133 93 80MB
Italian Pages 655 Year 2012
Giovanni De Luna
Marco Meriggi
IL SEGNO DELLA STORIA 2. Dalla metà del Seicento alla fne dell’Ottocento
EAN 978 8839533852
kjvb-q8s8-uw8h
Coordinamento editoriale: Chiara Sottile Revisione del testo, redazione e ricerca iconografica: Stefania Bessone Progetto grafico e copertina: Sunrise Advertising, Torino Coordinamento grafico: Cinzia Marchetti Impaginazione elettronica: Essegi, Torino Cartografia: Andrea Mensio Controllo qualità: Cinzia Marchetti Segreteria di redazione: Enza Menel
Marco Meriggi è autore dell’intero volume. Barbara Garofani e Francesco Scalambrino hanno curato la realizzazione delle sezioni Verso l’esame di Stato. Cristina Bonino ha realizzato le Mappe di fine capitolo. Si ringrazia la professoressa Paola Grandis per la consulenza didattica sul testo.
In copertina: locomotiva a vapore del
xix
secolo (elaborazione grafica).
Tutti i diritti riservati © 2012, Pearson Italia, Milano - Torino
978 88 395 33852 Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org
Stampato per conto della casa editrice presso S.I.P.E., Torino, Italia Ristampa 2 3 4 5 6 7 8
Anno 13 14 15 16 17 18
INDIcE gENErALE
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi Stati e imperi alla fine del XVII secolo
6
seZIone 1
IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Capitolo 1 VErSO uN MONDO gLObALE?
10
1.1 Il mondo conosciuto nel Seicento
10
1.2 L’Asia tra XVI e XVIII secolo
14
1.3 L’Africa nel XVII secolo
22 24
analizzare la fonte
Una passeggiata a Benin
1.4 Il mondo raccontato dagli europei analizzare la fonte
Il Celeste impero nel racconto di Matteo Ricci approfondire Quale Oriente?
26 27 28
1.5 Unità e varietà: l’Europa a confronto con il resto del mondo
29
1.6 I meccanismi e i limiti dello scambio
31
Il laboratorio dello storico La Cina nell’immaginario seicentesco
34
MAppA
36
SINTESI
37
Inclusione Esclusione Il sistema mondo. Le relazioni intercontinentali in età moderna
38
III
indiCe generale
Capitolo 2 LA FrANcIA DEL rE SOLE 2.1 Luigi XIV e la nascita dell’assolutismo
42
2.2 La riorganizzazione dello Stato e la politica economica
44 46 47
analizzare la fonte
Riflessioni di un re orientarsi tra i concetti Il governo francese al tempo di Luigi XIV
2.3 La politica religiosa
48
2.4 Gli strumenti dell’assolutismo: esercito e pressione fiscale
50
2.5 Modernità e limiti dell’assolutismo di Luigi XIV
52
intervista impossibile a Luigi XiV
54
Il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte
56
MAppA SINTESI
58 59
Capitolo 3 L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà 3.1 Il modello francese: l’assolutismo nel Nord dell’Europa orientarsi tra i concetti
Il governo prussiano nel XVIII secolo approfondire San Pietroburgo, la città del futuro
60 60 63 64
3.2 Assolutismi incompiuti, libertà vecchie e nuove
64
3.3 La seconda rivoluzione inglese Il Bill of rights analizzare la fonte Il nuovo ruolo del potere legislativo nel pensiero di John Locke
68 70 71
Il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione
72
analizzare la fonte
MAppA SINTESI
74 75
Inclusione Esclusione Il potere nell’antico regime. Diverse forme di partecipazione politica
76
Capitolo 4 cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
80
4.1 Tante guerre per un secolo approfondire
Il declino dell’Impero ottomano
4.2 I nuovi rapporti di forza in Europa approfondire
I conflitti per il dominio sul Baltico
4.3 L’Europa fuori d’Europa tra Cinquecento e Settecento orientarsi tra i concetti
Guerre e paci tra il 1648 e il 1763
4.4 La guerra: modelli a confronto approfondire
IV
42
Guerre, carestie ed epidemie
80 81 84 86 87 90 91 91
indiCe generale
4.5 Gli eserciti: da mercenari a professionisti Il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili
MAppA SINTESI
93 96 98 99
Inclusione Esclusione Armati e disarmati. Le armi come strumento di potere e di oppressione ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Il policentrismo dell’età moderna vERSOL’ESAmEDISTATO Leggere un saggio
100
104 109 116
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi Che cos’è l’Illumini smo?
120
seZIone 2
IL SEcOLO DEI LuMI Capitolo 5 LA SOcIETà DEL SETTEcENTO 5.1 L’aumento degli uomini e delle risorse orientarsi tra i concetti
Le cause dell’aumento demografico
5.2 I cambiamenti nel mondo del lavoro approfondire
Uno scandalo: la concorrenza femminile
124 124 126 127 129
5.3 Il sentimento religioso
130
5.4 Gabinetti di lettura e associazioni: verso un libero uso della ragione
132 134
analizzare la fonte
La filosofia nei caffè
Il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana
MAppA SINTESI
Inclusione Esclusione Le corporazioni di arti e mestieri. regole e solidarietà tra confratelli
135 138 139
140
V
indiCe generale
Capitolo 6 L’ILLuMINISMO 6.1 La scienza nel Settecento approfondire
I luoghi dell’Illuminismo
6.2 La fiducia nella ragione e la critica alla religione tradizionale analizzare la fonte
Ragionare con la propria testa orientarsi tra i concetti Illuminismo e religione
144 147 148 149 151
6.3 La critica sociale e le nuove teorie economiche
152
6.4 L’Illuminismo e la politica
155
6.5 I limiti dell’Illuminismo
156
Il laboratorio dello storico La critica ai poteri costituiti
MAppA SINTESI
7.1 L’Inghilterra degli Hannover approfondire
158 160 161
Capitolo 7 INghILTErrA, FrANcIA E pENISOLA IbErIcA: VEcchIE E NuOVE LIbErTà La libertà britannica
7.2 La Francia di Luigi XV analizzare la fonte
Il sogno di un futuro migliore
7.3 Le riforme nella penisola iberica Il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento
MAppA SINTESI
162 162 164 165 169 170 172 174 175
Inclusione Esclusione ceti, ordini, caste. I dislivelli di status sociale
176
Capitolo 8 IL DISpOTISMO ILLuMINATO
180
8.1 Il riformismo settecentesco analizzare la fonte
La scienza della legge contro i soprusi orientarsi tra i concetti Gli ambiti di applicazione delle riforme settecentesche
180 182 182
8.2 L’Austria: un caso esemplare di dispotismo illuminato
183
8.3 Dispotismi illuminati in Prussia, Svezia e Russia
190 192 193
approfondire
Le spartizioni della Polonia orientarsi tra i concetti Le riforme del dispotismo illuminato Il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato
MAppA SINTESI
Inclusione Esclusione L’intolleranza religiosa. Emarginati per un credo diverso VI
144
194 196 197 198
indiCe generale
Capitolo 9 L’ITALIA DEL SETTEcENTO
202
9.1 La situazione politica
202
9.2 L’Illuminismo in Italia
205 206
analizzare la fonte
Dell’inutilità della pena di morte
9.3 I conflitti dei governi con la Chiesa approfondire
Riforme e potere nello Stato e nella Chiesa orientarsi tra i concetti Cronologia dell’ordine della Compagnia di Gesù
9.4 L’assolutismo illuminato nell’Italia del secondo Settecento orientarsi tra i concetti
Le riforme nell’Italia del Settecento
208 209 210 211 213
intervista impossibile a cesare Beccaria
214
Il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte
216
MAppA SINTESI
218 219
ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI L’Illuminismo tra filosofia e politica vERSOL’ESAmEDISTATO Analizzare i documenti per scrivere un saggio
220 226 232
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi La nascita dell’Occidente moderno
238
seZIone 3
LE rIVOLuzIONI ATLANTIchE Capitolo 10 LA rIVOLuzIONE INDuSTrIALE 10.1 L’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale orientarsi tra i concetti
Le cause della rivoluzione industriale
10.2 La nascita del sistema industriale approfondire
Il miracolo europeo orientarsi tra i concetti I settori di sviluppo della rivoluzione industriale approfondire La novità della macchina a vapore
242 242 248 248 249 250 250
VII
indiCe generale
10.3 Il sistema di fabbrica e gli effetti sociali dell’industrializzazione analizzare la fonte
La divisione del lavoro
Il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale
MAppA SINTESI
254 256 257
Capitolo 11 LA rIVOLuzIONE AMErIcANA E LA NAScITA DEgLI STATI uNITI 11.1 Le tredici colonie inglesi orientarsi tra i concetti
Le colonie americane nel 1763
258 258 261
11.2 Le cause del conflitto
262
11.3 La formazione di uno Stato nuovo
264 266 267
analizzare la fonte
La Dichiarazione di indipendenza orientarsi tra i concetti I poteri nella Costituzione americana
11.4 Luci e ombre della democrazia americana approfondire
Un nemico fragile: i pellerossa
Il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano
MAppA SINTESI
Capitolo 12 LA rIVOLuzIONE FrANcESE (1789-1793) 12.1 Alle origini della Rivoluzione approfondire
Il pensiero di Sieyès: che cos’è il Terzo stato? orientarsi tra i concetti Le origini della Rivoluzione
12.2 L’inizio della Rivoluzione approfondire
I sanculotti analizzare la fonte La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino
269 270 272 274 275
276 276 278 280 281 282 283
12.3 La nascita dei club e la fuga del re
284
12.4 Dalla monarchia costituzionale alla repubblica
287 288 291
analizzare la fonte
La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina orientarsi tra i concetti Le assemblee della Rivoluzione Il laboratorio dello storico Le lamentele del Terzo stato
MAppA SINTESI
Inclusione Esclusione La democrazia. Il coinvolgimento attivo nella cittadinanza
VIII
251 252
292 294 295
296
indiCe generale
Capitolo 13 LA rIVOLuzIONE FrANcESE (1793-1799)
300
13.1 Le difficoltà della repubblica: la guerra, l’inflazione e la reazione della Vandea
300
13.2 La svolta autoritaria del 1793
303
13.3 Dal Terrore al Consolato
305 306 308 309
approfondire
Le Costituzioni della Rivoluzione analizzare la fonte Il Manifesto degli Eguali approfondire La campagna d’Egitto
intervista impossibile a Maximilien robespierre
310
Il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari
312
MAppA SINTESI
314 315
Inclusione Esclusione La cittadinanza asimmetrica. La nuova emarginazione delle donne ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI rivoluzioni economiche e rivoluzioni politiche vERSOL’ESAmEDISTATO Leggere e scrivere un articolo di giornale
316
320 326 332
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi Oltre la rivoluzione: continuità, mutamento, reazione
338
seZIone 4
L’ETà NApOLEONIcA E LA rESTAurAzIONE Capitolo 14 LA pArAbOLA DI NApOLEONE 14.1 La fine della Repubblica francese e la nascita dell’Impero orientarsi tra i concetti
L’ascesa di Napoleone
14.2 Lo Stato napoleonico analizzare la fonte
Un proclama di Napoleone
342 342 344 345 346
IX
indiCe generale
14.3 La società napoleonica approfondire Vecchi e nuovi tiranni secondo Tocqueville
14.4 La politica espansionistica orientarsi tra i concetti
L’avventura napoleonica
350 355
intervista impossibile a Napoleone Bonaparte
356
Il laboratorio dello storico La forza dell’ambizione: combattere per l’Impero
358
MAppA SINTESI
360 361
Capitolo 15 L’ITALIA DI NApOLEONE 15.1 L’Italia delle “repubbliche sorelle” approfondire
Il fallimento delle repubbliche: l’interpretazione di Vincenzo Cuoco
362 362 367
15.2 L’Italia dei regni napoleonici
368
15.3 Lo Stato e la società italiani durante l’età napoleonica
371 372
analizzare la fonte
Il diritto di famiglia nel Codice Napoleone
Il laboratorio dello storico La rivoluzione passiva e la delusione dei patrioti
MAppA SINTESI
377 379 380
Capitolo 16 L’EurOpA DALLA rESTAurAzIONE AL QuArANTOTTO
381
16.1 L’Europa della Restaurazione
381
16.2 I moti degli anni Venti e Trenta
385
16.3 Il Quarantotto
389 391 395
analizzare la fonte
Contro la repubblica borghese orientarsi tra i concetti Il Quarantotto in Francia, Austria e nell’area tedesca
16.4 Il liberalismo e le sue complessità analizzare la fonte
Libertà e liberalismo secondo John Stuart Mill
Il laboratorio dello storico I nuovi strumenti di libertà: libri, riviste, giornali
MAppA SINTESI
X
348 348
396 397 398 400 401
Inclusione Esclusione Il corpo elettorale. La politica come partecipazione
402
ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Dopo la rivoluzione vERSOL’ESAmEDISTATO Scrivere un tema di argomento storico
406 410 416
indiCe generale
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi L’Italia nel mondo delle nazioni
420
seZIone 5
IL rISOrgIMENTO E L’uNITà D’ITALIA Capitolo 17 IL rISOrgIMENTO ITALIANO (1815-1849) 17.1 L’Italia della Restaurazione e dei moti carbonari approfondire
Ciro Menotti e il piano di Misley
17.2 Le correnti politiche in Italia tra il 1830 e il 1848 approfondire
Giuseppe Mazzini orientarsi tra i concetti Il dibattito risorgimentale analizzare la fonte Il papa, garante della nazione italiana
17.3 Il Quarantotto italiano: il sogno della nazione analizzare la fonte
Lo Statuto albertino approfondire Le Costituzioni italiane del Quarantotto Il laboratorio dello storico L’Italia afflitta
MAppA SINTESI
424 430 431 432 433 434 435 437 439 440 442 443
Capitolo 18 L’ITALIA uNITA 18.1 Verso l’unificazione approfondire
424
Le città d’Italia prima dell’unità
18.2 La prima fase dell’unificazione italiana analizzare la fonte
Per un’Italia libera e rispettata
18.3 Il completamento dell’unificazione
444 444 446 448 449
Il processo di unificazione approfondire Un eroe italiano: Giuseppe Garibaldi orientarsi tra i concetti L’unificazione italiana (1848-1870)
451 451 453 457
intervista impossibile a giuseppe garibaldi
458
Il laboratorio dello storico La pittura del Risorgimento
460
orientarsi tra i concetti
MAppA SINTESI
462 463
XI
indiCe generale
Inclusione Esclusione risorgimento e classi subalterne. L’unificazione che non unisce ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI rileggere il risorgimento vERSOL’ESAmEDISTATO Laboratorio di scrittura storica
464
468 471 478
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi La nascita del mondo contemporaneo
482
seZIone 6
IL MONDO NELL’OTTOcENTO Capitolo 19 LA NAScITA DI NuOVE NAzIONI IN AMErIcA E IN EurOpA 19.1 Il sogno di una nazione
486
19.2 La liberazione dal dominio coloniale nell’America centrale e meridionale
487
19.3 Le difficoltà delle nuove nazioni e il ruolo degli Stati Uniti
492 493 494
approfondire
La “dottrina Monroe” orientarsi tra i concetti Il nazionalismo centro e sud-americano
19.4 Le lotte per l’indipendenza nell’Europa dell’Ottocento orientarsi tra i concetti
Il nazionalismo europeo
19.5 Nazionalismo, romanticismo e modernizzazione Il laboratorio dello storico La Grecia, simbolo del nazionalismo ottocentesco
MAppA SINTESI
XII
486
494 495 498 501 503 504
indiCe generale
Capitolo 20 IL TrIONFO DELLA bOrghESIA 20.1 Il ruolo della borghesia nel nuovo mercato mondiale analizzare la fonte
La storia della borghesia
20.2 Lo sviluppo industriale orientarsi tra i concetti
505 505 507 509
’industrializzazione nel mondo occidentale L alla fine del XIX secolo
510
20.3 La classe operaia e la nascita del socialismo
514
20.4 I retaggi del passato
517
intervista impossibile a Karl Marx
520
Il laboratorio dello storico La nascita della città moderna
522
MAppA SINTESI
524 525
Capitolo 21 IL DOMINIO DELL’OccIDENTE 21.1 Dal rispetto alla sopraffazione: la nuova identità degli europei approfondire
Sinofobi e sinofili orientarsi tra i concetti L’orientalismo analizzare la fonte Razionalismo ed economia
526 526 527 528 529
21.2 Il colonialismo ottocentesco
530
21.3 Gli imperi asiatici nel XIX secolo
534 534
approfondire
Le guerre dell’oppio
21.4 Gli Stati Uniti nell’Ottocento
approfondire
Il mito della frontiera e le guerre indiane orientarsi tra i concetti Gli Stati Uniti nel XIX secolo Il laboratorio dello storico Rappresentazioni e stereotipi del colonialismo
MAppA SINTESI
Inclusione Esclusione L’imperialismo ottocentesco. Il tentativo di cancellare il mondo non occidentale ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Il nazionalismo nell’Ottocento vERSOL’ESAmEDISTATO prova d’esame
538 539 543 544 546 547
548
552 557 563
XIII
indiCe generale
nell’arena della storIa
a tu per tu con Marco Meriggi Il declino delle società elitarie
566
seZIone 7
ALLA FINE DEL SEcOLO Capitolo 22 LA pOLITIcA EurOpEA TrA IL 1850 E IL 1875 22.1 L’età del liberalismo classico
570
22.2 L’unificazione nazionale tedesca
572 573
approfondire
Il conflitto costituzionale in Prussia (1861-1866)
22.3 La Francia da Napoleone III alla terza Repubblica analizzare la fonte
La Comune, un modello di società socialista orientarsi tra i concetti La Francia dal secondo Impero alla terza Repubblica
575 578 579
22.4 Austria-Ungheria e Russia: le difficoltà del liberalismo
580
22.5 L’Italia dopo l’unificazione
582 585
approfondire
Il conflitto tra il “nuovo” Stato italiano e lo Stato pontificio
intervista impossibile a otto von Bismarck
586
Il laboratorio dello storico Il brigantaggio: una guerra civile
588
MAppA SINTESI
590 591
Capitolo 23 VErSO IL NOVEcENTO
592
23.1 Dal liberalismo alla democrazia
592
23.2 Le trasformazioni dell’economia: la seconda rivoluzione industriale
595
23.3 Le trasformazioni sociali: verso una società di massa
597 599 601
approfondire approfondire
Dai partiti dei notabili ai partiti di massa La “grande trasformazione”: l’analisi di Karl Polanyi
23.4 La politica in Europa tra il 1870 e il 1900 analizzare la fonte
XIV
570
“J’accuse” di Émile Zola
603 606
indiCe generale
23.5 L’Italia di fine secolo Il laboratorio dello storico L’allargamento del suffragio
MAppA SINTESI
Inclusione Esclusione Il sogno della democrazia. L’ingresso delle masse nella vita pubblica
607 610 612 613
614
ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI La grande trasformazione vERSOL’ESAmEDISTATO prova d’esame
618
Indice dei nomi Indice dei box lessico Indice delle carte
631
621 627
638 640
XV
introduzione alla storia moderna Dalla storia per il principe alla storia per i cittadini ogni generazione ripensa e riscrive la storia – il proprio passato – in ragione delle domande che il suo presente le impone. Questo significa anche che la storiografia non è una scienza neutra, dal momento che in ogni presente coesistono molti punti di vista diversi. tuttavia, a tutelare chi legge dalle possibili distorsioni provocate dalla soggettività di chi scrive c’è, se non altro, un insieme di regole dell’“arte” che ogni storico, qualunque sia la sua impostazione ideologica, è tenuto a mettere a profitto, se vuole risultare credibile. all’incirca un secolo e mezzo fa, quando la storia come materia di insegnamento fu per la prima volta sistematicamente inserita nei corsi universitari, il grande storico tedesco Leopold von Ranke affermò con fierezza che la vera ricerca storica era quella che si basava sull’analisi filologicamente sorvegliata dei documenti che le istituzioni pubbliche producevano e conservavano nei propri archivi; c’è da notare che quando ranke scriveva, solo da poco tempo quelle fonti documentarie erano divenute concretamente accessibili agli operatori del mestiere; prima, infatti, era previsto che i governi le tenessero accuratamente celate, alla stregua di segreti riservati a chi deteneva il potere. la nascita della moderna scienza storiografica, dunque, coincide con la liberalizzazione della vita pubblica che ha contraddistinto la civiltà europea ottocentesca. essa si è caratterizzata, a suo modo, come un esercizio di libertà: la libertà di conoscere «ciò che è esattamente accaduto», diceva ranke. in precedenza, a scrivere di storia erano soprattutto penne prezzolate dai regnanti; autori di apologie, più che appassionati investigatori della “verità”. l’apertura al pubblico degli archivi spalancava invece, improvvisamente, la porta alla ricerca libera e indipendente. il tempo dell’obbedienza e dell’acquiescenza alla volontà dei potenti pareva finito, tanto nella politica 2
quanto nell’esercizio di una professione la cui naturale committenza era ora costituita dalla domanda di verità e di informazione che proveniva dalla comunità dei cittadini.
La storia “moderna” il passaggio da una società contraddistinta dal segreto e dall’arbitrarietà del potere a una aperta alla partecipazione critica dei cittadini all’esercizio dello stesso rappresenta uno dei fili rossi del discorso sviluppato in questo volume, nel quale viene offerto un profilo che spazia fondamentalmente dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento. Fino a qualche tempo fa l’ambito convenzionalmente attribuito alla storia moderna era quello racchiuso tra la scoperta dell’america (1492) e la fine dell’età napoleonica (1815). ora è invece invalsa una nuova periodizzazione, che è quella qui adottata e che riflette, almeno per alcuni aspetti, le acquisizioni della ricerca scientifica, che oggi sottolinea più di quanto non facesse in passato le continuità tra il medioevo e secoli come il Cinquecento
e il seicento, individuando invece sempre più in prossimità del settecento il momento di ingresso dell’Europa in un’epoca nuova e dunque “moderna”. in questo volume non si parla però solo di europa, si cerca invece di raccontare una storia che, in mancanza di definizioni più soddisfacenti, possiamo definire come storia globale. si tratta, però, naturalmente, di capire bene che cosa si vuole intendere evocando questo scenario.
Una storia “globale” Considerata da una prospettiva tradizionale, la vicenda storica prima europea e poi occidentale sembra dipanarsi in un disegno coerente e consequenziale, per culminare in fenomeni come la liberalizzazione e la secolarizzazione, caratteristici dell’ottocento. se si assume, come spesso è stato fatto dalla storiografia tradizionale, che la “superiorità” occidentale nei confronti del resto del mondo sia un dato, per così dire, “genetico”, il frutto obbligato di qualcosa che un poco sbrigativamente viene definito
come l’“identità” europea, si corre il rischio di comporre un quadro del passato sostanzialmente anacronistico. Per molto tempo, infatti, gli abitanti di quel piccolissimo continente che è l’Europa non furono e non si percepirono affatto come il centro del mondo. indubbiamente la scoperta dell’america e le esplorazioni oceaniche avevano proiettato gli europei al di là dei loro confini e li avevano posti nelle condizioni di organizzare una vasta rete di commerci transoceanici, ma, accanto a quello che immanuel Wallerstein ha definito il «sistema-mondo» dell’economia europea, nell’età moderna ve ne furono altri, anch’essi assai complessi e articolati, come quelli della Cina e dell’India. Quando gli europei osservavano le culture e le civiltà di quelle parti del mondo, a coglierli era spesso un sentimento di smarrimento e di ammirazione, piuttosto che una presunzione di superiorità. ancora: se l’asia orientale dei grandi imperi era lontana, a impedire che le potenze del vecchio continente nutrissero eccessive illusioni sulla propria supremazia mondiale c’era un’Asia più prossima, incarnata da un nemico “intimo” e ben conosciuto, l’Impero ottomano, i cui eserciti ancora a fine seicento furono in grado di presentarsi minacciosi alle porte di Vienna. Certo, si potrebbe obiettare, l’europa era più avanti sotto il profilo dello sviluppo di alcuni valori che siamo soliti collegare strettamente alla modernità; per esempio l’attitudine alla tolleranza, apparentemente il presupposto della democrazia pluralistica. in realtà, durante l’età moderna l’occidente cristiano non godette di alcun primato in proposito, al contrario: fino almeno all’età dell’illuminismo l’Europa fu il più intollerante dei continenti. negli stati dell’europa occidentale, infatti, da un lato non erano ammessi culti diversi da quelli cristiani, con la sola eccezione dello spazio marginale e segregato accordato alle comunità ebraiche, rinchiuse nei ghetti; dall’altro vigevano condizioni di intolleranza, a tratti ancora feroce, tra i cristiani stessi, anche se, 3
indubbiamente, dalla metà del seicento in avanti le ragioni della politica secolare ebbero sotto questo profilo maggior fortuna che in passato nell’imporsi sulle animosità di natura religiosa. Bastava invece varcare i confini dell’Impero ottomano per trovare un’atmosfera del tutto diversa. anche i califfi e le classi dirigenti islamiche erano attirati dalla politica di conquista territoriale e, anzi, la fede del Profeta prescriveva esplicitamente di assoggettare a regnanti musulmani i paesi le cui popolazioni praticassero una religione diversa dall’islam; ma una volta conquistato un territorio, la sublime Porta di istanbul non aveva alcuna pretesa di islamizzarlo a forza, a differenza di quello che era il costume delle monarchie cattoliche. l’impero ottomano era programmaticamente multireligioso e al suo interno convivevano gli aderenti a ognuna delle “fedi del libro” (l’islam, l’ebraismo, il cristianesimo). in un altro dei grandi imperi governati da una dinastia musulmana, quello indiano del Gran Moghul, poteva addirittura accadere che un imperatore particolarmente illuminato come Akbar organizzasse presso la sua corte incontri permanenti tra rappresentanti qualificati delle numerose religioni presenti nel suo regno, allo scopo di potenziare uno spirito di dialogo e di confronto. ancora, volgendo lo sguardo alla Cina si nota che qui era semplicemente inconcepibile pensare di governare un impero tanto composito facendo leva su principi di integralismo religioso, del resto di per sé concettualmente estranei alla tradizione religioso-filosofica di matrice buddista e confuciana. in breve, e calcando un po’ le tinte: se non si può dire che durante l’età moderna al di fuori dell’europa si fosse più liberi sotto il profilo politico, certamente si può invece affermare che appena lasciato il più piccolo dei continenti ci si imbatteva in situazioni contraddistinte da un accentuato pluralismo religioso ufficialmente tutelato dai poteri secolari. Veniamo ora, brevemente, al tema della scienza, un altro degli abituali “fiori all’occhiello” del supposto senso di superiorità europeo. È vero che, a partire dal Cinquecento, la sua pianta si sviluppò con vigore incomparabile – malgrado le limitazioni imposte alla libertà di ricerca dei poteri religiosi e in parte anche da quelli secolari, che spesso fungevano da braccio armato dei primi – soprattutto 4
in europa. ma è anche vero che fino a quel momento, tanto in campo propriamente scientifico quanto sotto il profilo delle applicazioni tecnologiche, il primato l’avevano avuto altre civiltà.
Il miracolo europeo l’età moderna fu certamente testimone dell’avvio di quel rimescolamento di carte su scala mondiale che lo storico eric l. Jones ha definito «il miracolo europeo», in base al quale tra il settecento e l’ottocento l’europa fu capace di mutare profondamente le proprie ideologie e le proprie strutture politiche, economiche e sociali, mentre le altre civiltà del mondo si muovevano a passo decisamente più lento. tuttavia, se si parla di “miracolo” è proprio perché le condizioni di partenza, tanto sotto il profilo del tasso di libertà offerto dalle istituzioni politiche quanto sotto quello dell’avanzamento della speculazione scientifica e dello sviluppo economico, non erano certo le migliori. Fino all’ottocento il mondo rimase di fatto decisamente policentrico. Questo volume non si sottrae alla tendenza a privilegiare, nella trattazione dei vari temi, un punto di osservazione soprattutto europeo, perché è quello con cui i suoi lettori e le sue lettrici hanno maggiore confidenza, ma il richiamo alla consa-
introduzione alla storia moderna
pevolezza della natura policentrica del mondo prima dell’età contemporanea vi risuonerà costante, e lo sguardo si soffermerà spesso sui fenomeni di intreccio e di contaminazione tra le varie culture e civiltà. a partire da questo impianto di tipo globalizzante, la lente di ingrandimento si poserà poi su un continente, l’europa, e su un paese in particolare, l’italia.
Le urgenze del presente e le storie “sorelle” abbiamo cercato di costruire un ritratto dell’età moderna tenendo conto delle urgenze geopolitiche che il mondo globalizzato, con le sue società multiculturali, oggi propone, ma non è solo una questione di mutati orizzonti spaziali quella che induce a ripensare, riscrivere, aggiornare. Per noi, alla storia soprattutto politica, diplomatica, militare, è divenuto da tempo abituale affiancarne altre, anche quando il discorso indugia sulla “vecchia” europa: la storia sociale, per esempio, che ha l’ambizione di narrare le sofferenze e le aspirazioni della gente comune, che un tempo non era soggetto di storia, e che viene invece oggi studiata, facendo uso di fonti documentarie congruenti all’obiettivo, allo scopo di scrivere una storia «più vasta e più uma-
na», come l’ha definita il grande studioso francese marc Bloch. Ciò che si è detto a proposito della storia sociale può essere proficuamente esteso a molti altri casi. ricorderemo almeno quelli della storia dei rapporti di genere (cioè l’interrelazione storica della sfera maschile e di quella femminile) e della storia dell’ambiente (ecostoria). si tratta di due modi di guardare alla vicenda storica che sono stati fortemente sollecitati dalle urgenze di un presente in trasformazione. l’emancipazione femminile, da un lato, è un fenomeno recente e realizzato in modo incompleto, comunque assai diseguale nelle varie parti del mondo; la percezione dell’importanza di un rapporto intelligente e lungimirante con la natura, d’altro canto, si è radicata nella coscienza comune anch’essa relativamente da poco, tra i mille ostacoli sollevati da alcuni interessi materiali che spingono in tutt’altra direzione all’interno della società globale, una società la cui sopravvivenza è oggi minacciata dalle modalità di sviluppo del sistema industriale planetario e dalle logiche che lo governano. si tratta di tematiche delle quali fino a una o a due generazioni fa sarebbe stato improbabile vedere descritti gli antefatti all’interno di un manuale di storia. oggi tacerne significherebbe raccontare una storia non solo incompleta, ma anche sfocata, fuorviante, ingannevole.
A che cosa “serve” la storia moderna? alla luce di quanto abbiamo suggerito, se dovessimo dare una breve risposta alla domanda: «a che cosa serve la storia moderna?», potremmo dire che oggi essa serve ad acquisire, oltre che conoscenze compiute, soprattutto una certa attitudine mentale: la capacità di andare al di là delle reazioni più banali e semplicistiche (e proprio per questo più pericolose) nel momento in cui si viene assediati dai tanti problemi del presente; l’attitudine a calarsi nelle ragioni dell’ “altro” e a sviluppare quella flessibilità mentale che è il presupposto della tolleranza e del pluralismo. Questo non significa rinunciare alle proprie ragioni, ma piuttosto mettersi in condizione di dialogare proficuamente con quelle degli altri. 5
SeZioNe 1
IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO a tu per tu con
Marco Meriggi
Nell’areNa della Storia
Stati e imperi alla fiNe del XVii Secolo Professore, questa è la prima intervista di quest’anno. Cerchiamo di riordinare un po’ le idee e di ricapitolare. L’anno passato abbiamo lasciato l’Europa, alla metà del Seicento, decisamente in condizioni precarie, dopo la Guerra dei trent’anni e dopo l’ondata di rivolte che negli anni Quaranta fece traballare le monarchie di Spagna, di Francia e d’Inghilterra. Nella seconda metà del secolo permane una situazione conflittuale? no. anzi, si può affermare che il conflitto permanente che era stato caratteristico della prima metà del secolo e che aveva fatto parlare di crisi, venga “disinnescato” quasi dappertutto. certo, con strumenti e con soluzioni molto diverse, al punto che forse è proprio questa l’epoca nella quale i vari paesi europei cominciano a differenziarsi in modo profondo l’uno rispetto all’altro. Dalla fine del Seicento in avanti l’europa ha due punti di riferimento nettamente antitetici: uno è la francia assolutista di luigi XiV, l’altro l’inghilterra costituzionale degli orange. prima di quell’epoca, invece, tra i due paesi c’erano più analogie che differenze.
Dalla fine Del Seicento l’europa ha Due punti Di riferimento nettamente antitetici: uno è la francia aSSolutiSta, l’altro l’inghilterra coStituzionale 6
In che cosa consistono ora, in particolare, queste differenze? E in relazione a quali vicende prende forma la contrapposizione alla quale ha accennato? ancora negli anni Quaranta del Seicento le due monarchie erano scosse entrambe da ribellioni che riproponevano un tema di fondo presente già nell’europa del medioevo e della prima età moderna: il conflitto tra la corona e i gruppi privilegiati (nobili, ecclesiastici, cittadini), decisi a frenare il potere dello
QualcoSa Di Simile all’entità che ci Siamo abituati a Definire “nazione” eSiSte, nel Seicento, Solo in europa. i granDi imperi rappreSentano inVece la norma fuori Dall’europa
Stato e le sue pretese di supremazia; ma l’esito del conflitto, nella seconda parte del secolo, si presenta opposto. in francia, infatti, il prolungato braccio di ferro si chiude con la vittoria del re. luigi XiV, una volta rinsaldata la propria posizione, nel corso del suo lungo regno costruisce man mano una forma di Stato che è in grado di comprimere efficacemente i poteri locali e di indebolire l’influenza dell’aristocrazia e del clero. il comando si concentra sempre più nelle mani della corona. in inghilterra, viceversa, malgrado la restaurazione monarchica seguita alla fine della repubblica, il parlamento continua a mantenere una posizione nevralgica e, quando la dinastia regnante sembra minacciare un tentativo di ritorno al passato, i parlamentari non esitano ad allontanarla dal paese e a rinforzare ulteriormente le proprie prerogative. così, alla fine del Seicento, se in francia il potere del re viene definito come assoluto, al di là della manica a dettare le leggi è ormai il parlamento; un parlamento formato non solo da aristocratici ed ecclesiastici, ma anche da esponenti della borghesia di londra e delle province, eletti da una parte, per quanto ristretta, della popolazione. in francia si è sempre più sudditi. in inghilterra sempre più cittadini.
E nel resto d’Europa, nel frattempo, che cosa succede? Per esempio, che cosa accade nel regno spagnolo, che nei secoli precedenti aveva assunto un ruolo così significativo? in Spagna non si sviluppa né un vero assolutismo, come quello francese, né un parlamentarismo moderno, come quello inglese. la situazione, tanto nella penisola iberica quanto nei molti domini che la corona di Spagna conserva in europa e oltremare, si presenta dunque in stallo. continua, insomma, il modo tradizionale di governo, basato su un bilanciamento tra il potere dello Stato e quello dei ceti, che rappresentano i vari territori. Questo immobilismo indubbiamente non giova alla prosperità del paese, che perde progressivamente lo status di principale potenza coloniale del continente, di cui aveva fruito dalla fine del Quattrocen-
to all’inizio del Seicento. certo, l’impero coloniale spagnolo non crolla, e rimane – quanto a superficie – il più vasto tra quelli europei; però, a trarre i maggiori profitti dai rispettivi possedimenti coloniali sparsi tra america e asia sono ora le potenze emergenti su scala mondiale: l’inghilterra e la francia sono i paesi incamminati verso il futuro, mentre in Spagna va in scena una stanca replica del passato.
Abbiamo toccato il tema delle colonie, proiettandoci in questo modo fuori dall’Europa. Quali nazioni, oltre a quelle europee, svolgono una funzione importante in quest’epoca? nazioni? Dobbiamo piuttosto dire “imperi”, ovvero complesse costruzioni politiche che combinano al proprio interno elementi etnici, territoriali, religiosi, linguistici eterogenei, accordando a ciascun elemento un notevole margine di autonomia rispetto all’autorità del centro, che si esercita dalla capitale. Qualcosa di simile all’entità che ci siamo abituati a definire “nazione” esiste, nel Seicento, solo in europa, e anche qui non dappertutto (pensiamo, per esempio, all’impero degli asburgo di Vienna, che è policentrico, multietnico, multilinguistico). i grandi imperi – quello ottomano, quello persiano safavide, quello indiano del gran moghul, quello cinese dei Q’ing, quello giapponese dei tokugawa – rappresentano invece la norma fuori dall’europa, seppure anche all’interno di essi si comincino a intravedere tendenze alla concentrazione del potere vagamente paragonabili a quelle in atto nella francia di luigi XiV.
Quale rapporto hanno gli Stati europei dell’epoca con questi grandi imperi asiatici? essi sono in contatto soprattutto con l’impero ottomano, con il quale condividono il mediterraneo. nell’asia centrale gli europei più che altro transitano, e in quella orientale, pur disponendo di alcune postazioni significative a fini commerciali, le potenze europee non sono che alcune delle componenti di una galassia illuminata soprattutto dalla luce dei grandi imperi locali e delle loro variegate culture. 7
SeZioNe 1
IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Capitolo 1 Verso un mondo globale?
p. 10
Verso le Competenze
p. 39
• il laboratorio dello storico La cina nell’immaginario seicentesco p. 34
inclusione/esclusione
Il sistema mondo
Capitolo 2 La Francia del re Sole
p. 42
Intervista impossibile a Luigi XIV
p. 54
• il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte p. 56 • il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione p. 72
Capitolo 3 L’Europa tra assolutismo e libertà p. 60 inclusione/esclusione
Il potere nell’antico regime
• il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili p. 96
p. 77
Capitolo 4 Cento anni di guerra (1652-1763) p. 80
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
inclusione/esclusione Armati e disarmati
EsErcizi
p. 104
1660
storia mondiale
1670
8
1680
1690
1661 - Luigi XIV assume la piena sovranità sul Regno di Francia
1689 - Pietro I il Grande zar di Russia
1675 - Muore Carlo Emanuele II di Savoia, gli subentra Vittorio Amedeo II
1662 - A Londra viene fondata la Royal Society
1700
1688 - Gloriosa rivoluzione inglese
1667-1668 - Guerra di devoluzione: Francia contro Paesi Bassi
storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 101
p. 109 p. 116
1685 - La Repubblica di Venezia sia allea con Austria e Polonia contro i Turchi
1675 - In Inghilterra viene costruito l’osservatorio di Greenwich 1669 - Inizia la costruzione della reggia di Versailles
1701-1714 Guerra di successione spagnola
1682 - Isaac Newton enuncia la legge della gravitazione universale
1694 - L’Accademia di Francia pubblica il primo dizionario della lingua francese 1703 - Pietro I il Grande fonda San Pietroburgo
obIettIVI dI apprendImento conoscenze • Le principali realtà politiche dell’Asia e dell’Africa nel Seicento • Le trasformazioni politiche e istituzionali degli Stati europei e in particolare l’affermazione dell’assolutismo in Francia e del costituzionalismo in Inghilterra • I conflitti tra gli Stati europei per il dominio nel continente e nel mondo e il nuovo carattere della guerra abilità • comprendere le interconnessioni tra le diverse parti del mondo conosciuto in età moderna • Saper stabilire relazioni causa-effetto tra eventi storici e trasformazioni istituzionali • Saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni storici GlI eVentI e I lUoGHI Nell’America settentrionale l’Inghilterra conquista nuove terre e inizia la costruzione del proprio impero coloniale
L’Europa è divisa in una moltitudine di domini territoriali nelle mani di grandi dinastie. La Francia di Luigi XIV si afferma come primo regno assolutista, mentre l’Inghilterra si avvia al costituzionalismo
In Medio Oriente, al declino dell’Impero ottomano, corrisponde l’ascesa dell’Impero safavide
In Giappone l’impero Tokugawa unifica parte del territorio
In Africa, accanto ad alcuni Stati territoriali, permane una divisione tribale. Il territorio è battuto dagli europei in cerca di schiavi Nell’America del Sud inizia la fase di declino delle potenze iberiche
1710
In India si afferma il dominio dei Moghul
1720
1730
In Cina la dinastia dei Ming prende il potere
1740
1713 - Federico Guglielmo I re di Prussia 1733-1738 - Guerra di successione polacca
1714 - Gli Hannover sul trono di Inghilterra
1740 - Maria Teresa imperatrice d’Austria
1715 - Sul trono di Francia a Luigi XIV succede Luigi XV
1720 - Il Ducato di Milano e i Regni di Napoli e di Sicilia passano agli Asburgo di Vienna
1712 - Newcomen inaugura la prima macchina a vapore
1750
1760 1756-1763 - Guerra dei sette anni
1748 - Pace di Aquisgrana (fine della Guerra di successione austriaca)
1735 - Con la pace di Aquisgrana Napoli e Sicilia passano sotto il controllo dei Borbone di Spagna 1737 - Fine della dinastia dei Medici. La Toscana sotto Francesco I di Lorena
1725 - Giovan Battista Vico pubblica La scienza nuova
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Capitolo 1
Verso un mondo globale?
1.1 Il mondo conosciuto nel Seicento Quattro continenti collegati
LESSICO Australia Il nome deriva dalla frase latina terra australis incognita con cui nelle mappe della prima età moderna si indicava un continente sconosciuto. Fu l’olandese Willem Janszoon, nel 1606, ad avvistare per primo parte della costa australiana, ma la terra rimase a lungo inesplorata.
Pieter Paul Rubens, I quattro continenti, 1614 circa (Vienna, Kunsthistorisches Museum). In questo dipinto allegorico il pittore fiammingo Rubens raffigura i continenti conosciuti nel Seicento
Le quattro ragazze, che rappresentano i continenti, sono abbracciate da uomini che personificano i fiumi più importanti L’Europa è tra le braccia del fiume Danubio La nera Africa è tra le braccia del fertile Nilo (si noti la corona di spighe); alle loro spalle compare un coccodrillo
L’America compare sullo sfondo di una natura lussureggiante accanto al Rio delle Amazzoni L’Asia si accompagna con il nerboruto Gange e una tigre che allatta i suoi piccoli
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Fin dall’antichità gli europei erano entrati in contatto con il mondo asiatico e africano, anche se di fatto ne avevano conosciuto quasi esclusivamente le regioni costiere. l’America, invece, era diventata meta di esplorazioni da parte degli europei a partire dalla fine del Quattrocento. essi si erano diretti dapprima verso l’america centrale e meridionale; in seguito, e con notevole intensificazione durante la parte iniziale del seicento, si spinsero anche nell’america del nord. alla metà del Seicento, quindi, molte delle terre emerse sulla superficie del globo terrestre risultavano variamente collegate l’una all’altra da una pluralità di intrecci e di flussi di natura politica o commerciale. Rimaneva isolata dal resto del mondo conosciuto soltanto l’Oceania, dove i primi esploratori olandesi erano giunti nel XVII secolo (nel 1606 in Australia, nel 1642 in Nuova Zelanda), senza però che alla scoperta facesse seguito alcun tentativo di promuovere contatti stabili (soltanto nel 1770 James Cook prenderà possesso della costa orientale dell’australia per conto dell’Inghilterra, che la trasformerà inizialmente in una colonia penale).
Il mondo conosciuto dagli europei a metà del Seicento
IMPERO RUSSO EUROPA
ASIA IMPERO OTTOMANO IMPERO IMPERO PERSIANO CINESE SAFAVIDE IMPERO DEI MOGHUL AFRICA
AMERICA Colonie francesi DEL NORD e inglesi Domini spagnoli
REGNI AFRICANI
oceano Pacifico Domini spagnoli
Domini portoghesi
AMERICA DEL SUD
Mondo conosciuto
Basi mercantili europee
Domini spagnoli
Domini olandesi
Domini Domini portoghesi portoghesi
oceano Atlantico
IMPERO GIAPPONESE oceano Pacifico
oceano Indiano
AUSTRALIA
Domini spagnoli
Terre da esplorare Principali direttrici dell’espansione europea
I diversi modi della presenza europea
osservando una carta geopolitica dell’epoca (v. p. 12) ci si può rendere conto della distribuzione su più continenti dei possedimenti di molti Stati europei. la natura degli insediamenti variava, però, sensibilmente a seconda dei luoghi. nell’America centrale e meridionale si trattava di un vero e proprio dominio politico-territoriale, disteso dall’atlantico al Pacifico. nell’America del Nord, viceversa, i coloni europei occupavano solo alcune strisce di territorio, sparse a macchia di leopardo lungo la costa atlantica. In Asia, in larghissima parte dominata da poteri autoctoni, i coloni se ne stavano isolati in alcuni insediamenti costieri: erano frammenti d’europa appena poco più significativi, sotto il profilo della loro estensione, delle rade fortificazioni d’appoggio di cui soprattutto i portoghesi (ma in seguito anche inglesi, francesi, olandesi) si servivano, lungo tutta la costa africana, per gestire un commercio che consisteva essenzialmente in avorio e in schiavi, destinati alle grandi piantagioni americane di zucchero, di cotone e successivamente anche di caffè. sotto l’effettivo dominio spagnolo si trovavano invece le Filippine, così come l’isola di Ceylon e parte dell’Indonesia e degli arcipelaghi sud-orientali erano assoggettati al dominio olandese. di un vero e prorpio impero, dunque, si poteva allora parlare essenzialmente a proposito dei domini americani della spagna e del Portogallo e di quelli olandesi nell’asia del sud. I restanti insediamenti europei fuori dal continente erano assai più circoscritti. 11
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
La tipica struttura di una piantagione europea in America settentrionale, con la casa padronale sulla cima della collina, in posizione dominante, le baracche per gli schiavi, la chiesa accanto ai magazzini delle merci e le navi pronte per il trasporto
La mobilità attraverso i continenti: una peculiarità europea
nei movimenti transcontinentali oltre agli europei erano coinvolti anche gli africani trasmigrati in America. Tuttavia mentre i primi, il cui numero all’inizio del seicento non superava il milione di unità, si erano recati altrove per lo più di loro volontà, i secondi, che tra il Cinquecento e l’inizio dell’ottocento raggiunsero i dieci milioni, furono strappati a viva forza dal continente in cui erano nati. a differenza di quella europea, non vi fu quindi un’emigrazione africana spontanea. anzi, per certi versi, il flusso di africani verso l’america può essere considerato come un effetto secondario dell’emigrazione transcontinentale europea. Dall’Asia, invece, fondamentalmente non partiva alcun movimento migratorio. I domini europei a metà del Seicento RUSSIA GRAN BRETAGNA
CANADA
OLANDA
FRANCIA LOUISIANA PENNSYLVANIA PORTOGALLO SPAGNA CONNECTICUT VIRGINIA CALIFORNIA oceano Atlantico MESSICO
ARABIA Bombay Goa Mangalore
GUIANA
GIAPPONE
CINA
PERSIA
Chandernagor Macao Calcutta Madras Pondichéry Ceylon
oceano Pacifico FILIPPINE
BORNEO MOLUCCHE
oceano Pacifico
L’America spagnola era divisa in due vicereami: la Nuova Spagna in America centrale (con sede a Città del Messico); la Nuova Castiglia in Perú e Cile (con sede a Lima)
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PERÚ BRASILE
NUOVA GUINEA ISOLE DELLA SONDA
oceano Indiano CILE
Possedimenti spagnoli
I domini inglesi, sparsi lungo la costa atlantica, erano di natura diversa: vi erano colonie regie (come la Virginia), colonie fondate da dissidenti religiosi (come la Pennsylvania), colonie fondate da compagnie commerciali (come il Connecticut)
Possedimenti portoghesi Possedimenti olandesi Possedimenti francesi Possedimenti inglesi
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
Vi era soltanto una circolazione intercontinentale tra le varie parti dell’Impero ottomano e di quello russo, oltre ai traffici commerciali tra la sponda asiatica e quella africana dell’oceano Indiano. la civiltà europea era quindi «l’unica da cui partivano viaggiatori diretti in tutto il mondo ed essa accumulò un sapere imponente riguardante le lingue, le religioni, i costumi e le costituzioni politiche degli altri popoli» (J. osterhammel - n.P. Petersson). ma quel sapere si venne sedimentando in modo graduale e a lungo interessò sezioni ristrettissime della popolazione europea. lo costruirono in prima battuta gli avventurieri e i mercanti; poi i missionari, che regolarmente seguirono i primi a distanza di breve tempo, con l’intenzione di esportare il cristianesimo (nella grande maggioranza dei casi nella sua versione cattolica) che, nato in oriente, a partire dal medioevo era divenuto la religione unitaria di larga parte d’europa. Il quadro demografico
all’inizio del Seicento l’intera popolazione mondiale ammontava a forse 550 milioni di unità e l’Asia, dove ne vivevano 330 milioni, risultava il continente di gran lunga più popolato, anche se le sue concentrazioni umane erano distribuite in maniera assai diseguale. la russia asiatica, con le sue grandi steppe che si spingevano fino alla siberia, era sostanzialmente disabitata. l’Impero ottomano contava su appena 28 milioni di abitanti, malgrado la sua superficie, estesa sui tre continenti della vecchia ecumene, fosse assai vasta. a fornire i grandi numeri del primato demografico asiatico erano soprattutto la Cina e l’India. la prima contava circa 160 milioni di abitanti (vale a dire, oltre una volta e mezzo l’intera popolazione europea), destinati a salire a circa 200 milioni alla metà del settecento. la seconda la seguiva a una certa distanza: 130 milioni di abitanti nel 1600, che sarebbero saliti a 160 milioni soltanto cento anni più tardi. sommate insieme, le popolazioni dell’Europa, della Cina e dell’India costituivano quasi i tre quarti dell’umanità. e, tuttavia, pur provenendo da un continente piuttosto densamente popolato, gli europei che si affacciavano alle porte delle due grandi civiltà orientali dovevano sentirsi come gocce d’acqua in un oceano.
Una carta nautica dell’India risalente al XVII secolo
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
1.2 L’Asia tra XVI e XVIII secolo L’Asia degli imperi MEMO Le prime basi commerciali in Asia erano state create alla fine del Quattrocento dai portoghesi. A esse si affiancarono, verso la fine del Cinquecento, le basi olandesi che formarono un impero marittimo esteso fino al Giappone. Gli inglesi invece, fondarono le prime basi commerciali in India nel corso del Seicento.
LESSICO Veda I Veda (dalla radice sanscrita vid che significa “sapere”) sono un’antichissima raccolta di opere sacre di estrema importanza presso la religione induista. Si ritiene che siano il testo sacro più antico che sia pervenuto ai giorni nostri.
diversamente da molte parti dell’africa, il continente asiatico rappresentava per gli europei una vecchia, plurimillenaria conoscenza, che la stagione cinquecentesca delle esplorazioni, e il successivo allestimento della rete di postazioni commerciali o coloniali (nel subcontinente indiano, nella malacca, nell’Indonesia, nelle Filippine e persino in singoli punti delle coste cinesi e giapponesi) consentirono di ravvivare ed estendere. l’Asia era contraddistinta da una babele di civiltà, religioni, lingue diverse, e ospitava culture che avevano alle spalle una straordinaria tradizione artistica, letteraria e scientifica. I Veda (1500 a.C.), ovvero i testi che rappresentano il lontano retroterra dell’induismo, sono probabilmente il più antico monumento della letteratura mondiale. Piuttosto che a stati nazionali, che a partire dal tardo Quattrocento avevano cominciato a imporsi come modelli emergenti dell’organizzazione politica europea, l’asia affidava le sue sorti prevalentemente a imperi, spesso di natura plurietnica e plurireligiosa, tra i quali si ripartiva gran parte della superficie del continente. nelle pagine che seguono ne prenderemo brevemente in esame i cinque maggiori (trascurando la porzione asiatica dell’Impero russo): quelli mediorientali ottomano e safavide (Persia), quello indiano del Gran Moghul (anch’esso, come i primi due, governato da dinastie di religione islamica), quello cinese e quello giapponese.
L’Asia tra XVI e XVII secolo
IMPERO RUSSO
IMPERO OTTOMANO
IMPERO CINESE GIAPPONE
IMPERO SAFAVIDE
oceano Pacifico
IMPERO MOGHUL
Impero ottomano (domini e Stati vassalli)
Impero russo
Estensione al 1512
Conquiste fino al 1689
Estensione al 1534
Selim I 1512-1520 Solimano il Magnifico 1520-1566 Conquiste dal 1566 al 1683
oceano Indiano
o co
Impero Moghul Estensione al 1530
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Impero cinese Territorio dei Manciù (Ch’ing) Conquiste fino al 1644 Conquiste dal 1644 al 1799 Grande muraglia
Conquiste fino al 1605
Impero safavide
Conquiste fino al 1707
Giappone
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
Scena di vita a Costantinopoli, illustrazione, XVII secolo
Il declino dell’Impero ottomano
Il cuore pulsante dell’Impero ottomano, ben radicato nel seicento anche in europa e in africa, era in asia, ovvero in quella parte del continente affacciata sul Mediterraneo (l’antica asia minore, il nostro odierno medio oriente), che spaziava dalla siria al Caucaso, proiettandosi all’indietro verso l’arabia occidentale e – nell’asia continentale – fino ai confini dell’Impero persiano safavide. Tra Sei e Settecento il complesso edificio territoriale, che aveva raggiunto il massimo della sua estensione nel cuore del Cinquecento, ai tempi di Solimano il Magnifico, perse costantemente compattezza: le sue periferie territoriali divennero sempre più indipendenti e la qualità del ceto politico insediato a Istanbul peggiorò drasticamente, dopo che al tradizionale sistema di successione al trono basato sulla selezione, condotta senza esclusione di colpi, del più capace e determinato tra i figli del sultano, subentrò il cosiddetto “seniorato”, ovvero la consuetudine di far succedere al regnante defunto il più anziano tra i suoi fratelli. Il vecchio sistema, infatti, per quanto crudele (diventava sultano chi riusciva a sconfiggere, spesso uccidendoli, i suoi fratelli, ovvero i rivali nella lotta per la discendenza) aveva garantito l’ascesa al trono di giovani che, avendo speso parte della loro esistenza temprandosi quotidianamente nell’esercizio di governare una provincia, erano stati adeguatamente preparati al comando supremo. Il nuovo sistema favorì invece la trasmissione del potere a cortigiani del tutto digiuni di formazione militare, abituati com’erano all’oziosa vita di palazzo. al declino della qualità e del prestigio dei sultani, ormai corrotti, sempre meno rispettati e sempre più spesso in balia degli umori dei giannizzeri (il corpo di soldati scelti islamici al servizio del sultano), pronti a deporne uno sgradito per sostituirlo con un altro, fece riscontro la crescita del potere degli ulema, i giuristi deputati a interpretare e ad amministrare la shar’ia, la legge islamica. ne derivò, visto il conservatorismo della maggior parte di questi ultimi, una chiusura della cultura ottomana al confronto con le altre, che comportò, in particolare, una preclusione verso le innovazioni scientifiche e tecnologiche, che andava in netta controtendenza rispetto all’apertura mentale e alla ricettività che aveva contraddistinto le fasi precedenti della civiltà ottomana.
MEMO Solimano il Magnifico, sultano dal 1520, aveva portato l’Impero ottomano alla sua massima espansione. Consolidò il dominio sulla Serbia e su quasi tutta l’Ungheria; conquistò l’egemonia nel Mediterraneo, occupando Rodi e controllando gran parte delle coste africane.
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
L’ascesa dell’Impero safavide in Persia
MEMO La principale divisione del mondo islamico, la divisione tra sciiti e sunniti, risaliva ai contrasti sorti all’epoca del califfato elettivo. Gli sciiti fanno riferimento unicamente all’interpretazione del Corano data dall’imam. I sunniti rivendicano, accanto al Corano, l’importanza della sunna (raccolta di insegnamenti di Maometto).
governato da una dinastia sciita, che si contrapponeva, dunque, per motivi religiosi, oltre che politici, ai sultani sunniti di Istanbul, dal tardo Quattrocento l’Impero persiano safavide contendeva a quello ottomano il possesso dei territori distesi tra il Caucaso e il golfo Persico. sotto lo shah (imperatore e capo spirituale) Abbas il Grande, che regnò tra il 1587 e il 1629, l’Impero safavide raggiunse il massimo del suo splendore, strappando a quello ottomano i territori caucasici dell’azerbaigian, del daghestan, della georgia e assorbendo per qualche decennio anche l’Iraq. alla raffinatezza di alcuni centri urbani (tra i quali la nuova capitale, Isfahan) e allo sviluppo tanto di un’agricoltura favorita da grandi reti artificiali di irrigazione quanto di un’attività manifatturiera specializzata nel settore tessile (sete e tappeti) si contrapponeva in gran parte dell’Impero degli shah la natura nomade e pastorale di una porzione rilevante della popolazione. nel 1722 la dinastia safavide venne abbattuta da un conquistatore afgano, lo stesso nadir shah che un quindicennio più tardi saccheggiò delhi, la capitale dell’India moghul, e che fondò una nuova potente casa regnante i cui domini comprendevano anche l’afghanistan. L’India: la nascita e il declino dell’Impero del Gran Moghul
le innumerevoli varietà presenti in un paese grande quanto un continente e contraddistinto dalla scarsezza di fiumi navigabili e da una spiccatissima frammentazione geografica e politico-istituzionale dovrebbero indurre a parlare non di India ma di Indie, al plurale.
1504
K Pa
Kabul
h ss Pe ayba o sh r aw a
r
L’Impero Moghul (1526-1707) KASHMIR
Lahore SIKH
PUNJAB
U
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Panipat
Multan
T CIS
I
1523
1526, 1556
ANdo
BEL
TIBET
Srinagar H
AFGHANISTAN Kandahar 1516-17
Gilgit
In
Delhi Fetehpur Agra Khanua
Mathura
SIND
RAJPUT
Vassalli di Akbar
oceano Indiano
na
Goa
BIDAR
BIHAR ASSAM
Patna
BENGALA
Bengala
GO
Vijayanagar
IMPERO DI VIJAYANAGAR Mangalore
distrutto nel 1565 Pulicat
Colonie francesi
Calicut Cochin
Madras Sadras Pondichéry eri Tranquebar Mandurai Negapatam Kav
POLYGAR CEYLON
Colombo
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A
Gange
L
Krish
Colonie britanniche
Colonie portoghesi
Brahmaput
Calcutta Cambay Burhanpur Surat GONDWANA Diu ORISSA Damão Bassein AHMADNAGAR G oda Bombay A Aurangabad vari ND golfo del Puna Golconda CO
GUJARAT
L’Impero alla morte di Akbar, 1605
Colonie olandesi
ra
ra
Y
Hughly Chandernagor Srirampur
Narba
L’Impero di Akbar nel 1561
Colonie danesi
Gog
Allahabad MALWA Chanderi Ahmadabad da
Conquiste fino alla fine del XVII secolo
A
1527
Tatta
Campagne di Baber, fondatore dell’Impero moghul
L
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
l’unificazione tra la vasta area solcata dal gange e dall’Indo e le zone meridionali del subcontinente indiano riuscì parzialmente ad Aurangzeb (1658-1707), sovrano dell’Impero del Gran Moghul (così chiamato perché la dinastia regnante aveva una lontana ascendenza mongola). ma la sua fortuna non era destinata a durare a lungo. già nei primi decenni del settecento, infatti, si dispiegò con successo la controffensiva dei Maratha, i signori della guerra che da secoli esercitavano la supremazia territoriale su vaste porzioni del deccan. e nel 1736 dehli, la capitale moghul, venne assediata e saccheggiata da Nadir Shah, al quale i sovrani indiani dovettero cedere tutta l’area nord-occidentale dell’impero, che entrò a far parte, come abbiamo appena visto, di quello persiano. l’Impero Moghul, che aveva rimpiazzato il preesistente sultanato di dehli, era stato fondato nel 1526 da un condottiero musulmano proveniente dall’afghanistan, Baber, il quale aveva edificato in pochi anni un dominio unitario che si estendeva dai confini meridionali dell’Impero persiano safavide fino a benares. Il suo successore, Akbar il Grande (1556-1605), aveva dato in seguito lineamenti stabili al sistema di governo, riuscendo felicemente a integrare nei ranghi della burocrazia e dell’esercito, ricoperti inizialmente dai conquistatori, anche l’aristocrazia locale indù, composta dai cosiddetti Rajput, capi di famiglie nobiliari e principesche il cui prestigio si distribuiva lungo una scala gerarchica scandita in trentatre gradi diversi. Inoltre, i regnanti musulmani rinunciarono a riscuotere la tassa sugli “infedeli”, che abitualmente costituiva una delle entrate basilari delle finanze degli stati islamici.
Il sovrano Aurangzeb a cavallo con due accompagnatori, miniatura, fine del XVII secolo
La coesistenza religiosa e culturale
akbar fu fautore di uno spirito di tolleranza religiosa che lo spinse a favorire presso la propria corte la formazione di un cenacolo intellettuale composto da dotti appartenenti a tutte le fedi professate in India, inclusi alcuni missionari cristiani. I suoi successori furono così in grado di garantire una coesistenza relativamente pacifica tra musulmani (un quarto circa della popolazione indiana in questi secoli) e indù, all’interno di una società sulle cui strutture sociali la carica tendenzialmente livellatrice ed egualitaria caratteristica dell’islam poté tuttavia incidere solo in maniera superficiale: non solo nelle decine, se non centinaia, di principati, tanto indù quanto musulmani, i cui rajah o sultani, pur riconoscendo teoricamente la supremazia degli imperatori di delhi, anche al momento dell’apogeo moghul sotto aurangzeb riuscirono a mantenersi sostanzialmente indipendenti, ma anche nei territori direttamente governati dai discendenti di baber.
LESSICO Rajah Termine indi che significa re. È il titolo attribuito ai principi induisti indiani. Due miniature dell’epoca dell’Impero del Gran Moghul. A sinistra, l’imperatore Akbar presiede un dibattito religioso alla casa del culto di Fathpur Sikri, a cui partecipano anche due gesuiti (a sinistra); a destra, l’imperatore Aurangzeb circondato dalla sua corte
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Il sistema delle caste tra ordine sacro e ordine sociale
LESSICO Sikh Dal sanscrito “discepoli”, i sikh sono una setta religiosa nata nell’India settentrionale nel XVI secolo come tentativo di fondere induismo e islamismo. Dal primo presero la dottrina dell’incarnazione, dal secondo il rifiuto del sistema delle caste. Oggi esistono oltre 23 milioni di sikh, soprattutto nella regione del Punjab dove essi tennero il potere per circa un secolo, dalla metà del Settecento fino all’annessione britannica nel 1849.
Più che dai vari poteri statali o imperiali, gli indiani continuarono a essere governati essenzialmente dal sistema delle caste, un dispositivo di differenziazione sociale e di ferrea regolamentazione dei rapporti interpersonali che si presentava assai più rigido di quello europeo dei ceti. esso costituiva un’emanazione della religiosità di matrice induista, ma finiva per coinvolgere, nei suoi effetti pratici, anche il più vasto mondo di quanti non si riconoscevano in una delle molteplici varianti dell’induismo: musulmani, jainisti, sikh, buddisti e anche cristiani, soprattutto nelle zone prossime alle postazioni coloniali europee dove cominciava ad avere qualche successo l’opera di evangelizzazione. Quella delineata dalle caste era una gerarchia che dava luogo a un’organizzazione sacrale e rituale della società. essa collegava strettamente la transitorietà della vita terrena all’idea dell’immutabilità di un supremo ordine cosmico del quale le singole esistenze individuali, soggette al ciclo della metempsicosi, ovvero delle reincarnazioni successive in una condizione di volta in volta diversa, non costituivano altro che un pallido, insignificante riflesso. In omaggio a questa visione, la società indiana era basata su quella stessa divisione tra puro e impuro – principi antitetici ma anche complementari – che alimentava il ciclo cosmico, ed era organizzata in modo tale da impedire la contaminazione tra questi due elementi, imponendo nella vita quotidiana una rigida separazione tra i quattro varna (colori) che del puro e dell’impuro rappresentavano una sorta di rispecchiamento tra gli esseri umani. all’interno dei varna si distribuivano migliaia di jati (caste), ciascuna corrispondente a una funzione professionale; tutte indispensabili alla riproduzione della società, ma ognuna contraddistinta da un differente tasso di purezza o impurità relativa. Dalla casta di nascita, in linea di principio, non si poteva uscire e i matrimoni “diseguali” venivano considerati poco meno che sacrileghi. Dentro e fuori le caste
brahmani governanti e guerrieri mercanti contadini
al vertice del sistema basato sui varna stavano i brahmani (o bramini), ovvero gli specialisti della ritualità religiosa; seguivano i governanti/guerrieri, i mercanti, i contadini. Al di fuori dei varna (e dunque delle caste) si collocava infine il variegato universo dei paria (gli “intoccabili”), ovvero di coloro che, durante il tempo della loro transitoria incarnazione, si trovavano a esercitare, per nascita, attività ritenute talmente impure da precludere loro qualsiasi forma anche indiretta di contatto con gli appartenenti all’una o all’altra casta. In certe regioni dell’India i paria erano tenuti ad annunciare con urla il loro passaggio lungo la strada, perché anche semplicemente posare lo sguardo su di loro veniva considerato causa di contaminazione (v. Ceti, ordini, caste, p. 177). Quella indiana era una società drammaticamente chiusa, che tendeva a riprodurre sistematicamente le proprie strutture basate sulla disuguaglianza dello status; ma la credenza nella metempsicosi in qualche modo offriva una consolazione anche ai diseredati: nella reincarnazione successiva si poteva rinascere in una condizione meno dolorosa. La Cina dei Q’ing
In Cina a metà seicento la nuova dinastia dei Q’ing (o Ch’ing), originaria della manciuria, scalzò quella precedente dei Ming, che regnava dal 1368 e che aveva a sua volta raccolto l’eredità dell’Impero mongolo edificato da Kubilai Khan. Il regno dei Q’ing, che dal 1644 si sarebbe protratto fino al 1911, non mutò la struttura di 18
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
L’Impero cinese tra il XVI e il XVIII secolo
HEILONG JIANG
RUSSIA
1689
MONGOLIA 1697
PROTETTORATO DELL’ILI 1757
TIAN-SHAN 1758
GIAPPONE
Pechino
QINGHAI 1724
Xi’an TIBET
Manchino Suzhou Hangzhou
1731
Yunnan
oceano Pacifico
Canton
INDIA Macao
Estensione dell’impero cinese Sotto i Ming (1368-1644) Sotto i primi Q’ing (1644-1800) FILIPPINE
Manila
1757
Date di conquista Grande muraglia
base della società cinese. al contrario, quest’ultima riuscì man mano a imporre silenziosamente ai nuovi dominatori sia i propri costumi sia la propria tradizionale organizzazione istituzionale e sociale. l’impero, popolato da numerosi gruppi etnici, linguistici, religiosi conobbe la sua massima estensione durante il Settecento, sotto il regno dell’imperatore Ch’ien-lung (1736-1796), quando giunse a inglobare il Tibet, il Turkestan e il sinkiang. a metà seicento risultava diviso in quindici province – ciascuna frammentata in centinaia di circoscrizioni territoriali minori – poste sotto la direzione di alcuni ministeri centrali localizzati nella capitale Pechino, accanto alla corte. a governare il sistema dell’impero più popoloso del mondo era deputato un vastissimo corpo di funzionari (i mandarini, “funzionari letterati”) reclutati per concorso e culturalmente resi omogenei dalla condivisione della morale confuciana. Quest’ultima si risolveva in un’ideologia di carattere assai pragmatico, che prescriveva al tempo stesso la sottomissione all’autorità e la capacità di adattarne le iniziative ai propri fini, garantendo agli sterminati territori imperiali, se non certamente l’armonia, almeno una certa stabilità sociale, per quanto interrotta periodicamente dalle rivolte contadine in tempi di carestia.
LESSICO Mandarini Dal portoghese mandarim, ovvero ministro o funzionario, erano potentissimi funzionari incaricati della completa gestione degli affari pubblici. Si organizzavano secondo una complessa e rigidissima doppia gerarchia, civile e militare, ciascuna divisa in nove livelli a loro volta ripartiti in due classi. La scelta dei funzionari, che godevano di grandissimo prestigio, si basava su criteri meritocratici, e veniva fatta per mezzo di estenuanti concorsi.
L’economia cinese tra conservazione e spinta alla “globalizzazione”
a partire dalla fine del Quattrocento la Cina aveva eretto una sorta di barriera di isolamento rispetto al mondo esterno, che in seguito l’arrivo degli europei nell’asia sud-orientale contribuì per qualche tempo ad attenuare. a questo ripiegamento materiale entro i propri confini si era accompagnato il ristagno della scienza e della tecnologia, che prima del Cinquecento erano state senza alcun dubbio largamente superiori rispetto al coevo standard europeo. 19
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Tuttavia i suoi prodotti alimentari (il tè, in primo luogo) e manifatturieri (porcellane, lacche, tessuti lavorati) incontravano un crescente successo sui mercati europei: anche nel grande impero posto nel cuore dell’asia, le correnti di “globalizzazione” (v. par. 6), a dispetto della diffidenza dei governanti, avanzarono silenziosamente in questi secoli, per esempio grazie alle nuove colture agrarie. durante il Settecento, infatti, la tradizionale monocoltura risicola, che formava la base della sussistenza delle popolazioni cinesi, e la cui produttività era affidata alle cure di un imponente sistema idraulico, in buona parte controllato e gestito dalla burocrazia mandarina, venne affiancata da nuove produzioni alimentari, che resero possibile una differenziazione della dieta e un’ulteriore, robusta crescita della popolazione. L’impero giapponese sotto i Tokugawa
LESSICO Samurai Antichi guerrieri del Giappone medievale, detti anche bushi (“uomini che combattono”), totalmente al servizio del loro signore, che difendevano anche a costo di sacrificare la propria vita. Shogun In Giappone era un titolo nobiliare corrispondente al grado di generale. Con il tempo questo titolo divenne ereditario e cominciò a essere riferito a una forma di governo militare (shogunato) che si sostituì al potere dell’imperatore, divenuto esclusivamente simbolico.
Queste miniature cinesi del XVII secolo ritraggono due attività tradizionali: a sinistra, l’allevamento dei bachi da seta e a destra, la tessitura
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anche il giappone nel corso del seicento, dopo una fase di violentissime guerre interne, causate dal conflitto tra i grandi signori feudali, i daimyo, ai quali prestavano i loro servigi i samurai, guerrieri di professione vagamente paragonabili ai cavalieri dell’europa medievale, fu interessato da un mutamento ai vertici che avrebbe prodotto degli esiti plurisecolari. a partire dal 1603 si impadronirono della carica di shogun – la più importante ai fini del reale governo del paese, dal momento che quella di imperatore era più che altro simbolica – i membri della dinastia Tokugawa, che se la tramandarono per due secoli e mezzo, fino al 1867. Tra il 1639 e il 1854 essi imposero la pressoché assoluta chiusura del Giappone agli stranieri e furono in grado di sovrapporre alla preesistente struttura sociale feudale un’articolata amministrazione statale. un terzo del territorio dell’impero era sottoposto al dominio diretto all’apparato burocratico e militare da essi dipendente, mentre i restanti due terzi erano soggetti a poco più di 250 famiglie di daimyo, alcuni dei cui esponenti erano tuttavia stabilmente ospiti – o, meglio, ostaggi – presso la residenza Tokugawa posta nella capitale edo. le ribellioni dei feudatari allo shogun, che tra il Quattrocento e il Cinquecento erano state la norma, e che avevano fatto precipitare il paese in uno stato di perenne anarchia, divennero, con l’avvento del sistema misto burocraticofeudale Tokugawa, molto più rare e meno pericolose.
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
Lo shogun Tokugawa Hidetada, miniatura, XVII secolo
Gli imperi asiatici: uno sguardo d’insieme
la Cina Q’ing, l’India moghul, il giappone Tokugawa: la perlustrazione che abbiamo fin qui condotto ci ha mostrato che tra il Sei e il Settecento anche in alcune aree nevralgiche dell’asia si assistette al consolidamento delle strutture burocratico-amministrative, tipiche degli stati europei, a discapito della varietà e del pluralismo culturale e politico. non c’è dubbio tuttavia che quella varietà, che si esprimeva sia sul piano etnico, sia su quello religioso, linguistico e istituzionale, rimase il dato prevalente. In altre aree asiatiche – per esempio nell’Impero ottomano – essa si venne addirittura accentuando. nella cornice federativa dei grandi imperi era difficile che si sviluppassero in modo compiuto quelle tendenze alla concentrazione del potere che invece la superficie decisamente più ristretta – e quindi più facilmente controllabile – di alcune monarchie nazionali europee sembrava, proprio in quegli stessi decenni, favorire. Chiusura e isolamento dell’Asia
Cina, India, Giappone e anche il mondo islamico (a partire da quando nel Cinquecento conobbe una fase di declino) erano in vario grado contraddistinti al proprio interno, sotto il profilo culturale, da un atteggiamento di ermetica chiusura. se furono gli europei a mettersi in contatto con il resto del mondo e non, invece, il contrario, ciò fu dovuto soprattutto a una mancanza di curiosità, che rivelava nelle grandi culture asiatiche la presenza di un sentimento preconcetto di superiorità, che un tempo sarebbe stato pienamente legittimo, ma che stava diventando ormai anacronistico e addirittura controproducente. nell’Impero ottomano ci si interessava in qualche misura dei progressi dell’europa cristiana, che pure era collocata a suo stretto contatto, solo nel campo degli armamenti e della navigazione; non se ne ritenevano invece degne di alcuna attenzione le arti, le scienze, le dottrine economiche e politiche. nella cultura induista regnava sovrano un atteggiamento di indifferenza, più ancora che di ostilità, nei confronti dell’“altro”. 21
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
La piccola isola artificiale di Deshima, nella regione di Nagasaki, XVII secolo (Amsterdam, Museo Navale). Base commerciale olandese, divenne l’unico punto di contatto tra il Giappone e il mondo occidentale dopo l’allontanamento degli stranieri
LESSICO Xenofobia Dal greco xénos, “straniero”, e phobía, “paura”, è la posizione di chi teme e rifiuta ogni contatto con realtà diverse da quella in cui vive.
la Cina, a sua volta, si considerava l’assoluto centro del mondo e nessun naviglio del Celeste impero si avventurò mai più lontano delle coste africane affacciate sull’oceano Indiano, benché, dal punto di vista tecnologico, i suoi navigatori potessero disporre, già nel Quattrocento, dei mezzi necessari per realizzare all’inverso il movimento di fuoriuscita dai propri confini continentali sviluppato fino a quel momento dagli europei. anzi, a metà Quattrocento l’imperatore ordinò di interrompere anche i rapporti con l’Africa. da quel momento in avanti la Cina sarebbe stata visitata dagli europei, ma non avrebbe più inviato propri visitatori altrove. Il Giappone, dopo aver per qualche tempo consentito non solo l’approdo dei commercianti europei sulle sue coste, ma anche l’opera di proselitismo dei missionari cristiani (che erano giunti a evangelizzare forse l’1% della popolazione giapponese), a partire dal seicento optò per una scelta drasticamente xenofoba. non solo non vi furono giapponesi che andassero in giro per il mondo, ma a nessuno straniero fu permesso di toccare le sue coste e, a maggior ragione, di penetrare al suo interno, salvo sorvegliatissime e sporadiche eccezioni accordate a cinesi, coreani e olandesi.
1.3 L’Africa nel XVII secolo L’influenza dell’islam a sud del Sahara
LESSICO Animismo Credenza diffusa presso i popoli primitivi secondo la quale ogni cosa naturale è dotata di un principio vitale che la rende divina e dogma di culto.
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al momento del primo contatto diretto con gli europei, l’Africa subsahariana presentava forme di insediamento umano e di organizzazione politico-sociale assai variegate. sotto il profilo religioso, la presenza dell’islam si estendeva anche a sud dell’area settentrionale del continente, appartenente all’Impero ottomano e ai sultanati locali che, pur di fatto indipendenti, riconoscevano comunque la nominale sovranità della Porta di Istanbul. Quell’influenza, molto evidente nei territori situati a sud del deserto del sahara, ma percepibile anche in aree prossime al golfo di guinea, si intrecciava con i tradizionali culti e modi della religiosità locale (solo in parte riconducibili alla categoria dell’animismo), caratteristici di uno sterminato territorio nel quale convivevano, una accanto all’altra, molte società diverse. gli abitanti di quella che gli europei chiamarono “l’africa nera” erano generalmente dediti solo alla caccia, alla pesca e alla raccolta dei frutti, ma in parte erano anche capaci di praticare stabilmente l’allevamento e l’agricoltura, o persino di elaborare una produzione artigianale e artistica in qualche caso raffinatissima.
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
l’organizzazione sociale era strutturata fondamentalmente per clan e per tribù, ma a essa si sovrapponevano in alcune grandi aree dei sistemi politico-istituzionali complessi: stati o imperi in grado di federare (secondo modalità vagamente paragonabili a quelle caratteristiche del feudalesimo europeo) territori etnicamente e linguisticamente distinti, di esercitare uno stabile prelievo tributario e di allestire eserciti agguerriti ed efficienti. un’altra area di cultura islamica era costituita dalla costa sud-orientale del continente, dove ben prima dell’arrivo dei portoghesi, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, i mercanti arabi avevano esercitato per secoli i loro commerci, contribuendo alla fioritura di complessi insediamenti di carattere urbano, organizzati in base alla formula delle città-stato. ma l’africa aveva anche una componente cristiana: il Regno d’Abissinia (detto anche d’etiopia), in cui il cristianesimo, seguendo il corso del nilo, era penetrato attorno al 500 d.C. dall’egitto, un secolo e mezzo prima dell’islamizzazione di quel paese. L’Africa “nera”
l’Africa interna, che nei primi secoli dopo Cristo era entrata gradualmente nell’età del ferro, non conosceva (se non nelle aree islamizzate o cristianizzate) l’uso della scrittura. ed era forse questo, più ancora che la vita tribale e l’immersione in un habitat naturale contraddistinto dall’esuberante estensione delle giungle, delle savane, delle foreste, il tratto che soprattutto la differenziava rispetto all’ecumene euroasiatica. C’erano – è vero – delle eccezioni, come quella dell’impero Songhai e del regno del benin, che avevano civiltà molto articolate. ma nell’immenso cuore del continente, dove gli occidentali (come, del resto, prima di loro gli arabi) non riuscirono a mettere piede fino alle soglie dell’età contemporanea, e i cui contatti con il mondo esterno risultavano fatalmente attutiti «da sconfinate foreste e scoraggianti pianure» (b. davidson), le comunità locali, suddivise in un largo ventaglio di varietà etniche e linguistiche, erano organizzate fondamentalmente in forma tribale. al vertice vi erano dei capi elettivi, ma la struttura della società aveva carattere prevalentemente egualitario e comunitario. le diverse comunità si basavano su un’economia di sussistenza, talvolta integrata dalla pratica del baratto; oltre che dei frutti spontanei presenti in natura, vivevano di caccia, di pesca, di un’agricoltura a bassa produttività, non idonea a fornire quel surplus di beni che in genere rappresenta il presupposto per la formazione di una stabile stratificazione sociale.
LESSICO Songhai Impero fondato dal popolo Songhai nel VII secolo lungo il fiume Niger; assoggettato all’Impero Mali nel XIV secolo, fu protagonista di campagne militari di successo che portarono alla conquista di Timbuctù nel 1536. L’impero prosperò fino alla fine del XVI secolo quando, dopo una guerra civile, fu sconfitto da un esercito marocchino (1591).
Le monarchie sudanesi
Forme di società assai più complesse erano invece venute prendendo forma, a partire dal 500 d.C., nel Sudan occidentale, nell’entroterra del litorale atlantico tra la guinea e il Congo, e ancora in vicinanza della costa orientale affacciata sull’oceano Indiano, che, del resto, già 1500 anni prima del contatto con gli europei conosceva un regolare commercio con le città affacciate sul mar rosso e sul golfo Persico, e che intratteneva rapporti e scambi anche con il subcontinente indiano e addirittura con la Cina. In particolare, nella grande area subsahariana occidentale aveva messo solide radici una particolare tradizione istituzionale: la cosiddetta monarchia di modello sudanese, i cui sovrani, ai quali erano attribuiti poteri divini, governavano regni dalla struttura al tempo stesso feudale e burocratica, esercitando un sistematico prelievo di risorse presso la popolazione rurale, organizzata a sua volta prevalentemente sulla base della parentela e del clan. 23
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
all’interno di queste monarchie era presente una ramificata stratificazione sociale. C’erano città, un’aristocrazia ereditaria e una burocrazia a forte caratterizzazione militare, nonché uno strato della popolazione specializzato nell’esercizio del commercio, i cui generi più preziosi erano costituiti dalle esportazioni d’oro al nord e di sale al sud. a partire dall’XI secolo, una parte delle élite dirigenti di queste monarchie si era convertita all’islam. regni di questo genere si erano avvicendati – nell’area sudanese – almeno a partire dalla metà del I millennio dopo Cristo, e il più antico di cui si sia conservata la nozione era stato quello del Ghana, per la prima volta menzionato nell’VIII secolo dal viaggiatore arabo al-Fazari e qualche tempo più tardi ricordato da un’altra fonte araba per le dodici moschee della sua cittadella musulmana in pietra, che sorgeva accanto alla capitale indigena con gli edifici fatti di fango. Altri regni africani
In seguito avevano rivestito grande importanza anche altri regni: quello di Kanem, le cui città erano edificate in gesso; l’Impero del Mali, alcuni dei cui regnanti, islamizzati, nel XIII secolo eseguirono il pellegrinaggio alla mecca, e che viene raffigurato, assieme al suo Signore dei negri nella prima mappa dell’africa occidentale disegnata in europa nel 1375; quello di Songhai (che assorbì quello del mali), ancora fiorente al momento del primo contatto con gli europei e destinato a sopravvivere sino alla fine del XVIII secolo, anche se ormai suddiviso in una miriade di regni distinti a carattere tribale. ANALIZZARE LA FONTE
Una passeggiata a Benin Autore: anonimo – Tipo di fonte: resoconto di viaggio – Lingua originale: olandese – Data: inizio del XVII secolo Benin era una città che a un anonimo viaggiatore europeo di inizio Seicento, che eccezionalmente era riuscito a entrarvi malgrado l’accesso agli europei fosse in genere proibito, parve paragonabile ad Amsterdam. Ecco come la descrisse.
la città appare assai grande: entrando in essa, imboccata una grande, ampia strada non selciata, forse sette o otto volte più ampia della via Warmoes ad amsterdam, essa va sempre dritta e non piega mai… questa strada si calcola che sia lunga un miglio (vale a dire un miglio olandese, che equivale a circa quattro miglia inglesi) oltre ai sobborghi […]. Quando voi siete nella grande strada anzidetta potete vedere molte grandi strade ai lati di essa, che parimenti vanno diritte… le case di questa città sono disposte in buon ordine, l’una accanto all’altra, come le case in olanda. le stanze all’interno sono quadrate, sopra hanno un tetto che non è chiuso nel mezzo, e attraverso il quale entrano la pioggia, il vento, la luce: lì essi stanno, e prendono i loro pasti; ma hanno anche altri ambienti, come cucine e altre stanze. Il palazzo del re è molto grande, e in esso vi sono molti piani quadrati, e intorno hanno delle gallerie, dove vi è sempre una guardia. Io m’addentrai tanto nel palazzo, che vidi quattro simili sale, e dovunque guardassi, ancora vedevo porte su porte che immettevano in altre stanze […]. Il re ha molti soldati, e anche gentiluomini che vengono al palazzo a cavallo… si vedono anche molti schiavi nella città, che portano acqua, ignami1 e vino di palma, che dicono sia per il re; e molti portano erba per i suoi cavalli. r. oliver - J. d. Fage, Breve storia dell’Africa, einaudi, Torino 1965, p. 105 1. Ignami: pianta il cui tubero costituisce l’alimento base di molti popoli africani. Domande alla fonte 1. Per quali caratteristiche la città di Benin pare all’autore simile a una città olandese? 2. Quali categorie sociali sono nominate nel brano?
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Come si legge in una famosa storia dell’africa: «a Timbuctù [la capitale dell’Impero del songhai] come a Parigi vi erano dotti che studiavano e discutevano, e ciò che gli italiani realizzarono col colore, gli artisti del benin raggiunsero col bronzo» (r. oliver - J.d. Fage). mali e songhai erano giunti a controllare quasi l’intera area subsahariana occidentale, mentre a oriente di questa s’era formato – pure con caratteristiche miste urbano-rurali – il regno cristiano monofisita d’Abissinia, la cui esistenza, in un’europa che ne aveva solo una vaghissima nozione, dette probabilmente vita alla leggenda del “prete Gianni”. Formazioni di carattere statale esistevano, numerose, anche a ridosso del litorale atlantico, nelle foreste retrostanti le fasce costiere della guinea e del Congo: tra gli altri, i regni del Benin, di Denkera, dell’Ashanti, del Congo, uno dei cui sovrani, all’inizio del Cinquecento, si cristianizzò, avviando una tradizione di rapporti sostanzialmente paritari con la corona portoghese, presso la quale di tanto in tanto i suoi successori continuarono a inviare degli ambasciatori. L’Africa sud-orientale
una vasta porzione dell’Africa sud-orientale, a ridosso della costa affacciata sull’oceano Indiano, punteggiata da insediamenti urbani islamizzati, conosceva a sua volta una forte organizzazione politica e militare. basterà ricordare, a questo proposito, nell’area che attualmente corrisponde al mozambico e allo Zimbabwe, il grande Regno dei Vakaronga.
LESSICO Monofisismo Dottrina cristiana, condannata dal concilio di Calcedonia del 451, che riconosce in Gesù Cristo esclusivamente la natura divina, mentre considera solo apparente la natura umana.
MEMO Il prete Gianni è un leggendario re cristiano dell’Oriente. La sua storia, nata in ambiente crociato, contiene però un nucleo di verità: anticamente infatti i nestoriani, perseguitati in Occidente, si erano trasferiti in Iran diffondendo la loro fede fino all’Asia centrale. Alcuni studiosi sostengono perfino che il prete Gianni sia un personaggio storico, vissuto nella Cina settentrionale intorno all’XI secolo.
L’Africa nel XVII secolo
Teghazza
DESERTO
DEL
SAHARA
IMPERO SONGHAI Timbuctù Djenne g
er
Ni
REGNO DELL’ASHANTI
Gao
o
Nil
L. Ciad
Sennar
REGNO DI REGNO DEL KANEM BENIN
Zeila
REGNO DI ABISSINIA
Harar
Benin
REGNO DI DENKERA
Mogadiscio
o
Cong
L. Vittoria
oceano Atlantico
REGNO DEL CONGO
L. Tanganica
Luanda
Kismayou Malindi Mombasa Kilwa
oceano Indiano
L. Niassa
REGNO DEI VAKARONGA Impero ottomano Insediamenti europei
Mozambico Tete Sena Sofala
Orange
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Carta dell’Africa nord-orientale tratta da Job Ludolf, Historia aethiopica, Francoforte 1681
Il capo di quel regno veniva chiamato dai portoghesi Monomotapa, nome che, per estensione, venne dato all’intero territorio sul quale egli regnava. Fino alla metà dell’Ottocento in gran parte di questi luoghi gli europei non riuscirono a entrare. non mancarono tentativi di farlo, talvolta giocando sulle rivalità esistenti tra le varie popolazioni; ma essi furono respinti dagli eserciti che le monarchie africane erano in grado di mettere in campo. Tuttavia, non mancarono i contatti indiretti, mediati dagli staterelli allineati lungo la costa, che avevano offerto prima ai portoghesi, poi agli olandesi, agli inglesi, ai francesi e ai danesi la possibilità di creare delle basi di appoggio per i loro traffici.
1.4 Il mondo raccontato dagli europei Il diverso sguardo sull’America e sull’Oriente
a narrare ai lettori d’europa le caratteristiche naturali e i costumi del “Nuovo mondo” americano erano stati prima i conquistadores, poi gli evangelizzatori. Pur permeati da un diverso grado di sensibilità, scrissero le loro cronache o le loro riflessioni sulle culture amerindie spinti fondamentalmente da un inossidabile sentimento di superiorità, che derivava loro dalla posizione dominante di cui godevano. In qualche caso furono perfino indotti a mettere in dubbio la natura umana degli abitanti autoctoni dei territori caduti sotto il dominio delle corone iberiche. Fino al tardo settecento le principali notizie sul lontano Oriente provenivano essenzialmente da mercanti e missionari, i viaggiatori del tempo. la posizione di questi ultimi era però alquanto diversa da quella dei loro confratelli che operavano nelle americhe. non erano, infatti, dei dominatori, ma piuttosto degli ambasciatori in terre lontane, che rimanevano affascinati, se non talvolta addirittura soggiogati, dalla grandiosità delle millenarie culture con le quali entravano in contatto. 26
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
La Cina narrata dai gesuiti
I gesuiti, ai quali per qualche decennio fu consentito di diffondere l’evangelizzazione anche in giappone, ma che operarono in modo continuativo soprattutto in Cina e in India, hanno lasciato narrazioni suggestive (che, per altro, non conobbero all’epoca una diffusione pubblica), dalle quali traspare spesso un sentimento di sconfinata ammirazione per i paesi che li ospitavano. della Cina il gesuita italiano Matteo Ricci delineò nelle sue corrispondenze un ritratto che a fine seicento il suo confratello athanasius Kircher rese pubblico nell’opera Cina illustrata (1667). la Cina era descritta come un grande paese sottoposto al governo di un’élite di saggi, scelti, a differenza di quanto avveniva in europa, in base al merito e alla preparazione personale, e non al lignaggio.
MEMO I gesuiti sono un ordine religioso, fondato nel 1534 da Ignazio di Loyola, attivo nell’opera di evangelizzazione sia in America sia in Oriente. Nel 1542 il gesuita Francesco Saverio diede inizio all’attività missionaria in India che proseguì in Indocina, Indonesia e Giappone.
ANALIZZARE LA FONTE
Il Celeste impero nel racconto di Matteo Ricci Autore: Matteo Ricci (1552-1610) Tipo di fonte: relazione di viaggio Lingua originale: portoghese e latino Data: scritto tra il 1582 e il 1610, pubblicato nel 1615 Il testo, scritto dal gesuita Matteo Ricci, è tratto dal resoconto della prima missione cristiana in Cina. Il primo libro, di cui si presenta un breve passo, contiene una descrizione dettagliata delle abitudini e delle istituzioni della Cina dell’epoca e fu per secoli la fonte principale su quell’impero. Nel brano che segue, dal confronto con l’Europa, emerge il ritratto affascinato di una Cina pacifica e saggia, priva di ambizioni espansionistiche.
essendo questo regno sì grande e ripieno di gente e fornito di vettovaglia e materia per far legni, artiglieria et altri instrumenti di guerra, con che potrebbero facilmente soggettar al loro dominio al manco1 tutti quegli regni vicini, con tutto questo né gli re né gli sudditi si curano né trattano di questo, e stanno contenti con il suo senza volere quello degli altri. Certo assai diverso dalle nostre nationi [stati], le quali soventemente perdono i proprij regni per voler signoreggiare agli altrui e che, per la instabile voglia di alargare lo imperio2, mai potero conservare il suo originale centinaia o migliaia di anni, come fecero i Cinesi. et è cosa certa che, se qualche regno, fuora del suo, se gli volesse soggettare di sua propria voglia non lo riceverebbero e, se fusse ricevuto, non si ritruovaria nessuna persona letterata o grave3 che lo volesse ire a governare. m. ricci, Della entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina, Quodlibet, macerata 2000, p. 51 1. soggettar … al manco: sottomettere al loro dominio almeno. 2. instabile voglia … imperio: desiderio insaziabile di allargare il loro dominio. 3. persona letterata o grave: persona istruita o importante.
Domande alla fonte 1. Quali differenze emergono nel testo tra il modo di governare dei cinesi e quello degli europei? 2. Quale ti pare essere il giudizio dell’autore sulla politica espansionistica?
Il missionario gesuita Matteo Ricci
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
I gesuiti, spesso contraddistinti da una ricca e vasta formazione intellettuale, aperta anche ai versanti scientifici, furono trattati con ogni riguardo presso la corte cinese, al punto che nel settecento venne affidata loro la direzione dell’ufficio matematico-astronomico imperiale. erano giunti in Cina animati dal proposito di evangelizzarla, e la tollerante morale buddista aveva consentito loro di provare a farlo (con risultati, peraltro, piuttosto modesti); finirono però per svolgere soprattutto la funzione di tecnici e, al tempo stesso, di addetti alle relazioni con l’estero, a beneficio della dinastia regnante. oppure si misero alla ricerca di possibili punti di contatto tra il cristianesimo e il confucianesimo: questi missionari percepirono la civiltà in cui si trovarono a trascorrere buona parte della loro esistenza come almeno pari a quella da cui provenivano. Il fascino dell’India
LESSICO Cordone dei Bramini Il cordone è il segno che indica la casta dei bramini. Roberto de’ Nobili lo utilizzò come segno di distinzione, per farsi rispettare dagli indiani.
le cose non andarono diversamente in India, terra di profonda tolleranza religiosa e di intensissima spiritualità, dalla quale molti missionari furono conquistati. Postosi all’ardua ricerca di un sincretismo tra cristianesimo e induismo, il gesuita Roberto de’ Nobili formalizzò una nuova liturgia che alle forme tipiche del culto cattolico mescolava usi e consuetudini attinti dalla tradizione locale (come il cordone dei Bramini e i bagni rituali). nel 1623 ottenne da papa gregorio XV il permesso di celebrare messa nel modo inconsueto che aveva elaborato, ma in seguito esso fu revocato e degli scritti di questo missionario, giudicati ormai pericolosamente vicini al confine dell’eresia, fu proibita la pubblicazione. APPROFONDIRE
Quale Oriente? i resoconti dei missionari e dei mercanti, a lungo Nlo piùonostante l’“Oriente” degli europei continuò a essere soprattutto quelprossimo e conosciuto, cioè quello affacciato sul Mediterraneo, con il quale esisteva una plurimillenaria consuetudine e che secoli di minaccioso confronto con l’islam avevano riproposto nelle vesti di acceso rivale diretto. Nel 1697 un erudito francese, Barthelemy d’Herbelot, pubblicò una Biblioteca orientale che godette di una vasta risonanza, al punto che a lungo ebbe la funzione di testo canonico per quanto riguardava la percezione occidentale dell’Oriente. Il libro, organizzato come una sorta di dizionario enciclopedico, era dedicato quasi esclusivamente al mondo islamico e, anzi, soprattutto allo Stato che più concretamente lo incarnava agli occhi degli europei cristiani: l’Impero ottomano. Quasi in dissolvenza, sullo sfondo, l’opera di d’Herbelot narrava anche della Persia, un impero nel quale più di una volta, durante il recente passato, gli europei avevano confidato, augurandosi che potesse impegnare con la sua potenza almeno una parte delle energie che gli ottomani continuavano a riversare verso l’Europa. Della Cina e dell’India, viceversa, quasi non si faceva parola. Qualche anno più tardi, nel 1704, a opera del francese Galland, venne pubblicata la prima traduzione europea delle Mille e una notte, una raccolta di novelle orientali di autori diversi ambientata in situazioni storico-geografiche differenti. L’opera segnò a lungo e intensamente l’immaginario “orientale” degli europei, caricandolo di quella vena esotizzante che l’avrebbe contraddistinto fino alla fase ottocentesca del colonialismo.
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Una riunione nel palazzo del sultano a Costantinopoli, miniatura dal diario dell’ambasciatore veneziano Giovanni Soranzo (Venezia, Musueo Correr)
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
L’arrivo di un gruppo di portoghesi in Giappone, stampa, XVII secolo
1.5 Unità e varietà: l’Europa a confronto con il resto del mondo Dalla difesa all’attacco
a partire dagli inizi dell’età moderna l’europa cristiana mutò la sua tradizionale condizione difensiva di penisola periferica e di minuscola appendice territoriale del grande continente asiatico, in un potente slancio espansivo. da secoli viveva sotto la minaccia dell’islam. ora cominciò invece a conquistare altri continenti, come l’america, o comunque a disseminarvi uomini ed energie, come in asia e in africa. Passò così dalla difesa all’attacco, con il contributo determinante del proprio potenziale tecnologico e scientifico. In questo campo, per millenni, un paese come la Cina l’aveva nettamente sopravanzata e nei secoli più recenti, a sua volta, il mondo islamico, a lungo custode della scienza greca rimasta trascurata dalla sintesi cristiana medievale, le era stato superiore. dall’età delle esplorazioni in avanti, viceversa, l’europa saldò con crescente convinzione la propria identità alla curva del progresso scientifico. la sua ascesa nel mondo coincise con gli sviluppi di questo, nello stesso momento in cui l’Asia conosceva una fase di ristagno: in Cina, in India e nel variegato mondo islamico che, sotto domini diversi, si estendeva da budapest a benares. L’unità religiosa europea contro la varietà dell’Asia e dell’Africa
Ciò che faceva dell’Europa una realtà fondamentalmente compatta di fronte al resto del mondo, nonostante la frammentarietà delle sue realtà politiche, era in primo luogo la sua unità religiosa, rafforzata per secoli dalla lunga, corale e collettiva difesa dall’espansione islamica. 29
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
LESSICO Jainismo Dal termine sanscrito Jina, ovvero “vincitore” (delle passioni). Antica religione orientale che ha influenzato tanto l’induismo quanto il buddismo. Il jainismo, o giainismo, predica la reincarnazione delle anime e la non violenza nei confronti di ogni creatura. Chiesa copta La Chiesa copta, il cui nome deriva da una trasformazione della parola greca aigy´ptios “egizio”, fu fondata in Egitto nel I secolo d.C. in seguito alle predicazioni di san Marco. Simile nella liturgia alla confessione ortodossa, essa si rifà al cristianesimo delle origini e ai riti apostolici.
Infatti, anche se gli europei, nei secoli precedenti, si erano divisi una prima volta tra cattolici e ortodossi e una seconda tra cattolici e aderenti alle varie Chiese riformate, tuttavia, se si esclude una parte delle popolazioni residenti nelle porzioni europee dell’Impero ottomano, erano rimasti tutti cristiani. ed era in nome del cristianesimo che spagnoli e portoghesi, imitati in seguito da inglesi, francesi, olandesi, avevano combattuto e sconfitto le antiche religioni americane. l’Asia, viceversa, non possedeva un sistema condiviso di riferimenti religiosi, anche se il buddismo, fondato nel V secolo a.C. in India, a partire dalla stessa matrice vedica alla quale attinse l’induismo, aveva in seguito conquistato la Cina e il giappone e il confucianesimo, sorto anch’esso in quel secolo in Cina, si era poi diffuso anche nell’oltremare nipponico. mentre il primo era una filosofia, più che una religione, e non era strutturato come una Chiesa, il secondo, a sua volta, si risolveva essenzialmente in un’etica, un’arte del saggio comportamento. In India, oltre all’induismo, al buddismo, al jainismo, c’era una robusta diffusione dell’islam. e l’islam rappresentava la fede predominante anche nell’Impero persiano e in quello ottomano. anche in Africa, come abbiamo visto, coesistevano tante religioni diverse: dall’islam – diffuso nell’area di dominio diretto e di influenza indiretta dell’Impero ottomano, e in qualche misura lungo le coste orientali prospicienti l’oceano Indiano –, al cristianesimo, nella versione copta praticata nell’Impero di abissinia, a una sterminata moltitudine di culti locali animistici e non. La comunanza dell’Europa e la disunità dell’Asia
La parete di un tempio indù, decorata con un gran numero di divinità diverse
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In Europa si parlava un buon numero di lingue diverse; ma, a prescindere dal fatto che l’alfabeto in uso era perlopiù lo stesso, ve ne erano anche di comuni come il latino prima e il francese poi, utilizzati come lingua franca nelle attività diplomatiche e, più in generale, come lingue colte. a partire dalla metà del Seicento non solo la lingua, ma anche la moda francese dettò legge in Europa. malgrado le frequenti ostilità reciproche, le dinastie regnanti sui vari stati del continente intrecciavano spesso i rispettivi destini familiari, servendosi di alleanze matrimoniali, che contribuirono alla formazione di una sorta di ceto comune dei governanti europei; un fatto, questo, unico al mondo. Viceversa, tra ciascuna delle grandi unità politico-territoriali localizzate in Asia c’era un vero e proprio abisso. alle differenze fisiche, etniche, linguistiche, religiose si assommava una sorta di reciproca sordità politica. l’uno nei confronti dell’altro, gli imperi della Cina, della Persia, del giappone, dell’India (per non ricordare che i più importanti) costituivano ciascuno un mondo a parte, frammentato a sua volta in una pluralità di mondi paralleli e distinti. la nozione di Asia era solo geografica, priva di un reale significato politico. esemplare, a questo proposito, è il caso dell’India, un subcontinente nel quale le teoriche pretese di sovranità esclusiva, avanzate dai vari imperi che nel corso dei secoli vi si avvicendarono, si infrangevano regolarmente sugli scogli dell’irriducibile pluralità di etnie, lingue, culture rappresentate nel territorio. Paradossalmente, persino il fatto che vi fosse praticata in genere una larga tolleranza religiosa (assolutamente inconcepibile a quel tempo nell’intollerante mondo cristiano e difficilmente immaginabile anche nella pur assai meno rigida tradizione islamica) contribuiva a rendere problematico pensarla come un’unità. la varietà vi regnava incontrastata.
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
1.6 I meccanismi e i limiti dello scambio L’Europa promotrice del processo di globalizzazione
se si vuole provare a considerare il mondo nella sua dimensione globale, ovvero a individuarne gli elementi di intreccio, bisogna dunque riconoscere che ad agire nel senso dell’integrazione planetaria furono quasi esclusivamente gli europei. Questa descrizione di alcune correnti seicentesche di commercio a distanza ci illustra bene in che modo: «il commercio atlantico di schiavi produceva effetti a catena che mettevano in relazione i villaggi angolani con le piantagioni di zucchero brasiliane e queste a loro volta con le sale da tè europee”» (J. osterhammel). l’africa (gli schiavi), l’america (le piantagioni di zucchero), l’europa (le sale di ricreazione), l’asia (il tè): ecco dipanarsi sotto gli occhi uno dei possibili percorsi della globalizzazione seicentesca, nel quale non facciamo fatica a individuare il ruolo strategico svolto dall’iniziativa europea. erano i navigatori e i commercianti di paesi come il Portogallo, l’olanda, l’Inghilterra a condurre in prima persona tutte le operazioni necessarie affinché il disegno intercontinentale prendesse concretamente forma e a ricavare, naturalmente, la quota maggiore dei profitti che ne derivavano. Il loro “sapere” sul mondo comportava un “potere” sul mondo, che si esercitava o sotto la forma del dominio territoriale diretto o sotto quello dell’acquisizione di un guadagno. la ricerca appassionata, anzi persino fanatica e ossessiva, di quest’ultimo, pare essere stata l’elemento determinante nell’accensione del “miracolo europeo”, ovvero di quella spinta che durante l’età moderna portò il più piccolo dei continenti a riversarsi in una forma o nell’altra in ogni possibile angolo del mondo.
LESSICO Globalizzazione Termine diffusosi negli anni Novanta del Novecento per spiegare la fitta rete di interrelazioni economiche, politiche e culturali che porta a una sorta di unificazione dello spazio mondiale. Le sue origini possono essere fatte risalire già all’età moderna quando gli scambi commerciali, la contaminazione culturale e la mobilità umana cominciarono a coinvolgere tutti i continenti, soprattutto in seguito alla scoperta dell’America.
L’Asia protagonista involontaria del commercio a distanza
non bisogna tuttavia dimenticare il ruolo del tutto peculiare che ebbe l’Asia negli scambi commerciali almeno sino alla fine del settecento. Come abbiamo detto, le grandi civiltà del continente asiatico restarono pressoché impermeabili all’influsso della cultura occidentale, e il contatto con i mercanti europei non mutò praticamente nulla nella loro rispettiva organizzazione economico-produttiva. Cinesi, indiani, giapponesi erano sostanzialmente indifferenti rispetto all’offerta di merci che l’Europa era in grado di proporre e si facevano pagare quasi esclusivamente in metalli preziosi. Imbarco di uomini e materiali nel porto di Portsmouth, XVIII secolo (Greenwich, National Maritime Museum)
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Il trasporto di vasellame cinese, miniatura, XV secolo (Istanbul, Museo Topkapi)
Il laboratorio dello storico La Cina nell’immaginario seicentesco p. 34
lo scambio si realizzava invece concretamente al contrario: come già ai tempi dei romani, gli europei desideravano ardentemente le spezie, i tessuti pregiati, le porcellane, le pietre preziose, le raffinate lavorazioni in materiali rari. si trattava della favolosa ricchezza d’Oriente, in cambio della quale essi fecero compiere all’oro e all’argento americani prima la traversata atlantica, poi la rotta africana, affinché confluissero alla loro destinazione finale, nelle mani cioè dei grandi signori che ne adoperavano a profusione nelle loro dimore o nei grandi complessi monumentali. da questo punto di vista, quindi, almeno sino alla fine del XVIII secolo furono gli asiatici e non gli europei a dettare le condizioni dello scambio nel commercio a distanza; erano loro, infatti, per i motivi appena illustrati, a impugnare il bastone dalla parte del manico. L’ambivalente caso africano del commercio degli schiavi
Fonte J. Barbot e E. Holden La tratta degli schiavi
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diverso fu, invece, almeno in parte, il caso dell’Africa, continente il cui commercio con l’Europa consistette essenzialmente in avorio ed esseri umani. la commercializzazione degli schiavi, in verità, rappresentava una caratteristica significativa dell’economia di molte società africane già prima dell’arrivo degli europei e del loro sparso insediamento tanto sulla costa atlantica corrispondente alla regione subsahariana, quanto nelle regioni marittime orientali situate a sud dell’etiopia. ne erano tradizionali intermediari – sia verso l’Asia sia verso l’Europa – gli arabi, che tenevano i contatti con gli stati più potenti del continente nero, i quali a loro volta fornivano la materia prima rastrellandola tra le popolazioni vicine, più deboli e meno strutturate. non furono, dunque, i “negrieri” bianchi (portoghesi, olandesi, inglesi, francesi, danesi) a inventare la tratta degli schiavi; e, tuttavia, essi la resero simile a una vera e propria industria, facendo letteralmente impennare nel giro di qualche decennio la domanda di questa particolare merce. Furono forse 10 milioni gli schiavi che, sopravvissuti alle traversie del viaggio transatlantico, giunsero nelle americhe tra il 1500 e il 1807. ne derivò un progressivo deterioramento delle strutture comunitarie, in precedenza caratteristiche di vaste porzioni dell’africa nera.
cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
sempre più frequentemente, una volta che gli europei ebbero dimostrato un famelico interesse per gli schiavi e per le schiave, i sovrani e i signori locali più potenti e meglio armati si dedicarono sistematicamente alla cattura di uomini e donne appartenenti alle popolazioni confinanti, per poi trasportare gli uni e le altre sulla costa e cedere la loro mercanzia agli acquirenti venuti da lontano. Il commercio degli schiavi interessò, sulla costa atlantica, soprattutto il Golfo di Guinea e le coste del Regno del Congo. ma tra sei e settecento le navi negriere effettuarono non di rado spedizioni anche nel litorale sud-orientale affacciato sull’oceano Indiano. Il contatto diretto con gli europei ebbe l’effetto, dunque, di incrudelire sensibilmente la vita quotidiana delle aree dell’Africa che ne vennero coinvolte: la diffusione delle armi da fuoco – la merce europea più richiesta dagli africani in cambio degli schiavi e dell’avorio – ne fu un significativo e sinistro emblema. Chi se ne impadroniva diventava incomparabilmente più forte di chi, standogli vicino, ne restava privo; e la tentazione di sottometterlo si faceva spesso irresistibile.
Storiografia B. Davidson, L’incontro dell’aristocrazia africana con quella europea
I limiti della globalizzazione
dopo questa analisi dei meccanismi, complessi e multiformi, dello scambio a metà seicento, ci si deve chiedere in che misura si possa parlare in quest’epoca di globalizzazione, come si è fatto in modo volutamente provocatorio fin qui. bisogna infatti fare attenzione a non proiettare a ritroso nella storia quella che è soprattutto una caratteristica fondamentale del tempo presente. Per gli uomini e per le donne del seicento o del settecento, “globalizzazione” sarebbe stata una parola incomprensibile. a dispetto dell’espansione europea, e malgrado gli indubbi progressi del suo strumento più avanzato, il commercio a lunga distanza, il mondo continuò infatti a essere sostanzialmente policentrico e la vita delle società e delle economie a risolversi quasi solo a livello locale e regionale, anche nella stessa europa che pure era all’avanguardia sul fronte degli spostamenti di uomini e merci. Fino a quando l’europeizzazione dell’asia (ma anche dell’africa) rimase circoscritta a una dimensione commerciale, in ragione dei modi variabili che sono stati fin qui illustrati, o a quella di un incontro religioso vissuto come fondamentalmente paritetico, il mondo “globale” costruito dall’intraprendenza dei navigatori di fine Quattrocento e dei loro successori continuò a possedere comunque molti centri distinti e paralleli. non solo non si creò una gerarchia dominata dall’Europa, ma, anzi, quest’ultima rimase fondamentalmente in una posizione di sudditanza psicologica rispetto all’Estremo Oriente e alle sue fiorenti culture.
PassatoPresente Un mondo sempre più piccolo
Mercato degli schiavi in Senegal, incisione, XVIII secolo
Si noti il mercante che lecca il ragazzo nero per svelarne l’imbellettatura fatta con polvere da sparo, trucco frequentemente utilizzato per aumentare il pregio e quindi il prezzo dello schiavo
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Il laboratorio dello storico
La Cina nell’immaginario seicentesco
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Il dilagare della moda cinese A partire dalla fine del Seicento dilagò nell’alta società di tutta Europa la “moda cinese”. Piaceva, per esempio, organizzare feste da ballo in costume orientale e arredare una o più stanze in omaggio ai modelli che dal lontano impero asiatico filtravano nel vecchio continente. Nella Sassonia di Augusto il Forte si riscoprì la porcellana, nei parchi delle residenze nobiliari e anche in quelli della borghesia più ricca furono erette pagode e gli interni delle dimore furono decorati con ricche pannellature ispirate all’arte cinese. L’interno di una delle sale cinesi del castello di Racconigi
uno degli esempi più affascinanti dell’attenzione europea nei confronti delle “cineserie” è la reggia sabauda di Racconigi, presso Torino, dove troviamo delle sale riccamente decorate con pannelli ispirati a scene di vita quotidiana cinese
le scene ambientate negli spazi edificati sembrano proporsi come una metafora dell’ordine necessario al buon governo, mentre l’apertura verso un orizzonte di alberi e di campagna pare alludere agli spazi sterminati sui quali si esercita il potere dei dignitari raffigurati in primo piano. oltre il palazzo, si spalanca la Cina
si noti l’atmosfera di ordine e compostezza che caratterizza l’immagine, al cui interno ciascun personaggio sembra recitare una parte prefissata da un cerimoniale rigoroso
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cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?
La riflessione di Montesquieu I gesuiti della Cina elogiavano l’ordine, il rispetto per le gerarchie, la diffusa attitudine alla composta obbedienza, che consentivano all’imperatore di governare su spazi sterminati. Per i più convinti tra i “sinofili” lo stile cinese divenne simbolo di un «governo meraviglioso, che unisce nel suo principio il timore, l’onore e la virtù». Anche il filosofo Montesquieu, autore dell’opera forse più importante del pensiero politico europeo del Settecento – Lo spirito delle leggi (1748) – aveva letto con grande attenzione i resoconti sulla Cina dei missionari, ma ne aveva tratto indicazioni antitetiche rispetto a quelle che ne avevano ricavato i sinofili, come emerge da questo brano.
l’apparente ordine cinese, per montesquieu, non è il risultato della saggezza, bensì quello del terrore inculcato nelle popolazioni da un governo più autoritario di qualsiasi governo europeo dell’epoca
si noti come montesquieu tenda qui ad accostare la forma di governo cinese a quella delle corti “asiatiche” in generale. Ci troviamo davanti a una prima elaborazione della teoria generale del governo, che nel corso della sua opera l’autore si sforzerà di fondare su basi geografiche e climatiche, dipingendo un Oriente “naturalmente” incline alla sudditanza e all’obbedienza, di cui la Cina è l’esemplificazione più spesso ricorrente: «la Cina è dunque uno stato dispotico, il cui principio è la paura»
un grande impero presuppone un’autorità dispotica in colui che governa. bisogna che la prontezza delle esecuzioni supplisca alla distanza dei luoghi a cui sono inviate; che la paura impedisca la negligenza del governatore o del magistrato lontano, che la legge sia nella mente di uno solo; e che cambi senza posa, come gli accidenti, che si moltiplicano sempre nello stato, in proporzione della sua vastità. […] I nostri missionari ci parlano del vasto impero cinese come di un governo meraviglioso, che unisce nel suo principio il timore, l’onore e la virtù. […] Io non so che cosa sia quest’onore di cui si parla, presso popolazioni alle quali non si fa far nulla se non col bastone. Inoltre, i nostri commercianti non ci danno certo l’idea di questa virtù di cui ci parlano i missionari: si consultino sul brigantaggio dei mandarini. […] del resto, le lettere del padre Parennin sul processo intentato dall’imperatore ai principi del sangue neofiti che erano incorsi nella sua disgrazia, rivelano un piano di tirannide seguito costantemente, e offese inflitte alla natura umana con regola, cioè a sangue freddo. abbiamo anche le lettere del signor de mairan e dello stesso padre Parennin sul governo della Cina. dopo una serie di domande e risposte sensatissime, il meraviglioso se ne va in fumo. È forse possibile che i missionari siano stati ingannati da un’apparenza d’ordine, che siano colpiti da questo esercizio continuo della volontà d’un solo, dalla quale sono governati anch’essi, e che amano tanto ritrovare nelle corti dei re delle Indie. C. l secondat de montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di g. macchia, rizzoli, milano 1996, vol. I, pp. 277-280
la Cina non è vista da montesquieu come esempio positivo di ordine e di armonia, bensì come prototipo del dispotismo, ovvero di un modello politico opposto a quello che l’autore – illuminista molto sensibile al tema dei necessari contrappesi al pubblico potere – si sforza di promuovere
la Cina, che nello Spirito delle leggi occupa uno spazio notevole (libri VI, VIII, XIV, XVI, XVII, XIX), si avviava così a diventare tra sei e settecento una sorta di tetro antimodello rispetto agli ideali di libertà che presto il pensiero illuminista avrebbe elaborato, e che nella riflessione di montesquieu già cominciavano a venire presentati come un tratto specifico della sola civiltà europea
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate una fonte figurativa e una letteraria, entrambe risalenti al Settecento, il secolo durante il quale la Cina accese in vario modo la curiosità e l’interesse degli europei. • Quali possibili contrasti si evidenziano confrontando l’immagine della Cina proposta dalla tela con quella fornita da Montesquieu? • «Governo meraviglioso»: qual è il rapporto tra apparenza e realtà di questa formula nella riflessione di Montesquieu?
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cApITOLO 1
VERSO UN MONDO GLOBALE?
Mappa
Superiorità tecnologica e scientifica
Unità religiosa fondata sul cristianesimo
Presenza di un ceto comune di governanti
Dinamismo e protagonismo dell’Europa nel mondo Subisce la tratta europea degli schiavi Sfruttamento del territorio e delle risorse da parte degli europei
Americhe
IL MONDO NEL SEIcENTO E LE SuE INTErDIpENDENZE
Africa
Organizzazioni sociali semplici: • divisione in clan e tribù
• islam religione prevalente
• economie di sussistenza eccetto
Asia
Impero ottomano: declino del prestigio dei sultani
Impero safavide: dinamismo ai danni dell’impero ottomano
Impero Moghul (India): coesistenza tra musulmani e hindù
Conservatorismo e chiusura culturale
Declino nel XVIII secolo
Permane il sistema chiuso delle caste
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Immobilismo, ma detta le regole dello scambio con l’Europa
Presenza di società più complesse in Sudan occidentale e in Africa sud-orientale
Impero dei Q’ing (Cina): divisione del paese in province e stabilità sociale
Impero dei Tokugawa (Giappone): depotenziamento dei poteri locali
Chiusura verso l’esterno e ristagno culturale
Totale chiusura del paese agli stranieri
cApITOLO 1
VERSO UN MONDO GLOBALE?
Sintesi 1.1 IL MONDO CONOSCIUTO NEL SEICENTO a metà del XVII secolo gran parte delle terre emerse, a eccezione dell’oceania, erano state esplorate dagli europei che vi avevano stabilito insediamenti di varia natura: domini politico-territoriali si trovavano soprattutto nell’america centrale e meridionale, mentre in quella settentrionale, in asia e in africa la presenza europea si limitava a sparsi insediamenti costieri. Tuttavia iniziava a svilupparsi in questo periodo una pluralità di intrecci e di flussi politici e commerciali che coinvolgeva tutti i continenti conosciuti.
nel cuore del continente, dove gli europei non riuscirono a penetrare, le comunità locali, appena entrate nell’età del ferro e prive di sistemi di scrittura, vivevano in tribù fondate su principi comunitari e dedite prevalentemente alla caccia e alla pesca. Forme di società assai più complesse si trovavano invece nell’area subsahariana occidentale dove si consolidò la cosiddetta “monarchia sudanese”, un modello istituzionale nel quale i sovrani, investiti di poteri divini, governavano su regni dalla struttura feudale e burocratica. esempi di monarchia sudanese furono il ghana, l’Impero del mali e quello di songhai.
1.2 L’ASIA TRA XVI E XVIII SECOLO l’asia era divisa in imperi di cui i più importanti erano i tre islamici (ottomano, safavide, indiano) e i due confuciani (cinese e giapponese). dal seicento l’Impero ottomano era entrato in una fase di crisi: le sue periferie territoriali divennero indipendenti mentre il ceto dirigente era sempre più corrotto e incompetente. dal tardo Quattrocento in Persia l’Impero safavide, governato da una dinastia sciita in contrasto con i sultani sunniti di Istanbul, contendeva all’Impero ottomano i territori tra il Caucaso e il golfo Persico. In India tra il XVI e il XVIII secolo si consolidò l’Impero moghul che però non riuscì mai a unificare tutto il territorio della penisola. grazie alla politica di tolleranza religiosa promossa da akbar il grande l’impero si caratterizzò per una coesistenza relativamente pacifica tra musulmani e indù. Tuttavia non si riuscì a mettere in discussione la struttura gerarchica della società, divisa in caste. a metà seicento in Cina i ming furono sostituiti dai Q’ing. nel settecento la tradizionale monocultura risicola venne affiancata da nuove produzioni alimentari, come il mais e la patata, provenienti dall’america. nel seicento in Giappone la dinastia dei Tokugawa si impadronì della carica di shogun e creò un imponente apparato burocratico e militare che riuscì a dominare un terzo del territorio, mentre i rimanenti due terzi restavano nelle mani delle famiglie dell’aristocrazia daimyo.
1.4 IL MONDO RACCONTATO DAGLI EUROPEI mentre si sentivano superiori alle popolazioni amerindie, gli europei restarono a lungo soggiogati dal fascino dell’Oriente. soprattutto i gesuiti, incaricati di evangelizzare quelle terre, offrirono della Cina e dell’India narrazioni suggestive che mettevano in luce la grandezza delle loro civiltà, spesso contrapposte ai vizi e alla corruzione europei.
1.3 L’AFRICA NEL XVII SECOLO al tempo delle prime esplorazioni europee, l’africa era una realtà variegata dal punto di vista religioso e politico-sociale. Forte era la presenza islamica nelle regioni settentrionali, nell’africa subsahariana, dove però si intrecciava con le diverse forme della religiosità locale, e lungo la costa sud-orientale.
1.5 UNITà E VARIETà: L’EUROPA A CONFRONTO CON IL RESTO DEL MONDO le grandi civiltà asiatiche si mostrarono poco interessate al mondo europeo rispetto a cui si sentivano superiori. Iniziò in questi secoli un lungo periodo di ristagno della Cina, dell’India e del variegato mondo islamico a cui si contrappose invece il potente slancio espansivo dell’Europa, che si trasformò nel centro propulsivo del mondo. Contribuì al “miracolo europeo”, oltre allo sviluppo scientifico e tecnologico, la presenza di una forte identità, fondata sull’unità religiosa cristiana e sulla forte comunanza culturale, che mancava agli altri continenti, nei quali convivevano religioni e culture molto differenti. 1.6 I MECCANISMI E I LIMITI DELLO SCAMBIO alla fine del seicento, ad agire nel senso dell’integrazione planetaria furono quindi quasi esclusivamente gli europei che promossero le principali reti di scambio. Tuttavia quello che, con un termine contemporaneo, si potrebbe definire un processo di globalizzazione, in età moderna era ancora molto parziale. nonostante il commercio a lunga distanza, il mondo continuò a essere sostanzialmente policentrico e la vita sociale ed economica a svolgersi a livello regionale e locale. 37
Identità collettiva e cittadinanza
H Inclusione Esclusione
Il frontespizio dell’edizione spagnola dell’atlante Guida dei mari, pubblicata nel 1681
Il sistema mondo le relazioni intercontinentali in età moderna
H
a scritto lo studioso Immanuel Wallerstein che quando si orienta lo sguardo su scala globale è consigliabile cercare di dimenticare preliminarmente tutto quello che si è imparato a scuola a proposito di storia. L’affermazione, naturalmente, è un po’ paradossale e
Inclusione
Il continente europeo per tutta la sua storia è stato profondamente attratto dai prodotti pregiati asiatici. Se nel corso dell’età moderna i suoi mercanti sempre più intensamente vennero mossi da un irrefrenabile desiderio di proiettarsi al di fuori del proprio continente e di lanciarsi verso i lontani paesi tropicali, era soprattutto perché mancavano loro dei beni che la clientela riteneva irrinunciabili. Quei beni provenivano essenzialmente dall’Asia, e per acquisirli gli europei si mostrarono per secoli disposti a sacrificare i metalli preziosi che
Un ufficiale della Compagnia inglese delle Indie orientali provocatoria, ma coglie con il suo seguito reclutato localmente certamente un nucleo di verità. I continenti diversi dall’Europa, infatti, entrano troppo raramente nel racconto storico generale. Patiscono, dunque, un’esclusione, come se la storia fosse riservata soltanto a noi europei, e le altre parti del mondo non ne avessero una. In particolare, dalla data della scoperta dell’America, sembra quasi che la storia sia consistita nel progressivo assoggettamento del resto del andavano trafugando in America, prima impadronendosi mondo alle nazioni del nostro con le razzie dei reperti artistici prodotti dalle civiltà continente. precolombiane (molti dei quali vennero fusi per Eppure, come ha chiarito Wallerstein, durante l’età moderna ricavarne oro allo stato puro), poi dando avvio agli scavi esisteva un “sistema mondo” che collegava sotto il profilo minerari nel nuovo mondo. Per realizzare questi ultimi economico tutte le parti conosciute del globo. Si trattava di fecero volentieri ricorso anche alla manodopera di un sistema profondamente inclusivo, che non aveva un solo schiavi importati dall’Africa. Questo meccanismo, che centro, ma che, al contrario, ne contemplava diversi, per funzionare aveva bisogno del contributo simultaneo distribuiti in vari continenti. Questo sistema è stato definito (e dunque dell’inclusione) di diversi continenti, è stato “lo scambio eurasiatico”, ma esso comprendeva, a ben descritto con queste parole dallo storico statunitense vedere, anche l’America e l’Africa.
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Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Navi della Compa gnia delle Indie ing lese nel porto di Bombay, metà de l XVIII
Peter N. Stearns: «La crescente interazione con l’iniziale sistema mondo fece maturare nelle élite occidentali un’intensa passione nei riguardi di prodotti per la cui acquisizione l’Occidente ebbe grandi difficoltà in termini commerciali, perché lo resero soggetto a quello che oggi verrebbe chiamato un problema endemico di bilancia dei pagamenti». Il sistema mondo era soggetto a una direzione europea? In un certo senso sì, dal momento che erano per l’appunto gli europei a rendere possibile la materializzazione del circuito di scambi collegati che lo teneva insieme. Ma, all’interno del sistema, il potere delle economie asiatiche era probabilmente maggiore, poiché le ragioni dello scambio tra Europa e Asia risultavano sbilanciate a favore di quest’ultima.
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entre gli europei erano incantati dai prodotti asiatici, gli asiatici fondamentalmente non furono a lungo interessati ad alcun prodotto europeo; almeno fino al Seicento, quando cominciarono a desiderare quelle armi ad alto profilo tecnologico che nei primi decenni del secolo avevano consentito a olandesi e inglesi di conquistare un proprio spazio di inclusione nei mari mercantili dell’Asia sud-orientale. Osserva ancora Peter Stearns: «I problemi della bilancia dei pagamenti occidentale furono risolti in un certo senso dalla capacità di pagare le merci cinesi e indiane con l’argento proveniente dal Nuovo Mondo […], ma il divario persistette data la forte richiesta dei prodotti coinvolti». 40
secolo (Londra, Ind ia
Office Library)
Proprio negli stessi decenni del Seicento durante i quali i principali Stati europei diedero avvio al sistema mercantilista – che era basato sulla stretta interazione tra la politica economica statale e le strategie operative di alcune compagnie commerciali privilegiate, e finalizzato a conseguire un accrescimento della ricchezza nazionale –, qualcosa di molto simile avvenne all’altro capo del mondo. In quei mari tra la Cina e il Giappone, nei quali anche gli europei – ma in particolare gli olandesi, dopo che gli iberici erano stati allontanati con la forza dall’area – giocavano un ruolo di qualche rilievo, olandese in India Un insediamento
Il sistema mondo le ragioni della politica e quelle dell’economia vennero infatti, a loro volta, combinate in un progetto unitario. Per quanto i contrasti per assicurarsene il controllo fossero assai aspri, lo scacchiere spaziale di quell’area risultava profondamente inclusivo. Al suo interno interagivano lo Stato cinese, quello giapponese, ma anche e soprattutto le grandi compagnie mercantili dei due paesi asiatici, alle quali i rispettivi governi avevano conferito l’esclusiva di esercitare il commercio in quello specchio d’acqua che ciascuno di essi considerava come proprio. Paragonabili alle loro consorelle europee per l’ampiezza dei traffici da loro gestiti, queste compagnie erano talvolta tanto potenti da potersi permettere di sfidare le flotte statali. In particolare, la compagnia cinese degli Zheng, con le sue centinaia di navi che battevano i mari del Sud-Est asiatico colme di seta grezza e ben protette da armi sofisticate, non aveva nulla da invidiare alla più forte tra le compagnie europee dell’epoca, quella olandese delle Indie orientali e, anzi, disponeva di un potere militare, oltre che economico, che per diversi decenni le consentì di influenzare gli avvicendamenti dinastici al vertice dell’Impero cinese. E questi ultimi, dal momento che si traducevano in scelte di politica economica, potevano dar luogo a effetti ad amplissimo raggio, che si avvertivano anche in Europa, proprio perché l’economia mondo di cui abbiamo qui presentato alcuni dei protagonisti era un sistema profondamente inclusivo su scala globale.
Carta della Cina, da un atlante olandese del 1659
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Capitolo 2
La Francia deL re SoLe
2.1 Luigi XIV e la nascita dell’assolutismo I simboli dell’assolutismo: la corte e l’esercito LESSICO Corte Intesa come insieme delle persone che circondano il sovrano (famigliari, consiglieri e funzionari), è un’istituzione già nata nell’antichità classica (dal latino cohors, “schiena”). Con l’età moderna, quando i sovrani cominciano ad avere una residenza stabile, con il termine corte si inizia anche a designare l’ambito spaziale della reggia.
immaginiamo di trovarci a qualche decina di chilometri da Parigi, nella reggia di Versailles, poco dopo la sua edificazione (realizzata in gran parte tra il 1669 e il 1702). entriamo in una delle grandi sale della corte reale, carica di specchi, di fregi dorati, di tappezzerie sontuose. Brulica di uno stuolo di servitori che ne controllano gli accessi. Fuori dalla sala è assiepata una folla di aristocratici, con le parrucche e gli abiti di gala. Sono in attesa di fare il loro ingresso e di assaporare, per quel giorno, il privilegio di assistere, in religioso silenzio e a capo chino, al risveglio del re, ancora addormentato nel suo grande letto a baldacchino. Tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, la scena che abbiamo tratteggiato venne replicata quasi ogni giorno non solo nella corte di Versailles ma, nel giro di qualche decennio, anche a Schönbrunn (presso Vienna) o a Potsdam (presso Berlino), sebbene attraverso rituali meno fastosi e solenni. Il quadro ritrae i membri della famiglia di Luigi XIV come divinità romane
Jean Nocret, La famiglia di Luigi XIV, XVII secolo (Versailles, Museo del Castello)
L’altro uomo ritratto è Filippo d’Orléans, fratello del re, circondato da sua moglie Enrichetta d’Inghilterra, da sua figlia Maria Luisa e dalla suocera, Enrichetta Maria, regina d’Inghilterra
Al centro del quadro c’è la regina Anna d’Austria, madre di Luigi, ritratta come Cibele
Alla sinistra del re, un po’ più in basso, la regina Maria Teresa d’Austria, moglie del sovrano, è dipinta nelle vesti di Giunone; essa tiene la mano del figlio, il delfino e futuro sovrano Luigi XV
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Luigi XIV, assiso in trono, è ritratto nelle vesti di Apollo
in questo cerimoniale si esprimeva il culto del re, ovvero la recita plateale della sottomissione alla sua paterna – e, anzi, quasi divina – autorità da parte degli aristocratici, fino ad allora abituati a trattarlo quasi da pari a pari; a lesinargli gli armati in caso di guerra; a questionare instancabilmente sull’ammontare delle imposte dovute dalle loro province al fisco del sovrano. Spostiamoci ora in un qualsiasi punto del territorio francese, o austriaco o anche prussiano. acquartierata nelle dimore migliori, una soldatesca in uniforme occupa disordinatamente spazi domestici che sottrae ai legittimi proprietari; svillaneggia borghesi, contadini, artigiani; insidia impunemente le ragazze del luogo. e la comunità circostante non può che sopportarne rabbiosa pretese e insolenze; talvolta si priva di cibi e bevande per cederli agli sgraditi ospiti; paga ogni anno nuove imposte per finanziarne equipaggiamento e stipendi. Sono i soldati del re, e davanti a loro bisogna inchinarsi. nella cornice di quello che la storiografia ha definito lo Stato assoluto, di cui le corti reali e gli eserciti permanenti sono i simboli forse più vistosi, tra il tardo Seicento e l’avvio del Settecento i rapporti tra il sovrano e la società cominciarono a mutare in modo sensibile. il re si impose con maggiore efficacia e sempre più frequentemente si sottrasse al rispetto di quell’insieme di privilegi, di esenzioni, di immunità (l’esenzione da determinati obblighi o servizi) nel quale si concretizzavano le libertà dell’aristocrazia, del clero, delle città durante l’antico regime. Le aspirazioni assolutiste di Luigi XIV
«Lo Stato sono io», la famosa frase attribuita a Luigi XiV, è certamente la formula che esprime nel modo più efficace l’ideale dell’assolutismo. esso consiste infatti nell’aspirazione a porre drastici limiti alla varietà di poteri ancora esistenti alla fine del Seicento, a elevare nettamente il potere dello Stato, ancora del tutto indistinto dalla persona del sovrano, al di sopra delle numerose e spesso sovrapposte e contrastanti autorità locali e a far sentire, perciò, gli abitanti di ciascuna provincia sudditi del re prima ancora che appartenenti a una comunità locale dotata di diritti particolari. La Francia costituì il modello per tutti gli “assolutismi” europei. Su di essa regnò ininterrottamente dal 1661 al 1715 Luigi XIV di Borbone (1638-1715, re dal 1643), che assunse la piena sovranità alla morte del cardinale Giulio Mazzarino, il quale l’aveva assistito durante la drammatica esperienza della Fronda, una sorta di corale ribellione del paese al potere regio (1648-1653), e poi guidato nei primi anni di regno. al momento dell’ascesa al trono, Luigi XiV trovava davanti a sé un paese spossato da anni di sommosse ed economicamente assai indebolito, malgrado le sue indubbie potenzialità. Le casse dello Stato erano vuote e la finanza pubblica era gravata da un’enorme quantità di debiti. agli esordi del regno di Luigi XiV la Francia del re era fatta di molte unità distinte. Piuttosto che nel sovrano, i contadini, la stragrande maggioranza dei venti milioni di francesi, riconoscevano istintivamente i loro padroni nei feudatari (laici o ecclesiastici), ai quali da un lato dovevano pagare tributi e prestare servizi, ma dall’altro potevano sperare di ricorrere per qualche aiuto nei tempi di carestia. Lo Stato, come lo intendiamo noi oggi, un uniforme apparato di istituzioni preposto all’applicazione di regole unitarie, era presente solo in modo discontinuo e incoerente. all’interno del territorio esistevano infatti decine di consuetudini legali diverse; le città, protette dalle loro mura, costituivano vere e proprie isole, ognuna governata in base a uno statuto, che ne tutelava l’indipendenza.
LESSICO Antico regime Con l’espressione antico regime (dal francese ancien régime) si indica il tipo di società esistente in Europa tra il XIV e il XIX secolo. Coniato dai rivoluzionari francesi a partire dal 1790 ed estesosi in seguito a tutti gli aspetti della vita economica e sociale europea, il termine è divenuto un sinonimo di società tradizionale, preindustriale, fondata sui privilegi di ceto e anteriore a tutti i fenomeni di modernizzazione. Assolutismo Termine diffusosi alla fine del Settecento in ambienti liberali allo scopo di mettere in luce gli aspetti negativi del potere monarchico illimitato. Con assoluto si indica infatti che il sovrano è legibus solutus, cioè svincolato dall’obbligo di sottostare alle leggi, libero da ogni controllo esterno o superiore.
MEMO Il cardinale Mazzarino, l’erede di Richelieu, alla morte di quest’ultimo nel 1642 assunse la direzione del Consiglio del re. In accordo con la reggente Anna d’Austria, governò di fatto la Francia durante la minore età di Luigi XIV, portando avanti la politica assolutistica del suo predecessore. La Fronda fu un movimento di opposizione alla politica di accentramento e di forte tassazione di Mazzarino.
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Il re Luigi XIV riceve un’ambasciata, XVII secolo
Intervista impossibile a Luigi XIV, p. 54
Luigi XiV cercò, pertanto, di ideare e imporre nuove norme e di svincolarsi dal rispetto di consuetudini e ordinamenti locali che, per il solo fatto di esistere da secoli, venivano ritenuti intangibili, quasi come fossero l’espressione di un volere divino. ciò che il monarca aveva in mente era invece un ordine nuovo, in cui fosse lui a venire considerato, per così dire, l’interprete della volontà divina e il solo vero garante del bene della nazione. Per questo attaccò duramente la tradizione, mostrando di ritenerla un intralcio, e non un bene da tutelare.
2.2 La riorganizzazione dello Stato e la politica economica LESSICO Clero Dal greco kléros, “sorte, eredità” e, per estensione, “parte scelta della comunità dei fedeli”. Indica l’insieme dei sacerdoti responsabili della comunità dei credenti. Si divide in clero secolare (da latino saeculum, “mondo presente”), costituito dai sacerdoti diocesani dipendenti dal vescovo, e in clero regolare, costituito dai membri di un ordine religioso sottoposti a una regola e soggetti all’autorità di un abate o di un altro superiore ecclesiastico.
MEMO Gli intendenti erano funzionari di nomina regia, istituiti da Richelieu, incaricati di riscuotere le tasse e di governare le province.
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Gli ostacoli al potere regio: gli Stati provinciali
Fino all’ascesa al trono di Luigi XiV le leggi emanate dal re erano servite solo da riferimento generale. esse venivano applicate con procedure diverse da luogo a luogo: la Francia infatti era una realtà composita, lentamente cresciuta nei secoli con conquiste, annessioni e successioni ereditarie. Forse, più che di un solo paese, sarebbe opportuno parlare, come fa lo storico Pierre Goubert, di «un complesso di nazioni, di paesi, di signorie, di feudi, di parrocchie la cui giustapposizione formava il regno di Francia». il nucleo più antico era costituito dai cosiddetti pays d’État, di fatto governati dagli stati (État) provinciali – assemblee composte dall’aristocrazia, dal clero e dai rappresentanti delle città – che avevano facoltà di contrattare con il re modalità e importo dell’esborso fiscale e provvedevano poi a ripartirlo tra gli abitanti del territorio, esentandone i ceti privilegiati o accordando comunque loro un trattamento molto favorevole. a questi territori si erano successivamente aggiunti i cosiddetti pays d’élection, nei quali la distribuzione e l’esazione dei tributi aveva finito per essere gestita in gran parte da intendenti di nomina regia. Qui gli intendenti, fino all’inizio del Seicento, si erano avvalsi della collaborazione di figure locali nominate (in francese élus) dagli stati generali. Ma dal 1614 questi ultimi non vennero più convocati e dunque, in assenza degli “eletti”, gli intendenti si configurarono sempre più come lo strumento dell’ingerenza del governo centrale nella vita provinciale.
cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE
Gli ostacoli al potere regio: i Parlamenti
in ciascuno dei pays sedeva un Parlamento, composto di alti magistrati incaricati di passare al vaglio ogni nuova ordinanza emanata dal re e, almeno in teoria, autorizzati a sospenderne l’attuazione, nel caso che essa venisse ritenuta incongrua rispetto alle leggi già in vigore e lesiva delle libertà del territorio, e a chiederne la modifica. Per di più i membri del Parlamento, gli officiers, erano titolari di cariche venali, cioè cedute dal sovrano in cambio di denaro a privati che le utilizzavano come rendite, facendosi a loro volta pagare da chi doveva ricorrere ai loro servizi. con il passare del tempo le cariche venali erano divenute ereditarie, e il sovrano non poteva dunque più esercitare il diritto di nomina e di revoca su di esse. i predecessori di Luigi XiV avevano spesso coltivato il desiderio di disattendere le tradizionali prerogative dei singoli Parlamenti, e di rendere tendenzialmente unitaria la legislazione che emanavano. Tuttavia gli interventi in questa direzione erano stati sempre eccezionali ed estemporanei. così, in ogni pays si era venuto stratificando un corpo di leggi diverso, derivante dall’esito della contrattazione tra sovrano e Parlamenti. appena varcato il confine di un pays, poteva accadere che le leggi in vigore non fossero più le stesse, o che venissero applicate in maniera diversa: l’eccezione e la peculiarità avevano il sopravvento sulla regola e sull’uniformità. Piuttosto che sul riconoscimento della propria superiorità gerarchica «la monarchia riposava in realtà su un insieme di contratti conclusi con i vari gruppi che costituivano la Francia: province, città, istituzioni ecclesiastiche, classi della società ed anche gruppi economici come i mestieri» (d. roche).
Luigi XIV ritratto come un antico imperatore romano, XVII secolo
La Francia alla fine del XVII secolo
Pays d’État
FIANDRA E ARTOIS HAIANAUT
canale della Manica
Pays d’élection
PICCARDIA ILE-DEFRANCE PARIGI CHAMPAGNE
NORMANDIA BRETAGNA MAINE ANJOU
VERDUN E METZ
Le linee grigie segnano i confini dei governatorati militari: si trattava di una circoscrizione di tipo militare, emanazione del governo centrale, che talvolta coincideva e talaltra si sovrapponeva alla trama amministrativa dei pays
LORENA
ORLEANESE
TURENNA
ALSAZIA
POITOU
BORGOGNA oceano NIVERNESE AUNIS FRANCA Atlantico MARCHE BOURBONNAIS CONTEA SAINTONGE ANGOUMOIS BERRY
LIONESE
LIMOSINO GUYENNE E GUASCOGNA LABOURD BEARN BASSA NAVARRA SOULE
Il Contado venassino era la regione che aveva per centro Avignone. Tale area, in quanto ex sede papale, godeva di un’autonomia speciale
ALVERNIA
CONTADO VENASSINO
DELFINATO
LINGUADOCA PROVENZA
C. DI FOIX
ROUSSILLON
mar Mediterraneo
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Il re era cioè costretto a prendere accordi separati con ciascun corpo della società, come voleva l’antica tradizione costituzionale europea risalente al Medioevo e solo in parte, e mai in modo definitivo, contraddetta durante alcune fasi della prima età moderna. L’attacco ai Parlamenti e la nuova burocrazia
LESSICO Burocrazia Termine dall’etimologia ibrida, dal francese bureau “ufficio” connesso al greco krátos “potere”, fu introdotto in modo sistematico da Max Weber all’inizio del Novecento per indicare il “potere degli uffici”, che si struttura intorno a regole impersonali, astratte e immodificabili dall’individuo che ricopre temporaneamente una funzione. Il termine è poi passato a indicare genericamente l’organizzazione di persone e risorse destinate a rendere possibile l’erogazione di servizi pubblici secondo criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità.
Uno dei tratti più significativi del progetto assolutista di Luigi XiV consistette proprio nel ridimensionamento delle prerogative dei Parlamenti. essi godevano dei cosiddetti diritti di rimostranza e di registrazione, che consistevano nella facoltà di impedire o ritardare l’entrata in vigore di nuove leggi, qualora le si ritenesse gravemente lesive delle consuetudini tradizionali locali. il nuovo sovrano, imponendo una procedura nuova, obbligò invece i Parlamenti a registrare comunque gli editti, consentendo loro eventualmente solo in un secondo tempo di avanzare rimostranze, che per altro regolarmente respinse. Si liberò così del primo ostacolo che si opponeva alla sua aspirazione a governare secondo la propria volontà. Per applicare le leggi, Luigi XiV allestì un’efficiente burocrazia, rafforzando il ruolo degli intendenti, i quali, a differenza di coloro che detenevano una carica a titolo venale (officiers), potevano venire liberamente nominati e, se necessario, revocati dal re. Perciò riorganizzò il governo, assumendone la direzione, eliminando la figura del primo ministro e ripartendo le funzioni di comando all’interno di un piccolo drappello di valenti ministri muniti di competenze specialistiche. ANALIZZARE LA FONTE
Riflessioni di un re Autore: Luigi XIV, re di Francia Tipo di fonte: memorie Lingua originale: francese Data: 1661-1671 In questo testo, tratto dalle Memorie scritte a beneficio del figlio, Luigi XIV prima descrive i rapporti di forza tra Corona e Parlamenti all’inizio del suo regno, poi illustra la tecnica che adoperò per condurli all’obbedienza.
L’eccessiva preminenza dei parlamenti era stata dannosa a tutto il regno durante la mia minorità. occorreva moderarli, meno per il male che avevano fatto che per quello che potevano fare in avvenire. La loro autorità, finché veniva considerata opposta alla mia, per buone che fossero le loro intenzioni, produceva pessimi effetti nello Stato, e intralciava qualsiasi cosa potessi intraprendere di più grande e utile. era giusto anteporre questa utilità a ogni altra considerazione, e riportare tutto nel suo ordine legittimo e naturale, quand’anche fosse necessario togliere a quegli organismi ciò che un tempo era stato concesso loro […]. Voi, figlio mio, che probabilmente li troverete ancora più lontani dalle vane pretese d’un tempo, dovrete fare con tanta maggior cura ciò che io faccio ogni giorno; voglio dire, dimostrar loro stima nelle occasioni importanti, conoscerne i principali membri e quelli che hanno maggiori meriti, dimostrare che li conoscete, ricordarsi di loro, e delle loro famiglie, nella distribuzione degli incarichi e dei benefici, favorire i loro progetti quando vogliono legarsi più strettamente a voi, abituarli infine con buone accoglienze e parole gentili a farvi visita qualche volta. Luigi XiV, Memorie, Bollati Boringhieri, Torino 1977 Domande alla fonte 1. Quale ruolo Luigi XIV intende riconoscere ai Parlamenti? 2. Perché ritiene sia giusto ridurre i poteri dei Parlamenti? 3. Quale strategia consiglia al figlio di utilizzare nei rapporti con i membri dei Parlamenti?
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cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE
Li scelse in larga misura di estrazione non aristocratica, o tutt’al più tra la nobiltà di rango minore, confidando che gli avrebbero serbato fedeltà e riconoscenza per il favore di cui li aveva onorati elevandoli ai vertici dello Stato. Ma soprattutto istituì un collegamento tra il governo centrale e il territorio, rendendo stabili le figure degli intendenti, funzionari preposti alle géneralités, le trenta circoscrizioni amministrative in cui suddivise il territorio francese, componendo un disegno che si sovrapponeva a quello della vecchia ripartizione basata sui pays. delineò così una Francia organizzata dall’alto, assai più agevolmente controllabile di quella che aveva ricevuto in eredità dai suoi predecessori. Gli intendenti vennero dotati di poteri molto ampi in materia fiscale, giudiziaria, militare. Gradatamente tanto la popolazione urbana quanto quella contadina si abituarono a riconoscere in loro gli interpreti di una volontà e di una legge – quella del re – a cui si era tenuti a prestare la stessa obbedienza tributata agli organi del governo municipale o ai feudatari. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il governo francese al tempo di Luigi XIV re
presiede consiglio del re
Ministri e principi di sangue
Ministri di stato
segretari di stato
consiglio di stato o privato (presieduto dal cancelliere del regno)
controllore
intendenti di finanza
La politica economica: il mercantilismo di Colbert
La politica assolutista di Luigi XiV non era solo volta a controllare meglio i sudditi e ad attenuare il potere dei ceti privilegiati. egli voleva infatti anche e soprattutto rendere la Francia più ricca e più potente, programmandone e regolandone dall’alto l’attività economica. Jean Baptiste Colbert (1619-1683), controllore, ovvero ministro, delle Finanze dal 1661 al 1683, elaborò un progetto per la guida dell’economia del paese, definito mercantilismo, una politica nazionalista basata in primo luogo sull’innalzamento dei dazi doganali per scoraggiare l’afflusso della produzione manifatturiera estera e favorire le iniziative imprenditoriali e commerciali interne, in modo da valorizzare al massimo le potenzialità produttive del paese. colbert mise a punto un piano che prevedeva sia il pareggio dei conti pubblici, dissestati a causa della Fronda, sia il rafforzamento della manifattura e dell’industria francese. Per conseguire il primo obiettivo decretò la riduzione d’ufficio dei capitali di cui la corona era debitrice nei confronti dei privati e così pure l’abbattimento dei tassi degli interessi dovuti ai creditori. introdusse inoltre un metodo più razionale e meno dispersivo per il prelievo delle tasse, riducendo dal 25% al 4% i proventi degli appaltatori che le riscuotevano per conto della corona. Per rendere più fiorente l’economia del paese, organizzò inoltre un articolato intervento dello Stato a sostegno del commercio.
LESSICO Mercantilismo Indica un indirizzo di politica economica diffuso tra il XVI e il XVIII secolo. Si basa sulla convinzione che la ricchezza di una nazione consiste nella quantità di denaro accumulato; per aumentarla lo Stato deve intervenire sia favorendo le esportazioni di prodotti nazionali sia limitando le importazioni di manufatti stranieri. Manifattura Il termine indica sia l’insieme delle lavorazioni (letteralmente “fatte con le mani”) necessarie per trasformare la materia prima in un prodotto finito (manufatto), sia il luogo in cui tali lavorazioni vengono svolte.
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Luigi XIV, accompagnato dal ministro Colbert, visita la manifattura dei Gobelins, specializzata nella produzione di arazzi e tessuti, arazzo, XVII secolo
colbert voleva che la Francia producesse da sé tutti i manufatti, in modo che nel paese entrasse più denaro di quanto ne usciva. Per questo attivò una forte protezione doganale, che colpiva con dazi elevati i manufatti provenienti dall’estero, e concesse facilitazioni a chi istituiva un nuovo ramo di industria, promuovendo investimenti economici nei settori dell’economia di trasformazione, per consolidare una borghesia produttiva in alternativa all’aristocrazia fondiaria e feudale. Per alcune produzioni (come ceramiche e arazzi) fece allestire vere e proprie manifatture di Stato. Per scoraggiare le importazioni, cercò poi di rendere complementari la produzione economica della Francia e quella delle sue colonie, potenziando la flotta incaricata di effettuare i trasporti tra la madrepatria e i territori oltremare. Si sforzò di avvicinare le varie aree economiche della Francia con il servizio pubblico di posta e organizzò la costruzione di nuove infrastrutture: strade, ponti, canali navigabili. Si rivelava anche qui chiaramente lo sforzo di rompere con la tradizione, di intervenire autoritariamente nella stratificazione delle consuetudini locali e dei privilegi consolidati, che è una delle caratteristiche essenziali del progetto assolutista.
2.3
La politica religiosa
Difesa della Chiesa gallicana e attacco al giansenismo
Per rendere efficace la subordinazione dei pays a Parigi e la riduzione degli elementi di pluralismo, di frammentazione, di particolarismo disseminati nei tanti e sparsi territori di cui si componeva il regno di Francia, oltre che rinforzare materialmente gli apparati dello Stato, era necessario anche piegare le resistenze e le dissidenze. importante pareva, soprattutto, sollecitare l’attitudine all’obbedienza sul terreno religioso, quello in cui più intensamente, a quell’epoca, trovava espressione la libertà di coscienza dei singoli. 48
cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE
a tale scopo Luigi XiV fece il possibile per incrementare l’autonomia da Roma della Chiesa cattolica di Francia, detta gallicana, tradizionalmente controllata dai sovrani, che godevano dal 1516 della prerogativa di nominarne i vescovi, gli abati, i priori. nel 1682 appoggiò un aperto scontro della chiesa francese con il papa. Successivamente, però, i rapporti con il pontefice divennero meno conflittuali, al punto che tra il 1705 e il 1707, Luigi XiV chiese e ottenne da parte di quest’ultimo la condanna del giansenismo. Questa dottrina teologica, il cui nome derivava da quello del suo primo propugnatore, il vescovo di Ypres (Fiandre) cornelius Jansen (1585-1638), sostenitore di una fede profondamente interiorizzata e scevra dell’esteriorità devozionale caratteristica del cattolicesimo controriformista, aveva trovato il suo centro di irradiazione nei due monasteri di Port royal, presso Parigi, guadagnandosi il consenso soprattutto tra gli intellettuali. Tra questi, il filosofo Blaise Pascal (1623-1662), che nelle sue Lettere provinciali, pubblicate tra il 1656 e il 1657, aveva rivolto una sferzante critica ai gesuiti, accusandoli di lassismo morale. ricco com’era di spunti critici nei confronti delle gerarchie e dell’esteriorità ecclesiastica, il giansenismo pareva pericoloso non solo per la curia romana, ma anche per la corona di Francia, che ne paventava lo scarso rispetto della sacralità e della maestà del potere. con il supporto papale, il giansenismo fu duramente represso e apparentemente tacitato nei primi anni del Settecento. Tuttavia la tradizione antiautoritaria che esso aveva contribuito a fondare avrebbe costituito uno dei lieviti ideali dell’opposizione alla monarchia nella Francia del XViii secolo e dello stesso illuminismo.
LESSICO Chiesa gallicana Espressione che indica la Chiesa francese (da Gallia, l’antica denominazione della Francia) in quanto indipendente dalla Chiesa di Roma. Le sue origini risalgono alle lotte tra Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII all’inizio del XIV secolo, ma ufficialmente essa viene istituita con la Prammatica sanzione di Bourges del 1438, con la quale i vescovi, gli abati e i priori furono nominati dal re. Dissidente Dal latino dissidens, “colui che siede separatamente”, in età moderna indica inizialmente, all’interno di un paese, la professione di una religione diversa da quella ufficiale per poi, successivamente, estendersi a ogni forma di opposizione a un’autorità riconosciuta.
La revoca dell’editto di Nantes
La dissidenza religiosa che il sovrano temeva di più era tuttavia quella calvinista, in ragione della grande importanza che quel culto attribuiva alla coscienza e all’interiorità del singolo individuo. in Francia erano presenti circa un milione di calvinisti, detti ugonotti, che rappresentavano agli occhi di Luigi XiV una minaccia tangibile all’uniformità della fede e alla possibilità di manipolare attraverso di questa le coscienze. Luigi XIV riceve le scuse di papa Alessandro VII attraverso il cardinale Chigi (1664). L’episodio si riferisce a un incidente capitato a Roma, in cui l’ambasciatore francese era stato offeso dal papa. Le pubbliche scuse dimostrano l’indiscussa autorità del sovrano francese
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
MEMO Emanato da Enrico IV di Borbone nel 1598, l’Editto di Nantes pose fine alle guerre di religione che dal 1562, in Francia, avevano opposto i cattolici (capeggiati dalla famiglia dei Guisa) agli ugonotti (capeggiati dalla famiglia dei Borbone). Esso riconosceva la libertà di coscienza in tutto il territorio francese e la libertà di culto nei territori ove gli ugonotti si erano già installati prima del 1597.
dopo aver cercato con ogni mezzo di sollecitarne la conversione, nel 1685 il sovrano ordinò la revoca dell’Editto di Nantes, che era stato emanato nel 1598 allo scopo di ottenere la pacificazione religiosa del paese, e che aveva per quasi un secolo consentito l’esercizio del culto calvinista all’interno della Francia a maggioranza cattolica. in pochi mesi, ben duecentomila ugonotti abbandonarono la Francia, trovando riparo nei paesi riformati: con loro se ne andava via il meglio della borghesia mercantile e finanziaria. La ricerca dell’uniformità delle coscienze, o, meglio, della loro comune soggezione a una sola fede e a un solo potere, si tradusse così, in questo caso, in una secca perdita economica per il regno di un sovrano, che pure, come abbiamo visto, aveva fatto dell’arricchimento della nazione il proprio obiettivo primario.
2.4 Gli strumenti dell’assolutismo: esercito e pressione fiscale L’esercito
Due soldati appartenenti al reggimento delle guardie francesi, disegno, fine del XVII secolo
LESSICO Parrocchia Dal greco paroikía, “gruppo di case vicine”, il termine indica la ripartizione territoriale della diocesi, ma fu spesso utilizzato in epoca moderna dal potere secolare per indicare le unità territoriali su cui esercitare i poteri amministrativi e giudiziari.
L’attacco sferrato da Luigi XiV alla varietà degli ordinamenti locali assomigliava a una vera e propria guerra. Stroncare un’agitazione di contadini tormentati da nuove tasse, placare l’animosità di cittadini decisi a impedire la limitazione o l’annullamento delle loro tradizionali libertà statutarie o, ancora, indurre nuclei di ugonotti a convertirsi oppure tacitare la protesta di Parlamenti o di Stati provinciali intenzionati a ostacolare l’applicazione delle ordinanze regie: in tutti questi casi Luigi XiV, insieme ai funzionari civili, inviava sistematicamente anche i suoi reggimenti. Talvolta si limitava a farli acquartierare a spese della comunità di volta in volta presa di mira; tuttavia, se la misura si rivelava insufficiente a vincere le resistenze, la soldatesca passava senz’altro ai massacri e alle devastazioni. i comandanti godevano, per molti versi, di carta bianca. al di là dell’importanza che l’esercito francese ebbe nei vari scenari di guerra (v. cap. 4), decisivo fu anche il valore che il re gli attribuì sul piano della politica interna. era infatti il suo strumento più efficace per il controllo dell’ordine pubblico e per la repressione delle rivolte, che si susseguirono numerose durante il regno in quasi ogni parte del paese che egli cercava di assoggettare alla propria volontà unificante, e che costituivano la naturale conseguenza della politica centralizzatrice del sovrano. Tra il 1664 e il 1703 il numero degli arruolati sotto le bandiere regie salì da quarantacinquemila a ben quattrocentomila. Tra questi, oltre a volontari, a vagabondi costretti a indossare la divisa, a interi reggimenti assoldati all’estero, dal 1688 erano presenti anche alcune decine di migliaia di militi estratti a sorte in ciascuna parrocchia (ovvero in ciascuna circoscrizione locale) e da questa mantenuti. naturalmente il grande rigonfiamento degli organici militari si manifestava solo nei momenti di maggiore sforzo bellico. e, tuttavia, quella a cui ci si trovava davanti era, per così dire, l’“infanzia” di un sistema che un secolo più tardi si sarebbe consolidato nella forma del servizio militare obbligatorio. Le tasse
insieme alla burocrazia e all’esercito di Stato, l’assolutismo impose alla Francia anche un sensibile aumento del carico fiscale. Burocrazia, esercito, tasse: i tre elementi sono da considerare, del resto, come strettamente correlati, dal momento che, 50
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per accrescere i propri organici, i primi due ebbero necessariamente bisogno dei proventi forniti dal fisco. da solo, l’esercito assorbì da un terzo (negli anni di pace) a due terzi (negli anni di guerra, cioè 37 dei complessivi 54 del regno di Luigi) della spesa pubblica. Per tener dietro alle spese, i ministri finanziari di Luigi XiV in parte ricorsero a espedienti tradizionali, come la vendita di cariche pubbliche e uffici, in parte introdussero nuove tasse. due di queste, soprattutto, vanno ricordate: la capitazione e il decimo, attivate rispettivamente nel 1695 e nel 1710. nelle intenzioni, queste imposte avrebbero dovuto colpire tutti (tranne gli ecclesiastici), senza distinzioni di ceto, e introdurre quindi una fiscalità omogenea, che avrebbe reso tutti compartecipi della medesima condizione di sudditanza al monarca e allo Stato. in realtà i nobili furono spesso in grado di difendere, su questo terreno, i loro privilegi. continuarono a pagare in misura ridotta, o addirittura a esimersi del tutto dal farlo. La crescita della pressione fiscale ricadde quindi quasi completamente sulle spalle dei contadini, che si trovarono a sopportare il nuovo peso dello Stato accentrato ed esigente, senza per questo venir liberati dagli oneri tradizionali, derivanti dalle ineguaglianze di status tipiche dell’antico regime. non c’è da stupirsi, perciò, se la morte di Luigi XiV, nel 1715, venne salutata da grandi manifestazioni di felicità e giubilo, tanto da parte degli strati più umili, quanto da parte dei ceti privilegiati. i primi durante il suo regno avevano patito disagi materiali di ogni genere, sacrificato figli alla guerra, subito angherie e vessazioni. i secondi si erano sentiti privati del carisma e del rilievo politico che in passato aveva consentito loro di presentarsi non solo come i naturali padroni, ma anche, al tempo stesso, come i solleciti e caritatevoli protettori delle loro località, parrocchie, città. Molte famiglie nobiliari si erano inoltre drasticamente impoverite a causa della dispendiosa stucchevolezza del gioco cerimoniale di corte. e, più in generale, gli aristocratici nutrivano motivi di risentimento per la grande importanza che il mercantilismo aveva attribuito alle manifatture e al commercio, ai danni dell’agricoltura, che rappresentava il loro mondo e dalla quale traevano gran parte delle loro rendite.
LESSICO Capitazione e decimo La capitazione (dal latino caput, “testa”) è un tipo di imposta, introdotta già in epoca romana, che grava su ogni maschio adulto, indipendentemente dal suo reddito. Il decimo, invece, è un’imposta proporzionale, ossia che varia in base alla ricchezza degli individui, incidendo di un decimo sul loro reddito.
Pierre Patel, La reggia di Versailles vista dall’Avenue de Paris, XVII secolo (Versailles, Museo del Castello)
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
2.5 Modernità e limiti dell’assolutismo di Luigi XIV Il mito del re Sole
L’emblema di Luigi XIV, il re Sole
Henri Testelin, Luigi XIV istituisce l’Accademia reale delle Scienze, 1667 (Versailles, Museo del Castello)
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Malgrado gli indubbi malesseri che aveva alimentato con varie eccezioni presso l’intero paese, all’estero lo Stato assoluto francese aveva suscitato grande ammirazione. innanzitutto ne era stato temuto l’esercito imponente, disciplinato e a lungo vittorioso. Luigi XiV aveva dato inizio alla sua prima stagione di campagne militari negli anni Sessanta, quando, con l’obiettivo finale di assoggettare i Paesi Bassi, aveva invaso vittoriosamente il Belgio e la Franca Contea (Guerra di devoluzione 1667-1668). nella successiva Guerra di Olanda (1672-1678) non gli era riuscito di piegare, come avrebbe voluto, le Province Unite, e, tuttavia, le trattative diplomatiche seguite alla guerra gli avevano riconfermato il dominio su Franca Contea e su parte delle Fiandre. Ma nel corso del decennio seguente, quando si era formata contro di lui una potente coalizione, la fortuna aveva cominciato a voltargli le spalle, e, ormai completamente isolato, Luigi XiV nel 1697, in seguito alla pace di ryswyk, si era visto costretto a cedere gran parte dei territori di cui si era impadronito nei decenni precedenti (v. cap. 4, par. 4.1). oltre che per i suoi prolungati successi militari, i sovrani degli altri paesi avevano invidiato il re Sole – chiamato così per alludere alla sua autorappresentazione in termini di grandezza e luminosità – per la sua capacità di neutralizzare i nobili, attirandoli a corte e inducendoli a consumare molte delle proprie rendite al fine di primeggiare in quella competizione per conquistarsi la vicinanza al sovrano alla quale abbiamo fatto cenno in apertura di capitolo. egli li aveva strappati dalla provincia, scenario principale dei loro privilegi tradizionali, bastione della loro identità ribelle. La legislazione unitaria, che Luigi XiV era stato in grado di affiancare alla selva di particolarismi e alla varietà di consuetudini locali, era parsa infine anche agli altri regnanti un obiettivo da perseguire per semplificare le relazioni tra monarchia e sudditi e per garantire il controllo dello Stato sulla società, o, meglio, sulle molte distinte società che ciascuno Stato si portava dentro.
cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE
Van der Meulen, La costruzione del castello di Versailles, XVII secolo
Soprattutto nell’europa del nord e in quella centro-orientale, l’assolutismo alla francese conobbe numerosi tentativi di imitazione (v. cap. 3). La causa di tanto successo fu la capacità di Luigi XiV di rappresentare il suo potere, di mettere in scena la sua persona come un’opera d’arte. a ciò contribuì la creazione di un apparato di “propaganda” che presenta importanti tratti di modernità. ogni aspetto della vita del sovrano veniva infatti curato allo scopo di ottenere e consolidare il consenso: egli si presentava ai sudditi sempre come un eroe, un santo o una divinità per ricordare al popolo la sua gloria e al tempo stesso la sua inaccessibilità; feste, parate e processioni erano pensate nei minimi dettagli allo scopo di trasmettere l’immagine di un sovrano maestoso, elegante e coraggioso.
Storiografia N. Henschall, Il mito dell’assolutismo
Il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte, p. 56
Interventismo statale e limiti della burocrazia
Innovativa e moderna, a prescindere dai risultati ottenuti, che gli storici valutano diversamente a seconda che la loro attenzione si concentri sul breve o sul lungo periodo, fu anche la politica mercantilistica. era la prima volta, nella storia europea, che il pubblico potere prendeva iniziative così sistematiche sul piano economico, mostrando di considerare l’accrescimento della ricchezza della nazione uno dei propri compiti primari. Tuttavia, nonostante i molti aspetti che portano a individuare dei punti di contatto tra il regno di Luigi XiV e le modalità di governo dello Stato odierno, non bisogna trascurare le altrettanto numerose differenze che si vedono soprattutto nella limitata capacità di penetrazione del potere centrale. Per quanto infatti il corpo burocratico a disposizione del monarca fosse cresciuto, restava assai modesto rispetto a quello che pare oggi a noi abituale. Tra amministrazione centrale e amministrazione periferica, il sovrano disponeva di non più di mille uomini dei quali poteva liberamente ordinare la nomina o la revoca. a questo sparuto drappello si contrapponeva la fitta schiera dei detentori di uffici venali: in tutto, circa 40 000 persone, dalle quali si poteva sperare tutt’al più neutralità, ma più spesso si dovevano temere sabotaggio e ostruzionismo.
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D Luigi XIV, Voi siete ricordato come il più grande sovrano europeo dell’età moderna, tanto è vero che Vi è stato dato l’appellativo di “re Sole”. Eppure avete avuto un inizio di regno molto contrastato e problematico. Volete ricordarcene qualche episodio?
R Prima di diventare il re Sole, io sono stato un re bambino. Avevo appena cinque anni quando, nel 1643, mio padre Luigi XIII morì precocemente; l’erede ero io. Ma come può regnare un bambino di soli cinque anni? A farlo al posto mio furono i miei fidati cancellieri, prima Richelieu, poi Mazzarino. La Francia, intanto, era in rivolta. Della mia infanzia, il ricordo più traumatico, più ancora di quello della morte di mio padre, è la fuga da Parigi, nel cuore di quella notte ghiacciata del gennaio 1649, quando dovemmo salire precipitosamente su delle carrozze e lanciare i cavalli al galoppo, per salvarci dalla rivolta della Fronda. Se i ribelli mi avessero preso, credo che avrei fatto la stessa fine che quell’anno toccò in sorte a un’altra testa coronata, Carlo I Stuart, re d’Inghilterra. Lo giustiziarono davanti a una folla eccitata e plaudente.
D Ma Voi foste più fortunato. Dunque, fuggiste da Parigi e trovaste riparo a Saint-Germain-en-Laye. Quando Vi fu possibile tornare nella capitale? E quando vi assumeste in prima persona la responsabilità di governare?
R Passarono anni. La tempesta politica co-
Intervista impossibile - 5 domande a
minciò a placarsi nel 1653, e fu allora che potei rimettere piede a Parigi. Non ero più un bambino, ma neppure un uomo. Dal momento del ritorno nella capitale, fino al 1661 a tenere le redini del regno fu colui che considero il mio maestro nell’arte di governo, il cardinale Giulio Mazzarino. Attesi, rispettoso, la sua morte prima di cominciare a governare io. E quando lo feci, cercai di applicare la lezione che avevo appreso.
LUIGI XIV
D E in che cosa consiste questa
Una volta diventato adulto, ho imposto loro E come Vi hanno di venire a risiedere a corte e di abbando- considerato Alla fine, nare le province e i loro castelli, dai quali all’estero? R Un’idea di fondo, soprattutto: che nel avevano organizzato la guerra contro di R Comincerò dalla ri- alternando Regno di Francia a comandare deve esse- me. Così avrei potuto controllarli e metter- sposta a quest’ultima lusinghe e re il re e che per farlo deve potenziare li in concorrenza l’uno con l’altro. Li ho domanda. Mi hanno te- minacce, potei quanto più possibile le strutture dello Stato, costretti a fare di tutto, pur di conquistarsi muto, sì. Al punto tale da e mettere il bavaglio a tutte quelle forze il mio volubile favore. Hanno prosciugato le formare una coalizione affermare: «lo – i Parlamenti, gli aristocratici, i dissidenti loro fortune, pur di collocarsi al vertice. E fortissima per frenare le Stato sono io» poi ho voluto che la corte di- mie ambizioni: dalla ventasse un grande palcosce- Spagna all’Inghilterra, nico, un teatro permanente dall’Impero all’Olanda, e altri paesi ancora. nel quale le migliaia di perso- Nei primi vent’anni del mio regno ho quasi ne che vi abitavano erano sempre vinto. Poi, lo slancio dei miei chiamate ciascuna a recitare eserciti si è arrestato. Ma, intanto, le la parte che ero io ad asse- centinaia di migliaia di uomini che metgnare. Di quella recita il regi- tevo in campo assorbivano fiumi di desta esclusivo sono stato io, naro, ed io ero costretto, insieme al mio decidendo giorno per giorno a ministro Colbert, ad aumentare contichi sarebbe stato riservato nuamente le tasse. Ma non bastava. A l’onore di starmi vicino, al mo- un certo punto, il mio controllore delle mento del risveglio, o in occa- Finanze mi ha addirittura convinto a religiosi, il popolo ribelsione del mio pranzo regale, mettere in vendita l’argenteria della le – che di volta in volta Nel Regno con le sue 20 o 25 portate mia corte, perché nelle casse dello ne contestano l’autorità. che, mentre gli spettatori mi Stato non c’era più un soldo. Il paese, Quello che avevo patito di Francia guardavano ammirati, io toc- nel frattempo, era davvero allo streda bambino, prima con la a comandare cavo appena, o addirittura ri- mo. Quando sono passato a miglior Fronda parlamentare, poi deve essere spedivo indietro intatte. Chi vita, nel 1715, dopo aver regnato, in con quella dei principi, restava escluso dalla mia gra- compagnia o da solo, per più di setpoi con quella popolare, il re e per farlo zia era disposto a tutto per tant’anni, a Parigi per sere e sere la non doveva accadere deve mettere il recuperarla. Muovendo le mie popolazione ha festeggiato la mia più. Per questo rafforzai nella gerarchia di cor- fine con i fuochi d’artificio… bavaglio a tutte pedine la burocrazia e l’esercito, te, sollevando gli uni e facene feci di quest’ultimo uno quelle forze che do cadere in disgrazia gli altri, strumento valido tanto di volta in volta ho ottenuto l’obbedienza di per la politica estera che erano stati ribelli e ne contestano nobili quanto per quella interche sono diventati docili e na. Gli intendenti e i ge- l’autorità mansueti come agnelli. E nenerali divennero le punte gli spettacoli che ho fatto alledi diamante del mio postire a Versailles per celebrare tere. E, alla fine, alternando lusinghe e mi- la mia gloria, ho coinvolto i più grandi uonacce, potei affermare: «lo Stato sono io». mini di teatro dell’epoca, da Racine a Molière. Spettacoli meravigliosi, pieni di effetD Durante il Vostro regno è sorta la ti speciali, che gli spettatori guardavano reggia di Versailles che è diventata ammirati, convinti di trovarsi in un mondo quello straordinario immenso palazzo magico inventato da me. circondato da un parco che ancora oggi tutti coloro che si recano a Parigi D Ma il paese come ha reagito al vanno a visitare. Perché avete voluto Vostro sogno di grandezza e al fatto una reggia così sontuosa? che per completare quest’ultimo avete R L’ho fatto allo scopo di destare stupore, per decenni guerreggiato senza tregua ammirazione, soggezione e timore. I gran- con mezza Europa, in modo da di aristocratici mi avevano combattuto, rendere la Francia più grande e quando ero ragazzino. temuta? lezione? Che cosa avete imparato da Mazzarino?
Il laboratorio dello storico
La strategia del cerimoniale di corte
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Il cerimoniale alla corte di Luigi XIV Il regista Roberto Rossellini nel 1966 girò La presa di potere di Luigi XIV, un film ambientato in gran parte in quegli spazi di corte che qualche anno più tardi sarebbero divenuti oggetto di un fortunato filone di riflessione storiografica. Fino a quel momento gli storici avevano considerato il mondo della corte assolutistica poco più che un repertorio di aneddoti e stranezze, come il luogo dello sfarzo fine a se stesso. A partire dalla pubblicazione, nel 1969, dello studio di Norbert Elias La società di corte (il Mulino, Bologna 1980) cominciarono invece a ricostruirlo e analizzarlo come un vero e proprio “sistema”, perfettamente funzionale al progetto politico dei sovrani assoluti e particolarmente idoneo a esprimere quella che fu la caratteristica centrale della cosiddetta età dell’assolutismo: la natura fortemente personalistica del potere, evidenziata da un vero e proprio culto religioso del sovrano, del quale le scene del film di Rossellini ci restituiscono un momento paradigmatico.
il re siede a tavola, unico a indossare il cappello piumato, mentre il resto della corte rimane in piedi e a capo scoperto
ecco lo spettacolo che Luigi XiV si trova davanti ogni giorno, al momento del suo dîner (la cena): il resto della corte che assiste al suo pasto solitario
Tra le figure riccamente abbigliate si scorge anche un alto prelato, vestito di rosso porpora, anch’egli a capo scoperto, con il cappello stretto tra le mani. neppure il clero, sfugge all’obbligo di rispettare ossequiosamente l’etichetta di corte
ad assolvere il compito di servire il re – un’incombenza considerata come un onore, come il segno di un probabile avanzamento di rango – qui sono alcuni esponenti della nobiltà, osservati da loro pariceto, perfettamente consapevoli del significato di ogni dettaglio del cerimoniale, e per questo attentissimi a ogni particolare della quotidianità di corte
Cerimoniale ed etichetta – i codici del linguaggio di corte – assolvevano la funzione di definire e aggiornare le gerarchie di rango e di riconoscimento all’interno del composito ambiente aristocratico che attorniava il monarca, supremo dispensatore di grazie, di favori, di onori. in tal modo il sovrano si impadroniva capziosamente delle redini del mondo nobiliare, creando fratture e gelosie al suo interno. L’etichetta non era un vuoto esercizio di formalismo, bensì un affilato strumento di politica 56
cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE
L’etichetta alla corte imperiale asburgica Passiamo ora a una fonte scritta e a un altro paese. L’autore, Julius B. von Rohr, pubblicò nel 1728 una Introduzione alla scienza cerimoniale delle persone private, nella quale descriveva gli usi di corte nel mondo tedesco. Il passo che ci apprestiamo a leggere descrive, in particolare, la cerimonia del dîner presso la corte imperiale viennese di Schönbrunn.
Si noterà come a governare le varie sequenze della cerimonia, alla stregua di servitori, siano una serie di addetti: ciambellani, maggiordomi, scalchi, trinciatori, coppieri, credenzieri
Una raffigurazione troppo stentorea e ingessata? attenzione: l’autore riserva un finale a sorpresa
il pavimento, su cui poggia la tavola, è ricoperto di rosso scarlatto o di costoso velluto. Talvolta, ma soprattutto in occasione di solennità, la tavola viene rialzata, e, proprio come in un teatro, per accedervi o per discenderne sono necessari dei gradini […]. alla corte imperiale, quando l’imperatore mangia in città, i pasti vengono recati dagli imperiali camerieri, dopo che i paggi, a capo coperto, li hanno tratti dai padiglioni, fino alla credenza, preceduti dall’ingresso di una guardia del corpo imperiale e seguiti da quello di un trabante (alabardiere della guardia imperiale), che chiude la processione; ed ecco allora che l’addetto agli argenti li pone in ordine, per poi recarli in tavola a capo scoperto; è infine compito di un ciambellano far le porzioni e disporle davanti a ciascun commensale […]. alla corte imperiale il gran ciambellano resta sempre dietro alle seggiole, ed anche il gran maestro delle cucine, che si colloca accanto al gran maestro delle argenterie, rimane per lo più a disposizione, mentre i paggi imperiali recano le vivande a tavola in continuazione, ed in continuazione le ritirano […]. Bisogna a tal proposito sapere che gli scalchi, i trinciatori, i coppieri e i credenzieri in servizio alla corte imperiale sono nobili delle migliori famiglie, e talvolta anche conti. Quando persone imperiali o reali decidono di bere principescamente alla salute di qualcuno, è raro che cessino finché non sono ubriache.
come l’autore ci avverte gli addetti non sono comune personale di servizio, bensì rappresentanti, vecchi e giovani, delle migliori famiglie aristocratiche dell’impero, fieri di ricoprire le cariche cerimoniali che consentono la quasi quotidiana prossimità fisica al sovrano, e che dunque denotano il suo apprezzamento e la sua benevolenza nei confronti di chi ne è di volta in volta titolare. Servire, qualificarsi come un devoto del re, è la precondizione per godere di rango e considerazione pubblica
H. ch. ehalt, La corte di Vienna tra Sei e Settecento, Bulzoni, roma 1984
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio ci si è avvalsi in primo luogo di una fonte filmica – attingendo a un’opera girata negli anni sessanta del Novecento –, alla quale è stato accostato un brano ricavato da un trattato tardo-settecentesco. Le due fonti sono state collegate facendo riferimento a un saggio storico-sociologico scritto negli anni Ottanta del Novecento. • Le due fonti parlano di due corti diverse: quella francese e quella austriaca. In che misura il discorso sviluppato dalle sequenze relative a Versailles coincide con il resoconto relativo alle usanze della corte di Vienna? • In che modo è opportuno accostarsi a una fonte come quella rappresentata dai film a soggetto storico? O, meglio, possono – e se sì, in che misura – i film essere considerati delle fonti storiche?
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cApITOLO 2
LA FRANCIA DEL RE SOLE
Mappa Strumenti: • esercito • burocrazia • tasse
Limiti: • permanenza di troppi uffici venali • eccesso di tasse
Elementi di modernità: • propaganda politica
ASSOLuTISMO DI LuIgI XIV
per creare consenso
• politica mercantilistica • legislazione unitaria • corte come strumento di potere
politica interna
obiettivo: accentrare il potere e rompere con la tradizione
indebolimento dei nobili, raccolti nella “gabbia dorata” di versailles, e dei parlamenti
eliminazione del primo ministro e assunzione diretta del governo
collegamento centro-periferia attraverso intendenti stabili
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politica economica
obiettivo: rendere ricca la Francia
Mercantilismo e sostegno statale alle manifatture
costruzione di nuove infrastrutture
politica religiosa
obiettivo: controllare le coscienze dei sudditi
riaffermazione del gallicanesimo e conflitto con la chiesa di roma
lotta al giansenismo con l’appoggio del papa
revoca dell’editto di nantes e cacciata degli ugonotti
cApITOLO 2
LA FRANCIA DEL RE SOLE
Sintesi 2.1 LuIgI XIV E LA NASCITA DELL’ASSOLuTISMO Luigi XIV di Borbone (1661-1715) alla morte di Mazzarino, suo tutore, decise di assumere in prima persona il governo della Francia, accentuando la politica assolutistica già iniziata dai suoi predecessori. il culto del re, lo sfarzoso cerimoniale della corte di Versailles e un esercito disciplinato e fedele sono i simboli di questo potere. Per governare in modo assoluto Luigi decise di porre drastici limiti alla varietà dei poteri ancora esistenti nella Francia di fine Settecento. 2.2 LA RIORgANIZZAZIONE DELLO STATO E LA POLITICA ECONOMICA il tentativo di contrastare la presenza di poteri autonomi – che in Francia si esprimevano nell’esistenza di tante realtà locali, abituate ad avere le proprie leggi e i propri governi – fu realizzato con due strategie politiche. La prima consisteva nella riduzione del potere della nobiltà di spada, per mezzo della creazione della corte di Versailles; la seconda nel ridurre i poteri dei Parlamenti subordinando il loro diritto di rimostranza a quello di registrazione. nella reggia di Versailles furono costrette a trasferirsi e a vivere le più importanti famiglie aristocratiche, esautorate del loro potere reale e distratte dal clima frivolo e mondano della corte con le sue feste e i suoi tornei. Per limitare i poteri locali, Luigi decise di uniformare dal punto di vista giuridico e fiscale l’intero territorio francese, che si presentava invece molto differenziato. decise quindi di suddividere il paese in trenta circoscrizioni dette “generalità”, a capo delle quali pose gli intendenti, funzionari spesso di estrazione borghese, nominati dal re e quindi a lui fedeli. Lo sforzo di rompere con la tradizione e con i privilegi consolidati venne seguito anche nella politica dell’economia mercantilistica, promossa dal controllore generale delle Finanze Jean Baptiste colbert. essa si fondava sulla convinzione che la ricchezza di una nazione dipende dalle sue riserve di moneta aurea. a tal scopo era quindi necessario attuare una politica che incrementasse le entrate, sia istituendo forti dazi doganali, sia favorendo lo sviluppo della produzione interna, e riducesse viceversa le uscite.
2.3 LA POLITICA RELIgIOSA Luigi XiV capì che era necessario imporre il proprio dominio non solo sulle istituzioni, ma anche sulle coscienze, da un lato piegando le resistenze e le dissidenze, dall’altro creando strategie di consenso popolare. il primo obiettivo fu raggiunto consolidando l’indipendenza della Chiesa francese (la chiesa gallicana) da roma e reprimendo i dissidenti ugonotti e giansenisti. nel 1685 il sovrano ordinò la revoca dell’Editto di Nantes, costringendo molti protestanti ad abbandonare la Francia. il secondo si realizzò con una vera e propria politica di propaganda volta a creare il mito del re Sole magnanimo e coraggioso. 2.4 gLI STRuMENTI DELL’ASSOLuTISMO: ESERCITO E PRESSIONE FISCALE Presupposti imprescindibili dell’intera politica di Luigi XiV furono la formazione di un esercito permanente e l’istituzione di una forte tassazione che incise soprattutto sui gruppi sociali più poveri, in particolare sui contadini. Proprio per poter mantenere un esercito sempre più numeroso, egli introdusse due nuove imposte: la capitazione e il decimo. 2.5 MODERNITà E LIMITI DELL’ASSOLuTISMO DI LuIgI XIV alcuni degli aspetti dell’azione di governo di Luigi XiV appaiono “moderni”, come la creazione di un forte apparato burocratico e di propaganda, ma non bisogna dimenticarne i limiti, primo fra tutti il precario controllo centralizzato del territorio, che restava ancora spesso nelle mani dei nobili, nonostante gli sforzi degli intendenti. nonostante tali limiti, l’assolutismo di Luigi XiV seppe affermarsi in europa come un modello e il re, anche grazie alle numerose vittorie in battaglia, si guadagnò l’ammirazione dei più grandi sovrani europei dell’epoca.
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Capitolo 3
L’Europa tra assoLutismo E LibErtà 3.1 Il modello francese: l’assolutismo nel Nord dell’Europa L’area del Baltico
L. M. J. Wersent, Pietro I tiene in braccio Luigi XV, XVIII secolo
Lo zar Pietro I
Il piccolo Luigi XV, figlio di Luigi XIV
Il dipinto testimonia una visita diplomatica dello zar a Versailles, nel 1697-1698, ed è un segno evidente dell’omaggio in quegli anni tributato da molti sovrani europei alla potenza francese
Proprio in quegli anni, l’intraprendente monarca russo reputò favorevole il momento per stringere accordi commerciali e militari con lo Stato francese, enormemente ricco e potente
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Non diversamente da come accadeva nella Francia del re sole, a contraddistinguere gli sforzi di alcuni regnanti europei della stessa epoca furono obiettivi come l’organizzazione di un esercito permanente, l’allestimento di una burocrazia fidata ed efficace, la valorizzazione delle potenzialità produttive del rispettivo paese, il contenimento delle immunità e dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici. Nell’area baltica tanto i re di svezia quanto quelli di Danimarca – a lungo avversari in un aspro conflitto militare – si rafforzarono internamente a scapito dell’aristocrazia. il re di Danimarca e Norvegia Federico iii nel 1665 trasformò la Corona da elettiva a ereditaria, consolidando la continuità del rapporto tra stato e dinastia. intanto il re di Svezia Carlo Xi accresceva la propria base impositiva, cioè l’insieme dei terreni dai quali il sovrano poteva esigere tasse, sottraendo ai nobili enormi estensioni di terra da questi in precedenza usurpate e nel 1693 emanava una dichiarazione nella quale, imitando Luigi XiV, definiva assoluta la propria sovranità. ma fu soprattutto in Prussia e in Russia che tra sei e settecento si sviluppò l’assolutismo europeo.
L’area del Baltico tra il 1660 e il 1725 Svezia nel 1660 Danimarca nel 1660 Prussia-Brandeburgo nel 1721
GI A
Territori contesi tra Russia e Svezia
REGN O
DI D AN IM
AR CA
EN
OR VE
Ducati del Sacro romano impero governati in certi periodi dal re di Danimarca
mare del Nord
CARELIA
REGNO DI SVEZIA
Oslo
Uppsala Stoccolma Ösel Gotland
Copenaghen
SCHLESWIG HOLSTEIN
Stralsund
BREMA
Lago Ladoga
Viborg
SanPietroburgo Narva INGRIA ESTONIA LIVONIA
IMPERO RUSSO
Riga
mar Baltico Königsberg
PRUSSIA ORIENTALE
POMERANIA Danzica Stettino Varsavia Berlino
REGNO DI POLONIA
BRANDEBURGO
L’assolutismo prussiano degli Hohenzollern
in Prussia il potere sovrano era detenuto dalla dinastia degli Hohenzollern, che dal 1415 godeva della dignità elettorale del sacro romano impero e che nel 1618 aveva aggiunto ai propri domini (il Brandeburgo) anche il territorio della Prussia orientale, in forma, tuttavia, di granducato soggetto, fino al 1660, al vassallaggio nei confronti del re di polonia. ma nel 1700, in seguito alla partecipazione al conflitto per il dominio sul baltico, la prussia riuscì a rendersi indipendente dalla Polonia e a trasformarsi in un vero e proprio regno. assurti alla dignità di re, che testimoniava in modo eloquente della crescita del loro rango all’interno del sacro romano impero, i sovrani prussiani si impegnarono nella costruzione di un esercito permanente, basato in parte sulla coscrizione obbligatoria, che dai 30 000 uomini del 1688 passò agli 80 000 del 1733. si trattava certamente di numeri molto più modesti di quelli dell’esercito francese, ma c’è da tener conto che la prussia aveva allora meno di 2 milioni di abitanti contro i 20 della Francia. Dunque, in proporzione, essa finì per configurarsi come una società molto più militarizzata, nella quale la rigida disciplina delle caserme dava il tono a quasi ogni aspetto della vita civile. per finanziare l’esercito fu necessario aumentare le imposte e fu soprattutto a questo scopo che già Federico Guglielmo (1640-1688), poi Federico i (16571713, elettore dal 1688 e primo re di prussia dal 1700), infine Federico Guglielmo i (1688-1740, re di prussia dal 1713) smantellarono man mano la consuetudine che imponeva l’autorizzazione preventiva dei Landstände (le assemblee rappresentative provinciali, dominate dall’aristocrazia e dal clero, ma aperte anche alla borghesia cittadina) per la riscossione di ogni nuova tassa.
LESSICO Hohenzollern Famiglia aristocratica il cui nome deriva dal castello di Zollern in Svevia. Fu la dinastia che portò nel XIX secolo alla nascita dello Stato nazionale tedesco
MEMO Istituita nel 1356 con la Bolla d’oro, la dignità elettorale era il diritto di eleggere l’imperatore, spettante ai cosiddetti sette “grandi elettori”: il conte del Palatinato, il duca di Sassonia, gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza, il marchese di Brandeburgo e il re di Boemia.
Inclusione/Esclusione Il potere nell’antico regime, p. 77
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Mathias Czwiczek, Federico Guglielmo di Hohenzollern e sua madre, XVII secolo
Il nuovo ruolo dell’aristocrazia prussiana
L. de Silvestre, Federico Guglielmo I (a destra) con Augusto di Sassonia, sovrano di Polonia, XVIII secolo
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a differenza che in Francia, in prussia il rapporto tra il sovrano e l’aristocrazia di sangue era assai complesso. Quest’ultima, infatti, da un lato si vide in parte limitare le prerogative, le immunità e le libertà che l’avevano in precedenza resa padrona degli spazi locali; ma dall’altro venne prescelta come titolare quasi esclusiva delle cariche di comando della burocrazia e dell’esercito del re. Quindi essa compensò con il prestigio derivante dal servizio ai comandi del sovrano la flessione del proprio potere signorile, di natura feudale. i nobili prussiani, godendo del monopolio nel conferimento dei posti da ufficiale, ricevettero da questa prerogativa una forte consacrazione di rango, che li ripagò almeno in parte dallo smacco subìto in seguito all’indebolimento dei Land stände, che fino ad allora avevano rappresentato la fonte primaria del loro potere. L’aristocrazia fu inoltre largamente rappresentata anche al vertice della nuova burocrazia di stato, che affiancò i tradizionali organi di autogoverno cittadino e i titolari di feudi nel controllo delle città e delle campagne. Nell’organizzazione burocratica, però, anche la borghesia colta, istruita presso le università, svolse un ruolo importante e contribuì con il proprio sapere specialistico alla realizzazione del cameralismo, in origine una politica economica tesa, come il mercantilismo francese, alla promozione delle manifatture e dei traffici nella nazione, in seguito divenuta una vera e propria scienza della pubblica amministrazione, finalizzata a stabilire le modalità dell’intervento di quest’ultima ai fini della promozione della prosperità nazionale.
cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il governo prussiano nel XVIII secolo accresciuta base impositiva
coscrizione obbligatoria
eserciti permanenti
forte apparato militare
nuove imposte
forte apparato fiscale
ASSOLUTISMO
L’assolutismo in Russia
in Russia nello stesso periodo gli zar appartenenti alla dinastia dei Romanov svilupparono il proprio disegno assolutista seguendo un modello abbastanza simile a quello prussiano. Imbavagliarono infatti le assemblee rappresentative territoriali dominate dalla nobiltà, ma conferirono al tempo stesso all’aristocrazia il predominio nell’esercito e nell’apparato burocratico. Distribuirono così pesi e contrappesi. a pagare gli oneri maggiori per l’aumento della fiscalità – soprattutto in seguito all’introduzione, nel 1710, di un’imposta sulle persone – furono i contadini, che in russia, a differenza di quanto accadeva negli altri paesi europei, continuavano a vivere in una condizione simile a quella di servi della gleba. i loro padroni, oltre a pretendere da essi prestazioni lavorative, potevano anche disporre liberamente della loro persona, come di una proprietà. Come in Francia, anche in russia un aspetto importante dell’assolutismo consistette nella repressione del dissenso religioso, a cui dava voce una buona parte della comunità dei fedeli, i cosiddetti “vecchi credenti”. Questi ultimi, che criticavano la forte compenetrazione della Chiesa ortodossa con il potere politico, e che andavano alla ricerca di una religiosità più spirituale, subirono infatti sanguinose persecuzioni.
MEMO A partire dal 1613 con l’elezione a zar di Michele, la dinastia dei Romanov, (che resterà sul trono fino al 1917), rafforzò la politica autocratica, già cominciata con Ivan III e Ivan IV, fondata su una stretta alleanza con la Chiesa ortodossa.
La politica di occidentalizzazione di Pietro il Grande
Pietro il Grande Romanov (1672-1725, zar di russia dal 1689), mitica e dispotica figura di zar affascinato dall’occidente, che aveva visitato a lungo in gioventù viaggiando talvolta in incognito, modernizzò profondamente la Russia sotto il profilo militare e burocratico. Nel 1720 marina ed esercito – impegnati in precedenza nel baltico contro la svezia, e nelle sconfinate pianure dell’asia, alla conquista della siberia – erano ormai forti di 350 000 uomini, in parte reclutati con un sistema di coscrizione. Li guidavano essenzialmente nobili di sangue, ma tra gli ufficiali, soprattutto nei corpi tecnici, si trovavano anche figure di origine non aristocratica, destinate comunque a essere anch’esse nobilitate, in ragione del meccanismo attivato dalla Tavola dei ranghi. Questa regolamentazione, introdotta nel 1722, prevedeva la suddivisione in quattordici gradi tanto del personale dirigente dell’esercito e della marina, quanto di quello della burocrazia. Già con l’inserimento nel grado più basso (il quattordicesimo) dell’apparato militare (solo a partire dall’ottavo, invece, in quello burocratico) si veniva investiti della nobiltà ereditaria, così che il mestiere delle armi offriva l’opportunità di una certa mobilità sociale.
Kotzebue, La fondazione di San Pietroburgo da parte di Pietro I il Grande, XVIII secolo
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
APPROFONDIRE
San Pietroburgo, la città del futuro a città, così chiamata in onore del suo fondatore, Pietro il Lterritorio Grande, prese forma sorgendo quasi dal nulla all’interno di un inospitale e malsano, a carattere fortemente paludoso.
Baltico. Dopo la transitoria restituzione a Mosca del rango di capitale (1717-1730), la città marittima tornò, in seguito, a rivestire nuovamente il ruolo assegnatole nel 1712 e lo conservò Oltre che di una rottura nei confronti della tradizione, identififino al 1918. cata con Mosca e con l’aristocrazia che vi risiedeva, lo zar La costruzione della città, proseguita durante tutto il corso del volle farne il simbolo di una sorta di sfida alla natura. La coSettecento, fu diretta essenzialmente da architetti provenienti struzione della città, la cui fondazione consentì alla Russia di dall’estero: prima il ticinese Domenico Trezzini, poi il francese disporre di un grande sbocco commerJ.B.A. Le Blond, poi, a partire dagli anni ciale e marittimo, rappresentò infatti Quaranta, molti italiani, tra i quali B. F. un’impresa colossale, alla quale lavoRastrelli, A. Rinaldi, G. Quarenghi. Ne rarono decine di migliaia di uomini: scaturì un modello urbano che per la soldati, ma anche prigionieri, vagabonRussia era completamente nuovo, al pundi e contadini, soprattutto finlandesi ed to da sembrare appartenente a un altro estoni, obbligati a sottoporsi a ritmi di mondo, a quella cultura dell’Occidente lavoro durissimi. Molti di loro morirono europeo che Pietro aveva scelto come durante l’edificazione della città, stronsorgente di ispirazione per i suoi piani di cati dalla fatica e dalle malattie. trasformazione della società russa. Con Nel 1712 Pietro il Grande ne fece la Pietroburgo, un pezzo di futuro si matecapitale del suo regno, spostandone corializzava improvvisamente in una società sì il baricentro verso occidente, dal mo- Scorcio del castello di Pietro I a San Pietroburgo, costruito fino a quel momento tenacemente ancomento che la città si affacciava sul mar per lo zar nel XVIII secolo rata alla tradizione e al passato.
Le manifatture statali, istituite a imitazione del modello mercantilista francese, lavoravano a pieno ritmo per garantire equipaggiamento e approvvigionamento alle forze armate. Nella nuova capitale, San Pietroburgo, fatta edificare ex novo a partire dal 1703 sotto la direzione di architetti occidentali, un’efficiente organizzazione ministeriale impartiva gli ordini a una burocrazia modernamente istruita, formata, come in prussia, soprattutto da aristocratici.
3.2 Assolutismi incompiuti, libertà vecchie e nuove La tentazione assolutista dell’Austria MEMO Lo Stato slavo della Boemia, fin dal XII secolo inserito nell’Impero (il suo re grazie alla Bolla d’oro era uno dei sette grandi elettori), era diventata nel 1526 dominio ereditario degli Asburgo. Dopo la disastrosa battaglia di Mohàcs (1526), gran parte dell’Ungheria era caduta sotto l’Impero ottomano, mentre il resto del paese aveva cercato l’aiuto degli Asburgo, a cui da allora rimase legato. Infatti, alla fine del XVII secolo, con la pace di Carlowitz, l’intera Ungheria divenne dominio asburgico.
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significativo è, a suo modo, anche il caso dell’Austria, all’interno dei cui domini rientravano la Boemia e, a partire dal 1683, l’intera Ungheria, buona parte della quale era stata in precedenza soggetta all’impero ottomano. Liberata dalla minaccia ottomana, e munita di un esercito permanente, la monarchia degli asburgo di Vienna cercò di impostare una politica assolutista. Ne fu un esempio particolarmente clamoroso il rifiuto di accordare all’aristocrazia ungherese (in buona parte protestante e accusata, sostanzialmente a ragione, di aver offerto il proprio appoggio agli ottomani nei conflitti che a fine seicento opposero la porta di istanbul a Vienna) l’ulteriore riconoscimento del tradizionale diritto di eleggere il re. Come era accaduto in boemia già nel 1620, anche in questa porzione dei domini di casa d’austria la monarchia diventava così ereditaria, pur restando relativamente dipendente dal consenso delle Diete locali per tutto quello che atteneva alle materie fiscali. allo scopo di irretire l’aristocrazia feudale, di piegarla ai riti cerimoniali tesi a glorificare il sovrano, di ingentilirla stemperandone la tradizionale vocazione guerriera e rurale, anche nei dintorni di Vienna, come in quelli di parigi, venne inoltre allestita una corte imponente, quella di Schönbrunn, la cui edificazione ebbe inizio nel 1696, poco dopo la definitiva liberazione della città dalla minaccia turca.
cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
Sovrano e imperatore: una funzione ambigua
i ceti privilegiati austriaci, boemi e ungheresi seppero conservare le proprie immunità e il proprio potere contrattuale meglio di quelli degli altri paesi. una legislazione unitaria stentò molto ad affermarsi. Ciascun territorio mantenne perlopiù le proprie consuetudini tradizionali, continuando a configurarsi come una nazione distinta dalle altre e obbligando le autorità di Vienna a estenuanti compromessi. Quello austriaco fu quindi, in quest’epoca, un assolutismo riuscito solo in parte, tanto più che a limitare le tendenze autoritarie della casa regnante era anche il ruolo di imperatori ricoperto dagli asburgo, che li obbligava a salvaguardare il particolarismo vigente nella miriade di piccoli stati e territori tedeschi che costituivano l’autentica ragion d’essere dell’impero. mentre gli asburgo di Vienna tendevano a negare o a circoscrivere le antiche “libertà” in quei territori che si configuravano ormai come loro domini ereditari, nell’esercizio della funzione imperiale restavano sovrani elettivi; erano chiamati a farsi garanti di un federalismo di matrice nettamente antiassolutista. Come accadeva nelle grandi costruzioni politicoistituzionali asiatiche, la dimensione imperiale, accompagnata da un intenso pluralismo etnico, linguistico, religioso, culturale, rendeva per il momento arduo per gli asburgo di Vienna dare vita a una configurazione statale omogenea e unitaria, paragonabile a quella che stava prendendo forma in Francia e in prussia. L’impero degli Asburgo d’Austria nel XVIII secolo FRISIA Amburgo ORIENTALE
Londra
PROVINCE UNITE Lingen
Königsberg Danzica PRUSSIA OCCIDENTALE
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SARDEGNA 1714-1720
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REGNO DI NAPOLI 1714-1735
Domini degli Asburgo Acquisizioni temporanee Polonia prima del 1772 Confini del Sacro romano impero 1775
Data di annessione
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Limiti e successi dell’assolutismo
Una rappresentazione nel teatro della residenza reale di Schönbrunn, XVIII secolo
proprio dalla constatazione della parzialità delle sue realizzazioni conviene ora prendere le mosse per riflettere sul significato del fenomeno dell’assolutismo. anche nei paesi in cui la realtà parve corrispondere meglio agli auspici dei sovrani, infatti, la loro pretesa di dichiararsi assoluti riuscì solo in parte a tradursi in risultato compiuto. ovunque la varietà delle periferie fu in grado di sopravvivere almeno in parte alla pressione uniformante del centro. L’aristocrazia e i corpi privilegiati mutarono costumi, abitudini, caratteristiche, ma non scomparvero. i feudi, ciascuno un piccolo regno all’interno degli stati, continuarono a punteggiare fittamente la superficie di ogni monarchia assoluta. tuttavia i monarchi cominciarono a farsi stabilmente – e spesso minacciosamente – presenti nella vita quotidiana della popolazione minuta. sotto l’assolutismo territori, spazi e popolazioni, fino a qual momento ignari l’uno dell’altro, cominciarono ad avvicinarsi. Le strade e i canali allestiti dallo stato per promuovere le manifatture e il commercio ne ridussero infatti la reciproca distanza. Nei reggimenti dei nuovi, grandi eserciti si realizzò la prima esperienza di socializzazione extralocale per contadini e artigiani provenienti da ogni regione. Come sudditi del monarca, francesi, prussiani, russi si abituarono in questi decenni a riconoscere la loro nuova comune appartenenza a uno Stato, pur conservando quella tradizionale alla comunità locale o alla città in cui ciascuno di loro abitualmente viveva. Ciò non impedì, peraltro, all’austria di continuare a figurare come una potenza di primo piano nello scenario dell’antico regime europeo. se la doppia dignità di sovrani e imperatori rese impossibile agli asburgo sviluppare un assolutismo come quello della Francia e della prussia, essa conferiva però un fascino del tutto particolare al loro prestigio. ma altrove, per esempio in spagna, le cose presero una piega sensibilmente diversa. Ai margini dell’assolutismo: la Spagna
MEMO Ministro spagnolo nella prima metà del Seicento, Olivares aveva promosso una politica accentratrice allo scopo di unificare dal punto di vista giuridico e fiscale i territori dell’impero spagnolo. Le numerose resistenze al suo progetto, tradottesi in rivolte autonomistiche in Portogallo, Catalogna e Italia lo avevano costretto alle dimissioni.
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La spagna e i territori a essa collegati (da un nesso di tipo imperiale più che statale) rimasero sotto lo scettro degli Asburgo fino al 1702, quando il ramo spagnolo della dinastia si estinse e, al termine di una guerra di successione durata oltre dieci anni (v. cap. 4, par. 4.1), la corona passò ai Borbone di Francia, nella persona di Filippo V. Quest’ultimo, nell’assumere la dignità regale spagnola, si impegnò solennemente a rinunciare ai suoi diritti ereditari sul trono di Francia. Da quel momento in poi, mentre si assisteva allo smembramento dei domini spagnoli europei situati al di fuori della penisola iberica e al loro passaggio sotto altri scettri, in un paese ormai snellito e concentrato ebbero luogo con qualche decennio di ritardo tendenze paragonabili a quelle in atto nella Francia dell’assolutismo. in precedenza, però, tra la metà del seicento e la fine del secolo, i regnanti di madrid avevano di fatto accettato di cedere porzioni consistenti delle proprie prerogative alle Cortes e ai corpi cittadini o alle rappresentanze territoriali di cui si componevano il regno e l’impero. Le rivolte autonomistiche di metà seicento erano state faticosamente domate, ma al prezzo di un sostanziale abbandono delle mire centralizzatrici che avevano animato, specie sotto Olivares, il tentativo di “castiglianizzare” tutte le terre della Corona.
cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
Uno spettacolo in Plaza Major, a Madrid, nel 1700 circa
Repubbliche nobiliari e monarchie elettive: Italia e Polonia
in Italia a scoraggiare le tendenze assolutistiche era la frammentazione del territorio, suddiviso in vari stati, alcuni dei quali (la repubblica di Venezia, quella di Genova, quella di Lucca) governati direttamente dalle élite nobiliari e altri (il Ducato di milano, il mezzogiorno continentale, la sicilia, la sardegna) resi semiimpermeabili a eventuali pressioni centralizzatrici dalla loro natura di corpi territoriali lontani ed esterni rispetto alla sede del loro sovrano (madrid). anche il grande regno di Polonia confermò durante la seconda metà del secolo e l’inizio del settecento una peculiarità che in precedenza aveva condiviso con la Danimarca e con alcuni territori della compagine governata dagli asburgo di Vienna, ma che ora cominciò a configurarsi come un’esclusiva che aveva in comune con il solo Stato della Chiesa: Varsavia e roma erano infatti le capitali di due monarchie elettive, seppure di natura alquanto diversa. a designare i rispettivi sovrani era comunque l’aristocrazia. in queste realtà particolari, a condizionare l’autonomia sovrana e i suoi margini di discrezionalità erano libertà antiche, le libertà-privilegio di matrice medievale, che obbligavano i regnanti a perdurare nel rispetto delle prerogative degli aristocratici dei rispettivi regni: in polonia la nobiltà feudale e le alte gerarchie ecclesiastiche, nello stato pontificio l’aristocrazia rurale e quella cittadina, dalle cui fila provenivano gran parte dei componenti il collegio cardinalizio. Dalla libertà dei privilegi alla libertà dei diritti: l’Olanda
Diverso era il caso dell’Olanda, sede del primo esempio europeo di libertà nuova, ovvero di libertà limitata non alla sola aristocrazia e non intesa semplicemente come immunità rispetto allo stato, bensì da un lato estesa anche alla borghesia dei traffici, dall’altro interpretata come diritto attivo della cittadinanza. Nella seconda metà del seicento, mentre la sfida marittima inglese ne metteva in discussione la supremazia mercantile su scala mondiale, di cui essa aveva goduto durante i decenni precedenti, anche l’olanda fu testimone di una ripresa del prestigio aristocratico, ma rimase al tempo stesso repubblica e culla di una tradizione protoliberale, attenta alle prerogative della cittadinanza intera. proprio da quella tradizione emerse, alla fine del seicento, il primo sovrano “parlamentare” della storia inglese, quel Guglielmo d’Orange che, dopo essere stato statolder (presidente) della Repubblica delle Province Unite, pose sul proprio capo nel 1689 lo scettro di un’Inghilterra spinta al di fuori della corrente dell’assolutismo dalla Gloriosa rivoluzione (v. par. 3).
LESSICO Tradizione protoliberale Come indica il prefisso “proto”, è la tradizione che segna gli inizi del pensiero liberale, che si svilupperà soprattutto in Inghilterra alla fine del Seicento con le riflessioni di Locke. Il liberalismo è una dottrina politica secondo la quale fondamento di ogni comunità politica è la garanzia dei diritti dei singoli individui.
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Benjamin West, Oliver Cromwell allontana dal Parlamento gli elementi moderati, 1782
3.3 La seconda rivoluzione inglese MEMO Nel 1649, dopo lunghi anni di guerra civile culminati nella decapitazione del re Carlo I Stuart, fu proclamata da Cromwell, alla testa dell’esercito di nuovo modello, il cosiddetto New Model Army, la Repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda.
LESSICO Commonwealth Termine inglese che traduce il latino res publica, ma che letteralmente significa “bene comune”. Così fu chiamata la Repubblica unificata di Inghilterra, Scozia e Irlanda proclamata da Cromwell nel 1649. Dalla metà del XX secolo con Commonwealth of Nation si intende la federazione di carattere economico-commerciale delle ex colonie inglesi. Episcopalismo Dal latino episcopus, “vescovo”, è una forma di organizzazione della struttura ecclesiastica fondata su rigide gerarchie che fanno capo ai vescovi e ai pastori del culto, nominati a loro volta dalle autorità superiori (in Inghilterra dal re, capo della Chiesa anglicana).
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L’Inghilterra di Cromwell
anche in Inghilterra, come in gran parte dell’Europa, nella seconda metà del Seicento si erano manifestate tendenze di tipo assolutistico. ma l’esito che ne derivò fu decisamente antitetico rispetto alla Francia e agli altri paesi europei esaminati fin qui. Dopo la prima rivoluzione inglese e l’instaurazione della repubblica, già nel 1653 oliver Cromwell, che aveva guidato la rivoluzione alla testa del suo New Model Army, impose una svolta autoritaria al paese. Facendosi interprete delle inquietudini e delle preoccupazioni dei settori più conservatori della società, atterriti dal radicalismo religioso e sociale caratteristico di alcune frange del movimento che si era battuto contro la monarchia, egli sciolse il Parlamento, fece arrestare i più turbolenti tra i rivoluzionari e governò fino al 1658 in forma dittatoriale come Lord protettore del Commonwealth, imponendo limiti tanto all’appena conquistata libertà di stampa quanto alla libertà di culto. Nei cinque anni del suo governo Cromwell impostò una politica che mirava soprattutto a spegnere gli estremismi, senza però concedere nuovi spazi né alla vecchia élite tradizionalmente vicina alla dinastia degli ex regnanti né ai cattolici e agli episcopalisti, ovvero a quanti, in ambito propriamente religioso, maggiormente si identificavano con l’ordine abbattuto dalla rivoluzione. una volta assunto il potere, appoggiò soprattutto gli interessi della borghesia proprietaria e mercantile, tutelandola in una guerra marittima prima contro l’olanda, poi contro la spagna. Dal punto di vista legislativo, andò nella stessa direzione il suo Atto di navigazione, emanato già nel 1651: si trattava di un’ordinanza che imponeva alle colonie nell’america del Nord di commerciare esclusivamente con la madrepatria, e che al tempo stesso accordava l’accesso ai porti inglesi alle sole navi britanniche o a quelle di diretta provenienza delle merci importate, con l’intento di sabotare il commercio olandese, fino a quel momento egemone nei circuiti commerciali internazionali.
cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
Dalla repubblica alla monarchia
alla morte di Cromwell, nel 1658, fallito un tentativo di rendere ereditaria la sua carica affidandola al figlio richard, fu invece al figlio del sovrano decapitato dieci anni prima che il nuovo parlamento, nel quale si era imposta una maggioranza moderata, decise di consegnare il potere vacante. Carlo II Stuart (1630-1685; re d’inghilterra dal 1660) venne così richiamato in patria e nel 1660 assunse il titolo di sovrano. L’inghilterra, per dieci anni repubblica, era di nuovo monarchia. ampi e influenti settori della società inglese desideravano ora il pacifico consolidamento dei risultati ottenuti negli anni Quaranta: il libero esercizio delle prerogative parlamentari, il contenimento dei privilegi aristocratici, la tutela della libertà confessionale e di quella civile. E il perdurante carisma della dignità regale pareva loro la possibile garanzia di un rinnovato equilibrio interno. Carlo II, dopo essersi impegnato al rispetto di questi valori, si comportò però in modo assai ambivalente. Da un lato, infatti, confermò in forma solenne la tutela dei diritti individuali, attraverso l’Habeas Corpus Act del 1679, che garantiva i cittadini dagli eventuali arbitri del potere giudiziario; dall’altro, sciolse a più riprese il Parlamento – tornato a essere, come accadeva prima della rivoluzione, un’adunanza estemporanea, piuttosto che un corpo istituzionale permanente – e avviò una politica religiosa da molti giudicata pericolosamente filocattolica. il parlamento si era intanto articolato in due partiti, i tories, prevalentemente aristocratici e anglicani, e i whigs, essenzialmente borghesi e puritani. malgrado le differenze che li separavano, essi fecero tuttavia fonte comune quando il successore di Carlo ii, il fratello Giacomo II (1633-1701, re d’inghilterra dal 1685 al 1688), fervente cattolico (contrariamente agli accordi con il parlamento, aveva anche fatto battezzare il figlio), minacciò di imitare quello stile di governo autoritario che era costato la detronizzazione ai suoi antenati e che era nel frattempo divenuto la regola nella Francia di Luigi XiV. mentre sul continente i corpi intermedi in quegli anni in gran parte tacevano, il Parlamento inglese non solo reagì, ma impose anche il riconoscimento di una sua nuova funzione, non più limitata alla protezione del paese dagli abusi regi, ma estesa all’ambito attivo della legislazione.
LESSICO Habeas Corpus Act Legge per la quale ogni cittadino tratto in arresto ha il diritto di conoscere il motivo del provvedimento, di essere condotto immediatamente davanti al giudice e di essere rimesso provvisoriamente in libertà previo pagamento di una cauzione. Il nome deriva dalle prime parole del testo latino della legge: Habeas corpus ad subiciendum,“Abbi il (tuo) corpo a disposizione”. Tories e Whigs Sono le due fazioni presenti dal XVII secolo nel Parlamento inglese, che si consolidano in quanto tali dopo la Gloriosa rivoluzione; secondo alcuni studiosi sono i primi partiti politici moderni. I whigs, puritani e borghesi, rappresentano gli interessi del denaro, i tories, aristocratici e anglicani, quelli della terra.
La Gloriosa rivoluzione
Dopo aver costretto il monarca in carica a fuggire in Francia, i deputati parlamentari chiamarono in inghilterra lo statolder olandese Guglielmo III d’Orange (1650-1702, re dal 1689), protestante, che era genero di Giacomo ii, avendone sposato la figlia maria. il Parlamento, liberandosi di un sovrano orientato a seguire l’esempio di Luigi XiV ed evitando in questo modo che scoppiasse una guerra civile simile a quella degli anni Quaranta, attuò quella che venne definita Glorious revolution (“Gloriosa rivoluzione” perché avvenuta senza spargimento di sangue), confermando in questo modo di essere diventato l’autentico arbitro della vita politica del paese. all’atto di salire al trono, Guglielmo d’orange giurò infatti solennemente di rispettare il dettato del Bill of rights, sottopostogli nel 1689. il documento sanciva alcuni diritti fondamentali: proclamava la libertà dell’individuo di fronte alla legge, la libertà di stampa e di espressione, la libertà di culto all’interno della fede riformata. ribadiva inoltre le prerogative parlamentari non solo in materia di approvazione delle imposte, ma anche in relazione alla titolarità dell’esercizio del potere legislativo.
Approfondire L’atto di tolleranza
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Dalla sovranità del re a quella della cittadinanza LESSICO Democrazia Con democrazia si intende un organismo politico in cui il potere appartiene al popolo e in cui, quindi, a prescindere dalla forma di Stato vige il suffragio universale. È pertanto possibile una monarchia democratica (com’è oggi il caso della monarchia parlamentare inglese). Monarchia costituzionale Forma di governo monarchico nella quale il potere del re è limitato da una Costituzione scritta, la quale prevede l’esistenza di una rappresentanza politica eletta da una parte dei cittadini. Tale rappresentanza condivide con il sovrano l’esercizio del potere legislativo.
Dopo molti decenni di conflitti, in Gran Bretagna la tradizionale visione gerarchica della società, basata sulle dottrine dell’investitura divina del re e della naturale sudditanza della popolazione, venne così definitivamente rovesciata. si trattava tuttavia di un’eccezione, che nell’Europa continentale trovava in quell’epoca un corrispettivo soprattutto nel caso delle Province Unite dell’Olanda, le quali però all’affermazione dei nuovi principi avevano abbinato la scelta di una forma di stato repubblicana. Non era quindi un caso che il nuovo re d’inghilterra provenisse proprio da quel paese, dove da più di un secolo era stata elaborata una visione della politica di impronta antiautoritaria e dove si era consolidata una tradizione di grande tolleranza religiosa. anche in inghilterra, come in olanda, l’organo che si era assunto la titolarità del potere legislativo, il Parlamento, rappresentava però solo gli strati più elevati della società, dal momento che i progetti di introduzione del suffragio generale maschile erano stati accantonati di fronte al timore che da ciò potesse derivare una troppo radicale messa in discussione dell’ordine sociale. Quella che si era affermata in inghilterra, dunque, non solo non era una repubblica, ma neppure una democrazia; era una monarchia costituzionale, nella quale, pur nel rispetto dell’istituto regio, la sovranità della legge e della rappresentanza della nazione aveva sostituito il principio dell’arbitrio del re.
ANALIZZARE LA FONTE
Il Bill of rights Autore: Parlamento inglese – Tipo di fonte: decreto legislativo – Lingua originale: inglese – Data: 1689 I passi del Bill of rights qui riportati mettono in luce soprattutto l’affermazione del Parlamento quale organo supremo della volontà della nazione inglese.
art. 1. il preteso potere di sospendere dalle leggi, o dall’applicazione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del parlamento è illegale. art. 2. il preteso potere di dispensare [esentare] dall’osservanza delle leggi, e dall’esecuzione delle leggi, per autorità regia, come è stato fatto di recente, è illegale. art. 4. La raccolta di denaro ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza concessione del parlamento, per un periodo più lungo, o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale. art. 6. radunare o mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del parlamento, è illegale. art. 8. Le elezioni dei membri del parlamento devono essere libere. art. 9. La libertà di parola, o i dibattiti o i procedimenti in parlamento, non debbono essere posti sotto accusa o contestati in nessun tribunale o luogo al di fuori del parlamento. art. 13. per rimediare a tutte le lagnanze, e per correggere, rafforzare e difendere le leggi, si devono tenere frequenti parlamenti. F. Gaeta, p. Villani, Documenti e testimonianze, principato, milano 1971
Domande alla fonte 1. Che cosa è considerato illegale sulla base del Bill of rights? 2. Della garanzia di quali diritti si parla?
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cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
L’eccezione inglese nel contesto europeo
L’epilogo del tormentato seicento inglese chiariva che, in contrasto con la situazione caratteristica di gran parte del continente, diviso prevalentemente tra tentazioni assolutistiche e sopravvivenze di un antico ordine basato sui privilegi, in Gran bretagna la sovranità spettava ormai in linea di principio non alle teste coronate, alle dinastie, bensì alla popolazione e ai suoi rappresentanti, designati almeno in parte grazie a elezioni (così la Camera dei Comuni), e non in base a privilegi ereditari (come avveniva nelle diete cetuali continentali e nella stessa Camera inglese dei Lord, simbolo della parziale sopravvivenza dello spirito antico in quello nuovo). Da una percezione del potere essenzialmente come rivelazione dall’alto, come proiezione mondana dell’autorità divina, si era passati a una sua costruzione dal basso. Nell’esercizio del pubblico potere si riconosceva, ora, l’esito dei mutevoli rapporti di forza tra coloro che non erano più sudditi, bensì cittadini, muniti di diritti individuali: la libertà di espressione, quella di stampa, quella, infine, di designare i propri rappresentanti politici elettivi e di affidare loro il compito di promulgare le leggi.
Letteratura D. Defoe, Moll Flanders
Il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione, p. 72
ANALIZZARE LA FONTE
Il nuovo ruolo del potere legislativo nel pensiero di John Locke Autore: John Locke Tipo di fonte: trattato di argomento politico Lingua originale: inglese Data: 1690 Il pensatore e filosofo John Locke (1632-1704), che può essere considerato il fondatore del pensiero liberale europeo, nell’opera Due trattati sul governo civile (1690) sintetizzò nel modo più efficace i tratti fondamentali del nuovo modello di monarchia basato sulla divisione dei poteri e sull’attribuzione di quello legislativo al Parlamento.
poiché il fine principale dell’entrata degli uomini in società è il godimento delle loro proprietà in pace e tranquillità, e i principali strumenti e mezzi diretti a questo fine sono le leggi stabilite in quella società, la prima e fondamentale legge positiva1 di tutte le società politiche consiste nello stabilire il potere legislativo […]. Questo legislativo non è soltanto il potere supremo della società politica, ma rimane sacro e immutabile nelle mani in cui la comunità l’ha collocato […]. Ciò che è assolutamente necessario ed essenziale alla legge è il consenso della società, alla quale nessuno può avere il potere di dar leggi se non per consenso di lei e per autorità da essa ricevuta […]. il potere supremo è il legislativo, perché ciò che può dar leggi ad altri deve necessariamente essergli superiore […]; tutti gli altri poteri, in qualunque membro o parte della società si trovino, debbono derivare da esso ed essergli subordinati. J. Locke, Due trattati sul governo, Editori riuniti, roma 1992 1. Legge positiva: è la legge scritta da un legislatore, propria di un ordinamento politico. Essa è spesso contrapposta alla legge naturale, non scritta e valida universalmente. Domande alla fonte 1. Perché gli uomini decidono di costituire una società politica? 2. Qual è la legge a fondamento di tutte le società politiche? 3. Qual è il presupposto essenziale della legge? 4. Perché il potere legislativo è considerato il potere supremo?
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Il laboratorio dello storico
Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
La nascita dell’opinione pubblica Nella Londra della Gloriosa rivoluzione fecero per la prima volta la loro comparsa i quotidiani, con le loro news. Essi portarono alla conoscenza del pubblico argomenti che fino a qualche tempo prima costituivano segreti di Stato e che a partire da quel momento divennero, invece, oggetto di riflessione e di discussione per tutte le persone capaci di leggere. Osserviamo questo disegno:
Non si tratta di un dipinto composto secondo le regole canoniche, come tanti se ne incontrano nella storia dell’arte europea, volti a celebrare in pompa magna interi gruppi familiari principeschi o nobiliari, ma pochi, incisivi tratti di un disegno (quasi una caricatura) messo nero su bianco in un batter d’occhio
L’artista è stato capace di cogliere con immediatezza la psicologia della persona raffigurata: una postura vivace e animata, un abbigliamento sobrio e privo di qualsiasi sfarzo, un paio di occhialini attorno alla curva del naso, e l’occhio proteso verso una pagina di giornale tenuta tra le mani
si direbbe che questo anonimo lettore delle ultime notizie se ne stia in piedi, in mezzo alla strada. Ha fermato per un istante il suo convulso cammino per leggere le ultime news. La scena si svolge con ogni probabilità a Londra Francis Le Piper, La lettura delle ultime notizie, disegno, 1690 circa (Londra, British Museum)
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cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà
Una città immensa e fiera A Londra dalla metà alla fine del XVII secolo sono repentinamente mutate non solo le regole del gioco politico, ma anche la morfologia dell’insediamento. Nel 1666, mentre imperversava l’ennesima epidemia di peste, la città venne colpita da uno spaventoso incendio, che distrusse gran parte dei tanti edifici di legno. Nei decenni seguenti venne quasi integralmente ricostruita e si espanse a perdita d’occhio diventando la più grande città d’Europa. Il brano seguente, tratto dall’opera di Daniel Defoe Tour through the Whole Island of Great Britain (“Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna”) ce ne dà un’emblematica descrizione.
sorgono ogni giorno nuove piazze e nuove vie con tale prodigioso numero di costruzioni, che nulla al mondo le uguaglia, né le ha mai uguagliate, salvo al tempo dell’antica roma di traiano, quando le sue mura misuravano cinquanta miglia di circonferenza, e gli abitanti contavano sei milioni e ottocentomila anime. La sventura di Londra, non meno della sua bellezza, è data dal fatto che essa si espande, con edifici nuovi secondo il piacere di ogni costruttore o imprenditore edile, e come vuole la necessità popolare, sia per esigenze di commercio o altro; e così il suo aspetto si è ingigantito in maniera disordinata e confusionaria, al di fuori di ogni forma fissa, anzi in forma sconnessa e disuguale […]. si vedono vari villaggi che già si trovavano, per così dire, in campagna, e anche a una distanza notevole, uniti nelle strade cittadine da file ininterrotte di edifici, e altri si affrettano con la stessa maniera a congiungersi […]. Fin dove si dilaterà dunque questa mostruosa città? E dove si dovrà collocare una linea di circonvallazione, o periferia? […] in conclusione, l’estensione o circonferenza degli abitati della città di Londra e Westminster con la borgata di southwark, che tutti insieme vanno per comune accezione sotto il nome di Londra, ammonta a trentasei miglia, due ottavi di miglio e trentanove rods (circa 58 chilometri) […]. in forza di ciò che si conosce benissimo intorno alle nascite e alle morti, così come intorno al prodigioso aumento di costruzioni, si può logicamente concludere che il numero degli abitanti attualmente compresi dentro la circonferenza da me or ora indicata debba ammontare a un milione e mezzo almeno, con la precisazione che il numero seguita a crescere in misura straordinaria […]. La borsa (Royal Exchange), nel suo genere il più grande e bell’edificio del mondo, è […] di tale bellezza da essere abbastanza eloquente di per sé senza bisogno di venire altrimenti descritta. È da notare che sebbene la ricostruzione di questa borsa sia costata ai cittadini una somma enorme di denaro, alcuni dicono, una volta finita e ornata così squisitamente, fino a ottantamila sterline, essa si mostrò tuttavia così adatta alla stipulazione dei grandi negozi, che per molti anni i fitti, o la rendita, corrisposero pienamente all’interesse del denaro sborsato per costruirla.
La cifra di un milione e mezzo di abitanti, proposta negli anni Venti del settecento dallo scrittore è certamente iperbolica (come lo è, del resto, quella relativa alla roma di traiano, portata come paragone), ma esprime bene quella fierezza del proprio paese che divenne sentimento comune degli abitanti della Gran bretagna e specialmente della sua capitale, tanto in seguito alla liberalizzazione prodotta dalla doppia rivoluzione seicentesca quanto in ragione della prosperità economica che le si accompagnò
Daniel Defoe, Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna, in Opere, a cura di C. izzo, vol. iii, sansoni, Firenze 1963, pp. 576-584
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate una fonte figurativa coeva di tipo particolare (non un dipinto di alta qualità, ma, piuttosto, uno schizzo che assomiglia molto a una vignetta) e un testo letterario più tardo di qualche decennio, che appartiene al genere della letteratura di viaggio. • Quale scarto si coglie, in questo disegno, rispetto al messaggio in genere trasmesso dalla pittura di carattere più ufficiale? • Crescita, espansione, rinnovamento. In che modo ci parla di questi temi il disegno, e in che modo ce ne parla invece il resoconto di viaggio di Defoe?
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cApITOLO 3
L’EUROPA TRA ASSOLUTISMO E LIBERTà
Mappa Inghilterra
Fine della repubblica dittatoriale di Cromwell, restaurazione della monarchia
Gli Stuart entrano in conflitto con il Parlamento
Il Parlamento caccia Giacomo II e lo sostituisce con Guglielmo III d’Orange
Monarchia costituzionale
Olanda
repubblica
Le libertà sono estese anche alla borghesia
rEgIMI pOLITIcI EurOpEI NEL ’700
Assolutismo sul modello francese
Firma del Bill of rights
Gloriosa rivoluzione inglese
Monarchia elettiva
polonia
Stato della chiesa
Danimarca e Svezia
prussia
russia
Austria
I sovrani si impongono sulla nobiltà
Esercito permanente e sinergia tra nobiltà di sangue e monarchia
Repressione del dissenso religioso e mobilità sociale con la Tavola dei ranghi
Potere assoluto nei domini ereditari, federalismo antiassolutista nei territori dell’Impero
Assolutismo incompiuto 74
cApITOLO 3
L’EUROPA TRA ASSOLUTISMO E LIBERTà
Sintesi 3.1 IL MODELLO FRANCESE: L’ASSOLUTISMO NEL NORD DELL’EUROPA L’assolutismo francese venne imitato da diversi sovrani europei, specie nell’area del Baltico: in svezia e in Danimarca ma soprattutto in prussia e in russia. in Prussia il potere era stato assunto dalla famiglia degli Hohenzollern, gli antichi marchesi di brandeburgo che nel 1700 trasformarono il loro dominio in un regno. La politica assolutistica si fondava qui soprattutto sulla forza dell’esercito, che era permanente e basato in parte sulla coscrizione obbligatoria. L’aristocrazia prussiana da un lato si vide in parte limitare le prerogative, le immunità e le libertà che l’avevano in precedenza resa padrona degli spazi locali; ma dall’altro venne prescelta come titolare quasi esclusiva delle cariche di comando della burocrazia e dell’esercito del re. anche la borghesia colta, istruita presso le università, svolse un ruolo importante e contribuì con il proprio sapere specialistico alla realizzazione di una vera e propria scienza della pubblica amministrazione. a dare impulso all’assolutismo in Russia fu invece la famiglia dei Romanov, che con pietro il Grande iniziò un lungo percorso di modernizzazione e di occidentalizzazione. simbolo di questa politica fu la costruzione della nuova capitale, San Pietroburgo, sul mar baltico. se simili alla Francia furono le misure prese in prussia e russia per creare un esercito permanente, consolidare l’apparato burocratico e incrementare la produttività del paese, diverso e più complesso fu qui il rapporto con la nobiltà. mentre venivano limitati i suoi privilegi, essa rimase tuttavia la titolare quasi esclusiva di tutte le cariche della burocrazia e dell’esercito. 3.2 ASSOLUTISMI INCOMPIUTI, LIBERTà VECCHIE E NUOVE un ruolo importante ricopriva l’aristocrazia in Austria, dove l’assolutismo rimase anche per questo imperfetto. a ciò si aggiungeva la natura composita del dominio territoriale degli asburgo d’austria che comprendeva, oltre all’austria, anche boemia e ungheria, rendendo più difficile raggiungere l’uniformità giuridica e fiscale. Gli asburgo ricoprivano anche la carica di imperatore, che prevedeva una politica federalista difficilmente conciliabile con il progetto assolutista.
in Spagna il progetto assolutista ebbe poco successo fino a quando, in seguito all’estinguersi del ramo spagnolo della dinastia degli asburgo, il potere passò nelle mani dei borbone che incominciarono a introdurvi le stesse tendenze assolutiste presenti in Francia. in Italia l’assolutismo non si realizzò soprattutto a causa della frammentazione del territorio dove convivevano repubbliche nobiliari e territori dipendenti da domini lontani (in particolare la spagna). in entrambi i casi il potere rimaneva concentrato nelle mani delle élite locali. analogo per certi aspetti era il caso della Polonia che, insieme allo Stato della Chiesa, rimaneva una monarchia elettiva. anche qui il potere restava prevalentemente in mano all’aristocrazia cha condizionava fortemente l’autorità sovrana. Completamente diverso è invece il caso dell’Olanda, l’unica repubblica di stampo moderno, dove per la prima volta si affermò un nuovo concetto di libertà intesa non come privilegio ma come diritto di partecipare attivamente alla vita politica del paese.
