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Italian Pages 320/321 [321] Year 2012
I PROBLEMI DELLA DIDATTICA a cura di Giuseppe Zanniello
Comitato Scientifico: Aleandri Gabriella, Università degli Studi di Macerata Böhm Winfried, Universität Würzburg Brezinka Wolfgang, Österreichische Akademie der Wissenschaften, Austria; Universität Kostanz, Germania Corsi Michele, Università degli Studi di Macerata Depover Christian, Facoltà di Scienze dell’educazione dell’Università di Mons, Belgio Fiorucci Massimiliano, Università degli Studi Roma Tre Frabboni Franco, Università di Bologna Hickman Larry, Southern Illinois University Carbondale, USA La Marca Alessandra, Università degli Studi di Palermo Lezcano Barbero Fernando, Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Burgos, Spagna Munoz Casado Raquel, Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Burgos, Spagna Paparella Nicola, Università del Salento Perucca Angela, Università del Salento Pinto Minerva Franca, Università degli Studi di Foggia Sadaba Charo, Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Università di Navarra, Spagna Siemienecki Bronislaw, Nicolaus Copernicus University, Torùn, Polonia Spadafora Giuseppe, Università degli Studi di Cosenza Spadolini Bianca, Università degli Studi Roma Tre Susi Francesco, Università degli Studi Roma Tre Tikhomirova Evgenya, Università di Scienze Umanistiche e Sociali di Samara, Russia Zanniello Giuseppe, Università degli Studi di Palermo
Liborio Dibattista – Francesca Morgese
IL RACCONTO DELLA SCIENZA Digital storytelling in classe
ARMANDO EDITORE
DIBATTISTA, Liborio – MORGESE, Francesca Il racconto della scienza. Digital storytelling in classe ; Pref. di Bianca Spadolini; Saluti di Ruggero Francescangeli e Carmen Genchi; Concl. di Loredana Perla Contributi di R. De Ceglie, A. Volpone, F.P. de Ceglia, C. Petrocelli, G. Sciannameo, R. Vasta, L. Ceglie, S. La Selva, S. Botta, A.L. Losito, V. Palmisano, P. Ancona Roma : Armando, © 2012 320 p. ; 21 cm. (I problemi della didattica) ISBN: 978-88-6677-079-4 1. La storia della scienza nella didattica delle scienze 2. Il digital storytelling nel contesto europeo dell’istruzione 3. La realizzazione del digital storytelling in classe CDD 300
Il presente volume è pubblicato con il contributo del MIUR, Ministero dell’Università, Istruzione e Ricerca, nell’ambito dei finanziamenti previsti dalla legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica. © 2012 Armando Armando s.r.l. Viale Trastevere, 236 - 00153 Roma Direzione - Ufficio Stampa 06/5894525 Direzione editoriale e Redazione 06/5817245 Amministrazione - Ufficio Abbonamenti 06/5806420 Fax 06/5818564 Internet: http://www.armando.it E-Mail: [email protected] ; [email protected] 05-01-059 I diritti di traduzione, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), in lingua italiana, sono riservati per tutti i Paesi. Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra SIAE, SNS e CNA, CONFARTIGIANATO, CASA, CLAAI, CONFCOMMERCIO, CONFESERCENTI il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni a uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume/fascicolo, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, telefax 02 809506, e-mail [email protected]
Sommario
Prefazione
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BIANCA SPADOLINI
Saluti dei partner
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RUGGERO FRANCESCANGELI, CARMEN GENCHI
PARTE PRIMA
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Capitolo 1: La storia della scienza nella didattica delle scienze: un quadro teorico
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LIBORIO DIBATTISTA
Capitolo 2: Media Literacy e digital storytelling nel contesto europeo dell’istruzione
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FRANCESCA MORGESE
Capitolo 3: Costruire narrazioni per l’apprendimento della scienza 69 FRANCESCA MORGESE
Capitolo 4: Promuovere le competenze in scienze e matematica con il digital storytelling a contenuto storico-scientifico
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LIBORIO DIBATTISTA
PARTE SECONDA
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Capitolo 1 “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”: progettazione, realizzazione, diffusione
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LIBORIO DIBATTISTA E FRANCESCA MORGESE
Capitolo 2: La formazione degli insegnanti per realizzare un digital storytelling: la voce degli esperti
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contributi di: ROSSELLA DE CEGLIE, ALESSANDRO VOLPONE, FRANCESCO P. DE CEGLIA, CARLA PETROCELLI, GIANLUCA SCIANNAMEO
Capitolo 3: L’immagine della scienza degli insegnanti
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LIBORIO DIBATTISTA
Capitolo 4: Raccontare la scienza a scuola: il digital storytelling a contenuto storico-scientifico nella percezione dei ragazzi 185 FRANCESCA MORGESE
Capitolo 5: La realizzazione del digital storytelling in classe: le testimonianze degli insegnanti
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contributi di: ROSA VASTA, LAURA CEGLIE, SERAFINA LA SELVA, SERAFINA BOTTA, ANNA LUISA LOSITO, VALERIA PALMISANO, PINA ANCONA
Capitolo 6: I digital storytelling realizzati. Schede tecniche
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Conclusioni
283
LOREDANA PERLA
Bibliografia
287
Allegati
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Note sui collaboratori
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Prefazione BIANCA SPADOLINI
«La storia della scienza, come quella di tutte le idee umane, è storia di sogni irresponsabili, di ostinazioni e di errori. Ma la scienza è una delle pochissime attività umane – se non l’unica – in cui gli errori vengono sistematicamente sottoposti a critica e, sovente, corretti con l’andar del tempo». Karl Raimund Popper
Le narrazioni, i racconti hanno sempre affascinato i bambini – ma anche gli adulti – in quanto danno all’immaginazione la sostanza delle origini e alla fantasia la certezza della continuità. Senza entrare nel merito della secolare diatriba delle due culture, si può affermare che la storia della scienza nella scuola italiana, come lamentano Dibattista e Morgese, non è stata introdotta perché si è convinti che le manchi l’autorità e la capacità formativa delle discipline umanistiche. Eppure sperimentalisti quali la Montessori e Piaget, scienziati e filosofi della scienza quali Einstein, Popper ed Eccles hanno dimostrato che fin dalla prima infanzia è presente nell’uomo una specificità mentale legata all’esplorazione, alla manipolazione, alla ricerca: egli è dotato di mentalità scientifica. Nella scuola si insegnano le scienze attraverso le leggi delle sue scoperte, dimenticando che esse sono il risultato di grandi fatiche, sofferenze e caparbie ostinazioni di uomini dotati di intuito e creatività, capaci di osservare e procedere, come sostiene Popper, attraverso congetture e confutazioni. Lo scienziato è come l’artista che, attraverso la realizzazione della sua opera, ci dice del suo rapporto con il mondo e della sua perenne ricerca di spiegarsi e di spiegarlo. 7
Platone cerca di organizzare la formazione dei giovani ateniesi sulle discipline quali la matematica e la musica perché hanno come fondamento il vero. Leonardo da Vinci, l’uomo che riassume in sé il Rinascimento (secolo d’oro della scienza), era contemporaneamente uno scienziato e un artista. Emblema quindi della sintesi che vede realizzata in forma d’arte l’ideazione, la riflessione e l’applicazione: scienza e arte. La storia racconta il processo conoscitivo fondato di volta in volta sugli strumenti e le conoscenze che l’uomo aveva a disposizione. Weber dimostra che il processo di razionalizzazione occidentale attraverso la tecnica affonda le sue radici nel mito. I Greci amavano la matematica e l’astronomia, ma si spiegavano il mondo attraverso i propri dei. La riflessione filosofica oggi ha fatto della filosofia della scienza il settore privilegiato per spiegare i comportamenti umani nella propria visione del mondo. Quindi la scienza è prodotto dell’uomo, della sua capacità immaginativa e razionale, così come lo sono la filosofia, la storia, la letteratura, l’arte. La storia della scienza, nel mostrare la provvisorietà dei modelli scientifici che l’uomo si è costruito nel tempo, ci dicono Dibattista e Morgese, fa capire i legami fra lo sviluppo della scienza e i contesti storici in cui essa si è espressa. Eppure, così come la scienza nella scuola ha trovato spazi ridotti, la storia della scienza – insistono gli Autori – non ha trovato i narratori capaci di affascinare i giovani. Gran parte dei nostri giovani non ama la scienza o, perlomeno, non ottiene grandi risultati nell’apprendimento delle materie scientifiche. Le ragioni a dimostrazione di ciò sono molteplici, ma la più gettonata è quella di “non essere portato”. Ma come è possibile dal momento che l’esplorazione e la ricerca delle spiegazioni sono connaturate all’uomo? Piaget ci dimostra che il più delle volte proprio la scuola e una formazione inadeguata degli insegnanti spengono questa attitudine. Ed è sempre Piaget che sollecita ad attivare e intensificare l’insegnamento matematico/scientifico soprattutto nella scuola elementare servendosi di “dispositivi manipolati dal bambino stesso” affinché certi fenomeni fisici semplici vengano spiegati attraverso la spontaneità e l’attività di ricerca. Non solo: «…il principio fondamentale dei metodi attivi non può che ispirarsi alla storia delle scienze e… capire vuol dire inventare, o ricostruire inventando, e dovremo ben piegarci a tali necessità se vorremo formare, in 8
avvenire, degli individui capaci di produzione o di creazione e non soltanto di ripetizione» (Piaget, Dove va l’educazione, Armando, 1974). Hanno ragione Dibattista e Morgese ad esprimere la propria delusione nel non aver trovato ancora, da parte dei pedagogisti responsabili dei programmi nazionali, risposte adeguate affinché la storia della scienza trovi la giusta collocazione tra le altre discipline e, tra coloro che si occupano della formazione degli insegnanti, una attenzione a chi la andrà ad insegnare con la promozione di didattiche innovative di cui comunque, sul piano teorico, è presente un’ ampia letteratura tra i cui autori fa spicco Dario Antiseri. Dibattista e Morgese non solo ci danno conto di come sia possibile spingere i giovani verso la scienza attraverso le narrazioni, le storie di coloro che l’hanno percorsa e vissuta, narrazioni che ne umanizzano il significato e la rendono opera vera e sofferta dell’uomo, ma, attraverso il progetto “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”, dimostrano l’efficacia dell’approccio storico narrativo e della costruzione di ambienti di apprendimento audiovisivi e multimediali nella promozione di competenze scientifiche degli studenti.
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Saluti dei partner
Ruggero Francescangeli* La diffusione della cultura, perché si realizzi nel modo migliore, ha necessità di un linguaggio appropriato e di opportuni strumenti di comunicazione. Non vi è alcun dubbio che oggi siamo di fronte ad una forte trasformazione che ha modificato il rapporto tra chi opera per la diffusione della cultura ed il fruitore della cultura, fra lo stesso fruitore ed i contenuti, tra il fruitore e l’ambiente in cui si realizza il processo di comunicazione. Sono proprio queste circostanze che rendono di notevole interesse l’iniziativa del Seminario di Storia della Scienza dell’Università di Bari, che offre anche un’occasione di confronto con il linguaggio dei più giovani e con il loro modo di interpretare le nuove tecnologie disponibili per la comunicazione. Il cosiddetto anno web degli informatici è di 3 mesi, quindi i processi di trasformazione legati alla tecnologia sono oramai molto veloci e, per chi svolge una attività di divulgazione scientifica, è importante essere aggiornati, saper cogliere gli orientamenti o quantomeno affinare i tempi di risposta alle trasformazioni. I lavori presentati dalle diverse scuole, nel rispetto del titolo del progetto, sono stati per lo più delle sequenze che combinavano fra loro immagini e filmati più o meno originali, il più delle volte con voce narrante e/o commento musicale. Lo scopo dei lavori era, da un lato, raccontare un frammento dell’evoluzione del pensiero scientifico dell’uomo ma, dall’altro, essi avevano una forte finalità didattica, in particolare nei confronti degli stessi ragazzi che hanno preso parte all’elaborazione dei lavori. * Direttore
del CISMus – Centro interdipartimentale di servizi per la museologia scientifica – Università degli Studi di Bari.
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È proprio quest’ultimo l’aspetto più interessante di tutta l’operazione e che merita considerazione, l’uso del digital storytelling quale sequenza partecipata, quale esperienza mediale finalizzata all’apprendimento. Assolutamente un prodotto dei tempi. È proprio dal connubio delle nuove tecnologie con la partecipazione, la vivacità, la freschezza e l’originalità degli stessi ragazzi che, in questo processo comunicativo, svolgono tutti i ruoli: sono loro i realizzatori dei filmati, gli animatori delle immagini, talvolta con la sola voce, talvolta con la propria persona, e ne deriva una esperienza mediale di notevole valore didattico. Essa è l’elemento nuovo. È certamente un campo tutto da esplorare, ma è anche il banco di prova per tutti coloro che producono materiali per la diffusione della conoscenza destinati ai ragazzi, materiali che devono esser proposti tenendo ben presente l’ingresso prepotente delle nuove tecnologie nella vita di tutti i giorni, le modificazioni del linguaggio e il modo di comunicare che, mai come oggi, prendono forma e vengono introdotti dai giovani. Vorrei chiudere con un plauso agli insegnanti delle scuole partecipanti che, per entrare in un mondo talvolta a loro non familiare, hanno dovuto essi stessi “studiare” per poter aiutare e guidare i ragazzi nelle loro ricerche e per dare ordine alle loro idee; merito agli insegnanti che, il più delle volte, si impegnano in queste avventure per pura passione verso il proprio lavoro.
Carmen Genchi* Se ogni conoscenza razionale è o pratica o poietica o teoretica, la fisica dovrà essere conoscenza teoretica ma conoscenza teoretica di quel genere di essere che ha la potenza di muoversi e della sostanza intesa secondo la forma, ma prevalentemente considerata come non separabile dalla materia.
L’Enciclopedia di Aristotele rappresenta la prima classificazione orizzontale delle scienze, un sistema di conoscenze tra loro connesse dallo *
Vicepresidente dell’Associazione Nazionale dei Formatori Insegnanti Supervisori (ANFIS).
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strumento valido per tutti i ragionamenti: la logica. Il rapporto tra scienza e filosofia è stato a lungo dibattuto e, per certi versi, lo è ancora soprattutto in relazione al metodo d’indagine. Nel 1985 Ludovico Geymonat nei Lineamenti di filosofia della scienza, delineava le tesi fondamentali della sua epistemologia, secondo la prospettiva dello “storicismo scientifico”: «Dobbiamo capire che la storia della scienza non è più soltanto storia degli scienziati, delle loro ricerche, dei rapporti che avevano con la società del loro tempo, ecc., ma è soprattutto e in primo luogo storia della scienza stessa. È la scienza che viene storicizzata. Non soltanto sono “storiche” le scoperte scientifiche, le vite (spesso travagliate) degli scienziati, i dibattiti, le polemiche scientifiche, ecc., ma la scienza stessa si mostra intrinsecamente storica»1. Se non c’è più la visione di un mondo finalizzato, organizzato ed armonico che dava certezze, c’è oggi la visione di un mondo partecipato in cui l’uomo/ricercatore scopre l’arte della ricerca: «il sapere scientifico sbarazzato dalle fantasticherie di una rivelazione ispirata, soprannaturale, può scoprirsi essere ascolto poetico della natura e contemporaneamente processo naturale nella natura, processo aperto di produzione e invenzione, in un mondo aperto, produttivo e inventivo. È ormai tempo di nuove alleanze, alleanze da sempre annodate, per tanto tempo misconosciute, tra la storia degli uomini, delle loro società, dei loro saperi e l’avventura esploratrice della natura»2. I riferimenti teorici sostengono l’impianto progettuale de “Il Racconto della Scienza – Digital storytelling in classe” nel solco della diffusione della cultura scientifica avviata con la C.M. 270/99 come progetto speciale per l’educazione scientifico-tecnologica. Le idee innovative si riferivano alla visione unitaria di scienza e tecnologia estesa al concetto di laboratorio e di sperimentazione, all’uso delle tecnologie informatiche, telematiche e multimediali. Si sottolineava come la storia della scienza e della tecnologia fosse una storia di interazioni continue tra scoperte scientifiche e applicazioni tecniche. La continuità tra il momento cognitivo/teorico e il momento pratico/sperimentale poneva la formazione dei giovani al centro del processo di apprendimento finalizzato alla crescita complessiva della cultura scientifico-tecnologica. Il digital storytelling è un’evoluzione metodologica nella dimensione della narratività, intesa come genere specifico di espressione e di comunicazione. «Il racconto ha sempre avuto e ha una 1 Si veda L. Geymonat, Scienza e filosofia nella cultura del Novecento, a cura di M. Quaranta, Treviso, Pagus, 1993, p. XVI. 2 I. Prigogine, I. Stengers, La nuova alleanza, Torino, Einaudi, 1981, p. 288.
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posizione di primissimo piano nell’ambito dell’espressione e della comunicazione umane… trasmette un sapere, ma lo fa intrecciando la propria linea enunciativa con dimensioni di emotività e di compartecipazione molto forti…»3. Dalla narrazione al fare attraverso la tecnologia digitale. Marc Prensky sostiene che «la tecnologia digitale possa essere usata per renderci non solo più intelligenti, ma anche più saggi»4, e tale convinzione lo spinge a considerare la saggezza digitale come elemento fondamentale per navigare in un mondo complesso e tecnologicamente avanzato. I giovani vivono l’era dell’homo zappiens5 per cui apprendono in modo significativo, i dati digitali e l’informazione diventano strumenti per costruire una conoscenza autonoma. L’approccio didattico si configura come discorso e confronto su temi a cui dare un significato, attribuire un senso, dare delle spiegazioni. Innovare la didattica, della scienza in particolare, per promuovere e rafforzare l’apprendimento in area tecnico-scientifica, concorre ad affermare la cultura della sperimentazione. Nella Strategia Europa 2020, la Commissione Europea ha inserito, tra le sette iniziative faro: Un’agenda europea per il digitale. Trarre vantaggi socioeconomici sostenibili da un mercato unico del digitale basato sull’Internet veloce, che propone una serie di azioni: dai collegamenti a banda larga per le scuole alla riqualificazione della società della conoscenza. “Il racconto della scienza” ha dato un contributo notevole ai docenti, agli studenti e alla scuola perché ha correlato l’innovazione alla creatività e le tecnologie hanno svolto la funzione di partner nel processo cognitivo. Il laboratorio scientifico, informatico, musicale non è stato soltanto un luogo fisico in cui si è realizzata una comunità, è stato anche un non luogo, un modus operandi che ha modificato spazio e tempo cambiando il rapporto con l’ambiente esterno. Esplorando gli elementi di una teoria, ciò che prima appariva lontano si è avvicinato ed è rientrato nello spazio dell’esperienza, nello spazio sensibile. I legami virtuali sono diventati culturali: i contenuti sono stati visualizzati, descritti e valutati, si è creato un immenso iper-documento che ha assunto l’immagine di un continuum di documenti. La comunità di apprendimento è divenuta comunità di pratica che ha creato una conoscenza organizzata e 3
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G. Bettetini, L’Ulisse semiotico e le sirene informatiche, Milano, Bompiani, 2006, p.
4 M. Prensky, H. Sapiens digitale: dagli immigrati digitali e nativi digitali alla saggezza
digitale, «TD-Tecnologie didattiche», 50, 2010, pp. 17-24. 5 Cfr. M. Gaggi, L’era dell’homo zappiens, in “Corriere della sera”, 7 febbraio 2010, p. 27.
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di qualità in cui ognuno ha avuto libero accesso. Ecco che il discorso fin qui condotto, in chiave prevalentemente scientifica, diventa umanistico. L’aspetto peculiare della scienza, sia nella forma della tecnica sia in quella della sperimentazione, ha messo in luce la forma socialmente organizzata ed innovativa delle conoscenze prodotte. L’incremento del benessere, sostenuto dall’innovazione tecnologica, è stato accompagnato da una crescente diffusione dell’istruzione scientifica. Per evitare il controllo sulla scienza da parte di forze conservatrici è necessario «valorizzare la scienza a livello di insegnamento superiore, in primo luogo come insegnamento del metodo scientifico e quindi sulla base di un indirizzamento del percorso educativo che sottolinei l’utilità di comprendere il valore euristico del ragionamento»6.
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G. Corbellini, Scienza, quindi democrazia, Torino, Einaudi, 2011, pp. 157-159.
PARTE PRIMA
Capitolo 1
La storia della scienza nella didattica delle scienze: un quadro teorico LIBORIO DIBATTISTA
“Il problema è la base della motivazione dell’insegnamento delle scienze. E una scuola elettrizzata dai problemi è una scuola in cui si può apprendere senza annoiarsi e nella quale non si devono sentire risposte non sollecitate a domande non poste; una scuola dove non si deve studiare al fine di superare gli esami”. Dario Antiseri
Introduzione Un pericoloso errore di prospettiva commesso da chi si occupa professionalmente di un dato argomento può essere quello di dare per scontato che il grande pubblico o, comunque, il gruppo degli addetti ai lavori, sia accorto, aggiornato e sensibile al tema che ci impegna. Nel caso, mi illudo che un coro plaudente e concorde di epistemologi, storici e filosofi della scienza, pedagogisti, didatti e insegnanti sia convinto della efficacia della storia della scienza nell’insegnamento delle scienze e che, quindi, si unisca entusiasticamente alla proposta di inserirla come tale nei curricula della Scuola Secondaria italiana e non veda l’ora di dedicarsi con passione a raccontare la disputa tra Luigi Galvani e Alessandro Volta oppure le gesta dei ragazzi di Via Panisperna. La realtà è un’altra. Siamo ancora fermi a magniloquenti auspici e a ministeriali dichiarazioni di principio: nei licei italiani NON si insegnano né la storia della scienza né le scienze con un approccio storico-critico. Allora abbiamo sbagliato qualcosa. Dico, noi storici della scienza da un lato e i pedagogisti responsabili delle indicazioni nazionali e delle programmazio17
ni curricolari dall’altro. Continuiamo a scontrarci contro questa evidente aporia: le dichiarazioni che confermano l’opportunità della comprensione storica delle conquiste scientifiche e tecnologiche nell’insegnamento della Scuola Secondaria e la produzione teorica che spiega diffusamente i perché di questa opportunità da un canto e, dall’altro, la realtà concreta delle nostre classi, impegnate a prepararsi per calcolare quanti alberi piantare al meglio nell’orticello trapezoidale proposto dagli ineffabili compilatori del prossimo test OCSE-PISA. Il quadro teorico che sostiene questa proposta nasce, si può dire, con la nascita stessa della disciplina “Storia della scienza”. Noi l’abbiamo riassunto in maniera abbastanza particolareggiata alcuni anni fa (Dibattista 2004) e ne abbiamo anche offerto una declinazione, per così dire, pratica (Dibattista 2008). Nel frattempo, nuove sperimentazioni sono state condotte e nuove esigenze di literacy sono state avanzate nell’ambito della policy europea per la pedagogia dei cittadini. Per questi motivi è opportuno riprendere a grandi linee lo schema dell’approccio storico-critico alle discipline scientifiche e aggiornarlo alle mutate condizioni storiche. Inoltre è evidente che bisognerà chiarire di quale “storia della scienza” si parla, perché è la disciplina in se stessa che ancora – per usare un’espressione di Pietro Corsi – se è una stella nella ricerca, è una Cenerentola nell’istruzione (Corsi 2000). 1. Quale storia della scienza? Se Auguste Comte (1798-1857) preconizzava il metodo storico limitandolo all’insegnamento di discipline “giovani” come era nella prima metà dell’Ottocento la biologia – la fisica e l’astronomia necessitando del metodo dogmatico, data la vastità delle conoscenze da trasmettere – mezzo secolo dopo Ernst Mach (1838-1916) non aveva dubbi sull’opportunità di studiare la storia della propria disciplina. Anche se per Mach l’approccio storico-critico aveva un valore particolarmente significativo per coloro che avessero in animo di diventare scienziati, in generale sosteneva che concepire i concetti scientifici come semplici strumenti per la comprensione efficace della realtà materiale, ne consentiva la piena intelligenza in quanto si trattava di una intelligenza “genetica”. Il sintagma va inteso nel senso di comprensione ottenuta ri-attivando la genesi storica e teorica degli assiomi 18
e dei postulati, quindi non più appresi perché “dati”, ma com-presi perché ripercorsi nel loro storico formarsi. E la sua opera più famosa, La Meccanica nel suo sviluppo storico-critico (1883), costituisce ancora oggi un lucido esempio di questo approccio. Ancor più di Mach, il suo contemporaneo Pierre Duhem (1861-1916), ricordato oggi – con suo dispetto – più come storico della fisica che come fisico, ha esposto in più occasioni un vero e proprio plaidoyer per una didattica delle scienze condotta mediante la loro storia. Ricordando solo alcuni passi centrali della Théorie physique (1906) si rimane stupiti dalla modernità delle questioni sollevate dal fisico parigino sul problema della didattica della fisica. Questa, la fisica, può risultare indigesta allo studente non solo per la vastità delle conoscenze da apprendere, ma anche per il contrasto fra l’apoditticità delle conoscenze contemporanee che prospettano una conoscenza definita e definitiva, della quale non rimane ormai da scoprire nulla, e la precarietà delle teorie in contrasto fra loro che invece denuncerebbero la provvisorietà e la mancanza di affidabilità di risultati e metodi della disciplina. Di conseguenza: […] come si regolerà il maestro incaricato di esporre la fisica? […] come potrà far abbracciare ai suoi allievi con un unico sguardo la distesa immensa che separa il campo dell’esperienza da quello teorico? […] Non abbiamo forse sotto gli occhi il caso di uno studente il quale, nell’infanzia, ignorava del tutto le teorie fisiche e, da adulto, arrivò alla piena conoscenza di tutte le ipotesi sulle quali si fondano le teorie? Lo studente, la cui educazione dura da millenni, è l’umanità. Perché non potremmo imitare nella formazione intellettuale di ogni uomo il progresso attraverso il quale si è formata la scienza umana? Perché non potremmo far precedere l’ingresso di ogni ipotesi nell’insegnamento con una esposizione sommaria, ma fedele, delle vicissitudini che hanno preceduto il suo ingresso nella scienza? Il metodo legittimo, sicuro, fecondo, atto a preparare una mente ad accogliere una ipotesi fisica è quello storico […] Descrivendo la lunga serie degli errori ed esitazioni che hanno preceduto la scoperta di ogni principio lo mette in guardia contro le false evidenze; ricordandogli le vicissitudini delle scuole cosmologiche, facendo riemergere dall’oblio dove giacciono le dottrine che un tempo trionfarono, lo costringe a ricordare che i sistemi più seducenti altro non sono che rappresentazioni provvisorie e non già spiegazioni definitive. Illustrandogli la tradizione continua, secondo cui la scienza di ogni epoca si è nutrita con i sistemi dei secoli passati e di cui è piena della fisica dell’avvenire, citandogli le profezie formulate dalla teoria e realiz19
zate dall’esperienza, essa crea e rafforza in lui la convinzione che la teoria fisica non è un sistema puramente artificiale, oggi utile e domani non più, ch’essa è vieppiù una classificazione naturale, un riflesso sempre più chiaro delle realtà con cui il metodo sperimentale non saprebbe confrontarsi. Ogni qualvolta lo spirito del fisico è sul punto di cadere in qualche eccesso, lo studio della storia lo raddrizza con appropriate correzioni (Duhem 1978: 301-303).
Da noi in Italia, chi indicò con chiarezza il valore pedagogico della storia della scienza fu Federigo Enriques (1871-1946): Quale modo più largo di comprensione, quale più vasta esperienza didattica, che l’annodarsi dei problemi e l’urtarsi delle difficoltà entro lo spirito di tutti gli studenti che hanno faticato prima di noi nella scuola del mondo? (Enriques 1921). Se la verità è soltanto un passo verso la verità, il valore della scienza consisterà piuttosto nel camminare che nel fermarsi ad un termine provvisoriamente raggiunto. I fatti, le leggi, le teoria, riceveranno il loro senso, non tanto come sistema compiuto e statico, quanto nella loro reciproca concatenazione e nel loro sviluppo (Enriquez 1936).
Enriques, matematico, fu fondatore e presidente della Società Filosofia Italiana e propugnò uno studio filosofico della storia della scienza ponendo le basi, insieme a George Sarton, Hélène Metzger, Alexandre Koyré, «di quel sapere particolare che è appunto l’epistemologia» (Castellana, Rossi 2004). E tuttavia, anche per le incomprensioni ed i contrasti tra Enriques da una parte e Giovanni Gentile e Benedetto Croce dall’altra (Nastasi 2010), la storia e la filosofia della scienza rimasero ai margini della scuola italiana. Venendo ai giorni nostri, chi in Italia ha spezzato una lancia in favore della storia e dell’epistemologia come antidoto ad uno studio dogmatico e inutilmente noioso è stato Dario Antiseri che nel suo Epistemologia e didattica delle scienze (2005) ha magistralmente articolato il circolo virtuoso del “problema” come primum movens della ricerca scientifica, della storiografia della scienza e della didattica delle scienze. 20
La ricerca scientifica parte dai problemi; ebbene anche l’insegnamento della scienza deve partire dai problemi: problemi pratici e problemi teorici; da controversie; da teorie in difficoltà; da teorie falsificate ad opera di fatti “brutali”; da osservazioni “problematiche”. Questa partenza che si effettua dai problemi motiva l’apprendimento e l’insegnamento delle teorie scientifiche. Suscita, cioè, l’interesse dei ragazzi. È il fondamento della motivazione. Qualsiasi altra partenza, sia che si prenda l’avvio dalle formule o dalle osservazioni, è una falsa partenza. La partenza dai problemi è il primo antidoto contro quel tipo di nozionismo costituito da teorie che si offrono come risposte a nessuna domanda (Antiseri 2005: 242).
Si pensi che queste parole sono state scritte nel 1977, parecchio prima di tanto chiasso europeo sull’Inquiry Based Learning. Per inciso, questa questione è appunto ancora poco chiara: chi fa le domande? Quali domande? Come si fa ad articolare la complessità delle domande scientifiche senza ricorrere alla loro genesi storica? Anche Salvo D’Agostino ha avuto parole forti di dissenso nei confronti di una didattica scientifica che ignori la dimensione storica: Ciò che accomuna (nel loro aspetto didatticamente negativo) i due ipotetici docenti [il razionalista e l’empirista] è l’assenza di dubbi sulla efficacia del presupposto che si possano connettere direttamente concetti e osservabili: non li sfiora nessun sospetto che per la connessione sia richiesto qualcosa d’altro, che occorra un “catalizzatore” del processo… quello che ho chiamato catalizzatore è rappresentato dalla dimensione storica del pensiero scientifico (D’Agostino 2009: 100-101).
In campo internazionale, lo studioso di maggior spicco che si occupa di questo tema da oltre venti anni è Michael R. Matthews che ha riunito intorno a sé un gruppo di ricercatori nell’International History, Philosophy, and Science Teaching Group (IHPST) che ha come organo la rivista «Science & Education». In un voluminoso saggio del 1994, Matthews ha declinato i molteplici aspetti e le problematiche ancora irrisolte che articolano il rapporto tra la storia e la filosofia della scienza nell’ambito dell’istruzione scientifica. Le idee della gente e i loro modi di pensare derivano da, e possono essere testati in, tre ambiti distinti ma che si intersecano: in primo luogo, l’esperienza 21
immediata sensoriale del mondo, in secondo luogo, la partecipazione alla vita quotidiana con le conversazioni, i giornali, ecc., e in terzo luogo, la loro istruzione formale che dipende in massima parte dalla scuola. Un problema costante per l’istruzione scientifica è stato quello di mantenere questi ambiti in una sorta di consenso reciproco. Il pensiero scientifico non è il pensiero naturale. I bambini selvaggi non sviluppano il pensiero scientifico anche se magari hanno successo nel far fronte al loro ambiente. Né la mera partecipazione alla vita quotidiana conduce alla scienza. Molte culture avanzate – vengono in mente India e Cina – sono esistite per secoli, o millenni, senza sviluppare la scienza… La scienza è una forma peculiare di pensare e studiare il mondo, culturalmente e storicamente determinata; le procedure della scienza hanno bisogno di essere apprese come la maggior parte dei suoi risultati. Il pensiero e la conoscenza scientifica dipendono esclusivamente dal terzo ambito; dipendono da un insegnamento formale e da una iniziazione in un modo di pensare che è “innaturale” e caratterizzato da “senso non comune”. La storia e la filosofia della scienza aiutano docenti e studenti a comprendere come questi tre ambiti interagiscono (Matthews 1994: 28).
2. Perché la storia e la filosofia della scienza nella didattica delle scienze? Da qualche anno in Europa è in corso un dibattito che insiste sulla necessità di rivedere il concetto di scientific literacy, perché questa non coincida con la “retorica della conclusioni” (della scienza) (Schwab, 1964) ma sia intesa come “descrizione densa” (Elkana, 1989), consapevole dei legami con gli ambienti culturali in cui scienza e tecnologia si producono, dei cambiamenti nel tempo, delle dimensioni affettiva, creativa, etica, valoriale ad esse connesse (Bybee, 1991; Miller, 1983). Va da sé che tali riflessioni sull’arricchimento della literacy scientifica risentono della ricca riflessione novecentesca in epistemologia, filosofia e storia della scienza. A questo discorso è strettamente connesso il dibattito sulla natura e l’efficacia dell’apprendimento scolastico, delle scienze in particolare. Le numerose indagini sulle conoscenze e le abilità degli studenti, condotte sia in itinere che al termine degli studi, portano a risultati che testimonierebbero l’incombente “crisi delle istituzioni educative”, che falliscono anche l’obiettivo più importante, quello di promuovere negli studenti una “comprensione adeguata” dei contenuti durante i numerosi anni di scuola, anche 22
quando gli studenti ottengono ottimi voti nei test formali: spesso studenti che nei corsi seguiti nei college avevano ottenuto voti molto elevati, se “posti di fronte a questioni e problemi elementari” formulati in modo anche solo leggermente diverso da quello con cui li avevano incontrati al momento della spiegazione formale e della verifica, sono incapaci di affrontarli (Gardner 1991) (Morgese 2010: 28-29).
A questo si aggiunga l’orientamento sempre più deciso nella pedagogia europea verso una didattica per le competenze che, a maggior ragione, richiede un ripensamento dei modi e dei contenuti della didattica delle discipline scientifiche. Riassumendo in modo estremamente sintetico – ma senza omettere nulla di rilevante – i risultati di una serie di studi e ricerche sperimentali sull’introduzione della storia e delle filosofia della scienza nella didattica delle discipline scientifiche, si possono così enumerare i vantaggi rilevati: La Storia e la filosofia della scienza: 1. Promuovono una migliore comprensione dei concetti scientifici e del metodo scientifico (Conant 1947; Holton 1978; Klopfer 1969; Kragh 1992) D’altra parte è difficile capire perché le istituzioni sociali, il costume, la letteratura e l’arte, la filosofia si comprendono meglio se se ne studia la loro evoluzione storica mentre questo non dovrebbe avvenire per la produzione scientifica. Questa potrebbe fare eccezione solo se non è considerata, al pari delle altre discipline, il prodotto del pensiero umano nel suo rapportarsi al mondo ma una sorta di disvelamento di un ordine assoluto. Oltre ai citati Mach e Duhem, si potrebbero enumerare una lunga serie di scienziati che concordano con questa idea, ad esempio Einstein, che a più riprese ha dichiarato il suo debito verso la Meccanica di Mach o Ernst Mayr che nelle pagine di apertura della sua Storia del pensiero biologico afferma: «penso che lo studio della storia di un campo disciplinare sia la maniera migliore di acquistare comprensione dei suoi concetti» (Mayr 1982: 20). 2. Rendono le materie scientifiche meno astratte, più “appassionanti” Nei capitoli successivi di questo saggio verrà argomentato ampiamente quale guadagno possa condurre nella didattica delle scienze la possibilità, offerta dalla storia della scienza, di un approccio narrativo, e quindi rimandiamo a quelle pagine per l’illustrazione di questo concetto. Qui vogliamo 23
solo rilevare alcuni punti relativi all’uso delle storie delle vite degli scienziati. Per quanto, come vedremo fra poco, l’uso delle biografie scientifiche sia controverso nelle sue ricadute didattiche, è evidente che dare carne e sangue ad astratte leggi e principi, raccontare quanto umani fossero nelle loro virtù e vizi gli scopritori delle aride formule e gli inventori di complicati strumenti, contribuisce a rendere più viva la trasmissione del sapere scientifico, più vicina al comune sentire dei discenti (Wandersee 1990). E non si tratta, naturalmente, solo di narrare storielle edificanti agiografiche, quanto di ricostruire come pensavano e cosa desideravano in rapporto al mondo nel quale vivevano; quindi la temperie spirituale, il momento storico, il mondo economico e sociale nel quale vivevano, le idee filosofiche e le fedi religiose che intessevano i loro pensieri e il loro modo di stare al mondo e via di seguito. Inoltre, la consapevolezza di quali siano state le pietre miliari nella costruzione di un campo disciplinare, gli episodi fondamentali, i tornanti cruciali, quali ne siano state le Istituzioni fondanti, quali i padri nobili, quali i percorsi normativi che hanno condotto allo stabilirsi della disciplina serve a creare quella sensazione di appartenenza, quella idea di noocenosi, di comunità intellettuale che è di fondamentale importanza per fare sentire i discenti membri di una collettività. Per quanto questa qui descritta sia una delle visioni più tipicamente sartoniane delle funzioni della storia della scienza, essa non per questo è da considerarsi obsoleta. Questo è anche uno dei motivi per cui la storia e la filosofia della scienza nella didattica… 3. Aiutano a prendere in considerazione le carriere scientifiche (Wilson, Barsky 1998) 4. Promuovono la formazione di un pensiero critico Scientismo e dogmatismo sono mali sotterranei del mondo scientifico, vissuti più che argomentati e, certamente, questo è un fatto paradossale se si pensa che la scienza è diventata tale, adulta, proprio quando si è scrollata di dosso il principium auctoritatis, fosse quello aristotelico o papale. Ma, convinta della propria certezza e giustezza, ha trasformato una ricerca problematica in una fede assoluta. Sia nel proprio campo, quello scientifico propriamente detto, imponendo “un” metodo e leggi ferree, sia invadendo campi che non le sono propri, come appunto quello della fede. Basti vedere il furore iconoclasta di certuni scienziati-divulgatori contemporanei che attaccano il cristianesimo con argomenti vetero-positivisti ottocenteschi, di24
menticando la saggia distinzione che faceva il loro pur venerato padre fondatore Galileo, quando dichiarava necessario tener distinta la scienza, che spiega “come vada il cielo”, dalla fede che dispone “come si vada al cielo”. Manca a costoro l’umiltà di riconoscere quello che la storia della scienza insegna: la provvisorietà di ogni sapere scientifico. È il caso appena qui di ricordare brevemente l’analisi critica dei manuali scientifici fatta da Thomas Kuhn, che in essi ravvisava l’esposizione apodittica del sapere della scienza normale, adattato e ricostruito cancellando le tracce delle controversie e della rivoluzione che aveva spodestato le convinzioni scientifiche precedenti. I manuali scolastici tendono a coltivare un’immagine statica della scienza, nella preoccupazione di essere completi ed esaustivi, realizzando una ipersemplificazione, risultato dell’esigenza pedagogica di riordinare la presentazione della scienza per venire incontro alle necessità ed alle capacità dello studente. Lo scienziato “normale”, il discente delle nostre classi, deve apprendere quantità incredibili di nozioni che costituiscono la “verità scientifica” e che lo metteranno in condizione di risolvere i rompicapo che la scienza (e l’industria scientifica) gli proporrà. Nel frattempo, il manuale è il Corano, nulla da discutere, nulla da criticare, impara e taci. La storia della scienza svela quanto nudo sia questo re. Riattivando i percorsi che hanno condotto alla scienza contemporanea evidenzia le domande e le risposte differenti e spesso contraddittorie che a queste domande gli scienziati hanno dato e quali sono stati i criteri che hanno condotto all’accettazione di certe risposte piuttosto che altre. Criteri non solo e non sempre “oggettivi”, spesso orientati da valenze formali, estetiche, a volte inquinati da necessità economiche o politiche, sempre informati dalla cultura e dal comune sentire di fondo di un popolo, di un’epoca. Allora, lo studente consapevole di questa ricchezza dell’impresa scientifica, guadagnerà in capacità di analisi e confronto, spirito critico ed equilibrio, capacità di ascolto e valutazione. Prendendo contezza della successione delle idee scientifiche, della loro noncontinuità, delle fratture epistemologiche, delle rivoluzioni paradigmatiche, sarà in grado di comprendere e gestire la complessità del cambiamento. Inoltre, è possibile dimostrare come questo approccio sia tutt’altro che una scorciatoia per non affrontare questioni difficili, di “scienza dura”: Una corretta presentazione storico-filosofica del caso del movimento del pendolo mette lo studente in condizione di apprezzare il passaggio dal senso comune e dalle descrizioni empiriche della scienza aristotelica alle astratte, idealizzate e matematiche descrizioni caratteristiche della rivolu25
zione scientifica. Deve essere chiaro che la scienza “contestuale” qui suggerita non è un tentativo di evitare la scienza seria o dura, anzi, il contrario. Capire quello che è successo richiede sforzo e, in più, è accattivante per gli studenti. Un ritornello frequente di studenti intelligenti che non si impegnano nello studio delle scienze è che “la scienza è troppo noiosa, si fanno solo esercizi”. La storia degli sforzi umani per capire il moto del pendolo è lontanissima dall’essere noiosa: è popolata da grandi menti i cui dibattiti sono coinvolgenti e la storia fornisce una trama sulla quale si può agganciare il complesso sviluppo teoretico della scienza. Lo studente edotto in questo modo contestuale può comprendere meglio la natura della scienza e ha qualcosa da ricordare molto tempo dopo aver dimenticato l’equazione per trovare il periodo del pendolo (Matthews 1994: 135).
5. Consentono di comprendere Che Cosa è la Scienza – The Nature of Science (NoS) Nel 2008 la Nuffield Foundation ha presentato un rapporto (Osborne, Dillon 2008) il cui obiettivo era rispondere ad alcune questioni divenute scottanti sull’argomento dell’insegnamento delle scienze. In particolare, il rapporto ha cercato di individuare cause e rimedi alla diminuzione dell’interesse dei giovani nei riguardi delle carriere scientifiche e delle scienze in generale, interrogandosi se questo fosse dovuto al più ampio cambiamento socio-culturale della società europea, e quindi al mutato modo di vivere e progettare le nostre vite, o se fosse più specificamente legato ad una mancanza strutturale dell’istruzione scientifica in se stessa. La risposta ha puntato il dito su quest’ultimo aspetto e ha suggerito che l’istruzione scientifica in Europa deve mutare totalmente impostazione. In dettaglio, la prima raccomandazione del Rapporto Nuffield recita: «L’obiettivo primario dell’istruzione scientifica in EU dovrebbe essere istruire gli studenti sulle spiegazioni principali che la scienza fornisce in relazione al mondo materiale e sul modo di funzionare della scienza. I corsi di scienze il cui scopo principale è fornire una istruzione di base per i futuri scienziati e tecnici dovrebbero essere facoltativi». In altre parole, è senza senso che l’insegnamento delle discipline scientifiche rivolto a tutti gli studenti sia modellato sulle esigenze di quei pochi che intraprenderanno carriere scientifiche. Lo scopo dell’istruzione scientifica dovrebbe essere la spiegazione di che cosa è la scienza e di come funziona (NoS) e non una forma di training pre-professionale. Questo perché una comprensione della NoS è essenziale per affrontare i problemi della società contemporanea ed essere 26
cittadini consapevoli (Clough, Olson 2008). Ovviamente questo curriculum sarebbe molto diverso da quelli attualmente in uso in Europa; avrebbe significato in se stesso e non come preparazione a studi futuri e dovrebbe essere obbligatorio. Uno dei motivi per cui così non è dipende dal fatto che i curricula scientifici per la scuola sono disegnati da scientifici che, quindi, orientano l’istruzione scientifica in base ai loro interessi ed alla loro visione del mondo; ma i risultati di questa impostazione sono purtroppo deplorevoli. Senza entrare nel dettaglio delle valutazioni degli estensori del rapporto, assumiamo per i nostri scopi questa necessità di rinforzare la conoscenza della NoS. Anche se non c’è un accordo completo fra gli studiosi sulla definizione di Nos (è una “essenza”?; è una tassonomia di categorie che riguardano attività, scopi, valori, regole metodologiche, conoscenze, norme istituzionali?; è una costellazione di discipline che si somigliano per alcune di queste categorie?), c’è accordo su due punti: 1) una conoscenza della Nos è essenziale per far fronte alle questioni poste dai processi e dagli oggetti tecnologici nella vita quotidiana, per prendere decisioni informate sui problemi scientifici in una società democratica, per apprezzare il valore della scienza come parte essenziale della cultura contemporanea (Irzik, Nola 2011), e 2) una via maestra per comprendere la Nos è lo studio della storia e della filosofia della scienza (McComas 2008; Bybee 2006). Infatti non è possibile afferrare la natura dell’impresa scientifica, i suoi modi di funzionare, l’impatto delle tecnologie sulla società e il reciproco rapporto tra scienza e tecnologia mediante un approccio teoretico: si tratterebbe di epistemologia disincarnata. La comprensione della Nos senza esempi concreti non è possibile. Detto più elegantemente, parafrasando Imre Lakatos, solo la storia della scienza consente di riempire di contenuti le affermazioni che si possono fare intorno a “che cosa è la scienza” (Lakatos 1976). 6. Consentono il recupero dell’unità del sapere, promuovendo una didattica interdisciplinare Se la frammentazione della didattica in materie sempre meno comunicanti fra loro, se la pur trita questione delle “due culture” sono problemi rilevanti nella pedagogia contemporanea, ed effettivamente lo sono, l’approccio storico critico è certamente di aiuto nel ricomporre queste fratture. Per molto tempo, l’unità del sapere è stata garantita dal suo oggetto e dal programma pedagogico che ad esso si adeguava. Il savant, prima di divenire l’ottocentesco scienziato, non aveva difficoltà a riunire nelle sue competenze tutti i rami del sapere prodotto dall’umanità. Solo il nostro 27
presentismo ci fa commettere l’errore prospettico di proiettare all’indietro la divisione dei saperi come è stata tassonomizzata alla fine del XIX secolo: Galilei non era più scienziato di quanto non fosse letterato e Aristotele era certamente più biologo di quanto non fosse metafisico. L’unità dal sapere, si dice, è andata poi persa per il progressivo accumulo di nozioni che ha reso impossibile allo stesso soggetto di possedere contemporaneamente tutti gli oggetti della conoscenza. Questa interpretazione della nascita degli specialismi della conoscenza, della frammentazione del sapere, della consacrazione delle discipline come portato indispensabile dell’amplificazione progressiva ed inarrestabile dei contenuti della conoscenza è spiegazione corretta, ovvia e tuttavia banale. Non si è trattato, infatti, solo di cruda espansione del sapere, ma di una sua frammentazione epistemologica, di una babele di linguaggi locali, di istituzioni e padri fondatori, di paradigmi differenti e concorrenti, che ha condotto prima il positivismo a tentare una riunificazione gerarchizzante sotto la bandiera della biologia (Robin) e della sociologia (Comte) e poi la fenomenologia (Husserl) a gettare la spugna certificando la crisi delle scienze europee. Oggi, la specializzazione disciplinare è un fatto, innegabile e positivo, nella misura in cui consente rapidi avanzamenti della conoscenza in settori sempre più specifici. L’epistemologia della complessità contemporanea apre nuovi scenari nella prospettiva della unità del sapere. Multidisciplinarità, interdisciplinarità e transdisciplinarità hanno come presupposto l’accettazione della sfida della complessità e il proposito di comprenderla in una prospettiva sistemica. L’approccio interdisciplinare prevede l’individuazione di quadri concettuali comuni, l’integrazione di concetti fondamentali e metodologie di base che realizzino un inquadramento culturale unitario dell’argomento studiato in particolare e del sapere in generale. Si deve aggiungere alle caratteristiche della interdisciplinarità un aspetto non sempre ricordato ma, a nostro modo di vedere, fondamentale: la dimensione storica di tutti i saperi. Nel riconoscimento che tutti i “fatti” della conoscenza sono tali, mai “dati” da qualcuno, ma “prodotti” dalle sintesi operate dal Soggetto conoscente, nella consapevolezza che «ogni scienza è da parte sua un aspetto dell’intelligenza umana che si afferma in un momento preciso del tempo e in un luogo dato dello spazio» e che questa storicità filogenetica dei saperi è ripercorribile nell’ontogenesi pedagogica dell’allievo-Uomo (Duhem), è riposto il nucleo più saldo dell’unità del sapere. Di conseguenza è ovvio che la storia e la filosofia della scienza conservano un posto privilegiato nello strumentario didattico volto alla funzione integrativa del sapere. Esse, in28
fatti, sono in grado di mostrare la strada che ha portato alla dispersione tecnica ed utilitaristica di quel sapere. Esse sono in grado di riconnettere – raccontando i modi con i quali nelle avventure di ogni singolo scienziato, negli accadimenti di ogni specifica disciplina scientifica si sono intrecciate matematica e teologia, filosofia ed economia, tecnologia e religione – i capi della trama culturale di cui è intessuta la storia integrale dell’umanità. Numerosi sono i sostenitori di questo valore integrativo dell’approccio storico alle discipline scientifiche: James Conant (1947), Isaac Rabi (Rutherford 1972), Gerald Holton (1996), per citare solo i più importanti. 7. Possiedono un efficace valore meta-cognitivo Lo studio di come la scienza progredisce conduce a soffermarsi su quali meccanismi cognitivi vengono messi in opera, i procedimenti ipoteticodeduttivi, l’induzione, l’analogia e la metafora, la logica del modus tollens, la “immaginazione creatrice”, il fasificazionismo popperiano, l’inferenza bayesiana, i metodi di Mill e via di questo passo. La riattivazione di questi processi conoscitivi messi in atto dagli scienziati nel corso dei secoli, ottenuta mediante l’approccio storico-critico allo studio delle discipline scientifiche, produce due risultati didattici estremamente significativi interconnessi fra loro: mentre illustra i “modi di funzionare” del pensiero scientifico sollecita la riflessione sui processi mentali di chi apprende. Si può sostenere, cioè, che esiste un parallelismo tra i meccanismi mentali del discente e le procedure che l’umanità ha sviluppato per ampliare le proprie conoscenze sul mondo. Questa affermazione non è nuova. Essa è stata sostenuta, oltre che da Ernst Mach, da Herbert Spencer e da Hegel, ma ha conosciuto la sua più fortunata formulazione con l’“epistemologia genetica” di Jean Piaget. Lo psicologo elvetico, come è noto, ha sviluppato una teoria sullo sviluppo cognitivo del fanciullo che, da un certo punto di vista, può essere considerata una sorta di Teoria della Ricapitolazione haeckeliana trasferita nell’area della conoscenza, per cui agli stadi dell’ontogenesi delle modalità di pensiero del singolo essere umano possono essere fatti corrispondere i momenti “filogenetici” della successione delle teorie e delle modalità di rapporto soggetto-oggetto percorse dal pensiero scientifico in generale. Naturalmente, questo parallelismo va condotto con molta cautela e sapienza: esso è stato oggetto di riprese e modifiche da varie correnti di pensiero, fra le quali qui citiamo solo il costruttivismo, ad esempio nella versione “radicale” di Ernst von Glasersfeld. Senza voler pretendere che questo parallelismo sia “vero”, quel che importa qui sottolineare è il valore 29
pedagogico e didattico che lo studio della storia della scienza può svolgere nella dinamica tra docente e discente nello stimolare la riflessione sulle modalità con le quali le difficoltà cognitive personali vengono affrontate in rapporto alle strade percorse dallo sviluppo del pensiero scientifico: dall’animismo alla metafisica, dalla credenza ingenua nella verità ostensiva dei sensi all’astrazione ideale galileiana, dall’approccio tassonomico a quello delle idee pre-concette care a Claude Bernard, è possibile per il docente accorto condurre i propri discepoli all’acquisizione progressiva di una matura consapevolezza dei processi di pensiero applicati ed applicabili nell’apprendimento scolastico e nelle problematiche quotidiane che la vita presenta. Quindi, ad una riflessione critica sul proprio modo di ragionare. Molti studi sulle dinamiche di cambiamento concettuale negli studenti hanno affrontato questo problema, evidenziando l’importanza delle vedute costruttiviste e della storia della scienza (Duit 1994; Gonen 2008; Limon 2002; Niaz, Aguilera, Maza, Liendo 2002; Posner, Strike, Hewson, Gertzog 1982; Wandersee 1985). 8. Conducono all’acquisizione di competenze chiave Senza voler riempire artificiosamente le caselle della griglia delle competenze così come attualmente declinata dai documenti europei e ministeriali, vogliamo sottolineare quali guadagni didattici nell’uso dell’approccio storico e filosofico alla scienza possono essere declinati nel linguaggio della didattica per competenze. a) L’uso delle fonti primarie. Abituare gli studenti alla lettura ed alla comprensione critica – vorrei dire filologica – delle fonti primarie della storia della scienza, dal Dialogo galileiano ai Principia di Newton, dai Versuche di Mendel all’Origin di Darwin significa rinforzare la abilità di leggere, comprendere ed interpretare testi, a sua volta fondamentale per le competenze del comunicare e del risolvere problemi. L’attenzione critica che, di conseguenza, si sviluppa nei confronti della letteratura secondaria, compresa la manualistica scolastica, si trasfonde nella competenza della acquisizione e della interpretazione di informazioni. b) La capacità di formulare e difendere un argomento. Attraverso la ricostruzione storica dei dibattiti e delle dispute scientifiche si realizza nei discenti la capacità di argomentare e quello che abbiamo chiamato pensiero critico, quindi si contribuisce alla costruzione delle competenze dall’individuare collegamenti e relazioni e del comunicare. c) La conoscenza critica dei paradigmi scientifici che si sono succeduti 30
nel corso dei secoli e delle dinamiche che hanno prodotto e guidato tali mutamenti, abitua i discenti ad anticipare e rispondere alle sfide poste dai rapidi cambiamenti proposti dalla globalizzazione, che sono aspetti delle competenza della risoluzione dei problemi e dell’agire in modo autonomo e responsabile. d) Numerosi studi e ricerche (Ratcliffe, Grace 2003; Coulò 2011) richiamano la necessità che l’insegnamento delle discipline scientifiche non trascuri riflessioni sulle ricadute sociali ed etiche della ricerca scientifica. Oltre agli aspetti epistemologici sottolineati nei punti precedenti, anche gli aspetti di diretto coinvolgimento valoriale sono stati sottolineati come costitutivi dell’istruzione scientifica. Questo punto, oggetto della riflessione filosofica negli ultimi decenni (Laudan 1984; Lacey 1999; Longino 2006), costituisce uno dei tre pilastri su cui è stato costruito un corso di introduzione all’istruzione scientifica in Gran Bretagna (Taylor, Swinbank 2011): oltre a quello scientifico ed epistemologico, l’aspetto etico ha ricevuto pari dignità nella strutturazione del master (Taylor et al. 2007). Bybee et al. (1991) hanno insistito sul goal of citizenship conseguibile mediante lo studio della storia della scienza e della Nos, riproponendo un documento ormai datato della National Science Teachers Association nel quale si ricordava come una literacy scientifica efficace, per esercitare appieno la propria funzione di cittadini consapevoli, passa attraverso la matura comprensione delle reciproche influenze tra scienza e società, la consapevolezza che la conoscenza scientifica è il prodotto sia del processo della ricerca con i suoi condizionamenti socio-economici sia della dialettica concettuale delle teorie e la nozione che la Scienza è incerta e provvisoria, soggetta a cambiamento in relazione al progresso delle evidenze e delle tecnologie. 3. E se la storia e la filosofia della scienza invece nuocessero alla didattica delle scienze? Ci sono obiezioni a quello che noi proponiamo. E sono critiche importanti; per questo vanno prese in considerazione e contro-argomentate. Fondamentalmente, le possiamo dividere in due categorie: ci sono le obiezioni che vengono sollevate dagli storici e ci sono quelle proposte dagli insegnanti di scienze e dagli scientifici in genere. I rilievi osservati dagli storici criticano la qualità della storia che viene usata per la didattica della scienza. Un primo appunto è che si tratti di pseu31
do-storia, con ciò intendendo la proposizione di vicende storiche scorrette, inesatte, avulse dal flusso degli avvenimenti e riprodotte a mo’ di calco da un manuale all’altro (Klein 1972). Da un certo punto di vista è quella storia in corpo otto e fondino giallo che siamo abituati a veder comparire nei nostri manuali scientifici. È quella storia obbligata – “non si può cominciare a parlare di un argomento se non se ne abbozza la storia” – eppure facoltativa – “c’è, ma se non la leggiamo non perdiamo nulla”. In quanto pseudo-storia è poi inutile per gli scopi che abbiamo elencato nel paragrafo precedente: nulla o quasi dice di importante ai fini della comprensione di come hanno lavorato gli scienziati, della comprensione della Nos: è quella storia cimiteriale, fatta di date e buoni epitaffi, nella quale tutti sono stati geni senza macchia e non avrebbero potuto fare altro che scoprire le cose che hanno scoperto. È quella che Bruno Latour chiama histoire-découverte (Latour 1997), dove tutto era scritto fin dall’inizio e il lavoro dello storico consiste nello spostare avanti o indietro nella timeline le pietre miliari della scienza. Ma noi non possiamo che concordare con Klein e gli altri che negano a questa storia alcun valore nella didattica delle scienze. Oltre al rischio della pseudo-storia altri Autori segnalano quello detto della quasi-storia (Allchin 2004; Whitaker 1979). Quest’ultima sarebbe una ricostruzione storica non semplicemente “errata” per ipersemplificazione o mancanza di posizione critica, ma sarebbe coscientemente “corretta” in vista della tesi che si desidera sostenere o dell’argomento scientifico che si vuole illustrare. Una storia ricostruita ad hoc, quindi scegliendo fonti e materiali e combinandoli in maniera consapevolmente colpevole. E il nostro nume Mach sarebbe la dimostrazione di quanto questa storia può nuocere alla scienza, visto che egli – guidato dalle sue convinzioni epistemologiche – fu uno strenuo oppositore dell’esistenza dell’atomo e dell’elettrone. Brush (1974) ha sostenuto che la storia della scienza finisce in questo modo con il disinteressarsi sempre di più ai contenuti scientifici privilegiando quelli umanistici ed epistemologici, producendo così un doppio danno nei discenti: invece di studiare oggetti scientifici sarebbero sviati verso concetti filosofici e insistendo sulla relatività delle teorie e delle leggi scientifiche si finirebbe con l’instillare scetticismo e sfiducia nei confronti della scienza da parte degli studenti. La risposta a questa obiezione va articolata. In primo luogo, la maggior parte di queste critiche è stata formulata negli anni Settanta, passando in rassegna la storia della scienza positivista, le posizioni di Sarton, Gillespie, Koyré per arrivare a Kuhn. Il costruttivismo e la storia sociologica della scienza dei decenni successivi hanno tolto 32
molto del valore a questo tipo di argomentazioni: la storia della scienza che si scrive oggi è molto più sofisticata ed attenta ad una molteplicità di fattori determinanti di quanto non fosse la storia della scienza usata per produrre la quasistoria incriminata. In modo molto più generale, poi, noi riteniamo questa obiezione abbastanza naïf. Ogni storia è una quasistoria, nel senso che ogni ricostruzione storica è – appunto – tale. La pretesa dell’oggettività o della verità delle ricostruzioni storiche fa parte di una visione storiografica ingenua e sorpassata. Lo storico della scienza, al pari di qualsiasi altro storico, sceglie coscientemente tra i materiali storiografici a sua disposizione quelli più adatti alla ricostruzione storica che è sempre guidata da un’idea e li dispone in guisa che quella idea ne venga illuminata al meglio. L’onestà dello storico sta nel dichiarare quale tesi informa il suo lavoro, non nel credere che non ci sia nessuna tesi. Si tratta del passaggio dall’histoire-conditionnement, attraverso l’histoire-formation, alla histoire-construction nell’ottica latouriana. Questa versione articolata e densa della ricostruzione storica, una volta esplicitata la tesi che la governa, è appunto il genere di storia della scienza che fa bene all’insegnamento scientifico, ma di questo si dirà fra qualche riga. Qui voglio solo rincarare la dose: se si potesse – e si può – scrivere una storia della scienza ad hoc per l’insegnamento delle materie scientifiche, non mi scandalizzerei affatto: salvata l’onestà declaratoria, una ricostruzione storica guidata da un obiettivo didattico sarebbe buonastoria come altre. Un’argomentazione ulteriore mossa da questi critici è molto più dura. Si tratta dell’atteggiamento diverso che hanno gli storici e gli scientifici (scienziati e insegnanti di scienze) nei confronti dell’oggetto “scienza”: un modo di guardare ai concetti scientifici che è stato paragonato al principio di complementarità in fisica quantistica (Stuewer 1998). «Molti insegnanti di fisica di tutti i livelli di istruzione riconoscono l’opportunità di includere la storia della fisica nel loro insegnamento, ma quando sono sul campo, ad insegnare, mostrano un profondo pregiudizio anti-storico cosicché il loro comportamento contraddice apertamente le loro affermazioni» (Jammer 1972). Questo accade perché il punto di vista dello scienziato, e dell’insegnante di scienze, è antitetico rispetto a quello dello storico della scienza: i primi sono preoccupati di espugnare la fortezza di un problema scientifico con le armi dirette della logica e della matematica, con lo scopo di comprendere la natura, riconducendone le leggi al minimo numero possibile e alle formulazioni più semplici ed eleganti concepibili. Il loro scopo è velocità e sintesi, precisione e chiarezza. La ricerca dello storico è invece 33
verso la complessità: più che espugnare la fortezza gli interessa interrogare i caduti, verificare le strategie perdenti oltre quelle vincenti, compulsare le lettere e i diari della guerra allo scopo di squadernare la ricchezza stupenda dei fenomeni connessi nell’avventura umana, combattendo la tendenza all’ipersemplificazione ed all’ignoranza filosofica. Ergo, sta in questo il principio di complementarità: un paradigma scientifico può essere studiato, aggredito ed appreso con il metodo logico-deduttivo, ma questo punto di vista deve farsi da parte se dello stesso paradigma ci interessa la comprensione in termini storico-antropologici. Una specie di dualismo onda-particella che coinvolge metodi, fonti, obiettivi dei due punti di vista complementari. Su questa seconda questione bisogna essere più cauti: qui, ad essere un problema è, in verità, l’obiettivo che si vuole raggiungere con la didattica delle scienze. Se ci accingiamo a formare tecnici aggiornati, buoni compilatori di test OCSE- PISA, vincitori di astrusi quanto elefantiaci test per l’ammissione alla Facoltà di Medicina, piccoli chimici, piccoli ingegneri, la pretesa di costruire contestualmente cittadini consapevoli e competenti è decisamente schizoide, almeno per quel che riguarda l’approccio storico-critico. Il modo di vedere le cose che si ottiene insegnando una scienza con un profilo umanistico richiede tempo, dedizione e non produce come risultato tecnici pronti ad entrare nelle catene di produzione industriale il giorno dopo l’esame di maturità. Con Giorgio Israel e Paola Mastrocola qui dobbiamo spezzare una lancia in favore della chiarezza: non si può insegnare nei licei la scienza allo stesso modo che negli istituti professionali e le parole “conoscenze, abilità, attitudini, competenze”, se non devono essere vuoti slogan per burosauri ministeriali in vena di documentalese, devono accendersi di significati complessi e differenti a seconda dei luoghi dove vengono declinate. Le obiezioni mosse dagli scientifici alla nostra proposta sono in parte già state accennate nelle righe precedenti: troppo tempo – perso!? – in questioni storico-filosofiche e sottratto al poco tempo disponibile per scorrere i programmi curricolari. (Anche qui altra aporia degli ineffabili compilatori di Linee Guida ed Indicazioni Nazionali: incrementano obiettivi e decrementano orari, da questo punto di vista non sono molto scientifici). La ricerca della complessità dell’approccio storico-filosofico muove poi in direzione opposta della richiesta di chiarezza e distinzione dello spirito geometrico: tutta questa congerie di controversie, paradigmi in contraddizione, distinguo e ubbie alla Duhem-Quine nuocerebbe alla salute mentale dei giovani studenti che nelle discipline scientifiche chiedono risposte 34
semplici e definitive. Il relativismo culturale, lo strumentalismo e il convenzionalismo à la Poincaré, l’antropologia della conoscenza elkaniana, la falsificabilità popperiana sono tutti fattori di un pirronismo che, se va bene per un filosofo, comprometterebbero gravemente un giovane che vuole scegliere una carriera scientifica. Come afferma Matthews (1994: 80) questa è un’affermazione empirica il cui onere della prova spetta a chi la produce. Dal canto nostro, ogni volta che abbiamo proposto, a qualsiasi grado scolastico, dalla Scuola Secondaria di primo grado ai corsi universitari, un arricchimento storico filosofico agli argomenti di fisica, matematica, chimica, biologia, abbiamo visto solo accrescere l’interesse degli studenti verso la materia e mai il contrario. Per rispondere ad alcune questioni sollevate in questo paragrafo dobbiamo chiarire alcuni dettagli relativi a… 4. Quale storia e filosofia della scienza nella didattica delle scienze? A chi ha avuto la pazienza di seguirci fin qui dovrebbe essere chiaro che una vera difficoltà insita nel quadro teorico che noi proponiamo è la definizione di quale tipo di approccio storico-filosofico sia auspicabile e quali strumenti didattici siano disponibili per questo lavoro. Molto brevemente, e in maniera sperabilmente comprensibile per i non addetti ai lavori, cercheremo di illustrare le varie declinazioni della storia della scienza e le possibilità offerte. Le storie delle scienze possono essere raccontate con un’attenzione particolare rivolta allo sviluppo interno delle proposizioni teoriche, alle idee in competizione, alla dinamica dei concetti, raccontando una sorta di “storia del pensiero scientifico” che corre il rischio di restare un po’ troppo nel “mondo 3” popperiano, per cui alcuni storici della scienza italiani finiscono per negarne addirittura l’esistenza come tale. La storia della scienza è senz’altro una storia di idee che tuttavia si è incarnata in testi scritti, immagini, grafici, strumenti, laboratori, edifici, istituzioni, uomini, bombe e provette, assumendo una materialità che non può assolutamente essere trascurata. Essa, inoltre, può essere tranquillamente raccontata in relazione alle condizioni esterne che ne hanno permesso o impedito, comunque condizionato, lo sviluppo. Tali condizioni appartengono anche esse alla storia del pensiero ma non soltanto: sono descritte nella storia economica, sociale, politica, bellica delle Nazioni; fanno cioè parte della Storia tout court. 35
Inoltre, la storia della scienza può essere scritta con scopi differenti. H. Butterfield (1949) molti anni fa mise in guardia da un certo tipo di storia, la storia scritta dai vincitori di un conflitto – bellico o scientifico che sia – che è una storia progressiva e trionfante, che nega conflitti del passato e il valore del nemico e assegna la Verità tutta al vincitore che – di solito – è lo scrittore stesso di questa storia o il principale committente. Questa storia whiggish è stata per molto tempo la storia della scienza comunemente prodotta. Da un certo punti di vista, l’insegnante di scienze è – deve esserlo – uno storico whiggish. Ma: se la storia della scienza deve essere usata come disciplina per l’istruzione scientifica, per educare una mente critica ed illuminata, allora l’approccio whigh non è adatto. Esso, con il suo enfatizzare le continuità, i facili e continui sviluppi di scoperta in scoperta assegna automaticamente allo stato attuale delle conoscenze scientifiche l’autorità immensa che la storia conferisce… La storia della scienza potrebbe aiutare lo studio della scienza mostrando che quegli sconcertanti concetti di forza, energia, ecc., sono stati fatti dall’uomo e sono evoluti in una sequenza comprensibile in risposta a problemi acutamente sentiti e assolutamente concreti. Non sono piovuti giù da chissà quale libro celeste in una forma immediatamente auto-evidente (Cardwell, in Brush 1974: 1171).
Quindi, una storia non ciecamente progressiva, non limitata ad aspetti interni o dinamiche esterne, una storia della scienza concepita all’interno dalla più vasta storia della civiltà (occidentale), con un piglio consapevolmente costruttivista e convenzionalista, mitigato dal realismo à la Holton contro gli eccessi di taluni filosofemi sulla “scomparsa del mondo”, sul “principio di indeterminazione” o sul tout va bien. Si tratta di una concezione della storia della scienza quasi scontata per gli storici della scienza di professione ma, purtroppo e per colpa di noi stessi, ancora troppo lontana dal grande pubblico ed anche dal mondo della scuola. Da questo punto di vista bisogna veramente che la comunità degli storici della scienza si interroghi sulle sue mancanze. Come ha fatto rilevare John Heilbron (2001), fin qui abbiamo fallito nell’incontrare la domanda di rinnovamento che viene dal campo dell’istruzione scientifica. Non abbiamo convinto gli estensori di manuali di scienze per la scuola ad incorporare la storia della scienza “perché non gli offriamo ciò di cui hanno bisogno”. La storia della scienza a scuola, infatti, non può essere somministrata con un approccio additivo, aggiungendosi come carico ulteriore 36
al curricolo in vigore. D’altro canto, esperienze come l’Harvard Project Physics, che hanno provato a strutturare un corso di scienze interamente su base storica, hanno mostrato luci ed ombre e, in pratica, sono state abbandonate. Una strada differente, percorribile, è la costruzione di una trama storica narrativa (Clough 2011; Egan 1986; Frisch 2010; Klassen 2009; Tao 2002) ricca come abbiamo cercato di descrivere, “densa” nelle sue componenti interdisciplinari sulla quale innestare i contenuti scientifici curricolari. In concreto, seguendo il suggerimento di Heilbron, quello che gli storici della scienza dovrebbero fare per “offrire ciò di cui gli insegnanti di scienze hanno bisogno” è la realizzazione di compendi di studi di caso storico, che siano modulari e caratterizzati da: • un contenuto cognitivo scientifico utile a rinforzare i concetti che gli studenti studiano nei loro manuali scolastici; • una ricca trama epistemologica e storica (del tipo costruttivista soft che ho cercato di descrivere) con consistenti richiami alle materie umanistiche e agli aspetti etico-sociali degli argomenti trattati; • un approccio narrativo; • infine, come suggeriamo in questo saggio, tutto questo si coniuga molto bene all’uso delle tecnologie digitali. Questi moduli dovrebbero essere realizzati da team di professionalità differenti: storici, filosofi, scienziati e, soprattutto, insegnanti di scienze. Questi sono gli unici, infatti, a poter decidere della usabilità di tali moduli nelle classi. 5. Chi dovrà insegnare questa storia della scienza a scuola? Mi piacerebbe che fossero i filosofi, ma solo per spirito di categoria. Invece, tocca agli insegnanti di scienze i quali, naturalmente, possono impostare unità di apprendimento interdisciplinari con i colleghi delle materie umanistiche, in primis appunto i filosofi. Ma, se non si vuole perpetuare l’equivoco perniciosissimo della separatezza delle “due culture”, è ovvio che sono gli insegnanti di scienze i protagonisti di questa impresa. Questo significa due cose: 1. I docenti di scienze devono essere convinti della validità di questo approccio, devono rivedere quello che è il loro abituale modo di pensare all’insegnamento della propria disciplina, considerando i moduli narrativi storico-epistemologici come un’accattivante opportunità di arricchimento del loro modo di interagire con gli studenti. Nelle sperimentazioni che ab37
biamo condotto in questa direzione, questo è avvenuto regolarmente. Ma è evidente che i docenti che ci hanno seguito erano già motivati ad introdurre significativi cambiamenti nel loro modo di insegnare. 2. I docenti di scienze devono avere la possibilità di una formazione ad hoc, iniziale e permanente, su questi temi. Essi non possono, nella situazione attuale della scuola, farsi carico da soli di conseguire queste ulteriori conoscenze ed abilità. Quindi, andando in direzione contraria a quello che è stato fatto (il D.M 249/2010 ha praticamente eliminato la storia della scienza dalla formazione degli insegnanti), bisogna re-introdurre la storia della scienza nei curricola delle lauree magistrali abilitanti all’insegnamento in tutte le classi di abilitazione scientifica. E per storia della scienza va intesa non la storia della singola disciplina scientifica di quella particolare classe di abilitazione, ma la storia della scienza generale. Inoltre, vanno istituiti corsi di aggiornamento specifici per la formazione in questo tipo di didattica, con le caratteristiche epistemologiche, narrative, didattiche che abbiamo descritto. Lo scopo non sarà trasformare i docenti di scienze in storici e filosofi della scienza, ma dare ad essi la capacità di individuare le principali problematiche storico-epistemologiche presenti nei loro curricola, nei loro manuali e nella loro progettazione didattica, fornendo gli strumenti di base per consentire di insegnare le scienze in a humanistic way. Naturalmente, su questi ultimi punti sta o cade l’efficacia della proposta presentata in queste pagine. Tutti i recenti documenti della EU sull’insegnamento concordano sul ruolo chiave degli insegnanti: questi oggi sono poco motivati, mal riconosciuti nella loro straordinaria funzione sociale, mal pagati, poco aggiornati, sottoposti a un carico di impegni professionale ed etico mai così intenso, visto l’arretramento delle altre agenzie formative. Senza un corpo docente preparato, ricollocato al centro della funzione formativa e adeguatamente retribuito, le proposte che vengono dalla ricerca accademica in campo didattico e pedagogico sono destinate a restare lettera morta: I docenti sono la chiave per un insegnamento storico delle scienze coronato da successo. È necessario che vengano interessati e formati in storia. Se saranno preparati e sostenuti in modi formali e informali, la storia contribuirà al raggiungimento degli obiettivi culturali e professionali nel campo dell’istruzione scientifica; se questo non avverrà, il semplice legiferare per l’introduzione della storia nei curricola scientifici, avrà un effetto modesto. Come è stato detto sovente, buoni insegnanti possono salvare il peggior curriculum, e cattivi insegnanti possono distruggere il migliore (Matthews, 1994: 82). 38
Capitolo 2
Media Literacy e digital storytelling nel contesto europeo dell’istruzione FRANCESCA MORGESE
1. La tecnologia è dappertutto. Tranne che a scuola? Il contributo dei digital media alla promozione delle competenze dei cittadini europei del XXI secolo 1.1.
La Media Literacy nel contesto europeo
Vogliamo qui focalizzare l’attenzione sui contenuti di due progetti di ricerca finanziati dal CERI1: The New Millennium Learners, ormai conclusosi, e Innovative Learning Environments, ancora in corso. Il progetto The New Millennium Learners (NML) si è occupato inizialmente di analizzare le esigenze e le domande educative provenienti dalla generazione dei così detti “nativi digitali”, anche detti “millenials”, nonché le principali aree di interesse degli utenti che usano abitualmente dispositivi digitali nelle proprie quotidiane attività di studio e comunicazione. Una particolare attenzione è stata posta sulle visioni, attitudini, aspettative e competenze dei nativi digitali in tema di apprendimento e insegnamento e su quanto esse si discostino dalle pratiche di apprendimento e dalle competenze sviluppate a scuola. La seconda fase del progetto si è focalizzata, quindi, sull’analisi dell’offerta educativa, cioè su quali attività, progetti, 1
Il CERI - Centre for Educational Research and Innovation, una divisione del Directorate for Education dell’OECD, si occupa di ricerca innovativa nel campo dell’educazione e dell’istruzione, dall’infanzia fino all’educazione degli adulti, finanziando progetti di ricerca teorica e di analisi empirica. La disseminazione dei risultati avviene attraverso report, conferenze internazionali, pubblicazione e attività di disseminazione via web. http://www.oecd.org/department/0,3355,en_2649_35845581_1_1_1_1_1,00.html.
