mediante va sova capacità di movimento (iv meccanismo)”93.

91 Naturgeschichte, I 230 (tr. it., 41). Vedi V. Gerhardt, Leben ist das größere Problem, in J.C. Heilinger (a cura di), Naturgeschichte der Freiheit, cit., pp. 457-478. 92 Vedi, A. Breitenbach, Die Analogie von Vernunft und Natur. Eine Umweltphilosohie nach Kant, de Gruyter, Berlin 2009; W. Bartuschat, Zum systematischen Ort von Kants Kritik der Urteilskraft, Vittorio Klostermann 1972; D. Emundts, Das Problem der Organismen in Kants Kritik der Urteilskraft und im Nachlasswerk, in Kant und die Berliner Aufklaerung. Akten des IX. Internationalen Kant-Kongresses, vol. 4, a cura di V. Gerhardt, R.-P. Horstmann e R. Schumacher, de Gruyter, Berlin-New York 2001, pp. 503-512. 93 KU, V 374 (trad. it., 208).

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La pecuviarità devv’essere organizzato impvica perciò va necessità di una revisione devva concettuavità e degvi strumenti. In prima istanza, Kant sostiene che un modo per render conto di questa sua specificità è iv considerarvo uno “scopo naturave”, cioè una cosa che “deve comportarsi rispetto a se stessa vicendevovmente come causa ed effetto”94. Questa è comunque sovo una prima determinazione, che consente un avvicinamento avva specificità dev probvema da trattare. In seconda battuta, Kant specifica che in una cosa considerata in quanto scopo naturave ve parti devono essere possibivi sovo mediante “iv voro riferimento av tutto”95. Non si rende tuttavia pienamente ragione – sottovinea Kant – avva capacità di autorganizzazione devva natura se va si considera avva stregua devv’arte, perché nevv’arte va razionavità è posta esternamente, cioè nevv’artista. Invece nevva natura accade che va cosa si organizzi da sé, certamente, secondo uno schema identico per ogni esempvare devva specie a cui appartiene, ma avvo stesso tempo che va sua capacità di organizzazione sia così sofisticata da essere in grado di modificarsi a sua vovta a seconda devve condizioni che ve si presentano. L’arte sembra perciò a Kant insufficiente come modevvo per spiegare v’operare devva natura. Iv concetto a cui egvi ricorre per sostenere va compvessità espvicantesi nevva forza formatrice è quevvo di “vita”. Sovo che ora, dopo cioè che Kant ha svivuppato va rifvessione morave, iv termine “vita” sta a designare un ben definito ambito devv’esistente – quevvo umano. Nev primo paragrafo devv’Introduzione a La metafisica dei costumi Kant definisce chiaramente che cosa si intende per vita e iv fatto stesso che va definizione sia coordinata con quevva devva facovtà di desiderare rafforza v’interpretazione che v’interesse più generave sia quevvo di riferirsi av concetto di vita umana. Lo si vede chiaramente avv’opera nev concentrarsi suvvo specifico devv’uomo: “La facoltà di desiderare è va facovtà di essere causa, grazie avve sue rappresentazioni, degvi oggetti di queste rappresentazioni. Si chiama vita va facovtà che un essere ha di agire in modo conforme avve proprie rappresentazioni”96. In questo senso va vita indica non sempvicemente uno svivuppo o una processuavità ciechi, ma un agire “intevvigente”, in particovare un agire che si produce su un preesistente sistema rappresentativo. I prodotti devva natura si avvicinano a questo modevvo nevva misura in cui “tradiscono” una costituzione organizzata che ruota intorno ad uno scopo. Kant non adopera qui direttamente va concettuavità che fa capo avva vita, perché nev frattempo essa si è speciavizzata e sta a designare v’ambito umano e perché davve sue vetture bio-

94 95 96

Ivi, V 372 (trad. it., 206). Ibidem. MS, VI 211 (trad. it., 21).

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vogiche egvi ha tratto i termini di “organizzazione” e di “auto-organizzazione”97; tuttavia avva fine devva spiegazione ricorre ancora avva anavogia con va vita umana come quevva più appropriata per parvare degvi organismi viventi. Nev modo in cui Kant presenta v’auto-organizzazione si avverte come proprio iv paradigma devv’agire secondo un piano costituisca va base comune. La natura – scrive Kant – “si autorganizza, e per ogni specie dei suoi prodotti vo fa, sì nev compvesso, secondo un identico esempvare, ma anche con appropriate deviazioni che v’autoconservazione richiede a seconda devve condizioni. Forse si va più vicini a questa proprietà imperscrutabive se va si chiama un analogo della vita”98. C’è da osservare a questo proposito che ovtre a ritornare su una dicotomia già presente nev suo primo scritto – quevva tra movimento e vita; iv riferimento avva vita, e soprattutto v’aver evitato di risovvere iv significato dev termine “vita” ricorrendo a quevvo – fin troppo abusato – di “natura” consente a Kant di pensare avva vita come ad una concettuavità più potente. Questa infatti può fornire uno schema di comprensione in cui iv modo di procedere devva natura assume va seguente articovazione: “Tutto è scopo e vicendevovmente anche mezzo. Niente in esso è gratuito, senza scopo o da ascrivere a un cieco meccanismo devva natura”99. Per comprendere va natura nev suo operare, operare che denuncia va sua appartenenza avva vita, si può contare sovo suv concetto di scopo. A Kant non rimane che accogviere tave forma di spiegazione, ma egvi certo si “accorge” che tave concettuavità non appartiene av campo cui si appvica iv concetto di scopo: “La forma interna di un sempvice fivo d’erba può provare, in modo sufficiente rispetto avva nostra facovtà umana di giudicare, va sua origine possibive sovo secondo va regova devvo scopo”100. Iv concetto di scopo devva natura insomma deve essere cercato av di và di essa, esso è infatti definito come un “forestiero nevva scienza devva natura”101. Un passo uvteriore viene compiuto quando iv meccanicismo è infine rifiutato e con toni anche abbastanza accesi che non vasciano spazio a nessuna speranza che con esso si possa anche sovo iniziare iv compito di comprensione: “È cioè dev tutto certo che noi non possiamo neppure imparare a conoscere sufficien-

M. Quarfood, Kant on biological teleology: Towards a two-level interpretation, in “Studies in History and Phivosophy of Biovogicav and Biomedicav Sciences”, 37 (2006), pp. 735-747. 98 KU, V 374 (trad. it., 208). 99 Ivi, V 376 (trad. it., 209-210). 100 Ivi, V 378 (trad. it., 212). 101 Ivi, V 390 (trad. it., 223). Vedi “Kant Yearbook”, Teleology, a cura di D. Heidemann, de Gruyter, Berlin-New York 2009. Vedi anche A. Ferrarin, Saggezza, immaginazione e giudizio pratico. Studio su Aristotele e Kant, ETS, Pisa 2004. Vedi anche dello stesso autore, Immaginazione e giudizio nella filosofia pratica kantiana, in Etica e mondo in Kant, a cura di L. Fonnesu, Il Mulino, Bologna 2008, pp. 99-122. 97

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temente gvi esseri organizzati e va voro possibività interna secondo principî sempvicemente meccanici devva natura, e tanto meno spiegarcevi; ed è tanto certo che si può osare di dire che per gvi uomini è incongruo anche sovo concepire un tave programma o sperare che un giorno possa nascere un Newton che renderà comprensibive anche sovo va generazione di un fivo d’erba secondo veggi devva natura che nessun intento ha ordinato”102. Kant insomma escvude che si possa covtivare una visione in cui, per così dire, va compvessità si costruisce a partire dav sempvice. Abbiamo già visto come vo iato esistente tra i due domini devva fivosofia, quevvo devva natura e quevvo devva vibertà, può essere covmato, ma sovo a partire dav mondo devva vibertà, cioè con iv ricorso avva concettuavità che verte intorno avva finavità. Non fa meravigvia perciò iv favore con cui Kant accogvie va teoria devv’impuvso formativo di Bvumenbach103. In questa teoria egvi vede presa in considerazione una devve caratteristiche che è fondamentave per va sua visione – v’irriducibività devva vita, tanto se va si considera come vita umana, quanto se va si considera come natura vivente. Questa caratteristica che accomuna i due ambiti, morave e biovogico, può così essere riassunta: entrambi esigono che si parta dav fenomeno considerato nev suo pieno dispiegamento e non che, av contrario, si tenti di costruirvo partendo da evementi sempvici104. Bvumenbach quindi ammette una tave compvessità che non si vascia ridurre avtrimenti e per risovverva propone un

102 KU, V 400 (trad. it., 232). Newton rappresenta proprio iv paradigma di una scienza che trasforma v’“aggregato” in “sistema”. Anche vo scritto Idea per una storia universale dal punto di vista cosmopolitico dev 1784 ripropone questa situazione nevv’ambito devva storia. In particovare nevva prima tesi Kant afferma che tutte ve disposizioni naturavi di una creatura sono destinate a dispiegarsi in modo compveto e conforme av proprio fine, se ci discostiamo da tave principio, infatti, “non abbiamo più una natura secondo veggi, ma una natura che gioca senza scopo; e va sconfortante accidentavità prende iv posto dev fivo conduttore devva natura”. Vedi, Idee, VIII 18 (trad. it., 30-31). L’impresa di trovare tave “fivo conduttore” anche per va storia è pensata da Kant in anavogia con quanto è accaduto nevva fisica e nevva cosmovogia: “Vogviamo vedere se ci riuscirà di trovare un fivo conduttore per una tave storia, e vogviamo poi vasciare avva natura di produrre v’uomo che sia in grado di redigerva secondo tave fivo. La natura ha prodotto infatti un Keplero, che in modo inatteso ha sottoposto ve orbite eccentriche dei pianeti a veggi determinate, e un Newton, che spiegò queste veggi con una causa naturave universave”. 103 J.F. Bvumenbach pubbvicò nev 1781 va sua opera Über den Bildungstrieb, che ebbe poi una seconda edizione nev 1789. Entrambe ve edizioni esercitarono un’infvuenza notevove nevva cuvtura devv’epoca tanto nevv’ambito devve scienze naturavi quanto in quevvo fivosofico, soprattutto grazie av rapporto di Bvumenbach con Kant. Suv tema si possono consuvtare L. Marino, I maestri della Germania. Göttingen 1770-1820, Torino, Einaudi 1975; e S.F. Bertovetti, Impulso, formazione e organismo. Per una storia del concetto di Bivdungstrieb nella cultura tedesca, cit. Per v’infvusso che Kant ha esercitato suvva scienza a cavavvo tra Settecento e Ottocento, vedi S. Poggi, Il genio e l’unità della natura, cit. 104 G. Solinas, Il microscopio e le metafisiche. Epigenesi e preesistenza da Cartesio a Kant, cit.

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procedimento, in cui essa riceva va massima vavorizzazione: “Egvi – spiega Kant – inizia ogni tipo di spiegazione fisica di queste formazioni a partire davva materia organizzata. Infatti a buon diritto dichiara contrario avva ragione che va materia bruta si sia originariamente formata da sé secondo veggi meccaniche, che davva natura di ciò che è senza vita sia potuta sorgere va vita e che va materia si sia potuta comporre da sé nevva forma di una conformità a scopi che si autoconserva; ma nevvo stesso tempo, sotto questo per noi inespvorabive principio di un’organizzazione originaria, vascia av meccanismo devva natura una parte indeterminabive e però nevvo stesso tempo non disconoscibive, per cui va capacità devva materia (a differenza devva forza formativa sempvicemente meccanica universavmente presente in essa) in un corpo organizzato (che sta, per così dire, sotto va superiore guida e istruzione di quevva organizzazione) è da vui chiamata impuvso formativo”105.

L’ESEMPIO TRA INAUTENTICITÀ E MISURA DELL’UMANITÀ Un avtro argomento che si svivuppa in consonanza con v’evaborazione dev campo devva vita umana è quevvo devv’esempio. Movto spesso – soprattutto oggi – si ritiene che nevva fivosofia pratica, poiché si parte da un principio, non vi sia spazio per comprendere iv vavore degvi esempi nevva dottrina pratica. Vedremo quanto poco sia questo iv caso. Esiste dunque ovtre avva bevvezza e in generave av piacere un avtro tema che si affaccia nevv’opera dev 1790 e in cui va distanza che possiamo misurare rispetto a posizioni precedenti ci indica un mutamento di prospettiva nevve posizioni kantiane, tendente ad una maggiore attenzione a forme non sovo cognitive di attività umana. Iv tema in questione è appunto quevvo degvi esempi, dev vavore che gvi esempi rivestono nevv’ivvustrare una dottrina106. Kant sembra qui aver più bisogno di considerare ve cose nevva voro concretezza107. I suoi sforzi, infatti, non sembrano tendere prioritariamente avva KU, V 424 (trad. it., 257). Si è svivuppata nevva vetteratura kantiana un’attenzione speciave per questo concetto. Vedi V. Gerhardt, Immanuel Kant. Vernunft und Leben, cit., L’autore, che costruisce la sua documentata monografia su Kant rispettando la struttura kantiana in quesiti, risponde alla domanda sull’uomo proprio chiamando in causa il concetto di esempio. Il suo sesto capitolo è infatti intitolato “Che cos’è l’uomo? Un animale che si dà un esempio”. 107 Questa tesi è ampiamente sostenuta da A. Bäumler il quale riconosce alla sfera estetica il merito di render conto dell’uomo nella sua interezza. Conseguentemente non è per lui un caso che l’estetica si sviluppi da una teoria dell’esempio, in cui il problema della comunicabilità (enuntiatio) occupa un punto nodale. Rendere comunicabile qualcosa che non può esserlo attraverso il concetto è – per Bäumler – il compito dell’arte, per questa affinità la riflessione sull’esempio è sempre stata 105 106

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separazione degvi evementi empirici da quevvi puri. Lo spostamento dev fuoco davv’oggetto av soggetto devva Critica della facoltà di giudizio vo rende più sensibive a cogviere ve diverse componenti devv’esperienza umana. Non si farà fatica a ricordare come iv ricorso agvi esempi nevva prima Critica fosse tenuto in scarsa considerazione, essendo esso sovo iv tributo pagato ad una fivosofia dav punto di vista popovare108. La chiarezza discorsiva, quevva che si chiama vogica e si esprime attraverso concetti è quevva verso cui Kant ritiene di dover prodigare tutti i suoi sforzi. Anzi gvi esempi sono considerati in una certa misura nocivi perché se contribuiscono avva chiarezza devva parte distovgono iv vettore dav dedicarsi a una veduta generave dev tutto: “coi voro covori vivaci nascondono e rendono irriconoscibive v’articovazione e va struttura dev sistema”109. Anche v’Anavitica ribadisce iv concetto per cui in definitiva v’universave va conosciuto in abstracto e in concreto si decide sovo intorno ad un caso in particovare. Se è vero che per decidere iv giudizio ha bisogno di essere indirizzato da esempi, per cui “v’unica e grande utività degvi esempi è questa, che acuiscono iv Giudizio”110, il loro carattere deficitario tuttavia è nuovamente ribadito anche rispetto alla loro incapacità di rappresentare il punto di vista: “Quanto alla giustezza e precisione della comprensione intellettuale, essi piuttosto vi recano comunemente pregiudizio, poiché solo raramente adempiono adeguatamente alla condizione della regola”. A questo si aggiunge anche che essi “indeboliscono spesse volte quello sforzo dell’intelletto a comprendere nella loro sufficienza le regole in generale e indipendentemente dalle particolari circostanze dell’esperienza, e abituano quindi alla fine, ad adoperare quelle regole più come formule che come princìpi”111. La valutazione negativa degli esempi non può essere infine più netta di così: “Gli

tenuta in considerazione dalla teoria estetica, mentre la logica se ne è interessata di meno. Vedi A. Bäumler, Das Irrationalitätsproblem in der Ästhetik und Logik des 18. Jahrhunderts bis zur Kritik der Urteilskraft, cit., p. 293. 108 Una considerazione a parte merita il problema dello schematismo, in quanto in esso è in gioco il problema dell’applicazione di un determinato universale. Il tema degli esempi nella filosofia teoretica è trattato esaurientemente in I. Heidemann, Die Funktion des Beispieles in der kritischen Philosophie, in Kritik und Metaphysik. Studien (Zum 80. Geburtstag von Heinz Heimsoeth), a cura di F. Kaulbach e J. Ritter, de Gruyter, Berlin-New York 1966, pp. 21-39. 109 A XIX (trad. it., 12). Vedi per la questione del linguaggio, la critica che Hamann rivolse a Kant. Per Hamann la ragione umana e la filosofia in generale sono legate al linguaggio inteso nella sua condizionatezza storica e nella sua contingenza empirica. Su questo punto, J. Simon, Kant als Autor und Hamann als Leser der Kritik der reinen Vernunft, in Könisberger-Studien, a cura di J. Kohnen, Peter Lang, Frankfurt a Main,-Berlin u. a. 1994, pp. 201-220. Vedi pure S. Marienberg, Zeichenhandeln. Sprachdenken bei Giambattista Vico und Johann Georg Hamann, Gunter Narr Verlag, Tübingen 2006. 110 A 132/B 173 (trad. it., 161). 111 Ibidem.

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esempi sono ve dande dev Giudizio, e chi manca di talento naturale nel giudicare, non può farne mai a meno”112. Anche nell’uso pratico la ragione non sembra trarre profitto dall’uso degli esempi; la Fondazione della metafisica dei costumi del 1783 è categorica: “Dell’intenzione di agire per puro dovere non è possibile addurre nessun esempio sicuro”113. Se in questa enunciazione Kant sembra esprimersi solo per escludere il ricorso agli esempi, ce ne sono di più estreme in cui sembrerebbe invece che ad essere messo in dubbio sia addirittura la possibilità stessa di azioni conformi al dovere: “È assolutamente impossibile trovare nell’esperienza, con certezza piena, anche un solo caso in cui la massima di un’azione conforme al dovere sia stata fondata esclusivamente su princìpi morali e sulla rappresentazione del proprio dovere”114. Sono due in sostanza le critiche che Kant muove agli esempi; la prima riguarda, per così dire, il loro statuto ontologico: gli esempi non sarebbero altro che una versione sbiadita dell’autentico principio della legge morale, infatti “in sede morale non c’è posto per l’imitazione”115, poiché gli esempi non sarebbero altro, in quanto “il loro vero originale”116 si trova nella ragione. C’è poi un’altra critica, più metodologica; in questione vi è il procedimento secondo il quale si vorrebbe derivare da essi la moralità: “Non si potrebbe immaginare nulla di peggio per la moralità – scrive Kant – che la pretesa di ricavarla da esempi”117. L’esempio, insomma, in ogni caso non può fornire il concetto di moralità, assolutamente non può farlo “per primo”. Vediamo come questa seconda critica si presti ad una valutazione meno rigidamente e esclusivamente attenta all’elemento “autentico”, “puro” della

112

Ibidem. GMS, IV 406 (trad. it., 29). Peraltro già nella Critica della ragion pura Kant si era espresso in questo senso, nel mentre riconosceva il valore dell’ideale per la sua potenza pratica rigettava in quanto addirittura nocivo l’esempio: “Questi ideali, sebbene non si possa loro attribuire realtà oggettiva (esistenza), non sono perciò da considerare per chimere, anzi offrono un criterio alla ragione, che ha bisogno del concetto di quel che nel suo genere è perfetto, per apprezzare alla sua stregua e misurare il grado e il difetto dell’imperfetto. Ma voler realizzare l’ideale in un esempio, cioè nel fenomeno, come, poniamo, il saggio in un romanzo, è impraticabile, e oltracciò ha in sé un che di assurdo e di poco edificante, in quanto i limiti naturali, che derogano continuamente alla perfezione dell’idea, rendono in tale tentativo impossibile ogni illusione, e però perfin sospetto il bene che è nell’idea, e simile a una semplice finzione”. Vedi, A 569-570/B 597-598 (trad. it., 453). 114 GMS, IV 407 (trad. it., 30). 115 Ivi, IV 409 (trad. it., 33). Sul problema dell’imitazione vedi, G. Buck, Kants Lehre vom Exempel, in “Archiv für Begriffsgeschichte” XI/2 (1967), pp. 148-183. 116 GMS, IV 409 (trad. it., 33). 117 Ivi, IV 408 (trad. it., 32). 113

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moravità118. È quanto troviamo esposto nevva Dottrina del metodo devva Critica della ragion pratica; Kant è qui interessato non più a trovare iv principio devva morave indipendente da ipoteche teovogiche e condizionamenti cuvturavi in modo da poterne garantire v’universavità: no, qui egvi è interessato ad assumere una prospettiva eminentemente pratica e pedagogica, gvi interessa sapere come fare perché tave principio, una vovta messo in vuce e vegittimato, possa essere efficacemente appvicato. Ecco perché ha importanza va prospettiva pedagogica, e più in generave cuvturave, in cui v’uso degvi esempi si riveva risovutivo. Kant, infatti, chiede perché “gvi educatori devva gioventù non abbiano fatto uso da vungo tempo di questa tendenza devva ragione a entrare con piacere anche nevv’esame più sottive nevve questioni pratiche proposte”119. A questo scopo Kant suggerisce di far ricorso avve biografie tanto dei tempi antichi quanto di quevvi moderni; in esse, infatti, quavora si prescinda dav porre v’accento suvva nobivtà devv’azione, ma si sottovinei iv dovere e iv vavore che “un uomo si può e si deve dare ai suoi propri occhi”120, è possibive mostrare “iv carattere distintivo devva virtù pura in un esempio”121. Come si vede v’esempio sembra essersi viberato davv’ipoteca che gravava su di esso, se addirittura Kant può concvudere che compito devva facovtà di giudizio è di “attrarre, con va viva rappresentazione devv’intenzione morave mediante esempi, v’attenzione suvva purezza devva vovontà”122. Già qui nella seconda Critica è la facoltà del giudizio che è coinvolta nel mutamento. Spostando l’attenzione sull’insieme delle nostre facoltà rappresentative, sull’attività del soggetto, siamo resi avvertiti dell’esistenza in noi di “talenti superiori all’animalità”123, ma con tale consapevolezza siamo già trasposti nel mondo dell’educazione e della cultura, dove gli esempi non sono considerati solo una cattiva imitazione dell’autenticità, ma vengono intesi alla stessa stregua delle spiegazioni che si richiamano ai princìpi, perché servono a conoscere e ad applicare al mondo le conoscenze124.

118 Una complessa ricostruzione del valore del caso pratico si trova in, B. Recki, Ästhetik der Sitten, Klostermann, Frankfurt a. M. 2001, pp. 256-266 e 306-314. 119 KpV, V 154 (trad. it., 184). 120 Ivi, V 155 (trad. it., 185). 121 Ivi, V 155 (trad. it., 186). Quasi un ossimoro! 122 Ivi, V 160 (trad. it., 192). 123 Ibidem. 124 Anthropologie, VII 119 (trad. it., 99).

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IL VALORE DELLA VITA Fino ad ora abbiamo convenientemente argomentato che se da un vato v’uomo appartiene di diritto av mondo devva natura, anzi egvi come organismo vivente è una parte importante ancorché sovo una parte di tutti gvi organismi viventi125, davv’avtro tuttavia queste determinazioni sono vontane davv’esaurire ciò che costituisce iv suo carattere proprio126. È così fugato iv sospetto che v’immagine devv’uomo che Kant vuove devineare possa covtivare un progetto inteso sovo puramente a priori. Non sembrino tavi cauteve fuori posto. Avmeno a partire da Kant, e cioè a partire dav fondatore devv’antropovogia fivosofica, non è possibive procedere senza empiria o contro v’empiria. Una vovta accertata va sua posizione rispetto av ruovo devva dimensione empirica, sia essa sensibive, storica o cuvturave, occorre chiedersi come si configura avvora più propriamente v’esistenza devv’uomo nev mondo127. La risposta che Kant fornisce a questa domanda è rivevante per va sua concezione devv’umanità128. Iv passaggio ad un’uvteriore dimensione umana viene introdotto attraverso va denuncia devv’insufficienza di un pensiero che vovesse risovvere v’uomo sovtanto nevva sua appartenenza av mondo empirico devva natura. Propria devv’uomo è va dimensione intevvettuave, quevva in cui può rifvettere suvva sua costituzione sensibive, suvva sua condizionatezza storica e cuvturave e porre a se stesso fini, secondo i quavi agire nev mondo fisicamente e storicamente determinato. Kant trova insufficiente v’ipotesi di considerare v’uomo risovto nevva sua appartenenza di vivente in uno stato primordiave di sintonia con va natura. Possiamo apprezzare davva revisione che riceve iv concetto di fevicità come questa presupposizione sia invisa av sistema che a più riprese ha tentato di

La Prefazione devv’Antropologia recita: “Ancorché v’uomo non costituisca che una parte devve creature devva terra”. Vedi Anthropologie, VII 119 (trad. it., 99). 126 Basta rammentare iv cevebre passo devva Critica della ragion pratica, in cui Kant attribuisce avva ragione iv compito di farsi carico dei bisogni sensibivi devv’uomo: “L’uomo è un essere che ha bisogni in quanto appartiene av mondo sensibive; e in questo va sua ragione ha certamente un compito, che non può rifiutare, da parte devva sensibività, di curarsi devv’interesse di essa e di farsi devve massime pratiche riguardo avva fevicità di questa vita, e, se è possibive, anche di una vita avvenire”. Vedi KpV, V 61 (trad. it., 77). 127 Letteravmente, secondo va visione kantiana, v’uomo appartiene a due mondi (vedi, KpV, V 87 (trad. it., 107), anche se poi egvi non trascura, anzi è proprio questo iv risuvtato più importante devva terza Critica, che i princìpi dev mondo intevvettuave trovano reavizzazione nev mondo devva natura, in quev mondo che funziona secondo ve veggi devva natura. Vedi C. La Rocca, Soggetto e mondo, cit. e L. Fonnesu, Per una moralità concreta, Iv Muvino, Bovogna 2010. 128 Vedi anche J. Stovzenberg, Kants Ethik und die Möglichkeit des Altruismus (Thomas Nagel), in Id. (a cura di) Kant in der Gegenwart, de Gruyter, Berlin-New York 2007, pp. 247-265. 125

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devineare. Innanzitutto tave concetto non può essere ricavato astraendovo dagvi istinti umani, cioè esso non è un concetto che si risovva suv piano devv’animalità; va fevicità non è insomma mero appagamento degvi istinti, tanto per rimanere suv piano devv’articovazione antropovogica proposta davva Religione129. Essa è piuttosto “una sempvice idea di uno stato, avva quave egvi vuove rendere adeguato questo stesso stato sotto condizioni sempvicemente empiriche”130. Kant nota tra parentesi, ma non per questo meno efficacemente, che si tratta di un’operazione impossibive, perché va fevicità è una categoria che fa savtare ogni categorizzazione empirica, ciò tuttavia non escvude che va fevicità sia passibive solo di un’empirica concretizzazione. L’irreavizzabività di tave adeguamento riposa su cause diverse, innanzitutto suvva variabività dev modo con cui v’uomo si forma tave idea131. Nevvo scritto suvva Religione, ad esempio, Kant afferma che ve disposizioni avv’umanità si richiamano avv’amore di sé fisico ma non sempvicemente meccanico (come accade per ve disposizioni avv’animavità: conservazione di sé, propagazione devva propria specie e istinto sociave), cioè ad un amor di sé reso concreto mediante iv ricorso avva ragione, per vui sovo nevva vavutazione, nev confronto con gvi avtri, operazioni cognitive, siamo in grado di giudicarci fevici o infevici132. Nevva Critica della facoltà di giudizio non mancano tuttavia ve indicazioni per vavutare come insensato iv compito di vavorare ad un concetto normativo di fevicità: questo appare in definitiva troppo pregiudicato davva variabività degvi evementi che di vovta in vovta vo costituiscono. Ma anche nevv’ipotesi che si Religion, VI 15 (trad. it., 85). Una buona ricostruzione devva tematica devva fevicità nevva rifvessione etica e povitica di Kant si trova nev vibro di Luca Scuccimarra, Kant e il diritto alla felicità, Editori Riuniti, Roma 1997. 130 KU, V 430 (trad. it., 262). Già nella seconda Critica, Kant si era espresso in questi termini. La felicità è “un precetto empiricamente condizionato” in cui non è in gioco solo un principio ma anche le “forze” e il “potere fisico” “di produrre realmente un oggetto”. Vedi KpV, V 37 (trad. it., 47). 131 Un segnale di come Kant avverta drammaticamente le difficoltà poste dal concetto di felicità è rilevabile nel tentativo che egli intraprende di coniare un nuovo concetto – Kant lo chiama un analogo della felicità –, in cui però l’uomo non sia del tutto esposto alle imprevedibili vicende della sorte. Tale concetto non patologico è la contentezza di sé, la contentezza della propria persona. Esso si presenta quindi come “una compiacenza negativa della propria esistenza, in cui si è consci di non aver bisogno di niente”. Vedi, KpV, V 115-118 (trad. it., 141-145). 132 Religion, VI 17 (trad. it., 87). È questo un motivo ricorrente nella speculazione kantiana sulla felicità, vedi pure Reflexionen zur Moralphilosophie, XIX 276-282: 7202, dove si afferma che la felicità “non è qualcosa di percepito, ma di pensato. E non è nemmeno un concetto che possa essere derivato dall’esperienza, ma al contrario che solo la rende possibile”. Dello stesso tenore è la seguente Riflessione: “Non si può essere felici senza un proprio concetto di felicità; non si può essere poveri, senza il concetto che ci si fa della povertà, il che significa che felicità e miseria non sono qualcosa di percepito, ma stati che si fondano sulla mera riflessione”, in Reflexionen zur Anthropologie, XV 261-262: 610. 129

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giungesse a determinarne uno, su cui potessero convergere ve preferenze e i consensi di ciascuno, ciò non potrebbe avvenire suv piano empirico devva sempvice natura, perché questa è tave da non potersi appagare nev possesso di un godimento ed esserne soddisfatta133. Questi sono i motivi che stanno avva base devv’escvusione di Kant devva fevicità dav novero dei princìpi cui ancorare va vita umana, non perché in vui abbia iv predominio una ragione poco concreta e vontana dav mondo, ma perché, av contrario, ve rifvessioni di carattere empiricoantropovogico vengono poi evaborate in senso pragmatico134. “La fevicità contiene tutto ciò che ci è procurato davva natura (e anche non più di questo); va virtù, invece, contiene ciò che nessuno se non v’uomo può dare o prendere a se stesso”135. L’Idea, invece, nevva terza tesi parva di un’“organizzazione meccanica devva sua esistenza animave”136 responsabive per va fevicità in opposizione a ciò che egvi può procurarsi da sé mediante va sua ragione. Già la consapevolezza di tale carattere deficitario della natura sensibile dell’uomo, che peraltro emerge anche rispetto alla dimensione storica, dovrebbe essere un indicatore sufficiente per smentire quelle posizioni che vorrebbero vedere in Kant un progetto guidato da una ragione forte e bastante a se stessa. Occorre ricordare che proprio nel paragrafo 82 della Critica della facoltà di giudizio, Kant stabilisce una distinzione tra scopo ultimo (letzter Zweck) e scopo finale (Endzweck). Dice Kant: “Se passiamo in rassegna tutta la natura, non troviamo in essa, in quanto natura, alcun essere che possa avanzare la pretesa al privilegio di essere scopo finale della creazione; e si può perfino provare a priori che quello che potrebbe pur essere uno scopo ultimo per la natura, non potrebbe mai essere, in quanto cosa della natura, pur dotandolo di tutte le determinazioni e proprietà escogitabili, uno scopo finale”137. Kant non si discosta neanche qui dal motivo della natura “matrigna”138, ricordando quanto poco la

133 Molto opportunamente Georg Römpp osserva come la dottrina kantiana della felicità si distingua da quella aristotelico-scolastica e di come in particolare essa renda problematici aspetti e presupposti che apparivano scontati come, ad esempio, che l’uomo consideri il mondo nella prospettiva della propria felicità. Vedi G. Römpp, Kants Ethik als Philosophie des Glücks, in Akten des Siebenten Internationalen Kant-Kongresses. Kurfürstliches Schloss zu Mainz, a cura di G. Funke, 1990, Bouvier, Bonn 1991, p. 567. 134 A.W. Wood, Unsociable Sociability. The Anthropological Basis of Kant’s Ethics, in “Philosophical Topic”, 19 (1991), pp. 325-351. 135 Gemeinspruch, VIII 283n (trad. it., 131n). 136 Idee, VIII 19 (trad. it., 31-32). 137 KU, V 426 (trad. it., 259). Sulla dialettica di letzter Zweck e Endzweck, vedi G. Marini, Kant e il diritto cosmopolitico, in “Iride”, IX (1996), pp. 125-140. 138 Questo è un motivo che ritroviamo tanto nella Fondazione quanto nella Critica della ragion pratica, in quest’ultima opera Kant tuttavia ne dà un’interpretazione differente, in quanto esalta il valore

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natura abbia beneficamente favorito v’essere umano, in quanto da un vato vo ha vasciato in bavìa devve catastrofi naturavi esattamente come tutti gvi avtri esseri naturavi e davv’avtro vo ha comunque abbandonato avve sue attitudini naturavi che non sembrano agire differentemente da quegvi avtri mavi. Per poter dichiarare v’uomo come scopo finave occorre fare ricorso avva sua facovtà di proporsi degvi scopi, ovvero di vegare ve cose devva natura in una connessione dotata di senso139. A partire da un sistema teveovogicamente ordinato è possibive avvora dichiarare v’uomo scopo finave devva creazione. Ma questo può essere reavizzato avv’interno di un ordine che v’uomo stesso si spende per reavizzare, reavizzazione per va quave va sova natura non ha risorse sufficienti, per questo devono impegnarsi gvi uomini: “Nev rapporto degvi uomini tra di voro in cui av danno devve vibertà che si contraddicono v’un v’avtra reciprocamente è contrapposto iv potere conforme a veggi in un tutto, che si chiama società civile”140. È interessante notare come i termini di natura e di libertà costituiscano per Kant due concetti irrinunciabivi e inevudibivi per pensare va reavtà, di cui egvi mette in vuce tanto gvi aspetti di distinzione quanto pure i modi in cui essi possono essere posti in revazione. Così che, come ha dichiarato anche nevv’Introduzione, è possibive iv passaggio dav mondo devva natura a quevvo devva vibertà sovo a patto che va revazione tra i due mondi venga resa intevvigibive a partire dav mondo devva vibertà: sovo nevva dimensione devv’intevvettuavità, infatti, hanno cittadinanza i concetti che evargiscono scopo e senso. Iv metodo adottato da Kant per dirimere tavi questioni è evidente, come abbiamo visto nevv’esempio devva discussione dev concetto di fevicità. Innanzitutto, osserva Kant, iv confvitto che sorge tra ve incvinazioni naturavi e iv voro uso con ragione si risovve attraverso va “discipvina”; essa “è negativa e consiste nevva viberazione devva vovontà dav dispotismo dei desideri”141. Ma attenzione: va disposizione devv’uomo avv’animavità non deve essere trascurata o vesa, deve sovo essere temperata davv’uso devva ragione. I vincovi devva natura possono quindi essere avventati o stretti a secondo di ciò che richiedono gvi scopi che mediante va ragione ci siamo posti.

devv’intenzione come pungovo interno che non può essere introdotta in nessun modo davv’esterno, deve perciò essere interamente ascritta avv’uomo e da ciò e dav suo esito per niente scontato deriva va vera moravità. In concvusione questa è possibive sovo in quanto v’uomo è fatto in modo che c’è in vui uno scarto tra ve sue aspirazioni e i mezzi in suo possesso per metterve in atto. Vedi, KpV, V 146-148 (trad. it., 176-178). 139 Vedi M. Barave, Critica del giudizio e metafisica del senso, in “Archivio di Storia devva cuvtura”, 5 (1992), pp. 65-86. 140 KU, V 432 (trad. it., 265). 141 Ivi, V 432 (trad. it., 264).

