Il segno della storia 2. Dalla metà del Seicento alla fine dell'Ottocento [2] 9788839533852


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Il segno della storia 2. Dalla metà del Seicento alla fine dell'Ottocento [2]
 9788839533852

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Giovanni De Luna

Marco Meriggi

IL SEGNO DELLA STORIA 2. Dalla metà del Seicento alla fne dell’Ottocento

EAN 978 8839533852

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Coordinamento editoriale: Chiara Sottile Revisione del testo, redazione e ricerca iconografica: Stefania Bessone Progetto grafico e copertina: Sunrise Advertising, Torino Coordinamento grafico: Cinzia Marchetti Impaginazione elettronica: Essegi, Torino Cartografia: Andrea Mensio Controllo qualità: Cinzia Marchetti Segreteria di redazione: Enza Menel

Marco Meriggi è autore dell’intero volume. Barbara Garofani e Francesco Scalambrino hanno curato la realizzazione delle sezioni Verso l’esame di Stato. Cristina Bonino ha realizzato le Mappe di fine capitolo. Si ringrazia la professoressa Paola Grandis per la consulenza didattica sul testo.

In copertina: locomotiva a vapore del

xix

secolo (elaborazione grafica).

Tutti i diritti riservati © 2012, Pearson Italia, Milano - Torino

978 88 395 33852 Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org

Stampato per conto della casa editrice presso S.I.P.E., Torino, Italia Ristampa 2 3 4 5 6 7 8

Anno 13 14 15 16 17 18

INDIcE gENErALE

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  Stati e imperi alla fine del XVII secolo 

6

seZIone 1

IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Capitolo 1 VErSO uN MONDO gLObALE?

10

1.1  Il mondo conosciuto nel Seicento

10

1.2  L’Asia tra XVI e XVIII secolo

14

1.3  L’Africa nel XVII secolo

22 24

analizzare la fonte 

Una passeggiata a Benin 

1.4  Il mondo raccontato dagli europei analizzare la fonte 

Il Celeste impero nel racconto di Matteo Ricci  approfondire  Quale Oriente? 

26 27 28

1.5   Unità e varietà: l’Europa a confronto con il resto del mondo 

29

1.6  I meccanismi e i limiti dello scambio

31

Il laboratorio dello storico La Cina nell’immaginario seicentesco 

34

MAppA

36

SINTESI

37

Inclusione Esclusione Il sistema mondo. Le relazioni intercontinentali in età moderna

38

III

indiCe generale

Capitolo 2 LA FrANcIA DEL rE SOLE 2.1  Luigi XIV e la nascita dell’assolutismo

42

2.2  La riorganizzazione dello Stato e la politica economica

44 46 47

analizzare la fonte 

Riflessioni di un re  orientarsi tra i concetti  Il governo francese al tempo di Luigi XIV 

2.3  La politica religiosa

48

2.4   Gli strumenti dell’assolutismo: esercito e pressione fiscale

50

2.5  Modernità e limiti dell’assolutismo di Luigi XIV

52

intervista impossibile a Luigi XiV

54

Il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte 

56

MAppA SINTESI

58 59

Capitolo 3 L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà 3.1   Il modello francese: l’assolutismo nel Nord dell’Europa orientarsi tra i concetti 

Il governo prussiano nel XVIII secolo  approfondire  San Pietroburgo, la città del futuro 

60 60 63 64

3.2  Assolutismi incompiuti, libertà vecchie e nuove

64

3.3  La seconda rivoluzione inglese Il Bill of rights  analizzare la fonte  Il nuovo ruolo del potere legislativo nel pensiero di John Locke 

68 70 71

Il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione 

72

analizzare la fonte 

MAppA SINTESI

74 75

Inclusione Esclusione Il potere nell’antico regime. Diverse forme di partecipazione politica

76

Capitolo 4 cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

80

4.1  Tante guerre per un secolo approfondire 

Il declino dell’Impero ottomano 

4.2  I nuovi rapporti di forza in Europa approfondire 

I conflitti per il dominio sul Baltico 

4.3   L’Europa fuori d’Europa tra Cinquecento e Settecento orientarsi tra i concetti 

Guerre e paci tra il 1648 e il 1763 

4.4  La guerra: modelli a confronto  approfondire 

IV

42

Guerre, carestie ed epidemie 

80 81 84 86 87 90 91 91

indiCe generale

4.5  Gli eserciti: da mercenari a professionisti Il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili 

MAppA SINTESI

93 96 98 99

Inclusione Esclusione Armati e disarmati. Le armi come strumento di potere e di oppressione ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Il policentrismo dell’età moderna vERSOL’ESAmEDISTATO Leggere un saggio

100

104 109 116

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  Che cos’è l’Illumini smo? 

120

seZIone 2

IL SEcOLO DEI LuMI Capitolo 5 LA SOcIETà DEL SETTEcENTO 5.1  L’aumento degli uomini e delle risorse orientarsi tra i concetti 

Le cause dell’aumento demografico 

5.2  I cambiamenti nel mondo del lavoro approfondire 

Uno scandalo: la concorrenza femminile 

124 124 126 127 129

5.3  Il sentimento religioso

130

5.4  Gabinetti di lettura e associazioni: verso un libero uso della ragione 

132 134

analizzare la fonte 

La filosofia nei caffè 

Il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana 

MAppA SINTESI

Inclusione Esclusione Le corporazioni di arti e mestieri. regole e solidarietà tra confratelli

135 138 139

140

V

indiCe generale

Capitolo 6 L’ILLuMINISMO 6.1  La scienza nel Settecento approfondire 

I luoghi dell’Illuminismo 

6.2   La fiducia nella ragione e la critica alla religione tradizionale analizzare la fonte 

Ragionare con la propria testa  orientarsi tra i concetti  Illuminismo e religione 

144 147 148 149 151

6.3  La critica sociale e le nuove teorie economiche 

152

6.4  L’Illuminismo e la politica

155

6.5  I limiti dell’Illuminismo

156

Il laboratorio dello storico La critica ai poteri costituiti 

MAppA SINTESI

7.1  L’Inghilterra degli Hannover approfondire 

158 160 161

Capitolo 7 INghILTErrA, FrANcIA E pENISOLA IbErIcA: VEcchIE E NuOVE LIbErTà La libertà britannica  

7.2  La Francia di Luigi XV analizzare la fonte 

Il sogno di un futuro migliore 

7.3  Le riforme nella penisola iberica Il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento  

MAppA SINTESI

162 162 164 165 169 170 172 174 175

Inclusione Esclusione ceti, ordini, caste. I dislivelli di status sociale

176

Capitolo 8 IL DISpOTISMO ILLuMINATO

180

8.1  Il riformismo settecentesco analizzare la fonte 

La scienza della legge contro i soprusi  orientarsi tra i concetti  Gli ambiti di applicazione delle riforme settecentesche 

180 182 182

8.2   L’Austria: un caso esemplare di dispotismo illuminato

183

8.3  Dispotismi illuminati in Prussia, Svezia e Russia

190 192 193

approfondire 

Le spartizioni della Polonia  orientarsi tra i concetti  Le riforme del dispotismo illuminato  Il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato 

MAppA SINTESI

Inclusione Esclusione L’intolleranza religiosa. Emarginati per un credo diverso VI

144

194 196 197 198

indiCe generale

Capitolo 9 L’ITALIA DEL SETTEcENTO

202

9.1  La situazione politica

202

9.2  L’Illuminismo in Italia

205 206

analizzare la fonte 

Dell’inutilità della pena di morte 

9.3  I conflitti dei governi con la Chiesa approfondire 

Riforme e potere nello Stato e nella Chiesa  orientarsi tra i concetti  Cronologia dell’ordine della Compagnia di Gesù 

9.4   L’assolutismo illuminato nell’Italia del secondo Settecento  orientarsi tra i concetti 

Le riforme nell’Italia del Settecento 

208 209 210 211 213

intervista impossibile a cesare Beccaria

214

Il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte 

216

MAppA SINTESI

218 219

ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI L’Illuminismo tra filosofia e politica vERSOL’ESAmEDISTATO Analizzare i documenti per scrivere un saggio

220 226 232

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  La nascita dell’Occidente moderno 

238

seZIone 3

LE rIVOLuzIONI ATLANTIchE Capitolo 10 LA rIVOLuzIONE INDuSTrIALE 10.1  L’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale orientarsi tra i concetti 

Le cause della rivoluzione industriale 

10.2  La nascita del sistema industriale approfondire 

Il miracolo europeo  orientarsi tra i concetti  I settori di sviluppo della rivoluzione industriale  approfondire  La novità della macchina a vapore 

242 242 248 248 249 250 250

VII

indiCe generale

10.3   Il sistema di fabbrica e gli effetti sociali dell’industrializzazione analizzare la fonte 

La divisione del lavoro 

Il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale 

MAppA SINTESI

254 256 257

Capitolo 11 LA rIVOLuzIONE AMErIcANA E LA NAScITA DEgLI STATI uNITI 11.1  Le tredici colonie inglesi orientarsi tra i concetti 

Le colonie americane nel 1763 

258 258 261

11.2  Le cause del conflitto

262

11.3  La formazione di uno Stato nuovo

264 266 267

analizzare la fonte 

La Dichiarazione di indipendenza  orientarsi tra i concetti  I poteri nella Costituzione americana 

11.4  Luci e ombre della democrazia americana approfondire 

Un nemico fragile: i pellerossa 

Il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano 

MAppA SINTESI

Capitolo 12 LA rIVOLuzIONE FrANcESE (1789-1793) 12.1  Alle origini della Rivoluzione approfondire 

Il pensiero di Sieyès: che cos’è il Terzo stato?   orientarsi tra i concetti  Le origini della Rivoluzione 

12.2  L’inizio della Rivoluzione approfondire 

I sanculotti  analizzare la fonte  La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino 

269 270 272 274 275

276 276 278 280 281 282 283

12.3  La nascita dei club e la fuga del re

284

12.4  Dalla monarchia costituzionale alla repubblica

287 288 291

analizzare la fonte 

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina  orientarsi tra i concetti  Le assemblee della Rivoluzione  Il laboratorio dello storico Le lamentele del Terzo stato 

MAppA SINTESI

Inclusione Esclusione La democrazia. Il coinvolgimento attivo nella cittadinanza

VIII

251 252

292 294 295

296

indiCe generale

Capitolo 13 LA rIVOLuzIONE FrANcESE (1793-1799)

300

13.1   Le difficoltà della repubblica: la guerra, l’inflazione  e la reazione della Vandea

300

13.2  La svolta autoritaria del 1793

303

13.3  Dal Terrore al Consolato

305 306 308 309

approfondire 

Le Costituzioni della Rivoluzione  analizzare la fonte  Il Manifesto degli Eguali  approfondire  La campagna d’Egitto 

intervista impossibile a Maximilien robespierre

310

Il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari 

312

MAppA SINTESI

314 315

Inclusione Esclusione La cittadinanza asimmetrica. La nuova emarginazione delle donne ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI rivoluzioni economiche e rivoluzioni politiche vERSOL’ESAmEDISTATO Leggere e scrivere un articolo di giornale

316

320 326 332

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  Oltre la rivoluzione: continuità, mutamento, reazione 

338

seZIone 4

L’ETà NApOLEONIcA E LA rESTAurAzIONE Capitolo 14 LA pArAbOLA DI NApOLEONE 14.1   La fine della Repubblica francese e la nascita dell’Impero orientarsi tra i concetti 

L’ascesa di Napoleone 

14.2  Lo Stato napoleonico analizzare la fonte 

Un proclama di Napoleone 

342 342 344 345 346

IX

indiCe generale

14.3  La società napoleonica  approfondire  Vecchi e nuovi tiranni secondo Tocqueville 

14.4  La politica espansionistica orientarsi tra i concetti 

L’avventura napoleonica 

350 355

intervista impossibile a Napoleone Bonaparte

356

Il laboratorio dello storico La forza dell’ambizione: combattere per l’Impero  

358

MAppA SINTESI

360 361

Capitolo 15 L’ITALIA DI NApOLEONE 15.1  L’Italia delle “repubbliche sorelle” approfondire 

Il fallimento delle repubbliche: l’interpretazione di Vincenzo Cuoco 

362 362 367

15.2  L’Italia dei regni napoleonici

368

15.3   Lo Stato e la società italiani durante l’età napoleonica

371 372

analizzare la fonte 

Il diritto di famiglia nel Codice Napoleone 

Il laboratorio dello storico La rivoluzione passiva e la delusione dei patrioti 

MAppA SINTESI

377 379 380

Capitolo 16 L’EurOpA DALLA rESTAurAzIONE AL QuArANTOTTO

381

16.1  L’Europa della Restaurazione

381

16.2  I moti degli anni Venti e Trenta 

385

16.3  Il Quarantotto

389 391 395

analizzare la fonte 

Contro la repubblica borghese  orientarsi tra i concetti  Il Quarantotto in Francia, Austria e nell’area tedesca 

16.4  Il liberalismo e le sue complessità  analizzare la fonte 

Libertà e liberalismo secondo John Stuart Mill 

Il laboratorio dello storico I nuovi strumenti di libertà: libri, riviste, giornali 

MAppA SINTESI

X

348 348

396 397 398 400 401

Inclusione Esclusione Il corpo elettorale. La politica come partecipazione

402

ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Dopo la rivoluzione vERSOL’ESAmEDISTATO Scrivere un tema di argomento storico

406 410 416

indiCe generale

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  L’Italia nel mondo delle nazioni 

420

seZIone 5

IL rISOrgIMENTO E L’uNITà D’ITALIA Capitolo 17 IL rISOrgIMENTO ITALIANO (1815-1849) 17.1  L’Italia della Restaurazione e dei moti carbonari approfondire 

Ciro Menotti e il piano di Misley 

17.2  Le correnti politiche in Italia tra il 1830 e il 1848  approfondire 

Giuseppe Mazzini  orientarsi tra i concetti  Il dibattito risorgimentale  analizzare la fonte  Il papa, garante della nazione italiana 

17.3  Il Quarantotto italiano: il sogno della nazione analizzare la fonte 

Lo Statuto albertino  approfondire  Le Costituzioni italiane del Quarantotto  Il laboratorio dello storico L’Italia afflitta 

MAppA SINTESI

424 430 431 432 433 434 435 437 439 440 442 443

Capitolo 18 L’ITALIA uNITA 18.1  Verso l’unificazione approfondire 

424

Le città d’Italia prima dell’unità 

18.2  La prima fase dell’unificazione italiana analizzare la fonte 

Per un’Italia libera e rispettata 

18.3  Il completamento dell’unificazione

444 444 446 448 449

Il processo di unificazione  approfondire  Un eroe italiano: Giuseppe Garibaldi  orientarsi tra i concetti  L’unificazione italiana (1848-1870) 

451 451 453 457

intervista impossibile a giuseppe garibaldi

458

Il laboratorio dello storico La pittura del Risorgimento 

460

orientarsi tra i concetti 

MAppA SINTESI

462 463

XI

indiCe generale

Inclusione Esclusione risorgimento e classi subalterne. L’unificazione che non unisce ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI rileggere il risorgimento vERSOL’ESAmEDISTATO Laboratorio di scrittura storica

464

468 471 478

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  La nascita del mondo contemporaneo 

482

seZIone 6

IL MONDO NELL’OTTOcENTO Capitolo 19 LA NAScITA DI NuOVE NAzIONI IN AMErIcA E IN EurOpA 19.1  Il sogno di una nazione

486

19.2   La liberazione dal dominio coloniale nell’America centrale e meridionale

487

19.3   Le difficoltà delle nuove nazioni e il ruolo degli Stati Uniti

492 493 494

approfondire 

La “dottrina Monroe”  orientarsi tra i concetti  Il nazionalismo centro e sud-americano 

19.4   Le lotte per l’indipendenza nell’Europa dell’Ottocento orientarsi tra i concetti 

Il nazionalismo europeo 

19.5  Nazionalismo, romanticismo e modernizzazione  Il laboratorio dello storico La Grecia, simbolo del nazionalismo ottocentesco 

MAppA SINTESI

XII

486

494 495 498 501 503 504

indiCe generale

Capitolo 20 IL TrIONFO DELLA bOrghESIA 20.1   Il ruolo della borghesia nel nuovo mercato mondiale  analizzare la fonte 

La storia della borghesia  

20.2  Lo sviluppo industriale orientarsi tra i concetti 

505 505 507 509

  ’industrializzazione nel mondo occidentale  L alla fine del XIX secolo 

510

20.3  La classe operaia e la nascita del socialismo

514

20.4  I retaggi del passato

517

intervista impossibile a Karl Marx

520

Il laboratorio dello storico La nascita della città moderna 

522

MAppA SINTESI

524 525

Capitolo 21 IL DOMINIO DELL’OccIDENTE 21.1   Dal rispetto alla sopraffazione: la nuova identità degli europei approfondire 

Sinofobi e sinofili  orientarsi tra i concetti  L’orientalismo  analizzare la fonte  Razionalismo ed economia 

526 526 527 528 529

21.2  Il colonialismo ottocentesco

530

21.3  Gli imperi asiatici nel XIX secolo

534 534

approfondire 

Le guerre dell’oppio 

21.4  Gli Stati Uniti nell’Ottocento 



approfondire 

Il mito della frontiera e le guerre indiane  orientarsi tra i concetti  Gli Stati Uniti nel XIX secolo  Il laboratorio dello storico Rappresentazioni e stereotipi del colonialismo 

MAppA SINTESI

Inclusione Esclusione L’imperialismo ottocentesco. Il tentativo di cancellare il mondo non occidentale ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI Il nazionalismo nell’Ottocento vERSOL’ESAmEDISTATO prova d’esame

538 539 543 544 546 547

548

552 557 563

XIII

indiCe generale

nell’arena della storIa

a tu per tu con Marco Meriggi  Il declino delle società elitarie 

566

seZIone 7

ALLA FINE DEL SEcOLO Capitolo 22 LA pOLITIcA EurOpEA TrA IL 1850 E IL 1875 22.1  L’età del liberalismo classico 

570

22.2  L’unificazione nazionale tedesca

572 573

approfondire 

Il conflitto costituzionale in Prussia (1861-1866) 

22.3   La Francia da Napoleone III alla terza Repubblica analizzare la fonte 

La Comune, un modello di società socialista  orientarsi tra i concetti  La Francia dal secondo Impero alla terza Repubblica 

575 578 579

22.4   Austria-Ungheria e Russia: le difficoltà del liberalismo

580

22.5  L’Italia dopo l’unificazione

582 585

approfondire 

Il conflitto tra il “nuovo” Stato italiano e lo Stato pontificio 

intervista impossibile a otto von Bismarck

586

Il laboratorio dello storico Il brigantaggio: una guerra civile 

588

MAppA SINTESI

590 591

Capitolo 23 VErSO IL NOVEcENTO

592

23.1  Dal liberalismo alla democrazia

592

23.2   Le trasformazioni dell’economia: la seconda rivoluzione industriale

595

23.3   Le trasformazioni sociali: verso una società di massa

597 599 601

approfondire  approfondire 

Dai partiti dei notabili ai partiti di massa   La “grande trasformazione”: l’analisi di Karl Polanyi 

23.4  La politica in Europa tra il 1870 e il 1900 analizzare la fonte 

XIV

570

“J’accuse” di Émile Zola 

603 606

indiCe generale

23.5  L’Italia di fine secolo Il laboratorio dello storico L’allargamento del suffragio 

MAppA SINTESI

Inclusione Esclusione Il sogno della democrazia. L’ingresso delle masse nella vita pubblica

607 610 612 613

614

ESERCIZI ILDIBATTITODEGLISTORICI La grande trasformazione vERSOL’ESAmEDISTATO prova d’esame

618

Indice dei nomi Indice dei box lessico Indice delle carte

631

621 627

638 640

XV

introduzione alla storia moderna Dalla storia per il principe alla storia per i cittadini ogni generazione ripensa e riscrive la storia – il proprio passato – in ragione delle domande che il suo presente le impone. Questo significa anche che la storiografia non è una scienza neutra, dal momento che in ogni presente coesistono molti punti di vista diversi. tuttavia, a tutelare chi legge dalle possibili distorsioni provocate dalla soggettività di chi scrive c’è, se non altro, un insieme di regole dell’“arte” che ogni storico, qualunque sia la sua impostazione ideologica, è tenuto a mettere a profitto, se vuole risultare credibile. all’incirca un secolo e mezzo fa, quando la storia come materia di insegnamento fu per la prima volta sistematicamente inserita nei corsi universitari, il grande storico tedesco Leopold von Ranke affermò con fierezza che la vera ricerca storica era quella che si basava sull’analisi filologicamente sorvegliata dei documenti che le istituzioni pubbliche producevano e conservavano nei propri archivi; c’è da notare che quando ranke scriveva, solo da poco tempo quelle fonti documentarie erano divenute concretamente accessibili agli operatori del mestiere; prima, infatti, era previsto che i governi le tenessero accuratamente celate, alla stregua di segreti riservati a chi deteneva il potere. la nascita della moderna scienza storiografica, dunque, coincide con la liberalizzazione della vita pubblica che ha contraddistinto la civiltà europea ottocentesca. essa si è caratterizzata, a suo modo, come un esercizio di libertà: la libertà di conoscere «ciò che è esattamente accaduto», diceva ranke. in precedenza, a scrivere di storia erano soprattutto penne prezzolate dai regnanti; autori di apologie, più che appassionati investigatori della “verità”. l’apertura al pubblico degli archivi spalancava invece, improvvisamente, la porta alla ricerca libera e indipendente. il tempo dell’obbedienza e dell’acquiescenza alla volontà dei potenti pareva finito, tanto nella politica 2

quanto nell’esercizio di una professione la cui naturale committenza era ora costituita dalla domanda di verità e di informazione che proveniva dalla comunità dei cittadini.

La storia “moderna” il passaggio da una società contraddistinta dal segreto e dall’arbitrarietà del potere a una aperta alla partecipazione critica dei cittadini all’esercizio dello stesso rappresenta uno dei fili rossi del discorso sviluppato in questo volume, nel quale viene offerto un profilo che spazia fondamentalmente dalla metà del Seicento alla fine dell’Ottocento. Fino a qualche tempo fa l’ambito convenzionalmente attribuito alla storia moderna era quello racchiuso tra la scoperta dell’america (1492) e la fine dell’età napoleonica (1815). ora è invece invalsa una nuova periodizzazione, che è quella qui adottata e che riflette, almeno per alcuni aspetti, le acquisizioni della ricerca scientifica, che oggi sottolinea più di quanto non facesse in passato le continuità tra il medioevo e secoli come il Cinquecento

e il seicento, individuando invece sempre più in prossimità del settecento il momento di ingresso dell’Europa in un’epoca nuova e dunque “moderna”. in questo volume non si parla però solo di europa, si cerca invece di raccontare una storia che, in mancanza di definizioni più soddisfacenti, possiamo definire come storia globale. si tratta, però, naturalmente, di capire bene che cosa si vuole intendere evocando questo scenario.

Una storia “globale” Considerata da una prospettiva tradizionale, la vicenda storica prima europea e poi occidentale sembra dipanarsi in un disegno coerente e consequenziale, per culminare in fenomeni come la liberalizzazione e la secolarizzazione, caratteristici dell’ottocento. se si assume, come spesso è stato fatto dalla storiografia tradizionale, che la “superiorità” occidentale nei confronti del resto del mondo sia un dato, per così dire, “genetico”, il frutto obbligato di qualcosa che un poco sbrigativamente viene definito

come l’“identità” europea, si corre il rischio di comporre un quadro del passato sostanzialmente anacronistico. Per molto tempo, infatti, gli abitanti di quel piccolissimo continente che è l’Europa non furono e non si percepirono affatto come il centro del mondo. indubbiamente la scoperta dell’america e le esplorazioni oceaniche avevano proiettato gli europei al di là dei loro confini e li avevano posti nelle condizioni di organizzare una vasta rete di commerci transoceanici, ma, accanto a quello che immanuel Wallerstein ha definito il «sistema-mondo» dell’economia europea, nell’età moderna ve ne furono altri, anch’essi assai complessi e articolati, come quelli della Cina e dell’India. Quando gli europei osservavano le culture e le civiltà di quelle parti del mondo, a coglierli era spesso un sentimento di smarrimento e di ammirazione, piuttosto che una presunzione di superiorità. ancora: se l’asia orientale dei grandi imperi era lontana, a impedire che le potenze del vecchio continente nutrissero eccessive illusioni sulla propria supremazia mondiale c’era un’Asia più prossima, incarnata da un nemico “intimo” e ben conosciuto, l’Impero ottomano, i cui eserciti ancora a fine seicento furono in grado di presentarsi minacciosi alle porte di Vienna. Certo, si potrebbe obiettare, l’europa era più avanti sotto il profilo dello sviluppo di alcuni valori che siamo soliti collegare strettamente alla modernità; per esempio l’attitudine alla tolleranza, apparentemente il presupposto della democrazia pluralistica. in realtà, durante l’età moderna l’occidente cristiano non godette di alcun primato in proposito, al contrario: fino almeno all’età dell’illuminismo l’Europa fu il più intollerante dei continenti. negli stati dell’europa occidentale, infatti, da un lato non erano ammessi culti diversi da quelli cristiani, con la sola eccezione dello spazio marginale e segregato accordato alle comunità ebraiche, rinchiuse nei ghetti; dall’altro vigevano condizioni di intolleranza, a tratti ancora feroce, tra i cristiani stessi, anche se, 3

indubbiamente, dalla metà del seicento in avanti le ragioni della politica secolare ebbero sotto questo profilo maggior fortuna che in passato nell’imporsi sulle animosità di natura religiosa. Bastava invece varcare i confini dell’Impero ottomano per trovare un’atmosfera del tutto diversa. anche i califfi e le classi dirigenti islamiche erano attirati dalla politica di conquista territoriale e, anzi, la fede del Profeta prescriveva esplicitamente di assoggettare a regnanti musulmani i paesi le cui popolazioni praticassero una religione diversa dall’islam; ma una volta conquistato un territorio, la sublime Porta di istanbul non aveva alcuna pretesa di islamizzarlo a forza, a differenza di quello che era il costume delle monarchie cattoliche. l’impero ottomano era programmaticamente multireligioso e al suo interno convivevano gli aderenti a ognuna delle “fedi del libro” (l’islam, l’ebraismo, il cristianesimo). in un altro dei grandi imperi governati da una dinastia musulmana, quello indiano del Gran Moghul, poteva addirittura accadere che un imperatore particolarmente illuminato come Akbar organizzasse presso la sua corte incontri permanenti tra rappresentanti qualificati delle numerose religioni presenti nel suo regno, allo scopo di potenziare uno spirito di dialogo e di confronto. ancora, volgendo lo sguardo alla Cina si nota che qui era semplicemente inconcepibile pensare di governare un impero tanto composito facendo leva su principi di integralismo religioso, del resto di per sé concettualmente estranei alla tradizione religioso-filosofica di matrice buddista e confuciana. in breve, e calcando un po’ le tinte: se non si può dire che durante l’età moderna al di fuori dell’europa si fosse più liberi sotto il profilo politico, certamente si può invece affermare che appena lasciato il più piccolo dei continenti ci si imbatteva in situazioni contraddistinte da un accentuato pluralismo religioso ufficialmente tutelato dai poteri secolari. Veniamo ora, brevemente, al tema della scienza, un altro degli abituali “fiori all’occhiello” del supposto senso di superiorità europeo. È vero che, a partire dal Cinquecento, la sua pianta si sviluppò con vigore incomparabile – malgrado le limitazioni imposte alla libertà di ricerca dei poteri religiosi e in parte anche da quelli secolari, che spesso fungevano da braccio armato dei primi – soprattutto 4

in europa. ma è anche vero che fino a quel momento, tanto in campo propriamente scientifico quanto sotto il profilo delle applicazioni tecnologiche, il primato l’avevano avuto altre civiltà.

Il miracolo europeo l’età moderna fu certamente testimone dell’avvio di quel rimescolamento di carte su scala mondiale che lo storico eric l. Jones ha definito «il miracolo europeo», in base al quale tra il settecento e l’ottocento l’europa fu capace di mutare profondamente le proprie ideologie e le proprie strutture politiche, economiche e sociali, mentre le altre civiltà del mondo si muovevano a passo decisamente più lento. tuttavia, se si parla di “miracolo” è proprio perché le condizioni di partenza, tanto sotto il profilo del tasso di libertà offerto dalle istituzioni politiche quanto sotto quello dell’avanzamento della speculazione scientifica e dello sviluppo economico, non erano certo le migliori. Fino all’ottocento il mondo rimase di fatto decisamente policentrico. Questo volume non si sottrae alla tendenza a privilegiare, nella trattazione dei vari temi, un punto di osservazione soprattutto europeo, perché è quello con cui i suoi lettori e le sue lettrici hanno maggiore confidenza, ma il richiamo alla consa-

introduzione alla storia moderna

pevolezza della natura policentrica del mondo prima dell’età contemporanea vi risuonerà costante, e lo sguardo si soffermerà spesso sui fenomeni di intreccio e di contaminazione tra le varie culture e civiltà. a partire da questo impianto di tipo globalizzante, la lente di ingrandimento si poserà poi su un continente, l’europa, e su un paese in particolare, l’italia.

Le urgenze del presente e le storie “sorelle” abbiamo cercato di costruire un ritratto dell’età moderna tenendo conto delle urgenze geopolitiche che il mondo globalizzato, con le sue società multiculturali, oggi propone, ma non è solo una questione di mutati orizzonti spaziali quella che induce a ripensare, riscrivere, aggiornare. Per noi, alla storia soprattutto politica, diplomatica, militare, è divenuto da tempo abituale affiancarne altre, anche quando il discorso indugia sulla “vecchia” europa: la storia sociale, per esempio, che ha l’ambizione di narrare le sofferenze e le aspirazioni della gente comune, che un tempo non era soggetto di storia, e che viene invece oggi studiata, facendo uso di fonti documentarie congruenti all’obiettivo, allo scopo di scrivere una storia «più vasta e più uma-

na», come l’ha definita il grande studioso francese marc Bloch. Ciò che si è detto a proposito della storia sociale può essere proficuamente esteso a molti altri casi. ricorderemo almeno quelli della storia dei rapporti di genere (cioè l’interrelazione storica della sfera maschile e di quella femminile) e della storia dell’ambiente (ecostoria). si tratta di due modi di guardare alla vicenda storica che sono stati fortemente sollecitati dalle urgenze di un presente in trasformazione. l’emancipazione femminile, da un lato, è un fenomeno recente e realizzato in modo incompleto, comunque assai diseguale nelle varie parti del mondo; la percezione dell’importanza di un rapporto intelligente e lungimirante con la natura, d’altro canto, si è radicata nella coscienza comune anch’essa relativamente da poco, tra i mille ostacoli sollevati da alcuni interessi materiali che spingono in tutt’altra direzione all’interno della società globale, una società la cui sopravvivenza è oggi minacciata dalle modalità di sviluppo del sistema industriale planetario e dalle logiche che lo governano. si tratta di tematiche delle quali fino a una o a due generazioni fa sarebbe stato improbabile vedere descritti gli antefatti all’interno di un manuale di storia. oggi tacerne significherebbe raccontare una storia non solo incompleta, ma anche sfocata, fuorviante, ingannevole.

A che cosa “serve” la storia moderna? alla luce di quanto abbiamo suggerito, se dovessimo dare una breve risposta alla domanda: «a che cosa serve la storia moderna?», potremmo dire che oggi essa serve ad acquisire, oltre che conoscenze compiute, soprattutto una certa attitudine mentale: la capacità di andare al di là delle reazioni più banali e semplicistiche (e proprio per questo più pericolose) nel momento in cui si viene assediati dai tanti problemi del presente; l’attitudine a calarsi nelle ragioni dell’ “altro” e a sviluppare quella flessibilità mentale che è il presupposto della tolleranza e del pluralismo. Questo non significa rinunciare alle proprie ragioni, ma piuttosto mettersi in condizione di dialogare proficuamente con quelle degli altri. 5

SeZioNe 1

IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO a tu per tu con

Marco Meriggi

Nell’areNa della Storia

Stati e imperi alla fiNe del XVii Secolo Professore, questa è la prima intervista di quest’anno. Cerchiamo di riordinare un po’ le idee e di ricapitolare. L’anno passato abbiamo lasciato l’Europa, alla metà del Seicento, decisamente in condizioni precarie, dopo la Guerra dei trent’anni e dopo l’ondata di rivolte che negli anni Quaranta fece traballare le monarchie di Spagna, di Francia e d’Inghilterra. Nella seconda metà del secolo permane una situazione conflittuale? no. anzi, si può affermare che il conflitto permanente che era stato caratteristico della prima metà del secolo e che aveva fatto parlare di crisi, venga “disinnescato” quasi dappertutto. certo, con strumenti e con soluzioni molto diverse, al punto che forse è proprio questa l’epoca nella quale i vari paesi europei cominciano a differenziarsi in modo profondo l’uno rispetto all’altro. Dalla fine del Seicento in avanti l’europa ha due punti di riferimento nettamente antitetici: uno è la francia assolutista di luigi XiV, l’altro l’inghilterra costituzionale degli orange. prima di quell’epoca, invece, tra i due paesi c’erano più analogie che differenze.

Dalla fine Del Seicento l’europa ha Due punti Di riferimento nettamente antitetici: uno è la francia aSSolutiSta, l’altro l’inghilterra coStituzionale 6

In che cosa consistono ora, in particolare, queste differenze? E in relazione a quali vicende prende forma la contrapposizione alla quale ha accennato? ancora negli anni Quaranta del Seicento le due monarchie erano scosse entrambe da ribellioni che riproponevano un tema di fondo presente già nell’europa del medioevo e della prima età moderna: il conflitto tra la corona e i gruppi privilegiati (nobili, ecclesiastici, cittadini), decisi a frenare il potere dello

QualcoSa Di Simile all’entità che ci Siamo abituati a Definire “nazione” eSiSte, nel Seicento, Solo in europa. i granDi imperi rappreSentano inVece la norma fuori Dall’europa

Stato e le sue pretese di supremazia; ma l’esito del conflitto, nella seconda parte del secolo, si presenta opposto. in francia, infatti, il prolungato braccio di ferro si chiude con la vittoria del re. luigi XiV, una volta rinsaldata la propria posizione, nel corso del suo lungo regno costruisce man mano una forma di Stato che è in grado di comprimere efficacemente i poteri locali e di indebolire l’influenza dell’aristocrazia e del clero. il comando si concentra sempre più nelle mani della corona. in inghilterra, viceversa, malgrado la restaurazione monarchica seguita alla fine della repubblica, il parlamento continua a mantenere una posizione nevralgica e, quando la dinastia regnante sembra minacciare un tentativo di ritorno al passato, i parlamentari non esitano ad allontanarla dal paese e a rinforzare ulteriormente le proprie prerogative. così, alla fine del Seicento, se in francia il potere del re viene definito come assoluto, al di là della manica a dettare le leggi è ormai il parlamento; un parlamento formato non solo da aristocratici ed ecclesiastici, ma anche da esponenti della borghesia di londra e delle province, eletti da una parte, per quanto ristretta, della popolazione. in francia si è sempre più sudditi. in inghilterra sempre più cittadini.

E nel resto d’Europa, nel frattempo, che cosa succede? Per esempio, che cosa accade nel regno spagnolo, che nei secoli precedenti aveva assunto un ruolo così significativo? in Spagna non si sviluppa né un vero assolutismo, come quello francese, né un parlamentarismo moderno, come quello inglese. la situazione, tanto nella penisola iberica quanto nei molti domini che la corona di Spagna conserva in europa e oltremare, si presenta dunque in stallo. continua, insomma, il modo tradizionale di governo, basato su un bilanciamento tra il potere dello Stato e quello dei ceti, che rappresentano i vari territori. Questo immobilismo indubbiamente non giova alla prosperità del paese, che perde progressivamente lo status di principale potenza coloniale del continente, di cui aveva fruito dalla fine del Quattrocen-

to all’inizio del Seicento. certo, l’impero coloniale spagnolo non crolla, e rimane – quanto a superficie – il più vasto tra quelli europei; però, a trarre i maggiori profitti dai rispettivi possedimenti coloniali sparsi tra america e asia sono ora le potenze emergenti su scala mondiale: l’inghilterra e la francia sono i paesi incamminati verso il futuro, mentre in Spagna va in scena una stanca replica del passato.

Abbiamo toccato il tema delle colonie, proiettandoci in questo modo fuori dall’Europa. Quali nazioni, oltre a quelle europee, svolgono una funzione importante in quest’epoca? nazioni? Dobbiamo piuttosto dire “imperi”, ovvero complesse costruzioni politiche che combinano al proprio interno elementi etnici, territoriali, religiosi, linguistici eterogenei, accordando a ciascun elemento un notevole margine di autonomia rispetto all’autorità del centro, che si esercita dalla capitale. Qualcosa di simile all’entità che ci siamo abituati a definire “nazione” esiste, nel Seicento, solo in europa, e anche qui non dappertutto (pensiamo, per esempio, all’impero degli asburgo di Vienna, che è policentrico, multietnico, multilinguistico). i grandi imperi – quello ottomano, quello persiano safavide, quello indiano del gran moghul, quello cinese dei Q’ing, quello giapponese dei tokugawa – rappresentano invece la norma fuori dall’europa, seppure anche all’interno di essi si comincino a intravedere tendenze alla concentrazione del potere vagamente paragonabili a quelle in atto nella francia di luigi XiV.

Quale rapporto hanno gli Stati europei dell’epoca con questi grandi imperi asiatici? essi sono in contatto soprattutto con l’impero ottomano, con il quale condividono il mediterraneo. nell’asia centrale gli europei più che altro transitano, e in quella orientale, pur disponendo di alcune postazioni significative a fini commerciali, le potenze europee non sono che alcune delle componenti di una galassia illuminata soprattutto dalla luce dei grandi imperi locali e delle loro variegate culture. 7

SeZioNe 1

IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Capitolo 1 Verso un mondo globale?

p. 10

Verso le Competenze

p. 39

• il laboratorio dello storico La cina nell’immaginario seicentesco p. 34

inclusione/esclusione

Il sistema mondo

Capitolo 2 La Francia del re Sole

p. 42

Intervista impossibile a Luigi XIV

p. 54

• il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte p. 56 • il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione p. 72

Capitolo 3 L’Europa tra assolutismo e libertà p. 60 inclusione/esclusione

Il potere nell’antico regime

• il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili p. 96

p. 77

Capitolo 4 Cento anni di guerra (1652-1763) p. 80

IL DIBATTITO DEGLI STORICI

inclusione/esclusione Armati e disarmati

EsErcizi

p. 104

1660

storia mondiale

1670

8

1680

1690

1661 - Luigi XIV assume la piena sovranità sul Regno di Francia

1689 - Pietro I il Grande zar di Russia

1675 - Muore Carlo Emanuele II di Savoia, gli subentra Vittorio Amedeo II

1662 - A Londra viene fondata la Royal Society

1700

1688 - Gloriosa rivoluzione inglese

1667-1668 - Guerra di devoluzione: Francia contro Paesi Bassi

storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura

VERSO L’ESAME DI STATO

p. 101

p. 109 p. 116

1685 - La Repubblica di Venezia sia allea con Austria e Polonia contro i Turchi

1675 - In Inghilterra viene costruito l’osservatorio di Greenwich 1669 - Inizia la costruzione della reggia di Versailles

1701-1714 Guerra di successione spagnola

1682 - Isaac Newton enuncia la legge della gravitazione universale

1694 - L’Accademia di Francia pubblica il primo dizionario della lingua francese 1703 - Pietro I il Grande fonda San Pietroburgo

obIettIVI dI apprendImento conoscenze • Le principali realtà politiche dell’Asia e dell’Africa nel Seicento • Le trasformazioni politiche e istituzionali degli Stati europei e in particolare l’affermazione dell’assolutismo in Francia e del costituzionalismo in Inghilterra • I conflitti tra gli Stati europei per il dominio nel continente e nel mondo e il nuovo carattere della guerra abilità • comprendere le interconnessioni tra le diverse parti del mondo conosciuto in età moderna • Saper stabilire relazioni causa-effetto tra eventi storici e trasformazioni istituzionali • Saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni storici GlI eVentI e I lUoGHI Nell’America settentrionale l’Inghilterra conquista nuove terre e inizia la costruzione del proprio impero coloniale

L’Europa è divisa in una moltitudine di domini territoriali nelle mani di grandi dinastie. La Francia di Luigi XIV si afferma come primo regno assolutista, mentre l’Inghilterra si avvia al costituzionalismo

In Medio Oriente, al declino dell’Impero ottomano, corrisponde l’ascesa dell’Impero safavide

In Giappone l’impero Tokugawa unifica parte del territorio

In Africa, accanto ad alcuni Stati territoriali, permane una divisione tribale. Il territorio è battuto dagli europei in cerca di schiavi Nell’America del Sud inizia la fase di declino delle potenze iberiche

1710

In India si afferma il dominio dei Moghul

1720

1730

In Cina la dinastia dei Ming prende il potere

1740

1713 - Federico Guglielmo I re di Prussia 1733-1738 - Guerra di successione polacca

1714 - Gli Hannover sul trono di Inghilterra

1740 - Maria Teresa imperatrice d’Austria

1715 - Sul trono di Francia a Luigi XIV succede Luigi XV

1720 - Il Ducato di Milano e i Regni di Napoli e di Sicilia passano agli Asburgo di Vienna

1712 - Newcomen inaugura la prima macchina a vapore

1750

1760 1756-1763 - Guerra dei sette anni

1748 - Pace di Aquisgrana (fine della Guerra di successione austriaca)

1735 - Con la pace di Aquisgrana Napoli e Sicilia passano sotto il controllo dei Borbone di Spagna 1737 - Fine della dinastia dei Medici. La Toscana sotto Francesco I di Lorena

1725 - Giovan Battista Vico pubblica La scienza nuova

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Capitolo 1

Verso un mondo globale?

1.1  Il mondo conosciuto nel Seicento   Quattro continenti collegati

LESSICO Australia Il nome deriva dalla frase latina terra australis incognita con cui nelle mappe della prima età moderna si indicava un continente sconosciuto. Fu l’olandese Willem Janszoon, nel 1606, ad avvistare per primo parte della costa australiana, ma la terra rimase a lungo inesplorata.

Pieter Paul Rubens, I quattro continenti, 1614 circa (Vienna, Kunsthistorisches Museum). In questo dipinto allegorico il pittore fiammingo Rubens raffigura i continenti conosciuti nel Seicento

Le quattro ragazze, che rappresentano i continenti, sono abbracciate da uomini che personificano i fiumi più importanti L’Europa è tra le braccia del fiume Danubio La nera Africa è tra le braccia del fertile Nilo (si noti la corona di spighe); alle loro spalle compare un coccodrillo

L’America compare sullo sfondo di una natura lussureggiante accanto al Rio delle Amazzoni L’Asia si accompagna con il nerboruto Gange e una tigre che allatta i suoi piccoli

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Fin dall’antichità gli europei erano entrati in contatto con il mondo asiatico e africano, anche se di fatto ne avevano conosciuto quasi esclusivamente le regioni costiere. l’America, invece, era diventata meta di esplorazioni da parte degli europei a partire dalla fine del Quattrocento. essi si erano diretti dapprima verso l’america centrale e meridionale; in seguito, e con notevole intensificazione durante la parte iniziale del seicento, si spinsero anche nell’america del nord. alla metà del Seicento, quindi, molte delle terre emerse sulla superficie del globo terrestre risultavano variamente collegate l’una all’altra da una pluralità di intrecci e di flussi di natura politica o commerciale. Rimaneva isolata dal resto del mondo conosciuto soltanto l’Oceania, dove i primi esploratori olandesi erano giunti nel XVII secolo (nel 1606 in Australia, nel 1642 in Nuova Zelanda), senza però che alla scoperta facesse seguito alcun tentativo di promuovere contatti stabili (soltanto nel 1770 James Cook prenderà possesso della costa orientale dell’australia per conto dell’Inghilterra, che la trasformerà inizialmente in una colonia penale).

Il mondo conosciuto dagli europei a metà del Seicento

IMPERO RUSSO EUROPA

ASIA IMPERO OTTOMANO IMPERO IMPERO PERSIANO CINESE SAFAVIDE IMPERO DEI MOGHUL AFRICA

AMERICA Colonie francesi DEL NORD e inglesi Domini spagnoli

REGNI AFRICANI

oceano Pacifico Domini spagnoli

Domini portoghesi

AMERICA DEL SUD

Mondo conosciuto

Basi mercantili europee

Domini spagnoli

Domini olandesi

Domini Domini portoghesi portoghesi

oceano Atlantico

IMPERO GIAPPONESE oceano Pacifico

oceano Indiano

AUSTRALIA

Domini spagnoli

Terre da esplorare Principali direttrici dell’espansione europea

  I diversi modi della presenza europea

osservando una carta geopolitica dell’epoca (v. p. 12) ci si può rendere conto della distribuzione su più continenti dei possedimenti di molti Stati europei. la natura degli insediamenti variava, però, sensibilmente a seconda dei luoghi. nell’America centrale e meridionale si trattava di un vero e proprio dominio politico-territoriale, disteso dall’atlantico al Pacifico. nell’America del Nord, viceversa, i coloni europei occupavano solo alcune strisce di territorio, sparse a macchia di leopardo lungo la costa atlantica. In Asia, in larghissima parte dominata da poteri autoctoni, i coloni se ne stavano isolati in alcuni insediamenti costieri: erano frammenti d’europa appena poco più significativi, sotto il profilo della loro estensione, delle rade fortificazioni d’appoggio di cui soprattutto i portoghesi (ma in seguito anche inglesi, francesi, olandesi) si servivano, lungo tutta la costa africana, per gestire un commercio che consisteva essenzialmente in avorio e in schiavi, destinati alle grandi piantagioni americane di zucchero, di cotone e successivamente anche di caffè. sotto l’effettivo dominio spagnolo si trovavano invece le Filippine, così come l’isola di Ceylon e parte dell’Indonesia e degli arcipelaghi sud-orientali erano assoggettati al dominio olandese. di un vero e prorpio impero, dunque, si poteva allora parlare essenzialmente a proposito dei domini americani della spagna e del Portogallo e di quelli olandesi nell’asia del sud. I restanti insediamenti europei fuori dal continente erano assai più circoscritti. 11

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

La tipica struttura di una piantagione europea in America settentrionale, con la casa padronale sulla cima della collina, in posizione dominante, le baracche per gli schiavi, la chiesa accanto ai magazzini delle merci e le navi pronte per il trasporto

  La mobilità attraverso i continenti: una peculiarità europea

nei movimenti transcontinentali oltre agli europei erano coinvolti anche gli africani trasmigrati in America. Tuttavia mentre i primi, il cui numero all’inizio del seicento non superava il milione di unità, si erano recati altrove per lo più di loro volontà, i secondi, che tra il Cinquecento e l’inizio dell’ottocento raggiunsero i dieci milioni, furono strappati a viva forza dal continente in cui erano nati. a differenza di quella europea, non vi fu quindi un’emigrazione africana spontanea. anzi, per certi versi, il flusso di africani verso l’america può essere considerato come un effetto secondario dell’emigrazione transcontinentale europea. Dall’Asia, invece, fondamentalmente non partiva alcun movimento migratorio. I domini europei a metà del Seicento RUSSIA GRAN BRETAGNA

CANADA

OLANDA

FRANCIA LOUISIANA PENNSYLVANIA PORTOGALLO SPAGNA CONNECTICUT VIRGINIA CALIFORNIA oceano Atlantico MESSICO

ARABIA Bombay Goa Mangalore

GUIANA

GIAPPONE

CINA

PERSIA

Chandernagor Macao Calcutta Madras Pondichéry Ceylon

oceano Pacifico FILIPPINE

BORNEO MOLUCCHE

oceano Pacifico

L’America spagnola era divisa in due vicereami: la Nuova Spagna in America centrale (con sede a Città del Messico); la Nuova Castiglia in Perú e Cile (con sede a Lima)

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PERÚ BRASILE

NUOVA GUINEA ISOLE DELLA SONDA

oceano Indiano CILE

Possedimenti spagnoli

I domini inglesi, sparsi lungo la costa atlantica, erano di natura diversa: vi erano colonie regie (come la Virginia), colonie fondate da dissidenti religiosi (come la Pennsylvania), colonie fondate da compagnie commerciali (come il Connecticut)

Possedimenti portoghesi Possedimenti olandesi Possedimenti francesi Possedimenti inglesi

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

Vi era soltanto una circolazione intercontinentale tra le varie parti dell’Impero ottomano e di quello russo, oltre ai traffici commerciali tra la sponda asiatica e quella africana dell’oceano Indiano. la civiltà europea era quindi «l’unica da cui partivano viaggiatori diretti in tutto il mondo ed essa accumulò un sapere imponente riguardante le lingue, le religioni, i costumi e le costituzioni politiche degli altri popoli» (J. osterhammel - n.P. Petersson). ma quel sapere si venne sedimentando in modo graduale e a lungo interessò sezioni ristrettissime della popolazione europea. lo costruirono in prima battuta gli avventurieri e i mercanti; poi i missionari, che regolarmente seguirono i primi a distanza di breve tempo, con l’intenzione di esportare il cristianesimo (nella grande maggioranza dei casi nella sua versione cattolica) che, nato in oriente, a partire dal medioevo era divenuto la religione unitaria di larga parte d’europa.   Il quadro demografico 

all’inizio del Seicento l’intera popolazione mondiale ammontava a forse 550 milioni di unità e l’Asia, dove ne vivevano 330 milioni, risultava il continente di gran lunga più popolato, anche se le sue concentrazioni umane erano distribuite in maniera assai diseguale. la russia asiatica, con le sue grandi steppe che si spingevano fino alla siberia, era sostanzialmente disabitata. l’Impero ottomano contava su appena 28 milioni di abitanti, malgrado la sua superficie, estesa sui tre continenti della vecchia ecumene, fosse assai vasta. a fornire i grandi numeri del primato demografico asiatico erano soprattutto la Cina e l’India. la prima contava circa 160 milioni di abitanti (vale a dire, oltre una volta e mezzo l’intera popolazione europea), destinati a salire a circa 200 milioni alla metà del settecento. la seconda la seguiva a una certa distanza: 130 milioni di abitanti nel 1600, che sarebbero saliti a 160 milioni soltanto cento anni più tardi. sommate insieme, le popolazioni dell’Europa, della Cina e dell’India costituivano quasi i tre quarti dell’umanità. e, tuttavia, pur provenendo da un continente piuttosto densamente popolato, gli europei che si affacciavano alle porte delle due grandi civiltà orientali dovevano sentirsi come gocce d’acqua in un oceano.

Una carta nautica dell’India risalente al XVII secolo

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

1.2  L’Asia tra XVI e XVIII secolo   L’Asia degli imperi  MEMO Le prime basi commerciali in Asia erano state create alla fine del Quattrocento dai portoghesi. A esse si affiancarono, verso la fine del Cinquecento, le basi olandesi che formarono un impero marittimo esteso fino al Giappone. Gli inglesi invece, fondarono le prime basi commerciali in India nel corso del Seicento.

LESSICO Veda I Veda (dalla radice sanscrita vid che significa “sapere”) sono un’antichissima raccolta di opere sacre di estrema importanza presso la religione induista. Si ritiene che siano il testo sacro più antico che sia pervenuto ai giorni nostri.

diversamente da molte parti dell’africa, il continente asiatico rappresentava per gli europei una vecchia, plurimillenaria conoscenza, che la stagione cinquecentesca delle esplorazioni, e il successivo allestimento della rete di postazioni commerciali o coloniali (nel subcontinente indiano, nella malacca, nell’Indonesia, nelle Filippine e persino in singoli punti delle coste cinesi e giapponesi) consentirono di ravvivare ed estendere. l’Asia era contraddistinta da una babele di civiltà, religioni, lingue diverse, e ospitava culture che avevano alle spalle una straordinaria tradizione artistica, letteraria e scientifica. I Veda (1500 a.C.), ovvero i testi che rappresentano il lontano retroterra dell’induismo, sono probabilmente il più antico monumento della letteratura mondiale. Piuttosto che a stati nazionali, che a partire dal tardo Quattrocento avevano cominciato a imporsi come modelli emergenti dell’organizzazione politica europea, l’asia affidava le sue sorti prevalentemente a imperi, spesso di natura plurietnica e plurireligiosa, tra i quali si ripartiva gran parte della superficie del continente. nelle pagine che seguono ne prenderemo brevemente in esame i cinque maggiori (trascurando la porzione asiatica dell’Impero russo): quelli mediorientali ottomano e safavide (Persia), quello indiano del Gran Moghul (anch’esso, come i primi due, governato da dinastie di religione islamica), quello cinese e quello giapponese.

L’Asia tra XVI e XVII secolo

IMPERO RUSSO

IMPERO OTTOMANO

IMPERO CINESE GIAPPONE

IMPERO SAFAVIDE

oceano Pacifico

IMPERO MOGHUL

Impero ottomano (domini e Stati vassalli)

Impero russo

Estensione al 1512

Conquiste fino al 1689

Estensione al 1534

Selim I 1512-1520 Solimano il Magnifico 1520-1566 Conquiste dal 1566 al 1683

oceano Indiano

o co

Impero Moghul Estensione al 1530

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Impero cinese Territorio dei Manciù (Ch’ing) Conquiste fino al 1644 Conquiste dal 1644 al 1799 Grande muraglia

Conquiste fino al 1605

Impero safavide

Conquiste fino al 1707

Giappone

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

Scena di vita a Costantinopoli, illustrazione, XVII secolo

  Il declino dell’Impero ottomano 

Il cuore pulsante dell’Impero ottomano, ben radicato nel seicento anche in europa e in africa, era in asia, ovvero in quella parte del continente affacciata sul Mediterraneo (l’antica asia minore, il nostro odierno medio oriente), che spaziava dalla siria al Caucaso, proiettandosi all’indietro verso l’arabia occidentale e – nell’asia continentale – fino ai confini dell’Impero persiano safavide. Tra Sei e Settecento il complesso edificio territoriale, che aveva raggiunto il massimo della sua estensione nel cuore del Cinquecento, ai tempi di Solimano il Magnifico, perse costantemente compattezza: le sue periferie territoriali divennero sempre più indipendenti e la qualità del ceto politico insediato a Istanbul peggiorò drasticamente, dopo che al tradizionale sistema di successione al trono basato sulla selezione, condotta senza esclusione di colpi, del più capace e determinato tra i figli del sultano, subentrò il cosiddetto “seniorato”, ovvero la consuetudine di far succedere al regnante defunto il più anziano tra i suoi fratelli. Il vecchio sistema, infatti, per quanto crudele (diventava sultano chi riusciva a sconfiggere, spesso uccidendoli, i suoi fratelli, ovvero i rivali nella lotta per la discendenza) aveva garantito l’ascesa al trono di giovani che, avendo speso parte della loro esistenza temprandosi quotidianamente nell’esercizio di governare una provincia, erano stati adeguatamente preparati al comando supremo. Il nuovo sistema favorì invece la trasmissione del potere a cortigiani del tutto digiuni di formazione militare, abituati com’erano all’oziosa vita di palazzo. al declino della qualità e del prestigio dei sultani, ormai corrotti, sempre meno rispettati e sempre più spesso in balia degli umori dei giannizzeri (il corpo di soldati scelti islamici al servizio del sultano), pronti a deporne uno sgradito per sostituirlo con un altro, fece riscontro la crescita del potere degli ulema, i giuristi deputati a interpretare e ad amministrare la shar’ia, la legge islamica. ne derivò, visto il conservatorismo della maggior parte di questi ultimi, una chiusura della cultura ottomana al confronto con le altre, che comportò, in particolare, una preclusione verso le innovazioni scientifiche e tecnologiche, che andava in netta controtendenza rispetto all’apertura mentale e alla ricettività che aveva contraddistinto le fasi precedenti della civiltà ottomana.

MEMO Solimano il Magnifico, sultano dal 1520, aveva portato l’Impero ottomano alla sua massima espansione. Consolidò il dominio sulla Serbia e su quasi tutta l’Ungheria; conquistò l’egemonia nel Mediterraneo, occupando Rodi e controllando gran parte delle coste africane.

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  L’ascesa dell’Impero safavide in Persia

MEMO La principale divisione del mondo islamico, la divisione tra sciiti e sunniti, risaliva ai contrasti sorti all’epoca del califfato elettivo. Gli sciiti fanno riferimento unicamente all’interpretazione del Corano data dall’imam. I sunniti rivendicano, accanto al Corano, l’importanza della sunna (raccolta di insegnamenti di Maometto).

governato da una dinastia sciita, che si contrapponeva, dunque, per motivi religiosi, oltre che politici, ai sultani sunniti di Istanbul, dal tardo Quattrocento l’Impero persiano safavide contendeva a quello ottomano il possesso dei territori distesi tra il Caucaso e il golfo Persico. sotto lo shah (imperatore e capo spirituale) Abbas il Grande, che regnò tra il 1587 e il 1629, l’Impero safavide raggiunse il massimo del suo splendore, strappando a quello ottomano i territori caucasici dell’azerbaigian, del daghestan, della georgia e assorbendo per qualche decennio anche l’Iraq. alla raffinatezza di alcuni centri urbani (tra i quali la nuova capitale, Isfahan) e allo sviluppo tanto di un’agricoltura favorita da grandi reti artificiali di irrigazione quanto di un’attività manifatturiera specializzata nel settore tessile (sete e tappeti) si contrapponeva in gran parte dell’Impero degli shah la natura nomade e pastorale di una porzione rilevante della popolazione. nel 1722 la dinastia safavide venne abbattuta da un conquistatore afgano, lo stesso nadir shah che un quindicennio più tardi saccheggiò delhi, la capitale dell’India moghul, e che fondò una nuova potente casa regnante i cui domini comprendevano anche l’afghanistan.   L’India: la nascita e il declino dell’Impero del Gran Moghul

le innumerevoli varietà presenti in un paese grande quanto un continente e contraddistinto dalla scarsezza di fiumi navigabili e da una spiccatissima frammentazione geografica e politico-istituzionale dovrebbero indurre a parlare non di India ma di Indie, al plurale.

1504

K Pa

Kabul

h ss Pe ayba o sh r aw a

r

L’Impero Moghul (1526-1707) KASHMIR

Lahore SIKH

PUNJAB

U

M A

Panipat

Multan

T CIS

I

1523

1526, 1556

ANdo

BEL

TIBET

Srinagar H

AFGHANISTAN Kandahar 1516-17

Gilgit

In

Delhi Fetehpur Agra Khanua

Mathura

SIND

RAJPUT

Vassalli di Akbar

oceano Indiano

na

Goa

BIDAR

BIHAR ASSAM

Patna

BENGALA

Bengala

GO

Vijayanagar

IMPERO DI VIJAYANAGAR Mangalore

distrutto nel 1565 Pulicat

Colonie francesi

Calicut Cochin

Madras Sadras Pondichéry eri Tranquebar Mandurai Negapatam Kav

POLYGAR CEYLON

Colombo

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A

Gange

L

Krish

Colonie britanniche

Colonie portoghesi

Brahmaput

Calcutta Cambay Burhanpur Surat GONDWANA Diu ORISSA Damão Bassein AHMADNAGAR G oda Bombay A Aurangabad vari ND golfo del Puna Golconda CO

GUJARAT

L’Impero alla morte di Akbar, 1605

Colonie olandesi

ra

ra

Y

Hughly Chandernagor Srirampur

Narba

L’Impero di Akbar nel 1561

Colonie danesi

Gog

Allahabad MALWA Chanderi Ahmadabad da

Conquiste fino alla fine del XVII secolo

A

1527

Tatta

Campagne di Baber, fondatore dell’Impero moghul

L

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

l’unificazione tra la vasta area solcata dal gange e dall’Indo e le zone meridionali del subcontinente indiano riuscì parzialmente ad Aurangzeb (1658-1707), sovrano dell’Impero del Gran Moghul (così chiamato perché la dinastia regnante aveva una lontana ascendenza mongola). ma la sua fortuna non era destinata a durare a lungo. già nei primi decenni del settecento, infatti, si dispiegò con successo la controffensiva dei Maratha, i signori della guerra che da secoli esercitavano la supremazia territoriale su vaste porzioni del deccan. e nel 1736 dehli, la capitale moghul, venne assediata e saccheggiata da Nadir Shah, al quale i sovrani indiani dovettero cedere tutta l’area nord-occidentale dell’impero, che entrò a far parte, come abbiamo appena visto, di quello persiano. l’Impero Moghul, che aveva rimpiazzato il preesistente sultanato di dehli, era stato fondato nel 1526 da un condottiero musulmano proveniente dall’afghanistan, Baber, il quale aveva edificato in pochi anni un dominio unitario che si estendeva dai confini meridionali dell’Impero persiano safavide fino a benares. Il suo successore, Akbar il Grande (1556-1605), aveva dato in seguito lineamenti stabili al sistema di governo, riuscendo felicemente a integrare nei ranghi della burocrazia e dell’esercito, ricoperti inizialmente dai conquistatori, anche l’aristocrazia locale indù, composta dai cosiddetti Rajput, capi di famiglie nobiliari e principesche il cui prestigio si distribuiva lungo una scala gerarchica scandita in trentatre gradi diversi. Inoltre, i regnanti musulmani rinunciarono a riscuotere la tassa sugli “infedeli”, che abitualmente costituiva una delle entrate basilari delle finanze degli stati islamici.

Il sovrano Aurangzeb a cavallo con due accompagnatori, miniatura, fine del XVII secolo

  La coesistenza religiosa e culturale 

akbar fu fautore di uno spirito di tolleranza religiosa che lo spinse a favorire presso la propria corte la formazione di un cenacolo intellettuale composto da dotti appartenenti a tutte le fedi professate in India, inclusi alcuni missionari cristiani. I suoi successori furono così in grado di garantire una coesistenza relativamente pacifica tra musulmani (un quarto circa della popolazione indiana in questi secoli) e indù, all’interno di una società sulle cui strutture sociali la carica tendenzialmente livellatrice ed egualitaria caratteristica dell’islam poté tuttavia incidere solo in maniera superficiale: non solo nelle decine, se non centinaia, di principati, tanto indù quanto musulmani, i cui rajah o sultani, pur riconoscendo teoricamente la supremazia degli imperatori di delhi, anche al momento dell’apogeo moghul sotto aurangzeb riuscirono a mantenersi sostanzialmente indipendenti, ma anche nei territori direttamente governati dai discendenti di baber.

LESSICO Rajah Termine indi che significa re. È il titolo attribuito ai principi induisti indiani. Due miniature dell’epoca dell’Impero del Gran Moghul. A sinistra, l’imperatore Akbar presiede un dibattito religioso alla casa del culto di Fathpur Sikri, a cui partecipano anche due gesuiti (a sinistra); a destra, l’imperatore Aurangzeb circondato dalla sua corte

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  Il sistema delle caste tra ordine sacro e ordine sociale

LESSICO Sikh Dal sanscrito “discepoli”, i sikh sono una setta religiosa nata nell’India settentrionale nel XVI secolo come tentativo di fondere induismo e islamismo. Dal primo presero la dottrina dell’incarnazione, dal secondo il rifiuto del sistema delle caste. Oggi esistono oltre 23 milioni di sikh, soprattutto nella regione del Punjab dove essi tennero il potere per circa un secolo, dalla metà del Settecento fino all’annessione britannica nel 1849.

Più che dai vari poteri statali o imperiali, gli indiani continuarono a essere governati essenzialmente dal sistema delle caste, un dispositivo di differenziazione sociale e di ferrea regolamentazione dei rapporti interpersonali che si presentava assai più rigido di quello europeo dei ceti. esso costituiva un’emanazione della religiosità di matrice induista, ma finiva per coinvolgere, nei suoi effetti pratici, anche il più vasto mondo di quanti non si riconoscevano in una delle molteplici varianti dell’induismo: musulmani, jainisti, sikh, buddisti e anche cristiani, soprattutto nelle zone prossime alle postazioni coloniali europee dove cominciava ad avere qualche successo l’opera di evangelizzazione. Quella delineata dalle caste era una gerarchia che dava luogo a un’organizzazione sacrale e rituale della società. essa collegava strettamente la transitorietà della vita terrena all’idea dell’immutabilità di un supremo ordine cosmico del quale le singole esistenze individuali, soggette al ciclo della metempsicosi, ovvero delle reincarnazioni successive in una condizione di volta in volta diversa, non costituivano altro che un pallido, insignificante riflesso. In omaggio a questa visione, la società indiana era basata su quella stessa divisione tra puro e impuro – principi antitetici ma anche complementari – che alimentava il ciclo cosmico, ed era organizzata in modo tale da impedire la contaminazione tra questi due elementi, imponendo nella vita quotidiana una rigida separazione tra i quattro varna (colori) che del puro e dell’impuro rappresentavano una sorta di rispecchiamento tra gli esseri umani. all’interno dei varna si distribuivano migliaia di jati (caste), ciascuna corrispondente a una funzione professionale; tutte indispensabili alla riproduzione della società, ma ognuna contraddistinta da un differente tasso di purezza o impurità relativa. Dalla casta di nascita, in linea di principio, non si poteva uscire e i matrimoni “diseguali” venivano considerati poco meno che sacrileghi.   Dentro e fuori le caste

brahmani governanti e guerrieri mercanti contadini

al vertice del sistema basato sui varna stavano i brahmani (o bramini), ovvero gli specialisti della ritualità religiosa; seguivano i governanti/guerrieri, i mercanti, i contadini. Al di fuori dei varna (e dunque delle caste) si collocava infine il variegato universo dei paria (gli “intoccabili”), ovvero di coloro che, durante il tempo della loro transitoria incarnazione, si trovavano a esercitare, per nascita, attività ritenute talmente impure da precludere loro qualsiasi forma anche indiretta di contatto con gli appartenenti all’una o all’altra casta. In certe regioni dell’India i paria erano tenuti ad annunciare con urla il loro passaggio lungo la strada, perché anche semplicemente posare lo sguardo su di loro veniva considerato causa di contaminazione (v. Ceti, ordini, caste, p. 177). Quella indiana era una società drammaticamente chiusa, che tendeva a riprodurre sistematicamente le proprie strutture basate sulla disuguaglianza dello status; ma la credenza nella metempsicosi in qualche modo offriva una consolazione anche ai diseredati: nella reincarnazione successiva si poteva rinascere in una condizione meno dolorosa.   La Cina dei Q’ing

In Cina a metà seicento la nuova dinastia dei Q’ing (o Ch’ing), originaria della manciuria, scalzò quella precedente dei Ming, che regnava dal 1368 e che aveva a sua volta raccolto l’eredità dell’Impero mongolo edificato da Kubilai Khan. Il regno dei Q’ing, che dal 1644 si sarebbe protratto fino al 1911, non mutò la struttura di 18

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

L’Impero cinese tra il XVI e il XVIII secolo

HEILONG JIANG

RUSSIA

1689

MONGOLIA 1697

PROTETTORATO DELL’ILI 1757

TIAN-SHAN 1758

GIAPPONE

Pechino

QINGHAI 1724

Xi’an TIBET

Manchino Suzhou Hangzhou

1731

Yunnan

oceano Pacifico

Canton

INDIA Macao

Estensione dell’impero cinese Sotto i Ming (1368-1644) Sotto i primi Q’ing (1644-1800) FILIPPINE

Manila

1757

Date di conquista Grande muraglia

base della società cinese. al contrario, quest’ultima riuscì man mano a imporre silenziosamente ai nuovi dominatori sia i propri costumi sia la propria tradizionale organizzazione istituzionale e sociale. l’impero, popolato da numerosi gruppi etnici, linguistici, religiosi conobbe la sua massima estensione durante il Settecento, sotto il regno dell’imperatore Ch’ien-lung (1736-1796), quando giunse a inglobare il Tibet, il Turkestan e il sinkiang. a metà seicento risultava diviso in quindici province – ciascuna frammentata in centinaia di circoscrizioni territoriali minori – poste sotto la direzione di alcuni ministeri centrali localizzati nella capitale Pechino, accanto alla corte. a governare il sistema dell’impero più popoloso del mondo era deputato un vastissimo corpo di funzionari (i mandarini, “funzionari letterati”) reclutati per concorso e culturalmente resi omogenei dalla condivisione della morale confuciana. Quest’ultima si risolveva in un’ideologia di carattere assai pragmatico, che prescriveva al tempo stesso la sottomissione all’autorità e la capacità di adattarne le iniziative ai propri fini, garantendo agli sterminati territori imperiali, se non certamente l’armonia, almeno una certa stabilità sociale, per quanto interrotta periodicamente dalle rivolte contadine in tempi di carestia.

LESSICO Mandarini Dal portoghese mandarim, ovvero ministro o funzionario, erano potentissimi funzionari incaricati della completa gestione degli affari pubblici. Si organizzavano secondo una complessa e rigidissima doppia gerarchia, civile e militare, ciascuna divisa in nove livelli a loro volta ripartiti in due classi. La scelta dei funzionari, che godevano di grandissimo prestigio, si basava su criteri meritocratici, e veniva fatta per mezzo di estenuanti concorsi.

  L’economia cinese tra conservazione e spinta alla “globalizzazione”

a partire dalla fine del Quattrocento la Cina aveva eretto una sorta di barriera di isolamento rispetto al mondo esterno, che in seguito l’arrivo degli europei nell’asia sud-orientale contribuì per qualche tempo ad attenuare. a questo ripiegamento materiale entro i propri confini si era accompagnato il ristagno della scienza e della tecnologia, che prima del Cinquecento erano state senza alcun dubbio largamente superiori rispetto al coevo standard europeo. 19

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Tuttavia i suoi prodotti alimentari (il tè, in primo luogo) e manifatturieri (porcellane, lacche, tessuti lavorati) incontravano un crescente successo sui mercati europei: anche nel grande impero posto nel cuore dell’asia, le correnti di “globalizzazione” (v. par. 6), a dispetto della diffidenza dei governanti, avanzarono silenziosamente in questi secoli, per esempio grazie alle nuove colture agrarie. durante il Settecento, infatti, la tradizionale monocoltura risicola, che formava la base della sussistenza delle popolazioni cinesi, e la cui produttività era affidata alle cure di un imponente sistema idraulico, in buona parte controllato e gestito dalla burocrazia mandarina, venne affiancata da nuove produzioni alimentari, che resero possibile una differenziazione della dieta e un’ulteriore, robusta crescita della popolazione.   L’impero giapponese sotto i Tokugawa 

LESSICO Samurai Antichi guerrieri del Giappone medievale, detti anche bushi (“uomini che combattono”), totalmente al servizio del loro signore, che difendevano anche a costo di sacrificare la propria vita. Shogun In Giappone era un titolo nobiliare corrispondente al grado di generale. Con il tempo questo titolo divenne ereditario e cominciò a essere riferito a una forma di governo militare (shogunato) che si sostituì al potere dell’imperatore, divenuto esclusivamente simbolico.

Queste miniature cinesi del XVII secolo ritraggono due attività tradizionali: a sinistra, l’allevamento dei bachi da seta e a destra, la tessitura

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anche il giappone nel corso del seicento, dopo una fase di violentissime guerre interne, causate dal conflitto tra i grandi signori feudali, i daimyo, ai quali prestavano i loro servigi i samurai, guerrieri di professione vagamente paragonabili ai cavalieri dell’europa medievale, fu interessato da un mutamento ai vertici che avrebbe prodotto degli esiti plurisecolari. a partire dal 1603 si impadronirono della carica di shogun – la più importante ai fini del reale governo del paese, dal momento che quella di imperatore era più che altro simbolica – i membri della dinastia Tokugawa, che se la tramandarono per due secoli e mezzo, fino al 1867. Tra il 1639 e il 1854 essi imposero la pressoché assoluta chiusura del Giappone agli stranieri e furono in grado di sovrapporre alla preesistente struttura sociale feudale un’articolata amministrazione statale. un terzo del territorio dell’impero era sottoposto al dominio diretto all’apparato burocratico e militare da essi dipendente, mentre i restanti due terzi erano soggetti a poco più di 250 famiglie di daimyo, alcuni dei cui esponenti erano tuttavia stabilmente ospiti – o, meglio, ostaggi – presso la residenza Tokugawa posta nella capitale edo. le ribellioni dei feudatari allo shogun, che tra il Quattrocento e il Cinquecento erano state la norma, e che avevano fatto precipitare il paese in uno stato di perenne anarchia, divennero, con l’avvento del sistema misto burocraticofeudale Tokugawa, molto più rare e meno pericolose.

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

Lo shogun Tokugawa Hidetada, miniatura, XVII secolo

  Gli imperi asiatici: uno sguardo d’insieme

la Cina Q’ing, l’India moghul, il giappone Tokugawa: la perlustrazione che abbiamo fin qui condotto ci ha mostrato che tra il Sei e il Settecento anche in alcune aree nevralgiche dell’asia si assistette al consolidamento delle strutture burocratico-amministrative, tipiche degli stati europei, a discapito della varietà e del pluralismo culturale e politico. non c’è dubbio tuttavia che quella varietà, che si esprimeva sia sul piano etnico, sia su quello religioso, linguistico e istituzionale, rimase il dato prevalente. In altre aree asiatiche – per esempio nell’Impero ottomano – essa si venne addirittura accentuando. nella cornice federativa dei grandi imperi era difficile che si sviluppassero in modo compiuto quelle tendenze alla concentrazione del potere che invece la superficie decisamente più ristretta – e quindi più facilmente controllabile – di alcune monarchie nazionali europee sembrava, proprio in quegli stessi decenni, favorire.   Chiusura e isolamento dell’Asia 

Cina, India, Giappone e anche il mondo islamico (a partire da quando nel Cinquecento conobbe una fase di declino) erano in vario grado contraddistinti al proprio interno, sotto il profilo culturale, da un atteggiamento di ermetica chiusura. se furono gli europei a mettersi in contatto con il resto del mondo e non, invece, il contrario, ciò fu dovuto soprattutto a una mancanza di curiosità, che rivelava nelle grandi culture asiatiche la presenza di un sentimento preconcetto di superiorità, che un tempo sarebbe stato pienamente legittimo, ma che stava diventando ormai anacronistico e addirittura controproducente. nell’Impero ottomano ci si interessava in qualche misura dei progressi dell’europa cristiana, che pure era collocata a suo stretto contatto, solo nel campo degli armamenti e della navigazione; non se ne ritenevano invece degne di alcuna attenzione le arti, le scienze, le dottrine economiche e politiche. nella cultura induista regnava sovrano un atteggiamento di indifferenza, più ancora che di ostilità, nei confronti dell’“altro”. 21

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

La piccola isola artificiale di Deshima, nella regione di Nagasaki, XVII secolo (Amsterdam, Museo Navale). Base commerciale olandese, divenne l’unico punto di contatto tra il Giappone e il mondo occidentale dopo l’allontanamento degli stranieri

LESSICO Xenofobia Dal greco xénos, “straniero”, e phobía, “paura”, è la posizione di chi teme e rifiuta ogni contatto con realtà diverse da quella in cui vive.

la Cina, a sua volta, si considerava l’assoluto centro del mondo e nessun naviglio del Celeste impero si avventurò mai più lontano delle coste africane affacciate sull’oceano Indiano, benché, dal punto di vista tecnologico, i suoi navigatori potessero disporre, già nel Quattrocento, dei mezzi necessari per realizzare all’inverso il movimento di fuoriuscita dai propri confini continentali sviluppato fino a quel momento dagli europei. anzi, a metà Quattrocento l’imperatore ordinò di interrompere anche i rapporti con l’Africa. da quel momento in avanti la Cina sarebbe stata visitata dagli europei, ma non avrebbe più inviato propri visitatori altrove. Il Giappone, dopo aver per qualche tempo consentito non solo l’approdo dei commercianti europei sulle sue coste, ma anche l’opera di proselitismo dei missionari cristiani (che erano giunti a evangelizzare forse l’1% della popolazione giapponese), a partire dal seicento optò per una scelta drasticamente xenofoba. non solo non vi furono giapponesi che andassero in giro per il mondo, ma a nessuno straniero fu permesso di toccare le sue coste e, a maggior ragione, di penetrare al suo interno, salvo sorvegliatissime e sporadiche eccezioni accordate a cinesi, coreani e olandesi.

1.3  L’Africa nel XVII secolo   L’influenza dell’islam a sud del Sahara

LESSICO Animismo Credenza diffusa presso i popoli primitivi secondo la quale ogni cosa naturale è dotata di un principio vitale che la rende divina e dogma di culto.

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al momento del primo contatto diretto con gli europei, l’Africa subsahariana presentava forme di insediamento umano e di organizzazione politico-sociale assai variegate. sotto il profilo religioso, la presenza dell’islam si estendeva anche a sud dell’area settentrionale del continente, appartenente all’Impero ottomano e ai sultanati locali che, pur di fatto indipendenti, riconoscevano comunque la nominale sovranità della Porta di Istanbul. Quell’influenza, molto evidente nei territori situati a sud del deserto del sahara, ma percepibile anche in aree prossime al golfo di guinea, si intrecciava con i tradizionali culti e modi della religiosità locale (solo in parte riconducibili alla categoria dell’animismo), caratteristici di uno sterminato territorio nel quale convivevano, una accanto all’altra, molte società diverse. gli abitanti di quella che gli europei chiamarono “l’africa nera” erano generalmente dediti solo alla caccia, alla pesca e alla raccolta dei frutti, ma in parte erano anche capaci di praticare stabilmente l’allevamento e l’agricoltura, o persino di elaborare una produzione artigianale e artistica in qualche caso raffinatissima.

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

l’organizzazione sociale era strutturata fondamentalmente per clan e per tribù, ma a essa si sovrapponevano in alcune grandi aree dei sistemi politico-istituzionali complessi: stati o imperi in grado di federare (secondo modalità vagamente paragonabili a quelle caratteristiche del feudalesimo europeo) territori etnicamente e linguisticamente distinti, di esercitare uno stabile prelievo tributario e di allestire eserciti agguerriti ed efficienti. un’altra area di cultura islamica era costituita dalla costa sud-orientale del continente, dove ben prima dell’arrivo dei portoghesi, tra la fine del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento, i mercanti arabi avevano esercitato per secoli i loro commerci, contribuendo alla fioritura di complessi insediamenti di carattere urbano, organizzati in base alla formula delle città-stato. ma l’africa aveva anche una componente cristiana: il Regno d’Abissinia (detto anche d’etiopia), in cui il cristianesimo, seguendo il corso del nilo, era penetrato attorno al 500 d.C. dall’egitto, un secolo e mezzo prima dell’islamizzazione di quel paese.   L’Africa “nera”

l’Africa interna, che nei primi secoli dopo Cristo era entrata gradualmente nell’età del ferro, non conosceva (se non nelle aree islamizzate o cristianizzate) l’uso della scrittura. ed era forse questo, più ancora che la vita tribale e l’immersione in un habitat naturale contraddistinto dall’esuberante estensione delle giungle, delle savane, delle foreste, il tratto che soprattutto la differenziava rispetto all’ecumene euroasiatica. C’erano – è vero – delle eccezioni, come quella dell’impero Songhai e del regno del benin, che avevano civiltà molto articolate. ma nell’immenso cuore del continente, dove gli occidentali (come, del resto, prima di loro gli arabi) non riuscirono a mettere piede fino alle soglie dell’età contemporanea, e i cui contatti con il mondo esterno risultavano fatalmente attutiti «da sconfinate foreste e scoraggianti pianure» (b. davidson), le comunità locali, suddivise in un largo ventaglio di varietà etniche e linguistiche, erano organizzate fondamentalmente in forma tribale. al vertice vi erano dei capi elettivi, ma la struttura della società aveva carattere prevalentemente egualitario e comunitario. le diverse comunità si basavano su un’economia di sussistenza, talvolta integrata dalla pratica del baratto; oltre che dei frutti spontanei presenti in natura, vivevano di caccia, di pesca, di un’agricoltura a bassa produttività, non idonea a fornire quel surplus di beni che in genere rappresenta il presupposto per la formazione di una stabile stratificazione sociale.

LESSICO Songhai Impero fondato dal popolo Songhai nel VII secolo lungo il fiume Niger; assoggettato all’Impero Mali nel XIV secolo, fu protagonista di campagne militari di successo che portarono alla conquista di Timbuctù nel 1536. L’impero prosperò fino alla fine del XVI secolo quando, dopo una guerra civile, fu sconfitto da un esercito marocchino (1591).

  Le monarchie sudanesi

Forme di società assai più complesse erano invece venute prendendo forma, a partire dal 500 d.C., nel Sudan occidentale, nell’entroterra del litorale atlantico tra la guinea e il Congo, e ancora in vicinanza della costa orientale affacciata sull’oceano Indiano, che, del resto, già 1500 anni prima del contatto con gli europei conosceva un regolare commercio con le città affacciate sul mar rosso e sul golfo Persico, e che intratteneva rapporti e scambi anche con il subcontinente indiano e addirittura con la Cina. In particolare, nella grande area subsahariana occidentale aveva messo solide radici una particolare tradizione istituzionale: la cosiddetta monarchia di modello sudanese, i cui sovrani, ai quali erano attribuiti poteri divini, governavano regni dalla struttura al tempo stesso feudale e burocratica, esercitando un sistematico prelievo di risorse presso la popolazione rurale, organizzata a sua volta prevalentemente sulla base della parentela e del clan. 23

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

all’interno di queste monarchie era presente una ramificata stratificazione sociale. C’erano città, un’aristocrazia ereditaria e una burocrazia a forte caratterizzazione militare, nonché uno strato della popolazione specializzato nell’esercizio del commercio, i cui generi più preziosi erano costituiti dalle esportazioni d’oro al nord e di sale al sud. a partire dall’XI secolo, una parte delle élite dirigenti di queste monarchie si era convertita all’islam. regni di questo genere si erano avvicendati – nell’area sudanese – almeno a partire dalla metà del I millennio dopo Cristo, e il più antico di cui si sia conservata la nozione era stato quello del Ghana, per la prima volta menzionato nell’VIII secolo dal viaggiatore arabo al-Fazari e qualche tempo più tardi ricordato da un’altra fonte araba per le dodici moschee della sua cittadella musulmana in pietra, che sorgeva accanto alla capitale indigena con gli edifici fatti di fango.   Altri regni africani

In seguito avevano rivestito grande importanza anche altri regni: quello di Kanem, le cui città erano edificate in gesso; l’Impero del Mali, alcuni dei cui regnanti, islamizzati, nel XIII secolo eseguirono il pellegrinaggio alla mecca, e che viene raffigurato, assieme al suo Signore dei negri nella prima mappa dell’africa occidentale disegnata in europa nel 1375; quello di Songhai (che assorbì quello del mali), ancora fiorente al momento del primo contatto con gli europei e destinato a sopravvivere sino alla fine del XVIII secolo, anche se ormai suddiviso in una miriade di regni distinti a carattere tribale. ANALIZZARE LA FONTE

Una passeggiata a Benin Autore: anonimo – Tipo di fonte: resoconto di viaggio – Lingua originale: olandese – Data: inizio del XVII secolo Benin era una città che a un anonimo viaggiatore europeo di inizio Seicento, che eccezionalmente era riuscito a entrarvi malgrado l’accesso agli europei fosse in genere proibito, parve paragonabile ad Amsterdam. Ecco come la descrisse.

la città appare assai grande: entrando in essa, imboccata una grande, ampia strada non selciata, forse sette o otto volte più ampia della via Warmoes ad amsterdam, essa va sempre dritta e non piega mai… questa strada si calcola che sia lunga un miglio (vale a dire un miglio olandese, che equivale a circa quattro miglia inglesi) oltre ai sobborghi […]. Quando voi siete nella grande strada anzidetta potete vedere molte grandi strade ai lati di essa, che parimenti vanno diritte… le case di questa città sono disposte in buon ordine, l’una accanto all’altra, come le case in olanda. le stanze all’interno sono quadrate, sopra hanno un tetto che non è chiuso nel mezzo, e attraverso il quale entrano la pioggia, il vento, la luce: lì essi stanno, e prendono i loro pasti; ma hanno anche altri ambienti, come cucine e altre stanze. Il palazzo del re è molto grande, e in esso vi sono molti piani quadrati, e intorno hanno delle gallerie, dove vi è sempre una guardia. Io m’addentrai tanto nel palazzo, che vidi quattro simili sale, e dovunque guardassi, ancora vedevo porte su porte che immettevano in altre stanze […]. Il re ha molti soldati, e anche gentiluomini che vengono al palazzo a cavallo… si vedono anche molti schiavi nella città, che portano acqua, ignami1 e vino di palma, che dicono sia per il re; e molti portano erba per i suoi cavalli. r. oliver - J. d. Fage, Breve storia dell’Africa, einaudi, Torino 1965, p. 105 1. Ignami: pianta il cui tubero costituisce l’alimento base di molti popoli africani. Domande alla fonte 1. Per quali caratteristiche la città di Benin pare all’autore simile a una città olandese? 2. Quali categorie sociali sono nominate nel brano?

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cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

Come si legge in una famosa storia dell’africa: «a Timbuctù [la capitale dell’Impero del songhai] come a Parigi vi erano dotti che studiavano e discutevano, e ciò che gli italiani realizzarono col colore, gli artisti del benin raggiunsero col bronzo» (r. oliver - J.d. Fage). mali e songhai erano giunti a controllare quasi l’intera area subsahariana occidentale, mentre a oriente di questa s’era formato – pure con caratteristiche miste urbano-rurali – il regno cristiano monofisita d’Abissinia, la cui esistenza, in un’europa che ne aveva solo una vaghissima nozione, dette probabilmente vita alla leggenda del “prete Gianni”. Formazioni di carattere statale esistevano, numerose, anche a ridosso del litorale atlantico, nelle foreste retrostanti le fasce costiere della guinea e del Congo: tra gli altri, i regni del Benin, di Denkera, dell’Ashanti, del Congo, uno dei cui sovrani, all’inizio del Cinquecento, si cristianizzò, avviando una tradizione di rapporti sostanzialmente paritari con la corona portoghese, presso la quale di tanto in tanto i suoi successori continuarono a inviare degli ambasciatori.   L’Africa sud-orientale

una vasta porzione dell’Africa sud-orientale, a ridosso della costa affacciata sull’oceano Indiano, punteggiata da insediamenti urbani islamizzati, conosceva a sua volta una forte organizzazione politica e militare. basterà ricordare, a questo proposito, nell’area che attualmente corrisponde al mozambico e allo Zimbabwe, il grande Regno dei Vakaronga.

LESSICO Monofisismo Dottrina cristiana, condannata dal concilio di Calcedonia del 451, che riconosce in Gesù Cristo esclusivamente la natura divina, mentre considera solo apparente la natura umana.

MEMO Il prete Gianni è un leggendario re cristiano dell’Oriente. La sua storia, nata in ambiente crociato, contiene però un nucleo di verità: anticamente infatti i nestoriani, perseguitati in Occidente, si erano trasferiti in Iran diffondendo la loro fede fino all’Asia centrale. Alcuni studiosi sostengono perfino che il prete Gianni sia un personaggio storico, vissuto nella Cina settentrionale intorno all’XI secolo.

L’Africa nel XVII secolo

Teghazza

DESERTO

DEL

SAHARA

IMPERO SONGHAI Timbuctù Djenne g

er

Ni

REGNO DELL’ASHANTI

Gao

o

Nil

L. Ciad

Sennar

REGNO DI REGNO DEL KANEM BENIN

Zeila

REGNO DI ABISSINIA

Harar

Benin

REGNO DI DENKERA

Mogadiscio

o

Cong

L. Vittoria

oceano Atlantico

REGNO DEL CONGO

L. Tanganica

Luanda

Kismayou Malindi Mombasa Kilwa

oceano Indiano

L. Niassa

REGNO DEI VAKARONGA Impero ottomano Insediamenti europei

Mozambico Tete Sena Sofala

Orange

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Carta dell’Africa nord-orientale tratta da Job Ludolf, Historia aethiopica, Francoforte 1681

Il capo di quel regno veniva chiamato dai portoghesi Monomotapa, nome che, per estensione, venne dato all’intero territorio sul quale egli regnava. Fino alla metà dell’Ottocento in gran parte di questi luoghi gli europei non riuscirono a entrare. non mancarono tentativi di farlo, talvolta giocando sulle rivalità esistenti tra le varie popolazioni; ma essi furono respinti dagli eserciti che le monarchie africane erano in grado di mettere in campo. Tuttavia, non mancarono i contatti indiretti, mediati dagli staterelli allineati lungo la costa, che avevano offerto prima ai portoghesi, poi agli olandesi, agli inglesi, ai francesi e ai danesi la possibilità di creare delle basi di appoggio per i loro traffici.

1.4  Il mondo raccontato dagli europei   Il diverso sguardo sull’America e sull’Oriente

a narrare ai lettori d’europa le caratteristiche naturali e i costumi del “Nuovo mondo” americano erano stati prima i conquistadores, poi gli evangelizzatori. Pur permeati da un diverso grado di sensibilità, scrissero le loro cronache o le loro riflessioni sulle culture amerindie spinti fondamentalmente da un inossidabile sentimento di superiorità, che derivava loro dalla posizione dominante di cui godevano. In qualche caso furono perfino indotti a mettere in dubbio la natura umana degli abitanti autoctoni dei territori caduti sotto il dominio delle corone iberiche. Fino al tardo settecento le principali notizie sul lontano Oriente provenivano essenzialmente da mercanti e missionari, i viaggiatori del tempo. la posizione di questi ultimi era però alquanto diversa da quella dei loro confratelli che operavano nelle americhe. non erano, infatti, dei dominatori, ma piuttosto degli ambasciatori in terre lontane, che rimanevano affascinati, se non talvolta addirittura soggiogati, dalla grandiosità delle millenarie culture con le quali entravano in contatto. 26

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

  La Cina narrata dai gesuiti

I gesuiti, ai quali per qualche decennio fu consentito di diffondere l’evangelizzazione anche in giappone, ma che operarono in modo continuativo soprattutto in Cina e in India, hanno lasciato narrazioni suggestive (che, per altro, non conobbero all’epoca una diffusione pubblica), dalle quali traspare spesso un sentimento di sconfinata ammirazione per i paesi che li ospitavano. della Cina il gesuita italiano Matteo Ricci delineò nelle sue corrispondenze un ritratto che a fine seicento il suo confratello athanasius Kircher rese pubblico nell’opera Cina illustrata (1667). la Cina era descritta come un grande paese sottoposto al governo di un’élite di saggi, scelti, a differenza di quanto avveniva in europa, in base al merito e alla preparazione personale, e non al lignaggio.

MEMO I gesuiti sono un ordine religioso, fondato nel 1534 da Ignazio di Loyola, attivo nell’opera di evangelizzazione sia in America sia in Oriente. Nel 1542 il gesuita Francesco Saverio diede inizio all’attività missionaria in India che proseguì in Indocina, Indonesia e Giappone.

ANALIZZARE LA FONTE

Il Celeste impero nel racconto di Matteo Ricci Autore: Matteo Ricci (1552-1610) Tipo di fonte: relazione di viaggio Lingua originale: portoghese e latino Data: scritto tra il 1582 e il 1610, pubblicato nel 1615 Il testo, scritto dal gesuita Matteo Ricci, è tratto dal resoconto della prima missione cristiana in Cina. Il primo libro, di cui si presenta un breve passo, contiene una descrizione dettagliata delle abitudini e delle istituzioni della Cina dell’epoca e fu per secoli la fonte principale su quell’impero. Nel brano che segue, dal confronto con l’Europa, emerge il ritratto affascinato di una Cina pacifica e saggia, priva di ambizioni espansionistiche.

essendo questo regno sì grande e ripieno di gente e fornito di vettovaglia e materia per far legni, artiglieria et altri instrumenti di guerra, con che potrebbero facilmente soggettar al loro dominio al manco1 tutti quegli regni vicini, con tutto questo né gli re né gli sudditi si curano né trattano di questo, e stanno contenti con il suo senza volere quello degli altri. Certo assai diverso dalle nostre nationi [stati], le quali soventemente perdono i proprij regni per voler signoreggiare agli altrui e che, per la instabile voglia di alargare lo imperio2, mai potero conservare il suo originale centinaia o migliaia di anni, come fecero i Cinesi. et è cosa certa che, se qualche regno, fuora del suo, se gli volesse soggettare di sua propria voglia non lo riceverebbero e, se fusse ricevuto, non si ritruovaria nessuna persona letterata o grave3 che lo volesse ire a governare. m. ricci, Della entrata della Compagnia di Gesù e Christianità nella Cina, Quodlibet, macerata 2000, p. 51 1. soggettar … al manco: sottomettere al loro dominio almeno. 2. instabile voglia … imperio: desiderio insaziabile di allargare il loro dominio. 3. persona letterata o grave: persona istruita o importante.

Domande alla fonte 1. Quali differenze emergono nel testo tra il modo di governare dei cinesi e quello degli europei? 2. Quale ti pare essere il giudizio dell’autore sulla politica espansionistica?

Il missionario gesuita Matteo Ricci

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

I gesuiti, spesso contraddistinti da una ricca e vasta formazione intellettuale, aperta anche ai versanti scientifici, furono trattati con ogni riguardo presso la corte cinese, al punto che nel settecento venne affidata loro la direzione dell’ufficio matematico-astronomico imperiale. erano giunti in Cina animati dal proposito di evangelizzarla, e la tollerante morale buddista aveva consentito loro di provare a farlo (con risultati, peraltro, piuttosto modesti); finirono però per svolgere soprattutto la funzione di tecnici e, al tempo stesso, di addetti alle relazioni con l’estero, a beneficio della dinastia regnante. oppure si misero alla ricerca di possibili punti di contatto tra il cristianesimo e il confucianesimo: questi missionari percepirono la civiltà in cui si trovarono a trascorrere buona parte della loro esistenza come almeno pari a quella da cui provenivano.   Il fascino dell’India

LESSICO Cordone dei Bramini Il cordone è il segno che indica la casta dei bramini. Roberto de’ Nobili lo utilizzò come segno di distinzione, per farsi rispettare dagli indiani.

le cose non andarono diversamente in India, terra di profonda tolleranza religiosa e di intensissima spiritualità, dalla quale molti missionari furono conquistati. Postosi all’ardua ricerca di un sincretismo tra cristianesimo e induismo, il gesuita Roberto de’ Nobili formalizzò una nuova liturgia che alle forme tipiche del culto cattolico mescolava usi e consuetudini attinti dalla tradizione locale (come il cordone dei Bramini e i bagni rituali). nel 1623 ottenne da papa gregorio XV il permesso di celebrare messa nel modo inconsueto che aveva elaborato, ma in seguito esso fu revocato e degli scritti di questo missionario, giudicati ormai pericolosamente vicini al confine dell’eresia, fu proibita la pubblicazione. APPROFONDIRE

Quale Oriente? i resoconti dei missionari e dei mercanti, a lungo Nlo piùonostante l’“Oriente” degli europei continuò a essere soprattutto quelprossimo e conosciuto, cioè quello affacciato sul Mediterraneo, con il quale esisteva una plurimillenaria consuetudine e che secoli di minaccioso confronto con l’islam avevano riproposto nelle vesti di acceso rivale diretto. Nel 1697 un erudito francese, Barthelemy d’Herbelot, pubblicò una Biblioteca orientale che godette di una vasta risonanza, al punto che a lungo ebbe la funzione di testo canonico per quanto riguardava la percezione occidentale dell’Oriente. Il libro, organizzato come una sorta di dizionario enciclopedico, era dedicato quasi esclusivamente al mondo islamico e, anzi, soprattutto allo Stato che più concretamente lo incarnava agli occhi degli europei cristiani: l’Impero ottomano. Quasi in dissolvenza, sullo sfondo, l’opera di d’Herbelot narrava anche della Persia, un impero nel quale più di una volta, durante il recente passato, gli europei avevano confidato, augurandosi che potesse impegnare con la sua potenza almeno una parte delle energie che gli ottomani continuavano a riversare verso l’Europa. Della Cina e dell’India, viceversa, quasi non si faceva parola. Qualche anno più tardi, nel 1704, a opera del francese Galland, venne pubblicata la prima traduzione europea delle Mille e una notte, una raccolta di novelle orientali di autori diversi ambientata in situazioni storico-geografiche differenti. L’opera segnò a lungo e intensamente l’immaginario “orientale” degli europei, caricandolo di quella vena esotizzante che l’avrebbe contraddistinto fino alla fase ottocentesca del colonialismo.

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Una riunione nel palazzo del sultano a Costantinopoli, miniatura dal diario dell’ambasciatore veneziano Giovanni Soranzo (Venezia, Musueo Correr)

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

L’arrivo di un gruppo di portoghesi in Giappone, stampa, XVII secolo

1.5   Unità e varietà: l’Europa a confronto   con il resto del mondo    Dalla difesa all’attacco

a partire dagli inizi dell’età moderna l’europa cristiana mutò la sua tradizionale condizione difensiva di penisola periferica e di minuscola appendice territoriale del grande continente asiatico, in un potente slancio espansivo. da secoli viveva sotto la minaccia dell’islam. ora cominciò invece a conquistare altri continenti, come l’america, o comunque a disseminarvi uomini ed energie, come in asia e in africa. Passò così dalla difesa all’attacco, con il contributo determinante del proprio potenziale tecnologico e scientifico. In questo campo, per millenni, un paese come la Cina l’aveva nettamente sopravanzata e nei secoli più recenti, a sua volta, il mondo islamico, a lungo custode della scienza greca rimasta trascurata dalla sintesi cristiana medievale, le era stato superiore. dall’età delle esplorazioni in avanti, viceversa, l’europa saldò con crescente convinzione la propria identità alla curva del progresso scientifico. la sua ascesa nel mondo coincise con gli sviluppi di questo, nello stesso momento in cui l’Asia conosceva una fase di ristagno: in Cina, in India e nel variegato mondo islamico che, sotto domini diversi, si estendeva da budapest a benares.   L’unità religiosa europea contro la varietà dell’Asia e dell’Africa

Ciò che faceva dell’Europa una realtà fondamentalmente compatta di fronte al resto del mondo, nonostante la frammentarietà delle sue realtà politiche, era in primo luogo la sua unità religiosa, rafforzata per secoli dalla lunga, corale e collettiva difesa dall’espansione islamica. 29

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

LESSICO Jainismo Dal termine sanscrito Jina, ovvero “vincitore” (delle passioni). Antica religione orientale che ha influenzato tanto l’induismo quanto il buddismo. Il jainismo, o giainismo, predica la reincarnazione delle anime e la non violenza nei confronti di ogni creatura. Chiesa copta La Chiesa copta, il cui nome deriva da una trasformazione della parola greca aigy´ptios “egizio”, fu fondata in Egitto nel I secolo d.C. in seguito alle predicazioni di san Marco. Simile nella liturgia alla confessione ortodossa, essa si rifà al cristianesimo delle origini e ai riti apostolici.

Infatti, anche se gli europei, nei secoli precedenti, si erano divisi una prima volta tra cattolici e ortodossi e una seconda tra cattolici e aderenti alle varie Chiese riformate, tuttavia, se si esclude una parte delle popolazioni residenti nelle porzioni europee dell’Impero ottomano, erano rimasti tutti cristiani. ed era in nome del cristianesimo che spagnoli e portoghesi, imitati in seguito da inglesi, francesi, olandesi, avevano combattuto e sconfitto le antiche religioni americane. l’Asia, viceversa, non possedeva un sistema condiviso di riferimenti religiosi, anche se il buddismo, fondato nel V secolo a.C. in India, a partire dalla stessa matrice vedica alla quale attinse l’induismo, aveva in seguito conquistato la Cina e il giappone e il confucianesimo, sorto anch’esso in quel secolo in Cina, si era poi diffuso anche nell’oltremare nipponico. mentre il primo era una filosofia, più che una religione, e non era strutturato come una Chiesa, il secondo, a sua volta, si risolveva essenzialmente in un’etica, un’arte del saggio comportamento. In India, oltre all’induismo, al buddismo, al jainismo, c’era una robusta diffusione dell’islam. e l’islam rappresentava la fede predominante anche nell’Impero persiano e in quello ottomano. anche in Africa, come abbiamo visto, coesistevano tante religioni diverse: dall’islam – diffuso nell’area di dominio diretto e di influenza indiretta dell’Impero ottomano, e in qualche misura lungo le coste orientali prospicienti l’oceano Indiano –, al cristianesimo, nella versione copta praticata nell’Impero di abissinia, a una sterminata moltitudine di culti locali animistici e non.   La comunanza dell’Europa e la disunità dell’Asia 

La parete di un tempio indù, decorata con un gran numero di divinità diverse

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In Europa si parlava un buon numero di lingue diverse; ma, a prescindere dal fatto che l’alfabeto in uso era perlopiù lo stesso, ve ne erano anche di comuni come il latino prima e il francese poi, utilizzati come lingua franca nelle attività diplomatiche e, più in generale, come lingue colte. a partire dalla metà del Seicento non solo la lingua, ma anche la moda francese dettò legge in Europa. malgrado le frequenti ostilità reciproche, le dinastie regnanti sui vari stati del continente intrecciavano spesso i rispettivi destini familiari, servendosi di alleanze matrimoniali, che contribuirono alla formazione di una sorta di ceto comune dei governanti europei; un fatto, questo, unico al mondo. Viceversa, tra ciascuna delle grandi unità politico-territoriali localizzate in Asia c’era un vero e proprio abisso. alle differenze fisiche, etniche, linguistiche, religiose si assommava una sorta di reciproca sordità politica. l’uno nei confronti dell’altro, gli imperi della Cina, della Persia, del giappone, dell’India (per non ricordare che i più importanti) costituivano ciascuno un mondo a parte, frammentato a sua volta in una pluralità di mondi paralleli e distinti. la nozione di Asia era solo geografica, priva di un reale significato politico. esemplare, a questo proposito, è il caso dell’India, un subcontinente nel quale le teoriche pretese di sovranità esclusiva, avanzate dai vari imperi che nel corso dei secoli vi si avvicendarono, si infrangevano regolarmente sugli scogli dell’irriducibile pluralità di etnie, lingue, culture rappresentate nel territorio. Paradossalmente, persino il fatto che vi fosse praticata in genere una larga tolleranza religiosa (assolutamente inconcepibile a quel tempo nell’intollerante mondo cristiano e difficilmente immaginabile anche nella pur assai meno rigida tradizione islamica) contribuiva a rendere problematico pensarla come un’unità. la varietà vi regnava incontrastata.

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

1.6  I meccanismi e i limiti dello scambio   L’Europa promotrice del processo di globalizzazione 

se si vuole provare a considerare il mondo nella sua dimensione globale, ovvero a individuarne gli elementi di intreccio, bisogna dunque riconoscere che ad agire nel senso dell’integrazione planetaria furono quasi esclusivamente gli europei. Questa descrizione di alcune correnti seicentesche di commercio a distanza ci illustra bene in che modo: «il commercio atlantico di schiavi produceva effetti a catena che mettevano in relazione i villaggi angolani con le piantagioni di zucchero brasiliane e queste a loro volta con le sale da tè europee”» (J. osterhammel). l’africa (gli schiavi), l’america (le piantagioni di zucchero), l’europa (le sale di ricreazione), l’asia (il tè): ecco dipanarsi sotto gli occhi uno dei possibili percorsi della globalizzazione seicentesca, nel quale non facciamo fatica a individuare il ruolo strategico svolto dall’iniziativa europea. erano i navigatori e i commercianti di paesi come il Portogallo, l’olanda, l’Inghilterra a condurre in prima persona tutte le operazioni necessarie affinché il disegno intercontinentale prendesse concretamente forma e a ricavare, naturalmente, la quota maggiore dei profitti che ne derivavano. Il loro “sapere” sul mondo comportava un “potere” sul mondo, che si esercitava o sotto la forma del dominio territoriale diretto o sotto quello dell’acquisizione di un guadagno. la ricerca appassionata, anzi persino fanatica e ossessiva, di quest’ultimo, pare essere stata l’elemento determinante nell’accensione del “miracolo europeo”, ovvero di quella spinta che durante l’età moderna portò il più piccolo dei continenti a riversarsi in una forma o nell’altra in ogni possibile angolo del mondo.

LESSICO Globalizzazione Termine diffusosi negli anni Novanta del Novecento per spiegare la fitta rete di interrelazioni economiche, politiche e culturali che porta a una sorta di unificazione dello spazio mondiale. Le sue origini possono essere fatte risalire già all’età moderna quando gli scambi commerciali, la contaminazione culturale e la mobilità umana cominciarono a coinvolgere tutti i continenti, soprattutto in seguito alla scoperta dell’America.

  L’Asia protagonista involontaria del commercio a distanza

non bisogna tuttavia dimenticare il ruolo del tutto peculiare che ebbe l’Asia negli scambi commerciali almeno sino alla fine del settecento. Come abbiamo detto, le grandi civiltà del continente asiatico restarono pressoché impermeabili all’influsso della cultura occidentale, e il contatto con i mercanti europei non mutò praticamente nulla nella loro rispettiva organizzazione economico-produttiva. Cinesi, indiani, giapponesi erano sostanzialmente indifferenti rispetto all’offerta di merci che l’Europa era in grado di proporre e si facevano pagare quasi esclusivamente in metalli preziosi. Imbarco di uomini e materiali nel porto di Portsmouth, XVIII secolo (Greenwich, National Maritime Museum)

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Il trasporto di vasellame cinese, miniatura, XV secolo (Istanbul, Museo Topkapi)

Il laboratorio dello storico La Cina nell’immaginario seicentesco p. 34

lo scambio si realizzava invece concretamente al contrario: come già ai tempi dei romani, gli europei desideravano ardentemente le spezie, i tessuti pregiati, le porcellane, le pietre preziose, le raffinate lavorazioni in materiali rari. si trattava della favolosa ricchezza d’Oriente, in cambio della quale essi fecero compiere all’oro e all’argento americani prima la traversata atlantica, poi la rotta africana, affinché confluissero alla loro destinazione finale, nelle mani cioè dei grandi signori che ne adoperavano a profusione nelle loro dimore o nei grandi complessi monumentali. da questo punto di vista, quindi, almeno sino alla fine del XVIII secolo furono gli asiatici e non gli europei a dettare le condizioni dello scambio nel commercio a distanza; erano loro, infatti, per i motivi appena illustrati, a impugnare il bastone dalla parte del manico.   L’ambivalente caso africano del commercio degli schiavi

Fonte J. Barbot e E. Holden La tratta degli schiavi

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diverso fu, invece, almeno in parte, il caso dell’Africa, continente il cui commercio con l’Europa consistette essenzialmente in avorio ed esseri umani. la commercializzazione degli schiavi, in verità, rappresentava una caratteristica significativa dell’economia di molte società africane già prima dell’arrivo degli europei e del loro sparso insediamento tanto sulla costa atlantica corrispondente alla regione subsahariana, quanto nelle regioni marittime orientali situate a sud dell’etiopia. ne erano tradizionali intermediari – sia verso l’Asia sia verso l’Europa – gli arabi, che tenevano i contatti con gli stati più potenti del continente nero, i quali a loro volta fornivano la materia prima rastrellandola tra le popolazioni vicine, più deboli e meno strutturate. non furono, dunque, i “negrieri” bianchi (portoghesi, olandesi, inglesi, francesi, danesi) a inventare la tratta degli schiavi; e, tuttavia, essi la resero simile a una vera e propria industria, facendo letteralmente impennare nel giro di qualche decennio la domanda di questa particolare merce. Furono forse 10 milioni gli schiavi che, sopravvissuti alle traversie del viaggio transatlantico, giunsero nelle americhe tra il 1500 e il 1807. ne derivò un progressivo deterioramento delle strutture comunitarie, in precedenza caratteristiche di vaste porzioni dell’africa nera.

cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

sempre più frequentemente, una volta che gli europei ebbero dimostrato un famelico interesse per gli schiavi e per le schiave, i sovrani e i signori locali più potenti e meglio armati si dedicarono sistematicamente alla cattura di uomini e donne appartenenti alle popolazioni confinanti, per poi trasportare gli uni e le altre sulla costa e cedere la loro mercanzia agli acquirenti venuti da lontano. Il commercio degli schiavi interessò, sulla costa atlantica, soprattutto il Golfo di Guinea e le coste del Regno del Congo. ma tra sei e settecento le navi negriere effettuarono non di rado spedizioni anche nel litorale sud-orientale affacciato sull’oceano Indiano. Il contatto diretto con gli europei ebbe l’effetto, dunque, di incrudelire sensibilmente la vita quotidiana delle aree dell’Africa che ne vennero coinvolte: la diffusione delle armi da fuoco – la merce europea più richiesta dagli africani in cambio degli schiavi e dell’avorio – ne fu un significativo e sinistro emblema. Chi se ne impadroniva diventava incomparabilmente più forte di chi, standogli vicino, ne restava privo; e la tentazione di sottometterlo si faceva spesso irresistibile.

Storiografia B. Davidson, L’incontro dell’aristocrazia africana con quella europea

  I limiti della globalizzazione

dopo questa analisi dei meccanismi, complessi e multiformi, dello scambio a metà seicento, ci si deve chiedere in che misura si possa parlare in quest’epoca di globalizzazione, come si è fatto in modo volutamente provocatorio fin qui. bisogna infatti fare attenzione a non proiettare a ritroso nella storia quella che è soprattutto una caratteristica fondamentale del tempo presente. Per gli uomini e per le donne del seicento o del settecento, “globalizzazione” sarebbe stata una parola incomprensibile. a dispetto dell’espansione europea, e malgrado gli indubbi progressi del suo strumento più avanzato, il commercio a lunga distanza, il mondo continuò infatti a essere sostanzialmente policentrico e la vita delle società e delle economie a risolversi quasi solo a livello locale e regionale, anche nella stessa europa che pure era all’avanguardia sul fronte degli spostamenti di uomini e merci. Fino a quando l’europeizzazione dell’asia (ma anche dell’africa) rimase circoscritta a una dimensione commerciale, in ragione dei modi variabili che sono stati fin qui illustrati, o a quella di un incontro religioso vissuto come fondamentalmente paritetico, il mondo “globale” costruito dall’intraprendenza dei navigatori di fine Quattrocento e dei loro successori continuò a possedere comunque molti centri distinti e paralleli. non solo non si creò una gerarchia dominata dall’Europa, ma, anzi, quest’ultima rimase fondamentalmente in una posizione di sudditanza psicologica rispetto all’Estremo Oriente e alle sue fiorenti culture.

PassatoPresente Un mondo sempre più piccolo

Mercato degli schiavi in Senegal, incisione, XVIII secolo

Si noti il mercante che lecca il ragazzo nero per svelarne l’imbellettatura fatta con polvere da sparo, trucco frequentemente utilizzato per aumentare il pregio e quindi il prezzo dello schiavo

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Il laboratorio dello storico

La Cina nell’immaginario seicentesco

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche

Il dilagare della moda cinese A partire dalla fine del Seicento dilagò nell’alta società di tutta Europa la “moda cinese”. Piaceva, per esempio, organizzare feste da ballo in costume orientale e arredare una o più stanze in omaggio ai modelli che dal lontano impero asiatico filtravano nel vecchio continente. Nella Sassonia di Augusto il Forte si riscoprì la porcellana, nei parchi delle residenze nobiliari e anche in quelli della borghesia più ricca furono erette pagode e gli interni delle dimore furono decorati con ricche pannellature ispirate all’arte cinese. L’interno di una delle sale cinesi del castello di Racconigi

uno degli esempi più affascinanti dell’attenzione europea nei confronti delle “cineserie” è la reggia sabauda di Racconigi, presso Torino, dove troviamo delle sale riccamente decorate con pannelli ispirati a scene di vita quotidiana cinese

le scene ambientate negli spazi edificati sembrano proporsi come una metafora dell’ordine necessario al buon governo, mentre l’apertura verso un orizzonte di alberi e di campagna pare alludere agli spazi sterminati sui quali si esercita il potere dei dignitari raffigurati in primo piano. oltre il palazzo, si spalanca la Cina

si noti l’atmosfera di ordine e compostezza che caratterizza l’immagine, al cui interno ciascun personaggio sembra recitare una parte prefissata da un cerimoniale rigoroso

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cApITOLO 1 - VErSO uN MONDO gLObALE?

La riflessione di Montesquieu I gesuiti della Cina elogiavano l’ordine, il rispetto per le gerarchie, la diffusa attitudine alla composta obbedienza, che consentivano all’imperatore di governare su spazi sterminati. Per i più convinti tra i “sinofili” lo stile cinese divenne simbolo di un «governo meraviglioso, che unisce nel suo principio il timore, l’onore e la virtù». Anche il filosofo Montesquieu, autore dell’opera forse più importante del pensiero politico europeo del Settecento – Lo spirito delle leggi (1748) – aveva letto con grande attenzione i resoconti sulla Cina dei missionari, ma ne aveva tratto indicazioni antitetiche rispetto a quelle che ne avevano ricavato i sinofili, come emerge da questo brano.

l’apparente ordine cinese, per montesquieu, non è il risultato della saggezza, bensì quello del terrore inculcato nelle popolazioni da un governo più autoritario di qualsiasi governo europeo dell’epoca

si noti come montesquieu tenda qui ad accostare la forma di governo cinese a quella delle corti “asiatiche” in generale. Ci troviamo davanti a una prima elaborazione della teoria generale del governo, che nel corso della sua opera l’autore si sforzerà di fondare su basi geografiche e climatiche, dipingendo un Oriente “naturalmente” incline alla sudditanza e all’obbedienza, di cui la Cina è l’esemplificazione più spesso ricorrente: «la Cina è dunque uno stato dispotico, il cui principio è la paura»

un grande impero presuppone un’autorità dispotica in colui che governa. bisogna che la prontezza delle esecuzioni supplisca alla distanza dei luoghi a cui sono inviate; che la paura impedisca la negligenza del governatore o del magistrato lontano, che la legge sia nella mente di uno solo; e che cambi senza posa, come gli accidenti, che si moltiplicano sempre nello stato, in proporzione della sua vastità. […] I nostri missionari ci parlano del vasto impero cinese come di un governo meraviglioso, che unisce nel suo principio il timore, l’onore e la virtù. […] Io non so che cosa sia quest’onore di cui si parla, presso popolazioni alle quali non si fa far nulla se non col bastone. Inoltre, i nostri commercianti non ci danno certo l’idea di questa virtù di cui ci parlano i missionari: si consultino sul brigantaggio dei mandarini. […] del resto, le lettere del padre Parennin sul processo intentato dall’imperatore ai principi del sangue neofiti che erano incorsi nella sua disgrazia, rivelano un piano di tirannide seguito costantemente, e offese inflitte alla natura umana con regola, cioè a sangue freddo. abbiamo anche le lettere del signor de mairan e dello stesso padre Parennin sul governo della Cina. dopo una serie di domande e risposte sensatissime, il meraviglioso se ne va in fumo. È forse possibile che i missionari siano stati ingannati da un’apparenza d’ordine, che siano colpiti da questo esercizio continuo della volontà d’un solo, dalla quale sono governati anch’essi, e che amano tanto ritrovare nelle corti dei re delle Indie. C. l secondat de montesquieu, Lo spirito delle leggi, a cura di g. macchia, rizzoli, milano 1996, vol. I, pp. 277-280

la Cina non è vista da montesquieu come esempio positivo di ordine e di armonia, bensì come prototipo del dispotismo, ovvero di un modello politico opposto a quello che l’autore – illuminista molto sensibile al tema dei necessari contrappesi al pubblico potere – si sforza di promuovere

la Cina, che nello Spirito delle leggi occupa uno spazio notevole (libri VI, VIII, XIV, XVI, XVII, XIX), si avviava così a diventare tra sei e settecento una sorta di tetro antimodello rispetto agli ideali di libertà che presto il pensiero illuminista avrebbe elaborato, e che nella riflessione di montesquieu già cominciavano a venire presentati come un tratto specifico della sola civiltà europea

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate una fonte figurativa e una letteraria, entrambe risalenti al Settecento, il secolo durante il quale la Cina accese in vario modo la curiosità e l’interesse degli europei. • Quali possibili contrasti si evidenziano confrontando l’immagine della Cina proposta dalla tela con quella fornita da Montesquieu? • «Governo meraviglioso»: qual è il rapporto tra apparenza e realtà di questa formula nella riflessione di Montesquieu?

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cApITOLO 1

VERSO UN MONDO GLOBALE?