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strumenti, le agenzie formative e gli istituti scolastici siano in grado di offrire, in Europa, per rispondere a queste domande e a queste aspettative. Nel progetto CERI per Millenials si intende la generazione nata in pieno sviluppo ed utilizzo dei digital media, persone le cui attività di comunicazione e costruzione della conoscenza sono prevalentemente mediate dalle tecnologie digitali (Pedró 2006: 2-3). Il progetto individua chiaramente tre importanti ambiti sui quali il sorgere della generazione NML rende necessaria un’attenta riflessione, che costituiscono al tempo stesso tre fondamentali sfide ai sistemi educativi europei: le nuove competenze che l’uso intensivo dei digital media promuove o rende necessario promuovere nei ragazzi; i cambiamenti nelle pratiche di produzione di conoscenza; la eventuale distanza esistente tra queste pratiche e le pratiche di insegnamento-apprendimento esperite a scuola. La ricerca individua alcuni dei comportamenti abituali dei NML nell’approccio alla conoscenza ed alle sue fonti: un accesso che privilegia le fonti digitali rispetto a quelle cartacee; che dà priorità ad immagini, movimento e musica di accompagnamento al testo; che agisce in multi-tasking; che acquisisce conoscenza mediante trattamento discontinuo piuttosto che lineare delle informazioni. Si tratta di modalità lontane da quelle vissute nel contesto scolastico. Al tempo stesso, differenti rispetto alle generazioni precedenti sono anche le pratiche culturali e l’attribuzione di valore ai prodotti culturali: in particolare, il contenuto multimediale è considerato di maggior valore e significato rispetto a quello semplicemente testuale (Pedró 2006: 10-11). Di conseguenza, le modalità e le aspettative dei NML rispetto all’insegnamento ed all’apprendimento sono cambiate: oggi non è più possibile pensare che i digital media siano solo “supporti”, “strumenti” del tradizionale insegnamento ed apprendimento, così come non è più vero che queste tecnologie sono utilizzate esclusivamente a scuola. Le ICT hanno invaso le case dei ragazzi (Pedró 2008: 2-3) ed essi spesso sviluppano competenze digitali superiori a quelle dei propri insegnanti: si sono accresciute esponenzialmente le occasioni che i ragazzi hanno di utilizzare le tecnologie digitali e grazie ad esse il loro modo di lavorare è diventato decisamente più collaborativo, attivo e personalizzato, i ragazzi creano prodotti culturali da caricare e scambiare sul web, attingendo in modo quasi esclusivo a materiale multimediale. La conseguenza più immediata di questo trend è «[…] Un crescente divario tra le percezioni degli studenti e quelle degli insegnanti per quanto riguarda la qualità dell’esperienza scolastica» (Pedró 2006: 13), una crescente distanza tra pratiche scolastiche e 40
pratiche informali di produzione e fruizione della conoscenza, una distanza che rischia di disaffezionare sempre più i ragazzi alla scuola, tanto più che le iniziative messe in campo dai sistemi scolastici europei per l’innovazione digitale sembrano non tenere in dovuta considerazione i cambiamenti culturali in corso, specie quando viene valutata l’efficacia delle pratiche di insegnamento. Una ricerca internazionale realizzata in Inghilterra nel 2007 (Ipsos Mori 2007) mette in evidenza la distanza tra ciò che si fa in classe e ciò che i ragazzi desidererebbero si facesse: il 52% degli studenti intervistati afferma che la principale attività scolastica è “Copiare dalla lavagna o da un libro”, seguita, con il 33%, da “Ascoltare un insegnante che parla a lungo”. Appena il 22% va a “Lavorare in piccoli gruppi per risolvere un problema”, il 16% a “Lavorare al computer” ed ancor meno, il 10%, ad “Imparare cose relazionate al mondo reale”. A fronte di queste attività, i ragazzi desidererebbero, invece, per il 55% studiare “in gruppi”, per il 39% “Attraverso un approccio pratico”, per il 31% “Usando i computer”, solo per il 14% “Osservando cose già realizzate” ed appena per l’8% “Copiando”2. Evidente è la distanza tra pratiche reali ed attese degli studenti: mettere al centro della pratica educativa le nuove competenze digitali dei ragazzi, da loro costruite ed esperite, specie in contesti informali, diventa un obiettivo imprescindibile di tutti i sistemi scolastici che vogliano realizzare contesti educativi veramente efficaci ed essere tecnologicamente abilitati per dare risposte significative alle esigenze di apprendimento emergenti. Le implicazioni in termini di innovazioni, evidentemente, sono di diverso genere: infrastrutturali, contestuali, curricolari, metodologiche; tutte dovrebbero contribuire a collocare in modo più adeguato il processo di insegnamento-apprendimento nel nuovo panorama di competenze e pratiche di comunicazione e a promuovere l’uso dei digital media come concrete risorse educative all’interno del quotidiano lavoro scolastico. Come sempre, il punto di partenza per innovare la scuola sono e devono essere gli insegnanti (Greco 2004). Il progetto NML individua tre fattori principali che impediscono attualmente agli insegnanti di farsi “portatori” di innovazione tecnologica: nel contesto scolastico essi non ricevono incentivi ad usare la tecnologia in classe; non sono abituati a fare ricerca e ad orientare la propria professione sui risultati della ricerca e delle buone pratiche di in2
Ipsos Mori (2007) citato in Pedró 2008: 19-20.
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segnamento-apprendimento (perlopiù non si pensano come “intellettualiricercatori”); non hanno esperienza personale di ciò che un insegnamento potenziato dalla tecnologia potrebbe rendere possibile (Pedró 2008: 17). Fondamentale, quindi, è intervenire sulla formazione degli insegnanti: la loro sfiducia nelle potenzialità della tecnologia costituisce, infatti, una delle principali cause del sotto-utilizzo degli strumenti tecnologici a scuola (Jacobsen 2001). 1.2.
Quali competenze promuovere?
Il rapporto edito nel 2009 all’interno di NML (Ananiadou, Claro 2009) ha, infine, fatto il punto sulle risultanze del progetto, inquadrandole all’interno di un obiettivo generale: suggerire ai sistemi europei di istruzione quali siano le competenze necessarie per fare degli studenti cittadini attivi e partecipi nella “società della conoscenza” del XXI secolo, con focus particolare sul ruolo delle ICT e dei digital media nella costruzione di nuove forme di comunicazione, socializzazione e gestione della conoscenza. Prima di illustrare quali competenze indispensabili vengono suggerite in Ananiadou e Claro, è utile fare una breve rassegna della riflessione sulle competenze, sviluppate in Europa. Il concetto di competenza sposato dall’OECD affonda le proprie radici nel programma DeSeCo (Definition and Selection of Competencies) e nel Programma PISA (Programme for International Student Assessment) che ha preso avvio proprio dai risultati di DeSeCo. Tale riflessione costituisce la frontiera della ricerca contemporanea in ambito educativo, un campo di ricerca attualissimo all’interno del quale è tuttora in progress la definizione del concetto di competenza. Riportiamo di seguito alcune delle definizioni emergenti dai documenti europei: Una competenza non è solo conoscenza o abilità. Essa implica la capacità di soddisfare complesse esigenze, attingendo e mobilitando risorse psicosociali (comprese le competenze e le attitudini) in un contesto particolare3 (Rychen, Salganik 2003).
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La presente come le seguenti traduzioni dei documenti originali in inglese sono dell’autrice del capitolo.
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La capacità di applicare in modo appropriato in un determinato contesto (istruzione, lavoro, sviluppo personale o professionale) i risultati dell’apprendimento (Cedefop, 2008: 47). Comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e personale (Cedefop 2011: 23).
La definizione presente in Cedefop 2011 è identica a quella presente nel “Documento tecnico” di accompagnamento all’attuale riforma dell’istruzione secondaria di II grado in corso in Italia (Riforma degli istituti Tecnici e Riforma dei Licei), in cui si dice: «Competenze indicano la comprovata capacità di usare conoscenze, abilità e capacità personali, sociali e/o metodologiche, in situazioni di lavoro o di studio e nello sviluppo professionale e/o personale; le competenze sono descritte in termine di responsabilità e autonomia». Ricorrono in queste definizioni alcuni termini chiave: “applicare”, “usare”, “in contesto”, “in situazione”, “responsabilità”, “autonomia”. Il rilievo è dato alla dimensione di un’istruzione che deve sviluppare il pieno godimento della cittadinanza e che, per farlo, deve puntare ad una abitudine alla fruizione e gestione critica delle conoscenze, che devono essere finalizzate, mobilitate, rese operative all’interno di precisi contesti. Qui interviene, nella riflessione europea, il contributo delle competenze digitali, l’information dimension (Ananiadou, Claro 2009: 9) dell’istruzione, alla formazione di cittadini autonomi e responsabili. Tale contributo deve essere inteso sia nell’ottica delle competenze nell’uso delle fonti di conoscenza sia in quella delle competenze nella produzione di conoscenza. La prima ottica esalta, dunque, il contributo che può venire dallo sviluppo delle competenze di: definire, ricercare, valutare, selezionare, organizzare, analizzare e interpretare l’informazione (Ananiadou, Claro 2009: 9).
In sintesi, la competenza nel reperire fonti pertinenti con il problema che ci si è posti, dunque una competenza nella valutazione e selezione critica delle fonti in relazione a specifici contesti o situazioni. La seconda ottica, quella della produzione, esalta il contributo che può venire dallo sviluppo delle competenze in: 43
integrare e sintetizzare l’informazione, analizzare e interpretare l’informazione, modellare l’informazione, osservare come funziona un modello e come funzionano le relazioni tra i suoi elementi. Infine, generare nuove informazioni e sviluppare nuove idee. Il processo di sviluppo delle proprie idee è fondamentale in quanto incoraggia gli studenti a sviluppare il loro pensiero. Abilità che appartengono perlopiù a questa sotto-dimensione sono la creatività e l’innovazione, il problem solving e il processo del prendere decisioni (Ananiadou, Claro 2009: 9).
In sintesi, la competenza nel modellizzare e produrre attivamente e creativamente nuova conoscenza, finalizzandola a precisi contesti e situazioni. Alla luce di questa necessaria premessa, nel progetto NML vengono individuate 15 competenze ritenute indispensabili per i cittadini del XXI secolo4 e che gli ambienti digitali di apprendimento contribuiscono significativamente a sviluppare, se intesi secondo le due ottiche su illustrate: creatività/innovazione; pensiero critico; capacità di risolvere i problemi; capacità di prendere decisioni; capacità di comunicare, capacità di collaborare; competenze nell’uso delle informazioni, capacità di fare ricerca; competenze nel settore dei media; cittadinanza digitale; concetti e operazioni fondamentali delle ICT; flessibilità e adattabilità; spirito di iniziativa e autoregolazione; produttività; senso di responsabilità; capacità di leadership. Le competenze codificate in NML pongono chiaramente al centro del processo di apprendimento la persona che apprende: l’enfasi è sul ruolo attivo, sull’autoregolazione e sulla responsabilità personale nella costruzione della conoscenza, in sintesi, su un self-directed learner che proprio a scuola costruisce il proprio profilo di cittadino e di lifelong learner. Sul percorso tracciato da questo progetto è nato l’Innovative Learning Environments Project (ILE)5, sempre a cura del CERI. Scopo del progetto è informare insegnanti, dirigenti scolastici ed estensori delle riforme scolastiche sugli “ambienti di apprendimento”6 innovativi, attraverso la ricerca 4 Di cui si monitora la presenza nei sistemi di istruzione di 16 Paesi OECD, cfr. Ananiadou, Claro 2009: 20-30. 5 http://www.oecd.org/document/19/0,3746,en_2649_35845581_40787603_1_1_1_1, 00.html. Documento di riferimento è: Dumont et al. (2010), The Nature of Learning. Using Research to Inspire Practice, OECD. 6 La definizione e discussione critica in tema di ambienti di apprendimento è affrontata nel paragrafo successivo.
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sul campo e lo scambio delle buone pratiche a livello europeo. Questo è il motivo per cui si chiede alle Nazioni europee partecipanti all’ILE innanzitutto di diffondere informazioni sulle pratiche didattiche e sugli ambienti di apprendimento attualmente praticati nel proprio sistema d’istruzione, a livello micro delle singole scuole, e ritenuti particolarmente efficaci nella promozione delle competenze per il XXI secolo. Obiettivo è, quindi, raccogliere una vasta letteratura su particolari studi di caso e diffonderla a livello europeo7. La valutazione dell’efficacia degli ambienti di apprendimento proposti deve essere effettuata in base a principi generali che individuano, secondo l’ILE, un ambiente di apprendimento efficace. Esso: 1. Rende l’apprendimento centrale, incoraggia un impegno, e sviluppa una comprensione della propria attività come discenti; 2. Rende l’apprendimento sociale e frequentemente collaborativo; 3. È in sintonia con le motivazioni degli alunni e il ruolo chiave delle emozioni; 4. È sensibile alle differenze individuali tra gli allievi comprese le loro conoscenze pregresse; 5. È esigente con ogni studente, ma senza eccessivo sovraccarico; 6. Utilizza valutazioni che siano coerenti con gli obiettivi, con forte enfasi sul feedback formativo; 7. Promuove la connessione orizzontale tra le attività e soggetti, in contesti scolastici ed extrascolastici (OECD 2012).
Ulteriore criterio di valutazione dell’efficacia degli ambienti di apprendimento sono le già elencate 15 competenze NML, tra le quali è ritenuta in ILE particolarmente importante la promozione delle seguenti: capacità di collaborare; creatività/innovazione; capacità di risolvere i problemi; cittadinanza digitale e competenza nel trasferire la conoscenza appresa nella soluzione di problemi nuovi8 (OECD 2012).
7 http://www.oecd.org/document/30/0,3746,en_2649_35845581_49777566_1_1_1_1, 00.html riporta gli studi di caso fino ad ora monitorati in ILE. 8 Quest’ultima competenza è assente nella codificazione NML.
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2. Il digital storytelling: un ambiente di apprendimento digitale 2.1.
Che cos’è un ambiente di apprendimento
Un “ambiente di apprendimento” può essere sinteticamente definito come un luogo (fisico o virtuale) di organizzazione delle conoscenze. Questo significa, immediatamente, che in esso si deve porre particolare e consapevole attenzione ad alcuni elementi: il luogo dove si svolge l’attività; i tempi; gli attori coinvolti; le attese dell’attività svolta; le regole di comportamento; i compiti e le attività da svolgere; gli strumenti da utilizzare; gli oggetti culturali da osservare, analizzare, selezionare, manipolare; le modalità espressive da utilizzare; le fonti da utilizzate, i prodotti da realizzare. Come si evince da questo breve elenco, un ambiente di apprendimento è un vero e proprio “sistema” di elementi interagenti tra loro. Quando un ambiente di apprendimento è inteso in senso costruttivista, al centro del sistema vi sono gli studenti, coloro che apprendono, per i quali il sistema stesso funziona da “orientamento” dell’attività di produzione di significato. Attività caratterizzanti un ambiente di apprendimento costruttivista sono: – la ricerca delle informazioni e la loro selezione; – la interpretazione delle informazioni; – la produzione personalizzata. Il lavoro è collaborativo e di gruppo; il prodotto finale è un artefatto culturale frutto della co-costruzione avvenuta nel setting educativo (Wilson 1996b: 5). Di conseguenza, uno degli elementi più importanti in un ambiente di apprendimento costruttivista è la disponibilità di “banche di informazione”, ossia risorse e repertori di informazioni, che vanno da persone fisiche (l’insegnante, esperti coinvolti nel lavoro, persone depositarie di conoscenze) a libri, enciclopedie, banche dati digitali, il web, qualsiasi fonte che sia utile e pertinente al compito da svolgere, alle quali gli attori del sistema possano accedere (Varisco 2002: 159-160). La ricerca in queste banche di informazioni è guidata dal percorso che il lavoro intraprende durante la realizzazione in seguito all’attività di analisi, selezione ed interpretazione cui le informazioni sono sottoposte da parte degli attori che operano nel sistema al fine di co-costruire «significati negoziati e condivisi di cose, fatti ed eventi» (Varisco 2002: 162). Se questi elementi concorrono a determinare un’attività dinamica che promuove processi quali il problem solving, 46
la sperimentazione, la creatività, la discussione e l’analisi ed interpretazione di questioni considerate da differenti prospettive (Dunlap, Grabinger 1996), siamo in presenza di un ambiente di apprendimento costruttivista ricco9 (Perkins 1991). La ricchezza è data dal fatto che le informazioni non sono avulse dal contesto bensì ad esse viene attribuito significato proprio in relazione all’attività o al compito da svolgere, si tratta, cioè, di informazioni collocate, che permettono di creare infine una rete articolata e complessa di significati. Tale processo di costruzione di significato in contesto è continuamente ancorato alle conoscenze già possedute, che vengono a loro volta modificate dal nuovo processo di costruzione in corso. La collocazione della conoscenza viene fatta in un contesto realistico e rilevante, cioè con riferimento a problemi reali che, in quanto tali, sono per propria natura complessi e spesso lasciano spazio a molteplici soluzioni: in un ambiente di apprendimento costruttivista si favoriscono, di conseguenza, molteplici approcci di risoluzione ai problemi (Cunningham, Duffy, Knuth 1993; Knuth, Cunningham 1993). Collocare un problema in un contesto realistico può significare, ad esempio, collocarlo all’interno delle procedure che adotterebbero o adottano gli specialisti di quella disciplina per la sua risoluzione: studiare la scienza come la studierebbero gli scienziati, la storia come la studierebbero gli storici, la storia dell’arte come la studierebbero gli storici dell’arte e così via, significa far entrare gli studenti nel “laboratorio” degli specialisti della materia e far scoprire loro come vengono generati e risolti i problemi all’interno di un ambito conoscitivo codificato. Un approccio del genere permette alle “materie scolastiche” di non essere troppo separate dalla ricerca disciplinare viva e reale e costituisce un prezioso strumento di motivazione per gli studenti, che imparano ad apprezzare la rilevanza sociale ed epistemologica di ciò che studiano (Carletti, Varani 2005: 48-50; Carletti 2007: 71-81). A costruire i significati non è il singolo ma il gruppo (insegnante/i e studenti; studenti tra loro). Triani (2002) individua quattro fattori che descrivono l’azione del gruppo sull’apprendimento individuale: la relazione di gruppo, il tutoring, il conflitto socio-cognitivo, la co-costruzione della conoscenza. La necessità continua di condividere le attività di lavoro, di relazionarsi tra persone diverse, di incontrare gli schemi interpretativi degli altri e di negoziare l’attribuzione di significati, argomentando 9
Rispetto ad altri di tipo minimalista che non lasciano spazio alla gestione dell’apprendimento da parte degli studenti.
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la validità della propria interpretazione ed attribuzione di significato, sviluppa importanti abilità di relazione sociale e di collaborazione. In una situazione in cui, inoltre, l’insegnante non è più la fonte autoritaria né esclusiva di conoscenza e nozioni, ogni membro del gruppo è stimolato a diventare attivamente e responsabilmente costruttore del proprio apprendimento. Le modalità espressive da utilizzare devono essere coerenti e funzionali al progetto didattico che si intende realizzare: in un’ottica costruttivista, molteplici media e linguaggi devono concorrere nel processo di analisi, soluzione e rappresentazione del problema, in modo tale da espandere al massimo grado l’attività di selezione e manipolazione del materiale. I prodotti realizzati devono essere il frutto dell’attività di presentazione di idee, procedure, soluzioni e argomentazioni di problemi sotto forma di video, animazioni di foto, testi multimediali et cetera. Le tecnologie digitali e multimediali, permettendo l’integrazione tra codici, rappresentano, dunque, un elemento essenziale quando non vengono schiacciate su un ruolo meramente strumentale bensì sono intese come vie privilegiate di accesso al processo di costruzione del significato: si tratta di una concezione “filosofica” della tecnologia, secondo la quale essa deve intervenire in modo coerente a sostegno dell’approccio alla conoscenza che si vuole sviluppare. Come afferma Roberto Maragliano la multimedialità è: qualcosa di più di una questione tecnologica [essa è] un orizzonte filosofico, uno spazio per il pensiero, per l’operatività, per l’autorealizzazione: una irrinunciabile risorsa semiotica entro la quale sperimentare, sotto il segno della molteplicità, la liberazione dell’identità e della memoria dalle gabbie di una visione (appunto) scrittoria del mondo (Maragliano 1998:13).
Sposiamo qui la definizione data da Maragliano della macchina come “dispositivo filosofico” e la sua concezione della tecnologia che «incide sulla natura stessa del problema, essendone, più che la soluzione materiale, il contesto stesso di definizione» (Maragliano 1998: 99; 104). Infine, elemento essenziale di un ambiente di apprendimento costruttivista è l’attività di riflessione metacognitiva da esercitare sul processo di apprendimento vissuto: gli studenti devono essere guidati a riflettere su come hanno gestito la soluzione del problema specifico affrontato, modellizzando il procedimento in modo da favorirne la trasferibilità su problemi 48
o in contesti differenti o su manifestazioni differenti del medesimo problema (Black, McClintock 1996). È urgente, dunque, in una scuola ancora prevalentemente trasmissiva, dichiarativa, incentrata sullo studio dei manuali, rivoluzionare la didattica facendo in modo che essa davvero promuova le competenze di cui tanto si parla: promuovere un apprendimento che ponga al centro della formazione degli studenti il senso di responsabilità ed autonomia, la collaborazione con gli altri, la competenza nella soluzione dei problemi, l’operatività e la produzione di progetti. La multimedialità digitale, mettendo in grado l’utente non solo di recepire e fruire conoscenza ma anche di produrne di nuova e personalizzata, in sintesi di produrre conoscenza significativa per se stessi, rappresenta la via privilegiata di una possibile rivoluzione pedagogica e didattica. In sintesi, elenchiamo di seguito le caratteristiche principali di un ambiente di apprendimento costruttivista: – Favorisce l’esperienza di costruzione della conoscenza: osservare casi reali ed elaborare argomentazioni. – Promuove la comprensione attraverso molteplici prospettive: enfasi sul punto di vista dei personaggi della storia. – Inserisce l’apprendimento in contesti realistici e rilevanti: enfasi sul contesto storico, culturale, sociale, filosofico, valoriale, ecc. – Centra l’apprendimento sullo studente: promozione della partecipazione attiva alla produzione degli “artefatti culturali” e del processo di sense-making. – Incoraggia l’uso di molteplici media: acquisizione di competenze nell’uso di software multimediali. – Promuove la riflessione sul deuterolearning (apprendere ad apprendere, riflessione metacognitiva sul come apprendiamo): enfasi sul processo di costruzione della conoscenza più che sui prodotti della conoscenza. – Stimola la collaborazione e la relazione di gruppo: conoscenza come co-costruzione collettiva di significato e negoziazione sociale. – Reinterpreta l’insegnante come tutor e maestro d’orchestra.
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2.2.
Porte ufficiali e accessi alternativi: la selezione dei contenuti in un ambiente di apprendimento costruttivista per le discipline scientifiche
L’ambiente di apprendimento costituisce lo strumento più importante di una didattica di matrice costruttivista: se la conoscenza non è data ma fatta, anche la selezione del “che cosa insegnare” e del “come insegnarlo” è influenzata da questa concezione della conoscenza. La selezione dei contenuti da insegnare è generalmente orientata dalle selezioni operate nei manuali di studio: essi costituiscono, per così dire, l’accesso “ufficiale” alle materie, certo quello ancora maggiormente praticato a scuola. Il rischio più rilevante insito in questa situazione è che le semplificazioni operate nei manuali, che vanno nella direzione di un sapere esclusivamente dichiarativo e trasmissivo, nell’enfasi sui risultati della ricerca e nell’omissione dei processi e dei problemi sottesi, vengano recepite da chi apprende come la verità oggettiva ed univoca sugli oggetti di studio, senza alcuna sollecitazione alla problematizzazione. I processi di selezione ed interpretazione, infatti, nei manuali restano ad un livello implicito ed è raro che si riservi ad essi nel corso dell’insegnamento un’intenzionale pratica di esplicitazione. In un’ottica costruttivista, l’accesso alla conoscenza si pone per propria natura come alternativo: ossia storico; ermeneutico; multiprospettico; esplicito sui processi, sui problemi e sulla costruzione di significato e, di conseguenza, trasferibile. Ribadiamo che questo discorso implica non solo un diverso modo di concepire l’insegnamento e l’apprendimento ma anche la conoscenza stessa: una conoscenza che rifugge la nomenclatura e che va in direzione della complessità e della promozione delle competenze. L’approccio storico alla selezione dei contenuti permette di far scoprire agli studenti il processo di genesi dei problemi ed i vincoli sociali, culturali ma anche quelli propri della disciplina (storia esterna ed interna) dai quali i vari problemi sono emersi e le soluzioni sono state “costruite”. Le visioni del mondo prevalenti in un dato momento e contesto storico (in ambito scientifico, ad esempio, i paradigmi prevalenti) permettono di argomentare e sostenere, in un certo senso di concretizzare in reali studi di caso, quello che fin qui abbiamo definito il processo di costruzione della conoscenza, contestualizzandolo in contesti reali e significativi e non dimenticando che le discipline stesse sono “interpretazioni” del mondo. Condividiamo, dunque, la definizione di caso proposta da Kolodner e Guzdial: 50
I casi sono interpretazioni di esperienze. I casi hanno varie sottocomponenti proprio come le storie: l’impostazione, gli attori ed i loro obiettivi, una sequenza di eventi, risultati, e le spiegazioni che collegano i risultati agli obiettivi e gli strumenti di realizzazione. Migliori sono le interpretazioni di ciascuno di questi pezzi, e migliori sono le spiegazioni che li collegano l’uno all’altro, e più utile sarà un caso quando sarà ricordato più tardi […]. Le spiegazioni che legano i pezzi di un caso insieme permettono agli individui di trarre insegnamenti: le lezioni apprese dal caso […]. Richiamando un caso, le lezioni che un individuo deriva da esso sono a disposizione per l’applicazione ad una situazione nuova, come lo sono le spiegazioni da cui derivano quelle lezioni […] (Kolodner, Guzdial 2000: 217)10.
Affrontare un singolo studio di caso storico e reale, puntando a far emergere la complessità autentica del problema scelto, le alternative di selezione ed interpretazione, piuttosto che puntando alla sua semplificazione e concettualizzazione decontestualizzata, costituisce un principio guida essenziale per la progettazione di un ambiente di apprendimento costruttivista per le discipline scientifiche. Di conseguenza, infatti, acquisteranno esplicito rilievo anche la riflessione sui linguaggi specifici, le interrelazioni tra ambiti disciplinari, la dinamicità e i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo nell’attribuzione di significato e nell’interpretazione di fenomeni e concetti. Il valore didattico dell’analisi di casi reali è stato ed è oggetto di numerosi studi (Christensen, Hansen 1987; Jonassen 1991; Ragin, Becker 1992; Jonassen 1994; Stake 1995; Kolodner, Guzdial 2000; Jonassen, Hernandez-Serrano 2002; Flyvbjerg 2011) che individuano nell’analisi di casi in contesti autentici, complessi ed incerti, uno strumento forte per sostenere il processo di costruzione della conoscenza: esercitare l’analisi su un caso reale permetterebbe, infatti, di scontrarsi con i problemi reali da cui nasce la conoscenza laddove l’esercizio del problem solving costituirebbe, a sua volta, uno dei modi più efficaci per dar vita ad un apprendimento significativo. Nell’ambito dell’apprendimento della scienza il paradigma costruttivista è stato ed è oggetto di numerosi studi a carattere teorico ed applicativo, tesi a verificarne l’efficacia didattica in termini di costruzione delle competenze scientifiche. Un settore specifico di questi è rappresentato dagli studi che 10
Traduzione nostra.
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propongono e valutano l’efficacia didattica dell’uso di case studies a contenuto storico-scientifico al fine di rendere espliciti ai discenti i problemi della scienza ed i processi con i quali è stata costruita e viene costruita la conoscenza scientifica, cioè la questione della genesi, della crescita e dell’accettazione delle teorie. Come afferma Dario Antiseri, infatti, le teorie: non nascono per caso ma per risolvere problemi […]. Lo scienziato parte sempre da problemi, problemi pratici e teorici. E parte da questi problemi piuttosto che da altri perché ha alle spalle una tradizione piuttosto che un’altra (Antiseri 1977: 7; 84).
Se la metodologia dell’analisi di casi a contenuto storico-scientifico punta ad evidenziare i molteplici elementi contestuali (storici, epistemologici, filosofici, ma anche economici, politici e religiosi) che fanno parte della “tradizione alle spalle” degli scienziati e che intervengono nella produzione del sapere scientifico (Allchin 1997), si può parlare di un metodo volto all’esplicitazione nella didattica di quella che in letteratura è definita correntemente NoS, Nature of Science (Bybee 2004). L’intervento della storia della scienza nel dibattito sull’apprendimento costruttivista della scienza è, come da più parti è stato affermato, centrale: questa disciplina, infatti, offre per propria natura un vastissimo repertorio di casi reali sui quali esercitare problem solving, permette al discente di comprendere perché nel corso della storia siano sorti certi problemi scientifici, siano state intraprese alcune strade di risoluzione di tali problemi anziché altre, quali fattori reali abbiano determinato questi percorsi. La collocazione della conoscenza scientifica nel proprio autentico contesto storico apre, inoltre, la strada all’interdisciplinarità in quanto determina la necessità di ricostruire il caso storico in tutta la sua complessità reale ed in tutte o molte delle sue dimensioni. La promozione di una comprensione contestuale della scienza e delle sue relazioni con gli aspetti sociali e culturali struttura, d’altra parte, quello che a parere di Roger Bybee è uno dei principali obiettivi della science education: la comprensione del rapporto tra scienza, tecnologia e società e della dimensione culturale della conoscenza scientifica, finendo per identificarsi con il livello più alto di scientific literacy (Bybee 1997). Il difetto dei manuali di studio sarebbe, infatti, quello di istruire ad una conoscenza de-contestualizzata, training formativo che non permette di emanciparsi da un livello “da principianti” della conoscenza (Flyvbjerg 2011: 303; 312). 52
La conoscenza al livello di “principiante” consiste proprio nelle formule ridotte che caratterizzano le teorie, mentre la competenza vera si basa su un’esperienza intima con migliaia di casi individuali e sulla capacità di discriminare tra situazioni, con tutte le loro sfumature di differenza, senza distillarle in formule o casi standard (Flyvbjerg 2011: 312)11.
Uno studente è esperto, dunque, quando è un frequentatore assiduo di una knowledge in-context che si occupa di casi individuali, singoli, particolari. Infine, la trasferibilità dell’apprendimento da casi specifici e concreti ad altri ad essi simili (Spiro et al. 1987; Spiro, Jehng 1990; Flyvbjerg 2011) non costituisce un portato immediato di quanto sopra illustrato, proprio nel senso etimologico di “non mediato”. Perché un apprendimento per studi di caso possa costruire un sapere generalizzabile e trasferibile, infatti, è necessaria la mediazione della riflessione metacognitiva e della condivisione con gli studenti delle convenzioni interpretative utilizzate nel sapere scientifico: gli studenti devono essere esplicitamente coinvolti nella riflessione sulle “regole del gioco” che strutturano la conoscenza scientifica ed è infatti questa necessaria attività di riflessione a permettere al particolare “studio di caso” scelto di farsi portatore di riflessioni di carattere generale e generalizzabile sulla natura della scienza. Questa dinamica tra singolarità dei fatti analizzati e loro generalizzazione è un proprium dell’approccio antropologico alla conoscenza, per il quale facciamo riferimento alla definizione data da Marc Augé: Il procedimento antropologico […] assume come oggetto d’indagine unità sociali di piccola ampiezza a partire dalle quali tenta di elaborare un’analisi di portata più generale, cogliendo da un certo punto di vista la totalità della società in cui queste unità si inseriscono (Augé 1979: 197-98).
La storia della scienza, indagata con approccio storico ed antropologico per studi di caso, offre alla didattica delle discipline scientifiche un accesso alternativo ma essenziale per la selezione dei contenuti in un’ottica costruttivista, anche perché permette di accedere ad una valutazione di come nella storia il problema o la questione indagata sono stati risolti, di come “la storia è andata a finire”, e di trasferire la valutazione sul singolo caso scelto ad una valutazione più generale sulla natura del sapere scientifico. 11
Traduzione nostra.
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2.3.
Narrazione, medialità, socialità, personalizzazione: la carta d’identità del digital storytelling
Abbiamo detto che un “ambiente di apprendimento” può essere definito come un luogo, fisico o virtuale, di organizzazione delle conoscenze. Nel progetto “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe” si è deciso di puntare sulla produzione di ambienti di apprendimento digitali nella specifica forma del digital storytelling, ossia video12 realizzati con l’utilizzo di media digitali e software per la manipolazione di immagini e suoni, che presuppongono la scrittura di una sceneggiatura e che devono proporre il contenuto in forma narrativa, raccontando una storia da un punto di vista particolare (Robin 2006). Dalla narrazione di storie di vita e di comunità in contesti maggiormente legati alla produzione artistica di matrice sociologica ed antropologica (Lambert 2002)13, che costituisce l’origine storica della pratica del digital storytelling, questo strumento è approdato, infine, nei contesti di apprendimento14 (Yuksel et al. 2011; Ohler 2008; Gils 2005) ed in ambiti professionali ed aziendali, nei quali è oggi molto diffuso. Tradizionalmente, infatti, si distinguono differenti tipologie di DST: – racconti personali: trattano di storie di vita e di comunità mettendo in rilievo episodi o eventi particolarmente significativi; – racconti storici: trattano di eventi o personaggi storici; – racconti didattici o in generale educativi: racconti progettati per istruire o informare su un particolare contenuto. Se, in realtà, tutte le narrazioni digitali informano su un particolare argomento, nei contesti formativi la narrazione digitale può riguardare una vasta gamma di contenuti ed è attualmente sperimentata come strumento strategico per comunicare saperi disciplinari e per affrontare specifici argo12
nuti.
Nel Bando di Concorso è stata posta la condizione della durata massima di 15 mi-
13 Joe Lambert e Dana Atchley hanno fondato nei primi anni Novanta del Novecento, a San Francisco in California, il celeberrimo Center for Digital Storytelling che opera a Berkeley dal 1998 e che costituisce un punto di riferimento mondiale per la realizzazione e la formazione in questa pratica narrativa. A Dana Atchley si deve, inoltre, il conio dell’espressione digital storytelling; http://www.storycenter.org/. 14 Si veda da ultimo in Italia il Convegno internazionale Metodologie narrative nei processi educativi e formativi: le potenzialità del Digital Storytelling, Università degli Studi di Padova, Dipartimento di Scienze dell’Educazione, Padova, 14 ottobre 2011; http://www. educazione.unipd.it/digitalstorytellingandeducation/.
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menti della programmazione curricolare. Il DST è attualmente sperimentato nella didattica delle scienze e della matematica (Jonassen 2003; Papadimitriou 2003; Shiro 2004) anche come «esplicitazione storico-narrativa di importanti teorie, invenzioni o principi scientifici sulla base delle storie e dei contesti di vita dei loro autori» (contestualizzazione storico-emotiva di concetti chiave delle discipline), Petrucco, De Rossi 2009: 82. Con il digital storytelling a contenuto storico-scientifico, dunque, si fondono insieme la seconda e la terza tipologia di DST per realizzare racconti con esplicita intenzione didattica. Una delle caratteristiche fondamentali di questo artefatto mediale è quella di comunicare, dicevamo, in forma narrativa, ossia di raccontare una storia: […] gli elementi che lo distinguono dalla banale pratica di unire insieme materiali multimediali per creare un video è la caratteristica di assumere una forma narrativa, personale, dalle forti connotazioni emotive e soprattutto il preciso intento di condividerlo con altri attraverso la Rete. Il Digital Storytelling insomma affonda le proprie radici nello Storytelling, e in qualche modo lo “ri-media” (Petrucco, De Rossi, 2009: 55).
Valgono, dunque, anche per la comunicazione attraverso il digital storytelling le caratteristiche fondamentali dello storytelling, che approfondiremo nel capitolo successivo15: – la coerenza della sequenzialità narrativa; – la scelta degli eventi da narrare e dell’ordine in cui narrarli; – la focalizzazione su eventi determinati e concreti; – la rilevanza dei personaggi; – l’intenzionalità nel sostenere una tesi o un punto di vista; – l’attivazione di processi interpretativi. La seconda delle fondamentali caratteristiche del digital storytelling, la medialità, permette di rafforzare il processo di costruzione di una storia a partire da punti di vista, in quanto tale processo viene reso ancor più cogente dalla necessità di “comporre” e comunicare non solo attraverso parole e testo ma anche attraverso immagini e suoni: il materiale da selezionare, interpretare, assemblare e ricostruire, dunque, si espande, si moltiplica, coinvolge media differenti e questa condizione arricchisce ancor più il pro15
Cap. 3 Parte prima: Costruire narrazioni per l’apprendimento della scienza.
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cesso di costruzione narrativa, dando vita a quello che può essere definito un vero e proprio artefatto culturale (Bereiter 2002), rafforzando il processo di apprendimento. Solo di passaggio sottolineiamo come il ricorso contemporaneo a media differenti sia in assoluta sintonia con lo stile di apprendimento tipico dei nativi digitali16, protagonisti dell’attuale “cultura partecipativa informale” (Jenkins 2010) che sperimenta fortemente la condivisione delle produzioni digitali da parte dell’utente ed il ricorso a molteplici media: l’utente digitale si fa, da consumatore, innanzitutto produttore di contenuti (selezionatore, ri-mediatore) e quindi condivisore, approdando ad uno stile di apprendimento dal basso, personalizzato e fortemente coinvolgente ma anche socializzante, laddove personalizzazione dell’insegnamento e dell’apprendimento e socializzazione della conoscenza costituiscono fondamentali ed attuali obiettivi dell’istruzione in chiave europea (OCSE-CERI 2008). Si evince, di conseguenza, che un’altra caratteristica del digital storytelling è la socialità. Infine, la caratteristica della personalizzazione della conoscenza, fa di questo medium un elemento formativo strategico anche per colmare il divario tra le forme di appropriazione dei contenuti culturali tipiche dei giovani e le istituzioni educative, che sembrano non aver ancora colto appieno e non essere in grado di interpretare le importanti trasformazioni in corso: Le abilità autonomamente maturate circa la ricerca delle fonti, l’accesso, la rielaborazione creativa dei contenuti e la loro condivisione debbono poter essere re-incluse nel patrimonio dei sistemi educativi. Solo in questo modo si può superare una doppia frattura: tra saperi e stili di apprendimento informali che corrono velocemente e autonomamente rispetto alla capacità della scuola di assorbirli e valorizzarli; tra generazioni, che sono separate non solo da un diverso bilanciamento di competenze ma anche dal modo in cui esse vengono acquisite e rielaborate lungo tutto l’arco della vita (Jenkins 2010: 16).
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L’espressione Digital Natives si deve a Mark Prensky che l’ha usata per primo nel 2001 in riferimento alle trasformazioni delle istituzioni educative statunitensi (Prensky 2001). In particolar modo ci si riferisce per i nativi digitali “puri” alla fascia d’età 0-12 anni; per i “millennials” alla fascia d’età 14-18, per i nativi digitali “spuri” alla fascia d’età 18-25, in relazione alla differente partecipazione all’uso dei media digitali ed alla produzione di artefatti digitali (Ferri 2011).
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Il digital storytelling costituisce quindi un ambiente di apprendimento digitale fortemente personalizzato ossia costruito dagli utenti stessi, a partire dalle specifiche esigenze didattiche di ogni gruppo-classe ed incentrato sulla pratica narrativa, attività personalizzata di sense-making per eccellenza. Dalle caratteristiche elencate è facile comprendere, quindi, quale importante ruolo la creazione di un digital storytelling possa avere nella strutturazione e nel consolidamento di un atteggiamento di fiducia, del senso di autoefficacia e di percezione positiva delle proprie capacità di scrittura e di organizzazione del lavoro negli studenti e nella sensazione di alto coinvolgimento nel proprio apprendimento: le testimonianze di insegnanti che usano questo strumento mediale all’interno della propria attività didattica insistono, infatti, esattamente su queste ricadute positive. Attraverso questo strumento, d’altra parte, anche gli insegnanti imparano a “cedere il controllo” dell’attività didattica agli studenti, che operano, in prima persona, sulla “sedia del regista” (Banaszewski 2002). Quando un insegnante decide di utilizzare il digital storytelling per affrontare lo studio di determinati contenuti disciplinari, tuttavia, l’attenzione deve essere posta anche sulle ricadute nell’apprendimento dei contenuti curricolari: alcuni studi dimostrano che è possibile rilevare come lavorare alla costruzione di questo ambiente di apprendimento digitale permetta di registrare anche un significativo apprendimento disciplinare, pur tenendo in dovuta considerazione alcune difficoltà. Ci riferiamo, ad esempio, ad una ricerca condotta nel 2008 in Egitto (Sadik 2008) con un campione di 8 insegnanti ed altrettante classi (di circa 40 studenti ciascuna) e che ha portato alla realizzazione di 65 digital storytelling distribuiti tra Lingua inglese, Matematica, Scienze e Scienze sociali. Rimandando a Sadik 2008 per la rilevanza della ricerca svolta e per la descrizione nei dettagli, riportiamo qui alcune delle conclusioni tratte dai ricercatori al termine dell’esperienza ed in base all’analisi dei dati raccolti. Le ricadute positive sono state le seguenti: I punti di vista ben scelti, i contenuti non convenzionali e risorse varie indicano che gli studenti non si sono limitati a riferire fatti e concetti connessi con l’argomento, ma hanno riflettuto sui loro pensieri e sul loro coinvolgimento con l’argomento, sotto il profilo visivo ed aurale. Gli studenti hanno imparato a pensare e scrivere di persone, luoghi, eventi e problemi che hanno caratterizzato le loro esperienze di vita individuali o quelle altrui […]. La ricerca è necessaria per scoprire gli ostacoli che impediscono 57
una riflessione come questa nelle comunità di apprendimento informale e di come questi ostacoli possono essere superati facilmente in molte materie, come matematica e scienze, attraverso la narrazione digitale. […]. Ad esempio, gli insegnanti possono guardare alla narrazione digitale come ad un nuovo modo di umanizzare l’insegnamento e l’apprendimento della scienza e portare la bellezza e la potenza della matematica all’attenzione degli studenti (Sadik 2008: 502-503)17.
Tuttavia si rilevano anche difficoltà, specie nella connessione tra storia narrata e argomento disciplinare scelto: La valutazione dei racconti degli studenti dimostra che, nel complesso, gli studenti hanno lavorato bene nel loro progetto e che le loro storie hanno assunto molti degli attributi pedagogici e tecnici propri delle storie digitali […]. La maggior parte dei gruppi sono stati in grado di indicare dei buoni punti di vista per le loro storie, che hanno contribuito al significato complessivo di esse, anche se questi punti di vista non sono stati collegati in modo chiaro con ogni parte della storia. Tuttavia, un numero piccolo di gruppi ha fornito una chiara evidenza di collegamento tra gli obiettivi delle loro storie e gli obiettivi del tema, suggerendo che non tutti gli altri studenti possono imparare da queste storie […] (Sadik 2008: 498)18.
La modellizzazione della costruzione di efficaci narrazioni digitali che portino anche all’apprendimento di contenuti curriculari costituisce, quindi, una sfida da cogliere; gli attuali risultati della ricerca nel settore fanno ben sperare in questa direzione. Il College of Education dell’Università di Houston ha realizzato un portale19 molto utile per chi voglia avvicinarsi all’uso didattico di questo strumento, condividendo in rete esempi di digital storytelling attinenti alle varie discipline20 e offrendo una guida per la strutturazione e la creazione di un digital storytelling sia dal punto di vista della scrittura della sceneggiatura che da quello dell’uso dei software. Riteniamo utile riportare di 17
Traduzione nostra. Traduzione nostra. 19 Intitolato The Educational Uses of Digital Storytelling, http://digitalstorytelling.coe. uh.edu/. Cfr. anche il sito personale del curatore del portale, il Prof. Bernard R. Robin, Associate Professor of Instructional Technology presso l’University of Houston: http://faculty. coe.uh.edu/brobin/homepage/. 20 Reperibili nel menu Examples dalla home page. 18
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seguito i “7 elementi”21 caratterizzanti un digital storytelling come sono stati elaborati all’interno del Center for Digital Storytelling (che, ripetiamo, costituisce fin dall’inizio degli anni Novanta il punto di riferimento per questa pratica narrativa) e modificati all’interno delle esperienze dell’Università di Houston: Tab. 1. I sette elementi elaborati dal Center for Digital Storytelling 1. Il punto di vista principale
Deve essere ben definito e percepibile il punto di vista principale della storia e la prospettiva dell’autore/ degli autori.
2. La domanda chiave della storia
La domanda chiave della storia che mantiene viva l’attenzione dello spettatore e alla quale sarà data risposta entro la fine della narrazione.
3. Il contenuto emozionale
Il contenuto deve costituire una questione, un argomento importante per l’autore/ il gruppo che realizza il DST ed anche per il pubblico al quale esso è destinato. Solo così la storia prende vita in modo personalizzato ed emotivamente coinvolgente.
4. La voce narrante
Valore aggiunto del DST è la voce narrante degli studenti. La voce registrata dell’autore/ degli autori aiuta a personalizzare il prodotto ed aiuta il pubblico e comprendere meglio la storia narrata.
5. Il potere della colonna sonora
La musica ed i suoni hanno un ruolo fondamentale nell’efficacia della narrazione: essi supportano ed arricchiscono la progressione narrativa, sottolineando i passaggi-chiave. È importante dunque la scelta di una colonna sonora ricca di significato.
6. L’economia nella selezione
L’attività di selezione è fondamentale: bisogna usare solo i contenuti necessari e sufficienti a raccontare la storia, evitando di sovraccaricare lo spettatore e non rendendo la narrazione digitale eccessivamente prolissa ma neppure eccessivamente sintetica.
7. Il ritmo della narrazione
Bisogna calibrare l’andamento della storia: dosare la progressione, i rallentamenti e le accelerazioni narrative in vista della massima efficacia comunicativa.
Nel paragrafo sui digital media e le competenze del XXI secolo ci siamo chiesti quali competenze debba promuovere una formazione europea aggiornata e tecnologicamente abilitata. Le competenze promosse dal processo di produzione di un digital storytelling sono “multiple” (Brown et al. 2005) e riguardano gli ambiti delle quattro caratteristiche fondamentali di questo artefatto culturale: narrazio21
http://digitalstorytelling.coe.uh.edu/7elements.html.
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ne, medialità, socialità, personalizzazione, ai quali si aggiungono le competenze nell’attività di ricerca, nel problem solving e nella valutazione. Proponiamo qui una tabella sintetica delle competenze sviluppate dalla metodologia della narrazione digitale: Tab. 2. Le competenze sviluppate dalla metodologia della narrazione digitale 1. Competenza nella narrazione
Competenza nella scrittura di una storia attraverso la scrittura di uno script e di uno storyboard.
2. Competenza nella medialità
Competenza nell’interpretazione (uso) di oggetti multimediali (testi, immagini, immagini in movimento, suoni e musica). Competenze nella ri-costruzione e re-interpretazione (produzione) di oggetti multimediali (selezione ed assemblaggio del materiale). Competenze nell’uso di hardware, software e strumenti tecnici (fotocamera, videocamera, programmi di montaggio, uso di Internet).
3. Competenza nella socialità
Competenza nel team work (negoziazione di significati e produzione condivisa). Competenza nell’organizzazione delle fasi di un lavoro fino alla produzione finale. Competenza nella gestione del tempo. Competenza nella gestione dei ruoli. Competenza nella comunicazione e pubblicizzazione.
4. Competenza nella personalizzazione
Competenza metacognitiva nella riflessione e attribuzione di senso e significato al progetto. Aggancio con le conoscenze precedenti. Creazione personalizzata di un artefatto culturale.
5. Competenza nell’attività di ricerca
Competenza nella ricerca, selezione dei materiali e argomentazione della storia. Competenza e consapevolezza nelle questioni riguardanti copyright e proprietà intellettuale.
6. Competenza nel problem solving
Competenza nella ricerca delle soluzioni alla domanda motivante della storia. Competenza di risoluzione dei problemi nel processo di realizzazione del prodotto.
7. Competenza nella valutazione
Competenza nella valutazione del proprio lavoro e di quello degli altri. Competenza nella valutazione dell’efficacia comunicativa. Competenza nella valutazione delle fonti. Competenza nell’autovalutazione.
Dalla tabella delle competenze si rileva la centralità di questo ambiente di apprendimento digitale nell’attuale dimensione dell’istruzione e della formazione: le attività immediatamente mobilitate dalla costruzione di un digital storytelling sono, infatti, la selezione, la decisione, la creazione, la progettazione, la narrazione pertinente ad una tesi, l’argomentazione documentata, la scelta, la comunicazione, la valutazione. È evidente come si tratti di attività che pongono al centro del processo di apprendimento lo studente che agisce, crea, valuta. 60
Tenendo presente alcune proposte di modellizzazione del processo di creazione di un DST (Petrucco, De Rossi 2009: 56-71; Robin 200522; University of Huston)23, proponiamo la seguente tabella riassuntiva degli steps di creazione di un DST, tabella che, contemporaneamente, dettaglia le attività mobilitate nel processo: Tab. 3. Gli steps per la creazione e comunicazione di un digital storytelling Steps
Attività
1. Scopo, pubblico e problema motivante
Scegliere l’argomento della storia digitale (contenuto curricolare). Definire lo scopo della narrazione: che cosa si vuole comunicare? Definire il pubblico della narrazione: a chi ci si rivolge? Individuare il problema motivante, la domanda chiave della storia: a questa domanda si deve rispondere nel DST. Definire in anticipo la griglia di valutazione del DST che si realizzerà: decidere dall’inizio cosa si andrà a valutare. Creare una cartella sul computer dove raccogliere, anche dividendolo in sottocartelle, tutto il materiale attinente alla storia da raccontare.
2. Ricerca, documentazione, archiviazione
Cercare la documentazione attinente alla storia (documentazione testuale, video, audio, immagini). Archiviare in ordine nel computer la documentazione reperita.
3. Script, storyboard, punto di vista
Dopo la ricerca della documentazione ed in base all’idea della storia come si è venuta delineando, scrivere la bozza del soggetto (lo script). Nella scrittura scegliere chiaramente il punto di vista che si vuole sostenere, la focalizzazione narrativa alla quale si decide di aderire. Sulla base dello script, scrivere la bozza della sceneggiatura (lo storyboard). Rileggere la sceneggiatura e leggerla ai compagni o ai colleghi. Il loro feedback suggerisce come intervenire per rendere la storia o il punto di vista della storia più chiaro e comprensibile. Intervenire di conseguenza sullo scritto.
4. Selezione
Selezionare tra il materiale visivo (immagini e video) archiviati sul computer quello maggiormente pertinente alla storia come è emersa dalla bozza di scrittura. Selezionare tra il materiale audio archiviato sul computer quello maggiormente pertinente alla storia come è emersa dalla bozza di scrittura.
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Cfr. Allegato A. http://digitalstorytelling.coe.uh.edu/getting_started.html. Cfr. Allegato B.
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5. Importazione, Registrazione, Finalizzazione del video
Importare le immagini all’interno del programma scelto per la creazione del video. Ordinare in sequenza il materiale, scegliendo analessi, prolessi ed il ritmo della narrazione. Registrare la voce narrante tratta dallo scritto. Controllare la coerenza del materiale montato. Eventualmente intervenire sul numero o sulla sequenza delle immagini montate. Importare la colonna sonora. Finalizzare il file video.
6. Comunicazione e valutazione
Mostrare ai pari o al pubblico. Riflettere sul feedback che si riceve: esso costituisce un prezioso suggerimento su come migliorare il lavoro Valutare il prodotto realizzato sulla base della griglia di valutazione elaborata. Nella valutazione rientra anche il feedback ricevuto. Se è possibile, intervenire nuovamente sul file apportando le correzioni suggerite dai pari e dal pubblico al quale lo si è mostrato. Caricare il DST su You Tube.
Per il dettaglio delle operazioni tecniche da compiere nella realizzazione del digital storytelling si vedano i paragrafi 4 e 5 del capitolo 2 della Seconda parte del presente volume. 2.4.
La valutazione del digital storytelling
Interpretando, dunque, il digital storytelling come un efficace ambiente di apprendimento per lo sviluppo delle competenze del XXI secolo, gli insegnanti che vogliano cogliere le opportunità offerte da questo approccio possono fare riferimento, per le indispensabili attività di valutazione connesse al processo di insegnamento-apprendimento, anche ad alcune possibili griglie di valutazione. Proponiamo qui due griglie: la prima può essere usata per valutare le ricadute didattiche del processo di costruzione del DST in riferimento agli standard internazionali di competenze in Media Literacy e fa riferimento ad alcuni degli standard NETS24 2008 elaborati dall’ISTE25. La seconda è una griglia di valutazione del DST come artefatto audiovisivo per lo storytelling digitale. 24
National Educational Technology Standards for Students (NETS). The International Society for Technology in Education, http://www.iste.org/standards/nets-for-students.aspx. Per l’edizione originale in lingua inglese cfr. Allegato C. 25
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Tab. 4. Le competenze in Media Literacy: i National Educational Technology Standards for Students – NETS (Iste 2008) NETS 1. Creatività ed Innovazione Gli studenti dimostrano di utilizzare pensiero creativo e di sviluppare prodotti e processi innovativi attraverso la tecnologia
2. Comunicazione e collaborazione Gli studenti usano i media digitali ed ambienti digitali di apprendimento per comunicare e lavorare in modo collaborativo per supportare il proprio apprendimento e quello del gruppo
3. Scioltezza nelle attività di ricerca e documentazione Gli studenti usano strumenti digitali per raccogliere, valutare e utilizzare informazioni
4. Pensiero critico; Problem solving; Attività di decisione Gli studenti usano pensiero critico per progettare e condurre una ricerca, gestire un progetto, risolvere problemi, e prendere decisioni usando appropriati strumenti digitali
Digital Storytelling a. Applicano conoscenze preesistenti per generare nuove idee, processi, prodotti b. Creano opere originali individualmente o in gruppo c. Usano modelli e simulazione per esplorare e comunicare problemi complessi
a. La scelta della storia e del problema motivante si basa sulle conoscenze precedenti b. Creazione di un digital storytelling originale individualmente o in gruppo c. La storia digitale, lo specifico studio di caso è una simulazione che esplora un problema complesso
a. Interagiscono, collaborano con pari ed esperti b. Comunicano in modo efficace ad un pubblico variegato utilizzando differenti media d. Contribuiscono al lavoro in team per la produzione di opere originali e per la risoluzione di problemi
a. Produzione di gruppo del digital storytelling. Ricorso al sapere degli esperti (insegnanti, esperti, ecc.) b. Utilizzo di differenti media e comunicazione ad un pubblico variegato. Cura dell’efficacia della comunicazione d. Apporto individuale al lavoro di gruppo nella produzione di un digital storytelling originale e nella risoluzione del problema scelto
a. Pianificano strategie per guidare la ricerca b. Individuano, organizzano, valutano, selezionano informazioni da una varietà di fonti e media c. Valutano e selezionano le fonti di informazioni e gli strumenti digitali in base alla adeguatezza al compito o al progetto da realizzare
a. Pianificazione degli steps per realizzare il digital storytelling b. Ricerca, documentazione, organizzazione e selezione delle informazioni pertinenti da una varietà di fonti e media c. Valutazione e selezione delle fonti pertinenti da cui selezionare le informazioni c. Valutazione degli strumenti digitali pertinenti al compito da sviluppare (videocamera, fotocamera, software, microfono, ecc.)
a. Identificare e definire problemi e domande importanti b. Pianificare e gestire le attività per sviluppare una soluzione c. Raccogliere e analizzare i dati per prendere decisioni informate e risolvere problemi d. Utilizzare prospettive diverse per esplorare soluzioni alternative
a. Definire il problema motivante e la domanda di partenza b. Pianificare gli steps per la realizzazione del digital storytelling c. Raccogliere, analizzare e selezionare le informazioni d. Individuare il punto di vista o i punti di vista della storia
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5. Cittadinanza digitale Gli studenti hanno consapevolezza della dimensione umana, etica e sociale della tecnologia, delle prassi legali e di un comportamento etico nell’uso degli strumenti digitali
6. Operazioni e concetti legati alla tecnologia Gli studenti dimostrano una buona comprensione di concetti, sistemi ed operazioni legate alla tecnologia
a. Avere un atteggiamento positivo verso la tecnologia che sviluppa collaborazione ed apprendimento b. Dimostrare responsabilità e consapevolezza del proprio apprendimento e della sua importanza lungo tutto l’arco della vita
a. Il lavoro di gruppo e la personalizzazione del lavoro sviluppano motivazione e percezione positive della tecnologia b. Il digital storytelling pone gli studenti sulla sedia del regista: questo sviluppa l’atteggiamento di responsabilità nel processo di costruzione della propria conoscenza
a. Comprendono ed usano sistemi tecnologici b. Selezionano ed utilizzano le applicazioni in modo efficace e produttivo c. Risolvono problemi legati ai sistemi ed alle applicazioni digitali
a. / b. / c. La creazione di un digital storytelling pone gli studenti nella necessità di utilizzare differenti strumenti tecnologici, di scegliere ed usare software ed applicazioni specifiche, di risolvere i problemi emersi nel corso del loro utilizzo
La seconda è una griglia di valutazione del DST come artefatto audiovisivo per lo storytelling digitale, che si basa sulle ricerche di Sadik (2008: 496) e Barrett (2005: 3-4) e sui 7 elementi del DST elaborati dal Center for Digital Storytelling, integrati tra loro ed integrati in alcuni punti dagli autori del presente saggio. La griglia sviluppa quattro livelli di prestazione per ciascuno dei 14 elementi oggetto di valutazione: Tab. 5. Griglia di valutazione del digital storytelling Eccellente
Buono
Sufficiente
Da migliorare
1. Il punto di vista principale
Stabilisce con chiarezza il punto di vista e lo mantiene efficacemente nel corso della narrazione
Stabilisce con chiarezza il punto di vista e lo mantiene nel corso della maggior parte della narrazione
Ci sono debolezze nella definizione del punto di vista ma la tesi sostenuta si comprende con chiarezza
Punto di vista e tesi della narrazione sono difficili da individuare
2. La domanda chiave della storia
La questione, il problema, la domanda motivante di partenza sono chiaramente individuati e viene data la soluzione nel corso della narrazione
La questione, il problema, la domanda motivante di partenza sono abbastanza ben individuati e viene data la soluzione nel corso della narrazione
La questione, il problema, la domanda di partenza sono individuati ma non viene data una soluzione nel corso della narrazione
La questione, il problema, la domanda di partenza non sono ben individuati
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3. Il contenuto
La storia è ben individuata e focalizza con efficacia il contenuto disciplinare che vuole illuminare
La storia è abbastanza ben individuata e focalizza abbastanza bene il contenuto disciplinare che vuole illuminare
Ci sono debolezze nella delineazione della storia ma si comprende abbastanza bene il contenuto disciplinare che essa vuole illuminare
La storia non è ben narrata e non si comprende il collegamento con il contenuto disciplinare che dovrebbe illuminare
4. La voce narrante
La voce narrante personalizza efficacemente la narrazione e rende la storia molto comprensibile aiutando il pubblico a calarsi nella narrazione
La voce narrante personalizza la narrazione e rende la storia abbastanza comprensibile
La voce narrante rende la storia abbastanza comprensibile
La voce narrante è assente oppure non contribuisce a rendere la storia comprensibile
5. Il potere della colonna sonora
La colonna sonora arricchisce la narrazione ed esalta gli snodi chiave della narrazione. È altamente funzionale al racconto
La colonna sonora è abbastanza funzionale al racconto
La colonna sonora non ostacola l’efficacia narrativa ma non la esalta in modo significativo
La colonna sonora è gratuita e scollata dalla narrazione
6. L’economia nella selezione
La narrazione è perfettamente equilibrata: né troppo lunga né troppo breve. I differenti linguaggi sono ben armonizzati tra loro
La narrazione è ben equilibrata ed i differenti linguaggi sono ben armonizzati tra loro
Ci sono alcuni squilibri nella narrazione (alcune parti inutilmente più lunghe o più brevi) a discapito dell’efficacia narrativa. I differenti linguaggi sono ben armonizzati tra loro
I numerosi squilibri narrativi rendono inefficace la narrazione
7. Il ritmo della narrazione
Il ritmo della Il ritmo è abbanarrazione è stanza coinvolcoinvolgente e gente entusiasmante
Il ritmo non è particolarmente coinvolgente bensì è amministrato in modo neutro
Il ritmo è noioso oppure eccessivamente sovraccarico
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8. Risorse
I media usati sono molteplici e ben intrecciati tra loro. Le fonti sono varie e pertinenti
I media usati sono sufficienti a rendere efficace la narrazione. Le fonti sono varie e pertinenti
I media usati sono pochi ma la narrazione è comunque abbastanza efficace
C’è una certa scarsità di media e di fonti utilizzate
9. Allineamento con il programma
La storia narrata è pertinente con i prerequisiti del gruppo e la scelta è motivata in base al programma curricolare
La storia narrata è abbastanza pertinente con i prerequisiti del gruppo e la scelta è motivata in base al programma curricolare
La storia narrata è sufficientemente pertinente con i prerequisiti del gruppo e con il programma curricolare
La storia narrata non è pertinente con i prerequisiti del gruppo e sembra troppo semplice o troppo complessa per poter avere ricadute davvero significative
10. Organizzazione
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una ottimale progettazione del lavoro
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una buona progettazione del lavoro
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una sufficiente progettazione del lavoro. Tuttavia alcuni squilibri narrativi mostrano debolezze nell’organizzazione degli steps di lavoro o delle risorse umane
Il digital storytelling mostra una notevole disorganizzazione sia in fase di progettazione che in fase di scrittura ed anche nella distribuzione dei ruoli e delle attività
11. Collaborazione e team work
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una ottimale distribuzione dei ruoli e delle attività tra le risorse umane partecipanti
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una buona distribuzione dei ruoli e delle attività tra le risorse umane partecipanti
Il digital storytelling prodotto mostra di basarsi su una sufficiente distribuzione dei ruoli e delle attività tra le risorse umane partecipanti. Tuttavia emergono debolezza e lacune nella distribuzione dei ruoli e nella coesione del gruppo
Il digital storytelling mostra una notevole disorganizzazione nella distribuzione dei ruoli e delle attività e lacune nella coesione di gruppo
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12. Uso della videocamera e competenza visuale
La videocamera è usata sapientemente e c’è una grande competenza nell’uso delle immagini e dei video, collocati e selezionati in modo pertinente ed efficace
La videocamera è usata con sufficiente competenza ma immagini e video sono usati in modo poco efficace e pertinente con la storia
C’è scarsa competenza nell’uso della videocamera e le immagini ed i video non contribuiscono allo sviluppo della storia
13. Titoli e crediti
I titoli sono Titoli e crediti Titoli e credichiari ed effica- sono abbastanza ti presentano ci. I crediti met- chiari ed efficaci debolezze neltono in evidenza la chiarezza e il contributo di nell’efficacia tutti gli elementi del gruppo così come le fonti ed i software utilizzati
Titoli e crediti sono fuori luogo e non contribuiscono all’efficacia della narrazione
14. Transizioni narrative ed effetti
Gli effetti video ed audio e le transizioni narrative tra le parti della storia sono equilibrate e sapientemente amministrate
L’uso degli effetti video ed audio e delle transizioni narrative tra le parti della storia è gratuito e ostacola la comprensione e l’efficacia comunicativa della storia
La videocamera è usata con correttezza e c’è competenza nell’uso delle immagini e dei video, collocati e selezionati in modo pertinente ed efficace
Gli effetti video ed audio e le transizioni narrative tra le parti della storia sono abbastanza equilibrate ed amministrate
Ci sono debolezze nell’uso e nell’equilibrio degli effetti video ed audio e delle transizioni narrative tra le parti della storia
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Capitolo 3
Costruire narrazioni per l’apprendimento della scienza FRANCESCA MORGESE
1. Costruire materiali didattici per gli studenti e non (ancora una volta) per gli insegnanti: narrare con il Mash up e con il Remix Promuovere o rafforzare la struttura narrativa del materiale didattico da usare a scuola significa costruire learning objects, oggetti didattici, pensandoli per i loro reali destinatari: gli studenti. Oggi, nonostante la riforma dei libri di testo in atto anche nel nostro Paese, i materiali didattici in uso ed in adozione nelle classi sono, invece, ancora fortemente pensati per l’utilizzo da parte degli insegnanti. Se ne trascurano i reali destinatari: prevalentemente in essi i contenuti non suscitano curiosità, i concetti in essi espressi non prendono vita, i ragazzi non riescono, utilizzando i manuali, ad immaginarsi concretamente le cose che vi leggono né riescono a collegarle tra loro come elementi che siano parte di una complessa rete di conoscenze, esperienze, realtà, problemi. Come elementi di una storia o di molteplici storie. Il manuale ha progressivamente perso nei decenni l’aspetto narrativo, che ancora possedeva nell’Ottocento: esso è, e questo è ancor più vero per le discipline scientifiche, un arido elenco di contenuti, tassonomicamente suddivisi in capitoli, paragrafi e sottoparagrafi, con esercizi di riproduzione delle conoscenze apprese, posti alla fine di ciascuna sezione. Si pensi alle numerosissime mappe concettuali “da completare” (non da costruire). L’intelligenza che questi libri di testo sollecitano è un’intelligenza riproduttiva, esecutiva, esclusivamente mnemonica. Una volta chiuso il libro di testo, il ragazzo non vede l’ora di dedicarsi ad attività veramente e finalmente creative, ricreative ed interessanti, le 69
quali (ma è giusto che le cose vadano così?) sono, chissà perché, quasi sempre attività extrascolastiche. La vita è lì fuori. La vita non c’entra niente con la scuola o, meglio, con lo studio. Il manuale invece, a nostro modo di vedere, dovrebbe essere il filo conduttore, la narrazione che lega insieme i vari argomenti e contenuti. I materiali didattici dovrebbero costruire narrazioni, ossia rendere vivi i contenuti mostrandoli agire all’interno di storie, all’interno di percorsi che, nella realtà, i contenuti hanno avuto ed hanno: sono proprio questi percorsi, è proprio la vividezza delle storie in cui agiscono i contenuti a poter ancora rendere interessante per i ragazzi ciò che si studia a scuola. La rete oggi offre una tale ricchezza di strumenti e di materiali, da assemblare ed integrare in forma narrativa con i contenuti classici, che non è più possibile per gli insegnanti mascherarsi dietro l’alibi del libro di testo. È imprescindibile che gli insegnanti siano i primi a coltivare la propria curiosità e ad aggiornarsi dal punto di vista tecnologico in modo tale da costruire le proprie lezioni, anche assieme ai propri studenti, attingendo dalla ricca risorsa del web, personalizzando e calibrando la costruzione dei learning objects sulla propria classe, sul proprio stile di insegnamento e sullo stile di apprendimento dei propri studenti (Rivoltella 2005: 93-149). Ci riferiamo, ad esempio, alla pratica del mash up e del remix. Il mash up è il “collage” digitale, che consiste nel creare opere nuove assemblando materiali differenti provenienti da opere e fonti differenti. Al cinema o nei videoclip il mash up consiste nella creazione di video con spezzoni di altri film che, riassemblati secondo un nuovo filo narrativo, acquistano nuovi significati e narrano una storia nuova. In musica il mash up consiste nella miscela di più brani, anche di differenti generi, attraverso l’uso di campionatori. In informatica il mash up è l’attività con cui si crea un sito o un’applicazione ibrida, cioè che mette in relazione materiali e informazioni giacenti su siti o in software differenti e che, assemblati assieme ma finalizzati a scopi differenti, offrono nuove funzioni o nuovi servizi. Alla base del mash up, dunque, c’è un’attività di remix, di ri-mescolamento, ri-assemblaggio, campionamento di materiale precedente che, così ri-assemblato, assume nuova forma e significato. Dal punto di vista didattico tale attività si rivela essere altamente educativa: prima del ri-mescolamento, infatti, c’è la necessaria fase dell’analisi di quanto si vuole utilizzare, dunque c’è un’attività di riflessione sui contenuti culturali precedenti, al fine di poterli ri-significare per i propri scopi. L’approccio alla conoscenza 70
è, di conseguenza, già attivo, creativo e costruttivo fin dalla sua prima fase, quella dell’analisi e del commento: L’appropriazione […] viene compresa come un processo attraverso cui gli studenti apprendono sezionando la cultura per poi rimetterla insieme. […] Anche gli artisti più affermati lavorano con immagini e temi che hanno già un certo valore all’interno della cultura. […] La maggior parte dei classici che insegniamo nelle scuole sono un prodotto dell’appropriazione e della trasformazione, o di ciò che ora chiameremmo campionamento e miscelazione. […] la digitalizzazione rende, oggi, più semplice combinare e trovare nuovi impieghi per i contenuti mediali di quanto non sia mai accaduto prima. […] L’appropriazione può essere interpretata come un processo che coinvolge sia l’analisi sia il commento. Il campionare in maniera intelligente materiali provenienti dalla riserva culturale esistente richiede un’accurata analisi delle strutture esistenti e degli usi di questo materiale (Jenkins 2010: 120-23).
All’analisi, poi, segue la selezione di ciò che si intende utilizzare in vista del proprio specifico scopo: già nella fase della selezione, dunque, prende avvio quell’attività di risignificazione e costruzione di senso che è propria del mash up. Come è evidente, tornano in questa pratica gli stessi elementi che abbiamo già analizzato nel capitolo precedente: analisi, selezione, costruzione, conferimento di senso, narrazione. Ed, infatti, anche la costruzione di un digital storytelling è una pratica di mash up narrativo nel momento in cui esso è il risultato dell’assemblaggio di materiale proveniente da fonti differenti (immagini, spezzoni di video, sezioni di brani musicali, citazioni testuali, materiale prodotto dagli studenti e dagli insegnanti, ecc.). Ri-significati e ri-contestualizzati allo scopo di narrare quella specifica storia. Dal punto di vista didattico il mash up diventa uno strumento eccezionalmente proficuo quando agevola insegnanti e studenti a creare e costruire le proprie lezioni narrative, le proprie storie. Il sito più importante in rete ed utilizzabile dagli insegnanti con la propria classe per la pratica del mash up applicato alla didattica è Storify1: il sito permette di utilizzare differenti risorse presenti in social media networks per costruire storie sociali coerenti dal punto di vista narrativo attraverso la pratica del copia/incolla di video, foto, aggiornamenti di stato e notizie, creando storie sempre modifi1
www.storify.com.
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cabili ed aggiornabili. Il materiale così assemblato può essere poi integrato da un testo, da una narrazione che ne costituisca il filo conduttore e da collegamenti ipertestuali. Il sito di Rai Scuola2 offre la sezione Lesson Plan, dalla quale gli insegnanti e gli studenti possono scaricare materiale audiovisivo e concatenarlo in forma narrativa accanto ai propri materiali o ad altri materiali presi dalla rete, allo scopo di creare lezioni realizzate su misura per le proprie esigenze. 2. Costruire una narrazione per raccontare la scienza. I racconti non sono mai astratti Nel paragrafo precedente si è voluto illustrare le motivazioni ed alcune delle risorse disponibili per trasformare la lezione in una narrazione. Qui intendiamo offrire alcuni suggerimenti per la costruzione e la strutturazione della storia scelta, entrando nel dettaglio degli elementi necessari ad una sua realizzazione efficace. Ed intendiamo partire da un concetto fondamentale, da tenere sempre presente in ogni strutturazione narrativa: i racconti non sono mai astratti bensì essi sono sempre l’espressione di punti di vista di agenti umani dai quali si dipanano le azioni della storia. Citiamo in proposito un’illuminante considerazione di C. Bremond: […] se gli eventi non sono prodotti da agenti né subiti da pazienti antropomorfi, non può darsi racconto, poiché è solo in rapporto ad un progetto umano che gli eventi prendono senso e si organizzano in una serie temporale strutturata (Bremond 1969:102).
La citazione di Bremond mette in evidenza un ulteriore elemento: l’importanza del progetto umano per la strutturazione della storia, in quanto è dal punto di vista del progetto umano narrato che gli eventi narrati acquistano senso. 2 http://www.raiscuola.rai.it/. Sul sito sono reperibili, inoltre, unità audiovisive riunite sotto il titolo comune Storia della scienza, tratte dal progetto di Rai Educational Pulsar, che «[…] propongono il racconto, in ordine cronologico, delle radicali trasformazioni introdotte dalla scienza e dalla tecnologia nel corso del Novecento. Lo scopo è quello di fornire agli insegnanti un supporto didattico che, oltre a sintetizzare i concetti basilari, ponga l’accento su un aspetto spesso trascurato dai libri di testo: la dimensione storica e culturale che ha favorito il progresso scientifico».
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Ci preme sottolineare l’importanza didattica di questi concetti: nella scelta del contenuto della narrazione non si può prescindere dai suoi protagonisti, ossia dai suoi personaggi, ed è importante definire prima possibile quale progetto umano, quali interessi umani, legati a quei personaggi, si intende narrare nella storia scelta. Da questa scelta, che deve essere ben chiara benché possa cambiare in corso d’opera, dipende tutto il resto della strutturazione narrativa, di conseguenza. Ciascuna azione, infatti, ciascun evento, non ha valore in sé ma ne acquista nella prospettiva (in gergo narrativo, nella focalizzazione) degli interessi umani, del progetto del personaggio che ne è portatore (agente o paziente dell’azione, secondo i termini usati da Bremond). Perché, dunque, scegliere di affrontare in classe un contenuto delle discipline scientifiche o della matematica o delle tecnologie narrando una storia? Perché la comprensione di tale contenuto complesso verrà supportata, sostenuta, rappresentata da una storia riguardante uno o più personaggi e tale storia assumerà, quindi, un’altissima funzione esplicativa. Esplicativa delle motivazioni, delle ragioni storiche, degli elementi da cui quel particolare problema, concetto, teoria, tradizione di ricerca, contenuto è nato. Il contenuto di studio verrà così inserito in una trama con schema di senso, che attiverà negli studenti identificazione, coinvolgimento, comprensione. Inserito in una trama, di quel particolare contenuto si esplicherà il ruolo particolare che esso riveste in una rete, in un sistema di elementi e questa collocazione di un nucleo di conoscenza in una rete complessa potenzierà l’attività di comprensione da parte degli studenti di quel singolo contenuto. Questo è uno dei motivi per cui si ricordano meglio le storie, i racconti, rispetto ad altre forme di conoscenza e comunicazione. Il tipo di racconto che viene proposto come metodologia didattica nel presente volume, tuttavia, non è un qualsiasi tipo di racconto d’invenzione bensì un racconto a contenuto storico-scientifico e questo significa che il materiale nel quale selezionare la storia da narrare è un materiale storico: l’insegnante e gli studenti dovranno scandagliare la documentazione storica primaria e secondaria sul caso scelto ed all’interno di essa imprimere una strutturazione narrativa, selezionando e mettendo in evidenza gli eventi utili a narrare la particolare focalizzazione ed il particolare progetto umano scelto. Senza dimenticare, tuttavia, che ogni ricostruzione storica è innanzitutto interpretazione: questo permetterà di allontanare atteggiamenti ingenui verso l’“oggettività” della storia. 73
2.1.