3.3 LA SECONDA RIVOLUZIONE INgLESE in inghilterra nel 1689 si formò la prima monarchia costituzionale. Qui infatti, dopo la morte di Cromwell, che aveva imposto una vera e propria dittatura assumendo il titolo di Lord protettore, e il ritorno degli stuart (Carlo ii e Giacomo ii), che cercarono di reintrodurre tendenze assolutistiche, venne fatta una rivoluzione senza sangue, detta per questo “Gloriosa rivoluzione”. il re Giacomo ii fu deposto e fu chiamato come nuovo sovrano Guglielmo d’Orange, statolder d’olanda, che sottoscrisse il Bill of rights, la prima carta “costituzionale”. Questo documento garantiva i principali diritti civili e riconosceva al parlamento il potere legislativo. al potere arbitrario, proprio delle monarchie assolute, si sostituiva quindi il potere legale, proprio delle monarchie costituzionali, che limitava per sempre il potere assoluto dei sovrani. 75
Identità collettiva e cittadinanza
D Inclusione Esclusione
Christian Gottfried Geissler, L’arrivo dei membri del Consiglio generale a Ginevra davanti al municipio, acquerello, XVIII secolo (Ginevra, Biblioteca Universitaria)
il potere nell’antico regime Diverse forme di partecipazione politica
Inclusione
D
un’altra logica. Quello che invece vogliamo fare qui urante l’età moderna venne è raccontare le modalità che regolavano la ripetuto un’infinità di volte il partecipazione della popolazione al potere non solo famoso apologo del console in Olanda, ma un po’ in tutta l’Europa di antico regime; romano Menenio Agrippa che, mostrare, perciò, come le membra della società si secondo la tradizione, convinse collegassero al capo. la plebe, ritiratasi sull’Aventino, Per operare le scelte più importanti (tra le quali a fare ritorno a Roma, la fissazione dell’entità e delle modalità di prelievo spiegando la convenienza della delle tasse) i sovrani erano tenuti a convocare collaborazione gerarchica tra delle assemblee rappresentative del territorio le varie parti del corpo sociale. e a concordare con queste le iniziative. Ecco, per esempio, come lo ripropose nel Seicento un Una seduta del Parlamento di Parigi all’inizio del XVIII secolo ambasciatore pontificio, Guido Bentivoglio, in una sua relazione sulle Province Unite (l’Olanda): «Cospiravano dunque insieme concordemente il Prencipe, & i popoli in questa maniera; il Prencipe contentandosi d’una autorità non del tutto assoluta; & i popoli d’una libertà moderata; in quella guisa, apunto, che suol precedere il governo tra il capo, e le altre membra nel regno del corpo umano». Quando si parla di antico regime, molto spesso lo si abbina senza troppo pensarci all’assolutismo, ovvero a un Le leggi fondamentali di ciascun regno non potevano essere sistema basato sull’esercizio, da parte di una sola toccate senza il consenso di questi organi che, dunque, persona, di un potere esclusivo e privo di freni, ma erano il tramite di un processo di inclusione politica. questa è un’impostazione semplicistica e, in realtà, La convocazione periodica fuorviante. Essa deriva dall’anacronistico colo se II XV l de o izi delle assemblee generali era un trasferimento degli schemi ese all’in Il Parlamento ingl avvenimento composto da una politico-istituzionali egualitari sequenza di passaggi successivi che caratteristici del mondo per mesi impegnavano attivamente contemporaneo a una realtà una parte della popolazione. che era organizzata in base a 77
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Gonzales Coques , L’esecuzione di Carlo I, XVII seco lo (Amiens, Mus eo della Piccardi a)
Nelle città del regno (o, come nel caso dell’Olanda, della repubblica) si riunivano i consigli municipali e decidevano quali rappresentanti inviare presso il capoluogo. Lo stesso facevano nobili ed ecclesiastici. E in qualche territorio – per esempio la Svezia, e, più in generale, nelle aree montane dell’arco alpino – del medesimo diritto godevano anche i contadini. Si discuteva a lungo, allo scopo di fornire i delegati di un mandato da difendere al cospetto del governo. Poi, lunghe carovane solcavano per settimane le strade che portavano alla sede della riunione. L’intero paese osservava il passaggio di chi, addobbato di abiti pomposi, si recava a deciderne le sorti. La cerimonia di inaugurazione delle sessioni era particolarmente solenne e sfarzosa e richiamava a frotte la popolazione della città in cui esse si tenevano; una gran folla di curiosi attirati dallo spettacolo, ma anche persone ansiose di sapere che cosa si sarebbe deciso.
i
sovrani dell’antico regime europeo erano assoluti? Sarebbe loro sicuramente piaciuto, ma non è così. Leggiamo ancora qualche brano della relazione di Bentivoglio : «Era il governo […] composto di tre forme congiunte insieme; cioè di Monarchia, d’Aristocratia, e di Democratia; ma temperato in maniera che la parte più sublime consisteva nella persona del Prencipe; e la parte loro vi ritenevano ancora con moderata proportione gli Ottimati, e la moltitudine popolare. Formavansi i loro Stati (sotto il qual nome di Stati s’intende il corpo, ch’essi rappresentano di ciascuna provincia) quasi comunemente di tre ordini di persone; 78
cioè d’Ecclesiastici; di Nobili più qualificati; e del popolo delle Città e Terre di maggior conto». E le città, aggiungeva Bentivoglio, erano come «tante picciole e particolari Repubbliche». Nella mentalità dell’antico regime monarchia e repubblica non erano, dunque, elementi necessariamente in opposizione. Se la monarchia era il capo, le “repubbliche” cittadine erano alcune delle membra, che, insieme ad altre (i corpi privilegiati), contribuivano a rendere l’esercizio del pubblico potere una funzione condivisa e inclusiva. Oltre a contrattare in materia di tasse, concordando con i sovrani entità e modalità del prelievo fiscale, le assemblee rappresentative degli Stati europei di antico regime avevano un mandato fondamentale: vigilare che il principe
il potere nell’antico regime rispettasse le leggi fondamentali del regno e impedire che emanasse editti lesivi di queste. I giuristi dell’epoca, anche quelli più inclini a sostenere la discrezionalità del potere del re, erano concordi nell’affermare che ai propri “diritti naturali” nessun paese aveva rinunciato, e che questi comprendevano non solo la facoltà di contribuire a indirizzare con il proprio consiglio l’operato dei governanti, ma anche quella di abbattere con la forza un sovrano che non avesse rispettato i patti originari stabiliti con i propri sudditi. Come si esprimeva in proposito un giurista francese «è grande cosa […] che i nostri re […] abbiano voluto mettere la loro volontà sotto la civilité [civiltà] della legge, facendo in modo che i loro editti e decreti passassero per l’alambicco di questo ordine pubblico del Parlamento». È interpretando in modo particolarmente ardito questi presupposti che, alla metà del Seicento, i rivoluzionari inglesi decretarono la condanna a morte di Carlo I Stuart. Il sovrano si era infatti a lungo rifiutato di convocare il Parlamento. Poi, una volta costretto a farlo, aveva dichiarato di non volere tenere conto delle sue richieste, e di non accettare, dunque, che l’“alambicco” facesse il proprio lavoro. Fu un Parlamento infuriato a decidere la sua sorte.
C
ome quest’ultimo esempio ci chiarisce, poteva dunque accadere che il modello di collaborazione tra capo e membra sul quale si reggeva la società di antico
regime non funzionasse secondo gli auspici. E ancora: è vero che cittadini, nobili, ecclesiastici partecipavano al potere, ma tante altre parti della popolazione restavano fuori. C’erano, cioè, nella società molte membra – le più povere e le più numerose – che non godevano del diritto di essere rappresentate o che lo erano in modo insufficiente. Talvolta la loro insoddisfazione superava il livello di guardia, e allora per i governi si aprivano tempi di crisi e per le società europee scattava l’ora della rivoluzione. L’età moderna ne ha conosciute molte. Quella francese ha determinato la fine dell’antico regime e ha sancito il principio di una partecipazione al potere egualitaria e aperta tendenzialmente a tutti; ovvero la legittimazione di tutte le membra, nessuna esclusa, e la cessazione della loro subordinazione al capo.
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Capitolo 4
Cento anni di guerra (1652-1763) 4.1 Tante guerre per un secolo Dalle guerre ideologiche alle guerre di conquista
oltre quindici guerre afflissero l’europa dalla metà del Seicento alla metà del Settecento. Molti paesi presero parte a questi conflitti non più, come avveniva in precedenza, per veder riconosciuto il diritto a esercitare la propria religione o per veder garantita la propria indipendenza, ma allo scopo di impadronirsi di nuovi territori in europa, in america e, in misura minore, anche in asia; oppure al fine di imporre la propria supremazia sulle rotte commerciali; o, ancora, per far sì che una persona gradita si insediasse su un trono rimasto vacante per estinzione della dinastia regnante. Sotto i nostri occhi si snoda un elenco di regioni e città che durante il periodo considerato cambiarono padrone. analizziamo ora brevemente i conflitti più importanti. La battaglia di Solebay, XVIII secolo
Il quadro raffigura uno dei numerosi scontri durante la Guerra d’Olanda (1672) combattuta dagli anglofrancesi contro le Province Unite
Nella scena ad affrontarsi sono le navi della marina inglese e quelle della flotta olandese La battaglia, avvenuta nel mare del Nord, vide la vittoria delle truppe olandesi al comando dell’ammiraglio Ruyter
La Guerra d’Olanda fu uno degli oltre quindici conflitti che tra la metà del Seicento e la metà del Settecento furono combattuti in Europa
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Le guerre di conquista di Luigi XIV
LESSICO
Mentre l’inghilterra era impegnata in questioni di politica interna e l’austria combatteva contro i turchi (v. Approfondire), Luigi XIV, come abbiamo visto (v. cap. 2, par. 2.5), si impegnò in una serie di guerre con l’obiettivo di imporre la supremazia francese in europa. Cominciò con il muovere guerra alla Spagna, per il possesso dei Paesi Bassi spagnoli, nella cosiddetta Guerra di devoluzione (16671668). L’esercito francese occupò il Belgio e la Franca Contea, e si preparò a invadere le Province Unite. ne scaturì, di lì a qualche anno, la Guerra d’Olanda (1672-1678). gli olandesi, allagando il loro territorio, riuscirono a contenere l’avanzata francese. non di meno, il re Sole uscì vincitore da questo ciclo di guerre, ottenendo il riconoscimento delle acquisizioni territoriali francesi nelle Fiandre e nella Franca Contea. Fu questo il periodo di apogeo della potenza francese. La situazione cambiò radicalmente negli anni ottanta, quando l’austria sconfisse i turchi e l’inghilterra ritrovò la stabilità interna con la fine della Gloriosa rivoluzione e l’ascesa al trono di guglielmo d’orange. Le due potenti nazioni intendevano ora porre fine all’espansione francese. nacque quindi una coalizione antifrancese, la Lega di Augusta, composta da Inghilterra, Austria, Olanda, Spagna e Svezia. dopo lunghi anni di guerra, per la prima volta Luigi XIV, completamente isolato, dovette accettare un accordo (Pace di ryswyk, 1697) e restituire i territori occupati in alsazia e Lorena.
Guerra di devoluzione Rifacendosi al “diritto di devoluzione”, una vecchia norma del Brabante secondo la quale l’eredità paterna doveva essere “devoluta” ai figli di primo letto, in qualità di consorte della principessa Maria Teresa, unica figlia superstite del primo matrimonio di Filippo IV di Spagna, Luigi XIV rivendicò il dominio sui Paesi Bassi.
APPROFONDIRE
Il declino dell’Impero ottomano l 1683, anno del fallito assedio dei turchi a Vienna, segna Iprotratto l’inizio del lento declino dell’Impero ottomano che si sarebbe fino alla Prima guerra mondiale. Peraltro i primi sintomi di decadenza si erano già fatti sentire alla fine del XVI secolo con la progressiva perdita di prestigio dei sultani, che cominciarono a delegare l’esercizio del potere al gran visir, una sorta di primo ministro spesso corrotto e coinvolto in intrighi di palazzo. Dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento i turchi furono impegnati in guerre che li opposero sia ai tradizionali nemici (Venezia e Austria) sia alla nascente Russia che rivendicava la supremazia sul mar Nero e nel Caucaso. Una sconfitta decisiva avvenne nella guerra che oppose nel 1686 i turchi alla Lega Santa (Austria, Polonia, Venezia, Stato Pontificio). Nel 1699, con la pace di Carlowitz, l’Impero ottomano dovette riconoscere all’Austria la sovranità su Ungheria, Transilvania e Croazia; a Venezia i porti della Dalmazia e dell’Albania; alla Russia il porto di Azon in Crimea. Un’ulteriore disfatta fu siglata nel 1718 con la pace di Passarowitz, con la quale gli austriaci ottennero anche parte della Serbia e la Valacchia. Alla fine del Settecento, quindi, il dominio turco nei Balcani era ridotto ai territori a sud del Danubio.
L’assedio turco a Vienna nel 1683
81
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Le guerre di successione
Una fase della battaglia di Vigo tra forze franco-spagnole e anglo-olandesi nel 1702, durante la Guerra di successione spagnola (Greenwich, National Maritime Museum)
L’esercito prussiano durante la Guerra dei sette anni
82
il precario equilibrio raggiunto fu nuovamente messo in discussione a partire dall’inizio del Settecento, quando iniziò una serie di conflitti per la successione dinastica rispettivamente in Spagna, Polonia e Austria. il primo scontro significativo fu la Guerra di successione spagnola (17011714). Con la morte senza eredi di Carlo ii di Spagna si era estinta la dinastia degli asburgo di Spagna. il re aveva designato come suo erede Filippo d’angiò, nipote di Luigi XiV, che salì al trono come Filippo V di Spagna. temendo una pericolosa fusione tra Francia e Spagna, l’inghilterra, l’olanda, l’austria e la Prussia formarono una nuova coalizione antifrancese, che mise a dura prova la Francia. La Pace di Utrecht (1713) e quella di Rastadt (1714) posero infine termine al conflitto: Filippo V mantenne il trono di Spagna ma dovette rinunciare a ogni annessione in Francia; inoltre la Spagna fu costretta a cedere i suoi domini in Italia e i Paesi Bassi spagnoli all’Austria. Ma la vera vincitrice fu l’Inghilterra che, oltre a importanti privilegi commerciali, ottenne dalla Francia alcune regioni del nord america (Terranova e la Nuova Scozia) e dalla Spagna alcuni territori strategici per il controllo del Mediterraneo (Minorca e Gibilterra). Le ostilità ripresero alla morte del re di Polonia augusto ii. nella Guerra di successione polacca (1733-1738) a fronteggiarsi furono austria e russia, da un lato, Francia dall’altro. e quest’ultima trovò alleati nella Spagna e nel Piemonte, interessati a contrastare il predominio austriaco in italia. Fu per questo motivo che il campo di battaglia finì per essere soprattutto la penisola italiana, la quale in seguito a questi conflitti subì profondi mutamenti. L’Austria dovette cedere Napoli e la Sicilia ai Borbone, ottenendo però in cambio il Ducato di Parma e Piacenza, mentre la Toscana, dopo l’estinzione della dinastia dei Medici, passò ai Lorena, imparentati con gli asburgo. un ulteriore conflitto fu causato dal rifiuto da parte del re di Prussia Federico ii di riconoscere la successione al trono austriaco di Maria teresa d’asburgo, figlia del defunto Carlo Vi. Questa opposizione causò la Guerra di successione austriaca (1740-1748), che vide schierate contro l’austria, a fianco della Prussia, Francia e Spagna. Ma la monarchia austriaca, grazie soprattutto alla fedeltà dell’ungheria, riuscì a resistere e Maria teresa conservò lo scettro, dovendo però infine concedere, con la Pace di Aquisgrana del 1748, la Slesia alla Prussia e il Ducato di Parma a Filippo di Borbone (v. carta, p. 85).
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
Il rovesciamento delle alleanze: la Guerra dei sette anni
avendo compreso che il nemico principale non era più la Francia, ormai in declino, bensì la Prussia, in forte ascesa, austria e russia decisero a questo punto di allearsi con la prima contro la seconda, la quale a sua volta aveva stretto alleanze con l’inghilterra. Si creò in questo modo un rovesciamento del tradizionale sistema dei rapporti di forza continentali, che fu all’origine alla cosiddetta Guerra dei sette anni (1756-1763) conclusasi con la Pace di Parigi. Pur esprimendosi in fasi talvolta drammatiche, in europa il conflitto non produsse, peraltro, importanti cambiamenti territoriali, mentre invece dispiegò i suoi effetti più significativi sul fronte nordamericano e su quello indiano, dove a battersi gli uni contro gli altri, in una sorta di guerra parallela a quella che si stava svolgendo sul continente europeo, furono soltanto francesi e inglesi. Qui, infatti, si assistette al drastico indebolimento dell’impero coloniale francese e al transitorio consolidamento di quello inglese. annI
Europa
1756-1757
Federico II penetra in Boemia e pone l’assedio a Praga, ma è costretto a ritirarsi; sconfigge i franco-russi che avevano strappato Hannover e Brunswick al controllo inglese
1758
Alleanza tra Austria e Francia. Federico II respinge l’invasione dei russi e mantiene il controllo di Sassonia e Slesia
1759-1760
Sconfitto dai francesi e dagli austro-russi Federico II abbandona Sassonia e Slesia. Occupazione russa di Berlino
1762
L’Inghilterra dichiara guerra alla Spagna e a Napoli. Federico II firma una pace separata col nuovo zar Pietro III e con la Svezia e recupera agli austriaci la Slesia
La tabella illustra le fasi della Guerra dei sette anni
CoLonIE amErICanE
1757-1758
Conquiste francesi nelle regioni centro-settentrionali contro gli inglesi
1758-1761
Gli inglesi contrattaccano occupando prima Louisburg (Nuova Scozia) e Fort Duquesne (Ohio), quindi Québec e Guadalupa (1759). Con la resa a Montreal (1761) i francesi perdono tutti i loro territori situati in Canada
1762
Occupazione inglese di Cuba, Martinica francese e Grenada CoLonIE asIaTIChE
1757
Gli inglesi occupano Calcutta e assumono il controllo di Bengala e Bihar
1761
Vittorioso assedio inglese a Pondichéry (francese dal 1579), ribattezzata Pondicherry
1762
Gli inglesi occupano Manila (Filippine) CoLonIE afrICanE
1758-1760
Occupazione inglese del Senegal e del Senegambia francesi TraTTaTI DI paCE
1763 (10 febbraio)
Pace di Parigi: la Francia cede all’Inghilterra l’Acadia (ovvero le province marittime del Canada affacciate sull’Atlantico), la baia di San Lorenzo, la riva sinistra del Mississippi; nelle Antille: Tobago, la Dominica, Saint-Vincent, Grenada, le Grenadine; il Senegal; le basi in India; alla Spagna cede la Louisiana
1763 (15 febbraio)
Pace di Hubertusburg: l’Austria conferma alla Prussia il possesso della Slesia
83
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
4.2 I nuovi rapporti di forza in Europa Il volto del continente nel 1748
MEMO Con il nome di Pace di Vestfalia si indica convenzionalmente l’insieme degli accordi firmati tra il 1645 e il 1648 nella regione tedesca della Vestfalia con cui si concluse la Guerra dei trent’anni.
Per comprendere quali cambiamenti territoriali portarono le guerre del SeiSettecento, osserviamo due carte geopolitiche che raffigurano l’Europa nel 1648 (Pace di Vestfalia) e quella del 1748 (Pace di aquisgrana): descrivono un continente diviso non tanto in nazioni (cioè comunità etnico-linguistiche relativamente compatte), quanto in possedimenti dinastici, cioè in domini patrimoniali dell’una o dell’altra casa sovrana, talvolta privi di continuità territoriale. L’espansione degli asburgo di Vienna e i domini borbonici
Confrontando le due carte a colpirci è in primo luogo l’espansione degli Asburgo d’Austria, concretizzatasi nella sottrazione di vasti territori all’Impero ottomano. Come sappiamo, ancora nel 1683 i turchi s’erano presentati minacciosi sotto le mura di Vienna; a metà Settecento, viceversa, il dominio della Porta di istanbul
L’Europa nel 1648 e nel 1748
Confini del Sacro romano impero nel 1648 Possedimenti degli Asburgo d’Austria
REGNO DI SVEZIA REGNO DI SCOZIA mare del Nord
Territori dei vassalli dell’Impero ottomano
REGNO D’INGHILTERRA
Terre delle comunità di Kazan e delle tribù nomadi autonome dello Stato russo
PR. DI SASSONIA
PAESI BASSI SPAGNOLI
ES
GRANDUCATO DI LITUANIA
REGNO DI POLONIA
PRINC. DI MOLDAVIA PRINC. DI SERBIA TRANSILVANIA PRINC. DI VALACCHIA
O
D’U
NG
HE
R. DI DUC. DI BAVIERA BOEMIA ARC. D’AUSTRIA
P. DI A
Sicilia
ALGERIA
IMPERO
REGNO DELLE DUE SICILIE
Sardegna
OTTOMANO Isole Ioniche Creta
mar Mediterraneo
84
mar Nero
ZI
Corsica
QANATO DI CRIMEA
NE
GRAND. DI TOSCANA
COSACCHI DEL DON
VE
STATO DELLA CHIESA
ANDORRA
Isole Baleari
MAROCCO
SL
IA
RE
REGNO DI SPAGNA
DUC. DI PRUSSIA
PROV. UNITE
CONTEA CONF. ELVETICA DUC. DI SAVOIA
REGNO DI PORTOGALLO
CURLANDIA mar Baltico
REGNO DI FRANCIA FRANCA
oceano Atlantico
RUSSIA
LIVONIA
GN
Territori occupati dagli Svedesi
NIA
ESTO
RIA
Possedimenti dei Savoia
REGNO DI DANIMARCA E NORVEGIA
RE
Possedimenti degli Asburgo di Spagna (1648) e dei Borbone di Spagna (1748)
Cipro
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
risulta fortemente ritratto verso il Sud-est europeo. i sovrani d’austria sono nel frattempo divenuti anche padroni – diretti o indiretti – della Lombardia, dei Paesi Bassi ex spagnoli (l’attuale Belgio), nonché della Toscana. Hanno, però, ceduto alla Prussia la Slesia, un’area dell’europa centrale confinante con il regno di Polonia. i Borbone, da un capo all’altro dell’europa occidentale e mediterranea, formano una sorta di “internazionale” dinastica. dal 1713 detengono la corona di Spagna, per quasi due secoli dominio di un ramo della stessa dinastia degli asburgo estintosi a fine Seicento. altri Borbone di Spagna, come regnanti autonomi, governano dal 1734 il Regno di Napoli e quello di Sicilia – già pertinenza della corona di Spagna ai tempi degli asburgo di Madrid – e il Ducato di Parma e Piacenza, in precedenza dominio della famiglia Farnese. i Borbone di Francia, dal canto loro, dopo aver scatenato durante il regno di Luigi XiV guerre continue, conservano nel 1748 almeno una parte di quel che hanno in precedenza conquistato: la Franca Contea e una ristretta porzione dei Paesi Bassi ex spagnoli.
CONF. ELVETICA
REGNO DI UNGHERIA
DUCATO DI MILANO
REP. DI VENEZIA
REGNO DI SARDEGNA
REGNO DI SVEZIA
DUCATO DI DUCATO DI PARMA MODENA E REGGIO REP. DI LUCCA GRANDUCATO REPUBBLICA DI TOSCANA DI GENOVA
mare del Nord
IRLANDA
STATO DELLA CHIESA
REGNO D’INGHILTERRA
STATO DEI PRESIDI
REGNO DI DANIMARCA E NORVEGIA mar Baltico DUC. DI PRUSSIA
PROV. UNITE
PAESI BASSI AUSTRIACI
DUCATO DI MODENA E REGGIO
RUSSIA
PR. DI SASSONIA
SL
ES
IA
GRANDUCATO DI LITUANIA
REGNO DI POLONIA
REGNO DI FRANCIA FRANCA
oceano Atlantico
CONTEA CONF. ELVETICA
IMPERO ASBURGICO
REGNO DI SARDEGNA
A
ZI
IMPERO
Minoica Isole Baleari
REGNO DI SARDEGNA
REGNO DI NAPOLI E SICILIA Sicilia
MAROCCO
mar Nero NE
REPUBBLICA DI GENOVA
VE
ANDORRA
DI
Gibilterra
P.
REGNO DI SPAGNA
RE
REGNO DI PORTOGALLO
ALGERIA
OTTOMANO Isole Ioniche Creta
Cipro
mar Mediterraneo
85
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Il resto d’Europa
David von Krafft, Carlo XII di Svezia (1682-1718), XVIII secolo
osservando la carta del 1748 muovendo lo sguardo da ovest a est incontriamo questi altri territori: nella porzione meridionale il Regno del Portogallo, il Regno di Sardegna (che è il frutto della progressiva discesa verso l’italia della dinastia di Savoia), la Repubblica di Genova, quella di Lucca, il Ducato di Modena e Reggio, lo Stato della Chiesa, la Repubblica di Venezia; in quella centrale le Province Unite (olanda), la Confederazione elvetica e poi l’area tedesca, che forma il cuore del Sacro romano impero, quella federazione interstatale, composta da una miriade di Stati, città e signorie indipendenti, che è affidata tradizionalmente alla tutela degli asburgo di Vienna. tra le molte unità che lo compongono da qualche decennio si segnala per capacità di espansione il Regno di Prussia, divenuto tale crescendo man mano, soprattutto verso nord-est, attorno a un nucleo originario costituito dall’elettorato imperiale del Brandeburgo, intervenendo efficacemente a più riprese nelle guerre combattute tra i paesi che si affacciano sul mar Baltico. Qui gli asburgo e i Borbone – signori della guerra nel resto dell’europa continentale – inviano assai di rado i loro eserciti, anche se talvolta stringono alleanze con l’uno o con l’altro dei belligeranti. a fronteggiarsi in prima persona sono altri sovrani: il re di danimarca e norvegia, il re di Svezia, il re di Polonia, lo zar di russia e, per l’appunto, l’elettore del Brandeburgo, che nel 1701 si vede riconoscere il rango di re di Prussia. tra la seconda metà del Seicento e la prima del Settecento il Regno di Svezia – che comprende buona parte della penisola scandinava e che si estende anche su cospicue porzioni litoranee dell’europa continentale – prima si rafforza a spese della danimarca, poi viene però bruscamente ridimensionato. Mentre la Polonia e la danimarca conservano, a un secolo di distanza dal 1648, grosso modo gli stessi confini, a espandersi in questa parte d’europa sono soprattutto la Prussia (che conquista la Pomerania), e la Russia (che si annette la Livonia e l’estonia). stati dinastici senza continuità territoriale
uno sguardo ravvicinato alla composizione del Regno di Prussia al termine del periodo che consideriamo ci aiuta a focalizzare meglio un fenomeno che può sembrare sorprendente, ma che è tutt’altro che raro negli equilibri geopolitici dell’europa degli Stati dinastici. La Prussia era, infatti, formata da un nucleo orientale (Brandeburgo, Pomerania, Slesia) e da un nucleo occidentale (Kleve e altri territori adiacenti all’olanda). APPROFONDIRE
I conflitti per il dominio sul Baltico il possesso del Baltico rappresentava un’imporDto siaatantesempre fonte di ricchezza: esso era infatti il passaggio obbligaper trasportare cereali, legname e metalli dalle regioni settentrionali dell’Europa verso le città della Germania settentrionale, sia, viceversa, per convogliare verso la penisola scandinava tessuti e prodotti delle manifatture dell’Europa occidentale. Dopo la fine della Guerra dei trent’anni, vi furono due importanti “Guerre del Nord”. La prima (1655-1660) vide opporsi alla Svezia la Danimarca che, nonostante i potenti alleati (Prussia, Polonia e
86
Russia), non riuscì ad avere la meglio. Con la pace di Oliva, infatti, venne sancito il predominio della Svezia sul Baltico e il suo ruolo di grande potenza internazionale. Ma questa situazione venne presto ribaltata nella seconda Guerra del Nord (1700-1721). Nello scontro che vide ripresentarsi gli stessi schieramenti, il re Carlo XII di Svezia fu pesantemente sconfitto e morì durante le operazioni militari. Le paci di Stoccolma (1720) e di Nystad (1721) posero fine alla supremazia della Svezia che dovette concedere importanti territori a Prussia e Russia, le due nuove regine del Baltico.
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
L’espansione della Prussia-Brandeburgo nel Settecento
SVEZIA
DANIMARCA
mar Baltico
mare del Nord FRISIA ORIENTALE
VESTFALIA
no
A
Re
LUSAZIA SASSONIA
PRINC. DI BAYREUTH
1742
Bayreuth Ansbach
Acquisizioni fino al 1740
POLONIA
Acquisizioni di Federico II (1740 -1786) er
1791
Breslavia
Od
PRINC. DI ANSBACH
Acquisti del grande elettore Federico Guglielmo (1640 -1688)
SLESIA
1791 PALATINATO
Possedimenti degli Hohenzollern nel 1618
1793
a
Halle
Elb
DUC. DI GHELDRIA CONTEA DI LAMARK 1713
Ducato della Prussia orientale nel 1525
SSI
Brema
VESC. DI MINDEN 1702-1707 DUC. DI CONTEA DI KLEVE RAVENSBERG
Lingen
RU
1744
PROVINCE UNITE
Königsberg DUCATO DELLA CONTEA DI Danzica POMERANIA PRUSSIA SERREY ORIENTALE 1780 POMERANIA ORIENTALE Amburgo 1648 OCCIDENTALE PRUSSIA Stettino 1720 UCKERMARK OCCIDENTALE HANNOVER 1772 NUOVA PRUSSIA MARCH. DEL NEUMARK ORIENTALE Torun´ BRANDEBURGO 1795 Visto VESC. DI la Posen Berlino HALBERSTADT Varsavia ARCIVESC. DI 1648 PRUSSIA MAGDEBURGO MERIDIONALE 1780 Lubecca
NUOVA SLESIA 1795
BOEMIA
Acquisizioni dopo il 1790 1742
Data di acquisizione Confini del Sacro romano impero nel XVII secolo
tra i due nuclei non c’era continuità territoriale, come è invece oggi la norma negli Stati nazionali. un caso eccezionale? no, per esempio, i Paesi Bassi e la Lombardia, prima spagnoli e poi austriaci, erano entrambi lontanissimi dalla sede della corte che li governava; così come l’italia meridionale e insulare, a lungo spagnola, era separata dalla madrepatria da un intero mare. La logica degli Stati dinastici era diversa da quella delle nazioni dei giorni nostri. L’europa è un mosaico e non sempre i molti tasselli in mano ai sovrani risultavano contigui l’uno all’altro.
4.3 L’Europa fuori d’Europa tra Cinquecento e settecento L’Inghilterra e la sua espansione oltremare
nella nostra ricognizione sulla superficie continentale non abbiamo citato un protagonista di primo piano (oltre ad alcuni altri di significato minore), l’Inghilterra, spesso attiva nei conflitti che scandiscono le guerre di un secolo e più. Questo paese combatté, in realtà, principalmente sul mare, al fine di assicurarsi il controllo delle rotte lungo le quali scorrevano i traffici e la ricchezza. Per questo nella seconda metà del Seicento fu a lungo (nel 1652-1654, 1665-1667, 1672) in conflitto con l’Olanda, altra potenza marittimo-mercantile costretta alla fine a riconoscere la supremazia commerciale dell’inghilterra. in seguito Londra intervenne regolarmente nelle guerre continentali, essenzialmente allo scopo di impedire il rafforzamento della Francia e della Spagna, anch’esse sue rivali sulle rotte oceaniche. nel 1714 si assicurò, in territorio iberico, il dominio su Gibilterra e Minorca, chiavi del Mediterraneo e teste di ponte verso l’america e l’africa. 87
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
Ma fu soprattutto fuori dall’europa che si verificò la sua espansione. a rivelarcelo è la carta a fianco, che mostra il mutamento dei rapporti di forza nei domini coloniali. in america, nel 1664 gli inglesi si impadronirono del territorio già olandese di nuova amsterdam, che ribattezzano New York; nel 1714 strapparono alla Francia Terranova e Nuova Scozia, tra il 1759 e il 1763 portarono via alla Spagna alcune delle Antille e la Florida e sottrassero alla Francia tutte le postazioni coloniali lungo le coste dell’India, ponendo un’ipoteca sul controllo esclusivo dell’immenso subcontinente. L’espansione coloniale tra Cinquecento e settecento George Lambert e Samuel Scott, Navi inglesi nel porto di Bombay, metà del XVIII secolo (Londra, India office Library)
MEMO Le cosiddette Indie occidentali erano l’America del Nord e del Sud, mentre le Indie orientali erano le regioni dell’India e dell’Estremo Oriente.
alla fine della guerra dei sette anni (1763) il quadro degli insediamenti europei nel resto del mondo risultava quindi molto mutato rispetto alla situazione maturata tra il Cinquecento e il Seicento. È questa l’occasione per tracciare un breve profilo di una evoluzione che la Pace di Parigi consacrò, ma che nei decenni precedenti aveva conosciuto fasi differenziate. nel Cinquecento, infatti, l’Europa coloniale sostanzialmente si era identificata con due soli paesi. uno era la Spagna, con le “sue” americhe (estesesi tra il Seicento e gli inizi del Settecento fino a inglobare texas e California a nord e vasti territori posti al di là della cordigliera andina nell’america meridionale, nonché le Filippine, colonie dell’america spagnola, più che della Spagna in senso proprio, in asia). L’altro era il Portogallo, da un lato con il Brasile, dall’altro con le sue piazzeforti commerciali in india (goa, Mangalore), in indonesia (timor), in Cina (Macao) e con i suoi scali finalizzati al commercio degli schiavi su vari punti della costa africana. Poi, durante il Seicento, si era assistito a un ciclo contraddistinto dall’iniziativa olandese, inglese, francese (v. carta a p. 12), e dalla fioritura delle cosiddette Compagnie delle Indie occidentali e orientali, associazioni private di mercanti e di armatori finalizzate al commercio con i territori d’oltremare e strettamente collegate agli Stati di appartenenza, che attribuivano loro una funzione semipubblica nei rispettivi scenari di insediamento. avevano cominciato gli olandesi, affrontando vittoriosamente in prima battuta la concorrenza portoghese nell’asia orientale, e insediandosi a Giava, nelle Molucche, a Ceylon, per estendere poi la loro azione anche al versante occidentale del globo (nelle antille, per qualche tempo in parte del Brasile, nell’america del nord). nel giro di qualche decennio erano stati efficacemente imitati anche dagli inglesi (nel Seicento soprattutto nell’America del Nord e nelle Antille, nel Settecento in misura crescente anche in Asia orientale, dove avevano conquistato piazzeforti importanti lungo la costa del subcontinente indiano, come Bombay, Madras, Calcutta) e dai francesi, presenti al di là dell’atlantico nel Canada, nella Louisiana e nelle Antille e sul fronte dell’oceano indiano in alcune postazioni tra le quali Pondichéry. olandesi, inglesi e francesi avevano infine affiancato le loro stazioni commerciali a quelle portoghesi lungo i litorali africani. Il declino iberico
Una piantagione di canna da zucchero nelle Antille
88
La concorrenza delle potenze marittime dell’europa settentrionale aveva causato, nel corso del secolo, il progressivo declino dell’iniziale supremazia iberica sugli scenari extraeuropei. i navigli spagnoli e portoghesi erano stati battuti su tutti i mari del mondo dalle agili e audaci marinerie semiprivate olandese e inglese che, anche sul piano strettamente commerciale, avevano mostrato un’intraprendenza assai maggiore di quella dei più antichi imperi coloniali.
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
I domini europei nel 1763 TERRITORI DELLA COMPAGNIA DELLA BAIA DI HUDSON CANADA NUOVA SCOZIA
Terranova
Possedimenti nelle piccole antille Gran Bretagna: Antigua, Barbados, Grenada, Guadalupa, Tobago, St-Vincent Francia: Martinica Olanda: Curaçao
(G.B.)
BRASILE
Yanaon Madras
Accra
CILE
62
FILIPPINE BORNEO MOLUCCHE NUOVA GUINEA
oceano Atlantico
PERÚ
Manila 17
176
(G.B.)
(G.B.)
7
(Port.)
Pondicherry
GUIANA CAIENNA
oceano Pacifico
(Port.)
(G.B.)
Goa
St. Louis
GIAPPONE
Macao
Calcutta
ARABIA Bombay (G.B.)
(G.B.)
o
CINA
1 175
17 5 17 9 62 61
Haiti Giamaica
IMPERO PERSIA OTTOMANO
Chandernagor
17
NUOVA FLORIDA SPAGNA CUBA
Belize Costa dos NUOVA Mosquitos GRANADA
OLANDA
PORTOGALLO SPAGNA
New York
LOUISIANA NUOVA INGHILTERRA
MESSICO
RUSSIA
FRANCIA 1758
NUOVA FRANCIA
GRAN BRETAGNA
oceano Indiano
ISOLE DELLA SONDA
I. Maurizio I. Riunione
Fort Dauphin (Fr.)
Possedimenti spagnoli Possedimenti portoghesi Possedimenti olandesi Possedimenti francesi Possedimenti inglesi Spedizioni militari inglesi
La produzione portoghese di zucchero in Brasile, per esempio, era entrata in crisi a causa dell’introduzione di un analogo sistema di piantagioni a lavoro schiavile nelle Antille inglesi e francesi, mentre il volume del commercio portoghese di spezie asiatiche al principio del Settecento risultava ridotto ad appena un quinto rispetto a quello di un secolo prima; sulle rotte tra l’Asia e l’Europa, infatti, gran parte dei navigli battevano ormai bandiera olandese. d’altro canto, dopo una stagione straordinariamente propizia tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, il flusso di metalli preziosi dall’America spagnola alla madrepatria si era venuto man mano impoverendo. e, a differenza del colonialismo mercantile “leggero” praticato per il momento dalle potenze emergenti, quello spagnolo, che era di tipo stanziale e insediativo, implicava il mantenimento di un costoso apparato burocratico e militare, che aveva progressivamente trasformato il governo delle americhe in un onere finanziario più che in una fonte di profitto. La crescita del ruolo delle colonie
dopo la seconda metà del XViii secolo dunque, si verificò una riformulazione generale dei rapporti di forza tra i paesi europei impegnati oltremare, che culminò al termine della guerra dei sette anni nella conquista inglese del primato commerciale acquisito nella prima parte del Seicento dall’olanda. Ma, soprattutto, risultò enormemente aumentata l’incidenza del rapporto con le colonie nell’interscambio economico delle principali potenze del continente. Quasi la metà del commercio internazionale inglese e circa un terzo di quello francese derivavano infatti a metà Settecento dagli scambi tra madrepatria e colonie. Si capisce bene, dunque, come la guerra fosse divenuta nei decenni precedenti sempre più un esercizio da praticare non solo sullo scenario continentale (poco nevralgico, del resto, per l’inghilterra), ma a tutte le latitudini del globo, alternando al fragore dei cannoni la sagacia commerciale e imprenditoriale.
Una piantagione francese sull’isola di Martinica, illustrazione, XVIII secolo. La concorrenza delle produzioni a lavoro schiavile delle colonie inglesi e francesi mise in difficoltà l’impero coloniale spagnolo
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Guerre e paci tra il 1648 e il 1763 pErIoDo
1648
GuErra/paCE
ConCLusIonE
Potenze protestanti + Francia contro potenze cattoliche
Ridefinizione degli equilibri politico-militari in Europa
1652-1654, Scontri per la supremazia 1665-1667, commerciale e il controllo dei mari 1672
Inghilterra contro Province Unite (d’ora in poi, Olanda)
L’Olanda è costretta a riconoscere la supremazia commerciale dell’Inghilterra
1655-1660 Prima Guerra del Nord per il predominio sul Mar Baltico. Pace di Oliva
Svezia contro Danimarca, Brandeburgo-Prussia (d’ora in poi Prussia), Polonia
La Svezia si rafforza a spese della Danimarca. La Prussia guadagna prestigio
1659-1699 Conflitto permanente tra Austria e Impero ottomano per il dominio nell’Est e nel Sud-Est europeo
Austria (a tratti anche Polonia e Venezia) contro Impero ottomano
L’Austria si impadronisce dell’Ungheria e della Transilvania. Venezia conquista alcune parti della Grecia
1667-1668 Guerra di devoluzione Pace di Aquisgrana
Francia contro Spagna, Olanda, Inghilterra
La Francia si impadronisce di una parte dei Paesi Bassi spagnoli (le Fiandre)
1672-1678 Guerra d’Olanda. Tentativo francese di minare la forza mercantile dell’Olanda. Pace di Nimega
Francia e Svezia contro Olanda, Spagna, alcuni principati imperiali (nel 1672 anche Inghilterra contro Olanda)
La Francia si impadronisce di un’altra porzione delle Fiandre, della Franca Contea, della città di Friburgo in Brisgovia (Freiburg im Brisgau)
1688-1697 Guerra della Lega di Augusta (pretese francesi sul Palatinato) Pace di Ryswyk
Francia contro Austria, Spagna, Svezia, alcuni principati imperiali, Inghilterra, ducato di Savoia, Olanda
Il tentativo francese viene respinto. Pinerolo viene annessa al Ducato di Savoia
1701-1714 Guerra di successione spagnola. Paci di Utrecht, Rastadt e Baden
Francia contro Austria, Inghilterra, Olanda, alcuni principati imperiali, ducato di Savoia
La Spagna e le colonie a Filippo V Borbone, nipote di Luigi XIV, con l’impegno a non unificare le corone di Francia e di Spagna. I Paesi Bassi, già spagnoli, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli agli Asburgo di Vienna. Gibilterra, Minorca e alcune aree del Nord America all’Inghilterra, la Sicilia ai Savoia
1701-1721 Grande Guerra del Nord per il predominio nell’area baltica. Paci di Stoccolma, Frederiksborg e Nystad
Svezia contro Russia, Polonia, La Svezia perde Brema e altre città, Danimarca, dal 1713 anche contro cedendole ad Hannover. Parte della Prussia e Hannover Pomerania va alla Prussia. Livonia ed Estonia vanno alla Russia.
1716-1718 Conflitto tra Austria e Impero ottomano
Austria contro Impero ottomano
1717-1720 Tentativo della Spagna di ristabilire la propria supremazia in Italia
Spagna contro Inghilterra, Olanda, La Sicilia va all’Austria, la Sardegna al Austria, Francia, Savoia-Piemonte Ducato di Savoia (d’ora in poi, Regno di Sardegna)
1733-1738 Guerra di successione polacca. Pace di Vienna
Austria e Russia contro Francia e Regno di Sardegna
Il Regno di Sardegna acquisisce Tortona e Novara. Napoli e la Sicilia vanno a Carlo di Borbone, figlio di Filippo di Spagna, come regno autonomo. Parma e Piacenza agli Asburgo. La Toscana ai Lorena (poi agli Asburgo-Lorena). Augusto III di Sassonia riconosciuto come re di Polonia
1740-1748 Guerra di successione austriaca. Pace di Aquisgrana
Austria e Inghilterra (poi anche Regno di Sardegna) contro Francia, Spagna, Prussia, alcuni principati imperiali
La Prussia acquisisce la Slesia. Parma e Piacenza passano dagli Asburgo ai Borbone. Maria Teresa d’Asburgo viene riconosciuta imperatrice d’Austria
1756-1763 Guerra dei sette anni (rivalità tra Austria e Prussia, ma anche conflitto coloniale tra Francia e Inghilterra). Pace di Parigi
Austria, Francia, Russia, Spagna, alcuni principati imperiali contro Inghilterra, Prussia, Hannover
La Prussia mantiene la Slesia. L’Inghilterra acquisisce molti possedimenti francesi e spagnoli in America. La Francia è costretta a rinunciare alle proprie pretese coloniali in India
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Conclusione della Guerra dei trent’anni. Pace di Vestfalia
ConTEnDEnTI
L’Austria acquisisce parte della Serbia e la Valacchia
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
4.4 La guerra: modelli a confronto un’esperienza apparentemente quotidiana
Se consideriamo le date dei conflitti e i paesi di volta in volta coinvolti, risulta evidente che, almeno teoricamente, durante i poco più di cento anni considerati, la guerra fu per le popolazioni un’esperienza quasi quotidiana. tra il 1667 e il 1763 la Francia guerreggiò per 53 anni; tra il 1652 e il 1763 l’inghilterra lo fece per 44 anni; tra il 1652 e il 1748 l’olanda per 45; solo tra il 1701 e il 1763 la russia fu in guerra per 33 anni. dunque, mediamente, un anno sì e un anno no tra la seconda metà del Seicento e la prima del Settecento ogni paese fu impegnato in un conflitto militare. il che significa che nell’esistenza di ciascun individuo di quel periodo la guerra si presentò come la regola, e non come un’eccezione. Ma cerchiamo di andare al di là delle apparenze, chiedendoci in che misura e secondo quali modalità la popolazione civile fosse effettivamente coinvolta nei conflitti. Lo faremo confrontando le guerre di questo periodo tanto con quelle del Cinquecento e della prima metà del Seicento, quanto con i grandi conflitti del novecento, le due guerre mondiali. e ci accorgeremo subito di alcune differenze fondamentali.
Inclusione/Esclusione Armati e disarmati, p. 101
Le guerre senza quartiere: antiche e moderne
a contraddistinguere le guerre scaturite dalla Riforma protestante, o la Guerra dei trent’anni combattuta nel Seicento tra i paesi della Lega cattolica e quelli della Lega evangelica, erano state infatti soprattutto motivazioni religiose; tali conflitti furono la manifestazione di uno scontro prolungato e carico di fanatismo tra l’europa cattolica e quella riformata. Vista la grande importanza che la fede rivestiva nella coscienza e nel sistema di valori della popolazione, si combatteva con accanita e feroce determinazione. Massacrare i civili aderenti a un culto diverso dal proprio rappresentava per almeno una parte dei belligeranti una sorta di atto di fede, l’adempimento di un impegno attivo nella battaglia epocale tra la “vera” religione (per ciascuno la propria) e l’opera del demonio. Proviamo, ora, a individuare i tratti caratterizzanti delle due guerre mondiali, nel novecento. Ci troveremo davanti, da un lato, al fenomeno della mobilitazione totale, tanto al fronte quanto nelle retrovie, della popolazione intera di ciascun paese, dall’altro, alla presenza di una forte impronta ideologica: l’europa liberale contro quella più conservatrice nella Prima guerra mondiale, la volontà di contrastare l’affermazione delle dittature fasciste nella Seconda. APPROFONDIRE
Guerre, carestie ed epidemie n Europa, tra il 1652 e il 1763, la guerra non fu percepita come Icome un evento eccezionale, quale noi siamo soliti considerarla, ma una condizione di normalità; una dolorosa normalità, naturalmente, tanto più che all’inizio essa si intrecciò con altri fattori che misero a dura prova la vita delle popolazioni. Tali furono, per esempio, la carestia (1647-1651), dovuta a un irrigidimento del clima europeo, e le epidemie di peste, che culminarono nelle grandi pestilenze del 1630 e del 1656. Le epidemie di peste, o quelle di altra natura (tifo, vaiolo) furono alla base della morte prematura di porzioni rilevantissime della
popolazione. In Italia, a Napoli e Genova, nel 1656 morì quasi il 50% degli abitanti. La medicina del tempo non era in grado di evitare il contagio, lasciando la popolazione indifesa davanti alla malattia. Il provvedimento più utilizzato in tal senso era l’isolamento, ma questo espediente non aveva alcun potere contro il principale elemento di contagio: i topi infettati dalle pulci. Nel corso del Settecento, grazie anche al miglioramento delle condizioni igieniche generali, le epidemie si attenuarono sensibilmente ed ebbe avvio una fase di incremento demografico che si protrasse per oltre due secoli e mezzo.
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
L’esercito inglese in battaglia nel 1746
Il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili, p. 96
da questo punto di vista, esse avranno dunque qualcosa di nevralgico in comune con i conflitti di religione divampati tra il Cinque e il Seicento. e come questi ultimi saranno guerre distruttive, volte ad annichilire un avversario individuato non solo negli eserciti nemici schierati in campo, ma anche nella popolazione civile che li sostiene; guerre senza tregua e senza quartiere, destinate a rappresentare l’esperienza di gran lunga più importante nell’esistenza di chi si trova a subirle, perché nessuno può sottrarsi a esse. I conflitti del periodo tra Sei e Settecento furono invece soprattutto scontri tra dinastie, o guerre commerciali. e si trattava di conflitti spesso “dimostrativi”, avviati allo scopo di portare avanti il fraseggio diplomatico. Mostrare i propri reggimenti in assetto di battaglia, o avviare la mobilitazione necessaria per una campagna, serviva in realtà più a dissuadere l’avversario di turno che a procurare reali devastazioni. e anche una volta che la guerra era stata ufficialmente dichiarata, raramente i generali andavano alla ricerca di uno scontro frontale, di una battaglia risolutiva. Perseguivano, piuttosto, un’accorta strategia di risparmio degli uomini e dei mezzi. Le guerre dinastiche del sei-settecento
Fonte Luigi XIV, Lettera a un capo dell’esercito
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Le guerre del Sei-Settecento erano lunghe, ma non intense. Si basavano su snervanti e logoranti assedi, condotti allo scopo di costringere il nemico alla resa per fame o per mancanza di rifornimenti, non a quello di annientarlo. Le battaglie si combattevano solo per alcuni mesi all’anno, quando le condizioni climatiche erano meno disagevoli ed era più facile spostare le pedine (truppe, cavalli, carriaggi, artiglieria) su una scacchiera dalla quale le popolazioni civili restarono in quest’epoca quasi sempre escluse. Scopo della guerra, per ogni sovrano, era infatti quello di ingrandire i propri possedimenti territoriali, preservando il più possibile la popolazione civile, necessaria, soprattutto in periodo di guerra, per continuare a lavorare la terra e quindi garantire approvvigionamenti, nonché per ricavare prelievi fiscali, necessari per finanziare le guerre.
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
Furono queste, quindi, perlopiù guerre che non prevedevano un sistematico coinvolgimento attivo – materiale, emotivo, religioso, ideologico – delle popolazioni civili, né un largo ricorso a esse come forze da schierare in campo, o tanto meno come possibile obiettivo di distruzione. L’ideale di Federico ii Hohenzollern il grande era, per esempio, che i suoi sudditi neppure si accorgessero che il loro re stava conducendo una guerra. La sua ascesa si realizzò essenzialmente a scapito del re di Svezia, luterano anch’egli. d’altro canto, la prolungata concorrenza per la supremazia continentale tra gli asburgo e i Borbone, risalente alla guerra dei trent’anni, vide coinvolte due dinastie regnanti che erano entrambe cattoliche. La religione non rappresentava in questi decenni di per sé un motivo di guerra, un fattore mobilitante da schierare in campo. né svolgeva un ruolo veramente rilevante un sentimento che sarebbe invece divenuto di significato nevralgico nei conflitti otto-novecenteschi, vale a dire quello della tutela dell’indipendenza e dell’integrità nazionale. e ciò per il semplice motivo che in quell’epoca le nazioni come oggi noi le conosciamo – comunità statali di cittadini uniti da vincoli prevalentemente culturali e linguistici – sostanzialmente non esistevano. L’europa di cui stiamo parlando era un’europa di dinastie familiari regnanti su una popolazione di sudditi, non un’europa di popoli sovrani, desiderosi di rimanere padroni del proprio destino politico. La Lombardia e i Paesi Bassi, per esempio, i cui abitanti parlavano rispettivamente italiano e fiammingo, passarono dall’appartenenza alla Spagna a quella all’austria mostrando una quasi totale indifferenza. ai sudditi interessava infatti soprattutto che i nuovi sovrani moderassero le pretese fiscali; importava poco, viceversa, che parlassero spagnolo o tedesco. L’autentico soggetto parlante di quei conflitti erano dunque le dinastie, perennemente alla ricerca di un equilibrio che talvolta poteva essere raggiunto attraverso trattative diplomatiche (di cui costituivano parte integrante i matrimoni tra i membri delle varie casate), ma che, qualora le trattative pacifiche si fossero inceppate, veniva ricercato con la discesa sul campo di battaglia.
Carlo III di Borbone, duca di Parma dal 1731 al 1735 come Carlo I, re di Napoli e Sicilia dal 1735 al 1759 e re di Spagna dal 1759 al 1788
4.5 Gli eserciti: da mercenari a professionisti milizie professionali e permanenti
La formazione di eserciti statali professionali e, soprattutto, permanenti fu la grande novità che caratterizzò l’età dell’assolutismo. Fino alla metà del Seicento, infatti, gli eserciti erano costituiti prevalentemente da bande di mercenari, talvolta integrate dal seguito personale dei grandi aristocratici. Li si reclutava, in genere, all’inizio delle ostilità e li si licenziava a guerra terminata. ora, invece, quello di soldato cominciò a diventare un mestiere stabile, una professione che almeno in linea di principio si configurava come duratura e che, molto più intensamente di quanto non fosse avvenuto in passato, veniva sottoposta al controllo, alla cura e alla regolamentazione da parte dello Stato. a formare il nucleo centrale dei nuovi eserciti erano essenzialmente volontari, arruolati da ufficiali-reclutatori. essi ricevevano un compenso forfettario al momento del loro ingresso nei reggimenti, e poi uno stipendio regolare per tutto il tempo della loro permanenza in servizio. anche le cariche da ufficiale, che in precedenza potevano essere venali (cioè acquistabili e vendibili) si trasformarono ora in cariche professionali: le attribuiva lo Stato e per ottenerle bisognava spesso iscriversi a istituti statali di formazione, frequentati soprattutto da giovani nobili che vi apprendevano le regole più aggiornate dell’esercizio bellico.
MEMO Si definivano mercenari i soldati stranieri che, soprattutto tra il XIV e il XVI secolo, si arruolavano in cambio di uno stipendio nelle cosiddette compagnie di ventura. Queste erano dei veri e propri eserciti professionali guidati da condottieri, spesso cadetti o nobili decaduti in cerca di facili guadagni, che si mettevano al servizio di un principe. I più famosi soldati mercenari furono svizzeri e tedeschi (i lanzichenecchi).
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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
soldati stranieri e soldati nazionali
Il modello della nave da guerra di Luigi XIV Le soleil royal (Parigi, Museo della Marina)
Se gli ufficiali erano in gran parte nobili, chi erano invece i soldati semplici schierati sotto le bandiere dei sovrani europei? Passando in rassegna le file dei reggimenti si poteva osservare un quadro assai vario e pittoresco, che in parte rivelava la persistenza di un’antica consuetudine. Molti soldati (da un quarto fino ai due terzi, a seconda degli eserciti e dei singoli conflitti), infatti, erano stranieri, vale a dire provenienti da paesi diversi da quelli sui quali si esercitava la sovranità del re che li pagava. in parte si trattava di prigionieri di guerra o di disertori dell’esercito del loro paese; in parte di uomini originari di territori che normalmente non ingaggiavano guerre in proprio, per esempio la Svizzera, ma anche alcuni staterelli tedeschi, che erano specializzati per l’appunto nella fornitura di uomini d’arme ad altri paesi. in figure come queste si rinnovava l’antica tradizione del mercenario. Ma accanto a loro c’erano i “nazionali”, persone nate nello Stato nel cui esercito militavano, sudditi del sovrano che ne disponeva l’arruolamento. Si trattava in genere di persone assai male in arnese: mendicanti e vagabondi arruolati a forza, e non di rado anche criminali ai quali la vita delle armi veniva proposta come alternativa alla prigionia, o debitori tirati fuori dalla galera a condizione di arruolarsi; infine, disoccupati, che il mercato del lavoro rigettava di tanto in tanto ai propri margini. tutte queste figure venivano forzate a intraprendere un’attività comunque molto impegnativa, anche se, come abbiamo visto, nelle guerre “dimostrative” di quest’epoca la possibilità di sopravvivere era molto più alta che nei conflitti religiosi d’altri tempi. Si combatteva per terra e per mare. e, in proposito, un testimone inglese affermava che «chiunque fosse dotato di un briciolo di intelligenza avrebbe preferito andare in galera piuttosto che arruolarsi in marina, perché vivere a bordo di una nave è come stare in galera, con in più la possibilità di annegare». nei ranghi dell’esercito di terra, peraltro, le condizioni non erano molto più rosee. Con l’eccezione di quelli al servizio del re di Prussia, infatti, i soldati soffrivano più per le disastrose condizioni igieniche e per lo scarso trattamento alimentare che per le ferite riportate in battaglia. Esercito, fisco, controllo sociale: un meccanismo a catena
Approfondire Le cifre degli eserciti: crescita degli organici e dei costi
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del resto non sempre i “volontari” potevano davvero essere considerati tali. gli ufficiali, infatti, reclutavano soprattutto di domenica, quando nelle osterie, dove la popolazione più umile trascorreva buona parte della giornata, era più facile strappare con l’inganno a qualche avventore un po’ sbronzo la firma sotto al contratto di ingaggio. Mettere insieme un esercito non era un’impresa agevole, non solo per la scarsa propensione della popolazione a scegliere per professione la vita delle armi, ma anche perché mantenere un corpo stabile di armati costava molto. Per questo i sovrani dell’epoca assolutista aumentarono in modo consistente la pressione fiscale. esercito e tasse tra Sei e Settecento crebbero insieme, fornendo allo Stato lo strumento per disciplinare la società. Ci si trovava, infatti, in presenza di un meccanismo a catena: quanto più i sovrani riuscivano a spremere le tasche dei contribuenti, tanto più potevano permettersi di finanziare il rafforzamento dell’esercito professionale. e quest’ultimo, a sua volta, costituiva un mezzo efficacissimo non solo per affrontare una guerra, ma anche per imporre ai sudditi obbedienza e sottomissione, e per piegarne, dunque, le resistenze e le proteste suscitate dalla pressione fiscale.
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
La disciplina
La disciplina rappresentava un grosso problema anche nella vita dei reggimenti. nell’esercito prussiano, per esempio, gli ufficiali si fidavano così poco dei soldati che li scortavano personalmente a fare il bagno nei torrenti vicini alle caserme. non si trattava di un eccesso di zelo: in certi anni, infatti, fino a un quarto dei militi arrivava a disertare, approfittando di ogni momento propizio per fuggire, magari per arruolarsi in un altro esercito, in modo da incassare di nuovo l’ingaggio. Se questa era la situazione in tempo di pace, il problema diventava ancora più serio al momento di rischiare la pelle in battaglia. Per questo, nel 1745 Federico il grande si decise a emanare quest’ordine: «Se durante un combattimento un soldato si guarderà intorno come per fuggire o romperà i ranghi, il sottufficiale che sta dietro di lui lo infilzerà con la baionetta o lo ucciderà sul posto». I coscritti
Per formare armate così numerose, i “volontari” e i mercenari però non bastavano più. nel corso della prima metà del Settecento quasi tutti gli Stati introdussero un rudimentale sistema di coscrizione, che la sola Svezia aveva cominciato ad adottare già nel Seicento, durante la guerra dei trent’anni. in linea di principio, tutti i sudditi maschi in buona salute e in età adatta alle armi (dai sedici ai quarant’anni) erano passibili di coscrizione, ovvero di servizio militare obbligatorio e non retribuito, ma gli esentati erano numerosi: ovunque i nobili e gli ecclesiastici; poi, a seconda del periodo e del paese, gli uomini sposati, gli avvocati, i notai, i funzionari pubblici, i maestri artigiani. dopo aver depennato dagli elenchi gli esenti, si stabiliva chi avrebbe prestato servizio con l’estrazione a sorte. Molti però, a quel punto, disponendo dei mezzi necessari, preferivano pagare di tasca propria un sostituto; a popolare le squallide camerate delle caserme furono, dunque, soprattutto le figure più umili, in gran parte contadini senza proprietà. il servizio militare obbligatorio durava un numero limitato di anni (in genere un paio) e non prevedeva, se non in caso di estrema necessità, l’impiego in battaglia, riservato perlopiù ai volontari e ai mercenari. militarizzazione e sudditanza
L’introduzione della coscrizione suscitò resistenze fortissime in molti paesi, scatenando tumulti e proteste, oppure indusse la popolazione ad aguzzare l’ingegno: in Francia, per esempio, una volta entrata in vigore la regola che esentava gli ammogliati, gli uomini anticiparono il momento del matrimonio. il paese in cui il nuovo sistema funzionò meglio fu la Prussia. Qui, fin dall’età di dieci anni, ogni bambino robusto veniva registrato dalle autorità e obbligato a indossare una cravatta rossa, simbolo della sua possibile destinazione alla caserma. Per chi veniva sorteggiato, il servizio durava due anni, e poi ancora due mesi ogni anno, per tutto il periodo tra l’adolescenza e la maturità. una volta entrati in caserma, soldati si rimaneva per sempre; al punto che, scaduti i due anni e ripresa la normale vita di lavoro, ogni domenica i coscritti erano comunque tenuti a frequentare le funzioni religiose in uniforme. in tal modo, oltre che sulla carta geografica, le guerre di questi decenni lasciarono una traccia profonda anche nella coscienza dei sudditi, creando un intenso rapporto di dipendenza gerarchica dallo Stato. dal mondo delle caserme l’abitudine al controllo e alla disciplina si irradiò in tutta le società. Le guerre furono meno devastanti che in passato, ma i sudditi divennero ancora più sudditi.
Johan Christof Philippe Merck, Granatiere prussiano, 1730 circa (Windsor, Royal Collection)
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Il laboratorio dello storico
La guerra dei soldati e quella dei civili
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Un nuovo modo di concepire la guerra Un’incisione del 1707, relativa al “teatro” lombardo della Guerra di successione spagnola, restituisce in modo calligrafico il senso del carattere sempre più “convenzionale” dei conflitti, a cavallo tra Sei e Settecento: niente sangue, niente morti, niente strazi. Mentre francesi e spagnoli escono tranquillamente con i loro carriaggi dal castello di Milano, gli austriaci compongono, ai loro fianchi, una sorta di ordinata coreografia parallela.
L’artiglieria austriaca, dalla sua postazione prossima al Castello Sforzesco di Milano, scaglia – più a titolo dimostrativo che con autentiche intenzioni offensive – qualche palla di cannone verso le mura
«Godete il bel Castel o’ voi che intrate»: il motteggio dell’autore dell’incisione, animato da una certa propensione all’ironia, si rivolge alla fila di sinistra, formata dagli austriaci che si apprestano in bell’ordine a varcare il ponte levatoio oltre il quale si colloca il castello verso i cui bastioni alcuni dei loro commilitoni si attardano ancora a sparare qualche colpo
Francesi e spagnoli escono dal castello di Milano mentre entrano gli austriaci (Milano, Civica raccolta delle stampe Bertarelli)
Separate l’una dall’altra da un corteo di carri colmi di masserizie in uscita, due file di soldati sembrano darsi amichevolmente il cambio, piuttosto che mostrare propositi reciprocamente aggressivi 96
«Uscite di speranza o’ voi che andate»: ecco, alla destra dei carriaggi, francesi e spagnoli che si lasciano compostamente alle spalle il castello che hanno fino a qualche momento prima difeso dall’assedio
cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
I soldati e i civili Per quanto edulcorata e formalizzata secondo canoni convenzionali, la guerra restava, anche nel Settecento, comunque guerra, come emerge con grande efficacia dalla fonte alla quale ora ci accosteremo; non altrettanto drammatica di quelle di un secolo prima, ma in ogni caso ancora devastante.
È Federico II di Prussia a descrivere qui le condizioni del suo regno dopo la Guerra dei sette anni
La guerra era stata, come sempre, foriera di disastri; ad alleviare le sofferenze del paese era stata, semmai, l’efficacia statale nei successivi interventi di rilancio dell’economia e di ripopolamento
Per farsi un’idea del sovvertimento generale del Paese e per rappresentare la desolazione e lo scoraggiamento dei sudditi, occorre pensare a regioni interamente devastate, nelle quali a stento si scoprivano le tracce delle antiche abitazioni, a città rovinate da cima a fondo, ad altre semidistrutte dalle fiamme, tredicimila case delle quali non apparivano più che vestigia; terre non seminate, abitanti privati dei grani per il loro nutrimento, i coltivatori mancanti di sessantamila cavalli per le arature, e nelle province una diminuzione di cinquecentomila anime rispetto all’anno 1756: ciò che è notevole, per una popolazione di quattro milioni e cinquecentomila anime. La nobiltà e i contadini erano stati saccheggiati, taglieggiati, rovinati da tanti eserciti diversi, che non restavano loro altro che la vita e miserabili stracci per coprirsi le nudità; non c’era più credito per soddisfare anche solo ai bisogni giornalieri imposti dalla natura; nelle città non c’era più controllo sull’ordine; allo spirito di equità e d’ordine era succeduto un vile interesse e un disordine anarchico […]. in una situazione così sfavorevole bisognava opporre il coraggio alle avversità, non disperare dello Stato, ma proporsi di migliorarlo, più che di ristabilirlo; era una creazione nuova che bisognava intraprendere […]. il governo si propose […] di trarre vantaggio da ogni tipo di terreno, bonificando le paludi, migliorando le terre con l’accrescimento del bestiame e anche rendendo utili le terre sabbiose con i boschi che vi si potevano piantare […]. già nel 1773 la popolazione era cresciuta di oltre duecentomila anime, rispetto a quella che era nel 1756. non ci si limitò a questo; considerando che il numero degli abitanti fa la ricchezza dei sovrani, si trovò il modo per stabilire in alta Slesia duecentotredici nuovi villaggi, i cui abitanti ammontarono a ventiduemila; si stabilì il piano di aumentare il numero dei coltivatori in Pomerania di cinquantamila e di dodicimila nella Marca elettorale, ciò che fu fatto verso il 1780.
Si noti la forte enfasi riposta dal sovrano sulle dinamiche del dopoguerra e sul ruolo fondamentale dell’intervento statale nella pianificazione della ricostruzione economica, una volta cessate le ostilità
a. de Bernardi - S. guarracino, L’operazione storica. L’età moderna, Bruno Mondadori, Milano 1987, p. 566
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato di mettere in luce due diversi volti della guerra, presentandoli rispettivamente attraverso una fonte iconografica dell’epoca e attraverso un testo scritto dal re di Prussia e dedicato a un esame generale delle condizioni del proprio paese in seguito alla Guerra dei sette anni. • Avvicinando le due fonti, si ha l’impressione che parlino di fenomeni completamente diversi. Eppure, entrambe tematizzano la guerra. Come spieghi queste differenze? • Qual è il soggetto principale delle considerazioni sulla guerra formulate da Federico II di Prussia?
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cApITOLO 4
Mappa
Assenza di impronta ideologica
CENTO ANNI DI GUERRA (1652-1763)
Conquista come obiettivo
Guerre lunghe ma non intense
Specificità
Nascita di eserciti permanenti
Introduzione della coscrizione obbligatoria
cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)
Aumento delle tasse
Tumulti e proteste
guerre di Luigi XIV
guerre di successione
Guerra di devoluzione
Guerra contro l’Olanda
Guerra della Lega d’Augusta
Apogeo della potenza francese
Declino della supremazia francese
Guerra di successione spagnola
Guerra di successione polacca
Guerra di successione austriaca
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guerra dei sette anni
• Il trono spagnolo va
• consolidamento
ai Borbone • Milano, Napoli e i Paesi Bassi spagnoli diventano austriaci • L’Inghilterra ottiene vantaggi coloniali
dell’impero coloniale inglese • protagonismo commerciale delle colonie
• I Borbone ottengono Napoli e la Sicilia
• La Toscana passa ai Lorena
• Maria Teresa diventa imperatrice d’Austria
• la Prussia occupa la Slesia
cApITOLO 4
CENTO ANNI DI GUERRA (1652-1763)
Sintesi 4.1 TANTE GUERRE PER UN SECOLO tra il 1652 e il 1763 si susseguirono in europa numerosi conflitti, non più dovuti a contrasti religiosi, ma combattuti dalle dinastie per il possesso di nuovi territori. Le mire espansionistiche di Luigi XIV segnarono l’inizio del lungo ciclo di guerre. in un primo momento, con la guerra di devoluzione (1667-1668) contro i Paesi Bassi spagnoli e con la guerra contro l’olanda (1672-1678), il re Sole riuscì a conquistare la Franca Contea e parte delle Fiandre, ma il suo progetto di espansione venne arrestato da un’alleanza tra tutti i più importanti paesi europei che si unirono nella Lega di augusta, che impegnò la Francia in una lunga guerra (1688-1697). La prima metà del Settecento fu attraversata da tre Guerre di successione: quella spagnola (1701-1714) vide succedere sul trono di Spagna agli asburgo un ramo dei Borbone, vale a dire della dinastia che già deteneva la corona di Francia. essa segnò inoltre la fine della supremazia spagnola in italia. infatti il ducato di Milano, il regno di napoli e la Sardegna divennero territori degli asburgo d’austria. Ma con la guerra di successione polacca (17331738) il regno di napoli e la Sicilia tornarono alla Spagna, la cui nuova dinastia regnante, i Borbone, li elevò a regno autonomo. infine, con la guerra di successione austriaca (1740-1748) Maria teresa, confermata imperatrice d’austria, dovette però cedere la ricca regione della Slesia al re di Prussia Federico ii. L’ultimo importante conflitto di questo periodo fu la Guerra dei sette anni (1756-1763) che segnò il transitorio rafforzamento della supremazia inglese sull’america del nord. 4.2 I NUOvI RAPPORTI DI FORzA IN EUROPA Questa lunga epoca di guerre produsse profondi cambiamenti sia dal punto di vista geografico, sia dal punto dei vista dell’equilibrio politico tra le potenze europee. il controllo del mar Baltico passò dalla Svezia alla Russia e alla Prussia, che si affermò come regno e conobbe una forte espansione. L’Austria, sconfitti definitivamente gli ottomani, si espanse nell’area balcanica ma anche nell’europa occidentale (in italia e nei Paesi Bassi) a spese della Spagna, in profondo declino. La Francia conservò la sua integrità territoriale, ma perse buona parte delle colonie. L’Italia in un primo tempo (1714) passò dal dominio spagnolo a quello austriaco, ma successivamente (1738) venne di fatto sottoposta al controllo degli asburgo d’austria al nord e dei Borbone di Spagna al sud.
4.3 L’EUROPA FUORI D’EUROPA TRA CINqUECENTO E SETTECENTO in seguito alle guerre del Sei-Settecento l’Inghilterra divenne la maggiore potenza coloniale e commerciale, vincendo la concorrenza dell’olanda. in America, nel 1664 gli inglesi si impadronirono del territorio già olandese di nuova amsterdam, che ribattezzarono New York; nel 1714 strapparono alla Francia Terranova e Nuova Scozia, tra il 1759 e il 1763 portarono via alla Spagna alcune delle Antille e la Florida. gli inglesi sottrassero alla Francia tutte le postazioni coloniali lungo le coste dell’India, ponendo un’ipoteca sul controllo esclusivo dell’immenso subcontinente. dopo la seconda metà del XViii secolo risultò enormemente aumentata l’incidenza del rapporto con le colonie nell’interscambio economico delle principali potenze del continente. 4.4 LA GUERRA: MODELLI A CONFRONTO Le guerre combattute tra Sei e Settecento furono lunghe e frequenti, ma meno intense e cruente sia di quelle del Cinquecento sia di quelle novecentesche. i conflitti non furono intrapresi per motivi ideologici come le precedenti guerre di religione o come le due guerre mondiali, ma prevalentemente per motivi commerciali o per ambizioni dinastiche. La popolazione si sentiva pertanto molto meno coinvolta e meno incline ad annientare il nemico. 4.5 GLI ESERCITI: DA MERCENARI A PROFESSIONISTI a combattere le guerre di questo periodo furono i nuovi eserciti permanenti, composti in parte ancora da mercenari stranieri, ma soprattutto da “nazionali” arruolati spesso a forza dagli ufficiali tra disoccupati, vagabondi ed ex galeotti. Quello del soldato divenne un mestiere stabile, che godeva però di una cattiva fama, dato che a praticarlo erano soprattutto i gruppi più disagiati della società. nella prima metà del Settecento alcuni sovrani, tra cui soprattutto il re di Prussia, Federico ii, ricorsero anche alla coscrizione obbligatoria. a sorte venivano estratti i sudditi che per un certo periodo di tempo erano costretti a svolgere il servizio militare. 99
Identità collettiva e cittadinanza
n Inclusione Esclusione
Rembrandt von Rijn, La ronda di notte, 1642 (Amsterdam, Rijksmuseum)
armati e disarmati
Le armi come strumento di potere e di oppressione
n
ella società di antico regime, per la gente comune, la minaccia di subire violenza senza potersi difendere non era rappresentata soltanto dai soldati di un paese nemico, ma anche da quelli di casa. Anzi, forse soprattutto da questi ultimi, visto che loro
Esclusione
società armata da quella inerme si faceva immediatamente più profondo. Tanto aumentava il numero di uomini abilitati a fare uso delle armi, tanto più saliva, per un uomo o per una donna del popolo, la possibilità di subire una violenza gratuita. Per portare armi da fuoco le persone comuni avevano bisogno di un permesso speciale, che le autorità accordavano con molta discrezionalità e parsimonia, e in genere vincolandone la fruizione a casi particolari.
Frans Hals, Ufficiali e sottufficiali della guardia di San Giorgio , 1639 (Haarlem, Frans Hals Museum)
c’erano sempre, mentre quelli “stranieri” comparivano solo di tanto in tanto, in occasione delle guerre. Il fatto è che già in tempi di pace la popolazione civile di ogni paese europeo era abituata a patire umiliazioni, abusi, affronti di ogni genere da parte delle soldatesche. Queste ultime, infatti, se non altro per il fatto di possedere il diritto ufficiale di portare le armi, rappresentavano il più forte e il meno contestabile dei tanti poteri intrecciati con i quali Lo si dava, talvolta, a mercanti che dovessero recarsi a una la gente entrava ogni giorno in contatto. fiera attraversando un territorio pericoloso e che, per questo In tempi di guerra questo potere si decuplicava, motivo, acquisivano titolo per sostenere il proprio diritto poiché gli organici degli eserciti si gonfiavano a di difendersi da eventuali aggressioni di malintenzionati. dismisura. Nel Regno di Francia, sotto Luigi XIV, Altre volte i pericoli potevano accadeva che nel giro di poche settimane, quando il re 7 78 -1 86 17 o, provenire da animali selvatici: orsi decideva di avviare una Lucientes, Invern Francisco Goya y Prado) l de eo e lupi – soprattutto questi ultimi – guerra, si passasse da alcune (Madrid, Mus si incontravano abbastanza decine di migliaia a diverse frequentemente in un’Europa centinaia di migliaia di all’epoca assai poco diboscata e, soldati; a quel punto, il dunque, molto ricca di selve. dislivello che divideva la 101
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Thomas Gainsb orough, I coniug i Andrews, 1750 (Londra,
P
National Gallery )
eraltro, le armi da taglio in normale dotazione ai contadini – ovvero gli strumenti del loro lavoro quotidiano – ben poco potevano contro i pericoli celati sulla strada che li portava ai campi. In un mondo in cui la protezione accordata dai pubblici poteri era intermittente, incompleta, discontinua (e anche quando c’era, tendeva non di rado a trasformarsi nel proprio contrario, ovvero in una forma di oppressione dotata dei crismi della legittimità), gran parte delle persone risultava in balia della volontà del potente di turno. Quei potenti erano armati (e si vedevano L’aristocrazia, con il suo personale di servizio, è un riconosciuto il diritto di esserlo); le loro vittime no. corpo armato, e per questo potente. Dal momento che Così, la prerogativa di portare le armi – specie anch’essa viene considerata una sorta di emanazione quelle da fuoco – rappresentava la linea di confine dell’autorità, gode di una prerogativa che altrimenti tra un territorio dell’inclusione e uno dell’esclusione: in linea di massima spetta solo al pubblico potere e l’inclusione tra i forti, autorizzati legalmente a a una parte dei suoi rappresentanti: è autorizzata a imporsi sugli altri; l’esclusione dalla possibilità fare fuoco, e dunque a farsi rispettare e ubbidire; di reagire con strumenti efficaci agli abusi e alle i deboli – i disarmati – le si minacce, per chi le armi non era autorizzato a sottomettono. portarle. Tuttavia, non sempre coloro che Dunque, da un lato i soldati. Ma non soltanto loro. erano esclusi dal diritto di munirsi Pensiamo, per esempio, alle persone di condizione di armi accettavano senza aristocratica. L’immagine del nobile prepotente, resistenze questo destino. munito di armi di ogni genere e abituato a tenere a, XIX secolo dei bravi, litografi a er op al proprio servizio bande di “bravi” senza a cia Lu Il rapimento di scrupoli, come quelli che la penna di Alessandro Manzoni descrive con tanta vivezza di particolari ed efficacia di tinte nei Promessi sposi, è una figura ricorrente nella vita di ogni giorno dell’antico regime. 102
armati e disarmati Il mondo armato “ufficiale” era composto di sgherri al servizio dei nobili, soldati al servizio del re; talvolta anche, come abbiamo detto, di mercanti che in teoria il pubblico potere avrebbe dovuto proteggere in prima persona, con le proprie armi, ma ai quali spesso non era in condizione di garantire sicurezza, e per questo si rassegnava a estendere anche a loro la prerogativa, abitualmente riservata soltanto ai vertici del potere sociale e di quello politico, di girare armati. Ma ai confini di questo mondo “autorizzato” se ne addensava un altro, che non solo di ufficiale non aveva nulla, ma che, anzi, della legalità – ovvero dell’inclusione nel mondo che quest’ultima tutelava – rappresentava l’esatto opposto.
e
ra il mondo dei fuorilegge, che conducevano la loro esistenza avventurosa e precaria negli anfratti che si dischiudevano tra la società armata legale e quella disarmata. Essere fuori dalla legge: non c’era categoria più esclusa di quella che piantava le proprie radici in tale condizione. Si radunavano in bande, e si procuravano le armi con la violenza e senza permessi di sorta. Poi, ne facevano uso ai danni tanto degli inclusi quanto degli esclusi. Certo, con questi ultimi avevano vita più facile, e per loro rappresentavano l’ennesimo incubo che si abbatteva su un’esistenza già gravata da tribolazioni di ogni genere. Però, molto spesso era proprio dalle fila della gente comune, cioè priva di
, XIX secolo Una ricca viaggiatrice presa in ostaggio da una banda di briganti, litografia
privilegi particolari, che i banditi provenivano; e, dedicando le proprie attenzioni al mondo degli inclusi, ci si poteva aspettare di ricavare bottini ben altrimenti pingui. A loro modo, i banditi finirono così per configurarsi come degli eroi popolari, interpreti di un riscatto del mondo degli umili e degli esclusi nei confronti del potere e dell’autorità sociale, simboli di un’aspirazione alla giustizia, malgrado il loro essere al di fuori della legge. Questa loro condizione ambigua ha alimentato, a lungo, una lettura romantica delle loro gesta.
103
SEZIONE 1
IL SISTEMA MONDO TRA SEI E SETTECENTO
ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Riordina cronologicamente gli eventi elencati, relativi alla storia indiana. a. b. c. d. e.
➜ cap. 1
Akbar dà inizio a una politica di tolleranza religiosa I Maratha dominano la regione del Deccan Aurangzeb diventa sovrano dell’Impero Moghul Nadir saccheggia Delhi Baber fonda l’Impero Moghul
2
Costruisci una linea del tempo inserendo le date più significative del regno di Luigi XIV.
3
Completa la tabella.
➜ cap. 2
➜ cap. 4
CONFLITTO
aNNI
sTaTI COINvOLTI
Guerra di devoluzione Guerra d’Olanda Guerra di successione spagnola Guerra di successione polacca Guerra di successione austriaca Guerra dei sette anni
4
Svolgi sulla carta le attività proposte.
➜ cap. 1
a. Indica le principali basi commerciali extraeuropee a metà del Seicento utilizzando colori diversi per i vari Stati b. Indica le aree dell’Africa caratterizzate dalla presenza islamica e la zona di influenza ottomana
104
5
Svolgi sulla carta le attività proposte.
➜ cap. 3
a. Colora in arancio i territori del Regno degli Hohenzollern nel 1700 b. Colora in azzurro i territori degli Asburgo d’Austria nel 1700
6
Svogli sulla carta dell’esercizio precedente le attività proposte.
➜ cap. 4
a. Colora in rosso i territori del Regno degli Hohenzollern nel 1750 b. Colora in blu i territori degli Asburgo d’Austria nel 1750
uSARE IL LESSICO STORICO
7
Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione. a. b. c. d. e. f. g. h.
➜ cap. 1
animismo Chiesa copta jainismo proselitismo xenofobia brahmani paria shar’ia
8
Scrivi una frase utilizzando e spiegando i termini “capitazione” e “decimo”.
9
Collega i termini della colonna di sinistra con le corrispondenti definizioni della colonna di destra. ➜ cap. 3 1. 2. 3. 4.
whigs episcopalisti tories vecchi credenti
a. b. c. d.
➜ cap. 2
oppositori dell’anglicanesimo sostenitori dell’anglicanesimo critici del potere politico della Chiesa ortodossa sostenitori di una organizzazione verticistica della Chiesa 105
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
10 Spiega in un breve testo (max 5 righe) che cos’erano le Compagnie delle Indie specificando che cosa si intendeva nel Seicento con le espressioni “Indie orientali” e “Indie occidentali”.
➜ cap. 4
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
11 Indica con delle frecce il corretto percorso degli scambi commerciali. PIaNTagIONI dI zuCCheRO ameRICaNe
sChIavI ameRICaNI
saLe dI RICReazIONe euROPee
TÈ asIaTICO
12 Completa la tabella inserendo la religione praticata in ciascun impero. ImPeRO
➜ cap. 1
➜ cap. 1
ReLIgIONe
Moghul Safavide Cinese Giapponese
13 Rispondi alle domande.
➜ cap. 1
a. Quali furono gli effetti in Africa del commercio degli schiavi? b. Quali furono le cause del ristagno delle culture asiatiche nel corso del Seicento? c. Quali furono le cause che, nel corso dell’età moderna, portarono l’Europa ad acquisire un ruolo sempre più rilevante nelle relazioni internazionali? d. Quali furono gli effetti della politica di tolleranza religiosa promossa da Akbar il Grande? e. A quali fattori si può ricondurre il lento declino dell’Impero ottomano tra Sei e Settecento? f. Quale fu l’effetto del crescente potere degli ulema nel mondo ottomano?
14 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 2
a. I Pays d’état erano i paesi più strettamente legati al governo centrale. b. Prima dell’avvento al potere di Luigi XIV, in Francia i Parlamenti godevano dei diritti di rimostranza e di registrazione. c. Luigi XIV nominò un considerevole numero di ministri ai quali delegare importanti settori dell’amministrazione dello Stato. d. Luigi XIV fu il primo a istituire il sistema degli intendenti. e. Gli strumenti fondamentali per realizzare uno Stato assoluto sono la burocrazia, le tasse e l’esercito. f. Luigi XIV mantenne sempre un profondo rispetto per le tradizioni, i privilegi consolidati e la varietà di poteri presenti nella Francia di fine Seicento. g. Luigi XIV revocò l’Editto di Nantes per ottenere la pacificazione religiosa del paese.
106
V F
ESErcIZI
15 Scegli l’alternativa corretta.
➜ cap. 2
1. Il giansenismo era a
un movimento religioso, promosso da Ignazio di Loyola, volto a consolidare l’ortodossia cattolica un movimento religioso sostenitore di una fede profondamente interiorizzata c un movimento riformato legato alle dottrine luterane d un movimento promosso dai cattolici francesi per favorire l’indipendenza della Chiesa francese dalla Chiesa di Roma b
2. Gli stati provinciali sono a
le circoscrizioni territoriali in cui Luigi XIV divise la Francia le corti di giustizia in Francia c gli organismi che detenevano il potere legislativo d le assemblee rappresentative b
3. Il ministeriato è a
l'insieme dei ministeri di uno Stato una pratica politica diffusasi in Europa nella prima metà del Seicento quando i primi ministri si sostituirono ai sovrani nell’azione di governo c il ruolo svolto dal papa in quanto ministro di Dio d la riforma compiuta da Luigi XIV per ridurre il peso dei ministri nella gestione del potere b
16 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f. g.
➜ cap. 2
A che scopo Luigi XIV fece dividere il territorio francese in 30 generalità? Perché Luigi XIV preferì circondarsi di funzionari borghesi e non aristocratici? Perché la creazione della corte di Versailles è funzionale all’affermazione dello Stato assoluto? A che scopo Colbert ridusse d’ufficio i debiti della Corona? Quali strategie economiche ebbero come effetto la riduzione delle importazioni? Per quale motivi molti ugonotti abbandonarono la Francia? Perché Luigi XIV promosse una politica di intolleranza nei confronti dei giansenisti?
17 Collega gli Stati della colonna di sinistra con le corrispondenti forme governative della colonna di destra. a. b. c. d. e.
Olanda Polonia Inghilterra Austria Prussia
➜ cap. 3
1. 2. 3. 4. 5.
Monarchia elettiva Monarchia assoluta Repubblica Monarchia costituzionale Assolutismo imperfetto
18 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 4
a. La Guerra di devoluzione fu combattuta da Luigi XIV contro l’Olanda. b. La Svezia fu la vincitrice della prima Guerra del Nord. c. Le guerre condotte da Luigi XIV permisero alla Francia di imporre la propria influenza su gran parte dell’Europa. d. Con la Pace di Carlowitz l’impero ottomano dovette riconoscere la supremazia dell’Austria sulla Serbia. e. Le guerre tra il 1652 e il 1763 non furono generalmente combattute per motivi ideologici. f. La nascita di eserciti permanenti comportò spesso l’istituzione della coscrizione obbligatoria. g. Nel Settecento gli eserciti erano composti da volontari nazionali e non più da mercenari stranieri. h. Lo Stato in cui si radicò con maggior successo il sistema della coscrizione obbligatoria fu la Prussia.
V F
107
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
19. Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.
➜ cap. 4
Quali furono le principali cause del declino dell’Impero ottomano? Quali cambiamenti produssero le guerre di successione sull’assetto politico dell’Italia? Quale esito ebbe la Pace di Aquisgrana? Da che cosa fu determinata la Guerra dei sette anni? Quale fu la conseguenza più importante della Guerra dei sette anni?
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
20 Spiega in un breve testo (max 10 righe) in che misura si può utilizzare il termine “globalizzazione” per descrivere la realtà socio-economica del Sei e Settecento.
➜ cap. 1
21 Sintetizza in un breve testo ciascuno dei seguenti argomenti. a. b. c. d.
➜ cap. 2
I capisaldi della politica economica di Colbert. Il rapporto tra Luigi XIV e i nobili. La politica religiosa di Luigi XIV. I limiti del mito del re Sole.
22 In un testo argomentativo (max 25 righe) metti in luce i limiti dell’assolutismo nelle diverse realtà politiche europee.
➜ cap. 3
23 In un breve testo (max 10 righe) spiega come cambia l’equilibrio tra le potenze europee nella seconda metà del Settecento.
➜ cap. 4
SCRIVERE DI STORIA
24 Scrivi un tema storico su questo argomento: “Le varie forme di insediamento europeo nel mondo nel XVII secolo e l’immagine dei diversi continenti tramandata allora dagli europei”.
➜ cap. 1
25 Dopo avere svolto una ricerca e osservato le immagini del capitolo, spiega in un massimo di 30 righe quale ruolo ebbero le arti nel costruire il mito del re Sole.
➜ cap. 2
26 Scrivi un tema storico partendo dalla seguente affermazione.
➜ cap. 3
Sulla scorta dell’esperienza francese, l’assolutismo si andò affermando con forza crescente in buona parte degli Stati dell’area del Baltico, della Prussia e della Russia degli zar. Anche la Spagna e, soprattutto, l’Inghilterra non poterono sottrarsi ai venti delle tendenze assolutistiche, con esiti completamente differenti e, soprattutto in Inghilterra, fertili di conseguenze per l’intera Europa.
27 Leggi il testo qui di seguito riportato, poi componi un testo di commento.
➜ cap. 4
Ci si trovava in presenza di un meccanismo a catena. Quanto più i sovrani riuscivano a spremere le tasche dei contribuenti, tanto più potevano permettersi di rinforzare l’esercito professionale; mezzo efficacissimo non solo per affrontare una guerra, ma anche per inasprire ulteriormente la pressione fiscale sui sudditi e per imporre loro obbedienza e sottomissione.
108
SEZIONE 1
IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Verso
IL DIBATTITO DEGLI STOrIcI
• Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
Il policentrismo dell’età moderna A lungo il discorso degli storici a proposito dell’età moderna si è concentrato quasi esclusivamente sull’Europa. Solo da poco tempo ha cominciato a riscuotere consensi una diversa modalità di approccio al problema. Essa muove dal presupposto che nei secoli XVII e XVIII l’Europa e le sue civiltà non avessero affatto conquistato quella supremazia su scala mondiale che sarà invece uno dei tratti qualificanti dell’Otto e del Novecento, esprimendosi nell’assoggettamento di gran parte del continente asiatico e di quello africano. Gli europei – è vero – tra Sei e Settecento risultavano ormai attivamente presenti in tutte le parti del globo, e questo indubbiamente li differenziava dagli asiatici e dagli africani. Ma il mondo, malgrado questo, risultava fondamentalmente policentrico e, per molti versi, privo di una civiltà dominante.
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia
Jürgen Osterhammel e Niels P. Petersson 1 , all’interno di uno studio di carattere più generale, si interrogano sulle caratteristiche dei processi di globalizzazione della piena età moderna e suggeriscono di prestare attenzione non soltanto all’espansione europea, ma anche a quella islamica, che giunse a toccare il Sud-Est asiatico e vaste aree dell’Africa. Franco Cardini 2 , a sua volta, si concentra sul ruolo assolto dall’Impero ottomano nel gioco della politica europea e mostra alcuni insospettabili riverberi della “questione turca” nell’ambito della produzione culturale del nostro continente. Michelguglielmo Torri 3 si sofferma infine sulle vicende del subcontinente indiano tra Sei e Settecento, evidenziandone la ricchezza di manifestazioni culturali, civili e religiose, sullo sfondo di uno scenario contraddistinto da uno spirito tolleranza allora sconosciuto in Europa.
Jürgen Osterhammel e Niels P. Petersson
Oriente e Occidente tra Sei e Settecento J. Osterhammel è uno studioso tedesco, che insegna all’Università di Costanza e che si è specializzato in storia della Cina (Storia della Cina, Einaudi, Torino 1987). Recentemente ha scritto Die Verwandlung der Welt (“La trasformazione del mondo”), un grande affresco di storia globale dedicato all’epoca tra la fine del Settecento e la Prima guerra mondiale. Niels P. Petersson, anch’egli tedesco, insegna all’Università di Sheffield e si occupa principalmente dei nessi tra imperialismo e modernizzazione.
Se per il periodo che giunge fino a circa la metà del Settecento debbano essere maggiormente sottolineati i fattori di crescente integrazione, cui si è già fatto riferimento, o piuttosto i buchi nella rete, vale a dire i deficit di globalizzazione, è una questione che non può essere decisa sulla base delle conoscenze empiriche, ma solo sulla base della valutazione ponderata di tali conoscenze. Noi vogliamo qui evidenziare la contraddittorietà insita nelle tendenze del tempo. 109
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
1. Con l’espressione trading empires l’autore si riferisce a imperi basati più sui collegamenti commerciali che sulla soggezione politica. 2. Fernand Braudel è un grande storico francese (19021985), autore tra l’altro di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (1949) e di Capitalismo e civiltà materiale (1967).
3. Un pavillon indica in francese una casetta. Nel Settecento il termine si riferiva in particolare a piccoli edifici costruiti in stile cinese nei giardini delle residenze più ricche.
110
È vero che l’integrazione macrospaziale si rafforzava, ma al suo interno l’integrazione sub-globale nelle tradizionali forme dei grandi imperi, dell’ecumene religiosa e delle larghe reti del commercio a distanza (nella forma moderna di trading empires1) aumentava invece di diminuire. Il mondo è cresciuto insieme nel suo complesso solo molto lentamente. Sebbene in molte civiltà siano fiorite città e si siano formati ambienti di grandi commercianti sempre più consapevoli e creativi anche dal punto di vista culturale, come quelli descrittici con vividezza da Fernand Braudel2, l’importanza del commercio a distanza, che oltrepassava i confini delle nazioni, rimase scarsa se paragonata ai beni prodotti e consumati a livello locale e regionale. Solo pochi paesi – i Paesi Bassi al primo posto – dovevano la propria ricchezza al commercio a distanza e, fatta eccezione per le società schiavistiche dell’America, erano davvero poche le economie che producevano prevalentemente per l’esportazione. Le crisi economiche non si propagavano ancora di paese in paese e di continente in continente. Non essere in rete dal punto di vista economico non costituiva ancora un grave problema; l’autarchia rappresentava addirittura la condizione naturale per alcuni macrospazi economici alquanto sviluppati, come per esempio il Giappone e la cina. Nel caso in cui simili tendenze di sviluppo esistevano anche in macrospazi vicini, esse dipendevano più da condizioni generali di carattere strutturale, come le variazioni climatiche (forse la supposta «breve epoca glaciale» tra il 1450 e il 1850), o da tendenze demografiche di fondo, che non dall’espansione – la più importante eccezione è la diffusione delle armi da fuoco – o da reazioni a catena. Le condizioni generali di carattere strutturale, infatti, si realizzano contro i meccanismi che agiscono a livello locale e non hanno bisogno che le diverse comunità siano in contatto diretto tra di loro. Il mondo continuava a essere policentrico. L’Europa occidentale era diventata il punto di partenza di una profonda trasformazione del mondo atlantico. Eppure resta ancora materia di discussione se le periferie coloniali dell’Atlantico occidentale recentemente scoperte e sfruttate abbiano contribuito in misura rilevante alla lenta crescita economica dell’Europa. Per dirla con uno slogan: la Gran Bretagna non era diventata il paese della rivoluzione industriale perché possedeva le isole dei caraibi in cui si coltivava lo zucchero o perché riscuoteva tasse in Bengala. Dal punto di vista economico l’Europa non era ancora il modello incontrastato del pianeta. Nel migliore dei casi l’Europa esportava i suoi modelli politici nei suoi possedimenti coloniali e qui essi produssero effetti durevoli solo quando i coloni, come accadde in alcune parti del Nordamerica inglese a partire dagli anni Sessanta del Settecento, si ribellarono ai governi coloniali europei in nome di principi vetero-europei. L’unico importante sovrano che prima del 1800 abbia cercato con determinazione di riformare il suo paese secondo modelli europeo-occidentali selettivamente recepiti fu lo zar di russia Pietro il Grande. A parte questo caso, non si ebbero effetti eclatanti dell’“Occidente”. La stessa cosa vale anche per l’Oriente: al culmine dell’infatuazione per la cina degli intellettuali europei, ovvero nei decenni intorno al 1700, alcuni credettero di poter imparare qualcosa dall’impero di mezzo sulla politica della pace e sull’amministrazione razionale dello Stato, ma da tali proposte non sortì nulla di concreto. Nella vita quotidiana delle classi abbienti europee gli oggetti esotici e i prodotti coloniali acquisirono sempre maggiore rilevanza. Essi avevano ovviamente valenze culturali: si era consapevoli della propria posizione nel mondo quando si diventava bevitori di caffè o quando si faceva costruire un pavillon3 cinese nel parco del proprio castello. Ampi strati di popolazione furono toccati dal consumo di prodotti esotici solo quando, nella seconda metà del Settecento, il tè divenne una bevanda popolare in Inghilterra e lo zucchero usato per dolcificarlo incontrò un favore altrettanto crescente. Anche le relazioni di alto livello culturale erano molto meno sviluppate durante la prima età moderna di quanto lo fossero nell’Ottocento. Quella europea era l’unica civiltà da cui
IL DIbATTITO DEgLI STOrIcI
partivano viaggiatori diretti in tutto il mondo ed essa accumulò un sapere imponente riguardante le lingue, le religioni, i costumi e le costituzioni politiche degli altri popoli. Fu questa un’importante prestazione culturale dell’Europa, che le diede accesso a un sapere di governo che si sarebbe rivelato molto utile in ambito coloniale. Sul fronte opposto, invece, l’interesse per il mondo di volta in volta “esterno” rimase proporzionalmente più debole. Intorno al 1750 in cina o anche alla corte del sultano a Istanbul le conoscenze sull’Europa erano di molto inferiori rispetto a quelle che su quei paesi si avevano in Europa. Di scambio culturale si può parlare solo in un’accezione molto ristretta. La trasmissione culturale da est a ovest rimase marginale, anche solo per carenza di visitatori asiatici in Europa. I missionari cristiani di entrambe le confessioni da nessuna parte ebbero successi degni di nota, eccetto che nell’America spagnola e nelle Filippine, nonostante l’ordine dei Gesuiti abbia perseguito con determinazione il suo eroico progetto di diffusione della fede a livello intercontinentale. Nel mondo islamico l’opera di evangelizzazione era destinata al fallimento sin dall’inizio; in Giappone fallì drammaticamente già al principio del Seicento, mentre in cina risultarono fallimentari le conversioni di massa. Maggior successo ebbe l’islam, che a partire dal Quattrocento si diffuse in grandi aree del Sudest asiatico, lungo le coste orientali dell’Africa e nella zona a sud del Sahara. Il mezzo di diffusione non era tanto la formazione di un grande impero “col ferro e col fuoco” quanto il commercio a distanza, poiché l’islamizzazione partiva sempre dalle basi costiere in cui gli arabi praticavano il commercio. I dialoghi tra sacerdoti e intellettuali di diverse religioni, come quelli che negli anni Settanta del cinquecento organizzò presso la sua corte l’imperatore moghul Akbar, non si ripeterono altrove. Le diverse religioni non furono ricondotte a una sintesi superiore. L’intolleranza e le persecuzioni religiose erano diffuse ovunque, ma da nessuna parte quanto negli Stati cristiani. J. Osterhammel - N.P. Petersson, Storia della globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 45-48
Guida alla comprensione • Il brano mette in luce l’assetto sostanzialmente policentrico del mondo tra Sei e Settecento, evidenziando i fattori economici e le abitudini culturali che contribuivano alla sua integrazione. • Gli autori segnalano poi come, sotto il profilo
2.
dell’allargamento della propria platea di fedeli, l’Islam, affidandosi soprattutto alla rete dei traffici praticati dai mercanti che vi si riconoscevano, ottenesse in quei secoli risultati più efficaci di quelli arrisi al cristianesimo.
Franco Cardini
Il “turco” nella cultura europea 1. Gioacchino Rossini (17921868), famoso operista italiano, autore, tra l’altro, di L’Italiana in Algeri (1812), Il barbiere di Siviglia (1816), La gazza ladra (1817).
Franco Cardini è docente di storia medievale presso l’Università di Firenze. Molte delle sue opere sono dedicate alla ricostruzione dei rapporti tra mondo cristiano e mondo islamico, non solo in età medievale, ma anche nei secoli successivi. In queste pagine, tratte da uno studio la cui analisi si proietta fino ai giorni nostri, attira l’attenzione sulla presenza di temi legati al mondo islamico nella cultura letteraria e musicale europea dell’età moderna.
«credete voi che ’l Turco passi quest’anno in Italia?». La battuta appartiene a La Mandragola di Niccolò Machiavelli. Nel 1814 Gioacchino rossini1 componeva un’«opera buffa», Il turco in Italia, il titolo della quale pare una citazione letteraria e letterale del Segretario fiorentino. 111
SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO
2. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), celeberrimo compositore austriaco, autore di capolavori come Don Giovanni (1787) e Il flauto magico (1791). 3. Riccardo Bacchelli (1891-1985), scrittore italiano, autore, tra l’altro, di Il Mulino del Po (1938-1940).
112
Ma fra il primo e il secondo «Turco in Italia» c’è l’intervallo di tre secoli, e quali secoli!: quelli dal XVI al XVIII. Ne erano successe, di cose. Per tutto quel tempo il Türkenfurcht, la paura dei turchi, e la Türkenfrage, il problema turco, erano stati i connotati di fondo d’una vita euromediterranea vissuta tutta all’ombra inquietante della Mezzaluna. Le numerose torri d’avvistamento sparse un po’ dappertutto sulle nostre coste europee, dalla Spagna alle isole dell’Egeo, lo provano. Vero è peraltro che altre torri d’avvistamento sparse anch’esse un po’ dappertutto sulle coste afroasiatiche, dalla Tracia al Marocco, sono testimonianza che gli europei rendevano a turchi e a nordafricani la pariglia: la povera carne circoncisa che languiva nei sotterranei di Livorno soffriva pene simili a quelle della povera carne battezzata che languiva nei sotterranei di Algeri. certo però tra fine del Medioevo ed età moderna la sensazione generale era che fosse l’Islam turco e barbaresco all’attacco, e la cristianità in difesa. Quale fu la parabola – dalla tragedia all’opera buffa – che condusse il turco a popolare dei suoi turbanti e dei suoi alamari l’opera buffa europea a partire da Mozart2 , con il moro Monostatos della Zauberflöte e i mustacchi «trionfi degli uomini – pennacchi d’amor» dei pretesi turchi di Così fan tutte? E quella figura esemplare di «levantino» secondo il cliché letterario ch’è il «raguseo» del Mulino del Po di riccardo Bacchelli3 a proclamare ambiguo «In casa mia son tutto turco»? Non è facile stabilire se del cosiddetto orientalismo si possa davvero parlare come di una dimensione sorella e parallela rispetto alla più ampia corrente dell’esotismo, o come di un suo affluente, o meglio semmai di una sua derivazione. Il mondo medievale aveva mostrato per i musulmani, come già abbiamo visto, un interesse che dalla «leggenda di Maometto» era passato alle traduzioni del corano e dalle fantasie sul mondo degli «infedeli» immaginati magri come «pagani» – e collegati alle meraviglie e alle magie dell’Asia profonda – alle notizie, spesso ricche di osservazioni precise e realistiche, dei mercanti, dei diplomatici e dei pellegrini a partire dal tardo Medioevo. Anche gli schiavi e i manufatti che dall’Oriente arrivavano in Europa avevano contribuito al crescere d’un interesse nel quale sempre più spesso s’impiantavano forme di crescente conoscenza e di evidente simpatia. Esiste un Islam sommerso – e irrecuperabile, se non per indizi – nei recessi dell’immaginario occidentale: le schiave e le serventi more e tartare che popolavano le città euromediterranee fra XIII e XVI secolo, quelle tartare presenti nei mondi russo e polacco fra cinque e Novecento, le indiane e le indonesiane frequenti in Inghilterra e in Olanda, stavano molto con i bambini e i ragazzini e le ragazzine di giovanissima età; e raccontavano fiabe, comunicavano immagini. […] È a partire dal Quattrocento che, in questo contesto, cominciano a infiltrarsi sempre più sovente i turchi, con i loro enormi turbanti, i loro lunghi abiti gallonati, gli altri candidi copricapo dei terribili giannizzeri. S’incontrano specialmente nella pittura italica del Nord-est: nel Mantegna e nel carpaccio soprattutto; ma l’arte e la miniatura tardogotica francese, spagnola, tedesca, italomeridionale ce ne forniscono numerosi e notevoli esempi. Giungevano intanto, con sempre maggior frequenza, ambasciatori «orientali» – autentici o presunti – alle corti d’Europa: e talvolta dalle corti si trasferivano nelle piazze. […] La sempre più frequente comparsa di ambasciatori autentici, specie turchi, ebbe l’effetto di far crescere la curiosità, ma in parte anche la simpatia, nei confronti dei musulmani. Si diceva, certo, che gli ambasciatori venissero «per spiar»: e in effetti i dispacci dei diplomatici turchi dall’Europa alla Porta, i faretname, sarebbero presto divenuti famosi anche per il miscuglio di osservazioni acute, di pregiudizi e di equivoci. comun-
IL DIbATTITO DEgLI STOrIcI
4. Gli Avogadori de Comun erano i componenti di una delle più importanti magistrature veneziane.
que, ai rappresentanti del sultano si facevano grandi feste: si addobbava la città, si portavano in giro per far loro ammirare le cose più belle e si circondavano di riguardo e d’interesse. È vero che qualche motivo d’inquietudine doveva esserci: nel 1594 un severo bando degli Avogadori de comun4 comminava dure pene a chi avesse molestato quegli ospiti. F. cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza, roma-Bari 2007, pp. 278-280, 284-285
Guida alla comprensione • L’autore ricostruisce il contesto storico nel quale collocare il tema che poi passa a illustrare • Si tratta del tema della vivace presenza di ri-
3.
ferimenti al mondo turco, e, più in generale, orientale, tanto nella cultura letteraria e musicale, quanto nella vita quotidiana dell’Europa moderna.
Michelguglielmo Torri
Le varietà dell’India Michelguglielmo Torri insegna storia dell’Asia all’Università di Torino ed è specializzato in storia dell’India, a proposito della quale ha scritto molti libri. In questo brano evidenzia il carattere straordinariamente variegato delle correnti religiose e culturali conviventi tra Sei e Settecento nel grande subcontinente, in un contesto contraddistinto dalla reciproca tolleranza.
1. Suba: province periferiche. 2. maratta: Maratha, una delle principali minoranze etniche dell’India, insediata nel Deccan. 3. Bhonsle di Nagpur: dinastia maratta della città di Nagpur.
4. Il peshwa era il primo ministro alla corte dei re dei Maratha in India e, di fatto, da quando la famiglia braminica dei Chitpa¯van si impadronì ereditariamente della carica (nel 1707), i peshwa diventarono i capi effettivi della confederazione Maratha.
A cavallo fra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio del Settecento, l’Impero moghul si trasformò da una monarchia centralizzata in un insieme di province sostanzialmente autonome. Fino alla fine degli anni Trenta, la corte di Delhi fu ancora in grado di esercitare una qualche funzione di leadership nei confronti delle ex suba1 imperiali e alcune di esse – in particolare il Bengala – continuarono a inviare un tributo annuale a Delhi. Ma con il 1739 ogni residua funzione di leadership da parte della corte di Delhi venne a cessare, così come cessò l’invio di tributi. Alla fine dell’unificazione moghul non fece riscontro una unificazione maratta2 . La rapida espansione del potere maratto, infatti, non portò mai alla costituzione né di un impero, né di una confederazione. ciò che avvenne fu che, durante l’espansione verso nord ai danni dei territori moghul, i maggiori signori della guerra maratti si ritagliarono domini più o meno estesi, rivendicando nei fatti – e, nel caso dei Bhonsle di Nagpur3 , anche a livello ideologico – la loro autonomia nei confronti del peshwa4 . Fino al 1761, però, i peshwa, grazie alle loro maggiori risorse economiche e militari, furono in grado di esercitare una funzione di controllo e di guida nei confronti degli altri signori della guerra maratti. Ma, negli anni Sessanta, un insieme di circostanze pose fine all’egemonia esercitata dai peshwa e, come nel caso dell’impero moghul, le signorie maratte divennero a tutti gli effetti degli Stati indipendenti. Accanto al Commonwealth moghul e a quello maratto, sopravvissero o nacquero altri Stati, che non erano legati, in maniera neppure simbolica, ai Moghul o ai maratti. Tutti questi Stati – nessuno dei quali fu mai in grado di diventare egemone sugli altri – furono protagonisti di una serie di guerre più o meno ininterrotte, che si prolungarono per tutto il XVIII secolo. In passato, ciò ha portato a categorizzare il Settecento indiano come un periodo di anarchia politico-militare. 113
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5. sufi, aderenti al sufismo, la corrente islamica di ricerca spirituale mistica, ricca di contaminazioni con altre culture e religioni.
6. bhakti sono coloro che seguono, all’interno dell’induismo, un cammino spirituale particolarmente impegnativo e profondo.
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Un periodo che – secondo la visione proposta dagli storici dell’età coloniale – venne provvidenzialmente interrotto dall’ascesa del potere inglese. Tuttavia, ricerche più recenti hanno gradualmente messo in luce come gli stati indiani del Settecento, per quanto incapaci di espandersi a controllare tutto il subcontinente o anche solo una delle sue aree chiave (ad esempio la vallata gangetica), furono spesso economicamente dinamici e ben amministrati. Da questo punto di vista, la storia politico-militare del Settecento indiano può essere vista come caratterizzata dall’evoluzione verso un sistema di stati regionali in equilibrio fra loro. Un’evoluzione destinata a essere stroncata dal sorgere del potere coloniale. A livello culturale, la caratteristica di fondo dell’epoca rimane la scarsa rilevanza esercitata nel comportamento collettivo da criteri di distinzione basati su elementi religiosi o comunitari. È vero che, in questo periodo, apparvero o riemersero scuole di pensiero che predicavano alleanze e strategie politiche basate su criteri d’identificazione religiosi. così, nel Deccan, Baji rao, il peshwa maratto, giocò per un certo periodo con l’idea di creare un impero indù, mentre, a Delhi, Shah Wali Allah – un dotto musulmano – deprecava il crollo del potere moghul come un’eclissi del potere islamico e predicava una sorta di union sacrée dei prìncipi musulmani, indiani e non, contro gli indù. Ma si trattava di idee che non avevano il benché minimo peso a livello politico. Significativamente, i maratti, lungi dal realizzare un “impero indù”, man mano che si impadronirono delle province moghul, non si presero neppure il disturbo d’abolire le tariffe doganali differenziate, introdotte a suo tempo da Aurangzeb. La politica dei prìncipi, in realtà, obbediva alle regole della Realpolitik e, più raramente, a quelle dei rapporti personali d’amicizia e di lealtà. Tutti gli Stati indiani, senza eccezione alcuna, erano governati da classi dirigenti composite dal punto di vista etnicoreligioso: sovrani musulmani si servivano di primi ministri, di generali e di banchieri indù, così come monarchi indù utilizzavano generali e consiglieri musulmani. Gli uni e gli altri avevano al loro servizio truppe formate da distaccamenti di militari indù, musulmani e di altre religioni, indiani e non indiani. In breve, a livello politico, il criterio usato dai monarchi per selezionare i propri collaboratori e dipendenti era basato sui servizi che questi potevano rendere: si trattava cioè di un criterio che può essere definito, in senso lato, come meritocratico. Al di là di questo criterio, eminentemente utilitario, vi era, tuttavia, un ethos collettivo che sottolineava gli elementi comuni fra le varie concezioni etico-religiose. così, ad esempio, il grande leader maratha Mahadaji Scindia, un indù, era noto per la sua devozione per i santi sufi5 musulmani, tanto da considerare come proprio patrono spirituale Shah Mansur, appunto un sufi. In questi suoi comportamenti, Mahadaji era semplicemente un uomo del suo tempo, dato che le tombe o gli altari dei santi sufi erano da tempo diventati centri di culto frequentati da “indù e musulmani, uomini e donne, gente d’estrazione sociale alta e bassa”, che accorrevano numerosi, specie in occasione degli anniversari della morte del santo. così, se il Settecento indiano vede la presenza di scuole di pensiero che tendono a dividere gli esseri umani secondo criteri religiosi, l’atmosfera di tolleranza inaugurata da Akbar continua a rimanere predominante. come risultante della predicazione dei bhakti 6 e dei sufi, gli intellettuali dell’epoca, a qualsiasi tradizione religiosa appartenessero, concordavano, in genere, nel credere in una Divinità assoluta, che pervadeva l’intero universo e regolava le vicende umane. Di qui un atteggiamento in genere di mutua comprensione fra indù e musulmani.
IL DIbATTITO DEgLI STOrIcI
7. Sayyid A. I. Tirmizi, storico indiano contemporaneo, già direttore generale degli Archivi nazionali indiani.
La cultura dei circoli dirigenti degli Stati indiani era, quindi, una cultura non settaria, i cui tratti distintivi erano, nelle parole di A.I. Tirmizi7 , “laicismo e cortesia”. Questa cultura trovava espressione, a livello letterario, soprattutto nell’uso, da parte di questi stessi circoli dirigenti, della lingua persiana. Questa continuava a essere dominante sia nelle transazioni fra i vari stati indiani, indipendentemente dalla religione del monarca regnante, sia in quelle fra i monarchi indiani e le compagnie europee. Si trattava di una situazione che aveva ovvi lati positivi e che, favorendo interscambi e prestiti culturali, era sicuramente uno degli elementi alla base della fioritura letteraria e artistica che caratterizzò l’epoca. Ma vi erano anche dei lati negativi. In una fase in cui la legittimità degli stati era in ogni caso dubbia – dove quindi, l’ideale monarchico non poteva rappresentare un elemento aggregativo (come era stato nell’impero moghul) e dove l’idea di nazione era ancora di là da venire – l’interconfessionalità dei vari stati fece sì che neppure la religione potesse formare un elemento unificante (anche se vi furono tentativi in questo senso). In tale situazione, le varie élite economiche e militari che appoggiavano un determinato stato erano a esso legate da rapporti di puro interesse personale o, tutt’al più, di lealtà nei confronti del singolo principe (ma non necessariamente della dinastia e, tanto meno, dello stato). Di conseguenza, il mutare di queste convenienze personali o il venir meno del rapporto privilegiato con un principe (ad esempio, in seguito a una successione) potevano mettere in crisi il rapporto fra le élite e lo stato. Di qui la storia di “tradimenti” che forma una parte così cospicua delle vicende del XVIII secolo. Di qui, soprattutto, la disponibilità di élite e di gruppi sociali influenti a disertare gli stati indiani e ad allearsi con la potenza in ascesa, rappresentata dagli inglesi. Una disponibilità, questa, destinata a indebolire in maniera cruciale la capacità di resistenza all’aggressione britannica. M. Torri, Storia dell’India, Laterza, roma-Bari 2000, pp. 316-317 e 321-323
Guida alla comprensione • Torri in primo luogo tratta della storia politicomilitare dell’India tra Sei e Settecento, mostrando i molti tasselli territoriali che ne componevano il mosaico. • In secondo luogo egli mette in evidenza il ca-
rattere religiosamente composito delle dirigenze politiche presenti in ciascuno Stato e sottolinea come anche a livello di devozione popolare tra induisti e musulmani ci fosse mutua comprensione.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. Il policentrismo di cui si parla nel primo brano è lo stesso che viene tematizzato nel terzo? 2. Quali sono le principali culture religiose tematizzate da questi tre testi? 3. Confrontando i vari brani, si può dire che su scala mondiale, tra Sei e Settecento, vi fosse una civiltà dominante? E, se sì, su quali basi? 4. Conosci opere letterarie orientali che abbiano avuto una grande circolazione in Europa? 5. In questi testi si parla di varie civiltà. Quale rapporto tra religione e politica ne emerge, a seconda dei vari contesti analizzati?
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SEZIONE 1
IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Verso
VErSO L’ESAME DI STATO
Leggere un saggio
le competenze
• Leggere, comprendere e interpretare un testo argomentativo di ambito storico cogliendone le diverse relazioni interne e i caratteri specifici. • Leggere, utilizzare e applicare categorie, strumenti e metodi del “fare storia”. • Comprendere e saper ricostruire processi di trasformazione individuando elementi di continuità/persistenza e discontinuità. • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti. • Acquisire e interpretare criticamente l’informazione valutandone l’attendibilità e distinguendo fatti e opinioni.
Che cos’è un saggio? Una delle tipologie testuali previste per la prima prova scritta degli esami di Stato è il saggio breve, un testo di natura mista, argomentativa e informativa, in cui l’autore esprime la propria opinione (tesi) rispetto a un determinato tema, supportandola con adeguate argomentazioni finalizzate a persuadere il lettore della validità della tesi sostenuta. Dal momento che il saggio breve, per la sua estensione ridotta, è un testo di uso prettamente scolastico, per comprendere come strutturarlo in modo efficace può essere utile richiamare le caratteristiche generali di un saggio e analizzarle insieme. In questa sezione prenderemo in considerazione alcune pagine di uno dei capitoli del volume L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta scritto da Josep Fontana. Ciascun capitolo prende in considerazione uno degli “specchi” attraverso cui l’Europa si è nel corso del tempo gradualmente attribuita un’“identità distorta” mediante la contrapposizione con un’immagine falsata dell’“altro” per giustificare i soprusi e le sopraffazioni a cui di volta in volta ha fatto ricorso.
L’Europa nello specchio del selvaggio Tra il 1664 e il 1666, Jan van Kessel, nato ad Anversa, dipinse delle allegorie in cui le quattro parti del mondo erano raffigurate come donne situate in uno scenario pieno di oggetti, libri e quadri di uccelli e insetti di ogni continente. Immagini simili erano frequenti nella pittura europea del ’600 e la loro somiglianza derivava da una fonte comune: le figure create da cesare ripa nella sua Iconologia, pubblicata nel 1593, un libro a cui si ispirarono molti artisti dei secoli XVII e XVIII. Nel testo di ripa si spiega il significato degli attributi che le figure di van Kessel ostentano. La corona portata dall’Europa riflette la sua supremazia sugli altri continenti, «perché nell’Europa vi sono i maggiori e più potenti prìncipi del mondo»; le armi, i libri e gli strumenti musicali «mostrano la sua perpetua e costante superiorità [...], nelle armi, nelle lettere e nelle arti liberali». Le rappresentazioni delle «quattro parti del mondo» cominciano a metà del XVI secolo e si moltiplicano nel XVII e XVIII. I continenti non sono più mere indicazioni di uno spazio geografico, come nel passato, ma sono caratterizzati dalla diversità della flora e della fauna che i viaggiatori avevano scoperto e la cui singolarità affascina gli europei del ’500. L’elefante che il re Emanuele I di Portogallo regalò a papa Leone X e che nella sua solenne entrata a roma, nel 1514, dilettò i presenti innaffiando con la sua proboscide i prelati e i cardinali intervenuti, fu 116
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dipinto da raffaello, e il rinoceronte che due anni dopo lo seguì, ma che affogò davanti al porto di Genova nel naufragio della nave che lo trasportava, venne dipinto da Dürer, sulla base di un bozzetto che gli avevano inviato da Lisbona. Ma nelle rappresentazioni di van Kessel c’è qualcosa di più. Le figure scelte come simbolo dei continenti non sono solo tipi astratti, ma rappresentazioni di esseri umani con diverse peculiarità fisiche. L’Europa ha la pelle bianca, l’Africa è nera, in America si mescolano (in una scena che il pittore ha situato in Brasile) un’indiana dalla pelle rossiccia e un negro africano. E l’Asia ci presenta in primo piano una coppia ottomana con alle spalle figure che provengono dal più lontano mondo dei mongoli, cinesi e giapponesi. Se il XVI secolo ha scoperto che le varie «parti del mondo» avevano animali e piante proprie, il XVII ha aggiunto a ciò la convinzione che anche gli esseri umani che le popolano erano diversi e «caratteristici». Tutti gli uomini definiscono se stessi guardandosi allo specchio «degli altri», per differenziarsi da loro. Se questo è semplice per le comunità che parlano la stessa lingua e condividono gli stessi usi e costumi, non doveva esserlo per gli europei, specialmente a partire dal XVI secolo, quando si ruppe l’unità religiosa e si potenziò l’uso letterario delle diverse lingue volgari. Il trattato di Utrecht del 1714 fu l’ultimo documento europeo redatto in termini di «respublica christiana». Successivamente, questo popolo multiforme dovette guardarsi in un gioco di specchi più complesso per distinguere ciò che, all’interno della diversità, lo identificava e lo rendeva diverso dagli altri. Il nuovo modo degli europei di pensare a se stessi nasceva da una coscienza che non aveva più nulla a che vedere con la religione, ma si basava sulla convinzione di essere superiori moralmente e intellettualmente. Il nuovo termine di riferimento sul quale si elabora questa immagine è quello della natura inferiore dei non europei, ma lo specchio nel quale gli europei si guardano per definirsi ha un doppio volto. In uno si “vedono” le differenze di razza e c’è quindi il volto del “selvaggio”, nell’altro, fondato su una visione eurocentrica della storia, si vede il volto del “primitivo”. Dal primo sono nati il genocidio e la tratta degli schiavi, il secondo ha generato l’imperialismo. […] Il disprezzo della cultura degli “altri” si basava sulla scarsa conoscenza che di essa avevano gli europei e sulla loro incapacità di comprendere quello che si allontanava dal loro orizzonte mentale. […] Le grandi scoperte geografiche obbligarono a confrontare la realtà di quanto osservato con quello che si affermava nei vecchi libri. ciò produsse sfiducia verso il sapere tradizionale nel suo insieme, in quanto si avvertiva la falsità di molto di quello che normalmente veniva ammesso, e spinse a sostituire alla conoscenza libresca una conoscenza basata sull’osservazione diretta. Secondo Galileo «la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo)» e cartesio aveva proposto che si apprendesse dal «gran libro del mondo». Gli europei si appassionarono alle notizie sulla geografia, la flora, la fauna, gli abitanti e gli oggetti delle nuove terre, come si può vedere nei libri illustrati, nelle collezioni e nelle Wunderkammern. Prima di tutto, cambiò l’immagine stessa del pianeta e si disegnarono nuove carte geografiche, poi mutò la nostra conoscenza della natura e, infine, quella dell’uomo e delle sue culture. Questo nuovo sapere sull’uomo venne riunito in schemi ordinati, inizialmente statici, come semplici classificazioni della diversità, che non implicavano che gli uni fossero migliori degli altri. «Il potere di giudicare rettamente discernendo il vero dal falso, ossia ciò che propriamente si chiama buon senso o ragione, è naturalmente uguale in tutti gli uomini» avrebbe detto cartesio. Le differenze dipendono dall’abitudine: «tutti quelli che hanno opinioni contrarie alle nostre non sono per questo barbari o selvaggi». Josep Fontana, L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta, Laterza, roma-Bari 1995, pp. 131-147 117
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Il testo e l’autore Come ci dà modo di sapere l’indicazione bibliografica alla fine del testo proposto, il passo in questione riproduce alcune pagine tratte da un saggio di più ampie dimensioni – intitolato L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta – scritto da Josep Fontana. Josep Fontana è uno storico spagnolo nato a Barcellona nel 1931, direttore dell’Instituto Universitario d’História Jaume Vives di Barcellona, che, oltre ad altri temi, si è occupato anche della crisi dell’ancien régime.
Il titolo Il titolo è sempre molto importante perché offre al lettore un quadro di sintesi di quello che si appresta a leggere. Talvolta è proprio un titolo più o meno accattivante a indirizzare il lettore verso la lettura di un saggio piuttosto che di un altro. In questo caso, dato che, come abbiamo visto, si tratta di alcune pagine estrapolate da un saggio di più ampie dimensioni, il titolo del brano – L’Europa nello specchio del selvaggio – non è stato individuato dall’autore, ma scelto a posteriori durante la preparazione di queste pagine per dare una prima idea dei contenuti che seguono, intrecciando il titolo dell’intero volume con quello del singolo capitolo, Lo specchio selvaggio.
La struttura e i contenuti La lettura di un saggio richiede molta attenzione ed è bene supportarla con alcune semplici operazioni, come l’individuazione di qualche parola chiave e la sottolineatura dei concetti più importanti (il lavoro su questo saggio è avviato). Può anche essere utile prendere appunti a margine del testo relativamente sia a punti poco chiari su cui ritornare in seguito sia a possibili approfondimenti o collegamenti con discipline di studio o altro. Dopo un’attenta lettura, proviamo ora ad analizzare il saggio di Josep Fontana. Esso ha una struttura unitaria, non articolata in paragrafi titolati. Riprendiamo insieme i contenuti fondamentali. • Il saggio si apre con la descrizione delle “allegorie” diffuse nella pittura europea del Seicento, in particolare in Jan van Kessel, per raffigurare le quattro parti del mondo e individua una probabile fonte comune, l’Iconologia di Cesare Ripa. Quale significato assumono gli attributi della figura dell’Europa alla luce delle parole di Ripa? • Le rappresentazioni delle diversità delle “parti del mondo” erano già diffuse nel Cinquecento, ma nel Seicento si aggiunge la consapevolezza della specificità anche degli esseri umani che popolano tali luoghi. • L’Europa a partire dal XVI secolo si differenzia al suo interno (rottura dell’unità religiosa, potenziamento dell’uso letterario delle diverse lingue volgari) e trova una forma di identità unitaria nella convinzione di essere superiore moralmente e intellettualmente rispetto al resto del mondo, identificato da un lato come selvaggio e dall’altro come primitivo. Quali conseguenze ha tale visione? • Il disprezzo della cultura degli “altri” nasce dalla scarsa conoscenza che di essa hanno gli europei e dalla loro incapacità di comprendere quello che si allontana dal proprio orizzonte mentale. • Le scoperte geografiche obbligano a confrontare la realtà di quanto osservato con il contenuto dei testi antichi: la conoscenza libresca è sostituita da una basata sull’osservazione diretta. Quali intellettuali simboleggiano tale trasformazione? • Cambiano progressivamente il modo di rappresentare il pianeta, la conoscenza della natura e, infine, quella dell’uomo e delle sue culture. Il nuovo sapere viene organizzato in semplici classificazioni della diversità, che non implicano che gli uni siano migliori degli altri.
La tesi e le argomentazioni Proviamo ora a schematizzate i contenuti in una mappa concettuale in modo da porre in evidenza la tesi e le argomentazioni. È questo un esercizio molto utile anche in sede di scrittura del saggio, perché ti permette di renderti conto se il tuo ragionamento sia completo e chiaro o vada in qualche modo aggiustato.
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vErSO L’ESAME DI STATO
Come puoi vedere lo schema è solo avviato: ti invitiamo a integrarlo e completarlo.
PREMESSA 1
PREMESSA 2
Gli uomini tendono a definire se stessi guardandosi allo specchio degli altri
XVI secolo - in Europa nuovo modo di rappresentare il mondo: non solo territori diversi, ma anche esseri umani con peculiarità fisiche
ESEMPLIFICAzIONE 1 Diversità di razza = l’altro è selvaggio
conseguenza Genocidio: tratta degli schiavi
TESI A partire dal XVI secolo l’Europa si diversifica sul piano religioso e linguistico: nuovo elemento di identità diventa l’inferiorità morale e intellettuale dei non europei
CONCLUSIONE
ESEMPLIFICAzIONE 2 Visione eurocentrica = l’altro è primitivo
conseguenza Imperialismo
Il disprezzo si basa sull’incapacità di comprendere quello che si allontana dal proprio orizzonte mentale
Il lessico e lo stile Un saggio è solitamente scritto con una sintassi abbastanza complessa, con un periodare di tipo più ipotattico che paratattico, almeno nelle parti argomentative, proprio per dare la possibilità all’autore di sostenere in modo adeguato le sue ragioni. Anche il lessico è preciso e puntuale, con un livello di specialismo, che varia in base al grado di competenza del destinatario, e un uso sobrio di figure retoriche. Come abbiamo visto nel corso dello scorso anno, leggere dei saggi è utile per l’arricchimento del proprio lessico e, quando non si conosce il significato di alcune parole, è necessario fermarsi e prendere il dizionario. In questo brano, in realtà, Josep Fontana fa uso di una sintassi, di un lessico, sia comune sia specifico, e di uno stile abbastanza semplici. Ti suggeriamo il significato del termine della lingua tedesca Wunderkammer: “camere delle meraviglie”, espressione usata per indicare particolari ambienti in cui i collezionisti dei secoli XVI e XVII conservavano oggetti straordinari. Vi sono altre parole il cui significato non ti è chiaro? Hai provato a cercarle sul dizionario?
Le informazioni e i riferimenti In un testo ci possono essere informazioni o riferimenti a fatti e concetti che non ci sono noti. È pertanto importante, soprattutto adesso che ne hai la possibilità – diversamente dall’esame di Stato –, colmare tali lacune e recuperare le informazioni che non sono in tuo possesso facendo ricorso a diversi strumenti (enciclopedie cartacee o on line, manuale di storia o altre discipline, Internet ecc.). Avviamo solo la ricerca. Chi era Jan van Kessel? Un pittore fiammingo (1626-1679) specializzato in temi naturali, scene allegoriche sul mondo e paesaggi.
Mettiti alla prova 1. Il titolo del brano – L’Europa nello specchio del selvaggio – è stato individuato da chi ha elaborato questa scheda. Adesso che hai letto con attenzione il saggio, ti sembra che sia stata una scelta appropriata? Quali modifiche apporteresti? Introdurresti, per esempio, un sottotitolo? 2. Dividi il testo in nuclei concettuali e attribuisci a ciascuno un titolo. 3. Hai annotato qualcosa durante la lettura del saggio? Se non lo hai fatto, prova a individuare tutti i punti di contatto e gli eventuali rimandi ad argomenti trattati in storia o in altre discipline. Ricorda che cercare i possibili collegamenti interdisciplinari è sempre molto importante, anche per dare maggior senso a quello che studi. 4. Prova a formulare un’antitesi rispetto alla tesi di Fontana, motivando in modo adeguato le tue affermazioni.
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SeZioNe 2
Il secolo deI lumI a tu per tu con
Marco Meriggi
Che CoS’è l’illumiNiSmo?
Nell’areNa della Storia
Professore, che cosa significa l’espressione “secolo dei Lumi”? mah, in realtà è un modo di parlare per metafore. il buio, la luce, sono parole che evocano in primo luogo, al di là del loro significato letterale, degli stati interiori, delle disposizioni d’animo, dei sentimenti collettivi. e le immagini dello scuro e del chiaro, del cupo e del radioso – intese come allusioni al pessimismo o all’ottimismo di una determinata società – erano state ampiamente utilizzate anche durante il rinascimento, quando si cominciò a considerare il medioevo che ci si era appena lasciati alle spalle come un’epoca di barbarie e di regresso. Lo si fece nel momento in cui si acquisì la coscienza di trovarsi in una fase di grandi e positivi mutamenti, che invitava ad accordare crescente fiducia alle potenzialità degli esseri umani. si confidava in una rinascita basata sulle arti, sulle scienze, sul piacere per la vita terrena, e si guardava al passato come a una cupa catena di secoli bui. nel settecento avvenne qualcosa di simile. La luce della ragione e della filosofia – pensavano parte dei contemporanei – rischiarava ora finalmente un mondo fino a quel momento avvolto dalle tenebre del pregiudizio e dell’autoritarismo.
Quali furono allora i tratti caratteristici dell’Illuminismo settecentesco? E quali trasformazioni nella società ne favorirono la fortuna? La Luce deLLa ragione e deLLa fiLosofia – pensavano parte dei contemporanei – rischiarava ora finaLmente un mondo fino a queL momento avvoLto daLLe tenebre deL pregiudizio e deLL’autoritarismo 120
forse è meglio cominciare con il rispondere a questa seconda domanda. in europa si produsse un notevole miglioramento generale delle condizioni dell’esistenza. esso coincise con il drastico ridimensionamento del flagello delle epidemie, con l’aumento delle risorse alimentari disponibili, con la crescita delle aspettative di vita e con il conseguente incremento demografico; basti pensare che nel settecento la popolazione europea crebbe di oltre il 50%. era già accaduto in passato, naturalmente, che la popolazione aumentasse, ma
mai con un ritmo così intenso. e, soprattutto, in precedenza alle fasi di crescita erano regolarmente seguite delle fasi di regressione, principalmente a causa dell’effetto combinato di epidemie e carestie. il settecento, invece, inaugurò un ciclo inedito: non solo la popolazione cominciò a crescere, ma tale crescita si rivelò stabile, associandosi a una corposa estensione della superficie coltivata, che rese disponibili nuove risorse alimentari. ora si viveva meglio e più a lungo, e soprattutto si poteva nutrire con fondamento la speranza che in futuro le cose avrebbero potuto ancora migliorare. veniamo ora alla prima domanda. anche sulla base di questa esperienza collettiva di aumento del senso di sicurezza, si affermò un sentimento di basilare fiducia nel progresso, cioè l’idea della perfettibilità dell’esistenza umana. è questo il nucleo di fondo della concezione illuminista. gli illuministi vivevano in un mondo in trasformazione, convinti che l’epoca delle tenebre fosse passata e che nel futuro la vita quotidiana, grazie alla ragione, sarebbe stata pervasa da una luce ancora più forte e abbagliante.
Sì, ma che cosa comportò concretamente tutto questo? Quali proposte emersero da parte degli illuministi per “rischiarare” ulteriormente la società in cui vivevano? E quali resistenze incontrarono? gli esponenti dell’illuminismo proposero un modello di società al cui interno si dava molta importanza al tema della libertà dell’individuo di fronte al potere, tanto secolare quanto ecclesiastico. ascoltiamo, per esempio, le parole del filosofo tedesco immanuel Kant, una delle figure più significative dell’età dei Lumi: «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro». di conseguenza, l’illuminismo si contrappose alla cultura conservatrice dominante, basata sul culto della tradizione. quella di innovare, dunque, divenne l’esigenza primaria. e innovare significava, per esempio, abolire i privilegi di cui godevano gli ecclesiastici e gli aristocratici, le colonne portanti dell’edificio dell’antico regime. è soprattutto su questo specifico terreno che si realizzò, in alcune fasi del settecento, una provvisoria alleanza tra l’illuminismo e almeno una parte dei regnanti europei. questi ultimi al tema della promozione della libertà individuale non erano, per la verità, veramente interessati, ma premeva loro operare riforme modernizzanti alle quali i corpi privilegiati opponevano un’accanita resistenza.
anche suLLa base di questa esperienza coLLettiva di aumento deL senso di sicurezza, si affermò un sentimento di basiLare fiducia neL progresso, cioè L’idea deLLa perfettibiLità deLL’esistenza umana
E in Italia che cosa avvenne in questo periodo? nel nostro paese la sfida degli illuministi dovette misurarsi con un ostacolo difficilmente sormontabile: quello rappresentato dalla chiesa, che si configurava nella penisola come una sorta di stato nello stato, dotato di proprietà e prerogative che non avevano eguali in alcun altro paese. gran parte degli illuministi non erano, in realtà, irreligiosi, ma la loro appassionata insistenza sulla libertà dell’individuo e la loro ferma condanna degli abusi del potere (per esempio, quello dell’inquisizione) non potevano risultare gradite alle gerarchie ecclesiastiche, perché suonavano come un atto di accusa del controllo da esse tradizionalmente esercitato sulle coscienze. tuttavia, anche in molti stati italiani del tempo vi fu collaborazione tra illuministi e governanti. e in toscana, in particolare, il granduca Leopoldo ii promosse riforme umanitarie e politiche molto avanzate, situandosi all’avanguardia rispetto all’intero contesto europeo.
Un’ultima domanda: l’Illuminismo fu un fenomeno tipico solo del mondo occidentale? La risposta non è facile. un tempo si pensava che le culture diverse dalla nostra fossero sostanzialmente statiche, e dunque incapaci di un rinnovamento come fu quello illuminista nel mondo occidentale. e il pregiudizio era così radicato da non lasciare quasi la possibilità di porsi una domanda del genere. oggi studi importanti segnalano come anche in asia si produssero, nello stesso periodo, fermenti di rinnovamento molto significativi, ma si partiva da presupposti diversi e, di conseguenza, diverse da quelle occidentali furono anche le correnti di mutamento attive in paesi come l’india o come la cina. in seguito, peraltro, il colonialismo occidentale, esercitato in forma diretta o indiretta, le ostacolò e le compresse, alimentando la convinzione che solo in occidente fosse possibile lo svolgimento del cammino del progresso.
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SeZioNe 2
Il secolo deI lumI capitolo 5 La società del Settecento inclusione/esclusione
le corporazioni di arti e mestieri
capitolo 6 L’Illuminismo
p. 124
Verso le competenze
p. 141
• il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana p. 135
p. 144
• il laboratorio dello storico la critica ai poteri costituiti p. 158
capitolo 7 Inghilterra, Francia e Penisola iberica: vecchie e nuove libertà
p. 162
inclusione/esclusione ceti, ordini, caste
p. 177
capitolo 8 Il dispotismo illuminato
p. 180
inclusione/esclusione l’intolleranza religiosa
• il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento p. 172 • il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato p. 194
p. 198
• il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte p. 216
capitolo 9 L’Italia del Settecento
p. 202
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
p. 226
Intervista impossibile a Cesare Beccaria
p. 214
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 232
EsErcizi
p. 220
1690
1700
1710
1720
1730
1713 - Federico II re di Prussia
storia mondiale
1714 - Giorgio I Hannover re d’Inghilterra 1715 - Luigi XV re di Francia
storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura 122
1734 - Carlo di Borbone re di Napoli
1713 - Vittorio Amedeo di Savoia acquista il titolo di re di Sicilia 1720 - Con la pace dell’Aia il regno di Napoli, la Sicilia e Milano vanno agli Asburgo 1712 - Prima macchina a vapore di Newcomen 1700 - Creazione dell’Accademia delle Scienze di Berlino
1725 - Giovan Battista Vico pubblica La scienza nuova
1717 - Filippo Juvarra inizia la costruzione della basilica di Superga
1731 - Tiepolo affresca Palazzo Archinti a Milano 1734 - Voltaire pubblica Le lettere filosofiche
obIettIVI dI apprendImento Conoscenze • lo sviluppo politico ed economico degli stati europei e degli stati italiani nel settecento • i caratteri della società e della cultura europee nel secolo dei lumi • il fenomeno del dispotismo illuminato abilità • utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni politico-culturali • stabilire relazioni di causa-effetto tra realtà economiche e culturali ed eventi storici • distinguere tra persistenze e mutamenti storici in relazione alla storia europea precedente GlI eVentI e I lUoGHI La Prussia e la Svezia divengono due importanti centri del rinnovamento culturale settecentesco
L’Inghilterra prosegue con decisione il cammino verso il liberalismo
Nell’arretrato Impero russo lo sforzo riformatore si scontra con le resistenze di nobili e contadini
In Francia operano alcuni dei maggiori illuministi e qui si sviluppa l’opera più rappresentativa del periodo: l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert
La Polonia subisce tre spartizioni e viene momentaneamente cancellata dalla carta geografica europea
Nella Penisola iberica la stagione delle riforme si inaugura nella seconda metà del secolo
In Italia, divisa in tante realtà politiche differenti, l’Illuminismo si sviluppa soprattutto in Lombardia e nel Regno di Napoli
1740
1750
Nell’Impero asburgico si realizzano numerose riforme volte a modernizzare lo Stato
1760
1770
1773 - Papa Clemente XIV scioglie la Compagnia di Gesù
1762 - Caterina II zarina di Russia
1740 - Fine del regno di Federico II 1740 - Maria Teresa imperatrice d’Austria
1774 - Fine del regno di Luigi XV
1764 - Stanislao II re di Polonia
1737 - Fine dei Medici in Toscana. Diventa granduca Francesco I di Lorena
1780
1790 1789 - Scoppia la Rivoluzione francese
1776 - Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
1768 - La Corsica viene ceduta da Genova alla Francia
1735 - La Sicilia passa ai Borbone
1769 - Nel Ducato di Parma e Piacenza viene abolito il Tribunale dell’Inquisizione
1748 - Montesquieu pubblica Lo spirito delle leggi 1751-1772 - Pubblicazione dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert
1762 - Rousseau pubblica Il contratto sociale 1764 - Cesare Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene 1763-1764 Esce il periodico italiano “Il Caffè”
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Capitolo 5
La società deL settecento 5.1 L’aumento degli uomini e delle risorse La crescita demografica
durante il settecento gli abitanti dell’europa e dei paesi collegati al suo sistema economico vissero un’esperienza di graduale mutamento, i cui risultati cominciarono a diventare evidenti verso la fine del secolo. L’ambito di quel cambiamento coincise con quello della vita quotidiana e delle sue componenti più elementari. in primo luogo alla fine del settecento era aumentata molto la popolazione; attorno a ciascun essere umano gli spazi si fecero più stretti e più densamente occupati da altri esseri umani. in europa si passò dai 115 milioni di abitanti del 1700 ai 188 del 1800; nelle americhe dai 13 milioni di abitanti dell’inizio del secolo ai 24 del momento in cui esso si chiuse; in asia, nello stesso arco di tempo, da poco più di 400 a oltre 600 milioni. era già accaduto in passato che la popolazione aumentasse. tuttavia, a causa di pestilenze, guerre o carestie, con regolarità a ogni fase di crescita era seguita una fase di nuova contrazione. Pietro Longhi, La lezione di geografia, 1752 (Venezia, Pinacoteca Querini Stampalia)
Il quadro ci restituisce un’immagine delle classi alte nella società settecentesca, colta e curiosa, benché rappresentata con ironia dal pittore
La lezione di geografia si svolge con l’ausilio del mappamondo, emblema del desiderio di viaggiare e di conoscere tipico del Settecento
L’allieva è una donna, a sottolineare come la sete di cultura non sia più una prerogativa maschile
A terra, un libro aperto, simbolo dell’alfabetizzazione sempre più diffusa
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Pietro Domenico Olivero, La nascita del bambino, metà del XVIII secolo (Torino, Palazzo Reale)
il problema fondamentale era tradizionalmente costituito dalla scarsezza delle risorse, che non crescevano insieme alla popolazione e che, rimanendo sostanzialmente immutate, divenivano di colpo insufficienti per garantire a tutti il sostentamento. La crescita del Settecento, invece, avviò un ciclo destinato a rimanere costante: a partire da quel secolo la popolazione ha continuato stabilmente a crescere, anche se oggi alcuni paesi (quelli più ricchi e sviluppati, tra i quali l’italia) mostrano una tendenza alla stabilizzazione o addirittura al calo demografico. Le cause della crescita demografica
Gli storici sono incerti sulla spiegazione di questo fenomeno. alcuni lo fanno risalire a un miglioramento generale del clima, che consentì l’incremento della produzione agricola e rese meno precario lo stretto equilibrio tra popolazione e risorse che aveva fino a quel momento frenato la crescita demografica. altri richiamano invece l’attenzione sulla minore incidenza delle pestilenze, dovuta probabilmente più alla graduale crescita delle difese immunitarie degli esseri umani che ai progressi – allora ancora molto scarsi – dell’igiene e della medicina. altri ancora sottolineano la crescente capacità dei governi di controllare con efficacia il territorio e di intervenire tempestivamente in soccorso della popolazione in caso di carestia. infine, ad avere causato l’aumento demografico potrebbe anche essere stato il fatto che le guerre del settecento furono molto meno sanguinarie e devastanti per le popolazioni civili di quelle dei secoli precedenti (v. cap. 4, par. 4.4). in europa la crescita demografica fu dunque dovuta sia al calo della mortalità – e quindi all’allungamento di alcuni anni della vita media, reso possibile dalla maggiore disponibilità di risorse – sia all’aumento della natalità, al quale certamente giovò l’abbassamento di alcuni anni dell’età media delle donne al momento del matrimonio. esse poterono così fruire di un ciclo riproduttivo più lungo mettendo al mondo più figli; ma non fu solo la popolazione a crescere. 125
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
L’aumento delle risorse
LESSICO Agronomia Dal greco agrós, “campo” e nómos, “legge”, letteralmente è la scienza che studia l’applicazione di norme e leggi razionali all’agricoltura. Essa si propone di analizzare i metodi di coltivazione allo scopo di migliorare la produttività dei terreni agricoli.
insieme alla popolazione, aumentò anche la superficie coltivata necessaria per sfamarla. il campo arato guadagnò terreno e lo sottrasse al bosco, alla palude, alla selva. in alcune aree, dove furono felicemente sperimentati i suggerimenti proposti dall’agronomia, una scienza che nel settecento costruì attorno a sé una vasta schiera di adepti, si passò inoltre da un’agricoltura estensiva, cioè mirante ad aumentare la produzione attraverso la dilatazione della superficie coltivata, a una intensiva, cioè contraddistinta da un accrescimento delle rese (cioè la quantità di prodotto raccolto) a parità di superficie. Questa nuova pratica agricola fu possibile grazie a un più intenso investimento di capitali, finalizzato a migliorare l’irrigazione e a promuovere la presenza congiunta, all’interno di grandi poderi, dell’allevamento bovino e delle colture foraggere usate per l’alimentazione del bestiame. il mais e la patata, piante alimentari di origine americana, cominciarono a essere coltivate in varie zone d’europa (ma anche dell’africa e dell’asia) e consentirono la sopravvivenza a popolazioni in precedenza perennemente stremate dalla fame.
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le cause dell’aumento demografico Guerre meno sanguinose
Diminuzione delle carestie
calo della mortalità
Incremento della produzione agraria
aumento demografico
Abbassamento dell’età del matrimonio
Aumento della natalità
L’urbanizzazione
Gaspare Vanvitelli, Il largo di Palazzo (particolare), XVIII secolo (Napoli, Museo di San Martino). Si tratta di una veduta della Napoli settecentesca
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Le campagne coltivate europee, dunque, tendevano a estendersi e a ospitare una più densa presenza umana e gli spazi vuoti si facevano sempre più rari, ma fu soprattutto chi viveva in città a percepire nella vita di ogni giorno l’aumento della popolazione attorno a sé. con l’eccezione delle città capitali (Londra, Parigi, napoli erano le più grandi), l’europa di inizio settecento era un continente di piccoli insediamenti. Molti di essi erano da secoli cinti da mura e venivano chiamati città, ma, a misura delle concezioni odierne, ci verrebbe spontaneo considerarli paesi o villaggi. nella Gran Bretagna del 1750, per esempio, meno di un quinto della popolazione viveva in luoghi con più di 5000 abitanti e solo cinque città ne avevano più di 25 000. ancora nel 1790, solo due città superavano i 50 000 abitanti, mentre nel 1801 ve ne erano già otto. nel 1850, invece, un quarto degli inglesi era ormai residente in insediamenti urbani con più di 25 000 abitanti e ben ventinove città ne contavano più di 50 000. Fu lì che si assistette a una modificazione della qualità della vita, evidenziata dal diffondersi di nuove abitudini e di nuovi consumi, sconosciuti o quasi al vecchio mondo rurale: per esempio, prodotti quali il tè e il caffè, lo zucchero e il tabacco, tutti provenienti dalle colonie di cui alcuni paesi europei disponevano negli altri continenti, si diffusero rapidamente su larga scala, contribuendo a modificare in maniera evidente il costume della società del tempo.
cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO
Giovanni Paolo Panini, Piazza del Quirinale a Roma affollata di carrozze, XVIII secolo
La contrazione delle distanze
Mentre lo spazio si riempiva di persone e il tempo della loro vita si allungava, quello necessario per spostarsi da un luogo all’altro si accorciava, grazie ai miglioramenti nel sistema dei trasporti e nella rete delle comunicazioni via terra e via acqua, realizzati soprattutto in paesi come la Francia e l’inghilterra, ma percepibili anche altrove. all’inizio del settecento per recarsi da Londra a edimburgo occorrevano quindici giorni; cento anni più tardi ne erano sufficienti tre. si viaggiava molto più in fretta di un tempo e a costi sempre più bassi e lo spazio non rappresentava più soltanto un ostacolo e una barriera, ma tendeva a diventare il tramite per comunicare con realtà un tempo lontane (v. cap. 10, par. 10.1). ovunque, sebbene con risultati assai diversi per qualità ed efficacia, fu istituito il servizio delle poste, che contribuì a sua volta a ridurre la distanza tra gli esseri umani o, almeno, tra quanti di loro sapevano leggere e scrivere.
5.2 i cambiamenti nel mondo del lavoro il lavoro urbano: l’economia morale
Mutamenti certamente meno evidenti, e tuttavia significativi, ebbero luogo nello stesso arco di tempo anche nel mondo del lavoro. L’inghilterra, contraddistinta dall’avvio di quella trasformazione epocale che viene convenzionalmente definita rivoluzione industriale (v. cap. 10) fu, sotto questo profilo, un caso a parte. anche negli altri paesi europei, però, si verificarono notevoli modificazioni all’interno delle strutture della produzione, in particolare nel settore della produzione manifatturiera che, organizzato fin dal Medioevo nel sistema delle corporazioni di arti e di mestieri, rappresentava lo specifico della condizione lavorativa urbana nell’europa di antico regime. il mondo dell’artigianato preindustriale da secoli era basato sulle regole di quella che il grande storico inglese edward Palmer thompson definì l’«economia morale». essa si risolveva in un’oculata gestione delle modeste risorse a disposizione, realizzata attraverso la ripartizione programmata degli utili di impresa tra i compartecipi alle attività produttive. si trattava, indubbiamente, di un sistema al cui interno le gerarchie contavano molto. tra gli apprendisti (i garzoni e i lavoranti) e i maestri esisteva un rapporto di rigida subordinazione, che gli statuti di ogni arte (corporazione) si preoccupavano di ribadire con puntiglio.
MEMO Nate come patti associativi tra individui che esercitavano lo stesso mestiere, le corporazioni si erano diffuse a partire dal XIII secolo in tutta Europa. I loro obiettivi erano quelli di regolamentare la concorrenza e garantire la qualità dei prodotti. Con il tempo, però, la rigidità delle regole dei loro statuti finì per farne uno strumento di difesa dei privilegi e di resistenza alle innovazioni tecnologiche.
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
La bottega di un liutaio del XVIII secolo, nella quale ogni lavorante è intento alla sua opera a seconda dell’età e dell’esperienza: il giovane garzone fa il lavoro più semplice, prendendosi cura delle corde dell’arpa
LESSICO Confraternita Dal latino tardo confraternitas, composto di con e fraternitas (“fraternità”), indica un’associazione religiosa di fedeli laici, estranea al clero regolare o secolare, generalmente impegnata in opere di assistenza e di carità.
il lavoro che si svolgeva nelle corporazioni, però, era anche pervaso da uno spirito di solidarietà. esso da un lato consentiva di garantire a tutti gli appartenenti, indipendentemente dalla loro qualifica, quanto necessario per vivere, seppure spesso ai limiti della pura e semplice sussistenza, dall’altro assicurava loro una elementare assistenza che per certi versi si prolungava oltre la morte, trovando, per esempio, espressione nel rito delle preghiere in suffragio organizzate dalle confraternite, le associazioni a fini devozionali istituite dalle varie corporazioni. il garzone aveva il dovere di servire fedelmente il maestro e di non abbandonare mai la bottega che lo aveva accolto, al cui interno il lavoro poteva prolungarsi anche fino a quattordici ore al giorno. La sua posizione era analoga a quella di un figlio nei confronti del padre; del resto garzoni si diventava quando si era bambini, tra i sette e i quindici anni, in una società che non accordava all’infanzia la considerazione riservata a essa in alcune delle società contemporanee. i maestri, però, dal canto loro, erano tenuti non solo a fornire ai garzoni e ai lavoranti (lo stadio successivo dell’apprendistato) vitto, alloggio, calzature e vestiario, ma anche a non licenziarli finché, terminati gli anni di “lavoranzia”, essi non fossero divenuti a loro volta maestri, abilitati all’esercizio in proprio del mestiere. il familismo delle corporazioni
LESSICO Familismo Concezione che dà più importanza ai vincoli di solidarietà tra i membri della famiglia rispetto ai vincoli sociali più generali.
Inclusione/Esclusione Le corporazioni di arti e mestieri, p. 141
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il mondo corporativo, in realtà, riproponeva ed enfatizzava in un settore particolare quello che era, più in generale, l’ordine sociale tutto intero dell’antico regime, basato su una mescolanza tra autoritarismo e solidarismo che trovava la sua ragione d’essere nella centralità della figura paterna, autentica colonna portante della società, in tutte le sue forme. si parla infatti di familismo. i garzoni erano figli, ma si pensava che sarebbero divenuti, a loro volta, padri. ai vertici della gerarchia delle corporazioni spettava non solo il compito di governare il processo produttivo, impedendo che tra i membri si accendesse una concorrenza pericolosa per la coesione del corpo, ma anche quello di esercitare su di esso una funzione giurisdizionale per conto delle autorità pubbliche. se un garzone o un lavorante, per esempio, si faceva sorprendere a rubare in bottega della materia prima che avrebbe poi cercato di rivendere per ricavarne un guadagno personale, a giudicarlo non era il tribunale cittadino, ma quello della corporazione, nel quale sedeva come corte giudicante la comunità dei maestri. in casi come questi spesso la pena consisteva in una pesante razione di frustate in pubblico, oltre che in un inasprimento dei carichi lavorativi. Ma poteva accadere che la stessa corte si trovasse, in altre occasioni, a difendere i diritti dei garzoni da eventuali abusi o infrazioni dei maestri. Quella delle arti e dei mestieri era una società sostanzialmente chiusa e autosufficiente, presente in forme molto simili in ogni città europea.
cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO
La svolta settecentesca
tra la fine del seicento e i primi decenni del settecento, senza particolari clamori ma con regolarità, si assistette tuttavia un po’ dappertutto a un graduale indebolimento dei vincoli gerarchici e solidaristici che avevano fino a quel momento tenuto insieme il sistema. da un lato, infatti, coerentemente con le tendenze caratteristiche dell’età dell’assolutismo, i governi iniziarono a sottrarre ai tribunali corporativi la giurisdizione che essi avevano in precedenza esercitato; dall’altro i lavoranti vennero perdendo quelle garanzie di futuro inserimento nei livelli superiori dell’arte che li avevano motivati ad adattarsi a condizioni di dipendenza così opprimenti. in un mercato del quale i maestri avevano ormai smarrito i fili di controllo, cominciarono a trasformarsi in lavoratori salariati, compensati con (poca) moneta piuttosto che con “cure paterne”, ma al tempo stesso non più tutelati quanto a stabilità di impiego e privati della ragionevole aspettativa di poter approdare a loro volta alla condizione di maestri. nel frattempo gli stessi maestri artigiani persero gran parte della loro autonomia e l’attività delle loro botteghe si svolse sempre di più in condizioni di dipendenza dalle anticipazioni fornite loro dai grandi mercanti che procuravano la materia prima per ritirarla poi sotto forma di prodotto finito destinato all’immissione sul mercato. nuove condizioni di lavoro
il “maestro-mercante” cessò di sentirsi membro della corporazione e gradualmente si impose, in molti settori, come capo e padrone dei “maestri-artigiani”. cominciò inoltre a impiegare in proprio – aggirando il sistema corporativo – forza lavoro esterna a quella inquadrata nelle arti. nel settore tessile, per esempio, divenne sempre più frequente il ricorso extracorporativo a manodopera non qualificata, infantile e femminile, retribuita in base a tariffe largamente inferiori a quelle fissate dalle arti. si aprivano così – in un’epoca contraddistinta da una notevole espansione del mercato – le prime crepe in un sistema di produzione che aveva fatto dei vincoli, degli obblighi, delle limitazioni, ma anche della solidarietà, la propria forza, mentre ci si avviava verso condizioni di lavoro che al principio di concorrenza abbinavano la riduzione da un lato del paternalismo gerarchico, ma dall’altro delle garanzie che avevano in passato resa più accettabile l’esistenza delle componenti più deboli. APPROFONDIRE
Uno scandalo: la concorrenza femminile ll’inizio del Settecento fece impressione l’irruzione nel mondo del lavoro della concorA renza sottopagata femminile, quasi un’eresia nell’ambiente così tipicamente misogino e tutto maschile nel quale si svolgeva gran parte del lavoro prodotto nelle corporazioni. Ecco come la evocano, demonizzandola, i nuovi statuti che una corporazione tessile romana si dette nel 1729: «Essendosi sperimentato che dall’imparar l’arte a donne ne siano nati molti abusi, e pregiuditij nell’arte; pertanto vogliamo in avvenire non sia più lecito ad alcuno di pigliar donne ad imparar l’arte; ma per conto di donne sia solo permesso ad impararla alla moglie, figlie, nipote e sorelle de’ proprij maestri, e non ad altro» (citato in S. Ortaggi Cammarosano, Libertà e servitù ). Era un tentativo di riaffermare i valori “domestici” e solidaristici che presiedevano al mondo delle arti – un mondo di padri e di figli, il cui ideale si condensava nell’auspicio che il figlio rilevasse l’attività paterna – contro le pressioni disgreganti del mercato e della libertà economica. Tuttavia, come vedremo, non era destinato a sortire risultati efficaci.
Giacomo Ceruti, La lavandaia, XVIII secolo (Brescia, Pinacoteca Tosi Martinengo)
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
5.3 il sentimento religioso Sudditi o devoti?
Il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana, p. 135
Jean-Baptiste Greuze, Una visita al prete, 1786 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)
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nei paesi cattolici ma, in parte, anche in quelli riformati, prima ancora di considerarsi suddito di un potere temporale, ciascun individuo si sentiva membro della comunità ecclesiastica. e non c’è da stupirsene, dal momento che era molto spesso la chiesa a farsi garante dei suoi rapporti istituzionali con il mondo esterno. Per i contadini, per esempio, che costituivano la porzione largamente maggioritaria della popolazione europea di antico regime, era il parroco (o, nelle aree protestanti, il pastore) a rappresentare la figura primaria di riferimento sia nel ritmo ripetitivo della vita quotidiana sia, e a maggior ragione, nei momenti centrali di scansione dell’esistenza. si cominciava a frequentare la chiesa in occasione del battesimo, che costituiva il momento di presentazione ufficiale di ogni nuova vita alla comunità, e che veniva celebrato prestissimo, vista la forte incidenza della mortalità infantile. insieme al rito battesimale, il parroco celebrava una funzione che in tempi a noi più vicini sarebbe stato invece l’ufficio dell’anagrafe ad assolvere. Provvedeva, cioè, alla registrazione dei nati nei registri parrocchiali, ovvero quei registri nei quali venivano annotati i fatti salienti del ciclo di vita di ogni cattolico. ogni qual volta una persona avesse poi avuto bisogno di documentare la propria identità, avrebbe dovuto rivolgersi nuovamente al parroco, per farsi rilasciare la prova della propria esistenza, la “fede di battesimo” (oggi sostituito dal certificato di nascita). oltre naturalmente al matrimonio, anche il rito del fidanzamento veniva celebrato quasi sempre in chiesa, in presenza dell’intera collettività paesana, e riceveva la benedizione del sacerdote. accanto alle mura parrocchiali, e affidato alla sorveglianza ecclesiastica, sorgeva infine in ogni villaggio il cimitero, luogo di importanza straordinaria in una società protesa a un intensissimo rapporto con un aldilà che sembrava sempre assai prossimo, vista la precarietà dell’esistenza. Per raggiungere, attraverso la preghiera, i familiari defunti, era ancora il sacerdote a fare da guida.
cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO
Le forme dell’assistenza
attraverso la fabbriceria parrocchiale, istituzione che faceva da ponte tra il mondo dei chierici veri e propri e quello dei fedeli, passava, d’altro canto, la rete di assistenza che garantiva la sopravvivenza ai membri disagiati di ogni comunità. Questi riconoscevano, dunque, in essa un’ideale sponda di riferimento, la provvidenziale irradiazione istituzionale di una sensibilità collettiva incline a identificare nel povero una figura sacra, una sorta di replica dell’esempio di cristo; simbolo, con la sua sofferta testimonianza esistenziale, di una speranza di salvezza per tutti. così pure, consegnati alle cure ecclesiastiche erano gli ospedali, luoghi concepiti – vista anche la modesta efficacia della scienza medica del tempo – più come avamposti verso l’aldilà, stazioni di transizione spirituale tra la vita e la morte, che come le cittadelle della ricostituzione terapeutica e della riconquista della salute.
LESSICO Fabbriceria parrocchiale Ente amministrativo che inizialmente provvedeva alle spese di manutenzione degli edifici religiosi e che successivamente si occupò anche dei problemi assistenziali della comunità parrocchiale.
La religione come veicolo di cultura
in una società quasi totalmente analfabeta, inoltre, quel poco di rudimentale acculturazione che filtrava verso la realtà rurale era tutto veicolato dai chierici, del resto anch’essi spesso provenienti dalle fila di quel mondo popolare che era affidato alle loro cure. se prima della Rivoluzione francese, come è stato calcolato, l’80% dei libri in circolazione era costituito da opere di argomento religioso – raccolte di preghiere, sermoni, vite dei santi –, tale percentuale nelle scarne biblioteche domestiche di campagna tendeva a convertirsi nella totalità. Quei pochissimi contadini che avevano appreso da un prete ad avventurarsi nel mondo delle parole scritte, ne venivano a conoscere uno di impronta esclusivamente religiosa. anche i temi e i soggetti della pittura – questi, sì, accessibili a chiunque, con il solo beneficio della vista – erano tutti o quasi sacri e i dipinti si trovavano, del resto, prevalentemente esposti nelle chiese o in altri edifici religiosi. La sopravvivenza di ritualità più antiche
Corrado Giaquinto, La Trinità e gli schiavi riscattati, 1742-1743 (Roma, Chiesa della Trinità degli Spagnoli)
sottrarsi alle norme comportamentali sancite dalla morale religiosa era quasi impossibile. La fede non era un’opzione, bensì un obbligo, all’interno di una società che, in linea di principio, si reggeva su un insieme di doveri e non su un corpo di diritti. così, rifiutarsi di frequentare la messa, schivare la confessione, evitare di comunicarsi equivaleva a chiamarsi fuori dalla comunità e a privarsi del sostegno del prossimo, in un mondo in cui il singolo, preso per sé, contava poco o nulla. tuttavia, malgrado il suono delle campane della chiesa del villaggio scandisse la percezione del tempo della comunità, così come il calendario ecclesiastico, con le sue numerosissime festività, fissava i ritmi e i modi del lavoro, la “conquista” clericale della spiritualità popolare – specie nel mondo rurale – non poté mai dirsi completa. nei riti agrari di fertilità, così come nelle processioni per i raccolti che essa inglobò all’interno della propria liturgia, sopravvivevano infatti i riverberi di una più antica tradizione pagana, che la chiesa talvolta chiamò superstizione, ma con la quale in linea di massima preferì convivere, a rischio di esporsi alle critiche di ispirazione razionalistica che nel corso del settecento le vennero rivolte con crescente intensità (v. cap. 6, par. 6.2). 131
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
5.4 gabinetti di lettura e associazioni: verso un libero uso della ragione Le prime associazioni culturali laiche
MEMO La società per ceti è la società in cui i singoli non hanno diritti e doveri individuali, ma privilegi in base all’appartenenza a un determinato corpo sociale. Si è membri di un ordine non per motivi economici ma per ereditarietà. Un esempio di società per ceti è quella francese, divisa nei tre ordini del clero, della nobiltà e del Terzo stato.
Johann Zoffany, La biblioteca di Charles Towneley al 7 di Park Street, 1781-1783 (Burnley, Towneley Hall Art Gallery & Museums)
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Le critiche alla chiesa presero forma soprattutto all’interno di nuovi luoghi di socializzazione, che in tutta europa – nelle città maggiori, ma anche in quelle di provincia e talvolta persino nei villaggi – vennero istituiti per iniziativa privata: associazioni laiche, cioè non di carattere religioso, che in genere si proponevano di incoraggiare la diffusione della cultura e della scienza. Per farne parte era necessario pagare una quota annuale, che consentiva di fruire di una vasta gamma di opportunità. con la stessa somma impiegata per iscriversi a uno di questi circoli, ciascuno dei soci, da solo, avrebbe potuto tutt’al più acquistare qualche libro, oppure abbonarsi a una o due riviste. sommando le quote di decine o centinaia di soci, un’associazione era invece in grado di procurarne in grande quantità e di costituire una biblioteca collettiva ben aggiornata; un luogo ideale per incontrarsi, per informarsi, per discutere, per mescolarsi liberamente. abbiamo visto, a più riprese, come la società di antico regime fosse divisa per ceti, di norma separati l’uno dall’altro. Viceversa, grazie alla fondazione di simili associazioni (gabinetti di lettura, società di incoraggiamento delle scienze e delle arti, associazioni per il miglioramento dell’agricoltura e dell’industria…), quei mondi, prima impermeabili l’uno all’altro, per la prima volta ebbero modo di incontrarsi in una cornice comune. certo, al di fuori della sede del circolo a cui era iscritto, ciascun socio continuava a essere percepito in ragione del proprio profilo di ceto – chi nobile, chi chierico, chi appartenente al mondo delle arti meccaniche e chi a quello delle arti liberali – e a venir trattato in quanto tale. Ma tra le pareti dei luoghi attrezzati per consentire la lettura e la discussione cominciò a prendere forma una società parallela, nella quale le usuali distinzioni basate sul rango tendenzialmente non avevano valore e dove ciascuno veniva considerato per il proprio merito personale. Qui, infatti, era essenziale unicamente la ragione, cioè la capacità personale di pensare, di interrogarsi, di interloquire.
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Léonard Defrance de Liège, Sotto l’egida di Minerva, 1782 (Digione, Museo delle Belle Arti). Il dipinto raffigura una libreria
Libertà e cultura
all’interno di una società basata sull’autorità, sull’obbedienza, sulla sudditanza, le prime associazioni culturali costituirono di fatto isole di uguaglianza e di libertà: repubbliche in miniatura, dove ciascuno godeva degli stessi diritti, anche se a farne parte erano comunque soltanto persone in possesso di un prerequisito poco comune: la capacità di leggere e scrivere, magari anche in lingue diverse dalla propria, un privilegio del quale, in misura diversa a seconda dei paesi, era solo una ristretta minoranza a godere. tra il 1680 e il 1780 il numero dei lettori in europa si decuplicò, ma a leggere continuarono ad essere in pochi. in molti Stati italiani, per esempio, ancora a fine secolo la popolazione era per oltre il 90% analfabeta. in Francia durante il settecento la percentuale dei maschi adulti in grado di scrivere la propria firma passò dal 30% al 50%; ma un conto era saper mettere una serie di lettere al posto di una croce, un altro saper davvero leggere e scrivere. e, ancora, la pur modesta alfabetizzazione riguardava quasi esclusivamente la componente maschile della società. Migliore, sotto questo profilo, era la situazione dell’Europa protestante, dal momento che uno dei punti fermi delle fedi scaturite dalla Riforma consisteva nell’accesso diretto del credente (ma anche della credente) alle sacre scritture; presso i paesi cattolici, invece, il rapporto tra i fedeli e la parola di dio era affidato, come abbiamo appena visto, sempre alla mediazione del clero, non a caso il solo corpo compattamente alfabetizzato della società. un pubblico per l’illuminismo
Malgrado gli indubbi progressi rispetto al secolo precedente, pochi, dunque, erano i lettori nell’europa del settecento, e ancora meno quelli disposti a partecipare alla vita di un’associazione culturale. Molto importante, però, fu il fenomeno a cui essi dettero vita, decidendo, ciascuno sulla base di una scelta individuale, di infrangere le regole di separatezza caratteristiche del sistema per corpi e di inventare uno spazio di socializzazione aperto. certo, anche il pubblico delle cerimonie religiose era in genere formato da persone differenti per rango e per status; ma in chiesa ci si recava in formazione di gruppo e con il proposito di ascoltare devotamente la voce di un’autorità, quella del ministro del culto. nei gabinetti di lettura e nelle associazioni culturali, invece, si entrava da individui e da protagonisti. 133
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
dal culto, inoltre, ci si aspettava di ricavare conforto per le fragilità dell’anima. La socializzazione culturale, al contrario, costituiva un’occasione per coltivare orgogliosamente le virtù individuali; prima fra tutte l’intelligenza, ovvero l’attitudine ad affrontare e risolvere attraverso il libero uso della ragione ogni tipo di problema materiale. il pubblico delle associazioni fu al tempo stesso il pubblico caratteristico dell’Illuminismo (v. cap. 6). ANALIZZARE LA FONTE
La filosofia nei caffè Autore: Joseph Addison Tipo di fonte: articolo di giornale Lingua originale: inglese Data: 12 marzo 1711 Nei primi decenni del Settecento in Inghilterra si diffondono i primi periodici, la cui lettura contribuisce alla formazione del gentleman, del borghese informato e dotato di spirito critico. Nell’articolo che qui in parte riportiamo, Joseph Addison, editore del celebre giornale inglese “The Spectator”, mette in luce l’importanza che il suo giornale può avere nella formazione dell’autonomia dell’individuo.
dal momento che mi son venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per rendere gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito, e di temperare lo spirito con la moralità, sicché i miei lettori possibilmente riescano in un modo o nell’altro a trovare il fatto loro nella meditazione del giorno. e affinché la loro virtù e la lor discrezione non consistano di lampi di pensiero brevi, passeggeri, intermittenti, ho risoluto di rinfrescare la loro memoria di giorno in giorno fin tanto che io non li abbia risanati da quella disperata condizione di vizio e di follia in cui è caduta l’età. L’animo che giace incolto un solo giorno germoglia di follie che possono estirparsi soltanto con una cultura costante e assidua. Fu detto di socrate che portò la filosofia giù dal cielo a dimorare tra gli uomini; e mia ambizione sarà che di me si dica che ho portato la filosofia fuori dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nei ritrovi presso le tavole da tè e nei caffè. Perciò raccomanderei particolarmente queste mie riflessioni a tutte le famiglie ordinate, che dedicano un’ora ogni mattina al tè e al pane e burro; e caldamente le consiglierei pel loro bene di disporre che questo giornale venga recapitato con puntualità e considerato parte del servizio del tè. […] Lascerò giudicare al lettore se non sia molto meglio venir introdotti alla conoscenza di se stessi, che udir ciò che avviene in Moscovia o in Polonia; e divertirci con scritti che tendono alla soppressione dell’ignoranza, della passione e del pregiudizio, che con tali che naturalmente tendono a infiammare gli odi, e a rendere irriconciliabili le inimicizie J. addison, “the spectator”, n. 10, 12 marzo 1711 Domande alla fonte 1. Qual è l’immagine dell’intellettuale-giornalista che emerge da questa pagina? 2. Quale deve essere la sua funzione? 3. Quale deve essere il suo rapporto con il pubblico?
Giovanni Gravembroch, Nobili al caffè, tavola dal Codice Gradenigo. Abiti de’ veneziani di quasi ogni età raccolti e dipinti nel secolo XVIII, 1754 (Venezia, Biblioteca del Museo Correr)
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Il laboratorio dello storico
Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
L’elemento profano nella religiosità della campagna Vissuta con un diverso grado di consapevolezza da gran parte degli strati medi e alti della società, la religiosità di matrice cristiana tendeva a conservare forme di remota origine pagana non appena si usciva dalle mura di una città e si percorreva il mondo superstizioso delle campagne.
a scrivere è un parroco di campagna nella regione francese della sologne, a sud di Parigi
«Idolatri battezzati» è l’appellativo che l’autore della testimonianza, scritta tra il serio e il faceto, riserva a coloro che compongono il suo stesso gregge, i contadini di una secentesca profonda campagna francese
Gli abitanti della sologne sono più superstiziosi che devoti. chi potrebbe negarlo, vedendoli osservare tanto scrupolosamente moltissime pratiche di culto che sono al tempo stesso deplorevoli e ridicole, e che servono soltanto ad allontanarli da quella che è la vera pietà? cominciamo col dire che penserebbero di offendere il signore se setacciassero la farina il giorno di s. tommaso; una falsa credenza che circola tra di loro sostiene infatti che questo santo apostolo è stato martirizzato con un setaccio. tanto è vero che ne hanno tratto un proverbio: «il giorno di s. tommaso, dio non vuole che si setacci». Quando soffrono di qualche malattia, implorano soprattutto s. sulpicio, che chiamano s. supplizio, perché lenisca il tormento che li tormenta. si rivolgono invece a s. Mauro quando hanno malati che deperiscono a poco a poco o sono in agonia, perché li faccia vivere oppure morire subito. Pregano poi santa Perpetua perché dia il latte alle puerpere che si sono inaridite e santa cornelia se sono macilenti, scuri e deformi, per assonanza del nome con quello della cornacchia, un uccello scarno, magro e tutto nero. […] inoltre fanno voti di continuo, per ogni genere di malattia, sia che colpisca le persone sia che colpisca gli animali. non basta, a natale conservano il pane benedetto durante la messa a mezzanotte, per farlo mangiare alle loro vacche, perché credono che sia un antidoto contro le malattie. La domenica innalzano croci di paglia e rami ai quattro angoli di ogni loro appezzamento […] possiamo perciò ben dire, dopo tutto quello che abbiamo riferito, e senza sbagliarci, che in molte cose essi non sono altro che idolatri battezzati.
il curato passa in rassegna, una per una, le forme di superstizione che affollano le giornate e le fantasie dei suoi parrocchiani, sorprendendoli intenti a celebrare riti e scaramanzie che affiorano da un passato lontano, ma non ancora sopito
P. Goubert, d. Roche, L’Ancien Régime. Cultura e società, Jaca Book, Milano 1987
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Il laboratorio dello storico L’elemento religioso nella pittura profana È difficile sopravvalutare il ruolo che le tematiche di ispirazione religiosa interpretano nella storia dell’arte. Nel Medioevo sostanzialmente non esisteva pittura che non fosse sacra e gli artisti dipingevano quasi soltanto su sollecitazione della committenza religiosa, nelle sue varie forme: quella esplicitamente clericale e quella sostenuta dai laici i quali, a titolo personale o collettivo (si pensi agli altari e alle cappelle mantenuti nelle chiese da parte delle confraternite), decidevano di investire una somma di denaro, destinandola alla realizzazione di una tela, di una pala d’altare, di un affresco. I dipinti che qui presentiamo testimoniamo di un’evoluzione rispetto allo scenario che abbiamo appena delineato.
i due quadri furono realizzati rispettivamente nel Seicento e nel Settecento, dunque in un’epoca durante la quale un canone secolarizzato aveva ormai affiancato quello religioso nell’ambito dell’espressione artistica. La loro iniziale destinazione furono le mura domestiche dei ricchi committenti che ne avevano predisposto l’esecuzione. dobbiamo immaginarcele collocate, rispettivamente, in una signorile dimora spagnola secentesca e in un’elegante casa parigina del settecento
La famiglia di Murillo, raffigurata in un’atmosfera nella quale la rituale compostezza del padre si intreccia con l’attitudine giocosa del figlio, è in realtà una Sacra Famiglia
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Bartolomé Esteban Murillo La Sacra famiglia, 1650 (Madrid, Museo del Prado)
cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO
il rito della tavola fermato sulla tela da chardin è il Benedicite, la preghiera domestica di una madre e delle sue due figlie appena prima di prendere il pasto (prende il nome della prima parola della preghiera, «Benedicete» in latino) Jean Baptiste Siméon Chardin, Benedicite, 1744 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)
i due autori, Bartolomé esteban Murillo (siviglia, 1618-1682) e Jean Baptiste siméon chardin (Parigi, 1699-1779), optarono per un’arte intensamente realistica, popolata di personaggi usciti dalla vita di ogni giorno, e di spiccate caratteristiche borghesi. eppure, a ben vedere, anche le icone domestiche e intimistiche uscite dalla tavolozza dei due artisti sono a pieno titolo da considerare come appartenenti al filone della pittura religiosa Le due tele ci raccontano dei modi nei quali il sentimento religioso si insinuava quotidianamente nello spazio della pittura profana e dei suoi scenari; e di come, nell’antico regime, la vita secolare continuasse a essere, per molti aspetti, vita religiosa
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio è stata in primo luogo proposta una fonte scritta, che offre una raffigurazione di ampio respiro della religiosità contadina nella Francia tra Sei e Settecento. Poi abbiamo arricchito la prospettiva con un’illustrazione degli aspetti più domestici della vita religiosa, ricorrendo a due dipinti realizzati a circa un secolo di distanza l’uno dall’altro. • Religiosità matura e religiosità rozza e “popolare”. In che modo si può sviluppare un discorso su questo tema, partendo da un confronto tra le fonti di questo laboratorio? • Quali sono le principali differenze tra i due dipinti, e in che cosa essi ci rivelano di appartenere a due epoche diverse?
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cApItOlO 5
mappa
LA SOCIETà DEL SETTECENTO
Significativo investimento di capitali Calo della mortalità
mutamento delle condizioni di lavoro
crescita demografica
Passaggio all’agricoltura intensiva
miglioramento delle condizioni economiche
Aumento della superficie coltivata
SOcIEtà dEl SEttEcENtO
Prevalenza dei mercanti sugli artigiani
Uso di manodopera esterna alle corporazioni
mutamenti culturali
Nascita associazioni laiche aperte a tutti
Il principio della concorrenza sostituisce il paternalismo gerarchico delle corporazioni
Indebolimento del solidarismo e delle garanzie lavorative precedenti
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Aumento della natalità
Sviluppo del libero pensiero e progressi nell’alfabetizzazione
Indebolimento del monopolio culturale della religione
cApItOlO 5
LA SOCIETà DEL SETTECENTO
Sintesi 5.1 L’AUMENTO DEgLI UOMINI E DELLE RISORSE nel settecento la società europea subì un profondo mutamento i cui effetti cominciarono a sentirsi verso la fine del secolo. anzitutto vi fu un aumento demografico, che proseguì costantemente nei secoli successivi. Gli storici non sono concordi nell’individuarne la causa. alcuni l’attribuiscono al cambiamento climatico che permise un incremento della produzione agricola; altri alla diminuzione dell’incidenza delle pestilenze. certamente contribuì anche la crescente capacità di intervento dei governi a favore della popolazione in caso di carestia. infine incise anche la diminuzione dei morti nelle guerre diventate meno cruente. L’aumento della popolazione, oltre alla diminuzione della mortalità, fu determinato anche dal crescere della natalità. Un ruolo decisivo giocò la diminuzione dell’età media del matrimonio. L’incremento dalla popolazione fu avvertito soprattutto nelle città che crebbero in numero e in grandezza. Per la prima volta nella storia insieme alla popolazione aumentarono anche le risorse disponibili soprattutto grazie all’espandersi di un’agricoltura intensiva. 5.2 I CAMbIAMENTI NEL MONDO DEL LAvORO anche il mondo del lavoro subì un profondo mutamento, soprattutto nella manifattura. tradizionalmente il settore dell’artigianato si basava sulle corporazioni che univano autoritarismo e solidarismo: all’interno di una rigida struttura gerarchica, infatti, veniva garantito a tutti il necessario per vivere e assistenza in caso di bisogno. alla fine del settecento il sistema corporativistico entrò in crisi: i maestri artigiani divennero sempre più dipendenti dai grandi mercanti che fornivano le indispensabili materie prime ma che, allo stesso tempo, impiegavano manodopera esterna alle arti, soprattutto donne e bambini, costringendo molti lavoranti a trasformarsi in lavoratori salariati. il principio della concorrenza cominciò a incrinare il modello di gerarchia e solidarietà che aveva regnato per secoli. 5.3 IL SENTIMENTO RELIgIOSO tradizionalmente, soprattutto nei paesi cattolici, gli individui prima che sudditi di un potere tempo-
rale si sentivano membri di una comunità ecclesiastica. soprattutto nelle campagne, il parroco era la più importante figura di riferimento nella vita delle persone, scandita da battesimo, fidanzamento e matrimonio. La chiesa, inoltre, aveva un ruolo decisivo nei settori dell’assistenza e dell’istruzione: gli ospedali erano gestiti da enti ecclesiastici e i libri stampati erano per l’80% di carattere religioso. anche gli analfabeti potevano essere educati tramite l’azione didascalica delle pitture presenti negli edifici religiosi. in questo modo la chiesa aveva un controllo completo sul comportamento degli individui. tuttavia, la sua capacità di controllo della spiritualità popolare aveva dovuto venire a compromessi con le antiche usanze pagane, come i riti agrari della fertilità e del raccolto, che essa aveva finito per incorporare nella sua liturgia, esponendosi però alle critiche di superstizione che le vennero rivolte, con crescente intensità, dalle correnti razionaliste nel corso del settecento.
5.4 gAbINETTI DI LETTURA E ASSOCIAZIONI: vERSO UN LIbERO USO DELLA RAgIONE Le critiche alla chiesa presero forma soprattutto nei nuovi luoghi di socializzazione, nelle associazioni laiche che promuovevano la diffusione della cultura e della scienza. Gli iscritti dovevano pagare una quota annuale che permetteva l’acquisto di riviste e libri messi a disposizione di tutti. in queste associazioni vennero meno le tradizionali distinzioni di ceto: ciascuno poteva aderirvi e veniva considerato non in base al rango ma al merito personale. tuttavia, queste isole di libertà ed eguaglianza riguardavano solo un’élite: oltre il 90% della popolazione in Italia rimase analfabeta. Migliore si presentava la situazione nei paesi protestanti poiché l’accesso diretto dei credenti alle sacre scritture era uno dei punti fermi della fede riformata. 139
identità collettiva e cittadinanza
e Inclusione Esclusione
La bottega di un farmacista, XVIII secolo (Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale)
Le corporazioni di arti e mestieri Regole e solidarietà tra confratelli
Inclusione
e
I lavoranti, invece, sono ragazzi più grandi, o anche ntriamo anche noi, come sta persone ormai adulte, che non raggiungeranno mai il facendo la composita folla di vertice della gerarchia. maestri, apprendisti, lavoranti che L’assemblea del Corporale normalmente si chiude con possiamo immaginare di avere intorno, in un Corporale, ovvero in la nomina di coloro che sono destinati a ricoprire le cariche direttive dell’associazione: rettori, priori, consoli, quella che si configura come a seconda degli usi e delle consuetudini vigenti in ogni l’assemblea generale di tutti città. Comunque li si chiami, provengono tutti dalle file coloro che sono membri di dei maestri. Sono loro che andranno a comporre il un’Arte; o, come la si chiama a tribunale dell’Arte, l’organo attraverso il quale viene seconda della località d’Italia nella esercitata la giurisdizione esclusiva sulle materie di quale ci si trova, di un Paratico, di competenza, per esempio sui conflitti che sorgevano un Collegio, di un Ordine, di una Fraglia. I suoi appartenenti nelle botteghe tra maestri e lavoranti. condividono qualcosa di importante, cioè la capacità di esercitare un Rembrandt van Rijn, I sindaci della gilda dei drappieri, 1662 (Amsterdam, Rijksmuseum) mestiere impegnandosi a seguire, ciascuno nella propria bottega, una serie di prescrizioni volte a garantire che il prodotto al quale lavorano venga realizzato “a regola d’arte”, ovvero che venga elaborato a partire da certe materie prime e non da altre, con gli strumenti adeguati, che abbia il giusto peso e la giusta dimensione e, ancora, che venga venduto a un prezzo stabilito dall’associazione stessa. Maestri, apprendisti, lavoranti non sono tutti uguali, come le loro stesse qualifiche indicano esplicitamente. Le gerarchie, all’interno del mondo delle Arti, non solo Sono loro che formano la giuria nelle cause tra i esistono, ma vengono anche prese molto sul membri dell’Arte e che comminano e fanno applicare serio. Comandano i maestri, naturalmente, ma tra le pene previste per le infrazioni gli apprendisti, che vengono ammessi nel gruppo fin quello e ro pig a ist nd ai regolamenti. da bambini, e che passano molti L’appre William Hogarth, isione, XVIII secolo inc o, lai te al o os er Non ci si trova davanti, dunque, a anni a impadronirsi, giorno dopo op una società egualitaria, ma giorno, delle tecniche del piuttosto a una società che è al mestiere, c’è qualcuno che tempo stesso inclusiva ed esclusiva. un giorno diventerà maestro. 141
Inclusione Esclusione
identità collettiva e cittadinanza L’interno di una bottega
artigiana
È inclusiva perché ne fanno parte tutti coloro che a vario titolo operano nel circuito legale di produzione di un bene, a prescindere dalla rispettiva collocazione nella gerarchia di un mestiere. Questo carattere di coralità si conferma su due piani ulteriori. Il primo è quello dell’attività devozionale che è collegata all’Arte. Coloro che vi appartengono formano una confraternita che spesso – specialmente nel caso delle Arti più ricche e prestigiose – possiede una cappella riservata all’interno di una delle chiese cittadine. I suoi membri vi si ritrovano tutti insieme per le principali funzioni di culto e la fanno adornare di tele o affreschi che il Consiglio dell’Arte commissiona a qualcuno dei pittori attivi sulla piazza cittadina.
n
aturale proiezione delle corporazioni nella vita quotidiana extralavorativa, le confraternite garantiscono inoltre – e questo è il secondo piano – un’assistenza materiale: durante la vita, per gli appartenenti all’Arte e per i loro congiunti sono previsti assistenza, aiuto in caso di necessità, sostegno nel caso non infrequente di forzata astensione dal lavoro (e dal guadagno) a causa di infortuni o malattie. Sono i vantaggi dell’inclusione in un corpo, e sono come santificati dalla cerimonia propiziatoria del giuramento che ciascun nuovo membro pronuncia nel momento in cui entra a farne parte. L’assistenza culmina per le strade della città al momento della morte di un membro, o di un suo familiare: funerale e sepoltura sono a carico dei confratelli. Nel momento della morte 142
si materializza la pretesa di dare a quel corpo, a quell’essere insieme, una compattezza che è capace di sfidare la debolezza e la caducità umana. È come se il legame corporativo si proiettasse anche oltre l’esistenza terrena: membri di un’Arte si rimane sempre, anche quando si è defunti; per anni, infatti, dopo la scomparsa di uno di loro, i confratelli organizzano messe in suo suffragio. A ben vedere, il mondo delle corporazioni e delle confraternite, che, formatosi nel Duecento, continuò a riprodursi sin verso la fine del Settecento (e in alcune aree d’Europa anche al di là di questa data, prolungando la propria durata in qualche caso fino all’Ottocento), rappresentava un’espressione esemplare del principio della solidarietà e della fraternità cristiana.
Le corporazioni di arti e mestieri
n
on stupisce, pertanto, che così a lungo esso abbia costituito un asse portante della struttura economica e sociale europea, la quale si percepiva, per l’appunto, in primo luogo come societas religiosa. Tuttavia, mentre il cristianesimo si basava su un ideale di fratellanza tendenzialmente universale, dunque di inclusività, per così dire, aperta e assoluta, al principio inclusivo nel mondo delle corporazioni faceva da contrappeso un aspetto altrettanto fortemente esclusivo. Per meglio dire: le corporazioni erano inclusive proprio perché esse allo stesso tempo risultavano esclusive, dal momento che il loro compito principale e la ragione della loro esistenza erano quelli di difendere il monopolio dell’esercizio di un mestiere. Chi provava a praticarlo senza essere iscritto all’Arte a esso corrispondente, magari cercando di proporre sul mercato gli stessi manufatti a un costo inferiore, veniva considerato dai membri della corporazione una minaccia. Dal momento che gli statuti cittadini riconoscevano alle Arti piena giurisdizione negli ambiti di loro competenza, esse avevano la facoltà di disporre a carico dei trasgressori le sanzioni del caso, compreso l’arresto o l’espulsione dalla città. All’interno delle mura di queste ultime, il privilegio di lavorare doveva infatti rimanere riservato soltanto a chi risultava incluso nel sistema vigente.
Joseph Wright of Derby, La bottega del fabbro, 1773 (Bristol, Earl of Mountbatten Collection)
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Capitolo 6
L’ILLumInIsmo LESSICO Illuminismo Fu così definito il movimento culturale e filosofico che nel XVIII secolo intese fare dei “lumi” della ragione il principale strumento di orientamento per l’esistenza umana, combattendo l’ignoranza, il pregiudizio e la superstizione.
MEMO Si intende per epoca della rivoluzione scientifica il periodo storico convenzionalmente compreso tra il 1543 (anno di pubblicazione del testo di Copernico De revolutionibus) e il 1687 (anno di pubblicazione dei Principia matematica di Newton) caratterizzato da un nuovo modo di considerare la natura, intesa come ordine oggettivo, e la scienza, intesa come sapere sperimentale.
Joseph Wright of Derby, The orrery, 1766 circa (Derby, Museo e Galleria d’Arte della città)
Il quadro raffigura un filosofo mentre tiene una lezione ad adulti e bambini utilizzando un planetario (orrery in inglese) Il planetario meccanico ritratto da Derby serviva per riprodurre in scala il movimento dei pianeti; il pittore qui immagina il filosofo che utilizza una lampada per rappresentare il Sole I ragazzi mostrano uno stupore che nell’arte precedente era riservato a eventi religiosi. Qui invece diventa protagonista quella curiosità per la scienza che caratterizzò il clima illuminista
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6.1 La scienza nel Settecento Un antefatto: la rivoluzione scientifica
non si può comprendere il profondo cambiamento che l’Illuminismo portò nella società europea del settecento se non si mette in luce il suo stretto legame con la rivoluzione scientifica, che nel seicento aveva posto le basi per un radicale ripensamento del modo di osservare la natura. Alla passiva accettazione di una tradizione legata alle indicazioni fornite dalla teologia e dalla filosofia aristotelicoscolastica, essa aveva opposto il metodo sperimentale, che consiste nella formulazione di ipotesi e nella loro verifica mediante l’esperienza, insieme alla rigorosa elaborazione teorica dei risultati. nel XVII secolo intorno all’inglese Isaac Newton (1643-1727), l’astro più luminoso della scienza europea che con le sue scoperte formalizzò le teorie che stanno alla base della fisica moderna, si era venuto a creare, non solo in Inghilterra, un tessuto di cultori della scienza sperimentale assai più vasto di quello esistente al tempo della generazione dei padri della rivoluzione scientifica. molte stelle minori brillavano accanto a newton, condividendone i presupposti ideali: il culto del metodo sperimentale contro la sudditanza alla verità rivelata e imposta dalle Chiese; la libertà di ricerca e di pensiero contro gli autoritarismi della censura; il gusto della scoperta e dell’innovazione contro l’inerzia e il pregiudizio suggeriti dalla tradizione.
La sala dei prestiti in una biblioteca pubblica, stampa, XVIII secolo
Raccolti in accademie, che i sovrani più ricchi e potenti istituirono e finanziarono nella seconda metà del seicento, gli studiosi della natura della generazione di newton diedero vita a una vera e propria comunità internazionale scientifica. Essa accresceva le proprie conoscenze sia attraverso gli esperimenti realizzati nei laboratori sia grazie allo scambio di informazioni attuato per mezzo di periodici specialistici.
PassatoPresente Il potere della scienza
Dalla teoria alla pratica
I risultati dell’attività degli scienziati rappresentavano il fiore all’occhiello di regnanti che intuivano la natura sempre più stretta del nesso tra sapere e potere. E, a partire dalla fine del seicento, gli scienziati cominciarono a disporre di un pubblico di seguaci, disposti ad apprendere le nuove teorie e a sperimentarle, ciascuno nel proprio ambiente. si trattava di quel mondo dei colti di cui abbiamo parlato descrivendo gli ambienti dei gabinetti di lettura e delle società che incoraggiavano le scienze e le arti, dunque dei luoghi nei quali si venivano sviluppando forme di libera socializzazione degli individui (v. cap. 5, par. 5.4). Da patrimonio esclusivo di un nucleo di specialisti, qual era stata fino a quel momento, la vocazione sperimentale cominciò così a divenire un’attitudine mentale più largamente diffusa. Il sapere di cui i frequentatori delle associazioni andavano alla ricerca, sommando le loro quote sociali allo scopo di rifornire di libri e periodici le biblioteche delle rispettive sedi, comportava infatti libertà dai pregiudizi e curiosità per l’inedito e l’inusuale. Dalla lettura delle pubblicazioni scientifiche potevano, poi, scaturire indicazioni e suggerimenti utili ad apportare miglioramenti in ogni campo della vita umana, unendo la teoria alla pratica. Al pubblico colto interessavano soprattutto obiettivi pratici: per esempio l’introduzione di tecniche agrarie più produttive, o di macchine e strumenti perfezionati dalla tecnica o, ancora, di cure mediche idonee ad allontanare, anche se non certo a sconfiggere, lo spettro della morte.
LESSICO Pratica Dal greco práxis, “azione”, è la realtà materiale in quanto prodotta dall’azione dell’uomo. Quando il termine è utilizzato in opposizione a “teoria” indica l’adesione concreta alla realtà in contrapposizione alla pura speculazione astratta.
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
I sensi e la materia
LESSICO Materialismo Teoria che nega l’esistenza di sostanze spirituali, compresa l’anima, ritenendo che tutto ciò che esiste abbia natura corporea.
Alla base di questa maggiore attenzione all’utilità pratica delle innovazioni scientifiche corrispose una radicalizzazione dell’importanza attribuita al mondo dei sensi. nel settecento non solo si affermava l’importanza dell’esperienza sensibile, ma si arrivava a sostenere che «le idee provengono dalle sensazioni», come scriveva nel 1751 Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), nell’introduzione alla Encyclopédie (v. oltre). Dunque, in mancanza dell’esercizio dell’osservazione sperimentale, non si poteva avere, secondo lui, alcuna cognizione reale delle cose. I sensi, dal canto loro, venivano a contatto essenzialmente con la materia; perciò lo studio di quest’ultima rappresentava il primo e basilare campo di applicazione della scienza e della ragione umana. Tuttavia, mentre alcuni illuministi a partire da questi presupposti accettavano comunque l’idea dell’esistenza dell’anima come di qualcosa che sfugge al campo di tensione e di percezione dispiegato tra i sensi e la ragione, altri ritenevano invece che tutto ciò che esiste non è altro che materia. si trattava degli esponenti del materialismo, i più importanti dei quali furono il franco-tedesco Paul-Henry Thiry barone d’Holbach (1723-1789) e il francese Pierre-Jean Cabanis (1757-1808). Tra le varie correnti dell’Illuminismo, quella materialista fu la più radicalmente antitetica alle dottrine religiose, il cui tradizionale presupposto era rappresentato dal principio della superiorità dell’anima – intesa come la parte dell’uomo più prossima a Dio – e dalla corrispettiva svalutazione del corpo e del mondo fisico. L’Encyclopédie
Denis Diderot e Jean D’Alembert, “La filatura”, in Encyclopédie o Dizionario ragionato della scienza, delle arti e dei mestieri, 1751 (Parigi, Biblioteca Nazionale) La tavola ci mostra bene quale importante significato venga attribuito da parte degli ideatori dell’opera alla dimensione della pratica
L’estrema attenzione tanto al mondo sensibile quanto all’utilità pratica delle scoperte scientifiche è alla base dell’opera simbolo dell’Illuminismo: l’Encyclopédie, pubblicata tra il 1751 e il 1772 da Denis Diderot (1713-1784) e Jean d’Alembert.
Le mani si muovono agili: avvolgono il filo, allungandolo e affinandolo sempre di più Dal lavoro delle mani nasce un intreccio uniforme, sottile, assai robusto, adatto a essere raccolto in rocchette, e usato poi in tessitura. Dell’attività pratica la mano è lo strumento principale. Dunque al lavoro manuale, secondo gli enciclopedisti, va tributata quella considerazione che fino a quel momento è stata a esso negata da parte di una cultura pregiudizialmente ostile al corpo e alla materia Del lavoro intellettuale, quello manuale è per molti versi un presupposto. Pratica e teoria vanno unificate, e il lavoro è la loro espressione corale
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Esemplificazione dell’uso di un microscopio solare, strumento inventato nel 1740 con la funzione di proiettore; illustrazione tratta da un trattato tedesco del 1762
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Essa è infatti essenzialmente un dizionario delle scienze e delle arti (comprese quelle meccaniche, che richiedono l’ausilio della tecnologia), che vengono valorizzate e illustrate come strumento per la trasformazione della natura e per la liberazione dell’umanità dal dolore. «È facile rendersi conto – scrivevano Diderot e d’Alembert nel Discorso preliminare all’Enciclopedia – che le scienze e le arti si prestano vicendevolmente soccorso e che esiste di conseguenza una catena che le unisce».
Fonte Diderot - D’Alembert, Discorso preliminare all’Enciclopedia
APPROFONDIRE
I luoghi dell’Illuminismo Olanda, Francia, Svizzera, alcune aree della GermaIrononghilterra, nia e dell’Italia: i luoghi in cui l’Illuminismo attecchì meglio fuquelli in cui la società stava cambiando più rapidamente, in
stanza come la naturale evoluzione di un atteggiamento culturale e mentale già maturato nel secolo precedente, e forgiato dalla duplice esperienza della diffusione della scienza sperimentale e della liberalizzazione religiosa e politica, in Francia esso rivelò un carattere più radicale e anticonvenzionale, caricandosi in modo assai più intenso di valenze politiche. In Italia, infine, esso si manifestò soprattutto in chiave di reazione intellettuale alla cappa di oscurantismo che la Controriforma aveva imposto alle coscienze e ai comportamenti tra Cinque e Seicento, e assunse per questo spiccate connotazioni anticuriali.
ragione o del proprio sviluppo economico o dell’intervento dall’alto dello Stato. Lì si attenuò prima che altrove il controllo delle Chiese sulla libertà di pensiero e si creò lo spazio concreto per proporre una riflessione collettiva sulla felicità terrena. Si trattò, peraltro, di un processo che assunse caratteristiche diverse da luogo a luogo, a seconda del rispettivo contesto di partenza. Se in Inghilterra, infatti, l’Illuminismo si propose in buona so-
La diffusione della cultura nell’età dell’Illuminismo
Uppsala
San Pietroburgo
Stoccolma Glasgow
Mosca
Edimburgo
INGHILTERRA
DANIMARCA Copenaghen
mar Baltico
mare Cambridge del Nord Amsterdam Leida PAESI Gottinga
ROYAL SOCIETY
Londra
Berlino
BASSI Halle Parigi Versailles
ACADÉMIE FRANC˛ AISE
oceano Atlantico
Lipsia
Madrid
SPAGNA
ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI BERLINO
REGNO DI POLONIA
Vienna
Losanna Ginevra Torino
Lisbona
Varsavia
Strasburgo
FRANCIA
PORTOGALLO
Danzica
PRUSSIA
REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO
Pisa
AUSTRIA UNGHERIA Venezia Bologna Firenze
Roma
STATI ITALIANI
MOVIMENTO SCIENTIFICO E LETTERARIO Principali università
Napoli
mar Mediterraneo
Principali centri accademici Luoghi di edizione di riviste scientifiche e filosofiche Osservatori astronomici
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MEMO L’Indice era un elenco di pubblicazioni delle quali la Chiesa cattolica riteneva che fosse opportuno proibire la lettura. Compilato per la prima volta nel 1557 dal Sant’Uffizio (Congregazione della sacra e universale romana Inquisizione), sotto il pontificato di papa Paolo IV, è rimasto in vigore (in versioni di volta in volta aggiornate o modificate) fino al 1966 e ha rappresentato uno dei principali strumenti di espressione della polemica della Chiesa nei confronti della cultura secolare.
Gli ideatori dell’opera erano infatti convinti che anche le attività pratiche (i “mestieri”) avessero la stessa dignità degli studi teorici. Al lavoro manuale, secondo gli enciclopedisti, andava tributata quella considerazione che fino a quel momento era stata a esso preclusa e negata da parte di una cultura pregiudizialmente ostile al corpo e alla materia. La manualità non era per gli illuministi segno di degrado o di inferiorità, ma strumento essenziale di esperienza sensibile: la chiave di quell’approccio pratico alla materia, a partire dal quale la ragione elabora le proprie costruzioni logiche. Per questo il lavoro manuale andava considerato non in contrapposizione ma in collaborazione con quello intellettuale. La pratica e la teoria dovevano essere unificate e il lavoro era la loro espressione corale. ma nell’Encyclopédie c’è anche dell’altro. Per esempio vi si manifestano forti dubbi sull’ispirazione divina della “verità” biblica, che è smentita a ogni passo dalle scoperte della scienza; e vi si trovano l’elogio della tolleranza e la rivendicazione della libertà di pensiero e di espressione. Infine, in qualche passo, vi si ascolta un pensiero che sfida la censura degli stati assoluti e che si spinge fino a sostenere che il potere di chi governa è legittimo solo se deriva dal consenso di chi è governato. non a caso, gli organi preposti alla censura intervennero immediatamente per ordinare la sospensione della pubblicazione dell’opera, che venne messa all’Indice dei libri proibiti nel 1759 e per un certo periodo data clandestinamente alle stampe. Essa conobbe una storia editoriale molto travagliata, nonostante il buon successo di vendita e la grande risonanza politica, e poté vedere la luce, per così dire, a singhiozzo, approfittando di volta in volta della protezione accordatale dai più aperti tra gli uomini che affiancavano il re nel governo della Francia.
6.2 La fiducia nella ragione e la critica alla religione tradizionale Un nuovo spirito filosofico
A favorire i progressi della rivoluzione scientifica avevano contribuito, durante il secolo, molti fattori diversi. L’ulteriore conoscenza della natura e delle culture delle Americhe, per esempio, aveva imposto agli europei non solo di allargare l’ambito di osservazione, ma anche di riconsiderare criticamente un sapere tradizionale che aveva ignorato totalmente il “mondo nuovo”. Gregorio Guglielmi, Allegoria del commercio illuminato, 1766-1767, affresco (Augusta, Palazzo Schatzler)
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una fonte come la Bibbia davanti al “mistero” americano restava penosamente muta, rivelando tutti i suoi limiti. Per altri versi, la composizione di gran parte dei conflitti religiosi interni all’Europa, sancita dalla pace di Vestfalia (1648), aveva reso possibile un orientamento sempre più secolarizzato, cioè lontano da una visione religiosa del mondo, della politica perseguita dai sovrani: ciò accadde tanto nella Francia “assolutista” di Luigi XIV, quanto nell’Inghilterra “liberale” di Guglielmo d’orange e in molti altri stati del continente. Insomma, come scriveva nel 1732 l’intellettuale francese Bernard le Bovier de Fontanelle (1657-1757): «si è diffuso da qualche tempo uno spirito filosofico quasi interamente nuovo, una luce che non aveva illuminato i nostri antenati». La luce di cui parlava era quella della ragione umana liberatasi dalle tenebre del pregiudizio ed emancipatasi dai dettami delle dottrine ecclesiastiche. Era nato quel movimento filosofico che prende il nome di Illuminismo. Il “nuovo spirito filosofico” metteva, dunque, radici su un terreno che i suoi sostenitori percepivano come alternativo – se non direttamente antitetico – a quello coltivato dalla teologia. Quanti se ne sentivano compartecipi contrapponevano volentieri alle credenze tramandate dalla tradizione, e spesso ancora autoritariamente imposte dai poteri costituiti, il gusto per la sperimentazione, per la spassionata osservazione della sfera mondana, per l’esercizio della ragione critica. Guardavano fiduciosamente a un futuro la cui perfettibilità sarebbe dipesa dall’impegno attivo di un’umanità libera dall’affliggente credulità del passato; un impegno che muoveva da presupposti filosofici, per approdare però necessariamente alla critica nei confronti della società e del potere politico.
Carré da Desrais, La ragione, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
Il laboratorio dello storico La critica ai poteri costituiti, p. 158
ANALIZZARE LA FONTE
Ragionare con la propria testa Autore: Immanuel Kant – Tipo di fonte: saggio filosofico – Lingua originale: tedesco – Data: 15 dicembre 1793 Il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse alla fine del Settecento, dopo l’inizio della Rivoluzione francese, un celebre testo in risposta alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?”, di cui riportiamo i passi più famosi. Kant individua nella capacità di ragionare con la propria testa, senza far affidamento su nessun principio di autorità, il senso ultimo di tale corrente filosofica.
L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo. […] A questo Illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di far pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. ma io odo da tutte le parti gridar «non ragionate!». L’ufficiale dice: «non ragionate, ma fate esercitazioni militari». L’impiegato di finanza dice «non ragionate, ma pagate!». L’uomo di chiesa: «non ragionate, ma credete!». I. Kant, Che cos’è l’Illuminismo?, Editori Riuniti, Roma 1991 Domande alla fonte 1. Che cos’è la “minorità” per Kant? 2. Perché per Kant l’uomo è responsabile della sua minorità? 3. Che cosa intende Kant per uso pubblico della ragione?
Emil Doerstling, Kant e i suoi commensali, XIX secolo
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Deismo, agnosticismo, ateismo
LESSICO Deismo, agnosticismo e ateismo Il deismo (dal latino deus, “dio”) è la concezione filosofica che considera dio un ente spiegabile per mezzo della ragione naturale, visto come la forza che ordina il mondo. Si oppone generalmente al teismo, proprio delle religioni rivelate, che crede in un dio non comprensibile per mezzo della ragione, ma oggetto di fede. L’agnosticismo (dal greco ágnostos, “sconosciuto”) ritiene che dio sia inconoscibile e che quindi non si possa dire né che esiste né che non esiste. L’ateismo (dal greco a, “non” e theós, “dio”) ritiene invece che dio non esista.
molti protagonisti del “nuovo spirito filosofico” rifiutarono il culto dell’ortodossia alimentato da chi si arroccava in ostinata difesa dei dogmi delle sacre scritture e professarono una religiosità individuale e personale, liberamente praticabile attingendo al foro della propria coscienza. Essi chiamarono deismo questo personale rapporto con la fede, che per germogliare non aveva bisogno del supporto (né delle costrizioni) di alcuna Chiesa ufficiale. ne furono interpreti principali alcuni pensatori anglosassoni come John Locke (Ragionevolezza del Cristianesimo,1695) e, qualche decennio più tardi, David Hume (Dialoghi sulla religione naturale, 1779). Altri si spinsero anche oltre questo limite, sostenendo che la fede andava comunque di per sé considerata null’altro che superstizione, caotico riflesso di un’infanzia dell’umanità dalla quale bisognava congedarsi. Ci si trovava così davanti alle prime manifestazioni moderne di agnosticismo o di ateismo, apertamente professate da filosofi come il barone d’Holbach, Claude Adrien Helvétius, Julien offroy de La Mettrie (1709-1751). si trattava peraltro di sentimenti che gran parte dei contemporanei giudicava pericolosi per l’armonia sociale, percependoli come un radicale rifiuto di ogni autorità, non solo di quella religiosa, ma anche di quelle secolari, anch’esse basate sul presupposto dell’esistenza di una legittimazione divina del potere giudicata irrinunciabile per la conservazione dell’ordine terreno. Uno spirito di tolleranza
Fonte Voltaire, Il diritto di tolleranza
Un rogo di libri illuministi, stampa satirica, XVIII secolo. Sul rogo bruciano l’Encyclopédie e le opere di Rousseau, Voltaire e degli altri filosofi illuministi. Intorno al fuoco danzano le forze reazionarie, raffigurate come asini
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Pur avendo opinioni diverse, i deisti e gli atei erano d’accordo almeno su un punto: le religioni tradizionali, nei secoli precedenti, erano state causa di guerre e sofferenze. Ciascuna si considerava l’unica custode della verità e questa presunta certezza aveva spinto tutte le Chiese a compiere violenze terribili contro gli avversari. Perseguitare chi professava un credo diverso, infatti, per lunghi anni era stato ritenuto un dovere, un rimedio duro ma necessario per impedire che l’eresia si diffondesse. L’Illuminismo lottò per capovolgere questo modo di pensare e per affermare il principio della tolleranza, di cui si fece fautore in particolare Voltaire (François-marie Arouet 1694-1778) con il suo Trattato sulla tolleranza (1763). sia le autorità ecclesiastiche sia i sovrani dovevano smettere di controllare le coscienze dei sudditi e di punire quelli che non aderivano alla fede ufficiale. uomini e donne con opinioni diverse in materia di fede potevano convivere pacificamente gli uni accanto agli altri.
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Ricevimento presso la loggia massonica di Vienna. Il primo personaggio sulla panca a sinistra è Wolfgang Amedeus Mozart
La Massoneria e l’idea di tolleranza universale
L’idea di una tolleranza universale fu alla base di uno dei veicoli di diffusione della mentalità illuminista: la Massoneria, un’associazione segreta fondata nel 1717 in Inghilterra, che nei decenni seguenti mise radici in tutta Europa, accogliendo al proprio interno anche qualche testa coronata, oltre a un variegato mondo aristocratico e borghese. Gli ideali di filantropia e tolleranza universale che essa propugnava nel 1734 le valsero la condanna ufficiale da parte della Chiesa. Per quanto essa fosse socialmente selettiva, il messaggio massonico arrivò tuttavia anche a chi non aderiva direttamente all’associazione. Furono massoni, sostanzialmente, tutti gli illuministi, e la socializzazione che ebbe luogo nelle logge (le sezioni dell’associazione) sorte in tutte le città europee si contrappose emblematicamente, con i suoi riti di sapore fondamentalmente egualitario, anche se avvolti in una singolare cornice misterica, a quel principio della divisione della società in corpi separati che era caratteristico della società dell’epoca.
LESSICO Massoneria Il nome deriva dalla corporazione medievale dei “liberi muratori” (in inglese free masons) poiché l’associazione che assunse questo nome intendeva edificare, mattone su mattone, un mondo nuovo, basato sulla tolleranza e la ragione.
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Illuminismo e religione ILLUMInIStI
praticano
criticano
tolleranza
teismo
Voltaire
sostengono
agnosticismo/ateismo
d’Holbach
La Mettrie
o
deismo
Locke
Hume
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6.3 La critica sociale e le nuove teorie economiche La nascita dell’opinione pubblica
se il metodo sperimentale e il libero uso della ragione nello studio della natura producevano conoscenze che rendevano migliore l’esistenza umana, perché non farne uso anche in relazione alla critica dei costumi, delle consuetudini sociali, delle leggi esistenti? Come le vecchie concezioni che erano state messe in crisi dal lavoro degli scienziati, anche gran parte delle regole che governavano la società si giustificava infatti in base a un principio autoritario, che veniva ormai percepito come mortificante e oppressivo da chi, nel continente, guardava con crescente interesse all’esempio anticonformista e liberale offerto da paesi come l’olanda e l’Inghilterra, nei quali, come sappiamo, la natura del potere aveva sostanzialmente mutato pelle. se ne apprezzava, in particolare, il costume della discussione critica, il valore riconosciuto all’autonomia di giudizio, la scarsa disponibilità al rispetto delle convenzioni tradizionali. Anche nel resto del continente sorsero più numerosi i luoghi deputati alla formazione di quella che nel secolo seguente sarebbe stata definita “la regina del mondo”: l’opinione pubblica, ossia l’opinione sui problemi di interesse generale che i cittadini si formano attraverso la partecipazione ad accademie, associazioni, salotti, ma anche circoli e caffè. La nuova attitudine collettiva a leggere e a ragionare pose basi solide per lo sviluppo di una critica alle divisioni che separavano l’uno dall’altro i vari corpi della società; e una parte degli esseri umani cominciò a considerarsi come portatrice di diritti individuali e meritevole di libertà personale, invece che come passiva componente di un ordine statico, costruito a compartimenti stagni e basato sui principi dell’obbedienza, della gerarchia, della sudditanza. Anonimo, Coffee-House in Inghilterra, stampa, XVIII secolo (Londra, British Museum). L’illustrazione documenta il buon livello sociale degli avventori del locale, che veniva utilizzato per leggere, per riunirsi, per discutere e confrontare idee e opinioni
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Il rifiuto del passato e la fede nel progresso
L’approccio critico applicato al mondo sociale ebbe come prima conseguenza il rifiuto della società di antico regime: scrutando il mondo che avevano intorno, gli illuministi incontravano a ogni passo credulità, violenza, oppressione e, conseguentemente, erano spinti a sottoporre alla critica della ragione le istituzioni che reputavano responsabili di quelle condizioni, e dunque dell’umana infelicità; per esempio le Chiese ufficiali, le loro strutture oppressive (si pensi all’istituto della censura, quasi ovunque affidato a ecclesiastici, o all’Indice dei libri proibiti), il loro fanatismo. Agli occhi degli illuministi, la storia si era presentata fino a quel momento come una catena senza fine di crimini, guerre, violenze, atrocità, molte delle quali provocate dall’intolleranza delle istituzioni religiose, basata a sua volta sulla pretesa di ogni Chiesa di essere la sola depositaria della verità, e dunque di godere della legittimazione a stroncare nel sangue le altre o a costringere al silenzio i propri dissidenti. I filosofi settecenteschi pensavano a eventi come le guerre di religione del Cinqueseicento, o anche al destino di uno scienziato come Galileo, costretto dalla Chiesa cattolica ad abiurare le proprie scoperte e a tradire la propria coscienza. Alla critica del passato molti illuministi affiancavano la fiducia nel futuro pensando che, poiché sono gli uomini a fare la storia, essi, illuminati dalla luce della ragione, ne faranno un processo di progressivo incivilimento. Era questa la granitica certezza di marie-Jean-Antoine-nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794) nel Quadro filosofico dei progressi successivi dello spirito umano: «la natura non ha segnato alcun limite al perfezionamento delle facoltà umane, […] la perfettibilità dell’uomo è realmente indefinita; […] i progressi di tale perfettibilità, indipendenti ormai da ogni potenza che pretenda arrestarli, non hanno altro termine che la durata del globo in cui la natura ci ha gettato». Utilitarismo, individualismo, liberismo
Il presupposto da cui gli illuministi partivano quando teorizzavano la possibilità di trasformare la realtà sociale consisteva nella convinzione che anche la società, così come la natura, potesse essere studiata scientificamente. Infatti nel settecento si delinearono alcune importanti teorie della società. nel mondo anglosassone nacque l’utilitarismo, fondato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) il quale sosteneva che lo scopo della società è raggiungere la «massima felicità per il maggior numero di persone» e che la felicità terrena, identificata con l’utilità, è ciò che minimizza il dolore e massimizza il piacere. spesso la ricerca dell’utile viene interpretata in senso individualistico, ritenendo che un equilibrato amore per se stessi rappresenti il presupposto per la benevolenza nei confronti degli altri. ma perché tale ricerca vada a buon fine è necessario che ogni individuo sia lasciato libero di perseguire indisturbato i propri personali interessi economici senza vedersi imporre da parte dello stato ostacoli di alcun genere: per esempio barriere doganali, ordinamenti restrittivi della produzione, discipline legali del lavoro, limitazioni alla proprietà privata e ai modi del suo utilizzo. sullo sfondo di questo scenario ideale, a determinare «la massima felicità del maggior numero di persone» provvederebbero automaticamente i meccanismi del mercato, concepito come un ordine naturale, governato dalle leggi della domanda e dell’offerta, alle quali bisogna affidarsi. Ciascun individuo, insomma, impegnandosi esclusivamente a migliorare le proprie condizioni contribuisce a incrementare la ricchezza nazionale.
LESSICO Utilitarismo Dottrina filosofica che considera l’utile individuale o sociale come fondamento della felicità e come unico criterio dell’agire.
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LESSICO Liberismo Teoria economica basata sul principio del laissez faire (“lasciate fare”), sulla libera manifestazione delle forze economiche, cioè la legge della domanda e dell’offerta, dove la domanda è la quantità di merci richiesta dagli acquirenti, mentre l’offerta è la quantità di beni che viene messa a disposizione degli acquirenti. Il liberismo nega quindi allo Stato l’autorità di intervento in materia economica. Fisiocrazia Il nome della scuola deriva dal greco phy´sis,”natura” e kratéo, “dominare”. I fisiocratici ritenevano infatti che bisognasse lasciare che la natura “dominasse” cioè regolamentasse da sola la società, respingendo quindi ogni intervento limitativo da parte dello Stato.
Azienda agricola nella pianura bolognese, XVIII secolo
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negli stessi anni, lo scozzese Adam Smith (1723-1790) propose un’interpretazione più economica di questa teoria, sostenendo che «[L’uomo] mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni […]. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l’interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo». In questa versione il principio utilitaristico si sposta dal piano morale a quello economico e diventa liberismo, ossia dottrina del libero scambio e della libera concorrenza alla ricerca del massimo profitto. La società pertanto diventa essenzialmente un mondo di operatori economici, che non può che essere danneggiato dall’invadenza dello Stato e dall’eccesso di regolamentazione. Smith e i fisiocratici: l’economia come perno regolatore della società
Adam smith nella sua opera La ricchezza delle nazioni (1776) applicò la teoria liberista soprattutto al mondo industriale che vedeva nascere attorno a sé, assegnando grande importanza al principio della divisione e della specializzazione del lavoro salariato, in polemica contro la tradizione incarnata dal sistema delle corporazioni. Prima di smith a porre le basi della teoria liberista erano stati però, in Francia, gli esponenti della scuola fisiocratica. Quest’ultima si chiamava così perché individuava la fonte primaria di ogni possibile ricchezza nell’agricoltura, e non nell’industria e nel commercio, che non producono ma semplicemente si limitano a trasformare e a spostare le merci. Il rappresentante più importante del pensiero fisiocratico era stato François Quesnay (1694-1774), collaboratore dell’Encyclopédie, che nel suo Quadro economico (1758) aveva delineato uno schema teorico di circolazione della ricchezza basato sui buoni uffici della libertà di commercio delle derrate agricole. A suo parere era inopportuno inceppare quella libera circolazione con interventi esterni, come quelli statali di natura fiscale e quelli praticati da molti governi cittadini al fine di ammassare scorte nell’eventualità di possibili carestie.
capItOlO 6 - l’IllumINISmO
6.4 L’Illuminismo e la politica L’individuo di fronte al potere
Lo studio scientifico della società e dei meccanismi economici che la governano portò molti protagonisti del secolo dei lumi a criticare l’irragionevolezza delle leggi e degli ordinamenti secolari. ma questi ultimi, a loro volta, erano l’espressione dell’autorità dei sovrani, i quali, come abbiamo visto, durante la svolta tra seicento e settecento (con l’eccezione del caso inglese) avevano accentuato le proprie pretese di governare legibus soluti, cioè liberi dalle leggi, ovvero senza essere tenuti a rispettare le tradizionali consuetudini che regolavano il rapporto tra potere monarchico e società. Criticare le leggi, dunque, significava non soltanto sferrare un attacco alla tradizione, ma anche minare alle fondamenta la stabilità dei troni, compresi quelli dei sovrani che pure si segnalavano per le loro intenzioni antitradizionalistiche. L’Illuminismo era un’arma a doppio taglio. La sfida antiautoritaria che alcuni degli illuministi lanciavano all’ordine politico esistente, soprattutto nelle parti d’Europa in cui le tendenze di tipo assolutistico si manifestavano con maggior coerenza, era, dunque, radicale. Vedremo però come gli ideali modernizzatori espressi dal mondo dei lumi potessero venire in parte assorbiti, smussati e fatti propri da alcuni sovrani – particolarmente determinati a realizzare riforme antitradizionaliste, senza per questo rinunciare a un esercizio autoritario del potere – in una particolare forma di governo che prese il nome di dispotismo illuminato (v. cap. 8). Diverse visioni politiche: Voltaire, Montesquieu, Rousseau
nella loro visione dello stato e dei suoi compiti, gli illuministi erano tutt’altro che concordi. Alcuni, come il celeberrimo Voltaire, forse la mente più acuta tra gli illuministi francesi, si mostravano convinti che, almeno in una prima fase, l’“illuminazione” del mondo potesse venire perseguita efficacemente anche dall’alto, grazie a una collaborazione tra sovrani e uomini di cultura tesa a imporre il ridimensionamento delle istituzioni che maggiormente contribuivano all’oppressione delle coscienze e alla diffusione dell’intolleranza. Poteva dunque accadere che essi mirassero non a una limitazione, bensì a un rafforzamento del potere regio in chiave assolutista, affinché i sovrani illuminati fossero messi in grado di operare riforme, liberi dagli impacci interposti dai corpi privilegiati e specialmente dalla Chiesa. Nobili e intellettuali alla corte di Federico II di Prussia, dipinto, XVIII secolo. La scena è ambientata nel castello di Sanssouci a Potsdam, presso Berlino, l’equivalente tedesco di Versailles. Alla tavola del re, riconoscibile al centro in abito scuro, è seduto anche Voltaire (è il terzo da sinistra)
Federico II
Voltaire
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LESSICO Separazione dei poteri Teoria delineata per la prima volta da Locke e successivamente sistematizzata da Montesquieu nello Spirito delle leggi, dove si afferma che il potere deve essere diviso tra organi diversi detentori rispettivamente del potere legislativo; di quello esecutivo e di quello giudiziario, in grado di limitarsi e controllarsi a vicenda. Costituzionalismo Sistema di governo basato sulla separazione dei poteri, nel quale l’autorità del sovrano è soggetta al rispetto di una carta costituzionale che garantisce i diritti civili dei cittadini dall’ingerenza dello Stato.
Altri, invece, come Montesquieu (Charles de secondat de montesquieu, 16891755) – autore del saggio Lo spirito delle leggi (1748) nel quale teorizzò il principio della separazione dei poteri – guardavano con simpatia soprattutto al modello politico inglese (v. cap. 3, par. 3.3) e si battevano per la realizzazione di un equilibrio tra il potere del monarca e quello dei ceti più elevati della società, rappresentati nel Parlamento o in altri di quei corpi intermedi (per esempio gli stati provinciali) contro i quali riversava invece le sue critiche Voltaire. nel pensiero di montesquieu si ponevano le radici di quello che sarebbe divenuto in seguito il costituzionalismo liberale, animato da una forte tensione antistatalista e da un accorato impegno per la salvaguardia dei diritti civili, e tuttavia improntato a una visione elitaria dei diritti politici, da consegnare in linea di principio alle sole élite sociali. Ben diversa, infine, era la posizione di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), autore del Contratto sociale (1761), nel quale prospettava una vera e propria rifondazione della società, basata sull’attribuzione della sovranità al popolo (inteso come comunità di eguali). Essa avrebbe avuto il compito di garantire l’attuazione della “volontà generale”, intesa come un virtuale punto di incontro tra le volontà particolari dei singoli. Rousseau poneva così le fondamenta della moderna tradizione democratica, destinata, come del resto il costituzionalismo liberale, a conoscere grande diffusione a partire dalla Rivoluzione francese.
6.5 I limiti dell’Illuminismo I limiti elitari
L’Illuminismo fu un fenomeno elitario poiché coinvolse strati comunque limitati di popolazione. L’Encyclopédie, certo, era stata un grosso successo editoriale, ma in tutto non aveva venduto più di trentamila copie. È vero che tra gli ammiratori degli illuministi si trovavano alcune delle figure più potenti d’Europa: Voltaire, per esempio, fu per lunghi anni ospite del re di Prussia Federico II, e Diderot, a sua volta, della zarina di Russia Caterina II. nondimeno, i pensatori settecenteschi conobbero traversie di ogni genere e incapparono spesso nelle maglie della censura. Anicet-Charles Lemonnier, Lettura del testo teatrale di Voltaire “L’orfana della Cina” nel salotto parigino di Madame Marie-Thérèse Geoffrin, 1775 (Castello di Mailmaison)
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Nicolas Lancret, Dame in un salotto ricevono una visita, 1734 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)
Inoltre, anche se la nuova socialità raccolta nei salotti e nei circoli del il settecento si lasciava orientare dalla filosofia dei lumi, le chiese, i luoghi deputati al culto di quella verità tradizionale e di quel senso di sottomissione che gli illuministi criticavano, continuavano a essere stracolme: nobili, borghesi, artigiani, contadini, vagabondi e marginali erano tutti lì. E soprattutto vi erano le donne, che il pubblico dell’Illuminismo, a dispetto dei principi di emancipazione proclamati, in genere non considerava degne di far parte del nuovo mondo della ragione, della discussione, della sperimentazione. I limiti di genere: il pregiudizio antifemminile
Il settecento è il secolo durante il quale sono alcune donne aristocratiche “regine dei salotti” a organizzare lo scenario in cui si svolge una parte significativa della socializzazione di matrice illuminista, ma è come se esse fossero chiamate a recitarvi un ruolo da comprimarie, quasi fossero un qualificato personale di servizio e non delle protagoniste. Ancora: la voce Femme (“donna”) dell’Encyclopédie ribadisce, in buona sostanza, i tradizionali pregiudizi in relazione alla supposta inadeguatezza della “natura” femminile all’istruzione e allo studio, avanzando il dubbio che quest’ultimo possa «sacrificare un po’ l’innocenza» delle donne e ricordando che, secondo sofocle, il silenzio va considerato «come il più grande ornamento» del genere femminile. E Jean-Jacques Rousseau, nel suo famoso romanzo pedagogico Emilio (1762), uno dei testi più diffusi della stagione illuminista, sostiene senza mezzi termini la legittimità della soggezione femminile all’uomo, malgrado nel Contratto sociale, pubblicato l’anno prima, si fosse fatto portatore di una visione democratica ed egualitaria dal tendenziale valore universalistico. nella sua repubblica ideale, le donne non sono cittadine, né è consigliabile che si istruiscano: il sapere può risultare pericoloso per chi deve consacrarsi al ruolo domestico di “buona madre”. Bisognerà attendere il 1792 perché l’inglese Mary Wollstonecraft (1759-1792) nel suo Rivendicazione dei diritti della donna proponga, polemizzando direttamente con Rousseau, una replica accorata sul tema della cittadinanza femminile che intanto, come vedremo, era stato posto all’ordine del giorno nelle prime fasi della Rivoluzione francese (v. cap. 12, par. 12.4).
Giuseppe Gambarini, Donne e bambini, 1715, olio su tela (Bologna, Pinacoteca Nazionale). In buona parte della discussione filosofica illuminista il ruolo della donna è secondario rispetto a quello maschile
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Il laboratorio dello storico
La critica ai poteri costituiti
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Intorno al 1720 due gentiluomini persiani si recano in Europa e cominciano a scrivere ai loro amici rimasti a casa delle lettere piene di stupore, nelle quali raccontano gli strani costumi delle nazioni di quel continente. È questo il palinsesto delle Lettere persiane, uno dei testi canonici dell’Illuminismo, e in particolare del genere cosiddetto del conte philosophique (“racconto filosofico”), che Montesquieu pubblicò nel 1721. In esso egli affida al principe Usbek e al suo giovane amico Rica il compito di criticare (attraverso l’arma di un’ironia camuffata da ingenuità) i modi di esercizio del governo in un’Europa nella quale all’autoritarismo monarchico si coniugavano l’oscurantismo e l’insinuante pervasività del potere ecclesiastico. Leggiamo qualche brano di queste lettere:
un esempio di alterigia sovrana e di credulità popolare? Qui Rica fa riferimento a quell’aura magico-sacrale che promana della credenza nel potere taumaturgico dei re (la loro supposta capacità di guarire le scrofole, lesioni cutaneee, con il semplice tocco della mano)
Rica, ancora più che dal potere secolare, rimane stupefatto da quello religioso: una finta ingenuità, quella del giovane Rica, ovvero di montesquieu
Rica per spiegarsi allude a ciò che gli europei consideravano “superstizioni” della religione islamica, come il Ramadan
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Il re di Francia […] è un gran mago: esercita il suo impero anche sullo spirito dei suoi sudditi, li fa pensare come vuole. se nel suo tesoro c’è solo un milione di scudi, e gliene occorrono due, gli basta persuaderli che uno scudo ne vale due, ed essi ci credono […] Arriva a far loro credere che può guarirli di ogni male toccandoli, tanto grande è la forza e il potere che ha sugli spiriti.”
Il papa è il capo dei cristiani. È un vecchio idolo, che ora viene incensato per abitudine […] Egli si dice successore di uno dei primi cristiani, chiamato san Pietro, e la sua è certo una ricca successione, perché ha immensi tesori e un vasto territorio sotto il suo dominio […] saprai che la religione cristiana è piena di un’infinità di pratiche difficilissime, e, avendo ritenuto che adempiere ai propri doveri è meno facile che tenere dei vescovi dai quali essere dispensati, per l’utilità pubblica si è preferito il secondo sistema. sicché se non si vuole fare il Ramadan, se non si vuole assoggettarsi alle formalità del matrimonio, se si vogliono rompere i voti, se ci si vuole sposare contro le proibizioni della legge; qualche volta, perfino, se si vuole andar contro il giuramento fatto, si va dal vescovo o dal papa che danno subito la dispensa.
Qui l’allusione è alla facoltà che avevano i vescovi i fornire ai singoli (se potenti) esenzioni speciali in materie regolamentate dalle leggi religiose
capItOlO 6 - l’IllumINISmO
Questo è un riferimento al rosario
C’è un numero infinito di dottori, in maggioranza dervisci, che tra di loro sollevano mille nuove questioni sulla religione […]. Coloro che mettono fuori qualche nuova proposizione vengono dapprima chiamati eretici […]. Ho sentito dire che in spagna e in Portogallo ci sono dei dervisci che non scherzano, e bruciano un uomo come fosse paglia. Quando si cade tra le mani di quella gente, fortunato colui che ha sempre pregato Dio con piccoli grani di legno in mano. senza di ciò un povero diavolo si trova in un brutto imbarazzo. Quand’anche giurasse come un pagano di non essere eretico, sarebbe possibile non arrivare ad accordarsi sulle qualità e bruciarlo come eretico. Avrebbe un bel presentare la sua distinzione: niente distinzione! sarebbe in cenere ancor prima che pensassero di ascoltarlo.
Anche in questo brano, come nel precedente, montesquieu traduce le stranezze della società monarchico-cristiana occidentale in immagini (il Ramadan, per esempio, e i dervisci) comprensibili ai suoi possibili interlocutori
In un altro passaggio, Montesquieu/Rica indugia ancora su quelli che egli ritiene i lati irrazionali della religione cattolica, e ricorda come le donne non siano ritenute degne di accostarsi alle Sacre Scritture, un pregiudizio che il papa aveva riproposto ancora nel Settecento:
nella percezione cristiana l’Islam si caratterizza per una forte componente misogina, ma qui l’obiettivo è far vedere come essa sia presente anche nel cattolicesimo
Bisogna tuttavia riconoscere che questo muftì [cioè il papa] non ragiona poi male, e, per il grande Alì, si crederebbe che sia stato istruito nei principi della nostra santa legge. Infatti, poiché le donne sono di una creazione inferiore alla nostra, e i nostri profeti dicono che non entreranno in Paradiso, perché dovrebbero impicciarsi di leggere un libro che è fatto per insegnare la via del Paradiso? C. de secondat de montesquieu, Lettere persiane, lettere XXIV e XXIX, Rizzoli, milano 2000
il riferimento è alle Sacre Scritture, presentate come la versione cristiana del Corano
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato di analizzare alcuni passaggi di una singola fonte, che è costituita da un’opera filosofica scritta in forma di racconto, un genere letterario piuttosto diffuso nel Settecento. • Nel primo dei brani qui proposti l’Europa viene rappresentata come una civiltà immersa nella superstizione e nella credulità. Ma gli europei come consideravano, all’epoca, quell’Oriente dal quale proviene il principe Usbek che anima il racconto di Montesquieu? • Qual è il sentimento prevalente che affiora dal racconto di Montesquieu? Qual è il valore che egli intende sostenere, mostrando attraverso l’arma del sarcasmo quanto esso sia poco considerato nell’Europa religiosa del suo tempo?
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capItOlO 6
L’ILLUMINISMO
mappa Rivoluzione scientifica e metodo sperimentale
Attenzione al mondo sensibile (materialismo)
Diffusione del metodo sperimentale e della libertà di ricerca
Rivalutazione dell’utilità pratica della scienza
Opera simbolo: Encyclopédie
fenomeno elitario
IllumINISmO
Strumenti di diffusione: • Massoneria • gabinetti scientifici,
Limiti pregiudizio antifemminile
circoli letterari
Idee
Religione
politica
Uso critico della ragione
Tolleranza religiosa
Volontà di riforma
Tolleranza
Deismo
Dispotismo illuminato
Economia
Rifiuto dell’intervento statale Fisiocrazia
oppure
Uso pratico della scienza Rifiuto del dogmatismo
oppure
Agnosticismo o ateismo
Liberismo Monarchia costituzionale oppure
Repubblica
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capItOlO 6
L’ILLUMINISMO
Sintesi 6.1 LA SCIENZA NEL SETTECENTO La rivoluzione scientifica è una premessa fondamentale per lo sviluppo dello spirito illuminista. Grazie al metodo sperimentale, essa mise in discussione l’accettazione acritica delle verità rivelate e della tradizione aristotelico-scolastica e diede un forte impulso allo sviluppo della libertà di ricerca e di pensiero. Inoltre, grazie alla rivoluzione scientifica cominciarono a nascere gruppi, associazioni, circoli, club che permisero la diffusione della nuova vocazione sperimentale. nel settecento divenne centrale l’attenzione al mondo dei sensi e all’utilità pratica delle scoperte scientifiche. Venne meno il divario tra teoria e pratica, tra studi teorici e attività. simbolo di questa nuova mentalità fu l’Encyclopédie, pubblicata tra il 1751 e il 1772 da Diderot e d’Alembert. 6.2 LA FIDUCIA NELLA RAgIONE E LA CRITICA ALLA RELIgIONE TRADIZIONALE La comune critica al peso della tradizione e la crescente fiducia nei poteri della ragione non portarono però gli illuministi ad avere una visione comune riguardo al problema religioso. Alcuni continuarono a credere nell’esistenza di un dio razionale, ma teorizzando un approccio individuale alla fede (deismo); mentre altri arrivarono a negare l’esistenza della divinità, professando l’ateismo o l’agnosticismo. Comune a tutti fu però il ripudio del fanatismo e l’affermazione del principio di tolleranza, ben esemplificato dalla nascita della Massoneria, un’associazione segreta di cui fecero parte i principali intellettuali dell’epoca e anche alcuni regnanti. Fondata nel 1717 in Inghilterra, essa professava la fratellanza e la tolleranza universale e per questo fu condannata dalla Chiesa nel 1734. 6.3 LA CRITICA SOCIALE E LE NUOvE TEORIE ECONOMIChE Gli illuministi sottoposero all’esame della ragione anche la società di antico regime, fondata su privilegi e diseguaglianze, che venivano ormai percepiti come mortificanti e oppressivi. sorsero molti luoghi (accademie, associazioni, salotti, ma anche circoli e caffè) deputati alla formazione dell’opinione pubblica, ossia l’opinione sui problemi di interesse generale.