Mappa

Superiorità tecnologica e scientifica

Unità religiosa fondata sul cristianesimo

Presenza di un ceto comune di governanti

Dinamismo e protagonismo dell’Europa nel mondo Subisce la tratta europea degli schiavi Sfruttamento del territorio e delle risorse da parte degli europei

Americhe

IL MONDO NEL SEIcENTO E LE SuE INTErDIpENDENZE

Africa

Organizzazioni sociali semplici: • divisione in clan e tribù

• islam religione prevalente

• economie di sussistenza eccetto

Asia

Impero ottomano: declino del prestigio dei sultani

Impero safavide: dinamismo ai danni dell’impero ottomano

Impero Moghul (India): coesistenza tra musulmani e hindù

Conservatorismo e chiusura culturale

Declino nel XVIII secolo

Permane il sistema chiuso delle caste

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Immobilismo, ma detta le regole dello scambio con l’Europa

Presenza di società più complesse in Sudan occidentale e in Africa sud-orientale

Impero dei Q’ing (Cina): divisione del paese in province e stabilità sociale

Impero dei Tokugawa (Giappone): depotenziamento dei poteri locali

Chiusura verso l’esterno e ristagno culturale

Totale chiusura del paese agli stranieri

cApITOLO 1

VERSO UN MONDO GLOBALE?

Sintesi 1.1 IL MONDO CONOSCIUTO NEL SEICENTO a metà del XVII secolo gran parte delle terre emerse, a eccezione dell’oceania, erano state esplorate dagli europei che vi avevano stabilito insediamenti di varia natura: domini politico-territoriali si trovavano soprattutto nell’america centrale e meridionale, mentre in quella settentrionale, in asia e in africa la presenza europea si limitava a sparsi insediamenti costieri. Tuttavia iniziava a svilupparsi in questo periodo una pluralità di intrecci e di flussi politici e commerciali che coinvolgeva tutti i continenti conosciuti.

nel cuore del continente, dove gli europei non riuscirono a penetrare, le comunità locali, appena entrate nell’età del ferro e prive di sistemi di scrittura, vivevano in tribù fondate su principi comunitari e dedite prevalentemente alla caccia e alla pesca. Forme di società assai più complesse si trovavano invece nell’area subsahariana occidentale dove si consolidò la cosiddetta “monarchia sudanese”, un modello istituzionale nel quale i sovrani, investiti di poteri divini, governavano su regni dalla struttura feudale e burocratica. esempi di monarchia sudanese furono il ghana, l’Impero del mali e quello di songhai.

1.2 L’ASIA TRA XVI E XVIII SECOLO l’asia era divisa in imperi di cui i più importanti erano i tre islamici (ottomano, safavide, indiano) e i due confuciani (cinese e giapponese). dal seicento l’Impero ottomano era entrato in una fase di crisi: le sue periferie territoriali divennero indipendenti mentre il ceto dirigente era sempre più corrotto e incompetente. dal tardo Quattrocento in Persia l’Impero safavide, governato da una dinastia sciita in contrasto con i sultani sunniti di Istanbul, contendeva all’Impero ottomano i territori tra il Caucaso e il golfo Persico. In India tra il XVI e il XVIII secolo si consolidò l’Impero moghul che però non riuscì mai a unificare tutto il territorio della penisola. grazie alla politica di tolleranza religiosa promossa da akbar il grande l’impero si caratterizzò per una coesistenza relativamente pacifica tra musulmani e indù. Tuttavia non si riuscì a mettere in discussione la struttura gerarchica della società, divisa in caste. a metà seicento in Cina i ming furono sostituiti dai Q’ing. nel settecento la tradizionale monocultura risicola venne affiancata da nuove produzioni alimentari, come il mais e la patata, provenienti dall’america. nel seicento in Giappone la dinastia dei Tokugawa si impadronì della carica di shogun e creò un imponente apparato burocratico e militare che riuscì a dominare un terzo del territorio, mentre i rimanenti due terzi restavano nelle mani delle famiglie dell’aristocrazia daimyo.

1.4 IL MONDO RACCONTATO DAGLI EUROPEI mentre si sentivano superiori alle popolazioni amerindie, gli europei restarono a lungo soggiogati dal fascino dell’Oriente. soprattutto i gesuiti, incaricati di evangelizzare quelle terre, offrirono della Cina e dell’India narrazioni suggestive che mettevano in luce la grandezza delle loro civiltà, spesso contrapposte ai vizi e alla corruzione europei.

1.3 L’AFRICA NEL XVII SECOLO al tempo delle prime esplorazioni europee, l’africa era una realtà variegata dal punto di vista religioso e politico-sociale. Forte era la presenza islamica nelle regioni settentrionali, nell’africa subsahariana, dove però si intrecciava con le diverse forme della religiosità locale, e lungo la costa sud-orientale.

1.5 UNITà E VARIETà: L’EUROPA A CONFRONTO CON IL RESTO DEL MONDO le grandi civiltà asiatiche si mostrarono poco interessate al mondo europeo rispetto a cui si sentivano superiori. Iniziò in questi secoli un lungo periodo di ristagno della Cina, dell’India e del variegato mondo islamico a cui si contrappose invece il potente slancio espansivo dell’Europa, che si trasformò nel centro propulsivo del mondo. Contribuì al “miracolo europeo”, oltre allo sviluppo scientifico e tecnologico, la presenza di una forte identità, fondata sull’unità religiosa cristiana e sulla forte comunanza culturale, che mancava agli altri continenti, nei quali convivevano religioni e culture molto differenti. 1.6 I MECCANISMI E I LIMITI DELLO SCAMBIO alla fine del seicento, ad agire nel senso dell’integrazione planetaria furono quindi quasi esclusivamente gli europei che promossero le principali reti di scambio. Tuttavia quello che, con un termine contemporaneo, si potrebbe definire un processo di globalizzazione, in età moderna era ancora molto parziale. nonostante il commercio a lunga distanza, il mondo continuò a essere sostanzialmente policentrico e la vita sociale ed economica a svolgersi a livello regionale e locale. 37

Identità collettiva e cittadinanza

H Inclusione Esclusione

Il frontespizio dell’edizione spagnola dell’atlante Guida dei mari, pubblicata nel 1681

Il sistema mondo le relazioni intercontinentali in età moderna

H

a scritto lo studioso Immanuel Wallerstein che quando si orienta lo sguardo su scala globale è consigliabile cercare di dimenticare preliminarmente tutto quello che si è imparato a scuola a proposito di storia. L’affermazione, naturalmente, è un po’ paradossale e

Inclusione

Il continente europeo per tutta la sua storia è stato profondamente attratto dai prodotti pregiati asiatici. Se nel corso dell’età moderna i suoi mercanti sempre più intensamente vennero mossi da un irrefrenabile desiderio di proiettarsi al di fuori del proprio continente e di lanciarsi verso i lontani paesi tropicali, era soprattutto perché mancavano loro dei beni che la clientela riteneva irrinunciabili. Quei beni provenivano essenzialmente dall’Asia, e per acquisirli gli europei si mostrarono per secoli disposti a sacrificare i metalli preziosi che

Un ufficiale della Compagnia inglese delle Indie orientali provocatoria, ma coglie con il suo seguito reclutato localmente certamente un nucleo di verità. I continenti diversi dall’Europa, infatti, entrano troppo raramente nel racconto storico generale. Patiscono, dunque, un’esclusione, come se la storia fosse riservata soltanto a noi europei, e le altre parti del mondo non ne avessero una. In particolare, dalla data della scoperta dell’America, sembra quasi che la storia sia consistita nel progressivo assoggettamento del resto del andavano trafugando in America, prima impadronendosi mondo alle nazioni del nostro con le razzie dei reperti artistici prodotti dalle civiltà continente. precolombiane (molti dei quali vennero fusi per Eppure, come ha chiarito Wallerstein, durante l’età moderna ricavarne oro allo stato puro), poi dando avvio agli scavi esisteva un “sistema mondo” che collegava sotto il profilo minerari nel nuovo mondo. Per realizzare questi ultimi economico tutte le parti conosciute del globo. Si trattava di fecero volentieri ricorso anche alla manodopera di un sistema profondamente inclusivo, che non aveva un solo schiavi importati dall’Africa. Questo meccanismo, che centro, ma che, al contrario, ne contemplava diversi, per funzionare aveva bisogno del contributo simultaneo distribuiti in vari continenti. Questo sistema è stato definito (e dunque dell’inclusione) di diversi continenti, è stato “lo scambio eurasiatico”, ma esso comprendeva, a ben descritto con queste parole dallo storico statunitense vedere, anche l’America e l’Africa.

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Inclusione Esclusione

Identità collettiva e cittadinanza Navi della Compa gnia delle Indie ing lese nel porto di Bombay, metà de l XVIII

Peter N. Stearns: «La crescente interazione con l’iniziale sistema mondo fece maturare nelle élite occidentali un’intensa passione nei riguardi di prodotti per la cui acquisizione l’Occidente ebbe grandi difficoltà in termini commerciali, perché lo resero soggetto a quello che oggi verrebbe chiamato un problema endemico di bilancia dei pagamenti». Il sistema mondo era soggetto a una direzione europea? In un certo senso sì, dal momento che erano per l’appunto gli europei a rendere possibile la materializzazione del circuito di scambi collegati che lo teneva insieme. Ma, all’interno del sistema, il potere delle economie asiatiche era probabilmente maggiore, poiché le ragioni dello scambio tra Europa e Asia risultavano sbilanciate a favore di quest’ultima.

m

entre gli europei erano incantati dai prodotti asiatici, gli asiatici fondamentalmente non furono a lungo interessati ad alcun prodotto europeo; almeno fino al Seicento, quando cominciarono a desiderare quelle armi ad alto profilo tecnologico che nei primi decenni del secolo avevano consentito a olandesi e inglesi di conquistare un proprio spazio di inclusione nei mari mercantili dell’Asia sud-orientale. Osserva ancora Peter Stearns: «I problemi della bilancia dei pagamenti occidentale furono risolti in un certo senso dalla capacità di pagare le merci cinesi e indiane con l’argento proveniente dal Nuovo Mondo […], ma il divario persistette data la forte richiesta dei prodotti coinvolti». 40

secolo (Londra, Ind ia

Office Library)

Proprio negli stessi decenni del Seicento durante i quali i principali Stati europei diedero avvio al sistema mercantilista – che era basato sulla stretta interazione tra la politica economica statale e le strategie operative di alcune compagnie commerciali privilegiate, e finalizzato a conseguire un accrescimento della ricchezza nazionale –, qualcosa di molto simile avvenne all’altro capo del mondo. In quei mari tra la Cina e il Giappone, nei quali anche gli europei – ma in particolare gli olandesi, dopo che gli iberici erano stati allontanati con la forza dall’area – giocavano un ruolo di qualche rilievo, olandese in India Un insediamento

Il sistema mondo le ragioni della politica e quelle dell’economia vennero infatti, a loro volta, combinate in un progetto unitario. Per quanto i contrasti per assicurarsene il controllo fossero assai aspri, lo scacchiere spaziale di quell’area risultava profondamente inclusivo. Al suo interno interagivano lo Stato cinese, quello giapponese, ma anche e soprattutto le grandi compagnie mercantili dei due paesi asiatici, alle quali i rispettivi governi avevano conferito l’esclusiva di esercitare il commercio in quello specchio d’acqua che ciascuno di essi considerava come proprio. Paragonabili alle loro consorelle europee per l’ampiezza dei traffici da loro gestiti, queste compagnie erano talvolta tanto potenti da potersi permettere di sfidare le flotte statali. In particolare, la compagnia cinese degli Zheng, con le sue centinaia di navi che battevano i mari del Sud-Est asiatico colme di seta grezza e ben protette da armi sofisticate, non aveva nulla da invidiare alla più forte tra le compagnie europee dell’epoca, quella olandese delle Indie orientali e, anzi, disponeva di un potere militare, oltre che economico, che per diversi decenni le consentì di influenzare gli avvicendamenti dinastici al vertice dell’Impero cinese. E questi ultimi, dal momento che si traducevano in scelte di politica economica, potevano dar luogo a effetti ad amplissimo raggio, che si avvertivano anche in Europa, proprio perché l’economia mondo di cui abbiamo qui presentato alcuni dei protagonisti era un sistema profondamente inclusivo su scala globale.

Carta della Cina, da un atlante olandese del 1659

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Capitolo 2

La Francia deL re SoLe

2.1 Luigi XIV e la nascita dell’assolutismo I simboli dell’assolutismo: la corte e l’esercito LESSICO Corte Intesa come insieme delle persone che circondano il sovrano (famigliari, consiglieri e funzionari), è un’istituzione già nata nell’antichità classica (dal latino cohors, “schiena”). Con l’età moderna, quando i sovrani cominciano ad avere una residenza stabile, con il termine corte si inizia anche a designare l’ambito spaziale della reggia.

immaginiamo di trovarci a qualche decina di chilometri da Parigi, nella reggia di Versailles, poco dopo la sua edificazione (realizzata in gran parte tra il 1669 e il 1702). entriamo in una delle grandi sale della corte reale, carica di specchi, di fregi dorati, di tappezzerie sontuose. Brulica di uno stuolo di servitori che ne controllano gli accessi. Fuori dalla sala è assiepata una folla di aristocratici, con le parrucche e gli abiti di gala. Sono in attesa di fare il loro ingresso e di assaporare, per quel giorno, il privilegio di assistere, in religioso silenzio e a capo chino, al risveglio del re, ancora addormentato nel suo grande letto a baldacchino. Tra la fine del Seicento e la prima metà del Settecento, la scena che abbiamo tratteggiato venne replicata quasi ogni giorno non solo nella corte di Versailles ma, nel giro di qualche decennio, anche a Schönbrunn (presso Vienna) o a Potsdam (presso Berlino), sebbene attraverso rituali meno fastosi e solenni. Il quadro ritrae i membri della famiglia di Luigi XIV come divinità romane

Jean Nocret, La famiglia di Luigi XIV, XVII secolo (Versailles, Museo del Castello)

L’altro uomo ritratto è Filippo d’Orléans, fratello del re, circondato da sua moglie Enrichetta d’Inghilterra, da sua figlia Maria  Luisa e dalla suocera, Enrichetta  Maria, regina d’Inghilterra

Al centro del quadro c’è la regina Anna d’Austria, madre di Luigi, ritratta come Cibele

Alla sinistra del re, un po’ più in basso, la regina Maria Teresa d’Austria, moglie del sovrano, è dipinta nelle vesti di Giunone; essa tiene la mano del figlio, il delfino e futuro sovrano Luigi XV

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Luigi XIV, assiso in trono, è ritratto nelle vesti di Apollo

in questo cerimoniale si esprimeva il culto del re, ovvero la recita plateale della sottomissione alla sua paterna – e, anzi, quasi divina – autorità da parte degli aristocratici, fino ad allora abituati a trattarlo quasi da pari a pari; a lesinargli gli armati in caso di guerra; a questionare instancabilmente sull’ammontare delle imposte dovute dalle loro province al fisco del sovrano. Spostiamoci ora in un qualsiasi punto del territorio francese, o austriaco o anche prussiano. acquartierata nelle dimore migliori, una soldatesca in uniforme occupa disordinatamente spazi domestici che sottrae ai legittimi proprietari; svillaneggia borghesi, contadini, artigiani; insidia impunemente le ragazze del luogo. e la comunità circostante non può che sopportarne rabbiosa pretese e insolenze; talvolta si priva di cibi e bevande per cederli agli sgraditi ospiti; paga ogni anno nuove imposte per finanziarne equipaggiamento e stipendi. Sono i soldati del re, e davanti a loro bisogna inchinarsi. nella cornice di quello che la storiografia ha definito lo Stato assoluto, di cui le corti reali e gli eserciti permanenti sono i simboli forse più vistosi, tra il tardo Seicento e l’avvio del Settecento i rapporti tra il sovrano e la società cominciarono a mutare in modo sensibile. il re si impose con maggiore efficacia e sempre più frequentemente si sottrasse al rispetto di quell’insieme di privilegi, di esenzioni, di immunità (l’esenzione da determinati obblighi o servizi) nel quale si concretizzavano le libertà dell’aristocrazia, del clero, delle città durante l’antico regime. Le aspirazioni assolutiste di Luigi XIV

«Lo Stato sono io», la famosa frase attribuita a Luigi XiV, è certamente la formula che esprime nel modo più efficace l’ideale dell’assolutismo. esso consiste infatti nell’aspirazione a porre drastici limiti alla varietà di poteri ancora esistenti alla fine del Seicento, a elevare nettamente il potere dello Stato, ancora del tutto indistinto dalla persona del sovrano, al di sopra delle numerose e spesso sovrapposte e contrastanti autorità locali e a far sentire, perciò, gli abitanti di ciascuna provincia sudditi del re prima ancora che appartenenti a una comunità locale dotata di diritti particolari. La Francia costituì il modello per tutti gli “assolutismi” europei. Su di essa regnò ininterrottamente dal 1661 al 1715 Luigi XIV di Borbone (1638-1715, re dal 1643), che assunse la piena sovranità alla morte del cardinale Giulio Mazzarino, il quale l’aveva assistito durante la drammatica esperienza della Fronda, una sorta di corale ribellione del paese al potere regio (1648-1653), e poi guidato nei primi anni di regno. al momento dell’ascesa al trono, Luigi XiV trovava davanti a sé un paese spossato da anni di sommosse ed economicamente assai indebolito, malgrado le sue indubbie potenzialità. Le casse dello Stato erano vuote e la finanza pubblica era gravata da un’enorme quantità di debiti. agli esordi del regno di Luigi XiV la Francia del re era fatta di molte unità distinte. Piuttosto che nel sovrano, i contadini, la stragrande maggioranza dei venti milioni di francesi, riconoscevano istintivamente i loro padroni nei feudatari (laici o ecclesiastici), ai quali da un lato dovevano pagare tributi e prestare servizi, ma dall’altro potevano sperare di ricorrere per qualche aiuto nei tempi di carestia. Lo Stato, come lo intendiamo noi oggi, un uniforme apparato di istituzioni preposto all’applicazione di regole unitarie, era presente solo in modo discontinuo e incoerente. all’interno del territorio esistevano infatti decine di consuetudini legali diverse; le città, protette dalle loro mura, costituivano vere e proprie isole, ognuna governata in base a uno statuto, che ne tutelava l’indipendenza.

LESSICO Antico regime Con l’espressione antico regime (dal francese ancien régime) si indica il tipo di società esistente in Europa tra il XIV e il XIX secolo. Coniato dai rivoluzionari francesi a partire dal 1790 ed estesosi in seguito a tutti gli aspetti della vita economica e sociale europea, il termine è divenuto un sinonimo di società tradizionale, preindustriale, fondata sui privilegi di ceto e anteriore a tutti i fenomeni di modernizzazione. Assolutismo Termine diffusosi alla fine del Settecento in ambienti liberali allo scopo di mettere in luce gli aspetti negativi del potere monarchico illimitato. Con assoluto si indica infatti che il sovrano è legibus solutus, cioè svincolato dall’obbligo di sottostare alle leggi, libero da ogni controllo esterno o superiore.

MEMO Il cardinale Mazzarino, l’erede di Richelieu, alla morte di quest’ultimo nel 1642 assunse la direzione del Consiglio del re. In accordo con la reggente Anna d’Austria, governò di fatto la Francia durante la minore età di Luigi XIV, portando avanti la politica assolutistica del suo predecessore. La Fronda fu un movimento di opposizione alla politica di accentramento e di forte tassazione di Mazzarino.

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Il re Luigi XIV riceve un’ambasciata, XVII secolo

Intervista impossibile a Luigi XIV, p. 54

Luigi XiV cercò, pertanto, di ideare e imporre nuove norme e di svincolarsi dal rispetto di consuetudini e ordinamenti locali che, per il solo fatto di esistere da secoli, venivano ritenuti intangibili, quasi come fossero l’espressione di un volere divino. ciò che il monarca aveva in mente era invece un ordine nuovo, in cui fosse lui a venire considerato, per così dire, l’interprete della volontà divina e il solo vero garante del bene della nazione. Per questo attaccò duramente la tradizione, mostrando di ritenerla un intralcio, e non un bene da tutelare.

2.2 La riorganizzazione dello Stato e la politica economica LESSICO Clero Dal greco kléros, “sorte, eredità” e, per estensione, “parte scelta della comunità dei fedeli”. Indica l’insieme dei sacerdoti responsabili della comunità dei credenti. Si divide in clero secolare (da latino saeculum, “mondo presente”), costituito dai sacerdoti diocesani dipendenti dal vescovo, e in clero regolare, costituito dai membri di un ordine religioso sottoposti a una regola e soggetti all’autorità di un abate o di un altro superiore ecclesiastico.

MEMO Gli intendenti erano funzionari di nomina regia, istituiti da Richelieu, incaricati di riscuotere le tasse e di governare le province.

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Gli ostacoli al potere regio: gli Stati provinciali

Fino all’ascesa al trono di Luigi XiV le leggi emanate dal re erano servite solo da riferimento generale. esse venivano applicate con procedure diverse da luogo a luogo: la Francia infatti era una realtà composita, lentamente cresciuta nei secoli con conquiste, annessioni e successioni ereditarie. Forse, più che di un solo paese, sarebbe opportuno parlare, come fa lo storico Pierre Goubert, di «un complesso di nazioni, di paesi, di signorie, di feudi, di parrocchie la cui giustapposizione formava il regno di Francia». il nucleo più antico era costituito dai cosiddetti pays d’État, di fatto governati dagli stati (État) provinciali – assemblee composte dall’aristocrazia, dal clero e dai rappresentanti delle città – che avevano facoltà di contrattare con il re modalità e importo dell’esborso fiscale e provvedevano poi a ripartirlo tra gli abitanti del territorio, esentandone i ceti privilegiati o accordando comunque loro un trattamento molto favorevole. a questi territori si erano successivamente aggiunti i cosiddetti pays d’élection, nei quali la distribuzione e l’esazione dei tributi aveva finito per essere gestita in gran parte da intendenti di nomina regia. Qui gli intendenti, fino all’inizio del Seicento, si erano avvalsi della collaborazione di figure locali nominate (in francese élus) dagli stati generali. Ma dal 1614 questi ultimi non vennero più convocati e dunque, in assenza degli “eletti”, gli intendenti si configurarono sempre più come lo strumento dell’ingerenza del governo centrale nella vita provinciale.

cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

Gli ostacoli al potere regio: i Parlamenti

in ciascuno dei pays sedeva un Parlamento, composto di alti magistrati incaricati di passare al vaglio ogni nuova ordinanza emanata dal re e, almeno in teoria, autorizzati a sospenderne l’attuazione, nel caso che essa venisse ritenuta incongrua rispetto alle leggi già in vigore e lesiva delle libertà del territorio, e a chiederne la modifica. Per di più i membri del Parlamento, gli officiers, erano titolari di cariche venali, cioè cedute dal sovrano in cambio di denaro a privati che le utilizzavano come rendite, facendosi a loro volta pagare da chi doveva ricorrere ai loro servizi. con il passare del tempo le cariche venali erano divenute ereditarie, e il sovrano non poteva dunque più esercitare il diritto di nomina e di revoca su di esse. i predecessori di Luigi XiV avevano spesso coltivato il desiderio di disattendere le tradizionali prerogative dei singoli Parlamenti, e di rendere tendenzialmente unitaria la legislazione che emanavano. Tuttavia gli interventi in questa direzione erano stati sempre eccezionali ed estemporanei. così, in ogni pays si era venuto stratificando un corpo di leggi diverso, derivante dall’esito della contrattazione tra sovrano e Parlamenti. appena varcato il confine di un pays, poteva accadere che le leggi in vigore non fossero più le stesse, o che venissero applicate in maniera diversa: l’eccezione e la peculiarità avevano il sopravvento sulla regola e sull’uniformità. Piuttosto che sul riconoscimento della propria superiorità gerarchica «la monarchia riposava in realtà su un insieme di contratti conclusi con i vari gruppi che costituivano la Francia: province, città, istituzioni ecclesiastiche, classi della società ed anche gruppi economici come i mestieri» (d. roche).

Luigi XIV ritratto come un antico imperatore romano, XVII secolo

La Francia alla fine del XVII secolo

Pays d’État

FIANDRA E ARTOIS HAIANAUT

canale della Manica

Pays d’élection

PICCARDIA ILE-DEFRANCE PARIGI CHAMPAGNE

NORMANDIA BRETAGNA MAINE ANJOU

VERDUN E METZ

Le linee grigie segnano i confini dei governatorati militari: si trattava di una circoscrizione di tipo militare, emanazione del governo centrale, che talvolta coincideva e talaltra si sovrapponeva alla trama amministrativa dei pays

LORENA

ORLEANESE

TURENNA

ALSAZIA

POITOU

BORGOGNA oceano NIVERNESE AUNIS FRANCA Atlantico MARCHE BOURBONNAIS CONTEA SAINTONGE ANGOUMOIS BERRY

LIONESE

LIMOSINO GUYENNE E GUASCOGNA LABOURD BEARN BASSA NAVARRA SOULE

Il Contado venassino era la regione che aveva per centro Avignone. Tale area, in quanto ex sede papale, godeva di un’autonomia speciale

ALVERNIA

CONTADO VENASSINO

DELFINATO

LINGUADOCA PROVENZA

C. DI FOIX

ROUSSILLON

mar Mediterraneo

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Il re era cioè costretto a prendere accordi separati con ciascun corpo della società, come voleva l’antica tradizione costituzionale europea risalente al Medioevo e solo in parte, e mai in modo definitivo, contraddetta durante alcune fasi della prima età moderna. L’attacco ai Parlamenti e la nuova burocrazia

LESSICO Burocrazia Termine dall’etimologia ibrida, dal francese bureau “ufficio” connesso al greco krátos “potere”, fu introdotto in modo sistematico da Max Weber all’inizio del Novecento per indicare il “potere degli uffici”, che si struttura intorno a regole impersonali, astratte e immodificabili dall’individuo che ricopre temporaneamente una funzione. Il termine è poi passato a indicare genericamente l’organizzazione di persone e risorse destinate a rendere possibile l’erogazione di servizi pubblici secondo criteri di razionalità, imparzialità, impersonalità.

Uno dei tratti più significativi del progetto assolutista di Luigi XiV consistette proprio nel ridimensionamento delle prerogative dei Parlamenti. essi godevano dei cosiddetti diritti di rimostranza e di registrazione, che consistevano nella facoltà di impedire o ritardare l’entrata in vigore di nuove leggi, qualora le si ritenesse gravemente lesive delle consuetudini tradizionali locali. il nuovo sovrano, imponendo una procedura nuova, obbligò invece i Parlamenti a registrare comunque gli editti, consentendo loro eventualmente solo in un secondo tempo di avanzare rimostranze, che per altro regolarmente respinse. Si liberò così del primo ostacolo che si opponeva alla sua aspirazione a governare secondo la propria volontà. Per applicare le leggi, Luigi XiV allestì un’efficiente burocrazia, rafforzando il ruolo degli intendenti, i quali, a differenza di coloro che detenevano una carica a titolo venale (officiers), potevano venire liberamente nominati e, se necessario, revocati dal re. Perciò riorganizzò il governo, assumendone la direzione, eliminando la figura del primo ministro e ripartendo le funzioni di comando all’interno di un piccolo drappello di valenti ministri muniti di competenze specialistiche. ANALIZZARE LA FONTE

Riflessioni di un re Autore: Luigi XIV, re di Francia Tipo di fonte: memorie Lingua originale: francese Data: 1661-1671 In questo testo, tratto dalle Memorie scritte a beneficio del figlio, Luigi XIV prima descrive i rapporti di forza tra Corona e Parlamenti all’inizio del suo regno, poi illustra la tecnica che adoperò per condurli all’obbedienza.

L’eccessiva preminenza dei parlamenti era stata dannosa a tutto il regno durante la mia minorità. occorreva moderarli, meno per il male che avevano fatto che per quello che potevano fare in avvenire. La loro autorità, finché veniva considerata opposta alla mia, per buone che fossero le loro intenzioni, produceva pessimi effetti nello Stato, e intralciava qualsiasi cosa potessi intraprendere di più grande e utile. era giusto anteporre questa utilità a ogni altra considerazione, e riportare tutto nel suo ordine legittimo e naturale, quand’anche fosse necessario togliere a quegli organismi ciò che un tempo era stato concesso loro […]. Voi, figlio mio, che probabilmente li troverete ancora più lontani dalle vane pretese d’un tempo, dovrete fare con tanta maggior cura ciò che io faccio ogni giorno; voglio dire, dimostrar loro stima nelle occasioni importanti, conoscerne i principali membri e quelli che hanno maggiori meriti, dimostrare che li conoscete, ricordarsi di loro, e delle loro famiglie, nella distribuzione degli incarichi e dei benefici, favorire i loro progetti quando vogliono legarsi più strettamente a voi, abituarli infine con buone accoglienze e parole gentili a farvi visita qualche volta. Luigi XiV, Memorie, Bollati Boringhieri, Torino 1977 Domande alla fonte 1. Quale ruolo Luigi XIV intende riconoscere ai Parlamenti? 2. Perché ritiene sia giusto ridurre i poteri dei Parlamenti? 3. Quale strategia consiglia al figlio di utilizzare nei rapporti con i membri dei Parlamenti?

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cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

Li scelse in larga misura di estrazione non aristocratica, o tutt’al più tra la nobiltà di rango minore, confidando che gli avrebbero serbato fedeltà e riconoscenza per il favore di cui li aveva onorati elevandoli ai vertici dello Stato. Ma soprattutto istituì un collegamento tra il governo centrale e il territorio, rendendo stabili le figure degli intendenti, funzionari preposti alle géneralités, le trenta circoscrizioni amministrative in cui suddivise il territorio francese, componendo un disegno che si sovrapponeva a quello della vecchia ripartizione basata sui pays. delineò così una Francia organizzata dall’alto, assai più agevolmente controllabile di quella che aveva ricevuto in eredità dai suoi predecessori. Gli intendenti vennero dotati di poteri molto ampi in materia fiscale, giudiziaria, militare. Gradatamente tanto la popolazione urbana quanto quella contadina si abituarono a riconoscere in loro gli interpreti di una volontà e di una legge – quella del re – a cui si era tenuti a prestare la stessa obbedienza tributata agli organi del governo municipale o ai feudatari. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il governo francese al tempo di Luigi XIV re

presiede consiglio del re

Ministri e principi di sangue

Ministri di stato

segretari di stato

consiglio di stato o privato (presieduto dal cancelliere del regno)

controllore

intendenti di finanza

La politica economica: il mercantilismo di Colbert

La politica assolutista di Luigi XiV non era solo volta a controllare meglio i sudditi e ad attenuare il potere dei ceti privilegiati. egli voleva infatti anche e soprattutto rendere la Francia più ricca e più potente, programmandone e regolandone dall’alto l’attività economica. Jean Baptiste Colbert (1619-1683), controllore, ovvero ministro, delle Finanze dal 1661 al 1683, elaborò un progetto per la guida dell’economia del paese, definito mercantilismo, una politica nazionalista basata in primo luogo sull’innalzamento dei dazi doganali per scoraggiare l’afflusso della produzione manifatturiera estera e favorire le iniziative imprenditoriali e commerciali interne, in modo da valorizzare al massimo le potenzialità produttive del paese. colbert mise a punto un piano che prevedeva sia il pareggio dei conti pubblici, dissestati a causa della Fronda, sia il rafforzamento della manifattura e dell’industria francese. Per conseguire il primo obiettivo decretò la riduzione d’ufficio dei capitali di cui la corona era debitrice nei confronti dei privati e così pure l’abbattimento dei tassi degli interessi dovuti ai creditori. introdusse inoltre un metodo più razionale e meno dispersivo per il prelievo delle tasse, riducendo dal 25% al 4% i proventi degli appaltatori che le riscuotevano per conto della corona. Per rendere più fiorente l’economia del paese, organizzò inoltre un articolato intervento dello Stato a sostegno del commercio.

LESSICO Mercantilismo Indica un indirizzo di politica economica diffuso tra il XVI e il XVIII secolo. Si basa sulla convinzione che la ricchezza di una nazione consiste nella quantità di denaro accumulato; per aumentarla lo Stato deve intervenire sia favorendo le esportazioni di prodotti nazionali sia limitando le importazioni di manufatti stranieri. Manifattura Il termine indica sia l’insieme delle lavorazioni (letteralmente “fatte con le mani”) necessarie per trasformare la materia prima in un prodotto finito (manufatto), sia il luogo in cui tali lavorazioni vengono svolte.

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Luigi XIV, accompagnato dal ministro Colbert, visita la manifattura dei Gobelins, specializzata nella produzione di arazzi e tessuti, arazzo, XVII secolo

colbert voleva che la Francia producesse da sé tutti i manufatti, in modo che nel paese entrasse più denaro di quanto ne usciva. Per questo attivò una forte protezione doganale, che colpiva con dazi elevati i manufatti provenienti dall’estero, e concesse facilitazioni a chi istituiva un nuovo ramo di industria, promuovendo investimenti economici nei settori dell’economia di trasformazione, per consolidare una borghesia produttiva in alternativa all’aristocrazia fondiaria e feudale. Per alcune produzioni (come ceramiche e arazzi) fece allestire vere e proprie manifatture di Stato. Per scoraggiare le importazioni, cercò poi di rendere complementari la produzione economica della Francia e quella delle sue colonie, potenziando la flotta incaricata di effettuare i trasporti tra la madrepatria e i territori oltremare. Si sforzò di avvicinare le varie aree economiche della Francia con il servizio pubblico di posta e organizzò la costruzione di nuove infrastrutture: strade, ponti, canali navigabili. Si rivelava anche qui chiaramente lo sforzo di rompere con la tradizione, di intervenire autoritariamente nella stratificazione delle consuetudini locali e dei privilegi consolidati, che è una delle caratteristiche essenziali del progetto assolutista.

2.3

La politica religiosa

Difesa della Chiesa gallicana e attacco al giansenismo

Per rendere efficace la subordinazione dei pays a Parigi e la riduzione degli elementi di pluralismo, di frammentazione, di particolarismo disseminati nei tanti e sparsi territori di cui si componeva il regno di Francia, oltre che rinforzare materialmente gli apparati dello Stato, era necessario anche piegare le resistenze e le dissidenze. importante pareva, soprattutto, sollecitare l’attitudine all’obbedienza sul terreno religioso, quello in cui più intensamente, a quell’epoca, trovava espressione la libertà di coscienza dei singoli. 48

cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

a tale scopo Luigi XiV fece il possibile per incrementare l’autonomia da Roma della Chiesa cattolica di Francia, detta gallicana, tradizionalmente controllata dai sovrani, che godevano dal 1516 della prerogativa di nominarne i vescovi, gli abati, i priori. nel 1682 appoggiò un aperto scontro della chiesa francese con il papa. Successivamente, però, i rapporti con il pontefice divennero meno conflittuali, al punto che tra il 1705 e il 1707, Luigi XiV chiese e ottenne da parte di quest’ultimo la condanna del giansenismo. Questa dottrina teologica, il cui nome derivava da quello del suo primo propugnatore, il vescovo di Ypres (Fiandre) cornelius Jansen (1585-1638), sostenitore di una fede profondamente interiorizzata e scevra dell’esteriorità devozionale caratteristica del cattolicesimo controriformista, aveva trovato il suo centro di irradiazione nei due monasteri di Port royal, presso Parigi, guadagnandosi il consenso soprattutto tra gli intellettuali. Tra questi, il filosofo Blaise Pascal (1623-1662), che nelle sue Lettere provinciali, pubblicate tra il 1656 e il 1657, aveva rivolto una sferzante critica ai gesuiti, accusandoli di lassismo morale. ricco com’era di spunti critici nei confronti delle gerarchie e dell’esteriorità ecclesiastica, il giansenismo pareva pericoloso non solo per la curia romana, ma anche per la corona di Francia, che ne paventava lo scarso rispetto della sacralità e della maestà del potere. con il supporto papale, il giansenismo fu duramente represso e apparentemente tacitato nei primi anni del Settecento. Tuttavia la tradizione antiautoritaria che esso aveva contribuito a fondare avrebbe costituito uno dei lieviti ideali dell’opposizione alla monarchia nella Francia del XViii secolo e dello stesso illuminismo.

LESSICO Chiesa gallicana Espressione che indica la Chiesa francese (da Gallia, l’antica denominazione della Francia) in quanto indipendente dalla Chiesa di Roma. Le sue origini risalgono alle lotte tra Filippo il Bello e papa Bonifacio VIII all’inizio del XIV secolo, ma ufficialmente essa viene istituita con la Prammatica sanzione di Bourges del 1438, con la quale i vescovi, gli abati e i priori furono nominati dal re. Dissidente Dal latino dissidens, “colui che siede separatamente”, in età moderna indica inizialmente, all’interno di un paese, la professione di una religione diversa da quella ufficiale per poi, successivamente, estendersi a ogni forma di opposizione a un’autorità riconosciuta.

La revoca dell’editto di Nantes

La dissidenza religiosa che il sovrano temeva di più era tuttavia quella calvinista, in ragione della grande importanza che quel culto attribuiva alla coscienza e all’interiorità del singolo individuo. in Francia erano presenti circa un milione di calvinisti, detti ugonotti, che rappresentavano agli occhi di Luigi XiV una minaccia tangibile all’uniformità della fede e alla possibilità di manipolare attraverso di questa le coscienze. Luigi XIV riceve le scuse di papa Alessandro VII attraverso il cardinale Chigi (1664). L’episodio si riferisce a un incidente capitato a Roma, in cui l’ambasciatore francese era stato offeso dal papa. Le pubbliche scuse dimostrano l’indiscussa autorità del sovrano francese

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

MEMO Emanato da Enrico IV di Borbone nel 1598, l’Editto di Nantes pose fine alle guerre di religione che dal 1562, in Francia, avevano opposto i cattolici (capeggiati dalla famiglia dei Guisa) agli ugonotti (capeggiati dalla famiglia dei Borbone). Esso riconosceva la libertà di coscienza in tutto il territorio francese e la libertà di culto nei territori ove gli ugonotti si erano già installati prima del 1597.

dopo aver cercato con ogni mezzo di sollecitarne la conversione, nel 1685 il sovrano ordinò la revoca dell’Editto di Nantes, che era stato emanato nel 1598 allo scopo di ottenere la pacificazione religiosa del paese, e che aveva per quasi un secolo consentito l’esercizio del culto calvinista all’interno della Francia a maggioranza cattolica. in pochi mesi, ben duecentomila ugonotti abbandonarono la Francia, trovando riparo nei paesi riformati: con loro se ne andava via il meglio della borghesia mercantile e finanziaria. La ricerca dell’uniformità delle coscienze, o, meglio, della loro comune soggezione a una sola fede e a un solo potere, si tradusse così, in questo caso, in una secca perdita economica per il regno di un sovrano, che pure, come abbiamo visto, aveva fatto dell’arricchimento della nazione il proprio obiettivo primario.

2.4 Gli strumenti dell’assolutismo: esercito e pressione fiscale L’esercito

Due soldati appartenenti al reggimento delle guardie francesi, disegno, fine del XVII secolo

LESSICO Parrocchia Dal greco paroikía, “gruppo di case vicine”, il termine indica la ripartizione territoriale della diocesi, ma fu spesso utilizzato in epoca moderna dal potere secolare per indicare le unità territoriali su cui esercitare i poteri amministrativi e giudiziari.

L’attacco sferrato da Luigi XiV alla varietà degli ordinamenti locali assomigliava a una vera e propria guerra. Stroncare un’agitazione di contadini tormentati da nuove tasse, placare l’animosità di cittadini decisi a impedire la limitazione o l’annullamento delle loro tradizionali libertà statutarie o, ancora, indurre nuclei di ugonotti a convertirsi oppure tacitare la protesta di Parlamenti o di Stati provinciali intenzionati a ostacolare l’applicazione delle ordinanze regie: in tutti questi casi Luigi XiV, insieme ai funzionari civili, inviava sistematicamente anche i suoi reggimenti. Talvolta si limitava a farli acquartierare a spese della comunità di volta in volta presa di mira; tuttavia, se la misura si rivelava insufficiente a vincere le resistenze, la soldatesca passava senz’altro ai massacri e alle devastazioni. i comandanti godevano, per molti versi, di carta bianca. al di là dell’importanza che l’esercito francese ebbe nei vari scenari di guerra (v. cap. 4), decisivo fu anche il valore che il re gli attribuì sul piano della politica interna. era infatti il suo strumento più efficace per il controllo dell’ordine pubblico e per la repressione delle rivolte, che si susseguirono numerose durante il regno in quasi ogni parte del paese che egli cercava di assoggettare alla propria volontà unificante, e che costituivano la naturale conseguenza della politica centralizzatrice del sovrano. Tra il 1664 e il 1703 il numero degli arruolati sotto le bandiere regie salì da quarantacinquemila a ben quattrocentomila. Tra questi, oltre a volontari, a vagabondi costretti a indossare la divisa, a interi reggimenti assoldati all’estero, dal 1688 erano presenti anche alcune decine di migliaia di militi estratti a sorte in ciascuna parrocchia (ovvero in ciascuna circoscrizione locale) e da questa mantenuti. naturalmente il grande rigonfiamento degli organici militari si manifestava solo nei momenti di maggiore sforzo bellico. e, tuttavia, quella a cui ci si trovava davanti era, per così dire, l’“infanzia” di un sistema che un secolo più tardi si sarebbe consolidato nella forma del servizio militare obbligatorio. Le tasse

insieme alla burocrazia e all’esercito di Stato, l’assolutismo impose alla Francia anche un sensibile aumento del carico fiscale. Burocrazia, esercito, tasse: i tre elementi sono da considerare, del resto, come strettamente correlati, dal momento che, 50

cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

per accrescere i propri organici, i primi due ebbero necessariamente bisogno dei proventi forniti dal fisco. da solo, l’esercito assorbì da un terzo (negli anni di pace) a due terzi (negli anni di guerra, cioè 37 dei complessivi 54 del regno di Luigi) della spesa pubblica. Per tener dietro alle spese, i ministri finanziari di Luigi XiV in parte ricorsero a espedienti tradizionali, come la vendita di cariche pubbliche e uffici, in parte introdussero nuove tasse. due di queste, soprattutto, vanno ricordate: la capitazione e il decimo, attivate rispettivamente nel 1695 e nel 1710. nelle intenzioni, queste imposte avrebbero dovuto colpire tutti (tranne gli ecclesiastici), senza distinzioni di ceto, e introdurre quindi una fiscalità omogenea, che avrebbe reso tutti compartecipi della medesima condizione di sudditanza al monarca e allo Stato. in realtà i nobili furono spesso in grado di difendere, su questo terreno, i loro privilegi. continuarono a pagare in misura ridotta, o addirittura a esimersi del tutto dal farlo. La crescita della pressione fiscale ricadde quindi quasi completamente sulle spalle dei contadini, che si trovarono a sopportare il nuovo peso dello Stato accentrato ed esigente, senza per questo venir liberati dagli oneri tradizionali, derivanti dalle ineguaglianze di status tipiche dell’antico regime. non c’è da stupirsi, perciò, se la morte di Luigi XiV, nel 1715, venne salutata da grandi manifestazioni di felicità e giubilo, tanto da parte degli strati più umili, quanto da parte dei ceti privilegiati. i primi durante il suo regno avevano patito disagi materiali di ogni genere, sacrificato figli alla guerra, subito angherie e vessazioni. i secondi si erano sentiti privati del carisma e del rilievo politico che in passato aveva consentito loro di presentarsi non solo come i naturali padroni, ma anche, al tempo stesso, come i solleciti e caritatevoli protettori delle loro località, parrocchie, città. Molte famiglie nobiliari si erano inoltre drasticamente impoverite a causa della dispendiosa stucchevolezza del gioco cerimoniale di corte. e, più in generale, gli aristocratici nutrivano motivi di risentimento per la grande importanza che il mercantilismo aveva attribuito alle manifatture e al commercio, ai danni dell’agricoltura, che rappresentava il loro mondo e dalla quale traevano gran parte delle loro rendite.

LESSICO Capitazione e decimo La capitazione (dal latino caput, “testa”) è un tipo di imposta, introdotta già in epoca romana, che grava su ogni maschio adulto, indipendentemente dal suo reddito. Il decimo, invece, è un’imposta proporzionale, ossia che varia in base alla ricchezza degli individui, incidendo di un decimo sul loro reddito.

Pierre Patel, La reggia di Versailles vista dall’Avenue de Paris, XVII secolo (Versailles, Museo del Castello)

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

2.5 Modernità e limiti dell’assolutismo di Luigi XIV Il mito del re Sole

L’emblema di Luigi XIV, il re Sole

Henri Testelin, Luigi XIV istituisce l’Accademia reale delle Scienze, 1667 (Versailles, Museo del Castello)

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Malgrado gli indubbi malesseri che aveva alimentato con varie eccezioni presso l’intero paese, all’estero lo Stato assoluto francese aveva suscitato grande ammirazione. innanzitutto ne era stato temuto l’esercito imponente, disciplinato e a lungo vittorioso. Luigi XiV aveva dato inizio alla sua prima stagione di campagne militari negli anni Sessanta, quando, con l’obiettivo finale di assoggettare i Paesi Bassi, aveva invaso vittoriosamente il Belgio e la Franca Contea (Guerra di devoluzione 1667-1668). nella successiva Guerra di Olanda (1672-1678) non gli era riuscito di piegare, come avrebbe voluto, le Province Unite, e, tuttavia, le trattative diplomatiche seguite alla guerra gli avevano riconfermato il dominio su Franca Contea e su parte delle Fiandre. Ma nel corso del decennio seguente, quando si era formata contro di lui una potente coalizione, la fortuna aveva cominciato a voltargli le spalle, e, ormai completamente isolato, Luigi XiV nel 1697, in seguito alla pace di ryswyk, si era visto costretto a cedere gran parte dei territori di cui si era impadronito nei decenni precedenti (v. cap. 4, par. 4.1). oltre che per i suoi prolungati successi militari, i sovrani degli altri paesi avevano invidiato il re Sole – chiamato così per alludere alla sua autorappresentazione in termini di grandezza e luminosità – per la sua capacità di neutralizzare i nobili, attirandoli a corte e inducendoli a consumare molte delle proprie rendite al fine di primeggiare in quella competizione per conquistarsi la vicinanza al sovrano alla quale abbiamo fatto cenno in apertura di capitolo. egli li aveva strappati dalla provincia, scenario principale dei loro privilegi tradizionali, bastione della loro identità ribelle. La legislazione unitaria, che Luigi XiV era stato in grado di affiancare alla selva di particolarismi e alla varietà di consuetudini locali, era parsa infine anche agli altri regnanti un obiettivo da perseguire per semplificare le relazioni tra monarchia e sudditi e per garantire il controllo dello Stato sulla società, o, meglio, sulle molte distinte società che ciascuno Stato si portava dentro.

cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

Van der Meulen, La costruzione del castello di Versailles, XVII secolo

Soprattutto nell’europa del nord e in quella centro-orientale, l’assolutismo alla francese conobbe numerosi tentativi di imitazione (v. cap. 3). La causa di tanto successo fu la capacità di Luigi XiV di rappresentare il suo potere, di mettere in scena la sua persona come un’opera d’arte. a ciò contribuì la creazione di un apparato di “propaganda” che presenta importanti tratti di modernità. ogni aspetto della vita del sovrano veniva infatti curato allo scopo di ottenere e consolidare il consenso: egli si presentava ai sudditi sempre come un eroe, un santo o una divinità per ricordare al popolo la sua gloria e al tempo stesso la sua inaccessibilità; feste, parate e processioni erano pensate nei minimi dettagli allo scopo di trasmettere l’immagine di un sovrano maestoso, elegante e coraggioso.

Storiografia N. Henschall, Il mito dell’assolutismo

Il laboratorio dello storico La strategia del cerimoniale di corte, p. 56

Interventismo statale e limiti della burocrazia

Innovativa e moderna, a prescindere dai risultati ottenuti, che gli storici valutano diversamente a seconda che la loro attenzione si concentri sul breve o sul lungo periodo, fu anche la politica mercantilistica. era la prima volta, nella storia europea, che il pubblico potere prendeva iniziative così sistematiche sul piano economico, mostrando di considerare l’accrescimento della ricchezza della nazione uno dei propri compiti primari. Tuttavia, nonostante i molti aspetti che portano a individuare dei punti di contatto tra il regno di Luigi XiV e le modalità di governo dello Stato odierno, non bisogna trascurare le altrettanto numerose differenze che si vedono soprattutto nella limitata capacità di penetrazione del potere centrale. Per quanto infatti il corpo burocratico a disposizione del monarca fosse cresciuto, restava assai modesto rispetto a quello che pare oggi a noi abituale. Tra amministrazione centrale e amministrazione periferica, il sovrano disponeva di non più di mille uomini dei quali poteva liberamente ordinare la nomina o la revoca. a questo sparuto drappello si contrapponeva la fitta schiera dei detentori di uffici venali: in tutto, circa 40 000 persone, dalle quali si poteva sperare tutt’al più neutralità, ma più spesso si dovevano temere sabotaggio e ostruzionismo.

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D Luigi XIV, Voi siete ricordato come il più grande sovrano europeo dell’età moderna, tanto è vero che Vi è stato dato l’appellativo di “re Sole”. Eppure avete avuto un inizio di regno molto contrastato e problematico. Volete ricordarcene qualche episodio?

R Prima di diventare il re Sole, io sono stato un re bambino. Avevo appena cinque anni quando, nel 1643, mio padre Luigi XIII morì precocemente; l’erede ero io. Ma come può regnare un bambino di soli cinque anni? A farlo al posto mio furono i miei fidati cancellieri, prima Richelieu, poi Mazzarino. La Francia, intanto, era in rivolta. Della mia infanzia, il ricordo più traumatico, più ancora di quello della morte di mio padre, è la fuga da Parigi, nel cuore di quella notte ghiacciata del gennaio 1649, quando dovemmo salire precipitosamente su delle carrozze e lanciare i cavalli al galoppo, per salvarci dalla rivolta della Fronda. Se i ribelli mi avessero preso, credo che avrei fatto la stessa fine che quell’anno toccò in sorte a un’altra testa coronata, Carlo I Stuart, re d’Inghilterra. Lo giustiziarono davanti a una folla eccitata e plaudente.

D Ma Voi foste più fortunato. Dunque, fuggiste da Parigi e trovaste riparo a Saint-Germain-en-Laye. Quando Vi fu possibile tornare nella capitale? E quando vi assumeste in prima persona la responsabilità di governare?

R Passarono anni. La tempesta politica co-

Intervista impossibile - 5 domande a

minciò a placarsi nel 1653, e fu allora che potei rimettere piede a Parigi. Non ero più un bambino, ma neppure un uomo. Dal momento del ritorno nella capitale, fino al 1661 a tenere le redini del regno fu colui che considero il mio maestro nell’arte di governo, il cardinale Giulio Mazzarino. Attesi, rispettoso, la sua morte prima di cominciare a governare io. E quando lo feci, cercai di applicare la lezione che avevo appreso.

LUIGI XIV

D E in che cosa consiste questa

Una volta diventato adulto, ho imposto loro E come Vi hanno di venire a risiedere a corte e di abbando- considerato Alla fine, nare le province e i loro castelli, dai quali all’estero? R Un’idea di fondo, soprattutto: che nel avevano organizzato la guerra contro di R Comincerò dalla ri- alternando Regno di Francia a comandare deve esse- me. Così avrei potuto controllarli e metter- sposta a quest’ultima lusinghe e re il re e che per farlo deve potenziare li in concorrenza l’uno con l’altro. Li ho domanda. Mi hanno te- minacce, potei quanto più possibile le strutture dello Stato, costretti a fare di tutto, pur di conquistarsi muto, sì. Al punto tale da e mettere il bavaglio a tutte quelle forze il mio volubile favore. Hanno prosciugato le formare una coalizione affermare: «lo – i Parlamenti, gli aristocratici, i dissidenti loro fortune, pur di collocarsi al vertice. E fortissima per frenare le Stato sono io» poi ho voluto che la corte di- mie ambizioni: dalla ventasse un grande palcosce- Spagna all’Inghilterra, nico, un teatro permanente dall’Impero all’Olanda, e altri paesi ancora. nel quale le migliaia di perso- Nei primi vent’anni del mio regno ho quasi ne che vi abitavano erano sempre vinto. Poi, lo slancio dei miei chiamate ciascuna a recitare eserciti si è arrestato. Ma, intanto, le la parte che ero io ad asse- centinaia di migliaia di uomini che metgnare. Di quella recita il regi- tevo in campo assorbivano fiumi di desta esclusivo sono stato io, naro, ed io ero costretto, insieme al mio decidendo giorno per giorno a ministro Colbert, ad aumentare contichi sarebbe stato riservato nuamente le tasse. Ma non bastava. A l’onore di starmi vicino, al mo- un certo punto, il mio controllore delle mento del risveglio, o in occa- Finanze mi ha addirittura convinto a religiosi, il popolo ribelsione del mio pranzo regale, mettere in vendita l’argenteria della le – che di volta in volta Nel Regno con le sue 20 o 25 portate mia corte, perché nelle casse dello ne contestano l’autorità. che, mentre gli spettatori mi Stato non c’era più un soldo. Il paese, Quello che avevo patito di Francia guardavano ammirati, io toc- nel frattempo, era davvero allo streda bambino, prima con la a comandare cavo appena, o addirittura ri- mo. Quando sono passato a miglior Fronda parlamentare, poi deve essere spedivo indietro intatte. Chi vita, nel 1715, dopo aver regnato, in con quella dei principi, restava escluso dalla mia gra- compagnia o da solo, per più di setpoi con quella popolare, il re e per farlo zia era disposto a tutto per tant’anni, a Parigi per sere e sere la non doveva accadere deve mettere il recuperarla. Muovendo le mie popolazione ha festeggiato la mia più. Per questo rafforzai nella gerarchia di cor- fine con i fuochi d’artificio… bavaglio a tutte pedine la burocrazia e l’esercito, te, sollevando gli uni e facene feci di quest’ultimo uno quelle forze che do cadere in disgrazia gli altri, strumento valido tanto di volta in volta ho ottenuto l’obbedienza di per la politica estera che erano stati ribelli e ne contestano nobili quanto per quella interche sono diventati docili e na. Gli intendenti e i ge- l’autorità mansueti come agnelli. E nenerali divennero le punte gli spettacoli che ho fatto alledi diamante del mio postire a Versailles per celebrare tere. E, alla fine, alternando lusinghe e mi- la mia gloria, ho coinvolto i più grandi uonacce, potei affermare: «lo Stato sono io». mini di teatro dell’epoca, da Racine a Molière. Spettacoli meravigliosi, pieni di effetD Durante il Vostro regno è sorta la ti speciali, che gli spettatori guardavano reggia di Versailles che è diventata ammirati, convinti di trovarsi in un mondo quello straordinario immenso palazzo magico inventato da me. circondato da un parco che ancora oggi tutti coloro che si recano a Parigi D Ma il paese come ha reagito al vanno a visitare. Perché avete voluto Vostro sogno di grandezza e al fatto una reggia così sontuosa? che per completare quest’ultimo avete R L’ho fatto allo scopo di destare stupore, per decenni guerreggiato senza tregua ammirazione, soggezione e timore. I gran- con mezza Europa, in modo da di aristocratici mi avevano combattuto, rendere la Francia più grande e quando ero ragazzino. temuta? lezione? Che cosa avete imparato da Mazzarino?

Il laboratorio dello storico

La strategia del cerimoniale di corte

Verso

le competenze

• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche

Il cerimoniale alla corte di Luigi XIV Il regista Roberto Rossellini nel 1966 girò La presa di potere di Luigi XIV, un film ambientato in gran parte in quegli spazi di corte che qualche anno più tardi sarebbero divenuti oggetto di un fortunato filone di riflessione storiografica. Fino a quel momento gli storici avevano considerato il mondo della corte assolutistica poco più che un repertorio di aneddoti e stranezze, come il luogo dello sfarzo fine a se stesso. A partire dalla pubblicazione, nel 1969, dello studio di Norbert Elias La società di corte (il Mulino, Bologna 1980) cominciarono invece a ricostruirlo e analizzarlo come un vero e proprio “sistema”, perfettamente funzionale al progetto politico dei sovrani assoluti e particolarmente idoneo a esprimere quella che fu la caratteristica centrale della cosiddetta età dell’assolutismo: la natura fortemente personalistica del potere, evidenziata da un vero e proprio culto religioso del sovrano, del quale le scene del film di Rossellini ci restituiscono un momento paradigmatico.

il re siede a tavola, unico a indossare il cappello piumato, mentre il resto della corte rimane in piedi e a capo scoperto

ecco lo spettacolo che Luigi XiV si trova davanti ogni giorno, al momento del suo dîner (la cena): il resto della corte che assiste al suo pasto solitario

Tra le figure riccamente abbigliate si scorge anche un alto prelato, vestito di rosso porpora, anch’egli a capo scoperto, con il cappello stretto tra le mani. neppure il clero, sfugge all’obbligo di rispettare ossequiosamente l’etichetta di corte

ad assolvere il compito di servire il re – un’incombenza considerata come un onore, come il segno di un probabile avanzamento di rango – qui sono alcuni esponenti della nobiltà, osservati da loro pariceto, perfettamente consapevoli del significato di ogni dettaglio del cerimoniale, e per questo attentissimi a ogni particolare della quotidianità di corte

Cerimoniale ed etichetta – i codici del linguaggio di corte – assolvevano la funzione di definire e aggiornare le gerarchie di rango e di riconoscimento all’interno del composito ambiente aristocratico che attorniava il monarca, supremo dispensatore di grazie, di favori, di onori. in tal modo il sovrano si impadroniva capziosamente delle redini del mondo nobiliare, creando fratture e gelosie al suo interno. L’etichetta non era un vuoto esercizio di formalismo, bensì un affilato strumento di politica 56

cApITOLO 2 - LA frANcIA DEL rE SOLE

L’etichetta alla corte imperiale asburgica Passiamo ora a una fonte scritta e a un altro paese. L’autore, Julius B. von Rohr, pubblicò nel 1728 una Introduzione alla scienza cerimoniale delle persone private, nella quale descriveva gli usi di corte nel mondo tedesco. Il passo che ci apprestiamo a leggere descrive, in particolare, la cerimonia del dîner presso la corte imperiale viennese di Schönbrunn.

Si noterà come a governare le varie sequenze della cerimonia, alla stregua di servitori, siano una serie di addetti: ciambellani, maggiordomi, scalchi, trinciatori, coppieri, credenzieri

Una raffigurazione troppo stentorea e ingessata? attenzione: l’autore riserva un finale a sorpresa

il pavimento, su cui poggia la tavola, è ricoperto di rosso scarlatto o di costoso velluto. Talvolta, ma soprattutto in occasione di solennità, la tavola viene rialzata, e, proprio come in un teatro, per accedervi o per discenderne sono necessari dei gradini […]. alla corte imperiale, quando l’imperatore mangia in città, i pasti vengono recati dagli imperiali camerieri, dopo che i paggi, a capo coperto, li hanno tratti dai padiglioni, fino alla credenza, preceduti dall’ingresso di una guardia del corpo imperiale e seguiti da quello di un trabante (alabardiere della guardia imperiale), che chiude la processione; ed ecco allora che l’addetto agli argenti li pone in ordine, per poi recarli in tavola a capo scoperto; è infine compito di un ciambellano far le porzioni e disporle davanti a ciascun commensale […]. alla corte imperiale il gran ciambellano resta sempre dietro alle seggiole, ed anche il gran maestro delle cucine, che si colloca accanto al gran maestro delle argenterie, rimane per lo più a disposizione, mentre i paggi imperiali recano le vivande a tavola in continuazione, ed in continuazione le ritirano […]. Bisogna a tal proposito sapere che gli scalchi, i trinciatori, i coppieri e i credenzieri in servizio alla corte imperiale sono nobili delle migliori famiglie, e talvolta anche conti. Quando persone imperiali o reali decidono di bere principescamente alla salute di qualcuno, è raro che cessino finché non sono ubriache.

come l’autore ci avverte gli addetti non sono comune personale di servizio, bensì rappresentanti, vecchi e giovani, delle migliori famiglie aristocratiche dell’impero, fieri di ricoprire le cariche cerimoniali che consentono la quasi quotidiana prossimità fisica al sovrano, e che dunque denotano il suo apprezzamento e la sua benevolenza nei confronti di chi ne è di volta in volta titolare. Servire, qualificarsi come un devoto del re, è la precondizione per godere di rango e considerazione pubblica

H. ch. ehalt, La corte di Vienna tra Sei e Settecento, Bulzoni, roma 1984

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio ci si è avvalsi in primo luogo di una fonte filmica – attingendo a un’opera girata negli anni sessanta del Novecento –, alla quale è stato accostato un brano ricavato da un trattato tardo-settecentesco. Le due fonti sono state collegate facendo riferimento a un saggio storico-sociologico scritto negli anni Ottanta del Novecento. • Le due fonti parlano di due corti diverse: quella francese e quella austriaca. In che misura il discorso sviluppato dalle sequenze relative a Versailles coincide con il resoconto relativo alle usanze della corte di Vienna? • In che modo è opportuno accostarsi a una fonte come quella rappresentata dai film a soggetto storico? O, meglio, possono – e se sì, in che misura – i film essere considerati delle fonti storiche?

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cApITOLO 2

LA FRANCIA DEL RE SOLE

Mappa Strumenti: • esercito • burocrazia • tasse

Limiti: • permanenza di troppi uffici venali • eccesso di tasse

Elementi di modernità: • propaganda politica

ASSOLuTISMO DI LuIgI XIV

per creare consenso

• politica mercantilistica • legislazione unitaria • corte come strumento di potere

politica interna

obiettivo: accentrare il potere e rompere con la tradizione

indebolimento dei nobili, raccolti nella “gabbia dorata” di versailles, e dei parlamenti

eliminazione del primo ministro e assunzione diretta del governo

collegamento centro-periferia attraverso intendenti stabili

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politica economica

obiettivo: rendere ricca la Francia

Mercantilismo e sostegno statale alle manifatture

costruzione di nuove infrastrutture

politica religiosa

obiettivo: controllare le coscienze dei sudditi

riaffermazione del gallicanesimo e conflitto con la chiesa di roma

lotta al giansenismo con l’appoggio del papa

revoca dell’editto di nantes e cacciata degli ugonotti

cApITOLO 2

LA FRANCIA DEL RE SOLE

Sintesi 2.1 LuIgI XIV E LA NASCITA DELL’ASSOLuTISMO Luigi XIV di Borbone (1661-1715) alla morte di Mazzarino, suo tutore, decise di assumere in prima persona il governo della Francia, accentuando la politica assolutistica già iniziata dai suoi predecessori. il culto del re, lo sfarzoso cerimoniale della corte di Versailles e un esercito disciplinato e fedele sono i simboli di questo potere. Per governare in modo assoluto Luigi decise di porre drastici limiti alla varietà dei poteri ancora esistenti nella Francia di fine Settecento. 2.2 LA RIORgANIZZAZIONE DELLO STATO E LA POLITICA ECONOMICA il tentativo di contrastare la presenza di poteri autonomi – che in Francia si esprimevano nell’esistenza di tante realtà locali, abituate ad avere le proprie leggi e i propri governi – fu realizzato con due strategie politiche. La prima consisteva nella riduzione del potere della nobiltà di spada, per mezzo della creazione della corte di Versailles; la seconda nel ridurre i poteri dei Parlamenti subordinando il loro diritto di rimostranza a quello di registrazione. nella reggia di Versailles furono costrette a trasferirsi e a vivere le più importanti famiglie aristocratiche, esautorate del loro potere reale e distratte dal clima frivolo e mondano della corte con le sue feste e i suoi tornei. Per limitare i poteri locali, Luigi decise di uniformare dal punto di vista giuridico e fiscale l’intero territorio francese, che si presentava invece molto differenziato. decise quindi di suddividere il paese in trenta circoscrizioni dette “generalità”, a capo delle quali pose gli intendenti, funzionari spesso di estrazione borghese, nominati dal re e quindi a lui fedeli. Lo sforzo di rompere con la tradizione e con i privilegi consolidati venne seguito anche nella politica dell’economia mercantilistica, promossa dal controllore generale delle Finanze Jean Baptiste colbert. essa si fondava sulla convinzione che la ricchezza di una nazione dipende dalle sue riserve di moneta aurea. a tal scopo era quindi necessario attuare una politica che incrementasse le entrate, sia istituendo forti dazi doganali, sia favorendo lo sviluppo della produzione interna, e riducesse viceversa le uscite.

2.3 LA POLITICA RELIgIOSA Luigi XiV capì che era necessario imporre il proprio dominio non solo sulle istituzioni, ma anche sulle coscienze, da un lato piegando le resistenze e le dissidenze, dall’altro creando strategie di consenso popolare. il primo obiettivo fu raggiunto consolidando l’indipendenza della Chiesa francese (la chiesa gallicana) da roma e reprimendo i dissidenti ugonotti e giansenisti. nel 1685 il sovrano ordinò la revoca dell’Editto di Nantes, costringendo molti protestanti ad abbandonare la Francia. il secondo si realizzò con una vera e propria politica di propaganda volta a creare il mito del re Sole magnanimo e coraggioso. 2.4 gLI STRuMENTI DELL’ASSOLuTISMO: ESERCITO E PRESSIONE FISCALE Presupposti imprescindibili dell’intera politica di Luigi XiV furono la formazione di un esercito permanente e l’istituzione di una forte tassazione che incise soprattutto sui gruppi sociali più poveri, in particolare sui contadini. Proprio per poter mantenere un esercito sempre più numeroso, egli introdusse due nuove imposte: la capitazione e il decimo. 2.5 MODERNITà E LIMITI DELL’ASSOLuTISMO DI LuIgI XIV alcuni degli aspetti dell’azione di governo di Luigi XiV appaiono “moderni”, come la creazione di un forte apparato burocratico e di propaganda, ma non bisogna dimenticarne i limiti, primo fra tutti il precario controllo centralizzato del territorio, che restava ancora spesso nelle mani dei nobili, nonostante gli sforzi degli intendenti. nonostante tali limiti, l’assolutismo di Luigi XiV seppe affermarsi in europa come un modello e il re, anche grazie alle numerose vittorie in battaglia, si guadagnò l’ammirazione dei più grandi sovrani europei dell’epoca.

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Capitolo 3

L’Europa tra assoLutismo E LibErtà 3.1   Il modello francese: l’assolutismo   nel Nord dell’Europa   L’area del Baltico 

L. M. J. Wersent, Pietro I tiene in braccio Luigi XV, XVIII secolo

Lo zar Pietro I

Il piccolo Luigi XV, figlio di Luigi XIV

Il dipinto testimonia una visita diplomatica dello zar a Versailles, nel 1697-1698, ed è un segno evidente dell’omaggio in quegli anni tributato da molti sovrani europei alla potenza francese

Proprio in quegli anni, l’intraprendente monarca russo reputò favorevole il momento per stringere accordi commerciali e militari con lo Stato francese, enormemente ricco e potente

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Non diversamente da come accadeva nella Francia del re sole, a contraddistinguere gli sforzi di alcuni regnanti europei della stessa epoca furono obiettivi come l’organizzazione di un esercito permanente, l’allestimento di una burocrazia fidata ed efficace, la valorizzazione delle potenzialità produttive del rispettivo paese, il contenimento delle immunità e dei privilegi nobiliari ed ecclesiastici. Nell’area baltica tanto i re di svezia quanto quelli di Danimarca – a lungo avversari in un aspro conflitto militare – si rafforzarono internamente a scapito dell’aristocrazia. il re di Danimarca e Norvegia Federico iii nel 1665 trasformò la Corona da elettiva a ereditaria, consolidando la continuità del rapporto tra stato e dinastia. intanto il re di Svezia Carlo Xi accresceva la propria base impositiva, cioè l’insieme dei terreni dai quali il sovrano poteva esigere tasse, sottraendo ai nobili enormi estensioni di terra da questi in precedenza usurpate e nel 1693 emanava una dichiarazione nella quale, imitando Luigi XiV, definiva assoluta la propria sovranità. ma fu soprattutto in Prussia e in Russia che tra sei e settecento si sviluppò l’assolutismo europeo.

L’area del Baltico tra il 1660 e il 1725 Svezia nel 1660 Danimarca nel 1660 Prussia-Brandeburgo nel 1721

GI A

Territori contesi tra Russia e Svezia

REGN O

DI D AN IM

AR CA

EN

OR VE

Ducati del Sacro romano impero governati in certi periodi dal re di Danimarca

mare del Nord

CARELIA

REGNO DI SVEZIA

Oslo

Uppsala Stoccolma Ösel Gotland

Copenaghen

SCHLESWIG HOLSTEIN

Stralsund

BREMA

Lago Ladoga

Viborg

SanPietroburgo Narva INGRIA ESTONIA LIVONIA

IMPERO RUSSO

Riga

mar Baltico Königsberg

PRUSSIA ORIENTALE

POMERANIA Danzica Stettino Varsavia Berlino

REGNO DI POLONIA

BRANDEBURGO

  L’assolutismo prussiano degli Hohenzollern

in Prussia il potere sovrano era detenuto dalla dinastia degli Hohenzollern, che dal 1415 godeva della dignità elettorale del sacro romano impero e che nel 1618 aveva aggiunto ai propri domini (il Brandeburgo) anche il territorio della Prussia orientale, in forma, tuttavia, di granducato soggetto, fino al 1660, al vassallaggio nei confronti del re di polonia. ma nel 1700, in seguito alla partecipazione al conflitto per il dominio sul baltico, la prussia riuscì a rendersi indipendente dalla Polonia e a trasformarsi in un vero e proprio regno. assurti alla dignità di re, che testimoniava in modo eloquente della crescita del loro rango all’interno del sacro romano impero, i sovrani prussiani si impegnarono nella costruzione di un esercito permanente, basato in parte sulla coscrizione obbligatoria, che dai 30 000 uomini del 1688 passò agli 80 000 del 1733. si trattava certamente di numeri molto più modesti di quelli dell’esercito francese, ma c’è da tener conto che la prussia aveva allora meno di 2 milioni di abitanti contro i 20 della Francia. Dunque, in proporzione, essa finì per configurarsi come una società molto più militarizzata, nella quale la rigida disciplina delle caserme dava il tono a quasi ogni aspetto della vita civile. per finanziare l’esercito fu necessario aumentare le imposte e fu soprattutto a questo scopo che già Federico Guglielmo (1640-1688), poi Federico i (16571713, elettore dal 1688 e primo re di prussia dal 1700), infine Federico Guglielmo i (1688-1740, re di prussia dal 1713) smantellarono man mano la consuetudine che imponeva l’autorizzazione preventiva dei Landstände (le assemblee rappresentative provinciali, dominate dall’aristocrazia e dal clero, ma aperte anche alla borghesia cittadina) per la riscossione di ogni nuova tassa.

LESSICO Hohenzollern Famiglia aristocratica il cui nome deriva dal castello di Zollern in Svevia. Fu la dinastia che portò nel XIX secolo alla nascita dello Stato nazionale tedesco

MEMO Istituita nel 1356 con la Bolla d’oro, la dignità elettorale era il diritto di eleggere l’imperatore, spettante ai cosiddetti sette “grandi elettori”: il conte del Palatinato, il duca di Sassonia, gli arcivescovi di Colonia, Treviri e Magonza, il marchese di Brandeburgo e il re di Boemia.

Inclusione/Esclusione Il potere nell’antico regime, p. 77

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Mathias Czwiczek, Federico Guglielmo di Hohenzollern e sua madre, XVII secolo

  Il nuovo ruolo dell’aristocrazia prussiana

L. de Silvestre, Federico Guglielmo I (a destra) con Augusto di Sassonia, sovrano di Polonia, XVIII secolo

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a differenza che in Francia, in prussia il rapporto tra il sovrano e l’aristocrazia di sangue era assai complesso. Quest’ultima, infatti, da un lato si vide in parte limitare le prerogative, le immunità e le libertà che l’avevano in precedenza resa padrona degli spazi locali; ma dall’altro venne prescelta come titolare quasi esclusiva delle cariche di comando della burocrazia e dell’esercito del re. Quindi essa compensò con il prestigio derivante dal servizio ai comandi del sovrano la flessione del proprio potere signorile, di natura feudale. i nobili prussiani, godendo del monopolio nel conferimento dei posti da ufficiale, ricevettero da questa prerogativa una forte consacrazione di rango, che li ripagò almeno in parte dallo smacco subìto in seguito all’indebolimento dei Land­ stände, che fino ad allora avevano rappresentato la fonte primaria del loro potere. L’aristocrazia fu inoltre largamente rappresentata anche al vertice della nuova burocrazia di stato, che affiancò i tradizionali organi di autogoverno cittadino e i titolari di feudi nel controllo delle città e delle campagne. Nell’organizzazione burocratica, però, anche la borghesia colta, istruita presso le università, svolse un ruolo importante e contribuì con il proprio sapere specialistico alla realizzazione del cameralismo, in origine una politica economica tesa, come il mercantilismo francese, alla promozione delle manifatture e dei traffici nella nazione, in seguito divenuta una vera e propria scienza della pubblica amministrazione, finalizzata a stabilire le modalità dell’intervento di quest’ultima ai fini della promozione della prosperità nazionale.

cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Il governo prussiano nel XVIII secolo accresciuta base impositiva

coscrizione obbligatoria

eserciti permanenti

forte apparato militare

nuove imposte

forte apparato fiscale

ASSOLUTISMO

  L’assolutismo in Russia

in Russia nello stesso periodo gli zar appartenenti alla dinastia dei Romanov svilupparono il proprio disegno assolutista seguendo un modello abbastanza simile a quello prussiano. Imbavagliarono infatti le assemblee rappresentative territoriali dominate dalla nobiltà, ma conferirono al tempo stesso all’aristocrazia il predominio nell’esercito e nell’apparato burocratico. Distribuirono così pesi e contrappesi. a pagare gli oneri maggiori per l’aumento della fiscalità – soprattutto in seguito all’introduzione, nel 1710, di un’imposta sulle persone – furono i contadini, che in russia, a differenza di quanto accadeva negli altri paesi europei, continuavano a vivere in una condizione simile a quella di servi della gleba. i loro padroni, oltre a pretendere da essi prestazioni lavorative, potevano anche disporre liberamente della loro persona, come di una proprietà. Come in Francia, anche in russia un aspetto importante dell’assolutismo consistette nella repressione del dissenso religioso, a cui dava voce una buona parte della comunità dei fedeli, i cosiddetti “vecchi credenti”. Questi ultimi, che criticavano la forte compenetrazione della Chiesa ortodossa con il potere politico, e che andavano alla ricerca di una religiosità più spirituale, subirono infatti sanguinose persecuzioni.

MEMO A partire dal 1613 con l’elezione a zar di Michele, la dinastia dei Romanov, (che resterà sul trono fino al 1917), rafforzò la politica autocratica, già cominciata con Ivan III e Ivan IV, fondata su una stretta alleanza con la Chiesa ortodossa.

  La politica di occidentalizzazione di Pietro il Grande 

Pietro il Grande Romanov (1672-1725, zar di russia dal 1689), mitica e dispotica figura di zar affascinato dall’occidente, che aveva visitato a lungo in gioventù viaggiando talvolta in incognito, modernizzò profondamente la Russia sotto il profilo militare e burocratico. Nel 1720 marina ed esercito – impegnati in precedenza nel baltico contro la svezia, e nelle sconfinate pianure dell’asia, alla conquista della siberia – erano ormai forti di 350 000 uomini, in parte reclutati con un sistema di coscrizione. Li guidavano essenzialmente nobili di sangue, ma tra gli ufficiali, soprattutto nei corpi tecnici, si trovavano anche figure di origine non aristocratica, destinate comunque a essere anch’esse nobilitate, in ragione del meccanismo attivato dalla Tavola dei ranghi. Questa regolamentazione, introdotta nel 1722, prevedeva la suddivisione in quattordici gradi tanto del personale dirigente dell’esercito e della marina, quanto di quello della burocrazia. Già con l’inserimento nel grado più basso (il quattordicesimo) dell’apparato militare (solo a partire dall’ottavo, invece, in quello burocratico) si veniva investiti della nobiltà ereditaria, così che il mestiere delle armi offriva l’opportunità di una certa mobilità sociale.

Kotzebue, La fondazione di San Pietroburgo da parte di Pietro I il Grande, XVIII secolo

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

APPROFONDIRE

San Pietroburgo, la città del futuro a città, così chiamata in onore del suo fondatore, Pietro il Lterritorio Grande, prese forma sorgendo quasi dal nulla all’interno di un inospitale e malsano, a carattere fortemente paludoso.

Baltico. Dopo la transitoria restituzione a Mosca del rango di capitale (1717-1730), la città marittima tornò, in seguito, a rivestire nuovamente il ruolo assegnatole nel 1712 e lo conservò Oltre che di una rottura nei confronti della tradizione, identififino al 1918. cata con Mosca e con l’aristocrazia che vi risiedeva, lo zar La costruzione della città, proseguita durante tutto il corso del volle farne il simbolo di una sorta di sfida alla natura. La coSettecento, fu diretta essenzialmente da architetti provenienti struzione della città, la cui fondazione consentì alla Russia di dall’estero: prima il ticinese Domenico Trezzini, poi il francese disporre di un grande sbocco commerJ.B.A. Le Blond, poi, a partire dagli anni ciale e marittimo, rappresentò infatti Quaranta, molti italiani, tra i quali B. F. un’impresa colossale, alla quale lavoRastrelli, A. Rinaldi, G. Quarenghi. Ne rarono decine di migliaia di uomini: scaturì un modello urbano che per la soldati, ma anche prigionieri, vagabonRussia era completamente nuovo, al pundi e contadini, soprattutto finlandesi ed to da sembrare appartenente a un altro estoni, obbligati a sottoporsi a ritmi di mondo, a quella cultura dell’Occidente lavoro durissimi. Molti di loro morirono europeo che Pietro aveva scelto come durante l’edificazione della città, stronsorgente di ispirazione per i suoi piani di cati dalla fatica e dalle malattie. trasformazione della società russa. Con Nel 1712 Pietro il Grande ne fece la Pietroburgo, un pezzo di futuro si matecapitale del suo regno, spostandone corializzava improvvisamente in una società sì il baricentro verso occidente, dal mo- Scorcio del castello di Pietro I a San Pietroburgo, costruito fino a quel momento tenacemente ancomento che la città si affacciava sul mar per lo zar nel XVIII secolo rata alla tradizione e al passato.

Le manifatture statali, istituite a imitazione del modello mercantilista francese, lavoravano a pieno ritmo per garantire equipaggiamento e approvvigionamento alle forze armate. Nella nuova capitale, San Pietroburgo, fatta edificare ex novo a partire dal 1703 sotto la direzione di architetti occidentali, un’efficiente organizzazione ministeriale impartiva gli ordini a una burocrazia modernamente istruita, formata, come in prussia, soprattutto da aristocratici.

3.2  Assolutismi incompiuti, libertà vecchie e nuove   La tentazione assolutista dell’Austria  MEMO Lo Stato slavo della Boemia, fin dal XII secolo inserito nell’Impero (il suo re grazie alla Bolla d’oro era uno dei sette grandi elettori), era diventata nel 1526 dominio ereditario degli Asburgo. Dopo la disastrosa battaglia di Mohàcs (1526), gran parte dell’Ungheria era caduta sotto l’Impero ottomano, mentre il resto del paese aveva cercato l’aiuto degli Asburgo, a cui da allora rimase legato. Infatti, alla fine del XVII secolo, con la pace di Carlowitz, l’intera Ungheria divenne dominio asburgico.

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significativo è, a suo modo, anche il caso dell’Austria, all’interno dei cui domini rientravano la Boemia e, a partire dal 1683, l’intera Ungheria, buona parte della quale era stata in precedenza soggetta all’impero ottomano. Liberata dalla minaccia ottomana, e munita di un esercito permanente, la monarchia degli asburgo di Vienna cercò di impostare una politica assolutista. Ne fu un esempio particolarmente clamoroso il rifiuto di accordare all’aristocrazia ungherese (in buona parte protestante e accusata, sostanzialmente a ragione, di aver offerto il proprio appoggio agli ottomani nei conflitti che a fine seicento opposero la porta di istanbul a Vienna) l’ulteriore riconoscimento del tradizionale diritto di eleggere il re. Come era accaduto in boemia già nel 1620, anche in questa porzione dei domini di casa d’austria la monarchia diventava così ereditaria, pur restando relativamente dipendente dal consenso delle Diete locali per tutto quello che atteneva alle materie fiscali. allo scopo di irretire l’aristocrazia feudale, di piegarla ai riti cerimoniali tesi a glorificare il sovrano, di ingentilirla stemperandone la tradizionale vocazione guerriera e rurale, anche nei dintorni di Vienna, come in quelli di parigi, venne inoltre allestita una corte imponente, quella di Schönbrunn, la cui edificazione ebbe inizio nel 1696, poco dopo la definitiva liberazione della città dalla minaccia turca.

cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

  Sovrano e imperatore: una funzione ambigua

i ceti privilegiati austriaci, boemi e ungheresi seppero conservare le proprie immunità e il proprio potere contrattuale meglio di quelli degli altri paesi. una legislazione unitaria stentò molto ad affermarsi. Ciascun territorio mantenne perlopiù le proprie consuetudini tradizionali, continuando a configurarsi come una nazione distinta dalle altre e obbligando le autorità di Vienna a estenuanti compromessi. Quello austriaco fu quindi, in quest’epoca, un assolutismo riuscito solo in parte, tanto più che a limitare le tendenze autoritarie della casa regnante era anche il ruolo di imperatori ricoperto dagli asburgo, che li obbligava a salvaguardare il particolarismo vigente nella miriade di piccoli stati e territori tedeschi che costituivano l’autentica ragion d’essere dell’impero. mentre gli asburgo di Vienna tendevano a negare o a circoscrivere le antiche “libertà” in quei territori che si configuravano ormai come loro domini ereditari, nell’esercizio della funzione imperiale restavano sovrani elettivi; erano chiamati a farsi garanti di un federalismo di matrice nettamente antiassolutista. Come accadeva nelle grandi costruzioni politicoistituzionali asiatiche, la dimensione imperiale, accompagnata da un intenso pluralismo etnico, linguistico, religioso, culturale, rendeva per il momento arduo per gli asburgo di Vienna dare vita a una configurazione statale omogenea e unitaria, paragonabile a quella che stava prendendo forma in Francia e in prussia. L’impero degli Asburgo d’Austria nel XVIII secolo FRISIA Amburgo ORIENTALE

Londra

PROVINCE UNITE Lingen

Königsberg Danzica PRUSSIA OCCIDENTALE

IA AN

Stettino ER OM

Berlino P

POLONIA

Vistola

RUSSIA

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Varsavia Magdeburgo Anversa Potsdam MARK Lipsia Bruxelles PAESI Breslavia Colonia BASSI Dresda AUSTRIACI Magonza SLESIA Cracovia Parigi Praga REGNO DI GALIZIA BOEMIA MORAVIA E LODOMIRA

FRANCIA

o Rodan

TIROLO

CARINZIA

Pest

UNGHERIA TRANSILVANIA

CRIMEA

CARNIOLA BANATO 1718

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1718-1739

Danubio

mar Nero

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TOSCANA 1737

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dr

mar Ligure

SERBIA-VALACCHIA

rA

DUC. DI Trento MILANO Milano 1714 PIEMONTE 1738 MANTOVA PARMA 1708 1735-1748 Firenze

1775

Danubio

Buda

r

BUCOVINA

1779

Salisburgo STIRIA

iep

1772

INNVIERTEL Vienna

SVIZZERA

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IMPERO OTTOMANO

SARDEGNA 1714-1720

mar Mediterraneo

REGNO DI NAPOLI 1714-1735

Domini degli Asburgo Acquisizioni temporanee Polonia prima del 1772 Confini del Sacro romano impero 1775

Data di annessione

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  Limiti e successi dell’assolutismo

Una rappresentazione nel teatro della residenza reale di Schönbrunn, XVIII secolo

proprio dalla constatazione della parzialità delle sue realizzazioni conviene ora prendere le mosse per riflettere sul significato del fenomeno dell’assolutismo. anche nei paesi in cui la realtà parve corrispondere meglio agli auspici dei sovrani, infatti, la loro pretesa di dichiararsi assoluti riuscì solo in parte a tradursi in risultato compiuto. ovunque la varietà delle periferie fu in grado di sopravvivere almeno in parte alla pressione uniformante del centro. L’aristocrazia e i corpi privilegiati mutarono costumi, abitudini, caratteristiche, ma non scomparvero. i feudi, ciascuno un piccolo regno all’interno degli stati, continuarono a punteggiare fittamente la superficie di ogni monarchia assoluta. tuttavia i monarchi cominciarono a farsi stabilmente – e spesso minacciosamente – presenti nella vita quotidiana della popolazione minuta. sotto l’assolutismo territori, spazi e popolazioni, fino a qual momento ignari l’uno dell’altro, cominciarono ad avvicinarsi. Le strade e i canali allestiti dallo stato per promuovere le manifatture e il commercio ne ridussero infatti la reciproca distanza. Nei reggimenti dei nuovi, grandi eserciti si realizzò la prima esperienza di socializzazione extralocale per contadini e artigiani provenienti da ogni regione. Come sudditi del monarca, francesi, prussiani, russi si abituarono in questi decenni a riconoscere la loro nuova comune appartenenza a uno Stato, pur conservando quella tradizionale alla comunità locale o alla città in cui ciascuno di loro abitualmente viveva. Ciò non impedì, peraltro, all’austria di continuare a figurare come una potenza di primo piano nello scenario dell’antico regime europeo. se la doppia dignità di sovrani e imperatori rese impossibile agli asburgo sviluppare un assolutismo come quello della Francia e della prussia, essa conferiva però un fascino del tutto particolare al loro prestigio. ma altrove, per esempio in spagna, le cose presero una piega sensibilmente diversa.   Ai margini dell’assolutismo: la Spagna

MEMO Ministro spagnolo nella prima metà del Seicento, Olivares aveva promosso una politica accentratrice allo scopo di unificare dal punto di vista giuridico e fiscale i territori dell’impero spagnolo. Le numerose resistenze al suo progetto, tradottesi in rivolte autonomistiche in Portogallo, Catalogna e Italia lo avevano costretto alle dimissioni.

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La spagna e i territori a essa collegati (da un nesso di tipo imperiale più che statale) rimasero sotto lo scettro degli Asburgo fino al 1702, quando il ramo spagnolo della dinastia si estinse e, al termine di una guerra di successione durata oltre dieci anni (v. cap. 4, par. 4.1), la corona passò ai Borbone di Francia, nella persona di Filippo V. Quest’ultimo, nell’assumere la dignità regale spagnola, si impegnò solennemente a rinunciare ai suoi diritti ereditari sul trono di Francia. Da quel momento in poi, mentre si assisteva allo smembramento dei domini spagnoli europei situati al di fuori della penisola iberica e al loro passaggio sotto altri scettri, in un paese ormai snellito e concentrato ebbero luogo con qualche decennio di ritardo tendenze paragonabili a quelle in atto nella Francia dell’assolutismo. in precedenza, però, tra la metà del seicento e la fine del secolo, i regnanti di madrid avevano di fatto accettato di cedere porzioni consistenti delle proprie prerogative alle Cortes e ai corpi cittadini o alle rappresentanze territoriali di cui si componevano il regno e l’impero. Le rivolte autonomistiche di metà seicento erano state faticosamente domate, ma al prezzo di un sostanziale abbandono delle mire centralizzatrici che avevano animato, specie sotto Olivares, il tentativo di “castiglianizzare” tutte le terre della Corona.

cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

Uno spettacolo in Plaza Major, a Madrid, nel 1700 circa

  Repubbliche nobiliari e monarchie elettive: Italia e Polonia

in Italia a scoraggiare le tendenze assolutistiche era la frammentazione del territorio, suddiviso in vari stati, alcuni dei quali (la repubblica di Venezia, quella di Genova, quella di Lucca) governati direttamente dalle élite nobiliari e altri (il Ducato di milano, il mezzogiorno continentale, la sicilia, la sardegna) resi semiimpermeabili a eventuali pressioni centralizzatrici dalla loro natura di corpi territoriali lontani ed esterni rispetto alla sede del loro sovrano (madrid). anche il grande regno di Polonia confermò durante la seconda metà del secolo e l’inizio del settecento una peculiarità che in precedenza aveva condiviso con la Danimarca e con alcuni territori della compagine governata dagli asburgo di Vienna, ma che ora cominciò a configurarsi come un’esclusiva che aveva in comune con il solo Stato della Chiesa: Varsavia e roma erano infatti le capitali di due monarchie elettive, seppure di natura alquanto diversa. a designare i rispettivi sovrani era comunque l’aristocrazia. in queste realtà particolari, a condizionare l’autonomia sovrana e i suoi margini di discrezionalità erano libertà antiche, le libertà-privilegio di matrice medievale, che obbligavano i regnanti a perdurare nel rispetto delle prerogative degli aristocratici dei rispettivi regni: in polonia la nobiltà feudale e le alte gerarchie ecclesiastiche, nello stato pontificio l’aristocrazia rurale e quella cittadina, dalle cui fila provenivano gran parte dei componenti il collegio cardinalizio.   Dalla libertà dei privilegi alla libertà dei diritti: l’Olanda

Diverso era il caso dell’Olanda, sede del primo esempio europeo di libertà nuova, ovvero di libertà limitata non alla sola aristocrazia e non intesa semplicemente come immunità rispetto allo stato, bensì da un lato estesa anche alla borghesia dei traffici, dall’altro interpretata come diritto attivo della cittadinanza. Nella seconda metà del seicento, mentre la sfida marittima inglese ne metteva in discussione la supremazia mercantile su scala mondiale, di cui essa aveva goduto durante i decenni precedenti, anche l’olanda fu testimone di una ripresa del prestigio aristocratico, ma rimase al tempo stesso repubblica e culla di una tradizione protoliberale, attenta alle prerogative della cittadinanza intera. proprio da quella tradizione emerse, alla fine del seicento, il primo sovrano “parlamentare” della storia inglese, quel Guglielmo d’Orange che, dopo essere stato statolder (presidente) della Repubblica delle Province Unite, pose sul proprio capo nel 1689 lo scettro di un’Inghilterra spinta al di fuori della corrente dell’assolutismo dalla Gloriosa rivoluzione (v. par. 3).

LESSICO Tradizione protoliberale Come indica il prefisso “proto”, è la tradizione che segna gli inizi del pensiero liberale, che si svilupperà soprattutto in Inghilterra alla fine del Seicento con le riflessioni di Locke. Il liberalismo è una dottrina politica secondo la quale fondamento di ogni comunità politica è la garanzia dei diritti dei singoli individui.

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Benjamin West, Oliver Cromwell allontana dal Parlamento gli elementi moderati, 1782

3.3  La seconda rivoluzione inglese MEMO Nel 1649, dopo lunghi anni di guerra civile culminati nella decapitazione del re Carlo I Stuart, fu proclamata da Cromwell, alla testa dell’esercito di nuovo modello, il cosiddetto New Model Army, la Repubblica unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda.

LESSICO Commonwealth Termine inglese che traduce il latino res publica, ma che letteralmente significa “bene comune”. Così fu chiamata la Repubblica unificata di Inghilterra, Scozia e Irlanda proclamata da Cromwell nel 1649. Dalla metà del XX secolo con Commonwealth of Nation si intende la federazione di carattere economico-commerciale delle ex colonie inglesi. Episcopalismo Dal latino episcopus, “vescovo”, è una forma di organizzazione della struttura ecclesiastica fondata su rigide gerarchie che fanno capo ai vescovi e ai pastori del culto, nominati a loro volta dalle autorità superiori (in Inghilterra dal re, capo della Chiesa anglicana).

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  L’Inghilterra di Cromwell

anche in Inghilterra, come in gran parte dell’Europa, nella seconda metà del Seicento si erano manifestate tendenze di tipo assolutistico. ma l’esito che ne derivò fu decisamente antitetico rispetto alla Francia e agli altri paesi europei esaminati fin qui. Dopo la prima rivoluzione inglese e l’instaurazione della repubblica, già nel 1653 oliver Cromwell, che aveva guidato la rivoluzione alla testa del suo New Model Army, impose una svolta autoritaria al paese. Facendosi interprete delle inquietudini e delle preoccupazioni dei settori più conservatori della società, atterriti dal radicalismo religioso e sociale caratteristico di alcune frange del movimento che si era battuto contro la monarchia, egli sciolse il Parlamento, fece arrestare i più turbolenti tra i rivoluzionari e governò fino al 1658 in forma dittatoriale come Lord protettore del Commonwealth, imponendo limiti tanto all’appena conquistata libertà di stampa quanto alla libertà di culto. Nei cinque anni del suo governo Cromwell impostò una politica che mirava soprattutto a spegnere gli estremismi, senza però concedere nuovi spazi né alla vecchia élite tradizionalmente vicina alla dinastia degli ex regnanti né ai cattolici e agli episcopalisti, ovvero a quanti, in ambito propriamente religioso, maggiormente si identificavano con l’ordine abbattuto dalla rivoluzione. una volta assunto il potere, appoggiò soprattutto gli interessi della borghesia proprietaria e mercantile, tutelandola in una guerra marittima prima contro l’olanda, poi contro la spagna. Dal punto di vista legislativo, andò nella stessa direzione il suo Atto di navigazione, emanato già nel 1651: si trattava di un’ordinanza che imponeva alle colonie nell’america del Nord di commerciare esclusivamente con la madrepatria, e che al tempo stesso accordava l’accesso ai porti inglesi alle sole navi britanniche o a quelle di diretta provenienza delle merci importate, con l’intento di sabotare il commercio olandese, fino a quel momento egemone nei circuiti commerciali internazionali.

cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

  Dalla repubblica alla monarchia

alla morte di Cromwell, nel 1658, fallito un tentativo di rendere ereditaria la sua carica affidandola al figlio richard, fu invece al figlio del sovrano decapitato dieci anni prima che il nuovo parlamento, nel quale si era imposta una maggioranza moderata, decise di consegnare il potere vacante. Carlo II Stuart (1630-1685; re d’inghilterra dal 1660) venne così richiamato in patria e nel 1660 assunse il titolo di sovrano. L’inghilterra, per dieci anni repubblica, era di nuovo monarchia. ampi e influenti settori della società inglese desideravano ora il pacifico consolidamento dei risultati ottenuti negli anni Quaranta: il libero esercizio delle prerogative parlamentari, il contenimento dei privilegi aristocratici, la tutela della libertà confessionale e di quella civile. E il perdurante carisma della dignità regale pareva loro la possibile garanzia di un rinnovato equilibrio interno. Carlo II, dopo essersi impegnato al rispetto di questi valori, si comportò però in modo assai ambivalente. Da un lato, infatti, confermò in forma solenne la tutela dei diritti individuali, attraverso l’Habeas Corpus Act del 1679, che garantiva i cittadini dagli eventuali arbitri del potere giudiziario; dall’altro, sciolse a più riprese il Parlamento – tornato a essere, come accadeva prima della rivoluzione, un’adunanza estemporanea, piuttosto che un corpo istituzionale permanente – e avviò una politica religiosa da molti giudicata pericolosamente filocattolica. il parlamento si era intanto articolato in due partiti, i tories, prevalentemente aristocratici e anglicani, e i whigs, essenzialmente borghesi e puritani. malgrado le differenze che li separavano, essi fecero tuttavia fonte comune quando il successore di Carlo ii, il fratello Giacomo II (1633-1701, re d’inghilterra dal 1685 al 1688), fervente cattolico (contrariamente agli accordi con il parlamento, aveva anche fatto battezzare il figlio), minacciò di imitare quello stile di governo autoritario che era costato la detronizzazione ai suoi antenati e che era nel frattempo divenuto la regola nella Francia di Luigi XiV. mentre sul continente i corpi intermedi in quegli anni in gran parte tacevano, il Parlamento inglese non solo reagì, ma impose anche il riconoscimento di una sua nuova funzione, non più limitata alla protezione del paese dagli abusi regi, ma estesa all’ambito attivo della legislazione.

LESSICO Habeas Corpus Act Legge per la quale ogni cittadino tratto in arresto ha il diritto di conoscere il motivo del provvedimento, di essere condotto immediatamente davanti al giudice e di essere rimesso provvisoriamente in libertà previo pagamento di una cauzione. Il nome deriva dalle prime parole del testo latino della legge: Habeas corpus ad subiciendum,“Abbi il (tuo) corpo a disposizione”. Tories e Whigs Sono le due fazioni presenti dal XVII secolo nel Parlamento inglese, che si consolidano in quanto tali dopo la Gloriosa rivoluzione; secondo alcuni studiosi sono i primi partiti politici moderni. I whigs, puritani e borghesi, rappresentano gli interessi del denaro, i tories, aristocratici e anglicani, quelli della terra.

  La Gloriosa rivoluzione

Dopo aver costretto il monarca in carica a fuggire in Francia, i deputati parlamentari chiamarono in inghilterra lo statolder olandese Guglielmo III d’Orange (1650-1702, re dal 1689), protestante, che era genero di Giacomo ii, avendone sposato la figlia maria. il Parlamento, liberandosi di un sovrano orientato a seguire l’esempio di Luigi XiV ed evitando in questo modo che scoppiasse una guerra civile simile a quella degli anni Quaranta, attuò quella che venne definita Glorious revolution (“Gloriosa rivoluzione” perché avvenuta senza spargimento di sangue), confermando in questo modo di essere diventato l’autentico arbitro della vita politica del paese. all’atto di salire al trono, Guglielmo d’orange giurò infatti solennemente di rispettare il dettato del Bill of rights, sottopostogli nel 1689. il documento sanciva alcuni diritti fondamentali: proclamava la libertà dell’individuo di fronte alla legge, la libertà di stampa e di espressione, la libertà di culto all’interno della fede riformata. ribadiva inoltre le prerogative parlamentari non solo in materia di approvazione delle imposte, ma anche in relazione alla titolarità dell’esercizio del potere legislativo.

Approfondire L’atto di tolleranza

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  Dalla sovranità del re a quella della cittadinanza LESSICO Democrazia Con democrazia si intende un organismo politico in cui il potere appartiene al popolo e in cui, quindi, a prescindere dalla forma di Stato vige il suffragio universale. È pertanto possibile una monarchia democratica (com’è oggi il caso della monarchia parlamentare inglese). Monarchia costituzionale Forma di governo monarchico nella quale il potere del re è limitato da una Costituzione scritta, la quale prevede l’esistenza di una rappresentanza politica eletta da una parte dei cittadini. Tale rappresentanza condivide con il sovrano l’esercizio del potere legislativo.

Dopo molti decenni di conflitti, in Gran Bretagna la tradizionale visione gerarchica della società, basata sulle dottrine dell’investitura divina del re e della naturale sudditanza della popolazione, venne così definitivamente rovesciata. si trattava tuttavia di un’eccezione, che nell’Europa continentale trovava in quell’epoca un corrispettivo soprattutto nel caso delle Province Unite dell’Olanda, le quali però all’affermazione dei nuovi principi avevano abbinato la scelta di una forma di stato repubblicana. Non era quindi un caso che il nuovo re d’inghilterra provenisse proprio da quel paese, dove da più di un secolo era stata elaborata una visione della politica di impronta antiautoritaria e dove si era consolidata una tradizione di grande tolleranza religiosa. anche in inghilterra, come in olanda, l’organo che si era assunto la titolarità del potere legislativo, il Parlamento, rappresentava però solo gli strati più elevati della società, dal momento che i progetti di introduzione del suffragio generale maschile erano stati accantonati di fronte al timore che da ciò potesse derivare una troppo radicale messa in discussione dell’ordine sociale. Quella che si era affermata in inghilterra, dunque, non solo non era una repubblica, ma neppure una democrazia; era una monarchia costituzionale, nella quale, pur nel rispetto dell’istituto regio, la sovranità della legge e della rappresentanza della nazione aveva sostituito il principio dell’arbitrio del re.

ANALIZZARE LA FONTE

Il Bill of rights Autore: Parlamento inglese – Tipo di fonte: decreto legislativo – Lingua originale: inglese – Data: 1689 I passi del Bill of rights qui riportati mettono in luce soprattutto l’affermazione del Parlamento quale organo supremo della volontà della nazione inglese.

art. 1. il preteso potere di sospendere dalle leggi, o dall’applicazione delle leggi, per autorità regia, senza il consenso del parlamento è illegale. art. 2. il preteso potere di dispensare [esentare] dall’osservanza delle leggi, e dall’esecuzione delle leggi, per autorità regia, come è stato fatto di recente, è illegale. art. 4. La raccolta di denaro ad uso della corona, sotto pretesto di prerogativa, senza concessione del parlamento, per un periodo più lungo, o in modi diversi da quelli da esso fissati, è illegale. art. 6. radunare o mantenere un esercito permanente nel regno in tempo di pace, senza il consenso del parlamento, è illegale. art. 8. Le elezioni dei membri del parlamento devono essere libere. art. 9. La libertà di parola, o i dibattiti o i procedimenti in parlamento, non debbono essere posti sotto accusa o contestati in nessun tribunale o luogo al di fuori del parlamento. art. 13. per rimediare a tutte le lagnanze, e per correggere, rafforzare e difendere le leggi, si devono tenere frequenti parlamenti. F. Gaeta, p. Villani, Documenti e testimonianze, principato, milano 1971

Domande alla fonte 1. Che cosa è considerato illegale sulla base del Bill of rights? 2. Della garanzia di quali diritti si parla?

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cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

  L’eccezione inglese nel contesto europeo

L’epilogo del tormentato seicento inglese chiariva che, in contrasto con la situazione caratteristica di gran parte del continente, diviso prevalentemente tra tentazioni assolutistiche e sopravvivenze di un antico ordine basato sui privilegi, in Gran bretagna la sovranità spettava ormai in linea di principio non alle teste coronate, alle dinastie, bensì alla popolazione e ai suoi rappresentanti, designati almeno in parte grazie a elezioni (così la Camera dei Comuni), e non in base a privilegi ereditari (come avveniva nelle diete cetuali continentali e nella stessa Camera inglese dei Lord, simbolo della parziale sopravvivenza dello spirito antico in quello nuovo). Da una percezione del potere essenzialmente come rivelazione dall’alto, come proiezione mondana dell’autorità divina, si era passati a una sua costruzione dal basso. Nell’esercizio del pubblico potere si riconosceva, ora, l’esito dei mutevoli rapporti di forza tra coloro che non erano più sudditi, bensì cittadini, muniti di diritti individuali: la libertà di espressione, quella di stampa, quella, infine, di designare i propri rappresentanti politici elettivi e di affidare loro il compito di promulgare le leggi.

Letteratura D. Defoe, Moll Flanders

Il laboratorio dello storico Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione, p. 72

ANALIZZARE LA FONTE

Il nuovo ruolo del potere legislativo nel pensiero di John Locke Autore: John Locke Tipo di fonte: trattato di argomento politico Lingua originale: inglese Data: 1690 Il pensatore e filosofo John Locke (1632-1704), che può essere considerato il fondatore del pensiero liberale europeo, nell’opera Due trattati sul governo civile (1690) sintetizzò nel modo più efficace i tratti fondamentali del nuovo modello di monarchia basato sulla divisione dei poteri e sull’attribuzione di quello legislativo al Parlamento.

poiché il fine principale dell’entrata degli uomini in società è il godimento delle loro proprietà in pace e tranquillità, e i principali strumenti e mezzi diretti a questo fine sono le leggi stabilite in quella società, la prima e fondamentale legge positiva1 di tutte le società politiche consiste nello stabilire il potere legislativo […]. Questo legislativo non è soltanto il potere supremo della società politica, ma rimane sacro e immutabile nelle mani in cui la comunità l’ha collocato […]. Ciò che è assolutamente necessario ed essenziale alla legge è il consenso della società, alla quale nessuno può avere il potere di dar leggi se non per consenso di lei e per autorità da essa ricevuta […]. il potere supremo è il legislativo, perché ciò che può dar leggi ad altri deve necessariamente essergli superiore […]; tutti gli altri poteri, in qualunque membro o parte della società si trovino, debbono derivare da esso ed essergli subordinati. J. Locke, Due trattati sul governo, Editori riuniti, roma 1992 1. Legge positiva: è la legge scritta da un legislatore, propria di un ordinamento politico. Essa è spesso contrapposta alla legge naturale, non scritta e valida universalmente. Domande alla fonte 1. Perché gli uomini decidono di costituire una società politica? 2. Qual è la legge a fondamento di tutte le società politiche? 3. Qual è il presupposto essenziale della legge? 4. Perché il potere legislativo è considerato il potere supremo?

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Il laboratorio dello storico

Londra alla fine del Seicento: rinnovamento ed espansione

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica

La nascita dell’opinione pubblica Nella Londra della Gloriosa rivoluzione fecero per la prima volta la loro comparsa i quotidiani, con le loro news. Essi portarono alla conoscenza del pubblico argomenti che fino a qualche tempo prima costituivano segreti di Stato e che a partire da quel momento divennero, invece, oggetto di riflessione e di discussione per tutte le persone capaci di leggere. Osserviamo questo disegno:

Non si tratta di un dipinto composto secondo le regole canoniche, come tanti se ne incontrano nella storia dell’arte europea, volti a celebrare in pompa magna interi gruppi familiari principeschi o nobiliari, ma pochi, incisivi tratti di un disegno (quasi una caricatura) messo nero su bianco in un batter d’occhio

L’artista è stato capace di cogliere con immediatezza la psicologia della persona raffigurata: una postura vivace e animata, un abbigliamento sobrio e privo di qualsiasi sfarzo, un paio di occhialini attorno alla curva del naso, e l’occhio proteso verso una pagina di giornale tenuta tra le mani

si direbbe che questo anonimo lettore delle ultime notizie se ne stia in piedi, in mezzo alla strada. Ha fermato per un istante il suo convulso cammino per leggere le ultime news. La scena si svolge con ogni probabilità a Londra Francis Le Piper, La lettura delle ultime notizie, disegno, 1690 circa (Londra, British Museum)

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cApITOLO 3 - L’EurOpA TrA ASSOLuTISMO E LIbErTà

Una città immensa e fiera A Londra dalla metà alla fine del XVII secolo sono repentinamente mutate non solo le regole del gioco politico, ma anche la morfologia dell’insediamento. Nel 1666, mentre imperversava l’ennesima epidemia di peste, la città venne colpita da uno spaventoso incendio, che distrusse gran parte dei tanti edifici di legno. Nei decenni seguenti venne quasi integralmente ricostruita e si espanse a perdita d’occhio diventando la più grande città d’Europa. Il brano seguente, tratto dall’opera di Daniel Defoe Tour through the Whole Island of Great Britain (“Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna”) ce ne dà un’emblematica descrizione.

sorgono ogni giorno nuove piazze e nuove vie con tale prodigioso numero di costruzioni, che nulla al mondo le uguaglia, né le ha mai uguagliate, salvo al tempo dell’antica roma di traiano, quando le sue mura misuravano cinquanta miglia di circonferenza, e gli abitanti contavano sei milioni e ottocentomila anime. La sventura di Londra, non meno della sua bellezza, è data dal fatto che essa si espande, con edifici nuovi secondo il piacere di ogni costruttore o imprenditore edile, e come vuole la necessità popolare, sia per esigenze di commercio o altro; e così il suo aspetto si è ingigantito in maniera disordinata e confusionaria, al di fuori di ogni forma fissa, anzi in forma sconnessa e disuguale […]. si vedono vari villaggi che già si trovavano, per così dire, in campagna, e anche a una distanza notevole, uniti nelle strade cittadine da file ininterrotte di edifici, e altri si affrettano con la stessa maniera a congiungersi […]. Fin dove si dilaterà dunque questa mostruosa città? E dove si dovrà collocare una linea di circonvallazione, o periferia? […] in conclusione, l’estensione o circonferenza degli abitati della città di Londra e Westminster con la borgata di southwark, che tutti insieme vanno per comune accezione sotto il nome di Londra, ammonta a trentasei miglia, due ottavi di miglio e trentanove rods (circa 58 chilometri) […]. in forza di ciò che si conosce benissimo intorno alle nascite e alle morti, così come intorno al prodigioso aumento di costruzioni, si può logicamente concludere che il numero degli abitanti attualmente compresi dentro la circonferenza da me or ora indicata debba ammontare a un milione e mezzo almeno, con la precisazione che il numero seguita a crescere in misura straordinaria […]. La borsa (Royal Exchange), nel suo genere il più grande e bell’edificio del mondo, è […] di tale bellezza da essere abbastanza eloquente di per sé senza bisogno di venire altrimenti descritta. È da notare che sebbene la ricostruzione di questa borsa sia costata ai cittadini una somma enorme di denaro, alcuni dicono, una volta finita e ornata così squisitamente, fino a ottantamila sterline, essa si mostrò tuttavia così adatta alla stipulazione dei grandi negozi, che per molti anni i fitti, o la rendita, corrisposero pienamente all’interesse del denaro sborsato per costruirla.

La cifra di un milione e mezzo di abitanti, proposta negli anni Venti del settecento dallo scrittore è certamente iperbolica (come lo è, del resto, quella relativa alla roma di traiano, portata come paragone), ma esprime bene quella fierezza del proprio paese che divenne sentimento comune degli abitanti della Gran bretagna e specialmente della sua capitale, tanto in seguito alla liberalizzazione prodotta dalla doppia rivoluzione seicentesca quanto in ragione della prosperità economica che le si accompagnò

Daniel Defoe, Viaggio attraverso l’intera isola della Gran Bretagna, in Opere, a cura di C. izzo, vol. iii, sansoni, Firenze 1963, pp. 576-584

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate una fonte figurativa coeva di tipo particolare (non un dipinto di alta qualità, ma, piuttosto, uno schizzo che assomiglia molto a una vignetta) e un testo letterario più tardo di qualche decennio, che appartiene al genere della letteratura di viaggio. • Quale scarto si coglie, in questo disegno, rispetto al messaggio in genere trasmesso dalla pittura di carattere più ufficiale? • Crescita, espansione, rinnovamento. In che modo ci parla di questi temi il disegno, e in che modo ce ne parla invece il resoconto di viaggio di Defoe?

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cApITOLO 3

L’EUROPA TRA ASSOLUTISMO E LIBERTà

Mappa Inghilterra

Fine della repubblica dittatoriale di Cromwell, restaurazione della monarchia

Gli Stuart entrano in conflitto con il Parlamento

Il Parlamento caccia Giacomo II e lo sostituisce con Guglielmo III d’Orange

Monarchia costituzionale

Olanda

repubblica

Le libertà sono estese anche alla borghesia

rEgIMI pOLITIcI EurOpEI NEL ’700

Assolutismo sul modello francese

Firma del Bill of rights

Gloriosa rivoluzione inglese

Monarchia elettiva

polonia

Stato della chiesa

Danimarca e Svezia

prussia

russia

Austria

I sovrani si impongono sulla nobiltà

Esercito permanente e sinergia tra nobiltà di sangue e monarchia

Repressione del dissenso religioso e mobilità sociale con la Tavola dei ranghi

Potere assoluto nei domini ereditari, federalismo antiassolutista nei territori dell’Impero

Assolutismo incompiuto 74

cApITOLO 3

L’EUROPA TRA ASSOLUTISMO E LIBERTà

Sintesi 3.1 IL MODELLO FRANCESE: L’ASSOLUTISMO NEL NORD DELL’EUROPA L’assolutismo francese venne imitato da diversi sovrani europei, specie nell’area del Baltico: in svezia e in Danimarca ma soprattutto in prussia e in russia. in Prussia il potere era stato assunto dalla famiglia degli Hohenzollern, gli antichi marchesi di brandeburgo che nel 1700 trasformarono il loro dominio in un regno. La politica assolutistica si fondava qui soprattutto sulla forza dell’esercito, che era permanente e basato in parte sulla coscrizione obbligatoria. L’aristocrazia prussiana da un lato si vide in parte limitare le prerogative, le immunità e le libertà che l’avevano in precedenza resa padrona degli spazi locali; ma dall’altro venne prescelta come titolare quasi esclusiva delle cariche di comando della burocrazia e dell’esercito del re. anche la borghesia colta, istruita presso le università, svolse un ruolo importante e contribuì con il proprio sapere specialistico alla realizzazione di una vera e propria scienza della pubblica amministrazione. a dare impulso all’assolutismo in Russia fu invece la famiglia dei Romanov, che con pietro il Grande iniziò un lungo percorso di modernizzazione e di occidentalizzazione. simbolo di questa politica fu la costruzione della nuova capitale, San Pietroburgo, sul mar baltico. se simili alla Francia furono le misure prese in prussia e russia per creare un esercito permanente, consolidare l’apparato burocratico e incrementare la produttività del paese, diverso e più complesso fu qui il rapporto con la nobiltà. mentre venivano limitati i suoi privilegi, essa rimase tuttavia la titolare quasi esclusiva di tutte le cariche della burocrazia e dell’esercito. 3.2 ASSOLUTISMI INCOMPIUTI, LIBERTà VECCHIE E NUOVE un ruolo importante ricopriva l’aristocrazia in Austria, dove l’assolutismo rimase anche per questo imperfetto. a ciò si aggiungeva la natura composita del dominio territoriale degli asburgo d’austria che comprendeva, oltre all’austria, anche boemia e ungheria, rendendo più difficile raggiungere l’uniformità giuridica e fiscale. Gli asburgo ricoprivano anche la carica di imperatore, che prevedeva una politica federalista difficilmente conciliabile con il progetto assolutista.

in Spagna il progetto assolutista ebbe poco successo fino a quando, in seguito all’estinguersi del ramo spagnolo della dinastia degli asburgo, il potere passò nelle mani dei borbone che incominciarono a introdurvi le stesse tendenze assolutiste presenti in Francia. in Italia l’assolutismo non si realizzò soprattutto a causa della frammentazione del territorio dove convivevano repubbliche nobiliari e territori dipendenti da domini lontani (in particolare la spagna). in entrambi i casi il potere rimaneva concentrato nelle mani delle élite locali. analogo per certi aspetti era il caso della Polonia che, insieme allo Stato della Chiesa, rimaneva una monarchia elettiva. anche qui il potere restava prevalentemente in mano all’aristocrazia cha condizionava fortemente l’autorità sovrana. Completamente diverso è invece il caso dell’Olanda, l’unica repubblica di stampo moderno, dove per la prima volta si affermò un nuovo concetto di libertà intesa non come privilegio ma come diritto di partecipare attivamente alla vita politica del paese.