Le categorie narrative di Genette: Tempo e Modo
Per l’importanza della sua riflessione sul discorso narrativo e per la diffusione che le sue categorie narratologiche hanno ricevuto a livello didattico, tanto da essere quelle oggi maggiormente suggerite dai manuali di narrativa e di letteratura, decidiamo di adottare ai nostri fini alcuni elementi essenziali tratti dagli studi di Gérard Genette. A questi accosteremo, dove necessario, concetti e termini di altri autori. Delle categorie analizzate e codificate da Genette noi decidiamo di soffermarci su due: quella del Tempo e quella del Modo del discorso narrativo. Nella prima categoria, il tempo, si dipanano tre sotto-categorie: ordine, durata, velocità. L’ordine della narrazione è una categoria ormai pienamente acquisita anche nella didattica scolastica: è il particolare ordine, la particolare sequenza di azioni costruita dall’autore di una narrazione e che può essere differente dallo svolgimento storico e cronologico reale dei fatti. Si tratta dell’elemento che distingue generalmente la fabula dall’intreccio, altri due concetti di narratologia ampiamente diffusi nella didattica in seguito all’acquisizione della fondamentale riflessione dei formalisti russi (Tomaševskij 1978:179). La fabula è la successione logico-cronologica dei fatti, l’intreccio è la successione proposta dall’autore. Lo scarto tra ordine cronologico degli avvenimenti e ordine narrativo degli avvenimenti dà luogo, nel racconto, a quelle che Genette definisce anacronie, di cui l’analessi (ossia il flash back, l’evocazione di un evento passato) e la prolessi (ossia l’anticipazione di un evento futuro) sono i due casi più frequenti. Le anacronie hanno una certa distanza temporale dal tempo principale in cui è collocato il racconto e possono essere omodiegetiche, se hanno lo stesso contenuto narrativo della storia principale, o eterodiegetiche se il contenuto è diverso. Il concetto di durata della narrazione è legato al modo in cui l’autore decide di presentare i fatti e gli eventi: in una scena dialogata, ad esempio, avviene una sorta di coincidenza tra la durata della narrazione e quella della storia, mentre in un sommario, scena in cui più eventi sono presentati in modo sintetico, la durata della narrazione è inferiore a quella della storia (Marchese 1983: 145-153). Il fatto, imprescindibile, che la narrazione sia selezione dell’intreccio ne determina anche la velocità: è, infatti, l’autore a scegliere il ritmo della nar74
razione, decidendo quali eventi amplificare e quali sintetizzare o omettere, su quali soffermarsi ed in quali far coincidere il tempo del racconto con il tempo in cui gli eventi stessi si svolgerebbero. Si tratta, come è evidente, di espedienti stilistici che determinano differenti effetti narrativi. Infine, nella categoria tempo rientra, anche se sembra scontato evidenziarlo, la collocazione cronologica degli eventi narrati nell’ambito della Storia: la contestualizzazione storica costituisce, anzi, una delle categorie più importanti in un racconto a contenuto storico-scientifico. La seconda categoria genettiana, il Modo, comprende due sotto-categorie: la distanza e la prospettiva. La prima è il modo, scelto dall’autore, nel quale è presentata la storia: c’è maggiore distanza, cioè, se a narrare la storia è una voce narrante, c’è minore distanza se a narrare la storia sono direttamente le voci dei personaggi. La prospettiva, o focalizzazione, è la restrizione della visuale dalla quale sono presentati gli eventi, restrizione che coincide con il particolare punto di vista scelto: il termine “visuale” è da intendersi in senso letterale (ciò che si può vedere) o lato (ciò che si può vedere ed interpretare concettualmente). Se il punto di vista scelto è quello di uno specifico personaggio della storia, infatti, non tutto potrà essere narrato ma solo ciò che è accessibile all’esperienza ed alla visuale di questo personaggio. Per una narrazione a contenuto storico-scientifico possiamo dire che la focalizzazione narrativa è uno degli elementi più importanti e che quindi è un’operazione fondamentale della scrittura e della realizzazione di un racconto di questo tipo la chiara individuazione della (delle) “figura focale” portatrice del punto di vista. La teoria, il concetto, il programma di ricerca che è il contenuto disciplinare oggetto della narrazione, infatti, è calato e presentato intrecciato al progetto umano del suo agente o paziente antropomorfo (i racconti non sono mai astratti), di conseguenza esso scaturisce non nella sua piena totalità oppure in base a ciò che sappiamo a posteriori di esso, bensì in base a ciò che il personaggio scelto come portatore del punto di vista, immerso nel proprio contesto storico, sociale, professionale, in un determinato paradigma scientifico e filosofico, in determinati vincoli od ostacoli epistemologici poteva o può vedere, comprendere, interpretare. La narrazione, in sintesi, ci fa guardare alle cose come ad esse guardava o guarda il personaggio portatore del punto di vista della storia3, e questa 3
In realtà questa condizione coincide con uno dei differenti tipi possibili di focalizza-
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“essenza interpretativa”, propria della narrazione, risulta essere anche una caratteristica fondamentale del sapere storico-scientifico. Jerome Bruner ci spiega efficacemente perché: Quello che caratterizza i soggetti agenti è che le loro azioni non sono prodotte da “forze” fisiche, come la gravità, ma da stati intenzionali: desideri, convinzioni, conoscenza, intenzioni, impegni […]. Il discorso è altrettanto valido per la scienza, anche se il suo linguaggio, ammantato dalla retorica dell’oggettività, fa di tutto per nascondere questo aspetto […]… I famosi “cambiamenti di paradigma” che hanno luogo nel corso delle rivoluzioni scientifiche riflettono questa finzione perché tradiscono il fatto che i cosiddetti “dati” della scienza sono delle osservazioni costruite a partire da un punto di vista […]… Il processo del fare scienza è narrativo. Consiste nel produrre ipotesi sulla natura, nel verificarle, correggerle e rimettere ordine nelle idee. La storia della scienza […] può essere raccontata in forma drammatica come una serie di vicende quasi eroiche di soluzione di problemi […]… Non sto proponendo di sostituire alla scienza la storia della scienza. Sostengo invece che la nostra istruzione scientifica dovrebbe tener conto in ogni sua parte dei processi vivi del fare scienza e non limitarsi ad essere un resoconto della “scienza finita” quale viene presentata nel libro di testo […]” [rimettendo l’accento] “sul processo di soluzione dei problemi nella scienza piuttosto che sulla scienza “finita” e sulle sue risposte (Bruner 2000: 136-40).
Se in un racconto classico, sia esso breve o lungo, è possibile nel corso della narrazione variare le “figure focali” (focalizzazione mista), in un racconto di breve durata come quello realizzabile con la tecnica del digital storytelling è consigliabile mantenere un unico punto di vista o al massimo due nel caso in cui la storia narrata riguardi, ad esempio, una controversia scientifica. Al fine di facilitare il processo di scrittura con la chiara individuazione del (dei) punto di vista della storia, da tenere presente nelle fasi di realizzazione del prodotto, si può fare ricorso ad una tabella simile alla seguente, da completare ed arricchire: zione, la cosiddetta focalizzazione interna, nella quale il narratore regredisce nel punto di vista del/dei personaggi e limita la propria condizione di onniscienza. Quando il narratore è onnisciente, invece, la focalizzazione è pari a zero.
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Tab. 1. Esplicitazione del punto di vista della storia (focalizzazione) FOCALIZZAZIONE ZERO (narratore onnisciente)
FOCALIZZAZIONE INTERNA (A = figura focale)
FOCALIZZAZIONE INTERNA (B = figura focale)
1) Primo evento da narrare Cosa vede/percepisce A di Cosa vede/percepisce B di (X) X? X? Cosa interpreta A di X?
Cosa interpreta B di X?
Perché A interpreta in questo modo X? (paradigma di riferimento, ostacoli epistemologici, status sociale e culturale, ecc.).
Perché B interpreta in questo modo X? (paradigma di riferimento, ostacoli epistemologici, status sociale e culturale, ecc.).
2) Secondo evento da narrare Cosa vede/percepisce A di Cosa vede/percepisce B di (Y) Y? Y?
2.2.
Cosa interpreta A di Y?
Cosa interpreta B di Y?
Perché A interpreta in questo modo Y? (paradigma di riferimento, ostacoli epistemologici, status sociale e culturale, ecc.).
Perché B interpreta in questo modo Y? (paradigma di riferimento, ostacoli epistemologici, status sociale e culturale, ecc.).
Lo spazio
Allo stesso modo del tempo, anche la collocazione degli eventi in un contesto spaziale è un elemento indispensabile in una narrazione. A. Marchese afferma in proposito: Il racconto, come rappresentazione di eventi, azioni e personaggi per mezzo di enunciati narrativi, si dispone necessariamente lungo gli assi temporali e spaziali […] gli elementi dinamici della diegesi non si potrebbero pensare e rappresentare senza un minimo di consistenza e di espansione nelle strutture dello spazio (Marchese 1983: 101).
La descrizione dello spazio (o anche solo il riferimento ad esso) in cui si colloca l’azione non è un elemento, dunque, accessorio, anzi: esso costituisce un vero e proprio informante (Barthes 1969: 7), offrendo al destinatario della narrazione informazioni che permettono di ancorare gli eventi ad un determinato luogo e quindi, anche, ad un determinato contesto culturale, sociale, politico, storico. Nella narrazione è dunque importante riuscire a congiungere i perso77
naggi con un ambiente, in quanto tale ambiente si fa portatore di un complesso valore simbolico ed esplicativo che aiuta anche ad illuminare meglio il progetto umano e gli interessi del (o dei) personaggi. Anche lo spazio è, dunque, legato al discorso sulla focalizzazione: esso contribuisce, infatti, a quel restringimento della percezione visiva, narrativa, interpretativa che è propria della diegesi. Spazio e personaggi, spazio ed eventi sono così legati tra loro, dunque, e lo spazio può assumere un tale valore esplicativo che, nella strutturazione della storia, si può scegliere di fare proprio dello spazio il canale attraverso il quale caratterizzare alcuni aspetti della storia o dare informazioni necessarie alla contestualizzazione della storia stessa ed alla comprensione di certe azioni o eventi. Nel momento, quindi, in cui ci si approccia alla strutturazione (alla scrittura) della storia si può fare ricorso ad una tabella simile alla seguente, da completare ed arricchire al fine di fissare gli elementi spaziali che la storia offre e poter scegliere quelli da “sfruttare” a livello narrativo e da tenere presente nel corso del lavoro: Tab. 2. Connotazione attraverso lo spazio (spazio = informante) 1) Connotazione del personaggio (A) attraverso lo spazio (Y) a) In cosa A agisce su Y? (trasferimento di informazioni da A a Y)
b) In cosa Y agi- c) Parole e valusce su A? tazioni di A su Y (trasferimento di informazioni da Y a A)
d) Collocamento di A in Y (geografico, sociale, culturale, professionale, ecc.).
e) Elementi di consonanza e elementi di dissonanza tra A e Y e loro motivazioni
2) Connotazione del personaggio (B) attraverso lo spazio (Y) a) In cosa B agisce su Y? (trasferimento di informazioni da B a Y)
b) In cosa Y agi- c) Parole e valusce su B? tazioni di B su Y (trasferimento di informazioni da Y a B)
d) Collocamento di B in Y (geografico, sociale, culturale, professionale, ecc.)
3) Connotazione del contenuto disciplinare (Z) attraverso lo spazio (Y) a) In cosa Z agisce su Y? (trasferimento di informazioni da Z a Y)
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b) In cosa Y agisce su Z? (trasferimento di informazioni da Y a Z)
c) Collocamento di Z in Y (tradizione accademica di ricerca, istituzione di ricerca, prassi di ricerca diffuse nell’ambiente, ecc.)
d) Elementi di consonanza e elementi di dissonanza tra Z e Y e loro motivazioni
e) Elementi di consonanza e elementi di dissonanza tra B e Y e loro motivazioni
2.3.
I personaggi
I personaggi sono il fulcro di un racconto. Siano essi “funzioni” dell’intreccio (protagonista, antagonista, attante, mediatore, ecc.). come intesi dalla corrente formalista russa, siano essi, invece, “esistenti” indispensabili al pari degli “eventi” (Chatman 1981: 130). Essi sono la personificazione degli eventi stessi. Che cosa è necessario mettere in risalto di un personaggio affinché gli elementi evidenziati contribuiscano all’efficacia del racconto? Riprendendo la codificazione operata da Marchese (Marchese 1983: 185-222), che ci sembra estremamente utile ai nostri scopi, di un personaggio si potrebbe presentare: 1. l’essere (attribuzioni e qualità); 2. il fare (le azioni); 3. il vedere (la visuale in senso letterale o lato); 4. il parlare (le parole). Dell’essere fanno parte: lo statuto anagrafico (nome, sesso, età, fisionomia), lo status familiare e sociale (classe, censo, lavoro, cultura, ambiente di appartenenza), lo status psicologico e morale, l’assiologia (credenze, valori di riferimento). Del fare fanno parte le azioni con le quali si manifesta nel corso della storia ed i moventi delle stesse, del vedere i suoi atti percettivi ed interpretativi, del parlare i suoi atti linguistici. Nella documentazione storica a disposizione ed all’interno delle quattro categorie sopra elencate insegnanti e studenti, impegnati nella realizzazione di un DST, dovranno selezionare gli elementi utili e funzionali a esplicitare il concetto teorico oggetto del racconto dal particolare punto di vista scelto. Ogni personaggio, poi, è inserito in un complesso sistema di relazioni (nella realtà e nel racconto) o di istituzioni, all’interno delle quali l’agire e l’interpretare del personaggio trovano senso. La più classica, e diffusa a livello scolastico, codificazione del “sistema dei personaggi” vede dipanarsi in una storia, solitamente, alcuni “ruoli” ossia rapporti, di natura varia, che collegano i personaggi tra di loro ed agli eventi e che rendono ciascun personaggio portatore di una particolare tematica o punto di vista. Ogni personaggio è definibile, dunque, in relazione alle relazioni che ha con gli altri personaggi per somiglianza o opposizione ed al rapporto che instaura con le azioni e gli eventi. I ruoli classici sono: 1. il protagonista: è il personaggio del quale l’autore racconta tutte le 79
vicende, esponendone anche i sentimenti, le riflessioni, le emozioni, i pensieri; 2. il deuteragonista: il secondo personaggio più importante della storia; 3. l’antagonista: è il personaggio che con le sue azioni ostacola il protagonista; 4. l’aiutante: è il personaggio che interviene a favore del protagonista. Naturalmente, non è obbligatorio che tutti i ruoli siano presenti: la scelta dei ruoli sarà funzionale alla storia narrata. Essendo un racconto la presentazione di eventi intrecciati al progetto umano di uno o più personaggi, è fondamentale mettere in evidenza i moventi e gli elementi che influiscono sulle scelte, sulle azioni, sulle interpretazioni dei personaggi protagonisti del racconto. A questo punto, dunque, è possibile presentare una tabella che riunifichi anche gli elementi delle precedenti e permetta di costruire un quadro generale della presentazione degli eventi in un racconto (vedi tab. 3). 2.4.
L’intreccio: il problema motivante e la causalità degli eventi
Una narrazione è una sequenza di eventi in cui il dettaglio di ogni singolo evento acquista significato solo in relazione al contesto in cui esso è inserito. Non si tratta, dunque, di una qualunque successione: essa è una successione significativa, una sequenza di eventi che partono da un problema, da un fatto inaspettato da risolvere o sul quale c’è un dubbio, che la storia stessa deve chiarificare. Si tratta di questioni studiate fin dall’antichità, fin dalla Poetica di Aristotele: ciò che farebbe di una storia qualcosa che vale la pena raccontare, una sequenza di eventi significativa sarebbe proprio questa rottura dell’equilibrio iniziale della situazione di partenza, l’incontro dei personaggi, portatori di intenzioni, credenze, paradigmi, con un ostacolo (Bruner 2002: 39). Gli eventi che si sceglie di narrare devono essere fortemente coesi tra loro, guidati da un rapporto di causa-effetto. Raccontare, quindi, non è fare una semplice cronologia di avvenimenti, ma scegliere una sequenza di eventi e intenzionalmente metterli in relazione in modo tale che la storia stessa acquisti senso e significato: Ogni racconto consiste in un discorso che integra una successione di eventi di interesse umano nell’unità di una stessa azione. Dove non esiste succes80
Tab. 3. Tabella complessiva FOCALIZZAZIONE ZERO (narratore onnisciente)
FOCALIZZAZIONE INTERNA (A = figura focale)
Manifestazioni e motivazioni del punto di vista di A
Ruolo: 1) Primo evento da narrare (X)
Cosa vede/percepisce A di X? Cosa interpreta A di X?
FOCALIZZAZIONE INTERNA (B = figura focale)
Manifestazioni e motivazioni del punto di vista di B
Ruolo: – – – –
essere fare vedere parlare
Cosa vede/percepisce B di X? Cosa interpreta B di X?
– – – –
essere fare vedere parlare
Perché B interpreta in questo modo X?
Perché A interpreta in questo modo X? Interazioni con lo spazio (Y)
– In cosa A agisce su Y? – In cosa Y agisce su A? – Parole e valutazioni di A su Y – Collocamento di A in Y – Consonanza / dissonanza tra A e Y e loro motivazioni
– – – –
essere fare vedere parlare
– In cosa B agisce su Y? – In cosa Y agisce su B? – Parole e valutazioni di B su Y – Collocamento di B in Y – Consonanza / dissonanza tra B e Y e loro motivazioni
– – – –
essere fare vedere parlare
2) Secondo evento da narrare (Z)
Cosa vede/percepisce A di Z?
– – – –
essere fare vedere parlare
Cosa vede/percepisce B di Z?
– – – –
essere fare vedere parlare
– – – –
essere fare vedere parlare
Cosa interpreta A di Z?
Perché B interpreta in questo modo Z?
Perché A interpreta in questo modo Z? Interazioni con lo spazio (Y)
– In cosa A agisce su Y? – In cosa Y agisce su A? – Parole e valutazioni di A su Y – Collocamento di A in Y – Consonanza / dissonanza tra A e Y e loro motivazioni
Cosa interpreta B di Z?
– – – –
essere fare vedere parlare
– In cosa B agisce su Y? – In cosa Y agisce su B? – Parole e valutazioni di B su Y – Collocamento di B in Y – Consonanza / dissonanza tra B e Y e loro motivazioni
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sione non c’è racconto […] dove non si ha integrazione nell’unità di una azione non c’è racconto ma solo cronologia, enunciazione di un succedersi di fatti non coordinati (Aimeri 1998: 118).
Scrivere una storia significa, quindi, pianificarla in un intreccio: bisogna progettare in anticipo quale tesi si vuole sostenere sul tema affrontato e come concluderla, quali interrogativi si vuole suscitare, quale ordine si vuole dare alla sequenza narrata al fine di suscitare gli effetti progettati. In sostanza, bisogna scrivere una sceneggiatura, che, nel gergo tecnico, è sinonimo di struttura (Aimeri 1998: 7-26). La materia di partenza va selezionata, alleggerita di ciò che è superfluo, non giustapposta ma coordinata e concatenata, dominata dalla causalità. Il mondo che emergerà nella narrazione della storia sarà, dunque, molto più strutturato di quanto il mondo non sia nella realtà e quel particolare episodio che narriamo avrà un’altissima funzione esplicativa rispetto allo scopo della nostra narrazione. È necessario che ogni elemento introdotto abbia una sua funzione, svolga un ruolo nell’avanzamento della storia ed abbia un ruolo preciso in rapporto all’intera struttura. Una buona storia si concentra su un problema e questo problema deve essere interessante e suscitare coinvolgimento nei ragazzi. Si tratta del focus, del “sugo della storia”, dell’“idea centrale unificante” (Stinner, Williams 1998: 1030), che dà coesione alla storia stessa: un problema della scienza e che insegna qualcosa sulla scienza. Se si ha fiducia che l’approccio narrativo alla scienza possa essere strumento per l’apprendimento della scienza, infatti, la narrazione della storia non deve essere puro intrattenimento, diversivo didattico. Nella sua versione narrativa, il problema della scienza scelto come focus della narrazione può coincidere con l’elemento che dà il via alla narrazione stessa: l’elemento perturbatore che distrugge l’equilibrio del contesto iniziale nel quale si stanno svolgendo gli eventi, una mancanza, un vuoto da colmare. In narratologia, è il momento dell’esordio, l’input che dà inizio alle peripezie del/dei protagonisti, che porta ad un rovesciamento della situazione iniziale e che causerà la serie (coesa) di avvenimenti che, a loro volta, si scioglieranno in un nuovo equilibrio, ma molto diverso da quello dell’inizio. Se la situazione iniziale e quella finale coincidono, allora non si è scelto un buon problema, un problema significativo, perché questo non ha dato il via ad alcun cambiamento. A livello didattico è molto diffuso il seguente 82
schema di successione delle cosiddette “fasi” di una narrazione, schema utile per esplicitare il percorso degli eventi narrati in un racconto classico: 1. Una situazione iniziale, cioè un contesto di partenza nel quale l’eroe vive (nella scienza, ad esempio, può essere un paradigma scientifico dominante). 2. Un problema/nodo cruciale della storia, cioè una svolta nella situazione iniziale, un momento in cui la situazione iniziale cambia. Questo elemento rappresenta il vero e proprio inizio della storia da raccontare. È il turbamento della situazione iniziale. 3. Lo scioglimento del nodo cruciale, cioè una sequenza di azioni che illustrano ciò che avviene dopo la svolta e come questo cambiamento nella situazione iniziale viene affrontato dai personaggi. 4. La conclusione della vicenda: che porta al ristabilimento di un equilibrio. Va da sé che quelli precedentementi elencati sono suggerimenti generali che di volta in volta andranno calati ed adattati alla storia particolare che si è deciso di narrare. Considerazioni conclusive. Parola d’ordine è “contestualizzare” Abbiamo detto che l’esordio si situa all’interno di un contesto di partenza. L’approccio narrativo favorisce, infatti, un apprendimento significativo, in quanto, innanzitutto, contestualizzato. Contestualizzare significa, a sua volta, “calare” un contenuto astratto in un caso reale, del quale si deve conoscere il perché, il quando, il dove e, soprattutto, il chi. Una storia, una narrazione, quindi, hanno molto più a che vedere con azioni e persone che con categorie astratte. La mediazione della narrazione è estremamente efficace soprattutto nella presentazione di problemi complessi che, se costruiti sotto forma di casi specifici reali e concreti, vengono più agevolmente assimilati. La narrazione, dunque, si presta efficacemente a divenire medium didattico per le discipline scientifiche sfruttando proprio la caratteristica della pratica scientifica di essere originariamente calata nel reale, nel tempo e nello spazio e di essere strettamente legata alle azioni ed alle intenzioni degli uomini, degli scienziati, prima che di essa ne venga dimenticata questa profonda natura “narrativa” e prima che essa venga sublimata in leggi, teorie e formalizzazioni logico-matematiche. Costruire storie nella didattica della scienza, quindi, significa innanzitutto recuperare informazioni, dati e conoscenze circa il contesto inter83
disciplinare (scientifico ma anche biografico, politico, storico, culturale, filosofico, economico, religioso, ecc.) in cui quel dato problema o concetto scientifico è sorto. Due degli ingredienti essenziali della pratica narrativa sono, infatti, il tempo ed il luogo in cui si svolgono gli eventi ed agiscono i personaggi, perché questi due elementi hanno delle conseguenze e condizionano lo svolgimento stesso degli eventi: lo hanno nella realtà, a maggior ragione devono averlo nella narrazione che si sta costruendo.
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Capitolo 4
Promuovere le competenze in scienze e matematica con il digital storytelling a contenuto storico-scientifico LIBORIO DIBATTISTA
Introduzione Già altri Autori hanno rilevato che, almeno per l’asse matematico e quello scientifico-tecnologico, l’approccio tabellare (elenchi di conoscenze, abilità, competenze variamente articolate fra loro) non sempre è: efficace, perché non è aggiungendo qualche voce a un elenco che si può rinnovare efficacemente il curricolo; è inadeguato perché il collegamento tra conoscenze, abilità e competenze attese in uscita, in matematica, è qualcosa di molto articolato che una logica elencatoria non può rendere; e scorretto perché in matematica, a questo livello di approfondimento, queste distinzioni sono spesso artificiose, forzate, e non corrette da un punto di vista epistemologico (Bolondi 2010).
E poiché concordiamo con queste considerazioni abbiamo preferito adottare un approccio differente, logico-argomentativo a partire da una serie di parole chiave che risuonano nei documenti italiani ed europei e nelle numerose elaborazioni che questi documenti hanno indotto. In particolare, ci riferiamo al PECUP, alle Indicazioni nazionali, al Regolamento, al Documento tecnico e al documento sugli Assi culturali.
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1. Laboratorio – laboratorialità – osservazione – esperimento La definizione del lemma laboratorio1 offerta nella normativa riguardante i LARSA (Laboratori di Recupero e Sviluppo degli Apprendimenti), inserita nelle Indicazioni Nazionali per i Piani Personalizzati per la Scuola dell’infanzia del 2004 (D.L. 19 febbraio, 2004) recita: «[…] il Laboratorio è un luogo privilegiato in cui si realizza una situazione d’apprendimento che coniuga conoscenze e abilità specifiche su compiti unitari e significativi per gli alunni, possibilmente in una dimensione operativa e progettuale che li metta in condizione di dovere e poter mobilitare l’intero sapere esplicito e tacito di cui dispongono. [Esso è] un’occasione per scoprire l’unità e la complessità del reale, mai riducibile a qualche schematismo più o meno disciplinare; un momento significativo di relazione interpersonale e di collaborazione costruttiva dinanzi a compiti concreti da svolgere, e non astratti; un itinerario di lavoro euristico che, non separando programmaticamente teoria e pratica, esperienza e riflessione logica su di essa, corporeo e mentale, emotivo e razionale è paradigma di azione riflessiva e ricerca integrata ed integrale; uno spazio di generatività e creatività che si automotiva e che aumenta l’autostima mentre accresce ampiezza e spessore di competenze di ciascuno, facendole interagire e confrontare con quelle degli altri; possibile cerniera positiva di compensazione di squilibri e di disarmonie educative; garanzia di itinerari didattici significativi per l’allievo, capaci di arricchire il suo orizzonte di senso». Da questa definizione consegue che il laboratorio è il luogo delle competenze perché: – la conoscenza posseduta si trasforma in saper fare grazie alle occasioni che il laboratorio offre per progettare e produrre. Laboratorio e progetto sono due termini che si riferiscono ad un modo attivo ed operativo di affrontare l’insegnamento/l’apprendimento. Tuttavia il primo ingloba anche il secondo, nel senso che una attività laboratoriale può essere svolta come ricerca, come sperimentazione e osservazione diretta di fenomeni su cui poi si innesta una fase di riflessione metacognitiva; 1 Il modello della didattica dei Laboratori nacque con le esperienze della pedagogia dell’attivismo di John Dewey (1859-1952), con il Dalton Laboratory Plan di Helen Parkhurst (1887-1973) ed il Metodo dei Progetti di William H. Kilpatrick (1871-1965), introdotto in Italia negli anni Sessanta del Novecento soprattutto attraverso l’attività delle associazioni cattoliche e laiche degli insegnanti (Laneve 2005).
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– le attitudini individuali degli studenti entrano in una dinamica di lavoro collaborativa di interazione fra pari in grado di produrre ricadute efficaci da un punto di vista cognitivo e motivazionale (sfera affettivo-emotiva) e trasformare le conoscenze in competenze; – dà spazio ai bisogni intrinseci del soggetto che apprende; – favorisce la dimensione multi e interdisciplinare evidenziando le connessioni nei percorsi, la possibilità di soluzioni alternative nella risoluzione di un problema e/o la molteplicità delle interpretazioni delle esperienze compiute; – è incentrato sulla investigazione e riflessività che si esercita sull’azione per cui in laboratorio si impara l’atteggiamento investigativo-riflessivo; – è una strategia didattica a lungo termine in cui si impara una certa disposizione ed atteggiamento verso l’apprendimento; – implica la realizzazione di prodotti finali sui quali è possibile esercitare attività di valutazione da parte di studenti e docenti. Nell’attuale Riforma della Scuola Secondaria Superiore (MIUR 2010) il ricorso al laboratorio didattico e ad attività laboratoriali compare trasversalmente in tutti i Licei per le discipline scientifiche, per le quali il suo uso costante è indicato come fondamentale in quanto «circostanza privilegiata del “fare scienza” attraverso l’organizzazione e l’esecuzione di attività sperimentali, che possono comunque utilmente svolgersi anche in classe o sul campo» e «[…] presso laboratori di Università ed enti di ricerca, aderendo a progetti di orientamento». La didattica laboratoriale deve essere preservata anche «quando non siano possibili attività sperimentali in senso stretto, ad esempio attraverso la presentazione, discussione ed elaborazione di dati sperimentali, l’utilizzo di filmati, simulazioni, modelli ed esperimenti virtuali, la presentazione – anche attraverso brani originali di scienziati – di esperimenti cruciali nello sviluppo del sapere scientifico». In questa accezione, dunque, il laboratorio è identificato non solo con uno “spazio fisico attrezzato” quanto piuttosto, in senso largo, come ogni “situazione” o “attività didattica” caratterizzata dall’apprendimento attivo e dall’imparare facendo (evidente nel richiamo al fare scienza), in contrapposizione ad un apprendimento esclusivamente teorico e mnemonico. Tale ruolo centrale delle attività di laboratorio è particolarmente sottolineato nell’offerta didattica del Liceo delle scienze applicate in cui l’atteggiamento laboratoriale deve permeare anche le attività svolte in classe. Nell’offerta didattica 87
dei Licei compaiono, inoltre, altri laboratori legati a particolari discipline: nel Liceo musicale e coreutico trovano spazio il laboratorio coreutico, il laboratorio coreografico e quello di musica d’insieme, concepiti come luogo di esplorazione ed esercitazione personale del movimento corporeo e dei registri tecnici e linguistici del repertorio musicale. Nel Liceo artistico trova posto il laboratorio artistico come pratica artistico-progettuale, al fine di sperimentare i vari procedimenti operativi e sviluppare la conoscenza dei materiali, delle tecniche e delle tecnologie relative all’ambito che caratterizza il laboratorio (pittura, scultura, architettura, ceramica, metalli, legno, tessuto, vetro, carta, fotografia, multimedialità, grafica informatica, restauro, ecc.). Nella riflessione europea la didattica laboratoriale, in particolar modo delle discipline scientifiche, è fortemente orientata al principio del learning by doing, come si può rilevare da una rassegna dei progetti finanziati dalla Comunità Europea riguardanti la didattica delle discipline scientifiche2. Tuttavia si deve rilevare che da più parti (Akerson, Abd-el Khalich, Lederman 2000) si levano critiche costruttive a questo approccio, miranti a sottolineare la necessità di far precedere la “manipolazione” da una esaustiva chiarificazione del problema motivante, possibilmente impostato con approccio storico, e l’efficacia di farla seguire da una corretta riflessione metacognitiva sui risultati dell’esperienza. In altre parole: non si impara automaticamente facendo, ma quando l’agire è motivato e oggetto di successiva riflessione. Questo concetto va sottolineato, al fine di agire in maniera regolativa nei confronti del “culto del laboratorio” che, almeno nelle dichiarazioni, sembra avere colto da qualche tempo pedagogisti, didatti e redattori di documenti. Per dirla con Salvo D’Agostino: «sul piano della pedagogia della scienza, l’[insegnante] empirista crede che il laboratorio sia il luogo dove lo studente possa “scoprire” le leggi della fisica, o dove l’insegnante possa “mostrare” tali leggi. Ho chiamato questa credenza, con un po’ di ironia, la credenza nel “paradiso empirico”…», cioè la credenza che in laboratorio concetti scientifici e oggetti materiali possano essere ostensivamente riuniti e che l’osservabilità delle grandezze in fisica coincida con la loro ostensività. Al contrario, poiché l’osservazione, o come lo chiama D’Agostino, lo schema osservazionale è impregnato di teoria (guardando un oggetto che cade non di-mostriamo la gravità più di quanto non di-mostriamo il raggiungimento aristotelico del luogo proprio), 2
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Scientix European Conference 2011, http://www.scientix.eu/web/guest/conference.
uno studente che non possiede uno schema osservazionale valido non può attingere all’osservazione per formarselo. «Ciò che caratterizza l’aspetto didatticamente negativo del docente empirista è l’assenza di dubbi sulla efficacia del presupposto che si possano connettere direttamente concetti e osservabili: non lo sfiora nessun sospetto che per la connessione sia richiesto qualcosa d’altro, che occorra un “catalizzatore” del processo…Come è stato ampiamente dimostrato da Dario Antiseri quello che ho chiamato catalizzatore è rappresentato dalla dimensione storica del pensiero scientifico» (D’Agostino 2009). Allora il laboratorio va considerato come ambiente di apprendimento in cui si coltiva la creatività. Ma, come rileva il documento Experimenta. Pensare e fare scienza del Comitato per lo sviluppo della cultura scientifica e tecnologica del MIUR (Vittorio, Rocca 2011): «Purtroppo c’è ancora molto da fare in questa direzione. Nelle nostre scuole gli studenti stanno fermi nella aule-classi ed i professori si muovono da un’aula-classe all’altra. In molti altri Paesi i professori hanno proprie aule-laboratorio e gli studenti si muovono da un’aula-laboratorio all’altra. Una riflessione sulla destrutturazione dell’ambiente didattico tradizionale, basato sul modello classe e sulla relazione uno-molti (professore-studenti) dovrebbe almeno essere messa in agenda». La comprensione del mondo reale, i concetti di sistema e complessità trovano nel laboratorio e nella laboratorialità la loro collocazione ideale, a condizione che la declinazione di questa laboratorialità tenga presente i caveat che andiamo esponendo. Declinando diversamente il rischio derivante da una impostazione astorica e carente dal punto di vista epistemologico che minaccia in laboratorio l’apprendimento delle scienze naturali in particolare, va ricordato l’accento posto sul binomio osservazione-sperimentazione. Le osservazioni (e gli esperimenti) hanno un senso solo se intendono rispondere ad una domanda. È sempre questa che sta prima e mai a valle dell’agire scientifico. Galilei non osservava con l’occhialino la Luna e Giove per raccogliere osservazioni da cui trarre una teoria, ma aveva Copernico e Tolomeo da interrogare attraverso l’oculare del cannocchiale. Ora, è perlomeno singolare che in quasi tutti i ragionamenti che si fanno intorno all’insegnamento delle scienze nei licei si riconosca di fatto che la metacognizione è fondamentale, che la strutturazione dell’apprendimento nel discente ripercorre 89
gli stessi passi, le stesse sequenze di pensiero ingenuo e pensiero riflessivo che l’umanità ha percorso. È paradossale che si riconosca che gli alunni spiegano i fenomeni termici e della combustione con teorie spontanee che riecheggiano quelle del calorico e del flogisto, cioè che – per dirla con una metafora haeckeliana – nell’ontogenesi della formazione individuale dei contenuti e dei metodi della scienza del singolo allievo si ripercorra in maniera “breve e compendiosa” la filogenesi della formazione delle teorie scientifiche nella storia dell’umanità, e poi si trascuri il ruolo della storia della scienza e dell’epistemologia nella costruzione di un sapere scientifico consapevole. “Oggi andiamo in laboratorio a vedere al microscopio le cellule, che sono il costituente fondamentale degli organismi viventi”. È il rovesciamento del percorso filogenetico della scienza: la teoria cellulare è venuta negli anni Trenta dell’Ottocento a coronare gli sforzi di due millenni di domande sul “come siamo fatti”. Ancora, per capire il vedere del microscopio è necessaria una teoria dell’ottica, una teoria del preparato microscopio e della colorazione, oltre che una teoria della biologia, e se diamo per scontato tutto questo gli alunni “vedranno” le cellule come verità di fede e non come acquisizione critica di un sapere complesso e storicamente determinato. 2. Metodo Un’altra credenza di fondo, condivisa largamente presso gli insegnanti di scienze, è l’idea che esista qualcosa come UN unico metodo scientifico; un insieme cioè di prescrizioni e regole teorico-comportamentali che garantiscono il marchio di scientificità alle operazioni ed ai risultati di un dato ricercatore; una “ricetta”, un cookbook attenendosi al quale, automaticamente, si fa scienza. In particolare, la credenza si sostanzia nel pensare che questo metodo universale si fondi su ipotesi di partenza, controllate mediante osservazioni mirate e sottoposte a verifica attraverso esperimenti controllati in maniera da giungere alla formulazione di teorie e “leggi” universalmente valide. Tuttavia, l’epistemologia del Novecento ha introdotto una serie di cautele nei confronti di questo modello ottocentesco. Se il metodo ipotetico-deduttivo ha certamente rappresentato un “progresso” nei confronti del metodo induttivo “crudo” baconiano, le riflessioni di Ernst Mach, Pierre Duhem e Henri Poincaré prima, e le epistemologie 90
di Popper, Kuhn, Lakatos e Feyerabend dopo, ci hanno reso più critici nei confronti dell’idea di un metodo scientifico codificato come procedura standard. L’idea machiana di teorie più adatte e più “economiche”, la critica di Duhem all’experimentum crucis, e il convenzionalismo di Poincarè hanno esercitato una funzione regolativa feconda sulle concezioni di che cosa è la scienza e su come funzioni. Grande seguito ha avuto poi l’idea popperiana che il metodo della scienza sia unico – quello delle congetture e confutazioni – e che invece le metodiche per applicarlo siano numerose e caratteristiche di ciascuna disciplina scientifica che si lasci sottoporre al criterio di falsificabilità. In quest’ottica sono stati rivalutati il ruolo dell’immaginazione creativa e il significato euristico dell’errore. Anzi, Antiseri ha suggerito che – contrariamente a quello che pensava Gadamer – il metodo per congetture e confutazioni consenta di interpretare anche il comportamento dello studioso di scienze umane, riconducendo quindi sotto un unico principio generale – ma non UN metodo scientifico – il modo di procedere di tutta la conoscenza umana. Infine, il costruttivismo e l’approccio sociologico alla produzione della conoscenza scientifica hanno ulteriormente indebolito l’idea che la scienza costituisca una conoscenza a parte caratterizzata da una serie di procedure caratteristiche ed esclusive. Tuttavia, questo consapevolezza costituisce a nostro modo di vedere un guadagno ed in particolar modo per la didattica della scienza. Questa si gioverà dell’idea di metodo e degli strumenti per pensare che vengono messi in campo allo scopo, ma si arricchirà di una visione più critica e storicamente determinata che non può che accrescerne il valore all’interno di una pedagogia che miri alle competenze chiave di cittadinanza. 3. Analogia, modello, strumenti per pensare, trasferibilità La luce non è un’onda e non è una particella. E non è vero nemmeno che qualche volta è un’onda e qualche altra è una particella. La maniera corretta di descrivere il fenomeno è che qualche volta la luce si comporta come un’onda e qualche altra volta si comporta come una particella. Cioè, usiamo le analogie come strumenti per pensare, trasferendo le nostre idee riguardo il comportamento di oggetti che presumiamo di conoscere bene (le onde e le particelle) al modo di funzionare di oggetti che conosciamo poco o nulla (la luce). Anche qui bisogna stare molto attenti a non confon91
dere il valore interpretativo ed euristico delle analogie e dei modelli con un preteso valore esplicativo. Cioè un modello è valido perché grazie alla sua applicazione riusciamo a scoprire fatti nuovi in un campo esperienziale poco esplorato, ma non per il suo valore di verità. In realtà, analogie e modelli sono rappresentazioni artificiali e semplificate di un dominio di riferimento che ne permettono una simulazione efficace, e quindi euristica. Gli atomi non sono sistemi solari in miniatura più di quanto le molecole di gas non siano palle di biliardo che cozzano impazzite fra loro. Come voleva Duhem (1906), i modelli non descrivono una realtà sottostante ai fenomeni, sono però una strada per la scoperta (Whewell 1840) o, almeno, un modo per giustificarli. Ora, la “costruzione e l’analisi di semplici modelli matematici di classi di fenomeni, anche utilizzando strumenti informatici per la descrizione ed il calcolo” pone, nelle Indicazioni per i nuovi Licei, con forza l’idea di modello al centro del percorso di matematica. L’analogia e il modello matematico sono due dei principali “strumenti per pensare” (Tagliagambe 2011) che una didattica per le competenze deve consentire di realizzare. Insieme ai classici strumenti logici, l’induzione, l’analisi, l’astrazione, la deduzione e l’abduzione, il pensare per modelli analogici è ciò che consente la trasferibilità degli schemi adottati in un ambito di problemi ad un altro, differente e nuovo e, conseguentemente, costituisce la struttura portante delle competenze in situazione. 4. Sapere e linguaggi, discipline e interdisciplinarità Se qualche riga più sopra abbiamo parlato di principio unico della conoscenza e metodiche locali, lo stesso concetto può essere declinato mediante i termini “unicità del sapere” e “specificità dei linguaggi disciplinari”. Nel primo paragrafo di questo capitolo abbiamo già sottolineato come la storia e la filosofia della scienza consentono il recupero dell’unità del sapere, promuovendo una didattica interdisciplinare. Questo compito può essere affrontato, come propone Mario Augusto Bunge (2003), cercando e valorizzando le colle, i legami interdisciplinari che le convergenze e le emergenze sistemiche propongono al ricercatore ed al filosofo. Da questo punto di vista, la multidisciplinarità è solo un primo, insufficiente passo verso l’unità del sapere, con il suo mero affiancare risultati provenienti da campi diversi senza proporre una visione d’assieme. 92
L’interdisciplinarità rappresenta, invece, il tentativo di integrare le ottiche differenti delle varie discipline allo scopo di ricostruire proprio l’unità sistemica della realtà, una volta che di questa se ne sia riconosciuta la complessità. L’interdisciplinarità ha valenza culturale e formativa (Agazzi 1994) per il suo costituirsi attraverso l’apertura a prospettive differenti, alla criticità delle conoscenze, alla consapevolezza dei limiti delle scienze e delle tecniche e della loro fondazione su di un umanesimo integrale. L’approccio interdisciplinare prevede l’individuazione di quadri concettuali comuni, l’integrazione di concetti fondamentali e metodologie di base che realizzino un inquadramento culturale unitario dell’argomento studiato in particolare e del sapere in generale. Questo può, comunque, non essere sufficiente alla sfida posta dalla complessità. Alcuni Autori auspicano la transdisciplinarità (Morin 2000), o la metadisciplinarità (Clavell 2001) come vie per il recupero definitivo dell’unità del sapere. Si tratta, in questo caso, non solo di fare interagire gli schemi epistemologici delle varie discipline alla ricerca delle finalità comuni, ma di agire sui fondamenti e sui quadri metafisici di riferimento che sottendono la pluralità dei saperi. Una breve parentesi è necessaria per sottolineare quanto, in tutte queste proposte di recupero dell’unità del sapere, sia indicato come pernicioso l’atteggiamento scientista purtroppo oggi così diffuso: Polany (1998), ad esempio mette in guardia dall’oscurantismo scientifico che si sostanzia, fra l’altro, nell’orrore per la teleologia o nell’annichilamento della autocoscienza a cluster di neuroni e sottolinea la necessità di sottrarre le scienze biologiche ed umane dal flagello del fisicalismo. Sulla stessa linea G. Israel (2008), che ne trae anche allarme per le conseguenze nefaste che questo atteggiamento produce nella didattica «proponendo approcci sperimentali dilettanteschi e deliranti». La Nota Introduttiva alle Indicazioni Nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento esplicita i criteri costitutivi delle indicazioni stesse. Il secondo di questi criteri è: «La rivendicazione di una unitarietà della conoscenza, senza alcuna separazione tra “nozione” e sua traduzione in abilità, e la conseguente rinuncia ad ogni tassonomia… è la scuola della conoscenza a fornire gli strumenti atti a consentire a ciascun cittadino di munirsi della cassetta degli attrezzi e ad offrirgli la possibilità di sceglierli e utilizzarli nella realizzazione del proprio progetto di vita ». Dopo di che il termine scompare dalle oltre 400 pagine del documento. 93
Il rischio di non recuperare nei curricula la tensione verso l’unità del sapere è molto alto. L’insistenza su programmi di preparazione al lavoro può ingenerare la proposizione di una serie di insegnamenti disciplinari sempre più specialistici che, invece di aiutare lo studente a crescere come persona e a capire il ruolo che deve svolgere nella società, lo confonda in un labirinto di corsi da cui tentare di ricavare, qui e là, qualcosa di “utile” per il proprio inserimento nel mondo del lavoro. Al contrario, comprendere la natura della conoscenza, la sua unitarietà, i suoi limiti e le sue variazioni è fondamentale per il permanere della democrazia civile. Troppe literacies non producono in modo automatico la inestimabile competenza del pensiero sintetico e sistematico. Per citare T.S. Eliot: «Dove è la sapienza che abbiamo perso con la conoscenza? Dove è la conoscenza che abbiamo perso nell’informazione?». Di conseguenza, una didattica per le competenze in scienza e matematica non può non incrociarsi efficacemente con lo studio delle discipline umanistiche, la storia, la filosofia. Esse costituiscono la struttura senza la quale nessuna unità del sapere si tiene. Per cui è auspicabile la formazione di team interdisciplinari di docenti per la progettazione di percorsi didattici sistemici che rendano patente agli studenti la trasversalità del sapere, quindi un lavoro di ideazione e realizzazione di ambienti di apprendimento, comunità di pratiche, attività laboratoriali, orientati alla complessità ed all’integrazione disciplinare. 5. Ambienti di apprendimento, interpretazione, conoscenza critica Riprendendo quanto chiarito nel secondo capitolo, il particolare ambiente di apprendimento costruttivista costituito dal digital storytelling mira a fornire gli strumenti per una interpretazione della realtà materiale, così come storicamente si è venuta costruendo nel lavoro e nel pensiero degli scienziati che se ne sono occupati. Questa interpretazione viene così contestualizzata e diventa strumento critico di conoscenza, nel senso che i contenuti della scienza vengono assunti nella loro problematicità costitutiva e di essi viene rifiutata l’apoditticità caratteristica dell’insegnamento dogmatico. Questo è – dal punto di vista delle competenze chiave di cittadinanza – uno dei risultati più significativi dell’approccio metodologico qui proposto.
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6. Alcuni esempi Da tutto quello che è stato esposto nei paragrafi precedenti dovrebbe essere evidente come l’uso della storia e della filosofia della scienza si presti perfettamente a realizzare una didattica per competenze in area matematica e scientifica. Questo, in effetti, è ciò che sta avvenendo in diversi contesti europei. Sarebbe, però, qui un’impresa titanica e in parte fuori luogo dar conto di tutte le esperienze di didattica che sono in corso in Italia ed in Europa3. Alcuni brevissimi esempi, tuttavia, potranno illustrare alcune modalità con cui questa proposta viene declinata e, per contrasto, le differenze che caratterizzano la nostra esperienza condotta con l’uso del digital storytelling. 1. Da molti anni è attivo presso l’Università di Pavia il Gruppo di Storia e didattica della fisica, realizzatore, fra l’altro, del Pavia Physics Project – Gateway for the Circulation of Scientific Historical Culture (http://ppp.unipv.it). Nell’ambito delle iniziative del MIUR per la diffusione della cultura scientifica, il Gruppo ha realizzato, con la collaborazione di alcune Scuole dalla città di Pavia, un Laboratorio storico interattivo (Falomo 2010) presso il Palazzo Botta di Pavia sul concetto di “Energia, questa trasformista”. L’esposizione, ed il relativo catalogo, hanno messo – letteralmente – in mostra un percorso storico con exhibits hands on dai pendoli galileiani alle celle fotovoltaiche. Lo scopo: chiarire il concetto di energia nelle sue declinazioni teoriche e nelle sue applicazioni pratiche ricostruendo la storia delle concettualizzazioni proposte – per le varie forme di energia – dai principali scienziati che se ne sono occupati. 2. Una delle esperienze più complesse relative all’inserimento della storia e della filosofia della scienza nella preparazione degli studenti pre-universitari è certamente il corso Perspectives on Science che attualmente viene considerato come qualificazione avanzata per l’accesso ai college in UK. Sviluppato dal Centre for Innovation and Research in Science Education, Department of Education, University of York, il corso ha lo scopo principale di fornire agli studenti 3 Nei primi mesi del 2013 è in uscita, per i tipi di Springer, un Handbook of Historical and Philosophical Research in Science Education. Il manuale, che affronta in dettaglio numerosissimi aspetti del rapporto tra Storia della Scienza e Istruzione scientifica, dedica un capitolo anche a Regional Studies, Incorporation Of Hps/Nos Content In School & Teacher Education Programmes: Europe and Italy a firma degli autori di questo volume.
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non tanto i contenuti tipici della storia, filosofia ed etica della scienza, quanto sviluppare gli strumenti per pensare tipici dell’approccio epistemologico. Lo scopo non è soltanto preparare gli studenti allo studio delle facoltà scientifiche, ma più in generale promuovere un approccio investigativo e razionale alla vita in generale. Per questo, il corso non richiede l’apprendimento di specifici contenuti didattici ma, dopo una fase introduttiva nella quale gli studenti apprendono l’uso delle fonti storiche, l’argomentazione filosofica ed etica e il ragionamento logico, ad essi è richiesta la produzione di un progetto di ricerca individuale. Questa dissertazione finale sostituisce l’esame finale e deve essere sostenuta anche oralmente. Gli obiettivi perseguiti dal corso sono, quindi, favorire le abilità mentali che mettono gli studenti in condizione di confrontarsi con le “Grandi Questioni” della scienza, sviluppare capacità di ricerca ed argomentative, aprirsi al dibattito etico. Nel 2008 hanno partecipato al progetto una trentina di high schools, nel 2011 gli istituti che sfruttano questa possibilità in UK sono più di 700 (Taylor, Swinbank 2011). Gli studi di caso sui quali è basato il corso sono: la fusione fredda, il DNA, l’evoluzione, la storia della scoperta dell’ossigeno, e le questioni etiche riguardanti la vita umana, gli animali, la genetica e l’uso bellico della scienza. 3. Nell’ambito dei progetti finanziati dalla Comunità Europea con il Settimo Programma Quadro, il progetto HIPST (History and Philosophy in Science Teaching) ha organizzato la collaborazione di gruppi di ricerca internazionali al fine di produrre e sviluppare casi di studio per l’insegnamento e l’apprendimento della scienza con il metodo storico-critico orientato alla comprensione della natura della scienza (NoS) e la situazione della produzione delle conoscenze scientifiche nei contesti originali. Il presupposto teorico del punto di partenza è che i concetti scientifici sono più facilmente comprensibili se presentati nel contesto storico della loro scoperta, piuttosto che presentati in maniera decontestualizzata e sistematica tipica dell’approccio didattico tradizionale. Gli strumenti utilizzati sono stati: la produzione di materiale didattico, in forma di studi di caso, la documentazione da parte dei docenti coinvolti nello studio, la formazione di una solida rete di insegnanti di scienze, i ricercatori e le istituzioni che diffondono la cultura scientifica, con l’obiettivo di realizzare sinergie efficaci per l’attuazione del progetto e il suo 96
follow-up (Höttecke, Riess 2009; Höttecke, Henke 2010; Höttecke, Henke 2011). Nella fase iniziale del progetto (1-16 mesi), è stata fatta una raccolta di materiali relativi alle pratiche di insegnamento e le attività effettuate in ciascun Paese partner nel campo della didattica delle scienze e di apprendimento, in modo da stabilire un punto di partenza su cui costruire le seguenti fasi del progetto. La seconda fase del progetto (16-28 mesi) è stata dedicata alla realizzazione di un insieme di studi di caso (corpus) in base alle esigenze nazionali emerse nella fase precedente, per esempio sulla base dei programmi di studio in vigore in ciascuna Nazione. Il corpus, tradotto nelle varie lingue dei Paesi partner, è stato distribuito e messo in pratica. L’ultima fase del progetto (29-30 mesi) ha riguardato la messa a punto e la distribuzione dei materiali prodotti e la loro valutazione. Tutto il materiale prodotto è stato reso accessibile on-line4. Queste applicazioni della storia e della filosofia della scienza alla didattica delle discipline scientifiche presentano, in varie modalità e combinazioni, le declinazioni più efficaci dei lemmi più sopra ricordati per sviluppare le competenze in ambito matematico e scientifico-tecnologico. La contestualizzazione storica della scoperta di leggi e teorie e la ricostruzione letterale delle “invenzioni” sono espressioni efficaci della laboratorialità nell’accezione che abbiamo qui sopra ricordato, mentre l’attenzione alle caratteristiche della NoS, illuminate dagli studi di caso e dalle relative considerazioni epistemologiche, costituiscono la maniera più efficace per smontare gli “ostacoli epistemologici” costituiti dalla credenza in un unico metodo scientifico e dalla pretesa neutralità etica e obiettività conoscitiva dell’impresa scientifica. Ancora, queste iniziative conducono a sottolineare l’uso dell’analogia nell’immaginazione scientifica, il valore dell’abduzione e il senso vasto del concetto di “paradigma”. Tutto questo, infine, avviene ipso facto all’interno di un approccio interdisciplinare, essendo le scienze umane protagoniste, insieme alle scienze dure, dell’avventura storica che viene ricostruita. Il digital storytelling a contenuto storico-scientifico ripropone, strutturate in maniere diverse, le stesse valenze positive e, a nostro modo di 4 Accessibile sulla piattaforma hipstwiki: http://hipstwiki.wetpaint.com/. La sezione relativa agli studi di caso sviluppati nel corso del progetto si trova alla pagina: http://hipstwiki.wetpaint.com/page/hipst+developed+cases.
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vedere, ne aggiunge di ulteriori. Citiamo, per scendere nel concreto ed evitare l’astrattezza di un quadro teorico, l’esempio di un breve filmato da noi realizzato per illustrare l’idea di narrazione digitale storico-scientifica. Il DST in questione ha per titolo: Processo ad Ernst Haeckel. La fine dell’Oggettività della scienza. Nei sette minuti del prodotto viene narrata la storia dei cosiddetti “Falsi di Haeckel”, cioè delle illustrazioni di embrioni che lo zoologo prussiano portò a sostegno della sua legge biogenetica fondamentale: “l’ontogenesi ricapitola la filogenesi”. La dimostrazione dell’inaccuratezza dei disegni haeckeliani è stata usata a più riprese nella storia della scienza per attaccare l’evoluzionismo darwiniano, di cui la legge biogenetica fondamentale veniva considerata – a torto – un pilastro fondamentale. Sia alla fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, che nella prima decade del Novecento e poi ancora ai giorni nostri, scienziati di varia estrazione hanno processato Haeckel, dimostrando l’approssimazione delle sue tavole e deducendone varie conseguenze, ora a sostegno delle tesi creazioniste, ora, in generale, sull’ipocrisia degli scienziati fabbricatori di prove5. Nel breve filmato si sottolinea uno degli aspetti caratteristici della natura della scienza: la mai definita oggettività dei “dati” o dei “fatti” che, carichi di teoria, si piegano a dare ragione di una idea scientifica e poi, magari, di una idea completamente diversa. Qui la narrazione intrigante della vicenda viene usata per sottolineare, oltre a teorie scientifiche generali quali l’evoluzionismo darwiniano e la sua variante haeckeliana, l’influenza del contesto storico e psicologico nel determinare una vicenda scientifica. La formazione di Haeckel, impregnata della Naturphilosophie e dei concetti schopenaueriani, dava origine ad una visione della Natura intrinsecamente artistica. Questa visione, sposandosi col naturale talento pittorico dello scienziato, influenzò in maniera significativa sia la sua idea di filosofia naturale che la sua produzione scientifica. Quindi, il contenuto cognitivo, la legge, la teoria, il disegno anatomico si caricano di senso legato al chi, al quando, al dove della sua produzione e, in questo modo, l’unicità del sapere traspare al di là della molteplicità dei linguaggi con i quali viene espressa. L’influenza delle “idee concettuali di fondo” e i rapporti tra ideologia, economia, politica e scienza vengono messi in luce nel racconto. La storicità dei concetti e degli oggetti scientifici modera regolativamente l’idea del “metodo scientifico” e della obiet5
Per una dettagliata descrizione della questione dei falsi di Haeckel si veda Hopwood (2006). In italiano mi permetto di rimandare al mio Dibattista 2010.
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tività e perennità delle leggi scientifiche. Inoltre, la straordinaria varietà di campi in cui è stata applicata la legge di ricapitolazione haeckeliana illustra molto efficacemente il ruolo dell’analogia e la trasferibilità di concetti da un’area scientifica ad un’altra6. I vantaggi della produzione del digital storytelling all’interno di un gruppo-classe, e cioè le tipiche caratteristiche di ambiente di apprendimento e laboratorialità che caratterizzano questa attività, non sono – ovviamente – rinvenibili in questo prodotto realizzato da noi come modello; essi verranno ampiamente sottolineati nel resoconto della ricerca condotta sul campo nel capitolo successivo.
6 Che il singolo ente individuale, nel suo sviluppo, ripercorra le fasi della specie, classe, categoria di cui fa parte, è divenuto un luogo comune della cultura occidentale, dalla pediatria del dr Spock alla psicologia piagetiana, dall’etno-antropologia allo studio dell’evoluzione linguistica, dalla neuroanatomia del pallio agli stadi freudiani dello sviluppo della psiche.
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PARTE SECONDA
Capitolo 1
“Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”: progettazione, realizzazione, diffusione LIBORIO DIBATTISTA E FRANCESCA MORGESE
1. Il Seminario di Storia della Scienza dell’Università degli Studi di Bari e la diffusione della cultura scientifica Il Centro Interuniversitario di Ricerca Seminario di Storia della Scienza conduce da anni attività di ricerca nell’ambito della diffusione della cultura scientifica e della didattica delle discipline scientifiche nelle scuole di ogni ordine e grado. In particolare, la Struttura è stata impegnata sul fronte della formazione degli insegnanti nell’ambito delle attività didattiche delle Scuole di Specializzazione per la formazione degli Insegnanti della Scuola Secondaria (SSIS) per tutti i nove cicli in cui dette Scuole sono rimaste attive. Prodotto concreto di questa esperienza è stata la pubblicazione nel 2008 del volume collettaneo Gli spaghetti di Mendel. Lezioni di Storia della Scienza per i Licei (Dibattista 2008)1, che documenta la metodologia di scrittura della ricerca storico-scientifica applicata alla didattica attraverso 12 studi di caso a contenuto storico-scientifico, prodotti da altrettanti insegnanti pre-service di discipline scientifiche ed umanistiche, coinvolti nell’attività di formazione presso la SSIS Puglia a conclusione del corso in Storia della Scienza e della Tecnica nell’a.a. 2007/2008. Il volume ha come sfondo la scelta forte, fatta nell’ambito della progettazione didattica della SSIS Puglia, di fare dell’insegnamento di Storia della Scienza e della Tecnica una disciplina trasversale alle classi di abilitazione scientifiche, tecniche ed umanistiche, 1 Il volume è stato presentato nel corso dell’11th International IHPST and 6th Greek History, Philosophy and Science Teaching Joint Conference, svoltosi a Salonicco (Grecia) dall’1 al 5 luglio 2011 (Dibattista, Morgese 2011).
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quindi un insegnamento rivolto alla totalità degli insegnanti abilitandi e non solo a quelli di area scientifica. Parliamo di scelta forte in quanto si è inteso, in questo modo, promuovere la storia e l’epistemologia della scienza come discipline-ponte tra le due culture (Snow 1960), nel tentativo di ricucirne la separatezza nella formazione iniziale degli insegnanti. Questa scelta ha permesso di promuovere il contributo di insegnanti di area umanistica e scientifica nella scrittura e produzione di materiali didattici rivolti agli stessi insegnanti, in quanto il volume è stato in seguito adottato come materiale didattico all’interno della successiva annualità della SSIS ed è idealmente pensato come strumento didattico in mano agli insegnanti, come documentazione di un’attività di ricerca finalizzata alla didattica. Il volume costituisce un tentativo di modellizzazione per la costruzione di studi di caso a contenuto storico-scientifico da realizzare concretamente nelle classi. Successivamente, il centro di Ricerca è risultato vincitore dei bandi indetti dal MIUR nell’ambito della Legge 6/2000 per la diffusione della cultura scientifica negli anni 2005, 2007, 2008 e 2010. Questi progetti hanno sempre prestato particolare attenzione al mondo della scuola e alle ricadute didattiche degli obiettivi progettuali. In dettaglio, il progetto del 2005 realizzò un repertorio bio-bibliografico degli scienziati e delle istituzioni scientifiche che, in senso lato, hanno avuto rapporto con le Puglie dal V secolo a.C. ad oggi (de Ceglia 2007). Il volume enciclopedico era pensato anche per una fruizione da parte delle scuole e in esso si indicavano modalità e vantaggi per un uso didattico. Ulteriore prodotto del progetto è stato un sito web per la pubblicazione online di campioni delle schede presenti nel volume2. Nel 2007 i materiali storiografici raccolti nel corso del progetto precedente furono usati come base di partenza per la realizzazione di una mostra storico-scientifica che ebbe luogo presso la Cittadella Mediterranea della Scienza di Bari, e che accolse per oltre un mese numerosissime scolaresche della Regione nei suoi percorsi tematici e storici. L’anno successivo, con il progetto “La Scuola di Archita”, si è realizzata una prima esperienza di ricerca-azione a cui presero parte undici scuole della Regione Puglia, trentaquattro insegnanti e più di trecento studenti. Le classi partecipanti al progetto realizzarono una serie di unità di apprendimento a contenuto storico-scientifico che furono presentate in un workshop 2
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http://www.ssscienza.uniba.it/scienziatidipuglia/Index.htm.
finale i cui atti sono stati pubblicati (Dibattista 2010). Il progetto, che ha visto coinvolti nelle attività di diffusione oltre il Seminario di Storia della Scienza anche l’Ufficio Scolastico Ragionale (USR Puglia), la Società Filosofica Italiana (S.F.I). e l’Associazione Nazionale degli Insegnanti di Scienza Naturali (ANISN), ha consolidato intorno alla Struttura capofila una rete di istituti di istruzione secondaria di primo e secondo grado che, insieme ai ricercatori del centro universitario, sperimentano concretamente l’introduzione dell’approccio storico-critico nella didattica delle discipline scientifiche. I risultati di questa ricerca hanno mostrato l’efficacia di tale approccio e i punti critici dello stesso (Dibattista, Morgese 2012a; Dibattista, Morgese 2012b). Questo consolidato rapporto con gli istituti di istruzione del territorio è il patrimonio che ci ha consentito di progettare e vincere nuovamente, nel 2010, il bando ministeriale proponendo il progetto che dà il nome al presente volume ed i cui passi salienti riportiamo qui brevemente. 2. Il bando di concorso Nella sua concezione originale il progetto: “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe. Rassegna-Concorso Regionale per la realizzazione di prodotti multimediali didattici”, si rivolgeva ad un target più ampio di quello effettivamente raggiunto. In particolare, si prevedeva di raggiungere con dei miniworkshop di diffusione-formazione tutte le province pugliesi in modo da coinvolgere un numero più ampio possibile di scuole. Tuttavia, il progetto ha ottenuto un finanziamento di molto inferiore al budget di previsione, fatto che ci ha costretto a rimodulare alcune fasi, limitando in particolare il momento formativo a due giornate di studio e lavoro svoltesi presso l’Università degli Studi di Bari “Aldo Moro”. Hanno partecipato all’iniziativa altre istituzioni partner del Seminario di Storia della Scienza: – l’Ufficio Scolastico Regionale della Puglia che ha patrocinato il concorso, garantendone la diffusione nelle scuole mediante i propri canali; – la Cittadella Mediterranea della Scienza – Bari, che ha garantito l’ospitalità per la manifestazione finale dedicata alla cerimonia di premiazione finale del concorso ed inoltre la sua diffusione sul web in streaming; 105
– il CISMUS – Centro Interdipartimentale di Servizi per la Museologia Scientifica – Bari, che ha patrocinato il progetto ed ha partecipato alla fase di valutazione dei prodotti multimediali partecipanti al concorso; – l’Associazione SCIENZ@PPEAL – Diffusione e comunicazione della cultura scientifica – Bari, che ha curato gli aspetti organizzativi, logistici, di diffusione e comunicazione dell’iniziativa in tutte le sue fasi; – ed, infine, la Fondazione APULIA FILM COMMISSION che, oltre al patrocinio dato al progetto, ha seguito le fasi finali di valutazione e premiazione dei digital storytelling realizzati dalle scuole. Il bando di concorso è stato lanciato nel mese di marzo del 2011. La diffusione del bando è stata attuata mediante una circolare dell’USR Puglia rivolta a tutte le Scuole Secondarie di I e II grado della regione e con mailing contenente il bando di concorso e rivolto a tutte le Scuole Secondarie di I e II grado della regione da parte dell’Associazione Scienz@ppeal. Inoltre è stata realizzata la pubblicizzazione del bando di concorso sui siti web del Seminario di Storia della Scienza e dei partner. Di esso riportiamo gli articoli che illustrano la finalità dello stesso e la tipologia dei prodotti ammessi: Art. 2 Motivazioni e Finalità Il concorso mira a promuovere la diffusione dell’approccio storico-critico allo studio delle discipline scientifiche. L’approccio didattico basato su problemi e sulla ricostruzione critica di episodi, personaggi e controversie della storia della scienza costituisce un metodo innovativo per la didattica delle scienze, che sta ricevendo attenzione a livello europeo grazie all’efficacia che esso mostra di avere nella promozione di uno studio più attraente e motivante della scienza presso i giovani. L’introduzione di moduli di storia e filosofia della scienza nella didattica delle scienze favorisce una migliore comprensione metacognitiva della natura della scienza, di come essa si produce e si sviluppa, ed anche un atteggiamento più positivo verso la scienza e capacità di analisi più sofisticate. Ricadute significative si registrano anche nella comprensione cognitiva dei contenuti disciplinari. La metodologia più consolidata per proporre contenuti storico-scientifici a scuola appare, a livello internazionale, quella per “studi di caso”, che pro106
pone la trattazione dei contenuti della scienza attraverso l’analisi di “casi reali” in cui il soggetto apprende a partire da una situazione data, storicamente documentata, esercitando su determinati contenuti competenze operative e procedurali, identificandosi con persone specifiche o con ruoli determinati e sviluppando competenze metacognitive. L’approccio narrativo, da concretizzare nel racconto di una storia, ben si attaglia ad essere veicolo di questa metodologia in quanto la pratica scientifica è calata nel reale, nel tempo e nello spazio ed è strettamente legata alle azioni ed alle intenzioni degli uomini, degli scienziati; è, cioè, una pratica narrativa che può ben esprimere, più che la “natura” in astratto, i “punti di vista” e le interpretazioni di uomini in carne ed ossa ed il processo con cui essi hanno preso decisioni ed hanno conferito un certo significato alla realtà, costruendone un “modello”. Tale metodologia sviluppa una maggiore padronanza nella gestione dei contenuti e nelle capacità argomentative ed una notevole consapevolezza critica verso lo stereotipo della “certezza” ed “autoevidenza” della scienza. Art. 3 Tipologia dei prodotti ammessi al concorso Ciascuna classe o gruppo di studenti dovrà realizzare un prodotto multimediale a contenuto storico-scientifico incentrato sulla storia di un personaggio, di una controversia, di un episodio, di una teoria o di una istituzione di ricerca, appartenente alla storia della scienza. Sono ammessi filmati originali realizzati con la tecnica del digital storytelling, filmati documentaristici, cortometraggi, sequenze di fotografie e/o diapositive commentate, anche contenenti filmati non originali purché rispettanti i diritti di proprietà intellettuale. I prodotti dovranno essere complessivamente inediti.
Al termine utile per la presentazione delle domande di partecipazione al concorso sono pervenute cinquanta iscrizioni. 3. Il tutoraggio per gli insegnanti partecipanti al concorso Poiché sia l’approccio concettuale (la storia e la filosofia della scienza), sia le modalità formali e tecnologiche (il digital storytelling) proposti dal bando non sono correntemente praticati nella didattica, a tutti gli insegnan107
ti iscritti al concorso è stato garantito un tutoraggio da parte dei ricercatori del Seminario di Storia della Scienza e di esperti esterni. Fondamentalmente questo tutoraggio è stato realizzato mediante: a) due giornate di formazione intensiva, svoltesi presso l’Ateneo barese (28-29 aprile 2011), di cui un dettaglio è esposto nel paragrafo 2.2. In questa occasione agli insegnanti è stato fornito materiale bibliografico, in cartaceo e su CD-Rom, relativo alle tematiche trattate nel corso; b) la creazione di un Google group con un forum di discussione. In questo spazio web ogni insegnante è stato seguito per tutta la durata del progetto da un ricercatore del Seminario di Storia della Scienza per suggerimenti bibliografici, discussione e consigli sulla sceneggiatura e per il supporto tecnico software durante la realizzazione del digital storytelling. 4. Selezione dei prodotti multimediali vincenti, premiazione finale e diffusione dei risultati I digital storytelling pervenuti in tempo utile sono stati esaminati da una commissione composta da due ricercatori del Seminario di Storia della Scienza e da un membro per ognuna delle altre Istituzioni coinvolte. La selezione è avvenuta sulla base dei seguenti criteri: – originalità dei contenuti e metodologia della ricerca (in particolare, l’aderenza alla proposta costruttivista suggerita nel bando e nel corso di formazione); – significatività e rilevanza culturale della storia proposta; – efficacia comunicativa della realizzazione. Sono stati selezionati sei prodotti, tre per le Scuole Secondarie di primo grado e tre per quelle di secondo grado, a cui sono stati assegnati un primo ed un secondo premio3 e una menzione speciale della giuria. La cerimonia di premiazione, durante la quale sono stati proiettati i filmati vincenti, ha avuto luogo presso la Cittadella Mediterranea della Scienza di Bari (16 dicembre 2011), alla presenza del Magnifico Rettore e dei rappresentanti di tutte le istituzioni coinvolte, nonché delle scolare3
In denaro, da destinare all’acquisto di materiali bibliografici o strumentazione scientifica per i laboratori di istituto.
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sche e dei loro insegnanti per oltre quattrocento presenze: l’evento è stato pubblicizzato dalla stampa e dalle emittenti locali, oltre ad essere stato trasmesso in streaming sul sito della Cittadella. 5. Obiettivi raggiunti Gli obiettivi raggiunti dal progetto possono essere così riassunti: 1. Diffusione dell’approccio storico-critico nell’apprendimento ed insegnamento delle discipline scientifiche. L’approccio didattico basato su problemi si è concretizzato mediante la ricostruzione critica di episodi, personaggi e controversie della storia della scienza da parte degli studenti sotto la guida dei propri insegnanti. 2. Sperimentazione dell’approccio narrativo nell’apprendimento ed insegnamento delle discipline scientifiche mediante l’applicazione della metodologia didattica dello studio di caso e dello storytelling. 3. Diffusione della tecnica del digital storytelling per la realizzazione di prodotti multimediali a contenuto storico-scientifico. Le scuole hanno positivamente accolto l’iniziativa nell’ambito dei propri POF ed hanno prodotto dei veri e propri ambienti di apprendimento digitali nei quali hanno costruito o ricostruito la storia di uno scienziato, di una teoria scientifica o di una istituzione di ricerca scientifica, rispondendo appieno alle finalità del progetto. Benché innovativo e poco usato in Italia in ambito scolastico, il digital storytelling ha costituito per le scuole partecipanti un mezzo appassionante per suscitare un apprendimento attivo e partecipato della scienza da parte degli studenti. La maggior parte dei video prodotti è di buon livello qualitativo; i video vincitori possono essere giudicati eccellenti. 4. Sinergie tra istituti scolastici, Università, agenzie di produzione cinematografica, luoghi espositivi museali al fine di favorire la comunicazione con il mondo della ricerca e della produzione.
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Ringraziamenti Gli Autori ringraziano tutti gli studenti, gli insegnanti ed i dirigenti scolastici che, con il loro entusiasmo e la loro partecipazione, hanno reso possibile la realizzazione di questo progetto. Si ringraziano, inoltre, le signore Elisabetta Campanile e Rosanna Ficarella per il prezioso supporto logistico. Una particolare riconoscenza va alla professoressa Mara Ida Catalano, Direttrice della Cittadella Mediterranea della Scienza, per aver generosamente ospitato la manifestazione finale nella propria struttura, alla dottoressa Raffaella Del Vecchio della Apulia Film Commission per il supporto materiale e morale dato ai lavori finali della giuria, alla professoressa Lucrezia Stellacci, Direttrice dell’Ufficio Scolastico Regionale ed alla sua collaboratrice per le discipline scientifiche, professoressa Maria Veronico, al professor Ruggero Francescangeli del CISMUS, alla professoressa Carmen Genchi dell’ANFIS, alla professoressa Filomena Rocca del MIUR ed al Magnifico Rettore Corrado Petrocelli per il patrocinio concesso all’iniziativa. Infine, un sentito ringraziamento al Direttore del Seminario di Storia della Scienza, professor Mauro Di Giandomenico.