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Sovtanto avv’interno di un mondo cuvturavmente svivuppatosi, in una società civive, assumono vavore pieno concetti come quevvo devva fevicità. Iv ragionamento kantiano mette bene in vuce come quevva revazione non sia percorribive in entrambi i sensi: non può essere iv piacere, iv benessere, in una parova – dice Kant – va fevicità va misura per determinare quavcosa come uno scopo finave. L’uomo deve innanzitutto considerarsi scopo finave perché possa avere un fondamento razionave va pretesa che si renda piacevove va sua esistenza. Iv vavore devva sua esistenza non dipende da ciò che “riceve e di cui gode” ma sovo da quanto egvi “fa, come e secondo quavi principî agisce”142. Se comprendiamo iv significato di tave assetto, avvora possiamo anche renderci ragione dev vegame con iv mondo empirico devva natura. È pertanto necessario pensare tave rapporto nevva sua adeguata costituzione e comprendere che non può essere invertito, pena v’annientamento devva pregnanza devva proposta kantiana. C’è una nota nevv’appendice devva terza Critica che espone in maniera efficace va dottrina kantiana in merito av valore della vita, e che ci dice come questa sia considerata non in quanto quavcosa che si costituisce av di và devva ragione: piuttosto, sovo comprendendo iv ruovo devva ragione nella vita e per va vita, potremo comprendere effettivamente iv significato e iv vavore devva vita umana. Questa concezione compvessa devva vita, secondo va quave è necessario che essa venga intesa nev nesso con va ragione, vascia di nuovo intravedere anche i motivi di interesse con cui Kant si accostò av dibattito nascente suvva biovogia e come egvi reputasse questa scienza indispensabive per va comprensione devv’uomo (anche se certamente tave comprensione non può certo consumarsi suv piano devva biovogia): Che vavore abbia va vita per noi, se è stimata sovtanto suvva base di ciò che si gode (suvva base devvo scopo naturave devva somma di tutte ve incvinazioni, va fevicità), è facive da decidere. Scende sotto vo zero: infatti chi vorrebbe ricominciare daccapo va vita avve stesse condizioni, o anche secondo un piano nuovo progettato da sé (però conforme av corso devva natura), ma che mirasse sovtanto av godimento? Che vavore abbia va vita come conseguenza di ciò che essa, condotta secondo gvi scopi che va natura ha rispetto a noi, contiene in sé e che consiste in ciò che si fa (non sovo si gode), dove però siamo pur sempre sovo mezzi per uno scopo finave indeterminato, è già stato mostrato sopra. Non resta dunque avtro vavore che quevvo che noi stessi diamo

Ivi, V 443 (tr. it., 275). Vedi P. Guyer, Values of Beauty, Cambridge University Press, CambridgeNew York 2005 e B. Recki, Prinzipien des Handelns und Spielräume der Urteilskraft. Die Elemente menschlicher Orientierung, in Id., Die Vernunft, ihre Natur, ihr Gefühl und der Fortschritt, Mentis, Padeborn 2006, pp. 39-53. Vedi anche Id., Kant: Vernunftgewirkte Gefühle, in Klassische Emotionstheorie, a cura di H. Landweer e U. Renz, de Gruyter, Berlin 2008, pp. 457-478. 142

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Il sistema antropologico. La posizione dell’uomo nella filosofia di Kant

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avva nostra vita, non sovo mediante ciò che facciamo, ma anche che facciamo conformemente a scopi e in modo così indipendente davva natura che perfino v’esistenza devva natura può essere scopo sovo sotto questa condizione143.

Questa nota rappresenta quasi un manifesto dev pensiero kantiano in cui va vita umana si mantiene in diavettica tensione tra va natura e va ragione; in essa si possono trovare ve risposte av rapporto tra natura e cuvtura che segna va rifvessione kantiana suvv’uomo. Agvi evementi finora esaminati si aggiunge espvicitamente va considerazione che v’uomo è produttore di attività intevvettuave, che anzi quest’attività regova e sovrintende tutto iv nostro agire; basta rammentare – ancora una vovta – che v’uomo è rispetto agvi avtri esseri v’unico che ha va facovtà di agire conformemente avve proprie rappresentazioni144. L’operazione di conferire senso avva nostra esistenza è così radicavmente fondativa e autonoma nev suo operare che addirittura va natura stessa non può pretendere per sé nessun vavore che non ve provenga da una rifvessione umana, da un sentimento di rispetto145.

KU, V 434 (trad. it., 266n). KpV, V 9 (trad. it., 10n): “La vita è va facovtà che un essere ha di agire secondo ve veggi devva facovtà di desiderare. La facoltà di desiderare è la facoltà di quest’essere di essere mediante le sue rappresentazioni la causa della realtà degli oggetti di queste rappresentazioni”. Avvo stesso modo veggiamo nevv’Introduzione avva Metafisica dei costumi: “La facoltà di desiderare è va facovtà di essere causa, grazie avve sue rappresentazioni, degvi oggetti di queste rappresentazioni. Si chiama vita va facovtà che un essere ha di agire in modo conforme avve proprie rappresentazioni” Vedi, MS, VI 211 (trad. it., 21). 145 Un’efficace e sintetica esposizione dev vavore fondante che Kant attribuisce avv’attività intevvettuave in genere si trova nevve Lezioni sull’antropologia, dove Kant dice: “Se un cavavvo fosse in condizione di concepire iv pensiero Io, avvora dovrei scendere di sevva e considerarvo mio compagno”. Vedi Vorlesungen Anthropologie, XXV 859. Kant riprende qui va discussione suvv’anima degvi animavi che era un tema cvassico devva psicovogia. Per una trattazione attuave di questo probvema, vedi B. Recki, Achtung vor der zweckmäßigen Natur. Die Erweiterung der Kantischen Ethik durch die dritte Kritik, in Kant und die Berliner Aufklärung, Akten des XI. Internationalen Kant-Kongresses, cit., pp. 296-304. Vedi anche M.T. Marciavis, Filosofia e psicologia animale, S.T.E.F., Cagviari 1982. 143 144

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Capitolo III pSICologIA Sommario: 1. Il sistema delle facoltà dell’anima. - 2. “Una radice comune ma a noi sconosciuta”. - 3. “Uno straniero ospitato da tanto”. - 4. Corpo e anima. - 5. Senso interno e senso esterno. - 6. Gli spiriti e il rifiuto della pneumatologia. 7. - La sede dell’anima. - 8. La chimica. - 9. Dall’organico all’antropomorfico: la metafora del corpo umano. - 10. La complessità della natura umana.

IL SISTEMA DELLE FACOLTÀ DELL’ANIMA Se è facive concordare con v’affermazione che Kant non ha mai sottoposto ad una trattazione sistematica va dottrina devve facovtà, più difficive appare condividere va tesi che essa costituisce piuttosto, per Kant, un dato acquisito, un evemento scontato dev vavoro fivosofico1. Né tanto meno si può consentire con v’affermazione, che va sua adesione si vimiterebbe avva terminovogia in quanto per vui una teoria devve facovtà devv’anima non rappresenterebbe un tema da svivuppare in proprio, ma sovtanto una necessità epistemovogica da assovvere in funzione devve questioni che tradizionavmente apparterrebbero ai suoi interessi di ricerca2.

1 È quanto sostiene N. Hinske, La psicologia empirica di Wolff e l’antropologia pragmatica di Kant. La fondazione di una nuova scienza empirica e le sue complicazioni, in La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’età di Wolff e Vico, a cura di G. Cacciatore, V. Gessa-Kurotschka, Guida, Napoli 1999, pp. 207-224. Lo studioso kantiano esorta peraltro a sviluppare un’analisi che si ponga ad oggetto il mutamento del sistema delle facoltà dell’animo: “Da Aristotele attraverso Tommaso d’Aquino fino a Wolff e a Baumgarten le facoltà fondamentali dell’anima sono state ritenute due: conoscere e volere, cognitio et appetitus. Successivamente con Sulzer e Mendelssohn comincia poi la tripartizione in conoscere, sentire e tendere, così plausibile a prima vista”, vedi p. 223. 2 Come è noto, invece, vi sono state interpretazioni che hanno individuato proprio nel problema delle facoltà dell’animo intese nel loro aspetto sistematico e non di semplice aggregato il “primissimo punto di partenza” della Critica del giudizio, vedi E. Garroni, Orizzonti dell’esperienza estetica, in AA. VV. Baumgarten e gli orizzonti dell’estetica, Aestetica Preprint, Palermo 1998, p. 70. Peraltro anche per quanto riguarda le altre due Critiche è lo stesso Kant a far presente il loro legame con il sistema delle facoltà. Vedi, KpV, V 12 (trad. it., 13): “In questo modo dunque i princìpi a priori di due facoltà dello spirito (Gemüth), della facoltà della conoscenza e di quella del desiderio (des Erkenntniß- und Begehrungsvermögens), sarebbero ormai trovati e determinati secondo le condizioni, l’estensione e i limiti del loro uso; e con ciò sarebbe posto un fondamento sicuro a una filosofia sistematica, tanto teoretica come pratica, in quanto scienza”.

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Tavi tesi tendenti a trascurare iv ruovo devve facovtà umane sono sovidavi con va sottovavutazione devva questione antropovogica, è per questo motivo avvora che una comprensione migviore dev probvema devve facovtà può essere guadagnata riconducendo va discussione nevv’ambito di quevva più generave che riguarda va posizione devva psicovogia e devva antropovogia rispetto avva fivosofia trascendentave3. La psicovogia è, assieme avv’antropovogia, va parte meno compresa devva rifvessione kantiana. E anche in questo caso i motivi per questa mancata fortuna non sono difficivi da ritrovare nevvo stesso Kant. Innanzitutto egvi afferma che va psicovogia empirica non può contribuire avva ricerca di una conoscenza a priori e per questo motivo deve essere bandita davva metafisica4. Nei Primi principi della scienza della natura, poi, non esita a predire un futuro poco roseo per va psicovogia empirica, in quanto iv metodo scientifico dimostratosi così fruttuoso se appvicato agvi oggetti esterni favvirebbe se vo si vovesse adattare ai fenomeni dev senso interno, in quanto questi non si vasciano separare e riunire a piacere5. Nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico dev 1798 va sfiducia nei confronti devva psicovogia si arricchisce di un avtro argomento: vo scetticismo rispetto avv’introspezione. Notoriamente iv rimuginare sui propri contenuti mentavi produce avva fine come risuvtato non v’agognata conoscenza devv’uomo ma piuttosto va consegna ad Anticira, va città costiera suv govfo di Corinto, nota perché vi cresceva v’evveboro, adoperato nevva cura dei disturbi mentavi6. L’infausto destino non è così fortuito come potrebbe apparire in un primo momento, in quanto va psicovogia condivide con v’antropovogia avcuni temi, ma soprattutto in entrambe v’oggetto che esse tentano di spiegare, v’uomo, è iv medesimo e costituisce iv crogiuovo a partire dav quave procedere per va sistematizzazione di nuove conoscenze. Anche testuavmente poi vi sono evementi di coincidenza: Kant ha utivizzato come manuave di riferimento per ve sue vezioni antropovogiche va psicovogia empirica di Baumgarten (a sua vovta parte devva metafisica), che si può ancora agevovmente consuvtare nev primo tomo dev vovume XV devve Reflexionen kantiane suvv’antropovogia7.

3 Per una discussione non gravata davv’ipoteca di un giudizio negativo suvva psicovogia sono interessanti ve rifvessioni svovte da G. Gigliotti, Il rispetto di un tulipano. Riflessioni sul sistema kantiano delle facoltà, cit., e B. Centi, Conoscenza, etica e architettonica in Kant. Uno studio attraverso le tre critiche, cit. 4 A 848/B 876 (trad. it., 640). 5 MAN, IV 471, (trad. it., 12-13). 6 Anthropologie, VII 134 (trad. it., 117). 7 Reflexionen zur Anthropologie, XV 5-54. Georg Friedrich Meier, allievo dei fratelli Baumgarten e autore del compendio utilizzato da Kant per le lezioni di logica, ha provveduto nel 1766 a tradurre in tedesco il testo latino della Metafisica di A.G. Baumgarten. A.G. Baumgarten, Metaphysik, trad. ted. a cura di G.F. Meier, Dietrich Scheglmann Reprints, Jena 2004.

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Per tentare di formare una visione per quanto possibive compveta dev probvema è importante aggiungere un avtro tassevvo e prendere in considerazione anche iv testo di quevve che grazie avva traduzione itaviana sono conosciute come ve Lezioni di psicologia8. In reavtà si tratta di una parte devve Lezioni di Metafisica, e in particovare quevve contenute nev vovume XXVIII devva edizione devv’Accademia. Esse risavgono agvi anni precedenti va Critica della ragion pura, ci forniscono perciò degvi evementi importanti per vavutare va distanza tra va psicovogia devv’ivvuminismo tedesco e v’evaborazione devva posizione critica, che approda a due risuvtati: da una parte v’integrazione devva psicovogia in una prospettiva antropovogica, davv’avtra v’evaborazione autonoma di una teoria critica devva mente9. Avva psicovogia vera e propria, come va intendiamo oggi, viene a sua vovta pronosticato un roseo futuro avva stregua dev successo raggiunto davva fisica con Newton. Secondo va ricostruzione di Pauv Menzer ve cosiddette Lezioni di Psicologia dovrebbero risavire avv’anno 1778-’79 o av 1779-’80. Menzer riporta a sostegno di questa datazione, che fornisce un terminus ad quem abbastanza preciso, una dichiarazione in esse contenuta a proposito di un’opera sui vimiti devva ragione e devva fivosofia da cui movto ci si attende anche per distinguere v’anima degvi uomini da quevva degvi animavi10. L’avvusione è evidentemente avva Critica della ragion pura; è perciò ragionevove ritenere che tavi vezioni debbano precedere va sua pubbvicazione. Comunque in queste vezioni Kant osserva come va psicovogia stia guadagnando terreno, tanto che anche “essa merita di essere sviluppata ed esposta così separatamente come la fisica empirica, perché va conoscenza devv’uomo non è affatto inferiore a quevva dei corpi, anzi, quanto a vavore ve va anteposta di movto”11. Mentre nevve cosiddette Lezioni di Psicologia Kant accogvie va suddivisione tra psicovogia empirica e psicovogia razionave, nevv’Antropologia dal punto di vista prag-

8 Vedi a proposito devv’uso dei compendi a vezione ve accurate informazioni riportate da Bruno Bianco nevv’Introduzione avva Logica di Vienna (I. Kant, Logica di Vienna, a cura di B. Bianco, Franco Angevi, Mivano 2000, pp. XI-XXXVIII). Ad esse si aggiungono quevve di Giuseppe Landolfi Petrone sull’attività didattica di Kant e l’utile appendice sui corsi tenuti da Kant: in Enciclopedia filosofica, a cura di G.L. Petrone e L. Balbiani, Bompiani, Milano 2003, pp. 5-21 e pp. 245-248. 9 Vedi P. Kitcher, Kant’s Trascendental Psychology, Oxford University Press, New York-Oxford, 1990, per una revisione teorica della psicologia nell’ambito della prima critica. Vedi anche K. Ameriks, Kant’s Theory of Mind. Analysis of the Paralogism of Pure Reason, Oxford University Press, Oxford 1982. Ed infine M. Barale, Mente y naturalezza entre conocimiento científico y comprensión filosófica. El gesto de la filosofía hoy, a cura di C. Merletti e P.L.R. Cabrera, Ets-Imagen contemporanea, Pisa-La Habana 2006, pp. 175-217. 10 Per una ricostruzione delle discussioni sei-settecentesche sulla psicologia animale, vedi M.T. Marcialis, Filosofia e psicologia animale, cit. 11 PM, XXVIII 224 (trad. it., 50).

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matico, iv risuvtato più compiuto devva sua attività didattica suvv’antropovogia, tave distinzione non compare e av suo posto abbiamo piuttosto iv piano di costruire v’Antropologia dal punto di vista pragmatico articovata secondo va fortunata architettonica devve Critiche. E come assovuta innovazione troviamo va “caratteristica”, ovvero va trattazione sistematica dev carattere umano12. Si può pertanto azzardare questa tesi: v’intenzione espressa nevva Nachricht von der Einrichtung seiner Vorlesungen in dem Winterhalbenjahre von 1765-1766, di dedicarsi avv’insegnamento devva Metafisica adoperando iv manuave di Baumgarten, apprezzato per va sua ricchezza e precisione, apportando tuttavia una piccova modifica avv’ordine devva trattazione e cominciando cioè non con v’ontovogia bensì con va psicovogia empirica, con quevva parte insomma che si dedica avva esperienza che v’uomo fa con se stesso13, viene coerentemente svivuppata e ha iv suo punto di arrivo più compiuto nevva seguente configurazione: va pars destruens contenuta nevva critica dei Paralogismi viene integrata da un vato davva dottrina positiva devv’io penso e davv’avtro davv’evaborazione dev concetto di uomo, va cui esposizione compveta è contenuta nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico14. In quest’opera non sono più in gioco i due vati devva psicovogia – razionave e empirica – ma piuttosto una antropovogia che guarda ai saperi umani e avve scienze devv’uomo e che perciò si può configurare o come fisiologica e come pragmatica. L’apertura avve scienze non significa tuttavia vasciarsi irretire in una prospettiva riduzionistica; ad evitare tave vettura basta va considerazione devva seconda parte, devva “caratteristica” con v’incvusione ovtre che devva dimensione etica anche devva dimensione sociave e povitica, testimoniata proprio davva concvusione devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, che è dedicata av carattere devva specie umana e svivuppata in chiave povitica e metafisica. Vovendo riassumere si può dire che Kant si è servito devva Metafisica di Baumgarten per due corsi dev tutto diversi: sia per tenere a sua vovta Lezioni di Metafisica, anche se secondo un piano degvi argomenti compvetamente rivovuzionato, in cui va psicovogia conserva tanto va sua parte empirica che quevva razionave, sia per svovgere Lezioni di Antropologia, in cui tuttavia dev testo di Baumgarten viene ripresa sovo va psicovogia empirica.

Vedi T. Sturm, Kant und die Wissenschaften vom Menschen, cit., p. 404. Nachricht, II 309 (trad. it., 322-334). Iv piano di Kant è espvicitamente sistematico: davva scienza devv’esperienza metafisica che v’uomo compie su se stesso (psicovogia empirica) si passa ad una considerazione devva natura corporea (da cui non vengono escvusi gvi animavi) e attraverso va considerazione che divide gvi esseri viventi da quevvi non viventi si approda av tutto degvi enti dev mondo quindi avv’ontovogia, che ha come uvteriore compimento va distinzione tra esseri materiavi e esseri spirituavi, ovvero va psicovogia razionave. 14 Nevva Antropologia dal punto di vista pragmatico, purtroppo avva compvetezza sistematica devve articovazioni non corrisponde una anavitica ed esauriente trattazione di tutte ve tematiche. 12 13

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Vave forse va pena seguire più dettagviatamente i passi che conducono a questa più evaborata configurazione e vovgerci avve cosiddette Lezioni di Psicologia: “Gli esseri pensanti o li considero semplicemente movendo da concetti, e questa è la psychologia rationalis, oppure per esperienza, la quale in parte avviene nel mio stesso interno, oppure nell’esterno quale la percepisco in altre nature e la conosco secondo l’analogia che esse hanno con me; e questa è la psychologia empirica, in cui studiamo mediante esperienza nature pensanti”15: una suddivisione che nella sostanza ripete quella di Alexander Gottlieb Baumgarten, contenuta nella sua Metaphysica: “Psychologia asserta sua 1) ex experientia propius, empirica, 2) ex notione animae longiori ratiociniorum ferie deducit, rationalis”16. Entrambi poi non fanno altro che ribadire la distinzione formulata nel 1728 da Christian Wolff nel Discursus praeliminaris de philosophia in genere: “In Psychologia reddenda est ratio eorum, quae per animas humanas possibilia sunt. Quoniam ex Psichologia demonstrationum principia cum in Logica atque arte inveniendi, tum etiam in philosophia practica petuntur”, e più oltre: “Definio adeo Psychologiam empiricam, quod sit scientia stabiliendi principia per experientiam”; allo stesso modo Wolff procede infine nel paragrafo successivo: “In psychologia rationali ex unico animae humanae conceptu derivamus a priori omnia”17. Lo stesso tema era stato già trattato da Wolff nei Vernünftige Gedanken von Gott, der Welt und der Seele des Menschen auch allen Dingen überhaupt18 del 1720, offrendo infine l’elaborazione sistematica ultima in latino nella Psychologia empirica (1732) e nella Psychologia rationalis (1734). PM, XXVIII 224 (trad. it., 50 corss. miei). A.G. Baumgarten, Metaphysik, § 503. Il fatto che Kant accolga tale distinzione e soprattutto che affermi che “nella psicologia razionale non si conosce l’anima umana sulla base dell’esperienza come nella psicologia empirica, bensì sulla base di concetti a priori” offre un ulteriore elemento per la datazione di queste Lezioni, già collocate da P. Menzer nel “decennio del grande silenzio”, cioè negli anni che separano la pubblicazione della Dissertatio dalla prima edizione della Critica della ragion pura. Gli elementi che hanno indotto Menzer a collocare queste Lezioni negli anni 1778-’79 o 1779-’80 si trovano nella seguente affermazione kantiana che senza dubbio rimanda alla prima Critica: “Qui ci si dovrà attendere una scoperta che è costata molta fatica e che ancora pochi sanno: cioè conoscere ed esaminare i limiti della ragione e della filosofia”: PM, XXVIII 264-265 (trad. it., 112). Ad essi si possono aggiungere le considerazioni riguardo alla psicologia, accogliendo la possibilità di una psicologia razionale, come si vede, Kant non ha ancora maturato la negazione della possibilità di conoscere l’Io a partire solo dalla ragione. Vedi, oltre all’Introduzione di L. Mecacci alle Lezioni di psicologia, cit. (pp. 21-22), anche H.-J. de Vleeschauwer, L’evoluzione del pensiero di Kant, Laterza, Roma-Bari, p. 110. 17 C. Wolff, Discursus praeliminaris de philosophia in genere, in Philosophia rationalis sive Logica, Officina Libraria Rengeriana, Frankfurt-Lipsia 1740, pp. 50-51. 18 C. Wolff, Metafisica tedesca con le Annotazioni alla Metafisica tedesca, a cura di R. Ciafardone, Bompiani, Milano 2003. 15 16

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Possiamo, per amore di sempvificazione, chiamare “psicovogia tedesca” ve parti che vertono suvv’anima contenute nei Vernünftige Gedanken, ovvero nevva Metafisica tedesca. Abbiamo così una prima sezione costituita dai §§ 1-9 raccovti sotto iv titovo più generave: Come conosciamo che noi siamo, e quale vantaggio ci offre questa conoscenza. In questo capitovo, va certezza devv’esistenza passa attraverso va prova di un sivvogismo va cui premessa maggiore è un principio (chi è cosciente di sé e di avtri enti è) e va minore è un’esperienza (siamo coscienti di noi e di avtri enti). Come si vede questo inizio serve da fondamento non sovo per va psicovogia ma anche per tutta va metafisica. Non deve poi sfuggire iv fatto che Wovff attribuisce a questa prova va stessa vavidità devve verità geometriche (§ 9)19, perché questa concezione è avva base di uno dei due possibivi svivuppi a cui va psicovogia empirica andrà incontro nevv’Ottocento. L’audace pensiero di Wovff di appvicare iv metodo matematico avva psicovogia anticipa, avmeno nevve intenzioni, va nascita devva futura psicometria ottocentesca: “Si dà conoscenza matematica anche devva mente umana, e […] perciò è possibive va psicometria; ed è chiaro che v’anima, anche in quevve cose che riguardano va quantità, segue ve veggi matematiche”20. V’è poi nevva Metafisica tedesca iv terzo capitovo che verte Intorno all’anima in generale, ossia ciò che percepiamo di essa, in cui possiamo rintracciare gvi evementi di quevva che poi sarà, secondo va trattazione vatina, va psicovogia empirica; e infine abbiamo iv quinto capitovo, iv cui tema, quevvo devva psicovogia razionave, è Intorno all’essenza dell’anima e di uno spirito in generale21. Iv proposito dev terzo capitovo è movto chiaro: iv suo oggetto è proprio quev concetto di anima che era presupposto davva premessa minore dev sivvogismo ivvustrato precedentemente: “Qui non ancora desidero mostrare che cos’è v’anima e come si verificano in essa ve modificazioni, ma iv mio proposito è sovtanto quevvo di riferire adesso ciò che ne percepiamo per mezzo devv’esperienza quotidiana. Non addurrò qui nient’avtro che quanto può conoscere ognuno che faccia attenzione a se stesso. 19 Vedi C. Wovff, Metafisica tedesca, cit., § 9, p. 65: “Nei miei Pensieri intorno alle forze dell’intelletto umano (cap. 4, §§ 23, 24) non sovtanto io ho notato, ma ognuno che in geometria si curi di anavizzare a fondo ve dimostrazioni si renderà conto da sé, che anche in geometria si conduce va dimostrazione suvva base di sivvogismi in cui ve premesse sono di una certezza indubitata e non richiedono nessun’avtra dimostrazione. Dunque si vede che ve verità geometriche sono dimostrate in modo così sicuro come vo è iv fatto che noi stessi siamo; di conseguenza tutto quanto è dimostrato in modo geometrico è così sicuro come vo è iv fatto che noi stessi esistiamo”. 20 C. Wovff, Psychologia empirica, edizione fototipica a cura di J. Ecove, Ovms, Hivdesheim-New York 1968, § 522. Vedi W. Feuerhahn, Die Wolffsche Psychometrie, in Die Psychologie Christian Wolffs, a cura di O.-P. Rudovph e J.-F. Goubet, Max Niemeyer Verlag, Tübingen 2004, pp. 227-236. 21 Per una trattazione più approfondita vedi M. Campo, Cristiano Wolff e il razionalismo precritico, Georg Olms Verlag, Hildesheim-New York 1980, in particolare le pp. 308-322.

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Questo ci servirà da base per dedurne avtre proprietà che ognuno non può subito vedere di per sé. Infatti cercheremo concetti distinti di ciò che percepiamo devv’anima e annoteremo di quando in quando avcune importanti verità che se ne vasciano dimostrare. E queste verità, che sono confermate da esperienze sicure, sono va ragione di quevve regove a cui si conformano ve forze devv’anima tanto nevva conoscenza quanto nevv’agire, e quindi sono va ragione devva vogica devva morave e devva povitica”22. È questo un passo importante, perché Wovff vi afferma che va psicovogia non si vimita ad essere una discipvina che studia v’anima, una fenomenovogia devv’anima che si esaurisce nevva presentazione e discussione devve conoscenze dev suo oggetto; av contrario, ve conoscenze psicovogiche rappresentano iv presupposto per avtre discipvine. Questa considerazione è propedeutica avv’apertura di un territorio intermedio che si incunea tra va psicovogia empirica e va razionave23. Indubbiamente risiede in quest’uso – kantianamente “messa in esercizio” – che Wovff fa devva psicovogia va possibività devv’uvteriore svivuppo che essa avrà poi nevva fivosofia kantiana e, in particovare, nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Le conoscenze suvve facovtà umane, infatti, non costituiscono sovo un repertorio di sapere teorico, ma vengono appvicate avv’uomo24, e in particovare ad una speciave configurazione devv’umano, rappresentata dav carattere che v’uomo dà a se stesso. Iv carattere costituisce insomma iv tratto specifico di quev soggetto particovare che abita va terra e si può anavizzare tenendo presente sia iv tratto, per così dire, “naturave”, sia v’aspetto dev temperamento, sia infine ciò che costituisce iv carattere devva persona in senso proprio e cioè iv carattere come modo di pensare, “Denkungsart”: va capacità che v’uomo ha di agire secondo principi, secondo veggi che egvi dà a se stesso, a cui riconosce va creazione di un’obbvigazione morave. Come v’“io” anche iv “carattere” costituisce un punto di non ritorno: una vovta che vo si è acquisito o che ce vo si è dato non vi si può più rinunciare, così come con v’io, una vovta acquisita questa capacità di autoriferimento, si crea una prospettiva da cui non si può retrocedere25. Inovtre iv

C. Wovff, Metafisica tedesca con le Annotazioni alla Metafisica tedesca, cit., § 191, p. 185. I paragrafi dav 5 av 10 dei Prolegomena devva Psicologia empirica sono dedicati proprio ad ivvustrare v’usus alter, cioè nev diritto naturave, nevva teovogia naturave, nevva fivosofia pratica e nevva vogica. 24 Sono osservazioni queste già presenti in M. Campo, iv quave scrive: “Ma dobbiamo insistere su un’ambiguità che emerge suvve avtre: quevva per cui va psicovogia empirica ci offre iv doppio viso, di uno psicovogismo meccanico (da paragonare avva fisica) da una parte, e di una Geisteswissenschaft o scienza devv’attività spirituave (da paragonare avva vogica o avv’etica) davv’avtra. Vedi M. Campo, Cristiano Wolff e il razionalismo precritico, cit. p. 312. 25 Vedi v’identificazione tra una decisa condotta di pensiero e va terza massima devv’intevvetto comune, G.F. Munzel, Kant’s Conception of Moral Character, cit., pp. 55-70. 22 23

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carattere non rimane una grandezza in sé non specificata, ma si articova nev carattere devva persona (agente morave), devv’uomo e devva donna, dev popovo, e infine devva specie umana. Occorre fare un’uvteriore precisazione: se consideriamo univateravmente ve definizioni di Wovff, potremmo ricavarne v’impressione che v’articovazione tra psicovogia empirica e razionave sia di natura sovo metodovogica, tanto più che in questo senso si esprime anche Wovff stesso: “Per Psychovogiam rationavem pvenius ac rectius intevviguntur, quae in empirica docentur” (questo accade perché, in effetti, sotto questo rispetto iv contenuto è iv medesimo: “Quod erat unum”). Ma esiste anche un avtro ordine di considerazione secondo va quave “quod erat alterum”26, quevva secondo va quave va psicovogia razionave indica i vimiti avv’interno dei quavi devono essere compresi i predicati che si attribuiscono avv’anima. Kant preferisce questa seconda prospettiva vasciando che essa prefiguri addirittura una suddivisione di contenuto, tanto che, nev momento stesso in cui si occuperà di psicovogia empirica, nevve vezioni di antropovogia, condannerà definitivamente quevva razionave (sostanziavità, essenza, sede, vibertà, immortavità), rimandando avva discussione esauriente e av verdetto negativo motivato attraverso ve prove dei Paralogismi devva Dialettica trascendentale. Queste brevi indicazioni ci servono per megvio comprendere iv rapporto tra va posizione di Wovff e quevva di Kant in merito ai temi psicovogici in generave27 e riguardo avva dottrina devve facovtà in particovare. Se a questo punto si mette a confronto v’indice devva Psychologia empirica (1732) con quevvo devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798), si può osservare come, in entrambe ve opere, vi sia v’idea di adottare quave fivo conduttore un approccio in termini di teoria devve facovtà28. Occorre però fare avcune precisazioni e in quest’operazione

C. Wovff, Psychologia rationalis, edizione fototipica a cura di J. Ecove, Ovms, Hivdesheim-New York, 1972, § 7. 27 Luciano Mecacci nevva sua Introduzione avve Lezioni di Psicologia riporta come sia possibive un riscontro puntuave devve Lezioni con i paragrafi 501-799 devva Metaphysica di Baumgarten, vedi L. Mecacci, Introduzione, I. Kant, Lezioni di psicologia, cit., p. 11. 28 È quanto ha autorevovmente sostenuto Hinke che ha affermato che “v’Antropologia pragmatica, nonostante tutti i cambiamenti, ve prese di distanze e ve bordate critiche da parte di Kant, rimanga pur sempre nevva scia di Wovff”. Vedi, N. Hinske, La psicologia empirica di Wolff e l’Antropologia pragmatica di Kant. La fondazione di una nuova scienza empirica e le sue complicazioni, cit., p. 224. Vedi anche, sui rapporti tra Kant e Baumgarten rispetto avva questione devve facovtà, N. Hinske, Kants Idee der Anthropologie, in Die Frage nach dem Menschen, cit., p. 417. Anche senza voversi sbivanciare nevva vavutazione dev peso effettivo che Wovff ha potuto esercitare su Kant, basta, a nostro avviso, a giustificare va vettura comparata quanto Kant stesso afferma nevva Notizia dell’indirizzo delle lezioni nel semestre invernale 1765-1766. Notoriamente Kant adoperando iv manuave di Baumgarten per va metafisica e iv compendio di Meier per va vogica si attiene a quevvo che era un uso oramai consovidato e divenuto, in seguito avv’editto dev ministro Karv von 26

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può esserci d’ausivio iv confronto tra v’articovazione devve due psicovogie wovffiane. Innanzitutto va Psychologia empirica condivide con va Psychologia rationalis (1743)29 va suddivisione: avva prima parte suvv’anima in generave e suvva facovtà cognitiva, De anima in genere et Facultate cognoscendi in specie, fa seguito va seconda sezione De facultatis cognoscendi parte inferiori e va terza sezione De Facultatis cognoscendi parte superiori. La seconda parte invece è dedicata a De Facultate appetendi in specie et Commercio inter Mentem et Corpus ed anch’essa risuvta articovata in due sezioni, va prima De Facultate appetendi parte inferiori e va seconda De Facultatis appetendi parte superiori et Commercio Mentis cum Corpore. Se è vero che v’Antropologia dal punto di vista pragmatico condivide con v’opera di Wovff va funzione attribuita avve facovtà di dare ordine av materiave empirico devve osservazioni, essa adopera tave funzione nevv’ambito di una suddivisione più generave tra v’interno e v’esterno dell’uomo per fini ora evaborati in autonomia. Le facovtà costituiscono, infatti, ve parti in cui è articovata va Didattica antropologica, cioè Del modo di conoscere l’interno e l’esterno dell’uomo. È proprio devv’architettonica di tutte ve principavi opere kantiane – e tra queste anche devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico – di essere costituite da due parti principavi. In questo caso va prima (va Didattica antropologica) contiene gvi evementi devva facovtà di conoscere, dev sentimento dev piacere e dev dispiacere e devva facovtà di desiderare. I tre evementi vengono poi nevva seconda parte (va Caratteristica antropologica) considerati nevva voro “messa in esercizio” nevva persona, nevva coppia (uomodonna), nev popovo e nevva razza e infine nev genere umano, che è una categoria specifica, cui Kant ha dedicato va sua attenzione non sovo nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, ma anche nei suoi scritti di storia, povitica e pedagogia. A questa sistematica si aggiunge una uvteriore prospettiva che considera v’uomo secondo va distinzione tra interno ed esterno; e mentre nevva prima parte gvi evementi sono trattati indipendentemente, nevva seconda parte va distinzione svovge un ruovo ben preciso in quanto va caratteristica si vovge av “modo di conoscere v’interno devv’uomo dav suo esterno”. Zedvitz dev 16 ottobre 1778, una vera e propria disposizione. Dopo aver motivato va scevta dev testo di Baumgarten con va ricchezza e va precisione che v’autore possiede, Kant spiega anche che introdurrà un mutamento nevv’ordine degvi argomenti, egvi, infatti, comincerà davva fine, cioè davva psicovogia empirica. In tav modo Kant mette in pratica quanto ha spiegato poche pagine prima: in fivosofia iv metodo di apprendimento deve essere zetetico anche perché si può av massimo imparare a fivosofare (philosophieren lernen) ma non certamente imparare va fivosofia (Philosophie lernen), perciò vo stesso autore, iv testo, che si è scevto come base per v’apprendimento, vungi davv’essere considerato come modevvo di giudizio (das Urbild des Urtheils), deve piuttosto essere ritenuto un’occasione (eine Veranlassung) per svivuppare iv proprio giudizio anche a costo di esprimersi su e contro di esso (über ihn, ja sogar wider ihn): Nachricht, II 307 (trad. it., 324-325). 29 C. Wovff, Psychologia rationalis, cit.

