Il processo di civilizzazione. Potere e civiltà [Vol. 2]

Usare le posate per mangiare, evitare di sputare nel piatto, soddisfare in privato i bisogni fisici ci sembrano comporta

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Italian Pages 440 Year 1983

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Il processo di civilizzazione. Potere e civiltà [Vol. 2]

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Se è vero che i grandi libri non seguono mai tracciati lineari, allora non ci si deve stupire che l'opera di un grande studioso sappia trasformarsi in un ac­ curatissimo affresco storico delle radici della civiltà occidentale, per ritorna­ re - seguendo il filo conduttore di un racconto che dà corpo ai fantasmi della nostra origine - all'immagine psicologica dell'individuo che di quel­ l'affresco è, al contempo protagonista e comparsa. Dall'immagine spettaco­ lare e grandiosa dei grandi regni e delle grandi corti dell Europa plantage­ neta e capetingia, Elias segue, per successivi ingrandimenti di particolari, le evoluzioni del «processo di civilizzazione» dell'Occidente, ritessendo quei legami e quelle costruzioni che aveva per altri aspetti già evidenziato '

ne •La civiltà delle buone maniere", primo volume di questa vasta e affasci­ nante ricerca È nella scelta medioevale che si ritrova la spiegazione dei contorni assunti poi dalla civiltà occidentale moderna non solo a livello politico ma anche in­ .

dividuale e sociale: è in quell'epoca che i guerrieri imparano a dominare i propri impulsi ed a rispettare nella dama la donna; è allora che nasce la poesia come arte di avvicinarsi l'un l'altro attraverso il linguaggio mentre declina l'aggressiva fisicità dei rapporti; è in quegli anni che l'affermarsi del grande edificio politico delle monarchie nazionali porta all'interdipendenza di tutti da tutti. Da quel momento, nessuno più sarà totalmente libero; ma proprio da allora daterà lo sviluppo dell'autocoscienza personale. La costru­ zione perfetta di quest'opera dà così l'illusione di poter osservare la mappa delle nostre origini e di cogliere quella che Elias stesso definisce «la psicolo­ gia storica della civiltà occidentale».

Indice del volume: l. Genesi sociale della civiltà occidentale.- Il. Lo sviluppo della società nel Medioevo. Meccanismi di feudalizzazione.- 111. Lo sviluppo della società del Medioevo. Genesi sociale dello Stato. - IV. Per una teoria della civilizzazione.

Norbert Elias, sociologo e storico di grande prestigio e fama internazionale, è nato in Germania nel 1897. Le sue opere hanno conosciuto un crescente successo in questi ultimi anni. Di Elias il MuliAo ha già pubblicato .. La socie­ tà di corte" (1980), «La civiltà delle buone maniere» (1982), «La solitudine del morente» (1985), ..saggio sul tempo" (1986) e «Humana conditio» (1987).

L. 34.000 (i.i.)

ISBN 88-15-00175-1

SAGGI 247.

Questo volume costituisce la seconda parte dell'opera fonda­ mentale di Norbert Elias, uscita nel 1 9 3 7 con il titolo Ùber den Prozess der Zivilisation. La traduzione è stata condotta sulla piu recente edizione del 1 980. Si è tenuto conto anche delle edizioni in lingua inglese, uscite con i titoli The Civili­ zing Process, II. The Dynamic of the State (New York, Urizen Books, 1 980) e The Civilizing Process, II. Power and Civiliza­ tion (New York, Pantheon Books, 1982), oltre che dell'edi­ zione francese, uscita con il titolo Dynamique de l'occident (Paris, Calmann-Levy, 1 976) .

NORBERT ELIAS

Potere e civiltà Il processo di civilizzazione. II

IL MULINO

ISBN 88-15-00 175- 1 Edizione originale: Ùber den Prozess der Zivilisation. II. Wandlungen der Gesellschaft. Entwurf zu einer Theorie der Zivilisation, Frankfurt, Suhr­ kamp, 1 9802. Copyright © 1969 by Norbert Elias. Copyright © 1983 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Giuseppina Pan­ zieri.

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.

PER UNO STUDIO DELLA GENESI SOCIALE DELLA CIVILTÀ OCCIDENTALE

CAPITOLO PRIMO

Genesi sociale della civiltà occidentale

La società di corte Le lotte tra la nobiltà, la Chiesa e i principi per conquistare una parte di potere e di ricchezza si prolungano ovunque per tutto il Medioevo. Nel corso del XII e XIII secolo, in questo gioco di forze si inserisce come partner un nuovo gruppo : quel­ lo dei privilegiati abitanti delle città, ossia la «borghesia». Nei diversi paesi, questa lotta incessante e i rapporti di forza tra i contendenti presentano un quadro differente. Quanto a struttura, il punto di partenza delle lotte è quasi sempre il medesimo: in tutti i maggiori paesi del continente, e per qualche tempo anche in Inghilterra, nelle mani dei principi o dei loro rappresentanti finisce per concentrarsi un potere che gli stati (Stdnde) non riescono a contrastare. A poco a poco l' autarchia di molti e la partecipazione degli sta­ ti alla signoria vengono represse, mentre, per un periodo piu o meno prolungato, lentamente si afferma al vertice il domi­ nio dittatoriale, «assoluto» di uno solo: cosi in Francia, in Inghilterra e nei paesi asburgici si impone quello del re, nei territori tedeschi e italiani quello dei signori territoriali. Numerosissime opere storiche ci hanno illustrato in che modo ad esempio i sovrani francesi da Filippo Augusto a Francesco I ed Enrico IV abbiano accresciuto il proprio potere, oppure come nel Brandeburgo il principe elettore Federico Guglielmo abbia soppiantato gli S tati provinciali, i Medici a Firenze i patrizi e il Consiglio, i Tudor in Inghilter­ ra la nobiltà e il Parlamento . In ognuno di questi paesi, vediamo sempre le azioni di singoli protagonisti di cui ci vengono illustrate le debolezze e le qualità personali. E sen­ za dubbio è certamente fecondo e altresi indispensabile considerare la storia sotto questo profilo, ossia come un mosaico delle singole azioni di singoli individui. 7

Genesi sociale della civiltà occidentale

Ma, evidentemente, questi avvenimenti significano ben altro che la casuale comparsa di tutta una serie di grandi principi e le casuali vittorie di numerosi, singoli signori territoriali o sovrani su numerosi, singoli ceti, piu o meno nello stesso perio­ do. Non senza ragione si parla di una età dell'assolutismo. Il mutamento intervenuto nella forma di sovranità esprime un mutamento strutturale dell'intera società occidentale. Non soltanto alcuni sovrani accrebbero il loro potere, ma a poco a poco l'istituzione sociale della monarchia - si tratti di re o di principi - attraverso una graduale trasformazione dell'intera società acquistò evidentemente un peso nuovo, un aumento di potere tale da costituire una chance per i suoi detentori o rappre­ sentanti e servitori . Da un lato, ci si può chiedere in che modo questo o quell'in­ dividuo ottennero la sovranità, e in che modo egli o i propri ere­ di accrebbero e perdettero il potere conquistato sotto forma di «assolutismo». D ali' altro, ci si può chiedere grazie a quali mutamenti socia­ li l'istituzione medioevale del sovrano o principe abbia assunto in determinati secoli proprio quel carattere e abbia ottenuto quell' aumento di potere che è espresso da concetti quali «asso­ lutismo» o «sovranità illimitata»; e altresi, quale struttura della società, quale evoluzione dei rapporti umani abbiano con­ sentito a tale istituzione di conservare, piu o meno a lungo, quella precisa forma. Entrambi gli ordini di problemi attingono per lo piu al medesimo materiale documentario; ma soltanto il secondo si avventura in quell' ambito della realtà storica in cui ha luogo il proc,esso di civilizzazione. E ben piu di una casuale coincidenza temporale il fatto che, in quegli stessi secoli in cui la funzione del re e del principe assunse la forma dell' assolutismo, siano divenuti piu marcati anche quella condotta affettiva e quel controllo di cui abbiamo parla to in precedenza, ossia quella «civilizzazione» del compor­ tamento. Nelle citazioni raccolte in La civiltà delle buone manie­ re, che testimoniano tale modificazione del comportamento, è già evidente lo stretto legame tra questa modificazione e la crea­ zione di quella gerarchia sociale al cui vertice sta il sovrano asso­ luto e, guardando con un' ottica piu ampia, la sua corte. 8

Genesi sociale della civiltà occidentale

Anche la corte, la dimora del signore, nel corso di un movi­ mento che si estese lentamente in tutta Europa per poi rifluire di nuovo nel periodo che chiamiamo «Rinascimento», acquistò nella società occidentale nuovo prestigio e nuova importanza. In quest'epoca, infatti, le corti divennero via via per l'Oc­ cidente i centri di formazione di un certo stile di vita . Nella fase precedente, a seconda dei rapporti sociali di forza esse avevano dovuto spartire tale funzione ora con la Chiesa, ora con le città, ora con le corti dei grandi v assalii e cavalieri sparse in tutto il territorio, e talvolta addirittura abdicarvi. Ma da questo momento in poi condividono tale funzione con l'Uni­ versità - centro di formazione della burocrazia monarchica - soltanto in territorio tedesco e prevalentemente protestan­ te; invece nei territori romanici e forse - resterebbe da verifi­ carlo - in tutti i paesi cattolici l'importanza della corte princi­ pesca e della società di corte in quanto istanza di controllo sociale, organo che determina il comportamento umano, supe­ ra largamente quella dell' Università e di tutte le altre forma­ zioni sociali dell'epoca. È già testimone di uno stile di corte il primo Rinascimento fiorentino caratterizzato da personalità come Masaccio, Ghiberti, Brunelleschi e Donatello, lo sono in misura ancor piu decisiva il cosiddetto Alto Rinascimento ita­ liano, il Barocco e il Rococò, lo stile Luigi XV e quello Luigi XVI e infine lo stile Impero, già piu profondamente inserito del precedente nella fase di trapasso e già pervaso di tratti industriai-borghesi. Alla corte si forma un tipo di società, un tipo di integrazio­ ne fra gli uomini per la quale in tedesco non esiste una defini­ zione veramente specifica ed inequivocabile, e ciò perché in Germania essa non ha quasi mai acquisito un' importanza cen­ trale e decisiva, comunque non certo nella sua forma conclusi­ va e di trapasso, quella di Weimar. Il concetto tedesco di «buo­ na società», o piu semplicemente di «società» nel senso di «monde», al pari del resto della formazione sociale che vi corri­ sponde, non ha una specificità paragonabile alle definizioni francese e inglese. I francesi parlano di «société polie»; e il con­ cetto francese di «bonne compagnie» o di «gens de la Cour», cosi come quello inglese di «society», ne sono piu o meno gli equivalenti. 9


>. Ma anche se già qui si delinea la trasformazione degli antichi metodi storiografici in metodi piu attuali, maggiormente attenti alle strutture sociali effettive, ed emergono cosi anche nel dettaglio piu fecondi punti di vista, questo confronto tra differenti società feudali è uno dei molteplici esempi delle difficoltà che si incontrano quan­ do lo storico assume i criteri metodici di Max Weber, quando - per dirla con Otto Hintze - ci si sforza di ottenere «astrazioni chiare, formazioni di tipi». Gli elementi che all'osservatore appaiono simili quando esamina differenti uomini e società, non sono tipi ideali, «tipi>> che in un certo senso vengono elaborati dallo studioso concettualmente, bensi affinità realmente esistenti tra le strutture sociali; se queste affinità mancano, fallisce anche tutta l'elaborazione concettuale. Quando si vuole contrapporre il concetto di «tipo ideale>> ad un altro, si ha a che fare con tipi reali. L'affinità tra società feudali differenti non è un prodotto artifi· cioso del pensiero, lo ripetiamo ancora, bensi, il risultato di costrizioni di inter· dipendenze di genere analogo, che nei fatti e non soltanto nell' «idea» introducono, in epoche differenti e in differenti luoghi della terra, sviluppi storici analoghi, far·

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Meccanismi di feudalizzazione

Certamente nella storia e Interessante ed istruttiva la conoscenza degli antecedenti, cioè di fenomeni affini che si succedono, e non potremmo omettere di farvi riferimento . Ma questi «antecedenti>> non costituiscono gli unici fattori e forse non sono i piu importanti. Il punto me relazionali e istituzioni affini. (La giustificazione teorico-conoscitiva di questi concetti non rientra in questo lavoro; alcuni accenni a questo aspetto del problema si trovano nel lavoro citato sotto alla nota 129: Die Gesellschaft der Individuen) . Alcuni dati tratti da esempi che debbo a Ralf Bonwit hanno dimostrato come le costrizioni di interdipendenze, che in Giappone portarono a forme relazionali e istituzioni feudali, siano sorprendentemente simili alle strutture e alle costrizioni di interdipendenze che abbiamo qui elaborato, attingendo a documenti dell'epoca reudale in Occidente. Una tale analisi comparativa delle strutture fornisce, come si i: visto, anche un piu saldo appiglio per spiegare le peculiarità che distinguono le istituzioni feudali del Giappone e il loro mutamento storico da quelle dell'Occi­ dente. Qualcosa di analogo si è verificato studiando la società guerriera america. La nascita di grandi cicli epici - volendo !imitarci a questo fenomeno - nella società cavalleresca dell'antichità cosf come in quella occidentale e, ancora, in molte altre società a struttura analoga, per essere spiegata non ha bisogno di un'ipotesi speculativo-biologica, non ha bisogno di ipotizzare una degli sociali. Per spiegarla, è sufficiente esaminare a fondo le specifiche forme di socialità che si vennero creando nelle medie e grandi corti feudali oppure anche durante le spedizioni militari e le migrazioni di cavalieri. Cantori e menestrelli, e con essi anche la narrazione in versi delle sorti e delle imprese dei grandi guerrieri che si trasmette oralmente, hanno un loro posto preciso e una loro precisa funzio­ ne nella vita di queste società feudali di guerrieri, differenti dalla posizione e dalla runzione che cantori e poemi hanno, ad esempio, nell'ambito di una ristretta tribu sedentaria. Dall'altro lato, per esaminare le modificazioni strutturali nella società di guer­ rieri dell'antichità, un certo appiglio lo fornisce anche l'esame dei mutamenti stili­ slici sopravvenuti nello stile dei vasi e dei vasai dell'antichità. Ad esempio, se in determinati periodi i vasai di un certo luogo rivelano elementi stilistici , �esti e panneggiamenti piu affettati - o, se ci si vuole esprimere positivamente ­ piu raffinati, anziché pensare ad un soltanto in riferi­ mento a determinate forme sociali e a un determinato stan­ dard di bisogni: dunque, una sovrappopolazione sociale . Nel complesso, nelle società in qualche modo differen­ ziate i suoi sintomi sono sempre gli stessi: aumento delle ten­ sioni all'interno della società, netto isolamento di coloro che «possiedono», vale a dire nel caso di una società a economia prevalentemente naturale coloro che «possiedono la terra», rispetto a coloro che «non» possiedono o comunque possie­ dono in misura insufficiente a nutrirsi in modo adeguato al loro standard; molto spesso, anzi, anche all'interno del grup­ po degli «abbienti» una netta distanziazione tra coloro che possiedono di piu rispetto a coloro che possiedono meno. Quindi una piu salda e accentuata unione tra coloro che si trovano nella medesima condizione sociale per difendersi contro la pressione degli esclusi, o, inversamente, per con­ quistare le chances monopolizzate da altri. Ancora, una piu accentuata pressione nei confronti dei territori confinanti che sono meno fittamente popolati o godono di difese piu deboli, e infine forti tendenze migratorie, impulso a conqui­ stare o almeno a colonizzare nuovi territori. È difficile dire se le fonti a noi pervenute sono sufficienti a fornirci un quadro molto preciso dell'incremento demogra­ fico europeo nei secoli dell'insediamento, e soprattutto delle differenze esistenti tra i diversi territori quanto a densità di popolazione . Una cosa è comunque certa: quando i movimenti migra­ tori si arrestarono, quando ebbero fine le grandi lotte e i pas­ saggi di possesso delle terre tra le diverse stirpi, emersero uno dopo l' altro tutti i sintomi di una «sovrappopolazione sociale», di un rapido incremento demografico in base al quale si trasformarono le istituzioni sociali. Questi sintomi di una crescente pressione demografica si manifestarono innanzitutto, con molta evidenza, nei territo­ ri del regno franco occidentale . A differenza del regno franco orientale, fin dal IX secolo in quello occidentale cessò a poco a poco la minaccia costitui­ ta da stirpi straniere. I normanni si erano ormai tranquilla­ mente insediati in quella parte del regno che da essi prese il 50

Meccanismi di feudali:uazione

nome. Grazie soprattutto all' aiuto della Chiesa, essi assorbi­ nmo rapidamente la lingna e le tradizioni circostanti, in cui dementi gallo-romani erano mescolati ad elementi franchi. l mpulsi importanti ricevette da essi soprattutto la struttura amministrativa nell'ambito della signoria territoriale. Tutta­ via da quel momento in poi il loro ruolo fu quello di una del­ le tante stirpi nell' ambito delle signorie territoriali franche d'occidente, anche se senza dubbio furono una delle stirpi di maggior rilievo per lo sviluppo complessivo del regno . Gli arabi e i saraceni continuarono a molestare le coste del Mediterraneo, ma nel complesso a partire dal IX secolo neppure essi costituirono piu una minaccia per l'esistenza del regno . A oriente della Francia si stendeva il territorio dell ' Im­ pero tedesco, che aveva riacquistato vigore sotto gli impera­ tori sassoni. Il confine tra esso e il regno dei franchi rimase praticamente immutato, a parte esigue eccezioni, dal X seco­ lo al primo quarto del XIII 2 5 • Nel 925 la Lorena rientrò a far 25 P. Kirn, Politische Geschichte der deutschen Grenzen, Leipzig, 1934, p. 5 . Notizie piu precise circa il ritmo e anche l a struttura del processo d i feudalizzazio­ ne in Germania e in Francia, in J. W. Thompson, German Feudalism, in «Ameri­ ,·an Historical Review», XXVIII ( 1 923), pp. 440 ss. «Ciò che si verificò nella Francia del nono secolo, trasformandola in un paese feudale, non si verificò in ( ;ermania fino alle guerre civili sotto il regno di Enrico IV» (p. 444). In generale, in quest'opera (e quindi, ad esempio, anche in quella di W. O. 1\ult, Europe in the Middle Ages), il crollo del regno dei franchi occidentali è messo principalmente in rapporto con le piu gravi minacce dall'esterno: >.

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Meccanismi di /eudalizzazione

Agglomerati umani piu fitti - il termine «città>> darebbe forse un'immagine falsa - esistevano già nelle società a eco­ nomia naturale del IX secolo. Ma non si trattava di comuni­ tà che «anziché della lavorazione del suolo vivevano di arti­ gianato e di commercio, o che avevano diritti o istituzioni particolari» 3 1 • Si trattava di fortezze che erano contempo-

3 1 H. Pirenne, Les villes du moyen dge, cit. , p. 5 3 . Una concezione opposta è stata sostenuta, anche in epoca piu recente, da D. M. Petrusesvski, Strittige Fragen der mittelalterlichen Verfassungs- und Wirtschaftsgeschichte, in e l' «economia monetaria>> anziché espressioni della tendenza di un graduale processo storico appaiono piuttosto come due condizioni fisiche, coesistenti e inconciliabili della società (v. supra, pp. 38 e 67), Petrusesvski contrappone una concezione opposta, secondo cui non esisterebbe affatto una «economia naturale>>: (p. 9). > (p. 6 7) .

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te faticoso trasportare avanti e indietro le quantità di viveri necessarie per il suo mantenimento che era preferibile far spostare la gente da un possesso all'altro. Ma con il piu intenso e marcato aumento della popolazio­ ne, delle città, delle interdipendenze e dei relativi strumenti, si svilupparono anche i mezzi di trasporto. Nel mondo antico la bardatura del cavallo, cosi come degli animali da traino e da soma, non era certo fatta per il trasporto di carichi pesanti per lunghi tratti. Sarebbe inte­ ressante sapere per quali tratti e per quali carichi essa poteva servire; tuttavia, questo tipo di trasporto era sufficiente nel­ le regioni interne date la struttura e le esigenze dell'econo­ mia antica. Per tutta l' antichità, del resto, il trasporto via terra rispetto a quello via acqua continuò ad essere straordi­ nariamente costoso 3 7 , lento e faticoso. Infatti, tutti i mag­ giori centri commerciali erano situati sul mare o su fiumi navigabili, e questo accentrarsi del traffico commerciale attorno alle vie d'acqua non è una delle caratteristiche mino­ ri della struttura della società antica. Lungo le vie d'acqua e soprattutto sulle rive del mare sorsero centri urbani ricchi e in parte fittamente popolati, le cui necessità in fatto di der­ rate alimentari e di generi di lusso assai spesso venivano sod­ disfatte con prodotti di regioni lontane; questi centri costi­ tuirono dunque un nodo, un anello nella catena differenziata di un commercio a lunga distanza. Negli sterminati territori interni, aperti in sostanza soltanto al traffico interno, vale a dire nella parte di gran lunga maggiore dell' Impero romano, la popolazione copriva i suoi bisogni primari direttamente con i prodotti degli immediati dintorni; le catene di scambio dominanti erano quindi brevi, cioè si avevano quei rapporti che noi chiamiamo un po' genericamente «di economia natu­ rale». Qui il denaro circolava in quantità proporzionalmente inferiore e, quanto all'importazione di articoli di lusso, la capacità d' acquisto di questo settore di economia naturale 37 M. Rostovtzev, The Social and Economie History o/ the Roman Empire, Oxford, 1926, pp. 66-67 e 528, e in molti altri passi (cfr. Index Transportation); trad. it. Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze, La Nuova Italia, 1976'.

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nell'antichità era troppo limitata. Di conseguenza era rile­ vante il contrasto tra il piccolo spazio delle città e l' immenso entroterra. I maggiori insediamenti urbani erano situati come sottili fasci di nervi lungo i corsi d' acqua di grandi ter­ ritori, e si appropriavano della loro forza e dei prodotti del loro lavoro, finché con il crollo dell' apparato centrale di potere, e in parte attraverso le lotte attive di elementi delle campagne contro i signori cittadini, il milieu agrario riusd a liberarsi del predominio delle città. Allora l'esiguo e forte­ mente differenziato settore delle grandi città con i suoi vastissimi intrecci commerciali si disgregò e - in forma un poco mutata - cominciarono invece a prosperare modesti intrecci di scambio su base regionale ed istituzioni basate sull'economia naturale, che insieme soffocarono l' antico set­ tore urbano. Questo settore, che aveva dominato la società antica, evidentemente non aveva mai sentito il bisogno di sviluppare oltre un certo limite il trasporto via terra: tutto ciò che il rispettivo paese non riusciva a fornire, o soltanto a prezzo di trasporti molto costosi, poteva piu comodamente arrivare via acqua. Ma nell'età carolingia la grande comunità di popoli si vide sbarrata la principale via commerciale del mondo anti­ co, il Mediterraneo, soprattutto a causa dell'espansione ara­ ba. Cosi il traffico via terra, le interdipendenze interne acquistarono , data la situazione nel Mediterraneo, una nuo­ va importanza. L' intensificarsi dei rapporti interni impose lo sviluppo dei mezzi di trasporto terrestri, che a loro volta influirono sullo sviluppo ulteriore di questo tipo di rapporti e scambi. E anche se, come già nell'antichità, i collegamenti marittimi, ad esempio il traffico tra Venezia e Bisanzio, tra le città fiamminghe e l'Inghilterra acquistarono nuova e decisiva importanza favorendo l'ulteriore sviluppo dell'Oc­ cidente, il carattere specifico di tale sviluppo fu caratterizza­ to anche, e in modo non meno decisivo, dal fatto che la rete di collegamenti marittimi fu collegata ad una rete sempre piu fitta di collegamenti terrestri, e che a poco a poco anche nel continente si svilupparono centri commerciali e mercati sem­ pre piu grandi. Il maggior sviluppo dei mezzi di trasporto terrestri rispetto all' antichità è una dimostrazione partico71

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larmente efficace della differenziazione e dell'interdipen­ denza che si andavano creando nella società dell' Europa continentale. Come abbiamo detto, l'uso del cavallo come animale da tiro non era molto sviluppato nel mondo romano. La barda­ tura passava sotto la gola 38, e ciò poteva essere molto utile per il cavaliere per meglio dominare il cavallo e dirigerlo con piu facilità. Il capo gettato all'indietro, l' atteggiamento «fie­ ro» del cavallo che tanto spesso osserviamo nei bassorilievi antichi è proprio da ricondurre a questo genere di bardatura. Tuttavia questo metodo rendeva il cavallo, oppure il mulo, assai meno utilizzabile come animale da tiro, soprattutto quando si trattava di fargli trasportare grossi carichi il cui peso inevitabilmente finiva per comprimergli la gola. Le stesse considerazioni valgono per la ferratura. Nel­ l ' antichità non esisteva il ferro di cavallo inchiodato, che conferisce al piede dell'animale una completa stabilità e gli consente, nel tiro, di utilizzare tutta intera la sua forza. L'uno e l'altro sistema mutarono lentamente a partire dal X secolo. Nello stesso periodo in cui il ritmo dei dissoda­ menti si accelerò, in cui la società si differenziò e si formaro­ no i mercati urbani nei quali a simboleggiare le interdipen­ denze il denaro entrò nell'uso in misura maggiore, anche i

38 Lefebvre cles Noettes, L 'atte/age. Le cheval de selle à travers /es àges. Contri­ bution à l'histoire de l'esclavage, Paris, 193 1 .