La nuova attitudine collettiva a leggere e a ragionare pose basi solide per lo sviluppo di una critica alle divisioni che separavano l’uno dall’altro i vari corpi della società. si diffusero nuove teorie “scientifiche” della società come l’utilitarismo di Jeremy Bentham, che professava la “massima felicità per il maggior numero di persone”. nacque la nuova scienza economica, che propugnava la libertà di commercio e rifiutava l’intervento dello stato nelle questioni economiche. Questa posizione venne teorizzata dai fisiocratici che riconoscevano nell’agricoltura l’unica vera ricchezza della nazione, e poi ripresa dal liberismo di Adam smith, che con la teoria della “mano invisibile” sosteneva la possibilità di un accordo armonico tra l’interesse individuale e l’utilità collettiva.
6.4 L’ILLUMINISMO E LA POLITICA Dal punto di vista politico, pur nella comune critica degli arbitri del potere costituito, diverse furono le posizioni relative al tipo di governo da instaurare. Alcuni illuministi, come Voltaire, ritenevano che le riforme sociali dovessero essere promosse dall’alto grazie alla collaborazione tra sovrani illuminati e intellettuali; altri, come Montesquieu, preferivano il modello costituzionale inglese, basato sulla limitazione del potere del re da parte del Parlamento. Infine Rousseau si spinse fino alla proclamazione della sovranità popolare. 6.5 I LIMITI DELL’ILLUMINISMO nonostante la sua importanza nel rinnovamento culturale e sociale, l’Illuminismo restò però un movimento elitario che coinvolse solo una parte della popolazione, quella borghese. Esso, inoltre, continuò a ribadire i tradizionali pregiudizi sul ruolo della donna nella società, ritenuta indegna di far parte del nuovo mondo della ragione. Bisognerà attendere il 1792 per vedere per la prima volta rivendicato dall’inglese mary Wollstonecraft il diritto alla cittadinanza femminile.
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Capitolo 7
InghIlterra, FrancIa e PenIsola IberIca: vecchIe e nuove lIbertà 7.1 L’Inghilterra degli Hannover Gli Hannover sul trono
LESSICO Giacobiti Erano così definiti i sostenitori del deposto Giacomo II, i quali, ancora fino alla metà del Settecento, cercarono di ottenere la restaurazione della dinastia Stuart sul trono d’Inghilterra.
William Hogarth, La sollecitazione dei voti elettorali, 1754 (Londra, Sir John Soane’s Museum)
Il dipinto ironizza sulla corruzione della classe politica in occasione delle elezioni del 1754, raffigurando una complicata scena in un piccolo centro inglese in una via su cui si affacciano due locande Davanti all’insegna di una delle osterie pende un cartello elettorale: nella parte superiore è raffigurato un carro dinanzi al ministero del Tesoro, su cui si caricano sacchi colmi di danaro; nel registro inferiore appare un candidato mentre elargisce danaro a manciate Al centro i gestori delle due locande si contendono un ricco signorotto che accetta lusinghe da entrambi
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nel corso del settecento l’Inghilterra imboccò con decisione quel cammino verso la libertà moderna che la Glorious revolution del 1688 aveva avviato (v. cap. 3, par. 3.3). all’interno della società inglese, specie nelle file dell’aristocrazia, esistevano in verità forze che coltivavano ancora il sogno di una restaurazione della monarchia tradizionale, immaginando di richiamare sul trono alla prima occasione propizia qualche discendente del deposto giacomo II stuart. si trattava dei cosiddetti giacobiti, che a tal fine operarono tentativi armati una prima volta nel 1715 e una seconda tra il 1745 e il 1746, ma i loro progetti fallirono, anche se, in occasione del secondo tentativo, gli insorti giunsero alle porte di londra e il re in carica, Giorgio II (1683-1760, re d’Inghilterra dal 1727), considerò seriamente l’ipotesi di abbandonare la città per mettersi in salvo. giorgio II apparteneva alla dinastia degli Hannover, una casata tedesca che aveva assunto la responsabilità della corona d’Inghilterra nel 1714, alla morte della regina anna stuart.
già nel 1701, infatti, il Parlamento inglese aveva approvato l’Act of Settlement che fissava il principio dell’adesione alla fede protestante, quale prerequisito per cingere la corona inglese, ed escludeva dalla successione la linea maschile della dinastia cattolica degli stuart. con gli hannover approdava al trono d’Inghilterra una dinastia i cui primi due esponenti, giorgio I (1660-1727, re d’Inghilterra dal 1714) e giorgio II mantennero saldi i legami con la lingua, la cultura e la terra d’origine, che costituiva uno degli elettorati del sacro romano impero. L’affermazione del sistema parlamentare
Il relativo disinteresse degli Hannover per le questioni inglesi facilitò la piena affermazione del sistema parlamentare. entrambi i sovrani, infatti, non fecero mai uso di quel diritto di veto (la prerogativa regia) nei confronti delle deliberazioni parlamentari che in teoria la legge vigente accordava ai regnanti. si consolidò, viceversa, la consuetudine che il governo, titolare del potere esecutivo, fosse tenuto a procurarsi preventivamente una maggioranza parlamentare di sostegno, anche se a nominarne i membri era il sovrano di turno. ecco come uno storico descrive la situazione che ne scaturì: «Il re, la camera dei lord e la camera dei comuni costituivano il corpo legislativo della nazione, ma il re ne faceva parte solo di nome, poiché l’unico suo diritto, cioè il diritto di veto, non venne più usato dai tempi della regina anna» (W. r. brock). nasceva il cosiddetto governo di Gabinetto, dipendente non dal re, ma dal Parlamento che poteva revocarlo. e il Parlamento – o, meglio, la camera dei comuni – era a sua volta l’espressione di un corpo elettorale che, per quanto ristretto, rappresentava le forze prevalenti di una società nella quale le élite sociali vecchie e nuove stavano avviando inedite esperienze di interscambio e mescolamento: «banchieri, avvocati, mercanti di grano acquistavano le proprietà fondiarie delle antiche famiglie aristocratiche, mentre i membri più giovani di queste si davano a loro volta al commercio, alla giurisprudenza o si facevano assumere dalla compagnia delle Indie orientali». Il ceto politico parlamentare, d’altro canto, si configurava anche come ceto di governo locale, dal momento che i suoi esponenti assumevano molto spesso quella carica di giudice di pace, il cui esercizio consentiva di agire come patroni all’interno dei borghi (boroughs), perlopiù rurali, che fornivano al Parlamento tre quarti dei membri. Il giudice di pace era l’autorità più importante delle comunità locali, e gli si dovevano rispetto e deferenza.
LESSICO Diritto di veto Dal latino veto, “vietare”, nel diritto pubblico romano indicava la facoltà di opposizione del magistrato o del tribuno. Per estensione indica la prerogativa di bloccare o rigettare una decisione assembleare esprimendo parere negativo.
I whigs e i tories
l’Inghilterra degli hannover, un paese la cui società si mostrava sempre più sensibile al fascino della ricchezza acquisita attraverso le attività commerciali e sempre meno propenso a rispettare i tradizionali steccati di status, durante la prima metà del secolo fu guidata dal partito whig, la cui base sociale era formata soprattutto da proprietari fondiari (la gentry) e nuovi imprenditori, ma al cui elettorato contribuivano attivamente anche i dissidenti religiosi, che riconoscevano nella sua ideologia, liberale e progressista, la miglior tutela per il rispetto della loro fede. all’opposizione stava invece il partito tory, conservatore. Il grande protagonista della vita politica in quei decenni fu il whig robert Walpole (1676-1745) che, capo del gabinetto tra il 1721 e il 1742, impostò una strategia tesa a favorire quell’espansione finanziaria e commerciale che rappresentava uno dei vanti della nuova società inglese; una società che nutriva una fiducia inedita nei confronti del pubblico potere e che, per questo, acquistava per esempio senza remore i suoi titoli di Stato sapendo che a garantire il debito pubblico c’era il Parlamento.
Il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento, p. 172
MEMO La gentry era la piccola nobiltà terriera affermatasi in Inghilterra soprattutto nel Cinquecento. Sostenne la politica parlamentare durante la rivoluzione inglese.
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
LESSICO Clientelismo Nell’antica Roma era il legame giuridico che si instaurava tra patrizi e plebei (clientes ). Per estensione, indica generalmente la pratica di scambio tra un politico, che offre e promette benefici, e un cittadino che gli garantisce il suo voto alle elezioni. Patronato Nel diritto romano è il rapporto personale che si stabilisce tra padrone e liberto (lo schiavo liberato) in seguito all’affrancamento. In generale indica un rapporto di protezione e di tutela.
Gli intrecci tra politica e amministrazione
Il Parlamento, diviso tra una Camera dei Lord, nella quale si respirava un’atmosfera ancora simile a quella di un’alta corte di giustizia (tipica delle rappresentanze territoriali di antico regime), e una Camera dei Comuni nella quale predominava invece lo stile di discussione animato e a tratti rissoso caratteristico del conflitto politico moderno, basato sullo scontro tra interessi contrapposti, era al tempo stesso il canale d’espressione dell’opinione pubblica e lo strumento di distribuzione delle cariche dell’apparato amministrativo. tra Parlamento e amministrazione c’era di fatto un’osmosi, non di rado contraddistinta da forme di clientelismo e di patronato. I deputati, infatti, costruivano il proprio successo offrendo ai propri elettori ricompense sotto forma di assegnazione di cariche pubbliche, alle quali erano connessi benefici finanziari. e, tuttavia, la loro funzione non si esauriva naturalmente in questo; nella sede parlamentare, infatti, in primo luogo si tutelava quella libertà britannica di cui gli inglesi andavano particolarmente fieri e che costituiva oggetto di ammirazione, se non di invidia, presso l’opinione pubblica progressista di tutta europa. Il regno di Giorgio III
Allan Ramsay, Giorgio III di Hannover, 1762 circa
sotto il regno di Giorgio III (1738-1820, re d’Inghilterra dal 1760) vi fu un iniziale tentativo da parte del monarca di far pesare di nuovo l’istituto della prerogativa regia nella guida del paese, anche a costo di sfidare la maggioranza parlamentare e il suo naturale retroterra di legittimazione, il corpo elettorale e l’opinione pubblica. egli si appoggiò ai tories per contrastare lo strapotere dei whigs. Il risultato non fu però tanto un ritorno all’indietro, quanto semmai la nascita di nuove forze politiche di orientamento radicale, che rinforzarono nell’ambito della società civile un’opposizione guidata ora dai whigs. va ricordata, in tal senso, la figura di John Wilkes (1725-1797), leader democratico capace di coagulare attorno a sé un consenso crescente, che si proponeva non solo di estendere i diritti civili e religiosi, ma anche quelli politici, rivendicando la necessità di una riforma elettorale. nel frattempo, a partire dagli anni cinquanta, l’Inghilterra aveva arditamente consolidato l’egemonia commerciale sulle rotte mondiali che tanto doveva contribuire alle sue fortune tra sette e ottocento, e aveva al tempo stesso rafforzato i propri insediamenti coloniali.
APPROFONDIRE
La libertà britannica cosa consisteva esattamente la libertà britannica? EccoIW.nneche un quadro efficace e incisivo fornito dallo storico inglese R. Brock in Storia del mondo moderno: «Sebbene la costituzione fosse un concetto vago, tutti erano d’accordo nel ritenere che il suo scopo fondamentale era quello di garantire la libertà dell’individuo, un privilegio che la gente considerava peculiare della razza inglese, conquistato dalla saggezza e dai sacrifici delle generazioni precedenti. Un inglese non poteva essere né arrestato, né incarcerato, né punito arbitrariamente; non poteva neppure essere tassato senza il consenso dei suoi rappresen-
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tanti, che lui stesso aveva eletto; poteva riunirsi con i suoi amici e dire cosa pensava purché non turbasse la quiete pubblica; poteva scrivere quello che voleva, purché non si trattasse di una pubblicazione oscena o di un libello sedizioso, blasfemo o diffamatorio. Ma più realisticamente, poiché era il parlamento a fare le leggi, la libertà del cittadino consisteva nell’avere il diritto di fare tutto ciò che il parlamento considerava onesto oppure, poiché l’esecuzione della legge era nelle mani delle autorità locali, tale libertà consisteva nell’osservare la legge nel senso che queste autorità le attribuivano».
capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà
L’era dei Pitt: le conquiste in America e in India
nel corso della Guerra dei sette anni, quando al governo si trovava William Pitt il vecchio (1708-1778), gli inglesi avevano strappato alla Francia il Canada e l’Ohio in america e la base di Pondichéry in India (ribattezzata Pondicherry), e alla spagna la Florida e parte delle Antille. nei decenni successivi – è vero – le colonie in nord america dichiararono la propria indipendenza, costituendosi in nazione (v. cap. 11); ma intanto l’Inghilterra, approfittando dello stato di crisi e disfacimento dell’Impero Moghul, avviò sotto la guida di Warren hastings, nominato nel 1771 primo governatore del bengala, la conversione della propria presenza nel subcontinente indiano da semplice rete di insediamenti costieri in vero e proprio dominio coloniale territoriale, pur sempre sotto le insegne della compagnia delle Indie orientali, che veniva però adesso fortemente controllata dal governo. negli anni Ottanta, mentre re giorgio III, in seguito all’aggravamento dei disturbi mentali di cui soffriva, si allontanava dalla vita pubblica, lasciando campo libero alla ripresa della centralità parlamentare, saliva alla testa del governo William Pitt il giovane (1759-1806), figlio dell’omonimo che aveva retto il gabinetto durante la guerra dei sette anni. I due mandati di Pitt il giovane (1783-1801, 1804-1806) si sarebbero contraddistinti da un lato per l’avvio del conflitto con la Francia rivoluzionaria (v. cap. 12), dall’altro per l’affermazione all’interno del paese di un’altra rivoluzione, quella industriale (v. cap. 10).
MEMO La Guerra dei sette anni fu combattuta tra il 1756 e il 1763 tra le potenze europee. Il conflitto aveva interessato anche le colonie, sancendo il predominio dell’Inghilterra sulla Francia [vedi p. 83]. L’Impero Moghul, fondato nel 1526 da un condottiero musulmano di origine afgana, Baber, tra il XVI e il XVII secolo aveva dominato sul vasto territorio della penisola indiana. Il dominio moghul cominciò a declinare nel Settecento anche a causa dell’espansionismo del conquistatore afgano Nadir Shah che nel 1736 assediò e saccheggiò Dehli [vedi pp. 16-18].
7.2 La Francia di Luigi XV La scomparsa di Luigi XIV
appena un anno dopo l’ascesa al trono d’Inghilterra del primo hannover, nel 1715, moriva a Parigi Luigi XIV, colui che più di ogni altro aveva dato l’impronta all’età dell’assolutismo nell’europa continentale; subito si rese evidente come quell’esperienza fosse destinata a dissolversi insieme alla sua persona. Dopo i decenni del grande protagonismo regio e dell’imbavagliamento delle autonomie territoriali rappresentate dai Parlamenti e dagli États, ebbe infatti inizio una nuova fase durante la quale il potere monarchico – e la sua pretesa di irradiarsi senza ostacoli per diritto divino – sarebbe stato ripetutamente messo in discussione e impedito nelle sue iniziative. a intralciarlo furono per un verso i vecchi corpi privilegiati tornati di nuovo in pieno vigore, per l’altro gli strali della critica illuministica e dell’opinione pubblica che dietro di essa si celava. Un incontro al municipio di Parigi per discutere della costruzione di un monumento dedicato a Luigi XIV (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)
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Fra i tre attori schierati in campo – il monarca, il mondo tradizionale e l’opinione pubblica ispirata dall’illuminismo – si apriva nel 1715 una confusa partita, durante la quale le alleanze o le convergenze mutarono più volte. La reggenza di Filippo d’Orléans
LESSICO Polisinodia Dal greco poly´s, “molto” e sy´nodos, “riunione”, letteralmente “più consigli”, fu un sistema di governo che ebbe origine durante la reggenza del regno di Francia tra il 1715 e il 1718 da parte di Filippo d’Orléans. In questo sistema ogni questione veniva discussa in seno a un consiglio apposito, che sostituiva i tradizionali segretari di Stato o ministri.
Quando luigi XIv morì, il suo successore, il pronipote Luigi XV (1710-1774, re di Francia dal 1715), aveva appena cinque anni e a reggere il paese in sua vece fu un altro membro della casa reale, Filippo d’Orléans (1674-1723), uomo profondamente influenzato dalle opere di un nucleo di intellettuali che si battevano per il rilancio dell’aristocrazia e dei suoi poteri tradizionali, tra i quali Fénelon (com’era conosciuto François de salignac de la Mothe-Fénelon, 1651-1715) e henri de boulainvilliers (1658-1722). sotto Filippo il Parlamento di Parigi riacquisì immediatamente quel diritto di resistenza (cioè di impedire l’entrata in vigore di nuove leggi, v. cap. 2, par. 2.1)che aveva perduto durante il regno del re sole e il reggente istituì il sistema della “polisinodia”, articolato in sei consigli (consiglio di coscienza, su temi religiosi e morali; consiglio delle relazioni esterne; consiglio di guerra; consiglio della marina; consiglio delle finanze; consiglio degli interni e del commercio), ciascuno composto da dieci membri, molti dei quali appartenenti alla vecchia aristocrazia. l’insieme di questi consigli costituiva il consiglio di reggenza. ciò equivaleva a restituire alla Francia tradizionale una ben percepibile autorità di governo e a ribaltare le tendenze che erano state proprie del lungo regno di luigi XIv. Il fallimentare tentativo di John Law
LESSICO Bancarotta Insolvenza, cioè mancato pagamento dei propri debiti, di un imprenditore costretto a dichiarare fallimento. Il termine deriva dall’antica usanza di rompere i banchi dei commercianti falliti.
MEMO La Fronda fu quell’insieme di sommosse che tra il 1648 e il 1653 mise a subbuglio la Francia, obbligando il giovanissimo Luigi XIV ad abbandonare la capitale Parigi insieme al cardinale Mazzarino, il quale lo assisteva come consigliere politico.
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nel frattempo lo stato stava rischiando la bancarotta. avendo rinunciato ad attaccare i corpi privilegiati sotto il profilo fiscale nel timore di una nuova Fronda, Filippo d’orléans pensò di portare qualche sollievo al dissesto economico ricorrendo ai servigi di John Law (1671-1729), uno spregiudicato finanziere scozzese che fu autorizzato a fondare una banca abilitata a emettere carta moneta, nella speranza che l’aumento della massa monetaria in circolazione rianimasse il ciclo economico. all’epoca la quantità di cartamoneta emessa da una banca corrispondeva al valore dei metalli preziosi in essa depositati, in modo che, su richiesta, il denaro potesse essere immediatamente convertito in oro e argento. law, invece, riteneva che questo metodo fosse superato e che la base delle emissioni dovesse essere legata ad altri beni come la terra e il capitale azionario. In un primo momento l’economia parve riprendersi e law non solo poté istituire la Compagnia delle Indie occidentali, delle cui azioni inizialmente venne fatta incetta, ma nel 1720 fu anche nominato controllore generale delle Finanze. la bolla speculativa alimentata dalle iniziative di law appena qualche mese dopo cominciò però a sgonfiarsi. la compagnia si rivelò un fallimento e ci fu una corsa febbrile a sbarazzarsi delle azioni e a riconvertirle in moneta. sopraffatta dalle richieste, la banca di law, che faceva da garante alle operazioni, non poté che annunciare la sospensione dei pagamenti e il finanziere scozzese, per evitare guai peggiori, fuggì precipitosamente dalla Francia, lasciando sul lastrico molti creditori. a tutelarli non c’era certo un’istituzione come quella del Parlamento elettivo inglese. Questa vicenda fu in qualche modo paradigmatica della diversa qualità della libertà fruita rispettivamente da chi, come i francesi, viveva esposto alle possibili vessazioni delle autorità e chi, come gli inglesi, non aveva da temere colpi mancini da parte dei pubblici poteri.
capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà
La consacrazione di Luigi XV re di Francia nel 1722, litografia, XIX secolo. Alla morte di Luigi XIV il suo successore aveva solo 5 anni e fino ai 12 (età in cui è raffigurato nella litografia) governò in sua vece Filippo d’Orléans
Il regno di Luigi XV
nel 1723, alla morte di Filippo d’orléans, perdurando la minorità di luigi Xv, ora tredicenne, ad assumere di fatto la guida suprema del regno fu il suo precettore, il cardinale André-Hercule de Fleury (1652-1743), il quale per una ventina d’anni si sforzò di trovare un punto di equilibrio, per quanto precario, tra le varie fazioni che si contendevano l’iniziativa politica nell’ambito di una corte tornata in mano, dopo i fasti assolutistici di luigi XIv, alle varie famiglie aristocratiche. Quando, nel 1730, Fleury, assecondando gli auspici della fazione più devota e bigotta, cercò di trasformare in legge dello stato la bolla Unigenitus, emanata nel 1713 da clemente XI e accolta da luigi XIv con l’intento di perseguitare i giansenisti, fu il Parlamento di Parigi, geloso custode dell’autonomia della chiesa gallicana, a prendere le difese di questi ultimi, ingaggiando un nuovo prolungato conflitto con la monarchia. alla morte di Fleury, nel 1743, Luigi XV ritenne fosse ormai giunto il momento di governare in prima persona. egli morì nel 1774 e, se si contano anche gli anni della sua minorità, il suo regno (1715-1774) alla fine si rivelò lungo quasi quanto quello del suo predecessore, ma mentre il potere di luigi XIv era cresciuto costantemente, il suo venne costantemente sottoposto a tensioni centrifughe. Presso la sua corte, grazie alla marchesa di Pompadour (1721-1764), amante ufficiale del re, trovarono protezione i philosophes, gli uomini del “partito” illuminista, ma la loro propaganda antireligiosa trovò, al tempo stesso, un forte ostacolo nella fazione clericale, pure accreditata a corte e organizzata intorno alla legittima consorte del monarca. nel 1753 il Parlamento di Parigi, di fronte all’eventualità di una nuova stretta accentratrice e statalista, pubblicò le sue Grandes remontrances (“grandi rimostranze”), nelle quali riaffermava la propria funzione di custode e difensore delle leggi fondamentali dello Stato e adombrava la possibilità di dare vita a una nuova Fronda. Poco meno di dieci anni più tardi, nel 1762, fu soprattutto su sollecitazione dei Parlamenti che il re si decise, malgrado il disappunto della fazione clericale, ad aderire alla campagna antigesuitica avviata nel 1759 dal Portogallo e ad espellere a sua volta dal regno i gesuiti, i quali rappresentavano l’emblema più caratteristico dell’influenza di segno conservatore che la curia romana esercitava sull’istruzione pubblica e più in generale sulla cultura (v. par. 3).
MEMO I giansenisti appartenevano al movimento spirituale fondato dal vescovo di Ypres Cornelius Jansen, sostenitore di una fede profondamente interiorizzata e critico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. Erano stati perseguitati da Luigi XIV che li considerava pericolosi per il suo progetto assolutistico [vedi p. 49].
Maurice Quentin de La Tour, Ritratto della marchesa di Pompadour, 17521755 circa (Parigi, Museo del Louvre)
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
Uno spettacolo di fuochi d’artificio in occasione della fine della Guerra dei sette anni (1763)
Il protagonismo parlamentare
Inclusione/Esclusione Ceti, ordini, caste, p. 177
nel 1763 i Parlamenti, sempre più fiduciosi nella propria forza, imposero al re il licenziamento del ministro delle Finanze henri-léonard bertin (1720-1792), che aveva proposto la redazione di un catasto moderno e l’introduzione di misure di liberalizzazione economica ispirate alle idee dei fisiocratici. era la prova evidente del fatto che i vecchi corpi privilegiati, parte delle cui aspirazioni erano proprio i Parlamenti a esprimere, mantenevano per il momento il controllo della situazione. lo avevano dimostrato, del resto, già nel corso degli anni cinquanta, con la loro azione di sabotaggio della nuova imposta del vingtième (il prelievo di un ventesimo sui redditi di qualsiasi natura), destinata a colpire tutti, compresi i ceti che fin lì avevano goduto di esenzione. Introdotta dal controllore delle Finanze Jean baptiste Machault (1701-1794), in carica tra il 1745 e il 1754, essa si era rivelata talmente efficace da scatenare una reazione così forte da obbligare il governo a tornare indietro sui propri passi. Il “colpo di Stato” di Maupeou contro i Parlamenti
tra il 1770 e il 1774 il nuovo cancelliere, rené nicolas de Maupeou (17141792) riuscì a convincere luigi Xv a effettuare una virata antiparlamentare che per la sua radicalità assomigliava molto a un colpo di stato. al dicastero degli esteri il filoparlamentare Étienne-François de choiseul (1719-1785), che guidava la politica estera della Francia dal 1758, venne sostituito dal duca di Aiguillon (17201782). egli qualche anno prima era stato allontanato dalla bretagna, dove rappresentava il re, dal Parlamento locale, che era sceso quasi in sollevazione accusandolo di voler trasformare il governo monarchico in puro e semplice dispotismo. a controllare le finanze, formando una triade di governo con Maupeou e aiguillon, era stato nel frattempo chiamato Joseph-Marie Terray (1715-1778), anch’egli tutt’altro che ben disposto nei confronti delle pretese dei Parlamenti. Insieme si impegnarono in un’azione volta a ricondurre questi ultimi entro quelli che ritenevano dovessero essere i loro limiti, ed ebbero qualche successo nel temperarne e circoscriverne i continui ostruzionismi. al tempo stesso la loro politica si indirizzò verso la promozione di quel commercio transoceanico, specie con le Indie occidentali, che, malgrado gli insuccessi di law, e la successiva perdita del canada e di altri territori nell’america del nord al termine della guerra dei sette anni, pure si presentava come il promettente 168
capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà
scenario di un rilancio economico che comportava anche l’avvio di un rimescolamento di posizioni al vertice delle gerarchie sociali del declinante antico regime francese. Il rinnovarsi e il rafforzarsi di questi commerci erano la prova che, accanto ai vecchi corpi privilegiati, una borghesia degli affari emergente cominciava a pretendere per sé un’adeguata considerazione da parte del governo. nel 1774, tuttavia, l’ascesa al trono di Luigi XVI (1754-1793) parve annunciare una nuova inversione di tendenza e si concretizzò, inizialmente, nell’ennesima ripresa della vecchia Francia alla quale i Parlamenti davano voce.
ANALIZZARE LA FONTE
Il sogno di un futuro migliore Autore: Louis Sébastien Mercier – Tipo di fonte: romanzo – Lingua originale: francese – Data: 1770 Nel 1770 un parigino si addormenta, come ogni giorno; ma non si risveglia la mattina seguente, bensì sette secoli dopo, nell’anno 2440. Comincia così L’anno 2440, un romanzo scritto dal francese Louis Sébastien Mercier (1780-1814), la prima opera narrativa in cui si faccia uso della tecnica “fantascientifica” della proiezione della narrazione nel futuro. L’io narrante si era addormentato in quella Francia che abbiamo descritto in questo paragrafo: la Francia della riscossa aristocratica, del rinvigorito protagonismo dei Parlamenti, del momentaneo opacizzarsi dell’irradiazione ideale illuminista. Ma il mondo in cui egli riapre gli occhi dopo il lungo sonno sembra situato lontano anni luce rispetto a quello della sera precedente; infatti non vi si rispettano e nemmeno si conoscono le regole relative al rango, né si attribuisce importanza al codice dell’abbigliamento tipico dell’antico regime. Stupito dalla bizzarria dei pomposi abiti dell’io narrante, un abitante del 2440 si offre di aiutarlo a rivestirsi in modo tale da non sembrare ridicolo:
Abitante del 2440: «Mi offro volentieri a servirvi da guida; ma cominciamo, vi prego, con l’entrare dal primo rigattiere che troviamo, poiché […] non potrei accompagnarvi se non foste vestito decentemente. riconoscerete, per esempio, che in una città civile, in cui il governo proibisce ogni lotta e risponde della vita di ogni singolo cittadino, è inutile, per non dire indecente, ingombrarsi le gambe con un’arma mortale, mettere la spada al fianco per andar a parlare a Dio, alle donne e agli amici. Dunque, via la spada! Il mondo è cambiato. […] come è fastidioso e malsano il vostro abbigliamento! le vostre spalle e le vostre braccia sono imprigionate, il vostro corpo è compresso, il petto serrato, non respirate […] ogni tempo porta con sé nuove mode, ma o io mi sbaglio proprio, o la nostra è piacevole quanto salutare: osservate». E l’io narrante osserva: «I suoi capelli ben intrecciati formavano un nodo dietro la testa e una leggera ombra di polvere li lasciava del loro colore naturale. Questa semplice acconciatura non presentava né una piramide imbellettata di pomata e d’orgoglio, né quelle ali tetre che danno un’aria sbigottita, né quei riccioli immobili che, lungi dal delineare una capigliatura fluente, non hanno altro merito che quello di una rigidità senza espressione e senza grazia […]». Una volta effettuato il “rivestimento” dello stordito parigino del Settecento, il dialogo continua e la metafora del vestiario si concretizza in una riflessione sulla società. Il protagonista dello strano risveglio: «le cose mi sembrano un po’ cambiate, dissi alla mia guida; vedo che tutti vestono in modo semplice e modesto e da quando camminiamo non ho ancora incontrato un solo abito dorato; non ho visto galloni, né polsini di pizzo. ai miei tempi un lusso puerile e rovinoso aveva deviato tutti i cervelli; un corpo senz’anima era sovraccarico di dorature e l’automa allora assomigliava a un uomo». L’abitante del 2440: «È proprio ciò che ci ha portato a disprezzare l’antica livrea dell’orgoglio. Il nostro occhio non si ferma alle apparenze. Quando un uomo si è fatto conoscere per aver primeggiato nella sua arte, non ha bisogno di un abito magnifico, […] non ha bisogno né di ammiratori che lo esaltino, né di protettori che lo sostengano: parlano le sue azioni e ogni cittadino si prodiga a chiedere per lui la ricompensa che esse meritano». l. s. Mercier, L’anno 2440 (1770), Dedalo, bari 1993 Domande alla fonte 1. Perché portare la spada viene ritenuto un segno di indecenza da parte dell’abitante del 2440? 2. Di quali gruppi sociali rappresentano il simbolo gli abiti “modesti” caratteristici del mondo del futuro? 3. A quale ceto sociale è da collegare «l’antica livrea dell’orgoglio»? 169
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
7.3 Le riforme nella penisola iberica La Spagna di Filippo V MEMO Jean-Baptiste Colbert era stato il controllore generale delle Finanze francese dal 1661 al 1683, durante il regno di Luigi XIV; aveva sostenuto una politica di “nazionalismo economico” consistente nell’imposizione di pesanti dazi doganali e nella promozione di un forte settore manifatturiero anche con la creazione di vere e proprie industrie di Stato [vedi p. 47].
Filippo V di Borbone consolidò la propria posizione di sovrano al termine della guerra di successione spagnola nel 1714 e regnò fino al 1746. la spagna si presentava all’inizio del suo regno in una situazione di collasso economico, frutto delle tendenze maturate negli ultimi stanchi decenni dell’era asburgica. accanto a Filippo v, nella nuova monarchia, ricoprì un ruolo strategico la sua seconda moglie, Elisabetta Farnese (1692-1766), che molto premette per rilanciare il ruolo della corona di spagna nel Mediterraneo e in particolare in Italia; qui, durante gli anni Trenta, Madrid riuscì a riavere il Regno di Napoli, passato agli asburgo di vienna alla fine della guerra di successione spagnola. Inoltre acquisì il Ducato di Parma e Piacenza. oltre a elisabetta e alla sua longa manus, il cardinale Giulio Alberoni (1664-1752), una parte significativa nel rilancio della monarchia in spagna fu svolta dai funzionari, formatisi alla scuola di Colbert, giunti nella penisola iberica insieme a Filippo v. cercarono infatti di portarvi qualcosa dello spirito assolutista della Francia del re sole, e di arginare lo strapotere di Chiesa e nobiltà. Il regno di Carlo III
In spagna la vera stagione delle riforme, però, ebbe luogo nella seconda metà del secolo, sotto il regno di Carlo III (già re di napoli dal 1734 al 1759), che iniziò alla morte del successore di Filippo v, Ferdinando vI (1713-1759, re di spagna dal 1746). attorniato da ministri illuminati come il conte di aranda (1719-1798), Pedro rodriguez de campomanes (1722-1802), il conte di Floridablanca (17301808), carlo III esercitò una vigorosa azione riformatrice. la inaugurò cacciando i gesuiti e proseguì amputando le immunità ecclesiastiche e limitando i poteri dell’Inquisizione. Promosse inoltre il rinnovamento degli studi universitari e cercò di rivitalizzare la stanca economia del paese – ormai privo di quel flusso di metalli preziosi americani che per oltre un secolo aveva compensato la sua fragilità interna – con misure di liberalizzazione del commercio e della produzione.
Il re Carlo III di Borbone visita la basilica di San Pietro a Roma nel 1745 (Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte)
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Il terremoto di Lisbona in una illustrazione dell’epoca. La mattina del giorno di Ognissanti del 1755 un terribile terremoto distrusse la città di Lisbona causando la morte di più di diecimila persone. La catastrofe colpì profondamente la sensibilità degli intellettuali dell’epoca suscitando un acceso dibattito sui temi dell’ottimismo e della provvidenza. Il più celebre intervento fu lo scritto di Voltaire Poema sul disastro di Lisbona.
Favorì infine l’istituzione di comunità scientifiche in parte finanziate dallo Stato, che avrebbero dovuto portare una ventata di rinnovamento nelle pratiche agricole: le “società economiche degli amici del paese”, nelle quali, in analogia a quanto accadeva in altri paesi europei, si raccolse quell’opinione pubblica illuminata di cui abbiamo già parlato (v. cap. 5). Il Portogallo di Pombal
Dal 1770 nel regno di Portogallo, retto dalla dinastia dei braganza, a svolgere un’importante azione riformatrice fu il ministro sebastiao José de carvalho e Melo, marchese di Pombal (1699-1782), l’uomo che aveva presieduto alla ricostruzione di Lisbona dopo il catastrofico terremoto che la sconvolse nel 1755. tale azione si concretizzò soprattutto in drastiche misure antiecclesiastiche (oltre che antinobiliari), tanto più coraggiose in quanto la società portoghese era tra le più tradizionaliste d’europa: nel 1759 ci fu la prima espulsione dei gesuiti da uno stato europeo, decretata allo scopo di ridurre l’influenza che attraverso di essi la curia esercitava sulla formazione culturale dei ceti dirigenti (v. anche cap. 9, par. 9.3). Pombal promosse inoltre la statalizzazione degli studi superiori, fino a quel momento affidati in larga parte alle cure dei gesuiti. egli aprì l’Università di Coimbra all’afflusso di specialisti stranieri, con l’intenzione di farli contribuire allo sviluppo del settore delle scienze moderne, dal cui contributo ci si attendeva l’impulso al rinnovamento economico del paese.
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Il laboratorio dello storico
Il codice dell’abbigliamento
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
La moda dei nobili e quella dei borghesi Le spade al fianco, le pompose bardature che fanno del corpo un prigioniero, le parrucche imbellettate, i galloni, i polsini di pizzo, le dorature: sono tutti simboli di un mondo che il Settecento delle “libertà tradizionali” ripropose, ma che quello della libertà moderna tendeva a ritenere ormai anacronistico. Ce lo dice anche l’iconografia. Per rendercene conto, confrontiamo un ritratto prorompente e stracarico di orpelli dipinto nel 1727 con l’immagine, essenziale e discreta offertaci nel 1777, di un inglese appartenente alla borghesia di campagna. Certo, i due personaggi qui raffigurati appartenevano a società diverse per valori e consuetudini: la Francia, che ancora si faceva custode della libertà “ tradizionale”, basata sul privilegio, e l’Inghilterra, che aveva conosciuto invece una modernizzazione tanto politica quanto sociale. E tuttavia vissero, grosso modo, nella stessa epoca.
si noti la pomposità della parrucca, che costituiva un elemento di visualizzazione irrinunciabile per i rappresentanti dell’alta aristocrazia, come il dignitario di corte raffigurato in questo dipinto
l’armatura, più che offrire una vera e propria protezione contro eventuali colpi di arma da taglio o di arma da fuoco, si integra come componente ornamentale nel raffinato abbigliamento di colui che la indossa
Nicolas de Largillière, Ritratto di André François Alloys de Theys d’Herculais, 1727 (New York, Metropolitan Museum of Art)
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Essenziale e discreto, l’abito del borghese non fa concessioni apparenti al lusso. Di colore scuro, ravvivato da un gilet di colore chiaro che spunta dalla corta martingala, non teme sporco e usura ed è senz’altro adatto a una vita di lavoro, che concede ben poco spazio a svaghi e ozio
a differenza dell’alto dignitario francese raffigurato nell’altro ritratto, questo gentiluomo di campagna inglese non porta la parrucca
anche i due cappelli tenuti nelle mani dei due personaggi sono molto diversi: sobrio quello impugnato dal borghese; completo di piume e ricco di ornamenti quello che regge in mano il dignitario francese Sir Joshua Reynolds, Squire Musters, 1777 (Washington, National Gallery of Art)
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato, confrontando tra loro due dipinti realizzati a circa mezzo secolo l’uno dall’altro, di valorizzare lo specifico “codice” di rappresentazione costituito dall’abbigliamento utilizzandolo come fonte per illustrare le differenze di valori tra aristocrazia e borghesia nell’Europa del Settecento. • Come mai, all’interno di questo confronto, il ruolo di rappresentante della tradizione spetta a un francese e quello di rappresentante dell’innovazione a un inglese? • Perché, secondo te, il dignitario francese è raffigurato in un interno e, invece, il borghese britannico all’ esterno, nella natura?
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capItOlO 7
mappa
INGhILTERRA, FRANCIA E PENIsOLA IBERICA: vECChIE E NuOvE LIBERTà
INghIltErra dEglI haNNOvEr
Relativo disinteresse di giorgio I e giorgio II per la politica inglese
giorgio III si appoggia ai tories
governo di Gabinetto: Walpole favorisce i wighs e la borghesia
Tentativo di restaurare le prerogative regie
Giorgio III si ritira e riprende l’attività parlamentare con William pitt il giovane
FraNcIa dI luIgI Xv
Reggenza di Filippo d’Orléans: • polisinodia • rischio di bancarotta con il
Reggenza del cardinale Fleury: contrasti tra cattolici conservatori di corte e giansenisti
sistema finanziario di Law
Governo diretto di luigi Xv: • “colpo di Stato” di Maupeou • ostruzionismo parlamentare • ripresa del commercio transoceanico
pENISOla IbErIca
Spagna dei borbone
Sotto Filippo v: • recupero di Napoli e acquisizione di Parma e Piacenza • azione assolutista dei funzionari di origine francese
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sotto carlo III: • misure antiecclesiastiche
• promozione degli studi universitari
• liberalizzazione economica
portogallo dei braganza
Riforme del ministro Pombal: • cacciata dei gesuiti e misure antinobiliari
• statalizzazione degli studi superiori
capItOlO 7
INGhILTERRA, FRANCIA E PENIsOLA IBERICA: vECChIE E NuOvE LIBERTà
Sintesi 7.1 L’INGhILTERRA DEGLI hANNOvER Dal 1714 salì al trono di Inghilterra la nuova dinastia tedesca degli Hannover. I suoi primi due esponenti, Giorgio I e Giorgio II, si disinteressarono della situazione politica inglese, favorendo il consolidamento del regime parlamentare. Il ceto politico parlamentare, dominato dal partito whig, a cui si opponeva il partito tory, estese il suo potere anche a livello locale. l’esponente più significativo di questa stagione politica fu robert Walpole, capo di gabinetto tra il 1721 e il 1742, che favorì l’espansione finanziaria e commerciale dell’Inghilterra. Giorgio III cercò di ripristinare l’istituto della prerogativa regia, appoggiandosi ai tories per ridurre lo strapotere whig. In questo periodo nacquero anche importanti movimenti radicali, tra cui quello di John Wilkes che voleva estendere non solo i diritti civili e religiosi, ma anche quelli politici. Furono questi gli anni della grande espansione coloniale dell’Inghilterra che, dopo la guerra dei sette anni, ottenne dalla Francia il canada e l’ohio in america e la base di Pondicherry in India, e dalla spagna la Florida e parte delle antille. negli anni ottanta, sotto il governo di William Pitt il giovane, l’Inghilterra si trovò da un lato a fronteggiare la rivoluzione francese, dall’altro a promuovere in patria quella industriale. 7.2 LA FRANCIA DI LuIGI Xv alla morte di luigi XIv, in Francia il potere monarchico venne messo in discussione sia dai vecchi corpi privilegiati sia dalla nuova opinione pubblica illuministica. Data la minorità di luigi Xv, il paese fu retto da Filippo d’Orléans che ridiede agli aristocratici e ai Parlamenti quel potere che era stato loro sottratto dal re sole. Dal punto di vista economico il reggente si affidò a uno spregiudicato finanziere, John Law, la cui azione speculativa finì per inasprire la crisi economica della Francia. alla morte di Filippo d’orléans, nel 1723, la reggenza passò al precettore del tredicenne luigi Xv, il
cardinale Fleury, che mantenne un certo equilibrio tra le diverse fazioni presenti a corte. nel 1743 Luigi XV decise di prendere il potere in prima persona. Influenzato in parte dai philosophes, nel 1764 il re iniziò una campagna antigesuitica che finì con l’espulsione dell’ordine dal paese. Durante il suo regno, però, il potere rimase incontrastato nelle mani dei corpi privilegiati che sabotarono ogni tentativo di riforma fiscale a loro danno. solo negli ultimi anni del suo regno, grazie all’opera antiparlamentare del nuovo ministro Maupeou, luigi Xv sembrò cambiare rotta, promuovendo il commercio transoceanico e favorendo la borghesia degli affari. Ma l’ascesa al trono di luigi XvI pose fine a questa breve parentesi.
7.3 LE RIFORME NELLA PENIsOLA IBERICA Dopo la guerra di successione la spagna era in una situazione di collasso economico. Filippo V riuscì in parte a risollevarla garantendole un nuovo ruolo di prestigio nel Mediterraneo, riacquisendo il regno di napoli e i nuovi domini di Parma e Piacenza. la spagna visse una vera e propria stagione di riforme sotto Carlo III, che cacciò i gesuiti, amputò le immunità ecclesiastiche e limitò il potere dell’Inquisizione. Inoltre, rinnovò gli studi universitari e cercò di rivitalizzare l’economia del paese con misure di liberalizzazione. ancora più radicale fu in Portogallo l’azione del marchese di Pombal, il primo in europa a espellere i gesuiti (1759). egli adottò drastiche misure anti-ecclesiastiche e antinobiliari e promosse la statalizzazione degli studi superiori.
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Identità collettiva e cittadinanza
t Inclusione Esclusione
Due nobili alla vigilia della Rivoluzione francese
ceti, ordini, caste I dislivelli di status sociale
t
utte le società eurasiatiche, nel corso dell’età moderna, risultavano divise al proprio interno in base a una stratificazione basata sul rango. Il rango è una condizione che un individuo condivide con altri e alla quale corrisponde una determinata collocazione nella scala gerarchica della società. A essa si connette la fruizione di privilegi particolari e differenziati, che distinguono le persone le une dalle altre. Chi appartiene a un rango inferiore è escluso dal godimento dei privilegi spettanti ai ranghi superiori. Appartenere a un rango (ovvero a un ceto, a un ordine, a una casta, come esso viene definito nei casi che andremo a considerare ) è spesso, anche se non necessariamente, un destino che si determina al momento della nascita e al quale difficilmente un individuo può sfuggire. Ceti, ordini e caste rappresentano perciò in primo luogo dei fattori di esclusione, benché a ciascuno corrisponda una funzione essenziale e necessaria. Soffermiamoci, in proposito, su un testo molto antico, che fa parte delle Upanishad, gli scritti su cui si fondano la religione vedica e l’induismo, la religione caratteristica del subcontinente indiano, ovvero di quell’area che da sempre rappresenta uno degli spazi di massima concentrazione demografica del genere umano. In questo testo il soggetto del discorso è il Brahman, il mitico demiurgo che rappresenta la forza creatrice, la quale è alle origini della manifestazione
Esclusione
del mondo e del suo ordinamento. Leggiamo il passaggio in cui il Brahman costruisce il mondo: «In verità al principio esisteva soltanto il Brahman, unico e solo, ma essendo solo non poteva manifestare tutta la sua potenza. Allora creò una forma superiore, la nobiltà militare […]. Nulla è superiore alla nobiltà militare e per questo il brahmano [cioè l’appartenente alla casta dei sacerdoti, che per le loro funzioni sono diretta emanazione del Brahman] nella cerimonia dell’incoronazione del re è assiso più in basso di un re. Un brahmano indiano, 1828, litografia
Viene così reso omaggio alla nobiltà militare, ma poi il Brahman (l’Assoluto e la casta brahmanica) è la matrice del potere militare. Perciò a qualsiasi altezza giunga il re, è al Brahman, alla sua matrice, che alla fine giunge. Un re che offenda un brahmano insulta la sua matrice ed è tanto più malvagio quanto migliore (di lui) è quello che ha offeso […]. Ancora Esso non poteva manifestare tutta la sua potenza. Produsse allora la classe dei vaisya [il ceto agricolo e mercantile]. Ancora non poteva manifestare tutta la sua potenza. 177
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Un corteo regale indi diverse a second ano, XVIII secolo. Le figure so no rappresentat a della loro impo e in grandezze rtanza sociale
Produsse allora la casta dei sudra [che ha il compito di] nutrire tutto quanto esiste». Ecco l’atto di nascita della divisione gerarchica della società indù, articolata in quattro caste principali. Il gruppo più elevato è quello dei brahmani, specializzati in funzioni religiose e cerimoniali. Appena sotto di essi si collocano gli ksatriya, ovvero coloro che detengono il potere politico e quello militare (la nobiltà militare di cui si parla nel testo). Ma sacerdoti da un lato e principi e guerrieri dall’altro risultano, in questo racconto delle origini, molto intrecciati gli uni con gli altri. Costituiscono, infatti, le due caste superiori. Sotto di loro vi sono le due caste inferiori: da Tra questi ultimi, nel corso dei secoli, si un lato agricoltori e mercanti (vaisya), dall’altro coloro sono differenziati due ulteriori gruppi: un ceto cittadino che svolgono funzione servile o subordinata, e che sono (borghesia) dotato di privilegi, e un ulteriore ceto tenuti a sostentare con la loro fatica tutti gli altri (sudra). identificato con chi è dedito al lavoro manuale Nella società indù a ciascuna delle caste principale è (contadini, ma anche artigiani e operai). Ancora alla vigilia collegato un colore simbolico: il bianco per i brahmani, il della Rivoluzione francese, al momento della convocazione rosso per gli ksatriya, il giallo per i vaisya, infine il nero degli Stati generali, sarà il modello tripartito a mostrarsi per i sudra. Si tratta di colori che esprimono in modo a come l’impalcatura di fondo dell’edificio sociale: tutti ben visibile la chiusura e l’esclusività di ciascun clero, aristocrazia (i primi due stati) e Terzo stato gruppo, al quale si appartiene per nascita, e che è (ovvero il ceto di tutti coloro che non contraddistinto da un diverso grado di purezza. Quanto erano né ecclesiastici né nobili). più si è puri, tanto più si gode di considerazione. Le caste glio no inorriditi il risve superiori comandano; quelle inferiori ubbidiscono. e nobiltà guarda zione francese ro cle di ti an nt lla Rivolu I rapprese Anche nella società europea dell’età moderna – ampa popolare de del Terzo stato, st all’interno di uno schema di matrice cristiana – si assiste a una suddivisione della popolazione per raggruppamenti esclusivi e al tempo stesso reciprocamente funzionali. In Europa l’articolazione di massima è tripartita, e non quadripartita come nella società indù: sacerdoti (oratores), combattenti (bellatores), lavoratori (laboratores). 178
ceti, ordini, caste
n
elle società eurasiatiche troviamo dunque un modello di organizzazione per comparti esclusivi e predeterminati dalla nascita? Non esattamente. Diversamente dai brahmani indiani, i sacerdoti dell’Europa cristiana non potevano, infatti, configurarsi come un ceto ereditario, dal momento che nel cattolicesimo il clero era tenuto al celibato, mentre nelle chiese riformate quella di pastore si rivelò come una funzione socialmente aperta a tutti. Non a caso, molto più di quanto avvenisse nella società castale indiana, in quella cetuale europea si manifestarono correnti di mobilità ascensionale da un livello all’altro della gerarchia dei ranghi e degli onori. L’esclusione non si dava per sempre, una volta per tutte. Ma ciò che soprattutto differenzia i due tipi di organizzazione sociale è il fatto che tra gli indù era presente, al di fuori dello schema delineato dai quattro colori, un’ulteriore componente, considerata dagli altri talmente impura da indurli a evitare qualsiasi contatto con chi ne facesse parte. Si trattava dei paria, ai quali erano riservati i lavori più degradanti (per esempio la macellazione della carne o la concia delle pelli) e ai quali era vietato perfino attingere acqua dai pozzi comuni, perché si pensava che li avrebbero contaminati. In nessuna altra società il principio del dislivello di status si traduceva in una forma di esclusione così drammatica. Quando un paria percorreva una strada, doveva annunciare a gran voce il proprio passaggio, così da evitare ai brahmani, agli
let) Un sacerdote e due nobili, disegno, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnava
ksatriya, ai vaisya, ai sudra di entrare accidentalmente in contatto con lui. Paria si nasceva, e paria – esclusi quanto nessun altro poteva esserlo – si rimaneva per tutta la vita.
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Capitolo 8
Il dIspotIsmo IllumInato 8.1 Il riformismo settecentesco Riforma: una nuova categoria della politica
nella società contemporanea, a differenza di quanto avveniva in passato, ad attuare le riforme sono non soltanto i governi di orientamento “progressista”, ma anche quelli che si dichiarano conservatori, sebbene “conservare” letteralmente significhi il contrario di riformare. Il riformismo rappresenta oggi, per così dire, la manutenzione ordinaria nei sistemi politici moderni, qualunque sia il loro segno ideologico. nel contesto dell’antico regime, durante il quale la nozione di tradizione si poneva al vertice della gerarchia dei valori e la ricerca di una salda continuità tra presente e passato orientava tutta la vita sociale, riformare era interpretato invece come un verbo dalle risonanze sacrileghe. molti lo associavano all’indesiderata apertura di scenari incerti, all’abbandono di regole che, per il semplice fatto di esistere da molto tempo, andavano considerate non solo giuste, ma anche immutabili. Scuola del Meytens, Il corteo per le nozze di Giuseppe II con Isabella di Parma, 1760 (Vienna, Kunsthistoriches Museum)
Il 17 maggio 1759 tutta l’alta nobiltà europea si recò a Vienna per il matrimonio di Giuseppe II, “illuminato” imperatore d’Austria, con Isabella di Borbone, nipote di Luigi XV. La cerimonia si svolse nella cattedrale
Sullo sfondo del dipinto compare la reggia di Schönbrunn, nella quale si svolse la festa che seguì alla celebrazione delle nozze
A bordo delle carrozze, allineate in un lunghissimo corteo, sfila il fior fiore dell’aristocrazia imperiale ed europea
In prima linea, a cavallo, ecco il corpo dell’esercito incaricato di garantire l’ordine della macchinosa cerimonia
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Come abbiamo visto, durante il Settecento, specialmente in concomitanza con l’elaborazione della filosofia illuminista, l’orizzonte delle aspettative in gran parte dei paesi europei venne mutando (v. cap. 6). Si guardava al futuro. E non lo facevano solo gli intellettuali e il loro pubblico di persone colte ma, in misura crescente, anche i governanti di alcuni Stati. In ciascuno di essi certe leggi fondamentali, fino a quel momento ritenute irrinunciabili, vennero riformate, talvolta facendo tesoro delle suggestioni avanzate dal movimento illuminista. Il dispotismo illuminato
le riforme non ebbero un percorso indolore e condiviso da tutti: alcuni corpi della società, come l’aristocrazia e il clero, in genere vi si opposero con forza, dal momento che intuirono nell’avanzare delle riforme il pericolo di un attacco a privilegi secolari, e per questo le percepirono e le condannarono come un’ingiusta lesione di ciò che consideravano loro diritti e libertà naturali. ne scaturì uno scontro prolungato tra la Corona e i corpi privilegiati, che non tutti i sovrani furono capaci di affrontare con la stessa determinazione. In alcuni paesi, come l’Austria, la Prussia, la Russia e la Svezia, l’esperienza riformistica settecentesca ottenne risultati efficaci, talvolta avvalendosi di una collaborazione attiva, anche se ovviamente limitata e circoscritta, tra sovrani e illuministi. sono i paesi nei quali si sviluppò un fenomeno che una consolidata tradizione storiografica definisce come “dispotismo illuminato”. In questa forma di governo, infatti, da un lato le riforme furono sempre imposte dall’alto, spesso in modo arbitrario, senza tener conto dei diritti politici della popolazione; dall’altro, però, esse permisero, almeno in parte, di affermare i diritti civili, ovvero le garanzie egualitarie accordate a ciascuno nell’ambito della vita privata. Gli ambiti di riforma
la motivazione che indusse nel settecento molti governi a intraprendere la strada delle riforme fu in primo luogo di carattere finanziario. la nascita degli eserciti permanenti aveva enormemente accresciuto i costi di quella che restava l’occupazione favorita dei sovrani: la guerra. urgeva reperire nuove risorse da riversare sui campi di battaglia, ma per farlo era necessario riformare l’organizzazione fiscale, uno dei terreni nevralgici di espressione di quel complesso di diritti, privilegi, immunità, libertà sui quali si basava l’equilibrio tradizionale della struttura sociale europea. perciò furono creati i primi catasti, per rendere capillare e più uniforme il prelievo fiscale che fino ad allora colpiva quasi esclusivamente i contadini e gli artigiani. In questo modo un’azione nata con un obiettivo concreto e circoscritto, quello di aumentare le entrate tributarie, produsse tuttavia una maggiore eguaglianza tra i sudditi. un secondo ambito di promozione delle riforme fu il settore della giustizia: per creare uno stato assoluto era infatti compito primario dei sovrani limitare, se non abolire, i privilegi giuridici dei ceti, come i fori ecclesiastici e i tribunali signorili, ovvero i tribunali riservati agli appartenenti al clero, o ancora quelli retti da giudici designati dai signori fondiari, e non dallo stato. la tendenza a unificare le leggi fu attuata per mezzo di un processo di “codificazione” che ebbe risultati molto diversi a seconda delle realtà politiche. Esso segnò comunque un importante passo nel lungo cammino da una società fondata sui privilegi a una fondata sui diritti.
Johann Zoffany, The Sharpe Family, 1779-1781 (Londra, National Portrait Gallery). Gli aristocratici, insieme agli esponenti del clero, furono i maggiori oppositori delle riforme settecentesche
LESSICO Diritti politici e diritti civili I diritti politici sono quelli che riguardano la possibilità dei cittadini di determinare l’indirizzo politico dello Stato. Sono quindi il diritto di formare associazioni partitiche e il diritto di voto attivo e passivo. I diritti civili riguardano invece la possibilità del singolo individuo di promuovere la propria personalità senza l’ingerenza dello Stato. I più importanti sono la libertà di pensiero, di espressione, di religione e di riunione. Catasto Il termine – che deriva dal greco katá, “per” e stikós, “riga, linea” – indica un sistema di inventario, misurazione e classificazione delle proprietà immobiliari (terreni e fabbricati) di una determinata area territoriale. Esso permette di stabilire l’esatta proprietà dei singoli e al tempo stesso di sottoporla a tassazione.
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ANALIZZARE LA FONTE
La scienza della legge contro i soprusi Autore: Gaetano Filangieri – Tipo di fonte: trattato – Data: 1780-1785 Questo brano, tratto dalla Scienza della legislazione del principe Gaetano Filangieri (1752-1788), mostra come le riforme promosse nel Settecento siano strettamente connesse alle critiche mosse alla società dell’antico regime nell’ambito della cultura illuministica. Qui in particolare vengono denunciati gli abusi del potere ecclesiastico, come la pratica della manomorta, che ostacolano lo sviluppo del paese.
squarciato finalmente il velo della superstizione, dissipate le tenebre dell’ignoranza, combattuti gli errori del fanatismo, gli uomini si sono avveduti che fra i dogmi della nostra santa religione non c’è stato mai quello d’arricchire i ministri […]. se i progressi della popolazione, come l’abbiam detto, sono relativi a’ progressi dell’agricoltura, come potrà mai questa fiorire tra le mani d’un beneficiato1 che non può avere alcun interesse nel migliorare un fondo che non può trasmettere ad alcuno, né a seminare o piantare per una posterità che non gli appartiene? Come migliorerà mai l’agricoltura tra le mani di uno che invece d’impegnare una porzione delle sue rendite per migliorarne il suo fondo, arrischierà piuttosto deteriorare il suo beneficio per aumentare quelle rendite che non sono per lui che passeggere? Queste funeste conseguenze degli esorbitanti e inalienabili dominii degli ecclesiastici, si sono finalmente mostrate a’ governi con tutta la loro deformità. […] un padre che muore, non ha più il barbaro diritto di placare la divinità con un legato che trasmette ad un convento di frati una porzione di quelle sostanze, delle quali egli non può più godere e sulle quali i suoi figli hanno già acquistato un diritto. G. Filangieri, Scienza della legislazione, Centro di studi sull’illuminismo europeo, Venezia, 2004 1. beneficiato: colui che gode di un beneficio, ossia, nella terminologia feudale, di un bene che però non ha in proprietà. Domande alla fonte 1. Che cosa hanno compreso gli uomini, dopo essere usciti dalle tenebre dell’ignoranza? 2. Quali sono i motivi che impediscono il progresso dell’agricoltura? 3. Quale pratica è stata abolita dai governi?
LESSICO Giurisdizionalismo Politica ecclesiastica, tipica degli Stati cattolici tra Sei e Settecento, secondo la quale lo Stato esercita la supremazia sulla Chiesa nei settori che non riguardano i contenuti di fede, per esempio la nomina dei vescovi o l’istruzione. Manomorta In epoca medievale il termine indicava la tassa pagata dal servo al signore per poter trasmettere i beni agli eredi. In epoca moderna indica i beni inalienabili, generalmente appartenenti alla Chiesa, che non potevano essere né venduti né lasciati in eredità e sui quali non venivano applicate imposte. Il termine deriva dal francese antico main morte per indicare la “rigidità” di tale forma di possesso.
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l’azione di riforma investì anche i rapporti tra Stato e Chiesa, improntati ai principi del giurisdizionalismo: i sovrani cercarono di sottrarre al clero proprietà e antichi privilegi (come la manomorta o il diritto di asilo, cioè l’immunità concessa ai ricercati che si rifugiavano in chiese o conventi) ma anche il monopolio dell’istruzione. anche in questo caso si ottenne un effetto che andava ben al di là degli obiettivi iniziali: per sottrarre al clero, e in particolare ai gesuiti, il controllo sulla formazione, venne infatti in alcuni casi garantito dallo stato il diritto all’istruzione elementare. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Gli ambiti di applicazione delle riforme settecentesche RIfoRme
Ambito fiscale
Ambito giuridico
Ambito ecclesiastico (rapporti Stato/Chiesa)
catasti
limitazione dei privilegi di clero e nobiltà
Giurisdizionalismo
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
Bernardo Bellotto, Veduta di Vienna dal castello del Belvedere, 1759-1760 (Vienna, Kunsthistorisches Museum)
8.2 L’Austria: un caso esemplare di dispotismo illuminato Il regno di Carlo VI
Il caso dell’austria ci mostra in modo particolarmente chiaro non solo quale fu il meccanismo che diede l’avvio alle riforme, ma anche le conseguenze sociali che ne derivarono. liberatisi della minaccia turca a fine seicento, nel primo quarantennio del settecento gli asburgo, durante il regno di Carlo VI (1685-1740), avevano notevolmente accresciuto i propri possedimenti territoriali diretti. la Guerra di successione spagnola (1701-1714) aveva portato sotto il dominio degli asburgo d’austria i territori italiani (il ducato di milano, il Regno di napoli) e fiamminghi che nei secoli precedenti erano stati assoggettati agli asburgo di spagna, anche se nel 1734, durante la Guerra di successione polacca, il mezzogiorno d’Italia sarebbe passato dagli asburgo ai Borbone. Intanto però, tra il 1716 e il 1718, gli eserciti di Vienna erano dilagati nella penisola balcanica, strappandone ai turchi ampie porzioni. tuttavia la crescente estensione dei domini territoriali (v. carta, p. 85) e la grande varietà etnica, linguistica e culturale dei paesi che ne facevano parte rendevano assai problematico esercitare un governo efficace. le entrate fiscali della monarchia asburgica erano di entità modestissima a causa della selva di privilegi e immunità dietro i quali si trinceravano le rappresentanze cetuali di ogni territorio. a pagare le tasse erano quasi soltanto i contadini e gli abitanti delle città. l’aristocrazia e il clero, proprietari di vastissime estensioni di terra, in buona parte a titolo di possesso feudale, godevano viceversa quasi ovunque di un trattamento fiscale privilegiato, o addirittura della piena immunità fiscale. Consideravano, del resto, questo privilegio come un attributo connesso al proprio rango, come una naturale ricompensa per la protezione che accordavano a chi risiedeva nelle loro terre.
MEMO Il re di Spagna Carlo II d’Asburgo era morto nel 1700 senza eredi diretti lasciando il trono a Filippo d’Angiò, un nipote di Luigi XIV. Ne era scaturita una guerra tra Asburgo e Borbone (Guerra di successione spagnola) conclusa con il passaggio della Corona spagnola a Filippo in cambio della concessione all’Austria dei domini italiani e delle Fiandre [vedi p. 82].
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maria Teresa sul trono
MEMO La Guerra di successione austriaca (1740-1748) scaturì dal mancato riconoscimento del diritto alla successione in linea femminile di Maria Teresa da parte del re di Prussia, alleato della Francia e della Spagna. Al termine del conflitto la regina vide riconosciuto il suo diritto a regnare, ma dovette rinunciare alla Slesia, occupata da Federico di Hohenzollern, e a Parma e Piacenza, cedute a un ramo della dinastia Borbone [vedi p. 82].
alla morte di Carlo VI, nel 1740, divenne sovrana d’austria, sua figlia Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780, imperatrice d’austria dal 1740), in virtù di una modifica della legge successoria austriaca (prammatica sanzione, 1713) che per la prima volta ammetteva la legittimità di una discendenza femminile. appena salita al trono, maria teresa fu subito impegnata in un lungo e dispendioso conflitto contro Federico di Hohenzollern, conclusosi con la perdita della Slesia a favore della Prussia (Guerra di successione austriaca), che la costrinse a mutare il sistema tributario. la sua politica di riforme si rivolse, necessariamente, soprattutto contro i corpi privilegiati e mirò a porre lo stato nella condizione di attingere anche alle loro ricchezze. per altri versi, sebbene la sovrana non fosse direttamente influenzata dalle suggestioni di matrice illuminista (lo sarebbero stati, invece, i suoi figli e successori), le riforme non poterono non investire su un piano più ampio i rapporti tra Corona e Chiesa, poiché furono realizzate anche allo scopo di avocare allo Stato funzioni e prerogative fino a quel momento di spettanza ecclesiastica. durante gli anni Quaranta il ministro Friedrich Wilhelm von Haugwitz (1702-1765) diede il via a una prima ondata di riforme, stabilendo che i contributi fiscali di ogni territorio venissero concordati ogni dieci anni e che a riscuoterli fossero dei funzionari statali e non le autorità cetuali locali. Egli ridimensionò così l’influenza delle assemblee rappresentative provinciali (Landstände), roccaforti della nobiltà e del clero, alle quali era tradizionalmente attribuito il privilegio di contrattare ogni anno con la Corona l’entità del tributo dovuto da ciascun territorio e di ripartirne poi discrezionalmente i carichi tra la popolazione. ma si trattava solo di un primo passo. La nuova organizzazione dello Stato austriaco
Martin von Meytens, Concerto alla corte di Maria Teresa a Schönbrunn, 1760
Nel pubblico, accanto al padre Leopold, è raffigurato il giovanissimo Mozart
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la realizzazione della prima fase di riforme comportò il quasi immediato avvio di una seconda: ora che il rapporto tra lo stato e i territori che lo componevano era diventato in linea di principio più sistematico e regolare, si trattava di costruire in ciascuno di essi un corpo di funzionari preposti non solo all’esazione delle tasse, ma anche all’esercizio di alcune funzioni fino ad allora assolte dall’aristocrazia o dal clero, per esempio in materia di amministrazione della giustizia. una volta che gli appartenenti ai corpi privilegiati non avessero più offerto in prima persona tutela e protezione ai sudditi, sarebbe stato infatti per loro problematico continuare a pretendere un trattamento speciale, come era accaduto fino ad allora. per contro, assumendosi nuovi compiti, lo stato avrebbe potuto meglio giustificare la sua richiesta di intensificazione della pressione tributaria. alla fine degli anni Quaranta lo stato austriaco, inteso come apparato di funzionari diretto dal centro e presente in modo omogeneo sull’intera superficie territoriale, cominciò concretamente a prendere forma grazie anche a una nuova riforma, realizzata però nei territori austriaci e boemi, ma non in ungheria e neppure nei paesi Bassi. un corpo burocratico, stipendiato dallo stato e fornito di una opportuna formazione professionale, si radicò saldamente nel giro di qualche anno nelle province presenti in Austria e in Boemia. In ciascuna di esse venne istituito un capoluogo amministrativo, dove si riuniva stabilmente un Gubernium (governo), che riceveva ordini e disposizioni da Vienna, capitale della monarchia austriaca, e che ne curava la regolare applicazione da parte dei capitani circolari, i funzionari messi a capo dei vari distretti in cui ogni provincia risultava a sua volta suddivisa.
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
L’imperatrice, sul trono e attorniata dai suoi ministri, attribuisce le insegne a un cavaliere inginocchiato di fronte a lei
La cerimonia si svolge nella bellissima sala da ballo della residenza imperiale di Schönbrunn, alle porte di Vienna
Le dame di corte assistono alla cerimonia da una balconata a loro riservata
Martin von Meytens il Giovane, Maria Teresa conferisce le insegne di un ordine cavalleresco, XVIII secolo
Grazie a questo apparato nuovo, capace di effettuare un controllo costante sul territorio, i proventi fiscali incassati da Vienna crebbero in pochi anni del 60%. per molti sudditi, abituati fino ad allora alla sola autorità del signore feudale o di quello ecclesiastico, lo Stato divenne ora per la prima volta un’entità concreta e tangibile. la si poteva riconoscere ogni giorno osservando le divise dei pubblici funzionari che si incaricavano di riscuotere le imposte, ma anche di fornire servizi e di far applicare le leggi. accanto alle autorità tradizionali, grazie a essi se ne materializzava una nuova, da temere sì per il suo rigore, ma anche da apprezzare per le garanzie che offriva contro gli arbitri e le prepotenze dei signori. Da maria Teresa a Giuseppe II
nel 1765, alla morte del marito di maria teresa, Francesco stefano di lorena (1708-1765), che nel 1745 era stato eletto imperatore, il loro figlio maggiore, Giuseppe II (1741-1790, sacro romano imperatore dal 1765 e imperatore d’austria dal 1780), subentrò a quest’ultimo nella suprema dignità imperiale e cominciò al tempo stesso ad affiancare la madre nella direzione della monarchia austriaca. poi, a partire dal 1780, alla morte di maria teresa, regnò da solo sui domini asburgici, imprimendo alle riforme una svolta di intensità radicale. maria teresa, coadiuvata da ministri come Haugwitz e, in seguito, anton Wenzel von Kaunitz (cancelliere tra il 1753 e il 1792), aveva cercato soprattutto di costruire un efficace apparato burocratico per l’amministrazione dello stato, creando persino una scuola speciale per la formazione dei funzionari, dove si insegnava la cosiddetta “scienza di polizia” (Polizeiwissenschaft), una dottrina messa a punto dall’illuminista Joseph von sonnenfels (1733-1817) e finalizzata a teorizzare le modalità dell’intervento statale a beneficio della “pubblica felicità”. 185
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Fonte Giuseppe II, Un sovrano al servizio dello Stato
Giuseppe II fece uso di quello strumento per scagliare un attacco tanto radicale da venir percepito quasi come una rivoluzione dall’alto contro le residue immunità di cui ancora godevano i corpi privilegiati: non solo in austria, in Boemia, in lombardia, dove già maria teresa aveva inciso profondamente, ma anche in Ungheria e nei Paesi Bassi, dove fino a quel momento non si era ancora sentito parlare di riforme. La formazione dei catasti e l’attacco alla feudalità
Il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato, p. 194
Ritratto di Giuseppe II, XVIII secolo (Torino, Museo del Risorgimento)
appena salito al trono, Giuseppe II si rifiutò di celebrare la tradizionale cerimonia dell’incoronazione, durante la quale era costume che ogni nuovo sovrano promettesse ufficialmente al corpo dei nobili e a quello degli ecclesiastici di consultarli stabilmente, riconoscendo così a essi la titolarità di un rango speciale e privilegiato. E subito dopo partì all’attacco di quello che era il maggiore dei privilegi, l’immunità fiscale. nel 1780, all’inizio del suo regno, gran parte delle terre possedute dai nobili non risultava registrata e quelle che lo erano venivano assoggettate a un contributo, in proporzione, assai più lieve di quello richiesto agli altri sudditi. per il figlio di maria teresa, tipico sovrano illuminato, riformare significò in primo luogo eliminare questa disparità. Egli dette dunque avvio in tutte le province della monarchia alla redazione di un catasto (operazione già iniziata in precedenza nella sola lombardia austriaca), ovvero una registrazione omogenea delle proprietà fondiarie, elaborata da parte di tecnici e funzionari statali e tesa ad accertare il valore e l’ampiezza di ogni appezzamento, per procedere poi all’esercizio di una tassazione uniforme. Essa avrebbe dovuto colpire, senza eccezioni, anche i nobili e gli ecclesiastici, oltre ai sudditi comuni. l’operazione impegnò per intero gli anni ottanta e venne osteggiata aspramente soprattutto in Ungheria, dove la nobiltà era stata fin lì totalmente esente dalla tassazione. sempre in ungheria, già negli anni sessanta maria teresa aveva emanato un’ordinanza, l’Urbarium, che mirava a migliorare le condizioni dei contadini e a rendere più lievi le prestazioni gratuite da loro dovute ai feudatari, fissandole nella misura di una giornata di lavoro con animali da tiro (oppure due senza animali) alla settimana e, ancora, nell’obbligo di accompagnare il signore a caccia tre volte l’anno. non si trattava, come è evidente, di un carico leggero; ma in precedenza si riteneva che esso potesse essere anche due o tre volte più pesante. tuttavia, i funzionari delegati alla compilazione del catasto, una volta giunti in ungheria, si accorsero che l’Urbarium era rimasto quasi ovunque lettera morta. Giuseppe II colse allora l’occasione non solo per riconfermarlo, ma anche per aumentare la presenza stabile di funzionari statali sul territorio, traducendo così in realtà quelli che altrimenti sarebbero rimasti meri propositi. al tempo stesso, egli dispose l’eliminazione degli ultimi residui di servitù della gleba, cioè di quel complesso di regole che imponevano ai contadini di rimanere tutta la vita legati alla terra dei loro signori feudali. si trattava di misure finalizzate a rendere meno pesante la sudditanza dei contadini rispetto ai signori, e in questo senso erano “illuminate”; ma rappresentavano anche un inedito consolidamento del legame di dipendenza del popolo nei confronti dello Stato. Il giuseppinismo
un altro terreno nevralgico di riforma fu quello ecclesiastico. Già maria teresa si era mostrata maldisposta nei confronti dei privilegi della Chiesa e nel 1768 aveva disposto di imperio, cioè senza consultare il papa, la tassazione dei beni dei 186
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
parroci (clero secolare) nella stessa misura di quelli dei sudditi comuni. In seguito aveva intrapreso altre iniziative tese a limitare il potere clericale (in materia di censura e di diritto d’asilo), stabilendo il principio che la competenza su ogni questione, diversa da quelle previste nel mandato affidato da Cristo agli apostoli, dovesse passare dall’apparato della Chiesa a quello dello stato. ma dove finiva l’ambito spirituale, che si intendeva comunque confermare alla Chiesa, e dove cominciava quello temporale, di cui si sanzionava il trasferimento alla giurisdizione dello stato? Giuseppe II con la sua politica religiosa – chiamata, dal suo nome, “giuseppinismo” – dette una risposta innovativa a questo dilemma. troppo spesso, infatti, accadeva che le prescrizioni statali e quelle della Chiesa si trovassero in contrasto e che gli individui rimanessero incerti se comportarsi da sudditi o da fedeli. Il sovrano sciolse ogni possibile incertezza: nei suoi territori si doveva prestare obbedienza in primo luogo da sudditi alle autorità statali e non da fedeli a quelle ecclesiastiche. Era necessario circoscrivere le facoltà accordate alla Chiesa in materia di censura, perché essa ne faceva uso anche per ostacolare la diffusione della cultura illuminista, alla quale in parte Giuseppe II si ispirava. si doveva ancora eliminare del tutto quel diritto d’asilo che consentiva a malfattori e criminali di sottrarsi alla giustizia secolare e che quindi rappresentava una minaccia per la tutela statale dell’ordine e della sicurezza della società. Infine, era nell’interesse dello stato che la produzione economica si accrescesse, in modo da garantire basi più solide alla sua potenza; ma il gran numero di feste di precetto, durante le quali lavorare equivaleva a commettere un peccato, rappresentava un massiccio ostacolo al perseguimento di questo obiettivo. Il tempo dell’economia, identificato ormai con quello della potenza statale, non coincideva con il tempo della Chiesa, com’era dimostrato anche dal fatto che i cospicui beni che gli ordini religiosi avevano accumulato nei secoli in seguito a lasciti, donazioni, concessioni, privilegi, venivano coltivati in modo arretrato, sprecandone le potenzialità. Visto che frati, monaci, suore non erano menzionati nel mandato affidato da Cristo agli apostoli, perché mantenere in vita quel corpo di fatto parassitario che essi formavano? Giuseppe soppresse così tutti gli ordini che non erano direttamente impegnati in attività di assistenza o di istruzione, ovvero non autosufficienti e improduttivi anche rispetto al tessuto e alla solidarietà sociale (i cosiddetti “ordini contemplativi”). Giuseppe II con l’aratro insieme ai contadini, XVIII secolo, (Vienna, Kunsthistorisches Museum). La questione della gestione della proprietà terriera e dei differenti trattamenti fiscali tra proprietari e contadini fu tra le prime affrontate da Giuseppe II
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
La soppressione dei conventi
La facciata della chiesa di San Carlo a Vienna, edificata all’inizio del XVIII secolo
nel decennio che si aprì con il 1780 Giuseppe II ordinò la soppressione di settecento monasteri e conventi, ne incamerò i beni nel patrimonio statale e ne adoperò i proventi per finanziare attività educative e assistenziali coordinate dallo stato. Il sovrano riformatore inoltre ridusse il numero delle feste di precetto, limitò ulteriormente il diritto d’asilo, sottrasse alla Chiesa la funzione di censura, vietò le forme di devozione troppo dispendiose o irrazionali, suscettibili di alimentare la superstizione. In più stabilì che i parroci ricevessero una formazione in seminari diretti dallo Stato, con l’idea di trasformarli in veri e propri funzionari pubblici, fedeli ai sovrani austriaci prima che al papa di Roma. nei territori della monarchia austriaca, la Chiesa cessava così di configurarsi come una sorta di stato all’interno dello stato. di fronte all’arretramento congiunto dell’aristocrazia e del clero e al ridimensionamento delle loro libertà e privilegi, il potere pubblico pareva ora imporsi come veicolo di parificazione dei sudditi di fronte alla legge. nell’ottica di chi aveva appoggiato le riforme, ciò rappresentava l’indispensabile presupposto per lo sviluppo di una società ordinata secondo natura, rispettosa dei diritti di ciascun individuo, orientata al perseguimento dell’interesse collettivo e non alla tutela di quelli corporativi; ma, mentre le riforme smantellavano le esenzioni fino ad allora fruite dai corpi privilegiati, la libertà dei singoli cresceva davvero? Diritti politici e diritti civili
Analizzare la fonte La Patente di tolleranza
Inclusione/Esclusione L’intolleranza religiosa, p. 199
sul piano dei diritti politici, i sudditi austriaci avevano in realtà guadagnato ben poco. lo stato austriaco restava assolutista; anzi, lo era ancora di più rispetto al passato, quando l’azione dei sovrani aveva dovuto spesso arrestarsi di fronte alle immunità dei corpi privilegiati. sul piano dei diritti civili la situazione risultava invece nettamente migliorata. ormai arbitro esclusivo della società, Giuseppe II era stato per esempio in grado di emanare, nel 1781, una Patente di tolleranza, che accordava piena libertà di culto anche ai protestanti e ai seguaci della Chiesa ortodossa e che annullava gran parte delle discriminazioni prima inflitte agli ebrei. davanti allo stato ora tutti i credenti diventavano uguali, nella libera pratica della fede in cui credevano. non era, questa, libertà? I sudditi ritennero di sì; infatti alcune decine di migliaia di essi dichiararono la loro appartenenza a Chiese diverse da quella cattolica, a cui avevano in precedenza aderito solo per evitare persecuzioni. nel 1787 il sovrano fece entrare in vigore un nuovo codice penale, che proibiva l’uso della tortura nelle procedure giudiziarie e sanciva ufficialmente il principio dell’eguaglianza di tutti i sudditi davanti alla legge, abolendo di fatto i privilegi e le immunità di cui godevano aristocrazia e clero. L’istruzione elementare obbligatoria
Giuseppe II potenziò anche il sistema di istruzione elementare, la cui obbligatorietà per tutti i sudditi era stata sancita da maria teresa già nel 1774. l’intervento fu attuato impiegando le rendite ricavate dall’incameramento dei beni di cui in precedenza fruiva il clero regolare: tutti i provvedimenti del sovrano austriaco testimoniavano la precisa volontà sovrana di sottrarre alla Chiesa, che tradizionalmente la esercitava, la responsabilità dell’educazione del popolo. In particolare, poi, attraverso la statalizzazione dell’istruzione superiore (in precedenza erogata essenzialmente dai gesuiti), si intendeva anche promuovere la formazione di una burocrazia laica e competente, scientificamente preparata ad affrontare 188
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
Due opere di Jean-BaptisteSiméon Chardin: a sinistra, La giovane maestra, 1736 circa, olio su tela (Londra, National Gallery); a destra, Allegoria della scienza, 1731
i compiti che il nuovo ruolo del potere statale nella vita pubblica comportava. tutto ciò veniva propagandato come uno straordinario contributo a quella “pubblica felicità” che gli illuministi inseguivano, raccomandando di sostituire alle istituzioni tradizionali – e la Chiesa era la principale – apparati capaci di diffondere quei principi razionalistici dai quali ci si attendeva il progresso della società umana. La reazione alle riforme: Leopoldo II
la reazione alle iniziative di Giuseppe II – le più radicali tra quelle intraprese dai vari dispotismi illuminati del settecento – non tardò a farsi sentire e fu molto aspra, al punto che tra il 1787 e il 1789 una serie di sollevazioni guidate dalle aristocrazie dei vari Länder della monarchia austriaca impose l’arresto al cammino delle riforme. I Paesi Bassi austriaci dichiararono la propria indipendenza e l’ungheria fu sul punto di fare altrettanto. Leopoldo II (1747-1792, imperatore d’austria e sacro romano imperatore dal 1790), già appassionato riformatore del Granducato di toscana e successore sul trono asburgico di Giuseppe II, non esitò, poco più tardi, a sedare i tentativi indipendentistici e a revocare gran parte delle misure antinobiliari e antiecclesiastiche promosse dal fratello maggiore. per esempio, in molte province i catasti non entrarono in vigore anche se erano pronti. a ribellarsi contro il dispotismo illuminato non erano però soltanto gli appartenenti ai vecchi corpi privilegiati. anche tra gli operatori del commercio e dell’industria, pur beneficiati dalle misure finalizzate a far crescere il ruolo dell’economia di mercato, regnava un diffuso malcontento nei confronti di un dirigismo statale percepito come eccessivo e lesivo della creatività imprenditoriale. E, sebbene sgravati dai pesi feudali, anche i contadini lamentavano ora il fardello di una fiscalità accresciuta e consideravano modesti i benefici ricavati dalle riforme. dell’istruzione elementare, celebrata come simbolo dell’emancipazione del popolo da un’ignoranza alimentata soprattutto dalla Chiesa, la povera gente era assai poco propensa ad apprezzare i vantaggi. In compenso non faceva alcuna fatica a riconoscere come dannosa la riduzione delle feste di precetto, imposta dai regnanti in una visione dell’economia finalizzata alla crescita della produzione, ma anche dei carichi di lavoro. Frati, monaci e suore erano poi da considerare davvero odiosi parassiti? In verità, con le rendite dei loro beni avevano garantito in passato forme di assistenza e di carità che lo stato non pareva per il momento in grado di rimpiazzare adeguatamente. E, allora, quale convenienza c’era a emanciparsi dall’autorità della Chiesa per divenire a pieno titolo sudditi dello stato? 189
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8.3 Dispotismi illuminati in Prussia, Svezia e Russia La Prussia di federico II
l’austria di Giuseppe II non fu il solo paese la cui esperienza settecentesca può utilmente venire considerata sotto l’etichetta del dispotismo illuminato. anche Federico II di Prussia (1712-1786, re dal 1740) fu un grande ammiratore dell’Illuminismo francese. Egli stesso scrisse opere che si inserivano nella corrente culturale ispirata al progresso e presso la sua corte soggiornò a più riprese Voltaire, trovandovi provvisorio riparo dalle persecuzioni che pativa in Francia. la Berlino di Federico, con la sua prestigiosa Accademia delle scienze, fu uno dei grandi centri del rinnovamento culturale europeo settecentesco. sotto il sovrano riformatore, la prussia conobbe una stagione di grande espansione territoriale, che si concretizzò nell’acquisizione della Slesia – regione strategica per la ricchezza delle sue risorse minerali – a spese dell’austria e nell’assorbimento, in seguito alle tre spartizioni, di una cospicua porzione della Polonia (v. p. 192). ne derivò la definitiva ascesa di uno stato che ancora nella seconda metà del seicento era soltanto uno degli elettorati imperiali nella ristretta cerchia delle grandi monarchie europee. Esercito e burocrazia furono le due armi vincenti di un sovrano riformatore che, in analogia con Giuseppe II, autodefinitosi «primo funzionario» del suo paese, amava qualificarsi come «primo servitore dello Stato», evidenziando così una trasformazione concettuale di grande rilievo nella concezione del potere, ora pensato prevalentemente come servizio reso alla comunità, più che come godimento di una prerogativa sovrana personale. anche Federico II intervenne con determinazione nel settore dell’istruzione elementare (che rese obbligatoria) e in quello giudiziario (riformando in senso umanitario le procedure e abolendo la tortura) e dispiegò una politica di tolleranza religiosa che per la sua apertura non conosceva eguali nell’Europa cristiana del suo tempo. A. Von Menzel, Federico il Grande visita una famiglia di Junker prussiani (Berlino, Pinacoteca di Stato)
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capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
Gli Stati del dispotismo illuminato (XVIII secolo) ESTONIA 1721
LIVONIA
Paskov
1721
SVEZIA
Mosca
DANIMARCA mar Baltico
mare del Nord
Divina
Danzica PROVINCE UNITE
Berlino Lipsia
o
TIROLO DUC. DI Trento MILANO
r
Vienna Salisburgo
iep
SLESIA Cracovia REGNO DI GALIZIA E LODOMIRA
Praga
SVIZZERA
Rodan
POLONIA Varsavia
Breslavia
Dresda
FRANCIA
Milano
Vistola
Potsdam
Dn
Magonza
RUSSIA
a
Elb
Anversa PAESI Bruxelles BASSI AUSTRIACI Parigi
Lingen
Magdeburgo
Königsberg
Stettino
Amburgo Londra
Smolensk
BUCOVINA
Danubio
Buda
Pest
Impero asburgico (Asburgo) Polonia
UNGHERIA TRANSILVANIA
REP. DI VENEZIA
Russia (Romanov) Prussia (Hohenzollern)
mar Ligure
Firenze TOSCANA
Confini del Sacro romano impero Danubio
La Svezia di Gustavo III e la Russia di Caterina II
Ispirato a motivi illuministi e animato da uno spirito riformatore fu anche il regno di Gustavo III di Svezia (1746-1792, re dal 1771). dopo la morte di Carlo XII nel paese il potere era tornato in mano all’aristocrazia, divisa tra i due partiti rivali dei “berretti” e dei “cappelli” Gli eleganti “cappelli” rappresentavano soprattutto la nobiltà; i più sobri “berretti”, invece, la borghesia fondiaria e dei commerci. la presa di potere di Gustavo III segnò la fine di questa fase e il ritorno all’assolutismo: dopo aver imbavagliato la dieta cetuale del paese, egli promosse riforme nell’ambito giudiziario e in quello dell’istruzione elementare (in questo settore la svezia deteneva a fine settecento il primato europeo, avendo praticamente debellato l’analfabetismo). Inoltre egli attuò una politica di radicale livellamento della condizione giuridica dei sudditi, che comportò la quasi totale abolizione dei privilegi nobiliari. Caterina II (1729-1796, zarina dal 1762), di origine tedesca, era salita sul trono di san pietroburgo grazie a un colpo di Stato, culminato nell’imprigionamento e nel probabile assassinio del marito pietro III, nipote di pietro il Grande, che si apprestava a raccogliere l’eredità della madre Elisabetta, zarina dal 1741 al 1762. Ammiratrice dichiarata di Diderot, che fu suo ospite per qualche tempo, e dell’illuminista italiano Cesare Beccaria (v. cap. 9, par. 9.4), che cercò invano di convincere a recarsi presso la sua corte, Caterina era fortemente imbevuta, come Federico II, delle suggestioni illuministe che aveva assorbito durante la sua formazione. Essa cercò di trasfonderle, in particolare, nell’elaborazione di un nuovo codice di leggi che avrebbe dovuto portare un soffio umanitario sull’arretrata società russa, ma i lavori della Commissione incaricata (nel 1767) di redigerlo, si arenarono presto, per le molte resistenze emergenti da un mondo rispetto al quale le teorie degli uomini “dei lumi” apparivano astratte e lontane.
Storiografia L. Guerci, Un riformismo dai mille volti
191
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
maggior successo aveva avuto Caterina qualche anno prima (1764), decretando la soppressione di oltre la metà dei 900 conventi russi e la requisizione di gran parte delle proprietà ecclesiastiche. attaccare la Chiesa ortodossa significava indebolire la roccaforte principale del tradizionalismo russo. In più il sequestro dei suoi beni doveva servire a finanziare l’erogazione di nuovi servizi pubblici, primo dei quali l’istruzione. nel 1786 lo statuto di educazione nazionale promulgato dalla sovrana introdusse infatti il primo biennio elementare gratuito. La rivolta di Pugacˇ ëv e la politica estera
a partire dalla seconda metà degli anni settanta, tuttavia, lo sforzo riformatore di Caterina, che si era espresso anche in alcuni limitati provvedimenti a favore dei contadini, si interruppe. tra il 1773 e il 1775 la zarina si era trovata a fronteggiare un’imponente sollevazione popolare, guidata da un cosacco di nome Pugačëv,
Ritratto di Caterina II di Russia, XVIII secolo (Stoccolma, Castello di Drottningholm)
APPROFONDIRE
Le spartizioni della Polonia Polonia visse nel Settecento un progressivo declino a Lnuovoapartire dalla Guerra di successione polacca. Nel 1764 il re polacco Stanislao Poniatowski, eletto con il forte ap-
ridotto, perseverò ulteriormente nel suo tentativo, che aveva lo scopo di indebolire il potere della Dieta e di aprire così la strada a riforme, che anch’egli intendeva realizzare in chiave assolutista e illuminista al tempo stesso. Dopo una seconda spartizione nel 1793, Austria, Prussia e Russia – forti di quegli eserciti che viceversa il re di Polonia non riusciva a formare a causa dell’ostilità della Dieta – nel 1795 completarono l’opera e, con la terza spartizione, cancellarono lo Stato polacco dalla carta geografica europea, appropriandosi delle porzioni restanti. Le popolazioni di lingua polacca (e di fede cattolica) si trovarono così divise tra l’Austria (cattolica anch’essa), la Prussia (protestante) e la Russia (cristiano-ortodossa). Nei decenni successivi, quella polacca si sarebbe imposta come una delle più vibranti e tormentate tra le storie di emancipazione nazionale caratteristiche dell’Ottocento europeo.
poggio della zarina russa Caterina, aveva cercato invano di riformare il sistema tradizionale e di tramutare la monarchia da elettiva a ereditaria, in modo da per un verso consolidare il proprio potere, e per l’altro ridurre le pressioni esterne che da decenni Austria, Prussia e Russia esercitavano sul regno facendo leva sull’una o sull’altra delle fazioni nobiliari rappresentate nella Dieta cetuale. Nel 1772, raggiunto un accordo che aveva lo scopo di intimidire Poniatowski, le tre potenze giunsero a una prima spartizione del territorio polacco: l’Austria incorporò la Galizia e la Lodomira, la Russia la Bielorussia, la Prussia i territori nord-occidentali affacciati sul Baltico. Ciononostante Poniatowski, pur all’interno di un regno ormai
mar Baltico
Riga
REGNO DI SVEZIA
IMPERO RUSSO
LIVONIA
Potock Smolensk Vilnius Witebsk Divina
REGNO DanzicaDI PRUSSIA Marienburg
BIELORUSSIA
Thöm Vistola Poznan Varsavia Breslavia
D’AUSTRIA
192
Danzica
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UCRAINA
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Bar
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IMPERO OTTOMANO
iep
SLESIA Cracovia MORAVIA Vienna
Alla Russia
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Breslavia
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PRIMA SPARTIZIONE (1772) Alla Prussia All’Austria
Potock Smolensk Vilnius Witebsk Minsk Divina
REGNO DI PRUSSIA
Buda
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UNGHERIA
Pest
IMPERO D’AUSTRIA
Alla Russia
Riga SAMOGIZIA
mar Baltico
REGNO DI PRUSSIA
Divin
a
MORAVIA Vienna Buda
Smolensk
Vilnius LITUANIA
Danzica Thöm MAZOVIA Varsavia Brest Pinsk Poznan Breslavia Radom Lublino la to SLESIA Vis Cracovia VOLINNIA
Danubio
IMPERO OTTOMANO
SECONDA SPARTIZIONE (1793) Alla Prussia
IMPERO RUSSO
LIVONIA
CURLANDIA
Riga
mar Baltico
Thöm Vistola Poznan Varsavia Dn
SLESIA Cracovia GALIZIA LODOMIRA MORAVIA Vienna UNGHERIA Danubio Buda Pest IMPERO
REGNO DI SVEZIA
IMPERO RUSSO
LIVONIA
Dn
iep
r
UNGHERIA
Pest
IMPERO D’AUSTRIA
IMPERO OTTOMANO
TERZA SPARTIZIONE (1795) Alla Prussia All’Austria
Alla Russia
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
nella quale il desiderio dei contadini di emanciparsi dallo stato di svilimento e umiliazione a cui li costringeva la loro condizione di servi si mescolava a suggestioni ispirate al tradizionalismo religioso. I rivoltosi, prima di essere affrontati e sconfitti dall’esercito della sovrana, avevano seminato il terrore tra i signori, massacrandoli a centinaia. una volta stroncata la rivolta, Caterina II attenuò notevolmente tutta quella parte del suo sforzo riformatore che mirava a indebolire il potere dei nobili. Il suo regno si chiudeva, tuttavia, con un bilancio per molti aspetti invidiabile. sotto di lei lo spirito dei lumi aveva, sì, soffiato a corrente alternata, ma la vittoria riportata nel 1774 contro l’Impero ottomano aveva fruttato alla Russia l’accesso al mar Nero e poco meno di dieci anni più tardi (1783), sempre ai danni degli ottomani, la zarina aggiunse ai territori del suo paese anche la Crimea. le spartizioni della Polonia, tra il 1772 e il 1795, avevano inoltre attribuito a san pietroburgo l’intera porzione orientale di quella che era stata l’ultima monarchia elettiva d’Europa (insieme allo stato della Chiesa). ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le riforme del dispotismo illuminato STATo e SoVRAno
fISCo
GIuSTIzIA
AmmInISTRA zIone
ISTRuzIone
ChIeSA
• Riduzione della • Patente di tolleranza: censura libertà di culto ecclesiastica per luterani, • Riduzione del calvinisti e numero di ortodossi feste di • Emancipazioprecetto ne degli ebrei • Drastico ridimensionamento degli ordini religiosi contemplativi • Seminari di Stato per i parroci trasformati in funzionari pubblici
auStRIa maria teresa Giuseppe II
• Scuola • Nuovo codice • Corpo di • Tributi elementare funzionari per penale (1768): territoriali laica e l’esazione delle abolizione della concordati obbligatoria tasse e tortura; ogni 10 anni (1774) l’amministraeguaglianza di • Tributi riscossi • Scuola zione della tutti i sudditi di da funzionari superiore giustizia fronte alla statali statale • Scuola di legge • Compilazione formazione dei • Abolizione del del catasto funzionari foro ecclesia• Tassazione dei stico parroci • Incameramen- • Riduzione del diritto di asilo to dei beni del clero
pRuSSIa Federico II
• Abolizione della tortura • Soppressione dei tribunali feudali
SVEZIa Gustavo III
• Abolizione dei privilegi fiscali
• Scuola elementare obbligatoria (debellato l’analfabetismo)
RuSSIa caterina II
• Incameramen- • Commissione consultiva per to dei beni la redazione di della Chiesa un nuovo ortodossa codice volto a promuovere l’eguaglianza giuridica
• Controllo del • Statuto di clero educazione • Abolizione nazionale delle proprietà (1786): biennio ecclesiastiche elementare e riduzione dei gratuito per conventi tutti
• Creazione di un apparato burocratico professionale
• Scuola elementare obbligatoria (1763)
ReLIGIone
• Tolleranza religiosa
193
Il laboratorio dello storico
Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le differenti fonti ricavandone informazioni su eventi storici di diverse epoche e differenti aree geografiche
Nel corso del Settecento, il potere e la figura del sovrano che quel potere incarnava subirono un radicale cambiamento. Sotto la spinta della filosofia illuminista, la “sacralità” dell’immagine del re venne meno. Due ritratti ci mostrano in maniera emblematica tale trasformazione. Il primo, dipinto da Filippo Solimena – un pittore attivo a Napoli e poi a Vienna nei primi decenni del Settecento –, raffigura l’imperatore d’Austria Carlo VI (1685-1740), padre di Maria Teresa. Il secondo, che è opera di Pompeo Batoni, ci presenta invece un’immagine di Giuseppe II insieme al fratello Leopoldo.
la tela promana un’irradiazione di forte sacralità accentuata dalla presenza in alto della divinità della gloria l’alto dignitario che si inginocchia davanti al re assomiglia a un devoto. Il dipinto è concepito in modo tale da suggerire allo spettatore l’enorme distanza, l’abisso incolmabile che separa il sovrano-divinità dai comuni mortali
sotto la divinità è raffigurato Carlo VI, un tipico sovrano che si lascia ritrarre nella posa di dio in Terra, carico di insegne, coperto da una rilucente armatura e con il capo incorniciato da una vaporosa parrucca
Francesco Solimena, Il conte Althann presenta a Carlo VI l’inventario della Pinacoteca dello Stallburg, XVIII secolo
194
capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO
Pompeo Batoni, Giuseppe II d’Austria e Leopoldo di Toscana, 1769, (Torino, Galleria Subalpina)
nella tela di Batoni, realizzata nel 1769, appena quarant’anni dopo quella di solimena, l’atmosfera sacrale caratteristica del primo dipinto si è completamente dissolta
Il ritratto dei due nipoti di Carlo VI, destinati a divenire sovrani e imperatori d’austria, si sforza di comunicare un messaggio molto diverso. Carlo VI pareva una divinità inavvicinabile. Giuseppe e Leopoldo sono due esseri umani, colti nel gesto di scambiarsi un’amichevole stretta di mano. non portano parrucca e al posto della pesante armatura indossano una sobria uniforme d’ufficio
sulla destra compaiono i simboli della nuova razionalità secolarizzata caratteristica dell’età delle riforme: due penne, la pianta di una città, un libro
se potessimo guardare il ritratto nella sua dimensione reale, ci accorgeremmo che il libro raffigurato è Lo spirito delle leggi, scritto da montesquieu vent’anni prima, una delle opere più importanti – come sappiamo – del pensiero politico illuminista. I due fratelli rinunciano, dunque, a presentarsi come oggetti di culto e creature soprannaturali, e sottolineano invece quella che ritengono la loro funzione più importante: il servizio dello Stato, quell’edificio che le riforme illuminate stanno costruendo giorno dopo giorno, allo scopo di promuovere la pubblica felicità, piuttosto che la glorificazione della figura del sovrano
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Facendo ricorso a due fonti iconografiche, lo storico ha messo in luce alcune caratteristiche della rappresentazione del potere, evidenziando il cambiamento intervenuto nella mentalità illuminista rispetto alla figura del sovrano. • Che cosa comporta il fatto che questi due dipinti siano stati composti a una certa distanza di tempo l’uno dall’altro? • Quale rapporto tra illuminismo ed esercizio della sovranità è possibile cogliere nel secondo dipinto?
195
capItOlO 8
IL DISPOTISMO ILLuMINATO
mappa
Sull’onda delle idee illuministe, alcuni governanti intraprendono un programma di riforme
Finanze: riorganizzazione del sistema fiscale per aumentare il gettito e finanziare le guerre Rapporti Statochiesa: giurisdizionalismo
Riconoscimento ai sudditi di molti diritti civili
ambiti di riforma
dISpOtISmO IllumINatO
Risultati e limiti
Giustizia: abolizione di fori ecclesiastici e tribunali signorili per unificare le leggi
austria di maria teresa e Giuseppe II
prussia di Federico II
Riforme: • tributi riscossi da
Riforme: • istruzione
funzionari statali
• catasto • “giuseppinismo” contro le prerogative della Chiesa • promozione dell’istruzione • codice penale ma
sotto Leopoldo II resistenze di aristocrazia, commercianti e contadini
196
elementare obbligatoria • abolizione tortura • tolleranza religiosa
Svezia di Gustavo III
Riforme: • abolizione dei privilegi dei nobili
• sconfitta dell’analfabetismo
Mancato riconoscimento dei diritti politici
Russia di caterina II
Riforme: • riduzione dei conventi e incameramento dei beni ecclesiastici • biennio elementare gratuito • tentativo (fallito) di introdurre un nuovo codice di leggi ma
la rivolta popolare di Pugacˇ ëv blocca le riforme
capItOlO 8
IL DISPOTISMO ILLuMINATO
Sintesi 8.1 IL RIFORMISMO SETTECENTESCO nella seconda metà del Settecento la cultura illuminista influenzò la politica di molti sovrani europei che promossero importanti progetti di riforma. nacque il fenomeno del dispotismo illuminato: una politica di riforme imposte dall’alto, senza la mediazione delle rappresentanze sociali. Essa produsse una maggiore garanzia dei diritti civili e una maggiore eguaglianza giuridica, ma non la promozione dei diritti politici della popolazione. a spingere i sovrani a intraprendere la strada delle riforme furono soprattutto esigenze concrete, tra cui la necessità di aumentare il prelievo fiscale per finanziare gli eserciti. perciò furono creati i catasti, che permettevano di tassare non solo i contadini e gli artigiani ma anche l’aristocrazia e il clero. altri ambiti di promozione delle riforme furono il settore della giustizia e quello amministrativo dove vi furono significativi cambiamenti. Inoltre, l’azione di riforma investì i rapporti tra Stato e Chiesa, improntati ai principi del giurisdizionalismo: i sovrani cercarono di sottrarre al clero proprietà e antichi privilegi ma anche il monopolio dell’istruzione, promuovendo una scuola primaria obbligatoria e laica. 8.2 L’AuSTRIA: uN CASO ESEMPLARE DI DISPOTISMO ILLuMINATO l’austria fu lo stato che attuò nel modo più sistematico il progetto riformista. Maria Teresa d’asburgo impostò una prima ondata di riforme, stabilendo che i contributi fiscali di ogni territorio venissero concordati con le assemblee rappresentative e che a riscuoterli fossero i funzionari statali, che si sostituirono ai nobili anche in materia di amministrazione della giustizia. la sua opera riformista riuscì in parte nei territori austriaci e boemi ma fallì nelle regioni più autonomistiche come l’ungheria e i paesi Bassi. Riprese e intensificò il suo programma il figlio Giuseppe II il quale cercò di imporre le riforme a tutto il regno. Egli accentuò la politica anticlericale
abolendo molti ordini religiosi contemplativi di cui incamerò i beni, sottraendo alla Chiesa il monopolio sulla censura e l’istruzione, riducendo le feste di precetto e trasformando i parroci in veri e propri funzionari statali, formati in seminari di stato. Giuseppe II curò anche la redazione di un codice penale che aboliva la tortura e limitava la pena di morte, abolì la schiavitù della gleba e, con la Patente di tolleranza (1781), garantì libertà di culto a protestanti e ortodossi. le ribellioni in ungheria e nei paesi Bassi indussero il successore di Giuseppe II, Leopoldo II, a una politica più moderata.
8.3 DISPOTISMI ILLuMINATI IN PRuSSIA, SVEZIA E RuSSIA In Prussia il re Federico II, grande ammiratore di Voltaire, creò uno stato potente, fondato sullo sviluppo dell’esercito e della burocrazia, di cui si proclamò «il primo servitore». Intervenne con determinazione nel settore dell’istruzione elementare e in quello giudiziario; attuò una politica di tolleranza religiosa di grande apertura. Gustavo III di Svezia promosse riforme nell’ambito giudiziario e dell’istruzione, ma soprattutto attuò una politica di radicale livellamento della condizione giuridica dei sudditi, con la quasi totale abolizione dei privilegi nobiliari. Caterina II di Russia promosse una consulta legislativa per redigere un nuovo codice giuridico, abolì la schiavitù della gleba, favorì l’organizzazione della scuola elementare. tuttavia le resistenze dei ceti tradizionali e dei contadini (sfociate nella rivolta guidata dal cosacco Pugačëv) fecero fallire le riforme.
197
Identità collettiva e cittadinanza
n Inclusione Esclusione
Pieter Paul Rubens, Il saccheggio del ghetto di Francoforte nel 1614, incisione, XVII secolo
l’intolleranza religiosa Emarginati per un credo diverso
n
el corso del Settecento la filosofia illuminista individuò uno dei propri bersagli polemici principali nell’intolleranza religiosa, denunciandola come lo strumento adoperato nei secoli precedenti – tanto in ambito cattolico quanto in ambito riformato – per operare una drastica divisione tra quanti appartenevano alla fede maggioritaria dello Stato e quanti invece aderivano a un credo diverso. Gli illuministi, alcuni dei quali erano interessati a una sorta di religione universale, capace di includere tutti senza fare ricorso a particolari irrigidimenti dottrinari, criticavano le discriminazioni che il pubblico potere, agendo come braccio secolare di una Chiesa, infliggeva ai fedeli di un culto alternativo a quello dominante. Infatti, in ciascun paese europeo le minoranze religiose (alle quali non sempre e non ovunque si consentiva la residenza) risultavano escluse da alcuni diritti spettanti a coloro che si riconoscevano nei culti ufficiali: gli aderenti si presentavano, agli occhi del potere, come sudditi “di seconda classe”. In Francia, per esempio, gli ugonotti potevano praticare il proprio culto solo all’interno di determinate aree del paese. In gran parte del territorio, viceversa,
Esclusione
pativano la privazione di questo elementare diritto; e quando, alla fine del Seicento, Luigi XIV decise di revocare l’Editto di Nantes, per oltre 300 000 ugonotti suonò l’ora di un’esclusione ancora più dolorosa: a meno che non decidessero di convertirsi alla fede maggioritaria, fu imposto loro di abbandonare il paese, dal momento che le cittadelle a loro riservate fino a quel momento non vennero più considerate area franca. Accadde loro quanto era avvenuto un paio di secoli prima tanto ai musulmani quanto agli ebrei di Spagna, che a loro volta, in un momento di particolare recrudescenza dell’integralismo religioso, erano stati di colpo esclusi e allontanati a forza dal paese in cui vivevano da generazioni. I musulmani scacciati dalla Spagna, arazzo, XVI secolo
199
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Sudditi protesta nti allontanati da l Salisburghese , 1731-1732
Nel Settecento – specialmente verso la fine del secolo, quando alcune monarchie riformatrici, in particolare quella asburgica, emanarono riforme tese a stabilire dei principi di tolleranza in materia religiosa – il quadro cominciò a cambiare, ma fino a quel momento era stata prassi usuale che nei paesi cattolici i protestanti venissero emarginati ed esclusi dal pieno godimento dei diritti spettanti agli altri sudditi, e che i cattolici, a loro volta, lo fossero all’interno dei paesi a maggioranza protestante. La medesima condizione di minorità giuridica pativano gli ortodossi, tanto all’interno del mondo cattolico quanto di quello protestante, e così pure accadeva ai cattolici e ai protestanti nel mondo ortodosso.
m
la presenza in quei luoghi di coloro che venivano definiti come i discendenti degli uccisori di Cristo avrebbe contaminato uno spazio reputato sacro. Essi erano inoltre obbligati a rendersi immediatamente riconoscibili indossando un berretto o apponendo sul proprio abito una striscia di stoffa. Tanto il berretto quanto la stoffa dovevano essere di colore giallo, lo stesso che serviva a distinguere le prostitute. A prescindere dalle norme sancite negli statuti delle varie località in cui sorgevano i ghetti, l’esclusione degli ebrei dal corpo della cittadinanza si misurava in modo drammatico nel momento in cui, in occasione di una delle imprevedibili – ma ricorrenti – manifestazioni di irrazionalità collettiva che si
entre dopo il 1492 in nessun paese dell’Europa cristiana era presente una comunità musulmana (anche se singoli mercanti di fede islamica erano insediati soprattutto in alcune città di mare europee), quasi ovunque esistevano invece delle isolate comunità ebraiche che tanto nei contesti cattolici quanto in quelli protestanti subivano forme di esclusione particolarmente umilianti. Sugli ebrei, infatti, incombeva una serie di divieti: da quello di possedere terreni (e spesso anche abitazioni), a quello di frequentare scuole pubbliche o di accedere agli ospedali cristiani; a quello, infine, di muoversi di notte nella città al di fuori dello spazio riservato alla loro secolo a metà del XVIII residenza: il ghetto, di cui al tramonto le guardie raico in Boemia eb io on rim at m Un useo di Israele) cittadine sbarravano le porte, per riaprirle solo (Gerusalemme, M all’alba seguente. Ancora: agli ebrei erano preclusi i cimiteri destinati ad accogliere le salme di cristiani perché – si argomentava – 200
l’intolleranza religiosa producevano nella società dell’epoca, essi venivano fatti oggetto, sulla base di accuse fantasiose e non provate, di violente rappresaglie per misfatti che non avevano affatto commesso. Il rogo del ghetto, spesso con gran parte dei suoi abitanti chiusi dentro, e previo saccheggio dei beni da questi posseduti, è un episodio frequente nelle città cristiane dell’età moderna, soprattutto nell’Europa orientale e centrale. Comunque, anche quando non si giungeva a esiti così tragici, altre forme di intolleranza facevano parte della quotidianità della condizione ebraica in qualsiasi città nella quale gli ebrei fossero ammessi.
La comunità ebraica venne scacciata dopo qualche anno, e così il problema fu risolto. Sarebbe difficile immaginare un’esemplificazione più tangibile della determinazione dei cristiani a escludere la popolazione ebraica dalla comunità cittadina.
Q
uando, a Napoli, negli anni Quaranta del Settecento tornò a formarsi dopo vari decenni di divieto una piccola comunità ebraica, si pose alle autorità il complesso dilemma di come gestire la morte di un ebreo. Che cosa fare della sua salma? Dal cimitero cristiano gli ebrei, come abbiamo detto, erano esclusi, ma intanto la comunità ebraica, ancora troppo piccola, non disponeva di denaro sufficiente per acquistare un lotto di terreno da adibire alle inumazioni dei propri membri. Qualcuno propose di gettare la salma in mare, ma subito qualcun altro osservò che, se la popolazione cristiana della città lo fosse venuta a sapere, per mesi nessuno avrebbe più comprato pesce sul mercato cittadino, nel timore che potesse essere contaminato dal contatto con il cadavere di un appartenente a quella che il popolo minuto chiamava senza troppi complimenti la setta dei “cristicidi”.
I giudici del Sinedrio condannano Gesù, affresco, XVIII secolo
201
Capitolo 9
L’ItaLIa deL Settecento 9.1 La situazione politica La penisola all’inizio del Settecento
L’Italia nel Settecento non era uno Stato nazionale, come la Francia, l’Inghil terra, la Spagna, la Russia, ma un insieme di unità politiche distinte, ciascuna delle quali assoggettata a un governo diverso, che era espressione o di una dinastia sovrana oppure, nel caso delle repubbliche, di un’aristocrazia che governava in forma oligarchica. nel corso del secolo, in base all’esito dei conflitti dinastici, oppure in seguito ad accordi propiziati da alleanze matrimoniali tra l’una e l’altra casata, le dinastie re gnanti si scambiarono più di una volta i territori. ancora alla fine del Seicento gran parte della penisola risultava soggetta al dominio degli Asburgo di Madrid, i quali governavano sul Regno di napoli, sulla Sicilia, sulla Sardegna, sul ducato di Milano, esercitando al tempo stesso una ben percepibile influenza anche su gran parte degli altri Stati. Ma, come sappiamo, nel 1700 la linea spagnola degli asbur go si estinse e la corona di Spagna passò ai Borbone.
John Russell, Connaisseurs britannici a Roma, 1750 circa (Yale, Center for British Art)
Nell’immagine è raffigurato un gruppo di aristocratici inglesi in viaggio in Italia, tappa principale del grand tour, un percorso di istruzione e formazione di giovani aristocratici europei
Gli appassionati d’arte (connaisseurs) sono ritratti davanti al Colosseo. La riscoperta delle vestigia del mondo greco e romano è una caratteristica del viaggio settecentesco
Se dal punto di vista culturale nel Settecento l’Italia è un fondamentale polo di attrazione, dal punto di vista politico la penisola continua a essere divisa in una pluralità di Stati
202
I domini italiani dei Borbone e degli Asburgo
Spostiamo ora lo sguardo sull’assetto della penisola stabilito dalla pace di Aquisgrana, nel 1748, che pose fine alla Guerra di successione austriaca. La situa zione territoriale e i relativi equilibri di potere resteranno sostanzialmente immu tati fino al 1796. Il Regno di Napoli e quello di Sicilia sono ora in mano ai Borbone di Madrid, non più, tuttavia, alla stregua di un vicereame esterno, bensì con dignità autonoma. Già nel 1734, infatti, nel pieno della Guerra di successione polacca, Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V, aveva fatto il suo ingresso ufficiale nella città partenopea e assunto il titolo di re. durante il suo regno, e ancor di più durante quello del figlio Ferdinando, i Borbone di Napoli continuarono a mantenere stretti contatti con Madrid, ma diventarono al tempo stesso una dinastia a sé stante, considerata autoctona e non straniera dagli abitan ti del Mezzogiorno. anche nel Ducato di Parma e Piacenza nel 1748 governa un Borbone di Ma drid, anche se nei decenni seguenti sarà piuttosto il ramo francese della casata a esercitare grande influenza sul piccolo Stato italiano. Gli Asburgo di Vienna, dal canto loro, possiedono il Ducato di Milano, che cominciano a chiamare “Lombar dia austriaca”, una volta che, estintasi la dinastia dei Gonzaga, si è aggiunto il Mantovano. Inoltre, in forma indiretta, dominano anche sulla Toscana: qui, infat ti, morto senza eredi l’ultimo dei Medici, sono giunti i Lorena, imparentati con gli asburgo, dal momento che il granduca di toscana, Francesco Stefano di Lorena, ha sposato l’imperatrice d’austria Maria teresa d’asburgo (v. cap. 8) ed è diventa to, nel 1745, sacro romano imperatore.
Anonimo, Parata a Piedigrotta, XVIII secolo. La tela raffigura l’ingresso in città del re di Napoli Carlo di Borbone con il suo seguito
L’Italia nel 1700 e nel 1748 VESC. DI AUSTRIA BRESSANONE PRINC. VESC. REGNO DI DI TRENTO UNGHERIA DUC. DI DUCATO REPUBBLICA DI DI SAVOIA MILANO VENEZIA IMPERO DUC. DI DUC. DI ISTRIA OTTOMANO PARMA FERRARA REP. DI REP. DI GENOVA S. MARINO DALMAZIA REP. DI GRANDUCATO PRINC. DI LUCCA DI TOSCANA STATO MONACO REP. DI PRINC. DI DELLA RAGUSA PIOMBINO CHIESA CORSICA (alla Francia STATO DEI dal 1788) PRESIDI DUCATO DI CASTRO REGNO DI NAPOLI mar Tirreno SARDEGNA
Domini dei Savoia
mar Ionio
REGNO DI FRANCIA
REGNO DI FRANCIA
Domini degli Asburgo e poi dei Borbone di Spagna Domini degli Asburgo di Vienna
AUSTRIA TIROLO PRINC. VESC. REGNO DI DI TRENTO UNGHERIA DUC. DI REPUBBLICA DI REGNO MILANO VENEZIA DI DUC. DI ISTRIA IMPERO SARDEGNA PARMA DUC. DI MODENA OTTOMANO REP. DI E REGGIO REP. DI GENOVA S. MARINO DALMAZIA REP. DI GRANDUCATO DI TOSCANA PRINC. DI LUCCA STATO MONACO REP. DI PRINC. DI DELLA RAGUSA PIOMBINO CHIESA CORSICA (alla Francia STATO DEI dal 1788) PRESIDI SVIZZERA
SVIZZERA
mar Tirreno
REGNO DI NAPOLI
mar Ionio
mar Mediterraneo REGNO DI SICILIA
REGNO DI SICILIA
Ducato di Mantova
Possedimenti dei Borbone di Napoli
Ducato di Modena e Reggio
Domini degli Asburgo di Vienna
Marchesato di Saluzzo
Domini dei Savoia
203
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
Canaletto, Ricevimento dell’ambasciatore francese, 1726-1727 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)
I domini del Nord e del Centro
MEMO Il Ducato di Savoia dall’inizio del Settecento aveva allargato sempre più i propri domini italiani, grazie a una serie di alleanze strategiche ora con gli spagnoli, ora con i francesi. Infine, dopo la Guerra di successione spagnola, il ducato aveva ottenuto il rango di regno [vedi pp. 86 e 90].
LESSICO Enclave Dal verbo francese enclaver, “chiudere a chiave”, designa un territorio completamente circondato da uno Stato diverso da quello che esercita la sovranità su di esso.
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completiamo ora il quadro caratteristico dell’Italia settentrionale. a ovest si estendono i domini che formano il Regno di Sardegna: il ducato dal quale la dina stia prende il nome, il Piemonte e la Sardegna, che la pace dell’aia (1720) ha por tato sotto lo scettro della dinastia che regna a torino. Sotto il Piemonte, affacciata sul mar tirreno, vi è la Repubblica di Genova, i cui territori corrispondono a quel li dell’odierna Liguria e della Corsica, che verrà però ceduta alla Francia nel 1768. a est c’è un’altra antica repubblica, quella di Venezia, che ha per simbolo il leo ne di San Marco. I suoi confini occidentali si dilatano fino a comprendere Berga mo, Brescia, crema (oggi in Lombardia); verso oriente la Repubblica domina buona parte dell’odierno FriuliVenezia Giulia (ma non trieste e Gorizia, che ap partengono all’austria) e la lunga fascia costiera adriatica corrispondente alle attua li Slovenia e croazia. Infine, orientando lo sguardo verso il Brennero, incontriamo quella che è oggi la regione trentinoalto adige e che risulta suddivisa tra un piccolo staterello ec clesiastico (il principato vescovile di Trento) e la porzione meridionale della pro vincia austriaca del tirolo. Per terminare il quadro, manca ancora un tassello: il Ducato di Modena e Reggio, dove regna la dinastia degli Este, italiana ma impa rentata con gli asburgo. Scendendo verso il centro, a ridosso dell’alta costa tirrenica troviamo la piccola Repubblica di Lucca; poi, tra il Granducato di toscana e il Regno di napoli, si trova il grande Stato della Chiesa, retto dal papa, che comprende parte dei territo ri dell’odierna emilia Romagna, le Marche, l’Umbria, il Lazio, e che si completa con due piccole enclave incuneate all’interno dei confini del Regno di napoli, Benevento e Pontecorvo (di un’altra enclave lo Stato della chiesa dispone in Fran cia: è la città di Avignone). Bisogna inoltre ricordare la microscopica ma fiera Repubblica di San Marino, incastonata all’interno dei domini papali; il piccolo Stato dei Presidi (prima possesso della corona di Spagna, poi di napoli) tra la toscana e lo Stato della chiesa, il minuscolo principato di Piombino, formato da un breve tratto della costa toscana e dalle isole di fronte.
capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
Un mosaico complesso
L’Italia del Settecento concentrava su una superficie relativamente modesta quasi l’intera varietà delle forme istituzionali caratteristiche dell’antico regime europeo (monarchie, repubbliche aristocratiche, ducati e granducati, principati, e quell’unicum rappresentato dallo Stato teocratico del papa) ed esprimeva in forma esemplare il carattere pulviscolare e frammentato dei suoi modi di esercizio del potere. durante il Settecento quasi nessuna delle unità territoriali che compone vano la penisola rimase impermeabile ai fenomeni che abbiamo tematizzato nei capitoli precedenti: l’Illuminismo e il dispotismo illuminato. Ripercorrere alcu ne delle vicende della penisola in quest’epoca significa perciò osservare, all’interno di un mosaico territorialmente concentrato, ma ricco di tasselli, le stesse tendenze che abbiamo visto all’opera nella più generale cornice europea.
9.2 L’Illuminismo in Italia I circoli di Milano e Napoli
I principi dell’Illuminismo si diffusero in Italia non soltanto attraverso le ope re di scrittori stranieri. come nel resto d’europa, anche in alcune città della peni sola, infatti, si formarono circoli nei quali gli studiosi discutevano su come fosse possibile migliorare la società. a Milano si riuniva l’Accademia dei Pugni, che sosteneva la necessità di un rinnovamento nella cultura e nella vita dell’epoca. Questo gruppo fu guidato da Pietro Verri (17281797) e cesare Beccaria (1738 1794), impegnati insieme nella pubblicazione, tra il 1763 e il 1764, del periodico “Il Caffè”, una sorta di «piccola enciclopedia dell’Illuminismo italiano», il cui ti tolo rivela già lo scopo di «risvegliare con caffè purissimo tutti i dormienti». anche Napoli fu un centro culturale vivace, nel quale si approfondirono con particolare interesse soprattutto i temi economici. Vi si impegnarono Ferdinando Galiani (17281787), antonio Genovesi (17131769), Giuseppe Galanti (1743 1806) e Gaetano Filangieri (17521788) che fu l’autore di una incompiuta, ma fondamentale, Scienza della legislazione (17801785), nella quale si affermava tra l’altro la necessità di abolire il sistema feudale. Antonio Perego, L’Accademia dei Pugni, XVIII secolo (Milano, Collezione Castelbarco). Vi sono ritratti alcuni dei protagonisti dell’Illuminismo italiano
Pietro Verri
Alessandro Verri
Cesare Beccaria
Luigi Lambertenghi
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
L’opera di Cesare Beccaria
Intervista impossibile a Cesare Beccaria, p. 214
Il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte, p. 216
certamente l’illuminista italiano più noto fu cesare Beccaria, autore dell’opera Dei delitti e delle pene (1764), un breve trattato, tradotto in molte lingue, che può essere considerato il contributo più originale e importante dell’Italia al pensiero illuminista. Il testo è un’aspra critica del sistema giudiziario e penale esistente. Par tendo dai principi dell’utilitarismo, Beccaria condanna la tortura, le pene più cru deli e la pena di morte. nel mondo dell’antico regime aveva dominato l’idea che i delinquenti confes sassero solo sotto tortura. Beccaria invece sostiene l’esatto opposto: di fronte alla tortura anche gli innocenti finiscono per dichiararsi colpevoli. Scrive infatti in proposito: «Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condanna re i deboli innocenti. ecco i fatali inconvenienti di questo preteso criterio di verità, un criterio degno di un cannibale». egualmente radicale è la sua denuncia della pena di morte: secondo la mentalità dell’epoca, un criminale che veniva giustiziato subiva la meritata punizione per ciò che aveva compiuto e in più espiava il peccato che aveva commesso contro la legge divina. I delitti, infatti, venivano considerati in primo luogo come peccati, infrazioni dei comandamenti divini. Secondo Beccaria, invece, delitto e peccato sono due cose diverse: la legge, in fatti, non riguarda le colpe ma il danno arrecato alla comunità. allo stesso modo la pena non deve essere considerata come un’espiazione, ma piuttosto come un risar cimento dei danni. Perciò un malvivente non doveva essere eliminato, ma costret to a pagare con i lavori forzati il suo debito con la società. ANALIZZARE LA FONTE
Dell’inutilità della pena di morte Autore: Cesare Beccaria – Tipo di fonte: trattato – Titolo: Dei delitti e delle pene – Data: 1764 Riportiamo parte del celebre capitolo sulla pena di morte che ispirò molte riforme penali nell’Europa del Settecento, prima fra tutte quella di Pietro Leopoldo nel Granducato di Toscana (v. p. 212).
non è l’intensione1 della pena che fa il maggiore effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero movimento. […] non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato2 esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti. […] non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o l’atrocità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero esempio, tanto più funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne com mettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio. cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, Rizzoli, Milano 1981 1. intensione: intensità. 2. stentato: ostentato. Domande alla fonte 1. Perché, secondo Beccaria, l’atroce spettacolo di un’esecuzione capitale ha un effetto minore della vista di un uomo condannato ai lavori forzati? 2. Con quale argomentazione Beccaria sostiene che la pena di morte non è utile? 3. Perché Beccaria ritiene assurdo che uno Stato applichi la pena di morte?
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capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
La tradizione anticuriale e il cattolicesimo illuminato
tra gli illuministi italiani molto intensa fu la riflessione sui compiti e i poteri della Chiesa. ciò non stupisce se si pensa che proprio nel cuore della penisola si trovava Roma, il centro mondiale del cattolicesimo e che, negli Stati prossimi a quello pontificio, la chiesa deteneva un patrimonio di beni, di diritti speciali e di poteri talmente vasto da configurarsi davvero come un’entità alternativa ai governi secolari. Furono infatti soprattutto alcuni intellettuali napoletani della prima metà del secolo, come Gian Battista Vico (16681744), Paolo Mattia Doria (16621746), e soprattutto Pietro Giannone (16761748), autore di una famosa e appassionata Istoria civile del Regno di Napoli (1723) i fautori di un forte anticurialismo, teso a criticare lo strapotere del papa e degli alti prelati che gli facevano da consiglieri nella direzione delle coscienze dei cattolici di ogni paese. In altri Stati italiani operavano invece figure che si battevano per ricondurre la religiosità a quella purezza e naturalezza che la comunità cattolica pareva aver smarrito in seguito alla crescita del potere temporale della chiesa. Per esempio, il modenese Ludovico Antonio Muratori (16721750), famoso anche per le sue opere di erudizione storiografica, scrisse nel 1747 Della regolata devozione de’ cristiani, polemizzando contro l’intolleranza culturale della Santa Sede, e contro le forme superstiziose di culto da essa alimentate. La sua battaglia per una religiosità più sobria e sincera – per l’appunto la regolata devozione – gli valse l’appellativo “stronzolo del diavolo”, affibbiatogli dai gesuiti, che egli, del resto, additava tra i principali responsabili della degenerazione irrazionale del culto. Figura significativa, nella stessa direzione, fu anche il vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci (17411810), massimo esponente in Italia del giansenismo, il movi mento religioso che, rifacendosi all’insegnamento del francese cornelius Jansen (15851638), denunziava l’irrigidimento della gerarchie ecclesiastiche, mirando a valorizzare il ruolo della comunità dei fedeli e a promuovere una gestione collegia le della chiesa.
Fonte L. A. Muratori, La regolata devozione
Pietro Longhi, Frateria, 1761 (Venezia, Pinacoteca Querini Stampalia). Questa tela rappresenta con sottile ironia una riunione di frati di ordini diversi a Venezia alla metà del XVIII secolo: si noti come quelli in prima fila siano raffigurati in un atteggiamento di tipo mondano, quasi in posa per il ritratto con i loro eleganti cappelli tenuti in mano
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
Giovanni Paolo Panini, Piazza san Pietro con l’allegoria del trionfo del papato, 1757 (Parigi, Museo del Louvre)
9.3 I conflitti dei governi con la Chiesa Il ridimensionamento della Curia romana
L’attenzione che, soprattutto nella seconda metà del secolo, molti governi della penisola riservarono alle suggestioni di matrice illuminista lasciò una traccia dura tura soprattutto nel ridimensionamento del ruolo della Curia romana. Scontran dosi con il mondo tradizionale, tutti i governi trovarono infatti un comune obiettivo polemico nel potere temporale della Chiesa. a essa contestarono la pretesa di imporre in ogni Stato, per mezzo dei propri tribunali, un sistema di norme vinco lanti non solo sul piano della coscienza individuale, ma anche su quello della re pressione legale dei comportamenti giudicati irreligiosi. La presenza della Chiesa era peraltro davvero enorme anche al di fuori dello Stato pontificio. nel Regno di napoli, per esempio, le terre ecclesiastiche al momento dell’ascesa al trono dei Borbone ammontavano a forse la metà della superficie coltivabile del paese; in Lombardia, nel 1749, a poco più del 20%; nella Repubblica di Venezia a circa il 10%; nel Lazio a quasi il 40%. Inoltre, attraverso gli ordini regolari, e in particolare quello dei gesuiti, la curia romana esercitava una grande influenza sull’istruzione pubblica, godendo così della possibilità di plasmare coscienza e mentalità dei gruppi dirigenti. a influenzare il modo di vivere e di pensare della parte più umile della popolazione provvedevano invece i parroci, le sole figure dotate di un poco di cultura a cui la povera gente si accostasse con fiducia. dietro alla battaglia anticlericale vi era da un lato il desiderio delle nuove dinastie (gli asburgo di Vienna in Lombardia e in toscana, i Borbone nel Regno di napoli e nel ducato di Parma e Piacenza) di stare al passo con quanto avveniva nelle grandi monarchie europee, dove, come abbiamo visto esaminando il caso austriaco (v. cap. 8, par. 8.2), lo Stato avanzava a discapito dei corpi privilegiati. dall’altro si faceva sentire il contributo degli illuministi locali, molti dei quali furono designati dai governi come ministri o funzionari allo scopo di fruire della loro com petenza per realizzare le riforme. Infine, soprattutto per quello che riguardava la ride finizione dei rapporti tra Stato e chiesa (così come di quelli tra chiesa e società), con il processo di riforma interagì positivamente quella parte del clero che era influenza ta da pensatori come Muratori o da figure come Ricci, e per questo desiderosa di promuovere mutamenti all’interno della Chiesa cercando l’alleanza con lo Stato. 208
capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
La lotta contro i gesuiti
Il risultato più clamoroso della battaglia anticlericale fu lo scioglimento dell’ordine dei gesuiti. Fondato dopo la Riforma protestante dallo spagnolo Ignazio di Loyola (14911556), allo scopo di farne lo strumento di punta della Controriforma, l’ordine si era enormemente rafforzato nei due secoli seguenti e rappresenta va il simbolo del monopolio che la chiesa deteneva nel campo dell’istruzione. Gran parte della gioventù aristocratica e benestante si formava infatti, sotto il segno della ratio studiorum, presso i collegi gesuitici, diffusisi a macchia d’olio nell’europa cattolica e ancora in espansione fino a metà del Settecento. ciò con sentiva ai membri dell’ordine di esercitare una sottile influenza come consiglieri e confessori di figure eminenti (e degli stessi sovrani) e di orientarne pertanto le scelte politiche. Ma forte era anche la loro presenza all’interno del tribunale dell’Inquisizione, un organo ecclesiastico dotato di poteri pubblici, che in ogni paese cattolico godeva della prerogativa di giudicare ed emanare sentenze in ma teria di difesa della fede, osservanza della morale, censura sulle opere a stampa. da un lato, dunque, i gesuiti si muovevano nelle quinte della grande politica europea, dall’altro erano in prima fila nelle strutture giudiziarie preposte alla repressione di quella libertà di coscienza il cui perseguimento costituiva uno degli obiettivi dell’Illuminismo. a partire dal 1759 gli appartenenti all’ordine cominciarono prima a venire espulsi dai vari paesi, poi sostituiti ai vertici del sistema educativo. cominciò il Portogallo, che nel 1759 fece espellere i gesuiti dal regno, accusandoli di aver com plottato contro il re. Poi fu la volta degli Stati borbonici di tutta europa e anche di quelli assoggettati agli Asburgo. così nel 1773, papa Clemente XIV (Giovan Vin cenzo antonio Garganelli, 17051774, papa dal 1769) si rassegnò a decretare lo scioglimento (provvisorio) dell’ordine. cominciò allora, per gli ex gesuiti, una fase di grave crisi, che risparmiò in sostanza solo quanti di loro operavano in con tinenti diversi dall’europa, assolvendo incarichi in materia di evangelizzazione.
MEMO Ratio studiorum (“piano di studi”) è una raccolta di regole alle quali dovevano attenersi insegnanti e studenti dei collegi dei gesuiti. Le regole riguardavano i tempi e le modalità di insegnamento, i contenuti disciplinari, ma anche le norme comportamentali che gli allievi dovevano seguire.
Approfondire Le scuole dei gesuiti
APPROFONDIRE
Riforme e potere nello Stato e nella Chiesa agioni e interessi contrapposti tra Stato e Chiesa sono ben Rtecento, evidenziati da alcuni documenti degli anni Sessanta del Setche si trovano negli archivi di Vienna e del Vaticano. Il ministro austriaco Kaunitz (1711-1794), al momento di sollecitare l’avvio delle riforme giurisdizionalistiche in Lombardia, scriveva all’imperatrice Maria Teresa che era necessario, per il bene dello Stato, costringere Roma ad ammettere che «la libertà e l’immunità ecclesiastica hanno ad avere un confine». Secondo Kaunitz, per potenziare l’economia era indispensabile restituire ai laici il possesso dei beni incamerati nei secoli precedenti dagli ecclesiastici ed eliminare la manomorta, ovvero il divieto di mettere in vendita i beni fondiari della Chiesa. Distogliendo gli ecclesiastici «dalla distrazione che seco porta l’amministrare (le terre)», si sarebbe ottenuto inoltre il risultato di favorirne un modo di vita più spirituale e aderente ai compiti che Dio aveva assegnato alla Chiesa. Infine ricordava alla sovrana che la censura ecclesiastica non serviva solo a mantenere in un’arretrata ortodossia le coscienze, ma soprattutto a sfidare lo Stato nelle sue prerogative sovrane. Pertanto era opportuno to-
gliere al clero questo potere «diretto in apparenza alla conservazione della purità della fede, in sostanza al fine di estendere la giurisdizione della corte di Roma». Quando l’imperatrice decise di dare corso alle sollecitazioni del suo ministro, papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1693-1769, papa dal 1758), le inviò a sua volta una lettera accorata, dalla quale si evincono bene le motivazioni dello sconcerto ecclesiastico di fronte alle riforme: «Il metodo che Vostra Maestà intende di stabilire in Milano per la stampa ed introduzione dei libri (un metodo basato sul principio dell’avocazione allo Stato del potere di censura n.d.t.) non è buono e pare in pericolo la purità della nostra santa fede e l’integrità della morale cristiana, in questi tempi, nei quali la religione e la fede è da mille parti attaccata con una guerra tanto più pericolosa quanto più occulta, che i libri empi ogni dì più si aumentano e si traducono ne’ volgari idiomi, che tutti leggono e sortiscono il veleno nascosto sotto la lusinghevole fallacia di una vana filosofia […], che la Chiesa e i suoi ministri sono per così dire fatti il bersaglio delle irrisioni e dei più fieri colpi degli uomini».
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La sconfitta della Chiesa
Il ministro riformatore Léon Guillaume du Tillot
In Italia la battaglia per limitare il potere della Chiesa risultò particolarmente drammatica nel piccolo Ducato di Parma e Piacenza, dove, circondato da consi glieri di formazione illuminista, il ministro du Tillot (17111774), condusse negli anni Sessanta una vigorosa politica anticuriale. La Santa Sede, per questo, lo sco municò e, per farsi valere, si spinse fino ad avanzare la pretesa di incorporare nello Stato pontificio il ducato, sul quale sosteneva di godere di antichi diritti. Ma du tillot, appoggiato dalle altre corti borboniche (i Borbone di Francia occuparono l’enclave di avignone e quelli di napoli Benevento e Pontecorvo), non cedette. Espulsi i gesuiti nel 1768, il ducato fu il primo Stato europeo a dichiarare abolito, nel 1769, il tribunale dell’Inquisizione. come dimostra la pretesa pontificia di rivendicare a sé il ducato di Parma, dopo averne scomunicato il ministro riformatore, ancora a metà del secolo i papi erano abituati a considerarsi come autorità superiori ai sovrani secolari. non rappresentavano forse loro il tramite terreno di quella luce divina a cui i regnanti cattolici facevano appello per legittimarsi agli occhi dei sudditi? e non era dunque giusto che in ogni paese cattolico la chiesa di Roma godesse di grandi ricchezze e imponesse il suo magistero morale e le proprie leggi a una società che era fatta di fedeli, prima ancora che di sudditi? a fine secolo, viceversa, la Chiesa sotto il profilo dell’esercizio del potere tem porale si identificava ormai con il solo Stato pontificio, retto da papi che da qual che decennio erano costretti a stipulare con gli altri Stati – monarchie, ducati, re pubbliche – dei concordati, limitativi delle prerogative fino a quel momento fruite dalla comunità ecclesiastica. In Italia, come nel resto dell’europa cattolica, pur conservando grande influen za morale, fu la Chiesa la grande sconfitta dell’età delle riforme. da un lato, la cacciata dei gesuiti comportò il sequestro dei loro cospicui beni da parte dello Sta to, ma soprattutto l’apparato istituzionale della curia cessò di costituire un’autori tà alternativa rispetto a quella dei governi. non fu più uno Stato dentro gli altri Stati. due esempi, tra i tanti, ce lo dimostrano. In seguito alla soppressione dei conventi decretata dal governo, in Lombardia tra il 1790 e il 1791 i membri del clero regolare calarono da oltre 12 600 a circa 5500; nella Repubblica di Venezia, tra il 1776 e il 1790, da circa 8000 a circa 4600. L’“esercito” del papa usciva dun que sostanzialmente dimezzato dalle iniziative dei governi. Per molti chierici ciò comportò un drastico impoverimento, visto che i beni sui quali si era basato fino a quel momento il loro sostentamento non appartenevano più alla chiesa. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Cronologia dell’ordine della Compagnia di Gesù
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1540
Paolo III istituisce l’ordine della Compagnia di Gesù
1759
I gesuiti vengono espulsi dai territori portoghesi
1764
I gesuiti vengono espulsi dalla Francia
1767
I gesuiti vengono espulsi dalla Spagna, dal Regno di Napoli e di Sicilia
1768
I gesuiti vengono espulsi dal Ducato di Parma e Piacenza
1773
Papa Clemente XIV sopprime l’ordine della Compagnia di Gesù
1814
Papa Pio VII ricostituisce l’ordine
capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
9.4 L’assolutismo illuminato nell’Italia del secondo Settecento La differenza del riformismo nelle monarchie e nelle repubbliche
Se la critica nei confronti della chiesa fu un tratto comune a gran parte delle realtà politiche dell’Italia settecentesca, non altrettanto uniforme si rivelò l’azione contro i privilegi nobiliari. nei territori soggetti al dominio di dinastie sovrane i governanti cercarono di realizzare, come facevano i monarchi illuminati europei, una serie di riforme atte a migliorare la gestione fiscale e amministrativa, pro muovendo la realizzazione di catasti, riducendo i privilegi nobiliari ed ecclesiastici, agevolando la libertà di commercio, migliorando l’istruzione pubblica e cercando di favorire la cultura scientifica. Le repubbliche, che erano dominate da élite ari stocratiche, si mostrarono invece molto più caute sotto questo profilo. Qui, infat ti, diminuire i privilegi nobiliari avrebbe significato paradossalmente minare potere e ricchezza degli stessi governanti; ed era improbabile, se non impensabile, che costoro accettassero di infliggersi un danno di questo tipo. nonostante ciò, anche nelle repubbliche, seppur in misura più blanda, si sentirono gli effetti del giurisdizionalismo, che stava alla base del riformismo di Maria teresa e di Giusep pe II in austria. Le riforme nella Lombardia asburgica
La Lombardia austriaca, facendo parte dei domini asburgici – il laboratorio per eccellenza del dispotismo illuminato europeo – fu forse la regione italiana nella quale le riforme furono più incisive. nel 1760 venne realizzato un catasto, il pri mo di cui Maria teresa sperimentò l’attuazione nei suoi domini. Promuoveva la parificazione dei ceti sociali di fronte allo Stato e al suo fisco, ed era rivolto perciò contro i corpi privilegiati (aristocrazia e clero). negli anni seguenti, mentre, con modalità analoghe a quelle esaminate nel capitolo 8, si affermava il controllo dello Stato sulle strutture della Chiesa e l’incameramento di parte dei suoi beni, il gover no provvide ad attribuire all’amministrazione dello Stato gran parte delle funzioni pubbliche fin lì assolte dai corpi privilegiati (aristocrazia, corporazioni) o da privati.
MEMO Le corporazioni, nate come patti associativi di individui che esercitavano lo stesso mestiere, si diffusero a partire dal XIII secolo in tutta Europa. I loro obiettivi erano di regolamentare la concorrenza e garantire la qualità dei prodotti. Con il tempo, però, la rigidità delle regole dei loro Statuti finì per farne uno strumento di difesa dei privilegi e di resistenza alle innovazioni tecnologiche [vedi p. 129].
Bernardo Bellotto, Veduta di Vaprio d’Adda, 1744 (New York, Metropolitan Museum of Art). La Lombardia asburgica fu il primo territorio in cui si sperimentò il catasto
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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
Venne liberalizzata e promossa la vita economica (anche attraverso lo scioglimento delle corporazioni), si posero le basi per la diffusione dell’istruzione elementare, fu favorito il progresso della cultura di orientamento razionalistico e scientifico. Per un certo periodo i rappresentanti più illustri dell’Illuminismo lombardo – Pie tro Verri e cesare Beccaria – furono chiamati dal governo a ricoprire incarichi importanti al servizio dello Stato. Il riformismo nella Toscana di Pietro Leopoldo
Ritratto di Pietro Leopoldo granduca di Toscana dal 1765
LESSICO Statalizzazione In relazione al Settecento, il termine indica l’estensione della sovranità esercitata dalle istituzioni statali, che sostituisce quella di soggetti tradizionalmente dotati di potere sul territorio come i titolari di feudi (nobili o ecclesiastici) o le cittadinanze dei centri urbani muniti di statuto. In questo contesto statalizzazione significa quindi contenimento o annullamento dei poteri alternativi a quelli dello Stato.
Gherardo Poli, Piazza della Signoria a Firenze, XVIII secolo (Nancy, Museo delle Belle Arti)
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nella toscana governata da Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, granduca di toscana dal 1765 al 1790 (e poi, come sappiamo, imperatore d’austria e sacro ro mano imperatore dal 1790 al 1792) le riforme furono particolarmente ardite sul terreno economico. dalla metà degli anni Settanta in poi il governo adottò in modo convinto le indicazioni liberistiche. Il programma di modernizzazione delle attività economiche si espresse soprattutto nella liberalizzazione del commercio dei grani – prima fortemente limitato dal sistema dell’annona che imponeva di creare scorte di grano, depositate nei magazzini cittadini e utilizzate negli anni infausti per far fronte alle carestie –, introdotta in due tappe tra il 1767 e il 1775, e nell’abolizione delle corporazioni, sancita nel 1771. a queste iniziative se ne unirono altre, tese ad arginare il potere della Curia romana. Il vescovo di Pistoia, Scipione de’ Ricci, fortemente influenzato dal giansenismo, condusse agli inizi degli anni novanta la chiesa toscana quasi sul punto di staccarsi da quella di Roma. La riforma più coraggiosa, tra quelle realizzate nel granducato sotto il governo di Pietro Leopoldo, fu quella del diritto penale. nel 1786 il sovrano fece emanare un nuovo codice penale i cui punti fondamentali erano: certezza delle leggi, statalizzazione dei tribunali, eliminazione della tortura come strumento di indagine giudiziaria, abolizione della pena di morte e sua sostituzione con il lavoro forzato. Si trattava di un testo unico che sostituiva le molte, sparse e spesso contraddittorie norme preesistenti e che, primo in europa, accoglieva le idee formulate vent’anni prima da cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene. tra le varie esperienze di riformismo settecentesco, quella toscana fu sicuramen te la più sensibile a quel tema della libertà dell’individuo e della promozione dei suoi diritti di fronte al potere, che costituiva uno dei punti chiave del pensiero il luminista e che aveva rappresentato la base della riflessione filosofica degli intellet tuali negli anni precedenti.
capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
Le riforme nel Regno di Napoli
anche nel Regno di Napoli i tentativi di riforma seguirono soprattutto la linea del ridimensionamento dei privilegi, ma se l’azione dei ministri riformatori, si tuandosi nell’alveo della tradizione anticuriale elaborata nella prima metà del seco lo, risultò abbastanza efficace sul piano dell’eliminazione di parte dei privilegi ecclesiastici, molto meno incisiva essa si rivelò per quanto atteneva all’erosione del potere della nobiltà, a causa del radicamento profondo della struttura feudale nel territorio e nella società del regno. tanto nel continente quanto in Sicilia, ancora alla fine del secolo, infatti, i feudatari restavano gli arbitri quasi incontestati di una società di sudditi. L’aristocrazia continuava a detenere immense estensioni di territorio, nelle quali i contadini vivevano in condizioni di umiliante soggezione personale rispetto ai signori, in un rapporto di immutata gerarchia rispetto ai seco li precedenti. erano questi ultimi, ai cui comandi stavano anche i giudici che am ministravano la giustizia locale, a dettare legge. Inoltre, la presenza opprimente della feudalità comportava anche condizioni di grave stagnazione economica, a causa dell’orientamento assenteista di gran par te dell’aristocrazia fondiaria. Quando, nel 1764, una drammatica carestia colpì il paese, si contarono alla fine quasi duecentomila vittime; morti per fame, per i quali i ministri residenti a napoli furono in grado di fare ben poco.
Letteratura Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto
Un bilancio della stagione riformista italiana
I risultati delle riforme settecentesche in Italia, di cui abbiamo fornito alcuni esempi (a cui si possono aggiungere le riforme catastali e antifeudali realizzate nel Regno di Sardegna sotto carlo emanuele III), furono dunque diversi da Stato a Stato, e non sempre pienamente coerenti con le intenzioni dichiarate. Relativamente conservatrice, come abbiamo accennato, fu invece la politica condotta negli stessi decenni dai governi delle repubbliche oligarchiche e da quel lo dello Stato pontificio. tuttavia, anche in questi ultimi Stati, come nel resto dell’Italia e dell’europa, si diffuse in quest’epoca la sensazione che la società si tro vasse, dopo secoli di torpore, finalmente in movimento e che il tradizionale sistema di valori perdesse di credibilità, divenendo obsoleto. al suo posto se ne annunciava uno proteso verso orizzonti inediti.
Giuseppe Maria Crespi, Ragazza che si spulcia, 1727 (Napoli, Museo di Capodimonte). Nella seconda metà del Settecento Napoli conobbe una grave crisi economica
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le riforme nell’Italia del Settecento TeRRIToRIo
DINASTIA ReGNANTe
RIfoRMe
piemonte e Sardegna
Savoia (Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele III)
Catasto Norme antifeudali
lombardia
Asburgo (Maria Teresa, Giuseppe II)
Catasto (1760) Norme antifeudali Eliminazione privilegi ecclesiastici Istruzione primaria Statalizzazione
toscana
Lorena (Pietro Leopoldo)
Liberalizzazione del commercio dei grani Abolizione delle corporazioni Norme anticuriali Codice penale (soppressione pena di morte)
Regno di Napoli
Borbone (Carlo II, Carlo III, Ferdinando IV)
Eliminazione dei privilegi ecclesiastici
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D Beccaria, sappiamo che con i suoi amici del “Caffè” – i due fratelli Verri e gli altri – lei è stato uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo in Italia. Che cosa vi ha spinti ad abbracciare questa dottrina filosofica?
r Eravamo tutti molto giovani, ventenni o
Intervista impossibile - 5 domande a
poco di più. Solo Pietro Verri, il più anziano tra noi, aveva più di trent’anni, quando, nel 1764, fondammo la rivista “Il Caffè”. Vivevamo a Milano, una città a quell’epoca molto conservatrice, dove dominava una cultura antiquata e autoritaria, quella dei nostri padri, con i quali, chi più chi meno, eravamo tutti in rotta. Pietro Verri, per esempio, non ne poteva più di dover ascoltare lo «sciocchezzaio domestico» di suo padre, il senatore Gabriele, e di suo zio monsignore, pronti a ripetere che era un buono a nulla ogni volta che si sedeva a tavola con loro. Si figuri che nel 1763, quando venne convocato dall’Inquisizione, scoprì che a denunciarlo erano stati i suoi famigliari. L’avevano accusato di aver manifestato in conversazioni private delle opinioni eretiche. Non parliamo poi del mio, di padre. Pensi che quando avevo vent’anni, facendo applicare dalle autorità le leggi previste dall’istituto della patria potestà, mi costrinse per oltre un mese agli arresti domiciliari, perché voleva impedirmi di sposare la donna che amavo, Teresa Blasco, che allora aveva diciassette anni, ma, dopo aver scontato la pena, io la sposai lo stesso, e lui a questo punto mi scacciò di casa. Ci volle un anno prima che si decidesse a riprendermi, con la mia Teresa, sotto il tetto domestico. Ecco, per noi, giovani aristocratici stanchi della tradizione, aderire all’Illuminismo ha significato in primo luogo andare alla ricerca di nuovi padri; padri spirituali tutti diversi da quelli naturali che la sorte ci aveva assegnato. Per questo ci siamo messi a leggere voracemente autori come Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Diderot, D’Alembert, e poi a scrivere anche noi. Il loro discorso di libertà e di emancipazione dai pregiudizi l’abbiamo subito sentito come il nostro, così lontano dal fanatismo, dall’intolleranza, dall’angustia mentale dei nostri padri.
Cesare
BeCCaria
D E perché avete chiamato “Il Caffè”
viscere ancora palpisenza una ripartizione equa delle risorse tanti». Così ho con- Senza una la felicità pubblica non è pensabile per- dotto una battaglia ripartizione equa ché, nella miseria dei molti che li circon- contro l’ignoranza e il delle risorse la dano, neppure i ricchi possono essere fanatismo, e per la felicità pubblica felici. Per questo ho parlato della proprietà fraternità umana. privata come di un «terribile, e forse non non è pensabile necessario diritto». È in nome di quel dirit- D Ma come è stata perché, nella to – quando si cerca di violarlo – che vie- accolta la sua ne punita «quella infelice parte di uomini» opera? miseria dei molti che dal destino non hanno ricevuto che r Ho riscosso grande che li circondano, «una nuda esistenza». E ho affermato an- successo, allora, in che che nel rapporto con altri paesi d’Europa. neppure i ricchi gli altri ci vuole uno «spirito Ma qui in Italia sono possono essere di mansuetudine e di fra- stato criticato molto felici ternità» che è la ragione, in duramente. La nostra primo luogo a suggerire. rivista “Il Caffè” durò L’uomo illuminato non deve appena poco più di un anno, ed eravapensare alla difesa dei pro- mo costretti a stamparla a Brescia, pri privilegi. Deve impe- che allora si trovava nella Repubblica gnarsi, invece, a far sì che veneta, perché in Lombardia non ci «la propria nazione diventi avrebbero dato l’autorizzazione. Tirauna famiglia di uomini fra- vamo 500 copie, ma che fatica ventelli», e che si riduca quan- derne anche solo una parte! Poi to più possibile «la distanza successe qualcosa di inatteso. Prodei grandi dal popolo». prio mentre le nostre difficoltà creCon la collaborazione dei scevano, e mentre i tradizionalisti ci miei amici del “Caffè” volevo attaccavano in modo sempre più proporre un nuovo modello furibondo, il governo ci propose di Abbiamo immaginato che i nostri artico- di Stato, capace di prevenire con un saggia entrare al suo servizio e di prestare li non fossero altro che la trascrizione di legislazione sociale i delitti, piuttosto che la nostra intelligenza all’attuazione discorsi usciti dalla bocca degli avvento- punirli con sistemi atroci. Mi pareva assur- di alcune riforme. Al nostro discordo e inutile che lo Stato si so di libertà, a dire il vero, i sovrani ri del Caffè di Demetrio, tramutasse in una prigio- che ci assunsero non erano molto una bottega specializzane, e trovavo abominevole interessati. Però anche loro, come ta nel servire un caffè Per noi, giovani l’uso della tortura, che ai noi, desideravano limitare il poteche «chiunque lo prova, aristocratici miei tempi era ancora così re della Chiesa e favorire un rinquand’anche fosse l’uo- stanchi della diffuso nelle procedure di novamento della cultura e della mo il più grave, l’uomo il più plumbeo della terra, tradizione, aderire giudizio. Era stata soprat- società. tutto l’Inquisizione, per se- Da allora, per qualche decennio, bisogna che per neces- all’Illuminismo coli – e ancora ai miei sono stato un pubblico funzionasità si svegli, e almeno ha significato tempi – a farne uso. Que- rio e ho scritto soprattutto di per mezz’ora diventi un in primo luogo sto non ho potuto dirlo in economia, ma, certo, è all’ardouomo ragionevole». andare alla ricerca modo esplicito, perché al- re giovanile dei miei 23 anni – trimenti avrei corso seri ri- l’età che avevo quando scrissi D Beccaria, il suo di nuovi padri schi, ma l’ho lasciato capi- Dei delitti e delle pene – che amico Verri nel libro re con un’allusione. Meditazioni sulla devo l’immortalità della mia felicità ha criticato gli orrori della fama. La mia battaglia, peralD Quale? guerra e ha affermato che «la felicità tro, è ancora molto lontana r Questa: «Chiunque leggerà questo dall’essere stata vinta compubblica è la maggior felicità scritto, accorgerassi che io ho omesso un pletamente. possibile divisa colla maggior uguaglianza possibile»; e, ancora, che genere di delitti che ha coperto l’Europa di sangue umano, e che ha alzato funeste il migliore degli Stati è quello «in cui i cataste, ove servivano di alimenti alle doveri e i diritti dell’uomo sono chiari fiamme i vivi corpi umani, quand’era gioe sicuri, e dove la felicità è distribuita condo spettacolo … per la cieca moltitucolla più eguale misura possibile su dine l’udire i sordi, confusi gemiti dei tutti i membri». È d’accordo anche lei miseri, che uscivano dai vortici di nero con questa interpretazione? E, se sì, fumo, fumo di membra umane, fra lo stricome l’ha sviluppata nel suo libro Dei dire di ossa incarbonite, e il friggersi delle delitti e delle pene? la vostra rivista? r Perché nei caffè, luoghi di incontro che anche da noi stavano cominciando a sorgere, ma che già da decenni si erano diffusi nell’Europa più avanzata, in quell’epoca si leggevano le gazzette e ci si informava sulle novità del mondo. Vi si discuteva appassionatamente, sorseggiando una bevanda che «ha la virtù di far stare l’uomo svegliato», ovvero pronto a esercitare la ragione e la critica in libertà e senza timori reverenziali.
r Sì, anch’io ho sostenuto l’idea che
Il laboratorio dello storico
Il diritto di dare la morte
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Il reato come peccato «Quale può essere il diritto che si attribuisce agli uomini di trucidare i loro simili?». Questa è la domanda che si pone il milanese Cesare Beccaria nell’opera Dei delitti e delle pene (1764), un breve trattato che è da considerarsi come il più importante contributo offerto dall’Italia all’Illuminismo. Beccaria non si riferisce ai massacri perpetrati nelle guerre – che gli illuministi condannano, ma nei confronti dei quali non possono che limitarsi a esercitare una critica morale –, bensì agli omicidi, per così dire, legali; ovvero alle condanne a morte emanate dai tribunali statali o anche da quelli ecclesiastici (per esempio il tribunale dell’Inquisizione). In questi luoghi i delitti venivano considerati in primo luogo come peccati, cioè come infrazione dei dieci comandamenti divini. Osserviamo questa immagine, tratta da un’opera scritta a Napoli nel 1772 per criticare le idee di Beccaria:
In alto, a sinistra, compare l’occhio di Dio, che proietta il suo raggio sulla Giustizia, una figura austera che si pone al confine tra la sfera sacra e quella profana
La Giustizia, che impugna la spada, indica nel carnefice l’esecutore terreno della volontà divina. La Giustizia davanti alla quale cadevano le teste dei condannati era quella di dio, colui che ha il potere di dare e di togliere la vita
Il boia porge alla Giustizia il suo tributo di teste decapitate. nel mondo della giustizia di antico regime il boia era una figura familiare. non era certo circondato di buona fama e tuttavia lo si considerava come il braccio terminale di una volontà che si faceva risalire a Dio, e della quale i sovrani secolari, con le loro leggi e con i loro apparati punitivi, erano i semplici esecutori
alle esecuzioni capitali, che venivano spesso eseguite in pubblico – nella più grande e trafficata piazza della città – la popolazione assisteva in gran numero; in parte era attirata da una morbosa curiosità, ma in parte era anche convinta di prendere parte a una sorta di rito religioso; la morte del condannato significava l’espiazione dei suoi peccati Allegoria della giustizia, 1764, incisione da Antonio Silla, Il diritto di punire, risposta al trattato de’ delitti e delle pene del signor marchese di Beccaria, Napoli 1772
216
capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO
Una giustizia umanizzata Spostiamo ora lo sguardo su un’altra immagine, contenuta nella traduzione svedese di Dei delitti e delle pene. I personaggi della scena sono gli stessi, ma il messaggio proposto è totalmente diverso.
L’occhio di Dio, con la sua luce, non c’è più
La Giustizia, priva di spada e intensamente umanizzata nei gesti, respinge con disgusto e turbamento l’offerta del boia. La Giustizia non si sente più titolare del diritto di “trucidare” e non tollera di posare ulteriormente lo sguardo sul macabro trofeo impugnato dal boia È un’immagine che esemplifica bene la visione di Beccaria, tesa a desacralizzare il diritto penale e a incardinarlo all’interno dell’ordine della ragione
Rielaborazione svedese dell’allegoria della giustizia secondo Beccaria, 1770
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state adoperate due fonti iconografiche coeve di tipo particolare: non dipinti o affreschi, bensì incisioni contenute all’interno di opere a stampa pubblicate nell’ambito del dibattito acceso dall’opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene. • Attraverso quali altre caratteristiche, oltre a quelle evidenziate dai tiranti, la Giustizia rivela nella seconda immagine una natura “umana” che invece le manca nella prima? • Quali riferimenti alla religione si trovano nell’immagine sulla pagina sinistra?
217
capItOlO 9
L’ITALIA DEL SETTECENTO
mappa Diffusione delle idee illuministe attraverso
Circoli (es. Accademia dei Pugni)
Periodici (es. “Il Caffè”)
Repubblica di Genova
• scioglimento
Repubblica di Venezia Repubblica di Lucca
Stati poco permeabili alle riforme
IllumINISmO IN ItalIa
Temi di riflessione prevalenti
Repubblica di San Marino
Stati aperti alle riforme
• catasto • norme antifeudali
• liberalizzazione economica
• istruzione elementare
218
dell’ordine dei gesuiti e incameramento statale dei loro beni • indebolimento della Curia romana
privilegi feudali: combattuti nei territori sotto il dominio straniero, cautela nelle repubbliche oligarchiche
Stato della Chiesa
lombardia austriaca
privilegi ecclesiastici: anticurialismo e lotta alla superstizione che contribuiscono a
Granducato di toscana
Regno di Napoli
parma e piacenza dei Borbone spagnoli
Regno di Sardegna
• liberalizzazione
norme contro i privilegi ecclesiastici
forte azione anticuriale di du Tillot (espulsione dei gesuiti, soppressione del Tribunale dell’Inquisizione
riforme catastali e antifeudali
del commercio dei grani • abolizione delle corporazioni • norme anticuriali • Codice penale
capItOlO 9
L’ITALIA DEL SETTECENTO
Sintesi 9.1 LA SITUAZIONE POLITICA dopo le guerre di successione (1748) la carta dell’Italia risulta alquanto cambiata rispetto all’ini zio del secolo. Il Regno di Napoli e di Sicilia è appannaggio dei Borbone di Madrid men tre il Ducato di Milano passa dagli asburgo di Madrid a quelli di Vienna. Il Regno dei Savoia si arricchisce della Sar degna mentre il Granducato di Toscana, estintasi la dina stia dei Medici, diviene domi nio dei Lorena, imparentati con gli asburgo. Sopravvivono anche le storiche repubbliche oli garchiche di Genova, Venezia e Lucca, mentre lo Stato della Chiesa continua a essere governato dal papa. completano il quadro della penisola la fiera Repubblica di San Marino, il piccolo Stato dei Presidi e il minuscolo principato di Piombino. L’Italia continua quindi a essere divisa in molte realtà politiche: monarchie, ducati, granducati, re pubbliche e principati, non immuni ai fenomeni dell’Illuminismo e del dispotismo illuminato. 9.2 L’ILLUMINISMO IN ITALIA L’Illuminismo italiano si diffonde grazie alla for mazione di importanti cenacoli culturali come l’accademia dei Pugni a Milano, animata dai fratel li Verri e da cesare Beccaria e impegnata nella pub blicazione della rivista “il caffè”, e i circoli napoletani, dove vengono affrontati soprattutto temi economici da pensatori come Ferdinando Galiani, antonio Genovesi e Gaetano Filangieri. Il maggior contributo italiano al pensiero illumi nista è rappresentato da Dei delitti e delle pene, l’opera di cesare Beccaria dedicata alla critica del sistema giudiziario (con la condanna in particolare della tortura e della pena di morte). Intensa è anche la riflessione su compiti e poteri della Chiesa, dato il ruolo determinante che essa ha in Italia, sede dello Stato pontificio e del potere temporale della chiesa. Si sviluppa una corrente di anticurialismo, soprattutto a opera di intellettuali meridionali (tra cui Gian Battista Vico, Paolo Mat tia doria, Pietro Giannone). In altri Stati italiani, invece, alcuni pensatori si battono per un cattolicesimo illuminato, privo di corruzione e supersti zione.
9.3 I CONFLITTI DEI GOvERNI CON LA ChIESA La centralità del tema del potere temporale della chiesa si avverte anche nel campo delle riforme realizzate negli Stati italiani. Quasi tutti compiono azioni di ridimensionamento dei poteri e dei privilegi della Chiesa: impongono obblighi fiscali al clero, chiudono monasteri e conventi, espellono i gesuiti dai loro territori, fino a co stringere papa clemente XIV (1773) a sopprimere l’ordine. 9.4 L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO NELL’ITALIA DEL SECONDO SETTECENTO Mentre sono diffuse in quasi tutta la penisola le riforme anticlericali, non così radicale è la riduzione dei privilegi nobiliari: solo negli Stati monarchi ci vengono promosse riforme in tal senso, mentre nelle repubbliche aristocratiche i governanti cerca no di tutelare i propri privilegi. I tre principali laboratori delle riforme nell’Italia del Settecento sono la Lombardia, la Toscana e il Regno di Napoli. nella Lombardia asburgica vengono estese le azioni già promosse nei territori austriaci (istituzio ne del catasto, incorporamento dei beni del clero, obbligo scolastico, riordino dell’amministrazione). In Toscana il granduca Pietro Leopoldo è molto sensibile al tema delle libertà dell’individuo, sia in campo economico sia in campo giuridico, dove re dige un nuovo codice penale (1786) che garantisce la certezza della legge, l’eliminazione della tortura e l’abolizione della pena di morte. nel Regno di Napoli, governato dai Borbone di napoli, che diventeranno una dinastia autonoma rispetto a Madrid, hanno successo le riforme contro i privilegi del clero ma non quelle contro i vasti po teri dell’aristocrazia feudale. alcune riforme cata stali e antifeudali sono attuate anche nei pos sedimenti dei Savoia, mentre relativamente conservatrice è la poli tica condotta dai go verni delle repubbliche oligarchiche e da quello dello Stato pontificio.
219
SEZIONE 2
Il secolo deI lumI
eseRcIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
A quali Stati vengono annesse nel Settecento le seguenti regioni? Scegli tra Austria (A), Prussia (P) e Russia (R). ➜ cap. 8 a. b. c. d.
2
Slesia Bielorussia Galizia Crimea
Riordina cronologicamente gli eventi elencati, relativi all’Impero asburgico nel Settecento. a. b. c. d. e. f. g. h.
3
Morte di Maria Teresa Prammatica sanzione Leopoldo II diventa imperatore Patente di tolleranza Istruzione elementare obbligatoria Tassazione dei parroci Rivolta dei Paesi Bassi spagnoli Introduzione del Codice penale
Svolgi sulla carta l’attività proposta.
➜ cap. 9
Completa la legenda colorando opportunamente i quadratini in base alla situazione politica italiana nel 1748.
220
Asburgo Borbone Este Lorena Savoia
➜ cap. 8
uSARE IL LESSICO STORICO
4
Definisci in 5 righe il concetto di “economia morale”.
5
Definisci e metti in relazione i seguenti termini. a. b. c. d. e.
6
➜ cap. 5
➜ cap. 6
deismo / teismo agnosticismo / ateismo assolutismo / costituzionalismo sensismo / materialismo liberismo / mercantilismo
Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione.
➜ cap. 7
• giacobiti • sistema della polisinodia • governo di gabinetto • clientelismo
7
L’espressione “dispotismo illuminato” mette in luce due aspetti contrastanti del processo riformistico del Settecento: quali? ➜ cap. 8
8
Fornisci una definizione di ciascun termine.
➜ cap. 9
a. anticurialismo b. enclave c. concordato
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
9
Completa la tabella mettendo a confronto la società di antico regime con quella settecentesca. società tradizionale
➜ cap. 5
società di fine settecento
Demografia Mondo del lavoro Mondo culturale
10
Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 5
1. Nel corso del Settecento cresce l’agricoltura estensiva. 2. Le nuove associazioni laiche, sorte nel corso del Settecento, permisero la diffusione della cultura solo all’interno di una piccola percentuale della popolazione. 3. Il modello corporativo si basava sul principio della concorrenza. 4. Nei gabinetti di lettura per la prima volta cominciò a esserci una massiccia presenza di donne colte. 5. L’analfabetismo fu generalmente più accentuato nei paesi cattolici che in quelli protestanti. 6. Nei secoli della Controriforma la Chiesa era riuscita ad abolire tutti i riti agrari di origine pagana.
11
Rispondi alle domande.
V F
➜ cap. 5
1. Quali furono le probabili cause dell’aumento demografico nel corso del Settecento? 2. Quali motivi favorirono l’incremento delle nascite nel corso del Settecento? 221
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
3. 4. 5. 6. 7. 8.
12
Quali furono gli effetti del declino del mondo corporativo? Perché nel Settecento iniziò a imporsi la concorrenza? Perché i registri parrocchiali sono uno strumento importante per la demografia? In che modo la Chiesa riusciva a esercitare il controllo sul comportamento dei fedeli? Quali conseguenze ebbe la diffusione di associazioni laiche nel corso del Settecento? Perché nell’Europa protestante la percentuale di analfabetismo è generalmente più bassa rispetto a quella registrata nell’Europa cattolica?
Completa la tabella.
➜ cap. 6
pensatore
posizione politica
Voltaire Costituzionalismo liberale Rousseau
13
Collega i termini o le espressioni della colonna di sinistra con i nomi della colonna di destra. 1. 2. 3. 4. 5. 6.
14
Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.
15
fisiocrazia separazione dei poteri utilitarismo liberismo materialismo democrazia
a. b. c. d. e. f.
➜ cap. 6
d’Holbach Rousseau Bentham Quesnay Montesquieu Smith
➜ cap. 6
Qual è il rapporto che si può individuare tra rivoluzione scientifica e Illuminismo? Quale fu l’effetto della nascita di accademie, club e circoli di lettura? Quali sono le cause del nuovo spirito di tolleranza che si diffonde nel Settecento? Per quale motivo Smith ritiene che lo Stato non debba intervenire nelle questioni economiche? Quali effetti ha la fiducia nella ragione sulla concezione della storia degli illuministi?
Individua quali affermazioni sono vere e quali false.
➜ cap. 7
a. b. c. d. e. f. g. h. i. l.
16
L’Act of Settlement impediva a tutti i discendenti degli Stuart di diventare sovrani inglesi. William Pitt il giovane guidò l’Inghilterra durante la Guerra dei sette anni. Giorgio III sovvertì le alleanze appoggiandosi al partito tory. John Law permise alla Francia di uscire da una grave crisi economica. In Inghilterra i dissidenti religiosi si riconoscono nel partito whig. Le Grandes Remonstrances erano degli atti con i quali il Parlamento di Parigi chiese al sovrano di espellere i gesuiti dal paese. Durante il lungo regno di Luigi XV in Francia il potere era di fatto nelle mani dei ceti privilegiati. Con la bolla Unigenitus Luigi XIV pose fine alla secolare persecuzione contro i giansenisti. Carlo III introdusse in Spagna importanti riforme antiecclesiastiche e limitò il potere dell’Inquisizione. Il marchese di Pombal fondò l’Università di Coimbra.
Completa le tabelle.
➜ cap. 7
Inghilterra periodo
capo di gabinetto
Robert Walpole William Pitt il vecchio William Pitt il giovane 222
azione politica
V
F
ESErcIZI
Francia periodo
governante
azione politica
Filippo d’Orléans Il cardinale Fleury Luigi XV
17
Scegli l’alternativa corretta.
➜ cap. 8
1. Il giurisdizionalismo è una politica ecclesiastica secondo la quale a
lo Stato legifera anche in materia di fede lo Stato stabilisce le giurisdizioni ecclesiastiche c lo Stato controlla gli atti della Chiesa nelle materie non di fede
b
2. La monarchia elettiva è una forma di governo che a
si oppone al dispotismo illuminato limita i poteri del sovrano c può rendere instabile la successione al trono
b
3. Quali gruppi furono i principali oppositori del dispotismo illuminato? a
la borghesia e i philosophes i contadini e i funzionari pubblici c l’aristocrazia e il clero
b
4. Il dispotismo illuminato favorì a
la partecipazione della popolazione alla gestione del potere un’evoluzione in senso democratico della società c l’eguaglianza di tutti i sudditi di fronte alla legge
b
5. La soppressione di alcuni ordini ecclesiastici contemplativi ebbe come effetto a
un ritorno della Chiesa allo spirito comunitario delle origini l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato c il consolidamento degli ideali della Riforma protestante
b
18
Completa la tabella, relativa ad alcune istituzioni culturali o correnti di pensiero settecenteschi . rappresentanti
➜ cap. 9
idee e temi trattati
Accademia dei Pugni Anticurialismo Cattolicesimo illuminato
19
Rispondi alle domande.
➜ cap. 9
1. Quali effetti ebbero sull’assetto politico-territoriale dell’Italia le guerre di successione? 2. Quali motivi sono alla base dello spirito anticuriale diffusosi soprattutto nell’Italia meridionale nel corso del Settecento? 3. Quali motivi fanno dei gesuiti un importante bersaglio della lotta dei riformatori contro i poteri della Chiesa? 4. Quali furono le cause della crisi del potere papale alla fine del Settecento? 5. Per quali motivi le repubbliche non promossero politiche antinobiliari? 6. Quali fuono gli effetti concreti del successo dell’opera di Beccaria? 7. Quale rapporto vi fu in generale tra gli illuministi italiani e le opere di riforma realizzate da alcuni Stati italiani? 8. Quale obiettivo si cercava di perseguire con la liberalizzazione del commercio dei grani? 9. Quali motivi sono alla base del fallimento di una parte delle riforme nel Regno di Napoli? 10. Quali sono le differenze tra il riformismo lombardo e quello toscano? 223
SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
20 Nell’Europa dell’antico regime la religione svolge un ruolo importante nell’orientare i processi di socializzazione e di interazione sociale. Sviluppa questa tesi in un massimo di 20 righe.
21
In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti.
➜ cap. 5
➜ cap. 7
a. La crescita del potere parlamentare nell’Inghilterra degli Hannover b. La politica economica in Francia durante il lungo regno di Luigi XV c. L’età delle riforme in Spagna e Portogallo
22
Dopo aver letto il brano seguente e servendoti delle considerazioni fatte da Beccaria, scrivi un breve testo nel quale presenti una serie di argomentazioni contro la tortura e la pena di morte. ➜ cap. 9 L’illuminista milanese, mostrando profonda sensibilità al tema delle garanzie per l’imputato, scagliò parole di fuoco contro l’uso giudiziario della tortura, una pratica che durante l’intero antico regime aveva costituito il mezzo più comunemente adottato per estorcere la confessione agli imputati: «Egli è un voler confondere tutti i rapporti – scrisse – l’esigere che il dolore divenga il crogiolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è un mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di questo preteso criterio di verità, un criterio degno di un cannibale». Come sappiamo, il primo paese ad abolire la pena di morte fu il Granducato di Toscana, nel 1786, ma ci illuderemmo se pensassimo che quell’esempio incontrò grande fortuna nei decenni seguenti. I maggiori Stati del mondo (la Cina, gli Stati Uniti, la Russia) la prevedono tuttora. E la tortura viene tutt’altro che di rado praticata anche da governi che pure si fanno vanto di essere gli alfieri della libertà. Cesare Beccaria la sua battaglia non l’ha ancora vinta.
SCRIVERE DI STORIA
23
L’Illuminismo segna la nascita dell’intellettuale moderno: immagina di dover scrivere per la rivista “Cultura e società” un articolo che illustri la novità rappresentata dall’emergere di questa nuova figura nell’ambito della rivoluzione culturale illuminista. Leggi i tre documenti riportati e poi prova a scrivere il tuo articolo. ➜ cap. 6
Documenti dal momento che mi son venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per rendere gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito, e di temperare lo spirito con la moralità, sicché i miei lettori possibilmente riescano in un modo o nell’altro a trovare il fatto loro nella meditazione del giorno. e affinché la loro virtù e la lor discrezione non consistano di lampi di pensiero brevi, passeggeri, intermittenti, ho risoluto di rinfrescare la loro memoria di giorno in giorno fin tanto che io non li abbia risanati da quella disperata condizione di vizio e di follia in cui è caduta l’età. l’animo che giace incolto un solo giorno germoglia di follie che possono estirparsi soltanto con una cultura costante e assidua. Fu detto di socrate che portò la filosofia giù dal cielo a dimorare tra gli uomini; e mia ambizione sarà che di me si dica che ho portato la filosofia fuori dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nei ritrovi presso le tavole da tè e nei caffè. Perciò raccomanderei particolarmente queste mie riflessioni a tutte le famiglie ordinate, che dedicano un’ora ogni mattina al tè e al pane e burro; e caldamente le consiglierei pel loro bene di disporre che questo giornale venga recapitato con puntualità e considerato parte del servizio del tè. […] lascerò giudicare al lettore se non sia molto meglio venir introdotti alla conoscenza di se stessi, che udir ciò che avviene in moscovia o in Polonia; e divertirci con scritti che tendono alla soppressione dell’ignoranza, della passione e del pregiudizio, che con tali che naturalmente tendono a infiammare gli odi, e a rendere irriconciliabili le inimicizie. J. Addison, “The spectator”, n.10, 12 marzo 1711
224
ESErcIZI
Gli altri uomini sono determinati ad agire senza che si sappiano rendere conto delle cause che li inducono a muoversi, senza neppure pensare che ve ne siano. Il filosofo invece, per quanto sta in lui, chiarisce le cause, spesso persino le prevede, vi si abbandona con cognizione piena; è un orologio che, per così dire, a volte si carica da sé. […] la ragione, rispetto al filosofo, è ciò che la grazia è rispetto al cristiano. la grazia determina il cristiano ad agire, la ragione determina il filosofo. […] Il filosofo preferisce ai motti brillanti la cura di ben distinguere le idee, di conoscere la giusta estensione e l’esatta connessione, e di evitare di prendere abbagli insistendo eccessivamente su qualche rapporto peculiare che le idee hanno tra loro. In tale discernimento consiste ciò che si chiama “giudizio” ed “equilibrio mentale”: a tale equilibrio si aggiungono inoltre la duttilità e la nettezza. Il filosofo non è mai tanto affezionato a un sistema, da non essere sensibile alla forza delle obiezioni. la maggior parte degli uomini sono così radicati alle loro opinioni, che non si danno neppure la pena di interpretare quelle altrui. Il filosofo comprende le opinioni che respinge, con la stessa larghezza e precisione con cui comprende quelle che adotta. lo spirito filosofico è dunque uno spirito di osservazione e di precisione, che riporta tutto ai suoi veri principi; ma non è questo soltanto lo spirito che il filosofo coltiva; egli spinge più oltre la sua attenzione e le sue cure. Encyclopédie, voce Filosofo
l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! – è dunque il motto dell’Illuminismo. la pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall’eterodirezione, tuttavia rimangono volentieri minorenni per l’intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. È tanto comodo essere minorenni! se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene ecc., io non ho bisogno di pensare. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. […] È dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura. È giunto perfino ad amarla. e attualmente è davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. […] senonché a questo rischiaramento non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! l’ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari! l’intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! l’ecclesiastico: non ragionate ma credete! I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?
24
A partire dal brano seguente, scrivi un tema sul seguente argomento: “il dispotismo illuminato”.
➜ cap. 8
Nel linguaggio odierno "riforma" è un termine di uso quotidiano che sempre meno frequentemente desta emozioni, aspettative, sussulti durevoli e profondi. Questa parola è oggi così priva di pathos perché nella società contemporanea, prevalentemente orientata verso il futuro, l’esigenza di riformare, cioè di mutare le leggi per eliminare difetti o introdurre innovazioni congruenti con i mutamenti della società, pare una cosa ovvia. Ma non è sempre stato così: ci sono stati nella storia lunghi secoli di immobilismo delle istituzioni, ciecamente ancorate alla tradizione. Durante il Settecento, alla luce della recente spinta illuminista, in molti Stati europei alcune leggi, ritenute fino a quel momento immutabili, poste spesso a tutela di antichi privilegi delle classi nobiliari, vennero modificate per iniziativa dei governi e di sovrani che imposero sull’argomento la propria sola autorità contro lo strapotere delle classi privilegiate, ormai parassitarie, della corte che pure avevano contribuito a sostenere. Si parla così di dispotismo illuminato.
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SEZIONE 2
IL SECOLO DEI LUMI Verso
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
• Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni
L’Illuminismo tra filosofia e politica Molti sono gli approcci in ragione dei quali la storiografia ha affrontato un argomento come quello dell’Illuminismo. Ve ne è, in primo luogo, uno a forte caratterizzazione filosofica, attento, dunque, soprattutto a ricostruire le concezioni del mondo caratteristiche dell’epoca dei Lumi, come il razionalismo, il naturalismo, il materialismo, il sensismo. Ma, al tempo stesso, peculiare dell’Illuminismo fu anche, e in modo particolare, un inedito, intenso legame tra la sfera delle idee e quella della loro realizzazione pratica; per esempio quella in ambito istituzionale, evidenziata dalle riforme promosse dai governi al fine di mutare gli equilibri sociali che si opponevano a un più razionale utilizzo delle risorse. Dell’Illuminismo, infine, si possono sottolineare anche i limiti, l’esitazione a sviluppare in modo pie-
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia
• Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
namente consequenziale alcune premesse generali. Franco Venturi 1 , in uno scritto che ha rappresentato una pietra miliare della storiografia sull’Illuminismo, polemizza vivacemente tanto contro una sua interpretazione tutta interna al mondo del pensiero e delle idee, quanto contro i dogmatismi propri di una certa fase della ricerca di orientamento marxista in materia. Luciano Guerci 2 , a sua volta, individua soprattutto nel complesso rapporto tra elaborazione culturale dei filosofi e attività riformista dei governi uno dei temi più interessanti della ricerca storica sull’Illuminismo. Michèle Crampe-Casnabet 3 , in anni più recenti, evidenzia la permanenza di un radicato pregiudizio antifemminile anche all’interno della pur innovativa e emancipatoria filosofia illuminista.
Franco Venturi
Le idee e la loro funzione Franco Venturi ( 1914-1994) è stato uno dei più importanti storici italiani del Novecento, e certamente il maggior studioso dell’Illuminismo nel nostro paese. A questo tema ha dedicato, tra l’altro, un vasto affresco d’insieme nell’opera Settecento riformatore (Einaudi, Torino), in vari volumi tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta del Novecento. 1. Was ist Aufklärung?, in tedesco “Che cos’è l’Illuminismo?”. 2. Moses Mendelssohn (1729-1786), filosofo tedesco di origine ebraica, tra i protagonisti del cosiddetto illuminismo ebraico.
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Avevo avuto la tentazione di intitolare queste lezioni Was ist Aufklärung? 1 . Ho poi resistito a questa tentazione, non perché temessi d’essere accusato d’aver voluto mettermi sullo stesso piano di Immanuel Kant, di Moses Mendelssohn2 e degli altri valentuomini che risposero nel 1784 al quesito così formulato dalla “Berlinische Monatschrift” [Rivista mensile berlinese]. Spero che tutti possano, almeno in questa materia, fare affidamento su una mia sufficiente capacità di autocritica. Se non sono risalito alla data iniziale del dibattito sull’illuminismo, è perché sono convinto che quella discussione, pur così interessante, rischiò allora e rischia ancor oggi di deviare la ricerca portandola su una strada sbagliata.
3. Ernst Cassirer (1874-1945), filosofo tedesco, poi naturalizzato svedese. Tra le sue opere più importanti: Sostanza e funzione ( 1910), Filosofia dell’Illuminismo (1932), Il mito dello stato (postumo, 1946). 4. «Imposez-moi … dire», «Obbligatemi al silenzio su religione e governo e non avrò più niente da dire». 5. Nicolao Merker, studioso italiano di storia della filosofia e storia della letteratura. Ha scritto, tra l’altro, L’illuminismo tedesco. L’età di Lessing, Laterza, Bari 1968.
6. Riforbire sulla cote indica letteralmente l’atto di ripulire la lama di un coltello sull’apposito strumento (“cote”).
Da Kant a Cassirer3 e oltre, l’illuminismo europeo è stato dominato da questa interpretazione filosofica della Aufklärung tedesca. Almeno Cassirer era stato sincero e aveva intitolato il suo libro Die Philosophie der Aufklärung. Riapriamolo. Per limitarci alla Germania, dominano Baumgarten e Bodmer, Jerusalem e Lessing, Wolff e Kant; Schlötzer e Büsching, ad esempio, sono assenti. Eppure l’uno fu il più importante pubblicista del secondo Settecento, scoprì agli occhi dei tedeschi un intero mondo storico quale la Russia e meglio d’ogni altro dimostrò la difficoltà, i contrasti d’un pensiero liberale nella Germania di quella età. Il secondo diede una dimensione nuova alla geografia, dominando con i suoi libri l’intero mercato europeo di quegli anni. Né in Cassirer troviamo un solo economista. Una Aufklärung che non tocchi lo stato, la terra, il commercio è evidentemente mutila almeno di una delle sue ali. Come diceva Diderot: «Imposez-moi silence sur la religion et le gouvernement, et je n’aurai plus rien à dire»4 . Certo di religione settecentesca molto si parla in Cassirer. Di governo – non di teorie giuridiche, ma di politica – poco o nulla. E questa tendenza non accenna a mutare tra gli storici dei lumi. È uscito l’anno scorso in Italia un libro importante, intitolato L’illuminismo tedesco. Età di Lessing di Nicolao Merker5 . È scritto da un marxista. Discute continuamente sul valore sociale delle idee filosofiche. Ma Schlötzer e Büsching sono praticamente assenti, i fisiocrati tedeschi come se mai non fossero esistiti. C’è tutto, dalla religione alla società. Quel che manca è “le gouvernement”, come diceva Diderot, l’azione politica concreta. A ben guardare, l’interpretazione filosofica della Aufklärung, da Kant a Cassirer e ad oggi, rischia di essere variamente deformante perché è sempre una storia che tende essenzialmente a risalire alle origini, ai principi primi delle idee che vede operare nella realtà del XVIII secolo. Guarda a Descartes, a Leibniz, a Locke, a Malebranche, in loro vede le fonti di quei pensieri che furono poi utilizzati e intorbidati dalla filosofia popolare, che furono consumati nel corso della lotta ideologica del secolo dei lumi. Per rimettere ordine dopo la battaglia, l’unica cosa da fare, sembrano dire questi storici, è quella di vedere come fossero stati forgiati quei concetti i quali, contorti e guasti, stanno di fronte ai nostri occhi, come furono fabbricate quelle armi che dobbiamo ora riforbire sulla cote6 di un grande sistema filosofico, sulla pietra d’una delle grandi concezioni del mondo, razionalismo, naturalismo, sensismo ecc. Peccato che questo metodo si scontri precisamente con quello che fu il carattere fondamentale del pensiero illuminista, la radicale volontà cioè di non costruire sistemi filosofici, la totale sfiducia nella loro validità. Condillac, Voltaire, Diderot, d’Alembert, a metà del secolo, lo hanno detto tanto chiaramente da non lasciarci più dubbio alcuno. Non alle origini delle idee dobbiamo risalire, evidentemente, ma alla loro funzione nella storia del Settecento. [...] Di fronte a queste incertezze e difficoltà della storia delle parole e delle idee, non è affatto sorprendente che si sia cercata una via del tutto diversa o, per meglio dire, opposta e contraria. Parte, questa strada, dalla società e non dalle idee, dai gruppi e non dagli individui, dalle diffuse mentalità e non dalle creazioni singole. [...] Naturalmente questa storia sociale dell’illuminismo si rifà al marxismo. [...] Alla base della loro interpretazione dell’illuminismo sta l’affermazione che esso è l’ideologia della borghesia in sviluppo. Sono personalmente convinto che questa definizione è uno degli ostacoli che più gravemente si frappongono oggi ad una comprensione più approfondita del XVIII secolo, e che è necessario rimuovere questa ipotesi di lavoro per procedere meglio, più spediti e più avanti. È certo che l’illuminismo, o certi aspetti di esso, diventarono ad un certo momento strumenti di difesa e di offesa nella lotta contro le sopravvivenze del mondo feudale, signoriale, medievale in Francia, in Italia, in Spagna e altrove. 227
SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI
È altrettanto vero che tale funzione non è sempre né ovunque quella dell’illuminismo, che è compito dello storico accertare quando e come ed entro quali limiti ciò avvenne, non mai di accettare quella identificazione prestabilita. F. Venturi, Utopia e riforma nell’Illuminismo, Torino 1970, pp. 9-20
Guida alla comprensione • Venturi in primo luogo mette in luce le insufficienze di un’interpretazione dell’Illuminismo tutta interna al mondo delle idee. • Egli rivendica poi polemicamente il carattere
2.
per molti versi asistematico dell’Illuminismo e propone di studiarlo senza pregiudizi dogmatici, nella varietà delle sue manifestazioni concrete.
Luciano Guerci
Illuministi, sovrani, funzionari Luciano Guerci, storico italiano, ha insegnato Storia moderna all’Università di Torino e ha consacrato molti studi al Settecento e alla rivoluzione francese. La sua opera più recente è Uno spettacolo non mai più veduto al mondo. La Rivoluzione francese come unicità e rovesciamento negli scrittori controrivoluzionari francesi (1789-1799), UTET, Torino 2008
Se ci volgiamo ai personaggi e agli Stati, la prima impressione che ne ricaviamo è quella della più grande confusione. Coloro che abitualmente si fanno rientrare nella categoria “despoti illuminati” sono diversissimi l’uno dall’altro. A fianco di un Carlo III di Spagna e di una Maria Teresa d’Austria, sovrani noti per la loro devozione, stanno gli scettici Federico II di Prussia e Caterina II di Russia. Differenti e talvolta addirittura opposti, inoltre, i provvedimenti adottati. Mentre in Lombardia e in Toscana si abolì l’appalto delle imposte, in Prussia lo si istituì; mentre Caterina II si fece in quattro per favorire la nobiltà ed aumentare i carichi dei contadini, Giuseppe II condusse una politica antinobiliare e abolì la servitù e la corvée; mentre in Prussia rimasero alterati i vincoli al commercio dei grani, in Toscana si attuò una piena liberalizzazione. Insomma, il “dispotismo illuminato” sembra disintegrarsi in una miriade di elementi privi di un punto di riferimento comune. […] È degli anni sessanta la piena maturazione della stagione illuministica. I lumi si diffondono in tutta Europa. Sono essi a suscitare il dispotismo illuminato? È ad essi che si ispirano i sovrani? […] I philosophes furono prodighi di elogi verso molti re, che essi presentarono come monarchi giusti, generosi, solleciti del bene generale, impegnati ad abbattere pregiudizi e superstizioni, artefici di una città terrena più vivibile. A proposito dei rapporti tra re e philosophes (l’attenzione si è appuntata soprattutto sui philosophes francesi), molti hanno fatto notare che i primi lusingavano vanità e magari pagavano pensioni, mentre i secondi incensavano a più non posso, senza troppo curarsi di esaminare se il comportamento dei loro idoli fosse davvero conforme ai nobili princìpi che venivano sbandierati. Va detto, però, che gli elogi tributati ai sovrani erano sinceri: nell’attività di un Federico II o di una Caterina II i philosophes vedevano realizzata o in via di realizzazione una parte almeno degli ideali per cui si battevano. […] Per quel che riguarda i monarchi, questi ultimi si accorsero di quanto potesse giovare alla loro fama e alla loro immagine 228
IL DIbattItO DEgLI StOrICI
1. écraser l’infâme: «schiacciare l’infamia» era il motto di Voltaire
2. F. Bluche (1925): storico francese, tra i pionieri della storia della mentalità. Il riferimento qui è al suo Le despotisme éclairé (Paris, Fayard 1968) 3. C. Capra (1939): uno dei maggiori storici italiani dell’età moderna, ha insegnato all’Università di Milano. Qui il riferimento è a C. Capra D. Sella, Il ducato di Milano dal 1535 al 1796, , Torino 1984
pubblica l’appoggio dei più autorevoli esponenti della repubblica letteraria. Perciò amarono atteggiarsi a campioni della ragione e della felicità dei popoli: il che non significa che in essi tutto fosse calcolo, ipocrisia, intento propagandistico. […] Se sarebbe eccessivo affermare che [le riforme] nulla debbono alle idee delle lumières, non c’è dubbio che a metterle in moto e a spingerle innanzi furono fattori più terra terra. Non è un caso che l’attività riformatrice più intensa si sia dispiegata al termine di due lunghe guerre, quella di Successione austriaca e quella dei Sette anni. […] Ai sovrani apparve evidente che bisognava intervenire al più presto per risanare le finanze, rianimare la vita economica, potenziare l’esercito, e che per raggiungere risultati concreti bisognava rinnovare e rendere più funzionante la macchina statale. […] Fu allora che ci si mise al lavoro. La cosa più urgente era riempire le casse dello Stato: di qui l’attacco ai privilegi della Chiesa, e il conflitto con essa. Conflitto di amplissima risonanza e dalle molteplici implicazioni, che si accampò in primo piano anche grazie ad iniziative clamorose come la cacciata dei gesuiti. Opera di dottrinari che scesero in lotta per ragioni di principio, per écraser l’infâme1 come voleva si facesse Voltaire? No, non di questo si trattò, bensì del tentativo di ridurre perniciose immunità fiscali e pesanti condizionamenti all’autorità dello Stato. Certo i sovrani non trascurarono di effettuare innesti philosophiques idonei a giustificare teoricamente la battaglia intrapresa, e certo le idee dei philosophes, più o meno modificate ed adattate, servirono a dare maggior vigore e consapevolezza agli attacchi contro la Santa Sede. Senza il fermento illuministico – com’è stato giustamente osservato – difficilmente si sarebbe giunti ad una misura così radicale come l’espulsione dei gesuiti; ed è anche grazie ad esso che la rivendicazione della sovranità dello Stato divenne più netta ed articolata. […] I re si appropriavano delle idee dei lumi che tornavano loro comode e s’accordavano con i loro programmi. Come ha osservato François Bluche2 : «I philosophes [avrebbero voluto] che lo Stato fosse al servizio dei lumi; la monarchia mise i lumi a disposizione, addirittura a discrezione dello Stato». Non è detto però che i philosophes fossero sempre e comunque più progressisti dei sovrani. In realtà, ciò che rese difficile i rapporti tra gli uni e gli altri (al di là delle reciproche celebrazioni) fu l’esistenza di due logiche differenti, ognuna con una sua specificità e una sua ragion d’essere. Da un lato, la logica di chi si proponeva di rafforzare lo Stato, dall’altro quella di chi s’appellava ai valori, ai princìpi. Si alternavano convergenze e divergenze, e poteva accadere che i philosophes effettuassero una “fuga in avanti” (come ha mostrato Carlo Capra3 a proposito di Verri e Beccaria) in relazione ai problemi concreti che si ponevano ai monarchi. Il caso della Lombardia mostra che, quando ebbero ad assumere responsabilità di governo, gli illuministi del “Caffè” si trovarono spesso spiazzati rispetto ai funzionari “puri”, interamente guadagnati ad una «cultura delle riforme incardinata sul concetto dello Stato come supremo ordinatore e tutore del bene pubblico» (C. Capra). E in fondo furono proprio questi funzionari ad agire più efficacemente nel senso dell’ammodernamento e della razionalizzazione. L. Guerci, L’Europa del Settecento. Permanenze e mutamenti, utet, Torino 1988
Guida alla comprensione • Guerci sottolinea la difficoltà di individuare tratti unificanti nel riformismo settecentesco, se non nella volontà di accentramento politico manifestata dai sovrani.
• Egli mostra poi i nessi intrattenuti con la cultura illuminista da parte dei funzionari riformatori, suggerendo che furono soprattutto questi ultimi a realizzare nella pratica alcune istanze illuministe.
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SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI
3.
Michèle Crampe-Casnabet
La misoginia illuminista La studiosa francese Michèle Crampe-Casnabet è una storica della filosofia. Tra i suoi libri ricordiamo Kant, le gouvernement et la Raison (“Kant, il governo e la Ragione”, Bordas, Parigi 2004).
1. Marchesa di Châtelet: Gabrielle Émilie le Tonnelier de Breteuil (1706-1749), marchesa du Châtelet, era una fisica, matematica e scrittrice francese. 2. Madame Lepaute: Nicole-Reine Lepaute (17231788), nata in una famiglia dell’alta aristocrazia francese, si dedicò all’astronomia e assistette il celebre matematico Lalande. 3. Abate Mallet: Edme-François Mallet (17131755), teologo ed enciclopedistaa francese. 4. Louis de Jaucourt (1704-1779), medico ed enciclopedista francese. 5. JosephFrançois de Corsembleu Desmahis: commediografo e letterato francese dell’epoca dei Lumi.
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[Nel secolo dei lumi] il permanere di pregiudizi sul “bel sesso” (come se la bellezza fosse solo da una parte) è ancor più paradossale dal momento che lo spirito dell’illuminismo combatte apertamente ogni opinione che non sia fondata sulla ragione, ogni sistema che non legittimi le sue premesse. Paradosso, ancora, nel sostenere l’ineguaglianza intellettuale delle donne, mentre invece alcune donne (di estrazione sociale elevata) animano i salotti in cui si diffonde il pensiero filosofico, contribuiscono all’evoluzione della letteratura, alla propagazione delle scienze. È, non dimentichiamolo, la marchesa di Châtelet1 che traduce i Principia mathematica philosophiae naturalis di Newton; Madame Lepaute2, membro dell’Académie des Sciences de Béziers, scrive delle Mémoires d’astronomie e una Table des Longueurs de pendules. L’elenco dei lavori intellettuali femminili sarebbe lungo. Ma le donne hanno veramente preteso di essere dichiarate uguali? Se si dà ascolto a certi discorsi maschili, se non richiedevano l’uguaglianza è perché non ne avevano alcun interesse. Montesquieu scrive nei Mes Pensées: « È da notare che, fatta eccezione per alcuni casi, dovuti a circostanze particolari, le donne non hanno mai preteso l’uguaglianza: perché esse godono già di tanti altri vantaggi naturali, che l’uguaglianza di potere è sempre per loro un impero». [Riguardo alla voce Donna dell’Encyclopédie] le sue tre parti sono strutturate nelle rubriche “Antropologia” (abate Mallet3); “Diritto naturale” (De Jaucourt4); “Morale” (Corsambleu Desmahis5). Il primo testo […] tratta dell’inferiorità della donna e ne analizza le possibili ragioni naturali e culturali. […] Il testo di De Jaucourt prende in considerazione lo statuto della donna – femmina dell’uomo – dal punto di vista del diritto naturale: la donna è qui definita fondamentalmente come possesso del marito […]. L’articolo di Desmahis dovrebbe trattare della donna dal punto di vista morale. […] La natura ha attribuito agli uomini il diritto di governare, ed è solo grazie all’arte (all’artificio) che le donne possono sperare di riscattarsi. […] La sessualità femminile porta in sé come un destino miserabile. È in base al sesso, in primo luogo, che l’inferiorità femminile è legittimata in natura. Perché si può sostenere, come fa Rousseau (Emilio, libro V), che tutto quel che non è specifico del sesso è comune alla specie, ma che tuttavia è nella donna che il sesso prevale […]. La sessualità femminile è alla base della sua schiavitù, secondo un sistema complesso di “ragioni”. […] L’inferiorità della donna, radicata nella sua differenza sessuale, è estesa naturalmente a tutto il suo essere e in particolare alle sue facoltà intellettuali. La donna ha veramente un intelletto, un potere razionale? Per diritto sì, se è vero che la donna è un essere umano. Di fatto, la dichiarazione di principio dell’eguaglianza intellettuale fra i sessi è intaccata da un’opinione maschile quasi unanime. Se è vero che l’appannaggio delle donne è la bellezza, e se la ragione non è data una volta per tutte ma deve essere coltivata, la donna non può avere al tempo stesso la bellezza (così effimera) e la ragione (così lenta da costituirsi). Nell’Esprit des lois (libro XVI, cap. II), Montesquieu sostiene quindi che perlomeno nei paesi mediterranei, in cui il clima caldo è causa di sessualità femminile precoce, i due sessi sono naturalmente disuguali. Questa ineguaglianza ha come conseguenza ineluttabile la dipendenza della donna all’uomo […].
IL DIbattItO DEgLI StOrICI
Nei paesi a clima temperato, in cui la donna è in età da marito più tardi rispetto alle sue sorelle orientali, la bellezza è più duratura e può quindi coabitare con «un minimo» di ragione. Ecco la spiegazione della monogamia e della poligamia, che regna nei climi caldi. Ciò non toglie che, nei paesi a clima temperato, si tratterebbe semplicemente di «una sorta d’uguaglianza fra i due sessi». Per la maggior parte dei filosofi illuminati, il fatto che la donna sia priva di raziocinio o sia dotata di una facoltà intellettuale inferiore dipende da una certezza rassicurante ma che pur pretende di basarsi su dei fatti. Tra questi, la motivazione più frequentemente addotta è che non esistono donne capaci di inventare: le donne sono escluse dalla genialità, pur potendo accedere alla letteratura e a certe scienze. Una tale incapacità è dovuta ad una psicologia “naturale”. La donna è l’essere della passione, dell’immaginazione, non è essere di concetto. Rousseau spinge ad un livello quasi caricaturale la convinzione che, se la donna non è priva di raziocinio, questa facoltà è in lei più semplice che nell’uomo, e quindi ella non deve coltivarla, nella misura in cui non ne ha bisogno per adempiere i suoi doveri naturali (ubbidire al marito, essergli fedele, aver cura dei figli). La donna, secondo Rousseau, è perennemente nello stadio dell’infanzia; è incapace di vedere al di fuori del mondo chiuso della sfera domestica, che la natura le ha lasciato in eredità, ed è per questo che non può praticare le “scienze esatte”. L’unica scienza che deve conoscere, oltre ai suoi doveri (ma questi ultimi, li conosce intuitivamente) è quella basata sul sentimento per gli uomini che la circondano e essenzialmente per il suo sposo. Il mondo, sostiene Rousseau, è il libro delle donne, che non hanno bisogno di nessun’altra lettura. In poche parole, la donna è in relazione unicamente con il concreto […]. Tutto pare chiaro: l’animo femminile non ha un’attività speculativa, l’intelligenza femminile non è un’intelligenza teorica. […] Non si riconosce mai direttamente alla donna uno statuto politico (tranne forse per Condorcet). Si può dire che l’ideologia più diffusa consiste, nel Settecento, nel considerare che l’uomo è la causa finale della donna. da N. Zemon Davis - A. Farge (a cura di), Storia delle donne dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1995
Guida alla comprensione • L’autrice si sofferma sul contributo attivo dato alla filosofia dei Lumi da molte donne. • Illustra poi come, malgrado questo, e malgrado i presupposti emancipatori a cui facevano
riferimento, molti esponenti dell’Illuminismo fecero propri e riproposero i pregiudizi antifemminili diffusi nella cultura tradizionale.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. L’Illuminismo fu un fenomeno solamente culturale? 2. Quali di questi brani concentra di più l’attenzione sui legami tra idee e realizzazioni pratiche? 3. Qual è il più anticonvenzionale di questi testi? 4. Quali sono le principali differenze di impostazione tra un testo e l’altro? 5. Ci sono altri fenomeni che conosci, nella storia moderna, nei quali si rivela evidente, come in questo caso, la distanza tra gli ideali e le realizzazioni pratiche? 231
SEZIONE 2
IL SECOLO DEI LUMI Verso
VERSO L’ESAME DI STATO
le competenze
• Leggere, comprendere e interpretare testi storici di tipo diverso cogliendone le differenti relazioni interne e i caratteri specifici • Leggere, utilizzare e applicare categorie, strumenti e metodi del “fare storia” • Operare confronti tra tesi diverse in relazione allo stesso argomento per giungere alla formazione di una conoscenza storica critica e consapevole • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti • Acquisire e interpretare criticamente l’informazione valutandone l’attendibilità e distinguendo fatti e opinioni
Analizzare i documenti per scrivere un saggio La scrittura documentata
Il saggio, come l’articolo di giornale, rientra nella cosiddetta “scrittura documentata”, in quanto alla base della sua stesura c’è una documentazione che l’autore acquisisce per supportare in modo adeguato le proprie argomentazioni. In sede d’esame la documentazione viene fornita allo studente insieme all’indicazione dell’argomento: si tratta di una sorta di dossier da cui attingere informazioni e idee, ma che al tempo stesso propone un approfondimento dell’argomento suggerendo differenti interpretazioni del tema/problema in questione. È dunque molto importante imparare ad analizzare e interpretare i documenti proposti con attenzione e metodi adeguati.
L’argomento e i documenti “Lumi” e dispotismo illuminato Documento 1 La borghesia reclama dunque l’abolizione dei privilegi e il riconoscimento del posto che le spetta nella condotta degli affari del Paese, in virtù del suo potere economico e della sua abilità. Domanda che siano eliminati tutti gli ostacoli alla libertà della produzione e quindi delle corporazioni di arti e mestieri, e tutti gli ostacoli alla libertà di commercio, tutti i dazi e tributi che, in una Francia dall’amministrazione non ancora unificata, regolamentano in modo anarchico la circolazione dei prodotti. L’Enciclopedia dà voce a tutte queste rivendicazioni storiche della borghesia. Lo fa anzitutto in forma generale e astratta: quando proclama l’eguaglianza naturale degli uomini, comprendiamo bene che chiede la sparizione del sistema aristocratico e la possibilità, per la borghesia illuminata, di accedere al potere. E la libertà è insieme libertà di scambio e libertà di pensiero. D’altra parte gli enciclopedisti non esitano a denunciare apertamente gli abusi nell’organizzazione politica, sociale ed economica dell’Ancien régime, e a proporne le riforme che giudicano auspicabili. A. Pons, L’avventura dell’enciclopedia, in Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze delle arti dei mestieri, Feltrinelli, Milano 1966 232
vErSO L’ESaME DI StatO
Documento 2 Se esaminiamo più da vicino e più in dettaglio la situazione in Spagna, in Italia, a Vienna, a Berlino e a Parigi, dovremo concludere che i fili che collegano questi e tanti altri simili elementi sono più numerosi e più solidi di quanto non appaia in un primo momento, che la circolazione delle idee è più intensa di quello che avremmo potuto sospettare, che le speranze e le aspettative si volgono verso una medesima direzione, che effettivamente assistiamo all’emergere dell’Europa dei lumi. […] Il potere e i filosofi si cercano, convergono o divergono a seconda dei momenti e delle circostanze. Le loro lotte e i loro accordi dominano l’Europa repubblicana così come quella monarchica, quella mediterranea così come quella centrale e orientale. F. Venturi, Utopia e riforma nell’Illuminismo, Einaudi, Torino 1970
Documento 3 L’espressione “dispotismo illuminato” – usata per la prima volta, a quanto pare, dall’economista tedesco Wilhelm Roscher in un saggio del 1847 – è infelice e fuorviante. Dispotismo evoca ai giorni nostri – e già evocava nel Settecento – l’idea di un potere arbitrario, capriccioso, oppressivo, idea che mal s’adatta ad un’attività proveniente dall’alto (dai sovrani e dai loro collaboratori) la quale volle essere – e tale fu considerata in sede storiografica – sollecita del bene dei sudditi: appunto illuminata, aggettivo singolarmente in contrasto con un sostantivo carico di implicazioni negative. […] Che il dispotismo illuminato costituisca un tipo distinto di regime politico […] è cosa circa la quale è lecito nutrire i più seri dubbi. In realtà, se esso […] si caratterizza per una più alacre attività riformatrice e per un parziale mutamento delle basi teoriche che fanno da supporto a tale attività, chiara è la linea della continuità con intenti e metodi riconducibili ad un orientamento assolutistico esistente prima del Settecento. L. Guerci, Le monarchie assolute, in Storia universale dei popoli e delle civiltà, utet, Torino 1986
Documento 4 L’assolutismo riformatore, nella sua espressione settecentesca di dispotismo illuminato, si configurò come il tentativo dei sovrani della seconda metà del secolo XVIII di conciliare la centralizzazione di un potere, inteso a rimanere assoluto nella sua volontà, e le esigenze di modernizzazione dei loro Stati. La realtà di un’espressione, che vide la luce soltanto nel secolo XIX ad opera della storiografia tedesca, e che nella sua genericità trova sinonimi in immagini che vanno dalla monarchia assoluta rinnovata allo Stato posto al servizio dei Lumi, all’autorità esercitata in nome della razionalità, si sostanzia in una serie di soluzioni empiriche che fecero dei loro artefici, più che emblematiche figure di re filosofi, gli esempi di sovrani tesi nello sforzo di utilizzare gli strumenti politici ed ideologici del loro tempo. M. Albertone, Dispotismo illuminato, in La storia, Stati e Società, utet, Torino 1986
Documento 5 L’illuminismo contribuì anche alla nascita di importanti nuovi fattori quali l’“opinione pubblica”, che interveniva nel processo di manipolazione sociale e politica controllato dalla monarchia. Esso diede ai sudditi nuove ispirazioni e nuove aspettative di cambiamento e di riforma che si dimostrarono utili se adeguatamente mobilitate dai sovrani, ma difficili da controllare in regimi in cui la rappresentanza istituzionale dei ceti non privilegiati era insufficiente. Una volta messa in moto, la “critica” era difficile da arrestare. In ultima analisi, l’illuminismo e il dispotismo, il potere assoluto del re, erano difficili da conciliare. D. Outram, L’illuminismo, il Mulino, Bologna 1997 233
SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI
Gli autori e i testi L’indicazione bibliografica posta alla fine di ciascun documento, oltre a informarci su chi è l’autore del brano, ci permette di avere un’idea di quando sono stati scritti i testi proposti. Questo dato è utile per comprendere quanto siano recenti e aggiornati i contenuti in essi presentati e per poterli contestualizzare in un determinato momento storico. I testi qui forniti sono tutti abbastanza recenti e sono tratti o da singoli saggi, come quelli di Outram e Venturi, o da opere miscellanee che cercano di presentare un quadro d’insieme del periodo preso in considerazione. In particolare, possiamo ricordare la figura di Franco Venturi (1914-1994), importante storico dell’Illuminismo – la cui bibliografia comprende oltre centocinquanta voci e documenta uno dei più significativi contributi contemporanei alla conoscenza del Settecento – che ha avuto il pregio di porre in evidenza come questo movimento di idee fosse comprensibile solo alla luce delle realtà economiche, politiche, sociali e culturali presenti nell’Europa di quel periodo. Chi sono gli autori degli altri brani? Prova a delineare un loro sintetico profilo attraverso una ricerca in Internet.
I contenuti dei documenti I documenti ruotano intorno a un argomento proposto, in questo caso Lumi e dispotismo illuminato, un tema di non semplice trattazione per il rapporto ambiguo che lega i due “soggetti” in esso compresi. Gli ideali libertari dell’Illuminismo furono in parte assorbiti, riadattati e fatti propri da alcuni sovrani favorevoli ad attuare riforme antitradizionaliste, senza però per questo rinunciare a un esercizio autoritario del proprio potere, che consideravano di derivazione divina. I documenti affrontano il tema sotto prospettive differenti (culturale, politica, economica) e proponendo diversi punti di vista. Punto di partenza di tutto il lavoro deve essere un’attenta lettura dei documenti, durante la quale compiere una serie di operazioni: sottolineare i concetti fondamentali e le parole chiave, schematizzare e sintetizzare quanto letto, chiarire il significato di eventuali parole non note, annotarsi possibili collegamenti con argomenti affrontati in storia o in altre discipline, scrivere su un foglio i dubbi emersi nel corso della lettura in modo da scioglierli prima di iniziare a impostare il proprio saggio. Anche se di volta in volta si può scegliere quanti documenti usare e con quale modalità, è però necessario, almeno preliminarmente, prendere in considerazione tutti i documenti presenti e le argomentazioni proposte. Una lettura così articolata, in sede d’esame, ti permetterà anche di comprendere se hai davvero le conoscenze e le competenze necessarie per affrontare questo elaborato o se non sia meglio indirizzarsi verso un altro ambito o tipologia di testo.
Analizziamo dunque brevemente i cinque documenti. 1. Il primo documento, su cui abbiamo sottolineato i concetti principali, potrebbe essere così sintetizzato: l’Enciclopedia, voce delle rivendicazioni borghesi. Pons nel primo paragrafo presenta alcune delle rivendicazioni storiche della borghesia: • l’abolizione dei privilegi; • il riconoscimento di un’adeguata posizione politica ed economica; • la libertà di produzione e di commercio. Nel secondo paragrafo collega tali rivendicazioni alle idee sostenute dall’Enciclopedia, espresse in forma generale e astratta, anche se poi in realtà gli enciclopedisti non esitarono a denunciare apertamente gli abusi politici, sociali ed economici e a proporre le riforme: possibilità per la borghesia di accedere al potere ed elimi• uguaglianza naturale degli uomini nazione del sistema aristocratico; • libertà di pensiero e di scambio. 2. Frase di sintesi del secondo documento potrebbe essere: una vera Europa dei lumi. Venturi, infatti, sottolinea come i “diversi” illuminismi presenti nelle varie nazioni (Francia, Spagna, Germania ecc.) fossero molto più vicini e strettamente collegati tra loro di quanto si sia soliti pensare. Egli sottolinea inoltre l’importanza del ruolo avuto ovunque dai filosofi nei rapporti con il potere costituito. 234
vErSO L’ESaME DI StatO
3. Il terzo documento si concentra sull’espressione “dispotismo illuminato”, che critica definendola «infelice e fuorviante». Di quali argomentazioni si serve Guerci per motivare questa critica? Egli, inoltre, fornisce un dato informativo importante: quando e dove è nata questa espressione? Guerci amplia la sua tesi sostenendo che non è corretto considerare il dispotismo illuminato come una forma di governo a sé: perché? 4. Il quarto documento è in qualche modo collegato al precedente, in quanto muove dalla medesima espressione di “dispotismo illuminato”, forma settecentesca dell’assolutismo riformatore, che si presenta come il tentativo dei sovrani di conciliare la centralizzazione del potere (assoluto) con le esigenze di modernizzazione degli Stati: non si incontrano tanto figure di re filosofi, quanto piuttosto sovrani che cercano di servirsi degli strumenti politici e ideologici del loro tempo. 5. Il quinto documento potrebbe essere così sintetizzato: nasce l’opinione pubblica, un’arma a doppio taglio per la monarchia. In che senso e perché si può parlare di “arma a doppio taglio”?
La definizione della tesi Un testo argomentativo, quale il saggio breve, presenta solitamente una struttura organizzata così: • definizione e contestualizzazione del problema/tema/questione nei suoi elementi informativi fondamentali (nell’introduzione del testo o all’inizio del corpo centrale); • dichiarazione della tesi ed enunciazione di eventuali antitesi; • esposizione delle principali argomentazioni a favore della tesi e confutazione dell’antitesi; • conclusione, per esempio con ripresa della tesi sostenuta. Dopo aver letto attentamente i documenti e aver definito e contestualizzato il problema richiamando alla propria mente i possibili collegamenti, è dunque il momento di definire la tesi, vale a dire la posizione che si intende assumere rispetto al tema proposto, e le sue argomentazioni. Proviamo a costruire insieme un esempio attraverso una mappa concettuale. È importante però sottolineare che questa è solo una delle possibili tesi che si possono sostenere partendo dai documenti proposti.
DEFINIzIoNE 1
DEFINIzIoNE 1
illuminismo
dispotismo
• ……………………………………….…
• ……………………………………….…
• ……………………………………….…
• ……………………………………….…
ANTITESI TESI
Dispotismo e Illuminismo si conciliano nel dispotismo illuminato, definito così perché attento al bene del cittadino
L’Illuminismo e il dispotismo sono difficili da conciliare (Outram)
ARGoMENTAzIoNE 1
ARGoMENTAzIoNE 3
L’espressione “dispotismo illuminato”, che nasce in Germania nel 1847, è fuorviante perché
L’epoca del dispotismo illuminato non deve essere considerata un periodo a sé, ma in continuità con intenti e metodi dell’assolutismo esistente prima del Settecento
……………………………………………………….…
(Guerci)
ARGoMENTAzIoNE 2 Il dispotismo illuminato fu solo il tentativo di utilizzare gli strumenti politici e ideologici del tempo (non re filosofi) (Albertone)
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SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI
La mappa può essere ulteriormente articolata e approfondita: completa le parti mancanti e aggiungi eventuali altre caselle. Il passo successivo è la stesura della scaletta dell’intero saggio, che deve essere ben chiara perché chi legge possa ricostruire la struttura del testo riconoscendo i diversi passaggi del ragionamento. Più la scaletta è precisa e dettagliata, più sarà semplice e veloce la fase di scrittura.
La produzione del testo Una volta terminata la fase di progettazione, puoi iniziare a scrivere il tuo saggio breve seguendo la scaletta predisposta e tenendo conto delle indicazioni date dalla consegna. Di seguito ti proponiamo la consegna fornita agli esami di Stato del 2011 (tralasciando i punti relativi all’articolo di giornale di cui ci occuperemo più avanti):
Sviluppa l’argomento scelto in forma di “saggio breve”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Non superare cinque colonne di metà foglio protocollo.
Per quanto riguarda la produzione del testo, i vincoli imposti dalla consegna riguardano: • la presenza di un titolo che deve essere coerente con la tesi sostenuta nel saggio, sintetico ed efficace. È dunque meglio inserirlo alla fine della stesura del testo, quando si hanno le idee chiare su quanto si è scritto; • la possibilità di articolare o meno il saggio breve in paragrafi; • l’estensione dell’elaborato, che non deve superare le cinque colonne di metà foglio protocollo. Il saggio breve è una tipologia testuale con caratteristiche specifiche che qui ricordiamo in modo sintetico: • stile prevalentemente ipotattico, con frequenti proposizioni subordinate, tipico dei testi argomentativi; • lessico chiaro, specifico della narrazione storica e privo di espressioni proprie del linguaggio colloquiale; • mancato utilizzo della prima persona («secondo me», «io penso che…»), espressione di un’opinione personale e dunque del tutto soggettiva. Per dare maggiore credibilità e forza alle proprie asserzioni, si ricorre alla terza persona con le cosiddette formule oggettive come «è evidente che…», «se ne deduce che…» ecc. Devi inoltre prestare molta attenzione a come usare i documenti: • quando fai una breve sintesi del contenuto di un documento, devi rispettare il senso delle parole dell’autore;
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vErSO L’ESaME DI StatO
• quando citi esplicitamente il documento, devi porre la frase o i termini in questione tra virgolette. Le citazioni devono essere significative, non troppo lunghe (per non interrompere il filo del discorso appesantendo l’esposizione) e precise (attenzione alle concordanze e alla coerenza dal punto di vista della grammatica e della sintassi). Per indicare la fonte da cui hai attinto la citazione puoi usare le note, a fondo pagina o raggruppate al termine del testo; espressioni del tipo «come dice Outram nel suo saggio L’illuminismo», che però tendono ad appesantire il testo; oppure apporre semplicemente il nome dell’autore tra parentesi tonde (Outram). Nel caso in cui la citazione faccia riferimento a un testo diverso da quelli presenti tra i documenti proposti è necessario invece esplicitare anche il titolo dell’opera.
Mettiti alla prova 1. Rileggi i capitoli 6 e 8 del manuale, dedicati rispettivamente all’Illuminismo e al dispotismo illuminato. Quali informazioni ritieni utile aggiungere – per esempio per definire il contesto – alla mappa elaborata sopra? 2. Individua all’interno dei documenti alcune parole o frasi significative che a tuo giudizio meritano di essere citate in modo esplicito. 3. Ora dovresti avere davanti a te uno schema completo per elaborare il tuo saggio e puoi dunque dedicarti alla sua stesura. Non dimenticare di individuare un titolo adeguato alla trattazione. Una volta terminata la scrittura del saggio, ricordati di fare una buona revisione sia del contenuto sia della forma espositiva. 4. Prova ad assumere un punto di vista diverso e a costruire uno schema la cui tesi sia quella che fino a questo momento è stata considerata l’antitesi. Come lo struttureresti?
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SeZioNe 3
Le rivoLuzioni atLantiche a tu per tu con
Marco Meriggi
la NaScita dell’occideNte moderNo
Nell’areNa della Storia
Professore, sto scorrendo i titoli dei prossimi capitoli: rivoluzione, rivoluzione, rivoluzione. In questa sezione sembra che non si parli d’altro. Ci vuole spiegare perché? E quale nesso collega le tre rivoluzioni che stiamo per affrontare, cioè quella industriale, quella americana e quella francese?
un cammino che si lasciava definitivamente alle spalle il passato e che puntava in direzione di un mondo nuovo: è questo il senso principale che noi attribuiamo a una parola come rivoluzione 238
parleremo con insistenza di rivoluzione perché inten diamo sottolineare soprattutto i fattori di trasformazio ne che le società occidentali conobbero nella secon da metà del settecento. quest’epoca coincide con la fase terminale dell’antico regime, un periodo plurise colare della storia europea dal quale ci apprestiamo a prendere congedo. si trattava di un mondo a mode sto tasso di crescita economica e basato largamente sull’agricoltura, malgrado l’indubbia presenza di attivi tà mercantili. ora comincia, invece, l’era dell’industria e della crescita economica costante. è un processo che si dilata su tempi lunghi, ma è anche il processo che ha cambiato radicalmente la società occidentale tra sette e ottocento; i mutamenti che ne sono deri vati sono talmente intensi che non è esagerato definir li “rivoluzionari”. ecco perché parliamo di rivoluzione industriale, anche se non fu un evento che si manife stò attraverso una sommossa, ma un processo gra duale che si svolse nel corso di diversi decenni. quan to alla rivoluzione americana, in realtà si trattò in primo luogo di una guerra di indipendenza, ma i principi per i quali venne combattuta, e gli esiti nei quali si tradus se, furono così antitetici rispetto al mondo caratteristi co dell’antico regime europeo da rendere ragionevo le parlare, anche in questo caso, di rivoluzione. la rivoluzione francese, infine, si dichiarò immediatamen te tale, e i suoi leader si fecero il vanto di aver imboc cato un cammino che si lasciava definitivamente alle spalle il passato e che puntava in direzione di un mon do nuovo: è questo il senso principale che noi attribuia mo a una parola come rivoluzione.
il passato – pensavano i rivoluzionari – era il regno dell’ombra e lo specchio della debolezza umana; il futuro un punto d’approdo rischiarato dalla luce Allora, in tutti e tre i casi, rivoluzione significò in prima istanza una presa di congedo dal passato, ma non è questo, più in generale, il senso ordinario della storia? Non assomiglia forse sempre, quest’ultima, a un filo che scorre in avanti, proiettandosi verso il futuro? il fatto è che attraverso i tre processi che stiamo per considerare, non solo ci fu un superamento del pas sato, ma quest’ultimo venne anche esplicitamente giudicato – almeno dalla parte più dinamica della po polazione – negativamente. per tutto l’antico regime era accaduto l’opposto. e mentre il passato cessava di essere apprezzato, si cominciò a caricare il futuro di grandi aspettative: il passato – pensavano i rivoluzio nari – era il regno dell’ombra e lo specchio della debo lezza umana; il futuro un punto d’approdo rischiarato dalla luce, la luce della volontà degli uomini di liberarsi dalle proprie catene. per questo, rovesciare l’assetto esistente si impose come la missione da compiere.
Ma coloro che vissero alla fine del Settecento si accorsero del nesso che collegava la radicale trasformazione dell’assetto dell’economia (la rivoluzione industriale) con quella delle strutture politiche (rivoluzioni americana e francese)? in realtà quella della simultaneità delle rivoluzioni (e a maggior ragione della loro cosciente percezione da parte dei contemporanei) è per tanti versi un’illusione che siamo noi storici a creare. certamente coloro che, a vario titolo, parteciparono a quella che abbia mo definito rivoluzione industriale (tecnici, imprendi tori, maestranze) non concepirono ciò che stavano facendo come un atto di ribaltamento dell’architettura della società, ma piuttosto come l’adattamento a un mondo che stava cambiando. indubbiamente, a orien tare la loro azione c’era anche il richiamo all’idea di li bertà economica, ovvero l’eliminazione dei vincoli tradi zionali che limitavano l’attività imprenditoriale e la ricerca del profitto, ma non per questo si sentivano dei rivoluzionari, pur avvertendo tutta la distanza, materiale e psicologica, che li separava dalle élite nobiliari e fon diarie che avevano dominato fino a quel momento e che avevano una visione statica e conservatrice dell’economia.
Ha parlato di libertà economica. Anche i protagonisti della rivoluzione americana e di quella francese coltivavano questo stesso obiettivo? tra le motivazioni che sollecitarono all’azione i rivolu zionari americani ve ne erano anche di squisitamen te economiche. il loro commercio era ostacolato dalla madrepatria ed essi volevano emanciparsi dalle tasse inglesi, però a queste rivendicazioni unirono la ricerca di una libertà che non si identificava soltanto con il commercio e con la riduzione delle tasse: si trattava della libertà politica, un concetto che si col loca nel cuore della Dichiarazione di indipendenza americana e che rappresentò, qualche anno più tar di, il perno fondamentale di tutto il discorso sviluppa to dalla rivoluzione francese. gli stati uniti divenne ro la prima grande repubblica del mondo moderno e la francia seguì dopo qualche tempo il loro esempio. “repubblica” significò sovranità popolare e rifiuto dell’autoritarismo tipico delle monarchie assolutiste. la libertà economica e la rincorsa del sogno del pro gresso rappresentarono dunque solo alcuni degli obiettivi racchiusi in un disegno generale più ampio.
Queste trasformazioni furono una particolarità dell’Europa e dell’America, oppure ebbero luogo anche in altre parti del mondo? si può dire che, in precedenza, nel vecchio contesto prevalentemente agrario, aristocratico e autoritario, l’europa aveva una civiltà per certi versi abbastanza simile a quelle caratteristiche di altre aree del piane ta altamente civilizzate; l’asia, in primo luogo. con la rivoluzione industriale e con le rivoluzioni politiche in america e in francia, invece, prese forma un mo derno occidente, che si differenziò sensibilmente dal resto del mondo. si ebbe subito la sensazione che, mentre altrove prevaleva l’immobilismo, nell’occidente si stesse producendo una specie di miracolo. la liberazione dell’economia e quella della politica cominciarono a delineare un modello di so cietà nuovo, che avrebbe presto dimostrato tutta la sua capacità espansiva, sottomettendo al proprio dominio l’intera superficie terrestre. 239
SeZioNe 3
Le rivoLuzioni atLantiche capitolo 10 La rivoluzione industriale capitolo 11 La rivoluzione americana e la nascita degli Stati Uniti
p. 242
Verso le competenze
p. 258
• il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale p. 254
capitolo 12 La Rivoluzione francese (1789-1793) p. 276 inclusione/esclusione
• il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano p. 272
p. 276
• il laboratorio dello storico Le lamentele del terzo stato p. 292
capitolo 13 La Rivoluzione francese (1793-1799) p. 300
• il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari p. 312
Intervista impossibile a Maximilien Robespierre
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
p. 326
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 332
La democrazia
inclusione/esclusione La cittadinanza asimmetrica
p. 317
EsErcizi
p. 320
1765
1769
storia mondiale storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura 240
p. 310
1773
1777
1781
1776 - Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti
1768 - La Corsica viene ceduta da Genova alla Francia 1769 - Nel Ducato di Parma e Piacenza viene abolito il Tribunale dell’Inquisizione 1775 - Priestley e Scheele scoprono l’ossigeno 1769 - Richard Arkwright brevetta il filatoio idraulico; James Watt la macchina a vapore
1776 - Adam Smith pubblica L’indagine sulla natura e la causa della ricchezza delle nazioni
1781 - Immanuel Kant pubblica La critica della ragion pura 1779 - Costruzione del primo ponte in ghisa sul Severn, in Inghilterra
obIettIVI dI apprendImento conoscenze • Precondizioni e caratteri costitutivi della rivoluzione industriale • Gli eventi fondamentali della rivoluzione americana • cause, sviluppo ed esiti della rivoluzione francese abilità • Saper stabilire relazioni tra fenomeni economici, politici e sociali • comprendere come le rivoluzioni settecentesche hanno condizionato la storia dei secoli successivi • Saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni storici GlI eVentI e I lUoGHI In Inghilterra si sviluppa la prima rivoluzione industriale. Cambia il modo di produzione e nasce il sistema di fabbrica
Nell’America settentrionale tredici colonie inglesi, dopo una guerra con la madrepatria, ottengono l’indipendenza: nasce la Repubblica federale degli Stati Uniti
1785
1789 1787 - Costituzione federale degli Stati Uniti
1793
1797
1792 - Nascita della Repubblica francese
1789 - Presa della Bastiglia
1795 - 1799 Governo del Direttorio
1801
1805
1804 - Napoleone imperatore
1794 - 1795 Regime del Terrore
1786 - Pietro Leopoldo abolisce la pena di morte e la tortura in Toscana
1787 - Mozart compone il Don Giovanni Cartwright brevetta il primo telaio a comando meccanico
In Francia una sollevazione popolare rovescia il regime monarchico: nasce la Repubblica francese
1796 - 1797 Campagna napoleonica in Italia
1792- W. Murdoch costruisce il primo impianto sperimentale per la produzione di gas illuminante
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Capitolo 10
La rivoLuzione industriaLe
10.1 L’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale Il primato inglese LESSICO Rivoluzione industriale L’espressione “rivoluzione industriale”, usata per la prima volta dagli scrittori francesi nel secondo decennio dell’Ottocento, è nata in analogia con la Rivoluzione francese: come in Francia erano state rivoluzionate le strutture politiche e sociali, così in Inghilterra lo erano state le strutture economiche e produttive. A differenza della Rivoluzione francese, che si svolse nel giro di pochi anni, quella industriale fu però un processo lento e si realizzò nell’arco di alcuni decenni.
Un tipico paesaggio industriale europeo all’inizio dell’Ottocento
Il vapore e il carbone divennero i simboli della prima rivoluzione industriale
La ciminiera di una pompa è collegata alla miniera di carbone sottostante In primo piano è rappresentato il trasporto del carbone, ancora affidato a mezzi tradizionali, assai poco economici in termini di dispendio di energie e di tempo del trasporto. Anche in questo campo la rivoluzione industriale darà presto i suoi frutti
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Le grandi trasformazioni demografiche ed economiche caratteristiche del Settecento conobbero in Inghilterra un’intensità particolare, al punto da rendere possibile il decollo della cosiddetta rivoluzione industriale. Per decollo (take off ), nella teoria economica, si intende quel momento in cui un nuovo sistema produt tivo si afferma irreversibilmente su quello tradizionale, dando vita a una crescita contraddistinta da forti investimenti e dal rapido impennarsi della produzione. Quali fattori resero proprio l’isola britannica un paese più adatto di altri a rea lizzare lo sviluppo dell’economia, della produzione, della capacità di controllo sul la natura che si situa alle origini della civiltà moderna? e che cosa comportò, con cretamente, l’avvio della rivoluzione industriale per le generazioni che vissero in quell’epoca? Gli storici sono tutt’altro che concordi nelle risposte da dare a queste doman de. nelle pagine seguenti cercheremo, perciò, di esaminare da vicino i mutamen ti materiali dell’economia britannica durante il settecento, ma anche di riflettere sulle condizioni sociali e politiche che favorirono questo cambiamento epocale.
Il fenomeno delle recinzioni
un primo fattore di mutamento, che rese la Gran Bretagna un caso relativa mente unico in europa, si manifestò nell’ambito della proprietà fondiaria e, di conseguenza, dell’agricoltura. Già nel settecento almeno dieci dei ventiquattro milioni di acri di suolo inglese coltivabile erano stati recintati per mezzo di steccati. Ciò aveva comportato la loro piena trasformazione in proprietà privata e la loro contestuale sottrazione ai cosiddetti “usi collettivi”; vale a dire alla consuetudine, largamente sfruttata dai con tadini in ogni paese europeo, di far pascolare le proprie bestie o di raccogliere legna in terre altrui o in terre comuni (openfields), detenute a titolo collettivo dagli abi tanti delle singole località. tra il 1760 e la fine del secolo il Parlamento inglese emanò, su richiesta dei grandi proprietari fondiari che ne costituivano una componente importante, alcu ne migliaia di ordinanze di recinzione delle terre e di redistribuzione di quelle comuni sotto forma di proprietà privata. ne derivò la formazione di possedimenti fondiari privati più estesi e compatti (definiti enclosures). Per molti piccoli proprietari, ai quali gli usi collettivi avevano fino a quel momento garantito l’oppor tunità di integrare la propria modesta produzione, divenne ora impossibile sopravvivere con i semplici proventi tratti dai propri campi; furono quindi costretti a venderli, e a mettersi al servizio dei proprietari medi e grandi. Dall’autoconsumo al profitto
LESSICO Openfields ed enclosures Gli openfields (letteralmente “campi aperti”) erano le terre comuni che risalivano ai primi secoli del Medioevo; essi furono progressivamente soppiantati dalle enclosures (“recinzioni”), le proprietà private recintate.
Le recinzioni ebbero come effetto quello di far scomparire la classe dei piccoli proprietari terrieri, cioè quei contadini che erano detentori in proprio di un’esten sione di terra modesta, ma comunque sufficiente a dar loro da vivere. nel 1780 ormai solo il 20% del suolo britannico risultava direttamente coltivato da chi ne era proprietario. Contemporaneamente veniva meno la plurisecolare tradizione dell’autoconsumo, l’abitudine cioè dei contadini di provvedere alle necessità della vita quotidiana prevalentemente con i prodotti del proprio lavoro; un fenomeno che aveva fino a quel momento impedito il decollo di una vera economia di mer cato, basata sulla circolazione massiccia dei beni e sull’effettuazione delle transazio ni, cioè delle operazioni di compravendita, con lo strumento della moneta.