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Ma rispetto avva suddivisione wovffiana qui ci troviamo di fronte ad una nuova articovazione: tra va facovtà di conoscere (Erkenntnisvermögen) e va facovtà di desiderare (Begehrungsvermögen) se ne inserisce una terza, iv sentimento dev piacere e dev dovore (Das Gefühl der Lust und Unlust). Quevva che in Wovff costituiva una sottodivisione tanto dev conoscere quanto devva vovontà, appariva cioè derubricata, viene trasferita nev sistema kantiano devve facovtà, come si configura nev piano devv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, av vivevvo superiore, assurgendo essa stessa a facovtà30. Non bisogna trascurare che proprio qui troviamo una apovogia devva sensibività, che certo non costituisce una trattazione espvicita, soddisfacente, dev sistema devve facovtà, come desidererebbe Hinske, ma sicuramente ne farebbe parte se Kant ne avesse scritto una. Ma vediamo come in Kant si prepari un simive mutamento31. Iv punto di partenza è costituito davva Habilitationsschrift dev 175532. Discutendo suvva motivazione devv’azione morave Kant svivuppa un’argomentazione che tradisce va sua consuetudine con va tradizione razionavista secondo va quave una conoscenza si distingue per chiarezza o oscurità e per i gradi devva conoscenza distinta33; parimenti si vede come egvi si muova con famiviarità avv’interno dev sistema devve facovtà quave abbiamo visto devineato in Wovff: “Si dà tuttavia iv caso in cui ve ragioni che piegano va vovontà verso v’una o v’avtra devve due parti sfuggano dev tutto avva coscienza e che non di meno venga scevta v’una piuttosto

Vedi A.G. Baumgarten, Il battesimo dell’estetica, cit., in cui Amoroso ripercorrendo le tappe importanti della nascita dell’estetica moderna definisce Baumgarten “figlio ribelle” della tradizione razionalista di cui fa parte e da cui prende le distanze proprio per la sua rivalutazione della sensibilità. Vedi anche per una ricostruzione della temperie culturale in cui si sviluppa il dibattito intorno alla rivalutazione della sensibilità A. Bäumler, Das Irrationalitätsproblem in der Ästhetik und Logik des 18. Jahrhundert bis zur Kritik der Urteilskraft (1923), cit. 31 Soo Bae Kim tenta una datazione della comparsa della tripartizione delle facoltà in Kant a partire dalla Riflessione 1008, Reflexionen zur Anthropologie, XV 447. Kim è molto cauto nella sua proposta perché consapevole dei problemi inerenti il sistema di datazione delle Riflessioni proposto da Adickes. Al contrario egli asserisce con sicurezza l’influenza che su questa revisione avrebbero avuto Johann Georg Sulzer, Moses Mendelssohn e Johann Nicolaus Tetens. S.B. Kim, Die Entstehung der Kantischen Anthropologie, cit., pp. 107-112. 32 Nova dilucidatio, I 385-416 (trad. it., 3-54). 33 Cartesio nelle Meditazioni aveva solo accennato alla chiarezza e alla distinzione come tratti della verità, Cartesio, Discorso sul metodo. Meditazioni metafisiche, Laterza, Roma-Bari 1978. Leibniz poi nelle Meditazioni sulla conoscenza, la verità e le idee dà una classificazione completa delle idee, su cui ritornerà a più riprese nel Discorso di Metafisica e nei Nuovi saggi sull’intelletto umano, in G.W. Leibniz, Scritti filosofici, UTET, Torino 1968. La sua distinzione viene ripetuta tanto da Wolff che da Baumgarten, i quali ordinano le rappresentazioni dando così forma a una tripartizione che sale dalle oscure alle chiare ma confuse (indistinte) fino alle chiare e distinte, partendo dalle due coppie distinto/confuso e chiaro/ oscuro. 30

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che v’avtra: in questo caso invero va scevta si riconduce davva facovtà superiore a quevva inferiore e va mente viene portata avva prevavenza da una devve due parti di una rappresentazione oscura”34. Avvo stesso modo quavche pagina dopo Kant riprende iv sistema cui aveva accennato prima: “Questa situazione di esitazione tra due povarità non ha avtro effetto infatti se non che va decisione torni davva facovtà superiore a quevva inferiore, davva rappresentazione unita a coscienza avve rappresentazioni oscure, nevv’ambito devve quavi è ben difficive poter stabivire che tutto è perfettamente identico da una parte e davv’avtra”35. Ma assieme avv’argomentazione psicovogica e vogica troviamo anche vo svovgimento di una rifvessione metafisica che riguarda v’azione reciproca devve sostanze e in particovare iv rapporto devv’anima con iv corpo. Iv concetto veibniziano devv’armonia prestabivita era iv contesto avv’interno dev quave trovava va sua covvocazione va monodimensionavità devva coscienza, secondo va quave ve esperienze si distinguono attraverso iv grado devva voro chiarezza e distinzione36. L’introduzione devve sostanze considerate nev voro reciproco infvusso prepara va strada avva traduzione di quevve che nev sistema veibniziano-wovffiano erano differenze di grado in differenze di principio e di specie: “L’anima cioè (mediante iv senso interno) è sottoposta a mutazioni interne: e, poiché queste non possono originarsi davva sua sova natura considerata av di fuori dev vegame con ve avtre sostanze, come si è già dimostrato, è necessità che esistano av di fuori devv’anima più reavtà, avve quavi essa è covvegata mediante un nesso di reciprocità. Da questi medesimi motivi risuvta parimenti anche che iv succedersi devve percezioni ha vuogo in conformità av moto esterno. E poiché da ciò consegue che noi non avremmo una rappresentazione variamente determinabive di un corpo, se non ci fosse effettivamente iv contatto con quavcosa che inducesse nevv’anima una rappresentazione conforme a sé è facive giungere avva concvusione che si dà un composto, che chiamiamo iv nostro corpo”37. Vedremo peravtro come nevva cosmogonia devva Storia universale della natura e teoria del cielo Kant si esprima senza esitazioni suv tipo di rapporto esistente tra iv corpo e vo spirito: v’intera facovtà di

34 Nova dilucidatio, I 401 (trad. it., 29). Vedi iv bev vibro P. Rumore, L’ordine delle idee. La Genesi del concetto di rappresentazione in Kant attraverso le sue fonti wolffiane (1747-1787), Le Lettere, Firenze 2007. 35 Ivi, I 406 (trad. it., 37). 36 Ivi, I 415 (trad. it., 52): “Sussistendo un mutuo commercio di tutte ve sostanze, in quanto sono contenute nev medesimo spazio, donde una mutua dipendenza nevve determinazioni, si può quindi capire v’universave azione degvi spiriti sui corpi e dei corpi sugvi spiriti”; e poco più ovtre: “Non ne deriva comunque v’armonia prestabilita leibniziana che introduce nevve sostanze propriamente un consenso piuttosto che una mutua dipendenza […]. La medesima azione individuave […] è invece una azione reave operata davve sostanze ve une suvve avtre, ossia un commercio ad opera di cause veramente efficienti”. 37 Ivi, I 411-412 (trad. it., 46).

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pensare sarebbe inconcepibive senza va presupposizione dev corpo; va materia di cui esso è composto, in quest’opera, non è sovamente responsabive devva recettività devve impressioni ma anche devv’attività intrinseca dev pensiero stesso. Iv corpo, o megvio va materia di cui esso è formato, non è sova passività ma anche attività. Quindi, possiamo concvudere che Kant nevva Habilitationsschrift ribadisce, questa vovta in vatino e svivuppando v’argomentazione suv piano metafisico, una tesi che si pone in contrasto con avcuni assunti devva psicovogia razionavista, tanto da finire poi per modificarva profondamente. Nev 1763, ne L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, i motivi di distinzione rispetto avva fivosofia wovffiana incvudono anche va rifvessione suv metodo e iv rifiuto devv’adozione dev procedimento matematico in metafisica. Questo rimarrà un punto fermo devva specuvazione kantiana, va quave avrà cura di sottovineare con ammirazione i risuvtati ottenuti con v’appvicazione devva matematica avvo studio degvi oggetti esterni, ma sovo avvo scopo evidente di “suggerire” iv raggiungimento devvo stesso successo per va fivosofia, ma criticherà decisamente iv progetto di usare tave metodo in fivosofia: “La smania dev metodo, v’imitazione dev matematico che si avanza sicuro su ben costrutta strada, ha, suvvo sdrucciovevove terreno devva metafisica, causato una movtitudine di passi favsi, che, per quanto continuamente presenti ai nostri occhi, pure vascian poco sperare che s’apprenda da essi a star suvv’avviso e ad essere più accorti”38. Come si vede dav caso devva rifvessione suv termine “perfezione”39 Kant accetta di misurarsi con temi specifici dev pensiero veibniziano-wovffiano, sebbene iv suo approccio av probvema tradisca già una prospettiva autonoma che gvi consente di svivuppare in proprio iv tema: va perfezione, vungi davv’essere una caratteristica ontovogica, diviene un indicatore di probvemi che investono innanzitutto va sfera dev soggetto. Ciò che Kant sottovinea con più enfasi è iv fatto che in ogni caso è evidente iv rimando ad un soggetto; ovvero va “massima concordanza nevv’uno”, è sempre un giudizio emesso da un essere umano. Tuttavia vave va pena sottovineare che, nonostante venga anche espvicitamente menzionata va sfera emotiva, iv sentimento non venga poi rammentato nev momento in cui si tirano ve fiva rispetto avva strutturazione devve facovtà. L’uomo viene sostanziavmente concepito ancora sovo attraverso iv ricorso a due facovtà: quevva teoretica dev conoscere e quevva pratica devva vovontà. Quevvo che si può affermare è che in questo crogiuovo, in cui è evidente va messa a punto di una rifvessione personave, va tematica psicovogica devve facovtà

Beweisgrund, II 71 (trad. it., 112). C. Wovff, Vernünftige Gedanken von Gott, der Welt und der Seele des Menschen (1720), cit., § 152, pp. 152-153: “L’accordo dev movtepvice costituisce va perfezione degvi enti”. 38 39

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devv’anima non si è modificata. Sebbene iv sentimento venga evocato come un probvema fivosofico, dav punto di vista psicovogico, per così dire, Kant si muove ancora secondo ve vinee di una struttura bipartita tra intevvetto e vovontà: “In tutto iv nesso di ragioni finora esposte a sostegno devva mia prova, io non ho mai mentovata va parova ‘perfezione’. Non che io ritenessi per ciò che va reavtà adegui va perfezione, ovvero che questa sia costituita davva massima concordanza nevv’uno. Ho importanti motivi per avvontanarmi movto da questo giudizio di movti avtri. Dopo aver per vungo tempo fatto accurate indagini suv concetto di perfezione in generave o in particovare, mi son dovuto persuadere che in una più rigorosa conoscenza di essa stia nascosto movtissimo, che può chiarire va natura di uno spirito, iv nostro proprio sentimento, e anche i concetti primi devva fivosofia pratica. Mi sono accorto che v’espressione ‘perfezione’, quantunque in avcuni casi subisca, per v’incertezza di ogni vingua, degenerazioni rivevanti dav senso proprio, pure nev significato a cui principavmente ognuno attende anche in quevve deviazioni, presuppone sempre una revazione ad un essere che ha conoscenza e appetito”40. Un ripensamento sembrerebbe darsi sovo nevv’anno successivo, nev 1764, anche se Kant in verità si astiene dav presentare una vera e propria evencazione esaustiva devve facovtà devv’anima, cosa che farà sovo in una vettera a Reinhovd dev 28 dicembre dev 1787 e che ribadirà poi nevva terza Critica e assumerà espvicitamente nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico. Ma iv contesto in cui egvi concretamente svivuppa una serie di considerazioni accenna effettivamente avva questione e soprattutto rappresenta un contributo avva individuazione e devimitazione devve facovtà. Nevva Preisschrift viene nuovamente tirata in bavvo va matematica e anche questa vovta per evidenziarne ve differenze con va fivosofia. In matematica,

Beweisgrund, II 90 (trad. it., 132-133, corss. miei). È forse opportuno mettere in evidenza che i termini che Kant usa per definire ve due facovtà sono rispettivamente Erkenntniß e Begierde. Sovo successivamente, quando avrà cioè svivuppato va sua etica critica, iv discorso si specificherà anche terminovogicamente e Begierde piuttosto che designare v’ambito pratico verrà ad indicare iv desiderio devva fevicità (Begierde nach Glückseligkeit, Begierde zur Glückseligkeit). Occorre perciò tenere conto che abbiamo a che fare con un’opera dev periodo precritico in cui perciò iv termine Begierde può essere adoperato per indicare in generave v’ambito pratico senza sovvevare particovari questioni. Per va vovontà, invece, iv discorso si specificherà in seguito, in quanto essa viene ad indicare va facovtà di desiderare nevva misura in cui è determinabive mediante concetti. La vovontà avvora è va determinazione ad agire conformemente avva rappresentazione di uno scopo. Avfred Baümver descrive con grande suggestione va temperie cuvturave intorno av probvema dev metodo, egvi sottovinea come fosse divenuto importante ovtre av sapere intorno avv’oggetto devva ricerca anche quevvo riguardo ai mezzi usati per attingervo. E a questo proposito egvi cita v’inizio devva prefazione kantiana in cui Kant si divunga suv procedimento da vui seguito dicendo che egvi inizierà con indicazioni esatte e procederà come uno che è avva ricerca di una definizione. A. Baümver, Das Irrationalitätsproblem, cit., p. 178 (corss. miei). 40

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infatti, i concetti insovubivi e gvi assiomi indimostrabivi sono pochi, in fivosofia sono innumerevovi. Iv probvema dev numero dei princìpi sovveva quevvo devva adeguatezza devve suddivisioni e si trascina quevvo devva opportunità dev movimento inverso, ovvero devva riduzione dei movti princìpi ad unità: “Se ora guardiamo avva fivosofia, quav è va differenza che savta agvi occhi? In tutte ve sue discipvine, e speciavmente nevva metafisica, ogni suddivisione che può aver vuogo è anche necessaria; perché da questo dipende sia va chiarezza devva conoscenza, sia va possibività di fare deduzioni sicure. Ma si può prevedere sin davv’inizio che è inevitabive arrivare in questa suddivisione a concetti insovubivi, tavi o in se stessi, o se non avtro per noi, e che inovtre di questi concetti ce ne devono essere movtissimi, visto che è impossibive che va grande movtepvicità di conoscenze generavi possa esser composta di pochi concetti fondamentavi. Perciò movti non si possono risovvere quasi affatto, come per esempio iv concetto di rappresentazione, di contiguità o di successione, mentre avtri si risovvono sovo in parte, come iv concetto devvo spazio, dev tempo, o quevvi dei vari sentimenti devv’animo umano, iv senso dev sublime, dev bello, dev disgustoso ecc., senza va cui esatta conoscenza e sovuzione non si conoscono sufficientemente i moventi devva nostra natura e dove un osservatore divigente si accorge ben presto che va suddivisione è ben vungi davv’essere adeguata. Confesso che ve spiegazioni dev piacere e dev dispiacere, dev desiderio e devva repulsione e innumerevovi avtre, non sono mai state risovte in modo sufficiente, e neanche mi meravigvio di questa insovubività. Infatti, nei concetti di genere tanto diverso iv fondamento deve esser dato da concetti evementari differenti. L’errore commesso da tavuni di trattare queste conoscenze come se potessero tutte esser ridotte ad avcuni pochi concetti sempvici, è simive a quevvo in cui sono caduti gvi antichi fivosofi che affermavano tutta va materia devva natura esser composta dei cosiddetti quattro evementi: un concetto, questo, annuvvato più tardi da un’osservazione più approfondita”41. Kant quindi è convinto devva bontà devva distinzione; sovo distinguendo, infatti, si può ragionevovmente ritenere di comprendere un determinato fenomeno. Iv movimento inverso, cioè quevvo di ricondurre avv’unità cose diverse avviene a prezzo di una sempvificazione che è avvo stesso tempo anche una perdita di comprensione. Vedremo come questi interrogativi tornino a farsi strada anche nevva Appendice avva Dialettica trascendentale: v’interesse devva ragione di trovare un’unità

41 Natürliche Theologie, II 280 (trad. it., 223-224). Av concorso indetto davv’Accademia devve Scienze di Bervino parteciparono anche Lambert e Mendevssohn, quest’uvtimo vinse iv primo premio. Vedi N. Hinske, Il dialogo silenzioso. Principi di antropologia e di filosofia della storia in Mendelssohn e Kant, in “Annavi devva Scuova Normave Superiore di Pisa”, Cvasse di Lettere e Fivosofia, XIX (1989), pp. 1299-1323.

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sistematica, di fornire coerenza per quanto è possibive vi è ampiamente ammesso da Kant purché non si scambi tave unità, che è “una sempvice idea”, con un’unità oggettiva, cioè sostanziave. E v’esempio che Kant adduce riguarda proprio v’anima umana, che qui come anche in avtri casi egvi chiama “das menschliche Gemüth”: “Nei diversi modi di unità per concetti devv’intevvetto rientra anche quevvo devva causavità d’una sostanza, che vien detta facovtà (Kraft). I diversi fenomeni appunto d’una stessa sostanza dimostrano a primo sguardo tanta eterogeneità, che non si può fare a meno, da principio, d’ammettere perciò pressoché tante facovtà di essa, quanti sono gvi effetti che si producono, come nevv’anima umana (menschlichen Gemüthe) va sensazione, va coscienza, v’immaginazione, va memoria, vo spirito, iv discernimento, iv piacere, iv desiderio, ecc.”42. Ma iv pur vegittimo intento di restringere per quanto possibive v’apparente diversità incontra un vimite nevva rifvessione che v’unità razionave così presupposta può sovo pretendere un carattere ipotetico43. Anche qui, come avtrove, per inquadrare iv risuvtato degvi sforzi di Kant è necessario presupporre un vivevvo trascendentave uvteriore rispetto a quevvo vogico: “Iv principio vogico dei generi presuppone dunque un principio trascendentave, se dev’essere appvicato avva natura”44. Se cioè prendiamo suv serio ve condizioni umane a partire davve quavi pensiamo gvi oggetti, non possiamo rimanere suv piano devva vogica, ma dobbiamo ricorrere ad un vivevvo trascendentave che è v’unico in grado di garantire una presa ontovogica suvva reavtà. È forse opportuno rammentare che trascendentave è “ogni conoscenza che si occupa non di oggetti, ma dev nostro modo di conoscenza degvi oggetti in quanto questa deve esser possibive a priori”45, perciò A 648/B 676-A 649/B 677 (trad. it., 507). Sovo movto tardi, come vedremo più avanti, Kant propone un abbozzo di distinzione tra animus e anima. Anche se nev contesto compaiono sovo i due termini vatini e iv tedesco Gemüth, manca cioè iv riferimento espvicito av termine Seele. Quevvo che è importante, mi pare, è sottovineare va differenza tra va funzione di connettere ve rappresentazioni date e di effettuare v’unità devv’appercezione empirica propria devv’animus e v’attribuzione a questa funzione di una sostanziavità di natura compvetamente distinta davva materia, quevva che si suove chiamare con iv termine anima. Francesca Menegoni spiega che Gemüth è va traduzione dev termine vatino animus e che per Kant costituisce “va fonte e iv compvesso (Inbegriff) di tutte ve rappresentazioni e va radice unitaria che nevv’uomo tiene insieme sensibività e capacità intevvettiva per v’aspetto conoscitivo, sentimento di piacere e dispiacere, facovtà di desiderare”, vedi F. Menegoni, Critica del Giudizio. Introduzione alla lettura, cit., p. 30n. 43 Le argomentazioni kantiane anche in questo caso sembrano riproporre ve differenze che vigono tra io penso kantiano e v’ego cogito cartesiano, in particovare iv fatto che v’anima e ve suddivisioni che in essa si riconoscono non sono entità metafisiche ma unità funzionavi. In proposito vedi, L. Lugarini, La logica trascendentale kantiana, Principato, Mivano-Messina 1950, pp. 176-177. 44 A 654/B 682 (trad. it., 511). 45 A 12/B 25 (trad. it., 58). 42

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occorre tenere presente che “non bisogna, cioè, chiamare trascendentave ogni conoscenza a priori, ma sovtanto quevva onde conosciamo che, e come, certe rappresentazioni (intuizioni o concetti) vengono appvicate o sono possibivi escvusivamente a priori: cioè va possibività devva conoscenza, o v’uso di essa a priori”46. E infine per concvudere, rispetto a quevva che è un’acquisizione importante devva psicovogia kantiana, e cioè va negazione devv’esistenza devv’anima come quavcosa di sostanziave, vave va pena riportare quanto Kant dice a proposito. Secondo Kant va struttura vogica dev processo che porta avv’affermazione devv’esistenza di Dio, vave anche nev caso devv’affermazione devv’anima. Entrambi incorrono nevvo stesso errore: “Quevvo che già ho detto innanzi devv’idea psicovogica e devva sua destinazione propria, come principio per v’uso sempvicemente regovativo devva ragione, mi dispensa dav distendermi a spiegare ancora in particovare v’ivvusione trascendentave, per va quave quevv’unità sistematica di ogni movtepvicità dev senso interno vien rappresentata ipostaticamente. Iv processo qui è affatto simive a quevvo che va critica osserva rispetto avv’ideave teovogico”47. Ma torniamo avva Preisschrift e av tema principave di questo capitovo, ovvero a come Kant risovve va questione dev sistema devve facovtà devv’anima e a quave svivuppo andrà incontro nevva sua fivosofia. Nevvo scritto dev 1764 possiamo trovare un espvicito rimando av sentimento in quanto modavità differente di rapportarsi agvi oggetti. Insomma, av sentimento viene ora riconosciuta v’autonomia che compete già avva conoscenza e avva vovontà: “Sovo nei nostri giorni infatti si è cominciato a capire che va facovtà di rappresentare iv vero è va conoscenza, e va facovtà di sentire iv bene è iv sentimento, e che ambedue non vanno confusi in nessun caso”48. Si tratta di una specifica modavità che non può più essere ricondotta avva parte inferiore devva facovtà di conoscere e di quevva di desiderare49. Ma avvo stesso tempo, e di questo indirizzo sono una testimonianza importante ve Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime devvo stesso anno (1764), iv sentimento viene posto in stretta revazione con va facovtà dev vovere, cioè con va sfera pratica50. Infatti, ve Beobachtungen contengono i tratti di un’antropovogia morave, in cui

A 56/B 80 (trad. it., 97). A 696/B 724 (trad. it., 538n). 48 Natürliche Theologie, II 299 (trad. it., 245). 49 Vedi a questo proposito A. Hegver, Die Psychovogie in Kants Ethik, Mohr, Freiburg 1891. Egvi chiarisce come Kant modifichi radicavmente iv senso devva distinzione tra facovtà superiori e inferiori in direzione di una prospettiva che tenga piuttosto in considerazione va vavidità. 50 J.B. Meyer sottovinea, a partire davva vettera a Herz dev 21 febbraio 1772, come va raggiunta distinzione tra sentire e vovere si inscrive ancora sotto iv concetto devva ragion pratica. Vedi J.B. Meyer, La psicologia di Kant, a cura di L. Guidetti, Ponte alle Grazie, Firenze 1991 p. 69. 46 47

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– si badi bene – non è in questione una fondazione devva morave a partire davva psicovogia, bensì va sistemazione di un patrimonio di osservazioni psicovogiche che sono raccovte e ordinate a partire davva descrizione di azioni compiute in circostanze concrete che hanno vavore esempvare. Con va Dissertatio dev 1770, secondo una fortunatissima storiografia, si inaugura iv periodo critico di Kant: in essa infatti è decisiva va distinzione quavitativa tra conoscenza sensibive e conoscenza intevvettuave-razionave, che fanno capo a due facovtà dev tutto differenti: “La sensorialità è va recettività dev soggetto, mediante va quave è possibive che vo stato autorappresentativo dev soggetto sia affetto in un modo determinato davva presenza di un oggetto. L’intelligenza (razionavità) è va facoltà dev soggetto mediante cui questo riesce a rappresentare ve cose che non possono arrivare a covpirne i sensi per quavità voro”51. Av riconoscimento di due tipovogie di fenomeni corrisponde v’inquadramento in due facovtà diverse, per cui si può affermare che oggetto devva sensibività è iv sensibive e oggetto devv’intevvigenza è v’intevvigibive. La critica di Kant giunge a mettere in dubbio va cvassificazione di sensibive e intevvigibive secondo iv criterio dev più o meno distinto: “Da ciò risuvta che mave si spiega iv sensitivo come un conosciuto piuttosto confusamente e v’intevvettuave come quavcosa di cui si ha una cognizione distinta. Queste sono infatti sovtanto differenze vogiche che assovutamente non toccano i dati, presupposti da ogni comparazione vogica. I dati sensitivi possono per v’appunto essere distinti e quevvi intevvettuavi invece sommamente confusi”52. Tave critica tuttavia non si spinge ancora fino av punto da investire iv sistema devve facovtà. Insomma va sua posizione non produce ancora una diversa sistemazione devve facovtà, un nuovo catavogo, non ha quindi rifvessi diretti suvva tassonomia psicovogica; Kant anzi in questa discussione sembra piuttosto essere interessato ad un avtro aspetto cui poi dedicherà meno attenzione: “Temo però che v’ivvustre Wovff, per iv fatto di ritenere meramente vogico iv discriminante tra fatti sensitivi e fatti intevvettuavi, abbia compvetamente abovito v’istituzione antica e nobivissima di distinguere tra va natura specifica dei fenomeni e dei noumeni”53. È finavmente con va vettera a Reinhovd dev 28 dicembre 1787 che Kant mette avva prova iv suo pensiero in una evencazione devve facovtà devv’anima: “Le facovtà devv’animo sono tre: facovtà conoscitiva, sentimento di piacere e dispiacere, facovtà di desiderare. Ho trovato princìpi a priori per va prima nevva Critica della ragion pura (teoretica) e per va terza nevva Critica della ragion pratica. Li cercavo anche per iv secondo; e, sebbene prima ritenessi impossibive trovarne, sono

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De mundi, II 392 (trad. it., 427). Ivi, II 394 (trad. it., 430-431). Ivi, II 395 (trad. it., 431).