Le ricerche di Lefebvre cles Noettes hanno, sia per le loro conclusioni sia per la problematica che contengono, un'importanza che non va sottovalutata. Di contro all'importanza di questi risultati, che pure in alcuni punti avrebbero bisogno di un riesame, è di scarso peso il fatto che l'autore capovolga il nesso causale e consideri lo sviluppo della tecnica del trasporto il motivo dell'eliminazione della schiavitu. Accenni alle correzioni da apportare necessariamente al testo si trovano nella critica svolta da M. Bloch, Problèmes d 'histoire des techniques, in «Annales d'histoi· re économique et sociale>>, 17 ( 1932). Sono soprattutto due i punti dell'opera di Lefebvre cles Noettes che vengono in parte esposti con piu rigore e in parte rettifi­ cati: l ) l'influenza della Cina e di Bisanzio sulle scoperte del Medioevo richiede­ rebbe un'indagine piu accurata; 2) già da parecchio tempo la schiavitù non sostiene più un ruolo significativo nella struttura del primitivo mondo medioevale allorché fa la sua comparsa un nuovo tipo di : (p. 484) . Per un'ampia esposizione in lingua tedesca dei risultati principali del lavoro di Lefebvre cles Noettes in L. Lowenthal, Zugtier und Sklaven, in , 2 ( 1 9 3 3 ) .

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Meccanismi di feudalizza:àane

mezzi di trasporto terrestri, i finimenti e gli attrezzi atti a sfruttare la forza-lavoro animale compirono progressi decisi­ vi. E questo miglioramento, per quanto irrisorio possa appa­ rirci oggi, in quella fase ebbe un'importanza di poco inferio­ re allo sviluppo della tecnica delle macchine in una fase suc­ cessiva. «Con un gigantesco impulso costruttivo», come è stato detto 39 , nel corso dell'XI e del XII secolo l' ambito di utiliz­ zazione del lavoro animale si allargò. Il peso principale del­ l' onere del traino fu spostato dalla gola agli omeri. Fece la sua comparsa il ferro di cavallo, e nel XIII secolo in linea di principio fu inventata la moderna tecnica di traino per il cavallo e anche per i bovini. Furono cosi poste le basi del trasporto via terra di carichi piu grossi e per piu lunghi tratti. Nello stesso periodo si impone il carro a ruote e si comincia­ no a lastricare le strade. Il mulino ad acqua, grazie allo svi­ luppo della tecnica dei trasporti, acquista ora un'importanza che non aveva avuto nell' antichità, poiché vale la pena tra­ sportarvi i cereali anche da luoghi piu lontani 40 • Anche que­ sto fu un passo verso la differenziazione e l 'intreccio, verso il distacco di certe funzioni dall'ambito chiuso del bene padro­ nale.

Dalla società antica a quella medioevale: nuovi elementi strut­ turali Quel mutamento del comportamento e della vita pulsio­ nale che chiamiamo «civiltà» è strettamente connesso a una piu intima e crescente interdipendenza degli uomini, come dimostrano i pochi esempi che possiamo portare. Già in que­ sta fase relativamente iniziale in alcune parti dell'Occidente l'interdipendenza sociale appare diversa da quella dell' anti­ chità. La struttura cellulare della società ricomincia a diffe­ renziarsi, sfruttando in vario modo quanto era sopravvissuto 39 Lefebvre des Noettes, La «Nuit» du moyen dge et san inventaire, in > e la sua impor·

tanza per la tendenza di sviluppo della società occidentale trovano conferma nel fatto che l'ulteriore evoluzione dei mezzi di trasporto terrestri rispetto al livello dell'antichità si verifica, a quanto è dato vedere oggi, circa un secolo prima della corrispondente evoluzione dei mezzi di trasporto marittimi. La prima comincia tra il 1 050 e il l lOO circa, la seconda, a quanto risulta, soltanto intorno al 1200. Cfr. in proposito Lefebvre des Noettes, De la marine antique à la marine moderne. La révolution du gouvernail, Paris, 1 9 3 5 , pp. 105 ss. Cfr. anche E. H. Byrne, Genoese Shipping in the Twelfth and Tirteenth Centuries, Cambridge (Mass.), 1930, pp. 5-7.

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un piu vigoroso sviluppo accentrato nelle regioni continenta­ li. E possibile che il popolamento dei territori europei con le stirpi che parteciparono alla grande migrazione vi abbia anch'esso contribuito. Ma certamente per la tendenza di svi­ luppo della società europea occidentale e centrale questa temporanea interruzione delle principali arterie del traffico ebbe un' importanza decisiva. In effetti, nell'età carolingia per la prima volta un terri­ torio esteso fece capo ad un centro situato molto all'interno del continente. Alla società si poneva ora il compito di svi­ luppare maggiormente le comunicazioni interne. Quando nel corso dei secoli vi riusd, anche sotto questo aspetto l'ere­ dità degli antichi venne a trovarsi in una situazione nuova. Furono infatti poste le fondamenta per formazioni statali che l' antichità non aveva conosciuto. A partire da questi dati è possibile comprendere certe differenze che si crearono tra le antiche unità di integrazione e quelle che lentamente si formarono in Occidente: Stati, nazioni - comunque li si voglia chiamare - si tratta in buona parte di gruppi di popo­ li raccolti intorno a centri o capitali continentali e reciproca­ mente collegati da arterie interne. In seguito, questi centri occidentali perseguirono e svi­ lupparono non soltanto la colonizzazione delle coste o una colonizzazione lungo le grandi valli fluviali, ma anche verso i grandi territori interni del continente; successivamente l'oc­ cidente occupò e popolò grandi territori negli altri continen­ ti; ma le premesse debbono appunto essere ricercate nella creazione di queste forme di comunicazione continentale interna, non legate al lavoro degli schiavi. Anche gli inizi di questa tendenza di sviluppo risalgono al Medioevo . Cosi pure a l Medioevo bisogna far risalire gli inizi di quell'evoluzione per cui oggi anche il settore continentale­ agrario della società è inserito nel circuito della divisione dif­ ferenziata del lavoro e di estese correnti di traffico, in una misura mai verificatasi prima. Oggi nessuno può sostenere che la società occidentale, avendo imboccato questa strada, dovette inevitabilmente seguitare a percorrcrla. Un ampio intreccio di meccanismi, che oggi non è ancora assolutamente dato intravedere, con80

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corse a mantenerla e stabilizzarla su tale strada. Ciò che tut­ tavia importa è vedere come questa società fin da quel primo periodo imboccò la strada sulla quale avrebbe poi persevera­ to anche in seguito. Prendendo le mosse dallo sviluppo della società umana, è dunque facile figurarsi che tutto questo periodo, Medioevo ed età moderna, possa apparire come un'unica epoca senza soluzioni di continuità, un grande «Medioevo». E forse non è meno importante vedere che il Medioevo, nel senso piu ristretto del termine, non fu quel periodo statico, quella «foresta pietrificata» che oggi spesso si descrive, ma che vi furono in esso periodi e settori di gran­ de movimento in quella stessa direzione sulla quale prose­ gui poi l'età moderna: fasi di espansione, di progressiva divisione del lavoro, di trasformazioni e rivoluzioni sociali, di miglioramento degli strumenti di lavoro. Accanto a quelle vi furono tuttavia settori e fasi nei quali le istituzioni e le idee si consolidarono, e in un certo senso si «pietrificarono». Ma questa alternanza tra fasi e settori di piena espansione e altre fasi e settori nei quali la lotta fu diretta soprattutto alla conservazione piu che alla diffusione e all'ulteriore sviluppo, e nei quali le istituzioni sociali divennero piu solide, non è affatto mancata anche nell'età moderna, quantunque il rit­ mo dello sviluppo sociale e di questa stessa alternanza sia diventato sensibilmente piu rapido che nel Medioevo.

Dinamica del feudalesimo I processi sociali di espansione hanno i loro limiti e prima o poi si arrestano. Anche il movimento espansionistico che ebbe inizio intorno all'XI secolo a poco a poco si arrestò . I cavalieri franchi trovarono sempre maggiori difficoltà a pro­ curarsi nuove terre mediante il dissodamento. Era ormai dif­ ficile conquistare nuove terre al di là dei confini, o in ogni caso ciò avrebbe comportato pesanti lotte. La colonizzazione dei territori costieri del Mediterraneo orientale dopo i primi successi non poté procedere oltre. Ma la popolazione dei guerrieri continuava ad aumentare. Gli affetti, gli impulsi di questo strato signorile erano ancora assai meno vincolati dal81

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le dipendenze sociali e dai processi di civilizzazione di quan­ to non lo saranno quelli degli strati superiori successivi. Il dominio degli uomini sulle donne era ancora quasi intatto. «Nelle cronache del tempo, ad ogni pagina vengono nomina­ ti cavalieri, baroni, grandi signori che hanno otto, dieci, dodici figli maschi e anche di piu» 46 • Il cosiddetto «sistema feudale» che emerge distintamente nel XII secolo e in un certo senso si stabilizza poi nel XIII non è altro che la con­ clusione di questo movimento espansionistico nel settore agrario della società; nel settore urbano tale movimento pro­ segue, in forma diversa, un poco piu a lungo fino a trovare infine la sua conclusione nel sistema corporativo chiuso. All'interno di questa società, per tutti i cavalieri che non possedevano ancora un pezzo di terra, dei beni, divenne sempre piu difficile procurarsene; e per le famiglie che posse­ devano limitate proprietà terriere divenne sempre piu diffi­ cile aggiungervene di nuove e accrescere cosi il patrimonio . I rapporti di proprietà si irrigidirono e l' ascesa divenne sem­ pre piu difficile . Di conseguenza, si irrigidirono anche le dif­ ferenze di stato tra i cavalieri. Sempre piu distintamente nel­ lo strato aristocratico emerse una gerarchia che corrisponde­ va ai diversi ordini di grandezza delle proprietà terriere. E i diversi titoli che un tempo avevano indicato il grado di servi­ zio o, come diremmo oggi, la «posizione amministrativa», vanno sempre piu acquisendo un significato ben preciso: ora vengono collegati al nome di una determinata famiglia per esprimere l'ampiezza dei suoi possedimenti terrieri e quindi, nello stesso tempo, della sua potenza militare . Le famiglie ducali sono le discendenti di una famiglia di servitori del re, che un tempo un sovrano aveva preposto ad un territorio come suoi rappresentanti; a poco a poco diventano essi stessi feudatari piu o meno indipendenti su questo intero territorio e, al suo interno , proprietari di un bene avito non infeudato e piu o meno esteso. Lo stesso avviene per i comtes. I vicom­ tes sono i discendenti di un uomo che era stato preposto da un conte su un territorio piu ridotto come suo vice, e che ora dispone di questo territorio come di una sua proprietà eredi4 6 A.

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Luchaire, Louis

VII, Philippe Auguste, Louis VIII ,

Paris, 190 1 , p. 80.

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Laria. I seigneurs o sires discendono da un uomo che in tempi anteriori era stato preposto da un conte come sorvegliante di l lna sua rocca o castello, o che magari anche nel ridotto terri­ Lorio che era incaricato di custodire si era costruito un castel­ lo 47• Ora anche per la sua casa il castello e il territorio circo­ stante sono divenuti un possesso considerevole. Ciascuno si tiene stretto ciò che ha, non lascia piu che gli venga portato via dall'alto, e dal basso nessuno può piu aspirarvi. La terra è ormai divisa. Nel corso di alcune generazioni, una società che si espandeva verso l'interno e verso l'esterno e nella qua­ le l' ascesa, l' acquisto di terra, o di pio terra, non era troppo difficile per un guerriero, una società insomma in cui chances c posizioni erano relativamente aperte, si trasforma in una società in cui le posizioni sono piu o meno chiuse. Nel corso della storia processi di questo tipo, cioè passag­ gi da una fase ricca di grandi possibilità di ascesa e di espan­ sione ad una in cui scemano le possibilità di soddisfare le esi­ genze di livello e di ascesa, in cui ognuno viene piu rigorosa­ mente fissato nella sua posizione e gli uguali rafforzano la reciproca coesione, si verificano di frequente . Noi stessi ci troviamo al centro di una simile trasformazione, modificata dalla particolare elasticità della società industriale, dalla apertura di nuove possibilità in un settore qualora si chiuda­ no quelle di un altro settore e dal differente livello di svilup­ po dei territori interdipendenti. Ma, considerandole nel complesso, ciascuna crisi non significa soltanto uno sposta­ mento in una data direzione né ciascuna congiuntura uno spostamento in un'altra direzione: la tendenza principale della società indica sempre, al di sopra di ogni cosa, che si procede nettamente verso un sistema di posizioni chiuse. Periodi di questo genere si riconoscono subito, da lonta­ no, per un certo offuscamento delle coscienze, se non altro in coloro che non hanno avuto successo, per un indurimento e irrigidimento delle forme sociali, per i tentativi che dal basso si compiono per farle saltare e, come si è detto, per la piu salda coesione che si instaura tra coloro che nell'ordine gerarchico occupano posizioni uguali . " 7 J. Calmette, La société féodale, cit . , p. 7 1 . Cfr. anche, dello stesso autore, Le monde féodale, cit.

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Tuttavia, guardando ai particolari vediamo che processi del genere avvengono per lo piu - anche se non rigorosa­ mente - in modo diverso nelle società a economia prevalen­ temente naturale e in quelle a economia monetaria. Ciò che a prima vista appare soprattutto incomprensibile nel proces­ so di feudalizzazione è il fatto che né i re né i duchi né tutti gli altri detentori di ranghi inferiori poterono impedire la graduale trasformazione dei loro servitori in proprietari piu o meno indipendenti di feudi . Ma proprio l'estensione di tale fenomeno sta a indicare la forza degli automatismi socia­ li ivi operanti. Abbiamo illustrato sopra le costrizioni che, in una società di guerrieri a economia naturale, impoverirono lentamente la casa regnante quando i detentori della corona non riuscirono piu ad espandersi, cioè a conquistare nuovi territori. Processi analoghi si verificano in tutte le società di guerrieri via via che diminuiscono le possibilità espansioni­ stiche e simultaneamente le minacce dall'esterno. Sono le leggi tipiche di una società costruita sulla proprietà terriera e nella quale il traffico commerciale non ha un ruolo di rilievo, nella quale ogni proprietà terriera è piu o meno autarchica e in cui la coesione militare a scopo di difesa o di aggressione è la forma primaria di integrazione di vasti territori . Nelle formazioni tribali i guerrieri, raccolti in centurie, vivono in un contatto relativamente stretto. Successivamen­ te si espandono per tutto il paese. Il loro numero cresce . Ma a seguito di questo accrescimento e di questa espansione su un territorio piu ampio, viene a mancare anche la difesa che un tempo la tribu o la centuria avevano fornito al singolo. Le singole famiglie, che ora vivono per lo piu isolate e in buona parte disperse e a grandi distanze sulle proprie terre e nei propri castelli, i singoli guerrieri, coloro che sono signori anche su queste famiglie e contemporaneamente su un numero piu o meno grande di servi della gleba, servi e semili­ beri ai piu vari livelli, sono ora piu isolati di prima data la vastità del territorio . Lentamente e gradatamente, per tutto il paese si creano dunque tra i guerrieri nuove forme di rap­ porti in funzione del loro maggior numero e della maggior vastità del territorio, del maggior isolamento di ciascuno e delle leggi inerenti al possesso della terra. 84

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Con il graduale allentamento della formazione tribale e la progressiva fusione dei guerrieri germanici con i membri dello strato superiore gallo-romano, con il graduale disper­ dersi dei guerrieri su un territorio piu vasto, l'individuo non ha altra possibilità di difendersi dagli individui socialmente piu forti che ponendosi sotto la protezione di uno piu poten­ te . Questi, a loro volta, non hanno altra possibilità di difen­ dersi dai loro pari grado, da coloro che dispongono di una potenza militare piu o meno pari alla loro, che ricorrendo all' aiuto di guerrieri che mettono a loro disposizione i loro servigi e il loro braccio, ed ai quali in cambio devono asse­ gnare della terra o dei quali devono proteggere la proprietà terriera già esistente. Si creano cosi legami individuali . Il singolo guerriero stringe individualmente un patto con un altro. Il piu elevato in grado nell'esercito, colui che dispone di piu vaste porzioni di territorio - l'una cosa condiziona l'altra: un cambiamen­ to che avviene qui si ripercuote prima o poi là - è «feudata­ rio» (Lehnsherr), colui che è socialmente pio debole è «vassal­ lo»; in determinate circostanze, anch'egli a sua volta può assumere per la propria difesa altri guerrieri che possiedono ancor meno terra di lui, e che sono quindi piu deboli quanto a mezzi di produzione .e armamenti. La diffusione di questi patti individuali è dapprima l' unico modo in cui gli uomini possono trovare protezione contro i loro simili . Il , cui è sempre interessata una parte considerevole della società, poggia in parte sulla scarsa mobilità del diritto, incoraggiata appunto

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Nella società feudale, certi aspetti oggi nascosti erano in piena luce. L' interdipendenza degli uomini e dei territori era minore e non esisteva un apparato stabile di potere per l'in­ tero territorio. I rapporti di proprietà si regolavano diretta-

dall'interesse per la sicurezza. Quanto maggiori sono i territori e i gruppi umani tra loro intrecciati o interdipendenti, quanto piu è quindi necessario un diritto unitario esteso a tali territori - necessario al pari di una moneta unitaria - tanto piu vigorosamente il diritto ed il suo apparato, al pari della moneta, che a sua volta è un organo di intreccio e una generatrice di interdipendenze, si oppongono a qual­ siasi mutamento, e tanto piu considerevoli divengono i turbamenti, gli squilibri nel campo degli interessi che ogni mutamento comporta. Anche questo contribui­ sce a far si che la mera minaccia della sopraffazione fisica da parte dei «legittimi» organi dell'apparato di potere per lungo tempo sia stata per lo piu sufficiente a in­ durre i singoli individui, e anche interi gruppi sociali, ad obbedire alle norme giuri­ diche e di proprietà che sono state fissate in base ai rapporti di forza esistenti. Gli interessi legati al mantenimento dei rapporti giuridici e di proprietà sono talmente grandi, il peso che la legge ha assunto in forza della crescente interdipendenza è ta­ le che - in luogo di un costante riesame dei rapporti sociali di forza da imporre attraverso scontri fisici ai quali tendono sempre i membri di società meno interdi­ pendenti è subentrata una pressoché permanente disponibilità ad adeguarsi al diritto vigente. Soltanto quando gli sconvolgimemi e le tensioni all'interno di una società si sono straordinariamente aggravati, quando gli interessi legati al diritto vigente hanno perduto in gran parte della società molta della loro forza, soltanto allora, e spesso dopo una pausa secolare, i gruppi sociali cercano attraverso lo scon­ tro fisico di verificare se il diritto già fissato corrisponda ancora agli effettivi rap­ porti di forza sociali. I nvece nella società a economia prevalentemente naturale, nella quale gli uomi­ ni erano assai meno interdipendenti tra loro e nella quale quindi l'intreccio della società, altamente reale ma poco chiaro e giammai visibile nella sua totalità, non si contrapponeva ancora al singolo come l'elemento piu forte, dietro ciascuna riven­ dicazione giuridica del singolo doveva essere chiaramente visibile il suo potere, la forza sociale che lo sosteneva; quando questa forza sociale declinava o era in bili­ co, anche le rivendicazioni diventavano inefficaci. Ciascun proprietario era e do­ veva essere pronto a dimostrare attraverso lo scontro fisico di possedere ancora tanto potere militare, tanta forza sociale da poter avanzare le sue «rivendicazioni giuridiche». Alla stretta interdipendenza degli uomini che vivono in territori assai vasti e dotati di una buona rete di comunicazioni corrisponde un diritto che pre­ scinde in larga misura dalle differenze locali e individuali, un cosiddetto diritto universale, ossia un diritto uniformemente applicabile e valido sull'intero territo­ rio e per tutti i suoi abitanti. La differente natura dell'intreccio e delle i nterdipendenze nella società feudale a economia prevalentemente naturale assegnò a gruppi relativamente piccoli e spesso a singoli individui funzioni che oggi sono esercitate dagli «Stati». Di conse­ guenza, anche il «diritto>> ebbe un carattere infinitamente piu «individualizzato>> e «locale>>. Si tradusse in legami e obblighi che vincolarono questo signore feudale e quel vassallo, questo gruppo di valvassori e quel proprietario terriero, questi abi­ tanti della città e quel signore, questa abbazia e quel duca. L'esame di questi ce ne fornisce un'idea molto chiara: in questa fase, l'intreccio e l'interdipendenza sociale degli uomini erano minori, e di conseguenza differenti -

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mente in base al rapporto rec1proco e all'effettiva forza ·;ociale 49 • Nella società industriale esiste un certo tipo di rapporto che, in un certo senso, si può paragonare al rapporto tra i

nano anche il tipo di integrazione sociale, i rapporti tra gli uomini. «Bisogna guar­ darsi>>, dice ad esempio Pirenne, > dice ad esempio un cavaliere, «ritira­ tevi nelle vostre stanze rilucenti di ornamenti con le vostre ancelle a man­ giare e bere, occupatevi della tintura della seta: quello è il vostro mestie­ re. Il mio è di combattere con la spada>>. Se ne può trarre la conclusione, citiamo ancora Luchaire, che ancora all'epoca di Filippo Augusto era una eccezione trovare nei circoli feudali l'atteggiamento cortese, piu favorevole alle dame. Ma nella grande mag­ gioranza del regno e dei castelli predominavano ancora le antiche tenden­ ze poco rispettose e brutali, tramandate e, se si vuole, esagerate nella maggioranza delle chansons de geste. Non bisogna farsi illusioni basandosi sulle teorie amorose dei trovatori provenzali e di alcuni trouvères delle Fiandre e della Champagne: i sentimenti in esse espressi erano, a nostro giudizio, propri di una élite, di una piccola minoranza . . . 6 3 .

Ma, come abbiamo visto, la differenziazione che si va instaurando tra le numerose corti cavalleresche medie e pic­ cole e le poche grandi corti piu strettamente legate ormai alla rete sempre piu estesa del commercio e dell'economia mone­ taria, porta con sé anche una certa differenziazione nei com­ portamenti. Sicuramente questi atteggiamenti non erano cosi contrastanti come in un primo tempo si potrebbe rica­ vare da descrizioni postume. Sicuramente i passaggi dall'uno all'altro e le reciproche influenze furono assai numerosi. Nel complesso, però, è lecito affermare che soltanto in queste poche grandi corti cavalleresche si venne formando attorno alla castellana una vita sociale piu placida; soltanto qui i can­ tori ebbero l'opportunità di svolgere il loro servizio piu o meno a lungo, e soltanto qui si venne a creare quella peculia­ re posizione dell'uomo al servizio della castellana che trova appunto espressione nella lirica amorosa. La differenza tra l'atteggiamento e i sentimenti espressi nel Minnesang e quelli piu brutali che predominano nelle 62 Ibidem, 6 3 Ibidem,

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p. 379. pp. 3 79-380.