Aston Blank prima delle recinzioni
Le due carte mostrano il fenomeno del passaggio dai campi aperti ai campi recintati nella località di Aston Blank, contea di Gloucester, in Inghilterra, nel 1752
Aston Blank dopo le recinzioni Fattoria Piccola Aston
Campo nord Campo est
Campo ovest
(al Pembroke Signora College di Oxford) PAXFORD Reverendo Fattoria NOBLE Fattoria Camp Piccola Fattoria Manor Aston Signor HANKS Signor PALMER New Barn Signor Fattoria Eimbank BEDDOME Reverendo Aston Blank Luogo a parte JAMES per i poveri Signora Fattoria NEALE del Rettore Bang up Reverendo NOBLE Barn Reverendo JAMES Signor Signor WALLER Dryground WALLER Barn
Unica memoria dell’antica consuetudine è questa piccola parte, a cui i poveri potevano liberamente attingere per fare legna, raccogliere i frutti del bosco e del sottobosco, o portare al pascolo il piccolo bestiame eventualmente posseduto Terre comuni e terre incolte Villaggio
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
George Stubbs, La raccolta del fieno, XVIII secolo (Londra, Tate Gallery)
LESSICO Profitto Dal latino profectum, “vantaggio”, indica in generale qualcosa di utile o vantaggioso. In economia si riferisce all’eccedenza del ricavo lordo delle vendite sul costo di produzione.
nelle campagne inglesi si affermò precocemente il sistema della grande azienda capitalistica, contraddistinta dall’impiego di manodopera salariata e in cui la pro prietà veniva gestita da un ceto ristretto di grandi proprietari, dotati dei capitali necessari per organizzare una coltivazione su vasta scala e interessati a ricavarne il maggior profitto possibile, facendo ricorso anche ai suggerimenti avanzati dai cul tori dell’agronomia. Ci si trovava davanti a quella che è stata definita “rivoluzione agraria”, basata su un nuovo e assai complesso rapporto tra coltivazioni e alleva mento che consentiva un netto incremento delle superfici coltivate in maniera intensiva e un’ottimizzazione delle risorse, favorita da un sapere agronomico che tendeva ad assumere dignità di scienza. La rivoluzione agraria
Approfondire Il carnevale
La fabbricazione dell’acido solforico, stampa, XVIII secolo. L’individuazione di questo acido, secondo un procedimento messo a punto intorno al 1760, fu fondamentale per la creazione dei fertilizzanti chimici per l’agricoltura
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Come si realizzò, dal punto di vista tecnico, la rivoluzione agraria? il sistema di coltivazione tradizionale, basato sulla rotazione triennale, prevedeva che ogni tre anni una porzione della superficie coltivabile (tra un terzo e un quarto) venisse lasciata a riposo (“maggese”), così da consentire al terreno di ripristinare natural mente la propria fertilità. il resto della terra veniva coltivato prevalentemente a grano. Gran parte del bestiame, inoltre, veniva macellato una volta l’anno (tra dicembre e febbraio, a seconda delle aree climatiche), dal momento che non si disponeva di foraggio secco a sufficienza per garantirne l’alimentazione durante i mesi nei quali l’erba smetteva di crescere. il nuovo sistema, applicato nelle aziende capitalistiche e basato sull’idea della rotazione delle colture e dell’abbinamento di queste con l’allevamento, consentì inve ce di dare vita a un ciclo produttivo molto più redditizio. nella porzione di terra che in precedenza veniva lasciata a riposo si cominciò a effettuare la semina di piante foraggere (per esempio: rapa, trifoglio, segala), che possedevano due proprietà: rivitalizzavano il suolo, favorendo la concentrazione dell’azoto consumato dalla coltiva zione del grano e fornivano nutrimento fresco al bestiame anche durante l’inverno, così da non rendere più necessaria la macellazione di gran parte dei capi a dicembre. da ciò scaturiva una costante disponibilità di concime animale, che veniva reimpie gato per fertilizzare le terre e che ne accresceva grandemente le rese. Più grano, più animali; più pane, più carne: si può forse sintetizzare così il risul tato prodotto dalle innovazioni agrarie settecentesche. in agricoltura, dunque, al tempo “morto” e improduttivo del riposo si sostituiva ora un tempo nuovo, tutto finalizzato al profitto, che non tollerava pause o interruzioni del ciclo produttivo.
capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
L’espansione commerciale
il secondo settore nel quale si manifestò il primato inglese fu quello commer ciale. Già a partire dalla seconda metà del seicento, come sappiamo, le flotte inglesi avevano cominciato a divenire padrone dei mari. nella prima metà del settecento l’impero coloniale britannico si era ulteriormente rafforzato, sottraen do in america e in asia territori alla spagna e alla Francia. il dominio militare inglese sui mari consentì ai mercanti britannici di organizzare un redditizio flusso di scambi commerciali, basato sulla circolazione dei beni e delle merci da un continente all’altro. il sistema che ne derivò fu quello del cosiddetto commercio triangolare. i navigli inglesi scaricavano in ogni continente ciò che mancava e contempora neamente si rifornivano di merci da trasportare altrove. in Africa portavano, per esempio, armi e liquori prodotti in inghilterra, o cotone fabbricato in india, in cambio di schiavi, di oro, di avorio. Gli schiavi venivano poi trasportati in America e venduti ai proprietari delle grandi piantagioni, che li pagavano con zucchero, tabacco, cotone greggio. L’oro e l’avorio prendevano invece la rotta verso oriente, e i galeoni impegnati nel loro trasporto tornavano colmi di tè, seta, cotone lavorato, spezie. Le merci esotiche rastrellate in america e in asia trovavano infine il loro sbocco sui mercati di tutta Europa, dove i mercanti inglesi si accaparravano gran di quantità di legna, pece, catrame, ferro. oltre a garantire all’inghilterra il rifornimento di alcune materie prime, di cui non disponeva a sufficienza o che addirittura non possedeva affatto, questo sistema consentì ai grandi commercianti di realizzare enormi profitti e – particolare non da poco – di allargare la propria visione dell’economia, abituandoli a considerare il mondo intero come un unico mercato. Per loro divenne usuale pensare la produzione delle merci come produzione su larga scala. essi conoscevano bene le piazze mercantili del pianeta e sapevano dove rivendere nel modo più conveniente la parte di prodotto che non poteva essere smaltita dal mercato locale o da quello dei paesi più vicini. Per questo, quando arrivò il momento, i grandi mercanti non esitarono a finanziare le imprese industriali, anticipando spesso gli ingenti capita li che erano necessari per attivare una fabbrica.
MEMO Nella seconda metà del Seicento l’Inghilterra aveva iniziato a minacciare il primato commerciale olandese anche grazie agli Atti di navigazione che vietavano l’ingresso di navi straniere nei porti britannici. Con le guerre settecentesche aveva poi rafforzato i propri domini coloniali in Asia e nel Nord America [vedi pp. 68 e 83].
Il commercio triangolare di schiavi, armi e manufatti tra Europa, Africa e America in una carta del XVIII secolo
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
La crescita del mercato interno
L’inaugurazione della linea ferroviaria Stockton-Darlington, in Scozia nel 1825
L’imponente crescita del volume dei traffici tra l’inghilterra e il resto del mondo fu accompagnata anche da quella dei flussi commerciali interni. L’impiego di un’agronomia avanzata, infatti, consentì un forte aumento della produzione da de stinare alla commercializzazione e, contemporaneamente, comportò la trasformazione in consumatori degli ex contadini proprietari rimasti privi di terra: chi cessava di produrre in proprio, per alimentarsi, per vestirsi, per dotarsi degli oggetti necessari alla vita di ogni giorno non poteva fare altro che acquistarli, passando dalla sfera dell’autoconsumo a quella del mercato. Questa era da sempre la condizione degli abitanti dei centri urbani, ma in questi decenni la popolazione cittadina stava crescendo massicciamente (v. cap. 5, par. 5.1). Per nutrire un gran numero di abitanti, le città erano costrette a estendere sempre più lontano il raggio dei loro approvvigionamenti; molte materie prime alimentari erano però deperibili e pativano le conse guenze di un trasporto troppo lungo. Che cosa fare, dunque, per farle giungere in condizioni di accettabile freschezza sulle mense cittadine? Trasporti più rapidi e sicuri
LESSICO Appaltatori Coloro che, in cambio di un compenso, sottoscrivono un contratto detto “appalto” (termine di origine incerta) con il quale si impegnano nei confronti di un committente a eseguire opere e lavori oppure a prestare servizi.
Una veduta di Londra nel XVIII secolo
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Fino alla metà del Settecento in inghilterra, vista la relativa vicinanza alla costa di gran parte delle località, era stato usuale effettuare molti dei trasporti interni via mare, ma accadeva, e non di rado, che le condizioni meteorologiche impedissero alle navi di salpare o ne rallentassero o deviassero la rotta. inoltre, una volta toccato il punto di destinazione costiera, il flusso delle merci doveva comunque convergere verso l’interno. Per questo, nella seconda metà del secolo, al fine di rispondere alla domanda crescente dei consumatori, si provvide a un radicale rinnovamento dell’intero sistema dei trasporti. Lo stato affidò la gestione delle strade ad appaltatori privati, i quali consideraro no la loro attività come un vero e proprio investimento finalizzato al profitto. spe sero cospicui capitali per trasformare i vecchi sentieri in larghe strade carrozzabili e ne ricavarono un pedaggio da chiunque vi transitasse. anche se a pagamento, ora si viaggiava con sicurezza e velocità decisamente maggiori rispetto al passato. a conti fatti, grazie al sistema delle strade a pedaggio, il costo dei trasporti anziché aumentare calò: il risparmio di tempo si traduceva infatti anche in risparmio di denaro.
capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
La banchina del porto-canale di Bristol, XVIII secolo
Sullo sfondo la moderna città industriale in pieno sviluppo
In primo piano la larga via delle merci con i mercanti indaffarati
I trasporti sono effettuati con mezzi ancora tradizionali
Ma l’autentico emblema di questa “rivoluzione del tempo” furono i canali, corsi d’acqua artificiali, alimentati dalle acque dei fiumi, ma regolati grazie alle chiuse e perciò navigabili in ogni stagione dell’anno, sui quali, a partire dagli anni Cinquan ta, cominciarono a scorrere le grandi chiatte che, oltre ai rifornimenti alimentari in città, trasportavano il carbone e il ferro dalle miniere alle fabbriche. Quello costrui to dal duca di Bridgewater tra il 1759 e il 1761 per collegare celermente le miniere e la città di Manchester consentì la riduzione dei costi di trasporto a un sesto rispet to a quello via terra. era a eventi come questi che pensava lo scienziato americano Benjamin Franklin (17061790), quando sentenziava che «il tempo è denaro». Libertà e spirito d’iniziativa
avendo fatto riferimento alla rivoluzione agraria, allo sviluppo del commercio interno e internazionale e al miglioramento dei trasporti, abbiamo già messo in luce come la causa della rivoluzione industriale inglese non sia univoca ma vada ricercata in una serie di fattori diversi e complessi. a quelli finora citati è necessario però aggiungere ancora la “forza dell’ambiente”. La Gran Bretagna, infatti, all’ini zio del settecento era il paese nel quale, più che in qualsiasi altro, un nuovo ordine sociale e politico si era affermato ai danni di quello tradizionale e dove, dunque, un radicale mutamento economico e mentale, come quello prodotto dalla rivolu zione industriale, poteva essere accolto senza incontrare grandi ostacoli. il sistema delle corporazioni di arti e mestieri, per esempio, teso a garantire la sopravvivenza della produzione artigianale e a impedire lo sviluppo della concor renza, nell’inghilterra del settecento era ormai per molti versi un ricordo del passato, mentre sul continente godeva ancora, malgrado tutto, di un riconoscimento (v. pp. 141143). nell’isola, inoltre, la libertà dei cittadini, forte incentivo allo sviluppo di una propensione individuale all’investimento economico, era garantita dalla legge, e il potere legislativo spettava a un Parlamento nel quale sedevano, e avevano imparato a rispettarsi reciprocamente, i rappresentanti delle classi agiate: non solo esponenti dell’aristocrazia, padrona incontrastata o quasi in tutti i paesi del continente, ma anche grandi proprietari, banchieri, mercanti che dovevano il proprio prestigio all’esercizio di attività finalizzate al conseguimento del profitto, e non alla semplice percezione della rendita. e il Parlamento, con la sua produzione legislativa sistematicamente tesa a tutelare la proprietà privata e a incoraggiare le iniziative imprenditoriali, rese più agevole lo sviluppo di quasi tutti i fattori che accompagnarono la rivoluzione industriale. 247
SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
Pluralismo ed empirismo
MEMO Il termine puritano (proveniente dal latino purus,”puro”) fu inventato nel Cinquecento dagli anglicani per indicare i gruppi più intransigenti tra i calvinisti. I puritani avevano avuto un ruolo decisivo nella Prima rivoluzione inglese.
LESSICO Empirismo Dal greco empeiría, “esperienza”, è il movimento filosofico, diffusosi soprattutto nel mondo anglosassone nel Seicento, che ritiene che l’esperienza sia il punto di partenza e il criterio di validità di ogni conoscenza.
L’inghilterra era inoltre caratterizzata da un intenso pluralismo religioso, da una sorta di endemica consuetudine con l’idea della concorrenza. vi giocava inol tre un ruolo particolarmente significativo la componente puritana, che praticava una religione basata sull’apprezzamento del lavoro, dell’applicazione e della fati ca individuali, e che riconosceva nel felice coronamento della ricerca del profitto un segno della benevolenza di Dio nei confronti dell’intraprendenza del sin golo. ancora: l’inghilterra era il paese che già nel secolo precedente, attraverso il pensiero di Francis Bacon, aveva fatto dell’empirismo la propria filosofia di orientamento e che, tra la fine del seicento e l’inizio del settecento, aveva forte mente contribuito al filone individualista e utilitarista dell’illuminismo, con pensatori come John Locke, david Hume e soprattutto adam smith, fiducioso teorizzatore della bontà di un’economia basata sulla concorrenza e sulle virtù naturali del mercato (v. cap. 6, par. 6.3). infine, grazie alla maggiore libertà, aveva trovato terreno fertile un movimento di persone raccolte in circoli, accademie, associazioni civili, e interessate all’apprendimento e all’applicazione delle innovazioni scientifiche e tecnologiche.
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le cause della rivoluzione industriale Sviluppo dei commerci
Nascita della moderna azienda agricola
Miglioramento dei trasporti
DecoLLo DeLLa rIvoLuzIone InDusTrIaLe In InghILTerra
Mentalità tollerante e spirito di iniziativa
Leggi a tutela della proprietà privata e delle iniziative imprenditoriali
10.2 La nascita del sistema industriale La civiltà industriale
LESSICO Industria Dal latino industrius, “attivo, operoso”, nella società tradizionale indicava la particolare caratteristica di un uomo. Negli ultimi decenni del XVIII secolo diventò invece un nome collettivo, che indica le istituzioni manifatturiere e le attività di produzione di merci su larga scala che in essa si svolgono.
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Furono proprio le innumerevoli piccole invenzioni, brevettate per accrescere la produzione e migliorarne la qualità, a permettere, dagli anni sessanta del settecento, ma in misura davvero accentuata dagli anni ottanta in avanti, la comparsa del tutto inedita di un nuovo scenario del lavoro e del guadagno: la trasformazione su larga scala delle materie prime all’interno di fabbriche, con l’ausilio determinante di macchine e con l’impiego di grandi masse di lavoratori salariati. È lo scenario dell’industria moderna, che consentì una drastica riduzione dei costi e, al tempo stesso, un impressionante aumento della produzione, ponendo i paesi che si avvia rono lungo quella strada in condizione di dominare economicamente il mondo. se i fenomeni di crescita e accelerazione in ambito demografico, agricolo, commerciale durante il settecento furono condivisi, almeno in parte, da una porzione rilevante del vecchio continente, l’avvio della produzione industriale costituì una peculiarità tutta inglese. Gli altri paesi europei lo conobbero solo alcune decine di anni più tardi. Per fissare se non altro un punto di partenza simbolico alla rivoluzione indu striale, vale la pena di ricordare almeno un anno: il 1769, nel quale vennero bre vettate due macchine destinate a diventare tra gli emblemi più significativi della prima civiltà industriale: il filatoio idraulico di richard Arkwright (17321792) e la macchina a vapore di James Watt (17361819).
capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
Il settore trainante: l’industria del cotone
il filatoio idraulico, permettendo di aumentare la produttività di centinaia di volte, creò quasi dal nulla l’industria del cotone, che fece la fortuna dell’economia inglese tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento. il suo mercato era infatti rappresentato dal mondo intero, in ogni sua fascia sociale, compresi gli strati più umili, e per questo motivo si prestava meglio di qualsiasi altro a interpretare il ruolo di settore guida di un sistema orientato a produrre in grandi quantità e a basso costo. Fu allora che dell’abbigliamento quotidiano della gente comune entrò a far parte la biancheria intima, prodotta ora in cotone, e dunque a costi assai più ridot ti di quelli degli stessi capi in lana. il travolgente successo della nuova moda com portò un assai più frequente e intenso contatto dei ceti popolari con il mercato e coincise con una radicale modifica delle correnti del commercio internazionale. Decrebbe fortemente, infatti, il flusso d’esportazione in Europa degli sgargian ti e raffinati tessuti di cotone prodotti dalla manifattura indiana, grazie ai quali le élite sociali del vecchio continente avevano per la prima volta sperimentato i piaceri offerti dalla fibra tessile, e si intensificarono i rapporti commerciali tra Europa e Stati Uniti d’America che, nelle piantagioni del Sud, sostenute dal lavoro schiavile, producevano enormi quantità di materia prima a costi assai contenuti (v. cap. 11). sotto il segno del cotone, il mondo occidentale separato dall’atlantico si rinsaldò sotto il profilo economico mentre, venuto meno un tradizionale canale di sbocco per il suo prodotto più ricercato, l’India patì una crisi economica che si tradusse in un indebolimento del suo tessuto produttivo e della sua coesione sociale. anche questo fu un segno premonitore del divario che la rivoluzione industriale veniva rapidamente scavando tra chi ne era compartecipe e chi ne restava fuori: tra il nord e il sud del mondo.
Un’illustrazione dal “Giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra”, 1790 (Milano, Biblioteca Trivulziana). Grazie alla diffusione del cotone, molti capi di abbigliamento non furono più prerogativa esclusiva delle classi più ricche
APPROFONDIRE
Il miracolo europeo u a partire dall’epoca della rivoluzione industriale che l’EuroFposizione pa tutta intera, e non la sola Inghilterra – che pure era in una di avanguardia –, cominciò a distanziare nettamente, sul piano del livello materiale di vita, paesi come la Cina o l’India (i più popolati del globo), verso i quali gli europei avevano fino ad allora nutrito sentimenti di rispetto, piuttosto che una presunzione di superiorità. Al decollo europeo (e statunitense) contribuirono tanto cause strutturali quanto fenomeni contingenti, dei quali lo storico dell’economia Eric C. Jones ha proposto in un famoso libro (Il miracolo europeo. Ambiente, economia e geopolitica nella storia europea e asiatica, il Mulino, Bologna 2005) un ritratto che ci piace fare nostro. Ve ne erano, in primo luogo, di ambientali: da un lato la minore incidenza delle calamità naturali (per esempio terremoti e inondazioni, ma anche epidemie); dall’altro «la notevole varietà geologica, climatica e topografica», che favoriva il commercio a distanza anche di molti prodotti di uso comune. Inoltre, a lungo l’Europa aveva beneficiato «fin quando l’Asia s’era collocata all’avanguardia in campo scientifico e tecnologico, del transfert culturale [ovvero delle informazioni provenienti, n.d.t.] dalla Cina e dall’India mediato dal mondo islamico, così prossimo all’Europa». Altri fattori ancora, però, erano da riconoscere nella specificità dell’organizzazione politica caratteristica dell’Europa: per esempio nel suo sistema di Stati concorrenti, freno potente alle pur presenti tentazioni di-
spotiche dei detentori del potere. Ascoltiamo ancora Jones: «[quello degli Stati in competizione] era un processo che induceva a più miti consigli i governanti e li incoraggiava a offrire condizioni più favorevoli al commercio», costruendo istituzioni e sistemi di regole certe, le quali tutelavano la proprietà dagli arbitri del potere, garantivano maggiore sicurezza e aprivano la strada allo sviluppo delle iniziative individuali: «Alla massa della popolazione europea, non esclusi i contadini, rimaneva infatti aperta l’opzione di fuggire dai regimi oppressivi, e ciò costringeva le diverse entità politiche […] a competere fra loro». Viceversa, in Oriente c’erano imperi, non Stati; e la loro scala territoriale e demografica rendeva problematico un intervento efficace delle istituzioni pubbliche a sostegno dell’economia. Con le loro sconfinate estensioni, gli imperi dovevano pensare infatti soprattutto a difendersi, e a immobilizzare imponenti risorse a questo scopo. Gli imperi asiatici erano, in un certo senso, quanto di più vicino si poteva immaginare ai sogni coltivati dai sovrani assolutisti europei; ma anche quanto di più lontano rispetto al sistema di Stati concorrenti nel quale essi concretamente si trovarono costretti a operare e nel quale incontrarono un freno continuo alle loro tentazioni dispotiche. Fu questo freno, forse, la precondizione più favorevole per l’addensarsi di quei fattori positivi che resero possibile la rivoluzione industriale.
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
La macchina a vapore
LESSICO Altoforno Forno a forma di torretta (e quindi sviluppato in altezza) costruito con materiale refrattario e in grado di raggiungere temperature molto elevate. È utilizzato nella produzione di leghe tra cui la ghisa e l’acciaio.
Gli straordinari progressi nel settore tessile da soli non sarebbero però stati in grado di modificare l’intera organizzazione dell’economia. Fu invece l’invenzione della macchina a vapore ad avviare la produzione industriale nel suo complesso, permettendo anche lo sviluppo del settore minerario e di quello metallurgico. in un primo momento essa venne adoperata nelle miniere per estrarre il carbone-coke, di cui l’inghilterra aveva buona disponibilità di giacimenti. Questo combustibi le, mescolato con minerale ferroso nell’altoforno, consentì la produzione di ghisa e acciaio (due leghe di ferro e carbonio) e quindi la rapida espansione dell’industria siderurgica. il carbone serviva inoltre a sua volta per alimentare la macchina a vapo re creando un circolo virtuoso tra vapore e carbone, che divennero i simboli della prima rivoluzione industriale. La macchina a vapore fornisce energia meccanica sfruttando il movimento al ternativo di uno stantuffo che si sposta all’interno di un cilindro nel quale si espan de il vapore d’acqua surriscaldato (energia termica). dunque, la sua funzione è quella di trasformare l’energia termica in energia meccanica. Con il tempo la macchina di Watt finì per sostituirsi all’energia idraulica: divenne la forza motrice dei filatoi meccanici e permise di situare le fabbriche lontano dai corsi d’acqua, nelle città dove vi era una grande disponibilità di manodopera. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - I settori di sviluppo della rivoluzione industriale Il settore metallurgico L’industria tessile del cotone
avvia
La rIvoLuzIone InDusTrIaLe
consolidano Il settore minerario
Uno dei primi filatoi meccanici, stampa a colori, 1770
APPROFONDIRE
La novità della macchina a vapore a rivoluzione industriale può essere definita in molti modi diversi, Lmaggiormente a seconda dei fattori di mutamento che di volta in volta interessa evidenziare. Molti studiosi, però, sono concordi nel segnalare la sua caratteristica principale nell’innovazione tecnologica, che consentì di «sostituire all’abilità umana le macchine e alla fatica di uomini e animali l’energia inanimata». Tuttavia, come ci ricorda in questa bella pagina lo storico David Landes, forme di energia inanimata (cioè prodotta da agenti diversi dagli esseri umani o dagli animali) erano già in uso prima della rivoluzione industriale e a lungo convissero con quelle nuove, basate sull’abbinamento tra carbone e macchina a vapore: «La combinazione carbone-vapore non fu la sola fonte di energia inanimata disponibile alle economie europee del XVIII secolo. La forza del vento era stata imbrigliata da millenni, prima con la vela per la navigazione, poi, dal Medioevo, con i mulini per il pompaggio e la macinazione. Anche più importante era l’energia idraulica […]. Nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento la ruota idraulica provvedeva alla parte
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maggiore, sebbene in diminuzione, dell’energia usata dall’industria inglese […]. Il vantaggio della forza del vento e dell’acqua era che l’energia impiegata non costava nulla; il grosso svantaggio era che spesso essa non era abbastanza abbondante, e in ogni caso era soggetta a variazioni che sfuggivano al controllo umano. Il vento poteva non esserci, il corso d’acqua prosciugarsi e gelare. Invece sulla macchina a vapore si poteva fare assegnamento in tutte le stagioni, (anche se) la spesa di impianto iniziale era più elevata, e il suo funzionamento costoso. Qui stava il grande vantaggio della macchina a vapore. Era infaticabile […]. Inoltre […] essa consumava combustibile minerale (il carbone) e quindi metteva a disposizione dell’industria, per l’approvvigionamento di forza motrice in cambio di calore puro, una nuova e apparentemente illimitata fonte di energia». (D. Landes, Prometeo liberato, Einaudi, Torino 1984) Schema tecnico della versione definitiva della macchina di Watt, costruita tra il 1787 e il 1800, stampa, XIX secolo
capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
10.3 Il sistema di fabbrica e gli effetti sociali dell’industrializzazione L’aumento della ricchezza
Le ripercussioni della rivoluzione industriale poterono essere avvertite in tutta la loro profondità solo a distanza di vari decenni, quando risultò chiaro come l’in dustrializzazione avesse portato l’Inghilterra nell’arco di un secolo (1750-1850) a moltiplicare per sette il proprio prodotto nazionale lordo. La ricchezza di cui mediamente ogni inglese godeva (reddito medio pro capite) era nel frattempo cresciuta dello 0,5% ogni anno nella seconda metà del settecento; dell’1% ogni anno nella prima metà dell’ottocento. nel 1850, secondo alcune stime, il reddito pro capite nel regno unito era pari a 32,6 sterline, in Francia a 21,1, in Germania a 13,3. un qualsiasi inglese nato nel 1780 settant’anni più tardi fruiva di quasi il doppio dei beni di cui aveva a suo tempo potuto disporre suo padre. Nella storia dell’umanità fino a quel momento non si era mai assistito a qualcosa di analogo; fino ad allora, infatti, per raddoppiare la disponibilità di beni materiali erano stati necessari, ogni volta, diversi secoli. da quando l’industria cominciò ad affermarsi, vi ceversa, bastò anche semplicemente il tempo di una generazione e, in seguito, ancor meno, in quanto i ritmi di questa accelerazione produttiva crebbero progressivamente.
Il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale, p. 254
La nascita della città industriale
Quando il sistema industriale decollò, cambiò completamente la dimensione del lavoro. un primo mutamento si manifestò sotto il profilo degli spazi destinati alla trasformazione e alla elaborazione delle materie prime. Fino a quel momento queste attività, oltre che nelle botteghe artigianali, si erano svolte in piccole offici ne (manifatture), dove alcuni lavoratori specializzati provvedevano, ciascuno in base alla propria competenza, a una fase della lavorazione; o, ancora, al riparo dei vincoli imposti dal sistema delle corporazioni di arti e mestieri, in moltissime abi tazioni disseminate in campagna, dove intere famiglie contadine alternavano il lavoro al telaio alla fatica dei campi. Lo scenario della manifattura tessile era dun que prevalentemente quello domestico, e vi giocavano un ruolo nevralgico i picco li proprietari di un telaio a mano, presso le cui abitazioni i mercanti portavano la materia prima, per ritirarla più tardi come prodotto finito. al posto di questi insediamenti di lavoro sparsi, la cui produzione era limitata sotto il profilo quantitativo e non uniforme sotto il profilo qualitativo, sorsero le grandi fabbriche. Queste si trovavano molto spesso alla periferia di città collocate in posizioni strategiche, perché vicine alle miniere di carbone (Manchester, Liver pool, Birmingham, Leeds), dove i lavoratori si accalcavano a centinaia o anche a migliaia.
Il paesaggio modificato dalla rivoluzione industriale, XVIII secolo
I cambiamenti nella produzione
un secondo mutamento riguardò i modi e i ritmi della produzione. ora essa era affidata a macchine automatiche, i cui ingranaggi scandivano a battute velocis sime i tempi del lavoro umano, organizzato in base alla rigida divisione del lavoro. L’operaio di fabbrica non eseguiva più l’intera lavorazione di un prodotto ma sola mente una delle tante fasi in cui il processo produttivo era suddiviso. Ciò compor tò da un lato un incremento stupefacente della produzione, dall’altro uno svilimento della qualità della fatica profusa dagli operai. 251
SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
LESSICO Movimento luddista Prende il nome da Ned Ludd, il leggendario capo di una rivolta nel Nottinghamshire che, rompendo un telaio, avrebbe dato inizio al movimento. Sabotaggio Azione deliberata volta a danneggiare la posizione dell’avversario, ostacolandone l’attività o distruggendo materiali e infrastrutture. Il termine deriva dal francese sabot, “zoccolo”. Il verbo saboter è entrato in uso durante la rivoluzione industriale e alludeva alla pratica delle lavoratrici di infilare gli zoccoli negli ingranaggi delle macchine, in modo da impedirne il funzionamento.
a loro non era più richiesta, diversamente da chi lavorava nelle manifatture o tra le mura domestiche, alcuna abilità specifica. ora dovevano starsene tredici o quattordici ore al giorno, con la sola eccezione della domenica, inchiodati alle macchine, a eseguire gesti ripetitivi a frequenza incalzante. non a caso, le prime forme organizzate di protesta dei lavoratori di fabbrica trovarono proprio nelle macchine il loro bersaglio principale. tra il 1810 e il 1820 gli aderenti al movimento luddista distrussero o sabotarono una gran quantità di macchine, individuan do in esse il simbolo del passaggio da un vecchio a un nuovo modo di produrre, che nella loro esperienza si rivelava per il momento estremamente penoso e carico di sofferenze. visto che l’antica competenza tecnica degli artigiani e dei manifat tori in fabbrica non era più necessaria, si ricorse largamente, durante i primi de cenni della rivoluzione industriale, all’utilizzo del lavoro delle donne e dei bambini. Le une erano disposte a percepire salari modestissimi, gli altri, spesso reclutati negli orfanotrofi, venivano preferiti agli adulti sia per analoghe considera zioni sul piano retributivo, sia per la straordinaria idoneità delle loro piccole dita per alcuni processi produttivi. in una città come Manchester c’erano fabbriche nelle quali oltre un quinto della manovalanza era composto da bambini con meno di nove anni.
ANALIZZARE LA FONTE
La divisione del lavoro Autore: Adam Smith – Tipo di fonte: trattato – Lingua originale: inglese – Data: 1763 Adam Smith (1723-1790), il fondatore dell’economia politica, aveva già minuziosamente descritto il sistema di fabbrica, fondato sulla divisione del lavoro, che sarà uno dei capisaldi della società industrializzata. Egli però si soffermava esclusivamente sugli effetti positivi di questa nuova modalità di produzione, mentre nei decenni successivi soprattutto gli autori di orientamento socialista metteranno in luce anche gli aspetti negativi della frammentazione delle mansioni.
solo la divisione del lavoro, per la quale ciascun individuo si limita ad esercitare un’attività particolare, può fornirci una spiegazione di questa maggiore ricchezza che si produce nelle società evolute, e che nonostante l’ineguaglianza nella proprietà, si estende ai più umili componenti della comunità. […] Così, per dare un esempio molto banale, se tutte le parti di uno spillo dovessero essere fatte da un uomo solo, se la stessa persona dovesse estrarre il minerale dalla miniera, separarlo dalle scorie, forgiarlo, dividerlo in piccole verghe, allungare queste verghe in fili e alla fine trasformare questi fili metallici in spilli, un uomo probabilmente, con tutta la sua laborio sità, potrebbe a stento fare uno spillo in un anno. […] Ma il fabbricante di spilli, nel produrre questo piccolo og getto di poco conto, molto opportunamente si preoccupa di dividere il lavoro tra un gran numero di persone, uno addrizza il filo metallico, un altro lo taglia, un terzo lo appuntisce, un quarto lo schiaccia in cima per infilarci le capocchie; tre o quattro persone sono occupate a fare le capocchie, uno si occupa specificamente di innestarle, un altro riunisce gli spilli, e persino quello di metterli in carta è un mestiere a sé stante. se questa piccola ope razione viene in questo modo divisa tra circa diciotto persone, queste diciotto persone, forse, complessivamen te faranno più di trentaseimila spilli al giorno. si può considerare quindi che ciascuno […] faccia seicentomila spilli all’anno, cioè che ciascuno produca seicentomila volte la quantità di lavoro che sarebbe capace di pro durre, se dovesse da se stesso provvedere a tutti gli attrezzi e alle macchine prime, come nella prima ipotesi. adam smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Mondadori, Milano 1977 Domande alla fonte 1. Quali vantaggi derivano alla produzione dalla divisione del lavoro? 2. Secondo Smith, i vantaggi riguardano tutti i membri della società?
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capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
L’ora del pranzo in una fabbrica del Lancashire, 1874 (Manchester, Art Galleries)
Le conseguenze sociali del sistema di fabbrica
La rivoluzione industriale trasformò radicalmente l’assetto della società, sbriciolandone i tradizionali nessi di coesione. di fronte alla fabbrica, infatti, i lavoratori si configuravano ora come individui isolati, sradicati dal contesto familiare e ambientale, e privi di quei rapporti di solidarietà che la vecchia organizzazione del lavoro, basata per un verso sull’agricoltura, per l’altro sul sistema delle corpora zioni, aveva a lungo assicurato. Per impedire la nascita di nuove forme di associazione tra i lavoratori, tra il 1799 e il 1800 vennero approvati in inghilterra i Combination Acts che resero il legale il sindacato, ma non riuscirono a bloccare del tutto la vita delle società di mestiere (craft societies) che si opponevano all’abbandono di ogni forma di tutela del lavoro. dovettero però passare alcuni decenni prima che, nella loro nuova veste di operai industriali a tempo pieno, i lavoratori riuscissero a dar vita a stabili forme di aggregazione collettiva per proteggersi come categoria e per esercitare una signi ficativa capacità contrattuale nei confronti dei datori di lavoro (v. cap. 20, par. 20.3). non bisogna comunque pensare, neppure nel caso inglese, a un’affermazione incontrastata o troppo rapida del sistema di fabbrica. Quest’ultimo, infatti, fu un fenomeno regionale, più che nazionale, e si concentrò nell’area nord-occidentale del paese, che era quella del resto dotata delle miniere di carbone e per questo più fittamente percorsa dalla rete delle nuove strade e dei canali. A lungo, inoltre, i vecchi modi di produzione convissero con quello nuovo. tra la fine del settecen to e l’inizio dell’ottocento l’economia inglese viaggiò insomma a due distinte ve locità: quella tradizionale della manifattura e dell’industria a domicilio e quella nuova della fabbrica. il tempo lento del passato non cedette immediatamente il passo a quello frenetico del futuro.
I due modi di produzione che a lungo convissero in Europa: sopra, la filatura in casa, ancora secondo i modi tradizionali (Belfast, XIX secolo); sotto, una filanda a vapore nel 1828
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Il laboratorio dello storico
Luci e ombre della rivoluzione industriale
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche
La rivoluzione delle élite Un viaggiatore straniero che a metà del Settecento fosse sbarcato in Inghilterra – racconta lo storico Eric J. Hobsbawm attingendo copiosamente alla letteratura di viaggio dell’epoca – sarebbe rimasto colpito da un ambiente che, per la sua efficiente rete di servizi e di comunicazioni, si presentava davvero diverso da quelli continentali. Una volta giunto a Londra, quel viaggiatore sarebbe rimasto stupefatto da una città che, con i suoi 750 000 abitanti, era allora la più popolata della cristianità, contando quasi il doppio degli abitanti della pur popolatissima Parigi. Un contemporaneo – l’abate francese Le Blanc, che scriveva nel 1747 – giudicò Londra «meravigliosa solo per la sua grandezza», ma poco pulita e poco illuminata, anche se, sotto questo aspetto, pur sempre migliore di un altro centro industriale…
Quella che Le Blanc descrive è la Birmingham dei primi anni della rivoluzione industriale, ancora disadorna nel suo arredo urbano, ma animata da una quasi febbrile percezione del valore del tempo il viaggiatore rimane impressionato dai primi modelli di macchina a vapore, ancora lontani, peraltro, dal livello di efficacia che verrà di lì a poco conseguito dalla macchina di Watt rispetto agli aristocratici del continente, i nobili inglesi si presentavano già nei decenni centrali del settecento sostanzialmente imborghesiti, e poco inclini, dunque, ad assecondare il tradizionale sfarzo aristocratico 254
«[a Birmingham] la gente sembra tanto presa dai propri affari all’interno delle abitazioni da curare assai poco l’aspetto esterno. Le strade non sono né lastricate né illuminate». L’avrebbe impressionato, poi, la realtà febbrile delle città portuali – come Liverpool, Bristol, o Glasgow – scandita dall’andirivieni lungo le banchine di
«schiavi e di prodotti coloniali: zucchero, tè, tabacco, e, in misura crescente, cotone». Ma a metà Settecento gli inglesi erano ormai famosi non solo per i loro grandi commerci, ma anche per le loro macchine che, – notava ancora l’abate Le Blanc –
il commercio d’oltremare rappresentava all’epoca il settore più dinamico dell’economia inglese
«in effetti moltiplicano gli uomini diminuendone il lavoro… Così, nelle miniere di carbone di newcastle, un solo uomo per mezzo di un congegno tanto sorprendente quanto semplice, può sollevare cinquecento tonnellate d’acqua all’altezza di centottanta piedi». La percezione dominante restava, comunque, quella di una nazione commerciale, più che industriale. E a colpire molto Le Blanc era anche un’altra peculiarità dell’Inghilterra: un sistema politico
«unico nel suo genere, in cui i re erano subordinati al parlamento». Per concludere:
«a Londra i padroni vestono come i loro servitori, e le duchesse imitano le cameriere […]. È facile notare che gli inglesi non si sforzano di impressionare, con l’abito o con gli equipaggi; i mobili delle loro case sono semplici quanto potrebbe essere prescritto da leggi suntuarie… e se le tavole degli inglesi non sono notevoli per frugalità, lo sono almeno per la semplicità dei cibi». e. J. Hobsbawm, La rivoluzione industriale e l’Impero. Dal 1750 ai giorni nostri, einaudi, torino 1972, pp. 1517
era questo il risultato scaturito dalla Glorious Revolution del 1688, che si era conclusa con l’instaurazione della monarchia costituzionale, in forza della quale il Parlamento condivideva con il re il potere legislativo
capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE
La rivoluzione dei lavoratori Accostiamoci ora a un racconto successivo di una cinquantina d’anni. A scrivere è William Cobbett, giornalista democraticoradicale attivo a cavallo tra fine Settecento e inizio Ottocento, portato tanto dalla sua passione politica quanto dalla sua professione a documentarsi da vicino su temi che Le Blanc intravede appena da lontano e che sono nel frattempo divenuti materia scottante dell’agenda politico-sociale britannica.
La rarefazione della classe dei piccoli agricoltori e il loro abbandono della terra furono il presupposto per la costituzione di una classe di lavoratori salariati che trovarono impiego in fabbrica
se Le Blanc aveva apprezzato la frugalità della borghesia britannica, al centro dell’attenzione di Cobbett c’è invece soprattutto la drammatica situazione economica dei lavoratori. egli racconta, dunque, un’inghilterra completamente diversa da quella descritta dal francese qualche decennio prima
il sistema fiscale e gli investimenti hanno portato la vera proprietà della nazione nelle mani di pochi; hanno reso la terra e l’agricoltura oggetti di speculazione, hanno in ogni parte del regno fuso molte tenute in una; hanno quasi completamente fatto sparire la razza dei piccoli coltivatori; da un capo all’altro dell’inghilterra le case che prima contenevano piccoli agricoltori con le loro famiglie felici si vedono adesso cadere in rovina, tutte le finestre, eccetto una o due chiuse, lasciando solo luce sufficiente perché qualche bracciante, il cui padre era, forse, il piccolo agricoltore, possa guardare i suoi bambini mezzi nudi e mezzi morti di fame, mentre dalla porta scorge tutto intorno a sé la terra che abbonda dei mezzi della ricchezza per il suo padrone opulento fuori di misura. in inghilterra un uomo che lavora, con una moglie e solo tre figli, anche se non perde mai una giornata lavorativa, anche se lui e la famiglia sono parchi, frugali e industriosi nel senso più ampio di queste parole, non è in grado di procurarsi con il suo lavoro un solo piatto di carne in tutto l’anno. È questo lo stato in cui dovrebbe trovarsi un uomo che lavora?
se Le Blanc aveva raccontato la rivoluzione industriale delle élite, Cobbett è testimone di quella delle classi lavoratrici, le quali, nella fase iniziale dell’industrializzazione, videro peggiorare talvolta anche drasticamente le proprie condizioni di vita
r. Williams, Cultura e rivoluzione industriale. Inghilterra 1780-1795, einaudi, torino 1974, p. 38
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate e commentate due fonti letterarie di tipologia diversa, ovvero, un diario di viaggio e uno scritto di denuncia politico-sociale. I due testi sono stati composti a distanza di alcune decine di anni l’uno dall’altro, ma illustrano, da una prospettiva diversa, lo stesso fenomeno. • Come si spiega la differenza di angolo visuale e di tono narrativo tra il primo e il secondo brano? • Quali sono i gruppi sociali che emergono dalla prima fonte, e quali invece quelli che fungono da protagonisti nella seconda?
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capItOLO 10
LA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE
Mappa
rivoluzione agraria
Sviluppo del commercio
Sviluppo dei trasporti
• nascita di aziende
• commercio
capitalistiche • aumento della produzione
triangolare • commercio interno orientato al mercato
• strade a pedaggio • canali sempre navigabili
“Forza dell’ambiente”
• libertà garantite dalla legge
• pluralismo religioso • interesse per scienza e tecnologia
rIvOLuZIONE INduStrIaLE INGLESE
Invenzioni
Filatoio idraulico e nascita dell’industria del cotone Macchina a vapore e sviluppo del settore minerario e metallurgico
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Effetti sociali del sistema di fabbrica
Nascita del sistema di fabbrica
Le macchine organizzano la produzione Divisione del lavoro Incremento della produzione
ripetitività del lavoro
Smantellamento della coesione sociale e proteste Sviluppo del luddismo
Repressione e leggi (Combination Acts) contro le associazioni operaie
capItOLO 10
LA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE
Sintesi 10.1 L’INghILTERRA, PATRIA DELLA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE La rivoluzione industriale si sviluppò in inghilter ra a partire dagli ultimi decenni del settecento. i fattori che resero questo paese più adatto di altri a un simile cambiamento fu rono tanto di natura econo mica quanto di natura poli tica e sociale. un primo elemento si può individuare nella proprietà fondiaria: nel Xviii secolo in inghilterra i picco li proprietari stavano scom parendo mentre nascevano le prime grandi aziende capitalistiche, formate da un ceto ristretto di grandi proprietari dotati dei capitali necessari per organizzare una coltivazione su vasta scala. Le pro prietà si allargarono con il fenomeno delle recinzioni e la redistribuzione delle terre comuni. si passò così dall’autoconsumo a un’economia di profitto. a ciò contribuì anche la “rivoluzione agraria” che, grazie al nuovo sistema di rotazione delle colture e dell’abbinamento di queste con l’al levamento, consentì di dare vita a un ciclo produt tivo molto più redditizio. un secondo fattore fu lo sviluppo del commercio internazionale, attraverso lo scambio triangolare in base al quale le navi inglesi scaricavano in ogni con tinente ciò che mancava e contemporaneamente si rifornivano di merci da trasportare altrove. Per la rivoluzione industriale importantissimo fu anche il radicale rinnovamento del sistema dei trasporti (ferrovie e canali) connesso all’ampliamento del mercato interno. decisivo fu, infine, il nuovo ambiente politico e sociale che dominava in inghilterra dopo la Glorio sa rivoluzione: il sistema parlamentare favoriva in fatti lo spirito d’iniziativa così come la prevalente mentalità puritana, che esaltava il lavoro e vedeva nel profitto un segno della benevolenza divina. 10.2 LA NASCITA DEL SISTEMA INDuSTRIALE Furono soprattutto le innumerevoli piccole invenzioni, volte a migliorare la produzione, a per mettere la trasformazione su larga scala delle mate rie prime all’interno delle fabbriche, con l’ausilio determinante di macchine e con l’impiego di grandi masse di lavoratori salariati.
il primo settore di sviluppo dell’industria moder na fu quello tessile, nel quale l’impiego di nuovi macchinari, tra cui il filatoio idraulico (1769), per mise di raddoppiare la pro duzione e di invertire la direzione del commercio internazionale: decrebbe in fatti l’esportazione dei tessu ti di cotone indiani, mentre si intensificarono i rapporti commerciali tra l’inghilterra e le piantagioni americane. seguì la crescita dei settori minerario e metallurgico grazie soprattutto all’invenzione della macchina a vapore, il cui utilizzo permise di estrarre il car bone e di lavorare i metalli nell’altoforno.
10.3 IL SISTEMA DI FAbbRICA E gLI EFFETTI SOCIALI DELL’INDuSTRIALIZZAZIONE La ricchezza inglese aumentò notevolmente: a di stanza di vari decenni risultò chiaro come l’indu strializzazione avesse portato l’Inghilterra tra il 1750 e il 1850 a moltiplicare per sette il proprio prodotto nazionale lordo. un effetto dell’industrializzazione fu la nascita di grandi conglomerati urbani dove avevano sede le fabbriche e dove si accalcavano i lavoratori. un secondo mutamento riguardò i modi e i ritmi della produzione: la rigida divisione del lavoro rendeva inutile ogni abilità specifica e favoriva lo sfruttamento di donne e bambini. Per impedire la nascita di associazioni operaie, il Parlamento inglese emanò tra il 1799 e il 1800 i Combination Acts, che tuttavia non riusci rono a impedire la formazione del movimento luddista e delle prime società di mestiere. sorsero i primi movimenti di protesta, detti luddisti, che di struggevano le mac chine, considerate il simbolo del nuovo modello di produzio ne industriale.
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Capitolo 11
La rivoLuzione americana e La nascita degLi stati uniti 11.1 Le tredici colonie inglesi La prima democrazia
il mondo delle colonie americane era abitato in maggioranza da una popolazione inglese per nascita o per discendenza, nonostante vi fossero insediati anche gruppi provenienti dall’europa continentale; nel 1770 vantava due milioni di abitanti contro i tre volte tanti della madrepatria e tuttavia il mondo americano non rappresentava una pura e semplice replica di quello inglese. con l’inghilterra i coloni condividevano la lingua, la tradizione religiosa e di pensiero, gran parte delle leggi, ma nel secolo e mezzo intercorso tra i primi loro approdi sulle coste nordamericane, nel 1620, e l’ultimo quarto del settecento, avevano sviluppato una società dotata di caratteristiche proprie. nella seconda metà del settecento gli inglesi d’america si sentivano sempre meno rappresentati dalla lontana madrepatria. infine ruppero gli indugi: cambiarono nome, cessando di essere sudditi britannici, e si dichiararono americani indipendenti. cominciarono quindi a costruire un paese completamente nuovo: grazie alla loro rivoluzione per la prima volta nell’età moderna la democrazia si fece realtà. Archibald M. Willard, Spirit of ’76, 1876 (Washington, National Archives). Il quadro, dipinto cento anni dopo la rivoluzione, intende celebrare l’anno in cui il Congresso americano emanò la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776)
Al centro avanzano tre personaggi a passo di carica: un soldato ferito e due suonatori di tamburo che rappresentano tre generazioni di uomini. Si noti la semplicità dell’abbigliamento di queste figure, sintomo di una società ispirata a sentimenti di sobria fierezza
Alle loro spalle la bandiera americana, formata all’origine da tredici strisce orizzontali rosse e bianche (che si sono mantenute nel tempo) e un riquadro blu dove inizialmente comparivano le 13 stelle delle colonie che si resero indipendenti; adesso ce ne sono 50
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Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
La formazione delle colonie americane
i primi insediamenti inglesi nell’america settentrionale vennero fondati nei primi decenni del Seicento. La prima colonia inglese in america fu la Virginia, fondata all’inizio del secolo in onore di elisabetta i (la Virgin Queen). in seguito, nel 1620, un gruppo di puritani perseguitati in patria, i cosiddetti Padri pellegrini, a bordo della nave Mayflower approdò sulle coste dell’attuale massachusetts. Qui crearono la colonia di Plymouth, impegnandosi, con un solenne giuramento, a emanare leggi giuste e imparziali. nel giorno del ringraziamento ancora oggi si ricorda quell’episodio. gli inglesi approdavano nelle nuove terre in ordine sparso e a titolo privato, senza fruire, cioè, dell’appoggio ufficiale dell’esercito e della marina britannici. erano organizzati in compagnie, ciascuna delle quali era munita di un “privilegio” accordato dal sovrano, vale a dire dell’autorizzazione a effettuare un insediamento in un’area determinata. in alcuni casi il re attribuiva il privilegio direttamente a una singola persona, che diveniva in tal modo il proprietario della colonia. intorno alla metà del Settecento avevano così preso forma lungo la costa atlantica o nella sua immediata prossimità tredici colonie, ciascuna cresciuta scacciando verso l’interno gli abitanti originari del paese, i cosiddetti pellerossa (v. approfondire, p. 270). La maggior parte degli inglesi approdati in america apparteneva a gruppi religiosi minoritari e dissidenti (come i puritani e i quaccheri), oppure agli strati subalterni della società, gente umile che nella patria d’origine era relegata ai margini della società e che aveva ben poco da perdere. a migliaia, tra seicento e settecento, attraversarono l’oceano e dettero vita in america a comunità diverse l’una dall’altra, ma soprattutto differenti da quella della terra d’origine. Quella che approdò oltre oceano era, infatti, una porzione decisamente particolare della popolazione inglese. non c’erano, tra gli emigrati, esponenti dell’aristocrazia di sangue, lo strato che si collocava ai vertici di ogni società europea, e accadde così che nel mondo delle colonie prendessero forma comunità relativamente poco differenziate sotto il profilo sociale.
LESSICO Quaccheri Con questo termine – forse derivante dall’inglese to quack (“schiamazzare”), con riferimento alle vistose manifestazioni con le quali accompagnavano i momenti più intensi del loro culto – si indicano gli appartenenti a un movimento religioso protestante sorto nell’Inghilterra del Seicento e caratterizzato da un forte egualitarismo, dal ripudio di ogni gerarchia e di ogni forma di violenza. Perseguitati per il loro rifiuto di prestare giuramento di fedeltà alla nazione, emigrarono in America dove diedero origine alla colonia della Pennsylvania che prende il nome dal predicatore quacchero William Penn.
Le tredici colonie del 1763
gli immensi territori nordamericani risultavano divisi, dopo la Guerra dei sette anni, tra colonie inglesi, vicereami spagnoli, e alcune limitatissime zone canadesi ancora in mano ai francesi. a fissare i confini delle tredici colonie, nucleo originario degli stati uniti, fu in particolare un proclama, incluso negli accordi della pace di Parigi del 1763, a conclusione di quel conflitto che s’era combattuto quasi interamente in america. Le colonie del Nord (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), sorte nella prima metà del seicento, quelle del Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania) e quelle del Sud (le due Caroline, Virginia, Maryland, Delaware e Georgia) differivano sia dal punto di vista economico-sociale sia da quello religioso. nelle colonie centro-settentrionali gli insediamenti erano composti soprattutto da agricoltori proprietari di piccole porzioni di terra, artigiani, mercanti, professionisti, pescatori: un mondo improntato a una grande semplicità di costumi, puritano sotto il profilo religioso e altamente alfabetizzato, nel quale il principio della passiva deferenza degli umili nei confronti dei potenti, tratto caratteristico di gran parte delle società europee coeve, non poteva mettere salde radici.
MEMO La Guerra dei sette anni, combattuta tra il 1756 e il 1763 sul fronte americano, terminò con la disfatta dell’impero coloniale francese e con la definitiva supremazia inglese su quei territori [vedi p. 83].
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
Il primo giorno del Ringraziamento in America, litografia da un dipinto del XVII secolo. I Padri pellegrini sono raffigurati nell’atto di dividere il cibo con le popolazioni indigene
differente era invece la situazione nelle colonie del Sud. Qui lo sfruttamento del suolo si effettuava attraverso il sistema della grande piantagione (di tabacco, di riso, di colorante indaco; poi, in misura crescente nel settecento, di cotone, sotto lo stimolo della domanda sollecitata dalla rivoluzione industriale), che richiedeva l’impiego di cospicui capitali. esso veniva gestito da un ceto di proprietari medi e grandi, una vera e propria élite rurale, che faceva largamente ricorso al lavoro degli schiavi neri, importati direttamente dall’africa o dai caraibi, oltre che a quello di bianchi approdati oltre oceano come “servi a contratto”, vincolati a lavorare per almeno quattro anni alle dipendenze di un padrone che aveva coperto le loro spese di viaggio. negli stati del sud la popolazione di pelle nera costituiva da sola oltre il 60% della popolazione. L’America del Nord e le tredici colonie nel 1763 CANADA Colonie del Nord
New Hampshire
Colonie del Centro
New York
Colonie del Sud Territori inglesi Territori spagnoli
Pennsylvania
Massachusetts Rhode Island Connecticut New Jersey Delaware
Virginia
Maryland
Carolina del Nord Carolina del Sud
VICEREAME DELLA NUOVA SPAGNA
Georgia
oceano Atlantico
golfo del Messico
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Territori perduti dalla Spagna nel 1819
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
il puritanesimo fu il lievito fondamentale della società del New England (le colonie del Nord), formatasi prevalentemente come luogo di rifugio per i gruppi religiosi dissidenti. nelle colonie del Sud, viceversa, sorte perlopiù in base a un atto di assegnazione a un singolo o a una comunità emanato per grazia sovrana (e per questo dette colonie “di proprietà”), predominavano le Chiese ufficiali: quella anglicana, in primo luogo, ma anche la cattolica (nel maryland), mentre al Centro il quadro si configurava più composito. Governo inglese e autogoverno locale
nonostante le notevoli differenze, le americhe inglesi erano rette da istituzioni sostanzialmente simili. La madrepatria esercitava il controllo da lontano, attraverso governatori nominati dalla Corona e affiancati da consiglieri che loro stessi sceglievano tra le persone più influenti di ciascuna colonia. nelle colonie che avevano un proprietario era invece quest’ultimo a insediare governatore e consiglio, ma un ruolo molto importante giocavano ovunque le assemblee elettive locali, designate da un corpo elettorale che, a seconda dei casi, oscillava tra il 50 e il 70% della popolazione maschile bianca adulta. il potere era dunque spartito tra organi nominati dall’alto e organi rappresentativi delle comunità locali, ma, vista la distanza tra il governo centrale (quello di Londra) e il mondo delle colonie, era quasi sempre quest’ultimo ad aggiudicarsene la porzione maggiore. Fino alla guerra dei sette anni il rapporto tra le colonie e l’inghilterra era stato mediato principalmente dalla figura del re, mentre il Parlamento di Londra, titolare del potere legislativo, si era sostanzialmente astenuto dall’interferirvi. i coloni non godevano del diritto di inviare propri rappresentanti presso il Parlamento della madrepatria, né questo, dunque, legiferava sui territori americani. i coloni, del resto, avevano i loro parlamenti: si trattava delle assemblee legislative presenti, come s’è visto, in ogni stato ed elette a suffragio ampio. L’America inglese poteva dunque essere considerata come una sorta di proprietà della Corona, come una porzione di impero britannico soggetta alle norme generali del diritto inglese, ma impermeabile rispetto al Parlamento londinese. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le colonie americane nel 1763 coLonie deL nord
coLonie deL centro
coLonie deL sud
denominazione
Massachusetts Connecticut Rhode Island New Hampshire
New York New Jersey Pennsylvania
Carolina del Nord Carolina del Sud Virginia Maryland Delaware Georgia
economia
agricoltura intensiva industria commercio
agricoltura intensiva industria commercio
sistema di piantagione
Composizione sociale
piccoli agricoltori borghesia imprenditoriale pescatori
piccoli agricoltori borghesia imprenditoriale pescatori
proprietari terrieri schiavi neri
religione
puritanesimo
realtà composita quaccheri (Pennsylvania)
anglicanesimo cattolicesimo (Maryland)
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
11.2 Le cause del conflitto i limiti imposti dalla madrepatria
LESSICO Contrabbando Composto di contra e bando (nel significato di “disposizione di legge”), indica l’attività di importazione o esportazione illecita di merci, che viola le leggi dello Stato, per esempio eludendo il pagamento dei tributi.
nel corso del Settecento il mondo delle colonie inglesi in America conobbe un fiorentissimo sviluppo. tra il 1700 e il 1770 la popolazione decuplicò, passando da 250 000 a oltre 2 milioni di abitanti. non lo si poteva ormai più considerare come un semplice avamposto commerciale; esso era divenuto di fatto un mondo a sé stante, la cui popolazione era combattuta tra un evanescente senso di identificazione con la madrepatria e una crescente volontà di autodeterminazione. tuttavia questa aspirazione all’autonomia si scontrava sempre di più con le norme sancite dalla politica economica britannica, di cui a lungo era stata tollerata l’inosservanza, ma di cui ora si tendeva a esigere il puntuale rispetto. tali norme – a lungo disattese dai coloni americani, abituati a esercitare senza particolari remore il contrabbando – imponevano alle colonie di intrattenere rapporti di scambio commerciale diretti unicamente con la madrepatria, e vietavano di attivare produzioni concorrenti con quelle britanniche. il mercato americano, con la sua imponente crescita demografica, costituiva una delle componenti più importanti per la fortuna del commercio inglese. Basti pensare che negli anni sessanta assorbiva da solo ben un terzo del volume globale delle esportazioni britanniche. Le pretese inglesi e i primi contrasti
La caricatura illustra la politica inglese nei confronti delle colonie: il governo inglese pretendeva di avere uova dall’oca americana anche dopo averla sgozzata
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dopo la guerra dei sette anni i rapporti tra i coloni americani e l’inghilterra si fecero più tesi. La partecipazione attiva alle vittoriose operazioni militari antifrancesi a fianco dell’esercito inglese aveva accresciuto nei coloni il senso della propria identità. ma l’Inghilterra, dal canto suo, avvertiva la necessità di dare un’impronta politica e fiscale più uniforme e coerente al suo impero, che si stava nel frattempo vistosamente espandendo in india, assoggettandolo a un controllo burocratico permanente del centro nei confronti delle periferie. gli abitanti delle colonie erano stati fino a quel momento sudditi inglesi a metà; ora avrebbero dovuto diventarlo in misura piena. soprattutto – insisteva il Parlamento di Londra – avrebbero dovuto contribuire anch’essi al mantenimento dell’esercito e della flotta che li proteggevano, pagare le tasse e fornire così una parte del denaro necessario a coprire i crescenti costi dell’impero. tra il 1763 e il 1773 la tensione tra colonie e madrepatria si inasprì giorno dopo giorno. Lo stanziamento permanente di un esercito di 10 000 uomini in america; l’istituzione dell’obbligo di apporre marche da bollo sui materiali a stampa (documenti, contratti e fatture commerciali ma anche giornali) di cui si faceva uso nelle colonie (Stamp act, 1765) per consentire il mantenimento delle truppe inglesi da parte dei coloni; l’introduzione di più severe misure contro il contrabbando e di nuovi dazi: queste furono le iniziative da parte inglese. i coloni risposero in parte con il sabotaggio, in parte sfidando politicamente la madrepatria, facendo leva su un vecchio e rispettato principio del diritto pubblico inglese, condensato dalla formula no taxation without representation, “niente tasse senza rappresentanza”. se i coloni non godevano del diritto di designare propri rappresentanti presso il Parlamento di Londra, perché mai avrebbero dovuto pagare le imposte decretate da quest’ultimo?
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
Lo scontro fiscale
Le misure stabilite da Londra innescarono una serie di reazioni a catena. Lo Stamp act del 1765 imponeva l’applicazione di una marca su moltissimi atti pubblici e persino sui giornali; questa imposizione era ritenuta particolarmente lesiva nelle colonie, che erano contraddistinte da un alto livello di alfabetizzazione e nelle quali dunque la lettura della stampa era un’abitudine molto diffusa. a questo punto i delegati di nove colonie si riunirono a new York e dichiararono illegittima la tassa, invitando i coloni a non pagarla. era l’avvio di un processo di mobilitazione che coinvolse l’intera società delle colonie, abituandone i membri a discutere intensamente di politica, a confrontarsi in dibattiti e assemblee, a divenire opinione pubblica attenta e partecipe. nei mesi seguenti all’emanazione della tassa, in molte località venne dato l’assalto agli uffici fiscali e un anno più tardi gli inglesi si videro costretti a revocare il provvedimento, pur ribadendo ufficialmente il loro diritto a riscuotere imposte dai coloni (Declaratory act, 1766). Questi ultimi, dal canto loro, cominciarono a sabotare lo smercio dei prodotti inglesi. tra il 1769 e il 1770 l’esportazione della produzione britannica oltre oceano si ridusse di ben due terzi. nel 1770 un violento scontro di piazza a Boston, nel massachusetts, culminò nell’uccisione di cinque coloni da parte delle truppe inglesi (l’episodio è passato alla storia come “massacro di Boston”). Per attenuare la tensione, salita ormai a livelli incontrollabili, Londra decise a questo punto di abolire tutti i dazi sulle importazioni delle merci in America, con l’eccezione di quello sul tè, riconfermato per una questione di principio. Il massacro di Boston, stampa, 1770 (New York, Metropolitan Museum of Art)
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
il Boston tea party: l’inizio dell’insurrezione
Per tre anni la situazione parve tranquillizzarsi; poi, nel 1773, si verificò l’episodio che diede il via all’insurrezione generale delle colonie. Per salvare dalla bancarotta la Compagnia delle Indie orientali, uno dei colossi del commercio inglese, il Parlamento di Londra, d’accordo con la corona, attribuì a essa il monopolio (cioè l’esclusività) dell’esportazione del tè oltre oceano, provocando l’irritazione degli ambienti mercantili americani. a questo punto un gruppo di coloni ideò una forma spettacolare di protesta. travestiti da pellerossa, salirono a sorpresa su una nave inglese ormeggiata nel porto di Boston e ne gettarono a mare il carico di tè. L’episodio è passato alla storia con il nome di Boston tea party. gli inglesi risposero alla provocazione adottando nuove misure restrittive e autoritarie nei confronti dei coloni, ma questi ultimi replicarono esautorando di fatto i funzionari britannici (i governatori e i consigli a essi affiancati) e trasformando le assemblee rappresentative di ogni colonia in veri e propri corpi legislativi, nei quali dichiararono di riconoscere la sola legittima fonte di autorità. il primo congresso continentale
La petizione del Congresso continentale al re nel 1774
nel 1774 fu convocato a Filadelfia il primo Congresso continentale americano, al quale presero parte rappresentanti di tutte e tredici le colonie. in quella sede ebbero modo di mettersi in mostra e di imporsi come leader coloro che erano destinati a diventare i “padri fondatori” della nuova nazione: thomas Jefferson (17431826), James Wilson (1742-1798) e John Adams (1735-1826). inizialmente il congresso, che espresse le sue idee in una petizione rivolta al re, non mirò a promuovere il totale distacco tra colonie e madrepatria, ma, semmai, a svincolare le prime dalle pretese del Parlamento di Londra. da quel momento le colonie e l’Inghilterra avrebbero dovuto essere considerate come comunità politiche coordinate, soggette allo stesso sovrano, ma dotate di organi legislativi separati e autonomi. Le colonie ribadivano dunque la loro fedeltà alla corona, ma al tempo stesso chiedevano l’emancipazione amministrativa e fiscale dal Parlamento inglese e dalle tasse che questo pretendeva di esigere in america. contemporaneamente, si voleva che la corona britannica riconoscesse alle assemblee legislative coloniali – ciascuna per il territorio di loro spettanza – la stessa funzione accordata al Parlamento di Londra in relazione all’inghilterra.
11.3 La formazione di uno stato nuovo La guerra
Quando furono posti dinnanzi alle richieste di sostanziale autonomia del congresso americano, temendo di perdere ogni autorità sui domini coloniali, il re Giorgio III e il Parlamento inglese fecero fronte comune e rifiutarono ogni concessione. nel 1774 alcune colonie vennero ufficialmente dichiarate in stato di ribellione; contemporaneamente fu dato il via all’allestimento dell’esercito che avrebbe dovuto riportarle all’obbedienza. anche il Congresso americano, di conseguenza, nel 1775 iniziò a mettere insieme un esercito di volontari – reclutandone alcune migliaia – e ne affidò il comando a George Washington (1732-1799), un ricco proprietario di piantagioni, originario della virginia, che già durante la guerra dei sette anni aveva dato prova di grandi capacità militari. 264
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
Emanuel Leutze, Washington attraversa il Delaware, 1851 (New York, Metropolitan Museum of Art). Il quadro celebra l’attacco a sorpresa mosso dagli americani contro gli inglesi il 25 dicembre 1776
aveva così inizio una guerra che si sarebbe conclusa sette anni più tardi a favore degli insorti, malgrado le truppe schierate sotto la bandiera inglese (oltre 70 000 uomini) godessero inizialmente di una schiacciante supremazia numerica. determinante fu, in proposito, l’intervento a sostegno degli insorti della Francia, scesa in campo in appoggio ai coloni nel 1778, grazie anche alle efficaci pressioni esercitate dal rappresentante americano a Parigi, lo scienziato Benjamin Franklin, e della Spagna, che ne imitò l’esempio un anno più tardi. La prima vittoria americana avvenne nel 1777 a Saratoga; seguirono altri successi che culminarono nel 1781 nella battaglia di Yorktown, in virginia, nella quale gli inglesi furono costretti alla resa. Le clausole della pace, siglata a versailles nel 1783, prevedevano il riconoscimento da parte inglese non solo dell’indipendenza delle ex colonie, ma anche del diritto degli americani di espandersi liberamente negli immensi spazi scarsamente popolati dai pellerossa. Francia e spagna, in cambio dell’appoggio dato ai coloni nella guerra di indipendenza, ripresero parte dei territori che l’inghilterra aveva sottratto loro vent’anni prima: alcune basi in africa e nei caraibi la prima, la Florida e l’isola di minorca la seconda. La dichiarazione di indipendenza e i primi esperimenti costituzionali
intanto, il 4 luglio 1776, il congresso aveva emanato la Dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America, un importante documento che si richiamava ad alcuni fondamentali principi illuministici come l’esistenza di diritti umani, naturali e inalienabili e la teoria della sovranità popolare. in seguito, nel 1781, con la guerra ancora pienamente in corso, aveva elaborato i cosiddetti Articoli di confederazione, intendendoli come una provvisoria formula di compromesso tra gli interessi in parte contrastanti delle ex colonie, che si avviavano a diventare stati sovrani. negli anni seguenti ciascuno di essi si dotò di una propria Costituzione locale. Ben presto, peraltro, si rivelò evidente come le tendenze centrifughe provenienti dai vari territori e consacrate dalle costituzioni locali finissero per rendere troppo debole l’autorità del Congresso, le cui competenze sostanzialmente si limitavano all’esercizio della politica estera e alla direzione delle attività militari. durante la prima metà degli anni ottanta a richiamare l’attenzione sui rischi che una simile situazione presentava fu un movimento che si definì nazionalista o federalista. i suoi principali esponenti furono alexander Hamilton (1757-1804) e James Madison (1751-1836), l’uno originario di new York, l’altro della virginia.
LESSICO Confederazione Una confederazione è un’associazione di Stati autonomi nella quale ciascuno di essi mantiene la propria sovranità, ma affida una parte dei propri poteri agli organi confederali.
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
i federalisti si battevano per una revisione degli Articoli di confederazione, perorando il rafforzamento della sovranità “nazionale” a scapito di quella dei singoli stati. grazie a un’intensa campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica riuscirono a ottenere la convocazione a Filadelfia, nel 1787, di una Convenzione che ricevette il mandato di modificare le regole fissate sei anni prima. ANALIZZARE LA FONTE
La Dichiarazione di indipendenza Autore: Commissione di delegati composta da John Adams, Benjamin Franklin e Thomas Jefferson Tipo di fonte: documento ufficiale Lingua originale: inglese Data: 4 luglio 1776
Fonte Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (versione integrale)
Riportiamo la parte della Dichiarazione di Indipendenza in cui sono proclamati i principi che stanno a suo fondamento: l’eguaglianza dei cittadini dotati di diritti inalienabili; il consenso popolare al governo; il diritto di ribellarsi a uno Stato tirannico. Da qui la dichiarazione di separazione dal governo inglese che si è appunto dimostrato uno Stato tirannico violando il patto originario con i cittadini americani.
noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili1, che tra questi sono la vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. [Noi riteniamo] che ogni qual volta una qualsiasi forma di governo tende a negare tali fini, è diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che si fondi su quei principi e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idonea al raggiungimento della sua sicurezza e felicità. […] noi, peraltro, rappresentanti degli stati d’america, riuniti in congresso generale, appellandoci al supremo giudice dell’universo quanto alla rettitudine delle nostre intenzioni, solennemente proclamiamo e dichiariamo, in nome e per autorità dei buoni Popoli di queste colonie, che queste colonie unite sono, e devono di diritto essere stati liberi e indipendenti; che sono disciolte da ogni dovere di fedeltà verso la corona britannica. a. aquarone - g. negri - c. scelba (a cura di), La formazione degli Stati Uniti d’America. Documenti, nistri-Lischi, Pisa 1961 1. Diritti inalienabili: diritti che non possono essere ceduti ad altri poiché senza di essi l’uomo perderebbe ciò che lo contraddistingue, la sua natura umana.
Domande alla fonte 1. Quali sono i diritti umani inalienabili? 2. Per quale scopo sono creati i governi e su che cosa si fonda la legittimazione dei loro poteri? 3. Quale diritto ha un popolo quando un governo non rispetta lo scopo per cui è stato creato? 4. In nome di chi i rappresentanti delle colonie proclamano la loro indipendenza dalla Gran Bretagna?
La Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776 (New York, The Granger Collection)
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Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
La costituzione del 1789
La convenzione elaborò il testo della Costituzione americana, entrata in vigore tra il 1788 e il 1789. si trattava di una carta totalmente nuova, che mirava a creare un potere federale capace di unire i singoli stati in una sola nazione. essa continuò tuttavia ad accordare uno spazio ben individuabile alla sovranità distinta degli stati che componevano la federazione, solo di recente saldati in un fronte unitario dalla lotta comune contro l’inghilterra. i pilastri portanti della costituzione erano i seguenti: da un lato un Congresso (cioè, un Parlamento) investito del potere legislativo a livello nazionale e suddiviso in una Camera dei rappresentanti - eletta dai cittadini in base a un meccanismo che prevedeva una ripartizione dei seggi in proporzione alla popolazione residente all’interno di ciascuno stato - e da un Senato, composto da due rappresentanti per ciascuno stato, indipendentemente dal numero di abitanti. i senatori, designati dalle assemblee rappresentative previste da ciascuna delle costituzioni dei singoli stati, erano tenuti a interpretare il loro mandato nel senso della tutela degli interessi “statali” (ovvero locali) all’interno della struttura federale (cioè nazionale). se il Congresso deteneva il potere legislativo, quello esecutivo era invece conferito a un presidente, eletto di fatto dalla popolazione anche se in base a un sistema a doppio grado: i cittadini di ciascuno stato votavano i “grandi elettori” che a loro volta eleggevano il presidente. il suo mandato durava quattro anni (ma era riconfermabile) e comprendeva il diritto di veto sospensivo sulle leggi emanate dal congresso, nonché la direzione del governo, non vincolato alla fiducia parlamentare, della politica estera, delle forze armate. il presidente nominava, infine, i giudici della Corte suprema. in base al principio del reciproco equilibrio dei poteri, il presidente poteva però essere messo in stato di accusa dal Congresso che poteva anche destituirlo se lo riconosceva colpevole di violazioni della legge.
LESSICO Federazione Una federazione è un’unione di Stati che costituiscono insieme una nuova entità politica, alla quale i singoli membri sono soggetti pur mantenendo una certa autonomia legislativa in alcuni ambiti.
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - I poteri nella Costituzione americana
potere legislativo
potere eseCutivo “veto”
presidente deGLi usA
controlla
potere giudiziario nomina controlla
nomina CONGRESSO CaMERa DEI RaPPRESENTaNTI (435 membri)
SENaTO (100 membri)
Governo Ministri (10-12)
CORTE SuPREMa (9 membri)
eleggono
eleggono
eleggono
grandi elettori Cittadini degli stati uniti
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
ai giudici della Corte suprema che, una volta nominati, erano inamovibili, spettava un compito particolarmente delicato: verificare la legittimità costituzionale delle legislazioni emanate a livello nazionale dal congresso e a livello locale dalle assemblee dei singoli stati. uno stato nuovo
Bandiere, uniformi e armi, simboli della rivoluzione americana, XVIII secolo.
Una seduta alla Camera dei rappresentanti degli Stati Uniti
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La Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione prefigurarono uno stato dalle caratteristiche totalmente nuove e non paragonabili a quelle di alcun paese europeo dell’epoca. con gli Stati Uniti d’America non nasceva, dunque, soltanto una nuova nazione, ma anche e soprattutto un modo del tutto inedito di organizzare i rapporti tra cittadinanza e pubblico potere: lo Stato democratico, nella forma della repubblica federale, che, tanto a livello centrale quanto a livello locale, si basava su governi designati dalla popolazione, attraverso libere elezioni. si veniva così aggregando una comunità nazionale che – diversamente dalla maggior parte di quelle europee coeve – non era retta da una monarchia ereditaria, ma era essa stessa titolare in prima persona della sovranità. alcune repubbliche in verità a quell’epoca c’erano anche in europa (venezia e genova in italia e l’olanda); e così pure in europa c’era un caso di monarchia costituzionale, nella quale da circa un secolo l’esercizio del potere legislativo spettava alla cittadinanza, e non al re. era il caso, come sappiamo, proprio dell’inghilterra che, peraltro, gli americani accusavano di aver abbandonato la propria tradizione. tuttavia, sia nelle repubbliche europee sia nell’unica monarchia costituzionale presente nel vecchio continente, a esercitare il pubblico potere – da sola o insieme a un monarca, e comunque spesso in forme che non prevedevano libere elezioni – era ammessa una minoranza ristrettissima della popolazione; solo i nobili, per esempio, a venezia e a genova, e solo gli strati socialmente più elevati tanto in olanda quanto in inghilterra; in ogni caso mai più dell’1 o del 2% della popolazione.
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
La nazione americana si caratterizzò fin dall’inizio non solo per la sua forma repubblicana, ma anche per l’eccezionale ampiezza della partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere. non tutti gli stati che la componevano accordavano, in verità, con la stessa generosità ai propri abitanti l’esercizio del diritto elettorale. alcuni, per esempio, ammettevano al voto solo coloro che detenevano una proprietà (fondiaria, immobiliare o mercantile); altri, invece, allargavano il corpo elettorale fino a farvi rientrare chiunque pagasse anche un solo centesimo di tasse. tuttavia, a seconda degli stati, tra il 50 e l’80% dei maschi adulti bianchi godeva del diritto di recarsi alle urne. Per avere un’idea della distanza che sotto questo profilo divideva la nuova nazione dall’europa, basti pensare che in inghilterra, che pure fu a lungo il paese più liberale del vecchio continente, ancora nel 1832 la percentuale corrispettiva era di appena il 15%. nasceva così la prima repubblica “democratica” della storia.
11.4 Luci e ombre della democrazia americana La discontinuità rispetto all’europa
abbiamo appena introdotto un termine – democrazia – che fin qui ancora non avevamo sostanzialmente incontrato. gli stati uniti d’america furono il primo paese del mondo occidentale a costruirne una, richiamandosi a valori che si trovano già bene espressi nella Dichiarazione di indipendenza del 1776. i presupposti filosofici di questo documento erano sì in qualche modo impliciti nel pensiero illuminista più radicale, che contestava con forza una concezione gerarchico-verticista del potere. e certamente un legame di continuità avvicinava il pensiero politico della rivoluzione americana alla tradizione puritana, sensibile ai temi dell’egualitarismo comunitario e della purezza e semplicità dei costumi. tuttavia, pur nutrendosi in parte di stimoli ideali maturati in europa, gli abitanti delle ex colonie vi impressero una consequenzialità del tutto particolare, caratterizzando alla fine la loro esperienza nei termini di una sostanziale discontinuità rispetto alla tradizione del vecchio continente. d’altro canto, era in primo luogo nella loro struttura sociale che i territori americani si presentavano radicalmente diversi da qualsiasi società europea coeva. in Europa la società era organizzata per corpi. Quella americana era invece in larga parte una società di individui, nella quale da un lato le differenze sociali erano meno nette, dall’altro non esistevano ceti giuridicamente privilegiati, se non il “macro-ceto” dei bianchi; cosicché, prima ancora di costituirsi politicamente in democrazia, l’america poteva essere considerata già tale sotto il profilo sociale. il modello democratico americano presentò tuttavia fin dall’inizio alcune gravi contraddizioni rispetto all’universalità del pensiero su cui poggiava. ne erano esclusi le donne, i neri, che costituivano circa un sesto della popolazione dei tredici stati globalmente considerata, ma che in quelli del sud, dove essi vivevano in condizione di schiavitù, ne rappresentavano ben il 60%, e i pellerossa, nei confronti dei quali i coloni ritenevano di poter esercitare un indiscriminato diritto e di assoggettamento.
LESSICO Democrazia Il termine deriva dall’unione di due termini greci: krátos che significa “potere” e démos che per traslazione significa “popolo” in quanto i demi erano i quartieri di Atene, e quindi letteralmente indica il “potere del popolo”. Benché questo sistema di governo sia nato nell’antica Grecia, tuttavia solo in epoca moderna esso è connesso all’idea del suffragio universale, ossia al principio secondo cui tutti i cittadini adulti , senza distinzione, devono godere del diritto di voto.
Federalismo e antifederalismo
a coronamento di intensi dibattiti, durante i quali si erano scontrate le posizioni dei federalisti, favorevoli all’unione dei tredici stati, e quelle degli antifederalisti, che avrebbero preferito che ciascuno di essi si costituisse in nazione indipendente, il modello politico americano entrò pienamente in vigore nel 1789, con l’elezione di George Washington a presidente degli stati uniti.
John Ward Dunsmore, Washington osserva la prima bandiera confezionata nel 1777 dalla modesta filatrice di Filadelfia Betsy Ross, XVIII secolo
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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe
L’emanazione della costituzione, tuttavia, non esaurì affatto il dibattito politico al quale le ex colonie avevano dato vita, dividendosi negli opposti schieramenti dei federalisti e degli antifederalisti. nel 1791 il virginiano Thomas Jefferson, ministro degli esteri, in opposizione alle correnti in quel momento dominanti, fondò infatti un partito politico – quello repubblicano – che si mostrava assai “tiepido” nei confronti della spinta federalista emersa dalla costituzione e rivendicava la sovranità inviolabile di ciascuno Stato. il partito repubblicano reclutava gran parte dei propri aderenti negli Stati del Sud, tra le fila dei grandi proprietari terrieri, pur ottenendo consensi anche al Nord, tra gli strati emergenti del mondo mercantile. nel 1800, dopo i due consecutivi mandati presidenziali di george Washington, e dopo quello di John adams, entrambi federalisti, a salire alla presidenza degli stati uniti fu proprio Jefferson, che immediatamente avviò una politica di rafforzamento dei poteri dei singoli Stati. La nazione si espande
Il presidente Thomas Jefferson, XIX secolo
era nato un nuovo soggetto politico-territoriale, ma un semplice sguardo alla carta geografica ci fa capire come esso occupasse allora solo una piccola porzione degli immensi spazi dell’america settentrionale. La costituzione del 1788-1789 prevedeva però un meccanismo di espansione permanente. si pensava – come del resto avvenne ben presto – che i tredici stati della repubblica federale fossero destinati ad aumentare. in base a quanto stabilito dall’Ordinanza del Nord-Ovest, bastava che sessantamila persone si insediassero al di là dei confini di volta in volta esistenti perché il Congresso sancisse l’esistenza di uno Stato nuovo, legittimandolo contemporaneamente a entrare a far parte dell’unione federale. gli stati uniti, perciò, prendevano forma all’interno di un progetto di crescita pensato fin dall’inizio come continuo, e destinato ad arrestarsi solo una volta raggiunte le sponde dell’oceano Pacifico. APPROFONDIRE
Un nemico fragile: i pellerossa uando gli inglesi cominciarono ad arrivare nell’America del Q Nord, lì viveva all’incirca un milione di abitanti, distribuiti in modo sparso sull’intera superficie continentale. I coloni si abituarono a chiamare i nativi con la definizione unitaria e generica di “pellerossa”, in riferimento al colore della pelle, o “indiani”, in analogia al nome (indios) dato dagli spagnoli ai nativi dell’America centrale e meridionale. Ma essi in realtà non costituivano una popolazione unitaria. Si trattava di popoli divisi in tribù e distinti in circa cinquanta ceppi linguistici, a loro volta frammentati in oltre settecento dialetti. Appartenevano a culture, modi di vita e concezioni religiose diverse. Alcuni si dedicavano alla pesca, altri alla caccia, altri ancora – la maggioranza – all’agricoltura, applicando tecniche piuttosto avanzate. Alcune società indigene tendevano all’egualitarismo, altre erano profondamente differenziate sul piano sociale; in qualcuna prosperava l’istituto della schiavitù. In nessuna era conosciuto l’uso della scrittura. I primi contatti tra inglesi e popolazione locale si erano svolti secondo modalità relativamente pacifiche, sotto forma di rapporto commerciale. I pellerossa fornivano pelli di animali ai mercanti giunti dall’Inghilterra, in cambio di attrezzi metallici,
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sementi, alcol. La situazione peggiorò drasticamente quando ai mercanti si sostituirono coloro che intendevano dare vita a un insediamento stabile. Essi avevano infatti bisogno di terra da coltivare e, per ottenerla, ne scacciarono i pellerossa. Questi ultimi, presto in minoranza numerica rispetto ai coloni, cominciarono, già a partire dalla metà del Seicento, ad arretrare verso l’interno, spostando i propri accampamenti verso ovest. Il conseguimento dell’indipendenza da parte dei coloni aggravò la situazione. Nei decenni seguenti, infatti, la costruzione della nazione americana ebbe luogo a spese delle varie “nazioni” indiane, che si videro sottrarre gran parte del proprio territorio con sistemi violenti e con la truffa. Infine vennero costrette all’interno di piccole “riserve” dislocate in varie parti del paese. Intorno al 1900, la popolazione nativa di questi territori risultava ridotta ad appena duecentocinquantamila unità: era stata falcidiata dalle malattie infettive diffuse dai bianchi, soprattutto tifo e vaiolo, a cui gli indigeni non erano in grado di opporre difese naturali; dalla violenza fisica e dalla pressione razzista degli invasori, oltre che dai malanni, quali l’alcolismo, che questa relazione distorta produceva.
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
La formazione degli Stati Uniti d’America (1787-1912) Territori ceduti alla Gran Bretagna nel 1818
Territori ceduti dalla Gran Bretagna nel 1818
Washington
CANADA Vermont
1889
Oregon
1791
Montana
North Dakota
1889
1889
Idaho
1859
1858
Wyoming
1788
1846
Illinois
Indiana 1816
1818
Colorado 1876
1850
Connecticut
1861
1792
1821
Arizona
Oklaoma
Arkansas
1907
1836
1787
West Virginia Virginia
Kentucky
Missouri
New Jersey
1803
1863
Kansas
1788
1787
Ohio
Delaware 1787
1788
1788
1788
1796
South Carolina
1819
1788
Texas
oceano Pacifico
Territori ceduti dalla Francia nel 1803
1845
Louisiana 1812
1791
Territori acquisiti in forza del Trattato di Versailles nel 1783
Alabama Georgia
1912
District of Columbia
Territorio dei 13 Stati fondatori
1788
New Mexico
oceano Atlantico
Maryland
North Carolina
Tennessee 1912
Rhode Island 1790
1867
1896
1788
New York
1837
1848
Iowa
Nevada California
Wisconsin
Michigan
Pennsylvania Nebraska
Utah
New Hampshire Massachusetts
1889
1890
1864
1820 1788
Minnesota
South Dakota
1890
Maine
Mississippi 1817
Territori perduti dalla Spagna nel 1819
Florida 1845
Territori messicani annessi nel 1845
MESSICO
golfo del Messico
Territori ceduti dalla Gran Bretagna nel 1846 Territori perduti dal Messico nel 1848-1853 1792
Anno di ingresso nell’Unione
Le difficoltà del sogno americano
sulla nuova nazione si addensavano anche pesanti ombre, inizialmente ancora poco percepibili, ma destinate a infittirsi con il tempo. non tutti i coloni, intanto, avevano aderito alla scelta dell’indipendenza; anzi, parecchie migliaia di loro avevano combattuto sotto la bandiera inglese durante la guerra. negli anni immediatamente successivi si assistette, così, all’esodo dagli Stati Uniti di decine di migliaia di ex coloni, rimasti fedeli all’inghilterra e per questo determinati a far ritorno in quella che consideravano la loro vera patria oppure a raggiungere il vicino canada, che era rimasto dominio coloniale inglese. il paese era uscito dalla guerra in precarie condizioni economiche, carico di debiti con la Francia e con la Spagna, che ora cercavano di influenzarne le scelte e di impadronirsi a condizioni privilegiate del mercato americano. infine, c’era la differenza tra il mondo piccolo-proprietario e mercantile degli Stati del CentroNord e quello dei “piantatori” del Sud, dai quali emergevano sia interessi materiali sia valori sociali e ideali contrastanti. Nel Sud la schiavitù era legge; nel Centro-Nord la sua esistenza veniva considerata un affronto ai principi sui quali era stata fondata la nazione americana. La scelta federale aveva per il momento consentito di trovare un equilibrio tra quelle diverse realtà, ma, come vedremo, man mano che la nazione americana cresceva, quell’equilibrio non era affatto destinato a rimanere imperturbato (v. cap. 21, par. 21.4).
il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano, p. 272
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il laboratorio dello storico
Lo spirito e il sogno americano
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia
Fierezza e ribellione Samuel Peters, americano del Connecticut, nel corso della guerra di indipendenza sfociata nell’emancipazione degli Stati Uniti dal dominio inglese rimase lealista e per questo abbandonò la terra in cui era nato per riparare in Inghilterra. Egli rievocò nella sua History of Connecticut la vicenda pregressa della giovane nazione americana, sottolineando con una punta di acrimonia le precoci tendenze all’insubordinazione.
nel corso della rivoluzione inglese si erano formati gruppi di orientamento repubblicano, la cui attività, una volta ricostituita la monarchia, destava grandi preoccupazioni
secondo me il governo britannico, nell’ultimo secolo, non si aspettava che il new england rimanesse sotto la sua autorità; né gli abitanti del new england si consideravano sudditi della gran Bretagna, bensì suoi alleati. sembra che l’intendimento dell’inghilterra fosse di trovare un asilo per i repubblicani che erano stati un flagello per la costituzione britannica; e così, per incoraggiare quell’inquieto partito a emigrare, furono concesse carte repubblicane e dati privilegi e fatte promesse assai superiori a ciò cui un inglese ha diritto in inghilterra. agli emigranti fu dato il potere di far leggi conformi al loro volere e gradimento nella chiesa e nello stato, senza l’approvazione del re. Fin dall’inizio essi hanno uniformemente dichiarato, nella chiesa e nello stato, che l’america è un mondo nuovo, sottoposto al popolo che vi risiede; e che nessuno fuorché i nemici del paese si sarebbe rivolto dalle loro corti al re in concilio. mai essi hanno pregato per un re terreno, chiamandolo per nome. si sono sempre proclamati repubblicani e nemici del governo monarchico… odiano l’idea di un parlamento… non hanno mai ammesso che una legge inglese entri in vigore da loro finché non sia stata approvata dalle loro assemblee… tengono come loro unico re gesù, ma anche se lo amano e obbediscono non si sottometteranno, dal momento che non si sono sottomessi alle leggi del re d’inghilterra. v. L. Parrington, Storia della cultura americana, vol. i, einaudi, torino 1969, pp. 320-321
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insomma, un paese nel quale erano approdati in quantità gli elementi più insofferenti dell’autorità regia
il testo qui allude alla religiosità caratteristica del mondo delle colonie, nelle quali erano affluiti i puritani più insofferenti nei confronti del clero, e per questo abituati a officiare il culto in forma comunitaria e antigerarchica
Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti
Una nuova patria per gli amanti della libertà Ed ecco la stessa storia narrata, durante gli anni Settanta del Settecento, da Hector St. John de Crèvecoeur, un gentiluomo francese che, giunto in America al servizio dell’amministrazione coloniale britannica, si mostrò invece decisamente simpatetico nei confronti del ribelle spirito americano. In fondo concorde con il ritratto dell’America proposto da Peters, quello di Crèvecoeur riserva però a quegli stessi particolari tutt’altro apprezzamento.
La rigenerazione, il “rinfrescante acquazzone” della libertà, le grandi, sconfinate distese di terra vergine sulle quali riversare la propria industriosità, ovvero la più virtuosa delle modalità di espressione dell’interesse personale: il cittadino “americano” è di questi elementi che si nutre, formalizzandosi nella metafora della pianta in crescita, all’interno di uno spazio la cui frontiera è mobile, in perenne avanzamento, pronta a offrire sempre nuove opportunità ai volenterosi
i ricchi rimangono in europa, sono solo i modesti e i poveri che emigrano. in questo grande asilo americano, i poveri d’europa in un qualche modo si sono riuniti […]. Può un miserabile che vaga qua e là, che lavora e languisce… può un uomo simile chiamare l’inghilterra o un qualsiasi altro regno la sua patria? un Paese che non ebbe pane per lui, […] dove non possedette un sol piede della vasta superficie di questo pianeta? no! Pressati da una varietà di moventi, qui essi vennero! ogni cosa tendeva a rigenerarsi; nuove leggi, un nuovo modo di vivere, un nuovo sistema sociale; qui sono diventati uomini; in europa erano come tante piante inutili, che mancano di terra adatta e di rinfrescanti acquazzoni; avvizzivano falciati dal bisogno, dalla fame e dalla guerra: ma ora, in virtù del trapianto, come tutte le altre piante hanno messo radici e sono fioriti! Prima non erano annoverati in alcuna lista civile del loro Paese, eccetto quella dei poveri, qui hanno il rango di cittadini. grazie a quale invisibile potere è avvenuta questa sorprendente metamorfosi? grazie alle leggi della loro industriosità… il suo paese è ora quello che gli dà terra, pane, protezione e dignità: ubi panis ibi patria è il motto di tutti gli emigranti… il compenso alla sua laboriosità va qui di pari passo con le sue fatiche; e queste si fondano nel modo più naturale, cioè sull’interesse personale; ci può essere un allettamento più forte? v. L. Parrington, Storia della cultura americana, vol. i, einaudi, torino 1969, p. 179
Letteralmente, “dove c’è il pane, lì è la patria”. significa che chi guardava con speranza all’america, come l’autore di questo brano, era disposto a lasciarsi alle spalle la patria di nascita, per entrare in una patria nuova
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate due fonti letterarie scritte nella stessa epoca da due autori animati però da opinioni del tutto antitetiche rispetto alla natura della novità rappresentata dagli Stati Uniti d’America • Quali sono i valori ai quali implicitamente l’autore della prima fonte mostra di tenere di più, nel momento in cui critica l’atteggiamento dei ribelli d’America? • Quali diverse idee di società e di cittadinanza si contrappongono nel testo scritto da Crèvecoeur?
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Capitolo 11
LA RIvOLUZIONE AMERICANA E LA NASCITA DEgLI STATI UNITI
mappa tredici colonie inglesi nel nord america
nord • Massachusetts • Connecticut • Rhode Island • New Hampshire
Centro • New York • New Jersey • Pennsylvania
sud • Carolina del Nord • Carolina del Sud • Virginia • Maryland • Delaware • Georgia
Dopo il 1763 l’Inghilterra introduce nuovi dazi e lo Stamp act
Proteste, revoca dello Stamp act ma monopolio inglese dell’esportazione del tè
Boston tea party
rivoluzione ameriCana
avvenimenti
documenti
Giorgio III rifiuta le richieste del Congresso continentale e allestisce un esercito
Dichiarazione di indipendenza (1776) ispirata ai principi illuministi
Divisioni tra federalisti del Nord e antifederalisti del Sud
Inizia la guerra: i coloni ricevono l’aiuto di Francia e Spagna
Costituzione federale del 1789
Debiti con Francia e Spagna
Pace di Versailles (1783) e indipendenza delle colonie organizzate in confederazione
nasCita degli stati uniti
Le colonie diventano una federazione e si espandono verso ovest 274
difficoltà e problemi aperti
Questione schiavista Esclusione di donne, neri e pellerossa
Divisione dei poteri: • esecutivo (presidente) • legislativo (Camera dei rappresentanti e Senato)
• giudiziario (Corte suprema)
Capitolo 11
LA RIvOLUZIONE AMERICANA E LA NASCITA DEgLI STATI UNITI
sintesi 11.1 LE TREDICI COLONIE INgLESI i primi insediamenti inglesi nell’america del nord sorsero all’inizio del seicento. i coloni appartenevano a gruppi religiosi minoritari e dissidenti o agli strati subalterni della società. non emigrò invece l’aristocrazia cosicché, fin dagli inizi, la società americana non conobbe le distinzioni di ceto tipiche del mondo europeo. intorno alla metà del settecento avevano così preso forma lungo la costa atlantica o nella sua immediata prossimità tredici colonie, ciascuna cresciuta scacciando verso l’interno gli abitanti originari del paese (pellerossa). nelle colonie centro-settentrionali gli insediamenti erano composti soprattutto da piccoli agricoltori, artigiani, mercanti, professionisti e pescatori. L’orientamento religioso prevalente era il puritanesimo. differente era invece la situazione negli Stati del Sud, dove vi erano piantagioni appartenenti a grandi proprietari terrieri che sfruttavano il lavoro degli schiavi neri importati dall’africa. nel sud dominavano le chiese anglicana e cattolica. Fino alla guerra dei sette anni (conclusa nel 1763) il rapporto tra le colonie e l’inghilterra era stato mediato principalmente dalla figura del re. L’america inglese poteva essere considerata come una sorta di proprietà della Corona, soggetta alle norme generali del diritto inglese, ma impermeabile rispetto al Parlamento londinese. 11.2 LE CAUSE DEL CONFLITTO dopo la guerra dei sette anni il governo di Londra impose una pesante tassazione alle colonie e impedì loro di avere rapporti commerciali con altri paesi. gli americani contestarono un Parlamento in cui non risiedevano rappresentanti americani. Particolarmente impopolare fu lo Stamp Act, la tassa sul bollo. i coloni iniziarono quindi a sabotare lo smercio di prodotti inglesi e a compiere atti dimostrativi come l’episodio del Boston Tea party (1773). nel 1774 venne convocato a Filadelfia il primo Congresso continentale americano, al quale presero parte rappresentanti di tutte e tredici le colonie con l’obiettivo di ottenere l’emancipazione amministrativa e fiscale dal Parlamento inglese.
11.3 LA FORMAZIONE DI UNO STATO NUOvO il re e il Parlamento inglese fecero fronte comune e rifiutarono ogni richiesta del congresso. nel 1775 si arrivò alla guerra che, nonostante gli inizi favorevoli agli inglesi, si concluse nel 1783 con la vittoria dei coloni, dovuta anche all’appoggio di Francia e Spagna. il 4 luglio 1776 il congresso proclamò l’indipendenza delle colonie che fu riconosciuta dall’inghilterra al termine del conflitto con il trattato di versailles. dopo un acceso dibattito tra coloro che volevano un forte potere centrale (federalisti) e coloro che non intendevano rinunciare alla sovranità dei singoli stati (antifederalisti), prevalse la prima posizione e venne fondata una Repubblica federale. nel 1787 fu redatta una Costituzione che prevedeva una rigida divisione dei poteri: il Congresso (composto di camera dei rappresentanti e senato) deteneva il potere legislativo, il presidente quello esecutivo e la Corte suprema quello giudiziario. nacque così la prima democrazia moderna. 11.4 LUCI E OMbRE DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA a differenza della società europea, organizzata per corpi, quella americana era in larga parte una società di individui, nella quale le differenze sociali erano meno nette e non esistevano ceti giuridicamente privilegiati, se non il “macro-ceto” dei bianchi. il modello democratico americano presentò tuttavia fin dall’inizio alcune gravi contraddizioni: ne erano esclusi le donne, i neri e i pellerossa, nei confronti dei quali i coloni esercitarono un indiscriminato assoggettamento. negli anni successivi il numero delle colonie crebbe in seguito all’espansione territoriale, ma proprio la crescita della nazione acuì i contrasti e favorì le manifestazioni delle correnti antifederaliste, che fondarono il partito repubblicano, sotto la guida di thomas Jefferson.
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Capitolo 12
La RivoLuzione fRancese (1789-1793) 12.1 Alle origini della Rivoluzione La Francia prima della Rivoluzione
nel corso del settecento in molti paesi europei aveva avuto inizio un’età di riforme (v. cap. 8), per quanto spesso imposte dall’alto, tese ad attenuare o addirittura a eliminare i privilegi fiscali di cui godevano i primi due stati del regno, il clero e l’aristocrazia. in francia invece tutti i tentativi in tal senso erano falliti. Alla vigilia del 1789, nobili e clero (rispettivamente 400 000 e 130 000 individui, pari a circa il 2% dei 26 milioni di abitanti della francia) detenevano tra il 35% e il 40% della proprietà fondiaria francese, di gran lunga la principale fonte di ricchezza in un paese la cui popolazione era impegnata per i tre quarti in attività connesse all’agricoltura, e perlopiù non erano tenuti a pagare tasse. Gli oneri fiscali, di conseguenza, ricadevano quasi esclusivamente sul cosiddetto “Terzo stato”, pari al 98% dei francesi e formato da tutti coloro che non erano nobili né chierici: dai contadini ai commercianti, dai professionisti agli artigiani, dai capitani di industria agli operai. La presa della Bastiglia, stampa,XVIII secolo
L’immagine raffigura uno degli episodi più celebri della Rivoluzione francese: l’assalto, il 14 luglio 1789, alla prigione-fortezza della Bastiglia
La costruzione si trovava al centro di Parigi e anche per la sua imponenza era per il popolo parigino il simbolo del dispotismo regio
I rivoltosi sono ritratti nell’atto di posizionare i cannoni intorno al carcere, presidiato da una guarnigione di 110 uomini che nulla poterono contro la furia popolare
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Nobili ed ecclesiastici godevano inoltre del diritto di incassare contributi in natura o in denaro dai contadini, ai quali in alcune aree avevano la facoltà di imporre restrizioni alla libertà personale. infine, i nobili detenevano il monopolio sulle alte cariche dello Stato e insieme all’alto clero quasi ovunque esercitavano la funzione di giudici di primo grado nei confronti di una popolazione che riconosceva in loro una fonte quotidiana di oppressione. La crisi economica e le proposte di Turgot e di Calonne
La situazione economico-sociale del paese, al momento dell’ascesa al trono di Luigi XVI (1754-1793, re dal 1774 al 1792) si presentava a un punto di svolta. Dopo decenni di prosperità, evidenti soprattutto nei settori del commercio e dell’industria, dove molti nuovi ricchi si erano affacciati alla ribalta sociale, il ciclo economico dava segni di rallentamento o stagnazione. a essere colpiti dalla crisi erano soprattutto i contadini, sempre più taglieggiati dai soprusi signorili, dalle decime ecclesiastiche, dalla fiscalità statale, e i lavoratori salariati urbani, il cui potere d’acquisto si era drasticamente ridotto a causa di un aumento generale dei prezzi dei generi di prima necessità, che la disastrosa congiuntura causata dai cattivi raccolti del 1788 e del 1789 avrebbe portato all’estremo. in pessime condizioni si trovavano anche le finanze pubbliche, le cui asfittiche entrate, che in gran parte pesavano sui gruppi sociali più umili, non potevano essere accresciute, a meno di non modificare la struttura del prelievo fiscale, estendendolo anche ai ceti fino a quel momento privilegiati, che ne erano totalmente o parzialmente esenti. i controllori (o direttori) delle finanze che si passarono il timone della carica durante il regno di Luigi Xvi (Turgot, necker e calonne) cercarono di risolvere il problema seguendo fondamentalmente due strategie alternative, una finalizzata ad accrescere le entrate, l’altra a contenere le spese. La prima, di ispirazione fisiocratica, di cui furono interpreti prima anne-Robert Jacques de Turgot (1727-1781), controllore delle finanze tra il 1775 e il 1776, e poi charles alexandre de Calonne (1734-1802), che assunse la carica nel 1786, consisteva nella promozione di una politica economica liberista, tesa all’eliminazione di ogni vincolo al commercio e alla piena affermazione della proprietà privata della terra. Parte di quest’ultima, infatti, era ancora soggetta alla legislazione feudale, che spesso vietava di venderla liberamente. Queste misure avrebbero accresciuto, secondo loro, la ricchezza e dunque la base dell’imposizione fiscale, tanto più perché si pensava di introdurre contestualmente un’imposta fondiaria generale da riscuotere senza più eccezioni o esenzioni. La seconda strategia fu seguita invece dal ginevrino Jacques Necker (1732-1804), controllore delle finanze dal 1776 al 1781.
LESSICO Taglieggiati Letteralmente soggetti alla taglia, imposta signorile un tempo legata a necessità di difesa. Per estensione, soggetti a imposte signorili. Congiuntura La congiuntura (dal verbo “congiungere”) è il punto in cui più parti di una medesima cosa si collegano. In economia, in particolare, indica l’insieme delle condizioni che caratterizzano la situazione economica in un periodo di tempo breve, generalmente inferiore all’anno.
MEMO La fisiocrazia è una dottrina economica francese, diffusa nel Settecento, che individua nell’agricoltura la fonte primaria della ricchezza [vedi p. 154].
La strategia di Necker
La strategia di Necker mirava a ridurre drasticamente la spesa pubblica, colpendo in primo luogo le uscite “improduttive”, rappresentate secondo lui dal mantenimento dell’apparato burocratico, dai costi della corte, dalle regalie e dalle pensioni con cui Luigi Xvi gratificava i suoi favoriti. avendo reso pubblico, nel 1781, il bilancio dello Stato, che documentava l’entità degli sprechi, del resto tutti legati alla logica di funzionamento dell’antico regime, Necker era stato rimosso dal suo incarico sotto le pressioni inviperite dei ceti privilegiati, che a corte riuscivano ancora a dettar legge. Lo stesso destino, del resto, era toccato a Turgot cinque anni prima. e c’era il rischio che anche calonne, il successore di necker, vedesse impedita la realizzazione dei suoi piani.
LESSICO Regalie In età medievale si intendevano con questo termine le prerogative dell’autorità regia: il controllo delle vie di comunicazione, l’esercizio della giustizia, la riscossione delle imposte. In seguito il termine fu esteso a comprendere il gran numero di privilegi concessi dal re ai suoi favoriti.
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certo è che, facendo leva sui Parlamenti (le corti di giustizia dotate della prerogativa di sospendere l’esecuzione degli editti sovrani), nobiltà e clero erano riusciti a bloccare negli anni precedenti ogni tentativo di riformare gli ordinamenti vigenti. inoltre, pur avendo a cuore essenzialmente la conservazione dei privilegi dei due primi stati, i Parlamenti erano stati capaci di presentarsi come difensori del popolo rispetto al tentativo da parte della corona di elevare la pressione fiscale e, al tempo stesso, di introdurre una ripartizione fiscale meno squilibrata. La convocazione degli stati generali
Joseph-Siffred Duplessis, Ritratto di Jacques Necker
nel 1787 il re, di fronte all’ennesimo rifiuto del Parlamento di Parigi di approvare nuove imposte, l’aveva sciolto, ma nell’intero paese si era levata una vivace protesta (dal momento che i primi due stati vedevano messi in discussione i propri privilegi; mentre il terzo temeva un ulteriore aumento della pressione fiscale). APPROFONDIRE
Il pensiero di Sieyès: che cos’è il Terzo stato? Nel gennaio 1789 un intellettuale illuminista, l’abate Emmanuel Joseph Sieyès (1748-1836), pubblicò un pamphlet (un breve scritto di contenuto e di tono aspramente polemico e satirico), intitolato Che cos’è il Terzo stato?, nel quale attaccò senza mezzi termini clero e nobiltà, accusandoli di parassitismo. Sieyès sostenne inoltre la necessità di una legge uguale per tutti e argomentò in favore di una Costituzione che accordasse a ognuno piena libertà di pensiero e di espressione, conferendo alla popolazione, non più divisa in stati, l’esercizio della sovranità. Da istituzione “per grazia divina”, cioè insindacabile e imposta dall’alto, la monarchia si sarebbe così trasformata in organo espressivo di un contratto liberamente concordato, e quindi revocabile, tra popolazione e dinastia, in poche parole in una monarchia costituzionale. Lo scritto dell’abate si rivolgeva sia contro la divisione in stati (o ordini) della società, sia contro l’assolutismo regio, i due elementi fondamentali dell’instabile equilibrio caratteristico della Francia prerivoluzionaria: elementi contrastanti, dal momento che i privilegi
di clero e nobiltà ponevano dei limiti all’assolutismo del monarca, ma anche, sotto certi aspetti, complementari. Infatti, come ha scritto lo storico Michel Vovelle «la figura del re onnipotente, personificazione della legge per i suoi sudditi, era la migliore garanzia di un ordine sociale che assicurava il potere dei privilegiati». A quei privilegi e a quella onnipotenza Sieyès contrapponeva un’aspirazione elementare, la cui legittimità si proponeva di dimostrare rispondendo a tre domande: 1. Che cos’è il Terzo stato? 2. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? 3. Che cosa chiede? Per rispondere alla prima domanda gli bastava una parola soltanto: tutto. Del Terzo stato faceva parte infatti la stragrande maggioranza dei francesi, ovvero tutti i non privilegiati. Anche la risposta al secondo quesito suonava assai secca: nulla. Bastava guardare, a questo proposito, alla composizione degli stati generali, appena convocati. Essi erano suddivisi in tre assemblee distinte, una per ordine, e ognuna formata da trecento deputati. Poco importava che l’assemblea del Terzo stato rappresentasse il 98% della popolazione e quelle di clero e nobiltà appena il 2%: infatti, secondo le regole stabilite in occasione della convocazione del 1614, il voto espresso dal Terzo stato contava quanto quello di ciascuno degli altri due Stati (“voto per ordine”). E, visti gli stretti legami esistenti tra l’aristocrazia e l’alto clero (nel 1789 tutti i vescovi di Francia provenivano da famiglie nobili), era naturale attendersi che, di fronte alla proposta di eliminare i privilegi, i primi due ordini esprimessero a maggioranza voto contrario. In tal modo l’aspirazione del Terzo stato a “divenire qualcosa” nell’ordinamento politico sarebbe rimasta inappagata. Ecco allora la risposta alla terza domanda: il Terzo stato chiedeva di avere maggiore rappresentanza. Il risveglio del Terzo stato, stampa popolare, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet). Un ufficiale, simbolo della nobiltà, e un prelato osservano scandalizzati e terrorizzati un borghese che spezza le catene che lo legano alla subalternità del proprio ruolo e prende le armi
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capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
La protesta indusse il sovrano a recedere e a convocare (nel gennaio 1789) per il maggio i cosiddetti stati generali, ovvero le rappresentanze nazionali del clero, della nobiltà e del Terzo stato; in quella sede assolutamente straordinaria (l’ultima convocazione risaliva al lontano 1614, al tempo di Maria de’ Medici, dopodiché l’assemblea aveva perso gran parte della sua rappresentatività e credibilità) si sarebbero decisi i passi da intraprendere per risanare il paese. Le proteste nei mesi precedenti la convocazione
a guidare inizialmente la protesta erano stati il clero e la nobiltà, con l’intenzioFonte Lagnanze e suppliche ne di conservare l’ordine vigente, ma, nel corso dei mesi che precedettero il magdella città di Civray gio 1789, molte altre voci in tutta la francia diedero sfogo alle proprie richieste, affidandole ai cahiers de doléances (“quaderni di lamentele”), scritti nei quali si esprimevano i motivi del malcontento e si indicavano le linee dei rinnovamenti auspicati. comune a gran parte dei cahiers era la richiesta di una costituzione e di una profonda riforma del sistema fiscale e giudiziario; le tensioni si concentravano quindi sugli aspetti più significativi dello stato francese ed evidenziavano lo sviluppo di un dibattito politico nuovo e stimolante. in ogni angolo della francia la popolazione discusse e si mobilitò, costruendo man mano un’opinione collettiva, alternativa a quella di stampo prevalentemente conservatore dietro alla quale si era Il laboratorio dello storico Le lamentele del Terzo stato, p. 292 arroccata la resistenza dei Parlamenti. apparve allora evidente come l’Illuminismo, di cui proprio la francia era stata la patria nei decenni precedenti (v. cap. 6), avesse contribuito a predisporre se non altro gli strati più colti della popolazione a esercitare un diritto di critica che ora mostrava di avere per bersaglio oltre al dispotismo del re, anche i privilegi dei primi due stati, che derivavano dalla tradizione, ma non parevano più giustificabili alla luce della ragione. a esprimere vigorosamente la protesta, erano stati nel frattempo anche i cahiers redatti da alcune donne. in uno, a firma Dames françoises (“signore francesi”), si formulava la proposta di affiancare agli stati generali un’assemblea esterna di rappresentanti femminili, denunziando la conPRIMO STATO dizione patita dalle donne definite come «il Terzo stato del Clero 130 000 Terzo stato». SecOndO STATO in attesa dell’apertura dei lavori, e forti della mobilitaNobiltà 400 000 zione dell’opinione pubblica, alcuni esponenti del Terzo stato chiesero due modifiche al regolamento degli stati generali. volevano da un lato un raddoppio dei loro rappresentanti (seicento, contro i trecento di clero e nobiltà), dall’altro l’istituzione di un’unica assemblea comune, in cui ciascun deputato venisse lasciato libero di votare “per testa”, cioè a titolo individuale, e a prescindere dalle posizioni espresse dalla maggioranza del proprio ordine (mentre fino ad allora si era sempre votato “per ordine” in modo che il Terzo stato era in minoranza rispetto agli altri due). Artigiani Borghesi si sperava anche che tra i nobili, ma soprattutto tra i 1500 000 400 000 chierici, che non godevano tutti in eguale misura dei priviContadini (oltre 20 milioni) legi, e che erano frammentati in un alto e un basso clero, si TeRzO STATO (circa 25 500 000) manifestassero defezioni individuali rispetto agli orientamenti maggioritari del rispettivo stato. stando così le cose, La composizione della popolazione francese nel 1789 (totale 26 forse a quel punto dall’assemblea avrebbe potuto emergere milioni) un parere positivo alla proposta di abolire le esenzioni fiscali. 279
SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
La riunione degli stati generali tenutasi il 5 maggio 1789, stampa, XVIII secolo
La risposta del re e le prime mobilitazioni di piazza
il re, sperando di far scemare la tensione e seguendo il consiglio di necker – che di fronte all’insuccesso di calonne era stato richiamato nel 1788 alla guida delle finanze e che voleva neutralizzare la rappresentanza nobiliare –, aderì alla prima delle richieste avanzate dal Terzo stato (il raddoppio dei suoi rappresentanti) e respinse invece la seconda (l’istituzione di un’assemblea comune con il voto per testa). Mentre si svolgevano queste contrattazioni, nel paese la tensione saliva di giorno in giorno. fiaccati dalla fame, i lavoratori del faubourg Saint-Antoine, un quartiere popolare di Parigi, scesero in piazza a fine aprile per chiedere la riduzione del prezzo del pane, ma anche per appoggiare con la loro sonora protesta le rivendicazioni del Terzo stato. sul terreno rimasero trecento morti, colpiti dalle armi dell’esercito. era la prima avvisaglia di una mobilitazione popolare di piazza che nei mesi seguenti, malgrado questa prima repressione, avrebbe costantemente scandito l’evolversi degli eventi, contribuendo in misura determinante alla trasformazione della protesta del Terzo stato in rivoluzione, finalizzata ad abbattere il vecchio ordine e a costruirne uno nuovo. Tuttavia, la percezione di questa trasformazione maturò gradualmente. a lungo, coloro che protestavano continuarono a pensare di farlo all’interno di un contesto che non prevedeva la possibilità di un mutamento davvero radicale. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le origini della Rivoluzione Cattivi raccolti
Aumento dei prezzi
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Crisi economica
Privilegi di clero e nobiltà
Malcontento del Terzo stato
Tentativo di riforma fiscale
Opposizione di clero e nobiltà
Cahiers de doléances
CoNvoCAzioNe degLi sTATi geNeRALi
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
12.2 L’inizio della Rivoluzione dal giuramento della Pallacorda alla presa della Bastiglia
Gli stati generali avevano iniziato da poco più di un mese i loro lavori, quando, a fine giugno, i deputati del Terzo stato e coloro che, pur appartenendo al clero e alla nobiltà, simpatizzavano con loro, dichiararono di costituirsi in rappresentanza unica del paese, giurando di non sciogliersi più fin quando non fosse stata approvata una costituzione basata sull’abolizione degli ordini e sul conferimento alla cittadinanza dell’esercizio della sovranità. a questo punto, sostenuto da gran parte dei rappresentanti dei primi due ordini, il re avrebbe voluto far chiudere con la forza l’assemblea, che si era data il nome di Assemblea nazionale costituente, e che si riuniva in un salone detto della pallacorda, ma venne anticipato dalla mobilitazione popolare. il 14 luglio 1789 – una data che la francia festeggia ogni anno, riconoscendo in essa il momento di rifondazione rivoluzionaria della nazione – il popolo di Parigi assaltò ed espugnò la Bastiglia, la tetra prigione che costituiva il simbolo del dispotismo, costringendo il re a rendere omaggio alla coccarda bianca, rossa e blu che i rivoltosi avevano eletto a proprio emblema nazionale, scaturito dall’unione dei colori della monarchia (bianco) e del popolo di Parigi (rosso e blu).
LESSICO Pallacorda Antico gioco di origine italiana, molto praticato nel XVIII secolo. Consisteva nel tirare la palla oltre una corda tesa parallela al terreno. Bastiglia La Bastiglia (nome originale Bastille Saint-Antoine) era un’enorme fortezza, le cui mura erano alte 24 metri. Era stata costruita nel XIV secolo allo scopo di rafforzare le mura orientali della città, ma in seguito era stata trasformata in prigione, tanto per i condannati comuni quanto per personaggi di alto rango. Era soprattutto a causa della sua imponenza che il popolo vedeva in essa il simbolo per eccellenza dell’oppressione regia.
Una doppia rivoluzione: l’Assemblea costituente e il popolo
nei giorni seguenti alla presa della Bastiglia in tutta la francia i simpatizzanti dell’Assemblea costituente scesero in piazza, destituirono le autorità in carica e si insediarono al loro posto. nei municipi vennero istituiti i corpi della Guardia nazionale, mentre nelle campagne i contadini, a loro volta, si ribellarono in massa contro i signori reclamando l’abolizione di tutte le vessazioni che venivano loro inflitte. assalirono i castelli e le tenute dell’aristocrazia e diedero alle fiamme gli archivi contenenti i documenti che elencavano i loro obblighi nei confronti dei signori. Questa mobilitazione fu favorita da un’ondata di panico collettivo chiamata dagli storici “la grande paura”: soprattutto tra i contadini francesi si era diffusa infatti la voce che la nobiltà stesse organizzando un movimento controrivoluzionario, assoldando anche le bande dei briganti che infestavano le campagne.
LESSICO Guardia nazionale Milizia civica armata formatasi per la prima volta a Parigi nei giorni precedenti la presa della Bastiglia. Incaricata della sorveglianza sull’ordine pubblico, era composta in prevalenza da cittadini appartenenti alla media borghesia.
Jacques-Louis David, Il Giuramento della Pallacorda, 1791 (Parigi, Museo del Louvre)
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
APPROFONDIRE
I sanculotti erano, sotto il profilo sociale, gli animatori della “piazza” C(sanshiparigina? Venivano chiamati dagli aristocratici “sanculotti” culottes, letteralmente “senza calzoni”), perché portavano i pantaloni lunghi e non i calzoni al ginocchio (le culottes) di cui facevano sfoggio i ricchi, e venivano reclutati principalmente tra i lavoratori attivi nel mondo dell’artigianato e del piccolo commercio, eredi di una tradizione solidaristica che aveva radici nel vecchio mondo delle corporazioni, e che ora si trasfondeva nel forte attaccamento a una rivoluzione percepita come occasione di fraternità tra i semplici. Al tempo stesso, i sanculotti diffidavano
Storiografia A. Soboul, Chi erano i sanculotti?
profondamente dei signori e auspicavano una limitazione dell’esercizio del loro diritto di proprietà. Il re, del resto, veniva da loro percepito come il più grande dei signori e a questi accomunato sotto il profilo dell’inaffidabilità.
Un sanculotto, incisione, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
a fine luglio era ormai evidente che era in atto una doppia rivoluzione: quella dei deputati riuniti presso l’Assemblea costituente, i quali appartenevano agli strati alti del Terzo stato (borghesia degli affari e delle professioni), e quella popolare, che vedeva come protagonisti contadini, artigiani, lavoratori (detti “sanculotti”) spinti alla sollevazione dalla fame e dalla miseria, e desiderosi di giustizia sociale, oltre che di libertà. a lungo, negli anni seguenti, le due rivoluzioni parallele convissero e da quella convivenza scaturì, tra il 1789 e il 1792, il completo smantellamento delle istituzioni dell’antico regime e della monarchia, fino all’abbattimento di quest’ultima e alla trasformazione della francia in repubblica. L’abolizione dei diritti feudali e la dichiarazione dei diritti dell’uomo
LESSICO Diritti feudali Con questa espressione, i rivoluzionari indicavano diritti di varia natura: alcuni erano diritti feudali in senso stretto, più spesso si trattava invece di diritti signorili che non avevano nulla a che fare con i rapporti tra signori e vassalli. Consistevano essenzialmente nel privilegio concesso ai nobili e agli ecclesiastici di esigere dai contadini, che risiedevano sulle loro terre, tasse, parte dei raccolti e prestazioni di lavoro gratuite. Volontà generale L’espressione, introdotta da Rousseau nel Contratto sociale, indica la volontà della collettività che persegue esclusivamente il bene comune. I singoli individui infatti, sottoscritto il patto sociale, diventano un corpo collettivo e rinunciano a ogni interesse privato.
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in seguito alle manifestazioni rivoltose del luglio 1789, la Costituente proclamò, all’inizio di agosto, l’abolizione dei diritti feudali e quella di ogni titolo nobiliare e di ogni privilegio fiscale. alla fine dello stesso mese i costituenti, divenuti ormai di fatto la prima autorità del paese, diffusero la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, un testo che fissava nell’eguaglianza di fronte alla legge, nella libertà dell’individuo e nel suo diritto a partecipare all’elaborazione della “volontà generale” (e quindi alla formazione delle leggi) i principi fondanti della nuova francia, e che è rimasto da allora il punto di riferimento fondamentale per ogni società a orientamento democratico. si trattava della realizzazione di gran parte delle aspirazioni del Terzo stato, così come erano state formulate nei mesi precedenti. al tempo stesso ci si trovava davanti al rilancio – questa volta nella vecchia europa delle teste coronate – di alcune delle idee di fondo che qualche anno prima avevano ispirato la Dichiarazione di indipendenza americana: l’eguaglianza, la libertà, la sovranità popolare. Tanto al di là quanto al di qua dell’atlantico si parlava ora, dunque, lo stesso linguaggio, quello della rivoluzione. donne e Rivoluzione: la marcia su versailles
Dopo i moti di luglio molti pensavano che la Rivoluzione fosse finita. il movimento popolare tornò invece a farsi sentire in modo clamoroso. se la presa della Bastiglia del 14 luglio aveva visto protagonisti soprattutto popolani maschi, in autunno a far sentire la propria voce furono essenzialmente le donne.
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
a ottobre si svolse una marcia sulla reggia di Versailles, provocata per un verso dall’ostilità che il re aveva mostrato nei confronti dell’assemblea nazionale, rifiutandosi di controfirmare i provvedimenti da questa emanati in agosto e ammassando minacciosamente truppe attorno alla reggia, per l’altro dall’ulteriore rialzo dei prezzi dei generi di prima necessità, che aveva messo in allarme soprattutto le popolane parigine. inizialmente un migliaio di rivoluzionarie si mossero verso la reggia al grido di: «Quando avremo il pane?», e il re, dopo che due soldati di guardia erano stati uccisi, fu costretto a ricevere una loro delegazione, alla quale promise che avrebbe rifornito immediatamente la città di cereali. Le protagoniste della marcia volevano però di più, e la loro incursione si concluse con il trasferimento forzato del re e della corte a Parigi, sotto il controllo dell’assemblea e del popolo in armi. ANALIZZARE LA FONTE
La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Autore: Assemblea nazionale costituente – Tipo di fonte: documento ufficiale – Lingua originale: francese – Data: 26 agosto 1789 Una tensione ideale di impronta antiassolutista (artt. 2 e 11), il rovesciamento della logica del privilegio legato alla nascita tipica dell’antico regime (artt. 6 e 13), l’individuazione della nazione, intesa come insieme dei cittadini dotati di pari diritti, come titolare della sovranità (art. 3): questi alcuni dei punti qualificanti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di cui si riportano qui, nella loro interezza o in parte, gli articoli più importanti.
art. 1. Gli uomini nascono liberi e rimangono liberi e uguali nei diritti. […] art. 2. […] Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. art. 3. il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione. nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti […]. art. 6. La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. a. saitta, Costituenti e costituzioni della Francia moderna, einaudi, Torino 1952 Domande alla fonte 1. Quali diritti vengono riconosciuti ai cittadini? 2. Come viene definita la libertà? 3. In quali modi i cittadini partecipano alla formazione della legge?
Stampa celebrativa della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (Parigi, Museo Carnavalet)
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
Le donne dei mercati parigini, armate di picche e di un pezzo d’artiglieria leggera, si dirigono verso la reggia di Versailles
Sul lato sinistro si distingue un’aristocratica, vestita con un elegante cappellino, che si allontana dal corteo di cui non condivide senz’altro le ragioni
L’assalto delle donne del 5 ottobre 1789, stampa, XVIII secolo
LESSICO Giacobini Così chiamati dal nome del convento dei domenicani (detti anche jacobins ) in cui si riunivano, appartenevano alla piccola e media borghesia. Inizialmente promotori di una monarchia costituzionale, si avvicinarono successivamente alle posizioni repubblicane. Tra i rappresentanti più noti vi sono Maximilien Robespierre e Jacques-Pierre Brissot. Cordiglieri Così chiamati poiché si riunivano in un ex convento di francescani (in Francia soprannominati cordiglieri, per il cordone che portano alla vita), erano spesso di estrazione popolare. Sostenevano una posizione ancora più radicale dei giacobini, favorevole non solo alla repubblica ma anche a riforme in senso sociale. Tra i cordiglieri figuravano Georges Danton, Jean-Paul Marat e Jacques-René-Hébert. Foglianti Così chiamati dal nome del convento di cistercensi (riformati dall’abate di Feuillant ) in cui si riunivano, esprimevano una posizione politica moderata. Tra i loro leader vi furono Mirabeau e La Fayette.
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forte di ormai ventimila donne e uomini, il corteo che riportò il sovrano nella capitale era aperto da una selva di armi sulla cui punta erano infilzate pagnotte e le teste dei due soldati uccisi. si gridava a gran voce: «Riportiamo a Parigi il fornaio [il re], la fornaia [la regina] e i suoi garzoni [la corte]!» (G. Bock, Le donne nella storia europea). Da allora la pressione spontanea della “piazza” sull’Assemblea fu costante e ne determinò la radicalizzazione degli orientamenti politici e delle scelte, mentre lo spazio di manovra e di iniziativa autonoma del re si faceva sempre più ristretto. La rivoluzione era esplosa come un conflitto tra il Terzo stato, guidato dai suoi strati più alti, e i due ordini privilegiati. Ma le ragioni di quel conflitto ora parevano venute meno: la “piazza” aveva ormai cominciato a inseguire un sogno più radicale, quello di diventare davvero sovrana e depositaria del potere, mediante l’esercizio quotidiano della democrazia diretta.
12.3 La nascita dei club e la fuga del re i club: la scoperta della democrazia
il sogno della democrazia diretta tese a farsi gradualmente realtà nei club, luoghi di riunione e di discussione aperti a tutti coloro che si schieravano dalla parte del nuovo ordine, rifiutando i valori e le concezioni dell’antico regime. essi si diffusero rapidamente in ogni regione francese e contribuirono a trasformare in un movimento organizzato il desiderio della popolazione di farsi diretta protagonista delle scelte politiche e legislative. il movimento dei club trovò un puntuale rispecchiamento anche all’interno della Costituente, dove si formarono fazioni che si ispiravano all’uno o all’altro. Le fazioni più importanti erano quella repubblicana dei giacobini, quella, più radicale sotto il profilo delle rivendicazioni sociali, dei cordiglieri, guidati da Georges Danton (1759-1794), e quella della cosiddetta “società del 1789”, al cui interno, nel 1791, si formò il gruppo moderato dei foglianti, che si limitavano ad auspicare l’avvento di una monarchia costituzionale.
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
alla fine del 1789 i club esistevano in appena ventuno comuni; un anno più tardi ve ne erano in almeno trecento diverse località; alla fine del 1791 in oltre millecento. i club più radicali, quelli al cui interno si raccoglievano gli aderenti al gruppo giacobino e a quello cordigliero, contavano da soli a quella data circa centocinquantamila membri. La vita dei club e la nascita della politica moderna
La vita dei club era contraddistinta da alcuni riti: riunioni sulle questioni all’ordine del giorno, dibattiti, lettura di giornali e periodici – che cominciarono in quell’epoca a essere stampati in grandi quantità e varietà e a circolare di mano in mano –, votazioni e approvazione di mozioni, infine, manifestazioni volte a influenzare l’atteggiamento delle autorità locali o le scelte dell’assemblea parigina. La politica moderna, intesa non come esercizio riservato ai tecnici e ai detentori delle cariche più alte, ma come pratica quotidiana interpretata dai semplici cittadini, nacque allora, in quei luoghi, dove le persone comuni impararono a confrontarsi, a ragionare di problemi di interesse collettivo, a prendere decisioni seguendo la volontà della maggioranza e a sforzarsi di renderle attuabili. La Rivoluzione francese consistette perciò in primo luogo in una diffusa esperienza collettiva di partecipazione attiva e responsabile al potere, da parte di una cittadinanza che non conosceva più divisioni di stato e che non era più disposta alla passiva obbedienza. oltre che attraverso i dibattiti all’interno dei club, essa si manifestò in riti e in cerimonie che finirono per configurare una vera e propria fede, che aveva al suo centro il culto della dea Ragione, simbolo del rifiuto dello spirito di sottomissione alle autorità predicato dalle religioni tradizionali. sullo sfondo della diffusa politicizzazione che stava trasformando la vita quotidiana della nazione, l’assemblea costituente proseguì la propria attività legislativa, ora tenendo conto delle pressioni che provenivano dalla “piazza”, ora cercando di arginarle.
Inclusione/Esclusione La democrazia, p. 297
Gran seduta dei giacobini nel gennaio 1792, acquaforte, XVIII secolo
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
In alto il filosofo Jean Jacques Rousseau che sovrasta i simboli con sguardo benevolo Al posto del tradizionale occhio della divinità, compare l’occhio della ragione
Due bandiere tricolori Il fascio littorio è sormontato dal berretto frigio, simbolo di libertà e dal serto di alloro, simbolo di vittoria e di gloria In basso il germoglio dell’albero della libertà accanto al fascio littorio che raccoglie i simboli del lavoro legati da forza, giustizia e verità
Jean Jeaurat, Jean Jacques Rousseau e i simboli della Rivoluzione, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
La Costituzione civile del clero
Tra il 1789 e il 1790 l’assemblea costituente elaborò alcune leggi che modificarono radicalmente la funzione del clero e ne ridussero l’autonomia. La Chiesa aveva rappresentato, prima del 1789, in ragione delle immunità di cui godeva e delle cospicue ricchezze che le appartenevano, una sorta di Stato nello Stato. Questa sua condizione di privilegio venne cancellata dalla rivoluzione, a partire dal 1790, prima attraverso la requisizione dei beni ecclesiastici, poi con la loro statalizzazione, e infine con la messa in vendita ai privati. inoltre contribuì a questo processo di “normalizzazione” della chiesa la trasformazione dei sacerdoti in funzionari statali, in base alla cosiddetta Costituzione civile del clero (1791), che li obbligava a prestare giuramento di fedeltà alla costituzione e alla nazione, e a sciogliersi così dal vincolo di obbedienza al papa. Molti religiosi si rifiutarono di compiere questo passo e scelsero la via dell’emigrazione, della fuga all’estero. Questa decisione peraltro, fin dall’inizio della rivoluzione, era già stata presa da molti aristocratici che si erano rifugiati in paesi nei quali si continuava a riconoscere alla nobiltà uno status privilegiato. una parte della vecchia francia dei privilegiati si trovava dunque all’inizio degli anni novanta fuori dei confini del paese, pronta a organizzare forze controrivoluzionarie e protetta dai governi del resto d’Europa. il timore diffuso era che il “contagio rivoluzionario” si diffondesse anche altrove e che altri re si trovassero costretti a cedere la propria sovranità alla popolazione, come era accaduto al re di francia. il tentativo di fuga del re
nel giugno 1791 anche Luigi XVI, insieme alla consorte Maria Antonietta d’Asburgo (1755-1793, moglie di Luigi dal 1770), cercò di fuggire all’estero, con ogni probabilità con il proposito di chiedere agli altri sovrani d’europa di scatenare una guerra contro i rivoluzionari che l’avevano spodestato. i reali furono fermati poco prima della frontiera con il Belgio, a varennes, e riportati a Parigi. 286
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
sotto la scorta della Guardia nazionale, il re attraversò le strade della città lungo le quali una folla attonita e delusa lo osservò passare. Questo episodio contribuì a delegittimare il prestigio del sovrano e rinvigorì quanti, all’interno dell’assemblea costituente, spingevano per la trasformazione della francia in una repubblica.
12.4 dalla monarchia costituzionale alla repubblica La Costituzione del 1791
nel settembre 1791 venne promulgata la Costituzione. si trattava di un testo di orientamento moderato. esso attribuiva al re l’esercizio del potere esecutivo, munendolo contestualmente del diritto di veto sui provvedimenti legislativi. Questi erano assunti da una nuova rappresentanza dei cittadini, l’Assemblea nazionale. La costituzione selezionava gli elettori di tale assemblea in base al principio del censo (cioè della ricchezza), in contrasto rispetto alla logica egualitaria che aveva ispirato due anni prima la Dichiarazione dei diritti. i legislatori, infatti, pur riconoscendo l’eguaglianza civile di tutti i francesi maschi di fronte alla legge, introdussero una distinzione tra cittadini attivi (che potevano votare) e cittadini passivi (non votanti). Dalla prima categoria, quella ammessa a recarsi alle urne, risultarono esclusi gli strati più umili della popolazione e tutte le donne, dal momento che solo coloro che avevano una certa ricchezza potevano votare. i costituenti, dunque, cercarono in questa fase soprattutto di tutelare gli interessi degli strati alti del Terzo stato, ai quali apparteneva la maggior parte di loro. in una condizione ormai prossima a quella dell’ostaggio, appena tornato a Parigi dopo il tentativo di fuga, il re diede ufficialmente il proprio benestare all’emanazione della Costituzione, che consegnava all’assemblea nazionale – rappresentanza elettiva unitaria di tutti i francesi, senza distinzioni di stato – l’esercizio del potere legislativo. Pochi mesi dopo, l’assemblea costituente si sciolse e si tennero le prime elezioni politiche per eleggere i rappresentanti all’assemblea nazionale (o “legislativa”). Riunitasi il 1° ottobre 1791, l’Assemblea legislativa era così formata: su 745 deputati 260 erano foglianti e 136 giacobini, mentre i restanti componenti fluttuavano a seconda dei casi tra la prima e la seconda fazione. nel frattempo, nel paese la crisi economica si faceva sempre più aspra e ovunque il popolo dei club premeva per far sì che l’assemblea emanasse provvedimenti d’eccezione idonei a portare sollievo al malessere sociale della popolazione. si temeva inoltre la dichiarazione di guerra al paese della Rivoluzione da parte dei sovrani che avevano offerto ospitalità e sostegno agli aristocratici fuggiti all’estero. Il ritorno della famiglia reale a Parigi, scortata dalla Guardia nazionale, dopo il tentativo di fuga
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
nel mondo dei club, e in parte anche presso l’assemblea legislativa, molti ormai si esprimevano in favore della costituzione di una repubblica, dal momento che – pur divenuta costituzionale – la monarchia apparteneva comunque all’eredità di un passato da cui ci si voleva distanziare. La fratellanza repubblicana e i limiti di genere
accanto alla libertà e all’eguaglianza, i rivoluzionari avevano introdotto un terzo principio, centrale nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, quello della fraternità. evocandolo, intendevano sottolineare di non sentirsi più nella ANALIZZARE LA FONTE
La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina Autore: Olympe de Gouges – Tipo di fonte: programma politico – Lingua originale: francese – Data: 1791 Nel 1791 Olympe de Gouges, convinta sostenitrice dell’eguaglianza femminile, pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che voleva essere una versione al femminile della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata nel 1789 dall’Assemblea nazionale costituente. Il suo tentativo tuttavia non ebbe successo. Osteggiata dai capi della Rivoluzione, ella finì sulla ghigliottina con l’accusa di aver dimenticato le virtù che convengono al sesso femminile (v. p. 319).
art. 1. La Donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune. art. 2. Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. art. 3. il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell’uomo. […] art. 4. La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone, questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione. art. 6. La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le cittadine e i cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti: tutte le cittadine e i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili a ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti. art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. ogni cittadina può dunque dire liberamente «io sono la madre di un figlio che vi appartiene», senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge. art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi, deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell’industria. P. M. Duhet, Cahiers de doléances. Donne e Rivoluzione francese, La Luna, Palermo 1989 Domande alla fonte Dopo un’attenta lettura comparata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283), indica: 1. Che cosa aggiunge Olympe de Gouges negli articoli 1, 2, 3 e 6. 2. Come sono cambiati gli articoli 6 e 11. 3. Che cosa stabilisce l’articolo 13 e in che cosa differisce dal corrispettivo della Dichiarazione del 1789. “Calendario delle donne libere” del 1795. Questa stampa celebra l’apporto significativo dato dalle donne ai moti rivoluzionari
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condizione subordinata di figli, tenuti a obbedire ai comandi di un padre, bensì in quella di fratelli emancipati e dotati di pari diritti. i re, invece, tradizionalmente giustificavano il proprio potere assoluto raffigurandosi come padri per i propri sudditi; come portatori di una responsabilità di comando e di una facoltà di esigere obbedienza, che pretendevano fossero state conferite loro direttamente da Dio. Repubblica di fratelli, abbiamo detto, ma non certo di fratelli e di sorelle. Malgrado, infatti, una figura di primo piano della Rivoluzione come il marchese di condorcet (1743-1794), raccogliendo aspirazioni diffuse tra le donne più radicali, si fosse battuto nel 1790 in favore dell’ammissione delle donne alla piena cittadinanza politica, dichiarando di considerare come un atto di “tirannia” la loro esclusione dai “diritti naturali”, la figura di cittadino proposta dalla Dichiarazione dei diritti e dalla costituzione si declinava rigorosamente al maschile. Qui, a dispetto dei suoi presupposti universalistici, il discorso rivoluzionario rimaneva prigioniero di una consuetudine inveterata (v. La cittadinanza asimmetrica, p. 317). La guerra
il destino della monarchia si giocò nel 1792 e risultò strettamente intrecciato all’andamento della guerra, che nell’aprile di quell’anno l’Assemblea legislativa dichiarò preventivamente all’Austria, il regno che pareva più di tutti impegnato nella preparazione di un’invasione della francia per “fermare” la Rivoluzione, anche perché sul trono austriaco era salito nel marzo dello stesso anno Francesco II, nipote di Maria antonietta. Poco dopo scese in campo, a fianco dell’austria e contro la francia, anche il Regno di Prussia. Luigi XVI aveva visto con favore la scelta della guerra poiché sperava in una sconfitta dell’esercito francese, che avrebbe avuto come diretta conseguenza il suo reinsediamento con pieni poteri sul trono a opera della coalizione antirivoluzionaria. Per motivi opposti, anche i rappresentanti dei gruppi più radicali presenti nell’assemblea volevano la guerra, poiché ritenevano che la francia dovesse assumersi il grande compito di liberare l’Europa dall’assolutismo e dal feudalesimo. Una battaglia in Belgio fra le truppe rivoluzionarie francesi e truppe austro-prussiane, XVIII secolo
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
Jacques Bertaux, Il popolo di Parigi contro il palazzo delle Tuileries (Versailles, Museo del Castello)
nei primi mesi di guerra la Francia subì ripetute sconfitte. L’esercito era in difficoltà perché l’organizzazione e la disciplina erano inadeguate. Diversi ufficiali, appartenenti all’aristocrazia, erano infatti fuggiti all’estero, mentre quelli rimasti non erano ovviamente motivati a difendere il regime appena nato (o addirittura erano impegnati a favorire i disegni del re). Le truppe straniere varcarono le frontiere, pronte a dirigersi verso la capitale. nel paese si diffuse il sospetto che Maria antonietta, in quanto appartenente alla dinastia degli asburgo, complottasse con gli invasori, passando loro di nascosto i piani di guerra dei francesi. La Convenzione nazionale
nell’agosto 1792, con gli eserciti nemici accampati alle porte di Parigi, il popolo della “piazza” tornò a far sentire la propria voce: invase il palazzo delle Tuileries, la residenza del re, a ragione sospettato di collusione con il nemico, e costrinse l’assemblea legislativa a disporne l’arresto e a indire nuove elezioni, da svolgersi a suffragio generale maschile, e non più in base alla costituzione censitaria del 1791. La nuova assemblea eletta, chiamata Convenzione nazionale, avrebbe dovuto trasformare la monarchia in repubblica ed esercitare la funzione di tribunale supremo, incaricato di decidere il destino del re, spogliato della sua aura sovrana e ridotto a semplice cittadino, accusato di aver cospirato contro la nazione. La convenzione nazionale risultò composta essenzialmente da tre raggruppamenti politici. c’era quello della Montagna, più radicale, che era così chiamato perché i suoi esponenti si collocavano in alto a sinistra nella sala che ospitava le sedute della convenzione, e che riuniva circa un ottavo dei deputati. a esso si contrapponeva, sulla destra, quello della Gironda, formato da figure di tendenza più moderata e incline al federalismo, che prendeva il nome dal dipartimento della francia meridionale dal quale provenivano i suoi esponenti più in vista. i girondini costituivano più di un quarto dei deputati della convenzione. Tra loro e i montagnardi si collocava una massa oscillante di deputati non ufficialmente schierati, che occupavano la porzione più bassa della sala e che per questo venivano definiti come appartenenti alla Palude, (o Pianura). 290
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le assemblee della Rivoluzione Nome
PeRiodo
ComPosizioNe
deCisioNi
Stati generali
Maggio-giugno 1789
Tre assemblee distinte per ordine (aristocrazia, clero, Terzo stato), ciascuna composta di 300 deputati
assemblea nazionale costituente
9 luglio 1789 30 settembre 1791
Società dell’89 Cordiglieri Giacobini
• Abolizione del regime feudale (4 agosto 1789) • Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789) • Costituzione civile del clero (luglio 1790) • Redazione della Costituzione (3 settembre 1791)
assemblea legislativa
1° ottobre 1791 20 settembre 1792
Foglianti (o Costituzionali) Giacobini
• Dichiarazione di guerra all’Austria (20 aprile 1792) • Arresto del re (agosto 1792)
convenzione nazionale
21 settembre 1792 26 ottobre 1795
Gironda (destra) Palude o pianura (centro) Montagna (sinistra)
• Proclamazione della Repubblica (21 settembre 1792) • Processo e condanna a morte del re (21 gennaio 1793)
La proclamazione della repubblica e la condanna a morte del re
La nuova assemblea si riunì per la prima volta il 20 settembre 1792. nello stesso giorno fu combattuta a Valmy un’importante battaglia: l’esercito francese riuscì a sconfiggere gli austriaci e i prussiani bloccando la loro avanzata. il giorno successivo, il 21 settembre 1792, la convenzione proclamò la nascita della Repubblica francese. nel mese di dicembre il re fu processato: la maggioranza dei deputati ritenne che il sovrano avesse tradito il suo patto con il popolo francese e dovesse per questo essere punito in modo esemplare, per cui si pronunciò per la sua condanna a morte. il 21 gennaio 1793 Luigi XVI venne quindi posto sotto la ghigliottina, una nuova macchina approntata per l’esecuzione delle condanne, e giustiziato. anche sul piano simbolico, ci si trovava così davanti alla distruzione dell’istituzione monarchica, dopo che già da qualche mese la francia era stata ufficialmente dichiarata repubblica dalla convenzione. ora la Francia rivoluzionaria si trovava più che mai in lotta aperta contro l’Europa intera, l’europa delle teste coronate, degli aristocratici, del clero.
LESSICO Ghigliottina Il nuovo strumento per eseguire le condanne capitali fu introdotto in Francia dopo che il 10 ottobre 1789 il medico Joseph-Ignace Guillotin (da cui prende il nome) ne consigliò l’utilizzo all’Assemblea nazionale, sottolineando che essa uccideva in modo istantaneo senza provocare inutili sofferenze al condannato.
L’esecuzione di Luigi XVI, stampa inglese, XVIII secolo
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Il laboratorio dello storico
Le lamentele del Terzo stato
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia
Le “doglianze” della città Durante le prime fasi della Rivoluzione francese, già a partire dalla raccolta dei cahiers de doléances, prese forma compiuta gran parte delle rivendicazioni che il Terzo stato avrebbe poi presentato in occasione degli stati generali. Soffermiamoci su due cahiers che ci restituiscono l’atmosfera che contraddistinse quella fase. La società per ordini, in realtà, era sul punto di crollare, e ce lo dicono le lamentele, (o “doglianze” o “rimostranze”) che affioravano copiose tanto dalla Francia urbana quanto da quella rurale. Ecco la voce della Francia urbana:
nella francia prerivoluzionaria i commercianti che trasportavano le loro mercanzie da un luogo a un altro incontravano lungo il loro cammino una serie di posti di controllo, presso i quali erano obbligati a pagare un pedaggio. Qui è, dunque, soprattutto il mondo mercantile di Beaucaire a far sentire la propria voce
1. i deputati dei comuni di questa città saranno incaricati di presentare i loro voti per la soppressione degli stati attuali della provincia e per ottenere una nuova costituzione, ugualmente e liberamente rappresentativa. e a questo scopo, verrà chiesta un’assemblea generale dei tre ordini. 2. i deputati agli stati generali faranno il possibile perché la votazione si faccia a testa e non per ordine. [Questa città vuole inoltre n.d.t.] 3. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. 4. La libertà di stampa e la sicurezza delle lettere. 6. L’eguaglianza proporzionale dei tributi indistintamente sulle persone e sui beni. […] 12. La soppressione dei pedaggi e altri diritti di tale natura, mediante indennità, giuste e ragionevoli, in favore dei proprietari. […] 16. che i sudditi del Terzo stato siano abilitati a occupare i diversi impieghi militari di terra e di mare e quelli delle alte magistrature. 17. La concessione del porto d’armi per gli appartenenti al Terzo stato, con le opportune restrizioni. Cahier degli abitanti di Beaucaire, in a. soboul, 1789. L’anno I della libertà, episteme editrice, Milano 1975
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Gran parte delle cariche di alto rango nell’esercito, nella marina e nella magistratura erano riservate in modo esclusivo agli esponenti dell’aristocrazia. in questo caso, è, perciò, la borghesia che intendeva affermarsi attraverso l’esercizio delle cariche pubbliche a presentare la propria rivendicazione
capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
Le “doglianze” della campagna Il cahier precedente ci ha mostrato una, ma non la sola, delle facce del Terzo stato. Spostiamoci in campagna, e ascoltiamo altre doglianze, che ci restituiscono bene i disagi delle componenti più modeste della popolazione francese:
Più dimesso nei toni, e confidente in una “grazia” sovrana, più che nella conquista di diritti, questo cahier ci dice, incidentalmente, qualcosa di molto importante sulle dinamiche interne al Terzo stato. Lo compongono tutti i francesi non privilegiati, ma a dargli la voce sono soprattutto i ceti urbani, gli stessi verso i quali i contadini di saint-anthot rivolgono uno sguardo accorato, nel momento in cui delegano agli abitanti di Digione il compito di parlare in loro vece
il villaggio di saint-anthot è composto di ventitré fuochi soggetti a taglia, tra questi un piccolo contadino, quattro benestanti che fanno fruttare le terre del signore, il resto braccianti. Questo villaggio è situato in un terreno molto arido e poco fertile, gli abitanti non hanno commercio né industria. ogni abitante è gravato verso il signore di censi e canoni e polli come di consuetudine sul piccolo fondo di cui gode, così come sul vino che si produce nel villaggio. La loro comunità non ha alcun introito. essi sono sovraccarichi di imposte, sia per la taglia regia, ventesimo, che per la decima che il signore percepisce sui raccolti della loro circoscrizione comunale. che essi sono obbligati ogni anno a dedicare una parte del loro lavoro sulle grandi strade e sulle strade comunali, il che li priva e toglie loro la possibilità di mantenere le loro case e nutrire le loro famiglie […]. in più i detti abitanti di saint-anthot, gente poco pratica degli affari concernenti l’amministrazione, la percezione e l’uso delle imposte, si rimettono e aderiscono per ciò che ora non è stampato, alla richiesta presentata a sua Maestà dal Terzo stato della città di Digione. che piaccia a sua Maestà d’obbligare i signori a far rendere giustizia sul posto per ovviare alle spese degli spostamenti o quanto meno nel borgo più vicino al luogo di residenza, per il bene e il vantaggio dei suoi sudditi.
con il termine “fuoco”, nella francia di antico regime, si intendeva ciascuna unità abitativa familiare. ogni fuoco, indipendentemente dal numero dei suoi componenti, pagava un’imposta, detta “taglia” (taille)
Cahier degli abitanti di saint-anthot, in a. soboul, 1789. L’anno I della libertà, episteme editrice, Milano 1975
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Si è fatto qui uso di due fonti scritte, composte nella stessa epoca. Più precisamente, queste due fonti appartengono al genere del documento di rivendicazione politica, anche se esse sono state inizialmente immaginate come semplice atto amministrativo redatto in seguito a una sollecitazione proveniente dalla corte di Francia • Quali sono i principali punti di differenziazione tra il primo cahier, che è stato redatto in un contesto urbano, e il secondo, che è stato invece composto in ambiente rurale? • Quali diversi gruppi sociali si mostrano attraverso le doglianze esposte nei due cahiers?
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capItOLO 12
Mappa
LA RIVOLuZIONE FRANCESE (1789-1793)
Crisi economica
Opposizione dei nobili e del clero
Cattivi raccolti
i ministri delle Finanze vogliono imporre nuove tasse
Dissesto delle finanze
Insofferenza del Terzo stato, l’unico a pagare le tasse
Il re convoca gli stati generali
rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)
rivoluzione di popolo Mobilitazione dell’opinione pubblica con i cahiers de doléances
Presa della Bastiglia (14 luglio 1789) Formazione della Guardia nazionale Grande paura nelle campagne Marcia delle donne su Versailles e trasferimento della corte a Parigi Nascita dei club rivoluzionari 294
rivoluzione dei deputati Giuramento della pallacorda e nascita dell’assemblea nazionale costituente Agosto 1789: abolizione dei privilegi feudali e Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino costituzione civile del clero, tentativo di fuga del re e sua delegittimazione costituzione del 1791: sistema censitario e nascita della monarchia costituzionale
Dalla monarchia alla repubblica Formazione dell’assemblea legislativa e dichiarazione di guerra all’austria
Sconfitte militari e sospetti di complotto antirivoluzionario del re, suo arresto
Nuove elezioni a suffragio generale maschile Formazione della convenzione, nascita della repubblica (21/09/1792)
Il re viene giustiziato (21/01/1793)
capItOLO 12
LA RIVOLuZIONE FRANCESE (1789-1793)
Sintesi 12.1 ALLE ORIGINI DELLA RIVOLuZIONE nella seconda metà del settecento la francia era tornata in mano ai poteri tradizionali: i Parlamenti, l’aristocrazia, il clero. i controllori delle finanze non riuscirono a risolvere la grave crisi finanziaria del paese, per le resistenze della nobiltà e del clero, ostili all’abolizione dei privilegi fiscali. il peso delle tasse ricadeva quasi esclusivamente sul cosiddetto Terzo stato. Per cercare di uscire dalla grave congiuntura, Luigi Xvi acconsentì a convocare per il 5 maggio 1789 gli stati generali. La richiesta era stata avanzata al re dall’aristocrazia per trovare una risposta ai problemi del paese che non intaccasse i suoi privilegi. nei mesi che precedettero la prima riunione, fu il Terzo stato a mobilitare la popolazione e a raccogliere le sue richieste nei cosiddetti cahiers de doléances. alcuni esponenti del Terzo stato chiesero al re di cambiare la modalità di votazione prevista per gli stati generali e proposero di riunire gli ordini in un’unica assemblea (e non in tre separate) e di votare non “per ordine”, ma “per testa”, lasciando libertà di voto ai singoli deputati. 12.2 L’INIZIO DELLA RIVOLuZIONE il re accolse solo la prima richiesta. il Terzo stato decise allora di riunirsi nella sala della pallacorda (21 giugno 1789), impegnandosi a promulgare una costituzione basata sul principio della sovranità popolare. il re fu così costretto a riconoscere il 7 luglio la nascita dell’Assemblea nazionale costituente, alla quale si unirono anche alcuni rappresentanti moderati degli altri due ordini. a questo processo se ne affiancò un altro promosso dalla “piazza”: il 14 luglio il popolo di Parigi assaltò la Bastiglia, la prigione simbolo dell’assolutismo regio. nei giorni seguenti i simpatizzanti dell’assemblea costituente scesero in piazza, destituirono le autorità in carica e si insediarono al loro posto. nei municipi furono istituiti i corpi della Guardia nazionale, mentre il processo rivoluzionario si estendeva anche alle campagne. spinta dal movimento popolare, l’assemblea costituente approvò l’abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, documento che poneva fine alla società dei privilegi e proclamava l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini e la sovranità popolare.
a ottobre si svolse una marcia delle donne sulla reggia di Versailles, che costrinse il re a trasferirsi a Parigi.
12.3 LA NASCITA DEI CLuB E LA FuGA DEL RE erano intanto nati diversi club con idee politiche differenziate. i foglianti abbracciavano una posizione moderata, favorevole alla monarchia costituzionale; i giacobini miravano all’instaurazione della repubblica e i cordiglieri premevano per il riconoscimento dell’eguaglianza sociale. con i club nacque la politica moderna come esperienza collettiva e responsabile della gestione del potere. nel 1790 l’assemblea nazionale confiscò i beni ecclesiastici e approvò la Costituzione civile del clero, che faceva degli ecclesiastici di fatto dei funzionari statali. Parte del clero francese non prestò giuramento allo stato e andò in esilio. anche il re cercò di fuggire e di trovare rifugio in austria, presso gli asburgo, alla cui dinastia apparteneva la consorte Maria antonietta, ma fu riconosciuto e riportato a Parigi (giugno 1791). 12.4 DALLA MONARChIA COSTITuZIONALE ALLA REPuBBLICA nel settembre 1791 la francia divenne una monarchia costituzionale. il re conservava il potere esecutivo, ma quello legislativo veniva assegnato all’Assemblea nazionale, che fu eletta pochi mesi dopo sulla base di un principio censitario. nell’aprile 1792 la francia dichiarò guerra all’Austria in funzione preventiva, ma poiché le sorti della guerra non erano favorevoli, la piazza riprese il processo rivoluzionario e, nell’agosto 1792, costrinse l’assemblea legislativa ad arrestare il re e a indire nuove elezioni a suffragio generale maschile, che diedero vita a una nuova assemblea, la Convenzione. il 21 settembre 1792 venne proclamata la repubblica, mentre il 21 gennaio 1793 il re, dopo essere stato processato, fu ghigliottinato. 295
identità collettiva e cittadinanza
n Inclusione Esclusione
La Repubblica francese, stampa di propaganda, fine del XIX secolo
La democrazia
il coinvolgimento attivo nella cittadinanza
n
el Settecento, nel pieno della stagione illuminista, molti pensatori avevano contribuito a riproporre, quale possibile fonte di ispirazione istituzionale per un’Europa del futuro liberata dall’oppressione monarchica, alcuni modelli politici caratteristici dell’antichità.
In particolare, quando si elogiava la “libertà” degli antichi, si faceva riferimento alle Costituzioni vigenti nelle cittàStato della Grecia classica, oppure alla fase repubblicana della storia romana. Lasciamo che sia il politico Pericle (V secolo a.C.), attraverso il racconto dello storico Tucidide, a descriverci in sintesi in che cosa consistesse quella libertà: «Abbiamo una costituzione che non imita le leggi altrui, essendo noi modello ad alcuni più che imitatori di altri. Il suo nome è democrazia, perché si amministra la città non nell’interesse di pochi, ma di una maggioranza; per quanto riguarda le leggi, però, nelle questioni private tutti godono di uguali diritti; per quanto riguarda gli onori, ognuno che si segnali in qualcosa viene innalzato alle cariche pubbliche non in base alla sua parte di ricchezze, ma secondo
Inclusione
il suo valore; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualcosa di utile alla città, gli è di impedimento per la sua oscura posizione sociale». Pericle si riferiva al sistema in vigore ad Atene, dove tutti i cittadini avevano non solo il diritto, ma in un certo senso l’obbligo di prendere parte attivamente alla vita pubblica e all’assemblea generale che ne rappresentava il simbolo. Va però ricordato che non tutti gli abitanti della città godevano dello status di cittadino: vi erano, infatti, oltre agli schiavi, moltissimi stranieri, e le donne non erano considerate comunque soggetti di cittadinanza. La democrazia in bilico, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo
ateniese, rilievo, corona il popolo La Democrazia in , Museo dell’Agorà) tene IV secolo a. C. (A
Carnavalet)
Ma come si definiva un cittadino? Il filosofo greco Aristotele (IV secolo a. C.) aveva, in proposito, una risposta precisa: «Nulla definisce meglio il carattere del cittadino in senso stretto che la partecipazione all’esercizio dei poteri di giudice e di magistrato». 297
Inclusione Esclusione
identità collettiva e cittadinanza Assemblea nazio nale francese, XV III secolo (Parigi, Biblioteca Nazio nale)
Probabilmente non accadde mai che l’intera cittadinanza ateniese si trovasse davvero riunita a ranghi compatti in assemblea. Tuttavia, quello della democrazia ateniese rappresentò un modello di cittadinanza al quale fu naturale tornare a pensare nel momento in cui si pose il problema della costruzione di un sistema politico riscattato dall’autoritarismo dell’antico regime.
a
utori come Rousseau o Mably ne riproposero con entusiasmo le caratteristiche salienti, e ripercorrendo la storia antica vi scoprirono modelli di virtù civica che si contrapponevano efficacemente al degrado morale provocato da quello che veniva da loro definito come “dispotismo monarchico”. La democrazia degli antichi era, viceversa, sinonimo di repubblica. Anche di una realtà connotata in senso oligarchico – quale era stata quella spartana – si apprezzava molto il legame diretto e vincolante tra il godimento della cittadinanza e la militanza politica assidua al suo servizio. Piaceva molto, in particolare, l’idea del cittadino-soldato, che avrebbe, del resto, rappresentato il presupposto per l’introduzione della coscrizione obbligatoria nella Repubblica francese uscita dalla rivoluzione. Ma la democrazia “dei moderni” fu, poi, uguale a quella degli antichi? No, perché in realtà, pur accordando largo spazio, nella retorica del discorso rivoluzionario, al mito della democrazia diretta e, dunque, al modello delle istituzioni vigenti nelle antiche póleis, ci si rese subito conto che nel grande spazio territoriale della nazione era impensabile replicare quella stessa intensità e continuità di partecipazione 298
che era invece stata caratteristica della democrazia praticata nelle città-Stato greche. Né in Francia né altrove poteva esistere uno spazio tanto grande da ospitare simultaneamente i milioni di abitanti che la Rivoluzione aveva trasformato da sudditi in cittadini. E se li si voleva includere nell’esercizio attivo della cittadinanza politica, allora si doveva pensare a modi di mobilitazione più flessibili. Le Costituzioni emanate nel corso degli anni Novanta a Parigi proposero modelli che prevedevano livelli diversi di coinvolgimento attivo della cittadinanza nell’esercizio dei riti democratici ufficiali, in primo luogo quello elettorale. Quest’ultimo dava comunque vita a una forma di democrazia che non era diretta – come quella praticata dagli antichi –, bensì affidata a un sistema di delega.
La democrazia Quella che si veniva delineando era, dunque, una democrazia rappresentativa, suggellata dal rituale delle elezioni e contraddistinta dalla nomina (non dal sorteggio) dei deputati investiti della funzione di parlare e di deliberare nelle sedi del potere legislativo in nome della nazione tutta intera.
L
a democrazia dei moderni, inaugurata dalla Rivoluzione francese, non si esauriva però semplicemente nella nomina dei rappresentanti del popolo in Parlamento e nell’attività di questi ultimi all’interno delle Camere. Essa si basava, infatti, su un presupposto che la democrazia degli antichi non aveva conosciuto, ovvero sulla mobilitazione costante di parti della popolazione a favore dell’uno o dell’altro schieramento. A Parigi e nelle altre città francesi cominciarono infatti a formarsi associazioni stabili, i cui membri si interessavano con grande passione alla politica e si riunivano periodicamente per dibattere sui temi che i deputati in Parlamento a loro volta affrontavano in quella sede. Nei numerosissimi club politici che vennero fondati nella Francia degli anni Novanta, in alcuni dei quali anche le donne fruirono di libero accesso e di diritto di parola, la popolazione imparò così a praticare la democrazia anche al di fuori delle sedi istituzionali a essa dedicate. Ogni club era, per certi versi, un piccolo Parlamento, che replicava e rilanciava i dibattiti che si svolgevano in quello ufficiale. In tal modo si realizzò una modalità di partecipazione politica molto più capillare, intensa e inclusiva di quella che era stata caratteristica del mondo antico.
Il deputato giacobino Jean-Paul Marat
II secolo Giacobini, acquerello, XVI
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Capitolo 13
La RivoLuzione fRancese (1793-1799) 13.1 Le difficoltà della repubblica: la guerra, l’inflazione e la reazione della Vandea La guerra e l’inflazione
nei mesi seguenti la proclamazione della Repubblica francese le sorti della guerra, dopo alcune sconfitte iniziali, presero una piega favorevole per l’esercito rivoluzionario. nell’autunno la convenzione dichiarò che l’esercito francese avrebbe aiutato con le armi tutti i popoli che intendevano ribellarsi all’oppressione dei re. in realtà, la francia aveva intenzione di espandersi: occupò a nord i Paesi Bassi austriaci (Belgio) e a sud la Savoia, mentre a est arrivò ad allargarsi fino al Reno. Le più importanti potenze europee considerarono inaccettabile questa minaccia e organizzarono una prima coalizione antifrancese per sconfiggere il paese della Rivoluzione e impedire che gli ideali da essa proclamati si diffondessero anche nei loro territori. alla coalizione, coordinata da William Pitt, capo del governo inglese, aderirono Prussia, austria, Russia, spagna, Regno di sardegna, Granducato di Toscana, stato della chiesa e Regno di napoli. L’esecuzione della regina Maria Antonietta, stampa a colori, XVIII secolo
Il 16 ottobre 1793 la moglie del re Luigi XVI viene ghigliottinata come era già accaduto al marito nel gennaio dello stesso anno. Maria Antonietta fu la prima donna a essere giustiziata
La ghigliottina è il simbolo della stagione del Terrore, che ebbe luogo tra il 1793 e il 1794, e durante il quale a venire giustiziate con la ghigliottina furono migliaia di persone accusate dal Comitato di salute pubblica di tramare contro la Rivoluzione
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Per contrapporsi a un’alleanza così vasta di nemici, nel febbraio 1793 il governo decretò la leva generale di tutti gli uomini atti alle armi. Tuttavia, poiché le operazioni belliche consumavano velocemente uomini e risorse, il paese si trovò ridotto alla fame. Per di più, sull’onda dell’entusiasmo per l’emanazione delle leggi che avevano abolito l’antico regime, si era diffusa l’erronea e ingenua convinzione che insieme fosse stato cancellato anche l’istituto delle tasse, che molti ora si rifiutavano di pagare. La situazione, inoltre, risultava aggravata dal diffondersi di una spaventosa inflazione, dovuta all’incremento dell’emissione degli assegnati e alla loro repentina svalutazione. Gli assegnati erano buoni del Tesoro messi in circolazione a partire dalla fine del 1789 con la finalità di renderli impiegabili nell’acquisto dei beni nazionali, per cercare di ridurre il debito pubblico ereditato dall’antico regime. il Tesoro fu costretto quasi subito, per mancanza di fondi disponibili, alla sospensione del pagamento degli interessi corrispettivi, ragion per cui essi persero rapidamente il loro valore, svalutandosi fino al 60% nel 1793. Tuttavia i cittadini, ai quali il salario veniva corrisposto con questa scadente cartamoneta, il cui potere d’acquisto si riduceva sempre più, avevano l’obbligo di adoperarli anche nelle normali transazioni tra privati, per acquistare i generi di prima necessità, per cui vennero a trovarsi in gravi difficoltà economiche. il movimento dei club, a questo punto, accentuò i propri sforzi affinché il governo, dopo aver abbattuto le istituzioni di quello che ormai tutti chiamavano “antico regime”, intervenisse attivamente sul piano sociale, anche a costo di limitare quei principi di libertà individuale, che pure facevano parte del tesoro dei valori rivoluzionari.
Il pagamento con assegnati, disegno, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
La Vandea e la rivolta federalista
La francia in “piazza” non era solo quella dei sanculotti, ma si mostrava anche attraverso il protagonismo di coloro che sostenevano un ritorno al passato. essi fecero sentire la propria voce soprattutto in provincia e in campagna. Quando il governo mandò in tutta la francia funzionari con il compito di reclutare nuovi soldati, i controrivoluzionari insorsero in massa nella regione della Vandea (marzo 1793). La repressione di questa rivolta, a cui presero parte anche moltissimi popolani e contadini di entrambi i sessi, turbati dalle innovazioni rivoluzionarie (introduzione della chiesa di stato, leva generale, la stessa esecuzione della sacra figura del re), sarebbe costata alla fine quasi centocinquantamila vittime. Quella della vandea rappresentava, a suo modo, la rivendicazione di una plurisecolare identità locale – un’identità rurale, regionale, religiosa, radicata, quest’ultima, soprattutto presso le donne –, che induceva la popolazione a percepire la nuova identità nazionale proposta dalla Rivoluzione come qualcosa di falso ed estraneo ai propri sentimenti. Durante l’estate 1793 nel sud della francia divampò un’altra rivolta, detta “federalista”. i suoi fautori avevano da un lato l’obiettivo di sottrarre le province al ferreo controllo esercitato dal governo insediato a Parigi, dall’altro quello di indurre quest’ultimo a voltare le spalle al radicalismo alimentato dal movimento sanculotto. a questo punto la convenzione aveva ordinato l’arruolamento di tutti i giovani tra i diciotto e i venticinque anni, formando un esercito forte di settecentomila uomini, di gran lunga il più grande che si fosse mai visto in europa. era l’esercito destinato sia a stroncare la dissidenza interna (la rivolta federalista fu annientata), sia a respingere gli assalti della coalizione europea controrivoluzionaria; un esercito popolare, i cui soldati erano in parte affluiti sotto le armi mal volentieri, ma in parte erano animati dal desiderio sincero di difendere la patria in pericolo e, insieme a essa, le conquiste politiche e sociali della Rivoluzione.
Henri de La Rochejaquelein, uno dei capi della rivolta in Vandea
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
La Francia in rivolta (1789-1795) Canale della Manica Boulogne
Epicentri della Rivoluzione
Lilla
Diffusione
Rouen
Area della controrivoluzione (1792/1793)
Estrées Rennes
Pur avendo avuto origine a Parigi, i fermenti di rivolta contro l’antico regime ebbero ampia diffusione nelle campagne, a partire soprattutto dai piccoli centri, e raggiungendo poi via via le città. Nel luglio 1789 la cosiddetta “grande paura” attraversò la Francia. Dal panico si passò presto all’insorgenza, e i contadini presero di mira le roccaforti del privilegio legato alla terra, di proprietà sia nobiliare sia ecclesiastica
Nantes
Parigi
1793-1795 Repressioni della rivolta Tours della Vandea
La Ferté Orléans
Romilly
Strasburgo
Bourges
Poitiers Bellac
oceano Atlantico
Nancy
St.-Florentin
Louhans ClermontFerrand
Lione Grenoble
Pau Tolosa
Nel Nord-Ovest, tra il 1793 e il 1795, si concretizzò un vasto moto controrivoluzionario, che contrappose in Vandea i “bianchi” difensori della monarchia ai “blu”, fautori della rivoluzione giacobina
Aix-en-Provence Perpignac
mar Mediterraneo
oltre che con il nemico esterno e con gli aristocratici e il clero, i rivoluzionari sapevano quindi di dover ormai fare i conti anche con una dissidenza interna al popolo. alla mobilitazione dei militanti dei club poteva in ogni momento contrapporsene una di segno opposto. Ma dove passava la linea di confine tra rivoluzione e controrivoluzione? e ancora, per manifestare il proprio dissenso senza dover temere di essere considerati fautori dell’antico regime, quali garanzie restavano in vigore? Tra il 1793 e il 1794 queste domande non suonarono affatto retoriche. Molti francesi, accusati dalle autorità di volta in volta in carica di aver tradito la Rivoluzione – il patto stretto con i propri fratelli e con la nazione –, ne pagarono le conseguenze con la vita. I soldati della Guardia nazionale, mobilitati sia contro i moti controrivoluzionari all’interno del paese sia contro le truppe degli eserciti stranieri
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capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
Stampa celebrativa della festa che fu progettata dal pittore francese Jacques-Louis David in onore della promulgazione della Costituzione francese del 10 agosto 1793, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
13.2 La svolta autoritaria del 1793 La politica sociale e la repressione del dissenso
La convenzione decise di segnare una discontinuità con il passato decretando la modifica del calendario, mutando il nome ai giorni e ai mesi e il numero agli anni. Dal 21 settembre 1792, data di fondazione della Repubblica, la storia di francia ripartiva da zero: da quel giorno in avanti iniziava un nuovo ciclo, quello aperto dall’anno i della Repubblica, basata sulla libertà, l’eguaglianza, la fraternità. nel mondo nuovo – così pensavano le ali più radicali del movimento rivoluzionario – non era ammissibile che il popolo, divenuto sovrano e non più suddito, patisse le stesse ingiustizie sofferte in passato, quando le grandi ricchezze erano concentrate nelle mani di pochissimi, mentre la maggioranza della popolazione moriva di fame. nel corso del 1793 la convenzione compì passi significativi per venire incontro alla domanda sociale che emergeva dal paese; in particolare, stabilì un tetto massimo sia ai salari sia al prezzo dei generi di prima necessità (che venivano sempre pagati con gli assegnati), il cosiddetto maximum, che di fatto mirava a limitare l’inflazione, e approvò una nuova costituzione (la Costituzione dell’anno I), che introduceva un diritto elettorale molto più esteso di quello previsto dalla costituzione del 1791. contemporaneamente però, sotto la pressione dello stato d’emergenza, impose anche durissime misure di ordine pubblico, che portarono al soffocamento e alla repressione di quelle pratiche di democrazia che esprimevano uno dei significati profondi della Rivoluzione, la testimonianza del passaggio da una società di sudditi a una di cittadini. in marzo fu infatti creato un Tribunale speciale rivoluzionario incaricato di giudicare, senza possibilità di appello, tutti coloro che mettevano in pericolo la sicurezza della nazione. un altro decreto stabilì che in ogni località si formassero comitati di sorveglianza, i cui membri dovevano monitorare i cittadini per scoprire e denunciare le spie del nemico e i controrivoluzionari. in aprile fu istituito il Comitato di salute pubblica, che doveva controllare l’attività del consiglio esecutivo, cioè dei ministri, e nel quale, a partire dall’estate del 1793, presero il potere le correnti politiche più radicali.
Il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari, p. 312
LESSICO Tribunale speciale rivoluzionario Cominciò a operare nel marzo 1793. Investito del compito di processare con rito sommario i sospetti di tradimento e di cospirazione controrivoluzionaria, tra l’ottobre e il dicembre 1793 comminò quasi duecento condanne alla ghigliottina.
Montagnardi contro girondini
La costituzione dell’anno i (1793) di fatto non entrò mai in vigore, e nei mesi seguenti più che alla crescita della democrazia, da essa prevista, si assistette alla trasformazione del governo in dittatura e all’arresto e all’esecuzione di chi, spesso a torto, veniva accusato di tramare contro la patria in pericolo. 303
SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
all’interno della convenzione il partito della Gironda, di tendenza più moderata, venne di fatto neutralizzato dal partito avverso, quello della Montagna. i girondini davano espressione soprattutto all’insoddisfazione del mondo della provincia nei confronti dell’egemonia parigina e molti di loro manifestavano contrarietà rispetto alle pesanti limitazioni che il governo aveva imposto alla libertà economica introducendo il maximum. nel giugno 1793 i sanculotti parigini in armi, le cui istanze erano rappresentate dal partito della Montagna, circondarono la sede della convenzione e indussero la Guardia nazionale ad arrestare e a ghigliottinare una parte dei deputati girondini. Il definitivo allontanamento delle donne: la morte di Olympe de Gouges
MEMO Olympe de Gouges due anni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino aveva redatto la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina [vedi p. 288].
Inclusione/Esclusione La cittadinanza asimmetrica, p. 317
Due immagini che testimoniano la partecipazione femminile alla Rivoluzione: a sinistra, una donna sanculotta con i suoi bambini; a destra, un club patriottico di donne (Parigi, Museo Carnavalet)
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La svolta autoritaria del 1793 trovò un puntuale riscontro anche nella sempre più marcata esclusione delle donne dalla vita pubblica. ancora nella primavera del 1793 presso l’assemblea si era discusso appassionatamente a proposito dell’opportunità di equiparare le cittadine ai cittadini. Del resto era una domanda che proveniva da molti dei circoli nei quali si erano radunate le rivoluzionarie di tutto il paese. Tra questi, si segnalava per la sua combattività il Club delle cittadine repubblicane rivoluzionarie, fondato nel maggio 1793 dall’attrice Claire Lacombe e dalla fabbricante di cioccolata Pauline Léon, il cui programma era di costituire una compagnia femminile armata destinata a prendere la guida delle sanculotte. come sappiamo, ad anticipare i temi della cittadinanza femminile era stata nel 1791 la scrittrice Olympe de Gouges, che sosteneva con forza il diritto delle donne di partecipare attivamente alla vita della repubblica «non sebbene madri, figlie e sorelle», ma proprio in quanto tali, e si proponeva al tempo stesso l’istituzione di un’assemblea nazionale costituita da sole donne accanto a quella maschile. La persecuzione antigirondina dell’estate-autunno 1793 segnò la sorte di olympe de Gouges, destinata in capo a qualche decennio a diventare il simbolo per eccellenza del movimento femminista. fu giustiziata il 30 ottobre 1793 – la seconda donna a cadere vittima del boia, dopo la regina Maria antonietta –, insieme a molti esponenti della Gironda, il gruppo presso il quale il tema dei diritti della donna aveva i suoi sostenitori di sesso maschile più convinti. nei mesi successivi si sarebbe assistito allo scioglimento coatto di tutti i club femminili. Per le donne era tempo di rientrare nei ranghi. nel momento in cui imboccava una strada drasticamente autoritaria, la Rivoluzione tendeva così a riproporre l’antico tema della “naturale” inferiorità della donna.
capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
13.3 Dal Terrore al Consolato Robespierre e il Terrore
La contraddizione tra provvedimenti tesi a soddisfare i bisogni materiali degli strati sociali più umili (anche a rischio di limitare la libertà economica e di mettere a repentaglio la stessa proprietà privata, uno dei punti fermi della borghesia francese) e la spietata repressione del dissenso interno si fece ancora più evidente fra il tardo inverno del 1793 e la primavera del 1794, quando alla guida del Comitato di salute pubblica, l’istituzione che ormai di fatto aveva sostituito la convenzione nel governo del paese, giunse Maximilien Robespierre (17581794), un montagnardo particolarmente sensibile al tema dell’eguaglianza sociale. nei mesi durante i quali Robespierre esercitò la sua massima influenza, passati alla storia come periodo del Terrore, la repressione cominciò a colpire, oltre a ciò che restava degli appartenenti alla Gironda, anche molti esponenti della stessa Montagna. La dittatura culminò con la legge del 10 giugno 1794 (22 pratile), con la quale i giudici del Tribunale rivoluzionario furono autorizzati a condannare i sospetti basandosi esclusivamente sulla propria convinzione morale, privandoli quindi di qualsiasi garanzia giuridica. nelle settimane tra giugno e luglio il rumore della ghigliottina divenne sinistramente usuale nelle piazze di Parigi. il Tribunale speciale rivoluzionario fece infatti eseguire ben millequattrocento sentenze capitali. furono colpiti prima gli “arrabbiati”, coloro che si battevano per ottenere misure ancora più decise a favore della popolazione, come Jacques-René Hébert, uno dei più celebri portavoce dei sanculotti. in seguito furono giustiziati gli “indulgenti”, quei deputati che, come Georges-Jacques Danton, chiedevano la fine del Terrore. alla fine di giugno l’esercito francese riportò a Fleurus una decisiva vittoria contro i prussiani della coalizione antirivoluzionaria, facendo volgere al meglio le sorti della guerra. La patria non era più in pericolo, né sul fronte esterno né su quello interno. Dopo la sconfitta della vandea e i successi contro i prussiani, le misure di carattere eccezionale che l’esponente montagnardo aveva promosso durante il Terrore per dare coesione sociale alla patria minacciata, rafforzando l’eguaglianza a scapito della libertà, parevano ormai non più necessarie e per questo non più accettabili. una delle ultime sentenze colpì però proprio Robespierre, messo in minoranza e arrestato per ordine della convenzione il 27 luglio (9 termidoro) e giustiziato senza alcun processo né difesa il giorno seguente.
LESSICO Arrabbiati Erano sostenitori della violenza popolare, della necessità di fare strage di tutti i nemici del popolo e di attuare una rivoluzione radicale. Indulgenti Così chiamati per il loro atteggiamento moderato, erano ex cordiglieri che, dopo la sconfitta dei girondini, avevano assunto toni meno intransigenti nella convinzione di dover mettere fine alle agitazioni di piazza e alla guerra per passare alla ricostruzione di una Francia libera e repubblicana.
Intervista impossibile a Maximilien Robespierre, p. 310
La Francia del Direttorio
il Terzo stato, la francia schierata in difesa della Rivoluzione, era tutt’altro che omogeneo sotto il profilo sociale. sotto Robespierre avevano goduto di voce in capitolo soprattutto le componenti popolari, desiderose di giustizia sociale e di fratellanza, e almeno in parte disposte a rinunciare, in nome di queste, alla libertà. ora, cessato il pericolo di un ritorno al potere delle forze del passato e di un’invasione straniera, l’iniziativa era di nuovo nelle mani di quegli strati sociali abbienti (mercanti, banchieri, proprietari, professionisti) che cinque anni prima avevano guidato la rivolta del Terzo stato agli stati generali e che non avevano alcuna intenzione di assecondare i sogni di egualitarismo sociale radicale coltivati dai sanculotti e dai montagnardi. 305
SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
LESSICO Direttorio In francese il termine directoire (dal latino directorium, “via tracciata”) fu introdotto nel 1795 per indicare un collegio direttivo.
Dopo la caduta di Robespierre, il governo della francia restò abbastanza stabilmente nelle mani di una maggioranza moderata per diversi anni. in questo periodo, durante il quale il potere fu detenuto da un Direttorio di cinque membri nominato dalla convenzione, si assistette alla liberalizzazione della vita economica, alla revoca della costituzione dell’anno i e all’emanazione di una Costituzione nuova (detta dell’anno III e promulgata nel 1795). Questa restrinse drasticamente il diritto elettorale, stabilendo una soglia censitaria simile a quella prevista dalla costituzione del 1791.
APPROFONDIRE
Le Costituzioni della Rivoluzione emanata nel settembre 1791 ammetteva voto i cittadini “attivi”, ovvero le persone di sesso maschile Ldi etàaal Costituzione superiore ai venticinque anni che pagassero tasse pari al valore di almeno tre giornate di lavoro. Questi ultimi (pari a circa un quinto dei francesi) eleggevano alcuni “grandi elettori” (persone che pagassero tasse pari al valore di almeno dieci giornate di lavoro), i quali a loro volta eleggevano l’Assemblea nazionale, investita del potere legislativo. Il re aveva però un diritto di veto sulle deliberazioni dell’Assemblea e deteneva il potere esecutivo, anche se sotto il controllo dell’Assemblea. La magistratura, il potere giudiziario, separato da quello legislativo e da quello esecutivo, era elettiva, come pure lo erano i responsabili delle cariche amministrative periferiche. La Costituzione del 24 giugno 1793 (Costituzione dell’anno I) era preceduta da una nuova Dichiarazione dei diritti – forse la parte politicamente più rilevante del testo –, tra i quali venivano elencati, in particolare, quelli “sociali” (articolo 21 sul diritto al lavoro e all’assistenza, articolo 22 sull’istruzione pubblica) e quelli tesi a scongiurare la rinascita sotto mentite spoglie del dispotismo politico (articolo 33 sul diritto di resistenza all’oppressione, articolo 35 sul diritto di insurrezione). Essa accordò il diritto di voto a tutti i maschi di età superiore ai ventuno anni.
Questi avrebbero dovuto eleggere direttamente un deputato ogni quarantamila persone. I deputati formavano la Convenzione nazionale, munita di potere legislativo e delegata a nominare e controllare il governo, titolare del potere esecutivo. Magistratura e amministrazione periferica erano anch’esse elettive. Questa fu la più democratica tra le Costituzioni della Rivoluzione. La Costituzione del 22 agosto 1795 (anno III) designava come cittadini attivi dotati del diritto di voto tutti i maschi di età superiore ai ventuno anni che pagassero tasse. Costoro eleggevano i “grandi elettori” (persone di età superiore ai venticinque anni e fornite di un patrimonio del valore pari ad almeno cento giornate di lavoro), che eleggevano a loro volta ogni anno un terzo dei deputati. Ogni deputato esercitava il suo mandato per tre anni; ogni anno un terzo dei deputati, a rotazione, rimetteva il proprio mandato e veniva sostituito con un nuovo eletto. I deputati formavano un Consiglio dei Cinquecento e un Consiglio degli Anziani. Il primo proponeva le leggi; il secondo le approvava (o le respingeva) e nominava un Direttorio di cinque membri investito del potere esecutivo. Veniva mantenuto, anche se secondo meccanismi diversi da quelli precedenti, il principio dell’elettività dei giudici e degli amministratori locali.
DIRETTORIO
potere esecutivo
elegge
CITTaDInI aTTIvI (ELETTORI)
Consiglio degli anziani: 250 deputati eleggono
30 000 gRanDI ELETTORI
eleggono
CORpO LEgIsLaTIvO Consiglio dei Cinquecento: 500 deputati
ammessi al voto in base al censo
CITTaDInI passIvI
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potere legislativo
esclusi dal voto in base al censo
capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
Protagonista della ripresa del movimento filomonarchico fu la cosiddetta “gioventù dorata”. Si trattava di giovani di famiglie benestanti, spesso arricchitesi durante la Rivoluzione, che indossavano abiti eleganti e avevano l’abitudine di usare un profumo al muschio (a causa di ciò furono anche detti muscadins, “moscardini”, da musc, “muschio”)
Moderatismo e radicalismo: la Congiura degli Eguali
entro i limiti accordati dalla nuova costituzione, la francia sperimentò per qualche tempo quelle opportunità di partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere che erano state al centro delle premure dei costituenti nel 1789, ma che in seguito, per un motivo o per l’altro, erano state spesso sospese. Pareva quasi che la Rivoluzione si stesse assestando entro l’alveo di un assetto politicosociale le cui caratteristiche rendevano la francia di quegli anni distante sia da quella dell’antico regime sia da quella delle fasi più drammatiche dei primi anni repubblicani. Tra il 1794 e il 1796 non mancarono nuove agitazioni popolari. in particolare, nel 1796 un gruppo di giacobini radicali e sensibili al tema dell’eguaglianza sociale – guidato da François Noël Babeuf detto Gracco (1760-1797) – organizzò una cospirazione, detta appunto Congiura degli Eguali. essi consideravano le diversità economiche tra ricchi e poveri, che erano diventate sempre più evidenti, un’ingiustizia inaccettabile. ai loro occhi l’unico modo per mettere fine a tutto ciò era abolire la proprietà privata. Tutte le ricchezze avrebbero dovuto essere messe in comune. il tentativo di Babeuf, così come ogni altra iniziativa per rilanciare la pressione della “piazza” sul governo, venne represso e tacitato. sul versante opposto a quello del movimento giacobino, ripresero però slancio anche i filomonarchici, tanto da risultare vittoriosi alle elezioni indette nel 1797. Il Direttorio le annullò e ne indisse altre per l’anno seguente, con la speranza che questa volta gli elettori premiassero la sua politica moderata. fu invece la “sinistra” di ispirazione giacobina a ottenere i maggiori consensi e il Direttorio annullò nuovamente le elezioni. Dopo questi avvenimenti diventò chiaro che il governo faticava a tenere sotto controllo la situazione e la sua autorità a poco a poco si indebolì.
LESSICO Gracco Il soprannome di Babeuf era un richiamo storico ai fratelli Gracchi di epoca romana, promotori di importanti riforme agrarie.
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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE
ANALIZZARE LA FONTE
Il Manifesto degli Eguali Autore: Sylvain Maréchal Tipo di fonte: manifesto programmatico Lingua originale: francese Data: 1797
Ritratto di Gracco Babeuf, disegno anonimo, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale)
Il Manifesto degli Eguali, di cui riportiamo alcuni passi, è il testo programmatico della Congiura degli Eguali ispirato da “Gracco” Babeuf e redatto da Sylvain Maréchal, principale teorico del gruppo. In esso Babeuf e i suoi compagni invitano il popolo francese a completare la Rivoluzione rivendicando l’eguaglianza sociale e non solamente quella giuridica.
L’uguaglianza! Primo voto della natura, primo bisogno dell’uomo, e primo elemento di ogni associazione legittima! Popolo di francia! Tu non sei stato favorito più delle altre nazioni che vegetano su questa misera terra! […] Da tempo immemorabile ci si ripete ipocritamente, gli uomini sono uguali; e da tempo immemorabile l’ineguaglianza più avvilente e più mostruosa pesa insolentemente sul genere umano. […] oggi, quando è richiesta da una voce più potente, la risposta è: tacete, miserabili! L’uguaglianza di fatto non è che una chimera; accontentatevi dell’eguaglianza relativa: voi tutti siete uguali di fronte alla legge. canaglia e che vuoi di più? che cosa vogliamo di più? Legislatori governati, ricchi proprietari: ascoltate a vostra volta. […] noi miriamo a qualcosa di più sublime e di più equo, il bene comune o la comunità dei beni! non più proprietà privata della terra: la terra non è di nessuno. noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: la terra non è di nessuno. noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: i frutti appartengono a tutti. f. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, einaudi, Torino 1982 Domande alla fonte 1. Quali sono i due soggetti a cui si rivolge il testo? 2. In che cosa consistono rispettivamente l’eguaglianza relativa e l’eguaglianza di fatto?
L’ascesa dei militari: dal Direttorio al Consolato
La situazione politica interna nel 1799 restava incerta e l’esercizio della sovranità da parte dei cittadini era spesso ancora inceppato e difficile. sul fronte esterno invece, soprattutto quello militare, la francia repubblicana poteva nutrire maggiore fiducia in se stessa nonostante nel frattempo si fosse formata una seconda coalizione antifrancese (dicembre 1798) promossa dall’inghilterra e a cui aderirono l’austria, la Russia, la Prussia, il Regno di napoli e l’impero ottomano. Gli eserciti francesi che, dopo avere difeso la patria, stavano dilagando in tutta europa ottenevano successi continui, con il risultato che i generali che li guidavano acquistavano ogni giorno di più agli occhi della gente quella stessa popolarità che i politici stavano invece perdendo. nell’ottobre 1799 ebbe luogo il ritorno, accolto trionfalmente, del generale Napoleone Bonaparte dalla difficile campagna d’egitto. egli negli anni precedenti era stato inviato dal Direttorio a combattere contro gli austriaci e aveva conquistato vaste porzioni d’europa, istituendo nelle aree occupate dai suoi eserciti (tra cui l’intera penisola italiana) una serie di repubbliche, dotate di istituzioni simili a quelle francesi (v. cap. 15, par. 15.1). 308
capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
un mese più tardi, in seguito al colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre), organizzato da sieyès (l’autore del pamphlet Che cos’è il Terzo Stato?, v. approfondire, p. 278), il Direttorio, incapace di controllare tanto la “piazza” di sinistra (giacobini) quanto quella di destra (filomonarchici), cedette le redini del potere a una triade di consoli: Bonaparte, Sieyès e Roger Ducos (1747-1816), già membro del Direttorio. La fine della Rivoluzione?
con l’avvio della stagione consolare, la Rivoluzione francese – intesa come esperienza collettiva di partecipazione della cittadinanza all’esercizio dal basso del potere, e al tempo stesso come teatro di un violento conflitto politico-sociale tra le diverse componenti della nazione – poteva dirsi conclusa. Di quel conflitto, e dei suoi esiti, restavano però ben visibili molte tracce. e di queste vogliamo segnalarne ancora due, oltre a quelle già di volta in volta passate in rassegna: la forte redistribuzione della proprietà terriera in seguito alla vendita dei beni nazionali, e la contestuale espansione di quella Francia della piccola borghesia proprietaria, che aveva del resto in molti frangenti costituito l’anima della Rivoluzione. va infine ricordato che i principi alla base della Rivoluzione francese hanno da quella data in avanti orientato il cammino della democrazia nel mondo contemporaneo. Parlare di quella rivoluzione significa, per questo, parlare di noi stessi, dei valori irrinunciabili della società e del mondo in cui viviamo.
Blaise Chataigner, I tre consoli, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Thiers)
APPROFONDIRE
La campagna d’Egitto el 1798, allo scopo di ostacolare la navigazione britanniNBonaparte ca in direzione dell’India, il Direttorio conferì a Napoleone l’incarico di occupare l’Egitto. Era anche un modo per allontanare momentaneamente dal paese il generale corso, di cui molti ormai a Parigi temevano la crescente popolarità. La spedizione militare fu affiancata da una parallela spedizione scientifica, alla quale presero parte i più rinomati studiosi francesi dell’antica civiltà egizia, che nel corso del Settecento aveva suscitato un fascino fortissimo nella cultura europea (si pensi, per esempio, al Flauto Magico di Mozart, che è appunto ambientato in Egitto). Nel corso della spedizione, i francesi scoprirono la famosa stele di Rosetta, una lastra di basalto sulla quale è inciso un testo in greco, in geroglifico e in demotico (stessa lingua del geroglifico, ma con diversa grafia). Grazie a questa scoperta, è stato possibile in seguito decifrare l’antico alfabeto egizio, e avviare, così, una più approfondita conoscenza di una straordinaria civiltà, la quale era stata fino a quel momento in larga parte avvolta nel mistero. Alla testa di 38 000 uomini, Napoleone sbarcò in Egitto all’inizio dell’estate 1798 e sconfisse l’esercito mamelucco, impadronendosi del paese. La flotta che aveva trasportato le truppe francesi patì però nell’estate una disastrosa sconfitta ad opera della flotta inglese, comandata da Orazio
Nelson, nella battaglia navale di Abukir. Lo scopo principale della spedizione in Egitto non venne, dunque, conseguito. Bonaparte rimase in Egitto per oltre un anno e tentò anche – senza successo – la conquista della Siria. Nell’estate del 1799 fece segretamente ritorno in Francia, dove si sarebbe presto imposto ai vertici della repubblica.
La stele di Rosetta
309
D Robespierre, siete senza dubbio uno dei personaggi più famosi della Rivoluzione francese, ma, a distanza di tempo, il giudizio degli storici su di Voi è controverso e ambivalente. C’è chi vi ricorda soprattutto per la drammatica stagione del Terrore, quando centinaia di teste rotolarono a terra mozzate dal colpo della ghigliottina; e chi, invece, pensa a Voi come a colui che più di ogni altro si batté perché la Rivoluzione si mantenesse fedele al suo slancio ideale egualitario. Quale strada Vi ha portato verso questo ambiguo destino?
R Sono nato nel 1758 in provincia, ad Arras, in una famiglia che da generazioni annoverava avvocati e notai. I miei genitori morirono quand’ero fanciullo, ma malgrado questo, seppure a fatica, mi riuscì di mantenere viva la tradizione familiare. Nel 1781 ho conseguito la laurea in legge alla Sorbona, e poi sono tornato nella mia città, dove sono stato per anni un avvocato di successo, ma mentre tenevo le mie arringhe in tribunale, continuavo a divorare la letteratura illuminista che avevo scoperto durante il soggiorno parigino. Rousseau, con le sue idee di eguaglianza, mi piaceva più di tutti. Quando, nel 1789, fui designato come deputato del Terzo stato per la provincia dell’Artois agli stati generali, tornai a Parigi deciso a fare in modo che almeno una parte di quello che avevo letto e amato divenisse realtà.
D All’assemblea degli stati generali i deputati del Terzo stato si contavano a centinaia. Come Vi riuscì di distinguervi tra tanti e di diventare un leader?
R Fui tra coloro che, fin dalle prime battu-
Intervista impossibile - 5 domande a
te della Rivoluzione, assunsero un atteggiamento radicale, coerente anche nei dettagli della vita quotidiana con i principi in cui credevano. I mezzi non mi mancavano e avrei potuto, come fecero altri, accomodarmi in un’abitazione agiata e confortevole.
MaxiMilien
RobespieRRe
e
Invece presi una semplice stanza in affitto L’alleanza però non durò a lungo. I gi- D In questo Libertà ed in casa di un falegname. A causa della rondini, sì, riuscimmo a sconfiggerli, ma modo, però, non eguaglianza. mia austerità, mi guadagnai la fama di poco dopo Marat venne assassinato da finì per andare “incorruttibile”, il soprannome che mi fu Charlotte Corday, una reazionaria. E smarrita la strada Sono due dato. Intanto tenevo discorsi incande- qualche mese più tardi fui proprio io a della democrazia? componenti scenti prima all’Assemblea nazionale, poi firmare il decreto di condanna a morte di E che ne fu, alla Convenzione, e mi battevo per Danton e dei suoi seguaci. Erano divenu- durante il Terrore, essenziali della l’estensione dell’eguaglianza anche agli ti troppo moderati, al punto che, per di quei principi di Rivoluzione per ebrei e ai neri; una posizione che allora schernirli, noi giacobini radicali li chia- libertà che erano erano davvero in pochi a condividere… mavamo “gli indulgenti”. stati il vanto della la quale ho speso Nel 1790 divenni presidente del club dei Rivoluzione, il la mia vita. Ma giacobini e l’anno dopo lanciai una D Ecco, siamo giunti a parlare del simbolo della sua non sempre è campagna per l’introduzione del suffra- periodo del Terrore, che coincide con inconciliabilità l’ultimo anno della Vostra vita. Che possibile averle gio universale. Dopo il suo tentativo di con l’antico fuga – nel giugno del 1791 – diventai cosa avvenne? regime? tutte e due sempre più ostile al re e alla monarchia. R La Francia era assediata dalla coali- R Libertà ed eguazione controrivoluzionaria e glianza. Sono due dovemmo decretare la leva in componenti essenziali della Rivoluzione massa, per difendere le fron- per la quale ho speso la mia vita. Ma tiere della nostra nazione. Il non sempre è possibile averle tutte e momento era tragico ed era due simultaneamente; anzi, tra di esse necessario che tutto il paese si esiste un certo stato di tensione perraccogliesse senza il minimo manente, che in occasione di eventi tentennamento, e che i più ric- eccezionali emerge allo scoperto. Tra chi sacrificassero parte di il 1793 e il 1794 la Francia era in staquanto avevano a sollievo dei to di emergenza e stava per crollare. meno agiati. È quanto scrissi Io volevo mantenerla in vita a tutti i nella nuova Dichiarazione dei costi. So di aver calpestato la libertà, diritti dell’uomo e del cittadino, e di averlo fatto in modo particolarNell’agosto del 1792 fui io a organizzare che feci inserire nella Costituzione del mente feroce, neppure ora saprei un moto popolare contro Luigi XVI e quan- 1793. Poi, per venire incontro alle esi- dire se davvero ho sbagliato. Certado, nel gennaio del 1793, discutemmo genze dei sanculotti, le maestranze arti- mente, molti ormai pensavano che della sua condanna a morte, non esitai a giane di Parigi che mi appoggiavano, fosse così. Perfino i sanculotti, come membro del Comitato di salute quando si accorsero che il maxivotare a favore. pubblica feci approvare mum colpiva duramente anche i D Queste battaglie le un decreto che stabiliva loro salari, cominciarono a negaravete condotte tutte Volli che nella il maximum, il tetto mas- mi il proprio consenso. Quando, il da solo, o c’erano simo per i prezzi e per i 28 luglio 1794, venni arrestato, repubblica anche altre figure, in salari. Infine, qualche stanco e malato com’ero, tentai di in pericolo quell’epoca, che mese più tardi, mentre suicidarmi, ma non mi riuscì. condividevano con voi regnasse la ogni giorno mandavo Qualche ora dopo mi portarono il peso e la ghigliottina ex com- alla ghigliottina sanguinante, con stessa disciplina alla responsabilità di pagni di avventura che la mascella fracassata dal colpo scelte tanto gravi? cameratesca e la non condividevano più il di pistola che poco prima mi ero R Insieme a Saint-Just stessa obbedienza mio rigore, disposi la sparato invano. distribuzione gratuita ai e a Couthon eravamo i che ci si aspetta patrioti bisognosi dei capi del partito della beni dei sospetti controMontagna – il più intran- di trovare in un rivoluzionari. Volli che sigente – e per qualche esercito nella repubblica in peritempo ci alleammo con colo regnasse la stessa Danton e con Marat per combattere il partito della Gironda, che disciplina cameratesca e la stessa obbesecondo noi era troppo tenero nei con- dienza che ci si aspetta di trovare in un esercito. fronti della monarchia.
Il laboratorio dello storico
Verso
Feste e riti rivoluzionari
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Una nuova misura delle cose e del tempo I dieci anni rivoluzionari furono scanditi da una sequenza di avvenimenti clamorosi: la presa della Bastiglia, la fuga del re, la sua condanna a morte, il Terrore ecc., ma tra l’uno e l’altro la Rivoluzione continuò ad avere luogo ogni giorno; si espresse in gesti quotidiani, in riti, in cerimonie che diedero l’impronta alla percezione del senso della vita, ai pensieri, alle aspettative e alle speranze di un’intera generazione di francesi. La Rivoluzione, come ci dice in questo passo la storica Lynn Hunt, toccava infatti i piani più elementari della vita di ciascun individuo: «[sotto la repubblica si cercò di far] parlare [a tutti] la medesima lingua [e] usare gli stessi pesi e misure […]. Si costituì una commissione per l’istituzione del sistema metrico decimale, e la Convenzione stabilì un nuovo calendario». (L. Hunt, La rivoluzione francese. Politica, cultura, classi sociali ). L’immagine e la tabella che qui presentiamo chiarisce le concordanze tra il nuovo e il vecchio calendario.
La settimana di sette giorni sarebbe stata sostituita da una “decade” (primodì, duodì, tredì … dicadì). ve ne sarebbero state tre per ogni mese. esse ordinavano razionalmente i giorni senza bisogno di nomi di santi
Concordanze del nuovo calendario rivoluzionario con il vecchio calendario Vendemmiaio Brumaio Frimaio Nevoso Piovoso Ventoso Germinale Fiorile Pratile Messidoro Termidoro Fruttidoro
312
dal 22 settembre al 21 ottobre dal 22 ottobre al 20 novembre dal 21 novembre al 20 dicembre dal 21 dicembre al 19 gennaio dal 20 gennaio al 18 febbraio dal 19 febbraio al 20 marzo dal 21 marzo al 19 aprile dal 20 aprile al 19 maggio dal 20 maggio al 18 giugno dal 19 giugno al 18 luglio dal 19 luglio al 17 agosto dal 18 agosto al 16 settembre
in forza della nuova ripartizione a base decimale, restavano scoperti cinque giorni (dal 17 al 21 settembre compresi), ai quali venne dato il nome di giorni “sanculottidi”, e che vennero consacrati alle feste
come fa osservare Lynn Hunt: «al posto dei nomi dell’“era volgare”, mesi e giorni avrebbero avuto nomi che riflettevano la natura e la ragione. Germinale, fiorile e pratile (fine marzo - fine giugno), per esempio, facevano pensare ai boccioli e ai fiori della primavera»
capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
Dalla Marianne a Ercole Il forte richiamo alla natura e alla razionalità comportò per i rivoluzionari il contestuale ripudio dei simboli e delle pratiche di derivazione cristiana, nei quali si percepiva l’opprimente eredità del passato. Il posto della croce venne così preso dall’albero della Libertà e si assistette alla formalizzazione di una vera e propria fede, alternativa a quelle esistenti: una fede laica, che si espresse in feste e in celebrazioni. La festa della Libertà che si tenne a Parigi nell’ottobre 1792 fu celebrata in una piazza al cui centro si trovava prima la statua del re. Al suo posto c’era ora una statua di donna, chiamata Marianne, simbolo di una nazione intera che celebrava nella Libertà la madre di tutti i francesi.
Riprodotta sugli atti ufficiali, sui sigilli, sulle monete, quella donna con il cappello frigio si presentava ogni giorno ai cittadini, accompagnando ogni loro gesto. venne chiamata Marianne, nomignolo affibbiatole dai nostalgici dell’antico regime, che la ridicolizzavano dipingendola come una sorta di Maria (la madre di cristo) di rango inferiore, ma che poi venne adottato con affettuosa partecipazione da chi invece nella Rivoluzione credeva, e vedeva in Marianne l’immagine di una divinità benigna e umanizzata
La Libertà, o Marianne, patrona dei francesi, stampa a colori, XVIII secolo
Il ripudio dei simboli cristiani portò successivamente i rivoluzionari ad accostarsi all’antichità classica. Dopo la stagione di Marianne – condivisa da rivoluzionari di ogni tendenza – si assistette durante il periodo robespierriano a quella di Ercole, di cui vennero erette statue alte fino a quindici metri, per simboleggiare l’energia del popolo e il suo orgoglio di avere cancellato dal proprio presente le passate condizioni di oppressione.
Il popolo francese, nelle vesti di Ercole, uccide l’idra del federalismo, incisione, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)
alla femminilizzazione di alcuni simboli collettivi non corrispose l’attribuzione alle donne degli stessi diritti dei cittadini maschi. al genere femminile si attribuivano quei tratti di sentimentalità e di debolezza che si riteneva ne facessero la facile preda dell’autoritarismo del passato. Mentre si celebrava Marianne, si continuava comunque a temere che dietro la sua apparenza potesse celarsi Maria, madre di un dio dal quale i monarchi pretendevano derivasse il loro diritto di maltrattare i propri sudditi
Ercole era simbolo del lavoro manuale, disprezzato sotto l’antico regime e ora divenuto invece tratto identificativo dell’“ala sinistra” della Rivoluzione, dei sanculotti che si battevano per la giustizia sociale Dalla leggiadra Marianne al nerboruto Ercole: da un simbolismo femminile, riferimento collettivo per entrambi i sessi, a uno marcatamente maschile e virilista. La cittadinanza moderna nasceva tutta al maschile
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Un calendario e due fonti iconografiche. Questi sono i materiali dei quali è stato fatto uso in questo laboratorio. Si tratta di fonti prodotte all’epoca dei fatti esposti in questo capitolo, così che esse lo illustrano, per così dire, in diretta. • Quali sono i nessi che si possono stabilire tra i nomi dei mesi del calendario rivoluzionario e i valori espressi dalla Rivoluzione stessa? • Virilità degli oppressi e femminilità della Repubblica. Come si conciliano tra loro questi valori, che ci vengono proposti da un accostamento tra la prima e la seconda fonte iconografica?
313
capItOLO 13
Mappa
LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1793-1799)
rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)
repubblica
politica sociale: • Maximum dei prezzi • Costituzione dell’anno I (diritto elettorale esteso), che però non entra in vigore
repressione del dissenso: • Tribunale rivoluzionario • Comitato di salute pubblica • Massacro dei girondini • Chiusura dei club femminili
Difficoltà: • Inflazione degli assegnati e crisi economica
• Dissidenza controrivoluzionaria (rivolta “federalista” e della vandea) • guerra contro la coalizione antifrancese
che contribuiscono a
affermazione del terrore
314
robespierre e il terrore L’uguaglianza si sostituisce alla libertà
Direttorio
prevalgono le istanze borghesi: • liberalizzazione economica
• Costituzione dell’anno III si inasprisce la repressione contro i girondini
Legge dei sospetti (giugno 1794) contro arrabbiati e indulgenti
reazione termidoriana: • Robespierre viene
(ritorno al censitario)
Difficoltà: • Congiura degli Eguali • ripresa del movimento filo-monarchico
• seconda coalizione antifrancese
Colpo di stato di brumaio
giustiziato (luglio 1794)
• alla Convenzione si sostituisce il Direttorio
Il potere va al consolato
Fine della Rivoluzione, ma permanenza dei suoi valori
capItOLO 13
LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1793-1799)
Sintesi 13.1 LE DIFFICOLTà DELLA REPUbbLICA: LA GUERRA, L’INFLAZIONE E LA REAZIONE DELLA VANDEA Dopo la proclamazione della repubblica il governo rivoluzionario si trovò ad affrontare due questioni importanti: la guerra all’esterno e l’inflazione all’interno. Da un lato, infatti, molti paesi europei strinsero un’alleanza (prima coalizione antifrancese) contro il tentativo di espandere il processo rivoluzionario al di fuori della francia; dall’altro i costi dell’esercito e il minor numero di entrate costrinsero a emettere più cartamoneta di quanto corrispondesse alla ricchezza reale del paese con gravi conseguenze sull’innalzamento dei prezzi dei beni di prima necessità. a questi problemi si aggiunsero rivolte come quella filomonarchica nella provincia della Vandea e quella federalista che non accettava l’accentramento del potere nella capitale. entrambe furono represse. 13.2 LA SVOLTA AUTORITARIA DEL 1793 La convenzione rispose a questa situazione da un lato promuovendo una politica sociale in favore della popolazione (come il maximum dei prezzi: un calmiere, ovvero il limite massimo di prezzo fissato dalle autorità per beni di prima necessità) contemporaneamente la convenzione si occupò di reprimere il dissenso. nacquero il Tribunale rivoluzionario e il Comitato di salute pubblica che avevano il compito di sorvegliare sull’ordine del paese. fu anche emanata una seconda Costituzione (giugno 1793) che prevedeva il suffragio generale maschile, ma che non entrò mai in vigore. La convenzione introdusse anche un nuovo calendario e un nuovo sistema di misure: la storia di Francia ripartiva da zero e iniziava un nuovo ciclo, quello aperto dall’anno i della Repubblica, basata sulla libertà, l’eguaglianza, la fraternità. Questi provvedimenti erano stati promossi dall’ala più radicale della convenzione, i montagnardi, che appoggiavano le richieste portate avanti dai sanculotti. nel giugno 1793 questi ultimi pretesero l’arresto dei deputati girondini che difendevano gli interessi della ricca borghesia. La svolta autoritaria del 1793 trovò un puntuale riscontro anche nella sempre più marcata esclusio-
ne delle donne dalla vita pubblica con la chiusura dei circoli rivoluzionari femminili e la condanna a morte di olympe de Gouges.
13.3 DAL TERRORE AL CONSOLATO La lotta contro i nemici della Rivoluzione sfociò tra il 1793 e il 1794 nel Terrore, culminato nella “legge dei sospetti” del giugno 1794 che permetteva la condanna alla ghigliottina solo sulla base dei sospetti dei giudici. nel comitato di salute pubblica si impose Robespierre, un montagnardo particolarmente sensibile al tema dell’eguaglianza sociale, che finì però per eliminare tutti i suoi oppositori, prima i più radicali (gli arrabbiati), poi i più moderati (gli indulgenti). Ma questo clima di paura, alla fine, gli si rivoltò contro: il 9 termidoro fu anch’egli imprigionato e il giorno successivo ghigliottinato. seguì una fase più moderata nella quale il governo, in base alla nuova Costituzione del 1795, che ristabilì la distinzione tra cittadini attivi e passivi, passò nelle mani di un Direttorio, composto di cinque membri. La francia visse una fase di maggiore stabilità e poté finalmente sperimentare, entro i limiti previsti dalla nuova costituzione, l’opportunità di partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere. Tuttavia, nel corso degli anni, anche l’autorità del Direttorio si indebolì, mentre cresceva il fascino esercitato dai generali dell’esercito che stavano realizzando grandi conquiste. il 9 dicembre 1799 (18 brumaio) Napoleone Bonaparte, rientrato in francia dopo una serie di vittorie nella penisola italiana e dopo la campagna d’egitto, con un colpo di Stato instaurò un nuovo governo composto da tre consoli di cui, oltre a lui, fecero parte sieyès e Ducos.
315
Identità collettiva e cittadinanza
u Inclusione Esclusione
François Boucher, Ritratto di Madame de Pompadour, 1756 (Monaco, Alte Pinakothek)
La cittadinanza asimmetrica La nuova emarginazione delle donne
u
no degli argomenti che tennero banco nei dibattiti svoltisi all’interno delle varie assemblee legislative negli anni della Rivoluzione francese fu quello dell’organizzazione dell’istruzione pubblica. La si voleva dare a tutti, dal momento che veniva considerata uno degli strumenti più importanti per costruire una società contraddistinta da mobilità sociale e giusta considerazione del merito personale, a prescindere dalle condizioni di nascita. A tutti, abbiamo detto; ma la maggior parte dei rivoluzionari pensava che questo sostantivo potesse declinarsi – anche nel mondo nuovo che intendevano edificare – solo al maschile. Tutti, dunque, ma non tutte. In un paio di occasioni furono ammesse nell’Assemblea nazionale, che era composta solo di uomini, alcune oratrici esterne che pronunciarono alcuni discorsi all’uditorio discorsi a favore dell’estensione dell’istruzione anche alle donne. Nel 1790 intervenne in quella sede Madame Mourat e due anni più tardi fu Etta Palm von Aelders a tenervi un infiammato intervento, nel quale rivendicava con forza non solo l’istruzione delle fanciulle, ma anche l’introduzione dell’autonomia legale delle donne a 21 anni, l’istituzione del divorzio, la libertà politica e l’eguaglianza dei diritti per entrambi i generi. L’Assemblea ascoltò con una certa distrazione quegli interventi, anche se diede mandato ad Antoine Caritat, marchese di Condorcet, di preparare uno studio preliminare sull’argomento, cosa che Condorcet, figura
Esclusione
influente dell’Assemblea e personaggio indubbiamente sensibile alla tematica, fece con passione. Ne scaturirono, tra il 1790 e il 1791, le sue Cinq Mémoires sur l’instruction publique, nelle quali egli difendeva l’istruzione “mista”, cioè aperta anche alle donne, dalle accuse di immoralità che molti le attribuivano. La si tacciava, infatti, di corrompere la “debole” natura femminile e di disseminare a piene mani indesiderabili turbamenti e pericolosi stati confusionali; il presupposto di un comportamento indocile e lascivo. Ecco come si era espresso in proposito, alla fine del Seicento, l’abate François Fenelon, formulando pensieri che a distanza di un secolo molti rivoluzionari continuavano a condividere appieno: «Non debbono certo le giovani donzelle essere assai dotte; la curiosità le rende vane e affettate […]. Le donne ricevute tra i deputati dell’Assemblea naziona
le, stampa, XVIII secolo
317
Inclusione Esclusione
Le fanciulle malamente istruite e non occupate hanno un’immaginazione sempre errante: in mancanza di solido alimento, la loro curiosità tutta si rivolge verso oggetti vani e pericolosi. Quelle che hanno dello spirito, si erigono sovente in affettate pose, e leggono; esse si appassionano per i romanzi, per le commedie, per i racconti di avventure chimeriche, nelle quali l’amor profano è sovente mescolato; esse rendonsi lo spirito visionario, accostumandosi al linguaggio magnifico degli eroi dei romanzi; e in questo modo si guastano per il mondo e per la società».
Identità collettiva e cittadinanza Jean-Honoré Fr agonard, Giovan e donna intenta
alla lettura, 1776
circa (Washingto n,
National Gallery )
c
ondorcet, invece, sosteneva che, lungi dal favorire tendenze perverse, l’educazione mista avrebbe sollecitato il senso di emulazione, contribuendo a fare delle donne degli esseri completi, perfettamente capaci non solo di sovrintendere all’educazione dei figli, ma, più in generale, di dotarsi di tutti gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita politica. Tuttavia, come quelle delle due oratrici che abbiamo ricordato, anche le sue argomentazioni – tese a rendere davvero inclusiva la nuova cittadinanza edificata dal progetto rivoluzionario – incontrarono scarso consenso tra gli uomini dell’Assemblea nazionale. Questi ultimi, del resto, per dare fondamento alla propria misoginia si rifacevano niente meno che a Rousseau, il quale nei suoi scritti aveva sempre assegnato alle donne un ruolo del tutto accessorio e subordinato a quello dell’uomo, considerandole di fatto creature di rango inferiore. C’era anche qualcuno, come Charles-Maurice Talleyrand – futuro principe della diplomazia europea – , che 318
accettava l’idea di un’istruzione generalizzata per le donne, ma secondo lui essa doveva comunque risultare diversa da quella impartita ai cittadini di genere maschile: «Tutte le materie insegnate nelle scuole pubbliche avranno lo scopo di preparare le fanciulle alle virtù della vita domestica e di insegnare loro tutto quanto è utile a crescere una famiglia». Altri, invece, erano ancora più ostili all’inclusione delle donne nello spazio istituzionale dell’istruzione, ovvero in quello che poteva essere considerato come lo stadio iniziale nella conquista di una piena cittadinanza;
La cittadinanza asimmetrica per esempio Charles Gilbert Romme, che, sempre in sede di Assemblea legislativa, suggerì che istruire le donne non era affatto necessario perché le si poteva formare direttamente in casa all’esercizio delle attività domestiche che la natura aveva loro assegnato.
a, ni, 1715 (Bologn i, Donne e bambi rin ba m Ga pe ep Gius
nale) Pinacoteca Nazio
i
l risultato del dibattito fu che i governi rivoluzionari non approvarono mai un piano di istruzione a livello nazionale che offrisse veramente spazio alla scolarizzazione femminile. E restare escluse dalla scuola per le donne significò anche restare escluse dalla cittadinanza. Alcune avevano cercato, nella prima fase della Rivoluzione, di organizzarsi anche al di fuori degli spazi istituzionali ufficiali, prendendo parte alle manifestazioni di piazza, oppure raccogliendosi in club politici femminili, ma un decreto del 30 ottobre 1793 ne aveva imposto lo scioglimento. Qualche giorno più tardi Olympe de Gouges, la principale leader del movimento femminile sorto dopo la Rivoluzione, cadde sotto i colpi della ghigliottina con l’accusa di «aver voluto essere uomo di Stato e dimenticato le virtù che si convengono al suo sesso». Quella istituita dalla Rivoluzione rimase dunque a lungo una cittadinanza asimmetrica, basata sull’esclusione delle donne.
Museo Francisco Goya y Lucientes, La lattaia di Bordeaux, 1827-1828 (Madrid,
del Prado)
319
SEZIONE 3
LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Riordina cronologicamente gli eventi elencati scrivendo accanto a ciascuno di essi la data e inserendo nei quadratini la corretta successione. ➜ cap.11 a. b. c. d. e. f. g. h. i.
2
Declaratory act Battaglia di Yorktown Fondazione del Partito repubblicano Costituzione americana Stamp act Primo Congresso continentale americano Dichiarazione di indipendenza Boston tea party Battaglia di Saratoga
Costruisci una linea del tempo su cui collocare opportunamente i seguenti eventi.
➜ cap.12
Giuramento della Pallacorda • Presa della Bastiglia • Marcia su Versailles • Abolizione dei diritti feudali • Costituzione civile del clero • Proclamazione della repubblica • Dichiarazione di guerra all’Austria • Convocazione degli stati generali • Nascita della Convenzione • Tentativo di fuga del sovrano
3
Costruisci una linea del tempo su cui collocare opportunamente i seguenti eventi.
➜ cap.13
Vittoria di Fleurus • Espulsione dei giacobini dalla Convenzione • Colpo di Stato di Napoleone • Nascita del Direttorio • Rivolta della Vandea • Istituzione del Comitato di salute pubblica • Arresto di Robespierre
4
320
Segna sulla carta le direttrici del commercio triangolare e le principali merci trasportate su ogni tratta.
➜ cap.10
5
Segna sulla carta i nomi delle tredici colonie inglesi che chiesero l’indipendenza dalla madrepatria. ➜ cap.11
uSARE IL LESSICO STORICO
6
Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione (max 5 righe). a. b. c. d. e. f.
➜ cap.10
campi aperti maggese autoconsumo siderurgia società di mestiere luddismo
7
Fornisci la definizione e spiega la differenza tra “federazione” e “confederazione”.
8
Scrivi un breve testo utilizzando le seguenti espressioni.
➜ cap.11
➜ cap.12
stati generali • Terzo stato • voto per testa
9
Chi erano i sanculotti? Rispondi spiegando anche l’origine del termine.
10 Fornisci la definizione dei seguenti termini. a. b. c. d.
➜ cap.12
➜ cap.13
Terrore Assegnati Maximum Direttorio 321
SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
11 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap.10
V F
a. La rivoluzione agraria consistette in un nuovo sistema di rotazione delle colture che sfruttava le qualità fertilizzanti delle piante foraggere. b. Quello dei piccoli proprietari inglesi fu il ceto sociale che favorì lo sviluppo della rivoluzione industriale. c. L’industria tessile fu il settore trainante della rivoluzione industriale. d. Con lo sviluppo dell’industria del cotone si intensificarono i rapporti commerciali tra l’Europa e gli Stati Uniti d’America. e. Alla fine del Settecento il sistema di fabbrica si diffuse uniformemente in tutto il territorio inglese. f. I Combination acts erano delle leggi emanate dal Parlamento inglese per tutelare il lavoro minorile.
12 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.
Quali furono i principali fattori politici e sociali che favorirono l’affermarsi della rivoluzione industriale in Inghilterra? Quale relazione vi è tra la rivoluzione agraria e la rivoluzione industriale? Quale nesso vi è tra la divisione del lavoro e la perdita di importanza della specializzazione dei lavoratori? Quali conseguenze comportò nel processo di produzione l’introduzione della macchina a vapore? Quale fu la causa del declino del commercio di cotonate dall’India? ➜ cap.11
1 Lo Stamp act era a
un decreto che limitava la libertà di stampa un’imposta sul bollo istituita dall’Inghilterra c un atto di sabotaggio della stampa inglese deciso dal primo Congresso continentale americano
b
2 Il Declaratory act era: a
un atto con cui il Parlamento inglese confermava il proprio diritto di riscuotere le imposte dai coloni una dichiarazione in cui si affermava il principio “niente tasse senza rappresentanza” c l’atto con cui gli americani dichiararono la loro indipendenza dall’Inghilterra
b
3 Il Boston tea party fu a
un party pubblico di protesta in cui i coloni espressero la loro intenzione di non pagare la tassa sul tè un atto di sabotaggio: i coloni gettarono a mare il carico di tè di una nave inglese ormeggiata nel porto di Boston c una festa a base di tè offerta dagli inglesi a Boston per cercare un compromesso con i coloni americani
b
14 Collega correttamente i personaggi della colonna di sinistra con le definizioni della colonna di destra.
➜ cap.11
George Washington Thomas Jefferson James Madison Benjamin Franklin
15 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f. 322
➜ cap.10
13 Scegli, tra quelle proposte, le affermazioni corrette.
1. 2. 3. 4.
a. b. c. d.
redattore della Dichiarazione d’Indipendenza rappresentante americano a Parigi primo presidente degli Stati Uniti esponente del movimento federalista
➜ cap.11
Quali furono i motivi principali che spinsero gli emigranti inglesi verso l’America? Quali furono le conseguenze della partecipazione degli americani alla Guerra dei sette anni? Quali furono le motivazioni che spinsero i coloni a ribellarsi alla madrepatria? Perché i coloni americani sabotarono lo smercio dei prodotti provenienti dalla madrepatria? In che cosa la società delle colonie americane differiva da quella della madrepatria? Come si esplica il principio del reciproco equilibrio dei poteri nella Costituzione americana?
ESERCIZI
16 Individua quali affermazioni sono vere e quali false, poi correggi queste ultime.
➜ cap.12
V F
a. La “grande paura” fu una situazione di panico collettivo che si diffuse tra i nobili, nei mesi successivi alla presa della Bastiglia, e che li spinse in gran parte a emigrare. b. La convocazione degli stati generali fu chiesta a Luigi XVI dall’aristocrazia che sperava in questo modo di salvaguardare i propri privilegi dai tentativi di riforma fiscale promossi negli anni Settanta e Ottanta dai vari controllori generali. c. Gli stati generali proclamarono l’abolizione dei diritti feudali. d. Il re era favorevole alla guerra perché riteneva che, una volta ottenuta la vittoria, sarebbe stato facile restaurare il regime assolutista. e. L’ascesa al trono di Luigi XVI coincise con un periodo di profonda crisi economica. f. La Costituzione del 1791 stabiliva che i cittadini sono uguali di fronte alla legge ma non posseggono gli stessi diritti politici.
17 Rispondi alle domande.
➜ cap.12
Perché fallirono i tentativi di riforma fiscale promossi dai controllori generali nel decennio precedente la Rivoluzione? Che cosa spinse parte del clero francese a emigrare? Quali furono gli effetti dello sventato tentativo di fuga del re? Perché la Francia dichiarò guerra all’Austria? Quali motivi spinsero l’Assemblea costituente a proclamare l’abolizione dei diritti feudali? Quali rapporti ci furono tra i due movimenti rivoluzionari che si imposero fin dal 1789, l’uno espressione dell’Assemblea costituente, l’altro espressione della “piazza”? g. Come cambiarono i rapporti tra il sovrano e i nobili dalla convocazione degli stati generali allo scoppio della Rivoluzione? h. Perché si passò dalla monarchia costituzionale alla repubblica? i. Perché Luigi XVI fu condannato a morte?
a. b. c. d. e. f.
18 Osserva l’immagine e scrivi una didascalia che risponda alle seguenti domande.
➜ cap.12
a. Chi sono i personaggi raffigurati? b. Che cosa rappresenta? c. A quale società si riferisce?
323
SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
19 Collega correttamente i nomi della colonna di sinistra con i termini della colonna di destra. a. b. c. d. e.
Robespierre Herbert Danton Babeuf Ducos
1. 2. 3. 4. 5.
Arrabbiati Eguali Indulgenti Consolato Terrore
20 Individua quali affermazioni sono vere e quali false, poi correggi queste ultime.
➜ cap.13
a. La rivolta della Vandea fu guidata dai sanculotti contro le mire accentratrici del governo rivoluzionario. b. La legge dei sospetti permetteva di incarcerare e condannare sulla base di semplici sospetti, senza bisogno di alcuna prova. c. La Costituzione del 1793 fu la più democratica di quelle redatte nel periodo rivoluzionario. d. Il Direttorio venne sostituito dal Consolato in seguito a un colpo di Stato. e. Nella battaglia di Fleurus i francesi subirono una grave sconfitta contro i prussiani.
21 Completa la tabella.
V F
➜ cap.13
Data
CalenDario franCese
10 giugno 1794
22 pratile
9 novembre 1799
➜ cap.13
evento
18 brumaio
arresto di Robespierre
Colpo di Stato di Napoleone
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
22 In un massimo di 20 righe scrivi un breve testo sul perché l’Inghilterra può essere definita “il laboratorio della rivoluzione industriale”.
➜ cap.10
23 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti. a. b. c. d.
➜ cap.11
Le differenze tra le colonie del Centro-Nord e quelle del Sud. I rapporti dei coloni con il Parlamento inglese. La divisione dei poteri stabilita dalla Costituzione americana. Il dibattito tra federalisti e antifederalisti.
24 Confronta la Dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America (p. 266) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283) mettendo in luce analogie e differenze.
➜ cap.12
25 Confronta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283) con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (p. 288) mettendo in luce analogie e differenze.
➜ cap.12
26 In un massimo di 10 righe sintetizza ciascuno dei seguenti argomenti.
➜ cap.13
• Analogie e differenze fra le tre Costituzioni del periodo rivoluzionario. • Gli episodi più importanti del 1793. • Le fasi della guerra della Francia contro gli altri paesi d’Europa.
324
ESERCIZI
27 La Rivoluzione francese dimostra che libertà ed eguaglianza sono valori inconciliabili? In un massimo di 30 righe rispondi a questa domanda scrivendo un testo argomentativo.
➜ cap.13
SCRIVERE DI STORIA
28 Commenta il seguente brano di Adam Smith in un massimo di 20 righe.
➜ cap.10
Il fabbricante di spilli, nel produrre questo piccolo oggetto di poco conto, molto opportunamente si preoccupa di dividere il lavoro tra un gran numero di persone, uno addrizza il filo metallico, un altro lo taglia, un terzo lo appuntisce, un quarto lo schiaccia in cima per infilarci le capocchie; tre o quattro persone sono occupate a fare le capocchie, uno si occupa specificamente di innestarle, un altro riunisce gli spilli, e persino quello di metterli in carta è un mestiere a se stante.
29 In un massimo di 20 righe scrivi un breve testo nel quale spieghi perché gli Stati uniti sono considerati la prima democrazia moderna.
➜ cap.11
30 Dopo aver letto il brano, scrivi un tema storico dal titolo “La Francia alla vigilia della Rivoluzione” Nel seno stesso della nobiltà l’ineguaglianza era attaccata ogni giorno, se non nel suo principio, almeno in alcune delle sue applicazioni diverse. Il nobile di spada accusava di boria il nobile di toga, e quest’altro si lamentava della preponderanza accordata al primo. […] Si diffondeva così a poco a poco nella nazione il principio che soltanto l’uguaglianza era conforme all’ordine naturale delle cose, che in essa era contenuta quell’idea semplice e generale che dovrebbe presiedere all’organizzazione di una società ben regolata. […] Il principio dell’aristocrazia trionfava ancora nella società politica, ma i costumi diventavano di già democratici, e si creavano mille legami diversi fra gli uomini pur ancora divisi giuridicamente. A. Tocqueville, Oeuvres complètes, tomo II, Parigi 1952, p. 37
31 Commenta in un testo scritto (max 30 righe) il seguente brano, tratto dal Manifesto degli Eguali. ➜ cap.13
Noi miriamo a qualcosa di più sublime e di più equo, il bene comune o la comunità dei beni! Non più proprietà privata della terra: la terra non è di nessuno. Noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: la terra non è di nessuno. Noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: i frutti appartengono a tutti.
32 Dopo aver letto il brano seguente, stendi un profilo di Maximilen Robespierre. I successi addormentano le anime deboli, ma stimolano le anime forti. Lasciamo che l’Europa e la storia magnifichino i miracoli di Tolone e preparino nuovi trionfi alla libertà. […] C’è davanti a noi un’impresa non meno importante e più difficile: quella di sventare con costante energia gli intrighi incessanti di tutti i nemici della nostra libertà e di far trionfare i principi sui quali deve fondarsi la prosperità pubblica. […] Lo scopo del governo costituzionale è di conservare la repubblica; quello del governo rivoluzionario è di fondarla. La rivoluzione è la guerra della libertà contro i suoi nemici: la costituzione è il regime della libertà ormai vittoriosa e pacifica. M. Robespierre, in La rivoluzione giacobina, a cura di G. Cantoni, Milano 1953
325
SEZIONE 3
LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE Verso
IL DIBATTITO DEGLI STORICI Rivoluzioni economiche e rivoluzioni politiche Il discorso storiografico sulle rivoluzioni settecentesche non può seguire, per forza di cose, un percorso strettamente omogeneo. Mentre, infatti, la rivoluzione industriale è un processo diluito nel tempo, piuttosto che un evento, quella americana e quella francese appartengono invece alla categoria degli accadimenti racchiusi all’interno di date precise, anche se naturalmente hanno a loro volta generato processi destinati a conoscere un lungo sviluppo successivo. Ma tutte e tre vengono definite, comunque, “rivoluzioni”, e questo ci dice qualcosa di importante sul tratto comune, per quanto esiguo, che rende proficuo considerarle tutte insieme. Esse rappresentarono, infatti, non solo un mutamento radicale rispetto al passato, ma anche l’espressione di una svalutazione del passato in quanto tale. Prima la tradizione e la conservazione erano reputate perlopiù come valori. Dopo vennero sempre più considerate come un dannoso pregiudizio; come l’emblema di un mondo au-
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
toritario e stagnante, che ci si voleva lasciare alle spalle tanto sul piano del rapporto tra lavoro umano e natura, quanto su quello degli ordinamenti politici. David S. Landes 1 illustra con encomiabile capacità sintetica in che senso quella industriale fu effettivamente una rivoluzione, e tratteggia, in alcune delle pagine più efficaci del suo libro più famoso, luci e ombre della radicale rottura con il passato che essa comportò. Guido Abbattista 2 mette a fuoco il carattere di per sé rivoluzionario connesso alla nascita di una nuova nazione e delinea, suggerendo una prospettiva di riflessione transoceanica, le ripercussioni che la conquista americana dell’indipendenza ebbe sull’aspirazione alla libertà coltivata in Francia dai philosophes. Carlo Capra 3 , a sua volta, trattando della storiografia sulla Rivoluzione francese, riprende il filo di quel discorso transcontinentale sulla libertà moderna avviato da Abbattista nel brano precedente.
David S. Landes
La liberazione di Prometeo David S. Landes (nato nel 1924) è stato docente di storia in molte delle più prestigiose università americane ed è considerato uno dei più grandi storici economici in attività. Tra le sue opere più recenti, La ricchezza e la povertà delle nazioni (Garzanti, Milano 2002). In queste pagine, tratte dalla sua opera più conosciuta, riassume i tratti salienti dello sviluppo economico inglese nel Settecento, mostrandone il carattere, per l’appunto, rivoluzionario.