3.3 LA SECONDA RIVOLUZIONE INgLESE in inghilterra nel 1689 si formò la prima monarchia costituzionale. Qui infatti, dopo la morte di Cromwell, che aveva imposto una vera e propria dittatura assumendo il titolo di Lord protettore, e il ritorno degli stuart (Carlo ii e Giacomo ii), che cercarono di reintrodurre tendenze assolutistiche, venne fatta una rivoluzione senza sangue, detta per questo “Gloriosa rivoluzione”. il re Giacomo ii fu deposto e fu chiamato come nuovo sovrano Guglielmo d’Orange, statolder d’olanda, che sottoscrisse il Bill of rights, la prima carta “costituzionale”. Questo documento garantiva i principali diritti civili e riconosceva al parlamento il potere legislativo. al potere arbitrario, proprio delle monarchie assolute, si sostituiva quindi il potere legale, proprio delle monarchie costituzionali, che limitava per sempre il potere assoluto dei sovrani. 75

Identità collettiva e cittadinanza

D Inclusione Esclusione

Christian Gottfried Geissler, L’arrivo dei membri del Consiglio generale a Ginevra davanti al municipio, acquerello, XVIII secolo (Ginevra, Biblioteca Universitaria)

il potere nell’antico regime Diverse forme di partecipazione politica

Inclusione

D

un’altra logica. Quello che invece vogliamo fare qui urante l’età moderna venne è raccontare le modalità che regolavano la ripetuto un’infinità di volte il partecipazione della popolazione al potere non solo famoso apologo del console in Olanda, ma un po’ in tutta l’Europa di antico regime; romano Menenio Agrippa che, mostrare, perciò, come le membra della società si secondo la tradizione, convinse collegassero al capo. la plebe, ritiratasi sull’Aventino, Per operare le scelte più importanti (tra le quali a fare ritorno a Roma, la fissazione dell’entità e delle modalità di prelievo spiegando la convenienza della delle tasse) i sovrani erano tenuti a convocare collaborazione gerarchica tra delle assemblee rappresentative del territorio le varie parti del corpo sociale. e a concordare con queste le iniziative. Ecco, per esempio, come lo ripropose nel Seicento un Una seduta del Parlamento di Parigi all’inizio del XVIII secolo ambasciatore pontificio, Guido Bentivoglio, in una sua relazione sulle Province Unite (l’Olanda): «Cospiravano dunque insieme concordemente il Prencipe, & i popoli in questa maniera; il Prencipe contentandosi d’una autorità non del tutto assoluta; & i popoli d’una libertà moderata; in quella guisa, apunto, che suol precedere il governo tra il capo, e le altre membra nel regno del corpo umano». Quando si parla di antico regime, molto spesso lo si abbina senza troppo pensarci all’assolutismo, ovvero a un Le leggi fondamentali di ciascun regno non potevano essere sistema basato sull’esercizio, da parte di una sola toccate senza il consenso di questi organi che, dunque, persona, di un potere esclusivo e privo di freni, ma erano il tramite di un processo di inclusione politica. questa è un’impostazione semplicistica e, in realtà, La convocazione periodica fuorviante. Essa deriva dall’anacronistico colo se II XV l de o izi delle assemblee generali era un trasferimento degli schemi ese all’in Il Parlamento ingl avvenimento composto da una politico-istituzionali egualitari sequenza di passaggi successivi che caratteristici del mondo per mesi impegnavano attivamente contemporaneo a una realtà una parte della popolazione. che era organizzata in base a 77

Inclusione Esclusione

Identità collettiva e cittadinanza Gonzales Coques , L’esecuzione di Carlo I, XVII seco lo (Amiens, Mus eo della Piccardi a)

Nelle città del regno (o, come nel caso dell’Olanda, della repubblica) si riunivano i consigli municipali e decidevano quali rappresentanti inviare presso il capoluogo. Lo stesso facevano nobili ed ecclesiastici. E in qualche territorio – per esempio la Svezia, e, più in generale, nelle aree montane dell’arco alpino – del medesimo diritto godevano anche i contadini. Si discuteva a lungo, allo scopo di fornire i delegati di un mandato da difendere al cospetto del governo. Poi, lunghe carovane solcavano per settimane le strade che portavano alla sede della riunione. L’intero paese osservava il passaggio di chi, addobbato di abiti pomposi, si recava a deciderne le sorti. La cerimonia di inaugurazione delle sessioni era particolarmente solenne e sfarzosa e richiamava a frotte la popolazione della città in cui esse si tenevano; una gran folla di curiosi attirati dallo spettacolo, ma anche persone ansiose di sapere che cosa si sarebbe deciso.

i

sovrani dell’antico regime europeo erano assoluti? Sarebbe loro sicuramente piaciuto, ma non è così. Leggiamo ancora qualche brano della relazione di Bentivoglio : «Era il governo […] composto di tre forme congiunte insieme; cioè di Monarchia, d’Aristocratia, e di Democratia; ma temperato in maniera che la parte più sublime consisteva nella persona del Prencipe; e la parte loro vi ritenevano ancora con moderata proportione gli Ottimati, e la moltitudine popolare. Formavansi i loro Stati (sotto il qual nome di Stati s’intende il corpo, ch’essi rappresentano di ciascuna provincia) quasi comunemente di tre ordini di persone; 78

cioè d’Ecclesiastici; di Nobili più qualificati; e del popolo delle Città e Terre di maggior conto». E le città, aggiungeva Bentivoglio, erano come «tante picciole e particolari Repubbliche». Nella mentalità dell’antico regime monarchia e repubblica non erano, dunque, elementi necessariamente in opposizione. Se la monarchia era il capo, le “repubbliche” cittadine erano alcune delle membra, che, insieme ad altre (i corpi privilegiati), contribuivano a rendere l’esercizio del pubblico potere una funzione condivisa e inclusiva. Oltre a contrattare in materia di tasse, concordando con i sovrani entità e modalità del prelievo fiscale, le assemblee rappresentative degli Stati europei di antico regime avevano un mandato fondamentale: vigilare che il principe

il potere nell’antico regime rispettasse le leggi fondamentali del regno e impedire che emanasse editti lesivi di queste. I giuristi dell’epoca, anche quelli più inclini a sostenere la discrezionalità del potere del re, erano concordi nell’affermare che ai propri “diritti naturali” nessun paese aveva rinunciato, e che questi comprendevano non solo la facoltà di contribuire a indirizzare con il proprio consiglio l’operato dei governanti, ma anche quella di abbattere con la forza un sovrano che non avesse rispettato i patti originari stabiliti con i propri sudditi. Come si esprimeva in proposito un giurista francese «è grande cosa […] che i nostri re […] abbiano voluto mettere la loro volontà sotto la civilité [civiltà] della legge, facendo in modo che i loro editti e decreti passassero per l’alambicco di questo ordine pubblico del Parlamento». È interpretando in modo particolarmente ardito questi presupposti che, alla metà del Seicento, i rivoluzionari inglesi decretarono la condanna a morte di Carlo I Stuart. Il sovrano si era infatti a lungo rifiutato di convocare il Parlamento. Poi, una volta costretto a farlo, aveva dichiarato di non volere tenere conto delle sue richieste, e di non accettare, dunque, che l’“alambicco” facesse il proprio lavoro. Fu un Parlamento infuriato a decidere la sua sorte.

C

ome quest’ultimo esempio ci chiarisce, poteva dunque accadere che il modello di collaborazione tra capo e membra sul quale si reggeva la società di antico

regime non funzionasse secondo gli auspici. E ancora: è vero che cittadini, nobili, ecclesiastici partecipavano al potere, ma tante altre parti della popolazione restavano fuori. C’erano, cioè, nella società molte membra – le più povere e le più numerose – che non godevano del diritto di essere rappresentate o che lo erano in modo insufficiente. Talvolta la loro insoddisfazione superava il livello di guardia, e allora per i governi si aprivano tempi di crisi e per le società europee scattava l’ora della rivoluzione. L’età moderna ne ha conosciute molte. Quella francese ha determinato la fine dell’antico regime e ha sancito il principio di una partecipazione al potere egualitaria e aperta tendenzialmente a tutti; ovvero la legittimazione di tutte le membra, nessuna esclusa, e la cessazione della loro subordinazione al capo.

79

Capitolo 4

Cento anni di guerra (1652-1763) 4.1  Tante guerre per un secolo   Dalle guerre ideologiche alle guerre di conquista

oltre quindici guerre afflissero l’europa dalla metà del Seicento alla metà del Settecento. Molti paesi presero parte a questi conflitti non più, come avveniva in precedenza, per veder riconosciuto il diritto a esercitare la propria religione o per veder garantita la propria indipendenza, ma allo scopo di impadronirsi di nuovi territori in europa, in america e, in misura minore, anche in asia; oppure al fine di imporre la propria supremazia sulle rotte commerciali; o, ancora, per far sì che una persona gradita si insediasse su un trono rimasto vacante per estinzione della dinastia regnante. Sotto i nostri occhi si snoda un elenco di regioni e città che durante il periodo considerato cambiarono padrone. analizziamo ora brevemente i conflitti più importanti. La battaglia di Solebay, XVIII secolo

Il quadro raffigura uno dei numerosi scontri durante la Guerra d’Olanda (1672) combattuta dagli anglofrancesi contro le Province Unite

Nella scena ad affrontarsi sono le navi della marina inglese e quelle della flotta olandese La battaglia, avvenuta nel mare del Nord, vide la vittoria delle truppe olandesi al comando dell’ammiraglio Ruyter

La Guerra d’Olanda fu uno degli oltre quindici conflitti che tra la metà del Seicento e la metà del Settecento furono combattuti in Europa

80

  Le guerre di conquista di Luigi XIV

LESSICO

Mentre l’inghilterra era impegnata in questioni di politica interna e l’austria combatteva contro i turchi (v. Approfondire), Luigi XIV, come abbiamo visto (v. cap. 2, par. 2.5), si impegnò in una serie di guerre con l’obiettivo di imporre la supremazia francese in europa. Cominciò con il muovere guerra alla Spagna, per il possesso dei Paesi Bassi spagnoli, nella cosiddetta Guerra di devoluzione (16671668). L’esercito francese occupò il Belgio e la Franca Contea, e si preparò a invadere le Province Unite. ne scaturì, di lì a qualche anno, la Guerra d’Olanda (1672-1678). gli olandesi, allagando il loro territorio, riuscirono a contenere l’avanzata francese. non di meno, il re Sole uscì vincitore da questo ciclo di guerre, ottenendo il riconoscimento delle acquisizioni territoriali francesi nelle Fiandre e nella Franca Contea. Fu questo il periodo di apogeo della potenza francese. La situazione cambiò radicalmente negli anni ottanta, quando l’austria sconfisse i turchi e l’inghilterra ritrovò la stabilità interna con la fine della Gloriosa rivoluzione e l’ascesa al trono di guglielmo d’orange. Le due potenti nazioni intendevano ora porre fine all’espansione francese. nacque quindi una coalizione antifrancese, la Lega di Augusta, composta da Inghilterra, Austria, Olanda, Spagna e Svezia. dopo lunghi anni di guerra, per la prima volta Luigi XIV, completamente isolato, dovette accettare un accordo (Pace di ryswyk, 1697) e restituire i territori occupati in alsazia e Lorena.

Guerra di devoluzione Rifacendosi al “diritto di devoluzione”, una vecchia norma del Brabante secondo la quale l’eredità paterna doveva essere “devoluta” ai figli di primo letto, in qualità di consorte della principessa Maria Teresa, unica figlia superstite del primo matrimonio di Filippo IV di Spagna, Luigi XIV rivendicò il dominio sui Paesi Bassi.

APPROFONDIRE

Il declino dell’Impero ottomano l 1683, anno del fallito assedio dei turchi a Vienna, segna Iprotratto l’inizio del lento declino dell’Impero ottomano che si sarebbe fino alla Prima guerra mondiale. Peraltro i primi sintomi di decadenza si erano già fatti sentire alla fine del XVI secolo con la progressiva perdita di prestigio dei sultani, che cominciarono a delegare l’esercizio del potere al gran visir, una sorta di primo ministro spesso corrotto e coinvolto in intrighi di palazzo. Dalla fine del Seicento e per tutto il Settecento i turchi furono impegnati in guerre che li opposero sia ai tradizionali nemici (Venezia e Austria) sia alla nascente Russia che rivendicava la supremazia sul mar Nero e nel Caucaso. Una sconfitta decisiva avvenne nella guerra che oppose nel 1686 i turchi alla Lega Santa (Austria, Polonia, Venezia, Stato Pontificio). Nel 1699, con la pace di Carlowitz, l’Impero ottomano dovette riconoscere all’Austria la sovranità su Ungheria, Transilvania e Croazia; a Venezia i porti della Dalmazia e dell’Albania; alla Russia il porto di Azon in Crimea. Un’ulteriore disfatta fu siglata nel 1718 con la pace di Passarowitz, con la quale gli austriaci ottennero anche parte della Serbia e la Valacchia. Alla fine del Settecento, quindi, il dominio turco nei Balcani era ridotto ai territori a sud del Danubio.

L’assedio turco a Vienna nel 1683

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  Le guerre di successione

Una fase della battaglia di Vigo tra forze franco-spagnole e anglo-olandesi nel 1702, durante la Guerra di successione spagnola (Greenwich, National Maritime Museum)

L’esercito prussiano durante la Guerra dei sette anni

82

il precario equilibrio raggiunto fu nuovamente messo in discussione a partire dall’inizio del Settecento, quando iniziò una serie di conflitti per la successione dinastica rispettivamente in Spagna, Polonia e Austria. il primo scontro significativo fu la Guerra di successione spagnola (17011714). Con la morte senza eredi di Carlo ii di Spagna si era estinta la dinastia degli asburgo di Spagna. il re aveva designato come suo erede Filippo d’angiò, nipote di Luigi XiV, che salì al trono come Filippo V di Spagna. temendo una pericolosa fusione tra Francia e Spagna, l’inghilterra, l’olanda, l’austria e la Prussia formarono una nuova coalizione antifrancese, che mise a dura prova la Francia. La Pace di Utrecht (1713) e quella di Rastadt (1714) posero infine termine al conflitto: Filippo V mantenne il trono di Spagna ma dovette rinunciare a ogni annessione in Francia; inoltre la Spagna fu costretta a cedere i suoi domini in Italia e i Paesi Bassi spagnoli all’Austria. Ma la vera vincitrice fu l’Inghilterra che, oltre a importanti privilegi commerciali, ottenne dalla Francia alcune regioni del nord america (Terranova e la Nuova Scozia) e dalla Spagna alcuni territori strategici per il controllo del Mediterraneo (Minorca e Gibilterra). Le ostilità ripresero alla morte del re di Polonia augusto ii. nella Guerra di successione polacca (1733-1738) a fronteggiarsi furono austria e russia, da un lato, Francia dall’altro. e quest’ultima trovò alleati nella Spagna e nel Piemonte, interessati a contrastare il predominio austriaco in italia. Fu per questo motivo che il campo di battaglia finì per essere soprattutto la penisola italiana, la quale in seguito a questi conflitti subì profondi mutamenti. L’Austria dovette cedere Napoli e la Sicilia ai Borbone, ottenendo però in cambio il Ducato di Parma e Piacenza, mentre la Toscana, dopo l’estinzione della dinastia dei Medici, passò ai Lorena, imparentati con gli asburgo. un ulteriore conflitto fu causato dal rifiuto da parte del re di Prussia Federico ii di riconoscere la successione al trono austriaco di Maria teresa d’asburgo, figlia del defunto Carlo Vi. Questa opposizione causò la Guerra di successione austriaca (1740-1748), che vide schierate contro l’austria, a fianco della Prussia, Francia e Spagna. Ma la monarchia austriaca, grazie soprattutto alla fedeltà dell’ungheria, riuscì a resistere e Maria teresa conservò lo scettro, dovendo però infine concedere, con la Pace di Aquisgrana del 1748, la Slesia alla Prussia e il Ducato di Parma a Filippo di Borbone (v. carta, p. 85).

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

  Il rovesciamento delle alleanze: la Guerra dei sette anni

avendo compreso che il nemico principale non era più la Francia, ormai in declino, bensì la Prussia, in forte ascesa, austria e russia decisero a questo punto di allearsi con la prima contro la seconda, la quale a sua volta aveva stretto alleanze con l’inghilterra. Si creò in questo modo un rovesciamento del tradizionale sistema dei rapporti di forza continentali, che fu all’origine alla cosiddetta Guerra dei sette anni (1756-1763) conclusasi con la Pace di Parigi. Pur esprimendosi in fasi talvolta drammatiche, in europa il conflitto non produsse, peraltro, importanti cambiamenti territoriali, mentre invece dispiegò i suoi effetti più significativi sul fronte nordamericano e su quello indiano, dove a battersi gli uni contro gli altri, in una sorta di guerra parallela a quella che si stava svolgendo sul continente europeo, furono soltanto francesi e inglesi. Qui, infatti, si assistette al drastico indebolimento dell’impero coloniale francese e al transitorio consolidamento di quello inglese. annI 

Europa

1756-1757

Federico II penetra in Boemia e pone l’assedio a Praga, ma è costretto a ritirarsi; sconfigge i franco-russi che avevano strappato Hannover e Brunswick al controllo inglese

1758

Alleanza tra Austria e Francia. Federico II respinge l’invasione dei russi e mantiene il controllo di Sassonia e Slesia

1759-1760

Sconfitto dai francesi e dagli austro-russi Federico II abbandona Sassonia e Slesia. Occupazione russa di Berlino

1762

L’Inghilterra dichiara guerra alla Spagna e a Napoli. Federico II firma una pace separata col nuovo zar Pietro III e con la Svezia e recupera agli austriaci la Slesia

La tabella illustra le fasi della Guerra dei sette anni

CoLonIE amErICanE

1757-1758

Conquiste francesi nelle regioni centro-settentrionali contro gli inglesi

1758-1761

Gli inglesi contrattaccano occupando prima Louisburg (Nuova Scozia) e Fort Duquesne (Ohio), quindi Québec e Guadalupa (1759). Con la resa a Montreal (1761) i francesi perdono tutti i loro territori situati in Canada

1762

Occupazione inglese di Cuba, Martinica francese e Grenada CoLonIE asIaTIChE

1757

Gli inglesi occupano Calcutta e assumono il controllo di Bengala e Bihar

1761

Vittorioso assedio inglese a Pondichéry (francese dal 1579), ribattezzata Pondicherry

1762

Gli inglesi occupano Manila (Filippine) CoLonIE afrICanE

1758-1760

Occupazione inglese del Senegal e del Senegambia francesi TraTTaTI DI paCE

1763 (10 febbraio)

Pace di Parigi: la Francia cede all’Inghilterra l’Acadia (ovvero le province marittime del Canada affacciate sull’Atlantico), la baia di San Lorenzo, la riva sinistra del Mississippi; nelle Antille: Tobago, la Dominica, Saint-Vincent, Grenada, le Grenadine; il Senegal; le basi in India; alla Spagna cede la Louisiana

1763 (15 febbraio)

Pace di Hubertusburg: l’Austria conferma alla Prussia il possesso della Slesia

83

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

4.2  I nuovi rapporti di forza in Europa   Il volto del continente nel 1748

MEMO Con il nome di Pace di Vestfalia si indica convenzionalmente l’insieme degli accordi firmati tra il 1645 e il 1648 nella regione tedesca della Vestfalia con cui si concluse la Guerra dei trent’anni.

Per comprendere quali cambiamenti territoriali portarono le guerre del SeiSettecento, osserviamo due carte geopolitiche che raffigurano l’Europa nel 1648 (Pace di Vestfalia) e quella del 1748 (Pace di aquisgrana): descrivono un continente diviso non tanto in nazioni (cioè comunità etnico-linguistiche relativamente compatte), quanto in possedimenti dinastici, cioè in domini patrimoniali dell’una o dell’altra casa sovrana, talvolta privi di continuità territoriale.   L’espansione degli asburgo di Vienna e i domini borbonici

Confrontando le due carte a colpirci è in primo luogo l’espansione degli Asburgo d’Austria, concretizzatasi nella sottrazione di vasti territori all’Impero ottomano. Come sappiamo, ancora nel 1683 i turchi s’erano presentati minacciosi sotto le mura di Vienna; a metà Settecento, viceversa, il dominio della Porta di istanbul

L’Europa nel 1648 e nel 1748

Confini del Sacro romano impero nel 1648 Possedimenti degli Asburgo d’Austria

REGNO DI SVEZIA REGNO DI SCOZIA mare del Nord

Territori dei vassalli dell’Impero ottomano

REGNO D’INGHILTERRA

Terre delle comunità di Kazan e delle tribù nomadi autonome dello Stato russo

PR. DI SASSONIA

PAESI BASSI SPAGNOLI

ES

GRANDUCATO DI LITUANIA

REGNO DI POLONIA

PRINC. DI MOLDAVIA PRINC. DI SERBIA TRANSILVANIA PRINC. DI VALACCHIA

O

D’U

NG

HE

R. DI DUC. DI BAVIERA BOEMIA ARC. D’AUSTRIA

P. DI A

Sicilia

ALGERIA

IMPERO

REGNO DELLE DUE SICILIE

Sardegna

OTTOMANO Isole Ioniche Creta

mar Mediterraneo

84

mar Nero

ZI

Corsica

QANATO DI CRIMEA

NE

GRAND. DI TOSCANA

COSACCHI DEL DON

VE

STATO DELLA CHIESA

ANDORRA

Isole Baleari

MAROCCO

SL

IA

RE

REGNO DI SPAGNA

DUC. DI PRUSSIA

PROV. UNITE

CONTEA CONF. ELVETICA DUC. DI SAVOIA

REGNO DI PORTOGALLO

CURLANDIA mar Baltico

REGNO DI FRANCIA FRANCA

oceano Atlantico

RUSSIA

LIVONIA

GN

Territori occupati dagli Svedesi

NIA

ESTO

RIA

Possedimenti dei Savoia

REGNO DI DANIMARCA E NORVEGIA

RE

Possedimenti degli Asburgo di Spagna (1648) e dei Borbone di Spagna (1748)

Cipro

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

risulta fortemente ritratto verso il Sud-est europeo. i sovrani d’austria sono nel frattempo divenuti anche padroni – diretti o indiretti – della Lombardia, dei Paesi Bassi ex spagnoli (l’attuale Belgio), nonché della Toscana. Hanno, però, ceduto alla Prussia la Slesia, un’area dell’europa centrale confinante con il regno di Polonia. i Borbone, da un capo all’altro dell’europa occidentale e mediterranea, formano una sorta di “internazionale” dinastica. dal 1713 detengono la corona di Spagna, per quasi due secoli dominio di un ramo della stessa dinastia degli asburgo estintosi a fine Seicento. altri Borbone di Spagna, come regnanti autonomi, governano dal 1734 il Regno di Napoli e quello di Sicilia – già pertinenza della corona di Spagna ai tempi degli asburgo di Madrid – e il Ducato di Parma e Piacenza, in precedenza dominio della famiglia Farnese. i Borbone di Francia, dal canto loro, dopo aver scatenato durante il regno di Luigi XiV guerre continue, conservano nel 1748 almeno una parte di quel che hanno in precedenza conquistato: la Franca Contea e una ristretta porzione dei Paesi Bassi ex spagnoli.

CONF. ELVETICA

REGNO DI UNGHERIA

DUCATO DI MILANO

REP. DI VENEZIA

REGNO DI SARDEGNA

REGNO DI SVEZIA

DUCATO DI DUCATO DI PARMA MODENA E REGGIO REP. DI LUCCA GRANDUCATO REPUBBLICA DI TOSCANA DI GENOVA

mare del Nord

IRLANDA

STATO DELLA CHIESA

REGNO D’INGHILTERRA

STATO DEI PRESIDI

REGNO DI DANIMARCA E NORVEGIA mar Baltico DUC. DI PRUSSIA

PROV. UNITE

PAESI BASSI AUSTRIACI

DUCATO DI MODENA E REGGIO

RUSSIA

PR. DI SASSONIA

SL

ES

IA

GRANDUCATO DI LITUANIA

REGNO DI POLONIA

REGNO DI FRANCIA FRANCA

oceano Atlantico

CONTEA CONF. ELVETICA

IMPERO ASBURGICO

REGNO DI SARDEGNA

A

ZI

IMPERO

Minoica Isole Baleari

REGNO DI SARDEGNA

REGNO DI NAPOLI E SICILIA Sicilia

MAROCCO

mar Nero NE

REPUBBLICA DI GENOVA

VE

ANDORRA

DI

Gibilterra

P.

REGNO DI SPAGNA

RE

REGNO DI PORTOGALLO

ALGERIA

OTTOMANO Isole Ioniche Creta

Cipro

mar Mediterraneo

85

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  Il resto d’Europa

David von Krafft, Carlo XII di Svezia (1682-1718), XVIII secolo

osservando la carta del 1748 muovendo lo sguardo da ovest a est incontriamo questi altri territori: nella porzione meridionale il Regno del Portogallo, il Regno di Sardegna (che è il frutto della progressiva discesa verso l’italia della dinastia di Savoia), la Repubblica di Genova, quella di Lucca, il Ducato di Modena e Reggio, lo Stato della Chiesa, la Repubblica di Venezia; in quella centrale le Province Unite (olanda), la Confederazione elvetica e poi l’area tedesca, che forma il cuore del Sacro romano impero, quella federazione interstatale, composta da una miriade di Stati, città e signorie indipendenti, che è affidata tradizionalmente alla tutela degli asburgo di Vienna. tra le molte unità che lo compongono da qualche decennio si segnala per capacità di espansione il Regno di Prussia, divenuto tale crescendo man mano, soprattutto verso nord-est, attorno a un nucleo originario costituito dall’elettorato imperiale del Brandeburgo, intervenendo efficacemente a più riprese nelle guerre combattute tra i paesi che si affacciano sul mar Baltico. Qui gli asburgo e i Borbone – signori della guerra nel resto dell’europa continentale – inviano assai di rado i loro eserciti, anche se talvolta stringono alleanze con l’uno o con l’altro dei belligeranti. a fronteggiarsi in prima persona sono altri sovrani: il re di danimarca e norvegia, il re di Svezia, il re di Polonia, lo zar di russia e, per l’appunto, l’elettore del Brandeburgo, che nel 1701 si vede riconoscere il rango di re di Prussia. tra la seconda metà del Seicento e la prima del Settecento il Regno di Svezia – che comprende buona parte della penisola scandinava e che si estende anche su cospicue porzioni litoranee dell’europa continentale – prima si rafforza a spese della danimarca, poi viene però bruscamente ridimensionato. Mentre la Polonia e la danimarca conservano, a un secolo di distanza dal 1648, grosso modo gli stessi confini, a espandersi in questa parte d’europa sono soprattutto la Prussia (che conquista la Pomerania), e la Russia (che si annette la Livonia e l’estonia).   stati dinastici senza continuità territoriale

uno sguardo ravvicinato alla composizione del Regno di Prussia al termine del periodo che consideriamo ci aiuta a focalizzare meglio un fenomeno che può sembrare sorprendente, ma che è tutt’altro che raro negli equilibri geopolitici dell’europa degli Stati dinastici. La Prussia era, infatti, formata da un nucleo orientale (Brandeburgo, Pomerania, Slesia) e da un nucleo occidentale (Kleve e altri territori adiacenti all’olanda). APPROFONDIRE

I conflitti per il dominio sul Baltico il possesso del Baltico rappresentava un’imporDto siaatantesempre fonte di ricchezza: esso era infatti il passaggio obbligaper trasportare cereali, legname e metalli dalle regioni settentrionali dell’Europa verso le città della Germania settentrionale, sia, viceversa, per convogliare verso la penisola scandinava tessuti e prodotti delle manifatture dell’Europa occidentale. Dopo la fine della Guerra dei trent’anni, vi furono due importanti “Guerre del Nord”. La prima (1655-1660) vide opporsi alla Svezia la Danimarca che, nonostante i potenti alleati (Prussia, Polonia e

86

Russia), non riuscì ad avere la meglio. Con la pace di Oliva, infatti, venne sancito il predominio della Svezia sul Baltico e il suo ruolo di grande potenza internazionale. Ma questa situazione venne presto ribaltata nella seconda Guerra del Nord (1700-1721). Nello scontro che vide ripresentarsi gli stessi schieramenti, il re Carlo XII di Svezia fu pesantemente sconfitto e morì durante le operazioni militari. Le paci di Stoccolma (1720) e di Nystad (1721) posero fine alla supremazia della Svezia che dovette concedere importanti territori a Prussia e Russia, le due nuove regine del Baltico.

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

L’espansione della Prussia-Brandeburgo nel Settecento

SVEZIA

DANIMARCA

mar Baltico

mare del Nord FRISIA ORIENTALE

VESTFALIA

no

A

Re

LUSAZIA SASSONIA

PRINC. DI BAYREUTH

1742

Bayreuth Ansbach

Acquisizioni fino al 1740

POLONIA

Acquisizioni di Federico II (1740 -1786) er

1791

Breslavia

Od

PRINC. DI ANSBACH

Acquisti del grande elettore Federico Guglielmo (1640 -1688)

SLESIA

1791 PALATINATO

Possedimenti degli Hohenzollern nel 1618

1793

a

Halle

Elb

DUC. DI GHELDRIA CONTEA DI LAMARK 1713

Ducato della Prussia orientale nel 1525

SSI

Brema

VESC. DI MINDEN 1702-1707 DUC. DI CONTEA DI KLEVE RAVENSBERG

Lingen

RU

1744

PROVINCE UNITE

Königsberg DUCATO DELLA CONTEA DI Danzica POMERANIA PRUSSIA SERREY ORIENTALE 1780 POMERANIA ORIENTALE Amburgo 1648 OCCIDENTALE PRUSSIA Stettino 1720 UCKERMARK OCCIDENTALE HANNOVER 1772 NUOVA PRUSSIA MARCH. DEL NEUMARK ORIENTALE Torun´ BRANDEBURGO 1795 Visto VESC. DI la Posen Berlino HALBERSTADT Varsavia ARCIVESC. DI 1648 PRUSSIA MAGDEBURGO MERIDIONALE 1780 Lubecca

NUOVA SLESIA 1795

BOEMIA

Acquisizioni dopo il 1790 1742

Data di acquisizione Confini del Sacro romano impero nel XVII secolo

tra i due nuclei non c’era continuità territoriale, come è invece oggi la norma negli Stati nazionali. un caso eccezionale? no, per esempio, i Paesi Bassi e la Lombardia, prima spagnoli e poi austriaci, erano entrambi lontanissimi dalla sede della corte che li governava; così come l’italia meridionale e insulare, a lungo spagnola, era separata dalla madrepatria da un intero mare. La logica degli Stati dinastici era diversa da quella delle nazioni dei giorni nostri. L’europa è un mosaico e non sempre i molti tasselli in mano ai sovrani risultavano contigui l’uno all’altro.

4.3   L’Europa fuori d’Europa tra Cinquecento   e settecento   L’Inghilterra e la sua espansione oltremare

nella nostra ricognizione sulla superficie continentale non abbiamo citato un protagonista di primo piano (oltre ad alcuni altri di significato minore), l’Inghilterra, spesso attiva nei conflitti che scandiscono le guerre di un secolo e più. Questo paese combatté, in realtà, principalmente sul mare, al fine di assicurarsi il controllo delle rotte lungo le quali scorrevano i traffici e la ricchezza. Per questo nella seconda metà del Seicento fu a lungo (nel 1652-1654, 1665-1667, 1672) in conflitto con l’Olanda, altra potenza marittimo-mercantile costretta alla fine a riconoscere la supremazia commerciale dell’inghilterra. in seguito Londra intervenne regolarmente nelle guerre continentali, essenzialmente allo scopo di impedire il rafforzamento della Francia e della Spagna, anch’esse sue rivali sulle rotte oceaniche. nel 1714 si assicurò, in territorio iberico, il dominio su Gibilterra e Minorca, chiavi del Mediterraneo e teste di ponte verso l’america e l’africa. 87

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Ma fu soprattutto fuori dall’europa che si verificò la sua espansione. a rivelarcelo è la carta a fianco, che mostra il mutamento dei rapporti di forza nei domini coloniali. in america, nel 1664 gli inglesi si impadronirono del territorio già olandese di nuova amsterdam, che ribattezzano New York; nel 1714 strapparono alla Francia Terranova e Nuova Scozia, tra il 1759 e il 1763 portarono via alla Spagna alcune delle Antille e la Florida e sottrassero alla Francia tutte le postazioni coloniali lungo le coste dell’India, ponendo un’ipoteca sul controllo esclusivo dell’immenso subcontinente.   L’espansione coloniale tra Cinquecento e settecento  George Lambert e Samuel Scott, Navi inglesi nel porto di Bombay, metà del XVIII secolo (Londra, India office Library)

MEMO Le cosiddette Indie occidentali erano l’America del Nord e del Sud, mentre le Indie orientali erano le regioni dell’India e dell’Estremo Oriente.

alla fine della guerra dei sette anni (1763) il quadro degli insediamenti europei nel resto del mondo risultava quindi molto mutato rispetto alla situazione maturata tra il Cinquecento e il Seicento. È questa l’occasione per tracciare un breve profilo di una evoluzione che la Pace di Parigi consacrò, ma che nei decenni precedenti aveva conosciuto fasi differenziate. nel Cinquecento, infatti, l’Europa coloniale sostanzialmente si era identificata con due soli paesi. uno era la Spagna, con le “sue” americhe (estesesi tra il Seicento e gli inizi del Settecento fino a inglobare texas e California a nord e vasti territori posti al di là della cordigliera andina nell’america meridionale, nonché le Filippine, colonie dell’america spagnola, più che della Spagna in senso proprio, in asia). L’altro era il Portogallo, da un lato con il Brasile, dall’altro con le sue piazzeforti commerciali in india (goa, Mangalore), in indonesia (timor), in Cina (Macao) e con i suoi scali finalizzati al commercio degli schiavi su vari punti della costa africana. Poi, durante il Seicento, si era assistito a un ciclo contraddistinto dall’iniziativa olandese, inglese, francese (v. carta a p. 12), e dalla fioritura delle cosiddette Compagnie delle Indie occidentali e orientali, associazioni private di mercanti e di armatori finalizzate al commercio con i territori d’oltremare e strettamente collegate agli Stati di appartenenza, che attribuivano loro una funzione semipubblica nei rispettivi scenari di insediamento. avevano cominciato gli olandesi, affrontando vittoriosamente in prima battuta la concorrenza portoghese nell’asia orientale, e insediandosi a Giava, nelle Molucche, a Ceylon, per estendere poi la loro azione anche al versante occidentale del globo (nelle antille, per qualche tempo in parte del Brasile, nell’america del nord). nel giro di qualche decennio erano stati efficacemente imitati anche dagli inglesi (nel Seicento soprattutto nell’America del Nord e nelle Antille, nel Settecento in misura crescente anche in Asia orientale, dove avevano conquistato piazzeforti importanti lungo la costa del subcontinente indiano, come Bombay, Madras, Calcutta) e dai francesi, presenti al di là dell’atlantico nel Canada, nella Louisiana e nelle Antille e sul fronte dell’oceano indiano in alcune postazioni tra le quali Pondichéry. olandesi, inglesi e francesi avevano infine affiancato le loro stazioni commerciali a quelle portoghesi lungo i litorali africani.   Il declino iberico

Una piantagione di canna da zucchero nelle Antille

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La concorrenza delle potenze marittime dell’europa settentrionale aveva causato, nel corso del secolo, il progressivo declino dell’iniziale supremazia iberica sugli scenari extraeuropei. i navigli spagnoli e portoghesi erano stati battuti su tutti i mari del mondo dalle agili e audaci marinerie semiprivate olandese e inglese che, anche sul piano strettamente commerciale, avevano mostrato un’intraprendenza assai maggiore di quella dei più antichi imperi coloniali.

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

I domini europei nel 1763 TERRITORI DELLA COMPAGNIA DELLA BAIA DI HUDSON CANADA NUOVA SCOZIA

Terranova

Possedimenti nelle piccole antille Gran Bretagna: Antigua, Barbados, Grenada, Guadalupa, Tobago, St-Vincent Francia: Martinica Olanda: Curaçao

(G.B.)

BRASILE

Yanaon Madras

Accra

CILE

62

FILIPPINE BORNEO MOLUCCHE NUOVA GUINEA

oceano Atlantico

PERÚ

Manila 17

176

(G.B.)

(G.B.)

7

(Port.)

Pondicherry

GUIANA CAIENNA

oceano Pacifico

(Port.)

(G.B.)

Goa

St. Louis

GIAPPONE

Macao

Calcutta

ARABIA Bombay (G.B.)

(G.B.)

o

CINA

1 175

17 5 17 9 62 61

Haiti Giamaica

IMPERO PERSIA OTTOMANO

Chandernagor

17

NUOVA FLORIDA SPAGNA CUBA

Belize Costa dos NUOVA Mosquitos GRANADA

OLANDA

PORTOGALLO SPAGNA

New York

LOUISIANA NUOVA INGHILTERRA

MESSICO

RUSSIA

FRANCIA 1758

NUOVA FRANCIA

GRAN BRETAGNA

oceano Indiano

ISOLE DELLA SONDA

I. Maurizio I. Riunione

Fort Dauphin (Fr.)

Possedimenti spagnoli Possedimenti portoghesi Possedimenti olandesi Possedimenti francesi Possedimenti inglesi Spedizioni militari inglesi

La produzione portoghese di zucchero in Brasile, per esempio, era entrata in crisi a causa dell’introduzione di un analogo sistema di piantagioni a lavoro schiavile nelle Antille inglesi e francesi, mentre il volume del commercio portoghese di spezie asiatiche al principio del Settecento risultava ridotto ad appena un quinto rispetto a quello di un secolo prima; sulle rotte tra l’Asia e l’Europa, infatti, gran parte dei navigli battevano ormai bandiera olandese. d’altro canto, dopo una stagione straordinariamente propizia tra la fine del Cinquecento e l’inizio del Seicento, il flusso di metalli preziosi dall’America spagnola alla madrepatria si era venuto man mano impoverendo. e, a differenza del colonialismo mercantile “leggero” praticato per il momento dalle potenze emergenti, quello spagnolo, che era di tipo stanziale e insediativo, implicava il mantenimento di un costoso apparato burocratico e militare, che aveva progressivamente trasformato il governo delle americhe in un onere finanziario più che in una fonte di profitto.   La crescita del ruolo delle colonie

dopo la seconda metà del XViii secolo dunque, si verificò una riformulazione generale dei rapporti di forza tra i paesi europei impegnati oltremare, che culminò al termine della guerra dei sette anni nella conquista inglese del primato commerciale acquisito nella prima parte del Seicento dall’olanda. Ma, soprattutto, risultò enormemente aumentata l’incidenza del rapporto con le colonie nell’interscambio economico delle principali potenze del continente. Quasi la metà del commercio internazionale inglese e circa un terzo di quello francese derivavano infatti a metà Settecento dagli scambi tra madrepatria e colonie. Si capisce bene, dunque, come la guerra fosse divenuta nei decenni precedenti sempre più un esercizio da praticare non solo sullo scenario continentale (poco nevralgico, del resto, per l’inghilterra), ma a tutte le latitudini del globo, alternando al fragore dei cannoni la sagacia commerciale e imprenditoriale.

Una piantagione francese sull’isola di Martinica, illustrazione, XVIII secolo. La concorrenza delle produzioni a lavoro schiavile delle colonie inglesi e francesi mise in difficoltà l’impero coloniale spagnolo

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Guerre e paci tra il 1648 e il 1763 pErIoDo

1648

GuErra/paCE

ConCLusIonE

Potenze protestanti + Francia contro potenze cattoliche

Ridefinizione degli equilibri politico-militari in Europa

1652-1654, Scontri per la supremazia 1665-1667, commerciale e il controllo dei mari 1672

Inghilterra contro Province Unite (d’ora in poi, Olanda)

L’Olanda è costretta a riconoscere la supremazia commerciale dell’Inghilterra

1655-1660 Prima Guerra del Nord per il predominio sul Mar Baltico. Pace di Oliva

Svezia contro Danimarca, Brandeburgo-Prussia (d’ora in poi Prussia), Polonia

La Svezia si rafforza a spese della Danimarca. La Prussia guadagna prestigio

1659-1699 Conflitto permanente tra Austria e Impero ottomano per il dominio nell’Est e nel Sud-Est europeo

Austria (a tratti anche Polonia e Venezia) contro Impero ottomano

L’Austria si impadronisce dell’Ungheria e della Transilvania. Venezia conquista alcune parti della Grecia

1667-1668 Guerra di devoluzione Pace di Aquisgrana

Francia contro Spagna, Olanda, Inghilterra

La Francia si impadronisce di una parte dei Paesi Bassi spagnoli (le Fiandre)

1672-1678 Guerra d’Olanda. Tentativo francese di minare la forza mercantile dell’Olanda. Pace di Nimega

Francia e Svezia contro Olanda, Spagna, alcuni principati imperiali (nel 1672 anche Inghilterra contro Olanda)

La Francia si impadronisce di un’altra porzione delle Fiandre, della Franca Contea, della città di Friburgo in Brisgovia (Freiburg im Brisgau)

1688-1697 Guerra della Lega di Augusta (pretese francesi sul Palatinato) Pace di Ryswyk

Francia contro Austria, Spagna, Svezia, alcuni principati imperiali, Inghilterra, ducato di Savoia, Olanda

Il tentativo francese viene respinto. Pinerolo viene annessa al Ducato di Savoia

1701-1714 Guerra di successione spagnola. Paci di Utrecht, Rastadt e Baden

Francia contro Austria, Inghilterra, Olanda, alcuni principati imperiali, ducato di Savoia

La Spagna e le colonie a Filippo V Borbone, nipote di Luigi XIV, con l’impegno a non unificare le corone di Francia e di Spagna. I Paesi Bassi, già spagnoli, il Ducato di Milano, il Regno di Napoli agli Asburgo di Vienna. Gibilterra, Minorca e alcune aree del Nord America all’Inghilterra, la Sicilia ai Savoia

1701-1721 Grande Guerra del Nord per il predominio nell’area baltica. Paci di Stoccolma, Frederiksborg e Nystad

Svezia contro Russia, Polonia, La Svezia perde Brema e altre città, Danimarca, dal 1713 anche contro cedendole ad Hannover. Parte della Prussia e Hannover Pomerania va alla Prussia. Livonia ed Estonia vanno alla Russia.

1716-1718 Conflitto tra Austria e Impero ottomano

Austria contro Impero ottomano

1717-1720 Tentativo della Spagna di ristabilire la propria supremazia in Italia

Spagna contro Inghilterra, Olanda, La Sicilia va all’Austria, la Sardegna al Austria, Francia, Savoia-Piemonte Ducato di Savoia (d’ora in poi, Regno di Sardegna)

1733-1738 Guerra di successione polacca. Pace di Vienna

Austria e Russia contro Francia e Regno di Sardegna

Il Regno di Sardegna acquisisce Tortona e Novara. Napoli e la Sicilia vanno a Carlo di  Borbone, figlio di Filippo di Spagna, come regno autonomo. Parma e Piacenza agli Asburgo. La Toscana ai Lorena (poi agli Asburgo-Lorena). Augusto III di Sassonia riconosciuto come re di Polonia

1740-1748 Guerra di successione austriaca. Pace di Aquisgrana

Austria e Inghilterra (poi anche Regno di Sardegna) contro Francia, Spagna, Prussia, alcuni principati imperiali

La Prussia acquisisce la Slesia. Parma e Piacenza passano dagli Asburgo ai Borbone. Maria Teresa d’Asburgo viene riconosciuta imperatrice d’Austria

1756-1763 Guerra dei sette anni (rivalità tra Austria e Prussia, ma anche conflitto coloniale tra Francia e Inghilterra). Pace di Parigi

Austria, Francia, Russia, Spagna, alcuni principati imperiali contro Inghilterra, Prussia, Hannover

La Prussia mantiene la Slesia. L’Inghilterra acquisisce molti possedimenti francesi e spagnoli in America. La Francia è costretta a rinunciare alle proprie pretese coloniali in India

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Conclusione della Guerra dei trent’anni. Pace di Vestfalia

ConTEnDEnTI

L’Austria acquisisce parte della Serbia e la Valacchia

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

4.4  La guerra: modelli a confronto    un’esperienza apparentemente quotidiana

Se consideriamo le date dei conflitti e i paesi di volta in volta coinvolti, risulta evidente che, almeno teoricamente, durante i poco più di cento anni considerati, la guerra fu per le popolazioni un’esperienza quasi quotidiana. tra il 1667 e il 1763 la Francia guerreggiò per 53 anni; tra il 1652 e il 1763 l’inghilterra lo fece per 44 anni; tra il 1652 e il 1748 l’olanda per 45; solo tra il 1701 e il 1763 la russia fu in guerra per 33 anni. dunque, mediamente, un anno sì e un anno no tra la seconda metà del Seicento e la prima del Settecento ogni paese fu impegnato in un conflitto militare. il che significa che nell’esistenza di ciascun individuo di quel periodo la guerra si presentò come la regola, e non come un’eccezione. Ma cerchiamo di andare al di là delle apparenze, chiedendoci in che misura e secondo quali modalità la popolazione civile fosse effettivamente coinvolta nei conflitti. Lo faremo confrontando le guerre di questo periodo tanto con quelle del Cinquecento e della prima metà del Seicento, quanto con i grandi conflitti del novecento, le due guerre mondiali. e ci accorgeremo subito di alcune differenze fondamentali.

Inclusione/Esclusione Armati e disarmati, p. 101

  Le guerre senza quartiere: antiche e moderne

a contraddistinguere le guerre scaturite dalla Riforma protestante, o la Guerra dei trent’anni combattuta nel Seicento tra i paesi della Lega cattolica e quelli della Lega evangelica, erano state infatti soprattutto motivazioni religiose; tali conflitti furono la manifestazione di uno scontro prolungato e carico di fanatismo tra l’europa cattolica e quella riformata. Vista la grande importanza che la fede rivestiva nella coscienza e nel sistema di valori della popolazione, si combatteva con accanita e feroce determinazione. Massacrare i civili aderenti a un culto diverso dal proprio rappresentava per almeno una parte dei belligeranti una sorta di atto di fede, l’adempimento di un impegno attivo nella battaglia epocale tra la “vera” religione (per ciascuno la propria) e l’opera del demonio. Proviamo, ora, a individuare i tratti caratterizzanti delle due guerre mondiali, nel novecento. Ci troveremo davanti, da un lato, al fenomeno della mobilitazione totale, tanto al fronte quanto nelle retrovie, della popolazione intera di ciascun paese, dall’altro, alla presenza di una forte impronta ideologica: l’europa liberale contro quella più conservatrice nella Prima guerra mondiale, la volontà di contrastare l’affermazione delle dittature fasciste nella Seconda. APPROFONDIRE

Guerre, carestie ed epidemie n Europa, tra il 1652 e il 1763, la guerra non fu percepita come Icome un evento eccezionale, quale noi siamo soliti considerarla, ma una condizione di normalità; una dolorosa normalità, naturalmente, tanto più che all’inizio essa si intrecciò con altri fattori che misero a dura prova la vita delle popolazioni. Tali furono, per esempio, la carestia (1647-1651), dovuta a un irrigidimento del clima europeo, e le epidemie di peste, che culminarono nelle grandi pestilenze del 1630 e del 1656. Le epidemie di peste, o quelle di altra natura (tifo, vaiolo) furono alla base della morte prematura di porzioni rilevantissime della

popolazione. In Italia, a Napoli e Genova, nel 1656 morì quasi il 50% degli abitanti. La medicina del tempo non era in grado di evitare il contagio, lasciando la popolazione indifesa davanti alla malattia. Il provvedimento più utilizzato in tal senso era l’isolamento, ma questo espediente non aveva alcun potere contro il principale elemento di contagio: i topi infettati dalle pulci. Nel corso del Settecento, grazie anche al miglioramento delle condizioni igieniche generali, le epidemie si attenuarono sensibilmente ed ebbe avvio una fase di incremento demografico che si protrasse per oltre due secoli e mezzo.

91

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

L’esercito inglese in battaglia nel 1746

Il laboratorio dello storico La guerra dei soldati e quella dei civili, p. 96

da questo punto di vista, esse avranno dunque qualcosa di nevralgico in comune con i conflitti di religione divampati tra il Cinque e il Seicento. e come questi ultimi saranno guerre distruttive, volte ad annichilire un avversario individuato non solo negli eserciti nemici schierati in campo, ma anche nella popolazione civile che li sostiene; guerre senza tregua e senza quartiere, destinate a rappresentare l’esperienza di gran lunga più importante nell’esistenza di chi si trova a subirle, perché nessuno può sottrarsi a esse. I conflitti del periodo tra Sei e Settecento furono invece soprattutto scontri tra dinastie, o guerre commerciali. e si trattava di conflitti spesso “dimostrativi”, avviati allo scopo di portare avanti il fraseggio diplomatico. Mostrare i propri reggimenti in assetto di battaglia, o avviare la mobilitazione necessaria per una campagna, serviva in realtà più a dissuadere l’avversario di turno che a procurare reali devastazioni. e anche una volta che la guerra era stata ufficialmente dichiarata, raramente i generali andavano alla ricerca di uno scontro frontale, di una battaglia risolutiva. Perseguivano, piuttosto, un’accorta strategia di risparmio degli uomini e dei mezzi.   Le guerre dinastiche del sei-settecento

Fonte Luigi XIV, Lettera a un capo dell’esercito

92

Le guerre del Sei-Settecento erano lunghe, ma non intense. Si basavano su snervanti e logoranti assedi, condotti allo scopo di costringere il nemico alla resa per fame o per mancanza di rifornimenti, non a quello di annientarlo. Le battaglie si combattevano solo per alcuni mesi all’anno, quando le condizioni climatiche erano meno disagevoli ed era più facile spostare le pedine (truppe, cavalli, carriaggi, artiglieria) su una scacchiera dalla quale le popolazioni civili restarono in quest’epoca quasi sempre escluse. Scopo della guerra, per ogni sovrano, era infatti quello di ingrandire i propri possedimenti territoriali, preservando il più possibile la popolazione civile, necessaria, soprattutto in periodo di guerra, per continuare a lavorare la terra e quindi garantire approvvigionamenti, nonché per ricavare prelievi fiscali, necessari per finanziare le guerre.

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

Furono queste, quindi, perlopiù guerre che non prevedevano un sistematico coinvolgimento attivo – materiale, emotivo, religioso, ideologico – delle popolazioni civili, né un largo ricorso a esse come forze da schierare in campo, o tanto meno come possibile obiettivo di distruzione. L’ideale di Federico ii Hohenzollern il grande era, per esempio, che i suoi sudditi neppure si accorgessero che il loro re stava conducendo una guerra. La sua ascesa si realizzò essenzialmente a scapito del re di Svezia, luterano anch’egli. d’altro canto, la prolungata concorrenza per la supremazia continentale tra gli asburgo e i Borbone, risalente alla guerra dei trent’anni, vide coinvolte due dinastie regnanti che erano entrambe cattoliche. La religione non rappresentava in questi decenni di per sé un motivo di guerra, un fattore mobilitante da schierare in campo. né svolgeva un ruolo veramente rilevante un sentimento che sarebbe invece divenuto di significato nevralgico nei conflitti otto-novecenteschi, vale a dire quello della tutela dell’indipendenza e dell’integrità nazionale. e ciò per il semplice motivo che in quell’epoca le nazioni come oggi noi le conosciamo – comunità statali di cittadini uniti da vincoli prevalentemente culturali e linguistici – sostanzialmente non esistevano. L’europa di cui stiamo parlando era un’europa di dinastie familiari regnanti su una popolazione di sudditi, non un’europa di popoli sovrani, desiderosi di rimanere padroni del proprio destino politico. La Lombardia e i Paesi Bassi, per esempio, i cui abitanti parlavano rispettivamente italiano e fiammingo, passarono dall’appartenenza alla Spagna a quella all’austria mostrando una quasi totale indifferenza. ai sudditi interessava infatti soprattutto che i nuovi sovrani moderassero le pretese fiscali; importava poco, viceversa, che parlassero spagnolo o tedesco. L’autentico soggetto parlante di quei conflitti erano dunque le dinastie, perennemente alla ricerca di un equilibrio che talvolta poteva essere raggiunto attraverso trattative diplomatiche (di cui costituivano parte integrante i matrimoni tra i membri delle varie casate), ma che, qualora le trattative pacifiche si fossero inceppate, veniva ricercato con la discesa sul campo di battaglia.

Carlo III di Borbone, duca di Parma dal 1731 al 1735 come Carlo I, re di Napoli e Sicilia dal 1735 al 1759 e re di Spagna dal 1759 al 1788

4.5  Gli eserciti: da mercenari a professionisti   milizie professionali e permanenti

La formazione di eserciti statali professionali e, soprattutto, permanenti fu la grande novità che caratterizzò l’età dell’assolutismo. Fino alla metà del Seicento, infatti, gli eserciti erano costituiti prevalentemente da bande di mercenari, talvolta integrate dal seguito personale dei grandi aristocratici. Li si reclutava, in genere, all’inizio delle ostilità e li si licenziava a guerra terminata. ora, invece, quello di soldato cominciò a diventare un mestiere stabile, una professione che almeno in linea di principio si configurava come duratura e che, molto più intensamente di quanto non fosse avvenuto in passato, veniva sottoposta al controllo, alla cura e alla regolamentazione da parte dello Stato. a formare il nucleo centrale dei nuovi eserciti erano essenzialmente volontari, arruolati da ufficiali-reclutatori. essi ricevevano un compenso forfettario al momento del loro ingresso nei reggimenti, e poi uno stipendio regolare per tutto il tempo della loro permanenza in servizio. anche le cariche da ufficiale, che in precedenza potevano essere venali (cioè acquistabili e vendibili) si trasformarono ora in cariche professionali: le attribuiva lo Stato e per ottenerle bisognava spesso iscriversi a istituti statali di formazione, frequentati soprattutto da giovani nobili che vi apprendevano le regole più aggiornate dell’esercizio bellico.

MEMO Si definivano mercenari i soldati stranieri che, soprattutto tra il XIV e il XVI secolo, si arruolavano in cambio di uno stipendio nelle cosiddette compagnie di ventura. Queste erano dei veri e propri eserciti professionali guidati da condottieri, spesso cadetti o nobili decaduti in cerca di facili guadagni, che si mettevano al servizio di un principe. I più famosi soldati mercenari furono svizzeri e tedeschi (i lanzichenecchi).

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SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

  soldati stranieri e soldati nazionali

Il modello della nave da guerra di Luigi XIV Le soleil royal (Parigi, Museo della Marina)

Se gli ufficiali erano in gran parte nobili, chi erano invece i soldati semplici schierati sotto le bandiere dei sovrani europei? Passando in rassegna le file dei reggimenti si poteva osservare un quadro assai vario e pittoresco, che in parte rivelava la persistenza di un’antica consuetudine. Molti soldati (da un quarto fino ai due terzi, a seconda degli eserciti e dei singoli conflitti), infatti, erano stranieri, vale a dire provenienti da paesi diversi da quelli sui quali si esercitava la sovranità del re che li pagava. in parte si trattava di prigionieri di guerra o di disertori dell’esercito del loro paese; in parte di uomini originari di territori che normalmente non ingaggiavano guerre in proprio, per esempio la Svizzera, ma anche alcuni staterelli tedeschi, che erano specializzati per l’appunto nella fornitura di uomini d’arme ad altri paesi. in figure come queste si rinnovava l’antica tradizione del mercenario. Ma accanto a loro c’erano i “nazionali”, persone nate nello Stato nel cui esercito militavano, sudditi del sovrano che ne disponeva l’arruolamento. Si trattava in genere di persone assai male in arnese: mendicanti e vagabondi arruolati a forza, e non di rado anche criminali ai quali la vita delle armi veniva proposta come alternativa alla prigionia, o debitori tirati fuori dalla galera a condizione di arruolarsi; infine, disoccupati, che il mercato del lavoro rigettava di tanto in tanto ai propri margini. tutte queste figure venivano forzate a intraprendere un’attività comunque molto impegnativa, anche se, come abbiamo visto, nelle guerre “dimostrative” di quest’epoca la possibilità di sopravvivere era molto più alta che nei conflitti religiosi d’altri tempi. Si combatteva per terra e per mare. e, in proposito, un testimone inglese affermava che «chiunque fosse dotato di un briciolo di intelligenza avrebbe preferito andare in galera piuttosto che arruolarsi in marina, perché vivere a bordo di una nave è come stare in galera, con in più la possibilità di annegare». nei ranghi dell’esercito di terra, peraltro, le condizioni non erano molto più rosee. Con l’eccezione di quelli al servizio del re di Prussia, infatti, i soldati soffrivano più per le disastrose condizioni igieniche e per lo scarso trattamento alimentare che per le ferite riportate in battaglia.   Esercito, fisco, controllo sociale: un meccanismo a catena

Approfondire Le cifre degli eserciti: crescita degli organici e dei costi

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del resto non sempre i “volontari” potevano davvero essere considerati tali. gli ufficiali, infatti, reclutavano soprattutto di domenica, quando nelle osterie, dove la popolazione più umile trascorreva buona parte della giornata, era più facile strappare con l’inganno a qualche avventore un po’ sbronzo la firma sotto al contratto di ingaggio. Mettere insieme un esercito non era un’impresa agevole, non solo per la scarsa propensione della popolazione a scegliere per professione la vita delle armi, ma anche perché mantenere un corpo stabile di armati costava molto. Per questo i sovrani dell’epoca assolutista aumentarono in modo consistente la pressione fiscale. esercito e tasse tra Sei e Settecento crebbero insieme, fornendo allo Stato lo strumento per disciplinare la società. Ci si trovava, infatti, in presenza di un meccanismo a catena: quanto più i sovrani riuscivano a spremere le tasche dei contribuenti, tanto più potevano permettersi di finanziare il rafforzamento dell’esercito professionale. e quest’ultimo, a sua volta, costituiva un mezzo efficacissimo non solo per affrontare una guerra, ma anche per imporre ai sudditi obbedienza e sottomissione, e per piegarne, dunque, le resistenze e le proteste suscitate dalla pressione fiscale.

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

  La disciplina

La disciplina rappresentava un grosso problema anche nella vita dei reggimenti. nell’esercito prussiano, per esempio, gli ufficiali si fidavano così poco dei soldati che li scortavano personalmente a fare il bagno nei torrenti vicini alle caserme. non si trattava di un eccesso di zelo: in certi anni, infatti, fino a un quarto dei militi arrivava a disertare, approfittando di ogni momento propizio per fuggire, magari per arruolarsi in un altro esercito, in modo da incassare di nuovo l’ingaggio. Se questa era la situazione in tempo di pace, il problema diventava ancora più serio al momento di rischiare la pelle in battaglia. Per questo, nel 1745 Federico il grande si decise a emanare quest’ordine: «Se durante un combattimento un soldato si guarderà intorno come per fuggire o romperà i ranghi, il sottufficiale che sta dietro di lui lo infilzerà con la baionetta o lo ucciderà sul posto».   I coscritti

Per formare armate così numerose, i “volontari” e i mercenari però non bastavano più. nel corso della prima metà del Settecento quasi tutti gli Stati introdussero un rudimentale sistema di coscrizione, che la sola Svezia aveva cominciato ad adottare già nel Seicento, durante la guerra dei trent’anni. in linea di principio, tutti i sudditi maschi in buona salute e in età adatta alle armi (dai sedici ai quarant’anni) erano passibili di coscrizione, ovvero di servizio militare obbligatorio e non retribuito, ma gli esentati erano numerosi: ovunque i nobili e gli ecclesiastici; poi, a seconda del periodo e del paese, gli uomini sposati, gli avvocati, i notai, i funzionari pubblici, i maestri artigiani. dopo aver depennato dagli elenchi gli esenti, si stabiliva chi avrebbe prestato servizio con l’estrazione a sorte. Molti però, a quel punto, disponendo dei mezzi necessari, preferivano pagare di tasca propria un sostituto; a popolare le squallide camerate delle caserme furono, dunque, soprattutto le figure più umili, in gran parte contadini senza proprietà. il servizio militare obbligatorio durava un numero limitato di anni (in genere un paio) e non prevedeva, se non in caso di estrema necessità, l’impiego in battaglia, riservato perlopiù ai volontari e ai mercenari.   militarizzazione e sudditanza

L’introduzione della coscrizione suscitò resistenze fortissime in molti paesi, scatenando tumulti e proteste, oppure indusse la popolazione ad aguzzare l’ingegno: in Francia, per esempio, una volta entrata in vigore la regola che esentava gli ammogliati, gli uomini anticiparono il momento del matrimonio. il paese in cui il nuovo sistema funzionò meglio fu la Prussia. Qui, fin dall’età di dieci anni, ogni bambino robusto veniva registrato dalle autorità e obbligato a indossare una cravatta rossa, simbolo della sua possibile destinazione alla caserma. Per chi veniva sorteggiato, il servizio durava due anni, e poi ancora due mesi ogni anno, per tutto il periodo tra l’adolescenza e la maturità. una volta entrati in caserma, soldati si rimaneva per sempre; al punto che, scaduti i due anni e ripresa la normale vita di lavoro, ogni domenica i coscritti erano comunque tenuti a frequentare le funzioni religiose in uniforme. in tal modo, oltre che sulla carta geografica, le guerre di questi decenni lasciarono una traccia profonda anche nella coscienza dei sudditi, creando un intenso rapporto di dipendenza gerarchica dallo Stato. dal mondo delle caserme l’abitudine al controllo e alla disciplina si irradiò in tutta le società. Le guerre furono meno devastanti che in passato, ma i sudditi divennero ancora più sudditi.

Johan Christof Philippe Merck, Granatiere prussiano, 1730 circa (Windsor, Royal Collection)

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Il laboratorio dello storico

La guerra dei soldati e quella dei civili

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche

Un nuovo modo di concepire la guerra Un’incisione del 1707, relativa al “teatro” lombardo della Guerra di successione spagnola, restituisce in modo calligrafico il senso del carattere sempre più “convenzionale” dei conflitti, a cavallo tra Sei e Settecento: niente sangue, niente morti, niente strazi. Mentre francesi e spagnoli escono tranquillamente con i loro carriaggi dal castello di Milano, gli austriaci compongono, ai loro fianchi, una sorta di ordinata coreografia parallela.

L’artiglieria austriaca, dalla sua postazione prossima al Castello Sforzesco di Milano, scaglia – più a titolo dimostrativo che con autentiche intenzioni offensive – qualche palla di cannone verso le mura

«Godete il bel Castel o’ voi che intrate»: il motteggio dell’autore dell’incisione, animato da una certa propensione all’ironia, si rivolge alla fila di sinistra, formata dagli austriaci che si apprestano in bell’ordine a varcare il ponte levatoio oltre il quale si colloca il castello verso i cui bastioni alcuni dei loro commilitoni si attardano ancora a sparare qualche colpo

Francesi e spagnoli escono dal castello di Milano mentre entrano gli austriaci (Milano, Civica raccolta delle stampe Bertarelli)

Separate l’una dall’altra da un corteo di carri colmi di masserizie in uscita, due file di soldati sembrano darsi amichevolmente il cambio, piuttosto che mostrare propositi reciprocamente aggressivi 96

«Uscite di speranza o’ voi che andate»: ecco, alla destra dei carriaggi, francesi e spagnoli che si lasciano compostamente alle spalle il castello che hanno fino a qualche momento prima difeso dall’assedio

cApITOLO 4 - cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

I soldati e i civili Per quanto edulcorata e formalizzata secondo canoni convenzionali, la guerra restava, anche nel Settecento, comunque guerra, come emerge con grande efficacia dalla fonte alla quale ora ci accosteremo; non altrettanto drammatica di quelle di un secolo prima, ma in ogni caso ancora devastante.

È Federico II di Prussia a descrivere qui le condizioni del suo regno dopo la Guerra dei sette anni

La guerra era stata, come sempre, foriera di disastri; ad alleviare le sofferenze del paese era stata, semmai, l’efficacia statale nei successivi interventi di rilancio dell’economia e di ripopolamento

Per farsi un’idea del sovvertimento generale del Paese e per rappresentare la desolazione e lo scoraggiamento dei sudditi, occorre pensare a regioni interamente devastate, nelle quali a stento si scoprivano le tracce delle antiche abitazioni, a città rovinate da cima a fondo, ad altre semidistrutte dalle fiamme, tredicimila case delle quali non apparivano più che vestigia; terre non seminate, abitanti privati dei grani per il loro nutrimento, i coltivatori mancanti di sessantamila cavalli per le arature, e nelle province una diminuzione di cinquecentomila anime rispetto all’anno 1756: ciò che è notevole, per una popolazione di quattro milioni e cinquecentomila anime. La nobiltà e i contadini erano stati saccheggiati, taglieggiati, rovinati da tanti eserciti diversi, che non restavano loro altro che la vita e miserabili stracci per coprirsi le nudità; non c’era più credito per soddisfare anche solo ai bisogni giornalieri imposti dalla natura; nelle città non c’era più controllo sull’ordine; allo spirito di equità e d’ordine era succeduto un vile interesse e un disordine anarchico […]. in una situazione così sfavorevole bisognava opporre il coraggio alle avversità, non disperare dello Stato, ma proporsi di migliorarlo, più che di ristabilirlo; era una creazione nuova che bisognava intraprendere […]. il governo si propose […] di trarre vantaggio da ogni tipo di terreno, bonificando le paludi, migliorando le terre con l’accrescimento del bestiame e anche rendendo utili le terre sabbiose con i boschi che vi si potevano piantare […]. già nel 1773 la popolazione era cresciuta di oltre duecentomila anime, rispetto a quella che era nel 1756. non ci si limitò a questo; considerando che il numero degli abitanti fa la ricchezza dei sovrani, si trovò il modo per stabilire in alta Slesia duecentotredici nuovi villaggi, i cui abitanti ammontarono a ventiduemila; si stabilì il piano di aumentare il numero dei coltivatori in Pomerania di cinquantamila e di dodicimila nella Marca elettorale, ciò che fu fatto verso il 1780.

Si noti la forte enfasi riposta dal sovrano sulle dinamiche del dopoguerra e sul ruolo fondamentale dell’intervento statale nella pianificazione della ricostruzione economica, una volta cessate le ostilità

a. de Bernardi - S. guarracino, L’operazione storica. L’età moderna, Bruno Mondadori, Milano 1987, p. 566

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato di mettere in luce due diversi volti della guerra, presentandoli rispettivamente attraverso una fonte iconografica dell’epoca e attraverso un testo scritto dal re di Prussia e dedicato a un esame generale delle condizioni del proprio paese in seguito alla Guerra dei sette anni. • Avvicinando le due fonti, si ha l’impressione che parlino di fenomeni completamente diversi. Eppure, entrambe tematizzano la guerra. Come spieghi queste differenze? • Qual è il soggetto principale delle considerazioni sulla guerra formulate da Federico II di Prussia?

97

cApITOLO 4

Mappa

Assenza di impronta ideologica

CENTO ANNI DI GUERRA (1652-1763)

Conquista come obiettivo

Guerre lunghe ma non intense

Specificità

Nascita di eserciti permanenti

Introduzione della coscrizione obbligatoria

cENTO ANNI DI guErrA (1652-1763)

Aumento delle tasse

Tumulti e proteste

guerre di Luigi XIV

guerre di successione

Guerra di devoluzione

Guerra contro l’Olanda

Guerra della Lega d’Augusta

Apogeo della potenza francese

Declino della supremazia francese

Guerra di successione spagnola

Guerra di successione polacca

Guerra di successione austriaca

98

guerra dei sette anni

• Il trono spagnolo va

• consolidamento

ai Borbone • Milano, Napoli e i Paesi Bassi spagnoli diventano austriaci • L’Inghilterra ottiene vantaggi coloniali

dell’impero coloniale inglese • protagonismo commerciale delle colonie

• I Borbone ottengono Napoli e la Sicilia

• La Toscana passa ai Lorena

• Maria Teresa diventa imperatrice d’Austria

• la Prussia occupa la Slesia

cApITOLO 4

CENTO ANNI DI GUERRA (1652-1763)

Sintesi 4.1 TANTE GUERRE PER UN SECOLO tra il 1652 e il 1763 si susseguirono in europa numerosi conflitti, non più dovuti a contrasti religiosi, ma combattuti dalle dinastie per il possesso di nuovi territori. Le mire espansionistiche di Luigi XIV segnarono l’inizio del lungo ciclo di guerre. in un primo momento, con la guerra di devoluzione (1667-1668) contro i Paesi Bassi spagnoli e con la guerra contro l’olanda (1672-1678), il re Sole riuscì a conquistare la Franca Contea e parte delle Fiandre, ma il suo progetto di espansione venne arrestato da un’alleanza tra tutti i più importanti paesi europei che si unirono nella Lega di augusta, che impegnò la Francia in una lunga guerra (1688-1697). La prima metà del Settecento fu attraversata da tre Guerre di successione: quella spagnola (1701-1714) vide succedere sul trono di Spagna agli asburgo un ramo dei Borbone, vale a dire della dinastia che già deteneva la corona di Francia. essa segnò inoltre la fine della supremazia spagnola in italia. infatti il ducato di Milano, il regno di napoli e la Sardegna divennero territori degli asburgo d’austria. Ma con la guerra di successione polacca (17331738) il regno di napoli e la Sicilia tornarono alla Spagna, la cui nuova dinastia regnante, i Borbone, li elevò a regno autonomo. infine, con la guerra di successione austriaca (1740-1748) Maria teresa, confermata imperatrice d’austria, dovette però cedere la ricca regione della Slesia al re di Prussia Federico ii. L’ultimo importante conflitto di questo periodo fu la Guerra dei sette anni (1756-1763) che segnò il transitorio rafforzamento della supremazia inglese sull’america del nord. 4.2 I NUOvI RAPPORTI DI FORzA IN EUROPA Questa lunga epoca di guerre produsse profondi cambiamenti sia dal punto di vista geografico, sia dal punto dei vista dell’equilibrio politico tra le potenze europee. il controllo del mar Baltico passò dalla Svezia alla Russia e alla Prussia, che si affermò come regno e conobbe una forte espansione. L’Austria, sconfitti definitivamente gli ottomani, si espanse nell’area balcanica ma anche nell’europa occidentale (in italia e nei Paesi Bassi) a spese della Spagna, in profondo declino. La Francia conservò la sua integrità territoriale, ma perse buona parte delle colonie. L’Italia in un primo tempo (1714) passò dal dominio spagnolo a quello austriaco, ma successivamente (1738) venne di fatto sottoposta al controllo degli asburgo d’austria al nord e dei Borbone di Spagna al sud.

4.3 L’EUROPA FUORI D’EUROPA TRA CINqUECENTO E SETTECENTO in seguito alle guerre del Sei-Settecento l’Inghilterra divenne la maggiore potenza coloniale e commerciale, vincendo la concorrenza dell’olanda. in America, nel 1664 gli inglesi si impadronirono del territorio già olandese di nuova amsterdam, che ribattezzarono New York; nel 1714 strapparono alla Francia Terranova e Nuova Scozia, tra il 1759 e il 1763 portarono via alla Spagna alcune delle Antille e la Florida. gli inglesi sottrassero alla Francia tutte le postazioni coloniali lungo le coste dell’India, ponendo un’ipoteca sul controllo esclusivo dell’immenso subcontinente. dopo la seconda metà del XViii secolo risultò enormemente aumentata l’incidenza del rapporto con le colonie nell’interscambio economico delle principali potenze del continente. 4.4 LA GUERRA: MODELLI A CONFRONTO Le guerre combattute tra Sei e Settecento furono lunghe e frequenti, ma meno intense e cruente sia di quelle del Cinquecento sia di quelle novecentesche. i conflitti non furono intrapresi per motivi ideologici come le precedenti guerre di religione o come le due guerre mondiali, ma prevalentemente per motivi commerciali o per ambizioni dinastiche. La popolazione si sentiva pertanto molto meno coinvolta e meno incline ad annientare il nemico. 4.5 GLI ESERCITI: DA MERCENARI A PROFESSIONISTI a combattere le guerre di questo periodo furono i nuovi eserciti permanenti, composti in parte ancora da mercenari stranieri, ma soprattutto da “nazionali” arruolati spesso a forza dagli ufficiali tra disoccupati, vagabondi ed ex galeotti. Quello del soldato divenne un mestiere stabile, che godeva però di una cattiva fama, dato che a praticarlo erano soprattutto i gruppi più disagiati della società. nella prima metà del Settecento alcuni sovrani, tra cui soprattutto il re di Prussia, Federico ii, ricorsero anche alla coscrizione obbligatoria. a sorte venivano estratti i sudditi che per un certo periodo di tempo erano costretti a svolgere il servizio militare. 99

Identità collettiva e cittadinanza

n Inclusione Esclusione

Rembrandt von Rijn, La ronda di notte, 1642 (Amsterdam, Rijksmuseum)

armati e disarmati

Le armi come strumento di potere e di oppressione

n

ella società di antico regime, per la gente comune, la minaccia di subire violenza senza potersi difendere non era rappresentata soltanto dai soldati di un paese nemico, ma anche da quelli di casa. Anzi, forse soprattutto da questi ultimi, visto che loro

Esclusione

società armata da quella inerme si faceva immediatamente più profondo. Tanto aumentava il numero di uomini abilitati a fare uso delle armi, tanto più saliva, per un uomo o per una donna del popolo, la possibilità di subire una violenza gratuita. Per portare armi da fuoco le persone comuni avevano bisogno di un permesso speciale, che le autorità accordavano con molta discrezionalità e parsimonia, e in genere vincolandone la fruizione a casi particolari.

Frans Hals, Ufficiali e sottufficiali della guardia di San Giorgio , 1639 (Haarlem, Frans Hals Museum)

c’erano sempre, mentre quelli “stranieri” comparivano solo di tanto in tanto, in occasione delle guerre. Il fatto è che già in tempi di pace la popolazione civile di ogni paese europeo era abituata a patire umiliazioni, abusi, affronti di ogni genere da parte delle soldatesche. Queste ultime, infatti, se non altro per il fatto di possedere il diritto ufficiale di portare le armi, rappresentavano il più forte e il meno contestabile dei tanti poteri intrecciati con i quali Lo si dava, talvolta, a mercanti che dovessero recarsi a una la gente entrava ogni giorno in contatto. fiera attraversando un territorio pericoloso e che, per questo In tempi di guerra questo potere si decuplicava, motivo, acquisivano titolo per sostenere il proprio diritto poiché gli organici degli eserciti si gonfiavano a di difendersi da eventuali aggressioni di malintenzionati. dismisura. Nel Regno di Francia, sotto Luigi XIV, Altre volte i pericoli potevano accadeva che nel giro di poche settimane, quando il re 7 78 -1 86 17 o, provenire da animali selvatici: orsi decideva di avviare una Lucientes, Invern Francisco Goya y  Prado) l de eo e lupi – soprattutto questi ultimi – guerra, si passasse da alcune (Madrid, Mus si incontravano abbastanza decine di migliaia a diverse frequentemente in un’Europa centinaia di migliaia di all’epoca assai poco diboscata e, soldati; a quel punto, il dunque, molto ricca di selve. dislivello che divideva la 101

Inclusione Esclusione

Identità collettiva e cittadinanza Thomas Gainsb orough, I coniug i Andrews, 1750 (Londra,

P

National Gallery )

eraltro, le armi da taglio in normale dotazione ai contadini – ovvero gli strumenti del loro lavoro quotidiano – ben poco potevano contro i pericoli celati sulla strada che li portava ai campi. In un mondo in cui la protezione accordata dai pubblici poteri era intermittente, incompleta, discontinua (e anche quando c’era, tendeva non di rado a trasformarsi nel proprio contrario, ovvero in una forma di oppressione dotata dei crismi della legittimità), gran parte delle persone risultava in balia della volontà del potente di turno. Quei potenti erano armati (e si vedevano L’aristocrazia, con il suo personale di servizio, è un riconosciuto il diritto di esserlo); le loro vittime no. corpo armato, e per questo potente. Dal momento che Così, la prerogativa di portare le armi – specie anch’essa viene considerata una sorta di emanazione quelle da fuoco – rappresentava la linea di confine dell’autorità, gode di una prerogativa che altrimenti tra un territorio dell’inclusione e uno dell’esclusione: in linea di massima spetta solo al pubblico potere e l’inclusione tra i forti, autorizzati legalmente a a una parte dei suoi rappresentanti: è autorizzata a imporsi sugli altri; l’esclusione dalla possibilità fare fuoco, e dunque a farsi rispettare e ubbidire; di reagire con strumenti efficaci agli abusi e alle i deboli – i disarmati – le si minacce, per chi le armi non era autorizzato a sottomettono. portarle. Tuttavia, non sempre coloro che Dunque, da un lato i soldati. Ma non soltanto loro. erano esclusi dal diritto di munirsi Pensiamo, per esempio, alle persone di condizione di armi accettavano senza aristocratica. L’immagine del nobile prepotente, resistenze questo destino. munito di armi di ogni genere e abituato a tenere a, XIX secolo dei bravi, litografi a er op al proprio servizio bande di “bravi” senza a cia Lu Il rapimento di scrupoli, come quelli che la penna di Alessandro Manzoni descrive con tanta vivezza di particolari ed efficacia di tinte nei Promessi sposi, è una figura ricorrente nella vita di ogni giorno dell’antico regime. 102

armati e disarmati Il mondo armato “ufficiale” era composto di sgherri al servizio dei nobili, soldati al servizio del re; talvolta anche, come abbiamo detto, di mercanti che in teoria il pubblico potere avrebbe dovuto proteggere in prima persona, con le proprie armi, ma ai quali spesso non era in condizione di garantire sicurezza, e per questo si rassegnava a estendere anche a loro la prerogativa, abitualmente riservata soltanto ai vertici del potere sociale e di quello politico, di girare armati. Ma ai confini di questo mondo “autorizzato” se ne addensava un altro, che non solo di ufficiale non aveva nulla, ma che, anzi, della legalità – ovvero dell’inclusione nel mondo che quest’ultima tutelava – rappresentava l’esatto opposto.

e

ra il mondo dei fuorilegge, che conducevano la loro esistenza avventurosa e precaria negli anfratti che si dischiudevano tra la società armata legale e quella disarmata. Essere fuori dalla legge: non c’era categoria più esclusa di quella che piantava le proprie radici in tale condizione. Si radunavano in bande, e si procuravano le armi con la violenza e senza permessi di sorta. Poi, ne facevano uso ai danni tanto degli inclusi quanto degli esclusi. Certo, con questi ultimi avevano vita più facile, e per loro rappresentavano l’ennesimo incubo che si abbatteva su un’esistenza già gravata da tribolazioni di ogni genere. Però, molto spesso era proprio dalle fila della gente comune, cioè priva di

, XIX secolo Una ricca viaggiatrice presa in ostaggio da una banda di briganti, litografia

privilegi particolari, che i banditi provenivano; e, dedicando le proprie attenzioni al mondo degli inclusi, ci si poteva aspettare di ricavare bottini ben altrimenti pingui. A loro modo, i banditi finirono così per configurarsi come degli eroi popolari, interpreti di un riscatto del mondo degli umili e degli esclusi nei confronti del potere e dell’autorità sociale, simboli di un’aspirazione alla giustizia, malgrado il loro essere al di fuori della legge. Questa loro condizione ambigua ha alimentato, a lungo, una lettura romantica delle loro gesta.

103

SEZIONE 1

IL SISTEMA MONDO TRA SEI E SETTECENTO

ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

1

Riordina cronologicamente gli eventi elencati, relativi alla storia indiana. a. b. c. d. e.

         

➜ cap. 1

Akbar dà inizio a una politica di tolleranza religiosa I Maratha dominano la regione del Deccan Aurangzeb diventa sovrano dell’Impero Moghul Nadir saccheggia Delhi Baber fonda l’Impero Moghul

2

Costruisci una linea del tempo inserendo le date più significative del regno di Luigi XIV.

3

Completa la tabella.

➜ cap. 2

➜ cap. 4

CONFLITTO

aNNI

sTaTI COINvOLTI

Guerra di devoluzione Guerra d’Olanda Guerra di successione spagnola Guerra di successione polacca Guerra di successione austriaca Guerra dei sette anni

4

Svolgi sulla carta le attività proposte.

➜ cap. 1

a. Indica le principali basi commerciali extraeuropee a metà del Seicento utilizzando colori diversi per i vari Stati b. Indica le aree dell’Africa caratterizzate dalla presenza islamica e la zona di influenza ottomana

104

5

Svolgi sulla carta le attività proposte.

➜ cap. 3

a. Colora in arancio i territori del Regno degli Hohenzollern nel 1700 b. Colora in azzurro i territori degli Asburgo d’Austria nel 1700

6

Svogli sulla carta dell’esercizio precedente le attività proposte.

➜ cap. 4

a. Colora in rosso i territori del Regno degli Hohenzollern nel 1750 b. Colora in blu i territori degli Asburgo d’Austria nel 1750

uSARE IL LESSICO STORICO

7

Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione. a. b. c. d. e. f. g. h.

➜ cap. 1

animismo Chiesa copta jainismo proselitismo xenofobia brahmani paria shar’ia

8

Scrivi una frase utilizzando e spiegando i termini “capitazione” e “decimo”.

9

Collega i termini della colonna di sinistra con le corrispondenti definizioni della colonna di destra. ➜ cap. 3 1. 2. 3. 4.

whigs episcopalisti tories vecchi credenti

a. b. c. d.

➜ cap. 2

oppositori dell’anglicanesimo sostenitori dell’anglicanesimo critici del potere politico della Chiesa ortodossa sostenitori di una organizzazione verticistica della Chiesa 105

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

10 Spiega in un breve testo (max 5 righe) che cos’erano le Compagnie delle Indie specificando che cosa si intendeva nel Seicento con le espressioni “Indie orientali” e “Indie occidentali”.

➜ cap. 4

ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI

11 Indica con delle frecce il corretto percorso degli scambi commerciali. PIaNTagIONI dI zuCCheRO ameRICaNe

sChIavI ameRICaNI

saLe dI RICReazIONe euROPee

TÈ asIaTICO

12 Completa la tabella inserendo la religione praticata in ciascun impero. ImPeRO

➜ cap. 1

➜ cap. 1

ReLIgIONe

Moghul Safavide Cinese Giapponese

13 Rispondi alle domande.

➜ cap. 1

a. Quali furono gli effetti in Africa del commercio degli schiavi? b. Quali furono le cause del ristagno delle culture asiatiche nel corso del Seicento? c. Quali furono le cause che, nel corso dell’età moderna, portarono l’Europa ad acquisire un ruolo sempre più rilevante  nelle relazioni internazionali?  d. Quali furono gli effetti della politica di tolleranza religiosa promossa da Akbar il Grande? e. A quali fattori si può ricondurre il lento declino dell’Impero ottomano tra Sei e Settecento?  f. Quale fu l’effetto del crescente potere degli ulema nel mondo ottomano?

14 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.

➜ cap. 2

  a. I Pays d’état erano i paesi più strettamente legati al governo centrale.  b. Prima dell’avvento al potere di Luigi XIV, in Francia i Parlamenti godevano dei diritti di rimostranza  e di registrazione.    c. Luigi XIV nominò un considerevole numero di ministri ai quali delegare importanti settori  dell’amministrazione dello Stato.  d. Luigi XIV fu il primo a istituire il sistema degli intendenti.  e. Gli strumenti fondamentali per realizzare uno Stato assoluto sono la burocrazia, le tasse e l’esercito.  f. Luigi XIV mantenne sempre un profondo rispetto per le tradizioni, i privilegi consolidati e la varietà  di poteri presenti nella Francia di fine Seicento.   g. Luigi XIV revocò l’Editto di Nantes per ottenere la pacificazione religiosa del paese.  

106

V    F                            

ESErcIZI

15 Scegli l’alternativa corretta.

➜ cap. 2

1. Il giansenismo era a 

un movimento religioso, promosso da Ignazio di Loyola, volto a consolidare l’ortodossia cattolica un movimento religioso sostenitore di una fede profondamente interiorizzata  c   un movimento riformato legato alle dottrine luterane d   un movimento promosso dai cattolici francesi per favorire l’indipendenza della Chiesa francese dalla Chiesa di Roma b 

2. Gli stati provinciali sono a 

le circoscrizioni territoriali in cui Luigi XIV divise la Francia le corti di giustizia in Francia c   gli organismi che detenevano il potere legislativo d   le assemblee rappresentative b 

3. Il ministeriato è a 

l'insieme dei ministeri di uno Stato  una pratica politica diffusasi in Europa nella prima metà del Seicento quando i primi ministri si sostituirono ai sovrani  nell’azione di governo c   il ruolo svolto dal papa in quanto ministro di Dio d   la riforma compiuta da Luigi XIV per ridurre il peso dei ministri nella gestione del potere b 

16 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f. g.

➜ cap. 2

A che scopo Luigi XIV fece dividere il territorio francese in 30 generalità? Perché Luigi XIV preferì circondarsi di funzionari borghesi e non aristocratici?  Perché la creazione della corte di Versailles è funzionale all’affermazione dello Stato assoluto? A che scopo Colbert ridusse d’ufficio i debiti della Corona? Quali strategie economiche ebbero come effetto la riduzione delle importazioni? Per quale motivi molti ugonotti abbandonarono la Francia? Perché Luigi XIV promosse una politica di intolleranza nei confronti dei giansenisti?

17 Collega gli Stati della colonna di sinistra con le corrispondenti forme governative della colonna di destra. a. b. c. d. e.

Olanda Polonia Inghilterra Austria Prussia

➜ cap. 3

1. 2. 3. 4. 5.

Monarchia elettiva Monarchia assoluta Repubblica Monarchia costituzionale Assolutismo imperfetto

18 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.

➜ cap. 4

  a. La Guerra di devoluzione fu combattuta da Luigi XIV contro l’Olanda.  b. La Svezia fu la vincitrice della prima Guerra del Nord.   c. Le guerre condotte da Luigi XIV permisero alla Francia di imporre la propria influenza su gran parte  dell’Europa.       d. Con la Pace di Carlowitz l’impero ottomano dovette riconoscere la supremazia dell’Austria sulla Serbia.   e. Le guerre tra il 1652 e il 1763 non furono generalmente combattute per motivi ideologici.   f. La nascita di eserciti permanenti comportò spesso l’istituzione della coscrizione obbligatoria.   g. Nel Settecento gli eserciti erano composti da volontari nazionali e non più da mercenari stranieri.   h. Lo Stato in cui si radicò con maggior successo il sistema della coscrizione obbligatoria fu la Prussia.  

V    F                    

           

107

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

19. Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.

➜ cap. 4

Quali furono le principali cause del declino dell’Impero ottomano? Quali cambiamenti produssero le guerre di successione sull’assetto politico dell’Italia? Quale esito ebbe la Pace di Aquisgrana? Da che cosa fu determinata la Guerra dei sette anni? Quale fu la conseguenza più importante della Guerra dei sette anni?

RIASSuMERE E ARgOMENTARE

20 Spiega in un breve testo (max 10 righe) in che misura si può utilizzare il termine “globalizzazione” per descrivere la realtà socio-economica del Sei e Settecento.

➜ cap. 1

21 Sintetizza in un breve testo ciascuno dei seguenti argomenti. a. b. c. d.

➜ cap. 2

I capisaldi della politica economica di Colbert. Il rapporto tra Luigi XIV e i nobili. La politica religiosa di Luigi XIV. I limiti del mito del re Sole.

22 In un testo argomentativo (max 25 righe) metti in luce i limiti dell’assolutismo nelle diverse realtà politiche europee.

➜ cap. 3

23 In un breve testo (max 10 righe) spiega come cambia l’equilibrio tra le potenze europee nella seconda metà del Settecento.

➜ cap. 4

SCRIVERE DI STORIA

24 Scrivi un tema storico su questo argomento: “Le varie forme di insediamento europeo nel mondo nel XVII secolo e l’immagine dei diversi continenti tramandata allora dagli europei”.

➜ cap. 1

25 Dopo avere svolto una ricerca e osservato le immagini del capitolo, spiega in un massimo di 30 righe quale ruolo ebbero le arti nel costruire il mito del re Sole.

➜ cap. 2

26 Scrivi un tema storico partendo dalla seguente affermazione.

➜ cap. 3

Sulla  scorta  dell’esperienza  francese,  l’assolutismo  si  andò  affermando  con  forza  crescente  in  buona  parte  degli  Stati  dell’area del Baltico, della Prussia e della Russia degli zar. Anche la Spagna e, soprattutto, l’Inghilterra non poterono sottrarsi ai venti delle tendenze assolutistiche, con esiti completamente differenti e, soprattutto in Inghilterra, fertili di conseguenze per l’intera Europa.

27 Leggi il testo qui di seguito riportato, poi componi un testo di commento.

➜ cap. 4

Ci si trovava in presenza di un meccanismo a catena. Quanto più i sovrani riuscivano a spremere le tasche dei contribuenti, tanto più potevano permettersi di rinforzare l’esercito professionale; mezzo efficacissimo non solo per affrontare una guerra, ma anche per inasprire ulteriormente la pressione fiscale sui sudditi e per imporre loro obbedienza e sottomissione.

108

SEZIONE 1

IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Verso

IL DIBATTITO DEGLI STOrIcI

• Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni • Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse

Il policentrismo dell’età moderna A lungo il discorso degli storici a proposito dell’età moderna si è concentrato quasi esclusivamente sull’Europa. Solo da poco tempo ha cominciato a riscuotere consensi una diversa modalità di approccio al problema. Essa muove dal presupposto che nei secoli XVII e XVIII l’Europa e le sue civiltà non avessero affatto conquistato quella supremazia su scala mondiale che sarà invece uno dei tratti qualificanti dell’Otto e del Novecento, esprimendosi nell’assoggettamento di gran parte del continente asiatico e di quello africano. Gli europei – è vero – tra Sei e Settecento risultavano ormai attivamente presenti in tutte le parti del globo, e questo indubbiamente li differenziava dagli asiatici e dagli africani. Ma il mondo, malgrado questo, risultava fondamentalmente policentrico e, per molti versi, privo di una civiltà dominante.

1.

le competenze

• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia

Jürgen Osterhammel e Niels P. Petersson 1 , all’interno di uno studio di carattere più generale, si interrogano sulle caratteristiche dei processi di globalizzazione della piena età moderna e suggeriscono di prestare attenzione non soltanto all’espansione europea, ma anche a quella islamica, che giunse a toccare il Sud-Est asiatico e vaste aree dell’Africa. Franco Cardini 2 , a sua volta, si concentra sul ruolo assolto dall’Impero ottomano nel gioco della politica europea e mostra alcuni insospettabili riverberi della “questione turca” nell’ambito della produzione culturale del nostro continente. Michelguglielmo Torri 3 si sofferma infine sulle vicende del subcontinente indiano tra Sei e Settecento, evidenziandone la ricchezza di manifestazioni culturali, civili e religiose, sullo sfondo di uno scenario contraddistinto da uno spirito tolleranza allora sconosciuto in Europa.

Jürgen Osterhammel e Niels P. Petersson

Oriente e Occidente tra Sei e Settecento J. Osterhammel è uno studioso tedesco, che insegna all’Università di Costanza e che si è specializzato in storia della Cina (Storia della Cina, Einaudi, Torino 1987). Recentemente ha scritto Die Verwandlung der Welt (“La trasformazione del mondo”), un grande affresco di storia globale dedicato all’epoca tra la fine del Settecento e la Prima guerra mondiale. Niels P. Petersson, anch’egli tedesco, insegna all’Università di Sheffield e si occupa principalmente dei nessi tra imperialismo e modernizzazione.

Se per il periodo che giunge fino a circa la metà del Settecento debbano essere maggiormente sottolineati i fattori di crescente integrazione, cui si è già fatto riferimento, o piuttosto i buchi nella rete, vale a dire i deficit di globalizzazione, è una questione che non può essere decisa sulla base delle conoscenze empiriche, ma solo sulla base della valutazione ponderata di tali conoscenze. Noi vogliamo qui evidenziare la contraddittorietà insita nelle tendenze del tempo. 109

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

1. Con l’espressione trading empires l’autore si riferisce a imperi basati più sui collegamenti commerciali che sulla soggezione politica. 2. Fernand Braudel è un grande storico francese (19021985), autore tra l’altro di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell’età di Filippo II (1949) e di Capitalismo e civiltà materiale (1967).

3. Un pavillon indica in francese una casetta. Nel Settecento il termine si riferiva in particolare a piccoli edifici costruiti in stile cinese nei giardini delle residenze più ricche.

110

È vero che l’integrazione macrospaziale si rafforzava, ma al suo interno l’integrazione sub-globale nelle tradizionali forme dei grandi imperi, dell’ecumene religiosa e delle larghe reti del commercio a distanza (nella forma moderna di trading empires1) aumentava invece di diminuire. Il mondo è cresciuto insieme nel suo complesso solo molto lentamente. Sebbene in molte civiltà siano fiorite città e si siano formati ambienti di grandi commercianti sempre più consapevoli e creativi anche dal punto di vista culturale, come quelli descrittici con vividezza da Fernand Braudel2, l’importanza del commercio a distanza, che oltrepassava i confini delle nazioni, rimase scarsa se paragonata ai beni prodotti e consumati a livello locale e regionale. Solo pochi paesi – i Paesi Bassi al primo posto – dovevano la propria ricchezza al commercio a distanza e, fatta eccezione per le società schiavistiche dell’America, erano davvero poche le economie che producevano prevalentemente per l’esportazione. Le crisi economiche non si propagavano ancora di paese in paese e di continente in continente. Non essere in rete dal punto di vista economico non costituiva ancora un grave problema; l’autarchia rappresentava addirittura la condizione naturale per alcuni macrospazi economici alquanto sviluppati, come per esempio il Giappone e la cina. Nel caso in cui simili tendenze di sviluppo esistevano anche in macrospazi vicini, esse dipendevano più da condizioni generali di carattere strutturale, come le variazioni climatiche (forse la supposta «breve epoca glaciale» tra il 1450 e il 1850), o da tendenze demografiche di fondo, che non dall’espansione – la più importante eccezione è la diffusione delle armi da fuoco – o da reazioni a catena. Le condizioni generali di carattere strutturale, infatti, si realizzano contro i meccanismi che agiscono a livello locale e non hanno bisogno che le diverse comunità siano in contatto diretto tra di loro. Il mondo continuava a essere policentrico. L’Europa occidentale era diventata il punto di partenza di una profonda trasformazione del mondo atlantico. Eppure resta ancora materia di discussione se le periferie coloniali dell’Atlantico occidentale recentemente scoperte e sfruttate abbiano contribuito in misura rilevante alla lenta crescita economica dell’Europa. Per dirla con uno slogan: la Gran Bretagna non era diventata il paese della rivoluzione industriale perché possedeva le isole dei caraibi in cui si coltivava lo zucchero o perché riscuoteva tasse in Bengala. Dal punto di vista economico l’Europa non era ancora il modello incontrastato del pianeta. Nel migliore dei casi l’Europa esportava i suoi modelli politici nei suoi possedimenti coloniali e qui essi produssero effetti durevoli solo quando i coloni, come accadde in alcune parti del Nordamerica inglese a partire dagli anni Sessanta del Settecento, si ribellarono ai governi coloniali europei in nome di principi vetero-europei. L’unico importante sovrano che prima del 1800 abbia cercato con determinazione di riformare il suo paese secondo modelli europeo-occidentali selettivamente recepiti fu lo zar di russia Pietro il Grande. A parte questo caso, non si ebbero effetti eclatanti dell’“Occidente”. La stessa cosa vale anche per l’Oriente: al culmine dell’infatuazione per la cina degli intellettuali europei, ovvero nei decenni intorno al 1700, alcuni credettero di poter imparare qualcosa dall’impero di mezzo sulla politica della pace e sull’amministrazione razionale dello Stato, ma da tali proposte non sortì nulla di concreto. Nella vita quotidiana delle classi abbienti europee gli oggetti esotici e i prodotti coloniali acquisirono sempre maggiore rilevanza. Essi avevano ovviamente valenze culturali: si era consapevoli della propria posizione nel mondo quando si diventava bevitori di caffè o quando si faceva costruire un pavillon3 cinese nel parco del proprio castello. Ampi strati di popolazione furono toccati dal consumo di prodotti esotici solo quando, nella seconda metà del Settecento, il tè divenne una bevanda popolare in Inghilterra e lo zucchero usato per dolcificarlo incontrò un favore altrettanto crescente. Anche le relazioni di alto livello culturale erano molto meno sviluppate durante la prima età moderna di quanto lo fossero nell’Ottocento. Quella europea era l’unica civiltà da cui

IL DIbATTITO DEgLI STOrIcI

partivano viaggiatori diretti in tutto il mondo ed essa accumulò un sapere imponente riguardante le lingue, le religioni, i costumi e le costituzioni politiche degli altri popoli. Fu questa un’importante prestazione culturale dell’Europa, che le diede accesso a un sapere di governo che si sarebbe rivelato molto utile in ambito coloniale. Sul fronte opposto, invece, l’interesse per il mondo di volta in volta “esterno” rimase proporzionalmente più debole. Intorno al 1750 in cina o anche alla corte del sultano a Istanbul le conoscenze sull’Europa erano di molto inferiori rispetto a quelle che su quei paesi si avevano in Europa. Di scambio culturale si può parlare solo in un’accezione molto ristretta. La trasmissione culturale da est a ovest rimase marginale, anche solo per carenza di visitatori asiatici in Europa. I missionari cristiani di entrambe le confessioni da nessuna parte ebbero successi degni di nota, eccetto che nell’America spagnola e nelle Filippine, nonostante l’ordine dei Gesuiti abbia perseguito con determinazione il suo eroico progetto di diffusione della fede a livello intercontinentale. Nel mondo islamico l’opera di evangelizzazione era destinata al fallimento sin dall’inizio; in Giappone fallì drammaticamente già al principio del Seicento, mentre in cina risultarono fallimentari le conversioni di massa. Maggior successo ebbe l’islam, che a partire dal Quattrocento si diffuse in grandi aree del Sudest asiatico, lungo le coste orientali dell’Africa e nella zona a sud del Sahara. Il mezzo di diffusione non era tanto la formazione di un grande impero “col ferro e col fuoco” quanto il commercio a distanza, poiché l’islamizzazione partiva sempre dalle basi costiere in cui gli arabi praticavano il commercio. I dialoghi tra sacerdoti e intellettuali di diverse religioni, come quelli che negli anni Settanta del cinquecento organizzò presso la sua corte l’imperatore moghul Akbar, non si ripeterono altrove. Le diverse religioni non furono ricondotte a una sintesi superiore. L’intolleranza e le persecuzioni religiose erano diffuse ovunque, ma da nessuna parte quanto negli Stati cristiani. J. Osterhammel - N.P. Petersson, Storia della globalizzazione, Il Mulino, Bologna 2005, pp. 45-48

Guida alla comprensione • Il brano mette in luce l’assetto sostanzialmente policentrico del mondo tra Sei e Settecento, evidenziando i fattori economici e le abitudini culturali che contribuivano alla sua integrazione. • Gli autori segnalano poi come, sotto il profilo

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dell’allargamento della propria platea di fedeli, l’Islam, affidandosi soprattutto alla rete dei traffici praticati dai mercanti che vi si riconoscevano, ottenesse in quei secoli risultati più efficaci di quelli arrisi al cristianesimo.

Franco Cardini

Il “turco” nella cultura europea 1. Gioacchino Rossini (17921868), famoso operista italiano, autore, tra l’altro, di L’Italiana in Algeri (1812), Il barbiere di Siviglia (1816), La gazza ladra (1817).

Franco Cardini è docente di storia medievale presso l’Università di Firenze. Molte delle sue opere sono dedicate alla ricostruzione dei rapporti tra mondo cristiano e mondo islamico, non solo in età medievale, ma anche nei secoli successivi. In queste pagine, tratte da uno studio la cui analisi si proietta fino ai giorni nostri, attira l’attenzione sulla presenza di temi legati al mondo islamico nella cultura letteraria e musicale europea dell’età moderna.

«credete voi che ’l Turco passi quest’anno in Italia?». La battuta appartiene a La Mandragola di Niccolò Machiavelli. Nel 1814 Gioacchino rossini1 componeva un’«opera buffa», Il turco in Italia, il titolo della quale pare una citazione letteraria e letterale del Segretario fiorentino. 111

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2. Wolfgang Amadeus Mozart (1756-1791), celeberrimo compositore austriaco, autore di capolavori come Don Giovanni (1787) e Il flauto magico (1791). 3. Riccardo Bacchelli (1891-1985), scrittore italiano, autore, tra l’altro, di Il Mulino del Po (1938-1940).

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Ma fra il primo e il secondo «Turco in Italia» c’è l’intervallo di tre secoli, e quali secoli!: quelli dal XVI al XVIII. Ne erano successe, di cose. Per tutto quel tempo il Türkenfurcht, la paura dei turchi, e la Türkenfrage, il problema turco, erano stati i connotati di fondo d’una vita euromediterranea vissuta tutta all’ombra inquietante della Mezzaluna. Le numerose torri d’avvistamento sparse un po’ dappertutto sulle nostre coste europee, dalla Spagna alle isole dell’Egeo, lo provano. Vero è peraltro che altre torri d’avvistamento sparse anch’esse un po’ dappertutto sulle coste afroasiatiche, dalla Tracia al Marocco, sono testimonianza che gli europei rendevano a turchi e a nordafricani la pariglia: la povera carne circoncisa che languiva nei sotterranei di Livorno soffriva pene simili a quelle della povera carne battezzata che languiva nei sotterranei di Algeri. certo però tra fine del Medioevo ed età moderna la sensazione generale era che fosse l’Islam turco e barbaresco all’attacco, e la cristianità in difesa. Quale fu la parabola – dalla tragedia all’opera buffa – che condusse il turco a popolare dei suoi turbanti e dei suoi alamari l’opera buffa europea a partire da Mozart2 , con il moro Monostatos della Zauberflöte e i mustacchi «trionfi degli uomini – pennacchi d’amor» dei pretesi turchi di Così fan tutte? E quella figura esemplare di «levantino» secondo il cliché letterario ch’è il «raguseo» del Mulino del Po di riccardo Bacchelli3 a proclamare ambiguo «In casa mia son tutto turco»? Non è facile stabilire se del cosiddetto orientalismo si possa davvero parlare come di una dimensione sorella e parallela rispetto alla più ampia corrente dell’esotismo, o come di un suo affluente, o meglio semmai di una sua derivazione. Il mondo medievale aveva mostrato per i musulmani, come già abbiamo visto, un interesse che dalla «leggenda di Maometto» era passato alle traduzioni del corano e dalle fantasie sul mondo degli «infedeli» immaginati magri come «pagani» – e collegati alle meraviglie e alle magie dell’Asia profonda – alle notizie, spesso ricche di osservazioni precise e realistiche, dei mercanti, dei diplomatici e dei pellegrini a partire dal tardo Medioevo. Anche gli schiavi e i manufatti che dall’Oriente arrivavano in Europa avevano contribuito al crescere d’un interesse nel quale sempre più spesso s’impiantavano forme di crescente conoscenza e di evidente simpatia. Esiste un Islam sommerso – e irrecuperabile, se non per indizi – nei recessi dell’immaginario occidentale: le schiave e le serventi more e tartare che popolavano le città euromediterranee fra XIII e XVI secolo, quelle tartare presenti nei mondi russo e polacco fra cinque e Novecento, le indiane e le indonesiane frequenti in Inghilterra e in Olanda, stavano molto con i bambini e i ragazzini e le ragazzine di giovanissima età; e raccontavano fiabe, comunicavano immagini. […] È a partire dal Quattrocento che, in questo contesto, cominciano a infiltrarsi sempre più sovente i turchi, con i loro enormi turbanti, i loro lunghi abiti gallonati, gli altri candidi copricapo dei terribili giannizzeri. S’incontrano specialmente nella pittura italica del Nord-est: nel Mantegna e nel carpaccio soprattutto; ma l’arte e la miniatura tardogotica francese, spagnola, tedesca, italomeridionale ce ne forniscono numerosi e notevoli esempi. Giungevano intanto, con sempre maggior frequenza, ambasciatori «orientali» – autentici o presunti – alle corti d’Europa: e talvolta dalle corti si trasferivano nelle piazze. […] La sempre più frequente comparsa di ambasciatori autentici, specie turchi, ebbe l’effetto di far crescere la curiosità, ma in parte anche la simpatia, nei confronti dei musulmani. Si diceva, certo, che gli ambasciatori venissero «per spiar»: e in effetti i dispacci dei diplomatici turchi dall’Europa alla Porta, i faretname, sarebbero presto divenuti famosi anche per il miscuglio di osservazioni acute, di pregiudizi e di equivoci. comun-

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4. Gli Avogadori de Comun erano i componenti di una delle più importanti magistrature veneziane.

que, ai rappresentanti del sultano si facevano grandi feste: si addobbava la città, si portavano in giro per far loro ammirare le cose più belle e si circondavano di riguardo e d’interesse. È vero che qualche motivo d’inquietudine doveva esserci: nel 1594 un severo bando degli Avogadori de comun4 comminava dure pene a chi avesse molestato quegli ospiti. F. cardini, Europa e Islam. Storia di un malinteso, Laterza, roma-Bari 2007, pp. 278-280, 284-285

Guida alla comprensione • L’autore ricostruisce il contesto storico nel quale collocare il tema che poi passa a illustrare • Si tratta del tema della vivace presenza di ri-

3.

ferimenti al mondo turco, e, più in generale, orientale, tanto nella cultura letteraria e musicale, quanto nella vita quotidiana dell’Europa moderna.

Michelguglielmo Torri

Le varietà dell’India Michelguglielmo Torri insegna storia dell’Asia all’Università di Torino ed è specializzato in storia dell’India, a proposito della quale ha scritto molti libri. In questo brano evidenzia il carattere straordinariamente variegato delle correnti religiose e culturali conviventi tra Sei e Settecento nel grande subcontinente, in un contesto contraddistinto dalla reciproca tolleranza.

1. Suba: province periferiche. 2. maratta: Maratha, una delle principali minoranze etniche dell’India, insediata nel Deccan. 3. Bhonsle di Nagpur: dinastia maratta della città di Nagpur.

4. Il peshwa era il primo ministro alla corte dei re dei Maratha in India e, di fatto, da quando la famiglia braminica dei Chitpa¯van si impadronì ereditariamente della carica (nel 1707), i peshwa diventarono i capi effettivi della confederazione Maratha.

A cavallo fra la fine del secondo e l’inizio del terzo decennio del Settecento, l’Impero moghul si trasformò da una monarchia centralizzata in un insieme di province sostanzialmente autonome. Fino alla fine degli anni Trenta, la corte di Delhi fu ancora in grado di esercitare una qualche funzione di leadership nei confronti delle ex suba1 imperiali e alcune di esse – in particolare il Bengala – continuarono a inviare un tributo annuale a Delhi. Ma con il 1739 ogni residua funzione di leadership da parte della corte di Delhi venne a cessare, così come cessò l’invio di tributi. Alla fine dell’unificazione moghul non fece riscontro una unificazione maratta2 . La rapida espansione del potere maratto, infatti, non portò mai alla costituzione né di un impero, né di una confederazione. ciò che avvenne fu che, durante l’espansione verso nord ai danni dei territori moghul, i maggiori signori della guerra maratti si ritagliarono domini più o meno estesi, rivendicando nei fatti – e, nel caso dei Bhonsle di Nagpur3 , anche a livello ideologico – la loro autonomia nei confronti del peshwa4 . Fino al 1761, però, i peshwa, grazie alle loro maggiori risorse economiche e militari, furono in grado di esercitare una funzione di controllo e di guida nei confronti degli altri signori della guerra maratti. Ma, negli anni Sessanta, un insieme di circostanze pose fine all’egemonia esercitata dai peshwa e, come nel caso dell’impero moghul, le signorie maratte divennero a tutti gli effetti degli Stati indipendenti. Accanto al Commonwealth moghul e a quello maratto, sopravvissero o nacquero altri Stati, che non erano legati, in maniera neppure simbolica, ai Moghul o ai maratti. Tutti questi Stati – nessuno dei quali fu mai in grado di diventare egemone sugli altri – furono protagonisti di una serie di guerre più o meno ininterrotte, che si prolungarono per tutto il XVIII secolo. In passato, ciò ha portato a categorizzare il Settecento indiano come un periodo di anarchia politico-militare. 113

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5. sufi, aderenti al sufismo, la corrente islamica di ricerca spirituale mistica, ricca di contaminazioni con altre culture e religioni.

6. bhakti sono coloro che seguono, all’interno dell’induismo, un cammino spirituale particolarmente impegnativo e profondo.

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Un periodo che – secondo la visione proposta dagli storici dell’età coloniale – venne provvidenzialmente interrotto dall’ascesa del potere inglese. Tuttavia, ricerche più recenti hanno gradualmente messo in luce come gli stati indiani del Settecento, per quanto incapaci di espandersi a controllare tutto il subcontinente o anche solo una delle sue aree chiave (ad esempio la vallata gangetica), furono spesso economicamente dinamici e ben amministrati. Da questo punto di vista, la storia politico-militare del Settecento indiano può essere vista come caratterizzata dall’evoluzione verso un sistema di stati regionali in equilibrio fra loro. Un’evoluzione destinata a essere stroncata dal sorgere del potere coloniale. A livello culturale, la caratteristica di fondo dell’epoca rimane la scarsa rilevanza esercitata nel comportamento collettivo da criteri di distinzione basati su elementi religiosi o comunitari. È vero che, in questo periodo, apparvero o riemersero scuole di pensiero che predicavano alleanze e strategie politiche basate su criteri d’identificazione religiosi. così, nel Deccan, Baji rao, il peshwa maratto, giocò per un certo periodo con l’idea di creare un impero indù, mentre, a Delhi, Shah Wali Allah – un dotto musulmano – deprecava il crollo del potere moghul come un’eclissi del potere islamico e predicava una sorta di union sacrée dei prìncipi musulmani, indiani e non, contro gli indù. Ma si trattava di idee che non avevano il benché minimo peso a livello politico. Significativamente, i maratti, lungi dal realizzare un “impero indù”, man mano che si impadronirono delle province moghul, non si presero neppure il disturbo d’abolire le tariffe doganali differenziate, introdotte a suo tempo da Aurangzeb. La politica dei prìncipi, in realtà, obbediva alle regole della Realpolitik e, più raramente, a quelle dei rapporti personali d’amicizia e di lealtà. Tutti gli Stati indiani, senza eccezione alcuna, erano governati da classi dirigenti composite dal punto di vista etnicoreligioso: sovrani musulmani si servivano di primi ministri, di generali e di banchieri indù, così come monarchi indù utilizzavano generali e consiglieri musulmani. Gli uni e gli altri avevano al loro servizio truppe formate da distaccamenti di militari indù, musulmani e di altre religioni, indiani e non indiani. In breve, a livello politico, il criterio usato dai monarchi per selezionare i propri collaboratori e dipendenti era basato sui servizi che questi potevano rendere: si trattava cioè di un criterio che può essere definito, in senso lato, come meritocratico. Al di là di questo criterio, eminentemente utilitario, vi era, tuttavia, un ethos collettivo che sottolineava gli elementi comuni fra le varie concezioni etico-religiose. così, ad esempio, il grande leader maratha Mahadaji Scindia, un indù, era noto per la sua devozione per i santi sufi5 musulmani, tanto da considerare come proprio patrono spirituale Shah Mansur, appunto un sufi. In questi suoi comportamenti, Mahadaji era semplicemente un uomo del suo tempo, dato che le tombe o gli altari dei santi sufi erano da tempo diventati centri di culto frequentati da “indù e musulmani, uomini e donne, gente d’estrazione sociale alta e bassa”, che accorrevano numerosi, specie in occasione degli anniversari della morte del santo. così, se il Settecento indiano vede la presenza di scuole di pensiero che tendono a dividere gli esseri umani secondo criteri religiosi, l’atmosfera di tolleranza inaugurata da Akbar continua a rimanere predominante. come risultante della predicazione dei bhakti 6 e dei sufi, gli intellettuali dell’epoca, a qualsiasi tradizione religiosa appartenessero, concordavano, in genere, nel credere in una Divinità assoluta, che pervadeva l’intero universo e regolava le vicende umane. Di qui un atteggiamento in genere di mutua comprensione fra indù e musulmani.

IL DIbATTITO DEgLI STOrIcI

7. Sayyid A. I. Tirmizi, storico indiano contemporaneo, già direttore generale degli Archivi nazionali indiani.

La cultura dei circoli dirigenti degli Stati indiani era, quindi, una cultura non settaria, i cui tratti distintivi erano, nelle parole di A.I. Tirmizi7 , “laicismo e cortesia”. Questa cultura trovava espressione, a livello letterario, soprattutto nell’uso, da parte di questi stessi circoli dirigenti, della lingua persiana. Questa continuava a essere dominante sia nelle transazioni fra i vari stati indiani, indipendentemente dalla religione del monarca regnante, sia in quelle fra i monarchi indiani e le compagnie europee. Si trattava di una situazione che aveva ovvi lati positivi e che, favorendo interscambi e prestiti culturali, era sicuramente uno degli elementi alla base della fioritura letteraria e artistica che caratterizzò l’epoca. Ma vi erano anche dei lati negativi. In una fase in cui la legittimità degli stati era in ogni caso dubbia – dove quindi, l’ideale monarchico non poteva rappresentare un elemento aggregativo (come era stato nell’impero moghul) e dove l’idea di nazione era ancora di là da venire – l’interconfessionalità dei vari stati fece sì che neppure la religione potesse formare un elemento unificante (anche se vi furono tentativi in questo senso). In tale situazione, le varie élite economiche e militari che appoggiavano un determinato stato erano a esso legate da rapporti di puro interesse personale o, tutt’al più, di lealtà nei confronti del singolo principe (ma non necessariamente della dinastia e, tanto meno, dello stato). Di conseguenza, il mutare di queste convenienze personali o il venir meno del rapporto privilegiato con un principe (ad esempio, in seguito a una successione) potevano mettere in crisi il rapporto fra le élite e lo stato. Di qui la storia di “tradimenti” che forma una parte così cospicua delle vicende del XVIII secolo. Di qui, soprattutto, la disponibilità di élite e di gruppi sociali influenti a disertare gli stati indiani e ad allearsi con la potenza in ascesa, rappresentata dagli inglesi. Una disponibilità, questa, destinata a indebolire in maniera cruciale la capacità di resistenza all’aggressione britannica. M. Torri, Storia dell’India, Laterza, roma-Bari 2000, pp. 316-317 e 321-323

Guida alla comprensione • Torri in primo luogo tratta della storia politicomilitare dell’India tra Sei e Settecento, mostrando i molti tasselli territoriali che ne componevano il mosaico. • In secondo luogo egli mette in evidenza il ca-

rattere religiosamente composito delle dirigenze politiche presenti in ciascuno Stato e sottolinea come anche a livello di devozione popolare tra induisti e musulmani ci fosse mutua comprensione.

Per tirare le fila:

rifletti e confronta 1. Il policentrismo di cui si parla nel primo brano è lo stesso che viene tematizzato nel terzo? 2. Quali sono le principali culture religiose tematizzate da questi tre testi? 3. Confrontando i vari brani, si può dire che su scala mondiale, tra Sei e Settecento, vi fosse una civiltà dominante? E, se sì, su quali basi? 4. Conosci opere letterarie orientali che abbiano avuto una grande circolazione in Europa? 5. In questi testi si parla di varie civiltà. Quale rapporto tra religione e politica ne emerge, a seconda dei vari contesti analizzati?

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SEZIONE 1

IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO Verso

VErSO L’ESAME DI STATO

Leggere un saggio

le competenze

• Leggere, comprendere e interpretare un testo argomentativo di ambito storico cogliendone le diverse relazioni interne e i caratteri specifici. • Leggere, utilizzare e applicare categorie, strumenti e metodi del “fare storia”. • Comprendere e saper ricostruire processi di trasformazione individuando elementi di continuità/persistenza e discontinuità. • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti. • Acquisire e interpretare criticamente l’informazione valutandone l’attendibilità e distinguendo fatti e opinioni.

Che cos’è un saggio? Una delle tipologie testuali previste per la prima prova scritta degli esami di Stato è il saggio breve, un testo di natura mista, argomentativa e informativa, in cui l’autore esprime la propria opinione (tesi) rispetto a un determinato tema, supportandola con adeguate argomentazioni finalizzate a persuadere il lettore della validità della tesi sostenuta. Dal momento che il saggio breve, per la sua estensione ridotta, è un testo di uso prettamente scolastico, per comprendere come strutturarlo in modo efficace può essere utile richiamare le caratteristiche generali di un saggio e analizzarle insieme. In questa sezione prenderemo in considerazione alcune pagine di uno dei capitoli del volume L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta scritto da Josep Fontana. Ciascun capitolo prende in considerazione uno degli “specchi” attraverso cui l’Europa si è nel corso del tempo gradualmente attribuita un’“identità distorta” mediante la contrapposizione con un’immagine falsata dell’“altro” per giustificare i soprusi e le sopraffazioni a cui di volta in volta ha fatto ricorso.