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chansons de geste, e dei quali possediamo sufficienti testimo­ nianze anche dalla storia, deve dunque essere fatta risalire a due diversi tipi di rapporto tra uomo e donna, che corrispon­ dono a loro volta a due differenti strati della società feudale e scaturiscono da quel mutato equilibrio al suo interno del quale abbiamo parlato. In una società di nobili di campagna, abbastanza dispersi per tutto il paese nei loro castelli e domi­ ni, le possibilità di prevaricazione dell'uomo sulla donna, ossia di una sorta di maschilismo piu o meno velato, sono in generale notevoli. E dovunque uno strato di guerrieri o di nobili di campagna ha esercitato una forte influenza sul com­ portamento generale della società, là ritroviamo tracce di questo maschilismo, forme di socialità puramente maschile con il suo specifico erotismo e una posizione di secondo pia­ no della donna, piu o meno ancorata alla tradizione. Anche nella società cavalleresca medioevale predomina­ va questo tipo di rapporto, messo in evidenza da una pecu­ liare forma di diffidenza tra i due sessi che esprime la grande differenza delle forme di vita o dello spazio vitale in cui i ses­ si si muovono, e dalla estraneità spirituale che ne scaturisce. Come avvenne anche in seguito finché la donna fu esclusa dalla vita professionale, anche qui, dove le donne in generale sono escluse dalla sfera centrale della vita maschile, cioè dal­ l' attività bellica, gli uomini vivevano per sé e tra loro la mag­ gior parte dell'esistenza. A questa superiorità corrispondeva un disprezzo piu o meno esplicito per la donna: «Ritiratevi nelle vostre stanze rilucenti di ornamenti, signora; la guerra è il nostro mestiere». È un tratto assolutamente tipico: la donna deve stare nelle sue stanze. E anche in questo campo tale atteggiamento, cosi come la struttura della vita e la base sociale che lo producono, durerà ancora a lungo . Se ne ritrovano le tracce nella letteratura francese fino al XVI secolo, cioè finché lo strato superiore rimase prevalentemen­ te uno strato di guerrieri e di nobili di campagna 64 : poi tale atteggiamento scompare dalla letteratura, che in Francia è controllata e dominata quasi esclusivamente dagli uomini di 64 P. de Vaissière, Gentilshommes Campagnards de l'ancienne France, Paris, 1903, p. 145.

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corte, ma certamente non scompare dalla vita della nobiltà di campagna. Nella storia europea, le grandi corti assolutistiche sono le sedi nelle quali si stabilisce nel modo piu compiuto una pari­ tà della sfera centrale di vita e quindi anche delle forme di comportamento degli uomini e delle donne. Esporre i motivi per cui proprio le grandi corti feudali del XII secolo e succes­ sivamente, in modo assai piu pronunciato, le corti assoluti­ stiche offrirono alle donne chances particolari per superare il predominio maschile e ottenere l'equiparazione con gli uomini, ci porterebbe troppo lontano. E stato tra l' altro sot­ tolineato come nella Francia meridionale la donna abbia potuto assai per tempo diventare feudataria, avere delle pro­ prietà e sostenere un ruolo politico; ed è stata formulata l'ipotesi che ciò abbia favorito lo sviluppo del Minnesang 65 • Di contro, è stato però anche messo in evidenza che «la suc­ cessione al trono delle figlie era possibile soltanto se i parenti di sesso maschile, il feudatario e i vicini permettevano all'e­ reditiera di entrare tranquillamente in possesso dei suoi beni» 66• In realtà, anche nell' esiguo strato dei grandi feuda­ tari è sempre evidente la superiorità dell'uomo sulla donna, che gli deriva dalla sua funzione di guerriero . Tuttavia, nel­ l' ambito delle grandi corti feudali la funzione militare degli uomini entro certi limiti passa in secondo piano. Per la prima volta nella società mondana una maggior quantità di perso­ ne, anche di uomini, convive in queste corti secondo un ordinamento gerarchico e in una stretta e costante interdi­ pendenza, sotto gli occhi del soggetto principale, il signore territoriale . E già di per sé questo fatto costringe tutti i dipendenti ad un maggior ritegno. Nelle corti bisogna sbri­ gare un gran numero di attività non solo militari ma ammini­ strative, ad esempio quella di scrivano. Tutto ciò finisce per creare un' atmosfera piu pacifica. Come sempre quando gli uomini sono costretti a rinunciare alla violenza fisica, il peso sociale delle donne si accresce . All'interno delle grandi corti feudali, dunque, viene a crearsi uno spazio di vita comune, una comune socialità degli uomini e delle donne. 65 66

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H. Brinkmann, Entstehungsgeschichte des Minnesan!!,s , cit. , p. 35. E. Wechssler, Das Kulturproblem des Minnesangs, cit., p. 7 1 .

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Certamente la supremazia maschile non era ancora stata cancellata, come in seguito avverrà in parte nelle corti asso­ lutistiche . Il sovrano di questa corte considerava ancora la propria funzione di cavaliere e condottiero come preminente su tutte le altre; anche la sua istruzione era quella propria di un guerriero, incentrata sull'esercizio delle armi. Ma appun­ to per questo, nella sfera della socialità pacifica la donna gli era superiore . Come è spesso accaduto nella storia dell'Occi­ dente, anche qui in un primo tempo non fu l'uomo ma la donna appartenente allo strato superiore a interessarsi alla cultura, alla lettura; i mezzi di cui una grande corte dispone­ va consentirono alla donna di riempire cosi il proprio tem­ po libero e di abbandonarsi alle esigenze del lusso; essa pote­ va invitare poeti, cantori, clerici dotti, e cosi anche qui sor­ sero dapprima attorno alle donne i circoli in cui si svolgeva una tranquilla attività culturale . «Nella cerchia piu elevata, la cultura della donna nel XII secolo fu in media piu raffina­ ta di quella dell'uomo» 6 7 . Ovviamente , ciò si riferisce soltan­ to all'uomo del suo stesso ceto, al nobile. Certamente, il suo rapporto con lui, con il marito, non era ancora troppo diffe­ rente da quello consueto nella società di guerrieri. Era piu equilibrato e forse anche un poco piu raffinato di quanto non fosse tra i cavalieri di grado inferiore; tuttavia la costri­ zione che l'uomo imponeva a se stesso nel rapporto con la moglie non era, in generale, particolarmente forte. Anche qui, insomma, l'uomo restava senza ombra di dubbio il dominatore. Il tipo di rapporto umano che sta alla base della lirica tro­ vadorica e del Minnesang non era certamente il rapporto rea­ le esistente tra marito e moglie, bensi il rapporto tra un uomo di livello sociale inferiore e una donna socialmente superiore. E di fatto ritroviamo il Minnesang soltanto in quello strato e nell' ambito di quelle corti che erano tanto ric­ che e potenti da far nascere e coltivare tale rapporto. Tutta­ via, se comparato con la gran massa della cavalleria si tratta pur sempre di uno strato esiguo, di una élite. 67 Ibidem, p. 74. Nello stesso senso anche Marianne Weber, Ehefrau und Mutter in der Rechtsentwicklung, Ti.ibingen, 1 907, p. 265.

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Emerge allora con grande evidenza il nesso tra la struttu­ ra sociale del rapporto e la struttura della vita pulsionale. Nella società feudale presa nel suo insieme, dove l'uomo era il dominatore e la dipendenza della donna da esso era palese e quasi illimitata, l'uomo non aveva nessun bisogno di imporre costrizioni e ritegno ai suoi impulsi. In questa socie­ tà di guerrieri si parla ben poco d' «amore». Si ha anzi l' im­ pressione che tra questi guerrieri un innamorato dovesse apparire ridicolo . In generale, la donna appariva agli uomini come un essere di specie inferiore . Le donne erano assai numerose e servivano al soddisfacimento degli istinti nella loro forma piu elementare. Le donne sono state date all'uo­ mo «per le sue necessità e il suo diletto», è stato detto in un'epoca successiva, ma l ' affermazione corrispondeva esat­ tamente al comportamento del guerriero di questo periodo. Nella donna egli cercava il piacere fisico; al di là di questo, «non ci sono certo uomini che possiedano tanta pazienza da sopportare le loro donne» 68• Le costrizioni che gravano sulla vita pulsionale delle don­ ne nella storia dell' Occidente e quindi, prescindendo dalle grandi corti assolutistiche, in tutta la società occidentale sono da sempre assai piu forti di quelle dell' uomo di pari gra­ do . Il fatto che in questa società di guerrieri la donna di posi­ zione elevata e quindi fornita di un certo grado di libertà, sia riuscita prima e piu facilmente dell'uomo suo pari a raggiun­ gere il controllo , il raffinamento, una feconda trasformazio­ ne degli affetti può essere tra l'altro anche espressione di questa costante assuefazione e di un precoce condizionamen­ to in questa direzione. Anche nel rapporto con un estraneo di pari grado sociale, la donna è sempre un essere dipenden­ te, socialmente inferiore . Di conseguenza, in questa società di guerrieri soltanto il rapporto di un uomo socialmente inferiore e dipendente con una donna socialmente superiore può imporre al primo un certo ritegno, un freno, un dominio degli istinti e portare cosi a una trasformazione . Non è del resto un caso che in 68

P. de Vaissière, Gentilshommes Campagnards de l'ancienne France, cit.,

p. 145.

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questa situazione umana sorga, come fenomeno non soltanto individuale ma sociale, quella che noi chiamiamo «lirica» e parimenti, come fenomeno sociale, quella modificazione del piacere, quella tonalità del sentimento, quella sublimazione e quel raffinamento degli affetti che definiamo «amore». Qui nascono, non soltanto in via eccezionale ma socialmente isti­ tuzionalizzati, certi contatti tra uomo e donna che non con­ sentono neppure all'uomo piu forte di prendersi semplice­ mente la donna quando ne ha voglia, che rendono la donna irraggiungibile o difficilmente raggiungibile per l 'uomo e nel­ lo stesso tempo, forse proprio perché è difficilmente raggiun­ gibile, perché si colloca piu in alto, particolarmente desidera­ bile. Questa è la situazione, la disposizione sentimentale del Minnesang, nella quale da questo momento e per secoli e secoli gli innamorati riconosceranno sentimenti simili ai propri. Moltissimi trovatori e Minnesiinger furono senza dubbio sostanzialmente espressione di una convenzione feudal-cor­ tese, ornamenti della società e strumenti di un gioco sociale . Certamente vi furono moltissimi trovatori il cui rapporto sentimentale con la dama non era affatto cosi intenso e che, personalmente, preferivano rivolgersi senza problemi ad altre donne piu facilmente raggiungibili. Tuttavia quella conven­ zione e la sua espressione non avrebbero potuto nascere se non ci fossero state effettive esperienze sentimentali di quel tipo. Esse contengono un nucleo di sentimenti non artefatti, di vissuto reale. Non è possibile semplicemente inventare o scovare simili sfumature. Alcuni hanno amato e alcuni di essi hanno avuto forza e grandezza sufficienti per dare espressio­ ne letteraria al loro amore; non è certo difficile individuare in quali poesie sentimenti ed esperienze sono reali e in quali sono invece piu o meno convenzionali. Certamente qualcuno dovette trovare le parole e i toni giusti per esprimere i propri sentimenti, prima che altri potessero dilettarsene, prima che potessero formarsi certe regole convenzionali . «l buoni poeti, questo è certo, anche nel cantare la follia amorosa hanno saputo inserirvi la loro verità: dalla pienezza della loro vita è scaturita la materia dei loro canti» 69• 69 E. Wechssler, Das Kulturproblem des Minnesangs, cit. , p. 2 14.

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Ci si è spesso chiesti quali siano le fonti e i modelli lette­ rari del Minnesang. E, probabilmente a ragione, è stata messa in evidenza la sua parentela con la lirica religiosa (Minnel­ yrik ) e le poesie in latino dei eterici vagantes 70 • Ma non è possibile comprendere la nascita del Minnesang facendo unicamente riferimento ai suoi antecedenti. La liri­ ca dei clerici vagantes e quella mariana contenevano numero­ se possibilità di sviluppo . Perché cambiò il modo in cui gli uomini cercavano di esprimersi? Perché - volendo porre il quesito nel modo piu semplice - entrambi i suddetti tipi di lirica non rimasero anche in seguito le forme espressive pre­ dominanti della società? Perché si presero da esse elementi formali e sentimentali per trame poi qualcosa di nuovo? Per­ ché questa nuova lirica assunse proprio quella forma che conosciamo come Minnesang? La storia ha una sua continui­ tà: gli epigoni si riallacciano, consapevolmente o meno, a ciò che esiste e procedono oltre . Ma quali sono i dinamismi del movimento, quali le forze che plasmarono i mutamenti stori­ ci? Ecco il problema. Senza dubbio lo studio delle fonti, la ricerca degli antecedenti hanno una certa importanza per comprendere il Minnesang; tuttavia senza ricerche sociogene­ tiche e psicogenetiche la sua nascita, la sua mutuazione restano oscure. Non si può comprendere il Minnesang in quanto fenomeno sovra-individuale nella sua funzione socia­ le, cioè nella funzione che ebbe per la società feudale nel suo insieme, e neppure la specificità della sua forma, la tipicità dei suoi contenuti se non si conoscono la forma specifica del rapporto, la situazione effettiva degli uomini che con esso si esprimono, e la genesi di tale situazione. Per questo proble-

70 H. Brinkmann, Entstehungsgeschichte des Minnesangs, ci t . , pp. 45 ss., 6 1 , 86 ss. Cfr. in proposito e anche per quanto segue, C . S. Lewis, The Allegory of Lave, a 5tudy in Medieval Tradition, Oxford, 1936, p. 14; trad. it. L 'allegoria d'amore, Torino, Einaudi, 1969. secondo il piu ristretto significato che si riferisce ad un'integrazione piu stabile, relativamente limitata e regolare, nella quale pesa sugli uomini una costri­ zione piu o meno forte affinché si astengano dalla violenza, perlomeno nei contatti piu vicini. La protoforma di questo tipo di «società» nel significato piu ristretto si forma lenta­ mente nelle grandi corti cavalleresche feudali. Qui, dove parallelamente all'entità delle entrate e al collegamento con la rete commerciale affluiscono merci in maggior quantità, dove si raduna un maggior numero di uomini per trovare ser­ vizio e insieme il proprio mantenimento, questa massa di persone è dunque costantemente obbligata a intrattenere, almeno al suo interno, rapporti pacifici. Data anche la pre­ senza di dame altolocate, tutto ciò esige un maggior control­ lo e ritegno nel comportamento, un piu accurato modella­ mento degli affetti e delle forme di convenienza so­ ciale. È ben possibile che questo ritegno non fosse poi sempre cosi accentuato come, secondo la convenzione del Minne­ sang, sembrerebbe essere stato nel rapporto tra il cantore e la dama. Anche sul rapporto tra il cavaliere e la dama, quando non si voglia prendere in considerazione soltanto il rapporto del cantore con la sovrana del castello, si hanno talvolta indi­ cazioni illuminanti. 123

Meccanismi di feudali:a:azione

Ad esempio, in uno Spruch von den Mannen (Consigli per gli uomini) è detto 72 : Sopra ogni altra cosa, bada bene a comportarti con garbo con le dame, perché questo meglio ti si addice e se qualche volta può accadere che una di esse ti sieda accanto allora, fai bene attenzione, non sederti sopra il suo manto e neppure troppo vicino, ciò ti consiglio se vuoi parlare in segreto con lei non afferrarla con le braccia quando ti accade di parlare con lei.

Questo livello di ritegno nei confronti delle donne può aver richiesto già una fatica considerevole, date le abitudini dei cavalieri minori; certo, è ancora limitato, come nelle altre prescrizioni cortesi, se paragonato ad esempio al riserbo che era divenuto abituale per un cortigiano alla corte di Lui­ gi XIV . E , nello stesso tempo, ciò dà un'idea del diverso livello di interdipendenza, del differente intreccio di dipen­ denze che nell'uno o nell'altro ambito imponeva a ciascuno certe abitudini. Ma, insieme, mostra anche che la «courtoi­ sie» costituisce di fatto un passo avanti sulla via che conduce al nostro modellamento delle pulsioni, un passo avanti verso la «civilizzazione». Lo strato superiore secolare cosi poco integrato dei cavalieri e quello che ne era il simbolo, il castello in un pro­ prio territorio autarchico, da un lato; lo strato superiore secolare piu saldamente integrato dei cortigiani raccolti nella corte assolutistica, organismo centrale di un regno, dall' altro lato: questi sono in un certo modo i poli del campo d'osser­ vazione che abbiamo voluto delimitare per poterei accostare 72 Zarncke, Der deutsche Cato, Leipzig, 1852, p. 130, vv. 71 e 1 4 1 s. Riguardo ad altri aspetti di questo primo, grande passo verso la curializ· zazione dei guerrieri (formazione e codice degli ordini cavallereschi nei diversi paesi), cfr. E. Prestage, «Chivalry». A Series o/ Studies to Illustrate Its Historical Significance and Civilizing In/luence, London, 1928; cfr. anche A. T. Byles, Medieval Courtesy·Books and the Prose Romances of Chivalry , London, 1928, pp. 183 ss.

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Meccanismi di feudalizzazione

in qualche modo alla sociogenesi del processo di civilizza­ zione. Abbiamo illustrato attraverso aspetti ben precisi in che modo dal mondo dei castelli siano lentamente emerse le mag­ giori corti feudali, i centri della «courtoisie». Il compito che ora ci rimane è dunque di indicare i caratteri fondamentali di quel meccanismo di processi in forza dei quali uno dei grandi signori feudali o territoriali - il re - riusd a pre­ valere sugli altri e a conquistare la possibilità di guidare un piu stabile apparato di potere su un territorio che comprende molte regioni, uno «Stato». Nello stesso tempo, questa è la via che porta dallo standard di comportamento della «cour­ toisie» a quello della «civilité>>.

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CAPITOLO TERZO

Lo sviluppo della società nel Medioevo. Genesi sociale dello Stato

Nascita di una dinastia: i Capetingi Nelle diverse fasi dell'evoluzione sociale, la corona reale ebbe significati assai differenti, anche se tutti i detentori di questa corona ebbero in comune, di fatto o nominalmente, certe funzioni centrali, soprattutto quella relativa alla con­ dotta della guerra. Agli inizi del XII secolo, l' antico regno dei franchi occi­ dentali, ormai non piu minacciato da forti nemici esterni, si era definitivamente disgregato in un gran numero di unità di dominio 1 : I vincoli che un tempo legavano le e le dinastie feudali al «capO>> della monarchia si erano in pratica dissolti. Erano ormai scompar­ se anche le ultime tracce di quella subordinazione effettiva, che aveva permesso a Ugo Capeto ed a suo figlio se non ancora di intervenire nei grandi feudi, per lo meno di comparirvi. I gruppi feudali del primo ordine ormai . . . avevano l'andamento di Stati indipendenti, chiusi ad ogni influenza esterna del re e tanto piu a qualsiasi sua azione. I rapporti dei grandi feudatari con i portatori della corona erano ormai limitati al massi· mo. E tale trasformazione si rifletteva anche nei titoli e nelle formule ufficiali. I principi feudali del XII secolo cessano di appellarsi «comtes du Roi» o .

In tale situazione, il «te» non fa nulla di diverso dagli altri grandi signori feudali: si dedica al consolidamento dei suoi possedimenti e al rafforzamento del suo potere nel solo territorio che ancora gli consente una certa presa, il ducato di Francia. Luigi VI, re dal 1 1 08 al 1 1 3 7 , per tutta la sua vita si concentrò principalmente su due compiti: ingrandire i suoi 1 A . Luchaire, Les premiers Capétiens, Paris, 1901, p. 285. Cfr. anche A. Luchaire, Louis VI le Gros, Paris, 1890 (lntroduction) .

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Genesi sociale dello Stato

possedimenti personali nel ducato di Francia, le terre e i castelli che non erano dati in feudo o soltanto parzialmente, insomma i suoi beni dinastici o demaniali, e - sempre all'in­ terno del ducato di Francia - abbattere tutti i possibili con­ correnti, tutti i guerrieri in grado di misurarsi con il suo potere. Un compito sollecitava l ' altro: al signore feudale domato o sconfitto egli sottraeva i possedimenti o parti di essi senza piu concederli in feudo nella loro totalità; cosi, passo passo accrebbe i suoi beni dinastici e insieme estese le basi economiche e militari del suo potere. In un primo tempo, il detentore della corona reale non è altro che un grande signore feudale. I mezzi di potere a sua disposizione sono ancora cosi limitati che i signori feudali medi e - se associati - perfino un gruppo di piccoli signori feudali potevano opporgli un'efficace resistenza. Con la scomparsa della funzione di condottiero comune e con la progressiva feudalizzazione, non soltanto è venuta meno la posizione preminente della casa reale nel grande territorio del regno: anche la sua preminenza, la sua posizione mono­ polistica nel territorio ereditario è ormai vacillante, conte­ stata com'è dagli altri signori terrieri o da famiglie rivali di guerrieri. Nella persona di Luigi VI la stirpe dei C apetingi combatté contro le case dei Montmorency, Beaumont, Rochefort, Monthléry, Ferté-Alais, Puiset e molte altre 2, cosi come, parecchi secoli piu tardi, la dinastia degli Hohenzollern nella persona del grande Principe Elettore combatté contro i Quitzow e i Rochov. Ma le chances dei C apetingi erano di gran lunga inferiori; la differenza tra i mezzi finanziari e bellici di potere dei C apetingi e dei loro avversari era, conformemente al differente livello della tec­ nica finanziaria, fiscale e militare, minore. Il grande Elettore disponeva già di un certo monopolio dei mezzi di potere del suo territorio. A parte il favore che gli proveniva dalle istitu­ zioni ecclesiastiche, Luigi VI era sostanzialmente un grande proprietario terriero signore di un grande dominio, che doveva misurarsi con altri possessori di domini un po' meno 2 A. Luchaire, Histoire des institutions monarchiques de la France sous !es pre· miers Capétiens (987- 1 1 80), Paris, 1 8 9 1 , vol. II, p. 258. 128

Genesi sociale dello Stato

estesi e quindi forniti di una potenza militare un poco infe­ riore . Soltanto chi fosse risultato vincitore da queste lotte avrebbe potuto stabilire una propria posizione di monopolio all'interno del territorio che lo ponesse al riparo dalla con­ correnza di altre dinastie. Soltanto leggendo le cronache dei contemporanei possia­ mo valutare quanto poco i mezzi militari ed economici di dominio della dinastia capetingia dell'epoca superassero quelli delle altre dinastie feudali del ducato di Francia; e, data la debole integrazione economica, lo scarso sviluppo dei mezzi di trasporto e di comunicazione, le condizioni dell'or­ ganizzazione feudale in fatto di eserciti e di assedi, quali dif­ ficoltà dovesse presentare la lotta del «principe» per raggiun­ gere una posizione monopolistica perfino all'interno di un territorio cosf limitato. Vi era, ad esempio, la fortezza della famiglia Montlhéry, che dominava la via di comunicazione tra le due parti piu importanti del dominio capetingio, ossia tra la regione attor­ no a Parigi e Orléans. Il re capetingio Roberto nel 1 0 1 5 ave­ va concesso questa terra ad uno dei suoi servitori o funziona­ ri, il «grand forestien>, con il permesso di costruirvi un castello. Il nipote del «grand forestier» dal suo castello domi­ nava la regione circostante come un signore indipendente. Ecco un tipico esempio di quei movimenti centrifughi che in quell'epoca furono inevitabilmente cosf frequenti 3 • Infine, il padre di Luigi VI riusd con molti sforzi e molte lotte a stabilire una sorta di accordo con la famiglia Montlhéry: fece sposare un suo bastardo di circa dieci anni con l'erede dei Montlhéry e cosf riusd a garantire alla sua dinastia il controllo della fortezza . Orbene, mio caro figlio Luigi - disse 4 poco tempo prima d i morire al suo figlio maggiore ed erede, Luigi VI custodisci bene questa torre di Montlhéry che, causandomi tante preoccupazioni, mi ha fatto invec· chiare anzitempo e a causa della quale non ho mai potuto godere di una pace durevole né di vero riposo . . . Essa è stata il centro di tutte le perfide manovre vicine e lontane, e ogni disordine è stato provocato da essa o -

3 Vedi supra, pp. 22 ss., in particolare pp. 35-36. 4 H . Suger, Vie de Louis le Gros, Paris, 1964, pp. 18-19.

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con il suo concorso . . . Infatti . . . trovandosi Montlhéry tra Corbeil da una parte e Chateaufort a destra, ogniqualvolta scoppiava un conflitto Parigi veniva ad esserne investita, al punto che non era piu possibile comunicare tra Parigi e Orléans se non con un esercito.