Nel secolo XVIII una serie di invenzioni trasformarono la manifattura del cotone in Inghilterra e diedero origine a un nuovo modo di produzione: il sistema di fabbrica. Nello stesso periodo altri rami dell’industria compivano progressi analoghi, ed essi, tutti insieme e rafforzandosi a vicenda, permisero ulteriori passi avanti su un fronte sempre più ampio. Il numero e la varietà delle innovazioni furono tali, che è quasi impossibile farne l’elenco; ma tutti si possono riassumere in tre principi: la sostituzione delle macchi ne – rapide, regolari, precise, infaticabili – all’abilità e alla fatica umane; la sostituzione di fonti inanimate di energia a quelle animali, in particolare l’introduzione di macchine 326
1. Thomas Robert Malthus (1766-1834), economista inglese, noto soprattutto per il suo Saggio sul principio della popolazione (1798)
per la conversione del calore in lavoro, che misero a disposizione dell’uomo una nuova e quasi illimitata provvista di energia; l’uso di nuove e assai più abbondanti materie prime, in particolare la sostituzione di sostanze minerali a quelle vegetali o animali. L’insieme di questi miglioramenti costituisce la Rivoluzione industriale. Essi portarono a un aumento senza precedenti della produttività umana, e con esso a un incremento so stanziale del reddito pro capite. Inoltre, questo rapido sviluppo cresceva su se stesso. Mentre in precedenza un miglioramento delle condizioni di esistenza, e quindi di sopravvivenza, e l’aumento delle possibilità economiche erano stati sempre seguiti da incrementi demogra fici che finivano per annullare i guadagni ottenuti, adesso, per la prima volta nella storia, economia e conoscenze crebbero entrambe abbastanza rapidamente per generare un flusso continuo che alzava oltre i limiti del visibile il tetto dei “freni positivi” di Malthus1 . La Ri voluzione industriale inaugurò così una nuova era ricca di promesse. Essa trasformò inoltre l’equilibrio politico, in seno alle nazioni, fra le nazioni, e fra le civiltà; rivoluzionò l’ordine sociale e mutò il modo di pensare dell’uomo così come il suo modo di agire. Nel 1760 l’Inghilterra importava circa 2 milioni e mezzo di libbre di cotone grezzo per alimentare un’industria sparsa per la maggior parte nelle campagne del Lancashire, e con nessa alla manifattura del lino, che la riforniva del robusto filo di ordito che essa non aveva ancora imparato a produrre. Tutto il lavoro veniva fatto a mano, di solito (ad eccezione della tintura e della finitura) nelle case dei lavoranti, a volte nelle piccole botteghe dei mae stri tessitori. Una generazione più tardi, nel 1787, il consumo di cotone grezzo era salito a 22 milioni di libbre; la manifattura del cotone era seconda soltanto a quella della lana per numero di addetti e valore di prodotto; la maggior parte della fibra consumata veniva pu lita, cardata e filata per mezzo di macchine, azionate alcune dall’acqua in grandi stabilimen ti, altre a mano in officine più modeste, o anche nelle case di campagna. Mezzo secolo dopo il consumo era cresciuto a 366 milioni di libbre; la manifattura del cotone era la più impor tante del regno per valore di prodotto, capitale investito e numero di addetti; quasi tutte le maestranze, tranne gli ancora numerosi tessitori che facevano uso del telaio a mano, lavo ravano in stabilimenti sotto la disciplina di fabbrica. Il prezzo del filato era sceso a forse un ventesimo di quello di un tempo, e la più economica manodopera indù non poteva com petere per qualità o quantità con i filatoi intermittenti o continui del Lancashire. I filati di cotone inglesi si vendevano in tutto il mondo: le esportazioni, maggiori di un terzo del consumo interno, avevano un valore quadruplo di quelle dei filati di lana e dei pettinati. Il cotonificio era il simbolo della grandezza industriale inglese; e l’operaio cotoniere, del suo maggiore problema sociale: la nascita di un proletariato industriale. Perché questa rivoluzione nella tecnica e nell’organizzazione della manifattura avvenne dapprima in Inghilterra? Alcune considerazioni teoriche ci possono aiutare a inquadrare il discorso. I cambiamenti tecnologici non sono mai automatici: implicano l’abbandono di metodi tradizionali, danni per gli interessi costituiti, spesso gravi sconvolgimenti umani. Così stando le cose, occorre in genere una combinazione di circostanze per suscitare e rende re possibile un nuovo indirizzo: 1) l’opportunità dei cambiamenti, a causa della insufficien za, attuale e potenziale delle tecniche esistenti, o anche la loro necessità, creata da un’autono ma lievitazione dei costi; e 2) una superiorità tale per cui i nuovi metodi siano tanto redditizi da giustificare il costo del cambiamento. Implicito nel secondo punto è l’assunto che per quanto gli utenti dei vecchi metodi, meno efficienti, tentino di sopravvivere compri mendo i costi dei fattori umani della produzione, imprenditoriali o lavorativi, le nuove tec niche costituiscono un miglioramento sufficiente a mettere in grado i fabbricanti progressisti di batterli sul prezzo e cacciarli dal mercato. I cambiamenti tecnologici che indichiamo col nome di “Rivoluzione industriale” por tarono a una rottura col passato quale che si era avuta dall’invenzione della ruota in poi. Dal lato degli imprenditori, essi richiesero una radicale redistribuzione degli investimenti e una concomitante revisione del concetto di rischio. Laddove prima quasi tutti i costi 327
SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
della manifattura erano variabili in primo luogo, materie prime e lavoro adesso essi dovettero essere immobilizzati in misura sempre maggiore in impianti fissi. La flessibilità del vecchio sistema era molto vantaggiosa per l’imprenditore: in tempi di crisi, egli era in grado di arrestare la produzione con poco danno, e di riprendere il lavoro solo quando e nella misura in cui la situazione lo rendeva consigliabile. Ora sarebbe stato prigioniero del suo investimento: una condizione che molti dei vecchi mercantimanifatturieri trovarono assai duro e a volte impossibile accettare. Per il lavoratore la trasformazione fu ancor più radicale, perché mise in gioco non solo il suo ruolo lavorativo, ma la sua stessa vita. Per molti – anche se non certo per tutti – l’in troduzione della macchina volle dire, per la prima volta, completa separazione dal mezzo di produzione: l’operaio diventò un hand, una “mano”. A quasi tutti, poi, la macchina impo se una nuova disciplina. La filatrice non poté più far girare la sua ruota e il tessitore avvol gere la sua spola a casa, senza controlli, l’una e l’altro nelle ore che preferivano; adesso il lavoro doveva essere svolto in una fabbrica, al ritmo stabilito da un attrezzo instancabile e inanimato, nell’ambito di una schiera numerosa di operai che doveva cominciare, sostare e smettere all’unisono tutti sotto l’occhio attento di sorveglianti che avevano, per assicura re la solerzia dei lavoranti, mezzi di coercizione morale, pecuniaria, e a volte anche fisica. La fabbrica era un nuovo genere di prigione; e l’orologio un nuovo genere di carceriere. D. S. Landes, Prometeo liberato. La rivoluzione industriale in Europa dal 1750 a oggi, Einaudi, Torino 1997, pp. 5558
Guida alla comprensione • Landes fornisce in primo luogo una definizione • Egli illustra poi gli effetti che la rivoluzione industriale sviluppò sotto il profilo della ferrea disintetica di rivoluzione industriale, elencando la sciplina imposta ai lavoratori dal regime di fabserie di miglioramenti produttivi connessi all’inbrica. troduzione del sistema di fabbrica in Inghilterra.
2.
Guido Abbattista
La nascita degli Stati Uniti d’America 1. James Madison (1751-1836), principale artefice della Costituzione americana del 1787 e poi presidente degli Stati Uniti d’America; Alexander Hamilton, (1755-1804), uomo politico americano, fondatore del partito federalista, e Gouverneur Morris (17521816), altro dei padri fondatori degli Stati Uniti, della cui Costituzione scrisse diversi paragrafi.
328
Guido Abbattista (nato nel 1953) insegna Storia moderna all’Università di Trieste ed è uno dei maggiori esperti italiani della rivoluzione americana (v. La rivoluzione americana, Laterza, Roma-Bari 1998) e di storia coloniale (v. L’espansione europea in Asia. Secoli XV-XVIII , Carocci, Roma 2002).
Tra il 1765 e il 1787 una crisi politicocostituzionale all’interno dell’impero americano della Gran Bretagna sfociò nella nascita di una nuova entità statale indipendente e unita ria. L’evento [ebbe] conseguenze che è difficile non definire “rivoluzionarie”. Gli Stati Uniti d’America si presentavano sulla scena internazionale con connotati politici, sociali e giuridici radicalmente diversi da quelli degli Stati europei di antico regime, compresa la madrepatria britannica. […] non semplicemente un nuovo Stato indipendente, ma un edificio politico e costituzionale privo di riscontro nel resto del mondo occidentale. […] L’opera costituente consentì la nascita di un’autorità politica e finanziaria centrale capace di assicurare le strutture necessarie al funzionamento di uno Stato nazionale moderno. Ciò fu comunque il risultato di accordi tra sezioni e gruppi diversi dell’opinione politica e degli interessi economicosociali americani. La Costituzione nel suo insieme può essere letta come una serie di compromessi tra le forze locali radicate negli Stati e le tendenze centripete dei nazionalisti (Madison, Hamilton, Morris1 ) fautori di un potere federale forte, come si può osservare in particolare a proposito del problema della schiavitù. Una delle condizioni per
IL dIbATTITO dEgLI STORICI
2. Charles Beard (1874-1948), uno dei più influenti storici americani della prima metà del Novecento. Autore di The Rise of American Civilization ( 1927). 3. farmers significa letteralmente “agricoltori”. Qui si intende il movimento dei coloni che prese parte alla guerra di indipendenza.
l’accettazione di poteri federali forti da parte degli Stati del Sud fu infatti la rinuncia tempo ranea (fino al 1808) dell’Unione a interferire in una materia come la schiavitù, che coincide va con la tutela dei più vitali e radicati interessi meridionali. La dialettica tra centro e perife ria, vera eredità dell’epoca coloniale e imperiale, risultava ora istituzionalizzata attraverso la definizione di sfere coordinate di sovranità. Essa avrebbe continuato a costituire il fonda mentale principio dinamico della vita istituzionale degli Stati Uniti, sia nel suo aspetto, per così dire, “inclusivo” – relativo cioè ai meccanismi di occupazione del territorio e di forma zione e ammissione di nuovi Stati nell’Unione (i primi sarebbero stati, alla fine del Settecen to, Vermont, Kentucky, Tennessee) –, sia dal punto di vista dei rapporti conflittuali tra poli tica locale e politica nazionale, sovranità statale e sovranità federale. Una prima espressione ne fu lo scontro tra Federalisti e Antifederalisti (o Repubblicani), che proseguì vivacemente durante le presidenze di George Washington, John Adams e Thomas Jefferson. Esso rappre sentò una contrapposizione di interessi, ideologie e interpretazioni del significato e del lasci to della rivoluzione del 1776, ma anche un contrasto sui caratteri e il futuro di una nazione ancora esitante ad accettare le prospettive di modernizzazione capitalistica e finanziaria e di individualismo competitivo fatte proprie dal nazionalismo federalista. È noto che una im portante tradizione prima politica e poi storiografica (risalente ai progressisti del primo No vecento, come Charles Beard2 ) ha sostenuto un’interpretazione della costituzione e della politica federalista come un “tradimento” dei principi rivoluzionari (il “termidoro” della Ri voluzione americana) da parte di politici portavoce di interessi economicosociali di classe a scapito delle autentiche forze della democrazia popolare che sarebbero state le protagoniste del 1776. Una simile visione, tuttavia, non solo si è rivelata insostenibile sulla base dell’ana lisi sociologica dei patrioti e dei farmers3 , ma appare anche frutto di una antistorica deforma zione delle trasformazioni avvenute tra 1776 e 1789 nelle ex colonie britanniche nell’Ame rica del Nord. Se la rivoluzione era stata compiuta per dare vita a governi liberi e repubblicani uniti in una compagine nazionale atta ad assicurare l’ordine, i diritti e le libertà individuali, pare difficile negare che la costituzione federale avesse recepito e consacrato i principi rivoluzionari. Se essa era scaturita dalla necessità di dare soluzione al problema della coesistenza tra diverse sorgenti di autorità sovrana all’interno di una comunità politica estesa, il federalismo aveva rappresentato una soluzione originale e destinata a fornire uno strumen to fino ad allora sconosciuto per il governo di società complesse. […] D’altra parte, che gli eventi americani recassero un messaggio di liberazione e una carica profetica e apocalittica apparve chiaro dal modo con cui la cultura illuminista europea fu pronta a cogliere in essi un annuncio di speranza. […] Nelle espressioni più avanzate e mature della cultura dei Lumi, la rivoluzione fu re cepita e presentata come l’aurora di un’età che reclamava per l’uomo diritti, libertà e progresso. […] Parve ai philosophes dimostrata la possibilità di una radicale rigenerazio ne dei modi di convivenza tra gli uomini. Tuttavia, prima ancora che tra fine Settecento e primi decenni dell’Ottocento movimenti autonomistici (come in Irlanda) e indipen dentistici (nelle colonie francesi delle Indie Occidentali e nell’America del Sud) traesse ro ispirazione dall’esempio degli Stati Uniti, gli uomini dei Lumi avevano percepito come la storia dell’America libera oscillasse tra l’esemplarità di un modello che poteva diventare oggetto di imitazione e l’eccezionalità di un’esperienza non ripetibile altrove. G. Abbattista, La rivoluzione americana, in Storia moderna, Donzelli, Roma 1998
Guida alla comprensione • Abbattista sottolinea il carattere assoluta- • Egli tratteggia poi le diverse posizioni presenti tra gli indipendentisti americani e ne delinea mente innovativo, sotto il profilo politico, della i compromessi riscontrabili nella Costituzione nuova nazione americana nel panorama occidentale del Settecento. americana.
329
SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
3.
Carlo Capra
Interpretare la Rivoluzione francese Carlo Capra (nato nel 1939) è uno dei maggiori storici italiani dell’età moderna e ha insegnato nell’Università di Milano. La sua opera più recente è I progressi della ragione. Vita di Pietro Verri (il Mulino, Bologna 2002). In queste pagine ricostruisce alcune fasi del dibattito storiografico sulla Rivoluzione francese. 1. Jacques Godechot (1907-1989), studioso francese della rivoluzione, e Robert Roswell Palmer (19092002), storico americano, studioso soprattutto della Francia nel Settecento 2. Alfred Cobban (1901-1968), storico inglese
3. Jean Jaurès (1859-1914), George Lefebvre (1874-1959) e Albert Soboul (1914-1982) sono tre importantissimi storici francesi
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Al 1955 risalgono sia la relazione letta a Roma, al X Congresso internazionale di scien ze storiche, da J. Godechot e R.R. Palmer1 , in cui veniva sostenuta dai due storici la tesi di una “rivoluzione atlantica” di cui gli avvenimenti francesi sarebbero soltanto un mo mento, ancorché centrale, sia la pubblicazione della prolusione tenuta a Londra l’anno precedente da A. Cobban2 con il titolo significativo “Il mito della Rivoluzione francese”. Mentre l’idea della rivoluzione atlantica [...] non ha riscosso larghi consensi, il sasso gettato da Cobban nello stagno della storiografia rivoluzionaria ha suscitato un moto on doso che ha finito per sconvolgerne e rimescolarne da cima a fondo le acque, in preceden za abbastanza tranquille. Le argomentazioni dello studioso inglese, riprese in diversi saggi e presentate in forma più organica in una serie di conferenze del 1962 stampate due anni dopo col titolo The Social Interpretation of the French Revolution, miravano infatti a scardinare le strutture portanti dell’interpretazione “ortodossa” o “classica”, dominante da J. Jaurès in poi e con sacrata dalle opere di sintesi di G. Lefebvre e A. Soboul3 , che vedeva nella grande rivolu zione sostanzialmente l’opera della borghesia diretta ad abbattere il regime feudale e a ri muovere gli ostacoli da esso frapposti allo sviluppo del capitalismo. In realtà il “feudalesimo”, secondo Cobban era ridotto alla fine dell’ancien régime a una «sopravvivenza di antiquati diritti e servigi» di cui erano largamente beneficiari elementi borghesi, i veri protagonisti della cosiddetta “reazione signorile”; la borghesia non poteva dunque avere interesse all’abolizione di tali diritti, che fu infatti conseguenza diretta della rivolta contadina; d’al tra parte «la borghesia rivoluzionaria fu composta in prevalenza dalla classe in declino degli officiers, degli uomini di legge e degli altri ceti professionali, e non da rappresentanti del commercio e dell’industria», come dimostra un’analisi della composizione delle assem blee rivoluzionarie; più in generale i conflitti sociali esplosi in Francia dal 1789 in poi non si configurano come lotte di classe in senso marxiano, ma come contrapposizioni tra città e campagna, tra poveri e ricchi, e le agitazioni di sanculotti e contadini erano dirette «non tanto contro la persistenza di un vecchio ordine feudale quanto contro l’avvento di un nuovo ordine capitalistico» [...]. La vasta eco suscitata dalle critiche di Cobban non fu effetto soltanto del piglio dissa cratore con cui furono presentate o dell’abilità con cui l’autore aveva attinto per documen tarle alle opere stesse dei maggiori esponenti della visione “ortodossa”, Lefebvre e Soboul; ma fu espressione anche della crescente difficoltà di conciliare con la vecchia teoria i risul tati delle ricerche di carattere particolare che sempre più numerose venivano condotte sulla Francia prerivoluzionaria e rivoluzionaria. [...] Gli storici marxisti, dal canto loro, hanno tardato a rendersi conto del pericolo che i nuovi indirizzi di ricerca rappresentavano per la concezione ormai consolidata della Rivo luzione francese come rivoluzione borghese, anzi «come il modello classico della rivoluzio ne borghese». Solo quando, alla metà degli anni Sessanta, due giovani studiosi legati alle “Annales” pubblicarono una nuova opera di sintesi diretta al vasto pubblico, che in uno stile assai scorrevole e brillante attaccava alcuni capisaldi della teoria “ortodossa” (la solida rietà di fondo fra le “tre rivoluzioni” del 1789, borghese, contadina e popolare, il diverso referente sociale di girondini e montagnardi, la posizione centrale assegnata nel processo rivoluzionario agli anni 17921794), essi sentirono il bisogno di intervenire con una ampia
IL dIbATTITO dEgLI STORICI
4. Claude Mazauric (nato nel 1932), è uno storico francese, allievo di A. Soboul, studioso del Settecento e della rivoluzione 5. Denis Richet (1927-1989), storico francese, esperto della rivoluzione
6. François Furet (1927-1997), storico francese, studioso della rivoluzione e del marxismo e comunismo nel Novecento
e puntigliosa confutazione affidata alla penna di Claude Mazauric4 . Ma invece di emendar si, i due “eretici” erano indotti negli anni successivi ad accentuare ancora maggiormente il loro dissenso. In un articolo pubblicato nel 1969, Denis Richet5 risaliva alla corrente ari stocratica di opposizione all’assolutismo, da Fénelon a Boulainvilliers a Montesquieu come alla vera matrice di quel liberalismo in cui alla fine dell’ancien régime si riconoscono tutte le élites nella comune opposizione al dispotismo monarchico. “Racchiudere la Rivoluzione francese del 1789 nella teoria marxista della rivoluzione” gli appariva doppiamente impos sibile. «Non vi fu, fino alla fine del xviii secolo, uno sviluppo delle forze produttive tale da imporre con la violenza la sostituzione di nuovi rapporti di produzione agli “antichi”». E soprattutto «La Rivoluzione del 1789 derivò da una duplice presa di coscienza delle élites, attraverso un lungo cammino. Coscienza innanzi tutto della loro autonomia in rap porto all’ordine politico, della necessità di controllare il potere in un secondo tempo. Coscienza unanime in cui la nobiltà giocò la parte di un’iniziatrice, di un’educatrice, ma che si allargò alla ricchezza, alla proprietà e al talento. Fu la rivoluzione dei lumi». [...] Ma l’attacco più diretto e violento contro l’interpretazione “ortodossa” della Rivoluzio ne è stato sferrato da F. Furet6 in un articolo del 1971 significativamente intitolato Le catéchisme révolutionnaire. Lo schema cui aderiscono Mazauric e Soboul è secondo Furet, «una sorta di vulgata léninopopulista» che distorce le posizioni stesse di Marx oltre a ignorare le indicazioni convergenti della ricerca storica circa l’inesistenza di una “reazione feudale” e di una con trapposizione di classe borghesianobiltà e circa l’autonomia di fondo delle rivolte popo lari e contadine. Contro il determinismo di chi vede l’intero secolo XVIII come un pro logo al 1789 e la Rivoluzione come «il prodotto strettamente necessario d’una essenza metafisica e unica, che svelerebbe in seguito, come tante bambole russe, gli episodi di cui è all’origine portatrice», Furet rivendica il ruolo creatore di «una dinamica politica e ideo logica autonoma, che bisogna concettualizzare ed analizzare in quanto tale». C. Capra, La società francese dall’antico regime alla rivoluzione, il Mulino, Bologna 1982, pp. 611
Guida alla comprensione • Capra presenta una panoramica sulle tenden- • Egli si sofferma poi in particolare sull’interpretazione offerta da una delle voci critiche più ze di ricerca che nel corso del tempo hanno recenti, quella di François Furet, secondo il messo in dubbio la tradizionale equazione riquale la Rivoluzione va considerata nella sua voluzione = borghesia = capitalismo sviluppaautonomia rispetto al terreno dell’economia. ta soprattutto dalla storiografia marxista.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. Quali sono gli aspetti che autorizzano a considerare insieme le tre rivoluzioni? 2. Landes da un lato, Abbattista e Capra dall’altro praticano generi storiografici diversi. Sapresti indicare quali? 3. Qual è il brano nel quale soprattutto vengono illustrate diverse posizioni storiografiche? 4. Quali nessi, in particolare, sembrano legare la Rivoluzione francese a quella americana? 5. Ci sono dei rapporti tra le varie rivoluzioni qui tematizzate e le grandi correnti del pensiero politico otto e novecentesco?
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SEZIONE 3
LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE Verso
VERSO L’ESAME DI STATO
le competenze
• Leggere, comprendere e interpretare un testo argomentativoinformativo di ambito storico cogliendone le diverse relazioni interne e i caratteri specifici. • Comprendere alcune peculiarità del periodo delle cosiddette “rivoluzioni atlantiche” attraverso il confronto tra aree geografiche e culturali. • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti. • Acquisire e interpretare criticamente l’informazione valutandone l’attendibilità e distinguendo fatti e opinioni. • Produrre testi scritti di tipo argomentativo di ambito storico partendo da una documentazione data.
Leggere e scrivere un articolo di giornale L’articolo di giornale L’articolo di giornale di ambito storico-politico (tipologia B), come il saggio, è un testo di natura mista, argomentativa e informativa. Vi sono varie tipologie di articoli che trattano argomenti storici: a volte l’editoriale, spesso quelli della pagina culturale o le recensioni o le interviste. L’elemento comune a questi articoli, in quanto destinati alla pubblicazione su un quotidiano o su una rivista, è il fatto che hanno un collegamento con l’attualità, per cui devono partire da una notizia o dal riferimento a un evento recente (l’inaugurazione di una mostra, la pubblicazione di un libro, la celebrazione di una ricorrenza, un convegno ecc). Riportiamo di seguito un articolo di Michael A. Hoffman intitolato Schiavi della rivoluzione industriale. L’autore, giornalista e storico statunitense, fa parte dei cosiddetti “storici revisionisti”, espressione che indica in generale gli studiosi che elaborano una rivisitazione delle interpretazioni storiografiche dominanti, proponendo delle tesi o un lessico non sempre accolti dalla comunità scientifica. Il brano che segue è da questo punto di vista esemplificativo: partendo da un episodio occasionale – una presunta mancanza di rispetto del primo ministro australiano nei confronti della regina inglese – Hoffman sintetizza con una forte carica polemica la tesi fondamentalmente “revisionista” da lui sostenuta nell’opera They Were White and They Were Slaves (letteralmente “Erano bianchi ed erano schiavi”).
Schiavi della rivoluzione industriale Anni fa, il primo ministro australiano, Paul Kea ting, rifiutò di mostrare “adeguato rispetto” verso la regina inglese Elisabetta II, durante la sua visita di Stato. In risposta, Terry Dicks, membro conser vatore del Parlamento britannico, disse: «È un Pae se di ex galeotti, quindi non dobbiamo sorpren derci della villania del loro primo ministro». Un’onta come questa sarebbe stata impensabile se 332
fosse stata pronunciata contro qualsiasi altra classe o razza eccetto i discendenti della schiavitù bianca. Il commento di Dicks fu non solo offensivo, fu da ignorante e falso. Gran parte dei “galeotti” furono inviati alla schiavitù per “delitti” come rubare sette yard di stoffa, tagliare gli alberi di una proprietà aristocratica o appropriarsi di una pecora per dar da mangiare a una famiglia che moriva di fame.
L’arrogante noncuranza per l’olocausto inflitto ai poveri ed alle classi lavoratrici bianche in Gran Bretagna dall’aristocrazia, continua ai tempi nostri perché la storia di quell’epoca è stata quasi comple tamente estirpata dalla nostra memoria collettiva. […] Fino a circa la metà del totale degli arrivi nelle colonie americane, erano schiavi bianchi ed erano i primi schiavi dell’America. Questi bianchi erano schiavi per tutta la vita, molto tempo prima che lo fossero i negri. Questa schiavitù fu perfino eredita ria: bambini figli di schiavi bianchi erano anch’essi schiavizzati. I forzati erano venduti in blocco con i bambini, separati dai loro genitori e le mogli ven dute e separate dai loro mariti. I proprietari neri si pavoneggiavano nelle strade del nord e sud Ameri ca mentre schiavi bianchi lavoravano fino a morire nelle piantagioni di canna da zucchero di Barba dos e della Giamaica e nelle piantagioni della Vir ginia. L’establishment ha creato la falsa designazio ne di “lavoratori apprendisti” per giustificare e minimizzare la “schiavitù bianca”. Ma i bianchi nell’America dell’epoca si chiamavano fra di loro “schiavi”. […] Nel 1855, Frederic Law Olmsted, l’architetto del Central Park di New York, era nell’Alabama per un viaggio di diporto e vide balle di cotone lancia te da una altezza considerevole nella stiva di un mercantile. Gli uomini che lanciavano con noncu ranza le balle erano negri, gli uomini nella stiva erano irlandesi. Olmsted ne chiese il motivo ad un operaio. «Oh», gli rispose costui, «i negri sono troppo importanti per arrischiarli; se gli irlandesi dovessero cadere in mare o se si rompessero la schiena, nessuno perderebbe niente». […] Le navi che portavano gli schiavi bianchi in Ame rica spesso perdevano metà dei loro schiavi. […] La mortalità in questi casi era tremenda, spesso più della metà. Mittleberger (un testimone oculare) racconta che vide gettare in mare 32 bambini du rante un solo viaggio. Le ditte mercantili, importa trici degli schiavi bianchi, non si preoccupavano del loro trattamento, dato che lo scopo più impor tante della transazione era di far arrivare le navi nella Carolina del Sud per caricare i prodotti locali per l’Europa. […] Inoltre, nel XVIII secolo in Gran Bretagna e in America, la rivoluzione industriale diede luogo alla costruzione di stabilimenti i cui primi lavoratori
erano bambini miserabilmente oppressi a partire dall’età di sei anni. Venivano chiusi a chiave negli stabilimenti per 16 ore al giorno e venivano stor piati dalle primitive macchine. Mani e braccia venivano regolarmente strappate. Alle bambine spesso si impigliava la capigliatura nei macchinari e venivano scalpate dalla fronte alla nuca. Bambi ni bianchi feriti o mutilati venivano allontanati senza alcun risarcimento e lasciati morire delle loro ferite. I bambini che arrivavano tardi al lavo ro o che cadevano in preda al sonno era battuti con spranghe di ferro. Nel caso che immaginaste che questi orrori erano limitati ai primi anni della rivoluzione industriale, bambini bianchi di otto o dieci anni in tutta l’America venivano impiegati in duri lavori in stabilimenti miserabili fino al 1920. A causa della prostituzione, stupidità e codardia de gli insegnanti americani e del sistema educativo, ai giovani bianchi veniva insegnato che gli schiavi ne gri, peoni messicani e coolies cinesi avevano costrui to questa nazione, mentre la gran maggioranza dei bianchi li tiranneggiava con una frusta in una mano ed un bicchiere di giulebbe nell’altra. I documenti, tuttavia, ci dicono una storia ben diversa. […] La ricca, educata élite bianca in America è l’erede malata di quello che Charles Dickens chiama in Bleak House «filantropia telescopica», la preoccu pazione per le cattive condizioni di gente distante, mentre quella della parentela nel cortile di casa vie ne ignorata. Oggi quelli che vediamo alla “televisione Turner” e che Pat Robertson chiama a torto “Canale fami glia” sono film che ci mostrano neri in catene, neri mentre sono frustati, neri oppressi. Da nessuna parte troviamo una cronaca cinematica dei bianchi che erano picchiati e uccisi in schiavitù. Quattro quinti degli schiavi bianchi inviati nelle colonie britanniche delle Indie occidentali della canna da zucchero non sopravvivevano al primo anno di servitù. Soldati e marinai della rivoluzione ameri cana arruolati in marina ricevevano fino a 200 fru state per infrazioni trascurabili, ma nessuno spetta colo televisivo alza la camicia di questi coscritti per mostrare le cicatrici sulla loro schiena. Poco è cam biato dai primi del 1800 quando i rappresentanti al Parlamento britannico misero fuori legge la schiavitù nera in tutto l’Impero. […] 333
SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
Ci sarà pace razziale solo quando la conoscenza della verità storica si sarà diffusa ed entrambi i lati negozieranno da posizioni di forza e non con le storie fantastiche della colpa dei bianchi e della unicità della sofferenza dei negri. Lascia teci dire, in molti casi i negri in schiavitù vive vano meglio dei bianchi poveri nel Sud ante guerra. […] La Bibbia dichiara che l’uomo che non cura la sua famiglia è «peggio di un infedele». Lo stesso si può dire della appartenenza razziale. L’uomo
che trascura i suoi figli per curare i tuoi non ama realmente né questi né quelli. I bianchi, autodisprezzatori e conservatori avidi che sostengono di preoccuparsi per i “diritti ci vili” dei neri e del Terzo Mondo, gettano la clas se lavoratrice del proprio popolo nel mucchio di spazzatura della storia. Coloro che si curano dei propri figli non praticano “odio”, ma bontà, che è la vera radice del mondo. M. A. Hoffman (1999), traduzione italiana in “Rinascita”, 20 maggio 2010
Il titolo Il titolo è una componente fondamentale di un articolo: deve condensare in poche parole l’idea centrale di quanto viene detto in seguito, catturando l’attenzione del lettore e proponendogli una prima chiave di interpretazione del testo. Non a caso esiste una vera e propria “retorica” dei titoli fatta di frasi ellittiche, proposizioni interrogative, figure retoriche (metafore, ossimori ecc.), giochi di parole, aggettivi “forti”. Per questo motivo, quando si scrive un articolo, è meglio definire il titolo alla fine della stesura del testo, quando si hanno le idee ben chiare su ciò che si è scritto. In questo caso il breve e incisivo titolo Schiavi della rivoluzione industriale pone in primo piano il collegamento tra il presente e il passato, usando una definizione che assume un valore assoluto, senza cioè una precisa connotazione cronologica.
La struttura e i contenuti La struttura di un articolo ruota solitamente intorno a un unico nucleo concettuale, la tesi sostenuta dall’autore, supportata da argomentazioni, dati informativi ed esempi. Per comprendere a fondo il contenuto del testo è importante leggerlo con attenzione, sottolineando i periodi e i termini chiave. Riprendiamo insieme i contenuti essenziali di ciascun paragrafo: • L’apertura dell’articolo (definita anche lead) in questo caso è costituita dal racconto di un “incidente diplomatico” incorso tra la regina inglese Elisabetta II e il primo ministro australiano, che serve a introdurre il tema centrale: la schiavitù a cui fu sottoposta la parte più povera della popolazione, spesso diventata una schiavitù “forzata” a causa di piccoli furti dettati dalla necessità. • Nel secondo paragrafo l’autore sottolinea come tale situazione in Gran Bretagna continui ancora nel presente perché – e qui inserisce un elemento importante della sua tesi – «la sto ria di quell’epoca è stata quasi completamente estirpata» dalla memoria collettiva. • Il focus si sposta dall’Europa all’America, dove si ritrovano le medesime condizioni: infatti l’autore afferma che la prima schiavitù nelle colonie americane è stata bianca. • Seguono alcuni esempi di supporto alla tesi. Individuali: – ................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................ – ................................................................................................................................................ ................................................................................................................................................
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VERSO L’ESAmE dI STATO
• L’attenzione si sposta sui bambini, le cui condizioni di vita e di lavoro, sia in Gran Bretagna sia in America, furono davvero disumane. Rispondi: in quali condizioni erano costretti a lavorare? • L’autore riprende poi il discorso relativo alla mancata consapevolezza della memoria collettiva – nonostante la presenza dei documenti storici – attribuendo responsabilità ben precise da un lato al sistema educativo americano dall’altro ai mass media. Individua tali responsabilità e completa: – Sistema educativo americano: ……………...........................................……………………….. ................................................................................................................................................ – Televisione e mass media: ………………................................................……………………… ................................................................................................................................................ • L’autore conclude ribadendo la sua tesi e affermando che una diffusa conoscenza della verità storica è alla base di una reale convivenza pacifica.
La tesi e le argomentazioni La tesi di un articolo è generalmente unica, spesso ripresa su diversi piani e supportata da argomentazioni differenti. Proviamo a schematizzare quanto emerge dall’articolo di Michael A. Hoffman. Completa la mappa concettuale dell’articolo integrando le argomentazioni, gli esempi e i dati portati a supporto della tesi.
TESI Nella storia è esistito uno “schiavismo bianco” che ha avuto un peso rilevante. Di questo nella memoria collettiva inglese e americana manca una reale consapevolezza
ARGOMENTAZIONE 1
ARGOMENTAZIONE 2
I primi schiavi nelle colonie dell’America erano bianchi e vivevano in condizioni disperate
Nel XVIII secolo in Gran Bretagna e America la rivoluzione industriale portò alla costruzione di stabilimenti i cui primi lavoratori erano bambini e lavoravano in condizioni durissime
Esempi
Esempio
Piantagioni di Barbados, Giamaica, Virginia
.................................................................
DATI A SUPPORTO • ereditarietà della schiavitù dei forzati • viaggi in condizioni disumane il cui unico scopo era far arrivare la nave per riportare le merci in Europa
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SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE
Il lessico e lo stile Una prima caratteristica di un articolo di giornale è che deve essere leggibile da tutti: di solito è scritto in modo chiaro e sintetico, con una sintassi prevalentemente paratattica nelle parti informative e ipotattica nei passaggi più argomentativi, con uno stile diretto e immediato, con frasi lineari e verbi usati soprattutto in forma attiva. Il linguaggio è tendenzialmente semplice, privo di eccessive ricercatezze linguistiche, di termini settoriali, troppo specifici o gergali. Frequente, per avvicinare il contenuto dell’articolo all’immaginario del lettore, è l’uso di figure retoriche, in particolare di metafore. Molto importante, inoltre è l’uso degli aggettivi, che non devono essere troppo frequenti, ma incisivi ed efficaci. Rileggi con attenzione l’articolo di Hoffman e cerca nel testo esempi delle caratteristiche dello stile giornalistico appena enunciate. Come ormai ben sai, per poter comprendere un testo è importante conoscere il significato di tutte le parole presenti al suo interno e pertanto, se necessario, ricorrere all’aiuto del dizionario. Ci sono parole nel testo che non conosci? Osserva i termini evidenziati in verde nell’articolo e scrivi una breve definizione (eventualmente cerca il loro significato sul dizionario). Il lavoro è avviato.
galeotti forzati, detenuti. yard unità di misura inglese lineare pari a 0,914 metri. Le informazioni e i riferimenti Per intepretare bene ciò che il giornalista vuol dire, può essere d’aiuto recuperare alcune informazioni che non sono in tuo possesso. In questo articolo, come avrai notato, sono riportati numerosi nomi di personaggi appartenenti a diversi settori (politica, commercio, cultura ecc.). A tuo giudizio, è sempre necessario avere ulteriori informazioni sulle persone citate in un articolo o può essere sufficiente quanto dice il testo? Di quali personaggi nominati da Hoffman riterresti opportuno cercare ulteriori informazioni?
Mettiti alla prova
1. Dopo aver letto con attenzione i tre documenti seguenti, sulle rivoluzioni atlantiche, individua le tesi e le argomentazioni presenti in ciascuno.
1. C’è stato uno storico che ha parlato di «disastri della rivoluzione industriale». Se con ciò voleva dire che gli anni dal 1760 al 1830 furono offuscati e intristiti da carestie, l’espressione è ineccepibile; ma se intendeva dire che l’origine delle calamità furono le trasformazioni tecniche ed economiche, il suo giudizio è certamente errato. […] Oggi, nelle pianure dell’Asia ci sono uomini e donne coperti di piaghe e affamati che conducono una vita non molto diversa, all’apparenza, da quella delle bestie che faticano con loro di giorno e dividono i loro giacigli durante la notte: questi livelli asiatici e questi orrori non meccanizzati sono il destino dei popoli che crescono di numero senza passare at traverso una rivoluzione industriale. T. S. Ashton¸ La rivoluzione industriale, 1947
2. Quando nel corso di eventi umani,a sorge la necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto ad un altro popolo ed assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza separa ta ed uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e la ricerca della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i 336
VERSO L’ESAmE dI STATO
loro giusti poteri dal consenso dei governati; che ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al popolo meglio atta a procurare la sua sicurezza e la sua felicità. Dichiarazione d’indipendenza americana, 4 luglio 1776
3. La Rivoluzione appare proprio come una rivoluzione della miseria […]. Tuttavia, non è detto che l’ulti mo periodo del XVIII secolo contenga spiegazione di tutto; non è detto che gli anni finali, anni di contrazione interciclica o di crisi, siano stati i soli ad influire sulle istituzioni. Le difficoltà economiche del regno di Luigi XVI, per quanto profondamente siano state avvertite dai contemporanei, appaiono un semplice episodio tra la Reggenza e la Repubblica. Il XVIII secolo resta in fondo un grande secolo di espansione economica, di aumento dei profitti capi talisti, di incremento della ricchezza borghese e del potere borghese. In questo senso, esso prepara la Rivoluzione della prosperità. E c’è ragione di ritenere che questo lungo periodo di progresso abbia avuto su questa rivoluzione un’influenza non minore di quelle del periodo, relativamente breve, di regresso – per quanto decisivo potesse essere quest’ultimo, essendo più vicino agli avvenimenti rivoluzionari. E. Labrousse, La crisi dell’economia francese alla fine dell’Ancien Régime e l’inizio della rivoluzione, 1944
2. Elabora ora una tua tesi personale su una delle rivoluzioni atlantiche, con relative argomentazioni, che sarà alla base di un tuo articolo destinato al giornalino scolastico. Enuncia anche eventuali antitesi. Puoi aiutarti riprendendo i capitoli 11-15 per definire meglio il contesto storico.
3. Schematizza in una mappa concettuale la tua tesi e le argomentazioni.
4. Con l’aiuto della mappa concettuale che hai elaborato, puoi dedicarti alla stesura del tuo articolo. Non dimenticare di individuare un “aggancio” con il presente e un titolo adeguato alla trattazione.
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SeZioNe 4
L’età napoLeonica e La RestauRazione a tu per tu con
Marco Meriggi
Nell’areNa della Storia
oltre la rivoluZioNe: coNtiNuità, mutameNto, reaZioNe Professore, ci siamo lasciati alle spalle l’epoca delle rivoluzioni e siamo in procinto di prendere in considerazione l’età napoleonica e quella della Restaurazione. Come si rapportano queste due sequenze della storia europea con le intense accelerazioni caratteristiche della fase precedente?
Quella napoleonica è l’epoca per eccellenza del riconoscimento del merito individuale, a prescindere dalla condizione di nascita. chi ha talento gode ora dell’opportunità di brillantissime carriere 338
direi che lo fanno nel segno della stabilizzazione. Quest’ultima, tuttavia, comporta tanto la riconferma di una parte dell’eredità rivoluzionaria quanto il ripristino di alcune caratteristiche dell’ordine tradizionale, ma bisogna distinguere. l’età napoleonica, infatti, va considerata soprattutto come esportazione al di fuori della Francia di alcune innovazioni epocali, che fino ad allora avevano avuto luogo solo nella patria della rivoluzione. l’età della restaurazione, viceversa, si presenta come il momento dell’apparente rilancio di alcune istituzioni caratteristiche dell’antico regime, ma, al tempo stesso, essa è anche contraddistinta dal mantenimento, da parte delle dinastie che tornano sul trono dopo esserne state spodestate da napoleone, di alcune delle novità introdotte da bonaparte. insomma: da un lato napoleone, nel momento in cui costruisce il suo sistema su scala europea, vi introduce qualche elemento (ma si tratta di elementi basilari) della stagione rivoluzionaria, pur sacrificandone altri; dall’altro gli stati restaurati ripropongono molti aspetti del modello napoleonico, pur cancellandone altri.
Che cosa conserva Napoleone del patrimonio ideale della Rivoluzione francese?
per “restaurazione” va inteso essenzialmente il ritorno sul trono delle dinastie regnanti prima di napoleone, ma non il ripristino degli antichi sistemi di governo
in primo luogo il principio dell’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, e dunque la cessazione dei privilegi legati alla nascita o all’appartenenza a un corpo speciale della società quale è il clero. Quella napoleonica è l’epoca per eccellenza del riconoscimento del merito individuale, a prescindere dalla condizione di nascita. chi ha talento gode ora dell’opportunità di brillantissime carriere nei ranghi dell’esercito e in quelli dell’amministrazione. inoltre, si assiste allo smantellamento del feudalesimo ovunque le armate napoleoniche mettano stabilmente piede. si sgretola così quella società aristocratica e feudale che costituiva il nucleo profondo dell’antico regime, mentre, in seguito alla vendita di molti beni sottratti dallo stato alla chiesa, si rafforza il ceto dei proprietari di origine borghese. nel vuoto spalancato dalla scomparsa dei poteri feudali si inserisce lo stato, con un apparato amministrativo sempre più ramificato, al cui interno è – di nuovo – una componente di estrazione borghese a svolgere un ruolo prevalente. in tal senso napoleone è il punto di riferimento della borghesia in ascesa, e dei suoi valori legati al merito individuale e all’attivismo economico.
Quali aspetti, invece, delle aspirazioni rivoluzionarie vanno perduti sotto Bonaparte? essenzialmente il gusto per la partecipazione attiva dei cittadini all’esercizio del potere. Formalmente le costituzioni in vigore in età napoleonica prevedono l’esistenza di corpi legislativi chiamati a rappresentare i cittadini, ma in realtà a stabilirne la composizione è il potere esecutivo. viene a dissolversi la possibilità di una costruzione del potere dal basso e si rafforza, a ogni livello dello stato, l’autoritarismo. più che davanti a un mondo di cittadini, ci si trova adesso alle prese con un mondo di amministrati: tutti uguali davanti alla legge, ma privi della possibilità di contribuire a determinarne la formazione. mai come ora, visto che non esistono più le costituzioni antiche basate sui ceti, il singolo si trova solo davanti allo stato, uno stato sempre più invadente, tanto sotto il profilo fiscale quanto sotto quello militare. in tutta europa centinaia di migliaia di giovani conoscono ora, per la prima volta, l’esperienza della coscrizione obbligatoria, un’esperienza spesso drammatica e mortale, dal momento che per tutta l’età napoleonica i paesi che
fanno parte del sistema di bonaparte si trovano in stato di belligeranza. Quando napoleone cade, molti pensatori, come alexis de tocqueville, sosterranno che l’imperatore dei francesi è riuscito là dove anche i più determinati tra i sovrani assolutisti avevano fallito, imponendosi come il più grande dei despoti di ogni epoca.
Napoleone cade nel 1815 e in molti sognano che il crollo del suo sistema porti con sé il ripristino dell’antico regime. È quanto effettivamente accade? no. si assiste, certamente, a una ripresa delle prerogative della chiesa, che era stata forse la vittima maggiore dell’epoca rivoluzionaria e napoleonica, ma le terre ecclesiastiche sequestrate e messe in vendita prima del 1815 restano in mano a chi le ha acquistate. inoltre, anche se viene restituito lustro formale alla nobiltà di sangue, i privilegi giuridici dei suoi membri non vengono riproposti. là dove è stato abolito, il feudalesimo non risorge, e lo stato, con la sua macchina amministrativa (e, soprattutto, con la sua vigilantissima polizia), conserva tutta la sua preponderanza. la società della restaurazione, come quella napoleonica, è quasi ovunque giuridicamente egualitaria, e spesso il codice civile che ne fissa i meccanismi di funzionamento è un semplice riadattamento di quello vigente in età napoleonica.
C’è una differenza tra “restaurazione” e reazione? per “restaurazione” va inteso essenzialmente il ritorno sul trono delle dinastie regnanti prima di napoleone, ma non il ripristino degli antichi sistemi di governo. la reazione sarebbe, invece, l’aspirazione a uno smantellamento radicale dei modelli di rapporto tra stato e società di matrice napoleonica, e quindi la restituzione all’aristocrazia e al clero di tutti i privilegi di cui fruivano prima della rivoluzione. ma è un sogno, e coloro che nell’epoca della restaurazione lo coltivano si troveranno sempre più isolati e anacronistici.
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SeZioNe 4
L’età napoLeonica e La RestauRazione capitolo 14 La parabola di Napoleone
p. 342
Verso le competenze
Intervista impossibile a Napoleone Bonaparte
p. 356
capitolo 15 L’Italia di Napoleone
p. 362
• il laboratorio dello storico La forza dell’ambizione: combattere per l’impero p. 358
p. 381
• il laboratorio dello storico La rivoluzione passiva e la delusione dei patrioti p. 377
p. 403
• il laboratorio dello storico i nuovi strumenti di libertà: libri, riviste, giornali p. 398
capitolo 16 L’Europa dalla Restaurazione al Quarantotto inclusione/esclusione
Il corpo elettorale
p. 406
EsErcizi
1795
1800
1805
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
p. 410
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 416
1810
1815 1812 - Campagna di Russia
storia mondiale storia italiana
1799 - Colpo di Stato di Napoleone
1815 - Congresso di Vienna 1796-1797 - Prima discesa in Italia di Napoleone. Nascita delle repubbliche “sorelle”. Trattato di Campoformio
1802 - La Repubblica cisalpina diventa Repubblica italiana 1808 - La penisola è tutta sotto il controllo francese
1799 - Fine dell’esperienza repubblicana
idee scienza e tecnica arte e letteratura 340
1814 - Sconfitta ed esilio di Napoleone
1804 - Napoleone imperatore
1804 - Codice civile napoleonico 1801 - Vincenzo Cuoco pubblica il Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799
1812 - Hegel inizia la pubblicazione della Scienza della logica 1808 - Beethoven compone la Quinta e la Sesta sinfonia
obIettIVI dI apprendImento conoscenze • L’ascesa, la vicenda e la politica di napoleone Bonaparte • La situazione della penisola italiana durante l’età napoleonica • La Restaurazione • i moti degli anni Venti e trenta e il Quarantotto abilità • saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di un fenomeno storico • saper comprendere la relazione tra eventi storici e idee • saper leggere e confrontare le carte storiche GlI eVentI e I lUoGHI Nell’area tedesca al posto del Sacro romano impero nasce la Confederazione germanica e inizia il processo di unificazione
L’Inghilterra, dopo aver combattuto e sconfitto Napoleone, prosegue il cammino del liberalismo
Il Belgio nasce come nazione indipendente
La Grecia si rende indipendente dall’Impero ottomano
La Francia sotto la guida di Napoleone conquista mezza Europa; il modello francese viene “esportato” all’estero
1820
1825
1820-1821 - Moti insurrezionali in Spagna e in Grecia
1820-1821 - Moti liberali
1819 - Schopenhauer pubblica Il mondo come volontà e rappresentazione 1820 - George Stephenson costruisce la prima locomotiva a vapore
1825 - Moto decabrista in Russia
1830
1835
1830-1831 - Moti insurrezionali in Francia, Belgio e Polonia
1831 - Nuove insurrezioni
1830 - Stendhal scrive Il rosso e il nero
1840 1837 - La regina Vittoria sale sul trono inglese
1845 1848 - Rivoluzione in Francia, Austria e nella Confederazione tedesca
1848 - Cinque giornate di Milano
1844 - Samuel Morse trasmette il primo messaggio telegrafico
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Capitolo 14
La paraboLa di NapoLeoNe 14.1 La fine della Repubblica francese e la nascita dell’Impero La Costituzione dell’anno VIII
LESSICO Plebiscito Dal latino plebiscitum, letteralmente “decisione della plebe”, nella Roma repubblicana era la legge approvata con l’intervento dell’assemblea della plebe. A partire dalla Rivoluzione francese indicò la votazione nella quale il popolo decide direttamente, senza la mediazione degli organismi di rappresentanza.
Jean-Baptiste Mauzaisse, Napoleone con il nuovo codice civile, 1832 (Malmaison, Museo del Castello)
Nel dipinto allegorico Napoleone è ritratto seduto. Tiene tra le sue mani il Codice civile da lui introdotto in Francia e nelle vaste aree conquistate. Il codice rappresentò uno degli esempi più significativi del suo operato
Questo è il tipico cappello dell’esercito napoleonico, riservato a coloro che esercitavano funzioni di comando
Il piede di Napoleone schiaccia l’aquila, che è il simbolo della corona imperiale degli Asburgo
Domina la scena la personificazione del Tempo, che incoronando il generale ne decreta l’imperitura fama
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Nel 1799 il governo della Francia era stato assunto da un Consolato composto da tre consoli, uno dei quali era il generale corso Napoleone Bonaparte (v. cap. 13, par. 13.3). Questo organismo accentuò le tendenze autoritarie già presenti all’epoca del direttorio ed elaborò una nuova Costituzione, la Costituzione dell’anno VIII, che entrò in vigore alla fine del 1799 e venne poi sottoposta a un plebiscito in occasione del quale una porzione assai rilevante della popolazione fu chiamata a pronunciarsi. i francesi la approvarono a schiacciante maggioranza, anche se con ben quattro milioni di astensioni contro tre milioni di voti a favore. Formalmente la Costituzione dell’anno Viii appariva democratica, dal momento che introduceva nuovamente l’istituto del suffragio generale maschile (come quella del 1793), ma essa non era preceduta, diversamente da quelle del passato, da una Dichiarazione dei diritti e il sistema elettorale previsto era talmente farraginoso da vanificare di fatto qualsiasi autentica potenzialità democratica e partecipativa.
Jacques-Louis David, Consacrazione di Napoleone, 1805-1807 (Parigi, Museo del Louvre)
in ciascuna delle circoscrizioni in cui la Francia era suddivisa, i cittadini designavano una rappresentanza di “grandi elettori”; questi a loro volta procedevano a eleggere una lista più ristretta, i cui componenti infine selezionavano la cosiddetta lista nazionale, dalla quale un Senato, composto da membri designati dall’esecutivo, sceglieva a proprio arbitrio i nominativi di coloro che avrebbero formato il Tribunato e il Corpo legislativo. il Tribunato aveva la funzione di discutere le leggi presentate dal governo, mentre il Corpo legislativo aveva la facoltà di approvarle o respingerle. il percorso tra le elezioni primarie e la formazione delle due assemblee rappresentative si presentava troppo lungo e tortuoso per poterlo considerare davvero democratico. Soprattutto pareva costante e soffocante l’intervento del governo (il Consolato), tanto nella designazione finale dei deputati quanto in materia di elaborazione delle leggi. di fatto, in base a questo sistema, il potere legislativo non spettò più alle assemblee rappresentative della nazione, ma se ne impadronirono i consoli, che già detenevano il potere esecutivo e, tra di loro, specialmente il “primo” console, Napoleone Bonaparte. La partecipazione attiva dei cittadini al potere – la sovranità popolare – era così di fatto impedita. Questa svolta autoritaria si consolidò negli anni successivi, fino a tradursi nella costruzione di un regime dominato da una sola persona, che imbavagliò la stampa, fece largo uso delle forze di polizia, soffocò quel fermento civile che aveva rappresentato il lievito costante degli anni rivoluzionari.
Approfondire La Costituzione del 1799
PassatoPresente Gli uomini del destino
Napoleone imperatore
Forte delle vittorie ottenute sui campi di battaglia, nel 1802 Napoleone divenne console a vita e due anni più tardi, ancora ricorrendo al plebiscito, si proclamò imperatore, incoronandosi come tale nella cattedrale parigina di Notre dame, alla presenza del pontefice pio Vii (1740-1823, papa dal 1800). entrambe le cariche erano state ottenute per mezzo dell’intervento diretto del popolo chiamato a esprimersi per mezzo di un plebiscito. La Francia cessava di essere una repubblica (lo era stata tra il 1792 e il 1804) e a reggerla era di nuovo una testa coronata. per certi versi pareva che si stesse assistendo a un ritorno in piena regola all’antico regime. Va detto, però, che l’impero napoleonico conservò molti dei principi qualificanti sanciti pochi anni prima dalla rivoluzione: l’abolizione del feudalesimo, l’eliminazione delle esenzioni e dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la tutela della proprietà privata e la libertà di iniziativa economica, da conseguire attraverso l’eliminazione dei vincoli in precedenza imposti dal sistema feudale e dalle corporazioni di arti e mestieri.
Intervista impossibile a Napoleone Bonaparte, p. 356
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
La Chiesa: una riabilitazione ambivalente
Napoleone mostra al papa e agli altri religiosi la luce che protegge il suo regno, stampa, XIX secolo
L’impero napoleonico si caratterizzò fin dall’inizio per un riavvicinamento ambivalente alla Chiesa di Roma. Ne è un esempio emblematico di grande valore l’atto simbolico che Napoleone compì al momento di salire al trono: egli si fece condurre per mano dal pontefice, dimostrando in questo modo di abbandonare la tradizione anticlericale della Rivoluzione, ma anche di non volersi sottomettere in modo incondizionato all’autorità del papa. Con quest’ultimo, intanto, aveva stipulato nel luglio 1801 un concordato (poi ratificato nell’aprile 1802 dal Corpo legislativo) che, mentre riconosceva il cattolicesimo come religione della maggioranza della nazione, attribuiva all’imperatore forti poteri di controllo sul clero, in linea di continuità con la tradizione gallicana (v. cap. 2, par. 2.3). di conseguenza bonaparte dichiarò di considerare irrevocabile l’avocazione dei beni ecclesiastici a suo tempo disposta dai rivoluzionari, così come la loro successiva cessione in mano privata in quanto beni nazionali. La Chiesa, dunque, venne riabilitata dal nuovo regime, com’è emblematicamente dimostrato anche dal fatto che nel 1802 la domenica tornò a essere considerata giorno di riposo e che quattro anni più tardi il calendario repubblicano – forse il simbolo più vistoso della “scristianizzazione” rivoluzionaria – fu abolito e riprese l’uso di quello gregoriano; ma non per questo essa tornò a costituire uno Stato nello Stato, come nell’epoca anteriore alla rivoluzione. Una nuova tipologia di potere
La Francia di Napoleone, dunque, sotto questo profilo – e malgrado la sua forma monarchica – non poteva essere considerata come una riedizione della Francia borbonica di antico regime. il variegato mosaico di corpi, ordini, privilegi, che aveva impedito in quell’epoca ai francesi di formare una cittadinanza unitaria ed egualitaria, con il passaggio dalla repubblica all’impero non fu affatto ricomposto. per quel che atteneva al loro rapporto con la legge, gli abitanti del paese continuarono a costituire un unico grande corpo, ciascuno dei cui componenti di sesso maschile godeva degli stessi diritti ed era tenuto ad assolvere gli stessi doveri. i diritti si limitavano ora però al semplice ambito civile, ovvero quello che attiene alle relazioni interpersonali, e non si estendevano più a quello politico, che riguarda invece i rapporti tra la collettività dei cittadini e il pubblico potere. Tutti uguali di fronte alla legge, i cittadini dell’impero non erano però più in grado di contribuire attivamente a determinarla, com’era invece avvenuto negli anni della rivoluzione, gli anni della partecipazione al potere. ora il governo imponeva il rispetto delle leggi con un’efficacia a cui non era mai riuscito a giungere alcun governo assolutista del passato. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - L’ascesa di Napoleone Napoleone Bonaparte primo console 1799 consolato (tre consoli)
Sièyes
Roger Ducos
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1802 - plebiscito: console a vita
1804 - plebiscito ImpeRatoRe
capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
14.2 Lo Stato napoleonico eguaglianza giuridica e autoritarismo politico
Nella Francia napoleonica non c’erano più corpi, privilegi, diritti speciali davanti ai quali l’azione dello Stato fosse costretta ad arrestarsi; però la cittadinanza non godeva neppure più del diritto di partecipare all’elaborazione della politica e di qualificarsi, perciò, come attiva titolare della sovranità. attraverso i plebisciti, che avevano portato prima all’istituzione del consolato a vita quindi dell’impero, quella facoltà era stata di fatto ceduta dalla nazione a Bonaparte, che governava in modo autoritario, senza che alcuna autentica rappresentanza nazionale potesse minimamente contrastarlo o controllarlo. Quello napoleonico era insomma un regime che poteva essere definito “democratico” sotto il profilo dell’eguaglianza giuridica degli abitanti, ma monarchico per quel che aveva a che fare con i meccanismi di controllo e di esercizio del potere. La “nazione dal basso” degli anni rivoluzionari si era trasformata ora in “nazione dall’alto”. il principale strumento per realizzare il progetto egualitario e, al tempo stesso autoritario, coltivato da bonaparte fu il rafforzamento dell’amministrazione pubblica, accompagnato dalla presenza di organi decisionali di nomina governativa al posto delle istituzioni di natura partecipativa che erano state caratteristiche della stagione democratica degli anni precedenti alla sua ascesa al potere. Legislazione e amministrazione
Sul territorio francese (e in seguito su quello imperiale) vigevano ovunque le stesse leggi; si usavano le stesse unità di misura e di peso, basate sul sistema decimale; si pagavano le tasse in base a un medesimo criterio, commisurato al reddito di cui ciascuno disponeva; si era infine tutti soggetti a prestare servizio militare. L’egualitarismo delle leggi, ordinatamente esposte nei codici – agili strumenti che tra il 1804 e il 1807 sostituirono le precedenti raccolte sparse di norme e ordinanze, introducendo per la prima volta una normativa statale unitaria – comportò la cancellazione di tutta una serie di consuetudini e di usi locali, nei quali tradizionalmente si rispecchiava la vita quotidiana della popolazione. in particolare, il Codice civile (Codice Napoleone) promulgato dall’imperatore nel marzo 1804 poneva fine ai secoli di diseguaglianza giuridica istituendo un corpo di leggi unitario valido su tutto il territorio nazionale e uguale per tutti i cittadini. alla grande varietà giurisdizionale caratteristica dei tempi passati si sostituì ora un’amministrazione centralizzata per l’intera superficie dell’impero, le cui province (denominate dipartimenti) erano tutte saldamente collegate al centro (parigi). al momento della sua massima espansione, l’impero contava poco meno di quarantaquattro milioni di abitanti e risultava diviso in centotrenta dipartimenti, alla direzione di ciascuno dei quali stava un prefetto, il cui ufficio era posto nel capoluogo dipartimentale. il prefetto era il rappresentante del governo nel dipartimento; riceveva ordini e disposizioni dal ministero dell’interno, che aveva sede a parigi, e ne curava l’esecuzione nel territorio di sua competenza. Coordinava inoltre le forze di polizia; garantiva il buon andamento dei rapporti tra il governo e le comunità presenti nel dipartimento; sovrintendeva ogni anno alle operazioni di esazione fiscale e di coscrizione militare; faceva infine redigere statistiche che consentivano al governo di valutare tanto le potenzialità quanto i problemi specifici di ciascun dipartimento. il prefetto disponeva di una rete di funzionari da lui dipendenti sparsi nelle varie località del territorio su cui esercitava il suo mandato.
LESSICO Codice In ambito giuridico il codice (dal latino caudicem, “tronco d’albero” e poi “tavoletta su cui si scriveva”) è la raccolta di tutte le leggi riguardante un determinato ramo del diritto. In seguito all’introduzione dei codici napoleonici nacquero i termini “codificare” e “codificazione”.
La copia del Codice civile appartenuta a Napoleone
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
ANALIZZARE LA FONTE
Un proclama di Napoleone Autore: Napoleone I – Tipo di fonte: proclama – Lingua originale: francese – Data: 1806 Ecco in che modo Napoleone Bonaparte commentò la vittoria dell’esercito francese nella battaglia di Jena (Germania), rivolgendo un proclama ai suoi soldati.
Soldati! Voi avete giustificato la mia attesa e risposto degnamente alla fiducia del popolo francese. Voi avete sopportato le fatiche e le privazioni con coraggio pari all’intrepidezza, al sangue freddo di cui deste prova nei combattimenti. Voi siete degni difensori dell’onore della mia corona e della gloria del Gran popolo […]. ecco i risultati delle nostre operazioni: una delle maggiori potenze militari d’europa […] è annientata. Le foreste, le gole della Franconia, la Saale, l’elba, che i nostri padri non avrebbero attraversate in sette anni, noi le abbiamo attraversate in sette giorni. […] abbiamo fatto sessantamila prigionieri, abbiamo preso sessantacinque bandiere, fra le quali quelle delle Guardie del re di prussia, seicento cannoni, più di venti generali […]. Tuttavia, più della metà di voi deplora di non avere ancora sparato neppure una fucilata. Napoleone i, Proclami, discorsi e scritti militari e politici, Sonzogno, Milano 1930, pp. 63-65 Domande alla fonte 1. La corona e il popolo. In che modo vengono accostati questi due termini nel proclama di Napoleone? 2. La generazione dei padri e quella dei figli. Come viene articolato il rapporto tra di esse in questo brano?
Un nuovo “esercito”: i pubblici funzionari
MEMO Gli intendenti erano funzionari di nomina regia, istituiti da Richelieu e potenziati in seguito da Luigi XIV. Essi erano incaricati di riscuotere le tasse e di governare le province. Furono temuti e osteggiati dai nobili che li vedevano come l’emblema della politica di accentramento del potere volta a diminuire i loro privilegi [vedi p.46].
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ogni dipartimento era diviso in un certo numero di cantoni, ciascuno controllato da un sottoprefetto, e ogni cantone in un certo numero di comuni, ciascuno affidato a un sindaco, affiancato da un consiglio comunale eletto dalla cittadinanza. Come il prefetto, così anche il sottoprefetto e il sindaco erano funzionari statali, nominati e stipendiati dal governo. dal centro (parigi, sede del governo e dei ministeri) al più piccolo angolo della periferia, l’intero territorio risultava così controllato e amministrato da un vero e proprio “esercito” di funzionari dello Stato, incaricati di imporre ovunque il rispetto delle stesse norme e di dimostrare fattivamente agli amministrati (i cittadini) che la legge era davvero uguale per tutti e che nessuna località (o nessuno strato della popolazione) poteva accampare diritti speciali o privilegi per sottrarsi a essa. Un’operazione del genere, in verità, avevano cercato di perseguirla, a suo tempo, anche i sovrani assolutisti. Già Luigi XiV, per esempio, istituendo le figure degli intendenti si era sforzato di controllare sistematicamente il territorio, ma l’autorità degli intendenti si arrestava davanti a numerose isole di immunità: per esempio le mura delle città, protette dai loro statuti speciali; o i feudi, nei quali aristocratici ed ecclesiastici esercitavano la giurisdizione in prima istanza. inoltre, nelle regioni (pays) in cui era divisa la Francia di antico regime c’erano – come sappiamo – i parlamenti, formati dalla nobiltà di toga, i quali potevano rifiutarsi di convalidare le ordinanze regie, procrastinandone a tempo indeterminato l’entrata in vigore nel territorio di loro competenza.
capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
Uno Stato democratico
Con la Rivoluzione erano scomparse viceversa tutte le tracce dell’antico regime, erano stati aboliti il feudalesimo, i parlamenti, i privilegi locali, le esenzioni, le immunità. Quella che lo Stato napoleonico e i suoi funzionari trovavano davanti a sé era una società livellata e uniforme, formata da individui tutti uguali. Su quella società gravitava, con pressione egualmente intensa ovunque, la macchina dell’amministrazione pubblica. essa era affidata a impiegati di Stato, i pubblici funzionari, che il governo nominava e stipendiava e che poteva, in considerazione delle capacità messe in mostra da ciascuno, trasferire altrove, licenziare, promuovere. il nuovo sistema amministrativo, articolato in una rete che copriva con precisione geometrica maglia per maglia l’intero territorio francese (e imperiale), per funzionare a dovere aveva però bisogno di personale ben preparato e fortemente motivato; di uomini disposti a identificare nella carriera al servizio dello Stato il proprio obiettivo esistenziale, il significato della propria vita e dei propri sforzi. Le carriere pubbliche dovevano essere aperte al merito, all’ingegno, al talento individuale: questo fu il principio che bonaparte adottò per reclutare i funzionari. a questo scopo creò un nuovo sistema di istruzione superiore: istituì licei statali in ogni città sede di Corte d’appello, università per l’istruzione in ambito umanistico e scuole politecniche per la specializzazione in matematica e in ingegneria. Tuttavia, benché statale e gratuita, di fatto l’istruzione superiore fu appannaggio soltanto dei giovani provenienti dalle classi superiori, destinati a formare il futuro corpo di funzionari statali. Gustave Courbet, L’educazione dei figli in una famiglia borghese, inizio del XIX secolo (Parigi, Collezione Bulloz)
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
14.3 La società napoleonica Uno Stato per la borghesia MEMO L’aristocrazia di toga era la nobiltà di esclusiva nomina regia, di formazione più recente rispetto alla nobiltà di spada, l’aristocrazia militare. I suoi esponenti avevano generalmente una formazione giuridica e facevano carriera come funzionari statali.
prima della rivoluzione francese le più alte cariche pubbliche erano quasi completamente appannaggio dell’aristocrazia di toga, che le trasmetteva di padre in figlio, come patrimonio privato. poi la rivoluzione, abolendo l’aristocrazia, ne aveva anche allontanato gran parte dei membri dalle responsabilità di governo. in età napoleonica fu adottata, in materia, una politica detta dell’“amalgama”. il governo, ritornato alla forma monarchica, andò in cerca di una conciliazione con l’ex aristocrazia, promuovendo la compartecipazione di alcuni suoi esponenti alle strutture di potere, ma continuò a reclutare i propri funzionari negli strati borghesi, tra le persone più capaci e meritevoli sotto il profilo personale. da un lato lo Stato, con i suoi uffici, crebbe di dimensione e di considerazione agli occhi della cittadinanza, che ne dipendeva in modo esclusivo e che a esso doveva obbedienza e rispetto; dall’altro, a impersonare questo Stato nuovo, efficiente e onnipotente al tempo stesso, furono soprattutto figure provenienti da quello che prima della rivoluzione si chiamava il Terzo stato, rappresentative dunque non del vecchio mondo dei corpi privilegiati ma della nuova nazione dei cittadini, un insieme di individui a ciascuno dei quali erano accordate le stesse possibilità di salire i gradini della piramide sociale e di conseguire onori e ricompense per i propri meriti e per la fedeltà allo Stato. Una nuova aristocrazia per dare forza all’esercito
i prefetti, i sottoprefetti, i sindaci, elementi fondamentali della griglia amministrativa realizzata da Napoleone, organizzati in modo rigidamente gerarchico e dipendenti dal ministro dell’interno, garantivano il buon funzionamento degli uffici statali e il mantenimento dell’ordine pubblico. Ciò consentiva al monarca di perseguire il proprio progetto “democratico” e monarchico.
APPROFONDIRE
Vecchi e nuovi tiranni secondo Tocqueville lexis de Tocqueville (1805-1859) fu uno dei più importanti A esponenti del pensiero liberale nell’Europa dell’Ottocento. Nel 1856 scrisse un’opera dal titolo L’antico regime e la rivoluzione, nella quale criticava duramente l’accentramento amministrativo consolidato in Francia dal regime napoleonico, individuando in esso una forma di dispotismo assimilabile a quello esercitato dai sovrani assoluti, anche se basato sull’omaggio a quei principi di eguaglianza che la Rivoluzione aveva proclamato. Difensore del ruolo dell’aristocrazia, che considerava essenziale ai fini della difesa della libertà degli individui dall’onnipotenza statale, Tocqueville evidenzia nel brano seguente – tratto dall’opera citata – gli aspetti di continuità fra la “tirannia” dei sovrani settecenteschi e l’autoritarismo a base egualitaria praticato da Napoleone: «L’antico regime in realtà racchiudeva in sé tutto un insieme di istituti moderni, che non erano ostili all’eguaglianza e potevano trovare agevolmente il loro posto nella società nuova, offrendo così al dispotismo le più favorevo348
li condizioni […]. Si riprese tra le rovine l’accentramento, e lo si restaurò; e poiché mentre esso risorgeva era distrutto tutto ciò che fino ad allora aveva potuto limitarlo, dalle viscere di una nazione che aveva rovesciato la monarchia uscì all’improvviso un potere più esteso e più assoluto di quello che i nostri re avevano esercitato». Tocqueville tende a istituire un nesso obbligante tra eguaglianza e dispotismo. Diversamente da quanto abbiamo fatto noi, identifica l’antico regime più con l’aspetto dell’autoritarismo dei monarchi che con quello dei privilegi e delle esenzioni dell’aristocrazia e del clero; e, in base a questa identificazione, elabora la sua analisi sul rapporto intrattenuto dall’età napoleonica con l’eredità dell’antico regime. È una lettura a suo modo pienamente legittima, di cui qui abbiamo riportato uno stralcio per mostrare l’ampio margine di discrezionalità che è sotteso all’analisi critica degli storici, che possono interpretare lo stesso evento in modo anche radicalmente opposto.
capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
Due rappresentanti dell’esercito napoleonico: a sinistra, un corazziere; a destra, un soldato di fanteria
Lo Stato napoleonico non esitò comunque a riproporre qualche sparso bagliore dell’antico regime. Nel 1808 Napoleone, a ormai quattro anni dalla cessazione della repubblica, dette infatti vita a una nuova aristocrazia titolata. di principi, duchi, marchesi, conti, baroni in Francia ormai da tempo non si sentiva più parlare. Viceversa, ora di quei titoli si tornava a fare uso; però, più che come prova di un ripudio dello spirito della rivoluzione, questa iniziativa va considerata come esempio di contaminazione tra la forma dell’antico regime e la sostanza di quello nuovo. La nobiltà napoleonica risultò infatti formata solo per il 22,5% da esponenti di famiglie già aristocratiche prima del 1789, mentre per il 58% essa si compose di figure provenienti dagli strati elevati dell’ex Terzo stato e per il 19,5% di persone di estrazione popolare. Con la concessione di titoli onorifici si mirava a ottenere il consolidamento del consenso di quegli strati sociali cresciuti con la rivoluzione: proprietari terrieri, operatori economici, professionisti, pubblici funzionari e militari. obiettivo di Napoleone e della politica di nobilitazione da lui promossa era soprattutto quello di rinsaldare i legami tra imperatore ed esercito. ben il 59% di coloro che vennero da lui nobilitati si era guadagnato considerazione pubblica prestando servizio nell’esercito, dove il principio del pieno riconoscimento dei meriti individuali veniva applicato con estrema consequenzialità, e dove poteva accadere che anche una persona di umili origini arrivasse a indossare l’uniforme da generale. La nobilitazione napoleonica, tuttavia, non comportò l’attribuzione delle esenzioni e dei privilegi di cui aveva fruito l’aristocrazia di sangue durante l’antico regime. Chi ne veniva insignito godeva certamente di un’accresciuta considerazione pubblica, ma per il resto restava un cittadino uguale a tutti gli altri. anche sotto questo profilo, il regime di bonaparte finì per presentarsi come un’originale combinazione tra vecchio e nuovo. del vecchio riprese alcune ritualità e alcuni tratti esteriori; del nuovo conservò molta della sostanza egualitaria, pur cancellandone l’aspirazione alla libertà e alla democrazia partecipativa.
Il laboratorio dello storico La forza dell’ambizione: combattere per l’Impero, p. 358
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
14.4 La politica espansionistica L’Impero si ingrandisce
Georges Rouget, Il matrimonio di Napoleone I e Maria Luisa d’Austria, 1837 (Versailles, Museo del Castello)
LESSICO Blocco continentale Insieme delle norme emanate da Napoleone tra il novembre 1806 e il dicembre 1807 allo scopo di impedire l’accesso di tutte le navi provenienti dall’Inghilterra o dalle sue colonie ai porti dell’impero e dei territori europei sottoposti a protettorato francese.
L’inizio della costruzione dell’impero in Francia corrispose a un breve periodo di tregua nella guerra che da anni contrapponeva il paese della rivoluzione a gran parte dell’europa, ma nel 1805 gli scontri ripresero. Napoleone subì inizialmente una clamorosa sconfitta a Trafalgar, presso Cadice, da parte dell’Inghilterra che, nel frattempo, aveva costituito una terza coalizione antifrancese. Nello stesso anno però l’esercito francese vinse gli austriaci e i russi ad Austerlitz e nel 1806 i prussiani a Jena. a questo punto Napoleone poté aggiungere ai territori che, in forma diretta o indiretta, rientravano nel sistema imperiale il Veneto, l’Istria, la Dalmazia, il Tirolo, il Regno di Napoli, la Baviera e parte della stessa Prussia. Nuove campagne nell’europa centro-orientale, nel 1807, portarono a Napoleone l’acquisizione di altre parti della Germania e di gran parte del territorio polacco. La vittoria napoleonica ebbe tra le sue conseguenze la definitiva dissoluzione del Sacro romano impero. Forte di queste vittorie, Napoleone decise di attuare il blocco continentale dell’Inghilterra, il solo paese che pareva ancora in grado di resistergli: non potendo vincerla sui mari, per l’indiscussa superiorità della flotta inglese, provò a indebolirla danneggiando la sua principale fonte di ricchezza, il commercio. obbligò così tutti i porti dell’impero e dei paesi sottomessi nei due anni precedenti a respingere le navi inglesi e a rifiutarne le merci. per rendere il blocco più efficace, Napoleone cercò di conquistare un saldo controllo su tutte le coste europee. Nel 1807 invase quindi il Portogallo che nel giro di un anno venne però liberato dagli inglesi. Nel 1808 fu la volta della Spagna e dello Stato pontificio, che passarono sotto il controllo della Francia. Mentre lo zar Alessandro aveva deciso di scendere a patti con l’imperatore francese (pace di Tilsit), l’austria invece nel 1809 cercò la rivincita, ma fu nuovamente sconfitta nella battaglia di Wagram del 1809. Napoleone pretese di avere in sposa la figlia dell’imperatore austriaco, Maria Luisa d’asburgo. I principi della Rivoluzione: dalla Francia all’europa
Con le sue luci, le sue ombre, le sue ambiguità, il sistema napoleonico entro il 1812 fu esportato in gran parte d’Europa. Non tutti i paesi che entrarono direttamente a far parte dell’orbita francese adottarono secondo le stesse identiche modalità il modello istituzionale vigente in Francia. in ognuno di essi, però, la legislazione sancì i principi fondamentali che la rivoluzione aveva proclamato: l’unicità François Gérard, La battaglia di Austerlitz, 1805 (Castello di Versailles). La battaglia di Austerlitz, detta anche “battaglia dei tre imperatori” (Alessandro I, zar di Russia, Francesco II, imperatore d’Austria, e Bonaparte), viene generalmente considerata il capolavoro militare di Napoleone. Egli, infatti, riuscì a dirottare le forze austro-russe su uno dei fianchi laterali dell’esercito francese che aveva intenzionalmente indebolito, per poi contrattaccare al centro, che era rimasto parzialmente sguarnito, sconfiggendo separatamente i due tronconi divisi dell’esercito
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capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
della legge, l’eguaglianza dei cittadini di fronte a essa, l’abolizione dei privilegi dell’aristocrazia e del clero. Fu insomma in età napoleonica, quando ormai in Francia essa poteva dirsi conclusa, che gran parte del continente conobbe la “rivoluzione”; a portarvela e a imporvela furono gli eserciti guidati da bonaparte. La strategia militare e territoriale di Napoleone si basò su due punti fermi. il primo consistette nell’espansione pura e semplice della Francia nella sua nuova forma istituzionale di impero. esso nel 1812, al momento della sua massima estensione, arrivò a comprendere, oltre alla Francia, anche il Belgio, l’Olanda, la Catalogna, una porzione consistente della penisola italiana e della Germania, nonché le coste e l’entroterra di gran parte dell’adriatico orientale (Slovenia, Croazia, Dalmazia). il secondo si esplicitò nella creazione di una costellazione di Stati satelliti dell’Impero, affidati a familiari o congiunti dell’imperatore (il regno d’italia, quello di Napoli, quello di Spagna, il Granducato di Varsavia) oppure a regnanti a lui fedeli (e fu il caso della Confederazione renana).
Storiografia F. Furet - D. Richet Le armate francesi esportano la rivoluzione
al di fuori del sistema napoleonico
Fuori dal quadro del dominio diretto o dell’influenza indiretta napoleonica – fuori, cioè, da quello che si configurò durante la sua breve esistenza come il più vasto impero europeo dall’epoca di Carlo Magno – rimasero fondamentalmente l’Inghilterra, la Russia degli zar, l’Impero ottomano, il Portogallo (tranne la breve occupazione dei francesi tra il 1807 e il 1808), la Svezia e le isole di Sardegna e di Sicilia, nelle quali si erano rifugiati, sotto la protezione inglese, rispettivamente i Savoia e i borbone di Napoli. L’Europa napoleonica nel 1812 REGNO DI NORVEGIA Oslo
Stoccolma
mare del Nord REGNO DI GRAN BRETAGNA Londra
REGNO DI SVEZIA
REGNO DI Copenaghen mar DANIMARCA Baltico
OLANDA
PRUSSIA GNO DI
RE Berlino
BELGIO Francoforte
oceano Atlantico
Parigi
IMPERO FRANCESE
REGNO DI PORTOGALLO
Madrid
Praga
CONFEDER. DEL RENO
IMPERO RUSSO
Varsavia
Impero francese
GRAND. DI VARSAVIA
Stati dipendenti da Napoleone Stati alleati di Napoleone Stati indipendenti
IMPERO Vienna D’AUSTRIA
CONFED. ELVETICA
Budapest
BELGIO
Paesi che adottano il Codice napoleonico
Milano Torino REGNO Parma D’ITALIA Genova
Lisbona
REGNO DI SPAGNA
Roma
REGNO DI SARDEGNA
REGNO Isole Baleari Napoli DI NAPOLI mar Mediterraneo Cagliari Palermo
IMPERO OTTOMANO
REGNO DI SICILIA
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
ambivalente fu invece, negli anni tra il consolidamento dell’impero e l’inizio della sua crisi, la posizione del regno di Prussia e dell’Austria degli asburgo. essa variò a seconda degli anni, oscillando tra la linea della non belligeranza, quella della guerra aperta e quella della sottomissione alla legge del più forte, ben evidenziata dal matrimonio di Napoleone con la figlia di Francesco i d’asburgo, e dalla sofferta alleanza tra Napoleone e l’austria che ne derivò per qualche tempo, coinvolgendo anche la prussia. La sfida inglese e la campagna di Russia
Fu soprattutto l’Inghilterra a rappresentare in modo continuativo una minaccia per il consolidarsi dell’impero napoleonico. essa fu il solo paese sistematicamente presente in tutte le coalizioni che, tra il 1793 e il 1815, si opposero alla potenza francese. L’ossessiva e vana ricerca di realizzare un efficace blocco continentale nei suoi confronti rappresentò alla fine la principale causa della crisi che si abbatté sull’impero napoleonico a partire dalla disastrosa campagna di Russia del 1812. poiché lo zar era venuto meno agli accordi stabiliti nella pace di Tilsit del 1807, rivendicando una politica economica autonoma e la sospensione del blocco continentale nei confronti dell’inghilterra, l’esercito francese attaccò la Russia nel giugno 1812, convinto di piegarla con poche vittoriose battaglie. invece la penetrazione nel vasto e inospitale territorio russo si rivelò sempre più difficile. Lo zar, riprendendo una tecnica già utilizzata da pietro il Grande contro gli svedesi, impose al suo esercito di non impegnarsi in uno scontro diretto, ma di ritirarsi facendo però terra bruciata alle sue spalle per togliere ogni rifornimento al nemico. Così i francesi furono costretti a far arrivare dalla lontana Francia gli approvvigionamenti. Tuttavia essi riuscirono a raggiungere Mosca già il 14 settembre, ma qui furono coinvolti nell’incendio intenzionale della capitale che li privò di alloggi, vettovaglie e bottino. Napoleone attese invano la richiesta di pace da parte dello zar. Ciò che arrivò fu invece l’inverno che lo costrinse a decidere la ritirata. era però troppo tardi: il clima rigidissimo, la mancanza di viveri e di un equipaggiamento invernale e i continui attacchi dei cosacchi trasformarono la ritirata in un inferno. il colpo decisivo venne inferto dai russi al passaggio del fiume Beresina. Qui tra il 25 e il 27 novembre 1812 decine di migliaia di francesi persero la vita nel vano tentativo di superare le acque gelate del fiume. Ernest Meissonier, La campagna di Russia, 1814 (Parigi, Museo d’Orsay)
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capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
Francisco Goya y Lucientes, Los fusilamientos, 1814 (Madrid, Museo Nazionale del Prado). Il quadro raffigura un episodio della resistenza spagnola contro i francesi
La crisi del progetto imperiale: la guerriglia spagnola
Già prima della campagna di russia molti dei territori che componevano l’europa napoleonica avevano cominciato a dare evidenti segnali di rigetto per le innovazioni imposte da Bonaparte. erano tutti paesi nei quali non si era avuta alcuna autentica rivoluzione interna, e dove dunque in vasti strati della popolazione la fedeltà allo spirito tradizionale dell’antico regime prevaleva sull’adesione ai nuovi principi egualitari e individualistici. in Spagna, in particolare, l’occupazione francese era stata subito seguita da un’insurrezione di massa, che aveva rappresentato la prova evidente dello scarso gradimento, da parte della maggioranza degli abitanti di quel paese, per una trasformazione percepita come un’imposizione dall’esterno. Gli spagnoli mal sopportavano la scelta del nuovo sovrano, Giuseppe Bonaparte, fratello di Napoleone. Guidate dall’aristocrazia e dal clero, imponenti masse di spagnoli, appartenenti soprattutto ai ceti popolari, diedero vita, a partire dal 1808, a un movimento di guerriglia – ovvero a una mobilitazione militare condotta con continue e violentissime azioni di disturbo e di sabotaggio nei confronti dell’esercito occupante –, sostenuto finanziariamente e logisticamente dagli inglesi, che tenne in scacco l’esercito napoleonico in Spagna fino alla caduta dell’impero, costringendolo a subire perdite rilevantissime e a consumare altrettanto cospicue risorse finanziarie. Già nel marzo 1812 la Spagna del Sud (l’andalusia) risultava liberata dall’occupazione francese e le Cortes riunite a Cadice dai ribelli emanavano una Costituzione che, facendo intensamente leva sul sentimento nazionale, avrebbe dovuto rappresentare l’ossatura politicoistituzionale di una nuova Spagna, monarchica e popolare al tempo stesso.
LESSICO Costituzione di Cadice Elaborata sul modello di quella francese del 1791, fu un importante punto di riferimento per i movimenti liberali dei primi decenni del XIX secolo in tutta Europa. Essa, pur ristabilendo i poteri della monarchia borbonica, prevedeva la sovranità nazionale e la separazione dei poteri.
La reazione nazionalista della prussia
Nel 1808 in Prussia, da poco militarmente umiliata e territorialmente smembrata da bonaparte, il filosofo romantico Johann Gottlieb Fichte (1762-1814) pubblicava i suoi Discorsi alla nazione tedesca, vibrante chiamata all’appello delle energie morali e spirituali di un popolo sollecitato a scuotersi dalla paralisi che l’aveva colpito e a rivendicare con orgoglio la diversità dei propri costumi nazionali rispetto a quelli di pretesa universalizzante imposti dai francesi nei territori occupati o controllati. Negli anni seguenti, a quella di Fichte si sarebbero aggiunte in prussia e in altre parti della Germania e dell’austria molte altre voci, destinate a confluire nel 1813 in una vasta mobilitazione culturale e civile a sostegno della ripresa della guerra contro Napoleone. 353
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Lo sfruttamento finanziario
ad alimentare l’acrimonia antinapoleonica in europa non c’erano, peraltro, soltanto motivi riconducibili all’esportazione forzata delle istituzioni francesi, così come esse si erano venute stabilizzando sotto bonaparte. per i motivi che si sono appena spiegati, la Francia imperiale infliggeva ai suoi Stati-satelliti o ai paesi che aveva sconfitto pesanti contributi finanziari, sottraendo loro risorse, ricchezze, uomini da immettere nella sua macchina militare. Negli ultimi anni dell’impero quel malessere, che già mezza europa conosceva, cominciò a prendere piede con sempre maggiore intensità anche in Francia, dove si venne allargando di giorno in giorno il fronte del rigetto nei confronti di un governo che pretendeva dai propri sudditi un prezzo altissimo per alimentare i sogni di dominio di un uomo che era divenuto potente sui campi di battaglia, e che ancora attraverso le guerre confidava di perpetuare la propria gloria. Tuttavia, a determinare il crollo dell’impero di bonaparte non fu tanto il venir meno del consenso della popolazione, quanto piuttosto proprio l’indebolimento di quell’esercito, che negli anni di espansione del sistema aveva fatto la sua fortuna. L’europa delle dinastie alla ricerca di un rilancio
dopo aver dominato per più di un decennio l’europa, Napoleone fu sconfitto quando la sua armata venne dispersa e resa inoffensiva da quelle stesse potenze (oltre all’Inghilterra e alla Russia, la Prussia, l’Austria e la Svezia) che, dopo essere state sconfitte a più riprese nei primi dieci anni del secolo dalle truppe francesi, avevano deciso di trasformare anch’esse la struttura del proprio apparato militare, imitando il principio della leva di massa introdotto dalla rivoluzione francese, e accompagnando questa innovazione con un forte richiamo propagandistico alla natura “popolare” e nazionale delle dinastie regnanti. Le ultime mosse di Napoleone (1812-1815) Impero francese
Mosca
Stati dipendenti da Napoleone Stati alleati di Napoleone
mar Baltico
mare del Nord
n
pr
Waterloo
Dne
Bruxelles
ina
me
Berlino
Campagna di Russia
I “cento giorni”
Nie
res
Vilna
Principali battaglie Ritirata di Russia e sconfitta di Napoleone
Covno Be
Stati indipendenti
Borodino Smolensk
Lipsia
Parigi Fontainebleau
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Vienna
oceano Atlantico
Cannes
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Elba
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mar Tirreno mar Mediterraneo
354
mar Ionio
capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
anche su questo piano, e non solo su quello meramente strategico-militare, vanno dunque lette le ultime, malinconiche sequenze della grande avventura napoleonica, scandite dalle sconfitte inflitte all’esercito imperiale prima in russia poi, a opera della sesta coalizione antifrancese, a Lipsia nella cosiddetta “battaglia delle nazioni” dell’ottobre 1813. alla fine del marzo 1814 Parigi fu invasa dall’esercito russo e Napoleone fu costretto ad abdicare ottenendo in cambio dallo zar la possibilità di formare un piccolo regno sull’isola d’Elba. I cento giorni
Il sistema di dominio napoleonico in Europa crollò. in Francia tornò a regnare un borbone, Luigi XVIII, fratello del re ghigliottinato (Luigi XVii, figlio di Luigi XVi, era morto all’età di soli 10 anni durante la rivoluzione francese). Nel marzo 1815 Napoleone fuggì dall’isola d’elba e sbarcò in Francia nei pressi di Cannes dove fu accolto con entusiasmo dai suoi soldati e da quanti erano delusi per la fine dell’impero. il 20 marzo raggiunse parigi e si insediò sul trono, mentre Luigi XViii fuggiva dal paese, ma il suo regno durò solo cento giorni. i sovrani europei, infatti, uniti nella settima e ultima coalizione, nel giugno del 1815 lo sconfissero definitivamente nella battaglia di Waterloo, nei pressi di bruxelles. Napoleone si consegnò agli inglesi che lo mandarono in esilio a Sant’Elena, un’isola nell’oceano atlantico. Qui rimase sotto il loro controllo fino alla morte, avvenuta il 5 maggio 1821. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - L’avventura napoleonica Data
eVeNto
1795
Occupazione francese della riva sinistra del Reno. Annessione del Belgio
1796-99
Occupazione francese di gran parte degli Stati italiani e della Confederazione elvetica
1799
Austro-russi e inglesi riconquistano la penisola italiana
1800-1806
Rioccupazione francese della penisola italiana, escluso lo Stato pontificio
1806
Istituzione della Confederazione renana, sotto il controllo di Bonaparte Scioglimento del Sacro romano impero e rinuncia di Francesco I d’Asburgo al titolo imperiale
1807
Istituzione del Regno di Vestfalia (ex Prussia occidentale) e del Granducato di Varsavia, Stati satelliti dell’Impero francese La Confederazione renana si estende a tutta la Germania, escluse la Prussia orientale e l’Austria Occupazione francese del Portogallo
1808
Ritiro francese dal Portogallo La Francia occupa la Spagna e lo Stato pontificio
1809
Occupazione francese della Galizia La Carniola, la Carinzia, Fiume, Trieste (già territori austriaci) entrano a far parte insieme all’Istria e alla Dalmazia dell’Impero francese
1812
Campagna di Russia e disastrosa ritirata francese Inizia il crollo del sistema napoleonico in Europa
1813
Germania, Svizzera, Olanda si svincolano dal sistema napoleonico In Spagna tornano sul trono i Borbone
1814
Austriaci e prussiani fanno il loro ingresso vittorioso a Parigi: Napoleone è costretto ad abdicare e a ritirarsi nell’isola d’Elba, mentre i sovrani da lui spodestati tornano sui loro troni I confini della Francia vengono riportati alla situazione del 1792
1815
Marzo-giugno: Napoleone fugge dall’Elba e cerca di rilanciare la sfida alle potenze alleate che l’hanno sconfitto (i “cento giorni”) Definitiva sconfitta di Napoleone a Waterloo e suo esilio nell’isola di Sant’Elena, dove muore nel 1821
355
D Bonaparte, siete considerato l’uomo che più ha contribuito alla nascita del mondo moderno nell’Europa continentale. E un impero vasto come quello che, al momento del vostro apogeo, siete arrivato a dominare è paragonabile solo a pochissimi altri nella storia. Come avete raggiunto un tale risultato?
R Nel bene e nel male, io sono un figlio della Rivoluzione. Prima del 1789 una storia come la mia non sarebbe stata possibile. Sono nato in Corsica nel 1769, pochi mesi dopo che Genova aveva ceduto l’isola alla Francia. A casa mia, dunque, la prima lingua era l’italiano, e la mia famiglia apparteneva alla piccola nobiltà corsa, che contava davvero molto poco. Con un po’ di fortuna riuscii a frequentare la scuola militare in Francia e nel 1785 venni nominato sottotenente d’artiglieria, in una guarnigione di provincia. Durante i primi anni della Rivoluzione frequentavo la frangia di sinistra dello schieramento politico, e fu grazie ad Augustin Robespierre, un fratello di Maximilien, che fui promosso generale di brigata. I miei meriti non erano legati alla nascita; li avevo mostrati sui campi di battaglia. Quando Robespierre venne deposto e ghigliottinato, io finii per qualche tempo in prigione, e poi radiato dall’esercito. Per tornare in auge, dovetti attendere un cambiamento della situazione politica. La mia ascesa riprese nel 1795. Poi, negli anni successivi, mi imposi come il condottiero più abile e coraggioso di cui disponesse il mio paese, che era in guerra contro tutto e tutti. A 27 anni, nel 1796, guidai l’armata d’Italia alla conquista della penisola.
Intervista impossibile - 5 domande a
NapoleoNe
BoNapaRte
e
Tra la primavera del 1798 e l’autunno R No. Il mio impero era diverso dalle mo- Madame de Staël, che del 1799 condussi la spedizione d’Egitto, narchie che la Rivoluzione aveva combat- è considerata una delle La monarchia allo scopo di indebolire gli inglesi, dan- tuto. L’aristocrazia di sangue e il clero vi capostipiti del romantineggiando i loro traffici nel Mediterraneo. giocavano un ruolo marginale e penaliz- cismo e che, sebbene che io ho E, malgrado la sonora sconfitta che l’am- zante rispetto a quello che erano abituati l’avessi costretta ad fondato miraglio Nelson inflisse alla mia flotta ad a svolgere, mentre tutti i cittadini erano andare in esilio in Sviz- aveva un Abukir, tornai in patria carico di gloria e di eguali di fronte alle leggi. Quando, nel zera, aveva costituito considerazione. 1808, istituii una nuova nobiltà, lo feci per uno dei punti di riferi- presupposto premiare soprattutto i funziona- mento più attivi dell’op- democratico: ri e i militari che servivano fe- posizione liberale al l’eguaglianza delmente lo Stato, e, dunque, la mio governo, mi definicollettività dei suoi abitanti. I va un «Robespierre a dei cittadini codici che feci introdurre in cavallo». tutta Europa, man mano che i miei eserciti dilagavano da un D Napoleone, la vostra più grande capo all’altro del continente, delusione qual è stata? sancivano i principi fondamen- R Certamente le sconfitte militari, tali di un diritto che poteva ben che a partire dalla campagna di Rusdirsi – anch’esso – figlio della sia, con i suoi quasi 700 000 caduti Rivoluzione. tra le fila del mio esercito, si sono susseguite l’una all’altra. Ma soD È allora che cominciò la vostra D Tuttavia, se si guarda la carta prattutto il dissenso popolare che avventura nella politica? politica d’Europa all’epoca del ha cominciato a riversarsi contro di massimo fulgore del vostro impero, si me in Spagna, e che poi si è esteso R Come comandante dell’armata d’Italia, e ha l’impressione che il continente sia a macchia d’olio a tutti i paesi che poi come conquistatore dell’Egitto, in realavevo assoggettato. Avevo pensato tà già negli anni precedenti avevo acquisi- governato non certo dal popolo, ma da di governare per il bene dei popoli, to esperienza. La responsabilità di gestire una nuova dinastia, quella dei Bonaparte. Avete installato fratelli e ma i popoli erano ormai determiil governo in quei paesi aveva contribuito a parenti alla testa di tutti i regni satelliti nati a governarsi da sé. E, del resmussare il radicalismo che professavo ai sto, attraverso le rivolte che cotempi di Robespierre. Tornando in Francia del vostro impero. Non è così? dall’Egitto, capii che il mio paese era alla R Sì, una dinastia, è vero. Ma che dinastia! minciarono a esplodere da un ricerca di ordine e di autorità, dopo tanti Una dinastia nuova, tutta diversa da quelle capo all’altro del mio impero, era sconvolgimenti. E chi poteva garantirla me- vecchie di secoli e imbevute di alterigia ari- come se mi venisse, tutto di un stocratica. I Borbone e gli colpo, presentato il conto per la glio di un geniale comanAsburgo hanno dovuto violenza che avevo esercitato nedante dell’esercito? A noNel bene e nel piegarsi al mio dominio. I gli anni precedenti, sconvolgenvembre del 1799 feci parte, primi li ho scacciati dalla do abitudini inveterate, introducon Sieyès e Roger-Ducos, male, io sono Spagna e dal Mezzogiorno cendo innovazioni dall’impatto del “triumvirato” che tratun figlio della continentale d’Italia, oltre esplosivo, drenando tutte le riteggiò la nuova Costituzioa impedire loro a lungo di sorse necessarie ad alimentare Rivoluzione. ne. Quando, nel febbraio tornare in Francia. Ai se- l’architettura degli Stati che del 1800, un plebiscito la Prima del 1789 condi ho sottratto molte stavo plasmando. Ho dato una approvò, fui primo console, province e poi, nel 1809, grande scossa all’Europa, ma fornito di poteri che asso- una storia come ho obbligato Francesco alla fine sono rimasto vittima migliavano molto a quelli di la mia non d’Asburgo a darmi in spo- anch’io delle reazioni a catena un dittatore. Si può dire che sarebbe stata sa sua figlia, Maria Luisa. che ne sono derivate. l’epoca alla quale ho dato il Masticava amaro, il giorno nome – l’età napoleonica – possibile del matrimonio, e qualcucominci qui. no mi ha detto che andaD In quel momento la Francia era va ripetendo che gli pareva incredibile che ancora una repubblica. Quattro anni sua figlia – una principessa Asburgo – più tardi, nel 1804, la trasformaste stesse convolando a nozze con un «piccoinvece in un impero. Non vi sembra di lo nobiluomo corso e soldato della rivoluavere, in questo modo, tradito lo spirito zione». E poi, la monarchia che io ho di quella rivoluzione di cui, pure, avete fondato aveva un presupposto democratidichiarato di sentirvi figlio? co: l’eguaglianza dei cittadini. Non a caso,
Il laboratorio dello storico
La forza dell’ambizione: combattere per l’Impero
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Un esercito di giovani Parigi, 1797: siamo alla fine dell’epoca del Direttorio e per il momento il potere è ancora in mano ai civili, ma il quartetto che fa orgogliosamente mostra di sé nell’illustrazione riportata qui sotto preannuncia una svolta che è imminente e che consegnerà a Bonaparte le redini della nazione.
Stampa rappresentante i generali francesi che nel 1797 mostrano fieri le loro conquiste, 1797 circa, stampa acquerellata (Parigi, Biblioteca Nazionale).
al centro i generali Charles Pichegru e Jean Victor Moreau srotolano le carte dell’Olanda e della Renania
a destra compare Napoleone Bonaparte, da solo, con la sua conquista personale: la penisola italiana
ora il generale Louis Lazare Hoche (il primo a sinistra) mostra fiero la mappa della Vandea, di cui ha vittoriosamente represso l’insurrezione antirivoluzionaria
Napoleone rappresentava un prodotto esemplare dell’età rivoluzionaria, di un’epoca, cioè, durante la quale, caduti gli antichi pregiudizi di rango, nessun traguardo pareva più precluso all’ambizione individuale i quattro generali dell’esercito della repubblica sono tutti molto giovani. Napoleone all’epoca ha appena ventotto anni. ancora alla vigilia della rivoluzione oltre i sette decimi degli ufficiali francesi erano nobili; e la percentuale arrivava a toccare il 100% nei gradi più alti. poi, tra il 1789 e il 1792, gran parte di essi aveva abbandonato la Francia, andando a ingrossare le fila degli emigrati. Si era così creato un vuoto che negli anni seguenti consentì a moltissimi giovani di valore, capaci di dare buona prova di sé sui campi di battaglia, di salire al vertice di una gerarchia un tempo assolutamente impenetrabile per chi non fosse di nobili origini 358
capItOLO 14 - La paraBOLa dI NapOLEONE
La nazione armata I giovani che, carichi di entusiasmo, salirono ai vertici dell’esercito agli inizi erano quasi tutti – Napoleone incluso – vicini all’ideologia giacobina. Con il tempo finirono per moderare il proprio radicalismo politico e, tuttavia, rimasero fedeli a un destino che era stato schiuso loro dai grandi rivolgimenti sociali della Rivoluzione: dovevano la loro sfavillante carriera al talento individuale e molti di loro avevano raggiunto posizioni di comando dopo aver fatto il proprio ingresso nell’esercito come soldati semplici. Sotto la loro guida, l’Europa si arrese al dominio della Francia. Ma che cosa aveva reso possibili le loro vittorie? All’inizio certamente anche la passione rivoluzionaria. Poi, però, soprattutto un fattore che viene acutamente evidenziato in questa pagina del trattato La guerra, scritto dal generale prussiano Karl von Clausewitz (1780-1831), un uomo che aveva affrontato a più riprese l’esercito repubblicano e poi imperiale sui campi di battaglia europei:
L’idea della nazione armata, ovvero l’obbligatorietà del servizio militare, prestato a sorteggio dai giovani tra i venti e i venticinque anni, con alcune eccezioni (gli sposati, coloro che avevano famigliari a carico, gli ecclesiastici e più tardi anche coloro che, in caso di sorteggio, fossero stati in grado, volendolo, di pagarsi un sostituto): fu questo il principio sul quale si costruì la forza prima dell’esercito repubblicano, poi di quello imperiale
Mentre, secondo il modo abituale di vedere le cose, tutte le speranze erano riposte in una forza militare assai ridotta, nel 1793 fece la sua apparizione una forza quale nessuno aveva immaginato […]. La guerra divenne improvvisamente una questione che riguardava il popolo, un popolo di trenta milioni di persone, ognuna delle quali si considerava un cittadino dello Stato. Così trasformata per opera di bonaparte, questa potenza militare, basata sulla forza dell’intera nazione, marciò, tutto travolgendo e distruggendo, attraverso l’europa, con tale sicurezza e decisione che laddove essa si scontrò con eserciti di vecchio tipo non si ebbe il minimo dubbio sull’esito del conflitto […] da bonaparte in poi, la guerra, col coinvolgere la nazione nella sua totalità […] ha assunto un carattere completamente nuovo.
diversamente da quanto accadeva negli eserciti di antico regime, gli ufficiali non avvertivano infatti estraneità o distacco dai loro uomini, dal momento che spesso – come abbiamo appena visto – avevano anch’essi cominciato la loro avventura militare nei ranghi inferiori, come soldati semplici
K. von Clausewitz, Della guerra, di a. bollati ed e. Canevari. Mondadori, Milano 1970
in seguito all’introduzione della leva generale, il numero dei soldati francesi schierati in campo giunse ad aumentare fino a dieci volte e, solo quando anche le potenze in guerra contro Napoleone si decisero ad adottare lo stesso sistema, le sorti del conflitto cominciarono a mutare
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state adoperate due fonti di tipo diverso. La prima è una fonte iconografica, che, come si può osservare, per il modo in cui è stata realizzata, sembra avvicinarsi alla tecnica di comunicazione propria del fumetto. La seconda è una fonte scritta, di poco successiva all’epoca trattata in questo capitolo, che offre una riflessione su uno dei nodi essenziali emersi dalla narrazione, vale a dire la metamorfosi della guerra in impresa di massa. • In che modo la tecnica adoperata in questa stampa può aver contribuito a diffondere un messaggio di fiducia tra le centinaia di migliaia di giovani francesi chiamati ad assolvere il servizio militare? • L’autore del brano che costituisce la seconda fonte è uno degli avversari che si contrappose a Napoleone durante le sue campagne. La sua riflessione suggerisce un atteggiamento di rifiuto o di interesse per le innovazioni in ambito militare introdotte da Bonaparte?
359
capItOLO 14
LA PARABOLA DI NAPOLEONE
Mappa Consolato
Costituzione dell’anno VIII Passaggio dalla democrazia formale al regime personale con l’arma del plebiscito: • 1802 console a vita • 1804 imperatore
IMpErO dI NapOLEONE
politica interna
politica estera
Riabilitazione della Chiesa (concordato del 1801), sebbene in subordine allo Stato
Progressiva espansione con creazione di Stati satelliti su tutta l’Europa continentale
Diffusione in Europa dei principi della Rivoluzione francese
Autoritarismo politico Creazione di una nuova aristocrazia titolata ma senza privilegi e reclutata perlopiù dal Terzo stato Eguaglianza giuridica attraverso i codici ma assenza di democrazia partecipativa Amministrazione centralizzata e divisione del territorio in dipartimenti, cantoni, comuni
Blocco continentale per ostacolare l’Inghilterra Fallimento del blocco continentale e disastrosa campagna di Russia
Rientro a Parigi, 100 giorni
Esilio e morte a Sant Elena
Sconfitta a Waterloo
Sconfitta a Lipsia (1813), esilio all’Elba
Uniformità legislativa, monetaria, fiscale Carriere dei funzionari aperte al merito
360
Creazione di licei, università, politecnici
capItOLO 14
LA PARABOLA DI NAPOLEONE
Sintesi 14.1 LA FINE DELLA REPUBBLICA FRANCESE E LA NASCITA DELL’IMPERO dopo il colpo di Stato del 18 brumaio 1799, in Francia il governo era stato assunto da un Consolato formato da tre membri; nello stesso anno il popolo approvò la Costituzione dell’anno Viii che affidava il potere esecutivo e parte di quello legislativo al primo console: Napoleone Bonaparte che impresse al paese una svolta autoritaria. Napoleone, forte delle vittorie ottenute sui campi di battaglia europei come generale in difesa della rivoluzione, divenne il protagonista della storia di Francia, di cui cambiò il corso servendosi dell’istituzione del plebiscito: nel 1802 Napoleone si fece proclamare console a vita e nel 1804 imperatore. Finiva così il periodo rivoluzionario. L’impero napoleonico si caratterizzò fin dall’inizio per un riavvicinamento ambivalente alla Chiesa di Roma: nel 1801 un concordato riconosceva il cattolicesimo come religione della maggioranza della nazione, ma al tempo stesso attribuiva all’imperatore forti poteri di controllo sul clero. 14.2 LO STATO NAPOLEONICO il regime instaurato da Napoleone manteneva molti dei diritti civili conquistati con la rivoluzione: l’abolizione del feudalesimo, l’eliminazione dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici, l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, la tutela della proprietà privata e la libertà di iniziativa economica. in tutto l’impero fu introdotta una legislazione uniforme (Codice civile, 1804) che superava definitivamente il particolarismo giuridico dell’antico regime. Tuttavia i francesi persero i loro diritti politici, la possibilità di partecipare al potere che Napoleone cercava di concentrare nelle sue mani. a questo scopo promosse una rigorosa riforma dell’amministrazione, creando un corpo di funzionari statali: prefetti, sottoprefetti e sindaci nominati dal centro esercitavano il potere rispettivamente nei dipartimenti, nei cantoni e nei comuni in cui la Francia era stata suddivisa. per formarli, furono istituiti licei, università e scuole politecniche.
14.3 LA SOCIETà NAPOLEONICA Furono rinsaldati i rapporti con i gruppi dominanti della Francia prerivoluzionaria: oltre che con il clero e la Chiesa di roma, Napoleone cercò una conciliazione con l’ex aristocrazia, promuovendo la compartecipazione di alcuni suoi esponenti alle strutture di potere. accanto alla vecchia aristocrazia, nel 1808 Napoleone istituì anche una nuova aristocrazia titolata di cui fecero parte, però, soprattutto coloro che si erano distinti all’interno dell’esercito, spesso di umili origini. L’obiettivo era soprattutto quello di rinsaldare i legami tra l’imperatore e le sue armate. 14.4 LA POLITICA ESPANSIONISTICA Napoleone esportò il suo modello imperiale in gran parte dei territori conquistati nella guerra che lo oppose alle potenze europee, coalizzate contro di lui. Sconfitte l’austria (battaglia di austerlitz), la prussia (battaglia di Jena) e neutralizzata la russia (pace di Tilsit), egli cercò di danneggiare l’inghilterra, l’unico paese che non riusciva a vincere militarmente, istituendo il blocco continentale con il quale impedì a tutti i paesi sottomessi al dominio francese di commerciare con l’inghilterra. Tuttavia, proprio il fallimento di questa strategia segnò l’inizio del declino dell’impero napoleonico, culminato nella campagna di Russia del 1812, nella quale l’esercito francese fu costretto a una catastrofica ritirata che costò la vita a migliaia di soldati. perso il suo prestigio, Napoleone fu sconfitto a Lipsia nel 1813 e costretto ad abdicare nell’aprile 1814. esiliato sull’isola d’Elba, egli tentò di riprendere il potere nel 1815, facendo leva sul malcontento dei ceti popolari e dell’esercito, delusi dal ritorno dei borbone sul trono di Francia. Ma i sovrani europei, nuovamente coalizzati contro di lui, lo sconfissero definitivamente nel giugno 1815 a Waterloo. Napoleone fu esiliato sull’isola di Sant’elena, dove morì nel 1821.
361
Capitolo 15
L’ItaLIa dI NapoLeoNe
15.1 L’Italia delle “repubbliche sorelle” La “liberazione” dell’Italia
Nel 1796 il direttorio affidò a Napoleone Bonaparte la campagna militare in Italia, che fu un insperato successo. Il generale francese scese in Italia nel 1796, alla testa di alcune decine di migliaia di soldati, allo scopo di affrontare due delle potenze che formavano la coalizione antifrancese: il Regno di Sardegna e l’Austria. Con una campagna travolgente, che mise in luce il suo genio militare, le sconfisse entrambe. a differenza di Federico II di prussia, al quale si ispirava, Bonaparte non guidava un esercito da lui stesso creato e organizzato. Lo strumento delle sue prime vittorie era uscito dalla fucina della Rivoluzione francese: una macchina da guerra potenzialmente efficiente, ancora inceppata dallo scarso senso di disciplina e dallo spirito di avventura dei volontari del primo periodo rivoluzionario. Bonaparte ne fece il primo esercito contemporaneo, articolato in divisioni che consentivano scioltezza di movimenti e facilità di manovra. L’armata d’Italia rispose in pieno alle ardite concezioni di guerra del suo nuovo comandante e gli consentì di istituire nei territori italiani conquistati alcune repubbliche, che vennero dette “sorelle” di quella francese. La battaglia di Marengo (Versailles, Museo del Castello)
Il quadro raffigura la battaglia di Marengo, combattuta il 14 giugno 1800 a Spinetta Marengo, presso Alessandria, fra le truppe napoleoniche e l’esercito austriaco Alla testa delle truppe compare Napoleone Bonaparte, un condottiero dalle doti eccezionali, esaltate da un’approfondita cultura militare
Accentratore in forma assoluta, egli ebbe a dire ai suoi generali (che nel dipinto lo seguono ascoltando le sue direttive): «Attenetevi strettamente ai miei ordini: io so ciò che devo fare»
Grazie alla sua abilità di condottiero, Napoleone realizzò quell’unità di comando che spesso mancò alle coalizioni nemiche e che fu uno dei segreti delle vittorie francesi
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La firma del Trattato di Campoformio con cui Napoleone cedette il Veneto all’Austria (1797), litografia a colori, XVIII secolo (Parigi, Biblioteca Thiers)
Napoleone dopo la vittoria sui Savoia e sugli austriaci promosse, tanto nei territori occupati quanto nelle aree a essi più vicine (v. carta a p. 364), la formazione di governi provvisori. Questi risultarono composti perlopiù da figure che avevano manifestato adesione alla Rivoluzione francese e che intendevano ora favorire la diffusione nella penisola di quell’esperienza di partecipazione democratica della cittadinanza al potere che la Francia aveva conosciuto negli anni precedenti. Sull’onda dell’occupazione militare francese si formarono, tra il dicembre 1796 e l’estate 1797, due repubbliche rivoluzionarie: • la Repubblica ligure, comprendente territori già facenti parte della Repubblica oligarchica di Genova; • la Repubblica cisalpina, sorta nel maggio 1797 in seguito alla fusione dell’amministrazione generale della Lombardia con la Repubblica cispadana (territori dell’ex ducato di Modena e Reggio e Legazioni dello Stato pontificio), entrambe istituite appena dopo l’arrivo dei francesi e ora unificate. Tra il 1798 e il 1799 si assistette poi alla trasformazione in repubbliche democratiche di altre porzioni della penisola: • la Repubblica romana, istituita nel 1798 dopo aver espulso il pontefice dai suoi territori; • la Repubblica napoletana (o partenopea) e la Repubblica di Lucca, sorte nel 1799. Quando, nello stesso 1799, gli eserciti francesi si impadronirono a febbraio del Piemonte, e a marzo della Toscana, gran parte dell’Italia si trovò, in una forma o nell’altra, sotto la diretta influenza francese.
LESSICO Cisalpina / Cispadana Il prefisso cis in latino significa “di qua da”, quindi i due aggettivi indicano rispettivamente un territorio “al di qua delle Alpi” (rispetto a Roma) e uno “al di qua della pianura padana”.
Il Trattato di Campoformio
Gran parte dei territori veneti passarono invece in mano austriaca, in base al Trattato di Campoformio, siglato da Bonaparte il 17 ottobre 1797, che stabiliva la cessione della plurisecolare repubblica di Venezia all’austria, alla quale andarono anche l’Istria e la dalmazia. In cambio Napoleone ottenne il riconoscimento della Repubblica cisalpina e l’acquisizione del Belgio. 363
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
REPUBBLICA FRANCESE
L’Italia delle repubbliche sorelle (1797-1799) IMPERO D’AUSTRIA
REPUBBLICA ELVETICA Ginevra
SAVOIA
Trento
Milano RE CISPUB PIEMONTE B
Venezia
REGNO DI UNGHERIA
Trieste
AL
Torino Genova
L P IC DUC. DI INA A PARMA Parma
REP. LIGURE REP. DI LUCCA
Lucca
Bologna Firenze
TOSCANA
REP. DI S. MARINO Ancona
LM
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REPUBBLICA ROMANA Corsica
In occasione del congresso di fondazione della Repubblica cispadana, tenutosi nel dicembre 1796 a Reggio Emilia, uno dei partecipanti, Giuseppe Compagnoni (1754-1833), aveva proposto l’adozione di quella bandiera tricolore bianca, rossa e verde che era destinata a diventare in seguito lo stendardo del nostro paese
STATO DEI PRESIDI
REGNO DI SARDEGNA
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Roma Pontecorvo Benevento Napoli
IMPERO OTTOMANO
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REP. DI
o RAGUSA Cattaro Bari
REPUBBLICA PARTENOPEA
Taranto
mar Tirreno
Cagliari
mar Mediterraneo Territori ceduti all’Austria secondo il Trattato di Campoformio
mar Ionio
Palermo REGNO DI SICILIA
Catania
Repubbliche sorelle
Il trattato gettò nello sconforto quanti nei mesi precedenti avevano combattuto per una trasformazione della Serenissima in repubblica democratica, sperando contemporaneamente in una liberazione dell’intera Italia dal dominio delle vecchie dinastie (tra questi il poeta Ugo Foscolo, che espresse il proprio dolore per la patria tradita nel romanzo Le ultime lettere di Jacopo Ortis). I primi “patrioti” italiani
MEMO Nella seconda metà del Settecento alcuni sovrani in Europa e in Italia realizzarono importanti riforme almeno in parte ispirate ai principi dell’Illuminismo. Vennero perciò detti “sovrani illuminati”. Le riforme erano volte soprattutto a ridurre i privilegi del clero e dei nobili e a riformare l’apparato amministrativo [vedi pp. 180 ss.].
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Gli aderenti italiani alle idee della Rivoluzione francese definivano se stessi “patrioti”; l’appellativo di “giacobini”, con il quale sono passati alla storia, venne in realtà, all’epoca, affibbiato loro con disprezzo dai sostenitori del vecchio ordine, che intendevano screditarli, accostando il loro operato a quello di cui si era reso protagonista Robespierre durante il terrore (v. cap. 13, par. 13.3). al loro interno si potevano distinguere almeno due correnti principali. La prima era formata da appartenenti a una generazione più anziana, che vedeva nella discesa dei francesi in Italia l’occasione propizia per portare a compimento il processo riformistico avviato nella seconda metà del Settecento dai sovrani illuminati della penisola e arenatosi dopo lo scoppio della Rivoluzione francese. La seconda, che reclutava i propri adepti tra i più giovani, era composta invece da figure che proprio nel radicalismo estremo della Rivoluzione si erano formate, chi procurandosi clandestinamente la stampa parigina (e subendo, magari per questo, arresti e processi negli ultimi anni dell’antico regime), chi recandosi in prima persona sul teatro degli eventi e partecipando attivamente alla lotta politica della Repubblica francese.
capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
I temi del radicalismo patriottico: libertà, unità, democrazia
Quando, nel 1796, il governo provvisorio di Milano (l’amministrazione generale della Lombardia) bandì un concorso sul tema Quale dei governi liberi meglio convenga alla felicità dell’Italia, numerosi furono i “patrioti” che risposero al quesito caldeggiando la formazione di un’Italia unita, repubblicana, indipendente, anche se posta sotto la protezione della “sorella maggiore” francese, e retta da istituzioni democratiche che non si limitassero a sancire l’eguaglianza giuridica tra i cittadini, ma che garantissero invece anche processi di redistribuzione della ricchezza e di realizzazione della giustizia sociale. per loro, in altre parole, la repubblica unitaria rappresentava la naturale cornice politico-istituzionale di una comunità nazionale egualitaria, accomunata dall’uso della stessa lingua e dalla capacità di autogovernarsi liberamente. L’eventuale persistenza della tradizionale frammentazione territoriale della penisola, anche se in forma repubblicana, veniva da loro accostata – e in quanto tale paventata – alla struttura istituzionale dell’antico regime, ai suoi particolarismi, alle sue ineguaglianze, alla sua mentalità, così sensibile al tema dei privilegi. Quello a cui ci si trovava davanti era l’atto di nascita di quel partito “democratico” che avrebbe, nei decenni seguenti, rappresentato l’anima più battagliera del movimento risorgimentale italiano (v. capp. 17 e 18).
Valligiani bergamaschi innalzano un albero della libertà sull’esempio dei rivoluzionari francesi, stampa, fine del XVIII secolo
Il moderatismo delle repubbliche sorelle
Non tutti i “giacobini” italiani concordavano però con soluzioni così estreme, e nelle repubbliche, man mano che l’organizzazione provvisoria cedeva il passo a quella definitiva, gli elementi più radicali furono in genere allontanati dalle responsabilità di governo, ma continuarono a battersi per la diffusione delle proprie idee attraverso le pagine dei giornali e all’interno dei club sorti nelle principali città sulla falsariga di quelli attivi in Francia negli anni ruggenti della Rivoluzione. Le truppe francesi entrano a Napoli nel gennaio 1799 (Versailles, Museo del Castello)
L’armata francese, a ranghi ordinati e compatti, fiera delle proprie vittorie e dei propri ideali, fa il suo ingresso nella città del Vesuvio
Una folla confusa di popolani, sin lì fedeli ai Borboni, sciama terrorizzata davanti a tanta schiacciante superiorità delle forze avversarie. Confuso nella massa in fuga, si intravede qualche figura di religioso
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
ad assumere la guida delle repubbliche furono, invece, i più moderati, preferiti da Bonaparte per la loro maggiore malleabilità. Il disegno napoleonico era infatti certamente innovatore, ma al tempo stesso assai cauto rispetto a quella esigenza di partecipazione democratica che ispirava le proposte politiche dei “patrioti” più accesi. L’influenza francese e la fine delle repubbliche
MEMO La seconda coalizione antifrancese si formò nel 1799, mentre Napoleone era in Egitto, e contribuì a indebolire il Direttorio, preparando il terreno per il colpo di Stato di Napoleone e la formazione del Consolato [vedi p. 308].
L’influenza francese si espresse in due modi: da un lato con l’abbattimento delle istituzioni dell’antico regime (abolizione della nobiltà, del feudalesimo, dei privilegi di ceto, passaggio dalla forma monarchica a quella repubblicana, attacco ai beni materiali e al potere spirituale della Chiesa); dall’altro con l’imposizione alla popolazione di una rovinosa pressione fiscale da parte dei militari francesi. Questi ultimi, occupati molti dei territori della penisola, ne erano divenuti di fatto padroni e talvolta, oltre a requisire quanto era loro necessario, non esitavano a effettuare ruberie di vario genere. Milano, Genova, Roma, Napoli, e anche la piccola Lucca: furono queste le capitali delle repubbliche “democratiche” italiane del cosiddetto triennio rivoluzionario. esse si rivelarono creature fragili, pronte a cadere non appena le sorti del conflitto tra la Francia e il resto d’europa fossero mutate. Cosa che avvenne nel 1799, quando, tra maggio e giugno, cessarono di esistere prima la Repubblica cisalpina, poi la Repubblica ligure, quella di Lucca (che conservò lo stesso nome ma tornò a essere oligarchica, come lo era prima dell’arrivo dei francesi), quella romana e – in un tragico bagno di sangue – anche quella napoletana. a provocare la fine dell’esperienza repubblicana furono soprattutto gli attacchi congiunti degli eserciti e delle flotte della seconda coalizione antifrancese, che ricollocarono sui troni i regnanti appena spodestati; ma essi non furono l’unica causa. I sanfedisti contro la rivoluzione napoletana
La strage compiuta nel maggio 1799 dalle bande del cardinale Ruffo ad Altamura, in Puglia, contro la popolazione che aveva aderito alla Repubblica partenopea (Napoli, Museo nazionale di San Martino)
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a Napoli non furono gli eserciti delle potenze antifrancesi a far crollare la repubblica. Lo fece, invece, un’armata di contadini (ma, in parte, anche di briganti) guidata da un religioso, il cardinale Fabrizio Ruffo (1744-1827), che dalla Calabria risalì fino alla capitale e che, una volta entrata in città, si accanì contro i filofrancesi.
capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
L’esercito “popolare” di Ruffo si batteva contro la rivoluzione e per l’affermazione dei valori cattolici, ovvero della “santa fede”. per questo i suoi componenti vennero chiamati “sanfedisti”. Fu soprattutto in omaggio al loro feroce fanatismo e all’odio nei confronti del laicismo professato dai repubblicani, che il sovrano, una volta ripreso il controllo della città, decretò ben centoventi condanne a morte, che andarono a colpire il meglio dell’intellettualità cittadina (una parte della quale, pure, aveva partecipato in prima persona alla stagione illuministica napoletana del Settecento, collaborando a suo tempo con gli stessi Borbone, prima di schierarsi nel 1799 sul fronte repubblicano-rivoluzionario): figure come, tra gli altri, Mario pagano, Vincenzio Russo, eleonora Fonseca pimentel, destinate a passare alla storia come i primi martiri per l’affermazione della moderna idea di libertà in Italia. Veniva così per la prima volta drammaticamente evidenziandosi quanto fosse problematica un’alleanza politica tra le élite laiche e colte e le masse contadine illetterate e spiritualmente soggette all’egemonia ecclesiastica. Questo problema irrisolto si sarebbe spesso ripresentato nella storia d’Italia e avrebbe scandito l’incerto e incompiuto processo di crescita di un paese minato dalla frattura tra ceti dirigenti e gente comune costretta a subire come una violenza o, nella migliore delle ipotesi, indotta ad accettare passivamente l’esperienza del rinnovamento e della rottura della tradizione. Ma a rifiutare le novità “francesi” non fu solo il Mezzogiorno; sommosse popolari contro le repubbliche democratiche, e per il ripristino del vecchio ordine, ebbero luogo anche altrove, dalla Lombardia all’emilia, dalla Liguria alla toscana, all’Italia centrale. In alcuni di questi casi, peraltro, quelle sommosse non rappresentavano qualcosa di inedito, ma semplicemente la riproposizione di rivolte divampate già prima della discesa in Italia dei francesi, e tese a respingere la riforme (per esempio in materia di liberalizzazione del commercio dei grani) sviluppate da alcuni governi dell’assolutismo illuminato.
LESSICO Sanfedismo Il nome deriva da “santa fede” e indica il movimento antirivoluzionario a carattere popolare costituitosi nel 1799 nel Mezzogiorno. Il termine è stato poi in seguito a più riprese utilizzato per definire atteggiamenti di impronta reazionaria e clericale.
Il laboratorio dello storico La rivoluzione passiva e la delusione dei patrioti, p. 377
APPROFONDIRE
Il fallimento delle repubbliche: l’interpretazione di Vincenzo Cuoco Napoli e nel Mezzogiorno la caduta della reA pubblica democratica evidenziò in forma particolarmente drammatica anche un fenomeno, che aveva peraltro avuto modo di manifestarsi in tono minore anche in altre parti d’Italia: il forte distacco tra gli aderenti alle idee della rivoluzione – relativamente pochi e reclutati perlopiù tra le fila dei ceti colti, negli strati medio-alti del Terzo stato o nella giovane aristocrazia – e la gran massa della popolazione. Sebbene i governi delle repubbliche sorte tra il 1797 e il 1798 avessero cercato di promuovere la partecipazione alla democrazia e la diffusione delle idee di eguaglianza e libertà, gli strati più umili del popolo erano rimasti fondamentalmente sconcertati dalle innovazioni portate dai francesi e tendevano a dimostrarsi affezionati ai valori e alle istituzioni precedenti.
Storiografia V. Cuoco, La “rivoluzione passiva”
L’avrebbe messo in luce il politico ed economista napoletano Vincenzo Cuoco (1770-1823), nel suo Saggio storico sulla rivoluzione napoletana, pubblicato nel 1801 e destinato a divenire, nella prima parte dell’Ottocento, il principale punto di riferimento del “partito moderato” che, pur aspirando all’indipendenza della penisola, tendeva a respingere l’universalismo delle idee rivoluzionarie di matrice francese e a valorizzare le tradizioni locali dei vari Stati italiani, talvolta anche nei loro tratti conservatori e paternalistici.
Bandiera e armi del cardinale Fabrizio Ruffo, uomo politico e consigliere di Ferdinando IV di Borbone, in nome del quale, nel 1799, riconquistò i territori della repubblica partenopea (Napoli, Museo nazionale di San Martino)
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Napoleone Bonaparte e le sue truppe attraversano, nel maggio 1800, il valico del Gran San Bernardo per raggiungere la pianura Padana (Berna, Landesbibliothek)
15.2 L’Italia dei regni napoleonici Dalle repubbliche ai regni
In seguito alla vittoriosa battaglia di Marengo contro gli austriaci, nel giugno 1800 gran parte della penisola italiana cominciò a ritornare sotto il controllo diretto o indiretto della Francia. I successivi trionfi di Napoleone sui campi di battaglia, tra il 1800 e il 1809, produssero in seguito la situazione che è documentata dalla carta d’Italia del 1810 (v. p. 369). a quella data, come nei primi mesi del 1799, tutti i precedenti sovrani della penisola risultavano allontanati dai loro troni o confinati nelle isole maggiori (i Savoia in Sardegna, i Borbone di Napoli in Sicilia, sotto la protezione inglese). tuttavia tra l’Italia del 1799 e quella di dieci anni dopo c’erano molte differenze. La prima era fatta di repubbliche, la seconda di regni, dal momento che la seconda Repubblica cisalpina, istituita nel 1800 e poi ridenominata Repubblica italiana, era stata trasformata in Regno d’Italia nel 1805, mentre la forma repubblicana non era stata affatto introdotta quando, nel 1806, i francesi avevano conquistato il Regno di Napoli. L’Italia del 1799, malgrado la pesantezza dell’occupazione militare francese, aveva dato spazio ai riti caratteristici della democrazia (libertà di stampa, esperienza della politica nei circoli e nei club), favorendo la partecipazione al potere di almeno una parte della cittadinanza; la seconda rappresentava invece una replica di quel progetto di organizzazione dall’alto del potere, che s’era imposto anche nella Francia napoleonica e che aveva comportato il soffocamento della democrazia. tra l’una e l’altra c’era insomma la stessa distanza che separava il clima politico della Francia della Rivoluzione da quello dell’Impero napoleonico. L’Italia del 1796 e quella del 1815
Tra il 1796 e il 1815 la penisola italiana dunque si trasformò: Stati e staterelli scomparvero perché aggregati in unità politiche più vaste. all’inizio del 1797, a un anno dalla prima discesa dei francesi, la penisola risultava ancora formata da nove Stati diversi (il Regno di Sardegna, la Repubblica di Genova, il ducato di parma, la Repubblica cisalpina, la Repubblica di Venezia, la Repubblica di Lucca, il Granducato di toscana, lo Stato della Chiesa, il Regno di Napoli e Sicilia), ai quali andavano aggiunti tre minuscoli territori (la Repubblica di San Marino, lo Stato dei presidi, il principato di piombino) formalmente autonomi, ma in realtà da intendere come dipendenze di Stati più grandi. 368
capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
Nel 1810, invece, la parte continentale della penisola si presentava divisa, fondamentalmente, in tre porzioni: i dipartimenti italiani dell’Impero francese (di cui facevano parte, di fatto, anche i minuscoli principati di Lucca e di piombino, assegnati a parenti di Bonaparte), il Regno d’Italia (Lombardia, Veneto, trentino, ex ducato di Modena e Reggio, l’emilia, la Romagna e le Marche già pontificie) che aveva per capitale Milano e sul cui trono sedeva come viceré eugenio Beauharnais (1781-1824, viceré dal 1805 al 1814), congiunto di Napoleone; e il Regno di Napoli retto da un ex generale napoleonico, Gioacchino Murat (1767-1815, re dal 1808), anch’egli imparentato con Bonaparte. Le isole maggiori (Sardegna e Sicilia), che avevano perso la parte continentale dei loro rispettivi regni, ospitavano invece le dinastie spodestate dei Savoia e dei Borbone. a quest’ultima data – con l’eccezione delle isole maggiori – il paese era dunque tutto sotto l’influenza francese, e vigevano le stesse leggi fondamentali, al punto che pareva quasi possibile parlare di una sola Italia, per quel che riguardava ordinamenti, sistema politico, modalità dei rapporti tra i cittadini e lo Stato. Nel progressivo avanzare dell’influenza francese, infatti, si consolidarono nuove idee. Soprattutto, si affermò gradualmente la coscienza di poter costituire una nazione, di superare l’idea che “Italia” sia una mera espressione geografica. La si comincia a pensare come una comunità unitaria e indipendente, padrona del proprio destino e non più soggetta all’influenza straniera.
Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808 al 1815
L’eredità rivoluzionaria
Si può dire che l’Italia conobbe più nell’epoca napoleonica che durante lo scorcio repubblicano e democratico di fine Settecento un’esperienza di trasformazione davvero radicale.
CONFED. ELVETICA
IMPERO ASBURGICO
Trento REPUBBLICA Trieste Milano REGNO DI DI VENEZIA REP. SARDEGNA CISALPINA Venezia Torino DUC. DI Reggio Ferrara PARMA Genova Modena Bologna REP. DI REP. DI GENOVA Lucca Firenze S. MARINO Valtellina
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1797 Territori alla Francia mar passati Mediterraneo Territori sotto l’influenza francese
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IMPERO FRANCESE
REPUBBLICA FRANCESE
L’Italia nel 1797 e nel 1810
Palermo REGNO DI NAPOLI Catania E SICILIA
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1810 Territori passati alla Francia mar Mediterraneo Territori sotto l’influenza francese
Palermo REGNO DI SICILIA
Messina
Catania
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Le repubbliche “giacobine”, infatti, erano state parentesi brevi ed effimere, durante le quali le nuove leggi egualitarie non avevano avuto modo di incidere profondamente negli assetti della società. Viceversa, la stagione che si aprì nel 1800 con la riconquista francese dell’Italia lasciò segni ben più profondi e duraturi. Come nella Francia, così anche nell’Italia napoleonica una parte cospicua dell’eredità rivoluzionaria fu infatti conservata: l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, l’abolizione del feudalesimo, il ridimensionamento del patrimonio ecclesiastico e l’eliminazione dei privilegi tanto dell’aristocrazia di sangue quanto del clero e, infine, l’assunzione da parte dello Stato, concepito come rappresentanza unica dei cittadini, del monopolio del pubblico potere. abbiamo visto come, a fine Settecento, molte di queste misure avessero suscitato reazioni fortemente negative, specie negli strati popolari (v. cap. 8, par. 8.2). durante l’età napoleonica la situazione si mostrò invece più ambivalente. Molte novità incontrarono, di nuovo, scarso favore, ma di altre si cominciarono a conoscere meglio gli effetti e ad apprezzarle. L’ingerenza statale: coscrizione obbligatoria e matrimonio civile
L’esperienza della coscrizione obbligatoria, divenuta ora sistematica e affidata per la sua attuazione alle cure dei prefetti, dei sottoprefetti, dei sindaci, soprattutto nelle campagne continuò a suscitare sentimenti tutt’altro che favorevoli. I tassi di diserzione furono molto alti, e disertare significava chiamarsi fuori dalla legge, iniziare una vita errabonda ai margini della società, ridursi alla condizione di ribelle o bandito. Ma ci fu anche chi, pur di evitare il servizio militare, decise di affrettare il momento del matrimonio, o chi, allo stesso scopo, preferì infliggersi volontariamente delle mutilazioni. Impressione e sconcerto suscitò anche il contenimento delle funzioni della Chiesa. ora ci si poteva sposare con rito civile e il matrimonio non andava più considerato come un vincolo indissolubile, dal momento che il nuovo Codice civile – replica di quello francese – aveva introdotto l’istituto del divorzio. La voce della Chiesa venne tacitata fin nelle sue espressioni apparentemente più innocue. Una cronaca relativa a trento ci informa che la popolazione locale rimase sbalordita da una disposizione ordinata dal prefetto, appena arrivato in città. egli vietò un uso in vigore da tempo immemorabile, quello di “suonare le campane in occasione di cattivi tempi”. Lo fece allo scopo di far capire agli abitanti che la Chiesa non rappresentava più l’istituzione alla quale prestare ascolto in caso di incertezze o pericoli. era allo Stato e ai suoi funzionari, in abito da ufficio o in uniforme militare, che bisognava ora indirizzarsi per chiedere soccorso, consiglio, direzione. V. Adam, La partenza, illustrazione, XIX secolo. Il disegno raffigura ironicamente la coscrizione obbligatoria nell’Italia napoleonica
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capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
L’istruzione elementare e il difficile adattamento alla modernità
Il nuovo sistema egualitario a direzione statale suscitò, talvolta, ostilità per alcune innovazioni e per lo sradicamento di abitudini antiche, ma schiuse anche molte opportunità di emancipazione per gli strati più umili della popolazione. per esempio, l’abolizione del feudalesimo (che era ancora molto diffuso, specie nell’area centro-meridionale della penisola) liberò i contadini da una gran quantità di prestazioni lavorative che in precedenza essi erano obbligati a fornire ai feudatari. L’introduzione di un sistema scolastico statale gratuito mise tutti, almeno in teoria, nella condizione di impadronirsi degli strumenti di base necessari per mettere alla prova il proprio talento individuale, ed eventualmente di percorrere un tragitto che poteva condurre ai vertici di una società che, a differenza di quella del passato, consentiva anche a chi era nato senza privilegi di affermarsi in ragione delle proprie capacità. Sarebbe però illusorio credere che il nuovo sistema fosse in grado di radicarsi subito efficacemente. La presenza capillare dello Stato nella vita quotidiana dei singoli destava comunque diffidenza. Nelle campagne, per esempio, non diversamente dalla coscrizione obbligatoria, anche l’istruzione elementare stentò ad attecchire, per il motivo che i contadini, abituati a far ricorso ai figli per avere un aiuto nel lavoro dei campi, si privavano mal volentieri del contributo della loro fatica e tendevano a evitare di mandarli a scuola.
15.3 Lo Stato e la società italiani durante l’età napoleonica L’uniformità giuridica: il nuovo diritto di famiglia
Il sistema introdotto sotto la dominazione francese mirava a favorire il libero sviluppo dell’attività e della capacità dei singoli, ciascuno dei quali veniva ora considerato come un individuo dotato di eguali diritti e di eguali doveri. In tal senso, uno degli ambiti nei quali le innovazioni incisero più radicalmente nel tessuto elementare della società, mutando il destino individuale dei cittadini, fu quello del diritto di famiglia, che venne rimodellato in modo tale da favorire condizioni maggiormente egualitarie tra i figli in materia ereditaria e che, come dimostra l’introduzione dell’istituto del divorzio, venne allo stesso tempo spogliato di quella impronta sacramentale che era fino a quel momento per esso consueta. alcuni articoli del Codice, dedicati al tema della successione ereditaria, abolirono inoltre l’istituto del fedecommesso, in forza del quale il patrimonio della famiglia veniva trasmesso interamente in eredità al primogenito, con esclusione tanto dei figli cadetti quanto delle figlie femmine. In base alle nuove norme, viceversa, a ciascuno dei figli, senza esclusioni di sesso, spettava una porzione eguale di eredità; ciascuno di loro si trovava così nella condizione di disporre di un piccolo patrimonio, con il quale tentare la propria avventura individuale nella vita.
LESSICO Fedecommesso Dal latino fideicommissum, letteralmente “affidato alla lealtà” (composto di fidei, “alla lealtà” e committere “affidare”), era la disposizione testamentaria in forza della quale l’erede di un determinato bene era obbligato a conservarlo per tutta la vita e a trasmetterlo a sua volta a un soggetto determinato.
Da sudditi a cittadini
Un altro campo di esperienza nel quale la vita quotidiana degli abitanti dell’Italia napoleonica mutò radicalmente fu quello della percezione dello spazio, del territorio, dei confini, del movimento. esaminiamo, in proposito, il caso del Regno d’Italia, che sotto questo profilo è il più interessante. al culmine della sua espansione, nel 1810, il Regno d’Italia arrivò a comprendere territori che in precedenza avevano fatto parte di realtà politiche molto diverse. 371
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Il Regno di Sardegna, la Lombardia austriaca, la Repubblica di Venezia, il principato vescovile di trento, la provincia austriaca del tirolo, il ducato di Modena e Reggio, infine l’emilia, la Romagna, le Marche erano luoghi i cui abitanti, prima della trasformazione imposta da Napoleone, si chiamavano rispettivamente sudditi sabaudi, austriaci, veneziani, trentini, modenesi, pontifici. Viceversa, se apriamo il Codice Napoleone, entrato in vigore nel Regno d’Italia nel 1806, ci accorgiamo che già dal primo paragrafo – dedicato al godimento dei diritti civili, materia che non era affatto prevista dalle leggi vigenti nell’antico regime – tanta varietà era repentinamente scomparsa e che era venuta meno anche l’idea di sudditanza, caratteristica, al posto di quella moderna di cittadinanza, della vecchia configurazione territoriale. ANALIZZARE LA FONTE
Il diritto di famiglia nel Codice Napoleone Autore: Napoleone Bonaparte – Tipo di fonte: codice giuridico – Lingua originale: francese – Data: 1805
Fonte Codice Napoleone (altri articoli)
Il Codice civile venne introdotto nel Regno d’Italia nel gennaio 1806 e cancellò molte delle consuetudini vigenti fino a quel momento, favorendo il processo di emancipazione dell’individuo e allentando i tradizionali nessi di coesione dell’istituto familiare, che rappresentava la prima delle cellule costitutive della società per corpi. Un punto del Codice che tendeva a liberare le energie dei singoli a scapito della compattezza della famiglia era quello con il quale si introduceva l’istituto del divorzio, logico corollario di una visione del matrimonio non più come sacramento, bensì come semplice contratto civile, revocabile a desiderio delle parti contraenti o anche su sollecitazione di una sola di esse. Si osservino, però, le norme seguenti.
art. 29. potrà il marito domandare il divorzio per causa d’adulterio della moglie. art. 30. potrà la moglie domandare il divorzio per causa d’adulterio del marito, allorché egli avrà tenuta la sua concubina nella casa comune. È evidente, leggendo questi articoli che rendevano più difficile alle donne che agli uomini chiedere il divorzio, come il Codice fosse caratterizzato da un’impostazione tendente ad accordare una più agevole fruizione di diritti ai cittadini di sesso maschile. Questa impressione risulta pienamente confermata da ulteriori disposizioni del Codice:
art. 215 La moglie non può stare in giudizio senza l’autorizzazione del marito. art. 217 La donna, ancorché non sia in comunione o sia separata di beni [ovvero, anche nei casi nei quali abbia conservato, contraendo matrimonio, il proprio patrimonio separato da quello del marito], non può donare, alienare, ipotecare, acquistare a titolo gratuito od oneroso, senza che il marito concorra all’atto, o presti il suo consenso per iscritto. Alle donne non veniva insomma riconosciuta una piena cittadinanza civile; esse venivano considerate in un certo senso cittadine a metà, sottoposte alla cosiddetta tutela maritale. Le ultime norme che abbiamo citato, le quali sancivano l’inferiorità giuridica della donna, in alcuni dei paesi (compreso il nostro) nei quali fu introdotto il Codice napoleonico rimasero in vigore fino alla parte iniziale del Novecento. L’istituto del divorzio, viceversa, fu abolito quasi ovunque durante l’età della Restaurazione e poi reintrodotto, in molti paesi cattolici, solo nel pieno Novecento. Domande alla fonte 1. Sacramento e contratto. Qual è la differenza tra questi due termini? 2. Qual è il diritto la cui fruizione, in base all’articolo 217 del Codice civile, risulta limitata per le donne? Il nuovo Codice civile prevedeva l’introduzione del divorzio, pur salvaguardando l’unità della famiglia. In questa stampa l’ufficiale di governo riconcilia gli sposi per il bene del loro figlio
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capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
Il Codice del regno non parlava più dunque di “sudditi”, ma di “cittadini”, e ignorava le vecchie denominazioni territoriali. Non vi si faceva menzione, dunque, di sabaudi, lombardi, veneti, pontifici, ma solo di italiani: «Qualunque Italiano gode dei diritti civili […] nella sua qualità di Cittadino» (Codice Napoleone, artt. 7 e 8). e il riconoscimento dei diritti civili veniva esteso anche agli ebrei, ai quali durante l’antico regime era stato imposto di risiedere in un ghetto (nella penisola ve ne erano, per esempio, a Roma, a Livorno, ad ancona, a torino, a Mantova, a Ferrara) e vietato di possedere terre o beni immobiliari, di esercitare le libere professioni, di ricoprire cariche pubbliche. L’amministrazione
I cittadini italiani, tutti uguali di fronte alla legge, avevano ora un solo governo e una sola capitale, Milano; usavano tutti lo stesso sistema di pesi e misure; le loro attività economiche non venivano più ostacolate da impedimenti corporativi o dal sistema di dogane e pedaggi feudali, che durante l’antico regime aveva contribuito a rendere ogni località, ogni partizione territoriale, chiusa in se stessa e quasi impermeabile al contatto con l’esterno. Inoltre, quali sudditi degli antichi Stati, gli abitanti di quei territori erano stati governati, spesso, da feudatari locali; nella nuova qualità di cittadini del Regno d’Italia ad amministrarli furono invece funzionari statali di nomina governativa, spesso originari di aree distanti da quelle nelle quali di volta in volta operavano. poteva accadere che a Milano sedessero ora come ministri italiani uomini che erano nati sudditi sabaudi, veneziani, pontifici; o che a Venezia operasse un prefetto milanese, a Milano uno novarese, ad ancona uno veneziano, e così via. e tutti i funzionari, ovunque si trovassero, ricevevano gli ordini dallo stesso governo centrale che, come in Francia, controllava il territorio per mezzo di una rete omogenea di uffici: una prefettura in ciascun capoluogo di dipartimento, una sottoprefettura in ogni capoluogo di cantone, un municipio in ogni città o villaggio.
LESSICO Ghetto Il termine deriva probabilmente dal veneziano ghèto, “getto”, nome con cui si indicava una fonderia esistente nell’isoletta di Venezia, poi assegnata agli ebrei. A partire dal XVI secolo, e in particolare nel periodo della Controriforma, la segregazione degli ebrei in Italia divenne coatta. In seguito alla Rivoluzione francese vennero aboliti, fino alla tragica esperienza della Seconda guerra mondiale, quando furono ripristinati dai nazisti.
La seduta conclusiva dei “comizi di Lione”, assemblea di rappresentanti della Repubblica cisalpina riunitasi nella città francese dal dicembre 1801 al gennaio 1802; sancì, tra l’altro, la nascita della Repubblica italiana (Versailles, Museo del Castello)
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Rassegna della Marineria italiana da parte di Napoleone
Uno strumento della cittadinanza unitaria: la carta di identità
Le carte di identità divennero allora per la prima volta un documento obbligatorio, consentendo a tutti i cittadini, da un lato, di fruire dei servizi pubblici, e allo Stato, dall’altro, di esercitare un capillare controllo sugli individui. Muniti degli opportuni documenti di riconoscimento, gli “italiani” cominciarono a godere di una libertà di movimento prima sconosciuta: potevano spostarsi da un capo all’altro di un territorio in precedenza continuamente interrotto da frontiere statali o da stazioni di dazio o di pedaggio private, e ora invece concepito come un lineare spazio unitario. Impararono a conoscersi, a intrecciare rapporti a distanza, a scoprire per esperienza diretta il senso della comune appartenenza allo stesso Stato, che era più grande delle vecchie patrie regionali o cittadine nelle quali avevano speso in precedenza la propria esistenza di sudditi. Certo, come del resto gran parte dell’europa del tempo, il Regno d’Italia era dipendente dall’Impero francese: era, insomma, quello che si suole definire uno Stato satellite. Le leggi che la Francia aveva imposto, cancellando contemporaneamente i vecchi confini territoriali, avevano tuttavia trasformato quella che era stata una pluralità di mondi locali e chiusi in un solo Stato unitario, dove tutti i cittadini maschi adulti godevano degli stessi diritti. attraverso istituzioni come l’amministrazione e l’esercito, il cui personale veniva reclutato in ogni comune del regno, così da consentire la socializzazione e la mescolanza di uomini di ogni ceto sociale e di ogni provenienza geografica, quei cittadini cominciarono a sperimentare la condizione inedita di essere “italiani”, come si esprimeva in proposito il Codice civile. La vecchia aristocrazia e la nuova nobiltà
Come abbiamo visto, l’atteggiamento della gente comune nei confronti del regime napoleonico fu ambivalente e in linea di massima ostile, mentre più chiaramente decifrabile fu invece il rapporto da esso intrattenuto con gli strati più alti della società. L’aristocrazia di sangue si sentì in gran parte estranea al nuovo ordine, anche se approfittò anch’essa della cessione dei beni che lo Stato sottrasse alla Chiesa e rivendette ai privati (i cosiddetti “beni nazionali”), e anche se alcuni suoi 374
capItOLO 15 - L’ItaLIa dI NapOLEONE
esponenti entrarono a far parte delle strutture di governo napoleoniche. Il motivo di questa freddezza era semplice: in forza della legislazione napoleonica tutti i privilegi degli aristocratici – ripristinati nell’intervallo tra l’occupazione francese di fine Settecento e quella dal 1800 in avanti – cessarono e i nobili non godettero più di una forza contrattuale collettiva nei confronti dello Stato e del pubblico potere. a dire il vero, nel Regno di Napoli, conquistato da Bonaparte solo nel 1806, quando ormai la Francia non era più una repubblica, i titoli nobiliari non vennero aboliti, ma a essi non venne più collegato alcun privilegio giuridico. Napoleone inoltre, tanto qui quanto nel resto dei suoi domini, istituì una nuova nobiltà – prevalentemente di carattere personale e non ereditario –, della quale, accanto ad alcuni esponenti dell’antica aristocrazia di sangue, entrarono a far parte figure che dovevano il proprio prestigio essenzialmente alle benemerenze che si erano guadagnate prestando servizio nell’amministrazione e nell’esercito. I nobili di antica data non gradirono affatto questa iniziativa. La borghesia: dal consenso alla delusione
perlopiù favorevoli al nuovo governo si mostrarono invece gli strati medio-alti di quello che in precedenza si era definito come “ceto civile”, e che sempre più spesso cominciò a essere denominato borghesia. al posto della condizione di aristocratico, legata al sangue e alla nascita, lo Stato napoleonico aveva posto al vertice della scala gerarchica quella di proprietario, basata semplicemente sul possesso di beni e ricchezze mobiliari e immobiliari. I gruppi sociali che meglio si identificarono con l’avventura napoleonica e che la sostennero più a lungo furono da un lato i proprietari di terre e i commercianti, messi ora in condizione di agire liberamente sul mercato; dall’altro i professionisti (avvocati, medici, ingegneri), i funzionari pubblici e gli ufficiali. Nel nuovo ordine riconobbero infatti lo scenario idoneo a consentire la propria affermazione all’interno di una società mobile, aperta al futuro, sensibile ai valori della ricchezza e del talento, dell’iniziativa e dell’attivismo individuale: la società dei notabili, non quella dei nobili; la società borghese, contrapposta a quella aristocratica, tutta ripiegata sui dogmi della tradizione, del sangue, del lignaggio. Napoleone saccheggia l’Italia con le sue armate, stampa, 1814 (Milano, Civica raccolta delle Stampe Bertarelli)
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
MEMO Nel giugno 1812 Napoleone aveva deciso di attaccare la Russia, convinto di piegarla con poche vittoriose battaglie, invece l’impresa si era rivelata fallimentare costringendo l’esercito francese a una drammatica ritirata [vedi p. 352].
La stagione napoleonica impose però gravi pesi anche ai gruppi sociali emergenti. La nuova, efficiente organizzazione dello spazio, del territorio, della società garantita dall’amministrazione centralizzata offriva innegabili benefici, ma chiedeva anche a ciascun cittadino – povero o ricco – un costante e cospicuo contributo fiscale. ed era certamente vero che nell’esercito le persone dotate di buone capacità individuali facevano in genere carriera grazie al loro talento; ma vi si moriva, anche. a partire dalla disastrosa campagna di Russia, a cui parteciparono anche moltissimi italiani, la bella e gloriosa avventura militare incominciò a trasformarsi in un incubo. La conferma dell’eguaglianza di fronte alla legge e dei diritti civili, infine, compensava a stento la perdita della libertà politica. Il malcontento per l’autoritarismo del governo, specie negli anni successivi al 1812, iniziò a crescere di giorno in giorno. Il crollo del sistema napoleonico in Italia
Il sistema napoleonico nella penisola italiana crollò tra la fine del 1813 e il 1815. dopo che le truppe austriache, nel dicembre dell’anno precedente, avevano occupato il Veneto, nell’aprile 1814 a Milano fu una rivolta popolare – ma fomentata da alcuni esponenti dell’aristocrazia – ad abbattere il governo del Regno d’Italia. La rivolta culminò, simbolicamente, nel linciaggio del ministro delle Finanze, Giuseppe prina, identificato dalla popolazione come il massimo responsabile di un sistema che negli ultimi mesi imponeva carichi fiscali sempre più onerosi. Nel frattempo il re di Napoli, Gioacchino Murat, aveva cercato di separare le proprie sorti da quelle di Bonaparte e sperava di conservare la sovranità. Quando, nel 1815, divenne chiaro che le potenze alleate non avevano alcuna intenzione di mantenere al suo posto l’ex generale dell’esercito napoleonico, Murat cercò di guidare una sollevazione generale della penisola. proclamò come obiettivi il conseguimento dell’indipendenza italiana sotto il suo scettro e l’emanazione di una Costituzione che tornasse ad accordare ai cittadini quelle opportunità di partecipazione al potere che Napoleone aveva tacitato e compresso con il proprio governo autoritario. Ma il suo tentativo andò incontro al fallimento e Murat venne catturato e ucciso. tuttavia, il suo disperato appello all’idea di una nazione italiana unitaria, indipendente verso l’esterno e costituzionale al proprio interno, nella quale fossero i cittadini – e non i regnanti – a essere investiti della sovranità, rappresentava l’anticipazione di un’esigenza autentica, che si sarebbe a più riprese riproposta nella storia italiana dei decenni successivi (v. capp. 17 e 18). Giovanni Migliara, Il popolo saccheggia la casa del ministro Prina in piazza san Fedele, XIX secolo (Milano, Museo civico)
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Il laboratorio dello storico
La rivoluzione passiva e la delusione dei patrioti
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
La rivoluzione passiva Con l’ingresso dell’armata francese a Napoli nel 1799 era nata la repubblica partenopea e si era affermato un nuovo ordine, ma qualche mese più tardi la situazione si era capovolta. Guidati dal cardinale Ruffo, i sanfedisti ripresero la città e il regno, facendo strage dei “giacobini” napoletani. È la vicenda che ispira la composizione di uno degli scritti più importanti dell’Ottocento italiano preunitario, quel Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799 (1801), nel quale Vincenzo Cuoco formula la sua famosa teoria della “rivoluzione passiva”.
Cuoco mette l’accento sulla distanza, tanto sul piano della cultura quanto su quello dei sentimenti, tra gli intellettuali e le masse, tendenzialmente affezionate all’ordine paternalistico e bigotto dell’antico regime
L’autore con il termine «inglesi» indica gli ammiratori del modello politico britannico
La nostra rivoluzione essendo una rivoluzione passiva, l’unico mezzo di condurla a buon fine era quello di guadagnare l’opinione del popolo. Ma le vedute de’ patrioti e quelle del popolo non erano le stesse: essi avevano diverse idee, diversi costumi e finanche due lingue diverse. Quella stessa ammirazione per gli stranieri, che avea ritardata la nostra coltura ne’ tempi del re, quell’istessa formò, nel principio della nostra repubblica, il più grande ostacolo allo stabilimento della libertà. La nazione napoletana si potea considerare come divisa in due popoli, diversi per due secoli di tempo e per due gradi di clima. Siccome la parte colta si era formata sopra modelli stranieri, così la sua coltura era diversa da quella di cui abbisognava la nazione intera, e che potea sperarsi unicamente dallo sviluppo delle nostre facoltà. alcuni erano divenuti inglesi, altri francesi; e coloro che erano rimasti napoletani, che componevano il massimo numero, erano ancora incolti. Così la coltura di pochi non avea giovato alla nazione intera; e questa, a vicenda, quasi disprezzava una coltura che non l’era utile e che non intendeva. Le disgrazie de’ popoli sono spesso le più evidenti dimostrazioni delle più utili verità. Non si può mai giovare alla patria se non si ama, e non si può mai amare la patria se non si stima la nazione. Non può mai essere libero quel popolo in cui la parte, che per la superiorità della sua ragione è destinata dalla natura a governarlo, sia coll’autorità sia cogli esempi, ha venduta la sua opinione a una nazione straniera: tutta la nazione ha perduta allora la metà della sua indipendenza.
La rivoluzione passiva è quella attuata nella pedissequa imitazione di un modello importato dall’estero, e per questo astratta e non compresa da coloro (i popolani) che avrebbero dovuto esserne i massimi beneficiari
Cuoco sostiene che gli intellettuali napoletani, già nella seconda metà del Settecento, sotto il regno borbonico, avevano riposto eccessivo affidamento nella cultura progressista di altri paesi europei, rinunciando a elaborarne una originale
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Il laboratorio dello storico La delusione dei patrioti La rivoluzione passiva; l’abissale distanza tra gli intellettuali e le masse; l’incerto confine tra la Francia “liberatrice”, generosa dispensatrice alle repubbliche sorelle dei nuovi valori di emancipazione dalla sudditanza, e quella rapace, se non rapinatrice, concretamente impersonata dai tanti generali che fecero il bello e il cattivo tempo in quelle stesse repubbliche; e, infine, la posizione assai precaria del partito “giacobino” in Italia, costretto a misurare ogni giorno lo scarto tra le promesse francesi e la sua politica di potenza: sono questi i temi che diedero la loro impronta al triennio rivoluzionario in Italia, ma che fecero sentire largamente la propria eco anche nella successiva età napoleonica. La storia della letteratura italiana ci offre, a questo proposito, un’altra testimonianza vibrante, quella delle Ultime lettere di Jacopo Ortis (1798 e 1802) di Ugo Foscolo, un romanzo epistolare nel quale la scelta di suicidio del giovane protagonista si giustifica proprio in forza di un “tradimento” francese, quello formalizzato dal Trattato di Campoformio, con il quale Bonaparte cedette all’Austria, nell’ottobre 1797, quella repubblica di Venezia che da qualche mese, seguendo l’esempio transalpino, si era trasformata da oligarchica a democratica.
Il protagonista del romanzo, che a causa del suo impegno rivoluzionario è stato inserito dal governo austriaco nella lista delle persone da perseguitare, si rifiuta di cercare scampo nella vicina Repubblica cisalpina, che è posta sotto l’influenza di quegli stessi francesi che hanno consegnato Venezia all’austria
Il sacrificio della nostra patria è consumato: tutto è perduto, e la vita, seppure ne verrà concessa, non ci resterà che per piangere le nostre sciagure, e le nostre infamie. Il mio nome è nella lista di proscrizione, lo so: ma tu vuoi che io per salvarmi da chi m’opprime mi commetta a chi mi ha tradito? Consola mia madre: vinto dalle sue lacrime l’ho ubbidita, e ho lasciato Venezia per evitare le prime persecuzioni, e le più feroci. Ma dovrò io abbandonare anche questa mia solitudine antica, dove, senza perdere per sempre il mio sciagurato paese, posso ancora sperare qualche giorno di pace? […] e noi, pur troppo, noi stessi italiani ci laviamo le mani nel sangue degl’italiani. per me segua quel che può. poiché ho disperato della patria e di me stesso, aspetto tranquillamente la prigione e la morte. Il mio cadavere almeno non cadrà fra braccia straniere: il mio nome sarà sommessamente compianto da pochi uomini buoni, compagni de le nostre miserie e le mie ossa poseranno su la terra de’ miei padri.
Comincia ad affacciarsi in Jacopo ortis l’idea dell’isolamento estremo («la solitudine antica»), anticamera della scelta che lo porterà al suicidio
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state poste l’una accanto all’altra due fonti scritte pressoché coeve. La prima appartiene al genere del saggio storico e costituisce un esempio di riflessione a caldo sugli eventi contemporanei. La seconda è invece una creazione letteraria. Anche questa seconda fonte, però, offre un commento “in diretta” agli eventi che sono da poco occorsi. • Quali differenze di tipo stilistico e narrativo si riscontrano nei due brani? Che cosa consente di classificarli rispettivamente nel genere saggistico e in quello propriamente letterario? • Collettività e individuo: in che modo questi due temi, che emergono chiaramente confrontando i due brani, si situano in opposizione, o piuttosto in accordo l’uno con l’altro, nel contesto storico affrontato in questo capitolo?
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capItOLO 15
L’ITALIA DI NAPOLEONE
Mappa
L’ItaLIa dI NapOLEONE
I patrioti moderati guidano il governo, quelli radicali si esprimono sui giornali e nei club
repubbliche “sorelle” (1796-99)
Abbattimento delle istituzioni di antico regime, ma pesante pressione fiscale
Cadono per: • attacchi della seconda coalizione antifrancese • ostilità della maggior parte della popolazione (armate contadine dei sanfedisti a Napoli)
Vittoria di Marengo Permanenze dell’età repubblicana: • uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge • abolizione dei privilegi • ridimensionamento del patrimonio della Chiesa
Cambiamenti nella vita degli italiani
• introduzione della coscrizione obbligatoria e fenomeni di diserzione • desacralizzazione della famiglia: matrimonio civile e divorzio • uniformità amministrativa di pesi e di misure • introduzione dell’istruzione elementare • nascita del concetto di cittadinanza, esteso anche agli ebrei; la carta d’identità diventa obbligatoria
domini imperiali e regni (1806-1815)
Rotture con l’età repubblicana: • assenza di elementi di democrazia
• gestione del potere dall’alto
Le reazioni sociali
Ostili: gente comune e aristocrazia di sangue
Favorevoli: borghesi
L’eredità
Richiamo all’indipendenza italiana
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capItOLO 15
L’ITALIA DI NAPOLEONE
Sintesi 15.1 L’ITALIA DELLE “REPubbLIChE SORELLE” Nel 1796 il direttorio affidò a Napoleone la campagna militare in Italia, che fu un insperato successo: l’austria e il Regno di Sardegna furono sconfitte e, tra il 1796 e il 1799, quasi tutta la penisola passò sotto il controllo francese. Nei territori conquistati tra il 1796 e il 1799 furono create le “repubbliche sorelle (di quella francese)” che adottarono leggi simili a quelle francesi. Nacquero così la Repubblica ligure, la Repubblica cisalpina, quella di Lucca, quella romana e quella napoletana. I francesi ottennero inizialmente il favore sia di chi vedeva nella loro discesa l’occasione per portare a compimento il processo riformistico avviato nella seconda metà del Settecento sia di gruppi più radicali che speravano di poter effettuare la rivoluzione in Italia. Questi ultimi vennero allontanati dalle responsabilità di governo. ad assumere la guida delle repubbliche furono, invece, i più moderati, preferiti da Bonaparte per la loro maggiore malleabilità. presto però molti “patrioti” si resero conto che Napoleone non era venuto in Italia come un liberatore ma per motivi di supremazia. La sua posizione divenne chiara soprattutto con la firma del Trattato di Campoformio (1797) che, dopo secoli di indipendenza, cedeva all’austria, in cambio del Belgio e della Lombardia, la Repubblica di Venezia, oltre all’Istria e alla dalmazia. In seguito agli attacchi della seconda coalizione antifrancese, ma anche per l’insofferenza di parte della popolazione al dominio francese, nell’estate del 1799 tutte le repubbliche cessarono di esistere. a Napoli l’avventura repubblicana si concluse in maniera particolarmente tragica: l’esercito popolare dei sanfedisti, guidati dal cardinale Ruffo, fece crollare la Repubblica partenopea favorendo il ritorno dei Borbone che compirono una durissima azione repressiva. 15.2 L’ITALIA DEI REGNI NAPOLEONICI dopo la reazione del 1799, con la vittoriosa battaglia di Marengo, nel 1800 Napoleone riconquistò gradualmente la penisola italiana e nel 1805 fu incoronato re d’Italia.
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Nel 1810 la penisola risultava divisa in tre parti, tutte sotto il controllo francese: i dipartimenti italiani dell’Impero francese (piemonte, Repubblica ligure e toscana). Nel resto della penisola sorsero al posto delle repubbliche due regni: il Regno d’Italia sotto la guida di eugenio di Beauharnais, figliastro di Napoleone, e il Regno di Napoli, affidato dapprima al fratello Giuseppe e poi al cognato Gioacchino Murat.
15.3 LO STATO E LA SOCIETà ITALIANI DuRANTE L’ETà NAPOLEONICA anche nella penisola entrò in vigore il Codice napoleonico e furono mantenuti alcuni importanti principi della Rivoluzione, come l’abolizione dei diritti feudali e l’eguaglianza dei cittadini di fronte alla legge. Gli italiani si percepirono per la prima volta come cittadini e non come sudditi. Il nuovo diritto di famiglia favorì condizioni maggiormente egualitarie tra i figli in materia ereditaria (abolizione del fedecommesso) e introdusse il divorzio, mentre l’obbligo della carta di identità contribuì a diffondere l’idea della comune appartenenza allo stesso Stato. attraverso istituzioni come l’amministrazione e l’esercito i cittadini cominciarono a sperimentare la condizione inedita di essere “italiani”. Il sistema napoleonico in Italia crollò tra la fine del 1813 e il 1815 anche a causa del graduale “raffreddamento” nei suoi confronti sia della nobiltà sia della borghesia, che vedeva crescere il prelievo fiscale. Nel 1815 Gioacchino Murat fece un estremo tentativo di guidare una sollevazione generale della penisola, proclamando come obiettivi l’indipendenza italiana e una Costituzione che tornasse ad accordare ai cittadini l’opportunità di partecipazione al potere. Ma il suo tentativo andò incontro al fallimento e Murat venne catturato e ucciso.
Capitolo 16
L’Europa daLLa rEstaurazionE aL Quarantotto 16.1 L’Europa della Restaurazione Dopo Napoleone
alla sconfitta e all’esilio forzato di napoleone seguì una fase estremamente movimentata della storia europea, durante la quale, mentre si cercava di recuperare gli equilibri politici prenapoleonici, non si poté fare a meno di constatare la forte spinta all’innovazione proveniente dall’esperienza rivoluzionaria prima e napoleonica poi. si trattò dunque di un periodo di grande fermento sul piano sia delle idee sia dei principi economici all’interno di nuove forme di stato che ancora non si erano del tutto consolidate in Europa. i vecchi poteri si rinnovarono e tentarono di recuperare un ruolo di dominio, affiancati ora nei governi da forze nuove, provenienti perlopiù dalla borghesia fondiaria e, in tono minore, da quella del commercio e delle professioni. Le fondamentali questioni dell’equità economica e della rappresentanza politica, sollevate nei decenni precedenti, e ancora irrisolte, continuarono a creare grandi ribellioni che coinvolsero gran parte degli stati europei. Eugène Delacroix, La libertà che guida il popolo, 1830 (Parigi, Museo del Louvre). L’opera fu dipinta per celebrare la lotta dei parigini contro la politica reazionaria del re Carlo X
Sullo sfondo si intravedono le torri della Cattedrale di Notre-Dame di Parigi
La fanciulla rappresenta allegoricamente la libertà, indossa il berretto frigio dei rivoluzionari e tiene in mano la bandiera della Repubblica francese. Ella è al tempo stesso una raffigurazione di Marianne (v. p. 313)
Tra i combattenti sono rappresentati sia il popolo sia la borghesia
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Il Congresso di Vienna
PassatoPresente La politica dell’equilibrio
LESSICO Restaurazione Si intende per Restaurazione il periodo che va dal 1815 al 1848. Esso fu contraddistinto dal ritorno al potere di gran parte delle dinastie regnanti che avevano perso il loro trono durante l’età napoleonica, e dal tentativo di introdurre nuovamente (restaurare) almeno una parte delle leggi e delle istituzioni vigenti durante l’antico regime.
Jean Baptiste Isabey, Il Congresso di Vienna, XIX secolo
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nel 1815 le quattro principali potenze che avevano sconfitto napoleone – inghilterra, austria, prussia, russia –, riunite nel Congresso di Vienna, riplasmarono il profilo geopolitico dell’Europa. Esse fecero proprio il principio di legittimità, secondo il quale dovevano tornare sui troni europei i sovrani che legittimamente detenevano il potere prima dell’usurpazione napoleonica. non presero in considerazione il principio di nazionalità, ossia l’aspirazione delle popolazioni a formare degli stati nazionali. il loro obiettivo era da un lato quello di riportare la Francia ai confini del 1792, dall’altro quello di costruire un equilibrio, ovvero un sistema capace di assicurare una pace durevole tra i vari paesi europei. Ciò che si desiderava era, sostanzialmente, una suddivisione dell’Europa in aree di influenza controllate dalle potenze vincitrici e articolata in modo tale da rendere più forte che in passato la posizione degli stati che circondavano la Francia. Quest’ultima, malgrado il ritorno dei Borbone sul trono, continuava infatti a essere considerata come il più pericoloso focolaio di un eventuale contagio rivoluzionario capace di infiammare nuovamente l’Europa intera. il piano tracciato dalle quattro grandi potenze rappresentava, peraltro, un compromesso tra il ritorno puro e semplice all’ordine prerivoluzionario – ovvero una restaurazione – e il cauto accoglimento di alcuni degli effetti prodotti dall’espansione napoleonica in Europa. per questo, malgrado gran parte delle dinastie prerivoluzionarie venisse nel 1815 posta nuovamente sul trono, in alcuni casi si preferì accettare il disegno di semplificazione della carta geografica del continente derivato dalla politica di Bonaparte ed evitare di riproporre la grande frammentazione territoriale caratteristica dell’antico regime. Ciò risultò evidente soprattutto in due aree territoriali. in quella germanica al posto dei ben 360 stati e staterelli che avevano a suo tempo formato il sacro romano impero ne rimasero solo 39, di cui la prussia era il più importante e il più esteso. Essi si riunirono, sotto la presidenza dell’imperatore d’austria, nella Confederazione germanica. nell’area italiana le antiche repubbliche aristocratiche di Genova e di Venezia non vennero ricostituite, a vantaggio, rispettivamente, del regno di sardegna e dell’impero asburgico. infine, le medesime considerazioni ispirarono la scelta in favore della creazione di un Regno dei Paesi Bassi, derivante dall’accorpamento dei Paesi Bassi austriaci e dell’Olanda in uno stato monarchico unitario. sottoposta ancora al controllo di truppe di occupazione degli altri paesi, a partire dal Congresso di aquisgrana (autunno 1818) anche la Francia borbonica venne poi accolta nell’alleanza monarchica che controllava l’Europa.
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
L’Europa dopo il Congresso di Vienna (1815) REGNO DI NORVEGIA
Confine della Confederazione germanica Regno di Prussia
Oslo Stoccolma
San Pietroburgo
REGNO DI SVEZIA
REGNO mare UNITO del Nord REGNO Copenaghen DI DI mar GRAN BRETAGNA DANIMARCA Baltico E IRLANDA
Stati tedeschi
Mosca
IMPERO RUSSO
HOLSTEIN
Londra Amsterdam
oceano Atlantico
Parigi
Berlino
REGNO DEI PAESI BASSI BELGIO LUSS.
Varsavia
REGNO DI POLONIA
GRAND. DI STATO TOSCANA DELLA
VALACCHIA
SERBIA
mar Nero
CHIESA
REGNO DI SPAGNA
Gr. Br.
IA AB AR SS VIA DA OL
Madrid
Lisbona
Gibilterra
Budapest
IMPERO D’AUSTRIA Milano LOMBARDOTorino VENETO
M
REGNO DEL PORTOGALLO
BE
Monaco Vienna
REGNO DI Berna CONF. SVIZZERA FRANCIA
Roma
REGNO DELLE DUE SICILIE
REGNO DI SARDEGNA
mar Mediterraneo
IMPERO Costantinopoli OTTOMANO
Malta
Gr. Br.
I tutori della Restaurazione: Santa e Quadruplice Alleanza
in linea di massima l’Europa “restaurata” dal Congresso di Vienna era assolutista e dispotica, visto che i suoi stati egemoni (esclusa l’inghilterra) non possedevano una Costituzione di tipo moderno. il governo di gran parte dei paesi europei della restaurazione si basava inoltre sul rilancio dell’alleanza fra monarchia e Chiesa, caratteristica dell’antico regime e ora riproposta con grande convinzione da alcuni sovrani (quelli di Russia, d’Austria e di Prussia) uniti dal patto della Santa Alleanza. Essi confidavano nella cooperazione del potere ecclesiastico al fine di indurre le popolazioni all’obbedienza. a un ulteriore patto diplomaticomilitare, la Quadruplice Alleanza, si associò formalmente anche la Gran Bretagna. Esso vincolava reciprocamente i paesi contraenti a intervenire militarmente qualora in uno qualsiasi di essi fossero scoppiate sommosse tese a rovesciare l’ordine costituito. Quando nel 1820, in occasione del Congresso di troppau, russia, austria e prussia proposero di stabilire il principio della legittimità dell’intervento militare della Quadruplice alleanza anche in qualsiasi altro paese al cui interno venissero realizzate riforme “illegali”, la Gran Bretagna decise di non sottoscriverlo perché riteneva che il suo impegno dovesse limitarsi a garantire il rispetto dei confini tracciati dai trattati di pace e non prevedesse invece l’intervento negli affari interni dei singoli paesi. La Francia (nel frattempo entrata anch’essa a far parte del ristretto nucleo delle potenze tutrici dell’ordine europeo) in un primo momento la imitò, salvo poi tornare su questa decisione nel 1822, durante il Congresso di Verona.
LESSICO Santa Alleanza Stipulata tra Austria, Russia e Prussia nel 1815 durante il Congresso di Vienna, l’alleanza venne chiamata “santa” perché i sovrani contraenti si impegnarono solennemente a governare seguendo quelle che ritenevano essere le prescrizioni «dell’eterna religione di Dio salvatore».
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
La spartizione dei territori durante il Congresso di Vienna, stampa popolare, XIX secolo
L’Europa costituzionale
Il laboratorio dello storico I nuovi stumenti di libertà: libri, riviste, giornali, p. 398
Ritratto di Benjamin Constant, XIX secolo (Parigi, Museo Carnavalet). Scrittore e politico francese, fu uno dei principali sostenitori del liberalismo moderato. Il suo saggio più famoso è La libertà degli antichi, paragonata a quella dei moderni, in cui contrappone la libertà civile e privata, propria dei moderni, a quella politica e pubblica, propria degli antichi
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accanto a questa Europa gerarchica e reazionaria, che trovava il suo simbolo nella figura del ministro degli Esteri austriaco Klemens Wenzel Lothar von Metternich (1773-1859), se ne profilava, già nel 1815, un’altra, contraddistinta da ordinamenti più liberali, nella quale alcuni ristretti strati della popolazione esercitavano il diritto elettorale, protetti da garanzie che ne tutelavano le libertà individuali, e nella quale, dunque, alcuni dei principi di base del liberalismo, come la libertà di stampa, quella di pensiero e quella di associazione, trovavano un’applicazione almeno parziale. Era questo soprattutto il caso della Gran Bretagna, dove un sistema parlamentare costituzionale era in vigore già dalla fine del seicento; ma anche in Francia, in Svezia, nei Paesi Bassi e in alcuni Stati tedeschi (Baviera, Württemberg, sassoniaWeimar e ancora qualcuno dei minori) c’era maggiore libertà che nelle parti d’Europa dominate dalla santa alleanza. in questi regni, infatti, i rispettivi sovrani, tornando nuovamente nel 1815 sul trono, avevano deciso di concedere dall’alto una carta costituzionale e di attenuare i tradizionali ordinamenti autoritari in materia di libertà di stampa, di pensiero, di associazione. il prototipo per eccellenza di queste Costituzioni, dette “legittimiste” perché derivanti da una limitazione del potere assoluto decisa volontariamente dai sovrani e non imposta loro dalla popolazione, era rappresentato dalla “carta” emanata nel 1814 da Luigi XVIII di Borbone (1775-1824, re dal 1814) al momento della sua ascesa al trono di Francia dopo la prima caduta di napoleone. Essa costituiva un passo avanti rispetto all’assolutismo puro; ma – come tutte le restanti Costituzioni legittimiste o, come si diceva allora, octroyées, cioè concesse dall’alto – conteneva anche norme che consentivano al sovrano di intervenire in modo autoritario sull’attività del Parlamento e di adottare, se necessario, drastiche misure di polizia e di censura. il parlamento non risultava perciò pienamente titolare del potere legislativo, anche se era prevista la presenza al suo interno di un’opposizione liberale (guidata in Francia negli anni Venti da Benjamin Constant), che si batteva per ridurre quanto più possibile i margini di arbitrio che la Costituzione accordava al sovrano.
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
Contro il dispotismo: liberalismo, democrazia, socialismo
La battaglia contro il dispotismo, cioè contro la concezione gerarchico-autoritaria del potere, si accese ben presto in tutto il continente e si espresse in vari modi. da un lato si assistette al tentativo, da parte della cittadinanza di paesi che non ne possedevano una, di ottenere ex novo una Costituzione oppure di attenuare i tratti autoritari che conservavano le Costituzioni legittimiste nei paesi in cui erano state emanate; dall’altro, dove già un sistema liberale esisteva, si cercò anche di estendere a strati sociali più ampi la fruizione dei diritti politici fin lì accordati dalle Costituzioni vigenti solo a una ristretta élite di persone. in quest’ultimo caso la lotta per l’affermazione piena del liberalismo si tradusse in lotta per l’affermazione della democrazia e, in occasione di alcune delle rivoluzioni del Quarantotto, ebbe per obiettivo la trasformazione della monarchia in repubblica. in qualche raro caso, alla spinta per la democrazia si coniugò anche quella tesa alla modificazione dei rapporti tra le classi sociali e alla loro riformulazione in termini più favorevoli a quelle subalterne, cioè al proletariato che si andava formando nelle fabbriche. È quanto avvenne a parigi nel 1848, quando la spinta democratica fu arricchita anche da spunti di carattere socialista. a questa spinta diedero voce, prima del 1848, le dottrine di quello che venne in seguito chiamato da Marx (v. cap. 20, par. 20.4) il socialismo utopistico. Esse cominciarono a venire elaborate a partire dagli anni trenta soprattutto in Francia e in inghilterra, da pensatori come Claude-Henri de Saint-Simon (1760-1825), Charles Fourier (1772-1837) e robert Owen (1771-1858), tutti fautori di un umanitarismo sociale che puntava sulla realizzazione di uno spirito di solidarietà tra le cosiddette “classi industriali” (tanto gli imprenditori quanto gli operai, oppure gli operai da soli, intesi come comunità di produttori) e sulla loro capacità di organizzarsi in virtuose collettività di autogoverno. dal 1848 in avanti, accanto ai programmi che traevano ispirazione da queste correnti ideali, cominciarono a circolare e a diffondersi quelli che vennero subito definiti dai contemporanei come comunisti. il comunismo (o socialismo “scientifico”, come lo definì Marx), si differenziava dal socialismo detto “utopistico” perché, oltre all’abbattimento dello stato autoritario caratteristico della restaurazione e all’allargamento della partecipazione popolare al potere, proponeva anche l’abolizione della proprietà privata (che costituiva uno dei cardini della dottrina liberale) e l’organizzazione di una società basata non solo sull’eguaglianza giuridica, ma anche su quella sociale, da realizzare attraverso la statalizzazione e la collettivizzazione delle ricchezze.
Robert Owen, uno degli esponenti del cosiddetto “socialismo utopistico”
16.2 I moti degli anni Venti e Trenta Le insurrezioni in Spagna, in Italia e in Russia tra il 1820 e il 1825
sollevazioni contro l’ordine istituito dal Congresso di Vienna cominciarono ad avere luogo in diverse parti d’Europa già nei primi anni Venti. in Spagna una rivolta – iniziata con l’ammutinamento delle truppe che dovevano partire per l’america, dove le colonie si erano sollevate rivendicando l’indipendenza (v. cap. 19, par. 19.1) – portò nel marzo 1820 all’emanazione di una Costituzione che era di fatto la replica di quella elaborata già nel 1812 a Cadice durante la lotta antinapoleonica. si trattava di una carta che aveva rappresentato allora il simbolo della rivolta della nazione spagnola contro il dominio straniero e che prevedeva un ampio diritto di voto.
MEMO Nel 1812, nel Sud della Spagna liberato dall’occupazione francese, le Cortes riunite a Cadice avevano emanato una Costituzione monarchica e popolare al tempo stesso a cui molti movimenti liberali in seguito si ispirarono [vedi p. 353].
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
LESSICO Moto decabrista Movimento di rivolta dell’esercito scoppiato nel mese di dicembre (in russo dekabar) del 1825, alla morte dello zar Alessandro I. Fu promosso da giovani ufficiali convertiti alle idee liberali, ma fu presto represso dal nuovo zar Nicola I.
per certi versi essa era da annoverare tra le Costituzioni democratiche, più ancora che tra quelle liberali, anche se certe sue caratteristiche (per esempio l’attribuzione del diritto elettorale ai soli padri di famiglia di religione cattolica) riproponevano tratti antiquati, e certamente lontani dallo spirito di matrice illuminista. poco più tardi anche il re di Portogallo concesse una Costituzione. nel Regno delle Due Sicilie, tra l’estate del 1820 e la primavera dell’anno seguente il potere venne assunto a napoli da un Parlamento formato in base ai criteri stabiliti dalla Costituzione che era stata appena rimessa in vigore in spagna; a palermo invece, nell’estate del 1820, prima di venire sciolto con la forza dalle truppe borboniche, un governo provvisorio discusse se adottare la Costituzione di spagna o quella, di carattere più tradizionalista e filonobiliare, in vigore nell’isola già tra il 1812 e il 1815, al tempo del protettorato inglese antinapoleonico. nel marzo 1821, infine, una breve sommossa costituzionale si ebbe in Piemonte, mentre qualche mese prima era naufragato il progetto di farne scoppiare una anche nella confinante Lombardia, parte dell’impero asburgico. il dispositivo repressivo internazionale previsto dal Congresso di Vienna si dimostrò efficace e tempestivo nel reprimere queste insurrezioni in italia: a ripristinare l’ordine dispotico in Piemonte e nel Regno delle Due Sicilie scesero gli austriaci, che entro la primavera del 1821 soffocarono con il loro esercito le ribellioni italiane; a intervenire militarmente in Spagna provvide invece nel 1823 il re di Francia. i bagliori costituzionali si erano insomma accesi e spenti nel giro di poco più di tre anni. La stessa cosa si ripeté in Russia nel 1825, quando il moto detto decabrista, che mirava anch’esso a introdurre nel paese la Costituzione spagnola del 1812, venne represso facilmente dallo zar. anche se attaccato, il dispotismo in quegli anni riuscì ancora a trionfare. L’unico paese in cui la rivolta del 1820 ebbe successo fu la Grecia, ma su questa vicenda avremo modo di tornare (v. cap. 19, par. 19.3). I moti liberali del 1820-1825 REGNO DI NORVEGIA
Oslo Stoccolma
San Pietroburgo 1825
REGNO DI SVEZIA
Confine della Confederazione germanica
REGNO mare UNITO del Nord REGNO Copenaghen DI DI mar GRAN BRETAGNA DANIMARCA Baltico E IRLANDA
Regno di Prussia Stati tedeschi Insurrezioni
IMPERO RUSSO
HOLSTEIN
Londra Amsterdam
oceano Atlantico
Parigi
Varsavia
REGNO DEI PAESI BASSI BELGIO LUSS.
REGNO DI POLONIA
Torino
REGNO DEL PORTOGALLO
1821
VALACCHIA SERBIA
Madrid
Lisbona 1820
Cadice 1820
REGNO DI SPAGNA
Gr. Br.
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IMPERO OTTOMANOCostantinopoli
Roma REGNO DI SARDEGNA
Gibilterra
IA AB AR SS VIA DA OL
Budapest
IMPERO D’AUSTRIA
M
Milano
Vienna
BE
REGNO DI Berna CONF. SVIZZERA FRANCIA
mar Mediterraneo
Napoli 1820
REGNO DELLE DUE SICILIE
GRECIA Epidauro 1821
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
Il popolo di Parigi si batte contro le truppe di Carlo X nel luglio 1830
Lo scoppio della rivoluzione a Parigi
a partire dagli anni Trenta la lotta contro il dispotismo si riaccese. La rivoluzione partì da Parigi con una nuova cacciata dei Borbone, che durante il regno di Carlo X (1757-1836, re dal 1824 al 1830) avevano ulteriormente accentuato la linea autoritaria e conservatrice già praticata a intermittenza da Luigi XViii, imbavagliando il parlamento e imponendo pesanti restrizioni alle libertà. Carlo X, salito al trono nel 1824, facendo leva sulla maggioranza reazionaria presente in parlamento, fin dall’inizio del suo regno aveva impostato una politica di semirestaurazione dell’antico regime, minacciando le libertà costituzionali e riportando in auge l’aristocrazia e il clero, al punto da disporre l’indennizzo pubblico dei nobili i cui beni erano stati dichiarati nazionali (cioè proprietà della nazione) dallo stato e poi rivenduti a privati durante la rivoluzione francese. nel 1827, però, le elezioni videro la vittoria di un fronte liberale-moderato ostile alla linea “nostalgica” del re; neanche la successiva tornata elettorale, tenutasi nel 1830, diede il risultato auspicato da Carlo X. Egli emanò allora quattro ordinanze, ovvero decreti per i quali la Costituzione non prevedeva la ratifica parlamentare, che sancivano quanto segue: • la restrizione del già limitatissimo diritto di voto; • la soppressione della libertà di stampa; • lo scioglimento del parlamento; • la convocazione di nuove elezioni. a luglio parigi rispose con l’insurrezione e, innalzando le barricate, in tre giorni ebbe partita vinta. La monarchia di luglio
La rivoluzione del 1830 culminò nell’instaurazione della cosiddetta “monarchia di luglio” e nell’emanazione di una nuova Costituzione, che gli insorti si conquistarono a prezzo di moltissime vittime e che si distaccò nettamente dal modello legittimista vigente fino ad allora.
Ritratto di Carlo X, re di Francia dal 1824 al 1830
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
LESSICO Monarchia costituzionale / Monarchia parlamentare La monarchia costituzionale è una forma di governo in cui il potere del monarca è limitato e regolamentato da una Costituzione scritta, concessa dallo stesso sovrano. Il governo non è responsabile di fronte al Parlamento ma soltanto di fronte al re. Per questo si distingue da una monarchia parlamentare. Se si esclude il caso dell’Inghilterra della Gloriosa rivoluzione, che non produsse una vera e propria Costituzione scritta, la prima monarchia costituzionale fu quella francese di Luigi XVIII nel 1814.
Inclusione/Esclusione Il corpo elettorale, p. 403
LESSICO Legazioni pontificie Nome dato ad alcune province dello Stato pontificio amministrate da cardinali inviati dalla Santa Sede che assumevano il nome di “legati” (dal latino legatus “ambasciatore”).
non si trattava più di una Costituzione concessa di propria grazia dal sovrano, bensì di un insieme di regole imposte dalla popolazione al nuovo monarca, Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850, re dal 1830 al 1848); una Costituzione che venne definita “figlia del selciato”, cioè delle pietre scagliate dai manifestanti contro l’esercito. Grazie a essa la monarchia francese si trasformò da puramente costituzionale a pienamente parlamentare. Ciò significava che i ministri dovevano rispondere del proprio operato al parlamento (principio della responsabilità parlamentare) e non al re, come era avvenuto fino a quel momento. L’attività del governo si trovò così a essere strettamente vincolata al rispetto della volontà della maggioranza parlamentare, dunque, in ultima analisi, di quella degli elettori che con il loro voto l’avevano formata. Venne inoltre allargato il corpo elettorale, che passò da meno di 100 000 unità a circa 240 000; un numero comunque modesto, se si pensa che esso corrispondeva ad appena l’1% della popolazione. La monarchia di luglio promosse soprattutto gli interessi dell’alta borghesia degli affari causando nel corso degli anni un diffuso malcontento sia tra la vecchia aristocrazia di stampo borbonico, sia tra i gruppi democratici e repubblicani che erano stati protagonisti dell’insurrezione di luglio. I moti in Belgio, Polonia e Italia centrale
Gli avvenimenti di parigi ebbero un immediato riflesso nelle province cattoliche dei confinanti Paesi Bassi, le quali, godendo della copertura e della tutela sul piano internazionale della Francia e dell’inghilterra, ormai di fatto svincolate dal fronte delle potenze restauratrici formatosi quindici anni prima (la prima in seguito alla rivoluzione di luglio, la seconda in ragione di un percorso graduale avviato già dai primi anni Venti), si ribellarono all’unione con l’Olanda imposta dal Congresso di Vienna. proclamando la propria indipendenza e assumendo la denominazione di “Belgio”, si dotarono di una Costituzione ancora più avanzata in senso liberale di quella emanata in Francia l’anno prima. Essa prevedeva infatti che sia i membri della Camera dei deputati sia quelli del senato venissero designati direttamente dagli elettori (anche qui non più dell’1% degli abitanti), mentre le Costituzioni coeve stabilivano che il senato fosse di nomina regia. si risolsero invece nel nulla, sempre tra il 1830 e il 1831, altri tre episodi che avevano tratto spunto dagli avvenimenti francesi e belgi: nei ducati di Parma e Piacenza e di Modena e Reggio, nelle Legazioni pontificie, nella porzione russa della Polonia i movimenti costituzionali vennero agevolmente repressi, rispettivamente dalle truppe austriache e da quelle russe. Ma qui, a differenza dei casi francese e belga, si era trattato di tentativi condotti da ristretti strati della società, che non avevano coinvolto se non in minima misura quelle componenti popolari che a parigi e a Bruxelles s’erano mostrate in prima fila in piazza e che vi sarebbero ritornate con ben maggiore imponenza in occasione della tempesta europea del Quarantotto. La riforma elettorale inglese del 1832
nel 1832 la tendenza generale all’allargamento dei diritti politici della cittadinanza trovò un nuovo luogo in cui materializzarsi: la Gran Bretagna, il “paese faro” del costituzionalismo liberale. Qui, tra il 1815 e il 1830, la maggioranza parlamentare, di orientamento spiccatamente conservatore, aveva caparbiamente contrastato le rivendicazioni avanzate da William Cobbett (1762-1835) e Jeremy Bentham (1748-1832), capi del movimento radicale che si poneva l’obiettivo di estendere il suffragio elettorale fino a farlo diventare generale. 388
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
Gustaaf Wappers, Leopoldo I, nuovo re del Belgio, presta giuramento il 21 luglio 1831 (Bruxelles, Museo delle Belle Arti)
La riforma elettorale emanata nel 1832 non giunse certo a tanto, dal momento che elevò di solo il 50% il numero dei votanti, portandolo a poco meno del 5% della popolazione. Ciononostante, grazie a essa l’inghilterra diventò il paese europeo contraddistinto a quel tempo dal suffragio più largo. La riforma si concretizzò inoltre in una modifica delle circoscrizioni elettorali in funzione della loro densità abitativa e del numero degli elettori in esse presenti. Venne così attribuito maggiore peso elettorale (in termini di numero dei deputati designati) ai distretti che coincidevano con l’area dei grandi centri industriali (punti di forza del partito liberale whig e di quello democratico-radicale) ai danni dei cosiddetti “borghi putridi”, cioè le aree di campagna nelle quali i grandi proprietari terrieri erano egemoni e dove era particolarmente radicato il partito conservatore tory. attraverso la riforma elettorale si realizzava così l’impetuosa avanzata della nuova Inghilterra borghese-industriale a scapito di quella rurale-tradizionalista. nel quindicennio successivo l’ondata delle agitazioni liberal-costituzionali conobbe una fase di sostanziale ristagno. La nuova concezione liberale della politica e della società ebbe però modo di radicarsi ancora più profondamente nei paesi che si erano dati una Costituzione e di proporsi come seducente sponda di riferimento per i movimenti di opposizione presenti nei paesi assolutisti.
LESSICO Borghi putridi In inglese rotten boroughs, furono così nominate le circoscrizioni elettorali comprese nelle proprietà della grande aristocrazia rurale, esigue per abitanti e soprattutto per numero di elettori, ma in grado di portare, in base a ordinamenti risalenti alla metà del Seicento, più deputati in Parlamento di quelle delle grandi metropoli. Vi erano borghi “putridi” (detti così perché si stavano decomponendo sotto il profilo insediativo) che, con appena 6 elettori, esprimevano due deputati, mentre una grande città industriale in espansione, come Manchester, non ne eleggeva nemmeno uno.
16.3 Il Quarantotto La “primavera dei popoli”
Malgrado la crescita della vivacità e dello spirito di iniziativa dell’opinione pubblica fosse ovunque ben percepibile a cavallo tra gli anni trenta e Quaranta, al punto da indurre quasi tutte le monarchie autoritarie ad attenuare gradualmente la morsa del proprio controllo sulla società e a esercitare una censura meno oppressiva, quella che si produsse durante i primi sei mesi del 1848 costituì un’autentica tempesta, che colse tutti di sorpresa, compresi coloro che nei diversi luoghi d’Europa contribuirono attivamente a scatenarla. il Quarantotto costituzionale europeo aveva avuto, in verità, un circoscritto antefatto: la guerra civile detta del Sonderbund (letteralmente “Lega separata”, l’unione tra i sette cantoni cattolici per difendere i propri interessi contro i cantoni protestanti e progressisti), nella Confederazione elvetica, conclusasi nel 1847 con l’istituzione nel paese del suffragio generale maschile e con la sconfitta dei cantoni cattolici.
LESSICO Quarantotto Gli eventi del 1848 ebbero un tale impatto nell’immaginario collettivo che si diffuse l’espressione «fare un quarantotto» per indicare un grande scompiglio.
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
Uno scontro tra soldati prussiani e insorti protetti dalle barricate a Dresda durante l’insurrezione del 1848
Ma ciò che avvenne qualche mese più tardi nel resto d’Europa assunse dimensioni di risonanza ben più ampia: rivoluzione e Costituzione, durante i mesi che gli storici hanno definito “la primavera dei popoli”, divennero un binomio inscindibile; in nome della carta costituzionale l’Europa intera scese in piazza, si ribellò ai propri governanti, impose l’estensione dei diritti, la trasformazione dei sudditi in cittadini. palermo nel gennaio 1848; napoli e parigi a febbraio; Vienna, Berlino, Venezia e Milano a marzo; e poi, ancora, Budapest e praga: nel giro di poco più di due mesi i movimenti di opposizione ebbero partita vinta in tutte queste città e in molte altre ancora. degli eventi relativi al 1848 in italia parleremo diffusamente in un prossimo capitolo (v. cap. 17, par. 17.3). Quello che va, intanto, sottolineato è che in tutta Europa, ovunque vi fu una rivolta i sovrani cedettero, almeno transitoriamente, agli insorti, atterriti dal crescere di un’onda che sembrava inarrestabile e che si riversava simultaneamente in ogni angolo del continente. Il Quarantotto francese
Jules Claude Ziegler, Allegoria della Repubblica francese, 1848
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Come gran parte dei moti europei del Quarantotto, la rivoluzione parigina ebbe per antefatto una grave crisi economica, provocata dalla carestia che aveva colpito le campagne e che tra il 1845 e il 1847 si lasciò dietro una scia di malessere, avvertita soprattutto dalle classi medie e dagli strati popolari (le une e gli altri in gran parte esclusi dall’esercizio dei diritti elettorali), ma che non risparmiò neppure la borghesia commerciale e delle professioni. il 22 febbraio scoppiò la rivoluzione, quando il governo vietò una manifestazione politica che l’opposizione parlamentare, con l’appoggio di repubblicani e socialisti, aveva organizzato al fine di raccogliere firme in calce a una petizione finalizzata alla riforma elettorale. il 24 febbraio la città era in mano agli insorti, guidati soprattutto da repubblicani e socialisti, e pochi giorni dopo veniva proclamata la seconda Repubblica francese (la prima era quella proclamata con la rivoluzione), con un governo (formato da liberali, radicali e socialisti) che, sotto la pressione della piazza, pose al centro della propria azione anche tematiche squisitamente sociali, cercando soluzioni volte a temperare almeno in parte i malesseri affioranti dal mondo del lavoro. in particolare, venne istituita una Commissione governativa, di cui furono membri anche alcuni esponenti socialisti, incaricata di affrontare i problemi della politica sociale.
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
in Francia, come sappiamo, una Costituzione c’era già. Essa venne ora modificata in senso repubblicano e si basò sul suffragio generale maschile; gli elettori passarono da 250 000 a 9 milioni, ma le elezioni, tenutesi nell’aprile 1848, inviarono all’assemblea costituente una maggioranza liberal-moderata (espressione della Francia rurale, contrapposta alla parigi rivoluzionaria), che revocò alcune leggi filooperaie emanate nei mesi precedenti, in particolare quella sulla costituzione degli ateliers nationaux, “opifici nazionali” che impiegavano i disoccupati in lavori di pubblica utilità. alla chiusura degli ateliers, molto costosi per lo stato, il proletariato urbano della capitale rispose con un’insurrezione (23 giugno) la cui repressione si concretizzò in un tragico bagno di sangue (migliaia i morti negli scontri, e migliaia gli insorti giustiziati in base a processi sommari nei mesi seguenti). Le elezioni presidenziali, poi, tenutesi nel dicembre 1848, insediarono alla carica più alta della repubblica Luigi Bonaparte (1808-1873), nipote di napoleone i. Colui che era destinato a passare alla storia con il nome di Napoleone III fu votato da una schiacciante maggioranza di francesi desiderosi di ordine e di pace sociale: moderati, conservatori, clericali, ma, soprattutto, contadini. Era l’inizio di un riflusso che nell’arco di qualche anno sarebbe sfociato nella dissoluzione della repubblica. al tempo stesso, la svolta conservatrice che s’impose in Francia accentuò il processo di arretramento della spinta rivoluzionaria che già da qualche tempo si stava manifestando su scala europea. L’esempio di parigi risultò, in tal senso, doppiamente condizionante nel corso del biennio 1848-1849.
L’occupazione del palazzo delle Tuileries da parte del popolo parigino durante i moti del 1848, stampa popolare, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale)
ANALIZZARE LA FONTE
Contro la repubblica borghese Autore: Karl Marx Tipo di fonte: saggio storico Lingua originale: tedesco Data: 1850 Nello scritto Lotte di classe in Francia, composto tra il 1848 e il 1850 Karl Marx vede nell’insurrezione del giugno del Quarantotto in Francia il primo esempio di lotta di classe tra borghesi e proletari che, nei decenni successivi, sostituirà la lotta tra aristocratici e borghesi iniziata con la Rivoluzione francese.
L’assemblea nazionale ruppe subito con le illusioni sociali della rivoluzione di febbraio; essa proclamò chiaro e tondo la «repubblica borghese», nient’altro che la repubblica borghese, esclusi immediatamente dalla commissione esecutiva da lei nominata i rappresentanti del proletariato […]. agli operai non rimase altra alternativa: o morire di fame o scendere in campo. Essi risposero il 23 giugno con la terribile insurrezione in cui venne combattuta la prima grande battaglia tra le due classi in cui è divisa la società moderna. Fu una lotta per la conservazione o per la distruzione dell’ordine “borghese”. il velo che avvolge la repubblica fu lacerato. È noto con che valore e genialità senza esempio, gli operai, senza capi, senza un piano comune, senza mezzi, per la maggior parte senza armi, tennero in scacco per cinque giorni l’esercito, la Guardia mobile, la Guardia nazionale di parigi e la Guardia nazionale accorsa dalle province. È noto come la borghesia si rifacesse con brutalità inaudita del pericolo corso, massacrando più di tremila prigionieri. K. Marx, Lotte di classe in Francia (1850), Editori riuniti, roma 1997 Domande alla fonte 1. Come definisce Marx l’insurrezione di giugno? 2. Quale ti sembra essere il giudizio di Marx su questi eventi?
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
I moti del Quarantotto Oslo
REGNO DI NORVEGIA
Confine della Confederazione germanica
Stoccolma
San Pietroburgo
REGNO DI SVEZIA
Regno di Prussia
REGNO UNITO mare DI del Nord REGNO Copenaghen DI mar GRAN BRETAGNA DANIMARCA Baltico E IRLANDA
Stati tedeschi Insurrezioni
IMPERO RUSSO
HOLSTEIN
oceano Atlantico
Londra Amsterdam REGNO DEI PAESI BASSI BELGIO LUSS. Parigi
Berlino Francoforte Praga Monaco
Gr. Br.
IA AB AR SS VIA DA OL
IMPERO D’AUSTRIA Milano LOMBARDOTorino VENETO VALACCHIA SERBIA GRAND. DI STATO TOSCANA DELLA CHIESA
REGNO DI SPAGNA
Gibilterra
Budapest
M
Lisbona
BE
Vienna
REGNO DI Berna CONF. SVIZZERA FRANCIA
REGNO DEL PORTOGALLO Madrid
Varsavia
REGNO DI POLONIA
Roma REGNO DI SARDEGNA
mar Mediterraneo
Napoli Palermo
REGNO DELLE DUE SICILIE
IMPERO Costantinopoli OTTOMANO
Liberalismo contro dispotismo
il Quarantotto di parigi fu quello più significativo dal punto di vista politicosociale. altrove le rivoluzioni del febbraio-marzo 1848 individuarono i propri obiettivi nel conseguimento di un programma più circoscritto, basato soprattutto sull’istituzione di un’assemblea rappresentativa dei cittadini e sulla tutela dei diritti fondamentali degli individui. se si guarda agli eventi di quei mesi in prospettiva comparata, ci si accorge comunque che, oltre al tratto comune costituito dalla lotta per la Costituzione, essi presentarono caratteristiche diverse da luogo a luogo. in Italia, in Ungheria, in Boemia, per esempio, il tema costituzionale si coniugò intensamente con il problema della nazionalità e con quello dell’indipendenza dall’Austria (come meglio vedremo nel capitolo seguente). in alcuni luoghi il Quarantotto ebbe carattere violento, con scontri accaniti tra i manifestanti e le forze dell’ordine (così a parigi, a Berlino, a Milano). in altri si risolse in pacifiche manifestazioni degli strati elevati della cittadinanza, che i sovrani, intimoriti dall’eventualità di conseguenze più gravi, decisero di blandire venendo incontro a gran parte delle loro richieste. in italia, per esempio, fu così nel regno di sardegna, nel Granducato di toscana e nello stato pontificio; ma lo stesso accadde anche in molti stati tedeschi. Le vicende parigine (ma in parte anche quelle milanesi, così come quelle toscane e romane, su cui ritorneremo nel prossimo capitolo) misero in luce inoltre l’esistenza di un nuovo conflitto: quello tra liberalismo e democrazia, tra una concezione socialmente esclusiva dei diritti della cittadinanza e una invece orientata a estenderli a strati più ampi della popolazione, inclusi contadini, artigiani e operai. 392
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
La rivolta in Austria e in Germania
a Vienna l’insurrezione iniziò il 13 marzo e causò le dimissioni del cancelliere Metternich, il simbolo della restaurazione. La rivolta si estese a praga e a Budapest, che avrebbe poi rivendicato la propria indipendenza da Vienna. in maggio l’imperatore (Ferdinando i d’austria) promise la convocazione di un parlamento eletto a suffragio generale. presto invece iniziò l’azione repressiva. il nuovo giovane imperatore Francesco Giuseppe (1830-1916, imperatore dal 1848), in forza dell’intervento dei militari, tornò alla situazione anteriore al febbraio del Quarantotto: i parlamenti di Vienna e di Budapest vennero sciolti e la Lombardia e il Veneto, che si erano a loro volta battuti per la propria indipendenza, vennero nuovamente assoggettati al dominio di Vienna. anche in Germania gli avvenimenti seguirono un corso analogo: dopo l’insurrezione di Berlino del 18 marzo, Federico Guglielmo iV fu costretto a convocare un parlamento prussiano; a questo seguì anche la richiesta di un’assemblea costituente di tutti gli stati della Confederazione germanica che si riunì a Francoforte. Ma i lavori di quest’Assemblea costituente di uno Stato nazionale tedesco si arenarono sul dibattito relativo a due diversi modelli di Germania: vi erano i fautori della “grande Germania”, che volevano uno stato nazionale gravitante intorno all’austria, e vi erano i sostenitori della “piccola Germania” che escludevano l’austria e intendevano affidare la guida del nuovo stato alla prussia degli Hohenzollern. La ripresa del dispotismo
tuttavia, già a partire dall’estate del 1848, l’apparente trionfo del costituzionalismo cominciò a rovesciarsi in una reazione che era il proprio contrario. i sovrani assoluti erano stati costretti ad accettare dei compromessi per fermare la marea che minacciava di travolgerli, ma – tranne che in Francia, divenuta nuovamente repubblica, e a Venezia, le cui vicende vedremo con maggiori dettagli nel capitolo seguente – erano tutti rimasti al loro posto e attendevano l’occasione propizia per imporre nuovamente la propria supremazia.
Barricata a Vienna nella notte tra il 26 e il 27 maggio 1848
LESSICO Reazione In fisica si parla di reazione nel terzo principio della dinamica, secondo il quale ad ogni azione corrisponde una reazione eguale e contraria. Con significato analogo il termine fu utilizzato in ambito storico per la prima volta da Benjamin Constant per caratterizzare i tentativi di tornare all’antico regime da lui studiati nel corso della Rivoluzione francese. Nei decenni successivi il temine ha assunto il significato generico di opposizione ai cambiamenti e di restaurazione dei poteri tradizionali.
François Sorrière, La Repubblica universale, democratica e sociale, 1848, litografia (Parigi, Biblioteca Nazionale)
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
L’Assemblea di Francoforte, 1848 (Francoforte, Museo Storico)
Forte del sostegno dell’opinione pubblica, tra il febbraio e il giugno del 1848 il liberalismo aveva vinto, ma a partire da quel momento il dispotismo, sorretto dalla forza degli eserciti, avviò la parabola del proprio rilancio. in aprile in Francia, come abbiamo visto, le elezioni avevano consegnato la maggioranza parlamentare ai raggruppamenti moderato-conservatori, che non avevano alcuna intenzione di assecondare gli orientamenti sociali dei repubblicani più radicali. da quel momento le forze della democrazia, grandi protagoniste delle prime fasi del Quarantotto parigino, cominciarono a perdere colpi e a venire represse e, nei mesi immediatamente successivi alla sua elezione a presidente, Luigi Bonaparte impose alla seconda repubblica una svolta autoritaria. decise infatti l’intervento in italia, allo scopo di riportare sul trono il pontefice (che era nel frattempo fuggito da roma, essendosi pentito delle concessioni liberali emanate nei mesi precedenti) per consolidare verso di sé il consenso dell’elettorato cattolico e soppresse il suffragio generale. senza incontrare sostanziali opposizioni, Bonaparte poté attuare nel dicembre 1851 un colpo di Stato, a seguito del quale sciolse l’assemblea legislativa. ormai padrone dello stato, procedette alla definizione di una nuova Costituzione autoritaria che, attraverso un plebiscito (dicembre 1852) portò alla sua proclamazione a imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone III, e alla nascita del secondo Impero (1852-1870). La Francia cessò così di essere una repubblica e si avviò verso l’ambigua esperienza del “cesarismo”, su cui ritorneremo più avanti (v. cap. 22, par. 22.2). La reazione antiliberale
se in Francia risultarono sconfitte la repubblica e la democrazia, nel resto d’Europa fu invece il liberalismo a figurare come vittima del ritorno del dispotismo. tra il giugno del 1848 e l’estate del 1849 la reazione antiliberale ebbe buon gioco in quasi tutti i paesi nei quali tra il febbraio e il marzo 1848 la cittadinanza si era imposta come padrona del proprio destino. anche in Germania, com’era accaduto nei domini degli asburgo, il movimento liberale fu soffocato: l’iniziativa tornò in mano ai sovrani che, pur mantenendo perlopiù in vigore Costituzioni di tipo legittimista, soffocarono le aspettative espresse dall’assemblea rivoluzionaria di Francoforte, che tra il 1848 e i primi mesi del 1849 aveva mirato a fondare una nazione unitaria tedesca governata in base a una Costituzione pienamente liberale. in Italia – con la sola eccezione del re di Sardegna – come avremo modo di approfondire (v. cap. 17, par. 17.3) tutti i sovrani revocarono le Costituzioni emanate nella primavera del Quarantotto. 394
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
Un bilancio del Quarantotto
Malgrado il fallimento degli obiettivi più radicali, le rivoluzioni del Quarantotto rappresentarono comunque uno spartiacque fondamentale nello sviluppo in senso borghese dell’Europa ottocentesca. Grazie a esse, infatti, fu definitivamente abolito il feudalesimo anche nei paesi che ancora ne conservavano delle tracce (Germania, austria, polonia, ungheria, Boemia). Le sommosse di quell’anno si erano espresse, come abbiamo visto, secondo un profilo assai variegato, che rendeva problematico interpretarle meramente alla stregua di un conflitto tra borghesia e forze del passato. se l’abolizione del feudalesimo nei paesi che abbiamo appena menzionato segnalava l’ormai definitivo tramonto giuridico dell’antico regime, quella che si era profilata a parigi (ma anche in altre città) non era soltanto una lotta tra liberalismo e autoritarismo, ma anche una più vasta contrapposizione che ormai opponeva la borghesia liberale e moderata agli strati sociali subalterni urbani e alle loro rappresentanze politiche democratiche, repubblicane, e in parte anche socialiste e comuniste. in questa prospettiva, moderati e conservatori tendevano ormai talvolta a fare fronte comune, unendosi non solo contro l’autoritarismo dei sovrani, ma anche contro le forze che minacciavano di mettere in discussione l’ordine sociale. il liberalismo, dopo essersi caratterizzato durante la restaurazione prevalentemente come movimento di opposizione, si preparava dopo il Quarantotto a un’evoluzione che l’avrebbe portato a diventare quasi ovunque forma realizzata di governo e a sostenere l’urto di quanti restavano, per motivi economico-sociali, di fatto esclusi dal suo perimetro di legittimazione. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il Quarantotto in Francia, Austria e nell’area tedesca ANNO
MESE
EVENTI FRANCIA
1848
1849
febbraio
Luigi Filippo è costretto ad abdicare; viene proclamata la seconda Repubblica; il governo provvisorio, tra gli altri provvedimenti, istituisce il suffragio generale maschile
aprile
Elezione dell’Assemblea costituente a maggioranza borghese
giugno
Repressione di una rivolta operaia a Parigi. Gli insorti vogliono trasformare la rivoluzione politica in rivoluzione sociale
dicembre
Luigi Napoleone Bonaparte viene eletto presidente della Repubblica
aprile
Interventi contro la Repubblica romana
luglio
Abolizione del suffragio generale maschile IMPERO ASBURGICO E STATI TEDESChI
1848
1849
marzo
Insurrezioni a Milano, Venezia, Vienna, Budapest, Praga e Berlino
maggio
Assemblea nazionale costituente. Parlamento di Francoforte
giugno
Repressione della rivolta di Praga
ottobre
Repressione della rivolta di Vienna
dicembre
In Austria Ferdinando I è costretto ad abdicare: sale al trono Francesco Giuseppe; Federico Guglielmo IV, re di Prussia, concede una Costituzione censitaria e autoritaria
marzo
L’Ungheria si dichiara indipendente dall’Austria
aprile-agosto
Gli eserciti austriaci intervengono e pongono fine all’indipendenza
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SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La rEStauraZIONE
16.4 Il liberalismo e le sue complessità Cattolicesimo reazionario e cattolicesimo liberale
Frontespizio dell’edizione spagnola dell’enciclica di Pio IX
«per liberalismo io intendo il principio antidogmatico, con tutte le sue conseguenze», scriveva il cardinale inglese Henry newman (1801-1890), divenuto cattolico da anglicano che era, in parte proprio per la convinzione che il cattolicesimo potesse contrastare più efficacemente del protestantesimo la diffusione di quel pensiero antidogmatico (cioè liberale) che egli considerava deleterio. Fu, dunque, soprattutto dal versante cattolico – o, meglio, dalle correnti più ancorate a una visione gerarchico-autoritaria della vita – che giunsero le critiche più accese alla cultura liberale, identificata con uno spirito laico che riproponeva il razionalismo illuminista settecentesco; un laicismo a matrice essenzialmente irreligiosa, dal momento che fissava nel principio della libertà dell’individuo il giusto fondamento della convivenza tra gli uomini, negando alcuni capisaldi della dottrina cattolica: l’intrinseca fragilità degli esseri umani e il loro “naturale” bisogno di subire autorità, di ricevere comando, di obbedire a dogmi. Questa ostilità cattolica al liberalismo, alla base dell’alleanza fra trono e altare stabilita al Congresso di Vienna, dette linfa a una parte consistente della cultura della Restaurazione, tra i cui esponenti troviamo: Joseph De Maistre (17531821), Louis de Bonald (1754-1840), Karl Ludwig von Haller (1768-1854), in italia Monaldo Leopardi (1776-1847), il padre del poeta Giacomo e che, oltre la metà del secolo, culminò nel Sillabo, o Elenco dei principali errori dell’età nostra, che papa pio iX (1792-1878) emanò nel 1864. si trattava di un documento che conteneva la condanna da parte della Chiesa cattolica di molti presupposti del pensiero liberale. non tutto il mondo cattolico aderì a questa visione. nel 1830 il francese Félicité-robert de Lamennais (1782-1854) diede vita al cosiddetto cattolicesimo liberale, basato sul motto: «dio e libertà: uniteli». per lui questa unione era naturale, la Chiesa e il liberalismo avevano un nemico comune: lo Stato burocratico, con la sua tendenza a porre limiti sia alla tradizionale autonomia della Chiesa sia alla “nuova” autonomia degli individui. il cattolicesimo liberale fu un fenomeno importante non solo in Francia e in Belgio, ma anche e forse soprattutto in italia (v. cap. 17, par. 17.2). L ’incerto confine tra le vecchie e la nuova libertà: il liberalismo aristocratico
il liberalismo fu un movimento animato da una forte carica antistatale, oltre che antiautoritaria. raccolse quanti formavano la società civile e ritenevano che essa fosse capace di autoregolarsi grazie allo sviluppo delle libertà individuali, economiche, di stampa, di associazione. La società civile risultava però in quei decenni contesa tra la perdurante egemonia dell’aristocrazia e quella emergente della borghesia. E anche l’aristocrazia vantava una tradizione ispirata all’idea della sistematica opposizione allo stato. non c’è perciò da stupirsi se, accanto a un liberalismo borghese, vi fu anche un liberalismo nobiliare. a motivare i suoi esponenti c’era non solo la passione per i diritti dell’individuo, ma anche l’insoddisfazione per l’invadenza della pubblica amministrazione, una caratteristica che tutte le monarchie restaurate avevano conservato, raccogliendo silenziosamente l’eredità dell’età napoleonica. per questo la grande insistenza liberale sulla necessità di ridurre al minimo lo spettro 396
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
d’azione del pubblico potere era espressione, talvolta, anche di una sotterranea vena di nostalgia per l’epoca “prestatale” e “preburocratica”, durante la quale la società europea era affidata all’egemonia delle “naturali” élite sociali. insomma: talvolta, pur parlando di libertà, si intendeva dire soprattutto privilegio. il liberalismo fu dunque un fenomeno complesso, dotato di molte anime, alcune tese a favorire l’emancipazione di tutti i membri della società, altre più conservatrici e socialmente esclusive. Meno visibili fino a che il movimento liberale costituì una forza di opposizione, questi limiti divennero sempre più evidenti quando esso divenne forza di governo. a quel punto cominciò a farsi sempre più forte la protesta sollevata dai movimenti democratici, socialisti e anarchici contro le ingiustizie dell’ordine liberal-borghese. ANALIZZARE LA FONTE
Libertà e liberalismo secondo John Stuart Mill Autore: John Stuart Mill Tipo di fonte: saggio Lingua originale: inglese Data: 1858 John Stuart Mill (1806-1873) fu uno dei più importanti pensatori liberali. Nel suo celebre Saggio sulla libertà, del 1858, si può leggere un’illustrazione particolarmente efficace e radicale di quella concezione individualista e antiautoritaria che sta alla base della dottrina liberale.
Vi è una sfera d’azione in cui la società, in quanto distinta dall’individuo, ha, tutt’al più, soltanto un interesse indiretto: essa comprende tutta quella parte della vita e del comportamento di un uomo che riguarda soltanto lui […]. Comprende, innanzitutto, la sfera della coscienza interiore ed esige libertà di coscienza nel senso più ampio, libertà di pensiero e sentimento, assoluta libertà di opinione in tutti i campi, pratico o speculativo, scientifico, morale, o teologico […]. in secondo luogo, questo principio richiede la libertà di gusti e occupazioni, di modellare il piano della nostra vita secondo il nostro carattere, di agire come vogliamo, con tutte le possibili conseguenze, senza essere ostacolati dai nostri simili, purché le nostre azioni non li danneggino, anche se considerano il nostro comportamento stupido, nervoso, o sbagliato. in terzo luogo, da questa libertà di ciascuno discende, entro gli stessi limiti, quella di associazione tra individui: la libertà di unirsi per qualunque scopo che non implichi altrui danno, a condizione che si tratti di adulti, non costretti con la forza o l’inganno. nessuna società in cui queste libertà non siano rispettate nel loro complesso è libera. […] La sola libertà che meriti questo nome è quella di perseguire il nostro bene a nostro modo, purché non cerchiamo di privare gli altri del loro o li ostacoliamo nella loro ricerca […]. Gli uomini traggono maggior vantaggio dal permettere a ciascuno di vivere come gli sembra meglio che dal costringerlo a vivere come sembra meglio agli altri. J. stuart Mill, Saggio sulla libertà, il saggiatore, Milano 1981 Domande alla fonte 1. Quali sono le tre sfere di libertà di cui parla Mill? 2. Come viene definita la libertà che deve essere garantita in una società libera? 3. Quali sono per Mill gli unici limiti alla libertà individuale?
Caricatura di J. Stuart Mill
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Il laboratorio dello storico
I nuovi strumenti di libertà: libri, riviste, giornali
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
La conquista della libertà di stampa «La stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi». Questa dichiarazione, che si ritrova formulata in quasi tutte le Costituzioni europee emanate durante il 1848, tematizza esplicitamente una delle tipiche rivendicazioni del movimento liberale ottocentesco: quella relativa alla libertà di stampa. Il diritto a questa libertà era stato richiesto con forza fin dai tempi della Rivoluzione francese, riecheggiando analoghe rivendicazioni a suo tempo poste al governo inglese dalle colonie americane, ma durante la prima metà dell’Ottocento i limiti imposti alla circolazione della parola scritta furono ancora molti, e non solo negli Stati tardo-assolutistici. Il fenomeno è documentato da questa stampa popolare: La chiusura del “Mercure”, stampa popolare, xix secolo
La stampa è relativa alla chiusura (si noti la bara al centro) di un noto periodico parigino: Le Mercure, soppresso dalle autorità perché troppo arditamente caratterizzato in senso liberale
La “fine” del giornale è festeggiata dai rappresentanti delle forze reazionarie (ricchi commercianti, alti ufficiali, membri del clero) che consideravano la stampa una “voce” scomoda e perniciosa, dal momento che essa frequentemente difendeva quei principi di libertà che i reazionari osteggiavano
Nei decenni anteriori al 1848 le librerie erano divenute esercizi intensamente frequentati in ogni città europea. Osserva questa immagine:
Molto spesso erano i tipografi e gli editori ad aprire locali di smercio, nei quali, accanto alla propria produzione, mettevano in vendita anche libri e riviste pubblicati altrove La sede della libreria Paravia a Torino, stampa, XIX secolo
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Le riviste, a periodicità variabile, diventarono in quei decenni pane quotidiano per il pubblico. nei paesi contraddistinti da governi di tipo assolutista i periodici, naturalmente, non potevano occuparsi di questioni politiche; tuttavia, le informazioni che elargivano in tema di cultura e le loro rubriche di avvenimenti del mondo contribuirono comunque a creare i presupposti per lo sviluppo di un atteggiamento critico e interessato da parte dei lettori
capItOLO 16 - L’EurOpa daLLa rEStauraZIONE aL QuaraNtOttO
Il “Times” e il “Daily Telegraph”: i giornali all’avanguardia Venire quotidianamente a conoscenza di ciò che avveniva nelle nazioni libere significava abituarsi a desiderare di godere delle stesse condizioni nel proprio paese. Il liberalismo era una “malattia” contagiosa. I governi non potevano tacitare del tutto la stampa che distribuiva ai lettori semi di libertà anche limitandosi a svolgere una funzione puramente informativa. Nello sviluppo della stampa e nella diffusione dell’abitudine alla lettura il paese d’avanguardia fu ancora una volta l’Inghilterra. Il “Times”, il più prestigioso quotidiano britannico, nel 1854 tirava 55 000 copie; nel 1870 erano salite a 70 000, ma a quell’epoca vendeva già molto di più un quotidiano popolare, il “Daily Telegraph”.
La prima pagina del “Daily Telegraph” del 20 agosto 1896 con la notizia della Telegrafia senza fili di Marconi
scritto con linguaggio più semplice e accessibile a persone di cultura modesta, il “Daily Telegraph”, era stato fondato nel 1855 e costava appena un penny. tirava tra le 175 000 e le 190 000 copie
Le cifre che abbiamo appena esposto ci indicano la presenza di un pubblico di lettori certamente più vasto di quello settecentesco, ma tuttavia ancora limitato a una porzione ristretta della popolazione. per dedicarsi alla lettura, d’altro canto, era necessario avere del tempo a disposizione e a quasi tutti coloro che esercitavano un lavoro manuale – magari per 13 o 14 ore al giorno – questa possibilità era in realtà preclusa
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è fatto uso di tre fonti iconografiche (ciascuna riferita a un paese europeo diverso). Le prime due appartengono a un genere tipico dell’epoca: le stampe, che nell’Ottocento cominciarono a venire prodotte in grandi quantità e a fare la loro comparsa sulle pareti di molte abitazioni private. • Le tre immagini raccontano, ciascuna a suo modo, momenti diversi della circolazione della carta stampata nell’Europa della prima metà dell’Ottocento. Sapresti dire quali? • Quali sono i gruppi sociali più intensamente rappresentati all’interno di queste illustrazioni? Per quali motivi?
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capItOLO 16
L’EuROpA DALLA RESTAuRAZIONE AL QuARANTOTTO
Mappa rEStauraZIONE
austria, prussia, russia e Inghilterra vogliono restaurare l’ordine europeo prenapoleonico
Principio di legittimità
congresso di Vienna
Ritorno sui troni delle dinastie prerivoluzionarie
Principio dell’equilibrio tra le potenze europee
• Santa alleanza (Austria, Prussia, Russia)
• Quadruplice alleanza (Austria, Prussia, Russia, Inghilterra)
Luoghi: • Spagna • Italia • Grecia • Russia
Moti del 1820-1825
Obiettivo: ottenere una carta costituzionale
Fallimento (tranne in Grecia) per intervento delle potenze del Congresso di Vienna
Il Belgio cattolico ottiene l’indipendenza dall’Olanda protestante
Moti degli anni trenta Falliscono le insurrezioni in Italia centrale e in polonia
Dopo il reazionario Carlo X, in Francia si afferma la monarchia parlamentare di Luigi Filippo d’Orleans
QuaraNtOttO area tedesca: accanto alle libertà si pone il problema dell’unità
Insurrezioni e richiesta di Costituzioni
Francia: nascita della seconda repubblica con Luigi Bonaparte presidente
Le rivoluzioni falliscono, ma scompare il feudalesimo e si diffonde il liberalismo
colpo di Stato di Luigi Napoleone (1851) e nascita del secondo Impero
Italia: dopo un iniziale successo, reazione e revoca delle Costituzioni
400
capItOLO 16
L’EuROpA DALLA RESTAuRAZIONE AL QuARANTOTTO
Sintesi 16.1 L’EuROpA DELLA RESTAuRAZIONE Con il Congresso di Vienna (1815) incominciò l’età della Restaurazione: prussia, russia, austria e inghilterra decisero infatti di ricostruire l’ordine europeo precedente l’impero napoleonico, richiamando i sovrani spodestati. per ottenere una condizione di equilibrio furono creati nuovi stati-cuscinetto e fu istituita la Santa Alleanza, pronta a reprimere qualunque forma di insurrezione negli stati firmatari (russia, prussia, austria). Con l’adesione dell’inghilterra nacque poi la Quadruplice Alleanza. il progetto di ritornare all’antico regime si dimostrò però fin dall’inizio irrealizzabile. accanto all’Europa “restaurata” ne stava infatti nascendo un’altra liberale, rappresentata sicuramente dalla Gran Bretagna, ma anche dalla Francia, dalla Svezia, dai Paesi Bassi e da alcuni Stati tedeschi dove furono concesse delle Costituzioni (dette “legittimiste”). La battaglia contro il dispotismo si accese ben presto in tutto il continente e si espresse in vari modi: dalla moderata richiesta di Costituzioni a quella di democrazia e modifica dei rapporti tra le classi sociali. si diffuse il socialismo utopistico, che puntava sullo spirito di solidarietà tra gli imprenditori e gli operai e sulla loro capacità di organizzarsi in collettività di autogoverno. dal 1848 in avanti cominciarono a diffondersi programmi di ispirazione comunista, che proponevano l’abbattimento dello stato autoritario e l’abolizione della proprietà privata.
16.3 IL QuARANTOTTO nel Quarantotto il processo rivoluzionario si radicalizzò in tutta Europa. iniziò dalla Francia, dove alla svolta conservatrice degli anni Quaranta il popolo rispose proclamando la repubblica. Già in aprile prevalsero le forze moderate che ritirarono le norme sociali più avanzate. in giugno i lavoratori parigini insorsero di nuovo, contro la borghesia, ma la loro insurrezione fu repressa nel sangue. nei mesi successivi la Francia fece scelte sempre più conservatrici nominando presidente della repubblica il nipote di napoleone, Luigi Bonaparte che nel 1852, in seguito a un colpo di stato, ricostituì l’impero proclamandosi imperatore con il nome di Napoleone III. Mentre il Quarantotto in Francia si caratterizzò per lo scontro tra le forze liberali e quelle democratiche e socialiste, nel resto d’Europa le rivolte unirono al tema costituzionale il problema della nazionalità: così nell’Impero asburgico, nella Confederazione germanica e nella penisola italiana, dove vennero ancora una volta represse dall’iniziativa dei sovrani.
16.2 I MOTI DEgLI ANNI VENTI E TRENTA Fin dall’inizio negli anni Venti, in molti paesi (spagna, italia, russia, Grecia) scoppiarono moti liberali con l’obiettivo di espandere i diritti civili e politici. tutte le insurrezioni, tranne quella greca, furono represse dalla santa alleanza. una seconda ondata rivoluzionaria, negli anni trenta, ebbe effetti più duraturi. in Francia portò alla nascita della “monarchia di luglio”, che vide la cacciata dei Borbone e la salita al trono di Luigi Filippo d’orléans, sostenitore degli interessi dell’alta borghesia. Fu la prima monarchia parlamentare, nella quale i ministri erano responsabili di fronte al parlamento. L’esempio francese fu seguito dai Paesi Bassi cattolici che con il nome di Belgio proclamarono la propria indipendenza dall’olanda. Fallirono invece i tentativi di rivolta nella penisola italiana e nella parte russa della Polonia.
16.4 IL LIBERALISMO E LE SuE COMpLESSITà nella prima metà dell’ottocento si venne delineando il liberalismo maturo, promotore della difesa dei diritti individuali dall’ingerenza dello stato e fautore di un marcato laicismo. a esso si contrappose la cultura della Restaurazione che patrocinò una nuova alleanza fra trono e altare (sostenuta dal cattolicesimo reazionario). nacque anche una nuova forza, il cattolicesimo liberale che intendeva unire “dio e libertà”. accanto al liberalismo borghese si sviluppò anche un liberalismo aristocratico, legato all’insoddisfazione per l’invadenza dello stato e nostalgico di un mondo “preburocratico”.
in Inghilterra, nel 1832 fu approvata un’importante riforma elettorale che aumentava il numero dei votanti e redistribuiva i seggi elettorali a vantaggio nei nuovi agglomerati industriali.
401
Identità collettiva e cittadinanza
Inclusione Esclusione
Alcuni parlamentari presso la caffetteria della Camera dei deputati di Parigi alla fine dell’Ottocento, incisione, XIX secolo
il corpo elettorale La politica come partecipazione
Inclusione
i
all’appartenenza a uno status giuridico (il Terzo l certificato elettorale, le code all’ingresso dei stato in Francia, i rappresentanti dei corpi cittadini seggi, la consegna della scheda alle urne; altrove). l’attesa, infine, dei risultati e la formazione di Nell’Ottocento queste modalità continuarono a lungo un parlamento, nel quale i deputati si ad avere vigore in quelle che venivano chiamate le confrontano e si scontrano dai banchi della Camere “alte” dei parlamenti, cioè i Senati. maggioranza e da quelli dell’opposizione: sono, per noi, le sequenze consuete L’assemblea degli stati generali francesi il 5 maggio 1789 di ogni tornata elettorale. Non sappiamo immaginare che la vita politica di un paese possa essere regolata da procedure diverse, a meno che esso non sia oppresso da una dittatura. Istituzioni rappresentative del territorio e della sua popolazione, in realtà, erano già presenti nell’Europa medievale e in quella moderna. Si chiamavano, a seconda dei luoghi, assemblee degli Stati, assemblee dei ceti, cortes, Pensiamo alla Camera dei Lord in Gran Bretagna. parlamenti, congregazioni e in tanti Nelle Camere “basse”, cioè le Camere dei deputati, altri modi ancora. Non si trattava però di corpi le Costituzioni liberali prevedevano che si entrasse paragonabili a quelli che nel corso dell’Ottocento, perché scelti dal voto dei cittadini ai quali veniva prima in paesi come l’Inghilterra, la Francia, il riconosciuto il diritto elettorale. Almeno in teoria, in Belgio, poi in tutti gli altri – soprattutto dopo le questo caso le prerogative di nascita o di rango non rivoluzioni del 1848 – si imposero come le sedi valevano più; contava, invece, il gradimento del corpo legittime della vita politica di ciascuno Stato. Alle elettorale e, di quest’ultimo, sulla base di un principio antiche assemblee rappresentative, infatti, non si legato alla ricchezza e accedeva attraverso elezioni, ma per diritto di 1830 l de ne zio itu st all’istruzione, entrarono a far nascita (la nobiltà) o come a fedeltà alla Co Luigi Filippo I giur parte moltissime persone che riflesso della particolare in precedenza risultavano funzione che si esercitava escluse dai meccanismi della (clero), o, ancora, in omaggio rappresentanza. 403
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza L’aula del primo Parlamento italia no a Torino
Le Costituzioni liberali dell’Ottocento si caratterizzarono, dunque, come un fenomeno inclusivo, se rapportate alle Costituzioni cetuali del Medioevo e dell’età moderna, e non solo per il fatto che grazie a esse acquisirono diritto di rappresentanza politica strati di popolazione che in precedenza non ne fruivano, ma anche perché cambiò il ruolo attribuito ai moderni parlamenti.
i
parlamenti antichi si erano limitati sostanzialmente a un mandato che consentiva di negoziare con il sovrano il volume, l’incidenza e la modalità di distribuzione e di prelievo delle imposte; oppure di emettere un veto temporaneo all’entrata in vigore di nuove leggi attraverso le quali si ritenesse che il sovrano stesse ledendo il diritto esistente. Si trattava, dunque, di corpi spiccatamente conservatori. I parlamenti liberali ebbero una funzione completamente diversa. A essi fu infatti attribuito (in modo integrale o in compartecipazione) il compito che un tempo erano i regnanti a esercitare in modo esclusivo: fare le leggi, ovvero guidare i processi di innovazione politica. Grazie ai suoi rappresentanti in parlamento era ora la cittadinanza a diventare soggetto attivo della politica e delle sue trasformazioni. Per la prima volta i cittadini (non più sudditi) risultavano dunque inclusi nel cuore della macchina della sovranità. Questo meccanismo di inclusione conobbe degli evidenti limiti di classe e a lungo risultò circoscritto a una porzione decisamente modesta della popolazione: non più del 2%, e talvolta anche meno, eppure fu 404
davvero rilevante l’importanza di altri processi paralleli di partecipazione e di inclusione che le nuove Costituzioni liberali misero in moto. Pensiamo, per esempio, alla campagna elettorale. Dal momento che l’ingresso in parlamento (o, meglio, nella Camera dei deputati) non dipendeva più da un diritto pregresso, per approdarvi era necessario conquistarsi un certo numero di voti, e quindi organizzare incontri e dibattiti per presentare un programma nel quale si annunciava all’elettorato a quali principi ci si sarebbe ispirati durante l’esercizio del mandato parlamentare. Ne scaturiva un flusso di comunicazione che coinvolgeva quella parte di popolazione che godeva del diritto di voto, e che perdurava anche al di là delle scadenze elettorali.
il corpo elettorale
i
n linea di massima, ci si aspettava che i deputati traducessero in leggi i desiderata dell’opinione pubblica, ovvero di quegli strati sociali che abitualmente attingevano alla fonte della stampa periodica, ne commentavano le notizie nei circoli o nei caffè, si interessavano alle vicende del mondo e agli affari pubblici. Attraverso le elezioni era dunque tutto un complesso intreccio di relazioni sociali a fare il proprio ingresso nel luogo in cui prendeva forma un potere non più inteso come segreto ed esclusivo, bensì come proiezione di una società civile decisa a elaborare liberamente le proprie scelte. A fianco del deputato che approdava alla Camera c’erano dunque, idealmente, tutti coloro che avevano contribuito a eleggerlo: il pubblico dei caffè e dei circoli nei quali aveva esposto le proprie idee, quello delle piazze nelle quali aveva tenuto i propri comizi. Era a quel pubblico che il deputato avrebbe dovuto rendere conto del proprio operato parlamentare, se voleva avere qualche chance di essere nuovamente eletto in occasione delle consultazioni successive. In precedenza la politica era stata essenzialmente un affare di corte; ora, a risultare profondamente inclusa nel suo esercizio era una comunità di persone che, mentre praticava quotidianamente le proprie attività private, delegava ad alcuni individui scelti da essa il compito di attendere a quelle pubbliche.
L’interno del caffè Griensteidl a Vienna, XIX secolo
405
SEZIONE 4
L’età napoLeonica e La RestauRazione
eseRcizi ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Costruisci una linea del tempo e colloca opportunamente gli eventi elencati.
➜ cap. 14
Campagna d’Italia • Battaglia di Waterloo • Campagna di Russia • Esilio all’Elba • Codice civile • Colpo di Stato • Incoronazione imperiale • Cento giorni • Battaglia di Austerlitz
2
Riordina cronologicamente gli eventi elencati scrivendo accanto a ciascuno di essi la data e inserendo nei quadratini la corretta successione. ➜ cap. 16 a. b. c. d. e. f. g.