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Capitolo 2
La formazione degli insegnanti per realizzare un digital storytelling: la voce degli esperti
Come specificato nel paragrafo precedente, gli insegnanti iscritti al concorso hanno avuto la possibilità di partecipare a due giornate di incontri formativi1. In questa occasione ai docenti partecipanti è stato sottoposto un breve questionario in ingresso, finalizzato a raccogliere informazioni circa il grado di soddisfazione rispetto alla pratica didattica delle discipline scientifiche ed ai libri di testo in adozione ed eventuali suggerimenti o desideri relativi ad entrambi, i cui risultati verranno brevemente illustrati nel capitolo 4 di questa Seconda parte del volume2. Le pagine seguenti riportano il contenuto dei seminari proposti durante le due giornate di formazione3. I seminari in questione sono stati tenuti da: Rossella De Ceglie, che ha sinteticamente illustrato l’uso delle fonti nel settore specifico della storia della scienza, da Alessandro Volpone e Francesco P. de Ceglia, che hanno proposto due studi di caso: rispettivamente il viaggio del Beagle e la storia della fisica Lise Meitner. Carla Petrocelli e Gianluca Sciannameo hanno poi illustrato gli strumenti e le modalità per la realizzazione del digital storytelling, entrando nel dettaglio teorico del mezzo digitale e nella descrizione delle fasi di realizzazione del prodotto finale. 1
Svoltesi presso il Palazzo Ateneo di Bari nelle giornate del 28 e 29 aprile 2011. Paragrafo 11. 3 Ad esclusione del seminario Storia della Scienza e Didattica, svolto a cura di L. Dibattista (28 aprile 2011), riguardante il significato della storia della scienza nell’insegnamento delle discipline scientifiche, che è stato ampiamente illustrato nel capitolo 1 della Prima parte del presente saggio, e del seminario Costruire narrazioni nella didattica della scienza, svolto a cura di F. Morgese (28 aprile 2011), riguardante la narrazione e le sue caratteristiche nella didattica nonché la metodologia del digital storytelling, tema anche questo già esposto nei capitoli 2 e 3 nella Prima parte del presente saggio. 2
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1. Il lavoro dello storico della scienza: le fonti di ROSSELLA DE CEGLIE4 Quando lo storico della scienza compie la sua “immersione” nella storia, deve essere consapevole che il risultato del suo lavoro non potrà essere mai una fotografia degli avvenimenti del passato, bensì sarà una ricostruzione di quegli avvenimenti sulla base di tracce. Il racconto dello storico è, dunque, una rappresentazione teorica organizzata in due fasi: in primo luogo si dovranno cercare e selezionare le fonti (le tracce), siano esse a stampa o meno; successivamente subentrerà l’attività teorica di ricostruzione ed interpretazione delle fonti stesse. In entrambe le fasi interviene la presenza, la personalità dello storico, con tutto il proprio bagaglio culturale, i propri interessi e le proprie inclinazioni. Infatti, lo storico, fra tutti gli eventi del passato, seleziona quelli che poi diventeranno “fatti storici”, ossia compariranno nella letteratura storica. I fatti storici sono quindi il prodotto di una valutazione e sono relativi all’interesse dello storico, che è attivamente coinvolto nella ricostruzione degli eventi. E questa selezione si aggiunge al fatto che i dati a disposizione dello storico sono già il prodotto di una selezione, in quanto solo una parte di tutto ciò che è accaduto nel passato viene poi registrato e tramandato. Tutto questo non vuol dire arbitrarietà, perché ci sono i documenti che pongono dei limiti, regole che impegnano a rispettare le fonti ed a svolgere un’attenta disamina del materiale. Le ricerche storiche valide, infatti, seguono regole precise, pur essendo condotte secondo diverse prospettive. Le fonti alla base del lavoro dello storico della scienza sono elementi materiali, residui del passato e devono dirci qualcosa su di esso. È lo storico che trasforma il residuo del passato in fonte mediante la propria interpretazione e ne fa sprigionare un’informazione. Esse possono essere “eloquenti o simboliche” oppure “mute o non simboliche”. Le prime sono quelle che intenzionalmente forniscono testimonianze (ai contemporanei o ai posteri), come, per esempio, lettere o documenti scritti, e sono quelle che rivestono maggior importanza. Le seconde sono invece quelle che in modo involontario, non intenzionale, forniscono informazioni, come nel caso di uno strumento di un laboratorio scientifico. 4
Il seminario Gli strumenti bibliografici e sitografici. Darwin e le fonti è stato svolto a cura di R. De Ceglie nella sessione pomeridiana del 28 aprile 2011.
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È consuetudine operare una distinzione tra “fonti primarie” e “secondarie”. Le fonti primarie sono quelle che provengono dal tempo di cui forniscono l’informazione, inteso proprio in senso cronologico. Le fonti secondarie appartengono invece ad un periodo successivo rispetto a quello che si sta analizzando e si basano su fonti anteriori, primarie. Tra le fonti primarie simboliche (eloquenti) possiamo inserire: a) Lettere, diari, appunti, manoscritti; b) Registri di istituzioni, documenti vari, protocolli; c) Tesi non pubblicate, articoli e libri pubblicati; d) Riviste, manuali, libri di studio, prove d’esame; e) Autobiografie, memorie, film, fotografie, interviste; f) Relazioni ufficiali, documenti legali, disegni; g) Libri ed articoli non scientifici, giornali, biblioteche. Tra le fonti primarie non simboliche (mute): a) Edifici, laboratori; b) Strumenti, macchine; c) Lapidi, targhe; d) Prodotti chimici, erbari, collezioni di storia naturale. Rientrano nelle fonti secondarie: a)Volumi commemorativi, necrologie; b) Biografie; c) Riflessioni retrospettive; d) Storia delle opere scientifiche; e) Altri lavori storici. Le fonti primarie del primo gruppo (lettere, diari, taccuini, note di laboratorio, manoscritti, ecc.), presentano un interesse del tutto particolare in quanto sono espressioni più dirette dell’effettivo processo scientifico. Dato che non sono destinate al pubblico, sono prove con elevato grado di attendibilità; esse sono testimonianza di metodi, di modi di pensare e di procedimenti seguiti. Questo tipo di documenti non pubblici hanno una grande rilevanza, soprattutto per lo storico dell’“intelletto”, interessato al contesto della scoperta; permettono di osservare più da vicino le concrete condizioni in cui lo scienziato ha sviluppato il suo lavoro e gli eventuali contatti con altri studiosi. Una ricerca comincia con l’individuazione di una situazione problematica che lo storico sceglie seguendo il proprio desiderio di occuparsi di un soggetto particolare. Egli si pone dei quesiti su questo soggetto; le domande conducono a fonti particolari, che forse potrebbero portare a delle risposte e ciò probabilmente susciterà ulteriori domande. Dunque, la situazione iniziale (di partenza), a poco a poco si trasforma proprio attraverso il processo di ricerca ed anche in conseguenza dello studio della documentazione. Il primo passo è sicuramente identificare le fonti riguardo lo specifico problema che ci si è posti. A tal fine, è utile partire da quelle secondarie, ossia dai lavori che altri storici hanno scritto su quell’argomento o su argomenti 113
simili, per evitare una lunga ricerca di consultazione ed anche per ottenere una veduta generale di quei documenti che poi hanno bisogno di un esame più approfondito. Nel valutare una fonte, lo storico deve sempre chiedersi se essa possa essere attribuita all’autore o se sia effettivamente espressione autentica del suo pensiero. Dovere dello storico è quello di riprodurre i testi originali il più autenticamente possibile, evitando distorsioni. Infatti, le citazioni potrebbero essere usate male, strappate dal loro contesto originale: dipende dall’onestà dello storico la garanzia che la fonte non sia presentata male o alterata. Solo controllando direttamente si può evitare l’errore di tramandare citazioni false. Quando si riportano brani, la citazione deve essere ben distinta dal testo, contrassegnata da apici, e deve essere sempre accompagnata da un riferimento preciso al documento da cui è stata presa. È indispensabile, per ottenere un buon lavoro, l’onestà dello storico e la sua comprensione globale delle fonte. Per avviare una ricerca, si può partire dalla consultazione delle bibliografie, che possono essere organizzate variamente: su un soggetto, su una disciplina in un determinato periodo o su un singolo scienziato. In tal senso, è un utile strumento Isis, periodico accademico edito dalla University Chigago Press, consultabile anche sul sito Isis Current Bibliography of the History of Science (http://www.ou.edu/cas/hsci/isis/website/ index.html), che fornisce un quadro generale sulle pubblicazioni in storia della scienza, nelle varie discipline e periodi. La Bibliografia Italiana di Storia della scienza (BISS), della casa editrice Olschki, raccoglie gli scritti di storia della scienza pubblicati in Italia (monografie, articoli, miscellanee, recensioni), ed è consultabile anche tramite OPAC dell’IMSS, Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze (http://www.museogalileo.it/esplora/biblioteche/biblioteca/bibliografiaitalianastoriascienza.html). È evidente che Internet ha provocato profonde trasformazioni nel modo in cui il ricercatore può costruirsi una bibliografia ed individuare la biblioteca dove si trova il libro che interessa o l’archivio che conserva determinati documenti. Ma il web può essere anche esso stesso strumento di accesso diretto a documenti, archivi, materiali bibliografici, generati originariamente su supporti tradizionali e poi trasposti in formato digitale. Una selezione di siti web di interesse ed altre fonti utili per la storia della scienza è consultabile su: www.imss.fi.it/~tsettle/ (La storia e la filosofia 114
della scienza, della tecnologia e della medicina); qui vengono proposti una serie di siti di storia della scienza più specifici, riguardanti, tra l’altro, gli strumenti, i manoscritti e testi originali, i personaggi, le istituzioni ed i musei, gli archivi e collezioni speciali. In tal modo è possibile, per esempio, leggere la versione digitale del De Revolutionibus di Copernico (http:// www.bj.uj.edu.pl/bjmanus/revol/titlpg_e.html), l’Astronomiae instauratae mecanica di Tycho Brahe (http://www.sil.si.edu/DigitalCollections/HST/ Brahe/brahe.htm), collegarsi con il sito che raccoglie la corrispondenza di Linneo (http://www.linnaeus.c18.net/) o con quello dedicato a Galileo (http://www.museogalileo.it/esplora/portalegalileo.html); nidificati nel catalogo generale IMSS suddetto. Nel caso in cui si vogliano approfondire tematiche legate alle scienze della vita ed all’evoluzione in particolare, attraverso la navigazione del sito The Complete Work of Charles Darwin online (http://darwin-online. org.uk/) si apre la possibilità di visionare le opere a stampa ed i manoscritti del naturalista inglese. Il Darwin Correspondence Project (http://www. darwinproject.ac.uk/) consente di reperire facilmente informazioni sui numerosi corrispondenti di Darwin e di accedere al testo di un gran numero di lettere. Analogamente, il sito dedicato a Lamarck (www.lamarck.cnrs.fr) permette di consultare le opere a stampa ed i manoscritti, oltre che i documenti riguardanti i numerosi allievi dei corsi di lezioni tenute al Muséum National d’Histoire Naturelle di Parigi. Per quel che riguarda i classici della scienza, presso la Biblioteca del Seminario di Storia della scienza dell’Università di Bari, tra l’altro, sono consultabili i Landmarks of Science: una raccolta di opere, dal XV al XIX secolo, riprodotte in formato microfiches; il catalogo elettronico è confluito in quello delle Biblioteche dell’area umanistica dell’Università di Bari (http://easyweb.uniba.it). Nella bibliografia complessiva, in appendice al volume e a corredo del presente paragrafo, è riportato un elenco di alcune opere di carattere generale da cui partire per poter cominciare almeno a “farsi un’idea” e raccogliere così ulteriore e più specifica bibliografia. Esse sono facilmente reperibili tramite OPAC SBN (Catalogo del servizio bibliotecario nazionale www. sbn.it), ed il Catalogo Italiano dei periodici (www.acnp.cib.unibo.it).
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2. Uno studio di caso: Charles Darwin e l’avventura del Beagle (18311836). Storia, miti e contaminazioni disciplinari di ALESSANDRO VOLPONE5 2.1.
Il viaggio come ricerca
L’epoca in cui Charles Darwin (1809-1882) compì il giro del mondo a bordo del Beagle, guidato dal Capitano Robert Fitz-Roy (1805-1865), fu costellata di viaggi d’esplorazione compiuti, a vario titolo, da sudditi di Sua Maestà britannica. Costante fu l’intento esplorativo, cartografico e commerciale di questi viaggi, per tutto l’Ottocento. Committenti furono il governo nazionale e grosse compagnie private: in entrambi i casi, si puntò all’apertura di nuovi scambi commerciali, o a tracciare rotte più sicure e convenienti. Nel frattempo, si fece strada anche un interesse naturalistico, nonché letterario. È questo il caso della celeberrima avventura oceanografica del Challenger (1872-1876)6, guidata dal naturalista Charles Wyville Thomson (1830-1882): il suo resoconto fu pubblicato nei circa cinquanta volumi della serie intitolata The Voyage of the Challenger. Un altro noto esempio è l’esperienza personale e scientifica di Alfred Russell Wallace (1823-1913)7 in Indonesia (1854-1862), che divenne uno dei più celebrati racconti di viaggio del XIX secolo, con il titolo The Malay Archipelago (1869). Darwin racchiuse la memoria ufficiale della propria avventura a bordo del Beagle nell’opera nota oggi come Viaggio di un naturalista intorno al mondo (Darwin 2009) che originariamente fu pubblicata, nel 1839, come terzo volume della serie intitolata The narrative of the voyages of H.M. Ships Adventure8 and Beagle, a cura del Capitano Fitz-Roy, a firma di Dar5 Il seminario Un esempio di case study di storia della scienza. L’avventura per mare della selezione naturale è stato svolto a cura di A. Volpone nella sessione pomeridiana del 28 aprile 2011. 6 Ampie informazioni su questa storica spedizione, senza precedenti per finanziamenti, scopi e risultati, sono disponibili online all’indirizzo: http://life.bio.sunysb.edu/marinebio/ challenger.html. 7 Come noto, Wallace elaborò una teoria evoluzionistica molto simile a quella di Darwin, però indipendentemente da questi. Notizie di prima mano su vita e opere si trovano nella sua autobiografia intitolata My life, pubblicata in due volumi nel 1905. 8 Adventure era il nome di un battello che il Capitano Fitz-Roy acquistò a proprie spese alle Falkland: lo fece riparare con rottami di navi naufragate e lo tenne come appoggio del Beagle. Al suo rientro in Inghilterra, l’Ammiragliato non gli riconobbe la spesa, che rimise quindi di tasca propria. Nonostante il carattere non facile, Fitz-Roy fece una buona carriera
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win, e con il sottotitolo di Journal and remarks (Freeman 1977: 32). Il libro ebbe un certo successo di pubblico come racconto di viaggio, oltre che come saggio scientifico; e si pensò, quindi, di pubblicarlo come volume autonomo, intitolandolo Journal of researches (Darwin 1839). Nel 1860 assunse infine il titolo che conosciamo attualmente, A naturalist’s voyage round the world. Ovviamente, Darwin tenne cura di prendere nota di osservazioni ed esperienze compiute durante il suo viaggio in un diario, ma gli appunti di bordo, frammentari, sono rimasti sotto forma di manoscritto a lungo, e sono stati sistemati e pubblicati, a più riprese, solo successivamente, nel corso del Novecento (Barlow 1933, 1945; Keynes 2001). 2.2.
Il mito delle Galápagos e la leggenda dei fringuelli
Darwin era ventiduenne quando partì. Decise di prender parte alla spedizione convinto che questa fosse l’occasione della sua vita. Egli passò dagli studi universitari (svolti fra Edimburgo e Cambridge nel periodo 1825-1831) a una dimensione del tutto nuova di esplorazione e di ricerca: l’esperienza era destinata a cambiare radicalmente il corso della sua vita. Al suo rientro, in una lettera al Capitano Fitz-Roy del 20 febbraio 1840, egli la definì come «la più fortunata circostanza della mia vita» (Burkhardt, Porter 1994: 555); e ancor più significativamente scrisse: «La mia seconda vita ha avuto inizio da questo momento, che considero come un giorno di nascita per il resto della mia esistenza». Oltre quarant’anni dopo, nella sua Autobiografia, sottolineò: «Il viaggio sul Beagle è stato l’avvenimento di gran lunga più importante della mia esistenza, e ha deciso per tutta la mia vita» (Darwin 2009: 25). Il viaggio in qualche senso cambiò il carattere stesso di Darwin, che era stato educato alla maniera dei gentleman inglesi: a temprarlo furono i sacrifici, le privazioni e le sofferenze che dovette sopportare. Inizialmente, per esempio, egli soffrì di palpitazioni e dolori che attribuì a una presunta malattia cardiaca e, soprattutto, patì molto il mal di mare, mentre successivamente, quantunque rimanesse in parte forse “ipocondriaco”, almeno secondo i biografi, affrontò meglio le asprezze del viaggio.
e divenne, tra l’altro, Governatore della Nuova Zelanda ma, afflitto dai debiti e amareggiato dai torti che riteneva di aver subito ingiustamente, morì suicida.
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Molte cose cambiarono in Darwin durante il viaggio, dal punto di vista personale e professionale, ma, dal punto di vista intellettuale, non vi fu alcuna reale “conversione” dal fissismo – o, meglio, dal creazionismo (Gould 2003: 248) – all’evoluzionismo, quantunque egli tornasse pieno di dubbi e di domande. Si è ritenuto a lungo, o semplicemente si è dato per scontato, che Darwin fosse interessato sin da principio al cosiddetto “problema delle specie” [question of species]9, mentre sappiamo che il suo interesse primario, quantunque non esclusivo, fu la geologia, come si evince dalla corrispondenza e dagli argomenti dei taccuini di appunti che cominciò a scrivere al suo ritorno in Inghilterra10. D’altronde, negli anni Quaranta dell’Ottocento, Darwin iniziò a farsi stimare proprio come geologo, lavorando per conto della Royal Society londinese, di cui divenne membro il 24 gennaio 183911. Darwin diventò quindi “evoluzionista” solo dopo che fu tornato in patria, immergendosi nella cultura scientifica londinese, leggendo e riflettendo, discutendo con amici e colleghi, e frequentando le più rinomate società scientifiche inglesi12. Per molto tempo, invece, ha prevalso il «“mito dell’illuminazione” che talvolta associamo alla nascita delle rivoluzioni scientifiche, come se l’eureka dell’evoluzione si fosse palesato all’osservatore [i.e., Darwin] mentre catalogava tartarughe, iguane e fringuelli delle Galápagos» (Darwin 2008: 6). È per questo che si parla anche di “mito 9
Prima dell’Origine delle specie, l’espressione è menzionata nei taccuini, sin dal 1837, e nella corrispondenza di Darwin, a partire almeno dalla lettera 428 a Charles Lyell, del 14 settembre 1838. 10 I quadernetti o taccuini di Darwin in nostro possesso sono in tutto nove, e coprono l’intervallo di tempo 1836-1844. Essi sono organizzati come segue. Taccuino A: argomento geologico. Taccuino Rosso: argomento geologico, o più propriamente misto, perché vi sono in esso anche osservazioni su piante e animali. Taccuini B-C-D-E: sono quelli cosiddetti della “trasmutazione delle specie” [transmutation of species]; al medesimo argomento è dedicato anche il cosiddetto Taccuino “aggiuntivo”. Taccuini M-N: argomento metafisico, concernente riflessioni di teleologia naturale. Stralci di questo materiale furono pubblicati in: Barlow (1945). Negli anni Sessanta del Novecento, l’embriologo Gavin de Beer raccolse tutti i taccuini in cinque volumi. Successivamente, un’opera meticolosa di trascrizione, curatela e pubblicazione è stata compiuta in Barret (1987). I taccuini tradotti in italiano sono tre, e si trovano in Darwin (2008). 11 A livello di opere biografiche e critiche su Darwin, in italiano si segnala: Pievani (2012), Bowlby (1996), Desmond, Moore (1992), Bouanchaud (1982), Stone (1980), Keith (1959), Prenant (1949), Alberti (1922). 12 Come puntualizzato da Stephen Jay Gould, «Darwin, senza l’impulso e la sfida di questo ambiente intellettuale, avrebbe potuto diventare un parroco di campagna con una collezione di coleotteri mantenuta grazie a una sinecura ecclesiastica come ricordo di una passione giovanile per la storia naturale» (Gould 2003: 248).
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delle Galápagos”: con tale denominazione s’intende, come sottolineato da Stephen J. Gould, «il mito romantico che vede Darwin, da solo per mare, lontano dai vincoli della sua cultura, comprendere il processo evolutivo come una cruda verità oggettiva della natura» (Gould 2003: 248). Gould sostiene che, «nell’ondata di erudizione prodotta dalle celebrazioni per il centenario del 1959 e ancora oggi viva», questo mito sia tramontato, o, almeno, abbia subìto un «ridimensionamento scrupoloso». Anzi, Gould ricorda che anche la storia dei fringuelli non è vera, e che si tratta propriamente di una «leggenda» (Sulloway 1982b; Gould 1985), perché da principio Darwin è stato ingannato dall’idea di una convergenza tra specie, e non ha riconosciuto alcuna unità tassonomica di fondo. In realtà, è stato l’ornitologo John Gould (1804-1881) a farlo rendere conto del fatto che «quel gruppo di uccelli [apparentemente] diversi osservati nelle Galápagos erano tutti fringuelli» (Gould 2003: 247) (sic!). Fu a Londra – e solo a Londra – che Darwin fece mente locale su questi e diversi altri aspetti, riflettendo con tranquillità sulla propria esperienza e riorganizzando, in maniera sicuramente “originale”, i dati da lui acquisiti (sotto forma di reperti e informazioni) che nel frattempo venivano processati e rielaborati da specialisti come John Gould per gli uccelli, già menzionato, Richard Owen (1804-1892) per i mammiferi fossili, George Robert Waterhouse (1810-1888) per i mammiferi viventi, Leonard Jenyns (1800–1893) per i pesci, e Thomas Bell (1792-1880) per i rettili. Furono questi, infatti, gli autori dei diversi volumi monografici che composero la serie intitolata The zoology of the voyage of H.M.S. Beagle, pubblicata tra il 1838 e il 1843, di cui Darwin fu responsabile di curatela e supervisione (Darwin 1838-1843). Dal punto di vista contenutistico, egli contribuì solo con un paio di introduzioni – una d’argomento geologico al volume primo, e un’altra d’interesse geografico al volume secondo – e con alcune note e osservazioni di viaggio concernenti essenzialmente i mammiferi viventi e gli uccelli. 2.3.
Che cosa resta del viaggio di Darwin?
Non è al ricco e variegato “lascito materiale” della spedizione che la domanda si riferisce, bensì a quello “intellettuale”. Ebbene, quantunque si debba probabilmente escludere che Darwin abbia “intuito il meccanismo di base della sua teoria” a bordo del Beagle, o che esso già stesse “comin119
ciando a prendere forma” (Montalenti 1982: 24, 26), come fino a qualche decennio fa poteva tranquillamente affermare Giuseppe Montalenti (19041990), evoluzionista e grande divulgatore del darwinismo in Italia, oggi è probabilmente più opportuno porre l’enfasi sul processo di allestimento concettuale del problema delle specie: si tratta, cioè, coerentemente a quanto sin qui si è detto, di una fase di problem creating (o problem posing), connessa ma indipendente rispetto a una successiva fase di problem solving. Nello specifico, è possibile evidenziare in questa fase almeno un paio di aspetti: da un lato, la positività dell’atteggiamento euristico di Darwin, riscontrabile nella sua onnivora curiosità e nella grande capacità di interrogarsi, e, dall’altro, una dimensione pluri- o multidisciplinare del suo approccio, derivante da un’attività di osservazione e di riflessione estremamente ricca di spunti. Questa apertura disciplinare rivela certamente la minore specializzazione posseduta dalle scienze di fine Ottocento, ma mostra anche un quadro di riferimento ampio e variegato che Darwin dovette tenere presente quando, negli anni londinesi, cominciò a elaborare la propria teoria. L’importanza della connessione fra età della Terra, spostamento dei continenti e distribuzione geografica dei viventi è evidente ai fini di questa elaborazione (i.e., cornice geologica, o questioni di geografia botanica e zoologica), così come pure l’intimo legame fra le caratteristiche dei territori e quelle degli organismi ospiti (concetto di adattamento), ma anche la diversa tipologia di animali allevati e di piante coltivate che Darwin incontrò nel suo viaggio (analogia fra stato domestico e di natura), oppure i diversi aspetti riguardanti l’economia politica e la demografia (che porteranno alla condivisione del principio malthusiano). 2.4.
Tanti viaggi in uno
È possibile evidenziare diversi aspetti del viaggio di Darwin in sede scolastica ed educativa, e la scelta dipende, ovviamente, da finalità e obiettivi che si intendono perseguire, oppure dal contesto di riferimento. In questa sede, dati e informazioni concernenti alcune delle principali tappe di questa avventura pongono particolare enfasi sugli spunti di storia, antropologia culturale ed etnologia. Come intuibile, questa scelta fa leva sul carattere multidisciplinare di cui si diceva, però visto in connessione con gli orientamenti didattici attuali. 120
Primo anno di viaggio, 1832. Il Beagle partì il 27 dicembre 1831, da Devonport. In un paio di mesi di navigazione approdò a Tenerife, nelle Canarie, sfiorò le isole di Capo Verde e, a fine febbraio, giunse a Baia di San Salvador, sulle coste brasiliane. In aprile fu a Rio de Janeiro; in luglio si spostò in Argentina. Darwin poté iniziare il suo lavoro di osservazione e di raccolta di materiali dalla seconda tappa, e non dalla prima (a partire cioè dall’isola di São Tiago, nell’arcipelago di Capo Verde). Le autorità locali di Tenerife, infatti, temevano che gli uomini dell’equipaggio portassero con sé il colera e, quindi, non fu concesso ad alcuno di mettere piede a terra. Nel corso di questo primo anno, Darwin riuscì a svolgere un paio di escursioni via terra, esplorando alcune zone della foresta tropicale brasiliana. A Rio de Janeiro, in particolare, il Beagle si trattenne un paio di mesi (dal 4 aprile al 5 luglio). Così, Darwin ebbe tempo e modo di accogliere l’invito di un connazionale a visitare una fazenda situata a un centinaio di miglia nell’entroterra. Fu colpito dalla condizione in cui vivevano i neri deportati in quei territori; e, nei suoi appunti, si trova narrato l’episodio di una comunità di fuggiaschi alla fine ridotta nuovamente in schiavitù. «Questa montagna – egli scrive svolgendo osservazioni geologiche – è nota perché per lungo tempo divenne il rifugio di alcuni schiavi fuggiaschi, i quali, coltivando un po’ di terreno vicino alla cima, riuscivano a procurarsi quanto era loro sufficiente per vivere. Però, furono poi scoperti, e venne inviato un plotone di soldati che li catturò tutti, eccetto una vecchia che preferì morire sfracellata, gettandosi da una rupe, piuttosto che cadere di nuovo in servitù. Se ella fosse stata una matrona romana, sarebbe stato esaltato il suo nobile amore per la libertà, ma, poiché si trattava di una povera negra, questo suo comportamento fu giudicato solo come bestiale cocciutaggine» (Darwin 2009: 58). Nel prosieguo del diario emergono le idee liberali di Darwin, nonché la sua avversione, appunto, per la schiavitù. «Purché si riesca a distogliere l’attenzione dalla schiavitù, si trova qualcosa di veramente affascinante in questo modo semplice e patriarcale di vivere: vi è un perfetto isolamento e una totale indipendenza dal resto del mondo». Costa atlantica dell’America del Sud, 1832-1834. Quando il brigantino giunse alle foci del Rio Negro, Darwin decise di compiere a tappe via terra la strada fino a Buenos Aires. Altre escursioni le compì nelle pampas, sugli altopiani della Patagonia, lungo il Paranà e 121
il Plata. In questo periodo, l’Argentina era flagellata dalla guerra civile e Darwin ebbe non pochi problemi per organizzare le proprie spedizioni, sia per terra sia risalendo i fiumi in barca. La sua attenzione fu sempre diretta al paesaggio geologico, ai fossili13, a innumerevoli piante e ad animali allo stato sia naturale che domestico14. Al contempo, tuttavia, non poté esimersi dal commentare le gravi vicende sociali e politiche di cui fu testimone. Ottenuta l’indipendenza, l’Argentina, nella speranza di annettere l’Uruguay, aveva appoggiato una rivolta ivi scoppiata contro il Brasile scendendo in guerra contro quest’ultimo (1825-1827), ma aveva perso sul campo. Con la mediazione della Gran Bretagna, l’Uruguay fu dichiarato stato indipendente (1828), e venne quindi destinato a svolgere una funzione di cuscinetto. La guerra prolungata, prima per l’indipendenza dalla Spagna e poi contro il Brasile, aveva portato crisi e povertà in Argentina. La ribellione fu quasi endemica nelle dodici province dello stato, controllate da capi locali (caudillos). V’erano, in particolare, tribù erranti di indiani a cavallo particolarmente attive a livello insurrezionale, e con loro si muovevano le classi più povere della società. Il governo argentino incaricò il Generale Juan Manuel de Rosas (1793-1877), un capo provinciale, di sterminare queste tribù, per risolvere il problema in modo radicale: a tale scopo, gli fu affidato un intero esercito e gli furono conferiti pieni poteri. Darwin vide le truppe di Rosas compiere stragi con una ferocia inaudita, e così scrisse: «Qui sono tutti convinti che questa guerra sia giustissima, dato che viene fatta contro gente barbara. Chi crederebbe che ai nostri tempi si possano commettere tali atrocità in un Paese civile e cristiano?». Egli stesso fu fermato e arrestato due volte dai soldati, ma subito rilasciato, dopo interrogatori e accertamenti. La prima volta, a Buenos Aires, incontrò personalmente Rosas, che lo trattò con riguardo e lo fece liberare, però senza alcun lasciapassare; la seconda volta, nuovamente nella capitale argentina, con la città ormai in stato d’assedio, se la cavò appellandosi all’amicizia con Rosas: ottenne immediatamente la restituzione del passaporto, una guida e dei cavalli. Nessuno, in effetti, avrebbe osato mettersi contro un “amico” del Generale. «Un mercante inglese – sottolineava Darwin – mi ha narrato d’un uomo che aveva ucciso un tale: quando venne arrestato, e gli fu ri13
In Argentina, Darwin trovò per esempio tre crani e altre ossa di Megatherium, i resti di un equide estinto e diversi altri fossili. 14 Si imbatté, ad esempio, negli allevamenti di bovini niata, che lo interessarono molto, e svolse diverse osservazioni su mandrie di cavalli rinselvatichiti.
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chiesto il motivo dell’assassinio, così rispose: “Parlava con disprezzo del Generale Rosas e perciò l’ho ucciso”». Nel suo diario, Darwin fece una descrizione impietosa di Rosas, nonostante il buon trattamento che questi, apparentemente, gli riservò. A suo parere, il seguito di cui godeva il Generale era frutto soprattutto dell’appoggio dei suoi colleghi caudillos, che speravano nella costituzione di un federalismo provinciale, così come poi si ebbe, ma egli non aveva alcun consenso popolare. Rosas, per Darwin, restava un grande proprietario terriero che era riuscito a stabilire, adoperando forza e violenza, un potere dispotico, però il suo tenore di vita contrastava troppo con l’estrema miseria degli indigeni e, più in generale, del popolo. Secondo Montalenti, questo “rivela l’eccezionale intuito di Darwin”. In effetti, di lì a poco Rosas divenne dittatore dell’Argentina (fine 1835), ma il suo governo, nient’affatto solido, durò meno di una quindicina di anni, complici, tra l’altro, controversie internazionali (1836-1841) con Stati Uniti e Gran Bretagna riguardo alle isole Falkland, e con la Francia per le condizioni dei sudditi francesi in Argentina. Il Sudamerica esplorato dalla costa del Pacifico, 1834-1835. Nella Terra del Fuoco si consumò una sorta di “esperimento” antropologico, per certi versi forse discutibile, di cui Darwin fu testimone. Il Beagle riportava a casa tre fuegini civilizzati che il Capitano Fitz-Roy, in uno dei suoi viaggi, aveva prelevato e condotto in Inghilterra per farli istruire ed educare alla maniera europea, affinché, quando fossero tornati nel luogo d’origine, potessero diffondere la religione e la morale di Cristo. Dopo aver vissuto diversi anni in Gran Bretagna, ora tornavano a casa, accompagnati da un missionario anglicano. Si trattava di due maschi e una donna, battezzati e forniti di un nome e cognome inglese: rispettivamente, York Minster, Jemmy Button e Fuegia Basket. York e Fuegia erano marito e moglie. Fuegia fu definita da Darwin “graziosa, riservata e modesta”. Darwin scambiò qualche parola con York, ma fece amicizia soprattutto con Jemmy. I tre gli sembrarono “miti e di vista acuta, ma di cervello debole”, perché con le lingue non se la cavavano molto bene. Chiesero di essere lasciati nello stretto di Ponsonby, dove risiedeva la tribù di Jemmy. Giunti a destinazione, fu subito chiaro che essi non si trovavano più con gli altri indigeni, e che i rapporti sarebbero stati difficili. «Era molto triste – scrisse Darwin – dover lasciare i tre fuegini con i loro burberi compaesani, ma ci rincuorava il fatto che essi non avessero alcun timore riguardo alla 123
loro incolumità. York, che era un uomo forte e risoluto, si sentiva sicuro di cavarsela bene, insieme alla moglie Fuegia». Jemmy aveva quasi completamente dimenticato il linguaggio natio, ma anche lui non aveva paura. Darwin così descrisse l’incontro di quest’ultimo con la madre e i fratelli: «Fu meno interessante di quello di un cavallo che, mandato a pascolare, ritrovi un vecchio compagno. Non ci furono manifestazioni d’affetto; si fissarono semplicemente per breve tempo» (Darwin 2009: 260 e segg). Eppure sembra che la madre, in particolare, non riuscisse a consolarsi nel periodo immediatamente successivo alla partenza del figlio. Circa un mese dopo, Jemmy fu visto su una canoa nei pressi del Beagle. Si era trasformato “in un magro e stralunato selvaggio, nudo e coi capelli lunghi arruffati”. Alcuni uomini dell’equipaggio lo chiamarono. Lui salì a bordo, dove fu lavato, rivestito e invitato a pranzo. Parlò bene dei suoi parenti, ma non era molto soddisfatto del suo rientro. In ogni caso, disse che non desiderava tornare in Inghilterra. Nel frattempo, infatti, si era sposato: «La causa del cambiamento nei sentimenti di Jemmy – annotò Darwin – la scoprimmo soltanto la sera, quando lo raggiunse la sua giovane e piacente moglie». Insieme, salutarono tutti e andarono via. Darwin trovò la vicenda molto triste, nei suoi risvolti umani. L’unico lato positivo che riuscisse a scorgere era la speranza che viaggiatori e naufraghi occidentali potessero trovare protezione presso Jemmy e i suoi discendenti. Altre riflessioni di Darwin sui fuegini riguardarono l’organizzazione sociale delle tribù, basata su un forte legame di parentela, ma tipicamente acefala dal punto di vista gerarchico e politico. «La perfetta uguaglianza tra i membri delle tribù fuegine – egli osservò – ritarderà di molto la loro civilizzazione: come accade a quegli animali che, obbligati dall’istinto a vivere in società e a obbedire a un capo, sono capaci di maggior progressi, così accade alle razze della specie umana. […] D’altra parte è difficile immaginare come un capo possa imporsi finché non vi sia qualche forma di proprietà, mediante la quale possa manifestare la propria superiorità e accrescere il proprio potere». Oceania, Indocina e quindi a casa passando per il Capo di Buona Speranza, 1835-1836. Tahiti fu lo scalo che il Beagle fece prima di passare in Oceania, quando nel Natale 1835 raggiunse il porto di Pahia, in Nuova Zelanda. Riguardo agli indigeni di Tahiti, Darwin annotò che «vi è in essi una tale intensità d’espressione che è impossibile considerarli selvaggi»; e, in particolare sul 124
loro atteggiamento nei confronti del mondo, osservò: «Credo che in Europa sia difficile trovare anche la metà delle facce allegre e felici dei tahitiani». A Pahia egli scoprì invece con sorpresa che esistevano ancora tribù di cannibali. Avrebbe voluto incontrarle, in qualche modo, ma il brigantino doveva ripartire per l’Australia. I tahitiani, secondo la sua opinione, avevano mostrato maggiore cordialità, gentilezza e disponibilità, mentre i neozelandesi da lui incontrati erano ostili e bellicosi, ma le domestiche che lavoravano nelle case inglesi erano dolci e di modi garbati. In Tasmania Darwin si disse addirittura “disgustato” [disgusted, shocked] dal trattamento riservato alla popolazione locale da parte degli inglesi. Certi comportamenti gli parvero davvero disdicevoli: nonostante avessero portato un po’ di civiltà, questi connazionali non erano affatto paragonabili, a suo parere, a quelli emigrati nell’America settentrionale. Il Beagle si diresse poi verso le isole Keeling, al largo di Sumatra, nell’Oceano Indiano, e da qui alle Mauritius. Superato il Capo di Buona Speranza, il 9 maggio 1836, il brigantino giunse di nuovo nell’Atlantico. Successivamente, il viaggio si svolse a ritroso: isole di Capo Verde, Azzorre e quindi a casa, con sbarco definitivo nei primi di ottobre. 2.5.
Il viaggio di Darwin e l’attuale programmazione multidisciplinare scolastica
Si può dire che Darwin abbia svolto molti viaggi in uno, giacché non sono stati solo i fenomeni “naturali” in senso stretto ad attrarre la sua attenzione. In queste pagine sono stati forniti intenzionalmente esempi di spunti possibili riguardanti soprattutto discipline umanistiche, evitando di menzionare le sterminate osservazioni su flora e fauna compiute da Darwin, oppure quelle più squisitamente geologiche, mineralogiche e di vulcanologia. L’idea di base è mettere in evidenza aspetti altri rispetto ai più tradizionali – e per certi versi scontati – riferimenti a fringuelli, tordi beffeggiatori, tartarughe, lucertole acquatiche (iguane), cactus e simili, legati alla nota “mitologia” che avvolge l’avventura del naturalista inglese, cui prima s’è fatto cenno. L’obiettivo, tuttavia, non è demitizzare il viaggio di Darwin, si sarà capito, ma suggerire una maniera diversa di intenderlo in sede operativa, cioè quando se ne tratta all’interno di discussioni, progetti e approfondimenti d’ambito scolastico ed educativo. Generalmente, si pensa di utilizzarlo in percorsi legati alle scienze della vita, oppure alla geologia; 125
e, tutt’al più, si aggiunge qualche forma di contestualizzazione socio-culturale, sconfinando quindi nella storia. In queste pagine si propone, invece, di considerarlo come un argomento compiutamente trasversale e, comunque, non legato necessariamente alle scienze naturali. Per esempio, il racconto darwiniano potrebbe essere adoperato in lingua originale, a mo’ di classico della letteratura inglese, magari anche sotto forma antologizzata, trattando così di un genere d’epoca vittoriana ampiamente diffuso, a metà fra il romanzo di viaggio e la saggistica scientifica. Di qui si potrebbe procedere, poi, con collegamenti e contaminazioni d’ordine storico, geografico, etnoantropologico, biologico, mineralogico, geologico, e così via. Negli anni più recenti, l’orientamento riguardante pressoché ogni ordine e grado scolastico, incluse le nuove Indicazioni nazionali per i Licei15, richiama generalmente l’importanza sulla programmazione multidisciplinare, con riferimento sia alle scienze umane che naturali. Il racconto del viaggio di Darwin, da questo punto di vista, ha rilevanza assoluta e, secondo le modalità alle quali s’è fatto cenno o altre ancora possibili, ovviamente di pertinenza specifica della professionalità docente, può costituire probabilmente un’ottima occasione per consentire allo studente di familiarizzare in maniera integrata e flessibile con metodi e linguaggi di discipline differenti, al fine di orientarsi nelle dimensioni molteplici attraverso le quali l’uomo si costituisce in quanto soggetto di reciprocità e di relazioni con il Sé, gli Altri e il Mondo. 3. Uno studio di caso: Una donna in un mondo di uomini. Lise Meitner e la scoperta della fissione nucleare di FRANCESCO P. DE CEGLIA16 Brutta storia, quella di Lise Meitner. Niente Nobel, infatti, per colei che per prima parlò di fissione nucleare. Il premio andò invece, nel 1944, allo scienziato che, pur avendo condotto gli esperimenti, forse non ne avrebbe 15 Cfr. lo schema di regolamento contenuto nel decreto recante “Indicazioni nazionali riguardanti gli obiettivi specifici di apprendimento concernenti le attività e gli insegnamenti compresi nei piani degli studi previsti per i percorsi liceali di cui all’articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, in relazione all’articolo 2, commi 1 e 3, del medesimo regolamento”, promulgato nel 2011. 16 Il seminario Un esempio di case study di storia della scienza. La scienza nella Puglia del Settecento è stato svolto da F.P. de Ceglia nella sessione pomeridiana del 28 aprile 2011.
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mai compreso appieno la portata senza l’acume teorico della collega. Le vicende della Meitner, costretta a fuggire dalla Germania nazista a causa delle proprie origini ebraiche per approdare in ambienti di ricerca a lei ostili, mostrano un aspetto “oscuro” dell’impresa scientifica, intessuto di ambizioni personali, interessi economici, sopraffazione. O, almeno, incomprensione. Dopotutto, “la verità riesce ad imporsi nella misura in cui noi la imponiamo”, come fa dire a Galileo, nella pièce a lui dedicata, un accorto Bertold Brecht. Ebrei sì, ma tutti battezzati protestanti, erano i Meitner. Una famiglia della buona borghesia di Vienna, che riconosceva grande importanza all’istruzione. Anche delle donne, per le quali tuttavia sarebbe stato difficile persino ipotizzare una carriera scientifica. Fu così che il padre di Lise, procuratore legale, pretese pragmaticamente che la figlia si diplomasse insegnante di francese, prima di consentirle di dedicarsi alla fisica, la passione che la divorava. Una nuova studentessa fu in questo modo ammessa alle lezioni del grande Ludwig Boltzmann, celebre per i contributi di termodinamica e meccanica statistica, da molti ricordato come un efficace didatta, oltre che geniale scienziato, in grado di far letteralmente innamorare della fisica i propri alunni. In un mondo di uomini, i successi della giovane furono comunque un’eccezione: Lise fu infatti la seconda donna mai addottoratasi all’Università di Vienna, da poco aperta al gentil sesso. Nel 1907, l’indomani del suicidio del tormentato maestro, la giovane fece le valigie e si trasferì a Berlino per incontrare Max Planck, all’epoca considerato il più grande fisico tedesco vivente. A differenza di quanto succedeva a Vienna, nella capitale del Kaiserreich le donne però non potevano accedere all’università. Planck, che aveva rifiutato altre aspiranti discepole, eccezionalmente ammise Lise a seguire le sue lezioni, divenendone infine protettore. Da parte sua, la giovane, per non suscitare le rimostranze di alcuno, imparò ad essere “invisibile”. Era sola, Lise. Senza reddito, a parte le rimesse del padre, e senza troppi amici, vista la sua incoercibile timidezza. Fu facile entrare in familiarità con Otto Hahn, un giovane chimico, quasi coetaneo. Di bell’aspetto e dotato di una sottile ironia, egli era ginnasta, sciatore e alpinista. Amava le belle donne ed era cordiale di natura. Si è a lungo parlato di una relazione tra i due, ma pare proprio che essa non ci sia mai stata: quando Otto sposò una giovane studentessa d’arte, Lise fu la prima a stringere amicizia con lei e a benedire l’unione dei due facendo da madrina al battesimo del loro primogenito Hanno. Vi era un altro collega con cui Lise intratteneva un rapporto di amicizia 127
e con il quale sarebbe rimasta in contatto per oltre mezzo secolo. Si trattava di James Franck, futuro premio Nobel per la Fisica. Quando entrambi avevano più di ottant’anni, lui le avrebbe confidato di essere stato innamorato di lei. “Troppo tardi!” avrebbe risposto la donna. Lise era infatti uno spirito solitario. Faceva lunghe passeggiate. Suonava il pianoforte, ma lo sapevano in pochi. Aveva però un acume che lasciava spiazzati. Lo stesso Einstein la avrebbe chiamata “la nostra Marie Curie”. Ciononostante, i tedeschi non potevano dimenticare che era una donna. Allorché, ad esempio, nel 1908, Ernest Rutherford, di ritorno dalla cerimonia di conferimento del Nobel, passò da Berlino, mentre a Otto e ad altri colleghi fu chiesto di intrattenere l’ospite, parlando verosimilmente anche di scienza, Lise dovette accompagnarne la moglie a fare shopping per le vie della città… Il lavoro di Lise fu fecondo. Nel 1909 pubblicò due importanti articoli sulla radiazione beta, che la imposero all’attenzione internazionale. Nel 1912 si trasferì con Otto nei laboratori del nuovo Kaiser Wilhelm Institut per la chimica, alla periferia di Berlino, dove solo dall’anno successivo incominciò a percepire uno stipendio. Aveva già 35 anni. Per un po’ collaborò ancora con Otto, conseguendo importanti risultati, poi, dopo la grande guerra, i due intrapresero autonomi percorsi di ricerca. Nel 1926, infine, Lise divenne professoressa di fisica all’Università di Berlino. Era la prima donna a ricevere questo onore. La tranquillità durò però assai poco. Nel 1933, l’ascesa di Hitler costrinse Lise, che, pur battezzata, era di origini ebraiche, ad abbandonare l’insegnamento universitario per continuare la propria attività presso il solo Kaiser Wilhelm Institut. La scienziata era ancora cittadina austriaca: una straniera, dunque, nei confronti della quale non era possibile applicare tutte le disposizioni antiebraiche. Lise si immerse a capofitto nella ricerca, grazie alla quale riusciva ad estraniarsi dalle brutture che la circondavano. E incominciò a pensare: come entrare nel cuore di un atomo? Quando, nel 1934, Enrico Fermi usò con successo neutroni rallentati per bombardare il nucleo, la scienziata capì che la strada era stata aperta e fu affascinata dalla possibilità di guardare fin dove mai nessuno si era spinto. Ancora una volta ad essere coinvolto fu Otto, che, insofferente nei confronti del nazismo, le era rimasto amico. Fu allora che nel loro gruppo entrò un giovane dottorando, il fisico Fritz Strassmann. Durante la guerra avrebbe ospitato a casa un’amica ebrea, così mettendo a repentaglio la propria vita e quella dei membri della amata famiglia. Per questo oggi un albero lo commemora a Gerusalemme, sul Viale dei Giusti, che porta al Memoriale dell’Olocausto. 128
L’Anschluss, nel 1938, fece capitolare la situazione, trasformando Lise in una cittadina tedesca. O, meglio, una cittadina ebrea tedesca, nei confronti della quale occorreva agire. Sembra che un collega, il chimico nazista Kurt Hess, esprimesse pubblicamente dure parole su di lei, la quale, venuta a conoscenza dell’episodio, ne informò Otto. Questi si rivolse a Philipp Heinrich Hörlein, potente tesoriere della Kaiser Wilhelm Gesellschaft, e pare che i due convenissero sull’opportunità di allontanare la “non ariana”. Se e quanto Otto abbia perorato la causa della collega, non è dato sapere. L’aria era pesante in Germania e un po’ tutti avevano le mani legate. La vita stessa di Lise appariva in pericolo. L’unica soluzione era la fuga. La ricercatrice si mise allora in contatto con dei colleghi olandesi, che le porsero una mano. Venerdì, 16 luglio 1938, uno di loro, il fisico Dirk Costner, giunse a Berlino. Lise preparò in fretta i bagagli. Otto, com’egli stesso avrebbe raccontato, le diede un anello di brillanti appartenuto a sua madre, che la donna avrebbe potuto vendere in caso di necessità. L’indomani mattina Lise partiva in treno con Costner. Anni dopo avrebbe ricordato: Salii su un treno per l’Olanda col pretesto di un weekend. Al confine presi il più grande spavento della mia vita quando una ronda militare nazista di cinque uomini, facendo il giro delle carrozze, ritirò il mio passaporto austriaco, scaduto da tempo. Ebbi una paura tremenda e il mio cuore smise quasi di battere. Sapevo che i nazisti avevano appena aperto la caccia agli ebrei. Rimasi seduta ad aspettare per dieci minuti, dieci minuti che mi sembrarono tante ore; poi uno dei funzionari nazisti ritornò e mi restituì il passaporto senza una parola. Due minuti dopo scendevo sul suolo olandese, c’erano dei colleghi olandesi ad aspettarmi.
Dall’Olanda, passò a Copenaghen, dove incontrò i coniugi Bohr. Niels, il “danese tranquillo”, le trovò un posto a Stoccolma, presso l’Istituto di fisica dell’Accademia delle scienze, diretto da Manne Siegbahn, Nobel nel 1924, il quale in realtà non era troppo entusiasta di accogliere la transfuga e non le avrebbe mai concesso mezzi né tanto meno un laboratorio tutto suo. I due erano molto diversi: Manne era un minuzioso misuratore, Lise uno spirito teorico, che, come avrebbe detto il direttore svedese, “non era in grado di far nulla con le proprie mani”. E poi, di fisica nucleare, la nuova arrivata ne sapeva più di Siegbahn e avrebbe potuto metterlo in ombra. Persino lo stipendio venne accordato a Lise solo grazie all’interessamento di un’amica, il fisico Eva von Bahr-Bergius. Scrivendo a Otto, l’esule, ancora frastornata dagli eventi, si confidò: 129
Per la maggior parte del tempo mi sento come un pupazzo caricato a molla che va avanti automaticamente e sorride allegramente, ma non ha una vita reale. Perciò lei può giudicare da sé [i due non si diedero mai del tu] quanto siano produttivi i miei tentativi di lavorare. Eppure, in fondo, sono contenta che ci siano perché mi costringono a tenere sotto controllo i miei pensieri, il che non è sempre facile.
A Berlino il gruppo procedeva con gli esperimenti, mentre Lise seguiva tutto da lontano. Otto bombardò l’uranio, il più pesante degli elementi presenti in natura, con un fascio di neutroni lenti, pensando che questi avrebbero aderito al nucleo e così creato nuovi atomi. I risultati apparvero però subito incerti. Otto volle incontrare Lise nella neutrale Copenaghen per discuterne. Ricevette dei consigli e continuò a lavorare. Negli esperimenti, per “incollare” e non far disperdere i frammenti di quel radio, ricco di neutroni, che si sarebbe prodotto durante il bombardamento, era stato usato del bario, il quale, di prassi, avrebbe potuto essere, in un secondo momento, raccolto ed eliminato. Ma perché questa volta non si riusciva a separarlo? E come mai esso presentava un debole comportamento radioattivo? Otto scrisse a Lise, dicendo che lui e Strassmann non erano in grado di venire a capo della faccenda: Forse lei riuscirebbe a suggerire una qualche soluzione fuori dall’ordinario. È chiaro che [l’uranio] non può scomporsi in nuclei di bario…, provi quindi a pensare a un’altra possibilità. Se ha una qualche idea pubblicabile, tutti e tre noi figureremmo insieme in questo lavoro.
Otto non era certo uno sprovveduto, ma non riusciva ad emanciparsi da quello che fisica e chimica avevano fino a quel momento insegnato. Vi sono dei disegni in bianco e nero, molto amati da alcuni psicologi dei primi del Novecento, in cui è possibile riconoscere, a seconda dell’osservatore, un vaso o i profili di due individui, fiamme svettanti verso l’alto o mani volte verso il basso… Insomma, è chi guarda che inconsapevolmente compie una selezione percettiva. Otto aveva in mano tutti i dati per comprendere quanto era avvenuto. Ma fu soltanto Lise a mostrargli che, sforzandosi, si poteva fornire una lettura dei fatti alternativa alla tradizionale. Una spiegazione che era lì, chiara ed evidente, alla portata di tutti. Occorreva soltanto guardare le cose in modo diverso: I vostri risultati sono davvero sorprendenti: un procedimento che usa neutroni lenti e dà come risultato il bario! …Credo che per il momento l’ipotesi 130
di una rottura tanto estesa sia difficile da accettare, ma la fisica nucleare ci ha riservato tante di quelle sorprese che di niente si può dire con certezza: “impossibile”.
Ormai era quasi Natale. Una coppia di amici invitò Lise e suo nipote Robert Frisch, che lavorava presso l’istituto diretto da Niels Bohr a Copenaghen, a trascorrere le vacanze nei pressi di Kungälv, a pochi chilometri da Göteborg. Arrivò prima la zia. Poi il nipote, in serata, sul tardi. La mattina successiva, quella della vigilia di Natale, egli scese nel ristorante dell’hotel e vi trovò Lise con in mano la lettera di Otto. Un atomo di bario, presero a discutere, è circa la metà di uno di uranio. Il bario in eccesso sarebbe pertanto potuto essere non l’“adesivo” messo da Otto, bensì il risultato di una fissione proprio dell’uranio. Ma ciò come sarebbe potuto accadere? Nell’atomo di uranio, tra neutroni e protoni, vi sono più di duecento particelle. Come avrebbe potuto un solo neutrone dividere in due un ammasso così grande? Come avrebbe potuto una semplice biglia far crollare un intero edificio? Sparando neutroni non si era stati in grado di spaccare nuclei ben più minuti e ora qualcuno ipotizzava che ciò che la particella non era in grado di operare nel piccolo, poteva farlo nel grande. Ma su, lasciamo alla Bibbia il racconto di Davide e Golia! Dopo colazione i due decisero di fare una passeggiata sulla neve. Robert indossò gli sci, Lise no, dicendo che si sarebbe mossa in maniera più spedita senza. Si fermarono accanto a un tronco d’albero. Vi si sedettero e incominciarono a riflettere. Recentemente Bohr aveva concepito il nucleo non come una struttura rigida, bensì come una specie di goccia d’acqua. In effetti, una goccia adagiata su un piano assume una forma vagamente sferica. Quando è piccola, essa riesce a mantenere la propria figura grazie alla tensione superficiale. Ma se le si aggiunge dell’altra acqua, la tensione risulta vinta dal peso del liquido e fa collassare la goccia. Forse, allo stesso modo poteva essere inteso il comportamento del nucleo. Quand’esso è molto piccolo, come nel caso del carbonio, i protoni, nonostante la loro reciproca repulsione, riescono a restare insieme, uniti da un qualche collante; ma quando esso è più grande, come nell’uranio, tale forza nucleare, che ha a che fare con numerose particelle, le quali di stare insieme proprio non ne vogliono sapere, è sempre sul punto di cedere. Ecco perché in natura non esistono elementi transuranici: il nucleo di uranio è già sul punto del tracollo. Oltre vi è solo il regno dell’instabilità. Le intuizioni sono il motore più straordinario della storia della scienza. 131
Ad un tratto, tutto appare chiaro. Come nella stessa arte, però, l’ispirazione difficilmente produce frutti se discissa dall’abilità tecnica o dalla padronanza di linguaggi specializzati. Non si può essere Beethoven, senza conoscere l’armonia. Allo stesso modo, non si può essere fisici geniali, se sprovvisti del linguaggio matematico, il quale, da una parte, ha potenza euristica, aiuta cioè a trovare, dall’altra chiarezza e precisione espressiva, vale a dire permette di comunicare. Lise e Robert presero carta e matita e iniziarono a calcolare e disegnare che cosa sarebbe successo se in un nucleo di uranio, già in equilibrio instabile, fosse stato forzosamente introiettato un nuovo neutrone. La particella avrebbe conferito energia al nucleo, che avrebbe preso ad oscillare. Avrebbe potuto allungarsi e, poiché l’interazione forte tra i protoni agisce solo a distanze brevissime, fra le due estremità avrebbe prevalso la repulsione elettrica. Fu in quel momento che Lise si accorse di un fatto tutt’altro che trascurabile: sommando le masse delle due metà che teoricamente si sarebbero prodotte, ne mancava una pari a un quinto di un protone. Se tutta la massa, secondo la celebre formula di Einstein, poteva trasformarsi in energia, a un quinto di un protone corrispondevano 200 megaelettronvolt. C’era dunque stata una frattura nel nucleo, durante la quale si era liberata energia. Gli atomi si potevano spaccare in due come una pesca matura! Robert aveva in mente l’immagine di batteri che si dividono. Nei giorni successivi chiese ad un biologo quale fosse il termine tecnico per descrivere il processo e gli venne detto che era “fissione”. Nel frattempo Otto scrisse di nuovo a Lise, la quale il primo gennaio rispose: «Abbiamo letto molto attentamente il vostro lavoro e pensiamo che forse sia energeticamente possibile, dopotutto, che un nucleo così pesante esploda». Zia e nipote si prepararono per pubblicare i risultati della propria ricerca, poi si separarono: Lise tornò a Stoccolma, Robert a Copenaghen, da Bohr, che, pur in partenza per l’America, trovò il tempo per confermare l’intuizione dei due. Fatti i dovuti controlli, due diversi articoli sull’argomento furono spediti alla redazione di «Nature», a Londra, il 17 gennaio. Anche se Hahn e Strassmann avevano condotto gli esperimenti, erano stati Meitner e Frisch a comprenderne il senso. Tale lettura dei fatti non piacque però a Otto, che nelle sue comunicazioni e pubblicazioni successive iniziò a sminuire il ruolo svolto dalla Lise, la quale, a suo dire, non lo aveva affatto messo sulla buona strada. Lise fu più volte candidata al Nobel, per la Chimica come per la Fisica. Nel primo caso, ripetuti errori di valutazione bloccarono la strada verso 132
l’onorificenza. Nel secondo, la pervicace azione di sabotaggio di Siegbahn, il quale vedeva in lei “un nemico in casa”, che avrebbe potuto drenare su di sé le risorse della ricerca nucleare svedese, produsse effetti nefasti. Chi vince il premio non è necessariamente lo scienziato più bravo al mondo in un ambito disciplinare, bensì colui che è riuscito ad intessere rapporti di consenso all’interno della comunità scientifica internazionale… o, meglio, svedese, visto che è questa ad esprimere l’ultima parola. Fu così a Hahn che, nel 1945, venne conferito il Nobel per la chimica dell’anno precedente, il quale, a causa degli eventi bellici, non era stato ancora assegnato. Otto, ancora detenuto in Inghilterra insieme ad altri scienziati di una Germania ormai sconfitta, non si era mai compromesso col nazismo. Era il “tedesco buono” che avrebbe dovuto occuparsi della ricostruzione di un Paese devastato dalla guerra. Il sugo della storia Perché ricordare le vicende di Lise Meitner? Quali spunti didattici esse potrebbero offrire, se impiegate come soggetto di un prodotto di digital storytelling? 1. Narrare la storia dell’atomistica, vale a dire ripercorrere gli sforzi compiuti per penetrare nell’infinitamente piccolo, consente di introdurre in maniera “umanistica” temi e argomenti previsti dai programmi di alcune discipline scientifiche. La struttura dell’atomo, la possibilità di fissione, i confini stessi tra fisica e chimica vengono così approfonditi dagli studenti all’interno di una dimensione narrativa, da cui in genere restano affabulati. 2. Le vicende scientifiche, oltre che personali, di fisici e chimici che dalla prima alla seconda guerra mondiale si dedicarono allo studio dell’atomo furono fortemente determinate dalla situazione storico-politica dell’epoca. La ricostruzione della scoperta della fissione nucleare garantisce pertanto l’opportunità di incontro tra discipline solo apparentemente incomunicabili, un interscambio cioè di competenze e pratiche didattiche tra ambiti scientifici, come fisica e chimica, e umanistici, come storia, letteratura e filosofia. 3. Lise Meitner ebbe a scontare una doppia “menomazione” per la società del tempo: l’essere donna ed ebrea. Discutere di quanto è successo assicura considerazioni di carattere etico sulla forza dei pregiudizi nella società, ahimè, non solo del tempo. 4. La storia della scienza apre, infine, la “scatola nera” dei contenuti, riassunti e sistematizzati nei manuali didattici, mostrando il fattivo operare 133
dei ricercatori. La scienza è raccontata in quanto processo, sforzo conoscitivo e operativo, impresa umana. Chi fa ricerca non ingaggia solo una lotta corpo a corpo con la natura, come invece sarebbe intuitivo pensare. Cerca coperture politiche e finanziamenti; interagisce con i propri collaboratori; rimane schiacciato dalle resistenze della comunità scientifica ad accogliere idee e procedure nuove… La storia di Lise Meitner getta luce, in altri termini, non soltanto su che cosa dica la scienza, ma anche e soprattutto su come la ricerca prenda forma. Non solo sul risultato, ma anche sul processo. In appendice al presente volume e a corredo del presente paragrafo è riportata una bibliografia essenziale dello studio di caso qui presentato. 4. Realizzare un digital storytelling. Nozioni informatiche di base di CARLA PETROCELLI17 Per rendersi conto delle ragioni che hanno reso il computer lo strumento per eccellenza nella gestione di informazioni di ogni genere, occorre innanzitutto comprendere un concetto fondamentale: quello di informazione in formato digitale. L’aggettivo digitale si allaccia strettamente alla parola inglese digit, cifra, (che a sua volta deriva dal latino digitus, dito) che, per la sua natura numerica, porta ad identificare l’informazione in formato digitale con una informazione in formato numerico. In campo informatico, l’uso del termine digitale non si riferisce solo al fatto che l’informazione è rappresentata in forma numerica, ma anche che è rappresentata in forma numerica sulla base di una codifica binaria, e dunque attraverso bit (termine che corrisponde alla contrazione dell’inglese binary digit, cifra binaria). Il linguaggio digitale appare allora estremamente comodo e rapido ma, per poterne usufruire, deve essere possibile, ed anche immediata, la conversione di immagini, testi, suoni, filmati in sequenze di bit. Rappresentare in forma binaria una qualsiasi informazione numerica è compito relativamente facile. La trascrizione di un testo dal volume cartaceo alla memoria elettronica del computer si può effettuare in vari modi: 17
Il seminario Gli strumenti per realizzare un digital storytelling è stato svolto a cura di C. Petrocelli nella sessione mattutina del 29 aprile 2011.
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– direttamente, ribattendo pazientemente il testo “a mano”; – con l’ausilio di hardware e/o software specifici, quali scanner e programmi OCR. Nel primo caso, ogni carattere alfanumerico, digitato sulla tastiera di un computer, viene trasformato in una “sequenza di bit” secondo uno standard, proposto per la prima volta nel 1961 dall’ingegnere statunitense Bob Bemer, approvato definitivamente come schema di codifica nel 1968 dall’ANSI (American National Standards Institute, organizzazione che individua standard industriali per gli Stati Uniti). Un testo prende forma mettendo in successione un certo numero di parole costituite da caratteri. Definendo una tabella di corrispondenze tra questi ultimi e la loro rappresentazione in binario, includendo fra i caratteri tutti quelli che possono comparire in uno scritto, facendo attenzione a distinguere le lettere maiuscole dalle minuscole, i segni di interpunzione (punto, virgola, punto e virgola, ecc.), e naturalmente anche lo spazio usato per separare una parola dall’altra, si compone una tabella chiamata tabella di codifica dei caratteri, più nota con il corrispondente acronimo americano ASCII (American Standard Code for Information Interchange) ovvero “Codice Standard Statunitense per lo Scambio di Informazioni”. Secondo le corrispondenze ASCII, i caratteri dell’alfabeto vengono tradotti in codice digitale: tutte le volte che si utilizza un computer per visualizzare un testo o per lavorarvi sopra, lo schermo presenterà il testo nella familiare forma alfabetica, ma il computer lavorerà su di esso in forma binaria. I sistemi di Optical Character Recognition (riconoscimento ottico dei caratteri) sono invece programmi dedicati alla conversione di un’immagine contenente testo, nella sua codifica ASCII. Questi sistemi si poggiano su una cooperazione tra scanner e software, per cui, mentre l’uno acquisisce l’immagine di un testo, l’altro la elabora e la rende all’utente in formato modificabile. Nel caso di sistemi più avanzati di riconoscimento OCR, il formato digitale del testo porta dietro con sé anche informazioni circa l’impaginazione del documento e la formattazione dello stesso (il font, i formati dei caratteri, grassetto, corsivo, sottolineato, ecc.)… Gli OCR in uso sono dotati di una tecnologia di riconoscimento molto complessa e puntuale, in grado di distinguere anche i caratteri più simili come “1” e “i” o “8” e “B” e così via. Il processo di digitalizzazione di un testo avviene, dunque, combinando 135
fra loro unità numerabili (i singoli caratteri), scelte all’interno di un alfabeto abbastanza limitato. Come si può procedere con fenomeni che non hanno a che fare con un numero prefissato di entità? Come la si mette ad esempio con le infinite differenze e sfumature che un’immagine può rappresentare? Sovrapponiamo ad una figura in bianco e nero una griglia fittissima di minuscole cellette, che chiamiamo pixel (termine corrispondente alla contrazione di picture elements), e diamo alla cella il valore “1” se il contenuto di nero al suo interno supera quello del bianco, in caso contrario associamo alla cella uno “0”. In tal modo otterremo una lunga sequenza di “0” e “1” che codifica l’immagine in formato numerico, quindi digitale. L’immagine di partenza, dopo questa operazione, si trasforma in una sorta di mappa costituita da “0” e “1” (il nome che si usa per descrivere questa sequenza di bit è proprio bitmap). Naturalmente, a parità di immagine, più fitta sarà la griglia, più piccole saranno le cellette, e migliore l’illusione di immagine continua. D’altra parte, una griglia più fitta (misurata in PPI – Pixel Per Inch o DPI – Dot Per Inch) significa un maggior numero di pixel e quindi un maggiore numero di bit che dovranno essere utilizzati per la rappresentazione digitale. Per una figura a colori, basterà sostituire ogni singolo pixel con dei numeri. Anche questa volta si potrà utilizzare una tavola di corrispondenze che associ numeri a colori diversi o a sfumature diverse di colore: anziché utilizzare solo uno “0” ed un “1” per ogni pixel, si potrà utilizzare una combinazione di essi in base a una tabella di codifica dei colori. Ad esempio, se utilizziamo una “palette” di 64 colori, ad ogni pixel si potrà assegnare un numero da 0 a 63 in binario che univocamente individuerà uno solo dei colori della tabella stessa. Dato che per esprimere in binario numeri fino a 63 sono necessari 6 bit, vorrà allora dire che ad ogni pixel dell’immagine corrisponderà una combinazione di 6 bit. Ovviamente serviranno tanti più bit quanti più colori utilizzeremo. Usando 8 bit per ogni pixel, i colori disponibili saranno 256. Usandone 16, i colori saranno 65536, e così via. I computer delle nuove generazioni dispongono di veri e propri “sottosistemi” interamente dedicati alla gestione della grafica, dotati di una memoria indipendente (in modo che la rappresentazione delle immagini non sottragga troppe risorse agli altri compiti nei quali il computer può essere impegnato). Esistono inoltre tecniche di compressione che sfruttano complessi algoritmi matematici per ridurre il numero di bit necessari 136
alla loro rappresentazione. Pertanto, a seconda del livello di compressione applicato nella digitalizzazione di un’immagine, si possono distinguere numerosi formati, ognuno avente differenti caratteristiche: BMP (BitMaP, file con estensione.bmp) che, come già detto è uno standard per le immagini digitalizzate usando sistemi Windows e non attua alcuna compressione; TIFF (Tagged Image File Format, file con estensione.tif), formato nato per semplificare lo scambio di immagini tra scanner e programmi applicativi; GIF (Graphics Interchange Format, file con estensione.gif), standard web, applicato a sorgenti contenenti ampie zone di colore (linee, pulsanti, loghi) anche animate; JPEG (Joint Photographic Expert Group, file con estensione.jpg) è lo standard web per immagini fotografiche; PNG (Portable Network Graphic, file con estensione.png), creato per sostituire il formato GIF ma non ancora supportato da tutti i browser. Nella rappresentazione di immagini fisse è ormai possibile arrivare a livelli di gran lunga superiori a quelli del fotorealismo: griglie talmente fitte e codifica di uno spettro talmente ampio di colori, da rendere sostanzialmente indistinguibile all’occhio umano l’immagine visualizzata attraverso il computer (digitale) da quella risultato di una fotografia tradizionale. Il suono è una sensazione generata da una vibrazione prodotta da un corpo in oscillazione. Tale vibrazione, propagatasi nell’aria, raggiunge l’orecchio che è responsabile della creazione di una sensazione uditiva direttamente correlata alla natura della vibrazione. La quantità delle vibrazioni, e il loro volume nell’unità di tempo, vengono dette rispettivamente frequenza ed intensità del suono. Se rapportiamo tale frequenza al trascorrere del tempo, possiamo capire bene come questo fenomeno fisico possa essere facilmente rappresentato mediante un’onda. Con un procedimento non troppo dissimile da quello già considerato per le immagini, quest’onda può essere “frammentata” in regioni abbastanza piccole da poter essere considerate singoli punti. Per ogni intervalloregione vengono identificate, con sequenze di bit, decine di migliaia di punti, ciascuno dei quali rappresenta l’intensità e la frequenza dell’onda sonora in un determinato istante della riproduzione. La successione di questi valori fornirà la rappresentazione numerica ovvero la digitalizzazione dell’onda sonora. La conversione di suoni si effettua utilizzando appositi programmi o dispositivi hardware chiamati CODEC (enCOder/DECoder), che provvedono a codificare e/o decodificare un segnale perché possa essere salvato su un supporto di memorizzazione digitale o richiamato per la sua lettura. 137
Tale programma può essere installabile/aggiornabile su personal computer o apparecchiature multimediali predisposte, oppure essere integrato in un componente hardware dedicato (ad esempio nei lettori CD o DVD casalinghi o in alcune schede audio/video per PC). Oltre alla digitalizzazione del segnale, i CODEC effettuano anche una compressione e/o decompressione dei dati, in modo da permettere una riduzione dello spazio di memoria occupato, a vantaggio della portabilità o della trasmissività del flusso codificato. Nello specifico, il processo di digitalizzazione di suoni su calcolatore prevede il campionamento della forma d’onda da riprodurre e la memorizzazione dei corrispondenti dati numerici su file, in un formato compatibile con la piattaforma utilizzata. I formati più comuni sono i WAVE (contrazione di WAVEform audio file format) e AIFF (Audio Interchange File Format), creati rispettivamente da Microsoft-IBM e Apple, che producono file audio con estensione.wav e.aiff. Questi file contengono la registrazione in digitale di suoni reali, suoni che hanno avuto origine da una fonte esterna al PC e, dunque, a causa dell’eccessivo dispendio di risorse che il loro uso comporta (occupano una notevole quantità di memoria), non sono utilizzabili per diffondere musica su rete o per memorizzare brani sul PC. Nel 1988, l’organismo internazionale di standardizzazione ISO-IEC (International Organization for Standardization and International Electrotechnical Commission) si è assunto il compito di sviluppare uno standard, per la compressione e la rappresentazione del video digitale e dell’audio ad esso associato, che fosse adatto alla memorizzazione su dispositivi di memoria di massa. Il lavoro del Moving Picture Expert Group (MPEG), comitato nato in seno all’ISO-IEC per raggiungere tale obiettivo, ha portato al rilascio di varie versioni dello standard MPEG, alcune delle quali hanno ricevuto lo status di International Standard (IS), mentre altre sono ancora in via di sviluppo. Il Layer 3, più comunemente noto come MP3, è lo standard con il quale si sono introdotte nuove tecniche di compressione al fine di migliorare la qualità dell’audio: con tale codifica si riesce a ridurre i file audio fino a 12 volte la loro dimensione originale, con una piccola, o addirittura nessuna, degradazione evidente nella qualità del suono. Una volta codificato, un file MP3 può essere memorizzato nell’hard disk ed eseguito con programmi appositi. Il file è indipendente dalla piattaforma (Windows, Macintosh, Linux, ecc.) ed ha una trasportabilità elevatissima: i dati possono essere trasferiti su lettori portatili oppure masterizzati in CD-ROM e letti su un altro computer. Il successo e la diffusione di questo 138
standard è sicuramente dovuto anche alla possibilità di aggiungere al file audio digitale un tag, una etichetta, che identifica il brano digitale con informazioni del tipo autore-esecutore, genere, album, facilitando la gestione di grosse collezioni di estratti audio. AAC (Advanced Audio Coding) è un formato di codifica per l’audio ad alta qualità, principalmente preferito per la codifica multicanale come il Dolby Digital. Dichiarato standard nel 1997, AAC segue uno schema di codifica “percettivo” poiché elimina tutte quelle informazioni ritenute non necessarie, in quanto non percepite dal nostro orecchio. Il RealAudio è uno tra i primi esempi di suono a flusso continuo sul Web. I file audio di questo tipo vengono trasmessi tramite linee telefoniche, suddivisi in piccole parti, in modo da non dover imbattersi in lunghi tempi di attesa per poterli ascoltare. Un video altro non è che una successione di fotogrammi (ognuno dei quali corrisponde ad un’immagine statica), accompagnata da un suono. Il processo di digitalizzazione può essere considerato una estensione di quello descritto per le immagini, sommato e sincronizzato con quello tracciato per il suono. In realtà, la riproduzione digitale di un video dipende da molti fattori ma, principalmente, non bisogna dimenticare che il numero di bit necessari alla codifica può crescere vertiginosamente: esso sarà infatti legato alla lunghezza del filmato, alla sua risoluzione grafica (e cioè quanto è fitta la griglia usata per digitalizzare i singoli fotogrammi), alla gamma di colori utilizzati, al numero di fotogrammi (o frame) per secondo e alla qualità dell’audio. Una bassa risoluzione grafica renderebbe il filmato quadrettato e indistinto, una scala di colori troppo ridotta poco realistici i colori visualizzati, un numero troppo basso di frame contaminerebbe la fluidità del video (la visione sarebbe a “scatti”), e una frequenza di campionamento audio troppo bassa pregiudicherebbe la qualità del sonoro. Anche in questo caso è necessario applicare tecniche di compressione che “alleggeriscano” il peso di audio, immagini e video in formato digitale, senza ridurne, in maniera percettibile, la qualità. Tutti i CODEC video in distribuzione si appoggiano su un effetto di mascheramento dell’occhio umano, che è più colpito dall’immagine generale piuttosto che dai dettagli. Questi programmi cercano di determinare “cosa” si può rimuovere dal fotogramma, usando un formato di compressione con perdita di informazione, ossia tagliando le informazioni non rilevanti, elaborando ogni frame e decomponendolo in gruppi di pixel, cioè in blocchi sui quali si andranno ad effettuare le operazioni di compressione. 139
Gli standard di compressione video più diffusi sono quelli sviluppati per le piattaforme Macintosh e Windows, rispettivamente QuickTime (file con estensione.qt e.mov) e AVI (Audio/Video Interleave, file con estensione.avi). Il primo è molto utilizzato per la diffusione di file in Internet, supporta meccanismi di streaming (trasmissione via rete di un flusso continuo di immagini) e, sebbene sia sviluppato per i sistemi Macintosh di Apple, è utilizzabile anche su altre piattaforme, cosa che non accade per i file in formato AVI che sono riconosciuti solo sotto Windows. Il Moving Picture Expert Group (MPEG), analogamente a quanto fatto per l’audio, ha rilasciato diverse versioni dello standard MPEG, ognuna con caratteristiche diverse e potenzialità sempre maggiori. MPEG-1, nato per applicazioni video a bassa risoluzione, non permette di gestire immagini interlacciate come quelle delle trasmissioni televisive; MPEG-2 è un sistema di codifica per immagini in movimento, tipicamente utilizzato nei DVD, con una buona velocità audio/video e codifica Dolby per l’audio; MPEG-3, nato inizialmente per gestire trasmissioni televisive ad alta definizione, in seguito è stato abbandonato poiché presentava le stesse funzionalità sviluppate con MPEG-2. L’ultima versione, MPEG-4, è impiegata principalmente nel campo della videotelefonia e della televisione digitale ed è adottata per la codifica DiVX e XviD. H.264 è un programma open source che fornisce un metodo di compressione alternativo a DiVX. Utilizzare l’uno piuttosto che l’altro porta contemporaneamente vantaggi e svantaggi: fra i primi, spiccano sicuramente una migliore qualità dell’immagine di H.264 rispetto a DiVX. Il principale svantaggio riguarda invece la compatibilità poiché i lettori da tavolo, in grado di leggere video codificati in H.264, non sono ancora estremamente diffusi. WMV, acronimo di Windows Media Video, ingloba invece una serie di tecnologie proprietarie per la gestione dei flussi video e genera file riproducibili con Windows Media Player. A partire dalla versione 7, questo standard si presenta come una versione modificata di MPEG-4, cosa che ha permesso l’uso di tali file nei dischi Blue Ray e per le televisioni ad alta definizione (HDTV). La progettazione e la realizzazione di un digital storytelling sembrerebbe dunque operazione assai complessa, poiché implica un lavoro in stretta sinergia tra definizione dei contenuti storico/scientifici e strumenti informatici disponibili. Da ciò che si è detto sin qui, risulta ovvio che l’uso di software specializzati dovrà essere preceduto da operazioni di acquisizio140
ne, digitalizzazione e cattura di testi, immagini, video e audio, con strumenti specifici che non ne degradino la qualità. Questi elementi dovranno poi essere messi in sequenza per la stesura del nostro digital video: bisognerà dire alla macchina “dove” reperire queste fonti, conservarle su un dispositivo di memoria (possibilmente in uno stesso contenitore/cartella) e definire la velocità, l’ordine e il supporto audio con cui dovranno essere visualizzate. È bene che il rapporto qualità/grandezza delle nostre sorgenti visive sia ben proporzionato e che quindi si faccia attenzione a non utilizzare formati molto “pesanti” impiegando CODEC adatti ai nostri scopi. Tali software, non solo serviranno per comprimere, riprodurre ed elaborare le nostre fonti digitali, eventualmente già disponibili nella memoria del PC, ma saranno utilizzati anche per catturare e comprimere tutto ciò che proviene da sorgenti esterne (videocamere, fotocamere, TV). La “cattura” è il procedimento attraverso il quale una sequenza video (clip), proveniente da una sorgente analogica o digitale, viene convertita e trasferita in un file sul PC. Di norma, è bene seguire degli accorgimenti prima di entrare nella fase vera e propria del video editing quali, ad esempio, definire la larghezza e l’altezza del video per non dover cadere nell’errore di far ricompilare il filmato al programma di montaggio (in caso di variazione delle dimensioni), con un evidente spreco di tempo: il “quadro” o “aspect ratio” (rapporto tra larghezza e altezza dell’immagine) dovrebbe essere rispettato in tutte le fasi di costruzione del video (ripresa con la videocamera, cattura, editing e riversamento), tant’è che esso rappresenta uno dei parametri progettuali da impostare nel software di video editing scelto. Bisognerebbe inoltre stabilire a priori in quale formato concepire il nostro video output: solitamente lo standard di cattura audio/video è AVI ma è possibile comunque lavorare in Quicktime, o in formato streaming, se il video necessita di una trasmissione video tramite Internet. Sarebbe meglio non acquisire clip molto lunghe, a meno che non sia strettamente necessario: è sempre consigliabile suddividere il filmato in pezzi più piccoli, anche se più numerosi, acquisirli e salvarli in un’unica cartella. Per quel che riguarda l’audio, l’unico accorgimento da seguire è quello di digitalizzarlo ad alta qualità per poi avere la possibilità, ove fosse necessario, di ridurlo in una fase successiva. Nel processo di editing delle fonti digitali, è necessario non perdere di vista la cosiddetta linea temporale o timeline, che dovrà riprodurre l’esatta sequenza delle immagini, dei suoni, degli effetti speciali, dei titoli che 141
costituiranno il video finale. Gli elementi nella timeline saranno elementi indipendenti, perciò potranno essere spostati in posizioni temporali o in ordini diversi, cancellati e modificati, permettendo una continua variazione del filmato finale senza alcun limite. I software per il video editing sono numerosi, ma hanno sostanzialmente le stesse funzionalità: la progettazione della linea del tempo, comune ad ognuno di essi, consente di collocare gli oggetti da montare (clip video, immagini, titoli, musica) in ordine cronologico, permettendo “anteprime di prova” e rendendo possibili interventi illimitati. In questa fase è possibile modellare il video aggiungendo, ad esempio, tendine di transizione tra clip (dissolvenze incrociate, effetti speciali, volta-pagina, pixellization, ecc.), intervenendo sulla traccia audio per aggiungere effetti particolari (eco, reverbero, reverse, ecc.), aggiungendo testi (titoli di coda, sottotitoli, note descrittive, ecc.) e molto altro ancora. I programmi di video editing trattano i brani musicali (file audio) come i file video e a questo proposito hanno una o più tracce dedicate nella timeline. Aggiungendo o sovrapponendo musiche, dialoghi ed effetti audio (suoni, rumori, risate, applausi), si crea la trama sonora del progetto che sarà riprodotta contemporaneamente alle immagini. L’aggiunta di testi e la loro formattazione risultano essere sempre operazioni abbastanza semplici: la definizione del colore, delle ombre, delle dimensioni e del font, il movimento in verticale (rolling) o orizzontale (crawling) completano ed arricchiscono le caratteristiche. Questo è certamente il momento più creativo, e per questo più difficile, nella realizzazione di un digital video. Nel momento in cui si pensa che la fase di editing (o fase montaggio) sia completata, si può eseguire il cosiddetto rendering, cioè si possono “compilare” tutti gli elementi messi in sequenza temporale in un video unico e completo. Il video di output avrà una dimensione che varierà a seconda della tipologia, del formato e del CODEC scelti per il rendernig. Il tempo necessario per la creazione di questo file di output sarà differente in funzione della complessità e della lunghezza degli elementi sulla linea del tempo e in relazione alle caratteristiche hardware del PC utilizzato. Il filmato potrà, a questo punto, essere esportato su un supporto fisico (CD, DVD, memoria USB), conservato in un file da tenere sul PC, caricato in rete, messo su un palmare o, se non troppo grande, spedito via e-mail. I digital video possono pertanto risultare estremamente compatti, facilmente riproducibili su tutti i PC ed anche qualitativamente accettabili. 142
Le nuove tecnologie digitali ci offrono dunque la possibilità, a costi abbastanza contenuti, di scrivere informazioni di tipo diverso attraverso lo stesso linguaggio base, il linguaggio dei bit, le catene di “0” e “1”. Il passaggio al digitale è reso possibile grazie all’uso di strumenti tecnologici combinati con corrispondenti strumenti teorici, ma non è determinato né dalla tecnologia, né dalla teoria. È piuttosto frutto di una serie di scelte emotive, personali, collettive che rendono il prodotto finale adatto per riprodurre le idee, le relazioni logiche tra gli eventi rappresentati, le relazioni spazio-temporali tra i fatti che i media “classici” non sempre sono in grado di farci cogliere. 5. Realizzare un digital storytelling. La progettazione di un video in classe di GIANLUCA SCIANNAMEO18 Questo brevissimo saggio è nato con l’intenzione di realizzare una sorta di vademecum per tutti quegli insegnanti che decidono di progettare e realizzare un prodotto audiovisivo come supporto al loro quotidiano lavoro didattico. Del vademecum conserva perciò alcune caratterische, prima fra tutte quella di cercare di mantenere vivo il legame con la pratica realizzativa. Ad alcune riflessioni di carattere generale sul perché fare un video a scuola, seguirà dunque una seconda parte più strettamente legata al come farlo al meglio. Altro elemento che caratterizzerà queste poche pagine è quello di avere il tono, e spero con ciò di non risultare saccente, di chi esprime ad alta voce alcuni consigli su come fare meglio il proprio lavoro. Questi suggerimenti però vengono espressi dal punto di vista di chi, come docente esterno, collabora da una decina di anni a progetti che hanno il cinema e l’audiovisivo come strumento cardine, sia in termini di analisi di prodotti filmici e di studio del linguaggio cinematografico, sia in termini più strettamente produttivi. Questo approccio da esterno al mondo della scuola e ai suoi ingranaggi, spero possa rivelarsi non solo un limite, ma anche una risorsa per chi, invece, di quel mondo è organico. 18
Il seminario Facciamo insieme un digital storytelling è stato svolto a cura di G. Sciannameo nella sessione mattutina del 29 aprile 2011.