I problemi delle comunicazioni, che oggi hanno un ruolo non certo insignificante nei rapporti tra gli Stati, dato il livello dello sviluppo sociale di quel tempo non erano meno importanti né meno gravosi, in tutt' altro ordine di grandez­ za, per i rapporti tra un signore feudale - avesse o no il tito­ lo di re - e gli altri signori, nonostante la distanza relativa­ mente irrisoria tra Parigi e Orléans: Montlhéry dista infatti 24 km da Parigi. Di fatto, Luigi VI dovette dedicare una buona parte del suo regno alle lotte per il possesso di questa fortezza, finché riusd ad aggiungere questo dominio della casa Montlhéry ai domini della dinastia capetingia; come sempre in questi casi, ciò significò nello stesso tempo un rafforzamento mili­ tare e un arricchimento sul piano economico della casa vitto­ riosa. La signoria di Montlhéry apportò entrate del valore di 200 livres, una somma considerevole per quel tempo; inoltre ne facevano parte 1 3 feudi diretti e 20 feudi secondari o Afterlehen da essi dipendenti >, i cui detentori andarono ora a ingrossare la potenza militare dei Capetingi. Non meno lunghe e faticose furono le altre lotte che Lui­ gi VI dovette sostenere. Negli anni 1 1 1 1 , 1 1 12 e 1 1 1 8 dovette intraprendere tre spedizioni soltanto per spezzare la supremazia di una singola famiglia nella regione di Orléans 6; e gli ci vollero ben vent' anni prima di poter liquidare le case dei Rochefort, Ferté-Alais o Puiset e aggiungere i loro domi­ ni a quelli della sua famiglia. Ma a questo punto i domini capetingi erano ormai cosi vasti e consolidati che i loro possessori, grazie alle chances economiche e militari fornite da proprietà di tale estensione, si trovarono in condizioni di superiorità rispetto a tutti gli altri guerrieri avversari nel ducato di Francia, tanto da ottenere in questo territorio una sorta di monopolio. > Vuitry, Etudes sur le ré[!.ime financier de la France, Paris, 1 878, p. 1 8 1 . 6 A. Luchaire, Lottis V I le Gros, cit. 130

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Quattro o cinque secoli dopo si era consolidata una fun­ zione reale i cui titolari avevano ormai il monopolio di gigan­ teschi mezzi militari e finanziari nell'intero regno di Fran­ cia. Le lotte del genere di quelle sostenute da Luigi VI con­ tro altri signori feudali nell'ambito di un solo territorio pose­ ro le basi per la creazione di questa successiva posizione monopolistica della casa reale. In un primo tempo, la casa dei re di nome quanto a possedimenti, potenza militare ed economica, non era molto superiore alle altre case feudali che l' attorniavano . La differenza tra i loro possedimenti era relativamente esigua, e di conseguenza relativamente esigua era anche la differenza sociale tra i guerrieri, qualunque fos­ se il titolo di cui si fregiavano. Ma a poco a poco una di que­ ste case attraverso matrimoni, acquisti, conquiste accumulò possedimenti terrieri sempre maggiori, e inevitabilmente acquistò una certa supremazia rispetto ai suoi vicini. Che sia toccato proprio all' antica casa reale conquistare questa supremazia nel ducato di Francia, può essere attribuito - se si prescinde dai suoi possedimenti che furono sempre di una notevole entità e che le consentirono questa ripresa - alle qualità personali dei suoi rappresentanti, all' appoggio rice­ vuto dalla Chiesa e ad un certo prestigio tradizionale di cui godeva. Ma, come abbiamo detto, nello stesso periodo anche in altri territori si va affermando la medesima differenza in fatto di possedimenti. In questa società di guerrieri avviene uno spostamento generale del centro di gravità in favore del­ le poche, grandi famiglie di cavalieri e a danno delle numero­ se famiglie piccole e medie, come è stato rilevato sopra. Pri­ ma o poi in ogni territorio una famiglia di guerrieri, accumu­ lando domini su domini, riesce a ottenere la supremazia sulle altre, una sorta di egemonia o posizione monopolistica. Il fatto che il detentore della corona, Luigi VI il Grosso, abbia intrapreso la stessa attività potrebbe apparire come una rinunzia alla sua funzione di re. Ma, data la suddivisione dei mezzi sociali di potere esistente all'epoca, non gli restava altro da fare. Il dominio dinastico e la signoria sul ristretto territorio avito costituiva, data la struttura di questa società, il piu importante fondamento militare e finanziario anche per i re. Concentrando le sue forze nel piccolo ducato di 131

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Francia, creandosi una posizione egemonica e monopolistica entro il ristretto ambito di un territorio, Luigi VI pose le fondamenta dell'ulteriore espansione della sua casa; creò cosi un potenziale centro di cristallizzazione per l'intero territorio della Francia, anche se non si può certamente sup­ porre che avesse profeticamente previsto questi sviluppi. In quel momento, egli agi sotto la diretta costrizione della sua situazione; dovette conquistare Montlhéry per non perdere i collegamenti tra le due parti del suo dominio; dovette elimi­ nare la piu potente famiglia della regione di Orléans per non mettere a repentaglio il proprio potere in quella regione . Se il C apetingio non fosse riuscito a conquistare una posizione di supremazia nel ducato di Francia, presto o tardi tale supremazia - come accadde in altre parti della Francia sarebbe toccata ad un' altra casa. Il meccanismo di acquisizione di tale supremazia è sem­ pre il medesimo . Allo stesso modo nell'epoca moderna certe imprese economiche sono lentamente riuscite - attraverso l'accumulazione di beni - ad emergere lottando contro altre imprese rivali, finché sono giunte a controllare e dominare monopolisticamente certi settori dell'economia. In modo analogo - attraverso l ' accumulazione di possedimenti terri­ toriali e quindi accrescendo il proprio potenziale militare e finanziario - nell'età moderna alcuni Stati hanno conqui­ stato la supremazia su un intero continente. Ma la conquista della supremazia economica e militare, che in una società in cui le funzioni sono piu nettamente suddivise avviene su pia­ ni relativamente differenziati, nella società di Luigi VI a economia prevalentemente naturale avviene ancora in modo meno differenziato: la casa che esercita il suo dominio su un territorio è, nello stesso tempo, la casa piu ricca di questo territorio, quella che dispone di piu estese terre demaniali; e perderebbe tale sua sovranità se, grazie all'estensione dei suoi possedimenti, al numero dei suoi vassalli e feudatari, non fosse militarmente superiore a tutte le altre famiglie di guerrieri nell'ambito del territorio in questione. Non appena la supremazia di una casa in questo territo­ rio è garantita, subentra allora la lotta per l'egemonia su un territorio piu vasto, la lotta cioè tra i pochi grandi signori per 1 32

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conquistare la supremazia nell'ambito del regno . Fu questo il compito che dovettero affrontare i successori di Luigi VI, le successive generazioni della dinastia capetingia.

Monarchie a confronto: Inghilterra, Francia e Germania Il compito imposto dalla lotta per la supremazia - che significa insieme lotta per la centralizzazione e la sovranità - a coloro che vi presero parte fu, per motivi assai semplici, diverso per l'Inghilterra e la Francia rispetto al territorio del Sacro Romano Impero. Questo Impero costituiva una strut­ tura di ben altro ordine di grandezza rispetto alle altre due; le differenze regionali e le divergenze sociali in esso erano sensibilmente piu accentuate, e ciò conferi una ben diversa forza alle tendenze locali e centrifughe; rese molto piu diffi­ cile il raggiungimento di una supremazia territoriale rispetto a tutto il resto, e perciò rese anche incomparabilmente piu difficile la centralizzazione . Sarebbe stata necessaria una potenza territoriale o dinastica - fonte della potenza della casa imperiale - assai piu estesa e piu forte che in Francia o in Inghilterra per contenere le forze centrifughe di questo Impero e riuscire a fonderlo in un'unità salda e duratura. Molti dati indicano però che questo compito di tenere per­ manentemente in scacco le tendenze centrifughe in un terri­ torio cosi vasto era praticamente un compito impossibile dato il livello della divisione del lavoro, delle interdipenden­ ze, delle tecniche militari e amministrative, dei mezzi di tra­ sporto e comunicazione. L'ordine di grandezza entro il quale avvengono i processi sociali costituisce senza dubbio un elemento discretamente importante della loro struttura; un elemento tra gli altri. Ma se ci domandiamo come mai in Francia e in Inghilterra la centralizzazione, l' integrazione si compirono molto prima e in modo piu completo che nei territori imperiali, non è possi­ bile trascurarlo. La tendenza di sviluppo riscontrabile nei tre paesi è, sotto questo profilo, assai differente. Quando nel territorio dei franchi occidentali la corona reale toccò alla casa dei C apetingi, il territorio su cui questa 133

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casa deteneva un potere effettivo si estendeva verso nord da Parigi fino a Senlis, e verso sud fino a Orléans. Venticinque anni prima Ottone I era stato incoronato a Roma imperatore del Sacro Romano Impero germanico. Tutti i tentativi com­ piuti dai capi delle altre stirpi tedesche per opporvisi erano stati da lui repressi nel sangue grazie, soprattutto all'inizio, al sostegno avuto dalle truppe militarmente assai preparate del suo territorio dinastico. A quell'epoca, l'Impero di Otto­ ne si estendeva pressappoco da Anversa e C ambrai a occi­ dente fino all' Elba a oriente - esclusi, ovviamente, i mar­ chesati sulla riva orientale dell'Elba - e piu in basso sino a Bri.inn, Olmutz e oltre; a nord includeva lo Schleswig, a sud Verona e l'Istria. In piu includeva una buona parte dell'Ita­ lia e per un certo periodo la Borgogna. Abbiamo dunque di fronte una formazione territoriale di ben altre dimensioni in assoluto, percorsa da tensioni e contrasti d'interesse assai piu violenti di quelli del territorio franco occidentale, anche aggiungendovi la colonia anglo-normanna che gli sarebbe toccata in seguito. Il compito che sovrastava ai duchi di Francia o a quelli di Normandia o del territorio angioino in quanto sovrani, nella lotta per conquistare l'egemonia in questo territorio, era del tutto diverso da quello cui dovette far fronte ogni sovrano dell'Impero romano-germanico. Nel primo caso, date le ridotte dimensioni del territorio la cen­ tralizzazione o integrazione, nonostante una serie di alti e bassi, nel complesso procedette con una certa continuità. Invece nel territorio imperiale enormemente piu esteso l'una o l'altra signoria territoriale si sforzò invano di conquistare , insieme con la corona imperiale, anche un'effettiva e stabile egemonia in tutto l'Impero. Nella lotta per assolvere a que­ sto tremendo compito, una dinastia dopo l'altra sperperò quella che, nonostante l'esistenza di altre, rimaneva pur sempre la fonte principale delle sue entrate e quindi della sua posizione di potenza: sperperò cioè i suoi possedimenti aviti o demaniali. E dopo ogni vano tentativo di questa o quella signoria, il decentramento e il consolidamento delle forze centrifughe facevano nuovi progressi. Poco prima dell'epoca in cui la casa reale francese comin­ ciò a raccogliere le proprie forze e nella persona di Luigi VI 134

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si avviò finalmente a consolidare i propri domini territoriali e demaniali, nell'Impero romano-germanico l'imperatore Enrico VI era crollato sotto i colpi congiunti infertigli dai grandi signori territoriali, dalla Chiesa, dalle città dell'Italia settentrionale e dal suo stesso primogenito, cioè dalle piu disparate forze centrifughe . Questo fatto ci fornisce la possi­ bilità di raffrontare l'Impero con gli inizi del regno di Fran­ cia. Piu tardi, quando re Francesco I aveva ormai talmente in suo potere tutto il territorio del regno da non aver piu bisogno di convocare gli Stati Generali e da poter imporre imposte senza consultare i contribuenti, l' imperatore Carlo V con la sua amministrazione dovettero trattare, perfino nelle terre ereditarie e dinastiche, con un gran numero di assemblee locali prima di poter mettere insieme le somme necessarie per la corte, l'esercito e l' amministrazione del­ l'Impero; ma tali somme, unite alle entrate provenienti dalle colonie d'oltremare, non bastarono certamente a coprire le spese necessarie per assolvere ai molteplici compiti imposti da un tale Impero. Quando Carlo V abdicò, l'amministrazio­ ne imperiale si trovava finanziariamente sull'orlo della ban­ carotta. Anch'egli si era dunque rovinato per far fronte al compito di dominare un Impero cosi gigantesco e dilaniato da forze centrifughe assai forti. E tuttavia il fatto che gli Asburgo abbiano potuto conservare nonostante tutto la corona, sta a dimostrare quale trasformazione della società in generale , e della funzione di sovrano in particolare, era ormai avvenuta. Come abbiamo detto, nell'ambito di un' Europa dove la società da una fase ad economia prevalentemente naturale era passata ad una fase ad economia monetaria, il meccani­ smo della formazione dello Stato - secondo il moderno significato del termine «Stato» - era rimasto nelle linee principali il medesimo. Potremo dimostrarlo con maggior precisione a proposito della Francia. In effetti, nella storia dei grandi Stati europei troviamo sempre una prima fase in cui, nell'ambito del futuro Stato, unità di dominio delle dimensioni di un territorio sostengono un ruolo decisivo; si tratta di unità limitate e poco salde, quali quelle che si sono talvolta create in varie altre parti del mondo, dove la divisio135

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ne del lavoro e l' interdipendenza erano scarse, entro i limiti posti dai rapporti tra un'economia naturale e un'organizza­ zione di dominio . Ne sono un esempio le signorie territoriali feudali che nell' ambito dell'Impero romano-germanico, con l' affermarsi dell'economia monetaria, si consolidarono in piccoli regni, ducati e anche contee; oppure territori come il principato di Galles o il regno di Scozia, poi fusi con l'Inghil­ terra nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda; un ulte­ riore esempio, infine, è rappresentato da quel ducato di Francia del quale abbiamo descritto l' evolversi verso una piu solida unità feudale di dominio. Schematicamente, il processo tra le varie signorie territo­ riali piu o meno confinanti si svolge in modo del tutto analo­ go a quello che, in un'epoca precedente, si era svolto all'in­ terno di un unico territorio tra i singoli signori o cavalieri, fino a che uno di essi era riuscito a conquistare una posizione di supremazia e quindi a formare una signoria territoriale piu solida. Come in una determinata fase numerosi signori terri­ toriali si trovarono in concorrenza tra loro, nella fase succes­ siva lo stesso avvenne tra un certo numero di unità di domi­ nio di dimensioni superiori, ducati o contee, tutti costretti ad espandersi per non essere prima o poi sconfitti e assogget­ tati dai loro vicini in fase di espansione. Abbiamo già ampiamente illustrato come in questa socie­ tà, in concomitanza con l'aumento della popolazione, con il consolidamento della proprietà della terra e con le difficoltà di espandersi all'esterno, si inasprisse all'interno la lotta per la terra. Abbiamo mostrato come questa fame di terra dei cavalieri piu poveri rappresentasse il puro bisogno di godere di entrate adeguate al proprio rango, mentre i piu grandi e piu ricchi desideravano «ingrandire» le proprie terre; infatti in una società in cui la pressione della concorrenza è cosi forte, chi non riesce a «ingrandirsi» automaticamente «dimi­ nuisce», qualora si limiti a conservare ciò che già possiede. Ancora una volta vediamo come agisce qui la pressione che grava dall'alto al basso su questa società. Tale pressione spinge gli uni contro gli altri i signori territoriali, e in tal modo mette in moto il meccanismo della monopolizzazione. In un primo tempo, anche qui la differenza tra i mezzi di 136

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potere si mantiene ancora entro limiti che consentono a mol­ te signorie territoriali feudali di misurarsi tra loro; dopo un certo numero di vittorie e sconfitte, alcune diventano piu forti avendo accumulato mezzi di potere, altre abbandonano la lotta per la supremazia; queste ultime cessano di essere figure di primo piano mentre le poche altre continuano a combattere tra loro, e il processo di selezione si ripete finché la decisione spetta ormai a due signorie territoriali che si sono ingrandite con le vittorie e con l'inglobamento volonta­ rio o forzato di altre signorie . A questo punto tutte le altre - sia che abbiano partecipato alla lotta sia che siano restate neutrali - a causa della crescita e del potere accumulato dal­ le due rimaste in lizza divengono figure di secondo o terzo ordine; ma anche in questa loro funzione continuano ad ave­ re un certo peso sociale. Ma le due piu forti sono ormai vici­ ne ad avere una posizione di monopolio, hanno ormai supe­ rato il livello di concorrenza con gli altri e debbono ora affrontare la lotta decisiva. In queste «lotte per l'eliminazione», in questo processo sociale di selezione , a volte le qualità personali del singolo cosi come altri «accidenti» di ogni genere, ad esempio la morte tardiva di uno o la mancanza di eredi maschili in una dinastia, hanno senza dubbio un ruolo decisivo per il preva­ lere di un territorio . Ma il processo sociale, il fatto che una società composta di un gran numero di unità di potenza e di possesso abba­ stanza simili tenda - data la forte pressione della concor­ renza - a promuovere l'espansione di pochi e infine ad un vero monopolio , è ampiamente indipendente da tali «acci­ denti», i quali possono avere soltanto l'effetto di accelerare o ritardare il processo. Indipendentemente dalla persona del monopolizzatore, il fatto che prima o poi si giunga ad una tale situazione di monopolio è con ogni probabilità scontato, perlomeno date le condizioni strutturali tuttora dominanti nella società. Nel linguaggio delle scienze esatte, tale affer­ mazione potrebbe forse essere definita una «legge». Piu esat­ tamente, si tratta della formulazione relativamente precisa di un semplicissimo meccanismo sociale che, una volta messo in moto, continua a procedere come un meccanismo d 'arola137

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geria: un intreccio sociale nel quale soltanto poche unità sono in grado di competere tra loro grazie ai loro rilevanti mezzi di potere, tende ad abbandonare questa condizione di equilibrio (un equilibrio fra molti, consentito da una concor­ renza relativamente libera) e ad assumere un' altra condizio­ ne d'equilibrio nella quale le unità in competizione sono sempre meno numerose; in altre parole, tende ad una condi­ zione in cui, grazie all' accumulazione, una sola unità sociale ottiene il monopolio delle chances di potere in palio. Riprenderemo in seguito e in modo piu approfondito il discorso sul carattere generale del meccanismo della mono­ polizzazione . È parso tuttavia necessario indicare fin d'ora che un meccanismo di questo genere opera anche nella for­ mazione degli Stati, cosi come in precedenza aveva opera­ to nella formazione di piccole unità di dominio, di signorie territoriali, e quindi nella formazione di piu ampie unità ter­ ritoriali. Soltanto tenendo presente questo meccanismo pos­ siamo comprendere quali fattori nella storia dei vari paesi lo hanno modificato o ostacolato. Soltanto cosi possiamo individuare con una certa precisione il motivo per cui il com­ pito che un potenziale sovrano centrale dell'Impero roma­ no-germanico doveva affrontare fosse incomparabilmente piu arduo di quello che dovette affrontare un potenziale sovrano centrale nel territorio franco occidentale. Anche nell' Impero, dopo una serie di lotte per l'eliminazione e gra­ zie alla costante accumulazione di territori nelle mani del vincitore, si sarebbe dovuta formare una signoria territoriale talmente superiore alle altre, talmente ricca di mezzi di pare­ re e talmente solida che il centro di raccolta di tutti questi mezzi, la dinastia regnante, fosse messa in condizione di assoggettare con la costrizione pacifica o con la forza gli altri signori, e infine aggregarli al proprio apparato di dominio, incorporando o eliminando i loro apparati. Soltanto cosi si sarebbe potuto arrivare ad accentrare un Impero cosi disparato; né sono certamente mancate le lotte che appunto miravano a tale supremazia . E non alludiamo soltanto a lotte come quelle tra i Welfen e gli Staufen ma anche a quelle tra gli imperatori e i papi, con tutte le loro complicazioni. Ma nonostante tutte queste lotte, la meta prefissa non fu mai 138

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raggiunta. In un territorio di tali dimensioni e con differenze cosi accentuate, la probabilità che si formasse un centro di cristallizzazione sufficiente, una supremazia inequivocabile erano infinitamente minori che in territori meno vasti, tanto piu in una fase nella quale l' interdipendenza economica era minore mentre le distanze erano assai superiori a quelle di epoche successive. In ogni caso, le lotte per l'eliminazione all'interno di un territorio cosi vasto avrebbero richiesto tempi assai piu lunghi che nei piu limitati territori confi­ nanti. È ben noto il modo in cui, nonostante tutto, nel territo­ rio dell'Impero si giunse infine alla formazione di Stati. Nel­ l' ambito delle signorie territoriali tedesche - tralasciamo qui l' analogo processo che si sviluppò tra quelle italiane - si formò una potenza territoriale che espandendosi soprattutto nei territori coloniali germanici o semi-germanici, si ingran­ di lentamente fino a trovarsi in concorrenza con la piu antica potenza degli Asburgo : la potenza territoriale degli Hohenzollern. Si ebbero quindi la lotta per la supremazia, la vittoria degli Hohenzollern e la creazione di solido predomi­ nio sugli altri signori territoriali tedeschi; infine, passo pas­ so, si arrivò all' unificazione del territorio tedesco sotto un unico apparato di dominio . Ma questa lotta per la suprema­ zia tra le due piu importanti regioni dell' Impero, che diede l' avvio ad una p ili ampia integrazione ed alla formazione di Stati al suo interno, significò nello stesso tempo un passo ulteriore verso la disintegrazione dell' antico Impero. I paesi ereditari asburgici, sconfitti, abbandonarono la formazione che aspirava al dominio assoluto. Questo fu in effetti l'ulti­ mo passo sulla via della lunga e progressiva disintegrazione dell'antico Impero. Nel corso dei secoli, molte regioni se ne erano via via staccate per diventare unità indipendenti. Nel­ la sua totalità l'Impero era stato troppo grande e troppo disparato, e ciò ostacolò il processo di creazione di uno Stato. Riflettere sul motivo per cui la formazione di Stati nel territorio dell'Impero romano-germanico sia stata tanto piu faticosa e piu lenta rispetto alle nazioni occidentali, è certa­ mente importante anche per comprendere gli avvenimenti 139

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del XX secolo. Le esperienze attuali - ad esempio, la con­ statazione delle differenze esistenti tra gli Stati occidentali da lungo tempo consolidati, meglio equilibrati e ormai soddi­ sfatti della loro espansione, e gli Stati scaturiti dall' antico Impero, consolidati da minor tempo e tardivamente giunti all'espansione - danno risalto a questo quesito. Dal punto di vista strutturale, non sembra tanto difficile dare una risposta, non piu difficile comunque che rispondere ad altri quesiti complementari quasi altrettanto importanti per la comprensione delle strutture storiche, e ai quali vogliamo almeno accennare: ad esempio, perché questo colosso nono­ stante la sua struttura poco favorevole e nonostante la ecce­ zionale virulenza delle sue forze centrifughe ha resistito tan­ to a lungo? Perché questo Impero non si è disgregato molto tempo prima? Nella sua totalità esso si disgregò molto tardi; ma nel cor­ so dei secoli i territori limitrofi dell'Impero romano-germa­ nico - soprattutto a occidente e a sud - continuarono a distaccarsene e a imboccare una propria via. Nello stesso tempo, un'incessante colonizzazione, l'espansione degli insediamenti germanici verso oriente compensò entro certi limiti le perdite territoriali a occidente; ma soltanto entro certi limiti. Fino al tardo Medioevo, e in parte anche oltre, l'Impero a occidente si estese fino alla Mosa e al Rodano. Se prescindiamo da tutte le fluttuazioni e consideriamo soltan­ to la tendenza generale del movimento, vediamo chiaramen­ te come l'Impero si riducesse costantemente nonostante un lento spostamento della direttrice espansionistica e del cen­ tro interno di gravità da occidente a oriente. Sarebbe certa­ mente importante studiare questa tendenza piu a fondo di quanto non sia possibile qui. Comunque, per quanto riguar­ da la mera estensione, tale tendenza è chiaramente indivi­ duabile anche nelle ultime variazioni del territorio propria­ mente tedesco: Confederazione germanica Germania Germania