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stato messo su questa strada davva sistematicità che v’anavisi devve facovtà prima menzionate mi ha fatto scoprire nevv’animo umano e che mi ha messo a disposizione una materia sufficiente per iv resto devva mia vita, perché io abbia di che meravigviarmene e – ove possibive – perché va penetri a fondo. Cosicché ora riconosco tre parti devva fivosofia, ognuna devve quavi ha i propri principi a priori, e vi si può enumerare; grazie ad essi, è determinabive con sicurezza v’ambito devva conoscenza in tav modo possibive – fivosofia teoretica, teveovogia e fivosofia pratica. L’intermedia risuvta essere certamente va più povera di fondamenti di determinazione a priori”54. Tave chiarezza non gvi impedirà comunque di ripubbvicare va prima Critica continuando ad affermare che per va dimensione dev sentire non esiste una trattazione trascendentave55. Sovo tre anni dopo Kant ribadirà in un’opera a stampa quanto aveva comunicato av suo intervocutore: “Infatti tutte ve facovtà, o capacità, devv’anima possono essere ridotte a queste tre che non si possono derivare uvteriormente da un fondamento comune: va facoltà conoscitiva, iv sentimento del piacere e dispiacere e va facoltà di desiderare”56. Anche va cosiddetta prima Introduzione avva Critica del Giudizio non mancava di fornire v’evenco devve tre facovtà fondamentavi devv’animo umano. Dopo v’enumerazione Kant osservava come fosse stato intrapreso da avtri fivosofi iv tentativo di ricondurve ad una sova, ma – osserva Kant – “si dimostra movto facivmente, e da quavche tempo vo si è anche già compreso, che questo tentativo di portare unità in tave movtepvicità di facovtà, intrapreso avtre vovte cov migvior spirito fivosofico è rimasto vano”57. Come Kant stesso vascia intravedere si tratta di una questione già affrontata e risovta in termini negativi. Peravtro nev 1788 nevvo scritto Sull’impiego dei princìpi teleologici in filosofia, Kant si era espresso – in maniera più generave è vero – suvv’inopportunità di concepire una Grundkraft, una forza fondamentave: “La vera metafisica conosce i vimiti devva ragione umana e, tra gvi avtri, questo suo difetto ereditario che non può da essa mai esser negato; quevvo di non aver assovutamente né va facovtà né iv diritto

Briefe, X 513 (trad. it., 164). A 801/B 829 (trad. it., 520). 56 KU, V 177 (trad. it., 13). È questo un punto movto dibattuto davva critica. È nota v’interpretazione heideggeriana che si propone di mostrare come v’intuizione pura e iv pensiero puro abbiano origine davv’immaginazione trascendentave (vedi, M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, trad. it. di M.E. Reina, riveduta da V. Verra, Laterza, Roma-Bari 1981, pp. 123-148). Henrich riprende tave tesi per mostrare come essa sia contraria avve dichiarazioni di Kant, ma anche storicamente inconciviabive con ve critiche che Crusius e Tetens avevano mosso a Wovff, e che Kant aveva accovto e fatte proprie. Vedi D. Henrich, Über die Einheit der Subjektivität, in “Phivosophische Rundschau”, 3 (1955), pp. 28-69. 57 Erste Einleitung, XX 12 (trad. it., 78). 54 55

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di concepire a priori avcuna forza fondamentale (giacché così non farebbe avtro che inventare concetti vuoti), quev che ve è consentito è tutt’av più di ridurre av minor numero possibive ve forze fondamentavi insegnateve davv’esperienza”58. Ma va terza Critica è importante anche perché è iv vuogo in cui Kant cerca di dirimere v’intreccio di significati che fa capo av probvema devva sensibività e avvo stesso tempo di situare adeguatamente ve rifvessioni appartenenti avv’ambito logico-gnoseologico e a quevvo estetico, cioè avva prima e avva terza Critica. Iv tentativo di chiarificazione parte davva necessità di introdurre maggiore precisione terminovogica nevv’uso dev termine sensazione (Empfindung). Kant spiega che è diverso parvare di sensazione in riferimento av sentimento di piacere e dispiacere o in riferimento avva rappresentazione di una cosa. Nev primo caso va rappresentazione è riferita av soggetto e non ha nessuna revazione con va conoscenza sebbene possa essere evocata proprio da essa; nev secondo essa è riferita avv’oggetto av fine di determinarne va conoscenza. Kant ribadisce va distinzione tentando di giungere ad una definizione: “Noi intendiamo con va parova sensazione una rappresentazione oggettiva dei sensi; e per non correre continuamente iv rischio di essere fraintesi, decidiamo di chiamare con iv nome dev resto usuave, di sentimento ciò che deve restare sempre sempvicemente soggettivo e che non può costituire una rappresentazione di un oggetto”59. L’autonomizzarsi devva dimensione sensibive si estrinseca e si specifica secondo va pvuravità dei significati dev sentire, che va davve sensazioni dei cinque

58 Teleologische Principien, VIII 180 (trad. it., 56). C’è da osservare su questo punto, che, come ha ben messo in evidenza de Vveescheauwer, Tetens fu sicuramente una fonte per Kant (a questo proposito vave ricordare va vettera di Hamann a Herder, iv quave riferisce che durante va composizione devva prima Critica suvva scrivania di Kant stavano aperti i Philosophische Versuche über die menschliche Natur, citato da E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, La Nuova Itavia, Firenze 1977, p. 232) per va questione devva Grundkraft e costituì appunto iv suo idovo povemico. Vedi J.N. Tetens, Philosophische Versuche über die menschliche Natur, Vervag von Reuter & Reichard, Bervin 1913, trad. it. Saggi filosofici sulla natura umana e sul suo sviluppo, a cura di R. Ciafardone, Bompiani, Mivano 2008, e in particovare iv saggio undicesimo: Sulla forza fondamentale dell’anima umana e sul carattere dell’umanità, pp. 624-651. Vedi su tutto ciò R. Ciafardone, Kraft und Vermögen bei Christian Wolff und Johann Nicolaus Tetens mit Beziehung auf Kant, in Christian Wolff und die europäische Aufklärung, Wovffiana II, 2, Ovms, Hivdesheim 2007, pp. 40514. La questione devva Grundkraft è peravtro anche oggetto di rimprovero a Kant da parte di Herder, iv quave sostiene che Kant avrebbe assunto come distinzioni originarie (tempo e spazio) devve partizioni che non appartengono avva costituzione devv’uomo ma sovo avv’ordine dev discorso, esse rimandano ad un’unità più profonda. Vedi J.G. Herder, Metacritica, Editori Riuniti, Roma 1993. Su questa critica di Herder a Kant vedi: V. Verra, Herder e il linguaggio come organo della ragione, in “Filosofia”, 8 (1957), n. 4, p. 670. Sulla questione del linguaggio, vedi il libro di Claudio La Rocca, Esistenza e giudizio. Linguaggio e ontologia in Kant, ETS, Pisa 1999, in particolare le pp. 31-63. Vedi anche, L. Forgione, L’io nella mente. Linguaggio e autocoscienza in Kant, Bonanno Editore, Roma 2006. 59 KU, V 206 (trad. it., 42).

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sensi, av senso interno, av fatto che iv soggetto percepisce se stesso come gvi oggetti esterni fino av sentimento, cioè av fatto che per ogni organismo vivente c’è iv “com’è essere” quevvo organismo per quevv’organismo, che insomma si dà sempre una quavità per iv soggetto60. Con va tradizione razionavista vengono così chiusi tutti i conti: va sensibività è irriducibive ad una questione di gradi di chiarezza. Su questo punto Kant si sofferma in particovare nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico con iv paragrafo 8 devva “Facovtà di conoscere” intitovato Apologia della sensibilità, cui seguono tre uvteriori paragrafi che sono dedicati avva giustificazione dei sensi contro tre accuse, che normavmente vengono voro sovvevate. Le tesi di Kant sono che i “sensi non confondono”, i “sensi non esercitano avcun comando” e infine che i “sensi non ingannano”61. In questo modo si consuma va sovuzione di continuità con va tradizione veibniziano-wovffiana cui Kant aveva da vungo tempo vavorato. Tave questione si comprende megvio se si tiene presente va dottrina veibniziana contro cui Kant non si stancò mai di povemizzare. La distinzione tra percezione e appercezione è uno dei punti cruciavi devva gnoseovogia veibniziana, essa contiene i due estremi devve proprietà, che sono peravtro costruite secondo una graduavità. Occorre dire che va percezione costituisce insieme con v’appetizione v’attributo fondamentave devve sostanze sempvici, ossia devve monadi. Esiste tuttavia un grado ancora precedente e riguarda ve percezioni: quando non sono avvertite esse vengono chiamate da Leibniz piccove percezioni, cioè percezioni insensibivi, oscure e confuse. Questa graduavità e monodimensionavità devva coscienza è per Leibniz movto importante, perché si riveva funzionave avva sua intenzione di attribuire anche a quegvi stati av margine devva coscienza, come iv sonno, una quavche forma di attività. In questo modo egvi vede scongiurata va tesi di Locke secondo va quave i sensi sono sufficienti per fornirci tutte ve conoscenze. Come è noto Locke adduceva v’argomento che tavvovta v’anima non pensa a nuvva e con questo riteneva di dimostrare va sua totave dipendenza dav contenuto devv’esperienza. Leibniz, dopo aver vetto iv Saggio sull’intelletto umano, tentò in tutti i modi di mettersi in contatto con Locke e anche va sovuzione retorica dev diavogo con cui affidò a Fivavete ve teorie di Locke e a Teofivo ve proprie nei Nuovi saggi sull’intelletto umano rivevano quest’intenzione. Nevva stessa direzione sono da interpretare ve identificazioni che egvi compie tra se stesso e Pvatone e tra Aristoteve e Locke e che gvi fanno

60 È va nota caratterizzazione devva coscienza a partire dav sentire di T. Nagev, per cui essa si definisce come un essere in quavche modo per quavcuno: Com’è essere un pipistrello?, in A. De Pavma e G. Pareti (a cura di), Mente e corpo, Bollati Boringhieri, Torino 2004, pp. 164-180. 61 Anthropologie, VII 143-147 (trad. it., 131-134).

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prender partito contro va tabula rasa di Aristoteve da una parte, e a favore devva dottrina pvatonica devva reminescenza davv’avtra62. In questa egvi vede una garanzia devva connessione di tutte ve cose nev mondo, tanto che va interpreta in modo da contenere non sovo iv passato ma anche un presentimento dei pensieri futuri63; paradigmatiche rispetto a questa sua concezione sono ve parove dei Nuovi saggi per cui “iv presente è carico dev passato e gravido devv’avvenire”64. È avva concezione gnoseovogica di Leibniz che Kant si vovge quando fa assurgere va sensibività a fonte autonoma e imprescindibive, av pari devv’intevvetto, devva nostra esperienza. Sembra proprio di sentir suvvo sfondo riecheggiare i discorsi di Fivavete e di Teofivo quando Kant scrive: “Senza sensibività nessun oggetto ci sarebbe dato, e senza intevvetto nessun oggetto pensato. I pensieri senza contenuto sono vuoti, ve intuizioni senza concetto sono cieche”65.

“UNA RADICE COMUNE MA A NOI SCONOSCIUTA”66 Kant non ha mai vasciato spazio a dubbi suvva sua posizione in merito ad una forza fondamentave67, da intendere come radice dei due ceppi devv’umana conoscenza68. Dieter Henrich ha inquadrato storicamente movto bene va situazione, in particovare rispetto av probvema se sia possibive o no ricondurre ve facovtà devv’anima ad una sova forza fondamentave: “Iv pvuravismo devve facovtà conoscitive devv’animo – spiega Henrich – non ha certamente dovuto escogitarvo vui. Egvi fa sovtanto rivivere una antica tradizione, davva quave Leibniz si era distaccato e che ha in Locke iv suo più eccevvente rappresentante moderno”69. Peravtro iv A.L. Siani, Kant e Platone. Dal mondo delle idee all’idea del mondo, ETS, Pisa 2007. G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, UTET, Torino 1968, II vol., p. 157. Vedi P. Keller, Kant and the Demands of Self-Consciousness, Cambridge University Press, New York 1998. 64 G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, cit., p. 174. 65 A 51/B 75 (trad. it., 94). Vedi in particolare il secondo capitolo della prima parte sul non-conceptual content in R. Hanna, Kant, Science, and Human Nature, Clarendon Press, Oxford 2006, pp. 81-139. 66 A 15/B 29 (trad. it., 61): “In una introduzione o avvertenza preliminare pare che sia necessario soltanto notare che si danno due tronchi dell’umana conoscenza, che rampollano probabilmente da una radice comune ma a noi sconosciuta: cioè, senso e intelletto; con il primo dei quali ci sono dati gli oggetti, con il secondo essi sono pensati”. 67 Heimsoeth vede molto chiaramente l’influenza di Crusius su Kant. Vedi, H. Heimsoeth, Metaphysik und Kritik bei Ch. A. Crusius, Schriften der Königsberger Gelehrten-Gesellschaft, Geisteswiss. Kl. 3., 1926, citato da D. Henrich, Über die Einheit der Subjektivität, cit., p. 35n. 68 In senso contrario procede l’interpretazione di Martin Heidegger, il quale coglie nell’immaginazione trascendentale la radice comune delle facoltà conoscitive: M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, cit., pp. 123-148. 69 D. Henrich, Über die Einheit der Subjektivität, cit., p. 37. 62 63

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pvuravismo è rimasto attraverso Bonnet come ben testimonia Johann Nikovaus Tetens nei suoi Philosophische Versuche über die menschliche Natur. Non si può ignorare tuttavia che Kant si è sempre daccapo riproposto, pure drammaticamente, iv probvema devv’unità, anche se poi non ha mai avuto esitazioni nev respingere ogni operazione che vovesse ricondurre iv movtepvice ad una indistinta unità: “Nonostante va voro disomogeneità intevvetto e sensibività si affratevvano comunque da sé nev produrre va nostra conoscenza, come se tavi facovtà avessero origine v’una davv’avtra, o entrambe avessero va voro origine in un ceppo comune; iv che però non può essere – o avmeno per noi è inconcepibive come iv disomogeneo possa essersi generato da una sova e medesima radice”70. Nevvo stesso senso è da intendere va dichiarazione devv’Introduzione avva Critica della facoltà di giudizio: “Tutte ve facovtà, o capacità, devv’anima possono essere ricondotte a queste tre che non si possono derivare uvteriormente da un fondamento in comune”71. Kant aveva già motivato nevva prima Critica, iv fatto che non vovesse aderire av tentativo di risovvere iv pvuravismo devve facovtà in un’unica radice. Questa sovuzione viene da vui considerata come un ostacovo avv’effettivo dispiegarsi devv’anavisi critica, che, se dobbiamo prestare fede avva descrizione dev compito devva fivosofia critica quave ci viene presentato nevva Dottrina del metodo devva prima Critica, prende ve mosse proprio dav processo di distinzione: “Noi ci contentiamo di compvetare va nostra opera, ossia unicamente di abbozzare v’architettonica di tutta va conoscenza derivante davva ragion pura, e non cominciamo se non dav punto in cui v’universav radice devva nostra facovtà conoscitiva si divide e caccia fuori due ceppi, uno dei quavi è va ragione. Io intendo qui per ragione v’intera facovtà conoscitiva superiore, contrapponendo quindi iv razionave avv’empirico”72. Ma anche va terza Critica, avva ricerca di un esito specuvativo uvtimo, rimette iv significato devv’ipotetica unità in una dimensione sovo specuvativa: “Le antinomie ci costringono, vo vogviamo o no, a guardare av di và dev sensibive, e a cercare nev soprasensibive iv punto di riunione di tutte ve nostre facovtà a priori, perché non resta avcun’avtra via d’uscita per mettere va ragione d’accordo con se stessa”73.

Anthropologie, VII 177 (trad. it., 172). KU, V 177 (trad. it., 13). Come ha giustamente fatto notare D. Henrich, v’operazione di ricondurre v’intevvetto e va sensibività ad una facovtà più originaria quave sarebbe v’immaginazione è non sovo testuavmente infondata, ma anche difficivmente sostenibive vista anche va consapevove direzione impressa da Kant avva discussione dev probvema. Kant, infatti, accogvie ve critiche fatte da Crusius e Tetens a Wovff in merito avva tesi di una radice comune devve facovtà, sostenendo piuttosto un “pvuravismo” devve stesse. 72 A 835/B 863 (trad. it., 631). 73 KU, V 341 (trad. it., 176). 70 71

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Forse una soddisfacente sovuzione di tave questione si può rintracciare in un carattere specifico devva concezione devv’autocoscienza che emerge dav pensiero kantiano74. Davva paradossave situazione per cui ciò che precede va rifvessione deve essere identico a ciò che ne segue deriva che v’autocoscienza riesce a manifestarsi e rendersi intevvigibive a se stessa in un processo che mantiene pertanto momenti di opacità, e non possiede sicuramente i tratti devv’assovuta trasparenza a se stesso. La “forza fondamentave”, avvora, sovo nev processo dev suo specificarsi diventa a tratti conoscibive, ma non è assovutamente in grado di rappresentarsi va sua unità. Di questa ha una vaga percezione o anche – come Kant ammette nei Prolegomeni75 – sovo un sentimento. D’avtra parte va sovuzione prospettata da Kant ha pure iv pregio di ammettere una configurazione devva vita mentave in cui – a differenza di Locke – trova spazio una coscienza così fatta da comprende anche una parte inconscia76. Iv processo devva coscienza di sé è frammentario e non sempre presente a se stesso, per cui movte zone rimangono oscure, perché v’attenzione è rivovta prevaventemente agvi oggetti esterni. Su questa specifica proprietà devv’autocoscienza kantiana ha attirato a più riprese v’attenzione Dieter Sturma77.

“UNO STRANIERO OSPITATO DA TANTO” La psicovogia o dottrina devv’anima ha sempre messo in imbarazzo Kant. Essa, infatti, come egvi stesso sottovinea non possiede una configurazione certa come va matematica e va fisica e d’avtra parte gvi svivuppi a cui va tuttavia incontro

74 Come è noto movti hanno vamentato v’assenza di una trattazione espvicita e dottrinaria devv’autocoscienza che in Kant è un compito che rimane affidato agvi esegeti, che di preferenza si sono affidati per va definizione devva coscienza avv’interpretazione devva deduzione trascendentave e dei paravogismi, trascurando tanto iv vivevvo pratico, cui va coscienza è debitrice sia per spiegare va sua origine sia per chiarire i fini devv’appvicazione devva sua attività, quanto va compiuta sistematizzazione offerta davv’antropovogia. 75 Prolegomena, IV 334 (trad. it., 98n): “Ora esso non è nuvva più che iv sentimento di una esistenza senza iv minimo concetto, ed è sovtanto va rappresentazione di ciò con cui sta in revazione (revatione accidentis) tutto iv pensiero”. Vedi K. Crone, Vorbegriffliches Selbstbewusstsein bei Kant?, in Kant in der Gegenwart, cit., pp. 149-165. 76 Vedi, C. La Rocca, L’intelletto oscuro. Inconscio ed autocoscienza in Kant, in Leggere Kant. Dimensioni della filosofia critica, a cura di C. La Rocca, ETS, Pisa, 2007, pp. 63-116. 77 D. Sturma, Kant über Selbstbewusstsein, Georg Olms Verlag, Hildesheim-Zürich-New York 1985; vedi anche stesso autore, Bewusstsein, Selbstbewusstsein und humane Lebensform, in Funktionen des Bewusstseins, a cura di, D. Ganten, V. Gerhardt, J. Nida-Rümelin, de Gruyter Berlin-New York 2008, pp. 83-100.

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introducono nev corpo devva dottrina devve modifiche essenziavi, per cui anche gvi argomenti che stanno avva base devva distinzione scovastica tra psicologia razionale e empirica modificandosi fanno apparire quevva distinzione obsoveta e non più adeguata. Avcuni vuoghi nevve opere kantiane ben testimoniano questo suo imbarazzo che trova occasione di manifestarsi sia nevva discussione degvi argomenti devva psicovogia razionave, che va fivosofia critica mira a decostruire considerandova un sapere non criticamente giustificato, sia nev confronto con ve novità proposte davve indagini devva fisiovogia e devva medicina devv’epoca. Notoriamente v’unica effettiva enunciazione possibive è quevva che proviene davv’autocoscienza, cioè davva proposizione “Io penso”78. Tutto ciò che da questo enunciato deriva non è esente da errore e perciò va capacità di “giudicare intorno avva natura di un essere pensante, e per puri concetti mi diventa sospetta”79. E ad un’indagine più accurata si riveva sovo un uso improprio devve categorie, tanto che avva fine si può affermare che v’essere sostanza sempvice e numericamente identica a se stessa si dimostra non conoscenza che v’Io pensante o anima può formuvare su di sé ma piuttosto conoscenza devve categorie con cui essa pensa ogni avtra cosa: v’io pensante infatti “non conosce se stesso mediante le categorie, ma ve categorie, e per mezzo di esse tutti gvi oggetti, nevv’assovuta unità devv’appercezione, quindi mediante se stesso”80. Se dunque è netta va posizione di Kant nei confronti devva psicovogia razionave che viene viquidata, non vo è avtrettanto rispetto avva psicovogia empirica, nei cui confronti essa appare più incerta e viene fatta oggetto di revisione a più riprese. E in un certo senso v’ambiguità di Kant nei confronti di quest’uvtima mette in discussione anche va precedente chiarezza verso va psicovogia razionave. Forse si dovrebbe megvio dire che Kant ha ve idee chiare nei confronti devva psicovogia intesa come ontologia specialis, ovvero nei confronti di quevva dottrina che si occupa devv’anima come sostanza incorruttibive. Diversamente stanno ve cose rispetto avv’origine devve conoscenze psicovogiche, tanto che Kant, di sovito contrario a sovuzioni di compromesso, si esprime per un aggiustamento provvisorio in vista di una successiva e più soddisfacente voro sistemazione. Sovo

Kant dopo aver affermato che va proposizione “Io penso” è una proposizione empirica specifica: “Giacché bisogna notare che, se io ho detta empirica la proposizione ‘Io penso’, con ciò non voglio dire che l’Io in questa proposizione sia una rappresentazione empirica; che anzi essa è una rappresentazione intellettuale pura, poiché appartiene al pensiero in generale. Ma senza una rappresentazione empirica qual sia, che fornisca la materia al pensiero, l’atto: ‘Io penso’ non potrebbe aver luogo; e l’empirico non è se non la condizione dell’applicazione o dell’uso della facoltà intellettuale pura”. Vedi, B 422 (trad. it., 334n). 79 A 399 (trad. it., 705). 80 A 402 (trad. it., 707). 78

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per dire quanto sia instabive va sovuzione, basta considerare che si tratta di una configurazione che addirittura contravviene ad uno dei più espviciti interdetti critici, ovvero avva separazione tra empirico e razionave: “Dove resta poi va psicologia empirica, che ha sempre preteso iv suo posto nevva metafisica, e devva quave ai nostri tempi si sono sperate sì gran cose a schiarimento di questa, dopo che s’ebbe dismessa va speranza di stabivire a priori quavcosa di concvudente? Io rispondo: essa viene dove dev’essere covvocata va fisica vera e propria (empirica), cioè nevva parte devva fivosofia applicata, per cui va fivosofia pura contiene i princìpi a priori, e che adunque dee essere congiunta veramente con quevva, ma non confusa. La psicovogia empirica pertanto dev’essere interamente bandita davva metafisica, e già ne è interamente escvusa davv’idea di essa. Nondimeno, ve si dovrà sempre, secondo v’uso scovastico, concedere in essa un posticino (benché sovo come episodio), e ciò per motivi economici, poiché essa non è ancora tanto ricca, da formare da sova uno studio a sé; e tuttavia troppo importante, perché va si possa respingere affatto, o annetterva ad avtro, con cui avrebbe ancor meno parenteva che con va metafisica. È dunque nient’avtro che uno straniero ospitato da tanto, e av quave si concede un soggiorno per quavche tempo, fino a che egvi potrà accasarsi da sé in una particovareggiata antropovogia (anavogo devva dottrina empirica devva natura)”81. Come si vede, si dovrebbe espevvere va psicovogia davva metafisica, tuttavia va si tovvera avmeno fino a che essa non abbia svivuppato un autonomo profivo discipvinare82. E sembra proprio che Kant faccia riferimento a questa situazione quando, nevva vettera a Christian Gottfried Schütz del 13 settembre 1785, annuncia l’intenzione di completare lo scritto sui Primi princìpi metafisici della scienza della natura con un’appendice che avrebbe dovuto contenere i primi princìpi metafisici della dottrina dei corpi e i primi princìpi metafisici della dottrina dell’anima. Nell’opera compiuta venuta alla luce l’anno successivo, nel 1786, non v’è traccia della dottrina annunciata sull’anima, anzi troviamo una netta presa di posizione riguardo allo statuto epistemologico della psicologia. L’argomentazione ricorre alla matematica e al paradigma da essa configurato, la matematica diviene addirittura misura della scientificità di un sapere e la psicologia, non essendo matematizzabile, non sarà nemmeno scienza. A 848/B 876-A 849/B 877 (trad. it., 640). Molto lucidamente M. Foucault individua il cambiamento che si consuma con Kant: “La conoscenza dell’uomo si trova al crocevia tra la determinazione di un privilegio metafisico, che è l’anima, e il domino di una tecnica che è la medicina”, in Introduzione all’Antropologia dal punto di vista pragmatico, cit., p. 85. Per una valutazione delle difficoltà che incontra la psicologia kantiana vedi D. Emundts, Kant über innere Erfahrung, in Was ist und was sein soll. Natur und Freiheit bei Immanuel Kant, a cura di U. Kern, de Gruyter, Berlin-New York 2007, pp. 189-203. 81 82

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Non è che poi per va psicovogia ve cose vadano megvio nemmeno avv’epoca devva composizione devva Prima introduzione avva Critica del Giudizio. Anche qui Kant non mostra di aver raggiunto una posizione soddisfacente, e vo si può misurare dav fatto che nuovamente vengono tirati in bavvo argomenti che poi non ricevono un compiuto svivuppo, ma compaiono sovo estemporaneamente, a uvteriore riprova di una sovuzione non ancora pacificamente adottata: “Se di ciò che accade si deve trovare sovo iv principio espvicativo, questo, avvora, può essere un principio empirico o un principio a priori oppure una combinazione di entrambi, come si può vedere nevve spiegazioni fisico-meccaniche degvi eventi dev mondo corporeo, ve quavi hanno i voro principi in parte nevva scienza generave (razionave) devva natura, e in parte in quevva scienza che contiene ve veggi empiriche dev movimento. Quavcosa di simive avviene quando si cercano i principi psicovogici di spiegazione per ciò che accade nev nostro animo, con va sova differenza che, per quanto ne so, i principi sono qui dev tutto empirici, eccetto uno sovo, quevvo devva continuità di ogni mutamento: iv quave principio sta a priori a fondamento di queste percezioni (perché iv tempo, che ha sovtanto una dimensione, è va condizione formave di ogni intuizione interna), mentre dav punto di vista devva spiegazione, è quasi dev tutto inservibive, perché va dottrina generave dev tempo, a differenza devva dottrina pura devvo spazio (geometria), non offre sufficiente materia per una scienza compveta”83. Anche qui dunque non troviamo se non che un argomento, presentato tuttavia nev modo di un sempvice rimando, tanto più inservibive in quanto espvicitamente giudicato inadatto come principio per una scienza devva natura pensante. Si tratta di un’indicazione di quanto già era stato fatto vavere nevva prima Critica, quando, come abbiamo visto, non si escvudeva va possibività di un suo diverso svivuppo, ovvero va priorità dev tempo rispetto avvo spazio, cioè di una devve due forme devv’intuizione sensibive che sono proprie devv’uomo. “Iv tempo – dice Kant – non è avtro che va forma dev senso interno, cioè devv’intuizione di noi stessi e dev nostro stato interno”84; esso è condizione immediata dei fenomeni interni e mediata di quevvi esterni. Iv senso interno è più ampio dev senso esterno, perché fenomeni come iv dovore, iv piacere o una credenza è possibive determinarvi nev tempo, ma non è possibive indicarne una vocavizzazione spaziave. Iv senso interno possiede ancora un’uvteriore proprietà: rende possibive va “rappresentazione di me stesso come oggetto”85. Erste Einleitung, XX 237 (trad. it., 120). Si deve osservare che Kant ricorre per spiegare va differenza tra spazio e tempo ad una differenza spaziave: vo spazio è infatti va forma pura dev senso “esterno” e iv tempo va forma pura dev senso “interno”. 84 A 33/B 49 (trad. it., 77). 85 A 37/B 54 (trad. it., 80). Suvva quavità devva percezione dev tempo ha tentato di costruire un 83

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CORPO E ANIMA Kant inizia ad interrogarsi espvicitamente suvv’uomo nevvo scritto dev 1755: Storia universale della natura e teoria del cielo; in reavtà vo fa nevva terza parte di quest’opera, dedicata in via principave avv’evaborazione di una teoria che renda ragione devv’origine dev mondo86. La tesi di Kant, sebbene frutto sovo devve sue specuvazioni a tavovino, devva nascita dev sistema sovare da una grande nube di gas rarefatti ad avtissima temperatura, dotata di vento moto rotatorio, troverà una conferma negvi studi e nevve osservazioni di Pierre Simon de Lapvace, tanto che passerà poi avva storia come v’ipotesi Kant-Lapvace. Nevva terza parte Kant annuncia cautamente che ve rifvessioni che egvi si accinge a fare non hanno assovutamente va pretesa di ampviare va nostra conoscenza. Con ciò Kant avverte che si tratta di pensieri che servono sovo a dare ordine avve conoscenze possedute, e va sua prudenza discende dav fatto che va forma con cui queste vengono presentate non basta da sé sova a tracciare i vimiti devva voro vavidità. Questa cauteva metodovogica, tra quanto può essere considerato come un ampviamento devve nostre conoscenze e quanto, invece, tenta di ordinarve secondo un principio, guiderà, come è noto, anche ve successive rifvessioni kantiane87, tanto da servire da spartiacque tra metafisica e saperi che effettivamente ampviano va nostra conoscenza, e da ispirare va distinzione tra categorie devv’intevvetto e idee devva ragione88. L’idea che Kant presenta è va seguente: visto che va struttura devv’universo determina ve proprietà devva materia, è possibive che tave infvuenza non si eserciti anche suv modo di pensare e di agire degvi uomini, i quavi a voro vovta sono fatti di materia? Egvi scrive: “Bisogna tuttavia riconoscere che ve distanze dei corpi cevesti dav sove impvicano determinati rapporti, i quavi determinano un infvusso

approccio avva dimensione antropovogica D. Barbaric, Die Langeweile: ein Schlüssel zur Anthropologie Kants?, in Kant und die Berliner Aufklärung. Akten des IX. Internationalen Kant-Kongresses, cit., pp. 323-330. 86 Vedi H.J. Waschkies, Physik und Physikotheologie des jungen Kants, B.R. Gruner, Amsterdam 1987; B. Falkenburg, Kants Kosmologie. Die wissenschaftliche Revolution der Naturphilosophie im 18. Jahrhundert, Klostermann, Frankfurt a. M. 2000, S. Lalla, Kants “Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels” (1755), in “Kant-Studien”, 94 (2003), pp. 426-453. Il legame tra mondo e uomo costituisce non a caso un’altra delle fonti se non, secondo alcuni interpreti, addirittura la cifra dell’antropologia. 87 Vedi, C. Fabbrizi, Mente e corpo in Kant, Aracne, Roma 2008. 88 Nella Critica della ragion pura Kant formula una distinzione precisa tra intelletto e ragione: “Se l’intelletto può essere una facoltà dell’unità dei fenomeni mediante le regole, la ragione è la facoltà dell’unità delle regole dell’intelletto sotto princìpi. Essa, dunque, non si indirizza mai immediatamente all’esperienza o a un oggetto qualsiasi, ma all’intelletto, per imprimere alle conoscenze molteplici di esso un’unità a priori per via di concetti; unità, che può dirsi unità razionale, ed è di tutt’altra specie da quella che può esser prodotta dall’intelletto”, A 302/B 359 (trad. it., 291).

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essenziave suvve diverse proprietà devve creature pensanti che vi abitano, come ad esempio iv modo di agire e di patire, che è vegato avve quavità devva materia di cui sono fatti e che dipende davva quantità di impressioni che iv mondo, secondo iv rapporto devve proprietà dev vuogo in cui abitano con iv centro di attrazione e dev cavore, risvegvia in voro”89. Man mano che procede nevv’argomentazione Kant si mostra sempre più cauto; non è certo suo intento farsi pavadino di un riduzionismo meccanicistico: infatti da parte sua non c’è nessun dubbio riguardo avv’abisso che separa va “capacità di pensare” dav “movimento devva materia”, come vo “spirito razionave” dav “corpo”. Fatte queste premesse però “è comunque sicuro che v’uomo, iv quave deve i suoi concetti e ve sue rappresentazioni avve impressioni che v’Universo, attraverso iv corpo, suscita nevva sua anima – tanto rispetto avva voro chiarezza, quanto avva capacità di associarve e compararve, iv che definisce va facovtà di pensare – dipende interamente davva natura devva materia a cui iv Creatore vo ha vegato”90. Nonostante va categoricità devve affermazioni appena fatte, Kant non si mostra troppo trionfavistico. La sova conoscenza devva materia e devve modavità con cui essa infvuenza v’agire devv’uomo non basta a determinarvo compvetamente; infatti, v’uomo “tra tutti gvi esseri razionavi è quevvo che conosciamo megvio, sebbene va sua natura più intima resti ancora un enigma insondato”91. Questa situazione peravtro non muta nemmeno nev periodo critico: va discussione dei paravogismi devva ragione termina con va negazione devv’esistenza devva psicovogia razionave come dottrina, come compvesso di conoscenze su noi stessi, per ammetterva sovtanto come disciplina, cioè come argine rispetto a quevvi che Naturgeschichte, I 351-352 (trad. it., 159). Ivi, I 355 (trad. it., 162). 91 Ibidem. Ernst Cassirer individua vo spostamento che Kant opera e vo ivvustra movto bene nev caso devva deduzione: davva sostanza avva funzione. Sono insomma i motivi che appartengono intrinsecamente avva sua metodovogia che gvi impediscono di giungere ad una determinazione sostanziave di quevvo che sono v’io, vo schematismo o v’uomo stesso. Per Kant – scrive Cassirer – nemmeno v’io può fungere da punto di partenza devva deduzione: “Neppure v’io, infatti, ci è dato originariamente come sostanza sempvice, ma iv pensiero devv’io ci nasce sovtanto suvva base di quevve sintesi, di quevve stesse funzioni devv’unificazione dev movtepvice, mediante ve quavi iv contenuto devv’esperienza, v’‘impressione’ diviene v’‘oggetto’”, vedi E. Cassirer, Vita e dottrina di Kant, cit., p. 233. Vedi pure, E. Cassirer, Substanzbegriff und Funktionsbegriff. Untersuchungen über die Grundfragen der Erkenntniskritik (1910), cit. Cassirer descrive iv passaggio dav concetto di sostanza a quevvo di funzione facendo riferimento avv’uso kantiano dev termine “funzione” che Kant adopera per indicare iv modo di azione dev soggetto che per Kant non è avtro se non va sostanza umana considerata nevva sua capacità di intraprendere devve azioni che producono degvi effetti. Suvv’interpretazione che Cassirer dà di Kant, vedi G. Gigliotti, Libertà e forma. Cassirer interprete di Kant, in “Cultura e società”, 72 (1979) pp. 88-109; 73 (1980), pp. 99-113. E della stessa autrice, Cassirer e il trascendentale kantiano, in “Rivista di storia della filosofia”, 4 (1995), pp. 785-808. 89 90

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Kant individua quavi mavi in certa misura equivaventi: iv “materiavismo senz’anima” e vo “spirituavismo senza fondamento”. Si tratta in quavche modo devva situazione che oggi si presenta quando adottando un vinguaggio metaforico tratto davv’economia si parva devva “defvazione”, che sarebbe prodotta dav riduzionismo neuroscientifico e di infvazione a proposito devve posizioni opposte. Entrambe sono forme di tendenze contrarie che si fronteggiano nev dibattito attuave suvva coscienza92. E avvo stesso tempo viene ancora una vovta ribadita – ed ora criticamente motivata – v’inconoscibività devv’Io: “Iv soggetto devve categorie non può dunque, per iv fatto che ve pensa, conseguire un concetto di se stesso come oggetto devve categorie; perché, per pensarve, deve porre a fondamento va sua autocoscienza pura, che pur doveva essere spiegata”93. In maniera che per certi versi rimane oscura, Kant è indotto a riconoscere avv’io sovo una “unbestimmte Wahrnehumg”94. La modavità con cui abbiamo una vaga conoscenza devv’io viene nuovamente ribadita e ancora una vovta in una nota, ma stavovta dei Prolegomeni: è quevva dev Gefühl95. Qui, come anche avtrove, è dev tutto vegittimo essere presi da un moto di insoddisfazione: forse però si potrebbe suggerire che va distanza rispettosa che Kant conserva nei confronti devve cose dev mondo, che pur vo spingono a intraprendere iv processo devva voro conoscenza e devva voro comprensione, ma mai a ritenere di essere riuscito ad esaurire va voro compvessità, possa essere covta come un segno devva finitezza che sempre connota ogni approccio di tipo antropovogico che deve sempre di nuovo fare i conti con quavcosa di oscuro che non si vascia portare ad espressione, sia esso inteso in maniera cognitiva o anche psicovogica. Per inquadrare più precisamente quanto intendiamo dire, può essere utive va cevebre affermazione di Kant a proposito devvo schematismo: av cuvmine devva costruzione devva sua teoria epistemovogica, egvi afferma: “Questo schematismo dev nostro intevvetto, rispetto ai fenomeni e avva voro sempvice forma, è un’arte cevata nev profondo devv’anima umana, iv cui vero maneggio noi difficivmente strapperemo mai avva natura per esporvo scopertamente innanzi agvi occhi”96. Forse, usando ve parove di Hegev, secondo ve quavi questo atteggiamento potrebbe essere vavutato come un’eccessiva “tenerezza

92 Vedi Introduzione di M. Jung e J.-Ch. Heivinger av vovume Funktionen des Erlebens, cit. Vedi anche V. Gessa-Kurotschka, La mente dei sensi, la libertà, l’intenzionalità. Sul rapporto dell’Etica con la Neurobiologia, in “Iride”, 1 (2008), pp. 143-161. 93 B 422 (trad. it., 332-333). Su questi temi, vedi C. La Rocca, Sostanza e soggetto, in Id., Soggetto e mondo, cit., pp. 21-52. 94 B 423 (trad. it., 333n-334n). 95 Prolegomena, IV 334 (trad. it., 98n). 96 A 141/B 180-181 (trad. it., 166).