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Inizierò con alcune considerazioni di carattere generale che servono ad inquadrare meglio un possibile approccio all’utilizzo e alla realizzazione di un digital storytelling. – Per prima cosa, per poter impostare in modo corretto una tipologia di lavoro che ha fondamento nella pratica realizzativa e nell’acquisizione e utilizzo di alcune competenze tecniche, credo sia indispensabile per il docente compiere un sforzo di fiducia nei confronti dei propri alunni e lasciare loro tutto lo spazio per mettere in campo quelle competenze di cui sono già in possesso. Questo perchè, da un punto di vista tecnico e, più in generale, in termini di familiarità con il linguaggio audiovisivo, i ragazzi sono quasi sempre molto più “avanti” dei loro insegnanti. – Siate dunque consapevoli della capacità “innata” dei ragazzi di comprendere il linguaggio cinematografico, ma non trascurate la possibilità di dedicare due o tre incontri alla visione di materiali selezionati (cortometraggi, spezzoni di film, spot, ecc.) da sottoporre ad analisi. A questo proposito mi sembrano utili queste parole di Alain Bergala, dal cui testo L’ipotesi cinema ho tratto anche il sottotitolo di questo mio breve saggio. Scrive infatti il cineasta e professore di cinema francese: […] ogni pedagogia dev’essere adatta ai bambini e ai giovani cui si rivolge, ma mai a detrimento del proprio oggetto. Se la pedagogia non rispetta il proprio oggetto, se lo semplifica o lo svilisce a caricatura, pur con le migliori intenzioni del mondo, non fa un buon lavoro. Soprattutto nel caso del cinema, dove i bambini non hanno certo aspettato che qualcuno insegnasse loro, come si dice, a “leggere” i film per diventare spettatori che percepiscono se stessi come del tutto competenti, e soddisfatti, prima di qualsiasi iniziazione (Bergala 2009: 26).
– Il lavoro con il video permette una combinazione di abilità tecniche (“fare” piuttosto che “osservare”) e competenze relazionali. Questa combinazione va però agevolata curando alcuni aspetti concreti come la turnazione nei diversi ruoli tecnici e l’attenzione a ritagliare sempre dei momenti di condivisione del lavoro già fatto e di programmazione di quello ancora da fare. Non dimenticate che l’esperienza della creazione audiovisiva a scuola permette una crescita dell’individuo, offrendo una reale occasione di partecipazione e un coinvolgimento diretto. 144
5.1.
La partenza: le idee – il soggetto – la sceneggiatura
La conoscenza e l’analisi degli elementi del base di linguaggio audiovisivo vi aiuteranno a definire meglio il modo in cui volete raccontare la vostra storia, scegliendo per esempio fra i diversi generi cinematografici oppure fra i diversi linguaggi. Attraverso la visione di prodotti audiovisivi differenti per tipologia, avrete la possibilità di scegliere, insieme ai vostri alunni, la modalità che meglio si adatta al tema e alla storia che avete scelto, per cui oltre alle diverse modalità della fiction, potreste optare, ad esempio, per quelle della pubblicità o del documentario o ancora dell’inchiesta giornalistica. In questa fase, oltre ad avere qualcosa da dire, è indispensabile domandarsi sempre il perché desideriamo raccontare questa storia con un piccolo film. Si tratta di un buon esercizio preliminare, anche perché significa prestare la massima attenzione alle modalità di scrittura di una storia. Ricordate, infatti, che state realizzando un prodotto che avrà l’immagine (e i suoni) come elemento principale di comunicazione; è importante allora che rispettiate la “specificità” del linguaggio scelto, mettendovi al riparo dal rischio di affidare esclusivamente ai dialoghi la funzione di veicolare il racconto. Nel frattempo guardatevi intorno: mentre procedete con l’ideazione del vostro racconto è importante che analizziate con cura le risorse umane e materiali su cui potete contare. Lo spunto per la vostra storia, ad esempio, potrebbe essere l’avere a disposizione un luogo significativo in cui girare (e che magari volete valorizzare). Organizzando dei sopralluoghi potrete ad esempio “scoprire” di poter contare su un laboratorio scolastico attrezzato, oppure avvalervi di progetti didattici che coinvolgono esperti esterni e che potrebbero essere un’occasione per arricchire di ulteriore apporti la vostra produzione. Inoltre non mancate di esaminare preliminarmente quali sono le competenze del gruppo-classe sulle quali potete contare. Come già detto in precedenza, fidatevi delle competenze tecniche dei vostri alunni e trovate sempre il modo di valorizzarle all’interno del film: ci sarà, molto probabilmente, qualcuno che sa suonare uno strumento o qualcuno già in grado di utilizzare un semplice software di montaggio che potrà essere efficacemente coinvolto.
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5.2. Organizzatevi • Pianificate con cura tempi e modalità del lavoro. Scoprire, nel corso delle riprese, che vi siete dimenticati qualcosa anche di banale (la batteria carica della videocamera è la più frequente) può suscitare disagi notevoli, sarà utile predisporre perciò un piano di lavorazione, diviso per giornate di lavoro e con l’indicazione di tutte le necessità da predisporre in anticipo, con l’indicazione delle location, delle persone esterne coinvolte, degli oggetti di scena, delle risorse tecniche, ecc. • Assegnate con attenzione i ruoli alla troupe e fate in modo che ciascuno possa sperimentare le diverse responsabilità: è importante, in una esperienza a scuola, creare un gruppo di lavoro aperto, in cui l’esperienza diretta e lo scambio siano alla base del lavoro. Una raccomandazione: resistete alla tentazione di far recitare quelli più spigliati, relegando i più timidi a ruoli secondari! 5.3. Ciak, si gira! E poi si monta È il momento delle riprese: godetevi l’esperienza della creazione! Soprattutto, se avrete lavorato bene nella prima fase, questo è il momento in cui potrete dare libero spazio alla sperimentazione. Sempre Bergala scrive a questo proposito: Sarà sempre meglio un insegnante che ne sa poco ma che si avvicina al cinema in maniera aperta, senza tradirne la reale natura, piuttosto che un insegnante che si attacca a pochi rigidi spiccioli di sapere e che comincia a sfornare le definizioni dei movimenti di macchina e della scala dei piani, come se il cineasta pensasse innanzitutto con le parole a scelte che le parole non servono in realtà che a tradurre, e che non sono strettamente di nessun aiuto nel corso dell’atto creativo (Bergala 2009: 99).
Il momento della creazione esige che venga lasciato spazio alle infinite possibilità per girare ogni singola scena del film, mettendo da parte, al contrario, la tentazione di voler a tutti i costi rispettare tutto quello che avete scritto o concordato. Chiunque abbia avuto un’esperienza su un set cinematografico vi confermerà che i grandi registi sono proprio quelli che sanno cogliere l’opportunità che anche l’imprevisto offre per dare elementi alla propria narrazione. Non siate rigidi, quindi, e lasciate spazio all’im146
provvisazione, dandovi così anche la possibilità di imitare meno modelli canonici e trovare un vostro stile narrativo. Segnalo adesso alcuni degli errori più comuni che si fanno alle prime esperienze di ripresa. Li segnalo, pur nella consapevolezza che anche sbagliare sia importante. Credo tuttavia che possa essere utile sapere che, con piccoli accorgimenti, potrete limitare gli impedimenti alla buona riuscita del lavoro. Ecco dunque quello che dovreste provare ad evitare: – Finire le batterie e/o le cassette! – Durante le riprese avrete la tentazione di fare moltissime panoramiche (movimenti della macchina da presa in orizzontale e in verticale) e, soprattutto, sarà difficile resistere alla tentazione di utilizzare lo zoom. Evitare l’abuso di queste modalità vi agevolerà il lavoro di montaggio: è più semplice, infatti, accostare due inquadrature statiche piuttosto che due che contengono movimenti di macchina, spesso imprecisi. – Riprendere da lontano con zoom in avanti: avvicinatevi con il corpo ai soggetti che state riprendendo piuttosto che utilizzare lo zoom che produce immagini tremolanti e di scarsa qualità. Nel caso di un’intervista poi, colui che parla generalmente sarà molto più a suo agio avendo la vicinanza di chi lo sta intervistando. – Esagerare con i movimenti di macchina. – Attivare terribili effetti digitali (o non disattivare la data in sovraimpressione): se vorrete, potrete sempre inserire effetti in fase di postproduzione. – Deconcentrarsi/Spegnere la videocamera troppo presto, questo soprattutto quando si sta facendo un’intervista: spesso i soggetti ricordano qualcosa o si esprimono in maniera più spontanea quando pensano di non essere più ripresi. Un elemento spesso trascurato, ma che invece rischia di allontanare la gran parte degli spettatori è un audio non registrato con la dovuta attenzione. Sempre nell’ottica di una maggiore suddivisione dei compiti potrebbe essere molto efficace assegnare a due alunni il compito di gestire la registrazione con un microfono esterno. Ecco quindi alcuni consigli tecnici molto semplici per ottenere un audio migliore: – Stare vicino alle fonti sonore. – Usare un microfono esterno. – Controllare la registrazione con delle cuffie. 147
– Evitare rumori di fondo (soprattutto quando si gira in esterni). – Registrare sempre 1-2 minuti di audio d’ambiente che potrà essere utile in fase di montaggio per coprire degli errori. – Se usate un microfono esterno, ricordatevi di accenderlo (e di avere delle batterie di scorta). Lo ripeto benché possa apparire un’accortezza scontata o banale, ma vi assicuro che queste dimenticanze capitano più spesso di quanto non si creda anche ai più esperti. Se nel vostro film c’è poi un’intervista, con poche, semplici precauzioni potrete migliorare notevolmente i risultati: – Posizionatevi di fronte a chi parla. – Evitate di commentare e parlare coprendo le risposte (o di annuire muovendo la videocamera). – Fate le domande in modo da poterle tagliare in fase di montaggio. – Chiedete al vostro intervistato di rispondere evitando periodi complessi e, nel caso, chiedetegli di ripetere la risposta una seconda volta. Per quanto riguarda la successiva fase di montaggio e di post-produzione vorrei sottolineare almeno due elementi. Il primo è quello di cercare di lavorare ad una narrazione che sia più semplice possibile: non esagerate con effetti sonori, transizioni, filtri fotografici, ecc.; una volta caricato il girato nel computer, se in fase di ideazione e scrittura avrete lavorato bene, dovrete solo provare ad organizzare i materiali selezionando quelli migliori. Il secondo aspetto è quello di considerare che state componendo un inedito insieme fatto di frammenti diversi, dunque cercate di mantenere una coerenza generale su tutto il film, utilizzando le sequenze rispettando il tono generale che avete deciso per il vostro lavoro. Cercate di non dimenticare che il primo pubblico di questo lavoro siete voi stessi e che il vostro obiettivo, in questa fase, è quello di coinvolgere più possibile chi guarda, perciò non abbiate il timore di scartare o eliminare sequenze troppo lunghe né di invertire l’ordine dei materiali che avevate stabilito in precedenza. Inoltre, potreste integrare il video con cartelli e scritte, sottolineando i momenti più importanti con degli effetti sonori. Vale anche in questa fase il consiglio dato in precedenza: sperimentate e cercate di trovare una vostra strada originale piuttosto che replicare modelli presi in prestito, con il rischio di sottolineare errori o scarse competenze tecniche. Un esempio, che spesso mi è capitato di osservare dalla 148
mia esperienza a scuola di questi anni: quando si ipotizza di realizzare un’intervista, immediatamente il riferimento va a quelle realizzate dalla famosa trasmissione Le iene. Vi assicuro che, nel tentativo vano di replicare quella complicata modalità di montaggio, non avendo probabilmente voi a disposizione un montatore professionista, rischiate seriamente di scontrarvi con la frustrazione di non riuscire a realizzare quello che avete in mente oppure di realizzare un prodotto scadente che ne scimmiotta uno conosciuto e ciò farà perdere di credibilità e di originalità quello di cui vi state occupando. Fate qualcosa di semplice e il risultato sarà universalmente apprezzato, siate originali e quello che raccontate sarà esaltato dal video. 5.4.
Fatto il video, cosa me ne faccio?
Una volta finito, organizzate delle proiezioni, dei momenti di discussione. Molti docenti, e soprattutto molti dirigenti dimostrano un vero e proprio timore nei confronti del web. Piuttosto che considerarlo un formidabile, oltre che gratuito, strumento di comunicazione, ne temono proprio le prerogative di diffusione e dunque che il lavoro fatto venga non solo visto, ma condiviso. Non trascurate, infine, che questo prodotto può rivelarsi, all’interno di una campagna di comunicazione istituzionale, un’ottima pubblicità per il vostro istituto e per il lavoro che svolgete.
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Capitolo 3
L’immagine della scienza degli insegnanti LIBORIO DIBATTISTA
Introduzione Gli insegnanti di discipline scientifiche ovviamente hanno delle proprie idee su che cosa sia la scienza. Tuttavia, queste concezioni spesso non si trovano ad un livello di riflessione consapevole (Perla 2010) ma restano una credenza di fondo, maturata in base a diversi fattori: gli studi universitari, la pratica di insegnamento, la condivisione di un paradigma accettato dalla comunità in cui si vive (Solomon 1991). Di questi fattori, in realtà, quello che sembra influire meno sull’immagine della scienza che hanno gli insegnanti sembra proprio la loro storia accademica: infatti nei curricula universitari scientifici la NoS non viene studiata come tale, di solito non si affrontano studi di epistemologia disciplinare, né la metodologia scientifica – quando esplicitata – viene sottoposta ad uno studio critico (Lederman 1992). Di conseguenza non sembra essere l’esperienza come “scienziati” alla base delle concezioni degli insegnanti di scienze, piuttosto sembra più importante la riflessione sulla pratica di insegnamento: in studi trasversali sull’argomento è emerso che le loro idee sulla NoS emergono e sono chiarificate attraverso la discussione e l’analisi di esempi tratti dall’esperienza in classe (Nott e Wellington 1995). I modelli della NoS prodotti dalla ricerca storiografica, sociologica ed epistemologica sono fondati sull’evidenza empirica del “modo di lavorare” degli scienziati come risulta dai loro scritti privati e pubblici, dalla loro corrispondenza, dalle loro conferenze, ecc. Ora, nella maggior parte dei casi, gli scienziati stentano a riconoscersi nel quadro che gli storici ed epistemologi ne fanno, anzi di solito si oppongono con vigore alle interpretazioni sociologiche, come testimoniato dalle science wars (Parsons 2003) che furono condotte negli anni Novanta del 151
secolo scorso. In particolare, gli insegnanti di materie scientifiche lavorano con gruppi di audience (i ragazzi in classe) che, di norma, non condividono originariamente le loro regole, valori e assunzioni riguardo a che cosa è la scienza né conoscono il razionale delle regole della produzione di conoscenza; gli insegnanti, anzi, si trovano nella condizione di dover convincere gli studenti che la spiegazione scientifica è ragionevole. Spesso accade che il tentativo dei ragazzi di produrre evidenza empirica a supporto della scienza raccontata dagli insegnanti fallisca il bersaglio; di conseguenza gli insegnanti si trovano a fronteggiare episodi in aula nei quali devono rendere esplicito il modo di produzione della conoscenza scientifica e le maniere di renderla solida (Nott, Wellington 1998: 581).
Numerosi studi e ricerche hanno messo in evidenza che, di solito, la concezione che prevale è quella di una scienza intesa come attività di ricerca (inquiry) e scoperta relativa al mondo materiale, mentre le visioni costruttiviste o sociologiche della scienza che insistono, invece, sulla visione della scienza come costruzione e interpretazione non trovano molto favore fra gli insegnanti (Ajkenhead e Otsuji 2000). Inoltre, l’orientamento prevalente degli insegnanti di cultura occidentale è di tipo positivista-riduzionista. A questo proposito è opportuno qui sottolineare un concetto: anche se l’impostazione teorica alla base di questi studi – condivisa ampiamente dagli autori di questo saggio – è evidentemente orientata in senso costruttivista, nelle indagini in letteratura alle quali noi facciamo riferimento e nel questionario oggetto del presente paragrafo non si tratta di valutare le concezioni della NoS come “giuste” o “sbagliate”, “corrette” o “scorrette”: viene proposta solo una loro classificazione (Hodson 1993). Ai fini didattici, infatti, l’opinione degli Autori riterrà più efficace un approccio storicocritico “informato” – cioè passato attraverso la visione costruttivista – per i motivi che sono stati già ampiamente argomentati. Le “convinzioni” (beliefs) degli insegnanti di scienze, relative a che cosa sia la scienza, sono chiaramente importanti ai fini del loro orientamento didattico: essi porgeranno ai loro allievi – più o meno consciamente – l’idea di scienza della quale essi stessi sono persuasi. Questo è un punto cruciale se si progetta una riforma della pratica di insegnamento delle discipline scientifiche:
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l’aspetto decisivo della riforma dell’istruzione scientifica è l’insegnante… fino a che l’insegnante di scienze non si sposta dallo status quo nell’insegnamento delle scienze, qualsiasi riforma fallirà (Bybee 1993: 144).
Questo status quo è appunto costituito dalle convinzioni di fondo degli insegnanti: le ricerche future devono cercare di migliorare la nostra comprensione della relazione che sussiste tra le convinzioni degli insegnanti e le riforme dell’istruzione scientifica. Gran parte delle riforme del passato hanno ignorato il ruolo delle convinzioni degli insegnanti nel mantenere lo status quo. Una rassegna degli studi compiuti sull’argomento suggerisce che le convinzioni degli insegnanti sono un ingrediente critico nell’ambito dei fattori che determinano quello che succede in classe (Tobin, Tippis, Gallard 1994 in Lumpe et al. 1998: 2).
Per “convinzioni” qui intendiamo sia le conoscenze propriamente dette che le rappresentazioni funzionali della conoscenza insieme con le credenze personali e le epistemologie individuali. Questi “grappoli” di credenze vanno a costituire gli atteggiamenti (attitudini) degli insegnati nei confronti della scienza e ne guidano quindi i comportamenti (agenda) (Clark e Peterson 1985; Brickhouse 1990). Kagan ha rilevato poi quanto questi comportamenti – e le convinzioni che li originano – siano resistenti ai cambiamenti (Kagan 1992). Secondo Bentley e Fleury la maniera migliore di superare questa resistenza al cambiamento è convincere gli insegnanti di scienze a lavorare insieme ai ricercatori universitari impegnati sul fronte della riforma dei metodi di insegnamento; ed è proprio quello che è stato realizzato in questo progetto. Auspicabile sarebbe proprio l’istituzione di un corso formale di scienza, storia e società istituzionalizzato all’interno delle nuove lauree specialistiche per l’insegnamento o inserito nell’ambito dei Tirocini Formativi Attivi (Bentley, Fleury 1998). 1. Gli strumenti per lo studio delle concezioni della NoS Esistono numerosi studi che hanno affrontato queste tematiche mediante la somministrazione di questionari. Per ragioni di spazio non è possibile 153
affrontare in questa sede una revisione di tutti gli strumenti di valutazione che sono stati usati nel corso degli anni: basti pensare che il primo di questi risale al 1954 (Wilson 1954). Una rassegna ragionata si trova in (Lederman et al. 1998). Questi stessi autori hanno poi proposto nel 2002 un questionario, consolidato da numerose ricerche sul campo, che – da allora – è divenuto la pietra di paragone di questo genere di strumenti di ricerca. Ci riferiamo al VNOS Views of nature of science questionnaire (Lederman et al. 2002). Il VNOS ha cercato di ovviare agli inconvenienti più seri dei precedenti strumenti. Infatti, i questionari di gradimento a risposta chiusa, nei quali si chiede il grado di accordo o di disaccordo dell’intervistato su una affermazione (item) possono essere viziati dai seguenti fattori: 1. Presuppongono che gli items conservino lo stesso significato per intervistatore ed intervistato. 2. Tali items riflettono di solito le concezioni epistemologiche della NoS di chi li progetta. 3. Di conseguenza le risposte di accordo o disaccordo sono già orientate verso l’induttivismo o il costruttivismo, ecc. 4. L’uso delle scale di Likert (scale in cui il grado di accordo/disaccordo viene quantificato numericamente) indica una adeguatezza ad un’idea della NoS che in realtà coincide con quella degli estensori del questionario. Per cercare di limitare la distorsione provocata dai fattori su elencati, Lederman & C. hanno suggerito versioni successive al VNOS (denominate VNOS A, VNOS B, VNOS C) nelle quali le risposte chiuse sono state successivamente modificate in base al grado di congruenza con risposte aperte ed interviste dirette ai soggetti. Tuttavia, il prodotto finale di questi successivi aggiustamenti ha il difetto di richiedere la somministrazione in condizioni controllate (in aula, per un tempo di sessanta minuti, con ampio spazio per le risposte aperte e seguite da una validazione basata su interviste dirette ad almeno un quarto dei soggetti) che lo rendono pochissimo maneggevole. Per questo motivo, Liang et al. (2008) hanno proposto e validato un questionario che, pur facendo tesoro dei risultati e delle cautele del VNOS-C, ha cercato di snellire lo strumento riducendo il tempo per la somministrazione, il numero degli items e lasciando una sola questione aperta come controllo per ogni gruppo degli items Likert. In pratica il test di Liang, anch’esso sottoposto a successive modifiche e validazioni (Liang 154
et al. 2009) con il nome di SUSSI (Students Understandings of Science and Scientific Inquiry) prevede sei “temi” descrittivi della NoS, per ognuno dei quali vengono proposte quattro affermazioni (item), per le quali va indicato il grado di accordo su una scala Likert di cinque valori. Le affermazioni sono disposte in una scala che va dalle più naïf – “ingenue” alle più informed – “consapevoli”. Per ognuno dei sei temi è poi presentata una domanda a risposta aperta che costituisce il test di controllo/verifica che valida o meno le risposte chiuse precedenti in base al grado di congruenza con esse. I sei temi affrontati dal SUSSI sono punti ormai poco controversi negli studi sulla NoS, sono riconosciuti nei documenti sull’istruzione scientifica dei Paesi che hanno partecipato allo studio di Liang (Stati Uniti, Turchia e Cina) e sono stati ampiamente discussi nelle ricerche sulle concezioni della natura della scienza fin qui citate. Essi sono i seguenti: a) Osservazioni e interpretazioni. È il tema dell’oggettività dei dati dell’esperienza e delle inferenze che lo scienziato può trarne: la scienza è basata sia sulle osservazioni che sulle inferenze. Le osservazioni sono dichiarazioni che descrivono i fenomeni naturali come recepiti dai sensi umani o da strumenti tecnologici. Le inferenze sono le interpretazioni delle osservazioni. Sia le osservazioni che le interpretazioni sono guidate dalla conoscenza di base dei singoli scienziati nonché, dalle prospettive della scienza comunemente accettata. La visione naïf non riconosce che le osservazioni sono “cariche di teoria” e ritiene che sia le osservazioni che le interpretazioni devono essere identiche per gli scienziati che le effettuano, perché essi sono costitutivamente “oggettivi”. b) Cambiamento delle teorie scientifiche. Riguarda le concezioni sulla provvisorietà delle teorie scientifiche e le condizioni che ne determinano il mutamento. La scienza è affidabile e durevole ma soggetta a cambiamenti, a volte lenti, a volte improvvisi e rivoluzionari. La visione ingenua ritiene che, sostanzialmente, il contenuto scientifico sia fisso e immutabile. Si tratta dell’idea vetero-positivistica dell’attività scientifica come processo di dis-velamento di una Verità Assoluta nascosta. Una versione meno naïf, ma che rimane sostanzialmente legata a questa idea, è quella secondo la quale le teorie scientifiche cambiano, ma solo in virtù del potenziamento strumentale e tecnologico che accresce questa capacità di disvelamento. c) Rapporto tra leggi e teorie scientifiche. Si indagano le idee sul rap155
porto tra l’eventuale validità oggettiva delle “leggi” e il valore provvisorio delle “teorie”. Le leggi scientifiche descrivono relazioni generali e regolarità in natura, mentre le teorie sono spiegazioni robuste di aspetti del mondo materiale. Tuttavia è naïf la concezione che prevede che, quanto più una teoria acquista prove a proprio favore, tanto più essa si trasforma in una “legge della natura” che è definitiva e assoluta. d) Influenze sociali e culturali sulla scienza. Dovrebbe essere ovvio che la scienza, al pari degli altri prodotti dell’attività cognitivo-mentale umana è legata al tempo, al luogo ed alle condizioni socio-culturali nelle quali si sviluppa. Peraltro, è diffusa l’idea ingenua che, poiché l’oggetto della scienza è una Verità noumenica definitiva ed immutabile, la conoscenza scientifica sia svincolata dai condizionamenti socio-culturali. e) Immaginazione e creatività nella ricerca scientifica. Lo scienziato ricorre, nel proprio lavoro di investigazione, a tutti gli strumenti cognitivi a propria disposizione: la logica ma anche la fantasia creatrice e l’immaginazione. Anche qui, una visione non informata dell’attività scientifica tende a leggerla come il frutto di un’ostensività obbligata, guidata da regole metodologiche ferree. Una concessione all’immaginazione creativa degli scienziati, che rimane tuttavia al di qua delle idee ingenue, è quella di pensare alla creatività come legata solo al processo di disegnare esperimenti o ideare strumenti nuovi. f) Il Metodo della ricerca scientifica. L’avanzamento delle conoscenze scientifiche è stato il frutto della messa in opera di una quantità di metodologie differenti, legate ai campi della conoscenza scientifica, alle idee concettuali di fondo, alla disponibilità economica e di risorse tecnologiche, ai campi “epistemici” degli oggetti scientifici differenti che lo scienziato studiava e così di seguito. Ma una convinzione poco sofisticata, radicata tra gli scientifici, operatori, insegnanti e studenti, è che lo scienziato possieda un ricettario codificato, una metodologia stabilita definitivamente (di solito chiamata “metodo ipotetico-deduttivo galileiano”) esclusivamente all’interno della quale è possibile produrre risultati validi e accurati. 2. La costruzione del questionario utilizzato in questo studio Il questionario che abbiamo utilizzato in questa ricerca è una versione del SUSSI modificata dagli autori del presente saggio. Abbiamo ritenuto di dover inserire altri due temi, oltre quelli previsti dallo strumento originale. 156
Infatti il nostro studio, oltre ad indagare le concezione degli insegnanti relative alla NoS, ha voluto verificare quanto gli insegnanti ritengano efficace la pratica narrativa nella didattica, e la narrazione di studi di caso scientifici in maniera particolare. Inoltre, la sperimentazione sul digital storytelling a contenuto storico-scientifico in classe mirava a verificare quanto l’introduzione della storia della scienza nella pratica didattica fosse in grado di rendere più accattivante, più appassionante lo studio degli argomenti scientifici. Abbiamo poi ritenuto opportuno accorpare i temi 2 e 3 del SUSSI in un unico gruppo: “Natura delle teorie scientifiche”, eliminando alcune ridondanze, per evitare di appesantire troppo il questionario che, comunque, è passato dai ventiquattro items chiusi e sei aperti dell’originale ai trentasei più nove del nostro. In definitiva, quindi, il questionario che è stato usato nel nostro studio è il seguente:
Osservazioni e interpretazioni 1
Le osservazioni dello stesso fenomeno da parte degli scienziati possono essere differenti in base alle pre-concezioni degli scienziati stessi
2
Le osservazioni dello stesso fenomeno da parte degli scienziati devono essere identiche perché gli scienziati sono obiettivi
3
Le osservazioni dello stesso fenomeno da parte degli scienziati devono essere identiche perché le osservazioni sono “fatti”
4
Gli scienziati possono interpretare diversamente stesse osservazioni
DA
Adducendo esempi, spiegate perché ritenete che le osservazioni e le interpretazioni da parte degli scienziati sono le stesse OPPURE differenti
1
Le teorie scientifiche sono soggette a prove e revisioni
2
Le teorie scientifiche possono essere completamente scartare e rimpiazzate da nuove teorie alla luce di nuove evidenze
3
Le teorie scientifiche possono essere cambiate in base a nuove interpretazioni di vecchie osservazioni
4
Le teorie scientifiche che si basano su esperimenti accurati non devono essere più cambiate
DA
Adducendo esempi, spiegate perché pensate che le teorie scientifiche possano oppure no cambiare nel tempo
1
La ricerca scientifica non è influenzata da fatti socio-culturali perché gli scienziati sono formati a condurre studi rigorosi, “puri”
Natura delle teorie scientifiche
Influenze sociali e culturali nella scienza
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Osservazioni e interpretazioni 1
Le osservazioni dello stesso fenomeno da parte degli scienziati possono essere differenti in base alle pre-concezioni degli scienziati stessi
2
Le osservazioni dello stesso fenomeno da parte degli scienziati devono essere identiche perché gli scienziati sono obiettivi
2
I valori e le attese culturali determinano CHE COSA viene cercato ed accettato nella scienza
3
I valori e le attese culturali determinano COME la ricerca scientifica viene condotta e accettata
4
Ogni cultura persegue la ricerca scientifica allo stesso modo perché la scienza è universale e indipendente da influenze socio-culturali
DA
Adducendo esempi, spiegate secondo voi come la società e la cultura influenzano O NO la scienza Immaginazione e creatività nella ricerca scientifica
1
Gli scienziati usano la loro immaginazione e creatività quando raccolgono i dati
2
Gli scienziati usano la loro immaginazione e creatività quando analizzano e interpretano i dati
3
Gli scienziati non usano immaginazione e creatività perché questo confligge con il loro ragionamento logico
4
Gli scienziati non usano immaginazione e creatività perché questo interferisce con l’oggettività
DA
Adducendo esempi, spiegate secondo voi perché gli scienziati usano O MENO creatività ed immaginazione Il metodo scientifico
1
Gli scienziati usano una varietà di metodi per produrre risultati scientifici efficaci
2
Gli scienziati usano lo stesso metodo scientifico codificato
3
Quando gli scienziati usano il metodo scientifico correttamente ottengono risultati veri ed accurati
4
La sperimentazione non è l’unico metodo usato nello sviluppo della conoscenza scientifica
DA
Adducendo esempi, spiegate se secondo voi esiste un unico metodo scientifico oppure no La narrazione
1
La narrazione è una sequenza cronologica ordinata di eventi
2
La narrazione tende a dimostrare una tesi
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La narrazione 1
La narrazione è una sequenza cronologica ordinata di eventi
3
Raccontare una storia richiede l’esposizione di tutti gli elementi noti
4
Una narrazione efficace è calata nello spazio e nel tempo
DA
Adducendo esempi, spiegate se secondo voi la narrazione è o meno una interpretazione di fatti La narrazione di episodi scientifici
1
Un’efficace narrazione di un episodio scientifico deve partire dall’esposizione dei risultati (ad es.: teoria, legge, risultati sperimentali, applicazioni tecnologiche)
2
Raccontare una storia richiede che gli elementi narrati siano coerenti con il problema motivante
3
Un episodio della scienza può portare ad esiti differenti se lo racconto da punti di vista differenti
4
Se la teoria dell’evoluzione non fosse stata formulata da Darwin, qualcun altro – più o meno nello stesso momento – l’avrebbe formulata.
DA
Adducendo esempi, spiegate se secondo voi la narrazione della scienza deve essere il più possibile aderente ai fatti come sono accaduti o deve esserne una interpretazione
1
La storia della scienza a scuola serve ad introdurre gli argomenti scientifici
2
La competenza scientifica degli studenti può prescindere dalla conoscenza dei processi storici della scienza
3
Un approccio interdisciplinare allo studio delle scienze è indispensabile nella formazione degli studenti
4
È necessario che gli studenti apprendano i modi di produzione della conoscenza scientifica
DA
Adducendo esempi, spiegate se secondo voi la storia della scienza stimola o meno il senso critico degli studenti
Storia della scienza e apprendimento 1
Storia della scienza e apprendimento 2 1
La storia della scienza rende più attraente lo studio della scienza
2
L’apprendimento con metodo storico motiva gli studenti allo studio della scienza
3
È accettabile che gli esperimenti scientifici di laboratorio a scuola prescindano dalla conoscenza del loro contesto storico
4
La storia della scienza arricchisce di significato i concetti scientifici che si studiano a scuola
DA
Adducendo esempi, spiegate se secondo voi la storia della scienza è fonte o meno di senso nello studio della scienza
159
Per ognuno dei trentasei items a risposta chiusa è stata proposta una scala Likert a sei gradi, da: “assolutamente in disaccordo”, con valore 1 a: “assolutamente d’accordo” con valore 6. Si è scelta una scala con un numero pari di gradi per evitare il fenomeno dell’attrazione sul valore centrale. In fase di elaborazione del questionario sono state invertite le risposte in cui la progressione ingenuo→consapevole era stata rovesciata per evitare fenomeni di trascinamento (Corbetta 1999; Zammuner 1998; Bosco 2003). Le risposte aperte sono state poi valutate, indipendentemente da due valutatori, assegnando il valore “0” alle risposte mancanti o intrinsecamente contraddittorie, 1 alle risposte indicanti una concezione “ingenua” della NoS, 3 per le risposte “informate” e 2 per le risposte “intermedie”. Queste valutazioni sono state fatte sulla base di una categorizzazione per i punteggi proposta da Liang e rielaborata da Desaulniers Miller et. al (2010) che riportiamo in appendice al paragrafo. È stata quindi valutata la congruenza – per ogni tema e per ogni intervistato – tra i punteggi ottenuti con le scale Likert e la classificazione riportata sulla domanda aperta. Le incongruenze vengono di seguito segnalate. Il questionario è stato somministrato due volte: prima dell’inizio delle attività di formazione (PRE) e al termine dell’intero percorso (POST). 3. L’immagine della scienza degli insegnanti. Risultati e discussione del questionario PRE esperienza Gli insegnanti che si sono iscritti al concorso sono stati cinquanta. Coloro che hanno partecipato alle attività preliminari di formazione sono stati ventotto. Gli insegnanti che hanno inviato i prodotti realizzati con le loro classi sono stati trentuno, per un totale di ventiquattro digitalstories (l’apparente incongruenza di questi ultimi dati numerici si spiega con il fatto che alcuni insegnanti hanno lavorato con più classi e, viceversa, alcuni prodotti sono stati realizzati attraverso la collaborazione di più insegnanti). I soggetti che hanno risposto al questionario PRE e POST sono stati ventisei. Il questionario è stato proposto via Internet usando la funzione Form di Google Documents che consente la creazione, l’invio e la raccolta del questionario via mail. I dati sono stati raccolti in forma anonima, tuttavia una sezione ha permesso l’inserimento di dati anagrafici ritenuti significativi ai fini dell’elaborazione dei dati. In particolare: 160
161
Come si vede esiste una assoluta prevalenza del sesso femminile, circa il 70% degli intervistati ha più di 45 anni, le discipline interessate spaziano in tutti i campi delle scienze mentre il 20% degli intervistati sono insegnanti di discipline umanistiche. Inoltre, circa un terzo dei soggetti ha precedenti studi o esperienze di storia e filosofia della scienza. Il coefficiente α di Cronbach per l’attendibilità sul totale delle risposte è di 0,79; quindi molto buono. In generale, gli insegnanti che hanno partecipato all’esperienza hanno una idea della scienza abbastanza “consapevole”. Infatti, i punteggi medi della scala Likert sui gruppi di items riguardanti la NoS sono mediamente alti (in una scala da zero a sei sono tutti superiori a tre virgola cinque). Questo dato può avere una spiegazione sia nel fatto che i docenti che si sono iscritti al concorso lo hanno fatto volontariamente e quindi, verosimilmente, sono particolarmente sensibili ai temi della didattica dell’insegnamento scientifico, sia nel fatto su ricordato che un terzo di loro ha avuto studi specifici o ha già condotto esperienze didattiche con approccio storico-scientifico con il nostro gruppo di ricerca. Osservazioni ed interpretazioni
Natura delle teorie scientifiche
Influenze sociali e culturali
Immaginazionee creatività
Metodo scientifico
Media
4,53
5,16
4,55
4,05
3,78
Asimmetria
-0,54
-1,53
-0,88
-0,44
-0,08
Curtosi
-0,74
1,64
0,24
-1,12
-1,03
Dev. St.
1,37
1,20
1,34
1,79
1,52
In particolare, la tabella mostra come ci sia un grado notevole di consapevolezza sulla natura “provvisoria” delle teorie scientifiche, mentre l’atteggiamento è un po’ più rigido sul ruolo svolto dall’immaginazione e dalla creatività e, nella maggior parte dei casi, gli insegnanti sono restii a concedere che il “metodo” scientifico sia discutibile. Osservazioni ed interpretazioni. Gli insegnanti intervistati hanno in generale un’idea consapevole del fatto che le osservazioni e le inferenze che gli scienziati traggono sono passibili di condizionamenti soggettivi: 162
Tuttavia, il controllo condotto confrontando per ciascun soggetto i punteggi ottenuti sulle domande Likert con le risposte aperte mostra quanto le precauzioni richieste dal VNOS e dal SUSSI siano opportune. Si consideri infatti quanto sono diverse le risposte aperte di questi due insegnanti che hanno conseguito entrambi il massimo punteggio (24: punteggio di massima consapevolezza) sul tema delle osservazioni ed interpretazioni: (Domanda: Adducendo esempi, spiegate perché ritenete che le osservazioni e le interpretazioni da parte degli scienziati sono le stesse oppure differenti) a) L’osservazione può essere soggettiva, la teoria formulata sulla base delle osservazioni deve essere oggettiva ossia verificabile mediante sperimentazioni ripetibili oggettivamente; b) L’oggettività o neutralità dell’osservazione/interpretazione del fenomeno da parte dello scienziato è un mito o un dogma superato: i “fatti” sono dati solo all’interno di teorie/concetti ed esistono condizionamenti extrascientifici (sociali, culturali, filosofici e anche economici e politici!!) all’attività dello scienziato. Natura delle teorie scientifiche. Su questo tema, l’accordo è ancora più significativo sul fatto che le teorie scientifiche cambino nel tempo:
163
da
Anche qui, comunque, la lettura delle risposte aperte raffredda un po’ la visione di un corpo insegnante consapevole dalla natura tentative delle conoscenze scientifiche, perché il cambiamento è spesso inteso come progresso dovuto al miglioramento della strumentazione tecnologica e l’esempio più citato è il passaggio dalla teoria geocentrica tolemaica a quella eliocentrica copernicana: (Domanda: Adducendo esempi, spiegate perché pensate che le teorie scientifiche possano oppure no cambiare nel tempo). Possono variare perché maggiori sono le tecnologie, le osservazioni sono più precise… Le teorie scientifiche possono cambiare nel tempo. Un esempio: la teoria tolemaica e quella galileiana dell’universo… perché riflettono l’evoluzione dei saperi e degli strumenti… Cambiano gli strumenti per indagare su uno stesso fenomeno: la teoria geocentrica oggi fa sorridere grazie all’evoluzione tecnologica. Influenze sociali e culturali. Sul concetto che la conoscenza scientifica è “sporca”, nel senso del suo condizionamento da fattori socio-culturali, l’accordo fra gli insegnanti è notevole, benché – anche in questo caso – non manchino pareri dissonanti: Non credo che la società o la cultura influenzi la scienza. O se lo fa, questo avviene in modo molto marginale.
164
Immaginazione e creatività: un po’ più controversa è l’affermazione sul ruolo giocato dall’immaginazione e dalla creatività nello sviluppo della ricerca scientifica.
La maggioranza degli intervistati tende a distinguere il momento di raccolta e analisi dei dati (nel quale il maggior numero delle risposte esprime disaccordo sull’idea che, in questa fase, immaginazione e creatività influiscano sul lavoro dello scienziato) dal concetto che in generale egli possa fare ricorso alla fantasia creatrice laddove oggettività e ragionamento logico non bastano. In questo gruppo, le risposte aperte tendono a temperare l’atteggiamento rigido espresso mediante le scale di accordo-disaccordo: Gli scienziati devono usare la creatività per poter introdurre qualcosa che ancora non si conosce… Gli scienziati non usano creatività o immaginazione quando conducono un esperimento, ma le usano tutte e due quan165
do ipotizzano una teoria da provare con un metodo rigoroso come quello scientifico… Non vi è scienziato senza creatività e immaginazione e ogni esperimento è un’avventura anche se la fisica richiede una “obbedienza” alla realtà. Il metodo scientifico. Il massimo delle incongruenze si raggiunge appunto nel gruppo di items che riguardano il metodo scientifico.
Nonostante la metà degli insegnanti consegua un punteggio totale sul tema tra 16 e 24 – cioè relativamente critico e consapevole – solo in un caso la risposta aperta conferma un chiaro scetticismo nei confronti dell’idea di un unico codificato metodo scientifico: (Domanda: Adducendo esempi, spiegate se secondo voi esiste un unico metodo scientifico oppure no) Esiste il metodo scientifico “sperimentale” (da Galilei in poi) ma, come ha mostrato Feyerabend, nella scienza non esistono metodi, regole e norme vincolanti perché il ricercatore utilizza – e ha utilizzato nella storia della scienza – il metodo che più ritiene opportuno (anarchismo metodologico). Invece, in quasi tutti gli altri casi, nonostante le risposte di accordo Likert, la risposta aperta tradisce la fedele appartenenza al credo degli “scientifici”: Certamente sì, ed è quello messo a punto da Galilei… Il metodo scientifico galileiano (osservazione, formulazione d’ipotesi, replicazione controllata in laboratorio del fenomeno osservato, eventuale formulazione di una legge) esiste ed è alla base della cultura non solo scientifica del nostro tempo… tutte le scoperte in campo scientifico sono state ottenute seguendo il metodo scientifico… in qualunque attività laboratoriale i ragazzi devono imparare ad utilizzare un metodo che prevede OSSERVAZIONE-IPOTESI166
VERIFICA. Nello studio del suolo osserveranno il materiale prelevato e cominceranno ad analizzarne le componenti che saranno valutate in laboratorio con gli opportuni strumenti… Il metodo scientifico esiste ed è quello galileiano… il metodo scientifico è quel metodo che si deve seguire per costruire un sapere scientifico. Lo scienziato non è colui che studia ciò che altri prima di lui hanno affermato, magari senza dimostrarlo. È colui che osserva la realtà, formula delle ipotesi e ne verifica la validità. La tradizione vuole che l’idea della gravità sia venuta a Newton da una mela che cadde sulla sua testa mentre stava seduto sotto un albero… il metodo scientifico è quello sperimentale introdotto da Galileo. È basato su una prima osservazione, seguita da un esperimento, che possa riprodurre il fenomeno che si vuole studiare. L’esperimento ha lo scopo di convalidare o confutare l’ipotesi che lo scienziato ha formulato. Se si ha la convalida dell’ipotesi si procede con l’esecuzione di un gran numero di esperimenti, per rendere attendibili i risultati e in modo che poi si possa formulare una teoria. Se invece si ha il rigetto dell’ipotesi, questa viene modificata e sottoposta a nuovi esperimenti… il metodo dell’osservazione diretta favorisce l’apprendimento: metodo sperimentale galileiano… Il metodo scientifico è fondamentale per la ricerca e la conferma delle ipotesi. Parte dall’osservazione e raccolta dati – si definisce l’ipotesi – si verifica – se l’ipotesi è verificata si definisce la legge, se non è verificata si propone una nuova ipotesi… Galileo Galilei non solo indicò il metodo attraverso il quale arrivare a conclusioni inconfutabili e rigorose riguardo ai fenomeni naturali, ma inaugurò anche, con il telescopio e i piani inclinati, l’uso degli strumenti di misura per dare accuratezza e oggettività alle osservazioni. Egli scoprì inoltre che “la lingua” nella quale il libro della natura sembra scritto è quella matematica. Quanto al rapporto tra dati anagrafici e concezioni della NoS, dal campione da noi analizzato si possono trarre le seguenti considerazioni: 1. Come era logico aspettarsi, su una scala di valori (sommando i totali dei gruppi riguardanti la NoS) che va da 60 (concezioni più naïf) a 120 (concezioni più informed), gli insegnanti con precedenti esperienze di storia e filosofia della scienza si collocano tutti nella fascia superiore agli 80 punti. 2. Il campione è troppo poco uniformemente distribuito riguardo al sesso, con due soli insegnanti di sesso maschile che, peraltro, totalizzano 74 e 91 punti. 167
3. In generale i punteggi più bassi sono appannaggio delle insegnanti di sesso femminile con più di 45 anni di età, con specializzazione disciplinare in matematica e fisica e che non hanno avuto precedenti esperienze di epistemologia. Per quanto di scarso valore statistico, è abbastanza significativo che il punteggio più alto – in questa tornata di questionari PRE esperienza – sia totalizzato da una giovane insegnante di storia e filosofia. Per quanto riguarda i gruppi di items relativi alla narrazione ed al valore didattico della storia della scienza questa è la tabella che riassume i punteggi ottenuti sulle scale di accordo:
Media
La narrazione
La narrazione storico-scientifica
Storia della scienza e insegnamento
Storia della scienza e apprendimento
3,79
4,06
4,35
5,36
Asimmetria
-0,14
-0,27
-0,74
-2,09
Curtosi
-1,32
-1,08
-0,99
5,37
Dev. St.
1,77
1,55
1,84
1,01
Dalla tabella si evince come il campo più critico sia quello relativo all’idea di “narrazione”. Infatti molti insegnanti hanno una idea “ingenua” di narrazione, intesa come necessariamente completa, cronologicamente e spazialmente vettoriale, “oggettiva” e veritiera.
168
Le risposte aperte confermano questo orientamento: la narrazione deve essere il racconto di come sono andati i fatti, selezionati e esposti in modo “onesto”, ma che sia “efficace” per chi ascolta… La narrazione non è una interpretazione di fatti… La narrazione deve essere oggettiva, l’interpretazione la dà il lettore. Non si discostano di molto le opinioni sulla costruzione narrativa di uno studio di caso storico-scientifico:
Sono cioè uniformemente distribuite risposte naïf, che richiedono l’aderenza fedele a “come si sono verificati i fatti” nella narrazione di un episodio storico-scientifico con concezioni più consapevoli, che riconoscono l’importanza di un impianto narrativo che sia fondamentalmente interpretativo: (Domanda: Adducendo esempi, spiegate se secondo voi la narrazione della scienza deve essere il più possibile aderente ai fatti come sono accaduti o deve esserne una interpretazione) Deve essere il più possibile aderente ai fatti, perché solo così si può dire di fare scienza… così risulterebbe “onesta” e renderebbe giustizia alla “conoscenza scientifica”… Non è semplice rispondere. La narrazione della scienza dovrebbe essere il più possibile aderente ai fatti. Credo che ogni narratore intellettualmente onesto si ponga tale obiettivo; ma, inevitabilmente, finisce col narrare la propria interpretazione, più o meno fedelmente… Credo che la narrazione deve essere un’interpretazione dei fatti, perché deve poter mettere in risalto gli aspetti d’interesse. 169
Infine, molto meno controverse sono le opinioni sull’efficacia della storia della scienza nella didattica:
Qui le risposte aperte confermano i punteggi ottenuti sulle scale di accordo Likert: Lo studente che impara, dalla storia della scienza, che le teorie non sono nate così come le trova sui manuali, sa che nulla è “assolutamente vero” e “immutabile” e ciò lo porterà a porsi criticamente di fronte al sapere… Conoscere il contesto storico di un argomento scientifico è motivante e stimola approfondimenti a 360°, cosa che contribuisce ad essere più attenti nella valutazione di un evento e “a pensare con la propria testa”… La conoscenza della storia della scienza rappresenta un passaggio fondamentale sulla via della ricostruzione logica delle teorie scientifiche. La conoscenza di una teoria non inquadrata storicamente costituisce una conoscenza incompleta. È difficile spiegare, per esempio, il principio di inerzia: la lettura e il commento della descrizione dell’esperimento ideale con i piani inclinati fatta da Galilei nel DIALOGO può 170
servire a chiarire sia il concetto di inerzia sia quello di attrito, in modo più efficace di un eventuale esperimento di laboratorio. Il confronto delle risultanze di questo questionario con quelle ottenute da altri ricercatori conferma alcune vedute del rapporto che c’è tra insegnanti e concezioni della NoS, nonché la disposizione verso l’approccio storico-scientifico e ne problematizza altre. Ad esempio, rispetto al vecchio studio di Mitchener e Anderson (1987) scompare la categoria degli insegnanti contrari all’introduzione di studi storico-sociali nelle discipline scientifiche, mentre permane il gruppo di coloro che sono preoccupati per il tempo necessario a realizzare questo approccio, sottratto al tempo dell’insegnamento curricolare. Wang e Marsh (2002) hanno condotto uno studio sulle convinzioni e sulla pratica dell’uso della storia della scienza in classe da parte di un gruppo di insegnanti, con una numerosità simile al nostro campione e con l’uso di questionari di accordo/disaccordo e di interviste. Avendo distinto le potenzialità della storia della scienza in classe in tre categorie: contenutistico-concettuale (la storia della scienza aiuta la comprensione dei concetti scientifici); metodologico-procedurale (la storia della scienza consente di afferrare meglio i modi di funzionare dell’impresa scientifica) e contestuale-interdisciplinare (con l’uso della storia della scienza è più agevole realizzare unità di apprendimento che coinvolgono più discipline, anche umanistiche). Lo studio di Wang e Marsh concludeva che gli insegnanti erano a loro agio soprattutto nella terza categoria, quella della interdisciplinarità. Questo aspetto è confermato nel nostro studio:
171
che, tuttavia, mostra anche come gli insegnanti sentano di poter usare l’approccio storico-epistemologico – come abbiamo visto più sopra – sia per stimolare il senso critico dei discenti, che per favorire la comprensione delle procedure utilizzate dagli scienziati. 4. L’immagine della scienza degli insegnanti. Risultati e discussione del questionario POST esperienza Prima della premiazione conclusiva del concorso abbiamo somministrato di nuovo il questionario proposto otto mesi avanti, al principio della ricerca. Lo scopo è stato valutare se e quali modificazioni nelle concezioni degli insegnanti fossero state prodotte dalla partecipazione all’esperienza “Il racconto della scienza”, quindi dalla concreta realizzazione di una narrazione digitale a contenuto storico-scientifico vissuta dagli insegnanti. Lo strumento di indagine è stato somministrato con le stesse modalità della fase precedente. L’α di Cronbach sul totale delle risposte è risultato essere affidabile ancora una volta, con un valore pari a 0,74. Sono stati calcolati i valori di distribuzione delle risposte come nel caso del questionario precedente e, questa volta, è stata valutata l’ipotesi nulla nel confronto pre-post per ciascun item, mediante l’analisi della varianza ed il calcolo dell’F di Snedecor. Di seguito vengono riportate, per ciascun gruppo di items, solo i confronti in cui l’ipotesi nulla è stata trovata non vera, in altre parole, quelle affermazioni il cui grado di accordo/disaccordo si è modificato in maniera statisticamente significativa. Osservazioni ed interpretazioni. Nonostante l’aumento delle medie per tutti gli items di questo gruppo, l’unica variazione statisticamente significativa (p>0.01) ha riguardato la terza affermazione, relativa alla fattualità oggettiva delle osservazioni:
172
Per confronto, si veda come poco si sia modificata l’opinione relativa alla prima affermazione che, peraltro, si era mostrata già molto “consapevole” nella prima somministrazione del questionario:
173
Natura delle teorie scientifiche. Anche in questo caso la natura informed data nelle risposte al questionario pre-esperienza ha prodotto il verificarsi dell’ipotesi nulla: non ci sono differenze statisticamente significative nelle variazioni delle medie degli items di questo gruppo. Influenze culturali e sociali. Una maggior consapevolezza delle influenze sociali e culturali sulla impresa scientifica si può rilevare nelle risposte post esperienza. In particolare, abbiamo rilevato una differenza significativa (p>0,01) nel grado di accordo sull’affermazione di quanto i valori culturali influenzino la ricerca scientifica e la sua accettazione da parte della comunità:
In questo caso, le risposte aperte hanno confermato la aumentata sensibilità verso questo modo di guardare la scienza con particolare riguardo alla questione razziale e della scienza al femminile: (Domanda: Adducendo esempi spiegate come secondo voi la società e la cultura influenzano o no la scienza) L’influenza stretta è dimostrata nel caso della teoria dell’evoluzione e nazifascismo… Le diverse teorie sull’evoluzione delle specie… Le donne scienziate non hanno avuto vita facile fino ai primi decenni del Novecento (Marie Curie). 174
Immaginazione e creatività. La modificazione significativa (p>0,01) in questo gruppo ha riguardato una maggiore criticità espressa dagli insegnanti in relazione all’uso dell’immaginazione e creatività “anche” nella fase di raccolta dei dati:
Interessante la motivazione che questo insegnante rende nella risposta aperta a conferma di questo gruppo: Nella storia della matematica i progressi migliori si sono avuti proprio grazie alla creatività e all’immaginazione. Oltre alla genialità di Archimede, pensiamo a Talete e la misurazione dell’altezza delle piramidi: cosa se non l’immaginazione poteva portare il matematico a cogliere una sfida del genere? Oppure cosa se non la creatività e la fantasia poteva spingere Georg Cantor a pensare, ma poi anche a dimostrare, che di infiniti ce ne sono infiniti, di livello sempre crescente? Il Metodo scientifico. Dove l’esperienza didattica con la storia della scienza, l’incontro con l’epistemologia e la riflessione sugli studi di caso 175
mostranti la densità della descrizione – per usare l’espressione di Y. Elkana – hanno prodotto le modificazioni più ampie nelle opinioni degli insegnanti sulla NoS è stato il gruppo di affermazioni riguardanti il metodo scientifico. Qui, si ricorderà, gli intervistati avevano manifestato una certa rigidità nel prendere in considerazione che non ci fosse un unico metodo scientifico codificato. L’intero gruppo di items in questo caso ha mostrato una modificazione statisticamente significativa: Gruppi
Dimensione del campione
Somma
Media
Varianza
PRE
104
394
3,78846
2,32375
POST
104
505
4,85577
1,73628
Fonte della Variazione
SS
df
MS
F
Livello p
F crit
Tra gruppi
59,23558
1
59,23558
29,1799
0,00018
6,75951
Entro gruppi
418,18269
206
2,03001
Totale
477,41827
207
ANOVA
In particolare, ecco i grafici delle tre affermazioni che hanno mostrato il maggior grado di variazione:
176
Tuttavia, anche in questa tornata, le risposte aperte testimoniano tutta la “sofferenza” che gli intervistati provano nell’ammettere eccezioni al “Metodo”: Il metodo scientifico è quello che prevede l’osservazione di un fenomeno, la formulazione di un’ipotesi, la creazione di un modello per verificare la congettura ipotizzata e la conseguente formulazione di una teoria. Ciò non significa che tale teoria racchiude tutta e sola la verità; solo perché si è utilizzato un metodo scientifico non significa che le conclusioni a cui si è giunti esauriscano tutta la verità cercata; spesso le conclusioni 177
tratte sono solo parziali o influenzate da quello che è stato il punto di vista di partenza di chi ha condotto le osservazioni su un fenomeno… Senza il metodo scientifico non si potrebbero scoprire leggi scientifiche degne di questo nome. Però le idee poste alla base di una supposizione (da verificare) sono frutto di percorsi diversi. Per ciò che concerne i gruppi di affermazioni relative alla narrazione ed all’efficacia didattica della storia della scienza, riportiamo le considerazioni relative alle sole variazioni significative.
178
Una nuova e più consapevole idea della narrazione è stata conseguenza della partecipazione all’esperimento: il concetto che nella narrazione la scelta degli elementi narratologici ha lo scopo di dimostrare una tesi definita ha preso il posto dell’idea della narrazione come esposizione fedele dei fatti. Conseguentemente, la narrazione di un episodio storico scientifico assume valore di apologo teso ad illustrare un concetto:
Infine, rimanendo confermata l’idea dell’efficacia della storia della scienza nella didattica delle discipline scientifiche, è stata corretta l’idea che essa abbia solo un valore “introduttivo” alla lezione di scienze. Certamente la storia della scienza è fonte di senso per lo studio della scienza, intanto perché conoscendo come storicamente le teorie sono nate, si sono evolute, come a volte sono state soppiantate da altre completamente opposte, insegna a non assolutizzare la scienza come strumento di indagine della realtà. Inoltre insegna a non identificare la scienza con la verità, ma come un possibile e parziale aspetto di essa.
179
5. Considerazioni conclusive Gli aspetti relativi alla percezione soggettiva dell’efficacia di questo tipo di esperienza, vista come strumento di aggiornamento personale, non sono stati oggetto di questo questionario, anche se nella nostra ricerca anche questo è stato preso in considerazione (Posnanski 2002). Gli scopi principali dell’indagine discussa in questo paragrafo riguardavano invece la rilevazione delle concezioni di partenza degli insegnanti riguardo la Nature of Science, l’approccio narrativo e l’atteggiamento nei confronti di un approccio storico-epistemologico alle discipline scientifiche, nonché l’evidenziazione – ove presente – di significative modifiche a questi convincimenti di base prodotte dall’esperienza de “Il racconto della scienza – Digital storytelling in classe”. Il dettaglio esposto nelle pagine precedenti conduce alle seguenti considerazioni finali: a. L’immagine della scienza degli insegnanti che hanno partecipato alla nostra ricerca è, di base, abbastanza consapevole della non-linearità dell’impresa scientifica e della necessità di integrare lo studio dei contenuti con inserti multidisciplinari che illustrino le reciproche influenze tra scienza e società. Tuttavia, permane uno “zoccolo duro” di convincimento di fondo riguardo l’idea che la scienza costituisce una forma di conoscenza “a parte” con un suo metodo e che è in grado di fornire risultati solidi e “veri”. b. Anche se convinti dell’efficacia dell’approccio narrativo, la maggior parte degli insegnanti non ha un’idea corretta delle caratteristiche strutturali e dell’efficacia didattica della narrazione. c. La storia (e la filosofia) della scienza sono considerate “importanti” nello studio delle discipline dagli insegnanti ma l’impressione di noi ricercatori è che, in fondo, ottenuto l’entusiasmo degli studenti con questo tipo di approccio, si debba poi passare a spiegare “le cose serie”. In altre parole, non si vede ancora la disponibilità ad abbandonare la strada maestra dei “contenuti” disciplinari in favore dello studio delle “modalità” del sapere scientifico. La sperimentazione condotta in classe con le modalità descritte ha modificato alcuni atteggiamenti in una maggioranza significativa degli insegnanti partecipanti alla ricerca: in particolare, la natura provvisoria delle conoscenze scientifiche, il legame stretto con le condizioni storiche e sociali in cui si producono, la relazione con processi mentali non esclusivamente codificati secondo il “metodo galileiano” hanno condotto molti insegnanti a rovesciare le priorità indicate da Ryde e Leach in uno studio 180
del 2008. In questo studio, un’analisi delle “lezioni” dedicate dagli insegnanti di scienze agli aspetti epistemologici disciplinari ha mostrato come l’approccio più frequente sia quello di proporre enunciati di epistemologia e illustrarli con esempi storico-scientifici. Nel nostro caso, il lavoro fatto con gli studenti ha seguito un percorso rovesciato: stabiliti gli obiettivi di apprendimento, gli insegnanti hanno lavorato insieme con la classe alla produzione multimediale di studi di caso storico-scientifici e, quindi, le idee sulla NoS dagli studenti e dei docenti si sono dovute confrontare con quanto emergeva dalla narrazione condivisa, producendo in conclusione convincimenti più complessi e “informati” sulla scienza e sui suoi modi di procedere. d. La dimensione non numericamente robusta del campione insieme ai risultati positivi ottenuti ci consentono di auspicare l’eventualità di ripetere questo tipo di sperimentazione su un campione più ampio e strutturando in maniera più completa la fase preliminare di aggiornamento degli insegnanti partecipanti.
181
Appendice Rubric for scoring SUSSI open responses developed from Liang et al. (2009) Question
Not classifiable
Naïve view
Transitional view
Informed view
1. With examples, explain why you think scientists’ observations and interpretations are the same OR different.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
Scientists’ observations AND/OR interpretations are the same because scientists are objective. OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientists’ observations OR interpretations may be different because of their prior knowledge, personal perspective, or beliefs. OR the observations AND/OR interpretations may be different, but failed to provide reasons for justification.
Scientists’ observations AND interpretations may be different because of their prior knowledge or perspectives in current science.
2. With examples, explain why you think scientific theories do not change OR how (in what way) scientific theories change.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
Scientific theories do not change over time if they are based on accurate experiments or facts. OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientific theories may be changed when experimental techniques improve, or new evidence is produced.
Scientific theories may also be changed when existing evidence is reinterpreted.
182
Question
Not classifiable
Naïve view
Transitional view
Informed view
3. With examples, explain the nature of and difference between theories and scientific laws.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
Scientific laws are more certain than theories, or theories become laws when they are proven. OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientists FIND theories or laws in nature. OR the student provides valid example(s) of scientific laws and theories without further elaboration.
Scientific theories are wellsubstantiated explanations of natural phenomena or scientific laws. AND both scientific laws and theories are subject to change.
4. With examples, explain how society and culture affect OR do not affect scientific research.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
Science is a search for universal truth and fact which is not affected by culture and society OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientists are informed by their culture and society. Culture determines what OR how science is conducted, or accepted. OR the student simply states that science is influenced by cultural and society without further elaboration.
Scientists are informed by their culture and society. Culture determines what AND how science is conducted, or accepted.
183
Question
Not classifiable
Naïve view
5. With examples, explain why scientists do not use imagination and creativity OR how and when they use imagination and creativity.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
Scientists do not use imagination or creativity because imagination and/or creativity are in conflict with objectivity. OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientists use their imagination or creativity in SOME phases of their work, notably in designing experiments or problem solving.
Scientists use their imagination or creativity throughout their scientific investigations.
6. With examples, explain whether scientists follow a single, universal scientific method OR use different types of methods.
There is no response; they state that they do not know; the response does not address the prompt; OR the response cannot be classified based on the rubric descriptions.
There is a single, universal, or step-by-step scientific method that should be used. OR the response includes misconceptions concerning the nature of science or selfcontradicting statements.
Scientists may use different methods, but their results must be confirmed by the scientific method or experiments. OR student states that scientists use different methods without providing any justification or examples.
There is no single, universal step-by-step scientific method that all scientists follow. Scientists use a variety of valid methods (e.g., observation, mathematical deduction, speculation, library investigation, and experimentation).
184
Transitional view
Informed view
Capitolo 4
Raccontare la scienza a scuola: il digital storytelling a contenuto storico-scientifico nella percezione dei ragazzi FRANCESCA MORGESE
Introduzione Il digital storytelling è stato inteso in questo progetto come un ambiente di apprendimento nelle mani degli insegnanti e degli studenti: la valutazione della sua efficacia non può essere completa senza l’analisi di come questo strumento sia stato percepito e vissuto dai ragazzi stessi, i veri protagonisti di questa avventura. Al termine delle attività di produzione del digital storytelling è stato, quindi, distribuito nelle classi partecipanti un Questionario finale di valutazione (Allegato D), costituito esclusivamente da domande aperte1 finalizzate ad indagare la percezione che i ragazzi hanno avuto dei seguenti campi: del grado di appealing delle materie di studio nella quotidiana vita scolastica (domande 2; 3), dell’eventuale scarto tra la produzione di un digital storytelling ed il modo abituale di apprendere (domande 4; 11), dell’interdisciplinarità nell’apprendimento della scienza (domanda 5), dell’approccio storico-critico nell’apprendimento della scienza (domande 8; 9; 10), delle eventuali variazioni nell’idea della scienza in seguito all’esperienza vissuta nel progetto (domanda 15), del rapporto tra scienza e narrazione (domande 12; 13), del proprio ruolo nella produzione (domanda 6) e del rapporto con il gruppo di lavoro (domanda 14), dell’attività più appassionante nel processo di produzione del digital storytelling (domanda 7). Il campione di studenti cui è stato somministrato il questionario è pari a 289 studenti, dei quali 185 della Secondaria di I grado e 104 della Secondaria di II grado2. 1 2
Una domanda sui dati anagrafici (Domanda 1) e 14 domande aperte. Per i dettagli del campione cfr. Tabelle n. 1 e 2.
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La scelta, operata nel progetto, di somministrare ai ragazzi un questionario esclusivamente ex post è stata determinata dall’intento di valutare esclusivamente, lo ribadiamo, la percezione che i ragazzi hanno costruito dell’esperienza vissuta e del digital storytelling a contenuto storico-scientifico come strumento didattico per le discipline scientifiche. Analizziamo di seguito le risultanze del questionario suddividendole nei campi sopra elencati. 1. L’appeal delle materie nella quotidiana vita scolastica In questa sezione si analizza il grado di appealing nella quotidiana vita scolastica delle materie coinvolte nella produzione dei digital storytelling per il concorso3. 1.1.
La storia è una “cerniera”…
Nella Secondaria di I grado la materia più amata dagli studenti sembra essere la Storia, disciplina che riceve le preferenze maggiori ed anche i giudizi più dettagliati. Innanzitutto, se ne percepisce l’importanza in quanto essa colloca personaggi ed eventi nel tempo. La si ama per la sua natura profondamente umanistica perché “è un continuo vissuto di esperienze”, perché tratta di storie “di uomini vissuti”, perché indaga le diverse società e la relazione tra l’uomo e il suo ambiente. La si ama, poi, per la sua natura fortemente esplicativa: perché “aiuta a comprendere il modo in cui è avvenuto un determinato avvenimento” ed anche perché “spiega qualcosa dall’inizio fino alla sua fine”, perché “affascina sapere le cause e gli effetti delle vicende”, perché “fa capire gli avvenimenti del passato che ci hanno portato sino ai nostri giorni”, benché non piaccia uno studio troppo concentrato sugli eventi del passato, percepiti lontani da sé. Nelle parole di uno studente: “la storia è quasi una cerniera che abbraccia la maggior parte delle materie, ad esempio possiamo trovare la storia della scienza, la storia della mate3
3 e 4.
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Per un quadro completo delle materie coinvolte nelle classi campione cfr. Tabelle n.
matica, la storia dell’arte, la storia della musica. A me personalmente piace sapere ciò che pensava prima la gente su cose che oggi per noi sembrano scontate, come per esempio l’alternarsi del giorno e della notte”.
Da più voci, infatti, risulta stimolante il confronto tra passato e presente che la storia permette di istituire. La geografia, come la storia, è amata perché aiuta a collocare gli eventi, favorisce l’orientamento ed aiuta a conoscere le culture degli altri popoli. In seconda battuta, una materia molto amata è la Scienza: anche di essa gli studenti percepiscono in modo chiaro la natura fortemente esplicativa, in quanto fa capire il significato dei fenomeni naturali, fa conoscere il corpo umano, risponde ai “perché che noi ci poniamo” ma aiuta anche a “porsi le domande”. La scienza piace per la sua natura pratica ed operativa: qui sono gli esperimenti ad appassionare gli studenti assieme alla possibilità di conoscere gli strumenti scientifici. Ciò che cattura e coinvolge è anche la comprensione dello sviluppo della società attraverso scoperte ed invenzioni e la comprensione del “modo in cui gli scienziati scoprono le cose”. L’Italiano è percepito utile poiché permette di arricchire i vocaboli e approfondire la competenza linguistica: gli studenti sembrano molto sensibili al “parlare in modo corretto” ed a tutto ciò che aiuta l’espressione e la comunicazione, benché sia percepito come poco appassionante un approccio prevalentemente testuale scritto e grammaticale. Ciò che risulta più appassionante è la lettura di storie e di narrazioni perché “anche se sono false […] spiegano il mondo” e perché fanno conoscere “il pensiero degli scrittori antichi e moderni”. La percezione positiva della Matematica è legata alla soddisfazione che gli studenti provano nel “fare i calcoli”, ma per questa materia prevale la percezione di utilità in quanto “potrà servire quando faremo grandi” (sic!). La Tecnologia è appassionante negli aspetti legati alla produzione e la realizzazione di oggetti concreti e nella comprensione di fenomeni e problemi vicini all’esperienza ed alla vita mentre la Musica piace molto perché “suscita emozioni e sensazioni” coinvolgendo “la parte più intima di me”. 1.2.