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prima del 1866: 630.098 kmq dopo il 1870: 540.484 kmq dopo il 1 9 1 8 : 4 7 1 .000 kmq

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In Inghilterra e anche in Francia si ha invece una tendenza opposta. Qui le istituzioni tradizionali in un primo tempo si svilupparono in territori relativamente limitati e lentamente estesero il loro raggio d'azione. Non è possibile comprendere la sorte delle istituzioni centrali, la struttura e l'evoluzione dell'intero apparato di dominio in questi paesi né la differenza tra di essi e le corrispondenti formazioni degli Stati scaturiti dall' antico Impero, se non si tiene suffi­ cientemente conto di questo semplice fattore, di questa lenta crescita dal piccolo al grande. Paragonato all'Impero romano-germanico, il territorio insulare che il duca dei Normanni Guglielmo conquistò nel 1066 aveva un'estensione assai limitata, a un dipresso quella della Prussia al tempo dei suoi primi re. Esso si estendeva, a parte piccoli tratti lungo la frontiera settentrionale con la Scozia, su tutta l'Inghilterra odierna, vale a dire comprende­ va il territorio insulare senza la Scozia e il Galles, per un totale di 1 3 1 . 7 64 kmq. Soltanto verso la fine del XIII secolo il Galles fu unito all' Inghilterra (Inghilterra e Galles rag­ giunsero cosi 1 5 1 . 1 3 0 kmq) . L'Unione personale con la Scozia avvenne soltanto intorno al 1 603 . Tali cifre, per quanto certamente significative, sono soltanto riferimenti approssimativi alle differenze strutturali. Indicano comun­ que che la formazione della nazione inglese e quindi di quella britannica si compi, rispetto a quella delle altre grandi nazioni continentali, in un ambito che durante tutta una fase decisiva superò di poco le dimensioni di una signoria territo­ riale. In effetti, Guglielmo il Conquistatore e i suoi imme­ diati successori crearono soltanto una grande signoria terri­ toriale del regno dei franchi occidentali, non molto differen­ te da quelle che nello stesso periodo esistevano nel ducato di Francia, in Aquitania o nell' Anjou. Il compito che la lotta per la supremazia poneva ai signori di questo territorio per la semplice necessità di espandersi se non volevano che altri, espandendosi, diventassero superiori - non era in effetti paragonabile a quello che l' Impero continentale pone­ va ai suoi sovrani centrali. Ciò vale fin da quella prima fase in cui il territorio insulare costitu{ una sorta di colonia dei franchi occidentali, in cui i signori normanni o angioini 141

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disponevano ancora di vasti territori nel continente e, di conseguenza, continuavano a lottare per l' egemonia nei ter­ ritori ereditari franco-occidentali. A maggior ragione ciò vale per la fase in cui dal continente furono respinti sull'isola e, prendendo le mosse dalla sola Inghilterra, si proposero di unificare l'isola sotto un unico apparato di dominio . E se la funzione del sovrano al pari del rapporto tra il re e gli stati (Stiinde) assunsero qui una fisionomia diversa rispetto all'Im­ pero continentale, uno dei fattori determinanti - natural­ mente non il solo - fu la relativa limitatezza, e naturalmen­ te anche l'isolamento del territorio da unificare . Qui le pos­ sibilità di grandi differenziazioni tra regione e regione erano assai inferiori e le lotte tra due rivali per la supremazia furo­ no assai piu semplici che nel continente, dove molti erano i concorrenti. Per quanto concerne la sua formazione e quindi la sua struttura, il Parlamento inglese non può in alcun modo essere paragonato agli Stati generali dell'Impero, semmai agli Stati provinciali. Lo stesso si può dire per le altre istitu­ zioni. Come la stessa Inghilterra, esse si ingrandirono tra­ sformandosi progressivamente da istituzioni di un territorio feudale a istituzioni permanenti di uno Stato e di un Impero. Ma anche in Inghilterra, quando il territorio cosi unifi­ cato raggiunge certe dimensioni, si rafforzano ancora una volta le tendenze centrifughe . Questo impero si dimostra oggi pericolosamente troppo grande, nonostante il progredi­ to livello delle interdipendenze e delle comunicazioni. Sol­ tanto un'arte di governo quanto mai esperta ed elastica rie­ sce a tenerlo insieme, tra molte difficoltà, come unità di dominio. Date certe premesse che sono certamente del tutto differenti da quelle riferibili all'antico Impero tedesco, anco­ ra una volta da questo esempio si ricava che un grande impe­ ro che è il risultato di conquiste e di colonizzazioni tende infine a frantumarsi in numerose unità di dominio piu o meno indipendenti, o almeno a trasformarsi in una sorta di «Stato federale». Cosi, visto da vicino, il meccanismo appare quasi ovvio. Il dominio ereditario dei C apetingi, il ducato di Francia, era di dimensioni inferiori al territorio inglese sul quale regnava il duca dei Normanni. Aveva pressappoco le dimen1 42

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sioni della marca di Brandeburgo all'epoca degli Staufen. Ma nell' ambito dell'Impero ci vollero 5 o 6 secoli prima che questo piccolo territorio coloniale diventasse una potenza in grado di competere in qualche modo con le antiche e consoli­ date signorie territoriali dell'Impero. Nel piu ristretto ambi­ to di dominio ereditario del regno franco d'occidente, i mez­ zi di potere a sua disposizione, con l' aggiunta del sostegno materiale e spirituale che le istanze ecclesiastiche fornirono ai C apetingi, furono sufficienti a consentire ben presto a questa dinastia di intraprendere la lotta per estendere la sua supremazia su un maggior numero di regioni francesi. Per le sue dimensioni il dominio ereditario del regno franco occidentale, nucleo della futura Francia, era a metà strada tra la futura Inghilterra e l' Impero romano-germani­ co. Le divergenze regionali, e quindi anche l'efficacia delle forze centrifughe, erano meno accentuate che nel vicino Impero, e quindi i compiti che il potenziale sovrano centrale avrebbe dovuto affrontare erano meno ardui. Rispetto all' i­ sola britannica, invece, le divergenze e le forze centrifughe erano piu forti 7 ; ma in Inghilterra, proprio a causa della limi7 «Creare l'unità dal Northumberland alla Manica fu piu facile che crearla dal­ le Fiandre ai Pirenei>>. Ch. Petit-Dutaillis, La monarchie féodale, Paris, 1 933, p . 3 7 . Circa i l problema dell'estensione del territorio, cfr. anche R. H . Lowie, The Origin o/ the State, New York, 192 7 , pp. 1 7 ss. W. M. MacLeod, nel suo The Origin and History o/ Politics, New York, 193 1 , rileva quanto sia in fondo sorprendente l a sopravvivenza e relativa stabilità di grandi unità di dominio, quali ad esempio l'Impero degli Inca e la Cina, data la pri­ mitività dei loro mezzi di trasporto. In effetti, soltanto una precisa analisi storico­ strutturale del gioco tra le tendenze centrifughe e quelle centripete e degli interessi esistenti in questi imperi potrebbe farci comprendere come sorsero questi gigante­ schi Imperi e a che cosa si deve attribuire la loro sopravvivenza. Senza dubbio il tipo di centralizzazione attuato in Cina è quanto mai peculiare rispetto all'evoluzione che si ebbe in Europa. Evidentemente, in Cina lo strato dei guerrieri fu eliminato assai per tempo e in modo radicale da un forte potere centra­ le. Questa eliminazione - comunque sia avvenuta - è collegata a due caratteristi­ che fondamentali della struttura sociale cinese: il passaggio nelle mani dei contadi­ ni del potere di disporre della terra (fenomeno che agli inizi della storia occidentale troviamo soltanto in pochissimi luoghi, ad esempio in Svezia), e l'installazione nel­ l'apparato di potere di funzionari in parte reclutati sempre tra gli stessi contadini, e in ogni caso del tutto pacificati. Grazie alla mediazione di questa gerarchia di funzionari, certe forme di civiltà cortese penetrarono in profondità fino agli strati inferiori della popolazione e si radicarono, con varie trasformazioni, nel codice di comportamento del villaggio. Quel «carattere non bellicoso» che tanto spesso si è considerato una caratteristica del popolo cinese, non è affatto espressione di una qualsivoglia «disposizione naturale>>: è scaturito dal fatto che lo strato dal quale il 143

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tata estensione del territorio, un' alleanza dei diversi stati e soprattutto dei guerrieri di tutto il paese contro il signore centrale in determinate circostanze era piu facile, tanto piu che la spartizione della terra operata da Guglielmo il Con­ quistatore favori in tutta l' Inghilterra i contatti e una certa comunanza di interessi tra i proprietari terrieri, per lo meno per quanto riguardava il loro rapporto con il signore centra­ le . Ci resta ora da dimostrare come una certa dose di disu­ nione e di disparità all'interno di una signoria, non tanto for­ te da redere probabile la sua disgregazione ma forte abba­ stanza da rendere difficile un'alleanza effettiva tra gli stati in tutto il paese, serva a rafforzare la posizione del signore centrale. Date le sue dimensioni, dunque, le chances di cui disponeva il territorio ereditario dei franchi occidentali per far emergere un signore centrale e creare un monopolio di potere non erano affatto limitate. Dobbiamo dunque esaminare nel dettaglio in qual modo la casa capetingia seppe cogliere tali chances e attraverso qua­ li meccanismi riusd a crearsi infine un monopolio di potere in questo territorio .

Il meccanismo della monopolizzazione

La società che definiamo società dei tempi moderni è caratterizzata, soprattutto in occidente, da un livello ben preciso di monopolizzazione. Il singolo individuo non è piu in condizioni di disporre liberamente dei mezzi militari di potere, riservati invece ad un governo centrale 8 , qualunque popolo, attraverso un contatto costante, attingeva molti dei suoi modelli non era piu da secoli uno strato di guerrieri, una aristocrazia, ma una pacifica e colta classe di funzionari. E soprattutto grazie a tale loro posizione e funzione, nella tradizio­ nale scala di valori del popolo cinese - a differenza di quello giapponese - l'atti­ vità e la valentia bellica non occupano un posto elevato. Pertanto, nonostante le differenze, anche nei dettagli, del processo di centralizzazione in Cina e dei pro· cessi di centralizzazione in Occidente, là come qua la coesione di un vasto territo­ rio di dominio ebbe come fondamento l'eliminazione dei guerrieri o signori terrieri in libera concorrenza tra loro. 8 Circa l'importanza del monopolio dell'esercizio della costrizione fisica per la struttura degli «Stati», cfr. soprattutto M. Weber, Wirtscha/t und Gesellscha/t, Ti.ibingen, 1922; trad. i t. Economia e società, 2 voli . , Milano, Edizioni di Comuni­ tà, 19682.

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ne sia la fisionomia; allo stesso modo, la riscossione delle imposte sulla proprietà o sulle entrate dei singoli è concen­ trata nelle mani di un potere sociale centrale. I mezzi finan­ ziari che cosf vi affluiscono gli permettono di conservare il monopolio della costrizione e questo, a sua volta, di conser­ vare il monopolio fiscale . Nessuno dei due prevale sull'altro: né il monopolio economico su quello militare, né quello mili­ tare sul monopolio economico. Si tratta di due aspetti diver­ si di una stessa posizione monopolistica. Se l'uno scompare, automaticamente anche l' altro seguirà la stessa sorte, benché talvolta il monopolio del potere sia stato piu fortemente minacciato ora da un lato ora dall'altro. Certe prefigurazioni di questa monopolizzazione delle risorse finanziarie e dell'esercito in un territorio relativa­ mente ampio sono già esistite qua e là anche in società in cui la suddivisione delle funzioni era minore, soprattutto a seguito di grandi campagne di conquista. Ma ciò che avviene in una società in cui la divisione delle funzioni è assai progre­ dita, è la formazione di un permanente e specializzato appa­ rato amministrativo per gestire questi monopoli. Soltanto allorché è stato costituito tale apparato di dominio differen­ ziato, la disponibilità dei mezzi finanziari e militari acquista in pieno il carattere di monopolio; soltanto allora il monopo­ lio militare e fiscale diviene un fenomeno permanente. Le lotte sociali non mirano ormai piu ad eliminare l' apparato di dominio, ma vertono sul problema di chi deve disporre del­ l' apparato monopolistico, donde reclutarli e come ripartire oneri e utili. Soltanto dopo che è stato costituito tale mono­ polio permanente del potere centrale, insieme a un apparato specialistico di dominio, le unità di dominio acquistano il carattere di «Stati». Negli Stati si cristallizzano dunque i due monopoli suin­ dicati, oltre ad una serie di altri; ma i due primi sono e resta­ no i monopoli-chiave. Se essi crollano, crollano anche tutti gli altri, crolla lo «Stato». Il quesito che si pone, dunque, è: come e perché si è per­ venuti a questa monopolizzazione? Nella società del IX, X e XI secolo, certamente essa non esiste ancora. A partire dall'XI secolo vediamo però come 145

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essa vada lentamente formandosi, nei territori ereditari dei franchi occidentali. In un primo periodo, ogni guerriero del paese che possedesse un pezzo di terra esercitava tutte quelle funzioni di governo che, successivamente, divennero poi monopolio di un governo centrale e furono gestite da un meccanismo specializzato . Il cavaliere faceva la guerra, quando lo riteneva opportuno, per conquistare nuove terre o per difendersi: la conquista di terre, unitamente alle funzio­ ni di dominio legate al suo possesso, cosi come la difesa armata delle terre stesse erano lasciate, come si direbbe in linguaggio moderno, all' «iniziativa privata» . E poiché con l' aumento della popolazione la richiesta di terra, la pressione sulla terra, la fame di terra divennero straordinariamente forti, anche la competizione divenne straordinariamente vivace in tutto il paese, e venne condotta servendosi della violenza militare ed economica, a differenza delle analoghe lotte del XIX secolo che furono condotte esclusivamente attraverso i mezzi della violenza economica, grazie appunto al monopolio della violenza detenuto dallo Stato. Per comprendere i meccanismi della monopolizzazione presenti nelle fasi piu antiche della società, non è superfluo rammentare le lotte di competizione e la formazione di monopoli che avvengono direttamente sotto i nostri occhi; quando si considera l' evoluzione sociale nella sua totalità, è certamente valido tenere presente I' evoluzione moderna quando si studia quella piu antica. Questa è stata la premessa di quella, e il nucleo centrale di entrambi i movimenti è costituito dall'accumulazione dei principali mezzi di produ­ zione di ciascuna epoca, o almeno dall' accumulazione nelle mani di un numero sempre piu ridotto di persone del potere di disporne; nell'un caso si tratta di accumulazione di terre, nell' altro di accumulazione di mezzi finanziari. Abbiamo già brevemente accennato al meccanismo della formazione di monopoli 9 : quando in un 'unità sociale di una 9

Cfr. supra, pp. 1 36 ss. Non è parso necessario dare espressione matematica al­ meccanismo monopolistico, secondo la consuetudine oggi invalsa. Certa­ mente, non dovrebbe essere difficile farlo; in tal caso, sarebbe possibile anche sot· to questo profilo affrontare un problema che oggi, in generale, ci si pone di rado: il problema del valore cognitivo della formulazione matematica. Ci si dovrebbe chie­ dere, ad esempio a proposito del meccanismo monopolisrico, quali possibilità le leggi del

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certa ampiezza cosi possiamo riassumere il fenomeno parecchie delle piu piccole unità sociali che con la loro interdi­ pendenza formano le unità maggiori dispongono di una forza sociale relativamente uguale e, di conseguenza, possono libera­ mente (vale a dire senza esserne impedite da monopoli già esi­ stenti) entrare in competizione reciproca per garantirsi le chan­ ces della forza sociale (vale a dire soprattutto i mezzi di sussi­ stenza e di produzione) è altamente probabile che alcune vinca­ no e altre perdano, e la conseguenza è che a poco a poco un numero sempre minore di esse dispone di un numero sempre maggiore di chances; aumenta sempre piu il numero di quelle che debbono abbandonare la lotta per la concorrenza finendo per dipendere, direttamente o indirettamente, da un numero sempre minore di unità piu potenti. -

L'intreccio sociale coinvolto in questo movimento tende allora, qualora non possano essere prese misure per ostaco­ larlo, verso una situazione in cui di fatto il potere di disporre di queste chances disputate si raccoglie nelle mani di un indi­ viduo solo; un sistema di chances aperte si trasforma a questo modo in un sistema di chances chiuse 1 0 • Lo schema generale secondo il quale si svolge tale proces­ so è assai semplice: in uno spazio sociale sia data la presenza di un certo numero di individui e di un certo numero di cognitive e quale chiarezza si guadagnano con una formulazione matematica? A questa domanda è possibile rispondere soltanto in base alla semplice esperienza. Una cosa comunque è certa, cioè che oggi nella coscienza di molti alla formula­ zione di leggi generali viene collegato un valore che - almeno quando si ha a che fare con le scienze storiche e sociali - non ha nulla a che fare con il loro valore cognitivo; e questa valutazione non sottoposta a verifica assai spesso induce in errore lo stesso lavoro di ricerca. Sembra a molti che il compito essenziale della ricerca sia di spiegare tutti i mutamenti partendo da qualcosa di immutabile. Ed il prestigio di cui godono le formulazioni matematiche scaturisce, non ultimo, da questo giudizio di valore sull'immutabile. Ma questo ideale e questa scala di valori non affondano le radici nel compito cognitivo della ricerca bensi nel bisogno di eternità degli studiosi. Leggi universali come il meccanismo del monopolio e tutte le altre leggi universali di relazioni, formulate matematicamente o no, non rappre­ sentano il fine ultimo o il coronamento della ricerca storico-sociologica; la cono­ scenza di tali leggi è feconda in quanto strumento per raggiungere un altro fine ulti­ mo, come mezzo con cui l'uomo si orienta nei confronti di se stesso e del suo mon­ do. Il loro valore consiste soltanto nella loro funzione ai fini di spiegare il muta­ mento storico. 1 0 Cfr. in/ra , pp. 1 4 ss. V. anche, per il concetto di «forza sociale>>, le Osserva­ zioni sul concetto di forza sociale alla nota del cap. IV.

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chances, che sono scarse o comunque insufficienti in rappor­

to alle esigenze di tutti. Assumendo che in un primo tempo ciascuno di questi individui lotti contro un solo individuo per assicurarsi le chances esistenti, è molto improbabile che tutti rimangano per un periodo indeterminatamente lungo in questa posizione di equilibrio e che nessuno tra i due rivali risulti vincitore, soprattutto quando la lotta sia effettiva­ mente libera e non influenzata da nessun potere monopoli­ stico; al contrario è straordinariamente probabile che prima o poi uno dei due sconfigga l' avversario. Quando ciò avvie­ ne, le chances dei vincitori aumentano mentre diminuiscono quelle degli sconfitti; allora nelle mani di una parte dei con­ tendenti si accumulano maggiori chances, mentre l' altra par­ te è costretta ad abbandonare la lotta diretta. Se poi ciascu­ no dei vincitori a sua volta combatte contro un altro vincito­ re, la vicenda si ripete: ancora una volta una parte dei con­ tendenti vince e fa proprie le chances degli sconfitti; a questo punto un numero ancora inferiore di persone dispone di un numero ancor superiore di chances, mentre un numero mag­ giore di persone viene eliminato dalla libera lotta per la con­ correnza. Il processo si ripete incessantemente finché, nel caso ottimale, un solo individuo finisce con il disporre di tut­ te le chances mentre tutti gli altri vengono a dipendere da lui. Nella realtà della storia, ovviamente non si è trattato sempre di individui singoli coinvolti in questo meccanismo ma assai spesso di intere unità sociali, ad esempio di territori o di Stati. Nella realtà, inoltre, il processo si svolge in modo assai piu complicato di quanto non mostri questo schema, e per di piu con numerose varianti. Ad esempio, avviene spes­ so che un certo numero di unità piu deboli si alleino per sconfiggerne una che ha accumulato troppe chances ed è divenuta troppo potente. Se vi riescono, se si impadronisco­ no delle chances dello sconfitto o di una parte di esse, la lotta per il possesso di tali chances e per la supremazia continua tra di essi. Il risultato, ossia lo spostamento dei rapporti di for­ za, è sempre lo stesso. Con questo processo il sistema tende comunque, attraverso una serie di lotte per l'eliminazione, a radunare prima o poi nelle mani di pochi una quota sempre maggiore di chances. 148

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I modi e il ritmo di questo spostamento dell' equilibrio a danno della massa e a favore di pochi dipendono, in larga misura, dal rapporto tra la domanda e l'offerta delle chances. Assumendo che nel corso del movimento il numero delle domande e quello delle chances nel complesso non cambi, la domanda di chances aumenterà non appena la situazione cambia; il numero di coloro che sono dipendenti e l'intensità di tale dipendenza aumenteranno e cambieranno anche qua­ litativamente. Se a funzioni relativamente indipendenti nel­ la società subentreranno funzioni sempre piu dipendenti ad esempio, se ai liberi cavalieri subentreranno i cavalieri di corte e infine i cortigiani, o a commercianti relativamente indipendenti subentreranno commercianti e impiegati dipendenti - allora necessariamente muteranno nello stesso tempo anche le reazioni affettive, la struttura dell'economia pulsionale e del pensiero, insomma tutto l'habitus sociogeno e l' attitudine sociale degli uomini: e ciò tanto in coloro che si avviano verso una posizione monopolistica quanto, e altret­ tanto, in coloro che perdendo determinate chances hanno perduto insieme la possibilità di competere liberamente per esse e che, di conseguenza, si trovano ormai in condizioni di dipendenza diretta o indiretta. Infatti questo processo non deve affatto essere inteso come se durante il suo svolgimento diminuisse il numero dei «liberi» e aumentasse sempre piu quello dei «dipendenti», anche se in determinate fasi esso sembrerebbe offrire appun­ to questo quadro. Ma se si osserva il movimento nel suo complesso, non sarà affatto difficile riconoscere e compren­ dere che - perlomeno in ogni società piu ampiamente e arti­ colatamente differenziata - a partire da una determinata fase del processo la condizione di dipendenza si trasforma in modo assai peculiare . Quanto piu numerosi sono gli indivi­ dui divenuti dipendenti attraverso il gioco del meccanismo di monopolizzazione, tanto maggiore diviene la potenza sociale non del singolo individuo dipendente ma della massa dei dipendenti in rapporto ai pochi o all'unico monopolista; e ciò avviene tanto a causa del loro numero quanto della dipendenza in cui vengono a trovarsi i pochi monopolisti, dalla massa crescente di dipendenti per poter conservare e 149

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sfruttare le loro chances monopolizzate. L' accumulazione di terra, di soldati, di capitali, sotto qualsiasi forma avvenga, nelle mani di un solo ne rende sempre piu difficile il control­ lo, e proprio in funzione del monopolio stesso accresce la sua dipendenza dagli altri, il suo coinvolgimento nell'intreccio di coloro che da lui dipendono. Sono modificazioni che spesso impiegano secoli per manifestarsi, e altri secoli ancora per concretizzarsi in istituzioni permanenti. Certe leggi struttu­ rali della società possono frapporre infiniti ostacoli al proces­ so, ma il suo meccanismo e la sua tendenza sono inequivoca­ bili. Quanto piu ampie diventano le chances monopolizzate, quanto piu intensa diviene la divisione del lavoro nell' intrec­ cio degli individui che partecipano in quanto funzionari alla gestione delle chances monopolistiche, o dal cui lavoro, dalla cui funzione dipende in un modo o nell' altro la sopravviven­ za del monopolio, tanto piu questo campo di dominio del monopolista fa valere il proprio peso e le proprie leggi. Colui che detiene il monopolio può conformarsi a queste leggi e accettare le limitazioni che gli impone la sua funzione di pro­ prietario di una struttura tanto potente. Ma può anche lasciarsi andare e permettere che le sue personali tendenze e disposizioni affettive prendano il sopravvento. In tal caso, però, il complicato apparato sociale da cui sono scaturite le chances da lui privatamente accumulate finirà per sconvol­ gersi e per fargli sentire duramente la sua resistenza e le sue proprie leggi. In altre parole, quanto piu un monopolio è ampio e quanto piu in esso è progredita la divisione del lavo­ ro, tanto piu esso tende inesorabilmente verso un limite nel quale il o i monopolisti si trasformano in meri funzionari centrali di un apparato dalle funzioni ben distinte: saranno forse piu potenti di altri funzionari, ma certo non meno dipendenti né meno legati. Taie mutamento può verificarsi in modo appena percettibile, attraverso piccoli passi o picco­ le lotte; oppure può accadere che l'intera massa dei dipen­ denti riesca infine a imporre con la violenza la propria forza sociale sui pochi monopolisti. In ogni caso, il potere di disporre delle chances accumulate attraverso molte lotte per l'eliminazione grazie all'iniziativa privata tende, quando ha raggiunto il limite ottimale di grandezza, a sfuggire dalle 150