406
Pio IX scrive il Sillabo Mill scrive il Saggio sulla libertà Napoleone III diventa imperatore francese Francesco Giuseppe diventa imperatore austriaco Nicola I diventa zar Luigi XVIII diventa re di Francia Metternich è costretto a dimettersi
3
Indica sulla carta a lato il nome e l’area delle cinque repubbliche “sorelle” sorte in Italia tra il 1797 e il 1799. ➜ cap. 15
4
Cerchia sulla carta nella pagina seguente i nomi delle città europee dove scoppiarono le insurrezioni del 1848. ➜ cap. 16
REGNO DI SVEZIA Mosca
REGNO DI DANIMARCA
REGNO UNITO DI GRAN BRETAGNA E IRLANDA
Copenaghen
IMPERO RUSSO
HOLSTEIN
Londra Amsterdam
oceano Atlantico
Parigi
Berlino REGNO DEI PAESI BASSI BELGIO Francoforte LUSS. Praga
REGNO DEL PORTOGALLO
Madrid
Lisbona
IMPERO D’AUSTRIA Milano LOMBARDOVENETO
Gr. Br.
VALACCHIA
GRAND. DI STATO TOSCANA DELLA
SERBIA
mar Nero
CHIESA
REGNO DI SPAGNA
Gibilterra
IA AB AR SS VIA DA OL M
Torino
Vienna Budapest
BE
Monaco
REGNO DI Berna CONF. SVIZZERA FRANCIA
Varsavia
REGNO DI POLONIA
Roma REGNO DI SARDEGNA
mar Mediterraneo
REGNO Napoli DELLE DUE Palermo SICILIE
IMPERO Costantinopoli OTTOMANO
Malta
Gr. Br.
uSARE IL LESSICO STORICO
5
Che cosa indica la parola “plebiscito”? Rispondi in un breve testo (max 5 righe) fornendo una definizione e contestualizzandolo nell’età napoleonica.
6
Scrivi una frase che contenga il termine “sanfedisti”.
7
Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione (max 5 righe). a. monarchia parlamentare b. principio di legittimità c. cattolicesimo liberale
➜ cap. 15 ➜ cap. 16
d. socialismo utopico e. laicismo f. costituzionalismo
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
8
Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 14
V
F
La Costituzione del 1799 ridava il diritto di voto a tutti i cittadini francesi. Nella battaglia di Austerlitz Napoleone sconfisse l’esercito prussiano. Napoleone consolidò il suo potere ricorrendo per ben tre volte all’istituzione del plebiscito. La Spagna si ribellò al dominio francese perché mal tollerava l’autoritarismo imposto dal nuovo sovrano, Girolamo Bonaparte. e. Napoleone abolì le principali conquiste rivoluzionarie in ambito civile. f. Sotto l’Impero i funzionari dell’amministrazione pubblica potevano contare sulla possibilità di una carriera aperta al merito. g. Per potenziare l’istruzione scientifica Napoleone favorì lo sviluppo delle università. a. b. c. d.
407
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La REStauRaZIONE
9
Quali battaglie furono vinte (V) e quali perse (P) da Napoleone? Trafalgar Jena Austerlitz Lipsia
a. b. c. d.
10 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f. g.
e. f. g.
➜ cap. 14
Waterloo Wagram Beresina
➜ cap. 14
Quali sono gli elementi di continuità e quali quelli di discontinuità tra la Rivoluzione francese e l’Impero napoleonico? Quali sono gli elementi di continuità e quali quelli di discontinuità tra l’antico regime e l’Impero napoleonico? Quali effetti ebbe l’entrata in vigore del Codice civile? Quali furono gli effetti del blocco continentale? Per quale motivo Napoleone non riuscì a sconfiggere militarmente l’Inghilterra? Perché Napoleone invase la Russia nel 1812? Perché fallì la campagna di Russia?
11 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 15
V
F
a. La Repubblica cispadana comprendeva la Lombardia e la Repubblica cisalpina. b. Il Regno d’Italia comprendeva tutta l’Italia del Nord e del Centro. c. La Repubblica napoletana non cadde per l’intervento degli eserciti della coalizione antifrancese, ma per una rivolta contadina. d. Nel periodo napoleonico anche le donne ottennero piena cittadinanza civile. e. Gioacchino Murat era il figliastro di Napoleone. f. Con il Trattato di Campoformio Venezia perse l’indipendenza e venne ceduta all’Austria. g. Napoleone istituì una nuova nobiltà di carattere regionale e non ereditario. h. Durante la dominazione napoleonica i Savoia ripararono in Sardegna e i Borbone in Sicilia.
12 Scegli, tra quelle proposte, le affermazioni corrette.
➜ cap. 16
1. Negli anni Trenta dell’Ottocento il Belgio era a b c
una regione dei Paesi Bassi uno Stato autonomo un territorio asburgico
2. In base al Congresso di Vienna Venezia era a b c
una repubblica indipendente un territorio asburgico una regione del regno sabaudo
3. In base al Congresso di Vienna la Confederazione germanica era a b c
uno Stato federale una realtà composita formata da diversi Stati sotto la presidenza dell’imperatore d’Austria un territorio austriaco
13 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 16
V a. La Francia repubblicana del 1848 fu la prima a garantire il suffragio generale maschile. b. Della Quadruplice Alleanza, oltre ai membri della Santa Alleanza (Russia, Austria e Prussia), faceva parte anche l’Inghilterra. c. La Costituzione belga del 1831 era più avanzata rispetto a quella della Francia del 1830 perché prevedeva l’elezione a suffragio universale anche del Senato, fino ad allora di nomina regia. d. Tutti i moti dei Quarantotto furono caratterizzati dalla contrapposizione tra borghesi e proletari. 408
F
ESERcIZI
e. Napoleone III diventò imperatore francese in seguito a un colpo di Stato. f. A Vienna l’insurrezione del 13 marzo 1848 ebbe come effetto le dimissioni di Metternich. g. Il moto decabrista fu un movimento di rivolta scoppiato in Russia nel dicembre 1825.
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
14 Tocqueville sostiene che Napoleone abbia imposto in Francia un regime dispotico. Quali argomentazioni può avere utilizzato per affermare la sua tesi?
➜ cap. 14
15 In un massimo di 10 righe sintetizza ciascuno dei seguenti argomenti.
➜ cap. 14
a. La riforma amministrativa attuata da Napoleone. b. Il nuovo assetto territoriale dell’Europa nel 1812.
16 In un massimo di 10 righe sintetizza ciascuno dei seguenti argomenti.
➜ cap. 15
a. Le due distinte correnti di patrioti italiani. b. Conquiste e limiti del diritto di famiglia introdotto da Napoleone.
17 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti. 1. 2. 3. 4.
➜ cap. 16
L’azione della Santa Alleanza. Le diverse anime del Quarantotto in Europa. La storia della Francia da Luigi XVIII a Napoleone III. La reazione antiliberale dopo il 1848.
SCRIVERE DI STORIA
18 A partire da questa citazione, scrivi un tema storico sulla figura di Napoleone Bonaparte.
➜ cap. 14
La debolezza del potere supremo è la peggiore calamità dei popoli. soldato o primo console, io non ho avuto che un pensiero; imperatore io non ne ho altro: la prosperità della Francia. […] io non voglio accrescere il territorio della Francia, ma conservarne l’integrità. non ho l’ambizione di esercitare in europa una maggiore influenza, ma non voglio indebolire quella che ho acquistata. nessuno stato sarà incorporato all’impero, ma non sacrificherò i miei diritti né i vincoli che mi legano agli stati che ho cercato. offrendomi la corona il mio popolo ha preso l’impegno di fare ogni sforzo richiesto dalle circostanze per conservarle quello splendore che è necessario alla sua prosperità e alla sua gloria, come alla mia. Ho piena fiducia nell’energia della nazione e nei suoi sentimenti verso di me. i suoi più cari interessi sono l’oggetto costante delle mie cure. n. Bonaparte, Discorso all’apertura della sessione legislativa del 6 nevoso anno Xiii (27 dicembre 1804), in Correspondance de Napoléon I.er publiée par ordre de l’empereur Napoleon III, vol. X, 1862
19 Dopo aver letto il brano, scrivi un tema storico sul seguente argomento: “L’Europa dopo Napoleone”
➜ cap. 16
Alla sconfitta e all’esilio forzato di Napoleone seguì una fase estremamente movimentata della storia europea, nella quale, mentre si cercava di recuperare gli equilibri politici prenapoleonici, non si poté fare a meno di constatare la forte spinta all’innovazione proveniente dall’esperienza rivoluzionaria prima e napoleonica poi. Si tratta dunque di un periodo di grande mobilità di idee e di principi economici, oltre che di nuove forme di Stato, che provenivano dall’esperienza rivoluzionaria e napoleonica e che ancora non si erano del tutto consolidate in Europa. I vecchi poteri si rinnovarono e tentarono di recuperare i ruoli di dominio, affiancati ora nei governi da forze nuove, provenienti per lo più dalla borghesia del commercio. Le fondamentali questioni dell’equità economica e della rappresentanza politica, sollevate nei decenni precedenti, e affatto risolte, continuarono a creare grandi ribellioni che coinvolsero molti Stati. 409
SEZIONE 4
L’ETà NApOLEONICA E LA RESTAuRAzIONE Verso
IL DIBATTITO DEGLI STORICI Dopo la Rivoluzione Per giudizio sostanzialmente concorde degli storici, l’età napoleonica segnò uno spartiacque decisivo nel processo di formazione dell’Europa moderna. Non solo perché durante quell’epoca in Francia si assistette al soffocamento di quella grande spinta alla partecipazione al potere che era stata tipica del decennio rivoluzionario, ma anche e soprattutto perché, malgrado questo, le principali innovazioni giuridiche introdotte dalla Rivoluzione francese vennero non solo riconfermate nel paese che le aveva tenute a battesimo, ma anche diffuse in tutta quella vasta parte dell’Europa attratta tra il 1800 e il 1815 nel sistema di dominio napoleonico. Tutto ciò si tradusse in un poderoso rafforzamento del potere statale e nel raffinamento delle sue tecniche di controllo su una società resa egualitaria sotto il profilo giuridico, ma privata della possibilità di esercitare la propria sovranità. Il li-
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
beralismo della prima metà dell’Ottocento fu, in gran parte, l’espressione di questo conflitto tra Stato autoritario e società civile. Jean Christopher Herold 1 , tracciando un profilo degli effetti politici e militari dell’avventura napoleonica, in un saggio degli anni Cinquanta del Novecento descrive il momento di nascita di quella Quadruplice Alleanza che nel 1815 si apprestò a organizzare una gestione autoritaria dell’età post-napoleonica. Marco Meriggi 2 , presentando il caso del Regno d’Italia napoleonico, si sofferma su una delle sue nuove istituzioni, l’anagrafe, mostrando come essa contribuì a modificare il rapporto tra Stato e società. Maurizio Isabella 3 descrive infine il ruolo assolto durante l’epoca della Restaurazione dal mondo dell’emigrazione politica nella sua veste di “internazionale liberale”, mostrando come essa traesse linfa ideologica da molteplici fonti di informazione.
Jean Christopher Herold
Da Napoleone alla Santa Alleanza J. C. Herold, nato in Cecoslovacchia nel 1919 e in seguito naturalizzato americano, è stato un valido rappresentante della tradizione anglosassone di studi storico-politici e storico-militari, nonché direttore, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, della prestigiosa Stanford University Press. Tra le sue opere, oltre quella da cui si cita, va ricordata la biografia di Madame de Staël, Mistress to an Age: a Life of Madame de Staël (1958). 1. Jean Victor Marie Moreau (17631813), generale francese dell’età rivoluzionaria e napoleonica. Cospirò contro Napoleone, e negli ultimi anni della sua vita fu consigliere militare dello zar Alessandro I di Russia.
410
«La grandezza ha le sue bellezze, ma solo retrospettivamente e nella fantasia»: così scriveva il generale Bonaparte al generale Moreau1 nel 1800. La sua osservazione aiuta a spiegare come mai il mondo, appena pochi anni dopo aver tirato un sospiro di sollievo per essersi liberato dall’orco, cominciasse a venerarlo come l’uomo più grande dei tempi moderni. Napoleone aveva da poco abbandonato la scena, e già i quindici anni che egli aveva modellato nella storia del mondo per forgiare la sua gloria erano diventati appena credibili. Soltanto le cicatrici dei reduci dalle guerre e il posto vuoto nel letto delle vedove sembravano attestare la realtà di quegli anni, e il tempo eliminò ben presto
2. George Gordon Noel Byron (1788-1824), poeta romantico inglese, che combatté a sostegno dell’indipendenza della Grecia. 3. Il significato della citazione di Byron è che come il vento non si può vedere, così non si può vedere la gloria. È dunque un illuso colui che crede di potere definire esattamente quest’ultima.
anche questi silenziosi testimoni. Quel che rimaneva, retrospettivamente e nella fantasia, era leggenda e simbolo. La storia vissuta e la storia ricordata sono due cose affatto diverse. Seduto accanto al focolare, circondato dai nipotini, il reduce della ritirata da Mosca troverà una felicità maggiore nel raccontare per la centesima volta le sofferenze rammentate ma non più sentite, piuttosto che nella somma complessiva di tutti i momenti fausti della sua vita, che non riuscirà neppure a ricordare. L’immagine che si faranno i suoi nipoti di quegli anni di gloria sarà poi ancor più lontana dalla realtà. La circostanza che tutta questa gloria sia terminata nella sconfitta, avrà poco peso: meglio essere stati grandi e poi sconfitti che non essere stati grandi mai. In che cosa consista precisamente la grandezza, non è chiaro. «Ma la Gloria è la gloria» dice Byron2 «e se volete trovare quello che è, chiedetelo al maiale che crede di vedere il vento!»3. A prima vista il bilancio dell’avventura di Napoleone sembrava registrare un passivo considerevole. Dopo due decenni di guerre, dopo la perdita di oltre un milione di vite umane e di beni per milioni di franchi, la Francia emerse ridotta ai suoi confini del 1790, oberata da un conto di quasi un miliardo di franchi in riparazioni e con parecchie delle sue province sotto occupazione alleata. Queste, infatti, furono le condizioni impostele dal secondo trattato di parigi, firmato dopo Waterloo. per rendere giustizia a Napoleone, bisogna tuttavia rilevare che non si devono attribuire esclusivamente a lui le perdite umane e materiali. Le guerre conclusesi a Waterloo erano cominciate quando egli era ancora un semplice tenente, ed è più che probabile che anche se egli fosse morto o si fosse ritirato dalla vita pubblica nel 1802, ve ne sarebbero state egualmente. E non fu neppur lui a dare inizio alla politica di conquiste che rese inevitabili queste guerre; quella politica cominciò quando il governo rivoluzionario francese annunciò che avrebbe liberato i popoli d’Europa ed acquistò impeto allorché i suoi eserciti occuparono il Belgio, l’Olanda, la riva sinistra del Reno e l’Italia settentrionale. La colpa di Napoleone fu non di avere abbracciato una carriera di conquiste, ma di non aver saputo o voluto arrestarsi quando era ancora vittorioso, o almeno limitare le sue perdite quando ne aveva ancora la possibilità. Il suo ritorno dall’Elba fu un’avventura irresponsabile che soltanto un cieco ammiratore potrebbe cercare di giustificare; senza di essa la Francia avrebbe evitato l’occupazione straniera, il pagamento dell’indennità di guerra e l’umiliazione di dover restituire, in base alle condizioni di pace, gli inestimabili tesori d’arte che aveva portato via dalle capitali d’Europa. Anche così la Francia non era punto talmente esausta come sembrava: riuscì a pagare l’indennità nel termine sorprendentemente breve di tre anni. Nel 1818 le ultime forze di occupazione evacuarono la Francia, che fu pure ammessa in seno all’alleanza delle quattro grandi potenze. La Quadruplice Alleanza – che divenne la Quintuplice Alleanza con l’adesione della Francia nel 1818 – fu sottoscritta il medesimo giorno del secondo trattato di parigi, il 20 novembre 1815. In pratica un rinnovo del trattato di Chaumont, essa impegnava le quattro potenze firmatarie (Inghilterra, Austria, Russia e prussia) a darsi reciproca assistenza nel caso in cui il trattato di parigi fosse violato. Il suo aspetto più interessante consisteva nella clausola che prevedeva che i membri dell’alleanza si sarebbero riuniti periodicamente in conferenza per adottare misure dirette a garantire la pace e la stabilità dell’Europa ogni qualvolta fossero minacciate. Di fatto non vi furono minacce alla pace fino a che il sistema della alleanza conservò efficacia: le cinque grandi potenze, e le altre potenze subordinate, erano troppo preoccupate delle minacce interne alla loro stabilità per vagheggiare progetti di aggressioni esterne. La teoria generalmente abbracciata dagli statisti dell’epoca – con Metternich 411
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La REStauRaZIONE
4. Friedrich von Gentz (17641832), pubblicista e uomo di Stato tedesco, assolse le funzioni di segretario al Congresso di Vienna (18141815).
alla testa, e Gentz4 alla sua destra – era che le guerre del precedente quarto di secolo erano derivate non da una lotta per il potere fra i sovrani, ma dallo spirito sovversivo della Rivoluzione francese. La Rivoluzione era dinamica e tendente all’espansione; non poteva arrestarsi ai confini nazionali e non poteva essere contenuta: doveva essere soffocata. Era perciò sacro dovere di ogni sovrano reprimere ogni movimento o tendenza che mettesse in pericolo l’ordine costituito, ed era dovere di tutti i sovrani assisterlo, se necessario, in tale compito. La teoria ha ancora i suoi campioni, e non è del tutto insostenibile. Fu la Rivoluzione francese a scatenare tutta una serie di guerre di conquista, e le situazioni rivoluzionarie sono sempre un pericolo per la pace generale. Eppure gli statisti del periodo postnapoleonico ingannavano se stessi se credevano che le rivoluzioni fossero causate semplicemente da un perverso spirito di insubordinazione che potesse venir sradicato con azioni di polizia e con la censura, ed erano decisamente privi di realismo nella loro convinzione di poter impedire l’eruzione di alcune decine di vulcani semplicemente mettendosi a sedere su di essi. J. C. Herold, L’età di Napoleone, Il Saggiatore, Milano 1967, pp. 427-429
Guida alla comprensione • Herold propone una distinzione di partenza • Egli illustra poi gli schemi di ragionamento di cui gli statisti delle potenze alleate antinapotra la storia reale e quella elaborata successileoniche fecero uso per costruire il loro provamente da chi vi ha preso parte sotto forma getto di Europa post-rivoluzionaria. di memoria.
2.
Marco Meriggi
La nascita del cittadino moderno Marco Meriggi (nato nel 1955) è l’autore di questo volume del corso di storia. Insegna Storia delle istituzioni politiche presso l’Università di Napoli Federico II. Tra le sue opere, oltre a questa da cui si cita : L’Europa dall’Otto al Novecento, Carocci, Roma 2006, e, con Laura Di Fiore, World History. Le nuove rotte della storia, Laterza, Roma-Bari 2011.
1. Olivier Faron, storico francese, autore di La ville des destins croisés. Recherches sur la société milanaise du XIXe siècle (“La città dei destini incrociati. Ricerche sulla società milanese del XIX secolo), Roma 1997
412
In che cosa consistettero, concretamente, i “cangiamenti” messi in cantiere dalle amministrazioni napoleoniche? In primo luogo nella classificazione, uno per uno, degli individui che componevano la popolazione dei due regni, presupposto irrinunciabile per la definizione di una unitaria cittadinanza statale e per la fattività dei diritti e dei doveri a questa connessi. Le modalità di questa operazione – ovvia in apparenza, ma tutt’altro che agevole o lineare nella sua realizzazione – sono state di recente ben studiate da una ricerca di Olivier Faron1 , dedicata all’impianto dell’anagrafe a Milano, capitale della Repubblica italiana e poi del Regno italico. Ed è dalle pagine scritte dallo studioso francese che ricaviamo la filigrana del racconto che ci apprestiamo a esporre. prima dell’età napoleonica, in un mondo contraddistinto dalle giurisdizioni miste e, dunque, dall’inesistenza del monopolio statale del pubblico potere, il compito della registrazione degli individui spettava essenzialmente alla Chiesa, che provvedeva a fissare su un foglio di carta i due o tre momenti nevralgici del ciclo di vita di ogni cattolico
IL dIbattItO dEgLI StORIcI
2. Gli status animarum (“stati delle anime”) erano i registri dei parrocchiani, introdotti dal Concilio di Trento (1545-1563), redatti a cura dei parroci.
– la nascita, la morte, eventualmente il matrimonio – e che approntava poi di tanto in tanto delle macrorilevazioni, redigendo gli status animarum2 . Ma è evidente che per garantire un contatto continuativo ed efficace tra la nuova, totalizzante, amministrazione e la popolazione oggetto delle sue cure, tanto al fine di ricavarne il corrispettivo sul piano delle obbligazioni individuali verso il pubblico potere quanto allo scopo di beneficiare i singoli delle pubbliche provvidenze, era necessario qualcosa di meno rapsodico. Si trattava, in buona sostanza, di seguire puntualmente gli spostamenti degli individui nello spazio statale – il luogo di sintesi della nuova cittadinanza individualistica e post-corporata – e di ancorare la chiave della loro identità non al luogo di nascita (come faceva la registrazione di matrice ecclesiastica), bensì a quello, cangiante, di residenza, in modo da trasformare la documentazione statale “in istantanea” prodotta dalla parrocchia in documentazione a ciclo continuo. A Milano fu nel 1802, in seguito all’emanazione della legge sulla coscrizione che prevedeva in teoria l’obbligo di prestare il servizio militare per tutti i maschi adulti, che venne avviato il grande progetto dell’anagrafe e che si dette dunque esplicitazione formale all’intenzione di sostituire integralmente la registrazione statale degli individui a quella fin lì rapsodicamente assicurata – e solo in relazione ai cattolici – dalle istituzioni ecclesiastiche. Tra l’enunciazione del progetto anagrafico e la sua realizzazione operativa passarono per altro quasi dieci anni. Solo nel 1810, infatti, un piccolo esercito di commissari e delegati di polizia opportunamente istruiti cominciò a battere in lungo e in largo le strade della città e a bussare a ogni porta dei 5601 edifici censiti dal catasto urbano. Ognuno dei rilevatori era munito di una cospicua mazzetta di schede, sulle quali avrebbe registrato le informazioni necessarie a formare il cosiddetto “ruolo generale di popolazione”. Luogo e data di nascita, residenza, stato civile, professione: erano questi gli elementi ritenuti indispensabili per comporre il fotogramma iniziale di una pellicola della quale, per ciascun individuo, si prevedeva di seguire passo passo lo svolgersi nel tempo, sino alla tomba, rincorrendo il filo rosso dei mutamenti di residenza o di stato civile. […] È da dubitare che la procedura attivata da questo primo, epocale, “contatto analitico” tra la pubblica amministrazione e una cittadinanza che concretamente prendeva allora per la prima volta forma in senso compiuto si svolgesse, poi, secondo le modalità descritte. Quello dell’anagrafe, più ancora che come un progetto, a lungo – verosimilmente per interi decenni – si configurò come una vera e propria utopia, destinata a perdere pezzi e coerenza a contatto con una popolazione naturalmente poco incline a lasciarsi registrare e non a torto molto diffidente nei confronti delle cure “paterne” del pubblico potere. Quest’ultimo, del resto, aveva per così dire scoperto in anticipo le proprie carte, ancorando esplicitamente il processo di costruzione dell’anagrafe a quello di imposizione del servizio militare obbligatorio. La registrazione serviva, in altre parole, in primo luogo a procacciare uomini per i battaglioni e a far conoscere loro per la prima volta in questa forma le obbligazioni derivanti dalla loro nuova condizione di cittadini dello stato. Si traduceva, insomma, in un onere pesante, assai più che in un beneficio. M. Meriggi, Gli stati italiani prima dell’Unità. Una storia istituzionale, il Mulino, Bologna 2011
Guida alla comprensione • L’autore descrive le nuove tecniche di registrazione degli individui introdotte nel Regno d’Italia in età napoleonica. • Segnala poi le finalità per le quali era stata con-
cepita la registrazione anagrafica, richiamando l’attenzione sulle diffidenze che accompagnarono l’entrata in vigore della riforma.
413
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La REStauRaZIONE
3.
Maurizio Isabella
L’Internazionale liberale Isabella è uno storico italiano che insegna in Gran Bretagna, presso l’Università di Londra, e si occupa della cultura politica ed economica italiana del Risorgimento. Il brano seguente è tratto dal suo primo libro.
1. “Revue encyclopédique”, rivista liberale francese pubblicata dal 1819 al 1835. 2. “Globe”, rivista letteraria e politica parigina pubblicata tra il 1824 e il 1832. 3. “Edinburgh Review”, uno dei più influenti periodici inglesi dell’Ottocento, pubblicato dal 1802 al 1929. 4. “Annali universali di statistica”, periodico economico milanese pubblicato dal 1824 al 1871. 5. “L’Antologia”: rivista di cultura fiorentina che tra il 1821 e il 1832 rappresentò l’organo del “partito” liberale nel Granducato di Toscana. 6. Filippo Buonarroti (1761-1837), rivoluzionario italiano naturalizzato francese, che collaborò con Gracco Babeuf nella Congiura degli Eguali (1796; v. p. 307). 7. Jean-CharlesLéonard Simonde de Sismondi (1773-1842), saggista, storico e critico letterario svizzero liberale.
414
Le diaspore politiche svolsero un duplice ruolo. In primo luogo, dettero un importante contributo all’affermazione di un’opinione pubblica contraria al sistema internazionale creato nel 1815. In Francia, così come nei paesi Bassi, in Inghilterra e nelle Americhe, gli esuli promossero incessantemente il loro programma politico e attaccarono l’ordine conservatore dalle pagine della stampa liberale. I loro scritti vennero ospitati da periodici come la “Revue encyclopédique”1 e il “Globe”2 a parigi, dalla stampa liberale a Bruxelles e dalla “Edinburgh Review”3 in Gran Bretagna. Le diaspore svolsero la funzione di ponti intellettuali in grado di collegare i regimi conservatori dei paesi di origine degli esuli ai dibattiti che si svolgevano in Francia, in Inghilterra e nei paesi in cui era avvenuta una rivoluzione. Spesso gli scritti degli esuli italiani vennero pubblicati a Lugano, vicino al confine della Lombardia austriaca, da dove venivano fatti penetrare nella penisola. Laddove la censura lo consentisse, gli echi di questi dibattiti europei potevano riflettersi anche sulla stampa italiana, e in riviste di orientamento progressista come gli “Annali universali di statistica”4 a Milano e “L’Antologia”5 a Firenze. poiché le materie e le questioni trattate dai settimanali e dai quotidiani europei e anche americani erano le stesse, e gli articoli venivano tradotti e pubblicati quasi simultaneamente in diversi paesi, la sfera pubblica assunse una natura sempre più europea e perfino transoceanica, nonostante i limiti imposti dalla censura. In secondo luogo: la comunità internazionale crebbe vigorosamente su uno stesso humus fatto di liberalismo, patriottismo e repubblicanesimo, e dette il suo specifico contributo allo sviluppo e alla diffusione di queste correnti intellettuali di portata globale. Le idealità repubblicane e le nuove forme di patriottismo che si svilupparono fra i rivoluzionari italiani, greci e ispanoamericani avevano un forte debito nei confronti della tradizione rivoluzionaria francese. E tuttavia la libertà neoromana, con la sua enfasi sulla virtù civica considerata come una precondizione essenziale per la sopravvivenza della patria, era connessa a una serie di tradizioni repubblicane diverse. La sua versione più radicale, di stampo robespierriano e russoiano, venne preservata dalle società segrete, e trovò la sua espressione paradigmatica nel vecchio cospiratore Filippo Buonarroti,6 attivo a Bruxelles, una figura la cui importanza politica era ovunque riconosciuta in Europa. La sua Conspiration pour l’égalité, dite de Babeuf (1828), nella quale celebrava il Terrore e condannava il regime del Termidoro, diventò la Bibbia del radicalismo europeo. un’altra importante fonte d’ispirazione dei repubblicani europei fu rappresentata dalle Americhe. L’emancipazione delle colonie dell’America Latina fornì al repubblicanesimo nuovi esempi e rinnovò il fascino che fin dalla loro nascita gli Stati uniti avevano continuato a esercitare sugli europei. Infine, un’importante corrente repubblicana si riallacciò alla storia politica dell’Italia moderna e alla tradizione dell’umanesimo civile rappresentata da Machiavelli. Questa terza corrente, a carattere molto più moderato rispetto a quella di ascendenza buonarrotiana, traeva ispirazione per un verso dal modello rappresentato dalle repubbliche medievali italiane, la cui idealizzata combinazione di virtù civiche, forme di governo moderate e valori commerciali spiegava il grande fascino esercitato dalla Histoire des républiques italiennes (1809-1819) di Sismondi,7 per un altro dall’esperienza delle città Stato oligarchiche da poco scomparse, e in particolare da Venezia. Anche il bonapartismo, come tradizione politica basata sulla memoria dell’imperatore, crebbe vigorosamente in Europa dopo il 1815. I suoi sostenitori vedevano in Napoleone l’incarnazione dei principi della rivoluzione e un simbolo dell’opposizione ai regimi della Restaurazione. Questo atteggiamento politico, con la sua interpretazione in senso “liberale” dell’eredità napoleonica, ritenuta compatibile con il parlamentarismo, era stato facilitato dal
IL dIbattItO dEgLI StORIcI
8. Benjamin Constant (1767-1830), scrittore e politico francese liberale di origine svizzera. 9. Marie-Joseph Paul marchese di Lafayette (1757-1834), generale e uomo politico francese. 10. Jeremy Bentham (1748-1832), filosofo e economista inglese, teorico dell’utilitarismo.
fatto che nel corso dei “Cento giorni” l’imperatore si era associato con l’opposizione liberale. Il liberalismo costituiva una categoria ancora più ampia e vaga del repubblicanesimo, non da ultimo perché fu proprio negli anni successivi alla conclusione dell’era napoleonica che il termine acquisì una nuova serie di significati e venne impiegato in modo sempre più frequente nel linguaggio politico in Europa e altrove. Il termine liberales, che si era diffuso in Spagna per designare i nemici dell’invasore francese e nel 1820 i sostenitori della costituzione del 1812, migrò successivamente in Italia e anche in Sudamerica. In Francia, il termine libéral si svincolò gradualmente dalla sua associazione con la politica napoleonica, per assumere un significato antitetico all’autoritarismo di quel modello, e rappresentare invece molti di quei principi che stavano a cuore all’opposizione globale: il costituzionalismo, un diverso ordine internazionale, le libertà politiche e civili, il progresso graduale e le riforme sociali; anche qui, i liberali rappresentavano una chiesa alquanto ampia, anche se condividevano la convinzione di “porre la libertà al primo posto”. In Inghilterra, il termine liberal era stato in un primo momento importato dalla Spagna, per descrivere gli eventi del continente, ma in seguito, negli anni Venti, diventò di uso comune come espressione mutuata dalla realtà francese, e venne usato per designare le politiche riformatrici dei whig, il gruppo della “Edinburgh Review” e i sostenitori della riforma elettorale (Reform Bill ) del 1832. Il liberalismo si basava esso stesso su un complesso di diverse giustificazioni teoriche, e la libertà veniva definita in modi molto vari, vuoi in una prospettiva utilitaristica, vuoi con riferimento alle libertà civili e alla difesa dei diritti umani, come l’“affermazione dell’individualità”, oppure anche nel senso di libertà “regolata” o “limitata”, con funzione di baluardo contro gli eccessi rivoluzionari. In Francia un numero significativo di liberali, fra i quali Constant8 e Lafayette,9 rimase fedele alla tradizione rivoluzionaria e pose il concetto dell’esistenza di diritti naturali alla base del proprio liberalismo; altri però vennero influenzati dal pensiero di Bentham10 e degli utilitaristi inglesi, e motivarono la necessità di difendere ed estendere ogni forma di libertà in base appunto a principi utilitaristici. Anche l’economia politica offrì efficaci strumenti per criticare i regimi della Restaurazione e stimolò una discussione sulla natura e i limiti della libertà. In Francia, Italia, Inghilterra e Scozia gli economisti che ripresero in considerazione l’eredità di Adam Smith alla luce degli eventi post-rivoluzionari elaborarono gli strumenti analitici con i quali procedere a una valutazione della natura della globalizzazione, dei progressi che essa stava compiendo, ma anche della minaccia che rappresentava per la stabilità politica e sociale dell’Europa. M. Isabella, Risorgimento in esilio. L’internazionale liberale e l’età delle rivoluzioni, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 33-37
Guida alla comprensione • Isabella ricostruisce la trama che nel primo • Egli passa poi in rassegna le varie anime del liberalismo europeo dell’epoca: da quella raquindicennio della Restaurazione collegava le dicale, a quella moderata, a quella di ispirariviste liberali di paesi come la Francia e la zione bonapartista, a quella, infine, di matrice Gran Bretagna a quelle italiane di orientautilitaristica. mento progressista.
Per tirare le fila: rifletti e confronta 1. In quale di questi brani si concentra maggiormente l’attenzione sul tema delle strutture dello Stato, e perché? 2. I primi due brani parlano dell’età napoleonica, ma ne presentano aspetti diversi. Quali? 3. Perché il terzo brano propone un nesso così forte tra stampa e liberalismo? 4. Sulla base dei tre brani, quale risulta il soggetto principale dell’età napoleonica, e quale quello della Restaurazione? 415
SEZIONE 4
L’ETà NApOLEONICA E LA RESTAuRAzIONE Verso
VERSO L’ESAME DI STATO
le competenze
• Produrre un tema di argomento storico utilizzando fonti di differente tipologia • Imparare a discutere sulle “categorie” storiografiche • Mettere in relazione ed esprimere correttamente conoscenze proprie e considerazioni personali • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti
Scrivere un tema di argomento storico Il tema di argomento storico Il tema è un testo scritto in cui si è chiamati a sviluppare e approfondire in modo coerente un argomento proposto intrecciando conoscenze e considerazioni personali, dunque può essere contemporaneamente descrittivo, espositivo-informativo, narrativo e argomentativo. Al centro del tema di argomento storico (tipologia C) si trova solitamente un evento, un fenomeno o un personaggio, da analizzare in un particolare momento o nella sua evoluzione. Proprio per le specificità della disciplina storica in un elaborato di questo tipo assume particolare rilevanza l’analisi delle cause e delle conseguenze, dei possibili confronti con altri fatti o personaggi coevi o di periodi differenti, della presentazione di una o più interpretazioni storiografiche. Nella prima parte della scheda proviamo dunque a costruire insieme un tema di argomento storico sull’operato di Napoleone.
Il titolo Valutando l’esperienza napoleonica nel suo complesso, spiega in che senso si può affermare che Napoleone, da un lato abbia portato a compimento, rendendole definitive, le istanze espresse nel corso della Rivoluzione francese, mentre dall’altro rappresenti un passo indietro rispetto alle fasi e alle realizzazioni più avanzate della stessa rivoluzione.
Organizzare il proprio lavoro La realizzazione di un tema, ma più in generale di un qualunque testo scritto, avviene attraverso due momenti: una prima fase di lavoro, la produzione delle idee, che precede la scrittura vera e propria, e poi la reale produzione del testo, di cui è parte integrante anche un’attenta revisione. È dunque importante organizzare il proprio lavoro destinando a ciascuna di queste fasi un tempo adeguato. Il tempo a disposizione all’esame di Stato è di sei ore, mentre nelle verifiche in classe ne sono solitamente concesse due o tre. 416
vERSO L’ESamE dI StatO
La produzione delle idee Il lavoro preparatorio alla stesura di un elaborato consiste in una corretta analisi della traccia cui seguono la formulazione delle idee, la scelta delle informazioni, la definizione della tesi che si vuole sostenere, l’organizzazione dei contenuti e l’elaborazione di una “scaletta”. Conoscere bene l’argomento è ovviamente un fattore indispensabile, ma non è sufficiente: per scrivere un tema di storia è infatti necessario applicare competenze specifiche sia logicoconcettuali tipiche della storiografia (che non a caso significa “scrivere di storia”) sia lessicali specifiche. Alcuni studenti, convinti di avere le idee già sufficientemente chiare senza bisogno di esplicitarle e organizzarle preventivamente o di poterlo fare in corso d’opera, considerano questa fase del lavoro una perdita di tempo e tendono a evitarla. È un grave errore, che non soltanto non fa risparmiare tempo, ma è spesso fonte di un’esposizione poco lineare, confusa e superficiale.
L’analisi della traccia La traccia di un tema può essere aperta o articolata: quella aperta definisce l’argomento da trattare senza imporre significativi vincoli, lasciando pertanto completa libertà di azione su come svolgere l’elaborato; al contrario, la traccia articolata fornisce alcune linee guida che devono essere seguite nella trattazione e quindi condiziona l’organizzazione dei contenuti e la struttura del testo stesso. Analizzare una traccia significa: 1. individuarne la tipologia: è una traccia aperta o pone dei vincoli da rispettare? Quale impostazione dovrò dunque dare al mio elaborato? Si richiede di tracciare il profilo di un personaggio storico, o di fare la presentazione di un’epoca, di un evento significativo o l’analisi di una questione storiografica? Nel nostro caso la traccia è articolata e pone vincoli precisi che bisogna rispettare nel corso dell’elaborazione del tema:
Valutando l’esperienza napoleonica…, spiega… Napoleone da un lato… mentre, dall’altro… 2. identificarne le varie componenti, vale a dire le parole o i concetti chiave presenti al suo interno, per comprenderne le reali richieste. Noi ne abbiamo evidenziato alcuni: ti sembrano sufficienti? Ne evidenzieresti altri? Ne elimineresti qualcuno? 3. valutare se si possiedono le competenze richieste per questo elaborato, tenendo presente che, come abbiamo già visto, in un tema storico non ci si può limitare a un semplice riepilogo cronologico degli avvenimenti o a una pura esposizione dei fatti, ma è necessario far riferimento a qualche interpretazione storiografica e inserire le proprie riflessioni personali, adeguatamente argomentate. Se non ci si sente sufficientemente preparati, sarà necessario integrare le proprie conoscenze approfondendo l’argomento sul manuale di storia o su altre fonti (saggi monografici, pubblicazioni specialistiche, video, opere musicali ecc.) che naturalmente non sono a disposizione in occasione dell’esame. In quella sede occorre fare affidamento soltanto sulle conoscenze acquisite con uno studio continuativo e critico.
La formulazione di “idee” e la scelta delle informazioni Spesso gli studenti hanno l’impressione di non avere idee e di non sapere che cosa dire sul tema proposto. Per scegliere le informazioni più adeguate a rispondere in modo esauriente alla traccia, ti suggeriamo di ricorrere alla realizzazione di un elenco, partendo dalle indicazioni ricavate dal titolo e integrandole con ciò che ricordi sull’argomento: • Napoleone Bonaparte “figlio della rivoluzione” • Governo dittatoriale in contrasto con il principio della sovranità popolare • Riorganizzazione e modernizzazione dello Stato • Diffusione dei principi rivoluzionari in Europa • Conquiste militari 417
SEZIONE 4 - L’Età NapOLEONIca E La REStauRaZIONE
• Rinnovamento istituzioni politiche e sociali in Europa • Eliminazioni esenzioni e privilegi nobiliari ed ecclesiastici • Concordato con la Chiesa • Codice civile • Banca nazionale • Eguaglianza dei cittadini davanti alla legge • Diritti politici • … Completa tu l’elenco eventualmente ricorrendo alle pagine del manuale dedicate all’argomento: riprendi i contenuti dei capitoli 14 e 15, l’intervista impossibile a Napoleone Bonaparte di p. 356 e annotati tutto ciò che pensi possa esserti utile nel corso della stesura del tema. Puoi anche utilizzare l’ulteriore documentazione fornita on line.
L’organizzazione delle idee, la definizione della tesi e la stesura della scaletta Prima di passare alla stesura è importante dare un ordine ai diversi argomenti elencati, in una struttura del testo coesa e logicamente concatenata. Realizzare la scaletta significa infatti organizzare le idee emerse talora confusamente e pianificare lo scritto. Ogni pianificazione deve però essere funzionale all’obiettivo e cioè, nel nostro caso, alla tesi da sostenere, che è esplicitata nella traccia e potremmo sintetizzarla con la seguente frase: Napoleone da un lato si pone in continuità con la Rivoluzione francese e dall’altro torna al passato Seguendo le indicazioni della traccia, potremmo realizzare uno schema di questo tipo: 1. Introduzione: enunciazione della questione nei suoi elementi fondamentali 1.1. Napoleone Bonaparte “figlio della rivoluzione” 1.2. La creazione di un potere monarchico 1.3. L’Europa napoleonica: limiti cronologici e territoriali 1.4. … 2. Parte centrale: esposizione della tesi e argomentazioni 2.1. Istanze della Rivoluzione francese portate a compimento 2.1.1. Riforma amministrativa 2.1.1.1. Coinvolgimento del personale politico rivoluzionario 2.1.1.2. Prefetti principali strumenti della centralizzazione burocratica e amministrativa 2.1.2. Eguaglianza dei cittadini davanti alla legge 2.1.3. Creazione del codice civile 2.1.3.1. … 2.1.4. Attenzione per l’istruzione 2.1.4.1. Istruzione superiore il liceo statale 2.1.4.2. Università, Scuole Politecniche 2.2. Ritorno al passato rispetto alla Rivoluzione francese 2.2.1. Concordato con la Chiesa 2.2.2. Plebisciti e non più libere elezioni 2.3. Punti “critici” 2.3.1. Nuova nobiltà borghese e militare 3. Conclusione: riepilogo dei ragionamenti condotti e ripresa della tesi 3.1. Valutazione complessiva dell’esperienza napoleonica Completa la scaletta dell’elaborato seguendo le indicazioni date dalla traccia e inserendo il punto di vista di uno o più storici. 418
vERSO L’ESamE dI StatO
La produzione del testo Terminata la fase di pianificazione del testo, è il momento di passare alla scrittura vera e propria che richiede un’esposizione chiara e coerente, con l’uso di un linguaggio “storico”, cioè una terminologia specifica, evitando il ricorso a un lessico generico o a espressioni colloquiali. Nella stesura del testo è importante rispettare la gerarchia degli argomenti predisposta con la scaletta: se quest’ultima è stata realizzata correttamente, a ogni punto di essa dovrebbe corrispondere un paragrafo compiuto. Fondamentale per dare coesione e coerenza al testo è l’uso dei connettivi logici. Una volta completato lo svolgimento, si può passare alla revisione, ovvero alla rilettura e correzione della “brutta”, dal punto di vista sia del contenuto – con particolare attenzione al rispetto delle consegne della traccia, alla completezza della trattazione e alla correttezza dei dati –, sia della forma morfosintattica. Soltanto a questo punto si può passare alla trascrizione in “bella”.
Mettiti alla prova 1.
Riprendi la “scaletta” che hai elaborato e scrivi per ogni punto un paragrafo.
2.
Per approfondire ulteriormente l’argomento, prima della stesura dai uno sguardo ai testi proposti nel “Dibattito degli storici”, in particolare rileggi La nascita del cittadino moderno (p. 412).
3.
A questo punto sei pronto per la stesura del tuo elaborato. Concludi poi il tuo lavoro con un’attenta revisione complessiva del testo e la sua trascrizione in “bella”.
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SeZioNe 5
Il RIsoRgImento e l’unItà d’ItalIa a tu per tu con
Marco Meriggi
l’italia Nel moNdo delle NaZioNi
Nell’areNa della Storia
Professore, questa sezione è dedicata al racconto delle vicende che, nel corso dell’Ottocento, portarono alla nascita della nazione italiana. Che cosa significò, per il nostro paese, diventare una nazione? Significò, in primo luogo, conseguire l’indipendenza dal dominio straniero. basti pensare al fatto che prima dell’unificazione nazionale la penisola era divisa in un buon numero di Stati diversi, e che alcuni di essi erano direttamente o indirettamente governati da una potenza straniera, vale a dire l’austria. era questa, per esempio, la condizione della lombardia e del veneto – unite nel regno lombardo-veneto –, le quali costituivano parte dell’impero asburgico e che risultavano, per questo, direttamente assoggettate alla corte di vienna. anche il granducato di toscana, seppure in forma indiretta, doveva sottostare ai comandi dell’austria, poiché vi regnava un ramo laterale della stessa dinastia titolare del trono di vienna e così pure i due ducati padani: parma e piacenza, e modena e reggio. ancora, si trovavano sotto il dominio austriaco altre porzioni di quella che è oggi l’italia settentrionale: il trentino e la venezia-giulia, che solo alla fine della prima guerra mondiale, nel 1918, sarebbero entrate a far parte della nazione italiana.
i Savoia ruppero riSolutamente il legame di Soggezione che li aveva in precedenza vincolati agli aSburgo, e dieci anni più tardi preSero le redini del movimento che portò all’unificazione italiana 420
Oltre a quelli che ha elencato, c’erano altri Stati nella penisola. Per esempio il Regno di Sardegna, lo Stato pontificio, il Regno delle due Sicilie. Questi non erano retti da dinastie straniere, ma da casate reali autoctone o, nel caso del papa, da un sovrano pro tempore eletto dai cardinali, e scelto sempre tra gli italiani. Anche per questi Stati c’era un problema di indipendenza?
Senza la libertà, la nazione moderna non può eSiStere. per diventare re d’italia, i Savoia dovettero garantire la tutela di queSto principio Sì, perché gli accordi tra le grandi potenze del continente prevedevano che l’austria avesse mano libera in tutta la penisola e che potesse perciò inviare i propri eserciti a smorzare qualsiasi tentativo di cambiamento dell’ordine vigente. nel 1820 e nel 1821, per esempio, prima nel regno delle due Sicilie e poi nel regno di Sardegna, ebbero luogo delle sommosse che avevano l’obiettivo di liberalizzare il sistema di governo e di promuovere, attraverso l’emanazione di una costituzione, la partecipazione attiva della cittadinanza all’esercizio del potere. inizialmente, i sovrani dei due Stati – fino a quel momento governati in modo autoritario – cedettero e accordarono la costituzione, ma presto intervennero le truppe austriache a reprimere le rivolte e a imporre il ritorno all’ordine assolutista. la stessa situazione si ripeté tra il 1848 e il 1849, quando in ogni parte d’italia la cittadinanza, dopo aver conquistato la carta costituzionale, se la vide revocare nel momento in cui l’austria mostrò di riprendersi dalla crisi che l’aveva colpita. con un’eccezione importante, però: quella del regno di Sardegna. qui, infatti, dopo aver concesso ai cittadini la costituzione, il sovrano carlo alberto di Savoia scelse di mantenerla in vigore anche quando, su pressione dell’austria, in tutti gli altri Stati essa veniva revocata. e così pure decise di continuare una guerra a viso aperto contro vienna. fu una guerra perdente, ma da quel momento in avanti i Savoia ruppero risolutamente il legame di soggezione che li aveva in precedenza vincolati agli asburgo, e dieci anni più tardi presero le redini del movimento che portò all’unificazione italiana.
Insomma, a spingere per far sì che l’Italia diventasse una nazione fu soprattutto una casa regnante, decisa a sostituirsi a una dinastia rivale? Oppure la nazione italiana, indipendente e sovrana, venne sognata e realizzata anche da altri soggetti? certamente la componente dinastica giocò un ruolo importante, ma a volere fortemente la nazione fu soprattutto quella parte della popolazione che in ogni Stato della penisola era attratta dal miraggio della libertà. libertà non solo dal dominio straniero, ma anche dall’autoritarismo esercitato dalle dinastie sovrane locali o dal papa. le nazioni, del resto, in europa esistevano in alcuni casi già da secoli, ma la nazione ottocentesca – e dunque anche quella italiana – fu qualcosa di diverso. per intendersi: la francia di luigi Xiv, il re Sole, era già una nazione, dal momento che raccoglieva all’interno di un solo Stato la quasi totalità dei francofoni d’europa,
ma si trattava di una nazione intesa come una sorta di patrimonio personale familiare di una dinastia. nell’ottocento, invece, quando si evoca la “nazione”, si vuole alludere in primo luogo alla comunità dei cittadini, che esercitano collettivamente la loro sovranità. È il modello di nazione affermato dalla rivoluzione francese a cui si rifanno, in gran parte, i movimenti che nell’ottocento si mobilitano per realizzare l’unificazione del proprio territorio linguistico e culturale e per garantirne l’indipendenza dal dominio straniero. Senza la libertà, la nazione moderna non può esistere. per diventare re d’italia, i Savoia dovettero garantire la tutela di questo principio.
Dunque, l’ingresso dell’Italia nel novero delle nazioni costituì un fattore di consolidamento della moderna idea di libertà, ma gli italiani furono tutti felici di questa trasformazione? E all’estero come si reagì alla nascita della nuova nazione? in realtà, almeno una parte delle élite degli Stati preunitari si mostrò contrariata dalla realizzazione dell’unificazione nazionale. costruire la nazione significò infatti anche cancellare dall’alto le tante consuetudini locali che esistevano da secoli. prima dell’unità, in italia c’erano molti Stati e molte capitali; dopo l’unità ci furono un solo Stato e un’unica capitale, e le reazioni di impronta municipalistica e regionalistica non tardarono a manifestarsi. però la nazione italiana riuscì a superare le iniziali crisi di rigetto. anche all’estero, del resto, le reazioni furono differenziate. alcuni paesi (la gran bretagna, soprattutto) videro di buon occhio l’esito di un processo che comportava un’estensione dei confini dell’europa liberale, mentre i paesi nei quali vigevano regimi di tipo autoritario considerarono l’unificazione italiana come un affronto e come una sfida alla loro stessa solidità, come il sacrilego atto di arroganza di una popolazione che si era rifiutata di rimanere suddita.
link.pearson.it/EE62188F
421
SeZioNe 5
Il RIsoRgImento e l’unItà d’ItalIa Capitolo 17 Il Risorgimento italiano (1815-1849) p. 424 Capitolo 18 L’Italia unita
p. 444
Intervista impossibile a Giuseppe Garibaldi
p. 458
inclusione/esclusione Risorgimento e classi subalterne
p. 465
1820
storia italiana storia mondiale
422
• il laboratorio dello storico l’Italia afflitta p. 440 • il laboratorio dello storico la pittura del Risorgimento p. 460
p. 468
EsErcizi
idee scienza e tecnica arte e letteratura
Verso le Competenze
1825
p. 471
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 478
1830
1835
1840
1831 - Fallimento dei moti liberali a Modena, Parma e nello Stato pontificio
1820-1821 - Moti carbonari
1820-1821 - Moti insurrezionali in Spagna e in Grecia
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
1825 - Moto decabrista in Russia
1830-1831 - Moti insurrezionali in Francia, Belgio e Polonia
1831 - Mazzini fonda la Giovine Italia. Giacomo Leopardi pubblica I Canti
1837 - La regina Vittoria sale sul trono inglese
1839 - Inaugurata la prima linea ferroviaria italiana (Napoli-Portici)
obIettIVI dI apprendImento Conoscenze • la situazione della penisola italiana prima dell’unità • le vicende risorgimentali • Il processo di unificazione nazionale italiana abilità • saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di un fenomeno storico • mettere in relazione correnti di pensiero ed eventi storici • Individuare nel passato le radici del presente GlI eVentI e I lUoGHI Il Piemonte sabaudo guida il processo di unificazione che tra il 1848 e il 1870 porta alla costituzione di un unitario Regno d’Italia
La Lombardia, inizialmente sotto il dominio austriaco, nel 1859 entra a far parte dei domini dei Savoia, mentre il Veneto resta in mano asburgica fino al 1866
L’Italia centrale entra a far parte del regno sabaudo in seguito a una serie di plebisciti
Il Meridione e la Sicilia vengono liberati dal dominio borbonico grazie alla spedizione dei Mille di Garibaldi Roma e il Lazio, fino a quel momento governati dal papa e protetti dalla Francia, entrano a far parte del Regno di Italia nel 1870
1845 1844 - Tragica fine del tentativo insurrezionale dei fratelli Bandiera
1850
1855
1855 - Partecipazione italiana alla Guerra di Crimea
1848 - Cinque giornate di Milano. Sconfitta di Carlo Alberto a Custoza
1852 - Cavour presidente del Consiglio
1848 - Rivoluzione in Francia, Austria e nella Confederazione tedesca
1842 - Alessandro Manzoni termina la composizione de I Promessi sposi. Giuseppe Verdi rappresenta Il Nabucco
1860
1848 - Marx ed Engels scrivono il Manifesto del Partito comunista 1851 - Prima esposizione universale a Londra
1865
1860 - Inizia la spedizione dei Mille. Plebisciti nell’Italia centrale
1858 - Accordi di Plombières tra Cavour e Napoleone III
1870 1866 - Il Veneto entra a far parte del Regno d’Italia
1861 - Vittorio Emanuele II re di Italia
1870 - Roma e il Lazio entrano a far parte del Regno d’Italia
1855 - Guerra di Crimea 1861-1865 - Guerra di secessione americana
1859 - Charles Darwin pubblica L’origine della specie 1864 - Pio IX pubblica il Sillabo
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Capitolo 17
Il RIsoRgImento ItalIano (1815-1849) 17.1 L’Italia della Restaurazione e dei moti carbonari Il lungo cammino sulla strada dell’unificazione
tra il 1859 e il 1861 l’Italia, in precedenza suddivisa in numerosi stati regiona li, soggetti a diverse dinastie, divenne uno Stato nazionale unitario. Il processo di unificazione nazionale fu tuttavia lungo e tortuoso, soprattutto a causa della forte influenza che fin dal 1815 l’Impero austriaco esercitò sull’intera penisola. molte furono le questioni politiche, economiche e culturali che dovettero essere affronta te nella prima metà del secolo, molti i manifesti politici che dovettero in qualche modo confrontarsi sul terreno della conquista dell’indipendenza dall’Austria. Dopo il Congresso di Vienna, infatti, gli asburgo esercitarono un serrato control lo sia sugli stati italiani a loro soggetti sia, indirettamente, su tutti gli altri stati, cercando (invano) di impedire che attecchissero i principi liberali. Carlo Canella, Porta Tosa in Milano il 22 marzo 1848, 1848-1850 (Collezione privata). Il quadro celebra l’ultima delle “Cinque giornate” di Milano durante le quali gli insorti lombardi riuscirono a respingere le truppe austriache
Sullo sfondo, compare Porta Tosa, oggi non più esistente (è l’attuale zona di Porta Vittoria), difesa dalle artiglierie austriache. La conquista della Porta da parte dei milanesi fu il momento culminante dell’insurrezione
Dal balcone sventola il tricolore
Nella parte bassa della tela sono raffigurate le barricate dei milanesi
Gli insorti vengono aiutati anche dalle donne
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La Restaurazione in Italia
Dal Congresso di Vienna era uscita un’Italia meno frazionata rispetto a quella di antico regime (erano scomparse le repubbliche oligarchiche di Genova e di Venezia), ma, per altri versi, assai più policentrica di quella che si era venuta a crea re in età napoleonica; un’Italia – con le eccezioni che abbiamo appena segnalato – in linea di massima riconsegnata, in nome del principio del legittimismo, alle dinastie che vi regnavano prima del ventennio francese e che riconquistarono il trono con l’intenzione di riproporre un modo di governo di tipo tradizionalista, anche se poi spesso finirono per conservare almeno una parte delle innovazioni apportate da napoleone; un’Italia, soprattutto, consegnata alla pesante tutela degli Asburgo di Vienna, i quali, oltre a detenerne direttamente varie porzioni, si videro attribuita la prerogativa di intervenire con il loro esercito anche negli altri stati, ogni qual volta vi si fosse materializzato il rischio di un ritorno dello “spirito di ri voluzione”. l’austria – dicevano i contemporanei – era il “gendarme armato” della penisola. L’intreccio di liberalismo e nazionalismo
È comprensibile che il vento della rivolta, che durante l’epoca della Restaura zione scosse periodicamente l’europa, in Italia unisse alla contestazione degli asset ti di potere esistenti e alla richiesta del pieno riconoscimento delle libertà (di pen siero, di stampa, di associazione) la lotta contro l’ingerenza austriaca e la rivendicazione di una maggiore indipendenza dell’intera penisola dal governo as solutistico di Vienna. Dopo i moti del 1830-1831, al motivo della lotta per la libertà e per l’indipen denza dallo “straniero”, nell’immaginario politico dell’opinione pubblica italiana di orientamento liberale o democratico cominciò a intrecciarsi con crescente in tensità anche la rivendicazione nazionale. sotto questo profilo, le vicende che concernono la storia del Risorgimento italiano appartengono simultaneamente alla storia del liberalismo e a quella del nazionalismo. Libertà e nazione non sono sempre entità coincidenti nella storia europea, ma nel caso italiano tendono a formare un insieme compatto; nel corso del Risorgimento sempre più la seconda si venne affermando come presupposto irrinunciabile per l’affermazione e il con solidamento della prima.
LESSICO Risorgimento Con questo termine la storiografia indica il periodo della storia italiana compreso tra 1815 e il 1870, che ha portato all’unità nazionale della penisola. Il termine fa riferimento al “risveglio” civile e politico degli italiani.
La Carboneria
nella penisola il sentimento nazionale aveva cominciato ad affiorare alla fine del settecento sotto l’influsso dell’esempio rivoluzionario francese; durante l’età napoleonica esso si era indubbiamente rafforzato, radicandosi soprattutto tra quanti – militari e pubblici funzionari – maggiormente si identificavano con la nuova esperienza di governo e di amministrazione dei regni d’Italia e di napoli. Per questo, quando il Congresso di Vienna impose un rinnovato frazionamento poli tico dell’Italia e il ripristino delle vecchie dinastie, fu soprattutto negli ambienti di quanti avevano apprezzato la modernizzazione portata nella penisola da napoleo ne che prese forma una strisciante opposizione ai regimi restaurati. essa si espres se, tra il 1815 e il 1820, in varie cospirazioni che però la polizia austriaca fu in grado di stroncare sul nascere. si era però nel frattempo diffusa in tutta la penisola – ma specialmente nel mezzogiorno – una società segreta, la Carboneria, di cui tuttora si conosce assai meno di quello che si desidererebbe sapere.
LESSICO Carboneria Società segreta fondata a Napoli durante il regno di Gioacchino Murat (1808-1815), e poi diffusa anche in Francia, in Grecia e in Polonia. Il nome intendeva richiamare l’atmosfera delle botteghe dei venditori di carbone, tanto è vero che le sue sezioni venivano chiamate “vendite”. I suoi membri stringevano un patto di reciproca assistenza e aspiravano a un governo costituzionale.
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
L’Italia nel 1815 Ducato di Parma
Ducato di Massa Principato di Lucca
Il Ducato di Parma e Piacenza viene assegnato a Maria Luigia d’Asburgo Il Regno di Sardegna, formato da Savoia, Piemonte, Liguria e Sardegna rimane sotto la dinastia dei Savoia
Berna Ginevra
FRANCIA
Ducato di Modena
SVIZZERA
IMPERO D’AUSTRIA
REGNO Milano LOMBARDO VENETO REGNO DI Venezia Piacenza Torino Reggio SARDEGNA Carrara Modena Genova Massa Firenze Lucca mar GRANDUCATO Ligure DI TOSCANA STATO DELLA CHIESA Roma
REGNO DI SARDEGNA
mar Tirreno
Napoli
Il compasso, simbolo della Carboneria. Gli associati comunicavano tra loro attraverso un complicato sistema di simboli, tra i quali spiccano la croce, la stella, il martello
MEMO La Repubblica partenopea era una delle repubbliche “sorelle” sorte in Italia dopo la discesa di Napoleone. La sua vicenda si era tragicamente conclusa dopo l’insurrezione sanfedista e la repressione borbonica [vedi p. 362].
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mar Mediterraneo
IMPERO OTTOMANO
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rA
dr
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tic
Il Ducato di Modena e Reggio, integrato a partire dal 1829 con i territori toscani di Massa e Carrara, è assegnato a Francesco IV d’Austria-Este
o
REGNO DELLE DUE SICILIE
mar Ionio
Cagliari
Al Sud il Regno delle due Sicilie (Mezzogiorno continentale e Sicilia) rimane sotto la dinastia dei Borbone
Il Regno Lombardo-Veneto è direttamente dipendente da Vienna e governato da un viceré austriaco
SAVOIA
Il Granducato di Toscana, nel quale confluirà nel 1847 anche il Principato di Lucca, è assegnato agli Asburgo-Lorena
Palermo
Lo Stato pontificio (Emilia, Romagna, Marche, Umbria, Lazio) torna sotto lo scettro papale
sappiamo che la Carboneria era stata fondata sul finire dell’età napoleonica e che i suoi membri, stretti da un patto giurato, si promettevano reciproca assistenza, in modo non dissimile da quello a suo tempo caratteristico delle corporazioni. la Carboneria reclutava i propri adepti attingendo prevalentemente a bacini diver si da quelli dei nostalgici di napoleone (nel mezzogiorno, per esempio, coinvolge va commercianti e professionisti, sacerdoti, possidenti, semplici artigiani, persino contadini) ed era capace di aggregare un vasto seguito intorno alla parola “magica” Costituzione, nella quale trovavano espressione le pur vaghe e confuse aspirazioni alla libertà diffuse in una parte della popolazione. Fondamentalmente, i carbonari volevano una liberalizzazione politica nei vari stati della penisola, all’interno co munque della prospettiva del mantenimento della monarchia. Insieme agli ex militari napoleonici, anch’essi attirati dalla prospettiva costituzionale, i carbonari svolsero un ruolo di primo piano nei moti del 1820 e del 1821, prima nel Regno delle due sicilie, poi in quello di sardegna. I moti del 1820-1821 nel Regno delle due Sicilie
nel Mezzogiorno ad accendere la rivolta – all’inizio del luglio 1820 – fu l’iniziativa congiunta di carbonari e ufficiali dell’esercito di simpatie murattiane, tra cui il generale Guglielmo Pepe, difensore della Repubblica partenopea nel 1799. Profondamente impressionato tanto dalla coralità dell’agitazione in tutte o quasi le province del regno, quanto dagli eventi svoltisi in spagna nei mesi pre cedenti, Ferdinando I di Borbone si rassegnò quasi senza reagire a concedere la Costituzione. essa venne elaborata sulla falsariga di quella appena emanata in spagna, la quale a sua volta altro non era che la riproposizione di quella di Cadice del 1812.
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Il 1° ottobre, dopo le elezioni, si insediò a napoli un Parlamento, dove per al cuni mesi filomurattiani e carbonari convissero non senza frizioni e contrasti. Po chi giorni più tardi, l’esercito napoletano, guidato dal generale costituzionale Flo restano Pepe, fratello di guglielmo, riuscì a domare una rivolta separatista scoppiata in Sicilia a metà luglio. approfittando della debolezza dei poteri costitui ti, l’intera popolazione di Palermo, dalle maestranze operaie alle forze baronali, aveva costretto le autorità borboniche ad abbandonare la città. la giunta provviso ria, insediatasi al governo al loro posto, aveva formalizzato quella che era una tra dizionale rivendicazione siciliana: la separazione dell’isola dal regno continentale e la sua istituzione in regno costituzionale indipendente. tra la fine del 1820 e l’inizio del 1821 le potenze della santa alleanza misero però a punto, in occasione dei congressi di troppau (ottobredicembre 1820) e di lubiana (gennaiofebbraio 1821) la strategia per domare quel ritorno dello “spiri to di rivoluzione” che dalla penisola iberica si era propagato in Italia. Recatosi anch’egli al Congresso di Lubiana, dopo aver formulato al Parlamento la promes sa, che subito disattese, di difendere davanti alle grandi potenze la Costituzione, Ferdinando I sollecitò l’intervento dell’Austria nel regno. Dopo non più tardi di un mese le truppe austriache ebbero ragione dell’esercito costituzionale napoletano, facendo il loro ingresso in un regno nel quale alcuni contingenti militari asburgici sarebbero in seguito rimasti stanziati per diversi anni, così da scongiurare ogni tentazione di replica. la Costituzione fu revocata.
LESSICO Filomurattiani Seguaci (filo-) di Gioacchino Murat, re di Napoli dal 1808. Quando, nel 1815, Napoleone era stato sconfitto, Murat aveva cercato di guidare una sollevazione generale della penisola proclamando come obiettivi il conseguimento dell’indipendenza italiana sotto il suo scettro e l’emanazione di una Costituzione. Il suo tentativo era fallito, ma il suo appello all’idea di una nazione italiana unitaria, indipendente e costituzionale era rimasto vivo nei patrioti.
Il tentativo piemontese del 1821
Intanto il “contagio” rivoluzionario aveva raggiunto altri luoghi. e proprio nel momento in cui gli austriaci, scesi nel Regno delle due sicilie, scioglievano il Par lamento, un nuovo focolaio di ribellione si accendeva nel Regno di Sardegna. anche qui a svolgere il ruolo determinante fu un gruppo di giovani ufficiali, molti dei quali di condizione aristocratica; ma l’obiettivo del loro movimento era forse ancora più ambizioso di quello perseguito dai costituzionali del mezzogiorno. Ferdinando di Borbone il giorno del giuramento di fedeltà alla Costituzione, stampa a colori, XIX secolo (Milano, Civica Raccolta delle stampe Bertarelli)
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
L’incontro tra Carlo Alberto e i liberali piemontesi il 6 marzo 1821
L’arresto di Federico Confalonieri, stampa, XIX secolo. Confalonieri fu uno degli animatori del giornale liberale “Il Conciliatore”, fondato a Milano nel settembre 1818 e sospeso nel novembre 1819 per ordine dell’autorità austriaca
essi volevano infatti non soltanto la Costituzione, ma anche la liberazione del confinante Regno Lombardo-Veneto dal dominio austriaco e l’istituzione di un regno liberale dell’Alta Italia sotto lo scettro della Corona sabauda. Il leader della rivolta, il conte Santorre di Santarosa, intrecciò a questo proposito, già nel 1820, intensi contatti con la Carboneria e con alcuni suoi pariceto lombardi, tra i quali il conte Federico Confalonieri, animatore insieme a luigi Porro Lambertenghi del periodico romantico e liberale “Il Conciliatore”. ma i cospiratori lombardi già a ottobre furono scoperti e arrestati. nel frattempo, tuttavia, santarosa confidava erroneamente di avere guadagnato alla causa costituzionale Carlo Alberto di Savoia, erede della Corona del suo paese, prospettandogli un piano che prevedeva non solo l’emanazione della Costituzione, ma anche l’effettuazione da parte delle truppe sabaude di una campagna contro l’austria, che avrebbe dovuto concludersi con l’annessione del lombardo Veneto al Regno di sardegna. a marzo, mentre le truppe austriache di stanza nella peniso la si dirigevano verso il mezzogiorno, ad Alessandria scoppiò una sollevazione di militari e il loro esempio venne imitato nei giorni successivi nel resto del Piemonte e anche a Genova. Dalla rivoluzione alla repressione
sorpreso dagli eventi, re Vittorio Emanuele I abdicò a favore del fratello Carlo Felice, il quale si trovava però al momento fuori del regno. Fu così che Carlo Alberto, in qualità di reggente, giurò il 15 marzo fedeltà alla Costituzione, quella di spagna, la stessa fatta propria dai rivoluzionari del mezzogiorno qualche mese prima. Il reggente, però, si guardò bene dall’aderire alla richiesta, formulatagli in quei giorni da un gruppo di liberali lombardi, di intervenire con l’esercito nella regione vicina per liberarla dal governo austriaco. nel frattempo suo zio, Carlo Felice, come aveva appena fatto Ferdinando I di Borbone, chiese anch’egli l’intervento della Santa Alleanza per soffocare il moto costituzionale. 428
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Sconfitti a novara all’inizio di aprile da un esercito formato non solo dagli au striaci, ma anche da militari piemontesi rimasti fedeli al re, i giovani rivoltosi di torino videro naufragare nel giro di appena un mese quel sogno liberale che nel mezzogiorno aveva tenuto banco se non altro per qualche tempo in più. nell’intera penisola alla repressione militare ne seguì una politica, e fu durissima: mentre la bandiera costituzionale veniva ammainata a napoli e a torino, i primi condannati in seguito ai processi contro la cospirazione lombarda del 1820 muovevano alla volta della fortezza morava dello spielberg. Dalla penna di uno di loro, Silvio Pellico – un piemontese stanziatosi a milano nell’entourage del giornale “Il Conciliatore” – sarebbe uscita anni dopo la drammatica rievocazione della carcerazione allo spiel berg pubblicata con il titolo Le mie prigioni. Il principe di metternich, principale responsabile della politica austriaca durante il periodo della Restaurazione, avrebbe detto di quel libro – amara ma pacata denunzia dell’autoritarismo del governo vien nese – che esso era costato all’austria più di cento battaglie perse. I moti del 1831
Come sappiamo, lo “spirito di rivoluzione” tornò a soffiare sull’europa nel 1830, in occasione della Rivoluzione parigina del luglio di quell’anno. In Italia se ne avvertirono, un anno dopo, gli effetti nei ducati padani e in vaste aree dello Stato pontificio. Una funzione di primo piano, nei moti scoppiati in quei luoghi, venne ancora svolta dalla Carboneria, che si era radicata nel mondo delle élite municipali dell’Italia centrale, mentre risultò meno pronunciata di quanto non fosse stata dieci anni prima a napoli e a torino la presenza dei nostalgici di napo leone e, dunque, della componente militare. guidati dal modenese Ciro Menotti, il quale da anni cercava di guadagnare ai suoi piani costituzionali il duca di modena e Reggio Francesco IV, gli insor ti, malgrado il loro leader fosse stato appena arrestato dal duca, si impadroniro no delle redini di modena e di Parma all’inizio del febbraio 1831; nel giro di pochi giorni la rivolta si estese alle confinanti legazioni pontificie (emilia, Romagna, marche) e all’Umbria. Riunitasi a Bologna, un’assemblea di notabili inviati dalle varie città dello stato proclamò allora l’abolizione del potere tempo rale del papa e si costituì in governo provvisorio, dimostrando però scarsa unità di intenti con le giunte liberali insediatesi nel frattempo a modena e Parma.
MEMO Nel luglio 1830 un’insurrezione popolare a Parigi aveva rovesciato il regime dispotico di Carlo X [vedi p. 387].
I patrioti italiani, tra cui si notano in primo piano Silvio Pellico e Piero Maroncelli, vengono avviati al duro regime detentivo della fortezza dello Spielberg, stampa, prima metà del XIX secolo
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Confidavano tutti – sia i costituzionali dei ducati sia quelli dello stato pontificio – nella protezione della nuova Francia liberale di luigi Filippo, augurandosi che essa fosse determinata a contestare in sede internazionale il diritto dell’austria a intervenire in difesa dei sovrani caduti in balia degli insorti. ma si illudevano e, in capo a qualche settimana, si ripeté il copione già messo in scena dieci anni prima. alla fine di marzo, dopo l’intervento delle truppe austriache, il vecchio ordine risultava già ristabilito. Ciro menotti venne giustiziato e i leader della rivolta nello stato pontificio, catturati dagli austriaci, furono portati a Venezia e incarcerati. Il “gendarme della penisola” si confermava così ancora una volta come il vero grande ostacolo alla liberalizzazione di ogni sua singola parte. APPROFONDIRE
Ciro Menotti e il piano di Misley iro Menotti nacque a Carpi nel 1798. Apparteneva a una Cl’industria famiglia che si era arricchita nel periodo napoleonico con dei cappelli. Essendo un capace uomo d’affari, egli lavorò per sviluppare l’industria familiare, aprendo a Modena una filanda e una ditta di spedizioni. L’industria Menotti vendeva i suoi prodotti principalmente sul mercato di Londra. Ciro aveva sempre manifestato i suoi sentimenti liberali ed era stato anche arrestato per un breve periodo nel 1821. Verso la fine del 1829 aderì a una cospirazione contro gli austriaci organizzata dall’avvocato modenese Enrico Misley e della quale era stato informato anche il duca di Modena Francesco IV. L’idea di Misley era di mettere il duca a capo del movimento nazionale di liberazione dell’Italia, perché Carlo Alberto di Savoia, dopo il fallimento della rivoluzione del 1821, con il suo schierarsi in modo ambiguo e poco deciso per la causa nazionale, aveva perso la fiducia dei patrioti italiani.
Nel dicembre del 1830, alla fine del suo lavoro cospirativo, Ciro Menotti aveva costituito comitati insurrezionali a Bologna. Il programma con cui Menotti aveva raccolto adesioni fu riassunto in una lettera inviata a Misley: «Lo scopo di tutti questi Comitati deve essere l’adempimento dei voti degli italiani, i quali tutti reclamano, in silenzio e fremendo, l’Indipendenza, l’Unione e la Libertà di tutta l’Italia. A questo fine tutti devono intendere a formare una monarchia rappresentativa, dando la corona a quel soggetto che fosse scelto dall’assemblea nazionale e che Roma fosse la Capitale» (G. Candeloro). La trama organizzata da Misley era però destinata a fallire. In realtà Francesco IV aveva abilmente progettato di sfruttare la situazione: fingendo di aderire alle proposte di Misley, riuscì a tenere sotto controllo la rete dei cospiratori e a farli arrestare al momento giusto. L’insurrezione scoppiò comunque a Bologna e, dopo la fuga del duca, anche a Modena e Reggio Emilia.
La resa dei patrioti romagnoli alle truppe inviate da Metternich nel 1831, stampa, anni Trenta del XIX secolo
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CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
17.2 Le correnti politiche in Italia tra il 1830 e il 1848 Giuseppe Mazzini e la fondazione della Giovine Italia
se fino agli eventi del 1831 le contestazioni al sistema della Restaurazione ave vano assunto in Italia un carattere essenzialmente costituzionale e liberale, dopo quello spartiacque l’opposizione all’ordine costituito cominciò a esprimersi anche in chiave spiccatamente nazionalista. nei primi anni trenta il genovese giuseppe Mazzini (18051872) fondò la Giovine Italia, una nuova organizzazione clandestina che si differenziava dalla Carboneria – a cui lo stesso mazzini era stato fino ad allora affiliato, e che era fau trice di un costituzionalismo di matrice monarchica – non solo per il suo programma democratico e repubblicano, ma anche e soprattutto perché alla rivendicazio ne di libertà e di indipendenza associava il progetto di costruire un’Italia unita e di travolgere, dunque, assieme ai confini che separavano gli uni dagli altri gli stati della penisola, tutto il mondo delle teste coronate che a essi corrispondeva. l’Italia di mazzini doveva diventare: «una, libera, indipendente e repubblicana». nella visione di mazzini era inoltre fondamentale cercare il consenso popolare al suo progetto e per dare a esso modo di concretizzarsi egli prevedeva l’attuazio ne, all’interno della repubblica, di una serie di iniziative ispirate a principi di equità sociale; per esempio, la riforma del diritto di successione e l’introduzione dell’imposta progressiva, finalizzate a evitare l’eccessivo accumulo di ricchezze in poche mani. Il suo era dunque un programma non soltanto unitario, repubblicano e demo cratico, ma anche, per molti versi, aperto al tema dell’emancipazione sociale dei ceti più umili (sebbene contrario all’idea di una rivoluzione sociale), che proprio allora, in tutta europa, si stava imponendo all’attenzione in tutto il suo rilievo (v. cap. 20, par. 20.4). Per realizzare i suoi piani, il genovese contava su una rivolu zione che avrebbe dovuto vedere protagoniste le masse popolari, soprattutto urba ne, nelle quali mazzini individuava la possibile forza d’urto di una fede laica, di intonazione patriottica e solidaristica. la sua repubblica avrebbe dovuto essere una repubblica di fratelli, fondata sul principio di “associazione”, chiamata a compiere una missione di sapore quasi reli gioso, quella di costruire la “terza Roma”; la Roma democratica dell’intero popolo italiano, dopo quella antica dei Cesari e quella medievale e moderna dei papi. Questo progetto rappresentava una sfida a tutti i monarchi regnanti in Italia, ma soprattutto al governo austriaco, che – come abbiamo appena visto – era il garante dell’ordine assolutista vigente nella penisola.
Frontespizio del primo numero della rivista diretta da Giuseppe Mazzini “La Giovine Italia”
Il fallimento delle rivolte mazziniane
negli anni Trenta i militanti della Giovine Italia – perlopiù reclutati nelle fila della media e piccola borghesia, ma in qualche caso anche esponenti di una gio vane aristocrazia insofferente dell’oppressione poliziesca caratteristica degli stati della Restaurazione – cercarono più volte di organizzare sommosse in varie città della penisola, con la speranza di dare vita a un’insurrezione generale contro le case regnanti, ma la maggior parte di esse vennero stroncate sul nascere o, co munque, facilmente represse. messa alle strette dalle polizie di tutta Italia e, in particolare, disarticolata dagli arresti di molti suoi militanti eseguiti nel 1833 in Piemonte e in lombardia, nel 1834 la giovine Italia fu costretta a sciogliersi. 431
SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
La fondazione della Giovine Europa a Berna, stampa, XIX secolo (Torino, Museo del Risorgimento)
Mazzini a questo punto riparò in esilio all’estero, prima in Francia, poi in Svizzera – dove fondò la Giovine Europa, un’organizzazione che coltivava il proposito di unire le forze di tutti i popoli oppressi, alla quale aderirono anche esuli polacchi e tedeschi –, infine, dal 1837 in avanti, si trasferì a londra. Qui rifondò la Giovine Italia, dirigendo negli anni Quaranta, da lontano, la sua rete italiana, che veniva nel frattempo faticosamente riannodando le sue fila. nel 1844, malgrado il parere contrario del patriota genovese, che riteneva il progetto prematuro, due aderenti alla sua organizzazione, i fratelli Attilio ed Emilio Bandiera (18101844 e 18191844), giovani nobili veneti, ufficiali della mari na austriaca, cercarono di suscitare un’insurrezione, organizzando una sfortunata spedizione in Calabria. erano convinti di poter accendere lì la fiammella iniziale di una rivolta destinata ad abbattere la dinastia borbonica; ma, nel disinteresse delle popolazioni dalle quali essi si aspettavano appoggio, i mazziniani vennero catturati e uccisi dalle forze dell’ordine di quel regno. I limiti del progetto mazziniano e la formazione del movimento moderato
Il punto debole del programma nazionale repubblicanodemocratico di mazzi ni, che dopo il 1839 aveva conosciuto un’ulteriore accentuazione in senso sociale, consisteva nella scarsa conoscenza, da parte del genovese, dei problemi delle campagne italiane, per i quali egli non aveva ricette da proporre. Il ripetuto fallimento dei tentativi mazziniani dimostrava così lo scarso radicamento di idee che solo con il tempo avrebbero incontrato l’adesione di parte della popolazione urbana e che lasciavano al momento del tutto estranea quella contadina, l’80% del popolo a cui il cospiratore genovese sognava di consegnare la sovranità, la repubblica, la nazione. APPROFONDIRE
Giuseppe Mazzini ella figura di Giuseppe Mazzini (1805-1872) si incarna forse Nromantico meglio che in qualsiasi altra l’immagine del rivoluzionario ottocentesco, animato da una missione da compiere e pronto a sacrificare generosamente per essa l’intera esistenza. Mazzini proveniva dal mondo delle classi medio-alte (suo padre era un medico) e, dopo la laurea in giurisprudenza, aveva cominciato giovanissimo a cospirare contro l’ordine politico autoritario tipico dei primi anni della Restaurazione, affiliandosi alla Carboneria. Esiliato dal Regno di Sardegna nel 1831, dopo aver scontato alcuni mesi di reclusione, maturò soprattutto all’estero (Francia, Svizzera, infine Inghilterra), a contatto con esuli provenienti da altri paesi, il suo progetto politico-sociale: un repubblicanesimo radicale, non privo di attenzione per il miglioramento della condizione dei ceti subalterni, ma comunque contrario all’idea di rivoluzione sociale auspicata da quanti si riconoscevano nella prospettiva comunista. Nel corso degli anni Trenta fondò prima la Giovine Italia, poi la Giovine Europa, associazioni che miravano a ricostruire la carta geopolitica del continente su basi completamente nuove. Mazzini e i suoi seguaci sognavano un’Europa di repubbliche nazionali in fraterna convivenza tra loro, in 432
ciascuna delle quali il popolo avrebbe goduto del suffragio universale e, dunque, dell’opportunità di praticare la democrazia. Il presupposto per la realizzazione di questo progetto consisteva nell’abbattimento dell’Europa dinastico-assolutistica dei re, da conseguire attraverso un processo rivoluzionario. Al contrario, i liberali – il movimento che risultò vincente alla fine del Risorgimento italiano – restavano fedeli al quadro monarchico e, pur desiderando l’introduzione di una Costituzione rappresentativa, erano del tutto avversi all’idea del suffragio universale, nel quale intravedevano il rischio di una rivoluzione sociale. Per più di vent’anni (dal 1834 al 1857), Mazzini organizzò senza fortuna tentativi insurrezionali in varie parti d’Italia, ma vi soggiornò di rado, inseguito com’era da tutte le polizie della penisola. La sua vita di esule è emblematica del destino di un’intera generazione di rivoluzionari nazionalisti e democratici ottocenteschi: i loro progetti non ebbero fortuna e, tuttavia, essi contribuirono in modo determinante alle trasformazioni più importanti occorse in Europa durante quei decenni. Le nazioni ottocentesche si formarono, di fatto, in base a una visione diversa dalla loro; ma essi furono i primi a immaginarle, a sognarle, a battersi perché divenissero realtà.
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Ciò non significava, peraltro, che almeno in alcuni strati della popolazione non vi fosse insofferenza nei confronti dei governi assoluti e delle dinastie re gnanti, ma questa insoddisfazione tendeva a trovare sbocco non nell’ideale de mocraticonazionale, bensì, piuttosto, nell’aspirazione alla liberalizzazione della vita politica in ciascuno degli stati esistenti e al contenimento dell’egemonia austriaca in Italia. erano questi i punti fondamentali del programma liberale, la cui parola d’ordine era indipendenza, piuttosto che unità. Durante il decennio anteriore al 1848 tale programma si venne precisando e cominciò a guadagnare crescenti consensi presso parte degli strati medioalti della società italiana. A formularlo organicamente furono figure come Vincenzo Gioberti (18011852), Cesare Balbo (1789 1853), massimo d’Azeglio (17981866), autori di opere che conobbero una larga risonanza e che contribuirono a ispirare l’opinione pubblica. Gioberti, Balbo, d’Azeglio: indipendenza, non unità
Gioberti, già militante mazziniano negli anni trenta, e per questo costretto anch’egli, nel 1833, a fuggire in esilio, pubblicò nel 1843, a Bruxelles, l’opera Del primato morale e civile degli italiani, nella quale formulò l’auspicio che si realizzasse un’alleanza tra il movimento liberale e la Chiesa e si formasse una confederazione degli Stati italiani esistenti, i cui sovrani, sotto la presidenza del pontefice, avrebbero dovuto mitigare in senso liberale gli ordinamenti vigenti. Proprio il fatto di essere sede del papato conferiva infatti all’Italia e agli italiani un primato. Balbo gli fece eco un anno più tardi, con Le speranze d’Italia (Parigi, 1844). In quest’opera egli sferrò un duro attacco ai progetti rivoluzionari democratici di mazzini, associandosi a gioberti nel sostenere che la prima esigenza per gli italia ni fosse non quella dell’unità, bensì quella dell’indipendenza, da conseguire attra verso l’allontanamento dell’austria dalla penisola, da compensare con acquisizio ni territoriali nei Balcani, a spese del declinante impero turco. tuttavia, a differenza di gioberti, egli pensava a una confederazione italiana fondata sull’esercito dei Savoia e non guidata dal papa, che doveva comparire sullo stesso piano degli altri sovrani. Infine, il celebre romanziere e pittore Massimo d’Azeglio, anch’egli filosabau do, con il suo pamphlet Degli ultimi casi di Romagna (1846) invitò l’opinione pubblica di tutti gli stati della penisola a mobilitarsi per chiedere ai sovrani moderate riforme in senso liberale. Così facendo, egli intendeva criticare tanto la pro spettiva rivoluzionaria adottata da mazzini, quanto il malgoverno che caratterizza va lo stato pontificio prima dell’avvento di Pio IX.
I padri del liberalismo moderato: Vincenzo Gioberti (in alto), Cesare Balbo (a sinistra) e Massimo d’Azeglio (a destra) in una stampa dell’epoca (Milano, Civica Raccolta di stampe Bertarelli)
Fonte V. Gioberti, Papato e monarchia in Italia
Il frontespizio della seconda edizione del volume di Vincenzo Gioberti Del primato morale e civile degli Italiani
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il dibattito risorgimentale PeRSonAGGIo
TeSTo PRoGRAMMATICo
PRoMoToRe DeL PRoCeSSo
oBIeTTIvo PRIMARIo
mazzini
La Giovine Italia
Il popolo
Italia unita e repubblicana
gioberti
Del primato morale e civile degli italiani
Il papa
Confederazione di Stati sotto la guida del papa
Balbo
Le speranze d’Italia
I Savoia
Indipendenza dall’Austria
d’azeglio
Degli ultimi casi di Romagna
I Savoia
Riforme moderate
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Il neoguelfismo LESSICO Neoguelfismo Il termine si rifà alla contrapposizione medievale tra i guelfi (sostenitori del papa) e i ghibellini (sostenitori dell’imperatore). Il neoguelfismo è infatti una riproposizione del primato papale nella realtà politica italiana già sostenuto dai guelfi nel Medioevo.
MEMO La teoria del libero scambio, sostenuta dagli economisti classici nel Settecento, ritiene che il mercato debba essere regolamentato esclusivamente dalla legge economica della domanda e dell’offerta [vedi p. 154]
Il liberalismo italiano in quegli anni ebbe un’impronta cattolica e in qualche modo nostalgica dell’epoca prerivoluzionaria. Venne perciò detto neoguelfismo. esso era sì aperto alle suggestioni che provenivano dai paesi più avanzati d’europa (come il costituzionalismo e la dottrina del libero scambio), ma voleva conciliare il presente (e il futuro) con il passato, rivelando un forte richiamo per le relazioni sociali di tipo paternalistico e gerarchico caratteristiche dell’epoca anteriore alla Rivoluzione francese. In questo contesto rientravano alcuni suoi temi, come la rivalutazione, in chiave antiilluministica, del ruolo della Chiesa, e la polemica contro l’invadenza dello Stato. I moderati italiani erano dunque ostili a una tra sformazione della società in senso democratico, quale era quella proposta da maz zini e, almeno fino al 1848, puntavano all’indipendenza dall’Austria e a una cauta e socialmente esclusiva liberalizzazione interna; non, invece, all’unificazione nazionale, di cui anzi molti di essi temevano eventuali conseguenze rivoluzio narie. Durante gli anni Quaranta, con i fallimenti dei progetti mazziniani, i temi del programma neoguelfo accrebbero la propria forza di irradiazione. Veicolati da ini ziative come i congressi degli scienziati, (che si svolsero annualmente tra il 1839 e il 1847 in uno stato della penisola di volta in volta diverso, facilitando la conoscen za reciproca tra gli italiani) e diffusi dai periodici in circolazione, cominciarono a rappresentare la base di un progetto politico moderato, ma comunque teso a mo dificare l’intero ordine esistente. ANALIZZARE LA FONTE
Il papa, garante della nazione italiana Autore: Vincenzo Gioberti Tipo di fonte: testo programmatico Data: 1843 Riportiamo due brevi passi dallo scritto di Vincenzo Gioberti Del primato morale e civile degli italiani. Nel primo è criticato l’ideale repubblicano e unitario mazziniano, mentre nel secondo Gioberti propone una confederazione di Stati sotto l’autorità del papa.
Quando per via di rivoluzioni si riuscisse a cessare la presente divisione d’Italia, non perciò si acqui sterebbe l’unione desiderata, ma si aprirebbe invece la porta a nuovi disordini. […]. Perché al vivere consueto e anticato succederebbe uno stato in aria, un governo debole, nullo, senza radi ce nel passato, senza forza nel presente, né fiducia nell’avvenire, e incapace di comprimere le fazioni po litiche. […] non è col suscitare i sudditi contro i sovrani che il pontefice può salvare l’Italia, ma sì bene, recando a pace e concordia durevole i principi e i popoli della penisola, e rendendo indissolubili i loro nodi, me diante una lega di vari stati italici, della quale egli è destinato dalla Provvidenza ad essere duce e modera tore. Che il papa sia naturalmente e debba esser effettivamente il capo civile d’Italia, è una verità provata dalla natura delle cose, confermata dalla storia di molti secoli, riconosciuta altre volte dai popoli e dai principi nostrani, e solo messa in dubbio da che gli uni e gli altri bevvero ad estere fonti e ne derivarono il veleno nella loro patria. V. gioberti, Del primato morale e civile degli italiani, s. Bonamici e compagnia, losanna 1846 Domande alla fonte: 1. Perché Gioberti critica la liberazione dell’Italia per «via di rivoluzioni»? 2. Perché, secondo Gioberti, capo della lega degli Stati italiani deve essere il papa? 434
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Gli austriaci vengono buttati fuori dall’Italia (lo stivale) tramite una sorta di “esplosione”
Ad accendere la miccia che scatena l’esplosione è il papa Pio IX brandendo la croce. Eletto nel 1846, il pontefice sembrò inizialmente appoggiare la causa liberale
All’ombra dello stivale, Gioberti scrive la sua opera in cui rivendica il primato del papa
La scritta “caccia all’aquila” allude al desiderio di espellere l’Austria (di cui l’aquila era il simbolo) dalla penisola italiana Gioberti, padre del neoguelfismo, in una stampa popolare (Milano, Civica Raccolta delle stampe Bertarelli)
17.3 Il Quarantotto italiano: il sogno della nazione La svolta liberale di Pio IX
Fino al 1848, tutti i sovrani d’Italia condividevano con l’austria una politica di tipo sostanzialmente assolutista ed erano dunque portati ad apprezzarne il ruolo conservatore e repressivo. liberalizzare i vari stati italiani e renderli indipendenti dall’austria avrebbe perciò dovuto comportare una preventiva opera di persuasio ne, volta a rendere i rispettivi sovrani disposti a venire incontro ai desideri dei più ricchi e colti dei loro sudditi, e a concedere una Costituzione. era quanto gli espo nenti del fronte liberale cercarono con crescente determinazione di ottenere a par tire dal 1846, quando il nuovo pontefice, Pio IX (17921878), si dimostrò pronto ad addolcire gli ordinamenti autoritari e ad avviare riforme di indirizzo cautamente liberale nello stato pontificio. sembrava quasi che il programma neoguelfo stesse cominciando a realizzarsi. Dal 1847 in avanti Pio IX divenne un simbolo per i liberali di tutta Italia. se perfino il pontefice, fino a quel momento massimo depositario di una concezione gerarchica e autoritaria del potere, pareva disposto a concedere un ordinamento liberale, perché gli altri sovrani d’Italia non avrebbero potuto fare lo stesso? l’esem pio veniva offerto, infatti, da un capo di stato la cui autorità spirituale era superio re persino a quella dell’imperatore d’austria, il regnante che fungeva da freno all’at tuazione di riforme liberali in tutti gli stati italiani. L’Italia del Quarantotto
Il Quarantotto europeo venne tenuto a battesimo proprio in Italia. Dalla secon da metà del 1847, trascinata dall’entusiasmo per la nuova politica di Pio IX, l’opi nione pubblica liberale era in gran fermento in tutta la penisola. ovunque, e con sempre maggiore intraprendenza, usciva allo scoperto, reclamando la promulgazione di Costituzioni rappresentative. 435
SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Daniele Manin, capo della Repubblica veneziana di San Marco, stampa popolare, XIX secolo
Approfondire Le Cinque giornate di Milano
la prima scintilla si accese a Palermo, dove, nel gennaio 1848, scoppiò una sollevazione dai tradizionali tratti autonomistici che indusse Ferdinando II di Borbone a costituzionalizzare il regno intero. trascinati da un effetto di imitazione, e sollecitati dalla ormai frenetica mobilitazione della popolazione, ne seguirono qua si immediatamente l’esempio Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo II di Toscana, e poi anche Pio IX, le cui carte costituzionali si ispirarono tutte a quella francese del 1830, di tipo liberale-censitario e ancora largamente rispettosa delle prerogative del re. a marzo insorsero vittoriosamente le città di Venezia e di Milano, ma qui la protesta, per forza di cose, non poteva avere soltanto carattere costituzionale, dal momento che il lombardoVeneto era parte integrante dell’Impero austriaco. Da Venezia, dove il leader democratico Daniele Manin proclamò la cessazione del do minio asburgico e la fondazione di una nuova, libera repubblica, e da Milano, dove le “cinque giornate” tra il 18 e il 22 marzo furono contraddistinte da sanguinosi combattimenti tra gli austriaci e gli insorti, il Quarantotto italiano cominciò a pren dere la fisionomia di un movimento che voleva scacciare l’Austria dalla penisola e conquistare l’indipendenza per ciascuno dei suoi stati. La Prima guerra di indipendenza
sollecitato dallo stato di generale entusiasmo, l’appena costituzionalizzato Piemonte di Carlo Alberto dichiarò il 23 marzo guerra agli Asburgo (i quali, nel frattempo, dovevano fronteggiare la rivoluzione non solo in Italia, ma anche a Vien na, in Ungheria e in Boemia) e fu subito imitato dagli altri sovrani della penisola, che inviarono contingenti armati in quella che è passata alla storia come la Prima guerra di indipendenza. agli eserciti regolari si unirono molti volontari di ispirazio ne democratica, protagonisti delle due importanti vittorie presso Montanara e Curtatone. Intanto l’esercito piemontese vinse gli austriaci a goito il 30 maggio. 436
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Presto però le sorti della guerra cambiarono: i democratici cominciarono a vedere con diffidenza l’azione di Carlo alberto, che pareva sfruttare il loro entusiasmo per espandere il regno sabaudo. Per lo stesso motivo il papa, il granduca di Toscana e il re delle due Sicilie ritirarono il loro appoggio. e tra il 23 e il 25 luglio, mentre degli ormai anacronistici plebisciti sancivano la volontà delle popolazioni lombar de e venete di far confluire le rispettive regioni nel regno sabaudo costituzionale, gli austriaci, guidati dal maresciallo Radetzky, sconfissero le truppe sabaude e le mi gliaia di volontari accorsi da tutta Italia al loro fianco nei pressi di Custoza. mila no fu riconquistata e Carlo alberto obbligato a sottoscrivere, agli inizi di agosto, l’umiliante armistizio di Salasco, con cui si impegnava a sgomberare i territori a est del ticino.
Il laboratorio dello storico L’Italia afflitta, p. 440
ANALIZZARE LA FONTE
Lo Statuto albertino Autore: Carlo Alberto di Savoia-Carignano, re di Sardegna Tipo di fonte: legge fondamentale del regno Data: 4 Marzo 1848
Fonte Statuto albertino (versione estesa)
Lo Statuto albertino costituì uno degli esempi più importanti della trasformazione in senso liberale conosciuta dagli Stati italiani in occasione della rivoluzione del 1848. Fu anche la sola delle Costituzioni emanate in quell’anno a sopravvivere nel corso del decennio seguente, dal momento che in tutti gli altri Stati, tra l’autunno del 1848 e l’estate del 1849, la Costituzione fu revocata e vennero reintrodotti ordinamenti di carattere autoritario.
Considerando noi le larghe e forti istituzioni rappresentative contenute nel presente statuto fondamen tale, come un mezzo il più sicuro di raddoppiare quei vincoli di indissolubile affetto che stringono all’Ita la nostra Corona un popolo che tante prove Ci ha dato di fede, di obbedienza e di amore, abbiamo determi nato di sancirlo e promulgarlo, nella fiducia che Dio benedirà le pure nostre intenzioni […]. art. 2. lo stato è retto da un governo monarchico Rappresentativo. art. 3. Il potere legislativo sarà collettivamente esercitato dal re e da due Camere: Il senato e quella dei deputati. […] art. 5. al Re solo appartiene il potere esecutivo. […] art. 6. Il Re nomina tutte le cariche dello stato. […] art. 7. Il Re solo sanziona le leggi e le promulga. […] Dei diritti e dei doveri dei cittadini: […] art. 26. la libertà individuale è garantita. niuno può essere ar restato e tradotto in giudizio, se non nei casi previsti dalla legge, e nelle forme che essa prescrive. […] art. 28. la stampa è libera, ma una legge ne reprime gli abusi. […] art. 32. È riconosciuto il diritto di adunarsi pacificamente e senz’armi. […] Questa disposizione non è applicabile alle adu nanze in luoghi pubblici o aperti al pubblico, i quali rimangono intieramente soggetti alle leggi di Polizia. Statuto albertino, appendice a Costituzione italiana, einaudi, torino 1975 Domande alla fonte: 1. Chi concede lo Statuto? 2. Chi esercita il potere legislativo? 3. Compaiono nel testo limitazioni al riconoscimento dei diritti?
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Un episodio della battaglia di Custoza durante la quale l’esercito piemontese fu sconfitto, illustrazione, XIX secolo
Il 1849
Stampa celebrativa per il primo incontro tra Giuseppe Garibaldi e Giuseppe Mazzini.
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nei mesi successivi il conflitto quarantottesco si fece soprattutto di carattere politico e riguardò le dinamiche interne ai singoli stati. spinti dalla pressione popo lare, i leader democratici ebbero quasi ovunque il sopravvento sul notabilato mo derato che era stato protagonista della preparazione al Quarantotto. Fu così in Toscana e fu così anche a Roma, dalla quale il papa scappò rifugiandosi a gaeta, sotto la protezione del re di napoli e lasciando campo libero alle frange più radicali. a febbraio del 1849 un’Assemblea costituente eletta a suffragio universale – nella quale sedevano anche Mazzini e Garibaldi (un patriota appena tornato in Italia dopo un lungo soggiorno in america latina) proclamò la decadenza del potere temporale dei papi e l’istituzione della Repubblica romana, vista come il primo nucleo di una nazione italiana unitaria, da edificare su basi democratiche. Un mese dopo i democratici presero il potere anche in Toscana (dalla quale, a sua volta, il granduca fuggì) e quelli piemontesi riuscirono a indurre Carlo Alberto a dichiarare nuovamente guerra all’Austria e a farsi paladino della causa nazionale. la parola, a questo punto, tornava nuovamente agli eserciti e tale cambiamento di fase segnò il naufragio della rivoluzione in tutta Italia. Di nuovo pesantemente sconfitto a Novara (22 marzo), Carlo Alberto abdicò in favore del figlio Vittorio Emanuele II e il suo ritiro dalla scena costituì la prima mi nacciosa avvisaglia della restaurazione dell’ordine prerivoluzionario nella penisola. gli austriaci soffocarono nel sangue pochi giorni più tardi un’insurrezione – le “die ci giornate”– scoppiata a Brescia alla ripresa delle ostilità e ad agosto il loro lungo assedio a Venezia, che si protraeva da quasi un anno, fu coronato da successo. Poco prima, stretta a tenaglia dagli eserciti delle potenze cattoliche (austria, spagna, Re gno delle due sicilie, la stessa Francia) era caduta la Repubblica romana, nella quale avevano avuto luogo gli esperimenti politici e sociali più avanzati tra quelli messi in atto dai rivoluzionari italiani del Quarantotto. Il re delle due Sicilie e il granduca di Toscana, a loro volta, revocarono la Costituzione. la reazione sembra va aver partita vinta – in Italia come del resto in tutta europa – e a risultare delegitti mati dall’esito degli avvenimenti erano soprattutto i fautori delle ipotesi più radicali,
CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
quella repubblicana e quella unitaria, il cui momento di massima visibilità e inciden za, tra il 1848 e il 1849, pareva aver coinciso con l’anticamera della disfatta non solo della causa nazionale, ma anche di quella indipendentistica e costituzionale. Peraltro, l’esperienza di quei mesi aveva chiarito come tanto l’indipendenza quanto la Costi tuzione – in qualsiasi parte d’Italia – non potessero essere difese se non facendo perno su uno stato e su un solido esercito stanziale. e, malgrado le sue sconfitte, il Regno di Sardegna continuava a offrire le credenziali migliori in tal senso. I savoia avevano perso contro l’austria, è vero. In particolare, la sconfitta di novara, nella quale aveva giocato un ruolo rilevante anche lo scarso entusiasmo delle truppe e delle dirigenze militari sabaude, aveva segnalato come l’esercito fosse tutto sommato incerto a pro posito dell’opportunità di assecondare la svolta costituzionale del sovrano e la sete di libertà dei civili. tuttavia, al di fuori del Regno di sardegna, dopo l’estate del 1849 non c’era più un solo lembo della penisola nel quale alle aspirazioni liberali venisse tributato un qualche riconoscimento da parte dei governi in carica. APPROFONDIRE
Le Costituzioni italiane del Quarantotto entrate in vigore a Napoli, Torino, Firenze, LsimeeRomaCostituzioni tra il gennaio e il marzo 1848 avevano tutte le medefonti di ispirazione: la Costituzione francese del 1830 e
ciazione, che rimase così di fatto soggetto alla discrezionalità del controllo di polizia. Venne invece esplicitamente accordata la libertà di stampa, con la riserva di rendere la stessa soggetta quella belga del 1831 per quello che riguarda i contenuti, la «ad una legge repressiva per tutto ciò che può offendere la ReCharte francese del 1814 per quel che attiene alla modalità di ligione, la morale, l’ordine pubblico, il Re, la Famiglia reale, i emanazione. Come nel caso di quest’ultima, si trattava infatti di Sovrani esteri e le loro Famiglie, non che l’onore e gli interessi Costituzioni concesse per atto di grazia dai sovrani, e da questi de’ particolari» (così si legge nella Costituzione napoletana; ma liberamente revocabili (come del resto avvenne, tranne che nel dello stesso tenore sono le norme corrispettive anche nelle altre regno di Sardegna). tre Costituzioni). In pratica, dunque, se da un lato veniva elimiI punti più importanti delle quattro Costituzioni erano i seguenti: nato l’istituto della censura preventiva, dall’altro si prefigurava la 1) si dichiarava che l’esercizio del potere legislativo sarebbe possibilità di un intervento repressivo assolutamente discreziospettato congiuntamente al sovrano e a due camere, la prima nale da parte della polizia. composta da senatori nominati a titolo vitalizio dal sovrano stesIn tanta sintonia di accenti, un punto importante differenziava so, la seconda da deputati scelti dagli elettori; tuttavia da un lato le Costituzioni napoletana e romana, dall’al2) per elettori si intendevano non tutti i cittadini adulti, ma solo tro quelle piemontese e toscana. Esse erano infatti sì tutte coloro che rispondessero a determinati requisiti di censo o di concordi nell’indicare nel cattolicesimo la sola religione ufficultura (di fatto, non più del 2% della popolazione di ciascuno cialmente riconosciuta dallo Stato («L’unica Religione domiStato); nante nello Stato sarà la Cattolica Aposto3) il sovrano aveva il potere di rifiutare la lica Romana», sentenziava la Costituzione propria ”sanzione” a qualsiasi legge appronapoletana); ma in Piemonte e in Toscavata nel Parlamento (Senato e Camera dei na, diversamente che nel Regno delle deputati), che in questo caso non entrava Due Sicilie e nello Stato pontificio, veniva in vigore e non poteva essere ripresentata garantita la tolleranza anche ad altri culti nella sessione parlamentare dello stesso e veniva altresì offerto a coloro che li praanno; ticavano (ebrei e valdesi, essenzialmente) 4) l’esercizio del potere esecutivo (nomina il pieno godimento dei diritti civili e politici e revoca dei ministri e del governo) era e la piena libertà di accesso a tutti gli imspettanza esclusiva del sovrano, come pieghi pubblici. pure il comando delle forze armate e la Nella Costituzione pontificia, infine, all’eserconduzione della politica estera; cizio congiunto del potere legislativo veniva 5) ai cittadini veniva però concesso di forchiamato anche il Collegio dei Cardinali mare un corpo paramilitare elettivo (la «elettori del Sacro Pontefice [e] Senato inGuardia civica) incaricato di tutelare per separabile del medesimo». In questo caso, loro conto il rispetto delle regole fissate infatti, la “sanzione” papale alle leggi propodalla Costituzione. ste dal Parlamento poteva venire accordata Nessuna delle carte costituzionali del Quasolo a patto che il Collegio dei Cardinali rantotto stabilì norme chiare in relazione L’Italia circondata dai sovrani che nel 1848 avesse manifestato parere positivo in proall’esercizio del diritto di riunione e di asso- concessero la Costituzione posito.
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Il laboratorio dello storico
L’Italia afflitta
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
La rappresentazione dell’Italia afflitta, in dolorosa attesa di un riscatto che soltanto il suo ingresso nel novero delle nazioni indipendenti avrebbe potuto realizzare, fu un motivo iconografico che durante l’epoca del Risorgimento venne riproposto più volte, fino a diventare una sorta di stereotipo. Si trattava di fermare in un simbolo un’aspirazione e un progetto politico e, dunque, di lanciare un messaggio capace di suscitare adesioni, iniziative concrete, mobilitazioni collettive. Uno dei maggiori interpreti di questo motivo iconografico nei decenni preunitari fu il pittore veneziano Francesco Hayez, che operava prevalentemente a Milano, dove era il pennello più ricercato tra quanti desideravano farsi eseguire un ritratto. L’opera che proponiamo, emblematica di questa raffigurazione della penisola durante il Risorgimento, si intitola La meditazione e fu dipinta da Hayez in due versioni. Osserviamole e commentiamole con l’aiuto dello storico dell’arte Fernando Mazzocca.
Quest’opera fu presentata al pubblico – e quindi destinata a una larga visibilità – presso l’accademia di Brera nel 1850 con il titolo Meditazioni sopra l’antico e nuovo Testamento
«si tratta di due dipinti simili, entrambi rappresentanti una seducente figura femminile con il seno scoperto che trattiene un libro verso il quale essa punta uno sguardo carico di mestizia, ma anche di concentrazione, come per fissare un’idea»
«la presenza della firma “Fran.co Hayez italiano della città di Venezia” e la scritta “la sto(ria) d’Italia”, ben visibile sul dorso della presunta Bibbia, rivelano che il dipinto è in realtà da intendersi come la rappresentazione dell’Italia del 1848» Francesco Hayez, Meditazioni sopra l’antico e nuovo Testamento, 1850
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CapItOlO 17 - Il RISORgImENtO ItalIaNO (1815-1849)
Hayez dipinse lo stesso soggetto l’anno successivo, con il titolo abbreviato La meditazione, realizzata appositamente per un committente privato che aveva molto apprezzato la prima versione. Per il commento, cediamo di nuovo la parola a Mazzocca.
Quello della malinconia, in realtà, era un tema classico nella storia dell’arte, almeno a partire dal Cinquecento, ma in questo caso esso si caricava di un timbro specifico. nella tristezza della donna/patria andava ora letta la sofferenza d’animo collettiva di un popolo intero che aspirava a una libertà al momento inibita e repressa. l’Italia dolente era un simbolo di tutti i suoi figli in cerca di un riscatto nazionale
«Ripetendo il soggetto nel 1851, presentato questa volta con il titolo di La meditazione […], Hayez rendeva più esplicito il messaggio, abbinando all’immagine della patria nuda, perché privata di tutto, della sua libertà, il ricordo del martirio patriottico rappresentato dalla Croce, che la donna stringe in mano, su cui spicca, tracciata con il rosso del sangue versato per la patria, la data delle Cinque gloriose giornate di milano»
Francesco Hayez, La meditazione, 1851 (Verona, Civica Galleria di Arte Moderna)
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state adoperate due fonti iconografiche del tempo, due versioni dello stesso tema pittorico dipinte dall’autore a distanza di pochi mesi, presentate attraverso il ricorso a un loro commento elaborato ai giorni nostri da uno storico dell’arte. • Di questo ritratto dell’Italia dolente esistono numerose versioni. Fai una ricerca, trovandone altre e confrontandole con quelle presentate in questo laboratorio. • Quale funzione ha, nel messaggio che queste opere sono chiamate a trasmettere, il riferimento alla Bibbia? In quali altre manifestazioni artistiche dell’epoca lo si può ancora ritrovare?
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CapItOlO 17
mappa
IL RISORGIMENTO ITALIANO (1815-1849)
Dopo la Restaurazione l’Italia è sotto il dominio straniero
Fallimento dei moti mazziniani
programma unitario, repubblicano, democratico di mazzini
programma liberale con richiesta di indipendenza ma non di unità (gioberti, d’azeglio, Balbo)
Nasce l’esigenza di libertà
INIZIO dEl RISORgImENtO ItalIaNO
Regno delle due Sicilie
moti del 1820-1821
• protagonisti: carbonari e
piemonte
• protagonisti: ufficiali guidati
ufficiali dell’esercito guidati da Pepe • Obiettivo: Costituzione • Risultato: fallimento per separatismo siciliano e intervento dell’Austria
ducati dell’Italia centrale e Stato pontificio
da Santarosa
• Obiettivo: Costituzione e formazione di un Regno dell’Alta Italia sotto i Savoia • Risultato: fallimento per intervento dell’Austria
moti del 1830-1831
• protagonisti: carbonari guidati da Menotti
• Obiettivo: Costituzione e libertà • Risultato: fallimento per tradimento di Francesco IV, mancata protezione francese, intervento dell’Austria
moti del 1848-1849
Alla richiesta di Costituzione si aggiunge quella di nazione
Sollevazione a palermo
Formazione di governi repubblicani a milano e Venezia
In toscana e a Roma si formano governi repubblicani
Ferdinando II concede la Costituzione, seguito da Carlo Alberto, Leopoldo II, Pio IX
I principi italiani dichiarano guerra all’Austria (prima guerra di indipendenza)
Leopoldo II, Pio IX e Ferdinando II escono dalla guerra; Carlo Alberto sconfitto a Custoza
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Sconfitta a Novara di Carlo Alberto e sua abdicazione, caduta dei governi repubblicani, revoca delle Costituzioni (tranne lo Statuto albertino) e ritorno ovunque dell’ordine precedente
CapItOlO 17
IL RISORGIMENTO ITALIANO (1815-1849)
Sintesi 17.1 L’ITALIA DELLA RESTAuRAZIONE E DEI MOTI CARbONARI Dopo il 1815 anche la penisola italiana tornò in mano alle monarchie regnanti prima dell’età napoleonica. sparirono le repubbliche di genova e Venezia, assorbite l’una dal Regno di sardegna e l’altra dall’Austria. Quest’ultima, detta il “grande gendarme d’Italia”, per la sua ingerenza nella storia politica italiana di quei decen ni, fu il principale bersaglio delle insurrezioni degli anni Venti e Trenta che in Italia si caratterizzarono per la conte stazione dei poteri esistenti, la richiesta di una Costituzione e anche per la rivendicazione dell’indipendenza. I moti del 1820 furono promossi soprattutto dalla società segreta della Carboneria e da gruppi filomurattiani che però li condannarono al falli mento per il loro carattere elitario. la prima rivolta scoppiò nel luglio 1820 nel Regno di Napoli per opera di un gruppo di militari. Il re di napoli Fer dinando IV fu costretto inizialmente a concedere una Costituzione, ma ottenne l’intervento repressi vo della santa alleanza che gli restituì pieni poteri e fece revocare la Costituzione. I moti ripresero in Piemonte, sotto la guida del conte santorre di Santarosa, con l’obiettivo non solo di ottenere la Costituzione ma anche di libera re il vicino Regno lombardoVeneto dal dominio austriaco. I cospiratori lombardi vennero scoperti e arrestati. santarosa sperava però ancora di poter coinvolgere Carlo Alberto di savoia, ma questi si comportò in modo alquanto ambiguo: nel marzo 1821 firmò la Costituzione; successivamente però, al ritorno di Carlo Felice, appoggiò l’intervento austriaco deciso da quest’ultimo. I moti ripresero nel 1831 con un’insurrezione a Modena, guidata da Ciro Menotti, che si diffuse successivamente nelle legazioni pontificie portando addirittura all’abolizione del potere temporale dei papi. anche questa volta, però, i moti furono repressi dall’Austria. 17.2 LE CORRENTI POLITIChE IN ITALIA TRA IL 1830 E IL 1848 nel 1831 giuseppe Mazzini fondò la Giovine Italia, un’organizzazione clandestina con un programma democratico e repubblicano e per il progetto di costruire un’Italia unita. I suoi militanti organizza rono sommosse in varie città, ma vennero stroncate sul nascere o facilmente represse, come nel caso del la sfortunata spedizione dei fratelli Bandiera in Ca
labria nel 1844. Il punto debole del programma di mazzini era lo scarso coinvolgimento di molta par te della popolazione italiana. gli italiani si riconoscevano piuttosto in un modello liberale e moderato, che prevedeva l’indipendenza e non l’unità dell’Italia, sostenuto da Vincenzo Gioberti, che sognava una con federazione di stati sotto la gui da del papa (neoguelfismo), e da due filosabaudi quali Cesare Balbo, che puntava l’attenzione sull’allontanamento dell’austria, e massimo d’Azeglio, che au spicava moderate riforme in senso liberale.
17.3 IL QuARANTOTTO ITALIANO: IL SOGNO DELLA NAZIONE l’elezione nel 1846 del nuovo pontefice Pio IX, ritenuto di idee liberali, suscitò grande entusiasmo tra gli spiriti riformatori di tutta Italia: il progetto neoguelfo sembrava realizzarsi. egli avviò una serie di caute riforme nello stato pontificio, seguito nel corso del 1847 dagli altri sovrani della penisola. all’inizio del 1848, in seguito all’insurrezione di Palermo, Ferdinando II, re delle due sicilie, conce dette anche una Costituzione, seguito dal granduca di toscana leopoldo II, dal re di sardegna Carlo alberto e dallo stesso papa. In marzo insorsero Milano e Venezia, in loro so stegno intervenne Carlo alberto, dichiarando guerra all’Austria e dando così inizio alla Prima guerra d’indipendenza. all’esercito piemontese si uniro no, oltre a molti volontari, gli eserciti degli altri sovrani della penisola, compreso il papa, che fu però anche il primo a ritirare l’appoggio, di nuovo seguito da leopoldo II e Ferdinando II. Dopo i primi successi, Carlo Alberto, rimasto solo, fu sconfitto a luglio a Custoza e costretto a fir mare l’armistizio con l’austria. nei mesi successivi i democratici presero il sopravvento e formarono una serie di repubbliche (le più importanti a Firenze e a Roma). Carlo Alberto ripre se la guerra ma, nuovamente sconfitto a novara, abdicò in favore del figlio Vittorio emanuele II. anche i gover ni rivoluzionari vennero re pressi e tutti i sovrani, tranne il re di sardegna, abrogarono le Costituzioni. 443
Capitolo 18
L’ItaLIa unIta
18.1 Verso l’unificazione Il regno liberale sabaudo e la crisi del movimento repubblicano
nel 1848 quasi tutti i sovrani regnanti in Italia avevano concesso una Costituzione, ma dopo pochi mesi avevano voltato le spalle ai movimenti liberali ed entro il 1849 erano tornati a governare in modo autoritario. a Torino, invece, non solo le concessioni liberali del marzo 1848 non erano state revocate, ma addirittura la dinastia si era impegnata nella sfortunata guerra “nazionale” del 1849, cosa che, negli anni seguenti, contribuì ad accrescere il suo prestigio presso i liberali italiani, così che negli anni Cinquanta affluirono nel capoluogo piemontese esuli provenienti da tutta Italia; molti di essi sedettero nelle aule del Parlamento sabaudo insieme ai piemontesi, ai liguri, ai sardi e alcuni diventarono addirittura ministri, partecipando a pieno titolo alla vita politica del regno subalpino. Il Parlamento torinese cominciò così a proporsi come una sorta di assemblea rappresentativa dell’Italia intera o, meglio, di quanti tra gli abitanti dei vari Stati in cui essa era suddivisa accarezzavano l’idea di ottenere la liberazione dal dominio austriaco e la cacciata dei sovrani assoluti attraverso il conferimento del ruolo di dinastia egemone nella penisola ai “liberali” Savoia. Michele Cammarano, La breccia di Porta Pia, 1872 (Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte). Il quadro celebra il noto episodio che nel 1870 sancì la conquista di Roma e il completamento dell’unificazione italiana
I conquistatori di Roma, nel 1870, portano tutti le uniformi di un esercito regolare. Non sono più dei volontari, come erano invece i partecipanti alle imprese garibaldine, bensì rappresentanti ufficiali di uno Stato che nel frattempo ha preso forma e si è consolidato
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nel frattempo il movimento repubblicano si era diviso in un’ala unitarista, guidata da Mazzini, che riunì i suoi seguaci in una nuova formazione politica, il Partito d’azione, e in una federalista, il cui maggior esponente era il milanese Carlo Cattaneo (1801-1869), che si era segnalato negli anni precedenti dalle colonne del periodico “Il Politecnico” come quello, tra gli intellettuali italiani, che più lucidamente era stato in grado di cogliere e di apprezzare i valori laici ed emancipatori connessi allo sviluppo economico, civile e culturale dell’Europa borghese e industriale. I repubblicani erano stati i protagonisti più gloriosi delle giornate rivoluzionarie del biennio 1848-1849: a Milano con Cattaneo, a Venezia con Manin, a Roma con Mazzini, a Brescia con la gente comune, insorta in occasione della guerra austro-piemontese del 1849; ma negli anni Cinquanta il movimento repubblicano si indebolì gravemente in parte per il fallimento dei nuovi tentativi insurrezionali: uno a Milano, nel 1853; un altro nel regno delle Due Sicilie, nel 1857, guidato da Carlo Pisacane (1818-57), esponente di un repubblicanesimo di venature socialiste; e in parte per l’azione di sistematico smantellamento delle sue strutture operato dalle polizie dei vari Stati.
LESSICO Partito d’azione Fondato a Ginevra nel 1853 da Mazzini, si diffuse nel LombardoVeneto e in Sicilia. I suoi principali obiettivi erano: il suffragio universale, la libertà di pensiero e di stampa, la responsabilità parlamentare del governo e l’unità nazionale.
Il conte di Cavour
Delusi dall’assenza di prospettive, molti militanti repubblicani cominciarono così a guardare con simpatia a una diversa ipotesi di unificazione nazionale: quella che cominciava a delinearsi nel Regno di Sardegna, dove il ministro Camillo Benso conte di Cavour (1810-1861), specie dal 1856 in avanti, conduceva una spregiudicata politica estera, tesa a rendere accettabile presso le principali potenze continentali l’idea di un ingrandimento territoriale dei domini sabaudi all’interno della penisola italiana, in funzione antiaustriaca. Ciò che soprattutto colpisce è lo slancio esuberante dei soldati. Essi sono in un certo senso la metafora di una nuova, giovane, vigorosa nazione che sta sorgendo e che avanza di corsa verso il futuro
Al passaggio dei soldati si solleva un’onda di polvere, che imprime all’intera scena un’atmosfera quasi surreale. Quello che viene posto all’attenzione di chi guarda è una sorta di prodigio
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Ritratto di Camillo Benso conte di Cavour, XIX secolo
Cavour, affermatosi sulla scena politica piemontese durante gli eventi del 18481849, quando si era schierato con i fautori della creazione di un regno dell’alta Italia a guida sabauda, divenne nel Parlamento subalpino il capo della maggioranza liberal-moderata, distinguendosi già nel governo presieduto nel 1851 da Massimo d’azeglio, prima come ministro dell’Agricoltura e del Commercio, poi come ministro delle Finanze. ammiratore delle istituzioni e dello spirito progressista della società inglese, diede una scossa profonda all’economia, favorendo, con un massiccio intervento della finanza statale (e la contestuale espansione del debito pubblico), la modernizzazione sia delle strutture produttive sia della società civile. Istituì la Banca nazionale degli Stati sardi e potenziò le infrastrutture, soprattutto in campo ferroviario, portando entro il 1859 a 850 chilometri la lunghezza delle linee in esercizio nel Regno di Sardegna e favorendo così lo sviluppo dell’industria meccanica. La politica del connubio
all’orientamento progressista in campo economico (che, per certi versi, lo accomunava a una figura di tutt’altro orientamento politico, come quella del repubblicano Carlo Cattaneo) Cavour coniugò una fede politica monarchico-liberale, ma, a differenza di quella di gran parte del moderatismo prequarantottesco, era di orientamento rigorosamente laico. Fu un conservatore sotto il profilo sociale, ma si batté con vigore, anche a costo di ripetute frizioni personali con il re, per il potenziamento delle prerogative del Parlamento, cioè per il pieno svolgimento in senso liberale dello Statuto albertino del 1848.
APPROFONDIRE
Le città d’Italia prima dell’unità l’unificazione nazionale, l’Italia ebbe la sua capitale, che Cma onfuin precedenza prima Torino, poi Firenze (1864), e infine Roma (1871), ciascuno degli Stati che componevano la pe-
Firenze, capoluogo del Granducato di Toscana, veniva considerata anche la capitale della lingua italiana. Roma era, a sua volta, non solo la capitale dello Stato pontificio, ma anche quelnisola aveva, a sua volta, la propria capitale. E ve ne erano alcula dell’intera Chiesa cattolica e nella sua popolazione era altisni nei quali le città di grande importanza erano almeno due. sima la percentuale di persone di chiesa, di ambo i sessi e Nel Regno Lombardo-Veneto, per esempio, tanto Milano quanto provenienti da ogni parte d’Italia e d’Europa. Anche nel Regno Venezia godevano dello status di capitale, ciascuna in relazione delle due Sicilie, come in quello di Sardegna, si dava una forte alla propria regione; ma mentre Milano si segnalava per la vivacontrapposizione tra due città: la capitale Napoli, che per popocità dei suoi traffici e per il suo orientamento verso i paesi più lazione, con i suoi oltre 400 000 abitanti, era, dopo Londra e progrediti d’Europa, Venezia, molto impoverita rispetto ai secoli Parigi, la terza città d’Europa e di gran lunga la prima d’Italia, e precedenti, era la meta di artisti e letterati Palermo, che nel secolo precedente era romantici, che con il pennello o con la penstata la capitale di un Regno di Sicilia sona ne descrivevano lo stato di decadenza, stanzialmente indipendente da quello di raccontandola come una città del passato. Napoli, e che nei decenni preunitari patì Nel Regno di Sardegna una forte rivalità invece un’accresciuta soggezione nei contrapponeva la capitale Torino, sede della confronti della città sotto il Vesuvio. corte sabauda, a Genova, città portuale e Nell’Italia unita che prese forma tra il mercantile che pativa per la perdita dell’in1859 e il 1870 convivevano, come quedipendenza di cui aveva goduto durante sto sguardo alle città della penisola ci ha l’età moderna. La rivalità era acuita dal fatto mostrato, molte identità distinte. Trovare che, mentre a Torino era particolarmente la conciliazione tra di esse sarebbe stato forte il sentimento monarchico, a Genova Angelo Inganni, La facciata del Teatro alla Scala, 1852 il grande problema dello Stato nazionale prevaleva quello repubblicano. sorto nel 1861. (Milano, Museo del Teatro alla Scala) 446
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
a tal fine, nel 1852, eletto primo ministro, promosse la convergenza, detta in seguito “connubio”, tra la sua formazione politica, il “centro-destra”, e il “centrosinistra” guidato da urbano Rattazzi (1808-1873, presidente del Consiglio nel 1862 e nel 1867), e sulla base di questa alleanza assunse la direzione di un governo che voleva isolare sia la sinistra democratica sia l’estrema destra conservatrice. Quest’ultima, nel 1855, cercò di farlo cadere, quando il Parlamento si avviò a votare alcune leggi tese a completare quelle già varate da d’azeglio nel 1851 in tema di limitazione dei privilegi ecclesiastici. Si aprì allora quella che è poi stata definita crisi “calabiana” perché a causarla fu l’arcivescovo Luigi nazari di Calabiana con la sua opposizione alla proposta di legge per la soppressione degli ordini religiosi contemplativi, ma Cavour, malgrado l’ostilità del re, ne uscì vittorioso. La Società nazionale
La vittoria di Cavour coincise con il rafforzamento del regime parlamentare nel Regno di Sardegna, a scapito della residua invadenza regia nell’azione di governo. Fu anche grazie a segnali come questo che il Piemonte cavouriano venne con sempre maggiore convinzione considerato dalle forze che nella penisola si opponevano allo status quo come un riferimento imprescindibile per ogni progetto di trasformazione dell’ordine vigente. nella seconda metà degli anni Cinquanta prese forma – con sede centrale a torino, ma con ramificazioni in tutta Italia – un movimento, denominato Società nazionale, che mirava al conseguimento dell’unificazione della penisola sotto lo scettro sabaudo. Lo costituivano, in gran parte, ex aderenti al programma mazziniano e repubblicani di altro orientamento, quali Daniele Manin, Giuseppe La Farina (1815-1863), Giuseppe Garibaldi (1807-1882), i quali, pur di edificare la nazione, erano ormai pronti ad abbandonare la pregiudiziale repubblicana e ad attenuare il proprio originario radicalismo democratico.
LESSICO Società nazionale Fondata nel 1857 da Daniele Manin, capo del governo repubblicano di Venezia nel biennio 1848-1849, si proponeva di raccogliere tutte le forze moderate e democratiche pronte a sostenere la monarchia costituzionale di Vittorio Emanuele II per raggiungere lo scopo primario dell’unificazione italiana. Il suo motto era infatti: «Italia e Vittorio Emanuele».
L’Italia dei Savoia frusta l’Austria, stampa satirica, XIX secolo
L’Italia, cinta dalla bandiera rossa bianca e verde, veste di azzurro, il colore dinastico dei Savoia e cavalca una possente aquila, animale simbolo della casata sabauda
Sopra il fuggiasco compare un mostriciattolo infernale, simbolo della tirannia
L’aquila insegue l’imperatore Francesco Giuseppe su un cavallo tenuto per il collo e frustato dall’Italia
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
L’arrivo a Genova delle truppe francesi mandate da Napoleone III in seguito agli accordi di Plombières
18.2 La prima fase dell’unificazione italiana Dal sogno repubblicano alla soluzione monarchico-liberale
Il processo di unificazione fu quindi il risultato di due percorsi paralleli: l’ascesa dell’influenza e del prestigio della monarchia sabauda, e la crisi del repubblicanesimo. Per decenni aveva prevalso la spinta rivoluzionaria e popolare dal basso, come cornice ideale per l’affermazione di una repubblica democratica di cittadini padroni delle proprie scelte e del proprio destino. tra il 1859 e il 1861 essa si realizzò invece in tutt’altra maniera, in ragione di una assai più complessa combinazione di fattori. L’Italia secondo gli accordi di Plombières (1858) SVIZZERA
IMPERO D’AUSTRIA
SAVOIA Milano
Torino
FRANCIA NIZZA
REGNO DELL’ALTA ITALIA Venezia Parma Modena Bologna Genova Firenze
mar Ligure
Territori del Regno di Sardegna ceduti a Napoleone III
ma
REGNO DELL’ITALIA CENTRALE
rA
dr
ia
tic
o
CORSICA
Roma STATO PONTIFICIO
mar Tirreno
Napoli
REGNO DELL’ITALIA MERIDIONALE
SARDEGNA
Cagliari
mar Mediterraneo
Palermo SICILIA
448
mar Ionio
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
In parte il processo di unificazione fu il frutto quasi involontario delle aspirazioni dei liberali, fino a quel momento interessati all’idea dell’indipendenza di ciascuno dei loro Stati regionali, e ora indotti a intravedere nell’unificazione la soluzione per scongiurare la minaccia di una reazione austriaca; in parte esso ebbe il sapore del coronamento di una politica di vera e propria espansione dinastica dei Savoia, una casa regnante che grazie a Cavour era riuscita in quegli anni ad accreditarsi sul piano internazionale, prima attraverso la partecipazione al fianco della Gran Bretagna e della Francia alla Guerra di Crimea (1854-1855), poi attraverso gli accordi stretti segretamente nel 1858 tra Cavour e Napoleone III. tra il 21 e il 22 luglio di quell’anno, infatti, l’imperatore francese e il ministro italiano si incontrarono in incognito a Plombières, una nota località termale sulle alpi francesi, e gettarono le basi di un’alleanza militare contro l’Austria: la Francia si impegnava a intervenire a fianco del Regno di Sardegna in caso di aggressione da parte degli asburgo. Inoltre, gli accordi stabilirono, in caso di vittoria, che il Nord Italia sarebbe andato alla dinastia sabauda, che cedeva alla Francia la Savoia e la contea di nizza; il Centro sarebbe stato affidato a Girolamo Bonaparte, cugino dell’imperatore; il Sud, tolto ai Borbone, sarebbe stato assegnato al figlio di Gioacchino Murat. Il papa avrebbe conservato Roma e il Lazio. non bisogna però dimenticare che nella conquista dell’unità, come avrebbe dimostrato l’impresa garibaldina, confluì certamente anche la spinta di quella generazione di patrioti romantici che allo Stato nazionale avevano guardato come al coronamento di un sogno democratico e popolare.
LESSICO Guerra di Crimea Fu la guerra che tra il 1854 e il 1856 oppose Francia, Gran Bretagna e Impero ottomano alla Russia per arginare le mire espansionistiche di quest’ultima sui Balcani e sul Mar Nero. Alleandosi con Francia e Gran Bretagna, Cavour, che spedì in Crimea un corpo di 18 000 uomini, ottenne di poter sedere al tavolo della Pace di Parigi, nel 1856, e di porre così all’attenzione europea la questione italiana.
ANALIZZARE LA FONTE
Per un’Italia libera e rispettata Autore: Camillo Benso, conte di Cavour – Tipo di fonte: discorso in Parlamento – Data: 5 febbraio 1855 Riportiamo alcuni brani del discorso che Camillo Cavour tenne nel Parlamento subalpino per convincere i deputati a dare voto favorevole alla partecipazione del Regno di Sardegna alla Guerra di Crimea.
L’esperienza degli anni scorsi e degli scorsi secoli ha dimostrato […] quanto poco abbiano all’Italia giovato le congiure, le trame, le rivoluzioni ed i moti incomposti. Lungi dal giovarle, sono state una delle massime calamità, che abbiano afflitto questa bella parte d’Europa […] specialmente perché queste continue congiure, queste rivoluzioni ripetute, questi moti incomposti, ebbero per effetto di scemare la stima e, fino a un certo punto, la simpatia che gli altri popoli d’Europa per l’Italia nutrivano. Ora, o signori, io credo che la principale condizione pel miglioramento delle sorti d’Italia, quella che sovrasta a tutte le altre, si è di rialzare la sua reputazione, di far sì che tutti i popoli del mondo, e governanti e governati rendano giustizia alle sue qualità. E per ciò due cose sono necessarie: primo, di provare all’Europa che l’Italia ha senno civile abbastanza per governarsi regolarmente, per reggersi a libertà, che essa è in condizioni di assumere le forme di governo le più perfette che si conoscano; secondariamente, che il suo valore militare è pari a quello degli avi suoi. Voi avete pel passato reso questo servizio all’Italia colla condotta da voi tenuta per sette anni, dimostrando nel modo il più luminoso all’Europa come gli italiani sappiano governarsi con saviezza, con prudenza, con lealtà. Sta ancora a voi renderle un eguale, se non maggiore servizio; sta al nostro paese a dimostrare come i figli d’Italia sappiano combattere da valorosi sui campi della gloria. C. Benso di Cavour, Discorsi parlamentari, vol. XI, Firenze 1957, pp. 269-270 Domande alla fonte 1. Perché Cavour, che è alla testa del governo del Regno di Sardegna, invita i deputati del Parlamento subalpino a considerare il bene dell’Italia intera? 2. A chi si riferisce quando critica «le congiure, le trame, le rivoluzioni ed i moti incomposti»?
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
La Seconda guerra d’indipendenza
nel 1859 Cavour ebbe come unico obiettivo quello di costringere l’Austria a dichiarare guerra, in modo da far scattare l’alleanza con la Francia stabilita a Plombières. a questo scopo cominciò a mobilitare l’esercito lungo i confini della Lombardia per dare l’impressione che il regno sabaudo si stesse preparando a un conflitto. Inoltre assegnò a Garibaldi il compito di formare gruppi di volontari, i Cacciatori delle Alpi, che provocassero gli austriaci con le loro esercitazioni militari sul confine. L’Austria cadde nella trappola e il 23 aprile inviò un ultimatum ovviamente respinto dai piemontesi. Vittorio Emanuele di Savoia fece allora varcare dalle sue truppe il ticino. Grazie al contributo determinante dell’esercito francese, oltre che a quello dei volontari di Garibaldi, le truppe austriache di stanza in Lombardia vennero rapidamente sconfitte. La vittoria decisiva avvenne il 4 giugno con la battaglia di Magenta che aprì la via per la liberazione di Milano. La liberazione procedette quindi in direzione del Veneto in seguito alle vittorie di Solferino e San Martino del 24 giugno. nel frattempo, però, nel Granducato di Toscana, nel Ducato di Modena e nelle legazioni pontificie la Società nazionale era stata in grado di organizzare delle sollevazioni che avevano indotto i rispettivi regnanti o governatori alla fuga, mentre i rivoltosi avevano dichiarato l’auspicio che i loro territori venissero annessi al Regno di Sardegna. Così facendo, si contravveniva ai patti di Plombières perché al posto di un’Italia del nord sotto i Savoia ce ne sarebbe stata una centrosettentrionale e Girolamo Bonaparte non avrebbe ottenuto nulla. a questo punto napoleone decise di sospendere le ostilità, senza che la liberazione fosse completata. L’11 luglio, all’insaputa di Cavour, firmò con l’austria l’armistizio di Villafranca che sancì la cessione della Lombardia (con l’eccezione di Mantova) alla Francia che l’avrebbe poi “girata” al Regno di Sardegna, ma che confermò il controllo dell’Austria sul Veneto. Cavour si dimise, ma i governi provvisori dell’Italia centrale resistettero grazie anche all’appoggio diplomatico della Gran Bretagna – favorevole all’ipotesi della costituzione di un vasto Stato italiano a guida sabauda (che sottraesse la penisola dall’ipoteca francese) –; nel marzo 1860 si tennero in quelle aree dei plebisciti, dai quali a schiacciante maggioranza venne accolta la proposta di aggregarsi ai territori sabaudi. Questi eventi sono passati alla storia come la Seconda guerra di indipendenza. La battaglia di Solferino in cui, il 24 giugno 1859, si fronteggiarono le truppe franco-piemontesi e gli austriaci. Su entrambi i fronti ci furono gravissime perdite, stampa, XIX secolo
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CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
Gerolamo Induno, L’imbarco dei Mille a Quarto il 5 maggio 1860, 1860 (Milano, Museo del Risorgimento)
18.3 Il completamento dell’unificazione L’impresa dei Mille
a questo punto, con ormai quasi metà del territorio della penisola sotto lo scettro sabaudo, scattò la seconda fase del processo di unificazione nazionale, quella rivolta alla conquista di ulteriori porzioni dello Stato della Chiesa e dell’intero Regno delle due Sicilie. La guidò Giuseppe Garibaldi, un democratico nizzardo che si era formato durante gli anni Quaranta come comandante militare in Sud america e che tra il 1848 e il 1849 era divenuto un mito, distinguendosi in particolare nella difesa dell’effimera Repubblica romana del 1849, stroncata dall’esercito francese di napoleone III (dichiaratosi per l’occasione protettore del papa e del suo dominio temporale). nei tardi anni Cinquanta, Garibaldi si era avvicinato alla Società nazionale, pur continuando a coltivare in cuor suo l’ideale repubblicano e, dopo aver guidato alcuni battaglioni di volontari nella guerra austro-franco-piemontese del 1859, nel maggio 1860 fu pronto a raccogliere accanto a sé alcune centinaia di patrioti, i cosiddetti Mille, e a condurli con sé in Sicilia. Scopo dichiarato era la sollevazione delle terre meridionali e la loro liberazione dalla “tirannia borbonica”.
Intervista impossibile a Giuseppe Garibaldi, p. 458
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il processo di unificazione aspirazioni dei liberali
aumentato prestigio dei Savoia
PROCESSO DI UNIFICAZIONE
Contributo dei patrioti
Garibaldi e i Mille Guerra di Crimea
Accordi di Plombières
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Remigio Legat, La battaglia di Calatafimi del 15 maggio 1860, XIX secolo
Storiografia A. Gramsci, Risorgimento e rivoluzione agraria
nella notte tra il 5 e il 6 maggio i Mille salparono da Quarto, presso Genova, con il tacito benestare (e anzi, probabilmente, sotto la protezione) del governo piemontese. Sbarcati dopo qualche giorno a Marsala, in meno di due mesi conquistarono l’isola, godendo almeno inizialmente dell’appoggio di buona parte della popolazione locale. Quest’ultima, del resto, già da diversi mesi aveva accentuato la tradizionale insofferenza nutrita nei confronti del governo borbonico. Quando Garibaldi sbarcò in Sicilia, si erano infatti da poco spente le ceneri di un tentativo di insurrezione popolare a Palermo, mentre le campagne si trovavano in gran parte sotto il controllo di bande di contadini, armati dai maggiorenti locali, desiderosi di sottrarsi al governo napoletano e di godere di maggiore autonomia, per farne uno strumento di minaccia nei confronti dei regnanti. La difficile conquista della Sicilia
Letteratura Federico De Roberto I Viceré
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Fu con il sostegno determinante dei contadini armati, i “picciotti”, che Garibaldi poté realizzare la sua avanzata trionfale. E per guadagnarsene ulteriormente l’appoggio non esitò a emanare una serie di provvedimenti che almeno in parte venivano incontro alle aspirazioni economico-sociali degli strati popolari delle campagne: l’abolizione della tassa sul macinato e la promessa di assegnare parte delle terre demaniali agli isolani che avessero combattuto a fianco dei garibaldini. Queste iniziative diedero tuttavia adito ad aspettative ben altrimenti radicali. E, illudendosi di poter contare sul consenso del capo dei Mille, in alcune aree dell’isola i contadini (i “berretti”) si impadronirono delle terre demaniali e di quelle usurpate da decenni dai grandi proprietari fondiari eredi delle famiglie feudali (i “cappelli”). alcuni di questi ultimi vennero massacrati e, per stroncare i disordini, Garibaldi fu costretto – su forte sollecitazione degli inglesi – a organizzare una sanguinosa repressione, culminata nella spedizione effettuata a Bronte, nei pressi di Catania. Qui il 2 agosto era scoppiata una violenta rivolta: Nino Bixio (1821-1873), inviato da Garibaldi, attaccò i rivoltosi, fece giustiziare cinque ribelli e ordinò la cattura e la condanna di molte altre decine di essi. Il sogno di una complementarietà tra rivoluzione nazionale e rivoluzione sociale, che qualcuno tra i repubblicani aveva accarezzato, veniva così, in quella estrema periferia del Sud, rivelando drammaticamente tutta la sua aleatorietà. Il “terrore” brevemente patito dai maggiorenti siciliani durante il passaggio garibaldino attraverso l’isola contribuì però non poco a spingerli verso la prospettiva di accettare l’annessione ai domini della Corona sarda, vista come una garanzia di tutela di un ordine sociale altrimenti minacciato.
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
APPROFONDIRE
Un eroe italiano: Giuseppe Garibaldi iazza Garibaldi, corso Garibaldi, via Garibaldi; molti di PGaribaldi noi le percorrono ogni giorno. E se quella intitolata a è una piazza, in genere vi troneggia proprio nel mezzo una statua, alta sul piedistallo. Spesso l’“eroe” è raffigurato a cavallo, in una posa maestosa, mentre con un largo gesto d’offerta – a braccia aperte – pare invitare gli italiani a diventare padroni della propria patria, finalmente riscattata dal dominio di re stranieri o di monarchi autoritari e dispotici. Giuseppe Garibaldi morì nel 1882 nell’isola di Caprera, dove da tempo si era ritirato, in una modesta casa di campagna. Quel luogo diventò immediatamente dopo la sua morte meta di pellegrinaggi e sede di un vero e proprio culto. A prescindere dall’eccezionalità di ciò che fanno, gli eroi diventano tali perché appagano dei bisogni collettivi; esercitano la funzione di specchi, nei quali ciascuno immagina di vedersi rappresentato e riflesso. Garibaldi era uomo di origini abbastanza umili e tuttavia, con le sole sue forze o poco più, aveva sconfitto potenti regnanti e consentito la formazione di una nazione: questo pensavano coloro che ne celebravano la memoria. Ma come si diffuse il mito garibaldino? Attraverso la parola scritta, per esempio, se è vero che nel 1861 Alexandre Dumas dedicò alle sue imprese un romanzo di successo, dal titolo I garibaldini; ma anche attraverso le immagini, strumento di più incisiva penetrazione in un mondo – quello delle classi subalterne – in cui pochi sapevano
leggere e scrivere. Un’intera generazione di pittori, in Italia, fece dell’iconografia garibaldina un soggetto prediletto, talvolta immergendola nel cuore della vita quotidiana: come nel caso dei “piccoli” garibaldini, per i quali le imprese dell’eroe diventano pretesto per giochi e fantasticherie. Ma con i dipinti, in fondo, erano ancora in pochi ad avere confidenza. Furono in molti, invece, a imprimersi in mente Garibaldi grazie alle cartoline, così come le persone delle generazioni precedenti si erano familiarizzate con i santi attraverso le immaginette passate di mano in mano. E del resto lo stesso Garibaldi spesso venne raffigurato in chiave religiosa, per esempio nelle sembianze di Cristo redentore, apparendo come un salvatore della patria, così come Cristo lo era stato dell’umanità. L’eroe appartiene dunque anche alla sfera sacra, oltre che a quella profana; rappresenta il veicolo di una forte irradiazione emotiva, che si condensa in una nuova religione: la religione della patria. Con le sue imprese, Garibaldi dovette sembrare ai suoi contemporanei dotato quasi di poteri soprannaturali. Ma, al tempo stesso, la sua “santificazione“ offrì anche un messaggio rassicurante, situando l’epopea dell’unificazione nazionale sullo sfondo di uno scenario tutto religioso, quello che risultava del resto all’epoca il più facilmente praticabile dagli italiani. Con Garibaldi redentore la causa dell’unità d’Italia parve divenire la causa del bene, del Bene con l’iniziale maiuscola.
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
La liberazione di Napoli LESSICO Camicie rosse La denominazione propria delle truppe dei volontari riuniti da Garibaldi nelle sue varie imprese. Essa era entrata in uso fin dal 1843, quando il condottiero nizzardo, che all’epoca si trovava nell’America del Sud, aveva guidato, a sostegno della Repubblica dell’Uruguay, un gruppo di uomini che indossavano come uniforme una camicia di quel colore.
Inclusione/Esclusione Risorgimento e classi subalterne, p. 465
a napoli, nel frattempo, il giovane sovrano Francesco II (1836-1894, re delle due Sicilie dal 1859 al 1860) tentava di accrescere la propria popolarità concedendo in giugno una Costituzione liberale, ma il provvedimento risultò inutile e tardivo. nel mese di agosto, mentre in Sicilia si formò un governo provvisorio sotto la guida di Francesco Crispi, Garibaldi e i suoi armati, che erano man mano cresciuti di numero grazie all’afflusso di migliaia di nuovi volontari, attraversarono lo stretto di Messina e cominciarono a risalire il regno verso la capitale. Garibaldi all’inizio di settembre entrò trionfalmente a Napoli, da cui nel frattempo Francesco II era fuggito con parte dell’esercito. Le “camicie rosse” dei garibaldini non incontrarono lungo il proprio cammino una vera e propria resistenza militare, anzi, godettero perlopiù della neutralità, se non del convinto consenso, di gran parte della popolazione. Poco dopo l’arrivo di Garibaldi a napoli, vi accorsero anche i due capi storici del movimento democratico repubblicano, Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo. a questo punto, per alcune settimane, la penisola italiana risultò emblematicamente divisa in due parti. al Centro-Nord il controllo della situazione era in mano alla dinastia sabauda e al fronte liberale-moderato; il Sud, invece, era retto da una delle figure più rappresentative del repubblicanesimo democratico. Certo, a proiettarlo in quella posizione aveva molto contribuito la copertura sabauda; e Garibaldi, del resto, negli anni immediatamente precedenti si era in qualche modo avvicinato alla corona sarda. Ma i suoi uomini, i volontari che avevano accettato l’avventura della spedizione in Sicilia, indossavano la camicia rossa, simbolo della Repubblica; e ora, come due angeli custodi, erano venuti ad affiancarlo i due maggiori padri spirituali del repubblicanesimo italiano. L’unificazione dall’alto
Il voto per l’annessione della città partenopea al Regno di Sardegna, litografia, XIX secolo (Milano, Civica Raccolta di stampe Bertarelli)
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Garibaldi avrebbe prestato ascolto a coloro che premevano per la dichiarazione della repubblica, o a Vittorio Emanuele e a Cavour, i quali desideravano a questo punto che il Mezzogiorno, come la Lombardia, i ducati, e l’Italia centrale venissero annessi al Regno di Sardegna? Venuto meno, ormai, il condizionamento austriaco, e mentre si stavano disgregando tutti i tradizionali poteri costituiti, si profilava uno scontro tra due diverse visioni dell’unificazione nazionale. La prima, quella sabauda, aveva preso forma di recente, in seguito agli avvenimenti in parte imprevisti degli ultimi mesi, ed era di impronta dinastico-monarchica, all’interno di un quadro politico liberale ma socialmente ristretto; la seconda, quella repubblicana, risaliva a una tradizione di matrice rivoluzionaria, che all’idea di nazione abbinava quelle di popolo e di democrazia. nel giro di poche settimane, ad affermarsi fu il modello dell’unificazione dall’alto, grazie a un’accorta manovra progettata da Cavour. Per impedire che le iniziative di Garibaldi fuoriuscissero dai binari sperati, e per far sì che esse risultassero invece funzionali al progetto sabaudo di espansione dinastica, Vittorio Emanuele schierò in campo l’esercito e lo fece discendere in fretta lungo la penisola; conquistò l’Umbria e le Marche, sconfiggendo le truppe dello Stato pontificio che ancora controllavano quelle regioni, e, ottenuto il dominio sul Centro Italia, di fatto inflisse ai repubblicani una pesante sconfitta politica. Essi trovavano infatti ora sul loro cammino verso Roma l’esercito sabaudo, legittimato anche dai governi stranieri, e furono costretti a fermarsi per evitare lo scontro frontale.
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
L’incontro tra Garibaldi e Vittorio Emanuele a Teano il 26 ottobre 1860
Questo è il senso del famoso incontro del 26 ottobre tra Vittorio Emanuele e Garibaldi a Teano, presso Caserta. Il comandante dei Mille, pago del risultato comunque conseguito – l’unificazione della penisola e l’indipendenza dei suoi territori dall’austria autoritaria –, e avendo sperimentato in varie rivolte sanguinosamente represse quanto fosse difficile il governo del Mezzogiorno, ordinò a questo punto ai suoi uomini di sciogliersi e rimise al re i propri poteri. Qualche mese più tardi, dopo che un’altra serie di plebisciti aveva ratificato a schiacciante maggioranza l’annessione delle Marche, dell’Umbria e del Mezzogiorno ai domini di casa Savoia, Vittorio Emanuele II assunse ufficialmente il titolo di re d’Italia (17 marzo 1861). Egli non ritenne necessario assumere il nome di Vittorio Emanuele I, per marcare la novità del neonato Stato italiano, e mantenne invece la numerazione sabauda, accentuando così la continuità del Regno d’Italia con il Regno di Sardegna. Era nata la nazione italiana, la cui prima capitale fu Torino.
Il laboratorio dello storico La pittura del Risorgimento, p. 460
Il completamento dell’unificazione italiana
negli anni Sessanta si assistette al completamento dell’unificazione nazionale italiana. ai territori confluiti nel Regno d’Italia tra il 1859 e il 1861, nel 1866 si aggiunse infatti il Veneto. Gli austriaci, pur avendo battuto l’esercito italiano a Lissa e a Custoza, dovettero cederlo per la sconfitta subita a Sadowa a opera della Prussia, con cui l’Italia si era alleata (Terza guerra di indipendenza). nel frattempo, per convincere i francesi a ritirare le truppe schierate nel Lazio a difesa del papa, nel settembre 1864 il governo italiano aveva deciso di spostare la capitale da torino a Firenze, fugando così i sospetti di voler conquistare Roma. ancora una vittoria prussiana (a Sedan), questa volta ai danni della Francia di napoleone III nella guerra franco-prussiana da cui sarebbe scaturita l’unificazione nazionale tedesca (v. cap. 22, par. 22.2), consegnò nel 1870 al Regno d’Italia il Lazio e Roma, realizzando così quel desiderio dell’Italia laica di avere Roma capitale che nei primi dieci anni dopo l’unità si era a più riprese manifestato. 455
SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’UNItà d’ItalIa
Il Regno d’Italia nel 1861 SVIZZERA SAVOIA Torino
FRANCIA
IMPERO D’AUSTRIA
LOMBARDIA Milano
VENETO
Venezia PIEMONTE Parma Modena Genova EMILIA Bologna
CONTEA DI NIZZA
11/12-3-1860
mar Ligure
Firenze TOSCANA
MARCHE 4/5-11-1860
11/12-3-1860
ma
rA
UMBRIA STATO Roma DELLA CHIESA Territori ceduti dal Regno di Sardegna alla Francia nel 1860 Regno di Sardegna nel 1859 Territori annessi al Regno di Sardegna con la Seconda guerra d’indipendenza Territori annessi al Regno di Sardegna con la spedizione garibaldina e l’intervento piemontese 12-3-1860
Data dei plebisciti di annessione
mar Tirreno
dr
ia
tic
o
EX REGNO DELLE DUE SICILIE
Napoli
(Borboni) 21-10-1860
SARDEGNA
mar Ionio
Cagliari
mar Mediterraneo
Palermo
Reggio Calabria
SICILIA 21-10-1860
L’ ingresso di Vittorio Emanuele II a Firenze, nuova capitale, il 3 febbraio 1865
LESSICO Guarentigia Garanzia (dal verbo “guarentire”, cioè garantire) di tener fede a un impegno preso, assicurata per mezzo di un giuramento o di un documento scritto.
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Dopo la morte di Cavour (6 giugno 1861), erano stati i suoi successori nella carica di presidente del Consiglio – primo fra tutti il toscano Bettino Ricasoli (18091880) – a cercare invano di appianare la questione romana attraverso trattative, condotte sia con il papa sia con Napoleone III che si era assunto il compito di difendere i residui territori pontifici dagli appetiti annessionistici del Regno d’Italia. nel 1862, quando Garibaldi aveva di nuovo radunato le sue camicie rosse con l’obiettivo di riunire con una spedizione armata Roma e il Lazio all’Italia, c’era stato un duro scontro tra garibaldini ed esercito regio sulle montagne dell’Aspromonte, conclusosi con la fucilazione di alcuni di loro e con l’arresto dello stesso Garibaldi. nel 1867, a Mentana, era stato napoleone III a infliggere con le sue truppe una cocente umiliazione ai volontari guidati da Giuseppe Garibaldi, postosi nuovamente a capo di una spedizione per la conquista di Roma. nel 1870, alla notizia della sconfitta inflitta a Sedan dai prussiani alla Francia, il governo italiano si dichiarò sciolto dagli impegni presi con napoleone III e inviò verso Roma un corpo di spedizione. Il 20 settembre i bersaglieri fecero il loro ingresso nella “città eterna”, ormai sguarnita della protezione militare francese, attraverso la breccia di Porta Pia. L’anno dopo, mentre la capitale veniva trasferita da Firenze a Roma, venne emanata la legge delle guarentigie, con la quale lo Stato italiano assegnava al pontefice una cospicua dotazione annua, e ne riconosceva la sovranità sul Vaticano, il Laterano e Castelgandolfo; accordava inoltre alla Chiesa il libero esercizio dei poteri spirituali sul territorio nazionale (secondo il principio cavouriano «libera Chiesa in libero Stato»).
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
Il papa Pio IX, però, si rifiutò di riconoscere la validità di questa legge, con le conseguenze sulle quali ci soffermeremo più avanti (v. cap. 22, par. 22.5). L’unificazione italiana, dunque, nelle sue linee fondamentali finì di dispiegarsi nel 1870. Si sarebbe poi completata solo dopo la Prima guerra mondiale, con l’acquisizione del Trentino e della Venezia Giulia (le “trento e trieste” di tante piazze italiane).
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - L’unificazione italiana (1848-1870) DATA
EVENTO
23 marzo
Carlo Alberto dichiara guerra all’Austria. Inizia la Prima guerra di indipendenza
29 maggio
Vittorie di Curtatone e Montanara. Cinquemila volontari toscani vincono le truppe austriache
1848 30 maggio
Battaglia di Goito vinta dai piemontesi
23/25 luglio
Sconfitta di Custoza
9 agosto
Armistizio di Salasco. Carlo Alberto si impegna a sgomberare i territori a est del Ticino
gennaio/febbraio
Repubbliche a Firenze, Roma e Venezia
20 marzo
Carlo Alberto dichiara di nuovo guerra all’Austria
23 marzo
Sconfitta di Novara
1849 maggio
Gli austriaci entrano a Firenze
23 marzo / 1° aprile
Resistenza di Brescia, poi costretta a cedere
luglio
Caduta della Repubblica romana
agosto
Caduta di Venezia
1852
Cavour diventa presidente del Consiglio nel Regno di Sardegna
1855
Spedizione piemontese in Crimea a fianco di Francia e Inghilterra
1856
Cavour partecipa ai trattati di pace e presenta la questione italiana
1857
Fallimento della spedizione di Carlo Pisacane
1858 luglio
Accordi di Plombières tra Napoleone III e Cavour
aprile
L’Austria dichiara guerra al Piemonte. Inizia la Seconda guerra di indipendenza
4 giugno
Vittoria di Magenta
1859 8 giugno
1860
Liberazione di Milano
24 giugno
Vittorie di Solferino e San Martino
6 luglio
Armistizio di Villafranca: annessione della Lombardia al Piemonte
marzo
Annessione di Emilia, Romagna e Toscana al Piemonte
5/6 maggio
I Mille partono da Quarto
11 maggio
I Mille approdano a Marsala
18 agosto
Sbarco di Garibaldi in Calabria
7 settembre
Garibaldi entra a Napoli
settembre
Truppe del Regno di Sardegna nello Stato pontificio
26 ottobre
Incontro a Teano tra Garibaldi e Vittorio Emanuele II
novembre
Annessione del Regno delle due Sicilie, dell’Umbria e delle Marche
1861 14 marzo
Vittorio Emanuele II assume il titolo di re d’Italia
1866
Terza guerra di indipendenza: il Veneto diventa territorio italiano
1870
In seguito all guerra franco-prussiana, Roma e il Lazio entrano nel Regno d’Italia
457
d Garibaldi, qualcuno dice che negli anni Sessanta dell’Ottocento, dopo avere guidato la spedizione dei Mille, Voi siete stato l’uomo più famoso del mondo. È vero ?
r Certo che lo è. Dovete considerare che in quell’epoca si cominciavano a pubblicare i primi rotocalchi. E le mie imprese per i giornalisti rappresentavano una materia prima perfetta. A leggerle c’era, per la prima volta, un pubblico di massa, che era stanco di sentir parlare soltanto di dinastie regnanti, di ministri, di papi e di cardinali. Io ero il personaggio che quel pubblico attendeva: un uomo venuto dal popolo, nel quale molti si potevano identificare; un uomo come tanti che però, con le semplici armi del proprio entusiasmo e della propria ferrea determinazione, era in grado di mettere in scacco l’esercito del Regno delle due Sicilie e di portare così a realizzazione l’unità d’Italia. A seguire la mia impresa giunsero presto giornalisti da ogni parte dell’Europa libera e il pubblico fremeva impaziente, ogni giorno, per sentirsi raccontare un’altra delle mie mirabolanti avventure. Quando, nel 1864, mi recai a Londra, la mia fama era ancora tanto grande che per salutarmi si radunarono in 500 000 a Trafalgar Square. Si trattò della più grande manifestazione politica dell’Ottocento inglese.
d Avete parlato dell’impresa dei Mille come di un’avventura, ma non è stata la vostra vita intera, un’avventura?
r Il mare è un’avventura, e io ci ho passato un bel po’ della mia vita. Sono nato a Nizza nel 1807, in una famiglia di gente di mare, e poco più che fanciullo ho iniziato a seguire le orme paterne. Tra i 15 e i 25 anni ho navigato quasi ininterrottamente per il Mediterraneo e per il mar Nero, al servizio di compagnie di commercio. Poi, nel 1833, in uno dei porti del Levante nei quali la nave sulla quale lavoravo era solita
Intervista impossibile - 5 domande a
Giuseppe
Garibaldi
sostare, ho avuto il mio battesimo politico r Sì, è vero, molti mi hanno seguito e mi sono affiliato alla Giovine Italia, con come si segue un profeta. E negli anni tra il nome di battaglia di Giovanni Borel. il 1848 e il 1860 in Italia e anche altrove circolavano clandestinamente dei volantini nei quali io venivo ritratto nei panni e nelle pose di Cristo, come se la causa in cui credevo, quella dell’unificazione nazionale, fosse parte di un disegno divino e io fossi l’angelo chiamato a eseguirlo. Io ho dato uno slancio religioso a un’idea politica. Forse proprio per questo sono riuscito ad accendere la passione e l’entusiasmo di tanti patrioti.
Senza dubbio, ero un repubblicano ma soprattutto un acceso sostenitore dell’unità d’Italia. E a questo obiettivo ho subordinato qualsiasi altra scelta politica
Mazzini mi ordinò di arruolarmi nella marina d Un’idea politica, avete detto. Ma non più bella e migliore delle istituzioni…, il governo della nazione attraverso la militare del Regno di Sardegna, per fare pro- sempre siete stato coerente. Prima seliti, e io gli obbedii. Ma nel 1834 fui sco- con Mazzini, poi con Vittorio Emanuele. nazione, il governo della gente onesta». Ma dopo qualche anno Vittorio perto e dovetti fuggire. Mi condannarono a Garibaldi, siete stato, in fin dei conti, Emanuele mi ha deluso. L’Italia che morte per alto tradimento. Cominciò allora, monarchico o repubblicano? per me, una vita raminga, lontano dalla pa- r Senza dubbio ero un repubblicano ma stava prendendo forma non era queltria. Mi misi al servizio del bey (il sultano) di soprattutto un acceso sostenitore dell’uni- la, popolare, semplice e onesta, che Tunisi e poi varcai l’oceano e approdai in tà d’Italia. E a questo obiettivo ho subordi- avrei voluto io. Per questo, negli ultiSud America, dove rimasi per oltre dodici nato qualsiasi altra scelta politica. Quando mi anni della mia vita sono tornato a anni. Ero, ormai, non più solo un uomo di ho visto che delle teste coronate, come i essere un repubblicano intransigenmare, ma anche un rivoluzionario. Mi battei Savoia, si erano convinte a sposare la cau- te. Anzi, sono divenuto il leader della per la libertà del Rio Grande do Sul, un’area sa della patria unita, non ho esitato a la- democrazia in Italia. la cui popolazione era determinata a sciare Mazzini ai suoi sogni, e a sostenere d Garibaldi, il vostro maggior emanciparsi dal Brasile, e poi per quella una monarchia che finalmente si faceva rimorso? dell’Uruguay, in lotta contro il dominio italiana. Così, in un proclama del 1859, ho dell’Argentina. La mia fama di condottiero, scritto: «Qualunque bene diciate di Vittorio r Non credo di averne di veradi capo della legione italiana in Sud Ameri- Emanuele non sarà mai troppo. Voi sapete mente grandi. Ma certo, negli ultica, nacque lì, perché di quelle lotte raccon- che io non sono realista. Ma dopo che av- mi anni della mia vita, da paladino tarono i giornali di tutto il mondo. Quando, vicinai Vittorio Emanuele dovetti ricono- della democrazia e del popolo, rinel 1848, tornai in Italia, insieme a mia mo- scerlo per un gran galantuomo». E ancora: pensavo con tristezza a certi moglie Anita, già si parlava di me come di una «Italia e Vittorio Emanuele, ecco la nostra menti della spedizione dei Mille; figura che viveva al confine tra la realtà e il Repubblica». Sì, la repubblica, ovvero «la quando, per esempio, per garantire l’ordine pubblico fui costretto romanzo. a reprimere le rivolte popolari. d Dunque, vi venivano attribuite doti Come a Bronte. straordinarie. E sappiamo che, nel corso Ero un uomo come delle vicende italiane del 1848 e del 1849, la vostra fama si rafforzò tanti, che però, con ulteriormente: la difesa di Brescia, poi le semplici armi del quella di Roma, infine il tragico epilogo della fuga, nel corso della quale in proprio entusiasmo mezzo alle paludi perì di stenti la vostra e della propria ferrea Anita. E, insieme a voi, come già era determinazione, era accaduto in Sud America, migliaia di volontari, di giovani disposti a in grado di mettere in sacrificare la propria vita al vostro scacco l’esercito del comando, adepti di una fede, più ancora Regno delle due Sicilie che militanti di un’ideologia. Che cosa ci potete dire a questo proposito?
Il laboratorio dello storico
Verso
La pittura del Risorgimento
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Furono molti i pittori che legarono il loro nome all’epopea del Risorgimento, per lo più ritraendone i momenti più drammatici e carichi di pathos, ma talvolta anche cercando di illustrare i riflessi di questi ultimi nella vita quotidiana delle persone comuni. E, anzi, furono forse proprio coloro che si impegnarono in questa direzione a restituire con maggiore efficacia attraverso le immagini il senso più autentico di eventi che certamente coinvolgevano emotivamente gran parte della popolazione (soprattutto nelle città, perché nelle campagne l’eco di quanto avveniva giungeva molto più attutita), ma che non per questo assorbivano interamente l’attenzione delle persone. La grande storia, dunque, andava per la sua strada; quella piccola e personale di ciascuno scorreva su un binario parallelo, anche se in qualche occasione le rotte dell’una e dell’altra si incrociavano. al centro compaiono un soldato ferito e claudicante, forse fresco reduce dal campo di battaglia, e una ragazza accanto a lui, a fare da simbolo della buona accoglienza che la città tributa ai suoi liberatori
una coppia di anziani, al margine della scena, passeggia indifferente. Pur nell’eccitazione generale, la vita quotidiana continua con il suo passo
Domenico Induno, L’arrivo a Milano del bollettino dell’armistizio di Villafranca, 1861 (Roma, Galleria nazionale di Arte moderna)
Il bollettino è stato stampato e alcune copie ne sono state affisse alle pareti esterne di un’osteria; intanto un militare ne porta in mano una copia e la commenta, suscitando reazioni per il momento ancora incerte tra chi lo ascolta alcuni particolari della scena ci fanno capire che siamo in un mercato. È facile, allora, immaginare la viva animazione e i suoni che fanno da sfondo a questa scena. Il pathos dell’evento straordinario si inserisce all’interno di una raffigurazione realistica 460
CapItOlO 18 - l’ItalIa UNIta
La presenza della città viene in questo dipinto appena evocata, attraverso un riferimento alle sue bellezze architettoniche
Quello che viene raffigurato è un ragazzo come tanti, vestito semplicemente, che passeggia solitario, come assorto in una fantasticheria. È il simbolo dell’Italia della gente comune; ma, al tempo stesso, anche quello della gioventù, che era stata in prima fila nelle vicende del Risorgimento. Infine, la figura del giovane portabandiera allude anche alla giovinezza della nazione di cui il tricolore è l’emblema
Ecco il tricolore, il simbolo dell’unificazione che si sta realizzando, anche a Firenze che diventa capitale d’Italia
Francesco Saverio Altamura, La prima bandiera entrata a Firenze nel 1864, 1864 (Torino, Museo nazionale del Risorgimento italiano)
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio abbiamo preso in esame due tele di grandi dimensioni, dipinte immediatamente dopo gli eventi alle quali esse fanno riferimento da un artista milanese e da un artista pugliese, entrambi attivamente coinvolti nei movimenti che contribuirono al compimento dell’unificazione italiana. • In quale di queste due tele è più diffusamente raffigurata, nelle sue varietà, la società che fece da sfondo al Risorgimento e in quale, invece, si coglie prevalentemente la dimensione più intimamente partecipata dell’evento? • Induno dipinse il soggetto qui proposto in numerose versioni. Sei in grado di effettuare una ricerca, trovandone almeno un’altra, per poi metterla a confronto con questa, evidenziandone eventuali differenze?
461
CapItOlO 18
L’ITALIA UNITA
mappa Divisione interna tra repubblicani unitaristi di Mazzini e federalisti di Cattaneo
• fallimento dei tentativi insurrezionali
• azione poliziesca repressiva
Passaggio di repubblicani all’opzione monarchica della Società nazionale
ascesa della monarchia sabauda
UNIFICaZIONE ItalIaNa
Partecipazione alla Guerra di Crimea
Ruolo decisivo di Cavour
Accordi di Plombières con la Francia
Aiuto francese
Contributo dei patrioti guidati da garibaldi
1859: II guerra di indipendenza
1860: Impresa dei mille
annessione di • Lombardia • Italia centrale
• liberazione della Sicilia e di Napoli • formazione di governi repubblicani
Vittorio Emanuele II diventa re d’Italia (17 marzo 1861)
Incontro di teano (ottobre 1860): • Garibaldi rimette al re i propri poteri • Annessione di marche, Umbria e meridione
Aiuto prussiano
Sedan (1870): la Prussia sconfigge la Francia 462
1866: III guerra di indipendenza
Conquista di Roma
la Prussia sconfigge l’Austria che cede all’Italia il Veneto
Roma capitale (1871)
CapItOlO 18
L’ITALIA UNITA
Sintesi 18.1 VERSO L’UNIFICAZIONE Dopo il Quarantotto il movimento repubblicano si divise in due anime: una unitaria, guidata dal Partito d’azione di Mazzini, e una federale, sostenuta da Carlo Cattaneo. negli anni Cinquanta il Regno di Sardegna si presentava come un regime costituzionale e liberale, grazie all’opera di Camillo Benso conte di Cavour, fautore di importanti riforme in ambito economico (in particolare, costruzione di infrastrutture, creazione di un banca nazionale degli Stati sardi e sviluppo dell’industria meccanica). In politica interna Cavour si batté con vigore per il potenziamento delle prerogative del Parlamento, cioè per il pieno svolgimento in senso liberale dello Statuto albertino del 1848 e per una maggiore laicità dello Stato. Egli inoltre promosse la convergenza tra il “centro-destra”, e il “centro-sinistra” isolando sia la sinistra democratica sia l’estrema destra conservatrice. In seguito alla crisi del repubblicanesimo molti mazziniani si rivolsero alla Società nazionale, che si proponeva di sostenere la monarchia costituzionale sabauda per raggiungere l’indipendenza dell’Italia. 18.2 LA PRImA FASE DELL’UNIFICAZIONE ITALIANA Decisiva per il processo di unificazione fu la politica estera di Cavour: prima con l’intervento nella Guerra di Crimea, poi con gli accordi segreti di Plombières con napoleone III, egli ottenne non solo visibilità per la causa italiana, ma anche l’impegno dell’imperatore francese a intervenire in aiuto dei piemontesi nel caso in cui fossero stati attaccati dall’austria. Dopo una serie di atti provocatori, promossi da Cavour, l’Austria dichiarò guerra nell’aprile del 1859 (Seconda guerra di indipendenza). Grazie al contributo dell’esercito francese, il conflitto pareva destinato ad avere un esito positivo per i piemontesi. Ma Napoleone III decise di non completare la liberazione del Veneto e firmò con gli austriaci l’armistizio di Villafranca, che assegnava al regno sabaudo la sola Lombardia.
nel frattempo, però, in tutta Italia vi fu una nuova ondata di insurrezioni che portò nei mesi successivi all’annessione al Piemonte di Emilia, Romagna e Toscana.
18.3 IL COmPLETAmENTO DELL’UNIFICAZIONE a questo punto scattò la seconda fase del processo di unificazione nazionale, quella rivolta alla conquista di ulteriori porzioni dello Stato della Chiesa e dell’intero Regno delle due Sicilie. La guidò Giuseppe Garibaldi che, organizzata una spedizione di circa mille uomini, nel maggio 1860 salpò da Quarto alla volta della Sicilia. Liberata l’isola dai Borbone, non senza incontrare resistenze, e formato un governo provvisorio sotto la guida di Francesco Crispi, la spedizione proseguì sul continente e giunse a settembre a Napoli. Cavour iniziò a temere che la linea democratica potesse imporsi su quella monarchica e decise di inviare l’esercito a liberare umbria e Marche. Per evitare uno scontro tra i due eserciti liberatori, Garibaldi decise di donare ai Savoia le terre liberate, che furono annesse al regno, come in tutti gli altri casi, con un plebiscito. Il 17 marzo 1861 Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia. negli anni Sessanta si assistette al completamento dell’unificazione nazionale italiana, in relazione a eventi internazionali. ai territori confluiti nel Regno d’Italia tra il 1859 e il 1861, nel 1866 si aggiunse infatti il Veneto e nel 1870 il Lazio e Roma, dove fu spostata la capitale (dal 1861 al 1864 era stata torino e dal 1864 al 1871 Firenze). Si risolse così il problema della presa di Roma che aveva segnato la politica italiana dal 1861, con i falliti tentativi di Garibaldi di conquistare la città scacciando il papa che era invece protetto dai francesi.
463
Identità collettiva e cittadinanza
M Inclusione Esclusione
Carlo Stragliati, L’esultanza dei milanesi alla notizia della sconfitta austriaca, XIX secolo (Milano, Museo del Risorgimento)
Risorgimento e classi subalterne L’unificazione che non unisce
M
olti dei pensatori, degli scrittori, dei poeti, dei politici, dei pittori, dei musicisti, che con le loro opere accompagnarono il cammino del Risorgimento italiano, si rivolgevano idealmente a una platea che immaginavano formata
Esclusione
opere verdiane erano, a loro volta, formazioni collettive; una moltitudine che si fondeva fino a formare un corpo unico e inclusivo: quello raffigurato nell’immagine dell’Italia dolente, che il pittore Francesco Hayez replicò a più riprese durante il quindicennio che culminò nell’unificazione nazionale (v. p. 440). Altre figure importanti della cultura risorgimentale, invece, mostravano maggiore cautela. Giovanni Berchet, per esempio, in uno dei suoi saggi sul Romanticismo pubblicati sulla rivista “Il Conciliatore”,
O. Borrani, Le cucitrici di camicie rosse, 1863 da tutti gli abitanti della (Montecatini, Collezione privata) penisola. La patria che ci si riprometteva di liberare dall’oppressione straniera non conosceva, in teoria, distinzione di classe o di genere. Ne facevano parte contadini, artigiani, operai e operaie, alla stessa stregua di aristocratici, benestanti, professionisti. Tutti insieme formavano un soggetto collettivo, il popolo italiano di cui si auspicava la rinascita, dopo gli interminabili tempi bui segnati dal dominio straniero. Era questa, certamente, l’idea di Mazzini e di Garibaldi. Ma, con le allusioni disseminate nelle sue poesie (pensiamo a distingueva esplicitamente tra gli italiani “maturi” Marzo 1821: «O stranieri, strappate le tende / da una per prendere in mano il proprio destino terra che madre non v’è…») o nelle sue tragedie (per (le classi medie) e quelli che definiva invece gli esempio nei cori dell’Adelchi ), anche Manzoni «ottentoti», ovvero le classi , 1852 zio An ad le aio subalterne non alfabetizzate proponeva un discorso in Nino Costa, Legn nale di Arte moderna) ria nazio lle Ga a, om (R e non acculturate, le quali sintonia con quello del patriota rappresentavano, peraltro, genovese e del condottiero la stragrande maggioranza nizzardo. I popoli oppressi che della popolazione. affioravano dai libretti delle
465
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Enrico Gamba, Il voto
di annessione de ll’Abruzzo (partic olare),
1861 (Genova, Galleria di Arte moderna)
“Il Conciliatore” secondo Berchet avrebbe dovuto rivolgersi ai primi, mentre per i secondi c’era ben poco da fare perché, a causa della loro ignoranza, non erano considerati validi per fare una nazione.
L
a remota aspirazione a costruire un nuovo destino condiviso da tutti; la pragmatica constatazione dei limiti che questa aspirazione incontrava a causa della povertà materiale e culturale di molte persone; la virtuale esclusione delle classi subalterne dal processo di costruzione della nazione: la parabola sociale del Risorgimento italiano si disegnò lungo queste coordinate contrastanti. Quando, tra il 1859 e il 1860, si svolsero i plebisciti dai quali ci si attendeva – come in effetti avvenne – una manifestazione di corale adesione degli abitanti dei vari Stati preunitari alla nuova nazione che stava prendendo forma, l’Italia andò alle urne tutta intera, a depositare il suo “sì”, quasi senza eccezione; o, meglio, vi si recò la comunità dei maschi maggiorenni, dal momento che – in consonanza con il resto d’Europa – alle donne in quanto tali, a prescindere dalla condizione economica, la cittadinanza politica rimase preclusa. Ma all’inizio del 1861, quando si tennero le prime elezioni politiche del Regno d’Italia, il diritto elettorale venne riconosciuto ad appena il 2% della popolazione, pari al 7% dei maschi maggiorenni. Erano cifre molto eloquenti: stavano a indicare che gli “ottentoti”, di cui aveva parlato poco più di quaranta anni prima Berchet, dalla nazione erano destinati a rimanere fuori. Certo, li si chiamava a fare i soldati, ma non li si riconosceva come cittadini a pieni diritti. 466
Durante i decenni precedenti, il rapporto tra movimento patriottico e strati subalterni della popolazione italiana era stato spesso ambivalente. In genere i contadini, che in un paese prevalentemente agrario, quale era la penisola, costituivano forse l’80% della popolazione disseminata nei vari Stati preunitari, del tema dell’emancipazione nazionale si erano disinteressati. Anzi, talvolta, come era accaduto in Lombardia al momento della rioccupazione della regione da parte del generale Radetzky nell’estate 1848, avevano addirittura salutato con entusiasmo la sconfitta dei patrioti, dal momento che nei loro volti riconoscevano, in gran parte, quelli dei loro padroni.
Risorgimento e classi subalterne
C
osì facendo essi avevano riproposto, a distanza di qualche decennio, quella stessa diffidenza – se non proprio ostilità – per le innovazioni politiche, di cui parte delle popolazioni più umili aveva dato prova a fine Settecento, partecipando ai moti sanfedisti. Come allora, sull’atteggiamento del popolo nei riguardi del Risorgimento pesò molto l’influenza del clero, che però non fu sempre pregiudizialmente contrario al patriottismo coltivato dai nazionalisti, anche se certamente lo declinò a suo modo. Resta il fatto, incontestabile, che gran parte dei leader del movimento risorgimentale, qualunque fosse la tendenza politica in cui essi si riconoscevano, proveniva dagli strati più elevati della popolazione. La sola, grande eccezione a questo quadro fu costituita da Garibaldi. E forse non è un caso che nessuno come lui fu in grado di sviluppare una modalità di comunicazione capace di far vibrare le corde del sentimento per la causa nazionale anche nei cuori più semplici. Nel corso della spedizione dei Mille, Garibaldi riuscì a costruirsi in Sicilia un seguito di massa, e migliaia di contadini lo accolsero con simpatia; ma un episodio come quello di Bronte – che portò il suggello, anche se non direttamente la firma, di Garibaldi – rappresentò in qualche modo il primo campanello d’allarme del fatto che, anche se a guidarlo era un leader venuto dal popolo, il Risorgimento non poteva essere veramente popolare.
Giuseppe Morricci, Artigiano cieco e la sua famiglia, 1851 (Genova, Galleria civica di Arte moderna)
Gli “ottentoti” di Berchet – o, visti altrimenti, i milioni di persone umili che alcuni protagonisti del “discorso” risorgimentale avevano evocato come il soggetto collettivo della nuova nazione – di fatto restarono esclusi dalle dinamiche politiche e sociali dell’unificazione. Poteva accadere che qualche leader si interessasse più di altri alle loro sorti, proponendo un programma sociale più avanzato, ma nel complesso i padri fondatori della nazione rimasero estranei alle masse popolari, così come queste erano estranee rispetto a loro.
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SEZIONE 5
IL RISORGIMENTO E L’UNITÀ D’ITALIA
ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Costruisci una linea del tempo su cui collocare opportunamente gli eventi elencati.
➜ cap. 18
spedizione dei Mille • breccia di Porta Pia • incontro di Teano • proclamazione di Vittorio Emanuele II re d’Italia • Seconda guerra di indipendenza • accordi di Plombières • plebisciti nell’Italia settentrionale
2
Ricostruisci sulla carta a sinistra l’assetto politico della penisola italiana nel 1815.
3
Ricostruisci sulla carta a destra l’assetto politico della penisola italiana nel 1870.
➜ cap. 17 ➜ cap. 18
uSARE IL LESSICO STORICO
4
Fornisci la definizione di ciascun termine o espressione. a. b. c. d.
5 468
➜ cap. 17
Risorgimento Carboneria Giovine Italia neoguelfismo
Scrivi un breve testo definendo che cosa si intende con il termine “plebiscito”, come si pone in relazione agli eventi dell’unificazione italiana e quale utilizzo ha oggi. ➜ cap. 18
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
6
Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false, poi correggi quelle che ritieni false.
➜ cap. 17
V a. b. c. d. e. f. g. h. i.
7
Rispondi alle domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
8
F
Il programma politico di Mazzini prevedeva l’edificazione di un’Italia unita e repubblicana. Il programma di Gioberti auspicava una confederazione di repubbliche sotto la guida del papa. I moti carbonari degli anni Venti fallirono soprattutto per il loro carattere elitario. Nel 1831 Carlo Alberto concesse il cosiddetto Statuto albertino. Federico Confalonieri fu il promotore dell’insurrezione a Modena del 1831. Dopo il Congresso di Vienna, Venezia tornò a essere una repubblica. La Giovine Italia si differenziava dalla Carboneria per il suo progetto di costruire un’Italia unita. Nell’autunno 1820 Florestano Pepe domò una rivolta separatista scoppiata in Sicilia. Cesare Balbo nel saggio Le speranze d’Italia presentava il modello di una confederazione italiana fondata sull’esercito dei Savoia. ➜ cap. 17
Perché l’Austria era detta “il gendarme armato d’Italia”? Perché fallirono i moti carbonari? Perché fallirono i moti mazziniani? Quali sono le differenze tra la Carboneria e la Giovine Italia? Perché molti intellettuali si opposero al progetto mazziniano? Perché Pio IX decise di ritirare l’esercito durante la Prima guerra di indipendenza? Perché Carlo Alberto decise nel 1849 di riprendere la guerra contro l’Austria?
Scegli l’alternativa corretta.
➜ cap. 18
1. La Guerra di Crimea fu combattuta a b c
tra Francia, Gran Bretagna e Russia da un lato e Impero ottomano dall’altro dal Regno di Sardegna in seguito agli accordi di Plombières tra Cavour e Napoleone da francesi, inglesi, ottomani e piemontesi contro l’espansionismo russo
2. Il Partito d’azione fu fondato da a b c
9
Cavour per promuovere la via sabauda all’unificazione Mazzini per promuovere le idee repubblicane e unitariste Cattaneo per promuovere il programma di un’Italia federata
Completa la tabella. BATTAGLIA
➜ cap. 18
DATA
VINCITORI
VINTI
Custoza Goito Montanara Novara Magenta
10 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f.
➜ cap. 18
Perché l’Austria dichiarò guerra al Regno di Sardegna? Perché Napoleone firmò l’armistizio di Villafranca? Quali furono le conseguenze delle insurrezioni contadine in Sicilia nel 1860? Perché il re mandò l’esercito a frenare l’avanzata dei garibaldini verso il Centro dell’Italia? Perché Garibaldi a Teano decise di donare le terre liberate al re? Perché la nobiltà siciliana accettò l’annessione alla corona sabauda? 469
SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’uNItà d’ItalIa
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
11 Presenta in un testo (max 40 righe) le diverse posizioni che caratterizzarono il dibattito sulla forma politica della futura Italia.
➜ cap. 17
12 Spiega in un breve testo (max 30 righe) perché, seppure in modo molto diverso, Cavour e garibaldi sono i principali artefici dell’unificazione dell’Italia.
13 Sintetizza i seguenti argomenti.
➜ cap. 18
➜ cap. 18
a. Gli eventi fondamentali della Seconda guerra d’indipendenza. b. La politica interna ed estera di Cavour. c. L’impresa dei Mille.
14 Osserva l’immagine, poi rispondi alle domande.
➜ cap. 18
a. Che cosa rappresenta? b. Chi è l'uomo con la bandiera? Da quali elementi lo hai capito? c. Che cosa sai dire su questo personaggio? d. Immagina di fargli una domanda e scrivi la sua risposta.
SCRIVERE DI STORIA
15 Scrivi un articolo di giornale sulle celebrazioni dei 150 anni dell’unificazione italiana. Indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che debba essere pubblicato. Non superare cinque colonne di metà foglio protocollo. ➜ cap. 18
16 Leggi il seguente brano e scrivi un testo immaginando dove e quando si svolge la scena, chi sono le persone che parlano e come potrebbe proseguire la narrazione.
➜ cap. 18
Sciorinarono dal campanile un fazzoletto a tre colori, suonarono le campane a stormo e cominciarono a gridare in piazza: “Viva la libertà!”. Come il mare in tempesta. La folla spumeggiava e ondeggiava davanti al casino dei galantuomini, davanti al Municipio, sugli scalini della chiesa: un mare di berrette bianche; le scuri e le falci che luccicavano. Poi irruppe in una stradicciuola. – A te prima, barone! Che hai fatto serbare la gente dai tuoi campieri! – A te prete del diavolo! Che ci hai succhiato l’anima! A te ricco epulone, che non puoi scappare nemmeno, tanto sei grasso del sangue del povero! – A te sbirro! che hai fatto giustizia solo per chi non aveva niente! – A te guardaboschi! Che hai venduto la tua carne e la carne del prossimo per due tarì al giorno! […] Il giorno dopo si udì che veniva a far giustizia il generale, quello che faceva tremare la gente. Si vedevano le camicie rosse dei suoi soldati salire lentamente per il burrone, verso il paesetto, sarebbe bastato rotolare dall’alto delle pietre per schiacciarli tutti. Ma nessuno si mosse. […] G.Verga, Libertà
470
SEZIONE 5
IL RISORGIMENTO E L’UNITÀ D’ITALIA Verso
IL DIBATTITO DEGLI STORICI Rileggere il Risorgimento A lungo la storiografia ha fornito una lettura fortemente retorica del Risorgimento italiano, presentando l’unificazione nazionale come una sorta di destino obbligato, come il conseguimento, cioè, di una condizione naturale, per secoli impedita da artificiosi condizionamenti esterni. Negli ultimi anni, viceversa, il tema è stato ripreso con nuova attenzione critica. Così, al racconto del Risorgimento come epopea patriottica, è stata affiancata l’impietosa verifica dell’effettivo livello di coesione (sul piano della lingua, degli usi, dei costumi, delle abitudini di vita, delle aspettative collettive) delle popolazioni dei vari Stati preunitari. Ne sono derivati molti interessanti studi sulle modalità attraverso le quali la nazione è stata costruita, partendo dal presupposto che essa non è un fenomeno astorico, e che per questo i processi che hanno portato alla sua realizzazione vanno adeguatamente spiegati (con tutte le
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
loro contraddizioni), e non, invece, dati per scontati. Alberto Mario Banti 1 , in un testo recentissimo, illustra l’importanza del ruolo esercitato dalla Rivoluzione francese, a fine Settecento, ai fini della formalizzazione di quella nuova, peculiare, idea di nazione rispetto alla quale il patriottismo italiano ottocentesco elaborò le proprie scelte. Derek Beales ed Eugenio Biagini 2 , in una sintesi anch’essa recente, mettono in luce la componente femminile del Risorgimento italiano, abitualmente trascurata dalla storiografia tradizionale. Tullio De Mauro 3 , in uno studio che concede ben poco alla retorica e che muove, dunque, da una ricognizione puntuale delle condizioni materiali dell’Italia agli albori dell’Unità, sottolinea lo scarto tra l’Italia immaginaria dei patrioti e quella tutta reale delle molte plebi regionali che popolavano la penisola.
Alberto Mario Banti
La nazione del Risorgimento Alberto Mario Banti (nato nel 1957) è attualmente lo storico più rinomato nell’ambito della storiografia sul Risorgimento. Di questo fenomeno ha messo in luce, per un verso, la forte carica emozionale, prima ancora che ideologica, e ha segnalato, per l’altro, il carattere di massa, nella misura in cui si può parlare in questi termini nel contesto comunque molto elitario caratteristico delle società europee ottocentesche. Oltre che l’opera da cui qui si cita, ha scritto: La nazione del Risorgimento (Einaudi, Torino 2000) e con Paul Ginsborg ha curato Il Risorgimento italiano (Einaudi, Torino 2007).
Per capire il significato del processo di costruzione del Regno d’Italia occorre osservare con attenzione la tipologia alla quale quella formazione statale appartiene: si tratta di uno Stato-nazione. La ragione del suo sorgere sta in questo: lo Stato unitario viene considerato la necessaria espressione di un’unica comunità nazionale italiana, che si ritiene sia degna di essere rappresentata in forme istituzionali coerenti. Tali forme istituzionali non possono essere individuate negli Stati che ancora nella prima metà del XIX secolo si dividono la penisola, perché quelli sono Stati dinastico-territoriali; 471
SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’uNItà d’ItalIa
1. Ugo Foscolo (1778-1827), massimo poeta del primo Romanticismo italiano, autore, tra l’altro, di Ultime lettere di Jacopo Ortis (1798). 2. Vincenzo Cuoco (17701823), storico e uomo politico italiano, autore di Saggio storico sulla rivoluzione di Napoli (1801); v. p. 367.
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la loro legittimità deriva dall’esistenza di una dinastia regnante, e non sono l’espressione della volontà della nazione. Dunque lo Stato unitario è uno Stato nuovo, sorretto da un’idea nuova: l’idea di “nazione”. Ma quando nasce questa idea? “Nazione” è una parola che deriva dal latino ed è largamente utilizzata anche in epoca medievale e moderna. Allora, però, non ha uno specifico significato politico; piuttosto, indica genericamente gruppi di individui che hanno qualche tratto comune (lingua, cultura, provenienza), e viene utilizzata occasionalmente, per esempio per distinguere gli studenti universitari che vengono da aree diverse rispetto a quella dell’università nella quale studiano, oppure per distinguere le diverse comunità mercantili attive in porti aperti a scambi a lunga percorrenza. Oltre a non avere una precisa connotazione politica, il termine “nazione” si riferisce a comunità non ben definite: vi sono molti e vari esempi di intellettuali, scrittori o politici che parlano indifferentemente di nazione italiana, o napoletana, o veneziana, e via dicendo. Il quadro cambia radicalmente nel corso del XVIII secolo, e cambia in particolare grazie alle innovazioni istituzionali e linguistiche promosse dai protagonisti della Rivoluzione francese. In cerca di un termine che indichi il soggetto collettivo che deve sostituirsi al re come depositario esclusivo della sovranità politica, essi lo trovano nel termine “nazione”. Il mutamento epocale, che fa sì che il termine “nazione” entri per la prima volta nel vocabolario politico, viene sancito da un articolo fondamentale della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789), il numero 3, che recita: «Il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella Nazione. Nessun corpo, nessun individuo può esercitare un’autorità che da essa non emani espressamente». L’articolo testimonia un mutamento, da allora irreversibile (o quasi), del lessico politico: nazione diventa un lemma chiave di quel vocabolario. E non si colloca in uno spazio semantico laterale, ma al centro della “nuova politica”, poiché indica, appunto, la comunità che, nel suo insieme, possiede la sovranità. Da questa trasformazione scaturiscono due dinamiche, che hanno una portata europea. La prima ha una natura imitativa: dal 1789 in avanti chiunque intenda «far come in Francia», cioè voglia mettere in discussione i fondamenti del potere monarchico o oligarchico, lo fa parlando il linguaggio della nazione, e cioè appellandosi ai diritti conculcati di questa più larga comunità. È ciò che accade un po’ dovunque. Ed è ciò che accade anche in Italia, dove sin dal 1796 i simpatizzanti della Rivoluzione francese cominciano a parlare della necessità di rifondare la carta geopolitica della penisola sulla base del nuovo principio nazionale. La seconda dinamica – solo in apparenza in contrasto con l’altra – ha una natura reattiva: quando gli eserciti della Francia rivoluzionaria, e poi napoleonica, cominciano a dilagare per l’Europa e a imporre l’autorità della Francia su Stati satelliti di nuova formazione, molti intellettuali, membri delle élite, giornalisti e gente comune delle aree occupate cominciano a criticare ciò che potremmo definire l’imperialismo rivoluzionario e poi napoleonico. Per definire il senso della loro ribellione uomini come Foscolo1 , Cuoco2 e altri ancora, cominciano a parlare dei diritti della loro nazione; negati dal cieco desiderio di dominio di una nazione straniera (la Francia) o del suo tiranno e dei suoi complici (Napoleone e i suoi sostenitori locali). In alcuni casi questa reazione non si affida solo alla pubblicazione di saggi, poesie o interventi polemici, ma si traduce in realtà operative, a volte assai drammatiche, di cui la ribellione scoppiata in Spagna nel 1808, la costituzione delle formazioni volontarie tedesche che aggrediscono la Grande Armée in ritirata nella Germania del 1813, le prime sette carbonare o antinapoleoniche nella penisola italiana sono altrettante manifestazioni. Attraverso questa doppia dinamica imitativa/reattiva il discorso nazionale comincia a diffondersi e a mettere le sue prime radici. Il che comporta due ulteriori passaggi.
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3. La definizione è tratta dal Vocabolario degli accademici della Crusca, Giovanni Alberti, Venezia 1612, p. 601.
4. Alessandro Manzoni (1785-1873), il più grande scrittore italiano dell’Ottocento, autore del romanzo nazionale per eccellenza (I Promessi sposi, 1827). Importante, per le sue risonanze patriottiche, anche la tragedia Adelchi (1822).
Il primo ha a che fare con il complesso dell’architettura concettuale che struttura il nuovo lessico politico. Infatti, nel corso dell’evoluzione sopra brevemente ricordata, il termine nazione non solo entra nel vocabolario politico, ma attira a sé un altro termine preesistente, anch’esso in uso sin dal Medioevo: “patria”. In epoca medievale e moderna patria ha un doppio significato: da un lato indica il «luogo dove si nasce, o donde si trae l’origine»3 , e può riferirsi al singolo paese natio, o alla città natale, o a un più ampio ambito territoriale; dall’altro, patria ha anche il significato di sistema politico-istituzionale al quale i sudditi o i cittadini devono lealtà, e in questo consiste la sua precoce politicità. E così, in epoca medievale e moderna (e per la verità anche molto prima, come ci ricorda il secondo carme del terzo libro delle Odi di Orazio) «morire per la patria» è un comportamento altamente apprezzato, che significa mostrare, nella sua forma più estrema, tutta la propria lealtà alle istituzioni dello Stato di cui uno è suddito (se si tratta di una monarchia) o cittadino (se si tratta di una repubblica). Dopo la Rivoluzione francese, per le analogie semantiche che li connotano e per le coerenze funzionali che sviluppano, i termini “nazione” e “patria” entrano in strettissimo collegamento reciproco, tanto che vi è chi designa il nazionalismo ottonovecentesco con il sostantivo composto “nazional-patriottismo”. Nel rapporto tra nazione e patria è il primo termine ad avere il maggior rilievo, poiché designa il soggetto fondativo del politico; patria, dal suo canto, conserva i significati relazionali che aveva in origine, che adesso si riferiscono non solo alle istituzioni dello Stato di cui uno è membro, ma soprattutto alla nazione alla quale si appartiene. L’altro passaggio attraversato dalla concezione nazional-patriottica tra fine Settecento e inizio Ottocento è anche più rilevante di quello appena descritto. Poiché, una volta che si sia stabilito che il soggetto collettivo che possiede la sovranità è un’entità da individuare col termine “nazione”, subito scatta una sequenza di necessari interrogativi: quante sono le nazioni? Chi ne fa parte? E perché? Inizialmente, in particolare nel caso italiano, l’incertezza è notevole. C’è chi – tra il 1796 e primissimi anni dell’Ottocento – parla di nazione piemontese, o cisalpina, o veneziana, o romana, o napoletana. Ma poi, quasi subito, essenzialmente tutti quelli che parlano il nuovo lignaggio politico vedono nella nazione italiana la comunità di riferimento su cui basare progetti di “rigenerazione” della penisola. Perché l’identità italiana prevale? Perché in Italia, come altrove nell’Europa di questi anni, i promotori del discorso nazional-patriottico sono degli intellettuali o dei leader politici con un’ottima formazione intellettuale. Per questo la loro identità socioprofessionale primaria è legata al sentirsi parte di una koinè culturale che comunica attraverso il ricorso alla lingua italiana, nobilitata dal fatto che sin dal XIV secolo essa può fregiarsi di capolavori letterari di prim’ordine. E infatti, almeno in prima battuta, per i promotori del movimento risorgimentale (da Cuoco a Foscolo, da Manzoni4 a Mazzini ecc.) sono la lingua e la letteratura italiana che testimoniano dell’esistenza di una nazione italiana, e che ne fondano le ambizioni di riscatto politico. A. M. Banti, Sublime madre nostra. La nazione italiana dal Risorgimento al fascismo, Laterza, Roma-Bari 2011, pp. 3-6
Guida alla comprensione • Banti chiarisce in primo luogo la differenza tra • Egli illustra poi il ruolo assolto dai grandi intellettuali ottocenteschi nell’elaborazione del digli usi medievali e moderni del concetto di nascorso nazionale-patriottico che accompazione e quelli caratteristici dell’Ottocento e gnò gli sviluppi del Risorgimento italiano. del Risorgimento italiano.
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2.
Derek Beales, Eugenio Biagini
Donne e Risorgimento Derek Beales (nato nel 1931) è uno storico inglese, che ha insegnato all’Università di Cambridge e che si è occupato, oltre che di storia italiana, anche di storia della Mitteleuropa. Eugenio Biagini (nato nel 1957) è uno storico italiano che insegna in Gran Bretagna presso l’Università di Cambridge e che, oltre che di temi di storia italiana, si è interessato anche di storia politica inglese (Il liberalismo popolare, il Mulino, Bologna 1992).
1. Simonetta Soldani insegna storia contemporanea all’Università di Firenze ed è tra le fondatrici della Società italiana delle storiche. Con G. Turi ha curato Fare gli italiani, 2 voll., il Mulino, Bologna 1993.
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Nonostante la recente pubblicazione di alcuni importanti studi, il ruolo svolto dalle donne nel Risorgimento rimane probabilmente l’aspetto più trascurato della storia italiana del XIX secolo. Mentre gli studi sulle donne e la storiografia femminista hanno avuto finora un impatto limitato in questo campo, poco si è fatto in termini di integrazione dell’azione delle donne nell’analisi e nella cronistoria principale degli eventi. Come per altri aspetti del Risorgimento, il coinvolgimento delle donne deve essere analizzato in termini di divisioni sociali e regionali oltre che del fondamentale divario tra città e campagna. Fatta eccezione per i periodi rivoluzionari, le donne della classe operaia e della piccola borghesia ebbero meno opportunità di coinvolgimento politico attivo delle loro “sorelle” dell’alta borghesia. Le restrizioni sociali, la mancanza di istruzione e tempo libero, e specialmente le preoccupazioni domestiche e le pressioni economiche ad esse collegate contribuirono a limitare la loro coscienza e partecipazione politica in tempo di pace. D’altro canto, sarebbe un errore pensare che il loro orizzonte politico fosse necessariamente limitato alla casa o al quartiere, dato che l’esperienza del lavoro salariato era stata comune fra le donne del popolo ben prima dell’inizio dell’industrializzazione. Nelle città del Nord e del Centro Italia esse erano largamente impiegate come filatrici, tessitrici, guantaie, nei setifici e nelle manifatture di tabacchi, spesso superando numericamente gli uomini. Benché l’orario di lavoro fosse pesante (da dodici a quattordici ore al giorno), poteva essere flessibile per consentire loro il disbrigo dei lavori domestici, un’organizzazione facilitata dalla grande diffusione del lavoro a domicilio. Come sempre, il confronto con il mercato comportò pericoli ma anche opportunità. A differenza di quanto avveniva nelle campagne, la città facilitò gli scambi culturali e la dissidenza politica, che generarono a loro volta consapevolezza e partecipazione. Oltre a ciò, gli eventi rivoluzionari del 1848-1849 e del 1859-1860 (con agitazioni sociali e guerra civile nel Sud fino al 1866) provocarono un temporaneo crollo di molti dei vincoli che regolavano il comportamento sociale delle donne. Nei periodi di emergenza, indipendentemente dal loro effettivo grado di politicizzazione, operaie e contadine si guadagnarono l’appartenenza a pieno titolo a quelle che le autorità consideravano le “classi pericolose”. Il loro attivismo politico durante le crisi rivoluzionarie o controrivoluzionarie fu percepito come parte delle aberrazioni e degli eccessi che si verificavano quando il normale ordine del mondo veniva sovvertito. In particolare, nel 1846-1847, la partecipazione delle donne fu incoraggiata anzitutto dall’origine “convenzionale” dell’entusiasmo che contagiò tutte le classi nell’intera penisola. Come ha sostenuto Simonetta Soldani1 , inizialmente il nuovo fervore patriottico apparve indistinguibile dalle celebrazioni per l’elezione di Pio IX. In un’età in cui ci si aspettava che le donne dividessero il loro tempo tra casa e chiesa, la natura quasi religiosa del primo nazionalismo nel 1846 permise loro di superare le barriere sociali e culturali al loro coinvolgimento nella sfera pubblica. Per la stessa ragione, la costruzione teocratica del concetto di nazionalità associata con il culto del papa incoraggiò le donne di tutte le classi a considerare “Italia” e “cittadinanza” come concetti che anche loro condividevano. Soldani ha fatto inoltre notare che questa natura
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2. Seneca Falls Women’s Rights Convention: tentutosi nelle vicinanze di New York nel 1848, fu il congresso protofemminista, dal quale si sviluppò il movimento americano per l’introduzione del suffragio femminile.
insolitamente “accessibile” del processo politico fu ulteriormente incoraggiata dallo spirito municipale nelle prime fasi della rivoluzione. Inizialmente, quest’ultima fu qualcosa di familiare ed eccitante, anziché di minaccioso. Per oltre due anni le donne furono ammesse, anzi incoraggiate, a partecipare a processioni (spesso reggendo la bandiera tricolore), Te Deum e altre celebrazioni in onore di Pio IX. Il papa consentì che il suo nome divenisse uno slogan per i nuovi principi di libertà, partecipazione e riforma costituzionale. Più tardi egli cambiò la sua posizione piuttosto radicalmente, ma l’idioma patriottico-religioso sopravvisse almeno fino alla fine del 1849. La guerra del 18481849 contribuì ulteriormente a politicizzare le donne di diversa estrazione sociale e regionale, quando in tutta Italia esse affollarono le commemorazioni religiose per gli eroi caduti in battaglia nelle pianure lombarde. Ovviamente, si trattava di una situazione fortemente ambigua, perché, nonostante l’enfasi sui valori domestici e sulla continuità tra i ruoli femminili tradizionali e il nuovo patriottismo, l’ingresso delle donne nella sfera pubblica fu chiaramente stimolato da questioni attinenti alla sfera politica. Gli osservatori contemporanei ne furono consapevoli, e alcuni si indignarono, percependo anche espressioni relativamente modeste di autonomia politica come sfide aperte all’ordine stabilito delle cose e dei generi: «l’esaltazione era [giunta] al suo colmo – scrisse un testimone aristocratico di una dimostrazione che si svolse a Livorno nel 1847 – le grida di “viva l’indipendenza, viva l’unione italiana, viva la Costituzione” erano continue […] in una parola […] non [si sapeva] meglio definire quella festa alla quale le donne non solo, ma anche il Clero […] prendevano parte, se non un vero baccanale rivoluzionario». Il commento finale era o un’esagerazione o una profezia. Nel febbraio 1848 non ci furono baccanali di alcun genere: al contrario, la partecipazione femminile fu in genere limitata da criteri di rispettabilità: religiosità, obbedienza al padre e al marito, e deferenza verso le convenzionali priorità sentimentali delimitarono la sfera accettabile del patriottismo delle donne. Un accento posto sui doveri più che sui diritti costituì il principio fondamentale della loro partecipazione politica. Non sorprende che, quando venne la guerra, la maggioranza delle donne cominciò a ritirarsi da un movimento che stava diventando incompatibile con il concetto prevalente di “femminilità rispettabile”. Si trattava di un concetto sulle cui restrizioni la rivoluzione non aveva esercitato un’azione liberatoria, tranne che nelle città teatro di insurrezioni. Questa fu forse la maggiore limitazione del 1848 per quanto riguarda i ruoli di genere: in Italia esso non produsse una ridefinizione della femminilità come fece in altre parti dell’Europa occidentale. In Francia, ad esempio, esso segnò l’inizio del femminismo militante, e in Germania troviamo almeno un esempio di donne che organizzano un proprio raduno pubblico per affermare il proprio diritto di partecipazione alla vita politica. Va ricordato, tuttavia, che la Germania era un paese più ricco dell’Italia e con un livello di alfabetizzazione molto più alto. La Francia fu l’eccezione fra i paesi europei, per la sua tradizione rivoluzionaria e democratica, unica nel suo genere. E così furono gli Stati Uniti, dove nel 1848 la Seneca Falls Women’s Rights Convention2 formulò il programma che future generazioni di femministe si sforzeranno di realizzare. D. Beales, E. F. Biagini, Il Risorgimento e l’unificazione nazionale dell’Italia, il Mulino, Bologna 2005, pp. 181-184
Guida alla comprensione • Gli autori tracciano un sintetico profilo della varietà della condizione femminile negli Stati italiani durante gli anni Quaranta dell’Ottocento.
• Essi passano poi a prendere in esame le modalità della partecipazione femminile alle rivoluzioni italiane del 1848.
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3.
Tullio De Mauro
Un paese di analfabeti Tullio De Mauro (nato nel 1932) è uno dei più grandi storici della lingua italiana ed è stato ministro della Pubblica istruzione. Con l’opera da cui si cita, ha fornito un contributo di grande rilievo anche per le finalità della storia generale. L’ultima opera che ha scritto è In principio c’era la parola? (il Mulino, Bologna 2009)
1. Camillo Corradini ( 1867-1928), direttore generale della Scuola primaria italiana tra il 1908 e il 1915. 2. Carlo Matteucci (1811-1868), ministro della Pubblica istruzione nel Regno d’Italia nel 1862. 3. Emilio Capomazza (1782-1868), consultore di Stato nel Regno delle due Sicilie.
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Al momento dell’unificazione la popolazione italiana era per quasi l’80% priva della possibilità di venire a contatto con l’uso scritto dell’italiano, ossia per la già rammentata assenza dell’uso orale, dell’italiano senz’altra specificazione. Sarebbe tuttavia un errore attribuire la possibilità di conoscere l’italiano al restante venti per cento della popolazione: un’assunzione del genere peccherebbe, nello stesso tempo, per eccesso e, limitatamente a due zone, Roma e la Toscana, per difetto. Coloro cui toccava nel 1861 la qualifica di non analfabeti erano lontani in genere da un possesso reale della capacità di leggere e scrivere: purtroppo solo a partire dal 1951 i censimenti italiani hanno distinto, nella massa di coloro che hanno una qualche dimestichezza con l’alfabeto, i “semianalfabeti” e gli “alfabeti” a pieno titolo. Nel 1951, in una situazione culturale notevolmente progredita rispetto agli anni dell’unificazione, i semianalfabeti erano circa un quarto dei non analfabeti: è impossibile determinare in modo positivo quanti fossero i semianalfabeti nel 1861. Tuttavia è forse possibile qualche congettura per distinguere nella massa dei non analfabeti coloro che sapevano soltanto compitare uno stampato e scrivere (o meglio “disegnare”) la propria firma, senza quindi avere alcun reale contatto con la lingua scritta, e coloro che invece sapevano correntemente leggere e scrivere, e potevano quindi conoscere e possedere l’italiano: a questa distinzione si può giungere considerando la questione dal punto di vista dell’efficienza delle istituzioni scolastiche. L’inchiesta più estesa e obiettiva sul funzionamento delle istituzioni scolastiche elementari si ebbe in Italia alla fine del decennio giolittiano, e fu l’inchiesta del Corradini1: ancora a quel tempo, dopo mezzo secolo di politica volta (pur fra remore su cui occorrerà tornare in seguito) allo sviluppo quantitativo e qualitativo della scuola, insegnanti, dirigenti scolastici e uomini d’ogni parte politica concordavano nel ritenere che la semplice istruzione elementare fosse insufficiente a garantire un duraturo possesso della condizione di non analfabeta. Dall’inchiesta risultò inoltre che a dir poco la metà dei maestri era abituata a tenere lezione in dialetto. Quale potesse essere la situazione degli anni dell’unificazione, in scuole fino a quel momento spesso apertamente osteggiate nel loro funzionamento dai governi preunitari e in una situazione generale molto meno progredita, risulta dalle testimonianze sparse relative alle scuole preunitarie e dalle risposte all’inchiesta Matteucci2 del 1864. Nel vecchio ducato parmense, ad esempio, per accedere all’insegnamento delle scuole elementari era sufficiente conoscere l’ortografia italiana, ed era quindi inevitabile e normale che i maestri fossero «non molto pratici della lingua italiana». Nel regno delle Due Sicilie la legge autorizzava esplicitamente ad affidare le classi, quando occorresse, a maestre analfabete. Il Capomazza3, ultimo presidente dell’istruzione pubblica del Napoletano, scriveva nel 1855 a proposito delle scuole elementari del regno borbonico (là dove in qualche modo esistevano): «Da per ogni dove [...] mancanza di oggetti scolastici: non un libro, non un foglio di carta, non un lapis, non un quaderno si dà agli alunni che quasi tutti sono sforniti di mezzi per provvedersene [...]. Non poche scuole, poi, mancano fino degli scanni e delle tabelle per l’insegnamento del leggere e dello scrivere». Al capo opposto della Penisola, nella regione in cui il governo era più decisamente impegnato nel gettare le basi di una scuola efficiente, in Piemonte, negli stessi anni, in una memoria a Carlo Alberto, si osservava:
Il dIbattItO dEglI StORIcI
«Quando accade che Consigli interi [...] di comunità rurali si segnano con croce, quando in molti paesi i ministri del Vangelo sono costretti a bandire in un barbaro dialetto la parola di Dio, quando gli artieri anche nelle città e, quel che è più, negozianti e perfino proprietari non sanno, o sanno malissimo scrivere e durano fatica non solo a svolgere ed ordinare le loro osservazioni e i loro pensamenti ma anche a tenere le loro note e i loro registri; quando la massima parte delle femmine popolane sono analfabete; quando vi ha difficoltà a trovar copisti, e molto più uomini capaci della tenuta dei libri [scil. contabili]; quando nelle stesse professioni non molti sono quelli che espongono con chiarezza e proprietà le loro idee, è forza concludere purtroppo che l’istruzione elementare, dove sta la cagione intima di questi gravi e perniciosi difetti, si trova in condizione deplorabile». T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Laterza, Bari 1963
Guida alla comprensione • De Mauro descrive le condizioni dell’alfabetizzazione in Italia alla vigilia dell’unificazione nazionale. • Egli espone poi i risultati scaturiti da alcune
inchieste svolte intorno a questo tema tanto dai governi preunitari quanto da quello italiano, tra gli anni Cinquanta dell’Ottocento e la vigilia della Prima guerra mondiale.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. Lingua, cultura, nazione: in che modo questi tre brani affrontano un tema tanto ricco e complesso? 2. Nel secondo brano si parla di Risorgimento al femminile. Fai una ricerca sulle protagoniste del Risorgimento. 3. Quali strati sociali, a giudicare dal primo e dal terzo brano, furono maggiormente coinvolti nell’elaborazione del “discorso” nazionale? 4. In che senso la Rivoluzione francese fu determinante per il nazionalismo ottocentesco in paesi diversi dalla Francia? 5. Ragione ed emozione. Come si presentano questi concetti nei brani di questa sezione? 477
SEZIONE 5
IL RISORGIMENTO E L’UNITÀ D’ITALIA Verso
VERSO L’ESAME DI STATO
le competenze
• Produrre un saggio breve o un articolo di giornale utilizzando fonti di differente tipologia • Produrre un tema di argomento storico utilizzando fonti di differente tipologia • Articolare coerentemente la suddivisione in paragrafi e la loro connessione • Correggere lo svolgimento prestando attenzione sia ai contenuti sia alla forma • Riconoscere l’attualità di alcune fondamentali tematiche storiche
Laboratorio di scrittura storica Saggio breve, articolo di giornale e tema di ambito storico-politico Nelle sezioni precedenti abbiamo analizzato le caratteristiche del saggio breve, dell’articolo di giornale e del tema di ambito storico-politico in modo che tu acquisissi le competenze necessarie per svolgere da solo testi di queste tipologie. Dalla presente sezione in poi ti forniremo alcuni materiali per l’esercitazione autonoma, presentandoli anche graficamente come li troverai l’anno prossimo in sede di esame. Per lo svolgimento del saggio breve (o dell’articolo di giornale) ti proponiamo quattro brani che pongono bene in evidenza le differenze sostanziali tra le soluzioni emerse nel corso del Risorgimento sulle modalità più efficaci per risolvere la “questione italiana” e sull’assetto migliore per l’eventuale futuro nuovo Stato. La definizione di tali caratteristiche istituzionali fu una di quelle tematiche che nel corso del processo risorgimentale emersero con forza, attraverso il confronto tra i protagonisti e i movimenti impegnati attivamente nella lotta politica, e che hanno successivamente caratterizzato il dibattito storiografico sul Risorgimento, assumendo peculiarità via via diverse nelle varie fasi della storia d’Italia e intrecciandosi con i conflitti ideali e le polemiche politiche fino ai giorni nostri.
TIPOLOGIA B – REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
consegne Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve”, argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo.
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AmBITO STORICO-POLITICO ARGOmENTO:Il Risorgimento tra pensiero e azione
documenti La Giovine Italia è repubblicana e unitaria. Repubblicana: – perché, teoricamente, tutti gli uomini d’una nazione sono chiamati, per la legge di Dio e dell’umanità, ad esser liberi, eguali e fratelli; e l’istituzione repubblicana è la sola che assicuri questo avvenire […] – perché, praticamente l’Italia non ha elementi di monarchia: non aristocrazia venerata e potente che possa piantarsi fra il trono e la nazione: non dinastia di prìncipi italiani che comandi […] – perché la tradizione italiana è tutta repubblicana: repubblicane le grandi memorie; repubblicano il progresso della nazione; e la monarchia s’introdusse quando cominciava la nostra rovina e la consumò: fu serva continuamente dello straniero, nemica al popolo e all’unità nazionale […] La Giovine Italia è unitaria. – perché senza unità non v’è veramente nazione – perché senza unità non v’è forza, e l’Italia, circondata da nazioni unitarie, potenti e gelose, ha bisogno anzi tutto d’essere forte – perché il federalismo, condannandola all’impotenza della Svizzera, la porrebbe sotto l’influenza necessaria d’una o d’altra delle nazioni vicine […] – perché la serie progressiva dei mutamenti europei guida inevitabilmente le società europee a costituirsi in vaste masse unitarie – perché tutto quanto il lavoro interno dell’incivilimento italiano tende da secoli, per chi sa studiarlo, alla formazione dell’unità. G. Mazzini Caratteristiche della Giovine Italia, 1831
Io mi propongo di provare che l’Italia contiene in sé medesima, sovrattutto per via della religione, tutte le condizioni richieste al suo nazionale e politico risorgimento, e che per darvi opera in effetti non ha d’uopo di rivoluzioni interne, né tampoco d’invasioni o d’imitazioni forestiere. E in prima dico che l’Italia dee ricuperare innanzi ad ogni altra cosa la sua vita come nazione; e che la vita nazionale non può aver luogo, senza unione politica fra le varie membra di essa. Questa unione può essere variamente intesa e congegnata; ma in un modo o in un altro è necessaria, e se manca, la nazione senza riparo è debole ed inferma. Ora, […] resta a vedere qual sia il principio accomodato a partorir l’unione, e la sua natura. […] Gli uomini più liberi, più indipendenti del medio evo, più benigni ai deboli e terribili ai dominanti, più benemeriti d’Italia, di Europa e della specie umana, furono i papi; alle eroiche intenzioni dei quali mancò solo l’esser capi civili della nazione italiana, come son principi di Roma e capi religiosi del mondo. […] Questo principio è sommamente nostro e nazionale, poiché creò la nazione ed è radicato in essa da diciotto secoli: è concreto, vivo, reale, e non astratto e chimerico, poiché è un instituto, un oracolo, una persona: è ideale, poiché esprime la più grande idea che si trovi al mondo: è sommamente efficace, poiché è effigiato dal culto, corroborato dalla coscienza, santificato dalla religione, venerato
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SEZIONE 5 - Il RISORgImENtO E l’uNItà d’ItalIa
dai principi, adorato dai popoli, ed è come un albero, che ha le sue radici in cielo, e spande i suoi rami su tutta quanta la terra. Vincenzo Gioberti, Del primato civile e morale degli italiani, 1843
No, qualunque sia la comunanza dei pensieri e dei sentimenti che una lingua propaga tra le famiglie e le comuni un parlamento adunato in Londra non farà mai contenta l’America; un parlamento adunato in Parigi non farà mai contenta Ginevra; le leggi discusse in Napoli non risusciteranno mai la giacente Sicilia, né una maggioranza piemontese si crederà in debito mai di pensar notte e giorno a trasformar la Sardegna, o potrà rendere tollerabili tutti i suoi provvedimenti in Venezia o in Milano. Ogni popolo può avere molti interessi da trattare in comune con altri popoli; ma vi sono interessi che può trattare egli solo, perché egli solo li sente, perché egli solo li intende. E v’è inoltre in ogni popolo anche la coscienza del suo essere, anche la superbia del suo nome, anche la gelosia dell’avita sua terra. Di là il diritto federale, ossia il diritto dei popoli; il quale debbe avere il suo luogo, accanto al diritto della nazione, accanto al diritto dell’umanità. Carlo Cattaneo, Proemio al terzo volume dell’Archivio triennale delle cose d’Italia, 1855
[I democratici] nei loro fogli dicono: noi non vogliamo alleanze con Governi costituiti, né con re, né con presidenti, né con imperi, né con repubbliche; la nostra grande alleata è la rivoluzione. Insensati! che credono che la rivoluzione, che metterebbe nuovamente in pericolo i grandi principi su cui riposa l’ordine sociale, potesse essere favorevole alla causa della libertà in Europa! Insensati! che non veggono che una tale rivoluzione avrebbe per effetto quasi sicuro di far scomparire ogni vestigia di libertà sul continente europeo, e di ricondurci forse ai tempi di mezzo! Insensati! Sì, ma di buona fede, che ci fanno conoscere le loro aspirazioni, le quali non sono aspirazioni patriottiche, ma solamente rivoluzionarie! Insensati perché amano la rivoluzione assai più che l’Italia! […] Dopo il 1831 si costituì, dentro e fuori d’Italia, una setta, la quale, mossa da ardenti sentimenti di patriottismo, mirava al conseguimento dell’indipendenza della patria. Nell’assenza assoluta di libertà in Italia, a fronte di generosi propositi manifestati con non comune ingegno, questa setta riunì nelle sue file gran parte della gioventù animosa d’Italia. Questa setta è la Giovine Italia […] Noi la vediamo dichiarare non solo potersi, ma doversi mutare le spade in pugnali, le imprese in attentati, le battaglie in assassinii. […] È un altro fatto gravissimo, o signori, che le dottrine funeste, infami delle sette eccessive trovino una misera popolazione disposta ad accogliere ed a tradurre i precetti in atti. Questi due fatti sono della massima importanza e possono arrecar danno immenso all’Italia. Impediscono l’opera alla quale noi ci eravamo accinti, nuocono alla riputazione della nostra Penisola, sono di ostacolo a quella vittoria morale che noi abbiamo tanto in animo di conseguire; vietano, in una parola, che la necessità delle riforme da portarsi in Italia sia da tutta l’Europa riconosciuta. Camillo Cavour, Discorsi parlamentari, 16 aprile 1858
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vERSO l’ESamE dI StatO
TIPOLOGIA C – TEmA DI ARGOmENTO STORICO Commenta la seguente affermazione ponendo in evidenza le differenze tra la soluzione proposta dall’Autore e gli altri progetti emersi nel periodo risorgimentale per la “questione italiana”: «Guai se la plebe, contenta di vane promesse, farà dipendere dall’altrui volere le proprie sorti! Essa vedrà molti di coloro che si dicono liberali, umili negli atti, larghi in promesse, con dolci parole adularla, come costumano adulare i tiranni, e carpirne il voto. Divenuti onnipotenti ed inviolabili, pensano al loro meglio, e ribadiscono le sue catene; ed alla richiesta di pane e lavoro rispondono, come l’assemblea francese rispose nel ’48, col cannone. Finché la società verrà composta da molti che lavorano e da pochi che dissipano, e nelle mani di questi pochi sarà il governo, il popolo deriso col nome di libero e di sovrano, [i molti] non saranno che vilissimi schiavi. […] Il suffragio universale è un inganno: come il vostro voto può esser libero, se la vostra esistenza dipende dal salario del padrone, dalle concessioni del proprietario? Voi indubitatamente votereste, costretti dal bisogno, come quelli vorranno». (Carlo Pisacane, Risorgimento d’Italia, 1851-1856)
Mettiti alla prova
1. Gli autori dei documenti citati dovrebbero esserti ben noti, ma se pensi che le tue informazioni siano insufficienti, svolgi una breve ricerca usando gli strumenti che ritieni più opportuni.
2. Scegli la tipologia di svolgimento (saggio breve o articolo), ma prima di passare alla stesura del testo realizza una scaletta, eventualmente integrandola con alcune parole chiave o citazioni tratte dai documenti. Al termine di questa operazione dovresti avere una mappa abbastanza completa che ti guidi nella stesura dell’elaborato.
3. Prova ora a cimentarti nell’altra tipologia. Quali modifiche devi apportare alla tua scaletta? Puoi mantenere lo stesso titolo per un saggio e un articolo? Puoi usare la stessa sequenza logico-strutturale?
4. Scrivi per ogni punto di ciascuna “scaletta” un paragrafo che contenga una tesi, i dati e le argomentazioni d’appoggio. Concludi poi il tuo lavoro con la revisione generale e la trascrizione in “bella”.
5. Per realizzare il tema storico, segui lo schema con cui hai già avuto modo di familiarizzare, partendo dalla “produzione delle idee” e, in particolare, dall’analisi del titolo: di che tipo di traccia si tratta? Quali parole o concetti chiave del titolo potrebbe essere utile evidenziare nell’enunciato? Conosci l’autore del brano citato? Ti sono chiari i vari elementi a cui fa riferimento?
481
SeZioNe 6
IL MONDO NeLL’OttOceNtO a tu per tu con
Marco Meriggi
Nell’areNa della Storia
la NaScita del moNdo coNtemporaNeo Professore, nelle sezioni precedenti abbiamo prevalentemente seguito la parabola della storia politica europea nella prima metà dell’Ottocento, ricostruendo i principali eventi che hanno scandito la cronologia di quell’epoca. La storia politica, diplomatica e militare sarà al centro anche di questa sezione?
Il mondo delle nazIonI è un mondo sempre pIù urbanIzzato, nel quale l’agrIcoltura cede lentamente Il passo alla forza emergente dell’IndustrIa 482
no. la sezione che affrontiamo adesso è caratterizza ta da un approccio di tipo diverso, anche se in parte si sovrappone, dal punto di vista cronologico, alle due che ci siamo appena lasciati alle spalle. qui ci interes sa mettere a fuoco soprattutto le trasformazioni di lungo periodo che hanno contraddistinto l’ottocento. parleremo dunque di processi, molto più che di even ti; ovvero di fenomeni che non si esauriscono nel tem po breve segnato da una data (per esempio quella di una battaglia, o di un cambiamento di regime politico, o della stipulazione di un accordo diplomatico), ma che cominciano a manifestarsi gradualmente in un certo momento, e che possono definirsi compiuta mente realizzati solo a distanza di molti decenni dal loro avvio. In particolare, ci occuperemo del fenome no del nazionalismo, di quello della trasformazione della società in senso borghese e industriale, del mu tamento nei rapporti di forza tra l’occidente e il resto del mondo e, infine, della nuova percezione delle altre culture che svilupparono gli occidentali. ognuno di questi processi durò almeno quanto il tempo corri spondente alla vita di due generazioni di persone.
l’affermazIone dI potenza e l’InedIto senso dI superIorItà saranno alla base dell’assoggettamento del mondo Intero all’occIdente
Dunque, la distanza temporale che intercorre – poniamo – tra il ciclo di vita di un nonno e quello di un nipote. Cominciamo dal primo punto: che cosa fu il nazionalismo e come mai divenne così importante? Il nazionalismo fu un fenomeno culturale e ideologico, prima ancora che materiale. fino alla fine del sette cento gran parte del mondo non era ripartito in nazio ni, cioè in comunità di cittadini tendenzialmente omo genee per lingua, cultura, religione, costumi, ma, piuttosto, in domini dinastici multietnici e multilinguisti ci. prendiamo il caso dell’impero degli asburgo di Vienna: ne facevano parte popolazioni di lingua tede sca, ungherese, ceca, italiana, polacca, slovena, croa ta, per limitarci ai gruppi principali. nel corso dell’ot tocento ciascuno di questi gruppi linguistici e culturali lottò per conquistare la propria indipendenza da Vienna e per dare vita a nuovi stati contraddistinti dalla predominanza di una lingua e di una cultura inte se come patrimonio collettivo dei loro abitanti. In ge nere a questo processo di costruzione della nazione, che si svolse con tempi molto diversi a seconda di ciascun paese, corrispose anche l’affermazione di un sistema politico liberale, nel quale la sovranità spetta va ai cittadini e non più alle vecchie dinastie. a lungo libertà e nazione furono sinonimi.
Questo processo riguardò tutto il mondo? esso ebbe inizio nell’america del sud, dove le popola zioni locali vollero emanciparsi dal dominio di una lonta na madrepatria, come la spagna o il portogallo. poi, nel cuore dell’ottocento il nazionalismo fu soprattutto un fenomeno europeo. Viceversa, rimase allora quasi total mente sconosciuto in asia e in africa, dove si sarebbe sviluppato, invece, soltanto nel novecento, in gran par te come reazione al dominio coloniale che le nazioni occidentali avevano instaurato nei decenni precedenti.
Mentre l’Europa si ridefiniva secondo il modello degli Stati nazionali, dal punto di vista economico e sociale quali trasformazioni si stavano verificando? trasformazioni decisive, che si situano alle origini della società contemporanea. Il mondo delle nazioni è un mondo sempre più urbanizzato, nel quale il settore
primario dell’economia – l’agricoltura – cede lentamen te il passo alla forza emergente dell’industria. è il mon do delle fabbriche e delle ciminiere, il cui ritmo è scan dito da un nuovo, più intenso e serrato, valore del tempo e nel quale le distanze spaziali si accorciano ver tiginosamente, mentre imponenti flussi di popolazione le percorrono, spostandosi da un continente all’altro alla ricerca di un destino più felice. al tempo stesso, è il mondo nel quale le macchine acquisiscono ogni giorno maggiore importanza nella vita delle persone, modifi cando radicalmente le loro abitudini e le loro aspettati ve. l’esperienza di un bambino nato in una nazione dell’europa avanzata a fine ottocento è incomparabile con quella dei suoi nonni nati cinquant’anni prima. quei cinquant’anni hanno pesato quanto secoli.
Nazione e società borghese e industriale sono dunque una coppia di fenomeni che riguardano, in quest’epoca, essenzialmente l’Europa e l’Occidente. Quali conseguenze ne derivano per le civiltà degli altri continenti? In primo luogo un netto declino, in termini tanto di be nessere economicosociale quanto di “robustezza” politica. sino ancora alla fine del settecento la qualità della vita era molto simile in tutte le parti del mondo: povertà diffusa, limitatezza della speranza di vita, con dizioni di sudditanza politica e di assenza di libertà, basso livello della tecnologia, il tutto sullo sfondo di un panorama economicosociale soprattutto agrario. nell’ottocento, invece, mentre l’occidente si indu strializza e accresce la propria ricchezza, dotandosi al tempo stesso di sistemi politici nazionali tendenzial mente basati sulla libertà e sulla sovranità popolare, tanto le grandi civiltà dell’oriente quanto quelle africa ne restano sostanzialmente stagnanti. di colpo il mon do comincia a presentarsi davvero molto diverso a seconda dei continenti. e l’occidente, che nei secoli dell’età moderna si era sentito ancora, per molti versi, inferiore all’oriente, tende ora a svalutare quest’ultimo (così come l’africa), giudicandolo arretrato rispetto al flusso di progresso dal quale si sente attraversato, e che contribuisce a renderlo così potente. questa affer mazione di potenza e questo inedito senso di superio rità saranno alla base tanto dell’assoggettamento del mondo intero all’occidente, fenomeno caratteristico dell’età dell’imperialismo, quanto dello sviluppo di ideo logie razziste in molti paesi europei. 483
SeZioNe 6
IL MONDO NeLL’OttOceNtO capitolo 19 La nascita di nuove nazioni in America e in Europa
p. 486
capitolo 20 Il trionfo della borghesia
p. 505
Intervista impossibile a Karl Marx
p. 520
capitolo 21 Il dominio dell’Occidente
p. 526
• il laboratorio dello storico La nascita della città moderna p. 522
p. 548
• il laboratorio dello storico Rappresentazioni e stereotipi del colonialismo p. 544
inclusione/esclusione L’imperialismo ottocentesco
EsErcizi
p. 552
1830
1835
storia mondiale
1831 - Il Belgio si rende indipendente
storia italiana
1831 - Fallimento dei moti liberali a Modena, Parma e nello Stato pontificio
idee scienza e tecnica arte e letteratura 484
Verso le competenze • il laboratorio dello storico La Grecia, simbolo del nazionalismo ottocentesco p. 501
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
p. 557
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 563
1840 1840-1842 - Prima guerra dell’oppio tra Gran Bretagna e Cina
1845
1850 1848 - Rivoluzione in Francia, Austria e nella Confederazione tedesca 1846-1848 - Guerra tra Messico e Stati Uniti
1848 - Cinque giornate di Milano. Sconfitta di Carlo Alberto a Custoza
1835 - Tocqueville inizia la pubblicazione de La democrazia in America
1840 - Proudhon pubblica Che cos’è la proprietà
1848 - Marx ed Engels danno alle stampe il Manifesto del Partito comunista
obIettIVI dI apprendImento conoscenze • La nascita delle nazioni e del nazionalismo nelle Americhe e in europa • La cultura, i valori, la mentalità e le prospettive delle società borghesi • Il cambiamento nei rapporti di forza tra l’Occidente e l’Oriente abilità • Mettere in relazione fenomeni quali il nazionalismo, il colonialismo e l’imperialismo • Stabilire confronti tra modelli di sviluppo differenti • Individuare nella storia europea ottocentesca le radici del presente GlI eVentI e I lUoGHI Gli Stati Uniti dopo la Guerra di secessione conoscono uno sviluppo economico impetuoso e si vanno affermando come potenza mondiale di primo piano
La Russia continua a espandere i suoi confini La Cina attraversa un lungo periodo di crisi ed è ostaggio delle potenze europee
In Europa nascono quattro nuove nazioni (Grecia, Belgio, Italia e Germania). Il continente si avvia sulla strada dell’industrializzazione e inaugura una politica imperialista ai danni di Asia e Africa
Nell’America meridionale e centrale al posto degli imperi coloniali spagnolo e portoghese nascono numerose nuove nazioni
Il Giappone, dopo aver subito l’ingerenza occidentale, intraprende una via originale sulla strada dello sviluppo e dell’industrializzazione
1855
1860
1853 - Il Giappone è costretto ad aprire i porti agli occidentali
1865
1875
1860 - Inizia la spedizione dei Mille. Plebisciti nell’Italia centrale
1859 - Charles Darwin pubblica L’origine della specie
1880
1871 - Nasce l’Impero tedesco
1864 - Fondazione della prima Internazionale 1861 - Vittorio Emanuele II re di Italia
1853-1855 - Gobineau pubblica Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane
1870
1861-1865 - Guerra di secessione negli Stati Uniti
1857-1858 - Rivolta dei sepoys in India
1851 - Prima esposizione universale a Londra
L’Impero ottomano entra in una fase di profonda decadenza, di cui approfittano vari paesi europei
L’Africa diventa terra di conquista per i più potenti paesi europei che iniziano a spartirsi il continente
1878 - Congresso di Berlino
1870 - Roma e il Lazio 1866 - Il Veneto entra a a far parte far parte del Regno d’Italia entrano del Regno d’Italia
1866 - Dostoevskij pubblica Delitto e castigo
1879 - Edison presenta la prima lampadina a incandescenza
485
Capitolo 19
La nascita di nuove nazioni in america e in europa
19.1 Il sogno di una nazione La questione nazionale nella storia dell’Ottocento
La questione nazionale fu uno dei temi chiave della storia politica del XiX secolo. nel corso dell’ottocento, infatti, l’idea di nazione, che in precedenza aveva un significato vago e generico, si caricò di un intenso spessore emotivo. in molti luoghi essa divenne concreto progetto politico. in diversi paesi – tanto in europa quanto in america – un’intera generazione di giovani, appartenenti perlopiù agli strati elevati della società, ma in parte reclutati anche tra i ceti medi e popolari urbani, mise a repentaglio la propria esistenza e talvolta trovò la morte per realizzare un sogno vissuto come una sorta di missione religiosa: contribuire alla nascita di uno Stato nazionale indipendente, retto da istituzioni libere. Francesco Hayez, I profughi di Parga, 1831 (Brescia, Pinacoteca Tosio Martinengo)
Il quadro si ispira a un episodio della lotta per l’indipendenza della Grecia dal dominio dell’Impero ottomano: la distruzione della città di Parga da parte dei turchi. L’abitato in fiamme è raffigurato sullo sfondo In primo piano ci sono i profughi greci, costretti ad abbandonare la loro città Gli uomini con gli occhi al cielo e le donne con i bambini in braccio, abbigliati con i costumi greci tradizionali, creano una sorta di “comunità” e rendono quella fratellanza patriottica che il dipinto intendeva celebrare
486
Le nuove nazioni ottocentesche
a inseguire e a realizzare in tutto o in parte il sogno di partecipare alla creazione di uno Stato libero e autonomo, in Europa, furono i greci (1829), fino ad allora sottomessi al governo dell’impero ottomano; i belgi (1831), i cui territori erano stati assoggettati alla corona d’olanda durante il congresso di vienna; gli italiani (1870), che vivevano divisi in molti stati, una parte dei quali dominati dall’austria, e i tedeschi (1871), dispersi in una miriade di piccoli e grandi stati (regni, ducati, principati, città libere), uno solo dei quali – lo schleswig-Holstein – retto da un sovrano straniero (il re di danimarca), e tuttavia desiderosi di riunirsi in uno stato unitario, in una patria in cui riconoscersi tutti. altri popoli, durante gli stessi decenni, lottarono per conseguire lo stesso obiettivo, ma invano. alcuni di loro ottennero se non altro maggiore autonomia all’interno dello stato in cui si trovavano, altri patirono una durissima repressione. perché il sentimento nazionale si diffuse proprio nell’ottocento? perché la dipendenza da un sovrano straniero oppure l’appartenenza a un impero multietnico e multilinguistico (come quelli austriaco, russo e ottomano) iniziarono proprio allora a essere avvertiti dalle popolazioni come opprimenti e intollerabili, visto che per secoli, in precedenza, avevano rappresentato una condizione del tutto usuale e incontestata? e ancora: quali aspettative e quali motivazioni ideali confluirono nei movimenti che si votarono alla lotta per l’emancipazione nazionale? nelle prossime pagine tracceremo un quadro generale del nazionalismo europeo, mentre nella sezione precedente abbiamo già analizzato il caso specifico che più da vicino ci riguarda, il risorgimento italiano. prima di affrontare il panorama europeo, però, getteremo uno sguardo al di là dell’oceano atlantico. La questione nazionale, infatti, fu precocemente all’ordine del giorno anche nelle americhe. Le nuove nazioni ottocentesche cominciarono anzi a formarsi proprio lì; e la storia del nazionalismo americano, nonostante le differenze rispetto alle problematiche del vecchio continente, può aiutarci a comprendere meglio quella del nazionalismo europeo.