La scienza spiega i fenomeni che mi circondano
Nella Secondaria di II grado l’ambito disciplinare maggiormente apprezzato sembra essere quello scientifico. La Scienza è apprezzata sia nel 187
Liceo scientifico che nel Liceo classico, specie per il contributo di scoperta e innovazione ed anche per la rilevanza delle applicazioni pratiche alla vita quotidiana. Emerge fortemente, infatti, da più voci, questo interesse per “realtà concrete”, per il “riscontro pratico”, per la “spiegazione di fenomeni che mi circondano” che gli studenti percepiscono essere l’apporto specie di alcune discipline come Scienze della Terra, Chimica e, anche se in misura minore, Fisica. Inoltre, della scienza è apprezzato il potere esplicativo, di risposta a importanti domande della vita. Ugualmente apprezzata è l’Informatica, per l’utilità ed importanza nella vita quotidiana, perché “con il computer noi adolescenti siamo sempre in contatto” e perché “grazie ai computer al giorno d’oggi possiamo fare tutto”. Se ne apprezza, dunque, soprattutto la contemporaneità ed anche l’utilità nei futuri risvolti professionali. La Matematica è apprezzata per il contributo che essa dà allo sviluppo del ragionamento ed alle abilità argomentative, perché “ti insegna a riflettere” e per l’utilità percepita per il futuro lavoro: c’è la consapevolezza nei ragazzi di quanto essa sia utilizzata nelle odierne attività produttive e lavorative. La Filosofia è ritenuta importante perché dà significato all’agire dell’uomo nel mondo ed è apprezzata proprio per questo suo essere percepita come “non fine a se stessa”, mentre la Storia è apprezzata meno e specie per il contributo che dà alla conoscenza in particolar modo di “eventi passati”, ma è prevalentemente percepita come una materia “inutile” e priva di impieghi nella vita quotidiana. Nell’Istituto Alberghiero prevale l’interesse per le materie pratiche come Scienza dell’alimentazione, Gestione dell’azienda ristorativa e Pratica operativa di cucina, in quanto se ne percepisce l’importanza e la praticità, l’utilità. Tuttavia, qui la Storia è particolarmente apprezzata sia nella sua valenza di comprensione delle relazioni di causa-effetto degli eventi sia, nello specifico, come storia dell’alimentazione, di come gli alimenti nascono, si evolvono e sono stati commercializzati nel tempo. In generale, le materie studiate a scuola ricevono una valutazione positiva da parte degli studenti, che riescono ad appassionarsi e a studiarle con interesse. Tuttavia, la critica al nozionismo è sempre in agguato. Ci sembra importante, in proposito, riportare le seguenti valutazioni, rispettivamente di uno studente di Liceo scientifico e di uno dell’Istituto Alberghiero:
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“Nella mia quotidiana vita scolastica non trovo lo studio di queste materie4 particolarmente interessanti a parte alcuni argomenti di Geografia astronomica. Questo perché a scuola si imparano solo delle nozioni senza riuscire ad entrare nel vivo dell’argomento. Inoltre, gli stessi libri che utilizziamo per lo studio non ci aiutano da questo punto di vista”; “La Matematica […] non mi piace per niente perché secondo me, ad eccezione delle quattro operazioni di base, delle percentuali, delle proporzioni e di qualche altra nozione, insegna un sacco di cose che non riscontrano utilità nella nostra vita”.
Rispetto al latente nozionismo che gli studenti percepiscono nell’approccio scolastico alla conoscenza, il progetto “Il racconto della scienza” riceve alcune valutazioni positive già in questa sezione del questionario, che si occupava tuttavia di indagare la percezione che gli studenti hanno dell’apprendimento delle varie materie nella quotidiana vita scolastica. Riportiamo alcune valutazioni particolarmente pregnanti sullo storytelling: “Il lavoro sul digital storytelling ci ha permesso di articolare meglio il contenuto delle materie attraverso la rappresentazione visiva oltre che teorica. Il prodotto audiovisivo ha reso meno monotona la storia. Anche la ricerca in italiano è stata sviluppata in modo più coinvolgente perché la raccolta dei dati e delle notizie si è trasformata in un prodotto discorsivo e completo. La scelta e l’inserimento dei brani musicali aiutavano a comunicare meglio”; “Nella quotidiana vita scolastica trovo la matematica coinvolgente; tuttavia lo storytelling mi ha permesso di conoscere un nuovo ambito della matematica che mi ha appassionato di più di una normale lezione”; “Mi è piaciuto realizzare il digital storytelling perché […] soprattutto ci ha stimolati a lavorare materialmente”.
E sulla valenza esplicativa ed interdisciplinare della storia della scienza: “La storia della scienza è coinvolgente perché aiuta a completare il concetto di scienza”; “La storia fa capire appieno ogni aspetto delle scienze”; “Questo progetto ci ha dimostrato che c’è un nesso che collega tutte le materie”; “Nonostante io non brilli in questa materia [algebra, n.d.r.], credo 4
Precedentemente indicate: Filosofia, Geografia astronomica, Storia, Scienze della Terra, Fisica.
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che da un certo punto di vista possa apparire affascinante, quasi simile alla filosofia, cosa che ho capito anche grazie a questo progetto”.
2. Le caratteristiche del digital storytelling a contenuto storico-scientifico nella percezione degli studenti Le valutazioni precedenti esprimono già alcune qualità percepite nella metodologia del digital storytelling. Vediamo che cosa hanno risposto gli studenti della Secondaria di I grado alla domanda che chiedeva loro di valutare esplicitamente se e in che cosa il progetto “Il racconto della scienza” avesse fatto sperimentare un modo nuovo di studiare queste materie. 2.1.
Approfondire e sperimentare
Emerge da più voci che per realizzare il progetto è stato necessario “studiare molto di più ma in modo più approfondito e con più interesse”. La ricorrenza del tema dell’approfondimento, dell’insistenza sui dettagli, della completezza, come una delle novità del progetto, come un atteggiamento al quale i ragazzi non sembrano essere abituati, è davvero notevole. Una novità percepita è stata anche il “coinvolgimento di più materie” ma “senza collegamenti forzati”. Notevole anche la ricorrenza del tema della sperimentazione personale, dell’approccio pratico che si allontana da un approccio puramente “teorico”: “[…] abbiamo applicato le conoscenze nella realizzazione del video, quindi abbiamo rappresentato visivamente ciò che abbiamo studiato”. I progetti che hanno visto anche una realizzazione di manufatti concreti, che poi sono stati inseriti nella narrazione digitale, hanno costituito una novità per gli studenti perché “oltre ad interessarci teoricamente all’argomento ci siamo impegnati a realizzare con le nostre capacità i palloni aerostatici” e “non abbiamo fatto la solita lezione orale ma abbiamo avuto la possibilità di sperimentare personalmente”. Ad esempio, risulta diverso il modo di studiare tecnologia perché “abbiamo costruito concretamente qualcosa e non solo attraverso disegni e progetti”. Estremamente esplicativa la seguente valutazione:
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“Nel progetto realizzato ho sperimentato un nuovo metodo di studiare le seguenti materie: matematica, tecnologia, storia e geografia, perché generalmente con i miei professori affrontiamo l’argomento leggendolo e memorizzandolo. Per quanto riguarda scienze, invece, il metodo è stato molto simile a quello utilizzato nel progetto, ovvero svolgendo ricerche via Internet e attraverso la lettura di libri, mettendo poi insieme i dati appresi e memorizzandoli”.
In molti affermano di aver imparato ad usare meglio il computer per fare le ricerche, ad esempio: “Il progetto mi ha permesso di lavorare con il computer e così ho imparato tante cose nuove: ho usato Internet navigando a caccia di informazioni sull’argomento, ho dovuto selezionare i siti che erano più adatti alla mia ricerca e contenevano le notizie più valide e sicure”.
Collegato a questo anche il tema delle diverse fonti della conoscenza, che non sono state esclusivamente il manuale: “[…] abbiamo studiato non più attraverso i libri ma da soli, perché siamo andati in museo, abbiamo letto e fotografato documenti e luoghi e poi abbiamo elaborato queste cose con l’uso del computer” e “non come sempre con la testa sui libri” o “non solo sui libri di scuola”; “[…] attraverso la ricerca mi sono allontanato dal libro di scuola e ho approfondito altri aspetti”. I ragazzi ne traggono la seguente conclusione: “Per me è stato molto interessante studiare in questo modo ma forse anche molto più semplice ed appassionante. Inoltre, ci ha reso protagonisti dell’apprendimento e suscitato molta curiosità e stupore”; “è stato più divertente perché di solito si spiega, si scrive, si studia…mentre così è decisamente più interessante perché si entra più nel vivo delle attività”.
È stato percepito come novità anche l’essersi soffermati su un preciso case study: “Con questo progetto ci sono delle materie che ho studiato in modo diverso […] in quanto si è applicato alla teoria un caso concreto”; “[…] anziché imparare non avendo esempi concreti abbiamo fatto ricerche e visitato luoghi in città […] questo progetto ha particolarizzato il nostro modo di studiare”. 191
2.2.
Collaborare per creare
Importante anche la rilevanza percepita dello studiare insieme diverso da un approccio puramente testuale, scritto ed individuale: “[…] abbiamo passato più tempo socializzando su questo argomento al posto di stare solo a scrivere”; “non ero abituato a confrontare le mie idee con quelle degli altri miei compagni […] scambiando idee e consigli utili per svolgere ogni compito che ci veniva assegnato”, “abbiamo collaborato tutti in attività che danno modo anche di far uscire la nostra creatività”. Il tema della creatività, del creare, seguito dal sistemare la conoscenza è molto frequente nelle risposte degli studenti. Poi, due espliciti elogi della storia della scienza: “Un modo diverso di studiare la scienza è quello di studiarne anche la storia. Questa la rende molto più chiara, comprensibile, aiuta a capirla meglio. Sono sicura che userò ancora questo metodo nella mia vita scolastica essendosi rivelato funzionale, efficiente e davvero molto utile”
e: “questo metodo storico mi è piaciuto e secondo il mio parere dovrebbe essere usato più spesso nella metodologia scolastica”. Si scopre anche qualcosa di nuovo sulla scienza, ossia “il perché e da dove è venuta fuori la scienza e le persone che l’hanno usata”. La seguente valutazione è molto interessante poiché pone il problema della metodologia delle ricerche che gli studenti sono chiamati a svolgere per raccogliere il materiale da inserire nella narrazione digitale e della coerenza e pertinenza delle informazioni da ricercare: “Lavorare su questo progetto è stato meno difficile rispetto al lavoro quotidiano perché per il progetto abbiamo prima fatto un quadro generale e poi abbiamo ampliato le nostre conoscenze sapendo così ciò che io dovevo cercare e conoscere, mentre facendo il quadro generale dopo, molte informazioni vanno perse”.
2.3.
Creare collegamenti tra le materie
Nella Secondaria di II grado uno dei più citati elementi di novità apportati dal progetto è l’interdisciplinarità, la ricerca di collegamenti tra le materie differenti: 192
“Dal punto di vista scolastico sono abituato a studiare queste materie in modo del tutto indipendente, senza stare a ricercare le eventuali possibili interazioni tra di esse […] In questa occasione invece ho avuto la possibilità di approcciarmi allo studio in maniera differente, innanzitutto ricercando punti di incontro tra le materie e soprattutto attraverso la possibilità di realizzare un documentario digitale per esplicare al meglio l’obiettivo della ricerca”; “difficilmente si tratta un argomento in simultanea con le altre materie […]. Con questo progetto l’attenzione, incentrata su un argomento, ha fatto sì che tutti i concetti in ogni singola materia fossero fissati in maniera perfetta”.
L’approccio interdisciplinare ha fatto percepire lo studio di più materie “come fossero una sola” e, nell’opinione degli studenti, “risulta più produttivo e permette di farsi una cultura a 360°”. Tale approccio in certi casi è stati percepito anche come una preziosa esercitazione “per indirizzarci e farci capire come costruire il percorso per gli Esami di Stato”. Ritorna, poi, insistentemente il tema dell’approfondimento maggiore, reso possibile dall’aver lavorato su un preciso argomento in modo dettagliato e da differenti punti di vista: “nella vita scolastica non ho molte opportunità di poter studiare e capire più a fondo alcuni particolari in merito ad alcuni argomenti ma diramati nelle varie materie”. 2.4.
Usare fonti e strumenti differenti dal manuale
L’aver sperimentato uno studio slegato dal manuale di studio ha permesso ai ragazzi di mettersi alla prova in prima persona con ricerche e fonti di conoscenza alternative, non solitamente utilizzate nelle attività didattiche scolastiche, ed anche con strumenti non sempre usati a scuola, come il computer. Questo ha prodotto “uno studio più costruttivo, più appassionante che è rimasto maggiormente impresso nella mente”, “[…] perché l’abbiamo fatto noi ed è stato tutto più facile da capire”, “noi siamo stati i protagonisti della lezione”. Molto frequente nella Secondaria di II grado l’insistenza sulla novità espressa dall’uso delle tecnologie digitali, che fa la differenza rispetto alla “solita lezione tra professore e classe” e che, permettendo di rappresentare le informazioni attraverso le immagini ed il video, rende lo studio più creativo. Ricorre anche la riflessione sulla vicinanza della metodologia multi193
mediale ed audiovisiva utilizzata ai propri gusti e passioni personali: l’uso del computer piace perché è sentito vicino alle proprie attività, così come importante è il ruolo della costruzione della colonna sonora dei video che è stata vissuta in condivisione tra coetanei: “Questo progetto mi ha permesso di fondere le mie conoscenze didattiche con la mia passione, la musica, stimolando le mie capacità creative assieme al mio compagno di banco. Questo metodo di studio secondo me aiuta molto lo studente perché fornisce la possibilità di applicare in maniera pratica gli studi effettuati in maniera teorica”.
Ricorre spesso il tema dello stupore per la scoperta dell’umanità degli scienziati, della loro vita e del loro percorso esistenziale, che insegna a “non odiarli” e produce una più profonda comprensione del tema ed una maggiore stima verso le materie stesse: “Il progetto ha contribuito a migliorare la mia opinione della matematica: ho compreso che non si tratta solo di numeri privi di senso e di astruse relazioni ma che necessita anche di sensibilità e fantasia”.
In conclusione, secondo gli studenti “le lezioni dovrebbero essere sempre così, perché si imparano più cose senza che la lezione risulti pesante” ed “è stato talmente coinvolgente che tra i gruppi che stavano producendo il lavoro si è formata una concorrenza, o meglio la ‘corsa’ al lavoro migliore”. In sintesi, emergono alcuni elementi chiave che nell’opinione degli studenti caratterizzano il lavoro sul digital storytelling rispetto ad una lezione percepita come più “tradizionale”: il digital storytelling a contenuto storico-scientifico permette di fare collegamenti tra più materie, approfondire, sperimentare personalmente, lavorare in gruppo, non usare più esclusivamente il manuale, andare incontro alle proprie passioni personali.
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3. L’interdisciplinarità: costruire collegamenti tra più materie è stato così spontaneo da sembrare inevitabile 3.1.
L’unità del sapere è “naturale” e “proficua” per l’apprendimento
Analizziamo le valutazioni degli studenti della Secondaria di I grado citando innanzitutto la valutazione espressa da due studenti entrambi del secondo anno: “Penso che è stata una buona idea realizzare il nostro lavoro con più di una materia perché rende il lavoro più interessante, approfondito e ci ha fatto imparare molte cose. A me è sembrato un collegamento naturale perché è stato più semplice realizzare il lavoro e, senza questo collegamento, sarebbe stato più difficile e complesso. Mi ha sorpreso”; “Penso che nel nostro lavoro sono state coinvolte più materie perché è stato inevitabile esaminare l’argomento da più punti di vista. In questo caso penso che il collegamento sia assolutamente naturale. Ero a conoscenza che un argomento potesse essere trattato da più materie, ma non immaginavo che l’intreccio tra le varie informazioni potesse avvenire così spontaneamente tanto da essere indispensabile”.
Riportiamo anche un esempio concreto: “[…] la Storia ci ha fatto capire l’origine del pallone aerostatico, la Scienza ci ha dato la possibilità di sperimentarlo, la Tecnologia ci ha fatto capire come realizzare la struttura di un pallone, infine la Matematica ci ha permesso di fare i calcoli. Per me queste materie non sono state forzate”.
I ragazzi percepiscono prevalentemente l’interdisciplinarità realizzata nel progetto come naturale, non forzata, anzi le materie sono state necessarie nella realizzazione del progetto. La sensazione di naturalezza nasce, in alcuni, dalla constatazione che “questi collegamenti esistono in natura: non possiamo pensare ad un argomento di scienze senza fare riferimento alla storia”. I ragazzi, specie nel secondo e terzo anno, affermano di esservi abituati soprattutto nel rapporto tra alcune discipline: innanzitutto tra Geografia e Storia, meno frequentemente tra ambito umanistico e scientifico, benché questo dialogo tra le “due culture” sembri esistere in questo ciclo di scuola, anche se solo attraverso “una scheda di storia della scienza per ogni unità nel nostro libro”. 195
Il collegamento tra questi due ambiti è un’assoluta novità, invece, per alcuni degli studenti del primo anno della Secondaria di I grado che affermano di non averne fatta esperienza nel precedente ciclo scolastico: “Mi ha sorpreso perché prima abbiamo fatto soltanto collegamenti tra materie umanistiche ma mai materie umanistiche e scientifiche”, “ mi è piaciuto molto il rapporto tra scienze e storia del quale non ero minimamente a conoscenza”. Tale interdisciplinarità, nell’opinione dei ragazzi, “è proficua” poiché porta a “creare prodotti e progetti buoni”, “ad aprirci a nuovi orizzonti […] imparando molto di più”, “ci ha insegnato a studiare meglio sul piano dell’apprendimento e non della sola memoria”. La ricerca di tali collegamenti è, inoltre, un processo che si autoalimenta attraverso “la curiosità che ci ha spinto a ricercare in più materie le precise risposte ad ogni nostro quesito […] in passato esperienze di questo tipo erano da me vissute con lo studio appena sufficiente di alcune materie”. Tale interdisciplinarità non affatica, anzi “mi ha entusiasmato tanto, in primo luogo perché tra le varie materie c’era un filo conduttore che difficilmente riusciamo a trovare svolgendo i singoli argomenti”, “questo progetto ha reso tutto più semplice perché le materie con i collegamenti sembravano completarsi l’un l’altra. Per me è stato qualcosa di insolito e magnifico”, “soprattutto il rapporto tra scienza e storia è stato inevitabile, così naturale da sembrare un’unica materia”, “abbiamo studiato queste materie insieme e per me è stato come creare una nuova materia di apprendimento”. L’entusiasmo per l’esperienza fatta si spinge fino ad una sensazione di “felicità di vivere insieme diverse esperienze”. Una piccola percentuale di studenti confessa, invece, che “non è stato facile all’inizio, facevo una certa confusione, ma con il passare del tempo sono riuscito ad interpretare i rapporti tra queste materie” ed altri che, in modo critico, affermano che “però bisogna trovare gli argomenti che rendono possibili questi collegamenti”. 3.2.
Approfondire implica “creare” e “scoprire” collegamenti tra le materie
Nella Secondaria di II grado emerge fortemente una chiara consapevolezza degli studenti, ossia che i collegamenti tra le materie emergono spontaneamente quando si approfondisce un argomento: entrando nei dettagli 196
è inevitabile coinvolgere le materie nella loro totalità. Sono, infatti, “le ricerche effettuate che hanno permesso di individuare i punti di incontro”. Tale interdisciplinarità riceve un grande consenso perché “credo che grazie ai collegamenti tra più materie si può avere una visione completa di ciò che si sta studiando”. L’esperienza vissuta nel progetto “è stata stimolante e davvero sorprendente” specie nella scoperta delle relazioni tra materie scientifiche ed umanistiche che, per molti studenti, è avvenuta per la prima volta in maniera sistematica con questo progetto benché gli stessi affermino di avere comunque esperienza di questo approccio specie in occasione delle verifiche orali. Uno studente, infatti, afferma: “Il collegamento è assolutamente naturale perché la divisione in materie è fittizia, assurda, non serve a niente” ed un altro: “alla fine è ovvio che nessuna delle materie costituisce un’entità a sé stante”, “è qualcosa di molto utile e da riproporre più spesso, è necessario continuare a realizzare progetti interdisciplinari che coinvolgano materie che sono da sempre intrecciate tra loro”, infine “[…] questo collegamento mi è sembrato migliorare tutte le materie, ognuna ricevendo da un’altra qualcosa. Uno studio così attivo, completo, svolto in parallelo non può che giovare” perché “più materie saranno coinvolte e più il lavoro sarà completo e ricco”, “devo dire che credo sia uno dei modi migliori di apprendere”. La vera novità esperita nel progetto è, quindi, l’aver scoperto “[…] i molti modi in cui poter costruire i collegamenti”. 4. La storia della scienza: è “una specie di materia” che “dovrebbe essere studiata a scuola” Da più parti nelle affermazioni espresse dagli studenti ricorrono valutazioni sulla storia della scienza. Vediamo cosa hanno risposto i ragazzi alla domanda che chiedeva esplicitamente loro di esprimere quale idea si fossero fatti di questa disciplina e di quali argomenti essa si occupi. 4.1.
Gli scienziati nel tempo
Nella Secondaria di I grado le risposte possono essere catalogate in gruppi. Il gruppo più ampio di risposte è incentrato sui personaggi, sugli 197
scienziati: essa fa conoscere la vita degli scienziati, anche negli aspetti “minori e sconosciuti”, dove essi lavorano, cosa fanno, cosa studiano, “i tempi e i modi delle loro scoperte”; inoltre essa esplicita i tentativi fatti dagli scienziati per giungere alle loro teorie: “[…] per farci capire quanto gli scienziati abbiano dovuto provare e riprovare per ottenere i risultati previsti”. Inoltre, molto spesso nella percezione degli studenti gli scienziati di cui si occupa la storia della scienza sono “i più bravi”, “i più intelligenti”, “le persone famose della scienza”. Un secondo gruppo di risposte è incentrato sul concetto di spiegazione nel tempo: la storia della scienza “si occupa di storia per dare spiegazioni al mondo che ci circonda” ed ancora “essa ci permette di capire molti fenomeni che sono intorno a noi collocandoli nel tempo”, poi “si occupa di unire le informazioni storiche con quelle scientifiche per capirne le origini”. In questo gruppo possiamo annoverare anche le numerose risposte che si rifanno al concetto di evoluzione, di mutazione nel tempo della conoscenza scientifica e delle tecnologie per cui la storia della scienza è la storia di tale evoluzione, dello “sviluppo della scienza nei suoi cambiamenti”, “della nascita, della crescita e dello sviluppo fino ai nostri giorni”. È notevole che il termine “progresso” compaia solo in due risposte. In alcune risposte prevale la consapevolezza di una relazione equilibrata tra “scienza” e “storia”: “[…] come se fossero una il completamento dell’altra. Gli argomenti di cui si occupa possono essere vari, in diversi campi, storici e scientifici. Partecipando a questo progetto ho capito che la scienza può avere una storia ben precisa e la storia può definirsi tale se vengono inclusi fenomeni scientifici”.
In altre risposte la bilancia si sposta a favore della scienza e la disciplina si occupa di “[…] argomenti che appartengono alla scienza e che la storia fa capire meglio”, e “[…] serve per studiare la scienza coinvolgendo la storia: lo trovo un ottimo modo!”. In altre ancora il peso va maggiormente sulla storia: “[…] è la parte della storia che si occupa di scienza”, “[…] spiega attraverso la scienza i fatti storici”. Alcuni affermano di aver scoperto con questo progetto che “sapere di scienza significa anche conoscere la storia di ciò che è avvenuto”. Un terzo gruppo di risposte identifica la storia della scienza con “l’insieme delle scoperte scientifiche”, “[…] delle conoscenze esatte e ragionate”, che in una notevole percentuale di risposte sono le “scoperte di cui bene198
ficiamo ancora oggi”, “le scoperte fatte per il bene dell’umanità”, “grazie alle quali oggi possiamo usufruire di tante comodità”, che contengono una evidente idea di scienza buona, salvifica, utile e positiva. Tuttavia da più parti si insinuano nella definizione della disciplina anche altri elementi, più interdisciplinari: così essa diventa la “storia delle scoperte e delle situazioni politiche”, “le relazioni tra il lavoro degli scienziati e il contesto sociale”, “della scienza ed in che modo è stata accettata o rifiutata”, “è lo studio della scienza legata fortemente alle cause, agli eventi, ai contesti storici”, “si occupa del modo di vivere ai tempi in cui lo scienziato è vissuto”. Un piccolo gruppo di studenti identifica la disciplina con l’argomento specifico di cui il gruppo si è occupato nella realizzazione del digital storytelling. In alcune risposte la storia della scienza diventa “la scienza in forma di racconto”, “la narrazione delle scoperte scientifiche”. In questa sezione numerosi studenti affermano che la storia della scienza “è una specie di materia”, che “dovrebbe essere insegna a scuola”, con una proiezione nel futuro: “dovrebbe essere insegnata alle superiori” anche perché “può aiutare a rendere più interessanti le altre materie”. Stupisce l’aver scoperto interesse per argomenti “che prima credevo noiosi”. Infine, la storia della scienza “[…] è fenomenale!”. 4.2.
La costruzione storica della scienza
Nella percezione degli studenti della Secondaria di II grado la storia della scienza diventa qualcosa di più complesso e contestuale: per il gruppo più consistente di risposte essa si occupa, infatti, dello studio del contesto economico, sociale e culturale della scienza e della ricezione, accettazione o rifiuto delle teorie proposte dagli scienziati, quindi anche della mentalità diffusa all’epoca dell’affermazione delle teorie oggetto di attenzione e del rapporto degli scienziati con i contemporanei. Centrale nella percezione degli studenti è qui il concetto di controversia. La storia della scienza è quindi “ciò che c’è dietro” una teoria scientifica e “tutto ciò che ha influenzato gli scienziati nelle loro ricerche”, è “il retroscena della scienza che fa scoprire come gli scienziati sono arrivati a certe conclusioni”. Poi, la storia della scienza viene percepita come un ambito di conoscenze molto vasto e ricco, nel quale possono essere trattate “tantissime tematiche”. 199
Anche qui, come nella Secondaria di I grado, ricorre la percezione della disciplina come sviluppo nel tempo: essa è la “storia del processo di sviluppo della scienza” e “di come determinate teorie hanno avuto origine”, “la storia delle scoperte”; ricorrono, anche se non frequentemente, i concetti di progresso ed evoluzione. Ricorre poi la percezione della storia della scienza come uno strumento utile per “localizzare” le scoperte nel loro giusto periodo storico. Ed ancora come nella Secondaria di I grado ricorre la percezione della disciplina come incentrata sui personaggi, sugli scienziati, indagati “nei loro contesti quotidiani” e nella loro biografia nella quale importanti sono, nella percezione dei ragazzi, le difficoltà affrontate dagli scienziati, gli errori fatti, la fatica della ricerca scientifica. 5. La storia della scienza mi fa capire i motivi, il perché, da dove vengono gli argomenti che studiamo a scuola La valutazione della storia della scienza come strumento didattico nello studio delle discipline scientifiche, indagata nel questionario attraverso due domande, è generalmente molto positiva. 5.1.
L’intelligenza “genetica”
La storia della scienza è percepita in seguito al progetto come “un esempio concreto del fatto che, se si studiano le materie collocandole in un ambito storico, si riesce a studiare con più facilità” perché “così facendo lo studente può instaurare basi più solide e apprendere in maniera più facile ogni concetto”, quindi essa “aiuta molto la formazione dell’alunno” e “aiuta a migliorare le tecniche di studio”, è piacevole in quanto questo approccio è “meglio che studiare la scienza sui libri”. I vantaggi maggiormente percepiti nella Secondaria di I grado sono il maggiore coinvolgimento, la maggiore facilità nello studio, la maggiore comprensione degli argomenti, la maggiore chiarezza, lo sviluppo della memoria a lungo termine dei contenuti. Questi vantaggi derivano dalla possibilità di “osservare diversi punti di vista”, di “studiare i fenomeni scientifici nelle loro trasformazioni”, “da come è iniziato a come è finito”, di “capire più cose contemporaneamente”, 200
“di fare collegamenti”, di “capire con maggiore attenzione”, di “capire il funzionamento della scienza”, “fa notare le differenze nel tempo”. E soprattutto, ancora una volta, permette di approfondire: il concetto di approfondimento, di studio dettagliato che permette una maggiore comprensione è uno dei più frequenti nelle risposte, accanto alla constatazione che questo tipo di approccio riesce a far comprendere i motivi, l’origine degli argomenti scientifici studiati a scuola: “[…] l’approfondimento storico porterebbe vantaggi perché spesso noi ragazzi ci poniamo domande sulla provenienza degli argomenti che studiamo e non sempre i professori sono preparati a rispondere a queste domande”; “[…] perché lo studio storico ci fa capire che alcune scelte di metodo sono state condizionate dal momento storico in cui venivano effettuate ovvero da quelle che erano le conoscenze di quel tempo”; “[…] la storia aiuta tantissimo a capire l’argomento scientifico perché ci invita a capire il motivo che ha indotto gli studiosi a studiare determinati argomenti ed a realizzarli”; “[…] perché capendo la storia della scienza, degli scienziati, il luogo e la situazione politica di quel tempo si può capire meglio l’opera degli scienziati e cosa l’ha influenzata”; “[…] perché oltre a conoscere il periodo storico dello sviluppo dell’argomento scientifico si possono conoscere anche le fasi di questo sviluppo capendo così meglio ciò che ha portato alla risoluzione di un quesito scientifico”; “[…] perché ti fa capire il motivo dello sviluppo dei vari eventi scientifici”; “[…] si comprende perché sono avvenute certe scoperte”; “[…] perché si hanno più punti di riferimento”, “perché si fanno collegamenti interdisciplinari con i quali noi impariamo ad impostare un quadro completo delle nozioni di tutte le materie”; “[…] perché capiamo come sono state fatte le scoperte, quando, da chi, in che modo e credo che si fissano di più nella mente”.
Studiare la storia della scienza “[…] sarebbe molto utile anche in storia in quanto spesso impariamo le date delle scoperte scientifiche senza sapere con precisione in che cosa esse consistano”. I ragazzi ne avvertono vantaggi anche in termini di cultura generale e per il futuro, “per conoscere qualcosa in più in cultura generale così da utilizzare le nostre conoscenze in futuro o per altre produzioni simili a questa” e per “scoprire altre parti della scienza che non conosciamo”, per “arricchire il nostro linguaggio” e “poter parlare di scienza anche in altri ambiti”. 201
Infine un augurio per la futura carriera scolastica: “Spero che anche nella quotidiana vita scolastica la storia e la scienza siano considerati un’unica materia, magari chiamata stor-scienza” e “[…] la scuola dovrebbe essere più propensa a proporre approfondimenti per invogliare i ragazzi allo studio”. 5.2.
Il come, il perché, il chi, il quando, il dove…
Anche nella Secondaria di II grado i vantaggi percepiti in modo più consistente sono la maggiore facilità, la maggiore comprensione, il maggior interesse suscitato nelle materie scientifiche dall’approfondimento storico, oltre al vantaggio di acquisire la competenza nell’interdisciplinarità e nel creare collegamenti non forzati tra dimensione umanistica e scientifica, utile in sede di Esame di Stato. La generazione di collegamenti costituisce per i ragazzi anche un vantaggio di tipo culturale, in quanto essa “[…] dà spunti vari di studio”. Questi vantaggi derivano, nella percezione degli studenti, innanzitutto dallo scoprire il come, il perché, il quando ed il dove delle teorie scientifiche: “ripercorrere le fasi affrontate per arrivare ad una fase definitiva può aiutare la comprensione in quanto lo studente fa proprio il processo magari arrivando lui stesso a tali conclusioni”; risulta vantaggioso scoprire il “perché di certe scoperte e il motivo per cui si è lavorato in una certa direzione anziché in un’altra”; così come la scoperta “di certi particolari che nei manuali di scienze non vengono chiariti”.
Ancora una volta, dunque, uno degli elementi più frequenti nelle risposte dei ragazzi è il dettaglio, la comprensione particolareggiata dell’argomento che questo tipo di approccio consente: “[…] gli approfondimenti sono stati utili nella costruzione del lavoro”. Compare tuttavia un monito nell’uso del metodo storico, che può essere utile “[…] solo se veramente la storia della scienza punta alla comprensione delle teorie scientifiche, a capire in maniera più approfondita la materia scientifica”, non deve essere, cioè, curiosità né “cultura generale”. Questo approccio risponderebbe anche ad un’esigenza di maggiore coinvolgimento ed attivismo nello studio delle discipline scientifiche, potremmo dire 202
di un maggiore protagonismo: “Perché non si studia solo dal libro con il pensiero dell’autore ma con il nostro pensiero, con quello che noi abbiamo dedotto”. Altro motivo di maggiore comprensione sarebbe l’immedesimazione con lo scienziato oggetto di studio, la focalizzazione dell’argomento dal suo punto di vista che crea il vantaggio della comprensione dell’argomento “dal suo interno”. Questi elementi hanno portato, nell’esperienza degli studenti coinvolti, a “comprendere meglio cosa stessimo facendo” ed a studiare “in modo più felice e spontaneo”. Nell’ampio apprezzamento che la metodologia storico-critica riceve da parte degli studenti coinvolti, ci sembra interessante riportare le seguenti tre valutazioni scettiche: “Questo approfondimento storico porterebbe via troppo tempo non facendoci terminare il programma dell’anno”; “[…] aiuta a comprendere le difficoltà dell’affermazione di una certa teoria però non ha contribuito alla comprensione dell’argomento scientifico: non serve conoscere la storia per capire calcoli e leggi”; “[…] non è indispensabile per la comprensione dei calcoli”.
Si affaccia qui la questione di quale cultura scientifica la scuola debba promuovere: se debba essere esclusivamente volta all’esecuzione e comprensione di “calcoli e leggi” o intrecciata in modo consistente con la comprensione della Nature of Science. Nel secondo caso, la storia della scienza non è un aspetto secondario dell’istruzione scientifica, come le valutazioni dei nostri studenti mostrano ampiamente. 6. Ho scoperto che la scienza muta nel tempo, ha a che fare con la mia vita quotidiana, ha a che fare con le altre materie, che esistono gli scienziati e sono persone come noi 6.1.
La scienza è cultura!
Nella Secondaria di I grado il progetto ha portato, nella percezione degli studenti, un fondamentale cambiamento nell’idea di scienza, arricchendo quella che prima era esclusivamente una “materia teorica che spiega i fenomeni scientifici” di una nuova dimensione temporale: i fenomeni scientifici si evolvono nel tempo e la scienza permette di “capire” questa evoluzione. 203
Ad esempio, molti scoprono la scienza classica e questo permette loro di fare confronti con l’attualità. Essa inoltre passa da essere una materia “senza alcun riscontro pratico nella mia realtà” a diventare una disciplina che riesce a “spiegare anche piccoli fenomeni della vita quotidiana”. Alcuni dichiarano di aver scoperto che la scienza si può osservare da punti di vista differenti e che la storia della scienza ha fatto scoprire una disciplina “ricca di dettagli importanti” ed ha fatto assumere a questa disciplina “un colore più accentuato”, “è diventata più approfondita”. In alcuni la scienza si arricchisce di una dimensione contestuale e sociale: “Certamente con questo progetto ho conosciuto una parte della scienza che è stata per me una grande scoperta: fare un esperimento non significa soltanto avere un risultato, ma questo risultato bisogna poi elaborarlo e portarlo a conoscenza degli altri, quindi gli scienziati devono avere la grande capacità di esprimere e di far capire il proprio lavoro. Ho capito quindi che la scienza è anche intuito, ragionamento ed organizzazione”.
A questa nuova dimensione appartengono le risposte degli studenti che affermano di aver scoperto il ruolo della storia nella scienza e che “molte scoperte scientifiche sono state determinate da eventi storici”. La scoperta che la storia riguarda la scienza arricchisce anche l’idea di storia: “L’opinione che ho sulla storia è cambiata, infatti, prima la odiavo e non mi attraeva per niente e adesso invece mi interessa molto, perché ho capito che la storia non è solo quello che è accaduto prima di noi ma la storia è anche scienza”.
In alcuni è cambiata la comprensione della scienza: da materia difficile è diventata comprensibile e interessante, anche perché “non penso più che la scienza sia una materia di sole definizioni”, “[…] ora so che la scienza è conoscenza, cultura, sapere”. Essa smette, inoltre, di essere un insieme di fenomeni scontati e se ne apprezza la nuova complessità. Se ne scopre, inoltre, l’utilità non solo in ambito scientifico ma anche umanistico e letterario: questa nuova interdisciplinarità “[…] ti sa dare più spunti e input nel suo studio, indispensabile per il processo formativo”, “[…] mi piace di più la scienza umanistica”. La possibilità di partire da un argomento scientifico 204
e poter “[…] arrivare alla letteratura, all’arte, alla musica, alla cura del proprio corpo, alla tecnica, alla religione, allo studio del territorio” costituisce per molti una scoperta entusiasmante. In alcuni cambia l’idea di scienziato: ne scoprono l’umanità, la loro essenza di “persone come noi, io prima pensavo che non erano persone come noi”, “[…] prima pensavo che facevano parte solo della scienza e che noi non centravamo niente con loro”. Se ne apprezza il percorso esistenziale anche fatto di insuccessi e delusioni. Si scopre, inoltre, che “dietro la scienza dei libri esistono gli scienziati”, cioè “una persona ed il suo impegno per scoprire e spiegare i fenomeni” e che queste persone “[…] non facevano solo esperimenti ma scrivevano anche” e “studiavano ed elaboravano le loro teorie” e se ne apprezza “il contributo alla storia della civiltà”. Infine: “[…] questa esperienza è stata strepitosa e spero di rifarla anche l’anno prossimo!”. Un piccolo gruppo di studenti, invece, dichiara che la propria idea di scienza non è cambiata: essa resta legata ai tre concetti di sperimentazione, ipotesi, osservazione e rimane “il mondo che ci circonda, tutto quello che succede fuori, gli elementi naturali” e la “spiegazione dei fenomeni”. 6.2.
Gli scienziati sono persone come noi
Nella Secondaria di II grado generalmente gli studenti affermano di non aver mutato la propria idea di scienza in seguito al progetto; sottolineano, tuttavia, alcune scoperte alle quali sono andati comunque incontro. La scoperta maggiore riguarda l’aspetto della ricezione della scienza: ossia che le teorie hanno avuto un processo di affermazione e diffusione nel tempo e che l’accettazione di una teoria non è un evento scontato. Altra novità nella percezione degli studenti è la possibilità di “trattare la scienza dal punto di vista filosofico”: è un’opportunità, questa, che sembra avvicinare ed accattivare maggiormente i ragazzi alle materie scientifiche. Un terzo gruppo di studenti dichiara di essere rimasto sorpreso dalla vita degli scienziati: personaggi che prima sembravano “noiosi e depressi” sono diventati “interessanti e degni di attenzione” e sorprende scoprire che la ricerca scientifica è costellata anche di dubbi ed incertezze, “di lotte e delusioni”. Il progetto sembra aver reso, in definitiva, più concreta e vicina per alcuni ragazzi la figura degli scienziati, prima considerati “uomini inavvicinabili e perfetti”: “Ho capito che i grandi scienziati sono uomini 205
come noi […]. Dunque tutti siamo in grado di fare scienza”. “Ho capito che non sono solo persone capaci di applicare una formula e basta ma sono in grado di progettare e nel frattempo dedicarsi alla loro vita quotidiana”. Sorprende anche scoprire che la scienza “[…] non è qualcosa di estremamente razionale e pratico ma può sconfinare nella fantasia e nella creatività. E gli scienziati sono forse i più grandi sognatori della storia”. Anche qui una delle scoperte è quella della interdisciplinarità: sorprende il poter seguire il destino di un concetto o di una teoria scientifica anche attraverso materie mai prima coinvolte in un percorso del genere, prima tra tutte la storia. 7. Scienza e narrazione: “costruire un racconto è come comporre un puzzle in cui ogni singolo tassello viene sistemato al posto giusto” Il processo del costruire un racconto, dovendo scegliere cosa includere nella narrazione e cosa no, ha agevolato, nella percezione degli studenti, l’apprendimento dell’argomento scientifico? 7.1.
Il “filo logico”
Nella Secondaria di I grado generalmente sì, perché la costruzione della storia “ha permesso di apprendere l’argomento scientifico in tutti i suoi aspetti”. “Sì perché una cosa è leggere un argomento ed esporlo a voce, invece tutt’altra cosa è realizzare un progetto vivendolo con tutte le sue difficoltà ma con la gioia di essere riusciti a realizzare qualcosa che altri hanno realizzato tra mille difficoltà”; “[…] ricostruire la storia ha reso più facile trovare i collegamenti tra le varie materie rispetto a quanto sarebbe accaduto se avessi letto la storia da un libro di testo”; “Sì perché ho vissuto direttamente l’argomento”; “Sì, narrare qualcosa a qualcuno con l’obiettivo di raccontare come se chi ascolta non abbia conoscenze di ciò che diciamo aiuta a scegliere meglio le espressioni e a presentare un progetto in modo corretto ma semplice”.
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Nonostante l’impegno e la fatica del progetto, infatti, vengono individuati vantaggi precisi: “[…] la narrazione crea una struttura e questo aiuta a comprendere meglio il fenomeno scientifico”; “Non è stato semplice costruire un racconto e mettere in relazione la narrazione con la scienza. Questo però mi ha certamente aiutato a comprendere l’argomento del video, a scegliere di cosa parlare, il modo in cui raccontarlo, a renderci conto e comprendere meglio l’argomento, perché con la narrazione abbiamo messo in relazione i due ambiti. Questo metodo, diverso dal solito, ci aiuta a studiare meglio. Ci è utile, per il futuro, mettere in relazione più argomenti o materie. […] ha reso più semplice effettuare collegamenti tra le varie materie perché abbiamo compreso meglio la storia in contemporanea alla scienza”.
Che rapporto si è creato tra narrazione e scienza? “Secondo me si è creato un rapporto molto forte nel senso che la narrazione ha dato la possibilità non solo di ‘vedere’ l’argomento scientifico, ma di raccontarlo in tutti i suoi particolari”; “[…] il rapporto creatosi tra narrazione e scienza è stato naturale, bellissimo, chiaro e interessante. Di sicuro mi ha aiutato a comprendere meglio. Senza il rapporto tra narrazione, storia e scienza non avrei affatto capito l’argomento trattato nel nostro lavoro”; “[…] il rapporto tra narrazione e scienza crea legami che ci aiutano a comprendere meglio l’argomento scientifico”; “Il rapporto che ho riscontrato tra scienza e narrazione è stato diverso dal solito perché abbiamo affrontato argomenti che solitamente vengono trattati con termini puramente tecnici affiancando argomenti storici. Abbiamo dimostrato così che quando due mondi si incontrano possono suscitare grande curiosità ed interesse”.
Nelle parole degli studenti, la narrazione offre, dunque, una struttura, un percorso, una “logica naturale che collega i vari eventi e con cui tutto riesce più facile non solo da ricordare ma da capire”: “La scienza il più delle volte è difficoltosa da apprendere a causa delle specificità delle argomentazioni trattate e del linguaggio utilizzato. Invece, costruire un racconto è come comporre un puzzle in cui ogni singolo tassello viene sistemato al posto giusto. Analizzare e guardare ogni tassello e poi posizionarlo è ciò che abbiamo fatto nella costruzione del nostro racconto. 207
Le nostre conoscenze sono le tessere del puzzle e le nostre sensazioni la colla che tiene unite le tessere. Ci ha aiutato a recepire fino in fondo ciò che abbiamo studiato”.
7.2.
Il narrare agevola la “costruzione” e la “scoperta” di collegamenti
La costruzione della storia ha agevolato anche la creazione di collegamenti tra le diverse materie coinvolte perché questi collegamenti sono risultati “inevitabili dopo aver guardato l’argomento da differenti punti di vista” e “[…] perché avevamo già un percorso”, “[…] perché le materie sembravano completarsi l’una con l’altra”, “perché tutto aveva un filo logico” e questo ha agevolato l’apprendimento perché lo ha reso fondamentalmente più comprensibile. I ragazzi ne traggono una percezione di maggiore chiarezza, trasparenza, semplicità di cui strumento essenziale risulta essere la storia: “[…] senza l’uso della storia sarebbe stato impossibile collegare le varie ricerche” e “[…] senza la storia il lavoro si sarebbe esaurito nel solo esperimento scientifico”, “[…] senza la storia non avremmo capito nulla”, “[…] in ogni materia è presente sempre e comunque una ricostruzione storica dei fatti”. La tecnologia multimediale adottata, la costruzione di un prodotto audiovisivo, sono individuate dalla maggior parte degli studenti come gli strumenti che più hanno agevolato il lavoro di costruzione della narrazione: le informazioni inerenti il concetto sono state “messe insieme” attraverso la narrazione digitale e le immagini sono state di grandissimo contributo all’apprendimento. La narrazione ha offerto, nella percezione dei ragazzi, il grande vantaggio di permettere di allontanarsi dallo studio mnemonico del manuale. Nella Secondaria di II grado ritorna la forte percezione che la narrazione abbia permesso di “sviluppare un percorso” che affronta “la storia da differenti punti di vista” e dà “l’opportunità di affrontare l’argomento nella sua totalità”: l’ampiezza, la completezza, la totalità dei punti di vista dai quali guardare l’argomento scientifico è una caratteristica del lavoro svolto percepita dalla maggior parte degli studenti: “Solitamente se si parla di scienza si cerca di essere schematici e di non andare oltre. Invece dover narrare l’argomento di scienza sotto più punti di vista inizialmente ci ha messi alla prova ma, una volta compreso come pro208
cedere, siamo riusciti a collegare scienza e narrazione. Questo progetto mi ha aiutato ad apprendere l’argomento in maniera più ampia e a non essere limitato prettamente all’aspetto tecnico della scienza”.
Il percorso creato dalla narrazione è innanzitutto di tipo temporale, in quanto il racconto di una storia “ha permesso, più di ogni altra cosa, di dare un ordine cronologico alle informazioni”, e poi è un percorso che crea naturali collegamenti tra le varie discipline, collegamenti analizzati nel dettaglio. Tali collegamenti, nella percezione degli studenti, sono stati scoperti o costruiti? I ragazzi non prendono una posizione univoca a riguardo, di conseguenza per alcuni “i collegamenti erano già presenti fra le materie noi ne siamo andati alla scoperta”, per altri “è stata facile la costruzione dei collegamenti” e “con l’aiuto degli insegnanti siamo riusciti a costruire questi collegamenti”, per altri ancora “avere la storia come linea guida da seguire aiuta sicuramente a creare dei collegamenti ma alle volte sono entrati in gioco quasi autonomamente”. Tra scienza e narrazione è stato prevalentemente percepito un collegamento stretto: “Narrazione e scienza sono stati strettamente collegati in questo progetto come poco spesso accade. Per la prima volta mi sono resa conto di quanto narrazione e scienza si completino vicendevolmente creando così un prodotto altrimenti incompleto e di scarso spessore”; “[…] è stato molto fruttuoso il metodo del collegamento tra narrazione e scienza rispetto all’usuale metodo di studio, ed è stato anche più coinvolgente. Tra narrazione e scienza si è creato un legame solido e forte, un collegamento di gran lunga più grande ed utile di tutti gli altri”; […] il racconto costruito è stato una relazione da criticare ed interpretare senza inventare nulla”.
I vantaggi, anche in questo caso, sono la maggiore comprensione e chiarezza dell’argomento trattato: “Secondo me l’unione tra scienza e narrazione mi ha aiutato a capire meglio ciò che stavamo trattando”; “[…] Il fatto di scegliere cosa raccontare e come ci ha aiutato a limitare il campo di ricerca e ad apprendere meglio l’argomento scientifico, perché avevamo più notizie ma tutte per uno scopo finale e quindi è meglio studiare così piuttosto che nel classico modo in cui apprendi ciò che è sul tuo libro di testo ed il resto ti rimane ignoto”. 209
Anche in questo caso, tuttavia, compare nelle parole dei ragazzi il monito di non trascurare l’aspetto scientifico a vantaggio di quello storico: “[…] per una più approfondita conoscenza di un determinato argomento è bene analizzarlo anche sul piano storico senza però trascurare la natura scientifica dell’argomento stesso”, il rischio, infatti, è che l’indagine storica prevalga e che un lavoro di questo tipo diventi “più uno strumento per comprendere la storia che la scienza”. 8. Un progetto orientato ad uno scopo: “avevamo le idee chiare e sapevamo esattamente cosa e dove cercare” Nell’ultima citazione del paragrafo precedente compare il tema dell’importanza dello scopo, dell’obiettivo nell’agevolare il processo di costruzione della narrazione. Nel questionario una domanda era volta ad indagare quanto sia stato importante nel processo di produzione del lavoro avere a che fare con un compito motivato, un obiettivo da raggiungere. 8.1.
L’obiettivo crea consapevolezza nelle scelte
Nella Secondaria di I grado emerge chiaramente che il sapere fin dall’inizio a cosa siano orientate le ricerche e gli approfondimenti ha agevolato la scelta, da parte dei ragazzi, delle azioni da compiere e delle decisioni da prendere. Per la significatività delle risposte date dai ragazzi decidiamo di riportarne un campione numeroso: “Secondo me sì perché sapevamo cosa fare”; “[…] ci ha spinto a concentrarci soltanto su quell’argomento”; “[…] ci ha permesso di usare lo strumento informatico più adeguato e ha permesso di velocizzare la ricerca di tutto il materiale necessario”; “sì perché fin dall’inizio avevamo pianificato il lavoro”; “[…] avendo un percorso in mente è stato facile trovare il resto della storia”; “Sì perché in questo modo parto già sapendo cosa devo fare”; “[…] avere un punto di riferimento aiuta a progettare qualcosa”; “Sì’ perché abbiamo prestabilito le azioni e non andavamo a tentoni”; “Sì perché avevamo le idee chiare e sapevamo esattamente cosa e dove cercare”; “Sì perché ci ha permesso di non fare ricerche e lavori inutili, avevamo un filo conduttore”; “Sì perché se non avessimo avuto una meta da seguire non 210
avremmo realizzato un lavoro ben preciso”; “Sì perché altrimenti avremmo vagato nell’incertezza”.
Da numerosissime risposte emerge l’elemento della selezione, della scelta: “[…] ci ha permesso di ricercare le cose che ci servivano”; “[…] è stata una guida che ho seguito, sapendo esattamente cosa cercare e su quali argomenti basarmi per raggiungere l’obiettivo finale”; “con questo lavoro ho imparato a produrre ricerche e a scegliere”, “[…] ci ha aiutato ad inserire il necessario e ad eliminare il superfluo”; “[…] abbiamo selezionato, e quindi ricercato, solo le notizie che ci permettevano di realizzare al meglio l’obiettivo”; “Sì perché si poteva scegliere una cosa piuttosto che un’altra”; “[…] ogni informazione prima di inserirla nel progetto controllavamo se era attinente a quello che dovevamo fare e, se serviva, la inserivamo”; “Se non avessimo avuto un obiettivo, come avremmo fatto a ricercare e scegliere il materiale più adatto?”.
Ciò che emerge è anche la carica di consapevolezza nel processo di lavoro: “Sì perché sapendo a cosa saremmo andati incontro abbiamo dato di più di quanto siamo abituati a fare quando non siamo pienamente consapevoli delle nostre azioni”. Molto forte è stata, di conseguenza, la spinta, la motivazione “a dare il meglio di noi”, “a dare il massimo”, “a raggiungere la perfezione”, “ci ha impegnati di più”, “ci ha molto motivati”, concetti estremamente ricorrenti nelle risposte dei ragazzi. Altro elemento di forte motivazione è stato il “dover consegnare il lavoro in un tempo specifico: ci ha spinto a dare il massimo nel minor tempo possibile”. Aiuta anche nella scelta delle fonti di informazioni cui rivolgersi: “[…] il primo obiettivo era costruire un pallone aerostatico […] abbiamo chiesto l’aiuto del nonno di uno di noi che era esperto nella costruzione di palloni aerostatici”. Infine, il prodotto audiovisivo realizzato diventa una “verifica del raggiungimento dell’obiettivo” e, di conseguenza, anche uno strumento di autovalutazione.
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8.2.
Imparare a scegliere l’essenziale
Anche nella Secondaria di II grado uno dei temi maggiormente percepiti dai ragazzi è stata l’opportunità di selezionare e scegliere chiaramente la direzione da dare alle azioni ed al processo di lavoro, al fine di inserire i materiali attinenti: “[…] ci ha portato ad escludere subito determinati argomenti e ad approfondirne altri”; “[…] ci ha aiutato a non divagare dal tema centrale”; “[…] così ognuno di noi non è rimasto sul vago ma è sceso in campi sempre più approfonditi”; “Sì perché ha permesso di selezionare in maniera accurata i dati e le informazioni necessarie”; “[…] ci ha permesso di risparmiare tempo su altre cose che nel nostro lavoro non occorrevano e quindi la produzione finale è stata più semplice”; “Assolutamente sì: ci ha permesso di costruire un percorso ed avere questa stabilità nel produrre il digital storytelling è stato molto utile […] niente è stato scelto senza un motivo preciso”.
Emerge nelle risposte degli studenti l’elemento di sfida costituito dalla necessità di condensare la vastità delle ricerche svolte in un tempo limitato dato dalla breve durata del digital storytelling, necessità che ha comportato un ulteriore elemento di scelta e selezione delle informazioni più opportune. L’elemento del limite ha costituito, dunque, uno strumento di ulteriore consapevolezza nel processo di lavoro e la selezione, di conseguenza, è stata al centro di più momenti del lavoro: della fase della ricerca e della fase del montaggio del prodotto audiovisivo. Alcuni studenti esprimono invece disagio ed alcuni “incidenti di produzione” occorsi durante il percorso: “[…] avremmo dovuto fin dall’inizio scrivere la sceneggiatura e così non è stato. Abbiamo perso tempo a cercare cose che neanche servivano: solo dopo aver avuto tutte le idee chiare sul da farsi ci siamo davvero messi all’opera”, a dimostrazione di quanto la narrazione, organizzata in forma di sceneggiatura, possa tracciare il percorso nella selezione e costruzione del lavoro, anche nella percezione dei ragazzi.
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9. Ho deciso, ho selezionato, ho partecipato: la percezione di sé e di sé nel gruppo Gli studenti quale percezione hanno avuto del proprio ruolo nel processo di produzione del digital storytelling? 9.1.
Partecipare ad un lavoro “fatto da noi”
Nella Secondaria di I grado la percezione prevalente è quella di aver svolto un ruolo attivo e partecipe nella produzione, contribuendo ad alcune o a tutte le fasi del lavoro. Alcuni studenti affermano: “[…] di aver suggerito idee ed opinioni che poi sono state messe in pratica dal gruppo”; “ho selezionato in prima persona delle letture […] ho contribuito anche a scelte importanti”; “ho aiutato nella realizzazione del progetto con Movie Maker”; “ho registrato la mia voce per raccontare alcune parti del video”; “ho fatto delle ricerche che hanno aiutato la classe”; “ho scelto la musica”; “ho scritto i testi”, “ho cercato le immagini”; “[…] c’è stata una parte in cui ognuno di noi ha recitato mettendosi in gioco in prima persona ed io penso che sia stata una delle più belle esperienze”; “ho prodotto testi e disegni e ho partecipato alle conversazioni in classe”; “ho scelto personalmente documenti e materiali”.
La sensazione di aver svolto un ruolo attivo e “di essere stato importante” è presente anche quando il proprio ruolo ha costituito una fase di lavorazione preliminare alle successive, svolte da altri: “Ho contribuito ad elaborare il materiale che poi è stato usato dal gruppo per il progetto. Non ho avuto ruolo di protagonista ma penso che anche sapere elaborare sia una qualità importante”. Lo stesso avviene anche quando le decisioni sono state prevalentemente frutto di un compromesso all’interno del gruppo: “Mi sono messa in gioco poiché ho aiutato a trovare gli elementi da inserire nel digital storytelling però abbiamo preso decisioni insieme: ognuno ha fatto la propria parte”; “tutti facevano tutto, ci scambiavamo i ruoli: chi controllava le luci, che gestiva le riprese, chi recitava”; “ho condiviso con entusiasmo tutte le iniziative di questo progetto e mi sono appassionato moltissimo”. La soddisfazione risiede, poi, nel riconoscere parte del proprio contri213
buto nel prodotto audiovisivo finito: i ragazzi ne ricavano prevalentemente la sensazione di un “lavoro fatto da noi” ed individuano con precisione il ruolo svolto dagli insegnanti nella gestione di particolari che non sono stati alla loro portata, pur con il rammarico di alcuni di non aver potuto fare tutto “in piena libertà”, ma di aver avuto i compiti assegnati dalle insegnanti oppure “di non essere stati scelti” per lo svolgimento di alcune attività. Nella Secondaria di II grado emerge una forte consapevolezza ed autogestione dei ragazzi nell’assegnazione dei compiti: ognuno ha scelto per sé il ruolo che ha percepito come più adatto, lasciando consapevolmente ad altri membri del gruppo i ruoli che si ritagliavano meglio al loro profilo ed alle loro conoscenze e competenze. Questo elemento, ad esempio, emerge spesso per la gestione delle competenze informatiche: “Ho cooperato nella realizzazione del prodotto digitale al computer, attraverso il ritaglio delle parti essenziali ed il montaggio del prodotto finito. L’interesse per l’informatica, la passione per tale disciplina e l’esperienza personale in questo campo mi hanno spinto a mettermi in gioco in questo ruolo”; “[…] un mio compagno, abile nell’uso del computer, ha pensato al montaggio mentre io impostavo la struttura del prodotto”.
Ma anche nella recitazione: “[…] non ho recitato perché ho preferito lasciare questo ruolo ad altri più adatti”. I ragazzi ne hanno ricavato una sensazione di competenza ed autoefficacia che ha determinato una forte motivazione e partecipazione al lavoro ed al gruppo, oltre che di responsabilizzazione nella divisione delle varie fasi del lavoro: “credo di aver svolto un ruolo non indifferente nella ricerca di fonti scritte e documenti, fotografie ed immagini che poi sono state sicuramente di aiuto per il gruppo”; “[…] io e i miei compagni abbiamo deciso di dividerci il lavoro”; “ognuno di noi è stato attivo nello svolgimento del lavoro e ogni scelta è stata fondamentale per rendere speciale ogni dettaglio”; “[…] mi sono sentita parte di un lavoro molto ben organizzato”; “Per la realizzazione di questo materiale mi sono messo in gioco tanto, specialmente con il mio gruppo”.
Anche in questo caso la percezione è di “aver dato un contributo importante”: anche qui ricorrono spessissimo le espressioni: “ho selezionato”, “ho scelto”, “ho elaborato”, “ho contribuito in prima persona”. 214
9.2.
Imparare a dialogare e a giungere a compromessi
Collaborare e partecipare al gruppo, quindi, cosa ha significato, quali vantaggi o svantaggi ha portato alla produzione e, soprattutto, cosa ha significato doversi confrontare con i punti di vista degli altri? Nella Secondaria di I grado la percezione più frequente è che il lavoro di gruppo sia stato vantaggioso per la produzione, perché ha permesso di dividere e distribuire la responsabilità dei compiti da eseguire ed ha portato ad un lavoro più ricco: “[…] le discussioni sono servite a migliorare il prodotto finale”; “abbiamo certamente ottenuto un risultato ricco”; “idee diverse potevano completarsi se messe insieme”; “[…] scegliere il materiale da molti punti di vista alla fine ha portato ad una selezione ottima”; “[…] non avendo idee uguali ci interrogavamo su quale fosse la migliore”.
I vantaggi sono stati anche di natura interpersonale: confrontarsi con le idee degli altri per alcuni è stata una sfida, all’inizio difficile ma in seguito rivelatasi anch’essa vantaggiosa. La necessità di “tirar fuori un lavoro completo e consono ai nostri punti di vista” ha superato le “liti perché ognuno vuole sempre mettere in evidenza il suo lavoro” ma “il lavoro di gruppo arricchisce sempre anche se talvolta è difficile accettare le idee altrui. Ma alla fine è stato un vantaggio per tutti perché ci siamo affiatati”: “Per me collaborare con i miei compagni ha significato imparare a condividere qualcosa con loro, capirne i punti di vista, rispettarne le opinioni anche se spesso erano in disaccordo ma è stata proprio un’opportunità per imparare a stare con gli altri”; “[…] sono diventato più amico con alcuni e ho fatto amicizia con chi non conoscevo”; “io e i miei compagni siamo diventati più compatti”; “Questo progetto ha significato molto perché ci potevamo conoscere meglio”; “[…] un gruppo si forma solo se c’è un forte legame di amicizia, infatti è questa che vince ogni controversia ed è grazie a questa che siamo riusciti a realizzare qualcosa, altrimenti io non sarei così orgoglioso di scrivere queste parole”; “abbiamo imparato a trovare un accordo quando c’erano divergenze”.
I vantaggi si sono manifestati anche nell’acquisizione di nuove competenze: “quelli che prima non sapevano lavorare al PC ora sanno farlo” e 215
nella collaborazione fra competenze, per cui il vantaggio è poter “sfruttare le conoscenze di ognuno”, infatti “[…] ciascuno mette a disposizione il proprio lavoro”. Quali, invece, gli svantaggi percepiti? Innanzitutto la perdita di tempo e, a volte, la confusione: “[…] Lo svantaggio è dato dalla gran perdita di tempo perché noi ragazzi non sempre riusciamo ad organizzarci con tranquillità. Non è sempre facile condividere i punti di vista e le idee degli altri e molto spesso dover tener conto delle idee di tutti ci ha portato a grossi errori e a discussioni per un bel po’ di tempo, dovendo quindi poi rifare parte del lavoro”; “[…] per metterci d’accordo facevamo lite e si creava confusione”.
La lentezza, tuttavia, può trasformarsi anche in un vantaggio: “Il più grande svantaggio è stata la lentezza nella realizzazione della ricerca perché bisognava confrontarsi e ascoltare le opinioni di tutti. Ma questo ha anche dato come risultato di guardare in modo diverso aspetti del lavoro che a me erano sfuggiti”. Nella Secondaria di II grado il vantaggio nella produzione è legato alla possibilità di trovare utili punti di incontro tra opinioni diverse in un progetto vasto e complesso come quello svolto: “un singolo studente non avrebbe prodotto tanto quanto produce un gruppo”. Il gruppo è una risorsa “[…] per una scelta definitiva attraverso una attenta riflessione”. La collaborazione ha portato anche il vantaggio della “suddivisione di ruoli per essere più rapidi e precisi nelle ricerche”. Il vantaggio è anche nella comprensione dell’argomento: “Lavorare in gruppo per me è stato innanzitutto una condivisione di conoscenze ed interessi. In più confrontandomi con gli altri sono nate discussioni e dibattiti costruttivi che ci hanno aiutato a capire meglio la materia e l’oggetto preso in esame” e “abbiamo lavorato insieme e questo ci ha aiutato a capire meglio l’argomento”. Infine, il vantaggio è di tipo interpersonale nei termini dell’imparare a lavorare insieme e a “raggiungere compromessi tra idee diverse”.
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10. L’attività che mi è piaciuta di più Analizziamo ora quale delle attività comprese nell’intero processo di produzione del digital storytelling è stata la più apprezzata dai ragazzi, quella vissuta con maggiore passione e coinvolgimento. 10.1. Costruire il digital storytelling Nella Secondaria di I grado l’attività più appassionante per i ragazzi è stata la costruzione del prodotto audiovisivo: l’assemblaggio di immagini, musica e testo, il montaggio, la scelta degli effetti da inserire, la coordinazione tra informazioni ed immagini: “perché è stato divertente scegliere le diapositive ed inserire le immagini nel video”; “[…] perché mi piace lavorare al PC e quindi mi ha incuriosito molto”; “[…] perché così facendo riuscivo a memorizzare meglio quanto stavo scrivendo”; “mi è piaciuto realizzare il file in Power Point perché è un programma che non conoscevo: in particolare mi è piaciuto costruire le diapositive, scegliere il tipo di carattere, lo sfondo, gli effetti più adatti allo scorrere di testo e immagini”.
Un’altra fase molto coinvolgente nella percezione dei ragazzi è stata quella del reperimento e selezione della documentazione come: scattare foto, fare le riprese e visitare dimore storiche durante uscite guidate mirate a questo scopo specifico, fare le ricerche in Internet, cercare la musica da usare come colonna sonora. Sono state attività importanti: “perché potevo esprimere le mie idee”; “[…] perché ci siamo riuniti di pomeriggio per lavorare”; “perché l’obiettivo da raggiungere è comune a tutti”; “la lettura delle ricerche perché ho approfondito l’argomento”.
Lì dove la realizzazione del digital storytelling ha comportato la recitazione da parte dei ragazzi, anche questa attività riceve un alto gradimento: “[…] perché ho sconfitto, in parte, la mia timidezza”; “[…] perché mi sono immedesimato pienamente nel mio personaggio”; “[…] perché mettevamo in moto il cervello”; “[…] perché ho messo in mostra le mie qualità”; “[…] 217
perché è stato divertente”; “[…] interpretare la voce della Montalcini non nascondo che mi ha fatto sentire orgogliosa di essere italiana per il grande contributo che il Nobel ha saputo dare alla medicina e mi sono sentita stimolata a dare sempre il meglio di me”.
I ragazzi provano soddisfazione nel ritrovare nel prodotto finito chiari segni del proprio contributo, come ad esempio riconoscere la propria voce nella voce narrante del video. Un posto d’onore merita la realizzazione finale del digital storytelling, particolarmente emozionante “[…] perché all’inizio sembrava tutto quasi sospeso nelle nostre menti, poi quando è finito quasi senza accorgercene, non credevamo ai nostri occhi”; “[…] perché dopo tanto lavoro il prodotto finale ha messo in evidenza i nostri lavori”. 10.2. Ricercare e selezionare Nella Secondaria di II grado una fase molto coinvolgente è stata quella della vera e propria ricerca: “[…] perché porta all’approccio con argomenti nuovi mai affrontati e che provocano una grande curiosità. Avere più versioni e interpretazioni di una determinata tesi, confrontarle e capire quella giusta mi ha interessato particolarmente”. Poi la realizzazione del prodotto audiovisivo perché è stata un’attività “svolta assieme agli altri” e perché è stata percepita come un’attività molto creativa e stimolante, data la “necessità di abbinare immagini coerenti al testo” ma anche foriera di una maggiore comprensione dell’argomento perché è stata la “fase di conclusione e raccolta di tutte le ricerche svolte”. Anche la costruzione della storia è stata coinvolgente assieme alle scelte narrative, perché “il modo di presentare la storia ha comportato dibattiti in cui ognuno esponeva le sue idee”, “perché si dovevano gettare le idee e realizzarle”, “perché c’era un confronto con gli altri”. Anche qui ha suscitato coinvolgimento la registrazione vocale della voce narrante e la sovraincisione sul video, perché ha comportato un’interpretazione in prima persona ed anche la recitazione, dove c’è stata, “[…] perché abbiamo potuto rappresentare meglio le nostre idee rendendo reale un argomento del passato”; “[…] perché mi sono divertita molto”; “[…] perché c’è stato un lavoro di squadra”. Infine: 218
“Per me questa è stata una delle più belle esperienze cui io abbia potuto partecipare. Dal ricercare tratti del protagonista al registrare le scene. La cosa che più mi ha emozionata è stata l’unione del gruppo. Sono contenta del nostro lavoro e anche molto orgogliosa”.
11. Gli insegnanti, la pratica didattica e i libri di testo Come già accennato nel capitolo 2 di questa Seconda parte del volume, in occasione delle due giornate di formazione ai docenti partecipanti è stato sottoposto un breve questionario in ingresso, finalizzato a raccogliere informazioni circa il grado di soddisfazione rispetto alla pratica didattica delle discipline scientifiche ed ai libri di testo in adozione ed eventuali suggerimenti o desideri relativi ad entrambi. Sottolineando che si è trattato, in questo caso, di una semplice indagine informativa che non ha alcuna pretesa di esaustività, riportiamo alcune brevi riflessioni emergenti dall’analisi dei questionari compilati. Il dato che emerge con maggiore significatività è costituito dalle motivazioni che hanno spinto gli insegnanti a partecipare all’iniziativa proposta con il progetto: lo stimolo ad incrementare la propria partecipazione ad occasione di formazione professionale; le ricadute positive previste sulla propria pratica didattica e sulla motivazione degli studenti allo studio della scienza; l’interesse personale verso la storia della scienza; la possibilità di realizzare un percorso specificamente inter- e pluridisciplinare, incrementando così l’affiatamento e la collaborazione all’interno del Consiglio di Classe. Emerge il profilo dell’insegnante che ha partecipato al progetto: attento alla propria formazione, che interpreta come un elemento importante nel motivare gli studenti, ed attento e curioso verso le innovazioni didattiche. Generalmente, gli insegnanti che hanno partecipato al progetto conoscono la disciplina “storia della scienza” solo “a grandi linee”, “in modo essenziale” e perlopiù “limitatamente ad alcuni scienziati”. Al tempo stesso, nella quotidiana pratica didattica, risulta loro difficile condurre un approfondimento storico dei contenuti del programma a causa “della mancanza di tempo”. Alcuni insegnanti di discipline umanistiche (Italiano, Storia, Filosofia) vi riescono a volte “solo per alcuni scienziati caratterizzanti il periodo storico che si sta studiando”. Gli insegnanti di discipline scientifiche, invece, vi riescono solo “per alcuni argomenti”, tra i 219
quali quelli citati sono: l’evoluzionismo e Darwin, Pasteur, la struttura atomica, la tavola periodica, i composti chimici, la geometria di Pitagora ed Eratostene, la caduta dei gravi, la genetica, la teoria della relatività, alcuni argomenti di geologia. Quali risultati gli insegnanti percepiscono nell’apprendimento degli studenti in seguito all’introduzione, se e quando avviene, di contenuti di storia della scienza? Le posizioni non sono univoche. La maggior parte degli insegnanti registra come risultato più evidente un “maggior interesse”: “Quando gli argomenti sono introdotti in modo approfondito, gli studenti partecipano con maggiore entusiasmo e talvolta approfondiscono anche a livello personale; molto interesse e risveglio della voglia di studiare discipline considerate ‘dure’”.
Altri evidenziano una maggiore capacità di memorizzazione oppure un risultato a livello “culturale” quale l’acquisizione della consapevolezza del ruolo determinante della scienza e della tecnologia nel periodo storico oggetto di studio. Per altri insegnanti i risultati “non sono positivi per tutti” oppure “non sono soddisfacenti”. Che grado di soddisfazione percepiscono gli insegnanti rispetto ai libri di testo in adozione? Circa la metà degli insegnanti si ritiene “abbastanza soddisfatto” della scelta. L’altra metà degli insegnanti presenta, invece, alcuni motivi di insoddisfazione, dei quali i più frequentemente citati sono: la mancanza di approfondimento; l’estrema sinteticità; la mancanza di riferimenti pratici; l’approccio eccessivamente teorico; la mancante attenzione agli aspetti didattici che “non lo fa amare dai ragazzi”; la carenza nell’approccio umanistico, epistemologico e storico alla scienza e nella spiegazione della genesi delle teorie scientifiche, se non in alcune “note” o brevi “introduzioni” ai capitoli. Considerazioni conclusive Ripercorrendo le considerazioni già introdotte nell’analisi di ogni campo indagato attraverso il questionario, focalizziamo qui brevemente alcuni 220
elementi chiave percepiti dai ragazzi come caratteristiche della produzione di un digital storytelling a contenuto storico-scientifico. Innanzitutto, emerge chiaramente il bisogno e l’apprezzamento che i ragazzi danno all’approfondimento di un dettaglio, di un singolo studio di caso. Circoscrivere l’argomento di studio e dipanarlo nelle varie materie attraverso il filo logico, il percorso costituito dalla narrazione è un approccio che essi percepiscono come fruttuoso per la propria cultura, per il proprio apprendimento, per uno studio motivante ed appagante, di cui comprendono il senso. L’approccio storico-critico apporta il vantaggio di far comprendere loro il perché di ciò che studiano e da dove vengono gli argomenti scientifici proposti a scuola. Il percorso storico assolve, dunque, ad una funzione esplicativa nel tempo che gli studenti percepiscono come importante, poiché risponde a molte loro domande e curiosità. La costruzione del prodotto audiovisivo ha, inoltre, due vantaggi percepiti chiaramente: la possibilità di allontanarsi dallo studio mnemonico dei libri di testo, quindi di rivolgersi a nuove e differenti fonti, e quello di supportare l’apprendimento attraverso differenti media, primi tra tutti le immagini ed il video. La partecipazione in gruppo al processo di produzione permette di apprendere la competenza dello stare assieme agli altri, del raggiungere compromessi e mediazioni nelle decisioni e nelle scelte, del sentirsi importanti ed attivi, protagonisti del proprio studio. Confrontarsi con gli altri significa, per i ragazzi, discutere sulle differenti interpretazioni di un argomento e guardare alla realtà da differenti punti di vista al fine di prendere decisioni e di fare scelte sensate e coerenti. La sensazione data, infine, dall’uso delle tecnologie multimediali è quella di uno studio più concreto, più vicino a sé ed ai propri interessi personali. Emerge in modo chiaro quanto il digital storytelling si caratterizzi come un ambiente di apprendimento costruttivista: esso, infatti, costituisce un sistema di elementi interagenti tra loro tra i quali compaiono: il luogo dove si svolge l’attività; i tempi; gli attori coinvolti; le attese dell’attività svolta; le regole di comportamento e, quindi, le attitudini personali e le componenti emozionali; i compiti e le attività da svolgere; gli strumenti da utilizzare; gli oggetti culturali da osservare, analizzare, selezionare, manipolare; le modalità espressive da usare; le fonti da prendere in considerazione; i prodotti da realizzare5. 5
Cfr. il capitolo 2 della Prima parte nel paragrafo sugli ambienti di apprendimento.