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mani dei monopolisti e a passare nelle mani dei dipendenti in quanto totalità oppure, in un primo tempo, di alcuni gruppi di dipendenti, ad esempio dei gruppi che fino a quel momen­ to avevano l'incarico di amministrare il monopolio . Il mono­ polio privato del singolo individuo si socializza, diviene il monopolio di interi strati sociali, un monopolio pubblico, l' organo centrale di uno Stato. L'evoluzione di quello che oggi chiamiamo «bilancio del­ lo Stato» offre un esempio quanto mai eloquente di tale pro­ cesso. Il bilancio dello Stato si sviluppa dal «bilancio priva­ to» delle dinastie feudali; per meglio dire, in un primo tempo non esisteva ancora una separazione tra quelle che piu tardi vennero contrapposte come entrate o spese «pubbliche» e «private». Sostanzialmente le entrate del signore centrale provenivano dalle sue proprietà dinastiche o demaniali; que­ ste entrate servivano tanto per le spese del mantenimento della corte, per la caccia, per gli abiti o i doni che il signore dispensava quanto per l' amministrazione, ancora relativa­ mente ridotta, per eventuali truppe mercenarie o per erigere castelli. Poi, un numero sempre maggiore di terre si accumu­ la nelle mani di una dinastia, e il singolo è sempre meno in grado di controllare l' amministrazione delle sue entrate e uscite, la gestione e la difesa dei suoi possedimenti. Tutta­ via, anche quando le proprietà dirette della dinastia, i suoi domini demaniali non sono ormai da tempo la sua piu impor­ tante fonte di entrate, quando con la crescente commercia­ lizzazione della società alla «camera» del signore affluiscono da tutto il paese tributi monetari e quando il monopolio del­ la terra, insieme con quello della potenza militare, è diventa­ to anche un monopolio di tributi monetari, un monopolio fiscale, anche allora il signore in un primo tempo ne dispone a suo piacere come delle entrate personali della sua casa. Per un certo periodo può sempre decidere liberamente quante di queste entrate debbano essere assegnate alla costruzione di castelli, alla distribuzione di doni, alle necessità della cucina, al mantenimento della corte, e quante per mantenere le trup­ pe e compensare gli amministratori. La ripartizione delle entrate derivanti dal monopolio delle chances è insomma lasciata al suo arbitrio . Ma osservando meglio non si man151

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cherà di rilevare che l' ambito decisionale del detentore del monopolio si è sempre piu ridotto a causa della maggior com­ plessità dell' intreccio sociale del suo dominio. Aumenta la sua dipendenza dai funzionari amministrativi, la cui influen­ za per contro aumenta; le spese fisse dell' apparato monopoli­ stico ingrandiscono costantemente, e al termine di questo processo il signore assoluto nonostante il suo potere apparen­ temente illimitato subisce già in larga misura la pressione, le leggi e la dipendenza funzionale dalla società su cui domina. Il suo potere illimitato non è unicamente la conseguenza della sua monopolizzazione delle chances, ma la funzione di una specifica struttura della società di cui tratteremo in seguito . Tuttavia anche nell'impostazione del bilancio dell' assoluti­ smo francese non esiste ancora una distinzione tra le spese «priyate» e quelle «pubbliche» del re . E ben noto come la socializzazione del monopolio di dominio trovi infine espressione nel bilancio . Il detentore del potere centrale, qualunque sia il titolo che porta, si vede asse­ gnare nel bilancio una somma come qualsiasi altro funziona­ rio; da essa il signore, sia re o presidente, deve ricavare le spe­ se per il mantenimento della sua casa o della sua corte; le spe­ se necessarie per l'organizzazione amministrativa del paese vengono rigorosamente separate da quelle personali dei sin­ goli individui; il monopolio privato del dominio si è trasfor­ mato in un monopolio pubblico, anche se ne è detentore un singolo individuo in qualità di funzionario della società. Lo stesso quadro ci si presenta quando seguiamo nel suo insieme la formazione dell'apparato di dominio . Esso si svi­ luppa dall' amministrazione «privata» - se vogliamo - della corte e dei domini del re o del principe. Allo stesso modo, tut­ ti gli organi dell' apparato statale nascono dalla differenzia­ zione delle varie funzioni di una corte principesca, a volte assimilando anche gli organi di un'amministrazione locale autonoma. Infine, quando questo apparato di dominio è dive­ nuto statale ossia pubblico, l ' amministrazione privata (Hau­ shalt) del signore centrale si è trasformata nel migliore dei casi in un organo tra gli altri, e alla fine neppure questo. Abbiamo qui uno degli esempi piu rilevanti della trasfor­ mazione di una proprietà privata in funzione pubblica e della 152

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socializzazione finale del monopolio ottenuto da un singolo individuo, grazie all' accumulazione di chances, a seguito di una serie di vittoriose lotte di competizione o di eliminazio­ ne condotte nel corso di parecchie generazioni. Indicare con maggior esattezza il significato preciso della trasformazione del potere, per cosi dire «privato», di un singolo di disporre delle chances monopolizzate in un potere «Statale» o «sociale», ci porterebbe troppo lontano . Come abbiamo già detto, tutte queste espressioni hanno pieno significato soltanto se riferite a società in cui la divisione del­ le funzioni è molto avanzata; soltanto qui, infatti, l' attività e la funzione di ognuno dipendono, direttamente o meno, da quelle di molti altri, e soltanto qui il peso di tutte queste azioni ed interessi strettamente intrecciati tra loro è tale che anche quei pochi che detengono il monopolio di enormi chances non possono sottrarsi alla sua pressione e alla sua forza. Processi sociali aventi carattere di monopolizzazione li ritroviamo in molte società, anche in alcune in cui la divisio­ ne delle funzioni e l'interdipendenza sono relativamente ridotte. Anche in queste società ogni monopolio, giunto ad un determinato grado di accumulazione, tende a sfuggire al potere decisionale del singolo per passare nelle mani di interi gruppi sociali, in un primo tempo magari di antichi funzio­ nari della signoria, i primi servitori dei monopolisti. Il pro­ cesso di feudalizzazione ne è un esempio. Abbiamo mostrato sopra come, anche nel corso di questo processo, il potere di disporre di una proprietà terriera relativamente ingente e di grandi mezzi militari fosse a poco a poco sottratto al mono­ polista per passare prima nelle mani dei suoi antichi funzio­ nari o dei loro eredi in un primo tempo e quindi dello strato dei guerrieri ordinato gerarchicamente. Nelle società in cui l'interdipendenza delle funzioni sociali è ridotta, questo spo­ stamento verso la socializzazione porta necessariamente o ad una sorta di «anarchia», ad una disgregazione piu o meno totale del monopolio, oppure alla sua appropriazione da par­ te non di uno solo ma di un' oligarchia . Successivamente, questi spostamenti a favore di un gruppo consistente provo­ cano non la ripartizione delle chances monopolistiche ma un 153

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diverso modo di disporne. Soltanto via via che crescono le interdipendenze sociali di tutte le funzioni, diviene possibile sottrarre i monopoli, anche senza distruggerli, allo sfrutta­ mento arbitrario da parte di pochi: là dove la divisione delle funzioni è accentuata e in via di accrescimento, i pochi che a ondate successive rivendicano per sé il monopolio delle chan­ ces si trovano presto o tardi in difficoltà per la loro dipen­ denza dai servizi di tutti gli altri, e sono quindi svantaggiati rispetto alla massa. Una società umana dalle funzioni sempre piu ripartite possiede, in quanto totalità, leggi proprie che progressivamente ostacolano qualsiasi monopolizzazione pri­ vata delle chances. La tendenza dei monopoli, ad esempio del monopolio della costrizione fisica o di quello fiscale, a tra­ sformarsi da «privati» in «pubblici» o «statali» non è altro che una funzione dell'interdipendenza sociale . Un intreccio umano dalle funzioni nettamente e progressivamente divise tende insomma, grazie al peso che in quanto totalità le è pro­ prio, ad una situazione di equilibrio nella quale lo sfrutta­ mento e il profitto delle chances monopolizzate a favore di pochi diventano impossibili. Se oggi ci appare del tutto natu­ rale che determinati monopoli, soprattutto i monopoli-chia­ ve del dominio, siano «statali» o «pubblici» anche se un tem­ po non lo erano affatto, ciò dimçJstra che è stato compiuto un passo verso la direzione data. E certamente possibile che, date certe particolari condizioni della società, il corso di tale processo incontri successivi ostacoli; un esempio tipico in questo senso è stato illustrato sopra, descrivendo il corso di sviluppo dell'antico Impero romano-germanico; e dovunque un intreccio sociale superi una determinata dimensione otri­ male per la formazione di monopoli, simili fenomeni si ripre­ sentano. Tuttavia, quali che siano i fattori che si inseriscono come meccanismi contrari e che possono mantenere il pro­ cesso in uno stato di ricorrente conflitto, resta chiaramente individuabile l' aspirazione di tale intreccio umano a raggiun­ gere una struttura ben precisa, nella quale i monopoli saran· no gestiti a favore e secondo la volontà dell'intero consorzio umano. Dunque il processo di formazione dei monopoli, almeno nelle sue linee generali, ha una struttura molto chiara. In 154

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questo processo la libera concorrenza ha un suo posto ben individuabile e una sua funzione positiva: si tratta della lotta e della concorrenza tra molti per conquistare quelle chances che non sono ancora monopolio di un singolo o di pochi individui. Ogni formazione sociale di monopoli presuppone questa libe­ ra lotta per l'eliminazione; ogni libera lotta sociale per l' elimi­ nazione o la concorrenza tende alla formazione di monopoli . Rispetto a questa fase di libera concorrenza, la formazio­ ne di monopoli comporta, da un lato, l'impossibilità per un numero crescente di persone di accedere direttamente a determinate chances; dall' altro lato, comporta una crescente centralizzazione del potere di disporne. Tale centralizzazione sottrae le chances alla lotta diretta di molti concorrenti; nel migliore dei casi, esse sono a disposizione di una singola unità sociale. Ma tale unità, ossia il monopolista, non è mai in con­ dizione di utilizzare per sé solo i profitti derivanti dal suo monopolio; soprattutto non lo è quando nella società in cui vive le funzioni sono largamente divise. In un primo tempo, qualora goda di una sufficiente forza sociale, può rivendicare per sé una quota preponderante degli utili e compensare con un minimo vitale i servizi resigli. Tuttavia, proprio perché dipende da questi servizi e funzioni di altri, è costretto a distribuire agli altri una grossa quota delle chances di cui dispone, e la quota è tanto piu grossa quanto maggiore è il pos­ sesso accumulato, e altresi quanto maggiore diviene la dipendenza del monopolista da altri, e quindi la forza di que­ sti ultimi. Cosi, per la spartizione delle chances si riaccende la lotta tra coloro che da tali chances dipendono ; ma mentre nella fase precedente la competizione era «libera>), vale a dire la decisione dipendeva dalla forza o dalla debolezza dei con­ tendenti in un dato momento, ora dipende anche dalla funzio­ ne oppure dall'attività che il monopolista nel panorama gene­ rale del suo ambito di potere assegna al singolo . Alla libera competizione subentra una competizione meno libera, che è diretta o è suscettibile di essere diretta da un organo centrale o da alcuni individui; e le qualità che in una simile lotta posso­ no assicurare il successo, la selezione che essa provoca, i tipi umani che produce sono quanto mai differenti da quelli della precedente fase di libera competizione. 155

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Ne è un esempio la differenza tra la situazione della libe­ ra nobiltà feudale e quella della nobiltà di corte. Nel primo caso, la forza sociale della singola casa, espressione nello stesso tempo dei suoi mezzi economici e militari, insieme con la forza fisica e l'abilità del singolo influenzano in modo decisivo la spartizione delle chances; e in questa libera com­ petizione l'impiego diretto della violenza è un mezzo di lotta insostituibile. In ultima analisi, la ripartizione delle chances viene decisa da colui la cui casa, o i cui predecessori , sono usciti vincitori da questa lotta, e che ora detengono il mono­ polio della coercizione fisica. Grazie a questo monopolio, nella lotta della nobiltà per conquistare le chances a disposi­ zione del principe l' impiego diretto della violenza è sempre piu escluso: i mezzi di lotta si sono raffinati o sublimati, mentre è aumentato il controllo sulle manifestazioni affetti­ ve imposto al singolo dalla sua stessa dipendenza dal deten­ tore del monopolio . Ora i singoli individui si dibattono tra l' opposizione alle costrizioni cui sono sottoposti, l'odio che provano per questo stato di dipendenza e sottomissione, la nostalgia per la libera competizione cavalleresca, da un lato; e, dall'altro, l'orgoglio per l' autocostrizione che hanno sapu­ to imporsi o la soddisfazione per le nuove possibilità di pia­ ceri che gli si offrono: in breve, abbiamo un nuovo passo verso la civilizzazione. Il passo successivo è quindi l' assunzione da parte della borghesia del monopolio della fiscalità e della coercizione e di tutti gli altri monopoli di dominio che su questi si fonda­ no . A quest'epoca, la borghesia è uno strato sociale che, nel suo complesso, dispone già di determinate chances economi­ che sotto forma di monopolio non organizzato. Ma all' inizio tali chances non sono ancora tanto equamente ripartite tra i suoi membri da consentire a parecchi di essi di impegnarsi in una libera concorrenza reciproca. La lotta che questo strato intraprende contro i principi, e dalla quale risulterà infine vittoriosa, non contempla affatto la distruzione del monopo­ lio del dominio : la borghesia non mira affatto a una nuova ripartizione tra i suoi stessi membri di queste chances mono­ polizzate della fiscalità e del potere militare e poliziesco ; i suo1 membri non intendono diventare signori terrieri, eia1 56

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scuno dei quali disponga a suo arbitrio di una propria poten­ za militare e di proprie entrate fiscali: la conservazione di un unico monopolio della fiscalità e della coercizione fisica è invece la base della loro stessa esistenza sociale: è la premes­ sa affinché la libera competizione che essi conducono gli uni contro gli altri per conquistare determinate chances economi­ che sia limitata all'impiego della potenza economica. Ciò a cui tendono in questa lotta per la conquista del monopolio del dominio, e che alla fine otterranno, non è, come abbiamo detto, la spartizione dei monopoli già esisten­ ti bensi una redistribuzione dei loro oneri e dei loro profit­ ti. Il fatto che ora non sia piu un principe assoluto a disporre di questi monopoli ma un intero strato sociale è dunque un passo verso la direzione indicata : è un passo verso una fase nella quale le chances offerte da questo monopolio saranno sempre meno ripartite secondo l' arbitrio personale e l' inte­ resse privato di un singolo e sempre piu, secondo un piano piu impersonale e piu preciso, nell'interesse di un gran numero di individui interdipendenti, e infine nell'interesse di un intero consorzio umano composto di individui interdi­ pendenti. In altre parole, attraverso la centralizzazione e la mono­ polizzazione quelle chances che un tempo potevano essere conquistate grazie alla potenza militare o economica di sin­ goli individui possono ora essere utilizzate e gestite in modo pianificato . Da un certo stadio dello sviluppo in poi, la lotta per i monopoli non mira piu alla loro distruzione bensi alla possibilità di disporre dei loro profitti, a pianificare il modo di organizzarli e di ripartirne gli oneri e i vantaggi: in altre parole, diviene un problema di distribuzione. Tale distribu­ zione, che è il compito del detentore o dell'amministrazione del monopolio, nel corso di questa lotta si trasforma da fun­ zione privata in funzione pubblica; la sua dipendenza da tut­ te le altre funzioni del consorzio umano interdipendente si manifesta sempre piu chiaramente anche sul piano organiz­ zativo. In sostanza, i funzionari centrali in questa rete di interdipendenze sono ormai dipendenti come tutti gli altri . Una parte piu o meno rilevante degli individui che da questo apparato monopolistico dipendono crea solide istituzioni di 157

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controllo . La possibilità di disporre del monopolio, di occu­ pare le posizioni-chiave non è piu decisa da un'unica lotta «non monopolistica», ma attraverso periodiche lotte per l'eliminazione che non ricorrono però all'impiego delle armi e che sono regolate dall'apparato monopolistico, lotte «con­ trollate» dal monopolio. Si forma cosi quello che siamo soliti chiamare un «regime democratico». Questo regime, come oggi sembra presentarsi - se si osservano unicamente determinati processi monopolistici di carattere economico del nostro tempo - non è del tutto inconciliabile con la pre­ senza dei monopoli, né la sua esistenza presuppone quella di un campo d 'azione in cui può operare la libera concorrenza. Al contrario, ha come presupposto proprio l'esistenza di monopoli altamente organizzati, anche se senza dubbio può formarsi e funzionare in modo permanente soltanto in pre­ senza di determinate circostanze, soltanto grazie ad una spe­ cifica struttura dell'intero campo sociale e in una fase assai avanzata della monopolizzazione. Dunque, nel corso di un meccanismo di monopolizzazio­ ne possiamo distinguere due grandi fasi, a quanto ci è possi­ bile giudicare al livello attuale della nostra esperienza: pri­ mo, la fase della libera concorrenza o delle lotte per l'elimi­ nazione, in cui domina la tendenza all' accumulazione di chances nelle mani di pochi e infine di uno solo; questa è la fase della formazione dei monopoli. Secondo, la fase nella quale il potere di disporre di chances centralizzate e monopo­ lizzate tende a sfuggire dalle mani del singolo per passare in quelle di un gruppo sempre piu consistente e divenire infine funzione di un consorzio di individui interdipendenti; ed è la fase in cui un monopolio relativamente «privato» diviene «pubblico». Anche nelle società in cui la divisione delle funzioni è limitata, non mancano indizi che annunciano questa seconda fase. Ma, senza dubbio, essa può svilupparsi completamente soltanto in società in cui la divisione delle funzioni è ampia e tende ad aumentare. L'intero movimento può dunque essere riassunto in una formula molto semplice. Il punto di partenza è una situazio­ ne in cui un intero strato dispone di chances monopolistiche ·

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non organizzate e in cui la loro ripartizione tra i membri di questo strato è sostanzialmente decisa dalla libera lotta e dal­ la violenza aperta; nei suoi sviluppi, tende ad una situazione in cui la possibilità di uno strato di disporre di queste chances - e piu tardi la possibilità di disporne da parte di tutti coloro che in guanto massa interdipendente ne dipen­ dono - è organizzata dal centro e garantita mediante istitu­ zioni di controllo . La ripartizione dei profitti avviene in base ad un piano orientato non già in funzione degli interessi di un singolo ma nell'ambito dei processi di divisione del lavo­ ro, cioè in funzione della collaborazione ottimale di tutti gli individui, tra loro collegati grazie alla divisione delle fun­ zwm. Questo per guanto riguarda in generale il meccanismo della concorrenza e della monopolizzazione. Ma questo sche­ ma generale trae la sua piena importanza soltanto se riferito a fatti concreti, sui quali va dimostrata la sua validità. Quando oggigiorno si parla di «libera concorrenza» e di «formazione di monopoli», di solito abbiamo davanti agli occhi determinate realtà del presente; si pensi innanzitutto alla «libera concorrenza» per le chances «economiche», alla lotta di alcuni individui o gruppi di individui condotta con i mezzi del potere economico, secondo determinate regole del gioco. Nel corso della lotta alcuni accrescono gradualmente la loro possibilità di disporre delle chances economiche annientando, sottomettendo o almeno limitando l'esistenza economica di altri. Ma questa concorrenza economica che ai nostri giorni si svolge direttamente sotto i nostri occhi non provoca una costante diminuzione del numero di coloro che lottano «fuo­ ri del monopolio», e la lenta formazione di strutture di tipo monopolistico: essa ha a presupposto - come abbiamo già accennato - l'esistenza ormai consolidata di un certo nume­ ro di monopoli. Senza le organizzazioni monopolistiche della costrizione fisica e della fiscalità, innanzitutto entro i confi­ ni di uno Stato, non sarebbe possibile limitare questa lotta per le chances «economiche» all'impiego di mezzi di potere «economico» né mantenere in vita le regole fondamentali del gioco per un periodo di tempo prolungato neppure all'inter159

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no dei singoli Stati. In altre parole, le lotte economiche e la formazione di monopoli dell'epoca moderna occupano un posto ben preciso entro un contesto storico piu ampio. E sol­ tanto tenendo presente questo piu ampio contesto, acquista pieno significato quanto abbiamo esposto circa il meccani­ smo della concorrenza e della monopolizzazione in generale . Soltanto tenendo presente il corso dello sviluppo di questi istituti monopolistici «statali» ormai ben consolidati - che soltanto in una fase di grande espansione e differenziazione consentono ad una «sfera economica» di dedicarsi in modo libero e individuale alla concorrenza e quindi alla formazio­ ne di nuovi monopoli privati - lo studioso può individuare tra la moltitudine dei singoli fatti storici il gioco dei mecca­ nismi, l' ordine, la struttura e le leggi che presiedono alla for­ mazione dei monopoli. Come si è dunque arrivati alla formazione di queste orga­ nizzazioni monopolistiche «statali»? Da quali tipi di compe­ tizione sono scaturite? In questa sede, sarà sufficiente seguire tali processi nella storia del paese in cui essi si svolsero nel modo piu lineare, e che per un lungo periodo divenne perciò il modello per l' Eu­ ropa: nella storia della Francia. Non potremo certo evitare di approfondire tutta una serie di particolari; diversamente, non si riuscirebbe a inserire nello schema generale dei pro­ cessi tutta quella somma di esperienze senza delle quali esso apparirebbe vuoto, cosi come caotica apparirebbe questa somma di esperienze se non se ne individuassero l' ordine e le strutture.