L’Europa nello specchio del selvaggio Tra il 1664 e il 1666, Jan van Kessel, nato ad Anversa, dipinse delle allegorie in cui le quattro parti del mondo erano raffigurate come donne situate in uno scenario pieno di oggetti, libri e quadri di uccelli e insetti di ogni continente. Immagini simili erano frequenti nella pittura europea del ’600 e la loro somiglianza derivava da una fonte comune: le figure create da cesare ripa nella sua Iconologia, pubblicata nel 1593, un libro a cui si ispirarono molti artisti dei secoli XVII e XVIII. Nel testo di ripa si spiega il significato degli attributi che le figure di van Kessel ostentano. La corona portata dall’Europa riflette la sua supremazia sugli altri continenti, «perché nell’Europa vi sono i maggiori e più potenti prìncipi del mondo»; le armi, i libri e gli strumenti musicali «mostrano la sua perpetua e costante superiorità [...], nelle armi, nelle lettere e nelle arti liberali». Le rappresentazioni delle «quattro parti del mondo» cominciano a metà del XVI secolo e si moltiplicano nel XVII e XVIII. I continenti non sono più mere indicazioni di uno spazio geografico, come nel passato, ma sono caratterizzati dalla diversità della flora e della fauna che i viaggiatori avevano scoperto e la cui singolarità affascina gli europei del ’500. L’elefante che il re Emanuele I di Portogallo regalò a papa Leone X e che nella sua solenne entrata a roma, nel 1514, dilettò i presenti innaffiando con la sua proboscide i prelati e i cardinali intervenuti, fu 116

vErSO L’ESAME DI STATO

dipinto da raffaello, e il rinoceronte che due anni dopo lo seguì, ma che affogò davanti al porto di Genova nel naufragio della nave che lo trasportava, venne dipinto da Dürer, sulla base di un bozzetto che gli avevano inviato da Lisbona. Ma nelle rappresentazioni di van Kessel c’è qualcosa di più. Le figure scelte come simbolo dei continenti non sono solo tipi astratti, ma rappresentazioni di esseri umani con diverse peculiarità fisiche. L’Europa ha la pelle bianca, l’Africa è nera, in America si mescolano (in una scena che il pittore ha situato in Brasile) un’indiana dalla pelle rossiccia e un negro africano. E l’Asia ci presenta in primo piano una coppia ottomana con alle spalle figure che provengono dal più lontano mondo dei mongoli, cinesi e giapponesi. Se il XVI secolo ha scoperto che le varie «parti del mondo» avevano animali e piante proprie, il XVII ha aggiunto a ciò la convinzione che anche gli esseri umani che le popolano erano diversi e «caratteristici». Tutti gli uomini definiscono se stessi guardandosi allo specchio «degli altri», per differenziarsi da loro. Se questo è semplice per le comunità che parlano la stessa lingua e condividono gli stessi usi e costumi, non doveva esserlo per gli europei, specialmente a partire dal XVI secolo, quando si ruppe l’unità religiosa e si potenziò l’uso letterario delle diverse lingue volgari. Il trattato di Utrecht del 1714 fu l’ultimo documento europeo redatto in termini di «respublica christiana». Successivamente, questo popolo multiforme dovette guardarsi in un gioco di specchi più complesso per distinguere ciò che, all’interno della diversità, lo identificava e lo rendeva diverso dagli altri. Il nuovo modo degli europei di pensare a se stessi nasceva da una coscienza che non aveva più nulla a che vedere con la religione, ma si basava sulla convinzione di essere superiori moralmente e intellettualmente. Il nuovo termine di riferimento sul quale si elabora questa immagine è quello della natura inferiore dei non europei, ma lo specchio nel quale gli europei si guardano per definirsi ha un doppio volto. In uno si “vedono” le differenze di razza e c’è quindi il volto del “selvaggio”, nell’altro, fondato su una visione eurocentrica della storia, si vede il volto del “primitivo”. Dal primo sono nati il genocidio e la tratta degli schiavi, il secondo ha generato l’imperialismo. […] Il disprezzo della cultura degli “altri” si basava sulla scarsa conoscenza che di essa avevano gli europei e sulla loro incapacità di comprendere quello che si allontanava dal loro orizzonte mentale. […] Le grandi scoperte geografiche obbligarono a confrontare la realtà di quanto osservato con quello che si affermava nei vecchi libri. ciò produsse sfiducia verso il sapere tradizionale nel suo insieme, in quanto si avvertiva la falsità di molto di quello che normalmente veniva ammesso, e spinse a sostituire alla conoscenza libresca una conoscenza basata sull’osservazione diretta. Secondo Galileo «la filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo)» e cartesio aveva proposto che si apprendesse dal «gran libro del mondo». Gli europei si appassionarono alle notizie sulla geografia, la flora, la fauna, gli abitanti e gli oggetti delle nuove terre, come si può vedere nei libri illustrati, nelle collezioni e nelle Wunderkammern. Prima di tutto, cambiò l’immagine stessa del pianeta e si disegnarono nuove carte geografiche, poi mutò la nostra conoscenza della natura e, infine, quella dell’uomo e delle sue culture. Questo nuovo sapere sull’uomo venne riunito in schemi ordinati, inizialmente statici, come semplici classificazioni della diversità, che non implicavano che gli uni fossero migliori degli altri. «Il potere di giudicare rettamente discernendo il vero dal falso, ossia ciò che propriamente si chiama buon senso o ragione, è naturalmente uguale in tutti gli uomini» avrebbe detto cartesio. Le differenze dipendono dall’abitudine: «tutti quelli che hanno opinioni contrarie alle nostre non sono per questo barbari o selvaggi». Josep Fontana, L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta, Laterza, roma-Bari 1995, pp. 131-147 117

SEZIONE 1 - IL SISTEMA MONDO TrA SEI E SETTEcENTO

Il testo e l’autore Come ci dà modo di sapere l’indicazione bibliografica alla fine del testo proposto, il passo in questione riproduce alcune pagine tratte da un saggio di più ampie dimensioni – intitolato L’Europa allo specchio. Storia di un’identità distorta – scritto da Josep Fontana. Josep Fontana è uno storico spagnolo nato a Barcellona nel 1931, direttore dell’Instituto Universitario d’História Jaume Vives di Barcellona, che, oltre ad altri temi, si è occupato anche della crisi dell’ancien régime.

Il titolo Il titolo è sempre molto importante perché offre al lettore un quadro di sintesi di quello che si appresta a leggere. Talvolta è proprio un titolo più o meno accattivante a indirizzare il lettore verso la lettura di un saggio piuttosto che di un altro. In questo caso, dato che, come abbiamo visto, si tratta di alcune pagine estrapolate da un saggio di più ampie dimensioni, il titolo del brano – L’Europa nello specchio del selvaggio – non è stato individuato dall’autore, ma scelto a posteriori durante la preparazione di queste pagine per dare una prima idea dei contenuti che seguono, intrecciando il titolo dell’intero volume con quello del singolo capitolo, Lo specchio selvaggio.

La struttura e i contenuti La lettura di un saggio richiede molta attenzione ed è bene supportarla con alcune semplici operazioni, come l’individuazione di qualche parola chiave e la sottolineatura dei concetti più importanti (il lavoro su questo saggio è avviato). Può anche essere utile prendere appunti a margine del testo relativamente sia a punti poco chiari su cui ritornare in seguito sia a possibili approfondimenti o collegamenti con discipline di studio o altro. Dopo un’attenta lettura, proviamo ora ad analizzare il saggio di Josep Fontana. Esso ha una struttura unitaria, non articolata in paragrafi titolati. Riprendiamo insieme i contenuti fondamentali. • Il saggio si apre con la descrizione delle “allegorie” diffuse nella pittura europea del Seicento, in particolare in Jan van Kessel, per raffigurare le quattro parti del mondo e individua una probabile fonte comune, l’Iconologia di Cesare Ripa. Quale significato assumono gli attributi della figura dell’Europa alla luce delle parole di Ripa? • Le rappresentazioni delle diversità delle “parti del mondo” erano già diffuse nel Cinquecento, ma nel Seicento si aggiunge la consapevolezza della specificità anche degli esseri umani che popolano tali luoghi. • L’Europa a partire dal XVI secolo si differenzia al suo interno (rottura dell’unità religiosa, potenziamento dell’uso letterario delle diverse lingue volgari) e trova una forma di identità unitaria nella convinzione di essere superiore moralmente e intellettualmente rispetto al resto del mondo, identificato da un lato come selvaggio e dall’altro come primitivo. Quali conseguenze ha tale visione? • Il disprezzo della cultura degli “altri” nasce dalla scarsa conoscenza che di essa hanno gli europei e dalla loro incapacità di comprendere quello che si allontana dal proprio orizzonte mentale. • Le scoperte geografiche obbligano a confrontare la realtà di quanto osservato con il contenuto dei testi antichi: la conoscenza libresca è sostituita da una basata sull’osservazione diretta. Quali intellettuali simboleggiano tale trasformazione? • Cambiano progressivamente il modo di rappresentare il pianeta, la conoscenza della natura e, infine, quella dell’uomo e delle sue culture. Il nuovo sapere viene organizzato in semplici classificazioni della diversità, che non implicano che gli uni siano migliori degli altri.

La tesi e le argomentazioni Proviamo ora a schematizzate i contenuti in una mappa concettuale in modo da porre in evidenza la tesi e le argomentazioni. È questo un esercizio molto utile anche in sede di scrittura del saggio, perché ti permette di renderti conto se il tuo ragionamento sia completo e chiaro o vada in qualche modo aggiustato.

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vErSO L’ESAME DI STATO

Come puoi vedere lo schema è solo avviato: ti invitiamo a integrarlo e completarlo.

PREMESSA 1

PREMESSA 2

Gli uomini tendono a definire se stessi guardandosi allo specchio degli altri

XVI secolo - in Europa nuovo modo di rappresentare il mondo: non solo territori diversi, ma anche esseri umani con peculiarità fisiche

ESEMPLIFICAzIONE 1 Diversità di razza = l’altro è selvaggio

conseguenza Genocidio: tratta degli schiavi

TESI A partire dal XVI secolo l’Europa si diversifica sul piano religioso e linguistico: nuovo elemento di identità diventa l’inferiorità morale e intellettuale dei non europei

CONCLUSIONE

ESEMPLIFICAzIONE 2 Visione eurocentrica = l’altro è primitivo

conseguenza Imperialismo

Il disprezzo si basa sull’incapacità di comprendere quello che si allontana dal proprio orizzonte mentale

Il lessico e lo stile Un saggio è solitamente scritto con una sintassi abbastanza complessa, con un periodare di tipo più ipotattico che paratattico, almeno nelle parti argomentative, proprio per dare la possibilità all’autore di sostenere in modo adeguato le sue ragioni. Anche il lessico è preciso e puntuale, con un livello di specialismo, che varia in base al grado di competenza del destinatario, e un uso sobrio di figure retoriche. Come abbiamo visto nel corso dello scorso anno, leggere dei saggi è utile per l’arricchimento del proprio lessico e, quando non si conosce il significato di alcune parole, è necessario fermarsi e prendere il dizionario. In questo brano, in realtà, Josep Fontana fa uso di una sintassi, di un lessico, sia comune sia specifico, e di uno stile abbastanza semplici. Ti suggeriamo il significato del termine della lingua tedesca Wunderkammer: “camere delle meraviglie”, espressione usata per indicare particolari ambienti in cui i collezionisti dei secoli XVI e XVII conservavano oggetti straordinari. Vi sono altre parole il cui significato non ti è chiaro? Hai provato a cercarle sul dizionario?

Le informazioni e i riferimenti In un testo ci possono essere informazioni o riferimenti a fatti e concetti che non ci sono noti. È pertanto importante, soprattutto adesso che ne hai la possibilità – diversamente dall’esame di Stato –, colmare tali lacune e recuperare le informazioni che non sono in tuo possesso facendo ricorso a diversi strumenti (enciclopedie cartacee o on line, manuale di storia o altre discipline, Internet ecc.). Avviamo solo la ricerca. Chi era Jan van Kessel? Un pittore fiammingo (1626-1679) specializzato in temi naturali, scene allegoriche sul mondo e paesaggi.

Mettiti alla prova 1. Il titolo del brano – L’Europa nello specchio del selvaggio – è stato individuato da chi ha elaborato questa scheda. Adesso che hai letto con attenzione il saggio, ti sembra che sia stata una scelta appropriata? Quali modifiche apporteresti? Introdurresti, per esempio, un sottotitolo? 2. Dividi il testo in nuclei concettuali e attribuisci a ciascuno un titolo. 3. Hai annotato qualcosa durante la lettura del saggio? Se non lo hai fatto, prova a individuare tutti i punti di contatto e gli eventuali rimandi ad argomenti trattati in storia o in altre discipline. Ricorda che cercare i possibili collegamenti interdisciplinari è sempre molto importante, anche per dare maggior senso a quello che studi. 4. Prova a formulare un’antitesi rispetto alla tesi di Fontana, motivando in modo adeguato le tue affermazioni.

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SeZioNe 2

Il secolo deI lumI a tu per tu con

Marco Meriggi

Che CoS’è l’illumiNiSmo?

Nell’areNa della Storia

Professore, che cosa significa l’espressione “secolo dei Lumi”? mah, in realtà è un modo di parlare per metafore. il buio, la luce, sono parole che evocano in primo luogo, al di là del loro significato letterale, degli stati interiori, delle disposizioni d’animo, dei sentimenti collettivi. e le immagini dello scuro e del chiaro, del cupo e del radioso – intese come allusioni al pessimismo o all’ottimismo di una determinata società – erano state ampiamente utilizzate anche durante il rinascimento, quando si cominciò a considerare il medioevo che ci si era appena lasciati alle spalle come un’epoca di barbarie e di regresso. Lo si fece nel momento in cui si acquisì la coscienza di trovarsi in una fase di grandi e positivi mutamenti, che invitava ad accordare crescente fiducia alle potenzialità degli esseri umani. si confidava in una rinascita basata sulle arti, sulle scienze, sul piacere per la vita terrena, e si guardava al passato come a una cupa catena di secoli bui. nel settecento avvenne qualcosa di simile. La luce della ragione e della filosofia – pensavano parte dei contemporanei – rischiarava ora finalmente un mondo fino a quel momento avvolto dalle tenebre del pregiudizio e dell’autoritarismo.

Quali furono allora i tratti caratteristici dell’Illuminismo settecentesco? E quali trasformazioni nella società ne favorirono la fortuna? La Luce deLLa ragione e deLLa fiLosofia – pensavano parte dei contemporanei – rischiarava ora finaLmente un mondo fino a queL momento avvoLto daLLe tenebre deL pregiudizio e deLL’autoritarismo 120

forse è meglio cominciare con il rispondere a questa seconda domanda. in europa si produsse un notevole miglioramento generale delle condizioni dell’esistenza. esso coincise con il drastico ridimensionamento del flagello delle epidemie, con l’aumento delle risorse alimentari disponibili, con la crescita delle aspettative di vita e con il conseguente incremento demografico; basti pensare che nel settecento la popolazione europea crebbe di oltre il 50%. era già accaduto in passato, naturalmente, che la popolazione aumentasse, ma

mai con un ritmo così intenso. e, soprattutto, in precedenza alle fasi di crescita erano regolarmente seguite delle fasi di regressione, principalmente a causa dell’effetto combinato di epidemie e carestie. il settecento, invece, inaugurò un ciclo inedito: non solo la popolazione cominciò a crescere, ma tale crescita si rivelò stabile, associandosi a una corposa estensione della superficie coltivata, che rese disponibili nuove risorse alimentari. ora si viveva meglio e più a lungo, e soprattutto si poteva nutrire con fondamento la speranza che in futuro le cose avrebbero potuto ancora migliorare. veniamo ora alla prima domanda. anche sulla base di questa esperienza collettiva di aumento del senso di sicurezza, si affermò un sentimento di basilare fiducia nel progresso, cioè l’idea della perfettibilità dell’esistenza umana. è questo il nucleo di fondo della concezione illuminista. gli illuministi vivevano in un mondo in trasformazione, convinti che l’epoca delle tenebre fosse passata e che nel futuro la vita quotidiana, grazie alla ragione, sarebbe stata pervasa da una luce ancora più forte e abbagliante.

Sì, ma che cosa comportò concretamente tutto questo? Quali proposte emersero da parte degli illuministi per “rischiarare” ulteriormente la società in cui vivevano? E quali resistenze incontrarono? gli esponenti dell’illuminismo proposero un modello di società al cui interno si dava molta importanza al tema della libertà dell’individuo di fronte al potere, tanto secolare quanto ecclesiastico. ascoltiamo, per esempio, le parole del filosofo tedesco immanuel Kant, una delle figure più significative dell’età dei Lumi: «L’illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro». di conseguenza, l’illuminismo si contrappose alla cultura conservatrice dominante, basata sul culto della tradizione. quella di innovare, dunque, divenne l’esigenza primaria. e innovare significava, per esempio, abolire i privilegi di cui godevano gli ecclesiastici e gli aristocratici, le colonne portanti dell’edificio dell’antico regime. è soprattutto su questo specifico terreno che si realizzò, in alcune fasi del settecento, una provvisoria alleanza tra l’illuminismo e almeno una parte dei regnanti europei. questi ultimi al tema della promozione della libertà individuale non erano, per la verità, veramente interessati, ma premeva loro operare riforme modernizzanti alle quali i corpi privilegiati opponevano un’accanita resistenza.

anche suLLa base di questa esperienza coLLettiva di aumento deL senso di sicurezza, si affermò un sentimento di basiLare fiducia neL progresso, cioè L’idea deLLa perfettibiLità deLL’esistenza umana

E in Italia che cosa avvenne in questo periodo? nel nostro paese la sfida degli illuministi dovette misurarsi con un ostacolo difficilmente sormontabile: quello rappresentato dalla chiesa, che si configurava nella penisola come una sorta di stato nello stato, dotato di proprietà e prerogative che non avevano eguali in alcun altro paese. gran parte degli illuministi non erano, in realtà, irreligiosi, ma la loro appassionata insistenza sulla libertà dell’individuo e la loro ferma condanna degli abusi del potere (per esempio, quello dell’inquisizione) non potevano risultare gradite alle gerarchie ecclesiastiche, perché suonavano come un atto di accusa del controllo da esse tradizionalmente esercitato sulle coscienze. tuttavia, anche in molti stati italiani del tempo vi fu collaborazione tra illuministi e governanti. e in toscana, in particolare, il granduca Leopoldo ii promosse riforme umanitarie e politiche molto avanzate, situandosi all’avanguardia rispetto all’intero contesto europeo.

Un’ultima domanda: l’Illuminismo fu un fenomeno tipico solo del mondo occidentale? La risposta non è facile. un tempo si pensava che le culture diverse dalla nostra fossero sostanzialmente statiche, e dunque incapaci di un rinnovamento come fu quello illuminista nel mondo occidentale. e il pregiudizio era così radicato da non lasciare quasi la possibilità di porsi una domanda del genere. oggi studi importanti segnalano come anche in asia si produssero, nello stesso periodo, fermenti di rinnovamento molto significativi, ma si partiva da presupposti diversi e, di conseguenza, diverse da quelle occidentali furono anche le correnti di mutamento attive in paesi come l’india o come la cina. in seguito, peraltro, il colonialismo occidentale, esercitato in forma diretta o indiretta, le ostacolò e le compresse, alimentando la convinzione che solo in occidente fosse possibile lo svolgimento del cammino del progresso.

link.pearson.it/99652819

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SeZioNe 2

Il secolo deI lumI capitolo 5 La società del Settecento inclusione/esclusione

le corporazioni di arti e mestieri

capitolo 6 L’Illuminismo

p. 124

Verso le competenze

p. 141

• il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana p. 135

p. 144

• il laboratorio dello storico la critica ai poteri costituiti p. 158

capitolo 7 Inghilterra, Francia e Penisola iberica: vecchie e nuove libertà

p. 162

inclusione/esclusione ceti, ordini, caste

p. 177

capitolo 8 Il dispotismo illuminato

p. 180

inclusione/esclusione l’intolleranza religiosa

• il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento p. 172 • il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato p. 194

p. 198

• il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte p. 216

capitolo 9 L’Italia del Settecento

p. 202

IL DIBATTITO DEGLI STORICI

p. 226

Intervista impossibile a Cesare Beccaria

p. 214

VERSO L’ESAME DI STATO

p. 232

EsErcizi

p. 220

1690

1700

1710

1720

1730

1713 - Federico II re di Prussia

storia mondiale

1714 - Giorgio I Hannover re d’Inghilterra 1715 - Luigi XV re di Francia

storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura 122

1734 - Carlo di Borbone re di Napoli

1713 - Vittorio Amedeo di Savoia acquista il titolo di re di Sicilia 1720 - Con la pace dell’Aia il regno di Napoli, la Sicilia e Milano vanno agli Asburgo 1712 - Prima macchina a vapore di Newcomen 1700 - Creazione dell’Accademia delle Scienze di Berlino

1725 - Giovan Battista Vico pubblica La scienza nuova

1717 - Filippo Juvarra inizia la costruzione della basilica di Superga

1731 - Tiepolo affresca Palazzo Archinti a Milano 1734 - Voltaire pubblica Le lettere filosofiche

obIettIVI dI apprendImento Conoscenze • lo sviluppo politico ed economico degli stati europei e degli stati italiani nel settecento • i caratteri della società e della cultura europee nel secolo dei lumi • il fenomeno del dispotismo illuminato abilità • utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni politico-culturali • stabilire relazioni di causa-effetto tra realtà economiche e culturali ed eventi storici • distinguere tra persistenze e mutamenti storici in relazione alla storia europea precedente GlI eVentI e I lUoGHI La Prussia e la Svezia divengono due importanti centri del rinnovamento culturale settecentesco

L’Inghilterra prosegue con decisione il cammino verso il liberalismo

Nell’arretrato Impero russo lo sforzo riformatore si scontra con le resistenze di nobili e contadini

In Francia operano alcuni dei maggiori illuministi e qui si sviluppa l’opera più rappresentativa del periodo: l’Encyclopédie di Diderot e D’Alembert

La Polonia subisce tre spartizioni e viene momentaneamente cancellata dalla carta geografica europea

Nella Penisola iberica la stagione delle riforme si inaugura nella seconda metà del secolo

In Italia, divisa in tante realtà politiche differenti, l’Illuminismo si sviluppa soprattutto in Lombardia e nel Regno di Napoli

1740

1750

Nell’Impero asburgico si realizzano numerose riforme volte a modernizzare lo Stato

1760

1770

1773 - Papa Clemente XIV scioglie la Compagnia di Gesù

1762 - Caterina II zarina di Russia

1740 - Fine del regno di Federico II 1740 - Maria Teresa imperatrice d’Austria

1774 - Fine del regno di Luigi XV

1764 - Stanislao II re di Polonia

1737 - Fine dei Medici in Toscana. Diventa granduca Francesco I di Lorena

1780

1790 1789 - Scoppia la Rivoluzione francese

1776 - Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti

1768 - La Corsica viene ceduta da Genova alla Francia

1735 - La Sicilia passa ai Borbone

1769 - Nel Ducato di Parma e Piacenza viene abolito il Tribunale dell’Inquisizione

1748 - Montesquieu pubblica Lo spirito delle leggi 1751-1772 - Pubblicazione dell’Encyclopédie di Diderot e d’Alembert

1762 - Rousseau pubblica Il contratto sociale 1764 - Cesare Beccaria pubblica Dei delitti e delle pene 1763-1764 Esce il periodico italiano “Il Caffè”

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Capitolo 5

La società deL settecento 5.1  L’aumento degli uomini e delle risorse   La crescita demografica

durante il settecento gli abitanti dell’europa e dei paesi collegati al suo sistema economico vissero un’esperienza di graduale mutamento, i cui risultati cominciarono a diventare evidenti verso la fine del secolo. L’ambito di quel cambiamento coincise con quello della vita quotidiana e delle sue componenti più elementari. in primo luogo alla fine del settecento era aumentata molto la popolazione; attorno a ciascun essere umano gli spazi si fecero più stretti e più densamente occupati da altri esseri umani. in europa si passò dai 115 milioni di abitanti del 1700 ai 188 del 1800; nelle americhe dai 13 milioni di abitanti dell’inizio del secolo ai 24 del momento in cui esso si chiuse; in asia, nello stesso arco di tempo, da poco più di 400 a oltre 600 milioni. era già accaduto in passato che la popolazione aumentasse. tuttavia, a causa di pestilenze, guerre o carestie, con regolarità a ogni fase di crescita era seguita una fase di nuova contrazione. Pietro Longhi, La lezione di geografia, 1752 (Venezia, Pinacoteca Querini Stampalia)

Il quadro ci restituisce un’immagine delle classi alte nella società settecentesca, colta e curiosa, benché rappresentata con ironia dal pittore

La lezione di geografia si svolge con l’ausilio del mappamondo, emblema del desiderio di viaggiare e di conoscere tipico del Settecento

L’allieva è una donna, a sottolineare come la sete di cultura non sia più una prerogativa maschile

A terra, un libro aperto, simbolo dell’alfabetizzazione sempre più diffusa

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Pietro Domenico Olivero, La nascita del bambino, metà del XVIII secolo (Torino, Palazzo Reale)

il problema fondamentale era tradizionalmente costituito dalla scarsezza delle risorse, che non crescevano insieme alla popolazione e che, rimanendo sostanzialmente immutate, divenivano di colpo insufficienti per garantire a tutti il sostentamento. La crescita del Settecento, invece, avviò un ciclo destinato a rimanere costante: a partire da quel secolo la popolazione ha continuato stabilmente a crescere, anche se oggi alcuni paesi (quelli più ricchi e sviluppati, tra i quali l’italia) mostrano una tendenza alla stabilizzazione o addirittura al calo demografico.   Le cause della crescita demografica

Gli storici sono incerti sulla spiegazione di questo fenomeno. alcuni lo fanno risalire a un miglioramento generale del clima, che consentì l’incremento della produzione agricola e rese meno precario lo stretto equilibrio tra popolazione e risorse che aveva fino a quel momento frenato la crescita demografica. altri richiamano invece l’attenzione sulla minore incidenza delle pestilenze, dovuta probabilmente più alla graduale crescita delle difese immunitarie degli esseri umani che ai progressi – allora ancora molto scarsi – dell’igiene e della medicina. altri ancora sottolineano la crescente capacità dei governi di controllare con efficacia il territorio e di intervenire tempestivamente in soccorso della popolazione in caso di carestia. infine, ad avere causato l’aumento demografico potrebbe anche essere stato il fatto che le guerre del settecento furono molto meno sanguinarie e devastanti per le popolazioni civili di quelle dei secoli precedenti (v. cap. 4, par. 4.4). in europa la crescita demografica fu dunque dovuta sia al calo della mortalità – e quindi all’allungamento di alcuni anni della vita media, reso possibile dalla maggiore disponibilità di risorse – sia all’aumento della natalità, al quale certamente giovò l’abbassamento di alcuni anni dell’età media delle donne al momento del matrimonio. esse poterono così fruire di un ciclo riproduttivo più lungo mettendo al mondo più figli; ma non fu solo la popolazione a crescere. 125

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

  L’aumento delle risorse

LESSICO Agronomia Dal greco agrós, “campo” e nómos, “legge”, letteralmente è la scienza che studia l’applicazione di norme e leggi razionali all’agricoltura. Essa si propone di analizzare i metodi di coltivazione allo scopo di migliorare la produttività dei terreni agricoli.

insieme alla popolazione, aumentò anche la superficie coltivata necessaria per sfamarla. il campo arato guadagnò terreno e lo sottrasse al bosco, alla palude, alla selva. in alcune aree, dove furono felicemente sperimentati i suggerimenti proposti dall’agronomia, una scienza che nel settecento costruì attorno a sé una vasta schiera di adepti, si passò inoltre da un’agricoltura estensiva, cioè mirante ad aumentare la produzione attraverso la dilatazione della superficie coltivata, a una intensiva, cioè contraddistinta da un accrescimento delle rese (cioè la quantità di prodotto raccolto) a parità di superficie. Questa nuova pratica agricola fu possibile grazie a un più intenso investimento di capitali, finalizzato a migliorare l’irrigazione e a promuovere la presenza congiunta, all’interno di grandi poderi, dell’allevamento bovino e delle colture foraggere usate per l’alimentazione del bestiame. il mais e la patata, piante alimentari di origine americana, cominciarono a essere coltivate in varie zone d’europa (ma anche dell’africa e dell’asia) e consentirono la sopravvivenza a popolazioni in precedenza perennemente stremate dalla fame.

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le cause dell’aumento demografico Guerre meno sanguinose

Diminuzione delle carestie

calo della mortalità

Incremento della produzione agraria

aumento  demografico

Abbassamento dell’età del matrimonio

Aumento della natalità

  L’urbanizzazione

Gaspare Vanvitelli, Il largo di Palazzo (particolare), XVIII secolo (Napoli, Museo di San Martino). Si tratta di una veduta della Napoli settecentesca

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Le campagne coltivate europee, dunque, tendevano a estendersi e a ospitare una più densa presenza umana e gli spazi vuoti si facevano sempre più rari, ma fu soprattutto chi viveva in città a percepire nella vita di ogni giorno l’aumento della popolazione attorno a sé. con l’eccezione delle città capitali (Londra, Parigi, napoli erano le più grandi), l’europa di inizio settecento era un continente di piccoli insediamenti. Molti di essi erano da secoli cinti da mura e venivano chiamati città, ma, a misura delle concezioni odierne, ci verrebbe spontaneo considerarli paesi o villaggi. nella Gran Bretagna del 1750, per esempio, meno di un quinto della popolazione viveva in luoghi con più di 5000 abitanti e solo cinque città ne avevano più di 25 000. ancora nel 1790, solo due città superavano i 50 000 abitanti, mentre nel 1801 ve ne erano già otto. nel 1850, invece, un quarto degli inglesi era ormai residente in insediamenti urbani con più di 25 000 abitanti e ben ventinove città ne contavano più di 50 000. Fu lì che si assistette a una modificazione della qualità della vita, evidenziata dal diffondersi di nuove abitudini e di nuovi consumi, sconosciuti o quasi al vecchio mondo rurale: per esempio, prodotti quali il tè e il caffè, lo zucchero e il tabacco, tutti provenienti dalle colonie di cui alcuni paesi europei disponevano negli altri continenti, si diffusero rapidamente su larga scala, contribuendo a modificare in maniera evidente il costume della società del tempo.

cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO

Giovanni Paolo Panini, Piazza del Quirinale a Roma affollata di carrozze, XVIII secolo

  La contrazione delle distanze

Mentre lo spazio si riempiva di persone e il tempo della loro vita si allungava, quello necessario per spostarsi da un luogo all’altro si accorciava, grazie ai miglioramenti nel sistema dei trasporti e nella rete delle comunicazioni via terra e via acqua, realizzati soprattutto in paesi come la Francia e l’inghilterra, ma percepibili anche altrove. all’inizio del settecento per recarsi da Londra a edimburgo occorrevano quindici giorni; cento anni più tardi ne erano sufficienti tre. si viaggiava molto più in fretta di un tempo e a costi sempre più bassi e lo spazio non rappresentava più soltanto un ostacolo e una barriera, ma tendeva a diventare il tramite per comunicare con realtà un tempo lontane (v. cap. 10, par. 10.1). ovunque, sebbene con risultati assai diversi per qualità ed efficacia, fu istituito il servizio delle poste, che contribuì a sua volta a ridurre la distanza tra gli esseri umani o, almeno, tra quanti di loro sapevano leggere e scrivere.

5.2  i cambiamenti nel mondo del lavoro   il lavoro urbano: l’economia morale

Mutamenti certamente meno evidenti, e tuttavia significativi, ebbero luogo nello stesso arco di tempo anche nel mondo del lavoro. L’inghilterra, contraddistinta dall’avvio di quella trasformazione epocale che viene convenzionalmente definita rivoluzione industriale (v. cap. 10) fu, sotto questo profilo, un caso a parte. anche negli altri paesi europei, però, si verificarono notevoli modificazioni all’interno delle strutture della produzione, in particolare nel settore della produzione manifatturiera che, organizzato fin dal Medioevo nel sistema delle corporazioni di arti e di mestieri, rappresentava lo specifico della condizione lavorativa urbana nell’europa di antico regime. il mondo dell’artigianato preindustriale da secoli era basato sulle regole di quella che il grande storico inglese edward Palmer thompson definì l’«economia morale». essa si risolveva in un’oculata gestione delle modeste risorse a disposizione, realizzata attraverso la ripartizione programmata degli utili di impresa tra i compartecipi alle attività produttive. si trattava, indubbiamente, di un sistema al cui interno le gerarchie contavano molto. tra gli apprendisti (i garzoni e i lavoranti) e i maestri esisteva un rapporto di rigida subordinazione, che gli statuti di ogni arte (corporazione) si preoccupavano di ribadire con puntiglio.

MEMO Nate come patti associativi tra individui che esercitavano lo stesso mestiere, le corporazioni si erano diffuse a partire dal XIII secolo in tutta Europa. I loro obiettivi erano quelli di regolamentare la concorrenza e garantire la qualità dei prodotti. Con il tempo, però, la rigidità delle regole dei loro statuti finì per farne uno strumento di difesa dei privilegi e di resistenza alle innovazioni tecnologiche.

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

La bottega di un liutaio del XVIII secolo, nella quale ogni lavorante è intento alla sua opera a seconda dell’età e dell’esperienza: il giovane garzone fa il lavoro più semplice, prendendosi cura delle corde dell’arpa

LESSICO Confraternita Dal latino tardo confraternitas, composto di con e fraternitas (“fraternità”), indica un’associazione religiosa di fedeli laici, estranea al clero regolare o secolare, generalmente impegnata in opere di assistenza e di carità.

il lavoro che si svolgeva nelle corporazioni, però, era anche pervaso da uno spirito di solidarietà. esso da un lato consentiva di garantire a tutti gli appartenenti, indipendentemente dalla loro qualifica, quanto necessario per vivere, seppure spesso ai limiti della pura e semplice sussistenza, dall’altro assicurava loro una elementare assistenza che per certi versi si prolungava oltre la morte, trovando, per esempio, espressione nel rito delle preghiere in suffragio organizzate dalle confraternite, le associazioni a fini devozionali istituite dalle varie corporazioni. il garzone aveva il dovere di servire fedelmente il maestro e di non abbandonare mai la bottega che lo aveva accolto, al cui interno il lavoro poteva prolungarsi anche fino a quattordici ore al giorno. La sua posizione era analoga a quella di un figlio nei confronti del padre; del resto garzoni si diventava quando si era bambini, tra i sette e i quindici anni, in una società che non accordava all’infanzia la considerazione riservata a essa in alcune delle società contemporanee. i maestri, però, dal canto loro, erano tenuti non solo a fornire ai garzoni e ai lavoranti (lo stadio successivo dell’apprendistato) vitto, alloggio, calzature e vestiario, ma anche a non licenziarli finché, terminati gli anni di “lavoranzia”, essi non fossero divenuti a loro volta maestri, abilitati all’esercizio in proprio del mestiere.   il familismo delle corporazioni

LESSICO Familismo Concezione che dà più importanza ai vincoli di solidarietà tra i membri della famiglia rispetto ai vincoli sociali più generali.

Inclusione/Esclusione Le corporazioni di arti e mestieri, p. 141

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il mondo corporativo, in realtà, riproponeva ed enfatizzava in un settore particolare quello che era, più in generale, l’ordine sociale tutto intero dell’antico regime, basato su una mescolanza tra autoritarismo e solidarismo che trovava la sua ragione d’essere nella centralità della figura paterna, autentica colonna portante della società, in tutte le sue forme. si parla infatti di familismo. i garzoni erano figli, ma si pensava che sarebbero divenuti, a loro volta, padri. ai vertici della gerarchia delle corporazioni spettava non solo il compito di governare il processo produttivo, impedendo che tra i membri si accendesse una concorrenza pericolosa per la coesione del corpo, ma anche quello di esercitare su di esso una funzione giurisdizionale per conto delle autorità pubbliche. se un garzone o un lavorante, per esempio, si faceva sorprendere a rubare in bottega della materia prima che avrebbe poi cercato di rivendere per ricavarne un guadagno personale, a giudicarlo non era il tribunale cittadino, ma quello della corporazione, nel quale sedeva come corte giudicante la comunità dei maestri. in casi come questi spesso la pena consisteva in una pesante razione di frustate in pubblico, oltre che in un inasprimento dei carichi lavorativi. Ma poteva accadere che la stessa corte si trovasse, in altre occasioni, a difendere i diritti dei garzoni da eventuali abusi o infrazioni dei maestri. Quella delle arti e dei mestieri era una società sostanzialmente chiusa e autosufficiente, presente in forme molto simili in ogni città europea.

cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO

  La svolta settecentesca

tra la fine del seicento e i primi decenni del settecento, senza particolari clamori ma con regolarità, si assistette tuttavia un po’ dappertutto a un graduale indebolimento dei vincoli gerarchici e solidaristici che avevano fino a quel momento tenuto insieme il sistema. da un lato, infatti, coerentemente con le tendenze caratteristiche dell’età dell’assolutismo, i governi iniziarono a sottrarre ai tribunali corporativi la giurisdizione che essi avevano in precedenza esercitato; dall’altro i lavoranti vennero perdendo quelle garanzie di futuro inserimento nei livelli superiori dell’arte che li avevano motivati ad adattarsi a condizioni di dipendenza così opprimenti. in un mercato del quale i maestri avevano ormai smarrito i fili di controllo, cominciarono a trasformarsi in lavoratori salariati, compensati con (poca) moneta piuttosto che con “cure paterne”, ma al tempo stesso non più tutelati quanto a stabilità di impiego e privati della ragionevole aspettativa di poter approdare a loro volta alla condizione di maestri. nel frattempo gli stessi maestri artigiani persero gran parte della loro autonomia e l’attività delle loro botteghe si svolse sempre di più in condizioni di dipendenza dalle anticipazioni fornite loro dai grandi mercanti che procuravano la materia prima per ritirarla poi sotto forma di prodotto finito destinato all’immissione sul mercato.   nuove condizioni di lavoro

il “maestro-mercante” cessò di sentirsi membro della corporazione e gradualmente si impose, in molti settori, come capo e padrone dei “maestri-artigiani”. cominciò inoltre a impiegare in proprio – aggirando il sistema corporativo – forza lavoro esterna a quella inquadrata nelle arti. nel settore tessile, per esempio, divenne sempre più frequente il ricorso extracorporativo a manodopera non qualificata, infantile e femminile, retribuita in base a tariffe largamente inferiori a quelle fissate dalle arti. si aprivano così – in un’epoca contraddistinta da una notevole espansione del mercato – le prime crepe in un sistema di produzione che aveva fatto dei vincoli, degli obblighi, delle limitazioni, ma anche della solidarietà, la propria forza, mentre ci si avviava verso condizioni di lavoro che al principio di concorrenza abbinavano la riduzione da un lato del paternalismo gerarchico, ma dall’altro delle garanzie che avevano in passato resa più accettabile l’esistenza delle componenti più deboli. APPROFONDIRE

Uno scandalo: la concorrenza femminile ll’inizio del Settecento fece impressione l’irruzione nel mondo del lavoro della concorA renza sottopagata femminile, quasi un’eresia nell’ambiente così tipicamente misogino e tutto maschile nel quale si svolgeva gran parte del lavoro prodotto nelle corporazioni. Ecco come la evocano, demonizzandola, i nuovi statuti che una corporazione tessile romana si dette nel 1729: «Essendosi sperimentato che dall’imparar l’arte a donne ne siano nati molti abusi, e pregiuditij nell’arte; pertanto vogliamo in avvenire non sia più lecito ad alcuno di pigliar donne ad imparar l’arte; ma per conto di donne sia solo permesso ad impararla alla moglie, figlie, nipote e sorelle de’ proprij maestri, e non ad altro» (citato in S. Ortaggi Cammarosano, Libertà e servitù ). Era un tentativo di riaffermare i valori “domestici” e solidaristici che presiedevano al mondo delle arti – un mondo di padri e di figli, il cui ideale si condensava nell’auspicio che il figlio rilevasse l’attività paterna – contro le pressioni disgreganti del mercato e della libertà economica. Tuttavia, come vedremo, non era destinato a sortire risultati efficaci.

Giacomo Ceruti, La lavandaia, XVIII secolo (Brescia, Pinacoteca Tosi Martinengo)

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

5.3 il sentimento religioso   Sudditi o devoti?

Il laboratorio dello storico Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana, p. 135

Jean-Baptiste Greuze, Una visita al prete, 1786 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)

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nei paesi cattolici ma, in parte, anche in quelli riformati, prima ancora di considerarsi suddito di un potere temporale, ciascun individuo si sentiva membro della comunità ecclesiastica. e non c’è da stupirsene, dal momento che era molto spesso la chiesa a farsi garante dei suoi rapporti istituzionali con il mondo esterno. Per i contadini, per esempio, che costituivano la porzione largamente maggioritaria della popolazione europea di antico regime, era il parroco (o, nelle aree protestanti, il pastore) a rappresentare la figura primaria di riferimento sia nel ritmo ripetitivo della vita quotidiana sia, e a maggior ragione, nei momenti centrali di scansione dell’esistenza. si cominciava a frequentare la chiesa in occasione del battesimo, che costituiva il momento di presentazione ufficiale di ogni nuova vita alla comunità, e che veniva celebrato prestissimo, vista la forte incidenza della mortalità infantile. insieme al rito battesimale, il parroco celebrava una funzione che in tempi a noi più vicini sarebbe stato invece l’ufficio dell’anagrafe ad assolvere. Provvedeva, cioè, alla registrazione dei nati nei registri parrocchiali, ovvero quei registri nei quali venivano annotati i fatti salienti del ciclo di vita di ogni cattolico. ogni qual volta una persona avesse poi avuto bisogno di documentare la propria identità, avrebbe dovuto rivolgersi nuovamente al parroco, per farsi rilasciare la prova della propria esistenza, la “fede di battesimo” (oggi sostituito dal certificato di nascita). oltre naturalmente al matrimonio, anche il rito del fidanzamento veniva celebrato quasi sempre in chiesa, in presenza dell’intera collettività paesana, e riceveva la benedizione del sacerdote. accanto alle mura parrocchiali, e affidato alla sorveglianza ecclesiastica, sorgeva infine in ogni villaggio il cimitero, luogo di importanza straordinaria in una società protesa a un intensissimo rapporto con un aldilà che sembrava sempre assai prossimo, vista la precarietà dell’esistenza. Per raggiungere, attraverso la preghiera, i familiari defunti, era ancora il sacerdote a fare da guida.

cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO

  Le forme dell’assistenza

attraverso la fabbriceria parrocchiale, istituzione che faceva da ponte tra il mondo dei chierici veri e propri e quello dei fedeli, passava, d’altro canto, la rete di assistenza che garantiva la sopravvivenza ai membri disagiati di ogni comunità. Questi riconoscevano, dunque, in essa un’ideale sponda di riferimento, la provvidenziale irradiazione istituzionale di una sensibilità collettiva incline a identificare nel povero una figura sacra, una sorta di replica dell’esempio di cristo; simbolo, con la sua sofferta testimonianza esistenziale, di una speranza di salvezza per tutti. così pure, consegnati alle cure ecclesiastiche erano gli ospedali, luoghi concepiti – vista anche la modesta efficacia della scienza medica del tempo – più come avamposti verso l’aldilà, stazioni di transizione spirituale tra la vita e la morte, che come le cittadelle della ricostituzione terapeutica e della riconquista della salute.

LESSICO Fabbriceria parrocchiale Ente amministrativo che inizialmente provvedeva alle spese di manutenzione degli edifici religiosi e che successivamente si occupò anche dei problemi assistenziali della comunità parrocchiale.

  La religione come veicolo di cultura 

in una società quasi totalmente analfabeta, inoltre, quel poco di rudimentale acculturazione che filtrava verso la realtà rurale era tutto veicolato dai chierici, del resto anch’essi spesso provenienti dalle fila di quel mondo popolare che era affidato alle loro cure. se prima della Rivoluzione francese, come è stato calcolato, l’80% dei libri in circolazione era costituito da opere di argomento religioso – raccolte di preghiere, sermoni, vite dei santi –, tale percentuale nelle scarne biblioteche domestiche di campagna tendeva a convertirsi nella totalità. Quei pochissimi contadini che avevano appreso da un prete ad avventurarsi nel mondo delle parole scritte, ne venivano a conoscere uno di impronta esclusivamente religiosa. anche i temi e i soggetti della pittura – questi, sì, accessibili a chiunque, con il solo beneficio della vista – erano tutti o quasi sacri e i dipinti si trovavano, del resto, prevalentemente esposti nelle chiese o in altri edifici religiosi.   La sopravvivenza di ritualità più antiche

Corrado Giaquinto, La Trinità e gli schiavi riscattati, 1742-1743 (Roma, Chiesa della Trinità degli Spagnoli)

sottrarsi alle norme comportamentali sancite dalla morale religiosa era quasi impossibile. La fede non era un’opzione, bensì un obbligo, all’interno di una società che, in linea di principio, si reggeva su un insieme di doveri e non su un corpo di diritti. così, rifiutarsi di frequentare la messa, schivare la confessione, evitare di comunicarsi equivaleva a chiamarsi fuori dalla comunità e a privarsi del sostegno del prossimo, in un mondo in cui il singolo, preso per sé, contava poco o nulla. tuttavia, malgrado il suono delle campane della chiesa del villaggio scandisse la percezione del tempo della comunità, così come il calendario ecclesiastico, con le sue numerosissime festività, fissava i ritmi e i modi del lavoro, la “conquista” clericale della spiritualità popolare – specie nel mondo rurale – non poté mai dirsi completa. nei riti agrari di fertilità, così come nelle processioni per i raccolti che essa inglobò all’interno della propria liturgia, sopravvivevano infatti i riverberi di una più antica tradizione pagana, che la chiesa talvolta chiamò superstizione, ma con la quale in linea di massima preferì convivere, a rischio di esporsi alle critiche di ispirazione razionalistica che nel corso del settecento le vennero rivolte con crescente intensità (v. cap. 6, par. 6.2). 131

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

5.4  gabinetti di lettura e associazioni: verso un libero  uso della ragione    Le prime associazioni culturali laiche

MEMO La società per ceti è la società in cui i singoli non hanno diritti e doveri individuali, ma privilegi in base all’appartenenza a un determinato corpo sociale. Si è membri di un ordine non per motivi economici ma per ereditarietà. Un esempio di società per ceti è quella francese, divisa nei tre ordini del clero, della nobiltà e del Terzo stato.

Johann Zoffany, La biblioteca di Charles Towneley al 7 di Park Street, 1781-1783 (Burnley, Towneley Hall Art Gallery & Museums)

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Le critiche alla chiesa presero forma soprattutto all’interno di nuovi luoghi di socializzazione, che in tutta europa – nelle città maggiori, ma anche in quelle di provincia e talvolta persino nei villaggi – vennero istituiti per iniziativa privata: associazioni laiche, cioè non di carattere religioso, che in genere si proponevano di incoraggiare la diffusione della cultura e della scienza. Per farne parte era necessario pagare una quota annuale, che consentiva di fruire di una vasta gamma di opportunità. con la stessa somma impiegata per iscriversi a uno di questi circoli, ciascuno dei soci, da solo, avrebbe potuto tutt’al più acquistare qualche libro, oppure abbonarsi a una o due riviste. sommando le quote di decine o centinaia di soci, un’associazione era invece in grado di procurarne in grande quantità e di costituire una biblioteca collettiva ben aggiornata; un luogo ideale per incontrarsi, per informarsi, per discutere, per mescolarsi liberamente. abbiamo visto, a più riprese, come la società di antico regime fosse divisa per ceti, di norma separati l’uno dall’altro. Viceversa, grazie alla fondazione di simili associazioni (gabinetti di lettura, società di incoraggiamento delle scienze e delle arti, associazioni per il miglioramento dell’agricoltura e dell’industria…), quei mondi, prima impermeabili l’uno all’altro, per la prima volta ebbero modo di incontrarsi in una cornice comune. certo, al di fuori della sede del circolo a cui era iscritto, ciascun socio continuava a essere percepito in ragione del proprio profilo di ceto – chi nobile, chi chierico, chi appartenente al mondo delle arti meccaniche e chi a quello delle arti liberali – e a venir trattato in quanto tale. Ma tra le pareti dei luoghi attrezzati per consentire la lettura e la discussione cominciò a prendere forma una società parallela, nella quale le usuali distinzioni basate sul rango tendenzialmente non avevano valore e dove ciascuno veniva considerato per il proprio merito personale. Qui, infatti, era essenziale unicamente la ragione, cioè la capacità personale di pensare, di interrogarsi, di interloquire.

cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO

Léonard Defrance de Liège, Sotto l’egida di Minerva, 1782 (Digione, Museo delle Belle Arti). Il dipinto raffigura una libreria

  Libertà e cultura

all’interno di una società basata sull’autorità, sull’obbedienza, sulla sudditanza, le prime associazioni culturali costituirono di fatto isole di uguaglianza e di libertà: repubbliche in miniatura, dove ciascuno godeva degli stessi diritti, anche se a farne parte erano comunque soltanto persone in possesso di un prerequisito poco comune: la capacità di leggere e scrivere, magari anche in lingue diverse dalla propria, un privilegio del quale, in misura diversa a seconda dei paesi, era solo una ristretta minoranza a godere. tra il 1680 e il 1780 il numero dei lettori in europa si decuplicò, ma a leggere continuarono ad essere in pochi. in molti Stati italiani, per esempio, ancora a fine secolo la popolazione era per oltre il 90% analfabeta. in Francia durante il settecento la percentuale dei maschi adulti in grado di scrivere la propria firma passò dal 30% al 50%; ma un conto era saper mettere una serie di lettere al posto di una croce, un altro saper davvero leggere e scrivere. e, ancora, la pur modesta alfabetizzazione riguardava quasi esclusivamente la componente maschile della società. Migliore, sotto questo profilo, era la situazione dell’Europa protestante, dal momento che uno dei punti fermi delle fedi scaturite dalla Riforma consisteva nell’accesso diretto del credente (ma anche della credente) alle sacre scritture; presso i paesi cattolici, invece, il rapporto tra i fedeli e la parola di dio era affidato, come abbiamo appena visto, sempre alla mediazione del clero, non a caso il solo corpo compattamente alfabetizzato della società.   un pubblico per l’illuminismo

Malgrado gli indubbi progressi rispetto al secolo precedente, pochi, dunque, erano i lettori nell’europa del settecento, e ancora meno quelli disposti a partecipare alla vita di un’associazione culturale. Molto importante, però, fu il fenomeno a cui essi dettero vita, decidendo, ciascuno sulla base di una scelta individuale, di infrangere le regole di separatezza caratteristiche del sistema per corpi e di inventare uno spazio di socializzazione aperto. certo, anche il pubblico delle cerimonie religiose era in genere formato da persone differenti per rango e per status; ma in chiesa ci si recava in formazione di gruppo e con il proposito di ascoltare devotamente la voce di un’autorità, quella del ministro del culto. nei gabinetti di lettura e nelle associazioni culturali, invece, si entrava da individui e da protagonisti. 133

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

dal culto, inoltre, ci si aspettava di ricavare conforto per le fragilità dell’anima. La socializzazione culturale, al contrario, costituiva un’occasione per coltivare orgogliosamente le virtù individuali; prima fra tutte l’intelligenza, ovvero l’attitudine ad affrontare e risolvere attraverso il libero uso della ragione ogni tipo di problema materiale. il pubblico delle associazioni fu al tempo stesso il pubblico caratteristico dell’Illuminismo (v. cap. 6). ANALIZZARE LA FONTE

La filosofia nei caffè Autore: Joseph Addison Tipo di fonte: articolo di giornale Lingua originale: inglese Data: 12 marzo 1711 Nei primi decenni del Settecento in Inghilterra si diffondono i primi periodici, la cui lettura contribuisce alla formazione del gentleman, del borghese informato e dotato di spirito critico. Nell’articolo che qui in parte riportiamo, Joseph Addison, editore del celebre giornale inglese “The Spectator”, mette in luce l’importanza che il suo giornale può avere nella formazione dell’autonomia dell’individuo.

dal momento che mi son venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per rendere gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito, e di temperare lo spirito con la moralità, sicché i miei lettori possibilmente riescano in un modo o nell’altro a trovare il fatto loro nella meditazione del giorno. e affinché la loro virtù e la lor discrezione non consistano di lampi di pensiero brevi, passeggeri, intermittenti, ho risoluto di rinfrescare la loro memoria di giorno in giorno fin tanto che io non li abbia risanati da quella disperata condizione di vizio e di follia in cui è caduta l’età. L’animo che giace incolto un solo giorno germoglia di follie che possono estirparsi soltanto con una cultura costante e assidua. Fu detto di socrate che portò la filosofia giù dal cielo a dimorare tra gli uomini; e mia ambizione sarà che di me si dica che ho portato la filosofia fuori dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nei ritrovi presso le tavole da tè e nei caffè. Perciò raccomanderei particolarmente queste mie riflessioni a tutte le famiglie ordinate, che dedicano un’ora ogni mattina al tè e al pane e burro; e caldamente le consiglierei pel loro bene di disporre che questo giornale venga recapitato con puntualità e considerato parte del servizio del tè. […] Lascerò giudicare al lettore se non sia molto meglio venir introdotti alla conoscenza di se stessi, che udir ciò che avviene in Moscovia o in Polonia; e divertirci con scritti che tendono alla soppressione dell’ignoranza, della passione e del pregiudizio, che con tali che naturalmente tendono a infiammare gli odi, e a rendere irriconciliabili le inimicizie J. addison, “the spectator”, n. 10, 12 marzo 1711 Domande alla fonte 1. Qual è l’immagine dell’intellettuale-giornalista che emerge da questa pagina? 2. Quale deve essere la sua funzione? 3. Quale deve essere il suo rapporto con il pubblico?

Giovanni Gravembroch, Nobili al caffè, tavola dal Codice Gradenigo. Abiti de’ veneziani di quasi ogni età raccolti e dipinti nel secolo XVIII, 1754 (Venezia, Biblioteca del Museo Correr)

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Il laboratorio dello storico

Tra sacro e profano: sentimento religioso e vita quotidiana

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica

L’elemento profano nella religiosità della campagna Vissuta con un diverso grado di consapevolezza da gran parte degli strati medi e alti della società, la religiosità di matrice cristiana tendeva a conservare forme di remota origine pagana non appena si usciva dalle mura di una città e si percorreva il mondo superstizioso delle campagne.

a scrivere è un parroco di campagna nella regione francese della sologne, a sud di Parigi

«Idolatri battezzati» è l’appellativo che l’autore della testimonianza, scritta tra il serio e il faceto, riserva a coloro che compongono il suo stesso gregge, i contadini di una secentesca profonda campagna francese

Gli abitanti della sologne sono più superstiziosi che devoti. chi potrebbe negarlo, vedendoli osservare tanto scrupolosamente moltissime pratiche di culto che sono al tempo stesso deplorevoli e ridicole, e che servono soltanto ad allontanarli da quella che è la vera pietà? cominciamo col dire che penserebbero di offendere il signore se setacciassero la farina il giorno di s. tommaso; una falsa credenza che circola tra di loro sostiene infatti che questo santo apostolo è stato martirizzato con un setaccio. tanto è vero che ne hanno tratto un proverbio: «il giorno di s. tommaso, dio non vuole che si setacci». Quando soffrono di qualche malattia, implorano soprattutto s. sulpicio, che chiamano s. supplizio, perché lenisca il tormento che li tormenta. si rivolgono invece a s. Mauro quando hanno malati che deperiscono a poco a poco o sono in agonia, perché li faccia vivere oppure morire subito. Pregano poi santa Perpetua perché dia il latte alle puerpere che si sono inaridite e santa cornelia se sono macilenti, scuri e deformi, per assonanza del nome con quello della cornacchia, un uccello scarno, magro e tutto nero. […] inoltre fanno voti di continuo, per ogni genere di malattia, sia che colpisca le persone sia che colpisca gli animali. non basta, a natale conservano il pane benedetto durante la messa a mezzanotte, per farlo mangiare alle loro vacche, perché credono che sia un antidoto contro le malattie. La domenica innalzano croci di paglia e rami ai quattro angoli di ogni loro appezzamento […] possiamo perciò ben dire, dopo tutto quello che abbiamo riferito, e senza sbagliarci, che in molte cose essi non sono altro che idolatri battezzati.

il curato passa in rassegna, una per una, le forme di superstizione che affollano le giornate e le fantasie dei suoi parrocchiani, sorprendendoli intenti a celebrare riti e scaramanzie che affiorano da un passato lontano, ma non ancora sopito

P. Goubert, d. Roche, L’Ancien Régime. Cultura e società, Jaca Book, Milano 1987

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Il laboratorio dello storico L’elemento religioso nella pittura profana È difficile sopravvalutare il ruolo che le tematiche di ispirazione religiosa interpretano nella storia dell’arte. Nel Medioevo sostanzialmente non esisteva pittura che non fosse sacra e gli artisti dipingevano quasi soltanto su sollecitazione della committenza religiosa, nelle sue varie forme: quella esplicitamente clericale e quella sostenuta dai laici i quali, a titolo personale o collettivo (si pensi agli altari e alle cappelle mantenuti nelle chiese da parte delle confraternite), decidevano di investire una somma di denaro, destinandola alla realizzazione di una tela, di una pala d’altare, di un affresco. I dipinti che qui presentiamo testimoniamo di un’evoluzione rispetto allo scenario che abbiamo appena delineato.

i due quadri furono realizzati rispettivamente nel Seicento e nel Settecento, dunque in un’epoca durante la quale un canone secolarizzato aveva ormai affiancato quello religioso nell’ambito dell’espressione artistica. La loro iniziale destinazione furono le mura domestiche dei ricchi committenti che ne avevano predisposto l’esecuzione. dobbiamo immaginarcele collocate, rispettivamente, in una signorile dimora spagnola secentesca e in un’elegante casa parigina del settecento

La famiglia di Murillo, raffigurata in un’atmosfera nella quale la rituale compostezza del padre si intreccia con l’attitudine giocosa del figlio, è in realtà una Sacra Famiglia

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Bartolomé Esteban Murillo La Sacra famiglia, 1650 (Madrid, Museo del Prado)

cApItOlO 5 - lA SOcIEtà dEl SEttEcENtO

il rito della tavola fermato sulla tela da chardin è il Benedicite, la preghiera domestica di una madre e delle sue due figlie appena prima di prendere il pasto (prende il nome della prima parola della preghiera, «Benedicete» in latino) Jean Baptiste Siméon Chardin, Benedicite, 1744 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)

i due autori, Bartolomé esteban Murillo (siviglia, 1618-1682) e Jean Baptiste siméon chardin (Parigi, 1699-1779), optarono per un’arte intensamente realistica, popolata di personaggi usciti dalla vita di ogni giorno, e di spiccate caratteristiche borghesi. eppure, a ben vedere, anche le icone domestiche e intimistiche uscite dalla tavolozza dei due artisti sono a pieno titolo da considerare come appartenenti al filone della pittura religiosa Le due tele ci raccontano dei modi nei quali il sentimento religioso si insinuava quotidianamente nello spazio della pittura profana e dei suoi scenari; e di come, nell’antico regime, la vita secolare continuasse a essere, per molti aspetti, vita religiosa

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio è stata in primo luogo proposta una fonte scritta, che offre una raffigurazione di ampio respiro della religiosità contadina nella Francia tra Sei e Settecento. Poi abbiamo arricchito la prospettiva con un’illustrazione degli aspetti più domestici della vita religiosa, ricorrendo a due dipinti realizzati a circa un secolo di distanza l’uno dall’altro. • Religiosità matura e religiosità rozza e “popolare”. In che modo si può sviluppare un discorso su questo tema, partendo da un confronto tra le fonti di questo laboratorio? • Quali sono le principali differenze tra i due dipinti, e in che cosa essi ci rivelano di appartenere a due epoche diverse?

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cApItOlO 5

mappa

LA SOCIETà DEL SETTECENTO

Significativo investimento di capitali Calo della mortalità

mutamento delle condizioni di lavoro

crescita demografica

Passaggio all’agricoltura intensiva

miglioramento delle condizioni economiche

Aumento della superficie coltivata

SOcIEtà dEl SEttEcENtO

Prevalenza dei mercanti sugli artigiani

Uso di manodopera esterna alle corporazioni

mutamenti culturali

Nascita associazioni laiche aperte a tutti

Il principio della concorrenza sostituisce il paternalismo gerarchico delle corporazioni

Indebolimento del solidarismo e delle garanzie lavorative precedenti

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Aumento della natalità

Sviluppo del libero pensiero e progressi nell’alfabetizzazione

Indebolimento del monopolio culturale della religione

cApItOlO 5

LA SOCIETà DEL SETTECENTO

Sintesi 5.1 L’AUMENTO DEgLI UOMINI E DELLE RISORSE nel settecento la società europea subì un profondo mutamento i cui effetti cominciarono a sentirsi verso la fine del secolo. anzitutto vi fu un aumento demografico, che proseguì costantemente nei secoli successivi. Gli storici non sono concordi nell’individuarne la causa. alcuni l’attribuiscono al cambiamento climatico che permise un incremento della produzione agricola; altri alla diminuzione dell’incidenza delle pestilenze. certamente contribuì anche la crescente capacità di intervento dei governi a favore della popolazione in caso di carestia. infine incise anche la diminuzione dei morti nelle guerre diventate meno cruente. L’aumento della popolazione, oltre alla diminuzione della mortalità, fu determinato anche dal crescere della natalità. Un ruolo decisivo giocò la diminuzione dell’età media del matrimonio. L’incremento dalla popolazione fu avvertito soprattutto nelle città che crebbero in numero e in grandezza. Per la prima volta nella storia insieme alla popolazione aumentarono anche le risorse disponibili soprattutto grazie all’espandersi di un’agricoltura intensiva. 5.2 I CAMbIAMENTI NEL MONDO DEL LAvORO anche il mondo del lavoro subì un profondo mutamento, soprattutto nella manifattura. tradizionalmente il settore dell’artigianato si basava sulle corporazioni che univano autoritarismo e solidarismo: all’interno di una rigida struttura gerarchica, infatti, veniva garantito a tutti il necessario per vivere e assistenza in caso di bisogno. alla fine del settecento il sistema corporativistico entrò in crisi: i maestri artigiani divennero sempre più dipendenti dai grandi mercanti che fornivano le indispensabili materie prime ma che, allo stesso tempo, impiegavano manodopera esterna alle arti, soprattutto donne e bambini, costringendo molti lavoranti a trasformarsi in lavoratori salariati. il principio della concorrenza cominciò a incrinare il modello di gerarchia e solidarietà che aveva regnato per secoli. 5.3 IL SENTIMENTO RELIgIOSO tradizionalmente, soprattutto nei paesi cattolici, gli individui prima che sudditi di un potere tempo-

rale si sentivano membri di una comunità ecclesiastica. soprattutto nelle campagne, il parroco era la più importante figura di riferimento nella vita delle persone, scandita da battesimo, fidanzamento e matrimonio. La chiesa, inoltre, aveva un ruolo decisivo nei settori dell’assistenza e dell’istruzione: gli ospedali erano gestiti da enti ecclesiastici e i libri stampati erano per l’80% di carattere religioso. anche gli analfabeti potevano essere educati tramite l’azione didascalica delle pitture presenti negli edifici religiosi. in questo modo la chiesa aveva un controllo completo sul comportamento degli individui. tuttavia, la sua capacità di controllo della spiritualità popolare aveva dovuto venire a compromessi con le antiche usanze pagane, come i riti agrari della fertilità e del raccolto, che essa aveva finito per incorporare nella sua liturgia, esponendosi però alle critiche di superstizione che le vennero rivolte, con crescente intensità, dalle correnti razionaliste nel corso del settecento.

5.4 gAbINETTI DI LETTURA E ASSOCIAZIONI: vERSO UN LIbERO USO DELLA RAgIONE Le critiche alla chiesa presero forma soprattutto nei nuovi luoghi di socializzazione, nelle associazioni laiche che promuovevano la diffusione della cultura e della scienza. Gli iscritti dovevano pagare una quota annuale che permetteva l’acquisto di riviste e libri messi a disposizione di tutti. in queste associazioni vennero meno le tradizionali distinzioni di ceto: ciascuno poteva aderirvi e veniva considerato non in base al rango ma al merito personale. tuttavia, queste isole di libertà ed eguaglianza riguardavano solo un’élite: oltre il 90% della popolazione in Italia rimase analfabeta. Migliore si presentava la situazione nei paesi protestanti poiché l’accesso diretto dei credenti alle sacre scritture era uno dei punti fermi della fede riformata. 139

identità collettiva e cittadinanza

e Inclusione Esclusione

La bottega di un farmacista, XVIII secolo (Bologna, Civico Museo Bibliografico Musicale)

Le corporazioni di arti e mestieri Regole e solidarietà tra confratelli

Inclusione

e

I lavoranti, invece, sono ragazzi più grandi, o anche ntriamo anche noi, come sta persone ormai adulte, che non raggiungeranno mai il facendo la composita folla di vertice della gerarchia. maestri, apprendisti, lavoranti che L’assemblea del Corporale normalmente si chiude con possiamo immaginare di avere intorno, in un Corporale, ovvero in la nomina di coloro che sono destinati a ricoprire le cariche direttive dell’associazione: rettori, priori, consoli, quella che si configura come a seconda degli usi e delle consuetudini vigenti in ogni l’assemblea generale di tutti città. Comunque li si chiami, provengono tutti dalle file coloro che sono membri di dei maestri. Sono loro che andranno a comporre il un’Arte; o, come la si chiama a tribunale dell’Arte, l’organo attraverso il quale viene seconda della località d’Italia nella esercitata la giurisdizione esclusiva sulle materie di quale ci si trova, di un Paratico, di competenza, per esempio sui conflitti che sorgevano un Collegio, di un Ordine, di una Fraglia. I suoi appartenenti nelle botteghe tra maestri e lavoranti. condividono qualcosa di importante, cioè la capacità di esercitare un Rembrandt van Rijn, I sindaci della gilda dei drappieri, 1662 (Amsterdam, Rijksmuseum) mestiere impegnandosi a seguire, ciascuno nella propria bottega, una serie di prescrizioni volte a garantire che il prodotto al quale lavorano venga realizzato “a regola d’arte”, ovvero che venga elaborato a partire da certe materie prime e non da altre, con gli strumenti adeguati, che abbia il giusto peso e la giusta dimensione e, ancora, che venga venduto a un prezzo stabilito dall’associazione stessa. Maestri, apprendisti, lavoranti non sono tutti uguali, come le loro stesse qualifiche indicano esplicitamente. Le gerarchie, all’interno del mondo delle Arti, non solo Sono loro che formano la giuria nelle cause tra i esistono, ma vengono anche prese molto sul membri dell’Arte e che comminano e fanno applicare serio. Comandano i maestri, naturalmente, ma tra le pene previste per le infrazioni gli apprendisti, che vengono ammessi nel gruppo fin quello e ro pig a ist nd ai regolamenti. da bambini, e che passano molti L’appre William Hogarth, isione, XVIII secolo inc o, lai te al o os er Non ci si trova davanti, dunque, a anni a impadronirsi, giorno dopo op una società egualitaria, ma giorno, delle tecniche del piuttosto a una società che è al mestiere, c’è qualcuno che tempo stesso inclusiva ed esclusiva. un giorno diventerà maestro. 141

Inclusione Esclusione

identità collettiva e cittadinanza L’interno di una bottega

artigiana

È inclusiva perché ne fanno parte tutti coloro che a vario titolo operano nel circuito legale di produzione di un bene, a prescindere dalla rispettiva collocazione nella gerarchia di un mestiere. Questo carattere di coralità si conferma su due piani ulteriori. Il primo è quello dell’attività devozionale che è collegata all’Arte. Coloro che vi appartengono formano una confraternita che spesso – specialmente nel caso delle Arti più ricche e prestigiose – possiede una cappella riservata all’interno di una delle chiese cittadine. I suoi membri vi si ritrovano tutti insieme per le principali funzioni di culto e la fanno adornare di tele o affreschi che il Consiglio dell’Arte commissiona a qualcuno dei pittori attivi sulla piazza cittadina.

n

aturale proiezione delle corporazioni nella vita quotidiana extralavorativa, le confraternite garantiscono inoltre – e questo è il secondo piano – un’assistenza materiale: durante la vita, per gli appartenenti all’Arte e per i loro congiunti sono previsti assistenza, aiuto in caso di necessità, sostegno nel caso non infrequente di forzata astensione dal lavoro (e dal guadagno) a causa di infortuni o malattie. Sono i vantaggi dell’inclusione in un corpo, e sono come santificati dalla cerimonia propiziatoria del giuramento che ciascun nuovo membro pronuncia nel momento in cui entra a farne parte. L’assistenza culmina per le strade della città al momento della morte di un membro, o di un suo familiare: funerale e sepoltura sono a carico dei confratelli. Nel momento della morte 142

si materializza la pretesa di dare a quel corpo, a quell’essere insieme, una compattezza che è capace di sfidare la debolezza e la caducità umana. È come se il legame corporativo si proiettasse anche oltre l’esistenza terrena: membri di un’Arte si rimane sempre, anche quando si è defunti; per anni, infatti, dopo la scomparsa di uno di loro, i confratelli organizzano messe in suo suffragio. A ben vedere, il mondo delle corporazioni e delle confraternite, che, formatosi nel Duecento, continuò a riprodursi sin verso la fine del Settecento (e in alcune aree d’Europa anche al di là di questa data, prolungando la propria durata in qualche caso fino all’Ottocento), rappresentava un’espressione esemplare del principio della solidarietà e della fraternità cristiana.

Le corporazioni di arti e mestieri

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on stupisce, pertanto, che così a lungo esso abbia costituito un asse portante della struttura economica e sociale europea, la quale si percepiva, per l’appunto, in primo luogo come societas religiosa. Tuttavia, mentre il cristianesimo si basava su un ideale di fratellanza tendenzialmente universale, dunque di inclusività, per così dire, aperta e assoluta, al principio inclusivo nel mondo delle corporazioni faceva da contrappeso un aspetto altrettanto fortemente esclusivo. Per meglio dire: le corporazioni erano inclusive proprio perché esse allo stesso tempo risultavano esclusive, dal momento che il loro compito principale e la ragione della loro esistenza erano quelli di difendere il monopolio dell’esercizio di un mestiere. Chi provava a praticarlo senza essere iscritto all’Arte a esso corrispondente, magari cercando di proporre sul mercato gli stessi manufatti a un costo inferiore, veniva considerato dai membri della corporazione una minaccia. Dal momento che gli statuti cittadini riconoscevano alle Arti piena giurisdizione negli ambiti di loro competenza, esse avevano la facoltà di disporre a carico dei trasgressori le sanzioni del caso, compreso l’arresto o l’espulsione dalla città. All’interno delle mura di queste ultime, il privilegio di lavorare doveva infatti rimanere riservato soltanto a chi risultava incluso nel sistema vigente.

Joseph Wright of Derby, La bottega del fabbro, 1773 (Bristol, Earl of Mountbatten Collection)

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Capitolo 6

L’ILLumInIsmo LESSICO Illuminismo Fu così definito il movimento culturale e filosofico che nel XVIII secolo intese fare dei “lumi” della ragione il principale strumento di orientamento per l’esistenza umana, combattendo l’ignoranza, il pregiudizio e la superstizione.

MEMO Si intende per epoca della rivoluzione scientifica il periodo storico convenzionalmente compreso tra il 1543 (anno di pubblicazione del testo di Copernico De revolutionibus) e il 1687 (anno di pubblicazione dei Principia matematica di Newton) caratterizzato da un nuovo modo di considerare la natura, intesa come ordine oggettivo, e la scienza, intesa come sapere sperimentale.

Joseph Wright of Derby, The orrery, 1766 circa (Derby, Museo e Galleria d’Arte della città)

Il quadro raffigura un filosofo mentre tiene una lezione ad adulti e bambini utilizzando un planetario (orrery in inglese) Il planetario meccanico ritratto da Derby serviva per riprodurre in scala il movimento dei pianeti; il pittore qui immagina il filosofo che utilizza una lampada per rappresentare il Sole I ragazzi mostrano uno stupore che nell’arte precedente era riservato a eventi religiosi. Qui invece diventa protagonista quella curiosità per la scienza che caratterizzò il clima illuminista

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6.1  La scienza nel Settecento   Un antefatto: la rivoluzione scientifica

non si può comprendere il profondo cambiamento che l’Illuminismo portò nella società europea del settecento se non si mette in luce il suo stretto legame con la rivoluzione scientifica, che nel seicento aveva posto le basi per un radicale ripensamento del modo di osservare la natura. Alla passiva accettazione di una tradizione legata alle indicazioni fornite dalla teologia e dalla filosofia aristotelicoscolastica, essa aveva opposto il metodo sperimentale, che consiste nella formulazione di ipotesi e nella loro verifica mediante l’esperienza, insieme alla rigorosa elaborazione teorica dei risultati. nel XVII secolo intorno all’inglese Isaac Newton (1643-1727), l’astro più luminoso della scienza europea che con le sue scoperte formalizzò le teorie che stanno alla base della fisica moderna, si era venuto a creare, non solo in Inghilterra, un tessuto di cultori della scienza sperimentale assai più vasto di quello esistente al tempo della generazione dei padri della rivoluzione scientifica. molte stelle minori brillavano accanto a newton, condividendone i presupposti ideali: il culto del metodo sperimentale contro la sudditanza alla verità rivelata e imposta dalle Chiese; la libertà di ricerca e di pensiero contro gli autoritarismi della censura; il gusto della scoperta e dell’innovazione contro l’inerzia e il pregiudizio suggeriti dalla tradizione.

La sala dei prestiti in una biblioteca pubblica, stampa, XVIII secolo

Raccolti in accademie, che i sovrani più ricchi e potenti istituirono e finanziarono nella seconda metà del seicento, gli studiosi della natura della generazione di newton diedero vita a una vera e propria comunità internazionale scientifica. Essa accresceva le proprie conoscenze sia attraverso gli esperimenti realizzati nei laboratori sia grazie allo scambio di informazioni attuato per mezzo di periodici specialistici.

PassatoPresente Il potere della scienza

  Dalla teoria alla pratica

I risultati dell’attività degli scienziati rappresentavano il fiore all’occhiello di regnanti che intuivano la natura sempre più stretta del nesso tra sapere e potere. E, a partire dalla fine del seicento, gli scienziati cominciarono a disporre di un pubblico di seguaci, disposti ad apprendere le nuove teorie e a sperimentarle, ciascuno nel proprio ambiente. si trattava di quel mondo dei colti di cui abbiamo parlato descrivendo gli ambienti dei gabinetti di lettura e delle società che incoraggiavano le scienze e le arti, dunque dei luoghi nei quali si venivano sviluppando forme di libera socializzazione degli individui (v. cap. 5, par. 5.4). Da patrimonio esclusivo di un nucleo di specialisti, qual era stata fino a quel momento, la vocazione sperimentale cominciò così a divenire un’attitudine mentale più largamente diffusa. Il sapere di cui i frequentatori delle associazioni andavano alla ricerca, sommando le loro quote sociali allo scopo di rifornire di libri e periodici le biblioteche delle rispettive sedi, comportava infatti libertà dai pregiudizi e curiosità per l’inedito e l’inusuale. Dalla lettura delle pubblicazioni scientifiche potevano, poi, scaturire indicazioni e suggerimenti utili ad apportare miglioramenti in ogni campo della vita umana, unendo la teoria alla pratica. Al pubblico colto interessavano soprattutto obiettivi pratici: per esempio l’introduzione di tecniche agrarie più produttive, o di macchine e strumenti perfezionati dalla tecnica o, ancora, di cure mediche idonee ad allontanare, anche se non certo a sconfiggere, lo spettro della morte.

LESSICO Pratica Dal greco práxis, “azione”, è la realtà materiale in quanto prodotta dall’azione dell’uomo. Quando il termine è utilizzato in opposizione a “teoria” indica l’adesione concreta alla realtà in contrapposizione alla pura speculazione astratta.

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

  I sensi e la materia 

LESSICO Materialismo Teoria che nega l’esistenza di sostanze spirituali, compresa l’anima, ritenendo che tutto ciò che esiste abbia natura corporea.

Alla base di questa maggiore attenzione all’utilità pratica delle innovazioni scientifiche corrispose una radicalizzazione dell’importanza attribuita al mondo dei sensi. nel settecento non solo si affermava l’importanza dell’esperienza sensibile, ma si arrivava a sostenere che «le idee provengono dalle sensazioni», come scriveva nel 1751 Jean-Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783), nell’introduzione alla Encyclopédie (v. oltre). Dunque, in mancanza dell’esercizio dell’osservazione sperimentale, non si poteva avere, secondo lui, alcuna cognizione reale delle cose. I sensi, dal canto loro, venivano a contatto essenzialmente con la materia; perciò lo studio di quest’ultima rappresentava il primo e basilare campo di applicazione della scienza e della ragione umana. Tuttavia, mentre alcuni illuministi a partire da questi presupposti accettavano comunque l’idea dell’esistenza dell’anima come di qualcosa che sfugge al campo di tensione e di percezione dispiegato tra i sensi e la ragione, altri ritenevano invece che tutto ciò che esiste non è altro che materia. si trattava degli esponenti del materialismo, i più importanti dei quali furono il franco-tedesco Paul-Henry Thiry barone d’Holbach (1723-1789) e il francese Pierre-Jean Cabanis (1757-1808). Tra le varie correnti dell’Illuminismo, quella materialista fu la più radicalmente antitetica alle dottrine religiose, il cui tradizionale presupposto era rappresentato dal principio della superiorità dell’anima – intesa come la parte dell’uomo più prossima a Dio – e dalla corrispettiva svalutazione del corpo e del mondo fisico.   L’Encyclopédie

Denis Diderot e Jean D’Alembert, “La filatura”, in Encyclopédie o Dizionario ragionato della scienza, delle arti e dei mestieri, 1751 (Parigi, Biblioteca Nazionale) La tavola ci mostra bene quale importante significato venga attribuito da parte degli ideatori dell’opera alla dimensione della pratica

L’estrema attenzione tanto al mondo sensibile quanto all’utilità pratica delle scoperte scientifiche è alla base dell’opera simbolo dell’Illuminismo: l’Encyclopédie, pubblicata tra il 1751 e il 1772 da Denis Diderot (1713-1784) e Jean d’Alembert.

Le mani si muovono agili: avvolgono il filo, allungandolo e affinandolo sempre di più Dal lavoro delle mani nasce un intreccio uniforme, sottile, assai robusto, adatto a essere raccolto in rocchette, e usato poi in tessitura. Dell’attività pratica la mano è lo strumento principale. Dunque al lavoro manuale, secondo gli enciclopedisti, va tributata quella considerazione che fino a quel momento è stata a esso negata da parte di una cultura pregiudizialmente ostile al corpo e alla materia Del lavoro intellettuale, quello manuale è per molti versi un presupposto. Pratica e teoria vanno unificate, e il lavoro è la loro espressione corale

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Esemplificazione dell’uso di un microscopio solare, strumento inventato nel 1740 con la funzione di proiettore; illustrazione tratta da un trattato tedesco del 1762

capItOlO 6 - l’IllumINISmO

Essa è infatti essenzialmente un dizionario delle scienze e delle arti (comprese quelle meccaniche, che richiedono l’ausilio della tecnologia), che vengono valorizzate e illustrate come strumento per la trasformazione della natura e per la liberazione dell’umanità dal dolore. «È facile rendersi conto – scrivevano Diderot e d’Alembert nel Discorso preliminare all’Enciclopedia – che le scienze e le arti si prestano vicendevolmente soccorso e che esiste di conseguenza una catena che le unisce».

Fonte Diderot - D’Alembert, Discorso preliminare all’Enciclopedia

APPROFONDIRE

I luoghi dell’Illuminismo Olanda, Francia, Svizzera, alcune aree della GermaIrononghilterra, nia e dell’Italia: i luoghi in cui l’Illuminismo attecchì meglio fuquelli in cui la società stava cambiando più rapidamente, in

stanza come la naturale evoluzione di un atteggiamento culturale e mentale già maturato nel secolo precedente, e forgiato dalla duplice esperienza della diffusione della scienza sperimentale e della liberalizzazione religiosa e politica, in Francia esso rivelò un carattere più radicale e anticonvenzionale, caricandosi in modo assai più intenso di valenze politiche. In Italia, infine, esso si manifestò soprattutto in chiave di reazione intellettuale alla cappa di oscurantismo che la Controriforma aveva imposto alle coscienze e ai comportamenti tra Cinque e Seicento, e assunse per questo spiccate connotazioni anticuriali.

ragione o del proprio sviluppo economico o dell’intervento dall’alto dello Stato. Lì si attenuò prima che altrove il controllo delle Chiese sulla libertà di pensiero e si creò lo spazio concreto per proporre una riflessione collettiva sulla felicità terrena. Si trattò, peraltro, di un processo che assunse caratteristiche diverse da luogo a luogo, a seconda del rispettivo contesto di partenza. Se in Inghilterra, infatti, l’Illuminismo si propose in buona so-

La diffusione della cultura nell’età dell’Illuminismo

Uppsala

San Pietroburgo

Stoccolma Glasgow

Mosca

Edimburgo

INGHILTERRA

DANIMARCA Copenaghen

mar Baltico

mare Cambridge del Nord Amsterdam Leida PAESI Gottinga

ROYAL SOCIETY

Londra

Berlino

BASSI Halle Parigi Versailles

ACADÉMIE FRANC˛ AISE

oceano Atlantico

Lipsia

Madrid

SPAGNA

ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI BERLINO

REGNO DI POLONIA

Vienna

Losanna Ginevra Torino

Lisbona

Varsavia

Strasburgo

FRANCIA

PORTOGALLO

Danzica

PRUSSIA

REALE ACCADEMIA DELLE SCIENZE DI TORINO

Pisa

AUSTRIA UNGHERIA Venezia Bologna Firenze

Roma

STATI ITALIANI

MOVIMENTO SCIENTIFICO E LETTERARIO Principali università

Napoli

mar Mediterraneo

Principali centri accademici Luoghi di edizione di riviste scientifiche e filosofiche Osservatori astronomici

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

MEMO L’Indice era un elenco di pubblicazioni delle quali la Chiesa cattolica riteneva che fosse opportuno proibire la lettura. Compilato per la prima volta nel 1557 dal Sant’Uffizio (Congregazione della sacra e universale romana Inquisizione), sotto il pontificato di papa Paolo IV, è rimasto in vigore (in versioni di volta in volta aggiornate o modificate) fino al 1966 e ha rappresentato uno dei principali strumenti di espressione della polemica della Chiesa nei confronti della cultura secolare.

Gli ideatori dell’opera erano infatti convinti che anche le attività pratiche (i “mestieri”) avessero la stessa dignità degli studi teorici. Al lavoro manuale, secondo gli enciclopedisti, andava tributata quella considerazione che fino a quel momento era stata a esso preclusa e negata da parte di una cultura pregiudizialmente ostile al corpo e alla materia. La manualità non era per gli illuministi segno di degrado o di inferiorità, ma strumento essenziale di esperienza sensibile: la chiave di quell’approccio pratico alla materia, a partire dal quale la ragione elabora le proprie costruzioni logiche. Per questo il lavoro manuale andava considerato non in contrapposizione ma in collaborazione con quello intellettuale. La pratica e la teoria dovevano essere unificate e il lavoro era la loro espressione corale. ma nell’Encyclopédie c’è anche dell’altro. Per esempio vi si manifestano forti dubbi sull’ispirazione divina della “verità” biblica, che è smentita a ogni passo dalle scoperte della scienza; e vi si trovano l’elogio della tolleranza e la rivendicazione della libertà di pensiero e di espressione. Infine, in qualche passo, vi si ascolta un pensiero che sfida la censura degli stati assoluti e che si spinge fino a sostenere che il potere di chi governa è legittimo solo se deriva dal consenso di chi è governato. non a caso, gli organi preposti alla censura intervennero immediatamente per ordinare la sospensione della pubblicazione dell’opera, che venne messa all’Indice dei libri proibiti nel 1759 e per un certo periodo data clandestinamente alle stampe. Essa conobbe una storia editoriale molto travagliata, nonostante il buon successo di vendita e la grande risonanza politica, e poté vedere la luce, per così dire, a singhiozzo, approfittando di volta in volta della protezione accordatale dai più aperti tra gli uomini che affiancavano il re nel governo della Francia.

6.2   La fiducia nella ragione   e la critica alla religione tradizionale   Un nuovo spirito filosofico

A favorire i progressi della rivoluzione scientifica avevano contribuito, durante il secolo, molti fattori diversi. L’ulteriore conoscenza della natura e delle culture delle Americhe, per esempio, aveva imposto agli europei non solo di allargare l’ambito di osservazione, ma anche di riconsiderare criticamente un sapere tradizionale che aveva ignorato totalmente il “mondo nuovo”. Gregorio Guglielmi, Allegoria del commercio illuminato, 1766-1767, affresco (Augusta, Palazzo Schatzler)

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capItOlO 6 - l’IllumINISmO

una fonte come la Bibbia davanti al “mistero” americano restava penosamente muta, rivelando tutti i suoi limiti. Per altri versi, la composizione di gran parte dei conflitti religiosi interni all’Europa, sancita dalla pace di Vestfalia (1648), aveva reso possibile un orientamento sempre più secolarizzato, cioè lontano da una visione religiosa del mondo, della politica perseguita dai sovrani: ciò accadde tanto nella Francia “assolutista” di Luigi XIV, quanto nell’Inghilterra “liberale” di Guglielmo d’orange e in molti altri stati del continente. Insomma, come scriveva nel 1732 l’intellettuale francese Bernard le Bovier de Fontanelle (1657-1757): «si è diffuso da qualche tempo uno spirito filosofico quasi interamente nuovo, una luce che non aveva illuminato i nostri antenati». La luce di cui parlava era quella della ragione umana liberatasi dalle tenebre del pregiudizio ed emancipatasi dai dettami delle dottrine ecclesiastiche. Era nato quel movimento filosofico che prende il nome di Illuminismo. Il “nuovo spirito filosofico” metteva, dunque, radici su un terreno che i suoi sostenitori percepivano come alternativo – se non direttamente antitetico – a quello coltivato dalla teologia. Quanti se ne sentivano compartecipi contrapponevano volentieri alle credenze tramandate dalla tradizione, e spesso ancora autoritariamente imposte dai poteri costituiti, il gusto per la sperimentazione, per la spassionata osservazione della sfera mondana, per l’esercizio della ragione critica. Guardavano fiduciosamente a un futuro la cui perfettibilità sarebbe dipesa dall’impegno attivo di un’umanità libera dall’affliggente credulità del passato; un impegno che muoveva da presupposti filosofici, per approdare però necessariamente alla critica nei confronti della società e del potere politico.

Carré da Desrais, La ragione, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

Il laboratorio dello storico La critica ai poteri costituiti, p. 158

ANALIZZARE LA FONTE

Ragionare con la propria testa Autore: Immanuel Kant – Tipo di fonte: saggio filosofico – Lingua originale: tedesco – Data: 15 dicembre 1793 Il filosofo tedesco Immanuel Kant scrisse alla fine del Settecento, dopo l’inizio della Rivoluzione francese, un celebre testo in risposta alla domanda “Che cos’è l’Illuminismo?”, di cui riportiamo i passi più famosi. Kant individua nella capacità di ragionare con la propria testa, senza far affidamento su nessun principio di autorità, il senso ultimo di tale corrente filosofica.

L’Illuminismo è l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità che egli deve imputare a se stesso. minorità è l’incapacità di valersi del proprio intelletto senza la guida di un altro. Imputabile a se stesso è questa minorità se la causa di essa non dipende da difetto di intelligenza, ma dalla mancanza di decisione e del coraggio di far uso del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! È questo il motto dell’Illuminismo. […] A questo Illuminismo non occorre altro che la libertà, e la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di far pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. ma io odo da tutte le parti gridar «non ragionate!». L’ufficiale dice: «non ragionate, ma fate esercitazioni militari». L’impiegato di finanza dice «non ragionate, ma pagate!». L’uomo di chiesa: «non ragionate, ma credete!». I. Kant, Che cos’è l’Illuminismo?, Editori Riuniti, Roma 1991 Domande alla fonte 1. Che cos’è la “minorità” per Kant? 2. Perché per Kant l’uomo è responsabile della sua minorità? 3. Che cosa intende Kant per uso pubblico della ragione?

Emil Doerstling, Kant e i suoi commensali, XIX secolo

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

  Deismo, agnosticismo, ateismo

LESSICO Deismo, agnosticismo e ateismo Il deismo (dal latino deus, “dio”) è la concezione filosofica che considera dio un ente spiegabile per mezzo della ragione naturale, visto come la forza che ordina il mondo. Si oppone generalmente al teismo, proprio delle religioni rivelate, che crede in un dio non comprensibile per mezzo della ragione, ma oggetto di fede. L’agnosticismo (dal greco ágnostos, “sconosciuto”) ritiene che dio sia inconoscibile e che quindi non si possa dire né che esiste né che non esiste. L’ateismo (dal greco a, “non” e theós, “dio”) ritiene invece che dio non esista.

molti protagonisti del “nuovo spirito filosofico” rifiutarono il culto dell’ortodossia alimentato da chi si arroccava in ostinata difesa dei dogmi delle sacre scritture e professarono una religiosità individuale e personale, liberamente praticabile attingendo al foro della propria coscienza. Essi chiamarono deismo questo personale rapporto con la fede, che per germogliare non aveva bisogno del supporto (né delle costrizioni) di alcuna Chiesa ufficiale. ne furono interpreti principali alcuni pensatori anglosassoni come John Locke (Ragionevolezza del Cristianesimo,1695) e, qualche decennio più tardi, David Hume (Dialoghi sulla religione naturale, 1779). Altri si spinsero anche oltre questo limite, sostenendo che la fede andava comunque di per sé considerata null’altro che superstizione, caotico riflesso di un’infanzia dell’umanità dalla quale bisognava congedarsi. Ci si trovava così davanti alle prime manifestazioni moderne di agnosticismo o di ateismo, apertamente professate da filosofi come il barone d’Holbach, Claude Adrien Helvétius, Julien offroy de La Mettrie (1709-1751). si trattava peraltro di sentimenti che gran parte dei contemporanei giudicava pericolosi per l’armonia sociale, percependoli come un radicale rifiuto di ogni autorità, non solo di quella religiosa, ma anche di quelle secolari, anch’esse basate sul presupposto dell’esistenza di una legittimazione divina del potere giudicata irrinunciabile per la conservazione dell’ordine terreno.   Uno spirito di tolleranza

Fonte Voltaire, Il diritto di tolleranza

Un rogo di libri illuministi, stampa satirica, XVIII secolo. Sul rogo bruciano l’Encyclopédie e le opere di Rousseau, Voltaire e degli altri filosofi illuministi. Intorno al fuoco danzano le forze reazionarie, raffigurate come asini

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Pur avendo opinioni diverse, i deisti e gli atei erano d’accordo almeno su un punto: le religioni tradizionali, nei secoli precedenti, erano state causa di guerre e sofferenze. Ciascuna si considerava l’unica custode della verità e questa presunta certezza aveva spinto tutte le Chiese a compiere violenze terribili contro gli avversari. Perseguitare chi professava un credo diverso, infatti, per lunghi anni era stato ritenuto un dovere, un rimedio duro ma necessario per impedire che l’eresia si diffondesse. L’Illuminismo lottò per capovolgere questo modo di pensare e per affermare il principio della tolleranza, di cui si fece fautore in particolare Voltaire (François-marie Arouet 1694-1778) con il suo Trattato sulla tolleranza (1763). sia le autorità ecclesiastiche sia i sovrani dovevano smettere di controllare le coscienze dei sudditi e di punire quelli che non aderivano alla fede ufficiale. uomini e donne con opinioni diverse in materia di fede potevano convivere pacificamente gli uni accanto agli altri.

capItOlO 6 - l’IllumINISmO

Ricevimento presso la loggia massonica di Vienna. Il primo personaggio sulla panca a sinistra è Wolfgang Amedeus Mozart

  La Massoneria e l’idea di tolleranza universale

L’idea di una tolleranza universale fu alla base di uno dei veicoli di diffusione della mentalità illuminista: la Massoneria, un’associazione segreta fondata nel 1717 in Inghilterra, che nei decenni seguenti mise radici in tutta Europa, accogliendo al proprio interno anche qualche testa coronata, oltre a un variegato mondo aristocratico e borghese. Gli ideali di filantropia e tolleranza universale che essa propugnava nel 1734 le valsero la condanna ufficiale da parte della Chiesa. Per quanto essa fosse socialmente selettiva, il messaggio massonico arrivò tuttavia anche a chi non aderiva direttamente all’associazione. Furono massoni, sostanzialmente, tutti gli illuministi, e la socializzazione che ebbe luogo nelle logge (le sezioni dell’associazione) sorte in tutte le città europee si contrappose emblematicamente, con i suoi riti di sapore fondamentalmente egualitario, anche se avvolti in una singolare cornice misterica, a quel principio della divisione della società in corpi separati che era caratteristico della società dell’epoca.

LESSICO Massoneria Il nome deriva dalla corporazione medievale dei “liberi muratori” (in inglese free masons) poiché l’associazione che assunse questo nome intendeva edificare, mattone su mattone, un mondo nuovo, basato sulla tolleranza e la ragione.

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Illuminismo e religione ILLUMInIStI

praticano

criticano

tolleranza

teismo

Voltaire

sostengono

agnosticismo/ateismo

d’Holbach

La Mettrie

o

deismo

Locke

Hume

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

6.3  La critica sociale e le nuove teorie economiche    La nascita dell’opinione pubblica 

se il metodo sperimentale e il libero uso della ragione nello studio della natura producevano conoscenze che rendevano migliore l’esistenza umana, perché non farne uso anche in relazione alla critica dei costumi, delle consuetudini sociali, delle leggi esistenti? Come le vecchie concezioni che erano state messe in crisi dal lavoro degli scienziati, anche gran parte delle regole che governavano la società si giustificava infatti in base a un principio autoritario, che veniva ormai percepito come mortificante e oppressivo da chi, nel continente, guardava con crescente interesse all’esempio anticonformista e liberale offerto da paesi come l’olanda e l’Inghilterra, nei quali, come sappiamo, la natura del potere aveva sostanzialmente mutato pelle. se ne apprezzava, in particolare, il costume della discussione critica, il valore riconosciuto all’autonomia di giudizio, la scarsa disponibilità al rispetto delle convenzioni tradizionali. Anche nel resto del continente sorsero più numerosi i luoghi deputati alla formazione di quella che nel secolo seguente sarebbe stata definita “la regina del mondo”: l’opinione pubblica, ossia l’opinione sui problemi di interesse generale che i cittadini si formano attraverso la partecipazione ad accademie, associazioni, salotti, ma anche circoli e caffè. La nuova attitudine collettiva a leggere e a ragionare pose basi solide per lo sviluppo di una critica alle divisioni che separavano l’uno dall’altro i vari corpi della società; e una parte degli esseri umani cominciò a considerarsi come portatrice di diritti individuali e meritevole di libertà personale, invece che come passiva componente di un ordine statico, costruito a compartimenti stagni e basato sui principi dell’obbedienza, della gerarchia, della sudditanza. Anonimo, Coffee-House in Inghilterra, stampa, XVIII secolo (Londra, British Museum). L’illustrazione documenta il buon livello sociale degli avventori del locale, che veniva utilizzato per leggere, per riunirsi, per discutere e confrontare idee e opinioni

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capItOlO 6 - l’IllumINISmO

  Il rifiuto del passato e la fede nel progresso

L’approccio critico applicato al mondo sociale ebbe come prima conseguenza il rifiuto della società di antico regime: scrutando il mondo che avevano intorno, gli illuministi incontravano a ogni passo credulità, violenza, oppressione e, conseguentemente, erano spinti a sottoporre alla critica della ragione le istituzioni che reputavano responsabili di quelle condizioni, e dunque dell’umana infelicità; per esempio le Chiese ufficiali, le loro strutture oppressive (si pensi all’istituto della censura, quasi ovunque affidato a ecclesiastici, o all’Indice dei libri proibiti), il loro fanatismo. Agli occhi degli illuministi, la storia si era presentata fino a quel momento come una catena senza fine di crimini, guerre, violenze, atrocità, molte delle quali provocate dall’intolleranza delle istituzioni religiose, basata a sua volta sulla pretesa di ogni Chiesa di essere la sola depositaria della verità, e dunque di godere della legittimazione a stroncare nel sangue le altre o a costringere al silenzio i propri dissidenti. I filosofi settecenteschi pensavano a eventi come le guerre di religione del Cinqueseicento, o anche al destino di uno scienziato come Galileo, costretto dalla Chiesa cattolica ad abiurare le proprie scoperte e a tradire la propria coscienza. Alla critica del passato molti illuministi affiancavano la fiducia nel futuro pensando che, poiché sono gli uomini a fare la storia, essi, illuminati dalla luce della ragione, ne faranno un processo di progressivo incivilimento. Era questa la granitica certezza di marie-Jean-Antoine-nicolas de Caritat, marchese di Condorcet (1743-1794) nel Quadro filosofico dei progressi successivi dello spirito umano: «la natura non ha segnato alcun limite al perfezionamento delle facoltà umane, […] la perfettibilità dell’uomo è realmente indefinita; […] i progressi di tale perfettibilità, indipendenti ormai da ogni potenza che pretenda arrestarli, non hanno altro termine che la durata del globo in cui la natura ci ha gettato».   Utilitarismo, individualismo, liberismo

Il presupposto da cui gli illuministi partivano quando teorizzavano la possibilità di trasformare la realtà sociale consisteva nella convinzione che anche la società, così come la natura, potesse essere studiata scientificamente. Infatti nel settecento si delinearono alcune importanti teorie della società. nel mondo anglosassone nacque l’utilitarismo, fondato dal filosofo inglese Jeremy Bentham (1748-1832) il quale sosteneva che lo scopo della società è raggiungere la «massima felicità per il maggior numero di persone» e che la felicità terrena, identificata con l’utilità, è ciò che minimizza il dolore e massimizza il piacere. spesso la ricerca dell’utile viene interpretata in senso individualistico, ritenendo che un equilibrato amore per se stessi rappresenti il presupposto per la benevolenza nei confronti degli altri. ma perché tale ricerca vada a buon fine è necessario che ogni individuo sia lasciato libero di perseguire indisturbato i propri personali interessi economici senza vedersi imporre da parte dello stato ostacoli di alcun genere: per esempio barriere doganali, ordinamenti restrittivi della produzione, discipline legali del lavoro, limitazioni alla proprietà privata e ai modi del suo utilizzo. sullo sfondo di questo scenario ideale, a determinare «la massima felicità del maggior numero di persone» provvederebbero automaticamente i meccanismi del mercato, concepito come un ordine naturale, governato dalle leggi della domanda e dell’offerta, alle quali bisogna affidarsi. Ciascun individuo, insomma, impegnandosi esclusivamente a migliorare le proprie condizioni contribuisce a incrementare la ricchezza nazionale.

LESSICO Utilitarismo Dottrina filosofica che considera l’utile individuale o sociale come fondamento della felicità e come unico criterio dell’agire.

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

LESSICO Liberismo Teoria economica basata sul principio del laissez faire (“lasciate fare”), sulla libera manifestazione delle forze economiche, cioè la legge della domanda e dell’offerta, dove la domanda è la quantità di merci richiesta dagli acquirenti, mentre l’offerta è la quantità di beni che viene messa a disposizione degli acquirenti. Il liberismo nega quindi allo Stato l’autorità di intervento in materia economica. Fisiocrazia Il nome della scuola deriva dal greco phy´sis,”natura” e kratéo, “dominare”. I fisiocratici ritenevano infatti che bisognasse lasciare che la natura “dominasse” cioè regolamentasse da sola la società, respingendo quindi ogni intervento limitativo da parte dello Stato.

Azienda agricola nella pianura bolognese, XVIII secolo

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negli stessi anni, lo scozzese Adam Smith (1723-1790) propose un’interpretazione più economica di questa teoria, sostenendo che «[L’uomo] mira solo al proprio guadagno ed è condotto da una mano invisibile, in questo come in molti altri casi, a perseguire un fine che non rientra nelle sue intenzioni […]. Perseguendo il suo interesse, egli spesso persegue l’interesse della società in modo molto più efficace di quanto intende effettivamente perseguirlo». In questa versione il principio utilitaristico si sposta dal piano morale a quello economico e diventa liberismo, ossia dottrina del libero scambio e della libera concorrenza alla ricerca del massimo profitto. La società pertanto diventa essenzialmente un mondo di operatori economici, che non può che essere danneggiato dall’invadenza dello Stato e dall’eccesso di regolamentazione.   Smith e i fisiocratici: l’economia come perno regolatore della società

Adam smith nella sua opera La ricchezza delle nazioni (1776) applicò la teoria liberista soprattutto al mondo industriale che vedeva nascere attorno a sé, assegnando grande importanza al principio della divisione e della specializzazione del lavoro salariato, in polemica contro la tradizione incarnata dal sistema delle corporazioni. Prima di smith a porre le basi della teoria liberista erano stati però, in Francia, gli esponenti della scuola fisiocratica. Quest’ultima si chiamava così perché individuava la fonte primaria di ogni possibile ricchezza nell’agricoltura, e non nell’industria e nel commercio, che non producono ma semplicemente si limitano a trasformare e a spostare le merci. Il rappresentante più importante del pensiero fisiocratico era stato François Quesnay (1694-1774), collaboratore dell’Encyclopédie, che nel suo Quadro economico (1758) aveva delineato uno schema teorico di circolazione della ricchezza basato sui buoni uffici della libertà di commercio delle derrate agricole. A suo parere era inopportuno inceppare quella libera circolazione con interventi esterni, come quelli statali di natura fiscale e quelli praticati da molti governi cittadini al fine di ammassare scorte nell’eventualità di possibili carestie.

capItOlO 6 - l’IllumINISmO

6.4  L’Illuminismo e la politica   L’individuo di fronte al potere

Lo studio scientifico della società e dei meccanismi economici che la governano portò molti protagonisti del secolo dei lumi a criticare l’irragionevolezza delle leggi e degli ordinamenti secolari. ma questi ultimi, a loro volta, erano l’espressione dell’autorità dei sovrani, i quali, come abbiamo visto, durante la svolta tra seicento e settecento (con l’eccezione del caso inglese) avevano accentuato le proprie pretese di governare legibus soluti, cioè liberi dalle leggi, ovvero senza essere tenuti a rispettare le tradizionali consuetudini che regolavano il rapporto tra potere monarchico e società. Criticare le leggi, dunque, significava non soltanto sferrare un attacco alla tradizione, ma anche minare alle fondamenta la stabilità dei troni, compresi quelli dei sovrani che pure si segnalavano per le loro intenzioni antitradizionalistiche. L’Illuminismo era un’arma a doppio taglio. La sfida antiautoritaria che alcuni degli illuministi lanciavano all’ordine politico esistente, soprattutto nelle parti d’Europa in cui le tendenze di tipo assolutistico si manifestavano con maggior coerenza, era, dunque, radicale. Vedremo però come gli ideali modernizzatori espressi dal mondo dei lumi potessero venire in parte assorbiti, smussati e fatti propri da alcuni sovrani – particolarmente determinati a realizzare riforme antitradizionaliste, senza per questo rinunciare a un esercizio autoritario del potere – in una particolare forma di governo che prese il nome di dispotismo illuminato (v. cap. 8).   Diverse visioni politiche: Voltaire, Montesquieu, Rousseau

nella loro visione dello stato e dei suoi compiti, gli illuministi erano tutt’altro che concordi. Alcuni, come il celeberrimo Voltaire, forse la mente più acuta tra gli illuministi francesi, si mostravano convinti che, almeno in una prima fase, l’“illuminazione” del mondo potesse venire perseguita efficacemente anche dall’alto, grazie a una collaborazione tra sovrani e uomini di cultura tesa a imporre il ridimensionamento delle istituzioni che maggiormente contribuivano all’oppressione delle coscienze e alla diffusione dell’intolleranza. Poteva dunque accadere che essi mirassero non a una limitazione, bensì a un rafforzamento del potere regio in chiave assolutista, affinché i sovrani illuminati fossero messi in grado di operare riforme, liberi dagli impacci interposti dai corpi privilegiati e specialmente dalla Chiesa. Nobili e intellettuali alla corte di Federico II di Prussia, dipinto, XVIII secolo. La scena è ambientata nel castello di Sanssouci a Potsdam, presso Berlino, l’equivalente tedesco di Versailles. Alla tavola del re, riconoscibile al centro in abito scuro, è seduto anche Voltaire (è il terzo da sinistra)

Federico II

Voltaire

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

LESSICO Separazione dei poteri Teoria delineata per la prima volta da Locke e successivamente sistematizzata da Montesquieu nello Spirito delle leggi, dove si afferma che il potere deve essere diviso tra organi diversi detentori rispettivamente del potere legislativo; di quello esecutivo e di quello giudiziario, in grado di limitarsi e controllarsi a vicenda. Costituzionalismo Sistema di governo basato sulla separazione dei poteri, nel quale l’autorità del sovrano è soggetta al rispetto di una carta costituzionale che garantisce i diritti civili dei cittadini dall’ingerenza dello Stato.

Altri, invece, come Montesquieu (Charles de secondat de montesquieu, 16891755) – autore del saggio Lo spirito delle leggi (1748) nel quale teorizzò il principio della separazione dei poteri – guardavano con simpatia soprattutto al modello politico inglese (v. cap. 3, par. 3.3) e si battevano per la realizzazione di un equilibrio tra il potere del monarca e quello dei ceti più elevati della società, rappresentati nel Parlamento o in altri di quei corpi intermedi (per esempio gli stati provinciali) contro i quali riversava invece le sue critiche Voltaire. nel pensiero di montesquieu si ponevano le radici di quello che sarebbe divenuto in seguito il costituzionalismo liberale, animato da una forte tensione antistatalista e da un accorato impegno per la salvaguardia dei diritti civili, e tuttavia improntato a una visione elitaria dei diritti politici, da consegnare in linea di principio alle sole élite sociali. Ben diversa, infine, era la posizione di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778), autore del Contratto sociale (1761), nel quale prospettava una vera e propria rifondazione della società, basata sull’attribuzione della sovranità al popolo (inteso come comunità di eguali). Essa avrebbe avuto il compito di garantire l’attuazione della “volontà generale”, intesa come un virtuale punto di incontro tra le volontà particolari dei singoli. Rousseau poneva così le fondamenta della moderna tradizione democratica, destinata, come del resto il costituzionalismo liberale, a conoscere grande diffusione a partire dalla Rivoluzione francese.

6.5  I limiti dell’Illuminismo   I limiti elitari

L’Illuminismo fu un fenomeno elitario poiché coinvolse strati comunque limitati di popolazione. L’Encyclopédie, certo, era stata un grosso successo editoriale, ma in tutto non aveva venduto più di trentamila copie. È vero che tra gli ammiratori degli illuministi si trovavano alcune delle figure più potenti d’Europa: Voltaire, per esempio, fu per lunghi anni ospite del re di Prussia Federico II, e Diderot, a sua volta, della zarina di Russia Caterina II. nondimeno, i pensatori settecenteschi conobbero traversie di ogni genere e incapparono spesso nelle maglie della censura. Anicet-Charles Lemonnier, Lettura del testo teatrale di Voltaire “L’orfana della Cina” nel salotto parigino di Madame Marie-Thérèse Geoffrin, 1775 (Castello di Mailmaison)

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capItOlO 6 - l’IllumINISmO

Nicolas Lancret, Dame in un salotto ricevono una visita, 1734 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)

Inoltre, anche se la nuova socialità raccolta nei salotti e nei circoli del il settecento si lasciava orientare dalla filosofia dei lumi, le chiese, i luoghi deputati al culto di quella verità tradizionale e di quel senso di sottomissione che gli illuministi criticavano, continuavano a essere stracolme: nobili, borghesi, artigiani, contadini, vagabondi e marginali erano tutti lì. E soprattutto vi erano le donne, che il pubblico dell’Illuminismo, a dispetto dei principi di emancipazione proclamati, in genere non considerava degne di far parte del nuovo mondo della ragione, della discussione, della sperimentazione.   I limiti di genere: il pregiudizio antifemminile

Il settecento è il secolo durante il quale sono alcune donne aristocratiche “regine dei salotti” a organizzare lo scenario in cui si svolge una parte significativa della socializzazione di matrice illuminista, ma è come se esse fossero chiamate a recitarvi un ruolo da comprimarie, quasi fossero un qualificato personale di servizio e non delle protagoniste. Ancora: la voce Femme (“donna”) dell’Encyclopédie ribadisce, in buona sostanza, i tradizionali pregiudizi in relazione alla supposta inadeguatezza della “natura” femminile all’istruzione e allo studio, avanzando il dubbio che quest’ultimo possa «sacrificare un po’ l’innocenza» delle donne e ricordando che, secondo sofocle, il silenzio va considerato «come il più grande ornamento» del genere femminile. E Jean-Jacques Rousseau, nel suo famoso romanzo pedagogico Emilio (1762), uno dei testi più diffusi della stagione illuminista, sostiene senza mezzi termini la legittimità della soggezione femminile all’uomo, malgrado nel Contratto sociale, pubblicato l’anno prima, si fosse fatto portatore di una visione democratica ed egualitaria dal tendenziale valore universalistico. nella sua repubblica ideale, le donne non sono cittadine, né è consigliabile che si istruiscano: il sapere può risultare pericoloso per chi deve consacrarsi al ruolo domestico di “buona madre”. Bisognerà attendere il 1792 perché l’inglese Mary Wollstonecraft (1759-1792) nel suo Rivendicazione dei diritti della donna proponga, polemizzando direttamente con Rousseau, una replica accorata sul tema della cittadinanza femminile che intanto, come vedremo, era stato posto all’ordine del giorno nelle prime fasi della Rivoluzione francese (v. cap. 12, par. 12.4).

Giuseppe Gambarini, Donne e bambini, 1715, olio su tela (Bologna, Pinacoteca Nazionale). In buona parte della discussione filosofica illuminista il ruolo della donna è secondario rispetto a quello maschile

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Il laboratorio dello storico

La critica ai poteri costituiti

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche

Intorno al 1720 due gentiluomini persiani si recano in Europa e cominciano a scrivere ai loro amici rimasti a casa delle lettere piene di stupore, nelle quali raccontano gli strani costumi delle nazioni di quel continente. È questo il palinsesto delle Lettere persiane, uno dei testi canonici dell’Illuminismo, e in particolare del genere cosiddetto del conte philosophique (“racconto filosofico”), che Montesquieu pubblicò nel 1721. In esso egli affida al principe Usbek e al suo giovane amico Rica il compito di criticare (attraverso l’arma di un’ironia camuffata da ingenuità) i modi di esercizio del governo in un’Europa nella quale all’autoritarismo monarchico si coniugavano l’oscurantismo e l’insinuante pervasività del potere ecclesiastico. Leggiamo qualche brano di queste lettere:

un esempio di alterigia sovrana e di credulità popolare? Qui Rica fa riferimento a quell’aura magico-sacrale che promana della credenza nel potere taumaturgico dei re (la loro supposta capacità di guarire le scrofole, lesioni cutaneee, con il semplice tocco della mano)

Rica, ancora più che dal potere secolare, rimane stupefatto da quello religioso: una finta ingenuità, quella del giovane Rica, ovvero di montesquieu

Rica per spiegarsi allude a ciò che gli europei consideravano “superstizioni” della religione islamica, come il Ramadan

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Il re di Francia […] è un gran mago: esercita il suo impero anche sullo spirito dei suoi sudditi, li fa pensare come vuole. se nel suo tesoro c’è solo un milione di scudi, e gliene occorrono due, gli basta persuaderli che uno scudo ne vale due, ed essi ci credono […] Arriva a far loro credere che può guarirli di ogni male toccandoli, tanto grande è la forza e il potere che ha sugli spiriti.”

Il papa è il capo dei cristiani. È un vecchio idolo, che ora viene incensato per abitudine […] Egli si dice successore di uno dei primi cristiani, chiamato san Pietro, e la sua è certo una ricca successione, perché ha immensi tesori e un vasto territorio sotto il suo dominio […] saprai che la religione cristiana è piena di un’infinità di pratiche difficilissime, e, avendo ritenuto che adempiere ai propri doveri è meno facile che tenere dei vescovi dai quali essere dispensati, per l’utilità pubblica si è preferito il secondo sistema. sicché se non si vuole fare il Ramadan, se non si vuole assoggettarsi alle formalità del matrimonio, se si vogliono rompere i voti, se ci si vuole sposare contro le proibizioni della legge; qualche volta, perfino, se si vuole andar contro il giuramento fatto, si va dal vescovo o dal papa che danno subito la dispensa.

Qui l’allusione è alla facoltà che avevano i vescovi i fornire ai singoli (se potenti) esenzioni speciali in materie regolamentate dalle leggi religiose

capItOlO 6 - l’IllumINISmO

Questo è un riferimento al rosario

C’è un numero infinito di dottori, in maggioranza dervisci, che tra di loro sollevano mille nuove questioni sulla religione […]. Coloro che mettono fuori qualche nuova proposizione vengono dapprima chiamati eretici […]. Ho sentito dire che in spagna e in Portogallo ci sono dei dervisci che non scherzano, e bruciano un uomo come fosse paglia. Quando si cade tra le mani di quella gente, fortunato colui che ha sempre pregato Dio con piccoli grani di legno in mano. senza di ciò un povero diavolo si trova in un brutto imbarazzo. Quand’anche giurasse come un pagano di non essere eretico, sarebbe possibile non arrivare ad accordarsi sulle qualità e bruciarlo come eretico. Avrebbe un bel presentare la sua distinzione: niente distinzione! sarebbe in cenere ancor prima che pensassero di ascoltarlo.

Anche in questo brano, come nel precedente, montesquieu traduce le stranezze della società monarchico-cristiana occidentale in immagini (il Ramadan, per esempio, e i dervisci) comprensibili ai suoi possibili interlocutori

In un altro passaggio, Montesquieu/Rica indugia ancora su quelli che egli ritiene i lati irrazionali della religione cattolica, e ricorda come le donne non siano ritenute degne di accostarsi alle Sacre Scritture, un pregiudizio che il papa aveva riproposto ancora nel Settecento:

nella percezione cristiana l’Islam si caratterizza per una forte componente misogina, ma qui l’obiettivo è far vedere come essa sia presente anche nel cattolicesimo

Bisogna tuttavia riconoscere che questo muftì [cioè il papa] non ragiona poi male, e, per il grande Alì, si crederebbe che sia stato istruito nei principi della nostra santa legge. Infatti, poiché le donne sono di una creazione inferiore alla nostra, e i nostri profeti dicono che non entreranno in Paradiso, perché dovrebbero impicciarsi di leggere un libro che è fatto per insegnare la via del Paradiso? C. de secondat de montesquieu, Lettere persiane, lettere XXIV e XXIX, Rizzoli, milano 2000

il riferimento è alle Sacre Scritture, presentate come la versione cristiana del Corano

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato di analizzare alcuni passaggi di una singola fonte, che è costituita da un’opera filosofica scritta in forma di racconto, un genere letterario piuttosto diffuso nel Settecento. • Nel primo dei brani qui proposti l’Europa viene rappresentata come una civiltà immersa nella superstizione e nella credulità. Ma gli europei come consideravano, all’epoca, quell’Oriente dal quale proviene il principe Usbek che anima il racconto di Montesquieu? • Qual è il sentimento prevalente che affiora dal racconto di Montesquieu? Qual è il valore che egli intende sostenere, mostrando attraverso l’arma del sarcasmo quanto esso sia poco considerato nell’Europa religiosa del suo tempo?

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capItOlO 6

L’ILLUMINISMO

mappa Rivoluzione scientifica e metodo sperimentale

Attenzione al mondo sensibile (materialismo)

Diffusione del metodo sperimentale e della libertà di ricerca

Rivalutazione dell’utilità pratica della scienza

Opera simbolo: Encyclopédie

fenomeno elitario

IllumINISmO

Strumenti di diffusione: • Massoneria • gabinetti scientifici,

Limiti pregiudizio antifemminile

circoli letterari

Idee

Religione

politica

Uso critico della ragione

Tolleranza religiosa

Volontà di riforma

Tolleranza

Deismo

Dispotismo illuminato

Economia

Rifiuto dell’intervento statale Fisiocrazia

oppure

Uso pratico della scienza Rifiuto del dogmatismo

oppure

Agnosticismo o ateismo

Liberismo Monarchia costituzionale oppure

Repubblica

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capItOlO 6

L’ILLUMINISMO

Sintesi 6.1 LA SCIENZA NEL SETTECENTO La rivoluzione scientifica è una premessa fondamentale per lo sviluppo dello spirito illuminista. Grazie al metodo sperimentale, essa mise in discussione l’accettazione acritica delle verità rivelate e della tradizione aristotelico-scolastica e diede un forte impulso allo sviluppo della libertà di ricerca e di pensiero. Inoltre, grazie alla rivoluzione scientifica cominciarono a nascere gruppi, associazioni, circoli, club che permisero la diffusione della nuova vocazione sperimentale. nel settecento divenne centrale l’attenzione al mondo dei sensi e all’utilità pratica delle scoperte scientifiche. Venne meno il divario tra teoria e pratica, tra studi teorici e attività. simbolo di questa nuova mentalità fu l’Encyclopédie, pubblicata tra il 1751 e il 1772 da Diderot e d’Alembert. 6.2 LA FIDUCIA NELLA RAgIONE E LA CRITICA ALLA RELIgIONE TRADIZIONALE La comune critica al peso della tradizione e la crescente fiducia nei poteri della ragione non portarono però gli illuministi ad avere una visione comune riguardo al problema religioso. Alcuni continuarono a credere nell’esistenza di un dio razionale, ma teorizzando un approccio individuale alla fede (deismo); mentre altri arrivarono a negare l’esistenza della divinità, professando l’ateismo o l’agnosticismo. Comune a tutti fu però il ripudio del fanatismo e l’affermazione del principio di tolleranza, ben esemplificato dalla nascita della Massoneria, un’associazione segreta di cui fecero parte i principali intellettuali dell’epoca e anche alcuni regnanti. Fondata nel 1717 in Inghilterra, essa professava la fratellanza e la tolleranza universale e per questo fu condannata dalla Chiesa nel 1734. 6.3 LA CRITICA SOCIALE E LE NUOvE TEORIE ECONOMIChE Gli illuministi sottoposero all’esame della ragione anche la società di antico regime, fondata su privilegi e diseguaglianze, che venivano ormai percepiti come mortificanti e oppressivi. sorsero molti luoghi (accademie, associazioni, salotti, ma anche circoli e caffè) deputati alla formazione dell’opinione pubblica, ossia l’opinione sui problemi di interesse generale.