19.2 La liberazione dal dominio coloniale nell’America centrale e meridionale Centro e Sud America all’inizio dell’Ottocento
il modello per tutti i movimenti di emancipazione dalla madrepatria era costituito ovviamente dagli Stati Uniti d’America, che già alla fine del settecento avevano portato a termine il processo di indipendenza. Tra il 1811 e il 1824 i domini degli imperi coloniali spagnolo e portoghese fecero altrettanto, dopo che già nel 1804 la colonia francese di santo domingo aveva proclamato la propria indipendenza nazionale prendendo il nome di Haiti. dal disfacimento degli imperi iberici, però, a differenza di quanto era avvenuto nell’america del nord, non sorse un solo stato. all’inizio dell’ottocento i possedimenti spagnoli in America, che comprendevano anche alcune delle isole antille (cuba e portorico), soggette a un’amministrazione speciale, risultavano divisi in quattro grandi vicereami, tutti strettamente dipendenti dal governo di madrid: il vicereame della Nuova Spagna (messico e parte dell’america centrale); quello della Nuova Granada (formato dai territori che poi presero il nome di colombia, panama, venezuela, ecuador); quello del Rio della Plata (odierni territori dell’argentina, dell’uruguay, del paraguay, della Bolivia); infine quello del Perú (attuali perú e cile).
MEMO Nel 1783, dopo una lunga guerra di indipendenza, tredici colonie inglesi sulla costa atlantica avevano dato vita agli Stati Uniti d’America [vedi pp. 265 ss.].
487
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
L’America centro-meridionale nel 1800 CANADA
Territori contesi
Toronto
Los Angeles VICEREAME
DELLA NUOVA SPAGNA S. Antonio
New York STATI UNITI D’AMERICA
New Orleans
Bahamas
L’Avana Cuba
Città del Messico
Puerto Rico
Giamaica
mar dei Caraibi HONDURAS Brit.
oceano Atlantico
Santo Domingo
Panama
Trinidad
(Brit. dal 1797)
Caracas
Georgetown
VICEREAME Cayenna DI GUYANA NUOVA GRANADA oni
Bogotà
d
Quito
z maz eA ell
Ri o
Isole Galàpagos
oceano Pacifico
DIPENDENZA Britannica Francese
VICEREAME DEL PERÚ La Paz
Lima
VICEREAME DEL BRASILE
Bahia (Salvador)
VICEREAME DEL Asunción Rio de Janeiro RIO DE CILE LA PLATA Santiago
Buenos Aires
Olandese Portoghese Spagnola
PATAGONIA
Capo Horn
mentre le più alte cariche di ogni vicereame erano appannaggio di funzionari provenienti dalla Spagna (chiamati “peninsulari”), la popolazione nata nelle colonie risultava – tranne rare eccezioni – esclusa dai vertici dei vari governi, anche se controllava le amministrazioni locali. i centro-americani e i sud-americani erano circa diciassette milioni, così suddivisi: sette milioni e mezzo di indios, discendenti delle popolazioni precolombiane; cinque milioni e trecentomila meticci (nati da un genitore spagnolo e uno indio); ottocentomila neri di origine africana; tre milioni e mezzo di bianchi nati in america e denominati creoli. costoro formavano il ceto dominante sotto il profilo economico e sociale e costituivano un’autentica casta sovraordinata al resto della popolazione: nei confronti della componente india e nera, in particolare, esercitavano uno spregiudicato e barbaro sfruttamento. I primi moti di indipendenza
a partire dal 1808 – anno in cui Napoleone sottomise la Spagna, scacciandone la dinastia regnante dei Borbone – il mondo coloniale americano cominciò di fatto a rimanere isolato dalla madrepatria. i funzionari spagnoli residenti in america, infatti, non ricevettero più direttive dal vecchio sovrano, mentre quello nuovo, Giuseppe Bonaparte (re di spagna dal 1808 al 1814), fratello di napoleone, era troppo impegnato a reprimere il dissenso interno alla penisola iberica per occuparsi dei territori oltreoceano. nel vuoto di potere che si venne a creare, i consigli comunali delle maggiori città – i Cabildos –, nei quali sedevano i rappresentanti della classe dirigente creola, 488
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
presero l’iniziativa e in alcune località formarono giunte con il compito di assumere mansioni di governo fino a quel momento riservate ai funzionari spagnoli. nel 1811 la giunta insediata a caracas (attuale capitale del venezuela) proclamò l’indipendenza dei territori del vicereame della nuova Granada, dando l’avvio a una guerra civile che si estese anche al vicereame del rio della plata e che durò fino al 1815, quando gli eserciti inviati da Ferdinando VII di Borbone (1784-1833, re di spagna nel 1808, poi deposto da napoleone e, dopo la caduta di questi, reinsediato nel 1814 e poi sul trono fino al 1833) restaurarono il dominio coloniale. Guidate da condottieri come Francisco de Miranda (1752-1816) e simon Bolivar (1783-1830), attivi nel venezuela, e José de San Martin (1778-1850), che operava in argentina, le élite creole perseguivano principalmente due obiettivi: da un lato emanciparsi dal controllo amministrativo e dalla pressione fiscale imposti da madrid, ispirandosi all’esempio fornito qualche decennio prima dagli abitanti dell’america settentrionale; dall’altro conquistarsi libertà d’azione per avere le mani ancora più libere nei confronti della popolazione india, nera e meticcia, che formava le fasce inferiori della società coloniale. durante il settecento – in analogia a quanto stava accadendo in europa, sia durante la fase assolutista sia durante quella dell’assolutismo illuminato – la centralizzazione dei poteri e il crescente controllo esercitato dalla capitale imperiale sulle lontane periferie si erano infatti resi ben percepibili anche nelle aree coloniali e ne era derivato un notevole aumento dell’incidenza delle tasse. i tributi versati dai vicereami spagnoli a Madrid erano aumentati di oltre quattro volte: ma solo una parte modesta di queste somme restava al di qua dell’oceano; il resto salpava verso la spagna, verso un centro che le colonie avvertivano come sempre più estraneo, e del quale sempre meno sopportavano le pretese finanziarie e l’ingerenza negli affari locali.
Simon Bolivar, eroe dell’indipendenza del Sud America
S imon Bolivar e José de San Martin: i padri del nazionalismo sudamericano
nel 1816 la lotta dei creoli per l’indipendenza riprese, questa volta in parte anche con l’attiva partecipazione degli strati inferiori della popolazione, i quali, invece, tra il 1811 e il 1815 si erano schierati perlopiù sul fronte lealista. a ottenere quell’appoggio fu simon Bolivar, l’“eroe” per eccellenza dell’indipendenza latino-americana, che formulò, a beneficio di indios e meticci, promesse di emancipazione in seguito largamente disattese. nel 1819, al termine di un conflitto durato tre anni, Bolivar fu in grado di proclamare la fondazione della Repubblica della Grande Colombia (venezuela, colombia e, dal 1822, ecuador).
LESSICO Lealista Chi è leale, fedele ai patti stabiliti. In ambito storico lealista è chi è fedele alle istituzioni vigenti e alle autorità costituite.
Simon Bolivar, su un cavallo bianco, guida i suoi uomini nella traversata del fiume Orinoco, nel corso della campagna militare del 1817, disegno, XIX secolo
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Pietro II acclamato dalla folla. Egli diventò imperatore nel 1831 dopo l’abdicazione del padre Pietro I, XIX secolo (Rio de Janeiro, Biblioteca Nazionale)
nel frattempo José de San Martin, un ufficiale spagnolo passato dalla parte dei ribelli, era riuscito a scacciare gli spagnoli dai territori dell’odierna Argentina, e a liberare il Cile e il Perú. I due condottieri, incontratisi in ecuador al momento in cui questo territorio entrò a far parte della Grande colombia, non riuscirono tuttavia a trovare un terreno comune per continuare la lotta unendo le loro forze, per cui san martin, avendo constatato l’incompatibilità del suo ruolo con la posizione di Bolivar, lasciò a quest’ultimo la guida delle forze rivoluzionarie e si ritirò all’estero (in Francia). entro il 1824 gran parte dell’America del Sud risultava ormai liberata dal dominio spagnolo. ma al suo posto non c’era un unitario stato latino-americano indipendente, ma molte nazioni, tutte costituite in forma repubblicana: la Bolivia (che aveva preso il nome da Bolivar), la Colombia (da cui nel 1830 si sarebbero staccati il venezuela e l’ecuador), il Cile, il Perú, l’Argentina (da cui nel 1828 si emancipò l’Uruguay), il Paraguay. L’indipendenza del Brasile
nel frattempo, anche il Brasile si era reso autonomo dal Portogallo, in maniera relativamente pacifica. La storia dell’autonomia di questo stato ha origini piuttosto remote, in quanto già nei primi anni del XiX secolo, a causa dell’occupazione napoleonica, i reali del portogallo si erano trasferiti dall’europa nella loro grande colonia oltreoceano e poi, una volta rientrati in patria, avevano conservato al Brasile la dignità di stato legato al portogallo dinasticamente, ma non più subordinato alla madrepatria. infatti esso ottenne la piena indipendenza in seguito all’assunzione della sovranità sul territorio da parte del figlio del re portoghese Giovanni vi (1769-1826, re dal 1816), Pietro (pedro) I (1798-1834, imperatore del Brasile dal 1822 al 1831). egli si fece incoronare imperatore del Brasile (peraltro al momento soggetto al controllo delle autorità solo ancora in una minima parte della sua immensa superficie) nel 1822, prevenendo così un’imminente insurrezione repubblicana da parte della locale élite creola. da quel momento, nonostante negli anni successivi (1831) pedro i fosse costretto a rientrare in portogallo a causa dei sommovimenti europei di quell’epoca, l’indipendenza del Brasile non fu mai più rimessa in discussione. Le nuove nazioni dell’America centrale
anche l’america centrale, racchiusa nel vicereame della nuova spagna, avviò in quel periodo il proprio processo di distacco dalla madrepatria. Qui, in realtà, 490
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
tra il 1810 e il 1815 a scatenare le prime ribellioni erano stati soprattutto meticci e indios – gli strati più poveri della società – e l’élite creola si era unita al governo di madrid nel reprimerle. Nel 1821 però anche i creoli scesero in campo contro la Spagna, temendo che la Rivoluzione costituzionale in atto nella penisola iberica potesse portare alla promulgazione di misure sociali dannose per la loro egemonia sulle fasce inferiori della popolazione. nel 1822 augustin de Iturbide (1783-1824), leader creolo, si fece proclamare imperatore del Messico, mentre sorgeva, ai confini del nuovo stato indipendente, la repubblica federale delle province unite, destinata a scindersi nel 1839 in cinque stati nazionali autonomi: Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua, El Salvador. L’impero conservatore di iturbide durò però appena due anni. Già nel 1824, infatti, una sollevazione guidata dal liberale Lopez de santa ana (1795-1876) trasformò l’impero in repubblica. il nuovo governo avviò una politica antischiavistica, che incontrò l’opposizione delle élite agrarie del paese, le stesse che avevano sostenuto iturbide. Queste ultime, appoggiate dai confinanti stati uniti d’america, proclamarono la secessione del Texas dal messico. ne scaturì una guerra civile che tra il 1846 e il 1848 sfociò in un vero e proprio conflitto militare tra Messico e Stati Uniti. La vittoria di questi ultimi, che già nel 1819 avevano avviato la propria espansione verso sud, acquistando la Florida dalla spagna, costò al messico la perdita non solo del Texas, ma anche della California, dell’Arizona, del Nuovo Messico, che entrarono a far parte della confederazione nordamericana.
MEMO Si ricorda con il nome di Rivoluzione costituzionale l’insurrezione, nel gennaio 1820, di alcuni militari nel porto di Cadice, che ristabilì in Spagna la Costituzione liberale del 1812. Ma il moto venne represso nel 1823 in seguito all’intervento delle truppe della Santa Alleanza [vedi p. 353].
L’America centro-meridionale nel 1850 Già dominio spagnolo Già dominio portoghese
STATI UNITI
MESSICO
Confini della Grande Colombia (1819)
1821
HAITI REPUBBLICA 1804 DOMINICANA BELIZE Gr. Br.
CUBA
PRINCIPALI RISORSE
HONDURAS MOSQUITIA GUATEMALA EL SALVADOR
Province Unite del Centro America (1823)
1821
oceano Atlantico
Gr. Bret.
NICARAGUA
COSTARICA PANAMA
VENEZUELA 1811
Gr. Olan.Fr. Bret.
1817
Argento Cacao
GUYANE
COLOMBIA
Oro
Canna da zucchero Grandi allevamenti
ECUADOR 1822
BRASILE 1822
PERÚ
oceano Pacifico
1821
BOLIVIA 1825
PARAGUAY 1811
ARGENTINA 1816
URUGUAY 1828
CILE 1818
491
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Gli spagnoli decidono di abbandonare il Perú dopo avere perso la battaglia di Ayacucho (1824), XIX secolo
19.3 Le difficoltà delle nuove nazioni e il ruolo degli Stati Uniti Le motivazioni dell’indipendenza
perché il dominio coloniale ispano-portoghese in america centrale e meridionale crollò? a spingere i creoli a battersi per l’indipendenza non c’erano motivi linguistici: le classi dirigenti locali da un lato, i funzionari della corona di spagna e di quella portoghese dall’altro parlavano infatti la stessa lingua e si alimentavano della stessa cultura, praticavano inoltre la stessa religione. sotto questo profilo, dunque, la storia del nazionalismo americano si presenta diversa da quella del nazionalismo italiano, e, come vedremo tra breve, anche da quella della maggior parte dei nazionalismi europei. a svolgere un ruolo importante in questo imponente processo di invenzione di nuove nazioni fu la crescita delle pretese di controllo di queste lontane periferie da parte dei governi di Madrid e di Lisbona. separati da un oceano dalle rispettive madrepatrie, i vicereami americani erano stati a lungo territori quasi autonomi e non tollerarono questo aumento della pressione, perché comportava il ridimensionamento del potere fino a quel momento esercitato dalle élite locali, ma non è tutto. ad alimentare il nazionalismo latino-americano furono anche l’esempio nordamericano e l’influenza esercitata dalla cultura liberale e costituzionale europea, che tra settecento e ottocento si era diffusa anche in america Latina; mentre a sostenere dall’esterno con aiuti finanziari la lotta antispagnola e antiportoghese furono paesi come l’Inghilterra e gli Stati Uniti, i quali avevano tutto l’interesse a ridimensionare l’influenza delle potenze iberiche in quella parte di mondo. sottrarsi al dominio delle corone di spagna e di portogallo, che almeno fino al 1821 conservarono carattere assolutista, significò per i creoli dare vita a comunità sovrane. ciascuna di queste élite immaginò la propria regione come una nazione indipendente e sovrana, separata da quelle confinanti. Bolivar e i rivoluzionari avevano per qualche tempo accarezzato il progetto di una nazione unitaria creola, una federazione di stati analoga a quella sorta nell’america settentrionale, ma era stato accantonato perché difficile da realizzare sia per le caratteristiche del territorio sia per la diversità di interessi tra le singole aree. 492
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
a esso si opponevano naturalmente sia l’Inghilterra sia gli Stati Uniti, i due paesi che, come abbiamo visto, più di tutti avevano incoraggiato e appoggiato i movimenti di indipendenza latino-americani. in realtà questo appoggio era tutt’altro che disinteressato, poiché tanto la prima quanto i secondi confidavano di accrescere in tal modo la rispettiva influenza e penetrazione economica in quegli immensi territori che un tempo avevano formato l’impero spagnolo e che erano ora fragili stati indipendenti esposti ai condizionamenti esterni. si trattava di un principio che in particolare gli stati uniti teorizzarono apertamente già nel 1823 con un messaggio al congresso, la cosiddetta “dottrina Monroe”, e che resero operativo una ventina di anni dopo, impadronendosi di ampie porzioni del messico. Dal liberalismo alla dittatura: le ambiguità del nazionalismo creolo
Gran parte delle nuove nazioni latino-americane si diede forma repubblicana e, inizialmente, istituzioni rappresentative liberali-censitarie, riallacciandosi a una tradizione ideale inaugurata dall’illuminismo e messa in pratica a fine settecento prima dagli stati uniti d’america, poi dalla Francia rivoluzionaria. nel giro di qualche anno, tuttavia, con l’eccezione del Cile e del Brasile, pur mantenendo forma repubblicana, quasi tutte le nuove nazioni rinunciarono alle istituzioni liberali e posero alla propria testa dittature militari, inaugurando una tradizione autoritaria e antidemocratica che avrebbe segnato la storia dell’ottocento e quella del novecento. Le dittature rappresentarono lo strumento di governo di quelle stesse élite, prevalentemente agrarie, che pure erano state protagoniste dei movimenti di indipendenza, e che avevano tratto motivazioni ideali anche dal bagaglio antiautoritario di origine illuminista. Questo si era rivelato prezioso per dare fondamento spirituale alle nuove nazioni, ma era certamente meno adatto a garantire il controllo sociale in società contraddistinte da grandi divaricazioni etniche e sociali. APPROFONDIRE
La “dottrina Monroe” l presidente degli Stati Uniti James Monroe Iprimo (1758-1831) esercitò due mandati successivi; il tra il 1816 e il 1820, il secondo tra il 1820 e il 1824. Alla scadenza del secondo mandato, nel dicembre 1823, rivolse al Congresso statunitense un messaggio, nel quale formulò alcuni principi fondamentali di politica estera, in seguito ricordati sotto il nome di “dottrina Monroe”. Monroe temeva che alcune potenze europee intendessero appoggiare il tentativo della Spagna di riconquistare i paesi del Centro e del Sud America che si erano emancipati dal suo dominio negli anni precedenti, e impedire così l’ascesa degli Stati Uniti ad arbitro della politica nell’insieme delle Americhe. Per questo affermò, testualmente, quanto segue: «1. I continenti americani, conquistata la libertà e l’indipendenza che essi intendono conservare, non debbono più essere considerati suscettibili
Ritratto di James Monroe, presidente degli Stati Uniti dal 1816 al 1824 (Washington, Casa Bianca).
di colonizzazione da parte di alcuna potenza europea. 2. Di conseguenza, qualunque intervento di uno Stato europeo contro gli Stati delle Americhe avente per obiettivo di ottenerne l’assoggettamento o di esercitare un’azione sui loro destini verrà ritenuto la manifestazione di un atteggiamento ostile nei confronti degli Stati Uniti». Con queste affermazioni Monroe tracciò le linee di fondo di una visione che, malgrado l’iniziale ostilità dei paesi europei, si venne di fatto consolidando durante il corso dell’Ottocento. In quei decenni gli Stati Uniti assursero al rango di potenza americana egemone, respingendo i tentativi europei di esercitare ulteriore influenza nelle vicende degli Stati situati al di là dell’oceano Atlantico. In seguito, nel Novecento, gli usa avrebbero gradualmente trasformato l’egemonia continentale fissata dalla dottrina di Monroe in egemonia mondiale.
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Le nazioni latino-americane nacquero dunque sotto il segno dell’esclusivismo; rappresentarono, infatti, solo una porzione ristretta della società – quella dei creoli –, che presto ebbe bisogno di ricorrere alla dittatura per tenere in pugno la situazione. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il nazionalismo centro e sud-americano Progressiva estraneità della madrepatria
Aumento delle imposte della madrepatria
Nelle élite creole nasce il desiderio di indipendenza
Esempio degli Stati Uniti e diffusione delle idee illuministe
Lotte di liberazione
NASCONO NUOve NAzIONI
Iniziale forma repubblicana, ma presto trasformazione in dittature
Eccezioni: Cile e Brasile
19.4 Le lotte per l’indipendenza nell’europa dell’Ottocento Quattro nuove nazioni
LESSICO Eterìa Letteralmente “associazione di amici”, (dal greco hetaíros, “compagno”) è una società segreta che promosse l’insurrezione greca del 1821.
Il laboratorio dello storico La Grecia, simbolo del nazionalismo ottocentesco, p. 501
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a differenza di quello centro e sud-americano, il nazionalismo europeo si basò nella maggior parte dei casi su tre importanti elementi di identificazione: la lingua, la tradizione culturale, la religione. non sempre questi fattori furono presenti simultaneamente. tuttavia, a seconda dei casi, almeno uno di essi giocò un ruolo decisivo nel processo di formazione delle nuove nazioni. nel 1829, con il trattato di adrianopoli, l’Impero ottomano riconobbe l’indipendenza della Grecia. dopo una lotta promossa nel 1821 dalla società segreta Eterìa e protrattasi per quasi un decennio, alla quale avevano preso parte anche molti intellettuali e rivoluzionari romantici provenienti da altri paesi europei (tra questi il grande poeta inglese Byron), una parte delle popolazioni di lingua greca e di religione cristiano-ortodossa soggette alla porta di istanbul riuscì dunque nel tentativo di sottrarsi alla giurisdizione ottomana e tre anni più tardi i greci dettero vita a un regno, affidandone la corona a un principe tedesco (membro della dinastia regnante di Baviera), che salì al trono con il nome di Ottone I (1815-1867, re di Grecia dal 1832 al 1862). una delle ragioni che spiegano il successo dell’indipendenza greca chiama in causa l’interesse delle potenze del congresso di vienna alla disgregazione dell’impero ottomano (v. p. 502). nel 1831 prese forma nell’europa continentale un altro nuovo stato nazionale: il Belgio, infatti, con una rivoluzione si emancipò dall’Olanda (v. cap. 16, par. 16.2).
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
tra il 1859 e il 1861 (e successive integrazioni nel 1866 e nel 1870) a diventare nazione fu invece, come abbiamo visto, l’Italia, formatasi in seguito all’allontanamento degli austriaci dal Lombardo-veneto e dalla toscana, all’abbattimento di molte dinastie regnanti nei vari stati preunitari, alla cancellazione dello stato pontificio, al conferimento al re di sardegna (dinastia dei savoia) della corona nazionale (v. cap. 18). ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il nazionalismo europeo Comunanza di lingua
Comunanza di religione
Comunanza di tradizioni culturali
Eugène Delacroix, Il massacro di Scio, eseguito nel 1824 e ispirato a un episodio della guerra della Grecia per l’indipendenza dall’Impero ottomano
Nazionalismo europeo
NASCONO NUOve NAzIONI
Grecia
Italia
Belgio
Germania
nel 1871, infine, come vedremo, divenne stato nazionale, in forma federale e sotto l’egemonia della sua componente maggiore – la prussia – anche la Germania, dove comunque le dinastie in quel momento regnanti nei vari stati conservarono ciascuna la titolarità del proprio potere, pur riconoscendo l’autorità superiore del re di prussia, che assunse il titolo di Kaiser (imperatore). I popoli ancora in cammino
in europa, dunque, emersero in quei decenni quattro nuovi stati nazionali, ma diversi altri popoli cercarono nello stesso periodo, senza successo, di fare altrettanto: • i serbi, il cui territorio era situato nell’impero ottomano e che nel 1815 riuscirono comunque a ottenere una forte autonomia amministrativa da istanbul, vedendo poi finalmente consacrata la propria indipendenza nazionale con una decisione presa a tavolino in occasione del Congresso di Berlino del 1878; • i polacchi, i quali occupavano un vasto territorio spartito tra russia, austria e prussia, e che prima nel 1831 poi nel 1863 diedero vita nella parte assegnata alla russia (regno di polonia) a sfortunate sollevazioni nazionali contro lo zar; • i cechi, residenti in Boemia, che nel 1848 manifestarono la loro determinazione a emanciparsi da vienna, ma che vennero repressi; • gli ungheresi, anch’essi nel Quarantotto protagonisti di un violento e sanguinoso tentativo di secessione dall’impero austriaco e poco meno di venti anni più tardi, nel 1867, gratificati dal riconoscimento di una parziale autonomia legislativa all’interno della “duplice” monarchia austro-ungarica, che da quell’anno ebbe un parlamento a vienna e uno a Budapest; • gli irlandesi, che nel 1863 organizzarono una fallimentare insurrezione nazionalista finalizzata a ottenere l’emancipazione dell’isola dal governo di Londra. 495
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
altrove, infine, il nazionalismo, pur senza sfociare in iniziative insurrezionali, si espresse quanto meno sul piano politico e culturale, come rivendicazione di una autonomia linguistica e/o religiosa da tutelare; così in Finlandia, in Lituania, in Lettonia, in Estonia, territori appartenenti all’impero russo; in Norvegia, che costituiva parte dei domini della corona di svezia; in Romania, le cui popolazioni vivevano divise tra l’impero austriaco e quello ottomano; in Slovenia e in Croazia (impero austriaco). L’importanza del modello francese
nell’Europa occidentale la moderna idea di nazione aveva impiantato forti radici soprattutto durante l’età napoleonica, attingendo però ambiguamente a due differenti – e anzi contrastanti – sorgenti di ispirazione. da un lato si guardava come a un modello l’esempio della Francia rivoluzionaria, dove “nazione” aveva cominciato a significare “comunità libera e sovrana di cittadini dotati di eguali diritti”. d’altro canto, però, nel momento in cui gli eserciti napoleonici invasero l’europa, imponendo ovunque lo stesso ordinamento uniforme e accentrato vigente in Francia, il nazionalismo si caricò intensamente anche del motivo della liberazione dall’occupazione straniera e della valorizzazione delle consuetudini locali. Queste avrebbero dovuto diventare le fondamenta di nuove nazioni sovrane, ciascuna però costruita in aderenza alla tradizione, e nel rifiuto dell’universalismo di matrice illuministica e rivoluzionaria che aveva trionfato in Francia. La Francia, in realtà, era una nazione già ben prima del 1789. era cioè un territorio i cui sudditi facevano prevalentemente (anche se non esclusivamente) uso della stessa lingua (il francese, nelle sue numerose varianti dialettali) e venivano governati da uno stesso sovrano, anche se in base a leggi diversamente modulate a seconda di ciascuna provincia. I popoli europei nel 1815 e le nazioni europee nel 1870
ISLANDA NORVEGIA NORVEGESI
FINLANDESI
SCOZZESI ESTONI
SVEZIA REGNO UNITO SVEDESI DI GRAN BRETAGNA DANIMARCA LETTONI IRLANDESI DANESI E IRLANDA LITUANI GALLESI PAESI oceano INGLESI BASSI RUSSI Atlantico OLANDESI POLACCHI BIANCHI FIAMMINGHI PRUSSIA E BELGIO STATI TEDESCHI BRETONI VALLONI TEDESCHI UCRAINI CECHI SLOVACCHI
FRANCIA FRANCESI
SVIZZERA PORTOGALLO BASCHI PORTOGHESI
SPAGNA SPAGNOLI
CATALANI
NORVEGIA
IRLANDA oceano Atlantico
IMPERO D’AUSTRIA
UNGHERESI SLOVENI TEDESCHI RUMENI CROATI ITALIA SERBI UNGHERESI ITALIANI BULGARI ALBANESI
GRECIA GRECI
SVEZIA mare del Nord DANIMARCA
RUSSIA GRAN BRETAGNAPAESI BASSI BELGIO GERMANIA LUSS. IMPERO FRANCIA AUSTROSVIZZERA UNGARICO MOLDAVIA
PORTOGALLO SPAGNA
ROMANIA mar BOSNIA SERBIA BULGARIA Nero MONTENEGRO IMPERO OTTOMANO
ITALIA
GRECIA mar Mediterraneo
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mar Mediterraneo
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
M. Borgoni, Cinquantenario del plebiscito meridionale, 1910 (Treviso, Museo civico). Una giovane donna raffigura l’Italia unita nel 1860 dopo il plebiscito. Alle sue spalle compaiono i garibaldini
con la Rivoluzione il concetto di nazione aveva però assunto tutt’altro significato. Ferma restando la comunanza linguistica e in gran parte religiosa, dalla nazione dinastica si era passati a quella popolare, basata sulla sovranità collettiva dei cittadini e caratterizzata dall’eguaglianza tra i suoi componenti. Nazionalismo democratico e nazionalismo conservatore
Fu l’idea di una nazione “dal basso”, come luogo di libertà che venne fatta propria dal nazionalismo di ispirazione democratica, attivo nella prima metà dell’Ottocento soprattutto all’interno dei grandi imperi dinastici multinazionali. per un’intera generazione di nazionalisti democratici, i cui principali punti di riferimento furono figure come l’italiano Giuseppe Mazzini (1805-1872) o il polacco adam Mickiewicz (1798-1855), la lotta per la nazione significò contestualmente battaglia per l’indipendenza dallo straniero e fondazione di una comunità di cittadini liberi, uniti da un forte vincolo di solidarietà e di fratellanza. il modello democratico di derivazione franco-rivoluzionaria non fu il solo sotteso all’elaborazione del nazionalismo ottocentesco. in Germania, per esempio, pur essendo presente anche nella sua versione democratica, il sentimento nazionale si nutrì anche e prevalentemente di una forte ostilità alle idee francesi. il nazionalismo tedesco aveva preso corpo, del resto, proprio in seguito all’occupazione napoleonica, nel momento in cui i vari stati dell’area germanica, sconfitti, umiliati, assoggettati dall’imperatore corso, avevano dovuto forzatamente adeguarsi alle nuove leggi e alle nuove istituzioni di matrice rivoluzionaria. da allora, una parte dei tedeschi aveva cominciato a sognare l’edificazione di una nazione unitaria al posto dei molti regni, ducati, principati divisi, la cui disunione aveva aperto la strada a napoleone e ai suoi eserciti. La si voleva capace di contrapporsi con la propria forza alla Francia ma anche, al tempo stesso, basata sulla conservazione delle tradizioni e delle consuetudini ereditate dal passato, nelle quali si individuava la peculiarità dello spirito nazionale tedesco. 497
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
19.5 Nazionalismo, romanticismo e modernizzazione La nazione dei romantici
LESSICO Cosmopolitismo Dal greco kosmopolítes, composto da kósmos, “mondo” e polítes, “cittadino”, letteralmente quindi “cittadino del mondo”, indica la tendenza a considerare la propria patria non una determinata nazione, ma il mondo intero. Fu uno dei principi cardini dell’Illuminismo.
Caspar David Friedrich, Il naufragio della speranza, 1821. Di soggetto nazionalistico, il quadro testimonia la delusione romantica per l’allora mancata unificazione tedesca
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alla diffusione del sentimento di nazionalità si accompagnò nell’europa dell’ottocento quella del Romanticismo, una corrente culturale che tendeva a contrapporsi all’universalismo e al cosmopolitismo settecenteschi, tipici della stagione illuminista e poi trasfusi nell’esperienza rivoluzionaria, rivalutando l’importanza delle tradizioni (lingua, cultura, religione, costumi) proprie di ciascun popolo, inteso come comunità organica. il romanticismo andava alla ricerca di quelle tradizioni essenzialmente nel Medioevo, nell’epoca cioè in cui le singole lingue e letterature volgari europee erano venute prendendo forma. Questo movimento culturale si avvalse del contributo di rami del sapere (per esempio lessicografia, grammatica, filologia) che in quell’epoca consolidarono i propri fondamenti scientifici, rivelandosi pienamente funzionali alla ricerca delle radici autoctone di ogni cultura. nel romanticismo era dunque presente una tendenza esplicitamente orientata al passato, mentre il razionalismo settecentesco, presupposto della rivoluzione francese e, dunque, anche del nazionalismo democratico, aveva considerato il medioevo un’epoca di barbarie e di oppressione, un passato da cui emanciparsi. il movimento romantico ebbe una ricaduta politica ambigua. L’orientamento verso il passato e la ricerca delle tradizioni autoctone costituirono il presupposto che consentì a popoli fino ad allora governati da dinastie straniere di rivendicare il diritto a costituirsi in comunità nazionali indipendenti e sovrane. ma quegli stessi fattori ebbero talvolta come risvolto anche il rifiuto delle innovazioni di matrice razionalistica e universalistica, vale a dire quel patrimonio di idee nel quale si condensava lo spirito di emancipazione che la rivoluzione francese aveva raccolto dall’illuminismo e trasmesso ai movimenti democratici. La riscoperta del medioevo, per esempio, quasi sempre si coniugò con il rifiuto della democrazia e del laicismo e con il culto del sistema di potere gerarchico e autoritario, a forte impronta religiosa, caratteristico dell’antica società per ceti. oltre che in Germania, il nazionalismo ottocentesco risentì di una simile matrice soprattutto presso i popoli oppressi dell’Est europeo (ungheria, in parte anche Boemia e polonia), ma i suoi riflessi si fecero sentire anche in italia.
capItOlO 19 - la NaScIta dI NuOvE NaZIONI IN amErIca E IN EurOpa
Modernizzazione statale e sentimento nazionale
perché il sentimento di nazionalità si manifestò nell’ottocento e non prima? perché da quest’epoca in poi incominciarono a essere avvertiti come oppressivi e innaturali legami di dipendenza territoriale che prima non avevano suscitato altrettanto malessere o desiderio di ribellione? un confronto tra i casi sud-americani e quelli europei può aiutarci a rispondere a queste domande in modo proficuo. come nell’america spagnola, anche in europa – e, anzi, in misura ben maggiore – tra la fine del settecento e i primi decenni dell’ottocento (tra l’epoca del dispotismo illuminato e quella napoleonica) i legami tra il centro e le periferie di ciascun territorio si erano fatti più stretti e soffocanti: i controlli erano divenuti più rigidi, le tasse più pesanti. il pubblico potere intratteneva un rapporto molto più penetrante con gli individui di ogni comunità e il mondo locale – l’orizzonte del campanile – tendeva a perdere la propria tradizionale autosufficienza e a smarrirsi dentro gli ingranaggi formalizzati e impersonali caratteristici dello Stato moderno. spesso ciascuna delle unità territoriali caratterizzate da una cultura omogenea presenti nei grandi imperi multietnici e multilinguistici era tanto grande da corrispondere a un’intera nazione, cioè a un’intera comunità di lingua e di tradizione. sotto questo profilo, durante l’epoca della restaurazione postnapoleonica – momento di maturazione e di rivelazione di gran parte dei nazionalismi ottocenteschi – cambiò ben poco. e i grandi imperi (quello austriaco, quello ottomano, ma anche quello russo), la cui sopravvivenza era stata resa a lungo possibile soprattutto dalla scarsa coesione interna e dai notevoli margini di autonomia che il centro concedeva a ciascuna delle sue periferie, entrarono radicalmente in crisi nel momento in cui cercarono di incamminarsi lungo la strada della modernizzazione burocratica statale. Le molte cause del nazionalismo
Gran parte dei movimenti nazionalisti si sviluppò all’interno di spazi fino a quel momento multinazionali. era accaduto prima nel nord e poi nel sud e centro America, dove peraltro le popolazioni locali e i funzionari che le governavano parlavano la stessa lingua; si ripeté qualche decennio più tardi in Europa, dove la lingua dei greci era diversa da quella dei loro governanti turchi, così come quella degli italiani, degli ungheresi, dei cechi, dei polacchi era diversa dal tedesco o dal russo, divenuti in seguito al moderno accentramento statale lingue ufficiali e semiesclusive dell’amministrazione asburgica e di quella zarista. talvolta, come si è accennato, la differenziazione nazionalista si appoggiò anche a un altro fattore: quello religioso. i greci erano cristiano-ortodossi e i loro governanti musulmani; i polacchi, cattolici, si trovavano prevalentemente all’interno di uno stato cristiano-ortodosso; gli irlandesi, che in base all’atto di unione del 1800 s’erano visti sopprimere il proprio parlamento autonomo, sotto il profilo economico-sociale erano dominati da un migliaio di proprietari fondiari inglesi, detentori di quasi la metà della superficie agraria del paese. accanto all’inglese, essi conservavano la loro antica lingua – il gaelico – ed erano per l’85% cattolici, mentre Londra aveva imposto anche sull’isola la chiesa anglicana come chiesa di stato. i belgi – tutti cattolici, anche se parte di lingua francese parte di lingua fiamminga – si distaccarono dall’olanda, di lingua fiamminga, anche perché essa era abitata prevalentemente da popolazioni di fede riformata. 499
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
James Ensor, L’entrata di Cristo a Bruxelles, 1889 (Anversa, Musei reali di Belle arti). Il dipinto si riferisce al distacco del Belgio cattolico dall’Olanda, di fede riformata, in una doppia affermazione di indipendenza politica e religiosa
L’importanza della lingua e della religione, come fattori di identità e di differenziazione fu decisiva rispetto a contesti territoriali nei quali lo sviluppo dello Stato moderno e della sua centralizzazione amministrativa tendevano a livellare le peculiarità locali: accanto alle suggestioni democratiche derivanti dalla rivoluzione francese, anche questo rappresentò un presupposto nevralgico per lo sviluppo del nazionalismo europeo e per la sua trasformazione da motivo puramente culturale in progetto politico, in “religione della patria”. Una “religione” laica per i ceti dirigenti
eppure, nei decenni che stiamo considerando il sentimento nazionale non crebbe ovunque con la stessa intensità. non dappertutto l’esistenza di una lingua nazionale suggerì a chi la parlava di mobilitarsi per dare vita a uno stato nazionale. per rendersene conto basta confrontare una odierna carta dell’europa – continente ormai quasi completamente strutturato in base al principio di nazionalità – con una del tardo ottocento (v. p. 496), ricca ancora di imperi multinazionali, indeboliti sì, ma non distrutti. perché queste differenze nello sviluppo del nazionalismo? in generale si può dire che esso prese piede soprattutto presso popoli che da un lato vantavano un’importante tradizione letteraria scritta, dall’altro erano già relativamente urbanizzati. nel mondo delle campagne – e l’est e il sud-est europeo erano essenzialmente campagna – il nazionalismo non attecchì: fu un fenomeno essenzialmente urbano, da mettere in relazione, dunque, con il livello di modernizzazione economico-sociale caratteristico di ciascuna area linguistica. esso, del resto, coinvolse come protagonisti soprattutto intellettuali, o comunque persone contraddistinte da un alto livello di scolarizzazione (molti, per esempio, gli studenti universitari o i laureati) o appartenenti alle classi elevate della società, borghesi e aristocratici. non mancarono, come abbiamo visto analizzando il caso italiano, eccezioni a questo quadro, ma furono rare.
500
Il laboratorio dello storico
La Grecia, simbolo del nazionalismo ottocentesco
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Conquistata dai turchi ottomani a partire dalla presa di Costantinopoli (1453) e dalla contestuale rovinosa caduta dell’Impero bizantino, la Grecia incominciò a conoscere verso la fine del Settecento la diffusione del sentimento nazionalista sul proprio suolo. Tra il 1821 e il 1822 scoppiò in alcune parti dei territori greci dell’Impero ottomano un’insurrezione, culminata nella proclamazione dell’indipendenza nazionale da parte di un’assemblea panellenica riunita a Epidauro nel gennaio 1822 dal patriota Alessandro Maurocordato. Ecco alcuni brani del suo proclama:
troviamo qui, nitidamente formulati, alcuni caratteri tipici del nazionalismo di epoca romantica, innanzitutto l’insofferenza contro la tirannide Qui emerge un altro tema tipico del nazionalismo: il richiamo a una tradizione storica millenaria (in questo caso quella della civiltà greca classica, presentata come la fonte dell’intera civiltà europea), che viene fatta coincidere con uno stato di natura artificiosamente turbato dall’oppressione straniera
La nazione greca prende il cielo e la terra a testimoni che essa esiste ancora, malgrado il giogo spaventoso degli ottomani che la minacciavano di sterminio. spinta dalle misure inique e distruttrici di questi feroci tiranni, i quali […] miravano alla distruzione del popolo soggetto, essa è stata obbligata a ricorrere alle armi per necessità di salvezza. discendendo da una nazione gloriosa per il suo ingegno e la sua mite civiltà, vivendo in un’epoca in cui questa civiltà spande con profusione vivificatrice i suoi benefici sugli altri popoli che godono sotto l’egida protettrice delle leggi, potevano i Greci restare più a lungo in questa condizione terribile e vergognosa, e osservare con indifferenza quella felicità che la natura ha riservato ugualmente a tutti gli uomini? Queste sono le cause della guerra che abbiamo dovuto intraprendere contro il turco. Ben lungi dall’essere promossa dai principi demagogici o rivoluzionari, e da avere per motivo degli interessi particolari, questa guerra è una guerra per la nazione e per la sua reintegrazione nei diritti di proprietà, di onore e di vita: diritti che godono i popoli civili vicini a noi, ma che erano strappati alla Grecia da una potenza spoliatrice […]. Fondati su questi principi e sicuri dei nostri diritti, non vogliamo e non reclamiamo altro che di essere riammessi nella società europea, dove ci chiamano la nostra religione, i nostri costumi e la nostra posizione, di riunirci alla grande famiglia e di riprendere fra le nazioni il posto che una forza usurpatrice ci ha rapito ingiustamente. proclama di alessandro maurocordato, 13 gennaio 1822, in e. anchieri, Antologia storico-diplomatica, ispi, varese 1941
infine viene rimarcato il forte legame con la dimensione religiosa. in questo caso specifico – in forza della contrapposizione plurisecolare tra cristianesimo e islamismo – è per l’appunto l’elemento religioso a fungere da tratto di differenziazione della comunità nazionale, di cui il proclama rivendica l’emancipazione rispetto a un dominio esterno percepito come “straniero” proprio perché identificato con un’altra fede
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Il laboratorio dello storico Il mito romantico Negli anni successivi al Congresso di Epidauro la lotta per l’indipendenza della Grecia proseguì a fasi alterne e assurse al rango di mito nell’Europa romantica degli anni Venti. Si creò un movimento internazionale filoellenico e andarono a morire in Grecia, combattendo contro i turchi, spiriti inquieti di ogni paese. Tra questi, il poeta inglese George Byron e il patriota piemontese Santorre di Santarosa. Byron trovò la morte nel 1825, durante l’assedio turco alla fortezza di Missolungi. L’episodio fece scalpore e il pittore francese Eugène Delacroix dipinse per l’occasione una tela divenuta presto molto famosa. Osservala:
il dipinto si ispira all’attacco portato dai turchi nel 1825 alla fortezza di missolungi, nel quale i greci si sacrificarono eroicamente pur di non arrendersi al nemico
in secondo piano, su uno sfondo tempestoso, una tipica stilizzazione del dominatore turco
in primo piano la Grecia, nei panni di una figura femminile eroica, anche se visibilmente sofferente, che soccombe al dominio turco
Eugène Delacroix, la Grecia che spira sulle rovine di Missolungi, 1826 (Bordeaux, Museo delle Belle arti)
Dopo Missolungi gli ottomani erano giunti a riconquistare quasi tutti i territori strappati loro dagli insorti, ma nel 1827 Francia, Inghilterra e Russia – tutte interessate a fiaccare la potenza ottomana – sferrarono alla “Porta di Istanbul” un attacco congiunto che si concluse con la sconfitta turca e con la proclamazione di un regno indipendente di Grecia assegnato alla dinastia bavarese dei Wittelsbach.
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Abbiamo qui accostato una fonte scritta e una fonte iconografica, entrambe realizzate all’epoca della lotta per l’indipendenza della Grecia, ma prodotte da figure appartenenti a paesi diversi: il greco Maurocordato, che è autore della fonte scritta, e il francese Delacroix, che dipinse nella sua Parigi la tela tematizzante l’assedio di Missolungi. • Quali punti del dipinto di Delacroix sembrano riprendere esplicitamente parti del discorso di Maurocordato? • Dove abbiamo già incontrato, in questo volume, raffigurazioni di una nazione nelle vesti di donna sofferente? Individuale e fai un confronto.
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capItOlO 19
LA NASCITA DI NuOvE NAzIONI IN AMERICA E IN EuROPA
mappa NaZIONalISmO NEll’OttOcENtO
Fonti di ispirazione • Rivoluzione
• Aumento del controllo della madrepatria • Esempio dell’indipendenza nord-americana • Influenza della cultura liberale e costituzionale europea
Sostegno di Inghilterra e usa
america meridionale
america meridionale e centrale
francese: nascita del concetto popolare e democratico di nazione • Rivalutazione romantica delle origine medievali e specifiche delle singole nazioni
Lotta per l’indipendenza dalle potenze iberiche
Europa
culturale
• religione
Lotte nazionali
Successi
• Grecia • Belgio • Italia • Germania
Successi parziali (autonomia linguistica e/o religiosa)
• Finlandia • Lituania • Lettonia • Estonia
Insuccessi
• Polonia • Boemia • Ungheria • Irlanda
Indipendenza decisa “a tavolino”
Serbia
america centrale
Imprese di Bolivar e San Martin
Indipendenza del Messico
Nel 1824 gran parte del paese è libero ma non unito, a causa di: • differenze interne
Questione schiavista che provoca una guerra civile
tra gli Stati
• opposizione di Inghilterra e usa
Brasile: indipendenza pacifica
Pietro I del Portogallo diventa imperatore
Elementi di identificazione: • lingua • tradizione
Gli usa conquistano Texas, California, Arizona e Nuovo Messico La maggior parte delle nuove nazioni scivola verso la dittatura militare
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capItOlO 19
LA NASCITA DI NuOvE NAzIONI IN AMERICA E IN EuROPA
Sintesi 19.1 IL SOGNO DI uNA NAzIONE La questione nazionale fu uno dei temi chiave della storia politica del XiX secolo. nel corso dell’ottocento, infatti, l’idea di nazione, che in precedenza aveva un significato vago e generico, si caricò di un intenso spessore emotivo. in molti luoghi essa divenne concreto progetto politico. a inseguire e a realizzare il sogno di partecipare alla creazione di uno stato libero e autonomo, in Europa, furono i greci, i belgi, gli italiani e i tedeschi, mentre nell’America centrale e meridionale tutti i territori degli imperi coloniali spagnolo e portoghese si resero indipendenti e diedero vita a numerose nuove nazioni. 19.2 LA LIbERAzIONE DAL DOMINIO COLONIALE NELL’AMERICA CENTRALE E MERIDIONALE in seguito all’invasione della spagna da parte di napoleone cominciò la lotta per l’indipendenza dell’america Latina. a una prima fase (1808-1814) promossa esclusivamente dai creoli, seguì dal 1816 una seconda che vide anche il coinvolgimento di meticci e indios sotto la guida di simon Bolivar e José de san martin. nel 1824 l’America Latina era ormai indipendente ma non si trasformò in una confederazione unitaria sul modello degli stati uniti. vi fu invece una grande frammentazione politica: nacquero le repubbliche di colombia, venezuela, paraguay, argentina, ecuador, Bolivia e uruguay. anche l’America centrale, racchiusa nel vicereame della nuova spagna, avviò in quel periodo il proprio processo di distacco dalla madrepatria. nel 1839 nacquero cinque stati nazionali autonomi: Guatemala, Honduras, Costarica, Nicaragua, El Salvador. in questo quadro rappresentò un’eccezione il Brasile che si rese indipendente dal portogallo in modo relativamente pacifico e divenne un impero. il Messico, dopo una breve fase imperiale, assunse una forma repubblicana, ma l’opposizione delle élite agrarie del paese, sostenuta dai confinanti stati uniti d’america, proclamò la secessione del Texas dal messico, dando inizio a una guerra tra Messico e Stati Uniti che si concluse con la cessione a questi ultimi di molti territori messicani: oltre al texas, la california, l’arizona e il nuovo messico. 19.3 LE DIFFICOLTà DELLE NuOvE NAzIONI E IL RuOLO DEGLI STATI uNITI a svolgere un ruolo importante nel processo di invenzione di nuove nazioni che interessò l’america centrale e meridionale fu la crescita delle pretese di 504
controllo di queste lontane periferie da parte dei governi di Madrid e di Lisbona. contarono molto, oltre agli aiuti finanziari dell’inghilterra e degli stati uniti, anche l’esempio nord-americano e l’influenza esercitata dalla cultura liberale e costituzionale europea, che tra sette e ottocento si era diffusa anche in america Latina. Gran parte delle nuove nazioni latino-americane si diede inizialmente forma repubblicana e istituzioni rappresentative liberali-censitarie, ma nel corso dei decenni successivi, in molte delle nuove nazioni si instaurarono governi dittatoriali a causa del carattere esclusivista delle nuove nazioni, in cui la maggioranza della popolazione restò esclusa dalla gestione del potere.
19.4 LE LOTTE PER L’INDIPENDENzA NELL’EuROPA DELL’OTTOCENTO anche in europa nel corso dell’ottocento quattro paesi ottennero l’indipendenza: la Grecia, che dopo una guerra durata dal 1821 al 1829, vide riconosciuta la propria indipendenza dall’impero ottomano con il trattato di adrianopoli; il Belgio che nel 1831 si separò dall’olanda, l’Italia che si trasformò in un regno unitario sotto il dominio dei savoia nel 1861, e la Germania, diventata un impero federale nel 1871. molti altri popoli tentarono invece la strada del nazionalismo sulla base di legami linguistici, culturali o religiosi, ma non ebbero altrettanta fortuna. 19.5 NAzIONALISMO, ROMANTICISMO E MODERNIzzAzIONE comune ai movimenti di indipendenza americani ed europei fu la volontà di liberarsi dal giogo opprimente e omologante degli Stati moderni a cui appartenevano. in europa l’esigenza di indipendenza si tradusse anche nel desiderio di vedere riconosciuta una comunità di popolo. nel corso dell’ottocento, infatti, al nazionalismo democratico di matrice francese si sostituì spesso il nazionalismo conservatore, prodotto della mentalità romantica, che esaltava la conservazione delle tradizioni, spesso a discapito dei valori universalistici su cui si fondava la nazione laica e democratica del settecento.
Capitolo 20
Il trIonfo della borghesIa
20.1 Il ruolo della borghesia nel nuovo mercato mondiale I borghesi
nel corso dell’ottocento, in ragione delle lunghe vicende di cui ci siamo occupati nei capitoli precedenti, la borghesia era diventata in europa la classe dominante sia sul piano politico sia su quello economico. Una parte di quella che all’inizio del secolo era una classe nettamente distinta dalla nobiltà, aveva con il tempo acquisito gli strumenti e i titoli per avvicinarsi allo stile di vita di quest’ultima. I borghesi vivevano del proprio lavoro, ma all’interno della loro classe erano molte le differenze sia in relazione alla diversa disponibilità di ricchezza sia alla tipologia di attività svolta: dall’industria alla libera professione, all’ingegneria, all’avvocatura. Queste differenze, via via che si andava assottigliando il confine tra borghesia e classi nobiliari, aumentavano e diventavano evidenti, separando di fatto i gruppi borghesi a seconda della ricchezza, in grandi, medi e piccolo borghesi. La navata centrale del Crystal Palace a Londra nel 1851 durante la cerimonia inaugurale della prima esposizione universale. Si trattava di una manifestazione internazionale volta a mostrare le ultime novità della produzione industriale e a celebrare il progresso tecnologico
Per l’occasione fu costruito un grandioso padiglione di cristallo, il Crystal Palace. La prima esposizione universale vide la partecipazione di 37 paesi e di oltre sei milioni di visitatori che poterono ammirare, raccolte tutte insieme, le produzioni industriali realizzate in terra inglese Per gli abitanti dell’isola l’esposizione fu motivo di orgoglio e sancì la netta superiorità inglese rispetto agli altri paesi; ai visitatori provenienti dall’estero diede invece l’umiliante misura della modestia della loro industria Quella di Londra fu la prima di una serie di esposizioni organizzate periodicamente nelle grandi capitali europee tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento
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“La nuova borghesia”, stampa, XIX secolo
LESSICO Borghesia Dal latino tardo burgum, “luogo fortificato” e poi nel Medioevo “quartiere cittadino”, indica la classe sociale composta dai proprietari dei mezzi di produzione e da commercianti, artigiani, liberi professionisti, dirigenti industriali e simili. Capitale Dal latino capitis, “del capo, della testa” e poi “principale”, indicava originariamente la parte principale di un patrimonio in denaro. In economia designa l’insieme dei mezzi di produzione di cui dispone un’impresa. Può comprendere quindi immobili, macchinari, denaro e titoli azionari.
Che cosa significa la parola borghesia? In molte pagine precedenti ci è accaduto di farne uso, ma senza mai darne una definizione precisa. Ciò, del resto, non è facile, dal momento che allude a cose diverse a seconda dell’epoca in cui viene impiegata. la definizione più generale e condivisa è quella proposta da Marx ed Engels nel Manifesto del Partito Comunista (1848): la borghesia è una classe sociale che, pur assumendo forme diverse nella storia dei secoli passati, si caratterizza essenzialmente per la sua tendenza a proporsi come forza dinamica e progressista all’interno della società di antico regime, che era fondamentalmente basata sulla conservazione di alcuni tratti del feudalesimo e sul predominio dell’aristocrazia. nel Medioevo incontriamo, per esempio, il “borghese” nel momento in cui abbandona le campagne, luogo di oppressione e di servitù, e fonda le città, spazio di libertà e di iniziativa; nei secoli seguenti lo vediamo intento ad aprire le porte del mondo all’europa, con le esplorazioni e l’espansione dei traffici. nel settecento, come Terzo stato, è protagonista della rivoluzione politica in francia, mentre come ceto di imprenditori, a partire dall’Inghilterra, avvia il moderno sistema industriale. nell’Ottocento, infine, egli raggiunge il suo trionfo con lo sviluppo dell’industria e dei mezzi di trasporto. Ma non solo: imprenditori, banchieri e capitani di industria esercitano ormai un predominio anche politico sull’intera società. se prima dell’ottocento borghese significava soprattutto “cittadino”, ovvero residente in uno spazio urbano dotato di privilegi e immunità, ora diviene – più in generale – un “proprietario di beni”. Quei beni possono consistere tanto in terre, quanto in immobili, oppure in capitali, o anche in capacità da valorizzare all’interno del mercato per ricavarne profitto, per esempio mettendo a frutto il possesso di una laurea o di un diploma di scuola superiore. Il mercato diventa mondiale
alle fasi di ascesa della borghesia corrispondono diversi momenti di crescita del mercato: nel Medioevo e nell’età moderna esso designava la piazza in cui in ogni paese e in ogni città venivano quotidianamente venduti e acquistati i generi di prima necessità. dire mercato significava dire cibarie, ortaggi, attrezzi, capi d’abbigliamento. dall’ottocento, invece, in seguito all’internazionalizzazione dei traffici, l’espressione iniziò a designare l’insieme delle produzioni e l’intero volume degli scambi e delle transazioni economiche che ne derivavano. Il mercato assunse infatti una dimensione mondiale: da centro fisso diventò un’entità complessa e sparsa, non identificata in un luogo fisico specifico, visto che 506
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
essa coincideva con gli spostamenti delle merci da un posto all’altro e del denaro da una tasca all’altra. In questa forma, tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento il mercato divenne l’oggetto di una nuova branca del sapere, l’economia politica, elaborata in questa fase – e non a caso – soprattutto in Inghilterra, prima da Adam Smith (v. cap. 6, par. 6.3), poi da David Ricardo (1772-1823). Questa nuova scienza cercò di proporre varie interpretazioni delle modalità di funzionamento dei sistemi della produzione e dello scambio; al tempo stesso i suoi esponenti si sforzarono di formulare suggerimenti e rimedi per far sì che il mercato funzionasse sempre al meglio, garantendo un aumento del benessere generale, ovvero dei beni disponibili per ciascuno. Il principio della libera concorrenza
l’espansione del mercato presupponeva lo smantellamento delle restrizioni e dei vincoli in campo economico caratteristici dell’antico regime. era per esempio necessario che la terra fosse liberamente commerciabile e potesse passare agevolmente da un proprietario all’altro, per finire nelle mani di chi era in grado di farla rendere di più; cosa che non aveva potuto verificarsi fin quando nell’europa continentale gran parte della proprietà fondiaria (le terre nobiliari, quelle ecclesiastiche, ma anche i terreni comunali adibiti agli usi collettivi) era stata vincolata a norme che ne sancivano l’inalienabilità. ANALIZZARE LA FONTE
La storia della borghesia Autori: Karl Marx e Friedrich Engels – Tipo di fonte: manifesto programmatico – Lingua originale: tedesco – Data: 1848 Karl Marx e Friedrich Engels scrissero nel 1848 – l’anno delle rivoluzioni in tutta Europa – un testo nel quale delineavano i punti fondamentali del programma comunista: l’abolizione della proprietà privata e la costruzione di una società egualitaria. A quel testo veniva anteposta un’interpretazione della storia dei secoli precedenti, nella quale era illustrato il ruolo svolto dalla borghesia.
dai servi della gleba del Medioevo uscirono i borghigiani delle prime città: da questi borghigiani ebbero sviluppo i primi elementi della borghesia. la scoperta dell’america e la circumnavigazione dell’africa offrirono un nuovo terreno alla nascente borghesia. Il mercato delle Indie orientali e della Cina, la colonizzazione dell’america, lo scambio con le colonie, l’aumento dei mezzi di scambio e delle merci in generale, diedero un impulso prima d’allora sconosciuto al commercio, alla navigazione, all’industria, e in pari tempo favorirono il rapido sviluppo dell’elemento rivoluzionario in seno alla società feudale che s’andava sfasciando1 […]. la grande industria ha creato quel mercato mondiale che la scoperta dell’america aveva preparato. Il mercato mondiale ha dato un immenso sviluppo al commercio, alla navigazione, alle comunicazioni via terra. […] e in quella stessa misura in cui si sono andati estendendo l’industria, il commercio, la navigazione, le ferrovie, anche la borghesia si è sviluppata, ha aumentato i suoi capitali e sospinto nel retroscena tutte le classi, che erano un’eredità del Medioevo. Vediamo dunque come la stessa borghesia moderna sia il prodotto di un lungo processo di sviluppo, di una serie di sconvolgimenti nei modi della produzione e del traffico. K. Marx, f. engels, Manifesto del Partito comunista, editori riuniti, roma 1972 1. favorirono … sfasciando: gli autori alludono alla flessione del ruolo della rendita agraria, tipico della società feudale, in seguito alla mercantilizzazione dell’economia favorita dai traffici intercontinentali. Domande alla fonte 1. Quali sono le diverse fasi di sviluppo della borghesia individuate da Marx? 2. Da quale tipo di società si differenzia e si distanzia l’attivismo economico borghese?
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Manifesto pubblicitario dell’impresa statunitense Halstead & Co., che commerciava in carni affumicate per il mercato interno ed estero, stampa, 1886
Così pure, bisognava che non vi fossero più limiti alla produzione e allo scambio delle merci, quali quelli che tradizionalmente venivano imposti dalle corporazioni di arti e mestieri. Ciascuno doveva godere del diritto di avviare liberamente – posto che ne fosse capace – una qualsiasi attività imprenditoriale; sarebbero poi state le leggi “naturali” della libera concorrenza, della domanda e dell’offerta, a decretare il successo o il fallimento di ciascun imprenditore. era indispensabile, infine, che venissero rimossi i molti ostacoli frapposti alla circolazione delle merci da un luogo all’altro; per esempio i pedaggi di transito dai quali in varie parti d’europa aristocratici e altri gruppi privilegiati ricavavano parte delle loro rendite; ma anche i dazi doganali con i quali ogni stato cercava di tutelare la produzione del proprio paese dalla concorrenza dei prodotti esteri. Come abbiamo visto, tutte queste precondizioni per la crescita del moderno mercato si erano realizzate in Inghilterra già durante il Settecento. e anche nei nuovi Stati Uniti d’america esse erano divenute da subito realtà (v. capp. 10 e 11). la Rivoluzione francese, con la sua importante appendice napoleonica, fece sì che anche in gran parte dell’Europa continentale molti dei tradizionali ostacoli giuridici sopra ricordati venissero meno. al tempo stesso, l’abolizione dei privilegi dell’aristocrazia e del clero – corpi scarsamente orientati alla ricerca del profitto e poco sensibili al tema della produzione – facilitò la strada dell’affermazione sociale a tutti coloro che intendevano dimostrare il proprio valore e le proprie capacità individuali impegnandosi nella sfera economica, ovvero in attività connesse alla produzione, al commercio, al credito; le stesse che i vecchi corpi privilegiati avevano considerato disonorevole esercitare. L’arricchimento e il conseguimento del profitto si affermarono come valori in sé. L’industrializzazione inglese (1750-1850) SCOZIA
Dundee
Stirling Glasgow
Edimburgo Berwick
TRASPORTI Ayr
Principali canali (1760-1830) Ferrovie (1825-1836)
Carlisle Port Patrick
Principali porti
ESPANSIONE URBANA Città con oltre 100 000 abitanti (1850)
IRLANDA
Dublino
INDUSTRIE TRADIZIONALI Industria tessile della lana Piccola metallurgia a legna Altiforni a coke (1800) Bacini carboniferi
INDUSTRIE MODERNE Industrie metallurgiche o meccaniche Industrie tessili (lanifici) Industrie tessili (cotonifici)
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Lancaster
mar d’Irlanda
Città in espansione
Whitehaven Darlington
Holyhead
Preston Liverpool Chester
Newcastle Sunderland Stockton
York Bradford Leeds Halifax Manchester Sheffield Derby
mare del Nord
Hull Grimsby
Nottingham
Boston Norwich Great Lynn Leicester Yarmouth Birmingham Cambridge GALLES Coventry Worcester Warwick Colchester Harwich INGHILTERRA Merthyr Gloucester Oxford Londra Bristol Milford Haven Swansea Cardiff Guildford Bath Salisbury Dover Southampton FRANCIA Brighton Exeter Weymouth canale della Manica Plymouth Falmouth Shrewsbury
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
20.2 Lo sviluppo industriale Il primato inglese
l’affermazione del mercato e della borghesia coincise, nell’europa dell’ottocento, con l’avvio dell’industrializzazione anche in alcuni dei paesi che – diversamente dall’Inghilterra – fino a quel momento non l’avevano conosciuta, o ne erano stati appena sfiorati. Per questo i primi decenni di quel secolo sono stati talvolta definiti come il periodo della “emulazione continentale”. essa consistette nel tentativo di seguire l’esempio inglese; di costruire, dunque, una società borghese e capitalista al cui interno l’industria svolgesse un ruolo nevralgico. ancora per tutti i primi tre quarti del secolo, infatti, l’Inghilterra rimase incontestabilmente ai vertici dello sviluppo economico. a quella data nell’isola si estraevano ben i due terzi della produzione mondiale di carbon fossile, il combustibile necessario tanto per azionare le macchine a vapore quanto per realizzare la maggior parte delle leghe metalliche prodotte dall’industria pesante. sulla base di queste precondizioni, il primato inglese risultava inattaccabile. dalle fabbriche dell’isola usciva infatti il 50% di tutto il ferro e di tutti i tessuti di cotone prodotti nel mondo. ancora vent’anni dopo, nel 1870, il regno Unito fabbricava oltre la metà della ghisa mondiale; cinque volte più della francia, che contava a quell’epoca il doppio degli abitanti, quattro volte più della germania, tre volte e mezzo più degli stati Uniti. I viaggiatori che dal continente raggiungevano l’isola continuavano, ancora a fine secolo così com’era accaduto nei decenni precedenti, ad avere l’impressione di trovarsi davvero in un altro mondo.
L’interno di un ricco appartamento borghese, XIX secolo
Nuovi paesi industrializzati e nuova ricchezza
Per i paesi che si stavano via via industrializzando il ritardo da colmare restava immenso. Intorno al 1850, riuscirono nell’impresa di rimontarlo, almeno in parte, alcuni paesi del continente che disponevano dei maggiori giacimenti di carbon fossile: la Francia, il Belgio, alcune aree della Germania; fuori dell’europa, gli Stati Uniti. Costituì un’eccezione la Svizzera, che costruì la propria industrializzazione facendo leva sulle imponenti riserve di energia idrica. disporre di una simile ricchezza naturale (il carbon fossile) consentì agli imprenditori di quei paesi di arrivare a realizzare quel sistema della grande fabbrica, senza il quale non era ormai possibile concorrere in modo efficace sulla scena del mercato mondiale. al tempo stesso cominciò a risultare evidente che nei paesi in cui la moderna produzione per il mercato – tesa al conseguimento di grandi profitti – si stava affermando a scapito di orientamenti economici più tradizionali, il reddito della popolazione tendeva a salire. nel 1860 il reddito pro capite inglese era il più alto d’europa (e, probabilmente, del mondo): esso ammontava a circa una volta e mezzo quello francese e a poco meno di tre volte quello tedesco; gli altri paesi europei seguivano a grande distanza. soprattutto cominciava a diventare drammaticamente evidente lo scarto tra la media dei redditi pro capite dell’Occidente industriale e quella del resto del mondo. se nel 1820 il rapporto era ancora “solo” di tre a uno, un secolo più tardi esso sarebbe divenuto di ben dieci a uno. dove l’industria era più progredita, la società si faceva insomma decisamente più ricca e più generosa per tutti; a ciascuno, indipendentemente dalla propria collocazione sociale, era dato di fruire di una maggiore quantità di beni e di servizi e di godere perciò di maggiore benessere.
Storiografia T. Kemp, L’industrializzazione in Inghilterra e in Europa
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La lenta affermazione del sistema di fabbrica
Manifesto pubblicitario delle officine della fabbrica di prodotti in ferro Carré di Parigi, stampa, 1850 circa
la crescita generalizzata della ricchezza rappresentava un fatto nuovo, dal momento che durante il primo cinquantennio della rivoluzione industriale, in Inghilterra, da un lato il reddito dei lavoratori manuali si era mantenuto stabile, dall’altro le loro condizioni di lavoro erano peggiorate a causa della durezza del sistema di fabbrica. Il passaggio dal mondo della produzione manifatturiera e della lavorazione a domicilio – eseguite perlopiù con macchine rudimentali e sfruttando prevalentemente l’energia idrica o quella di un combustibile vegetale come il legno – a quello della fabbrica – contraddistinta dall’impiego di macchinari complessi e dall’uso di combustibile minerale – poté dirsi davvero avviato sia in parte dell’europa continentale sia negli stati Uniti solo nel corso degli anni Cinquanta. l’Inghilterra, come abbiamo visto, restava saldamente al vertice; ma, osservando a fondo pagina le tabelle 1, 2, 3, si può notare come anche altri paesi si stessero muovendo, per quanto lentamente, per seguirne l’esempio. se si analizza con attenzione la tabella 3, ci si accorge tuttavia che per molti anni l’introduzione delle nuove tecniche di produzione non comportò l’eliminazione di quelle tradizionali. al contrario, contribuendo all’estensione del mercato, le prime consentirono alle seconde di ricavare transitoriamente nuova linfa per il proprio sviluppo. fu tra il 1860 e il 1865, in seguito all’adozione della dottrina economica liberista da parte di quasi tutti i governi continentali (non però da parte degli stati Uniti), che la “vecchia” industria dovette cedere quasi ovunque il passo alla nuova, basata sul sistema di fabbrica e sulle moderne tecnologie. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - L’industrializzazione nel mondo occidentale alla fine del XIX secolo forte svILuppo
modesto svILuppo
Austria Italia Spagna Russia Norvegia Finlandia
Inghilterra Stati Uniti Belgio Svizzera Francia Germania Svezia
1840
1855
1900
1870
Gran Bretagna
500
Francia
90
900
2000
Germania
40
600
1800
Impero austriaco
30
580
1180
Tabella 2 Macchine a vapore in esercizio (in migliaia di cavalli vapore)
1834
1861
Gran Bretagna
10 000 18 000 31 000
Stati Uniti
1400
5500
11 500
Francia
2500
4500
5500
Germania
626
900
2235
4300
ANNo
1834 c*
1852
1861
l**
c
l
c
l
Francia 49
246
176
230
582
316
Prussia 9
87
33
99
299
96
*c = carbon coke o misto **l = carbone di legna Tabella 3 Sostituzione del combustibile minerale a quello vegetale nella fusione del ferro (produzione in migliaia di tonnellate metriche)
Fonte: adattamento da D. S. Landes, Prometeo liberato, Einaudi, Torino 1993
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1852
Tabella 1 Numero di fusi attivi nell’industria cotoniera (in migliaia)
Grado di sviluppo industriale nel 1870 ANNo
ANNo
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l’abbassamento dei dazi doganali, che avevano fino a quel momento protetto le produzioni realizzate in modo tradizionale, le espose infatti di colpo a una concorrenza che la maggior parte di esse non fu in grado di sostenere. Lo sviluppo della rete ferroviaria
Un effetto analogo, ancora più marcato sul lungo periodo, fu prodotto dallo sviluppo delle ferrovie. l’uso della macchina a vapore per la locomozione e per il trasporto era stato tentato per la prima volta negli stati Uniti nel 1807 nella navigazione. l’Inghilterra ne aveva seguito l’esempio nel 1812, ed esperimenti dello stesso tipo erano stati realizzati in varie parti d’europa, anche in Italia, dove già negli anni Venti il battello a vapore eridano – di proprietà di due protagonisti del risorgimento, federico Confalonieri e luigi Porro lambertenghi, editori del periodico liberale “Il Conciliatore” – si muoveva da una sponda all’altra del lago Maggiore. fu però l’applicazione del vapore ai treni a produrre un profondo cambiamento nel trasporto di uomini e merci. essa venne avviata in Gran Bretagna a partire dal 1829, anno dell’apertura della linea Manchester-Liverpool. In Italia, alla fine degli anni trenta, fu inaugurata la prima ferrovia lungo la linea napoli-Portici, ma nella penisola prima dell’unificazione nazionale lo sviluppo del sistema ferroviario rimase comunque assai modesto rispetto a quello dei paesi più avanzati.
L’ingresso di un tunnel ferroviario nei pressi di Bath, illustrazione, XIX secolo
Lo sviluppo delle ferrovie in Europa tra il 1840 e il 1880
mare del Nord
mar Baltico
oceano Atlantico
RETE FERROVIARIA nel 1840 nel 1850 nel 1880
mar Mediterraneo
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lungo le linee ferroviarie, a qualche anno dall’inaugurazione, si cominciò a viaggiare a una velocità media di sessanta chilometri all’ora e a costi molto più contenuti di quelli pretesi dai precedenti sistemi di trasporto. Per la prima volta fu possibile inviare beni di massa a grande distanza. Il moderno mercato poté così ampliare enormemente il proprio spettro di diffusione, e investire aree e regioni fino ad allora difficilmente raggiungibili dal commercio e dalla concorrenza, e che per questo tendevano a conservare i sistemi tradizionali di lavorazione. le imprese ferroviarie attivarono un’ulteriore serie di fenomeni che contribuì a rinforzare le strutture portanti della moderna società industriale. la loro realizzazione comportò infatti una crescita vigorosa della domanda di ferro e diede impulso decisivo all’intero settore dell’industria metallurgica e meccanica. fu soprattutto con questo settore – a differenza che in Inghilterra, dove la rivoluzione industriale si era manifestata inizialmente nell’ambito della lavorazione del cotone – che venne identificandosi il profilo dell’emergente industria continentale. Ma le conseguenze non si fermarono qui. Industria, credito e finanza LESSICO Società per azioni Ente dotato di personalità giuridica e quindi autonomo rispetto alle persone proprietarie. Le azioni sono le quote di proprietà sociale che ciascuno di essi detiene. Ogni anno la società divide le quote di profitto, i dividendi, tra tutti i soci azionari. Borse Le Borse valori sono i mercati dove si scambiano le azioni delle grandi compagnie commerciali e i titoli di Stato. Sorte nel XV secolo, si diffusero nella seconda metà del XIX secolo grazie alla crescente richiesta di ingenti capitali. Il termine “borsa”, probabilmente, si riferisce allo stemma di una famiglia fiamminga, nel quale erano presenti tre borse, che campeggiava su un palazzo della piazza di Bruges dove già nel XV secolo si riunivano i mercanti italiani per trattare i loro affari. Obbligazioni Titoli con i quali, soprattutto gli Stati ma a volte anche le aziende, si impegnano alla corresponsione a chi li acquista di un interesse annuo, oltre che alla restituzione totale della somma entro un termine stabilito. Gli Stati emettono obbligazioni per finanziare il proprio debito pubblico.
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la costruzione delle ferrovie richiedeva una disponibilità di capitali da investire del tutto incommensurabile rispetto a qualsiasi iniziativa imprenditoriale precedente. Per costruire una linea ferroviaria, e per renderla operativa, un singolo imprenditore, per quanto ricco, non poteva bastare. Per rastrellare le risorse necessarie si costituirono – a partire dagli anni Trenta – società per azioni, formate da decine di detentori di capitali. Queste, a loro volta, ricorsero ai servizi delle banche, che assunsero allora per la prima volta la funzione che conservano, in larga parte, ancora adesso: assorbire il denaro dei piccoli risparmiatori allo scopo di anticipare il credito necessario al finanziamento di operazioni economiche di vasta scala e di redditività non immediata. Iniziò così quell’alleanza dell’industria con i ceti finanziari che, con il tempo, divenne sempre più decisiva. In tal modo una porzione crescente della popolazione, formata non solo dagli imprenditori, ma anche dalla gente comune, finì per risultare coinvolta nello sviluppo del sistema industriale. Il buon successo o viceversa la cattiva sorte degli investimenti avevano infatti ricadute immediate anche nelle tasche dei piccoli prestatori di capitale, che ne ricavavano tassi di interesse variabili a seconda dell’andamento del mercato. Un meccanismo analogo si dispiegò nel frattempo anche nelle Borse, dove si effettuava – come del resto avviene ancora oggi – la contrattazione e la fissazione del valore dei titoli azionari (relativi alle imprese) e obbligazionari (attinenti al debito pubblico di ogni stato). Cominciarono infatti a investirvi i propri capitali anche i titolari di modeste somme di denaro, acquistando quote delle società per azioni che, sorte inizialmente per finanziare le imprese ferroviarie, in breve tempo estesero il proprio ambito di attività anche ad altri generi di investimento su larga scala. I capitani di industria – i rappresentanti più emblematici della borghesia ottocentesca – costituivano dunque una porzione esigua della popolazione di ogni paese, dal più al meno industrializzato; ma ovunque i loro rischi di impresa venivano di fatto condivisi da uno strato più ampio della società, formato da persone che nell’affermazione della borghesia industriale si abituarono a riconoscere un fattore importante per la propria fortuna personale.
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
I locali della Borsa di Londra (Royal Exchange), stampa, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale)
La nascita del ceto medio
lo strato sociale di cui abbiamo appena parlato cominciò durante questi decenni a essere definito “ceto medio” e rappresentò la parte preponderante della borghesia ottocentesca. tra i suoi componenti c’erano proprietari di terre o di immobili, professionisti (avvocati, medici, ingegneri, notai, geometri, ragionieri, giornalisti, docenti universitari), impiegati pubblici e privati, commercianti, tecnici al servizio delle industrie o comunque delle imprese. erano figure radicate tanto in città quanto in campagna, le quali non esercitavano il lavoro manuale (svolto da contadini, artigiani, operai) e aspiravano a godere pienamente dei benefici offerti dall’espansione del mercato, identificandosi in quei valori dell’arricchimento e del profitto individuali ai quali la crescita della società borghese e industriale conferiva grande rilievo. Il ceto medio costituiva anch’esso uno strato ristretto della popolazione, valutabile ancora alla fine del secolo in poche unità percentuali; ma era anche una condizione alla quale teoricamente tutti potevano pervenire, facendo leva sull’applicazione e sull’impegno personali. esso rappresentava perciò in un certo senso la prova vivente della spinta all’emancipazione caratteristica della società borghese, considerata come società fluida, aperta alla mobilità sociale. In altre parole: aristocratici si nasceva, e su questo principio si era basata l’europa d’antico regime, borghesi, invece, si poteva comunque diventare, a prescindere dalla nascita. Questa fu la dottrina del self help della quale i gruppi dominanti della società industriale ottocentesca fecero il proprio emblema, sforzandosi di renderne consapevoli e persuasi gli strati subalterni. ancora verso la fine dell’epoca che stiamo considerando, tuttavia, la società borghese continuava a rappresentare nella maggior parte dell’europa più una tendenza che una realtà stabilmente consolidata. «Quanto più ad est si procede in europa – ha scritto a questo proposito lo storico david landes – tanto più la borghesia assume l’aspetto di una escrescenza estranea a una società di tipo feudale, di un gruppo a parte disprezzato dalla nobiltà e temuto ed odiato (o ignorato) dai contadini, ancora legati personalmente al signore locale». Considerazioni simili potevano essere svolte per molte aree del sud del continente, compresa parte della stessa penisola italiana.
Storiografia D. S. Landes, Come si diventa banchiere
LESSICO Self help Letteralmente “aiuta te stesso” è un’espressione inglese divenuta celebre in seguito all’opera del 1859 di Samuel Smiles dallo stesso titolo. In essa l’autore presenta le storie esemplari di uomini di umili origini che “si sono fatti da soli”, raggiungendo i vertici della scala sociale. Questo testo divenne il simbolo dell’ideologia borghese.
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Andrej Jakovlevicˇ, Il the, 1851 (Leningrado, Museo dello Stato russo)
20.3 La classe operaia e la nascita del socialismo La formazione del proletariato industriale
LESSICO Classe Dalla seconda metà del Settecento, questo termine viene utilizzato in riferimento ai gruppi sociali per indicarne la collocazione all’interno della società in base alla loro posizione nel processo produttivo. Della classe, dunque, si sottolinea soprattutto la connotazione economica, mentre con i termini “ceto” o “stato”, utilizzati nell’antico regime, si designava prevalentemente la condizione giuridica e il prestigio sociale a questa connesso. Alienato Dal latino alienus, “di altri, estraneo”. Nel linguaggio marxista è la condizione dei lavoratori nel processo di produzione capitalistica: essi sono estraniati da sé e non si riconoscono nell’attività lavorativa che svolgono.
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la società borghese e industriale si rivelò presto una società densa di conflitti tra gruppi egemoni e gruppi subalterni. la borghesia, a partire dagli anni Cinquanta fu impegnata soprattutto nel tentativo di disciplinare la classe operaia, che mostrava crescente insofferenza nei confronti delle regole imposte dal sistema di fabbrica. fino alla metà dell’ottocento – argomentavano a questo proposito Marx ed engels – la borghesia era stata una classe rivoluzionaria che aveva permesso una crescita imponente delle forze produttive. tuttavia il progresso materiale era stato accompagnato da importanti cambiamenti sociali: come già si è accennato, la crescente divisione del lavoro aveva completamente dequalificato la professionalità dei lavoratori, obbligati a compiere azioni ripetitive e alienanti. non solo, essa aveva favorito lo sfruttamento di donne e bambini che venivano pagati con salari molto bassi. Inoltre il massiccio afflusso di lavoratori nelle città industriali aveva causato gravi problemi urbanistici: gli operai venivano ammassati in quartieri malsani nei quali regnavano fame, sporcizia e malattie. tutti questi fattori contribuirono al consolidamento di una nuova classe sociale, quella del proletariato industriale, destinato a farsi a sua volta portatore di una forte istanza di mutamento della società. la borghesia industriale ottocentesca cominciò a subire contestazioni da parte della classe operaia prima ancora di aver definitivamente vinto la propria battaglia contro le forze economiche e sociali del passato. nell’europa che stava diventando borghese non tutti si riconoscevano nei nuovi valori e nei nuovi principi che lo sviluppo della società industriale veniva proponendo. subito si affacciò alla ribalta chi voleva contrapporne di diversi: al culto dell’individuo e della proprietà privata, per esempio, quello della collettività e della proprietà socializzata; alla forza del capitale quella del lavoro salariato, alla “naturale” disuguaglianza delle fortune e dei redditi il livellamento delle condizioni sociali. di questi obiettivi si fece interprete soprattutto il movimento socialista.
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
La nascita del pensiero socialista
già nei primi decenni dell’Ottocento alcuni borghesi illuminati avevano iniziato a riflettere sugli effetti negativi dell’industrializzazione, manifestando la necessità di un profondo mutamento sociale che eliminasse sfruttamento e miseria. spesso questi primi socialisti, che Marx chiamò successivamente “utopisti”, individuavano nella collaborazione tra imprenditori e operai la possibilità di un’equa redistribuzione delle ricchezze. la stretta collaborazione tra capitale e lavoro è infatti la premessa della nuova società teorizzata da Claude-henri de Saint-Simon (1760-1825): in essa il potere doveva essere in mano agli scienziati che, attraverso una rigorosa organizzazione scientifica del lavoro fondata sul primato dell’interesse sociale, avrebbero elevato le condizioni morali e materiali delle classi meno abbienti. saint-simon non si spingeva però fino a un’esplicita critica della proprietà privata come fecero invece robert Owen (1771-1858) e Charles Fourier (17721837). owen, proprietario di una grande fabbrica tessile a new lanark in scozia, fu uno dei primi pensatori a usare il termine “socialismo”. Convinto che l’individuo sia il prodotto dell’ambiente sociale in cui vive, egli riteneva che il miglioramento dei meccanismi su cui si fondava la società industrializzata avrebbe contribuito al superamento del degrado morale e materiale in cui vivevano i lavoratori e alla realizzazione di una società più equa. egli cercò di realizzare le sue idee trasformando il suo cotonificio in un’azienda modello: pagò agli operai salari più alti, fissò orari di lavoro meno duri, migliorò le condizioni igieniche e sanitarie degli alloggi dei lavoratori e istituì scuole per i bambini. anche l’economista francese Charles Fourier cercò di realizzare un modello di utopia comunitaria nei cosiddetti falansteri: persone che decidevano di vivere insieme in edifici con servizi comuni. Il falansterio, nel quale ciascuno avrebbe dovuto scegliere il proprio lavoro liberamente in base alla sua specializzazione e alla sua disposizione d’animo, doveva diventare un’unità produttiva autonoma, in grado non solo di provvedere ai bisogni di tutti grazie all’armonica collaborazione dei suoi membri, ma anche di realizzare la felicità pubblica.
Fonte L. Blanc, Le fabbriche sociali
LESSICO Socialismo Il termine socialisme fu coniato in Francia nel 1831 (dal francese social, “sociale”). È l’ideologia che mira a favorire la trasformazione della società liberal-borghese, rendendola quanto più possibile egualitaria non solo sul piano giuridico, ma anche su quello economico-sociale.
Un cotonificio inglese con ragazze al lavoro
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Constantin Meunier, Fabbrica di mattoni, 1870 (Bruxelles, Musei Reali)
Storiografia K. Marx, Il plusvalore
Intervista impossibile a Karl Marx, p. 520
a partire dalla fine degli anni Quaranta cominciò a imporsi il “socialismo scientifico” di Karl Marx che non riteneva di poter affidare il cambiamento sociale a singole azioni di riforma e alla solidarietà tra le classi. egli interpretava infatti il processo storico come il risultato di lotte di classe. Come la società capitalistica si era affermata in seguito alle rivoluzioni “borghesi” in francia e in america, che avevano abbattuto l’aristocrazia e il mondo dell’antico regime, allo stesso modo, nel nuovo contesto sociale dello sviluppo industriale, diventava necessaria una nuova rivoluzione che abbattesse la borghesia e portasse al potere il proletariato. nella nuova società sarebbero state abolite le istituzioni borghesi dello Stato e della proprietà privata e con esse la contrapposizione tra le classi. Le organizzazioni proletarie e la nascita dell’Internazionale
LESSICO Sindacato Il termine deriva dal francese syndical (a sua volta dal greco s´yndikos composto da syn, “con” e díke “giustizia”) ed era attribuito a ciò che era “fatto dalla comunità”, in opposizione alle azioni private. Nell’Ottocento il termine si riferisce alle associazioni di lavoratori nate per tutelare i loro diritti e interessi economici e sociali.
Fonte La Carta del popolo
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negli stessi anni in cui nascevano le prime teorie socialiste, in Inghilterra erano sorte organizzazioni operaie che spesso assunsero la forma di Società di mutuo soccorso, ossia di gruppi di lavoratori che, in analogia alle antiche corporazioni artigiane, si prestavano reciproca assistenza. attraverso le quote di associazione venivano infatti costituiti dei fondi di indennità per i lavoratori rimasti disoccupati o in difficoltà. Presto queste associazioni avanzarono anche rivendicazioni nei confronti degli imprenditori, assumendo generalmente il nome di Trade Unions, le prime forme di sindacato. negli anni trenta e Quaranta esse portarono avanti anche istanze politiche come la richiesta del suffragio universale, visto come il mezzo più idoneo per portare all’attenzione del governo i problemi dei lavoratori. la prima di queste associazioni di lavoratori fautrice di istanze anche politiche fu il movimento cartista, il cui nome deriva dalla “Carta del popolo” redatta a londra nel 1838. In essa si rivendicavano il suffragio universale, la segretezza del voto e uno stipendio per i parlamentari. Il programma cartista non ebbe però successi concreti e in seguito al suo fallimento, nei decenni successivi le Trade Unions abbandonarono il piano politico rivolgendosi invece prevalentemente a rivendicazioni di carattere economico-sociale. le loro battaglie miravano a ottenere aumenti salariali, la giornata lavorativa di dieci ore e la regolamentazione del lavoro minorile in fabbrica. nel 1868 si celebrò
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
il primo congresso nazionale delle Trade Unions, che riuniva i delegati di tutti i maggiori sindacati e che fu il punto di riferimento per il costituirsi dei successivi movimenti operai inglesi. Proprio in seguito alla pressione esercitata dai movimenti operai, nel corso dell’ottocento comparvero le prime iniziative di legislazione sociale, volte a migliorare le condizioni di lavoro e a regolamentare il lavoro minorile. nel 1831 una legge inglese vietò il lavoro notturno per i minorenni e l’assunzione di bambini con un’età inferiore ai nove anni; nel 1844 sempre in Inghilterra la giornata lavorativa di donne e bambini venne ridotta a dodici ore. a partire dagli anni Cinquanta le associazioni dei lavoratori cominciarono a diffondersi anche al di fuori dell’Inghilterra. Per questo, su iniziativa di Karl Marx, nel settembre 1864 fu fondata a Londra un’associazione internazionale volta a coordinare le organizzazioni di tutti i movimenti di ispirazione socialista. essa divenne nota come la prima Internazionale. Vi presero parte soprattutto delegazioni di operai inglesi e francesi, ma anche gruppi socialisti provenienti da altri paesi come i mazziniani e gli anarchici legati a Michail bakunin.
LESSICO Anarchici Il termine “anarchia” deriva dal greco: a(n), “non” e arké, “potere”. Gli anarchici sono coloro che teorizzano una società senza Stato, ritenendola la sola in grado di salvaguardare la libertà originaria degli individui. L’anarchismo di matrice bakuniana respinge l’idea di una organizzazione centralizzata e promuove l’azione spontanea delle masse per sovvertire l’ordine costituito e fondare gruppi autonomi di produttori. Approfondire Il movimento anarchico e il fallimento della prima Internazionale
20.4 I retaggi del passato Il mondo della campagna
accanto al mondo dell’industria, del mercato, della borghesia, almeno fino agli anni settanta continuava a risultare predominante quello della campagna, dell’agricoltura, dell’aristocrazia. si trattava di un mondo soltanto in parte lambito dal vento nuovo della modernità (per esempio per quanto riguardava la tecnologia e il connubio tra scienza e produzione), ma nelle sue strutture profonde contraddistinto da uno spirito profondamente conservatore e assolutamente refrattario agli ideali della società borghese. Jean-François Millet, L’Angelus, 1858-1859 (Parigi, Museo d’Orsay)
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
James Tissot, Recandosi agli affari, 1879 circa (Collezione privata)
nel 1851 in Inghilterra soltanto un quarto dei lavoratori era occupato nell’agricoltura. In belgio invece – all’epoca il paese più industrializzato dell’europa continentale – la percentuale relativa si attestava ancora attorno al 50%. In germania per scendere a quei livelli sarebbero occorsi ancora venticinque anni; in francia ancora oltre mezzo secolo. nel 1851 già metà della popolazione inglese viveva in centri urbani; in francia e in germania si scendeva invece a un quarto; e in altri paesi – compresa l’Italia – la percentuale era ancora più bassa. Con l’eccezione dell’isola britannica dunque, a lungo l’Europa continuò a mostrarsi come un mondo di proprietari terrieri e di contadini. e dovunque la campagna continuava a conservare un ruolo preminente, l’aristocrazia contendeva con successo alla borghesia la palma di gruppo egemone della società. sebbene le loro proprietà venissero sensibilmente decrescendo durante i decenni tra l’inizio dell’ottocento e gli anni settanta, quasi ovunque i nobili costituirono ancora il gruppo dominante del mondo agrario; un mondo che, a dispetto dei progressi della società industriale, conservava ancora nel continente un rilievo cospicuo. Il prestigio della nobiltà
LESSICO Sangue blu Espressione di origine spagnola, usata dai nobili castigliani per sottolineare l’assenza di contaminazione del loro sangue con quello dei mori e degli ebrei. L’uso dell’espressione si è poi esteso a tutte le lingue europee, per designare la nobiltà, i cui membri vanterebbero, tra le caratteristiche qualificanti la loro superiorità rispetto ai non nobili, la carnagione chiara, atta a evidenziare esteriormente il colore delle vene.
La sala da pranzo di un’agiata famiglia inglese, XIX secolo (Harrogate, Art Gallery)
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Il perdurante rilievo dell’aristocrazia nei primi tre quarti dell’ottocento non si misurava soltanto sulla base del suo predominio in ambito agrario. dopo l’età napoleonica molti di coloro che ricoprivano le più alte cariche in ciascuno degli Stati europei – sia in ambito civile e diplomatico sia in ambito militare – erano spesso di origine nobiliare, al punto che si poteva addirittura avere l’impressione di trovarsi davanti a una vera e propria restaurazione dell’antico regime. Questa tendenza al protagonismo dell’aristocrazia nelle cariche pubbliche si affievolì sensibilmente a partire dagli anni Cinquanta, subito dopo la grande tempesta rivoluzionaria del 1848 (v. cap. 16, par. 16.3). tuttavia, il prestigio degli aristocratici, di coloro che potevano vantarsi di avere nelle vene “sangue blu”, continuò a restare altissimo anche ben oltre quella data. tra gli artefici della nuova europa borghese e industriale, per esempio, non mancarono coloro che, una volta fatta fortuna, adottarono uno stile di vita che imitava quello aristocratico, ritirandosi dagli affari e investendo i profitti realizzati nell’acquisto di terre, con l’aspettativa di condurre un’esistenza basata sul godimento della rendita.
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
In un’epoca in cui andavano sorgendo ovunque le grandi città moderne con caseggiati che raccoglievano centinaia di persone e quartieri che sempre di più concentravano intere categorie di lavoratori e di operai delle grandi fabbriche che andavano via via crescendo, ci fu addirittura chi si fece costruire in campagna castelli in stile gotico, a imitazione di quelli dell’antica aristocrazia di tradizioni militari. e non pochi esponenti della borghesia industriale chiesero e ottennero dai sovrani del proprio paese un titolo nobiliare.
Il laboratorio dello storico La nascita della città moderna p. 522
Il “potere dell’antico regime”
dal momento che molte nuove ricerche hanno documentato quanto profonda sia rimasta l’impronta aristocratica nel secolo del “trionfo della borghesia”, c’è stato chi, come lo storico statunitense arno Mayer, ha addirittura proposto di considerare l’ottocento come un secolo ancora fondamentalmente collegato ai valori dell’antico regime. e molti poi hanno seguito la sua scia. Ma, per tanti versi, quella continuità è più apparente che reale. se è vero, infatti, che l’aristocrazia ottocentesca era formata in parte dalle stesse famiglie che già disponevano di un titolo nobiliare prima della rivoluzione francese, bisogna però considerare che nell’ottocento il titolo nobiliare non diede in genere più diritto al godimento dei privilegi legali e fiscali. e questa tendenza si accentuò nettamente dopo il 1848 anche nell’europa dell’est (Prussia, Polonia, Ungheria, russia), dove fino a quel momento la società aveva conservato un carattere spiccatamente feudale e antiborghese. allo stesso modo, la grande importanza che la società europea dell’ottocento continuò ad attribuire al possesso della terra non era da considerare necessariamente come un segno di arretratezza e di attaccamento al passato. fino agli anni settanta, la proprietà fondiaria consentì infatti il ricavo di notevoli profitti, talvolta ancora maggiori di quelli derivanti dagli investimenti industriali, creditizi, commerciali. Per questo accadeva che molti borghesi investissero nelle terre, spesso introducendovi innovazioni agronomiche, tecnologiche e contrattuali tese a trasformare in un certo senso l’agricoltura in industria. non mancarono, peraltro, anche casi inversi, esempi cioè di aristocratici che al contrario decidevano di dedicarsi prevalentemente ad attività industriali o finanziarie. In conclusione: se è vero che fino agli anni settanta i maggiori patrimoni delle società europee continuarono a essere posseduti e gestiti da individui che portavano il titolo di conte, di barone, di marchese e che discendevano da casati di illustri e antiche tradizioni, ciò rappresentò più il tardivo riverbero di una situazione precedente che la prova di una sopravvivenza o addirittura di una rinascita dell’antico regime.
Mary Cassatt, All’opera, 1880 (Boston, Museum of Fine Arts)
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D Marx, la Sua famiglia l’aveva destinata a raccogliere la tradizione giuridica che si coltivava in casa. Lei avrebbe dovuto diventare avvocato, come suo padre, ma la sua vita ha preso tutta un’altra piega. Come mai?
r Sì, mio padre avrebbe auspicato per me, terzogenito di nove figli, una carriera simile alla sua. Mio padre e mia madre erano entrambi ebrei, e dunque lo sono anch’io, ma quando avevo sei anni mio padre decise di convertirsi al luteranesimo, e noi tutti dovemmo farlo di riflesso. Era un uomo di idee liberali, ma coltivava un sogno di sicurezza e di riconoscimento sociale che talvolta lo spingeva ad abbracciare posizioni conformistiche. Io feci ciò che facevano tanti ragazzi della mia generazione: il figlio ribelle. Così, da studente alle università di Bonn e di Berlino, mi legai ai gruppi progressisti e cominciai a scrivere articoli filosofici e politici sui periodici fondati e diretti da Arnold Ruge, che era allora il punto di riferimento della gioventù radicale tedesca, desiderosa di liberarsi dall’assolutismo. Poi feci la conoscenza del rivoluzionario russo Michail Bakunin e di Friedrich Engels, figlio di un industriale e industriale anch’egli, e tuttavia animato da idee comuniste. Quando entrai nell’agone politico, il movimento comunista esisteva già. Io, insieme a Engels, cercai di dargli una fisionomia più rigorosa e di costruire una teoria che ne dimostrasse scientificamente la bontà. A questo fine ho dedicato tutte le mie energie.
D Sempre in Germania? r No. Sono stato costretto a lasciare presto
Intervista impossibile - 5 domande a
Karl
Marx
la Germania. Intorno ai vent’anni ero a Parigi, dove alternavo la mia attività di giornalista con le polemiche contro i socialisti francesi, che io ritenevo degli utopisti. Nel frattempo, appena diciannovenne, mi ero sposato e avevo messo su famiglia. Vivevamo sommersi dai debiti; un’esperienza amara per
lavoro schiavile, l’aristocrazia del Medio- D Marx, ad La mia aspirazione evo e dell’età moderna aveva dal canto ascoltarle oggi era contribuire alla suo dato vita al feudalesimo, un sistema le sue parole economico fondato sullo sfruttamento del suonano costruzione di una lavoro contadino. Ma nell’Europa dell’Ot- anacronistiche, società giusta e tocento la società aristocratica soprattutto umanitaria. I regimi era ormai tramontata. Era arri- perché molti vato il tempo della borghesia e dei sistemi che si sono ispirati del sistema industriale e capi- politici che nel alla mia dottrina talistico, il cui fondamento è corso del hanno mancato costituito dallo sfruttamento Novecento si del lavoro operaio. Nella mia sono rifatti alle questo obiettivo idea sarebbe presto arrivato il Sue idee, tempo dell’abbattimento del dichiarando il capitalismo. Il proletariato – gli proprio carattere alternativo rispetto operai di fabbrica – avrebbe al mondo borghese e capitalistico fatto la rivoluzione, cancellato il occidentale, qualche decennio fa dominio della borghesia, aboli- sono crollati, senza lasciare grandi to la proprietà privata e instau- rimpianti. E quelli che tuttora si rato il comunismo, cioè un si- dichiarano comunisti, come la Tornai in Germania nel 1848, al tempo del- stema in cui ciascuno avrebbe offerto un Cina, in realtà applicano ormai la rivoluzione, e scrissi con passione sulla contributo alla società sulla base delle poco o nulla del marxismo. Come Neue Rheinische Zeitung [“Nuova Gazzetta proprie capacità, ricevendone in cambio giudica la loro esperienza? renana”] di Colonia, perorando la causa di assistenza e tutela in relazione ai propri r Un conto sono gli ideali, un altro le un’alleanza politica tra gli operai e le frange bisogni. realizzazioni pratiche. La mia aspirapiù radicali della borghesia democratica, zione era quella di contribuire alla Oltre a teorizzare questo D ma la rivoluzione, a Colonia così come nelcostruzione di una società giusta e cambiamento nei suoi numerosi scritti, le altre città tedesche, naufragò. Tornai per umanitaria. I regimi che si sono ispiqualche tempo a Parigi e poi mi trasferii alla cui composizione si è dedicato rati alla mia dottrina hanno mancato con tutta la famiglia a Londra, dove sarei tanto prima quanto durante il lungo questo obiettivo. E, anzi, il mio soperiodo londinese, che cosa ha fatto, rimasto fino alla mia morte, nel 1883. Nel gno, nelle società del socialismo in concreto, per contribuire alla frattempo avevo scritto, nel 1847, insieme reale, si è spesso trasformato in a Engels – l’amico che ha provveduto per realizzazione di questo disegno? incubo e in orrore. La domanda decenni ad aiutarmi finanziariamente ogni r Nel 1864 sono stato tra i fondatori che ho posto a metà dell’Ottocenvolta che ne ho avuto bisogno – il Manife- della prima Internazionale, ma quell’espe- to, ben prima che il mio nome disto del Partito comunista; un pamphlet di rienza non ha avuto molta fortuna. ventasse così famoso come poi lo I miei dissidi con Baku- è stato durante il Novecento, resta poche decine di pagine nin sono stati una delle però attuale e inevasa: come si fa che però, con il tempo, è Sarebbe presto cause del fallimento. Gli a costruire una società giusta, diventato uno dei testi arrivato il tempo anarchici, di cui il russo oltre che libera? più letti al mondo. era il leader e che allora dell’abbattimento D Quali sono le tesi erano molto forti, pendel capitalismo. esposte in quello savano che la cosa più scritto? importante fosse aboliIl proletariato uno come me, abituato a un’esistenza agiata. Su richiesta del governo prussiano, che mi aveva classificato come un pericolo pubblico, nel 1845 quello francese mi espulse e fui costretto a rifugiarmi in Belgio.
r La principale è che il corso della storia umana è scandito dalla lotta tra le classi sociali, ciascuna delle quali, nel tempo, ha dato vita a un certo modello di civiltà e di vita economica e sociale. Così, se le classi dirigenti del mondo antico avevano costruito una società basata sul
avrebbe fatto la rivoluzione, cancellato il dominio della borghesia, abolito la proprietà privata e instaurato il comunismo
re lo Stato. Io credevo, invece, che quest’ultimo dovesse diventare lo strumento operativo per la dittatura del proletariato, che avrebbe portato con sé la costruzione di una società egualitaria. Solo a quel punto il genere umano avrebbe potuto fare a meno dello Stato.
Il laboratorio dello storico
La nascita della città moderna La città nuova
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Le metropoli, caratterizzate da imponenti e inedite concentrazioni di esseri umani, sono tra gli elementi più caratteristici dell’espansione della società borghese e industriale. Ancora all’inizio dell’Ottocento soltanto in due città d’Europa vivevano più di cinquecentomila abitanti: Londra e Parigi. Alla fine del secolo ben undici città, invece, avevano varcato la soglia del milione di abitanti. Che cosa differenzia le città ottocentesche da quelle dei secoli precedenti? Oltre all’imponente crescita della popolazione è da ricordare l’abbattimento delle cinte murarie, tradizionale simbolo, durante l’antico regime, della loro peculiarità giuridica, e ormai, prive di senso. Le metropoli della civiltà industriale sono infatti luoghi aperti all’affluenza; ad attrarre i nuovi venuti è la speranza di poter fruire di quel benessere e di quella opulenza che lo scenario cittadino mette in mostra a beneficio di chiunque vi penetri. Osserviamo una fotografia e una mappa. Una piazza parigina nel 1889
l’illuminazione a gas delle strade e dei luoghi pubblici (oltre, naturalmente, a quella delle dimore private) è forse l’emblema più caratteristico del passaggio dal mondo notturno delle tenebre – ancora tipico della campagna e delle città minori – a quello della luce artificiale, che pare avere l’effetto di prolungare il tempo: le metropoli dell’Ottocento sono città splendenti
Particolare di una pianta di Londra del 1889
Quella che ci si presenta qui, addensata in un fitto reticolo di strade e piazze, è una piccola parte della pianta di Londra disegnata nel 1889 dal sociologo inglese Charles booth I colori nei quali si esprime la gamma cromatica della pianta di Charles booth visualizzano un altro dei tratti tipici delle metropoli industrial-borghesi: la presenza al loro interno di quartieri popolati da strati sociali diversi e distanti gli uni dagli altri. Per esempio, quelle in giallo sono le strade più ricche della città 522
Questa parte della pianta rappresenta una porzione minima della superficie abitata della capitale nel periodo della rivoluzione industriale; una città che all’inizio dell’ottocento vantava già 950 000 abitanti, e che cinquant’anni più tardi è giunta ad averne 2 300 000. trent’anni dopo, nel 1880, toccherà quota 4 750 000
In nero sono rappresentati i quartieri “malfamati” della città
capItOlO 20 - Il trIONfO dElla bOrghESIa
Un città nella città: i quartieri malfamati In ogni città coesistono molte città. A questo tema ha dedicato un capitolo del suo libro Atlante del romanzo europeo 18001900 lo storico della letteratura Franco Moretti, mostrando il rapporto intrattenuto dai principali scrittori dell’epoca con i cangianti spazi metropolitani. Così, in Pelham, un romanzo della inglese Jane Austen (1775-1817), scrittrice incline soprattutto alla narrazione del mondo delle classi elevate, accade che la trama sospinga il protagonista a varcare inconsapevolmente il confine tra un quartiere e l’altro e a trovarsi di colpo immerso in una città che non gli pare più la sua. Cediamogli la parola:
sebbene l’inseguimento fosse cessato da tempo, continuai meccanicamente a correre, fin quando, stanco e sfiancato, fui costretto a fermarmi. Mi guardai attorno, ma non riconobbi nulla di familiare in quelle strade anguste e sudicie; perfino i loro nomi erano per me come parole in una lingua sconosciuta. J. austen, Pelham
Pelham, senza avvedersene, è giunto nelle strade popolate dalle cosiddette “classi pericolose”, le stesse la cui presenza è indicata in nero sulla mappa urbana di booth Qui l’illuminazione non è ancora arrivata e ci si muove a tentoni in mezzo a un’umanità derelitta, la stessa che nella migliore delle ipotesi spende la propria esistenza nelle fabbriche, ma che spesso forma la gran massa dei marginali, di chi è senza lavoro e vive perennemente al confine con il crimine
È un mondo che nella narrativa di Jane Austen fa appena qualche comparsa, ma che invece in quella di Charles Dickens gode di pieno diritto di cittadinanza letteraria:
Verso quella parte del tamigi dove si affaccia la chiesa di rotherhirthe, dove gli edifici lungo le rive sono più sporchi che mai, e i navigli dentro l’acqua più neri per via del carbone e del fumo di case appiccicate l’una all’altra coi loro tetti bassi, c’è il più sporco, il più strano, il più incredibile dei molti luoghi che sono nascosti qua e là per londra, ignoti in tutto, persino nel nome, alla gran massa dei suoi abitanti. Per raggiungere questo posto, il visitatore deve penetrare in un labirinto di viuzze strette e fangose, in cui si affolla la parte più rozza e più povera dei lavoratori del fiume.
Il carbone è il simbolo per eccellenza della trasformazione di Londra in città industriale, ma qui carbone sta soprattutto a indicare il colore nero. e quest’ultimo a sua volta è il simbolo di un degrado morale, oltre che di una sporcizia tutta materiale
a quest’epoca londra è ormai così differenziata e vasta che i suoi stessi cittadini assumono il ruolo di “visitatori” quando si recano in un quartiere diverso da quello in cui risiedono, a maggior ragione quando mettono piede in un quartiere malfamato
C. dickens, Oliver Twist
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è fatto uso di una certa varietà di fonti: una è di tipo cartografico (la mappa di Londra), un’altra di carattere iconografico (la fotografia di Parigi), le due finali di carattere letterario. Si tratta, in tutti questi casi, di fonti coeve all’epoca che viene descritta. • Quali elementi di collegamento si possono stabilire tra i racconti di Austen e Dickens e la mappa di Booth? • La città dell’illuminazione e quella del sudiciume. Come viene sviluppato questo nesso nei materiali presentati?
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capItOlO 20
IL TRIONFO DELLA BORghESIA
mappa
Rivoluzione francese: • abolizione dei vincoli economici di antico regime
• scomparsa dei limiti alla produzione e allo scambio delle merci • fine dei privilegi di clero e aristocrazia
Espansione del mercato che diventa globale
Mobilità sociale e nascita del ceto medio urbano
e sua dequalificazione • sfruttamento della manodopera femminile e minorile • massiccio inurbamento e relativi problemi
Nascita di organizzazioni dei lavoratori: • cartismo e trade Unions in Inghilterra • fondazione della prima Internazionale (1864)
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Paesi ricchi di risorse naturali che seguono il modello inglese: • francia • belgio • aree della germania • Svizzera
Sviluppo delle ferrovie
• divisione del lavoro
Sviluppo del pensiero socialista
Socialismo utopistico di Saint-Simon, Owen, Fourier: auspica la collaborazione capitale-lavoro
ascesa della borghesia
avvIO dEll’INdUStrIalIZZaZIONE IN EUrOpa (mEtà XIX SEcOlO)
Sistema di fabbrica
Aumento del reddito della popolazione
Ricchezza e profitto diventano valori
Socialismo scientifico di Marx: prefigura una rivoluzione del proletariato che abbatta la società borghese capitalistica
Espansione del mercato in aree prima irraggiungibili
Impulso alle industrie metallurgiche e meccaniche
Necessità di grandi capitali per finanziare le ferrovie
Nascita di società per azioni che ricorrono ai finanziamenti delle banche (alleanza industria-finanza e coinvolgimento dei risparmiatori nei rischi di impresa)
capItOlO 20
IL TRIONFO DELLA BORghESIA
Sintesi 20.1 IL RUOLO DELLA BORghESIA NEL NUOvO mERCATO mONDIALE l’Ottocento fu il secolo del “trionfo” della borghesia, la classe sociale che – secondo la definizione marxista – ha saputo spezzare le barriere geografiche e mentali della società di antico regime, dominata dall’aristocrazia. Il nuovo mondo borghese, che aveva i suoi valori nell’arricchimento e nel conseguimento del profitto, si fondava sull’internazionalizzazione del mercato, che da luogo fisico diventò un’entità complessa, consistente nell’insieme delle produzioni, degli scambi e delle transazioni economiche. l’espansione del mercato presupponeva lo smantellamento delle restrizioni e dei vincoli in campo economico caratteristici dell’antico regime. 20.2 LO SvILUppO INDUSTRIALE nel corso dell’ottocento la rivoluzione industriale si estese dall’Inghilterra ad altri paesi europei come la Francia, il Belgio, alcuni Stati tedeschi e gli Stati Uniti. la svolta si ebbe negli anni Cinquanta, anche se ancora per lungo tempo l’Inghilterra continuò a mantenere il primato nel processo di industrializzazione. soprattutto in seguito allo sviluppo delle navi a vapore e delle ferrovie, che rivoluzionarono completamente i tempi e i modi del trasporto, abbassandone anche i costi, divennero centrali i settori metallurgico e meccanico. la costruzione delle ferrovie richiese un’enorme quantità di capitali. Crebbero le società per azioni e acquisirono sempre più importanza le Borse, dove si effettuano la contrattazione e la fissazione del valore dei titoli azionari e obbligazionari. ebbe inizio così quell’alleanza tra industria e finanza che diventerà sempre più decisiva nei decenni successivi. Contemporaneamente aumentò il coinvolgimento dei piccoli risparmiatori nel processo economico. 20.3 LA CLASSE OpERAIA E LA NASCITA DEL SOCIALISmO Insieme con la borghesia, l’altro protagonista della società ottocentesca fu il proletariato industriale che iniziò a mettere in discussione i valori borghesi
della proprietà e dell’individualismo, contrapponendogli quelli della collettività e della cooperazione. si diffusero le idee socialiste, promosse nei primi decenni del secolo da borghesi illuminati (saintsimon, owen e fourier), sensibili agli squilibri sociali causati dall’industrializzazione e fautori di un modello utopistico di società fondato sulla cooperazione tra imprenditori e operai. alla fine degli anni Quaranta comparve anche il socialismo scientifico di Karl Marx che non credeva nella possibile alleanza tra capitale e lavoro e affermava la necessità di una rivoluzione che permettesse il passaggio dalla società borghese a quella comunista, contraddistinta dalla proprietà collettiva dei mezzi di produzione. Questa società avrebbe consentito la piena emancipazione di ogni essere umano e instaurato condizioni di eguaglianza tra tutti i suoi membri. nel corso dell’ottocento nacquero anche le prime stabili associazioni operaie, soprattutto in Inghilterra con le Trade Unions e il movimento cartista. nello stesso periodo, anche in seguito al moltiplicarsi delle agitazioni operaie, si ebbero le prime iniziative di legislazione sociale volte a migliorare le condizioni di lavoro e a regolamentare il lavoro minorile.
20.4 I RETAggI DEL pASSATO l’ottocento non vide però la totale scomparsa dei legami con la società tradizionale: almeno fino agli anni settanta, infatti, l’aristocrazia continuò a svolgere un ruolo dominante in gran parte d’europa e la campagna, che continuava a essere uno dei principali centri di produzione di beni per il mercato, a competere con l’industria che, richiedendo enormi investimenti, non garantiva immediati guadagni. Per questo la storiografia degli ultimi decenni tende a vedere l’Ottocento come un’epoca di transizione profondamente venata dalle ombre dell’antico regime.
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Capitolo 21
Il domInIo dell’occIdente
21.1 Dal rispetto alla sopraffazione: la nuova identità degli europei Le ambiguità dell’“orientalismo”
Fino alla fine del Settecento il mondo asiatico, nelle sue diverse componenti – il lontano estremo oriente, il variegato universo indiano, l’oriente islamico ottomano – era stato a lungo percepito nel segno dell’alterità, come un insieme di imperi da cui l’europa si sentiva distante politicamente e culturalmente, ma nei confronti del quale nutriva il rispetto e la considerazione dovuti alla grandezza maestosa delle sue culture e civiltà. Solo qualche decennio più tardi un atteggiamento del genere – protrattosi per tutti i secoli dell’età moderna – sarebbe risultato impensabile. Fieri delle proprie istituzioni libere, orgogliosi degli enormi progressi economici e scientifici, forniti di armamenti terribilmente più raffinati, potenti ed efficaci di quelli in dotazione agli imperi asiatici, gli europei avevano infatti nel frattempo aperto un nuovo capitolo della storia dei loro rapporti con il resto del mondo: non più rispetto, curiosità culturale, talvolta ammirazione, com’era stato fino a quel momento in un contesto di scambi prevalentemente di natura commerciale, bensì sopraffazione, dominio diretto o indiretto, svalutazione e irrisione. L’apertura del canale di Suez, il 17 novembre 1869
Costruito tra il 1859 e il 1869 grazie ai finanziamenti dei francesi e del viceré d’Egitto Mohammed Said, il canale di Suez fu la più importante opera ingegneristica del XIX secolo
Il canale era in grado di mettere in comunicazione il Mediterraneo e il mar Rosso. Con la bancarotta delle finanze egiziane (1876), il governo inglese comprò le azioni egiziane della Compagnia del canale riuscendo, nel 1882, ad assumerne il pieno controllo, che mantenne fino al 1954
Questa apertura fu la manifestazione più evidente della crescente potenza europea e delle sue aspirazioni espansionistiche
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le civiltà extraeuropee erano considerate ora inferiori a quella europea, nell’ottica di un confronto di produttività strettamente economica e tecnologica e di rendimento in termini di sfruttamento del lavoro. come ha narrato con grande finezza lo storico della cultura edward Said, durante l’ottocento gli europei inventarono l’“orientalismo”, ovvero quell’insieme di saperi sull’oriente che tendeva a evidenziarne l’irrimediabile arretratezza rispetto all’europa e a legittimarne il dominio da parte di questa. Se l’europa era da considerare la patria naturale delle istituzioni libere, l’Asia venne classificata come sede, altrettanto naturale, del dispotismo e della soggezione, a prescindere dalle sue diverse forme culturali. essa divenne in tutto e per tutto il riferimento all’altra faccia delle libertà e del progresso, in un confronto impossibile con la luce dello sviluppo e del coraggio dell’occidente. l’oriente misterioso ed esotico si trasformò nell’oriente irrazionale, superstizioso e fatalista: una società povera, pigra e stagnante, incapace di imboccare la strada della modernità e di accedere a quel valore della libertà nel quale soprattutto l’europa del progresso amava rispecchiarsi, tanto in politica (liberalismo) quanto in economia (liberismo, libera impresa), riconoscendo in esso il tratto distintivo della propria identità. L’Oriente apparteneva al passato, a un’epoca storica dalla quale il presente si veniva distanziando con fiera autoconsapevolezza. l’oriente, dice ancora Said, era considerato «passivo, femminile, silenzioso e supino»; mentre l’occidente appariva “maschio”, attivo e operoso. naturalmente ci furono eccezioni; per esempio quella parte della filosofia tedesca che si entusiasmò per la spiritualità indiana, trovando in essa un antidoto al materialismo che si stava affermando in europa. ma si trattava, non sorprendentemente, di correnti culturali romanticamente protese verso il passato. come Friedrich Schlegel, autore del saggio Sulla lingua e la saggezza degli Indiani (1808), i filosofi che ne svilupparono le suggestioni apprezzavano l’India proprio in quanto essa non era moderna. APPROFONDIRE
Sinofobi e sinofili ncora alla metà del Settecento, nella Francia dell’IlluminiA smo si era accesa una discussione appassionata sulla Cina: sinofobi contro sinofili (dal latino medievale Sina, “Cina”, “sino” si usa nei nomi composti che indicano il riferimento al grande paese orientale). Tra i primi si era schierato Montesquieu, che nel suo Spirito delle leggi (1748) aveva dipinto il “celeste impero” come il deprecabile prototipo di un cieco dispotismo, del quale era necessario scongiurare l’eventuale comparsa anche in Europa. Per Montesquieu la Cina valeva come metonimia dell’Asia intera, un continente nel quale, secondo lui, imperava ovunque, dalla Turchia all’Estremo Oriente, uno stile arbitrario di governo, in ragione del quale «uno solo [detiene il potere supremo n.d.r.], senza legge e senza regola, [e] trascina tutto con la sua volontà e i suoi capricci». L’Europa era diversa; il potere dei re, infatti, vi risultava temperato da quello dei corpi intermedi e la sacralità di un diritto che si affidava a norme consolidate e non dipendeva dagli umori cangianti dei sovrani assicurava la difesa degli individui dagli arbitri delle autorità. Tra i sinofili c’era invece Voltaire, che manifestava tutto il suo
entusiasmo per una nazione che reputava «la più saggia e la meglio amministrata dell’universo», già «civilizzata quando noi eravamo dei selvaggi». Apprezzava moltissimo – lui, che dalle persecuzioni clericali era stato più volte direttamente ferito – quell’etica confuciana che in Cina si era tradotta in arte di governo e che si risolveva in una religione “naturale”, aperta, tollerante, senza dogmi e senza sacerdoti. In Cina era come se al potere ci fossero i filosofi. E, anche se era vero che i cinesi erano da qualche tempo indietro rispetto agli europei quanto a sapere scientifico e dotazioni tecnologiche, restava il fatto che «l’Oriente è culla di tutte le arti, e ad esso l’Occidente deve tutto»; soprattutto il perfezionamento della morale «che è la prima delle scienze». Tanto Montesquieu quanto Voltaire avevano elaborato la propria riflessione attingendo alle relazioni sul celeste impero pubblicate dai missionari gesuiti nei decenni precedenti. Nei testi di questi ultimi si potevano, in effetti, trovare argomenti a sostegno tanto dell’una quanto dell’altra tesi. E tanto in queste fonti quanto nell’uso che ne fecero i due filosofi si rifletteva bene l’ambivalenza del rapporto intrattenuto fino a quel momento dall’Europa con l’Oriente. 527
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
La pretesa superiorità degli europei: alle origini del razzismo Inclusione/Esclusione L’imperialismo ottocentesco, p. 549
LESSICO Scuola di Manchester Scuola economica nata nell’Ottocento a Manchester e fautrice dei principi del liberismo economico. Tra i suoi membri vi furono Richard Codben e John Bright, che fondarono anche la lega contro la legge sul grano, riuscendo nel 1846 a far abolire il dazio di importazione sui cereali. Positivismo Corrente culturale e filosofica sviluppatasi in Francia nella prima metà dell’Ottocento e poi diffusasi a livello mondiale nella seconda metà del secolo. Il suo fondamento consiste nella fiducia nella scienza e nel metodo scientifico quali chiavi per lo sviluppo del progresso.
Il mutamento di prospettiva nel modo in cui gli europei si abituarono a percepire il resto del mondo estraneo ai loro canoni di civiltà (e dunque, in primo luogo, l’Asia ma anche l’Africa) trovò espressione in una quantità innumerevole di scritti, riflessioni, opere di ogni genere. la pretesa superiorità europea diventò nel corso dell’ottocento nozione comune nei paesi economicamente più avanzati, tanto da venire condivisa da sostenitori di dottrine per altri versi antitetiche. la fecero propria tanto gli apologeti della società borghese e dello sviluppo capitalistico quanto coloro che si ripromettevano di abbattere l’una e l’altro; tanto gli esponenti di grido della Scuola di Manchester, impegnati a cantare le meraviglie del liberismo e dell’industrializzazione, quanto i fondatori del socialismo scientifico, marx ed engels. Sia per gli uni sia per gli altri l’Europa industriale rappresentava il faro del progresso e l’orizzonte del futuro; l’Asia il luogo simbolico dell’arretratezza e della cristallizzazione del passato, che il presente rifiutava con sdegno e che la dialettica della storia avrebbe presto travolto. In questo terreno, reso fertile da una sorta di delirio di onnipotenza dovuto allo sviluppo economico che cresceva velocemente e imponeva via via il controllo delle risorse per la produzione e degli uomini che ne costituivano la forza-lavoro, a metà ottocento Joseph Arthur de Gobineau pubblicò il suo Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane (1853-1855), nel quale teorizzava sia la pretesa superiorità biologica dei bianchi rispetto a tutti i restanti tipi umani sia il loro conseguente diritto ad assoggettarli e ad asservirli. Si trattava della prima elaborazione di carattere pseudoscientifico del razzismo, un’ideologia che avrebbe fatto stabilmente da sfondo all’imperialismo otto e novecentesco e che, all’interno della stessa europa, avrebbe trovato spaventose conseguenze: dallo sfruttamento di uomini e di risorse – retaggio di regimi di schiavitù già presenti per buona parte dell’età moderna, ma nella fase imperialistica esasperate dalla necessità di produzione –, alla discriminazione di razze ritenute inferiori e per questo private persino del diritto alla sopravvivenza, come nel caso dei crimini nei confronti di interi gruppi etnici di cui ogni regime totalitario novecentesco si è macchiato. Pochi anni più tardi l’inglese Benjamin Kidd elaborò, su base positivista, la teoria del “darwinismo sociale”. essa sosteneva che la selezione naturale, delineata da charles darwin nell’Origine delle specie, era applicabile non solo alle specie animali ma anche all’interno del genere umano. Fu utilizzata per fornire una presunta base scientifica alla colonizzazione europea, proclamando non solo lecito, ma necessario, il dominio delle nazioni più forti su quelle più deboli.
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - L’orientalismo
Progresso tecnologico ed economico dell’Occidente
Svalutazione degli “altri mondi”
Pretesa superiorità della “razza” bianca
Razzismo
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impeRiaLismo
capItOlO 21 - Il dOmINIO dEll’OccIdENtE
La coincidenza tra occidente e modernità
A ripensare il mondo e le società umane in ragione di una scala gerarchica al cui vertice si collocavano gli europei (o, meglio, gli occidentali, come in seguito preciseremo) non furono solo gli accesi fautori del diritto di sopraffazione. nell’opera Economia e società, del grande sociologo tedesco max Weber, scritta nei primi lustri del novecento e pubblicata postuma e incompiuta dopo la Prima guerra mondiale, si può trovare per esempio, espressa nei toni pacati della riflessione scientifica – e riccamente nutrita di quanto di meglio l’“orientalistica” europea aveva prodotto nel secolo precedente a proposito di conoscenza delle religioni, delle culture e delle società asiatiche –, la rivendicazione convinta di una sorta di dogma: quello della coincidenza esclusiva tra Occidente e modernità, specialmente sotto il profilo dello sviluppo dei modelli di razionalità idonei all’efficace realizzazione dell’emancipazione dell’individuo dal mondo “magico”, caratteristico di tutte le società del passato. A differenza di Gobineau, Weber non era un apologeta del razzismo e della sua formula politica, l’imperialismo. era però anch’egli convinto che nel mondo contemporaneo, contraddistinto dall’individualismo, dalla ricerca razionale del profitto, dall’efficienza delle strutture istituzionali, solo la civiltà occidentale potesse vantare una tradizione culturale consona ai nuovi scenari.
Il sociologo tedesco Max Weber
ANALIZZARE LA FONTE
Razionalismo ed economia Autore: Max Weber Tipo di fonte: saggio sociologico Lingua originale: tedesco Data: 1922 (opera postuma) Nel corso delle sue ricerche svolte nei primi due decenni del Novecento, il sociologo tedesco Max Weber elaborò uno studio comparato sul rapporto tra forme di religiosità e orientamento economico. Giunse alla conclusione che molte religioni orientali contenevano elementi che rendevano impossibile lo sviluppo di una moderna razionalità economica di tipo capitalistico. Una delle ragioni della “nuova” superiorità dell’Occidente andava così ricercata, secondo Weber, nella sua storia religiosa.
Soltanto l’occidente conosce imprese capitalistiche razionali con capitale fisso, lavoro libero, specializzazione e connessione razionale del lavoro, e divisione delle prestazioni nell’ambito di una pura economia di mercato, sulla base di economie capitalistiche a scopi acquisitivi […]. Soltanto l’occidente conosce la forma capitalistica dell’organizzazione del lavoro […] come la forma tipica e predominante di copertura del fabbisogno di ampie masse di uomini. dove una classe, come i sacerdoti taoisti […], vive dell’esercizio dell’arte divinatoria […], essa può raggiungere una potenza incrollabile. Qualsiasi razionalità economica naufraga davanti al malvolere degli spiriti: l’impianto di una strada ferrata o di una fabbrica che non proceda con il loro consenso è destinato a fallire nel disordine. [nel mondo rurale indiano] straordinariamente grandi sono […] gli ostacoli incontrati dal commercio e dallo sviluppo delle comunità di mercato (a causa delle norme di tabù, che vietano i contatti tra persone appartenenti a caste differenti). le prescrizioni tabuistiche delle caste indiane hanno ostacolato il commercio ancor più gravemente di quanto il sistema […] delle credenze negli spiriti abbia posto impedimenti materiali alla circolazione dei beni. max Weber, Economia e società, vol. II, edizioni di comunità, milano 1999, pp. 191, 131, 136 Domande alla fonte: 1. Razionalità e superstizione. Come viene affrontato nel ragionamento di Weber questo nesso? 2. Benessere e arretratezza. Su che cosa si basano, secondo Weber, i rispettivi presupposti culturali dell’uno e dell’altra?
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
Un manifesto di propaganda britannico, emblematico del modo di autorappresentarsi degli occidentali alla fine dell’Ottocento, dichiara: «Le giungle di oggi sono le miniere d’oro di domani. Mercati in crescita per i nostri prodotti»
LESSICO Disincantamento del mondo Processo in seguito al quale l’uomo non ricorre più agli dei e alla magia per spiegare e dominare gli eventi mondani, ma si affida alla sola ragione.
le culture orientali maturate nell’alveo del buddismo, del confucianesimo, dell’induismo, dell’islam, erano invece, secondo lui – anche se ciascuna per una ragione diversa – incapaci di favorire il “disincantamento” del mondo e l’approdo delle comunità umane dallo stato confusionale e ingenuo dell’infanzia alla maturità razionale dell’età adulta. l’occidente di Weber, con i suoi valori, veniva così idealmente prendendo forma sul rovescio dell’immagine negativa che gli europei tendevano con crescente conformismo ad abbinare all’oriente e all’Africa.
21.2 il colonialismo ottocentesco L’inizio dell’età dell’imperialismo
LESSICO Colonialismo / Imperialismo Per colonialismo si intende in generale la tendenza, più volte presentatasi nella storia, ad acquisire il dominio economico su un territorio (dal verbo latino colere, “coltivare”). Il termine imperialismo, invece, indica più specificamente quella fase del colonialismo, affermatasi tra il 1870 e il 1914, nella quale gli Stati europei si espansero nei territori extraeuropei imponendo non soltanto un dominio economico ma anche politico, con la creazione dei veri e propri imperi.
Il laboratorio dello storico Rappresentazioni e stereotipi del colonialismo, p. 544
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l’orientalismo diventò la filosofia ispiratrice dell’imperialismo, un fenomeno ben percepibile già durante i decenni iniziali dell’ottocento, ma tanto diffuso da dare il proprio nome a un’intera epoca – l’età dell’imperialismo –, soprattutto tra gli anni Settanta di quello stesso secolo e la Prima guerra mondiale. mentre i grandi imperi coloniali europei dell’età moderna erano stati quelli spagnolo e portoghese, dissoltisi in gran parte nei decenni iniziali dell’ottocento in seguito alla conquista dell’indipendenza da parte delle nuove nazioni dell’America centrale e meridionale, il colonialismo ottocentesco fu a lungo soprattutto di matrice inglese e francese e si realizzò in Asia, in Africa, in Oceania. Gli imperi inglese e francese avevano cominciato a costituirsi anch’essi già in età moderna, ma si era trattato di edifici di spiccato carattere commerciale, basati prevalentemente sul dominio dei mari. ora, viceversa, essi non solo si accrebbero in modo incommensurabile, ma si trasformarono in imperi coloniali veri e propri. la stessa parabola, anche se in dimensione più ridotta, interessò anche i possedimenti olandesi in Asia. e nel frattempo anche la Russia allargò notevolmente i propri confini espandendosi in Asia verso est e verso sud. Intorno alla fine dell’ottocento, infine, anche la Germania, l’Italia e il Belgio si lanciarono a loro volta nell’avventura imperiale e coloniale. Alla vigilia della Prima guerra mondiale (1914) l’85% della superficie delle terre emerse risultava assoggettato al dominio di una delle potenze europee.
capItOlO 21 - Il dOmINIO dEll’OccIdENtE
L’impero inglese
l’impero coloniale più esteso era quello inglese, suddiviso in colonie di due tipi. c’erano quelle nelle quali la popolazione insediata nel territorio era prevalentemente di origine europea, relativamente autonome dalla madrepatria e denominate dominions. Qui vennero introdotte strutture istituzionali e leggi analoghe a quelle vigenti in Gran Bretagna; esse erano: il Canada, l’Australia, la Nuova Zelanda, la colonia del capo, divenuta poi nel 1910 l’Unione sudafricana. oltre a queste, vi erano le colonie di “sfruttamento”, nelle quali la stragrande maggioranza della popolazione era indigena. In esse si realizzò un sistema basato sulla coesistenza tra leggi e istituzioni militari e civili britanniche e antichi ordinamenti consuetudinari locali, affidati in gestione ai ceti dirigenti tradizionali: in Asia era il caso dell’India, sul quale ci soffermeremo tra breve, e in seguito della Birmania (18861889), della Malesia (1895-1909), di parte del Borneo e della Nuova Guinea; in Africa il caso dell’Egitto (protettorato dal 1840 e, in seguito alle tensioni derivate dalla costruzione del canale di Suez, sotto il pieno controllo militare e politico nel 1882) e del Sudan. L’india coloniale
l’India rappresentò forse il simbolo più emblematico del colonialismo inglese ottocentesco. Già solidamente affermato a fine Settecento nel Bengala, attraverso la formula della compartecipazione al potere della vecchia compagnia privilegiata delle Indie orientali e di funzionari civili e militari nominati dal governo di londra, il dominio britannico completò la propria irradiazione durante l’intero corso dell’ottocento, imponendosi in modo sempre più coercitivo alle centinaia di Stati grandi e piccoli che componevano il complesso mosaico del subcontinente indiano. nel 1843 il governo generale del Bengala operò l’annessione del Sind; tra il 1846 e il 1849 quella del Punjab e nel 1856, alla morte di Bahadur Scià II, venne posta fine alla sopravvivenza, tutta formale, di ciò che restava dell’antico Impero Moghul. Già da decenni le terre moghul erano di fatto assoggettate al dominio inglese; ora lo divennero anche in via ufficiale. Al tempo stesso, durante questi decenni furono imposte condizioni di vassallaggio agli oltre cinquecento principi che regnavano sulla metà restante del subcontinente. Questi ultimi rimasero sui loro troni, ma vennero vincolati a una rigida obbedienza e al versamento di un pesante esborso fiscale agli inglesi.
MEMO L’Impero Moghul, sorto sulle rovine del Sultanato di Dehli, era stato fondato nel 1526 da un condottiero musulmano di origine afgana, Baber, che edificò in pochi anni un dominio unitario dai confini meridionali dell’Impero persiano safavide fino a Benares. Esso cominciò a declinare nel Settecento per l’espansionismo dell’afgano Nadir Shah [vedi pp. 16 ss]. I capi maori firmano il Trattato di Waitangi con il quale riconoscono come propri i sovrani britannici siglando la fondazione della Nuova Zelanda nel 1840 (Wellington, Alexander Turnbull Museum)
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
La rivolta dei sepoys
Tre sepoys, le truppe indigene al servizio degli inglesi che si ribellarono nel 1858
Tra il 1857 e il 1858 divampò però nei domini britannici in India una grande rivolta che sembrò per qualche tempo metterne in discussione l’esistenza. Si ribellarono i sepoys, i soldati reclutati dagli inglesi tra la popolazione locale per farne il nucleo principale dell’esercito coloniale: 140 000, contro gli appena 21 000 soldati originari della Gran Bretagna. erano in parte indù, in parte musulmani e venne loro impartito di mordere le cartucce impregnate di grasso bovino o suino prima di inserirle nelle nuove carabine enfield; presupposto indispensabile, peraltro, perché esse funzionassero efficacemente. Quell’imposizione destò negli uni e negli altri disgusto e rabbia perché costituiva una sacrilega infrazione alle loro rispettive consuetudini religiose e, al tempo stesso, la prova dell’assoluto disprezzo britannico per le culture e le tradizioni locali. Alla rivolta dei sepoys si unirono alcuni membri dell’aristocrazia indù e di quella moghul; e prima di sedarla, con l’aiuto di una parte dell’India dei principi, gli inglesi subirono perdite disastrose. Quando le acque si furono calmate, la corona d’Inghilterra decise di sciogliere la Compagnia delle Indie orientali, alla quale erano rimasti fino a quel momento delegati molti poteri di governo, e di trasferire interamente questi ultimi a un governatore generale che assunse il titolo di viceré dell’India. Più tardi, nel 1877, l’India venne elevata a impero e la regina Vittoria assunse il titolo di “imperatrice dell’India”. il tentativo di anglicizzazione del paese
Aveva avuto intanto inizio una politica tesa ad anglicizzare il grande subcontinente attraverso l’imposizione dell’inglese come lingua dell’amministrazione centrale e del governo; l’istituzione di un sistema scolastico mirato a favorire la formazione di una élite locale occidentalizzata; l’irradiazione di un sistema ferroviario che contribuì sensibilmente all’unificazione materiale dei grandi spazi indiani, giungendo all’inizio del novecento a toccare l’estensione di 50 000 chilometri; infine la piena integrazione dell’economia indiana in quella britannica, con il ruolo di fornire materie prime a basso costo e di offrire un vasto mercato di sbocco (a metà ottocento l’India aveva già oltre 150 milioni di abitanti) alla produzione industriale inglese. tutto ciò avvenne sullo sfondo di un’atmosfera improntata, da parte degli inglesi, a un diffuso atteggiamento di svalutazione, o nel migliore dei casi di sufficienza, nei confronti delle culture e delle tradizioni di quel mondo straordinariamente variegato che ancora a fine Settecento aveva continuato a destare sentimenti di rispetto e ammirazione in tanti europei, e che ora si pensava invece di poter dominare alternando al puro e semplice pugno di ferro sugli strati più bassi della popolazione lo sforzo di convertire le élite locali ai valori occidentali. MEMO Nel 1798, allo scopo di ostacolare la navigazione britannica in direzione dell’India, il Direttorio aveva conferito a Napoleone Bonaparte, l’incarico di occupare l’Egitto, ma il generale aveva subito una disastrosa sconfitta nella battaglia navale di Abukir [vedi p. 309].
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L’impero coloniale francese e gli altri domini europei
negli stessi decenni durante i quali l’Inghilterra si affermò come impero mondiale, la Francia ne gettò a sua volta le fondamenta di uno parallelo, ispirandosi sostanzialmente alle medesime direttrici “orientaliste”. con la sua sfortunata spedizione in egitto di fine Settecento, napoleone Bonaparte era stato antesignano di un orientamento che si sarebbe concretizzato con assai maggiore successo dopo il 1815. l’Algeria conquistata tra il 1830 e il 1847, il Senegal tra il 1852 e il 1865; la Tunisia assoggettata a protettorato nel 1881 e il Marocco tra il 1904 e il 1912; e, ancora, le regioni desertiche sahariane ripartite tra un’Africa occidentale e un’Africa
capItOlO 21 - Il dOmINIO dEll’OccIdENtE
equatoriale francese, poi il Madagascar (1895-1896): l’impero africano di Francia prese forma, in gran parte, come si può vedere, nei luoghi dove si veniva disfacendo quello ottomano, ovvero sulle coste settentrionali del continente nero. In Asia, durante gli stessi decenni, sorsero colonie francesi in Cambogia, in Laos, nel Tonchino, nell’Annam, fino a quel momento regni indipendenti dai quali tuttavia l’Impero cinese aveva tradizionalmente preteso, nei secoli del suo splendore, obbedienza e sottomissione vassallatica. Anche la Russia realizzò la sua espansione nell’Asia interna, in gran parte attraverso l’assorbimento di territori in passato federati all’Impero ottomano. le potenze protagoniste del vecchio colonialismo, Portogallo e Spagna, conservarono in Africa l’uno la Guinea, l’Angola, il Mozambico, Capo Verde, l’altra il Rio de Oro, la Guinea spagnola, le Canarie. Anche l’Olanda aggiunse al possesso di Giava quello di Bali, Celebes, Sumatra, parte del Borneo. negli ultimi due decenni dell’ottocento al “banchetto” coloniale si unirono, soprattutto in Africa, la Germania, il Belgio e l’Italia. la Germania conquistò il Camerun e il Tanganica; il re leopoldo II del Belgio si impadronì come possesso personale del Congo e, infine, l’Italia occupò l’Eritrea, parte della Somalia e, più tardi, la Libia. A cavallo tra Otto e Novecento, infine, due nuove potenze imperialiste iniziarono a prendere parte al gioco e per la prima volta non si trattò di Stati della vecchia europa, anche se in un certo senso una di esse ne rappresentava un ideale prolungamento: gli Stati Uniti d’America e il Giappone.
Una vignetta antimperialista francese del 1887 raffigura le mani degli europei che depredano l’Africa, rappresentata dalla donna e dai leoni
I domini coloniali europei alla fine del XIX secolo
GROENLANDIA
STATI UNITI
MESSICO Giamaica
HONDURAS oceano Pacifico
IMPERO RUSSO
GRAN BRETAGNA
CANADA
BELGIO FRANCIA OLANDA MONGOLIA Azzorre SPAGNA ITALIA IMPERO PORTOGALLO OTTOMANO CINA TUNISIA Cipro Bermuda oceano PERSIA ALGERIA Atlantico Canarie EGITTO LIBIA INDIA Bahama MAROCCO ARABIA Guadalupa Capoverde COSTA BIRMANIA Hong Kong GAMBIA D’ORO Barbados SUDAN S. Lucia Laccadive Trinidad e Tobago
STATI UNITI DI COLOMBIA GUYANA
Possedimenti inglesi Possedimenti francesi Possedimenti spagnoli
IMPERO DEL BRASILE BOLIVIA
CILE ARGENTINA
Possedimenti portoghesi Possedimenti italiani
SIERRA LEONE Ascensione
PERÚ
oceano Pacifico
anglo-egiziano
Sant’Elena
NIGERIA
SOMALIA
CONGO KENYA TANGANICA
Ceylon Maldive
Seychelles
Madagascar
Borneo
Nuova Guinea
Sumatra
Salomone Papua Nuove Ebridi
Cocos
RHODESIA Maurizio SUD-OVEST MOZAMBICO oceano AFRICANO Indiano UNIONE SUDAFRICANA Tristan da Cuñha
Gilbert
Figi
AUSTRALIA
Tasmania
NUOVA ZELANDA
Falkland
Possedimenti russi Possedimenti belgi Possedimenti olandesi
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SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
21.3 Gli imperi asiatici nel XiX secolo L’eclissi ottomana
PassatoPresente Antichi imperi e nuove nazioni
Alla strabiliante avanzata occidentale corrispose il netto declino e in parte lo smembramento di alcuni grandi imperi asiatici o, come quello ottomano, addirittura tricontinentali. l’Impero ottomano fino al 1830 aveva esercitato su gran parte degli Stati costieri dell’Africa del Nord un protettorato più che un vero e proprio dominio. A partire da quella data non ne restò che il ricordo, in territori che, come l’Algeria, la tunisia, il marocco cadevano preda diretta o indiretta della Francia, o che, come l’egitto e il Sudan, entravano a far parte dell’impero inglese. Intanto l’avanzata russa verso sud sottraeva alla Porta di Istanbul la Crimea, la Bessarabia, la Georgia, l’Azerbaigian, mentre gli incipienti nazionalismi europei provocavano il distacco prima della Grecia, poi, nell’ultimo quarto del secolo, della Serbia, del Montenegro, della Romania, della Bosnia, dell’Erzegovina, in buona sostanza anche della Bulgaria. nel 1913 anche l’Albania proclamò la propria indipendenza, così che, alla vigilia della Prima guerra mondiale, il governo ottomano si esercitava ormai quasi sulla sola Turchia e l’impero era talmente in crisi che erano direttamente gli Stati europei suoi creditori (Francia, Inghilterra, Germania, Austria-Ungheria, Italia) a incassarne in sua vece il gettito tributario, attraverso un organo di gestione collettiva degli appalti fiscali. La Cina umiliata
Storiografia C. P. Fitzgerald, La Cina prima della guerra dell’oppio
l’impero cinese – all’inizio dell’ottocento il più esteso e popolato paese del mondo, con i suoi oltre 400 milioni di abitanti – si indebolì durante il secolo al punto tale da precipitare in una condizione semicoloniale. Un significato nevralgico, in tal senso, rivestirono le “guerre dell’oppio” (1840-1842 e 1856-1858), mosse dalla Gran Bretagna alla cina allo scopo di imporre ai suoi governanti prima la libera introduzione dell’oppio prodotto in India e commerciato da esportatori inglesi, poi l’apertura al commercio britannico di un gran numero di porti e delle vie fluviali interne, con la fissazione di un dazio di importazione pari ad appena il 5% del valore della merce. APPROFONDIRE
Le guerre dell’oppio prima guerra dell’oppio (1839-1842) scoppiò a causa del Lagliadivieto di importare oppio in Cina imposto dalle autorità cinesi inglesi. Questi ultimi inviarono un corpo di spedizione militare in difesa del libero commercio degli oppiacei, dando inizio alla guerra che si concluse con la vittoria inglese, la cessione di Hong Kong alla Gran Bretagna e l’obbligo di aprire i porti di Canton e Shangai al commercio internazionale. La seconda (1856-1860) vide Gran Bretagna e Francia alleate contro la Cina e si concluse con l’occupazione di Pechino da parte degli occidentali. L’attacco effettuato da una nave britannica contro le giunche cinesi durante una delle numerose battaglie marittime della prima guerra dell’oppio
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All’economia britannica (e più tardi anche a quelle di altre potenze europee, prima fra tutte la Francia, che partecipò direttamente alla seconda guerra dell’oppio) si spalancarono così le porte del mercato più vasto del mondo. Al tempo stesso, l’assenza di protezione doganale imposta dagli inglesi a colpi di cannone precluse alla cina stessa qualsiasi possibilità di avviare un’industrializzazione competitiva con quella occidentale. la delegittimazione patita in seguito a questa situazione dalla dinastia imperiale fu grandissima, al punto che tra il 1851 e il 1864 il movimento detto dei Taiping (i seguaci della “grande pace”), animato da intenzioni al tempo stesso teocratiche ed egualitaristiche, e dotato di un notevole seguito di massa, fondò un contro-impero ribelle nella parte centro-meridionale del paese, fissandone la capitale a nanchino. Per la sopravvivenza dei Manciù, la dinastia regnante, fu necessario il corposo appoggio, anche militare, delle potenze occidentali. A fine secolo Gran Bretagna, Germania, Russia, Italia si spartivano di fatto la cina in zone di influenza economica, mentre la guerra ingaggiata e persa con il Giappone (1894-1895) screditava ulteriormente all’interno la dinastia degli “ultimi imperatori”.
Gli europei e il “dolce cinese”, caricatura, 1898
L’eccezione giapponese
A controbilanciare questo crollo generalizzato degli imperi d’oriente, che, almeno in termini di indebolimento, coinvolse anche quello persiano, sempre più stretto d’assedio dalle avanzate parallele della Russia e della Gran Bretagna, vi fu la sola eccezione del Giappone, paese che, come sappiamo, aveva respinto per secoli qualsiasi contatto con il mondo occidentale, dopo avergli cautamente aperto qualche spiraglio nel corso del cinquecento. nel 1853 si verificò nelle baie del Giappone un nuovo episodio di quella politica delle “cannoniere” che aveva fatto i suoi esordi quindici anni prima in quelle cinesi, ai tempi della guerra dell’oppio. Una squadra navale statunitense, seguita da altre forze occidentali si presentò minacciosa, puntando i cannoni e imponendo l’apertura dei porti nipponici ai commerci del suo paese. Una fabbrica tessile giapponese, seconda metà del XIX secolo
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Per cinquant’anni, tra il 1854 e il 1894, i cosiddetti trattati “ineguali” – le cui clausole erano molto simili a quelle in forza delle quali era stata posta fine in cina alle guerre dell’oppio – esposero il Giappone all’invasione della produzione industriale occidentale. Si trattava di accordi che esentavano gli Stati Uniti dal pagamento di tasse doganali in Giappone e che accordavano ai cittadini statunitensi la facoltà di essere giudicati in patria anche per reati commessi in territorio giapponese. Il risentimento collettivo nei confronti della dinastia Tokugawa, che dall’inizio del Seicento monopolizzava la carica di shogun (il supremo capo militare e la massima autorità effettiva del paese), e che venne accusata di aver colpevolmente ceduto agli stranieri, si tradusse in sollevazioni alle quali prese parte tanto il Giappone “tradizionale” – il mondo dei samurai e delle campagne – quanto quello più moderno dei centri urbani. lo shogunato fu abolito e si assistette al rilancio della figura dell’imperatore, che da un paio di secoli svolgeva una funzione sostanzialmente ornamentale nel governo delle isole nipponiche. L’era meiji
Storiografia M. Morishima, Alle origini del capitalismo giapponese L’ultimo shogun della famiglia Tokugawa annuncia il suo ritiro e rimette il potere nelle mani dell’imperatore, pittura giapponese, XIX secolo
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A differenza di quanto avveniva in cina, in Giappone si assistette a una forte reazione contro l’umiliazione patita. essa si concretizzò, peraltro, non tanto in una difesa a oltranza dell’integrità della cultura e dei costumi del paese, quanto in uno sforzo di imitare alcuni tratti della modernità occidentale e di adattarli alle caratteristiche tradizionali della società nipponica. durante l’era Meiji (in giapponese “illuminazione”, “governo illuminato”), protrattasi dal 1867 al 1912 sotto l’imperatore mutsuhito (1852-1912), per sottrarsi alla minaccia coloniale il Giappone si industrializzò, dotandosi al tempo
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stesso di una costituzione ricalcata sulla base di quella allora vigente in Germania – un buon compromesso tra tradizione e innovazione, tra cauto liberalismo e persistente autoritarismo –, nonché di armamenti in grado di competere con quelli delle potenze imperialiste. In questo caso eccezionale l’oriente si contaminò con l’occidente, piuttosto che rassegnarsi a patirne la subordinazione. ne derivò un originale modello di società, basato su una industrializzazione fortemente pilotata dallo Stato e realizzata in prima persona da poche grandi famiglie che dominavano, in parte ancora in base a schemi di obbedienza di stampo tradizionalistico, una popolazione che man mano abbandonava le campagne per urbanizzarsi. Prima che, nel 1894, la nuova potenza giapponese riuscisse a ottenere l’abolizione dei trattati ineguali, e cominciasse a sua volta a sviluppare ambizioni imperialistiche nei confronti della Corea e della Cina, molti giovani nipponici erano stati inviati dal governo all’estero, per apprendere i segreti della modernità. Alcuni avevano studiato in Germania; altri negli Stati Uniti, il paese la cui flotta, nel 1853, aveva per prima infranto la cortina che isolava il Giappone dal resto del mondo e che in seguito, una volta superata la drammatica crisi della guerra di secessione (v. par. 4) sempre più fieramente era venuto affiancando le nazioni “cugine” europee all’interno del fronte occidentale dominante. Quest’ultimo, dunque, ormai non si identificava più con le sole potenze del vecchio continente.
L’imperatore giapponese Mutshuito, sul trono dal 1867 al 1912
Amu
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La Cina e il Giappone alla fine del XIX secolo
SAKHALIN KURILI
Aihui
Habarovsk
1897
HOKKAIDO
MANCIURIA Vladivostok
MONGOLI CHALCHA
Niigata
Shenyang Niuzhuang COREA
EL G
OD
ERT
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1860
HONSHU
GIAPPONE Tokyo (Edo)
Yokohama Kyoto 1859 Shimoda Kobe 1898 (Russia) 1863 Osaka1854 Tianjin Dezhou Weihaiwei Shimonoseki 1898 (G.B) Qingdao Yahata (Nogata) Lanzhou 1897 (Ger.) QINGHAI Nagasaki Satsuma 1877 1855 Zhenjiang CINA Nanchino Shanghai 1842 oceano Hankou Hangzhou Ningbo Pacifico Jiujiang SICHUAN Jingdezhen OKINAWA Chongqing Haha
DES
Pechino Lushun (Port-Arthur)
Fazhou Dali
Yunnan
BIRMANIA YUNNAN Hanoi
Giappone 1875
Xiamen TAIWAN (FORMOSA) Chaozhou Canton (1895 Giappone) Foshan Honk Kong PESCADORES Macao 1842 (G.B.) (1905 Giappone) (Port.)
1885
Territorio di ANNAM Qiongzhou Guang-chau-wan
SIAM
Danshui
1898 (Fr.)
FILIPPINE
Q’ing, dinastia Manciù (1644-1911) Dipendenze esterne della Cina Regioni controllate dai Taiping (1850-1864) Porti e città aperte nel 1858 (trattato di Tianjin) Colonie europee Grande muraglia Il Giappone nel 1868 Acquisizioni territoriali giapponesi con il trattato di Shimonoseki (1895) Porti aperti al commercio europeo
Hue
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Una carovana di pionieri americani diretti alla conquista dell’Ovest, illustrazione, XIX secolo
21.4 Gli stati Uniti nell’ottocento espansione territoriale e crescita dei contrasti interni
durante la prima metà del XIX secolo – ma specialmente a partire dagli anni Trenta – grazie alla spinta verso ovest dei coloni, arricchita da flussi sempre nuovi di immigrati europei, gli Stati Uniti d’America avevano notevolmente dilatato la propria superficie verso ovest, sottraendo via via territori ai pellerossa. A queste acquisizioni si erano aggiunte quelle ricavate dall’ex vicereame della Nuova Spagna (Florida, poi california, nuovo messico, texas, Arizona, v. cap. 19, par. 19.2). dagli iniziali due milioni di chilometri quadrati gli Stati Uniti si erano estesi fino a toccare gli otto milioni. contemporaneamente si era assistito, soprattutto tra il 1815 e il 1860, a un rafforzamento del potere federale (cioè quello centrale) a scapito di quello dei singoli Stati; una tendenza, questa, che si era particolarmente accentuata nel corso della presidenza di Andrew Jackson (1767-1845) tra il 1829 e il 1837. l’America settentrionale si avviava così a divenire sempre più uno Stato nazionale. lungi dall’appianare le distanze già emerse a fine Settecento tra le aree “costituenti” del paese, tale processo contribuiva, però, a renderle semmai più evidenti e difficilmente conciliabili. Gli Stati del Nord, scenario di una civiltà prevalentemente urbana e borghese, contraddistinta da un alto tasso di sviluppo demografico e dal timbro progressista della vita sociale, premevano infatti per una legislazione doganale protezionista, idonea a difendere le manifatture e le industrie locali dalla concorrenza europea. nel Sud, invece, immerso nel ruralismo del mondo delle piantagioni, dove l’istituto della schiavitù rappresentava l’emblema più evidente di un cupo conservatorismo sociale, l’élite fondiaria dominante, che esportava all’estero il cotone e ne importava manufatti, si batteva per una politica liberistica, basata su tariffe doganali quanto più possibile contenute. 538
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La schiavitù: un tema di conflitto
nord e Sud si contrapponevano spesso in sede di Congresso federale, dove il Nord, demograficamente in forte crescita, poteva contare su una certa maggioranza alla Camera dei rappresentanti, i cui membri venivano eletti in proporzione al numero degli abitanti, e dove il Sud auspicava invece di poter compensare l’inferiorità numerica di cui pativa alla camera in sede di Senato, nel quale, indipendentemente dal numero dei suoi abitanti, ogni Stato inviava due rappresentanti. tra gli anni Venti e gli anni trenta il contrasto si era fatto sempre più intenso, esprimendosi, al tempo stesso, anche in forma di conflitto sui principi ideali a proposito dell’istituto della schiavitù, che al Nord era stato abolito tra il 1774 e il 1804, ma che nel Sud continuava a costituire il presupposto indispensabile dell’organizzazione economica e sociale, e che rappresentava la variante specificamente americana di quel sentimento razzista che, come abbiamo visto poc’anzi, gli europei stavano maturando nei confronti dei popoli dei paesi che man mano, in Asia e in Africa, cadevano sotto il loro dominio coloniale. Ancora durante il mandato di James monroe, nel 1820, il “compromesso del Missouri” aveva segnato un punto a favore per gli antischiavisti, dal momento che, dopo un lungo dibattito tra Stati schiavisti e non, esso aveva sancito il divieto della schiavitù a nord del parallelo 36° 30' (a eccezione proprio del missouri), ovvero nei territori nei quali l’avanzata dei coloni – e dunque il processo di estensione della superficie americana – era particolarmente intensa. Radicandosi soprattutto all’interno delle comunità religiose battista e metodista, nel Nord si era costituito un agguerrito movimento antischiavista, che si radicalizzò nel 1850, quando un nuovo compromesso, di segno opposto a quello del 1820, impose alle autorità degli Stati che avevano abolito la schiavitù l’obbligo di arrestare comunque gli schiavi fuggiti dal Sud verso la libertà e di riconsegnarli ai loro padroni.
LESSICO Chiesa battista Una delle confessioni nate dalla Riforma protestante, diffusasi soprattutto in America in seguito alla fondazione della colonia di Rhode Island. I battisti rifiutano il battesimo degli infanti poiché ritengono che esso debba essere il frutto di una libera adesione alla verità rivelata. Chiesa metodista Movimento religioso cristiano fondato nel Settecento in Gran Bretagna da John Wesley. Il termine, usato da denigratori della setta, fa riferimento al “metodo” per il raggiungimento della salvezza che Wesley, in opposizione alla teoria della predestinazione, riteneva raggiungibile dal credente per mezzo del pentimento, della preghiera e delle opere.
APPROFONDIRE
Il mito della frontiera e le guerre indiane impulso alla conquista dell’Ovest fu radicalizzato nel 1848 L’ dalla scoperta dell’oro in California, verso i cui territori si avventurarono i coloni, strappando con le armi la terra agli indigeni. Nacque così il mito della frontiera – fondamentale nella costruzione dell’identità nazionale americana – conquistata grazie alla determinazione e al coraggio dei coloni. Ma la corsa all’oro comportò anche l’inasprirsi dello scontro con gli indiani. Essi si opposero all’avanzata dei coloni che, in base a una legge del 1862 (Homested Act ), diventavano proprietari delle terre conquistate, a condizione che le coltivassero per almeno cinque anni. Soprattutto tra gli anni Sessanta e Novanta vi fu una serie di scontri molto cruenti, tra cui nel 1864 il massacro del fiume Sand Creek, perpetrato da un gruppo di volontari contro la tribù dei Cheyenne, nel quale vennero uccisi anche donne e bambini; e, nel 1876, la battaglia di Little Big Horn, nella quale fu invece l’esercito indiano, capeggiato da “Toro seduto” e “Cavallo pazzo”, a sconfiggere gli uomini del generale Custer. Negli anni successivi, tuttavia, tutte le tribù furono sterminate e costrette a vivere in riserve. Gli ultimi a resistere furono i Sioux, anch’essi però costretti nel 1890 a risiedere in uno Stato abitato da soli indiani, l’Oklahoma.
Le più importanti tribù indiane nei territori degli Stati Uniti all’inizio del XIX secolo
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Una piantagione di cotone nel Sud degli Stati Uniti, illustrazione, XIX secolo (New York, The Granger Collection)
Il “manifesto” popolare del movimento fu un romanzo destinato a essere ricordato a lungo: la Capanna dello zio Tom, scritto nel 1852 da Harriett Beecher Stowe. l’eroe per eccellenza dell’antischiavismo fu invece il mitico John Brown (18001859), celebrato in una famosissima canzone americana, il quale, nel 1859, alla testa di un drappello di abolizionisti, cercò vanamente di provocare una ribellione di schiavi in Virginia, prima di essere catturato e messo a morte. La Guerra di secessione (1861-1865)
Il lavoro degli schiavi nelle piantagioni di cotone, stampa pubblicitaria, XIX secolo (New York, Historical Society)
Letteratura S. Crane, Il segno rosso del coraggio
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nel 1861 le elezioni presidenziali furono vinte dal candidato repubblicano Abraham Lincoln (1809-1865), che esprimeva gli interessi del Nord ed era contrario all’introduzione della schiavitù negli Stati di nuova formazione, dove, pure, una sentenza della corte suprema emessa quattro anni prima, nel 1857, pareva avere rimesso in dubbio la validità delle norme del compromesso del missouri, avendole dichiarate incostituzionali e dunque passibili di essere ignorate. Il Sud, dove prevaleva il partito democratico, a quel tempo in maggioranza filoschiavista, non si sentì a questo punto più adeguatamente rappresentato nel governo centrale. Quest’ultimo si era retto fino a quel momento in virtù di una faticosa mediazione, che i problemi sollevati dall’espansione territoriale rendevano arduo continuare a perseguire con successo. Appena dopo l’elezione di lincoln, undici Stati del Sud dichiararono la propria secessione dall’Unione, con l’intenzione di formare una nuova confederazione a capo della quale elessero il senatore democratico del mississippi, Jefferson Davis (1808-1889). ne scaturì una guerra durata quattro anni, dalla primavera del 1861 a quella del 1865: la guerra tra unionisti e confederati, ovvero tra i fautori dell’uniformità delle principali leggi sul territorio statunitense e quanti volevano invece portare all’estremo il principio dell’autonomia dei singoli Stati. la guerra fu contraddistinta da una partecipazione al tempo stesso imponente sotto il profilo numerico (basti pensare che i volontari nordisti da soli furono oltre due milioni) e vibrante sotto quello delle passioni ideali. Fu una carneficina, che fece centinaia di migliaia di vittime e che si concluse nel 1865 con la vittoria del Nord (ventidue milioni di abitanti, contro i dieci del Sud, di cui oltre un terzo di pelle nera), quando il generale Robert edward Lee, capo dei sudisti, si arrese al generale nordista Ulysses Simpson Grant. dopo un conflitto “fratricida” che pareva, per certi versi, trovare un precedente solo nei drammatici avvenimenti che avevano contraddistinto le guerre di religione europee cinquecentesche, prevalsero infine gli unionisti e, dunque, gli orientamenti ideali, politici, economici e sociali degli Stati del nord.
capItOlO 21 - Il dOmINIO dEll’OccIdENtE
Nel sud: dalla schiavitù alla segregazione razziale
Rieletto presidente con un programma che additava l’obiettivo di una riconciliazione nazionale basata sul riconoscimento dell’abolizione della schiavitù (estesa nel 1865 all’intera Unione in virtù del tredicesimo emendamento alla costituzione) e sull’accettazione da parte del Sud della prevalenza degli interessi economici del nord, Lincoln, proprio nel 1865, cadde vittima dell’attentato di un fanatico sudista. nondimeno, l’esito della guerra era ormai consolidato, anche se il Sud visse di fatto in regime di stato d’assedio ancora fino al 1877, cominciando, peraltro, appena dopo la fine del conflitto armato, a opporre una resistenza strisciante agli ulteriori emendamenti alla costituzione tesi a sancire prima i pieni diritti civili per la popolazione di pelle nera (1866), poi l’attribuzione a essa del diritto di voto (1870). l’istituzione, già nel 1866, del Ku Klux Klan – un’associazione clandestina razzista largamente diffusa tra i bianchi del Sud, che cominciò a perseguitare neri e bianchi antischiavisti, uccidendone barbaramente a centinaia – rappresentava l’avvisaglia della reazione di lungo periodo che i razzisti avrebbero contrapposto alla sconfitta nella Guerra di secessione e all’abolizione della schiavitù. Approfittando della parziale autonomia concessa dalla costituzione federale ai singoli Stati, molti di quelli del Sud avrebbero infatti ben presto dato espressione al diffuso sentimento razzista delle proprie élite bianche attraverso la segregazione, ovvero istituendo leggi che prevedevano la separazione tra bianchi e neri in gran parte dei luoghi pubblici: scuole, teatri, giardini, mezzi di trasporto, perfino chiese. la segregazione si concretizzò, ovviamente, soprattutto nel divieto imposto alla popolazione di pelle nera di accedere ai luoghi privilegiati, riservati ai bianchi. non si trattava di un fenomeno contingente. esso, infatti, era destinato a durare quasi un secolo e a contraddire, dunque, a lungo, il pur precoce cammino otto e novecentesco degli Stati Uniti nella realizzazione di una piena democrazia.
LESSICO Ku Klux Klan Società segreta statunitense, il cui nome deriva dal greco kýklos (“cerchio”), corrottosi in Ku Klux, con l’aggiunta di Klan (dal gaelico clan, “gruppo”). Fu fondata nel Tennessee da ex soldati sudisti che si opponevano alle decisioni prese alla fine della guerra in merito al pari godimento dei diritti civili da parte dei bianchi e dei neri.
La Guerra di secessione (1861-1865) MAINE
WASHINGTON MONTANA
NORTH DAKOTA MINNESOTA
L. Superiore
VERMONT
NEW HAMPSHIRE L. Huron L. Michigan MASSACHUSETTS NEW YORK WISCONSIN RHODE ISLAND IDAHO MICHIGAN CONNECTICUT WYOMING PENNSYLVANIA NEW JERSEY IOWA OHIO NEBRASKA DELAWARE NEVADA INDIANA WEST MARYLAND ILLINOIS VIRGINIA UTAH 1863 COLORADO VIRGINIA scissione KANSAS MISSOURI KENTUCKY dalla Virginia NORTH CALIFORNIA TENNESSEE CAROLINA OKLAHOMA ARKANSAS ARIZONA TERRITORIO SOUTH INDIANO MISSISSIPPI GEORGIA CAROLINA NEW MEXICO ALABAMA oceano TEXAS OREGON
SOUTH DAKOTA
LOUISIANA f gol
FLORIDA
Stati schiavisti rimasti fedeli all’Unione Stati e territori non schiavisti Territori dove lo schiavismo è ammesso fino al 31-12-1862 Vittorie sudiste
od
iC
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oceano Pacifico
Atlantico
Stati schiavisti
golfo del Messico
Vittorie nordiste
a
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Il nero è avvinto all’albero della libertà, e dice, rivolgendosi accoratamente al bianco sudista che sta per affogare: «Mia dia la sua mano, signore. Ora che sto saldamente attaccato a quest’albero, posso aiutarla a uscire dal guaio in cui si è cacciato» Il bianco sudista, furibondo, gli risponde: «Va all’inferno! Credi forse che mi lascerò prendere per la mano da un negro? No, questo è un governo di uomini bianchi!» Il bianco nordista osserva beffardo la scena e si rivolge così al sudista che sta affogando: «Amico mio, penso che faresti meglio a usare qualsiasi mezzo per raggiungere la riva; anche se è un nero a salvarti»
La necessità di restituire la dignità di uomini agli afroamericani, stampa, XIX secolo
Dall’europeismo all’occidentalismo
MEMO Nel 1823 con un messaggio al Congresso, il presidente James Monroe aveva esplicitato la politica estera statunitense, affermando la volontà del paese di controllare e “proteggere” tutti i territori delle Americhe: era la cosiddetta “dottrina Monroe” [vedi p. 493].
LESSICO Panamericanismo Composto di pan, “tutto, intero” e americano, il termine indica un movimento politico e ideologico che mira a collegare i popoli di tutta l’America sotto la direzione degli Stati Uniti. Pur proclamando l’intenzione di dare vita a un’America unita nei comuni valori democratici, gli usa hanno talvolta attuato una politica imperialistica non meno aggressiva delle altre, anche se ammantata di democraticismo.
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Una volta usciti dal bagno di sangue della guerra civile e dal rischio del dissolvimento interno, gli Stati Uniti d’America avrebbero anticipato per molti versi la vecchia Europa sul versante del rinnovamento politico, dotandosi tra l’altro di leggi che rendevano possibile la partecipazione popolare di massa alle elezioni, obiettivo che molti paesi europei non avrebbero raggiunto se non alla vigilia della Prima guerra mondiale o, addirittura, dopo di essa. Al tempo stesso, già intorno alla fine del secolo, quella che si configurava allora come la più grande democrazia del mondo era ormai capace – grazie alla ricchezza delle sue risorse naturali e allo straordinario dinamismo della sua società che si percepiva continuamente proiettata verso nuove frontiere – non solo di sfidare, ma in molti settori anche di sopravanzare la potenza industriale della Gran Bretagna e degli altri paesi europei che nella seconda metà dell’ottocento ne avevano imitato l’esempio. A new York e in altri porti sull’Atlantico, dagli anni Settanta in avanti, sbarcarono decine di milioni di emigranti provenienti dalle zone più povere dell’europa, alla ricerca di una fortuna che il paese “del futuro”, con i suoi grandi spazi ancora poco popolati, consentiva se non altro di sognare; e attraverso questo virtuale ponte umano da una costa all’altra dell’Atlantico si costruì, nella forma di una comunità mista e plurinazionale, un moderno Occidente, che non si identificava ora più, come era avvenuto per millenni, con la sola europa. Già a partire dagli anni Venti, come abbiamo visto parlando della dottrina monroe, gli Stati Uniti avevano intanto cominciato a considerare l’intero centro e Sud America come propria area di influenza. nel 1898 Cuba, ancora spagnola, divenne un protettorato statunitense e gli ultimi brandelli dell’antico impero oceanico iberico – Portorico e Filippine – vennero ceduti al governo di Washington, mentre, nobilitata dalla dottrina del “panamericanismo”, l’egemonia economica e militare statunitense diveniva ogni giorno di più una concreta realtà nell’intera America latina.
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nel 1903 la Repubblica di Panama, con il sostegno statunitense, si separò dalla Colombia e attribuì al suo potente vicino il controllo diretto di una zona di alto valore strategico, quella dove nel 1915 sarebbe stato ultimato lo scavo del canale destinato a collegare stabilmente l’oceano Atlantico e quello Pacifico. non diversamente da quelli europei, anche il nazionalismo americano – il primo dei nazionalismi nei quali ci siamo imbattuti, studiando il tardo Settecento – tendeva insomma a fine secolo ad abbracciare con convinzione quel principio della necessaria supremazia delle nazioni più forti su quelle più deboli che abbiamo tematizzato all’inizio di questa unità. esso comportava la supposta legittimazione dei paesi contraddistinti dalla civiltà borghese e industriale a sottomettere il vasto e variegato “oriente” del mondo e a svalutarne la diversità religiosa, culturale, civile. A quella del “pigro” e “imbelle” orientale cristallizzata dall’imperialismo europeo cominciò ad affiancarsi l’immagine del latinoamericano “inetto, corrotto e inconcludente”, secondo il giudizio dei potenti vicini nordamericani. con l’ingresso degli Stati Uniti sullo scenario della politica mondiale, l’eurocentrismo caratteristico dell’ottocento si trasformò in occidentalismo.
Soldati americani sbarcano a Cuba alla fine dell’Ottocento
ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Gli Stati Uniti nel XIX secolo 1816
James Monroe presidente degli Stati UnitI
1819
Gli Stati Uniti acquistano la Florida
1820
Compromesso del Missouri sulla schiavitù
1823
Dichiarazione di Monroe: l’America agli americani (“dottrina Monroe”)
1829-1837
Andrew Jackson presidente degli Stati Uniti
1846-1848
Guerra americano-messicana: gli Stati Uniti acquisiscono Texas, California, Arizona e Nuovo Messico
1861-1865
Guerra di secessione Abraham Lincoln presidente degli Stati Uniti
1865
Abolizione della schiavitù negli Stati Uniti
1867
Gli Stati Uniti acquistano l’Alaska dalla Russia
1898
Cuba diventa un protettorato statunitense
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Il laboratorio dello storico
Rappresentazioni e stereotipi del colonialismo
Verso
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica
Rappresentazioni e codici La stampa periodica europea di fine Ottocento era prodiga di illustrazioni attraverso le quali il pubblico dei lettori familiarizzava con i territori oltremare acquisiti dal rispettivo paese in seguito alla grande ondata di espansione coloniale. Immancabilmente, ogni volta che a essere raffigurati erano bianchi e asiatici o africani insieme, la scena si modellava secondo uno stereotipo rigidamente codificato e ben rappresentato nell’immagine seguente: In posizione dominante siedono i bianchi in atteggiamento trionfale, vestiti in stile “coloniale”, ben acconciati, come si conveniva a rappresentanti della “vera” civiltà
Ai piedi dei bianchi siede un gruppo di nativi, dall’aria dimessa; soggiogati, quasi arruolati nel ruolo di comparse, a fare da coro in un copione che prevedeva un protagonista unico: bianchi agghindati di tutto punto nelle loro uniformi e livree candide e immacolate, che stridono con la povertà e la modestia dell’ambiente in cui sono per esempio rappresentati in questa scena; gli uni severi, ieratici, consapevoli della loro missione; gli altri in atto di sottomissione, attoniti, nudi Uomini d’affari in una fabbrica cinese di manufatti in vimini, 1875 circa
Lo stereotipo del “non occidentale” Le immagini del “racconto” coloniale furono sempre le stesse. E, sebbene in Africa, così come in Asia, vi fossero civiltà plurimillenarie e dotate di straordinaria ricchezza culturale, la vulgata “orientalista” ne fornì spesso un ritratto al tempo stesso caricaturale e semplificato, inventando un tipo umano unitario che non si dava nella realtà: quello del “non occidentale”. Accostiamoci a due esempi di questo stereotipo. Il primo è tratto da Modern Egypt, scritto nel 1908 dall’inglese Evelyn Baring Cromer.
Sir Alfred lyall mi disse una volta: «la precisione è aborrita dalla mentalità orientale. ogni angloindiano dovrebbe sempre tenere presente questo principio». l’imprecisione, che facilmente degenera in menzogna vera e propria, è uno dei tratti salienti dell’intelletto orientale. l’europeo è un ragionatore lucido, le sue descrizioni dei fatti sono prive di ambiguità; egli è spontaneamente logico, anche quando non ha nozioni di logica formale; è per natura scettico, e pretende prove prima di accettare come vera una qualunque asserzione; la sua intelligenza bene addestrata funziona come un insieme di raffinati ingranaggi. Al contrario, la mente dell’orientale, come le pittoresche strade delle sue città, in modo caratteristico manca di simmetria. 544
capItOlO 21 - Il dOmINIO dEll’OccIdENtE
I suoi ragionamenti sono come descrizioni abusive, che non offrono appigli sicuri. Benché gli arabi dell’antichità abbiano padroneggiato la dialettica con discreta abilità, i loro discendenti paiono curiosamente carenti di facoltà logica. Sono spesso incapaci di trarre le più ovvie conclusioni da premesse anche semplici, delle quali abbiano ammesso la verità. Provate a sollecitare la piena descrizione di un evento da un egiziano qualunque. la sua risposta sarà in genere prolissa e vaga; prima di aver finito il racconto, si sarà contraddetto almeno una mezza dozzina di volte, e un esame un po’ attento delle sue affermazioni lo precipiterà nella confusione.
Il riferimento è in questo caso probabilmente alla cultura araba dei primi secoli dell’islam, e alla funzione da essa allora esercitata nella conservazione e nell’elaborazione della scienza greca
Il secondo è un estratto del discorso tenuto il 13 giugno 1910 dal politico inglese Arthur James Balfour, non proprio conforme a quel valore della democratizzazione che intanto i paesi occidentali dimostravano di ritenere irrinunciabile all’interno dei propri confini.
le nazioni occidentali, sin dalla loro comparsa sul palcoscenico della storia, danno segni di un’incipiente tendenza all’autogoverno […] compiendo progressi spontanei […]. Potete cercare quanto volete nella storia dei popoli orientali, di quello insomma che si è soliti chiamare l’est, ma non troverete alcuna traccia di autogoverno. le fasi storiche che quei popoli hanno attraversato […] sono trascorse invariabilmente nel segno del dispotismo, di forme di governo autoritarie. I contributi di quei popoli alla civiltà […] sono sempre stati elaborati nell’ambito di forme di governo assolutistiche […] Questo è un fatto; non è questione di superiorità o inferiorità. Ritengo che un autentico saggio orientale farebbe osservare come l’amministrazione della cosa pubblica, di cui in egitto e altrove abbiamo voluto farci carico, sia un’attività indegna di un filosofo, come si tratti di un lavoro sporco, inferiore, ancorché indispensabile sul piano materiale. […] È una buona cosa per queste grandi nazioni – riconosco la loro grandezza – che tale forma assolutistica di governo sia da noi amministrata? ebbene io ritengo di sì […] non siamo in egitto solo per il bene degli egiziani, benché senz’altro vi siamo anche per questo, siamo in egitto per il bene di tutta l’europa.
Balfour riprende qui il vecchio mito del dispotismo orientale, che aveva radici molto antiche, ma che tra otto e novecento conobbe un rilancio proprio perché offriva una legittimazione alle modalità autoritarie del governo occidentale nei possedimenti coloniali
«amministrata» significa in questo caso conservata e gestita in prima persona (dalle potenze coloniali europee)
le citazioni sono tratte da e. W. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente, Feltrinelli, milano 2002
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio abbiamo fatto uso tanto di una fonte iconografica quanto di fonti scritte. La prima (una fotografia) si riferisce alla Cina, paese nel quale gli europei non avevano sviluppato un vero e proprio dominio coloniale. Le seconde, invece, riguardano prevalentemente l’Egitto, nel quale gli inglesi avevano cominciato a imporre un protettorato che si avvicinava molto a una forma di dominio in senso proprio. • In che misura la posa assunta dai lavoratori cinesi nella foto corrisponde al discorso sulle caratteristiche della mentalità orientale sviluppato dalle fonti scritte? • In che modo una certa lettura della storia viene adoperata nel discorso di Balfour per legittimare il colonialismo?
545
capItOlO 21
IL DOMINIO DELL’OCCIDENTE
mappa Sviluppo economico occidentale alimenta il senso di superiorità
Presupposti del razzismo europeo: • teorie di Gobineau • darwinismo sociale
Volontà di sopraffazione nei confronti degli “altri mondi”
Oriente visto dall’Occidente come sede del dispotismo, irrazionalismo, conservatorismo
Orientalismo
ImpERIalISmO OccIdENtalE
Imperi orientali
Impero ottomano: dissoluzione a vantaggio di Francia, Inghilterra, Russia Impero cinese: sconfitta nelle guerre dell’oppio e apertura del mercato all’influenza economica occidentale Resistenza del Giappone
trattati ineguali e penetrazione economica occidentale
Finisce lo shogunato e inizia l’era meiji
546
Impero inglese
Dominions: colonie relativamente autonome e simili per leggi e istituzioni alla madrepatria
colonie di sfruttamento: popolazione indigena e coesistenza tra istituzioni britanniche e ordinamenti locali
India: nel 1877 diventa impero, si impongono valori occidentali e si disprezzano le tradizioni locali
Impero francese
Presenza nelle coste settentrionali dell’africa
Colonie in asia: Colombia, Laos, Tonchino, Annan
ascesa degli Stati Uniti
Espansionismo verso ovest ai danni dei pellerossa
Aumento del divario tra il Nord e il Sud
Lincoln si oppone all’introduzione dello schiavismo
Gli Stati del Sud si ribellano, inizia la Guerra di secessione (1861-65)
Vittoria del Nord e abolizione formale della schiavitù. Inizio del boom economico e dell’imperialismo
capItOlO 21
IL DOMINIO DELL’OCCIDENTE
Sintesi 21.1 DAL RISPETTO ALLA SOPRAFFAZIONE: LA NUOvA IDENTITà DEGLI EUROPEI mentre ancora a metà Settecento vi era chi vedeva con ammirazione il mondo orientale, già a fine secolo gli europei cominciarono a considerare le culture extraeuropee esempi di arretratezza e a instaurare con esse meri rapporti di sopraffazione e di dominio. nello stesso tempo si affermò sempre più l’immagine dell’Europa industriale come unico faro del progresso e vertice di una sorta di scala gerarchica umana e sociale. A metà ottocento si diffusero anche le teorie razziste come quella del francese Gobineau, che sosteneva la pretesa superiorità biologica dei bianchi, o quella dell’inglese Kidd, che estese la teoria darwiniana della selezione naturale dall’ambito biologico a quello sociale, proclamando non solo lecito, ma necessario, il dominio delle nazioni più forti su quelle più deboli. 21.2 IL COLONIALISMO OTTOCENTESCO dagli anni Settanta i principali Stati europei adottarono una politica imperialista volta a imporre il controllo non solo economico, ma anche politico sui territori conquistati (in questo senso l’imperialismo si differenzia dal colonialismo e segna la specifica fase di espansione dell’occidente tra il 1870 e il 1914). I primi a espandersi furono l’Inghilterra e la Francia. l’Inghilterra affiancò ai dominions (canada, Australia, nuova Zelanda, colonia del capo) relativamente autonomi dalla madrepatria, le colonie di “sfruttamento”: nel continente asiatico, in India, Birmania e malesia; in quello africano, in egitto e Sudan. la Francia si impose nell’Africa nord-occidentale e nell’Indocina. negli ultimi anni del secolo seguirono l’esempio anche Belgio, Germania e Italia. Alla vigilia della Prima guerra mondiale l’85% della superficie delle terre emerse risultava assoggettata al dominio di una delle potenze europee. 21.3 GLI IMPERI ASIATICI NEL XIX SECOLO l’espansione europea coincise con la crisi dei grandi imperi asiatici. l’Impero ottomano, ormai in declino da secoli, non riusciva più a controllare i suoi territori nell’Africa settentrionale e nei Balcani, riducendo il suo potere quasi esclusivamente alla turchia.
durante l’ottocento l’Impero cinese si indebolì al punto da precipitare in una condizione semicoloniale. Un significato nevralgico, in tal senso, rivestirono le “guerre dell’oppio” mosse dalla Gran Bretagna allo scopo di imporre ai suoi governanti prima la libera introduzione dell’oppio prodotto in India e commerciato da esportatori inglesi, poi l’apertura al commercio britannico di un gran numero di porti e delle vie fluviali interne. Un’eccezione è rappresentata dal Giappone, che subì l’incursione occidentale, ma reagì con una rivolta interna contro il potere tradizionalista dello shogunato, che ripristinò l’autorità imperiale (restaurazione Meiji) e instaurò un originale modello di società basato su un’industrializzazione fortemente pilotata dallo Stato, ma non appiattita sul mondo occidentale. A fine secolo anche il Giappone iniziò una politica imperialista a danno della cina e della Russia.
21.4 GLI STATI UNITI NELL’OTTOCENTO Per gli Stati Uniti l’ottocento fu un secolo decisivo: nella prima metà del secolo essi conobbero una grande espansione sia verso ovest, sia verso sud dopo la guerra con il messico. negli anni Sessanta vissero la Guerra di secessione (1861-1865) che oppose gli Stati del nord, industrializzati e antischiavisti, a quelli del Sud, agricoli e schiavisti. essa si concluse con la vittoria del Nord e con l’abolizione della schiavitù. nei decenni successivi gli Stati Uniti furono protagonisti di un imponente sviluppo economico che in alcuni settori li portò anche a sopravanzare la potenza industriale della Gran Bretagna. tale sviluppo attirò milioni di emigranti provenienti dalle zone più povere dell’europa, alla ricerca di una fortuna che il paese “del futuro”, con i suoi grandi spazi ancora poco popolati, consentiva se non altro di sognare. Gli Stati Uniti nell’ottocento inaugurarono anche una peculiare politica imperialista nei confronti dell’America centrale e meridionale. 547
identità collettiva e cittadinanza
n Inclusione Esclusione
La conquista dell’Egitto, illustrazione 1893
l’imperialismo ottocentesco Il tentativo di cancellare il mondo non occidentale
n
el luglio 1869 Thomas Cook, fondatore della grande compagnia di viaggi che più di ogni altra, nell’Ottocento, contribuì alla diffusione del turismo su scala mondiale, nel suo Excursionist and Tourist Advertiser preannuncia un evento che avrà luogo qualche mese più tardi con queste parole: «Il 17 novembre la più grande impresa di ingegneria di questo secolo vedrà celebrato il proprio buon esito in una magnifica festa di inaugurazione, alla quale tutte le famiglie reali d’Europa invieranno speciali rappresentanze. L’occasione sarà davvero eccezionale. L’apertura di una linea di comunicazione via mare tra l’Europa e l’Est è un sogno secolare, che ha conquistato le menti di greci, romani, sassoni e galli, ma solo negli ultimi pochi anni la civiltà moderna si è davvero incamminata sulla via degli antichi faraoni, i quali, molti secoli or sono, avevano costruito un canale tra i due mari, le cui tracce sono ancor oggi qua e là distinguibili […]. Ogni aspetto dei lavori è stato compiuto su scala gigantesca, e un’attenta lettura dell’opuscolo che li descrive […] ci impressiona ancora più fortemente rivelandoci il genio del grande artefice – il signor Ferdinand de Lesseps –, la perseveranza, la lungimiranza e quieta audacia del quale hanno trasformato in un fatto reale, tangibile, il sogno di epoche intere […], il progetto di avvicinare le nazioni dell’Ovest e dell’Est, e così unire civiltà di epoche diverse» (in E. Said, Orientalismo. L’immagine europea dell’Oriente).
Esclusione
A prima vista sembrerebbe trattarsi di un discorso ecumenico e inclusivo: l’espressione dell’entusiasmo per l’apertura di un canale – quello di Suez – capace di avvicinare come mai era avvenuto in passato l’Oriente e l’Occidente e, dunque, di contribuire alla crescita della comunicazione tra civiltà diverse, all’affratellamento tra i popoli del mondo, chiamandoli a condividere un destino comune. La cerimonia di inaugurazione del canale di Suez
Ma facciamo attenzione ad alcuni particolari. In primo luogo, chi presenzierà all’apertura del canale? Le famiglie reali d’Europa; non, invece, quelle che, almeno ancora in parte, governano nei territori asiatici. D’altronde, chi ha progettato e realizzato il canale, forte degli strumenti che la “civiltà moderna” gli mette a disposizione? Un francese, Ferdinand de Lesseps, la cui impresa viene così esaltata da Bornier, autore di un’opera poetica che qualche anno prima si è aggiudicata il premio messo in palio dall’Académie française per 549
Inclusione Esclusione
identità collettiva e cittadinanza Scene di vita in un villaggio afric ano, illustrazione , XIX secolo
celebrare la costruzione del canale: «Al lavoro! Lavoratori che la nostra Francia invia. Tracciate, per l’universo, questa nuova via! I vostri padri, eroi, fin qui sono arrivati; come loro, intrepidi, siate determinati, come loro combattete a pie’ delle piramidi, che i loro quattromila anni contemplano anche voi! Sì, è per l’universo! Per l’Asia e per l’Europa, per quei climi lontani che la notte avvolge, per il perfido cinese, per l’indiano seminudo; Per i popoli felici, liberi, umani e coraggiosi, per i popoli cattivi, per i popoli schiavi, per coloro ai quali il Cristo è ancora sconosciuto». Dunque: «il perfido cinese», «l’indiano seminudo». E, ancora, tornando al testo scritto da Cook, un Egitto la grandezza della cui civiltà viene irrimediabilmente consegnata al passato dei faraoni.
n
on è, del resto, la finalità del canale, quella di unire «civiltà di epoche diverse»? Ovvero quella occidentale, padrona del presente, e quelle orientali, che appartengono al passato e la cui condizione attuale si esprime nell’immagine dei «popoli schiavi […] ai quali il Cristo è ancora sconosciuto». Il loro destino è, dunque, l’esclusione dal presente; un presente narrato nei termini di un progresso tecnico e di un’emancipazione civile, sociale ed economica che risultano prerogative esclusive dell’Occidente, nonché elementi fondamentali di legittimazione del suo dominio sulle altre civiltà del globo. A dirlo, nella seconda metà dell’Ottocento, non sono solo i più convinti apologeti dell’Europa borghese e liberale, ma anche alcuni dei suoi critici più agguerriti. Così, per esempio, Karl Marx: «In India, l’Inghilterra ha da compiere una duplice missione: distruttiva da un lato, rigeneratrice dall’altro, dissolvere l’organizzazione sociale asiatica e insieme gettare le fondamenta di una società di tipo occidentale». 550
d
i più: se nell’epoca dell’imperialismo il mondo non occidentale veniva descritto da queste fonti come refrattario ai fattori caratterizzanti della modernità, qualche decennio più tardi si poteva perfino arrivare, provocatoriamente, a chiedersi se la sua esclusione dalla storia non comportasse una ancora più radicale forma di esclusione: l’esclusione dal genere umano in quanto tale. , 1892 homey, stampa i e indigeni a Da es nc fra tra tro Scon
l’imperialismo ottocentesco Ascoltiamo George Orwell, a passeggio nel 1939 per le vie di Marrakech, soggetta allora al dominio coloniale francese: «Quando percorrete a piedi una città come questa – duecentomila abitanti, ventimila dei quali non possiedono assolutamente nulla fuorché gli stracci in cui sono avvolti –, quando vedete come vivono gli abitanti e, soprattutto, la facilità con cui muoiono, faticate a convincervi di stare camminando in mezzo ad altri esseri umani. Tutti gli imperi coloniali si fondano in realtà su questo fatto. I volti sono bruni, e poi, quanto sono numerosi! Davvero sono fatti anch’essi di carne, come voi? Hanno forse dei nomi? O si tratta semplicemente di una materia scura, indifferenziata, non più individuale di quanto lo siano le api o i coralli? Sorgono dalla terra, s’affannano e patiscono la fame per qualche anno, infine sprofondano nei tumuli senza nome dei cimiteri e nessuno nota che se ne sono andati. I tumuli stessi tornano presto a confondersi col terreno circostante». L’«universo» a più riprese evocato nella poesia di Bornier, a ben vedere è un universo a un solo colore: quello dei suoi dominatori di pelle bianca, che si arrogano la facoltà di relegare al rango di «materia scura» le popolazioni dei paesi piegati al giogo coloniale. Vignetta satirica antimperialista apparsa sulla rivista “Il Pappagallo” nel luglio 1885
551
SEZIONE 6
IL mondo nELL’ottoCEnto
ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Riordina la successione degli eventi. a. b. c. d. e. f. g. h.
2
➜ cap. 19
Napoleone sottomette la Spagna Viene fondata la repubblica della Gran Colombia Il Belgio diventa indipendente La Grecia diventa indipendente Nasce l’Impero federale tedesco Si apre il Congresso di Berlino Viene enunciata la “dottrina di Monroe” Il Messico diventa una repubblica
Costruisci una linea del tempo e colloca opportunamente gli eventi elencati.
➜ cap. 21
Prima guerra dell’oppio • Scoperta dell’oro in California • Restaurazione Meiji • Compromesso del Missouri • Rivolta dei sepoys • Guerra civile americana • Costruzione del canale di Panama • Costruzione del canale di Suez • Presidenza di Andrew Jackson • Assassinio di Abraham Lincoln
3
552
Indica sulla cartina gli Stati dell’America Latina e l’anno in cui raggiungono l’indipendenza.
➜ cap. 19
4
Quali dei seguenti paesi, nel 1850, erano già saldamente avviati lungo la strada dell’industrializzazione? ➜ cap. 20 a. b. c. d. e. f.
5
Spagna Norvegia Italia Germania Austria Francia
Con due colori diversi indica sul planisfero i territori appartenenti agli imperi coloniali inglese e francese alla fine del XIX secolo. ➜ cap. 21
uSARE IL LESSICO STORICO
6
Scrivi una frase che contenga i seguenti termini.
➜ cap. 19
peninsulari • creoli • cabildos • meticci • indios
7
Fornisci la definizione di ciascun termine o espressione. a. b. c. d.
➜ cap. 20
Trade Unions socialismo scientifico socialismo utopistico falansterio 553
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
8
Scegli la definizione corretta.
➜ cap. 21
1. Darwinismo sociale a Teoria di Darwin secondo la quale vi è una naturale differenza tra le razze umane che porta le più forti a dominare
sulle più deboli. b Teoria secondo la quale le tesi darwiniane sono da applicare non solo alle specie animali, ma anche alle razze umane. c Teoria diffusasi in epoca nazista che sostiene la superiorità della razza ariana su quella ebraica.
2. Imperialismo a
Dottrina che teorizza il diritto degli europei a espandersi al di fuori dell’Europa fondando dei veri e propri imperi.
b Tendenza generale, più volte presentatasi nella storia, ad acquisire il dominio economico su un territorio. c Fase della storia, compresa tra il 1870 e il 1914, durante la quale soprattutto gli Stati europei si espansero nei territori extraeuropei imponendo non soltanto un dominio economico ma anche politico.
3. Ku Klux Klan a
Società segreta fondata negli Stati americani del Sud per opporsi all’eguaglianza tra bianchi e neri. Società segreta fondata dalla popolazione nera negli Stati americani del Sud per rivendicare l’eguaglianza giuridica. c Società segreta fondata da gruppi estremisti cinesi che si opponevano al commercio dell’oppio.
b
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI
9
Indica se le affermazioni seguenti sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 19
1. Con il Congresso di Berlino l’Impero ottomano riconobbe l’indipendenza della Grecia. 2. La dottrina Monroe condanna ogni tentativo europeo di intervenire nelle questioni americane. 3. Le richieste nazionalistiche ungheresi vennero in parte soddisfatte con la creazione, nel 1867, della “duplice” monarchia austro-ungarica. 4. Nel 1831 il Belgio ottenne l’indipendenza dall’Austria. 5. Stati Uniti e Inghilterra appoggiarono e finanziarono i processi di indipendenza nell’America Latina.
10 Rispondi alle domande.
V F
➜ cap. 19
Perché a partire dal 1808 in America Latina vi fu un vuoto di potere? Perché all’inizio dell’800 i reali portoghesi si trasferirono in Brasile? Perché fallì il progetto di creare un’unica confederazione degli Stati dell’America Latina? Quali furono le cause del conflitto tra Messico e Stati Uniti negli anni 1846-1848? Quali solo le analogie e quali le differenze tra le insurrezioni indipendentiste in Europa e in America Latina nel corso dell’Ottocento? f. Quali sono le differenze tra il nazionalismo democratico e quello conservatore? a. b. c. d. e.
11 Scegli, tra quelle proposte, la definizione corretta.
➜ cap. 20
1. New Lanark a
Cittadina della Scozia dove Robert Owen costruì un’azienda modello fondata sui principi socialisti Cittadina della Scozia dove Charles Fourier realizzò i suoi falansteri c Cittadina industriale della Scozia dove fu fondata la prima Internazionale
b
2. Prima Internazionale a
P rima esposizione internazionale delle ultime novità della produzione industriale fatta allo scopo di celebrare il progresso scientifico b Associazione dei principali movimenti dei lavoratori sorta in Europa nel corso dell’Ottocento c Associazione delle principali banche europee per gestire gli scambi del mercato internazionale
554
ESErcIZI
3. Movimento cartista a Associazione dei lavoratori industriali inglesi della carta b c
Movimento di lavoratori che si fece promotore di istanze politiche come il suffragio universale Movimento di rivolta inglese che culminò con il rogo di carta moneta come simbolo del disprezzo per la società borghese
12 Rispondi alle domande.
➜ cap. 20
a. Quali furono i fattori che consentirono ad alcuni paesi di realizzare il processo di industrializzazione nella seconda metà dell’Ottocento? b. Quali effetti ebbe il massiccio sviluppo delle ferrovie? c. Che cosa favorì il miglioramento generale delle condizioni di vita nell’Europa dell’Ottocento? d. Quale fu la posizione degli aristocratici rispetto allo sviluppo dell’industria? e. Quale ruolo economico ebbe la terra fino agli anni Settanta dell’Ottocento? f. Perché nacquero le prime associazioni di lavoratori?
13 Indica se le affermazioni seguenti sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 21
V F
a. Nella prima guerra dell’oppio l’Inghilterra attaccò la Cina per garantire il libero smercio dell’oppio in quel paese. b. Gli Stati Uniti, in quanto ex colonia, osteggiarono qualsiasi forma di dominio coloniale. c. Il compromesso del Missouri stabiliva che gli Stati antischiavisti del Nord dovessero arrestare gli schiavi fuggiaschi provenienti dagli Stati schiavisti del Sud. d. Dopo la guerra civile americana molti Stati del Sud attuarono una politica di segregazione nei confronti dei neri. e. Alla fine dell’Ottocento la dottrina del “panamericanismo” legittimò l’egemonia economica e militare statunitense su molti Stati dell’America centrale. f. Con l’ingresso degli usa sullo scenario della politica mondiale alla fine dell’Ottocento si passò dall’eurocentrismo all’occidentalismo.
14 Collega opportunamente i nomi e le espressioni delle due colonne. 1. 2. 3. 4.
Cobden G obineau K idd Said
a. b. c. d.
➜ cap. 21
Darwinismo sociale Diseguaglianza sociale Orientalismo Scuola di Manchester
15 Osserva l’immagine e rispondi alle domande.
a. Che cosa raffigura? Chi sono i personaggi ritratti? b. Dove potrebbe essere ambientata la scena? Motiva la tua risposta. 555
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
16 In un massimo di 40 righe scrivi un testo che definisca il cambiamento del concetto di nazione tra Settecento e Ottocento.
➜ cap. 19
17 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti.
➜ cap. 19
a. I movimenti nazionalistici nell’America spagnola b. L’indipendenza del Brasile c. I movimenti nazionalistici in Europa
18 In un massimo di 30 righe spiega perché per Marx la borghesia ha avuto una funzione rivoluzionaria.
➜ cap. 20
19 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti.
➜ cap. 20
a. Le principali trasformazioni nelle città europee all’inizio dello sviluppo industriale. b. I due modelli di società equa delineati rispettivamente da Owen e Fourier. c. I principi fondamentali del “socialismo scientifico” di Karl Marx.
20 In un massimo di 40 righe spiega su quali basi teoriche si fondava la politica imperialistica dei paesi europei nell’Ottocento.
➜ cap. 21
21 In un massimo di circa 30/40 righe spiega come cambia l’immagine europea dell’Oriente tra Sette e Ottocento, cercando di individuarne le motivazioni.
➜ cap. 21
22 In un massimo di 30 righe spiega che cosa rappresenta per gli americani il mito della frontiera.
➜ cap. 21
SCRIVERE DI STORIA
23 Dopo aver letto il brano seguente, scrivi un tema storico sul seguente argomento: “L’inedito senso di superiorità occidentale nell’Ottocento”.
➜ cap. 21
Le origini della crisi mondiale di metà ottocento non sono che un’estensione del precedente “naufragio delle nazioni” del 1780-1820. Ancora una volta […] la crescita economica ineguale e la contemporanea messa in questione della legittimità di tutte le forme di potere costituirono ovunque il crogiuolo del conflitto. Gli europei e i nordamericani risolsero queste crisi con un grande massacro. molte vecchie istituzioni furono rovesciate. tuttavia, in occidente, lo Stato, da questo momento, emerse con maggior forza, sapendo anche proiettare con maggiore efficacia il proprio potere aldilà dei mari. Asiatici, africani, latinoamericani e residenti del Pacifico subirono guerre, conflitti e rivoluzioni di violenza analoga. tra gli sconvolgimenti vi furono chiare connessioni globali. […] naturalmente gli extraeuropei continuarono ad essere agenti attivi che si appropriavano delle forze esterne scagliate contro di loro, le trasformavano e vi resistevano. ma il differenziale di potere e di capacità tecnologica tra l’occidente e il resto del mondo era divenuto perfino più cospicuo di quanto non fosse stato nel 1780. […] Ciò si deve in parte all’ulteriore affinamento europeo degli strumenti bellici e della statualità. C. A. Bayly, La nascita del mondo moderno, Einaudi, torino 2007
556
SEZIONE 6
IL mOnDO nELL’OTTOCEnTO Verso
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
Il nazionalismo nell’Ottocento Formatasi proprio nell’Ottocento, in concomitanza con il completamento del mosaico degli Stati nazionali in Europa, la storiografia elaborò una modalità di narrazione che concepiva in primo luogo la storia come storia nazionale. L’evento politico che si era appena realizzato (per esempio: la costituzione dello Stato nazionale in Italia e in Germania) veniva, in tal senso, presentato come il naturale punto di approdo di un destino collettivo, che aveva cominciato a delinearsi secoli, se non addirittura millenni prima. A rimettere in discussione questo tipo di impostazione hanno fortemente contribuito non solo le vicende della storia politica europea dell’ultimo ventennio, contraddistinte dalla disgregazione di molti Stati nazionali e dalla comparsa di spinte di tipo localistico o sovranazionale, ma anche le suggestioni esercitate sulla storiografia da altre scienze sociali, come l’antropologia, la sociologia, la
1.
scienza politica. Ernest Gellner 1 , per l’appunto un antropologo, attingendo agli strumenti concettuali propri della sua disciplina, segnala alcuni dei punti deboli delle interpretazioni del tema della nazione che trascurano di approfondire in modo analitico i contesti al cui interno si colloca la vita concreta degli Stati nazionali. Benedict Anderson 2 , il quale scrive anch’egli, come Gellner, all’inizio degli anni Ottanta del Novecento ne accoglie in parte le argomentazioni e propone di considerare la nazione come una creazione umana storicamente determinata, che conosce fasi di ascesa, ma anche possibilità di declino o scomparsa. James G. Kellas 3 , da una prospettiva più specificamente politologica, si sofferma a sua volta soprattutto sul ruolo che l’etnocentrismo ha avuto nell’Ottocento – e ha tuttora – nel definire l’ambito di autoidentificazione delle collettività umane.
Ernest Gellner
L’uomo fa le nazioni L’antropologo sociale inglese di origine cecoslovacca Ernest Gellner (1925-1995) ha insegnato alla London School of Economics, all’Università di Cambridge, infine al Centro per lo studio del nazionalismo di Praga. Oltre che di quello da cui si cita, è autore di una ventina di libri, tra i quali, tradotto in italiano, Antropologia e politica (Editori Riuniti, Roma 1995).
La definizione di nazione presenta difficoltà ancora maggiori di quelle che accompagnano la definizione di Stato. Sebbene l’uomo moderno tenda a dare per scontato lo Stato centralizzato (e, più specificamente, lo Stato nazionale centralizzato), egli è, tuttavia, capace, con uno sforzo relativamente piccolo, di vederne la contingenza, e di immaginare una situazione sociale in cui lo Stato sia assente. Inoltre, dispone delle nozioni necessarie a visualizzare lo “stato di natura”. 557
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
1. Adalbert von Chamisso (1781-1838), poeta e botanico tedesco di origine francese. La sua opera più famosa è La storia straordinaria di Peter Schlemihl (1814), Garzanti, Milano 1992
558
L’antropologo può spiegargli che la tribù non è necessariamente uno Stato su piccola scala, e che esistono forme di organizzazione tribale cui lo Stato rimane assolutamente estraneo. Viceversa, l’idea di un uomo senza nazione sembra imporre uno sforzo troppo grande all’immaginazione dell’uomo moderno. Chamisso1 , un emigré francese in Germania durante il periodo napoleonico, scrisse un significativo romanzo protokafkiano su un uomo che aveva perso la sua ombra: sebbene parte dell’efficacia di questo romanzo s’imperni indubbiamente sull’intenzionale ambiguità della parabola, è difficile non sospettare che, per lo scrittore, l’Uomo senza Ombra fosse l’Uomo senza nazione. Quando i suoi seguaci e conoscenti scoprirono la singolare anomalia di Peter Schlemihl, l’uomo senza ombra, cominciarono a sfuggirlo dimenticando le sue doti di un tempo. Un uomo senza nazione sfida le categorie universalmente riconosciute e provoca ripugnanza. L’idea di Chamisso – se proprio questo era il messaggio che intendeva trasmettere – era abbastanza valida, ma lo era solo per un determinato tipo di condizione umana, non per la condizione umana in quanto tale in ogni tempo e luogo. L’uomo deve avere una nazionalità come deve avere un naso e due orecchi; una deficienza in uno qualunque di questi particolari non è inconcepibile, e di tanto in tanto si verifica, ma solo in conseguenza di qualche sciagura, ed è essa stessa una specie di sciagura. Tutto ciò sembra ovvio, anche se, ahimè, non è vero. ma che sia finito per sembrare tanto ovviamente vero è certo un aspetto, o forse il nocciolo stesso, del problema del nazionalismo. Avere una nazione non è un attributo intrinseco dell’uomo, ma oggi è arrivato ad apparire tale. Di fatto, le nazioni, come gli Stati, sono una contingenza, non una necessità universale. né le nazioni né gli Stati sono esistiti in tutti i tempi e in tutte le circostanze. E inoltre, nazioni e Stati non sono la stessa contingenza. Il nazionalismo sostiene che nazione e Stato sono fatti l’una per l’altro; che l’una senza l’altro rappresenta qualcosa di incompleto e crea una tragedia. ma prima che si potesse stabilire questo connubio, l’una e l’altro hanno dovuto emergere, e il loro emergere è stato indipendente e contingente. Lo Stato è certamente emerso senza l’aiuto della nazione. Alcune nazioni sono certamente emerse senza la benedizione dei propri Stati. È materia di discussione se l’idea normativa di nazione, nel suo senso moderno, non abbia presupposto l’esistenza prioritaria dello Stato. Che cos’è dunque questa idea contingente di nazione che, però, nella nostra epoca pare essere universale e normativa? La discussione di due definizioni provvisorie e improvvisate aiuterà a individuare con esattezza questo elusivo concetto. 1. Due uomini sono della stessa nazione se e soltanto se condividono la stessa cultura, dove cultura significa a sua volta un sistema di idee, di segni, di associazioni e di modi di comportamento e di comunicazione. 2. Due uomini sono della stessa nazione se e soltanto se si riconoscono reciprocamente, “È l’uomo che fa le nazioni”; le nazioni sono i manufatti delle convinzioni, delle lealtà, della solidarietà degli uomini. Una semplice categoria di persone (gli occupanti, diciamo, di uno stesso territorio, coloro che parlano la stessa lingua, ecc.) diventa una nazione se e quando i membri della categoria riconoscono compatti alcuni reciproci diritti e doveri in virtù della comune appartenenza ad essa. È il loro vicendevole riconoscimento come consociati di questo tipo ciò che li trasforma in una nazione, e non altri attributi comuni, quali che siano, che distinguono questa categoria da coloro che non ne sono membri. Ciascuna di queste definizioni provvisorie, la culturale e la volontaristica, possiede alcuni meriti. Ciascuna mette in luce un elemento che è di reale importanza per la comprensione del nazionalismo. ma nessuna delle due è adeguata.
Il dIbattItO dEglI StOrIcI
Il concetto di cultura, presupposto dalla prima definizione, in senso antropologico più che normativo, è purtroppo difficile da definire in tutti i suoi dettagli e tutt’altro che soddisfacente. È forse meglio affrontare il nostro problema usando tale termine senza tentare di spingersi troppo avanti nella sua definizione formale e guardando a quello che la cultura fa. E. Gellner, Nazioni e nazionalismi, Editori Riuniti, Roma 1985, pp. 8-10
Guida alla comprensione • Gellner illustra in primo luogo la storicità e, al tempo stesso, l’artificiosità dei moderni Stati nazionali.
2.
• Egli sottolinea poi il nesso frequente – nella storia degli ultimi due secoli – tra costruzione della nazione e costruzione dello Stato amministrativo accentrato.
Benedict Anderson
La nazione: creazione e immaginazione Benedict Anderson (nato nel 1936) è professore di studi internazionali alla statunitense Cornell University e autore di molte importanti opere sulla politica e la cultura dell’Estremo Oriente. Oltre a quello da cui si cita, uno dei suoi libri tradotti in italiano è Sotto tre bandiere. Anarchia e immaginario anticoloniale (Manifestolibri, Roma 2008).
1. Ernest Renan (1823-1893), scrittore francese, esponente del positivismo. Il suo Che cos’è una nazione è un discorso del 1882.
Prima di affrontare le questioni sollevate, conviene considerare brevemente il concetto di “nazione” e offrirne una definizione maneggevole. I teorici del nazionalismo si sono trovati spesso perplessi, per non dire irritati, di fronte a questi tre paradossi. (1) L’oggettiva modernità delle nazioni agli occhi degli storici contro la loro soggettiva antichità agli occhi dei nazionalisti. (2) L’esplicita universalità della nazionalità come concetto socio-culturale (nel mondo moderno ognuno può e dovrebbe avere, e avrà, una nazionalità, come appartiene a un certo genere maschile o femminile) contro l’irrimediabile particolarità delle sue manifestazioni concrete (ad esempio la nazionalità greca è “sui generis”). (3) La forza politica dei nazionalismi contro la povertà e persino incoerenza filosofica. In altre parole, il nazionalismo, al contrario di molti altri momenti, non ha mai prodotto i propri grandi pensatori: nessun Hobbes, Tocqueville, marx o Weber [...]. Parte della difficoltà è che si tende a ipostatizzare l’esistenza di un nazionalismo con la n maiuscola, come si è portati a pensare Età con la E maiuscola, e quindi classificarlo come un’ideologia. (Va notato che poiché ognuno ha un’età, Età è solo un’espressione analitica). Sarebbe tutto più facile, credo, se “nazionalismo” fosse trattato nella stessa sfera di “consanguineità” e “religione”, piuttosto che di “liberalismo” o “fascismo”. Con lo spirito di un antropologo, propongo quindi la seguente definizione di una nazione: si tratta di una comunità politica immaginata, e immaginata come intrinsecamente insieme limitata e sovrana. È immaginata in quanto gli abitanti della più piccola nazione non conosceranno mai la maggior parte dei loro compatrioti, né li incontreranno, né ne sentiranno mai parlare, eppure nella mente di ognuno vive l’immagine del loro essere comunità. Renan1 si riferì a questo “immaginarsi” nel suo 559
SEZIONE 6 - Il mONdO NEll’OttOcENtO
2. «Or l’essence … choses»: «Ora, l’essenza di una nazione è che tutti gli individui abbiano, da un lato, molte cose in comune, e che egualmente tutti ne abbiano, dall’altro, dimenticate molte».
modo soavemente sarcastico quando scrisse che: «Or l’essence d’une nation est que tous les individus aient beaucoup de choses en commun, et aussi que tous aient oublié bien des choses»2. Con una certa ferocia Gellner afferma una tesi simile dicendo che: «Il nazionalismo non è il risveglio delle nazioni all’autoconsapevolezza: piuttosto inventa le nazioni dove esse non esistono». Tale formulazione presenta però l’inconveniente che Gellner è così ansioso di dimostrare che il nazionalismo si nasconde sotto pretese infondate, da assimilare “invenzione” a “fabbricazione” e “falsità”, piuttosto che a “immaginazione” e “creazione”. Così facendo egli sottintende che vi sono comunità “vere” che possono essere vantaggiosamente contrapposte alle nazioni. In realtà è immaginata ogni comunità più grande di un villaggio primordiale dove tutti si conoscono (e forse lo è anch’esso). Le comunità devono essere distinte non dalla loro falsità/ genuinità, ma dallo stile in cui esse sono immaginate. Gli abitanti dei villaggi di Giava hanno sempre saputo di essere in qualche modo legati a individui che non hanno mai incontrato, ma un tempo questi legami erano immaginati in ambito particolaristico, come reti indefinitamente estendibili di stirpe e clientela. Fino a tempi piuttosto recenti il linguaggio di Giava non aveva una parola per il concetto astratto di “società”. Oggi possiamo pensare all’aristocrazia francese dell’ancien régime come a una classe sociale; ma certamente è stata immaginata in questi termini molto più tardi. Alla domanda «Chi è il Conte di X?» la normale risposta sarebbe stata non «un membro dell’aristocrazia», bensì «il signore di X», «lo zio della baronessa di Y» o «un appartenente al seguito del Duca di Z». La nazione è immaginata come “limitata” in quanto persino la più grande, con anche un miliardo di abitanti, ha comunque confini, finiti anche se elastici, oltre i quali si estendono altre nazioni. nessuna nazione s’immagina confinante con l’umanità. I nazionalisti più “messianici” non sognano un giorno in cui tutti i membri della razza umana si uniranno alla loro nazione come, ad esempio, i cristiani hanno potuto fare in alcune epoche storiche, sognando un pianeta interamente cristiano. La nazione è immaginata come “sovrana” in quanto il concetto è nato quando illuminismo e rivoluzione stavano distruggendo la legittimità del regno dinastico, gerarchico e di diritto divino. maturando in un momento della storia del genere umano in cui anche i più devoti adepti di ogni religione universale si confrontavano inevitabilmente con l’evidente pluralità di tali religioni, e con l’allomorfismo tra le pretese ontologiche e l’estensione territoriale di ogni fede, le nazioni sognano di essere libere, e semmai di dipendere soltanto da Dio. La garanzia (e l’emblema) di tale libertà è lo stato nazionale. Infine, è immaginata come una comunità in quanto, malgrado ineguaglianze e sfruttamenti di fatto che possono predominarvi, la nazione viene sempre concepita in termini di profondo, orizzontale cameratismo. In fin dei conti, è stata questa fraternità ad aver consentito, per tutti gli ultimi due secoli, a tanti milioni di persone, non tanto di uccidere, quanto di morire, in nome di immaginazioni così limitate. B. Anderson, Comunità immaginate. Origini e diffusione del nazionalismo, manifesto Libri, Roma 1996, pp. 24-26
Guida alla comprensione • Anderson ricorda in primo luogo la grande varietà delle forme di manifestazione della nazione, sottolineando quanto sia problematico fornirne una teorizzazione unitaria.
560
• Egli illustra poi il ruolo assolto dall’immaginazione per rendere emozionalmente condivisibile dalle persone comuni il senso di identità e di appartenenza nazionale.
Il dIbattItO dEglI StOrIcI
3.
James G. Kellas
L’etnia e la nazione James G. Kellas, docente di Scienza politica presso l’Università di Glasgow, oltre che di quello da cui si cita, è autore del libro Nationalist Politics in Europe: the Constitutional and Electoral Dimensions (London-New York 2003).
1. Benedict Anderson: cfr. il testo precedente.
Quando gli individui pensano a se stessi e alla propria posizione nella società, le loro idee derivano in parte dagli istinti (cioè dalla natura umana) e in parte da ciò che essi hanno appreso dall’ambiente e dalle altre persone. Anche il loro comportamento è in parte istintivo, in parte conseguenza dell’apprendimento e dell’ambiente. Si può sostenere che l’“idea” di nazione è qualcosa di naturale, oppure che è un prodotto dell’immaginazione. La prima di queste posizioni viene appoggiata da alcuni sociobiologi, per i quali l’idea di nazione deriva dall’istinto della “selezione di stirpe” o etnocentrismo […]: in questa ottica una nazione ha la funzione della famiglia estesa, indipendentemente dal fatto che al suo interno ci sia o no un parentela genetica; ma di solito una parentela c’è, in senso molto lato. Tra gli autori che hanno scritto sul nazionalismo, i più vedono la nazione come un concetto piuttosto che come qualcosa di naturale. Per questi autori, le nazioni sono “comunità immaginate”, per usare l’espressione di Benedict Anderson1 . Gli individui immaginano le nazioni, e immaginano di esserne membri, perché la loro mente cerca di creare una costruzione sociale basandosi sui rapporti che essi hanno con altre persone. naturalmente questo modo di affrontare il problema non ci aiuta a determinare quali nazioni siano “immaginate”, né con quale forza vengano immaginate. E tanto meno ci aiuta a porre il nazionalismo in un contesto storico. L’idea di nazione e l’idea di nazionalismo possono essere “immaginate” da molte persone con un minimo di suggerimenti da parte dei pensatori politici. ma il nazionalismo, nella sua forma più sviluppata, è una “ideologia”, e questo sposta il centro dell’attenzione dalla biologia e dalla psicologia alla sociologia e alla filosofia. In queste discipline, di solito una “ideologia” è vista come un sistema di idee che si discosta dal “sapere” o dalla “scienza” in quanto non è “vera”, e in quanto contiene una grande quantità di argomentazioni fallaci. Il nazionalismo è un’ideologia che si fonda sull’idea di nazione e che fa di questa idea la base delle sue azioni. Queste azioni possono essere politiche o non politiche. Dato che l’argomento del nostro studio è la politica del nazionalismo, non sarà necessario esaminare in modo approfondito il nazionalismo culturale, o il nazionalismo dello sport, a meno che questi tipi di nazionalismo non abbiano chiari effetti politici; ma il problema di capire che cosa sia politico e che cosa non lo sia è particolarmente difficile da risolvere quando si studia il nazionalismo. […] Da dove viene l’idea di nazione? E in che modo il nazionalismo si è sviluppato da quell’idea? Questi argomenti sono oggetto di un vivace dibattito fra gli studiosi. In questo lavoro verrà data un’interpretazione particolare, che vuole essere coerente con il resto dell’argomentazione. ma verranno anche trattate altre interpretazioni, che i lettori potrebbero anche trovare più convincenti. L’idea di nazione risale all’antichità; ma non è chiaro se allora esistesse una nazione come noi la intendiamo ora. I Greci e gli Ebrei, in particolare, erano consapevoli della propria identità come popoli, e agivano in modo da mantenere la coesione delle proprie comunità. Gli ebrei continuarono a farlo durante tutta la loro lunga “diaspora” o dispersione nel mondo. mentre i Greci rimasero nella loro terra natìa, sia pure sotto dominazioni straniere per molti secoli, gli Ebrei persero la loro terra, per riottenerla soltanto nel ventesimo secolo. Il desiderio di ritornare alla “terra promessa” rimase vivo tra gli Ebrei attraverso i secoli, ed essi ripetevano la preghiera “L’anno prossimo a Gerusalemme”. 561
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2. Dichiarazione Balfour: il 2 novembre 1917 il ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour scrisse una lettera a Lord Rotschild, principale rappresentante della comunità ebraica inglese, dichiarando il favore del governo britannico alla creazione di un insediamento ebraico in Palestina. 3. Anthony Smith (nato nel 1939) ha insegnato “Nazionalismo ed etnicità” alla London School of Economics ed è autore di Le origini etniche delle nazioni (il Mulino, Bologna 1998). 4. Ernest Gellner: cfr. il primo brano di questa sezione.
Il sionismo è la forma di nazionalismo che verso la fine dell’Ottocento diede voce al desiderio di ricostruire una patria ebraica in Palestina. nel 1917, il governo britannico promise, nella Dichiarazione Balfour2 , di “facilitare l’instaurazione in Palestina di una patria per gli Ebrei”. nel 1948, venne fondato lo stato di Israele, che proclamò, nella sua dichiarazione di indipendenza, “il diritto degli Ebrei a essere padroni del proprio destino, come tutte le altre nazioni, nel proprio stato sovrano”. Da allora in poi, lo stato di Israele sarebbe stato “aperto all’immigrazione degli Ebrei e al radunarsi degli esuli”. Abbiamo qui un esempio di un’idea di nazione e di un’ideologia del nazionalismo che sono esistiti per millenni, anche se hanno assunto una forma particolare, il sionismo, soltanto negli ultimi cento anni. Bisogna però precisare che la maggior parte degli scrittori sostiene che il nazionalismo è un fenomeno relativamente moderno, anche se affonda le radici in un passato lontano. non tutte le nazioni sono chiaramente definite come quelle dei Greci e degli Ebrei. Per la maggior parte delle nazioni moderne, le testimonianze storiche sono molto difficili da seguire. Un gruppo che in un periodo costituiva una “nazione”, un “popolo” o una “razza” può scomparire in un altro periodo, oppure essere assorbito da un gruppo più ampio. Anthony Smith3, dopo avere studiato a lungo il nazionalismo, è giunto alla conclusione che le nazioni hanno “origini etniche”. Questo significa che non dovremmo ritenere che le nazioni siano state prodotte soltanto da fenomeni moderni, per esempio il capitalismo e l’industrializzazione, come sostiene invece Gellner4, le origini delle nazioni andrebbero piuttosto cercate nei gruppi etnici dei primissimi periodi della storia. In questo modo si sposta indietro nel tempo anche l’idea di nazione, la cui comparsa viene fatta risalire al periodo in cui questa idea fu espressa per la prima volta, piuttosto che al periodo in cui l’ideologia nazionalista cominciò a diffondersi e a manifestarsi chiaramente (“l’età del nazionalismo” nell’Ottocento). J. G. Kellas, Nazionalismo ed etnie, il mulino, Bologna 1993, pp. 33-36
Guida alla comprensione • Kellas descrive le varie posizioni interpretative a proposito del significato e dei contenuti da attribuire all’idea di nazione. • Egli ricostruisce poi la parabola a suo parere
imboccata dal sentimento nazionale attraverso i millenni, mostrando così come egli non ritenga il nazionalismo un fenomeno specificamente ottocentesco.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. In questi brani si può vedere il contributo offerto da altre discipline alla storiografia. Di quali discipline si tratta? 2. Tempi lunghi (millenari) e tempi brevi (otto-novecenteschi): quale delle ipotesi interpretative intorno all’idea di nazione ti convince di più? Perché? 3. Il termine “invenzione” (delle nazioni) in questi brani ha una connotazione positiva o negativa? 4. In che senso nel terzo brano si afferma che la nazione svolge una funzione di “famiglia” estesa? 5. Saresti in grado di indicare qualche caso di nazione europea che nel corso degli ultimi decenni si è disgregata? 562
SEZIONE 6
IL mOnDO nELL’OTTOCEnTO Verso
VERSO L’ESAmE DI STATO Prova d’esame
le competenze
• Riconoscere l’attualità di alcune fondamentali tematiche storiche • Saper affrontare autonomamente in modo interdisciplinare temi particolarmente significativi • Confrontare tesi diverse in relazione allo stesso argomento per giungere alla formazione di una conoscenza storica critica e consapevole • Produrre testi di tipo argomentativo di ambito storico
In questa sede ti proponiamo una simulazione della prova d’esame che affronterai il prossimo anno. Per la tipologia B (saggio breve o articolo di giornale) troverai una serie di documenti sul rapporto tra nazionalismo e imperialismo nella seconda metà dell’Ottocento; per la tipologia C forniamo una traccia, anch’essa relativa al tema dell’imperialismo. A differenza di quanto avviene in sede di esame, al fondo troverai alcuni spunti per aiutarti nella stesura degli elaborati.
TIPOLOGIA B – REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
consegne Sviluppa l ’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve”, argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell ’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l ’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà foglio protocollo. AmBITO STORICO-POLITICO ARGOmENTO: Nazionalismo e imperialismo
documenti Tutti coloro che […] quanto meno presentono la libertà, e, anziché odiarla o temerla, l’amano: tutti costoro sono uomini vivi, e, considerati come popolo, sono un popolo originale, il popolo per eccellenza, sono TEDESCHI. […] Ed ecco che a questa nazione [quella tedesca], una filosofia, cui son cadute le bende, mette avanti uno specchio perché essa riconosca in limpida visione che cosa, senza la sua consapevolezza, abbia fatto di lei la natura, a che cosa la destini. Ed ecco che la si invita a completarsi e, secondo quella limpida visione e con arte meditata e libera, a diventare totalmente quale deve essere, rifacendo le alleanze e chiudendo definitivamente il cerchio dei suoi cittadini. Il principio secondo cui essa deve tracciare i suoi confini e chiudere il cerchio delle genti tedesche le fu tracciato dalla natura: chiunque crede nello spirito, e alla libertà dello spirito, e vuole il progresso all’infinito dello spirito per mezzo della libertà, dovunque sia nato e qualunque lingua parli è della nostra razza; egli ci appartiene; egli verrà con noi. J. Fichte, Discorsi alla nazione tedesca, 1808 563
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Quando Iddio crea la vita di un popolo, dicendogli: «Sii nazione!» non gli dice: «Goditi l’esser tuo come l’avaro il proprio tesoro; la tua libertà, come se fosse delitto; la parola ch’io t’ho messa nel cuore, come se fosse un segreto che nessun altro debba conoscere. Ei gli dice invece: «Va, colla fronte alta, tra i fratelli ch’io t’ho dato, libero e senza ritegno, come conviene a chi ha ricevuto nella sua coscienza il mio verbo: prendi il tuo posto fra le nazioni, secondo il segno che da me tieni, secondo la parola ch’io ti ho sussurrato all’orecchio quando eri ancora infante nella cuna [culla]: compi nobilmente e coraggiosamente l’ufficio tuo sopra la terra, perché da questo sarai guidato: confessa altamente, davanti al mondo e ai padroni del mondo, la fede dei tuoi padri; non rinnegare i tuoi fratelli: aiutali, a seconda dei loro bisogni e delle tue forze, perché siete tutti fatti ad immagine mia, e un giorno vi raccoglierò tutti nel mio seno. Inoltra sicuro sulla via ch’io t’ho segnata; e quando ti verrà chiesto conto dei tuoi atti e del pensiero che svolgi nel mondo leva in alto la mano additando il cielo a coloro che t’interrogano; là è il tuo diritto, la tua legge, la tua sicurtà. Or questo nome, questa sicurtà, questo segno che Dio pose in fronte a ciascun popolo, è la nazionalità, alla quale s’immedesima il pensiero ch’egli è chiamato a svolgere nel mondo: ond’è ch’essa è sacra. E perciò avviene ch’essa perde il suo carattere quando dimentica la propria origine; quando non ha più legami col suo principio, con l’umanità G. mazzini, 1835
Abbiamo detto, altre volte, che due sono i modi di considerare la nazione: quello naturalistico, che fatalmente sbocca nel razzismo, e quello volontaristico. S’intende bene che non sempre l’opposizione è così totale e recisa: anche una dottrina a base naturalistica può apprezzare in certa misura i fattori volontaristici (educazione, ecc.), così come anche una dottrina a base volontaristica non è detto che debba rinnegare ogni e qualsiasi influsso dei fattori naturali (ambiente geografico, razza, ecc.). ma insomma, è dall’accentuare più o meno fortemente l’uno o l’altro elemento che una dottrina riceve il suo particolare rilievo. Orbene, sin dall’inizio in terra di Germania la valutazione etnica (cioè naturalistica) si fa avvertire. […] Il pensiero italiano svolge invece l’idea di nazione su basi decisamente volontaristiche. La formula, bellissima, della nazione come di un «plebiscito di tutti i giorni» fu trovata dal Renan: ma la sostanza di essa è già nel mazzini. F. Chabod, L’idea di nazione, Laterza, Bari 1961
Più in generale l’imperialismo incoraggiava le masse, e specialmente i potenziali scontenti, a identificarsi con lo Stato e con la nazione imperiale, e così a giustificare e legittimare inconsciamente il sistema politico sociale rappresentato dallo Stato medesimo. E nell’età della politica di massa anche i vecchi sistemi avevano bisogno di nuova legittimità. Anche qui, i contemporanei avevano idee ben chiare in proposito. In Inghilterra la cerimonia d’incoronazione del 1902, accuratamente rielaborata, fu elogiata perché intesa ad esprimere «il riconoscimento, da parte di una libera democrazia, di una corona ereditaria come simbolo del predominio mondiale della propria razza». L’impero, insomma, costituiva un buon cemento ideologico. E. Hobsbawm, L’età degli imperi 1875-1914, Laterza, Roma-Bari 1992
Con il passare dei decenni, il nazionalismo spesso assunse un tono più truculento. I movimenti nazionali, che avevano cominciato partecipando alla crociata liberale contro 564
vErSO l’ESamE dI StatO
le dinastie reazionarie, avvertirono un senso di frustrazione non appena fu chiaro che le loro richieste non potevano essere completamente accolte. Cosi nell’ultimo quarto del secolo, il “vecchio nazionalismo liberatorio e unificante” spesso lasciò il posto all’intolleranza del “nazionalismo integrale”. I nazionalisti cominciarono a parlare di espulsione delle minoranze e di “tradimento” per chiunque non si conformasse alla loro definizione dogmatica di comunità (è con questo significato negativo che, negli anni novanta dell’Ottocento, il termine “nazionalismo” entrò nell’uso comune). n. Davies, Cento anni di Europa: 1870-1970, Laterza, Roma-Bari 1975
TIPOLOGIA C – TEmA DI ARGOmENTO STORICO Il cosiddetto “lungo Ottocento”, cioè il periodo compreso fra gli ultimi decenni del Settecento e la prima guerra mondiale, è caratterizzato da profondi processi di trasformazione. Uno dei più importanti riguarda l’imperialismo e il mutamento dei rapporti tra Occidente e Oriente. Analizza tali rapporti a partire dalla seguente affermazione di un importante intellettuale e statista cinese dell’epoca: «Si deve studiare il vecchio e il nuovo […] per “nuovo” intendiamo la scienza dell’amministrazione, la tecnologia e la storia occidentale. Il vecchio sapere attiene alla sostanza, il nuovo serve per scopi pratici. né l’uno né l’altro devono essere negletti. Dobbiamo studiare tanto la scienza dell’amministrazione quanto la tecnologia […]. Quello che non si deve mutare sono i rapporti umani e i principi morali, non le leggi; è la Via dei [nostri antichi] Saggi non gli strumenti del governo; è il modo di pensare, non la tecnologia. Leggi ed istituzioni servono ad adeguarsi alle nuove istituzioni; non è perciò necessario che permangano sempre uguali. La Via è ciò su cui costruiamo, deve perciò restare immutata» (Chang Chih-tung, Esortazione allo studio, 1898).
Mettiti alla prova 1.
Prima di affrontare la stesura del saggio breve (o dell’articolo), approfondisci ulteriormente con la lettura dei documenti a tua diposizione nel Dibattito degli storici di questa sezione (pp. 557-562).
2.
Almeno alcuni degli autori dei documenti citati dovrebbero esserti ben noti, ma se pensi che le tue informazioni siano insufficienti, svolgi una breve ricerca usando gli strumenti che ritieni più opportuni.
3.
Scegli la tipologia di svolgimento (saggio breve o articolo), ma prima di passare alla stesura del testo realizza una scaletta, eventualmente integrandola con alcune parole chiave o citazioni tratte dai documenti. Scrivi per ogni punto della “scaletta” un paragrafo che contenga una tesi, i dati e le argomentazioni d’appoggio.
4.
Quando hai definito la scaletta, decidi il titolo più appropriato. Concludi poi il tuo lavoro con la revisione generale e la trascrizione in “bella”.
5.
Prima di svolgere il tema storico completa la tua ricerca analizzando le parti della sezione dedicate ai rapporti tra Occidente e Oriente, con particolare attenzione alla Cina.
6.
Realizza la scaletta di base e quindi passa allo “svolgimento” del tema seguendo lo schema con cui hai già avuto modo di familiarizzare: parti dalla “produzione delle idee” e, in particolare, dall’analisi del titolo (di che tipo di traccia si tratta? Quali parole o concetti chiave del titolo potrebbe essere utile evidenziare nell’enunciato? Conosci l’autore del brano citato? Ti sono chiari i vari elementi a cui fa riferimento?…). 565
SeZioNe 7
ALLA FINE DEL SECOLO a tu per tu con
Marco Meriggi
il decliNo delle Società elitarie
Nell’areNa della Storia
Professore, il passaggio dall’Ottocento al Novecento, che andiamo ad affrontare in questa sezione, è considerato tradizionalmente uno degli snodi fondamentali della storia dell’Europa. Perché?
I CETI SUBALTERNI SI TRAFORMARONO IN UNA MASSA RIBELLE E OSTILE DECISA A SOVVERTIRE LE FONDAMENTA DELLA SOCIETÀ 566
Perché è in quel passaggio che si manifesta per la prima volta l’esperienza della società di massa. Durante tutto il corso dell’Ottocento, in realtà, si erano verificati continui “rinnovamenti” politici in Europa. Il liberalismo aveva quasi ovunque soppiantato l’assolutismo come forma di governo e come modello di società, ma i “numeri” del liberalismo non erano molto diversi da quelli dell’antico regime, nel senso che comunque solo una percentuale molto limitata della popolazione si vedeva riconosciuto il diritto di partecipazione attiva alla vita politica. Anche nei più avanzati tra i paesi liberali, come la Gran Bretagna, la percentuale degli ammessi all’esercizio del diritto di voto fino all’Ottocento inoltrato rimase modestissima. Solo negli Stati Uniti d’America già nella prima parte dell’Ottocento si era assistito a un consistente allargamento della cittadinanza politica. Tanto è vero che Alexis de Tocqueville, al termine di un viaggio effettuato negli anni Trenta in quel continente, pensò di intitolarne il resoconto La Democrazia in America. Ciò che aveva visto in quel paese gli parve qualcosa di completamente diverso da quanto accadeva negli stessi anni nell’Europa liberale. Al di là dell’oceano la società di massa esisteva già, mentre in Europa iniziò ad affermarsi soltanto mezzo secolo più tardi, quando anch’essa intraprese il cammino che dal liberalismo portava alla democrazia.