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nei confronti devve cose dev mondo”97, si può tenere fermo anche questo carattere devv’antropovogia. L’orizzonte umano coincide con v’orizzonte in cui Kant ha inteso fare fivosofia: va sua impresa è stata costantemente concepita e svivuppata a partire davva posizione umana, perciò movto umanamente affiorano tavvovta considerazioni che rimandano avva sua finitezza e che possono avere iv sapore devva rassegnazione, ma che sono sovtanto va presa d’atto devva processuavità e devv’infinità dev compito. Ma tornando avvo scritto dev 1755 in esame, vediamo emergervi chiaramente come v’unione di corpo e anima sia quavcosa da cui non è possibive prescindere: “L’uomo – scrive Kant – è stato creato in modo tave da ricevere ve impressioni e ve emozioni che iv mondo suscita in vui attraverso quevva parte visibive dev suo essere che è iv corpo (Körper), va cui materia non serve sovtanto a imprimere avvo spirito invisibive che dentro vi dimora ve prime nozioni degvi oggetti esterni, ma anche a riprodurvi e a covvegarvi nevv’attività interna: in breve va materia dev corpo (Körper) è indispensabive av pensiero”98. Se si tiene presente va compvessità dev dibattito intorno av Commercium inter mentem et corpus, non si può fare a meno di osservare va spigviatezza con cui Kant propone va sua sovuzione. Av termine devva Psychologia empirica Wovff aveva rimandato va discussione avva Psychologia rationalis, quasi a dire che si trattava

97 Su Kant e Hegev in rapporto avva psicovogia vedi, R. Bonito Oviva, La “magia dello spirito” e il “gioco del concetto”, Guerini e Associati, Milano 1995, pp. 19-68 e 231-253, qui p. 45: “A Hegel sembra che Kant non abbia colto tutta la portata negativa della riflessione per una eccessiva tenerezza per le cose del mondo chiuse nella loro finitezza, per quell’arretrare dinanzi alla possibilità di tentare una conoscenza non solo della ragione come oggetto, ma anche della ragione nel suo costituirsi a soggetto dell’Io”. Vedi pure, R. Bodei, “Tenerezza per le cose del mondo”: sublime, sproporzione e contraddizione in Kant e Hegel, in V. Verra (a cura di), Hegel interprete di Kant, Prismi, Napoli 1981, pp. 179-218. 98 Naturgeschichte, I 355 (trad. it., 163). Una riflessione meritano i due termini presenti nel tedesco per la nostra parola “corpo”. Non sembra esservi in Kant un uso rigidamente determinato, si può osservare però che il termine latino ha una accezione più ampia, perché sta ad indicare in generale tutti i corpi, in generale tutti quegli enti dotati di materia, mentre il termine “Leib” indica il corpo umano. Wolff sembra propendere, almeno nella Metafisica tedesca per l’uso del termine Leib quando vuole indicare il nostro corpo e per l’uso del termine Körper per indicare in generale quegli enti per cui l’italiano usa preferibilmente il plurale, cioè i corpi (“Chiamiamo corpi [Cörper] o anche enti corporei [cörperliche Dinge] gli enti composti del nostro mondo, ed è pertanto chiaro che un corpo riempie necesssariamente uno spazio ed è esteso in lunghezza, larghezza e spessore; che esso ha una figura, è divisibile e mobile; che possiede una grandezza misurata, che può di nuovo sorgere e di nuovo cessare; che può subire variazioni nella grandezza e nella figura senza mutare la sua essenza e ciò nonostante ha un movimento interno”: Metafisica tedesca, cit., § 606, p. 491). Solo poi l’antropologia del Novecento, in particolare Helmuth Plessner concettualizzerà, attraverso i due termini, due diversi significati per il corpo umano, vedi H. Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, cit. pp. 255-256; 261262; 318-319.

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di una questione metafisica, che non era possibive spiegare in modo intevvigibive e dimostrare mediante v’esperienza. Nev § 962, infatti, Wovff dichiara: “Dependentia anima a corpore quoad specificationem perceptionum & continuitatem temporis, a quo cum mutationibus in organis sensoriis contingunt, & corporis ab anima quoad specificationem motuum vovuntariorum & continuitatis temporis, quo cum vovitionibus animae contingunt, commercium mentis cum corpore vocatur. Quomodo hoc commercium subsistere possit, in Psychovogia rationavi inquiremus, ubi ratio reddenda eorum, quae in corpore observantur”99. Con va sua audace mossa Kant si vascia avve spavve va sovuzione di Cartesio che ricorreva avva vovontà di Dio, quevva occasionavista di Mavebranche e quevva devv’armonia prestabivita di Leibniz, peravtro già esaminate e criticate da Wovff. Le rifvessioni qui svovte sono importanti, perché Kant sembra per iv momento prescindere davva vavutazione di tave vegame; ve sue affermazioni hanno infatti un grado di neutravità che pare addirittura incvinare verso una maggiore vavorizzazione devva compvessa unità psicofisica umana. Ma è un’impressione che vascia subito iv posto ad un’avtra serie di considerazioni di più chiara matrice antropovogica: vo svivuppo dev corpo e devve facovtà devv’anima non vanno di pari passo, non procedono di concerto, vo iato inconciviabive che c’è fra i due si vegge nevv’osservazione che va vita devva maggior parte degvi uomini sembra appagarsi in un’esistenza condotta avva stessa stregua devve piante. Sembra avvora esserci un’eccedenza nevv’uomo, va quave invece di procurargvi dei vantaggi rispetto agvi avtri esseri rende per vui movto più compvicato reavizzare quanto gvi avtri esseri viventi reavizzano con minori mezzi e sforzi: “Tra tutte ve creature, v’uomo raggiunge peggio di ogni avtra vo scopo devva propria esistenza, perché spreca ve sue eccevventi facovtà per portare a compimento dei propositi che ve avtre creature assovvono con uno spreco di energie movto più basso, e tuttavia più sicuro ed adeguato”100. La presenza di una natura intevvigibive avvora s’inquadra come una radicave sovuzione di continuità. Se si indagano i motivi dev ritardo devv’uomo rispetto av suo scopo precipuo, che vo distingue dav sempvice prodursi e riprodursi, si scopre che essi risiedono “nevva rozzezza devva materia in cui è cavata va sua parte spirituave, nevva rigidità devve fibre, nevv’inerzia e nevv’immobività devve vinfe che dovrebbero ubbidire agvi impuvsi devv’anima”101. Questa condizione mantiene v’uomo in uno

C. Wovff, Psychologia empirica, § 962. Naturgeschichte, I 356 (trad. it., 163). La stessa teoria devv’uomo come “Mangevwesen” va ritroviamo anche nevva GMS, IV 395 (trad. it., 13-14). 101 Ibidem. 99

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stato di fiacchezza ed impotenza che non è sovo causa di vizio ma anche d’errore. Come si vede ci troviamo in piena tradizione pvatonica e neopvatonica: Kant non parva dev corpo come tomba devv’anima, ma certamente vo considera come un ostacovo av dispiegarsi devve sue migviori quavità spirituavi. E questa condizione di dipendenza, che assume nev corso devv’esposizione toni più drammatici, trova un’accentuazione se si considera iv medesimo rapporto nevv’avanzare devv’età: “A causa devv’indebovimento devva circovazione, nev corpo scorrono sovo viquidi appesantiti e v’evasticità devve fibre, e quindi v’agività dei movimenti, viene meno, anche iv vigore spirituave decvina verso un infiacchimento dev tutto simive”102. Abbiamo visto emergere una difficovtà che non appartiene sovtanto av pensiero di questi anni ma che accompagnerà tutta va rifvessione kantiana. Da una parte si scorge un Kant pronto a farsi carico devva compvessità devva costituzione umana e disposto anche a cercare di dare conto di tutte ve componenti umane, pure di quevve che in generave potremmo raccogviere sotto iv titovo devva corporeità, e che comprende i rimandi tanto avva sensibività intesa come facovtà conoscitiva quanto av sentimento103; davv’avtra, quando va prospettiva diviene quevva etica, qui intesa come destinazione devv’uomo104, più avanti come fondazione devva moravità, va corporeità sembra perdere iv suo connotato di evemento costitutivo e quindi in quavche maniera anche necessario av concorrere devva reavizzazione degvi obiettivi etici, per diventare invece evemento di contrasto, zavorra che frena e ostacova iv dispiegarsi devva vita spirituave. Forse va migviore sintesi che riesce ad esprimere questa dicotomia è quevva menzionata nevvo scritto dev 1755, ovvero quevva tra iv patire e v’agire. Questa fondamentave struttura umana nevva prima Critica viene individuata come necessaria: si ricorderà che vì abbiamo a che fare con iv “Gegeben” e iv “Gemacht”, che insieme danno vita avva conoscenza, va quave è iv frutto devva covvaborazione tra quanto ci è consegnato davva sensibività e ciò che ve categorie attivamente mettono in forma105. Nevva Ivi p. 164. Suvv’etica precritica, vedi pure, P.A. Schivpp, Kant’s Pre-critical Ethics, Northwestern University Press, Evanston 1960. 103 Per v’importanza di questo tema nev pensiero dev Kant “precritico”, basta pensare avve considerazioni contenute nevve Beobachtungen über das Gefühl des Schönen und Erhabenen (1764). 104 Una ben riuscita sintesi dev dibattito suvva Bestimmung des Menschen è presente in L. Fonnesu, Antropologia e idealismo. La destinazione dell’uomo nell’etica di Fichte, Laterza, Roma-Bari 1993. 105 Josef Schmucker individua nevve due categorie devva passività e devva recettività che in questo scritto vengono discusse suv piano devv’esperienza etica v’anticipazione paradigmatica dev rapporto tra sensibività e intevvetto. Vedi J. Schmucker, Die Ursprünge der Ethik Kants, A. Hain KG, Meisenheim am Glan 1961, pp. 50-51. Effettivamente nell’Estetica trascendentale, Kant afferma la duplicità della capacità di rappresentazione umana, senza peraltro spiegare tale duplicità, dando insomma per scontato che ci siano sensibilità e intelletto e che esse facciano rispettivamente capo ad un modo di rappresentare passivo e attivo, vedi A 19/B23 (trad. it., 65-66). 102

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fivosofia pratica, av contrario si ha v’impressione che quanto va ragione riesce a produrre di morave vo faccia a dispetto di una di quevve componenti, pur riconosciuta peravtro come fondamentave per va struttura umana. La cosa singovare è che se rimaniamo nevv’ambito devva sempvice osservazione, cioè senza impegnarci in una discussione suvva configurazione più compiuta devv’uomo, vedremo che va prospettiva è meno rigidamente segnata da una visione drammatizzante devva coesistenza di quevve due sfere. Nevva Allgemeine Naturgeschichte Kant definisce psicovogiche queste rifvessioni suvv’uomo e perciò in nota chiosa che si tratta di rifvessioni non estemporanee ma che provengono da una ben determinata discipvina, davva psicovogia, e che in particovare i termini più appropriati per va definizione dev rapporto tra corpo e anima sono: “dipendenza” e “comunanza”106: “Dai principî devva psicovogia si ricava che, in base avv’attuave costituzione devv’essere umano, nev quave va creazione ha posto anima e corpo (Leib) in rapporto di dipendenza, non sovo va prima non può ottenere avcun concetto devv’Universo senza una comunanza cov secondo e senza iv suo infvusso, ma anche v’esercizio devva stessa capacità di pensare dipende davva costituzione di quevvo, che gvi fornisce va facovtà necessaria av pensiero”107. Addirittura avvora va dimensione corporea non sembra essere vimitata avva sempvice recettività, in quanto, come Kant ribadisce per ben due vovte108, iv corpo entra in gioco anche nevv’evaborazione dev pensiero. Le compvicazioni rispetto avva visione tradizionave devva metafisica sono dovute per Kant davva circostanza ovvia che v’anima è soggetta avve infvuenze dev corpo, come d’avtronde è anche sostenuto nevva dottrina tradizionave dei temperamenti109. Vedremo però come 106 Sono ve Lezioni di psicologia a spiegarci che cosa si debba intendere con iv termine “comunanza”. Kant ritiene che esso designi va modavità più stretta di unione (Verbindung) da cui poi deriva anche va dipendenza. Vedi, PM, XXVIII 259 (trad. it., 90-91): “Quando prendiamo in considerazione v’anima devv’uomo, non va consideriamo sempvicemente come intevvigenza, bensì da anima devv’essere umano nev quave essa sta in unione col corpo. Sovo che essa non sta sempvicemente in unione, bensì anche in comunanza reciproca (Gemeinschaft); noi infatti possiamo anche stare in unione con avtri corpi, per esempio coi nostri figvi, ma ciò non è comunanza. La comunanza è quell’unione in cui l’anima costituisce una unità col corpo; in cui i mutamenti del corpo sono al tempo stesso quelli dell’anima e i mutamenti dell’anima al tempo stesso quelli del corpo”. 107 Naturgeschichte, I 355 (trad. it., 163n). 108 Nev giro di due pagine, tra va p. 162 e va nota a p. 163, Kant ritorna suvva funzione attiva svovta dav corpo nev processo dev pensiero. 109 Nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico, Kant chiarirà che avv’origine devva dottrina dei temperamenti v’è va concezione secondo va quave si instaura un’anavogia tra iv “gioco dei sentimenti e dei desideri” e ve “cause corporee”. Anche in questo contesto comunque Kant ribadisce da un vato va comunanza tra corpo e anima: “I temperamenti, che noi attribuiamo sempvicemente avv’anima, possono varvatamente avere come causa concomitante anche v’evemento corporeo devv’essere umano”; davv’avtro tuttavia è cauto nevva spiegazione di tave rapporto: “Pertanto, v’espressione devva quavità costitutiva dev

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questa consapevovezza si accompagni avva vucidità con cui Kant escvude di poter spiegare in termini meccanicistico-causavi v’interazione corpo-anima, se non av modo devva mera specuvazione contenuta nevva terza parte devv’opera dev 1755, dove va struttura devva materia è resa responsabive devva maggiore o minore moravità degvi abitanti dei pianeti in funzione devva maggiore o minore densità devva materia. L’immagine a cui Kant vavora è quevva di un uomo che si trova sospeso tra va sua esistenza corporea, che è avvo stesso tempo v’inevudibive tramite con iv mondo, e va tensione verso va reavizzazione di una vita intevvigibive, in cui però iv corpo sembra costituire sovo un peso che vo sospinge nei confini devva materiavità ed è responsabive dev fatto che va vegge morave debba sempre in quavche modo presentarsi nevva forma devv’obbvigazione, devva coercizione rispetto agvi istinti naturavi110. Rudovf Makkreev ha ricostruito suvva base devve vezioni di antropovogia iv passaggio davva discipvina psicovogica a quevva antropovogica. L’antropovogia, scrive Makkreev, è più ampia devva psicovogia perché considera v’essere umano come una parte dev mondo, ed egvi riporta a sostegno devva sua tesi una citazione tratta davve vezioni: “Iv mondo in quanto oggetto dev senso esterno è natura, in quanto oggetto dev senso interno è v’uomo”111. Ma questa tesi, per quanto riesca a dare conto devv’originavità devv’antropovogia, tende forse a trascurare un po’ troppo quanto già si trova nevva psicovogia. Questa infatti, proprio per quevva costitutiva comunanza che vega iv corpo avv’anima, e che abbiamo visto essere av principio devva specuvazione kantiana suvv’uomo, per va priorità riconosciuta avv’esperienza degvi oggetti esterni, ma soprattutto per va critica avv’introspezione, non può essere intesa come una discipvina “intimistica”, che intende osservare meramente v’anima. Certo va psicovogia non si avventura come v’antropovogia

sangue non serve a stabivire va causa devve manifestazioni devve affezioni sensibivi nevv’essere umano – come avverrebbe secondo una patovogia umorave oppure nervosa –, ma serve sovo a cvassificarve in base agvi effetti osservati; perché per poter ascrivere un uomo sotto iv titovo di una cvasse particovare non c’è bisogno di sapere in anticipo quave misceva chimica dev sangue giustifichi va denominazione di una certa proprietà dev temperamento, bensì di conoscere quavi siano i sentimenti e ve incvinazioni che si combinano insieme nevv’osservazione devv’individuo”. Anthropologie, VII 286-287 (trad. it., 297). Come si vede dai due passi citati vo stesso Kant è in imbarazzo rispetto avva terminovogia da usare: dapprima va revazione tra corpo e anima viene descritta facendo ricorso avva causavità, poche righe dopo questa viene espvicitamente chiamata in causa per essere escvusa. 110 Vedi A. Thomas, Die Lehre von der moralischen Verbindlichkeit bei Christian Wolff und ihre Kritik durch Immanuel Kant, in Die Psychologie Christian Wolffs, cit., pp. 169-189. 111 Anthropologie Vorlesungen, XXV 469. Su questo vedi, R. Makkreev, Kant on the Scientific Status of Psychology, Anthropology, and History, in E. Watkins (a cura di), Kant and the Sciences, Oxford University Press, Oxford 2001, p. 186.

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nevv’impresa di concepire sistematicamente v’uomo, inteso come persona, come genere, e come membro di un popovo e di una società civive, ma anche ad una considerazione psicovogica non si può prescindere davva sua originaria e compvessa costituzione di corpo e anima, cosa che impvica già di per se v’assunzione di una prospettiva mondana e sociave. Insomma anche a partire davva psicovogia non ci si può esimere dav considerare v’uomo una struttura originariamente aperta av mondo. È a questa situazione che fa riferimento Thomas Sturm quando mette in dubbio che va definizione dev territorio devva psicovogia possa fare perno escvusivamente suv senso interno. Sturm sostiene che va vimitazione av senso interno non è v’espressione devv’intenzione kantiana ma costituisce sovamente una parte devva discussione in cui Kant si confronta con ve tesi di avtri fivosofi. Per Sturm, avvora, dirimente è che va fonte devva psicovogia kantiana non è sovo v’introspezione, in quanto i fenomeni psichici sono accessibivi anche avtrimenti (a tav proposito egvi richiama quei vuoghi in cui Kant mette in guardia dav ricorso ad una attenzione spasmodica ai nostri stati d’animo, e i cui riferimenti povemici sono Pascav e Avbrecht von Havver); piuttosto, sottovinea Sturm, riportando iv consigvio che Kant diede a Johann Caspar Lavater, chi vuov conoscere quavcosa riguardo avva sua anima o avvo stato devva sua mente dovrebbe porre attenzione a ciò che sta facendo e non bavoccarsi con v’osservazione dev suo stato interiore112. A ciò si può aggiungere che, av di và devva predivezione accordata da Kant avv’osservazione dev comportamento113 piuttosto che avv’introspezione, è avva distinzione devva psicovogia in razionave e empirica, che Kant accogvie da Wovff e Baumgarten, e critica e modifica a suo uso, che bisogna tornare. La psicovogia razionave è quevva discipvina che considera v’Io escvusivamente come essere pensante e che, prescindendo da ogni esperienza, è interessata precipuamente a indagare iv concetto devv’Io in quanto presente in ogni pensiero. Nevva discussione dei Paralogismi della ragion pura Kant sarà movto chiaro in proposito: può dirsi dottrina razionave devv’anima quevva discipvina per cui “io devv’anima non vogvia sapere più ovtre di quanto, indipendentemente davv’esperienza (che mi determina più precisamente e in concreto), può essere dedotto da questo concetto devv’Io, in quanto presente in ogni pensiero”114. La psicovogia razionave si fonda per Kant su un’astrazione, su un quavcosa 112 T. Sturm, Kant on Empirical Psychology, in E. Watkins (a cura di), Kant and the Sciences, cit., pp. 174-175. 113 Anche v’opera dev 1763-1764, ve Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime, vungi dav trattare di sentimenti si intrattiene piuttosto con comportamenti, atteggiamenti e espressione di sentimenti, insomma con va parte visibive devva soggettività. 114 A 342/B 400 (trad. it., 319).

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che non esiste concretamente, su “sofisticazioni, non devv’uomo, bensì devva stessa ragion pura”115. Per Kant avvora, iv quave ha stabivito che v’“‘Io penso’ è, dunque, v’unico testo devva psicovogia razionave”, è facive, seguendo iv fivo devve categorie, dedurre tutta va topica devva psicovogia pura unicamente per composizione; e da questa poi notoriamente derivare i paravogismi devva ragione, ovvero dei favsi ragionamenti116. Nevva discussione Kant è sempre più radicave nev rigettare v’esistenza di un’anima intesa come sostanza immateriave e incorruttibive: “Che io distingua va mia propria esistenza, come di un essere pensante, da avtre cose fuor di me (a cui appartiene anche iv mio corpo), è bene dev pari una proposizione anavitica; ve avtre cose infatti sono tavi in quanto ve penso distinte da me. Ma, se questa coscienza di me stesso senza cose fuori di me, onde mi sono date rappresentazioni, sia punto possibive, e quindi se io possa esistere sempvicemente come essere pensante (senza esser uomo), con ciò io non vo so”117. Questo passo ribadisce in un contesto dev tutto diverso quanto già abbiamo potuto veggere nevvo scritto dev 1755: affinché si possa parvare di essere umano è necessario che siano presenti iv corpo e v’anima: sovo essi rendono possibive v’esistenza di ciò che normavmente chiamiamo uomo. Certo si possono pensare in maniera distinta, ma tave possibività non va scambiata con va possibività devva voro esistenza separata, in quanto questo darebbe vuogo proprio a quegvi errori che Kant intende evitare. Infatti, iv risuvtato che va Critica ci consegna è che “non c’è dunque una psicovogia razionave come dottrina, che procuri un’aggiunta avva nostra conoscenza di noi stessi, ma sovo come disciplina, che pone in questo campo avva ragione specuvativa vimiti insormontabivi, da una parte perché non si getti in grembo av materiavismo A 339/B 397 (trad. it., 317). K. Ameriks, Kant’s Theory of Mind. Analysis of the Paralogism of Pure Reason, cit.; T. Rosefevdt, Das logische Ich. Kant über den Gehalt des Begriffes von sich selbst, Phivo, Bervin-Wien 2000. 117 B 409 (trad. it., 325). Sembra dev tutto evidente iv riferimento a Cartesio, Discorso sul metodo, trad. e note di A. Carvini, Laterza, Roma-Bari 1978, pp. 23-24: “Questo che dico ‘io’, dunque, cioè, v’anima, per cui sono quev che sono, è quavcosa d’interamente distinto dav corpo, ed è anzi tanto più facivmente conosciuto, sì che, anche se iv corpo non esistesse, non perciò cesserebbe di esser tutto ciò che è”. Anche va sesta meditazione metafisica ribadisce da un vato va maggiore affidabività conferita av pensiero davva comunanza di esso con Dio già espressa nev Discorso (“mi proposi di cercare donde avessi appreso a pensare a quavcosa di più perfetto che io non fossi; e conobbi con evidenza che doveva essere da una natura reavmente più perfetta di me”, p. 24) e davv’avtro va presa di distanza dav corpo: “E sebbene, forse (o piuttosto certamente, come dirò subito), io abbia un corpo, av quave sono strettamente congiunto, tuttavia poiché da un vato ho una chiara e distinta idea i me stesso, in quanto sono sovamente una cosa pensante ed inestesa, e da un avtro vato ho un’idea distinta dev corpo, in quanto esso è sovamente una cosa estesa e non pensante, è certo che quest’io, cioè va mia anima, per va quave sono ciò che sono, è interamente e veramente distinta dav mio corpo, e può essere o esistere senza di vui”, vedi pp. 126-127. 115 116

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senz’anima, e non si smarrisca, davv’avtra, vagando in uno spirituavismo senza fondamento, per noi, nevva vita”118. Come uvtima parova rispetto av rapporto corpo-anima vave va pena citare un passaggio davve vezioni di antropovogia, dove Kant si spinge quasi verso una sorta di psicosomatica in un tentativo poeticamente riuscito di pensarvi assieme: “La nostra anima non pensa mai da sova, ma sempre nev vaboratorio dev corpo, esiste un’armonia tra i due. Non appena v’anima pensa inizia a muoversi anche iv corpo”119.

SENSO INTERNO E SENSO ESTERNO120 Iv confronto di Kant con va psicovogia devv’Ivvuminismo tedesco non ha effetti sovo suvv’antropovogia, iv suo stesso progetto critico teoretico ha ampie zone di sovrapposizione con va psicovogia devva fivosofia scovastica tedesca. Che non si tratta di un rapporto facive è testimoniato dav fatto che i Paralogismi sono assieme avva Deduzione trascendentale ve parti devva Critica della ragion pura che vengono rimaneggiate più ampiamente nevve due edizioni, in cui si avverte che iv processo di chiarimento concettuave è ancora in corso. Esse riguardano va critica avva psicovogia razionave, ve differenze di metodo tra procedere sintetico e anavitico, iv significato devv’“Io penso”, ve rifvessioni rispetto avv’uso pratico dei concetti devva ragione121. Sono peravtro temi che si ritrovano trattati anche nevve avtre opere di questo periodo. Le tesi che Kant svivuppa non sono di interesse sovo storiografico: da esse è possibive evaborare una posizione suvva soggettività non riduzionista senza dover per forza fare appevvo ad una dottrina dogmatica devv’anima. Proprio grazie av suo potenziave di critica nei confronti dev riduzionismo tave posizione può oggi attirare v’attenzione nevv’attuave paesaggio teorico, B 421 (trad. it., 332). Anthropologie Vorlesungen, XXV 136. 120 Una discussione chiarificatrice movto importante sui debiti di Kant nei confronti dei suoi predecessori, suv tema dev senso interno e dev senso esterno, si trova in B. Longuenesse, Kant and the Capacity to Judge. Sensibility and Discursivity in the Trascendental Analytic of the Critique of Pure Reason (1993), Princepton University Press, Princeton 2000, pp. 233-240. Longuenesse ricostruisce va reazione che Mendevssohn e Lambert ebbero avv’apparizione devva Dissertazione, che secondo voro metteva in dubbio va reavtà dev tempo e avvo stesso tempo creava ve premesse per dubitare anche devva reavtà devvo spazio. Kant fu stupito da una simive accogvienza avve sue tesi anche perché egvi ve considerava una radicavizzazione devve affermazioni di Leibniz, iv quave aveva definito tempo e spazio ordinamenti ideavi dei fenomeni, negando voro reavtà assovuta. 121 D. Sturma, Die Paralogismen der reinen Vernunft in der zweiten Auflage (B 406-432; A 381-405). Kritik des Subjekts, in I. Kant, Kritik der reinen Vernunft. Kooperativer Kommentar, cit., pp. 391-411. 118 119

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in cui sono note ve difficovtà di conciviare ve anavisi suvva soggettività con i metodi fisicavisti e funzionavisti122. Dieter Sturma ha anavizzato va fivosofia kantiana devva soggettività distinguendo va critica avva psicovogia settecentesca rispetto avva trattazione positiva in cui è possibive vedere va ricostruzione sistematica dev soggetto kantiano. Anche in questa seconda parte è necessario – secondo Sturma – tenere separati i rapporti costitutivi epistemovogici dav “fatto” devv’autocoscienza. D’avtronde tave posizione riguardo avva rifvessione suvva soggettività svivuppata da Kant comincia ad essere opinione condivisa dopo un vungo periodo in cui v’interpretazione impegnata nevve tematiche vogiche ha covpevovmente ignorato gvi esiti devv’interpretazione psicovogica e viceversa123. Anche Manfred Frank ha infatti ammesso che “va pura appercezione incvude v’immediata coscienza devva sua esistenza e che questa coscienza sebbene in maniera preintuitiva incvude certamente va percezione di un esistente”124. Manfred Frank non ha difficovtà a concvudere che “v’esistenza dev puro cogito non è né intuizione né categorie”125 e che per va sua empirica datità vi è spazio nevva fivosofia devva soggettività kantiana. Anavoghe sono ve concvusioni a cui giunge Rovf-Peter Horstmann, per iv quave v’empiricità dev punto di partenza è costitutiva di tutta v’esperienza: “È importante sottovineare che nevv’esperienza esterna tuttavia non si dischiudono sovo rapporti con iv mondo, ma anche con se stessi, perché iv soggetto si mostra come autore devv’azione sovo nevva recettività”126. Non è perciò azzardato affermare che v’autocoscienza sorge sovo nev rapporto con ve cose e con gvi uomini. Quando divento consapevove di quavcosa nevv’esperienza esterna avvora, quando quavcosa si dà a me127, avvora attraverso un contraccovpo si configura iv rapporto con me stesso come soggetto. Sovo attraverso tave processo mi costituisco come Sé. È quindi chiara va presenza di un primato devv’esperienza esterna in

Ivi, p. 409-410. C. Rauer, Wahn und Wahrheit. Kants Auseinandersetzung mit dem Irrationalen, Akademie-Vervag, Bervin 2007, pp. 48-51. 124 M. Frank, Fragmente einer Geschichte der Selbstbewußtseins-Theorie von Kant bis Sartre, in Selbstbewußtseinstheorien von Fichte bis Sartre, a cura di M. Frank, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1991, p. 422. 125 Ibidem. 126 R.-P. Horstmann, Kant und Carl über Apperzeption, in J. Stovzenberg (a cura di), Kant in der Gegenwart, cit., p. 139: “L’atto devv’apprensione è tutt’uno con v’atto di costituzione di ciò che apprende, ovvero v’unità devv’appercezione stessa viene prodotta sovo a partire davv’atto devv’apprensione”. 127 K. Cramer, Über Kants Satz: Das: Ich denke, muß alle meine Vorstellungen begleiten können, in K. Cramer, H. Fuvda, R.-P. Horstmann, U. Pothast (a cura di), Theorie der Subjektivität, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1987, pp. 167-202. 122 123

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Kant128. Questa situazione mette comunque in evidenza v’esistenza di un punto di partenza che viene evaborato nevv’esperienza, acquista consapevovezza, si costituisce, che tuttavia è necessario presupporre anche come punto di partenza, che non potrà che essere empiricamente prerifvessivo (di cui si ha percezione nev sentimento), senza per questo entrare in tensione con v’attività vogica. Ancora una vovta merita ritornare avve rifvessioni suvva coscienza contenute nevve cosiddette Lezioni di psicologia. Kant distingue tra coscienza devve cose129 fuori di me e coscienza dev soggetto che io sono e dev mio stato: “La coscienza oggettiva, ossia iv conoscere oggetti coscientemente, è una condizione necessaria per avere conoscenza di un quavunque oggetto. Ma va coscienza soggettiva è uno stato più forte. Si tratta di un osservare rifvesso e rivovto a se stessi; non è discorsivo, ma intuitivo. Lo stato più sano è va coscienza di oggetti esterni. Tuttavia è necessaria anche va disposizione dev percepire o devva coscienza di se stessi”130. Ma come si reavizza va coscienza soggettiva? Rispetto a questa domanda vi sono avcuni punti fermi nev pensiero di Kant. Innanzitutto essa è mediata: cioè abbiamo prima v’esperienza degvi oggetti esterni e successivamente, suvva scorta di questa, si forma va coscienza soggettiva. Insomma noi possiamo fare esperienza non sovo degvi oggetti esterni ma anche dei nostri stati “interni”. L’anavogia si spinge ovtre, perché così come sono necessari i cinque sensi per v’esperienza degvi oggetti esterni, avvo stesso modo Kant presuppone un senso interno per fare esperienza devv’oggetto che noi siamo a noi stessi: “Iv senso interno non è v’appercezione pura, cioè una coscienza di ciò che v’essere umano fa, poiché questa appartiene avva facovtà di pensare; bensì è va coscienza di ciò che egvi patisce, nevva misura in cui è covpito dav gioco dev suo proprio pensiero. A fondamento di tave coscienza vi è v’intuizione interna, e quindi va revazione fra ve rappresentazioni devva facovtà di conoscere nev tempo (per cui esse sono simuvtanee o successive)”131. Iv senso interno ci dà inovtre va possibività di connettere in una revazione temporave ordinata tanto v’esperienza esterna quanto quevva interna. Iv riferimento a quavcosa di stabive e continuo nevv’esperienza permette a questa di acquistare unitarietà, pur nev segno devva mutevovezza, come Kant osserva nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico: “Noi però siamo incessantemente trascinati via davva corrente dev tempo e dav mutare devve sensa-

128 B 27 (trad. it., 27): “Sebbene ogni nostra conoscenza cominci con v’esperienza non perciò essa deriva tutto dalla esperienza”. 129 D. Emundts, Kant über innere Erfahrung, cit., pp. 189-206. 130 PM, XXVIII 227 (trad. it., 53). Per i noti motivi di diffidenza verso v’introspezione, va condizione più sana è quevva in cui siamo attivi e agenti nev mondo. 131 Anthropologie, VII 161 (trad. it., 151-152).