La nuova attitudine collettiva a leggere e a ragionare pose basi solide per lo sviluppo di una critica alle divisioni che separavano l’uno dall’altro i vari corpi della società. si diffusero nuove teorie “scientifiche” della società come l’utilitarismo di Jeremy Bentham, che professava la “massima felicità per il maggior numero di persone”. nacque la nuova scienza economica, che propugnava la libertà di commercio e rifiutava l’intervento dello stato nelle questioni economiche. Questa posizione venne teorizzata dai fisiocratici che riconoscevano nell’agricoltura l’unica vera ricchezza della nazione, e poi ripresa dal liberismo di Adam smith, che con la teoria della “mano invisibile” sosteneva la possibilità di un accordo armonico tra l’interesse individuale e l’utilità collettiva.

6.4 L’ILLUMINISMO E LA POLITICA Dal punto di vista politico, pur nella comune critica degli arbitri del potere costituito, diverse furono le posizioni relative al tipo di governo da instaurare. Alcuni illuministi, come Voltaire, ritenevano che le riforme sociali dovessero essere promosse dall’alto grazie alla collaborazione tra sovrani illuminati e intellettuali; altri, come Montesquieu, preferivano il modello costituzionale inglese, basato sulla limitazione del potere del re da parte del Parlamento. Infine Rousseau si spinse fino alla proclamazione della sovranità popolare. 6.5 I LIMITI DELL’ILLUMINISMO nonostante la sua importanza nel rinnovamento culturale e sociale, l’Illuminismo restò però un movimento elitario che coinvolse solo una parte della popolazione, quella borghese. Esso, inoltre, continuò a ribadire i tradizionali pregiudizi sul ruolo della donna nella società, ritenuta indegna di far parte del nuovo mondo della ragione. Bisognerà attendere il 1792 per vedere per la prima volta rivendicato dall’inglese mary Wollstonecraft il diritto alla cittadinanza femminile.

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Capitolo 7

InghIlterra, FrancIa e PenIsola IberIca: vecchIe e nuove lIbertà 7.1  L’Inghilterra degli Hannover   Gli Hannover sul trono

LESSICO Giacobiti Erano così definiti i sostenitori del deposto Giacomo II, i quali, ancora fino alla metà del Settecento, cercarono di ottenere la restaurazione della dinastia Stuart sul trono d’Inghilterra.

William Hogarth, La sollecitazione dei voti elettorali, 1754 (Londra, Sir John Soane’s Museum)

Il dipinto ironizza sulla corruzione della classe politica in occasione delle elezioni del 1754, raffigurando una complicata scena in un piccolo centro inglese in una via su cui si affacciano due locande Davanti all’insegna di una delle osterie pende un cartello elettorale: nella parte superiore è raffigurato un carro dinanzi al ministero del Tesoro, su cui si caricano sacchi colmi di danaro; nel registro inferiore appare un candidato mentre elargisce danaro a manciate Al centro i gestori delle due locande si contendono un ricco signorotto che accetta lusinghe da entrambi

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nel corso del settecento l’Inghilterra imboccò con decisione quel cammino verso la libertà moderna che la Glorious revolution del 1688 aveva avviato (v. cap. 3, par. 3.3). all’interno della società inglese, specie nelle file dell’aristocrazia, esistevano in verità forze che coltivavano ancora il sogno di una restaurazione della monarchia tradizionale, immaginando di richiamare sul trono alla prima occasione propizia qualche discendente del deposto giacomo II stuart. si trattava dei cosiddetti giacobiti, che a tal fine operarono tentativi armati una prima volta nel 1715 e una seconda tra il 1745 e il 1746, ma i loro progetti fallirono, anche se, in occasione del secondo tentativo, gli insorti giunsero alle porte di londra e il re in carica, Giorgio II (1683-1760, re d’Inghilterra dal 1727), considerò seriamente l’ipotesi di abbandonare la città per mettersi in salvo. giorgio II apparteneva alla dinastia degli Hannover, una casata tedesca che aveva assunto la responsabilità della corona d’Inghilterra nel 1714, alla morte della regina anna stuart.

già nel 1701, infatti, il Parlamento inglese aveva approvato l’Act of Settlement che fissava il principio dell’adesione alla fede protestante, quale prerequisito per cingere la corona inglese, ed escludeva dalla successione la linea maschile della dinastia cattolica degli stuart. con gli hannover approdava al trono d’Inghilterra una dinastia i cui primi due esponenti, giorgio I (1660-1727, re d’Inghilterra dal 1714) e giorgio II mantennero saldi i legami con la lingua, la cultura e la terra d’origine, che costituiva uno degli elettorati del sacro romano impero.   L’affermazione del sistema parlamentare

Il relativo disinteresse degli Hannover per le questioni inglesi facilitò la piena affermazione del sistema parlamentare. entrambi i sovrani, infatti, non fecero mai uso di quel diritto di veto (la prerogativa regia) nei confronti delle deliberazioni parlamentari che in teoria la legge vigente accordava ai regnanti. si consolidò, viceversa, la consuetudine che il governo, titolare del potere esecutivo, fosse tenuto a procurarsi preventivamente una maggioranza parlamentare di sostegno, anche se a nominarne i membri era il sovrano di turno. ecco come uno storico descrive la situazione che ne scaturì: «Il re, la camera dei lord e la camera dei comuni costituivano il corpo legislativo della nazione, ma il re ne faceva parte solo di nome, poiché l’unico suo diritto, cioè il diritto di veto, non venne più usato dai tempi della regina anna» (W. r. brock). nasceva il cosiddetto governo di Gabinetto, dipendente non dal re, ma dal Parlamento che poteva revocarlo. e il Parlamento – o, meglio, la camera dei comuni – era a sua volta l’espressione di un corpo elettorale che, per quanto ristretto, rappresentava le forze prevalenti di una società nella quale le élite sociali vecchie e nuove stavano avviando inedite esperienze di interscambio e mescolamento: «banchieri, avvocati, mercanti di grano acquistavano le proprietà fondiarie delle antiche famiglie aristocratiche, mentre i membri più giovani di queste si davano a loro volta al commercio, alla giurisprudenza o si facevano assumere dalla compagnia delle Indie orientali». Il ceto politico parlamentare, d’altro canto, si configurava anche come ceto di governo locale, dal momento che i suoi esponenti assumevano molto spesso quella carica di giudice di pace, il cui esercizio consentiva di agire come patroni all’interno dei borghi (boroughs), perlopiù rurali, che fornivano al Parlamento tre quarti dei membri. Il giudice di pace era l’autorità più importante delle comunità locali, e gli si dovevano rispetto e deferenza.

LESSICO Diritto di veto Dal latino veto, “vietare”, nel diritto pubblico romano indicava la facoltà di opposizione del magistrato o del tribuno. Per estensione indica la prerogativa di bloccare o rigettare una decisione assembleare esprimendo parere negativo.

  I whigs e i tories

l’Inghilterra degli hannover, un paese la cui società si mostrava sempre più sensibile al fascino della ricchezza acquisita attraverso le attività commerciali e sempre meno propenso a rispettare i tradizionali steccati di status, durante la prima metà del secolo fu guidata dal partito whig, la cui base sociale era formata soprattutto da proprietari fondiari (la gentry) e nuovi imprenditori, ma al cui elettorato contribuivano attivamente anche i dissidenti religiosi, che riconoscevano nella sua ideologia, liberale e progressista, la miglior tutela per il rispetto della loro fede. all’opposizione stava invece il partito tory, conservatore. Il grande protagonista della vita politica in quei decenni fu il whig robert Walpole (1676-1745) che, capo del gabinetto tra il 1721 e il 1742, impostò una strategia tesa a favorire quell’espansione finanziaria e commerciale che rappresentava uno dei vanti della nuova società inglese; una società che nutriva una fiducia inedita nei confronti del pubblico potere e che, per questo, acquistava per esempio senza remore i suoi titoli di Stato sapendo che a garantire il debito pubblico c’era il Parlamento.

Il laboratorio dello storico Il codice dell’abbigliamento, p. 172

MEMO La gentry era la piccola nobiltà terriera affermatasi in Inghilterra soprattutto nel Cinquecento. Sostenne la politica parlamentare durante la rivoluzione inglese.

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

LESSICO Clientelismo Nell’antica Roma era il legame giuridico che si instaurava tra patrizi e plebei (clientes ). Per estensione, indica generalmente la pratica di scambio tra un politico, che offre e promette benefici, e un cittadino che gli garantisce il suo voto alle elezioni. Patronato Nel diritto romano è il rapporto personale che si stabilisce tra padrone e liberto (lo schiavo liberato) in seguito all’affrancamento. In generale indica un rapporto di protezione e di tutela.

  Gli intrecci tra politica e amministrazione

Il Parlamento, diviso tra una Camera dei Lord, nella quale si respirava un’atmosfera ancora simile a quella di un’alta corte di giustizia (tipica delle rappresentanze territoriali di antico regime), e una Camera dei Comuni nella quale predominava invece lo stile di discussione animato e a tratti rissoso caratteristico del conflitto politico moderno, basato sullo scontro tra interessi contrapposti, era al tempo stesso il canale d’espressione dell’opinione pubblica e lo strumento di distribuzione delle cariche dell’apparato amministrativo. tra Parlamento e amministrazione c’era di fatto un’osmosi, non di rado contraddistinta da forme di clientelismo e di patronato. I deputati, infatti, costruivano il proprio successo offrendo ai propri elettori ricompense sotto forma di assegnazione di cariche pubbliche, alle quali erano connessi benefici finanziari. e, tuttavia, la loro funzione non si esauriva naturalmente in questo; nella sede parlamentare, infatti, in primo luogo si tutelava quella libertà britannica di cui gli inglesi andavano particolarmente fieri e che costituiva oggetto di ammirazione, se non di invidia, presso l’opinione pubblica progressista di tutta europa.   Il regno di Giorgio III

Allan Ramsay, Giorgio III di Hannover, 1762 circa

sotto il regno di Giorgio III (1738-1820, re d’Inghilterra dal 1760) vi fu un iniziale tentativo da parte del monarca di far pesare di nuovo l’istituto della prerogativa regia nella guida del paese, anche a costo di sfidare la maggioranza parlamentare e il suo naturale retroterra di legittimazione, il corpo elettorale e l’opinione pubblica. egli si appoggiò ai tories per contrastare lo strapotere dei whigs. Il risultato non fu però tanto un ritorno all’indietro, quanto semmai la nascita di nuove forze politiche di orientamento radicale, che rinforzarono nell’ambito della società civile un’opposizione guidata ora dai whigs. va ricordata, in tal senso, la figura di John Wilkes (1725-1797), leader democratico capace di coagulare attorno a sé un consenso crescente, che si proponeva non solo di estendere i diritti civili e religiosi, ma anche quelli politici, rivendicando la necessità di una riforma elettorale. nel frattempo, a partire dagli anni cinquanta, l’Inghilterra aveva arditamente consolidato l’egemonia commerciale sulle rotte mondiali che tanto doveva contribuire alle sue fortune tra sette e ottocento, e aveva al tempo stesso rafforzato i propri insediamenti coloniali.

APPROFONDIRE

La libertà britannica cosa consisteva esattamente la libertà britannica? EccoIW.nneche un quadro efficace e incisivo fornito dallo storico inglese R. Brock in Storia del mondo moderno: «Sebbene la costituzione fosse un concetto vago, tutti erano d’accordo nel ritenere che il suo scopo fondamentale era quello di garantire la libertà dell’individuo, un privilegio che la gente considerava peculiare della razza inglese, conquistato dalla saggezza e dai sacrifici delle generazioni precedenti. Un inglese non poteva essere né arrestato, né incarcerato, né punito arbitrariamente; non poteva neppure essere tassato senza il consenso dei suoi rappresen-

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tanti, che lui stesso aveva eletto; poteva riunirsi con i suoi amici e dire cosa pensava purché non turbasse la quiete pubblica; poteva scrivere quello che voleva, purché non si trattasse di una pubblicazione oscena o di un libello sedizioso, blasfemo o diffamatorio. Ma più realisticamente, poiché era il parlamento a fare le leggi, la libertà del cittadino consisteva nell’avere il diritto di fare tutto ciò che il parlamento considerava onesto oppure, poiché l’esecuzione della legge era nelle mani delle autorità locali, tale libertà consisteva nell’osservare la legge nel senso che queste autorità le attribuivano».

capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà

  L’era dei Pitt: le conquiste in America e in India

nel corso della Guerra dei sette anni, quando al governo si trovava William Pitt il vecchio (1708-1778), gli inglesi avevano strappato alla Francia il Canada e l’Ohio in america e la base di Pondichéry in India (ribattezzata Pondicherry), e alla spagna la Florida e parte delle Antille. nei decenni successivi – è vero – le colonie in nord america dichiararono la propria indipendenza, costituendosi in nazione (v. cap. 11); ma intanto l’Inghilterra, approfittando dello stato di crisi e disfacimento dell’Impero Moghul, avviò sotto la guida di Warren hastings, nominato nel 1771 primo governatore del bengala, la conversione della propria presenza nel subcontinente indiano da semplice rete di insediamenti costieri in vero e proprio dominio coloniale territoriale, pur sempre sotto le insegne della compagnia delle Indie orientali, che veniva però adesso fortemente controllata dal governo. negli anni Ottanta, mentre re giorgio III, in seguito all’aggravamento dei disturbi mentali di cui soffriva, si allontanava dalla vita pubblica, lasciando campo libero alla ripresa della centralità parlamentare, saliva alla testa del governo William Pitt il giovane (1759-1806), figlio dell’omonimo che aveva retto il gabinetto durante la guerra dei sette anni. I due mandati di Pitt il giovane (1783-1801, 1804-1806) si sarebbero contraddistinti da un lato per l’avvio del conflitto con la Francia rivoluzionaria (v. cap. 12), dall’altro per l’affermazione all’interno del paese di un’altra rivoluzione, quella industriale (v. cap. 10).

MEMO La Guerra dei sette anni fu combattuta tra il 1756 e il 1763 tra le potenze europee. Il conflitto aveva interessato anche le colonie, sancendo il predominio dell’Inghilterra sulla Francia [vedi p. 83]. L’Impero Moghul, fondato nel 1526 da un condottiero musulmano di origine afgana, Baber, tra il XVI e il XVII secolo aveva dominato sul vasto territorio della penisola indiana. Il dominio moghul cominciò a declinare nel Settecento anche a causa dell’espansionismo del conquistatore afgano Nadir Shah che nel 1736 assediò e saccheggiò Dehli [vedi pp. 16-18].

7.2  La Francia di Luigi XV   La scomparsa di Luigi XIV

appena un anno dopo l’ascesa al trono d’Inghilterra del primo hannover, nel 1715, moriva a Parigi Luigi XIV, colui che più di ogni altro aveva dato l’impronta all’età dell’assolutismo nell’europa continentale; subito si rese evidente come quell’esperienza fosse destinata a dissolversi insieme alla sua persona. Dopo i decenni del grande protagonismo regio e dell’imbavagliamento delle autonomie territoriali rappresentate dai Parlamenti e dagli États, ebbe infatti inizio una nuova fase durante la quale il potere monarchico – e la sua pretesa di irradiarsi senza ostacoli per diritto divino – sarebbe stato ripetutamente messo in discussione e impedito nelle sue iniziative. a intralciarlo furono per un verso i vecchi corpi privilegiati tornati di nuovo in pieno vigore, per l’altro gli strali della critica illuministica e dell’opinione pubblica che dietro di essa si celava. Un incontro al municipio di Parigi per discutere della costruzione di un monumento dedicato a Luigi XIV (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Fra i tre attori schierati in campo – il monarca, il mondo tradizionale e l’opinione pubblica ispirata dall’illuminismo – si apriva nel 1715 una confusa partita, durante la quale le alleanze o le convergenze mutarono più volte.   La reggenza di Filippo d’Orléans

LESSICO Polisinodia Dal greco poly´s, “molto” e sy´nodos, “riunione”, letteralmente “più consigli”, fu un sistema di governo che ebbe origine durante la reggenza del regno di Francia tra il 1715 e il 1718 da parte di Filippo d’Orléans. In questo sistema ogni questione veniva discussa in seno a un consiglio apposito, che sostituiva i tradizionali segretari di Stato o ministri.

Quando luigi XIv morì, il suo successore, il pronipote Luigi XV (1710-1774, re di Francia dal 1715), aveva appena cinque anni e a reggere il paese in sua vece fu un altro membro della casa reale, Filippo d’Orléans (1674-1723), uomo profondamente influenzato dalle opere di un nucleo di intellettuali che si battevano per il rilancio dell’aristocrazia e dei suoi poteri tradizionali, tra i quali Fénelon (com’era conosciuto François de salignac de la Mothe-Fénelon, 1651-1715) e henri de boulainvilliers (1658-1722). sotto Filippo il Parlamento di Parigi riacquisì immediatamente quel diritto di resistenza (cioè di impedire l’entrata in vigore di nuove leggi, v. cap. 2, par. 2.1)che aveva perduto durante il regno del re sole e il reggente istituì il sistema della “polisinodia”, articolato in sei consigli (consiglio di coscienza, su temi religiosi e morali; consiglio delle relazioni esterne; consiglio di guerra; consiglio della marina; consiglio delle finanze; consiglio degli interni e del commercio), ciascuno composto da dieci membri, molti dei quali appartenenti alla vecchia aristocrazia. l’insieme di questi consigli costituiva il consiglio di reggenza. ciò equivaleva a restituire alla Francia tradizionale una ben percepibile autorità di governo e a ribaltare le tendenze che erano state proprie del lungo regno di luigi XIv.   Il fallimentare tentativo di John Law

LESSICO Bancarotta Insolvenza, cioè mancato pagamento dei propri debiti, di un imprenditore costretto a dichiarare fallimento. Il termine deriva dall’antica usanza di rompere i banchi dei commercianti falliti.

MEMO La Fronda fu quell’insieme di sommosse che tra il 1648 e il 1653 mise a subbuglio la Francia, obbligando il giovanissimo Luigi XIV ad abbandonare la capitale Parigi insieme al cardinale Mazzarino, il quale lo assisteva come consigliere politico.

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nel frattempo lo stato stava rischiando la bancarotta. avendo rinunciato ad attaccare i corpi privilegiati sotto il profilo fiscale nel timore di una nuova Fronda, Filippo d’orléans pensò di portare qualche sollievo al dissesto economico ricorrendo ai servigi di John Law (1671-1729), uno spregiudicato finanziere scozzese che fu autorizzato a fondare una banca abilitata a emettere carta moneta, nella speranza che l’aumento della massa monetaria in circolazione rianimasse il ciclo economico. all’epoca la quantità di cartamoneta emessa da una banca corrispondeva al valore dei metalli preziosi in essa depositati, in modo che, su richiesta, il denaro potesse essere immediatamente convertito in oro e argento. law, invece, riteneva che questo metodo fosse superato e che la base delle emissioni dovesse essere legata ad altri beni come la terra e il capitale azionario. In un primo momento l’economia parve riprendersi e law non solo poté istituire la Compagnia delle Indie occidentali, delle cui azioni inizialmente venne fatta incetta, ma nel 1720 fu anche nominato controllore generale delle Finanze. la bolla speculativa alimentata dalle iniziative di law appena qualche mese dopo cominciò però a sgonfiarsi. la compagnia si rivelò un fallimento e ci fu una corsa febbrile a sbarazzarsi delle azioni e a riconvertirle in moneta. sopraffatta dalle richieste, la banca di law, che faceva da garante alle operazioni, non poté che annunciare la sospensione dei pagamenti e il finanziere scozzese, per evitare guai peggiori, fuggì precipitosamente dalla Francia, lasciando sul lastrico molti creditori. a tutelarli non c’era certo un’istituzione come quella del Parlamento elettivo inglese. Questa vicenda fu in qualche modo paradigmatica della diversa qualità della libertà fruita rispettivamente da chi, come i francesi, viveva esposto alle possibili vessazioni delle autorità e chi, come gli inglesi, non aveva da temere colpi mancini da parte dei pubblici poteri.

capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà

La consacrazione di Luigi XV re di Francia nel 1722, litografia, XIX secolo. Alla morte di Luigi XIV il suo successore aveva solo 5 anni e fino ai 12 (età in cui è raffigurato nella litografia) governò in sua vece Filippo d’Orléans

  Il regno di Luigi XV

nel 1723, alla morte di Filippo d’orléans, perdurando la minorità di luigi Xv, ora tredicenne, ad assumere di fatto la guida suprema del regno fu il suo precettore, il cardinale André-Hercule de Fleury (1652-1743), il quale per una ventina d’anni si sforzò di trovare un punto di equilibrio, per quanto precario, tra le varie fazioni che si contendevano l’iniziativa politica nell’ambito di una corte tornata in mano, dopo i fasti assolutistici di luigi XIv, alle varie famiglie aristocratiche. Quando, nel 1730, Fleury, assecondando gli auspici della fazione più devota e bigotta, cercò di trasformare in legge dello stato la bolla Unigenitus, emanata nel 1713 da clemente XI e accolta da luigi XIv con l’intento di perseguitare i giansenisti, fu il Parlamento di Parigi, geloso custode dell’autonomia della chiesa gallicana, a prendere le difese di questi ultimi, ingaggiando un nuovo prolungato conflitto con la monarchia. alla morte di Fleury, nel 1743, Luigi XV ritenne fosse ormai giunto il momento di governare in prima persona. egli morì nel 1774 e, se si contano anche gli anni della sua minorità, il suo regno (1715-1774) alla fine si rivelò lungo quasi quanto quello del suo predecessore, ma mentre il potere di luigi XIv era cresciuto costantemente, il suo venne costantemente sottoposto a tensioni centrifughe. Presso la sua corte, grazie alla marchesa di Pompadour (1721-1764), amante ufficiale del re, trovarono protezione i philosophes, gli uomini del “partito” illuminista, ma la loro propaganda antireligiosa trovò, al tempo stesso, un forte ostacolo nella fazione clericale, pure accreditata a corte e organizzata intorno alla legittima consorte del monarca. nel 1753 il Parlamento di Parigi, di fronte all’eventualità di una nuova stretta accentratrice e statalista, pubblicò le sue Grandes remontrances (“grandi rimostranze”), nelle quali riaffermava la propria funzione di custode e difensore delle leggi fondamentali dello Stato e adombrava la possibilità di dare vita a una nuova Fronda. Poco meno di dieci anni più tardi, nel 1762, fu soprattutto su sollecitazione dei Parlamenti che il re si decise, malgrado il disappunto della fazione clericale, ad aderire alla campagna antigesuitica avviata nel 1759 dal Portogallo e ad espellere a sua volta dal regno i gesuiti, i quali rappresentavano l’emblema più caratteristico dell’influenza di segno conservatore che la curia romana esercitava sull’istruzione pubblica e più in generale sulla cultura (v. par. 3).

MEMO I giansenisti appartenevano al movimento spirituale fondato dal vescovo di Ypres Cornelius Jansen, sostenitore di una fede profondamente interiorizzata e critico nei confronti delle gerarchie ecclesiastiche. Erano stati perseguitati da Luigi XIV che li considerava pericolosi per il suo progetto assolutistico [vedi p. 49].

Maurice Quentin de La Tour, Ritratto della marchesa di Pompadour, 17521755 circa (Parigi, Museo del Louvre)

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Uno spettacolo di fuochi d’artificio in occasione della fine della Guerra dei sette anni (1763)

  Il protagonismo parlamentare

Inclusione/Esclusione Ceti, ordini, caste, p. 177

nel 1763 i Parlamenti, sempre più fiduciosi nella propria forza, imposero al re il licenziamento del ministro delle Finanze henri-léonard bertin (1720-1792), che aveva proposto la redazione di un catasto moderno e l’introduzione di misure di liberalizzazione economica ispirate alle idee dei fisiocratici. era la prova evidente del fatto che i vecchi corpi privilegiati, parte delle cui aspirazioni erano proprio i Parlamenti a esprimere, mantenevano per il momento il controllo della situazione. lo avevano dimostrato, del resto, già nel corso degli anni cinquanta, con la loro azione di sabotaggio della nuova imposta del vingtième (il prelievo di un ventesimo sui redditi di qualsiasi natura), destinata a colpire tutti, compresi i ceti che fin lì avevano goduto di esenzione. Introdotta dal controllore delle Finanze Jean baptiste Machault (1701-1794), in carica tra il 1745 e il 1754, essa si era rivelata talmente efficace da scatenare una reazione così forte da obbligare il governo a tornare indietro sui propri passi.   Il “colpo di Stato” di Maupeou contro i Parlamenti

tra il 1770 e il 1774 il nuovo cancelliere, rené nicolas de Maupeou (17141792) riuscì a convincere luigi Xv a effettuare una virata antiparlamentare che per la sua radicalità assomigliava molto a un colpo di stato. al dicastero degli esteri il filoparlamentare Étienne-François de choiseul (1719-1785), che guidava la politica estera della Francia dal 1758, venne sostituito dal duca di Aiguillon (17201782). egli qualche anno prima era stato allontanato dalla bretagna, dove rappresentava il re, dal Parlamento locale, che era sceso quasi in sollevazione accusandolo di voler trasformare il governo monarchico in puro e semplice dispotismo. a controllare le finanze, formando una triade di governo con Maupeou e aiguillon, era stato nel frattempo chiamato Joseph-Marie Terray (1715-1778), anch’egli tutt’altro che ben disposto nei confronti delle pretese dei Parlamenti. Insieme si impegnarono in un’azione volta a ricondurre questi ultimi entro quelli che ritenevano dovessero essere i loro limiti, ed ebbero qualche successo nel temperarne e circoscriverne i continui ostruzionismi. al tempo stesso la loro politica si indirizzò verso la promozione di quel commercio transoceanico, specie con le Indie occidentali, che, malgrado gli insuccessi di law, e la successiva perdita del canada e di altri territori nell’america del nord al termine della guerra dei sette anni, pure si presentava come il promettente 168

capItOlO 7 - INghIltErra, FraNcIa E pENISOla IbErIca: vEcchIE E NuOvE lIbErtà

scenario di un rilancio economico che comportava anche l’avvio di un rimescolamento di posizioni al vertice delle gerarchie sociali del declinante antico regime francese. Il rinnovarsi e il rafforzarsi di questi commerci erano la prova che, accanto ai vecchi corpi privilegiati, una borghesia degli affari emergente cominciava a pretendere per sé un’adeguata considerazione da parte del governo. nel 1774, tuttavia, l’ascesa al trono di Luigi XVI (1754-1793) parve annunciare una nuova inversione di tendenza e si concretizzò, inizialmente, nell’ennesima ripresa della vecchia Francia alla quale i Parlamenti davano voce.

ANALIZZARE LA FONTE

Il sogno di un futuro migliore Autore: Louis Sébastien Mercier – Tipo di fonte: romanzo – Lingua originale: francese – Data: 1770 Nel 1770 un parigino si addormenta, come ogni giorno; ma non si risveglia la mattina seguente, bensì sette secoli dopo, nell’anno 2440. Comincia così L’anno 2440, un romanzo scritto dal francese Louis Sébastien Mercier (1780-1814), la prima opera narrativa in cui si faccia uso della tecnica “fantascientifica” della proiezione della narrazione nel futuro. L’io narrante si era addormentato in quella Francia che abbiamo descritto in questo paragrafo: la Francia della riscossa aristocratica, del rinvigorito protagonismo dei Parlamenti, del momentaneo opacizzarsi dell’irradiazione ideale illuminista. Ma il mondo in cui egli riapre gli occhi dopo il lungo sonno sembra situato lontano anni luce rispetto a quello della sera precedente; infatti non vi si rispettano e nemmeno si conoscono le regole relative al rango, né si attribuisce importanza al codice dell’abbigliamento tipico dell’antico regime. Stupito dalla bizzarria dei pomposi abiti dell’io narrante, un abitante del 2440 si offre di aiutarlo a rivestirsi in modo tale da non sembrare ridicolo:

Abitante del 2440: «Mi offro volentieri a servirvi da guida; ma cominciamo, vi prego, con l’entrare dal primo rigattiere che troviamo, poiché […] non potrei accompagnarvi se non foste vestito decentemente. riconoscerete, per esempio, che in una città civile, in cui il governo proibisce ogni lotta e risponde della vita di ogni singolo cittadino, è inutile, per non dire indecente, ingombrarsi le gambe con un’arma mortale, mettere la spada al fianco per andar a parlare a Dio, alle donne e agli amici. Dunque, via la spada! Il mondo è cambiato. […] come è fastidioso e malsano il vostro abbigliamento! le vostre spalle e le vostre braccia sono imprigionate, il vostro corpo è compresso, il petto serrato, non respirate […] ogni tempo porta con sé nuove mode, ma o io mi sbaglio proprio, o la nostra è piacevole quanto salutare: osservate». E l’io narrante osserva: «I suoi capelli ben intrecciati formavano un nodo dietro la testa e una leggera ombra di polvere li lasciava del loro colore naturale. Questa semplice acconciatura non presentava né una piramide imbellettata di pomata e d’orgoglio, né quelle ali tetre che danno un’aria sbigottita, né quei riccioli immobili che, lungi dal delineare una capigliatura fluente, non hanno altro merito che quello di una rigidità senza espressione e senza grazia […]». Una volta effettuato il “rivestimento” dello stordito parigino del Settecento, il dialogo continua e la metafora del vestiario si concretizza in una riflessione sulla società. Il protagonista dello strano risveglio: «le cose mi sembrano un po’ cambiate, dissi alla mia guida; vedo che tutti vestono in modo semplice e modesto e da quando camminiamo non ho ancora incontrato un solo abito dorato; non ho visto galloni, né polsini di pizzo. ai miei tempi un lusso puerile e rovinoso aveva deviato tutti i cervelli; un corpo senz’anima era sovraccarico di dorature e l’automa allora assomigliava a un uomo». L’abitante del 2440: «È proprio ciò che ci ha portato a disprezzare l’antica livrea dell’orgoglio. Il nostro occhio non si ferma alle apparenze. Quando un uomo si è fatto conoscere per aver primeggiato nella sua arte, non ha bisogno di un abito magnifico, […] non ha bisogno né di ammiratori che lo esaltino, né di protettori che lo sostengano: parlano le sue azioni e ogni cittadino si prodiga a chiedere per lui la ricompensa che esse meritano». l. s. Mercier, L’anno 2440 (1770), Dedalo, bari 1993 Domande alla fonte 1. Perché portare la spada viene ritenuto un segno di indecenza da parte dell’abitante del 2440? 2. Di quali gruppi sociali rappresentano il simbolo gli abiti “modesti” caratteristici del mondo del futuro? 3. A quale ceto sociale è da collegare «l’antica livrea dell’orgoglio»? 169

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

7.3  Le riforme nella penisola iberica   La Spagna di Filippo V MEMO Jean-Baptiste Colbert era stato il controllore generale delle Finanze francese dal 1661 al 1683, durante il regno di Luigi XIV; aveva sostenuto una politica di “nazionalismo economico” consistente nell’imposizione di pesanti dazi doganali e nella promozione di un forte settore manifatturiero anche con la creazione di vere e proprie industrie di Stato [vedi p. 47].

Filippo V di Borbone consolidò la propria posizione di sovrano al termine della guerra di successione spagnola nel 1714 e regnò fino al 1746. la spagna si presentava all’inizio del suo regno in una situazione di collasso economico, frutto delle tendenze maturate negli ultimi stanchi decenni dell’era asburgica. accanto a Filippo v, nella nuova monarchia, ricoprì un ruolo strategico la sua seconda moglie, Elisabetta Farnese (1692-1766), che molto premette per rilanciare il ruolo della corona di spagna nel Mediterraneo e in particolare in Italia; qui, durante gli anni Trenta, Madrid riuscì a riavere il Regno di Napoli, passato agli asburgo di vienna alla fine della guerra di successione spagnola. Inoltre acquisì il Ducato di Parma e Piacenza. oltre a elisabetta e alla sua longa manus, il cardinale Giulio Alberoni (1664-1752), una parte significativa nel rilancio della monarchia in spagna fu svolta dai funzionari, formatisi alla scuola di Colbert, giunti nella penisola iberica insieme a Filippo v. cercarono infatti di portarvi qualcosa dello spirito assolutista della Francia del re sole, e di arginare lo strapotere di Chiesa e nobiltà.   Il regno di Carlo III

In spagna la vera stagione delle riforme, però, ebbe luogo nella seconda metà del secolo, sotto il regno di Carlo III (già re di napoli dal 1734 al 1759), che iniziò alla morte del successore di Filippo v, Ferdinando vI (1713-1759, re di spagna dal 1746). attorniato da ministri illuminati come il conte di aranda (1719-1798), Pedro rodriguez de campomanes (1722-1802), il conte di Floridablanca (17301808), carlo III esercitò una vigorosa azione riformatrice. la inaugurò cacciando i gesuiti e proseguì amputando le immunità ecclesiastiche e limitando i poteri dell’Inquisizione. Promosse inoltre il rinnovamento degli studi universitari e cercò di rivitalizzare la stanca economia del paese – ormai privo di quel flusso di metalli preziosi americani che per oltre un secolo aveva compensato la sua fragilità interna – con misure di liberalizzazione del commercio e della produzione.

Il re Carlo III di Borbone visita la basilica di San Pietro a Roma nel 1745 (Napoli, Gallerie nazionali di Capodimonte)

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Il terremoto di Lisbona in una illustrazione dell’epoca. La mattina del giorno di Ognissanti del 1755 un terribile terremoto distrusse la città di Lisbona causando la morte di più di diecimila persone. La catastrofe colpì profondamente la sensibilità degli intellettuali dell’epoca suscitando un acceso dibattito sui temi dell’ottimismo e della provvidenza. Il più celebre intervento fu lo scritto di Voltaire Poema sul disastro di Lisbona.

Favorì infine l’istituzione di comunità scientifiche in parte finanziate dallo Stato, che avrebbero dovuto portare una ventata di rinnovamento nelle pratiche agricole: le “società economiche degli amici del paese”, nelle quali, in analogia a quanto accadeva in altri paesi europei, si raccolse quell’opinione pubblica illuminata di cui abbiamo già parlato (v. cap. 5).   Il Portogallo di Pombal

Dal 1770 nel regno di Portogallo, retto dalla dinastia dei braganza, a svolgere un’importante azione riformatrice fu il ministro sebastiao José de carvalho e Melo, marchese di Pombal (1699-1782), l’uomo che aveva presieduto alla ricostruzione di Lisbona dopo il catastrofico terremoto che la sconvolse nel 1755. tale azione si concretizzò soprattutto in drastiche misure antiecclesiastiche (oltre che antinobiliari), tanto più coraggiose in quanto la società portoghese era tra le più tradizionaliste d’europa: nel 1759 ci fu la prima espulsione dei gesuiti da uno stato europeo, decretata allo scopo di ridurre l’influenza che attraverso di essi la curia esercitava sulla formazione culturale dei ceti dirigenti (v. anche cap. 9, par. 9.3). Pombal promosse inoltre la statalizzazione degli studi superiori, fino a quel momento affidati in larga parte alle cure dei gesuiti. egli aprì l’Università di Coimbra all’afflusso di specialisti stranieri, con l’intenzione di farli contribuire allo sviluppo del settore delle scienze moderne, dal cui contributo ci si attendeva l’impulso al rinnovamento economico del paese.

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Il laboratorio dello storico

Il codice dell’abbigliamento

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche e aree geografiche

La moda dei nobili e quella dei borghesi Le spade al fianco, le pompose bardature che fanno del corpo un prigioniero, le parrucche imbellettate, i galloni, i polsini di pizzo, le dorature: sono tutti simboli di un mondo che il Settecento delle “libertà tradizionali” ripropose, ma che quello della libertà moderna tendeva a ritenere ormai anacronistico. Ce lo dice anche l’iconografia. Per rendercene conto, confrontiamo un ritratto prorompente e stracarico di orpelli dipinto nel 1727 con l’immagine, essenziale e discreta offertaci nel 1777, di un inglese appartenente alla borghesia di campagna. Certo, i due personaggi qui raffigurati appartenevano a società diverse per valori e consuetudini: la Francia, che ancora si faceva custode della libertà “ tradizionale”, basata sul privilegio, e l’Inghilterra, che aveva conosciuto invece una modernizzazione tanto politica quanto sociale. E tuttavia vissero, grosso modo, nella stessa epoca.

si noti la pomposità della parrucca, che costituiva un elemento di visualizzazione irrinunciabile per i rappresentanti dell’alta aristocrazia, come il dignitario di corte raffigurato in questo dipinto

l’armatura, più che offrire una vera e propria protezione contro eventuali colpi di arma da taglio o di arma da fuoco, si integra come componente ornamentale nel raffinato abbigliamento di colui che la indossa

Nicolas de Largillière, Ritratto di André François Alloys de Theys d’Herculais, 1727 (New York, Metropolitan Museum of Art)

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Essenziale e discreto, l’abito del borghese non fa concessioni apparenti al lusso. Di colore scuro, ravvivato da un gilet di colore chiaro che spunta dalla corta martingala, non teme sporco e usura ed è senz’altro adatto a una vita di lavoro, che concede ben poco spazio a svaghi e ozio

a differenza dell’alto dignitario francese raffigurato nell’altro ritratto, questo gentiluomo di campagna inglese non porta la parrucca

anche i due cappelli tenuti nelle mani dei due personaggi sono molto diversi: sobrio quello impugnato dal borghese; completo di piume e ricco di ornamenti quello che regge in mano il dignitario francese Sir Joshua Reynolds, Squire Musters, 1777 (Washington, National Gallery of Art)

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio si è cercato, confrontando tra loro due dipinti realizzati a circa mezzo secolo l’uno dall’altro, di valorizzare lo specifico “codice” di rappresentazione costituito dall’abbigliamento utilizzandolo come fonte per illustrare le differenze di valori tra aristocrazia e borghesia nell’Europa del Settecento. • Come mai, all’interno di questo confronto, il ruolo di rappresentante della tradizione spetta a un francese e quello di rappresentante dell’innovazione a un inglese? • Perché, secondo te, il dignitario francese è raffigurato in un interno e, invece, il borghese britannico all’ esterno, nella natura?

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capItOlO 7

mappa

INGhILTERRA, FRANCIA E PENIsOLA IBERICA: vECChIE E NuOvE LIBERTà

INghIltErra dEglI haNNOvEr

Relativo disinteresse di giorgio I e giorgio II per la politica inglese

giorgio III si appoggia ai tories

governo di Gabinetto: Walpole favorisce i wighs e la borghesia

Tentativo di restaurare le prerogative regie

Giorgio III si ritira e riprende l’attività parlamentare con William pitt il giovane

FraNcIa dI luIgI Xv

Reggenza di Filippo d’Orléans: • polisinodia • rischio di bancarotta con il

Reggenza del cardinale Fleury: contrasti tra cattolici conservatori di corte e giansenisti

sistema finanziario di Law

Governo diretto di luigi Xv: • “colpo di Stato” di Maupeou • ostruzionismo parlamentare • ripresa del commercio transoceanico

pENISOla IbErIca

Spagna dei borbone

Sotto Filippo v: • recupero di Napoli e acquisizione di Parma e Piacenza • azione assolutista dei funzionari di origine francese

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sotto carlo III: • misure antiecclesiastiche

• promozione degli studi universitari

• liberalizzazione economica

portogallo dei braganza

Riforme del ministro Pombal: • cacciata dei gesuiti e misure antinobiliari

• statalizzazione degli studi superiori

capItOlO 7

INGhILTERRA, FRANCIA E PENIsOLA IBERICA: vECChIE E NuOvE LIBERTà

Sintesi 7.1 L’INGhILTERRA DEGLI hANNOvER Dal 1714 salì al trono di Inghilterra la nuova dinastia tedesca degli Hannover. I suoi primi due esponenti, Giorgio I e Giorgio II, si disinteressarono della situazione politica inglese, favorendo il consolidamento del regime parlamentare. Il ceto politico parlamentare, dominato dal partito whig, a cui si opponeva il partito tory, estese il suo potere anche a livello locale. l’esponente più significativo di questa stagione politica fu robert Walpole, capo di gabinetto tra il 1721 e il 1742, che favorì l’espansione finanziaria e commerciale dell’Inghilterra. Giorgio III cercò di ripristinare l’istituto della prerogativa regia, appoggiandosi ai tories per ridurre lo strapotere whig. In questo periodo nacquero anche importanti movimenti radicali, tra cui quello di John Wilkes che voleva estendere non solo i diritti civili e religiosi, ma anche quelli politici. Furono questi gli anni della grande espansione coloniale dell’Inghilterra che, dopo la guerra dei sette anni, ottenne dalla Francia il canada e l’ohio in america e la base di Pondicherry in India, e dalla spagna la Florida e parte delle antille. negli anni ottanta, sotto il governo di William Pitt il giovane, l’Inghilterra si trovò da un lato a fronteggiare la rivoluzione francese, dall’altro a promuovere in patria quella industriale. 7.2 LA FRANCIA DI LuIGI Xv alla morte di luigi XIv, in Francia il potere monarchico venne messo in discussione sia dai vecchi corpi privilegiati sia dalla nuova opinione pubblica illuministica. Data la minorità di luigi Xv, il paese fu retto da Filippo d’Orléans che ridiede agli aristocratici e ai Parlamenti quel potere che era stato loro sottratto dal re sole. Dal punto di vista economico il reggente si affidò a uno spregiudicato finanziere, John Law, la cui azione speculativa finì per inasprire la crisi economica della Francia. alla morte di Filippo d’orléans, nel 1723, la reggenza passò al precettore del tredicenne luigi Xv, il

cardinale Fleury, che mantenne un certo equilibrio tra le diverse fazioni presenti a corte. nel 1743 Luigi XV decise di prendere il potere in prima persona. Influenzato in parte dai philosophes, nel 1764 il re iniziò una campagna antigesuitica che finì con l’espulsione dell’ordine dal paese. Durante il suo regno, però, il potere rimase incontrastato nelle mani dei corpi privilegiati che sabotarono ogni tentativo di riforma fiscale a loro danno. solo negli ultimi anni del suo regno, grazie all’opera antiparlamentare del nuovo ministro Maupeou, luigi Xv sembrò cambiare rotta, promuovendo il commercio transoceanico e favorendo la borghesia degli affari. Ma l’ascesa al trono di luigi XvI pose fine a questa breve parentesi.

7.3 LE RIFORME NELLA PENIsOLA IBERICA Dopo la guerra di successione la spagna era in una situazione di collasso economico. Filippo V riuscì in parte a risollevarla garantendole un nuovo ruolo di prestigio nel Mediterraneo, riacquisendo il regno di napoli e i nuovi domini di Parma e Piacenza. la spagna visse una vera e propria stagione di riforme sotto Carlo III, che cacciò i gesuiti, amputò le immunità ecclesiastiche e limitò il potere dell’Inquisizione. Inoltre, rinnovò gli studi universitari e cercò di rivitalizzare l’economia del paese con misure di liberalizzazione. ancora più radicale fu in Portogallo l’azione del marchese di Pombal, il primo in europa a espellere i gesuiti (1759). egli adottò drastiche misure anti-ecclesiastiche e antinobiliari e promosse la statalizzazione degli studi superiori.

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Identità collettiva e cittadinanza

t Inclusione Esclusione

Due nobili alla vigilia della Rivoluzione francese

ceti, ordini, caste I dislivelli di status sociale

t

utte le società eurasiatiche, nel corso dell’età moderna, risultavano divise al proprio interno in base a una stratificazione basata sul rango. Il rango è una condizione che un individuo condivide con altri e alla quale corrisponde una determinata collocazione nella scala gerarchica della società. A essa si connette la fruizione di privilegi particolari e differenziati, che distinguono le persone le une dalle altre. Chi appartiene a un rango inferiore è escluso dal godimento dei privilegi spettanti ai ranghi superiori. Appartenere a un rango (ovvero a un ceto, a un ordine, a una casta, come esso viene definito nei casi che andremo a considerare ) è spesso, anche se non necessariamente, un destino che si determina al momento della nascita e al quale difficilmente un individuo può sfuggire. Ceti, ordini e caste rappresentano perciò in primo luogo dei fattori di esclusione, benché a ciascuno corrisponda una funzione essenziale e necessaria. Soffermiamoci, in proposito, su un testo molto antico, che fa parte delle Upanishad, gli scritti su cui si fondano la religione vedica e l’induismo, la religione caratteristica del subcontinente indiano, ovvero di quell’area che da sempre rappresenta uno degli spazi di massima concentrazione demografica del genere umano. In questo testo il soggetto del discorso è il Brahman, il mitico demiurgo che rappresenta la forza creatrice, la quale è alle origini della manifestazione

Esclusione

del mondo e del suo ordinamento. Leggiamo il passaggio in cui il Brahman costruisce il mondo: «In verità al principio esisteva soltanto il Brahman, unico e solo, ma essendo solo non poteva manifestare tutta la sua potenza. Allora creò una forma superiore, la nobiltà militare […]. Nulla è superiore alla nobiltà militare e per questo il brahmano [cioè l’appartenente alla casta dei sacerdoti, che per le loro funzioni sono diretta emanazione del Brahman] nella cerimonia dell’incoronazione del re è assiso più in basso di un re. Un brahmano indiano, 1828, litografia

Viene così reso omaggio alla nobiltà militare, ma poi il Brahman (l’Assoluto e la casta brahmanica) è la matrice del potere militare. Perciò a qualsiasi altezza giunga il re, è al Brahman, alla sua matrice, che alla fine giunge. Un re che offenda un brahmano insulta la sua matrice ed è tanto più malvagio quanto migliore (di lui) è quello che ha offeso […]. Ancora Esso non poteva manifestare tutta la sua potenza. Produsse allora la classe dei vaisya [il ceto agricolo e mercantile]. Ancora non poteva manifestare tutta la sua potenza. 177

Inclusione Esclusione

Identità collettiva e cittadinanza Un corteo regale indi diverse a second ano, XVIII secolo. Le figure so no rappresentat a della loro impo e in grandezze rtanza sociale

Produsse allora la casta dei sudra [che ha il compito di] nutrire tutto quanto esiste». Ecco l’atto di nascita della divisione gerarchica della società indù, articolata in quattro caste principali. Il gruppo più elevato è quello dei brahmani, specializzati in funzioni religiose e cerimoniali. Appena sotto di essi si collocano gli ksatriya, ovvero coloro che detengono il potere politico e quello militare (la nobiltà militare di cui si parla nel testo). Ma sacerdoti da un lato e principi e guerrieri dall’altro risultano, in questo racconto delle origini, molto intrecciati gli uni con gli altri. Costituiscono, infatti, le due caste superiori. Sotto di loro vi sono le due caste inferiori: da Tra questi ultimi, nel corso dei secoli, si un lato agricoltori e mercanti (vaisya), dall’altro coloro sono differenziati due ulteriori gruppi: un ceto cittadino che svolgono funzione servile o subordinata, e che sono (borghesia) dotato di privilegi, e un ulteriore ceto tenuti a sostentare con la loro fatica tutti gli altri (sudra). identificato con chi è dedito al lavoro manuale Nella società indù a ciascuna delle caste principale è (contadini, ma anche artigiani e operai). Ancora alla vigilia collegato un colore simbolico: il bianco per i brahmani, il della Rivoluzione francese, al momento della convocazione rosso per gli ksatriya, il giallo per i vaisya, infine il nero degli Stati generali, sarà il modello tripartito a mostrarsi per i sudra. Si tratta di colori che esprimono in modo a come l’impalcatura di fondo dell’edificio sociale: tutti ben visibile la chiusura e l’esclusività di ciascun clero, aristocrazia (i primi due stati) e Terzo stato gruppo, al quale si appartiene per nascita, e che è (ovvero il ceto di tutti coloro che non contraddistinto da un diverso grado di purezza. Quanto erano né ecclesiastici né nobili). più si è puri, tanto più si gode di considerazione. Le caste glio no inorriditi il risve superiori comandano; quelle inferiori ubbidiscono. e nobiltà guarda zione francese ro cle di ti an nt lla Rivolu I rapprese Anche nella società europea dell’età moderna – ampa popolare de del Terzo stato, st all’interno di uno schema di matrice cristiana – si assiste a una suddivisione della popolazione per raggruppamenti esclusivi e al tempo stesso reciprocamente funzionali. In Europa l’articolazione di massima è tripartita, e non quadripartita come nella società indù: sacerdoti (oratores), combattenti (bellatores), lavoratori (laboratores). 178

ceti, ordini, caste

n

elle società eurasiatiche troviamo dunque un modello di organizzazione per comparti esclusivi e predeterminati dalla nascita? Non esattamente. Diversamente dai brahmani indiani, i sacerdoti dell’Europa cristiana non potevano, infatti, configurarsi come un ceto ereditario, dal momento che nel cattolicesimo il clero era tenuto al celibato, mentre nelle chiese riformate quella di pastore si rivelò come una funzione socialmente aperta a tutti. Non a caso, molto più di quanto avvenisse nella società castale indiana, in quella cetuale europea si manifestarono correnti di mobilità ascensionale da un livello all’altro della gerarchia dei ranghi e degli onori. L’esclusione non si dava per sempre, una volta per tutte. Ma ciò che soprattutto differenzia i due tipi di organizzazione sociale è il fatto che tra gli indù era presente, al di fuori dello schema delineato dai quattro colori, un’ulteriore componente, considerata dagli altri talmente impura da indurli a evitare qualsiasi contatto con chi ne facesse parte. Si trattava dei paria, ai quali erano riservati i lavori più degradanti (per esempio la macellazione della carne o la concia delle pelli) e ai quali era vietato perfino attingere acqua dai pozzi comuni, perché si pensava che li avrebbero contaminati. In nessuna altra società il principio del dislivello di status si traduceva in una forma di esclusione così drammatica. Quando un paria percorreva una strada, doveva annunciare a gran voce il proprio passaggio, così da evitare ai brahmani, agli

let) Un sacerdote e due nobili, disegno, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnava

ksatriya, ai vaisya, ai sudra di entrare accidentalmente in contatto con lui. Paria si nasceva, e paria – esclusi quanto nessun altro poteva esserlo – si rimaneva per tutta la vita.

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Capitolo 8

Il dIspotIsmo IllumInato 8.1  Il riformismo settecentesco   Riforma: una nuova categoria della politica

nella società contemporanea, a differenza di quanto avveniva in passato, ad attuare le riforme sono non soltanto i governi di orientamento “progressista”, ma anche quelli che si dichiarano conservatori, sebbene “conservare” letteralmente significhi il contrario di riformare. Il riformismo rappresenta oggi, per così dire, la manutenzione ordinaria nei sistemi politici moderni, qualunque sia il loro segno ideologico. nel contesto dell’antico regime, durante il quale la nozione di tradizione si poneva al vertice della gerarchia dei valori e la ricerca di una salda continuità tra presente e passato orientava tutta la vita sociale, riformare era interpretato invece come un verbo dalle risonanze sacrileghe. molti lo associavano all’indesiderata apertura di scenari incerti, all’abbandono di regole che, per il semplice fatto di esistere da molto tempo, andavano considerate non solo giuste, ma anche immutabili. Scuola del Meytens, Il corteo per le nozze di Giuseppe II con Isabella di Parma, 1760 (Vienna, Kunsthistoriches Museum)

Il 17 maggio 1759 tutta l’alta nobiltà europea si recò a Vienna per il matrimonio di Giuseppe II, “illuminato” imperatore d’Austria, con Isabella di Borbone, nipote di Luigi XV. La cerimonia si svolse nella cattedrale

Sullo sfondo del dipinto compare la reggia di Schönbrunn, nella quale si svolse la festa che seguì alla celebrazione delle nozze

A bordo delle carrozze, allineate in un lunghissimo corteo, sfila il fior fiore dell’aristocrazia imperiale ed europea

In prima linea, a cavallo, ecco il corpo dell’esercito incaricato di garantire l’ordine della macchinosa cerimonia

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Come abbiamo visto, durante il Settecento, specialmente in concomitanza con l’elaborazione della filosofia illuminista, l’orizzonte delle aspettative in gran parte dei paesi europei venne mutando (v. cap. 6). Si guardava al futuro. E non lo facevano solo gli intellettuali e il loro pubblico di persone colte ma, in misura crescente, anche i governanti di alcuni Stati. In ciascuno di essi certe leggi fondamentali, fino a quel momento ritenute irrinunciabili, vennero riformate, talvolta facendo tesoro delle suggestioni avanzate dal movimento illuminista.   Il dispotismo illuminato

le riforme non ebbero un percorso indolore e condiviso da tutti: alcuni corpi della società, come l’aristocrazia e il clero, in genere vi si opposero con forza, dal momento che intuirono nell’avanzare delle riforme il pericolo di un attacco a privilegi secolari, e per questo le percepirono e le condannarono come un’ingiusta lesione di ciò che consideravano loro diritti e libertà naturali. ne scaturì uno scontro prolungato tra la Corona e i corpi privilegiati, che non tutti i sovrani furono capaci di affrontare con la stessa determinazione. In alcuni paesi, come l’Austria, la Prussia, la Russia e la Svezia, l’esperienza riformistica settecentesca ottenne risultati efficaci, talvolta avvalendosi di una collaborazione attiva, anche se ovviamente limitata e circoscritta, tra sovrani e illuministi. sono i paesi nei quali si sviluppò un fenomeno che una consolidata tradizione storiografica definisce come “dispotismo illuminato”. In questa forma di governo, infatti, da un lato le riforme furono sempre imposte dall’alto, spesso in modo arbitrario, senza tener conto dei diritti politici della popolazione; dall’altro, però, esse permisero, almeno in parte, di affermare i diritti civili, ovvero le garanzie egualitarie accordate a ciascuno nell’ambito della vita privata.   Gli ambiti di riforma 

la motivazione che indusse nel settecento molti governi a intraprendere la strada delle riforme fu in primo luogo di carattere finanziario. la nascita degli eserciti permanenti aveva enormemente accresciuto i costi di quella che restava l’occupazione favorita dei sovrani: la guerra. urgeva reperire nuove risorse da riversare sui campi di battaglia, ma per farlo era necessario riformare l’organizzazione fiscale, uno dei terreni nevralgici di espressione di quel complesso di diritti, privilegi, immunità, libertà sui quali si basava l’equilibrio tradizionale della struttura sociale europea. perciò furono creati i primi catasti, per rendere capillare e più uniforme il prelievo fiscale che fino ad allora colpiva quasi esclusivamente i contadini e gli artigiani. In questo modo un’azione nata con un obiettivo concreto e circoscritto, quello di aumentare le entrate tributarie, produsse tuttavia una maggiore eguaglianza tra i sudditi. un secondo ambito di promozione delle riforme fu il settore della giustizia: per creare uno stato assoluto era infatti compito primario dei sovrani limitare, se non abolire, i privilegi giuridici dei ceti, come i fori ecclesiastici e i tribunali signorili, ovvero i tribunali riservati agli appartenenti al clero, o ancora quelli retti da giudici designati dai signori fondiari, e non dallo stato. la tendenza a unificare le leggi fu attuata per mezzo di un processo di “codificazione” che ebbe risultati molto diversi a seconda delle realtà politiche. Esso segnò comunque un importante passo nel lungo cammino da una società fondata sui privilegi a una fondata sui diritti.

Johann Zoffany, The Sharpe Family, 1779-1781 (Londra, National Portrait Gallery). Gli aristocratici, insieme agli esponenti del clero, furono i maggiori oppositori delle riforme settecentesche

LESSICO Diritti politici e diritti civili I diritti politici sono quelli che riguardano la possibilità dei cittadini di determinare l’indirizzo politico dello Stato. Sono quindi il diritto di formare associazioni partitiche e il diritto di voto attivo e passivo. I diritti civili riguardano invece la possibilità del singolo individuo di promuovere la propria personalità senza l’ingerenza dello Stato. I più importanti sono la libertà di pensiero, di espressione, di religione e di riunione. Catasto Il termine – che deriva dal greco katá, “per” e stikós, “riga, linea” – indica un sistema di inventario, misurazione e classificazione delle proprietà immobiliari (terreni e fabbricati) di una determinata area territoriale. Esso permette di stabilire l’esatta proprietà dei singoli e al tempo stesso di sottoporla a tassazione.

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

ANALIZZARE LA FONTE

La scienza della legge contro i soprusi Autore: Gaetano Filangieri – Tipo di fonte: trattato – Data: 1780-1785 Questo brano, tratto dalla Scienza della legislazione del principe Gaetano Filangieri (1752-1788), mostra come le riforme promosse nel Settecento siano strettamente connesse alle critiche mosse alla società dell’antico regime nell’ambito della cultura illuministica. Qui in particolare vengono denunciati gli abusi del potere ecclesiastico, come la pratica della manomorta, che ostacolano lo sviluppo del paese.

squarciato finalmente il velo della superstizione, dissipate le tenebre dell’ignoranza, combattuti gli errori del fanatismo, gli uomini si sono avveduti che fra i dogmi della nostra santa religione non c’è stato mai quello d’arricchire i ministri […]. se i progressi della popolazione, come l’abbiam detto, sono relativi a’ progressi dell’agricoltura, come potrà mai questa fiorire tra le mani d’un beneficiato1 che non può avere alcun interesse nel migliorare un fondo che non può trasmettere ad alcuno, né a seminare o piantare per una posterità che non gli appartiene? Come migliorerà mai l’agricoltura tra le mani di uno che invece d’impegnare una porzione delle sue rendite per migliorarne il suo fondo, arrischierà piuttosto deteriorare il suo beneficio per aumentare quelle rendite che non sono per lui che passeggere? Queste funeste conseguenze degli esorbitanti e inalienabili dominii degli ecclesiastici, si sono finalmente mostrate a’ governi con tutta la loro deformità. […] un padre che muore, non ha più il barbaro diritto di placare la divinità con un legato che trasmette ad un convento di frati una porzione di quelle sostanze, delle quali egli non può più godere e sulle quali i suoi figli hanno già acquistato un diritto. G. Filangieri, Scienza della legislazione, Centro di studi sull’illuminismo europeo, Venezia, 2004 1. beneficiato: colui che gode di un beneficio, ossia, nella terminologia feudale, di un bene che però non ha in proprietà. Domande alla fonte 1. Che cosa hanno compreso gli uomini, dopo essere usciti dalle tenebre dell’ignoranza? 2. Quali sono i motivi che impediscono il progresso dell’agricoltura? 3. Quale pratica è stata abolita dai governi?

LESSICO Giurisdizionalismo Politica ecclesiastica, tipica degli Stati cattolici tra Sei e Settecento, secondo la quale lo Stato esercita la supremazia sulla Chiesa nei settori che non riguardano i contenuti di fede, per esempio la nomina dei vescovi o l’istruzione. Manomorta In epoca medievale il termine indicava la tassa pagata dal servo al signore per poter trasmettere i beni agli eredi. In epoca moderna indica i beni inalienabili, generalmente appartenenti alla Chiesa, che non potevano essere né venduti né lasciati in eredità e sui quali non venivano applicate imposte. Il termine deriva dal francese antico main morte per indicare la “rigidità” di tale forma di possesso.

182

l’azione di riforma investì anche i rapporti tra Stato e Chiesa, improntati ai principi del giurisdizionalismo: i sovrani cercarono di sottrarre al clero proprietà e antichi privilegi (come la manomorta o il diritto di asilo, cioè l’immunità concessa ai ricercati che si rifugiavano in chiese o conventi) ma anche il monopolio dell’istruzione. anche in questo caso si ottenne un effetto che andava ben al di là degli obiettivi iniziali: per sottrarre al clero, e in particolare ai gesuiti, il controllo sulla formazione, venne infatti in alcuni casi garantito dallo stato il diritto all’istruzione elementare. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Gli ambiti di applicazione delle riforme settecentesche RIfoRme

Ambito fiscale

Ambito giuridico

Ambito ecclesiastico (rapporti Stato/Chiesa)

catasti

limitazione dei privilegi di clero e nobiltà

Giurisdizionalismo

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

Bernardo Bellotto, Veduta di Vienna dal castello del Belvedere, 1759-1760 (Vienna, Kunsthistorisches Museum)

8.2   L’Austria: un caso esemplare   di dispotismo illuminato   Il regno di Carlo VI

Il caso dell’austria ci mostra in modo particolarmente chiaro non solo quale fu il meccanismo che diede l’avvio alle riforme, ma anche le conseguenze sociali che ne derivarono. liberatisi della minaccia turca a fine seicento, nel primo quarantennio del settecento gli asburgo, durante il regno di Carlo VI (1685-1740), avevano notevolmente accresciuto i propri possedimenti territoriali diretti. la Guerra di successione spagnola (1701-1714) aveva portato sotto il dominio degli asburgo d’austria i territori italiani (il ducato di milano, il Regno di napoli) e fiamminghi che nei secoli precedenti erano stati assoggettati agli asburgo di spagna, anche se nel 1734, durante la Guerra di successione polacca, il mezzogiorno d’Italia sarebbe passato dagli asburgo ai Borbone. Intanto però, tra il 1716 e il 1718, gli eserciti di Vienna erano dilagati nella penisola balcanica, strappandone ai turchi ampie porzioni. tuttavia la crescente estensione dei domini territoriali (v. carta, p. 85) e la grande varietà etnica, linguistica e culturale dei paesi che ne facevano parte rendevano assai problematico esercitare un governo efficace. le entrate fiscali della monarchia asburgica erano di entità modestissima a causa della selva di privilegi e immunità dietro i quali si trinceravano le rappresentanze cetuali di ogni territorio. a pagare le tasse erano quasi soltanto i contadini e gli abitanti delle città. l’aristocrazia e il clero, proprietari di vastissime estensioni di terra, in buona parte a titolo di possesso feudale, godevano viceversa quasi ovunque di un trattamento fiscale privilegiato, o addirittura della piena immunità fiscale. Consideravano, del resto, questo privilegio come un attributo connesso al proprio rango, come una naturale ricompensa per la protezione che accordavano a chi risiedeva nelle loro terre.

MEMO Il re di Spagna Carlo II d’Asburgo era morto nel 1700 senza eredi diretti lasciando il trono a Filippo d’Angiò, un nipote di Luigi XIV. Ne era scaturita una guerra tra Asburgo e Borbone (Guerra di successione spagnola) conclusa con il passaggio della Corona spagnola a Filippo in cambio della concessione all’Austria dei domini italiani e delle Fiandre [vedi p. 82].

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

  maria Teresa sul trono

MEMO La Guerra di successione austriaca (1740-1748) scaturì dal mancato riconoscimento del diritto alla successione in linea femminile di Maria Teresa da parte del re di Prussia, alleato della Francia e della Spagna. Al termine del conflitto la regina vide riconosciuto il suo diritto a regnare, ma dovette rinunciare alla Slesia, occupata da Federico di Hohenzollern, e a Parma e Piacenza, cedute a un ramo della dinastia Borbone [vedi p. 82].

alla morte di Carlo VI, nel 1740, divenne sovrana d’austria, sua figlia Maria Teresa d’Asburgo (1717-1780, imperatrice d’austria dal 1740), in virtù di una modifica della legge successoria austriaca (prammatica sanzione, 1713) che per la prima volta ammetteva la legittimità di una discendenza femminile. appena salita al trono, maria teresa fu subito impegnata in un lungo e dispendioso conflitto contro Federico di Hohenzollern, conclusosi con la perdita della Slesia a favore della Prussia (Guerra di successione austriaca), che la costrinse a mutare il sistema tributario. la sua politica di riforme si rivolse, necessariamente, soprattutto contro i corpi privilegiati e mirò a porre lo stato nella condizione di attingere anche alle loro ricchezze. per altri versi, sebbene la sovrana non fosse direttamente influenzata dalle suggestioni di matrice illuminista (lo sarebbero stati, invece, i suoi figli e successori), le riforme non poterono non investire su un piano più ampio i rapporti tra Corona e Chiesa, poiché furono realizzate anche allo scopo di avocare allo Stato funzioni e prerogative fino a quel momento di spettanza ecclesiastica. durante gli anni Quaranta il ministro Friedrich Wilhelm von Haugwitz (1702-1765) diede il via a una prima ondata di riforme, stabilendo che i contributi fiscali di ogni territorio venissero concordati ogni dieci anni e che a riscuoterli fossero dei funzionari statali e non le autorità cetuali locali. Egli ridimensionò così l’influenza delle assemblee rappresentative provinciali (Landstände), roccaforti della nobiltà e del clero, alle quali era tradizionalmente attribuito il privilegio di contrattare ogni anno con la Corona l’entità del tributo dovuto da ciascun territorio e di ripartirne poi discrezionalmente i carichi tra la popolazione. ma si trattava solo di un primo passo.   La nuova organizzazione dello Stato austriaco

Martin von Meytens, Concerto alla corte di Maria Teresa a Schönbrunn, 1760

Nel pubblico, accanto al padre Leopold, è raffigurato il giovanissimo Mozart

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la realizzazione della prima fase di riforme comportò il quasi immediato avvio di una seconda: ora che il rapporto tra lo stato e i territori che lo componevano era diventato in linea di principio più sistematico e regolare, si trattava di costruire in ciascuno di essi un corpo di funzionari preposti non solo all’esazione delle tasse, ma anche all’esercizio di alcune funzioni fino ad allora assolte dall’aristocrazia o dal clero, per esempio in materia di amministrazione della giustizia. una volta che gli appartenenti ai corpi privilegiati non avessero più offerto in prima persona tutela e protezione ai sudditi, sarebbe stato infatti per loro problematico continuare a pretendere un trattamento speciale, come era accaduto fino ad allora. per contro, assumendosi nuovi compiti, lo stato avrebbe potuto meglio giustificare la sua richiesta di intensificazione della pressione tributaria. alla fine degli anni Quaranta lo stato austriaco, inteso come apparato di funzionari diretto dal centro e presente in modo omogeneo sull’intera superficie territoriale, cominciò concretamente a prendere forma grazie anche a una nuova riforma, realizzata però nei territori austriaci e boemi, ma non in ungheria e neppure nei paesi Bassi. un corpo burocratico, stipendiato dallo stato e fornito di una opportuna formazione professionale, si radicò saldamente nel giro di qualche anno nelle province presenti in Austria e in Boemia. In ciascuna di esse venne istituito un capoluogo amministrativo, dove si riuniva stabilmente un Gubernium (governo), che riceveva ordini e disposizioni da Vienna, capitale della monarchia austriaca, e che ne curava la regolare applicazione da parte dei capitani circolari, i funzionari messi a capo dei vari distretti in cui ogni provincia risultava a sua volta suddivisa.

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

L’imperatrice, sul trono e attorniata dai suoi ministri, attribuisce le insegne a un cavaliere inginocchiato di fronte a lei

La cerimonia si svolge nella bellissima sala da ballo della residenza imperiale di Schönbrunn, alle porte di Vienna

Le dame di corte assistono alla cerimonia da una balconata a loro riservata

Martin von Meytens il Giovane, Maria Teresa conferisce le insegne di un ordine cavalleresco, XVIII secolo

Grazie a questo apparato nuovo, capace di effettuare un controllo costante sul territorio, i proventi fiscali incassati da Vienna crebbero in pochi anni del 60%. per molti sudditi, abituati fino ad allora alla sola autorità del signore feudale o di quello ecclesiastico, lo Stato divenne ora per la prima volta un’entità concreta e tangibile. la si poteva riconoscere ogni giorno osservando le divise dei pubblici funzionari che si incaricavano di riscuotere le imposte, ma anche di fornire servizi e di far applicare le leggi. accanto alle autorità tradizionali, grazie a essi se ne materializzava una nuova, da temere sì per il suo rigore, ma anche da apprezzare per le garanzie che offriva contro gli arbitri e le prepotenze dei signori.   Da maria Teresa a Giuseppe II

nel 1765, alla morte del marito di maria teresa, Francesco stefano di lorena (1708-1765), che nel 1745 era stato eletto imperatore, il loro figlio maggiore, Giuseppe II (1741-1790, sacro romano imperatore dal 1765 e imperatore d’austria dal 1780), subentrò a quest’ultimo nella suprema dignità imperiale e cominciò al tempo stesso ad affiancare la madre nella direzione della monarchia austriaca. poi, a partire dal 1780, alla morte di maria teresa, regnò da solo sui domini asburgici, imprimendo alle riforme una svolta di intensità radicale. maria teresa, coadiuvata da ministri come Haugwitz e, in seguito, anton Wenzel von Kaunitz (cancelliere tra il 1753 e il 1792), aveva cercato soprattutto di costruire un efficace apparato burocratico per l’amministrazione dello stato, creando persino una scuola speciale per la formazione dei funzionari, dove si insegnava la cosiddetta “scienza di polizia” (Polizeiwissenschaft), una dottrina messa a punto dall’illuminista Joseph von sonnenfels (1733-1817) e finalizzata a teorizzare le modalità dell’intervento statale a beneficio della “pubblica felicità”. 185

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Fonte Giuseppe II, Un sovrano al servizio dello Stato

Giuseppe II fece uso di quello strumento per scagliare un attacco tanto radicale da venir percepito quasi come una rivoluzione dall’alto contro le residue immunità di cui ancora godevano i corpi privilegiati: non solo in austria, in Boemia, in lombardia, dove già maria teresa aveva inciso profondamente, ma anche in Ungheria e nei Paesi Bassi, dove fino a quel momento non si era ancora sentito parlare di riforme.   La formazione dei catasti e l’attacco alla feudalità

Il laboratorio dello storico Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato, p. 194

Ritratto di Giuseppe II, XVIII secolo (Torino, Museo del Risorgimento)

appena salito al trono, Giuseppe II si rifiutò di celebrare la tradizionale cerimonia dell’incoronazione, durante la quale era costume che ogni nuovo sovrano promettesse ufficialmente al corpo dei nobili e a quello degli ecclesiastici di consultarli stabilmente, riconoscendo così a essi la titolarità di un rango speciale e privilegiato. E subito dopo partì all’attacco di quello che era il maggiore dei privilegi, l’immunità fiscale. nel 1780, all’inizio del suo regno, gran parte delle terre possedute dai nobili non risultava registrata e quelle che lo erano venivano assoggettate a un contributo, in proporzione, assai più lieve di quello richiesto agli altri sudditi. per il figlio di maria teresa, tipico sovrano illuminato, riformare significò in primo luogo eliminare questa disparità. Egli dette dunque avvio in tutte le province della monarchia alla redazione di un catasto (operazione già iniziata in precedenza nella sola lombardia austriaca), ovvero una registrazione omogenea delle proprietà fondiarie, elaborata da parte di tecnici e funzionari statali e tesa ad accertare il valore e l’ampiezza di ogni appezzamento, per procedere poi all’esercizio di una tassazione uniforme. Essa avrebbe dovuto colpire, senza eccezioni, anche i nobili e gli ecclesiastici, oltre ai sudditi comuni. l’operazione impegnò per intero gli anni ottanta e venne osteggiata aspramente soprattutto in Ungheria, dove la nobiltà era stata fin lì totalmente esente dalla tassazione. sempre in ungheria, già negli anni sessanta maria teresa aveva emanato un’ordinanza, l’Urbarium, che mirava a migliorare le condizioni dei contadini e a rendere più lievi le prestazioni gratuite da loro dovute ai feudatari, fissandole nella misura di una giornata di lavoro con animali da tiro (oppure due senza animali) alla settimana e, ancora, nell’obbligo di accompagnare il signore a caccia tre volte l’anno. non si trattava, come è evidente, di un carico leggero; ma in precedenza si riteneva che esso potesse essere anche due o tre volte più pesante. tuttavia, i funzionari delegati alla compilazione del catasto, una volta giunti in ungheria, si accorsero che l’Urbarium era rimasto quasi ovunque lettera morta. Giuseppe II colse allora l’occasione non solo per riconfermarlo, ma anche per aumentare la presenza stabile di funzionari statali sul territorio, traducendo così in realtà quelli che altrimenti sarebbero rimasti meri propositi. al tempo stesso, egli dispose l’eliminazione degli ultimi residui di servitù della gleba, cioè di quel complesso di regole che imponevano ai contadini di rimanere tutta la vita legati alla terra dei loro signori feudali. si trattava di misure finalizzate a rendere meno pesante la sudditanza dei contadini rispetto ai signori, e in questo senso erano “illuminate”; ma rappresentavano anche un inedito consolidamento del legame di dipendenza del popolo nei confronti dello Stato.   Il giuseppinismo

un altro terreno nevralgico di riforma fu quello ecclesiastico. Già maria teresa si era mostrata maldisposta nei confronti dei privilegi della Chiesa e nel 1768 aveva disposto di imperio, cioè senza consultare il papa, la tassazione dei beni dei 186

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

parroci (clero secolare) nella stessa misura di quelli dei sudditi comuni. In seguito aveva intrapreso altre iniziative tese a limitare il potere clericale (in materia di censura e di diritto d’asilo), stabilendo il principio che la competenza su ogni questione, diversa da quelle previste nel mandato affidato da Cristo agli apostoli, dovesse passare dall’apparato della Chiesa a quello dello stato. ma dove finiva l’ambito spirituale, che si intendeva comunque confermare alla Chiesa, e dove cominciava quello temporale, di cui si sanzionava il trasferimento alla giurisdizione dello stato? Giuseppe II con la sua politica religiosa – chiamata, dal suo nome, “giuseppinismo” – dette una risposta innovativa a questo dilemma. troppo spesso, infatti, accadeva che le prescrizioni statali e quelle della Chiesa si trovassero in contrasto e che gli individui rimanessero incerti se comportarsi da sudditi o da fedeli. Il sovrano sciolse ogni possibile incertezza: nei suoi territori si doveva prestare obbedienza in primo luogo da sudditi alle autorità statali e non da fedeli a quelle ecclesiastiche. Era necessario circoscrivere le facoltà accordate alla Chiesa in materia di censura, perché essa ne faceva uso anche per ostacolare la diffusione della cultura illuminista, alla quale in parte Giuseppe II si ispirava. si doveva ancora eliminare del tutto quel diritto d’asilo che consentiva a malfattori e criminali di sottrarsi alla giustizia secolare e che quindi rappresentava una minaccia per la tutela statale dell’ordine e della sicurezza della società. Infine, era nell’interesse dello stato che la produzione economica si accrescesse, in modo da garantire basi più solide alla sua potenza; ma il gran numero di feste di precetto, durante le quali lavorare equivaleva a commettere un peccato, rappresentava un massiccio ostacolo al perseguimento di questo obiettivo. Il tempo dell’economia, identificato ormai con quello della potenza statale, non coincideva con il tempo della Chiesa, com’era dimostrato anche dal fatto che i cospicui beni che gli ordini religiosi avevano accumulato nei secoli in seguito a lasciti, donazioni, concessioni, privilegi, venivano coltivati in modo arretrato, sprecandone le potenzialità. Visto che frati, monaci, suore non erano menzionati nel mandato affidato da Cristo agli apostoli, perché mantenere in vita quel corpo di fatto parassitario che essi formavano? Giuseppe soppresse così tutti gli ordini che non erano direttamente impegnati in attività di assistenza o di istruzione, ovvero non autosufficienti e improduttivi anche rispetto al tessuto e alla solidarietà sociale (i cosiddetti “ordini contemplativi”). Giuseppe II con l’aratro insieme ai contadini, XVIII secolo, (Vienna, Kunsthistorisches Museum). La questione della gestione della proprietà terriera e dei differenti trattamenti fiscali tra proprietari e contadini fu tra le prime affrontate da Giuseppe II

187

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

  La soppressione dei conventi

La facciata della chiesa di San Carlo a Vienna, edificata all’inizio del XVIII secolo

nel decennio che si aprì con il 1780 Giuseppe II ordinò la soppressione di settecento monasteri e conventi, ne incamerò i beni nel patrimonio statale e ne adoperò i proventi per finanziare attività educative e assistenziali coordinate dallo stato. Il sovrano riformatore inoltre ridusse il numero delle feste di precetto, limitò ulteriormente il diritto d’asilo, sottrasse alla Chiesa la funzione di censura, vietò le forme di devozione troppo dispendiose o irrazionali, suscettibili di alimentare la superstizione. In più stabilì che i parroci ricevessero una formazione in seminari diretti dallo Stato, con l’idea di trasformarli in veri e propri funzionari pubblici, fedeli ai sovrani austriaci prima che al papa di Roma. nei territori della monarchia austriaca, la Chiesa cessava così di configurarsi come una sorta di stato all’interno dello stato. di fronte all’arretramento congiunto dell’aristocrazia e del clero e al ridimensionamento delle loro libertà e privilegi, il potere pubblico pareva ora imporsi come veicolo di parificazione dei sudditi di fronte alla legge. nell’ottica di chi aveva appoggiato le riforme, ciò rappresentava l’indispensabile presupposto per lo sviluppo di una società ordinata secondo natura, rispettosa dei diritti di ciascun individuo, orientata al perseguimento dell’interesse collettivo e non alla tutela di quelli corporativi; ma, mentre le riforme smantellavano le esenzioni fino ad allora fruite dai corpi privilegiati, la libertà dei singoli cresceva davvero?   Diritti politici e diritti civili

Analizzare la fonte La Patente di tolleranza

Inclusione/Esclusione L’intolleranza religiosa, p. 199

sul piano dei diritti politici, i sudditi austriaci avevano in realtà guadagnato ben poco. lo stato austriaco restava assolutista; anzi, lo era ancora di più rispetto al passato, quando l’azione dei sovrani aveva dovuto spesso arrestarsi di fronte alle immunità dei corpi privilegiati. sul piano dei diritti civili la situazione risultava invece nettamente migliorata. ormai arbitro esclusivo della società, Giuseppe II era stato per esempio in grado di emanare, nel 1781, una Patente di tolleranza, che accordava piena libertà di culto anche ai protestanti e ai seguaci della Chiesa ortodossa e che annullava gran parte delle discriminazioni prima inflitte agli ebrei. davanti allo stato ora tutti i credenti diventavano uguali, nella libera pratica della fede in cui credevano. non era, questa, libertà? I sudditi ritennero di sì; infatti alcune decine di migliaia di essi dichiararono la loro appartenenza a Chiese diverse da quella cattolica, a cui avevano in precedenza aderito solo per evitare persecuzioni. nel 1787 il sovrano fece entrare in vigore un nuovo codice penale, che proibiva l’uso della tortura nelle procedure giudiziarie e sanciva ufficialmente il principio dell’eguaglianza di tutti i sudditi davanti alla legge, abolendo di fatto i privilegi e le immunità di cui godevano aristocrazia e clero.   L’istruzione elementare obbligatoria

Giuseppe II potenziò anche il sistema di istruzione elementare, la cui obbligatorietà per tutti i sudditi era stata sancita da maria teresa già nel 1774. l’intervento fu attuato impiegando le rendite ricavate dall’incameramento dei beni di cui in precedenza fruiva il clero regolare: tutti i provvedimenti del sovrano austriaco testimoniavano la precisa volontà sovrana di sottrarre alla Chiesa, che tradizionalmente la esercitava, la responsabilità dell’educazione del popolo. In particolare, poi, attraverso la statalizzazione dell’istruzione superiore (in precedenza erogata essenzialmente dai gesuiti), si intendeva anche promuovere la formazione di una burocrazia laica e competente, scientificamente preparata ad affrontare 188

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

Due opere di Jean-BaptisteSiméon Chardin: a sinistra, La giovane maestra, 1736 circa, olio su tela (Londra, National Gallery); a destra, Allegoria della scienza, 1731

i compiti che il nuovo ruolo del potere statale nella vita pubblica comportava. tutto ciò veniva propagandato come uno straordinario contributo a quella “pubblica felicità” che gli illuministi inseguivano, raccomandando di sostituire alle istituzioni tradizionali – e la Chiesa era la principale – apparati capaci di diffondere quei principi razionalistici dai quali ci si attendeva il progresso della società umana.   La reazione alle riforme: Leopoldo II

la reazione alle iniziative di Giuseppe II – le più radicali tra quelle intraprese dai vari dispotismi illuminati del settecento – non tardò a farsi sentire e fu molto aspra, al punto che tra il 1787 e il 1789 una serie di sollevazioni guidate dalle aristocrazie dei vari Länder della monarchia austriaca impose l’arresto al cammino delle riforme. I Paesi Bassi austriaci dichiararono la propria indipendenza e l’ungheria fu sul punto di fare altrettanto. Leopoldo II (1747-1792, imperatore d’austria e sacro romano imperatore dal 1790), già appassionato riformatore del Granducato di toscana e successore sul trono asburgico di Giuseppe II, non esitò, poco più tardi, a sedare i tentativi indipendentistici e a revocare gran parte delle misure antinobiliari e antiecclesiastiche promosse dal fratello maggiore. per esempio, in molte province i catasti non entrarono in vigore anche se erano pronti. a ribellarsi contro il dispotismo illuminato non erano però soltanto gli appartenenti ai vecchi corpi privilegiati. anche tra gli operatori del commercio e dell’industria, pur beneficiati dalle misure finalizzate a far crescere il ruolo dell’economia di mercato, regnava un diffuso malcontento nei confronti di un dirigismo statale percepito come eccessivo e lesivo della creatività imprenditoriale. E, sebbene sgravati dai pesi feudali, anche i contadini lamentavano ora il fardello di una fiscalità accresciuta e consideravano modesti i benefici ricavati dalle riforme. dell’istruzione elementare, celebrata come simbolo dell’emancipazione del popolo da un’ignoranza alimentata soprattutto dalla Chiesa, la povera gente era assai poco propensa ad apprezzare i vantaggi. In compenso non faceva alcuna fatica a riconoscere come dannosa la riduzione delle feste di precetto, imposta dai regnanti in una visione dell’economia finalizzata alla crescita della produzione, ma anche dei carichi di lavoro. Frati, monaci e suore erano poi da considerare davvero odiosi parassiti? In verità, con le rendite dei loro beni avevano garantito in passato forme di assistenza e di carità che lo stato non pareva per il momento in grado di rimpiazzare adeguatamente. E, allora, quale convenienza c’era a emanciparsi dall’autorità della Chiesa per divenire a pieno titolo sudditi dello stato? 189

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

8.3  Dispotismi illuminati in Prussia, Svezia e Russia   La Prussia di federico II

l’austria di Giuseppe II non fu il solo paese la cui esperienza settecentesca può utilmente venire considerata sotto l’etichetta del dispotismo illuminato. anche Federico II di Prussia (1712-1786, re dal 1740) fu un grande ammiratore dell’Illuminismo francese. Egli stesso scrisse opere che si inserivano nella corrente culturale ispirata al progresso e presso la sua corte soggiornò a più riprese Voltaire, trovandovi provvisorio riparo dalle persecuzioni che pativa in Francia. la Berlino di Federico, con la sua prestigiosa Accademia delle scienze, fu uno dei grandi centri del rinnovamento culturale europeo settecentesco. sotto il sovrano riformatore, la prussia conobbe una stagione di grande espansione territoriale, che si concretizzò nell’acquisizione della Slesia – regione strategica per la ricchezza delle sue risorse minerali – a spese dell’austria e nell’assorbimento, in seguito alle tre spartizioni, di una cospicua porzione della Polonia (v. p. 192). ne derivò la definitiva ascesa di uno stato che ancora nella seconda metà del seicento era soltanto uno degli elettorati imperiali nella ristretta cerchia delle grandi monarchie europee. Esercito e burocrazia furono le due armi vincenti di un sovrano riformatore che, in analogia con Giuseppe II, autodefinitosi «primo funzionario» del suo paese, amava qualificarsi come «primo servitore dello Stato», evidenziando così una trasformazione concettuale di grande rilievo nella concezione del potere, ora pensato prevalentemente come servizio reso alla comunità, più che come godimento di una prerogativa sovrana personale. anche Federico II intervenne con determinazione nel settore dell’istruzione elementare (che rese obbligatoria) e in quello giudiziario (riformando in senso umanitario le procedure e abolendo la tortura) e dispiegò una politica di tolleranza religiosa che per la sua apertura non conosceva eguali nell’Europa cristiana del suo tempo. A. Von Menzel, Federico il Grande visita una famiglia di Junker prussiani (Berlino, Pinacoteca di Stato)

190

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

Gli Stati del dispotismo illuminato (XVIII secolo) ESTONIA 1721

LIVONIA

Paskov

1721

SVEZIA

Mosca

DANIMARCA mar Baltico

mare del Nord

Divina

Danzica PROVINCE UNITE

Berlino Lipsia

o

TIROLO DUC. DI Trento MILANO

r

Vienna Salisburgo

iep

SLESIA Cracovia REGNO DI GALIZIA E LODOMIRA

Praga

SVIZZERA

Rodan

POLONIA Varsavia

Breslavia

Dresda

FRANCIA

Milano

Vistola

Potsdam

Dn

Magonza

RUSSIA

a

Elb

Anversa PAESI Bruxelles BASSI AUSTRIACI Parigi

Lingen

Magdeburgo

Königsberg

Stettino

Amburgo Londra

Smolensk

BUCOVINA

Danubio

Buda

Pest

Impero asburgico (Asburgo) Polonia

UNGHERIA TRANSILVANIA

REP. DI VENEZIA

Russia (Romanov) Prussia (Hohenzollern)

mar Ligure

Firenze TOSCANA

Confini del Sacro romano impero Danubio

  La Svezia di Gustavo III e la Russia di Caterina II

Ispirato a motivi illuministi e animato da uno spirito riformatore fu anche il regno di Gustavo III di Svezia (1746-1792, re dal 1771). dopo la morte di Carlo XII nel paese il potere era tornato in mano all’aristocrazia, divisa tra i due partiti rivali dei “berretti” e dei “cappelli” Gli eleganti “cappelli” rappresentavano soprattutto la nobiltà; i più sobri “berretti”, invece, la borghesia fondiaria e dei commerci. la presa di potere di Gustavo III segnò la fine di questa fase e il ritorno all’assolutismo: dopo aver imbavagliato la dieta cetuale del paese, egli promosse riforme nell’ambito giudiziario e in quello dell’istruzione elementare (in questo settore la svezia deteneva a fine settecento il primato europeo, avendo praticamente debellato l’analfabetismo). Inoltre egli attuò una politica di radicale livellamento della condizione giuridica dei sudditi, che comportò la quasi totale abolizione dei privilegi nobiliari. Caterina II (1729-1796, zarina dal 1762), di origine tedesca, era salita sul trono di san pietroburgo grazie a un colpo di Stato, culminato nell’imprigionamento e nel probabile assassinio del marito pietro III, nipote di pietro il Grande, che si apprestava a raccogliere l’eredità della madre Elisabetta, zarina dal 1741 al 1762. Ammiratrice dichiarata di Diderot, che fu suo ospite per qualche tempo, e dell’illuminista italiano Cesare Beccaria (v. cap. 9, par. 9.4), che cercò invano di convincere a recarsi presso la sua corte, Caterina era fortemente imbevuta, come Federico II, delle suggestioni illuministe che aveva assorbito durante la sua formazione. Essa cercò di trasfonderle, in particolare, nell’elaborazione di un nuovo codice di leggi che avrebbe dovuto portare un soffio umanitario sull’arretrata società russa, ma i lavori della Commissione incaricata (nel 1767) di redigerlo, si arenarono presto, per le molte resistenze emergenti da un mondo rispetto al quale le teorie degli uomini “dei lumi” apparivano astratte e lontane.

Storiografia L. Guerci, Un riformismo dai mille volti

191

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

maggior successo aveva avuto Caterina qualche anno prima (1764), decretando la soppressione di oltre la metà dei 900 conventi russi e la requisizione di gran parte delle proprietà ecclesiastiche. attaccare la Chiesa ortodossa significava indebolire la roccaforte principale del tradizionalismo russo. In più il sequestro dei suoi beni doveva servire a finanziare l’erogazione di nuovi servizi pubblici, primo dei quali l’istruzione. nel 1786 lo statuto di educazione nazionale promulgato dalla sovrana introdusse infatti il primo biennio elementare gratuito.   La rivolta di Pugacˇ ëv e la politica estera 

a partire dalla seconda metà degli anni settanta, tuttavia, lo sforzo riformatore di Caterina, che si era espresso anche in alcuni limitati provvedimenti a favore dei contadini, si interruppe. tra il 1773 e il 1775 la zarina si era trovata a fronteggiare un’imponente sollevazione popolare, guidata da un cosacco di nome Pugačëv,

Ritratto di Caterina II di Russia, XVIII secolo (Stoccolma, Castello di Drottningholm)

APPROFONDIRE

Le spartizioni della Polonia Polonia visse nel Settecento un progressivo declino a Lnuovoapartire dalla Guerra di successione polacca. Nel 1764 il re polacco Stanislao Poniatowski, eletto con il forte ap-

ridotto, perseverò ulteriormente nel suo tentativo, che aveva lo scopo di indebolire il potere della Dieta e di aprire così la strada a riforme, che anch’egli intendeva realizzare in chiave assolutista e illuminista al tempo stesso. Dopo una seconda spartizione nel 1793, Austria, Prussia e Russia – forti di quegli eserciti che viceversa il re di Polonia non riusciva a formare a causa dell’ostilità della Dieta – nel 1795 completarono l’opera e, con la terza spartizione, cancellarono lo Stato polacco dalla carta geografica europea, appropriandosi delle porzioni restanti. Le popolazioni di lingua polacca (e di fede cattolica) si trovarono così divise tra l’Austria (cattolica anch’essa), la Prussia (protestante) e la Russia (cristiano-ortodossa). Nei decenni successivi, quella polacca si sarebbe imposta come una delle più vibranti e tormentate tra le storie di emancipazione nazionale caratteristiche dell’Ottocento europeo.

poggio della zarina russa Caterina, aveva cercato invano di riformare il sistema tradizionale e di tramutare la monarchia da elettiva a ereditaria, in modo da per un verso consolidare il proprio potere, e per l’altro ridurre le pressioni esterne che da decenni Austria, Prussia e Russia esercitavano sul regno facendo leva sull’una o sull’altra delle fazioni nobiliari rappresentate nella Dieta cetuale. Nel 1772, raggiunto un accordo che aveva lo scopo di intimidire Poniatowski, le tre potenze giunsero a una prima spartizione del territorio polacco: l’Austria incorporò la Galizia e la Lodomira, la Russia la Bielorussia, la Prussia i territori nord-occidentali affacciati sul Baltico. Ciononostante Poniatowski, pur all’interno di un regno ormai

mar Baltico

Riga

REGNO DI SVEZIA

IMPERO RUSSO

LIVONIA

Potock Smolensk Vilnius Witebsk Divina

REGNO DanzicaDI PRUSSIA Marienburg

BIELORUSSIA

Thöm Vistola Poznan Varsavia Breslavia

D’AUSTRIA

192

Danzica

r

UCRAINA

Dn

r

Bar

Danubio

IMPERO OTTOMANO

iep

SLESIA Cracovia MORAVIA Vienna

Alla Russia

Pinsk

Breslavia

iep

PRIMA SPARTIZIONE (1772) Alla Prussia All’Austria

Potock Smolensk Vilnius Witebsk Minsk Divina

REGNO DI PRUSSIA

Buda

PODOLIA

UNGHERIA

Pest

IMPERO D’AUSTRIA

Alla Russia

Riga SAMOGIZIA

mar Baltico

REGNO DI PRUSSIA

Divin

a

MORAVIA Vienna Buda

Smolensk

Vilnius LITUANIA

Danzica Thöm MAZOVIA Varsavia Brest Pinsk Poznan Breslavia Radom Lublino la to SLESIA Vis Cracovia VOLINNIA

Danubio

IMPERO OTTOMANO

SECONDA SPARTIZIONE (1793) Alla Prussia

IMPERO RUSSO

LIVONIA

CURLANDIA

Riga

mar Baltico

Thöm Vistola Poznan Varsavia Dn

SLESIA Cracovia GALIZIA LODOMIRA MORAVIA Vienna UNGHERIA Danubio Buda Pest IMPERO

REGNO DI SVEZIA

IMPERO RUSSO

LIVONIA

Dn

iep

r

UNGHERIA

Pest

IMPERO D’AUSTRIA

IMPERO OTTOMANO

TERZA SPARTIZIONE (1795) Alla Prussia All’Austria

Alla Russia

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

nella quale il desiderio dei contadini di emanciparsi dallo stato di svilimento e umiliazione a cui li costringeva la loro condizione di servi si mescolava a suggestioni ispirate al tradizionalismo religioso. I rivoltosi, prima di essere affrontati e sconfitti dall’esercito della sovrana, avevano seminato il terrore tra i signori, massacrandoli a centinaia. una volta stroncata la rivolta, Caterina II attenuò notevolmente tutta quella parte del suo sforzo riformatore che mirava a indebolire il potere dei nobili. Il suo regno si chiudeva, tuttavia, con un bilancio per molti aspetti invidiabile. sotto di lei lo spirito dei lumi aveva, sì, soffiato a corrente alternata, ma la vittoria riportata nel 1774 contro l’Impero ottomano aveva fruttato alla Russia l’accesso al mar Nero e poco meno di dieci anni più tardi (1783), sempre ai danni degli ottomani, la zarina aggiunse ai territori del suo paese anche la Crimea. le spartizioni della Polonia, tra il 1772 e il 1795, avevano inoltre attribuito a san pietroburgo l’intera porzione orientale di quella che era stata l’ultima monarchia elettiva d’Europa (insieme allo stato della Chiesa). ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le riforme del dispotismo illuminato STATo   e SoVRAno

fISCo

GIuSTIzIA

AmmInISTRA­ zIone

ISTRuzIone

ChIeSA

• Riduzione della • Patente di tolleranza: censura libertà di culto ecclesiastica per luterani, • Riduzione del calvinisti e numero di ortodossi feste di • Emancipazioprecetto ne degli ebrei • Drastico ridimensionamento degli ordini religiosi contemplativi • Seminari di Stato per i parroci trasformati in funzionari pubblici

auStRIa maria teresa Giuseppe II

• Scuola • Nuovo codice • Corpo di • Tributi elementare funzionari per penale (1768): territoriali laica e l’esazione delle abolizione della concordati obbligatoria tasse e tortura; ogni 10 anni (1774) l’amministraeguaglianza di • Tributi riscossi • Scuola zione della tutti i sudditi di da funzionari superiore giustizia fronte alla statali statale • Scuola di legge • Compilazione formazione dei • Abolizione del del catasto funzionari foro ecclesia• Tassazione dei stico parroci • Incameramen- • Riduzione del diritto di asilo to dei beni del clero

pRuSSIa Federico II

• Abolizione della tortura • Soppressione dei tribunali feudali

SVEZIa Gustavo III

• Abolizione dei privilegi fiscali

• Scuola elementare obbligatoria (debellato l’analfabetismo)

RuSSIa caterina II

• Incameramen- • Commissione consultiva per to dei beni la redazione di della Chiesa un nuovo ortodossa codice volto a promuovere l’eguaglianza giuridica

• Controllo del • Statuto di clero educazione • Abolizione nazionale delle proprietà (1786): biennio ecclesiastiche elementare e riduzione dei gratuito per conventi tutti

• Creazione di un apparato burocratico professionale

• Scuola elementare obbligatoria (1763)

ReLIGIone

• Tolleranza religiosa

193

Il laboratorio dello storico

Il sovrano assoluto e il sovrano illuminato

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le differenti fonti ricavandone informazioni su eventi storici di diverse epoche e differenti aree geografiche

Nel corso del Settecento, il potere e la figura del sovrano che quel potere incarnava subirono un radicale cambiamento. Sotto la spinta della filosofia illuminista, la “sacralità” dell’immagine del re venne meno. Due ritratti ci mostrano in maniera emblematica tale trasformazione. Il primo, dipinto da Filippo Solimena – un pittore attivo a Napoli e poi a Vienna nei primi decenni del Settecento –, raffigura l’imperatore d’Austria Carlo VI (1685-1740), padre di Maria Teresa. Il secondo, che è opera di Pompeo Batoni, ci presenta invece un’immagine di Giuseppe II insieme al fratello Leopoldo.

la tela promana un’irradiazione di forte sacralità accentuata dalla presenza in alto della divinità della gloria l’alto dignitario che si inginocchia davanti al re assomiglia a un devoto. Il dipinto è concepito in modo tale da suggerire allo spettatore l’enorme distanza, l’abisso incolmabile che separa il sovrano-divinità dai comuni mortali

sotto la divinità è raffigurato Carlo VI, un tipico sovrano che si lascia ritrarre nella posa di dio in Terra, carico di insegne, coperto da una rilucente armatura e con il capo incorniciato da una vaporosa parrucca

Francesco Solimena, Il conte Althann presenta a Carlo VI l’inventario della Pinacoteca dello Stallburg, XVIII secolo

194

capItOlO 8 - Il dISpOtISmO IllumINatO

Pompeo Batoni, Giuseppe II d’Austria e Leopoldo di Toscana, 1769, (Torino, Galleria Subalpina)

nella tela di Batoni, realizzata nel 1769, appena quarant’anni dopo quella di solimena, l’atmosfera sacrale caratteristica del primo dipinto si è completamente dissolta

Il ritratto dei due nipoti di Carlo VI, destinati a divenire sovrani e imperatori d’austria, si sforza di comunicare un messaggio molto diverso. Carlo VI pareva una divinità inavvicinabile. Giuseppe e Leopoldo sono due esseri umani, colti nel gesto di scambiarsi un’amichevole stretta di mano. non portano parrucca e al posto della pesante armatura indossano una sobria uniforme d’ufficio

sulla destra compaiono i simboli della nuova razionalità secolarizzata caratteristica dell’età delle riforme: due penne, la pianta di una città, un libro

se potessimo guardare il ritratto nella sua dimensione reale, ci accorgeremmo che il libro raffigurato è Lo spirito delle leggi, scritto da montesquieu vent’anni prima, una delle opere più importanti – come sappiamo – del pensiero politico illuminista. I due fratelli rinunciano, dunque, a presentarsi come oggetti di culto e creature soprannaturali, e sottolineano invece quella che ritengono la loro funzione più importante: il servizio dello Stato, quell’edificio che le riforme illuminate stanno costruendo giorno dopo giorno, allo scopo di promuovere la pubblica felicità, piuttosto che la glorificazione della figura del sovrano

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Facendo ricorso a due fonti iconografiche, lo storico ha messo in luce alcune caratteristiche della rappresentazione del potere, evidenziando il cambiamento intervenuto nella mentalità illuminista rispetto alla figura del sovrano. • Che cosa comporta il fatto che questi due dipinti siano stati composti a una certa distanza di tempo l’uno dall’altro? • Quale rapporto tra illuminismo ed esercizio della sovranità è possibile cogliere nel secondo dipinto?

195

capItOlO 8

IL DISPOTISMO ILLuMINATO

mappa

Sull’onda delle idee illuministe, alcuni governanti intraprendono un programma di riforme

Finanze: riorganizzazione del sistema fiscale per aumentare il gettito e finanziare le guerre Rapporti Statochiesa: giurisdizionalismo

Riconoscimento ai sudditi di molti diritti civili

ambiti di riforma

dISpOtISmO IllumINatO

Risultati e limiti

Giustizia: abolizione di fori ecclesiastici e tribunali signorili per unificare le leggi

austria di maria teresa e Giuseppe II

prussia di Federico II

Riforme: • tributi riscossi da

Riforme: • istruzione

funzionari statali

• catasto • “giuseppinismo” contro le prerogative della Chiesa • promozione dell’istruzione • codice penale ma

sotto Leopoldo II resistenze di aristocrazia, commercianti e contadini

196

elementare obbligatoria • abolizione tortura • tolleranza religiosa

Svezia di Gustavo III

Riforme: • abolizione dei privilegi dei nobili

• sconfitta dell’analfabetismo

Mancato riconoscimento dei diritti politici

Russia di caterina II

Riforme: • riduzione dei conventi e incameramento dei beni ecclesiastici • biennio elementare gratuito • tentativo (fallito) di introdurre un nuovo codice di leggi ma

la rivolta popolare di Pugacˇ ëv blocca le riforme

capItOlO 8

IL DISPOTISMO ILLuMINATO

Sintesi 8.1 IL RIFORMISMO SETTECENTESCO nella seconda metà del Settecento la cultura illuminista influenzò la politica di molti sovrani europei che promossero importanti progetti di riforma. nacque il fenomeno del dispotismo illuminato: una politica di riforme imposte dall’alto, senza la mediazione delle rappresentanze sociali. Essa produsse una maggiore garanzia dei diritti civili e una maggiore eguaglianza giuridica, ma non la promozione dei diritti politici della popolazione. a spingere i sovrani a intraprendere la strada delle riforme furono soprattutto esigenze concrete, tra cui la necessità di aumentare il prelievo fiscale per finanziare gli eserciti. perciò furono creati i catasti, che permettevano di tassare non solo i contadini e gli artigiani ma anche l’aristocrazia e il clero. altri ambiti di promozione delle riforme furono il settore della giustizia e quello amministrativo dove vi furono significativi cambiamenti. Inoltre, l’azione di riforma investì i rapporti tra Stato e Chiesa, improntati ai principi del giurisdizionalismo: i sovrani cercarono di sottrarre al clero proprietà e antichi privilegi ma anche il monopolio dell’istruzione, promuovendo una scuola primaria obbligatoria e laica. 8.2 L’AuSTRIA: uN CASO ESEMPLARE DI DISPOTISMO ILLuMINATO l’austria fu lo stato che attuò nel modo più sistematico il progetto riformista. Maria Teresa d’asburgo impostò una prima ondata di riforme, stabilendo che i contributi fiscali di ogni territorio venissero concordati con le assemblee rappresentative e che a riscuoterli fossero i funzionari statali, che si sostituirono ai nobili anche in materia di amministrazione della giustizia. la sua opera riformista riuscì in parte nei territori austriaci e boemi ma fallì nelle regioni più autonomistiche come l’ungheria e i paesi Bassi. Riprese e intensificò il suo programma il figlio Giuseppe II il quale cercò di imporre le riforme a tutto il regno. Egli accentuò la politica anticlericale

abolendo molti ordini religiosi contemplativi di cui incamerò i beni, sottraendo alla Chiesa il monopolio sulla censura e l’istruzione, riducendo le feste di precetto e trasformando i parroci in veri e propri funzionari statali, formati in seminari di stato. Giuseppe II curò anche la redazione di un codice penale che aboliva la tortura e limitava la pena di morte, abolì la schiavitù della gleba e, con la Patente di tolleranza (1781), garantì libertà di culto a protestanti e ortodossi. le ribellioni in ungheria e nei paesi Bassi indussero il successore di Giuseppe II, Leopoldo II, a una politica più moderata.

8.3 DISPOTISMI ILLuMINATI IN PRuSSIA, SVEZIA E RuSSIA In Prussia il re Federico II, grande ammiratore di Voltaire, creò uno stato potente, fondato sullo sviluppo dell’esercito e della burocrazia, di cui si proclamò «il primo servitore». Intervenne con determinazione nel settore dell’istruzione elementare e in quello giudiziario; attuò una politica di tolleranza religiosa di grande apertura. Gustavo III di Svezia promosse riforme nell’ambito giudiziario e dell’istruzione, ma soprattutto attuò una politica di radicale livellamento della condizione giuridica dei sudditi, con la quasi totale abolizione dei privilegi nobiliari. Caterina II di Russia promosse una consulta legislativa per redigere un nuovo codice giuridico, abolì la schiavitù della gleba, favorì l’organizzazione della scuola elementare. tuttavia le resistenze dei ceti tradizionali e dei contadini (sfociate nella rivolta guidata dal cosacco Pugačëv) fecero fallire le riforme.

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Identità collettiva e cittadinanza

n Inclusione Esclusione

Pieter Paul Rubens, Il saccheggio del ghetto di Francoforte nel 1614, incisione, XVII secolo

l’intolleranza religiosa Emarginati per un credo diverso

n

el corso del Settecento la filosofia illuminista individuò uno dei propri bersagli polemici principali nell’intolleranza religiosa, denunciandola come lo strumento adoperato nei secoli precedenti – tanto in ambito cattolico quanto in ambito riformato – per operare una drastica divisione tra quanti appartenevano alla fede maggioritaria dello Stato e quanti invece aderivano a un credo diverso. Gli illuministi, alcuni dei quali erano interessati a una sorta di religione universale, capace di includere tutti senza fare ricorso a particolari irrigidimenti dottrinari, criticavano le discriminazioni che il pubblico potere, agendo come braccio secolare di una Chiesa, infliggeva ai fedeli di un culto alternativo a quello dominante. Infatti, in ciascun paese europeo le minoranze religiose (alle quali non sempre e non ovunque si consentiva la residenza) risultavano escluse da alcuni diritti spettanti a coloro che si riconoscevano nei culti ufficiali: gli aderenti si presentavano, agli occhi del potere, come sudditi “di seconda classe”. In Francia, per esempio, gli ugonotti potevano praticare il proprio culto solo all’interno di determinate aree del paese. In gran parte del territorio, viceversa,

Esclusione

pativano la privazione di questo elementare diritto; e quando, alla fine del Seicento, Luigi XIV decise di revocare l’Editto di Nantes, per oltre 300 000 ugonotti suonò l’ora di un’esclusione ancora più dolorosa: a meno che non decidessero di convertirsi alla fede maggioritaria, fu imposto loro di abbandonare il paese, dal momento che le cittadelle a loro riservate fino a quel momento non vennero più considerate area franca. Accadde loro quanto era avvenuto un paio di secoli prima tanto ai musulmani quanto agli ebrei di Spagna, che a loro volta, in un momento di particolare recrudescenza dell’integralismo religioso, erano stati di colpo esclusi e allontanati a forza dal paese in cui vivevano da generazioni. I musulmani scacciati dalla Spagna, arazzo, XVI secolo

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Inclusione Esclusione

Identità collettiva e cittadinanza Sudditi protesta nti allontanati da l Salisburghese , 1731-1732

Nel Settecento – specialmente verso la fine del secolo, quando alcune monarchie riformatrici, in particolare quella asburgica, emanarono riforme tese a stabilire dei principi di tolleranza in materia religiosa – il quadro cominciò a cambiare, ma fino a quel momento era stata prassi usuale che nei paesi cattolici i protestanti venissero emarginati ed esclusi dal pieno godimento dei diritti spettanti agli altri sudditi, e che i cattolici, a loro volta, lo fossero all’interno dei paesi a maggioranza protestante. La medesima condizione di minorità giuridica pativano gli ortodossi, tanto all’interno del mondo cattolico quanto di quello protestante, e così pure accadeva ai cattolici e ai protestanti nel mondo ortodosso.

m

la presenza in quei luoghi di coloro che venivano definiti come i discendenti degli uccisori di Cristo avrebbe contaminato uno spazio reputato sacro. Essi erano inoltre obbligati a rendersi immediatamente riconoscibili indossando un berretto o apponendo sul proprio abito una striscia di stoffa. Tanto il berretto quanto la stoffa dovevano essere di colore giallo, lo stesso che serviva a distinguere le prostitute. A prescindere dalle norme sancite negli statuti delle varie località in cui sorgevano i ghetti, l’esclusione degli ebrei dal corpo della cittadinanza si misurava in modo drammatico nel momento in cui, in occasione di una delle imprevedibili – ma ricorrenti – manifestazioni di irrazionalità collettiva che si

entre dopo il 1492 in nessun paese dell’Europa cristiana era presente una comunità musulmana (anche se singoli mercanti di fede islamica erano insediati soprattutto in alcune città di mare europee), quasi ovunque esistevano invece delle isolate comunità ebraiche che tanto nei contesti cattolici quanto in quelli protestanti subivano forme di esclusione particolarmente umilianti. Sugli ebrei, infatti, incombeva una serie di divieti: da quello di possedere terreni (e spesso anche abitazioni), a quello di frequentare scuole pubbliche o di accedere agli ospedali cristiani; a quello, infine, di muoversi di notte nella città al di fuori dello spazio riservato alla loro secolo a metà del XVIII residenza: il ghetto, di cui al tramonto le guardie raico in Boemia eb io on rim at m Un useo di Israele) cittadine sbarravano le porte, per riaprirle solo (Gerusalemme, M all’alba seguente. Ancora: agli ebrei erano preclusi i cimiteri destinati ad accogliere le salme di cristiani perché – si argomentava – 200

l’intolleranza religiosa producevano nella società dell’epoca, essi venivano fatti oggetto, sulla base di accuse fantasiose e non provate, di violente rappresaglie per misfatti che non avevano affatto commesso. Il rogo del ghetto, spesso con gran parte dei suoi abitanti chiusi dentro, e previo saccheggio dei beni da questi posseduti, è un episodio frequente nelle città cristiane dell’età moderna, soprattutto nell’Europa orientale e centrale. Comunque, anche quando non si giungeva a esiti così tragici, altre forme di intolleranza facevano parte della quotidianità della condizione ebraica in qualsiasi città nella quale gli ebrei fossero ammessi.

La comunità ebraica venne scacciata dopo qualche anno, e così il problema fu risolto. Sarebbe difficile immaginare un’esemplificazione più tangibile della determinazione dei cristiani a escludere la popolazione ebraica dalla comunità cittadina.

Q

uando, a Napoli, negli anni Quaranta del Settecento tornò a formarsi dopo vari decenni di divieto una piccola comunità ebraica, si pose alle autorità il complesso dilemma di come gestire la morte di un ebreo. Che cosa fare della sua salma? Dal cimitero cristiano gli ebrei, come abbiamo detto, erano esclusi, ma intanto la comunità ebraica, ancora troppo piccola, non disponeva di denaro sufficiente per acquistare un lotto di terreno da adibire alle inumazioni dei propri membri. Qualcuno propose di gettare la salma in mare, ma subito qualcun altro osservò che, se la popolazione cristiana della città lo fosse venuta a sapere, per mesi nessuno avrebbe più comprato pesce sul mercato cittadino, nel timore che potesse essere contaminato dal contatto con il cadavere di un appartenente a quella che il popolo minuto chiamava senza troppi complimenti la setta dei “cristicidi”.

I giudici del Sinedrio condannano Gesù, affresco, XVIII secolo

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Capitolo 9

L’ItaLIa deL Settecento 9.1 La situazione politica La penisola all’inizio del Settecento

L’Italia nel Settecento non era uno Stato nazionale, come la Francia, l’Inghil­ terra, la Spagna, la Russia, ma un insieme di unità politiche distinte, ciascuna delle quali assoggettata a un governo diverso, che era espressione o di una dinastia sovrana oppure, nel caso delle repubbliche, di un’aristocrazia che governava in forma oligarchica. nel corso del secolo, in base all’esito dei conflitti dinastici, oppure in seguito ad accordi propiziati da alleanze matrimoniali tra l’una e l’altra casata, le dinastie re­ gnanti si scambiarono più di una volta i territori. ancora alla fine del Seicento gran parte della penisola risultava soggetta al dominio degli Asburgo di Madrid, i quali governavano sul Regno di napoli, sulla Sicilia, sulla Sardegna, sul ducato di Milano, esercitando al tempo stesso una ben percepibile influenza anche su gran parte degli altri Stati. Ma, come sappiamo, nel 1700 la linea spagnola degli asbur­ go si estinse e la corona di Spagna passò ai Borbone.

John Russell, Connaisseurs britannici a Roma, 1750 circa (Yale, Center for British Art)

Nell’immagine è raffigurato un gruppo di aristocratici inglesi in viaggio in Italia, tappa principale del grand tour, un percorso di istruzione e formazione di giovani aristocratici europei

Gli appassionati d’arte (connaisseurs) sono ritratti davanti al Colosseo. La riscoperta delle vestigia del mondo greco e romano è una caratteristica del viaggio settecentesco

Se dal punto di vista culturale nel Settecento l’Italia è un fondamentale polo di attrazione, dal punto di vista politico la penisola continua a essere divisa in una pluralità di Stati

202

I domini italiani dei Borbone e degli Asburgo

Spostiamo ora lo sguardo sull’assetto della penisola stabilito dalla pace di Aquisgrana, nel 1748, che pose fine alla Guerra di successione austriaca. La situa­ zione territoriale e i relativi equilibri di potere resteranno sostanzialmente immu­ tati fino al 1796. Il Regno di Napoli e quello di Sicilia sono ora in mano ai Borbone di Madrid, non più, tuttavia, alla stregua di un vicereame esterno, bensì con dignità autonoma. Già nel 1734, infatti, nel pieno della Guerra di successione polacca, Carlo di Borbone, figlio del re di Spagna Filippo V, aveva fatto il suo ingresso ufficiale nella città partenopea e assunto il titolo di re. durante il suo regno, e ancor di più durante quello del figlio Ferdinando, i Borbone di Napoli continuarono a mantenere stretti contatti con Madrid, ma diventarono al tempo stesso una dinastia a sé stante, considerata autoctona e non straniera dagli abitan­ ti del Mezzogiorno. anche nel Ducato di Parma e Piacenza nel 1748 governa un Borbone di Ma­ drid, anche se nei decenni seguenti sarà piuttosto il ramo francese della casata a esercitare grande influenza sul piccolo Stato italiano. Gli Asburgo di Vienna, dal canto loro, possiedono il Ducato di Milano, che cominciano a chiamare “Lombar­ dia austriaca”, una volta che, estintasi la dinastia dei Gonzaga, si è aggiunto il Mantovano. Inoltre, in forma indiretta, dominano anche sulla Toscana: qui, infat­ ti, morto senza eredi l’ultimo dei Medici, sono giunti i Lorena, imparentati con gli asburgo, dal momento che il granduca di toscana, Francesco Stefano di Lorena, ha sposato l’imperatrice d’austria Maria teresa d’asburgo (v. cap. 8) ed è diventa­ to, nel 1745, sacro romano imperatore.

Anonimo, Parata a Piedigrotta, XVIII secolo. La tela raffigura l’ingresso in città del re di Napoli Carlo di Borbone con il suo seguito

L’Italia nel 1700 e nel 1748 VESC. DI AUSTRIA BRESSANONE PRINC. VESC. REGNO DI DI TRENTO UNGHERIA DUC. DI DUCATO REPUBBLICA DI DI SAVOIA MILANO VENEZIA IMPERO DUC. DI DUC. DI ISTRIA OTTOMANO PARMA FERRARA REP. DI REP. DI GENOVA S. MARINO DALMAZIA REP. DI GRANDUCATO PRINC. DI LUCCA DI TOSCANA STATO MONACO REP. DI PRINC. DI DELLA RAGUSA PIOMBINO CHIESA CORSICA (alla Francia STATO DEI dal 1788) PRESIDI DUCATO DI CASTRO REGNO DI NAPOLI mar Tirreno SARDEGNA

Domini dei Savoia

mar Ionio

REGNO DI FRANCIA

REGNO DI FRANCIA

Domini degli Asburgo e poi dei Borbone di Spagna Domini degli Asburgo di Vienna

AUSTRIA TIROLO PRINC. VESC. REGNO DI DI TRENTO UNGHERIA DUC. DI REPUBBLICA DI REGNO MILANO VENEZIA DI DUC. DI ISTRIA IMPERO SARDEGNA PARMA DUC. DI MODENA OTTOMANO REP. DI E REGGIO REP. DI GENOVA S. MARINO DALMAZIA REP. DI GRANDUCATO DI TOSCANA PRINC. DI LUCCA STATO MONACO REP. DI PRINC. DI DELLA RAGUSA PIOMBINO CHIESA CORSICA (alla Francia STATO DEI dal 1788) PRESIDI SVIZZERA

SVIZZERA

mar Tirreno

REGNO DI NAPOLI

mar Ionio

mar Mediterraneo REGNO DI SICILIA

REGNO DI SICILIA

Ducato di Mantova

Possedimenti dei Borbone di Napoli

Ducato di Modena e Reggio

Domini degli Asburgo di Vienna

Marchesato di Saluzzo

Domini dei Savoia

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Canaletto, Ricevimento dell’ambasciatore francese, 1726-1727 (San Pietroburgo, Museo dell’Ermitage)

I domini del Nord e del Centro

MEMO Il Ducato di Savoia dall’inizio del Settecento aveva allargato sempre più i propri domini italiani, grazie a una serie di alleanze strategiche ora con gli spagnoli, ora con i francesi. Infine, dopo la Guerra di successione spagnola, il ducato aveva ottenuto il rango di regno [vedi pp. 86 e 90].