I primi antagonismi nello spazio della monarchia Conformemente alle leggi che regolano il meccanismo della monopolizzazione, era altamente probabile che presto o tardi nell' antico territorio dei franchi occidentali una delle grandi dinastie rivali di guerrieri acquisisse una posizione di supremazia e infine di monopolio, e che le numerose piccole signorie territoriali feudali finissero per fondersi in un'uni­ ca, grande unità di dominio . 160

Gc11csi sociale dello Stato

All'inizio, era invece meno probabile o almeno non garan­ tito che proprio una determinata dinastia, quella dei Capetin­ gi, uscisse vittoriosa dalla lunga serie di lotte per l' eliminazione dei rivali e desse quindi l' avvio al meccanismo monopolistico, anche se potrebbe essere abbastanza facilmente individuata tutta una serie di fattori che ne favorirono l'ascesa rispetto alle altre . Si può affermare che soltanto nel corso della Guerra dei Cent'anni venne risolto il problema se sarebbero stati i discen­ denti dei Capetingi o quelli di un' altra dinastia a dar vita ai monopoli e divenire cosi signori centrali del nascente Stato . Non è certo di poca importanza tracciare una distinzione tra questi due ordini di problemi: da un lato il problema genera­ le della formazione dei monopoli e dello Stato, dall' altro quello piu particolare della conquista e del consolidamento dell' ege­ monia proprio ad opera di questa particolare dinastia di guer­ rieri . Intendiamo occuparci piu del primo di questi problemi che del secondo. Abbiamo già illustrato il primo passo verso questa forma· zione di monopoli che, dopo il forte livellamento dei rappor!i di proprietà, si prolunga fino al X e perfino all'XI secolo. E ancora una monopolizzazione nell' ambito di un territorio. Le prime lotte per l' eliminazione sono infatti combattute entro questo ambito ristretto, ed è dapprima qui che l'equilibrio si sposta infine a favore di un singolo signore. Una casa - è sem­ pre una casa, una famiglia l'unità sociale che si impone, giam­ mai un singolo individuo - riesce e conquistare con le armi tanta terra che gli altri non sono piu in grado di misurarsi con essa né sul piano militare né economico. Fino a che tale possibi­ lità ancora sussiste, anche il rapporto feudale è ancora piu o meno nominale . Ma mutando l'equilibrio delle forze sociali tale rapporto acquista una nuova realtà. Si stabiliscono nuovi legami di dipendenza, anche se tale dipendenza di molte fami­ glie di guerrieri da una famiglia divenuta ormai di fatto la piu potente del territorio non ha ancora acquistato, data la man­ canza di un efficace apparato centrale, quella continuità né quel carattere che assumerà piu tardi nel quadro del regime assolutistico . Il rigore con cui questo meccanismo di monopolizzazione opera è sottolineato dal fatto che, piu o meno nello stesso perio161

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do, processi analoghi stanno verificandosi in tutti i territori del regno franco occidentale. Luigi VI, duca di Francia e nominalmente re di tutto il territorio è, come già si è detto, soltanto un rappresentante di questa fase della monopolizza­ zione, uno tra gli altri. Osservando la carta della Francia nel periodo intorno al 1032, notiamo come il territorio sia politicamente suddiviso in un gran numero di signorie territoriali piu o meno vaste 1 1 • Certamente quella che vediamo non è ancora la Francia che oggi conosciamo. Questa Francia in divenire, ossia per il momento il territorio dinastico dei franchi occidentali, è limitata a sud dal Rodano; Arles e Lione non ne fanno parte in quanto sono comprese nel regno di Borgogna; piu a nord, anche la regione odierna di Toul, Bar le Due e Verdun come pure quella di Aquisgrana, e ancora Anversa e piu oltre l' Olanda appartengono al regno di Lorena. I confini tradi­ zionali del territorio dinastico dei franchi occidentali a est e a nord passavano nettamente all' interno della Francia odier­ na. Ma a quell'epoca né questo confine del regno capetingio nominale né quelli delle minori unità politiche al suo interno avevano già la funzione o la solidità degli odierni confini tra Stati. Certe particolarità geografiche, come valli fluviali e montagne, insieme alle differenze linguistiche e alle tradizio­ ni locali, davano tuttavia una certa stabilità a questi confini . Ma poiché ogni territorio grande o piccolo era proprietà pri­ vata di una famiglia di guerrieri, erano le vittorie o le scon­ fitte, i matrimoni, gli acquisti o le vendite di terre di queste famiglie a determinare in primo luogo i confini di una unità signorile ; pertanto il potere di comando su un determinato territorio era soggetto a numerose fluttuazioni. Procedendo verso nord, troviamo innanzitutto al confi­ ne settentrionale della contea di Barcellona, cioè a nord dei Pirenei, il ducato di Guascogna che si estendeva fino alla regione di Bordeaux, e la contea di Tolosa; quindi, per !imi­ tarci alle signorie maggiori, il ducato di Guyenne, vale a dire l' Aquitania, poi il ducato d'Anjou (patria d'origine della seconda dinastia reale anglo-francese), le contee di Troyes, 11

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A. Longnon, Atlas historique de la France, Paris, 1 88 5 .

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Vermandois, delle Fiandre e infine, circondato dal territorio normanno , dalle contee di Blois, di Troyes e altre, il piccolo territorio dei Capetingi, il ducato di Francia. Abbiamo già spiegato come questo dominio dei Capetingi, al pari del resto delle altre signorie territoriali, non costituisse una vera unità nel senso geo-politico o militare del termine; esso si componeva di due o tre territori maggiori collegati, l'Isle de France, il Berry e la regione di Orléans, e di altri possedi­ menti minori nel Poitou, al sud e in moltissime altre regioni della Francia, che erano pervenuti in un modo o nell' altro in possesso dei Capetingi 1 2 • All'epoca di Luigi VI, dunque, nella maggior parte di questi territori una determinata casa grazie all' accumulazio­ ne di terre ha acquistato di fatto una posizione di suprema­ zia sugli altri signori. Tra queste case principesche e le stirpi aristocratiche minori dimoranti all'interno delle signorie ter­ ritoriali, le lotte si riaccendono di continuo, lasciando tracce ancora per lungo tempo. Ma per le piccole dinastie feudali le possibilità di opporre una resistenza vittoriosa sono ormai ridotte, e nel corso del­ l'XI secolo diviene a poco a poco evidente la loro dipendenza dal signore feudale o territoriale. Ormai è ben difficile che la supremazia di tipo monopolistico delle dinastie principesche possa essere scossa. Pertanto, a partire da quest'epoca la società è nettamente caratterizzata dalle lotte tra queste dinastie principesche per conquistare la supremazia entro i confini di un territorio piu vasto. Per coloro che vi parteci­ pano, queste lotte hanno lo stesso carattere di inevitabilità delle lotte della fase precedente: se uno dei vicini accresce i suoi domini e diventa quindi piu potente, l' altro corre il rischio di essere sopraffatto o di diventare suo dipendente; e per non soggiacere a questa sorte dove operare nuove con­ quiste. Se in un primo tempo le campagne di colonizzazione e le guerre d'espansione verso l'esterno riuscirono entro cer­ ti limiti ad alleggerire la tensione all'interno, tale tensione andò aggravandosi quanto minori divennero le possibilità di un' ulteriore espansione all'esterno. Da questo momento in 12

A . Luchaire, l listoire des institutions monarchiques . . , ci t . , vol. I, p. 90. .

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poi, il meccanismo di interdipendenza della libera competi­ zione operò all'interno di una cerchia piu ristretta, vale a dire tra quelle famiglie di guerrieri che erano diventate le dinastie centrali di un territorio. La spedizione in Inghilterra dei duchi di Normandia, come abbiamo detto, fu una delle campagne espansionistiche tipiche di questo periodo, una tra le tante. Anch'essa fu il prodotto di quella universale fame di terre che tormentava una popolazione in aumento, soprattutto i guerrieri. Ma questo arricchimento del duca di Normandia, questo accrescimento dei suoi mezzi militari e finanziari di potere costitu{, nello stesso tempo, un grave perturbamento del­ l' equilibrio fino allora esistente tra i signori territoriali di Francia. Esso non fu immediatamente avvertito in tutta la sua gravità; infatti il conquistatore dovette impiegare molto tempo per organizzare la sua nuova signoria . Anche dopo che vi fu riuscito, data la scarsa interdipendenza esistente tra i territori franchi occidentali, la minaccia proveniente da questo accresciuto potere dei duchi di Normandia in un pri­ mo tempo fu avvertita piu nei territori immediatamente con­ finanti con la Normandia, vale a dire nella Francia setten­ trionale, che in quelli piu a sud. Tuttavia esisteva, e ne fu piu direttamente colpita la dinastia che tradizionalmente rivendicava la supremazia nei territori orientali confinanti con la Normandia, ossia la dinastia dei C apetingi, duchi di Francia. Non è affatto improbabile che la minaccia rappre­ sentata dal suo piu forte vicino sia stata per Luigi VI un potente stimolo all'impresa perseguita per tutta la vita con energia e tenacia: quella di rafforzare la propria supremazia e di sconfiggere ogni possibile rivale all'interno del proprio territorio. Il fatto che egli, re di nome e signore feudale del territo­ rio franco occidentale, fosse in realtà a causa delle modeste dimensioni dei suoi domini assai piu debole del suo vassallo e vicino, che ora in quanto signore d' Inghilterra portava anch'egli una corona di re, risulta evidente da ciascuno degli scontri che i due ebbero. Grazie alla conquista di questo territorio insulare, Guglielmo il Conquistatore ebbe la possibilità di mettere in 164

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piedi un'organizzazione di dominio centralizzata abbastanza forte per l'epoca. Egli riparti il paese conquistato in modo tale da rendere pressoché impossibile la formazione di casati pari al suo per potenza e ricchezza, di stirpi in grado di riva­ leggiare con lui. L' apparato amministrativo del sovrano inglese, per l'epoca, era estremamente progredito: esisteva perfino un ufficio particolare destinato alla raccolta di fondi. Già l'esercito con il quale Guglielmo il Conquistatore aveva stabilito la sua signoria sull'isola constava soltanto in parte del suo seguito di vassalli; per l' altra parte, invece, era composto di cavalieri mercenari, spinti anch'essi dal deside­ rio di ottenere nuove terre. Dopo la conquista, il signore di Normandia poté disporre di un tesoro abbastanza cospicuo da consentirgli di mantenere dei guerrieri al suo soldo; anche prescindendo dall'entità del seguito di v assalii, anche questo elemento conferi ai signori dell'isola una certa superiorità militare rispetto ai loro vicini del continente. Luigi VI il Grosso di Francia al pari dei suoi predecesso­ ri non poteva disporre di grandi risorse. Gli è stato rimpro­ verato di essere stato troppo avido di denaro, di aver cercato con tutti i mezzi possibili di procurarsi denaro. In verità, proprio in questo periodo come in tutti quelli in cui il denaro è relativamente raro e piu evidente appare la sproporzione tra le risorse esistenti e le necessità, il desiderio o se si pre­ ferisce la cupidigia di denaro si manifesta con particolare intensità. Ma Luigi VI si trovò realmente in gravi difficoltà rispetto ai suoi vicini, tanto piu ricchi anche sul piano finan­ ziario. In questo campo, come già in quello dell'organizza­ zione del dominio, della centralizzazione e dell'eliminazione dei possibili rivali all'interno, il regno insulare diede un esempio che i signori continentali dovettero seguire per non essere esclusi dalla lotta per la supremazia. Agli inizi del XII secolo, dunque, la dinastia capetingia in un primo tempo era nettamente piu debole della dinastia rivale che regna su terre ed uomini al di là del mare. In tutte le lotte intraprese contro il rivale inglese Luigi VI fu dunque sconfitto, anche se l' Inglese non riusd a penetrare nel ducato di Francia. Data questa situazione , il sovrano di Francia dovette limitarsi ad allargare le basi del suo potere, i 165

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suoi domini dinastici, e ad annientare l' opposizione dei feu­ datari minori entro i suoi territori. In certo qual modo, pre­ parò cosi la sua dinastia a quella grande lotta secolare per la supremazia nel territorio dinastico franco occidentale, nel corso della quale una parte sempre maggiore di questo terri­ torio si riuni in un unico blocco di dominio nelle mani di un'unica dinastia di guerrieri; da quel momento, tutte le ten­ sioni interne si innestarono nella lotta tra i sovrani dell' Isle de France e quelli d'Inghilterra per la conquista della corona di Francia. Allorché la dinastia di Guglielmo il Conquistatore si estinse, il suo posto nella lotta contro i C apetingi per la supremazia fu preso dalla casa dei Plantageneti. Essi erano originari dell'Anjou u, un territorio anch'esso confinante con il ducato di Francia. La loro ascesa avvenne pressappoco nello stesso periodo di quella dei C apetingi e piu o meno con le stesse modalità. Come nel ducato di Francia sotto Filippo I, anche nel vicino Anjou il potere effettivo del conte rispet­ to ai suoi vassalli era divenuto assai ridotto sotto Foulque. Come il figlio di Filippo I, Luigi VI il Grosso, anche il figlio di Foulque, Foulque il Giovane, e il figlio di costui, Goffre­ do Plantageneto, schiacciarono a poco a poco i medi e piccoli feudatari del loro territorio e crearono cosi le basi per un'ulteriore espansione. In Inghilterra intanto si verificò in un primo tempo il processo inverso, che rivela sotto un diverso aspetto i mecca­ nismi di questa società di guerrieri. Quando il nipote di Guglielmo il Conquistatore, Enrico I, mori senza lasciare eredi maschi, Etienne di Blois, figlio di una figlia di Gugliel­ mo, rivendicò per sé il trono d ' Inghilterra. Ottenne il rico­ noscimento da parte dei feudatari secolari e della Chiesa, ma egli stesso non era che un medio signore feudale normanno: i suoi domini personali, il potere dinastico sul quale doveva appoggiarsi erano limitati. Pertanto si trovò abbastanza impotente di fronte agli altri guerrieri e anche di fronte al clero del suo territorio. Ben presto, dopo l' ascesa al trono si l) Ch. Petit-Dutaillis, La monarchie féodale en France et en !lngleten·e, Paris, 1 9 3 3 , pp. 109 ss.

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assistette ad una disintegrazione della sua autorità sull'isola. I signori feudali costruivano un castello dopo l'altro, conia­ vano moneta propria, riscuotevano imposte nei propri terri­ tori, insomma rivendicavano ormai tutti i mezzi di potere che fino a quel momento erano stati monopolio dei sovrani normanni in virtu della loro superiore forza sociale. Inoltre Etienne di Blois commise una serie di imprudenze che gli alienarono soprattutto le simpatie della Chiesa - impruden­ ze che forse avrebbe potuto permettersi un sovrano piu forte di lui, non uno che aveva bisogno dell' aiuto altrui. E questo giovò ai suoi rivali. Come rivali si fecero avanti i conti d'Angiò . Goffredo Plantageneto aveva sposato la figlia dell'ultimo re anglo-nor­ manno; inoltre possedeva sufficiente potere per appoggiare le rivendicazioni che avanzava sulla base di questo matrimo­ nio. A poco a poco prese piede in Normandia. Suo figlio, Enrico Plantageneto, seppe riunire sotto la propria sovranità il Maine, l'Anjou, la Tourenne e la Normandia, e, forte della potenza raggiunta, poté intraprendere la riconquista del ter­ ritorio inglese che era stato conquistato da suo nonno . Nel 1 1 53 attraversò la Manica, nel 1 1 54, all'età di 22 anni, divenne re e, grazie sia ai suoi mezzi militari e finanziari sia alla sua personale energia e alle sue qualità, creò un regno fortemente centralizzato. Due anni prima, grazie al suo matrimonio con l' erede dell'Aquitania, era divenuto signore anche di questo territorio della Francia meridionale . Cosi al territorio inglese poté aggiungere anche un dominio sul continente, rispetto al quale quello della dinastia capetingia appariva assai limitato. Restava ancora aperta la decisione sui territori franchi occidentali: se sarebbero cioè toccati all'Isle-de-France o all' Anjou . La stessa Inghilterra, essendo un paese conquistato, in un primo tempo fu piu oggetto che soggetto politico 14 • Era cioè considerata - se si vuole - un territorio semicoloniale inserito nel blocco ancora poco com­ patto dei territori franchi occidentali. Il quadro della spartizione del dominio di questo periodo rammenta un po' alla lontana quello attuale dell'Asia orien1 4 A. Cartellieri, Philipp II August und der Zusammenbruch des angevinischen Reiches, Leipzig, 1 9 1 3 , p . l .

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tale: un territorio insulare relativamente ridotto e un domi­ nio assai piu vasto sul continente sono ora in potere di una sola casa. Ne fa parte anche l' intera regione meridionale del­ l'antico regno capetingio. Non fa invece parte della signoria dei Plantageneti la contea di B arcellona; i suoi signori, impe­ gnati in un analogo movimento espansionistico e fondando anch'essi le loro rivendicazioni su un matrimonio, sono diventati re d'Aragona. A poco a poco, e all'inizio in modo quasi impercettibile, si stanno staccando dal blocco dei terri­ tori franchi occidentali. Un altro territorio a sud non fa parte del dominio anglo­ angioino - a parte una piccolissima signoria ecclesiastica cioè la contea di Tolosa; i suoi signori, al pari di altri signori minori a nord dell'Aquitania, cominciano a riavvicinarsi data la minaccia rappresentata dal regno angioino - alla dinastia che costituisce il centro delle forze rivali, cioè ai C apetingi. Le leggi che operano in questi sistemi di equilibri sono sempre le stesse; la modalità della loro azione in questo limitato settore del blocco territoriale franco occidentale non è differente da quella che determina la politica degli Sta­ ti nell' Europa moderna e, a quanto risulta, in tutto il mon­ do : fino a quando uno Stato non ha acquistato una suprema­ zia assoluta - tale cioè da non lasciare libertà d' azione ai rivali e da permettergli di assumere quindi una posizione di tipo monopolistico in questo sistema di equilibri - gli altri Stati di grandezza inferiore cercano a loro volta di formare un blocco, che, col concorso delle loro forze riunite, possa aspirare anch'esso alla supremazia. Ma la formazione di un blocco ne provoca un'altra; e per quanto questo gioco possa prolungarsi, il sistema nel suo complesso tende tuttavia a radunare territori sempre piu vasti attorno ad un centro, per concentrare il potere decisionale in un numero sempre mino­ re di unità e, alla fine, in un unico centro. L'espansione perseguita dal duca di Normandia provocò la creazione di un blocco che, in un primo tempo, spostò l'equilibrio in suo favore, soprattutto nel nord della Francia. La casa d'Angiò ne trasse profitto per la propria espansione e fece un altro passo avanti; il blocco creato dal regno angioi­ no mise in crisi l'equilibrio in tutto il terri torio franco occi168

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dentale. Anche se questo blocco era ancora poco solido, anche se l' apparato centralizzatore di dominio in esso era ancora ai suoi inizi, il movimento che spingeva una casa dopo l' altra, sotto la pressione della comune fame di terra, a coalizzarsi o a cercare di conquistare «piu» terra, si manife­ stò in modo assai evidente in queste formazioni di blocchi. A eccezione delle regioni meridionali, tutto l'occidente della Francia faceva adesso parte dell'ambito di dominio dei Plan­ tageneti. Formalmente, il re d' Inghilterra era vassallo dei re C apetingi per questi territori del continente, ma il «diritto» vale poco se non è sorretto da un 'adeguata forza sociale. Quando nel 1 1 7 7 il successore di Luigi VI, Luigi VII duca di Francia, un uomo ormai vecchio e stanco, ebbe un incontro con il rappresentante della dinastia rivale, il giova­ ne re d'Inghilterra Enrico II, gli disse: Oh re, dopo l'inizio del vostro regno e anche prima avete commesso molti oltraggi contro di me, calpestando la fedeltà che mi dovete e l'omaggio che mi avevate reso; e di tutti questi oltraggi il piu grave, il piu palese è stata l'indebita usurpazione dell' Auvergne, che detenete a danno della corona di Francia. Certamente, la vecchiaia che mi incalza mi priva della forza di riconquistare quella terra ed altre; ma davanti a Dio, davan­ ti ai baroni del regno e nostri fedeli, protesto pubblicamente per questa violazione dei diritti della mia corona, e segnatamente per l' Auvergne, Berry e Chateauroux, Gisors e Vexin normanno e supplico il Re dei Re che mi ha dato un erede di accordare a lui ciò che a me ha negato 1 5 .

I l Vexin - una sorta d i Alsazia-Lorena normanna - era la contestata regione di frontiera tra il dominio dei C apetin­ gi e quello normanno dei Plantageneti. Piu a sud il confine tra i due domini passava per il Berry. Evidentemente, i Plan­ tageneti erano già abbastanza forti da potersi annettere par­ te del dominio dei C apetingi. La lotta per la supremazia tra Capetingi e Plantageneti era ormai in pieno sviluppo; ma il sovrano del dominio angioino per il momento era assai piu forte del duca di Francia. Pertanto le richieste rivolte dal C apetingio al rivale era­ no in fondo assai modeste: voleva sostanzialmente rientrare in possesso di alcune regioni che considerava parte integran15 Cfr. A. Longnon, La formation de l'unité française, Paris, 1922, p. 98.

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te del suo dominio . Per il momento, non poteva certamente pensare a qualcosa di piu, troppo consapevole com'era del prestigio della signoria angioina e dei limiti della propria. Facendo un paragone con il rivale, dichiarò un giorno : «Noi Francesi abbiamo soltanto del pane e del vino, e ce ne accontentiamo». Ma, come si è detto, queste formazioni di dominio non avevano ancora grande solidità. Erano in effetti «imprese private», e al pari di queste erano subordinate alle leggi sociali della competizione e determinate in larga misura dalle capacità personali del loro detentore, dalla sua età, dalla pre­ senza o meno di successori e da analoghi fattori personali. Successivamente, invece, per analoghe formazioni la perso­ nalità del signore non fu piu sufficiente a mantenere compat­ te unità piu ampie; intervennero anche fattori quali una cer­ ta divisione delle funzioni, un gran numero di interessi orga­ nizzati ed un piu stabile apparato di dominio. Nel 1 1 89 ancora una volta un Capetingio affrontò un Plantageneto. Nel frattempo, quasi tutte le regioni contesta­ te erano rientrate in possesso della sua casa. Ma a questo punto il Plantageneto a sua volta era vecchio, mentre l' altro era piu giovane : si trattava del figlio di Luigi VII, Filippo II detto poi Filippo Augusto. Come già abbiamo detto, l'età contava parecchio in una società in cui il detentore di un dominio non poteva ancora delegare ad altri la condotta del­ la guerra, in cui molto dipendeva dalla sua iniziativa perso­ nale ed egli stesso doveva personalmente essere presente all'attacco o alla difesa . Enrico Il, un sovrano potente che ancora teneva saldamente in pugno il dominio nel suo vasto territorio, nella sua vecchiaia fu travagliato da rivolte e in piu dall'odio del figlio primogenito Riccardo, detto Cuor di Leone, il quale in qualche momento fece addirittura causa comune con il rivale C apetingio contro il proprio padre. Sfruttando la debolezza del nemico, Filippo Augusto si era ripreso l' Auvergne e le regioni del Berry reclamate dal padre. Un mese dopo che si erano incontrati a Tours Enrico II moriva, all'età di 56 anni. Nel 1 193, mentre Riccardo Cuor di Leone era prigionie­ ro, Filippo riconquistò il tanto contestato Vexin. Suo alleato 1 70

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era stato Giovanni, fratello minore di Riccardo. Questi mori nel 1 1 99. Al pari del fratello e successore Giovanni, che ben presto sarebbe stato Giovanni Senza Ter­ ra, aveva dilapidato buona parte della base stessa della loro signoria, i beni dinastici e il tesoro del padre. Di fronte a Giovanni stava ora come rivale un uomo che aveva diretta­ mente vissuto l'umiliazione e la diminuzione del potere dei Capetingi a causa dell'aumento della potenza anglo-angioi­ na. Le sue energie, spronate da tali esperienze, lo spingevano verso un unico obiettivo: piu terra, piu potere. Sempre di piu. Come prima di lui i primi Plantageneti, era addirittura ossessionato da questa bramosia. Quando, piu tardi, Gio­ vanni Senza Terra gli chiese di cedergli dietro suo compenso in denaro una parte delle terre da lui riconquistate, Filippo gli domandò se mai conoscesse qualcuno disposto a vendere le proprie terre; quanto a lui, avrebbe voluto semmai acqui­ starne ancora di piu. E a quell'epoca Filippo era ormai potente e signore di molte terre. Come si vede, non era ancora una lotta tra Stati o nazio­ ni. E non è possibile comprendere l'origine delle successive organizzazioni monopolistiche -- Stati e nazioni - se non si coglie tutta la peculiarità di questa precedente fase sociale di «iniziativa privata». Questa che analizziamo è ancora una lotta tra dinastie in competizione o rivali che, conformemen­ te al movimento generale di questa società, come piccole unità dapprima, piu grandi in seguito, si costringono recipro­ camente ad espandersi, a tendere ad un possesso sempre maggwre. L' avvenimento decisivo fu la battaglia di Bouvines, nel 1 2 1 4 , nella quale Giovanni d'Inghilterra e i suoi alleati furo­ no sconfitti da Filippo Augusto . E, come era frequente nella società di guerrieri feudali, la sconfitta nella lotta contro il nemico esterno provocò un indebolimento all'interno. Al suo ritorno in patria, Giovanni trovò i baroni e il clero in rivolta: chiedevano la Magna Charta. Per Filippo Augusto, invece, la vittoria contro il nemico esterno significò nello stesso tempo un rafforzamento del potere all'interno dei suoi domini. Come eredità, Filippo Augusto aveva ricevuto dal padre 171

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sostanzialmente i piccoli territori di Parigi, Orléans e alcune parti del Berry. Egli vi aggiunse - per nominare soltanto alcune delle sue conquiste piu significative - la Normandia, che a quel tempo era una delle piu vaste e ricche regioni di tutto il regno, i territori dell' Anjou, del Maine, della Tourai­ ne, buona parte del Poitou e della S aintonge, l'Artois, il Valois, il Vermandois, la regione di Amiens e buona parte del territorio del Beauvais. «Il signore di Parigi e di Orléans è diventato il piu grande signore territoriale della Francia settentrionale» 16, e ha fatto della «dinastia capetingia la pio ricca della Francia» 1 7 • I suoi domini avevano raggiunto gli sbocchi sul mare. Con l' aumento della sua potenza, era cre­ sciuta anche la sua influenza su altri territori della Francia settentrionale, in Fiandra, nella Champagne, nella Borgogna e nella Bretagna. E anche a sud disponeva già di considere­ voli domini. Tuttavia questo regno capetingio non era ancora un ter­ ritorio compatto. Tra l' Anjou e la regione di Orléans si estendeva ancora la signoria dei conti di Blois . A sud, le regioni costiere attorno a S aintes e piu a est l' Auvergne non avevano quasi collegamenti con i territori settentrionali. Ma questi territori, cioè l' antico dominio dinastico, costituivano già insieme con la Normandia e le altre regioni di recente conquistate a nord fin oltre Arras, un blocco abbastanza compatto anche soltanto sotto il profilo geografico. Inoltre, Filippo Augusto non aveva ancora come obietti­ vo la «Francia» quale noi l'intendiamo oggi, e la sua autorità effettiva non si stendeva ancora su di essa. Due scopi soprat­ tutto aveva perseguito : ingrandire sul piano territoriale, militare ed economico i suoi domini dinastici, e schiacciare il rivale piu pericoloso, il Plantageneto; e li aveva raggiunti entrambi. Alla morte di Filippo, quindi, i territori sotto la signoria dei Capetingi erano pressoché quadruplicati rispetto al periodo della sua ascesa al trono. Invece i Plantageneti, che fino allora erano vissuti piu sul continente che sull'isola, e la cui amministrazione era composta tanto da normanni 16 17

220.