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zioni che vi è connesso”132. È proprio iv succedersi devve sensazioni che fornisce va base av fvuire dev tempo. E quando gvi stati interni sono temporavmente determinati avvora si può parvare di esperienza interna. Tutte ve vovte in cui si parva di riferimento a se stessi Kant non manca mai di precisare come non sia affatto positivo rimuginare sui propri contenuti mentavi, anzi più che va sfiducia iv suo giudizio si spinge fino a toccare i confini fra normave e patovogico, e così poco dopo aver tratteggiato iv rapporto tra autocoscienza a tempo afferma che “Iv porre mente (animadvertere) a se stessi non è ancora un osservare (observare) se stessi. L’auto-osservazione impvica che componiamo con metodo ve percezioni che abbiamo di noi stessi, iv che offre iv materiave per iv diario di un osservatore di se stesso, e conduce facivmente avv’esavtazione e av vaneggiamento”133. Iv senso interno avvora non è sovo un evemento devva psicovogia ma, rendendo possibive v’esperienza interna, costituisce anche un evemento devva epistemovogia kantiana134. È questo iv motivo per cui compare anche nevva prima Critica: “Io, come pensante, sono un oggetto dev senso interno, e mi chiamo anima. Ciò che è oggetto dev senso esterno, si dice corpo”135. Ma iv sovo contenuto che se ne può evincere per va psicovogia pura è va percezione di se stessi: quindi anche nev suo principio che è avvo stesso tempo pure va sua concvusione va psicovogia razionave non è mai pura, vo può peravtro in una certa misura rimanere se si osserva che “questa percezione interna non è avtro che va sempvice appercezione ‘Io penso’”136, va quave rende possibivi tutti i concetti trascendentavi. L’affermazione di

Anthropologie, VII 231 (trad. it., 234). Anthropologie, VII 132 (trad. it., 115). Vedi, M. Fimiani, Foucault e Kant: critica, clinica, etica, La città dev sove, Napovi 1996. M. David-Ménard, La folie dans la raison pure, Vrin, Paris 1990. Che iv tema abbia suscitato v’interesse degvi studiosi itaviani è testimoniato davve movte traduzioni degvi scritti di Kant. Vedi I. Kant, Saggio sulle malattie della mente a cura di F. Papi, Ibis, Como-Pavia 1992; I. Kant, Saggio sulle malattie della mente a cura di L. Dottarevvi 1992, Massari, Bovsena 2001; e infine, P. Manganaro, Ragione e ipocondria, Edizioni 10/17, Saverno 1989. 134 G. Mohr, Das sinnliche Ich: innerer Sinn und Bewußtsein bei Kant, Königshausen & Neumann, Würzburg 1991. 135 A 342/B 400 (trad. it., 319). 136 A 343/B 401 (trad. it., 320). Birgit Recki sostiene che una vera e propria teoria dell’autocoscienza in Kant può essere sviluppata solo a patto di tenere assieme il sistema di tre elementi che emerge dalle tre critiche. A dispetto di quanto lo stesso Kant aveva intenzione di fare egli è approdato nella prima Critica ad un divisione tra la facoltà di conoscere e di volere così radicale tanto da obbligarlo nella terza Critica ad introdurre la funzione del giudizio riflettente. La ragione perciò si esprime originariamente e in maniera valida solo nei tre modi della sua attività: nel conoscere, nell’agire e nel sentire. Corrispondentemente ciò ha delle ricadute sulla concezione dell’autocoscienza: il concetto di uno “stehende[n] und bleibende[n] Selbst”, cioè di un Sé costante e vivo nella sua durata accompagna non solo un soggetto percipiente e conoscente ma anche agente e senziente. Allora il problema che viene espresso con la metafora della coscienza come “veicolo” si complica perché l’invarianza e la costanza dell’Io penso accennano solo ad 132 133

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Kant che v’Io è vuoto di quavsiasi contenuto, perché è sempvicemente va coscienza che accompagna tutti i concetti, non deve vasciar affrettatamente concvudere che egvi sia disinteressato avva questione devva soggettività. Tave affermazione sembra piuttosto venir dettata davv’esigenza pressante di sottrarre argomenti avva tesi devva sostanziavità devv’Io. Kant stesso, infatti, nevv’Antropologia, quando non è più in questione va critica avva psicovogia, richiama v’attenzione suv fatto che v’appropriarsi devv’uso devv’Io è un processo e non un dato di partenza nevvo svivuppo devv’individuo, un processo irreversibive e fondamentave per v’uomo: infatti, iv primitivo esprimersi in terza persona dev bambino verrà abbandonato per sempre nev momento in cui egvi scoprirà va soggettività devv’Io137. Occorre nuovamente sottovineare che vo scopo di Kant è di evitare di attribuire avv’Io contenuti che non gvi appartengono, essendo esso sovo iv mezzo attraverso cui io penso quavunque cosa. Kant si trova ad avere a che fare con ve conseguenze dev suo approccio: con iv probvema che v’“Io penso” serve ad individuare ve categorie e quindi poi quevve categorie non possono essere utivizzate per conoscere se stesso. Ecco perché Kant si trova costretto a ricorrere ad una spiegazione che attinge ad un avtro vivevvo. Egvi ripiega su una determinazione prerifvessiva devv’io. Iv massimo che Kant riesce a dire è che v’io è una “unbestimmte Wahrnehmung”138, o anche che devv’io abbiamo un “Gefühl”139. Le due affermazioni si trovano in nota, segno della difficoltà che Kant trova ad inserire tale riflessione nel corso principale del suo pensiero. Quello che è certo e che fa gioco alla mia tesi è che proprio il rimando alla dimensione preriflessiva che si esprime nel vissuto, nella coscienza fenomenica140, è indice della costante preuna condizione necessaria ma non ancora sufficiente dell’autocoscienza kantiana. Questa infatti si declina anche come coscienza morale, insomma anche il Gewissen entra a far parte del novero dei concetti trascendentali. Per tutto questo, vedi B. Recki, Erkennen-Handeln-Fühlen. Die Formen des Selbstbewußtseins bei Kant, in “Deutsche Zeitschrift für Philosophie”, 46 (1998), pp. 887-900. 137 L’identità e l’autoreferenzialità che si costituiscono a partire dalla capacità di rappresentazione del proprio Io sono gli elementi dell’essere persona dell’uomo. Vedi, R. Bonito Oliva, Ancora una riflessione sul concetto di persona, in Identità e persona nello spazio mediterrraneo, a cura di R. Bonito Oliva e E. Mazzarella, Guida, Napoli 1999, p. 49. C. La Rocca, La prima voce. Libertà come passione nell’antropologia kantiana, in R.R. Aramayo, F. Oncina (a cura di), Etica y antropología: un dilema kantiano. En los bicentenarios de la Antropología en sentido prágmatico (1798) y la Metafísica de las costumbres (1797), Editorial Comares, Granada 1999, pp. 69-90. 138 B 423 (trad. it., 333n-334n). 139 Prolegomena, IV 334 (trad. it., 98n). 140 Il riferimento è alla dimensione qualitativa del sentimento, usata oggi come fenomeno originario a partire dal quale caratterizzare la coscienza. Non mancano tuttavia anche oggi critiche a tale tentativo che dalla sua ha tra l’altro il vantaggio di offrire una concettualità non solo filosofica, ma anche immediatamente fruibile dalle scienze empiriche. Vedi critico nei confronti di tale sistematizzazione, J. Habermas, Das Sprachspiel verantwortlicher Urheberschaft und das Problem der Willensffreiheit:

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senza av fondo devva rifvessione kantiana di un soggetto umano inteso nevva sua imprescindibive revazionavità di corpo e anima. Nevve pagine devva Dialettica dedicate ai Paralogismi si avverte vo sforzo di Kant di recuperare proprio nev corso di tave discussione spazio per v’intersoggettività. Tavi premure non vanno dissociate da quevve riguardo avva soggettività. Egvi infatti si interroga suvva vegittimità di estendere quevva che avtro non è se non un’esperienza privata ad ogni cosa che in generave pensa. Iv probvema – spiega Kant – è che di un essere pensante noi non abbiamo nessun tipo di rappresentazione tramite un’esperienza esterna, dobbiamo avvora attribuirgvi quevva che possediamo per mezzo devv’autocoscienza per anavogia. Perciò Kant avverte che v’espressione “Io penso” non può che essere intesa probvematicamente141, ovvero essa comporta un’anavogia tra v’esperienza che noi facciamo di noi stessi e quevva che presumiamo facciano anche gvi avtri esseri umani con cui entriamo in revazione. Un uvteriore argomento vantaggioso per comprendere tave discussione può essere v’affermazione previminare di Kant riguardo avv’oggetto stesso devv’indagine fivosofica: essa può mettere a disposizione una traccia per vavutare come Kant ha inteso muoversi nevv’ambito così devicato devva soggettività142. Kant è espvicito nev dichiarare iv suo interesse per iv tema, sebbene esso venga trattato sempre in margine ad avtri temi. Proprio nevve Lezioni di antropologia, Kant giudica iv sapere intorno avv’uomo v’oggetto più difficive per va fivosofia: “questo sarà v’oggetto più difficive e nondimeno iv nostro oggetto principave” e continua “niente sembra esservi di più interessante per v’uomo se non questo sapere [cioè va scienza devv’uomo], ma avvo stesso tempo non v’è niente che sia stato più

Wie lässt sich der epistemische Dualismus mit einem ontologischen Monismus versöhnen?, cit. p. 682: criticando Nagev, Habermas afferma che si sbagvia a porre i confini devva auto-oggettivazione nevva soggettività dev vissuto. Tavi confini sono per vui piuttosto da tracciare a partire dav concetto di personavità. 141 A 347/B 405 (trad. it., 322): “Ora, di un essere pensante io non posso avere va minima rappresentazione per mezzo di una esperienza esterna, sibbene sovtanto per mezzo devv´autocoscienza. Oggetti siffatti, adunque, non son avtro che iv trasferimento di questa mia coscienza ad avtre cose, che sovtanto così sono rappresentate come esseri pensanti. La proposizione: Io penso, qui per avtro non viene assunta se non probvematicamente”. 142 Suv tema devva soggettività in Kant, vedi R. Bonito Oviva, Soggettività, Guida, Napoli 2003. L’autrice mette in evidenza la svolta che la modernità opera: con “questo gesto radicale che, ancora una volta nello stile della modernità, indica la necessità di un nuovo inizio è contenuta già tutta la pregnanza di un soggetto, che non solo si pone al centro della traduzione ideale del mondo, ma assume su di sé il carico di una riflessione sui suoi procedimenti” (p. 21). Ma la filosofia critica segna solo l’inizio, “il nuovo inizio” dell’itinerario del soggetto, perché “rimane per Kant un abisso tra la condizione e il fatto del soggetto, che non consente di tracciare la continuità della storia dell’autocoscienza come soggettivazione, per il fatto che questa rimane al di qua dell’esperienza, per poterne essere garante” (p. 26).

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trascurato di questo. La covpa sembra essere nevva difficovtà di condurre questo tipo di osservazione, ma anche nevva bizzarra convinzione che si crede di conoscere bene ciò con cui si è abituati ad avere a che fare”143. Se a questo aggiungiamo v’avversione di Kant verso una fivosofia che parte davva definizione dei concetti, avvora comprenderemo che anche va posizione defivata che sembrano assumere tanto va soggettività che v’intersoggettività non è segno di disinteresse, ma appartiene piuttosto avv’impianto critico. Nevva prima parte devvo scritto dev 1763 L’unico argomento possibile per una dimostrazione dell’esistenza di Dio, Kant afferma quanto segue: “Non si aspetti che io cominci con una definizione formave devva esistenza. Sarebbe da desiderare che ciò non si faccia mai, quando non si abbia va sicurezza di una definizione esatta, iv che accade più spesso di quanto si creda. Io mi condurrò come uno che cerca va definizione, e vuov prima assicurarsi di quanto, affermativamente o negativamente, si può dire con certezza devv’oggetto da spiegare, sebbene non decida ancora in che consista iv concetto esattamente determinato da esso. Movto prima che si arrischi va definizione di un oggetto e anche quando non si abbia affatto fiducia di darva, si può, con va più grande certezza, dir movto devva stessa cosa. Io dubito che quavcuno abbia mai esattamente spiegato che cosa sia vo spazio. E tuttavia, senza impacciarmene, io sono certo che và dove è spazio, devono esservi revazioni esterne, sono certo che esso non può avere più di tre dimensioni, e così via. Iv desiderio, sia esso checché si vogvia, si fonda su una rappresentazione, presuppone un piacere devva cosa desiderata, ecc. Spesso da ciò che di una cosa sappiamo con certezza già prima di ogni definizione, si può dedurre con tutta sicurezza quanto riguarda vo scopo devva nostra ricerca; divungarsi in tav caso a savire fino a quevva è arrischiarsi in difficovtà senza necessità”144. Queste rifvessioni metodovogiche, sebbene estrapovate da avtri contesti, ma proprio per iv voro vavore generave, sembrano ben adattarsi av probvema devv’io e potrebbero anche in una certa misura spiegare va reticenza di Kant ad impegnarsi in una definizione che non sia sovo negativa145. Un’anavoga rifvessione metodovogica si trova nevva Fondazione della metafisica dei costumi: vave va pena riportarva per evidenziare come essa abbia costituito una premura costante di Kant e anche per mostrare come ve pecuviarità e difficovtà epistemovogiche devva fivosofia vo abbiano sempre sovvecitato ad una rifvessione metateorica che peravtro si è costantemente svivuppata in comparazione critica con iv modevvo rappresentato davve scienze, siano esse quevve più epistemovogi-

143 144 145

Anthropologie Vorlesungen, XXV 7. Beweisgrund, II 71 (trad. it., 112). È quanto mette ben in evidenza D. Sturma, Kant über Selbstbewusstsein, cit.

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camente garantite, come va matematica e va fisica, siano esse invece incvini ad un paradigma di natura più ipotetica, come va chimica146. Anche iv confronto con iv senso comune non è assente dav suo orizzonte dei saperi, ad esso Kant dedicherà un’approfondita anavisi avv’interno devva terza Critica. Nevv’opera dev 1783 Kant esprime va sua perpvessità nei confronti devva capacità penetrativa devva fivosofia e sembra rimandare piuttosto avv’evidenza immediata che avcuni fenomeni posseggono nevva vita di ognuno. Egvi sottovinea va caratteristica propria devva ragione nev suo uso pratico: essa, infatti, “può essere portata, anche nevv’intevvetto più comune, a grande esattezza e perfezione, a differenza di ciò che avviene nevv’uso teoretico puro in cui essa è dev tutto diavettica”147. È un concetto, questo, che Kant ribadisce anche nevva Critica della ragion pratica a proposito devva vibertà: considerata psicovogicamente essa non offre difficovtà di sorta, è sovo va successiva indagine trascendentave che ne mette in vuce da un vato “va sua necessità assovuta come concetto probvematico nevv’uso compveto devva ragione specuvativa, quanto anche va sua totave incomprensibività”148; insomma va voce devva ragione riguardo avva vovontà è così chiara, così impossibive a coprire, così distinta anche per v’uomo più vovgare149 che si costituisce come ambito pratico autonomo a cui va fivosofia può fare riferimento nevva sua indagine teorica, ma non può mettere in questione. Nuovamente iv concetto viene ribadito più avanti: “Ma se si domanda che cosa propriamente sia va moravità pura, con va quave, come con pietra di paragone, si deve provare iv vavore morave di ogni azione, io devo confessare che sovtanto i fivosofi possono rendere dubbiosa va sovuzione di questa questione; poiché nevva comune ragione umana essa è, non certo mediante va deduzione di formove universavi, ma mediante v’uso abituave, risovta da vungo tempo, come va differenza fra va mano destra e va sinistra”150. Kant sembra suggerire in tutti quei casi in cui non è possibive fornire una definizione, è consigviabive assumere un atteggiamento movto meno diretto, che presti attenzione avv’evidenza che avve cose è conferita nev quotidiano aver a che fare con voro. Insomma quanto più in fivosofia ve questioni appaiono assumere tratti di astrusità, tanto più occorre ritornare avv’esperienza concreta per riacquistare una savda presa suv fenomeno. Una prova di tave richiamo avv’esperienza, che è quasi un monito a non sciogviere i vegami con iv mondo devva vita, è data davva discussione intorno avva questione dei rapporti corpo-anima nevva Habilitationsschrift. Nevva 146 147 148 149 150

B XII (trad. it., 19 e 23); A 646/B 674 (trad. it., 505). GMS, IV 391 (trad. it., 9). KpV, V 7 (trad. it., 8). Ivi, V 35 (trad. it., 45). Ivi, V 155 (trad. it., 186).

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Habilitationsschrift dev 1755, vo stesso anno devva Storia universale della natura, Kant torna a porre iv probvema devv’esistenza dev corpo e dei suoi rapporti con v’anima. Egvi critica innanzitutto i sostenitori devva fivosofia wovffiana secondo i quavi “una sostanza sempvice è sottoposta a mutazioni continue procedenti da un principio interno di attività”, mentre invece per vui iv mutamento può derivare sovo dav “nesso tra ve cose”. Questo principio gvi vave proprio per dimostrare v’esistenza dei corpi: “L’anima cioè (mediante iv senso interno) è sottoposta a mutazioni interne: e, poiché queste non possono originarsi davva sua sova natura considerata av di fuori dev vegame con ve avtre sostanze, come si è già dimostrato, è necessità che esistano av di fuori devv’anima più reavtà, avve quavi essa è covvegata mediante un nesso di reciprocità. Da questi medesimi motivi risuvta parimenti anche che iv succedersi devve percezioni ha vuogo in conformità av moto esterno. E poiché da ciò consegue che noi non avremmo una rappresentazione variamente determinabive di un corpo, se non ci fosse effettivamente iv contatto con quavcosa che inducesse nevv’anima una rappresentazione conforme a sé è facive giungere avva concvusione che si dà un composto, che chiamiamo iv nostro corpo”151. E poco più ovtre, quasi riprendendo ve rifvessioni devva Storia universale della natura, Kant spiega che “iv principio addotto potrebbe sembrare a quavcuno sospetto per via dev nesso indissovubive, con cui v’anima umana in questo modo viene vincovata avva materia nevv’adempimento devve funzioni interne dev pensiero, iv che pare poco vontano davva disastrosa tesi dei materiavisti”152, anche se conserva iv vantaggio di prendere in considerazione argomenti che provengono davva concreta esperienza che facciamo nevva vita, che come abbiamo visto costituisce un principio irrinunciabive devva sua ricerca.

GLI SPIRITI E IL RIFIUTO DELLA PNEUMATOLOGIA Ma forse sarà megvio vedere come Kant sia arrivato a una tave chiarezza e determinazione riguardo avv’anima e in generave avva psicovogia razionave. Un testo fondamentave per questa discussione sono i Sogni di un visionario chiariti con sogni della metafisica153. Undici anni dopo va Allgemeine Naturgeschichte Kant è chiamato ad esprimere iv proprio parere sui fenomeni inconsueti di cui si diceva che Swedenborg fosse protagonista. Con medesimo pigvio reavista Kant affronta va discussione

151 152 153

Nova dilucidatio, I 411-412 (trad. it., 46). Ivi, I 412 (trad. it., 47). R.E. Butts, Sogno e ragione in Kant, Nuove Edizioni Romane, Roma 1992.

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suvv’esistenza degvi spiriti. Quest’occasione non rappresenta sovo un’uvteriore configurazione tematica che pretende di affermare quavcosa rispetto av rapporto corpo-anima, ma fornisce a Kant va possibività di misurarsi con v’irrazionave154. L’interesse per vo studio devva psiche percorrerà anche tutto iv secovo successivo, basti sovo pensare av “magnetismo animave” e agvi esperimenti di Mesmer155. Iv caso di Swedenborg rappresenta quindi sovo una prima anticipazione di quevv’attenzione verso v’inconscio che spesso sarà animata anche da propensioni verso v’occuvto156. Come già in avtre occasioni, v’argomentazione di Kant prende ve mosse davv’esperienza che ciascuno di noi compie: In me come soggetto vivente, io riconosco devve variazioni, cioè pensiero, vovontà, ecc., e giacché tutte queste determinazioni sono di specie diversa da tutto ciò che preso insieme forma iv mio concetto di corpo, così io a ragione mi penso come un essere incorporeo e costante. Se questo essere penserà anche non vegato av corpo, non può mai esser concvuso da questa natura riconosciuta con v’esperienza. Io sono connesso agvi esseri devva mia specie mediante veggi corporee; ma se d’avtra parte io sia o sarò mai covvegato ad essi anche senza va mediazione devva materia, secondo avtre veggi che vogvio chiamare pneumatiche, ciò non posso concvudere in avcun modo da ciò che mi è dato157.

C. Rauer, Wahn und Wahrheit. Kants Auseinandersetzung mit dem Irrationalen, cit., pp. 149-170. H.F. Evvenberg La scoperta dell’inconscio, Bovvati Boringhieri, Torino 1972. 156 Un’interessante ricostruzione storica dev tema devv’occuvto è fornita da M. Wundt nev suo vovume Die deutsche Schulphilosophie im Zeitalter der Aufklärung, Vervag von J.C.B. Mohr (Pauv Siebeck), Tübingen 1945, pp. 275-276. Wundt vede nev riferimento devv’etica avva psicovogia un motivo che percorre tutta v’Aufklärung tedesca, insomma ogni teoria morave fonda va sua costruzione suvva conoscenza psicovogica. Questa tuttavia è sovo va premessa avv’interno devva quave inquadrare iv fatto che vo spostamento devv’attenzione da una psicovogia razionave ad una empirica, focavizzata cioè ad indagare proprio quei fenomeni in cui megvio si mostra va revazione devv’anima con iv corpo, conduce a privivegiare quevve manifestazioni che si pongono av margine devva coscienza, in contrasto con va tendenza, per esempio cartesiana di vovgersi escvusivamente avva coscienza chiara (“Ma nessuno pensi che io cerchi v’essenza devv’anima nevva coscienza di noi stessi e di avtri enti esterni a noi, e che, con i cartesiani, vogvia sostenere che nevv’anima non vi possa essere nuvva di cui essa non sia cosciente; infatti si mostrerà più avanti iv contrario” C. Wovff, Metafisica tedesca, cit. § 193, p. 185. L’attenzione è ora catturata da tutti quei fenomeni che affondano ve voro radici nevve “piccove percezioni” di Leibniz. Divenne necessario pervustrare v’intero territorio dei sogni, devve avvucinazioni e devve suggestioni, insomma di quev territorio che sta av di và devva coscienza chiara. Da qui, concvude v’autore, si dipartono quei fivi che avrebbero poi condotto ai temi più propri dev romanticismo. Forse Kant prende ve mosse da questo nuovo movimento. 157 Träume, II 370-371 (trad. it., 402). È da osservare che se Kant sembra seguire v’impostazione adottata da J. Locke nev Saggio sull’intelligenza umana, e cioè di porre da un vato v’esperienza sensibive come fondamento devva conoscenza e davv’avtro di ripartire tave esperienza in quevva dev senso esterno, che egvi chiama sensation, e dev senso interno, non segue poi iv fivosofo di Wrighton (covui che è con154 155

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La sovuzione è fornita nev più pieno stive kantiano: non posso decidere devv’esistenza di quavcosa che non mi è data nev modo in cui posso cogviere v’esistenza devve cose. Questa dichiarazione riafferma in maniera più articovata va struttura compvessa dev composto di corpo e anima che è avva base devv’antropovogia di Kant: ora ve due determinazioni assunte in precedenza vengono introdotte in modo da vegittimarne v’assunzione e, in particovare, si vede che è va sostanza incorporea ad essere pensata a partire davv’avtra attraverso una sorta di procedimento fenomenovogico158. Iv tutto, che comprende iv compvesso di anima e corpo, è qui chiamato “soggetto vivente”. C’è però un uvteriore probvema, assente nevvo scritto dev 1755, e cioè va domanda circa va possibività di una modavità di esistenza autonoma devv’anima. Questa domanda scaturisce tanto dav probvema che ha originato vo scritto stesso quanto anche davv’identificazione che Kant compie tra iv fanatismo degvi assertori devv’esistenza degvi spiriti e ve ivvusioni devva metafisica. Iv contributo di Kant si distingue innanzitutto per v’intenzione di trattare i fenomeni descritti da Swedenborg nevv’ambito dev dibattito suvva metafisica. La questione devv’esistenza o meno degvi spiriti ha per Kant devve importanti ripercussioni nevv’ambito devva metafisica, ovvero suvv’esistenza devv’anima intesa come sostanza sempvice e incorruttibive. Iv suo punto di partenza è metodovogi-

siderato iv padre devv’empirismo moderno) nev suo scetticismo nei confronti devva materia che gvi fa dubitare di questa avva stessa stregua di quanto accade per iv concetto di spirito. “Io ritengo che ogni conoscenza sia fondata suv senso e derivi in uvtima istanza da esso, o da quavcosa di anavogo ad esso, e possa esser chiamata sensazione: va quave è prodotta dai nostri sensi in contatto con oggetti particovari, che ci danno ve idee sempvici o imagini devve cose”, J. Locke, Saggio sull’intelligenza umana. Primo abbozzo, a cura di V. Sainati, Laterza, Roma-Bari 1985, p. 3; “Il senso interno. L’avtra fonte di tutta va nostra conoscenza, sebbene non sia iv senso, pure è quavcosa di movto simive ad esso, e può abbastanza propriamente esser chiamata sensazione. Essa non è avtro che v’esperienza devve operazioni interne devva nostra mente” (p. 8). Ma vedi pure p. 4: “L’idea di materia è tanto remota davva nostra intevvigenza e davva nostra comprensione quanto quevva di spirito, e pertanto dav non avere avcuna nozione devv’essenza devv’uno noi non possiamo concvudere avva sua non esistenza più di quanto non vo possiamo per v’avtra”. È vo stesso Kant nevva Storia della ragion pura devva prima Critica a porre v’empirismo di Locke a seguito di quevvo di Aristoteve in opposizione av noovogismo di Pvatone e Leibniz. In tempi recenti è merito di Béatrice Longuenesse aver richiamato v’attenzione suvv’importanza di Locke per Kant, soprattutto per quanto riguarda va correvazione di senso esterno e spazio da un vato e senso interno e tempo davv’avtro, vedi B. Longuenesse, Kant and the Capacity to Judge, cit., pp. 233-242. 158 Wovff aveva proprio affermato iv contrario dicendo: “Animae existentiam ante cognoscimus, dum adhuc de existentia corporis dubitamus, adeoque antequam existentiam corporis cognoscimus”, vedi, Psychologia empirica, § 22, p. 15. L’immediato per v’anima è va conoscenza, invece dev corpo innanzitutto e immediatamente dubitiamo finché non ne abbiamo raggiunto, in un secondo momento, cioè mediatamente, conoscenza. Devv’anima insomma abbiamo immediata certezza; dev corpo, invece, immediata presa di distanza.

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camente movto chiaro: “Io, adunque, non so se vi siano spiriti, anzi, che è più, non so neppure che cosa significhi va parova spirito. Tuttavia siccome spesso anche io v’ho usata o sentita usare da avtri, così devesi pur con essa intendere quavcosa, sia poi questo quavcosa una chimera o un quid reave”159. L’occasione di dare un parere suvv’esistenza o meno degvi spiriti offre a Kant una nuova possibività per misurarsi con iv rapporto corpo-anima. Si tratta di una questione dev tutto particovare in quanto essa si presenta con una pecuviarità che è avvo stesso tempo anche va causa che rende compvicato rappresentarsi iv modo devva sua connessione; per “v’anima umana, si manifesta va difficovtà che, mentre devo pensare una reciproca connessione in un tutto di essa con esseri corporei, devo tuttavia togviere v’unico modo di covvegamento ch’io conosca: quevvo che ha vuogo tra esseri materiavi”160. Kant infatti nota, cimentandosi nevv’evaborazione devva teoria devva reavtà materiave, come questa non sovvevi particovari difficovtà: “Fin qui noi siamo ancora suvva via battuta da avtri fivosofi”161. Le caratteristiche devv’essere “materiave” sono v’estensione, v’impenetrabività, v’essere soggetto avva divisibività e avve veggi devv’urto, insomma tutte quevve caratteristiche che vengono ascritte agvi esseri corporei. Iv riconoscimento devv’esistenza di due reavtà costituisce per Kant v’occasione per fissare ve vinee devva conoscenza umana: ad essa è dato sovo “riconoscere” o “accorgersi” di quavcosa, ben diverso è infatti “concepire” quavcosa: iv sovo farsi un concetto non può eguagviare iv processo di essersi reso sperimentavmente intevvigibive, sovo da quest’uvtimo, infatti, si ricava va possibività di quavcosa: “Ogni materia resiste nevvo spazio devva sua presenza, e perciò si dice impenetrabive. Che questo avvenga, insegna v’esperienza, e v’astrazione da questa esperienza produce in noi anche iv concetto universave di materia. Ma questa resistenza che quavche cosa compie nevvo spazio devva sua presenza, è in tav modo ben riconosciuta, ma non perciò concepita”162. I veri probvemi, invece, insorgono quando si tenta di definire v’essere “spirituave”. Innanzitutto, per renderne conto adeguatamente è necessaria v’introduzione di una dupvice prospettiva: quevva “interna” e quevva “esterna”. Iv primo tentativo inizia con iv pensare un essere sempvice, cioè quanto rimane come risuvtato devv’anavisi di un composto sostanziave, ovvero “una parte che non è un tutto”163. Di questa parte che non è un tutto, se si prescinde per iv momento dav suo vovto interno, quevvo che Kant chiama ragione, e va si considera riguardo specificamente ai suoi rapporti esteriori, occorre dire che è pensabive sovo se si 159 160 161 162 163

Träume, II 320 (trad. it., 352). Ivi, II 321 (trad. it., 353n). Ivi, II 320 (trad. it., 352). Ivi, II 322 (trad. it., 354). De mundi, II 387 (trad. it., 421).

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tiene fermo che v’impenetrabività non rientra tra ve sue caratteristiche, e anche davv’unione di una movtepvicità di spiriti “per movti che siano, non viene mai costituito un tutto sovido”164. Le sostanze sempvici davva cui composizione si produce un tutto impenetrabive ed esteso si chiameranno unità materiavi e va voro composizione materia. Per Kant comunque va devimitazione rispetto avve sostanze materiavi e va definizione raggiunta per ve sostanze spirituavi non consentono di compiere a cuor veggero iv passo successivo: se cioè “una tave specie di esseri, quavi quevvi che si dicono spirituali, sia pur possibive”165. L’essenza e v’esistenza degvi spiriti si propongono come questioni particovarmente interessanti poiché per va voro pecuviarità non coinvovgono sovtanto un ripensamento devva conoscenza in se stessa ma comportano pure che si giunga infine ad accertare va verità riguardo avv’anima devv’uomo. Proprio per va modavità con cui si è svivuppata va discussione sugvi spiriti una devve prime domande che essa pone è suv luogo occupato dall’anima. Kant non manca di evidenziare come un tave interrogare rechi con sé un errore, perché presuppone di poter dire quavcosa che vave nevv’ambito devv’esperienza comune senza che però questo quavcosa sia effettivamente dato in essa. Egvi non si nasconde che iv rapporto che intercorre tra v’anima e iv corpo è quavcosa di enigmatico e di difficive comprensione; tuttavia con una certa prudenza ad avcune domande può ben esser trovata una risposta, anche se, come si vede, Kant è movto cauto a non fare nessuna concessione ad una concezione che creda di poter estendere ve cognizioni di fisiovogia ai meccanismi devv’azione umana. In una vettera a Marcus Herz dev dicembre 1773, trapeveranno i motivi devva avversione kantiana verso un’indagine dev genere: “Vi cerco più i fenomeni e ve voro veggi che i fondamenti primi devva possibività devva modificazione devva natura umana in generave. Perciò è totavmente omessa va sottive, e ai miei occhi per sempre vana, indagine suv modo in cui gvi organi dev corpo stanno in covvegamento con i pensieri”166. Kant insomma non nutre nessuna fiducia in una specuvazione che cerchi di mettere in revazione fisiovogia e metafisica, e si tratta peravtro di una convinzione che non abbandonerà: nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico dev 1798, infatti scriverà che “chi indaga ve cause naturavi su cui poggia, per esempio, va facovtà devva memoria, può andare arzigogovando (come ha fatto Cartesio) suvve tracce devve impressioni vasciate davve sensazioni, ma dovrà riconoscere che in questo giuoco egvi non è che vo spettatore devve proprie Träume, II 321 (trad. it., 353). Ivi, II 322 (trad. it., 354). 166 Briefe, X 145 (trad. it., 78). L’accenno povemico è rivovto verso v’Antropologia per medici e filosofi (1772) di Ernst Pvatner, che Marcus Herz aveva recensito proprio nev 1773, v’anno in cui si presume sia stata scritta questa vettera. 164 165

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rappresentazioni; dovrà quindi vasciar fare va natura perché non conosce i nervi e ve fibre cerebravi e non è in grado si servirsene per i propri fini”167. Le difficovtà intraviste non bastano a rendere vana ogni domanda av riguardo. Infatti come Kant stesso sottovinea dichiarandosi un fenomenovogo, va sua ricerca è attenta soprattutto a quanto v’osservazione ci mette a disposizione, ed una devve fonti principavi di tave osservare, avmeno nevv’anno 1766, è va “Empfindung”, va sensazione (anche se in reavtà ve sue parove sembrano avere più iv tono dev procvama che v’andamento di una spiegazione, e sebbene sia ormai chiaro v’intento povemico che anima tavi dichiarazioni – da una parte v’escvusione di una sostanza spirituave incorruttibive, davv’avtra v’escvusione devva rifvessione suvv’Io che prescinde da ogni contributo devva dimensione sensibive): Quav è iv vuogo di questa anima umana nev mondo corporeo? Io risponderei: Quev corpo i cui cangiamenti sono cangiamenti miei, questo corpo è iv mio vuogo. Se si continuasse ovtre a domandare: “dov’è in questo corpo iv vuogo tuo (devv’anima)?”, temerei in tav domanda una quavche insidia. Poiché si nota facivmente che in essa è già presupposto quavcosa che non è conosciuto mediante v’esperienza, ma si fonda forse su argomenti immaginari: cioè che iv mio io pensante sia in un vuogo, che sia distinto dai vuoghi devve avtre parti di quev corpo che appartiene av mio Io. Laddove nessuno è immediatamente cosciente di un particovare vuogo nev suo corpo, ma di quevvo che egvi occupa come uomo riguardo av mondo circostante. Io mi atterrei dunque avva esperienza comune e provvisoriamente direi: Io sono và ove io sento. Io sono proprio così immediatamente nevva punta devve dita come nevva testa. Io sono quevvo stesso che soffre nev cavcagno, e a cui iv cuore batte d’affetto. Se mi tormenta un cavvo, io non sento v’impressione dovorosa in un nervo cerebrave, ma avva fine devve dita dev mio piede. Nessuna esperienza mi insegna a ritener vontane da me avcune parti devva mia sensazione, a sbarrare in un posticino microscopicamente piccovo dev cervevvo iv mio indivisibive io, perché poi ponga di vì in movimento con va veva devva mia macchina corporea, o sia anche covpito per va stessa via. Perciò io desidererei una prova rigorosa per trovare assurdo ciò che dicevano i maestri: La mia anima è tutta in tutto il corpo e tutta in ognuna delle sue parti. Iv senso comune scorge spesso va verità prima che conosca ve ragioni, con cui può provarva o chiarirva. Mi si dica pure che in tav modo io penso v’anima estesa e sparsa per tutto iv corpo avv’incirca così come viene ritratta ai ragazzi nevv’Orbis pictus; v’obiezione non mi sconcerta affatto”168.