221
Al centro di tale sistema vi sono gli studenti, coloro che apprendono, per i quali il sistema stesso funziona da “orientamento” dell’attività di produzione di significato e da “guida” nella costruzione di un percorso che rende consapevole l’azione dello scegliere e del decidere. Tale ambiente di apprendimento sembra, inoltre, sposare appieno la promozione delle competenze fondamentali per i cittadini del XXI secolo, almeno come esse sono declinate nel progetto The New Millennium Learners6 e che qui ricordiamo: creatività/innovazione; pensiero critico; capacità di risolvere i problemi; capacità di prendere decisioni; capacità di comunicare, capacità di collaborare; competenze nell’uso delle informazioni; capacità di fare ricerca; competenze nel settore dei media; cittadinanza digitale; concetti e operazioni fondamentali delle ICT; flessibilità e adattabilità; spirito di iniziativa e autoregolazione; produttività; senso di responsabilità; capacità di leadership. Il digital storytelling a contenuto storico-scientifico, in conclusione, sembra davvero poter essere assunto, nella quotidiana attività didattica, come efficace strumento per promuovere negli studenti l’autoregolazione e la responsabilità personale nella costruzione della propria conoscenza. Tab. 1. Campione degli studenti della Scuola secondaria di I grado Secondaria di I grado Scuola
N° studenti
Età
Classe
Sesso
1. “L. Gallo – G. Pascoli” NOCI (Ba)
24
12 anni (20) 11 anni (4)
2^
M (16) F (8)
2. “Don E. Montemurro” – Gravina di Puglia (Ba)
27
11 anni (24) 10 anni (3)
1^
M (16) F (11)
3. “N. Pende” – Noicattaro (Ba)
4
11 anni (1) 12 anni (1) 13 anni (2)
2^ – 3^
M (2) F (2)
4. “Capozzi – Galilei” – Valenzano (Ba)
9
13 anni (8) 12 anni (1)
3^
M (5) F (4)
5. “G. Modugno” – Bari
22
10 anni (2) 11 anni (11) 12 anni (8) 13 anni (1)
1^ – 2^
M (13) F (9)
6
Per il cui inquadramento teorico si rimanda ai paragrafi 1.1. e 1.2. del capitolo 2 della Prima parte del presente volume.
222
6. “N. Zingarelli” – Foggia
6
12 anni (4) 13 anni (2)
3^
M (2) F (4)
7. “G. Rocca” – Trani (Ba)
9
10 anni (3) 11 anni (3) 12 anni (2) 13 anni (1)
1^ – 2^ – 3^
M (4) F (5)
8. Istituto Comprensivo “G. Galilei” – Pezze di Greco (Br)
19
13 anni (18) 15 anni (1)
3^
M (8) F (11)
9. “G. Pascoli” – Molfetta
19
11 anni (3) 12 anni (15) 14 ani (1)
2^
M (9) F (10)
10. “Alighieri – Tanzi” – Mola di Bari (Ba)
46
12 anni (23) 13 anni (23)
2^ – 3^
M (24) F (22)
TOT. studenti Secondaria di I grado
185
M (99) F (86)
Tab. 2. Campione degli studenti della Scuola secondaria di II grado Secondaria di II grado Scuola
N° studenti
Età
Classe
Sesso
11. Liceo scientifico “E. Fermi” – Bari
8
17 anni (2) 18 anni (5) 19 anni (1)
5^
M (5) F (3)
12. Liceo scientifico “V. Vecchi” – Trani (Ba)
22
17 anni (21) 18 anni (1)
4^
M (11) F (11)
13. Liceo Classico “T. Livio” – Martina Franca (Ta), sez. classica e scientifica (V ginnasio + II liceo scientifico)
2^ (V ginnasio) 15
2^ (V ginnasio)
M (3) F (12)
___________ 2^ liceo scientifico
___________ M (8) F (11)
14. IPSSART -Castellana Grotte (Ba)
40
3^ – 4^ – 5^
M (29) F (11)
TOT. studenti Secondaria di II grado
104
___________ 2^ liceo scientifico 19
14 anni (3) 15 anni (12) ___________ 14 anni (4) 15 anni (15)
16 anni (14) 17 anni (8) 18 anni (15) 19 anni (3)
M (56) F (48)
223
Tab. 3. Materie coinvolte nei digital storytelling prodotti dalle classi campione Secondaria di I grado Secondaria di I grado Scuola
Titolo DST
Materie coinvolte
1. “L. Gallo – G. Pascoli” Noci (Ba)
Più leggero dell’aria
Geostoria, Scienze, Matematica, Tecnologia
2. “Don E. Montemurro” – Gravina di Puglia (Ba)
L’amore per la natura nel gio- Italiano, Geostoria, Scienze vane Arcangelo Scacchi
3. “N. Pende” – Noicattaro (Ba)
Nicola Pende – Storia di un Storia, Scienze premio Nobel mancato
4. “Capozzi – Galilei” – Valenzano (Ba)
Marie Sklodowska Curie Docente di Fisica elementare presso la Cooperativa della Sorbona negli appunti di Isabelle Chavannes
Scienze, Storia, Teoria del montaggio Audio/Video, Musica, Storia dell’Arte, Storia del Cinema, Storia della Musica
5. “G. Modugno” – Bari
Ipparco che mito!
Italiano, Geostoria, Scienze, Informatica, Arte e immagine, Tecnologia
6. “N. Zingarelli” – Foggia
Rita Levi Montalcini – Un Italiano, Storia, Scienze, Musica viaggio nella scienza… non ancora concluso
7. “G. Rocca” – Trani (Ba)
Il mondo invisibile di Leeu- Storia, Scienze wenhoek
8. Istituto Comprensivo “G. Galilei” – Pezze di Greco (Br)
La svolta di Volta
Italiano, Storia, Scienze, Musica
9. “G. Pascoli” – Molfetta
Poli in casa Leopardi
Italiano, Storia, Scienze, Arte e immagine
10. “Alighieri – Tanzi” – Mola di Bari (Ba)
A beautiful mind: Hedy La- Italiano, Geostoria, Scienze, Musica, Arte e immagine, Tecnologia marr
224
Tab. 4. Materie coinvolte nei digital storytelling prodotti dalle classi campione Secondaria di II grado Secondaria di II grado Scuola
Titolo DST
Materie coinvolte
11. Liceo Scientifico “E. Fermi” – Bari
Wegener contro tutti
Filosofia, Storia, Scienze, Storia dell’Arte
12. Liceo Scientifico “V. Vecchi” – Trani (Ba)
Keplero: La scienza a taral- Matematica, Fisica, Scienze, Informatica, Storia della Scienza lucci e vino?!
13. Liceo Classico “T. Livio” – Martina Franca (Ta), sez. classica e scientifica (V ginnasio + II liceo scientifico)
Io…Cantor
Italiano, Matematica, Informatica, Tecnologia, Storia, Recitazione, Religione
14. IPSSART - Castellana Grotte (Ba)*
1. A tavola con le spezie 2. Una favola di spezie 3. Alla scoperta dello zenzero, curcuma e cannella 4. La vaniglia 5. Dalla magia alla Gastronomia 6. Spezie 7. Melting Pot
Scienze dell’alimentazione, Italiano, Storia, Francese, Inglese, Economia e gestione aziendale, Laboratorio di organizzazione dei servizi ristorativi, Matematica con Informatica, Diritto
* L’IPSSART di Castellana Grotte ha prodotto sette digital storytelling, tutti incentrati sul tema delle spezie e della storia delle spezie.
225
226
Capitolo 5
La realizzazione del digital storytelling in classe: le testimonianze degli insegnanti
Introduzione Nel corso della concreta realizzazione dei digital storytelling nelle scuole aderenti, gli insegnanti sono stati sollecitati dal gruppo di ricerca, ideatore del progetto, a monitorare il processo di produzione e ad appuntare considerazioni e riflessioni, sotto forma di veri e propri “diari di bordo” tenendo presenti alcuni campi specifici: l’intenzione è stata sollecitare negli insegnanti la documentazione quanto più dettagliata possibile dell’esperienza in modo tale da facilitarne in seguito la diffusione e socializzazione dei risultati. Il convincimento profondo degli autori è, infatti, che gli insegnanti debbano far “sentire la propria voce” anche nel mondo della ricerca (Perla 2011: 50-62). I campi ai quali si è chiesto di prestare particolare attenzione sono stati i seguenti: 1. Il problema o la domanda motivante centrale: qual è l’idea, il contenuto sperimentale o il problema della scienza che si è scelto di proporre come focus nello studio di caso, di cui riattivare, attraverso la ricerca storica, il processo con il quale storicamente si è presentato? Perché è stato scelto questo problema? Perché si è ritenuto importante studiarlo ed approfondirlo? Chi ha scelto il problema da affrontare (insegnante, studenti, scelta condivisa)? 2. Il contenuto storico: la vicenda scientifica ed il contesto storico coevo al contenuto scientifico proposto, con l’esplicitazione delle relazioni individuate durante il lavoro tra problema della scienza ed il suo contesto storico. 3. La costruzione della narrazione del problema scientifico nel suo contesto storico: descrivere come è avvenuta la costruzione della storia narrata nel digital storytelling, ossia la scrittura della “sceneggiatura”. In particolare, focalizzando tre elementi: 227
– La coerenza della storia: il controllo delle relazioni narrative tra i fatti narrati, il “prima e dopo” degli eventi, la “causa ed effetto” degli eventi. Dopo aver descritto il processo con cui è stata costruita la narrazione, si è chiesto di spiegare perché si è ritenuto utile costruirla in quel modo. – La selezione del materiale: la selezione dei fatti da narrare, in cui alcuni sono utili e vengono inclusi, altri inutili e rigettati. Il giudizio di inutilità o di utilità, e in quale senso, compete a colui che sta narrando la storia e viene agito in base alla tesi, o al punto di vista, che egli vuole sostenere. Come sono stati selezionati i fatti da narrare e perché sono stati selezionati in quel modo? – L’enfasi sul punto di vista dal quale narrare la storia: quale tesi è stata sostenuta nel digital storytelling? Dal punto di vista di quale personaggio (descrivere questo punto di vista) è stata narrata la storia? Si è chiesto, inoltre, di illustrare anche “chi” ha fatto “cosa”: quale è stato il contributo dell’insegnante e quale quello degli studenti? Il lavoro è stato condiviso, suddiviso, discusso, assegnato, ecc…? 4. Il digital storytelling come ambiente digitale di apprendimento costruttivista: si è chiesto di descrivere in che modo il prodotto multimediale realizzato ha: – favorito l’esperienza di costruzione della conoscenza (osservare casi reali ed elaborare argomentazioni a sostegno di tesi); – promosso la comprensione attraverso molteplici prospettive; – permesso di inserire l’apprendimento in contesti realistici e rilevanti; – permesso di centrare l’apprendimento sullo studente (promozione della partecipazione attiva alla produzione dei DST e del processo di sense-making); – incoraggiato l’uso di molteplici media: acquisizione di competenze nell’uso di software multimediali; – promosso la riflessione sul deuterolearning (apprendere ad apprendere, riflessione metacognitiva sul come apprendiamo): enfasi sul processo di costruzione della conoscenza più che sui prodotti della conoscenza; – favorito la collaborazione e relazione di gruppo: conoscenza come co-costruzione collettiva di significato e negoziazione sociale; – reso possibile il ruolo dell’insegnante come tutor, come maestro d’orchestra. 228
Gli insegnanti sono stati sollecitati a descrivere anche le criticità, le difficoltà incontrate sul percorso, gli scarti tra quanto progettato e quanto poi effettivamente realizzato. 5. Le ricadute sulla scientific literacy: si è chiesto di esplicitare le ricadute cognitive (aggancio con il programma scolastico), metacognitive, epistemologiche, ermeneutiche e valoriali conseguenti all’approfondimento ed all’analisi svolta sullo studio di caso proposto. 6. La bibliografia utilizzata: quale bibliografia e sitografia è stata utilizzata? Quali strumenti bibliografici sono risultati più utili? Come sono state condotte le ricerche bibliografiche? Da chi (insegnante, studenti, in forma condivisa)? 7. La valutazione: come e con quali strumenti è stata svolta la valutazione? Con quali risultati? In generale gli insegnanti sono stati invitati a esplicitare considerazioni, riflessioni, dubbi e curiosità sorte nel cammino, tutto quanto potesse essere utile a documentare questa metodologia didattica. Per motivi di spazio non è possibile riportare la documentazione prodotta da tutti gli insegnanti partecipanti, di conseguenza abbiamo scelto di inserire nel presente saggio quella degli insegnanti che hanno curato, assieme ai propri studenti, la realizzazione dei digital storytelling risultati vincitori del concorso1. 1. “La svolta di Volta” di ROSA VASTA – insegnante di Matematica Scuola secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “G. Galilei” di Pezze di Greco (Br) Insegnare le scienze non è cosa facile, soprattutto agli alunni frequentanti la Scuola Secondaria di I grado. Ancora più difficile è farlo in una scuola ove manca un laboratorio scientifico attrezzato e in un contesto sociale ove viene data poca importanza alla cultura scientifica. Il Seminario di Storia della Scienza dell’Università di Bari ha fornito un’ottima occasione per i docenti e gli studenti di affrontare le scienze in modo nuovo, diverso dal “solito”.
1
Il primo e secondo premio sia per la Secondaria di I grado che di II grado.
229
“In principio era buio”. La citazione è perfetta per descrivere la situazione iniziale relativa al concorso per la realizzazione di un digital storytelling (DST) “a contenuto storico-scientifico”. Come primo passo è stato necessario individuare la classe con cui svolgere il lavoro. La scelta è ricaduta sulla classe terza perché meno numerosa, più propensa a collaborare (ma con qualche difficoltà nella socializzazione), poiché essa ha un maggiore senso di responsabilità, poiché vi sono alcuni alunni con competenze informatiche (ma anche alunni che non hanno un computer a casa). La scelta, inoltre, ha avuto le finalità di fornire un approccio diverso alle scienze, di migliorare e rendere più partecipato il rendimento scolastico, in vista degli esami e della prossima frequenza delle scuole superiori. Come secondo passo è stato necessario individuare il problema di scienze da affrontare. Ogni anno nella programmazione didattica della terza viene inserito l’argomento “elettricità” e sempre viene citato Alessandro Volta come l’inventore del primo generatore di corrente, tuttavia l’approfondimento relativo a questo scienziato e alla sua invenzione si limita di solito ad una “sterile” ricerca su Internet da parte di qualche alunno. Ecco, allora, una prima “svolta”: Alessandro Volta e l’invenzione della pila sarebbe stato il soggetto del nostro lavoro. Tutto il percorso seguito per realizzare il DST è stato un susseguirsi di “svolte” (da qui il titolo del video, scelto con gli alunni), così come la storia narrata si è basata sulle “svolte” della vita dello scienziato, delle sue idee, delle sue scoperte e del periodo storico in cui essa si svolge. Dal punto di vista scientifico il racconto espone il lavoro svolto da L. Galvani che lo porta alla teoria sull’elettricità “intrinseca” in ogni animale, considerato un serbatoio naturale di elettricità, evidenziata dalle contrazioni dei muscoli di una rana tramite il contatto con archi di metallo. A Galvani si contrappone Volta con la teoria secondo cui l’elettricità non è intrinseca all’animale, ma è dovuta al contatto di metalli diversi. Egli, infatti, riesce a dimostrare, dopo molti esperimenti, che con metalli diversi immersi in una soluzione acida, mediante un processo chimico, si produce una dissociazione di cariche con conseguente flusso continuo di elettroni. Tale principio è alla base del funzionamento della pila che lo stesso Volta nel 1799 inventa e presenta a Napoleone nel 1801. L’invenzione di Volta è sensazionale. All’epoca, infatti, gli studi di elet230
trologia non potevano contare sulla conoscenza atomica della materia, per cui si parlava dell’elettricità come di un “fluido” misterioso. Si era in grado di generare tale “fluido” strofinando due corpi, ma non si sapeva produrre in modo continuativo la separazione di cariche in modo da farle fluire in un conduttore. Il racconto narrato nel DST si svolge in un periodo di tempo che va dal 1745, anno di nascita di A. Volta, al 1827, anno della sua morte. Sullo sfondo gli avvenimenti storici, politici e culturali che vanno dall’Illuminismo alla Restaurazione, passando per la Rivoluzione Francese e Napoleone, che si intrecciano e influenzano la vita e il lavoro di Volta. I due scienziati hanno avuto vite molto differenti, per esempio, anche politicamente le loro scelte sono state opposte. Galvani si rifiutò di giurare fedeltà a Napoleone e per questo non poté proseguire le sue ricerche, Volta, invece lo accolse e lo sostenne. Ciò nonostante era così tanto stimato come scienziato e filosofo che dopo la caduta del regime napoleonico il governo di Vienna lo richiamò a Pavia e lo nominò direttore della facoltà di Filosofia. L’invenzione della pila ha dato una “svolta” non solo agli studi sull’elettricità dell’epoca e odierni, ma anche alla vita di tutti noi e dei miei alunni in particolare. Quando ho illustrato il concorso e le caratteristiche di un DST ai miei alunni, la loro prima reazione è stata di entusiasmo e smarrimento. Si immaginavano già vincitori e quasi “eroi” della scuola con tanto di foto e targa ricordo della classe, poiché con il primo premio di mille euro avremmo potuto comprare materiale per il laboratorio di scienze. Nello stesso tempo non sapevano come realizzare il DST, come avrebbero potuto vincere contro ragazzi provenienti da scuole di tutta la Puglia, “sicuramente più bravi” di loro. Dopo aver comunicato l’argomento scelto, ho chiesto ad ognuno di ricercare del materiale su Internet (perché è il mezzo che più usano e conoscono), mentre con i colleghi di Italiano-Storia ed Educazione Musicale ho concordato il lavoro da fare, ognuno nella propria disciplina. Durante le ore curricolari ho introdotto l’argomento scientifico: struttura atomica della materia, atomo, elettrizzazione, materiali isolanti e conduttori, corrente elettrica, generatori di corrente. La collega di Storia ha trattato il periodo storico relativo all’arco di vita del nostro protagonista, mentre il collega di Educazione Musicale ha curato la parte relativa ai musicisti dell’epoca e all’ascolto di brani per la scelta delle musiche da inserire nel DST. 231
Bisognava realizzare un video di 10-15 minuti e in un tempo relativamente breve, da fine settembre ai primi di novembre. Le proposte degli alunni erano relative ad un “film”, in quanto li avevo fatti partecipi di una mia idea relativa alla scena iniziale del video in cui tutta la classe recitava impersonando se stessa in una “solita” e noiosa lezione di scienze, ma da cui prendeva il via la narrazione della storia. L’idea era piaciuta, ma mancava la storia e un finale, che è nato dall’idea della “fantasiosa” alunna R. ed accettato da tutti. Difatti dopo la narrazione della storia, come conseguenza, ci sarebbe stata una “svolta” della situazione iniziale: una “piacevole” lezione di scienze. L’idea del racconto mediante un film è stata abbandonata perché di difficile realizzazione per i mezzi, i tempi e le competenze che si avevano a disposizione e poi, come ha detto C.: “Nessuno di noi può interpretare un personaggio adulto non sarebbe credibile e ci vogliono anche gli abiti dell’epoca!”. Si è pensato allora di raccontare la storia mediante immagini realizzate con diapositive in PowerPoint e di “animarle” con il software “Windows Movie Maker”. Gli alunni sono stati suddivisi in quattro gruppi eterogenei e ogni gruppo si è occupato di leggere, analizzare e sintetizzare le fonti e i materiali (molti) riguardo ai seguenti aspetti: 1. vita di Volta; 2. contesto storico; 3. lavoro scientifico di Volta; 4. Galvani e le sue teorie. Ogni gruppo ha realizzato delle relazioni che sono state corrette dal docente ed esposte in classe a turno dai vari componenti di ciascun gruppo. Dopo aver preso visione di tutto il materiale è stato possibile, per il docente di scienze, scrivere il racconto. La selezione e la sintesi del materiale per il racconto è stata fatta con l’obiettivo di far conoscere non solo le teorie scientifiche sull’elettricità, il principio di funzionamento della pila e i principali avvenimenti storici, ma anche “l’uomo” A. Volta e la sua vita. Gli alunni hanno nuovamente lavorato in gruppo per ricercare, in base al racconto, le immagini e preparare le diapositive per il video. Sempre all’interno dei vari gruppi è stato scelto un leader e sono stati affidati gli incarichi a ciascun componente, ad ognuno secondo le proprie capacità, così che tutti hanno collaborato in modo consapevole e costruttivo, in una condizione di apprendimento cooperativo. 232
Da parte degli alunni sono stati anche proposti e svolti dei “provini” per trovare gli interpreti del video girato in classe e per le “voci narranti”. Il racconto, oltre che dare contenuti, doveva anche avere un’efficacia comunicativa, essere divertente, catturare l’attenzione, suscitare la curiosità, sia con la musica, che con il contenuto, che con le immagini. Quindi è stato corredato di musica in sottofondo, di aneddoti significativi, a volte spiritosi, che facessero capire meglio i personaggi, il loro lavoro e gli intrecci vita privata-lavoro dello scienziato, Storia-Scienze. Il contenuto scientifico è stato semplificato e corredato di immagini. Le diapositive realizzate hanno immagini a colori e la storia viene narrata attraverso la voce degli alunni, che si sono alternati nel racconto, così da sottolineare le “svolte” nelle varie vicende: in questo modo tutti i ragazzi sono stati “protagonisti”. Nella storia i ragazzi hanno agito come veri e propri “cronisti” che narrano le vicende di Volta, la sua teoria, presentando anche quelle dell’antagonista Galvani, ma sostenendo a pieno la tesi di Volta, anche se hanno scoperto che entrambi, in ambiti scientifici diversi, avevano ragione. Durante la realizzazione del video il compito dell’insegnante è stato di moderare le discussioni, di dare consigli, di coordinare le attività, di guidare gli alunni, di suggerire possibili soluzioni. Nello stesso tempo l’insegnante è diventato discente perché ha imparato dai suoi alunni “tecnologici” alcune nozioni su Internet, sui vari materiali multimediali e software utilizzati. Il progetto ha permesso e consolidato l’approccio interdisciplinare, consentendo agli alunni un’ampia visione dell’argomento, sia dal punto di vista storico che scientifico che sociale, perché lo scienziato non è stato isolato dal suo contesto storico, dal suo vissuto. Affrontare un argomento di scienze raccontando anche le vicende personali dello scienziato, “umanizzandolo”, ha suscitato l’interesse per la figura dello scienziato e la curiosità di voler conoscere “la storia” degli ulteriori scienziati che si incontreranno nello svolgimento del programma di scienze. Il contesto sociale in cui è collocata la scuola non offre molti luoghi e occasioni di incontro e alcuni ragazzi provengono da un ambiente familiare povero di stimoli culturali. Il progetto ha contribuito ad ampliare il bagaglio lessicale degli alunni scoprendo nuovi e “strani” termini (per esempio l’alunno S., mentre leggeva con i compagni del suo gruppo il materiale trovato, con molto pudore è venuto a riferire “Prof.ssa, qui c’è scritto ‘gabinetto’ scientifico!”). 233
La realizzazione del DST ha incoraggiato e ha permesso l’uso di strumenti multimediali e di nuovi e particolari software, fornendo agli alunni le conoscenze e le competenze necessarie per realizzare, in futuro, altri DST, in maniera autonoma e non solo in ambito scientifico. E soprattutto ha dato l’occasione di incontro, di confronto, di socializzazione (molti incontri si sono svolti di pomeriggio in orario extra-curricolare) per condividere uno scopo comune. Sono così migliorati i rapporti interpersonali tra gli studenti e tra studenti e docenti, maggiore è stato l’interesse e la partecipazione; è migliorata l’autostima (ognuno si è sentito protagonista e ha contribuito alla riuscita del lavoro). È migliorato il rispetto per le opinioni altrui e per le regole. Gli alunni, attraverso le vicende di A. Volta, hanno scoperto come lavora uno scienziato, come a volte le scoperte avvengano “per caso”, come lo scienziato riesca a cogliere l’importanza di un fenomeno osservato. Si sono sviluppati, in tal modo, l’ammirazione e il rispetto per il lavoro dello scienziato, la curiosità per la sua vita, per le scoperte scientifiche e su come esse nascano. Il progetto, inoltre, ha fatto scoprire quanto sia difficile “recitare” e quanto sia importante “sapere” e “saper leggere”, saper cogliere le relazioni tra avvenimenti storici e scoperte scientifiche, tra Storia, società e vita privata dello scienziato. La partecipazione dell’intera classe alla manifestazione di premiazione e l’aver vinto ha gratificato enormemente sia gli alunni, sia i docenti che tutta la scuola. Per ciò che riguarda le modalità di valutazione, si è tenuto conto delle ricerche, delle relazioni, della realizzazione di diapositive, delle discussioni in classe, delle verifiche orali, nonché dell’impegno e partecipazione alle varie attività. Tutti hanno partecipato e si sono impegnati, anche se in misura diversa. Nel complesso, buoni sono stati i risultati conseguiti sia in ambito cognitivo (conoscenza dell’argomento, acquisizione di competenze scientifiche, linguistiche, storiche ed informatiche), sia in ambito meta cognitivo- motivazionale. L’approccio allo studio delle scienze è molto migliorato. Un’ultima considerazione riguarda i tempi limitati che in orario curricolare si dedicano alle materie scientifiche e al fatto che, per realizzare esperienze come queste, sono necessarie molte ore, per cui si devono “sacrificare” ore extracurricolari. 234
Un ringraziamento al preside prof. S. Ferrara, che mi ha permesso di partecipare al seminario e al concorso, alla collega di Italiano e Storia Prof.ssa A. Minò e al collega di musica Prof. O. Lotesoriere per la loro preziosa collaborazione, nonché a tutti gli alunni che hanno affrontato con me questa “fantastica e costruttiva” esperienza. Si ringraziano il Prof. L. Dibattista e la Prof.ssa F. Morgese per la loro gentile e paziente disponibilità, per averci fatto vivere una bella e indimenticabile esperienza e per il loro prodigarsi nel promuovere una migliore e maggiore cultura scientifica, impegno che incoraggia anche il lavoro di noi insegnanti. Sitografia Il materiale utilizzato è reperibile sui seguenti siti: http:// alessandrovolta.it http:// scopertedivolta.blogspot.com http:// www.liceomamiani.it http:// it-wikipedia.org http:// ppp.unipv.it http://scienzapertutti.lnf.infn.it/biografie/volta http:// www.ecostampa.it http:// www.ilnostrotempo.it http://armilla.web/ innovascuola/Volta Bibliografia Sebastiano F. (1990). I fluidi imponderabili. Bari: Dedalo, pp.138-139. Mazzarello P. (2009). Il professore e la cantante: la grande storia d’amore di A. Volta. Torino: Bollati Boringhieri. Scheda tecnica “La svolta di Volta” Istituto: Scuola secondaria di I grado dell’Istituto Comprensivo “G. Galilei” di Pezze di Greco (Br); Classe: III – Sez.: B; Insegnante tutor della classe: Prof.ssa Rosa Vasta, insegnante di Scienze Matematiche; Premio: I Premio Scuola Secondaria di I grado; Motivazione del Premio: Per la perfetta aderenza ai criteri stabiliti dal bando quanto a durata, oggetto e modalità di presentazione. In particolare è da lodare l’efficacia comunicativa, la semplicità dei mezzi utilizzati, la simpa235
tia dell’impostazione generale, la correttezza del contenuto e l’attenzione al contesto storico; Durata: 15’ URL: www.ssscienza.uniba.it/cms4/ 2. “Wegener contro tutti” di LAURA CEGLIE e SERAFINA LA SELVA – insegnanti di Scienze – Liceo scientifico “E. Fermi” – Bari Il punto di partenza è stato la scelta delle classi con cui lavorare: la nostra disciplina comprende Chimica, Biologia e Scienze della Terra per cui la scelta era difficile a causa della grande varietà degli argomenti. La scelta è ricaduta sulle classi quinte sia perché il lavoro avrebbe potuto essere utilizzato come percorso per l’Esame di Stato, sia perché avrebbe potuto essere affrontato tranquillamente con collegamenti tra le materie studiate durante il triennio. Scelta la classe, si doveva scegliere l’argomento. Ci interessava particolarmente indagare una disputa scientifica e a tal riguardo è stato utile il testo Le dispute della scienza. Le dieci controversie che hanno cambiato il mondo di Hal Hellman. Dopo esserci confrontati con gli alunni, la scelta è caduta sulla Teoria della Deriva dei Continenti. All’inizio il nostro dubbio era che potesse essere un tema troppo banale, da storiella raccontata fin dalle scuole elementari (la famosa Pangea). Abbiamo invece scoperto con grande stupore il vasto interesse dell’ambiente scientifico verso questa “favola”. I materiali bibliografici trovati ci hanno consentito di scoprire tutti i retroscena e le interessanti dispute su questo argomento e anche sul personaggio Wegener. La storia di Wegener presenta tanti risvolti, da quelli più segnatamente scientifici a quelli umani, a cominciare dal fatto che Wegener fu osteggiato perché outsider: questo ci ha permesso di approfondire il lato nascosto della scienza, e cioè come procede il progresso scientifico, il ruolo del ricercatore e le difficoltà nell’affermazione di una nuova teoria. È un argomento interdisciplinare perché abbraccia la storia, la filosofia, la geologia, ma soprattutto permette di mettere in evidenza come gli aspetti politici (siamo tra la prima e la seconda guerra mondiale) e socio-economici spesso determinano o influenzano la ricerca scientifica. Ha dato la possibilità a noi docenti e agli alunni di avere una visione 236
d’insieme su un argomento scolastico a cui si dedica solo un accenno prima di passare alla più fondata Teoria della Tettonica a Zolle e ha permesso di comprendere, invece, il ruolo determinante della teoria di Wegener per le successive teorie. Inoltre l’argomento si prestava ad attività laboratoriali che riteniamo fondamentali per un maggiore coinvolgimento degli alunni che risultano più motivati. Abbiamo dunque indagato la storia di Alfred Wegener. Nato nel 1880 a Berlino, Wegener studia fisica, meteorologia e astronomia presso le Università di Berlino, Heidelberg e Innsbruck. Insieme alla classe abbiamo posto attenzione al fatto che egli fosse uno studioso che spaziava in diversi campi e soprattutto al suo ruolo di outsider, non essendo egli geologo ed essendo considerato inaccettabile nella comunità scientifica che uno studioso si interessasse e proponesse questioni in campi differenti da quelli dei propri studi. Wegener, infatti, comincia la carriera come metereologo ma in seguito allarga i propri orizzonti teorici alla paleoclimatologia, alla geofisica e alla geologia. Osservando che è possibile comporre assieme i lineamenti costieri dell’Africa Occidentale e dell’America del Sud, come i lembi di un foglio di giornale strappato, Wegener avanza per la prima volta l’idea della deriva dei continenti nel 1910, in una lettera alla fidanzata Else, arrivando ad esprimere in forma ordinata l’ipotesi durante una conferenza pubblica tenuta a Francoforte il 6 gennaio 1912. Nel 1915 pubblica Sull’origine dei Continenti e degli Oceani, quella che viene chiamata comunemente “Teoria della Deriva dei Continenti”. La nuova edizione del suo libro, pubblicata nel 1922, consiste in una trattazione multidisciplinare che, alla luce dell’idea della Deriva, prende in esame una grande quantità di prove tratte dagli ambiti più diversi: geodesia, geologia, paleontologia, paleoclimatologia, e geofisica. Ma Alfred non è ancora in grado di definire le forze responsabili dello spostamento delle piattaforme continentali. Probabilmente spera, vedendo uscire la traduzione inglese della sua fatica, che questo promuova nella comunità scientifica un serio confronto non solo sul “mobilismo”, ma sull’opportunità di rivedere, alla luce del modello interdisciplinare che egli aveva proposto, l’intero modo di procedere delle Scienze della Terra. Le cose, tuttavia, non vanno così; sull’onda delle aspre critiche dei geologi americani, anche i colleghi europei cominciano a guardare con sempre maggiore diffidenza al tentativo di Alfred e nei congressi di Londra (1924) e New York (1926) l’ago della bilancia si sposta decisamente a sfavore del coraggioso scienziato tedesco. 237
La Teoria della Deriva dei Continenti non è accettata dalla comunità scientifica nel corso della vita di Wegener, perché non riesce a spiegare né come né perché i continenti si muovano. La Teoria della Deriva dei Continenti rimane per diversi decenni esclusivamente la congettura suggestiva di uno scienziato certamente dotato, ma purtroppo incapace di fornire prove decisive. Questa situazione perdura fino ai lavori di Harry Hess nei tardi anni ’50, quando la tettonica delle placche comincia a prendere forma per annientare rapidamente il paradigma permanentista. Infatti, solo a metà del Novecento, grazie alle esplorazioni dei fondali oceanici e alla scoperta delle dorsali medio-oceaniche, si trovano le spiegazioni che mancavano. Wegener, dunque, aveva creato le basi di una moderna scienza sperimentale. Siamo partiti dalla biografia di Wegener per capire l’uomo, lo scienziato ed i motivi che l’avevano reso un outsider agli occhi dell’ambiente scientifico dell’epoca. Siamo passati a raccontare la favola della deriva dei continenti con le diverse spiegazioni paleoclimatiche, paleontologiche e paleogeografiche. Abbiamo, quindi approfondito le diverse concezioni religiose e filosofiche, fin dall’antichità, sull’argomento. L’incontro tra filosofia e scienza è avvenuto attraverso la conoscenza di due filosofi della scienza, Thomas S. Kuhn e Karl Popper. Focus dell’esperienza è stata la controversia tra sostenitori e oppositori della Teoria della Deriva dei Continenti, ma soprattutto la disputa tra Wegener e tutti gli scienziati dell’epoca. Sin dall’inizio i ragazzi, divisi in gruppi di lavoro, hanno avuto un ruolo attivo nelle diverse fasi della sceneggiatura. Essi, infatti, hanno svolto le seguenti attività: – Ricerca bibliografica sulla biografia di Wegener e sul contesto storico. – Ricerca sulle diverse teorie mitologiche, religiose e scientifiche sulla conformazione delle terre emerse (concezione religiosa, mito di Atlantide, teoria del catastrofismo, del permanentismo e contrazionismo, ecc.). – Ricerche bibliografiche sugli oppositori e sostenitori della teoria. – Interpretazioni e spiegazioni di Kuhn e Popper del progresso scientifico. – Organizzazione e messa in pratica dell’attività laboratoriale che aveva la finalità di dare una dimostrazione sperimentale alla deriva dei continenti. 238
– Selezione e scelta, discussa e condivisa, delle immagini, dei testi e delle musiche. Il punto di vista della narrazione è stato il personaggio Wegener, outsider, ostacolato e deriso prima ma poi rivalutato e sostenuto, da noi enfatizzato con la musica e le immagini della canzone The Posthumous Triumph of Alfred Wegener. La frase “A crazy man… A brilliant man”, con le immagini dei personaggi dell’epoca, riassume in modo diretto ed efficace il ruolo di Wegener. Il diverso approccio allo studio della Scienza, con l’utilizzo dello strumento più usato dai nostri ragazzi, nativi digitali, ha favorito l’apprendimento e la conoscenza multidisciplinare dell’argomento, ha promosso la partecipazione attiva e l’acquisizione di competenze nell’uso di software multimediali. La realizzazione del prodotto multimediale ha sicuramente favorito la collaborazione e la relazione di gruppo, successiva ad una fase di confronto, anche conflittuale sulle scelte fatte. Il ruolo dell’insegnante è stato quello di guidare nella scrematura del materiale utile, e nella mediazione dei “conflitti” all’interno dei gruppi di lavoro. Sicuramente lo studio delle Scienze della Terra effettuato con questa metodologia favorisce una visione completa e multidisciplinare dell’argomento. Questo nuovo approccio alla disciplina è ancora più utile in una classe quinta, ultimo anno di Liceo, in cui il bagaglio culturale dell’alunno favorisce la visione globale e permette anche di svolgere un percorso multidisciplinare e un’esperienza da portare agli Esami di Stato. Le ricerche sono state condotte dagli studenti e selezionate da noi docenti con l’aiuto degli studenti. La valutazione ha tenuto conto oltre che della qualità del prodotto finale, anche della partecipazione attiva di ogni alunno in tutte le fasi del lavoro e della capacità di lavorare in gruppo e di rispettare le altrui opinioni. Gli alunni hanno poi esposto una relazione sull’esperienza e sull’argomento nelle classi di appartenenza e anche questo è stato un momento di valutazione. Il diverso approccio allo studio della disciplina ha sicuramente facilitato l’apprendimento degli alunni che hanno risposto con entusiasmo e impegno proficuo. Ma anche per noi docenti è stata un’esperienza motivante e gratificante, sicuramente da ripetere e da introdurre nella normale programmazione del lavoro disciplinare. L’unico handicap è la mancanza del tempo, dato che le due ore settimanali di scienze sono davvero poche per svolgere più argomenti con la relativa storia della scienza. 239
Sitografia La ricerca bibliografica è iniziata con la biografia di Wegener ricavata da: – Wikipedia – Visione del filmato tratto da Explorasciencenow, RAI Educational 2009 (reperibile su YouTube) La canzone su Wegener utilizzata nel lavoro è stata tratta da: – Continental Drift: Alfred Wegener Song by The Amoeba People: The Posthumous Triumph of Alfred Wegener Bibliografia Il ruolo di outsider e le dispute con gli altri scienziati sono stati dedotti dai seguenti testi: Hellman H. (1999). Le dispute della scienza. Le dieci controversie che hanno cambiato il mondo. Milano: Raffaello Cortina. Segala M. (1990). La favola della terra mobile. La controversia sulla teoria della deriva dei continenti. Bologna: il Mulino. Ashall F. (1999). Le grandi scoperte scientifiche. Roma: Armando. Scheda tecnica “Wegener contro tutti” Istituto: Liceo Scientifico “E. Fermi” – Bari; Classe: studenti della V Sez.: A, V Sez.: B e V Sez.: M. Insegnante tutor della classe: Prof.ssa Laura Ceglie, insegnante di Scienze e Prof.ssa Serafina La Selva, insegnante di Scienze; Premio: I Premio Scuola Secondaria di II grado; Motivazione del Premio: Per la scelta dell’argomento, perfettamente aderente ai criteri del bando, nel suo sviluppo storico, scientifico ed epistemologico. Per l’uso estremamente accattivante dei mezzi audiovisivi, per la professionalità del prodotto realizzato; Durata: 10’ URL: www.ssscienza.uniba.it/cms4/ 3. “Il mondo invisibile di Leeuwenhoek” di SERAFINA BOTTA e ANNA LUISA LOSITO – insegnanti di Matematica e Scienze – Scuola Secondaria di I grado “G. Rocca” di Trani (Ba) La domanda motivante, a cui abbiamo cercato di dare una risposta con la narrazione storica, è stata: chi, oltre gli scienziati professionisti, ha con240
tribuito al progresso della Scienza e alla Rivoluzione Scientifica? Partire da una domanda è essenziale, poiché lavorare con i ragazzi suscitando in loro interesse e curiosità è sempre l’obiettivo di noi insegnanti. È stato questo lo spirito con il quale abbiamo posto all’attenzione dei nostri alunni una figura alquanto singolare: Anton van Leeuwenhoek, lo scienziato che oggi è considerato il padre del microscopio e della microbiologia e del quale, tuttavia, si conosce ben poco. Uno scienziato che il mondo scientifico ha un po’ dimenticato, benché abbia a suo tempo contribuito al progresso della scienza e alla rivoluzione scientifica al pari di scienziati “professionisti”. Uno scienziato “per caso” fuori dai canoni classici, non essendo né un fisico né un chimico né un medico, bensì un mercante di stoffe che, animato dall’amore per il proprio lavoro e dalla curiosità, è riuscito a scoprire un mondo invisibile fino ad allora completamente sconosciuto. Anche oggi sui testi di scienze raramente si parla di lui. Se sono riportate notizie storiche, queste riguardano la vita e le opere solo di alcuni scienziati, generando negli alunni la convinzione che si debba solo a loro il progresso scientifico. Per l’originalità del personaggio abbiamo ritenuto importante prendere in esame tre aspetti della vicenda storica che, come suggerito dalla Prof.ssa F. Morgese, offrivano la possibilità di affrontare tre temi: – Il contributo dei tecnici alla Rivoluzione scientifica; – Il ruolo della comunicazione della ricerca nella Rivoluzione scientifica del Seicento; – Le controversie seicentesche in tema di generazione. È stato così possibile far riflettere i ragazzi: 1. su chi erano gli scienziati del Seicento, sul loro metodo di lavoro, e compararlo con quello degli scienziati odierni; 2. sul ruolo delle Accademie nella diffusione della conoscenza scientifica e paragonare queste con gli attuali mezzi di comunicazione; 3. sulla provvisorietà delle teorie scientifiche. Il tema della narrazione è stato scelto da noi insegnanti e poi proposto agli alunni che, amando tantissimo il microscopio come strumento di lavoro, si sono appassionati, incuriositi e trasformati in “piccoli detective”, iniziando la loro ricerca sullo scienziato dal nome “difficile da pronunciare”. Lo scienziato A. van Leeuwenhoek visse nel Seicento, secolo di una straordinaria rivoluzione. Scienziati come Copernico, Galileo e Keplero posero le basi della scienza moderna. Notevole fu anche il contributo che 241
venne dalla tecnica: furono inventati il microscopio e il telescopio che consentirono un ampliamento della capacità di osservazione dell’uomo. Nacquero, poi, le Accademie, luoghi di scambio e di diffusione delle scoperte e delle teorie scientifiche ed infine fu un periodo storico in cui si scontrarono due diverse teorie sulla generazione: l’ovismo e l’animalculismo. Il XVII secolo in Olanda, Paese di origine dello scienziato, è conosciuto come il “Secolo d’oro”, periodo in cui fiorirono non solo la letteratura, l’arte, le scienze, ma anche i commerci. Nelle città dominavano i mercanti e il loro denaro. Leeuwenhoek, infatti, era un mercante di stoffe che utilizzava lenti di ingrandimento per contare i fili delle stoffe e verificare così la qualità delle stesse. Per questo motivo e per la sua grande curiosità egli ideò nuovi metodi per la lavorazione di piccole lenti sempre più potenti, tali da permettere un ingrandimento di ben trecento volte. Costruì il primo microscopio semplice, di cui fu sempre geloso e con il quale iniziò le sue innumerevoli osservazioni nella botanica, entomologia e anatomia. Anton van Leeuwenhoek, però, non era un uomo di cultura e per questo i risultati delle sue osservazioni, scritte in forma epistolare e corredate di disegni accurati, prima di essere inviati alla Royal Society di Londra venivano tradotti in latino, lingua ufficiale dei dotti. Di grande importanza le sue osservazioni sulla descrizione degli “animalculi spermatici”. Divenne, infatti, uno dei maggiori sostenitori della teoria animalculista che si contrapponeva alla teoria ovista. La sceneggiatura è costituita da otto scene di cui solo sei ripercorrono le tappe salienti, in successione temporale e di causa-effetto della storia di Leeuwenhoek. In particolare: 1) la scoperta del potere delle lenti da lui costruite per altri scopi e poi utilizzate per le osservazioni di organismi viventi; 2) la visita di Regnier de Graaf, concittadino di Anton e scienziato che comunica alla Royal Society quanto scoperto da Leeuwenhoek e che metterà così in contatto lo scienziato con l’Accademia londinese; 3) Leeuwenhoek che comunica per mezzo di numerose lettere all’Accademia di Londra le sue scoperte che vengono così diffuse; 4) la discussione tra accademici relativamente alle teorie animalculiste e oviste che evidenzia non solo le controversie di quel periodo in tema di generazione, ma anche la scarsa considerazione in cui era tenuta la teoria animalculista sostenuta da Anton, scienziato “non professionista”; 5) la visita dello Zar, della Regina di Inghilterra e del Dott. Molineux (inviato dell’Accademia Inglese) per evidenziare la straordinarietà della sua invenzione e delle sue scoperte tali 242
da suscitare l’interesse dei Reali del tempo e di una Accademia prestigiosa come la Royal Society; 6) la scrittura delle ultime lettere dello scienziato alla Royal Society, alla quale fu fedele fino alla morte. La prima ed ultima scena e alcune brevi apparizioni per introdurre le diverse scene vedono protagonisti i ragazzi di oggi che immaginano di effettuare un viaggio nel passato, desiderosi di scoprire come fosse e come operasse lo scienziato olandese vissuto nel XVII secolo. In un primo momento le scene erano introdotte da una voce narrante che poi si è deciso di eliminare, perché questa avrebbe potuto essere noiosa e poco coinvolgente, ma anche per sottolineare l’interesse e la curiosità dei ragazzi per la Storia della Scienza. La selezione dei fatti da narrare è stata effettuata in riferimento ai tre temi che caratterizzano la storia di Leeuwenhoek e quindi agli obiettivi precedentemente riportati. Con il racconto della vita di Anton i ragazzi hanno scoperto e conosciuto uno scienziato poco noto e ingiustamente dimenticato, che ha contribuito con le sue scoperte ed invenzioni alla nascita e allo sviluppo della microbiologia. Attraverso la lezione frontale, il brain storming, la discussione guidata e il lavoro di gruppo si è giunti alla stesura della sceneggiatura. La scelta dei ruoli è stata effettuata dagli alunni, in perfetto accordo tra loro. Durante la recitazione sono state attuate delle variazioni al copione sia nei dialoghi da parte delle docenti e degli alunni, sia nel modo di interpretare i personaggi, anche per eliminare alcune difficoltà emerse durante le riprese. Gli alunni, abituati nella pratica quotidiana ad osservare, a porsi domande e a cercare risposte nel realizzare le esperienze di laboratorio, hanno accolto con interesse e curiosità, come detto precedentemente, la possibilità di “investigare” su questo scienziato, inventore del microscopio, strumento da loro utilizzato. Li ha entusiasmati soprattutto la possibilità di usare mezzi multimediali a loro ben noti, di cui ci si serve poco a scuola e di impersonare con la recitazione i protagonisti della storia oggetto della loro ricerca. Il numero limitato di alunni (pochi hanno aderito in quanto l’attività si è svolta in orario extracurricolare) ha favorito l’instaurarsi di un clima sereno e ci sono stati: discussione costruttiva, scambio di opinioni, lavoro di ricerca, comprensione e selezione delle informazioni che hanno portato alla stesura della sceneggiatura e alla attribuzione dei ruoli. I ragazzi, tra gli 11 e i 13 anni, sono stati guidati durante tutte le fasi dell’attività da noi insegnanti e, durante le riprese, dall’esperto video che 243
ha curato il montaggio delle scene. La scelta di realizzare una drammatizzazione che mostrasse le fasi principali della vita dello scienziato A. van Leeuwenhoek è stata voluta fortemente dagli alunni. Entusiasti del lavoro, non ci siamo molto preoccupati dei costumi da indossare nelle scene d’epoca. Solo alcuni alunni e docenti che non avevano partecipato all’attività ci hanno fatto notare che gli abiti moderni non erano molto coerenti con gli ambienti e con il periodo storico e che quindi potevano essere un elemento di distrazione. Riteniamo, comunque, che l’attività di digital storytelling si debba svolgere a livello interdisciplinare e possibilmente non in ore curricolari, come abbiamo fatto noi, perché altrimenti sorgerebbero difficoltà organizzative dovute all’orario dei docenti, agli spazi a disposizione e infine al numero elevato di alunni per classe. Per quanto riguarda le fonti utilizzate nella ricerca, siamo partiti da alcuni libri di testo di Scienze e poi nella rete abbiamo cercato notizie ed informazioni storiche, geografiche, economiche, culturali, scientifiche sul periodo in cui è vissuto lo scienziato Leeuwenhoek. Per quanto attiene la valutazione, si è proceduto ad osservare l’atteggiamento degli alunni nei confronti delle Scienze e a somministrare un questionario di gradimento e uno per la verifica delle conoscenze e delle abilità acquisite. Dall’analisi dei test è risultato che la maggioranza dei partecipanti al progetto ritiene che: – gli ambienti e gli strumenti tecnici utilizzati siano stati ottimali; – il materiale didattico sia stato adeguato; – il gruppo abbia lavorato in modo costruttivo; – i docenti siano stati socievoli e disponibili; – la frequenza dell’attività non sia stata pesante; – le attività proposte siano state entusiasmanti; – la frequenza al progetto abbia modificato in parte il loro rapporto con le scienze; – le conoscenze e le abilità acquisite possano servire durante le attività curricolari. Infine, è emerso che i ragazzi hanno parlato dell’attività soprattutto a casa e con i compagni. Relativamente alle conoscenze e alle abilità acquisite, gli alunni hanno raggiunto nel complesso livelli più che soddisfacenti. A conclusione dell’attività possiamo, quindi, affermare che il digital storytelling è una metodologia didattica coinvolgente ed efficace per insegnare le Scienze. 244
Si ringrazia il Dirigente Scolastico, prof. Antonio De Salvia, il prof. Liborio Dibattista del Seminario di Storia della Scienza e la prof.ssa Francesca Morgese dello staff “Il racconto della scienza”, per la disponibilità, il sostegno e la guida all’attuazione di questa innovativa sperimentazione. Bibliografia Brizzi G., Pastorini G., Busà E. (2010). Con gli occhi della Scienza, vol. III. Milano: Le Monnier Scuola. Bonnes R., De Re P. (1999). Avventure nella scienza. Il mondo dei viventi. Firenze: Bulgarini. Gori Giorgi C. (1994). Corso di Scienze per la scuola media. Bologna: Zanichelli. Sitografia Secolo d’oro olandese, http://it.wikipedia.org/wiki/Secolo_d’oro_olandese. L’evoluzione del pensiero medico attorno al problema dell’embriogenesi, a cura di A. Semprini, http://www.pediatria.it/storiapediatria/p. asp?nfile=storia_embriogenesi. Morelli S. (2008). Viaggio nella microbiologia: breve cronistoria dei personaggi e degli avvenimenti che hanno contribuito alla nascita e allo sviluppo della batteriologia. Tesi di Laurea. Università degli Studi di Ferrara, Facoltà di Medicina e Chirurgia, www.tlbspazio.it/public/files1/Storia%20 della%20batteriologia.doc. Dagli animalculi agli spermatozoi, 300 anni, www.andrologiaonline.net/ pubblicazioni. I Preformisti, www.cavmelzo.it/Embrione/storia/storia08.htm. Un po’ di storia, http://www.amicidelmicroscopio.it/storia.php. Biografia di A.van Leeuwenhoek, www.essortment.com/biography-antony-van-leeuwenhoek-20580.html. Bezzeccheri A., A. van Leeuwenhoek: padre della micromorfologia e padre degli spermatozoi, www.salearning.org/focus/Anton.doc. Scheda tecnica “Il mondo invisibile di Leeuwenhoek” Istituto: Scuola Secondaria di I grado “G. Rocca” di Trani (Ba) Classe: I Sez.: B; II Sez.: B; e III Sez.: G. Insegnante tutor della classe: Prof.ssa Serafina Botta e Prof.ssa Anna Luisa Losito, insegnanti di Matematica e Scienze. 245
Premio: II Premio Scuola Secondaria di I grado; Motivazione del Premio: Per l’originalità dell’idea, la coinvolgente interpretazione degli studenti, la precisione dei particolari storiografici, l’efficacia comunicativa; Durata: 9’ URL: www.ssscienza.uniba.it/cms4/ 4. “Io… Cantor” di VALERIA PALMISANO e PINA ANCONA – insegnanti di Matematica e Fisica – Liceo “Tito Livio” di Martina Franca (Ba) A chi non è mai stata rivolta la domanda: “Professore, mi scusi, ma a che serve la matematica?”. Poiché questa scienza, rispetto ad altri ambiti del sapere umano, appare più frequentemente accompagnata da un forte aspetto emotivo-motivazionale, abbiamo ritenuto più conveniente ad inizio anno proporre un questionario, per sapere come i ragazzi vivono il proprio rapporto personale con la matematica, invece della solita prova d’ingresso. Dall’analisi delle risposte è emerso che la matematica è una materia esigente fatta solo di rigore, certezze, deduzione logica… praticamente potente e infallibile faticosa da apprendere e da ricordare, per la maggior parte dei ragazzi; ma, per pochi, se da un lato richiede costanza ed impegno, dall’altro può essere fonte di grande soddisfazione. Per noi insegnanti di matematica, che amiamo questa disciplina, non è sempre semplice far passare l’idea che la matematica è essenzialmente uno tra i possibili linguaggi per interpretare la realtà (“La natura è un libro scritto in caratteri matematici”, Galileo Galilei) e che, a ben comprenderla, “non possiede solo la verità, ma anche la suprema bellezza” (B. Russell), l’armonia, la poesia, la libertà, la composizione armonica delle diversità. Un punto critico, ma particolarmente favorevole, per affrontare questa delicata questione è il secondo anno di scuola superiore, quando si affronta il discorso dei numeri reali. Dopo aver introdotto la struttura degli insiemi numerici N, Z, Q trattati durante il primo anno di studi, occorre parlare dell’importanza del nuovo insieme numerico legato all’algoritmo già noto dell’estrazione di radice e quindi dei numeri irrazionali. Naturalmente si è già affrontata la corrispondenza tra numeri e punti sulla retta e l’introduzione dei numeri irra246
zionali permette di “costruire” geometricamente i punti mancanti, quelli che vanno a riempire i “buchi” che nessun numero in N, Z o Q poteva occupare. L’idea che i numeri N, Z, Q abbiano cardinalità infinita numerabile è presente negli alunni per il fatto che ogni numero per quanto grande sia, ammette un successivo. Quando si passa, però, a considerare i numeri reali, l’idea che siano in numero infinito è da tutti condivisa, ma che questa numerosità sia diversa ed in particolare maggiore di quella precedente suscita molte perplessità. Accettare che gli infiniti siano diversi tra loro non è cosa semplice. Si tratta perciò di passare dall’infinito discreto all’infinito continuo, concetto tra le antinomie matematiche (finito/infinito, limitato/ illimitato, numerabile/non numerabile, particolare/generale, …) di fondamentale importanza sia nella matematica stessa (si pensi allo studio delle funzioni reali che si affronta nel triennio) che per le implicazioni filosofiche connesse. In tale contesto narrare la storia di Georg Cantor è sembrato, a noi docenti, particolarmente appropriato per tre ragioni. La prima, di carattere strettamente disciplinare, è che egli ha costruito una teoria sistematica dei numeri reali, ne ha definito in modo rigoroso tutte le operazioni, ed in particolare ha dimostrato, in modo abbastanza semplice, che R ha cardinalità infinita ma superiore a quella di N, Z, Q. La seconda ragione, che attiene più al metodo di indagine scientifico, è che la sua vicenda storica mette in luce come anche all’interno della matematica, come in ogni altra scienza umana, ci sono stati punti di vista diversi sulle medesime questioni, tutti ugualmente legittimi che, seppure sembravano contrapporsi l’uno all’altro, la storia poi ha voluto che si integrassero reciprocamente in una visione della matematica sempre più completa e più vera. Infine la formulazione dell’ipotesi del continuo, che Cantor non riuscì a dimostrare, aprì la discussione, affrontata tra il XIX e il XX secolo, sui fondamenti della matematica che ottenne un notevole risultato con Kurt Gödel, nel 1831. I teoremi di incompletezza affermano che anche se un sistema formale è coerente al suo interno, non può sempre dimostrare la validità o meno di una sua affermazione, o, detto in altre parole, anche se un’affermazione è vera, non sempre la si può dimostrare con la sola deduzione logica, cioè dall’interno della matematica stessa. Ciò mette in evidenza che il concetto di “verità matematica” subisce una profonda trasformazione, non significa più aderenza con la realtà, ma solo coerenza logica interna; questo spiega ulteriormente che la matematica non ha tutti gli strumenti per indagare la realtà e che la ricerca della verità ha bisogno di un approccio sistemico. 247
Passiamo ora ad illustrare il contenuto storico. Georg Cantor (San Pietroburgo 1845-Halle 1918) è un matematico tedesco, di origini russe, che vive ed opera essenzialmente nella città di Halle, piccola città di provincia, in pieno periodo positivista. La sua famiglia, ebrea da parte paterna, con inclinazioni artistiche e musicali da parte materna, lo influenza in modo decisivo, incoraggiandolo a proseguire gli studi scientifici, ma nello stesso tempo, un forte interesse per le argomentazioni concernenti la continuità e l’infinito lo fa desistere dall’intraprendere una carriera prosaica, come quella di ingegnere, che suo padre gli aveva suggerito. Terminato il ginnasio con ottimi voti, il giovane Cantor inizia a studiare matematica prima presso il Politecnico di Zurigo e poi presso la prestigiosa Università di Berlino, considerata all’epoca la migliore Università al mondo in matematica. Qui ha l’opportunità di avere come maestri Weierstrass, Kummer e Kronecker, i migliori matematici del tempo. Terminati gli studi, Cantor riceve un incarico presso l’Università di Halle e comincia ad occuparsi di insiemi infiniti. Considera che esistono vari livelli di infinito, sempre più alti, come cerchi concentrici. Questi infiniti non indicano più la potenzialità di Aristotele, ma diventano “attuali”, nel senso che su di essi si possono fare delle operazioni e ottenere dei risultati. L’infinito più piccolo è quello dei numeri naturali N. Tutti quegli insiemi per cui è possibile creare una corrispondenza biunivoca con N hanno lo stesso numero di elementi, cioè la stessa cardinalità di N. Prima contraddizione (rispetto alla matematica precedente, una verità controintuitiva): un intero insieme ha lo stesso numero di elementi di un suo sottoinsieme, per esempio i numeri pari hanno la stessa cardinalità di N!!!!! Lo stesso Dedekind vide in questa antinomia non un’ anomalia, ma una proprietà degli insiemi infiniti e Cantor si rese anche conto che non tutti gli insiemi infiniti sono simili. Cantor denomina questa cardinalità, cioè questo primo livello di infinito, col simbolo ℵ0, utilizzando la prima lettera dell’alfabeto ebraico. Anche Q, contrariamente a quanto possa sembrare, ha la stessa cardinalità di N. Cantor lo prova con un procedimento detto “di diagonalizzazione”. Mentre le idee e i risultati di Cantor si diffondono, nel mondo accademico cresce l’ostilità da parte di Kronecker verso il suo ex allievo. Algebrista convinto, questi usa affermare che «Dio ha creato i numeri interi, tutto il resto è opera dell’uomo. Tutti i risultati delle più profonde ricerche matematiche, devono alla fine potersi esprimere sotto la semplice forma 248
di proprietà dei numeri interi». Perciò studiare e usare i numeri irrazionali significa quasi compiere un atto contro natura. Oltre al disprezzo per tali tipi di numeri, Kronecker nutre un odio profondo per qualsiasi cosa abbia a che fare con il concetto di infinito. Cantor, dal canto suo, studia proprio i numeri irrazionali e si avvicina sempre più all’affascinante concetto di infinito attuale. Kronecker non esita a definire il suo ex allievo un “corruttore della gioventù” perché insegna questi “concetti senza senso”. Cantor si sente sempre più isolato nella piccola Università di Halle. Quasi tutto il mondo accademico di Berlino, influenzato da Kronecker, gli è sempre più ostile. Comincia a considerare l’opposizione nei suoi confronti, che è di natura filosofica e legata al procedere delle idee scientifiche, soprattutto se nuove e contrarie al paradigma vigente, come una questione personale. Ma la sua attività di ricerca non si ferma. Ora si chiede: tutti gli insiemi infiniti possono essere messi in relazione con N? Cantor dimostra che nell’intervallo [0,1] ci sono più numeri che in N. Allora l’insieme dei numeri reali [0,1] non è numerabile perché non si può stabilire una corrispondenza biunivoca con N. R contiene più numeri di N, e la sua cardinalità è diversa, ma più numerosa, rispetto ad ℵ0. Cantor chiama questa cardinalità ℵ1. Ma la cosa più sconvolgente di cui Cantor dà una dimostrazione è che il piano, ma anche lo spazio, contengono lo stesso numero di punti presenti nella retta e cioè di R. Quest’idea bizzarra a lui stesso pare strana, come scrive in una lettera al suo amico R. Dedekind: “… lo vedo ma non lo credo!”. In quella stessa occasione, Dedekind suggerisce al suo amico di stare molto attento alla reazione del mondo matematico. Da persona realista e prudente, Dedekind sa che la reazione a questa idea rivoluzionaria sarà feroce e spietata nei suoi confronti. E così accade. Quando il 12 giugno del 1877 Cantor invia il suo articolo per essere pubblicato sul «Crelle’s Journal», Kronecker convince l’editore che gli argomenti proposti sono vuoti e senza senso e che la comunità matematica deve essere salvata da una simile idiozia. Solo l’intervento di Dedekind riesce a far pubblicare l’articolo l’anno dopo. Tuttavia Cantor rimane profondamente amareggiato dalla vicenda e non invia più i suoi articoli di ricerca a quella rivista. Cantor accetta la possibilità di indagare la realtà dell’infinito, senza lasciarsi bloccare dal fatto di non poterlo toccare, vedere, sperimentare 249
(atteggiamento dei greci con l’infinito potenziale e positivista dei suoi contemporanei). Accetta anche l’idea che ci siano più tipi di infinito e a questi dà il nome di numeri transfiniti, che indica con le lettere dell’alfabeto ebraico ℵ0, ℵ1, ℵ2, … Nella sua ricerca, Cantor è anche guidato dalla sua fede religiosa, che la famiglia di origine ebraica gli ha trasmesso. Egli è convinto dell’esistenza di Dio, che chiama Infinito Assoluto e non avverte assolutamente disagio nel manipolare oggetti infiniti. Lo sforzo successivo Cantor lo compie per dimostrare che tra ℵ0 e ℵ1 non ci sono altri infiniti, la cosiddetta Ipotesi del continuo. Ma qui Cantor impiega degli anni senza raggiungere il suo obiettivo. A volte dimostra che è falsa, a volte gli sembra di essere vicino a dire che è vera. Questo lo fa uscire di senno. Cantor attribuisce a se stesso e alla sua teoria l’incapacità di risolvere il problema in modo definitivo, ma in realtà non sa che il quesito non ha soluzione. Solo nel 1931 Gödel dimostrerà che, anche se un teorema è vero, può essere matematicamente impossibile provarlo. Dal 1884, a soli 40 anni, Cantor comincia a soffrire di crisi depressive. Le forti opposizioni che il mondo accademico gli ha riservato, il suo carattere sensibile ma iracondo, l’impossibilità di concludere con coerenza la propria teoria, lo portano a sentirsi sempre più frustrato e solo. Viene ricoverato più volte nella Halle Nervenklinik, una clinica psichiatrica universitaria, dove muore il 6 gennaio del 1918. L’importanza dei suoi risultati si evince dalla celebre frase di Hilbert: “Nessuno ci scaccerà mai dal paradiso che Cantor ha creato per noi”. Cosa abbiamo voluto raccontare della storia di Georg Cantor? Il corso della storia della matematica, come la storia della scienza, ha un andamento fatto di discontinuità. Non tutte le idee fioriscono in modo semplice e indolore ma ogni volta che nasce qualcosa di nuovo, inevitabilmente si scontra con uno status precedente. Anche nella matematica, considerata da sempre la regina delle scienze, caratterizzata da certezze e verità indiscutibili perché dimostrabili logicamente, esistono punti di vista differenti sullo stesso concetto, di uguale dignità e contenenti qualcosa di vero. La matematica non è vera, ma diventa sempre più vera… Forse Cantor aveva visto lontano quando affermava “l’essenza della matematica è la libertà”, che non significa arbitrarietà (ognuno dice e pensa quello che vuole), ma responsabilità nel portare avanti, fino alle estreme conseguenze, un’idea o un’intuizione che ha radici nelle conoscenze del passato ma che inevitabilmente si proietta verso qualcosa di nuovo e, per250
ciò, di sconosciuto ma che la matematica, con i suoi strumenti, è chiamata ad indagare. Illustriamo ora in che modo abbiamo costruito la narrazione. Il lavoro da noi realizzato ha visto il coinvolgimento di due classi, una di quinto ginnasio e una di II anno di liceo scientifico, per un totale di 35 ragazzi tra i 15 e i 16 anni. Siamo partiti da uno stimolo iniziale rappresentato dalla visione di una cinquantina di slides in Power Point, corredate da immagini e musiche relative, realizzate da noi insegnanti, che narravano la storia di Georg Cantor nei tratti salienti illustrati nel precedente paragrafo. Per il lavoro seguente si sono svolti degli incontri pomeridiani, per un totale di 25 ore circa. Nel primo incontro abbiamo spiegato che lo scopo era quello di realizzare un prodotto multimediale che narrasse la storia di Georg Cantor, con particolare riguardo sia alle ricerche riguardanti i numeri reali che alla personale visione della matematica in contrasto con quella “finitista” vigente nel suo periodo storico. I ragazzi spontaneamente, guidati dall’idea da loro stessi espressa che “la visione della storia non deve risultare noiosa”, hanno cominciato a pensare di realizzarne una parte con un video, in cui essi stessi prestassero voce e volto a Georg Cantor, ed una seconda parte con delle slides che illustrassero la sua teoria matematica. Su questa impostazione generale, però, non c’è stato un accordo totale tra gli alunni, pertanto alcuni hanno deciso di occuparsi della realizzazione della parte recitata, altri della parte illustrativa. La cosa molto interessante è che i singoli ragazzi naturalmente hanno scelto l’ambito più confacente alle loro attitudini: gli alunni del liceo classico si sono concentrati sulla diatriba tra Cantor e il suo avversario Kronecher, ricca di riferimenti storici e filosofici alla cultura greca, mentre i ragazzi dello scientifico si sono più concentrati sulla teoria matematica dei numeri reali, in cui il processo logico-deduttivo è protagonista. Un’altra decisione presa insieme e condivisa tra alunni e insegnanti, prima della suddivisione in gruppi di lavoro, è stata quella di far partire la storia dall’ambiente scolastico: l’insegnante di matematica, in classe, inizia un monologo sulla storia di Georg Cantor ma, dopo le prime battute, provoca il sonno di un’allieva. Questa si ritrova a immaginare gli eventi successivi e a viverli dall’interno, nei momenti più critici e coinvolgenti. Non è il racconto cronologico dei fatti che rende accattivante e utile il racconto della scienza ma la narrazione di momenti significativi per persone e idee coinvolte. 251
Dopo queste decisioni prese “in seduta plenaria”, come docenti abbiamo suggerito la suddivisione in gruppi di lavoro: un primo gruppo si è occupato di cercare informazioni significative sulla giovinezza di Cantor (la sua famiglia di origine, la formazione culturale e religiosa, l’ambiente storico e culturale del suo tempo); il secondo ha analizzato le dimostrazioni riguardante la diagonalizzazione di Q e la non numerabilità di R, il terzo ha cercato informazioni sui personaggi che contrastavano Cantor e su quelli che lo sostenevano, il quarto ha individuato quali conseguenze abbiano avuto le ricerche e gli studi del matematico tedesco. Questi gruppi hanno provveduto anche, ognuno per la parte di propria competenza, alla ricerca di immagini significative da inserire nel DST. Il quinto gruppo, più numeroso, si è occupato delle riprese video nella recitazione degli studenti, scrivendo i testi sia della parte iniziale, che dà l’avvio alla storia, sia della parte cruciale in cui avviene lo scontro ideologico tra le teorie di Cantor e quelle di Kronecker. Precisiamo che, storicamente, tale scontro non pare sia avvenuto materialmente, così come noi lo abbiamo raccontato ambientandolo nello studio del prof. Kronecker (simulato usando la Biblioteca del nostro Liceo), ma sempre “a distanza”, con una serie di interventi di Kronecker presso gli editori o l’ambiente accademico, volti a screditare il suo ex allievo. Tuttavia la nostra scelta si è orientata a darne una rappresentazione concreta per sottolineare quanto il mondo accademico della matematica ufficiale nella prestigiosa Università di Berlino avesse una posizione molto rigida e chiusa rispetto alle nuove teorie proposte da Cantor e quanto questa ostilità influì pesantemente sulla vita personale del matematico tedesco, tanto da comprometterne la salute mentale. In fondo ciò che si è voluto raccontare è il punto di vista di Georg Cantor sulla matematica e sui suoi strumenti di indagine. Fase particolarmente delicata nella costruzione del DST è stata l’assemblaggio della varie parti realizzate dai singoli gruppi. Inserire nella narrazione tutta la complessa vicenda di Georg Cantor è stato praticamente impossibile, pertanto ci siamo fatti guidare dall’idea che dovevamo inserire ciò che di essenziale e significativo era funzionale al racconto. Quindi della sua giovinezza abbiamo ricordato solo due elementi: – la sua formazione religiosa e artistica, caratteristica che contribuisce a formare il suo carattere sensibile, geniale e aperto al concetto di infinito attuale, idea sulla quale si concentra tutta la sua attività di matematico; 252
– le parole che il padre gli scrive in una sua lettera durante il periodo degli studi liceali, in cui lo incoraggia a “diventare una stella che brilla sull’orizzonte della scienza”, pensiero che fa intravedere la particolare stima di cui godono le scienze in pieno periodo positivista. Della teoria costruita da Cantor sui numeri reali, abbiamo invece ricordato solo: la cardinalità ℵ0 di N e di Z, il processo di diagonalizzazione per dimostrare che la cardinalità di Q è sempre ℵ0, il processo di dimostrazione che R ha cardinalità ℵ1 (maggiore di ℵ0), la dimostrazione che il piano ha la stessa cardinalità di R, a cui è legata la famosa frase: “… lo vedo ma non lo credo” scritta all’amico Dedekind. Tra i sostenitori e gli oppositori, abbiamo scelto i più significativi, cioè Dedekind e Kronecker. Tra le conseguenze delle ricerche di Cantor abbiamo scelto di citare solo Gödel, perché è colui che fornisce una risposta alla spinosa questione dell’ipotesi del continuo, alla quale Cantor aveva dedicato tante energie senza venirne a capo e che, alla fine della sua esistenza, lo aveva fatto dubitare dell’intera teoria dei numeri trasfiniti da lui stesso formulata. Inoltre è la conclusione cui giunge Gödel che ci permette di ridimensionare la “potenza” della matematica come strumento assoluto di indagine della realtà. Il vero punto critico è stata la realizzazione multimediale del DST. Innanzitutto, le attrezzature scolastiche a nostra disposizione sono risultate abbastanza obsolete per la gestione di file video, pertanto nella fase di montaggio delle varie riprese, abbiamo incontrato difficoltà notevoli. Le abbiamo superate chiedendo aiuto ad una ex alunna del nostro liceo, che si occupa in modo professionale di montaggi video. Grazie a lei abbiamo potuto disporre di hardware e software adeguati allo scopo. Ma anche il coordinamento dei ragazzi in questa fase non è stato semplice. Premettiamo che all’inizio di questa “avventura”, noi insegnanti, poco esperti in questo specifico settore, avevamo chiesto agli alunni se avessero conoscenza di software per il montaggio di video e alcuni di loro avevano dato la loro disponibilità a questo tipo di realizzazione multimediale. Nella fase di lavoro concreto, invece, alcuni sapevano usare dei software che altri non conoscevano e perciò non riuscivano a collaborare, altri cercavano di imparare ad usare il software ma alle prime difficoltà si arrendevano, altri assumevano degli impegni ma la volta successiva si assentavano. Tuttavia, dinanzi all’imminente scadenza del concorso e di fronte allo scoraggiamento anche di noi docenti, i ragazzi hanno tirato fuori tutte le loro energie e le loro risorse di impegno e volontà e sono riusciti ad assemblare tecnicamente il DST. Si pensi che il giorno prima della consegna il DST è 253
stato assemblato tre volte di seguito con tre software diversi, perché ogni volta sorgeva un problema tecnico: prima il file, realizzato dagli alunni sul loro computer non si riusciva a leggere sul PC della scuola, quindi è stato rifatto dall’inizio ma non si riusciva a masterizzare il DVD per inviarlo al concorso, infine è stato assemblato nuovamente con un altro software che ha finalmente dato l’esito sperato. L’ambiente di apprendimento in cui abbiamo lavorato è stato sperimentale anche per noi insegnanti. Siamo partiti sapendo cosa volevamo realizzare, ma il come risultava abbastanza vago. Contrariamente al nostro modo di lavorare, dove tutto è chiaro perché predefinito e già strutturato (gli argomenti da trattare, gli esercizi da svolgere, gli obiettivi da raggiungere, …), in questa occasione ci siamo fidati degli alunni, mettendo nelle loro mani sia le conoscenze da strutturare sia il metodo con cui organizzarle. Abbiamo sperimentato che cosa significa centrare l’apprendimento sugli studenti, perché loro hanno dato significato alle conoscenze che insieme hanno costruito, sotto il nostro tutoraggio. Il nostro lavoro è stato quello di regista d’aula: avendo chiaro l’obiettivo da raggiungere, abbiamo coordinato i vari gruppi di lavoro a conseguirlo, talvolta correggendo, altre volte incoraggiando, altre volte ancora stimolando la riflessione o chiarendo i punti critici del problema affrontato. Abbiamo osservato come nei gruppi i ragazzi collaboravano nella ricerca delle informazioni, come si confrontavano e selezionavano o costruivano i materiali da inserire nel DST. Certo, non sempre ciò è avvenuto in modo lineare, ma attraverso un sereno confronto si arrivava sempre ad una sintesi di posizioni diverse. Imparare a gestire le relazioni con gli altri è sicuramente una competenza di cittadinanza non trascurabile. Alla fine di questa esperienza e guardando il DST realizzato, possiamo dire che abbiamo scelto un argomento affascinante ma certamente complesso. Tuttavia il risultato ha superato le aspettative. Non sarebbe stato possibile un apprendimento della teoria di Cantor né del suo punto di vista sulla matematica con una tecnica di insegnamento tradizionale: dopo i primi cinque minuti di lezione, i ragazzi di questa fascia di età si sarebbero certamente addormentati, come avviene alla ragazza del DST. I ragazzi sono invece stati coinvolti nella disputa tra Cantor e Kronecker, inizialmente chiedendosi chi dei due avesse ragione per pervenire poi a comprendere la ragionevolezza delle due diverse posizioni. Anche le conclusioni di Gödel sarebbero state improponibili, se consegnate agli allievi in modo astratto, ma inserite nella storia concreta di Cantor hanno fatto comprende254
re come anche la matematica abbia i suoi limiti e abbia bisogno delle altre discipline per indagare la realtà. Le ricadute cognitive sul percorso di apprendimento scolastico sono state di varia natura: innanzitutto abbiamo osservato un aumento di fiducia degli alunni in se stessi, anche tra i più deboli dal punto di vista strettamente disciplinare. Nella realizzazione del DST, infatti, sono state valorizzate delle competenze personali, in termini di autonomia, responsabilità, conoscenze extra-scolastiche, che nel normale svolgimento del percorso curricolare non sempre possono emergere. È cresciuto, inoltre, anche l’interesse per la matematica curricolare, come se i ragazzi avessero scoperto un “gusto nuovo” nell’affrontare i problemi proposti e nel cercare le soluzioni. Infine anche la creatività e l’originalità nel processo di ricerca delle soluzioni a quesiti di algebra o geometria sono state rafforzate: spesso, infatti, uno stesso problema viene affrontato da alunni diversi in modi differenti ma ugualmente validi. Ognuno è chiamato a motivare le proprie conclusioni, e a sottoporre a validazione il proprio percorso razionale. La verità può essere vista da punti di vista differenti, proprio come è successo a Georg Cantor. La valutazione, intesa come misurazione oggettiva di abilità conseguite al termine di un’unità didattica e successiva opportuna trasformazione in voto decimale, non è stata condotta con i metodi tradizionali, poiché l’argomento trattato nel DST ha tratto spunto dall’argomento curricolare dei numeri irrazionali per ampliarsi a questioni di tipo epistemologico, afferenti al senso della ricerca scientifica e matematica. Una valutazione di tipo quantitativo non è sembrata pertanto appropriata. Si è invece utilizzato essenzialmente lo strumento dell’osservazione degli studenti, in particolare del loro comportamento in una situazione complessa, qual è la realizzazione di un DST. Riflettendo su questo tipo di valutazione a noi insegnanti non familiare, ci sembra opportuno sottolineare che l’osservazione degli studenti “in situazione”, come quella qui descritta, rappresenta certamente un criterio efficace per valutare la capacità dei ragazzi di applicare conoscenze, abilità e capacità personali anche in termini di responsabilità, di autonomia, di collaborazione. Dovremmo pensare però ad una modalità concreta per ricondurla, ahimè, ad un’espressione numerica perché questa, alla fine, siamo chiamati ad esprimere. Alla fine di questa esperienza desideriamo ringraziare i docenti dell’Università di Bari, in particolare il prof. Liborio Dibattista e la prof. ssa Francesca Morgese, che ci hanno offerto l’opportunità di una “avventura didattica” impegnativa, ma assolutamente originale e creativa. 255
Certo la nostra prassi didattica, sempre stretta nei tempi dei programmi da svolgere in vista del fatidico Esame di Stato e ancora lontana da una collaborazione fattiva tra le varie discipline, non offre attualmente molti spazi per lavori come la realizzazione di DST. Tuttavia sembra che la didattica per competenze e la normativa degli ultimi anni chieda alla scuola italiana, ma non solo, una riflessione molto seria sul suo significato di essere ancora ente educativo e formativo per i “nativi digitali”. Siamo certamente dinanzi a qualcosa di nuovo che inizia a muovere i primi passi ma che non è ancora ben definito. Si tratta di ripensare la scuola costruendola sempre più a misura di “persona”, rispetto a quella vigente, da sempre centrata sui saperi disciplinari e sulla trasmissione delle conoscenze. Punti di vista diversi sulla medesima questione, ma certamente conciliabili in una visione unificante del sapere a servizio dell’uomo. In fondo, Cantor insegna… Bibliografia La ricerca bibliografica è stata condotta inizialmente da noi insegnanti: abbiamo dovuto approfondire l’argomento individuato e acquisirne una larga visione d’insieme per chiarire a noi stessi gli obiettivi da proporre successivamente agli studenti. Parte della bibliografia e della sitografia ci è stata proposta dai nostri tutor (i docenti che hanno organizzato il concorso sul DST), parte l’abbiamo cercata noi insegnanti. I ragazzi, nelle loro attività di ricerca, hanno individuato essenzialmente risorse digitali molto utili e interessanti, spesso anche diverse da quelle consultate da noi insegnanti, da cui hanno tratto materiali inseriti nel DST. La bibliografia di riferimento utilizzata è: Aczel A.D. (2010). Il mistero dell’alef. La ricerca dell’infinito tra matematica e misticismo. Milano: Il Saggiatore Tascabili. Boyer C.B. (2002). Storia della matematica. Milano: Mondadori. Nastasi P. (Ed). (2002) Georg Cantor e Richard Dedekind: lettere 18721899. Milano: Springer. Osenda D. (2009). Ultima lezione a Gottinga. Torino: 001 Edizioni. Scheda tecnica “Io… Cantor” Istituto: Liceo “Tito Livio” di Martina Franca (Ba) Classe: II Sez.: C (sez. Scientifica); V Sez.: A (sez. Classica); Insegnante tutor della classe: Prof.ssa Valeria Palmisano e Prof.ssa Pina 256
Ancona, insegnanti di Matematica e Fisica; Premio: II Premio Scuola Secondaria di II grado; Motivazione del Premio: Per la particolare difficoltà dell’argomento scelto, che è stato reso semplice ed efficace. Per la simpatica partecipazione degli studenti e per la rilevanza data all’approccio storico nella didattica della matematica; Durata: 9’ URL: www.ssscienza.uniba.it/cms4/ 5. Considerazioni conclusive Dalla lettura dei “diari di bordo” degli insegnanti che hanno partecipato al concorso “Il racconto della scienza” emergono con chiarezza alcune parole-chiave. La novità Declinata come “svolta”, come “discontinuità”, come “cambiamento di prospettiva”. Nascente dal lavoro collaborativo, dalle difficoltà tecniche, dalla scoperta che la materia stessa – la scienza – vive più di fratture che di continuità. Questa sensazione di freschezza, di meraviglia, di stupore che lo studio della scienza produce attraverso la sua storia e la sua epistemologia, costituisce certamente la cifra più significativa delle esperienze riportate. E non è solo, come qualche critico puntuto e malevolo potrebbe insinuare, l’entusiasmo per una metodologia differente, che abbandona il manuale e la lezione frontale per farsi laboratorialità vera. Quindi, aspecifica. No, perché la novità sta anche nella rivelazione che la scienza stessa è così, non uno scontato cammino di scoperta in scoperta, di invenzione in invenzione, di legge in legge, ma ogni volta un capovolgimento di vedute, ogni volta un paradigma “nuovo”, con nuovi protagonisti, spesso in polemica controversia con predecessori e contemporanei. Una scienza che nasce dalla dialettica e non dall’indottrinamento. Una bella scoperta. Non solo per i discenti. E questa ventata di freschezza conduce con sé, quasi inconsapevolmente, la partecipazione attiva e vivace. Ancora, una novità è stata la consapevolezza degli insegnanti di poter imparare qualcosa dai loro alunni, ancorché non proprio nativi, sulle tecniche digitali.