LESSICO Enclave Dal verbo francese enclaver, “chiudere a chiave”, designa un territorio completamente circondato da uno Stato diverso da quello che esercita la sovranità su di esso.

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completiamo ora il quadro caratteristico dell’Italia settentrionale. a ovest si estendono i domini che formano il Regno di Sardegna: il ducato dal quale la dina­ stia prende il nome, il Piemonte e la Sardegna, che la pace dell’aia (1720) ha por­ tato sotto lo scettro della dinastia che regna a torino. Sotto il Piemonte, affacciata sul mar tirreno, vi è la Repubblica di Genova, i cui territori corrispondono a quel­ li dell’odierna Liguria e della Corsica, che verrà però ceduta alla Francia nel 1768. a est c’è un’altra antica repubblica, quella di Venezia, che ha per simbolo il leo­ ne di San Marco. I suoi confini occidentali si dilatano fino a comprendere Berga­ mo, Brescia, crema (oggi in Lombardia); verso oriente la Repubblica domina buona parte dell’odierno Friuli­Venezia Giulia (ma non trieste e Gorizia, che ap­ partengono all’austria) e la lunga fascia costiera adriatica corrispondente alle attua­ li Slovenia e croazia. Infine, orientando lo sguardo verso il Brennero, incontriamo quella che è oggi la regione trentino­alto adige e che risulta suddivisa tra un piccolo staterello ec­ clesiastico (il principato vescovile di Trento) e la porzione meridionale della pro­ vincia austriaca del tirolo. Per terminare il quadro, manca ancora un tassello: il Ducato di Modena e Reggio, dove regna la dinastia degli Este, italiana ma impa­ rentata con gli asburgo. Scendendo verso il centro, a ridosso dell’alta costa tirrenica troviamo la piccola Repubblica di Lucca; poi, tra il Granducato di toscana e il Regno di napoli, si trova il grande Stato della Chiesa, retto dal papa, che comprende parte dei territo­ ri dell’odierna emilia Romagna, le Marche, l’Umbria, il Lazio, e che si completa con due piccole enclave incuneate all’interno dei confini del Regno di napoli, Benevento e Pontecorvo (di un’altra enclave lo Stato della chiesa dispone in Fran­ cia: è la città di Avignone). Bisogna inoltre ricordare la microscopica ma fiera Repubblica di San Marino, incastonata all’interno dei domini papali; il piccolo Stato dei Presidi (prima possesso della corona di Spagna, poi di napoli) tra la toscana e lo Stato della chiesa, il minuscolo principato di Piombino, formato da un breve tratto della costa toscana e dalle isole di fronte.

capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

Un mosaico complesso

L’Italia del Settecento concentrava su una superficie relativamente modesta quasi l’intera varietà delle forme istituzionali caratteristiche dell’antico regime europeo (monarchie, repubbliche aristocratiche, ducati e granducati, principati, e quell’unicum rappresentato dallo Stato teocratico del papa) ed esprimeva in forma esemplare il carattere pulviscolare e frammentato dei suoi modi di esercizio del potere. durante il Settecento quasi nessuna delle unità territoriali che compone­ vano la penisola rimase impermeabile ai fenomeni che abbiamo tematizzato nei capitoli precedenti: l’Illuminismo e il dispotismo illuminato. Ripercorrere alcu­ ne delle vicende della penisola in quest’epoca significa perciò osservare, all’interno di un mosaico territorialmente concentrato, ma ricco di tasselli, le stesse tendenze che abbiamo visto all’opera nella più generale cornice europea.

9.2 L’Illuminismo in Italia I circoli di Milano e Napoli

I principi dell’Illuminismo si diffusero in Italia non soltanto attraverso le ope­ re di scrittori stranieri. come nel resto d’europa, anche in alcune città della peni­ sola, infatti, si formarono circoli nei quali gli studiosi discutevano su come fosse possibile migliorare la società. a Milano si riuniva l’Accademia dei Pugni, che sosteneva la necessità di un rinnovamento nella cultura e nella vita dell’epoca. Questo gruppo fu guidato da Pietro Verri (1728­1797) e cesare Beccaria (1738­ 1794), impegnati insieme nella pubblicazione, tra il 1763 e il 1764, del periodico “Il Caffè”, una sorta di «piccola enciclopedia dell’Illuminismo italiano», il cui ti­ tolo rivela già lo scopo di «risvegliare con caffè purissimo tutti i dormienti». anche Napoli fu un centro culturale vivace, nel quale si approfondirono con particolare interesse soprattutto i temi economici. Vi si impegnarono Ferdinando Galiani (1728­1787), antonio Genovesi (1713­1769), Giuseppe Galanti (1743­ 1806) e Gaetano Filangieri (1752­1788) che fu l’autore di una incompiuta, ma fondamentale, Scienza della legislazione (1780­1785), nella quale si affermava tra l’altro la necessità di abolire il sistema feudale. Antonio Perego, L’Accademia dei Pugni, XVIII secolo (Milano, Collezione Castelbarco). Vi sono ritratti alcuni dei protagonisti dell’Illuminismo italiano

Pietro Verri

Alessandro Verri

Cesare Beccaria

Luigi Lambertenghi

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

L’opera di Cesare Beccaria

Intervista impossibile a Cesare Beccaria, p. 214

Il laboratorio dello storico Il diritto di dare la morte, p. 216

certamente l’illuminista italiano più noto fu cesare Beccaria, autore dell’opera Dei delitti e delle pene (1764), un breve trattato, tradotto in molte lingue, che può essere considerato il contributo più originale e importante dell’Italia al pensiero illuminista. Il testo è un’aspra critica del sistema giudiziario e penale esistente. Par­ tendo dai principi dell’utilitarismo, Beccaria condanna la tortura, le pene più cru­ deli e la pena di morte. nel mondo dell’antico regime aveva dominato l’idea che i delinquenti confes­ sassero solo sotto tortura. Beccaria invece sostiene l’esatto opposto: di fronte alla tortura anche gli innocenti finiscono per dichiararsi colpevoli. Scrive infatti in proposito: «Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condanna­ re i deboli innocenti. ecco i fatali inconvenienti di questo preteso criterio di verità, un criterio degno di un cannibale». egualmente radicale è la sua denuncia della pena di morte: secondo la mentalità dell’epoca, un criminale che veniva giustiziato subiva la meritata punizione per ciò che aveva compiuto e in più espiava il peccato che aveva commesso contro la legge divina. I delitti, infatti, venivano considerati in primo luogo come peccati, infrazioni dei comandamenti divini. Secondo Beccaria, invece, delitto e peccato sono due cose diverse: la legge, in­ fatti, non riguarda le colpe ma il danno arrecato alla comunità. allo stesso modo la pena non deve essere considerata come un’espiazione, ma piuttosto come un risar­ cimento dei danni. Perciò un malvivente non doveva essere eliminato, ma costret­ to a pagare con i lavori forzati il suo debito con la società. ANALIZZARE LA FONTE

Dell’inutilità della pena di morte Autore: Cesare Beccaria – Tipo di fonte: trattato – Titolo: Dei delitti e delle pene – Data: 1764 Riportiamo parte del celebre capitolo sulla pena di morte che ispirò molte riforme penali nell’Europa del Settecento, prima fra tutte quella di Pietro Leopoldo nel Granducato di Toscana (v. p. 212).

non è l’intensione1 della pena che fa il maggiore effetto sull’animo umano, ma l’estensione di essa; perché la nostra sensibilità è più facilmente e stabilmente mossa da minime ma replicate impressioni che da un forte ma passeggero movimento. […] non è il terribile ma passeggero spettacolo della morte di uno scellerato, ma il lungo e stentato2 esempio di un uomo privo di libertà, che, divenuto bestia di servigio, ricompensa colle sue fatiche quella società che ha offesa, che è il freno più forte contro i delitti. […] non è utile la pena di morte per l’esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o l’atrocità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbono aumentare il fiero esempio, tanto più funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne com­ mettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio. cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, Rizzoli, Milano 1981 1. intensione: intensità. 2. stentato: ostentato. Domande alla fonte 1. Perché, secondo Beccaria, l’atroce spettacolo di un’esecuzione capitale ha un effetto minore della vista di un uomo condannato ai lavori forzati? 2. Con quale argomentazione Beccaria sostiene che la pena di morte non è utile? 3. Perché Beccaria ritiene assurdo che uno Stato applichi la pena di morte?

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capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

La tradizione anticuriale e il cattolicesimo illuminato

tra gli illuministi italiani molto intensa fu la riflessione sui compiti e i poteri della Chiesa. ciò non stupisce se si pensa che proprio nel cuore della penisola si trovava Roma, il centro mondiale del cattolicesimo e che, negli Stati prossimi a quello pontificio, la chiesa deteneva un patrimonio di beni, di diritti speciali e di poteri talmente vasto da configurarsi davvero come un’entità alternativa ai governi secolari. Furono infatti soprattutto alcuni intellettuali napoletani della prima metà del secolo, come Gian Battista Vico (1668­1744), Paolo Mattia Doria (1662­1746), e soprattutto Pietro Giannone (1676­1748), autore di una famosa e appassionata Istoria civile del Regno di Napoli (1723) i fautori di un forte anticurialismo, teso a criticare lo strapotere del papa e degli alti prelati che gli facevano da consiglieri nella direzione delle coscienze dei cattolici di ogni paese. In altri Stati italiani operavano invece figure che si battevano per ricondurre la religiosità a quella purezza e naturalezza che la comunità cattolica pareva aver smarrito in seguito alla crescita del potere temporale della chiesa. Per esempio, il modenese Ludovico Antonio Muratori (1672­1750), famoso anche per le sue opere di erudizione storiografica, scrisse nel 1747 Della regolata devozione de’ cristiani, polemizzando contro l’intolleranza culturale della Santa Sede, e contro le forme superstiziose di culto da essa alimentate. La sua battaglia per una religiosità più sobria e sincera – per l’appunto la regolata devozione – gli valse l’appellativo “stronzolo del diavolo”, affibbiatogli dai gesuiti, che egli, del resto, additava tra i principali responsabili della degenerazione irrazionale del culto. Figura significativa, nella stessa direzione, fu anche il vescovo di Pistoia Scipione de’ Ricci (1741­1810), massimo esponente in Italia del giansenismo, il movi­ mento religioso che, rifacendosi all’insegnamento del francese cornelius Jansen (1585­1638), denunziava l’irrigidimento della gerarchie ecclesiastiche, mirando a valorizzare il ruolo della comunità dei fedeli e a promuovere una gestione collegia­ le della chiesa.

Fonte L. A. Muratori, La regolata devozione

Pietro Longhi, Frateria, 1761 (Venezia, Pinacoteca Querini Stampalia). Questa tela rappresenta con sottile ironia una riunione di frati di ordini diversi a Venezia alla metà del XVIII secolo: si noti come quelli in prima fila siano raffigurati in un atteggiamento di tipo mondano, quasi in posa per il ritratto con i loro eleganti cappelli tenuti in mano

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Giovanni Paolo Panini, Piazza san Pietro con l’allegoria del trionfo del papato, 1757 (Parigi, Museo del Louvre)

9.3 I conflitti dei governi con la Chiesa Il ridimensionamento della Curia romana

L’attenzione che, soprattutto nella seconda metà del secolo, molti governi della penisola riservarono alle suggestioni di matrice illuminista lasciò una traccia dura­ tura soprattutto nel ridimensionamento del ruolo della Curia romana. Scontran­ dosi con il mondo tradizionale, tutti i governi trovarono infatti un comune obiettivo polemico nel potere temporale della Chiesa. a essa contestarono la pretesa di imporre in ogni Stato, per mezzo dei propri tribunali, un sistema di norme vinco­ lanti non solo sul piano della coscienza individuale, ma anche su quello della re­ pressione legale dei comportamenti giudicati irreligiosi. La presenza della Chiesa era peraltro davvero enorme anche al di fuori dello Stato pontificio. nel Regno di napoli, per esempio, le terre ecclesiastiche al momento dell’ascesa al trono dei Borbone ammontavano a forse la metà della superficie coltivabile del paese; in Lombardia, nel 1749, a poco più del 20%; nella Repubblica di Venezia a circa il 10%; nel Lazio a quasi il 40%. Inoltre, attraverso gli ordini regolari, e in particolare quello dei gesuiti, la curia romana esercitava una grande influenza sull’istruzione pubblica, godendo così della possibilità di plasmare coscienza e mentalità dei gruppi dirigenti. a influenzare il modo di vivere e di pensare della parte più umile della popolazione provvedevano invece i parroci, le sole figure dotate di un poco di cultura a cui la povera gente si accostasse con fiducia. dietro alla battaglia anticlericale vi era da un lato il desiderio delle nuove dinastie (gli asburgo di Vienna in Lombardia e in toscana, i Borbone nel Regno di napoli e nel ducato di Parma e Piacenza) di stare al passo con quanto avveniva nelle grandi monarchie europee, dove, come abbiamo visto esaminando il caso austriaco (v. cap. 8, par. 8.2), lo Stato avanzava a discapito dei corpi privilegiati. dall’altro si faceva sentire il contributo degli illuministi locali, molti dei quali furono designati dai governi come ministri o funzionari allo scopo di fruire della loro com­ petenza per realizzare le riforme. Infine, soprattutto per quello che riguardava la ride­ finizione dei rapporti tra Stato e chiesa (così come di quelli tra chiesa e società), con il processo di riforma interagì positivamente quella parte del clero che era influenza­ ta da pensatori come Muratori o da figure come Ricci, e per questo desiderosa di promuovere mutamenti all’interno della Chiesa cercando l’alleanza con lo Stato. 208

capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

La lotta contro i gesuiti

Il risultato più clamoroso della battaglia anticlericale fu lo scioglimento dell’ordine dei gesuiti. Fondato dopo la Riforma protestante dallo spagnolo Ignazio di Loyola (1491­1556), allo scopo di farne lo strumento di punta della Controriforma, l’ordine si era enormemente rafforzato nei due secoli seguenti e rappresenta­ va il simbolo del monopolio che la chiesa deteneva nel campo dell’istruzione. Gran parte della gioventù aristocratica e benestante si formava infatti, sotto il segno della ratio studiorum, presso i collegi gesuitici, diffusisi a macchia d’olio nell’europa cattolica e ancora in espansione fino a metà del Settecento. ciò con­ sentiva ai membri dell’ordine di esercitare una sottile influenza come consiglieri e confessori di figure eminenti (e degli stessi sovrani) e di orientarne pertanto le scelte politiche. Ma forte era anche la loro presenza all’interno del tribunale dell’Inquisizione, un organo ecclesiastico dotato di poteri pubblici, che in ogni paese cattolico godeva della prerogativa di giudicare ed emanare sentenze in ma­ teria di difesa della fede, osservanza della morale, censura sulle opere a stampa. da un lato, dunque, i gesuiti si muovevano nelle quinte della grande politica europea, dall’altro erano in prima fila nelle strutture giudiziarie preposte alla repressione di quella libertà di coscienza il cui perseguimento costituiva uno degli obiettivi dell’Illuminismo. a partire dal 1759 gli appartenenti all’ordine cominciarono prima a venire espulsi dai vari paesi, poi sostituiti ai vertici del sistema educativo. cominciò il Portogallo, che nel 1759 fece espellere i gesuiti dal regno, accusandoli di aver com­ plottato contro il re. Poi fu la volta degli Stati borbonici di tutta europa e anche di quelli assoggettati agli Asburgo. così nel 1773, papa Clemente XIV (Giovan Vin­ cenzo antonio Garganelli, 1705­1774, papa dal 1769) si rassegnò a decretare lo scioglimento (provvisorio) dell’ordine. cominciò allora, per gli ex gesuiti, una fase di grave crisi, che risparmiò in sostanza solo quanti di loro operavano in con­ tinenti diversi dall’europa, assolvendo incarichi in materia di evangelizzazione.

MEMO Ratio studiorum (“piano di studi”) è una raccolta di regole alle quali dovevano attenersi insegnanti e studenti dei collegi dei gesuiti. Le regole riguardavano i tempi e le modalità di insegnamento, i contenuti disciplinari, ma anche le norme comportamentali che gli allievi dovevano seguire.

Approfondire Le scuole dei gesuiti

APPROFONDIRE

Riforme e potere nello Stato e nella Chiesa agioni e interessi contrapposti tra Stato e Chiesa sono ben Rtecento, evidenziati da alcuni documenti degli anni Sessanta del Setche si trovano negli archivi di Vienna e del Vaticano. Il ministro austriaco Kaunitz (1711-1794), al momento di sollecitare l’avvio delle riforme giurisdizionalistiche in Lombardia, scriveva all’imperatrice Maria Teresa che era necessario, per il bene dello Stato, costringere Roma ad ammettere che «la libertà e l’immunità ecclesiastica hanno ad avere un confine». Secondo Kaunitz, per potenziare l’economia era indispensabile restituire ai laici il possesso dei beni incamerati nei secoli precedenti dagli ecclesiastici ed eliminare la manomorta, ovvero il divieto di mettere in vendita i beni fondiari della Chiesa. Distogliendo gli ecclesiastici «dalla distrazione che seco porta l’amministrare (le terre)», si sarebbe ottenuto inoltre il risultato di favorirne un modo di vita più spirituale e aderente ai compiti che Dio aveva assegnato alla Chiesa. Infine ricordava alla sovrana che la censura ecclesiastica non serviva solo a mantenere in un’arretrata ortodossia le coscienze, ma soprattutto a sfidare lo Stato nelle sue prerogative sovrane. Pertanto era opportuno to-

gliere al clero questo potere «diretto in apparenza alla conservazione della purità della fede, in sostanza al fine di estendere la giurisdizione della corte di Roma». Quando l’imperatrice decise di dare corso alle sollecitazioni del suo ministro, papa Clemente XIII (Carlo Rezzonico, 1693-1769, papa dal 1758), le inviò a sua volta una lettera accorata, dalla quale si evincono bene le motivazioni dello sconcerto ecclesiastico di fronte alle riforme: «Il metodo che Vostra Maestà intende di stabilire in Milano per la stampa ed introduzione dei libri (un metodo basato sul principio dell’avocazione allo Stato del potere di censura n.d.t.) non è buono e pare in pericolo la purità della nostra santa fede e l’integrità della morale cristiana, in questi tempi, nei quali la religione e la fede è da mille parti attaccata con una guerra tanto più pericolosa quanto più occulta, che i libri empi ogni dì più si aumentano e si traducono ne’ volgari idiomi, che tutti leggono e sortiscono il veleno nascosto sotto la lusinghevole fallacia di una vana filosofia […], che la Chiesa e i suoi ministri sono per così dire fatti il bersaglio delle irrisioni e dei più fieri colpi degli uomini».

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

La sconfitta della Chiesa

Il ministro riformatore Léon Guillaume du Tillot

In Italia la battaglia per limitare il potere della Chiesa risultò particolarmente drammatica nel piccolo Ducato di Parma e Piacenza, dove, circondato da consi­ glieri di formazione illuminista, il ministro du Tillot (1711­1774), condusse negli anni Sessanta una vigorosa politica anticuriale. La Santa Sede, per questo, lo sco­ municò e, per farsi valere, si spinse fino ad avanzare la pretesa di incorporare nello Stato pontificio il ducato, sul quale sosteneva di godere di antichi diritti. Ma du tillot, appoggiato dalle altre corti borboniche (i Borbone di Francia occuparono l’enclave di avignone e quelli di napoli Benevento e Pontecorvo), non cedette. Espulsi i gesuiti nel 1768, il ducato fu il primo Stato europeo a dichiarare abolito, nel 1769, il tribunale dell’Inquisizione. come dimostra la pretesa pontificia di rivendicare a sé il ducato di Parma, dopo averne scomunicato il ministro riformatore, ancora a metà del secolo i papi erano abituati a considerarsi come autorità superiori ai sovrani secolari. non rappresentavano forse loro il tramite terreno di quella luce divina a cui i regnanti cattolici facevano appello per legittimarsi agli occhi dei sudditi? e non era dunque giusto che in ogni paese cattolico la chiesa di Roma godesse di grandi ricchezze e imponesse il suo magistero morale e le proprie leggi a una società che era fatta di fedeli, prima ancora che di sudditi? a fine secolo, viceversa, la Chiesa sotto il profilo dell’esercizio del potere tem­ porale si identificava ormai con il solo Stato pontificio, retto da papi che da qual­ che decennio erano costretti a stipulare con gli altri Stati – monarchie, ducati, re­ pubbliche – dei concordati, limitativi delle prerogative fino a quel momento fruite dalla comunità ecclesiastica. In Italia, come nel resto dell’europa cattolica, pur conservando grande influen­ za morale, fu la Chiesa la grande sconfitta dell’età delle riforme. da un lato, la cacciata dei gesuiti comportò il sequestro dei loro cospicui beni da parte dello Sta­ to, ma soprattutto l’apparato istituzionale della curia cessò di costituire un’autori­ tà alternativa rispetto a quella dei governi. non fu più uno Stato dentro gli altri Stati. due esempi, tra i tanti, ce lo dimostrano. In seguito alla soppressione dei conventi decretata dal governo, in Lombardia tra il 1790 e il 1791 i membri del clero regolare calarono da oltre 12 600 a circa 5500; nella Repubblica di Venezia, tra il 1776 e il 1790, da circa 8000 a circa 4600. L’“esercito” del papa usciva dun­ que sostanzialmente dimezzato dalle iniziative dei governi. Per molti chierici ciò comportò un drastico impoverimento, visto che i beni sui quali si era basato fino a quel momento il loro sostentamento non appartenevano più alla chiesa. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Cronologia dell’ordine della Compagnia di Gesù

210

1540

Paolo III istituisce l’ordine della Compagnia di Gesù

1759

I gesuiti vengono espulsi dai territori portoghesi

1764

I gesuiti vengono espulsi dalla Francia

1767

I gesuiti vengono espulsi dalla Spagna, dal Regno di Napoli e di Sicilia

1768

I gesuiti vengono espulsi dal Ducato di Parma e Piacenza

1773

Papa Clemente XIV sopprime l’ordine della Compagnia di Gesù

1814

Papa Pio VII ricostituisce l’ordine

capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

9.4 L’assolutismo illuminato nell’Italia del secondo Settecento La differenza del riformismo nelle monarchie e nelle repubbliche

Se la critica nei confronti della chiesa fu un tratto comune a gran parte delle realtà politiche dell’Italia settecentesca, non altrettanto uniforme si rivelò l’azione contro i privilegi nobiliari. nei territori soggetti al dominio di dinastie sovrane i governanti cercarono di realizzare, come facevano i monarchi illuminati europei, una serie di riforme atte a migliorare la gestione fiscale e amministrativa, pro­ muovendo la realizzazione di catasti, riducendo i privilegi nobiliari ed ecclesiastici, agevolando la libertà di commercio, migliorando l’istruzione pubblica e cercando di favorire la cultura scientifica. Le repubbliche, che erano dominate da élite ari­ stocratiche, si mostrarono invece molto più caute sotto questo profilo. Qui, infat­ ti, diminuire i privilegi nobiliari avrebbe significato paradossalmente minare potere e ricchezza degli stessi governanti; ed era improbabile, se non impensabile, che costoro accettassero di infliggersi un danno di questo tipo. nonostante ciò, anche nelle repubbliche, seppur in misura più blanda, si sentirono gli effetti del giurisdizionalismo, che stava alla base del riformismo di Maria teresa e di Giusep­ pe II in austria. Le riforme nella Lombardia asburgica

La Lombardia austriaca, facendo parte dei domini asburgici – il laboratorio per eccellenza del dispotismo illuminato europeo – fu forse la regione italiana nella quale le riforme furono più incisive. nel 1760 venne realizzato un catasto, il pri­ mo di cui Maria teresa sperimentò l’attuazione nei suoi domini. Promuoveva la parificazione dei ceti sociali di fronte allo Stato e al suo fisco, ed era rivolto perciò contro i corpi privilegiati (aristocrazia e clero). negli anni seguenti, mentre, con modalità analoghe a quelle esaminate nel capitolo 8, si affermava il controllo dello Stato sulle strutture della Chiesa e l’incameramento di parte dei suoi beni, il gover­ no provvide ad attribuire all’amministrazione dello Stato gran parte delle funzioni pubbliche fin lì assolte dai corpi privilegiati (aristocrazia, corporazioni) o da privati.

MEMO Le corporazioni, nate come patti associativi di individui che esercitavano lo stesso mestiere, si diffusero a partire dal XIII secolo in tutta Europa. I loro obiettivi erano di regolamentare la concorrenza e garantire la qualità dei prodotti. Con il tempo, però, la rigidità delle regole dei loro Statuti finì per farne uno strumento di difesa dei privilegi e di resistenza alle innovazioni tecnologiche [vedi p. 129].

Bernardo Bellotto, Veduta di Vaprio d’Adda, 1744 (New York, Metropolitan Museum of Art). La Lombardia asburgica fu il primo territorio in cui si sperimentò il catasto

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SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

Venne liberalizzata e promossa la vita economica (anche attraverso lo scioglimento delle corporazioni), si posero le basi per la diffusione dell’istruzione elementare, fu favorito il progresso della cultura di orientamento razionalistico e scientifico. Per un certo periodo i rappresentanti più illustri dell’Illuminismo lombardo – Pie­ tro Verri e cesare Beccaria – furono chiamati dal governo a ricoprire incarichi importanti al servizio dello Stato. Il riformismo nella Toscana di Pietro Leopoldo

Ritratto di Pietro Leopoldo granduca di Toscana dal 1765

LESSICO Statalizzazione In relazione al Settecento, il termine indica l’estensione della sovranità esercitata dalle istituzioni statali, che sostituisce quella di soggetti tradizionalmente dotati di potere sul territorio come i titolari di feudi (nobili o ecclesiastici) o le cittadinanze dei centri urbani muniti di statuto. In questo contesto statalizzazione significa quindi contenimento o annullamento dei poteri alternativi a quelli dello Stato.

Gherardo Poli, Piazza della Signoria a Firenze, XVIII secolo (Nancy, Museo delle Belle Arti)

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nella toscana governata da Pietro Leopoldo d’Asburgo-Lorena, granduca di toscana dal 1765 al 1790 (e poi, come sappiamo, imperatore d’austria e sacro ro­ mano imperatore dal 1790 al 1792) le riforme furono particolarmente ardite sul terreno economico. dalla metà degli anni Settanta in poi il governo adottò in modo convinto le indicazioni liberistiche. Il programma di modernizzazione delle attività economiche si espresse soprattutto nella liberalizzazione del commercio dei grani – prima fortemente limitato dal sistema dell’annona che imponeva di creare scorte di grano, depositate nei magazzini cittadini e utilizzate negli anni infausti per far fronte alle carestie –, introdotta in due tappe tra il 1767 e il 1775, e nell’abolizione delle corporazioni, sancita nel 1771. a queste iniziative se ne unirono altre, tese ad arginare il potere della Curia romana. Il vescovo di Pistoia, Scipione de’ Ricci, fortemente influenzato dal giansenismo, condusse agli inizi degli anni novanta la chiesa toscana quasi sul punto di staccarsi da quella di Roma. La riforma più coraggiosa, tra quelle realizzate nel granducato sotto il governo di Pietro Leopoldo, fu quella del diritto penale. nel 1786 il sovrano fece emanare un nuovo codice penale i cui punti fondamentali erano: certezza delle leggi, statalizzazione dei tribunali, eliminazione della tortura come strumento di indagine giudiziaria, abolizione della pena di morte e sua sostituzione con il lavoro forzato. Si trattava di un testo unico che sostituiva le molte, sparse e spesso contraddittorie norme preesistenti e che, primo in europa, accoglieva le idee formulate vent’anni prima da cesare Beccaria in Dei delitti e delle pene. tra le varie esperienze di riformismo settecentesco, quella toscana fu sicuramen­ te la più sensibile a quel tema della libertà dell’individuo e della promozione dei suoi diritti di fronte al potere, che costituiva uno dei punti chiave del pensiero il­ luminista e che aveva rappresentato la base della riflessione filosofica degli intellet­ tuali negli anni precedenti.

capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

Le riforme nel Regno di Napoli

anche nel Regno di Napoli i tentativi di riforma seguirono soprattutto la linea del ridimensionamento dei privilegi, ma se l’azione dei ministri riformatori, si­ tuandosi nell’alveo della tradizione anticuriale elaborata nella prima metà del seco­ lo, risultò abbastanza efficace sul piano dell’eliminazione di parte dei privilegi ecclesiastici, molto meno incisiva essa si rivelò per quanto atteneva all’erosione del potere della nobiltà, a causa del radicamento profondo della struttura feudale nel territorio e nella società del regno. tanto nel continente quanto in Sicilia, ancora alla fine del secolo, infatti, i feudatari restavano gli arbitri quasi incontestati di una società di sudditi. L’aristocrazia continuava a detenere immense estensioni di territorio, nelle quali i contadini vivevano in condizioni di umiliante soggezione personale rispetto ai signori, in un rapporto di immutata gerarchia rispetto ai seco­ li precedenti. erano questi ultimi, ai cui comandi stavano anche i giudici che am­ ministravano la giustizia locale, a dettare legge. Inoltre, la presenza opprimente della feudalità comportava anche condizioni di grave stagnazione economica, a causa dell’orientamento assenteista di gran par­ te dell’aristocrazia fondiaria. Quando, nel 1764, una drammatica carestia colpì il paese, si contarono alla fine quasi duecentomila vittime; morti per fame, per i quali i ministri residenti a napoli furono in grado di fare ben poco.

Letteratura Leonardo Sciascia, Il Consiglio d’Egitto

Un bilancio della stagione riformista italiana

I risultati delle riforme settecentesche in Italia, di cui abbiamo fornito alcuni esempi (a cui si possono aggiungere le riforme catastali e antifeudali realizzate nel Regno di Sardegna sotto carlo emanuele III), furono dunque diversi da Stato a Stato, e non sempre pienamente coerenti con le intenzioni dichiarate. Relativamente conservatrice, come abbiamo accennato, fu invece la politica condotta negli stessi decenni dai governi delle repubbliche oligarchiche e da quel­ lo dello Stato pontificio. tuttavia, anche in questi ultimi Stati, come nel resto dell’Italia e dell’europa, si diffuse in quest’epoca la sensazione che la società si tro­ vasse, dopo secoli di torpore, finalmente in movimento e che il tradizionale sistema di valori perdesse di credibilità, divenendo obsoleto. al suo posto se ne annunciava uno proteso verso orizzonti inediti.

Giuseppe Maria Crespi, Ragazza che si spulcia, 1727 (Napoli, Museo di Capodimonte). Nella seconda metà del Settecento Napoli conobbe una grave crisi economica

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le riforme nell’Italia del Settecento TeRRIToRIo

DINASTIA ReGNANTe

RIfoRMe

piemonte e Sardegna

Savoia (Vittorio Amedeo II, Carlo Emanuele III)

Catasto Norme antifeudali

lombardia

Asburgo (Maria Teresa, Giuseppe II)

Catasto (1760) Norme antifeudali Eliminazione privilegi ecclesiastici Istruzione primaria Statalizzazione

toscana

Lorena (Pietro Leopoldo)

Liberalizzazione del commercio dei grani Abolizione delle corporazioni Norme anticuriali Codice penale (soppressione pena di morte)

Regno di Napoli

Borbone (Carlo II, Carlo III, Ferdinando IV)

Eliminazione dei privilegi ecclesiastici

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D Beccaria, sappiamo che con i suoi amici del “Caffè” – i due fratelli Verri e gli altri – lei è stato uno dei massimi esponenti dell’Illuminismo in Italia. Che cosa vi ha spinti ad abbracciare questa dottrina filosofica?

r Eravamo tutti molto giovani, ventenni o

Intervista impossibile - 5 domande a

poco di più. Solo Pietro Verri, il più anziano tra noi, aveva più di trent’anni, quando, nel 1764, fondammo la rivista “Il Caffè”. Vivevamo a Milano, una città a quell’epoca molto conservatrice, dove dominava una cultura antiquata e autoritaria, quella dei nostri padri, con i quali, chi più chi meno, eravamo tutti in rotta. Pietro Verri, per esempio, non ne poteva più di dover ascoltare lo «sciocchezzaio domestico» di suo padre, il senatore Gabriele, e di suo zio monsignore, pronti a ripetere che era un buono a nulla ogni volta che si sedeva a tavola con loro. Si figuri che nel 1763, quando venne convocato dall’Inquisizione, scoprì che a denunciarlo erano stati i suoi famigliari. L’avevano accusato di aver manifestato in conversazioni private delle opinioni eretiche. Non parliamo poi del mio, di padre. Pensi che quando avevo vent’anni, facendo applicare dalle autorità le leggi previste dall’istituto della patria potestà, mi costrinse per oltre un mese agli arresti domiciliari, perché voleva impedirmi di sposare la donna che amavo, Teresa Blasco, che allora aveva diciassette anni, ma, dopo aver scontato la pena, io la sposai lo stesso, e lui a questo punto mi scacciò di casa. Ci volle un anno prima che si decidesse a riprendermi, con la mia Teresa, sotto il tetto domestico. Ecco, per noi, giovani aristocratici stanchi della tradizione, aderire all’Illuminismo ha significato in primo luogo andare alla ricerca di nuovi padri; padri spirituali tutti diversi da quelli naturali che la sorte ci aveva assegnato. Per questo ci siamo messi a leggere voracemente autori come Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Diderot, D’Alembert, e poi a scrivere anche noi. Il loro discorso di libertà e di emancipazione dai pregiudizi l’abbiamo subito sentito come il nostro, così lontano dal fanatismo, dall’intolleranza, dall’angustia mentale dei nostri padri.

Cesare

BeCCaria

D E perché avete chiamato “Il Caffè”

viscere ancora palpisenza una ripartizione equa delle risorse tanti». Così ho con- Senza una la felicità pubblica non è pensabile per- dotto una battaglia ripartizione equa ché, nella miseria dei molti che li circon- contro l’ignoranza e il delle risorse la dano, neppure i ricchi possono essere fanatismo, e per la felicità pubblica felici. Per questo ho parlato della proprietà fraternità umana. privata come di un «terribile, e forse non non è pensabile necessario diritto». È in nome di quel dirit- D Ma come è stata perché, nella to – quando si cerca di violarlo – che vie- accolta la sua ne punita «quella infelice parte di uomini» opera? miseria dei molti che dal destino non hanno ricevuto che r Ho riscosso grande che li circondano, «una nuda esistenza». E ho affermato an- successo, allora, in che che nel rapporto con altri paesi d’Europa. neppure i ricchi gli altri ci vuole uno «spirito Ma qui in Italia sono possono essere di mansuetudine e di fra- stato criticato molto felici ternità» che è la ragione, in duramente. La nostra primo luogo a suggerire. rivista “Il Caffè” durò L’uomo illuminato non deve appena poco più di un anno, ed eravapensare alla difesa dei pro- mo costretti a stamparla a Brescia, pri privilegi. Deve impe- che allora si trovava nella Repubblica gnarsi, invece, a far sì che veneta, perché in Lombardia non ci «la propria nazione diventi avrebbero dato l’autorizzazione. Tirauna famiglia di uomini fra- vamo 500 copie, ma che fatica ventelli», e che si riduca quan- derne anche solo una parte! Poi to più possibile «la distanza successe qualcosa di inatteso. Prodei grandi dal popolo». prio mentre le nostre difficoltà creCon la collaborazione dei scevano, e mentre i tradizionalisti ci miei amici del “Caffè” volevo attaccavano in modo sempre più proporre un nuovo modello furibondo, il governo ci propose di Abbiamo immaginato che i nostri artico- di Stato, capace di prevenire con un saggia entrare al suo servizio e di prestare li non fossero altro che la trascrizione di legislazione sociale i delitti, piuttosto che la nostra intelligenza all’attuazione discorsi usciti dalla bocca degli avvento- punirli con sistemi atroci. Mi pareva assur- di alcune riforme. Al nostro discordo e inutile che lo Stato si so di libertà, a dire il vero, i sovrani ri del Caffè di Demetrio, tramutasse in una prigio- che ci assunsero non erano molto una bottega specializzane, e trovavo abominevole interessati. Però anche loro, come ta nel servire un caffè Per noi, giovani l’uso della tortura, che ai noi, desideravano limitare il poteche «chiunque lo prova, aristocratici miei tempi era ancora così re della Chiesa e favorire un rinquand’anche fosse l’uo- stanchi della diffuso nelle procedure di novamento della cultura e della mo il più grave, l’uomo il più plumbeo della terra, tradizione, aderire giudizio. Era stata soprat- società. tutto l’Inquisizione, per se- Da allora, per qualche decennio, bisogna che per neces- all’Illuminismo coli – e ancora ai miei sono stato un pubblico funzionasità si svegli, e almeno ha significato tempi – a farne uso. Que- rio e ho scritto soprattutto di per mezz’ora diventi un in primo luogo sto non ho potuto dirlo in economia, ma, certo, è all’ardouomo ragionevole». andare alla ricerca modo esplicito, perché al- re giovanile dei miei 23 anni – trimenti avrei corso seri ri- l’età che avevo quando scrissi D Beccaria, il suo di nuovi padri schi, ma l’ho lasciato capi- Dei delitti e delle pene – che amico Verri nel libro re con un’allusione. Meditazioni sulla devo l’immortalità della mia felicità ha criticato gli orrori della fama. La mia battaglia, peralD Quale? guerra e ha affermato che «la felicità tro, è ancora molto lontana r Questa: «Chiunque leggerà questo dall’essere stata vinta compubblica è la maggior felicità scritto, accorgerassi che io ho omesso un pletamente. possibile divisa colla maggior uguaglianza possibile»; e, ancora, che genere di delitti che ha coperto l’Europa di sangue umano, e che ha alzato funeste il migliore degli Stati è quello «in cui i cataste, ove servivano di alimenti alle doveri e i diritti dell’uomo sono chiari fiamme i vivi corpi umani, quand’era gioe sicuri, e dove la felicità è distribuita condo spettacolo … per la cieca moltitucolla più eguale misura possibile su dine l’udire i sordi, confusi gemiti dei tutti i membri». È d’accordo anche lei miseri, che uscivano dai vortici di nero con questa interpretazione? E, se sì, fumo, fumo di membra umane, fra lo stricome l’ha sviluppata nel suo libro Dei dire di ossa incarbonite, e il friggersi delle delitti e delle pene? la vostra rivista? r Perché nei caffè, luoghi di incontro che anche da noi stavano cominciando a sorgere, ma che già da decenni si erano diffusi nell’Europa più avanzata, in quell’epoca si leggevano le gazzette e ci si informava sulle novità del mondo. Vi si discuteva appassionatamente, sorseggiando una bevanda che «ha la virtù di far stare l’uomo svegliato», ovvero pronto a esercitare la ragione e la critica in libertà e senza timori reverenziali.

r Sì, anch’io ho sostenuto l’idea che

Il laboratorio dello storico

Il diritto di dare la morte

Verso

le competenze

• Saper leggere e valutare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica

Il reato come peccato «Quale può essere il diritto che si attribuisce agli uomini di trucidare i loro simili?». Questa è la domanda che si pone il milanese Cesare Beccaria nell’opera Dei delitti e delle pene (1764), un breve trattato che è da considerarsi come il più importante contributo offerto dall’Italia all’Illuminismo. Beccaria non si riferisce ai massacri perpetrati nelle guerre – che gli illuministi condannano, ma nei confronti dei quali non possono che limitarsi a esercitare una critica morale –, bensì agli omicidi, per così dire, legali; ovvero alle condanne a morte emanate dai tribunali statali o anche da quelli ecclesiastici (per esempio il tribunale dell’Inquisizione). In questi luoghi i delitti venivano considerati in primo luogo come peccati, cioè come infrazione dei dieci comandamenti divini. Osserviamo questa immagine, tratta da un’opera scritta a Napoli nel 1772 per criticare le idee di Beccaria:

In alto, a sinistra, compare l’occhio di Dio, che proietta il suo raggio sulla Giustizia, una figura austera che si pone al confine tra la sfera sacra e quella profana

La Giustizia, che impugna la spada, indica nel carnefice l’esecutore terreno della volontà divina. La Giustizia davanti alla quale cadevano le teste dei condannati era quella di dio, colui che ha il potere di dare e di togliere la vita

Il boia porge alla Giustizia il suo tributo di teste decapitate. nel mondo della giustizia di antico regime il boia era una figura familiare. non era certo circondato di buona fama e tuttavia lo si considerava come il braccio terminale di una volontà che si faceva risalire a Dio, e della quale i sovrani secolari, con le loro leggi e con i loro apparati punitivi, erano i semplici esecutori

alle esecuzioni capitali, che venivano spesso eseguite in pubblico – nella più grande e trafficata piazza della città – la popolazione assisteva in gran numero; in parte era attirata da una morbosa curiosità, ma in parte era anche convinta di prendere parte a una sorta di rito religioso; la morte del condannato significava l’espiazione dei suoi peccati Allegoria della giustizia, 1764, incisione da Antonio Silla, Il diritto di punire, risposta al trattato de’ delitti e delle pene del signor marchese di Beccaria, Napoli 1772

216

capItOlO 9 - l’ItalIa dEl SEttEcENtO

Una giustizia umanizzata Spostiamo ora lo sguardo su un’altra immagine, contenuta nella traduzione svedese di Dei delitti e delle pene. I personaggi della scena sono gli stessi, ma il messaggio proposto è totalmente diverso.

L’occhio di Dio, con la sua luce, non c’è più

La Giustizia, priva di spada e intensamente umanizzata nei gesti, respinge con disgusto e turbamento l’offerta del boia. La Giustizia non si sente più titolare del diritto di “trucidare” e non tollera di posare ulteriormente lo sguardo sul macabro trofeo impugnato dal boia È un’immagine che esemplifica bene la visione di Beccaria, tesa a desacralizzare il diritto penale e a incardinarlo all’interno dell’ordine della ragione

Rielaborazione svedese dell’allegoria della giustizia secondo Beccaria, 1770

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state adoperate due fonti iconografiche coeve di tipo particolare: non dipinti o affreschi, bensì incisioni contenute all’interno di opere a stampa pubblicate nell’ambito del dibattito acceso dall’opera di Cesare Beccaria Dei delitti e delle pene. • Attraverso quali altre caratteristiche, oltre a quelle evidenziate dai tiranti, la Giustizia rivela nella seconda immagine una natura “umana” che invece le manca nella prima? • Quali riferimenti alla religione si trovano nell’immagine sulla pagina sinistra?

217

capItOlO 9

L’ITALIA DEL SETTECENTO

mappa Diffusione delle idee illuministe attraverso

Circoli (es. Accademia dei Pugni)

Periodici (es. “Il Caffè”)

Repubblica di Genova

• scioglimento

Repubblica di Venezia Repubblica di Lucca

Stati poco permeabili alle riforme

IllumINISmO IN ItalIa

Temi di riflessione prevalenti

Repubblica di San Marino

Stati aperti alle riforme

• catasto • norme antifeudali

• liberalizzazione economica

• istruzione elementare

218

dell’ordine dei gesuiti e incameramento statale dei loro beni • indebolimento della Curia romana

privilegi feudali: combattuti nei territori sotto il dominio straniero, cautela nelle repubbliche oligarchiche

Stato della Chiesa

lombardia austriaca

privilegi ecclesiastici: anticurialismo e lotta alla superstizione che contribuiscono a

Granducato di toscana

Regno di Napoli

parma e piacenza dei Borbone spagnoli

Regno di Sardegna

• liberalizzazione

norme contro i privilegi ecclesiastici

forte azione anticuriale di du Tillot (espulsione dei gesuiti, soppressione del Tribunale dell’Inquisizione

riforme catastali e antifeudali

del commercio dei grani • abolizione delle corporazioni • norme anticuriali • Codice penale

capItOlO 9

L’ITALIA DEL SETTECENTO

Sintesi 9.1 LA SITUAZIONE POLITICA dopo le guerre di successione (1748) la carta dell’Italia risulta alquanto cambiata rispetto all’ini­ zio del secolo. Il Regno di Napoli e di Sicilia è appannaggio dei Borbone di Madrid men­ tre il Ducato di Milano passa dagli asburgo di Madrid a quelli di Vienna. Il Regno dei Savoia si arricchisce della Sar­ degna mentre il Granducato di Toscana, estintasi la dina­ stia dei Medici, diviene domi­ nio dei Lorena, imparentati con gli asburgo. Sopravvivono anche le storiche repubbliche oli­ garchiche di Genova, Venezia e Lucca, mentre lo Stato della Chiesa continua a essere governato dal papa. completano il quadro della penisola la fiera Repubblica di San Marino, il piccolo Stato dei Presidi e il minuscolo principato di Piombino. L’Italia continua quindi a essere divisa in molte realtà politiche: monarchie, ducati, granducati, re­ pubbliche e principati, non immuni ai fenomeni dell’Illuminismo e del dispotismo illuminato. 9.2 L’ILLUMINISMO IN ITALIA L’Illuminismo italiano si diffonde grazie alla for­ mazione di importanti cenacoli culturali come l’accademia dei Pugni a Milano, animata dai fratel­ li Verri e da cesare Beccaria e impegnata nella pub­ blicazione della rivista “il caffè”, e i circoli napoletani, dove vengono affrontati soprattutto temi economici da pensatori come Ferdinando Galiani, antonio Genovesi e Gaetano Filangieri. Il maggior contributo italiano al pensiero illumi­ nista è rappresentato da Dei delitti e delle pene, l’opera di cesare Beccaria dedicata alla critica del sistema giudiziario (con la condanna in particolare della tortura e della pena di morte). Intensa è anche la riflessione su compiti e poteri della Chiesa, dato il ruolo determinante che essa ha in Italia, sede dello Stato pontificio e del potere temporale della chiesa. Si sviluppa una corrente di anticurialismo, soprattutto a opera di intellettuali meridionali (tra cui Gian Battista Vico, Paolo Mat­ tia doria, Pietro Giannone). In altri Stati italiani, invece, alcuni pensatori si battono per un cattolicesimo illuminato, privo di corruzione e supersti­ zione.

9.3 I CONFLITTI DEI GOvERNI CON LA ChIESA La centralità del tema del potere temporale della chiesa si avverte anche nel campo delle riforme realizzate negli Stati italiani. Quasi tutti compiono azioni di ridimensionamento dei poteri e dei privilegi della Chiesa: impongono obblighi fiscali al clero, chiudono monasteri e conventi, espellono i gesuiti dai loro territori, fino a co­ stringere papa clemente XIV (1773) a sopprimere l’ordine. 9.4 L’ASSOLUTISMO ILLUMINATO NELL’ITALIA DEL SECONDO SETTECENTO Mentre sono diffuse in quasi tutta la penisola le riforme anticlericali, non così radicale è la riduzione dei privilegi nobiliari: solo negli Stati monarchi­ ci vengono promosse riforme in tal senso, mentre nelle repubbliche aristocratiche i governanti cerca­ no di tutelare i propri privilegi. I tre principali laboratori delle riforme nell’Italia del Settecento sono la Lombardia, la Toscana e il Regno di Napoli. nella Lombardia asburgica vengono estese le azioni già promosse nei territori austriaci (istituzio­ ne del catasto, incorporamento dei beni del clero, obbligo scolastico, riordino dell’amministrazione). In Toscana il granduca Pietro Leopoldo è molto sensibile al tema delle libertà dell’individuo, sia in campo economico sia in campo giuridico, dove re­ dige un nuovo codice penale (1786) che garantisce la certezza della legge, l’eliminazione della tortura e l’abolizione della pena di morte. nel Regno di Napoli, governato dai Borbone di napoli, che diventeranno una dinastia autonoma rispetto a Madrid, hanno successo le riforme contro i privilegi del clero ma non quelle contro i vasti po­ teri dell’aristocrazia feudale. alcune riforme cata­ stali e antifeudali sono attuate anche nei pos­ sedimenti dei Savoia, mentre relativamente conservatrice è la poli­ tica condotta dai go­ verni delle repubbliche oligarchiche e da quello dello Stato pontificio.

219

SEZIONE 2

Il secolo deI lumI

eseRcIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

1

A quali Stati vengono annesse nel Settecento le seguenti regioni? Scegli tra Austria (A), Prussia (P) e Russia (R). ➜ cap. 8 a. b. c. d.

2

Slesia Bielorussia Galizia Crimea

Riordina cronologicamente gli eventi elencati, relativi all’Impero asburgico nel Settecento. a. b. c. d. e. f. g. h.

3

       

               

Morte di Maria Teresa Prammatica sanzione Leopoldo II diventa imperatore Patente di tolleranza Istruzione elementare obbligatoria Tassazione dei parroci Rivolta dei Paesi Bassi spagnoli Introduzione del Codice penale 

Svolgi sulla carta l’attività proposta.

➜ cap. 9

Completa la legenda colorando opportunamente   i quadratini in base alla situazione politica italiana   nel 1748.          

220

Asburgo Borbone Este Lorena Savoia

➜ cap. 8

uSARE IL LESSICO STORICO

4

Definisci in 5 righe il concetto di “economia morale”.

5

Definisci e metti in relazione i seguenti termini. a. b. c. d. e.

6

➜ cap. 5

➜ cap. 6

deismo / teismo agnosticismo / ateismo assolutismo / costituzionalismo sensismo / materialismo liberismo / mercantilismo

Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione.

➜ cap. 7

• giacobiti • sistema della polisinodia  • governo di gabinetto • clientelismo

7

L’espressione “dispotismo illuminato” mette in luce due aspetti contrastanti del processo riformistico del Settecento: quali? ➜ cap. 8

8

Fornisci una definizione di ciascun termine.

➜ cap. 9

a. anticurialismo    b.  enclave    c.  concordato

ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI

9

Completa la tabella mettendo a confronto la società di antico regime con quella settecentesca. società tradizionale

➜ cap. 5

società di fine settecento

Demografia Mondo del lavoro Mondo culturale

10

Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.

➜ cap. 5

  1. Nel corso del Settecento cresce l’agricoltura estensiva.  2. Le nuove associazioni laiche, sorte nel corso del Settecento, permisero la diffusione della cultura solo  all’interno di una piccola percentuale della popolazione.  3. Il modello corporativo si basava sul principio della concorrenza.  4. Nei gabinetti di lettura per la prima volta cominciò a esserci una massiccia presenza di donne colte.  5. L’analfabetismo fu generalmente più accentuato nei paesi cattolici che in quelli protestanti.  6. Nei secoli della Controriforma la Chiesa era riuscita ad abolire tutti i riti agrari di origine pagana. 

11

Rispondi alle domande.

V    F              

         

➜ cap. 5

1. Quali furono le probabili cause dell’aumento demografico nel corso del Settecento? 2. Quali motivi favorirono l’incremento delle nascite nel corso del Settecento? 221

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

3. 4. 5. 6. 7. 8.

12

Quali furono gli effetti del declino del mondo corporativo? Perché nel Settecento iniziò a imporsi la concorrenza? Perché i registri parrocchiali sono uno strumento importante per la demografia? In che modo la Chiesa riusciva a esercitare il controllo sul comportamento dei fedeli? Quali conseguenze ebbe la diffusione di associazioni laiche nel corso del Settecento? Perché nell’Europa protestante la percentuale di analfabetismo è generalmente più bassa rispetto a quella registrata  nell’Europa cattolica?

Completa la tabella.

➜ cap. 6

pensatore

posizione politica

Voltaire Costituzionalismo liberale Rousseau

13

Collega i termini o le espressioni della colonna di sinistra con i nomi della colonna di destra. 1. 2. 3. 4. 5. 6.

14

Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.

15

fisiocrazia separazione dei poteri utilitarismo liberismo materialismo democrazia

a. b. c. d. e. f.

➜ cap. 6

d’Holbach Rousseau Bentham Quesnay Montesquieu Smith

➜ cap. 6

Qual è il rapporto che si può individuare tra rivoluzione scientifica e Illuminismo? Quale fu l’effetto della nascita di accademie, club e circoli di lettura? Quali sono le cause del nuovo spirito di tolleranza che si diffonde nel Settecento? Per quale motivo Smith ritiene che lo Stato non debba intervenire nelle questioni economiche? Quali effetti ha la fiducia nella ragione sulla concezione della storia degli illuministi?

Individua quali affermazioni sono vere e quali false.

➜ cap. 7

  a. b. c. d. e. f. g. h. i. l.

16

L’Act of Settlement impediva a tutti i discendenti degli Stuart di diventare sovrani inglesi.  William Pitt il giovane guidò l’Inghilterra durante la Guerra dei sette anni.  Giorgio III sovvertì le alleanze appoggiandosi al partito tory.  John Law permise alla Francia di uscire da una grave crisi economica.  In Inghilterra i dissidenti religiosi si riconoscono nel partito whig.  Le Grandes Remonstrances erano degli atti con i quali il Parlamento di Parigi chiese al sovrano di espellere  i gesuiti dal paese.  Durante il lungo regno di Luigi XV in Francia il potere era di fatto nelle mani dei ceti privilegiati.  Con la bolla Unigenitus Luigi XIV pose fine alla secolare persecuzione contro i giansenisti.  Carlo III introdusse in Spagna importanti riforme antiecclesiastiche e limitò il potere dell’Inquisizione.  Il marchese di Pombal fondò l’Università di Coimbra. 

Completa le tabelle.

➜ cap. 7

Inghilterra  periodo

capo di gabinetto

Robert Walpole William Pitt il vecchio William Pitt il giovane 222

azione politica

V                     

  F          

         

ESErcIZI

Francia periodo

governante

azione politica

Filippo d’Orléans Il cardinale Fleury Luigi XV

17

Scegli l’alternativa corretta.

➜ cap. 8

1. Il giurisdizionalismo è una politica ecclesiastica secondo la quale a 

lo Stato legifera anche in materia di fede lo Stato stabilisce le giurisdizioni ecclesiastiche c   lo Stato controlla gli atti della Chiesa nelle materie non di fede

b 

2. La monarchia elettiva è una forma di governo che a 

si oppone al dispotismo illuminato limita i poteri del sovrano  c   può rendere instabile la successione al trono

b 

3. Quali gruppi furono i principali oppositori del dispotismo illuminato? a 

la borghesia e i philosophes i contadini e i funzionari pubblici c   l’aristocrazia e il clero

b 

4. Il dispotismo illuminato favorì  a 

la partecipazione della popolazione alla gestione del potere un’evoluzione in senso democratico della società c   l’eguaglianza di tutti i sudditi di fronte alla legge

b 

5. La soppressione di alcuni ordini ecclesiastici contemplativi ebbe come effetto a 

un ritorno della Chiesa allo spirito comunitario delle origini  l’incameramento dei beni ecclesiastici da parte dello Stato c   il consolidamento degli ideali della Riforma protestante

b 

18

Completa la tabella, relativa ad alcune istituzioni culturali o correnti di pensiero settecenteschi . rappresentanti

➜ cap. 9

idee e temi trattati

Accademia dei Pugni Anticurialismo Cattolicesimo illuminato

19

Rispondi alle domande.

➜ cap. 9

1. Quali effetti ebbero sull’assetto politico-territoriale dell’Italia le guerre di successione? 2. Quali motivi sono alla base dello spirito anticuriale diffusosi soprattutto nell’Italia meridionale nel corso  del Settecento? 3. Quali motivi fanno dei gesuiti un importante bersaglio della lotta dei riformatori contro i poteri della Chiesa?  4. Quali furono le cause della crisi del potere papale alla fine del Settecento? 5. Per quali motivi le repubbliche non promossero politiche antinobiliari? 6. Quali fuono gli effetti concreti del successo dell’opera di Beccaria?  7. Quale rapporto vi fu in generale tra gli illuministi italiani e le opere di riforma realizzate da alcuni Stati italiani? 8. Quale obiettivo si cercava di perseguire con la liberalizzazione del commercio dei grani?  9. Quali motivi sono alla base del fallimento di una parte delle riforme nel Regno di Napoli? 10. Quali sono le differenze tra il riformismo lombardo e quello toscano?  223

SEZIONE 2 - Il SEcOlO dEI lumI

RIASSuMERE E ARgOMENTARE

20 Nell’Europa dell’antico regime la religione svolge un ruolo importante nell’orientare i processi di socializzazione e di interazione sociale. Sviluppa questa tesi in un massimo di 20 righe.

 21

In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti.

➜ cap. 5

➜ cap. 7

a. La crescita del potere parlamentare nell’Inghilterra degli Hannover b. La politica economica in Francia durante il lungo regno di Luigi XV c. L’età delle riforme in Spagna e Portogallo

22

Dopo aver letto il brano seguente e servendoti delle considerazioni fatte da Beccaria, scrivi un breve testo nel quale presenti una serie di argomentazioni contro la tortura e la pena di morte. ➜ cap. 9 L’illuminista milanese, mostrando profonda sensibilità al tema delle garanzie per l’imputato, scagliò parole di fuoco contro  l’uso giudiziario della tortura, una pratica che durante l’intero antico regime aveva costituito il mezzo più comunemente  adottato per estorcere la confessione agli imputati: «Egli è un voler confondere tutti i rapporti – scrisse – l’esigere che il  dolore divenga il crogiolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo  è un mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di questo  preteso criterio di verità, un criterio degno di un cannibale». Come sappiamo, il primo paese ad abolire la pena di morte fu il Granducato di Toscana, nel 1786, ma ci illuderemmo se  pensassimo che quell’esempio incontrò grande fortuna nei decenni seguenti. I maggiori Stati del mondo (la Cina, gli Stati  Uniti, la Russia) la prevedono tuttora. E la tortura viene tutt’altro che di rado praticata anche da governi che pure si fanno  vanto di essere gli alfieri della libertà. Cesare Beccaria la sua battaglia non l’ha ancora vinta.

SCRIVERE DI STORIA

23

L’Illuminismo segna la nascita dell’intellettuale moderno: immagina di dover scrivere per la rivista “Cultura e società” un articolo che illustri la novità rappresentata dall’emergere di questa nuova figura nell’ambito della rivoluzione culturale illuminista. Leggi i tre documenti riportati e poi prova a scrivere il tuo articolo. ➜ cap. 6

Documenti dal momento che mi son venuto raccogliendo un uditorio così vasto, non risparmierò fatiche per rendere gradevole l’istruzione e utile il divertimento. Per tali ragioni cercherò di ravvivare la moralità con lo spirito, e di temperare lo spirito con la moralità, sicché i miei lettori possibilmente riescano in un modo o nell’altro a trovare il fatto loro nella meditazione del giorno. e affinché la loro virtù e la lor discrezione non consistano di lampi di pensiero brevi, passeggeri, intermittenti, ho risoluto di rinfrescare la loro memoria di giorno in giorno fin tanto che io non li abbia risanati da quella disperata condizione di vizio e di follia in cui è caduta l’età. l’animo che giace incolto un solo giorno germoglia di follie che possono estirparsi soltanto con una cultura costante e assidua. Fu detto di socrate che portò la filosofia giù dal cielo a dimorare tra gli uomini; e mia ambizione sarà che di me si dica che ho portato la filosofia fuori dagli studi e dalle biblioteche, dalle scuole e dai collegi, ad abitare nei circoli e nei ritrovi presso le tavole da tè e nei caffè. Perciò raccomanderei particolarmente queste mie riflessioni a tutte le famiglie ordinate, che dedicano un’ora ogni mattina al tè e al pane e burro; e caldamente le consiglierei pel loro bene di disporre che questo giornale venga recapitato con puntualità e considerato parte del servizio del tè. […] lascerò giudicare al lettore se non sia molto meglio venir introdotti alla conoscenza di se stessi, che udir ciò che avviene in moscovia o in Polonia; e divertirci con scritti che tendono alla soppressione dell’ignoranza, della passione e del pregiudizio, che con tali che naturalmente tendono a infiammare gli odi, e a rendere irriconciliabili le inimicizie. J. Addison, “The spectator”, n.10, 12 marzo 1711

224

ESErcIZI

Gli altri uomini sono determinati ad agire senza che si sappiano rendere conto delle cause che li inducono a muoversi, senza neppure pensare che ve ne siano. Il filosofo invece, per quanto sta in lui, chiarisce le cause, spesso persino le prevede, vi si abbandona con cognizione piena; è un orologio che, per così dire, a volte si carica da sé. […] la ragione, rispetto al filosofo, è ciò che la grazia è rispetto al cristiano. la grazia determina il cristiano ad agire, la ragione determina il filosofo. […] Il filosofo preferisce ai motti brillanti la cura di ben distinguere le idee, di conoscere la giusta estensione e l’esatta connessione, e di evitare di prendere abbagli insistendo eccessivamente su qualche rapporto peculiare che le idee hanno tra loro. In tale discernimento consiste ciò che si chiama “giudizio” ed “equilibrio mentale”: a tale equilibrio si aggiungono inoltre la duttilità e la nettezza. Il filosofo non è mai tanto affezionato a un sistema, da non essere sensibile alla forza delle obiezioni. la maggior parte degli uomini sono così radicati alle loro opinioni, che non si danno neppure la pena di interpretare quelle altrui. Il filosofo comprende le opinioni che respinge, con la stessa larghezza e precisione con cui comprende quelle che adotta. lo spirito filosofico è dunque uno spirito di osservazione e di precisione, che riporta tutto ai suoi veri principi; ma non è questo soltanto lo spirito che il filosofo coltiva; egli spinge più oltre la sua attenzione e le sue cure. Encyclopédie, voce Filosofo

l’Illuminismo è l’uscita dell’uomo da uno stato di minorità il quale è da imputare a lui stesso. minorità è l’incapacità di servirsi del proprio intelletto senza essere guidati da un altro. Sapere aude! Abbi il coraggio di servirti della tua propria intelligenza! – è dunque il motto dell’Illuminismo. la pigrizia e la viltà sono le cause per cui tanta parte degli uomini, dopo che la natura li ha da lungo tempo affrancati dall’eterodirezione, tuttavia rimangono volentieri minorenni per l’intera vita; e per cui riesce tanto facile agli altri erigersi a loro tutori. È tanto comodo essere minorenni! se ho un libro che pensa per me, un direttore spirituale che ha coscienza per me, un medico che decide per me sulla dieta che mi conviene ecc., io non ho bisogno di pensare. Purché io sia in grado di pagare, non ho bisogno di pensare: altri si assumeranno per me questa noiosa occupazione. […] È dunque difficile per ogni singolo uomo districarsi dalla minorità che per lui è diventata pressoché una seconda natura. È giunto perfino ad amarla. e attualmente è davvero incapace di servirsi del suo proprio intelletto, non essendogli mai stato consentito di metterlo alla prova. […] senonché a questo rischiaramento non occorre altro che la libertà; e precisamente la più inoffensiva di tutte le libertà, quella cioè di fare pubblico uso della propria ragione in tutti i campi. ma da tutte le parti odo gridare: non ragionate! l’ufficiale dice: non ragionate, ma fate esercitazioni militari! l’intendente di finanza: non ragionate, ma pagate! l’ecclesiastico: non ragionate ma credete! I. Kant, Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?

24

A partire dal brano seguente, scrivi un tema sul seguente argomento: “il dispotismo illuminato”.

➜ cap. 8

Nel linguaggio odierno "riforma" è un termine di uso quotidiano che sempre meno frequentemente desta emozioni, aspettative, sussulti durevoli e profondi. Questa parola è oggi così priva di pathos perché nella società contemporanea, prevalentemente orientata verso il futuro, l’esigenza di riformare, cioè di mutare le leggi per eliminare difetti o introdurre innovazioni congruenti con i mutamenti della società, pare una cosa ovvia. Ma non è sempre stato così: ci sono stati nella storia  lunghi secoli di immobilismo delle istituzioni, ciecamente ancorate alla tradizione. Durante il Settecento, alla luce della recente spinta illuminista, in molti Stati europei alcune leggi, ritenute fino a quel momento immutabili, poste spesso a tutela di antichi privilegi delle classi nobiliari, vennero modificate per iniziativa dei governi e di sovrani che imposero sull’argomento la propria sola autorità contro lo strapotere delle classi privilegiate, ormai parassitarie, della corte che pure avevano contribuito a sostenere. Si parla così di dispotismo illuminato.

225

SEZIONE 2

IL SECOLO DEI LUMI Verso

IL DIBATTITO DEGLI STORICI

• Effettuare il confronto tra una varietà di prospettive e interpretazioni

L’Illuminismo tra filosofia e politica Molti sono gli approcci in ragione dei quali la storiografia ha affrontato un argomento come quello dell’Illuminismo. Ve ne è, in primo luogo, uno a forte caratterizzazione filosofica, attento, dunque, soprattutto a ricostruire le concezioni del mondo caratteristiche dell’epoca dei Lumi, come il razionalismo, il naturalismo, il materialismo, il sensismo. Ma, al tempo stesso, peculiare dell’Illuminismo fu anche, e in modo particolare, un inedito, intenso legame tra la sfera delle idee e quella della loro realizzazione pratica; per esempio quella in ambito istituzionale, evidenziata dalle riforme promosse dai governi al fine di mutare gli equilibri sociali che si opponevano a un più razionale utilizzo delle risorse. Dell’Illuminismo, infine, si possono sottolineare anche i limiti, l’esitazione a sviluppare in modo pie-

1.

le competenze

• Comprendere i modi attraverso cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia

• Comprendere il succedersi e il contrapporsi di interpretazioni diverse

namente consequenziale alcune premesse generali. Franco Venturi 1 , in uno scritto che ha rappresentato una pietra miliare della storiografia sull’Illuminismo, polemizza vivacemente tanto contro una sua interpretazione tutta interna al mondo del pensiero e delle idee, quanto contro i dogmatismi propri di una certa fase della ricerca di orientamento marxista in materia. Luciano Guerci 2 , a sua volta, individua soprattutto nel complesso rapporto tra elaborazione culturale dei filosofi e attività riformista dei governi uno dei temi più interessanti della ricerca storica sull’Illuminismo. Michèle Crampe-Casnabet 3 , in anni più recenti, evidenzia la permanenza di un radicato pregiudizio antifemminile anche all’interno della pur innovativa e emancipatoria filosofia illuminista.

Franco Venturi

Le idee e la loro funzione Franco Venturi ( 1914-1994) è stato uno dei più importanti storici italiani del Novecento, e certamente il maggior studioso dell’Illuminismo nel nostro paese. A questo tema ha dedicato, tra l’altro, un vasto affresco d’insieme nell’opera Settecento riformatore (Einaudi, Torino), in vari volumi tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Ottanta del Novecento. 1. Was ist Aufklärung?, in tedesco “Che cos’è l’Illuminismo?”. 2. Moses Mendelssohn (1729-1786), filosofo tedesco di origine ebraica, tra i protagonisti del cosiddetto illuminismo ebraico.

226

Avevo avuto la tentazione di intitolare queste lezioni Was ist Aufklärung? 1 . Ho poi resistito a questa tentazione, non perché temessi d’essere accusato d’aver voluto mettermi sullo stesso piano di Immanuel Kant, di Moses Mendelssohn2 e degli altri valentuomini che risposero nel 1784 al quesito così formulato dalla “Berlinische Monatschrift” [Rivista mensile berlinese]. Spero che tutti possano, almeno in questa materia, fare affidamento su una mia sufficiente capacità di autocritica. Se non sono risalito alla data iniziale del dibattito sull’illuminismo, è perché sono convinto che quella discussione, pur così interessante, rischiò allora e rischia ancor oggi di deviare la ricerca portandola su una strada sbagliata.

3. Ernst Cassirer (1874-1945), filosofo tedesco, poi naturalizzato svedese. Tra le sue opere più importanti: Sostanza e funzione ( 1910), Filosofia dell’Illuminismo (1932), Il mito dello stato (postumo, 1946). 4. «Imposez-moi … dire», «Obbligatemi al silenzio su religione e governo e non avrò più niente da dire». 5. Nicolao Merker, studioso italiano di storia della filosofia e storia della letteratura. Ha scritto, tra l’altro, L’illuminismo tedesco. L’età di Lessing, Laterza, Bari 1968.

6. Riforbire sulla cote indica letteralmente l’atto di ripulire la lama di un coltello sull’apposito strumento (“cote”).

Da Kant a Cassirer3 e oltre, l’illuminismo europeo è stato dominato da questa interpretazione filosofica della Aufklärung tedesca. Almeno Cassirer era stato sincero e aveva intitolato il suo libro Die Philosophie der Aufklärung. Riapriamolo. Per limitarci alla Germania, dominano Baumgarten e Bodmer, Jerusalem e Lessing, Wolff e Kant; Schlötzer e Büsching, ad esempio, sono assenti. Eppure l’uno fu il più importante pubblicista del secondo Settecento, scoprì agli occhi dei tedeschi un intero mondo storico quale la Russia e meglio d’ogni altro dimostrò la difficoltà, i contrasti d’un pensiero liberale nella Germania di quella età. Il secondo diede una dimensione nuova alla geografia, dominando con i suoi libri l’intero mercato europeo di quegli anni. Né in Cassirer troviamo un solo economista. Una Aufklärung che non tocchi lo stato, la terra, il commercio è evidentemente mutila almeno di una delle sue ali. Come diceva Diderot: «Imposez-moi silence sur la religion et le gouvernement, et je n’aurai plus rien à dire»4 . Certo di religione settecentesca molto si parla in Cassirer. Di governo – non di teorie giuridiche, ma di politica – poco o nulla. E questa tendenza non accenna a mutare tra gli storici dei lumi. È uscito l’anno scorso in Italia un libro importante, intitolato L’illuminismo tedesco. Età di Lessing di Nicolao Merker5 . È scritto da un marxista. Discute continuamente sul valore sociale delle idee filosofiche. Ma Schlötzer e Büsching sono praticamente assenti, i fisiocrati tedeschi come se mai non fossero esistiti. C’è tutto, dalla religione alla società. Quel che manca è “le gouvernement”, come diceva Diderot, l’azione politica concreta. A ben guardare, l’interpretazione filosofica della Aufklärung, da Kant a Cassirer e ad oggi, rischia di essere variamente deformante perché è sempre una storia che tende essenzialmente a risalire alle origini, ai principi primi delle idee che vede operare nella realtà del XVIII secolo. Guarda a Descartes, a Leibniz, a Locke, a Malebranche, in loro vede le fonti di quei pensieri che furono poi utilizzati e intorbidati dalla filosofia popolare, che furono consumati nel corso della lotta ideologica del secolo dei lumi. Per rimettere ordine dopo la battaglia, l’unica cosa da fare, sembrano dire questi storici, è quella di vedere come fossero stati forgiati quei concetti i quali, contorti e guasti, stanno di fronte ai nostri occhi, come furono fabbricate quelle armi che dobbiamo ora riforbire sulla cote6 di un grande sistema filosofico, sulla pietra d’una delle grandi concezioni del mondo, razionalismo, naturalismo, sensismo ecc. Peccato che questo metodo si scontri precisamente con quello che fu il carattere fondamentale del pensiero illuminista, la radicale volontà cioè di non costruire sistemi filosofici, la totale sfiducia nella loro validità. Condillac, Voltaire, Diderot, d’Alembert, a metà del secolo, lo hanno detto tanto chiaramente da non lasciarci più dubbio alcuno. Non alle origini delle idee dobbiamo risalire, evidentemente, ma alla loro funzione nella storia del Settecento. [...] Di fronte a queste incertezze e difficoltà della storia delle parole e delle idee, non è affatto sorprendente che si sia cercata una via del tutto diversa o, per meglio dire, opposta e contraria. Parte, questa strada, dalla società e non dalle idee, dai gruppi e non dagli individui, dalle diffuse mentalità e non dalle creazioni singole. [...] Naturalmente questa storia sociale dell’illuminismo si rifà al marxismo. [...] Alla base della loro interpretazione dell’illuminismo sta l’affermazione che esso è l’ideologia della borghesia in sviluppo. Sono personalmente convinto che questa definizione è uno degli ostacoli che più gravemente si frappongono oggi ad una comprensione più approfondita del XVIII secolo, e che è necessario rimuovere questa ipotesi di lavoro per procedere meglio, più spediti e più avanti. È certo che l’illuminismo, o certi aspetti di esso, diventarono ad un certo momento strumenti di difesa e di offesa nella lotta contro le sopravvivenze del mondo feudale, signoriale, medievale in Francia, in Italia, in Spagna e altrove. 227

SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI

È altrettanto vero che tale funzione non è sempre né ovunque quella dell’illuminismo, che è compito dello storico accertare quando e come ed entro quali limiti ciò avvenne, non mai di accettare quella identificazione prestabilita. F. Venturi, Utopia e riforma nell’Illuminismo, Torino 1970, pp. 9-20

Guida alla comprensione • Venturi in primo luogo mette in luce le insufficienze di un’interpretazione dell’Illuminismo tutta interna al mondo delle idee. • Egli rivendica poi polemicamente il carattere

2.

per molti versi asistematico dell’Illuminismo e propone di studiarlo senza pregiudizi dogmatici, nella varietà delle sue manifestazioni concrete.

Luciano Guerci

Illuministi, sovrani, funzionari Luciano Guerci, storico italiano, ha insegnato Storia moderna all’Università di Torino e ha consacrato molti studi al Settecento e alla rivoluzione francese. La sua opera più recente è Uno spettacolo non mai più veduto al mondo. La Rivoluzione francese come unicità e rovesciamento negli scrittori controrivoluzionari francesi (1789-1799), UTET, Torino 2008

Se ci volgiamo ai personaggi e agli Stati, la prima impressione che ne ricaviamo è quella della più grande confusione. Coloro che abitualmente si fanno rientrare nella categoria “despoti illuminati” sono diversissimi l’uno dall’altro. A fianco di un Carlo III di Spagna e di una Maria Teresa d’Austria, sovrani noti per la loro devozione, stanno gli scettici Federico II di Prussia e Caterina II di Russia. Differenti e talvolta addirittura opposti, inoltre, i provvedimenti adottati. Mentre in Lombardia e in Toscana si abolì l’appalto delle imposte, in Prussia lo si istituì; mentre Caterina II si fece in quattro per favorire la nobiltà ed aumentare i carichi dei contadini, Giuseppe II condusse una politica antinobiliare e abolì la servitù e la corvée; mentre in Prussia rimasero alterati i vincoli al commercio dei grani, in Toscana si attuò una piena liberalizzazione. Insomma, il “dispotismo illuminato” sembra disintegrarsi in una miriade di elementi privi di un punto di riferimento comune. […] È degli anni sessanta la piena maturazione della stagione illuministica. I lumi si diffondono in tutta Europa. Sono essi a suscitare il dispotismo illuminato? È ad essi che si ispirano i sovrani? […] I philosophes furono prodighi di elogi verso molti re, che essi presentarono come monarchi giusti, generosi, solleciti del bene generale, impegnati ad abbattere pregiudizi e superstizioni, artefici di una città terrena più vivibile. A proposito dei rapporti tra re e philosophes (l’attenzione si è appuntata soprattutto sui philosophes francesi), molti hanno fatto notare che i primi lusingavano vanità e magari pagavano pensioni, mentre i secondi incensavano a più non posso, senza troppo curarsi di esaminare se il comportamento dei loro idoli fosse davvero conforme ai nobili princìpi che venivano sbandierati. Va detto, però, che gli elogi tributati ai sovrani erano sinceri: nell’attività di un Federico II o di una Caterina II i philosophes vedevano realizzata o in via di realizzazione una parte almeno degli ideali per cui si battevano. […] Per quel che riguarda i monarchi, questi ultimi si accorsero di quanto potesse giovare alla loro fama e alla loro immagine 228

IL DIbattItO DEgLI StOrICI

1. écraser l’infâme: «schiacciare l’infamia» era il motto di Voltaire

2. F. Bluche (1925): storico francese, tra i pionieri della storia della mentalità. Il riferimento qui è al suo Le despotisme éclairé (Paris, Fayard 1968) 3. C. Capra (1939): uno dei maggiori storici italiani dell’età moderna, ha insegnato all’Università di Milano. Qui il riferimento è a C. Capra D. Sella, Il ducato di Milano dal 1535 al 1796, , Torino 1984

pubblica l’appoggio dei più autorevoli esponenti della repubblica letteraria. Perciò amarono atteggiarsi a campioni della ragione e della felicità dei popoli: il che non significa che in essi tutto fosse calcolo, ipocrisia, intento propagandistico. […] Se sarebbe eccessivo affermare che [le riforme] nulla debbono alle idee delle lumières, non c’è dubbio che a metterle in moto e a spingerle innanzi furono fattori più terra terra. Non è un caso che l’attività riformatrice più intensa si sia dispiegata al termine di due lunghe guerre, quella di Successione austriaca e quella dei Sette anni. […] Ai sovrani apparve evidente che bisognava intervenire al più presto per risanare le finanze, rianimare la vita economica, potenziare l’esercito, e che per raggiungere risultati concreti bisognava rinnovare e rendere più funzionante la macchina statale. […] Fu allora che ci si mise al lavoro. La cosa più urgente era riempire le casse dello Stato: di qui l’attacco ai privilegi della Chiesa, e il conflitto con essa. Conflitto di amplissima risonanza e dalle molteplici implicazioni, che si accampò in primo piano anche grazie ad iniziative clamorose come la cacciata dei gesuiti. Opera di dottrinari che scesero in lotta per ragioni di principio, per écraser l’infâme1 come voleva si facesse Voltaire? No, non di questo si trattò, bensì del tentativo di ridurre perniciose immunità fiscali e pesanti condizionamenti all’autorità dello Stato. Certo i sovrani non trascurarono di effettuare innesti philosophiques idonei a giustificare teoricamente la battaglia intrapresa, e certo le idee dei philosophes, più o meno modificate ed adattate, servirono a dare maggior vigore e consapevolezza agli attacchi contro la Santa Sede. Senza il fermento illuministico – com’è stato giustamente osservato – difficilmente si sarebbe giunti ad una misura così radicale come l’espulsione dei gesuiti; ed è anche grazie ad esso che la rivendicazione della sovranità dello Stato divenne più netta ed articolata. […] I re si appropriavano delle idee dei lumi che tornavano loro comode e s’accordavano con i loro programmi. Come ha osservato François Bluche2 : «I philosophes [avrebbero voluto] che lo Stato fosse al servizio dei lumi; la monarchia mise i lumi a disposizione, addirittura a discrezione dello Stato». Non è detto però che i philosophes fossero sempre e comunque più progressisti dei sovrani. In realtà, ciò che rese difficile i rapporti tra gli uni e gli altri (al di là delle reciproche celebrazioni) fu l’esistenza di due logiche differenti, ognuna con una sua specificità e una sua ragion d’essere. Da un lato, la logica di chi si proponeva di rafforzare lo Stato, dall’altro quella di chi s’appellava ai valori, ai princìpi. Si alternavano convergenze e divergenze, e poteva accadere che i philosophes effettuassero una “fuga in avanti” (come ha mostrato Carlo Capra3 a proposito di Verri e Beccaria) in relazione ai problemi concreti che si ponevano ai monarchi. Il caso della Lombardia mostra che, quando ebbero ad assumere responsabilità di governo, gli illuministi del “Caffè” si trovarono spesso spiazzati rispetto ai funzionari “puri”, interamente guadagnati ad una «cultura delle riforme incardinata sul concetto dello Stato come supremo ordinatore e tutore del bene pubblico» (C. Capra). E in fondo furono proprio questi funzionari ad agire più efficacemente nel senso dell’ammodernamento e della razionalizzazione. L. Guerci, L’Europa del Settecento. Permanenze e mutamenti, utet, Torino 1988

Guida alla comprensione • Guerci sottolinea la difficoltà di individuare tratti unificanti nel riformismo settecentesco, se non nella volontà di accentramento politico manifestata dai sovrani.

• Egli mostra poi i nessi intrattenuti con la cultura illuminista da parte dei funzionari riformatori, suggerendo che furono soprattutto questi ultimi a realizzare nella pratica alcune istanze illuministe.

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SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI

3.

Michèle Crampe-Casnabet

La misoginia illuminista La studiosa francese Michèle Crampe-Casnabet è una storica della filosofia. Tra i suoi libri ricordiamo Kant, le gouvernement et la Raison (“Kant, il governo e la Ragione”, Bordas, Parigi 2004).

1. Marchesa di Châtelet: Gabrielle Émilie le Tonnelier de Breteuil (1706-1749), marchesa du Châtelet, era una fisica, matematica e scrittrice francese. 2. Madame Lepaute: Nicole-Reine Lepaute (17231788), nata in una famiglia dell’alta aristocrazia francese, si dedicò all’astronomia e assistette il celebre matematico Lalande. 3. Abate Mallet: Edme-François Mallet (17131755), teologo ed enciclopedistaa francese. 4. Louis de Jaucourt (1704-1779), medico ed enciclopedista francese. 5. JosephFrançois de Corsembleu Desmahis: commediografo e letterato francese dell’epoca dei Lumi.

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[Nel secolo dei lumi] il permanere di pregiudizi sul “bel sesso” (come se la bellezza fosse solo da una parte) è ancor più paradossale dal momento che lo spirito dell’illuminismo combatte apertamente ogni opinione che non sia fondata sulla ragione, ogni sistema che non legittimi le sue premesse. Paradosso, ancora, nel sostenere l’ineguaglianza intellettuale delle donne, mentre invece alcune donne (di estrazione sociale elevata) animano i salotti in cui si diffonde il pensiero filosofico, contribuiscono all’evoluzione della letteratura, alla propagazione delle scienze. È, non dimentichiamolo, la marchesa di Châtelet1 che traduce i Principia mathematica philosophiae naturalis di Newton; Madame Lepaute2, membro dell’Académie des Sciences de Béziers, scrive delle Mémoires d’astronomie e una Table des Longueurs de pendules. L’elenco dei lavori intellettuali femminili sarebbe lungo. Ma le donne hanno veramente preteso di essere dichiarate uguali? Se si dà ascolto a certi discorsi maschili, se non richiedevano l’uguaglianza è perché non ne avevano alcun interesse. Montesquieu scrive nei Mes Pensées: « È da notare che, fatta eccezione per alcuni casi, dovuti a circostanze particolari, le donne non hanno mai preteso l’uguaglianza: perché esse godono già di tanti altri vantaggi naturali, che l’uguaglianza di potere è sempre per loro un impero». [Riguardo alla voce Donna dell’Encyclopédie] le sue tre parti sono strutturate nelle rubriche “Antropologia” (abate Mallet3); “Diritto naturale” (De Jaucourt4); “Morale” (Corsambleu Desmahis5). Il primo testo […] tratta dell’inferiorità della donna e ne analizza le possibili ragioni naturali e culturali. […] Il testo di De Jaucourt prende in considerazione lo statuto della donna – femmina dell’uomo – dal punto di vista del diritto naturale: la donna è qui definita fondamentalmente come possesso del marito […]. L’articolo di Desmahis dovrebbe trattare della donna dal punto di vista morale. […] La natura ha attribuito agli uomini il diritto di governare, ed è solo grazie all’arte (all’artificio) che le donne possono sperare di riscattarsi. […] La sessualità femminile porta in sé come un destino miserabile. È in base al sesso, in primo luogo, che l’inferiorità femminile è legittimata in natura. Perché si può sostenere, come fa Rousseau (Emilio, libro V), che tutto quel che non è specifico del sesso è comune alla specie, ma che tuttavia è nella donna che il sesso prevale […]. La sessualità femminile è alla base della sua schiavitù, secondo un sistema complesso di “ragioni”. […] L’inferiorità della donna, radicata nella sua differenza sessuale, è estesa naturalmente a tutto il suo essere e in particolare alle sue facoltà intellettuali. La donna ha veramente un intelletto, un potere razionale? Per diritto sì, se è vero che la donna è un essere umano. Di fatto, la dichiarazione di principio dell’eguaglianza intellettuale fra i sessi è intaccata da un’opinione maschile quasi unanime. Se è vero che l’appannaggio delle donne è la bellezza, e se la ragione non è data una volta per tutte ma deve essere coltivata, la donna non può avere al tempo stesso la bellezza (così effimera) e la ragione (così lenta da costituirsi). Nell’Esprit des lois (libro XVI, cap. II), Montesquieu sostiene quindi che perlomeno nei paesi mediterranei, in cui il clima caldo è causa di sessualità femminile precoce, i due sessi sono naturalmente disuguali. Questa ineguaglianza ha come conseguenza ineluttabile la dipendenza della donna all’uomo […].

IL DIbattItO DEgLI StOrICI

Nei paesi a clima temperato, in cui la donna è in età da marito più tardi rispetto alle sue sorelle orientali, la bellezza è più duratura e può quindi coabitare con «un minimo» di ragione. Ecco la spiegazione della monogamia e della poligamia, che regna nei climi caldi. Ciò non toglie che, nei paesi a clima temperato, si tratterebbe semplicemente di «una sorta d’uguaglianza fra i due sessi». Per la maggior parte dei filosofi illuminati, il fatto che la donna sia priva di raziocinio o sia dotata di una facoltà intellettuale inferiore dipende da una certezza rassicurante ma che pur pretende di basarsi su dei fatti. Tra questi, la motivazione più frequentemente addotta è che non esistono donne capaci di inventare: le donne sono escluse dalla genialità, pur potendo accedere alla letteratura e a certe scienze. Una tale incapacità è dovuta ad una psicologia “naturale”. La donna è l’essere della passione, dell’immaginazione, non è essere di concetto. Rousseau spinge ad un livello quasi caricaturale la convinzione che, se la donna non è priva di raziocinio, questa facoltà è in lei più semplice che nell’uomo, e quindi ella non deve coltivarla, nella misura in cui non ne ha bisogno per adempiere i suoi doveri naturali (ubbidire al marito, essergli fedele, aver cura dei figli). La donna, secondo Rousseau, è perennemente nello stadio dell’infanzia; è incapace di vedere al di fuori del mondo chiuso della sfera domestica, che la natura le ha lasciato in eredità, ed è per questo che non può praticare le “scienze esatte”. L’unica scienza che deve conoscere, oltre ai suoi doveri (ma questi ultimi, li conosce intuitivamente) è quella basata sul sentimento per gli uomini che la circondano e essenzialmente per il suo sposo. Il mondo, sostiene Rousseau, è il libro delle donne, che non hanno bisogno di nessun’altra lettura. In poche parole, la donna è in relazione unicamente con il concreto […]. Tutto pare chiaro: l’animo femminile non ha un’attività speculativa, l’intelligenza femminile non è un’intelligenza teorica. […] Non si riconosce mai direttamente alla donna uno statuto politico (tranne forse per Condorcet). Si può dire che l’ideologia più diffusa consiste, nel Settecento, nel considerare che l’uomo è la causa finale della donna. da N. Zemon Davis - A. Farge (a cura di), Storia delle donne dal Rinascimento all’età moderna, Laterza, Roma-Bari 1995

Guida alla comprensione • L’autrice si sofferma sul contributo attivo dato alla filosofia dei Lumi da molte donne. • Illustra poi come, malgrado questo, e malgrado i presupposti emancipatori a cui facevano

riferimento, molti esponenti dell’Illuminismo fecero propri e riproposero i pregiudizi antifemminili diffusi nella cultura tradizionale.

Per tirare le fila:

rifletti e confronta 1. L’Illuminismo fu un fenomeno solamente culturale? 2. Quali di questi brani concentra di più l’attenzione sui legami tra idee e realizzazioni pratiche? 3. Qual è il più anticonvenzionale di questi testi? 4. Quali sono le principali differenze di impostazione tra un testo e l’altro? 5. Ci sono altri fenomeni che conosci, nella storia moderna, nei quali si rivela evidente, come in questo caso, la distanza tra gli ideali e le realizzazioni pratiche? 231

SEZIONE 2

IL SECOLO DEI LUMI Verso

VERSO L’ESAME DI STATO

le competenze

• Leggere, comprendere e interpretare testi storici di tipo diverso cogliendone le differenti relazioni interne e i caratteri specifici • Leggere, utilizzare e applicare categorie, strumenti e metodi del “fare storia” • Operare confronti tra tesi diverse in relazione allo stesso argomento per giungere alla formazione di una conoscenza storica critica e consapevole • Individuare collegamenti e relazioni cogliendo analogie e differenze, cause ed effetti ed elaborando argomentazioni coerenti • Acquisire e interpretare criticamente l’informazione valutandone l’attendibilità e distinguendo fatti e opinioni

Analizzare i documenti per scrivere un saggio La scrittura documentata

Il saggio, come l’articolo di giornale, rientra nella cosiddetta “scrittura documentata”, in quanto alla base della sua stesura c’è una documentazione che l’autore acquisisce per supportare in modo adeguato le proprie argomentazioni. In sede d’esame la documentazione viene fornita allo studente insieme all’indicazione dell’argomento: si tratta di una sorta di dossier da cui attingere informazioni e idee, ma che al tempo stesso propone un approfondimento dell’argomento suggerendo differenti interpretazioni del tema/problema in questione. È dunque molto importante imparare ad analizzare e interpretare i documenti proposti con attenzione e metodi adeguati.

L’argomento e i documenti “Lumi” e dispotismo illuminato Documento 1 La borghesia reclama dunque l’abolizione dei privilegi e il riconoscimento del posto che le spetta nella condotta degli affari del Paese, in virtù del suo potere economico e della sua abilità. Domanda che siano eliminati tutti gli ostacoli alla libertà della produzione e quindi delle corporazioni di arti e mestieri, e tutti gli ostacoli alla libertà di commercio, tutti i dazi e tributi che, in una Francia dall’amministrazione non ancora unificata, regolamentano in modo anarchico la circolazione dei prodotti. L’Enciclopedia dà voce a tutte queste rivendicazioni storiche della borghesia. Lo fa anzitutto in forma generale e astratta: quando proclama l’eguaglianza naturale degli uomini, comprendiamo bene che chiede la sparizione del sistema aristocratico e la possibilità, per la borghesia illuminata, di accedere al potere. E la libertà è insieme libertà di scambio e libertà di pensiero. D’altra parte gli enciclopedisti non esitano a denunciare apertamente gli abusi nell’organizzazione politica, sociale ed economica dell’Ancien régime, e a proporne le riforme che giudicano auspicabili. A. Pons, L’avventura dell’enciclopedia, in Enciclopedia o dizionario ragionato delle scienze delle arti dei mestieri, Feltrinelli, Milano 1966 232

vErSO L’ESaME DI StatO

Documento 2 Se esaminiamo più da vicino e più in dettaglio la situazione in Spagna, in Italia, a Vienna, a Berlino e a Parigi, dovremo concludere che i fili che collegano questi e tanti altri simili elementi sono più numerosi e più solidi di quanto non appaia in un primo momento, che la circolazione delle idee è più intensa di quello che avremmo potuto sospettare, che le speranze e le aspettative si volgono verso una medesima direzione, che effettivamente assistiamo all’emergere dell’Europa dei lumi. […] Il potere e i filosofi si cercano, convergono o divergono a seconda dei momenti e delle circostanze. Le loro lotte e i loro accordi dominano l’Europa repubblicana così come quella monarchica, quella mediterranea così come quella centrale e orientale. F. Venturi, Utopia e riforma nell’Illuminismo, Einaudi, Torino 1970

Documento 3 L’espressione “dispotismo illuminato” – usata per la prima volta, a quanto pare, dall’economista tedesco Wilhelm Roscher in un saggio del 1847 – è infelice e fuorviante. Dispotismo evoca ai giorni nostri – e già evocava nel Settecento – l’idea di un potere arbitrario, capriccioso, oppressivo, idea che mal s’adatta ad un’attività proveniente dall’alto (dai sovrani e dai loro collaboratori) la quale volle essere – e tale fu considerata in sede storiografica – sollecita del bene dei sudditi: appunto illuminata, aggettivo singolarmente in contrasto con un sostantivo carico di implicazioni negative. […] Che il dispotismo illuminato costituisca un tipo distinto di regime politico […] è cosa circa la quale è lecito nutrire i più seri dubbi. In realtà, se esso […] si caratterizza per una più alacre attività riformatrice e per un parziale mutamento delle basi teoriche che fanno da supporto a tale attività, chiara è la linea della continuità con intenti e metodi riconducibili ad un orientamento assolutistico esistente prima del Settecento. L. Guerci, Le monarchie assolute, in Storia universale dei popoli e delle civiltà, utet, Torino 1986

Documento 4 L’assolutismo riformatore, nella sua espressione settecentesca di dispotismo illuminato, si configurò come il tentativo dei sovrani della seconda metà del secolo XVIII di conciliare la centralizzazione di un potere, inteso a rimanere assoluto nella sua volontà, e le esigenze di modernizzazione dei loro Stati. La realtà di un’espressione, che vide la luce soltanto nel secolo XIX ad opera della storiografia tedesca, e che nella sua genericità trova sinonimi in immagini che vanno dalla monarchia assoluta rinnovata allo Stato posto al servizio dei Lumi, all’autorità esercitata in nome della razionalità, si sostanzia in una serie di soluzioni empiriche che fecero dei loro artefici, più che emblematiche figure di re filosofi, gli esempi di sovrani tesi nello sforzo di utilizzare gli strumenti politici ed ideologici del loro tempo. M. Albertone, Dispotismo illuminato, in La storia, Stati e Società, utet, Torino 1986

Documento 5 L’illuminismo contribuì anche alla nascita di importanti nuovi fattori quali l’“opinione pubblica”, che interveniva nel processo di manipolazione sociale e politica controllato dalla monarchia. Esso diede ai sudditi nuove ispirazioni e nuove aspettative di cambiamento e di riforma che si dimostrarono utili se adeguatamente mobilitate dai sovrani, ma difficili da controllare in regimi in cui la rappresentanza istituzionale dei ceti non privilegiati era insufficiente. Una volta messa in moto, la “critica” era difficile da arrestare. In ultima analisi, l’illuminismo e il dispotismo, il potere assoluto del re, erano difficili da conciliare. D. Outram, L’illuminismo, il Mulino, Bologna 1997 233

SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI

Gli autori e i testi L’indicazione bibliografica posta alla fine di ciascun documento, oltre a informarci su chi è l’autore del brano, ci permette di avere un’idea di quando sono stati scritti i testi proposti. Questo dato è utile per comprendere quanto siano recenti e aggiornati i contenuti in essi presentati e per poterli contestualizzare in un determinato momento storico. I testi qui forniti sono tutti abbastanza recenti e sono tratti o da singoli saggi, come quelli di Outram e Venturi, o da opere miscellanee che cercano di presentare un quadro d’insieme del periodo preso in considerazione. In particolare, possiamo ricordare la figura di Franco Venturi (1914-1994), importante storico dell’Illuminismo – la cui bibliografia comprende oltre centocinquanta voci e documenta uno dei più significativi contributi contemporanei alla conoscenza del Settecento – che ha avuto il pregio di porre in evidenza come questo movimento di idee fosse comprensibile solo alla luce delle realtà economiche, politiche, sociali e culturali presenti nell’Europa di quel periodo. Chi sono gli autori degli altri brani? Prova a delineare un loro sintetico profilo attraverso una ricerca in Internet.

I contenuti dei documenti I documenti ruotano intorno a un argomento proposto, in questo caso Lumi e dispotismo illuminato, un tema di non semplice trattazione per il rapporto ambiguo che lega i due “soggetti” in esso compresi. Gli ideali libertari dell’Illuminismo furono in parte assorbiti, riadattati e fatti propri da alcuni sovrani favorevoli ad attuare riforme antitradizionaliste, senza però per questo rinunciare a un esercizio autoritario del proprio potere, che consideravano di derivazione divina. I documenti affrontano il tema sotto prospettive differenti (culturale, politica, economica) e proponendo diversi punti di vista. Punto di partenza di tutto il lavoro deve essere un’attenta lettura dei documenti, durante la quale compiere una serie di operazioni: sottolineare i concetti fondamentali e le parole chiave, schematizzare e sintetizzare quanto letto, chiarire il significato di eventuali parole non note, annotarsi possibili collegamenti con argomenti affrontati in storia o in altre discipline, scrivere su un foglio i dubbi emersi nel corso della lettura in modo da scioglierli prima di iniziare a impostare il proprio saggio. Anche se di volta in volta si può scegliere quanti documenti usare e con quale modalità, è però necessario, almeno preliminarmente, prendere in considerazione tutti i documenti presenti e le argomentazioni proposte. Una lettura così articolata, in sede d’esame, ti permetterà anche di comprendere se hai davvero le conoscenze e le competenze necessarie per affrontare questo elaborato o se non sia meglio indirizzarsi verso un altro ambito o tipologia di testo.

Analizziamo dunque brevemente i cinque documenti. 1. Il primo documento, su cui abbiamo sottolineato i concetti principali, potrebbe essere così sintetizzato: l’Enciclopedia, voce delle rivendicazioni borghesi. Pons nel primo paragrafo presenta alcune delle rivendicazioni storiche della borghesia: • l’abolizione dei privilegi; • il riconoscimento di un’adeguata posizione politica ed economica; • la libertà di produzione e di commercio. Nel secondo paragrafo collega tali rivendicazioni alle idee sostenute dall’Enciclopedia, espresse in forma generale e astratta, anche se poi in realtà gli enciclopedisti non esitarono a denunciare apertamente gli abusi politici, sociali ed economici e a proporre le riforme: possibilità per la borghesia di accedere al potere ed elimi• uguaglianza naturale degli uomini nazione del sistema aristocratico; • libertà di pensiero e di scambio. 2. Frase di sintesi del secondo documento potrebbe essere: una vera Europa dei lumi. Venturi, infatti, sottolinea come i “diversi” illuminismi presenti nelle varie nazioni (Francia, Spagna, Germania ecc.) fossero molto più vicini e strettamente collegati tra loro di quanto si sia soliti pensare. Egli sottolinea inoltre l’importanza del ruolo avuto ovunque dai filosofi nei rapporti con il potere costituito. 234

vErSO L’ESaME DI StatO

3. Il terzo documento si concentra sull’espressione “dispotismo illuminato”, che critica definendola «infelice e fuorviante». Di quali argomentazioni si serve Guerci per motivare questa critica? Egli, inoltre, fornisce un dato informativo importante: quando e dove è nata questa espressione? Guerci amplia la sua tesi sostenendo che non è corretto considerare il dispotismo illuminato come una forma di governo a sé: perché? 4. Il quarto documento è in qualche modo collegato al precedente, in quanto muove dalla medesima espressione di “dispotismo illuminato”, forma settecentesca dell’assolutismo riformatore, che si presenta come il tentativo dei sovrani di conciliare la centralizzazione del potere (assoluto) con le esigenze di modernizzazione degli Stati: non si incontrano tanto figure di re filosofi, quanto piuttosto sovrani che cercano di servirsi degli strumenti politici e ideologici del loro tempo. 5. Il quinto documento potrebbe essere così sintetizzato: nasce l’opinione pubblica, un’arma a doppio taglio per la monarchia. In che senso e perché si può parlare di “arma a doppio taglio”?

La definizione della tesi Un testo argomentativo, quale il saggio breve, presenta solitamente una struttura organizzata così: • definizione e contestualizzazione del problema/tema/questione nei suoi elementi informativi fondamentali (nell’introduzione del testo o all’inizio del corpo centrale); • dichiarazione della tesi ed enunciazione di eventuali antitesi; • esposizione delle principali argomentazioni a favore della tesi e confutazione dell’antitesi; • conclusione, per esempio con ripresa della tesi sostenuta. Dopo aver letto attentamente i documenti e aver definito e contestualizzato il problema richiamando alla propria mente i possibili collegamenti, è dunque il momento di definire la tesi, vale a dire la posizione che si intende assumere rispetto al tema proposto, e le sue argomentazioni. Proviamo a costruire insieme un esempio attraverso una mappa concettuale. È importante però sottolineare che questa è solo una delle possibili tesi che si possono sostenere partendo dai documenti proposti.

DEFINIzIoNE 1

DEFINIzIoNE 1

illuminismo

dispotismo

• ……………………………………….…

• ……………………………………….…

• ……………………………………….…

• ……………………………………….…

ANTITESI TESI

Dispotismo e Illuminismo si conciliano nel dispotismo illuminato, definito così perché attento al bene del cittadino

L’Illuminismo e il dispotismo sono difficili da conciliare (Outram)

ARGoMENTAzIoNE 1

ARGoMENTAzIoNE 3

L’espressione “dispotismo illuminato”, che nasce in Germania nel 1847, è fuorviante perché

L’epoca del dispotismo illuminato non deve essere considerata un periodo a sé, ma in continuità con intenti e metodi dell’assolutismo esistente prima del Settecento

……………………………………………………….…

(Guerci)

ARGoMENTAzIoNE 2 Il dispotismo illuminato fu solo il tentativo di utilizzare gli strumenti politici e ideologici del tempo (non re filosofi) (Albertone)

235

SEZIONE 2 - IL SECOLO DEI LUMI

La mappa può essere ulteriormente articolata e approfondita: completa le parti mancanti e aggiungi eventuali altre caselle. Il passo successivo è la stesura della scaletta dell’intero saggio, che deve essere ben chiara perché chi legge possa ricostruire la struttura del testo riconoscendo i diversi passaggi del ragionamento. Più la scaletta è precisa e dettagliata, più sarà semplice e veloce la fase di scrittura.

La produzione del testo Una volta terminata la fase di progettazione, puoi iniziare a scrivere il tuo saggio breve seguendo la scaletta predisposta e tenendo conto delle indicazioni date dalla consegna. Di seguito ti proponiamo la consegna fornita agli esami di Stato del 2011 (tralasciando i punti relativi all’articolo di giornale di cui ci occuperemo più avanti):

Sviluppa l’argomento scelto in forma di “saggio breve”, utilizzando, in tutto o in parte, e nei modi che ritieni opportuni, i documenti e i dati forniti. Argomenta la tua trattazione, anche con opportuni riferimenti alle tue conoscenze ed esperienze di studio. Premetti al saggio un titolo coerente e, se vuoi, suddividilo in paragrafi. Non superare cinque colonne di metà foglio protocollo.

Per quanto riguarda la produzione del testo, i vincoli imposti dalla consegna riguardano: • la presenza di un titolo che deve essere coerente con la tesi sostenuta nel saggio, sintetico ed efficace. È dunque meglio inserirlo alla fine della stesura del testo, quando si hanno le idee chiare su quanto si è scritto; • la possibilità di articolare o meno il saggio breve in paragrafi; • l’estensione dell’elaborato, che non deve superare le cinque colonne di metà foglio protocollo. Il saggio breve è una tipologia testuale con caratteristiche specifiche che qui ricordiamo in modo sintetico: • stile prevalentemente ipotattico, con frequenti proposizioni subordinate, tipico dei testi argomentativi; • lessico chiaro, specifico della narrazione storica e privo di espressioni proprie del linguaggio colloquiale; • mancato utilizzo della prima persona («secondo me», «io penso che…»), espressione di un’opinione personale e dunque del tutto soggettiva. Per dare maggiore credibilità e forza alle proprie asserzioni, si ricorre alla terza persona con le cosiddette formule oggettive come «è evidente che…», «se ne deduce che…» ecc. Devi inoltre prestare molta attenzione a come usare i documenti: • quando fai una breve sintesi del contenuto di un documento, devi rispettare il senso delle parole dell’autore;

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vErSO L’ESaME DI StatO

• quando citi esplicitamente il documento, devi porre la frase o i termini in questione tra virgolette. Le citazioni devono essere significative, non troppo lunghe (per non interrompere il filo del discorso appesantendo l’esposizione) e precise (attenzione alle concordanze e alla coerenza dal punto di vista della grammatica e della sintassi). Per indicare la fonte da cui hai attinto la citazione puoi usare le note, a fondo pagina o raggruppate al termine del testo; espressioni del tipo «come dice Outram nel suo saggio L’illuminismo», che però tendono ad appesantire il testo; oppure apporre semplicemente il nome dell’autore tra parentesi tonde (Outram). Nel caso in cui la citazione faccia riferimento a un testo diverso da quelli presenti tra i documenti proposti è necessario invece esplicitare anche il titolo dell’opera.

Mettiti alla prova 1. Rileggi i capitoli 6 e 8 del manuale, dedicati rispettivamente all’Illuminismo e al dispotismo illuminato. Quali informazioni ritieni utile aggiungere – per esempio per definire il contesto – alla mappa elaborata sopra? 2. Individua all’interno dei documenti alcune parole o frasi significative che a tuo giudizio meritano di essere citate in modo esplicito. 3. Ora dovresti avere davanti a te uno schema completo per elaborare il tuo saggio e puoi dunque dedicarti alla sua stesura. Non dimenticare di individuare un titolo adeguato alla trattazione. Una volta terminata la scrittura del saggio, ricordati di fare una buona revisione sia del contenuto sia della forma espositiva. 4. Prova ad assumere un punto di vista diverso e a costruire uno schema la cui tesi sia quella che fino a questo momento è stata considerata l’antitesi. Come lo struttureresti?

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SeZioNe 3

Le rivoLuzioni atLantiche a tu per tu con

Marco Meriggi

la NaScita dell’occideNte moderNo

Nell’areNa della Storia

Professore, sto scorrendo i titoli dei prossimi capitoli: rivoluzione, rivoluzione, rivoluzione. In questa sezione sembra che non si parli d’altro. Ci vuole spiegare perché? E quale nesso collega le tre rivoluzioni che stiamo per affrontare, cioè quella industriale, quella americana e quella francese?

un cammino che si lasciava definitivamente alle spalle il passato e che puntava in direzione di un mondo nuovo: è questo il senso principale che noi attribuiamo a una parola come rivoluzione 238

parleremo con insistenza di rivoluzione perché inten­ diamo sottolineare soprattutto i fattori di trasformazio­ ne che le società occidentali conobbero nella secon­ da metà del settecento. quest’epoca coincide con la fase terminale dell’antico regime, un periodo plurise­ colare della storia europea dal quale ci apprestiamo a prendere congedo. si trattava di un mondo a mode­ sto tasso di crescita economica e basato largamente sull’agricoltura, malgrado l’indubbia presenza di attivi­ tà mercantili. ora comincia, invece, l’era dell’industria e della crescita economica costante. è un processo che si dilata su tempi lunghi, ma è anche il processo che ha cambiato radicalmente la società occidentale tra sette e ottocento; i mutamenti che ne sono deri­ vati sono talmente intensi che non è esagerato definir­ li “rivoluzionari”. ecco perché parliamo di rivoluzione industriale, anche se non fu un evento che si manife­ stò attraverso una sommossa, ma un processo gra­ duale che si svolse nel corso di diversi decenni. quan­ to alla rivoluzione americana, in realtà si trattò in primo luogo di una guerra di indipendenza, ma i principi per i quali venne combattuta, e gli esiti nei quali si tradus­ se, furono così antitetici rispetto al mondo caratteristi­ co dell’antico regime europeo da rendere ragionevo­ le parlare, anche in questo caso, di rivoluzione. la rivoluzione francese, infine, si dichiarò immediatamen­ te tale, e i suoi leader si fecero il vanto di aver imboc­ cato un cammino che si lasciava definitivamente alle spalle il passato e che puntava in direzione di un mon­ do nuovo: è questo il senso principale che noi attribuia­ mo a una parola come rivoluzione.

il passato – pensavano i rivoluzionari – era il regno dell’ombra e lo specchio della debolezza umana; il futuro un punto d’approdo rischiarato dalla luce Allora, in tutti e tre i casi, rivoluzione significò in prima istanza una presa di congedo dal passato, ma non è questo, più in generale, il senso ordinario della storia? Non assomiglia forse sempre, quest’ultima, a un filo che scorre in avanti, proiettandosi verso il futuro? il fatto è che attraverso i tre processi che stiamo per considerare, non solo ci fu un superamento del pas­ sato, ma quest’ultimo venne anche esplicitamente giudicato – almeno dalla parte più dinamica della po­ polazione – negativamente. per tutto l’antico regime era accaduto l’opposto. e mentre il passato cessava di essere apprezzato, si cominciò a caricare il futuro di grandi aspettative: il passato – pensavano i rivoluzio­ nari – era il regno dell’ombra e lo specchio della debo­ lezza umana; il futuro un punto d’approdo rischiarato dalla luce, la luce della volontà degli uomini di liberarsi dalle proprie catene. per questo, rovesciare l’assetto esistente si impose come la missione da compiere.

Ma coloro che vissero alla fine del Settecento si accorsero del nesso che collegava la radicale trasformazione dell’assetto dell’economia (la rivoluzione industriale) con quella delle strutture politiche (rivoluzioni americana e francese)? in realtà quella della simultaneità delle rivoluzioni (e a maggior ragione della loro cosciente percezione da parte dei contemporanei) è per tanti versi un’illusione che siamo noi storici a creare. certamente coloro che, a vario titolo, parteciparono a quella che abbia­ mo definito rivoluzione industriale (tecnici, imprendi­ tori, maestranze) non concepirono ciò che stavano facendo come un atto di ribaltamento dell’architettura della società, ma piuttosto come l’adattamento a un mondo che stava cambiando. indubbiamente, a orien­ tare la loro azione c’era anche il richiamo all’idea di li­ bertà economica, ovvero l’eliminazione dei vincoli tradi­ zionali che limitavano l’attività imprenditoriale e la ricerca del profitto, ma non per questo si sentivano dei rivoluzionari, pur avvertendo tutta la distanza, materiale e psicologica, che li separava dalle élite nobiliari e fon­ diarie che avevano dominato fino a quel momento e che avevano una visione statica e conservatrice dell’economia.

Ha parlato di libertà economica. Anche i protagonisti della rivoluzione americana e di quella francese coltivavano questo stesso obiettivo? tra le motivazioni che sollecitarono all’azione i rivolu­ zionari americani ve ne erano anche di squisitamen­ te economiche. il loro commercio era ostacolato dalla madrepatria ed essi volevano emanciparsi dalle tasse inglesi, però a queste rivendicazioni unirono la ricerca di una libertà che non si identificava soltanto con il commercio e con la riduzione delle tasse: si trattava della libertà politica, un concetto che si col­ loca nel cuore della Dichiarazione di indipendenza americana e che rappresentò, qualche anno più tar­ di, il perno fondamentale di tutto il discorso sviluppa­ to dalla rivoluzione francese. gli stati uniti divenne­ ro la prima grande repubblica del mondo moderno e la francia seguì dopo qualche tempo il loro esempio. “repubblica” significò sovranità popolare e rifiuto dell’autoritarismo tipico delle monarchie assolutiste. la libertà economica e la rincorsa del sogno del pro­ gresso rappresentarono dunque solo alcuni degli obiettivi racchiusi in un disegno generale più ampio.

Queste trasformazioni furono una particolarità dell’Europa e dell’America, oppure ebbero luogo anche in altre parti del mondo? si può dire che, in precedenza, nel vecchio contesto prevalentemente agrario, aristocratico e autoritario, l’europa aveva una civiltà per certi versi abbastanza simile a quelle caratteristiche di altre aree del piane­ ta altamente civilizzate; l’asia, in primo luogo. con la rivoluzione industriale e con le rivoluzioni politiche in america e in francia, invece, prese forma un mo­ derno occidente, che si differenziò sensibilmente dal resto del mondo. si ebbe subito la sensazione che, mentre altrove prevaleva l’immobilismo, nell’occidente si stesse producendo una specie di miracolo. la liberazione dell’economia e quella della politica cominciarono a delineare un modello di so­ cietà nuovo, che avrebbe presto dimostrato tutta la sua capacità espansiva, sottomettendo al proprio dominio l’intera superficie terrestre. 239

SeZioNe 3

Le rivoLuzioni atLantiche capitolo 10 La rivoluzione industriale capitolo 11 La rivoluzione americana e la nascita degli Stati Uniti

p. 242

Verso le competenze

p. 258

• il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale p. 254

capitolo 12 La Rivoluzione francese (1789-1793) p. 276 inclusione/esclusione

• il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano p. 272

p. 276

• il laboratorio dello storico Le lamentele del terzo stato p. 292

capitolo 13 La Rivoluzione francese (1793-1799) p. 300

• il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari p. 312

Intervista impossibile a Maximilien Robespierre

IL DIBATTITO DEGLI STORICI

p. 326

VERSO L’ESAME DI STATO

p. 332

La democrazia

inclusione/esclusione La cittadinanza asimmetrica

p. 317

EsErcizi

p. 320

1765

1769

storia mondiale storia italiana idee scienza e tecnica arte e letteratura 240

p. 310

1773

1777

1781

1776 - Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti

1768 - La Corsica viene ceduta da Genova alla Francia 1769 - Nel Ducato di Parma e Piacenza viene abolito il Tribunale dell’Inquisizione 1775 - Priestley e Scheele scoprono l’ossigeno 1769 - Richard Arkwright brevetta il filatoio idraulico; James Watt la macchina a vapore

1776 - Adam Smith pubblica L’indagine sulla natura e la causa della ricchezza delle nazioni

1781 - Immanuel Kant pubblica La critica della ragion pura 1779 - Costruzione del primo ponte in ghisa sul Severn, in Inghilterra

obIettIVI dI apprendImento conoscenze • Precondizioni e caratteri costitutivi della rivoluzione industriale • Gli eventi fondamentali della rivoluzione americana • cause, sviluppo ed esiti della rivoluzione francese abilità • Saper stabilire relazioni tra fenomeni economici, politici e sociali • comprendere come le rivoluzioni settecentesche hanno condizionato la storia dei secoli successivi • Saper utilizzare fonti diverse per la ricostruzione di fenomeni storici GlI eVentI e I lUoGHI In Inghilterra si sviluppa la prima rivoluzione industriale. Cambia il modo di produzione e nasce il sistema di fabbrica

Nell’America settentrionale tredici colonie inglesi, dopo una guerra con la madrepatria, ottengono l’indipendenza: nasce la Repubblica federale degli Stati Uniti

1785

1789 1787 - Costituzione federale degli Stati Uniti

1793

1797

1792 - Nascita della Repubblica francese

1789 - Presa della Bastiglia

1795 - 1799 Governo del Direttorio

1801

1805

1804 - Napoleone imperatore

1794 - 1795 Regime del Terrore

1786 - Pietro Leopoldo abolisce la pena di morte e la tortura in Toscana

1787 - Mozart compone il Don Giovanni Cartwright brevetta il primo telaio a comando meccanico

In Francia una sollevazione popolare rovescia il regime monarchico: nasce la Repubblica francese

1796 - 1797 Campagna napoleonica in Italia

1792- W. Murdoch costruisce il primo impianto sperimentale per la produzione di gas illuminante

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Capitolo 10

La rivoLuzione industriaLe

10.1  L’Inghilterra, patria della rivoluzione industriale   Il primato inglese LESSICO Rivoluzione industriale L’espressione “rivoluzione industriale”, usata per la prima volta dagli scrittori francesi nel secondo decennio dell’Ottocento, è nata in analogia con la Rivoluzione francese: come in Francia erano state rivoluzionate le strutture politiche e sociali, così in Inghilterra lo erano state le strutture economiche e produttive. A differenza della Rivoluzione francese, che si svolse nel giro di pochi anni, quella industriale fu però un processo lento e si realizzò nell’arco di alcuni decenni.

Un tipico paesaggio industriale europeo all’inizio dell’Ottocento

Il vapore e il carbone divennero i simboli della prima rivoluzione industriale

La ciminiera di una pompa è collegata alla miniera di carbone sottostante In primo piano è rappresentato il trasporto del carbone, ancora affidato a mezzi tradizionali, assai poco economici in termini di dispendio di energie e di tempo del trasporto. Anche in questo campo la rivoluzione industriale darà presto i suoi frutti

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Le grandi trasformazioni demografiche ed economiche caratteristiche del Settecento conobbero in Inghilterra un’intensità particolare, al punto da rendere possibile il decollo della cosiddetta rivoluzione industriale. Per decollo (take off ), nella teoria economica, si intende quel momento in cui un nuovo sistema produt­ tivo si afferma irreversibilmente su quello tradizionale, dando vita a una crescita contraddistinta da forti investimenti e dal rapido impennarsi della produzione. Quali fattori resero proprio l’isola britannica un paese più adatto di altri a rea­ lizzare lo sviluppo dell’economia, della produzione, della capacità di controllo sul­ la natura che si situa alle origini della civiltà moderna? e che cosa comportò, con­ cretamente, l’avvio della rivoluzione industriale per le generazioni che vissero in quell’epoca? Gli storici sono tutt’altro che concordi nelle risposte da dare a queste doman­ de. nelle pagine seguenti cercheremo, perciò, di esaminare da vicino i mutamen­ ti materiali dell’economia britannica durante il settecento, ma anche di riflettere sulle condizioni sociali e politiche che favorirono questo cambiamento epocale.