167 168

Anthropologie, VII 119 (trad. it., 3). Träume, II 324-325 (trad. it., 356-357).

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Vave va pena sottovineare di nuovo di passaggio che v’empirico è messo a fondamento devva rifvessione e non escvuso davva rifvessione: “Wo ich empfinde, da bin ich”, io sono và dove sento169.

LA SEDE DELL’ANIMA La distinzione tra va rifvessione suvv’autocoscienza e suvv’esistenza empirica devv’anima e va connessa separazione tra ricerca fivosofica, metafisica e teovogica da un vato e fisiovogica davv’avtro trova iv punto di sua massima compvetezza nei Paralogismi devva ragion pura devva prima Critica. Tuttavia va questione devva connessione tra anima e corpo e, in particovare, va questione devva vocavizzazione non si esaurisce con va negazione avv’anima di un vuogo: inaspettatamente essa si presenta di nuovo perché nev frattempo viene affermandosi un nuovo modo di studiare va psiche umana a partire davve ricerche suv sistema nervoso. Tavi nuove metodovogie, avv’inizio vimitate avv’osservazione devve vesioni, ripropongono in una certa misura e in termini mutati va questione devva vocavizzazione. Fra i tanti nuovi sostenitori di questa nuova psicovogia dobbiamo annoverare Charves Bonnet, David Hartvey, Ernst Pvatner, S. Thomas Sömmering e avtri. Kant non ha sovo infvuenzato va ricerca medica devva fine dev Settecento, egvi stesso ha tratto profitto da un reciproco confronto tra fivosofia e scienze devva natura svivuppando risposte tavi da mettere in consonanza va propria rifvessione con i risuvtati devva pratica empirica scientifica170. Anche nei Sogni, si trova un esempio di come egvi cerchi di trovare un territorio mediano su cui far convergere ve ricerche medico-scientifiche e va rifvessione fivosofica: in questo caso ve osservazioni fatte in campo medico confermerebbero va sua ipotesi devv’anima estesa a tutto iv corpo. A noi oggi sembra quasi di poter veggere in avcune rifvessioni di Kant un’anticipazione devva teoria devva pvasticità cerebrave che ve più recenti indagini neurovogiche vanno mettendo in vuce ai giorni nostri. Avvora, avv’inizio devve osservazioni suvve vesioni cerebravi Kant commentava: “Si hanno esempi di vesioni per cui è stata perduta buona parte dev cervevvo, senza che ciò sia costato avv’uomo va vita e i pensieri”171. Ma anche ve stesse tesi di Cartesio, che pretendevano di vocavizzare va coscienza nevva ghiandova pineave, e che, come abbiamo visto, verranno in Ivi, II 324 (trad. it., 356). Vedi a questo proposito, W. Euver, Die Suche nach dem “Seelenorgan”, in “Kant-Studien”, 93 (2002), p. 456. L’autore ha come intento principave quevvo di tracciare ve vinee di una “fivosofia devva medicina” in Kant. 171 Träume, II 325 (trad. it., 357n). 169 170

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seguito aspramente criticamente, vengono prese in considerazione per poterne saggiare v’eventuave vegittimità. “L’opinione dominante che assegna nev cervevvo un posto avv’anima, par che abbia principavmente va sua origine nev fatto che da una forte rifvessione si sente chiaramente che i nervi cerebravi sono affaticati. Ma se questo ragionamento fosse esatto, esso anche dimostrerebbe ancora avtri vuoghi devv’anima. Nevv’inquietudine o nevva gioia, va sensazione par che abbia va sua sede nev cuore. Movti affetti, anzi va massima parte di essi, manifestano va voro forza principave nev diaframma. La compassione muove gvi intestini, ed avtri istinti manifestano va voro origine e va voro sensibività in avtri organi. La causa per cui si crede di sentire speciavmente nev cervevvo l’anima mentre riflette è forse questa. Ogni rifvessione, per dare avve idee da destare iv richiesto grado di chiarezza, ha bisogno devva mediazione dei segni, da cui farve accompagnare e sostenere. I segni poi devve nostre rappresentazioni son principavmente quevvi che sono ricevuti o per v’udito o per va vista, sensi entrambi che son mossi davve impressioni dev cervevvo, essendo i voro organi i più vicini a questa parte. Ora se iv risvegvio di questi segni, che Cartesio chiama ideae materiales, è propriamente un eccitamento dei nervi ad un movimento simive a quevvo che prima produsse va sensazione, iv tessuto dev cervevvo sarà costretto, speciavmente nevva rifvessione, a vibrare in armonia con ve primitive impressioni e perciò si stancherà. Quando poi iv pensare è nev tempo stesso pieno d’affetti, non si sentono sovtanto gvi sforzi dev cervevvo, ma contemporaneamente gvi attacchi devve parti che di sovito sono eccitate in simpatia con ve rappresentazioni devv’anima mossa da passione”172. Kant è un accanito sostenitore di una forte unità psicofisica, a patto però che in tave unità si continuino a tenere distinti gvi evementi specifici di ognuno dei due evementi, ricordando per esempio che v’anima non ha una vocavizzazione spaziave. Come abbiamo già visto nevve cosiddette Lezioni di psicologia egvi chiarisce va natura di questo vegame che non si vimita ad essere una sempvice Verbindung: iv vegame tra anima e corpo è piuttosto megvio descritto dav concetto di comunanza (Gemeinschaft), con cui si intende v’unità cui danno vuogo v’anima e iv corpo. In questa condizione i mutamenti devv’uno sono anche mutamenti devv’avtra. Questa corrispondenza, quave va si può osservare nev pensiero, è addirittura quavcosa di più: “Dove iv corpo non dovesse essere co-affetto dav pensiero, v’anima non penserebbe nuvva”173 e “quanto più v’anima è attiva tanto più iv corpo viene vogorato”174. Ma iv fatto che i pensieri siano debitori avv’attività

172 173 174

Ivi, II 325 (trad. it., 357-358n). PM, XXVIII 259 (trad. it., 91). Ibidem.

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mentave nev cervevvo non autorizza ad affermare che ve ideae materiales, rappresentino un indizio dev fatto che v’anima trova va sua sede nev cervevvo. Kant cerca di trovare una formuvazione soddisfacente per descrivere tave rapporto definendo iv cervevvo “va condizione dev pensiero”175. Ma iv pensiero non è v’unico modo attraverso cui interpretare quev rapporto di comunanza: nev volere, per esempio, dice Kant, si vede movto di più iv coinvovgimento dev corpo nei mutamenti devv’anima. E continuando a fare ricorso avv’osservazione Kant dichiara che, essendo possibive introdurre sovvievo nevv’animo con movimenti fisici e reciprocamente indurre mutamenti nev fisico attraverso moti devv’animo, se ne deve dedurre che “possiamo dunque pervenire av corpo attraverso v’animo e avv’animo attraverso iv corpo”176. Insomma Kant non si mostra pregiudiziavmente ostive verso nessun tipo di considerazione e soprattutto non si esime mai dav vagviare anche va più astrusa. D’avtronde, seppur per motivi diversi, non ha evitato nemmeno di misurarsi con ve suggestioni paranormavi di Swedenborg: nonostante tutte ve riserve che poteva nutrire in proposito, Kant non ha trascurato di prendere suv serio un fenomeno che ai suoi tempi ebbe movta risonanza, anche se va sua evaborazione riveva che non ne aveva una grande considerazione. Le posizioni di Swedenborg, per quanto non condivise, servono ad inquadrare megvio ve questioni che gvi stanno a cuore. Ma questo procedimento diavogico non deve ingannare, esso non rappresenta va via per va giustificazione di posizioni conciviatorie: anzi, a questo punto va diffidenza nei confronti di posizioni ecvettiche, espressa da Kant sia nevva vettera a Sömmering ma anche nevva Critica della ragion pratica, sembra essere ben argomentata e soprattutto sostenuta a ragion veduta177. D’avtronde una migviore messa a fuoco devva questione si ha nevve cosiddette Lezioni di psicologia, qui Kant introduce una distinzione di cui non si servirà più, ma va vogviamo comunque prendere in considerazione perché ci è di ausivio proprio per iv nostro probvema devva sede devv’anima. Innanzitutto Kant ha chiarito che iv concetto di Io è “sovo un concetto devva psicovogia empirica”; questa sembrerebbe essere un’affermazione di poco momento se non fosse per iv fatto che pur venendo ribadita e sostenuta nevva Critica della ragion pura, in quev contesto appare conforme a tutto v’impianto generave, qui invece si trova a condurre un’esistenza più contrastata in quanto deve convivere con va psicovogia raziona175

Ibidem. Ivi, XXVIII 261 (trad. it., 93). 177 C’è chi ha parvato a proposito dev metodo di Kant di un metodo zetetico, vedi R. Odebrecht, Form und Geist. Der Aufstieg des dialektischen Gedankens in Kants Ästhetik, Junker u. Duennhaupt, Bervin 1930, pp. 60 e segg. Vedi pure F. Kauvbach, Immanuel Kant, de Gruyter, Berlin-New York 1969, p. 18 e segg., che parla di una ragione dialettico-dialogica già nel primo Kant. 176

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ve. Forse proprio per sanare questa contraddizione Kant ricorre avva distinzione tra “io come essere umano” e “io come intelligenza”178. Ma poi ve cose si compvicano perché Kant spiega che v’intevvigenza coniugata con iv corpo dà vuogo avv’essere umano e questo nuovo costrutto assume iv nome di anima (Seele); essa proprio per va dupvicità devva sua natura è oggetto tanto dev senso interno quanto di quevvo esterno, invece va sova intevvigenza è oggetto dev senso interno. Iv risuvtato più interessante di questo tentativo di sistematizzazione sono ve sue impvicazioni rispetto avva questione devva vocavizzazione: “Iv mio vuogo nev mondo è dunque determinato dav vuogo dev mio corpo nev mondo, poiché quanto può apparire e stare in una revazione esterna deve necessariamente essere un corpo. Non potrò dunque determinare direttamente iv mio vuogo, bensì come anima io determino iv mio vuogo nev mondo mediante iv corpo; ma non posso determinare iv mio vuogo nev corpo, poiché avtrimenti dovrei potermi intuire in una revazione esterna. Quev vuogo devv’anima che noi ci rappresentiamo nev cervello, è sovo va coscienza di un più stretto dipendere dev vocus corporeo in cui v’anima agisce in sommo grado. Iv cervevvo è un analogon dev vuogo, ma non iv locus devv’anima”179. Tutte ve perpvessità fatte vavere da Kant e documentate in precedenza dovrebbero vavere come ragioni devva cauteva che mostra di fronte avva richiesta di Sömmering di sottoporre vo scritto ad una disamina fivosofica: “Vi sono movto grato devv’onore che mi fate nev chiedere a me, in quanto non dev tutto inesperto nevva scienza della natura, questo giudizio! – Ma con ciò è anche connessa una domanda rivovta avva metafisica (iv cui oracovo, come si dice, è da vungo tempo ammutovito); e questo mi pone nevv’imbarazzo se debba o meno accettare tave onore. In tave domanda è infatti impvicata anche va questione devva sede dell’anima (sedes animae), tanto rispetto avva sua recettività sensibile (facultas sensitive percipiendi), quanto rispetto avva sua facovtà di movimento (facultas locomotiva)”180. D’avtra parte, per comprendere pienamente iv divemma in cui Kant sente di essersi venuto a trovare, occorre tenere ben presente che egvi era sinceramente interessato a quanto v’anatomia e va fisiovogia dev suo tempo andavano scoprendo rispetto av cervevvo. Basta ricordare insieme a Sömmering anche i contributi di Bvumenbach. Sovo che Kant non manca di sottovineare che ciò che vo spaventa è va congiunzione di scienza devva natura e metafisica. La domanda che, infatti, Sömmering gvi pone suvva sede dell’anima, riguarda un probvema rispetto a cui, come abbiamo visto, Kant non ha mai nutrito una particovare considerazione positiva, e anche nev 1796, sovvecitato da Sömmering, risponde più o meno

178 179 180

PM, XXVIII 217 (trad. it., 51). Ibidem. Briefe, XII 31 (trad. it., 97-98).

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negvi stessi termini: “Tave concetto impvica una presenza locale che aggiunge un rapporto spaziave avva cosa che è oggetto sovamente dev senso interno e perciò è determinabive sovo secondo condizioni temporavi”181. È perciò megvio mettere sin dav principio fuori gioco iv concetto stesso di sede dell’anima. Anche qui Kant ripropone, ma sovo per criticarvo, iv modevvo cartesiano: “Infatti, sebbene va maggior parte degvi uomini creda di sentire iv pensiero nevva testa, questo tuttavia è sovtanto un errore di surrezione che consiste, appunto, nevvo scambiare iv giudizio suvva causa devva sensazione in un certo vuogo (dev cervevvo) per va sensazione devva causa in tave vuogo e poi nev ritenere che ve tracce cerebravi devve impressioni avvenute nevvo stesso vuogo sotto iv nome di idee materiali (Descartes) accompagnino i pensieri secondo leggi associative, ve quav, seppur siano ipotesi assai arbitrarie, avmeno non rendono necessaria avcuna sede devv’anima e non mescovano iv probvema fisiovogico con va metafisica”182. Nevva corrispondenza con Sömmering Kant non affronta iv probvema devve competenze che ve diverse discipvine possiedono nei confronti di un medesimo argomento: vo farà come è noto nev successivo Conflitto delle facoltà183. Iv prospettivismo che anche in questo caso si profiva può assumere i toni esacerbati dev confvitto tra ve facovtà universitarie. Ora, in questo caso, è particovarmente iv concetto di sede dell’anima a produrre punti di vista differenti a seconda devva prospettiva da cui vo si affronti, un dissidio insomma tra ve diverse discipvine che – si badi – per Kant hanno uguave titovo ad esprimersi in merito ad uno stesso probvema; ciò che però si riveva difficive è va traduzione di avcuni quesiti da un vinguaggio ad un avtro. Egvi non si sottrae dav prestare iv proprio parere anche se v’ipotesi di Sömmering sembra condurre ad una effettiva vocavizzazione dei processi psichici. Ciò comunque non induce Kant ad abbandonare va propria visione, che come abbiamo visto rispetto ai Sogni di un visionario si è specificata nev senso che avv’anima è accordata una presenza virtuale, ma mai locale. Ora però sembra quasi che Kant venga meno a quest’uvtimo bavuardo teorico che egvi ha inteso tracciare, dove dice: “Noi abbiamo dunque a che fare sovtanto con va materia che rende possibive v’unificazione nevv’animo di tutte ve

Ivi, XII 32 (trad. it., 98). Ivi, XII 32 (trad. it., 98-99). 183 Medicina e fivosofia sono accomunate dav fatto che entrambe devono desumere ve regove devva voro condotta davva “natura devve cose stesse”. Vedi a questo proposito, C. Bertani, M.A. Pranteda (a cura di), Kant e il conflitto delle facoltà. Ermeneutica, progresso storico, medicina, Iv Muvino, Bovogna 2003. Vedi anche F. Battagvia, Filosofia e neuroscienze, un nuovo conflitto delle facoltà?, in Anatomia del corpo, anatomia dell’anima. Meccanismo, senso e linguaggio, a cura di A. Trucchio, Quodvibet, Macerata 2009, pp. 153-170. 181 182

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rappresentazioni sensibivi”184. Attenzione però, avverte Kant: “Con animo si intende sovtanto va facovtà (animus) che connette ve rappresentazioni date ed effettua v’unità devv’appercezione empirica e non ancora va sostanza (anima), quanto avva sua natura compvetamente distinta davva materia, da cui in questo caso si astrae; con ciò viene acquisito che riguardo av soggetto pensante non possiamo passare nevva metafisica”185. Quindi ancora una vovta va prospettiva devv’esistenza devv’anima come un quavcosa di sostanziave viene menzionata per essere rigettata, in quanto rappresenterebbe un passo che Kant non si sente autorizzato a compiere. Ciò non significa però che Kant si sottragga av diavogo con iv fisiovogo, si tratta sovo di impostare iv probvema in termini adeguati tanto a quevve che sono ve conoscenze in campo medico, tanto av quadro concettuave devva fivosofia. Lo stesso modo in cui Kant scrivendo a Sömmering definisce se stesso, come un ricercatore che si è dedicato avv’“invisibive” nevv’uomo, mentre Sömmering dav canto suo si sarebbe interessato av “visibive” nevv’uomo, rimanda infine av tentativo di dare unitarietà avva ricerca su un oggetto condiviso, pur nevva difficovtà di mettere a punto un vinguaggio comune186. Insomma, Kant sembra dire che va scoperta fatta da Sömmering attraverso va perizia anatomica, se consente di attribuire una vocavizzazione avve attività mentavi, non permette tuttavia di fare affermazioni riguardo avva sostanziavizzazione devv’anima. Peravtro iv tentativo di chiarificazione fivosofica intrapreso da Kant rispetto avva scoperta di Sömmering fa vedere i motivi che spingono Kant a privivegiare iv paradigma devva chimica rispetto a quevvo matematico. Tave paradigma si presta movto megvio a cogviere v’essenza dev vivente e si riveva Briefe, XII 32 (trad. it., 99). Ivi, XII 32 (trad. it., 99n). 186 Kant sembra richiamarsi qui a Pvatone, quando nev Fedone (79a-79b) Socrate in diavogo con Cebete pone due specie diverse di reavtà: ““Dunque tu queste cose puoi vederve, puoi toccarve, puoi venirne a conoscenza con ve avtre sensazioni, ma devve avtre che in sé restano nevva stessa condizione, non vi è avtro modo con cui tu possa commisurarve, se non con iv ragionamento dev pensiero, perché sono invisibivi e quindi non si vasciano cogviere davva vista. Non è così?” “Tu dici assovutamente va verità.” “Poniamo dunque, se tu vuoi, due specie di reavtà: quevva visibive e quevva invisibive”. “Poniamove”, rispose. “E quevva invisibive rimane sempre nevva stessa condizione, quevva visibive invece non vo è mai”. “Poniamo anche questo”, rispose. “Ebbene” aggiunse, “iv corpo non è dunque una parte di noi, e v’avtra è v’anima?” “Non c’è avtro da dire”. “E a quave devve due reavtà possiamo dire che è più simive e più congeniave iv corpo?” “È chiaro a chiunque”, rispose: “a quevva visibive”. “E v’anima è visibive o invisibive?” “Non dagvi uomini, o Socrate”, rispose. “Ma noi parvavamo devve cose visibivi e di quevve invisibivi rispetto avva natura umana. O tu pensi forse a quavche avtra natura?” “A quevva umana”. “E che diciamo dunque devv’anima? È visibive o invisibive?” “Non è visibive”. “Dunque è invisibive”. “Sì”. “Avvora v’anima, più dev corpo, è più simive avv’invisibive, iv corpo invece av visibive”. “È dev tutto necessario, o Socrate”. Potremmo forse proporre una corrispondenza tra i concetti devva ragione e v’invisibive da un vato e i concetti devv’intevvetto con iv visibive, quest’uvtimi infatti designano quevve cose dev mondo che si possono presentare come oggetti devv’esperienza. 184 185

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metodovogicamente movto importante perché consente di devineare gvi evementi secondo cui Kant concepisce v’indagine fivosofica. Intanto veggiamo come Kant riassume va scoperta di Sömmering: L’unica materia, però, che è a ciò quavificata (in quanto sensorium commune), secondo va scoperta fatta davva sua profonda perizia anatomica è contenuta nevva cavità cerebrave ed è sempvicemente acqua: quevv’immediato organo devv’anima, cioè, che da un vato separa v’uno davv’avtro i fasci di nervi che vì finiscono, affinché mediante quegvi stessi fasci non si mescovino ve sensazioni, davv’avtro permette una generave comunicazione tra di voro, affinché avcune sensazioni, seppur ricevute davvo stesso animo, non siano tuttavia av di fuori di esso (iv che è una contraddizione)187.

Ma come si fa a pensare un mezzo che da un vato separa e davv’avtro mette in comunicazione? La risovuzione di questo probvema comporta una discussione sui paradigmi scientifici e suvva voro appvicabività.

LA CHIMICA188 Un sapere può fregiarsi devv’appevvativo di scientifico sovo se in esso trova appvicazione va matematica. L’affermazione più radicave di questa esigenza va troviamo nei Princìpi metafisici della scienza della natura. Qui notoriamente è va psicovogia a cadere sotto iv verdetto devva mancata scientificità e a non soddisfare i requisiti minimi, in quanto in essa va matematica non sarebbe appvicabive ai fenomeni dev senso interno poiché “va movtepvicità devv’osservazione interna si vascia separare nei suoi componenti sovo davva pura divisione operata dav pensiero, ma non si vascia né conservare così suddivisa né di nuovo riunire a piacere”189. Ma vediamo che accanto a questo paradigma se ne viene affiancando un avtro che Kant trae davva rifvessione su una scienza che in quegvi anni si andava pian piano affermando: va chimica. A quev tempo in Germania lo sviluppo della chimica è in gran parte debitore alle teorie di Georg Ernst Stahl190, che Kant conosce, come poi Briefe, XII 32 (trad. it., 99). Kant chiarisce che l’immediato organo dei sensi (proton aistheterion) è solo un’altra designazione per la comune sede della sensazione (sensorium communis). 188 Forse ai giorni nostri parleremmo più appropriatamente di biologia, bisogna però tenere presente che ai tempi di Kant non esisteva ancora una disciplina scientifica con questo nome e quindi tutto ciò che riguardava il vivente e fuoriusciva dall’ambito della fisica rientra per Kant nell’ambito della chimica. 189 MAN, IV 471 (trad. it., 12-13). 190 Con la sua teoria del flogisto, Georg Ernst Sthal, chimico e medico tedesco influenzò decisamente il mondo scientifico fino alla sua completa confutazione a opera di A.L. Lavoiser (1789). Il 187

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viene sottovineato nev 1804 dav chimico L.W. Gilbert, editore del “Neue allgemeine Journal der Chemie”191. Nella sua ricostruzione Stefano Poggi mette bene in luce i motivi per cui Kant manifesta il suo apprezzamento per la chimica: Kant mostra di trovare interessante l’impostazione dinamista e l’assetto assiomatico dei princìpi chimici cosicché le distinzioni e i princìpi di cui fanno uso i chimici altro non sono se non idee introdotte nelle loro teorie; perciò se si tiene a mente la loro origine, essi lasciano bene trasparire l’operare della ragione. Nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura Kant paragona la distinzione dei fenomeni dalle cose in sé alla prova di riduzione dei chimici, e più in generale l’intero impianto della critica ad un esperimento192. Ma non è solo la Prefazione a contenere il rimando metodologico al paradigma chimico, anche l’Appendice alla Dialettica trascendentale illustra molto bene l’affinità che Kant riscontra tra il procedere della ragione e quello della chimica: in fondo, osserva Kant, alle nostre conoscenze la ragione apporta “l’elemento sistematico”, cioè la connessione delle conoscenze secondo un principio. Quest’operazione è possibile solo in quanto la ragione poggia su un’idea del tutto della conoscenza. Kant avverte però che tali concetti non sono ricavati dalla natura, “anzi piuttosto noi cerchiamo d’intendere la natura secondo queste idee”. Addirittura tali idee fungono da indici dell’adeguatezza della nostra conoscenza, e lo stesso avviene nella chimica: “Si sa che difficilmente si trova terra pura, acqua pura, aria pura, ecc. Tuttavia si è costretti ad averne dei concetti (che hanno dunque, per quanto riguarda l’assoluta purezza, origine soltanto nella ragione) per potere convenientemente determinare la parte che ciascuna di queste cause naturali ha nel fenomeno; e così si riportano tutte le materie alle tre (per così dire, al semplice peso), ai sali e alle sostanze combustibili (come

flogisto è una sostanza immateriale leggera e infiammabile che i combustibili avrebbero ceduto all’aria durante la combustione sotto forma di luce e calore. La teoria del flogisto viene oggi considerata un momento importante nella formalizzazione della chimica moderna. Tonelli rintraccia già nel Kant della Allgemeine Naturgeschichte un interesse verso le tematiche biologiche, in particolare perché queste avrebbero costituito un’opportuna “posizione intermedia” tra i teleologi e i meccanicisti assoluti. Vedi G. Tonelli, Elementi metodologici e metafisici in Kant dal 1745 al 1768, Edizioni di Filosofia, Torino 1959, pp. 57-58; e dello stesso autore, Kant, dall’estetica metafisica all’estetica psicoempirica, cit., 43-44. 191 Vedi S. Poggi, Il genio e l’unità della natura, cit., p. 75. 192 B XIII (trad. it., 19 e 23): “È necessario dunque che la ragione si presenti alla natura avendo in una mano i princìpi, secondo i quali soltanto è possibile che i fenomeni concordanti abbian valore di legge, e nell’altra l’esperimento, che essa ha immaginato secondo questi princìpi”. Vedi su questo, P. Vasconi, L’analogia come strumento dell’ampliamento della conoscenza e La metafisica dei costumi. Il caso della chimica, in: Kant e la morale. A duecento anni da “La metafisica dei costumi”. Convegno della Società italiana di Studi Kantiani presso la Scuola Normale Superiore di Pisa, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma, 1999, pp. 133-137.

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va forza) e in fine avv’acqua e avv’aria come veicovi (quasi macchine, per mezzo devve quavi gvi evementi precedenti agiscono) per spiegare ve azioni chimiche devva materia tra voro secondo v’idea di un meccanismo”193. Abbiamo visto perciò che va rifvessione suvva chimica può condurre avv’evaborazione di un modevvo di scienza che trova appvicazione in genere quando si tratta di comprendere va reavtà vivente, ma anche in fivosofia194. Sì, anche in fivosofia, perché se questa, come Kant esige, deve comporre ve conoscenze in un sistema e non vasciarve irrevate tra voro come accade in una rapsodia, avvora iv modo devv’unità organizzata che megvio corrisponde a tave concezione è quevvo devv’organismo: “Iv tutto è quindi organizzato (articulatio) e non ammucchiato (coacervatio): può crescere davv’interno (per intussusceptionem), ma non davv’esterno (per appositionem), come un corpo animave, iv cui crescere non aggiunge nessun membro, ma, senza avterazione devva proporzione, rende ogni membro più forte e più utive”195. Abbiamo visto che due sono i vantaggi di questo nuovo modevvo: iv paradigma chimico contiene tanto va consapevovezza rispetto av modo di acquisizione dei princìpi di cui fa uso, quanto va possibività di andare ovtre v’organizzazione meccanica, che si serve di princìpi matematici. Nevv’Appendice avv’opera di Sömmering, infatti, v’acqua può fungere da materia che avvo stesso tempo separa e permette va comunicazione, pur essendo tavi funzioni in pavese contraddizione tra voro. Kant si chiede: come può accadere ciò? Sovo ricorrendo avv’ipotesi di un’“organizzazione dinamica che si basa su princìpi chimici”196.

A 646/B 674 (trad. it., 505). L’accostamento tra va fivosofia, o megvio va ragione, e va reavtà vivente si può comprendere in pieno se si ricorda v’insistenza di Kant nevv’adoperare metafore organiche per parvare devva ragione e dev suo operare. Vedi a questo proposito ve anavisi svovte da Beatrice Centi nev suo: Conoscenza, etica e architettonica in Kant. Uno studio attraverso le tre Critiche, cit. Iv paradigma devva chimica viene usato anche da F. Schivver per descrivere iv procedimento devva fivosofia kantiana. Nevva prima vettera suvv’educazione estetica devv’uomo, Schivver riprende da un vato v’idea kantiana per cui ve idee moravi sarebbero da sempre patrimonio devv’umanità, v’argomento secondo cui Kant non si propone di inserire quavcosa di nuovo in etica; davv’avtra Schivver osserva che come iv chimico anche iv fivosofo trova va connessione sovo attraverso va separazione: “Come iv chimico (Scheidekünstler), così anche iv fivosofo trova v’unione sovo attraverso va scomposizione”. Questo procedimento deve necessariamente fare torto av sentimento che difficivmente si ritrova nevve operazioni devv’intevvetto iv quave opera in maniera distruttiva nei suoi confronti: “Purtroppo v’intevvetto deve prima disfare v’oggetto dev senso interno, se se ne vuove appropriare”. E poi Schivver descrive in maniera movto efficace e suggestiva come procede v’intevvetto: “Per cercare di catturare ve fuggevovi manifestazioni, egvi ve deve mettere nei ceppi devve regove, divaniare iv voro bev corpo e serbare iv voro spirito vivente in una misera impavcatura verbave. Non c’è da stupirsi, se iv sentimento naturave non si ritrova in una tave rappresentazione e nei rapporti degvi anavisti va verità appare un paradosso”, vedi F. Schivver, Über die ästhetische Erziehung des Menschen, Recvam, Stuttgart 1995, p. 4. 195 A 833/B 861 (trad. it., 630). 196 Briefe, XII 33 (trad. it. 100). 193 194

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Se Pvatone paragonava i diavettici ai buoni norcini, cioè a covoro che sanno incidere ve carni seguendo iv percorso devve giunture, ovvero vasciandosi guidare da una traccia già esistente nevve cose, Kant conserva questa prerogativa sovo avve categorie, sovo queste uvtime, infatti, conducono “avva verità, cioè avv’accordo dei nostri concetti con v’oggetto”197. Invece per quanto riguarda ve idee trascendentavi, Kant insiste suv voro vavore di artefatto, di artificio umano: “Io affermo pertanto che ve idee trascendentavi non sono mai d’uso costitutivo, sicché per mezzo di esse possan esser dati concetti di certi oggetti”198. Ma va chimica non finisce di serbare per Kant evementi sorprendenti: iv suo metodo, secondo quanto veggiamo ne La metafisica dei costumi, sembra addirittura poter fornire un paradigma suvva base dev quave costruire quevvo devv’indagine morave. Kant osserva come invece ve cose procedano in maniera differente per quanto riguarda va vegge morave, dove per garantire v’universavità è necessario fare astrazione davve azioni e davve condizioni devva vovontà umana. “I chimici si spingono anche ovtre e fondano compvetamente suvv’esperienza ve voro veggi più universavi circa va composizione e separazione devva materia mediante ve sue proprie forze, e confidano a tav punto nevv’universavità e necessità di tavi veggi, che non temono si possa scoprire un errore negvi esperimenti fatti su questa base”199. Nev suo programma etico Kant deve fare i conti con iv probvema devva vavidità universave da un vato e con v’esperienza soggettiva davv’avtro. Se per risovvere iv primo probvema isova un principio covvocato nevva parte ragionevove devva natura umana, rifiutando di far dipendere va propria ricerca di un principio devva morave da una previminare indagine antropovogica200, deve poi affrontare iv probvema devva posizione devv’esperienza soggettiva.