257
La multidisciplinarità Se non è stato sempre facile attingere l’interdisciplinarità, il coinvolgimento di più discipline è invece apparso automatico, agevole, direi necessario. Merito senz’altro della storia della scienza, che per sua natura è costitutivamente multidisciplinare, ma anche del format che ha richiesto l’intervento della musica, delle immagini, della teatralità, delle tecniche digitali, coinvolgendo professionalità diverse e complementari in maniera assolutamente naturale, senza scomodare macchinosi consigli dipartimentali. La scelta Si è trattato di scegliere. Scegliere le classi, gli argomenti, le discipline, i personaggi, le metodologie, gli approcci. Dal punto di vista del racconto si sono dovute compiere delle scelte, sacrificando alcuni particolari a vantaggio di altri, sottolineando scorci e vedute che il gruppo di lavoro ha ritenuto di privilegiare ai fini dell’efficacia narrativa. Anche i maledetti tempi: si è dovuto operare una scelta tra tempo curricolare ed extra-curricolare. E quando in una scuola si comincia a scegliere tutte queste cose, allora è veramente la scuola che nasce dal basso.
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Capitolo 6
I digital storytelling realizzati. Schede tecniche
Si riportano di seguito le schede tecniche dei digital storytelling inviati dalle scuole aderenti al bando e sottoposti alla valutazione della commissione1. 1. Scuola Secondaria di I grado 1. “Più leggero dell’aria” Istituto
“L. Gallo – G. Pascoli” – Noci (Ba)
Classe/Sez.
Classe 2^ sez. I
Età degli studenti
11- 12 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Vincenza D’Aprile
Durata
9’
Argomento
Storia del volo ad aria calda dai Filosofi della Natura ai fratelli Montgolfier.
Discipline coinvolte
Scienze, Geostoria, Matematica, Tecnologia.
Ore di progettazione
10 h
Ore di realizzazione con gli studenti
20 h per il DST + 12 h dedicate alla realizzazione dei palloni aerostatici.
Attività curricolare/ex- In orario curricolare + le ricerche individuali svolte fuori delle ore di lezione. tra-curriculare/mista 1 Le Schede tecniche qui presenti sono state compilate a cura degli insegnanti tutor di ciascun digital storytelling, i cui nomi compaiono nelle stesse schede. Sono esclusi i quattro DST vincitori del concorso, per i quali si rimanda alla descrizione analitica presente nel capitolo 5 della Seconda parte, e le schede tecniche di alcuni digital storytelling, che non sono pervenute. Di questi ultimi si presenta in calce una scheda tecnica più sintetica.
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Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
Libri + materiale per la costruzione di mongolfiere.
informatici Aula di informatica multimediale-Notebook-Lim.
Metodologie
Ricerca-azione - problem solving - Discussione guidata - Lavori di gruppo.
Descrizione svolte
attività Il lavoro ha avuto inizio lo scorso anno scolastico: affrontando lo studio dell’atmosfera, con attività in laboratorio di scienze, si è arrivati alla descrizione dei fenomeni relativi ad “aria calda-aria fredda”. Fra gli esempi applicativi del fenomeno sono stati indicati i Palloni votivi utilizzati durante la Festa al Santo Patrono. Uno scintillio negli occhi dei ragazzi, l’aiuto di un nonno esperto ed ecco la classe cimentarsi nella costruzione di 4 palloni aerostatici. Nel frattempo siamo venuti a conoscenza del concorso e abbiamo deciso di approfondire lo studio affrontandone anche l’aspetto storico. Alla ripresa della scuola, a settembre, i ragazzi divisi in gruppi hanno fatto ricerche, letto testi e discusso animatamente fino al definitivo progetto di digital storytelling. Quindi sempre in gruppo hanno ricercato documenti, video, audio e infine utilizzando la LIM in classe è stato creato il video definitivo.
Ricadute nel lavoro cur- Il mancato sollevarsi in volo dei primi palloni aerostatici costruiti è stato uno spunto molto interessante di approfondimento e riflesricolare sione. I ragazzi hanno compreso, per esperienza diretta che la Scienza è in continua evoluzione e quindi nessuna scoperta può considerarsi definitiva. Inoltre si sono resi conto ricercando il percorso storico relativo al volo ad aria calda che: 1) la Scienza non può prescindere dalla Tecnologia e viceversa; 2) la Storia di popoli e civiltà è necessaria per comprendere cause ed effetti dei fenomeni e scoperte. Strumenti di valutazione
Osservazione sistematica dei comportamenti per la valutazione delle modifiche intervenute nell’approccio alle discipline.
Risultati della valuta- Molto positivi in tutti i ragazzi, la modificazione più significativa si è riscontrata nella motivazione e nell’interesse verso le discipline. zione
2. “L’amore per la natura nel giovane Arcangelo Scacchi” Istituto
“Don E. Montemurro” – Gravina di Puglia (Ba)
Classe/Sez.
1^A
Età degli studenti
11-12 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Caterina Tisci, insegnante di Lettere
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Durata
6’
Argomento
Osservazione della natura e metodo sperimentale. I cristalli.
Discipline coinvolte
Italiano, Geostoria, Scienze.
Ore di progettazione
4h
Ore di realizzazione 10 h con gli studenti Attività curricolare/ ex- L’attività è stata svolta in forma mista. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
Libri di testo, fonti d’archivio, fonti secondarie, immagini Internet, foto.
informatici Power Point; Windows Live Movie Marker 2011.
Metodologie
Ricerca, lettura e comprensione di testi e documenti d’archivio, lavoro di gruppo.
Descrizione svolte
attività 1. La trattazione di un itinerario del libro di antologia dedicato all’osservazione della natura, con letture di pagine di scienziati e di scrittori, unita ad un’attività di geografia mirante a rendere i ragazzi autori di servizi fotografici o video sul “volto” del proprio territorio, ha fatto scaturire l’interesse per il naturalista gravinese Arcangelo Scacchi e ha evidenziato la passione nell’uso delle foto sia come strumento sia come linguaggio. 2. La docente ha così fatto conoscere il personaggio scelto con la lettura e lo studio di libri e di fonti di archivio; li ha poi guidati presso la Fondazione Museo “Pomarici-Santomasi” di Gravina, per esplorare e documentare i momenti più significativi della vita di Scacchi, e per fotografare i luoghi a lui intitolati, come la piazza e la casa natia. 3. Dopo aver scritto la sceneggiatura, a casa gli alunni hanno realizzato in gruppo diversi DST. È stato scelto quello più completo e originale, che è stato revisionato con il contributo di tutti.
Ricadute nel curricolare
lavoro Il progetto ha suscitato grande interesse e motivazione, per l’appartenenza geografica del personaggio proposto, per il coinvolgimento di materie diverse, per la novità della metodologia, che si avvale di molteplici linguaggi, ma soprattutto del mezzo informatico. Quanto appreso dalla lettura di Gerald Durrel sull’origine dell’amore per la natura nei grandi naturalisti, è stato confermato nelle pagine del diario del giovane Scacchi; con lui i ragazzi si sono immedesimati nel gioco-stupore di osservare e conoscere con metodo la bellezza che è attorno a noi, come la composizione dei minerali (specie dei cristalli riprodotti nel laboratorio scientifico della scuola). Il lavoro di gruppo è servito a facilitare la socializzazione, trattandosi di ragazzi del I anno, e a condividere le competenze informatiche.
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Strumenti di valutazio- La valutazione è stata effettuata innanzitutto con una relazione sull’attività svolta, comprendente la conoscenza, l’analisi di testi ne e la documentazione delle tappe più significative della storia dello scienziato; sono stati somministrati testi da completare con parole date sulle caratteristiche del metodo sperimentale; è seguita la produzione di Powerpoint (per chi non aveva il programma adatto per gli audiovisivi) e di digital storytelling realizzati in gruppo di massimo 4 ragazzi. Infine sono stati compilati i Questionari di valutazione del progetto, come proposto dallo staff de “Il racconto della scienza-Digital storytelling in classe”. Risultati della valuta- Le relazioni sull’attività svolta dimostrano un buon livello di apprendimento delle conoscenze relative alla storia della vita del nazione turalista gravinese e del suo prezioso contributo nelle Scienze della terra. I ragazzi hanno arricchito, spontaneamente, le produzioni scritte con la scelta oculata di foto e immagini significative, rivelando così il gusto di unire i due linguaggi. I diversi e originali digital storytelling prodotti successivamente hanno evidenziato apprezzabili capacità di scrittura e di espressione orale, una particolare sensibilità artistica nell’associare le immagini con musiche ricercate, ma soprattutto una buona autonomia per alcuni nell’uso degli strumenti informatici richiesti, grande voglia di imparare per quelli ancora inesperti, coinvolti piacevolmente in un’esperienza bella e formativa. 3. “Nicola Pende – Storia di un premio Nobel mancato” Istituto
“N. Pende” – Noicattaro (Ba)
Classe/ Sez.
Gruppo elettivo di alunni di prima, seconda e terza classe (corso A)
Età degli studenti
11-14 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Maria Colucci, insegnante di Matematica e Scienze
Durata
13’
Argomento
Le ricerche di Nicola Pende e la storia della mancata assegnazione del Premio Nobel e della presunta firma del Manifesto della Razza.
Discipline coinvolte
Scienze (con ampi riferimenti alla Storia ed alla Storia della Medicina).
Ore di progettazione
50 h ca.
Ore di realizzazione 30 h ca. con gli studenti Attività curricolare/ ex- Extracurricolare. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
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Testi, articoli, filmati, immagini, musiche (di provenienza varia).
informatici Personal computer e software per la produzione di filmati (Movie Maker; Pinnacle).
Metodologie
Metodologia dell’esperienza (pratica dei laboratori) e della ricerca; attività di gruppo.
Descrizione svolte
attività La Dirigente della mia scuola, dopo aver letto il bando di concorso, ha esclamato: “Benissimo, abbiamo il soggetto giusto: Pende!”. Non molto convinta, ho chiesto ai miei alunni se qualcuno fosse interessato ad approfondire la conoscenza dello scienziato nojano. Nonostante i molti impegni scolastici pomeridiani (PON, ecc.), alcuni ragazzi di terza (oggi in 1°superiore) si sono mostrati straordinariamente interessati, così come alcuni alunni di prima e di seconda. Formato questo piccolo drappello di volontari… siamo partiti! a. Per prima cosa, abbiamo deciso da che punto di vista trattare il tema “Pende”. In pratica, abbiamo indagato sulle relazioni storicosociali che lo scienziato ha intessuto e sulle scelte che probabilmente hanno decretato la sua esclusione dal Nobel. b. Ci siamo quindi immersi nella storia del XX secolo e in quella locale ricercando materiale vario (su Pende esiste ben poco; è per questo che abbiamo dato il tormento a genitori e amici). c. Quindi, abbiamo scelto di realizzare un filmato che ci permettesse di raccontare “una storia” selezionando ed assemblando il materiale raccolto. d. Con il tempo, l’esigenza del racconto ha richiesto sempre nuove ricerche non solo di fonti testuali, ma anche di immagini, musiche, filmati… e. È stato straordinario vedere i ragazzi più grandi concordare con i più piccoli il da farsi: scegliere le immagini più appropriate; selezionare le musiche, tagliarle al punto giusto; provare e riprovare a montare il filmato con Movie Maker o con Pinnacle. Scorgere sui volti la delusione causata dai capricci del programma (blocco o perdita di informazioni) o la soddisfazione per un abbozzo che prende forma è stato davvero appagante. Se si tiene conto che il grosso del lavoro è stato realizzato nei pomeriggi di maggio e di giugno (quando gli alunni sono desiderosi d’altro… o preoccupati per gli esami), si può concludere che in fondo “Nicola Pende” ha suscitato interesse ed impegno al di là di ogni aspettativa (e di ogni mio dubbio). Beninteso, in solitaria ho passato ore e ore a controllare la veridicità dei testi, a tagliare, correggere e raffinare quanto fatto dai ragazzi e con i ragazzi e a preparare una biblio-sitografia completa. Fino al completamento del filmato.
Ricadute nel curricolare
lavoro Nessuna ricaduta diretta. Indirettamente i ragazzi hanno: – appreso un modo nuovo e più accattivante di “fare scienza”; – imparato che esistono sempre interconnessioni tra tematiche che apparentemente sembrano slegate tra loro; – compreso che non si può trarre conclusioni ed esprimere giudizi motivati su di un qualsivoglia tema se non lo si inquadra nel suo contesto storico. Inoltre, con la loro aria di cospiratori coinvolti in un progetto “top secret”, i partecipanti all’impresa hanno suscitato nelle rispettive classi curiosità per quanto avveniva nei pomeriggi assolati di inizio estate e questo potrebbe rivelarsi un buon viatico per coinvolgere (sempre molto liberamente) quanti più ragazzi possibile in un futuro progetto.
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Strumenti di valutazio- Per la valutazione si è tenuto conto dei seguenti parametri: – partecipazione al progetto; ne – regolarità della presenza agli incontri; – assiduità dell’impegno; – contributo personale. Tre sono state le fasi valutative: – diagnostica basata sull’osservazione sistematica dei comportamenti sociali e scolastici nell’intergruppo (I - II- III classe); – formativa (in itinere); – sommativa (finale). Tra gli strumenti adoperati per la valutazione: – Colloqui orali di tipo informale; – Produzione di: a. brevi testi (in forma di ricerca, di saggio, di narrazione, ecc.); b. raccolte fotografiche; c. filmati. Risultati della valuta- Poiché il lavoro è stato realizzato e portato a compimento a cavallo di due anni scolastici, si è avuto modo di valutare in modo organico zione e disteso gli atteggiamenti scolastici dei ragazzi che hanno partecipato alla realizzazione dello stesso e i loro progressi. In particolare: – la partecipazione al progetto è stata attiva e propositiva; – la presenza agli incontri è stata regolare nella maggioranza dei casi; – l’impegno è stato assiduo e proficuo per alcuni ragazzi, un po’ più superficiale per altri (ma era in preventivo); – il contributo personale, generalmente apprezzabile, è stato lodevole per gli alunni di terza (ricerca, narrazione, realizzazione di foto e di filmati…) che, forti di precedenti esperienze del genere (“LUNA 1969”), hanno trainato i compagni e le compagne di prima e di seconda classe coinvolti per la prima volta in un laboratorio di digital storytelling. In conclusione, i risultati ottenuti, sicuramente positivi, rispondono adeguatamente agli obiettivi prefissati. 4. “Marie Sklodowska Curie Docente di Fisica elementare presso la Cooperativa della Sorbona negli appunti di Isabelle Chavannes” Istituto
“Capozzi – Galilei” – Valenzano (Ba)
Classe/ Sez.
Classi seconde e terze
Età degli studenti
12-13 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Luigia Palumbo, insegnante di Scienze – Prof.ssa Anna Giannini, insegnante di Lettere – Esperto esterno: M° Nico Girasole
Durata
26’
Argomento
Marie Curie e l’esperienza della “Cooperativa della Sorbona”.
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Discipline coinvolte
Discipline principali: Scienze, Storia, Teoria del montaggio Audio/ Video, Musica. Discipline trasversali: Storia dell’Arte, Storia del Cinema, Storia della Musica. Si è inteso dare agli studenti, attraverso la visione di materiali informatici e letture specifiche, un’idea dell’epoca osservata, del clima culturale che caratterizzò la Belle Epoque e del contesto storico in cui è da inscrivere l’esperienza didattica che Marie Curie, insieme ad altri professori e intellettuali francesi, propose a questo gruppo di adolescenti di cui abbiamo ora notizia attraverso gli appunti di Isabelle Chavannes.
Ore di progettazione
40 h
Ore di realizzazione con gli studenti
57 h
Attività curricolare/ ex- Mista. L’attività è stata svolta all’interno di un progetto PON di teatro a contenuto scientifico. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Strumenti utilizzati
Materiali per il laboratorio scientifico: Provette, acqua, alcool, olio, ghiaccio, becher, bicchieri, cucchiaini (esperimenti sulla densità) – Materiali per l’aula informatica: Filmati, documenti e foto d’epoca relativi alla vita di Marie Curie. – Materiali per il laboratorio di teatro (libri utilizzati per i testi): Lezioni di Marie Curie – la fisica elementare per tutti – appunti di Isabelle Chavannes; Poesie e Prose di Jules Laforgue; Antologia musicale di Erik Satie; Ricordi d’egotismo di Stendhal. – Materiali per il laboratorio di teatro (strumenti musicali): Chitarra classica; timpano; pianoforte; armonica a bocca; ocarina; tromba da automobile. – Materiali per il laboratorio di teatro (costumi): Impermeabile e cappello da automobilista futurista; impermeabile e sciarpa da donna; camicie bianche e cravatte; giacca blu. – Materiali per il laboratorio di teatro (oggetti di scena): Libri vecchi di letteratura francese a cavallo dei secoli XIX e XX; mappamondo da tavolo; valigie di budellino; quaderni vecchi; gioco ottico; gioco geometrico; penna stilografica. – Materiali per il laboratorio di teatro (arredi scenici): Cartina geografica da muro dell’Europa; arredi scolastici (tavoli, sedie, lavagna).
informatici Final Cut: programma di montaggio ed editing video – Compressor: programma di compressione dati video – Finale: programma di scrittura musicale – Cubase 6: programma di montaggio audio ed editing audio – Word: programma di scrittura – Photoshop: programma di editing fotografico – Power Point: programma di editing per presentazioni.
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Metodologie
- Per le discipline scientifiche: Metodo scientifico nella sperimentazione sulla densità: 1) situazione problematica; 2) formulazione d’ipotesi; 3) verifica sperimentale; 4) osservazione e conclusione. – Per le discipline storiche: Metodo induttivo-deduttivo e discussione guidata nella presentazione dei contenuti; lezione dialogata. – Per le discipline teatrali: Metodo dell’improvvisazione su canovaccio (il canovaccio è una situazione molto definita nei fatti, ma non nelle parole del testo, fatta eccezione per quelle parole chiave che emergono come fondamentali). – Per le discipline audiovisive: Metodo analitico: azione di videoripresa e commento critico sulla stessa, discernendo i punti forti e deboli dell’azione. – Per le discipline musicali: Metodo mnemonico e improvvisativo per la gestione delle parti musicali necessarie all’azione scenica.
Descrizione svolte
attività Sono state dedicate circa 40 ore per le ricerche bibliografiche e l’individuazione della struttura del racconto. Il PON di teatro scientifico prevedeva 30 ore di laboratorio pomeridiano (12 incontri) con l’intero gruppo di studenti (19 individui), due incontri dedicati alle tecniche di video-ripresa e illuminazione; alcune discussioni sulle vicende storiche della III Repubblica Francese e della storia della Polonia e della Prussia, integrando quelle vicende storiche con le questioni culturali riguardanti la poesia, la pittura, la musica e il neonato cinema. Si è potuto, infine, imbastire il racconto dei fatti riguardanti l’argomento specifico dell’esperienza della “Cooperativa della Sorbona” corroborandolo con alcune lezioni, tenute nel laboratorio di scienze della scuola, sugli esperimenti condotti da Marie Curie in quell’esperienza didattica. Infine si sono dedicati due incontri alla preparazione della colonna sonora. Sono stati, inoltre, aggiunti sette incontri di tre ore l’uno, svolti durante l’orario mattutino, con piccoli gruppi (max 5/6 studenti), concordando le modalità con il Preside, il facilitatore e il valutatore del PON, oltre ai docenti delle ore curricolari, durante le quali si è reso necessario realizzare le scene mancanti, quelle del vivo racconto degli adolescenti protagonisti della vicenda. Al monte ore dei laboratori teatrali (sopra citate) si aggiungono 60 ore di editing audio-video per l’edizione del video.
Strumenti di valutazio- Realizzazione dei tre questionari (test d’ingresso, verifica intermedia e verifica finale) somministrati durante il laboratorio. ne Risultati della valuta- Il progetto ha permesso agli alunni di sperimentare una nuova metodologia attraverso un percorso delineato, ma allo stesso temzione po aperto. Gli alunni hanno recepito la novità dell’iniziativa e ne hanno parlato con compagni e professori sottolineando la qualità dell’esperienza e l’elevata capacità dell’esperto nell’interazione e conduzione del gruppo. Il progetto è riuscito in pieno ad andare incontro alle ormai diffuse emergenze generazionali, circa la voglia di essere parte attiva da parte dei ragazzi e di essere protagonisti e costruttori del proprio processo di apprendimento.
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5. “Ipparco che mito!” Istituto
“G. Modugno” – Bari
Classe/ Sez.
Gruppo interclasse, formato da allievi di 1^ e 2^ della Sez. E
Età degli studenti
11-12 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Vincenza Padovano, insegnante di Lettere
Durata
15’
Argomento
La Teoria della Precessione degli equinozi elaborata dallo scienziato greco Ipparco di Nicea nel II secolo a.C… Focalizzazione del contesto scientifico in cui è maturata tale teoria e quello culturale più generale del tempo, che fa riferimento al modo tradizionale, attraverso i miti, di guardare la realtà naturale, il cielo stellato.
Discipline coinvolte
Italiano, Geostoria, Scienze, Informatica, Arte e immagine, Tecnologia.
Ore di progettazione
200 h ca.
Ore di realizzazione con gli studenti
53 h, delle quali: – 25 h di lezioni; – 25 h di lavoro di gruppo per attività di scrittura, grafiche, di informatizzazione; – 3 h per attività di registrazione dei testi letti dagli allievi per il cortometraggio.
Attività curricolare/ ex- Mista. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Strumenti utilizzati
Testi di approfondimento a carattere scientifico per l’astronomia, la tematica e l’autore scelti, e a carattere letterario per i miti naturalistici, delle Costellazioni dello Zodiaco, del Cielo Boreale, del fenomeno precessorio; videocamera digitale; registratore digitale; siti di astronomia, di astrofili, di istituzioni di ricerca, di divulgazione dei miti di aree e popolazioni diverse.
informatici Programma di presentazione Power Point per le lezioni multimediali; programma di videoscrittura; programma Pinnacle Studio14 per la realizzazione del cortometraggio.
Metodologie
Storico-critica, per problemi, interdisciplinare. Attività laboratoriali.
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Descrizione svolte
attività La figura del più grande astronomo greco, Ipparco di Nicea, è stata proposta dalla docente di Italiano e Storia, prof.ssa Vincenza Padovano, in collaborazione con la docente di Scienze matematiche, prof.ssa Carla Gabriella Nisi, secondo il seguente schema metodologico-didattico: 1. analisi del contesto culturale scientifico di partenza comprendente tematiche quali: le stelle fisse – le sfere di Eudosso o epicicli per spiegare lo strano comportamento dei pianeti e del moto del Sole; 2. analisi del paradigma culturale diffuso quale: il cielo letto come un insieme di costellazioni connesse ai miti. Sono stati alcuni miti rappresentativi tra quelli legati alle costellazioni dello zodiaco e del cielo boreale; 3. presentazione del problema che Ipparco si trovava ad affrontare. Analisi del nodo cruciale della storia: compilando il catalogo stellare lo scienziato trovava discordanza sistematica tra le proprie osservazioni sugli astri e quelle dei cataloghi precedenti di Timocaris e Aristillo che avevano operato ad Alessandria di Egitto; 4. risoluzione del problema con l’elaborazione della teoria della Precessione degli Equinozi, presentata attraverso la moderna spiegazione (con il Sole al centro) e utilizzando schemi e filmati per facilitarne la comprensione. Contestualmente sono stati trattati i seguenti temi: moto apparente del Sole; inclinazione dell’asse terrestre; moto apparente del Sole annuo; altezza massima del Sole e anno solare; solstizi ed Equinozi; anno solare e anno sidereo. Dallo studio della teoria della Precessione degli Equinozi si è cercato di far emergere negli allievi una nuova domanda: il concetto del Grande anno di cui parla Platone nel Timeo compare solo nella cultura greca? La risposta secondo alcuni studiosi come de Santillana andrebbe cercata nel mito del Tardo Neolitico ed espressa dai miti di diverse popolazioni, quale il Mito di Amlodi ed altri. Al termine del percorso di studio gli allievi hanno rielaborato i contenuti appresi in forma personale grafico-narrativa dando unità e sistemazione alle varie conoscenze e riflessioni per giungere al lavoro finale consistente nel cortometraggio dal titolo “Ipparco… che Mito!”.
Ricadute nel curricolare
lavoro L’attività a carattere storico-scientifico ha avvicinato gli studenti ai problemi scientifici con un approccio storico-critico, per problemi, interdisciplinare. Un approccio umanizzato e la contestualizzazione storica di aspetti, problemi o protagonisti della scienza ha portato gli allievi ad avere una visione integrale della cultura attraverso la ricomposizione degli elementi provenienti dall’interdisciplinarità degli interventi attuati dagli insegnanti con formazione scientifica e umanistica.
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Strumenti di valutazio- Gli allievi sono stati valutati per l’impegno profuso nei diversi momenti di studio e nelle diverse fasi di lavoro a livello sia personale, ne sia laboratoriale, sia di gruppo; per la produttività e originalità delle idee e dei lavori; per il grado si significatività che ogni allievo ha attribuito alle rielaborazioni e ai prodotti e si sono anche considerati i diversi livelli di maturazione e di conoscenza di partenza di ogni singolo studente. Risultati della valuta- Gli allievi dei due gruppi classe hanno fatto registrare ingenerale, anche se in misura diversa, curiosità ed interesse per la tematica zione sviluppata e per gli argomenti trattati e alcuni più problematici e sicuri nelle conoscenze disciplinari sono riusciti a motivare con il proprio interesse ed entusiasmo i compagni più incerti nella capacità di pianificare il proprio lavoro e di operare secondo tempi prefissati nelle attività. 6. “Rita Levi Montalcini – Un viaggio nella scienza… non ancora concluso” Istituto
“N. Zingarelli” – Foggia
Classe/ Sez.
3^ F
Età degli studenti
12-13 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Anna Fusco; Prof.ssa Anna Pennetta
Durata
9’
Argomento
Il percorso scientifico ed umano di Rita Levi Montalcini.
Discipline coinvolte
Italiano, Storia, Scienze, Musica
Ore di progettazione
40 ore ca.
Ore di realizzazione con gli studenti
30 h
Attività curricolare/ Mista. extracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Libri, fotocamera, microfono, strumenti musicali (pianoforte), sussidi audiovisivi.
Strumenti informatici utilizzati
Lim, computer, software (Audacity, piZap, MovieMaker, Paint, PowerPoint, Photoshop).
Metodologie
Brainstorming sull’idea centrale del tema scelto, narrazione storicoscientifica, ricerca sul web, lavoro di gruppo e individuale, attività di laboratorio, lezione frontale/dialogata/interattiva, ricerca bibliografica e lettura guidata delle fonti, cooperative learning per l’approfondimento e la socializzazione delle conoscenze, uso di linguaggi plurimi.
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Descrizione svolte
attività Il personaggio scelto è stato Rita Levi Montalcini perché rappresentativo del sistema nervoso, unità di apprendimento di scienze della classe terza. La prima fase della progettazione è stata dedicata alla contestualizzazione storica del personaggio e alla preparazione di parte della sceneggiatura (produzione dei dialoghi, delle didascalie e dei racconti) con pianificazione di tempi e modalità, scelta degli spazi, degli attori e assegnazione dei ruoli. L’attività di brainstorming è stata propedeutica al coinvolgimento emotivo dei ragazzi che subito hanno focalizzato l’attenzione sulle motivazioni dell’attività scientifica della professoressa Montalcini. Nella fase successiva, guidati dai docenti, gli alunni hanno cominciato l’attività di ricerca bibliografica e sitografica cui è seguita la scelta del materiale reperito e il montaggio con i software scelti. I docenti di musica hanno selezionato i brani e preparato gli alunni all’esecuzione degli stessi. Considerato il tema, il lavoro sarà presentato ai genitori degli alunni, ai docenti e agli studenti della scuola in occasione della manifestazione per Telethon che viene organizzata ogni anno dal nostro Istituto.
Ricadute nel lavoro La ricaduta del progetto è stata soddisfacente a livello metacognitivo per interesse, motivazione e coinvolgimento personale. L’impegno curricolare dei ragazzi è stato diverso da quello profuso nelle normali attività didattiche. La partecipazione al concorso ha suscitato in loro una motivazione particolare: dimostrare a se stessi, agli insegnanti e ai genitori di “poter vincere”. A livello cognitivo l’apprendimento è risultato altrettanto positivo per l’approfondimento spontaneo di contenuti, la maggior autonomia sul lavoro e l’acquisizione di nuove competenze. Strumenti di valuta- Numerosi e diversificati sono stati gli strumenti di valutazione adottati per verificare gli obiettivi cognitivi e metacognitivi: zione – osservazioni sul grado di partecipazione alle diverse attività, in particolare a quelle di gruppo e a quelle di laboratorio; – analisi dei prodotti multimediali realizzati; – dibattito tra gruppi di alunni; – questionario.
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Risultati della valuta- Dal questionario in uscita somministrato agli alunni in forma anonima e dalle osservazioni sistematiche effettuate sono scaturite intezione ressanti considerazioni. – gli alunni hanno ritenuto interessante la partecipazione al progetto soprattutto perché l’impostazione è stata più accattivante e coinvolgente; – la metodica storico- narrativa ha suscitato una maggiore curiosità e attenzione; – la capacità di lavorare in gruppo è stata ulteriormente consolidata; – la creatività di ciascun alunno è stata stimolata ed espressa a diversi livelli; – le competenze tecnologiche già possedute sono risultate migliorate; – gli alunni hanno evidenziato un sostanziale miglioramento delle competenze musicali; – lo sviluppo dell’autonomia critica e del senso di responsabilità hanno favorito la crescita dell’autostima e migliorato i rapporti interpersonali di classe. 7. “Poli in casa Leopardi” Istituto
“G. Pascoli” – Molfetta
Classe/ Sez.
2^ A
Età degli studenti
12 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Maria Bonvino, insegnante di Lettere – Prof.ssa Domenica Dell’Olio, insegnante di Matematica
Durata
12’
Argomento
Parallelismi tra lo scienziato molfettese Giuseppe Saverio Poli e il poeta Giacomo Leopardi.
Discipline coinvolte
Italiano, Storia, Scienze, Arte e immagine.
Ore di progettazione
150 h ca.
Ore di realizzazione 70 h, delle quali: – 20 h di lezioni con gli studenti – 50 h di lavoro di gruppo per attività di scrittura, grafiche, informatizzazione e registrazione dei testi letti dagli allievi per il cortometraggio. Attività curricolare/ ex- Mista. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
Testi di approfondimento scientifici e letterari; siti web di scienza e di letteratura.
informatici Power Point per le lezioni multimediali; programma di videoscrittura, programma Sony Vegas per la realizzazione del cortometraggio.
Metodologie
Metodologia della ricerca e della comunicazione.
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Descrizione svolte
attività Analisi del contesto storico, culturale e scientifico in cui operano Poli e Leopardi. Influenza di Giuseppe Saverio Poli nella formazione scientifica di Giacomo Leopardi. Parallelismo tra Poli e Leopardi. Realizzazione del cortometraggio “Poli in casa Leopardi”.
Ricadute nel curricolare
lavoro Gli allievi, anche quelli più problematici, hanno mostrato grande curiosità ed interesse per l’attività e si sono avvicinati ai problemi scientifici con un approccio storico e interdisciplinare.
Strumenti di valutazio- Questionari in itinere e finale. ne Risultati della valuta- Non indicati. zione 8. “A beautiful mind: Hedy Lamarr” Premio Speciale della Giuria (categoria Secondaria di I grado) con la seguente motivazione: “Per la singolarità dell’argomento scelto e l’efficacia della comunicazione audio-visiva” Istituto
“Alighieri – Tanzi” – Mola di Bari (Ba) / Plesso “Tanzi”
Classe/ Sez.
2^ A; 3^ A
Età degli studenti
12-13 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Anna Consiglio – Prof.ssa Isabella Debellis
Durata
17’
Argomento
La carriera dell’attrice Hedy Lamarr e il suo coinvolgimenti nelle attività e nelle ricerche scientifiche legate a finalità belliche durante la seconda guerra mondiale.
Discipline coinvolte Italiano, Geostoria, Scienze, Musica, Arte e immagine, Tecnologia. Ore di progettazio- 10 h ne Ore di realizzazione con gli studenti
20 h
Attività curricolare/ Mista. extracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Libri, articoli di giornale, riviste, database web.
Strumenti informatici utilizzati
Browser Internet, Videoscrittura, software di fotoritocco, montaggio e audio editing.
Metodologie
Lezione interattiva; didattica laboratoriale; problem solving; ricercaazione.
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Descrizione attività 1. Progettazione: si è individuato un tema adatto al grado di scuola, all’età e agli interessi dei discenti (nuove tecnologie), ed un personagsvolte gio che per la sua peculiarità biografica e simbolica risultasse accattivante. La scelta è caduta su Hedy Lamarr, diva della grande Hollywood, i cui meriti scientifici sono rimasti a lungo misconosciuti. 2. Partendo dall’articolo comparso su: http://www.aps.org/publications/apsnews/201106/physicshistory.cfm della American Physical Society, abbiamo riflettuto sulla valenza altamente formativa dell’argomento, anche da un punto di vista educativo (sfatare il pregiudizio sulle donne vs scienza, sull’arte intesa come creatività vs scienza, sulla bellezza vs intelligenza). 3. Abbiamo quindi approntato una bibliografia ed una sitografia di base. 4. Diffusione del progetto: la tematica è stata poi presentata e discussa con i ragazzi, che hanno accolto con favore la proposta; ciò ha consentito di elaborare in modo condiviso il piano di lavoro, i criteri operativi e la scelta della tipologia di prodotto finale. 5. Realizzazione del DST: Il gruppo dei discenti, sulla base delle proprie inclinazioni e dei propri interessi ha partecipato alla ricerca ed al vaglio del materiale utile, all’imbastitura della sceneggiatura, alla scelta delle immagini, alla selezione delle musiche, alla realizzazione materiale del prodotto. Ricadute nel lavoro Indubbiamente, la realizzazione del DST, catalizzando l’attenzione degli alunni, ha condotto ad un maggiore entusiasmo nello studio delle curricolare diverse discipline coinvolte. Strumenti di valuta- Data la peculiarità dell’attività presentata ai discenti, formulata come uno “scenario” unitario a maglie larghe, in linea con gli orientamenti zione ministeriali (U.d.A.), la valutazione ha privilegiato l’aspetto formativo, dunque la motivazione, l’impegno e la capacità di risolvere problemi, in un’ottica disciplinare e trasversale. La realizzazione del DST si è pertanto qualificata come Compito unitario in situazione attraverso il quale si manifestano le competenze raggiunte dai discenti. Risultati della valu- I risultati sono stati estremamente positivi: il percorso didattico proposto ha giovato sul piano epistemologico delle materie coinvolte con tazione risvolti meta cognitivi. La fase post-attiva ha consentito una riflessione con gli alunni sul lavoro svolto. Il DST sarà messo a disposizione tra le risorse didattiche dell’Istituto: questo ha entusiasmato i partecipanti, che hanno potuto, per una volta “costruire” essi stessi “conoscenza”. Le docenti si dichiarano disponibili ad aderire ad altri progetti analoghi.
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2. Scuola secondaria di II grado 9. “Touring around Turing” Istituto
Liceo Scientifico “E. Fermi” – Bari
Classe/ Sez.
2^ B
Età degli studenti
15 anni
Insegnante tutor
Prof. Vincenzo Giordano
Durata
5’
Argomento
Alan Turing.
Discipline coinvolte
Informatica, Matematica.
Ore di progettazione
5h
Ore di realizzazione con gli studenti
33 h
Attività curricolare/ ex- Mista. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
Ricerche bibliografiche in Internet; bibliografia cartacea.
informatici Strumenti informatici utilizzati: Powerpoint 2007 (realizzazione presentazione), Imovie, Audacity (montaggio file audio), Photoscape (modifica immagini). Non indicate.
Metodologie Descrizione svolte
attività Il lavoro si è svolto nelle seguenti cinque fasi: – scelta dell’argomento e ricerche relative; – consultazione dell’esperto di Storia della Scienza (3 ore); – revisione del materiale e scelta dei programmi da utilizzare (5 ore); – organizzazione dell’elaborato (20 ore); – revisione finale del Prof. Giordano (5 ore).
Ricadute nel curricolare
lavoro Non indicate.
Strumenti di valutazio- Non indicati. ne Risultati della valuta- Non indicati. zione 10. “Keplero: La scienza a tarallucci e vino?!” Istituto
Liceo Scientifico “V. Vecchi” – Trani (Ba)
Classe/ Sez.
4^ D
Età degli studenti
17 anni
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Insegnante tutor
Prof.ssa Anna Raguseo, insegnante di Matematica e Fisica
Durata
10’
Argomento
Racconto sintetico di alcuni aspetti poco noti della biografia e delle scoperte di Keplero.
Discipline coinvolte
Matematica, Fisica, Scienze, Informatica, Storia della Scienza.
Ore di progettazione
30 h ca.
Ore di realizzazione con gli studenti
9 h, così distribuite: Ore curricolari: 2 ore nella fase di avvio e 4 ore successive Ore extracurricolari: 3 ore nella fase conclusiva
Attività curricolare/ ex- Mista. Durante le ore di lezione: presentazione del progetto e revisione finale del prodotto. In orario extracurriculare: ricerca e sitracurriculare/ mista stemazione del materiale e aggiornamento sul lavoro svolto anche mediante posta elettronica. Materiali utilizzati Strumenti utilizzati
Metodologie
Descrizione svolte
Libri, riviste, computer.
informatici Web, Power Point, Paint, Photoshop e MP3Directcut. Gli studenti sono stati coinvolti, anche a livello decisionale, in tutte le fasi del progetto avvalendosi del brain storming, learning by doing, problem solving, peer to peer e peer tutoring. attività 1. Scelta dell’argomento e della tecnica di realizzazione del prodotto; 2. attribuzione dei compiti: ricerca del materiale (utilizzando siti Internet dedicati, libri, riviste), realizzazione della presentazione; 3. discussione in classe sul lavoro svolto e selezione degli eventi significativi della vita dello scienziato su cui incentrare il racconto; 4. ideazione del percorso narrativo: da una noiosissima lezione frontale che cita Keplero come scienziato che utilizza l’ellisse per descrivere il moto dei pianeti, l’attenzione si sposta sulla vita del personaggio stesso che (come è accaduto in realtà agli studenti!) incuriosisce, coinvolge, a tratti diverte, e appassiona; 5. realizzazione della presentazione PowerPoint gestita autonomamente (scelte grafiche, di brani musicali, realizzazione di fumetti, ecc.) dagli studenti con la supervisione del docente. Ciascuna fase del lavoro è stata sottoposta alla valutazione-revisione del gruppo classe.
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Ricadute nel curricolare
lavoro La più ovvia è stata il fornire una risposta alla classica domanda “A che serve (lo studio delle coniche)?”: in matematica, magari dopo secoli, tutto serve! Senza dubbio, vista la scelta dell’argomento, la ricaduta più importante, sebbene non immediata o misurabile, è l’aver avvicinato gli studenti al mondo della scienza da una diversa angolazione e l’aver fatto comprendere loro che: – lo scienziato non va visto come produttore “asettico” di regole, teoremi, ma come uomo che, nonostante tutte le sue debolezze, la sua umanità, appunto, è riuscito ad essere un grande; – le scoperte scientifiche hanno un percorso tutt’altro che lineare; – le conoscenze date per certe possono essere di ostacolo al progresso della scienza; – la storia della scienza è ricca di personaggi che hanno pagato a livello personale l’andare contro il pensiero dominante; – da sempre il mestiere del ricercatore è mal retribuito!
Strumenti di valutazio- Oltre ad una valutazione soggettiva, effettuata in itinere dal docenne te, dell’interesse e dell’impegno manifestati dagli studenti nelle varie fasi del progetto, a conclusione del lavoro è stato somministrato un questionario volto a sondare: – l’esperienza di studio della scienza realizzata dagli studenti; – il contributo offerto dalla scuola per la conoscenza e comprensione delle discipline scientifiche e delle loro implicazioni nei vari ambiti; – la ricaduta della partecipazione al progetto percepita dallo studente. Risultati della valuta- Gli studenti hanno imparato, divertendosi, alcuni aspetti insospettabili della vita dello scienziato e più in generale della storia della zione scienza. L’interesse è stato manifestato anche mediante la ricerca di soluzioni atte a rendere in modo efficace gli aspetti inediti e più insospettabili della vita di colui che era ritenuto un “mostro sacro” dagli studenti. Nonché mediante il cortese, quanto fermo, rifiuto dell’intervento del docente in tali scelte. 11. “La libertà che cura. Alle origini della psichiatria moderna” Premio Speciale della Giuria (categoria Secondaria di II grado) con la seguente motivazione: “Per la correttezza e completezza dal punto di vista scientifico della presentazione e l’originalità dei contenuti filosofici” Istituto
Liceo Scientifico “G. Salvemini” – Bari
Classe/ Sez.
4^ B
Età degli studenti
17 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Maria Rosaria Lubes, insegnante di Storia e Filosofia
Durata
16’
Argomento
La nascita della psichiatria moderna.
Discipline coinvolte
Psicologia e Psichiatria, Biologia, Chimica, Anatomia, Storia, Filosofia.
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Ore di progettazione
30 h
Ore di realizzazione con gli studenti
50 h
Attività curricolare/ ex- Mista. tracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Strumenti utilizzati
Testi di carattere scientifico e storico-scientifico (per il lavoro di ricerca); film, video, immagini e disegni (per il lavoro di sceneggiatura).
informatici Pc (dei laboratori della scuola soprattutto) con un gran numero di programmi per la lavorazione audio e video. Non indicate.
Metodologie Descrizione svolte
attività Agli studenti è stato proposto il lavoro di ricerca, svolto dall’insegnante, come quadro concettuale e contenutistico entro il quale muoversi; una volta appresi i contenuti – quindi “la storia da raccontare” – gli studenti hanno lavorato alla sceneggiatura sulla base di idee suggerite dal testo fornito oppure via via suggerite dalle ricerche in rete; la difficoltà maggiore è stata trovata nel selezionare immagini e video che potessero raccontare la storia coerentemente con la voce narrante, soprattutto nei momenti più teorici del lavoro (ovvero quelli in cui si illustrava il contesto culturale-ideologico sotteso all’opera del medico-filosofo protagonista, assumendo le categorie della storia sociale della psichiatria).
Ricadute nel curricolare
lavoro Il lavoro ha prodotto ottime ricadute sul piano dell’apprendimento sia di alcune discipline non propriamente scientifiche (storia, filosofia), sia di quelle scientifiche (biologia, chimica) per le nozioni che più o meno implicitamente sono state richiamate, avvalorando la tesi secondo cui l’impostazione storica – cioè quella della storia della/e scienza/e – favorisce l’apprendimento delle discipline scientifiche stesse.
Strumenti di valutazione
Non indicati.
Risultati della valuta- Al di là della qualità del prodotto finito (sicuramente perfettibile), la valutazione del progetto realizzato è decisamente positiva. Si è zione trattato, infatti, per gli studenti, di vivere una nuova esperienza (un concorso regionale), di cimentarsi con una nuova attività (il lavoro di storyboard), di arricchire il proprio bagaglio culturale, di utilizzare strumenti e tecniche di elaborazione e comunicazione del sapere poco “frequentati” nella quotidiana vita scolastica. La risposta in termini di motivazione e impegno da parte degli studenti è stata, infatti, decisamente positiva.
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12. “Cristoforo Colombo e… non solo alla ricerca del pepe… ma…” Per motivi di spazio non è possibile riportare qui la documentazione di tutti i digital storytelling presentati dall’IPPSART di Castellana Grotte. Se ne riporta, come esempio, quello inserito nella presente scheda tecnica e degli altri si dà testimonianza nel successivo paragrafo 3. Istituto
IPPSART Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
Gruppo di lavoro formato da alunni delle classi 3CE – 3ART – 4RE – 5RE – 5RF
Età degli studenti
16-18 anni
Insegnante tutor
Prof.ssa Anna Avelluto
Durata
10’
Argomento
Spezie ed erbe aromatiche …. Un mix di sorprendenti virtù.
Discipline coinvolte
Alimenti e alimentazione, Laboratorio di cucina, Italiano e Storia, Religione.
Ore di progettazione
8 ore (prima settimana di settembre)
Ore di realizzazione con gli studenti
20 ore (15 settembre – 12 novembre)
Attività curricolare/ Curricolare. extracurriculare/ mista Materiali utilizzati
Libro di testo; libri e riviste scientifiche; registratore; materiale reperito su Internet; PC; estrattore per oli essenziali.
Strumenti informatici utilizzati
Microsoft Windows XP home edition versione 2007; Microsoft Power Point; Movie Maker.
Metodologie
Le attività svolte si fondano su una concezione costruttivista della didattica, metacognitiva e per competenze. Il metodo è quello dell’imparare facendo, una didattica laboratoriale per valorizzare i diversi stili di apprendimento, per promuovere la conoscenza attraverso l’esperienza e la riflessione sull’esperienza, per accrescere il livello del sapere, saper fare, saper essere, saper vivere. L’uso del laboratorio intesto non solo come contesto didattico attrezzato in cui si fa e si osserva, ma come insieme di opportunità in cui si riflette su ciò che si osserva e si fa, si analizza, si problematizza, si confronta e si verifica, si formulano interpretazioni, ipotesi e previsioni, creando le basi per una mentalità “sperimentale” costitutiva della scienza. Essenziale è, quindi, nella didattica il lavoro di gruppo e l’utilizzo di tecnologie informatiche come strumenti di mediazione dell’apprendimento, non come distributori di informazioni.
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Descrizione attività Prima fase: riunione preliminare per la scelta dell’argomento. Definizione delle metodologie e dei contenuti. Definizione degli obiettivi svolte del progetto. Reperimento del materiale. Seconda fase: diffusione del progetto esteso agli studenti delle classi selezionate. Nelle classi siamo partiti dall’osservazione diretta di alcune tra le spezie e le erbe aromatiche più utilizzate. Sono scaturite subito alcune domande significative, quali: “Le spezie sono davvero benefiche per la salute?”, “Perché nei Paesi poveri si fa un uso massiccio di spezie?”, “Perché le spezie sono state il motore propulsore di commerci e di viaggi per secoli?”. La visione di film quali Un tocco di zenzero e La magia delle spezie ha messo in luce l’aspetto magico delle spezie. La lettura di alcuni brani del saggio Il gusto delle spezie nel Medioevo di Paul Freedman ha fornito alcune risposte. Per conoscere il motivo per cui alcuni aromi migliorano la digestione, gli alunni hanno gustato una pietanza aromatizzata con oli essenziali di rosmarino e di limone estratti nel laboratorio di Alimenti e alimentazione del nostro istituto, scoprendo come le fragranze odorose stimolino la produzione di saliva e succhi gastrici. Il legame tra spezie, erbe aromatiche e medicina è stato affrontato mediante articoli tratti da riviste specialistiche. È stato poi approfondito il tema della sicurezza alimentare, dell’impatto ambientale e dell’etica. Terza fase: gli studenti si sono quindi divisi in gruppi di lavoro ed hanno selezionato le informazioni ritenute da loro più importanti, quindi le hanno analizzate e sintetizzate. Gli studenti delle classi terze hanno curato soprattutto l’aspetto gastronomico delle spezie, quelli delle classi quarte l’aspetto molecolare e nutrizionale, quelli delle classi quinte l’aspetto storico, della magia e delle spezie ed erbe aromatiche come additivi. Si è avviata così la realizzazione del DST. Il ruolo di noi docenti nella terza fase è stato di supporto, coordinamento e stimolo. I vari gruppi interclasse hanno realizzato numerosi racconti, scegliendo infine quello intitolato “Cristoforo Colombo e… non solo alla ricerca del pepe… ma…” per il concorso “Il racconto della scienza”. Ricadute nel lavoro La partecipazione al concorso e la realizzazione del progetto ha stimolato un cambiamento positivo nei comportamenti e negli atteggiamenti curricolare degli alunni. L’approccio narrativo ha contribuito a migliorare la qualità del loro apprendimento, favorendo un apprendimento significativo. Le attività laboratoriali di apprendimento tra pari hanno sviluppato il confronto dialettico ed operativo facilitando sia l’apprendimento a scuola sia la costruzione di competenze necessarie nella vita reale. Ha favorito negli studenti lo sviluppo di capacità decisionali relative all’organizzazione del lavoro. Ha infine contribuito a migliorare la professionalità degli insegnanti e la qualità dell’insegnamento.
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Strumenti di valutazione
Formativa: con lo scopo di fornire un’informazione continua ed analitica circa il modo in cui lo studente procede nell’apprendimento e serve al docente per valutare la qualità del proprio intervento. Strumenti di verifica formativa sono stati: prove strutturate, colloqui orali individuali. Sommativa: con lo scopo di apprezzare le abilità degli allievi di utilizzare in modo aggregato capacità e conoscenze acquisite durante una parte significativa dell’itinerario di apprendimento. Strumenti di verifica sommativa sono stati: relazioni scritte, sviluppo del progetto, lavori multimediali. Criteri di valutazione: sono stati presi in considerazione i seguenti indicatori: conoscenza, comprensione, espressione, applicazione, autonomia, livelli di partenza, partecipazione, educazione, comportamento durante l’attività didattica.
Risultati della valu- Più che soddisfacenti. Tutti gli studenti hanno raggiunto gli obiettivi minimi fissati all’inizio del progetto. Le diverse attività proposte hantazione no favorito sia l’acquisizione di conoscenze, abilità e competenze, sia la costruzione di competenze necessarie nella vita reale, necessarie al mondo del lavoro, dove l’attività e quasi sempre di gruppo, ha infine sollecitato ed arricchito la fantasia e la creatività negli allievi.
280
3. Schede tecniche sintetiche 12. “Alla scoperta dello zenzero/curcuma e cannella” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
4^ RA
Insegnante tutor
Prof.ssa Francesca Carrisi
Durata
5’
13. “A tavola con le spezie. Spezie ed erbe aromatiche: il ginepro” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
5^ RA
Insegnante tutor
Prof.ssa Francesca Carrisi, Prof. Onofrio Brisacani
Durata
5’
14. “Una favola di spezie. Piccantissimo” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
5^ RB
Insegnante tutor
Prof.ssa Francesca Carrisi, Prof. Onofrio Brisacani
Durata
5’
15. “La vaniglia” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
5^ RC
Insegnante tutor
Prof.ssa Roberta Colomba
Durata
5’
16. “Dalla Magia alla Gastronomia. Spezie ed erbe aromatiche” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
3^ Cucina B ed A
Insegnante tutor
Prof.ssa Francesca Carrisi, Prof.ssa Antonia Magarelli, Prof. Vitantonio Mangini, Prof. Paolo Miccolis
Durata
20’
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17. “Spezie” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
3^ CE – 3^ ART – 4^ RE – 5^ RE – 5^ RF
Insegnante tutor
Prof.ssa Anna Avelluto
Durata
15’
18. “Salviamo l’ambiente” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
5^ RC
Insegnante tutor
Prof.ssa Roberta Colomba
Durata
10’
19. “Melting Pot” Istituto
IPSSART – Castellana Grotte (Ba)
Classe/ Sez.
3^ D
Insegnante tutor
Prof.ssa Roberta Colomba
Durata
3’
20. “Gli strumenti scientifici del Liceo Classico Sylos” Istituto
Liceo Classico “C. Sylos” – Bitonto (Ba)
Classe/ Sez.
3^ BL
Insegnante tutor
Prof.ssa Katia Galeazzi
Durata
4’
282
Conclusioni LOREDANA PERLA
Al termine della lettura del volume di Dibattista e Morgese, le prime parole che mi sono tornate alla mente sono state quelle dell’incipit dell’opera più importante del filosofo e storico della scienza T. Khun, La struttura delle rivoluzioni scientifiche. In quel famoso incipit Khun scrive che, se la storia fosse considerata come qualcosa di più di un deposito di aneddoti o di una cronologia, potrebbe produrre una trasformazione decisiva dell’immagine della scienza dalla quale siamo dominati. Ho sempre trovato queste parole illuminanti anche per la riflessione teorica in Didattica perché Khun, oltre a invitare a un ricupero della storia della scienza da parte di chi, filosofo, sulla scienza ovviamente è chiamato a riflettere, offre un’indicazione di metodo essenziale dal punto di vista dell’epistemologia dell’insegnamento: non progredendo la scienza in modi cumulativi, per farla apprendere ai ragazzi occorre far loro capire i modi del suo svilupparsi. Insomma: il metodo per insegnare efficacemente la scienza è nell’insegnarne la storia. Si tratta di un’indicazione didatticamente rilevante che riecheggia in ogni pagina di questo prezioso volume laddove la storia della scienza è assunta a oggetto culturale di uno studio che, andando oltre la prospettiva della ricostruzione documentale, lo riguarda, invece, come itinerario di ricerca-formazione con le Scuole e come opportunità di conoscere la mente umana degli scienziati al lavoro. E, qui la novità didatticamente ingegnosa proposta dagli Autori, introducendo nel curricolo scolastico un artefatto peculiare di grande appeal per i ragazzi: il digital storytelling. La tesi è che attraverso il racconto “digitale” della genesi delle opere degli scienziati, delle loro biografie, dello sviluppo serendipico delle loro idee, sia possibile rappresentare concretamente agli occhi degli esigentis283
simi allievi contemporanei – e in modi non dogmatici – l’intreccio dei pensieri, delle emozioni e dei più vari tramiti attraverso cui quelle opere, quelle idee, quelle vite intrattengono ancora rapporti col nostro presente. Come ogni buon insegnante sa, è proprio questo il traguardo più difficile da conseguire nella formazione scolastica al pensiero scientifico: schiudere ai ragazzi l’orizzonte del senso e del valore dell’idea di scienza e spiegar loro (nel significato proprio dell’etimo: ovvero del distendere ciò che è ripiegato in modo che l’intera superficie risulti aperta, distesa e visibile) la lezione di austerità, di disciplina e di rigore che da quei tragitti esistenziali è possibile inferire. Sono, questi ultimi, gli obiettivi di una Scuola anche educativa di cui i ragazzi contemporanei hanno più che mai bisogno. È dunque attraverso filtri concettuali più estesi di quelli propri del comune strumentario della storiografia che va letta la proposta di Dibattista e Morgese che hanno fatto confluire in questo lavoro il distillato di anni di ricerca e di studi specifici nell’ambito della didattica della storia della scienza. Anche per questo il volume, se nasce da un’attività di ricerca empirica condotta con le Scuole, non è un report di risultanze, ma un’originale miscela di competenze di ambito disciplinare (la storia della scienza) e di competenze di metodo (la comunicazione didattica della scienza), che gli autori coniugano con gli argomenti di un tessuto critico riveniente da una concettualizzazione dal forte respiro internazionale. Per questo il libro è un contributo alla discussione teorica che sta trasformando la ricerca nella Didattica generale e disciplinare su alcuni importanti fronti che, a leggerli in controluce, sono anche le linee di forza del volume. La prima è la rivisitazione del rapporto teoria-pratica nella ricerca didattica disciplinare. In ragione delle suggestioni provenienti dai diversi versanti della cultura, tale rapporto viene oggi sempre più concepito in chiave di unità fortemente dialettica: la teoria senza le pratiche formative è vuota, così come le pratiche formative senza teoria sono cieche. La Didattica contemporanea va ponendosi sempre più come scienza empirica che si costruisce grazie alla riflessione sistematica sui concreti processi di insegnamento-apprendimento e sull’analisi delle evidenze emergenti da protocolli di ricerca bottom-up. In tal senso il volume si propone al lettore come un esempio eloquente di tale dialettica e di una ricerca che mira a far-dire-l’insegnamento ai suoi protagonisti principali. Se l’insegnante è sul campo, insomma, lo è anche il ricercatore ed entrambi sono legittimati a “dar forma” all’oggetto 284
di indagine attraverso il confronto delle reciproche visioni e assumendo nel contempo anche la responsabilità di quanto la ricerca produce o non produce. Fra l’altro, tale lavoro epistemologico svolto da ricercatori e insegnanti insieme viene sempre più riconosciuto (Mouvet et al. 2000) congruente col soddisfacimento delle esigenze di professionalizzazione in servizio espresse dalle Scuole (Tavignot 2005). La seconda linea di forza è la scelta di un impianto teorico sostenuto, per un verso, dal tessuto critico di un’analisi qualitativamente densa dei nodi principali dell’insegnamento della storia della scienza e, per altro verso, da una proposta didattica (nata appunto dalla ricerca-formazione) che, specificatamente in quell’ambito, mette a fuoco le potenzialità della narrazione come scelta di metodo (cioè come via, in greco odos, che consente e addita un percorso razionalmente riflesso e predeterminato – l’oltre indicato dal prefisso greco metà). Negli insegnamenti scientifici scegliere di raccontare una storia anziché di descrivere un fenomeno rappresenta un’opzione gnoseologica: l’opzione per un modello di conoscenza che non teme di confrontarsi con le condizioni di esperienza da cui nasce l’idea. E queste condizioni intrecciano sempre logos e pathos, fatti e valori. La storia delle idee è sempre storia di persone: chiede sguardi olistici, ermeneutici e logiche “giudicanti” piuttosto che “inferenti”. L’invito agli insegnanti di discipline scientifiche è, dunque, per richiamare un noto titolo, di lasciarsi prendere per mano dalle storie. Perché il cammino che si intraprende è sempre un cammino nell’umano della vita. Una terza linea di forza del volume che, come studiosa di Didattica, ho gustato particolarmente, è collegata strettamente alla precedente. Si tratta della “rappresentazione facilitata” delle condizioni di utilizzabilità dell’artefatto scelto nella ricerca-formazione, il digital storytelling. I resoconti narrativi degli insegnanti, sempre espressivi e carichi delle risonanze della vita d’aula che li ha generati, non hanno fatto mistero delle positività ma anche delle difficoltà sortite dall’esperienza dei casi, dimostrando quanto un artefatto innovativo assunto entro un percorso storycentered, alla fine si trasforma in un sollecitatore fortissimo di azioni e reazioni, spesso impreviste. Lì dove la comunità scolastica sa catalizzarle proficuamente, i risultati vengono. È stato interessante leggere le testimonianze delle Scuole, capire le difficoltà di chi, da insegnante o da studente, accosta il contenuto tematico attraverso i problemi posti dal possesso o dall’assenza di quella competenza 285
che è la Media Literacy o, come preferisco invece chiamarla, Alfabetizzazione Mediale. È questo il fronte nuovo e più inesplorato delle possibilità delle nuove didattiche. Le radici sono lontane, possiamo dire che risalgano ai dibattiti innescati negli anni Sessanta dallo strutturalismo linguistico e dall’uso dei nuovi codici nella formazione scolastica. È stato, quello, il tempo delle sperimentazioni dei “nuovi alfabeti”, dell’ingresso pervasivo delle immagini nel quotidiano fare Scuola (nella vita c’erano entrate molti anni prima). Tuttavia, benché la storia dell’Alfabetizzazione Mediale possa contare su più di qualche lustro, i contesti reali chiedono formazione, chiedono accompagnamento. Fra i compiti della nuova Scuola non può assolutamente mancare quello di una alfabetizzazione intelligente ai media. Ecco, trovo la ricerca-formazione col digital storytelling a contenuto storico-scientifico un exemplum di alfabetizzazione intelligente ai nuovi media in cui l’intelligenza degli Autori ha saputo miscelare saperi sapienti, nuovi alfabeti, cura delle relazioni. Si delinea il ruolo, fondamentale, cui l’Università è chiamata: coniugare ricerca didattica e formazione degli insegnanti; promuovere un’alfabetizzazione mediale dei docenti sin dai percorsi di prima formazione e, ancor più, come attesta la ricerca di questo volume, in quella in servizio. Con elegante scrittura e con sottigliezza di argomenti gli Autori stringono il filo del discorso sulla sinergia tra Istituti scolastici, Università, Territorio: lì dove la sinergia si crea, l’esito è un lavoro di eccellenza.
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Capitolo 1
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PARTE II
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Capitolo 2
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Paragrafo 2.2.
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Paragrafo 2.3.
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Capitolo 3
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Capitolo 5
Perla L. (2011). L’eccellenza in cattedra. Dal saper insegnare alla conoscenza dell’insegnamento. Milano: Franco Angeli.
310
Allegati
Allegato A I “quattro steps” elaborati in Robin 2005 per la creazione e comunicazione di un digital storytelling Steps
Procedures
1. Define, collect and de- Select a topic for your digital story cide Create a folder on the desktop where you can store the materials you find Search for image resources for your story, including: pictures, drawings, photographs, maps, charts, ecc. Try to locate audio resources such as music, speeches, interviews, and sound effects Try to find informational content, which might come from web sites, word processed documents, or Power Point slides Begin thinking of the purpose of your story 2. Select, import and cre- Select the images you would like to use for your digital story ate Select the audio you would like to use for your digital story Select the content and text you would like to use for your digital story Import images into Photo Story Import audio into Photo Story Modify number of images and/or image order, if necessary 3. Decide, write, record and finalize
Decide on the purpose and point of view of your digital story Write a script that will be used as narration in your digital story and provides the purpose and point of view you have chosen Use a computer microphone and record the narration of your script Import the narration into Photo Story Finalize your digital story by saving it as a Windows Media Video file
4. Demonstrate, evaluate Show your digital story to your peers and replicate Gather feedback about how the story could be improved, expanded and used in your classroom Help other groups how to create their own digital story
313
Allegato B I “cinque steps” della University of Huston – The Educational Uses of Digital Storytelling Steps
Procedures
1. Choose a Topic, Write a Create a folder on the desktop where you can store all of the materials related to your digital story. Select a topic for your Script digital story Begin thinking of the purpose of your story. Are you trying to inform, convince, provoke, question? Also, think about who the audience will be for this story Write the first draft of the script for your story. This script will serve as the basis of the narration you will record later Read what you have written make sure your script includes a clearly articulated purpose and includes an identifiable point of view Share your script with others and use their feedback to improve the next version of your script Repeat the process of getting feedback and revising the script, until you are satisfied with the results 2. Collect Resources
Search for or create images that can be used in your story, including: pictures, drawings, photographs, maps, charts, ecc. – Save these resources in your folder Try to locate audio resources such as music, speeches, interviews, and sound effects. – Save these resources in your folder Try to find other informational content, which might come from web sites, word processed documents, or PowerPoint slides – Save these resources in your folder
3. Select Content, Develop Select the images you would like to use for your digital story a Storyboard Select the audio you would like to use for your digital story Select the text and any additional content you would like to use for your digital story Create a storyboard that provides a textual and visual overview of your plan for the digital story
314
4. Import, Record, Final- Import images into Photo Story or other similar software program ize Import audio into Photo Story Modify the number of images and/or image order, if necessary Use a computer microphone and record the narration of your script Import the narration into Photo Story Add music or other audio to your story Finalize your digital story by saving it in a version that can be viewed 5. Demonstrate, Evaluate, Show your digital story to your (peers) or to your students and colleagues Replicate Gather feedback about how the story could be improved, expanded, and used educationally Teach your students or colleagues how to create their own digital story Congratulate yourself for a job well done!
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Allegato C National Educational Technology Standards for Students – NETS (Iste 2008) NETS 1. Creativity and Innovation
Students demonstrate creative thinking, construct knowledge, and develop innovative products and processes using technology.
a. Apply existing knowledge to generate new ideas, products, or processes b. Create original works as a means of personal or group expression c. Use models and simulations to explore complex systems and issues d. Identify trends and forecast possibilities
2. Communication and Collaboration
Students use digital media and environments to communicate and work collaboratively, including at a distance, to support individual learning and contribute to the learning of others.
a. Interact, collaborate, and publish with peers, experts, or others employing a variety of digital environments and media b. Communicate information and ideas effectively to multiple audiences using a variety of media and formats c. Develop cultural understanding and global awareness by engaging with learners of other cultures d. Contribute to project teams to produce original works or solve problems
3. Research and Information Fluency
Students apply digital tools a. Plan strategies to guide inquiry b. Locate, organize, analyze, evaluate, syntheto gather, evaluate, size, and ethically use information from a variand use information. ety of sources and media c. Evaluate and select information sources and digital tools based on the appropriateness to specific tasks d. Process data and report results
4. Critical Thinking, Problem Solving, and Decision Making
Students use critical thinking skills to plan and conduct research, manage projects, solve problems, and make informed decisions using appropriate digital tools and resources.
a. Identify and define authentic problems and significant questions for investigation b. Plan and manage activities to develop a solution or complete a project c. Collect and analyze data to identify solutions and/or make informed decisions d. Use multiple processes and diverse perspectives to explore alternative solutions
5. Digital Citizenship
Students understand human, cultural, and societal issues related to technology and practice legal and ethical behavior.
a. Advocate and practice safe, legal, and responsible use of information and technology b. Exhibit a positive attitude toward using technology that supports collaboration, learning, and productivity c. Demonstrate personal responsibility for lifelong learning d. Exhibit leadership for digital citizenship
316
6. Technology Operations and Concepts
Students demonstrate a sound understanding of technology concepts, systems, and operations.
a. Understand and use technology systems b. Select and use applications effectively and productively c. Troubleshoot systems and applications d. Transfer current knowledge to learning of new technologies
317
Allegato D Questionario finale di valutazione studenti 1.
Dati personali: Età / Classe / Sesso / Scuola
2.
Il digital storytelling (il prodotto audiovisivo) realizzato dal tuo gruppo/dalla tua classe quali materie scolastiche ha coinvolto? Elencale tutte, sia quelle scientifiche che umanistiche.
3.
Pensa alle materie che hai scritto nell’elenco precedente (alla domanda n. 2). Nella quotidiana vita scolastica, alla quale sei abituato, trovi interessanti, appassionanti o coinvolgenti queste materie? Se sì, perché? Se no, perché? Rispondi spiegando la tua opinione su ciascuna di queste materie.
4.
Il progetto che hai realizzato con il tuo gruppo/ con la tua classe ti ha fatto sperimentare un modo diverso di studiare queste materie, rispetto a quello a cui sei abituato nella tua vita scolastica? Se sì, in cosa e perché? Se no, in cosa e perché? Siamo molto interessati a conoscere la tua opinione nei particolari.
5.
Cosa pensi del fatto che, nella realizzazione del vostro lavoro, sono state coinvolte più di una materia? Ti è sembrato un collegamento naturale oppure forzato? Ti ha sorpreso oppure hai esperienza di questi collegamenti tra più materie, scientifiche e umanistiche? Ti preghiamo di scrivere nei particolari le tue idee, le tue sensazioni, l’opinione che ti sei fatto su questo argomento.
6.
Nella realizzazione del vostro prodotto pensi di aver svolto un ruolo attivo, hai fatto delle scelte o hai contributo a scelte importanti, hai selezionato in prima persona alcuni materiali, hai fatto in prima persona delle letture o delle ricerche che poi sono state usate dal gruppo? Ti sei messo in gioco in prima persona recitando? Ci interessa molto conoscere queste informazioni nei particolari. Ti preghiamo perciò di essere ricco di dettagli.
7.
Tra tutte le fasi del lavoro, dalle primissime alla realizzazione del prodotto finale, quale è stata l’attività che ti è piaciuta di più? Se sono più di una, quali attività? E perché? Anche in questo caso, ti preghiamo di essere ricco di particolari.
318
8.
Che idea ti sei fatto della STORIA DELLA SCIENZA partecipando a questo progetto? Che cosa pensi sia la “Storia della Scienza”? Di quali argomenti, secondo te, si occupa?
9.
Pensando all’esperienza che hai vissuto, secondo te studiare la SCIENZA scoprendone la STORIA ti ha aiutato a comprendere meglio l’argomento scientifico che avete scelto per il vostro progetto? Se sì, perché? Se no, perché?
10. Tu credi che studiare più spesso le materie scientifiche attraverso un approfondimento storico potrebbe portare vantaggi allo studio delle materie scientifiche a scuola? Se sì, quali vantaggi e perché? Se no, perché no? Ci teniamo moltissimo a conoscere la tua idea nei particolari. Sii dettagliato nel rispondere. 11. Con questo lavoro tu ed il tuo gruppo avete realizzato un prodotto audiovisivo. Secondo te, il fatto di aver avuto fin dall’inizio un obiettivo da raggiungere ha reso più facile la ricerca, la scelta o la produzione del materiale da inserire nel prodotto finale? Spiega nei particolari. 12. Con questo lavoro tu e il tuo gruppo avete raccontato una storia. Secondo te, il fatto di dover costruire un racconto di storia della scienza, cioè il fatto di dover scegliere cosa raccontare e come, ti ha aiutato ad apprendere meglio l’argomento scientifico che avete scelto per il vostro lavoro, rispetto all’abituale modo di studiare gli argomenti scientifici? Ti chiediamo, cioè, di riflettere sul rapporto che secondo te si è creato tra narrazione e scienza. Spiega nei particolari. 13. Secondo te, il fatto di dover ricostruire o costruire una storia ha reso più facile l’individuazione di collegamenti e relazioni tra le varie materie che sono entrate in gioco nel lavoro? 14. Con questo progetto tu ed il tuo gruppo avete lavorato insieme. Collaborare e partecipare al gruppo cosa ha significato per te? Quali vantaggi ha portato al lavoro? E quali svantaggi? È stato facile o difficile doverti confrontare con i punti di vista e le idee degli altri? Spiega nei particolari. 15. Questo progetto ti ha portato ad indagare la scienza attraverso la sua storia. È cambiata, in seguito a questo progetto, l’idea che hai della scienza rispetto a quella che avevi prima? In cosa? Hai scoperto alcune caratteristiche della scienza e degli scienziati che non conoscevi? Sii dettagliato. 319
Note sui collaboratori
Francesco Paolo de Ceglia insegna Storia della Scienza presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Rossella De Ceglie insegna Storia della Scienza presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Carla Petrocelli insegna Storia dell’Informatica presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro. Gianluca Sciannameo, giornalista, video maker e formatore in progetti sull’audiovisivo nelle scuole. Alessandro Volpone insegna Storia della Scienza presso la Facoltà di Scienze Naturali, Matematiche e Fisiche dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro.
320