  Il fenomeno delle recinzioni

un primo fattore di mutamento, che rese la Gran Bretagna un caso relativa­ mente unico in europa, si manifestò nell’ambito della proprietà fondiaria e, di conseguenza, dell’agricoltura. Già nel settecento almeno dieci dei ventiquattro milioni di acri di suolo inglese coltivabile erano stati recintati per mezzo di steccati. Ciò aveva comportato la loro piena trasformazione in proprietà privata e la loro contestuale sottrazione ai cosiddetti “usi collettivi”; vale a dire alla consuetudine, largamente sfruttata dai con­ tadini in ogni paese europeo, di far pascolare le proprie bestie o di raccogliere legna in terre altrui o in terre comuni (openfields), detenute a titolo collettivo dagli abi­ tanti delle singole località. tra il 1760 e la fine del secolo il Parlamento inglese emanò, su richiesta dei grandi proprietari fondiari che ne costituivano una componente importante, alcu­ ne migliaia di ordinanze di recinzione delle terre e di redistribuzione di quelle comuni sotto forma di proprietà privata. ne derivò la formazione di possedimenti fondiari privati più estesi e compatti (definiti enclosures). Per molti piccoli proprietari, ai quali gli usi collettivi avevano fino a quel momento garantito l’oppor­ tunità di integrare la propria modesta produzione, divenne ora impossibile sopravvivere con i semplici proventi tratti dai propri campi; furono quindi costretti a venderli, e a mettersi al servizio dei proprietari medi e grandi.   Dall’autoconsumo al profitto 

LESSICO Openfields ed enclosures Gli openfields (letteralmente “campi aperti”) erano le terre comuni che risalivano ai primi secoli del Medioevo; essi furono progressivamente soppiantati dalle enclosures (“recinzioni”), le proprietà private recintate.



Le recinzioni ebbero come effetto quello di far scomparire la classe dei piccoli proprietari terrieri, cioè quei contadini che erano detentori in proprio di un’esten­ sione di terra modesta, ma comunque sufficiente a dar loro da vivere. nel 1780 ormai solo il 20% del suolo britannico risultava direttamente coltivato da chi ne era proprietario. Contemporaneamente veniva meno la plurisecolare tradizione dell’autoconsumo, l’abitudine cioè dei contadini di provvedere alle necessità della vita quotidiana prevalentemente con i prodotti del proprio lavoro; un fenomeno che aveva fino a quel momento impedito il decollo di una vera economia di mer­ cato, basata sulla circolazione massiccia dei beni e sull’effettuazione delle transazio­ ni, cioè delle operazioni di compravendita, con lo strumento della moneta.

Aston Blank prima delle recinzioni

Le due carte mostrano il fenomeno del passaggio dai campi aperti ai campi recintati nella località di Aston Blank, contea di Gloucester, in Inghilterra, nel 1752

Aston Blank dopo le recinzioni Fattoria Piccola Aston

Campo nord Campo est

Campo ovest

(al Pembroke Signora College di Oxford) PAXFORD Reverendo Fattoria NOBLE Fattoria Camp Piccola Fattoria Manor Aston Signor HANKS Signor PALMER New Barn Signor Fattoria Eimbank BEDDOME Reverendo Aston Blank Luogo a parte JAMES per i poveri Signora Fattoria NEALE del Rettore Bang up Reverendo NOBLE Barn Reverendo JAMES Signor Signor WALLER Dryground WALLER Barn

Unica memoria dell’antica consuetudine è questa piccola parte, a cui i poveri potevano liberamente attingere per fare legna, raccogliere i frutti del bosco e del sottobosco, o portare al pascolo il piccolo bestiame eventualmente posseduto Terre comuni e terre incolte Villaggio

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

George Stubbs, La raccolta del fieno, XVIII secolo (Londra, Tate Gallery)

LESSICO Profitto Dal latino profectum, “vantaggio”, indica in generale qualcosa di utile o vantaggioso. In economia si riferisce all’eccedenza del ricavo lordo delle vendite sul costo di produzione.

nelle campagne inglesi si affermò precocemente il sistema della grande azienda capitalistica, contraddistinta dall’impiego di manodopera salariata e in cui la pro­ prietà veniva gestita da un ceto ristretto di grandi proprietari, dotati dei capitali necessari per organizzare una coltivazione su vasta scala e interessati a ricavarne il maggior profitto possibile, facendo ricorso anche ai suggerimenti avanzati dai cul­ tori dell’agronomia. Ci si trovava davanti a quella che è stata definita “rivoluzione agraria”, basata su un nuovo e assai complesso rapporto tra coltivazioni e alleva­ mento che consentiva un netto incremento delle superfici coltivate in maniera intensiva e un’ottimizzazione delle risorse, favorita da un sapere agronomico che tendeva ad assumere dignità di scienza.   La rivoluzione agraria

Approfondire Il carnevale

La fabbricazione dell’acido solforico, stampa, XVIII secolo. L’individuazione di questo acido, secondo un procedimento messo a punto intorno al 1760, fu fondamentale per la creazione dei fertilizzanti chimici per l’agricoltura

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Come si realizzò, dal punto di vista tecnico, la rivoluzione agraria? il sistema di coltivazione tradizionale, basato sulla rotazione triennale, prevedeva che ogni tre anni una porzione della superficie coltivabile (tra un terzo e un quarto) venisse lasciata a riposo (“maggese”), così da consentire al terreno di ripristinare natural­ mente la propria fertilità. il resto della terra veniva coltivato prevalentemente a grano. Gran parte del bestiame, inoltre, veniva macellato una volta l’anno (tra dicembre e febbraio, a seconda delle aree climatiche), dal momento che non si disponeva di foraggio secco a sufficienza per garantirne l’alimentazione durante i mesi nei quali l’erba smetteva di crescere. il nuovo sistema, applicato nelle aziende capitalistiche e basato sull’idea della rotazione delle colture e dell’abbinamento di queste con l’allevamento, consentì inve­ ce di dare vita a un ciclo produttivo molto più redditizio. nella porzione di terra che in precedenza veniva lasciata a riposo si cominciò a effettuare la semina di piante foraggere (per esempio: rapa, trifoglio, segala), che possedevano due proprietà: rivitalizzavano il suolo, favorendo la concentrazione dell’azoto consumato dalla coltiva­ zione del grano e fornivano nutrimento fresco al bestiame anche durante l’inverno, così da non rendere più necessaria la macellazione di gran parte dei capi a dicembre. da ciò scaturiva una costante disponibilità di concime animale, che veniva reimpie­ gato per fertilizzare le terre e che ne accresceva grandemente le rese. Più grano, più animali; più pane, più carne: si può forse sintetizzare così il risul­ tato prodotto dalle innovazioni agrarie settecentesche. in agricoltura, dunque, al tempo “morto” e improduttivo del riposo si sostituiva ora un tempo nuovo, tutto finalizzato al profitto, che non tollerava pause o interruzioni del ciclo produttivo.

capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

  L’espansione commerciale

il secondo settore nel quale si manifestò il primato inglese fu quello commer­ ciale. Già a partire dalla seconda metà del seicento, come sappiamo, le flotte inglesi avevano cominciato a divenire padrone dei mari. nella prima metà del settecento l’impero coloniale britannico si era ulteriormente rafforzato, sottraen­ do in america e in asia territori alla spagna e alla Francia. il dominio militare inglese sui mari consentì ai mercanti britannici di organizzare un redditizio flusso di scambi commerciali, basato sulla circolazione dei beni e delle merci da un continente all’altro. il sistema che ne derivò fu quello del cosiddetto commercio triangolare. i navigli inglesi scaricavano in ogni continente ciò che mancava e contempora­ neamente si rifornivano di merci da trasportare altrove. in Africa portavano, per esempio, armi e liquori prodotti in inghilterra, o cotone fabbricato in india, in cambio di schiavi, di oro, di avorio. Gli schiavi venivano poi trasportati in America e venduti ai proprietari delle grandi piantagioni, che li pagavano con zucchero, tabacco, cotone greggio. L’oro e l’avorio prendevano invece la rotta verso oriente, e i galeoni impegnati nel loro trasporto tornavano colmi di tè, seta, cotone lavorato, spezie. Le merci esotiche rastrellate in america e in asia trovavano infine il loro sbocco sui mercati di tutta Europa, dove i mercanti inglesi si accaparravano gran­ di quantità di legna, pece, catrame, ferro. oltre a garantire all’inghilterra il rifornimento di alcune materie prime, di cui non disponeva a sufficienza o che addirittura non possedeva affatto, questo sistema consentì ai grandi commercianti di realizzare enormi profitti e – particolare non da poco – di allargare la propria visione dell’economia, abituandoli a considerare il mondo intero come un unico mercato. Per loro divenne usuale pensare la produzione delle merci come produzione su larga scala. essi conoscevano bene le piazze mercantili del pianeta e sapevano dove rivendere nel modo più conveniente la parte di prodotto che non poteva essere smaltita dal mercato locale o da quello dei paesi più vicini. Per questo, quando arrivò il momento, i grandi mercanti non esitarono a finanziare le imprese industriali, anticipando spesso gli ingenti capita­ li che erano necessari per attivare una fabbrica.

MEMO Nella seconda metà del Seicento l’Inghilterra aveva iniziato a minacciare il primato commerciale olandese anche grazie agli Atti di navigazione che vietavano l’ingresso di navi straniere nei porti britannici. Con le guerre settecentesche aveva poi rafforzato i propri domini coloniali in Asia e nel Nord America [vedi pp. 68 e 83].

Il commercio triangolare di schiavi, armi e manufatti tra Europa, Africa e America in una carta del XVIII secolo

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

  La crescita del mercato interno

L’inaugurazione della linea ferroviaria Stockton-Darlington, in Scozia nel 1825

L’imponente crescita del volume dei traffici tra l’inghilterra e il resto del mondo fu accompagnata anche da quella dei flussi commerciali interni. L’impiego di un’agronomia avanzata, infatti, consentì un forte aumento della produzione da de­ stinare alla commercializzazione e, contemporaneamente, comportò la trasformazione in consumatori degli ex contadini proprietari rimasti privi di terra: chi cessava di produrre in proprio, per alimentarsi, per vestirsi, per dotarsi degli oggetti necessari alla vita di ogni giorno non poteva fare altro che acquistarli, passando dalla sfera dell’autoconsumo a quella del mercato. Questa era da sempre la condizione degli abitanti dei centri urbani, ma in questi decenni la popolazione cittadina stava crescendo massicciamente (v. cap. 5, par. 5.1). Per nutrire un gran numero di abitanti, le città erano costrette a estendere sempre più lontano il raggio dei loro approvvigionamenti; molte materie prime alimentari erano però deperibili e pativano le conse­ guenze di un trasporto troppo lungo. Che cosa fare, dunque, per farle giungere in condizioni di accettabile freschezza sulle mense cittadine?   Trasporti più rapidi e sicuri

LESSICO Appaltatori Coloro che, in cambio di un compenso, sottoscrivono un contratto detto “appalto” (termine di origine incerta) con il quale si impegnano nei confronti di un committente a eseguire opere e lavori oppure a prestare servizi.

Una veduta di Londra nel XVIII secolo

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Fino alla metà del Settecento in inghilterra, vista la relativa vicinanza alla costa di gran parte delle località, era stato usuale effettuare molti dei trasporti interni via mare, ma accadeva, e non di rado, che le condizioni meteorologiche impedissero alle navi di salpare o ne rallentassero o deviassero la rotta. inoltre, una volta toccato il punto di destinazione costiera, il flusso delle merci doveva comunque convergere verso l’interno. Per questo, nella seconda metà del secolo, al fine di rispondere alla domanda crescente dei consumatori, si provvide a un radicale rinnovamento dell’intero sistema dei trasporti. Lo stato affidò la gestione delle strade ad appaltatori privati, i quali consideraro­ no la loro attività come un vero e proprio investimento finalizzato al profitto. spe­ sero cospicui capitali per trasformare i vecchi sentieri in larghe strade carrozzabili e ne ricavarono un pedaggio da chiunque vi transitasse. anche se a pagamento, ora si viaggiava con sicurezza e velocità decisamente maggiori rispetto al passato. a conti fatti, grazie al sistema delle strade a pedaggio, il costo dei trasporti anziché aumentare calò: il risparmio di tempo si traduceva infatti anche in risparmio di denaro.

capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

La banchina del porto-canale di Bristol, XVIII secolo

Sullo sfondo la moderna città industriale in pieno sviluppo

In primo piano la larga via delle merci con i mercanti indaffarati

I trasporti sono effettuati con mezzi ancora tradizionali

Ma l’autentico emblema di questa “rivoluzione del tempo” furono i canali, corsi d’acqua artificiali, alimentati dalle acque dei fiumi, ma regolati grazie alle chiuse e perciò navigabili in ogni stagione dell’anno, sui quali, a partire dagli anni Cinquan­ ta, cominciarono a scorrere le grandi chiatte che, oltre ai rifornimenti alimentari in città, trasportavano il carbone e il ferro dalle miniere alle fabbriche. Quello costrui­ to dal duca di Bridgewater tra il 1759 e il 1761 per collegare celermente le miniere e la città di Manchester consentì la riduzione dei costi di trasporto a un sesto rispet­ to a quello via terra. era a eventi come questi che pensava lo scienziato americano Benjamin Franklin (1706­1790), quando sentenziava che «il tempo è denaro».   Libertà e spirito d’iniziativa

avendo fatto riferimento alla rivoluzione agraria, allo sviluppo del commercio interno e internazionale e al miglioramento dei trasporti, abbiamo già messo in luce come la causa della rivoluzione industriale inglese non sia univoca ma vada ricercata in una serie di fattori diversi e complessi. a quelli finora citati è necessario però aggiungere ancora la “forza dell’ambiente”. La Gran Bretagna, infatti, all’ini­ zio del settecento era il paese nel quale, più che in qualsiasi altro, un nuovo ordine sociale e politico si era affermato ai danni di quello tradizionale e dove, dunque, un radicale mutamento economico e mentale, come quello prodotto dalla rivolu­ zione industriale, poteva essere accolto senza incontrare grandi ostacoli. il sistema delle corporazioni di arti e mestieri, per esempio, teso a garantire la sopravvivenza della produzione artigianale e a impedire lo sviluppo della concor­ renza, nell’inghilterra del settecento era ormai per molti versi un ricordo del passato, mentre sul continente godeva ancora, malgrado tutto, di un riconoscimento (v. pp. 141­143). nell’isola, inoltre, la libertà dei cittadini, forte incentivo allo sviluppo di una propensione individuale all’investimento economico, era garantita dalla legge, e il potere legislativo spettava a un Parlamento nel quale sedevano, e avevano imparato a rispettarsi reciprocamente, i rappresentanti delle classi agiate: non solo esponenti dell’aristocrazia, padrona incontrastata o quasi in tutti i paesi del continente, ma anche grandi proprietari, banchieri, mercanti che dovevano il proprio prestigio all’esercizio di attività finalizzate al conseguimento del profitto, e non alla semplice percezione della rendita. e il Parlamento, con la sua produzione legislativa sistematicamente tesa a tutelare la proprietà privata e a incoraggiare le iniziative imprenditoriali, rese più agevole lo sviluppo di quasi tutti i fattori che accompagnarono la rivoluzione industriale. 247

SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

  Pluralismo ed empirismo 

MEMO Il termine puritano (proveniente dal latino purus,”puro”) fu inventato nel Cinquecento dagli anglicani per indicare i gruppi più intransigenti tra i calvinisti. I puritani avevano avuto un ruolo decisivo nella Prima rivoluzione inglese.

LESSICO Empirismo Dal greco empeiría, “esperienza”, è il movimento filosofico, diffusosi soprattutto nel mondo anglosassone nel Seicento, che ritiene che l’esperienza sia il punto di partenza e il criterio di validità di ogni conoscenza.

L’inghilterra era inoltre caratterizzata da un intenso pluralismo religioso, da una sorta di endemica consuetudine con l’idea della concorrenza. vi giocava inol­ tre un ruolo particolarmente significativo la componente puritana, che praticava una religione basata sull’apprezzamento del lavoro, dell’applicazione e della fati­ ca individuali, e che riconosceva nel felice coronamento della ricerca del profitto un segno della benevolenza di Dio nei confronti dell’intraprendenza del sin­ golo. ancora: l’inghilterra era il paese che già nel secolo precedente, attraverso il pensiero di Francis Bacon, aveva fatto dell’empirismo la propria filosofia di orientamento e che, tra la fine del seicento e l’inizio del settecento, aveva forte­ mente contribuito al filone individualista e utilitarista dell’illuminismo, con pensatori come John Locke, david Hume e soprattutto adam smith, fiducioso teorizzatore della bontà di un’economia basata sulla concorrenza e sulle virtù naturali del mercato (v. cap. 6, par. 6.3). infine, grazie alla maggiore libertà, aveva trovato terreno fertile un movimento di persone raccolte in circoli, accademie, associazioni civili, e interessate all’apprendimento e all’applicazione delle innovazioni scientifiche e tecnologiche.

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le cause della rivoluzione industriale Sviluppo dei commerci

Nascita della moderna azienda agricola

Miglioramento dei trasporti

DecoLLo DeLLa rIvoLuzIone   InDusTrIaLe In InghILTerra

Mentalità tollerante e spirito di iniziativa

Leggi a tutela della proprietà privata e delle iniziative imprenditoriali

10.2  La nascita del sistema industriale   La civiltà industriale

LESSICO Industria Dal latino industrius, “attivo, operoso”, nella società tradizionale indicava la particolare caratteristica di un uomo. Negli ultimi decenni del XVIII secolo diventò invece un nome collettivo, che indica le istituzioni manifatturiere e le attività di produzione di merci su larga scala che in essa si svolgono.

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Furono proprio le innumerevoli piccole invenzioni, brevettate per accrescere la produzione e migliorarne la qualità, a permettere, dagli anni sessanta del settecento, ma in misura davvero accentuata dagli anni ottanta in avanti, la comparsa del tutto inedita di un nuovo scenario del lavoro e del guadagno: la trasformazione su larga scala delle materie prime all’interno di fabbriche, con l’ausilio determinante di macchine e con l’impiego di grandi masse di lavoratori salariati. È lo scenario dell’industria moderna, che consentì una drastica riduzione dei costi e, al tempo stesso, un impressionante aumento della produzione, ponendo i paesi che si avvia­ rono lungo quella strada in condizione di dominare economicamente il mondo. se i fenomeni di crescita e accelerazione in ambito demografico, agricolo, commerciale durante il settecento furono condivisi, almeno in parte, da una porzione rilevante del vecchio continente, l’avvio della produzione industriale costituì una peculiarità tutta inglese. Gli altri paesi europei lo conobbero solo alcune decine di anni più tardi. Per fissare se non altro un punto di partenza simbolico alla rivoluzione indu­ striale, vale la pena di ricordare almeno un anno: il 1769, nel quale vennero bre­ vettate due macchine destinate a diventare tra gli emblemi più significativi della prima civiltà industriale: il filatoio idraulico di richard Arkwright (1732­1792) e la macchina a vapore di James Watt (1736­1819).

capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

  Il settore trainante: l’industria del cotone

il filatoio idraulico, permettendo di aumentare la produttività di centinaia di volte, creò quasi dal nulla l’industria del cotone, che fece la fortuna dell’economia inglese tra la fine del settecento e l’inizio dell’ottocento. il suo mercato era infatti rappresentato dal mondo intero, in ogni sua fascia sociale, compresi gli strati più umili, e per questo motivo si prestava meglio di qualsiasi altro a interpretare il ruolo di settore guida di un sistema orientato a produrre in grandi quantità e a basso costo. Fu allora che dell’abbigliamento quotidiano della gente comune entrò a far parte la biancheria intima, prodotta ora in cotone, e dunque a costi assai più ridot­ ti di quelli degli stessi capi in lana. il travolgente successo della nuova moda com­ portò un assai più frequente e intenso contatto dei ceti popolari con il mercato e coincise con una radicale modifica delle correnti del commercio internazionale. Decrebbe fortemente, infatti, il flusso d’esportazione in Europa degli sgargian­ ti e raffinati tessuti di cotone prodotti dalla manifattura indiana, grazie ai quali le élite sociali del vecchio continente avevano per la prima volta sperimentato i piaceri offerti dalla fibra tessile, e si intensificarono i rapporti commerciali tra Europa e Stati Uniti d’America che, nelle piantagioni del Sud, sostenute dal lavoro schiavile, producevano enormi quantità di materia prima a costi assai contenuti (v. cap. 11). sotto il segno del cotone, il mondo occidentale separato dall’atlantico si rinsaldò sotto il profilo economico mentre, venuto meno un tradizionale canale di sbocco per il suo prodotto più ricercato, l’India patì una crisi economica che si tradusse in un indebolimento del suo tessuto produttivo e della sua coesione sociale. anche questo fu un segno premonitore del divario che la rivoluzione industriale veniva rapidamente scavando tra chi ne era compartecipe e chi ne restava fuori: tra il nord e il sud del mondo.

Un’illustrazione dal “Giornale delle nuove mode di Francia e Inghilterra”, 1790 (Milano, Biblioteca Trivulziana). Grazie alla diffusione del cotone, molti capi di abbigliamento non furono più prerogativa esclusiva delle classi più ricche

APPROFONDIRE

Il miracolo europeo u a partire dall’epoca della rivoluzione industriale che l’EuroFposizione pa tutta intera, e non la sola Inghilterra – che pure era in una di avanguardia –, cominciò a distanziare nettamente, sul piano del livello materiale di vita, paesi come la Cina o l’India (i più popolati del globo), verso i quali gli europei avevano fino ad allora nutrito sentimenti di rispetto, piuttosto che una presunzione di superiorità. Al decollo europeo (e statunitense) contribuirono tanto cause strutturali quanto fenomeni contingenti, dei quali lo storico dell’economia Eric C. Jones ha proposto in un famoso libro (Il miracolo europeo. Ambiente, economia e geopolitica nella storia europea e asiatica, il Mulino, Bologna 2005) un ritratto che ci piace fare nostro. Ve ne erano, in primo luogo, di ambientali: da un lato la minore incidenza delle calamità naturali (per esempio terremoti e inondazioni, ma anche epidemie); dall’altro «la notevole varietà geologica, climatica e topografica», che favoriva il commercio a distanza anche di molti prodotti di uso comune. Inoltre, a lungo l’Europa aveva beneficiato «fin quando l’Asia s’era collocata all’avanguardia in campo scientifico e tecnologico, del transfert culturale [ovvero delle informazioni provenienti, n.d.t.] dalla Cina e dall’India mediato dal mondo islamico, così prossimo all’Europa». Altri fattori ancora, però, erano da riconoscere nella specificità dell’organizzazione politica caratteristica dell’Europa: per esempio nel suo sistema di Stati concorrenti, freno potente alle pur presenti tentazioni di-

spotiche dei detentori del potere. Ascoltiamo ancora Jones: «[quello degli Stati in competizione] era un processo che induceva a più miti consigli i governanti e li incoraggiava a offrire condizioni più favorevoli al commercio», costruendo istituzioni e sistemi di regole certe, le quali tutelavano la proprietà dagli arbitri del potere, garantivano maggiore sicurezza e aprivano la strada allo sviluppo delle iniziative individuali: «Alla massa della popolazione europea, non esclusi i contadini, rimaneva infatti aperta l’opzione di fuggire dai regimi oppressivi, e ciò costringeva le diverse entità politiche […] a competere fra loro». Viceversa, in Oriente c’erano imperi, non Stati; e la loro scala territoriale e demografica rendeva problematico un intervento efficace delle istituzioni pubbliche a sostegno dell’economia. Con le loro sconfinate estensioni, gli imperi dovevano pensare infatti soprattutto a difendersi, e a immobilizzare imponenti risorse a questo scopo. Gli imperi asiatici erano, in un certo senso, quanto di più vicino si poteva immaginare ai sogni coltivati dai sovrani assolutisti europei; ma anche quanto di più lontano rispetto al sistema di Stati concorrenti nel quale essi concretamente si trovarono costretti a operare e nel quale incontrarono un freno continuo alle loro tentazioni dispotiche. Fu questo freno, forse, la precondizione più favorevole per l’addensarsi di quei fattori positivi che resero possibile la rivoluzione industriale.

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

  La macchina a vapore

LESSICO Altoforno Forno a forma di torretta (e quindi sviluppato in altezza) costruito con materiale refrattario e in grado di raggiungere temperature molto elevate. È utilizzato nella produzione di leghe tra cui la ghisa e l’acciaio.

Gli straordinari progressi nel settore tessile da soli non sarebbero però stati in grado di modificare l’intera organizzazione dell’economia. Fu invece l’invenzione della macchina a vapore ad avviare la produzione industriale nel suo complesso, permettendo anche lo sviluppo del settore minerario e di quello metallurgico. in un primo momento essa venne adoperata nelle miniere per estrarre il carbone-coke, di cui l’inghilterra aveva buona disponibilità di giacimenti. Questo combustibi­ le, mescolato con minerale ferroso nell’altoforno, consentì la produzione di ghisa e acciaio (due leghe di ferro e carbonio) e quindi la rapida espansione dell’industria siderurgica. il carbone serviva inoltre a sua volta per alimentare la macchina a vapo­ re creando un circolo virtuoso tra vapore e carbone, che divennero i simboli della prima rivoluzione industriale. La macchina a vapore fornisce energia meccanica sfruttando il movimento al­ ternativo di uno stantuffo che si sposta all’interno di un cilindro nel quale si espan­ de il vapore d’acqua surriscaldato (energia termica). dunque, la sua funzione è quella di trasformare l’energia termica in energia meccanica. Con il tempo la macchina di Watt finì per sostituirsi all’energia idraulica: divenne la forza motrice dei filatoi meccanici e permise di situare le fabbriche lontano dai corsi d’acqua, nelle città dove vi era una grande disponibilità di manodopera. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - I settori di sviluppo della rivoluzione industriale Il settore metallurgico L’industria tessile del cotone

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La rIvoLuzIone  InDusTrIaLe

consolidano Il settore minerario

Uno dei primi filatoi meccanici, stampa a colori, 1770

APPROFONDIRE

La novità della macchina a vapore a rivoluzione industriale può essere definita in molti modi diversi, Lmaggiormente a seconda dei fattori di mutamento che di volta in volta interessa evidenziare. Molti studiosi, però, sono concordi nel segnalare la sua caratteristica principale nell’innovazione tecnologica, che consentì di «sostituire all’abilità umana le macchine e alla fatica di uomini e animali l’energia inanimata». Tuttavia, come ci ricorda in questa bella pagina lo storico David Landes, forme di energia inanimata (cioè prodotta da agenti diversi dagli esseri umani o dagli animali) erano già in uso prima della rivoluzione industriale e a lungo convissero con quelle nuove, basate sull’abbinamento tra carbone e macchina a vapore: «La combinazione carbone-vapore non fu la sola fonte di energia inanimata disponibile alle economie europee del XVIII secolo. La forza del vento era stata imbrigliata da millenni, prima con la vela per la navigazione, poi, dal Medioevo, con i mulini per il pompaggio e la macinazione. Anche più importante era l’energia idraulica […]. Nel Settecento e nei primi decenni dell’Ottocento la ruota idraulica provvedeva alla parte

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maggiore, sebbene in diminuzione, dell’energia usata dall’industria inglese […]. Il vantaggio della forza del vento e dell’acqua era che l’energia impiegata non costava nulla; il grosso svantaggio era che spesso essa non era abbastanza abbondante, e in ogni caso era soggetta a variazioni che sfuggivano al controllo umano. Il vento poteva non esserci, il corso d’acqua prosciugarsi e gelare. Invece sulla macchina a vapore si poteva fare assegnamento in tutte le stagioni, (anche se) la spesa di impianto iniziale era più elevata, e il suo funzionamento costoso. Qui stava il grande vantaggio della macchina a vapore. Era infaticabile […]. Inoltre […] essa consumava combustibile minerale (il carbone) e quindi metteva a disposizione dell’industria, per l’approvvigionamento di forza motrice in cambio di calore puro, una nuova e apparentemente illimitata fonte di energia». (D. Landes, Prometeo liberato, Einaudi, Torino 1984) Schema tecnico della versione definitiva della macchina di Watt, costruita tra il 1787 e il 1800, stampa, XIX secolo

capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

10.3   Il sistema di fabbrica e gli effetti sociali  dell’industrializzazione   L’aumento della ricchezza

Le ripercussioni della rivoluzione industriale poterono essere avvertite in tutta la loro profondità solo a distanza di vari decenni, quando risultò chiaro come l’in­ dustrializzazione avesse portato l’Inghilterra nell’arco di un secolo (1750-1850) a moltiplicare per sette il proprio prodotto nazionale lordo. La ricchezza di cui mediamente ogni inglese godeva (reddito medio pro capite) era nel frattempo cresciuta dello 0,5% ogni anno nella seconda metà del settecento; dell’1% ogni anno nella prima metà dell’ottocento. nel 1850, secondo alcune stime, il reddito pro capite nel regno unito era pari a 32,6 sterline, in Francia a 21,1, in Germania a 13,3. un qualsiasi inglese nato nel 1780 settant’anni più tardi fruiva di quasi il doppio dei beni di cui aveva a suo tempo potuto disporre suo padre. Nella storia dell’umanità fino a quel momento non si era mai assistito a qualcosa di analogo; fino ad allora, infatti, per raddoppiare la disponibilità di beni materiali erano stati necessari, ogni volta, diversi secoli. da quando l’industria cominciò ad affermarsi, vi­ ceversa, bastò anche semplicemente il tempo di una generazione e, in seguito, ancor meno, in quanto i ritmi di questa accelerazione produttiva crebbero progressivamente.

Il laboratorio dello storico Luci e ombre della rivoluzione industriale, p. 254

  La nascita della città industriale

Quando il sistema industriale decollò, cambiò completamente la dimensione del lavoro. un primo mutamento si manifestò sotto il profilo degli spazi destinati alla trasformazione e alla elaborazione delle materie prime. Fino a quel momento queste attività, oltre che nelle botteghe artigianali, si erano svolte in piccole offici­ ne (manifatture), dove alcuni lavoratori specializzati provvedevano, ciascuno in base alla propria competenza, a una fase della lavorazione; o, ancora, al riparo dei vincoli imposti dal sistema delle corporazioni di arti e mestieri, in moltissime abi­ tazioni disseminate in campagna, dove intere famiglie contadine alternavano il lavoro al telaio alla fatica dei campi. Lo scenario della manifattura tessile era dun­ que prevalentemente quello domestico, e vi giocavano un ruolo nevralgico i picco­ li proprietari di un telaio a mano, presso le cui abitazioni i mercanti portavano la materia prima, per ritirarla più tardi come prodotto finito. al posto di questi insediamenti di lavoro sparsi, la cui produzione era limitata sotto il profilo quantitativo e non uniforme sotto il profilo qualitativo, sorsero le grandi fabbriche. Queste si trovavano molto spesso alla periferia di città collocate in posizioni strategiche, perché vicine alle miniere di carbone (Manchester, Liver­ pool, Birmingham, Leeds), dove i lavoratori si accalcavano a centinaia o anche a migliaia.

Il paesaggio modificato dalla rivoluzione industriale, XVIII secolo

  I cambiamenti nella produzione

un secondo mutamento riguardò i modi e i ritmi della produzione. ora essa era affidata a macchine automatiche, i cui ingranaggi scandivano a battute velocis­ sime i tempi del lavoro umano, organizzato in base alla rigida divisione del lavoro. L’operaio di fabbrica non eseguiva più l’intera lavorazione di un prodotto ma sola­ mente una delle tante fasi in cui il processo produttivo era suddiviso. Ciò compor­ tò da un lato un incremento stupefacente della produzione, dall’altro uno svilimento della qualità della fatica profusa dagli operai. 251

SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

LESSICO Movimento luddista Prende il nome da Ned Ludd, il leggendario capo di una rivolta nel Nottinghamshire che, rompendo un telaio, avrebbe dato inizio al movimento. Sabotaggio Azione deliberata volta a danneggiare la posizione dell’avversario, ostacolandone l’attività o distruggendo materiali e infrastrutture. Il termine deriva dal francese sabot, “zoccolo”. Il verbo saboter è entrato in uso durante la rivoluzione industriale e alludeva alla pratica delle lavoratrici di infilare gli zoccoli negli ingranaggi delle macchine, in modo da impedirne il funzionamento.

a loro non era più richiesta, diversamente da chi lavorava nelle manifatture o tra le mura domestiche, alcuna abilità specifica. ora dovevano starsene tredici o quattordici ore al giorno, con la sola eccezione della domenica, inchiodati alle macchine, a eseguire gesti ripetitivi a frequenza incalzante. non a caso, le prime forme organizzate di protesta dei lavoratori di fabbrica trovarono proprio nelle macchine il loro bersaglio principale. tra il 1810 e il 1820 gli aderenti al movimento luddista distrussero o sabotarono una gran quantità di macchine, individuan­ do in esse il simbolo del passaggio da un vecchio a un nuovo modo di produrre, che nella loro esperienza si rivelava per il momento estremamente penoso e carico di sofferenze. visto che l’antica competenza tecnica degli artigiani e dei manifat­ tori in fabbrica non era più necessaria, si ricorse largamente, durante i primi de­ cenni della rivoluzione industriale, all’utilizzo del lavoro delle donne e dei bambini. Le une erano disposte a percepire salari modestissimi, gli altri, spesso reclutati negli orfanotrofi, venivano preferiti agli adulti sia per analoghe considera­ zioni sul piano retributivo, sia per la straordinaria idoneità delle loro piccole dita per alcuni processi produttivi. in una città come Manchester c’erano fabbriche nelle quali oltre un quinto della manovalanza era composto da bambini con meno di nove anni.

ANALIZZARE LA FONTE

La divisione del lavoro Autore: Adam Smith – Tipo di fonte: trattato – Lingua originale: inglese – Data: 1763 Adam Smith (1723-1790), il fondatore dell’economia politica, aveva già minuziosamente descritto il sistema di fabbrica, fondato sulla divisione del lavoro, che sarà uno dei capisaldi della società industrializzata. Egli però si soffermava esclusivamente sugli effetti positivi di questa nuova modalità di produzione, mentre nei decenni successivi soprattutto gli autori di orientamento socialista metteranno in luce anche gli aspetti negativi della frammentazione delle mansioni.

solo la divisione del lavoro, per la quale ciascun individuo si limita ad esercitare un’attività particolare, può fornirci una spiegazione di questa maggiore ricchezza che si produce nelle società evolute, e che nonostante l’ineguaglianza nella proprietà, si estende ai più umili componenti della comunità. […] Così, per dare un esempio molto banale, se tutte le parti di uno spillo dovessero essere fatte da un uomo solo, se la stessa persona dovesse estrarre il minerale dalla miniera, separarlo dalle scorie, forgiarlo, dividerlo in piccole verghe, allungare queste verghe in fili e alla fine trasformare questi fili metallici in spilli, un uomo probabilmente, con tutta la sua laborio­ sità, potrebbe a stento fare uno spillo in un anno. […] Ma il fabbricante di spilli, nel produrre questo piccolo og­ getto di poco conto, molto opportunamente si preoccupa di dividere il lavoro tra un gran numero di persone, uno addrizza il filo metallico, un altro lo taglia, un terzo lo appuntisce, un quarto lo schiaccia in cima per infilarci le capocchie; tre o quattro persone sono occupate a fare le capocchie, uno si occupa specificamente di innestarle, un altro riunisce gli spilli, e persino quello di metterli in carta è un mestiere a sé stante. se questa piccola ope­ razione viene in questo modo divisa tra circa diciotto persone, queste diciotto persone, forse, complessivamen­ te faranno più di trentaseimila spilli al giorno. si può considerare quindi che ciascuno […] faccia seicentomila spilli all’anno, cioè che ciascuno produca seicentomila volte la quantità di lavoro che sarebbe capace di pro­ durre, se dovesse da se stesso provvedere a tutti gli attrezzi e alle macchine prime, come nella prima ipotesi. adam smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, Mondadori, Milano 1977 Domande alla fonte 1. Quali vantaggi derivano alla produzione dalla divisione del lavoro? 2. Secondo Smith, i vantaggi riguardano tutti i membri della società?

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capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

L’ora del pranzo in una fabbrica del Lancashire, 1874 (Manchester, Art Galleries)

  Le conseguenze sociali del sistema di fabbrica

La rivoluzione industriale trasformò radicalmente l’assetto della società, sbriciolandone i tradizionali nessi di coesione. di fronte alla fabbrica, infatti, i lavoratori si configuravano ora come individui isolati, sradicati dal contesto familiare e ambientale, e privi di quei rapporti di solidarietà che la vecchia organizzazione del lavoro, basata per un verso sull’agricoltura, per l’altro sul sistema delle corpora­ zioni, aveva a lungo assicurato. Per impedire la nascita di nuove forme di associazione tra i lavoratori, tra il 1799 e il 1800 vennero approvati in inghilterra i Combination Acts che resero il­ legale il sindacato, ma non riuscirono a bloccare del tutto la vita delle società di mestiere (craft societies) che si opponevano all’abbandono di ogni forma di tutela del lavoro. dovettero però passare alcuni decenni prima che, nella loro nuova veste di operai industriali a tempo pieno, i lavoratori riuscissero a dar vita a stabili forme di aggregazione collettiva per proteggersi come categoria e per esercitare una signi­ ficativa capacità contrattuale nei confronti dei datori di lavoro (v. cap. 20, par. 20.3). non bisogna comunque pensare, neppure nel caso inglese, a un’affermazione incontrastata o troppo rapida del sistema di fabbrica. Quest’ultimo, infatti, fu un fenomeno regionale, più che nazionale, e si concentrò nell’area nord-occidentale del paese, che era quella del resto dotata delle miniere di carbone e per questo più fittamente percorsa dalla rete delle nuove strade e dei canali. A lungo, inoltre, i vecchi modi di produzione convissero con quello nuovo. tra la fine del settecen­ to e l’inizio dell’ottocento l’economia inglese viaggiò insomma a due distinte ve­ locità: quella tradizionale della manifattura e dell’industria a domicilio e quella nuova della fabbrica. il tempo lento del passato non cedette immediatamente il passo a quello frenetico del futuro.

I due modi di produzione che a lungo convissero in Europa: sopra, la filatura in casa, ancora secondo i modi tradizionali (Belfast, XIX secolo); sotto, una filanda a vapore nel 1828

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Il laboratorio dello storico

Luci e ombre della rivoluzione industriale

Verso

le competenze

• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Leggere le diverse fonti ricavandone informazioni su eventi storici di differenti epoche

La rivoluzione delle élite Un viaggiatore straniero che a metà del Settecento fosse sbarcato in Inghilterra – racconta lo storico Eric J. Hobsbawm attingendo copiosamente alla letteratura di viaggio dell’epoca – sarebbe rimasto colpito da un ambiente che, per la sua efficiente rete di servizi e di comunicazioni, si presentava davvero diverso da quelli continentali. Una volta giunto a Londra, quel viaggiatore sarebbe rimasto stupefatto da una città che, con i suoi 750 000 abitanti, era allora la più popolata della cristianità, contando quasi il doppio degli abitanti della pur popolatissima Parigi. Un contemporaneo – l’abate francese Le Blanc, che scriveva nel 1747 – giudicò Londra «meravigliosa solo per la sua grandezza», ma poco pulita e poco illuminata, anche se, sotto questo aspetto, pur sempre migliore di un altro centro industriale…

Quella che Le Blanc descrive è la Birmingham dei primi anni della rivoluzione industriale, ancora disadorna nel suo arredo urbano, ma animata da una quasi febbrile percezione del valore del tempo il viaggiatore rimane impressionato dai primi modelli di macchina a vapore, ancora lontani, peraltro, dal livello di efficacia che verrà di lì a poco conseguito dalla macchina di Watt rispetto agli aristocratici del continente, i nobili inglesi si presentavano già nei decenni centrali del settecento sostanzialmente imborghesiti, e poco inclini, dunque, ad assecondare il tradizionale sfarzo aristocratico 254

«[a Birmingham] la gente sembra tanto presa dai propri affari all’interno delle abitazioni da curare assai poco l’aspetto esterno. Le strade non sono né lastricate né illuminate». L’avrebbe impressionato, poi, la realtà febbrile delle città portuali – come Liverpool, Bristol, o Glasgow – scandita dall’andirivieni lungo le banchine di

«schiavi e di prodotti coloniali: zucchero, tè, tabacco, e, in misura crescente, cotone». Ma a metà Settecento gli inglesi erano ormai famosi non solo per i loro grandi commerci, ma anche per le loro macchine che, – notava ancora l’abate Le Blanc –

il commercio d’oltremare rappresentava all’epoca il settore più dinamico dell’economia inglese

«in effetti moltiplicano gli uomini diminuendone il lavoro… Così, nelle miniere di carbone di newcastle, un solo uomo per mezzo di un congegno tanto sorprendente quanto semplice, può sollevare cinquecento tonnellate d’acqua all’altezza di centottanta piedi». La percezione dominante restava, comunque, quella di una nazione commerciale, più che industriale. E a colpire molto Le Blanc era anche un’altra peculiarità dell’Inghilterra: un sistema politico

«unico nel suo genere, in cui i re erano subordinati al parlamento». Per concludere:

«a Londra i padroni vestono come i loro servitori, e le duchesse imitano le cameriere […]. È facile notare che gli inglesi non si sforzano di impressionare, con l’abito o con gli equipaggi; i mobili delle loro case sono semplici quanto potrebbe essere prescritto da leggi suntuarie… e se le tavole degli inglesi non sono notevoli per frugalità, lo sono almeno per la semplicità dei cibi». e. J. Hobsbawm, La rivoluzione industriale e l’Impero. Dal 1750 ai giorni nostri, einaudi, torino 1972, pp. 15­17

era questo il risultato scaturito dalla Glorious Revolution del 1688, che si era conclusa con l’instaurazione della monarchia costituzionale, in forza della quale il Parlamento condivideva con il re il potere legislativo

capItOLO 10 - La rIvOLuZIONE INduStrIaLE

La rivoluzione dei lavoratori Accostiamoci ora a un racconto successivo di una cinquantina d’anni. A scrivere è William Cobbett, giornalista democraticoradicale attivo a cavallo tra fine Settecento e inizio Ottocento, portato tanto dalla sua passione politica quanto dalla sua professione a documentarsi da vicino su temi che Le Blanc intravede appena da lontano e che sono nel frattempo divenuti materia scottante dell’agenda politico-sociale britannica.

La rarefazione della classe dei piccoli agricoltori e il loro abbandono della terra furono il presupposto per la costituzione di una classe di lavoratori salariati che trovarono impiego in fabbrica

se Le Blanc aveva apprezzato la frugalità della borghesia britannica, al centro dell’attenzione di Cobbett c’è invece soprattutto la drammatica situazione economica dei lavoratori. egli racconta, dunque, un’inghilterra completamente diversa da quella descritta dal francese qualche decennio prima

il sistema fiscale e gli investimenti hanno portato la vera proprietà della nazione nelle mani di pochi; hanno reso la terra e l’agricoltura oggetti di speculazione, hanno in ogni parte del regno fuso molte tenute in una; hanno quasi completamente fatto sparire la razza dei piccoli coltivatori; da un capo all’altro dell’inghilterra le case che prima contenevano piccoli agricoltori con le loro famiglie felici si vedono adesso cadere in rovina, tutte le finestre, eccetto una o due chiuse, lasciando solo luce sufficiente perché qualche bracciante, il cui padre era, forse, il piccolo agricoltore, possa guardare i suoi bambini mezzi nudi e mezzi morti di fame, mentre dalla porta scorge tutto intorno a sé la terra che abbonda dei mezzi della ricchezza per il suo padrone opulento fuori di misura. in inghilterra un uomo che lavora, con una moglie e solo tre figli, anche se non perde mai una giornata lavorativa, anche se lui e la famiglia sono parchi, frugali e industriosi nel senso più ampio di queste parole, non è in grado di procurarsi con il suo lavoro un solo piatto di carne in tutto l’anno. È questo lo stato in cui dovrebbe trovarsi un uomo che lavora?

se Le Blanc aveva raccontato la rivoluzione industriale delle élite, Cobbett è testimone di quella delle classi lavoratrici, le quali, nella fase iniziale dell’industrializzazione, videro peggiorare talvolta anche drasticamente le proprie condizioni di vita

r. Williams, Cultura e rivoluzione industriale. Inghilterra 1780-1795, einaudi, torino 1974, p. 38

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate e commentate due fonti letterarie di tipologia diversa, ovvero, un diario di viaggio e uno scritto di denuncia politico-sociale. I due testi sono stati composti a distanza di alcune decine di anni l’uno dall’altro, ma illustrano, da una prospettiva diversa, lo stesso fenomeno. • Come si spiega la differenza di angolo visuale e di tono narrativo tra il primo e il secondo brano? • Quali sono i gruppi sociali che emergono dalla prima fonte, e quali invece quelli che fungono da protagonisti nella seconda?

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capItOLO 10

LA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE

Mappa

rivoluzione agraria

Sviluppo del commercio

Sviluppo dei trasporti

• nascita di aziende

• commercio

capitalistiche • aumento della produzione

triangolare • commercio interno orientato al mercato

• strade a pedaggio • canali sempre navigabili

“Forza dell’ambiente”

• libertà garantite dalla legge

• pluralismo religioso • interesse per scienza e tecnologia

rIvOLuZIONE INduStrIaLE INGLESE

Invenzioni

Filatoio idraulico e nascita dell’industria del cotone Macchina a vapore e sviluppo del settore minerario e metallurgico

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Effetti sociali del sistema di fabbrica

Nascita del sistema di fabbrica

Le macchine organizzano la produzione Divisione del lavoro Incremento della produzione

ripetitività del lavoro

Smantellamento della coesione sociale e proteste Sviluppo del luddismo

Repressione e leggi (Combination Acts) contro le associazioni operaie

capItOLO 10

LA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE

Sintesi 10.1 L’INghILTERRA, PATRIA DELLA RIvOLuZIONE INDuSTRIALE La rivoluzione industriale si sviluppò in inghilter­ ra a partire dagli ultimi decenni del settecento. i fattori che resero questo paese più adatto di altri a un simile cambiamento fu­ rono tanto di natura econo­ mica quanto di natura poli­ tica e sociale. un primo elemento si può individuare nella proprietà fondiaria: nel Xviii secolo in inghilterra i picco­ li proprietari stavano scom­ parendo mentre nascevano le prime grandi aziende capitalistiche, formate da un ceto ristretto di grandi proprietari dotati dei capitali necessari per organizzare una coltivazione su vasta scala. Le pro­ prietà si allargarono con il fenomeno delle recinzioni e la redistribuzione delle terre comuni. si passò così dall’autoconsumo a un’economia di profitto. a ciò contribuì anche la “rivoluzione agraria” che, grazie al nuovo sistema di rotazione delle colture e dell’abbinamento di queste con l’al­ levamento, consentì di dare vita a un ciclo produt­ tivo molto più redditizio. un secondo fattore fu lo sviluppo del commercio internazionale, attraverso lo scambio triangolare in base al quale le navi inglesi scaricavano in ogni con­ tinente ciò che mancava e contemporaneamente si rifornivano di merci da trasportare altrove. Per la rivoluzione industriale importantissimo fu anche il radicale rinnovamento del sistema dei trasporti (ferrovie e canali) connesso all’ampliamento del mercato interno. decisivo fu, infine, il nuovo ambiente politico e sociale che dominava in inghilterra dopo la Glorio­ sa rivoluzione: il sistema parlamentare favoriva in­ fatti lo spirito d’iniziativa così come la prevalente mentalità puritana, che esaltava il lavoro e vedeva nel profitto un segno della benevolenza divina. 10.2 LA NASCITA DEL SISTEMA INDuSTRIALE Furono soprattutto le innumerevoli piccole invenzioni, volte a migliorare la produzione, a per­ mettere la trasformazione su larga scala delle mate­ rie prime all’interno delle fabbriche, con l’ausilio determinante di macchine e con l’impiego di grandi masse di lavoratori salariati.

il primo settore di sviluppo dell’industria moder­ na fu quello tessile, nel quale l’impiego di nuovi macchinari, tra cui il filatoio idraulico (1769), per­ mise di raddoppiare la pro­ duzione e di invertire la direzione del commercio internazionale: decrebbe in­ fatti l’esportazione dei tessu­ ti di cotone indiani, mentre si intensificarono i rapporti commerciali tra l’inghilterra e le piantagioni americane. seguì la crescita dei settori minerario e metallurgico grazie soprattutto all’invenzione della macchina a vapore, il cui utilizzo permise di estrarre il car­ bone e di lavorare i metalli nell’altoforno.

10.3 IL SISTEMA DI FAbbRICA E gLI EFFETTI SOCIALI DELL’INDuSTRIALIZZAZIONE La ricchezza inglese aumentò notevolmente: a di­ stanza di vari decenni risultò chiaro come l’indu­ strializzazione avesse portato l’Inghilterra tra il 1750 e il 1850 a moltiplicare per sette il proprio prodotto nazionale lordo. un effetto dell’industrializzazione fu la nascita di grandi conglomerati urbani dove avevano sede le fabbriche e dove si accalcavano i lavoratori. un secondo mutamento riguardò i modi e i ritmi della produzione: la rigida divisione del lavoro rendeva inutile ogni abilità specifica e favoriva lo sfruttamento di donne e bambini. Per impedire la nascita di associazioni operaie, il Parlamento inglese emanò tra il 1799 e il 1800 i Combination Acts, che tuttavia non riusci­ rono a impedire la formazione del movimento luddista e delle prime società di mestiere. sorsero i primi movimenti di protesta, detti luddisti, che di­ struggevano le mac­ chine, considerate il simbolo del nuovo modello di produzio­ ne industriale.

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Capitolo 11

La rivoLuzione americana e La nascita degLi stati uniti 11.1 Le tredici colonie inglesi La prima democrazia

il mondo delle colonie americane era abitato in maggioranza da una popolazione inglese per nascita o per discendenza, nonostante vi fossero insediati anche gruppi provenienti dall’europa continentale; nel 1770 vantava due milioni di abitanti contro i tre volte tanti della madrepatria e tuttavia il mondo americano non rappresentava una pura e semplice replica di quello inglese. con l’inghilterra i coloni condividevano la lingua, la tradizione religiosa e di pensiero, gran parte delle leggi, ma nel secolo e mezzo intercorso tra i primi loro approdi sulle coste nordamericane, nel 1620, e l’ultimo quarto del settecento, avevano sviluppato una società dotata di caratteristiche proprie. nella seconda metà del settecento gli inglesi d’america si sentivano sempre meno rappresentati dalla lontana madrepatria. infine ruppero gli indugi: cambiarono nome, cessando di essere sudditi britannici, e si dichiararono americani indipendenti. cominciarono quindi a costruire un paese completamente nuovo: grazie alla loro rivoluzione per la prima volta nell’età moderna la democrazia si fece realtà. Archibald M. Willard, Spirit of ’76,  1876 (Washington, National  Archives). Il quadro, dipinto cento  anni dopo la rivoluzione, intende  celebrare l’anno in cui   il Congresso americano emanò   la Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (1776)

Al centro avanzano tre personaggi  a passo di carica: un soldato ferito  e due suonatori di tamburo che  rappresentano tre generazioni   di uomini. Si noti la semplicità  dell’abbigliamento di queste figure,  sintomo di una società ispirata a  sentimenti di sobria fierezza

Alle loro spalle la bandiera  americana, formata all’origine da  tredici strisce orizzontali rosse e  bianche (che si sono mantenute nel  tempo) e un riquadro blu dove  inizialmente comparivano le 13 stelle  delle colonie che si resero  indipendenti; adesso ce ne sono 50

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Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

La formazione delle colonie americane

i primi insediamenti inglesi nell’america settentrionale vennero fondati nei primi decenni del Seicento. La prima colonia inglese in america fu la Virginia, fondata all’inizio del secolo in onore di elisabetta i (la Virgin Queen). in seguito, nel 1620, un gruppo di puritani perseguitati in patria, i cosiddetti Padri pellegrini, a bordo della nave Mayflower approdò sulle coste dell’attuale massachusetts. Qui crearono la colonia di Plymouth, impegnandosi, con un solenne giuramento, a emanare leggi giuste e imparziali. nel giorno del ringraziamento ancora oggi si ricorda quell’episodio. gli inglesi approdavano nelle nuove terre in ordine sparso e a titolo privato, senza fruire, cioè, dell’appoggio ufficiale dell’esercito e della marina britannici. erano organizzati in compagnie, ciascuna delle quali era munita di un “privilegio” accordato dal sovrano, vale a dire dell’autorizzazione a effettuare un insediamento in un’area determinata. in alcuni casi il re attribuiva il privilegio direttamente a una singola persona, che diveniva in tal modo il proprietario della colonia. intorno alla metà del Settecento avevano così preso forma lungo la costa atlantica o nella sua immediata prossimità tredici colonie, ciascuna cresciuta scacciando verso l’interno gli abitanti originari del paese, i cosiddetti pellerossa (v. approfondire, p. 270). La maggior parte degli inglesi approdati in america apparteneva a gruppi religiosi minoritari e dissidenti (come i puritani e i quaccheri), oppure agli strati subalterni della società, gente umile che nella patria d’origine era relegata ai margini della società e che aveva ben poco da perdere. a migliaia, tra seicento e settecento, attraversarono l’oceano e dettero vita in america a comunità diverse l’una dall’altra, ma soprattutto differenti da quella della terra d’origine. Quella che approdò oltre oceano era, infatti, una porzione decisamente particolare della popolazione inglese. non c’erano, tra gli emigrati, esponenti dell’aristocrazia di sangue, lo strato che si collocava ai vertici di ogni società europea, e accadde così che nel mondo delle colonie prendessero forma comunità relativamente poco differenziate sotto il profilo sociale.

LESSICO Quaccheri Con questo termine – forse  derivante dall’inglese to quack  (“schiamazzare”), con riferimento  alle vistose manifestazioni con le  quali accompagnavano i momenti  più intensi del loro culto – si  indicano gli appartenenti a un  movimento religioso protestante  sorto nell’Inghilterra del Seicento  e caratterizzato da un forte  egualitarismo, dal ripudio di ogni  gerarchia e di ogni forma di  violenza. Perseguitati per il loro  rifiuto di prestare giuramento di  fedeltà alla nazione, emigrarono  in America dove diedero origine  alla colonia della Pennsylvania  che prende il nome dal  predicatore quacchero William  Penn.

Le tredici colonie del 1763

gli immensi territori nordamericani risultavano divisi, dopo la Guerra dei sette anni, tra colonie inglesi, vicereami spagnoli, e alcune limitatissime zone canadesi ancora in mano ai francesi. a fissare i confini delle tredici colonie, nucleo originario degli stati uniti, fu in particolare un proclama, incluso negli accordi della pace di Parigi del 1763, a conclusione di quel conflitto che s’era combattuto quasi interamente in america. Le colonie del Nord (Massachusetts, Connecticut, Rhode Island e New Hampshire), sorte nella prima metà del seicento, quelle del Centro (New York, New Jersey, Pennsylvania) e quelle del Sud (le due Caroline, Virginia, Maryland, Delaware e Georgia) differivano sia dal punto di vista economico-sociale sia da quello religioso. nelle colonie centro-settentrionali gli insediamenti erano composti soprattutto da agricoltori proprietari di piccole porzioni di terra, artigiani, mercanti, professionisti, pescatori: un mondo improntato a una grande semplicità di costumi, puritano sotto il profilo religioso e altamente alfabetizzato, nel quale il principio della passiva deferenza degli umili nei confronti dei potenti, tratto caratteristico di gran parte delle società europee coeve, non poteva mettere salde radici.

MEMO La Guerra dei sette anni,  combattuta tra il 1756 e il 1763  sul fronte americano, terminò con  la disfatta dell’impero coloniale  francese e con la definitiva  supremazia inglese su quei  territori [vedi p. 83].

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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

Il primo giorno del Ringraziamento  in America, litografia da un dipinto  del XVII secolo. I Padri pellegrini  sono raffigurati nell’atto di dividere  il cibo con le popolazioni indigene

differente era invece la situazione nelle colonie del Sud. Qui lo sfruttamento del suolo si effettuava attraverso il sistema della grande piantagione (di tabacco, di riso, di colorante indaco; poi, in misura crescente nel settecento, di cotone, sotto lo stimolo della domanda sollecitata dalla rivoluzione industriale), che richiedeva l’impiego di cospicui capitali. esso veniva gestito da un ceto di proprietari medi e grandi, una vera e propria élite rurale, che faceva largamente ricorso al lavoro degli schiavi neri, importati direttamente dall’africa o dai caraibi, oltre che a quello di bianchi approdati oltre oceano come “servi a contratto”, vincolati a lavorare per almeno quattro anni alle dipendenze di un padrone che aveva coperto le loro spese di viaggio. negli stati del sud la popolazione di pelle nera costituiva da sola oltre il 60% della popolazione. L’America del Nord e le tredici colonie nel 1763 CANADA Colonie del Nord

New Hampshire

Colonie del Centro

New York

Colonie del Sud Territori inglesi Territori spagnoli

Pennsylvania

Massachusetts Rhode Island Connecticut New Jersey Delaware

Virginia

Maryland

Carolina del Nord Carolina del Sud

VICEREAME DELLA NUOVA SPAGNA

Georgia

oceano Atlantico

golfo del Messico

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Territori perduti dalla Spagna nel 1819

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

il puritanesimo fu il lievito fondamentale della società del New England (le colonie del Nord), formatasi prevalentemente come luogo di rifugio per i gruppi religiosi dissidenti. nelle colonie del Sud, viceversa, sorte perlopiù in base a un atto di assegnazione a un singolo o a una comunità emanato per grazia sovrana (e per questo dette colonie “di proprietà”), predominavano le Chiese ufficiali: quella anglicana, in primo luogo, ma anche la cattolica (nel maryland), mentre al Centro il quadro si configurava più composito. Governo inglese e autogoverno locale

nonostante le notevoli differenze, le americhe inglesi erano rette da istituzioni sostanzialmente simili. La madrepatria esercitava il controllo da lontano, attraverso governatori nominati dalla Corona e affiancati da consiglieri che loro stessi sceglievano tra le persone più influenti di ciascuna colonia. nelle colonie che avevano un proprietario era invece quest’ultimo a insediare governatore e consiglio, ma un ruolo molto importante giocavano ovunque le assemblee elettive locali, designate da un corpo elettorale che, a seconda dei casi, oscillava tra il 50 e il 70% della popolazione maschile bianca adulta. il potere era dunque spartito tra organi nominati dall’alto e organi rappresentativi delle comunità locali, ma, vista la distanza tra il governo centrale (quello di Londra) e il mondo delle colonie, era quasi sempre quest’ultimo ad aggiudicarsene la porzione maggiore. Fino alla guerra dei sette anni il rapporto tra le colonie e l’inghilterra era stato mediato principalmente dalla figura del re, mentre il Parlamento di Londra, titolare del potere legislativo, si era sostanzialmente astenuto dall’interferirvi. i coloni non godevano del diritto di inviare propri rappresentanti presso il Parlamento della madrepatria, né questo, dunque, legiferava sui territori americani. i coloni, del resto, avevano i loro parlamenti: si trattava delle assemblee legislative presenti, come s’è visto, in ogni stato ed elette a suffragio ampio. L’America inglese poteva dunque essere considerata come una sorta di proprietà della Corona, come una porzione di impero britannico soggetta alle norme generali del diritto inglese, ma impermeabile rispetto al Parlamento londinese. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le colonie americane nel 1763 coLonie deL nord

coLonie deL centro

coLonie deL sud

denominazione

Massachusetts Connecticut Rhode Island New Hampshire

New York New Jersey Pennsylvania

Carolina del Nord Carolina del Sud Virginia Maryland Delaware Georgia

economia

agricoltura intensiva industria commercio

agricoltura intensiva industria commercio

sistema di piantagione

Composizione sociale

piccoli agricoltori borghesia imprenditoriale pescatori

piccoli agricoltori borghesia imprenditoriale pescatori

proprietari terrieri schiavi neri

religione

puritanesimo

realtà composita quaccheri (Pennsylvania)

anglicanesimo cattolicesimo (Maryland)

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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

11.2 Le cause del conflitto i limiti imposti dalla madrepatria

LESSICO Contrabbando Composto di contra e bando  (nel significato di “disposizione   di legge”), indica l’attività di  importazione o esportazione  illecita di merci, che viola le leggi  dello Stato, per esempio eludendo  il pagamento dei tributi.

nel corso del Settecento il mondo delle colonie inglesi in America conobbe un fiorentissimo sviluppo. tra il 1700 e il 1770 la popolazione decuplicò, passando da 250 000 a oltre 2 milioni di abitanti. non lo si poteva ormai più considerare come un semplice avamposto commerciale; esso era divenuto di fatto un mondo a sé stante, la cui popolazione era combattuta tra un evanescente senso di identificazione con la madrepatria e una crescente volontà di autodeterminazione. tuttavia questa aspirazione all’autonomia si scontrava sempre di più con le norme sancite dalla politica economica britannica, di cui a lungo era stata tollerata l’inosservanza, ma di cui ora si tendeva a esigere il puntuale rispetto. tali norme – a lungo disattese dai coloni americani, abituati a esercitare senza particolari remore il contrabbando – imponevano alle colonie di intrattenere rapporti di scambio commerciale diretti unicamente con la madrepatria, e vietavano di attivare produzioni concorrenti con quelle britanniche. il mercato americano, con la sua imponente crescita demografica, costituiva una delle componenti più importanti per la fortuna del commercio inglese. Basti pensare che negli anni sessanta assorbiva da solo ben un terzo del volume globale delle esportazioni britanniche. Le pretese inglesi e i primi contrasti

La caricatura illustra la politica  inglese nei confronti delle colonie: il  governo inglese pretendeva di  avere uova dall’oca americana  anche dopo averla sgozzata

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dopo la guerra dei sette anni i rapporti tra i coloni americani e l’inghilterra si fecero più tesi. La partecipazione attiva alle vittoriose operazioni militari antifrancesi a fianco dell’esercito inglese aveva accresciuto nei coloni il senso della propria identità. ma l’Inghilterra, dal canto suo, avvertiva la necessità di dare un’impronta politica e fiscale più uniforme e coerente al suo impero, che si stava nel frattempo vistosamente espandendo in india, assoggettandolo a un controllo burocratico permanente del centro nei confronti delle periferie. gli abitanti delle colonie erano stati fino a quel momento sudditi inglesi a metà; ora avrebbero dovuto diventarlo in misura piena. soprattutto – insisteva il Parlamento di Londra – avrebbero dovuto contribuire anch’essi al mantenimento dell’esercito e della flotta che li proteggevano, pagare le tasse e fornire così una parte del denaro necessario a coprire i crescenti costi dell’impero. tra il 1763 e il 1773 la tensione tra colonie e madrepatria si inasprì giorno dopo giorno. Lo stanziamento permanente di un esercito di 10 000 uomini in america; l’istituzione dell’obbligo di apporre marche da bollo sui materiali a stampa (documenti, contratti e fatture commerciali ma anche giornali) di cui si faceva uso nelle colonie (Stamp act, 1765) per consentire il mantenimento delle truppe inglesi da parte dei coloni; l’introduzione di più severe misure contro il contrabbando e di nuovi dazi: queste furono le iniziative da parte inglese. i coloni risposero in parte con il sabotaggio, in parte sfidando politicamente la madrepatria, facendo leva su un vecchio e rispettato principio del diritto pubblico inglese, condensato dalla formula no taxation without representation, “niente tasse senza rappresentanza”. se i coloni non godevano del diritto di designare propri rappresentanti presso il Parlamento di Londra, perché mai avrebbero dovuto pagare le imposte decretate da quest’ultimo?

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

Lo scontro fiscale

Le misure stabilite da Londra innescarono una serie di reazioni a catena. Lo Stamp act del 1765 imponeva l’applicazione di una marca su moltissimi atti pubblici e persino sui giornali; questa imposizione era ritenuta particolarmente lesiva nelle colonie, che erano contraddistinte da un alto livello di alfabetizzazione e nelle quali dunque la lettura della stampa era un’abitudine molto diffusa. a questo punto i delegati di nove colonie si riunirono a new York e dichiararono illegittima la tassa, invitando i coloni a non pagarla. era l’avvio di un processo di mobilitazione che coinvolse l’intera società delle colonie, abituandone i membri a discutere intensamente di politica, a confrontarsi in dibattiti e assemblee, a divenire opinione pubblica attenta e partecipe. nei mesi seguenti all’emanazione della tassa, in molte località venne dato l’assalto agli uffici fiscali e un anno più tardi gli inglesi si videro costretti a revocare il provvedimento, pur ribadendo ufficialmente il loro diritto a riscuotere imposte dai coloni (Declaratory act, 1766). Questi ultimi, dal canto loro, cominciarono a sabotare lo smercio dei prodotti inglesi. tra il 1769 e il 1770 l’esportazione della produzione britannica oltre oceano si ridusse di ben due terzi. nel 1770 un violento scontro di piazza a Boston, nel massachusetts, culminò nell’uccisione di cinque coloni da parte delle truppe inglesi (l’episodio è passato alla storia come “massacro di Boston”). Per attenuare la tensione, salita ormai a livelli incontrollabili, Londra decise a questo punto di abolire tutti i dazi sulle importazioni delle merci in America, con l’eccezione di quello sul tè, riconfermato per una questione di principio. Il massacro di Boston, stampa,  1770 (New York, Metropolitan  Museum of Art)

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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

il Boston tea party: l’inizio dell’insurrezione

Per tre anni la situazione parve tranquillizzarsi; poi, nel 1773, si verificò l’episodio che diede il via all’insurrezione generale delle colonie. Per salvare dalla bancarotta la Compagnia delle Indie orientali, uno dei colossi del commercio inglese, il Parlamento di Londra, d’accordo con la corona, attribuì a essa il monopolio (cioè l’esclusività) dell’esportazione del tè oltre oceano, provocando l’irritazione degli ambienti mercantili americani. a questo punto un gruppo di coloni ideò una forma spettacolare di protesta. travestiti da pellerossa, salirono a sorpresa su una nave inglese ormeggiata nel porto di Boston e ne gettarono a mare il carico di tè. L’episodio è passato alla storia con il nome di Boston tea party. gli inglesi risposero alla provocazione adottando nuove misure restrittive e autoritarie nei confronti dei coloni, ma questi ultimi replicarono esautorando di fatto i funzionari britannici (i governatori e i consigli a essi affiancati) e trasformando le assemblee rappresentative di ogni colonia in veri e propri corpi legislativi, nei quali dichiararono di riconoscere la sola legittima fonte di autorità. il primo congresso continentale

La petizione del Congresso  continentale al re nel 1774

nel 1774 fu convocato a Filadelfia il primo Congresso continentale americano, al quale presero parte rappresentanti di tutte e tredici le colonie. in quella sede ebbero modo di mettersi in mostra e di imporsi come leader coloro che erano destinati a diventare i “padri fondatori” della nuova nazione: thomas Jefferson (17431826), James Wilson (1742-1798) e John Adams (1735-1826). inizialmente il congresso, che espresse le sue idee in una petizione rivolta al re, non mirò a promuovere il totale distacco tra colonie e madrepatria, ma, semmai, a svincolare le prime dalle pretese del Parlamento di Londra. da quel momento le colonie e l’Inghilterra avrebbero dovuto essere considerate come comunità politiche coordinate, soggette allo stesso sovrano, ma dotate di organi legislativi separati e autonomi. Le colonie ribadivano dunque la loro fedeltà alla corona, ma al tempo stesso chiedevano l’emancipazione amministrativa e fiscale dal Parlamento inglese e dalle tasse che questo pretendeva di esigere in america. contemporaneamente, si voleva che la corona britannica riconoscesse alle assemblee legislative coloniali – ciascuna per il territorio di loro spettanza – la stessa funzione accordata al Parlamento di Londra in relazione all’inghilterra.

11.3 La formazione di uno stato nuovo La guerra

Quando furono posti dinnanzi alle richieste di sostanziale autonomia del congresso americano, temendo di perdere ogni autorità sui domini coloniali, il re Giorgio III e il Parlamento inglese fecero fronte comune e rifiutarono ogni concessione. nel 1774 alcune colonie vennero ufficialmente dichiarate in stato di ribellione; contemporaneamente fu dato il via all’allestimento dell’esercito che avrebbe dovuto riportarle all’obbedienza. anche il Congresso americano, di conseguenza, nel 1775 iniziò a mettere insieme un esercito di volontari – reclutandone alcune migliaia – e ne affidò il comando a George Washington (1732-1799), un ricco proprietario di piantagioni, originario della virginia, che già durante la guerra dei sette anni aveva dato prova di grandi capacità militari. 264

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

Emanuel Leutze, Washington attraversa il Delaware, 1851 (New  York, Metropolitan Museum of Art).   Il quadro celebra l’attacco   a sorpresa mosso dagli americani  contro gli inglesi il 25 dicembre 1776

aveva così inizio una guerra che si sarebbe conclusa sette anni più tardi a favore degli insorti, malgrado le truppe schierate sotto la bandiera inglese (oltre 70 000 uomini) godessero inizialmente di una schiacciante supremazia numerica. determinante fu, in proposito, l’intervento a sostegno degli insorti della Francia, scesa in campo in appoggio ai coloni nel 1778, grazie anche alle efficaci pressioni esercitate dal rappresentante americano a Parigi, lo scienziato Benjamin Franklin, e della Spagna, che ne imitò l’esempio un anno più tardi. La prima vittoria americana avvenne nel 1777 a Saratoga; seguirono altri successi che culminarono nel 1781 nella battaglia di Yorktown, in virginia, nella quale gli inglesi furono costretti alla resa. Le clausole della pace, siglata a versailles nel 1783, prevedevano il riconoscimento da parte inglese non solo dell’indipendenza delle ex colonie, ma anche del diritto degli americani di espandersi liberamente negli immensi spazi scarsamente popolati dai pellerossa. Francia e spagna, in cambio dell’appoggio dato ai coloni nella guerra di indipendenza, ripresero parte dei territori che l’inghilterra aveva sottratto loro vent’anni prima: alcune basi in africa e nei caraibi la prima, la Florida e l’isola di minorca la seconda. La dichiarazione di indipendenza e i primi esperimenti costituzionali

intanto, il 4 luglio 1776, il congresso aveva emanato la Dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America, un importante documento che si richiamava ad alcuni fondamentali principi illuministici come l’esistenza di diritti umani, naturali e inalienabili e la teoria della sovranità popolare. in seguito, nel 1781, con la guerra ancora pienamente in corso, aveva elaborato i cosiddetti Articoli di confederazione, intendendoli come una provvisoria formula di compromesso tra gli interessi in parte contrastanti delle ex colonie, che si avviavano a diventare stati sovrani. negli anni seguenti ciascuno di essi si dotò di una propria Costituzione locale. Ben presto, peraltro, si rivelò evidente come le tendenze centrifughe provenienti dai vari territori e consacrate dalle costituzioni locali finissero per rendere troppo debole l’autorità del Congresso, le cui competenze sostanzialmente si limitavano all’esercizio della politica estera e alla direzione delle attività militari. durante la prima metà degli anni ottanta a richiamare l’attenzione sui rischi che una simile situazione presentava fu un movimento che si definì nazionalista o federalista. i suoi principali esponenti furono alexander Hamilton (1757-1804) e James Madison (1751-1836), l’uno originario di new York, l’altro della virginia.

LESSICO Confederazione Una confederazione è  un’associazione di Stati autonomi  nella quale ciascuno di essi  mantiene la propria sovranità, ma  affida una parte dei propri poteri  agli organi confederali.

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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

i federalisti si battevano per una revisione degli Articoli di confederazione, perorando il rafforzamento della sovranità “nazionale” a scapito di quella dei singoli stati. grazie a un’intensa campagna di mobilitazione dell’opinione pubblica riuscirono a ottenere la convocazione a Filadelfia, nel 1787, di una Convenzione che ricevette il mandato di modificare le regole fissate sei anni prima. ANALIZZARE LA FONTE

La Dichiarazione di indipendenza Autore:  Commissione di delegati composta da John Adams, Benjamin Franklin  e Thomas Jefferson Tipo di fonte: documento ufficiale  Lingua originale: inglese Data: 4 luglio 1776

Fonte Dichiarazione di indipendenza degli Stati Uniti (versione integrale)

Riportiamo la parte della Dichiarazione di Indipendenza in cui sono proclamati i principi che stanno a suo fondamento: l’eguaglianza dei cittadini dotati di diritti inalienabili; il consenso popolare al governo; il diritto di ribellarsi a uno Stato tirannico. Da qui la dichiarazione di separazione dal governo inglese che si è appunto dimostrato uno Stato tirannico violando il patto originario con i  cittadini americani.

noi riteniamo che le seguenti verità siano di per se stesse evidenti, che tutti gli uomini sono stati creati uguali, che essi sono stati dotati dal loro creatore di alcuni diritti inalienabili1, che tra questi sono la vita, la Libertà e la ricerca della Felicità. [Noi riteniamo] che ogni qual volta una qualsiasi forma di governo tende a negare tali fini, è diritto del Popolo modificarlo o distruggerlo, e creare un nuovo governo, che si fondi su quei principi e che abbia i propri poteri ordinati in quella guisa che gli sembri più idonea al raggiungimento della sua sicurezza e felicità. […] noi, peraltro, rappresentanti degli stati d’america, riuniti in congresso generale, appellandoci al supremo giudice dell’universo quanto alla rettitudine delle nostre intenzioni, solennemente proclamiamo e dichiariamo, in nome e per autorità dei buoni Popoli di queste colonie, che queste colonie unite sono, e devono di diritto essere stati liberi e indipendenti; che sono disciolte da ogni dovere di fedeltà verso la corona britannica. a. aquarone - g. negri - c. scelba (a cura di), La formazione degli Stati Uniti d’America. Documenti, nistri-Lischi, Pisa 1961 1. Diritti inalienabili: diritti che non possono essere ceduti ad altri poiché senza di essi l’uomo perderebbe ciò che lo contraddistingue, la sua natura umana.

Domande alla fonte 1.  Quali sono i diritti umani inalienabili? 2.  Per quale scopo sono creati i governi e su che cosa si fonda la  legittimazione dei loro poteri? 3.  Quale diritto ha un popolo quando un governo non rispetta lo scopo  per cui è stato creato? 4.  In nome di chi i rappresentanti delle colonie proclamano la loro  indipendenza dalla Gran Bretagna?

La Dichiarazione d’indipendenza del 4 luglio 1776  (New York, The Granger Collection)

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Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

La costituzione del 1789

La convenzione elaborò il testo della Costituzione americana, entrata in vigore tra il 1788 e il 1789. si trattava di una carta totalmente nuova, che mirava a creare un potere federale capace di unire i singoli stati in una sola nazione. essa continuò tuttavia ad accordare uno spazio ben individuabile alla sovranità distinta degli stati che componevano la federazione, solo di recente saldati in un fronte unitario dalla lotta comune contro l’inghilterra. i pilastri portanti della costituzione erano i seguenti: da un lato un Congresso (cioè, un Parlamento) investito del potere legislativo a livello nazionale e suddiviso in una Camera dei rappresentanti - eletta dai cittadini in base a un meccanismo che prevedeva una ripartizione dei seggi in proporzione alla popolazione residente all’interno di ciascuno stato - e da un Senato, composto da due rappresentanti per ciascuno stato, indipendentemente dal numero di abitanti. i senatori, designati dalle assemblee rappresentative previste da ciascuna delle costituzioni dei singoli stati, erano tenuti a interpretare il loro mandato nel senso della tutela degli interessi “statali” (ovvero locali) all’interno della struttura federale (cioè nazionale). se il Congresso deteneva il potere legislativo, quello esecutivo era invece conferito a un presidente, eletto di fatto dalla popolazione anche se in base a un sistema a doppio grado: i cittadini di ciascuno stato votavano i “grandi elettori” che a loro volta eleggevano il presidente. il suo mandato durava quattro anni (ma era riconfermabile) e comprendeva il diritto di veto sospensivo sulle leggi emanate dal congresso, nonché la direzione del governo, non vincolato alla fiducia parlamentare, della politica estera, delle forze armate. il presidente nominava, infine, i giudici della Corte suprema. in base al principio del reciproco equilibrio dei poteri, il presidente poteva però essere messo in stato di accusa dal Congresso che poteva anche destituirlo se lo riconosceva colpevole di violazioni della legge.

LESSICO Federazione Una federazione è un’unione di  Stati che costituiscono insieme  una nuova entità politica, alla  quale i singoli membri sono  soggetti pur mantenendo una  certa autonomia legislativa in  alcuni ambiti.

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - I poteri nella Costituzione americana

potere legislativo

potere eseCutivo “veto”

presidente deGLi usA

controlla

potere giudiziario nomina controlla

nomina CONGRESSO CaMERa DEI RaPPRESENTaNTI (435 membri)

SENaTO (100 membri)

Governo Ministri (10-12)

CORTE SuPREMa (9 membri)

eleggono

eleggono

eleggono

grandi elettori Cittadini degli stati uniti

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sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

ai giudici della Corte suprema che, una volta nominati, erano inamovibili, spettava un compito particolarmente delicato: verificare la legittimità costituzionale delle legislazioni emanate a livello nazionale dal congresso e a livello locale dalle assemblee dei singoli stati. uno stato nuovo

Bandiere, uniformi e armi, simboli  della rivoluzione americana,   XVIII secolo.

Una seduta alla Camera dei  rappresentanti degli Stati Uniti

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La Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione prefigurarono uno stato dalle caratteristiche totalmente nuove e non paragonabili a quelle di alcun paese europeo dell’epoca. con gli Stati Uniti d’America non nasceva, dunque, soltanto una nuova nazione, ma anche e soprattutto un modo del tutto inedito di organizzare i rapporti tra cittadinanza e pubblico potere: lo Stato democratico, nella forma della repubblica federale, che, tanto a livello centrale quanto a livello locale, si basava su governi designati dalla popolazione, attraverso libere elezioni. si veniva così aggregando una comunità nazionale che – diversamente dalla maggior parte di quelle europee coeve – non era retta da una monarchia ereditaria, ma era essa stessa titolare in prima persona della sovranità. alcune repubbliche in verità a quell’epoca c’erano anche in europa (venezia e genova in italia e l’olanda); e così pure in europa c’era un caso di monarchia costituzionale, nella quale da circa un secolo l’esercizio del potere legislativo spettava alla cittadinanza, e non al re. era il caso, come sappiamo, proprio dell’inghilterra che, peraltro, gli americani accusavano di aver abbandonato la propria tradizione. tuttavia, sia nelle repubbliche europee sia nell’unica monarchia costituzionale presente nel vecchio continente, a esercitare il pubblico potere – da sola o insieme a un monarca, e comunque spesso in forme che non prevedevano libere elezioni – era ammessa una minoranza ristrettissima della popolazione; solo i nobili, per esempio, a venezia e a genova, e solo gli strati socialmente più elevati tanto in olanda quanto in inghilterra; in ogni caso mai più dell’1 o del 2% della popolazione.

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

La nazione americana si caratterizzò fin dall’inizio non solo per la sua forma repubblicana, ma anche per l’eccezionale ampiezza della partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere. non tutti gli stati che la componevano accordavano, in verità, con la stessa generosità ai propri abitanti l’esercizio del diritto elettorale. alcuni, per esempio, ammettevano al voto solo coloro che detenevano una proprietà (fondiaria, immobiliare o mercantile); altri, invece, allargavano il corpo elettorale fino a farvi rientrare chiunque pagasse anche un solo centesimo di tasse. tuttavia, a seconda degli stati, tra il 50 e l’80% dei maschi adulti bianchi godeva del diritto di recarsi alle urne. Per avere un’idea della distanza che sotto questo profilo divideva la nuova nazione dall’europa, basti pensare che in inghilterra, che pure fu a lungo il paese più liberale del vecchio continente, ancora nel 1832 la percentuale corrispettiva era di appena il 15%. nasceva così la prima repubblica “democratica” della storia.

11.4 Luci e ombre della democrazia americana La discontinuità rispetto all’europa

abbiamo appena introdotto un termine – democrazia – che fin qui ancora non avevamo sostanzialmente incontrato. gli stati uniti d’america furono il primo paese del mondo occidentale a costruirne una, richiamandosi a valori che si trovano già bene espressi nella Dichiarazione di indipendenza del 1776. i presupposti filosofici di questo documento erano sì in qualche modo impliciti nel pensiero illuminista più radicale, che contestava con forza una concezione gerarchico-verticista del potere. e certamente un legame di continuità avvicinava il pensiero politico della rivoluzione americana alla tradizione puritana, sensibile ai temi dell’egualitarismo comunitario e della purezza e semplicità dei costumi. tuttavia, pur nutrendosi in parte di stimoli ideali maturati in europa, gli abitanti delle ex colonie vi impressero una consequenzialità del tutto particolare, caratterizzando alla fine la loro esperienza nei termini di una sostanziale discontinuità rispetto alla tradizione del vecchio continente. d’altro canto, era in primo luogo nella loro struttura sociale che i territori americani si presentavano radicalmente diversi da qualsiasi società europea coeva. in Europa la società era organizzata per corpi. Quella americana era invece in larga parte una società di individui, nella quale da un lato le differenze sociali erano meno nette, dall’altro non esistevano ceti giuridicamente privilegiati, se non il “macro-ceto” dei bianchi; cosicché, prima ancora di costituirsi politicamente in democrazia, l’america poteva essere considerata già tale sotto il profilo sociale. il modello democratico americano presentò tuttavia fin dall’inizio alcune gravi contraddizioni rispetto all’universalità del pensiero su cui poggiava. ne erano esclusi le donne, i neri, che costituivano circa un sesto della popolazione dei tredici stati globalmente considerata, ma che in quelli del sud, dove essi vivevano in condizione di schiavitù, ne rappresentavano ben il 60%, e i pellerossa, nei confronti dei quali i coloni ritenevano di poter esercitare un indiscriminato diritto e di assoggettamento.

LESSICO Democrazia Il termine deriva dall’unione   di due termini greci: krátos che  significa “potere” e démos che  per traslazione significa “popolo”  in quanto i demi erano i quartieri   di Atene, e quindi letteralmente  indica il “potere del popolo”.  Benché questo sistema di  governo sia nato nell’antica  Grecia, tuttavia solo in epoca  moderna esso è connesso all’idea  del suffragio universale, ossia al  principio secondo cui tutti i  cittadini adulti , senza distinzione,  devono godere del diritto di voto. 

Federalismo e antifederalismo

a coronamento di intensi dibattiti, durante i quali si erano scontrate le posizioni dei federalisti, favorevoli all’unione dei tredici stati, e quelle degli antifederalisti, che avrebbero preferito che ciascuno di essi si costituisse in nazione indipendente, il modello politico americano entrò pienamente in vigore nel 1789, con l’elezione di George Washington a presidente degli stati uniti.

John Ward Dunsmore, Washington  osserva la prima bandiera  confezionata nel 1777 dalla  modesta filatrice di Filadelfia Betsy  Ross, XVIII secolo

269

sezione 3 - le rivoluzioni atlantiChe

L’emanazione della costituzione, tuttavia, non esaurì affatto il dibattito politico al quale le ex colonie avevano dato vita, dividendosi negli opposti schieramenti dei federalisti e degli antifederalisti. nel 1791 il virginiano Thomas Jefferson, ministro degli esteri, in opposizione alle correnti in quel momento dominanti, fondò infatti un partito politico – quello repubblicano – che si mostrava assai “tiepido” nei confronti della spinta federalista emersa dalla costituzione e rivendicava la sovranità inviolabile di ciascuno Stato. il partito repubblicano reclutava gran parte dei propri aderenti negli Stati del Sud, tra le fila dei grandi proprietari terrieri, pur ottenendo consensi anche al Nord, tra gli strati emergenti del mondo mercantile. nel 1800, dopo i due consecutivi mandati presidenziali di george Washington, e dopo quello di John adams, entrambi federalisti, a salire alla presidenza degli stati uniti fu proprio Jefferson, che immediatamente avviò una politica di rafforzamento dei poteri dei singoli Stati. La nazione si espande

Il presidente Thomas Jefferson,  XIX secolo

era nato un nuovo soggetto politico-territoriale, ma un semplice sguardo alla carta geografica ci fa capire come esso occupasse allora solo una piccola porzione degli immensi spazi dell’america settentrionale. La costituzione del 1788-1789 prevedeva però un meccanismo di espansione permanente. si pensava – come del resto avvenne ben presto – che i tredici stati della repubblica federale fossero destinati ad aumentare. in base a quanto stabilito dall’Ordinanza del Nord-Ovest, bastava che sessantamila persone si insediassero al di là dei confini di volta in volta esistenti perché il Congresso sancisse l’esistenza di uno Stato nuovo, legittimandolo contemporaneamente a entrare a far parte dell’unione federale. gli stati uniti, perciò, prendevano forma all’interno di un progetto di crescita pensato fin dall’inizio come continuo, e destinato ad arrestarsi solo una volta raggiunte le sponde dell’oceano Pacifico. APPROFONDIRE

Un nemico fragile: i pellerossa uando gli inglesi cominciarono ad arrivare nell’America del  Q Nord, lì viveva all’incirca un milione di abitanti, distribuiti in  modo sparso sull’intera superficie continentale. I coloni si abituarono a chiamare i nativi con la definizione unitaria e generica di “pellerossa”, in riferimento al colore della pelle, o “indiani”,  in  analogia  al  nome  (indios)  dato  dagli  spagnoli  ai  nativi  dell’America centrale e meridionale. Ma essi in realtà non costituivano una popolazione unitaria. Si trattava di popoli divisi in  tribù e distinti in circa cinquanta ceppi linguistici, a loro volta  frammentati in oltre settecento dialetti. Appartenevano a culture, modi di vita e concezioni religiose diverse. Alcuni si dedicavano alla pesca, altri alla caccia, altri ancora – la maggioranza –  all’agricoltura, applicando tecniche piuttosto avanzate. Alcune società indigene tendevano all’egualitarismo, altre erano profondamente differenziate sul piano sociale; in qualcuna  prosperava l’istituto della schiavitù. In nessuna era conosciuto  l’uso della scrittura. I primi contatti tra inglesi e popolazione locale si erano svolti  secondo modalità relativamente pacifiche, sotto forma di rapporto  commerciale.  I  pellerossa  fornivano  pelli  di  animali  ai  mercanti giunti dall’Inghilterra, in cambio di attrezzi metallici, 

270

sementi, alcol. La situazione peggiorò drasticamente quando ai  mercanti si sostituirono coloro che intendevano dare vita a un  insediamento stabile. Essi avevano infatti bisogno di terra da  coltivare e, per ottenerla, ne scacciarono i pellerossa. Questi  ultimi, presto in minoranza numerica rispetto ai coloni, cominciarono, già a partire dalla metà del Seicento, ad arretrare verso l’interno, spostando i propri accampamenti verso ovest. Il conseguimento dell’indipendenza da parte dei coloni aggravò la situazione. Nei decenni seguenti, infatti, la costruzione  della nazione americana ebbe luogo a spese delle varie “nazioni”  indiane,  che  si  videro  sottrarre  gran  parte  del  proprio  territorio  con  sistemi  violenti  e  con  la  truffa.  Infine  vennero  costrette all’interno di piccole “riserve” dislocate in varie parti  del paese. Intorno al 1900, la popolazione nativa di questi territori risultava  ridotta  ad  appena  duecentocinquantamila  unità:  era  stata  falcidiata dalle malattie infettive diffuse dai bianchi, soprattutto  tifo e vaiolo, a cui gli indigeni non erano in grado di opporre  difese naturali; dalla violenza fisica e dalla pressione razzista  degli invasori, oltre che dai malanni, quali l’alcolismo, che questa relazione distorta produceva. 

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

La formazione degli Stati Uniti d’America (1787-1912) Territori ceduti alla Gran Bretagna nel 1818

Territori ceduti dalla Gran Bretagna nel 1818

Washington

CANADA Vermont

1889

Oregon

1791

Montana

North Dakota

1889

1889

Idaho

1859

1858

Wyoming

1788

1846

Illinois

Indiana 1816

1818

Colorado 1876

1850

Connecticut

1861

1792

1821

Arizona

Oklaoma

Arkansas

1907

1836

1787

West Virginia Virginia

Kentucky

Missouri

New Jersey

1803

1863

Kansas

1788

1787

Ohio

Delaware 1787

1788

1788

1788

1796

South Carolina

1819

1788

Texas

oceano Pacifico

Territori ceduti dalla Francia nel 1803

1845

Louisiana 1812

1791

Territori acquisiti in forza del Trattato di Versailles nel 1783

Alabama Georgia

1912

District of Columbia

Territorio dei 13 Stati fondatori

1788

New Mexico

oceano Atlantico

Maryland

North Carolina

Tennessee 1912

Rhode Island 1790

1867

1896

1788

New York

1837

1848

Iowa

Nevada California

Wisconsin

Michigan

Pennsylvania Nebraska

Utah

New Hampshire Massachusetts

1889

1890

1864

1820 1788

Minnesota

South Dakota

1890

Maine

Mississippi 1817

Territori perduti dalla Spagna nel 1819

Florida 1845

Territori messicani annessi nel 1845

MESSICO

golfo del Messico

Territori ceduti dalla Gran Bretagna nel 1846 Territori perduti dal Messico nel 1848-1853 1792

Anno di ingresso nell’Unione

Le difficoltà del sogno americano

sulla nuova nazione si addensavano anche pesanti ombre, inizialmente ancora poco percepibili, ma destinate a infittirsi con il tempo. non tutti i coloni, intanto, avevano aderito alla scelta dell’indipendenza; anzi, parecchie migliaia di loro avevano combattuto sotto la bandiera inglese durante la guerra. negli anni immediatamente successivi si assistette, così, all’esodo dagli Stati Uniti di decine di migliaia di ex coloni, rimasti fedeli all’inghilterra e per questo determinati a far ritorno in quella che consideravano la loro vera patria oppure a raggiungere il vicino canada, che era rimasto dominio coloniale inglese. il paese era uscito dalla guerra in precarie condizioni economiche, carico di debiti con la Francia e con la Spagna, che ora cercavano di influenzarne le scelte e di impadronirsi a condizioni privilegiate del mercato americano. infine, c’era la differenza tra il mondo piccolo-proprietario e mercantile degli Stati del CentroNord e quello dei “piantatori” del Sud, dai quali emergevano sia interessi materiali sia valori sociali e ideali contrastanti. Nel Sud la schiavitù era legge; nel Centro-Nord la sua esistenza veniva considerata un affronto ai principi sui quali era stata fondata la nazione americana. La scelta federale aveva per il momento consentito di trovare un equilibrio tra quelle diverse realtà, ma, come vedremo, man mano che la nazione americana cresceva, quell’equilibrio non era affatto destinato a rimanere imperturbato (v. cap. 21, par. 21.4).

il laboratorio dello storico Lo spirito e il sogno americano,   p. 272

271

il laboratorio dello storico

Lo spirito e il sogno americano

Verso

le competenze

• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia

Fierezza e ribellione Samuel  Peters,  americano  del  Connecticut,  nel  corso  della  guerra  di  indipendenza  sfociata  nell’emancipazione  degli  Stati  Uniti dal dominio inglese rimase lealista e per questo abbandonò la terra in cui era nato per riparare in Inghilterra. Egli rievocò  nella sua History of Connecticut la vicenda pregressa della giovane nazione americana, sottolineando con una punta di acrimonia le precoci tendenze all’insubordinazione.

nel corso della rivoluzione inglese si erano formati gruppi di orientamento repubblicano, la cui attività, una volta ricostituita la monarchia, destava grandi preoccupazioni

secondo me il governo britannico, nell’ultimo secolo, non si aspettava che il new england rimanesse sotto la sua autorità; né gli abitanti del new england si consideravano sudditi della gran Bretagna, bensì suoi alleati. sembra che l’intendimento dell’inghilterra fosse di trovare un asilo per i repubblicani che erano stati un flagello per la costituzione britannica; e così, per incoraggiare quell’inquieto partito a emigrare, furono concesse carte repubblicane e dati privilegi e fatte promesse assai superiori a ciò cui un inglese ha diritto in inghilterra. agli emigranti fu dato il potere di far leggi conformi al loro volere e gradimento nella chiesa e nello stato, senza l’approvazione del re. Fin dall’inizio essi hanno uniformemente dichiarato, nella chiesa e nello stato, che l’america è un mondo nuovo, sottoposto al popolo che vi risiede; e che nessuno fuorché i nemici del paese si sarebbe rivolto dalle loro corti al re in concilio. mai essi hanno pregato per un re terreno, chiamandolo per nome. si sono sempre proclamati repubblicani e nemici del governo monarchico… odiano l’idea di un parlamento… non hanno mai ammesso che una legge inglese entri in vigore da loro finché non sia stata approvata dalle loro assemblee… tengono come loro unico re gesù, ma anche se lo amano e obbediscono non si sottometteranno, dal momento che non si sono sottomessi alle leggi del re d’inghilterra. v. L. Parrington, Storia della cultura americana, vol. i, einaudi, torino 1969, pp. 320-321

272

insomma, un paese nel quale erano approdati in quantità gli elementi più insofferenti dell’autorità regia

il testo qui allude alla religiosità caratteristica del mondo delle colonie, nelle quali erano affluiti i puritani più insofferenti nei confronti del clero, e per questo abituati a officiare il culto in forma comunitaria e antigerarchica

Capitolo 11 - la rivoluzione ameriCana e la nasCita degli stati uniti

Una nuova patria per gli amanti della libertà Ed ecco la stessa storia narrata, durante gli anni Settanta del Settecento, da Hector St. John de Crèvecoeur, un gentiluomo  francese che, giunto in America al servizio dell’amministrazione coloniale britannica, si mostrò invece decisamente simpatetico  nei confronti del ribelle spirito americano. In fondo concorde con il ritratto dell’America proposto da Peters, quello di Crèvecoeur  riserva però a quegli stessi particolari tutt’altro apprezzamento.  

La rigenerazione, il “rinfrescante acquazzone” della libertà, le grandi, sconfinate distese di terra vergine sulle quali riversare la propria industriosità, ovvero la più virtuosa delle modalità di espressione dell’interesse personale: il cittadino “americano” è di questi elementi che si nutre, formalizzandosi nella metafora della pianta in crescita, all’interno di uno spazio la cui frontiera è mobile, in perenne avanzamento, pronta a offrire sempre nuove opportunità ai volenterosi

i ricchi rimangono in europa, sono solo i modesti e i poveri che emigrano. in questo grande asilo americano, i poveri d’europa in un qualche modo si sono riuniti […]. Può un miserabile che vaga qua e là, che lavora e languisce… può un uomo simile chiamare l’inghilterra o un qualsiasi altro regno la sua patria? un Paese che non ebbe pane per lui, […] dove non possedette un sol piede della vasta superficie di questo pianeta? no! Pressati da una varietà di moventi, qui essi vennero! ogni cosa tendeva a rigenerarsi; nuove leggi, un nuovo modo di vivere, un nuovo sistema sociale; qui sono diventati uomini; in europa erano come tante piante inutili, che mancano di terra adatta e di rinfrescanti acquazzoni; avvizzivano falciati dal bisogno, dalla fame e dalla guerra: ma ora, in virtù del trapianto, come tutte le altre piante hanno messo radici e sono fioriti! Prima non erano annoverati in alcuna lista civile del loro Paese, eccetto quella dei poveri, qui hanno il rango di cittadini. grazie a quale invisibile potere è avvenuta questa sorprendente metamorfosi? grazie alle leggi della loro industriosità… il suo paese è ora quello che gli dà terra, pane, protezione e dignità: ubi panis ibi patria è il motto di tutti gli emigranti… il compenso alla sua laboriosità va qui di pari passo con le sue fatiche; e queste si fondano nel modo più naturale, cioè sull’interesse personale; ci può essere un allettamento più forte? v. L. Parrington, Storia della cultura americana, vol. i, einaudi, torino 1969, p. 179

Letteralmente, “dove c’è il pane, lì è la patria”. significa che chi guardava con speranza all’america, come l’autore di questo brano, era disposto a lasciarsi alle spalle la patria di nascita, per entrare in una patria nuova

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico In questo laboratorio sono state accostate due fonti letterarie scritte nella stessa epoca da due autori animati però da opinioni del tutto antitetiche rispetto alla natura della novità rappresentata dagli Stati Uniti d’America • Quali sono i valori ai quali implicitamente l’autore della prima fonte mostra di tenere di più, nel momento in cui critica l’atteggiamento dei ribelli d’America? • Quali diverse idee di società e di cittadinanza si contrappongono nel testo scritto da Crèvecoeur?

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Capitolo 11

LA RIvOLUZIONE AMERICANA E LA NASCITA DEgLI STATI UNITI

mappa tredici colonie inglesi nel nord america

nord • Massachusetts • Connecticut • Rhode Island • New Hampshire

Centro • New York • New Jersey • Pennsylvania

sud • Carolina del Nord • Carolina del Sud • Virginia • Maryland • Delaware • Georgia

Dopo il 1763 l’Inghilterra introduce nuovi dazi e lo Stamp act

Proteste, revoca dello Stamp act ma monopolio inglese dell’esportazione del tè

Boston tea party

rivoluzione ameriCana

avvenimenti

documenti

Giorgio III rifiuta le richieste del Congresso continentale e allestisce un esercito

Dichiarazione di indipendenza (1776) ispirata ai principi illuministi

Divisioni tra federalisti del Nord e antifederalisti del Sud

Inizia la guerra: i coloni ricevono l’aiuto di Francia e Spagna

Costituzione federale del 1789

Debiti con Francia e Spagna

Pace di Versailles (1783) e indipendenza delle colonie organizzate in confederazione

nasCita degli stati uniti

Le colonie diventano una federazione e si espandono verso ovest 274

difficoltà e problemi aperti

Questione schiavista Esclusione di donne, neri e pellerossa

Divisione dei poteri: • esecutivo (presidente) • legislativo (Camera dei rappresentanti e Senato)

• giudiziario (Corte suprema)

Capitolo 11

LA RIvOLUZIONE AMERICANA E LA NASCITA DEgLI STATI UNITI

sintesi 11.1 LE TREDICI COLONIE INgLESI i primi insediamenti inglesi nell’america del nord sorsero all’inizio del seicento. i coloni appartenevano a gruppi religiosi minoritari e dissidenti o agli strati subalterni della società. non emigrò invece l’aristocrazia cosicché, fin dagli inizi, la società americana non conobbe le distinzioni di ceto tipiche del mondo europeo. intorno alla metà del settecento avevano così preso forma lungo la costa atlantica o nella sua immediata prossimità tredici colonie, ciascuna cresciuta scacciando verso l’interno gli abitanti originari del paese (pellerossa). nelle colonie centro-settentrionali gli insediamenti erano composti soprattutto da piccoli agricoltori, artigiani, mercanti, professionisti e pescatori. L’orientamento religioso prevalente era il puritanesimo. differente era invece la situazione negli Stati del Sud, dove vi erano piantagioni appartenenti a grandi proprietari terrieri che sfruttavano il lavoro degli schiavi neri importati dall’africa. nel sud dominavano le chiese anglicana e cattolica. Fino alla guerra dei sette anni (conclusa nel 1763) il rapporto tra le colonie e l’inghilterra era stato mediato principalmente dalla figura del re. L’america inglese poteva essere considerata come una sorta di proprietà della Corona, soggetta alle norme generali del diritto inglese, ma impermeabile rispetto al Parlamento londinese. 11.2 LE CAUSE DEL CONFLITTO dopo la guerra dei sette anni il governo di Londra impose una pesante tassazione alle colonie e impedì loro di avere rapporti commerciali con altri paesi. gli americani contestarono un Parlamento in cui non risiedevano rappresentanti americani. Particolarmente impopolare fu lo Stamp Act, la tassa sul bollo. i coloni iniziarono quindi a sabotare lo smercio di prodotti inglesi e a compiere atti dimostrativi come l’episodio del Boston Tea party (1773). nel 1774 venne convocato a Filadelfia il primo Congresso continentale americano, al quale presero parte rappresentanti di tutte e tredici le colonie con l’obiettivo di ottenere l’emancipazione amministrativa e fiscale dal Parlamento inglese.

11.3 LA FORMAZIONE DI UNO STATO NUOvO il re e il Parlamento inglese fecero fronte comune e rifiutarono ogni richiesta del congresso. nel 1775 si arrivò alla guerra che, nonostante gli inizi favorevoli agli inglesi, si concluse nel 1783 con la vittoria dei coloni, dovuta anche all’appoggio di Francia e Spagna. il 4 luglio 1776 il congresso proclamò l’indipendenza delle colonie che fu riconosciuta dall’inghilterra al termine del conflitto con il trattato di versailles. dopo un acceso dibattito tra coloro che volevano un forte potere centrale (federalisti) e coloro che non intendevano rinunciare alla sovranità dei singoli stati (antifederalisti), prevalse la prima posizione e venne fondata una Repubblica federale. nel 1787 fu redatta una Costituzione che prevedeva una rigida divisione dei poteri: il Congresso (composto di camera dei rappresentanti e senato) deteneva il potere legislativo, il presidente quello esecutivo e la Corte suprema quello giudiziario. nacque così la prima democrazia moderna. 11.4 LUCI E OMbRE DELLA DEMOCRAZIA AMERICANA a differenza della società europea, organizzata per corpi, quella americana era in larga parte una società di individui, nella quale le differenze sociali erano meno nette e non esistevano ceti giuridicamente privilegiati, se non il “macro-ceto” dei bianchi. il modello democratico americano presentò tuttavia fin dall’inizio alcune gravi contraddizioni: ne erano esclusi le donne, i neri e i pellerossa, nei confronti dei quali i coloni esercitarono un indiscriminato assoggettamento. negli anni successivi il numero delle colonie crebbe in seguito all’espansione territoriale, ma proprio la crescita della nazione acuì i contrasti e favorì le manifestazioni delle correnti antifederaliste, che fondarono il partito repubblicano, sotto la guida di thomas Jefferson.

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Capitolo 12

La RivoLuzione fRancese (1789-1793) 12.1  Alle origini della Rivoluzione   La Francia prima della Rivoluzione

nel corso del settecento in molti paesi europei aveva avuto inizio un’età di riforme (v. cap. 8), per quanto spesso imposte dall’alto, tese ad attenuare o addirittura a eliminare i privilegi fiscali di cui godevano i primi due stati del regno, il clero e l’aristocrazia. in francia invece tutti i tentativi in tal senso erano falliti. Alla vigilia del 1789, nobili e clero (rispettivamente 400 000 e 130 000 individui, pari a circa il 2% dei 26 milioni di abitanti della francia) detenevano tra il 35% e il 40% della proprietà fondiaria francese, di gran lunga la principale fonte di ricchezza in un paese la cui popolazione era impegnata per i tre quarti in attività connesse all’agricoltura, e perlopiù non erano tenuti a pagare tasse. Gli oneri fiscali, di conseguenza, ricadevano quasi esclusivamente sul cosiddetto “Terzo stato”, pari al 98% dei francesi e formato da tutti coloro che non erano nobili né chierici: dai contadini ai commercianti, dai professionisti agli artigiani, dai capitani di industria agli operai. La presa della Bastiglia, stampa,XVIII secolo

L’immagine raffigura uno degli episodi più celebri della Rivoluzione francese: l’assalto, il 14 luglio 1789, alla prigione-fortezza della Bastiglia

La costruzione si trovava al centro di Parigi e anche per la sua imponenza era per il popolo parigino il simbolo del dispotismo regio

I rivoltosi sono ritratti nell’atto di posizionare i cannoni intorno al carcere, presidiato da una guarnigione di 110 uomini che nulla poterono contro la furia popolare

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Nobili ed ecclesiastici godevano inoltre del diritto di incassare contributi in natura o in denaro dai contadini, ai quali in alcune aree avevano la facoltà di imporre restrizioni alla libertà personale. infine, i nobili detenevano il monopolio sulle alte cariche dello Stato e insieme all’alto clero quasi ovunque esercitavano la funzione di giudici di primo grado nei confronti di una popolazione che riconosceva in loro una fonte quotidiana di oppressione.   La crisi economica e le proposte di Turgot e di Calonne 

La situazione economico-sociale del paese, al momento dell’ascesa al trono di Luigi XVI (1754-1793, re dal 1774 al 1792) si presentava a un punto di svolta. Dopo decenni di prosperità, evidenti soprattutto nei settori del commercio e dell’industria, dove molti nuovi ricchi si erano affacciati alla ribalta sociale, il ciclo economico dava segni di rallentamento o stagnazione. a essere colpiti dalla crisi erano soprattutto i contadini, sempre più taglieggiati dai soprusi signorili, dalle decime ecclesiastiche, dalla fiscalità statale, e i lavoratori salariati urbani, il cui potere d’acquisto si era drasticamente ridotto a causa di un aumento generale dei prezzi dei generi di prima necessità, che la disastrosa congiuntura causata dai cattivi raccolti del 1788 e del 1789 avrebbe portato all’estremo. in pessime condizioni si trovavano anche le finanze pubbliche, le cui asfittiche entrate, che in gran parte pesavano sui gruppi sociali più umili, non potevano essere accresciute, a meno di non modificare la struttura del prelievo fiscale, estendendolo anche ai ceti fino a quel momento privilegiati, che ne erano totalmente o parzialmente esenti. i controllori (o direttori) delle finanze che si passarono il timone della carica durante il regno di Luigi Xvi (Turgot, necker e calonne) cercarono di risolvere il problema seguendo fondamentalmente due strategie alternative, una finalizzata ad accrescere le entrate, l’altra a contenere le spese. La prima, di ispirazione fisiocratica, di cui furono interpreti prima anne-Robert Jacques de Turgot (1727-1781), controllore delle finanze tra il 1775 e il 1776, e poi charles alexandre de Calonne (1734-1802), che assunse la carica nel 1786, consisteva nella promozione di una politica economica liberista, tesa all’eliminazione di ogni vincolo al commercio e alla piena affermazione della proprietà privata della terra. Parte di quest’ultima, infatti, era ancora soggetta alla legislazione feudale, che spesso vietava di venderla liberamente. Queste misure avrebbero accresciuto, secondo loro, la ricchezza e dunque la base dell’imposizione fiscale, tanto più perché si pensava di introdurre contestualmente un’imposta fondiaria generale da riscuotere senza più eccezioni o esenzioni. La seconda strategia fu seguita invece dal ginevrino Jacques Necker (1732-1804), controllore delle finanze dal 1776 al 1781.

LESSICO Taglieggiati Letteralmente soggetti alla taglia, imposta signorile un tempo legata a necessità di difesa. Per estensione, soggetti a imposte signorili. Congiuntura La congiuntura (dal verbo “congiungere”) è il punto in cui più parti di una medesima cosa si collegano. In economia, in particolare, indica l’insieme delle condizioni che caratterizzano la situazione economica in un periodo di tempo breve, generalmente inferiore all’anno.

MEMO La fisiocrazia è una dottrina economica francese, diffusa nel Settecento, che individua nell’agricoltura la fonte primaria della ricchezza [vedi p. 154].

  La strategia di Necker

La strategia di Necker mirava a ridurre drasticamente la spesa pubblica, colpendo in primo luogo le uscite “improduttive”, rappresentate secondo lui dal mantenimento dell’apparato burocratico, dai costi della corte, dalle regalie e dalle pensioni con cui Luigi Xvi gratificava i suoi favoriti. avendo reso pubblico, nel 1781, il bilancio dello Stato, che documentava l’entità degli sprechi, del resto tutti legati alla logica di funzionamento dell’antico regime, Necker era stato rimosso dal suo incarico sotto le pressioni inviperite dei ceti privilegiati, che a corte riuscivano ancora a dettar legge. Lo stesso destino, del resto, era toccato a Turgot cinque anni prima. e c’era il rischio che anche calonne, il successore di necker, vedesse impedita la realizzazione dei suoi piani.

LESSICO Regalie In età medievale si intendevano con questo termine le prerogative dell’autorità regia: il controllo delle vie di comunicazione, l’esercizio della giustizia, la riscossione delle imposte. In seguito il termine fu esteso a comprendere il gran numero di privilegi concessi dal re ai suoi favoriti.

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

certo è che, facendo leva sui Parlamenti (le corti di giustizia dotate della prerogativa di sospendere l’esecuzione degli editti sovrani), nobiltà e clero erano riusciti a bloccare negli anni precedenti ogni tentativo di riformare gli ordinamenti vigenti. inoltre, pur avendo a cuore essenzialmente la conservazione dei privilegi dei due primi stati, i Parlamenti erano stati capaci di presentarsi come difensori del popolo rispetto al tentativo da parte della corona di elevare la pressione fiscale e, al tempo stesso, di introdurre una ripartizione fiscale meno squilibrata.   La convocazione degli stati generali

Joseph-Siffred Duplessis, Ritratto di Jacques Necker

nel 1787 il re, di fronte all’ennesimo rifiuto del Parlamento di Parigi di approvare nuove imposte, l’aveva sciolto, ma nell’intero paese si era levata una vivace protesta (dal momento che i primi due stati vedevano messi in discussione i propri privilegi; mentre il terzo temeva un ulteriore aumento della pressione fiscale). APPROFONDIRE

Il pensiero di Sieyès: che cos’è il Terzo stato? Nel gennaio 1789 un intellettuale illuminista, l’abate Emmanuel Joseph Sieyès (1748-1836), pubblicò un pamphlet (un breve scritto di contenuto e di tono aspramente polemico e satirico), intitolato Che cos’è il Terzo stato?, nel quale attaccò senza mezzi termini clero e nobiltà, accusandoli di parassitismo. Sieyès sostenne inoltre la necessità di una legge uguale per tutti e argomentò in favore di una Costituzione che accordasse a ognuno piena libertà di pensiero e di espressione, conferendo alla popolazione, non più divisa in stati, l’esercizio della sovranità. Da istituzione “per grazia divina”, cioè insindacabile e imposta dall’alto, la monarchia si sarebbe così trasformata in organo espressivo di un contratto liberamente concordato, e quindi revocabile, tra popolazione e dinastia, in poche parole in una monarchia costituzionale. Lo scritto dell’abate si rivolgeva sia contro la divisione in stati (o ordini) della società, sia contro l’assolutismo regio, i due elementi fondamentali dell’instabile equilibrio caratteristico della Francia prerivoluzionaria: elementi contrastanti, dal momento che i privilegi

di clero e nobiltà ponevano dei limiti all’assolutismo del monarca, ma anche, sotto certi aspetti, complementari. Infatti, come ha scritto lo storico Michel Vovelle «la figura del re onnipotente, personificazione della legge per i suoi sudditi, era la migliore garanzia di un ordine sociale che assicurava il potere dei privilegiati». A quei privilegi e a quella onnipotenza Sieyès contrapponeva un’aspirazione elementare, la cui legittimità si proponeva di dimostrare rispondendo a tre domande: 1. Che cos’è il Terzo stato? 2. Che cosa è stato finora nell’ordinamento politico? 3. Che cosa chiede? Per rispondere alla prima domanda gli bastava una parola soltanto: tutto. Del Terzo stato faceva parte infatti la stragrande maggioranza dei francesi, ovvero tutti i non privilegiati. Anche la risposta al secondo quesito suonava assai secca: nulla. Bastava guardare, a questo proposito, alla composizione degli stati generali, appena convocati. Essi erano suddivisi in tre assemblee distinte, una per ordine, e ognuna formata da trecento deputati. Poco importava che l’assemblea del Terzo stato rappresentasse il 98% della popolazione e quelle di clero e nobiltà appena il 2%: infatti, secondo le regole stabilite in occasione della convocazione del 1614, il voto espresso dal Terzo stato contava quanto quello di ciascuno degli altri due Stati (“voto per ordine”). E, visti gli stretti legami esistenti tra l’aristocrazia e l’alto clero (nel 1789 tutti i vescovi di Francia provenivano da famiglie nobili), era naturale attendersi che, di fronte alla proposta di eliminare i privilegi, i primi due ordini esprimessero a maggioranza voto contrario. In tal modo l’aspirazione del Terzo stato a “divenire qualcosa” nell’ordinamento politico sarebbe rimasta inappagata. Ecco allora la risposta alla terza domanda: il Terzo stato chiedeva di avere maggiore rappresentanza. Il risveglio del Terzo stato, stampa popolare, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet). Un ufficiale, simbolo della nobiltà, e un prelato osservano scandalizzati e terrorizzati un borghese che spezza le catene che lo legano alla subalternità del proprio ruolo e prende le armi

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capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

La protesta indusse il sovrano a recedere e a convocare (nel gennaio 1789) per il maggio i cosiddetti stati generali, ovvero le rappresentanze nazionali del clero, della nobiltà e del Terzo stato; in quella sede assolutamente straordinaria (l’ultima convocazione risaliva al lontano 1614, al tempo di Maria de’ Medici, dopodiché l’assemblea aveva perso gran parte della sua rappresentatività e credibilità) si sarebbero decisi i passi da intraprendere per risanare il paese.   Le proteste nei mesi precedenti la convocazione

a guidare inizialmente la protesta erano stati il clero e la nobiltà, con l’intenzioFonte Lagnanze e suppliche ne di conservare l’ordine vigente, ma, nel corso dei mesi che precedettero il magdella città di Civray gio 1789, molte altre voci in tutta la francia diedero sfogo alle proprie richieste, affidandole ai cahiers de doléances (“quaderni di lamentele”), scritti nei quali si esprimevano i motivi del malcontento e si indicavano le linee dei rinnovamenti auspicati. comune a gran parte dei cahiers era la richiesta di una costituzione e di una profonda riforma del sistema fiscale e giudiziario; le tensioni si concentravano quindi sugli aspetti più significativi dello stato francese ed evidenziavano lo sviluppo di un dibattito politico nuovo e stimolante. in ogni angolo della francia la popolazione discusse e si mobilitò, costruendo man mano un’opinione collettiva, alternativa a quella di stampo prevalentemente conservatore dietro alla quale si era Il laboratorio dello storico Le lamentele del Terzo stato, p. 292 arroccata la resistenza dei Parlamenti. apparve allora evidente come l’Illuminismo, di cui proprio la francia era stata la patria nei decenni precedenti (v. cap. 6), avesse contribuito a predisporre se non altro gli strati più colti della popolazione a esercitare un diritto di critica che ora mostrava di avere per bersaglio oltre al dispotismo del re, anche i privilegi dei primi due stati, che derivavano dalla tradizione, ma non parevano più giustificabili alla luce della ragione. a esprimere vigorosamente la protesta, erano stati nel frattempo anche i cahiers redatti da alcune donne. in uno, a firma Dames françoises (“signore francesi”), si formulava la proposta di affiancare agli stati generali un’assemblea esterna di rappresentanti femminili, denunziando la conPRIMO STATO dizione patita dalle donne definite come «il Terzo stato del Clero 130 000 Terzo stato». SecOndO STATO in attesa dell’apertura dei lavori, e forti della mobilitaNobiltà 400 000 zione dell’opinione pubblica, alcuni esponenti del Terzo stato chiesero due modifiche al regolamento degli stati generali. volevano da un lato un raddoppio dei loro rappresentanti (seicento, contro i trecento di clero e nobiltà), dall’altro l’istituzione di un’unica assemblea comune, in cui ciascun deputato venisse lasciato libero di votare “per testa”, cioè a titolo individuale, e a prescindere dalle posizioni espresse dalla maggioranza del proprio ordine (mentre fino ad allora si era sempre votato “per ordine” in modo che il Terzo stato era in minoranza rispetto agli altri due). Artigiani Borghesi si sperava anche che tra i nobili, ma soprattutto tra i 1500 000 400 000 chierici, che non godevano tutti in eguale misura dei priviContadini (oltre 20 milioni) legi, e che erano frammentati in un alto e un basso clero, si TeRzO STATO (circa 25 500 000) manifestassero defezioni individuali rispetto agli orientamenti maggioritari del rispettivo stato. stando così le cose, La composizione della popolazione francese nel 1789 (totale 26 forse a quel punto dall’assemblea avrebbe potuto emergere milioni) un parere positivo alla proposta di abolire le esenzioni fiscali. 279

SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

La riunione degli stati generali tenutasi il 5 maggio 1789, stampa, XVIII secolo

  La risposta del re e le prime mobilitazioni di piazza

il re, sperando di far scemare la tensione e seguendo il consiglio di necker – che di fronte all’insuccesso di calonne era stato richiamato nel 1788 alla guida delle finanze e che voleva neutralizzare la rappresentanza nobiliare –, aderì alla prima delle richieste avanzate dal Terzo stato (il raddoppio dei suoi rappresentanti) e respinse invece la seconda (l’istituzione di un’assemblea comune con il voto per testa). Mentre si svolgevano queste contrattazioni, nel paese la tensione saliva di giorno in giorno. fiaccati dalla fame, i lavoratori del faubourg Saint-Antoine, un quartiere popolare di Parigi, scesero in piazza a fine aprile per chiedere la riduzione del prezzo del pane, ma anche per appoggiare con la loro sonora protesta le rivendicazioni del Terzo stato. sul terreno rimasero trecento morti, colpiti dalle armi dell’esercito. era la prima avvisaglia di una mobilitazione popolare di piazza che nei mesi seguenti, malgrado questa prima repressione, avrebbe costantemente scandito l’evolversi degli eventi, contribuendo in misura determinante alla trasformazione della protesta del Terzo stato in rivoluzione, finalizzata ad abbattere il vecchio ordine e a costruirne uno nuovo. Tuttavia, la percezione di questa trasformazione maturò gradualmente. a lungo, coloro che protestavano continuarono a pensare di farlo all’interno di un contesto che non prevedeva la possibilità di un mutamento davvero radicale. ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le origini della Rivoluzione Cattivi raccolti

Aumento dei prezzi

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Crisi economica

Privilegi di clero e nobiltà

Malcontento del Terzo stato

Tentativo di riforma fiscale

Opposizione di clero e nobiltà

Cahiers de doléances

CoNvoCAzioNe  degLi sTATi  geNeRALi

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

12.2  L’inizio della Rivoluzione   dal giuramento della Pallacorda alla presa della Bastiglia

Gli stati generali avevano iniziato da poco più di un mese i loro lavori, quando, a fine giugno, i deputati del Terzo stato e coloro che, pur appartenendo al clero e alla nobiltà, simpatizzavano con loro, dichiararono di costituirsi in rappresentanza unica del paese, giurando di non sciogliersi più fin quando non fosse stata approvata una costituzione basata sull’abolizione degli ordini e sul conferimento alla cittadinanza dell’esercizio della sovranità. a questo punto, sostenuto da gran parte dei rappresentanti dei primi due ordini, il re avrebbe voluto far chiudere con la forza l’assemblea, che si era data il nome di Assemblea nazionale costituente, e che si riuniva in un salone detto della pallacorda, ma venne anticipato dalla mobilitazione popolare. il 14 luglio 1789 – una data che la francia festeggia ogni anno, riconoscendo in essa il momento di rifondazione rivoluzionaria della nazione – il popolo di Parigi assaltò ed espugnò la Bastiglia, la tetra prigione che costituiva il simbolo del dispotismo, costringendo il re a rendere omaggio alla coccarda bianca, rossa e blu che i rivoltosi avevano eletto a proprio emblema nazionale, scaturito dall’unione dei colori della monarchia (bianco) e del popolo di Parigi (rosso e blu).