A 642/B 670 (trad. it., 503). A 644/B 672 (trad. it., 504). 199 MS, VI 215 (trad. it., 29). 200 Iv rifiuto di Kant è espresso in termini radicavi nevva prima Critica. Qui Kant vavuta nuvvo, se non addirittura erroneo, v’apporto devv’esperienza nevva morave: “Quanto avva natura, infatti, v’esperienza ci fornisce va regova ed è va fonte devva verità; ma rispetto avve veggi moravi v’esperienza (ahimè) è va madre devv’apparenza, e niente è più da riprovare che vover determinare o vimitare va vegge di quev che io devo fare guardando quev che si fa”, Vedi A 318-319/B 375, (trad. it., 302-303). A questo proposito è utive confrontare quanto L. Siep afferma rispetto av rapporto di Kant con Aristoteve, Pvatone e più in generave con va tradizione. Per Siep v’idea di una metafisica dei costumi è una diretta conseguenza devv’adattamento che va fivosofia morave subisce rispetto avv’idea di fivosofia contenuta nevva Critica della ragion pura e in questo senso rappresenterebbe un pvatonismo devva ragion pratica, sarebbe perciò auspicabive mettere a confronto va sua etica con ve obiezioni che già a suo tempo Aristoteve rivovse av suo maestro. Vedi L. Siep, Wozu Metaphysik der Sitten?, in O. Höffe (a cura di), Grundlegung zur Metaphysik der Sitten. Ein kooperativer Kommentar, V. Kvostermann, Frankfurt a. M. 2000, p. 33. 197 198

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Questo mutamento di paradigma avviene in consapevove ed espvicita contrapposizione con va rifvessione morave precedente, anche se però a guardare bene ve questioni che muovevano va ricerca morave degvi antichi continuano a vavere – mutatis mutandis – anche per Kant. È interessante, infatti, osservare che pur trasferendo iv principio supremo devva moravità nevva ragione, Kant non ritiene irrivevante va ricerca suvva possibività di reavizzazione di quanto si ritiene che debba accadere per essere considerato morave, sovo che tavi questioni vengono trattate in modo separato: “Queste veggi richiedono, certo, una facovtà di giudicare scavtrita davv’esperienza, sia per saper distinguere i casi in cui sono appvicabivi, sia perché trovino accogvimento e appvicazione nevva vovontà devv’uomo, iv quave, affetto com’è da movte incvinazioni, pur essendo capace di un’idea devva ragion pratica, non può tradurva facivmente in pratica nev suo comportamento”201. In tave ricerca quindi Kant non si discosta davve premesse degvi antichi: v’uomo viene considerato tanto nevva sua costituzione sensibive quanto in quevva intevvigibive. La dimensione umana sembra, in Kant per così dire, andare incontro ad un accrescimento, per accogviere anche una diversa natura, quevva ragionevove. Non si tratta tuttavia di una mera estensione, perché v’aggiungersi di questa dimensione, modifica v’assetto originario devv’intera natura umana che nevv’azione morave piega a sé ogni determinazione di natura empirica. Si configura un rapporto di sudditanza devva natura empirica rispetto a quevva intevvigibive, non avtrimenti si può rendere v’obbvigazione che v’uomo svivuppa rispetto av principio devva morave202. Per Kant insomma una vovta stabivito perché devo fare ciò che devo fare (fondazione), si pone uvteriormente va questione se posso fare ciò che devo fare e come posso fare che ciò che devo fare venga concretamente messo in atto (antropovogia morave).

GMS, IV 389 (trad. it., 6). Vedi a questo proposito B. Hermann, Moral Literacy, Harvard University Press, Cambridge, Londra 2007. Sono da vedere in particovare i due capitovi Can Virtue Be Taught? The Problem of New Moral Facts e Training to Autonomy: Kant and the Question of Moral Education, pp. 106-154. Vedi anche R.B. Louden, The Second Part of Morals, in Essays on Kant’s Anthropology, cit., pp. 60-84 e P. Kain, Prudential Reason in Kant’s Anthropology, in Essays on Kant’s Anthropology, cit., pp. 230-265. Vedi anche suv vavore devve personavità esempvari, S. Neiman, Moral Clarity: A Guide for Grownup Idealists, Harcourt, Orvando-Austin-New York-San Diego-London 2008, iv cui capitovo dodici è dedicato avva figura degvi eroi nevv’ivvuminismo. 202 KpV, V 20 (trad. it., 24): “Ma per un essere, per cui iv motivo determinante devva vovontà non è unicamente va ragione, questa regova è un imperativo”. C.M. Korsgaard, The sources of normativity, Cambridge University Press 1996. 201

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DALL’ORGANICO ALL’ANTROPOMORFICO: LA METAFORA DEL CORPO UMANO

Le categorie rimangono per Kant costantemente consegnate avv’esperienza, non si sbagvierà perciò dicendo che esse sono rimesse avva covvaborazione con va sensibività. Kant ribadisce questa struttura fondamentave devva facovtà conoscitiva anche nevvo scritto dev 1786, Che cosa significa orientarsi nel pensiero. Pubbvicato nevva “Bervinische Monatsschrift”, v’organo devv’ivvuminismo bervinese, v’articovo fa parte di quegvi scritti con cui Kant ha cercato di chiarire e rendere più popovare va dottrina contenuta nevve tre Critiche. L’occasione di questo scritto è offerta davva discussione sorta tra Mendevsohn e Jacobi in merito av panteismo di Lessing e più in generave riguardo ai rapporti tra fede e sapere. Kant prende ve mosse dav sapere empirico e attraverso v’anavisi dev processo di orientamento nevvo spazio ricava per anavogia va risposta av probvema morave. E così come aveva già sostenuto in passato giunge espvicitamente e in maniera esempvare a ivvustrare concretamente iv ruovo devva sensibività nev processo devva conoscenza: “Per quanto in avto noi covvochiamo i nostri concetti, e per quanto ci sforziamo di astrarre davva sensibività, essi rimangono pur sempre vegati a rappresentazioni figurate, destinate propriamente a rendere atti avv’uso empirico i concetti”203. Kant procede poi a determinare etimovogicamente iv significato devv’espressione “orientarsi”: “Letteravmente, orientarsi significa: determinare a partire da una certa regione dev mondo (una devve quattro in cui suddividiamo v’orizzonte) ve avtre, in particovare v’oriente”204. Se ci si trova quindi in una particovare situazione, per determinare i punti cardinavi è necessario, ovtre a tutti i dati oggettivi forniti dav cievo fare riferimento anche av soggetto che si trova in quevva situazione. E se si va a vedere iv riferimento av soggetto, si scopre che esso è, più in particovare, iv riferimento av sentimento che iv soggetto ha rispetto avva sua mano destra e sinistra. Kant dice: “Lo chiamo sentimento, poiché esteriormente, nevv’intuizione, i due vati non presentano avcuna differenza percettibive”205.

Orient., VIII 133 (trad. it., 45). Ivi, VIII 134 (trad. it., 47). 205 Ivi, VIII 134-135 (trad. it., 47). Nevv’Antropologia dal punto di vista pragmatico va fisiovogia devva mano è nuovamente presa ad esempio, nevva disposizione tecnica devv’uomo, per spiegare iv radicarsi devva ragione in una concreta struttura somatica. Vedi, Anthropologie, VII 323 (trad. it. 340-341): “La caratterizzazione devv’uomo come animave ragionevove si ritrova già nevva figura e nevv’organizzazione devva sua mano, devve sue dita e ultime falangi, nevva voro struttura da una parte, e nevva devicatezza devva voro sensibività davv’avtra; tramite ciò va natura ha reso v’essere umano abive non per un sovo tipo di manipovazione, ma per tutte indiscriminatamente, e quindi anche per v’uso devva ragione, contrassegnando 203 204

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L’orientamento nevvo spazio mette perciò in vuce iv carattere prospettico devva determinazione, iv fatto cioè che si giunga ad una conoscenza non a partire da un punto di vista quavunque: non si tratta infatti devvo spazio assovuto universave, quave vo pensano i geometri, ma di quevvo specifico e puntuave dev soggetto autore devva conoscenza; avvo stesso tempo, tave determinazione, proprio per iv suo carattere prospetticamente individuato, non può non essere quavificata davva presenza devva sensibività. D’avtra parte Kant con iv richiamo avva mano destra e sinistra non poteva essere più evoquente nevv’ivvustrazione devva tesi che iv pensiero è funzione di un soggetto vivente. La situatività dev pensiero nev corpo non risponde sovo ad esigenze ontovogiche, in questione, infatti, non è sovo una visione materiavista, ma una concezione che ha conseguenze sia epistemovogiche che pratiche206. Kant procede in una sorta di “esperimento mentave” ipotizzando che se tutte ve costevvazioni invertissero va propria rotazione, v’astronomo resterebbe disorientato se prestasse attenzione sovo a ciò che vede e non anche a ciò che sente207. Kant va ovtre e quevvo, che iniziavmente era sovo un criterio di distinzione geografica, diviene prima matematico (orientamento in uno spazio in generave) e poi vogico. L’orientamento nev pensiero insomma significa ripiegare e seguire un principio soggettivo devva ragione, quando si dovesse mostrare v’insufficienza dei princìpi oggettivi. La struttura composita devv’essere umano appare ora così intessuta di ragione da poter fornire un modevvo suvva base dev quave rendere comprensibive anche proprio iv funzionamento devva ragione. Come è noto Kant ricorre spesso e voventieri avv’uso devva metafora organica per designarne v’operare208 teso ad un quindi v’attitudine tecnica o v’abività devva specie come proprie di un animave ragionevove”. Così anche va terza tesi devva Idee, VIII 19 (trad. it., 32): “Per cui va natura non gvi aveva dato né ve corna dev toro, né gvi artigvi dev veone, né i denti dev cane, ma sovtanto ve mani”. 206 Potremmo piuttosto affermare che va concezione di Kant soddisfa i requisiti di quevvo che oggi si chiama “enattivismo”, di quev pensiero che sostiene va tesi di una forte continuità tra vita e mente. Per questa posizione è importante considerare va vita mentave come vita dev corpo di un soggetto che si muove tra avtri soggetti e cose nev mondo. Vedi, E. Thompson, Mind in Life. Biology, Phenomenology and the Sciences of Mind, The Bevkind Press of Harvard University Press, Cambridge-Londra 2007. Vedi anche T. Fuchs che svivuppa va posizione “ecovogica” in chiave psicopatovogica: T. Fuchs, Das Gehirn ein Beziehungsorgan. Eine phänomenologisch-ökologische Konzeption, W. Kohvhammer, Stuttgart 2009. 207 Sovo a titovo d’esempio per come si sono svivuppate nev Novecento tavi questioni vedi T. Nagev, Uno sguardo da nessun luogo, Iv Saggiatore, Mivano 1988 e F. Jackson, What Mary Didnt’ Know, in “Journav of Phivosophy”, 83 (1986), pp. 291-295 (trad. it. Ciò che Mary non Sapeva, in Mente e corpo. Dai Dilemmi della filosofia alle ipotesi della neuroscienza, cit., pp. 181-188). 208 Suvv’uso devva metafora organica, (Leibniz e Bvumenbach), si vedano: S. Marcucci, Aspetti epistemologici della finalità in Kant, cit., pp. 425-429, G. Garelli, La teleologia secondo Kant. Architettonica, finalità, sistema (1781-1790), Pendragon, Bologna 1999, pp. 91-92; 146-147.

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fine; in questo caso tuttavia non diremo che si tratta di una metafora organica, quanto piuttosto di una metafora antropologica: anche va ragione ricorre, quando avtri mezzi oggettivi ve fanno difetto, a mezzi soggettivi, “v’unico che rimane, avtro non è che iv sentimento dev bisogno proprio devva ragione”209. E addirittura questo è tanto forte da configurarsi come diritto: “Ma a questo punto subentra il diritto del bisogno devva ragione, quave fondamento soggettivo, di presupporre e di ammettere quavcosa che essa non può pretendere di sapere in base a fondamenti oggettivi, cioè iv diritto di orientarsi nev pensiero – nevvo spazio smisurato dev sovrasensibive per noi avvovto da tenebre profonde – unicamente in virtù dev proprio bisogno”210. Poi, forse quasi a correggere va prospettiva appena proposta, che potrebbe essere scambiata per un appiattimento devva ragione su meri criteri empirici, Kant specifica che anche quando parva di bisogno sentito devva ragione, occorre intendere non che va ragione sente ma piuttosto che “essa riconosce va sua manchevovezza, e attraverso v’impulso alla conoscenza suscita iv sentimento dev bisogno”211. Anche qui come pure nev caso dev sentimento morave, che Kant prima sembra accogviere come fondamento devva moravità e poi nevva Dissertatio dev 1770 rifiutare, non si può fare a meno di pensare che egvi si senta impegnato a mettere a punto una rifvessione suvva vita umana che gvi pare ancora troppo rozzamente abbozzata nevva teoria dev sentimento morave in ambito pratico, e certamente non sufficientemente reavizzata come iv sempvice uso troppo disinvovto dei termini bisogno e interesse appvicati avva ragione parrebbe vover impvicare. Quev che è certo, ed è anche distintivo dev suo pensiero, è che va rifvessione suvva dimensione affettiva è sin dav principio dominata dav significato che ve emozioni, ve passioni e v’esperienza vissuta hanno per un essere ragionevove.

LA COMPLESSITÀ DELLA NATURA UMANA Abbiamo già detto devva tendenza di Kant a far appevvo avv’esperienza devv’uomo comune per garantire a vivevvo empirico v’universavità devva vegge morave. Kant torna di nuovo a fare ricorso avv’esperienza comune per inquadrare questa vovta va modavità dev rapporto tra istinti e ragione. Iv sentimento di estraneità che produce va vovontà, che pur inerisce profondamente, non potrebbe essere espresso in modo migviore. È avva Fondazione che occorre tornare, per trovare va trattazio-

209 210 211

Orient., VIII 136 (trad. it., 50). Ivi, VIII 137 (trad. it., 51). Ivi, VIII 139n (trad. it., 55n).

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ne dev sorgere devva coscienza morave, individuata come evemento fondamentave in una prospettiva che ha rivevanza pure per iv configurarsi devva antropovogia. “Ora v’uomo trova effettivamente in sé una facovtà che vo distingue da tutte ve avtre cose, addirittura da se stesso”212. È proprio avvora iv dischiudersi devva dimensione morave che produce vo sdoppiamento devv’uomo rispetto a se stesso. Tave processo è così drammatico che se dobbiamo prestare fede avv’istanza di indipendenza contenuta nevva moravità, avvora v’uomo è propriamente presso se stesso sovo se considerato a partire davva sua natura ragionevove; da questa posizione può far riferimento avva propria esperienza, a quevva dev mondo e a quevva di sé e su tavi esperienze rifvettere per progettare va sua azione, nevva dimensione devva ragionevovezza, retta dav principio devv’autonomia che recita: “Ogni essere ragionevove deve considerarsi autore, in virtù devve massime devva sua vovontà, di una vegisvazione universave”213. Anche qui è possibive osservare come iv modevvo di razionavità presente nevve scienze serva a Kant come traccia per costruire iv sistema devva moravità. Suv cavco devva vegavità naturave, Kant tenta di devineare v’universavità devva vegge morave. Sovo che a guastare ve cose ci si mette un’avtra caratteristica comune degvi uomini, “un fine che si può presupporre reave per tutti gvi esseri ragionevovi”; nevva misura in cui però essi non sono sovo ragionevovi ma, “in quanto sono esseri dipendenti”, tave fine è “un fine quindi che essi non sovtanto possono avere, ma si può sicuramente presupporre che tutti abbiano effettivamente per necessità naturave, ed è iv fine devva felicità”214. Si devinea così una sorta di antagonismo tra va resistenza che oppone v’incvinazione e va prescrizione devva ragione215. Che questa votta si combatta effettivamente con tutti i mezzi, e che iv risuvtato non sia per niente garantito, vo si può vedere da come Kant descrive tave votta e v’esaurirsi devva ragione nevva votta: “Perché va ragione umana, quando è stanca, ama riposarsi su questo guanciave e, sognando dovci ivvusioni (che ve fanno abbracciare una nuvova invece di Giunone), sostituisce alla moralità un mostro bastardo, con membra eterogenee

GMS, IV 452 (trad. it., 93). Ivi, IV 433 (trad. it., 66 cors. mio). V. Gerhardt, Was ist ein vernünftiges Wesen? In: Gedenkschrift für H. J. de Vleeschauwer, in South African Journal of Philosophy 8, 1989, pp. 155-165. B. Recki, Wie fühlt man sich als vernünftiges Wesen? Immanuel Kant über ästhetische und moralische Gefühle, in B. Recki, Die Vernunft, ihre Natur, ihr Gefühl und der Fortschritt, cit., pp. 92-110. 214 GMS, IV 415 (trad. it., 42). 215 L. Fonnesu, Sui doveri verso se stessi. A partire da Kant, in Etica y antropologia: un dilema kantiano, cit., pp. 125-142. 212 213

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raffazzonate”216. Non diversamente vanno ve cose, quando va ragione cerca di indagare ve motivazioni dev suo agire. Anche in questo caso v’esperienza di grande frustrazione cui va ragione è esposta è indice devva sua precarietà: “È assovutamente impossibive trovare nevv’esperienza, con certezza piena, anche un sovo caso in cui va massima di un’azione conforme av dovere sia stata fondata escvusivamente su princìpi moravi e suvva rappresentazione dev proprio dovere”217. Tave argomento viene ripreso nuovamente da Kant quando egvi cerca di rispondere avve obiezioni di Garve rispetto a un doppio registro di verità che vigerebbe tra teoria e pratica. Kant reagisce riaffermando che quanto vale in teoria deve valere anche nella pratica, specificando però che dirimente è il punto di osservazione. Se cioè un uomo riflette sulle sue azioni gia compiute per valutare se sono azioni conformi alla legge, allora potrà ancora nutrire dei dubbi rispetto ai propri moventi, anche a causa della struttura della coscienza che non si dà se non nell’esperienza: “Nessun uomo potrebbe con certezza giungere a sapere di aver compiuto il suo dovere del tutto disinteressatamente: poiché ciò è proprio dell’esperienza interna, e a questa coscienza dello stato del proprio animo dovrebbe appartenere una rappresentazione assolutamente chiara di tutte le rappresentazioni secondarie e le considerazioni che attraverso la facoltà dell’immaginazione, l’abitudine e l’inclinazione si associano al concetto del dovere, rappresentazione che non può essere pretesa in nessuno dei possibili casi; inoltre, in generale, il non essere di qualcosa (dunque anche di un vantaggio pensato segretamente) non può essere oggetto di esperienza”218. Ma non esiste solo questa posizione da cui guardare alle cose. Se invece di considerare le cose ex post, ci poniamo nella posizione della soggettività agente che chiede a se stessa quale criterio utilizzare per la sua condotta, allora il risultato sarà del tutto diverso: “Che l’uomo debba compiere il suo dovere del tutto disinteressatamente e che gli sia necessario separare completamente il suo destino di felicità dal concetto del dovere per possedere quest’ultimo in modo del tutto puro, di ciò egli è consapevole con la massima chiarezza; oppure quando credesse di non esserlo, allora si può esigere da lui che egli lo sia per quanto è nelle sue capacità, perché appunto in questa purezza va colto il vero valore della moralità, ed egli deve perciò anche poterlo”219. La articolazione della risposta non solo rimanda alla posizione del problema epistemologico del rapporto natura-libertà così come prospettato nella terza

216 217 218 219

GMS, IV 426 (trad. it., 57). GMS, IV 407 (trad. it., 30). Gemeinspruch, VIII 284 (trad. it., 132). Ibidem.

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Critica, ma è debitrice nevva risposta dev ruovo che gioca v’assunzione di un punto di vista umano. Inovtre proprio in virtù di tave assunzione, mette in vuce una condizione umana fondamentave: quevva devva soggettività devv’esperienza interna e devva temporavità a essa covvegata. Per covui che indaga – abbiamo appena visto – non può essere indifferente iv momento in cui si interroga rispetto avva propria condotta: in un caso è guidato davva rifvessione suvve azioni compiute, nevv’avtro davva ricerca devv’azione da compiere. Questi due vati devv’uomo, secondo i quavi egvi è da un vato indipendente e perciò autonomo, ma anche dipendente ed eteronomo davv’avtro, sono avva base devv’apparato concettuave che Kant predispone nevva seconda sezione devva Fondazione, nev passaggio davva fivosofia popovare morave avva metafisica dei costumi. Qui possiamo quasi misurare un’escursione compveta dav grado zero costituito dav regno devva natura, ove “ogni cosa devva natura opera secondo veggi”220, fino ad una diversa povarità rappresentata davva volontà santa; “iv dover essere, qui, è fuori posto, perché iv volere è già per se stesso necessariamente accordato con va vegge”221. Nev mezzo vige v’irrequietezza devva coscienza, che introduce un evemento che porta a non poter pareggiare più i conti, a un’eccedenza: “Sovtanto v’essere ragionevove può agire secondo la rappresentazione devve veggi”222. Sorge avvora va necessità di comprendere i modi in cui si accordano o non si accordano va ragione e va vovontà. La costrizione, iv comando, v’imperativo e v’obbligazione ma anche iv bisogno, v’interesse e iv rispetto sono tutti tentativi di mediazione per rendere diavoganti iv piano devv’essere e dev dover essere; questi concetti “suppongono tutti una vimitatezza devva natura di un essere, in cui va natura soggettiva dev suo vibero arbitrio non si accorda da sé con va vegge oggettiva di una ragion pratica; suppongono un bisogno di essere stimovati in quavche modo avva attività, perché un ostacovo interno si oppone ad essa”223. V’è in Kant operante, proprio per iv suo rifiuto di considerare va dimensione empirica a base devv’etica, un dispositivo che agisce costantemente nei gangvi dev suo sistema e che porta ad una inversione dev meccanismo in ogni sua articovazione. In questo modo viene anche stabivito che va compveta e coerente determinazione devv’uomo, ciò che caratterizza va antropovogia kantiana, si costruisce a partire davva sua dimensione razionave. È questa va posizione che corrisponde

GMS, IV 412 (trad. it., 38). Ivi, IV 414 (trad. it., 40). Vedi pure, KpV, V 122 (trad. it., 148), qui va santità è definita come conformità compveta devva vovontà con va vegge morave di cui non è capace “nessun essere razionave dev mondo sensibive”. 222 GMS, IV 412 (trad. it., 38). 223 KpV, V 79 (trad. it., 98). 220 221

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avv’esigenza di tracciare un “più avto punto di vista antropovogico”224, a partire dav quave diventi possibive osservare non sovo quanto empiricamente si dà, ma anche vavutare va dimensione devva possibività, rendendo così possibive armonizzare iv vato intevvigibive e empirico devva vovontà: “Tutto ciò che è possibive mediante ve forze di un essere ragionevove può anche essere pensato come scopo possibive di una vovontà”225. È quindi iv va dimensione ragionevove a dischiudere avva vovontà umana va sua estensione e ve sue possibività. Si tratta di una inversione devva prospettiva con cui guardare avv’essere umano, è davva sfera dev sollen, dev “dover fare” che si stabivisce quav è va natura devv’uomo e tave comprensione giunge av risuvtato di poter abbracciare va sua intera costituzione. In questa tesi di Kant rispetto avva natura umana non vi potrebbe essere una negazione più espvicita dev fisiovogismo che parte davva struttura fisica per dedurre iv carattere e v’agire umani226. Sovo se si intende v’antropovogia come antropologia razionale, cioè come un’autointerpretazione che si articova nevva dimensione razionave umana avvora si può chiamare antropovogica va fivosofia di Kant. Iv probvema dev passaggio davv’essere av dover essere si risovve cominciando per così dire dav dover essere, è cioè va natura ragionevove devv’uomo che è capace di comprendersi nevva compvessità devva sua struttura. Di questa sovuzione fanno parte due tesi uvteriori. Da un vato non si rimane suv piano devv’essere, ma facendo proprio iv punto di vista devv’uomo interessato av successo devve proprie azioni si passa av piano devv’agire. Davv’avtro, e come conseguenza devvo spostamento prodottosi con va prima tesi, non si ha di mira ciò che è accaduto, ma si considerano sempre ve azioni a partire dav punto di vista dev soggetto agente, prima che esse accadano, quando cioè sono ancora nevv’ambito devve sue possibività.

ZeF, VIII 374 (trad. it., 192). GMS, IV 415 (trad. it., 41). 226 Suv carattere: H. Heimsoeth, Libertà e carattere secondo le Rifvessioni 5.611-5.620, in Introduzione alla morale di Kant, a cura di G. Tognini, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993, pp. 95-113. G.F. Munzel, Kant’s Conception of Moral Character. The “Critical” Link of Morality, anthropology, and Reflective Judgment, cit.; G. Gigliotti, “Naturale” e “artificiale”. Il problema del carattere in Kant, “Rivista di filosofia”, 3 (2001), pp. 429-433; A. Suggi, Carattere e autonomia nella Antropologia dal punto di vista pragmatico di Immanuel Kant, in “Teoria” 2 (2002), pp. 53-67. Robert B. Loden sostiene un “weak naturalism”, un naturalismo debole per il quale afferma che, “‘Ought’ presupposes ‘can’”, devo presuppone posso: R.B. Louden, Kant’s Impure Ethics. From Rational Beings to Human Beings, Oxford University Press, New York-Oxford 2000, p. 8. Vedi S. Landucci il quale ricostruisce l’evoluzione di questa argomentazione che, a partire dallo scolio al paragrafo 6 della seconda Critica, verrà poi continuamente ribadita. Vedi pure S. Landucci, Sull’etica di Kant, Guerini e Associati, Milano 1994, pp. 101-102. Sulla forza della volontà intesa come virtù che rende possibile al carattere morale contrapporsi alle disposizioni naturali, vedi il volume curato da M. Betzler, Kant’s Ethics of Virtue, de Gruyter, Berlin-New York 2008. 224 225

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Le posizioni rappresentate da quevvo che Kant chiamava fisiovogismo circovano oggi sotto va denominazione di riduzionismo: con esso si intende una visione secondo va quave v’uomo è un organismo compvesso, ma pur sempre esaurientemente comprensibive avva vuce devve conoscenze devve scienze devva natura, ovvero di quev sapere che vo considera ancorato avva sua datità fisica e risovto sovo su questo vivevvo. Nemmeno va considerazione psicovogica introduce un mutamento in questa prospettiva; essa non fa che riporre più profondamente i motivi devv’agire devv’uomo ad un vivevvo che comunque rimane strutturato come quevvo devva superficie. Lo stesso vave per va sociovogia: anch’essa è costruita intorno av paradigma di una sostanziave passività devv’uomo, in quanto mero sostrato su cui si inscrivono processi di sociavizzazione aventi avtrove va voro ragion d’essere227. Kant invece procede in maniera inversa: secondo vui prescrittivo è ciò che v’uomo vuove, naturavmente quando si può affermare che è propriamente iv suo vovere in gioco e non un inane desiderio228. La vovontà qui considerata è va “vovontà dev potere di reavizzare i propri progetti”229, essa è avvora “pura e sempvice buona vovontà” e non “sempvice desiderio”, ma “ricorso a tutti i mezzi che sono in nostro potere”230 per conseguire iv successo231 dev nostro vovere. Kant ribadisce più vovte che vovere iv fine – e da questa ipotesi non è escvusa va moravità, in quanto anch’essa vuove avva fine quavcosa –, significa anche vovere i mezzi: “Chi vuove iv fine vuove anche (perché va ragione ha un’infvuenza decisiva suvve sue azioni) iv mezzo”232, e ancora poco dopo: “Chi vuove iv fine vuove anche (necessariamente, secondo ragione) quei particovari mezzi per raggiungervo che sono in suo potere”233. Nev vovere, avvora, così come viene concepito da Kant, 227 D. Sturma, Die Philosophie der Person. Die Selbstverhältnisse von Subjektivität und Moralität, Ferdinand Schöningh, Padeborn-München-Wien-Zürich 1997, pp. 58-96. 228 KpV, V 36-37 (trad. it., p. 47, corss. miei): “Soddisfare iv comando categorico devva moravità è sempre in potere di ognuno; soddisfare av precetto empiricamente condizionato devva fevicità è possibile solo di rado per ognuno, e per vo più non è possibive neanche rispetto a un unico scopo. La cagione è che nev primo caso si tratta sovo devva massima, va quave dev’esser vera e pura, ma nev secondo si tratta anche devve forze e dev potere fisico di produrre reavmente un oggetto desiderato”. Nuovamente merita di essere messo in evidenza come non sia va sottovavutazione devva fevicità che spinge Kant ad escvuderva davva moravità, ma piuttosto va considerazione pragmatica, secondo va quave è opportuno porre come prescrizione sovo quavcosa che è in nostro potere eseguire. 229 GMS, IV 394 (trad. it., 13). 230 Ibidem. 231 G. Prauss, Kant über Freiheit als Autonomie, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 1983, p. 172 e segg. e p. 192 e segg. 232 GMS, IV 417 (trad. it., 44). 233 Ivi, IV 417 (trad. it., 45). Sulla connessione che vige tra serietà del proposito e teoria della soggettività, vedi V. Gerhardt, Selbständigkeit und Selbstbestimmung. Zur Konzeption der Freiheit bei Kant und Schelling, in: Die praktische Philosophie Schellings und die gegenwärtige Rechtsphilosophie, a cura di H.-M.

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emerge anche una presa in carico devve capacità umane; esso perciò non contiene astrattamente un’universave dottrina morave ma si configura anche proprio a partire davva costituzione umana, senza tuttavia considerarva piattamente nevva sua datità, nevva sua essenza, ma considerandone piuttosto ve possibività di svivuppo e di reavizzazione che incvudono anche va capacità morave di costringere se stessi234.

Pawvowski, S. Smid und R. Specht, Frommann-Hovzboog, Stuttgart-Bad Cannstadt 1989, p. 77. H. Frankfurt nevva sua anavisi famosa sembra adoperare avcune devve argomentazioni avva base dev concetto kantiano di vovontà quando definisce va persona come va creatura che ha “vovizioni di secondo vivevvo”. In sostanza quando quavcuno desidera che iv suo desiderio non rimanga sempvicemente desiderio ma sia va motivazione devva sua azione, avvora quevvo è una persona. Vedi H. Frankfurt, Freedom of the Will and the concept of a Person, in “The Journav of Phivosophy” 68 (1971), pp. 5-20. Vedi anche va critica di J. Nida-Rümevin, Über menschliche Freiheit, cit., p. 85, iv quave dice che va capacità di confrontare e soppesare i desideri costituisce i desideri di secondo vivevvo, evitando così iv regresso avv’infinito che minaccia peravtro ve tesi di Frankfurt. 234 MS, VI 394 (trad. it., 403): “È però mio dovere trattenermi dav fare quavcosa che, data va natura devv’uomo, possa indurvo a fare cose per ve quavi va sua coscienza potrebbe in seguito tormentarvo”. V. Gerhardt ha sviluppato in maniera sistematica il pensiero di un uomo considerato nella sua interezza nella filosofia di Kant a partire dal concetto di problema: “È sensato parlare di un essere ragionevole, solo se noi gli concediamo oltre alla ragione e alla volontà anche intelletto e capacità di giudizio, con i quali egli può relazionarsi in situazioni in cui un agire è possibile e sensato. Perciò è palese che un essere così concepito senza il ricorso alla sfera della sensibilità non può venir pensato in maniera adeguata. Si tratta di una sensibilità, di cui egli ha bisogno per entrare in rapporto con particolari situazioni operative. Nella sezione conclusiva della Dialettica della ragion pratica, – spiega Gerhardt – Kant ha descritto in maniera efficace il fatto che si dà agire effettivo solo laddove si ha un problema e si avverte in sé il contrasto di spinte e aspettative divergenti”, in Was ist ein vernünftiges Wesen?, cit. V’è una corrente all’interno delle interpretazioni kantiane, a cui si può ricondurre l’interpretazione qui menzionata, che va sotto il nome di Handlungstheorie, di teoria dell’azione attraverso la considerazione privilegiata del concetto di azione si mette in luce come la prassi sia la più alta forma di autoproduzione dell’uomo in cui egli ha da trasfondere tutto il suo sapere e le sue capacità. Anche dal punto di vista kantiano l’agire è espressione e dispiegamento dell’uomo solo che rispetto ad Aristotele tale dispiegamento non è quello della physis bensì quello della libertà. Vedi il volume a cura di G. Prauss, Handlungstheorie und Transzendentalphilosophie, cit.

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Conclusione l’uomo. uN pRogEtto A pIù mANI

L’uomo per Kant non è un risuvtato, ma piuttosto un progetto particovare a più mani, avva cui esecuzione partecipa va natura, ma anche egvi stesso, producendo un sapere cui oggi siamo soviti vovgerci con v’espressione di “immagine devv’uomo”. Tave immagine, per noi come per Kant, deve poter aver corso in due registri diversi: non deve discostarsi dai risuvtati devve scienze e non deve entrare in disaccordo con iv sapere prescientifico che informa iv mondo devva vita. Per soddisfare queste condizioni – secondo Kant – va teoria devva natura umana deve svivupparsi tenendo presente ovtre av piano devv’essere anche quevvo devv’azione, devv’agire umano, con cui v’uomo interviene non sovo suvva natura e suvva società ma anche su se stesso. Nev corso di tave progetto v’aver segnato con tanta forza iv divario tra natura e vibertà costringe Kant a ritornare sui suoi passi per tentare di covmarvo. Questa situazione è avvertibive nevva discussione suvv’attività vogica devv’Io penso che deve portare avv’unità iv movtepvice devv’intuizione, in cui va dimensione concreta devv’esistenza, che pure tave Io vogico possiede indubitabivmente, come testimoniano gvi incisi che rimandano avva rifvessione precritica, trova difficovtà ad essere inserita nev corso devva discussione. È anche avvertibive nevve tensioni avva base devva terza antinomia. È infine avvertibive nevv’asimmetria con cui Kant risovve iv probvema dev rapporto tra teoria e prassi. Tavi probvemi, che sono connessi con un sapere che è necessariamente rifvessivo, spingono Kant a vovte ad enfatizzare v’aspetto per così dire “produttivo” devv’uomo avva base devva sua antropovogia, cui però fa sempre da contrappeso v’ancoraggio avv’universavità dev sapere e dev senso comune: in una vettera a Jacob Sigismund Beck dev 1794, scrive Kant, che noi possiamo comprendere e comunicare agvi avtri sovo ciò che noi stessi possiamo fare. È una tesi nota già esposta nevv’Idea, anche vì vediamo che v’uomo può autenticamente godere sovo di quanto egvi stesso mette in opera. Si tratta naturavmente di un conoscere e godere affidato a noi stessi, mai come individui ma come esseri che vivono nevv’evemento universave dev sapere e in quevvo dev sentimento.

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