LA SOCIETÀ DI MASSA è qUELLA NELLA qUALE PER FRUIRE DEI DIRITTI POLITICI NON CONTA SOLO LA CONDIzIONE DI PROPRIETARIO, MA BASTA qUELLA DI CITTADINO Dunque, società di massa e democrazia sono fenomeni gemelli, almeno in questa fase della storia europea. Ma che cosa intendiamo, più precisamente, per società di massa? La società di massa è quella nella quale per fruire dei diritti politici non conta solo la condizione di proprietario, ma basta quella di cittadino; o, anche, una società nella quale l’alfabetizzazione ha ormai conseguito successi rilevanti, e dunque l’accesso all’informazione è garantito a porzioni consistenti della popolazione; o, ancora, una società al cui interno esistono grandi organizzazioni collettive dei lavoratori, come i sindacati, che si incaricano di tutelare la condizione dei loro affiliati; o, infine, una società nella quale lo Stato si preoccupa di intervenire attivamente al fine di migliorare l’armonia sociale, destinando parte delle risorse pubbliche alla salvaguardia degli strati più deboli della popolazione.
Tra questi fattori, quale fu quello che i contemporanei percepirono come più dirompente? Che cosa, soprattutto, rappresentò un campanello d’allarme per le tradizionali élite agrarie, che erano rimaste ancora saldamente al potere nell’epoca del liberalismo “stretto”? Direi soprattutto quelli legati al mutamento delle forme della politica. Nell’età aurea del liberalismo quest’ultima costituiva poco più che un affare di famiglia riservato al sottile strato dei notabili, ovvero alle persone influenti e ricche, alle quali il mondo delle classi subalterne guardava quasi con lo stesso timore reverenziale che allora si era soliti tributare ai padri. quando il suffragio elettorale cominciò a divenire meno esclusivo, quel rapporto deferenziale fatalmente si allentò e sorsero i partiti e le organizzazioni sindacali che si assunsero il compito di coordinare e organizzare i nuovi “grandi” numeri della politica. I ceti subalterni fino a quel momento erano stati percepiti dai notabili prevalentemente come un popolo fanciullo, da trattare con lo stesso senso di superiorità con il quale era allora abituale trattare un figlio. Ora, quei figli si trasformarono in folla, in una massa ribelle e ostile decisa a sovvertire le fondamenta della società e il potere dei notabili-padri.
Questo mutamento ebbe anche ricadute culturali? Certo. Molti intellettuali parlarono a voce concorde di “crisi di fine secolo”, intravedendo nei mutamenti in atto una metamorfosi epocale della società. Fu forse il francese Gustave Le Bon, con la sua opera intitolata Psicologia delle folle, nel 1895, a imporsi come l’interprete più perspicace di un senso di sgomento che si stava allora impadronendo delle élite sociali. Esse si erano abituate, nei decenni precedenti, a percepirsi come le solide e selezionate dominatrici di un mondo che gli accresciuti strumenti offerti dalla scienza e dalla tecnologia consentivano di controllare con sempre maggiore efficacia. Viceversa, l’irruzione delle masse nella storia e nella vita politica scosse profondamente quel senso di fiducia e di certezza: era come se il castello inespugnabile nel quale la società “stretta” dei notabili stava arroccata fosse crollato di colpo. I vecchi ceti dominanti si sentivano accerchiati, e sul piano culturale si assistette alla crisi del positivismo e all’avanzata dell’irrazionalismo, la corrente che meglio esprimeva lo smarrimento che si andava diffondendo. Nulla, a mio parere, evidenzia meglio questo nuovo stato di cose di una tela dipinta in quegli anni (1893) dal pittore norvegese Edvard Munch e intitolata Il grido. La stessa angoscia per la società di massa e il senso di spaesamento in un mondo improvvisamente sempre più ricco di volti e di voci sono anche alla base di due romanzi scritti da Luigi Pirandello: Il fu Mattia Pascal (1904) e Uno, nessuno, centomila, iniziato nel 1909 e poi pubblicato nel 1926. Ci raccontano della nuova profonda solitudine dell’individuo in una società sempre più grigia e massificata.
Quale si può considerare l’evento che più di ogni altro mette in luce il declino delle società elitarie? Senz’altro la Grande guerra del 1914-1918, che studieremo l’anno prossimo, ma che rappresenta l’orizzonte finale del passaggio tra i due secoli. Fu una guerra completamente diversa da tutte quelle precedenti, sia per l’ampiezza della mobilitazione, sia per quanto riguarda il fortissimo senso di identificazione tra masse e nazione che si impose in quella occasione. I sacrifici chiesti alla popolazione civile – oltre che ai coscritti, che a milioni caddero sui campi di battaglia – furono immensi; dopo averli pretesi, sarebbe stato impossibile pensare di rilanciare un modello di società di carattere elitario. 567
SeZioNe 7
ALLA FINE DEL SECOLO Capitolo 22 La politica europa tra il 1850 e il 1875
p. 570
Intervista impossibile a Otto von Bismarck
p. 586
Capitolo 23 Verso il Novecento
p. 592
Verso le Competenze • il laboratorio dello storico Il brigantaggio: una guerra civile p. 588 • il laboratorio dello storico L’allargamento del suffragio p. 610
inclusione/esclusione
Il sogno della democrazia
p. 615
EsErcizi
p. 618
1850
storia mondiale
1855
1860
568
p. 621
VERSO L’ESAME DI STATO
p. 627
1865
1870 1871 - Proclamazione del Reich tedesco
1864 - Fondazione della prima Internazionale 1855 - Guerra di Crimea
1867 - Nasce la duplice monarchia austro-ungarica
storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura
IL DIBATTITO DEGLI STORICI
1861 - Proclamazione del Regno d’Italia
1859 - Charles Darwin pubblica L’origine della specie 1856 - Gustave Flaubert pubblica Madame Bovary
1866 - Il Veneto entra a far parte del Regno d’Italia 1870 - Roma e il Lazio entrano a far parte del Regno d’Italia
1869 - Mendeleev presenta il Sistema periodico degli elementi 1867 - Karl Marx pubblica Il capitale
obiettiVi di apprendimento conoscenze • La nascita della nazione tedesca e la politica dei paesi dell’Europa occidentale nell’ultimo quarto del Novecento • La seconda rivoluzione industriale, la questione sociale e la nascita dei partiti di massa • Le trasformazioni sociali, economiche e culturali tipiche del passaggio tra l’Ottocento e il Novecento abilità • Stabilire relazioni di causa-effetto tra fenomeni politici, economici e sociali • Confrontare il modello liberale con quello democratico • Comprendere il significato, anche in relazione al presente, dell’avvento della società di massa Gli eVenti e i lUoGHi La Russia avvia modeste riforme sociali, ma rimane illiberale
La Gran Bretagna mentiene il suo primato economico e funge da modello per gli altri paesi europei
In Francia, dopo la caduta di Napoleone III, si vive la breve ma importante esperienza della Comune
In Germania si completa il processo di unificazione che porta alla nascita del secondo Reich tedesco
L’Italia dopo l’unificazione si avvia sulla strada dello sviluppo industriale
Nei territori asburgici nasce la duplice monarchia austro-ungarica
1875
1880
1885
1890 1889 - Nasce la II Internazionale
1878 - Congresso di Berlino 1882 - Triplice Alleanza (Austria, Germania e Italia)
1888 - Guglielmo II, imperatore tedesco
1879 - Edison presenta la prima lampadina a incandescenza 1876 - A Milano viene fondato “Il Corriere della Sera”
1880-1881 - Grandi scoperte mediche di Pasteur, Koch e Hansen
1900
1894 - Duplice Intesa (Francia e Russia)
1896 - Sconfitta delle truppe italiane ad Adua
1878 - Umberto I re d’Italia 1876 - Depretis al governo. Inizia la stagione del trasformismo
1895
1887 - Crispi al governo
1885 - Benz costruisce la prima automobile
1889 - Costruzione della Tour Eiffel per l’esposizione universale a Parigi
1898 - Bava Beccaris spara sulla folla scesa in piazza contro il carovita
1895 - Gustave Le Bon pubblica La psicologia delle folle
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Capitolo 22
LA POLITICA EUROPEA TRA IL 1850 E IL 1875 22.1 L’età del liberalismo classico 1850-1875: venticinque anni di cambiamenti politici e sociali
Abbiamo interrotto il nostro racconto della storia politica europea nel capitolo 16, descrivendo il quadro generale che si era venuto a creare alla fine del 1849, quando si erano spenti gli ultimi echi della tempesta rivoluzionaria che aveva scosso il continente nel biennio precedente. È ora giunto il momento di riprendere quel racconto. Bisognerà ricordare, in primo luogo, che la tempesta del 1848 si era conclusa con risultati ambigui. Per qualche mese, infatti, era parso che il desiderio di libertà espresso dalla cittadinanza di mezza Europa fosse incontenibile. Poi, in gran parte dei luoghi nei quali la magica parola “Costituzione” era divenuta per qualche tempo realtà, si era assistito al parziale o totale ripristino dell’ordine anteriore alla rivoluzione. Tuttavia, malgrado il momentaneo imbavagliamento di quella opinione pubblica che era stata la grande protagonista del biennio rivoluzionario 18481849, la stagione che si aprì agli inizi degli anni Cinquanta nel segno della repressione mutò poi rapidamente volto; al punto che per i venticinque anni tra il 1850 e il 1875 la storiografia parla abitualmente di “età del liberalismo classico”. Anton von Wermer, Guglielmo I viene proclamato imperatore a Versailles, 1885 (Friedrichsruhe, Bismarck Museum)
La cerimonia si svolge nella sala degli specchi della reggia di Versailles, luogo di grande significato simbolico, nel quale Guglielmo I ha preso alloggio dopo aver occupato con le sue truppe Parigi
Tra il 1850 e il 1871 fu portato a compimento il processo di unificazione tedesco che culminò nella cerimonia qui raffigurata. Con la proclamazione di Guglielmo I Hoenzollern nasce l’Impero (Reich) tedesco, che si afferma come una delle potenze di primo piano nel panorama europeo e mondiale
Assiste alla cerimonia, in prima fila, Otto von Bismarck, futuro capo del governo tedesco e arbitro della politica europea nella seconda metà del XIX secolo
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Con l’espressione “liberalismo classico” si vuole indicare da un lato l’esistenza di un sistema politico liberale censitario (cioè basato sull’accesso al voto solo per una porzione molto limitata della cittadinanza), dall’altro la prevalenza di una visione rigidamente liberista dell’economia e del suo rapporto con lo Stato. Si dice “classica” (cioè originaria, più vicina allo spirito della dottrina) questa forma di liberalismo per distinguerla da altre successive, che si differenziarono da essa, come vedremo in seguito, da un lato accordando l’estensione del diritto elettorale anche agli strati più umili della popolazione, dall’altro venendo in parte meno al principio dell’astensionismo statale in materia economica. L’età vittoriana
Prima di rivolgere lo sguardo ai vari paesi nei quali il 1848 aveva acceso speranze, poi deluse dall’evolversi degli eventi, sarà opportuno soffermarsi su una nazione che non era stata neppure sfiorata dalla rivoluzione e che, tuttavia, rappresentava per l’Europa intera il faro più luminoso in tema di liberalizzazione della società: la Gran Bretagna, il paese all’avanguardia per quanto riguardava la promozione dei diritti civili e politici della cittadinanza, oltre che, da vari decenni, il laboratorio per eccellenza della modernizzazione economica e sociale. Dal 1848 al 1866 il partito liberale (whig) guidò senza soluzione di continuità il governo britannico e, pur nella permanenza del carisma monarchico legato alla figura della straordinariamente longeva regina Vittoria (la quale regnò dal 1837 al 1901 e diede il suo nome all’“età vittoriana”), durante quest’epoca la forma di governo parlamentare (cioè basata sul principio della responsabilità del governo rispetto al Parlamento e alla sua maggioranza) si rafforzò notevolmente, mentre le prerogative residue della Corona si ridussero. Non solo. Nel 1865 il leader dei liberali, William Gladstone, propose un allargamento del corpo elettorale, al quale fino a quel momento accedeva soltanto il 15% dei maschi adulti. La sua iniziativa non ebbe successo e anzi fu la causa principale della caduta – l’anno seguente – del governo guidato da lui. Paradossalmente, a realizzare la riforma elettorale, estendendo il diritto di voto in modo ancora più ampio di quello proposto da Gladstone, fu un anno dopo il governo conservatore guidato da Benjamin Disraeli. Il suo Reform Act, nel 1867, comportò la crescita del corpo elettorale da 1 300 000 a quasi 2 300 000 unità e portò per la prima volta alle urne strati significativi del mondo del lavoro manuale urbano.
In questa vignetta la regina Vittoria riceve dal suo primo ministro Disraeli, vestito da mercante indiano, la corona dell’India e un forziere di gioielli, segno delle ricchezze ricavate dalle conquiste
Il fascino del modello inglese
Negli anni Cinquanta e in gran parte degli anni Sessanta, ai principi liberistici sui quali si fondava il modello economico-sociale inglese teorizzato dalla famosa Scuola degli economisti di Manchester arrise uno straordinario successo anche presso gran parte degli altri paesi europei. Non tutti, durante i decenni che stiamo considerando, si incamminarono con la stessa convinzione o con le stesse modalità sulla strada del parlamentarismo britannico. Quasi ovunque, però, la dottrina del libero scambio venne fatta propria dai governi, compresi quelli politicamente più conservatori e autoritari. Il “liberalismo classico” trionfò dunque tra il 1850 e gli anni Settanta in primo luogo nei suoi aspetti economici, attraverso l’adozione generalizzata di quegli orientamenti liberistici nei quali si esprimeva in quell’epoca l’orgogliosa coscienza di sé della borghesia mercantile e industriale, che guardava al modello inglese come a un punto di riferimento insostituibile.
MEMO La Scuola di Manchester era una scuola economica nata nell’Ottocento a Manchester e fautrice dei principi del liberismo economico [vedi p. 528].
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SEZIONE 7 - AllA fINE dEl SEcOlO
La borghesia nel resto d’Europa considerava quella britannica come una società nella quale i valori dell’economia, del mercato, della libera iniziativa contavano di più di quelli della politica e dove si avevano a cuore i diritti degli individui prima ancora che le prerogative dello Stato. Ma il fatto è che dalla liberalizzazione del mercato non potevano che derivare, alla breve o alla lunga, anche quella civile e politica. Sotto questo profilo, lo “spirito” inglese circolò intensamente in quei decenni in tutti gli altri paesi, magari sotto forma di auspicio di una graduale piena realizzazione del liberalismo, anche dove le istituzioni politiche non si erano del tutto adeguate a esso e dove sembrava, dunque, che l’autoritarismo fosse destinato a restare la cifra di regolazione dei rapporti tra i cittadini e il pubblico potere.
22.2 L’unificazione nazionale tedesca I presupposti del 1848-1949
Francoforte, 1849: l’ingresso in città del corteo reale, disegno, XIX secolo
In Germania nel biennio 1848-1849 il problema della Costituzione (cioè della modifica degli ordinamenti in senso liberale) e quello della nazione si erano presentati in un intreccio indissolubile. Nella primavera del 1848, mentre tutti i sovrani dei 39 Stati tedeschi concedevano una Costituzione, a Francoforte si era riunita un’assemblea federale eletta a suffragio generale (v. cap. 16, par. 16.3). Proclamatasi rappresentanza unitaria della nazione tedesca, l’assemblea aveva emanato un testo costituzionale fortemente caratterizzato in senso democratico (pur all’interno di una cornice pensata come monarchica) e aveva poi lungamente dibattuto intorno alle modalità dell’unificazione nazionale. C’era chi voleva che della nuova nazione tedesca facesse parte anche l’Austria, con i suoi territori in parte popolati da altre nazioni linguistiche e culturali (come i boemi e gli ungheresi) e chi invece intendeva escluderla dal progetto. Alla fine, nella primavera del 1849, aveva prevalso l’ipotesi cosiddetta “piccolo-tedesca” (cioè senza l’Austria) e i deputati di Francoforte offrirono al re di Prussia la corona nazionale, ma egli rifiutò. Accettare avrebbe infatti significato ricevere un’investitura dal basso e legittimare così il principio della sovranità popolare. Al contrario, l’intenzione del sovrano del più grande e potente degli Stati tedeschi era quella di avere ben salde le redini del potere. A partire dall’autunno del 1849, malgrado la quasi generale conferma (un’eccezione importante fu rappresentata dall’Austria, dove venne ripristinato un governo assoluto) delle Costituzioni emanate durante il biennio rivoluzionario, in tutta l’area germanica i sovrani dei vari Stati tornarono ad avere il sopravvento sui movimenti del 1848. Non si parlò più di nazione tedesca fino ai tardi anni Cinquanta, quando l’ipotesi tornò a prendere forma, anche se sotto un segno del tutto diverso da quello, democratico, che aveva contraddistinto la stagione rivoluzionaria quarantottesca. La Germania tra il 1849 e il 1862
Mentre il movimento nazionale-democratico veniva represso e tacitato, si assistette al rafforzamento dell’influenza della Prussia, i cui sovrani, appoggiandosi essenzialmente all’esercito – la cui direzione sfuggiva al controllo del Parlamento – miravano a perseguire una tradizionale politica di potenza e a sostituire l’Austria alla testa della Confederazione germanica. Nel 1861 salì al trono di Prussia Guglielmo I (1797-1888), un sovrano che non 572
cApItOlO 22 - lA pOlItIcA EUROpEA tRA Il 1850 E Il 1875
esitò a scontrarsi con la maggioranza parlamentare – risultando alla fine vittorioso nel conflitto – pur di accrescere le spese da destinare all’esercito, l’istituzione nella quale si rispecchiava al meglio il volto della vecchia Prussia aristocratica e autoritaria. Dal 1862 ad affiancare Guglielmo I, nella veste di capo di un governo che a lungo non godette dell’appoggio di una maggioranza parlamentare, fu Otto von Bismarck (1815-1898), esponente dell’aristocrazia conservatrice e antiliberale radicata in modo particolare nella Prussia orientale. Bismarck e il nazionalismo dinastico
Pur determinato a nulla concedere alle aspirazioni democratiche dei nazionalisti, Bismarck intuì che poteva far leva sulla loro presenza per promuovere l’obiettivo che più gli stava a cuore: il consolidamento dell’ascesa prussiana nel mondo tedesco e il contestuale ridimensionamento del ruolo giocato dall’Austria in quell’area. Guglielmo I e Bismarck condussero negli anni Sessanta un’aggressiva politica estera. Austria e Prussia nel 1864 dichiararono guerra alla Danimarca per assicurarsi il possesso dei ducati dello Schleswig e dello Holstein, formalmente sotto il dominio danese, ma popolati prevalentemente da tedeschi. Vinta la guerra, l’amministrazione congiunta austro-prussiana dei territori danesi diede però luogo a forti contrasti, che spinsero Bismarck a tessere la tela del suo piano per isolare la rivale austriaca, stipulando innanzitutto, nel 1866, un’alleanza con l’Italia che prevedeva un attacco all’Austria. Quindi, nello stesso anno, fece in modo che la “questione dei ducati danesi” portasse allo scontro frontale. Nel 1866 dichiarò guerra all’Austria, sbaragliando tanto la pericolosa rivale quanto gli altri Stati tedeschi a essa alleati. La guerra, che fruttò al Regno d’Italia l’acquisizione del Veneto (v. cap. 18, par. 18.3), comportò lo scioglimento della Confederazione germanica e l’ingrandimento territoriale della Prussia, che incorporò alcuni degli Stati sovrani della Germania settentrionale. L’Austria ne uscì drasticamente indebolita e ormai impossibilitata a esercitare un qualche ruolo nelle vicende tedesche.
Copertina del periodico “Harper’s Weekly” dedicata al cancelliere Otto von Bismarck, raffigurato mentre parla all’assemblea del Reichstag
APPROFONDIRE
Il conflitto costituzionale in Prussia (1861-1866) ra il 1861 e il 1866 in Prussia ebbe luogo il cosiddetto conTal sistema flitto costituzionale. Esso evidenziò i limiti autoritari intrinseci della monarchia costituzionale (e non pienamente parlamentare). Dal 1849 in quel paese esisteva un Parlamento, formato da un Senato di nomina regia e da una Camera dei deputati eletta dalla popolazione a suffragio generale in base al sistema detto delle “tre classi”. Il corpo elettorale risultava suddiviso in tre fasce, ciascuna delle quali eleggeva lo stesso numero di deputati, ma gli appartenenti alla prima e alla seconda fascia, selezionati in base alla loro ricchezza, erano assai poco numerosi, mentre la stragrande maggioranza degli elettori si concentrava nella terza fascia. Dal momento che ogni fascia esprimeva lo stesso numero di deputati, il voto di ciascun elettore della prima e della seconda fascia finiva così per valere quanto quello di decine o addirittura centinaia di elettori della terza. Fino al 1861 questo sistema aveva espresso una maggioranza parlamentare conservatrice, che si era sempre trovata vicina alle posizioni del re. Ma nel 1861 si formò una nuova maggio-
ranza, contraria alle iniziative del sovrano appena insediato, il quale intendeva avvalersi del suo ruolo di responsabile del potere esecutivo per impegnare gran parte del bilancio dello Stato in spese militari. Il Parlamento – depositario insieme al re del potere legislativo – poteva manifestare il proprio dissenso rispetto alle intenzioni del sovrano, ma non impedirne l’attuazione. Così, per cinque anni, il governo presieduto da Bismarck – fedele esecutore delle direttive del sovrano – si trovò privo dell’appoggio della maggioranza parlamentare, mentre la cittadinanza per la prima volta aveva modo di rendersi pienamente conto dei limiti dei propri diritti, scoprendo che la propria rappresentanza elettiva non era veramente sovrana. Il conflitto si sciolse nel 1866 non in seguito a uno sviluppo in senso liberale, ma semplicemente perché nelle elezioni di quell’anno, sull’onda dell’entusiasmo suscitato dalle conquiste conseguite dalla Prussia nella guerra con l’Austria, la cittadinanza premiò con il proprio voto la politica di Bismarck e inviò in Parlamento una maggioranza in sintonia con le scelte del sovrano e del capo del governo.
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SEZIONE 7 - AllA fINE dEl SEcOlO
Letteratura T. Mann, I Buddenbrook
Negli anni seguenti Bismarck sviluppò una linea politica non molto dissimile da quella attuata in Piemonte un decennio prima da Cavour. Come lo statista sabaudo si era appoggiato alla Società nazionale, così quello prussiano fece leva – al fine di accrescere il consenso dell’opinione pubblica tedesca attorno alla dinastia degli Hohenzollern – sul Deutsche Nationalverein (“Circolo nazionale tedesco”), un’associazione nella quale erano confluiti molti nazionalisti ex democratici, moderando alquanto il loro originario radicalismo e mostrandosi ormai disposti ad accogliere con favore un’ipotesi di unificazione tedesca quale coronamento di un’iniziativa militare del re di Prussia. La guerra franco-prussiana e la fondazione del Reich tedesco
MEMO Eletto presidente della seconda Repubblica francese nel 1848, Luigi Bonaparte nel dicembre 1851, con un colpo di Stato, aveva impresso una svolta autoritaria al paese e l’anno successivo si era fatto proclamare imperatore dei francesi, con il nome di Napoleone III, sancendo la nascita del secondo Impero (1852-1870) [vedi p. 394].
Con queste modalità, tra il 1870 e il 1871 la nazione tedesca prese forma in seguito alla guerra franco-prussiana. La Francia era l’ultima potenza da sconfiggere per realizzare la completa unificazione della Germania, perché si opponeva alla conquista prussiana dei ducati meridionali dell’ex Confederazione germanica, in quanto si trattava di ducati, come la Baviera, cattolici. L’imperatore francese Napoleone III, intimorito dalla prospettiva che la successione al trono vacante di Spagna favorisse un parente del sovrano prussiano, voleva una rinuncia formale da parte di Guglielmo I al trono spagnolo. Bismarck cambiò il tono del telegramma (noto come “dispaccio di Ems”) diretto all’imperatore francese, rendendolo offensivo e inaccettabile per indurre Napoleone III a dichiarare guerra alla Prussia, cosa che egli puntualmente fece nel luglio 1870. Bismarck chiamò a raccolta i sovrani degli altri Stati tedeschi e l’opinione pubblica, influenzata dal Deutsche Nationalverein, dichiarando l’intenzione di sottrarre alla Francia l’Alsazia e la Lorena, due aree ricche di bacini carboniferi e a popolamento prevalentemente tedesco, anche se politicamente appartenenti all’Impero francese. La formazione del Reich tedesco (1864-1871) DANIMARCA
Il Regno di Prussia nel 1864 Territori annessi alla Prussia nel 1865-1866
mare del Nord
Königsberg Danzica
Amburgo G. DUC. DI POMERANIA Stettino Brema MEKLENBURG
PRUSSIA OCCIDENTALE
K
G. DUC. DI OLDENBURG HANNOVER BRANDEBURGO P. TO DI OLANDA IC SCHAUMBURG-LIPPE NSW POSEN RU VESTFALIA P.TO DI DUC.DI B Berlino LIPPE-DETMOLD DUC. DI ANHALT P. TO DI Lipsia PROVINCE WALDEK ASSIABELGIO RENANE REGNO DI Breslavia Erfurt KASSEL SASSONIA Coblenza TURINGIA NASSAU SLESIA Francoforte P. TO DI LICHTENBERG Praga Metz PALATINATO EN D IMPERO A LORENA B REGNO AUSTRO-UNGARICO REGNO DI DI WÜRTTEMBERG FRANCIA BAVIERA P. TO DI Monaco HOHENZOLLERN Vienna
PRUSSIA ORIENTALE
Varsavia
IMPERO RUSSO
Cracovia
ALS AZ IA G.D UC .D EL
Confini dell’Impero tedesco nel 1871
Memel
mar Baltico
SCHLESWIG HOLSTEIN Lubecca
Territori annessi alla Prussia nel 1870 Confederazione del Nord (1867)
SVEZIA
SVIZZERA Budapest
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cApItOlO 22 - lA pOlItIcA EUROpEA tRA Il 1850 E Il 1875
Guglielmo di Prussia e il cancelliere Bismarck assistono al bombardamento di Parigi, stampa, XIX secolo
Nel clima di intensa mobilitazione emozionale che lo accompagnò, il conflitto franco-prussiano nell’arco di poche settimane si trasformò in guerra per l’unificazione della Germania, sotto lo scettro del re di Prussia. La superiorità militare tedesco-prussiana si rivelò presto schiacciante. A settembre i francesi patirono una rovinosa sconfitta a Sedan e lo stesso Napoleone III venne fatto prigioniero. Nel gennaio 1871, dalla reggia di Versailles, alla testa del suo esercito trionfante, Guglielmo I annunciò la nascita di una nuova Germania, il cui progetto di fondazione era stato concordato nelle settimane precedenti con i regnanti degli altri Stati tedeschi. Esso prevedeva che il re di Prussia assumesse il titolo di Kaiser (imperatore) di un Reich (impero) federale formato da 25 Stati. Ciascuno di questi avrebbe conservato il proprio sovrano e il proprio ordinamento; tutti sarebbero però risultati subordinati a un unitario governo centrale, guidato per conto del re di Prussia dal cancelliere dell’impero. Questa carica, che comportava la direzione politico-militare dell’intero Reich, fu esercitata fino al 1890 da Otto von Bismarck.
Intervista impossibile a Otto von Bismarck, p. 586
22.3 La Francia da Napoleone III alla terza Repubblica L’impero borghese di Napoleone III
La Francia di Napoleone III si caratterizzava come una singolare contaminazione tra vecchio e nuovo. Era senz’altro un paese nel quale la borghesia degli affari stava conoscendo la sua stagione d’oro, ben rappresentata dalla crescita impetuosa della rete ferroviaria e dalla realizzazione di grandi opere pubbliche funzionali all’accrescimento del volume degli scambi. Quello di Napoleone III fu un impero borghese nel quale si imposero come figure di primo piano capitani d’industria, finanzieri, tecnocrati, impegnati tanto a fare affari a proprio beneficio quanto a contribuire alla realizzazione dei presupposti materiali del sogno di grandezza coltivato dal capo dello Stato. Quest’ultimo si era prefisso l’obiettivo di ricondurre la Francia, per decenni penalizzata dall’egemonia austriaca e russa nell’epoca successiva al Congresso di Vienna, al ruolo di principale potenza continentale. La politica estera di Napoleone III
Volendo recuperare un ruolo di prestigio, Napoleone III appoggiò tutte le iniziative volte a indebolire i suoi più temibili rivali sul continente, gli imperi degli Asburgo e dei Romanov. È in questa luce che vanno interpretate tanto la partecipazione francese, al fianco dell’Inghilterra e in funzione antirussa, alla Guerra di Crimea, quanto l’alleanza con i Savoia in funzione antiaustriaca nel 1859 (v. cap. 18).
MEMO La Guerra di Crimea (18541856) fu una guerra che oppose Francia, Gran Bretagna e Impero ottomano alla Russia, che voleva espandersi nei Balcani e sul Mar Nero. Partecipò anche il Piemonte sabaudo ottenendo il proprio accredito sul piano delle relazioni internazionali [vedi p. 449].
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SEZIONE 7 - AllA fINE dEl SEcOlO
Jean-Léon Gerôme, Napoleone III e l’imperatrice Eugenia ricevono gli ambasciatori del Siam, 1864
Dal punto di vista degli interessi francesi, tuttavia, i risultati di questa politica estera – di fatto funzionale, anche se non intenzionalmente, al rafforzamento del modello liberale in Europa – furono solo parzialmente soddisfacenti. Da un lato, infatti, Napoleone pensava di sostituire a quella austriaca la propria egemonia sull’Italia e non vi riuscì, dal momento che, contrariamente ai suoi auspici, la penisola si unificò, avviandosi a divenire a sua volta una potenza di medio calibro. Dall’altro, come abbiamo visto, l’indebolimento dell’Impero austriaco rappresentò il presupposto per la prepotente ascesa della Prussia nel cuore del continente e per l’unificazione nazionale tedesca sotto la sua guida. Dunque, in virtù dell’iniziativa francese, il sistema di relazioni internazionali fissato nel 1815 dal Congresso di Vienna andò in frantumi e l’impero di Napoleone III in Europa si trovò a fronteggiare nuovi potenti ostacoli e sostanzialmente non si estese al di là dei tradizionali confini della Francia (a parte l’acquisizione di Nizza e della Savoia in occasione dell’unificazione nazionale italiana). Cominciò però a espandersi fuori dall’Europa in alcune aree dell’Africa (in Senegal, oltre che in Algeria) e dell’Asia (Cocincina e Cambogia tra il 1859 e il 1863; v. cap. 21, par. 21.2). La politica interna di Napoleone III: il cesarismo
Sul piano della politica interna Napoleone III propose un singolare compromesso tra autoritarismo e liberalismo. Per farsi proclamare imperatore, nel 1852, ricorse all’arma demagogica del plebiscito e, una volta consacrato nel suo ruolo, esercitò il potere facendo leva su un consenso che gli veniva soprattutto dalla Francia conservatrice e rurale di sentimenti cattolici, quella stessa Francia in nome della quale, dopo il 1860, si erse ripetutamente a difensore del papa e dello Stato della Chiesa. Sotto l’impero, l’istituto del suffragio generale maschile, abolito qualche anno prima, fu ripristinato. I deputati del Corpo legislativo (250 membri) erano però affiancati da un Senato e da un Consiglio di Stato di nomina imperiale. Il Corpo legislativo poteva discutere le leggi, ma non godeva del diritto di proporle (diritto di iniziativa legislativa); esse venivano, invece, preparate dal Consiglio di Stato e poi ratificate dal Senato. Quello bonapartista era, dunque, un parlamentarismo monco. Malgrado queste evidenti limitazioni, gran parte dei francesi appoggiò a lungo il programma d’ordine di Luigi Bonaparte e inviò al Corpo legislativo una rappresentanza prevalentemente moderata e conservatrice, tollerando la limitazione di elementari libertà in tema di stampa e di diritto di associazione. 576
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L’imperatore, però, fu tutt’altro che sordo di fronte ai temi della questione sociale, che lo sviluppo industriale in Francia stava sollevando. Egli perseguì un disegno populista (definito anche “cesarista”, per analogia con quelli attuati a suo tempo da alcuni imperatori romani), andando alla ricerca di un rapporto carismatico con le grandi masse – non solo contadine – e promuovendo una politica di legislazione sociale che a lungo, insieme ai sogni nazionalisti alimentati dalla politica di conquiste condotta dall’imperatore oltremare, sortirono l’effetto di tenere quieto il paese. Durante gli anni Sessanta, poi, egli avviò il progressivo smantellamento degli ordinamenti autoritari che aveva imposto. Consentì la riorganizzazione dell’opposizione liberale e repubblicana (processo culminato nel ripristino della libertà di stampa e di riunione nel 1868) e nel 1864 decretò il riconoscimento del diritto di associazione a fini sindacali. Il ritorno della Francia alle regole dell’ordinamento liberale si concretizzò nel maggio 1870, quando Corpo legislativo e Senato si videro restituite le funzioni a essi sottratte nel 1852. Napoleone III si apprestava così a guidare la nuova fase dell’impero “parlamentare” e nel contempo, seguendo la sua vocazione nazionalista e populista, chiamava a raccolta i francesi nella guerra contro la Prussia. Ma quest’ultima, come abbiamo visto, sancì il suo brusco tramonto e il ritorno della Francia alla forma repubblicana.
LESSICO Rapporto carismatico Di origine teologica (dal greco chárisma, “dono, grazia”), nel linguaggio politico il termine è stato introdotto da Max Weber, per il quale il rapporto carismatico indica quella forma di leadership religiosa o politica che si ha quando il capo ottiene obbedienza presso i seguaci non in virtù di leggi istituite o di credenze tradizionali, ma della sua persona individuale, dotata di qualità non comuni.
L’esperienza della Comune
La stagione cesarista di Napoleone III fu bruscamente interrotta dagli esiti infausti della guerra franco-prussiana. Già il giorno dopo la sconfitta di Sedan (2 settembre 1870) il regime imperiale era stato rovesciato e alla guida del paese si era installato un governo provvisorio presieduto dal repubblicano Léon Gambetta (1838-1883).Qualche mese più tardi, a guerra ormai definitivamente perduta, la situazione politica si radicalizzò, dopo che furono rese note le rovinose condizioni che il vincitore intendeva imporre al paese (tra le quali la cessione al Reich germanico dell’Alsazia e della Lorena). Le elezioni tenutesi nel febbraio 1871, appena dopo la cessazione delle ostilità, avevano sancito la vittoria di una maggioranza conservatrice e clericale, che aveva espresso un governo guidato da Adolphe Thiers, incaricato di condurre le trattative di pace. La battaglia di Gracelotte, combattuta il 18 agosto 1870 durante la Guerra franco-prussiana, litografia, XIX secolo
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LESSICO Comune Termine di origine latina riferito a chi esegue il proprio incarico (munus), insieme con altri (cum). Forma di autogoverno tipica delle città medievali, dall’età napoleonica indica un’unità di insediamento inserita nel territorio statale. Nell’accezione qui usata (Comune di Parigi) si sottolinea l’aspetto della democrazia diretta, dell’intensa socializzazione egualitaria e si allude all’idea di comunismo, ossia alla forma di società fondata sulla distribuzione egualitaria dei beni.
Fonte Decreti della Comune
Il popolo di Parigi, anche in questa occasione, come spesso era avvenuto in passato, schierato a sinistra rispetto agli umori politici predominanti nel resto della Francia, si era ribellato alla prospettiva della cocente umiliazione che si veniva profilando, ed era insorto, imponendo nuove elezioni nella capitale e intravedendo nella caduta di Napoleone III l’occasione per rilanciare i progetti democratici naufragati nel 1848. Dal 18 marzo al 21 maggio 1871 Parigi venne governata da un Parlamento rivoluzionario eletto a suffragio generale maschile. La popolazione della capitale, nel corso delle poche settimane durante le quali si svolse la cosiddetta Comune, fu chiamata alla più intensa esperienza di partecipazione democratica al potere che fino a quel momento si fosse mai realizzata in Europa. Essa si basò infatti non solo sull’attribuzione della titolarità del governo a una cittadinanza organizzata in comitati che vigilavano stabilmente sull’attività dell’esecutivo, ma anche sull’avvio di un programma teso alla realizzazione dell’eguaglianza sociale: un programma nel quale si avvertivano gli echi dei progetti delineati in quegli anni dalla prima Internazionale, l’organizzazione che dal 1864 raccoglieva, sotto la guida di figure come Marx e l’anarchico russo Michail Bakunin, le forze della contestazione operaia all’ordine liberal-borghese (v. cap. 20, par. 20.3). ANALIZZARE LA FONTE
La Comune, un modello di società socialista Autore: Karl Marx Tipo di fonte: saggio storico Lingua originale: tedesco Data: 1871 Per Marx la Comune è stata la prima realizzazione storica di una società socialista fondata sull’emancipazione economica del lavoro. Per questo nell’opera La guerra civile in Francia egli fornì un’analisi attenta dello svolgersi degli avvenimenti nei due mesi di vita di quella esperienza rivoluzionaria.
La Comune fu l’antitesi diretta dell’impero. Il grido di “repubblica sociale”, col quale il proletariato di Parigi aveva salutato la rivoluzione di febbraio, non esprimeva che una vaga aspirazione a una repubblica che non avrebbe dovuto eliminare soltanto la forma monarchica del dominio di classe, ma lo stesso dominio di classe. La Comune fu la forma positiva di questa repubblica. […] La Comune fu composta dai consiglieri municipali, eletti a suffragio universale, nei diversi mandamenti1 di Parigi, ed essi furono responsabili e revocabili in qualunque momento. La maggioranza dei suoi membri erano naturalmente operai, o rappresentanti della classe operaia. […] La molteplicità di interpretazioni che sono state date della Comune e la molteplicità degli interessi che hanno trovato in essa la loro espressione, mostrano che essa fu una forma politica eminentemente capace di espansione, mentre tutte le precedenti forme di governo erano state eminentemente repressive. Il suo vero segreto fu questo: che essa fu essenzialmente un governo della classe operaia, il prodotto della lotta di classe dei produttori contro la classe degli accaparratori, la forma politica finalmente scoperta nella quale si poteva compiere l’emancipazione del lavoro. K. Marx, La guerra civile in Francia, Editori Riuniti, Roma 1972 1. mandamenti: circoscrizioni amministrative nelle quali era divisa Parigi. Domande alla fonte 1. In che cosa consiste una repubblica sociale? 2. Chi gestiva il potere all’interno della Comune? 3. In che cosa la Comune si distingue dai modelli di società precedenti?
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Combattimenti sulle barricate nelle strade di Parigi, 1871
La nascita della terza Repubblica
Dopo poco più di due mesi l’esperimento della Comune, peraltro confinato nella capitale parigina e incapace di attrarre i ceti contadini, venne stroncato nel sangue dall’esercito regolare, al quale le forze di occupazione tedesche consentirono di agire indisturbato. La città lasciò sul campo di battaglia (costituito dalle sue strade, dalle sue piazze, dalle sue case) decine di migliaia di vittime, di “comunardi” caduti per difendere il sogno di libertà e di giustizia sociale in cui avevano creduto. Sulle ceneri della Comune nasceva così la terza Repubblica, la cui Costituzione, varata nel 1875, sarebbe durata fino al 1940. Essa delineava un regime parlamentare (con la Camera dei deputati eletta a suffragio generale) all’interno di una cornice nella quale al presidente della Repubblica spettavano tuttavia forti poteri di indirizzo dell’azione governativa. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - La Francia dal secondo Impero alla terza Repubblica dAtA
EVENTO
1851
Luigi Napoleone attua un colpo di Stato e scioglie l’Assemblea legislativa
1852
Luigi Napoleone viene “eletto” imperatore dei Francesi da un plebiscito: nasce il secondo Impero
1854-1856
Guerra di Crimea: Francia, Piemonte, Gran Bretagna e Turchia contro la Russia, per impedirne il protettorato sugli stretti. Si conclude con il trattato di Parigi, con il quale si consolida l’alleanza franco-piemontese
1860
Con il trattato di Torino la Francia acquista Nizza e la Savoia
1870
Guerra franco-prussiana: Napoleone è sconfitto a Sedan Viene proclamata la terza Repubblica. Parigi viene posta sotto assedio
1871 (marzo)
A Versailles Guglielmo I di Hohenzollern proclama il secondo Reich. Il popolo parigino insorge e costituisce la Comune
1871 (maggio)
La Comune viene stroncata nel sangue. Sulle sue ceneri nasce la terza Repubblica francese
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22.4 Austria-Ungheria e Russia: le difficoltà del liberalismo L’Austria-Ungheria
L’imperatore Francesco Giuseppe d’Asburgo in un quadro che celebra i suoi cinquant’anni di regno illustrandone alcuni degli episodi più importanti
Dopo la sconfitta inflittale dalla Prussia nel 1866, l’Austria di Francesco Giuseppe aveva avviato una riforma finalizzata all’emanazione di una Costituzione di impronta liberale, dopo che, tra il 1849 e il 1851, il giovane imperatore non si era fatto scrupolo di revocare quella conquistata dagli insorti nel 1848. In base al cosiddetto “compromesso” del 1867 vennero così istituiti nella monarchia due Parlamenti, uno a Vienna, rappresentativo di tutti i territori imperiali non ungheresi, e uno a Budapest, in omaggio alla nazionalità ungherese, la più rilevante tra le nazionalità non tedesche dell’Impero. Prendeva così avvio il sistema della monarchia “dualistica”, per un verso gravemente penalizzante per le nazionalità minori, che non si videro riconoscere il diritto a un proprio Parlamento, per l’altro modellato secondo l’arcaico sistema del voto per curie (la curia dei grandi proprietari fondiari, quella delle camere di commercio, quella delle città, quella degli abitanti della campagna), che riproponeva molti tratti della concezione cetuale della società, rifiutando il principio della rappresentanza individualistica liberale e che, in virtù dei meccanismi di attribuzione dei seggi, favoriva soprattutto i grandi proprietari fondiari. Nel sistema asburgico, come del resto in quello imperiale tedesco, pur esercitando il potere legislativo, i Parlamenti non controllavano l’esecutivo, che veniva designato discrezionalmente dal monarca, il quale, in particolare, aveva mano libera nella politica estera e in quella militare. Per questo quella austriaca (e così pure quella tedesca) veniva definita una monarchia semplicemente costituzionale, e non una monarchia parlamentare (come erano invece quella inglese e, di fatto, anche quella italiana). L’Impero asburgico (1848-1914) Elb
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L’Impero nel 1848
Territori perduti nel 1866
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Territori perduti nel 1859
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Territori occupati nel 1878 e annessi nel 1908
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Territori amministrati dall’Ungheria
Confini Austria-Ungheria nel 1914
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Compromesso del 1867
Territori occupati dal 1878 al 1909
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La Russia resta illiberale
Al di fuori di quello che si configurava ormai come un sistema liberale europeo, per quanto contraddistinto, come abbiamo visto, da livelli diversi di coerenza e oscillante tra la forma pienamente parlamentare e quella puramente costituzionale, restava invece la grande eccezione russa. Dopo la sconfitta patita in occasione della Guerra di Crimea, anche la Russia in realtà aveva dato l’avvio a una timida politica di liberalizzazione. Nel 1856, infatti, era stata promulgata un’amnistia a beneficio di gran parte dei condannati per motivi politici e così pure si era provveduto a un allentamento delle maglie della censura. Dall’amnistia erano però rimasti esclusi gli esponenti più radicali dell’opposizione antizarista, Alexander Herzen (1812-1870) e Michail Bakunin (18141876). Quest’ultimo, riparato in Italia, vi avrebbe organizzato durante gli anni Sessanta le prime frange del movimento anarchico. Poi, nel 1861, era stata decretata l’abolizione della servitù della gleba, condizione che interessava ancora ben 20 dei 60 milioni di abitanti della Russia. Suonava, dunque, anche per l’impero degli zar l’ora del tramonto del feudalesimo, anche se con l’esito (del resto, non inconsueto) di peggiorare sensibilmente la condizione materiale dei contadini, che insieme all’obbligo di fornire prestazioni lavorative ai nobili si videro revocare la possibilità di esercitare i tradizionali usi civici sulle terre già di proprietà del mir, la comunità di villaggio che gestiva i terreni agricoli assegnandoli alle famiglie di contadini. Per quanto deficitaria sotto il profilo dell’efficacia sociale, l’abolizione della servitù ebbe tuttavia l’effetto di indurre un profondo mutamento mentale in un mondo fino a quel momento spiccatamente tradizionalista. Tra gli anni Settanta e quelli Ottanta, il liberalismo in Russia rimase un’aspirazione impedita, ma al tempo stesso sempre più diffusa. Nel frattempo, l’estrema crudezza della repressione politica offriva fertile terreno alla propaganda clandestina dei rivoluzionari radicali, i “populisti”. L’assassinio dello zar Alessandro II (1818-1881, zar dal 1855 al 1881) da parte di un anarchico, nel 1881, fu il segnale del dilatarsi di un’insofferenza diffusa, che non sarebbe stato possibile continuare a reprimere a oltranza.
Letteratura F. M. Dostoevskij, I demoni
LESSICO Populisti Gruppo di giovani intellettuali russi che si ponevano l’obiettivo di “andare al popolo”, ossia di accostarsi ai problemi delle classi subalterne attraverso la loro educazione e la creazione di una nuova società basata sul socialismo agrario. Molti populisti confluirono all’inizio del Novecento nel Partito socialista rivoluzionario russo, che si caratterizzava per la centralità assegnata ai contadini nel processo di rivoluzione sociale.
G. G. Mjasoedov, Il pranzo dello zemstvo, 1872. Lo zemstvo era un organo di autogoverno locale creato all’epoca di Alessandro II. Esso aveva limitati compiti amministrativi, tra i quali quello dell’assistenza ai poveri
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22.5 L’Italia dopo l’unificazione Gli ordinamenti del regno
Domenico Induno, La posa della prima pietra della Galleria Vittorio Emanuele II a Milano, XIX secolo. Nel particolare del dipinto si vede il re del nuovo Stato italiano circondato dai rappresentanti del Parlamento e dell’esercito
Già nel 1861 gran parte dell’ordinamento dell’ex Regno di Sardegna fu esteso ai territori che a quella data facevano parte del Regno d’Italia e nel 1865, con le leggi di unificazione amministrativa promosse dal presidente del Consiglio Marco Minghetti, prese forma sull’intero territorio nazionale un sistema istituzionale omogeneo, ricalcato sul modello accentrato (privo di istanze federalistiche regionali) dello Stato sabaudo: l’Italia fu suddivisa in 59 province con a capo prefetti di nomina regia; ogni provincia era a sua volta ripartita in comuni retti da sindaci sempre di nomina regia. Era un ordinamento moderatamente liberale, la cui carta costituzionale, lo Statuto albertino (v. cap. 17, par. 17.3), pur conservando un forte rilievo alla figura del re, consegnava di fatto al Parlamento l’esercizio del potere legislativo. Ma il diritto di voto, concepito in base al criterio censitario tipico delle Costituzioni liberali dell’epoca, fino alla riforma elettorale del 1882 risultò ristretto ad appena il 2% degli abitanti. Questo era il limite più grave dell’ordinamento politico del regno, e anche il tratto che meglio evidenziava lo scarto tra le aspettative del movimento repubblicano - che per primo aveva coltivato il sogno della nazione, immaginando in essa lo scenario più idoneo per lo sviluppo della democrazia e della fratellanza sociale - e lo Stato nazionale liberal-monarchico che concretamente aveva preso forma a coronamento del Risorgimento. La Destra al governo
LESSICO Tassa sul macinato Imposta, approvata dal Parlamento nel 1868, che sottoponeva a tassazione il grano portato a macinare in proporzione alla quantità di macinato, registrata da appositi contatori applicati ai mulini. Questa tassa era fortemente osteggiata dai ceti popolari perché di fatto colpiva il prezzo del pane, prodotto con il grano, che era l’elemento principale della loro dieta alimentare.
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I repubblicani, nella vita politica del nuovo regno, si trovarono per lungo tempo a giocare un ruolo del tutto marginale, sottoposti a un’assidua sorveglianza poliziesca, oltre che, in certi periodi, addirittura messi sostanzialmente fuori legge perché accusati di volere sovvertire in modo rivoluzionario l’istituzione monarchica. A governare il paese fu nel primo quindicennio la cosiddetta Destra storica, un raggruppamento politico di cui facevano parte gli eredi della tradizione monarchicomoderata risorgimentale. Tra i suoi esponenti più significativi figuravano il toscano Bettino Ricasoli (1809-1880), il romagnolo Marco Minghetti (1818-1886), i piemontesi Urbano Rattazzi (1808-1873) e Quintino Sella (1827-1884). I governi di Destra perseguirono una severa politica fiscale, tesa al raggiungimento dell’obiettivo del pareggio del bilancio statale, indispensabile per consolidare la credibilità del nuovo regno sul piano internazionale e per allestire le infrastrutture necessarie per consentire al paese di raggiungere un’autentica unificazione economica, oltre che politico-amministrativa. La strategia fiscale della Destra, volta a promuovere lo sviluppo capitalistico in Italia, colpì perlopiù i ceti popolari rurali e il Mezzogiorno e si basò soprattutto su un’imposta indiretta, la tassa sul macinato (1868), causa di una violenta ondata di ribellioni popolari. Esse vennero stroncate nel sangue, ma costituirono la prova che i ceti subalterni cominciavano a organizzarsi e a mobilitarsi efficacemente. Nel 1876, dopo quindici anni di governo della Destra, Minghetti annunciò il conseguimento del mitico e agognato obiettivo. Un’importante opera di legislazione fu quella scolastica, decisiva in un paese che contava un’altissima percentuale di analfabeti (78%) e dove la popolazione stentava ancora ad avere una lingua unitaria. La legge Casati (del 1859) già nel 1860 aveva esteso a tutto il regno l’istruzione elementare obbligatoria e gratuita
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per i primi due anni delle scuole elementari. Essa tuttavia incontrò molte resistenze, soprattutto nella società contadina meridionale, poco disposta a rinunciare al lavoro dei figli. Nel 1875 la generazione dei “padri della patria”, ovvero di coloro che erano stati i protagonisti attivi dell’epopea risorgimentale e dell’unificazione nazionale, cominciò a concludere il suo ciclo. Era stata soprattutto la parte meridionale del paese, la più martoriata dai rigori fiscali dei tre lustri appena trascorsi, a decretarne il declino, in occasione delle elezioni che in quell’anno avevano accordato alla Sinistra, il raggruppamento antagonista alla Destra, una vittoria confermata anche da ulteriori elezioni tenutesi l’anno seguente. Le forze antiunitarie: i briganti
Il malessere del Mezzogiorno si era imposto fin dagli esordi dello Stato unitario come un problema drammatico: la delusione contadina per l’esito socialmente conservatore dell’unificazione fu cocente e rappresentò il presupposto per il dilagare del brigantaggio. Si trattava di un fenomeno di per sé non nuovo, ma contraddistinto nei primi anni postunitari da un’eccezionale virulenza. A fornire gli organici agli eserciti banditeschi furono soprattutto gli strati più umili della popolazione meridionale; dal punto di vista politico, il brigantaggio assunse una coloritura antiunitaria, visto che uno dei suoi obiettivi fu quello di favorire il ritorno dei Borbone (che lo finanziarono da Roma) sul trono di Napoli, ma ebbe anche e soprattutto una forte impronta di protesta sociale. Per stroncarlo fu necessario mobilitare per diversi anni l’esercito del nuovo regno e impiegare oltre 120 000 soldati, facendo ricorso allo stato d’assedio (con la sospensione delle libertà civili) e a leggi eccezionali, tra cui la legge Pica, del 1863, che affidò ai tribunali militari i processi per brigantaggio, sottraendoli alla giurisdizione ordinaria. Si trattò di una vera e propria guerra civile, con migliaia di morti.
Fonte G. Massari, Il brigantaggio
Il laboratorio dello storico Il brigantaggio: una guerra civile, p. 588
LESSICO Brigante Il termine deriva dal verbo “brigare” che significa “praticare, trovarsi insieme”. Anticamente aveva l’accezione positiva di “compagnone”, mentre in seguito ha assunto sempre più la connotazione di “fuorilegge”.
La banda Ciccone catturata dai soldati. Il brigantaggio fu immortalato da una vastissima documentazione fotografica. Ecco una delle rappresentazioni più famose della guerra civile di quell’epoca
I quattro briganti sembrano accettare mansueti e dimessi di posare in questa sorta di ritratto di gruppo insieme a coloro che li hanno catturati. Il particolare delle mani dei soldati che sostengono o tirano parti dei loro corpi ci rivela però un retroscena inquietante: in realtà i quattro briganti in posa sono morti. Questa è dunque la loro macabra fotografia funebre Osserva la semplicità dell’abbigliamento del brigante, addobbato con rozzi panni contadini Nota l’ufficialità della posa assunta dal soldato, che sembra presentare orgogliosamente allo spettatore l’esito della sua missione di difensore del nuovo Stato e delle sue istituzioni
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Le forze antiunitarie: il Vaticano
Scrivano pubblico a Napoli, 1870
Un altro problema che la ristretta élite dirigente del nuovo Stato si era trovata ad affrontare era l’ostilità del Vaticano. Il Regno d’Italia era infatti sorto travolgendo lo Stato della Chiesa e nel 1870 ne aveva conquistato anche il cuore simbolico, Roma, per più di un millennio capitale dei papi e ora capitale dell’Italia unita. A quella che reputava un’usurpazione dei suoi diritti, il papa aveva reagito invitando i fedeli a sabotare le istituzioni del nuovo regno, astenendosi, per esempio, dal partecipare alle elezioni (principio formalizzato in una bolla del 1874, detta del non expedit; v. Approfondire). È forse proprio all’ostilità pregiudiziale dei cattolici più devoti che va ascritto l’alto tasso di astensionismo caratteristico dei primi due decenni della storia elettorale dell’Italia unita, durante i quali solo una metà della già esigua percentuale degli ammessi al voto si recò abitualmente alle urne, rendendo così ancora più fragile la legittimazione davanti al paese del Parlamento che ne elaborava le leggi. Il Nord conquista il Sud?
Storiografia N. Valeri, La questione meridionale
LESSICO Meridionalismo Movimento di studiosi di diversa formazione e appartenenza politica, che analizzano la realtà sociale del Mezzogiorno allo scopo di individuare strategie per uscire dalla condizione di arretratezza socio-economica.
L’unificazione, infine, per i modi in ragione dei quali si era realizzata, parve essenzialmente l’esito di un’iniziativa soprattutto settentrionale, e questa impronta iniziale si conservò a lungo nella vita della nuova nazione. Per interi decenni furono infatti prevalentemente piemontesi – o comunque settentrionali – a ricoprire le cariche più alte tanto nel governo, quanto nell’amministrazione e nell’esercito dell’Italia unita. Il Mezzogiorno, inoltre, risultò fortemente penalizzato sia sotto il profilo fiscale sia sotto quello della distribuzione territoriale della spesa pubblica. Fu al Nord, infatti, che vennero in larga prevalenza concentrati gli investimenti pubblici finalizzati alla creazione delle infrastrutture necessarie allo sviluppo industriale. Tale tendenza si accentuò quando, tra il 1878 e il 1887 (gli anni della Sinistra storica, v. cap. 23) venne operata un’inversione di tendenza nella politica daziaria, passando dal liberismo al protezionismo, allo scopo di consentire alla fragile industria italiana (allocata quasi tutta nella porzione settentrionale della penisola) di operare quel decollo, che essa avrebbe completato intorno alla fine del secolo. In tal modo si inasprì un dislivello economico tra le due parti della penisola, che certamente esisteva già prima dell’unificazione, ma che soprattutto dopo di essa conobbe una drammatica impennata, per conservarsi come problema aperto e scottante fino a oggi. A denunciare, sul piano pubblicistico, fin dall’età della Destra il disagio del Sud, proponendo una politica tesa a ridurre la pressione fiscale su di esso e in particolare sulle sue campagne e sugli strati sociali più deboli che le popolavano, furono uomini di varie tendenze politiche, come Pasquale Villari (1826-1917), Sidney Sonnino (1847-1922) e Leopoldo Franchetti (1847-1932), autori di una famosa inchiesta sul Mezzogiorno, e con Giustino Fortunato (18481932) padri spirituali del cosiddetto meridionalismo. L’Italia a confronto con l’Europa nell’età del liberalismo classico
Quello che ci si è presentato davanti è, come si sarà notato, tanto nel caso dell’Italia quanto in quello degli altri paesi europei dei quali qui ci siamo occupati, un quadro a tinte alterne, fatto di chiari (l’affermazione di un ordinamento liberale) e 584
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di scuri (la prolungata ristrettezza della cittadinanza politica, l’incertezza del confine tra forme di governo decisamente parlamentari e forme di governo semplicemente costituzionali). Il caso italiano, all’interno del contesto europeo di quell’epoca, si presentava in fondo come una situazione intermedia, a suo modo esemplare. Per cauto che si mostrasse nelle sue aperture liberali, il sistema politico vigente nella penisola era infatti certamente più avanzato di quello di un paese come la Russia e, per molti versi, anche di quelli tedesco e austriaco. Restava, però, indubbiamente, a grande distanza dal modello inglese. Esso era, infine, un sistema assai meno autoritario rispetto a quello vigente nella Francia di Napoleone III, ma, indubbiamente, anche molto meno aperto rispetto a quello affermatosi nello stesso paese dopo la caduta di Luigi Bonaparte, nel quale, malgrado la feroce repressione seguita all’esperienza eccezionale della Comune e malgrado il carattere presidenzialistico della terza Repubblica, il suffragio universale maschile restò una realtà incontestata. L’Europa del liberalismo “classico” fu, comunque, in generale, un’Europa dei piccoli numeri della cittadinanza politica. Le libertà esistevano, ma a fruirne pienamente erano, tendenzialmente, in pochi; e non sempre e non ovunque la cittadinanza poteva considerarsi come l’esclusiva titolare di un potere sul quale, tanto negli Stati monarchici quanto nell’eccezione repubblicana francese, i capi dello Stato esercitavano una forte proiezione personale. Le notevoli limitazioni che ovunque – compresa, ancora durante gli anni Cinquanta, la stessa Gran Bretagna – continuavano a darsi al diritto di associazione dei gruppi sociali subalterni (ma talvolta al diritto di associazione della cittadinanza tout court) segnalavano infine quanto ancora profondamente lo spirito dell’antico regime permeasse di sé la vita politica. La sola libertà davvero incontestata nell’Europa di quei decenni era, a ben vedere, quella relativa all’esercizio della proprietà privata e della libera iniziativa economica; e i suoi titolari corrispondevano alla ristretta porzione della cittadinanza che godeva del diritto di recarsi alle urne nei paesi a suffragio censitario o che apparteneva alle fasce superiori dell’elettorato nei sistemi a curie o a classi, come quello austriaco o prussiano.
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Manifesto per la campagna abbonamenti del “Corriere della Sera”, il primo quotidiano nazionale italiano, fondato a Milano nel 1876
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Il conflitto tra il “nuovo” Stato italiano e lo Stato pontificio on il compiersi dell’unificazione nazionale italiana si aprì ufCproblema ficialmente la cosiddetta “questione romana”, vale a dire il della composizione del conflitto tra lo Stato italiano e quello pontificio, ridotto territorialmente dopo il 1870 alla sola “Città del Vaticano”. Il governo italiano non poteva tuttavia non tenere conto dell’influenza che il pontefice romano poteva esercitare sugli orientamenti politici e civili della popolazione a stragrande maggioranza cattolica. Lo Stato italiano unitario era sorto calpestando i diritti storici dell’antico Patrimonio di San Pietro (oltre che quelli delle varie dinastie regnanti negli altri Stati preunitari). Pio IX si rifiutò di riconoscere la nuova situazione di fatto, dichiarandosi prigioniero all’interno dei propri palazzi, scomunicando i governanti del regno, e invitando gli italiani a sabotare la vita istituzionale del nuovo Stato. Tale principio venne fissato in una bolla del 1874, detta del non expedit, con la quale venne dichiarato “non lecito”, per chi desiderava restare ubbidiente alla Chiesa di Roma, prendere parte (tanto nella veste di elettore quanto in quella di candidato) alle elezioni per il
Parlamento nazionale. Nella parte finale del suo pontificato (Pio IX morì nel 1878) il pontefice accentuò ulteriormente la polemica contro il liberalismo e la democrazia che aveva avviato negli anni Cinquanta e sviluppato nell’enciclica Quanta cura (1864), in un’appendice della quale, il cosiddetto Sillabo, venivano elencati ottanta “errori” caratteristici dell’elaborazione filosofica laica ottocentesca. Egli ripropose una visione fortemente gerarchica e autoritaria dell’organizzazione ecclesiastica. Strumentale a questa visione apparve del resto a molti, proprio nel fatidico 1870, la proclamazione da parte del Concilio Vaticano I del dogma della infallibilità del papa in materia di fede e di morale. Nei decenni seguenti, tuttavia – specialmente sotto il pontificato di Pio X (Giuseppe Sarto, 1835-1914, papa dal 1903) – si assistette man mano all’attenuazione dei princìpi fissati da Pio IX, dopo che nel mondo cattolico si era venuta a creare una spaccatura tra i cosiddetti “intransigenti” e i “conciliatoristi”, disposti a collaborare con le istituzioni del nuovo regno, anche allo scopo di temperarne l’anticlericalismo.
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D Principe Bismarck, voi siete ricordato come l’autentico fondatore dello Stato nazionale tedesco, più ancora dei sovrani di Prussia che si trovarono a sedere sul trono nel momento in cui esso prese forma. Pensate che questo giudizio sia corretto?
r Effettivamente, per quasi trent’anni, dal 1862 al 1890, l’arbitro della politica tedesca sono stato io, prima come presidente del Consiglio e ministro degli Esteri della Prussia, poi come cancelliere dell’Impero tedesco. Era una giornata gelida, quel 18 gennaio 1871 a Versailles, quando, dopo il trionfo del nostro esercito su quello francese, Guglielmo I di Hohenzollern proclamò la fondazione del Reich. Io ero al suo fianco e da ormai quasi dieci anni gli dettavo ogni giorno l’agenda politica. Ero stato io a convincerlo, cinque anni prima, a dichiarare guerra all’Austria. Fu allora che la Prussia, una volta sconfitti gli Asburgo, cominciò a imporsi come l’astro dominante di tutta l’area di lingua tedesca. Vienna perse i suoi tradizionali alleati, e le teste coronate della Germania ci seguirono tutte. Che cosa avrebbero potuto fare, del resto? Con i suoi 300 000 uomini stabilmente in assetto di guerra, il nostro era diventato il più forte tra gli eserciti del continente; il perfetto braccio armato al servizio di un sovrano, le cui ambizioni di potenza io rinfocolavo con tutte le mie energie.
D Dunque l’unificazione tedesca, alla quale tanto avete contribuito, è stata prevalentemente un fatto dinastico, cioè la conseguenza dell’espansione territoriale della Prussia?
r Le cose sono più complesse. In Germa-
Intervista impossibile - 5 domande a
nia c’era stato, nei decenni precedenti, un movimento nazionalista di ispirazione liberale e democratica, ma era stato sconfitto. Io ho contribuito più di ogni altro a far sì che quel movimento perdesse il suo slancio autonomo e accettasse di consacrare le proprie energie a una nuova causa nazionale:
OttO
vOn Bismarck
k
quella di un sovrano che era disposto a sostenuto con convinzione. Dunque, mi de- r Anche in questo carompere i patti che lo legavano alla famiglia finisco un conservatore, come conviene del so, mi sono comporta- Sono del parere delle teste coronate europee, e che voleva resto a un uomo che, come me, discende to pragmaticamente, fondare una nazione concepita però come da un’antica famiglia di nobili di campagna, senza pregiudizi. Odia- che lo Stato grande potenza, piuttosto che come una famiglia di Junker. vo i socialisti, ma non ho debba occuparsi espressione del desiderio di libertà nutrito esitato, già nel 1863, attivamente della dai liberali. Sono stato capace, così, di pie- D Eppure, oltre ad aver contribuito in a prendere contatti con gare tante teste calde a quella che i miei modo così spregiudicato alla Lassalle, che ne era al- condizione degli costruzione dello Stato nazionale contemporanei hanno chiamato la Realpolora il capo, per vede- strati subalterni, litik, la politica della rinuncia agli ideali, a tedesco, vi siete segnalato anche per re se potevo introdurproprio al fine patto di conseguire risultati concreti. Alla l’originalità di alcune ardite misure re qualche misura che sociali. Anzi, la politica sociale si può fine i tedeschi la nazione l’hanno avuta, togliesse alimento al- di prevenire i dire che in Europa l’abbiate inventata anche se meno libera di come molti di essi la loro propaganda, ma conflitti sociali voi. Nessuno, in precedenza, aveva se l’erano immaginata. il partito socialista, nepensato a promuovere un gli anni successivi, ha sistema di assicurazione dei continuato a crescere. Così ho varato, lavoratori e la legislazione nel 1878, delle leggi eccezionali per pensionistica. Poi, reprimerlo, introducendo, però, al temgradualmente, tutti i governi po stesso, la legislazione sociale. Aneuropei hanno seguito il davo alla ricerca di un difficile equilivostro esempio. Non è strano brio, che nel 1890 non sono più che sia stato un conservatore stato in grado di mantenere. Quando a imboccare per primo ho presentato le mie dimissioni, in questa strada innovativa? quell’anno, avevo ormai settantacinr No, non lo è affatto. Nella que anni e il nuovo sovrano, salito al mia visione del mondo, quella trono nel 1888, non mi accordava che ho ereditato dalla mia tra- più il credito incondizionato che suo dizione familiare, c’è soprattutto l’idea padre mi aveva riservato. Tuttavia, D Bismarck, come vi definite dal punto dell’armonia sociale; un’armonia, ben pensavo che avrebbe respinto le di vista politico? inteso, da realizzare in un contesto gerar- mie dimissioni; invece non lo fece. r Non certo un liberachico. Sono del parere Ho passato gli ultimi anni della mia le, come avrete capito; Il nostro era che lo Stato debba oc- vita nelle mie tenute di campagna, benché anch’io, a mia cuparsi attivamente lontano da un mondo che mi aveva volta, abbia dovuto pra- diventato il più della condizione degli voltato le spalle. Ora a comandare ticare una politica di forte tra gli eserciti strati subalterni, pro- erano i capitani d’industria. Per un compromesso e misu- del continente; il prio al fine di preveni- vecchio servitore dello Stato, quarare talvolta le mie re i conflitti sociali. le io m’ero sforzato di essere per mosse tenendo conto perfetto braccio Molti liberali della mia decenni, non c’era più posto. di un Parlamento nel armato al servizio generazione, viceverquale sedevano molti di un sovrano, le cui sa, volevano che lo liberali. A mio parere, a Stato limitasse al micomandare doveva es- ambizioni di potenza nimo il suo intervento, sere il sovrano, non i io rinfocolavo con e ritenevano che le deputati eletti dalla poforze dell’economia e polazione. Nel 1862, tutte le mie energie del mercato, lasciate quando il governo ina se stesse, avrebbetrodusse in Prussia la riforma dell’esercito, ro risolto tutto da sole, portando benefici di quell’esercito che negli anni seguenti a tutti, ricchi e poveri. Un’illusione. Io avrebbe consentito di imporci come la l’ho capito per tempo, e per questo sono grande potenza nascente del continente, il stato antesignano di una tendenza alla Parlamento la respinse, ma io mi impuntai e quale poi tutti – liberali compresi – si la feci passare lo stesso. Per anni, inoltre, sono adeguati. ho governato senza godere del sostegno di una maggioranza parlamentare. Poi, visti i D Avete a più riprese criticato, nel successi della mia politica, sono stati gli corso di questa intervista, il elettori a cambiare idea, e a designare alla liberalismo. E del socialismo che cosa Camera una nuova maggioranza che mi ha pensate?
Il laboratorio dello storico
Il brigantaggio: una guerra civile
Verso
le competenze
• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
Negli anni immediatamente successivi all’unificazione nazionale, l’Italia meridionale fu teatro di una vera e propria guerra civile. A combatterla erano da un lato l’esercito regio e le guardie nazionali, dall’altro le bande di briganti, formate soprattutto da contadini ribelli, che per brevi periodi riuscirono a impadronirsi del controllo di alcuni distretti del regno, imponendo la loro legge alla popolazione. Per un certo periodo il brigantaggio fu finanziato dalla corte borbonica in esilio a Roma, ma esso costituì, soprattutto, la manifestazione del forte conflitto che percorreva la società meridionale al suo interno. Accanto all’esercito, a contribuire attivamente alla repressione furono infatti anche i notabili locali di orientamento liberale o democratico, organizzati per l’appunto in corpi come le guardie nazionali e le guardie mobili; altri settori della società del Mezzogiorno, invece, appoggiarono – più o meno consenzienti – l’attività criminale dei briganti. Tanto da una parte, quanto dall’altra, la ferocia fu immensa.
Il punto di vista del soldato Qui presentiamo il punto di vista di un ufficiale dell’esercito, Alessandro Bianco di Saint Jorioz, che fu all’epoca capitano nel Corpo reale di Stato maggiore generale impegnato nella zona di frontiera con lo Stato pontificio.
Bianco di Saint Jorioz tende ad offrire una lettura sociale del fenomeno brigantesco, sottolineando come uno dei suoi presupposti sia costituito dalla secolare prepotenza dei signori e dalla miseria dei contadini
Questo paragone tra il Mezzogiorno e l’Africa non fu infrequente in quegli anni. Stava a denotare un atteggiamento in un certo senso coloniale da parte di chi giungeva in quelle terre provenendo da aree più sviluppate della penisola
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Tutto in questo paese favorisce il brigantaggio: la povertà dei coloni agricoli; la rapacità e la protervia dei nobili e dei signori; l’ignoranza turpe in cui è giaciuta questa popolazione; l’influenza deleteria del prete; la superstizione, il fanatismo, l’idolatria, fatte religiose e santificate; la mancanza di senso morale pressoché totale; lo spettacolo schifoso della corruttela negli impiegati, nella magistratura, nei pubblici funzionarj […]. Tutto insomma ciò che vi è di laido e riprovevole nella umana società si trova in gran copia diffuso e penetrato in queste misere popolazioni […]. Qui siamo fra una popolazione che, sebbene in Italia, sembra appartenere alle tribù primitive dell’Africa. A. Bianco di Saint Jorioz, Il brigantaggio alla frontiera pontificia dal 1860 al 1863, Daelli, Milano 1864, pp. 11-12
Una parte del clero meridionale appoggiò il brigantaggio, augurandosi di farlo diventare lo strumento idoneo a far crollare le istituzioni del nuovo Stato unitario, che molti vescovi del Mezzogiorno ritenevano illegale
cApItOlO 22 - lA pOlItIcA EUROpEA tRA Il 1850 E Il 1875
Il punto di vista del brigante A raccontare la storia del brigantaggio furono soprattutto le fonti ufficiali, ma esistono anche alcune versioni della vicenda prodotte dagli stessi briganti. Tra queste figura il racconto di Carmine Donatelli, detto Crocco, mitico capo brigante attivo nei primi anni Sessanta in Lucania, il quale dettò a fine Ottocento le sue memorie in carcere, dove scontava l’ergastolo.
Anche Crocco, come Bianco di Saint Jorioz, pare qui accreditare una lettura soprattutto sociale del fenomeno
Ancor oggi si dice che la reazione fu il frutto dell’ignoranza, ciò sarà vero, anzi è verissimo, ma, a promuovere la reazione vi concorsero pure questi arrabbiati signorotti di provincia, i quali con sfacciata millanteria dicevano: «venuto il tempo nostro». Ed i poveri oltraggiati risposero: «venuto pure il nostro tempo», e così in molti paesi si ebbero uccisioni, assassinii, depredazioni; i frutti della guerra civile. [Crocco racconta poi dell’ingresso della sua banda in un paese, Aliano, nel quale le autorità religiose e alcuni dei notabili del luogo lo accolgono con ogni riguardo, aprendo alle sue truppe i palazzi dei notabili rivali, di sentimento liberale, fuggiti dal paese]. Giunto al palazzo Colonna, una casa veramente reale [nei tempi del vassallaggio la famiglia Colonna dominava per tutto il contado], venni ricevuto come si suol ricevere un pezzo grosso. Ed in quel momento rappresentavo qualche cosa di grosso ancor io, poiché dopo tutto a questo mondo per non restar piccoli bisogna aver virtù di far macellare uomini. C. Crocco, Come divenni brigante, Lacaita, Manduria 1994, pp. 60-61
A definire il brigantaggio “reazione” (in analogia con la reazione antigiacobina del 1799 guidata dal cardinale Ruffo) furono i borbonici
I briganti dei primi anni Sessanta massacrarono centinaia di persone nelle campagne di alcune aree del Mezzogiorno. A loro volta, furono massacrati a migliaia dai soldati dell’esercito e dalle Guardie nazionali. E in alcuni casi questi massacri si estesero alle popolazioni civili sospettate di dare loro appoggio. L’immagine del “macello” civile, qui proposta da Crocco, risulta perciò particolarmente calzante per descrivere la situazione di quegli anni
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Abbiamo qui utilizzato due fonti memorialistiche coeve al fenomeno posto al centro dell’analisi, che ci restituiscono i punti di vista antitetici dei due schieramenti in campo. • Quali risultano i principali punti di distanza tra il racconto di Bianco di Saint Jorioz e quello di Crocco? • Osserva la fotografia a p. 583: quali affinità si possono evidenziare tra il messaggio trasmesso dalla fotografia e il racconto sviluppato da Bianco di Saint Jorioz?
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cApItOlO 22
LA POLITICA EUROPEA TRA IL 1850 E IL 1875
Mappa Modello: Inghilterra vittoriana
Russia: • abolizione della insofferenza e assassinio dello zar
servitù della gleba (1861) ma peggioramento delle condizioni dei contadini • liberalismo negato, ma si diffonde come aspirazione
Età del liberalismo classico
pOlItIcA EUROpEA tRA Il 1850 E Il 1875
francia
Il parlamento di francoforte offre l’investitura imperiale a Federico Guglielmo IV, che la rifiuta
Governo di Napoleone III
politica interna: cesarismo e compromesso tra liberalismo e autoritarismo
politica estera:
• rilancio della Guerra austroprussiana (1866), vittoria e unificazione degli Stati tedeschi del Nord
Guerra francoprussiana, vittoria e acquisizione di Alsazia e Lorena
Nasce il Reich tedesco (1871)
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censitario
• rigido liberismo economico Austria-Ungheria: • monarchia dualistica (1867) • voto per curie • permane il problema delle nazionalità
Germania
Guglielmo I e Bismarck vogliono realizzare l’unità dall’alto e rafforzano l’esercito
• sistema politico liberale
l’Italia della destra storica Esponenti: politici settentrionali di tradizione monarchicomoderata
politica interna: • accentramento amministrativo • Statuto albertino • pesante fiscalismo • 2 anni di elementari obbligatori e gratuiti
potenza francese
• sconfitta di Sedan e crollo del II Impero
comune di parigi e sperimentazione di eguaglianza sociale e democrazia diretta
Attacco dell’esercito, fine della Comune e nascita della III Repubblica
problemi: • brigantaggio • “questione romana” • scollamento tra il Nord sviluppato e il Sud arretrato
cApItOlO 22
LA POLITICA EUROPEA TRA IL 1850 E IL 1875
Sintesi 22.1 L’ETà DEL LIBERALISMO CLASSICO Anche se i moti del 1848 fallirono e gli anni Cinquanta si aprirono all’insegna della repressione, presto la situazione mutò, tanto che il periodo 1850-1875 viene definito “età del liberalismo classico” per indicare da un lato l’esistenza di un sistema politico liberale censitario e dall’altro la prevalenza di una visione rigidamente liberista dell’economia. Questa forma di liberalismo si dice “classica” per distinguerla da altre successive. La Gran Bretagna, sotto la guida carismatica della regina Vittoria, era ancora il paese all’avanguardia per la promozione dei diritti civili e politici. Dal 1848 al 1866 il partito liberale guidò il governo britannico rafforzando il sistema parlamentare. Furono realizzate importanti riforme tra cui quella elettorale (il Reform Act). Lo “spirito” inglese circolò intensamente in quei decenni in tutti gli altri paesi, magari sotto forma di auspicio di una graduale piena realizzazione del liberalismo, anche dove le istituzioni politiche non si erano pienamente adeguate. 22.2 L’UNIFICAZIONE NAZIONALE TEDESCA In Germania questi anni portarono all’unificazione del paese e alla nascita del Reich. Dopo il fallimento dell’assemblea di Francoforte, il processo fu ripreso negli anni Sessanta dalla Prussia e dal suo primo ministro Otto von Bismarck. Nel 1861 salì al trono di Prussia Guglielmo I e da quel momento l’azione di Bismarck fu volta a rafforzare la Prussia all’interno della Confederazione germanica. Grazie a una politica estera aggressiva (in successione: guerra alla Danimarca, all’Austria e alla Francia, sconfitta definitivamente a Sedan), il 1° gennaio 1871 nacque l’Impero tedesco, uno Stato federale formato da 25 Stati subordinati a un unitario governo centrale, guidato per conto del re di Prussia dal cancelliere dell’impero. 22.3 LA FRANCIA DA NAPOLEONE III ALLA TERZA REPUBBLICA In Francia si affermava l’impero borghese di Napoleone III, che voleva riportare il paese al ruolo di principale potenza continentale. Egli cercò di indebolire gli imperi degli Asburgo e dei Romanov con la Guerra di Crimea (18541855) e l’alleanza con i Savoia (1859). In politica interna realizzò un compromesso tra autoritarismo
e liberalismo. Perseguì un disegno populista, alla ricerca di un rapporto carismatico con le masse. La sconfitta della Francia contro la Prussia nel 1870 portò alla caduta di Napoleone e alla proclamazione della terza Repubblica. A Parigi nel 1871 la popolazione insorse dando vita alla Comune, un esperimento di democrazia diretta. Non si riuscì però a coinvolgere la popolazione delle campagne e la rivolta venne sedata violentemente.
22.4 AUSTRIA-UNghERIA E RUSSIA: LE DIFFICOLTà DEL LIBERALISMO Nel 1867 l’impero austriaco di Francesco Giuseppe si trasformò in una monarchia dualista austro-ungarica, con due parlamenti, uno a Vienna e uno a Budapest. La Russia, pur restando illiberale, promosse alcune importanti riforme, come l’abolizione della servitù della gleba nel 1861. Qui nacque il movimento populista che si opponeva all’autoritarismo dello zar anche con atti terroristici, culminati nell’uccisione dello zar Alessandro II nel 1881. 22.5 L’ITALIA DOPO L’UNIFICAZIONE L’Italia tra il 1861 e il 1876 fu governata dalla Destra storica. Essa realizzò una politica di forte centralizzazione legislativa, attuò un rigido fiscalismo per raggiungere il pareggio del bilancio, promosse una serie di tasse anche molto impopolari come la tassa sul macinato (1868). Vennero create infrastrutture necessarie allo sviluppo economico del paese, che coinvolse però più il Nord che il Sud dove invece si intensificarono le azioni di brigantaggio represse con la forza (legge Pica). Iniziava a emergere il forte divario tra le due parti della penisola, denunciato da alcuni intellettuali in una famosa inchiesta sul Mezzogiorno. Restava ancora irrisolta la questione romana, che si era aperta con l’opposizione del papa all’unificazione e si era concretizzata nel principio del non expedit, cioè il divieto per i cattolici di andare a votare.
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Capitolo 23
Verso il NoVeceNto
23.1 Dal liberalismo alla democrazia La cittadinanza “ristretta” del liberalismo classico
Nell’età che abbiamo definito del liberalismo classico (1850-1875) in europa si era realizzata l’introduzione generalizzata delle libertà e dei diritti individuali e la progressiva attenuazione delle modalità di potere autoritarie proprie dell’antico regime. Ma la fruizione della piena cittadinanza politica era stata riservata a una porzione ristretta della popolazione maschile adulta. A giustificare queste restrizioni era la considerazione che solo coloro che possedevano patrimoni di un certo rilievo, o che avevano conseguito attraverso gli studi un livello culturale elevato, potevano essere affidabili per contribuire a gestire il patrimonio pubblico, oltre che dotati della responsabilità necessaria per compiere una scelta politica in piena indipendenza di giudizio, senza il rischio di subire condizionamenti o pressioni esterne. Gustave Caillebotte, Sul ponte dell’Europa, 1876-1877 (Forth Worth, Kimbell Art Museum)
La scena si svolge sul Ponte dell’Europa, pomposamente inaugurato nella capitale francese nel 1868
Un borghese, vestito con eleganza e con il capo sormontato dal classico cilindro, sembra guardare pensieroso oltre il ponte. L’orizzonte è Parigi, ma anche il nuovo secolo in arrivo
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sulla base di questa stessa argomentazione le donne – anche quelle dotate di patrimoni cospicui – venivano escluse dal diritto di voto. si riteneva infatti che la loro posizione subalterna all’interno dell’istituto familiare le esponesse inevitabilmente all’influenza del padre o del marito; oppure, specie nei paesi cattolici, si temeva che potessero essere condizionate dalla chiesa, ostile, in linea di principio, ai valori laici e secolarizzati propri della civiltà liberale. La democratizzazione elettorale
i decenni tra gli anni Settanta dell’Ottocento e l’inizio del Novecento furono contraddistinti da un radicale mutamento di scenario, che lo storico e filosofo italiano Benedetto croce descrisse così: «la società europea andava a tutta democrazia, come si diceva, e meglio si sarebbe detto che usciva dalla tutela di ristretti gruppi dirigenti, di quelle aristocrazie liberali che l’avevano guidata nelle rivoluzioni e nel nuovo ordinamento degli stati […]. Manifestazione e strumento di questa incessante progressione erano i consecutivi allargamenti del suffragio che, in quasi tutti i paesi dell’europa, misero capo al suffragio universale». Dal liberalismo “stretto” alla democrazia, dunque; intendendo quest’ultima in un’accezione che per la nostra sensibilità odierna risulta comunque iniqua e limitativa, dal momento che la componente femminile della società ne continuava a restare esclusa e l’esercizio dei diritti politici spettava al massimo alla totalità dei maschi adulti: era questo il processo evocato da croce.
La proclamazione, a Parigi, dei deputati eletti per il Dipartimento della Senna, marzo 1850
Il laboratorio dello storico L’allargamento del suffragio, p. 610
Il ponte è un’avveniristica costruzione in acciaio, simbolo della seconda rivoluzione industriale che in questi anni si afferma in tutta Europa. Esso occupa lo spazio maggiore sulla tela, celebrando il potere dell’industria e la profonda trasformazione che subiscono le città alla fine dell’Ottocento
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SEZIONE 7 - alla fINE dEl SEcOlO
Una cartolina propagandistica con la richiesta del suffragio universale, 1905
Il suffragio in Inghilterra, Francia e Germania
LESSICO Suffragio Il termine deriva dal verbo latino suffragare (immodificato nell’italiano) con il significato di “sostenere, aiutare, favorire” e poi “votare”. Il suffragio è definito “generale” se riservato a tutti i cittadini maschi, “universale” se attribuito a tutti i cittadini (maschi e femmine).
in Inghilterra, dopo essere passato da 1,4 a 2,5 milioni di persone (il 7,7% della popolazione assoluta) nel 1867, grazie a una nuova riforma promossa dai liberali, il suffragio salì nel 1884 a 4,9 milioni di unità (16% della popolazione), includendo ora tutti i maschi maggiorenni a capo di un nucleo familiare. Nel 1918, dopo la fine della Prima guerra mondiale, venne introdotto il suffragio generale maschile e l’esercizio del diritto di voto fu attribuito alle donne capofamiglia o mogli di capofamiglia. Dieci anni più tardi, nel 1928, tutti, indistintamente, gli inglesi adulti di ambo i sessi furono abilitati all’accesso alle urne: era la conquista del suffragio universale. in Francia, dopo la caduta di luigi Napoleone, al suffragio generale maschile, che già esisteva, venne coniugata l’attribuzione della piena titolarità del potere legislativo al Parlamento, la cui composizione era determinata dalle elezioni, che nel sistema cesaristico di Napoleone iii aveva svolto invece un ruolo quasi solo accessorio. in Germania la fondazione del Reich, nel 1871, coincise con l’introduzione del suffragio generale maschile per quello che atteneva alle elezioni che designavano i membri al reichstag, la camera dei deputati federale. e, tra i vari stati che componevano l’impero tedesco, il Baden nel 1904 e la Baviera e il Württemberg nel 1906 adottarono a loro volta il medesimo sistema anche in relazione alla formazione dei rispettivi parlamenti statali. Le riforme elettorali nel resto d’Europa
NAZIONE
ANNO
Francia
1848
Germania
1871
Spagna
1890
Italia
1912
Inghilterra
1918
Il suffragio generale maschile in Europa
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in Italia la riforma elettorale del 1882 elevò la percentuale della popolazione abilitata al voto politico da poco più del 2% a poco meno del 7% e trent’anni più tardi, nel 1912, una nuova riforma portò la percentuale relativa a più del 23%, ovvero alla quasi totalità dei maschi adulti. in Spagna il suffragio generale maschile entrò in vigore nel 1890 e nel 1896 i Paesi Bassi ne adottarono una versione minimamente limitativa, come già aveva fatto il Belgio tre anni prima. Nel primo decennio del Novecento molti altri paesi si lanciarono nella corsa «a tutta democrazia» di cui parlava croce, anche se in alcuni di essi quella corsa rimase frenata dalla vigenza di sistemi che prevedevano un peso differenziato dei voti espressi a seconda della “classe” o “curia” di appartenenza di ciascun elettore, più o meno sulla falsariga del modello austriaco o di quello prussiano.
capItOlO 23 - VErSO Il NOVEcENtO
la Finlandia e la Norvegia furono in europa le prime due nazioni a osare, nel 1907, quanto i due dominions inglesi dell’Australia e della Nuova Zelanda avevano realizzato già nel 1900: l’estensione del diritto elettorale alle donne. All’inizio del Novecento quasi ogni nazione europea (fatta salva la grande eccezione della russia) stava camminando verso la democrazia. e l’approdo a un mondo contraddistinto da una più larga distribuzione dei diritti politici, non più privilegio esclusivo delle oligarchie, era il riflesso di un’impressionante serie di trasformazioni dell’economia, della società, della cultura (soprattutto in termini di estensione dell’alfabetizzazione), di cui l’ultimo quarto del secolo era stato testimone.
Inclusione/Esclusione Il sogno della democrazia, p. 614
23.2 Le trasformazioni dell’economia: la seconda rivoluzione industriale Dal liberismo al protezionismo
A partire dalla seconda metà degli anni Settanta il principio del libero scambio, il cui simbolo per antonomasia era stato il trattato commerciale anglo-francese del 1860, presto seguito da una serie di accordi analoghi che avevano coinvolto anche lo Zollverein, ovvero la lega doganale che collegava da decenni gli stati tedeschi, il Belgio e l’italia, fu abbandonato in ogni paese, in parte persino in inghilterra, che ne aveva fatto una sorta di emblema della propria civilizzazione. Dal liberismo si passò al protezionismo. A motivare questa scelta fu in primo luogo una crisi agraria generalizzata, causata dall’afflusso in europa dei grani americani e russi a basso costo, la cui concorrenza mise in ginocchio molti produttori continentali, devastando il tessuto sociale delle campagne e contribuendo in misura rilevante all’avvio della grande emigrazione transoceanica verso l’America, che interessò 21 milioni di europei tra il 1870 e il 1900: erano in gran parte contadini, per i quali in europa non c’era più possibilità di mantenersi.
LESSICO Protezionismo Politica economica di intervento dello Stato per proteggere l’industria nazionale dalla concorrenza estera. Essa si attua generalmente per mezzo di una forte tassazione sulle importazioni.
PassatoPresente La Cina è vicina
Raffaele Gambogi, Gli emigranti, 1895 (Livorno, Museo Civico)
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SEZIONE 7 - alla fINE dEl SEcOlO
La Tour Eiffel in costruzione. Edificata in vista dell’Esposizione universale di Parigi del 1889 diventò il simbolo della capitale francese, ma anche della seconda rivoluzione industriale
Presto alla protezione doganale dell’agricoltura si aggiunse quella dell’industria, colpita a sua volta da una crisi di sovrapproduzione che intaccò seriamente i profitti imprenditoriali, rischiando di mettere definitivamente fuori gioco i produttori più deboli. lasciare le porte aperte alla forte concorrenza inglese avrebbe significato, a questo punto, compromettere drammaticamente le possibilità di sviluppo industriale nei paesi che l’avevano nel frattempo a loro volta avviato (Belgio, Germania, Francia) o che si apprestavano a farlo (italia). la Germania innalzò sensibilmente nel 1879 i propri dazi doganali; l’Italia avviò la sua politica protezionistica nel 1878 e la completò nel 1887; la Francia adottò gli stessi orientamenti nel 1892. la crisi del 1873 (passata alla storia come Grande depressione) venne superata e l’europa entrò nella seconda rivoluzione industriale. La seconda rivoluzione industriale
PassatoPresente Le metropoli
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A differenza della prima rivoluzione industriale (v. cap. 10), la seconda fu contraddistinta dal massiccio intervento dello Stato in economia, tanto attraverso lo strumento doganale quanto in forza di una pragmatica politica di committenza pubblica e di erogazione di incentivi all’industria; specie quella meccanica e quella siderurgica, la cui robusta diffusione all’interno dei confini nazionali – non importa a quale costo – veniva giudicata indispensabile per paesi che intendevano rivendicare il ruolo di potenze mondiali, capaci di disporre autonomamente delle flotte e degli armamenti da inviare negli imperi coloniali in formazione. Fu la rivoluzione dell’acciaio, della chimica applicata all’industria, poi dell’elettricità e del petrolio; la rivoluzione delle grandi economie di scala e delle grandi concentrazioni finanziarie e produttive. i suoi simboli furono le macchine (da quelle meccaniche, come la bicicletta, a quella a motore, come l’automobile), le grandi fabbriche (nello stabilimento tedesco dei Krupp lavoravano ogni giorno 70 000 operai), l’urbanesimo moderno, teatro di nuovi stili di consumo (per esempio i grandi magazzini) e scenario dell’irruzione del gas, dell’elettricità e della luce artificiale nella vita di ogni giorno. rivoluzionaria fu anche una nuova, massiccia, integrazione tra Stato e impresa, che trovò per il momento il suo luogo di rivelazione più evidente nelle politiche di espansione coloniale. esse erano infatti funzionali all’accrescimento del prestigio
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delle nazioni del continente, ma al tempo stesso offrivano straordinarie potenzialità di sviluppo alle grandi concentrazioni industriali impegnate a produrre le forniture militari commissionate dallo stato. l’esempio della Germania, prima di Bismarck poi di Guglielmo ii, sotto questo profilo, è il più significativo; ma, in tono minore, anche l’italia, nel periodo in cui la carica di capo del governo venne assunta da Francesco crispi ne replicò alcuni tratti fondamentali. stato e impresa – un’impresa ora “nazionale”, tutelata dalla legislazione protezionistica – nella seconda rivoluzione industriale cooperarono intensamente, allo scopo di rendere potenti le nazioni europee nel mondo.
Storiografia G. Barraclough, Gli effetti sociali della seconda rivoluzione industriale
23.3 Le trasformazioni sociali: verso una società di massa L’organizzazione degli strati subalterni
Furono già i contemporanei a descrivere i cambiamenti di fine secolo con la definizione di “avvento della società di massa”. essi intesero con questo termine alludere soprattutto a fenomeni come l’estensione del suffragio elettorale, la formazione dei moderni partiti politici e l’avvio della legislazione sociale. A spingere in quella direzione erano, per un verso, gli stessi principi ispiratori della concezione liberale, la quale recava in sé la promessa e l’auspicio di una graduale emancipazione civile e politica di tutti gli individui, una volta che essi avessero raggiunto – per esempio attraverso i progressi dell’istruzione – quel livello di “affidabilità pubblica” che inizialmente i sistemi liberali riconoscevano ai soli appartenenti ai ceti abbienti e colti. Per un altro verso, però, a rivendicare la propria piena inclusione nei processi decisionali della politica erano gli strati subalterni, soprattutto la classe operaia, che infittiva i propri ranghi man mano che la cosiddetta “seconda rivoluzione industriale” trasformava l’economia e la società anche nei paesi che non avevano conosciuto la prima, e che stava definendo la propria identità collettiva tanto attraverso le organizzazioni sindacali quanto attraverso i partiti politici di ispirazione socialista.
Robert Koehler, Lo sciopero, 1886
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MEMO Dopo la sconfitta francese nella guerra franco-prussiana (1870) e la caduta di Napoleone, tra il marzo e il maggio 1871 a Parigi si era instaurato un governo rivoluzionario detto appunto “Comune” ed era stato avviato un esperimento di democrazia diretta, presto soffocato nel sangue [vedi p. 578].
la repressione antisocialista seguita in tutta europa – e non solo in Francia – al soffocamento della comune di Parigi rese per qualche anno estremamente difficile l’aggregazione sindacale e politica della classe operaia. Nel 1876 la prima Internazionale si sciolse a causa della difficoltà di conciliare le diverse vedute interne e nel 1878, nella Germania di Bismarck, le cosiddette “leggi antisocialiste” imposero ferree limitazioni al diritto di associazione e alla libertà di stampa. tuttavia, intorno alla metà degli anni Ottanta quasi tutti gli stati del continente cominciarono a seguire l’orientamento che i governi della Gran Bretagna avevano adottato già nei decenni precedenti: quello di dare riconoscimento legale ai sindacati dei lavoratori e di abolire i divieti in materia di coalizione e associazione che erano stati in vigore fino ad allora. Sindacati operai e partiti socialisti
Emilio Longoni, L’oratore dello sciopero, 1891 (Pisa, Collezione privata)
i sindacati furono legalizzati in spagna nel 1881. Fu poi la volta della Francia, nel 1884, e dell’italia, tra il 1885 e il 1889. Non di rado i governi in carica continuarono peraltro a ricorrere allo strumento dell’intervento delle forze dell’ordine (sia polizia sia esercito) per sedare la protesta operaia, quando essa si rivelava particolarmente ardita. tuttavia il fuoco che ancora tra fine ottocento e inizio Novecento tornò a riversarsi occasionalmente sulle masse dei manifestanti non riuscì ad arrestare il processo di sindacalizzazione del mondo del lavoro e di organizzazione dei partiti di ispirazione socialista, divisi, in genere, tra una componente riformista e una rivoluzionaria. i sindacati, in particolare, furono capaci di aggregare le masse e i socialisti riformisti giunsero talvolta in estrema prossimità delle stanze del potere. in Francia, nel governo guidato dal radicale Waldeck-rousseau, nel 1899, per la prima volta, un socialista, Alexandre Millerand, ricoprì – anche se a titolo personale – la carica di ministro; e nel decennio seguente i socialisti fecero spesso parte di coalizioni insieme all’ala “sinistra” del liberalismo borghese, il partito radicale. in Gran Bretagna i laburisti, che costituivano la variante locale del partito socialista, e che erano contraddistinti da un orientamento spiccatamente riformista e antirivoluzionario, fino alla Prima guerra mondiale si fecero eleggere nelle fila del partito liberale (a lungo al governo) e nel 1906 approdarono in 30 alla camera dei comuni. in Italia i socialisti furono nel decennio iniziale del Novecento protagonisti di primo piano della politica e appoggiarono ripetutamente dall’esterno i governi presieduti dal liberale Giovanni Giolitti, il quale cercò invano di coinvolgere direttamente qualcuno di loro in responsabilità ministeriali. in Germania, infine, la socialdemocrazia rimase stabilmente esclusa da qualsiasi combinazione governativa, ma accrebbe enormemente, una volta revocate le leggi che l’avevano colpita, la propria capacità di irradiazione, arrivando nel 1912 a conquistare ben il 35% dei suffragi elettorali. Un nuovo modo di fare politica
il mutamento in senso democratico delle regole del gioco politico favoriva in tutto il continente l’affermazione dei partiti di ispirazione non liberale; non solo quelli che si richiamavano al socialismo, ma anche altri, di orientamento cattolico, il primo dei quali fu il Zentrum (“centro”) tedesco. tanto in un caso quanto nell’altro, si trattava di partiti di massa, caratterizzati da una forte impronta ideologica e da una marcata visione del mondo; erano organizzazioni stabili, 598
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composte da centinaia di migliaia di persone, guidate da funzionari che vi dedicavano tutte le loro energie, oltre che sorrette dall’entusiasmo e dalla passione dei militanti. i partiti di massa furono qualcosa di profondamente diverso dagli effimeri raggruppamenti di notabili locali nei quali, in precedenza, si erano articolati sia i partiti di ispirazione conservatrice sia quelli di orientamento progressista. l’estensione del suffragio impresse, insomma, una svolta ai modi della politica. con i sistemi di tipo censitario, che accordavano il diritto di voto a una porzione ristretta della popolazione, per diventare deputato bastavano anche semplicemente poche centinaia di voti, raccolti da ciascun notabile nella sua rete di conoscenti e “clienti”. con il suffragio “largo” fu invece necessario procurarsene decine di migliaia, ed entrarono allora in campo le grandi macchine organizzative dei partiti, la capacità di propaganda dei militanti, la diffusione della stampa di tendenza. sotto questo profilo, i partiti socialisti furono all’avanguardia, ma man mano anche quelli tradizionali dovettero adeguarsi alla nuova situazione. Finiva l’età del liberalismo classico, durante la quale si era attribuito grande significato ai piccoli numeri e all’esclusivismo, e iniziava quella liberal-democratica, fondata sul riconoscimento dei diritti di grandi masse.
Volantino socialista di inizio Novecento a sostegno del suffragio universale
La polemica antiparlamentare e il timore delle folle
All’allargamento dell’elettorato corrispose anche la crescita della legittimazione dell’istituto che ne costituiva la naturale espressione, il Parlamento. Nei paesi contraddistinti da un sistema liberal-costituzionale (Germania, Austria-Ungheria) esso risultava pur sempre subordinato alla preminenza regia; in quelli, invece, di più schietta impronta liberal-parlamentare (Gran Bretagna, Francia, ma entro certi limiti anche l’italia), nei quali la maggioranza determinava la formazione e la fortuna del governo, il Parlamento rappresentò non solo il centro primario di elaborazione della politica, ma anche il simbolo per eccellenza della nuova società di massa. APPROFONDIRE
Dai partiti dei notabili ai partiti di massa dal titolo La politica come professione, Nideali”ellatenutadeiconferenza nel gennaio 1919, Max Weber presenta i due “tipi partiti dei notabili e dei partiti di massa. I primi, sorti con l’affermarsi della borghesia, erano interamente fondati sull’agire di «persone socialmente preminenti» che si dedicavano alla politica come a un’attività occasionale, intermittente e secondaria. Mancavano organizzazioni interlocali permanenti. I notabili decidevano i candidati al Parlamento, che era l’unico luogo in cui la politica veniva a configurarsi come un esercizio più o meno continuativo. I partiti di massa, invece, sono le forme più moderne dell’organizzazione politica che sorgono sul terreno della democrazia e del diritto elettorale delle masse, quando cioè la politica diviene strutturalmente un esercizio professio-
nale e continuativo, diretto a conquistare il consenso di larghe fasce della popolazione e, attraverso di esso, il potere. In questa fase i rappresentanti dei partiti formano una vera e propria burocrazia professionale stipendiata dai militanti attraverso le quote associative, e diventano i soggetti fondamentali dell’attività politica, che si svolge ormai prevalentemente al di fuori del Parlamento. Due sono le novità sostanziali del partito di massa rispetto a quello dei notabili: la subordinazione a un leader designato dai militanti, che spesso è in grado di costituire intorno alla propria personalità un ampio consenso popolare, e la trasformazione del partito in una macchina con apparati stabili, meccanismi regolari di reclutamento e strumenti sofisticati di finanziamento e proKeir Hardie, uno dei fondatori del partito liberale inglese, paganda. fotografato a inizio Novecento durante un comizio
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Una seduta del Parlamento italiano a Torino nel 1862 (Torino, Museo del Risorgimento)
soprattutto in Francia e in Italia, tra gli anni Novanta e i primi del Novecento, divampò una violenta polemica antiparlamentare, spesso combinata con quella a proposito delle “folle” accesa per primo da Gustave le Bon, nel suo famoso saggio del 1895 La psicologia delle folle. in esso lo psicologo francese sosteneva che gli individui, quando si trovano all’interno di una folla, perdono la propria personalità e assumono una sorta di “anima collettiva” che li fa agire in modo del tutto diverso da come ciascuno di loro isolatamente agirebbe. Nell’anima collettiva, secondo questa teoria , prevalgono gli impulsi irrazionali che annullano la parte razionale, conducendo spesso le folle a compiere atti violenti e insensati. Agli occhi del vecchio mondo dei notabili, che era abituato a una politica dei piccoli numeri, basata sul consenso e sulla deferenza dei ceti esclusi dall’esercizio del diritto di voto rispetto alla ristretta élite dominante, il Parlamento di tipo democratico, eletto da una grande massa di elettori, pareva una temibile espressione di questa irrazionalità delle folle. l’una e l’altra polemica esprimevano il disagio della parte più conservatrice della società di fronte ai fenomeni di democratizzazione ai quali la sensibilità liberale era tutt’altro che avvezza. si aveva timore sia delle masse che invadevano le piazze, per esempio in occasione di scioperi o di manifestazioni politiche, sia dei nuovi partiti che portavano in Parlamento una contestazione radicale all’ordine costituito. La crisi del dogma liberista
le masse, dunque, premevano per avere riconoscimento pubblico, rivendicando maggiore attenzione ai propri problemi e alla propria condizione da parte della politica. Ne scaturì quella che i contemporanei chiamarono “questione sociale”, uno dei cui diretti riflessi fu rappresentato dagli interventi della quasi totalità dei governi in materia di organizzazione del lavoro. essi coincisero con l’abbandono di un’illusione che era stata caratteristica dei primi decenni dell’era liberale. Durante il periodo di massimo fulgore della dottrina liberista elaborata dalla scuola di Manchester era infatti parso naturale pensare che l’economia, lasciata libera di esprimere le proprie potenzialità virtuose senza vincoli, semplicemente sulla base della legge della domanda e dell’offerta, fosse capace di procurare il massimo del benessere al maggior numero di persone possibile e che per questo il pubblico potere dovesse astenersi da qualsiasi interferenza con i “naturali” meccanismi del 600
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mercato. era una concezione che implicitamente attribuiva alla borghesia imprenditoriale il ruolo di leva esclusiva dei processi di miglioramento della società, ma che contemporaneamente ignorava il peso crescente delle masse operaie nella vita politica e sociale, immaginando per esse una funzione di semplice e inconsapevole ingranaggio nel ciclo dello sviluppo economico. A partire dagli anni Settanta, viceversa, l’astensionismo pubblico in relazione alle dinamiche del mercato del lavoro si rivelò non più sostenibile. tra i lavoratori, che la dimensione della fabbrica rendeva assai più coesi di quanto non lo fossero i contadini o gli artigiani – i ceti subalterni del passato –, si diffondevano infatti ideologie rivoluzionarie, come il socialismo e l’anarchismo, e la conflittualità industriale veniva tenuta stabilmente accesa dalle organizzazioni sindacali. l’ulteriore rinuncia dello stato a intraprendere iniziative legislative capaci di riequilibrare a favore dei lavoratori le crudeli leggi del libero mercato, che collocavano i datori di lavoro in una posizione di netto predominio, rischiava a questo punto di aprire la strada alla rivoluzione, piuttosto che all’auspicato inarrestabile sviluppo della società borghese e capitalistica. tra la fine dell’ottocento e l’inizio del Novecento il tabù dell’astensionismo statale venne infranto quasi ovunque e si diede avvio, con un crescendo incalzante, a una produzione legislativa volta ad alleviare la condizione economica e sociale delle classi subalterne. Ad attuare la legislazione sociale furono governi tanto di stampo conservatore quanto di orientamento liberal-progressista, uniti da un comune obiettivo. come sostennero i cosiddetti “socialisti della cattedra” – le cui analisi influenzarono profondamente sia le politiche dei governi del reich sia, più tardi, quelle degli altri stati europei –, si trattava di «risalire alle cause prime della socialdemocrazia [in modo da] approfondirle per distruggerle»; ovvero, di affrontare con decisione la questione sociale, in modo tale da evitare che i malesseri che la alimentavano si tramutassero in terreno di propaganda per i partiti intenzionati a rovesciare la società esistente. le legislazioni sociali non erano quindi dettate solo da un’effettiva preoccupazione per le condizioni dei lavoratori, ma dall’intenzione di prevenirne eventuali sbocchi rivoluzionari.
LESSICO Socialisti della cattedra Gruppo di economisti e sociologi tedeschi che pensavano alla possibilità di comporre i conflitti di classe non attraverso una rivoluzione, ma attraverso le politiche sociali attuate dallo Stato e la regolamentazione del sistema della libera concorrenza. Intendevano, dunque, risolvere con la dottrina (dalla cattedra) i problemi sociali altrimenti destinati a sfociare in rivoluzione. I maggiori esponenti furono Lassalle, Rodbertus e Wagner.
APPROFONDIRE
La “grande trasformazione”: l’analisi di Karl Polanyi Polanyi, autore di quella che è forse più appassionata ed efficace mai Kscrittaarll’opera intorno ai sogni e alle disillusioni della visione manchesteriana del mondo, ha scritto: «La civiltà del diciannovesimo secolo era economica in un senso diverso e distinto (rispetto a tutte le precedenti), poiché sceglieva di fondarsi su un motivo soltanto raramente riconosciuto come valido nella storia della società umana e certamente mai prima sollevato a livello di una giustificazione di azione e di comportamento nella vita quotidiana, e cioè il guadagno. Il sistema del mercato autoregolantesi era derivato da questo principio». Non solo, in omaggio alla “fede” nella capacità del libero mercato di risolvere da solo, grazie ai propri meccanismi di
Un ricco e grasso capitalista ingoia avidamente il frutto del lavoro degli operai, vignetta satirica, fine del XIX secolo
compensazione, i problemi sociali, era venuta meno durante la fase ascendente della civiltà liberale e industriale l’attenzione alla solidarietà sociale, un obiettivo che in precedenza nessuna società aveva mai interamente rinunciato a perseguire: «L’unità tradizionale di una società cristiana doveva (nell’epoca contraddistinta dal predominio del liberismo economico) cedere il posto a una negazione della responsabilità da parte della gente per bene verso le condizioni del loro prossimo. Si andavano formando le “due nazioni” (quella dei molto ricchi e quella dei molto poveri) e, con costernazione di chi rifletteva sul proprio tempo, ricchezze inaudite apparivano come inseparabili da una miseria altrettanto inaudita».
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L’interno del complesso metallurgico inglese della Thomas Ironworks nel 1867
Gli inizi della legislazione sociale
On strike (Lo sciopero), 1891 (Londra, Royal Academy of Arts)
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i legislatori inglesi erano stati i primi a intervenire in tal senso, regolando per legge a partire già dagli anni Cinquanta le condizioni del lavoro industriale e imponendo successivamente continui abbassamenti alla durata della giornata lavorativa, nonché l’innalzamento dell’età minima per svolgere il lavoro in fabbrica. Durante i primi anni del Novecento, sempre in Gran Bretagna, si assistette all’emanazione dei primi provvedimenti legislativi in materia di fissazione dei minimi salariali. l’intero continente seguì, via via, tanto l’esempio inglese quanto le indicazioni nel frattempo messe a punto in Germania. caratteristica della legislazione sociale di quella che a partire dagli anni Novanta si stava imponendo come la seconda potenza industriale europea – la Germania guglielmina – fu una diversa modalità di approccio alla questione sociale: non la fissazione legislativa dei rapporti di lavoro, ma la costruzione di un sistema previdenziale e assicurativo in parte finanziato dallo Stato. Nel 1883 entrò in vigore la legge sull’assicurazione contro le malattie, l’anno dopo quella sull’assicurazione contro gli infortuni; quindici anni dopo vi fu il varo del sistema di previdenza per l’invalidità e la vecchiaia. Furono questi i tasselli costitutivi di un sistema che avrebbe dovuto temperare le sofferenze suscitate dall’affermazione generalizzata del sistema di fabbrica, sulla base dell’implicito riconoscimento che, come dice Gerhard ritter nella sua Storia dello stato sociale «esistevano cause sociali di bisogno di cui il singolo non era responsabile, e che il perseguimento del benessere individuale, rispettoso della dignità e della libertà del singolo, era compito della società». Per evitare la rivoluzione, tanto i conservatori quanto i liberali che reggevano i governi d’europa si fecero riformatori, prendendo congedo dal miti del laissez faire e varando leggi capaci di ricostituire le maglie di un’amministrazione sociale che nei decenni centrali dell’ottocento si era ridotta a brandelli. Fu un modo di rispondere alle urgenze suscitate dalla nuova società di massa che, oltre che a quella dei diritti civili e politici, aspirava alla consacrazione dei diritti sociali.
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23.4 La politica in Europa tra il 1870 e il 1900 La pace europea
il desiderio di potenza delle nazioni europee per lungo tempo fu esternato rigorosamente al di fuori del vecchio continente. Per quasi mezzo secolo, infatti – tra il 1870 e il 1914 – i principali Stati europei evitarono accuratamente di combattersi sul suolo continentale. Non che mancassero focolai di tensione e sentimenti di ostilità reciproca tra le nazioni europee. Per esempio, in Francia la cessione dell’Alsazia-Lorena al Reich tedesco seguita alla guerra del 1870 continuava a essere percepita come una ferita aperta, come una macchia che prima o poi si sarebbe dovuta cancellare. in Italia molti pensavano che solo con la “liberazione” di Trento e Trieste dal “giogo” austriaco il risorgimento avrebbe potuto dirsi davvero compiuto. la monarchia austro-ungarica, la russia, in parte anche l’inghilterra guardavano a loro volta con molto interesse ai Balcani, dove la crisi dell’impero ottomano, congelata per il momento dal congresso di Berlino del 1878, prometteva ottime opportunità di espansione territoriale. Il Congresso di Berlino e le alleanze militari tra Ottocento e Novecento
Voluto da Bismarck per riportare l’equilibrio di forze nei Balcani dopo la vittoria ottenuta nel 1877 da russia e Bulgaria contro l’impero ottomano, il Congresso di Berlino aveva sancito che, nonostante la vittoria, la Bulgaria dovesse avere una superficie territoriale alquanto ridotta, per impedirne l’egemonia in quella zona. Per lo stesso motivo, nonostante la sconfitta, l’impero ottomano aveva riottenuto in quella occasione parte della Macedonia, mentre erano stati creati nuovi stati indipendenti: Montenegro, Serbia e Romania. la Bosnia-Erzegovina era stata affidata, infine, all’amministrazione dell’Austria, ma era evidente la precarietà di questa situazione, vista la debolezza dei nuovi stati sorti in seguito alla disgregazione del dominio ottomano. ciò rappresentava per le grandi potenze il presupposto per pensare a ulteriori prossimi rafforzamenti della loro rispettiva influenza in quell’area. Henri Rousseau, Le potenze straniere salutano la Francia, 1907. L’opera fu realizzata per celebrare la conferenza di pace che si tenne all’Aia nel 1907 per orientare le grandi potenze verso il disarmo e il pacifico regolamento delle contese internazionali
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LESSICO Belle époque In francese “epoca bella”, viene così chiamato il periodo storico che va dalla fine dell’Ottocento all’inizio della Prima guerra mondiale, caratterizzato da una fase di espansione economica e progresso civile a cui si accompagnavano un profondo ottimismo e la fiducia nel progresso.
Nonostante questi problemi irrisolti, per diversi decenni gli europei non furono mai chiamati a confrontarsi con l’esperienza, assolutamente usuale per tutte le generazioni precedenti, di una devastazione bellica patita direttamente sulla propria pelle. A inibire la guerra all’interno dell’europa c’era un complesso sistema di alleanze tra i vari stati. esso conobbe qualche oscillazione, ma fondamentalmente si basò su un patto tra Austria, Germania e Italia, siglato nel 1882 (la Triplice Alleanza) e un altro che aveva come perno la Francia e per contraenti la Russia (Duplice intesa franco-russa, costituita nel 1894) e l’Inghilterra (l’Entente cordiale, siglata nel 1904), unite nel 1907 nell’Intesa anglo-franco-russa. Fu certamente anche grazie alla transitoria eclissi della guerra dallo scenario della vita nazionale che le società europee di quest’epoca furono percorse da quello slancio vitale e da quello spirito ottimistico che fu caratteristico della Belle époque e che trovò nel positivismo il suo implicito faro ideologico di riferimento. e la pax europea senza dubbio offrì anche il necessario presupposto materiale per la grande trasformazione in senso democratico, di cui abbiamo parlato finora. Imperialismo, razzismo, nazionalismo
la pace europea fu per molti versi una pace armata. Per il momento gli eserciti non si sfidavano sul suolo continentale, ma si spalancava, immenso, lo scenario coloniale, nel quale alla Gran Bretagna, alla Francia, alla Russia, si affiancarono, come abbiamo visto in precedenza, paesi che fino a quel momento non vi avevano ancora fatto il proprio ingresso (v. cap. 21, par. 21.2). in particolare, la Germania, il Belgio e l’Italia diedero vita tra gli anni ottanta dell’ottocento e quelli immediatamente anteriori alla Prima guerra mondiale ai loro domini coloniali in Africa. Molti paesi europei pretesero inoltre dalla Cina vantaggiose postazioni commerciali e vi inviarono guarnigioni. Alla vigilia del 1914 il mondo coloniale non solo era in larga prevalenza europeo, ma tendeva anche a coincidere con la quasi totalità delle terre emerse, poco meno dell’85%, rispetto al 35% di un secolo prima. A fine Ottocento un nuovo sentimento nazionalista, dal carattere spiccatamente aggressivo e bellicistico, e basato sull’idea razzista della superiorità biologica e culturale dei bianchi e dei cristiani rispetto a tutte le altre civiltà del globo, si diffondeva così in parallelo a quei processi di democratizzazione e di spettacolare sviluppo economico che rappresentavano la tendenza emergente dell’europa di fine secolo. Quel sentimento era il presupposto ideologico dell’imperialismo, per molti versi antitetico rispetto ai valori umanitari che avevano sorretto la transizione dalla società di élite alla società di massa. Truppe anglo-francesi entrano a Pechino, illustrazione, XIX secolo
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La Germania
Nella Germania di Bismarck – che dopo la vittoria riportata sulla Francia nel 1870 diventò la maggior potenza militare e industriale della parte continentale dell’europa – si respirò a lungo un clima particolarmente autoritario. esso fu ben emblematizzato dalla strategia politica del Kulturkampf (1871-1875), l’attacco sferrato dal cancelliere alle componenti cattoliche del reich, concentrate soprattutto nei territori meridionali del paese, che minacciavano di contrastarne l’egemonia. le norme decise da Bismarck tra il 1871 e il 1875 erano volte a ridurre le entrate della chiesa e ad abolire gli ordini religiosi privi di una funzione assistenziale, primo fra tutti quello dei gesuiti. si arrivò persino a interferire nelle nomine del clero tedesco. Ancora di più testimoniano l’autoritarismo di Bismarck le leggi antisocialiste, che imposero per diversi anni ferrei limiti al godimento del diritto d’associazione e della libertà di stampa. Quello tedesco era, dunque, un liberalismo monco e imperfetto. contemporaneamente, però, Bismarck, seguendo i suggerimenti e gli obiettivi del socialismo della cattedra, si impegnò (e sotto questo profilo fu all’avanguardia in europa) in grandi iniziative di legislazione sociale (previdenza, assicurazioni obbligatorie, tutela del lavoro), che l’impetuoso sviluppo industriale in corso nel suo paese rendeva improcrastinabili. Nel 1890, tuttavia, lo statista venne congedato dal nuovo sovrano, Guglielmo II (1859-1941, imperatore di Germania dal 1888 al 1918). la sua ricetta per il mantenimento dell’ordine – la repressione poliziesca e la rinuncia a molti principi e valori caratteristici della civiltà liberale – non riusciva infatti comunque a impedire l’avanzata del partito socialista e rischiava al tempo stesso di renderne più radicale e incontrollabile la carica rivendicativa. inoltre Guglielmo ii aveva una visione imperialistica e critica nei confronti della politica dell’equilibrio perseguita dal cancelliere. Quando il successore di Bismarck, leo von Caprivi (1831-1899), assunse il suo mandato di cancelliere dell’impero tedesco, il partito socialista, l’spd, era ormai divenuto il più grande della Germania, e caprivi non poté fare altro che lasciar decadere le leggi antisocialiste promulgate dal suo predecessore. Nella Germania degli anni Novanta si fronteggiavano così da un lato il più grande partito socialista d’europa, guidato verso una prospettiva riformista da Karl Kautsky (1854-1938), dall’altro la grande industria, foraggiata dalle commesse belliche statali e alleata con le caste militari e aristocratiche sopravvissute dal mondo della vecchia Prussia.
LESSICO Kulturkampf La “battaglia per la civiltà”, promossa da Bismarck, consisteva nel contrastare il potere del cattolicesimo in Germania, e soprattutto del suo partito, il Zentrum, visti come fautori di un modello di società oscurantista e clericale e come pericolosi nemici interni in virtù dei loro collegamenti con la cattolica Francia.
Il kaiser Guglielmo II Hohenzollern
La Francia
Nella Francia dell’ultimo quarto del secolo non mancarono spinte di impronta reazionaria, volte a sollecitare una restaurazione monarchica o un irrigidimento in senso autoritario delle istituzioni. A esercitarle furono soprattutto gli ambienti legati all’esercito e alla destra monarchica e ultracattolica come negli anni ottanta dimostrò il successo elettorale del generale Georges Boulanger (1837-1891), che diede espressione al diffuso sentimento nazionalista alimentato dal risentimento per la sconfitta patita nel 1870 e culminata nella cessione alla Germania dell’Alsazia-lorena. in particolare, questa minaccia parve concretizzarsi negli anni Novanta, in occasione dell’“affare Dreyfus”. Alfred Dreyfus (1859-1935) era un capitano dell’esercito, di religione ebraica, che nel 1894 fu ingiustamente accusato di spionaggio a favore della Germania e che per questo patì la condanna alla deportazione. tale condanna servì da spunto alla destra ultracattolica per scatenare una campagna antisemita e militarista. 605
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la revisione del processo a Dreyfus, sollecitata a partire dal 1898 dalla sinistra e da gran parte degli intellettuali francesi, in particolare da Émile Zola, si concluse tuttavia con la scarcerazione dell’ufficiale, di cui fu dimostrata l’innocenza, e coincise con il consolidamento delle istituzioni democratiche, consacrato dalla vittoria elettorale, nel 1899, di un fronte di sinistra formato da repubblicani e radicali (i quali, pur appartenendo, in Francia, allo schieramento centrista, erano fortemente anticlericali e moderatamente progressisti) e appoggiato dai socialisti. Conservatori, liberali e socialisti in Inghilterra
MEMO L’Irlanda, di fede cattolica, fin dai tempi di Cromwell aveva rivendicato la sua autonomia ottenendo spesso come risposta misure repressive. Anche a causa della grave crisi economica che colpì particolarmente il paese alla fine degli anni Settanta, la pressione nei confronti del governo inglese si fece più forte e si manifestò anche con attentati e atti terroristici.
in inghilterra, dopo l’emanazione da parte dei conservatori della riforma elettorale del 1867, tra i tardi anni sessanta e la metà di quelli ottanta a reggere il paese furono, a corrente alternata, i whigs (liberali) di William Gladstone (al governo tra il 1867 e il 1874 e ancora tra il 1880 e il 1886) e i tories di Benjamin Disraeli (al governo tra il 1874 e il 1880). in questo periodo i governi inglesi vararono nuove significative riforme di impronta democratica (come l’ulteriore estensione del corpo elettorale, la completa abolizione del divieto di attività sindacale, l’organizzazione dell’istruzione pubblica elementare). Nel 1884 Gladstone cercò di risolvere la questione dell’Irlanda, dove era attivo un movimento patriottico di ispirazione cattolica che alternava la strategia della protesta politica a quella degli attentati terroristici, proponendo l’Home Rule, ovvero un programma di ampia autonomia per l’isola. Ma una parte dei liberali, guidati da Joseph Chamberlain, rifiutò di appoggiare questo progetto di Gladstone e uscì dal partito, alleandosi con i conservatori e determinando il cambio della guardia alla direzione del governo. ANALIZZARE LA FONTE
“J’accuse” di Émile Zola Autore: Émile Zola – Tipo di fonte: articolo di giornale – Lingua originale: francese – Data: 13 gennaio 1898 Il grande romanziere Émile Zola si impegnò attivamente in favore di Alfred Dreyfus, pubblicando il 13 gennaio 1898 un famoso articolo – di cui è riportata qui una parte – sul giornale radicale “Aurore” nel quale accusava l’esercito di aver alterato i documenti per evitare che il vero colpevole venisse condannato. Per questo egli fu accusato di vilipendio alle forze armate e condannato a un anno di prigione. La sua abitazione fu inoltre ripetutamente assalita dalla folla reazionaria e antisemita.
Accuso il generale Bildot d’aver avuto in mano le prove certe dell’innocenza di Dreyfus e di averle occultate, di essersi reso colpevole di quel crimine di lesa umanità e di lesa giustizia, per uno scopo politico e per salvare lo stato maggiore compromesso. […] Accuso infine il primo consiglio di Guerra di aver coperto, in obbedienza agli ordini, questa illegalità, commettendo a sua volta il delitto giuridico di assolvere scientemente un colpevole. Nel muovere queste accuse, non ignoro di violare gli articoli 30 e 31 della legge sulla stampa del 1881 che punisce i delitti di diffamazione. ed è volutamente che io mi espongo […]. io non ho che una passione, che mi faccia luce in nome dell’umanità che ha tanto sofferto e che ha diritto alla felicità. la mia protesta infiammata non è che il grido della mia anima. che si osi quindi portarmi in corte di Assise e che l’inchiesta abbia luogo sotto gli occhi di tutti! io attendo. e. Zola, J’accuse: il caso Dreyfus, serra e riva, Milano 1985 Domande alla fonte 1. Quali sono le accuse mosse da Zola? 2. Ti sembra che Zola abbia un tono di sfida? Nei confronti di chi? Perché?
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capItOlO 23 - VErSO Il NOVEcENtO
Nei due dipinti gli statisti che dominarono la scena politica della Gran Bretagna negli ultimi decenni del XIX secolo. A sinistra, William E. Gladstone, capo dei liberali (Milano, Museo del Risorgimento); a destra, Benjamin Disraeli, capo dei conservatori (Londra, Royal Society of Commonweath)
Negli anni Novanta, mentre il timone del governo era passato ai tories, che lo mantennero – salvo una parentesi di due anni tra il 1892 e il 1894 – fino al 1906, si venne organizzando, divenendo presto forza determinante negli equilibri politici del paese, il Labour party, il partito socialista riformista, che agli albori del nuovo secolo venne ufficialmente tenuto a battesimo e che fino alla Prima guerra mondiale fece eleggere i suoi deputati all’interno delle liste liberali.
23.5 L’Italia di fine secolo L’Italia della Sinistra
Nel 1876 Agostino Depretis (1813-1887) inaugurò in italia il ciclo della Sinistra al governo. si trattava di un raggruppamento nel quale, accanto a un nucleo originario composto da figure approdate a posizioni monarchiche già prima dell’unificazione, erano di recente confluiti anche ex mazziniani come Francesco Crispi (18181901) e Giovanni Nicotera (1828-1894). Nei primi anni dopo la proclamazione del regno, la sinistra si era battuta soprattutto per il completamento dell’unificazione e aveva sollevato a più riprese il tema dell’introduzione del suffragio universale. A metà degli anni settanta i punti su cui Depretis insistette particolarmente (e che valsero alla sinistra la vittoria) furono l’estensione del suffragio, la riforma della scuola elementare, l’abolizione dell’odiata tassa sul macinato. Durante il suo decennale mandato (fu presidente del consiglio dal 1876 al 1887, salvo due brevi interruzioni) il leader della sinistra tenne, peraltro, solo in parte fede a queste promesse. Nel 1877 con la legge Coppino – così chiamata dal nome del ministro che se ne fece promotore – il compito di dare vita a scuole elementari venne affidato allo stato e non più ai comuni, l’obbligo scolastico venne innalzato all’età di nove anni e furono previste delle sanzioni per i genitori inadempienti. tuttavia questa norma restò in gran parte sulla carta. Nel 1880 anche la tassa sul macinato fu abolita, ma la pressione fiscale sul mondo agrario rimase asfissiante (e stimolò le prime grandi ondate di emigrazione transoceanica). il suffragio elettorale fu esteso, nel 1882, ma in misura comunque piuttosto modesta. in base alla riforma entrata in vigore quell’anno, infatti, si introduceva come requisito fondamentale il superamento dell’esame d’istruzione elementare. considerando che in italia al tempo gli analfabeti rappresentavano in molte regioni la maggioranza della popolazione, a non godere del diritto di voto continuarono a essere soprattutto i contadini, che costituivano l’80% della popolazione della penisola e che nel Mezzogiorno erano particolarmente numerosi, data la struttura quasi esclusivamente agraria dell’economia di quelle regioni.
Ritratto di Agostino Depretis dal frontespizio de “L’Illustrazione Italiana” del 14 agosto 1887
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SEZIONE 7 - alla fINE dEl SEcOlO
Il trasformismo
“Il grande trasformista”: caricatura di Agostino Depretis
LESSICO Trasformismo Il termine si diffuse in seguito a un discorso di Depretis del 1882 in cui egli avanzava la possibilità che qualcuno volesse «trasformarsi e diventare progressista». In questa prima accezione il termine non aveva una connotazione negativa, che acquistò però presto, diventando sinonimo di un comportamento politico opportunista per il solo obiettivo di mantenere il potere.
Man mano che la sinistra consolidava la sua presa sul paese, si veniva peraltro chiarendo come sotto molti profili essa non rappresentasse un’alternativa veramente radicale alla Destra, a cui aveva sottratto il testimone del governo. la distanza tra i due raggruppamenti – accomunati dall’adesione al quadro monarchico e dall’ostilità prima per i repubblicani, poi per i socialisti – non si presentava, insomma, davvero così profonda come quella che prima dell’Unità aveva diviso i liberalmoderati dai democratici. Destra e Sinistra non erano, in realtà, partiti in senso moderno, ma piuttosto alleanze estemporanee e fluttuanti che i deputati eletti da ciascun collegio formavano una volta insediati in Parlamento, spesso sulla base di motivazioni di carattere personale e strumentale, piuttosto che in base a una differenziazione ideologica. esse riflettevano la natura altamente notabilare e paternalistica della società italiana e la sua configurazione localistica e municipalistica, che si era mantenuta a dispetto degli ordinamenti accentrati che formalmente caratterizzavano il profilo istituzionale del paese. Nel corso degli anni Ottanta, poi, le stesse denominazioni di Destra e sinistra smarrirono il loro residuo significato, una volta che prese stabilmente piede la pratica del trasformismo, ovvero la confluenza di fatto, all’interno di un unico grande Centro schierato in appoggio al governo, di esponenti tanto dell’uno quanto dell’altro schieramento, sulla base di motivazioni prevalentemente clientelari. A quel punto non si poté più veramente parlare dell’esistenza di un’autentica contrapposizione all’interno del ceto politico presente in Parlamento e l’opposizione all’ordine costituito si spostò tutta o quasi al di fuori di questo. Ne facevano parte, su sponde opposte, da un lato i più conservatori tra gli esponenti della vecchia Destra e i cattolici intransigenti, fermi nel rifiuto dello stato laico, dall’altro l’estrema sinistra, composta da repubblicani e radicali, che si battevano per una piena democratizzazione del paese. Al di fuori di questo ventaglio di posizioni, che rappresentava il tardo riverbero degli schieramenti politici costituitisi durante il risorgimento, si venivano intanto organizzando gli anarchici e i socialisti. Questi ultimi durante gli anni Novanta avrebbero consolidato la loro presenza nel paese, proponendosi, accanto a una parte dei cattolici, come rappresentanza dei ceti popolari esclusi dalla vita politica, e dando vita al primo moderno partito nella storia dell’italia unita. Fondato nel 1892, il Partito socialista dei lavoratori italiani sarebbe stato fatto sciogliere d’imperio l’anno seguente dal presidente del consiglio, ma dopo la sua rifondazione nel 1895 con il nome di Partito socialista italiano avrebbe ripreso presto il suo cammino. L’età crispina
Alla fine degli anni ottanta, a raccogliere l’eredità di Depretis era stato, intanto, il siciliano Francesco Crispi, ex mazziniano e collaboratore di Garibaldi nell’impresa dei Mille. Fu presidente del consiglio tra il 1887 e il 1891 e, ancora, tra il 1893 e il 1896. egli inaugurò un nuovo ciclo politico, contraddistinto per un verso dall’accentuazione dei tratti autoritari dell’ordinamento del regno (specie in materia di ordine pubblico) e da una riforma dello stato che mirava a rafforzare il potere esecutivo, per l’altro dall’adozione di una linea populista che in parte ricordava quella sviluppata nei decenni precedenti da statisti come Napoleone iii e Bismarck. 608
capItOlO 23 - VErSO Il NOVEcENtO
Francesco Crispi in una cartolina celebrativa su cui sono raffigurati alcuni momenti della sua vita
come quest’ultimo, crispi si rivelò particolarmente sensibile ai grandi temi emergenti della questione sociale e cercò di attenuarne le asperità tanto attraverso iniziative di legislazione sociale, quanto additando nell’espansione coloniale la soluzione ai problemi degli strati più disagiati della società italiana. Ma fu proprio la rovinosa sconfitta subita dalle truppe italiane ad Adua, in terra d’Africa, nel 1896, a opera degli etiopi, a determinare la caduta dello statista siciliano. in precedenza crispi aveva per un verso represso con estrema durezza l’opposizione politica e sociale, facendo sciogliere, come abbiamo visto, il Partito socialista dei lavoratori italiani e imponendo lo stato d’assedio in varie parti del paese, dopo aver sanguinosamente colpito (facendo oltre 90 vittime tra i manifestanti), nel 1894, il movimento di protesta sociale a sfondo contadino dei Fasci siciliani e un’insurrezione anarchica divampata tra i minatori della Lunigiana; per l’altro verso si era sforzato di marginalizzare e privare di poteri l’istituzione parlamentare, da lui considerata come l’indesiderabile cassa di risonanza delle tensioni sociali che scuotevano il paese.
LESSICO Fasci siciliani Il termine fascio veniva utilizzato come sinonimo di “unione”. I fasci siciliani sono quindi associazioni contadine formate per protestare contro la forte tassazione e il malgoverno locale. Essi rivendicavano una più equa distribuzione delle terre e patti agrari più vantaggiosi.
Fonte S. Sonnino, «Torniamo allo statuto»
La crisi di fine secolo
caduto crispi, la transizione italiana verso la democrazia conobbe ancora momenti particolarmente drammatici. Nel 1897 un uomo politico di grande prestigio, sidney Sonnino, nel suo celebre discorso «torniamo allo statuto», propose di uniformare la forma di governo italiana al costituzionalismo “puro” alla tedesca, restituendo al monarca tutte le prerogative che la “deriva” parlamentaristica della politica italiana aveva a esso man mano sottratto. Nel 1898, sotto la presidenza autoritaria di luigi Pelloux, il generale Fiorenzo Bava Beccaris prese a cannonate i cittadini milanesi, scesi in piazza contro il carovita, provocando centinaia di vittime. l’italia fu vicina al colpo di stato e, con le leggi eccezionali proposte da Pelloux, alla revoca delle libertà statutarie, ma la parte più liberale del ceto politico parlamentare reagì con vigore alle iniziative liberticide del capo dell’esecutivo e l’asse politico del paese si spostò decisamente a sinistra. si vennero, così, ponendo le basi sia per un superamento dell’esperienza trasformistica sia per quello sviluppo della democrazia che, nel decennio iniziale del Novecento, avrebbe contraddistinto l’età giolittiana. 609
Il laboratorio dello storico Verso
L’allargamento del suffragio Il dibattito sull’estensione del diritto di voto
le competenze
• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche
L’avvento della democrazia, ovvero l’estensione dei diritti politici a porzioni vaste della cittadinanza, viene in genere collegato strettamente con l’introduzione del suffragio universale. Ma non furono sempre i progressisti a battersi perché quest’ultimo diventasse realtà. Il fatto è che una parte delle élite liberali temeva che da un allargamento del suffragio socialmente troppo estensivo sarebbe scaturita la consegna del potere ai partiti o ai raggruppamenti di orientamento conservatore o decisamente reazionario e antiliberale. Per lo stesso motivo l’idea di estendere il voto alle donne veniva in genere respinta perché si pensava che esse, seguendo le indicazioni della Chiesa, avrebbero contribuito al successo di forze politiche ostili al liberalismo. Leggiamo a questo proposito un brano di Benedetto Croce.
Benedetto croce, che è stato non solo storico ma anche diretto testimone della transizione otto-novecentesca dal liberalismo alla democrazia, esprime con efficacia la preoccupazione liberale rispetto all’allargamento del suffragio
Nemmeno il suffragio più o meno largo o addirittura universale dice nulla sull’estensione e profondità del liberalismo, essendovi in certi casi maggiore sentimento e costume e azione liberale in paesi con suffragio meno largo che non in altri che l’hanno larghissimo, ed essendo, come si è ricordato, quello universale molte volte assai caro ai nemici della libertà, feudali, preti, re e capipopolo o avventurieri. l’inghilterra aveva suffragio più ristretto che non la Francia o l’italia o la stessa Germania, con le condizioni poste agli elettori del possesso di propria casa o di un determinato censo rappresentato dal fitto dell’abitazione, e altrettali requisiti; e tuttavia la sua vita di libertà, come non era inferiore a quella della Francia e dell’italia, era certamente superiore a quella della Germania. B. croce, Storia d’Europa nel secolo decimonono (1932), laterza, Bari 1965, p. 246
croce, per avvalorare la sua tesi, passa in rassegna i vari casi europei, mettendo in rilievo come l’Inghilterra, pur all’avanguardia sul piano delle libertà civili, abbia un suffragio più ristretto di quello vigente in un paese meno liberale come la Germania
Ascoltiamo ora la voce di Sidney Sonnino, leader conservatore che si schierò tra i fautori del suffragio generale maschile in occasione dei dibattiti preparatori alla riforma elettorale del 1882, e che era viceversa contrario a un’estensione solo parziale del suffragio, su basi censitarie o scolastiche, ritenendo che essa avrebbe favorito il successo di partiti rappresentativi di un ceto medio privo di quel senso di responsabilità sociale che secondo lui era invece profondamente radicato presso le tradizionali élite fondiarie.
sonnino pensava che, vista la natura in gran parte ancora paternalistica e agraria della società, il suffragio universale avrebbe riconfermato i tradizionali ceti dirigenti 610
Due bottegai o piccoli commercianti varranno in un collegio di campagna assai più di un proprietario che rappresenti gli interessi di centinaia di contadini non elettori a lui sottoposti. che ne verrà? il deputato eletto si contenterà di soddisfare i desideri di quei due commercianti senza curarsi né più né meno di quelli del proprietario e della gente da lui rappresentata. lasciate votare invece quei contadini, ed essi non avranno più bisogno di rappresentanti all’urna. risentiranno la naturale e legittima influenza del proprietario del fondo, ma per far predominare a giusto titolo insieme a lui i loro interessi sopra quelli dei due commercianti r. romanelli, Il comando impossibile. Stato e società nell’Italia liberale, il Mulino, Bologna 1995
capItOlO 23 - VErSO Il NOVEcENtO
Il voto segreto La democratizzazione non fu solo una realtà da misurare in base ai numeri. Molto contò, a questo proposito, l’innovazione del voto segreto, esercitato all’interno della cabina elettorale. Osserviamo queste immagini:
in questa foto si testimonia la prima volta in cui le donne poterono partecipare negli stati Uniti alle elezioni presidenziali. lo scatto è stato eseguito a New York nel 1920. si notino alle spalle delle cittadine, in posa per la fotografia con la scheda in mano, le cabine elettorali, che proteggevano la segretezza del voto
in questa immagine, il primo voto femminile in Finlandia nel 1906. la cabina elettorale fu introdotta in inghilterra nel 1872, in italia nel 1912, in Francia nel 1913. In precedenza si votava per alzata di mano, in piazza, sotto gli occhi di tutti (inghilterra), oppure presentandosi al seggio con una scheda aperta già votata, che veniva consegnata al presidente di seggio (Francia) Nei distretti rurali della Prussia era usuale che i contadini (la grande maggioranza della terza classe degli elettori) andassero a votare in gruppo, scortati dai loro fattori, ciascuno impugnando una scheda già compilata da questi ultimi.
NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Allo scopo di mettere in luce alcuni degli aspetti connessi alla democratizzazione della società liberale tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, abbiamo prima ascoltato i commenti di due contemporanei, poi fatto ricorso a una documentazione fotografica capace di restituirci le “emozioni” dipinte sul volto di chi prese parte allora per la prima volta al rito elettorale. • Libertà ed eguaglianza. Le testimonianze di Croce e di Sonnino sembrano proporre un’opposizione, piuttosto che una complementarietà tra questi termini. In che cosa consiste questa opposizione? • Prova ad accostare i testi (scritti entrambi da due figure appartenenti al mondo notabilare) con le fotografie e a confrontare il messaggio espresso dalle parole di Croce e Sonnino con quello trasmesso dagli sguardi delle elettrici. Quali commenti se ne possono ricavare?
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capItOlO 23
VERSO IL NOVEcENTO
Mappa Crisi agraria europea
Integrazione Statoimpresa
Intervento dello Stato in economia
Adozione del protezionismo
Crisi industriale di sovrapproduzione
SEcONda rIVOlUZIONE INdUStrIalE
Simboli: • acciaio • elettricità • petrolio • grandi fabbriche • concentrazioni finanziarie
Sviluppo dei sindacati e dei partiti di massa
Introduzione del suffragio generale maschile
Sviluppo del parlamentarismo osteggiato dal pensiero liberal conservatore
Inghilterra vittoriana
Alternanza tra whigs di Gladstone e tories di Disraeli. Varo di riforme democratiche Irrisolto il problema dell’Irlanda
Nascita della società di massa
pOlItIca IN EUrOpa tra Il 1870 E Il 1900
Questione sociale: gli Stati adottano legislazioni sociali per evitare la deriva rivoluzionaria
Sistema di alleanze e pace europea (1870-1914)
Germania di Bismarck
francia della III repubblica
Italia della sinistra storica
politica interna: autoritarismo: Kulturkampf contro i cattolici e leggi antisocialiste; liberalismo con introduzione di una legislazione sociale avanzata
Spinte reazionarie (crisi Boulanger e Affare Dreyfus)
depretis: • modeste riforme sociali • abolizione della tassa sul macinato • trasformismo • nascita del Partito socialista (1892)
Successo elettorale delle sinistre
crispi: politica estera: la Germania ago della bilancia del sistema di equilibrio europeo Sostituzione di Bismarck con Von Caprivi
• autoritarismo e populismo
• espansione coloniale, ma disfatta di Adua (1896) • caduta della Sinistra storica Crisi di fine secolo: proteste di massa e repressione
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capItOlO 23
VERSO IL NOVEcENTO
Sintesi 23.1 DAL LIbERALISMO ALLA DEMOcRAZIA tra gli anni settanta dell’ottocento e l’inizio del Novecento vi fu un radicale cambiamento: si passò dall’età del liberalismo classico all’età della liberaldemocrazia. Molti stati europei riconobbero il suffragio generale maschile e le masse cominciarono ad affacciarsi sulla scena politica. Dall’inizio del Novecento il diritto di voto iniziò a estendersi anche alle donne. 23.2 LE TRASFORMAZIONI DELL’EcONOMIA: LA SEcONDA RIVOLuZIONE INDuSTRIALE Dal punto di vista economico, negli ultimi decenni dell’ottocento dopo la grande depressione e la prima crisi di sovrapproduzione venne meno il credo liberista; i vari stati cominciarono ad adottare politiche protezioniste, intervenendo a regolamentare il mercato. il superamento della crisi portò all’affermazione della seconda rivoluzione industriale, caratterizzata dalla sempre più stretta alleanza tra finanza e industria e dallo sviluppo di alcuni importanti settori produttivi tra cui quelli siderurgico e chimico. 23.3 LE TRASFORMAZIONI SOcIALI: VERSO uNA SOcIETà DI MASSA l’estensione del suffragio e dei diritti politici portò gli strati subalterni a rivendicare la propria piena inclusione nei processi decisionali della politica. soprattutto la classe operaia, anche in relazione alla seconda rivoluzione industriale, stava definendo la propria identità collettiva attraverso le organizzazioni sindacali e i partiti politici. All’inizio i governi tentarono di frenare il processo promuovendo una legislazione che impedisse la nascita di organizzazioni delle classi subalterne. tuttavia il processo non si arrestò e, a partire dagli ultimi anni del secolo, i nuovi movimenti cominciarono a essere riconosciuti e ascoltati. Nacquero i primi partiti di massa, generalmente di matrice socialista o confessionale, che si sostituirono gradualmente ai vecchi partiti dei notabili. ebbero inizio anche le prime importanti azioni di legislazione sociale volte a migliorare le condizioni dei lavoratori e ad allontanare i rischi di insurrezione. 23.4 LA POLITIcA IN EuROPA TRA IL 1870 E IL 1900 tra il 1870 e il 1914 i principali stati europei evitarono accuratamente di combattersi sul suolo conti-
nentale. Durante questa pace europea si sviluppò la Belle époque e si diffuse un clima di ottimismo e benessere; a questi sentimenti positivi si associarono però anche pulsioni razziste e imperialiste. in Germania il cancelliere Bismarck si distinse da un lato per una politica volta a contrastare l’emergere dei partiti di massa (Kulturkampf e leggi antisocialiste) dall’altro per un’avanzata legislazione sociale (previdenza, assicurazioni obbligatorie, tutela del lavoro). Nella Francia repubblicana si affermarono forze reazionarie legate a una concezione intransigente del cattolicesimo. simbolo di questo clima fu l’affaire Dreyfus, a cui seguì un consolidamento delle istituzioni democratiche, con la vittoria elettorale nel 1899 di un fronte di sinistra. in Inghilterra tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni ottanta si alternarono al potere il conservatore Disraeli e il liberale Gladstone. Vennero realizzate importanti riforme in ambito sociale, ma fallì il tentativo di far approvare la legge per l’autonomia dell’irlanda (Home rule). Nel 1906 nacque il Labour party.
23.5 L’ITALIA DI FINE SEcOLO in Italia dal 1876 salì al potere la Sinistra che promosse alcune importanti riforme. il riformismo dei primi anni venne però presto abbandonato per una politica trasformista, volta a creare una forte coalizione al centro a emarginare gli estremismi. i movimenti dei lavoratori continuarono a crescere e sfociarono nel 1895 nella nascita del Partito socialista. il conflitto tra i movimenti popolari e le istituzioni culminò nel governo di Crispi, che voleva coniugare autoritarismo e populismo. egli represse nel sangue i tentativi insurrezionali. Portò avanti la politica coloniale cercando di espandere il controllo italiano sull’etiopia, ma l’italia fu sconfitta ad Adua nel 1896. Dopo la fine dell’età crispina, seguirono alcuni anni difficili per la monarchia italiana, con gravi scontri tra il governo e la piazza. 613
Identità collettiva e cittadinanza
N Inclusione Esclusione
“Suffragio universale come emancipazione femminile”, caricatura, 1870. Al centro, Salvatore Morelli, autore di La donna e la scienza (1869) dove si sosteneva il diritto delle donne a esercitare ogni carriera
il sogno della democrazia l’ingresso delle masse nella vita pubblica
Inclusione
N
L’esercizio del diritto di voto era inibito anche a tutta ella sua Storia d’Europa nel quella parte della popolazione maschile che, per motivi secolo XIX, scritta nel 1917, diversi, non veniva ritenuta sufficientemente affidabile lo storico e filosofo italiano per prendere parte a decisioni di interesse collettivo, Benedetto Croce ricostruiva dalle quali dipendeva il destino di un paese. Come le vicende continentali dello poteva un povero – così si ragionava –, che a causa scorcio finale dell’Ottocento della penuria dei propri mezzi non era abituato a ricorrendo alla formula esercitare la responsabilità di gestire oculatamente un sintetica di una «corsa a patrimonio privato, occuparsi in modo proficuo di tutta democrazia». Il designare chi avrebbe dovuto, nell’esercizio di un liberalismo – argomentava mandato parlamentare, gestire il patrimonio pubblico? Croce – tra gli anni Settanta del XIX secolo e la Prima guerra Un’azione dimostrativa delle donne contro l’esclusione dal voto, disegno, inizio del XIX secolo mondiale aveva mutato pelle. Per decenni era stato un sistema politico e sociale ristretto, che affidava il governo di ciascun paese in cui si era affermato a un sottile strato di notabili. Questi ultimi – raramente pari a più del 2% della popolazione – erano i depositari esclusivi del diritto di voto, mentre dalla partecipazione alle consultazioni elettorali tutti gli altri risultavano esclusi. Dai sistemi elettorali liberali si veniva esclusi, in primo luogo, in quanto appartenenti al genere femminile; e, in questo caso, non c’erano distinzioni di rango sociale o di cultura. E, ancora, come poteva una persona di istruzione Lontane dalle urne venivano tenute tutte le donne modesta, in paesi nei quali, malgrado gli indubbi progressi in tal senso, gli analfabeti si contavano poiché si riteneva che la “natura” femminile fosse ancora a milioni, valutare troppo emozionale e inaffidabile per sostenere vero pescatore, po Il s, ne an av in modo equilibrato le la responsabilità di una gestione Pierre Puvis de Ch d’Orsay) Museo i, ig ar (P 81 18 opportunità derivanti razionale della politica e della dall’una o dall’altra ricerca, attraverso di essa, scelta di carattere del perseguimento del “bene politico? comune”. 615
Inclusione Esclusione
Identità collettiva e cittadinanza Campagna eletto rale in Inghilterra nel 1920
e
ra meglio – così proseguiva il ragionamento – che al posto della donna, del povero, dell’ignorante, di questioni politiche si occupassero i ricchi o, quanto meno, gli istruiti, per esempio coloro che avevano compiuto studi universitari. L’avrebbero fatto – si aggiungeva ancora – in modo disinteressato, perché disponevano degli strumenti di razionalità e del buon cuore necessari al compito. Se i ricchi erano ricchi – così si concludeva perentoriamente – era perché erano stati capaci di operare efficacemente a favore del proprio bene personale. Quale migliore biglietto da visita per proporsi quali perfetti garanti del buon uso del denaro pubblico? Tra i decenni finali dell’Ottocento e la Prima guerra mondiale quasi ovunque queste modalità di ragionamento vennero abbandonate. A ogni nuova tornata elettorale, o quasi, la percentuale degli aventi diritto al voto veniva accresciuta, sulla base della considerazione che in una società equa anche il semplice status di cittadino – non importa se ricco o povero, se colto o ignorante – era da ritenersi sufficiente per conferire al singolo la facoltà di partecipare attivamente all’elaborazione di decisioni di interesse collettivo. Era accaduto, prima della guerra, già in Finlandia e in Norvegia, oltre che nelle lontane Australia e Nuova Zelanda. Ma quando, negli anni Venti del Novecento, il diritto elettorale fu esteso alle donne anche in Gran Bretagna, si poté veramente cominciare a parlare di una svolta epocale verso un vero suffragio universale. L’affermazione della democrazia, che fino a quel momento era stata solo un sogno, rappresentò il fenomeno di massima inclusione politica che il genere umano avesse mai conosciuto. 616
La democrazia novecentesca, infatti, fu cosa ben diversa da quella praticata, per esempio, in alcune aree del mondo antico – come la Grecia –, dove a prendere parte alla vita politica erano soltanto coloro che godevano dello status giuridico di cittadini, e non la vasta fascia di popolazione di condizione non libera che rappresentava la componente demograficamente più significativa di ogni città. Il trionfo della democrazia comportò enormi mutamenti nei modi di organizzazione della politica. Sorsero i moderni partiti politici, intesi come grandi strutture organizzative permanenti, forti di centinaia di migliaia di membri e concepiti in modo tale da garantire la pronta mobilitazione dei loro affiliati anche nei periodi che intercorrevano tra un’elezione e l’altra.
il sogno della democrazia Democrazia significò promuovere l’attenta partecipazione agli eventi di interesse collettivo da parte di strati sociali che in precedenza erano stati considerati oggetti, e non soggetti, della vita pubblica. Fu come chiamare a prendere un posto stabile sul palcoscenico, e a interpretare un ruolo da attori, le tante persone comuni alle quali fino a quel momento era stata attribuita la parte di semplici spettatori o comprimari.
D
emocrazia significò anche, al tempo stesso, la massiccia diffusione di mezzi di comunicazione di massa come i giornali o i periodici. Nel momento in cui erano stati inclusi nel circuito attivo della politica, gli strati subalterni della popolazione desideravano disporre in prima persona delle informazioni che in precedenza erano state appannaggio esclusivo delle élite sociali. Non ci si accontentava più che a occuparsi del destino dei singoli e a dotarsi degli strumenti necessari per farlo, fossero altri, per quanto meglio qualificati culturalmente. Si produsse così, in seguito all’estensione del suffragio e allo sviluppo del processo di democratizzazione, una serie di reazioni a catena, tutte da annoverare sotto il segno della inclusività, ovvero dell’accesso di porzioni rilevanti della popolazione a risorse in precedenza loro precluse. La società stretta ed esclusiva del liberalismo classico si trasformò in quella larga e inclusiva della democrazia, con i suoi grandi numeri e con la sua polifonia di voci, di interessi, di punti di vista. A fine Ottocento e, in misura crescente, nei primi anni del Novecento, fece grande scalpore, in tutti i parlamenti d’Europa, l’approdo nelle Camere dei deputati dei primi operai, che portarono discorsi e modelli di comportamento del tutto inediti in quei luoghi, nei quali si erano visti fino ad allora soltanto membri dell’alta società.
Partito Manifesto di propaganda del del ne asio occ in ano itali socialista 1° Maggio 1902
La prima pagina de l giornale satirico “L’ Asino”, 1914
617
SEZIONE 7
alla FINE dEl SECOlO
ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO
1
Collega ciascuna data all’evento corrispondente. a. b. c. d. e. f.
2
1863 1866 1867 1868 1870 1871
1. 2. 3. 4. 5. 6.
Completa la tabella. battaglia
➜ cap. 22
Reform act Nascita del Reich tedesco Legge Pica Annessione del Veneto Tassa sul macinato Battaglia di Sedan
➜ cap. 22
StatO
data
vincitOri
Sedan Lissa Custoza Sadowa Mentana
3
Riordina correttamente la successione degli eventi.
a. b. c. d. e. f. g. h.
➜ cap. 23
Nasce il Partito socialista italiano. Viene firmata la Triplice Alleanza. Viene riconosciuto il suffragio generale maschile in Germania. Viene riconosciuto il suffragio universale in Inghilterra. Bismarck istituisce le leggi antisocialiste. L’Italia è sconfitta ad Adua. La Sinistra abolisce la tassa sul macinato. Si scioglie la I Internazionale.
uSARE IL LESSICO STORICO
4
Scrivi una frase che contenga i seguenti termini:
➜ cap. 23
• brigantaggio • meridionalismo
5
Scegli la definizione corretta.
➜ cap. 23
1. Kulturkampf a
Battaglia condotta da Bismarck contro il partito socialista tedesco Battaglia condotta da Bismarck contro il partito cattolico c Battaglia condotta da Bismarck per limitare i poteri del Parlamento
b
618
vinti
2. Trasformismo a
P olitica volta a emarginare le posizioni estremiste e a creare una grande coalizione centrista in grado di garantire la stabilità politica. b Politica promossa dalla Sinistra storica per trasformare la società, promovendo riforme radicali. c Politica promossa dal Partito socialista italiano per migliorare le disagiate condizioni dei lavoratori.
ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INfORMAZIONI
6
Scegli l’alternativa corretta.
➜ cap. 22
1. L’Assemblea di Francoforte a
nel 1848 tentò di promuovere l’unificazione dal basso della Germania. fu l’organo a cui si appoggiò Bismarck per promuovere l’unificazione tedesca. c “incoronò” il re di Prussia nel 1849 dando così inizio al processo di unificazione tedesca.
b
2. Il Reform Act fu la riforma elettorale a
realizzata in Inghilterra dal ministro Disraeli. che assegnava il diritto di voto alle donne. c realizzata in Inghilterra dal ministro Gladstone.
b
3. Con il termine “populismo” ci si riferisce a
all’atteggiamento carismatico con il quale Napoleone III riuscì a mantenere il consenso del popolo francese. al movimento di giovani intellettuali russi che si ponevano l’obiettivo di “andare al popolo”. c al movimento che promosse l’esperimento della Comune di Parigi.
b
7
Osserva l’immagine (che hai già incontrato a p. 580) e, eventualmente facendo qualche ricerca, completa le parti mancanti. ➜ cap. 22
1867: Francesco Giuseppe divide in due l’impero:
1848: Battaglia di Santa Lucia contro i piemontesi
1883: Firma della Triplice alleanza tra
Il matrimonio con detta
Cartolina celebrativa dell'imperatore Francesco Giuseppe
619
SEZIONE 7 - alla FINE dEl SECOlO
8
Rispondi alle domande. 1. 2. 3. 4. 5. 6.
9
➜ cap. 22
Perché fallì l’esperimento della Comune? Come reagì il papa all’annessione di Roma all’Italia? Quali furono le cause del brigantaggio? Quali furono le conseguenze sociali dell’introduzione della tassa sul macinato? Quale fu la causa principale della caduta del governo Gladstone nel 1866? Quali effetti ebbe in Russia la sconfitta nella guerra di Crimea?
Indica se le affermazioni seguenti sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.
➜ cap. 23
a. b. c. d. e. f. g. h. i.
La legge Coppino rese per la prima volta obbligatoria l’istruzione elementare. La politica di Crispi univa autoritarismo e populismo. Il Congresso di Berlino stabilì la fine del dominio ottomano sui Balcani. La Home rule fu proposta da Gladstone ma entrò in vigore con il governo Disraeli. Nel 1928 fu riconosciuto in Inghilterra il suffragio generale maschile. Finlandia e Norvegia furono le prime due nazioni europee a estendere il suffragio universale alle donne. Durante il cancellierato di Bismarck furono varate importanti norme di legislazione sociale. Molti Stati europei alla fine dell’Ottocento adottarono una politica economica protezionistica. La seconda rivoluzione industriale è caratterizzata da una stretta alleanza tra finanza e industria.
V
f
RIASSuMERE E ARgOMENTARE
10 In un testo (max 40 righe) spiega che cosa si intende per liberalismo classico, presentando anche alcuni esempi di come esso si è concretamente realizzato negli Stati europei.
11 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti. 1. Il pontificato di Pio IX dal 1846 al non expedit 2. L’unificazione tedesca
➜ cap. 22
➜ cap. 22
3. La politica di Napoleone III 4. La politica della Destra storica
12 In un massimo di 40 righe spiega la differenza tra partito dei notabili e partito di massa, portando anche qualche esempio concreto.
➜ cap. 23
13 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti. ➜ cap. 23
1. 2. 3. 4.
La seconda rivoluzione industriale L’estensione del suffragio universale in Europa La nascita dei partiti di massa La politica trasformista in Italia
SCRIVERE DI STORIA
14 Osserva l’immagine, fai una ricerca e scrivi un testo di commento mettendo in luce perché quest’opera è considerata emblematica della fine del XIX secolo. ➜ cap. 23
Edvard Munch, Il grido, 1893
620
SEZIONE 7
alla FINE dEl SECOlO Verso
Il dIBaTTITO dEGlI STORICI La grande trasformazione Nel passaggio dall’Ottocento al Novecento la civiltà occidentale, che nei decenni precedenti si era caratterizzata in senso prevalentemente liberale, conobbe un processo di trasformazione che la portò tanto a modificare radicalmente il proprio profilo interno, quanto a interagire con crescente aggressività nei confronti del resto del mondo, fino al punto di sottometterlo quasi completamente al proprio dominio. Può sembrare un paradosso. Ma nel corso della transizione dalla società liberale elitaria caratteristica dei decenni centrali dell’Ottocento a quella a impronta democratica e a carattere di massa che si affermò tra Otto e Novecento, la politica estera e quella militare presentarono delle caratteristiche quasi antitetiche rispetto a quelle evidenziate dalla politica interna. Nei paesi europei, infatti, gli spazi di libertà crescevano, e i governi, promuovendo interventi di sostegno agli strati più disagiati della popolazione, instauravano un più proficuo rapporto tra gli
1.
le competenze
• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse
apparati di Stato e la società. Fuori dai confini del continente, invece, l’Europa mostrava un volto aggressivo e autoritario, riducendo a una condizione di sudditanza le popolazioni dei paesi assoggettati al giogo coloniale. Marco Meriggi 1 , in una sintesi recente, si concentra sulla contraddizione della quale abbiamo appena parlato, mostrando come al dominio imperialista corrispondesse la teorizzazione di una “naturale” inferiorità dei popoli colonizzati rispetto a quelli occidentali. Karl Polanyi 2 , in un brano tratto da un’opera molto famosa, scritta negli anni Quaranta del Novecento, illustra le modalità in ragione delle quali in Europa vennero abbandonate le politiche di astensionismo statale che erano state tipiche dell’età liberale. Christopher A. Bayly 3 , in un recente affresco di storia globale, mette in luce il ruolo assolto dallo Stato nel trasformare il vecchio ordine tanto sul piano della politica interna quanto su quello della politica estera.
Marco Meriggi
L’imperialismo e le sue radici culturali Marco Meriggi (nato nel 1955) è l’autore di questo volume del corso di storia. Insegna Storia delle istituzioni politiche presso l’Università di Napoli Federico II.
Un fatto, tra gli altri, va sottolineato, ed è il seguente. la costellazione colonial-imperialista, nelle sue forme di manifestazione, da un lato rappresentò una contraddizione implicita rispetto ai valori portanti sui quali si basava il processo di trasformazione democratica in atto in Europa, mettendone a nudo il deficit di universalismo; dall’altro accordò una corposa sponda di aggancio a tutte le tendenze autoritarie emergenti dall’avvento della società di massa e offrì una eccellente occasione d’intersezione istituzionale a quella “zona grigia” tra economia e politica alla quale abbiamo fatto cenno poc’anzi. Vogliamo dire, a questo proposito, che se in Europa i decenni tra il 1870 e la Grande guerra si svolsero, pur con tutti i limiti e le controtendenze che abbiamo segnalato, sotto il segno di quella corsa «a tutta democrazia» con la quale abbiamo avviato la nostra narrazione, 621
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1. Eschilo (525 ca- 456 a.C.), poeta tragico greco. Tra i 90 drammi che gli sono stati attribuiti, I Persiani è uno dei pochi a essersi conservato integro. 2. Edward Said (1935-2003), teorico della letteratura e saggista palestinese, emigrato negli Stati Uniti d’America, dove è stato docente di letteratura comparata alla Columbia University di New York. Tra le sue opere, Orientalismo (Feltrinelli, Milano 1999). 3. Arthur James Balfour (18481930), uomo politico inglese conservatore, primo ministro del Regno Unito dal 1902 al 1906.
622
nelle porzioni di mondo o nei continenti tutti interi che cadevano preda della conquista coloniale vennero introdotte forme di governo basate sostanzialmente, anche se non esclusivamente, sulla pura e semplice sottomissione delle popolazioni locali. In Europa la cittadinanza si allargava e diventava popolare; nell’Europa africana e asiatica degli stessi decenni al suo posto per i nativi c’erano per lo più la sudditanza, l’assenza di diritti e l’esposizione agli arbitri e ai soprusi dei dominatori. le ribellioni venivano considerate atti di guerra e represse con efferata crudeltà e violenza. Era questa la condizione ordinaria di esistenza per masse sterminate di esseri umani. Nelle colonie veniva così prendendo forma un diritto differenziale, diverso da quello fruito dagli abitanti delle metropoli; e per legittimarlo la cultura europea del tempo elaborò in forma articolata, appoggiandola su basi che pretendeva scientifiche, un’ideologia che mise salde radici nell’immaginario diffuso. Il razzismo divenne quasi un’ovvietà. Sebbene i mondi extraeuropei si fossero visti tributare sin dall’epoca della Grecia classica una sorta di disprezzo antropologico da parte di chi li osservava da una posizione occidentale (il motivo affiora, per esempio, con evidenza già nei Persiani di Eschilo1, dove l’autore considera la Persia sconfitta, che identifica con l’asia intera, una terra del passato, divenuta ora, di fronte alla vittoria della Grecia, luogo di desolazione, di sudditanza, di indolenza, e per questo giustamente umiliata), l’immagine dell’Oriente, all’incirca fino all’inizio dell’Ottocento, era stata associata in Europa in prevalenza alla dimensione dell’esotismo. Essa denotava, certo, una percezione di differenza; ma questa non comportava necessariamente senso di superiorità da parte degli europei. Ora, nell’epoca in cui un’imponente (ma anche relativamente recente) supremazia tecnologica e militare consentiva loro di fare proprio il mondo, britannici, francesi, tedeschi, italiani e quanti altri li seguirono, in tono minore, nell’avventura coloniale, furono indotti a formalizzare una svalutazione generalizzata delle civiltà e delle culture man mano direttamente sottomesse o costrette a cocenti umiliazioni (il caso della Cina è emblematico). attingendo a parte dei materiali culturali che la tradizione europea aveva lasciato sedimentare, “orientalizzarono” – come ha illustrato con grande efficacia Edward Said2 – l’Oriente (e, implicitamente, anche l’africa, i suoi popoli, le sue multiformi civiltà), presentandolo non solo come la legittima preda dei paesi dotati di “conoscenza e potere”, ma anche come il luogo storico di identificazione di un principio dispotico, del quale i colonizzatori occidentali dovevano semplicemente assumersi ora la responsabilità per il bene stesso delle popolazioni locali, quasi “biologicamente” predisposte all’obbedienza. Nel 1910, come sappiamo, la Gran Bretagna liberale si stava accingendo a quella riforma dei poteri della Camera dei lord che avrebbe segnato una svolta decisiva nel processo di democratizzazione politica del paese. Era dunque in questo contesto – un contesto, si direbbe, ben orientato in senso progressista – che arthur James Balfour3, membro influente del Parlamento dopo una navigata carriera politica che lo aveva visto salire anche alla carica di primo ministro, pronunziò, il 13 giugno, presso la Camera dei Comuni un discorso che suona come una sintesi cristallina della mentalità imperialista consolidatasi in Europa a partire dall’avvio della gara coloniale. Balfour: «le nazioni occidentali, sin dalla loro comparsa sul palcoscenico della storia, danno segno di un’incipiente tendenza all’autogoverno […], compiendo progressi spontanei […]. Potete cercare quanto volete nella storia dei popoli orientali, di quello insomma che si è soliti chiamare l’Est, ma non troverete alcuna traccia di autogoverno. le fasi storiche che quei popoli hanno attraversato – spesso caratterizzate da grande potenza e splendore – sono trascorse immancabilmente nel segno del dispotismo, di forme di governo autoritarie. I contributi di quei popoli alla civiltà – contributi grandissimi – sono sempre stati elaborati nell’ambito di forme di governo assolutistiche. Conquistatori hanno cacciato altri conquistatori, dominazioni seguivano altre dominazioni, ma mai, in tanti rivolgimenti del destino, si è vista una di
Il dIbattItO dEglI StOrICI
quelle nazioni istituire spontaneamente ciò che in Occidente chiamiamo autogoverno. Questo è un fatto; non è questione di superiorità o inferiorità […]. È una buona cosa per queste grandi nazioni – riconosco la loro grandezza – che tale forma assolutistica di governo sia da noi amministrata? Ebbene io ritengo di sì». Quel che valeva nel “libero” Occidente, dunque, non poteva godere di analogo diritto di ospitalità nel “dispotico”, per quanto “grandioso”, Oriente, anche se a comandare erano i “liberi” occidentali. E i colonizzatori – tanto più in quelle parti di mondo che non avevano conosciuto neppure la dimensione fastosa delle antiche civiltà orientali – non potevano che rassegnarsi all’ambivalenza di una situazione che li voleva paladini della libertà in casa ed esportatori di oppressione (oltre che di “progresso” e, magari, di Cristianesimo) fuori di essa. la colpa era, per così dire, non loro, ma del problema. M. Meriggi, L’Europa dall’Otto al Novecento, Carocci, Roma 2006, pp. 149-151
Guida alla comprensione • L’autore segnala il contrasto tra due fenomeni: l’estensione della democrazia nell’Europa di fine Ottocento e l’incrudimento della sudditanza nei paesi colonizzati dagli europei.
2.
• Egli esamina poi il retroterra ideologico che indusse in quell’epoca gli europei a elaborare l’idea della propria superiorità civile rispetto alle popolazioni degli altri continenti.
Karl Polanyi
L’eclissi del liberismo Karl Polanyi (1886-1964), ungherese, ha insegnato in Inghilterra e negli Stati Uniti, proponendo un’indagine sul confine tra il primitivo e il moderno realizzata attraverso gli strumenti metodologici dell’economia, dell’antropologia, della storia. Oltre a quello da cui si cita, tra i suoi studi va ricordato Economie primitive, arcaiche e moderne (Einaudi, Torino 1980).
la radice di tutti i mali, insistono i liberali, era proprio questa interferenza nella libertà dell’occupazione, dello scambio e della circolazione monetaria praticata dalle varie scuole di protezionismo sociale, nazionale e monopolistico a partire dall’ultimo trentennio dell’Ottocento. Se non fosse stato per la sacrilega alleanza dei sindacati e dei partiti dei lavoratori con i fabbricanti monopolistici e gli interessi agrari, che nella loro miope avidità unirono le forze per frustrare la libertà economica, il mondo godrebbe oggi dei frutti di un sistema quasi automatico per la creazione del benessere materiale. I leaders liberali non furono mai stanchi di ripetere che la tragedia del diciannovesimo secolo nasceva dall’incapacità dell’uomo di rimanere fedele alla ispirazione dei primi liberali, che la generosa iniziativa dei nostri antenati fu frustrata dalle passioni del nazionalismo e della guerra di classe, dagli interessi acquisiti e dai monopoli e soprattutto dalla cecità della classe lavoratrice di fronte ai benefici ultimi di una illimitata libertà economica verso tutti gli interessi umani, compresi i loro stessi. Un grande progresso intellettuale e morale si vuole quindi che sia stato frustrato dalle debolezze intellettuali e morali della massa del popolo; ciò che lo spirito dell’illuminismo aveva conseguito fu ridotto a nulla dalle forze dell’egoismo. In sintesi, questa è la difesa dell’economia liberale; a meno che venga confutata continuerà a difendere le proprie posizioni in tutte le discussioni. Ci sia concesso di mettere a fuoco questo argomento. Si è d’accordo che il movimento liberale, che tendeva all’allargamento del sistema di mercato, trovò sulla sua strada un opposto movimento protezionistico che tendeva alla sua limitazione; un assunto di questo tipo sta alla base della nostra tesi del doppio movimento. Ma mentre affermiamo che l’inerente assurdità dell’idea di un sistema di mercato autoregolato avrebbe finito col distruggere la società, i liberali accusano gli elementi più svariati di aver fatto naufragare una grande iniziativa. Incapaci di portare prove di un simile sforzo concertato per 623
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1. Herbert Spencer (1820-1903), filosofo britannico evoluzionista. Il testo al quale si fa qui riferimento è L’uomo contro lo Stato ( 1884). 2. Joseph Chamberlain (1836-1914), uomo politico britannico liberale e radicale, ministro delle colonie tra il 1895 e il 1903. Viene qui definito dissenter (“dissenziente”) rispetto agli orientamenti usuali del ceto imprenditoriale dell’epoca.
624
frustrare il movimento liberale, essi ricadono sull’ipotesi praticamente inconfutabile di un’azione coperta. Questo è il mito della cospirazione antiliberale che in una forma o nell’altra è comune a tutte le interpretazioni liberali degli avvenimenti degli anni 1870-1890. Comunemente si attribuisce all’ascesa del nazionalismo e del socialismo il ruolo principale in questo cambiamento di scena; le associazioni dei fabbricanti e i monopolisti, gli interessi agrari e i sindacati fanno la parte dei cattivi nello spettacolo. avviene così che nella sua forma più spiritualizzata, la dottrina liberale ipostatizza il funzionamento di qualche legge dialettica nella società moderna che vanifica gli sforzi della ragione illuminata, mentre nella sua versione più rozza si riduce ad un attacco alla democrazia politica, quale presunta fonte dell’interventismo. la testimonianza dei fatti contraddice decisamente la tesi liberale. la cospirazione antiliberale è una pura invenzione. la grande varietà di forme nelle quali è apparso il contromovimento “collettivista” non è stata dovuta ad alcuna preferenza per il socialismo o per il nazionalismo da parte di interessi sociali vitali influenzati dall’espansione del meccanismo di mercato. Questo spiega le reazioni quasi universali di carattere prevalentemente pratico provocate dall’espansione di quel meccanismo. le mode intellettuali non hanno svolto alcun ruolo in questo processo; non vi era di conseguenza alcuno spazio per il pregiudizio che i liberali considerano come la forza ideologica alle spalle dello sviluppo antiliberale. anche se è vero che gli anni Settanta e Ottanta videro la fine del liberalismo ortodosso e che tutti i problemi cruciali del presente possono essere ricondotti a quel periodo, non è corretto dire che il cambiamento nella direzione del protezionismo sociale e nazionale fosse dovuto a qualunque altra causa che non fosse la manifestazione delle debolezze e dei pericoli inerenti ad un sistema di mercato autoregolato. Questo può essere mostrato in più di un modo. In primo luogo vi è la sorprendente diversità dei campi in cui vennero prese iniziative. Questo da solo escluderebbe la possibilità di un’azione concertata. Citiamo da un elenco di interventi compilato da Herbert Spencer1 nel 1884 quando egli accusava i liberali di aver abbandonato i loro principi per una “legislazione restrittiva”. difficilmente la varietà degli argomenti potrebbe essere più estesa. Nel 1860, si autorizzò l’istituzione di “analisti dei cibi e delle bevande da stipendiare per mezzo di tributi locali”; seguí una legge che prevedeva “l’ispezione delle installazioni a gas”, un’estensione della legge sulle miniere “che considerava reato l’impiego di ragazzi sotto i dodici anni che non frequentassero le scuole e che non fossero in grado di leggere o scrivere”. Per Spencer queste erano altrettante prove inconfutabili di una cospirazione antiliberale e tuttavia ciascuna di queste leggi si occupava di problemi che sorgevano dalle moderne condizioni industriali e mirava a salvaguardare degli interessi pubblici contro pericoli inerenti a tali condizioni, o in ogni caso al metodo di mercato di occuparsi di questi. Per una mente senza pregiudizi, essi provavano la natura puramente pratica e pragmatica della contromossa “collettivista”. la maggior parte di coloro che sostenevano queste misure erano convinti sostenitori del laissez-faire, e certamente non intendevano che il loro consenso alla formazione di un corpo di vigili del fuoco a londra implicasse una protesta contro i principi del liberalismo economico. al contrario i fautori di questi atti legislativi erano normalmente diretti oppositori del socialismo o di qualunque altra forma di collettivismo. l’Inghilterra vittoriana e la Prussia di Bismark rappresentavano poli opposti ed ambedue erano assai diverse dalla Francia della Terza Repubblica o dall’impero degli asburgo. Ognuna di esse tuttavia attraversò un periodo di libero scambio e di laissez-faire, seguito da un periodo di legislazione antiliberale relativa alla salute pubblica, alle condizioni delle fabbriche, ai servizi municipali, alle assicurazioni sociali, alle associazioni nel settore del lavoro e così via. Sarebbe facile elaborare un calendario che stabilisse gli anni in cui cambiamenti analoghi avvennero in vari paesi. l’indennizzo ai lavoratori fu decretato in Inghilterra nel 1880 e nel 1897, in Germania nel 1879, in austria nel 1887, in Francia nel 1889, l’ispezione nelle fabbriche fu introdotta in Inghilterra nel 1833, in Prussia nel 1853, in austria nel 1883, in Francia nel 1874 e nel 1883. le aziende municipali, comprendenti la gestione dei servizi di pubblica utilità, furono introdotte da Joseph Chamberlain2 , un capitalista dissenter di Birmingham negli anni settanta,
Il dIbattItO dEglI StOrICI
3. Karl Lueger (1844-1910), uomo politico austriaco, sindaco di Vienna negli anni Novanta dell’Ottocento, alla testa di una coalizione antisocialista e antisemita. 4. Edouard Herriot (1872-1957), capofila del partito radicale francese, sindaco di Lione dal 1905 al 1957, con l’eccezione del periodo 1940-1945.
dal cattolico “socialista” e antisemita Karl lueger3 nella Vienna imperiale degli anni novanta e nelle municipalità tedesche e francesi da parte di una varietà di coalizioni locali. le forze che sostenevano queste operazioni erano in alcuni casi violentemente reazionarie e antisocialiste, come a Vienna, altre volte “radical-imperialiste” come a Birmingham o della più pura tinta liberale come nel caso del francese Edouard Herriot4, sindaco di lione. Nell’Inghilterra protestante, ministeri conservatori e liberali lavorarono alternandosi al completamento della legislazione sulle fabbriche. In Germania, furono i cattolici romani e i socialdemocratici a prendere parte alla sua realizzazione, in austria, la Chiesa ed i suoi sostenitori più attivi, in Francia nemici della Chiesa e accesi anticlericali furono responsabili dell’attuazione di leggi quasi identiche. Sotto i più vari slogans, con motivazioni molto diverse, una molteplicità di partiti e di strati sociali misero in pratica quasi le stesse misure relative a diversi e complicati problemi, in diversi paesi. di fronte a questo non vi è niente di più assurdo che inferire che queste misure venissero segretamente attuate partendo dagli stessi preconcetti ideologici o da ristretti interessi di gruppo, così come vorrebbe sostenere la leggenda della cospirazione antiliberale. al contrario tutto tende a sostenere l’assunto che ragioni oggettive di natura cogente abbiano forzato la mano dei legislatori. K. Polanyi, La grande trasformazione. Le origini economiche e politiche della nostra epoca (1944), Einaudi, Torino 1974, pp. 184-189
Guida alla comprensione • Polanyi discute criticamente la tesi della “cospirazione” antiliberale tardo-ottocentesca, sostenuta dai liberisti più radicali.
3.
• Egli presenta poi la sua interpretazione dei grandi mutamenti strutturali occorsi nel rapporto tra Stato e società tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
Christopher A. Bayly
Miti e tecnologie dello Stato moderno Christopher A. Bayly (nato nel 1945) dirige il Centre of South Asian Studies dell’Università di Cambridge ed è uno specialista di storia indiana e dell’impero britannico. L’ultimo suo libro, scritto insieme a Tim Harper, è Forgotten Wars: Revolution and the End of Empire in British Asia 1945-55 (Cambridge 2007).
Cosa significa, dunque “Stato moderno” e in cosa esso differisce dai grandi organismi politici settecenteschi […]? Verso la fine dell’Ottocento, la maggior parte dei regimi mondiali cercava di controllare territori esattamente definiti mediante strutture amministrative, giuridiche ed educative uniformi. Essi volevano evidenziare con mappe e rilevamenti l’estensione delle loro risorse in modo da poterle tassare e sfruttare in maniera efficiente. Gli Stati precendenti talvolta erano stati intrusivi ed esigenti, ma solo in specifici settori della vita e solo in certi luoghi e in certi tempi. Invece, lo Stato moderno accampava una pretesa monopolistica sulla fedeltà dei propri sudditi. Gli Stati modernizzanti erano gelosi delle affiliazioni transterritoriali caratteristiche del vecchio ordine, vuoi che concernessero la religione, i legami etnici, o le tradizioni dinastiche. Cercarono di abolire i diritti di particolari categorie di loro soggetti che pretendevano uno statuto superiore nell’ambito della legge o del governo o, talvolta, le interdizioni di coloro che, all’opposto, erano condannati a uno statuto inferiore. Questi cambiamenti comportarono una crescente uniformità e lo Stato divenne più coeso. Cadde il vecchio rapporto tra sede e possessi regi e governo. lo Stato si fissò in un luogo particolare invece di spostarsi ovunque fosse il re. le frazioni di corte diventarono partiti politici che 625
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1. Michael Mann, sociologo anglo-statunitense, docente presso l’Università di Los Angeles. Il suo libro più noto è L’impero impotente, PM, Casale Monferrato 2004.
cercavano di impossessarsi delle leve del potere più che del favore del re. Ma lo Stato si fece anche più complesso funzionalmente, con dicasteri e competenze separate al proprio interno. Il bisogno di organizzare i cittadini come coscritti per guerre di larga scala o di tassarli per sviluppare una migliore tecnologia militare furono importanti incentivi a semplificare e a rafforzare le strutture dello Stato. Il sociologo contemporaneo Michael Mann1 ha messo in luce come il personale della maggior parte delle prime burocrazie provenisse dall’esercito. Ma lo Stato, oltre ad essere una travolgente forza militare e finanziaria, era anche un’idea. Rappresentava l’aspirazione a un potere e a una sovranità territoriale completi in nome vuoi della “nazione”, vuoi del “popolo”, o a dispetto di entrambi. lo Stato come concetto ha una sua propria storia che non può essere semplicemente ridotta a interessi di classe o a esigenze militari. dai costruttori vittoriani dell’Impero britannico ai leader militari modernizzatori dell’Ecuador e del Perù la nozione di “civiltà” incarnava idee circa una società ordinata e tecnologica e circa la perfettibilità dell’individuo. Tali idee attraevano ugualmente conservatori, liberali, radicali e socialisti, per quanto in maniera diversa. In tutto il mondo del XIX secolo, la costruzione dello Stato fu soprattutto un processo dall’alto verso il basso, insomma il “progetto” di gruppi dell’élite dominante. Ciò vale particolarmente per gli imperi coloniali europei e anche per società come il Giappone, la Cina e l’Etiopia, dove le élite indigene si convinsero che uno Stato potente fosse l’unico baluardo contro l’estinzione della “loro” civiltà. Ma c’era un’altra forma di costruzione statuale che non bisognerebbe perdere di vista. I governi erano anche stimolati a espandersi dall’esplosione di dispute locali che solo loro potevano mediare o dalla domanda di servizi che solo loro potevano fornire. Un buon esempio di un simile Stato voluto dal basso è offerto, negli usa, dalle richieste avanzate sin dall’inizio dell’Ottocento dai piccoli agricoltori e dagli uomini d’affari di provincia affinché il governo federale intervenisse per garantire ragionevoli tariffe ferroviarie e un equo accesso al credito. analogamente, gli interessi commerciali nell’Europa continentale e anche negli Stati Uniti incominciarono, nel medesimo periodo, a chiedere l’intervento governativo per creare barriere tariffarie protezionistiche allo scopo di promuovere servizi e affari locali. Con questo non si intende suggerire che lo Stato, come usavano sostenere i teorici marxisti degli anni Sessanta del secolo scorso, non fosse altro che l’organo degli interessi della borghesia. Ma si vuole ricordare come lo Stato fosse una risorsa – pur se prevalentemente a disposizione dei più privilegiati – e non soltanto un incubo finanziario e militare che opprimeva la società “dall’alto”. Ch. a. Bayly, La nascita del mondo moderno 1780-1914, Einaudi, Torino 2007, pp. 293-295
Guida alla comprensione • L’autore descrive le nuove caratteristiche di coesione e di uniformità con le quali il volto dello Stato cominciò a presentarsi nei paesi occidentali tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento.
• Egli segnala poi come a questo inedito livello di coesione contribuissero tanto (e prevalentemente) spinte dall’alto, quanto sollecitazioni dal basso, espresse dal versante della società.
Per tirare le fila:
rifletti e confronta 1. Quali sono i nessi tra politica interna e politica estera che emergono dalla lettura comparata dei testi di questa sezione? 2. Lo scenario qui ricostruito vale per la sola Europa o per tutto il mondo? 3. Liberalismo e democrazia: quali sono le differenze più significative tra questi due concetti che si possono evincere dai brani di questa sezione? 4. La svalutazione delle culture extraeuropee da parte dell’Occidente è un fenomeno nuovo oppure ha un’origine più antica? 626
SEZIONE 7
alla FINE dEl SECOlO Verso
VERSO l’ESaME dI STaTO
le competenze
• Riconoscere l’attualità di alcune fondamentali tematiche storiche • Saper affrontare autonomamente in modo interdisciplinare temi particolarmente significativi • Confrontare tesi diverse in relazione allo stesso argomento per giungere alla formazione di una conoscenza storica critica e consapevole • Produrre testi di tipo argomentativo di ambito storico
Prova d’esame TIPOLOGIA B – REDAZIONE DI UN “SAGGIO BREVE” O DI UN “ARTICOLO DI GIORNALE”
consegne Sviluppa l’argomento scelto o in forma di “saggio breve” o di “articolo di giornale”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Se scegli la forma del “saggio breve”, argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Se scegli la forma dell’“articolo di giornale”, indica il titolo dell’articolo e il tipo di giornale sul quale pensi che l’articolo debba essere pubblicato. Per entrambe le forme di scrittura non superare cinque colonne di metà di foglio protocollo. AmBITO STORICO-POLITICO ARGOmENTO: “Massificazione della politica” e suffragio elettorale
documenti Il mondo era tutto in subbuglio. Ognuno voleva rivedere la costituzione e il sistema elettorale, e i cittadini altercavano tra loro. «Elettorato per censo!» dicevano gli uni […]. «Suffragio universale!» dicevano gli altri […]. altri ancora gridavano: «Suffragio universale per classi di censo» e forse sapevano perfino quel che voleva dire. Ronzavano poi nell’aria teorie come l’abolizione della differenza tra cittadinanza e residenza, l’estensione anche ai non cristiani della possibilità di ottenere la cittadinanza […]. Oh, il peggio doveva ancora venire. le cose minacciavano di prendere una piega terribile... Era uno dei primi giorni d’ottobre del 1848. Thomas Mann, I Buddenbrook (1901), Garzanti, Milano 1983 627
SEZIONE 7 - alla FINE dEl SECOlO
Che cosa sarebbe stata la nuova Inghilterra quando gli artigiani urbani avessero avuto il voto e “il numero” per la prima volta avesse contato nella Costituzione più della proprietà o dell’intelligenza? «In che mondo sconosciuto stiamo entrando», scrisse uno dei principali aiutanti di disraeli nell’approvazione del disegno. […] Il fatto che noi sappiamo che cosa accadde dopo il 1867 – non ci fu nessun mutamento politico improvviso, “l’età del progresso” non terminò di colpo, la classe operaia non entrò subito in possesso del dovuto, la gentry rimase ancora influente, la borghesia continuò a prosperare, ci furono ancora alcuni anni di brillante prosperità prima che si affermassero nuove tendenze economiche e si intensificassero i conflitti sociali – non dovrebbe distogliere la nostra attenzione dai dubbi e dai dilemmi dello stesso 1867. I contemporanei erano certi di trovarsi all’inizio di una nuova era. asa Briggs, L’età del progresso, il Mulino, Bologna 1987
Mentre le antiche credenze barcollano e spariscono, e le vetuste colonne della società si schiantano ad una ad una, la potenza delle folle è la sola che non subisca minacce e che veda crescere di continuo il suo prestigio. l’età che inizia sarà veramente l’era delle folle. Non più di un secolo fa, la politica tradizionale degli Stati e le rivalità tra i principi costituivano i principali fattori degli avvenimenti. l’opinione delle folle, nella maggioranza dei casi, non contava affatto. Oggi, invece, le tradizioni politiche, le tendenze individuali dei sovrani e le rivalità esistenti tra questi ultimi hanno ben scarso peso. la voce delle folle è divenuta preponderante. detta ordini ai re. È nell’anima delle folle, e non più nei consigli dei principi, che si preparano i destini delle nazioni. Gustave le Bon, Psicologia delle folle (1895), longanesi, Milano 1970
Sotto certi aspetti l’accesso delle donne al governo è diverso dalle precedenti battaglie per l’allargamento del diritto di voto. Ricordiamo che l’accesso definitivo della borghesia al governo fu contraddistinto da due drammatiche rivoluzioni, una in america e una in Francia, e che nessuna delle due fu incruenta. l’accesso delle donne al governo, che si sta realizzando in tutto il mondo, avviene per fortuna senza spargimento di sangue e non è stato funestato neppure da un’ombra di violenza, salvo che in Inghilterra, dove le manifestazioni violente non sono dissimili da quelle degli inizi del movimento operaio inglese. […] Quel che è certo è che lo straordinario accesso delle donne alle responsabilità di governo all’alba del ventesimo secolo coincide con il fatto nuovo che gli organi governativi si fanno carico degli interessi umani fondamentali di cui per tradizione si occupano le donne, esattamente come le classi borghesi e le classi lavoratrici, prima le une poi le altre, si sono battute per i propri interessi e sono entrate a far parte del governo rappresentativo. Jane addams, Annali dell’Accademia americana di scienza politica e sociale, 1914
Con l’ingresso nella vita politica delle nuove masse dotate di voto, il gruppo dei notabili, che finora aveva agito autonomamente e senza rispondere a nessuno, riceve un nuovo compito (certamente non assunto con entusiasmo): quello di guadagnarsi la fiducia di queste masse e di mobilitarle. Fino allora il sistema at-
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vErSO l’ESamE dI StatO
tribuiva una certa autorevolezza ai deputati al parlamento e ai politici locali, perché dietro di loro si trovava un ceto sociale omogeneo e numericamente ristretto – aristocratico o dell’alta borghesia – che si accontentava di essere rappresentato di fonte al monarca affinché la sua posizione di classe privilegiata non venisse contestata ma soltanto stabilizzata. I rappresentanti potevano facilmente orientare la loro attività ai fini del “bene comune”, cioè per gli interessi dei ceti dominanti. […] le masse operaie, che stavano risvegliandosi, potevano invece assumere coscienza del loro ruolo e diventare politicamente attive soltanto con un’azione continua dei politici, soprattutto al di fuori del parlamento, mediante una organizzazione di partito nazionalmente strutturata. Franz Neumann, Nascita e sviluppo dei partiti politici, in Sociologia dei partiti politici, a cura di G. Sivini, Il Mulino, Bologna 1971
TIPOLOGIA C – TEmA DI ARGOmENTO STORICO delinea i problemi fondamentali della politica interna dell’Italia dal compimento dell’Unità nel 1870 alla vigilia della Prima guerra mondiale, inserendoli nel contesto della generale situazione socio-economica mondiale. Nella tua analisi dovrai soffermarti soprattutto sulla cosiddetta “questione meridionale”, con eventuali riferimenti ai problemi ancora aperti e validi nella vita sociale ed economica dei nostri giorni.
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indice dei nomi A Abbas il Grande (1557-1629), shah di Persia, 16 Abbattista, Guido (1953), 326, 328, 329 Adams, John (1743-1826), 264, 266, 270 Addams, Jane (1860-1935), 628 Addison, Joseph (1672-1719), 134 Aelders, Etta Palm von (1743-99), 317 Agrippa, Menenio (?-493 a.C.), 77 Aiguillon duca di, vedi Vignerot du Plessis Emmanuel Armand d’ Akbar il Grande (1556-1605), shah di Persia, 16, 17, 37 Alberoni, Giulio (1664-1752), 170 Albertone, Manuela, 233 Alembert, Jean-Baptiste Le Ronde d’ (1717-83), 146, 147, 161, 214 Alessandro I Romanov (1777-1825), zar di Russia, 350, 386, 410 Alessandro II Romanov (1818-1881), zar di Russia, 581, 591 Altamura, Saverio Francesco (1822-97), 461 Althann, Michele Federico (1682-1734), 194 Anderson, Benedict (1936), 557, 559, 560, 561 Anna d’Austria (1601-66), regina consorte di Francia, 42, 43 Anna Stuart (1665-1714), regina d’Inghilterra, 162 Aquarone, Alberto, 226 Aranda conte di, vedi Barca Pedro Pablo Bolea de Arkwright, Richard (1732-92), 248 Arouet, François Marie, detto Voltaire (1694-1778), 150, 155, 156, 161, 171, 190, 197, 214, 527 Augusto II di Sassonia (1670-1733) detto il Forte, re di Polonia, 34, 62, 82 Augusto III di Sassonia (1696-1763), re di Polonia, 90 Aurangzeb (1658-1707), sovrano dell’Impero del Gran Moghul, 17 Austen, Jane (1775-1817), 523 Azeglio, Massimo d’ (1798-1866), 433, 442, 443, 446
B Baber (1483-1530), 16, 17, 165, 531 Babeuf, François Noël detto Gracco (1760-97), 307, 308, 414 Bacchelli, Riccardo (1891-1985), 112 Bacon, Francis (1561-1626), 248 Bahadur Scià II (1775-1862), imperatore del Moghul, 531 Bakunin, Michail (1814-76), 517, 520, 521, 578, 581 Balbo, Cesare (1789-1853), 433, 442, 443 Balfour, Arthur James (1848-1930), 545, 562, 622 Bandiera, Attilio (1810-44), 432 Bandiera, Emilio (1819-44), 432 Banti, Alberto Mario (1957), 471, 473 Barca, Pedro Pablo Bolea de, duca di Aranda (1719-98), 170
Baring, Evelyn Cromer (1841-1917), 544 Batoni, Pompeo Girolamo (1708-87), 194, 195 Bava Beccaris, Fiorenzo (1831-1924), 609 Bayly, Christopher A. (1945), 621, 625, 626 Beales, Derek, 471, 474, 475 Beard, Charles (1874-1948), 329 Beauharnais, Eugenio (1781-1824), 369, 380 Beccaria, Cesare (1738-94), 191, 205, 206, 212, 214, 215, 216, 217, 219 Bellotto, Bernardo (1721-80), 183, 211 Bentham, Jeremy (1748-1832), 153, 161, 388, 415 Bentivoglio, Guido (1577-1644), 77, 78 Berchet, Giovanni (1783-1851), 465, 466, 467 Bertaux, Jacques (1745-1818), 290 Bertin, Henri-Léonard (1720-92), 168 Biagini, Eugenio (1957), 471, 474, 475 Bianco di Saint Jorioz, Alessandro (1819-93), 588, 589 Bismarck, Otto von (1815-98), 573, 574, 575, 586, 587, 590, 591, 597, 598, 603, 605, 608 Bixio, Nino (1821-73), 452 Blasco, Teresa (XVIII secolo), 214 Bluche, François (1925), 229 Bock, Gisela (1942), 284 Bolivar, Simon (1783-1830), 489, 490, 492, 503, 504 Bonald, Louis de (1754-1840), 396 Bonaparte, Girolamo (1784-1860), re di Vestfalia, 449, 450 Bonaparte, Giuseppe (1768-1844), re di Napoli e di Spagna, 380, 488 Bonaparte, Luigi (1778-1846), re d’Olanda, 576, 585 Bonaparte, Napoleone vedi Napoleone I Bonifacio VIII (1230 ca. -1303), papa, 49 Booth, Charles (1840-1916), 522, 523 Borrani, Odoardo (1832-1905), 465 Boucher, François (1703-70), 316 Boulanger, Georges (1837-91), 605 Braudel, Fernand (1902-85), 110 Briggs, Asa (1921), 628 Bright, John (1811-89), 528 Buonarroti, Filippo (1761-1837), 308, 414 Byron, George (1788-1824), 411, 494, 502
C Cabanis, Pierre-Jean (1757-1808), 146 Caillebotte, Gustave (1848-94), 592 Calabiana, Luigi Nazari di (1808-93), 447 Calonne, Charles Alexandre de (1734-1802), 277 Cammarano, Michele (1835-1920), 444 Campomanes, Pedro Rodriguez de (1722-1802), 170 Canal, Giovanni Antonio detto Canaletto (1697-1768), 204 Canella, Carlo (1800-79), 424 Capomazza, Emilio (1782-1868), 476
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indice dei nomi
Capra, Carlo (1939) 229, 326, 330, 331 Caprivi, Leo von (1837-91), 605 Cardini, Franco (1940), 109, 111, 113 Caritat, Jean-Antoine marchese di Condorcet (1743-94), 153, 289, 317 Carlo I Stuart (1600-49), re d’Inghilterra, 54, 68, 79 Carlo II d’Asburgo (1661-1700), re di Napoli e di Spagna, 82, 183 Carlo II Stuart (1630-85), re d’Inghilterra, 69, 75 Carlo III di Borbone (1716-88), re di Napoli, di Sicilia e di Spagna, 90, 93, 170, 174, 175, 203, 213 Carlo VI d’Asburgo (1685-1740), imperatore del Sacro romano impero, 82, 183, 184, 194, 195 Carlo X di Borbone (1757-1836), re di Francia, 381, 387, 400 Carlo XI di Svezia (1655-97), re di Svezia, 60 Carlo XII di Svezia (1682-1718), re di Svezia, 86 Carlo Alberto di Savoia (1798-1849), re di Sardegna, 428, 430, 436, 437, 438, 442, 443 Carlo Emanuele III di Savoia (1701-73), re di Sardegna, 213 Carlo Felice di Savoia (1765-1831), re di Sardegna, 428, 443 Carlo Magno (742-814), imperatore del Sacro romano impero, 351 Carvalho e Melo, Sebastiao José de, marchese di Pombal (1699-1782), 171, 174, 175 Cassatt, Mary (1844-1926), 519 Cassirer, Ernst (1874-1945), 227 Caterina II (1729-96), zarina di Russia, 156, 191, 192, 193, 196, 197 Cattaneo, Carlo (1801-69), 445, 446, 454, 462, 480 Cavour, Camillo Benso conte di (1810-61), 445, 446, 447, 449, 450, 454, 456, 457, 462, 463, 480, 574 Ceruti, Giacomo (1698-1767), 129 Ch’ien-lung (1736-96), imperatore cinese, 19 Chabod, Federico (1901-60), 564 Chamberlain, Joseph (1836-1914), 606, 624 Chamisso, Adalbert von (1781-1838), 558 Chang, Chih-tung (1837-1909), 565 Chardin, Jean-Baptiste-Siméon (1699-1779), 137, 189 Chavannes Puvis Pierre de (1824-98), 615 Choiseul, Étienne-François de (1719-85), 168 Clausewitz, Karl von (1780-1831), 359 Clemente XI (1649-1721), papa, 167 Clemente XIII (1693-1769), papa, 209 Clemente XIV (1705-74), papa, 209, 210, 219 Cobban, Alfred (1901-68), 330 Cobbett, William (1763-1835), 255, 388 Codben, Richard (1804-65), 528 Colbert, Jean Baptiste (1619-83), 47, 55, 59, 170 Compagnoni, Giuseppe (1754-1833), 364 Condorcet, vedi Caritat Jean Antoine Confalonieri, Federico (1785-1846), 428, 511 Constant, Benjamin (1767-1830), 384, 393, 415 Cook, James (1728-79), 10
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Corradini, Camillo (1867-1928), 476 Corsembleu Desmahis, Joseph-François de, 230 Costa, Nino (1827-1903), 465 Courbet, Gustave (1819-77), 347 Crampe-Casnabet, Michèle, 226, 230 Crespi, Giuseppe Maria (1665-1747), 213 Crèvecoeur, Hector St. John de (1735-1813), 273 Crispi, Francesco (1818-1901),454, 463, 597, 607, 608, 609 Croce, Benedetto (1866-1952), 593, 610, 611, 615 Cromwell, Oliver (1599-1658), 68, 69, 74, 75, 606 Cromwell, Richard (1626-1712), 69 Cuoco, Vincenzo (1770-1823), 367, 377, 472 Custer, George Armstrong (1839-76), 539 Czwiczek, Mathias (1601-54), 62
D D’Alembert, Jean-Baptiste Le Rond vedi Alembert D’Azeglio, Massimo vedi Azeglio Danton, Georges-Jacques (1759-94), 284, 305 Darwin, Charles (1809-82), 528 David, Jacques-Louis (1748-1825), 281, 343 Davidson, Basil (1914-2010), 23 Davies, Norman, 565 Davis, Jefferson (1808-89), 540 De Bernardi, Alberto, 97 De Mauro, Tullio (1932), 471, 476, 477 Defoe, Daniel (1660-1731), 73 Defrance, Léonard (1735-1805), 133 Delacroix, Eugène (1798-1863), 381, 495, 502 Depretis, Agostino (1813-87), 607, 608 Dickens, Charles (1812-70), 523 Diderot, Denis (1713-84), 146, 147, 156, 161, 191, 214 Disraeli, Benjamin (1804-81), 571, 606, 607 Doerstling, Emil (1859-1940), 149 Donatelli, Carmine detto Crocco (1830-1905), 589 Doria, Paolo Mattia (1662-1746), 207, 219 Dreyfus, Alfred (1859-1935), 605, 606 Ducos, Roger (1747-1816), 309, 315, 357 Duhet, Paule Marie, 288 Dumas, Alexandre (1802-70), 453
E Ehalt, Hubert, 57 Elias, Norbert (1897-1990), 56 Elisabetta I Tudor (1533-1603), regina di Inghilterra, 259 Elisabetta Romanov (1711-74), zarina di Russia, 191 Emanuele Filiberto di Savoia (1528-80), 204 Engels, Friedrich (1820-95), 506, 507, 514, 520, 521, 528 Enrichetta Maria d’Inghilterra (1644-70), 42 Enrico IV Borbone (1553-1610), re di Francia, 50 Ensor, James (1860-1949), 500 Eschilo (525 ca- 456 a.C), 622 Eugenia de Montijo (1826-1920), imperatrice di Francia, 576
indice dei nomi
F Fage, John D. (1921-2002), 25 Farnese, Elisabetta (1692-1766), 170 Faron, Olivier (1959), 412 Federico I di Hohenzollern (1657-1713), re di Prussia, 61 Federico II di Hohenzollern (1712-86) detto il Grande, re di Prussia, 82, 83, 93, 95, 97, 99, 155, 156, 184, 190, 191, 193, 196, 362 Federico III (1609-70), re di Danimarca e Norvegia, 60 Federico Guglielmo I di Hohenzollern (1688-1740), re di Prussia, 61, 62 Federico Guglielmo IV di Hohenzollern (1795-1861), re di Prussia, 393, 395, 590 Fenelon, vedi Mothe-Fénelon Ferdinando I d’Austria (1793-1875), imperatore d’Austria e re di Ungheria, 393, 395 Ferdinando I di Borbone (1751-1825), re del Regno delle due Sicilie, 203, 426, 427, 428, 436, 442, 443 Ferdinando II di Borbone (1810-59), re del Regno delle due Sicilie, 436, 442, 443 Ferdinando IV di Borbone, re di Spagna, vedi Ferdinando I di Borbone Ferdinando IV di Napoli, vedi Ferdinando I di Borbone Ferdinando VI di Borbone (1713-59), re di Spagna, 170 Ferdinando VII di Borbone, (1784-1833), re di Spagna, 489 Filangieri, Gaetano (1752-88), 182, 205, 219 Filippo I d’Orléans (1640-1701), 42 Filippo V di Borbone (1683-1746), re di Spagna, 66, 82, 90, 170, 174, 175, 183, 203 Filippo d’Angiò, vedi Filippo V di Borbone Filippo di Borbone (1720-65), 82 Filippo d’Orléans (1674-1723), 166, 167, 174, 175 Filippo il Bello (1268-1314), re di Francia, 49 Fleury, André-Hercule de (1652-1743), 167, 174, 175 Floridablanca, conte di, vedi Monino y Redondo, José Antonio Fonseca Pimentel, Eleonora (1752-99), 367 Fontana, Josep (1931), 117, 118, 119 Fontanelle, Bernard le Bovier de (1657-1757), 14 Foscolo, Ugo (1778-1827), 364, 378, 472 Fourier, Charles (1772-1837), 385, 515, 524, 525 Fragonard, Jean-Honoré (1732-1806), 318 Francesco I, imperatore d’Austria vedi Francesco II d’Asburgo-Lorena Francesco II d’Asburgo-Lorena (1768-1835), imperatore del Sacro romano impero, 289, 352, 355, 357 Francesco II di Borbone (1836-94), re del Regno delle due Sicilie, 454 Francesco IV di Modena (1779-1846), 429, 430, 442 Francesco Giuseppe I (1830-1916), imperatore d’Austria e re d’Ungheria, 393, 395, 580, 591 Francesco Saverio (1506-52), santo, 27 Francesco Stefano di Lorena (1708-65), imperatore del Sacro romano impero, 185, 203 Franchetti, Leopoldo (1847-1932), 584
Franklin, Benjamin (1706-90), 247, 265, 266 Friedrich, Caspar David (1774-1840), 498 Furet, François (1927-97), 331
G Gaeta, Franco, 70 Gainsborough, Thomas (1727-88), 102 Galanti, Giuseppe (1743-1806), 205 Galiani, Ferdinando (1728-87), 205, 219 Galilei Galileo, (1564-1642), 153 Galland, Antoine (1646-1715), 28 Gamba, Enrico (1831-83), 466 Gambarini, Giuseppe (1902-90), 157, 319 Gambetta, Léon (1838-83), 577 Gambogi, Raffaele (1874-1943), 595 Garganelli, Giovan Vincenzo Antonio vedi Clemente XIV Garibaldi, Anita (1821-49), 459 Garibaldi, Giuseppe (1807-82), 438, 447, 450-459, 462, 463, 465, 467, 608 Geissler, Christian G. (1770-1844), 76 Gellner, Ernest (1925-95), 557, 559, 562 Genovesi, Antonio (1713-69), 205, 219 Gentz, Friedrich von (1764-1832), 412 Geoffrin, Marie-Thérèse (1699-1777), 156 Gerôme, Jean-Léon (1824-1904), 576 Giacomo II Stuart (1633-1701), re d’Inghilterra, Scozia e Irlanda, 69, 74, 75, 162 Giannone, Pietro (1676-1748), 207, 219 Giaquinto, Corrado (1703-66), 131 Ginsborg, Paul (1945), 471 Gioberti, Vincenzo (1801-52), 433, 434, 435, 442, 443, 480 Giolitti, Giovanni (1842-1928), 598 Giorgio I Hannover (1660-1727), re d’Inghilterra, 163, 174, 175 Giorgio II Hannover (1683-1760), re d’Inghilterra, 162, 163, 174, 175 Giorgio III Hannover (1738-1820), re d’Inghilterra, 164, 165, 174, 175, 264, 274 Giovanni VI di Braganza (1769-1826), re del Portogallo, 490 Giuseppe II (1741-90), imperatore del Sacro romano impero, 180, 185-190, 193, 194, 195, 196, 197, 211 Gladstone, William Ewart (1809-98), 571, 606, 607 Gobineau, Joseph Arthur de (1816-82), 528, 529, 546, 547 Godechot, Jacques (1907-89), 330 Goubert, Pierre, 44 Gouges, Olympe de (1748-93), 288, 304, 315, 319 Goya y Lucientes, Francisco (1746-1828), 101, 319, 353 Grant, Ulysses Simpson (1822-85), 540 Gregorio XV (1554-1623), papa, 28 Greuze, Jean-Baptiste (1725-1805), 130 Guarracino, Scipione, 97 Guerci, Luciano (1941), 226, 228, 233, 235
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indice dei nomi
Guglielmo I di Hohenzollern (1797-1888), re di Prussia e imperatore di Germania, 570, 572, 573, 575, 579, 586, 590, 591 Guglielmo II di Hohenzollern (1859-41), imperatore di Germania, 597, 605 Guglielmo III d’Orange (1650-1702), re d’Inghilterra, 67, 69, 74, 75, 81, 149 Guillotin, Joseph-Ignace (1738-1814), 291 Gustavo III di Svezia (1746-1792), re di Svezia, 191, 193, 197,196
H Haller, Karl Ludwig von (1768-1854), 396 Hals, Frans (1580-1666), 101 Hamilton, Alexander (1757-1804), 265, 328 Hardie, Keir (1856-1915), 599 Hastings, Warren (1732-1818), 165 Haugwitz, Friedrich Wilhelm von (1702-65), 184, 185 Hayez, Francesco (1791-1882), 440, 441, 465, 486 Hébert, Jacques-René (1757-94), 305 Helvétius, Claude Adrien (1715-71), 150 Herbelot, Barthelemy d’ (1625-95), 28 Herold, Jean Christopher, 410, 412 Herriot, Edouard (1872-1957), 625 Herzen, Alexander (1812-70), 581 Hobsbawm, Eric J. (1917), 254 Hoche, Louis Lazare (1768-97), 358 Hoffman, Michael A., 332, 334, 335, 336 Hogarth, William (1697-1764), 141, 162 Holbach, Paul-Henry Thiry barone d’ (1723-89), 146, 150 Hume, David (1711-76), 150, 248 Hunt, Lynn (1945), 312
I Induno, Domenico (1815-78), 460, 461, 582 Induno, Gerolamo (1825-90), 451 Inganni, Angelo (1807-80), 446 Isabella di Borbone (1741-63), 180 Isabella, Maurizio, 410, 414, 415 Isabey, Jean-Baptiste (1767-1855), 382 Iturbide, Augustin de (1783-1824), 491 Ivan III (1440-1505), zar di Russia, 63 Ivan IV (1530-1584), zar di Russia, 63
J Jackson, Andrew (1767-1845), 538, 543 Jakovlevicˇ , Andrej (1886-1965), 514 James Madison (1751-1836), 328 Jansen, Cornelius (1585-1638), 49, 167, 207 Janszoon, Willem (1570-1630), 10 Jaucourt, Louis de (1704-79), 230 Jaurès, Jean (1859-1914), 330 Jeaurat, Jean (XVIII secolo), 286 Jefferson, Thomas (1743-1826), 264, 266, 270, 275 Jones, Eric C. (1907-86), 249
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K Kant, Immanuel (1704-1804), 149 Kaunitz, Wenzel Anton von (1711-94), 209 Kautsky, Karl (1854-1938), 605 Kellas, James G., 557, 561, 562 Kessel, Jan van (1626-79), 118, 119 Kidd, Benjamin (1645-1701), 528, 547 Kircher, Athanasius (1602-80), 27 Koehler, Robert (1850-1917), 597 Kotzebue, August Alexander von (1761-1819), 63 Krafft, David von (1655-1724), 86 Kubilai Khan (1215-1294), imperatore della Mongolia, 18
L La Farina, Giuseppe (1815-63), 447 La Fayette, Gilbert du Motier de (1757-1834), 415 La Mettrie, Julien Offroy de (1709-51), 150 La Rochejaquelein, Henri de (1772-94), 301 La Tour, Maurice Quentin (1704-88), 167 Labrousse, Ernest (1895-1988), 337 Lacombe, Claire (1765-?), 304 Lambert, George (1700-65), 88 Lambertenghi, Luigi Porro (1780-1860), 205, 428, 511 Lamennais, Félicité-Robert de (1782-1854), 396 Lancret, Nicolas (1690-1743), 157 Landes, David S. (1924), 250, 326, 328, 513 Lapaute, Nicole-Reine, (1723-88), 230 Largillière, Nicolas de (1656-1746), 172 Lassalle, Ferdinand (1825-64), 587, 601 Law, John (1671-1729), 166, 168, 174, 175 Le Blanc, Jean-Bernard (XVIII secolo), 254, 255 Le Blond, Jean Baptiste A. (1679-1719), 64 Le Bon, Gustave (1841-1931), 600, 628 Le Piper, Francis (?-1695), 72 Le Tonnelier Breteuil, Gabrielle de, marchesa di Châtelet (1706-49), 230 Lee, Robert Edward (1807-70), 540 Lefebvre, George (1874-1959), 330 Legat, Remigio (XIX secolo), 452 Lemonnier, Anicet-Charles (1743-1824), 156 Léon, Pauline (1768-1838), 304 Leopardi, Monaldo (1776-1847), 396 Leopoldo II del Belgio (1835-1909), re del Belgio, 533 Leopoldo II di Toscana (1797-1870), 436, 442, 443 Leopoldo II di Asburgo Lorena (1747-92), imperatore del Sacro romano impero, 189, 194, 195, 196, 197, 206, 212, 213, 219 Leutze, Emanuel (1816-68), 265 Lincoln, Abraham (1809-65), 540, 541, 543, 546 Locke, John (1632-1704), 71, 150, 248 Longhi, Pietro (1702-85), 124, 207 Longoni, Emilio (1859-1932), 598 Lopez de Santa Ana, Antonio (1795-1876), 491
indice dei nomi
Loyola, Ignazio di (1491-1556), 27, 209 Ludd, Ned, 252 Lueger, Karl (1844-1910), 625 Luigi XIII di Borbone (1601-43), re di Francia, 54 Luigi XIV di Borbone (1638-1715), re di Francia, 42-53, 54, 56, 58, 59, 60, 69, 81, 82, 85, 90, 98, 99, 101, 149, 165, 166, 167, 170, 175, 183, 199, 346 Luigi XV di Borbone (1710-74), re di Francia, 42, 60, 165, 166, 167, 168, 174, 175, 180 Luigi XVI di Borbone (1754-93), re di Francia, 169, 175, 277, 286, 289, 291, 295, 300, 355 Luigi XVII di Borbone (1785-95), 355 Luigi XVIII di Borbone (1755-1824), re di Francia, 355, 384, 387, 388 Luigi Filippo d’Orléans (1773-1850), re di Francia, 388, 395, 400, 401, 403, 430
M Mably, Bonnot Gabriel de (1709-85), 298 Machault, Jean-Baptiste (1719-85), 168 Madison, James (1751-1836), 265 Maistre, Joseph de (1753-1821), 396 Mallet, Edme-François (1713-55), 230 Malthus, Thomas Robert (1766-1834), 327 Manin, Daniele (1804-57), 436, 445, 447 Mann, Michael (1943), 626 Mann, Thomas (1875-1955), 627 Manzoni, Alessandro (1785-1873), 102, 473 Maometto (570 ca. -632), 16 Marat, Jean-Paul (1743-93), 299 Maréchal, Sylvain (1750-1803), 308 Maria Antonietta d’Asburgo (1755-93), regina di Francia, 286, 289, 290, 295, 300, 304 Maria Luisa d’ Orléans (1662-89), 42 Maria Luisa d’Austria (1791-1847), imperatrice di Francia, 350, 357 Maria Teresa d’Asburgo (1638-83), regina di Francia, 42 Maria Teresa d’Asburgo (1717-80), imperatrice del Sacro romano impero, 82, 90, 98, 99, 184-186, 188, 193, 194, 196, 197, 203, 209, 211, 213 Maroncelli, Piero (1795-1846), 429 Marx, Karl (1818-83), 385, 391, 506, 507, 514, 515, 516, 517, 521, 524, 525, 528, 578 Matteucci, Carlo (1811-68), 476 Maupeou, René Nicolas de (1714-92), 168, 174, 175 Maurocordato, Alessandro (1791-1865), 501, 502 Mauzaisse, Jean-Baptiste (1784-1844), 342 Mayer, Arno (1926), 519 Mazauric, Claude (1932), 331 Mazzarino, Giulio (1602-61), 43, 54, 55, 59 Mazzini, Giuseppe (1805-72), 431, 432, 433, 434, 438, 442, 443, 445, 454, 459, 462, 465, 479, 497, 564 Mazzocca, Fernando, 440, 441 Medici, Maria de (1573-1642), regina consorte di Francia, 279
Menotti, Ciro (1798-1831), 429, 430, 442, 443 Mercier, Louis Sébastien (1740-1814), 169 Merck, Johan Christof P. (1695-1726), 95 Meriggi, Marco (1955), 410, 412, 621, 623 Merker, Nicolao, (1931), 227 Metternich, Klemens Wenzel Lothar von (1773-1859), 384, 393, 429, 430 Meulen, Adam Franz van der (1632-90), 53 Meunier, Constantin (1831-1905), 516 Meytens il Giovane, Martin von (1695-1770), 184, 185 Mickiewicz, Adam (1798-1855), 497 Migliara, Giovanni (1785-1837), 376 Mill, John Stuart (1806-73), 397 Millerand, Alexandre (1859-1943), 598 Millet, Jean-François (1814-75), 517 Minghetti, Marco (1818-86), 582 Miranda, Francisco de (1752-1816), 489 Misley, Enrico (1801-63), 430 Mjasoedov, Grigori Grigorievich (1834-1911), 581 Molière (1622-73), 55 Moñino y Redondo, José Antonio conte di Floridablanca (1730-1808), 170 Monroe, James (1758-1831), 493, 539, 542, 543 Montesquieu, Charles-Louis Sécondat de (1689-1755), 35, 155, 156, 158, 159, 161, 195, 214 Moreau, Jean Victor Marie (1763-1813), 358, 410 Moretti, Franco (1950), 523 Morris, Gouverneur (1752-1816), 328 Mothe-Fénelon, François de Salignac de la (1651-1715), 166, 317 Mozart, Leopold (1719-87), 184 Mozart, Wolfgang Amadeus (1756-91), 112, 151, 184 Murat, Gioacchino (1767-1815), re di Napoli, 369, 376, 380, 425, 449 Muratori, Ludovico Antonio (1672-1750), 207 Murillo, Bartolomé Esteban (1618-82), 136, 137 Mutsuhito (1852-1912), imperatore del Giappone, 536
N Napoleone I (1769-1821), imperatore dei francesi e re d’Italia, 308, 309, 315, 342-355, 356, 357, 358, 359, 360, 361, 363, 366, 368, 369, 372, 375, 376, 380, 382, 384, 391, 410, 425, 426, 429, 532 Napoleone III (1808-73), imperatore dei francesi, 391, 394, 395, 400, 401, 448, 449, 455, 456, 457, 463 574, 575-577, 578, 579, 585, 590, 591, 594, 598, 608 Necker, Anne-Louise Germaine, baronessa di StaëlHolstein, detta madame de Staël (1766-1817), 357, 410 Necker, Jacques (1732-1804), 277, 280 Negri, Guglielmo, 266 Nelson, Horatio (1758-1805), 357 Neumann, Franz Leopold (1900-54), 629 Newman, Henry (1801-90), 396 Newton, Isaac (1643-1727), 144, 145 Nicola I Romanov (1796-1855), zar di Russia, 386
635
indice dei nomi
Nicotera, Giovanni (1828-94), 607 Nobili, Roberto de’ (1577-1656), 28 Nocret, Jean (1615-72), 42
Q
O
R
Olivares, Gaspar de Guzmán, conte di (1587-1645), 66 Oliver, Roland, 25 Olivero, Pietro Domenico (1679-1755), 125 Osterhammel, Jürgen (1952), 13, 31, 109, 111 Ottone I di Baviera (1815-67), re della Grecia, 494 Outram, Dorinda, 233, 234 Owen, Robert (1771-1858), 385, 515, 524, 525
Racine, Jean (1639-99), 55 Radetzky, Josef (1766-1858), 437, 466 Ramsay, Allan (1713-84), 164 Rastrelli, Bartolomeo F. (1700-71), 64 Rattazzi, Urbano (1808-73), 447, 582 Rembrandt, Rijn von (1606-69), 100, 141 Renan, Ernest (1823-93), 559 Reynolds, Joshua (1723-92), 17 Rezzonico, Carlo vedi Clemente XIII Ricardo, David (1772-1823), 507 Ricasoli, Bettino (1809-80), 456, 582 Ricci, Matteo (1552-1610), 27 Ricci, Scipione de’ (1741-1810), 207, 212 Richelieu, Armand Jean du Plessis, duca di (15851642), 43, 44, 54, 346 Richet, Denis (1927-89), 331 Rinaldi, Antonio (1710-64), 64 Ripa, Cesare (metà XVI sec.-1622), 118 Ritter, Gerhard (1888-1967), 602 Robespierre, Augustin (1763-94), 356, 357, 364 Robespierre, Maximilien de (1758-94), 305, 306, 310, 314, 315, 356 Roche, Daniel, 45 Rodbertus, Johann Karl (1805-75), 601 Rohr, Julius B. von (1688-1742), 57 Romanelli, Raffaele, 610 Romme, Charles Gilbert (1750-95), 319 Rossellini, Roberto (1906-77), 56 Rossini, Gioacchino (1792-1868), 111 Rotschild, Mayer Anschel (1743-1812), 562 Rouget, Georges (1783-1869), 350 Rousseau, Henri (1844-1910), 603 Rousseau, Jean-Jacques (1712-78), 150, 155, 156, 157, 161, 214, 286, 298, 318 Rousseau, Waldeck René (1846-1904), 598 Rubens, Pieter Paul (1577-1640), 10, 198 Ruffo, Fabrizio (1744-1827), 366, 367, 377, 380 Ruge, Arnold (1802-80), 520 Russell, John (1745-1806), 202 Russo, Vincenzio (1876-1904), 367 Ruyter, Michiel de (1607-70), 80
P Pagano, Mario (1748-99), 367 Palmer, Roswell (1909-2002), 330 Panini, Giovanni Paolo (1691-1765), 127, 208 Paolo III (1468-1549), papa, 210 Paolo IV (1476-1559), papa, 148 Parrington, Vernon Louis (1871-1929), 272, 273 Pascal, Blaise (1623-62), 49 Patel, Pierre (1605-76), 51 Pelloux, Luigi Gerolamo (1839-1924), 609 Penn, William (1644-1718), 259 Pepe, Florestano (1778-1851), 427 Pepe, Guglielmo (1783-1855), 426, 442 Perego, Antonio (XVIII secolo), 205 Pericle (495-429 a.C.), 297 Peters, Samuel (1772-1858), 272, 273 Petersson, Niels P., 13, 109, 111 Pichegru, Charles (1761-1804), 358 Pietro I Romanov (1672-1725) detto il Grande, zar di Russia, 60, 63, 64, 75, 352 Pietro (o Pedro) I (1798-1834), imperatore del Brasile, 490, 503 Pellico, Silvio (1789-1854), 429 Pietro II (1825-91), imperatore del Brasile, 490 Pietro III Romanov (1728-62), zar di Russia, 83, 191 Pietro il Grande (1672-1725), zar di Russia, 191 Pio IX (1792-1878), papa, 396, 435, 436, 442, 443, 457, 585 Pio VII (1742-1823), papa, 210, 343 Pio X (1835-1914), papa, 585 Pisacane, Carlo (1818-57), 445, 457, 481 Pitt, William il giovane (1759-1806), 165, 174, 175, 300 Pitt, William il vecchio (1708-78), 165 Poisson, Jeanne Antoinette, marchesa di Pompadour (1721-64), 167, 316 Polanyi, Karl (1886-1964), 601, 621, 623, 625 Poli, Gherardo (1676-1746), 212 Pombal, marchese di, vedi Carvalho e Melo, Sebastiao José de Pompadour marchesa de, vedi Poisson, Jeanne Antoinette Prina, Giuseppe (1766-1814), 376 Pugacˇ ëv, Ivanovicˇ Emil’jan (1740 ca. - 1775), 192, 196, 197
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Quarenghi, Giacomo (1744-1817), 64 Quesnay, François (1694-1774), 154
S Said, Edward Wadie (1935-2003), 527, 545, 622 Said, Mohammed (1822-1863), viceré d’Egitto, 526 Saint-Simon, Claude-Henri de (1760-1825), 385, 515, 524, 525 Saitta, Armando (1919-91), 283 San Martin, José de (1778-1850), 489, 490, 503, 504 Santa Ana, vedi Lopez de Santa Ana, Antonio
indice dei nomi
Santarosa, Santorre di (1783-1825), 502, 428, 442, 443 Sarto, Giuseppe, vedi Pio X Scelba, Cipriana, 266 Schlegel, Friedrich (1772-1829), 527 Scott, Samuel (1702-72), 88 Sella, Quintino (1827-84), 582 Shah, Nadir (1688 ca -1747), re persiano, 16, 17 Sieyès, Emmanuel Joseph (1748-1836), 278, 309, 315, 357 Silla, Antonio, 216 Sismondi, Jean-Charles-Léonard Simonde de (17731842), 414 Smiles, Samuel (1812-1904), 513 Smith, Adam (1723-90), 154, 161, 248, 252, 507 Smith, Anthony (1939), 562 Soboul, Albert (1914-82), 330 Sofocle (496-406 a.C.), 157 Soldani, Simonetta, 474 Solimano I il Magnifico (1494-1566), sultano dell’Impero ottomano, 15 Solimena, Francesco (1657-1747), 194, 195 Sonnenfels, Joseph von (1733-1817), 185 Sonnino, Sidney (1847-1922), 584, 609, 610, 611 Sorrière, François, 393 Spencer, Herbert (1820-1903), 624 Staël, madame de, vedi Necker, Anne-Louise Germaine Stearns, Peter N., 40 Stowe, Harriett Beecher (1811-96), 540 Stragliati, Carlo (1868-1925), 464 Stubbs, George (1724-1806), 244
T Talleyrand, Charles-Maurice de (1754-1838), 318 Terray, Joseph-Marie (1715-78), 168 Testelin, Henri (1616-95), 52 Theys Herculais, André François Alloys de (1692-1779), 172 Thiers, Adolphe (1797-1877), 577 Thompson, Edward Palmer (1924-93), 127 Tillot, Guillaume du (1711-74), 210, 218 Tissot, James (1836-1902), 518 Tocqueville, Alexis de (1805-1859), 348 Tokugawa, Hidetada (1579-1632), 21 Torri, Michelguglielmo (1945), 109, 113, 115 Trezzini, Domenico (1670-1734), 64 Tucidide (460-397 a.C.), 297
Turgot, Anne-Robert-Jacques de (1727-81), 277 Turi, Gabriele, 474
V Vanvitelli, Gaspare (1653-1736), 126 Venturi, Franco (1914-94), 226, 228, 233, 234 Verri, Alessandro (1741-1816), 205 Verri, Pietro (1728-97), 205, 212, 214, 215 Vico, Gian Battista (1668-1744), 207, 219 Vignerot du Plessis, Emmanuel Armand de, duca di Aiugillon (1720-82), 168 Villani, Pasquale (1924), 70, 584 Vittoria (1819-1901), regina di Gran Bretagna e Irlanda, 532, 591 Vittorio Amedeo II di Savoia (1666-1732), re di Sardegna, 213 Vittorio Emanuele I di Savoia (1759-1824), re di Sardegna, 428 Vittorio Emanuele II di Savoia (1820-78), re d’Italia, 438, 443, 447, 450, 454, 455, 457, 459, 462, 463, 582 Voltaire, vedi Arouet, François-Marie Vovelle, Michel (1933), 278
W Wagner, Richard (1813-83), 601 Wallerstein, Immanuel (1930), 39 Walpole, Robert (1676-1745), 163, 174, 175 Washington, George (1732-99), 264, 269, 270 Watt, James (1736-1819), 248, 250 Weber, Max (1864-1920), 46, 529, 577, 599 Wenzel, Anton von Kaunitz (1711-94), 185 Werner, Anton von (1843-1915), 570 Wesley, John (1703-91), 539 West, Benjamin (1738-1820), 68 Wilkes, John (1725-97), 164, 175 Willard, Archibald (1836-1918), 258 Williams, Raymond, 255 Wilson, James (1742-98), 264 Wollstonecraft, Mary (1759-92), 157 Wright of Derby, Joseph (1734-97), 144
Z Ziegler, Jules Claude (1804-56), 390 Zoffany, Johann (1733-1810), 132, 181 Zola, Émile (1840-1902), 606
637
indice dei box lessico A Agnosticismo Agronomia Alienato Altoforno Anarchici Animismo Antico regime Appaltatori Arrabbiati Assolutismo Ateismo Australia
150 126 514 250 517 22 43 246 305 43 150 10
B Bancarotta Bastiglia Belle époque Blocco continentale Borghesia Borghi putridi Borse Brigante Burocrazia
166 281 604 350 506 389 512 583 46
C Camicie rosse Capitale Capitazione Carboneria Catasto Chiesa battista Chiesa copta Chiesa gallicana Chiesa metodista Cisalpina Cispadana Classe Clero Clientelismo Codice Colonialismo Commonwealth Comune Confederazione
638
454 506 51 425 181 539 30 49 539 363 363 514 44 164 345 530 68 578 265
Confraternita Congiuntura Contrabbando Cordiglieri Cordone dei Bramini Corte Cosmopolitismo Costituzionalismo Costituzione di Cadice
128 277 262 284 28 42 498 156 353
Globalizzazione Gracco Guardia nazionale Guarentigia Guerra di Crimea Guerra di devoluzione
31 307 281 456 449 81
H Habeas Corpus Act Hohenzollern
69 61
D Decimo 51 Deismo 150 Democrazia 70, 269 Direttorio 306 Diritti civili 181 Diritti feudali 282 Diritti politici 181 Diritto di veto 163 Disincantamento del mondo 530 Dissidente 49
248 204 243 68 494
131 128 609 371 267 427 154 284
G Ghetto Ghigliottina Giacobini Giacobiti Giurisdizionalismo
144 530 305 248
J Jainismo
30
K 541 605
L Lealista Legazioni pontificie Liberismo
489 388 154
M
F Fabbriceria parrocchiale Familismo Fasci siciliani Fedecommesso Federazione Filomurattiani Fisiocrazia Foglianti
Illuminismo Imperialismo Indulgenti Industria
Ku Klux Klan Kulturkampf
E Empirismo Enclave Enclosures Episcopalismo Eterìa
I
373 291 284 162 182
Mandarini Manifattura Manomorta Massoneria Materialismo Mercantilismo Meridionalismo Monarchia costituzionale Monarchia parlamentare Monofisismo Moto decabrista Movimento luddista
19 47 182 151 146 47 584 70, 388 388 25 386 252
N Neoguelfismo
434
indice dei box lessico
O Obbligazioni Openfields
512 243
P Pallacorda Panamericanismo Parrocchia Partito d’azione Patronato Plebiscito Polisinodia Populisti Positivismo Pratica Profitto Protezionismo
281 542 50 445 164 342 166 581 528 145 244 595
Q Quaccheri Quarantotto
259 389
R Rajah Rapporto carismatico
17 577
Reazione Regalie Restaurazione Risorgimento Rivoluzione industriale
393 277 382 425 242
S Sabotaggio Samurai Sanfedismo Sangue blu Santa Alleanza Scuola di Manchester Self help Separazione dei poteri Shogun Sikh Sindacato Socialismo Socialisti della cattedra Società nazionale Società per azioni Songhai Statalizzazione Suffragio
252 20 367 518 383 528 513 156 20 18 516 515 601 447 512 23 212 594
T Taglieggiati Tassa sul macinato Tories Tradizione protoliberale Trasformismo Tribunale speciale rivoluzionario
277 582 69 67 608 303
U Utilitarismo
153
V Veda Volontà generale
14 282
X Xenofobia
22
W Whigs
69
639
indice delle carte I l mondo conosciuto dagli europei a metà del Seicento I domini europei a metà del Seicento L ’Asia tra XVI e XVII secolo L ’Impero Moghul (1526-1707) L ’Impero cinese tra il XVI e il XVIII secolo L ’Africa nel XVII secolo L a Francia alla fine del XVII secolo L ’area del Baltico tra il 1660 e il 1725 L ’impero degli Asburgo d’Austria nel XVIII secolo L ’Europa nel 1648 e nel 1748 L ’espansione della Prussia-Brandeburgo nel Settecento I domini europei nel 1763 L a diffusione della cultura nell’età dell’Illuminismo G li Stati del dispotismo illuminato (XVIII secolo) L e spartizioni della Polonia L ’Italia nel 1700 e nel 1748 L ’America del Nord e le tredici colonie nel 1763 L a formazione degli Stati Uniti d’America (1787-1912) L a Francia in rivolta (1789-1795) L ’Europa napoleonica nel 1812 L e ultime mosse di Napoleone (1812-1815) L ’Italia delle repubbliche sorelle (1797-1799) L ’Italia nel 1797 e nel 1810 L ’Europa dopo il Congresso di Vienna (1815) I moti liberali del 1820-1825 I moti del Quarantotto L ’Italia nel 1815 L ’Italia secondo gli accordi di Plombières (1858) I l Regno d’Italia nel 1861 L ’America centro-meridionale nel 1800 L ’America centro-meridionale nel 1850 I popoli europei nel 1815 e le nazioni europee nel 1870 L ’industrializzazione inglese (1750-1850) L o sviluppo delle ferrovie in Europa tra il 1840 e il 1880 I domini coloniali europei alla fine del XIX secolo L a Cina e il Giappone alla fine del XIX secolo L a Guerra di secessione (1861-1865) L a formazione del Reich tedesco (1864-1871) L ’Impero asburgico (1848-1914)
640
11 12 14 16 19 25 45 61 65 84 87 89 147 191 192 203 260 271 302 351 354 364 369 383 386 392 426 448 456 488 491 496 508 511 533 537 541 574 580
Referenze iconografiche Archivio iconografico Pearson Italia; Abbas/Magnum; Archivi Alinari, Firenze; Archivi Charmet/Bridgeman Art Library/ Archivi Alinari; Archivio Famiglia Filippi; Archivio Seat/Archivi Alinari; Bettmann/Corbis; Biblioteche Civiche Torinesi; the Bridgeman Art Library; Camera Press; H. Cartier-Bresson; H. Champollion; Civica Raccolta delle Stampe Bertarelli, Milano; Corbis; P. Corral Vega; S. Franklin; J. Freis/Image Bank; Fototeca Storica Ando Gilardi; D.G. Houser/Image Bank; Don Hammond/Design Pics/Corbis; Farabola Foto; Getty Images; Granger Collection/Archivi Alinari; Hulton Getty Picture; Istituto Luce/Gestione Archivi Alinari, Firenze; iStockphoto; L. Johnson; F. Magurno; Marka; Mary Evans Picture Library; Meyers; p.a.c. Foto; L.C. Price; Photodisc; Reuters; J. Richardson; Photo rmn, François Pascal Simon Gérard - Réunion des Musées Nationaux, Parigi; P. Siccardi; G. Steinmetz; M. Stenzel, TipsImages.
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