LESSICO Pallacorda Antico gioco di origine italiana, molto praticato nel XVIII secolo. Consisteva nel tirare la palla oltre una corda tesa parallela al terreno. Bastiglia La Bastiglia (nome originale Bastille Saint-Antoine) era un’enorme fortezza, le cui mura erano alte 24 metri. Era stata costruita nel XIV secolo allo scopo di rafforzare le mura orientali della città, ma in seguito era stata trasformata in prigione, tanto per i condannati comuni quanto per personaggi di alto rango. Era soprattutto a causa della sua imponenza che il popolo vedeva in essa il simbolo per eccellenza dell’oppressione regia.

  Una doppia rivoluzione: l’Assemblea costituente e il popolo

nei giorni seguenti alla presa della Bastiglia in tutta la francia i simpatizzanti dell’Assemblea costituente scesero in piazza, destituirono le autorità in carica e si insediarono al loro posto. nei municipi vennero istituiti i corpi della Guardia nazionale, mentre nelle campagne i contadini, a loro volta, si ribellarono in massa contro i signori reclamando l’abolizione di tutte le vessazioni che venivano loro inflitte. assalirono i castelli e le tenute dell’aristocrazia e diedero alle fiamme gli archivi contenenti i documenti che elencavano i loro obblighi nei confronti dei signori. Questa mobilitazione fu favorita da un’ondata di panico collettivo chiamata dagli storici “la grande paura”: soprattutto tra i contadini francesi si era diffusa infatti la voce che la nobiltà stesse organizzando un movimento controrivoluzionario, assoldando anche le bande dei briganti che infestavano le campagne.

LESSICO Guardia nazionale Milizia civica armata formatasi per la prima volta a Parigi nei giorni precedenti la presa della Bastiglia. Incaricata della sorveglianza sull’ordine pubblico, era composta in prevalenza da cittadini appartenenti alla media borghesia.

Jacques-Louis David, Il Giuramento della Pallacorda, 1791 (Parigi, Museo del Louvre)

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

APPROFONDIRE

I sanculotti erano, sotto il profilo sociale, gli animatori della “piazza” C(sanshiparigina? Venivano chiamati dagli aristocratici “sanculotti” culottes, letteralmente “senza calzoni”), perché portavano i pantaloni lunghi e non i calzoni al ginocchio (le culottes) di cui facevano sfoggio i ricchi, e venivano reclutati principalmente tra i lavoratori attivi nel mondo dell’artigianato e del piccolo commercio, eredi di una tradizione solidaristica che aveva radici nel vecchio mondo delle corporazioni, e che ora si trasfondeva nel forte attaccamento a una rivoluzione percepita come occasione di fraternità tra i semplici. Al tempo stesso, i sanculotti diffidavano

Storiografia A. Soboul, Chi erano i sanculotti?

profondamente dei signori e auspicavano una limitazione dell’esercizio del loro diritto di proprietà. Il re, del resto, veniva da loro percepito come il più grande dei signori e a questi accomunato sotto il profilo dell’inaffidabilità.

Un sanculotto, incisione, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

a fine luglio era ormai evidente che era in atto una doppia rivoluzione: quella dei deputati riuniti presso l’Assemblea costituente, i quali appartenevano agli strati alti del Terzo stato (borghesia degli affari e delle professioni), e quella popolare, che vedeva come protagonisti contadini, artigiani, lavoratori (detti “sanculotti”) spinti alla sollevazione dalla fame e dalla miseria, e desiderosi di giustizia sociale, oltre che di libertà. a lungo, negli anni seguenti, le due rivoluzioni parallele convissero e da quella convivenza scaturì, tra il 1789 e il 1792, il completo smantellamento delle istituzioni dell’antico regime e della monarchia, fino all’abbattimento di quest’ultima e alla trasformazione della francia in repubblica.   L’abolizione dei diritti feudali e la dichiarazione dei diritti dell’uomo

LESSICO Diritti feudali Con questa espressione, i rivoluzionari indicavano diritti di varia natura: alcuni erano diritti feudali in senso stretto, più spesso si trattava invece di diritti signorili che non avevano nulla a che fare con i rapporti tra signori e vassalli. Consistevano essenzialmente nel privilegio concesso ai nobili e agli ecclesiastici di esigere dai contadini, che risiedevano sulle loro terre, tasse, parte dei raccolti e prestazioni di lavoro gratuite. Volontà generale L’espressione, introdotta da Rousseau nel Contratto sociale, indica la volontà della collettività che persegue esclusivamente il bene comune. I singoli individui infatti, sottoscritto il patto sociale, diventano un corpo collettivo e rinunciano a ogni interesse privato.

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in seguito alle manifestazioni rivoltose del luglio 1789, la Costituente proclamò, all’inizio di agosto, l’abolizione dei diritti feudali e quella di ogni titolo nobiliare e di ogni privilegio fiscale. alla fine dello stesso mese i costituenti, divenuti ormai di fatto la prima autorità del paese, diffusero la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, un testo che fissava nell’eguaglianza di fronte alla legge, nella libertà dell’individuo e nel suo diritto a partecipare all’elaborazione della “volontà generale” (e quindi alla formazione delle leggi) i principi fondanti della nuova francia, e che è rimasto da allora il punto di riferimento fondamentale per ogni società a orientamento democratico. si trattava della realizzazione di gran parte delle aspirazioni del Terzo stato, così come erano state formulate nei mesi precedenti. al tempo stesso ci si trovava davanti al rilancio – questa volta nella vecchia europa delle teste coronate – di alcune delle idee di fondo che qualche anno prima avevano ispirato la Dichiarazione di indipendenza americana: l’eguaglianza, la libertà, la sovranità popolare. Tanto al di là quanto al di qua dell’atlantico si parlava ora, dunque, lo stesso linguaggio, quello della rivoluzione.   donne e Rivoluzione: la marcia su versailles

Dopo i moti di luglio molti pensavano che la Rivoluzione fosse finita. il movimento popolare tornò invece a farsi sentire in modo clamoroso. se la presa della Bastiglia del 14 luglio aveva visto protagonisti soprattutto popolani maschi, in autunno a far sentire la propria voce furono essenzialmente le donne.

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

a ottobre si svolse una marcia sulla reggia di Versailles, provocata per un verso dall’ostilità che il re aveva mostrato nei confronti dell’assemblea nazionale, rifiutandosi di controfirmare i provvedimenti da questa emanati in agosto e ammassando minacciosamente truppe attorno alla reggia, per l’altro dall’ulteriore rialzo dei prezzi dei generi di prima necessità, che aveva messo in allarme soprattutto le popolane parigine. inizialmente un migliaio di rivoluzionarie si mossero verso la reggia al grido di: «Quando avremo il pane?», e il re, dopo che due soldati di guardia erano stati uccisi, fu costretto a ricevere una loro delegazione, alla quale promise che avrebbe rifornito immediatamente la città di cereali. Le protagoniste della marcia volevano però di più, e la loro incursione si concluse con il trasferimento forzato del re e della corte a Parigi, sotto il controllo dell’assemblea e del popolo in armi. ANALIZZARE LA FONTE

La Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino Autore: Assemblea nazionale costituente – Tipo di fonte: documento ufficiale – Lingua originale: francese – Data: 26 agosto 1789 Una tensione ideale di impronta antiassolutista (artt. 2 e 11), il rovesciamento della logica del privilegio legato alla nascita tipica dell’antico regime (artt. 6 e 13), l’individuazione della nazione, intesa come insieme dei cittadini dotati di pari diritti, come titolare della sovranità (art. 3): questi alcuni dei punti qualificanti della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, di cui si riportano qui, nella loro interezza o in parte, gli articoli più importanti.

art. 1. Gli uomini nascono liberi e rimangono liberi e uguali nei diritti. […] art. 2. […] Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. art. 3. il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione. nessun corpo o individuo può esercitare un’autorità che non emani espressamente da essa. art. 4. La libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri: così, l’esercizio dei diritti naturali di ciascun uomo ha come limiti solo quelli che assicurano agli altri membri della società il godimento di questi stessi diritti […]. art. 6. La legge è l’espressione della volontà generale. Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere, personalmente o mediante i loro rappresentanti, alla sua formazione. essa deve essere uguale per tutti, sia che protegga, sia che punisca. Tutti i cittadini essendo uguali ai suoi occhi sono ugualmente ammissibili a tutte le dignità, posti ed impieghi pubblici secondo la loro capacità, e senza altra distinzione che quella delle loro virtù e dei loro talenti. art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi dell’uomo; ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla Legge. art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica, e per le spese d’amministrazione, è indispensabile un contributo comune: esso deve essere ugualmente ripartito fra tutti i cittadini, in ragione delle loro sostanze. a. saitta, Costituenti e costituzioni della Francia moderna, einaudi, Torino 1952 Domande alla fonte 1. Quali diritti vengono riconosciuti ai cittadini? 2. Come viene definita la libertà? 3. In quali modi i cittadini partecipano alla formazione della legge?

Stampa celebrativa della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 (Parigi, Museo Carnavalet)

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

Le donne dei mercati parigini, armate di picche e di un pezzo d’artiglieria leggera, si dirigono verso la reggia di Versailles

Sul lato sinistro si distingue un’aristocratica, vestita con un elegante cappellino, che si allontana dal corteo di cui non condivide senz’altro le ragioni

L’assalto delle donne del 5 ottobre 1789, stampa, XVIII secolo

LESSICO Giacobini Così chiamati dal nome del convento dei domenicani (detti anche jacobins ) in cui si riunivano, appartenevano alla piccola e media borghesia. Inizialmente promotori di una monarchia costituzionale, si avvicinarono successivamente alle posizioni repubblicane. Tra i rappresentanti più noti vi sono Maximilien Robespierre e Jacques-Pierre Brissot. Cordiglieri Così chiamati poiché si riunivano in un ex convento di francescani (in Francia soprannominati cordiglieri, per il cordone che portano alla vita), erano spesso di estrazione popolare. Sostenevano una posizione ancora più radicale dei giacobini, favorevole non solo alla repubblica ma anche a riforme in senso sociale. Tra i cordiglieri figuravano Georges Danton, Jean-Paul Marat e Jacques-René-Hébert. Foglianti Così chiamati dal nome del convento di cistercensi (riformati dall’abate di Feuillant ) in cui si riunivano, esprimevano una posizione politica moderata. Tra i loro leader vi furono Mirabeau e La Fayette.

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forte di ormai ventimila donne e uomini, il corteo che riportò il sovrano nella capitale era aperto da una selva di armi sulla cui punta erano infilzate pagnotte e le teste dei due soldati uccisi. si gridava a gran voce: «Riportiamo a Parigi il fornaio [il re], la fornaia [la regina] e i suoi garzoni [la corte]!» (G. Bock, Le donne nella storia europea). Da allora la pressione spontanea della “piazza” sull’Assemblea fu costante e ne determinò la radicalizzazione degli orientamenti politici e delle scelte, mentre lo spazio di manovra e di iniziativa autonoma del re si faceva sempre più ristretto. La rivoluzione era esplosa come un conflitto tra il Terzo stato, guidato dai suoi strati più alti, e i due ordini privilegiati. Ma le ragioni di quel conflitto ora parevano venute meno: la “piazza” aveva ormai cominciato a inseguire un sogno più radicale, quello di diventare davvero sovrana e depositaria del potere, mediante l’esercizio quotidiano della democrazia diretta.

12.3  La nascita dei club e la fuga del re   i club: la scoperta della democrazia

il sogno della democrazia diretta tese a farsi gradualmente realtà nei club, luoghi di riunione e di discussione aperti a tutti coloro che si schieravano dalla parte del nuovo ordine, rifiutando i valori e le concezioni dell’antico regime. essi si diffusero rapidamente in ogni regione francese e contribuirono a trasformare in un movimento organizzato il desiderio della popolazione di farsi diretta protagonista delle scelte politiche e legislative. il movimento dei club trovò un puntuale rispecchiamento anche all’interno della Costituente, dove si formarono fazioni che si ispiravano all’uno o all’altro. Le fazioni più importanti erano quella repubblicana dei giacobini, quella, più radicale sotto il profilo delle rivendicazioni sociali, dei cordiglieri, guidati da Georges Danton (1759-1794), e quella della cosiddetta “società del 1789”, al cui interno, nel 1791, si formò il gruppo moderato dei foglianti, che si limitavano ad auspicare l’avvento di una monarchia costituzionale.

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

alla fine del 1789 i club esistevano in appena ventuno comuni; un anno più tardi ve ne erano in almeno trecento diverse località; alla fine del 1791 in oltre millecento. i club più radicali, quelli al cui interno si raccoglievano gli aderenti al gruppo giacobino e a quello cordigliero, contavano da soli a quella data circa centocinquantamila membri.   La vita dei club e la nascita della politica moderna

La vita dei club era contraddistinta da alcuni riti: riunioni sulle questioni all’ordine del giorno, dibattiti, lettura di giornali e periodici – che cominciarono in quell’epoca a essere stampati in grandi quantità e varietà e a circolare di mano in mano –, votazioni e approvazione di mozioni, infine, manifestazioni volte a influenzare l’atteggiamento delle autorità locali o le scelte dell’assemblea parigina. La politica moderna, intesa non come esercizio riservato ai tecnici e ai detentori delle cariche più alte, ma come pratica quotidiana interpretata dai semplici cittadini, nacque allora, in quei luoghi, dove le persone comuni impararono a confrontarsi, a ragionare di problemi di interesse collettivo, a prendere decisioni seguendo la volontà della maggioranza e a sforzarsi di renderle attuabili. La Rivoluzione francese consistette perciò in primo luogo in una diffusa esperienza collettiva di partecipazione attiva e responsabile al potere, da parte di una cittadinanza che non conosceva più divisioni di stato e che non era più disposta alla passiva obbedienza. oltre che attraverso i dibattiti all’interno dei club, essa si manifestò in riti e in cerimonie che finirono per configurare una vera e propria fede, che aveva al suo centro il culto della dea Ragione, simbolo del rifiuto dello spirito di sottomissione alle autorità predicato dalle religioni tradizionali. sullo sfondo della diffusa politicizzazione che stava trasformando la vita quotidiana della nazione, l’assemblea costituente proseguì la propria attività legislativa, ora tenendo conto delle pressioni che provenivano dalla “piazza”, ora cercando di arginarle.

Inclusione/Esclusione La democrazia, p. 297

Gran seduta dei giacobini nel gennaio 1792, acquaforte, XVIII secolo

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

In alto il filosofo Jean Jacques Rousseau che sovrasta i simboli con sguardo benevolo Al posto del tradizionale occhio della divinità, compare l’occhio della ragione

Due bandiere tricolori Il fascio littorio è sormontato dal berretto frigio, simbolo di libertà e dal serto di alloro, simbolo di vittoria e di gloria In basso il germoglio dell’albero della libertà accanto al fascio littorio che raccoglie i simboli del lavoro legati da forza, giustizia e verità

Jean Jeaurat, Jean Jacques Rousseau e i simboli della Rivoluzione, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

  La Costituzione civile del clero

Tra il 1789 e il 1790 l’assemblea costituente elaborò alcune leggi che modificarono radicalmente la funzione del clero e ne ridussero l’autonomia. La Chiesa aveva rappresentato, prima del 1789, in ragione delle immunità di cui godeva e delle cospicue ricchezze che le appartenevano, una sorta di Stato nello Stato. Questa sua condizione di privilegio venne cancellata dalla rivoluzione, a partire dal 1790, prima attraverso la requisizione dei beni ecclesiastici, poi con la loro statalizzazione, e infine con la messa in vendita ai privati. inoltre contribuì a questo processo di “normalizzazione” della chiesa la trasformazione dei sacerdoti in funzionari statali, in base alla cosiddetta Costituzione civile del clero (1791), che li obbligava a prestare giuramento di fedeltà alla costituzione e alla nazione, e a sciogliersi così dal vincolo di obbedienza al papa. Molti religiosi si rifiutarono di compiere questo passo e scelsero la via dell’emigrazione, della fuga all’estero. Questa decisione peraltro, fin dall’inizio della rivoluzione, era già stata presa da molti aristocratici che si erano rifugiati in paesi nei quali si continuava a riconoscere alla nobiltà uno status privilegiato. una parte della vecchia francia dei privilegiati si trovava dunque all’inizio degli anni novanta fuori dei confini del paese, pronta a organizzare forze controrivoluzionarie e protetta dai governi del resto d’Europa. il timore diffuso era che il “contagio rivoluzionario” si diffondesse anche altrove e che altri re si trovassero costretti a cedere la propria sovranità alla popolazione, come era accaduto al re di francia.   il tentativo di fuga del re

nel giugno 1791 anche Luigi XVI, insieme alla consorte Maria Antonietta d’Asburgo (1755-1793, moglie di Luigi dal 1770), cercò di fuggire all’estero, con ogni probabilità con il proposito di chiedere agli altri sovrani d’europa di scatenare una guerra contro i rivoluzionari che l’avevano spodestato. i reali furono fermati poco prima della frontiera con il Belgio, a varennes, e riportati a Parigi. 286

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

sotto la scorta della Guardia nazionale, il re attraversò le strade della città lungo le quali una folla attonita e delusa lo osservò passare. Questo episodio contribuì a delegittimare il prestigio del sovrano e rinvigorì quanti, all’interno dell’assemblea costituente, spingevano per la trasformazione della francia in una repubblica.

12.4  dalla monarchia costituzionale alla repubblica   La Costituzione del 1791

nel settembre 1791 venne promulgata la Costituzione. si trattava di un testo di orientamento moderato. esso attribuiva al re l’esercizio del potere esecutivo, munendolo contestualmente del diritto di veto sui provvedimenti legislativi. Questi erano assunti da una nuova rappresentanza dei cittadini, l’Assemblea nazionale. La costituzione selezionava gli elettori di tale assemblea in base al principio del censo (cioè della ricchezza), in contrasto rispetto alla logica egualitaria che aveva ispirato due anni prima la Dichiarazione dei diritti. i legislatori, infatti, pur riconoscendo l’eguaglianza civile di tutti i francesi maschi di fronte alla legge, introdussero una distinzione tra cittadini attivi (che potevano votare) e cittadini passivi (non votanti). Dalla prima categoria, quella ammessa a recarsi alle urne, risultarono esclusi gli strati più umili della popolazione e tutte le donne, dal momento che solo coloro che avevano una certa ricchezza potevano votare. i costituenti, dunque, cercarono in questa fase soprattutto di tutelare gli interessi degli strati alti del Terzo stato, ai quali apparteneva la maggior parte di loro. in una condizione ormai prossima a quella dell’ostaggio, appena tornato a Parigi dopo il tentativo di fuga, il re diede ufficialmente il proprio benestare all’emanazione della Costituzione, che consegnava all’assemblea nazionale – rappresentanza elettiva unitaria di tutti i francesi, senza distinzioni di stato – l’esercizio del potere legislativo. Pochi mesi dopo, l’assemblea costituente si sciolse e si tennero le prime elezioni politiche per eleggere i rappresentanti all’assemblea nazionale (o “legislativa”). Riunitasi il 1° ottobre 1791, l’Assemblea legislativa era così formata: su 745 deputati 260 erano foglianti e 136 giacobini, mentre i restanti componenti fluttuavano a seconda dei casi tra la prima e la seconda fazione. nel frattempo, nel paese la crisi economica si faceva sempre più aspra e ovunque il popolo dei club premeva per far sì che l’assemblea emanasse provvedimenti d’eccezione idonei a portare sollievo al malessere sociale della popolazione. si temeva inoltre la dichiarazione di guerra al paese della Rivoluzione da parte dei sovrani che avevano offerto ospitalità e sostegno agli aristocratici fuggiti all’estero. Il ritorno della famiglia reale a Parigi, scortata dalla Guardia nazionale, dopo il tentativo di fuga

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

nel mondo dei club, e in parte anche presso l’assemblea legislativa, molti ormai si esprimevano in favore della costituzione di una repubblica, dal momento che – pur divenuta costituzionale – la monarchia apparteneva comunque all’eredità di un passato da cui ci si voleva distanziare.   La fratellanza repubblicana e i limiti di genere

accanto alla libertà e all’eguaglianza, i rivoluzionari avevano introdotto un terzo principio, centrale nella Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, quello della fraternità. evocandolo, intendevano sottolineare di non sentirsi più nella ANALIZZARE LA FONTE

La Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina Autore: Olympe de Gouges – Tipo di fonte: programma politico – Lingua originale: francese – Data: 1791 Nel 1791 Olympe de Gouges, convinta sostenitrice dell’eguaglianza femminile, pubblicò la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina, che voleva essere una versione al femminile della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino approvata nel 1789 dall’Assemblea nazionale costituente. Il suo tentativo tuttavia non ebbe successo. Osteggiata dai capi della Rivoluzione, ella finì sulla ghigliottina con l’accusa di aver dimenticato le virtù che convengono al sesso femminile (v. p. 319).

art. 1. La Donna nasce libera e resta uguale all’uomo nei diritti. Le distinzioni sociali possono essere fondate solo sull’utilità comune. art. 2. Lo scopo di ogni associazione politica è la conservazione dei diritti naturali e imprescrittibili della Donna e dell’uomo. Questi diritti sono la libertà, la proprietà, la sicurezza e la resistenza all’oppressione. art. 3. il principio di ogni sovranità risiede essenzialmente nella nazione, che è la riunione della donna e dell’uomo. […] art. 4. La libertà e la giustizia consistono nel restituire tutto quello che appartiene agli altri; così l’esercizio dei diritti naturali della donna ha come limiti solo la tirannia perpetua che l’uomo le oppone, questi limiti devono essere riformati dalle leggi della natura e della ragione. art. 6. La legge deve essere l’espressione della volontà generale; tutte le cittadine e i cittadini devono concorrere personalmente, o attraverso i loro rappresentanti, alla sua formazione; essa deve essere la stessa per tutti: tutte le cittadine e i cittadini, essendo uguali ai suoi occhi, devono essere ugualmente ammissibili a ogni dignità, posto e impiego pubblici secondo le loro capacità, e senza altre distinzioni che quelle delle loro virtù e dei loro talenti. art. 11. La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è uno dei diritti più preziosi della donna, poiché questa libertà assicura la legittimità dei padri verso i figli. ogni cittadina può dunque dire liberamente «io sono la madre di un figlio che vi appartiene», senza che un pregiudizio barbaro la obblighi a dissimulare la verità; salvo rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi determinati dalla legge. art. 13. Per il mantenimento della forza pubblica e per le spese dell’amministrazione, i contributi della donna e dell’uomo sono uguali; essa partecipa a tutte le incombenze, a tutti i lavori faticosi, deve dunque avere la sua parte nella distribuzione dei posti, degli impieghi, delle cariche delle dignità e dell’industria. P. M. Duhet, Cahiers de doléances. Donne e Rivoluzione francese, La Luna, Palermo 1989 Domande alla fonte Dopo un’attenta lettura comparata con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283), indica: 1. Che cosa aggiunge Olympe de Gouges negli articoli 1, 2, 3 e 6. 2. Come sono cambiati gli articoli 6 e 11. 3. Che cosa stabilisce l’articolo 13 e in che cosa differisce dal corrispettivo della Dichiarazione del 1789. “Calendario delle donne libere” del 1795. Questa stampa celebra l’apporto significativo dato dalle donne ai moti rivoluzionari

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capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

condizione subordinata di figli, tenuti a obbedire ai comandi di un padre, bensì in quella di fratelli emancipati e dotati di pari diritti. i re, invece, tradizionalmente giustificavano il proprio potere assoluto raffigurandosi come padri per i propri sudditi; come portatori di una responsabilità di comando e di una facoltà di esigere obbedienza, che pretendevano fossero state conferite loro direttamente da Dio. Repubblica di fratelli, abbiamo detto, ma non certo di fratelli e di sorelle. Malgrado, infatti, una figura di primo piano della Rivoluzione come il marchese di condorcet (1743-1794), raccogliendo aspirazioni diffuse tra le donne più radicali, si fosse battuto nel 1790 in favore dell’ammissione delle donne alla piena cittadinanza politica, dichiarando di considerare come un atto di “tirannia” la loro esclusione dai “diritti naturali”, la figura di cittadino proposta dalla Dichiarazione dei diritti e dalla costituzione si declinava rigorosamente al maschile. Qui, a dispetto dei suoi presupposti universalistici, il discorso rivoluzionario rimaneva prigioniero di una consuetudine inveterata (v. La cittadinanza asimmetrica, p. 317).   La guerra

il destino della monarchia si giocò nel 1792 e risultò strettamente intrecciato all’andamento della guerra, che nell’aprile di quell’anno l’Assemblea legislativa dichiarò preventivamente all’Austria, il regno che pareva più di tutti impegnato nella preparazione di un’invasione della francia per “fermare” la Rivoluzione, anche perché sul trono austriaco era salito nel marzo dello stesso anno Francesco II, nipote di Maria antonietta. Poco dopo scese in campo, a fianco dell’austria e contro la francia, anche il Regno di Prussia. Luigi XVI aveva visto con favore la scelta della guerra poiché sperava in una sconfitta dell’esercito francese, che avrebbe avuto come diretta conseguenza il suo reinsediamento con pieni poteri sul trono a opera della coalizione antirivoluzionaria. Per motivi opposti, anche i rappresentanti dei gruppi più radicali presenti nell’assemblea volevano la guerra, poiché ritenevano che la francia dovesse assumersi il grande compito di liberare l’Europa dall’assolutismo e dal feudalesimo. Una battaglia in Belgio fra le truppe rivoluzionarie francesi e truppe austro-prussiane, XVIII secolo

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

Jacques Bertaux, Il popolo di Parigi contro il palazzo delle Tuileries (Versailles, Museo del Castello)

nei primi mesi di guerra la Francia subì ripetute sconfitte. L’esercito era in difficoltà perché l’organizzazione e la disciplina erano inadeguate. Diversi ufficiali, appartenenti all’aristocrazia, erano infatti fuggiti all’estero, mentre quelli rimasti non erano ovviamente motivati a difendere il regime appena nato (o addirittura erano impegnati a favorire i disegni del re). Le truppe straniere varcarono le frontiere, pronte a dirigersi verso la capitale. nel paese si diffuse il sospetto che Maria antonietta, in quanto appartenente alla dinastia degli asburgo, complottasse con gli invasori, passando loro di nascosto i piani di guerra dei francesi.   La Convenzione nazionale 

nell’agosto 1792, con gli eserciti nemici accampati alle porte di Parigi, il popolo della “piazza” tornò a far sentire la propria voce: invase il palazzo delle Tuileries, la residenza del re, a ragione sospettato di collusione con il nemico, e costrinse l’assemblea legislativa a disporne l’arresto e a indire nuove elezioni, da svolgersi a suffragio generale maschile, e non più in base alla costituzione censitaria del 1791. La nuova assemblea eletta, chiamata Convenzione nazionale, avrebbe dovuto trasformare la monarchia in repubblica ed esercitare la funzione di tribunale supremo, incaricato di decidere il destino del re, spogliato della sua aura sovrana e ridotto a semplice cittadino, accusato di aver cospirato contro la nazione. La convenzione nazionale risultò composta essenzialmente da tre raggruppamenti politici. c’era quello della Montagna, più radicale, che era così chiamato perché i suoi esponenti si collocavano in alto a sinistra nella sala che ospitava le sedute della convenzione, e che riuniva circa un ottavo dei deputati. a esso si contrapponeva, sulla destra, quello della Gironda, formato da figure di tendenza più moderata e incline al federalismo, che prendeva il nome dal dipartimento della francia meridionale dal quale provenivano i suoi esponenti più in vista. i girondini costituivano più di un quarto dei deputati della convenzione. Tra loro e i montagnardi si collocava una massa oscillante di deputati non ufficialmente schierati, che occupavano la porzione più bassa della sala e che per questo venivano definiti come appartenenti alla Palude, (o Pianura). 290

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

ORIENTARSI TRA I CONCETTI - Le assemblee della Rivoluzione Nome

PeRiodo

ComPosizioNe

deCisioNi

Stati generali

Maggio-giugno 1789

Tre assemblee distinte per ordine (aristocrazia, clero, Terzo stato), ciascuna composta di 300 deputati

assemblea nazionale costituente

9 luglio 1789 30 settembre 1791

Società dell’89 Cordiglieri Giacobini

• Abolizione del regime feudale (4 agosto 1789) • Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (26 agosto 1789) • Costituzione civile del clero (luglio 1790) • Redazione della Costituzione (3 settembre 1791)

assemblea legislativa

1° ottobre 1791 20 settembre 1792

Foglianti (o Costituzionali) Giacobini

• Dichiarazione di guerra all’Austria (20 aprile 1792) • Arresto del re (agosto 1792)

convenzione nazionale

21 settembre 1792 26 ottobre 1795

Gironda (destra) Palude o pianura (centro) Montagna (sinistra)

• Proclamazione della Repubblica (21 settembre 1792) • Processo e condanna a morte del re (21 gennaio 1793)

  La proclamazione della repubblica e la condanna a morte del re

La nuova assemblea si riunì per la prima volta il 20 settembre 1792. nello stesso giorno fu combattuta a Valmy un’importante battaglia: l’esercito francese riuscì a sconfiggere gli austriaci e i prussiani bloccando la loro avanzata. il giorno successivo, il 21 settembre 1792, la convenzione proclamò la nascita della Repubblica francese. nel mese di dicembre il re fu processato: la maggioranza dei deputati ritenne che il sovrano avesse tradito il suo patto con il popolo francese e dovesse per questo essere punito in modo esemplare, per cui si pronunciò per la sua condanna a morte. il 21 gennaio 1793 Luigi XVI venne quindi posto sotto la ghigliottina, una nuova macchina approntata per l’esecuzione delle condanne, e giustiziato. anche sul piano simbolico, ci si trovava così davanti alla distruzione dell’istituzione monarchica, dopo che già da qualche mese la francia era stata ufficialmente dichiarata repubblica dalla convenzione. ora la Francia rivoluzionaria si trovava più che mai in lotta aperta contro l’Europa intera, l’europa delle teste coronate, degli aristocratici, del clero.

LESSICO Ghigliottina Il nuovo strumento per eseguire le condanne capitali fu introdotto in Francia dopo che il 10 ottobre 1789 il medico Joseph-Ignace Guillotin (da cui prende il nome) ne consigliò l’utilizzo all’Assemblea nazionale, sottolineando che essa uccideva in modo istantaneo senza provocare inutili sofferenze al condannato.

L’esecuzione di Luigi XVI, stampa inglese, XVIII secolo

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Il laboratorio dello storico

Le lamentele del Terzo stato

Verso

le competenze

• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica • comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia

Le “doglianze” della città Durante le prime fasi della Rivoluzione francese, già a partire dalla raccolta dei cahiers de doléances, prese forma compiuta gran parte delle rivendicazioni che il Terzo stato avrebbe poi presentato in occasione degli stati generali. Soffermiamoci su due cahiers che ci restituiscono l’atmosfera che contraddistinse quella fase. La società per ordini, in realtà, era sul punto di crollare, e ce lo dicono le lamentele, (o “doglianze” o “rimostranze”) che affioravano copiose tanto dalla Francia urbana quanto da quella rurale. Ecco la voce della Francia urbana:

nella francia prerivoluzionaria i commercianti che trasportavano le loro mercanzie da un luogo a un altro incontravano lungo il loro cammino una serie di posti di controllo, presso i quali erano obbligati a pagare un pedaggio. Qui è, dunque, soprattutto il mondo mercantile di Beaucaire a far sentire la propria voce

1. i deputati dei comuni di questa città saranno incaricati di presentare i loro voti per la soppressione degli stati attuali della provincia e per ottenere una nuova costituzione, ugualmente e liberamente rappresentativa. e a questo scopo, verrà chiesta un’assemblea generale dei tre ordini. 2. i deputati agli stati generali faranno il possibile perché la votazione si faccia a testa e non per ordine. [Questa città vuole inoltre n.d.t.] 3. La dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. 4. La libertà di stampa e la sicurezza delle lettere. 6. L’eguaglianza proporzionale dei tributi indistintamente sulle persone e sui beni. […] 12. La soppressione dei pedaggi e altri diritti di tale natura, mediante indennità, giuste e ragionevoli, in favore dei proprietari. […] 16. che i sudditi del Terzo stato siano abilitati a occupare i diversi impieghi militari di terra e di mare e quelli delle alte magistrature. 17. La concessione del porto d’armi per gli appartenenti al Terzo stato, con le opportune restrizioni. Cahier degli abitanti di Beaucaire, in a. soboul, 1789. L’anno I della libertà, episteme editrice, Milano 1975

292

Gran parte delle cariche di alto rango nell’esercito, nella marina e nella magistratura erano riservate in modo esclusivo agli esponenti dell’aristocrazia. in questo caso, è, perciò, la borghesia che intendeva affermarsi attraverso l’esercizio delle cariche pubbliche a presentare la propria rivendicazione

capItOLO 12 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

Le “doglianze” della campagna Il cahier precedente ci ha mostrato una, ma non la sola, delle facce del Terzo stato. Spostiamoci in campagna, e ascoltiamo altre doglianze, che ci restituiscono bene i disagi delle componenti più modeste della popolazione francese:

Più dimesso nei toni, e confidente in una “grazia” sovrana, più che nella conquista di diritti, questo cahier ci dice, incidentalmente, qualcosa di molto importante sulle dinamiche interne al Terzo stato. Lo compongono tutti i francesi non privilegiati, ma a dargli la voce sono soprattutto i ceti urbani, gli stessi verso i quali i contadini di saint-anthot rivolgono uno sguardo accorato, nel momento in cui delegano agli abitanti di Digione il compito di parlare in loro vece

il villaggio di saint-anthot è composto di ventitré fuochi soggetti a taglia, tra questi un piccolo contadino, quattro benestanti che fanno fruttare le terre del signore, il resto braccianti. Questo villaggio è situato in un terreno molto arido e poco fertile, gli abitanti non hanno commercio né industria. ogni abitante è gravato verso il signore di censi e canoni e polli come di consuetudine sul piccolo fondo di cui gode, così come sul vino che si produce nel villaggio. La loro comunità non ha alcun introito. essi sono sovraccarichi di imposte, sia per la taglia regia, ventesimo, che per la decima che il signore percepisce sui raccolti della loro circoscrizione comunale. che essi sono obbligati ogni anno a dedicare una parte del loro lavoro sulle grandi strade e sulle strade comunali, il che li priva e toglie loro la possibilità di mantenere le loro case e nutrire le loro famiglie […]. in più i detti abitanti di saint-anthot, gente poco pratica degli affari concernenti l’amministrazione, la percezione e l’uso delle imposte, si rimettono e aderiscono per ciò che ora non è stampato, alla richiesta presentata a sua Maestà dal Terzo stato della città di Digione. che piaccia a sua Maestà d’obbligare i signori a far rendere giustizia sul posto per ovviare alle spese degli spostamenti o quanto meno nel borgo più vicino al luogo di residenza, per il bene e il vantaggio dei suoi sudditi.

con il termine “fuoco”, nella francia di antico regime, si intendeva ciascuna unità abitativa familiare. ogni fuoco, indipendentemente dal numero dei suoi componenti, pagava un’imposta, detta “taglia” (taille)

Cahier degli abitanti di saint-anthot, in a. soboul, 1789. L’anno I della libertà, episteme editrice, Milano 1975

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Si è fatto qui uso di due fonti scritte, composte nella stessa epoca. Più precisamente, queste due fonti appartengono al genere del documento di rivendicazione politica, anche se esse sono state inizialmente immaginate come semplice atto amministrativo redatto in seguito a una sollecitazione proveniente dalla corte di Francia • Quali sono i principali punti di differenziazione tra il primo cahier, che è stato redatto in un contesto urbano, e il secondo, che è stato invece composto in ambiente rurale? • Quali diversi gruppi sociali si mostrano attraverso le doglianze esposte nei due cahiers?

293

capItOLO 12

Mappa

LA RIVOLuZIONE FRANCESE (1789-1793)

Crisi economica

Opposizione dei nobili e del clero

Cattivi raccolti

i ministri delle Finanze vogliono imporre nuove tasse

Dissesto delle finanze

Insofferenza del Terzo stato, l’unico a pagare le tasse

Il re convoca gli stati generali

rIvOLuZIONE fraNcESE (1789-1793)

rivoluzione di popolo Mobilitazione dell’opinione pubblica con i cahiers de doléances

Presa della Bastiglia (14 luglio 1789) Formazione della Guardia nazionale Grande paura nelle campagne Marcia delle donne su Versailles e trasferimento della corte a Parigi Nascita dei club rivoluzionari 294

rivoluzione dei deputati Giuramento della pallacorda e nascita dell’assemblea nazionale costituente Agosto 1789: abolizione dei privilegi feudali e Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino costituzione civile del clero, tentativo di fuga del re e sua delegittimazione costituzione del 1791: sistema censitario e nascita della monarchia costituzionale

Dalla monarchia alla repubblica Formazione dell’assemblea legislativa e dichiarazione di guerra all’austria

Sconfitte militari e sospetti di complotto antirivoluzionario del re, suo arresto

Nuove elezioni a suffragio generale maschile Formazione della convenzione, nascita della repubblica (21/09/1792)

Il re viene giustiziato (21/01/1793)

capItOLO 12

LA RIVOLuZIONE FRANCESE (1789-1793)

Sintesi 12.1 ALLE ORIGINI DELLA RIVOLuZIONE nella seconda metà del settecento la francia era tornata in mano ai poteri tradizionali: i Parlamenti, l’aristocrazia, il clero. i controllori delle finanze non riuscirono a risolvere la grave crisi finanziaria del paese, per le resistenze della nobiltà e del clero, ostili all’abolizione dei privilegi fiscali. il peso delle tasse ricadeva quasi esclusivamente sul cosiddetto Terzo stato. Per cercare di uscire dalla grave congiuntura, Luigi Xvi acconsentì a convocare per il 5 maggio 1789 gli stati generali. La richiesta era stata avanzata al re dall’aristocrazia per trovare una risposta ai problemi del paese che non intaccasse i suoi privilegi. nei mesi che precedettero la prima riunione, fu il Terzo stato a mobilitare la popolazione e a raccogliere le sue richieste nei cosiddetti cahiers de doléances. alcuni esponenti del Terzo stato chiesero al re di cambiare la modalità di votazione prevista per gli stati generali e proposero di riunire gli ordini in un’unica assemblea (e non in tre separate) e di votare non “per ordine”, ma “per testa”, lasciando libertà di voto ai singoli deputati. 12.2 L’INIZIO DELLA RIVOLuZIONE il re accolse solo la prima richiesta. il Terzo stato decise allora di riunirsi nella sala della pallacorda (21 giugno 1789), impegnandosi a promulgare una costituzione basata sul principio della sovranità popolare. il re fu così costretto a riconoscere il 7 luglio la nascita dell’Assemblea nazionale costituente, alla quale si unirono anche alcuni rappresentanti moderati degli altri due ordini. a questo processo se ne affiancò un altro promosso dalla “piazza”: il 14 luglio il popolo di Parigi assaltò la Bastiglia, la prigione simbolo dell’assolutismo regio. nei giorni seguenti i simpatizzanti dell’assemblea costituente scesero in piazza, destituirono le autorità in carica e si insediarono al loro posto. nei municipi furono istituiti i corpi della Guardia nazionale, mentre il processo rivoluzionario si estendeva anche alle campagne. spinta dal movimento popolare, l’assemblea costituente approvò l’abolizione dei diritti feudali e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, documento che poneva fine alla società dei privilegi e proclamava l’eguaglianza giuridica di tutti i cittadini e la sovranità popolare.

a ottobre si svolse una marcia delle donne sulla reggia di Versailles, che costrinse il re a trasferirsi a Parigi.

12.3 LA NASCITA DEI CLuB E LA FuGA DEL RE erano intanto nati diversi club con idee politiche differenziate. i foglianti abbracciavano una posizione moderata, favorevole alla monarchia costituzionale; i giacobini miravano all’instaurazione della repubblica e i cordiglieri premevano per il riconoscimento dell’eguaglianza sociale. con i club nacque la politica moderna come esperienza collettiva e responsabile della gestione del potere. nel 1790 l’assemblea nazionale confiscò i beni ecclesiastici e approvò la Costituzione civile del clero, che faceva degli ecclesiastici di fatto dei funzionari statali. Parte del clero francese non prestò giuramento allo stato e andò in esilio. anche il re cercò di fuggire e di trovare rifugio in austria, presso gli asburgo, alla cui dinastia apparteneva la consorte Maria antonietta, ma fu riconosciuto e riportato a Parigi (giugno 1791). 12.4 DALLA MONARChIA COSTITuZIONALE ALLA REPuBBLICA nel settembre 1791 la francia divenne una monarchia costituzionale. il re conservava il potere esecutivo, ma quello legislativo veniva assegnato all’Assemblea nazionale, che fu eletta pochi mesi dopo sulla base di un principio censitario. nell’aprile 1792 la francia dichiarò guerra all’Austria in funzione preventiva, ma poiché le sorti della guerra non erano favorevoli, la piazza riprese il processo rivoluzionario e, nell’agosto 1792, costrinse l’assemblea legislativa ad arrestare il re e a indire nuove elezioni a suffragio generale maschile, che diedero vita a una nuova assemblea, la Convenzione. il 21 settembre 1792 venne proclamata la repubblica, mentre il 21 gennaio 1793 il re, dopo essere stato processato, fu ghigliottinato. 295

identità collettiva e cittadinanza

n Inclusione Esclusione

La Repubblica francese, stampa di propaganda, fine del XIX secolo

La democrazia

il coinvolgimento attivo nella cittadinanza

n

el Settecento, nel pieno della stagione illuminista, molti pensatori avevano contribuito a riproporre, quale possibile fonte di ispirazione istituzionale per un’Europa del futuro liberata dall’oppressione monarchica, alcuni modelli politici caratteristici dell’antichità.

In particolare, quando si elogiava la “libertà” degli antichi, si faceva riferimento alle Costituzioni vigenti nelle cittàStato della Grecia classica, oppure alla fase repubblicana della storia romana. Lasciamo che sia il politico Pericle (V secolo a.C.), attraverso il racconto dello storico Tucidide, a descriverci in sintesi in che cosa consistesse quella libertà: «Abbiamo una costituzione che non imita le leggi altrui, essendo noi modello ad alcuni più che imitatori di altri. Il suo nome è democrazia, perché si amministra la città non nell’interesse di pochi, ma di una maggioranza; per quanto riguarda le leggi, però, nelle questioni private tutti godono di uguali diritti; per quanto riguarda gli onori, ognuno che si segnali in qualcosa viene innalzato alle cariche pubbliche non in base alla sua parte di ricchezze, ma secondo

Inclusione

il suo valore; né, d’altra parte, la povertà, se uno è in grado di fare qualcosa di utile alla città, gli è di impedimento per la sua oscura posizione sociale». Pericle si riferiva al sistema in vigore ad Atene, dove tutti i cittadini avevano non solo il diritto, ma in un certo senso l’obbligo di prendere parte attivamente alla vita pubblica e all’assemblea generale che ne rappresentava il simbolo. Va però ricordato che non tutti gli abitanti della città godevano dello status di cittadino: vi erano, infatti, oltre agli schiavi, moltissimi stranieri, e le donne non erano considerate comunque soggetti di cittadinanza. La democrazia in bilico, fine del XVIII secolo (Parigi, Museo

ateniese, rilievo, corona il popolo La Democrazia in , Museo dell’Agorà) tene IV secolo a. C. (A

Carnavalet)

Ma come si definiva un cittadino? Il filosofo greco Aristotele (IV secolo a. C.) aveva, in proposito, una risposta precisa: «Nulla definisce meglio il carattere del cittadino in senso stretto che la partecipazione all’esercizio dei poteri di giudice e di magistrato». 297

Inclusione Esclusione

identità collettiva e cittadinanza Assemblea nazio nale francese, XV III secolo (Parigi, Biblioteca Nazio nale)

Probabilmente non accadde mai che l’intera cittadinanza ateniese si trovasse davvero riunita a ranghi compatti in assemblea. Tuttavia, quello della democrazia ateniese rappresentò un modello di cittadinanza al quale fu naturale tornare a pensare nel momento in cui si pose il problema della costruzione di un sistema politico riscattato dall’autoritarismo dell’antico regime.

a

utori come Rousseau o Mably ne riproposero con entusiasmo le caratteristiche salienti, e ripercorrendo la storia antica vi scoprirono modelli di virtù civica che si contrapponevano efficacemente al degrado morale provocato da quello che veniva da loro definito come “dispotismo monarchico”. La democrazia degli antichi era, viceversa, sinonimo di repubblica. Anche di una realtà connotata in senso oligarchico – quale era stata quella spartana – si apprezzava molto il legame diretto e vincolante tra il godimento della cittadinanza e la militanza politica assidua al suo servizio. Piaceva molto, in particolare, l’idea del cittadino-soldato, che avrebbe, del resto, rappresentato il presupposto per l’introduzione della coscrizione obbligatoria nella Repubblica francese uscita dalla rivoluzione. Ma la democrazia “dei moderni” fu, poi, uguale a quella degli antichi? No, perché in realtà, pur accordando largo spazio, nella retorica del discorso rivoluzionario, al mito della democrazia diretta e, dunque, al modello delle istituzioni vigenti nelle antiche póleis, ci si rese subito conto che nel grande spazio territoriale della nazione era impensabile replicare quella stessa intensità e continuità di partecipazione 298

che era invece stata caratteristica della democrazia praticata nelle città-Stato greche. Né in Francia né altrove poteva esistere uno spazio tanto grande da ospitare simultaneamente i milioni di abitanti che la Rivoluzione aveva trasformato da sudditi in cittadini. E se li si voleva includere nell’esercizio attivo della cittadinanza politica, allora si doveva pensare a modi di mobilitazione più flessibili. Le Costituzioni emanate nel corso degli anni Novanta a Parigi proposero modelli che prevedevano livelli diversi di coinvolgimento attivo della cittadinanza nell’esercizio dei riti democratici ufficiali, in primo luogo quello elettorale. Quest’ultimo dava comunque vita a una forma di democrazia che non era diretta – come quella praticata dagli antichi –, bensì affidata a un sistema di delega.

La democrazia Quella che si veniva delineando era, dunque, una democrazia rappresentativa, suggellata dal rituale delle elezioni e contraddistinta dalla nomina (non dal sorteggio) dei deputati investiti della funzione di parlare e di deliberare nelle sedi del potere legislativo in nome della nazione tutta intera.

L

a democrazia dei moderni, inaugurata dalla Rivoluzione francese, non si esauriva però semplicemente nella nomina dei rappresentanti del popolo in Parlamento e nell’attività di questi ultimi all’interno delle Camere. Essa si basava, infatti, su un presupposto che la democrazia degli antichi non aveva conosciuto, ovvero sulla mobilitazione costante di parti della popolazione a favore dell’uno o dell’altro schieramento. A Parigi e nelle altre città francesi cominciarono infatti a formarsi associazioni stabili, i cui membri si interessavano con grande passione alla politica e si riunivano periodicamente per dibattere sui temi che i deputati in Parlamento a loro volta affrontavano in quella sede. Nei numerosissimi club politici che vennero fondati nella Francia degli anni Novanta, in alcuni dei quali anche le donne fruirono di libero accesso e di diritto di parola, la popolazione imparò così a praticare la democrazia anche al di fuori delle sedi istituzionali a essa dedicate. Ogni club era, per certi versi, un piccolo Parlamento, che replicava e rilanciava i dibattiti che si svolgevano in quello ufficiale. In tal modo si realizzò una modalità di partecipazione politica molto più capillare, intensa e inclusiva di quella che era stata caratteristica del mondo antico.

Il deputato giacobino Jean-Paul Marat

II secolo Giacobini, acquerello, XVI

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Capitolo 13

La RivoLuzione fRancese (1793-1799) 13.1   Le difficoltà della repubblica:   la guerra, l’inflazione e la reazione della Vandea   La guerra e l’inflazione

nei mesi seguenti la proclamazione della Repubblica francese le sorti della guerra, dopo alcune sconfitte iniziali, presero una piega favorevole per l’esercito rivoluzionario. nell’autunno la convenzione dichiarò che l’esercito francese avrebbe aiutato con le armi tutti i popoli che intendevano ribellarsi all’oppressione dei re. in realtà, la francia aveva intenzione di espandersi: occupò a nord i Paesi Bassi austriaci (Belgio) e a sud la Savoia, mentre a est arrivò ad allargarsi fino al Reno. Le più importanti potenze europee considerarono inaccettabile questa minaccia e organizzarono una prima coalizione antifrancese per sconfiggere il paese della Rivoluzione e impedire che gli ideali da essa proclamati si diffondessero anche nei loro territori. alla coalizione, coordinata da William Pitt, capo del governo inglese, aderirono Prussia, austria, Russia, spagna, Regno di sardegna, Granducato di Toscana, stato della chiesa e Regno di napoli. L’esecuzione della regina Maria Antonietta, stampa a colori, XVIII secolo

Il 16 ottobre 1793 la moglie del re Luigi XVI viene ghigliottinata come era già accaduto al marito nel gennaio dello stesso anno. Maria Antonietta fu la prima donna a essere giustiziata

La ghigliottina è il simbolo della stagione del Terrore, che ebbe luogo tra il 1793 e il 1794, e durante il quale a venire giustiziate con la ghigliottina furono migliaia di persone accusate dal Comitato di salute pubblica di tramare contro la Rivoluzione

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Per contrapporsi a un’alleanza così vasta di nemici, nel febbraio 1793 il governo decretò la leva generale di tutti gli uomini atti alle armi. Tuttavia, poiché le operazioni belliche consumavano velocemente uomini e risorse, il paese si trovò ridotto alla fame. Per di più, sull’onda dell’entusiasmo per l’emanazione delle leggi che avevano abolito l’antico regime, si era diffusa l’erronea e ingenua convinzione che insieme fosse stato cancellato anche l’istituto delle tasse, che molti ora si rifiutavano di pagare. La situazione, inoltre, risultava aggravata dal diffondersi di una spaventosa inflazione, dovuta all’incremento dell’emissione degli assegnati e alla loro repentina svalutazione. Gli assegnati erano buoni del Tesoro messi in circolazione a partire dalla fine del 1789 con la finalità di renderli impiegabili nell’acquisto dei beni nazionali, per cercare di ridurre il debito pubblico ereditato dall’antico regime. il Tesoro fu costretto quasi subito, per mancanza di fondi disponibili, alla sospensione del pagamento degli interessi corrispettivi, ragion per cui essi persero rapidamente il loro valore, svalutandosi fino al 60% nel 1793. Tuttavia i cittadini, ai quali il salario veniva corrisposto con questa scadente cartamoneta, il cui potere d’acquisto si riduceva sempre più, avevano l’obbligo di adoperarli anche nelle normali transazioni tra privati, per acquistare i generi di prima necessità, per cui vennero a trovarsi in gravi difficoltà economiche. il movimento dei club, a questo punto, accentuò i propri sforzi affinché il governo, dopo aver abbattuto le istituzioni di quello che ormai tutti chiamavano “antico regime”, intervenisse attivamente sul piano sociale, anche a costo di limitare quei principi di libertà individuale, che pure facevano parte del tesoro dei valori rivoluzionari.

Il pagamento con assegnati, disegno, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

  La Vandea e la rivolta federalista

La francia in “piazza” non era solo quella dei sanculotti, ma si mostrava anche attraverso il protagonismo di coloro che sostenevano un ritorno al passato. essi fecero sentire la propria voce soprattutto in provincia e in campagna. Quando il governo mandò in tutta la francia funzionari con il compito di reclutare nuovi soldati, i controrivoluzionari insorsero in massa nella regione della Vandea (marzo 1793). La repressione di questa rivolta, a cui presero parte anche moltissimi popolani e contadini di entrambi i sessi, turbati dalle innovazioni rivoluzionarie (introduzione della chiesa di stato, leva generale, la stessa esecuzione della sacra figura del re), sarebbe costata alla fine quasi centocinquantamila vittime. Quella della vandea rappresentava, a suo modo, la rivendicazione di una plurisecolare identità locale – un’identità rurale, regionale, religiosa, radicata, quest’ultima, soprattutto presso le donne –, che induceva la popolazione a percepire la nuova identità nazionale proposta dalla Rivoluzione come qualcosa di falso ed estraneo ai propri sentimenti. Durante l’estate 1793 nel sud della francia divampò un’altra rivolta, detta “federalista”. i suoi fautori avevano da un lato l’obiettivo di sottrarre le province al ferreo controllo esercitato dal governo insediato a Parigi, dall’altro quello di indurre quest’ultimo a voltare le spalle al radicalismo alimentato dal movimento sanculotto. a questo punto la convenzione aveva ordinato l’arruolamento di tutti i giovani tra i diciotto e i venticinque anni, formando un esercito forte di settecentomila uomini, di gran lunga il più grande che si fosse mai visto in europa. era l’esercito destinato sia a stroncare la dissidenza interna (la rivolta federalista fu annientata), sia a respingere gli assalti della coalizione europea controrivoluzionaria; un esercito popolare, i cui soldati erano in parte affluiti sotto le armi mal volentieri, ma in parte erano animati dal desiderio sincero di difendere la patria in pericolo e, insieme a essa, le conquiste politiche e sociali della Rivoluzione.

Henri de La Rochejaquelein, uno dei capi della rivolta in Vandea

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

La Francia in rivolta (1789-1795) Canale della Manica Boulogne

Epicentri della Rivoluzione

Lilla

Diffusione

Rouen

Area della controrivoluzione (1792/1793)

Estrées Rennes

Pur avendo avuto origine a Parigi, i fermenti di rivolta contro l’antico regime ebbero ampia diffusione nelle campagne, a partire soprattutto dai piccoli centri, e raggiungendo poi via via le città. Nel luglio 1789 la cosiddetta “grande paura” attraversò la Francia. Dal panico si passò presto all’insorgenza, e i contadini presero di mira le roccaforti del privilegio legato alla terra, di proprietà sia nobiliare sia ecclesiastica

Nantes

Parigi

1793-1795 Repressioni della rivolta Tours della Vandea

La Ferté Orléans

Romilly

Strasburgo

Bourges

Poitiers Bellac

oceano Atlantico

Nancy

St.-Florentin

Louhans ClermontFerrand

Lione Grenoble

Pau Tolosa

Nel Nord-Ovest, tra il 1793 e il 1795, si concretizzò un vasto moto controrivoluzionario, che contrappose in Vandea i “bianchi” difensori della monarchia ai “blu”, fautori della rivoluzione giacobina

Aix-en-Provence Perpignac

mar Mediterraneo

oltre che con il nemico esterno e con gli aristocratici e il clero, i rivoluzionari sapevano quindi di dover ormai fare i conti anche con una dissidenza interna al popolo. alla mobilitazione dei militanti dei club poteva in ogni momento contrapporsene una di segno opposto. Ma dove passava la linea di confine tra rivoluzione e controrivoluzione? e ancora, per manifestare il proprio dissenso senza dover temere di essere considerati fautori dell’antico regime, quali garanzie restavano in vigore? Tra il 1793 e il 1794 queste domande non suonarono affatto retoriche. Molti francesi, accusati dalle autorità di volta in volta in carica di aver tradito la Rivoluzione – il patto stretto con i propri fratelli e con la nazione –, ne pagarono le conseguenze con la vita. I soldati della Guardia nazionale, mobilitati sia contro i moti controrivoluzionari all’interno del paese sia contro le truppe degli eserciti stranieri

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capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

Stampa celebrativa della festa che fu progettata dal pittore francese Jacques-Louis David in onore della promulgazione della Costituzione francese del 10 agosto 1793, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

13.2  La svolta autoritaria del 1793   La politica sociale e la repressione del dissenso

La convenzione decise di segnare una discontinuità con il passato decretando la modifica del calendario, mutando il nome ai giorni e ai mesi e il numero agli anni. Dal 21 settembre 1792, data di fondazione della Repubblica, la storia di francia ripartiva da zero: da quel giorno in avanti iniziava un nuovo ciclo, quello aperto dall’anno i della Repubblica, basata sulla libertà, l’eguaglianza, la fraternità. nel mondo nuovo – così pensavano le ali più radicali del movimento rivoluzionario – non era ammissibile che il popolo, divenuto sovrano e non più suddito, patisse le stesse ingiustizie sofferte in passato, quando le grandi ricchezze erano concentrate nelle mani di pochissimi, mentre la maggioranza della popolazione moriva di fame. nel corso del 1793 la convenzione compì passi significativi per venire incontro alla domanda sociale che emergeva dal paese; in particolare, stabilì un tetto massimo sia ai salari sia al prezzo dei generi di prima necessità (che venivano sempre pagati con gli assegnati), il cosiddetto maximum, che di fatto mirava a limitare l’inflazione, e approvò una nuova costituzione (la Costituzione dell’anno I), che introduceva un diritto elettorale molto più esteso di quello previsto dalla costituzione del 1791. contemporaneamente però, sotto la pressione dello stato d’emergenza, impose anche durissime misure di ordine pubblico, che portarono al soffocamento e alla repressione di quelle pratiche di democrazia che esprimevano uno dei significati profondi della Rivoluzione, la testimonianza del passaggio da una società di sudditi a una di cittadini. in marzo fu infatti creato un Tribunale speciale rivoluzionario incaricato di giudicare, senza possibilità di appello, tutti coloro che mettevano in pericolo la sicurezza della nazione. un altro decreto stabilì che in ogni località si formassero comitati di sorveglianza, i cui membri dovevano monitorare i cittadini per scoprire e denunciare le spie del nemico e i controrivoluzionari. in aprile fu istituito il Comitato di salute pubblica, che doveva controllare l’attività del consiglio esecutivo, cioè dei ministri, e nel quale, a partire dall’estate del 1793, presero il potere le correnti politiche più radicali.

Il laboratorio dello storico Feste e riti rivoluzionari, p. 312

LESSICO Tribunale speciale rivoluzionario Cominciò a operare nel marzo 1793. Investito del compito di processare con rito sommario i sospetti di tradimento e di cospirazione controrivoluzionaria, tra l’ottobre e il dicembre 1793 comminò quasi duecento condanne alla ghigliottina.

  Montagnardi contro girondini 

La costituzione dell’anno i (1793) di fatto non entrò mai in vigore, e nei mesi seguenti più che alla crescita della democrazia, da essa prevista, si assistette alla trasformazione del governo in dittatura e all’arresto e all’esecuzione di chi, spesso a torto, veniva accusato di tramare contro la patria in pericolo. 303

SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

all’interno della convenzione il partito della Gironda, di tendenza più moderata, venne di fatto neutralizzato dal partito avverso, quello della Montagna. i girondini davano espressione soprattutto all’insoddisfazione del mondo della provincia nei confronti dell’egemonia parigina e molti di loro manifestavano contrarietà rispetto alle pesanti limitazioni che il governo aveva imposto alla libertà economica introducendo il maximum. nel giugno 1793 i sanculotti parigini in armi, le cui istanze erano rappresentate dal partito della Montagna, circondarono la sede della convenzione e indussero la Guardia nazionale ad arrestare e a ghigliottinare una parte dei deputati girondini.   Il definitivo allontanamento delle donne: la morte di Olympe de Gouges

MEMO Olympe de Gouges due anni dopo la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino aveva redatto la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina [vedi p. 288].

Inclusione/Esclusione La cittadinanza asimmetrica, p. 317

Due immagini che testimoniano la partecipazione femminile alla Rivoluzione: a sinistra, una donna sanculotta con i suoi bambini; a destra, un club patriottico di donne (Parigi, Museo Carnavalet)

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La svolta autoritaria del 1793 trovò un puntuale riscontro anche nella sempre più marcata esclusione delle donne dalla vita pubblica. ancora nella primavera del 1793 presso l’assemblea si era discusso appassionatamente a proposito dell’opportunità di equiparare le cittadine ai cittadini. Del resto era una domanda che proveniva da molti dei circoli nei quali si erano radunate le rivoluzionarie di tutto il paese. Tra questi, si segnalava per la sua combattività il Club delle cittadine repubblicane rivoluzionarie, fondato nel maggio 1793 dall’attrice Claire Lacombe e dalla fabbricante di cioccolata Pauline Léon, il cui programma era di costituire una compagnia femminile armata destinata a prendere la guida delle sanculotte. come sappiamo, ad anticipare i temi della cittadinanza femminile era stata nel 1791 la scrittrice Olympe de Gouges, che sosteneva con forza il diritto delle donne di partecipare attivamente alla vita della repubblica «non sebbene madri, figlie e sorelle», ma proprio in quanto tali, e si proponeva al tempo stesso l’istituzione di un’assemblea nazionale costituita da sole donne accanto a quella maschile. La persecuzione antigirondina dell’estate-autunno 1793 segnò la sorte di olympe de Gouges, destinata in capo a qualche decennio a diventare il simbolo per eccellenza del movimento femminista. fu giustiziata il 30 ottobre 1793 – la seconda donna a cadere vittima del boia, dopo la regina Maria antonietta –, insieme a molti esponenti della Gironda, il gruppo presso il quale il tema dei diritti della donna aveva i suoi sostenitori di sesso maschile più convinti. nei mesi successivi si sarebbe assistito allo scioglimento coatto di tutti i club femminili. Per le donne era tempo di rientrare nei ranghi. nel momento in cui imboccava una strada drasticamente autoritaria, la Rivoluzione tendeva così a riproporre l’antico tema della “naturale” inferiorità della donna.

capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

13.3  Dal Terrore al Consolato   Robespierre e il Terrore

La contraddizione tra provvedimenti tesi a soddisfare i bisogni materiali degli strati sociali più umili (anche a rischio di limitare la libertà economica e di mettere a repentaglio la stessa proprietà privata, uno dei punti fermi della borghesia francese) e la spietata repressione del dissenso interno si fece ancora più evidente fra il tardo inverno del 1793 e la primavera del 1794, quando alla guida del Comitato di salute pubblica, l’istituzione che ormai di fatto aveva sostituito la convenzione nel governo del paese, giunse Maximilien Robespierre (17581794), un montagnardo particolarmente sensibile al tema dell’eguaglianza sociale. nei mesi durante i quali Robespierre esercitò la sua massima influenza, passati alla storia come periodo del Terrore, la repressione cominciò a colpire, oltre a ciò che restava degli appartenenti alla Gironda, anche molti esponenti della stessa Montagna. La dittatura culminò con la legge del 10 giugno 1794 (22 pratile), con la quale i giudici del Tribunale rivoluzionario furono autorizzati a condannare i sospetti basandosi esclusivamente sulla propria convinzione morale, privandoli quindi di qualsiasi garanzia giuridica. nelle settimane tra giugno e luglio il rumore della ghigliottina divenne sinistramente usuale nelle piazze di Parigi. il Tribunale speciale rivoluzionario fece infatti eseguire ben millequattrocento sentenze capitali. furono colpiti prima gli “arrabbiati”, coloro che si battevano per ottenere misure ancora più decise a favore della popolazione, come Jacques-René Hébert, uno dei più celebri portavoce dei sanculotti. in seguito furono giustiziati gli “indulgenti”, quei deputati che, come Georges-Jacques Danton, chiedevano la fine del Terrore. alla fine di giugno l’esercito francese riportò a Fleurus una decisiva vittoria contro i prussiani della coalizione antirivoluzionaria, facendo volgere al meglio le sorti della guerra. La patria non era più in pericolo, né sul fronte esterno né su quello interno. Dopo la sconfitta della vandea e i successi contro i prussiani, le misure di carattere eccezionale che l’esponente montagnardo aveva promosso durante il Terrore per dare coesione sociale alla patria minacciata, rafforzando l’eguaglianza a scapito della libertà, parevano ormai non più necessarie e per questo non più accettabili. una delle ultime sentenze colpì però proprio Robespierre, messo in minoranza e arrestato per ordine della convenzione il 27 luglio (9 termidoro) e giustiziato senza alcun processo né difesa il giorno seguente.

LESSICO Arrabbiati Erano sostenitori della violenza popolare, della necessità di fare strage di tutti i nemici del popolo e di attuare una rivoluzione radicale. Indulgenti Così chiamati per il loro atteggiamento moderato, erano ex cordiglieri che, dopo la sconfitta dei girondini, avevano assunto toni meno intransigenti nella convinzione di dover mettere fine alle agitazioni di piazza e alla guerra per passare alla ricostruzione di una Francia libera e repubblicana.

Intervista impossibile a Maximilien Robespierre, p. 310

  La Francia del Direttorio

il Terzo stato, la francia schierata in difesa della Rivoluzione, era tutt’altro che omogeneo sotto il profilo sociale. sotto Robespierre avevano goduto di voce in capitolo soprattutto le componenti popolari, desiderose di giustizia sociale e di fratellanza, e almeno in parte disposte a rinunciare, in nome di queste, alla libertà. ora, cessato il pericolo di un ritorno al potere delle forze del passato e di un’invasione straniera, l’iniziativa era di nuovo nelle mani di quegli strati sociali abbienti (mercanti, banchieri, proprietari, professionisti) che cinque anni prima avevano guidato la rivolta del Terzo stato agli stati generali e che non avevano alcuna intenzione di assecondare i sogni di egualitarismo sociale radicale coltivati dai sanculotti e dai montagnardi. 305

SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

LESSICO Direttorio In francese il termine directoire (dal latino directorium, “via tracciata”) fu introdotto nel 1795 per indicare un collegio direttivo.

Dopo la caduta di Robespierre, il governo della francia restò abbastanza stabilmente nelle mani di una maggioranza moderata per diversi anni. in questo periodo, durante il quale il potere fu detenuto da un Direttorio di cinque membri nominato dalla convenzione, si assistette alla liberalizzazione della vita economica, alla revoca della costituzione dell’anno i e all’emanazione di una Costituzione nuova (detta dell’anno III e promulgata nel 1795). Questa restrinse drasticamente il diritto elettorale, stabilendo una soglia censitaria simile a quella prevista dalla costituzione del 1791.

APPROFONDIRE

Le Costituzioni della Rivoluzione emanata nel settembre 1791 ammetteva voto i cittadini “attivi”, ovvero le persone di sesso maschile Ldi etàaal Costituzione superiore ai venticinque anni che pagassero tasse pari al valore di almeno tre giornate di lavoro. Questi ultimi (pari a circa un quinto dei francesi) eleggevano alcuni “grandi elettori” (persone che pagassero tasse pari al valore di almeno dieci giornate di lavoro), i quali a loro volta eleggevano l’Assemblea nazionale, investita del potere legislativo. Il re aveva però un diritto di veto sulle deliberazioni dell’Assemblea e deteneva il potere esecutivo, anche se sotto il controllo dell’Assemblea. La magistratura, il potere giudiziario, separato da quello legislativo e da quello esecutivo, era elettiva, come pure lo erano i responsabili delle cariche amministrative periferiche. La Costituzione del 24 giugno 1793 (Costituzione dell’anno I) era preceduta da una nuova Dichiarazione dei diritti – forse la parte politicamente più rilevante del testo –, tra i quali venivano elencati, in particolare, quelli “sociali” (articolo 21 sul diritto al lavoro e all’assistenza, articolo 22 sull’istruzione pubblica) e quelli tesi a scongiurare la rinascita sotto mentite spoglie del dispotismo politico (articolo 33 sul diritto di resistenza all’oppressione, articolo 35 sul diritto di insurrezione). Essa accordò il diritto di voto a tutti i maschi di età superiore ai ventuno anni.

Questi avrebbero dovuto eleggere direttamente un deputato ogni quarantamila persone. I deputati formavano la Convenzione nazionale, munita di potere legislativo e delegata a nominare e controllare il governo, titolare del potere esecutivo. Magistratura e amministrazione periferica erano anch’esse elettive. Questa fu la più democratica tra le Costituzioni della Rivoluzione. La Costituzione del 22 agosto 1795 (anno III) designava come cittadini attivi dotati del diritto di voto tutti i maschi di età superiore ai ventuno anni che pagassero tasse. Costoro eleggevano i “grandi elettori” (persone di età superiore ai venticinque anni e fornite di un patrimonio del valore pari ad almeno cento giornate di lavoro), che eleggevano a loro volta ogni anno un terzo dei deputati. Ogni deputato esercitava il suo mandato per tre anni; ogni anno un terzo dei deputati, a rotazione, rimetteva il proprio mandato e veniva sostituito con un nuovo eletto. I deputati formavano un Consiglio dei Cinquecento e un Consiglio degli Anziani. Il primo proponeva le leggi; il secondo le approvava (o le respingeva) e nominava un Direttorio di cinque membri investito del potere esecutivo. Veniva mantenuto, anche se secondo meccanismi diversi da quelli precedenti, il principio dell’elettività dei giudici e degli amministratori locali.

DIRETTORIO

potere esecutivo

elegge

CITTaDInI aTTIvI (ELETTORI)

Consiglio degli anziani: 250 deputati eleggono

30 000 gRanDI ELETTORI

eleggono

CORpO LEgIsLaTIvO Consiglio dei Cinquecento: 500 deputati

ammessi al voto in base al censo

CITTaDInI passIvI

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potere legislativo

esclusi dal voto in base al censo

capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

Protagonista della ripresa del movimento filomonarchico fu la cosiddetta “gioventù dorata”. Si trattava di giovani di famiglie benestanti, spesso arricchitesi durante la Rivoluzione, che indossavano abiti eleganti e avevano l’abitudine di usare un profumo al muschio (a causa di ciò furono anche detti muscadins, “moscardini”, da musc, “muschio”)

  Moderatismo e radicalismo: la Congiura degli Eguali

entro i limiti accordati dalla nuova costituzione, la francia sperimentò per qualche tempo quelle opportunità di partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere che erano state al centro delle premure dei costituenti nel 1789, ma che in seguito, per un motivo o per l’altro, erano state spesso sospese. Pareva quasi che la Rivoluzione si stesse assestando entro l’alveo di un assetto politicosociale le cui caratteristiche rendevano la francia di quegli anni distante sia da quella dell’antico regime sia da quella delle fasi più drammatiche dei primi anni repubblicani. Tra il 1794 e il 1796 non mancarono nuove agitazioni popolari. in particolare, nel 1796 un gruppo di giacobini radicali e sensibili al tema dell’eguaglianza sociale – guidato da François Noël Babeuf detto Gracco (1760-1797) – organizzò una cospirazione, detta appunto Congiura degli Eguali. essi consideravano le diversità economiche tra ricchi e poveri, che erano diventate sempre più evidenti, un’ingiustizia inaccettabile. ai loro occhi l’unico modo per mettere fine a tutto ciò era abolire la proprietà privata. Tutte le ricchezze avrebbero dovuto essere messe in comune. il tentativo di Babeuf, così come ogni altra iniziativa per rilanciare la pressione della “piazza” sul governo, venne represso e tacitato. sul versante opposto a quello del movimento giacobino, ripresero però slancio anche i filomonarchici, tanto da risultare vittoriosi alle elezioni indette nel 1797. Il Direttorio le annullò e ne indisse altre per l’anno seguente, con la speranza che questa volta gli elettori premiassero la sua politica moderata. fu invece la “sinistra” di ispirazione giacobina a ottenere i maggiori consensi e il Direttorio annullò nuovamente le elezioni. Dopo questi avvenimenti diventò chiaro che il governo faticava a tenere sotto controllo la situazione e la sua autorità a poco a poco si indebolì.

LESSICO Gracco Il soprannome di Babeuf era un richiamo storico ai fratelli Gracchi di epoca romana, promotori di importanti riforme agrarie.

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SEZIONE 3 - LE rIvOLuZIONI atLaNtIchE

ANALIZZARE LA FONTE

Il Manifesto degli Eguali Autore: Sylvain Maréchal Tipo di fonte: manifesto programmatico Lingua originale: francese Data: 1797

Ritratto di Gracco Babeuf, disegno anonimo, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Nazionale)

Il Manifesto degli Eguali, di cui riportiamo alcuni passi, è il testo programmatico della Congiura degli Eguali ispirato da “Gracco” Babeuf e redatto da Sylvain Maréchal, principale teorico del gruppo. In esso Babeuf e i suoi compagni invitano il popolo francese a completare la Rivoluzione rivendicando l’eguaglianza sociale e non solamente quella giuridica.

L’uguaglianza! Primo voto della natura, primo bisogno dell’uomo, e primo elemento di ogni associazione legittima! Popolo di francia! Tu non sei stato favorito più delle altre nazioni che vegetano su questa misera terra! […] Da tempo immemorabile ci si ripete ipocritamente, gli uomini sono uguali; e da tempo immemorabile l’ineguaglianza più avvilente e più mostruosa pesa insolentemente sul genere umano. […] oggi, quando è richiesta da una voce più potente, la risposta è: tacete, miserabili! L’uguaglianza di fatto non è che una chimera; accontentatevi dell’eguaglianza relativa: voi tutti siete uguali di fronte alla legge. canaglia e che vuoi di più? che cosa vogliamo di più? Legislatori governati, ricchi proprietari: ascoltate a vostra volta. […] noi miriamo a qualcosa di più sublime e di più equo, il bene comune o la comunità dei beni! non più proprietà privata della terra: la terra non è di nessuno. noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: la terra non è di nessuno. noi reclamiamo, vogliamo il godimento comune dei frutti della terra: i frutti appartengono a tutti. f. Buonarroti, Cospirazione per l’eguaglianza detta di Babeuf, einaudi, Torino 1982 Domande alla fonte 1. Quali sono i due soggetti a cui si rivolge il testo? 2. In che cosa consistono rispettivamente l’eguaglianza relativa e l’eguaglianza di fatto?

  L’ascesa dei militari: dal Direttorio al Consolato

La situazione politica interna nel 1799 restava incerta e l’esercizio della sovranità da parte dei cittadini era spesso ancora inceppato e difficile. sul fronte esterno invece, soprattutto quello militare, la francia repubblicana poteva nutrire maggiore fiducia in se stessa nonostante nel frattempo si fosse formata una seconda coalizione antifrancese (dicembre 1798) promossa dall’inghilterra e a cui aderirono l’austria, la Russia, la Prussia, il Regno di napoli e l’impero ottomano. Gli eserciti francesi che, dopo avere difeso la patria, stavano dilagando in tutta europa ottenevano successi continui, con il risultato che i generali che li guidavano acquistavano ogni giorno di più agli occhi della gente quella stessa popolarità che i politici stavano invece perdendo. nell’ottobre 1799 ebbe luogo il ritorno, accolto trionfalmente, del generale Napoleone Bonaparte dalla difficile campagna d’egitto. egli negli anni precedenti era stato inviato dal Direttorio a combattere contro gli austriaci e aveva conquistato vaste porzioni d’europa, istituendo nelle aree occupate dai suoi eserciti (tra cui l’intera penisola italiana) una serie di repubbliche, dotate di istituzioni simili a quelle francesi (v. cap. 15, par. 15.1). 308

capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

un mese più tardi, in seguito al colpo di Stato del 18 brumaio (9 novembre), organizzato da sieyès (l’autore del pamphlet Che cos’è il Terzo Stato?, v. approfondire, p. 278), il Direttorio, incapace di controllare tanto la “piazza” di sinistra (giacobini) quanto quella di destra (filomonarchici), cedette le redini del potere a una triade di consoli: Bonaparte, Sieyès e Roger Ducos (1747-1816), già membro del Direttorio.   La fine della Rivoluzione?

con l’avvio della stagione consolare, la Rivoluzione francese – intesa come esperienza collettiva di partecipazione della cittadinanza all’esercizio dal basso del potere, e al tempo stesso come teatro di un violento conflitto politico-sociale tra le diverse componenti della nazione – poteva dirsi conclusa. Di quel conflitto, e dei suoi esiti, restavano però ben visibili molte tracce. e di queste vogliamo segnalarne ancora due, oltre a quelle già di volta in volta passate in rassegna: la forte redistribuzione della proprietà terriera in seguito alla vendita dei beni nazionali, e la contestuale espansione di quella Francia della piccola borghesia proprietaria, che aveva del resto in molti frangenti costituito l’anima della Rivoluzione. va infine ricordato che i principi alla base della Rivoluzione francese hanno da quella data in avanti orientato il cammino della democrazia nel mondo contemporaneo. Parlare di quella rivoluzione significa, per questo, parlare di noi stessi, dei valori irrinunciabili della società e del mondo in cui viviamo.

Blaise Chataigner, I tre consoli, XIX secolo (Parigi, Biblioteca Thiers)

APPROFONDIRE

La campagna d’Egitto el 1798, allo scopo di ostacolare la navigazione britanniNBonaparte ca in direzione dell’India, il Direttorio conferì a Napoleone l’incarico di occupare l’Egitto. Era anche un modo per allontanare momentaneamente dal paese il generale corso, di cui molti ormai a Parigi temevano la crescente popolarità. La spedizione militare fu affiancata da una parallela spedizione scientifica, alla quale presero parte i più rinomati studiosi francesi dell’antica civiltà egizia, che nel corso del Settecento aveva suscitato un fascino fortissimo nella cultura europea (si pensi, per esempio, al Flauto Magico di Mozart, che è appunto ambientato in Egitto). Nel corso della spedizione, i francesi scoprirono la famosa stele di Rosetta, una lastra di basalto sulla quale è inciso un testo in greco, in geroglifico e in demotico (stessa lingua del geroglifico, ma con diversa grafia). Grazie a questa scoperta, è stato possibile in seguito decifrare l’antico alfabeto egizio, e avviare, così, una più approfondita conoscenza di una straordinaria civiltà, la quale era stata fino a quel momento in larga parte avvolta nel mistero. Alla testa di 38 000 uomini, Napoleone sbarcò in Egitto all’inizio dell’estate 1798 e sconfisse l’esercito mamelucco, impadronendosi del paese. La flotta che aveva trasportato le truppe francesi patì però nell’estate una disastrosa sconfitta ad opera della flotta inglese, comandata da Orazio

Nelson, nella battaglia navale di Abukir. Lo scopo principale della spedizione in Egitto non venne, dunque, conseguito. Bonaparte rimase in Egitto per oltre un anno e tentò anche – senza successo – la conquista della Siria. Nell’estate del 1799 fece segretamente ritorno in Francia, dove si sarebbe presto imposto ai vertici della repubblica.

La stele di Rosetta

309

D Robespierre, siete senza dubbio uno dei personaggi più famosi della Rivoluzione francese, ma, a distanza di tempo, il giudizio degli storici su di Voi è controverso e ambivalente. C’è chi vi ricorda soprattutto per la drammatica stagione del Terrore, quando centinaia di teste rotolarono a terra mozzate dal colpo della ghigliottina; e chi, invece, pensa a Voi come a colui che più di ogni altro si batté perché la Rivoluzione si mantenesse fedele al suo slancio ideale egualitario. Quale strada Vi ha portato verso questo ambiguo destino?

R Sono nato nel 1758 in provincia, ad Arras, in una famiglia che da generazioni annoverava avvocati e notai. I miei genitori morirono quand’ero fanciullo, ma malgrado questo, seppure a fatica, mi riuscì di mantenere viva la tradizione familiare. Nel 1781 ho conseguito la laurea in legge alla Sorbona, e poi sono tornato nella mia città, dove sono stato per anni un avvocato di successo, ma mentre tenevo le mie arringhe in tribunale, continuavo a divorare la letteratura illuminista che avevo scoperto durante il soggiorno parigino. Rousseau, con le sue idee di eguaglianza, mi piaceva più di tutti. Quando, nel 1789, fui designato come deputato del Terzo stato per la provincia dell’Artois agli stati generali, tornai a Parigi deciso a fare in modo che almeno una parte di quello che avevo letto e amato divenisse realtà.

D All’assemblea degli stati generali i deputati del Terzo stato si contavano a centinaia. Come Vi riuscì di distinguervi tra tanti e di diventare un leader?

R Fui tra coloro che, fin dalle prime battu-

Intervista impossibile - 5 domande a

te della Rivoluzione, assunsero un atteggiamento radicale, coerente anche nei dettagli della vita quotidiana con i principi in cui credevano. I mezzi non mi mancavano e avrei potuto, come fecero altri, accomodarmi in un’abitazione agiata e confortevole.

MaxiMilien

RobespieRRe

e

Invece presi una semplice stanza in affitto L’alleanza però non durò a lungo. I gi- D In questo Libertà ed in casa di un falegname. A causa della rondini, sì, riuscimmo a sconfiggerli, ma modo, però, non eguaglianza. mia austerità, mi guadagnai la fama di poco dopo Marat venne assassinato da finì per andare “incorruttibile”, il soprannome che mi fu Charlotte Corday, una reazionaria. E smarrita la strada Sono due dato. Intanto tenevo discorsi incande- qualche mese più tardi fui proprio io a della democrazia? componenti scenti prima all’Assemblea nazionale, poi firmare il decreto di condanna a morte di E che ne fu, alla Convenzione, e mi battevo per Danton e dei suoi seguaci. Erano divenu- durante il Terrore, essenziali della l’estensione dell’eguaglianza anche agli ti troppo moderati, al punto che, per di quei principi di Rivoluzione per ebrei e ai neri; una posizione che allora schernirli, noi giacobini radicali li chia- libertà che erano erano davvero in pochi a condividere… mavamo “gli indulgenti”. stati il vanto della la quale ho speso Nel 1790 divenni presidente del club dei Rivoluzione, il la mia vita. Ma giacobini e l’anno dopo lanciai una D Ecco, siamo giunti a parlare del simbolo della sua non sempre è campagna per l’introduzione del suffra- periodo del Terrore, che coincide con inconciliabilità l’ultimo anno della Vostra vita. Che possibile averle gio universale. Dopo il suo tentativo di con l’antico fuga – nel giugno del 1791 – diventai cosa avvenne? regime? tutte e due sempre più ostile al re e alla monarchia. R La Francia era assediata dalla coali- R Libertà ed eguazione controrivoluzionaria e glianza. Sono due dovemmo decretare la leva in componenti essenziali della Rivoluzione massa, per difendere le fron- per la quale ho speso la mia vita. Ma tiere della nostra nazione. Il non sempre è possibile averle tutte e momento era tragico ed era due simultaneamente; anzi, tra di esse necessario che tutto il paese si esiste un certo stato di tensione perraccogliesse senza il minimo manente, che in occasione di eventi tentennamento, e che i più ric- eccezionali emerge allo scoperto. Tra chi sacrificassero parte di il 1793 e il 1794 la Francia era in staquanto avevano a sollievo dei to di emergenza e stava per crollare. meno agiati. È quanto scrissi Io volevo mantenerla in vita a tutti i nella nuova Dichiarazione dei costi. So di aver calpestato la libertà, diritti dell’uomo e del cittadino, e di averlo fatto in modo particolarNell’agosto del 1792 fui io a organizzare che feci inserire nella Costituzione del mente feroce, neppure ora saprei un moto popolare contro Luigi XVI e quan- 1793. Poi, per venire incontro alle esi- dire se davvero ho sbagliato. Certado, nel gennaio del 1793, discutemmo genze dei sanculotti, le maestranze arti- mente, molti ormai pensavano che della sua condanna a morte, non esitai a giane di Parigi che mi appoggiavano, fosse così. Perfino i sanculotti, come membro del Comitato di salute quando si accorsero che il maxivotare a favore. pubblica feci approvare mum colpiva duramente anche i D Queste battaglie le un decreto che stabiliva loro salari, cominciarono a negaravete condotte tutte Volli che nella il maximum, il tetto mas- mi il proprio consenso. Quando, il da solo, o c’erano simo per i prezzi e per i 28 luglio 1794, venni arrestato, repubblica anche altre figure, in salari. Infine, qualche stanco e malato com’ero, tentai di in pericolo quell’epoca, che mese più tardi, mentre suicidarmi, ma non mi riuscì. condividevano con voi regnasse la ogni giorno mandavo Qualche ora dopo mi portarono il peso e la ghigliottina ex com- alla ghigliottina sanguinante, con stessa disciplina alla responsabilità di pagni di avventura che la mascella fracassata dal colpo scelte tanto gravi? cameratesca e la non condividevano più il di pistola che poco prima mi ero R Insieme a Saint-Just stessa obbedienza mio rigore, disposi la sparato invano. distribuzione gratuita ai e a Couthon eravamo i che ci si aspetta patrioti bisognosi dei capi del partito della beni dei sospetti controMontagna – il più intran- di trovare in un rivoluzionari. Volli che sigente – e per qualche esercito nella repubblica in peritempo ci alleammo con colo regnasse la stessa Danton e con Marat per combattere il partito della Gironda, che disciplina cameratesca e la stessa obbesecondo noi era troppo tenero nei con- dienza che ci si aspetta di trovare in un esercito. fronti della monarchia.

Il laboratorio dello storico

Verso

Feste e riti rivoluzionari

le competenze

• Saper leggere, valutare e confrontare diversi tipi di fonti • Comprendere i modi in cui gli studiosi costruiscono il racconto della storia • Utilizzare semplici strumenti della ricerca storica

Una nuova misura delle cose e del tempo I dieci anni rivoluzionari furono scanditi da una sequenza di avvenimenti clamorosi: la presa della Bastiglia, la fuga del re, la sua condanna a morte, il Terrore ecc., ma tra l’uno e l’altro la Rivoluzione continuò ad avere luogo ogni giorno; si espresse in gesti quotidiani, in riti, in cerimonie che diedero l’impronta alla percezione del senso della vita, ai pensieri, alle aspettative e alle speranze di un’intera generazione di francesi. La Rivoluzione, come ci dice in questo passo la storica Lynn Hunt, toccava infatti i piani più elementari della vita di ciascun individuo: «[sotto la repubblica si cercò di far] parlare [a tutti] la medesima lingua [e] usare gli stessi pesi e misure […]. Si costituì una commissione per l’istituzione del sistema metrico decimale, e la Convenzione stabilì un nuovo calendario». (L. Hunt, La rivoluzione francese. Politica, cultura, classi sociali ). L’immagine e la tabella che qui presentiamo chiarisce le concordanze tra il nuovo e il vecchio calendario.

La settimana di sette giorni sarebbe stata sostituita da una “decade” (primodì, duodì, tredì … dicadì). ve ne sarebbero state tre per ogni mese. esse ordinavano razionalmente i giorni senza bisogno di nomi di santi

Concordanze del nuovo calendario rivoluzionario con il vecchio calendario Vendemmiaio Brumaio Frimaio Nevoso Piovoso Ventoso Germinale Fiorile Pratile Messidoro Termidoro Fruttidoro

312

dal 22 settembre al 21 ottobre dal 22 ottobre al 20 novembre dal 21 novembre al 20 dicembre dal 21 dicembre al 19 gennaio dal 20 gennaio al 18 febbraio dal 19 febbraio al 20 marzo dal 21 marzo al 19 aprile dal 20 aprile al 19 maggio dal 20 maggio al 18 giugno dal 19 giugno al 18 luglio dal 19 luglio al 17 agosto dal 18 agosto al 16 settembre

in forza della nuova ripartizione a base decimale, restavano scoperti cinque giorni (dal 17 al 21 settembre compresi), ai quali venne dato il nome di giorni “sanculottidi”, e che vennero consacrati alle feste

come fa osservare Lynn Hunt: «al posto dei nomi dell’“era volgare”, mesi e giorni avrebbero avuto nomi che riflettevano la natura e la ragione. Germinale, fiorile e pratile (fine marzo - fine giugno), per esempio, facevano pensare ai boccioli e ai fiori della primavera»

capItOLO 13 - La rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

Dalla Marianne a Ercole Il forte richiamo alla natura e alla razionalità comportò per i rivoluzionari il contestuale ripudio dei simboli e delle pratiche di derivazione cristiana, nei quali si percepiva l’opprimente eredità del passato. Il posto della croce venne così preso dall’albero della Libertà e si assistette alla formalizzazione di una vera e propria fede, alternativa a quelle esistenti: una fede laica, che si espresse in feste e in celebrazioni. La festa della Libertà che si tenne a Parigi nell’ottobre 1792 fu celebrata in una piazza al cui centro si trovava prima la statua del re. Al suo posto c’era ora una statua di donna, chiamata Marianne, simbolo di una nazione intera che celebrava nella Libertà la madre di tutti i francesi.

Riprodotta sugli atti ufficiali, sui sigilli, sulle monete, quella donna con il cappello frigio si presentava ogni giorno ai cittadini, accompagnando ogni loro gesto. venne chiamata Marianne, nomignolo affibbiatole dai nostalgici dell’antico regime, che la ridicolizzavano dipingendola come una sorta di Maria (la madre di cristo) di rango inferiore, ma che poi venne adottato con affettuosa partecipazione da chi invece nella Rivoluzione credeva, e vedeva in Marianne l’immagine di una divinità benigna e umanizzata

La Libertà, o Marianne, patrona dei francesi, stampa a colori, XVIII secolo

Il ripudio dei simboli cristiani portò successivamente i rivoluzionari ad accostarsi all’antichità classica. Dopo la stagione di Marianne – condivisa da rivoluzionari di ogni tendenza – si assistette durante il periodo robespierriano a quella di Ercole, di cui vennero erette statue alte fino a quindici metri, per simboleggiare l’energia del popolo e il suo orgoglio di avere cancellato dal proprio presente le passate condizioni di oppressione.

Il popolo francese, nelle vesti di Ercole, uccide l’idra del federalismo, incisione, XVIII secolo (Parigi, Museo Carnavalet)

alla femminilizzazione di alcuni simboli collettivi non corrispose l’attribuzione alle donne degli stessi diritti dei cittadini maschi. al genere femminile si attribuivano quei tratti di sentimentalità e di debolezza che si riteneva ne facessero la facile preda dell’autoritarismo del passato. Mentre si celebrava Marianne, si continuava comunque a temere che dietro la sua apparenza potesse celarsi Maria, madre di un dio dal quale i monarchi pretendevano derivasse il loro diritto di maltrattare i propri sudditi

Ercole era simbolo del lavoro manuale, disprezzato sotto l’antico regime e ora divenuto invece tratto identificativo dell’“ala sinistra” della Rivoluzione, dei sanculotti che si battevano per la giustizia sociale Dalla leggiadra Marianne al nerboruto Ercole: da un simbolismo femminile, riferimento collettivo per entrambi i sessi, a uno marcatamente maschile e virilista. La cittadinanza moderna nasceva tutta al maschile

NeiNeipanni dello storico Nei dello storico pannipanni dello storico Un calendario e due fonti iconografiche. Questi sono i materiali dei quali è stato fatto uso in questo laboratorio. Si tratta di fonti prodotte all’epoca dei fatti esposti in questo capitolo, così che esse lo illustrano, per così dire, in diretta. • Quali sono i nessi che si possono stabilire tra i nomi dei mesi del calendario rivoluzionario e i valori espressi dalla Rivoluzione stessa? • Virilità degli oppressi e femminilità della Repubblica. Come si conciliano tra loro questi valori, che ci vengono proposti da un accostamento tra la prima e la seconda fonte iconografica?

313

capItOLO 13

Mappa

LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1793-1799)

rIvOLuZIONE fraNcESE (1793-1799)

repubblica

politica sociale: • Maximum dei prezzi • Costituzione dell’anno I (diritto elettorale esteso), che però non entra in vigore

repressione del dissenso: • Tribunale rivoluzionario • Comitato di salute pubblica • Massacro dei girondini • Chiusura dei club femminili

Difficoltà: • Inflazione degli assegnati e crisi economica

• Dissidenza controrivoluzionaria (rivolta “federalista” e della vandea) • guerra contro la coalizione antifrancese

che contribuiscono a

affermazione del terrore

314

robespierre e il terrore L’uguaglianza si sostituisce alla libertà

Direttorio

prevalgono le istanze borghesi: • liberalizzazione economica

• Costituzione dell’anno III si inasprisce la repressione contro i girondini

Legge dei sospetti (giugno 1794) contro arrabbiati e indulgenti

reazione termidoriana: • Robespierre viene

(ritorno al censitario)

Difficoltà: • Congiura degli Eguali • ripresa del movimento filo-monarchico

• seconda coalizione antifrancese

Colpo di stato di brumaio

giustiziato (luglio 1794)

• alla Convenzione si sostituisce il Direttorio

Il potere va al consolato

Fine della Rivoluzione, ma permanenza dei suoi valori

capItOLO 13

LA RIVOLUZIONE FRANCESE (1793-1799)

Sintesi 13.1 LE DIFFICOLTà DELLA REPUbbLICA: LA GUERRA, L’INFLAZIONE E LA REAZIONE DELLA VANDEA Dopo la proclamazione della repubblica il governo rivoluzionario si trovò ad affrontare due questioni importanti: la guerra all’esterno e l’inflazione all’interno. Da un lato, infatti, molti paesi europei strinsero un’alleanza (prima coalizione antifrancese) contro il tentativo di espandere il processo rivoluzionario al di fuori della francia; dall’altro i costi dell’esercito e il minor numero di entrate costrinsero a emettere più cartamoneta di quanto corrispondesse alla ricchezza reale del paese con gravi conseguenze sull’innalzamento dei prezzi dei beni di prima necessità. a questi problemi si aggiunsero rivolte come quella filomonarchica nella provincia della Vandea e quella federalista che non accettava l’accentramento del potere nella capitale. entrambe furono represse. 13.2 LA SVOLTA AUTORITARIA DEL 1793 La convenzione rispose a questa situazione da un lato promuovendo una politica sociale in favore della popolazione (come il maximum dei prezzi: un calmiere, ovvero il limite massimo di prezzo fissato dalle autorità per beni di prima necessità) contemporaneamente la convenzione si occupò di reprimere il dissenso. nacquero il Tribunale rivoluzionario e il Comitato di salute pubblica che avevano il compito di sorvegliare sull’ordine del paese. fu anche emanata una seconda Costituzione (giugno 1793) che prevedeva il suffragio generale maschile, ma che non entrò mai in vigore. La convenzione introdusse anche un nuovo calendario e un nuovo sistema di misure: la storia di Francia ripartiva da zero e iniziava un nuovo ciclo, quello aperto dall’anno i della Repubblica, basata sulla libertà, l’eguaglianza, la fraternità. Questi provvedimenti erano stati promossi dall’ala più radicale della convenzione, i montagnardi, che appoggiavano le richieste portate avanti dai sanculotti. nel giugno 1793 questi ultimi pretesero l’arresto dei deputati girondini che difendevano gli interessi della ricca borghesia. La svolta autoritaria del 1793 trovò un puntuale riscontro anche nella sempre più marcata esclusio-

ne delle donne dalla vita pubblica con la chiusura dei circoli rivoluzionari femminili e la condanna a morte di olympe de Gouges.

13.3 DAL TERRORE AL CONSOLATO La lotta contro i nemici della Rivoluzione sfociò tra il 1793 e il 1794 nel Terrore, culminato nella “legge dei sospetti” del giugno 1794 che permetteva la condanna alla ghigliottina solo sulla base dei sospetti dei giudici. nel comitato di salute pubblica si impose Robespierre, un montagnardo particolarmente sensibile al tema dell’eguaglianza sociale, che finì però per eliminare tutti i suoi oppositori, prima i più radicali (gli arrabbiati), poi i più moderati (gli indulgenti). Ma questo clima di paura, alla fine, gli si rivoltò contro: il 9 termidoro fu anch’egli imprigionato e il giorno successivo ghigliottinato. seguì una fase più moderata nella quale il governo, in base alla nuova Costituzione del 1795, che ristabilì la distinzione tra cittadini attivi e passivi, passò nelle mani di un Direttorio, composto di cinque membri. La francia visse una fase di maggiore stabilità e poté finalmente sperimentare, entro i limiti previsti dalla nuova costituzione, l’opportunità di partecipazione dei cittadini all’esercizio del potere. Tuttavia, nel corso degli anni, anche l’autorità del Direttorio si indebolì, mentre cresceva il fascino esercitato dai generali dell’esercito che stavano realizzando grandi conquiste. il 9 dicembre 1799 (18 brumaio) Napoleone Bonaparte, rientrato in francia dopo una serie di vittorie nella penisola italiana e dopo la campagna d’egitto, con un colpo di Stato instaurò un nuovo governo composto da tre consoli di cui, oltre a lui, fecero parte sieyès e Ducos.

315

Identità collettiva e cittadinanza

u Inclusione Esclusione

François Boucher, Ritratto di Madame de Pompadour, 1756 (Monaco, Alte Pinakothek)

La cittadinanza asimmetrica La nuova emarginazione delle donne

u

no degli argomenti che tennero banco nei dibattiti svoltisi all’interno delle varie assemblee legislative negli anni della Rivoluzione francese fu quello dell’organizzazione dell’istruzione pubblica. La si voleva dare a tutti, dal momento che veniva considerata uno degli strumenti più importanti per costruire una società contraddistinta da mobilità sociale e giusta considerazione del merito personale, a prescindere dalle condizioni di nascita. A tutti, abbiamo detto; ma la maggior parte dei rivoluzionari pensava che questo sostantivo potesse declinarsi – anche nel mondo nuovo che intendevano edificare – solo al maschile. Tutti, dunque, ma non tutte. In un paio di occasioni furono ammesse nell’Assemblea nazionale, che era composta solo di uomini, alcune oratrici esterne che pronunciarono alcuni discorsi all’uditorio discorsi a favore dell’estensione dell’istruzione anche alle donne. Nel 1790 intervenne in quella sede Madame Mourat e due anni più tardi fu Etta Palm von Aelders a tenervi un infiammato intervento, nel quale rivendicava con forza non solo l’istruzione delle fanciulle, ma anche l’introduzione dell’autonomia legale delle donne a 21 anni, l’istituzione del divorzio, la libertà politica e l’eguaglianza dei diritti per entrambi i generi. L’Assemblea ascoltò con una certa distrazione quegli interventi, anche se diede mandato ad Antoine Caritat, marchese di Condorcet, di preparare uno studio preliminare sull’argomento, cosa che Condorcet, figura

Esclusione

influente dell’Assemblea e personaggio indubbiamente sensibile alla tematica, fece con passione. Ne scaturirono, tra il 1790 e il 1791, le sue Cinq Mémoires sur l’instruction publique, nelle quali egli difendeva l’istruzione “mista”, cioè aperta anche alle donne, dalle accuse di immoralità che molti le attribuivano. La si tacciava, infatti, di corrompere la “debole” natura femminile e di disseminare a piene mani indesiderabili turbamenti e pericolosi stati confusionali; il presupposto di un comportamento indocile e lascivo. Ecco come si era espresso in proposito, alla fine del Seicento, l’abate François Fenelon, formulando pensieri che a distanza di un secolo molti rivoluzionari continuavano a condividere appieno: «Non debbono certo le giovani donzelle essere assai dotte; la curiosità le rende vane e affettate […]. Le donne ricevute tra i deputati dell’Assemblea naziona

le, stampa, XVIII secolo

317

Inclusione Esclusione

Le fanciulle malamente istruite e non occupate hanno un’immaginazione sempre errante: in mancanza di solido alimento, la loro curiosità tutta si rivolge verso oggetti vani e pericolosi. Quelle che hanno dello spirito, si erigono sovente in affettate pose, e leggono; esse si appassionano per i romanzi, per le commedie, per i racconti di avventure chimeriche, nelle quali l’amor profano è sovente mescolato; esse rendonsi lo spirito visionario, accostumandosi al linguaggio magnifico degli eroi dei romanzi; e in questo modo si guastano per il mondo e per la società».

Identità collettiva e cittadinanza Jean-Honoré Fr agonard, Giovan e donna intenta

alla lettura, 1776

circa (Washingto n,

National Gallery )

c

ondorcet, invece, sosteneva che, lungi dal favorire tendenze perverse, l’educazione mista avrebbe sollecitato il senso di emulazione, contribuendo a fare delle donne degli esseri completi, perfettamente capaci non solo di sovrintendere all’educazione dei figli, ma, più in generale, di dotarsi di tutti gli strumenti necessari per partecipare attivamente alla vita politica. Tuttavia, come quelle delle due oratrici che abbiamo ricordato, anche le sue argomentazioni – tese a rendere davvero inclusiva la nuova cittadinanza edificata dal progetto rivoluzionario – incontrarono scarso consenso tra gli uomini dell’Assemblea nazionale. Questi ultimi, del resto, per dare fondamento alla propria misoginia si rifacevano niente meno che a Rousseau, il quale nei suoi scritti aveva sempre assegnato alle donne un ruolo del tutto accessorio e subordinato a quello dell’uomo, considerandole di fatto creature di rango inferiore. C’era anche qualcuno, come Charles-Maurice Talleyrand – futuro principe della diplomazia europea – , che 318

accettava l’idea di un’istruzione generalizzata per le donne, ma secondo lui essa doveva comunque risultare diversa da quella impartita ai cittadini di genere maschile: «Tutte le materie insegnate nelle scuole pubbliche avranno lo scopo di preparare le fanciulle alle virtù della vita domestica e di insegnare loro tutto quanto è utile a crescere una famiglia». Altri, invece, erano ancora più ostili all’inclusione delle donne nello spazio istituzionale dell’istruzione, ovvero in quello che poteva essere considerato come lo stadio iniziale nella conquista di una piena cittadinanza;

La cittadinanza asimmetrica per esempio Charles Gilbert Romme, che, sempre in sede di Assemblea legislativa, suggerì che istruire le donne non era affatto necessario perché le si poteva formare direttamente in casa all’esercizio delle attività domestiche che la natura aveva loro assegnato.

a, ni, 1715 (Bologn i, Donne e bambi rin ba m Ga pe ep Gius

nale) Pinacoteca Nazio

i

l risultato del dibattito fu che i governi rivoluzionari non approvarono mai un piano di istruzione a livello nazionale che offrisse veramente spazio alla scolarizzazione femminile. E restare escluse dalla scuola per le donne significò anche restare escluse dalla cittadinanza. Alcune avevano cercato, nella prima fase della Rivoluzione, di organizzarsi anche al di fuori degli spazi istituzionali ufficiali, prendendo parte alle manifestazioni di piazza, oppure raccogliendosi in club politici femminili, ma un decreto del 30 ottobre 1793 ne aveva imposto lo scioglimento. Qualche giorno più tardi Olympe de Gouges, la principale leader del movimento femminile sorto dopo la Rivoluzione, cadde sotto i colpi della ghigliottina con l’accusa di «aver voluto essere uomo di Stato e dimenticato le virtù che si convengono al suo sesso». Quella istituita dalla Rivoluzione rimase dunque a lungo una cittadinanza asimmetrica, basata sull’esclusione delle donne.

Museo Francisco Goya y Lucientes, La lattaia di Bordeaux, 1827-1828 (Madrid,

del Prado)

319

SEZIONE 3

LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE

ESERCIZI ORIENTARSI NEL TEMPO E NELLO SPAZIO

1

Riordina cronologicamente gli eventi elencati scrivendo accanto a ciascuno di essi la data e inserendo nei quadratini la corretta successione. ➜ cap.11 a. b. c. d. e. f. g. h. i.

2

                 

Declaratory act  Battaglia di Yorktown  Fondazione del Partito repubblicano  Costituzione americana  Stamp act  Primo Congresso continentale americano  Dichiarazione di indipendenza  Boston tea party  Battaglia di Saratoga 

Costruisci una linea del tempo su cui collocare opportunamente i seguenti eventi.

➜ cap.12

Giuramento della Pallacorda • Presa della Bastiglia • Marcia su Versailles • Abolizione dei diritti feudali • Costituzione civile  del  clero  •  Proclamazione  della  repubblica  •  Dichiarazione  di  guerra  all’Austria  •  Convocazione  degli  stati  generali  • Nascita della Convenzione • Tentativo di fuga del sovrano

3

Costruisci una linea del tempo su cui collocare opportunamente i seguenti eventi.

➜ cap.13

Vittoria  di  Fleurus  •  Espulsione  dei  giacobini  dalla  Convenzione  •  Colpo  di  Stato  di  Napoleone  •  Nascita  del  Direttorio  • Rivolta della Vandea • Istituzione del Comitato di salute pubblica • Arresto di Robespierre

4

320

Segna sulla carta le direttrici del commercio triangolare e le principali merci trasportate su ogni tratta.

➜ cap.10

5

Segna sulla carta i nomi delle tredici colonie inglesi che chiesero l’indipendenza dalla madrepatria. ➜ cap.11  

uSARE IL LESSICO STORICO

6

Fornisci una definizione di ciascun termine o espressione (max 5 righe). a. b. c. d. e. f.

➜ cap.10

campi aperti maggese autoconsumo siderurgia società di mestiere luddismo

7

Fornisci la definizione e spiega la differenza tra “federazione” e “confederazione”.

8

Scrivi un breve testo utilizzando le seguenti espressioni.

➜ cap.11

➜ cap.12

stati generali • Terzo stato • voto per testa

9

Chi erano i sanculotti? Rispondi spiegando anche l’origine del termine.

10 Fornisci la definizione dei seguenti termini. a. b. c. d.

➜ cap.12

➜ cap.13

Terrore Assegnati Maximum Direttorio 321

SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE

ORgANIZZARE E COLLEgARE LE INFORMAZIONI

11 Indica se le seguenti affermazioni sono vere o false. Correggi poi quelle che ritieni false.

➜ cap.10



V    F

a. La rivoluzione agraria consistette in un nuovo sistema di rotazione delle colture che sfruttava  le qualità fertilizzanti delle piante foraggere.  b. Quello dei piccoli proprietari inglesi fu il ceto sociale che favorì lo sviluppo della rivoluzione industriale.  c. L’industria tessile fu il settore trainante della rivoluzione industriale.  d. Con lo sviluppo dell’industria del cotone si intensificarono i rapporti commerciali tra l’Europa  e gli Stati Uniti d’America.  e. Alla fine del Settecento il sistema di fabbrica si diffuse uniformemente in tutto il territorio inglese.  f. I Combination acts erano delle leggi emanate dal Parlamento inglese per tutelare il lavoro minorile. 

12 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e.

Quali furono i principali fattori politici e sociali che favorirono l’affermarsi della rivoluzione industriale in Inghilterra? Quale relazione vi è tra la rivoluzione agraria e la rivoluzione industriale? Quale nesso vi è tra la divisione del lavoro e la perdita di importanza della specializzazione dei lavoratori? Quali conseguenze comportò nel processo di produzione l’introduzione della macchina a vapore?  Quale fu la causa del declino del commercio di cotonate dall’India? ➜ cap.11

1 Lo Stamp act era a 

un decreto che limitava la libertà di stampa un’imposta sul bollo istituita dall’Inghilterra c   un atto di sabotaggio della stampa inglese deciso dal primo Congresso continentale americano

b 

2 Il Declaratory act era: a 

un atto con cui il Parlamento inglese confermava il proprio diritto di riscuotere le imposte dai coloni una dichiarazione in cui si affermava il principio “niente tasse senza rappresentanza” c   l’atto con cui gli americani dichiararono la loro indipendenza dall’Inghilterra

b 

3 Il Boston tea party fu a 

un party pubblico di protesta in cui i coloni espressero la loro intenzione di non pagare la tassa sul tè un atto di sabotaggio: i coloni gettarono a mare il carico di tè di una nave inglese ormeggiata nel porto di Boston c   una festa a base di tè offerta dagli inglesi a Boston per cercare un compromesso con i coloni americani

b 

14 Collega correttamente i personaggi della colonna di sinistra con le definizioni della colonna di destra.

➜ cap.11

George Washington Thomas Jefferson James Madison Benjamin Franklin

15 Rispondi alle domande. a. b. c. d. e. f. 322

           

➜ cap.10

13 Scegli, tra quelle proposte, le affermazioni corrette.

1. 2. 3. 4.

           

a. b. c. d.

redattore della Dichiarazione d’Indipendenza rappresentante americano a Parigi primo presidente degli Stati Uniti esponente del movimento federalista

➜ cap.11

Quali furono i motivi principali che spinsero gli emigranti inglesi verso l’America? Quali furono le conseguenze della partecipazione degli americani alla Guerra dei sette anni? Quali furono le motivazioni che spinsero i coloni a ribellarsi alla madrepatria? Perché i coloni americani sabotarono lo smercio dei prodotti provenienti dalla madrepatria?  In che cosa la società delle colonie americane differiva da quella della madrepatria? Come si esplica il principio del reciproco equilibrio dei poteri nella Costituzione americana?

ESERCIZI

16 Individua quali affermazioni sono vere e quali false, poi correggi queste ultime.

➜ cap.12



V    F

a. La “grande paura” fu una situazione di panico collettivo che si diffuse tra i nobili, nei mesi successivi  alla presa della Bastiglia, e che li spinse in gran parte a emigrare.  b. La convocazione degli stati generali fu chiesta a Luigi XVI dall’aristocrazia che sperava in questo modo  di salvaguardare i propri privilegi dai tentativi di riforma fiscale promossi negli anni Settanta e Ottanta   dai vari controllori generali.  c. Gli stati generali proclamarono l’abolizione dei diritti feudali.  d. Il re era favorevole alla guerra perché riteneva che, una volta ottenuta la vittoria, sarebbe stato facile  restaurare il regime assolutista.  e. L’ascesa al trono di Luigi XVI coincise con un periodo di profonda crisi economica.  f. La Costituzione del 1791 stabiliva che i cittadini sono uguali di fronte alla legge ma non posseggono  gli stessi diritti politici. 

17 Rispondi alle domande.

   

                   

➜ cap.12

Perché fallirono i tentativi di riforma fiscale promossi dai controllori generali nel decennio precedente la Rivoluzione? Che cosa spinse parte del clero francese a emigrare? Quali furono gli effetti dello sventato tentativo di fuga del re?  Perché la Francia dichiarò guerra all’Austria? Quali motivi spinsero l’Assemblea costituente a proclamare l’abolizione dei diritti feudali? Quali rapporti ci furono tra i due movimenti rivoluzionari che si imposero fin dal 1789, l’uno espressione  dell’Assemblea costituente, l’altro espressione della “piazza”?  g. Come cambiarono i rapporti tra il sovrano e i nobili dalla convocazione degli stati generali allo scoppio  della Rivoluzione?  h. Perché si passò dalla monarchia costituzionale alla repubblica?  i. Perché Luigi XVI fu condannato a morte? 

a. b. c. d. e. f.

18 Osserva l’immagine e scrivi una didascalia che risponda alle seguenti domande.

➜ cap.12

a. Chi sono i personaggi raffigurati? b. Che cosa rappresenta? c. A quale società si riferisce?

323

SEZIONE 3 - LE RIVOLUZIONI ATLANTICHE

19 Collega correttamente i nomi della colonna di sinistra con i termini della colonna di destra. a. b. c. d. e.

Robespierre Herbert Danton Babeuf Ducos

1. 2. 3. 4. 5.

Arrabbiati Eguali Indulgenti Consolato Terrore

20 Individua quali affermazioni sono vere e quali false, poi correggi queste ultime.

➜ cap.13

  a. La rivolta della Vandea fu guidata dai sanculotti contro le mire accentratrici del governo rivoluzionario.  b. La legge dei sospetti permetteva di incarcerare e condannare sulla base di semplici sospetti,  senza bisogno di alcuna prova.  c. La Costituzione del 1793 fu la più democratica di quelle redatte nel periodo rivoluzionario.  d. Il Direttorio venne sostituito dal Consolato in seguito a un colpo di Stato.  e. Nella battaglia di Fleurus i francesi subirono una grave sconfitta contro i prussiani. 

21 Completa la tabella.

V    F            

       

➜ cap.13

Data

CalenDario franCese

10 giugno 1794

22 pratile

9 novembre 1799

➜ cap.13

evento

18 brumaio

arresto di Robespierre



Colpo di Stato di Napoleone

RIASSuMERE E ARgOMENTARE

22 In un massimo di 20 righe scrivi un breve testo sul perché l’Inghilterra può essere definita “il laboratorio della rivoluzione industriale”.

➜ cap.10

23 In un massimo di 10 righe sintetizza i seguenti argomenti. a. b. c. d.

➜ cap.11

Le differenze tra le colonie del Centro-Nord e quelle del Sud. I rapporti dei coloni con il Parlamento inglese. La divisione dei poteri stabilita dalla Costituzione americana. Il dibattito tra federalisti e antifederalisti.

24 Confronta la Dichiarazione di indipendenza degli Stati uniti d’America (p. 266) e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283) mettendo in luce analogie e differenze.

➜ cap.12

25 Confronta la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (p. 283) con la Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (p. 288) mettendo in luce analogie e differenze.

➜ cap.12

26 In un massimo di 10 righe sintetizza ciascuno dei seguenti argomenti.

➜ cap.13

• Analogie e differenze fra le tre Costituzioni del periodo rivoluzionario. • Gli episodi più importanti del 1793. • Le fasi della guerra della Francia contro gli altri paesi d’Europa. 

324

ESERCIZI

27 La Rivoluzione francese dimostra che libertà ed eguaglianza sono valori inconciliabili? In un massimo di 30 righe rispondi a questa domanda scrivendo un testo argomentativo.

➜ cap.13

SCRIVERE DI STORIA

28 Commenta il seguente brano di Adam Smith in un massimo di 20 righe.

➜ cap.10

Il fabbricante di spilli, nel produrre questo piccolo oggetto di poco conto, molto opportunamente si preoccupa di dividere il lavoro tra un gran numero di persone, uno addrizza il filo metallico, un altro lo taglia, un terzo lo appuntisce, un quarto lo schiaccia in cima per infilarci le capocchie; tre o quattro persone sono occupate a fare le capocchie, uno si occupa specificamente di innestarle, un altro riunisce gli spilli, e persino quello di metterli in carta è un mestiere a se stante.

29 In un massimo di 20 righe scrivi un breve testo nel quale spieghi perché gli Stati uniti sono considerati la prima democrazia moderna.

➜ cap.11

30 Dopo aver letto il brano, scrivi un tema storico dal titolo “La Francia alla vigilia della Rivoluzione” Nel seno stesso della nobiltà l’ineguaglianza era attaccata ogni giorno, se non nel suo principio, almeno in alcune delle sue applicazioni diverse. Il nobile di spada accusava di boria il nobile di toga, e quest’altro si lamentava della preponderanza accordata al primo. […] Si diffondeva così a poco a poco nella nazione il principio che soltanto l’uguaglianza era conforme all’ordine naturale delle cose, che in essa era contenuta quell’idea semplice e generale che dovrebbe presiedere all’organizzazione di una società ben regolata. […] Il principio dell’aristocrazia trionfava ancora nella società politica, ma i costumi diventavano di già democratici