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A. Luchaire, Louis VII, Philipp Augustus, Louis VIII, Paris, 190 1 , p. 204. Ch. Petit-Dutaillis, Etudes sur la vie et le règne de Louis VIII, Paris, 1 899, p.

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continentali e da abitanti degli altri territori continentali in loro possesso quanto da isolani, sul continente ormai dispo­ nevano soltanto di una parte dell'antica Aquitania, la regio­ ne a nord della parte centrale e occidentale dei Pirenei e lun­ go la costa fino alla foce della Gironda, che era chiamata ducato di Guyenne; possedevano inoltre alcune isole dell' ar­ cipelago normanno. L'equilibrio si era ora spostato a loro svantaggio : il loro potere era diminuito, ma grazie ai domini insulari resisteva ancora. Qualche tempo dopo, anzi, l'equili­ brio sul continente si spostò nuovamente a loro vantaggio : dunque l'esito della lotta per l'egemonia nei territori dinasti­ ci franchi occidentali era ancora incerto. Sembra che Filippo Augusto abbia considerato come suoi rivali principali, oltre al Plantageneto, i conti di Fiandra; in questa regione esisteva in effetti un altro centro di potere, come dimostrerà in segui­ to la storia di Francia. Sembra che una volta Filippo abbia affermato : «0 la Francia diviene fiamminga o la Fiandra diviene francese». Evidentemente era consapevole della posta in gioco nelle lotte tra questi pochi grandi signori terri­ toriali: la supremazia o la perdita dell'indipendenza. Tutta­ via non poteva ancora prevedere se tale supremazia sarebbe stata conquistata dalla Fiandra o dalla Francia. In un primo tempo, i successori di Filippo Augusto si attengono alla via da lui tracciata: cercano cioè di consolida­ re l'accresciuta signoria e di ampliarla ulteriormente. I baro­ ni di Poitou subito dopo la morte di Filippo Augusto si riac­ costano ai Plantageneti. Luigi VIII, figlio di Filippo Augu­ sto, rafforza ancora una volta la sua autorità su questo terri­ torio e cosi pure su Saintonge, Aunis e il Languedoc, su una parte della Piccardia e sulla contea di Perche . Comincia cosi - in parte sotto forma di guerra di religione, vale a dire di lotta contro l'eresia degli Albigesi - l'avanzata dei Capetingi verso sud, verso i territori dell'unico grande signo­ re che oltre ai Plantageneti potesse misurarsi con la potenza capetingia: i territori sotto la signoria del conte di Tolosa. Il capetingio successore di Luigi VIII, cioè Luigi IX il Santo, deve ancora una volta difendere i domini cosi rapi­ damente accresciuti da ogni sorta di attacchi dall'interno e dall'esterno; tuttavia non si limita a questo e aggiunge ai 173

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propri domini parti della Linguadoca a nord dei Pirenei orientali e altri territori minori. Filippo III l'Ardito conqui­ sta a sua volta la contea di Guines tra C alais e S . Omer, che tuttavia dodici anni piu tardi torna all'erede del conte; grazie ad acquisti o promesse di protezione si impadronisce di tutti i piccoli domini circostanti e prepara l'incorporazio­ ne della Champagne e del grande territorio di Tolosa nel­ l' ambito di dominio della sua dinastia. Ormai in tutto il regno franco occidentale non vi è piu un solo signore territoriale che possa misurarsi da solo con i C apetingi, a parte i Plantageneti. Questi, a loro volta, dedi­ cano non minore impegno dei C apetingi ad estendere i pro­ pri domini. Sul continente la loro signoria si è di nuovo ampliata assorbendo il ducato di Guyenne. Al di là del mare essi hanno sottomesso il Galles e sono in procinto di conqui­ stare la Scozia. Hanno ancora insomma certe possibilità di espandersi senza entrare direttamente in conflitto con i C apetingi. Questi, a loro volta, hanno spazio per espandersi in altre direzioni. Nello stesso periodo, infatti, sotto Filippo il Bello la loro dominazione si estende fino ai confini del­ l' Impero romano-germanico, vale a dire da una parte fino alla Mosa, che a quel tempo era solitamente considerata come il confine naturale e anzi - rammentando la spartizio­ ne dell'Impero carolingio nell' 843 - tradizionale del regno franco occidentale; dall' altra parte, piu a sud, si stende fino al Rodano e alla S aona, cioè fino alla Provenza, al Delfinato e alla contea di Borgogna, tre territori che non facevano ugualmente parte del tradizionale regno franco occidentale . Filippo con il suo matrimonio ottiene anche la Champagne e la Brie con molti territori annessi, che in parte rientravano nel S acro Romano Impero germanico. Toglie inoltre al conte di Fiandra le signorie di Lilla, Douai e Béthune a nord, e ai conti di Blois le contee di Chartres e la signoria di Beaugen­ cy. Infine si impadronisce delle contee di Marche e Angoulè­ me, dei domini ecclesiastici di C ahors, Mende e Puy e piu a sud della contea di Bigorre e della viscontea di Soule. I suoi tre figli, Luigi X, Filippo V e C arlo IV, muoiono l'uno dopo l' altro senza lasciare eredi maschi; i domini dina­ stici e la corona dei Capetingi toccano allora al discendente 1 74

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di un cadetto della dinastia, cui era stata data in appannag­ gio la contea di Valois. Fino a questo momento, nel corso di varie generazioni l'obiettivo fisso era sempre stato quello di accumulare terre. Qui ci limitiamo forzatamente a riassumere i risultati degli sforzi compiuti in tale direzione . Tuttavia anche solo questa rapida ricapitolazione, anche solo i nomi delle varie regioni che abbiamo nominato e che furono conquistate passo dopo passo, consentono già di farsi un'idea delle continue lotte, aperte o dissimulate, combattute tra le varie case principe­ sche; nel corso di queste lotte una dinastia dopo l' altra, sopraffatta da una piu forte, soccombe. Anche se non viene in luce interamente tutta l' importanza di questi casati, essi ci danno tuttavia un'immagine precisa dei potenti impulsi che nella particolare situazione della dinastia capetingia operaro­ no sempre in una stessa direzione, a opera d'individui cosi dissimili. Osservando la carta della Francia quale si presentava alla morte di C arlo IV, l'ultimo dei C apetingi che sia salito al trono per successione diretta, ecco quanto vediamo: il gran­ de complesso francese dei domini capetingi - vale a dire, il complesso raggruppato direttamente attorno al ducato di Francia - si estende dalla Normandia a occidente fino alla Champagne a oriente, e a C anche a nord; l'Artois, situato ancora piu a nord, è stato assegnato in appannaggio ad un membro della dinastia. Piu a sud, rientra nei domini ammi­ nistrati direttamente dai principi di Parigi la contea di Poi­ tiers, da essi separata dal territorio dell' Anjou dato in appan­ naggio; ancora piu a sud, ne fanno parte anche la contea di Tolosa e alcune parti dell'antico ducato di Aquitania. Si trat­ ta nell' insieme di un complesso di terre assai considerevole, tuttavia non è ancora un territorio compatto; ha ancora l' aspetto tipico di un dominio territoriale dinastico, le cui singole parti sono tenute insieme non tanto da legami di reci­ proca dipendenza, da una qualsivoglia divisione di funzioni, ma dalla persona del loro detentore, da una >, i suoi moti pulsionali . Lo strato delle funzioni psichiche che nel corso dei mutamenti sociali da noi illustrati assume spicco rispetto ai moti pulsionali, le funzioni dell'Io e del Super-Io in altre parole si vedono assegnato all'interno dell'economia psichica un duplice compito: esercitano nello stesso tempo una politica interna e una politica esterna che in generale non sono sempre in accordo tra loro, anzi sono spes­ so in disaccordo. A questo modo, dunque, si spiega il fatto che nei periodi storico-sociali in cui la razionalizzazione pro­ gredisce in modo sensibile si può osservare anche un progre­ dire della soglia del pudore e della ripugnanza. Si spiega altresi il fatto che ancor oggi - in armonia con la legge fondamentale della sociogenesi - nella vita di ogni bambino si può osservare un processo analogo: la razionalizzazione del comportamento è espressione della politica estera di 379

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quello stesso Super-Io la cui politica interna è espressa dalla progressione della soglia del pudore. Da questo punto si possono dipartire molti filoni di pen­ siero. Resta da dimostrare in che modo questa accentuata differenziazione dell'economia psichica si esprima poi in una mutata conformazione delle singole pulsioni istintuali; e resta soprattutto da mostrare come essa conduca ad una tra­ sformazione degli impulsi sessuali e ad un piu forte senso del pudore nei rapporti tra uomo e donna 2 0 • Per ora, bisognerà accontentarsi di indicare le linee piu generali di collegamen­ to che, dai processi sociali illustrati sopra, conducono a que­ sto avanzamento della soglia del pudore e della ripugnanza. 20 Questo problema particolare per quanto importante è stato per il momento messo da parte. Per essere risolto richiederebbe un'esposizione ed un' accurata analisi delle trasformazioni che nel corso della storia occidentale si sono verificate nella struttura della famiglia e del rapporto sessuale nel suo complesso. Richiede­ rebbe inoltre un esame delle modificazioni intervenute nell'educazione dei bambi­ ni e nella formazione degli adolescenti. I documenti raccolti anche in questo setto­ re per chiarire il processo di civilizzazione e le analisi che essi consentono sono troppo abbondanti ed ampi: c'era il pericolo di oltrepassare i limiti posti al presen­ te lavoro, e troveranno quindi posto in un altro lavoro. La stessa precisazione vale anche per lo studio del processo di civilizzazione tra le classi medie, per la trasformazione nello stess9 senso degli strati urbano-borghe­ si e della nobiltà di campagna non curializzata. E certo che anche in questi strati la trasformazione del comportamento e della struttura delle funzioni psichiche si ac­ compagna ad uno specifico mutamento storico dell 'intera struttura del tessuto so­ ciale in Occidente; tuttavia è molto facile distinguere - come piu volte è stato ri­ levato in precedenza - lo schema della linea di civilizzazione degli strati medi non curializzati da quello degli strati curializzati. Nei primi, la trasformazione della sessualità è differente che nei secondi, in parte a causa della differente struttura della famiglia e in parte a causa della piu accentuata necessità di previsione impo­ sta dalle stesse funzioni professionali degli strati medi. Uguali conclusioni si rag­ giungono quando si esamina la trasformazione civilizzatrice della religione occi­ dentale. La stessa trasformazione civilizzatrice del sentimento religioso che ha su­ scitato il maggior in teresse fino acl oggi tra i sociologi, ossia la spinta all'interioriz­ zazione e alla razionalizzazione che si manifesta nei diversi movimenti puritano­ protestanti, è senza duhbio legata strettamente a certe variazioni intervenute nella situazione e nella struttura degli strati medi. La corrispondente trasformazione ci­ vilizzatrice del cat tolicesimo, che ad esempio si rileva dalla creazione dell'Ordine dei Gesuiti e dalla posizione eli potere da esso assunta, sembra avvenire, favorita anche dalla struttura gerarchica e centralistica della Chiesa cattolica, in stretto contatto con gli organi centrali del potere assolutistico. Anche questi problemi po­ tranno essere risolti soltanto quando sarà stata acquistata una piu precisa cono­ scenza delle interazioni ed opposizioni tra la linea della civilizzazione degli strati medi non curializzati e quella degli strati curializzati, per non parlare poi del piu lento e assai piu tardivo movimento di civilizzazione verificatosi tra gli strati ope­ rai e contadini.

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Anche nella piu recente storia occidentale i sentimenti di pudore non si inseriscono certamente sempre allo stesso modo nell'economia psichica. Questo tipo di inserimento ­ per !imitarci ad indicare soltanto una differenza - non è ad esempio uguale nella società corporativo-gerarchica e nella successiva società borghese- industriale . Gli esempi forniti sopra, e soprattutto quelli che illustra­ no la differente evoluzione del senso del pudore a proposito di certe nudità 2 1 , consentono di farsi una certa idea di tali trasformazioni . Nella società di corte, il pudore collegato all'esibizione di certe parti del corpo è ancora ampiamente limitato - conformemente alla struttura di questa società - a certe considerazioni sociali o gerarchiche. L'atto di denudarsi davanti ad un inferiore da parte di un superiore ad esempio di un re in presenza del suo ministro - ovvia­ mente non è ancora soggetto ad un rigoroso divieto sociale, cosi come in una fase ancora precedente non lo era il denu­ darsi di un uomo davanti ad una donna, considerata social­ mente piu debole e quindi di rango inferiore; nell'uomo, per la sua minor dipendenza funzionale da persone di rango infe­ riore, ciò non suscita nessun senso di inferiorità o di imba­ razzo; addirittura, come dice Della Casa, può essere conside­ rato un segno di benevolenza verso gli inferiori. Invece il denudarsi di un uomo di rango inferiore in presenza di un superiore, o anche di persone dello stesso rango, viene sem­ pre piu bandito dai rapporti sociali, in quanto è segno di una mancanza di rispetto: viene bollato come infrazione grave e caricato quindi di angosce. Soltanto quando crollano le bar­ riere tra i ceti, quando la dipendenza funzionale di tutti da tutti si rafforza e tutti i membri della società acquistano una maggiore uguaglianza reciproca, soltanto allora il denudarsi in presenza di altri, al di fuori di una cerchia ristretta e ben precisa, viene progressivamente considerato un'offesa; sol2 1 La civiltà delle buone maniere, cit . , pp. 257 ss. Sul problema universale del sentimento del pudore, cfr. anche «The Spectaton>, V ( 1 807), n. 3 7 3 : ­ sa di essere il centro del condizionamento sociale . Ormai l 'arricchimento e la professione costituiscono la piattaforma principale delle costrizioni sociali che condizionano gli indi­ vidui; e la maggior parte degli atteggiamenti che nella società di corte formavano la base dell'esistenza, ed erano pertanto accuratamente studiati, viene relegata nella società borghese in una sfera che per la posizione sociale degli uomini è deter­ minante soltanto indirettamente ed è posta in secondo pia­ no . Le forme della socialità, l' ambientazione della casa, l' eti­ chetta che regola le visite o il rituale del mangiare sono ormai relegate nella sfera della vita privata. Mantengono la loro funzione determinante soprattutto in quell'unità sociale nella quale, nonostante l'ascesa degli elementi borghesi, cer­ te formalità proprie della società aristocratica si sono conser­ vate piu a lungo e con maggiore vitalità: in Inghilterra. Tut­ tavia, anche nell' amalgama peculiare che si è formato grazie 393

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all'interazione tra modelli di comportamento aristocratici e borghesi, emergono sempre piu marcatamente certi tratti propri del ceto medio borghese. In ogni caso, in tutte le società occidentali con il declino dell' autentica aristocrazia - in qualsiasi epoca o sotto qualsiasi forma sia avvenuto si sviluppano in modo sempre piu marcato e diretto quei modi di comportamento e quella conformazione affettiva che sono indispensabili per esercitare le funzioni professio­ nali e per svolgere un'attività piu o meno ben regolata. Ecco il motivo per cui la società professionale borghese pur assi­ milando il rituale della società di corte per quanto concerne le relazioni mondano-sociali non si sforza di raffinarlo; ecco il motivo per cui lo standard della regolazione degli affetti in questa sfera progredisce assai lentamente dopo l' ascesa della borghesia. Nella società di corte, e in parte anche nella «society» inglese, questa separazione dell'esistenza umana tra sfera professionale e sfera privata non esiste. Quando tale separazione verrà generalizzata, comincerà una nuova fase del processo di civilizzazione. Lo schema della regola­ zione delle pulsioni, imposto dall' attività professionale, si differenzia sotto molti aspetti da quello imposto al singolo dalla funzione di cortigiano e dal gioco della vita di corte. L'impegno che la conservazione dell'esistenza sociale bor­ ghese esige, la stabilità della formazione del Super-Io, l'in­ tensità della regolazione e trasformazione delle pulsioni richieste dalle funzioni professionali e dalle occupazioni bor­ ghesi, sono nel complesso (nonostante un certo rilassamento intervenuto nella sfera delle relazioni mondano-sociali) sen­ sibilmente superiori alle corrispondenti figure psichiche che la vita di un aristocratico di corte esigeva. La differenza piu macroscopicamente evidente la si osserva nella regolazione dei rapporti tra i sessi. Ma il condizionamento dell'uomo nella società aristocratica di corte sfocia, in una forma o nel­ l' altra, in quello della società professionale borghese che lo porta avanti e insieme lo annulla. Questo assorbimento di comportamenti e condizionamenti delle pulsioni (che in ori­ gine caratterizzavano la società di corte) da parte di strati sempre piu ampi, è particolarmente forte in quei paesi nei quali le corti sono state ricche e potenti e i cui modelli hanno 394

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quindi avuto una grande forza di penetrazione . Ne soJ.o un esempio Parigi e Vienna. L'una e l' altra sono state le sedi delle due grandi corti assolutistiche rivali del XVIII secolo; e ancor oggi se ne avverte l'eco, non soltanto per la loro torma di centri del «buon gusta>> o di industrie del lusso destinate soprattutto alle «dame», ma anche nel modo in cui sono stati modellati i rapporti tra i sessi, nell'impronta erotica della loro popolazione - benché sotto questo aspetto la realtà oggi non corrisponda forse piu ad una reputazione che l'in­ dustria cinematografica, peraltro, ha saputo cosi spesso sfruttare. Ma sotto una' forma o l ' altra, i modelli di comportamen­ to della «bonne compagnie» aristocratica di corte hanno influenzato i comportamenti della piu vasta società indu­ striale anche là dove le corti sono state meno ricche e potenti e quindi la loro forza di penetrazione meno incisiva. Il fatto che i modi di comportamento delle unità occidentali di dominio, che il grado e il tipo di regolazione delle pulsioni, nonostante tutte le differenze nazionali mostrino un notevo­ le livello di uniformità è senza dubbio, da un punto di vista piu generale, una conseguenza della reciproca interazione tra questi gruppi, della costante interdipendenza di tutti i pro­ cessi legati alla divisione delle funzioni nelle varie nazioni occidentali. Ma all'interno di questa cornice piu generale, la fase del monopolio semi-privato della costrizione fisica e del­ la società aristocratica di corte, caratterizzata da una forte interdipendenza in tutta l' Europa, ha avuto un ruolo deter­ minante nel condizionare il comportamento «civile» dell'Oc­ cidente . Per prima, e in una forma particolarmente pura, questa società di corte ha avuto una funzione che successiva­ mente, attraverso tutta una serie di gradazioni e modifica­ zioni, si è estesa a strati sempre piu ampi della società occi­ dentale : la funzione di una «buona società», di uno strato superiore sottoposto alla pressione di una rete intensa e vasta di interdipendenze - da un lato a quella dei monopoli della costrizione e della fiscalità, dall'altro degli strati infe­ riori in ascesa. In effetti la società di corte è stato il primo esempio di quel peculiare strato superiore la cui fisionomia tanto piu nitidamente si delineava, quanto piu i diversi strati 395

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sociali divenivano interdipendenti tra loro a seguito della progressiva divisione delle funzioni, e quanto piu aumentava il numero degli uomini e delle regioni integrati in quella rete di interdipendenze . Era uno strato superiore assoggettato, la cui posizione imponeva un costante riserbo e un' accentuata regolazione delle pulsioni. Ed è appunto questo tipo di stra­ to superiore che a partire da quel periodo predominerà nei paesi europei . I modelli di questo costante controllo di sé, elaborati dapprima nella società aristocratica di corte per essere esercitati nella sfera delle relazioni mondane e della «vita privata», si sono trasmessi con numerose gradazioni e modificazioni ad altri strati, al pari di questa posizione e di questa funzione di strato superiore . L'eredità della società aristocratica ha avuto un'importanza maggiore o minore a seconda del ruolo piu o meno importante che il suo carattere di «buona società» ha avuto per uno strato o per un popolo. Dovunque ciò è avvenuto - e, come abbiamo detto, il feno­ meno si è esteso in diversa misura dapprima a strati sempre piu ampi poi a interi popoli occidentali, soprattutto a quelli che grazie alla precoce formazione nel loro paese di forti organi centrali sono diventati assai presto popoli colonizza­ tori - si è verificato sotto la pressione dell'interdipendenza universale, concretamente espressa sia dalla violenza della competizione all'interno del proprio strato, sia dalla necessi­ tà di conservare l' elevato livello di vita ed il prestigio di uno strato superiore distinto da quelli inferiori: sincronicamente si sono acuiti anche l 'intensità dei controlli sociali rispon­ denti ad un determinato schema, la suscettibilità rispetto al comportamento degli altri membri del gruppo, l ' autocontrol­ lo del singolo e il rafforzamento del Super-Io. Cosi i com­ portamenti di uno strato superiore aristocratico di corte si amalgamarono con quelli dei vari strati borghesi quando questi ultimi, con la loro ascesa, pervennero alla posizione di strati superiori. Il comportamento espresso sotto forma di «civilité» - trasformato in base alla posizione particolare dei suoi portatori - fu poi assorbito e sviluppato, assumen­ do la forma di quella che oggi è definita «civiltà» o, piu esat­ tamente, «comportamento civile». Cosi a partire dal XIX secolo queste forme di comportamento civile si diffusero tra 396

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gli strati inferiori in ascesa della società occidentale e quindi tra i diversi strati dei paesi coloniali, dove si amalgamarono con quelle forme di comportamento che corrispondevano al loro destino e alla loro funzione. Ognuno di questi processi di ascesa produsse un'interdipendenza fra i comportamenti degli strati o gruppi superiori e quelli degli strati o gruppi inferiori emergenti. Lo standard comportamentale degli stra­ ti pervenuti ad un livello superiore, lo schema delle loro regole e dei loro divieti riflettono dunque nella struttura la storia di questo processo di ascesa. D ' altra parte, lo schema di comportamento e di controllo delle pulsioni nelle varie unità nazionali borghesi, il loro «carattere nazionale» ripro­ ducono esattamente gli antichi rapporti tra strati aristocrati­ ci e borghesi, e la struttura dei conflitti sociali attraverso i quali questi ultimi pervennero al potere. Cosi - per !imi­ tarci soltanto ad alcuni esempi - lo schema del comporta­ mento e della regolazione delle pulsioni nell'America del Nord, nonostante molti tratti comuni, reca in modo piu net­ to ed accentuato che in Inghilterra certi caratteri tipici del ceto medio, perché in America l' aristocrazia scomparve abbastanza rapidamente mentre in Inghilterra la lunga serie di conflitti tra strati superiori aristocratici e strati medi bor­ ghesi sfociò poco a poco in un amalgama assai graduato e in una non meno graduata interpenetrazione dei modelli di comportamento di entrambe le parti. Processi analoghi sono stati già illustrati in La civiltà delle buone maniere, là dove abbiamo esaminato le differenze tra il carattere nazionale tedesco e quello francese; non sarebbe difficile indivìduarli anche nel carattere nazionale degli altri paesi europei. Ognuna di queste ondate di diffusione delle norme civi­ lizzatrici tra strati sempre piu ampi procede di pari passo a un aumento della loro forza sociale, a un adeguamento del loro standard di vita a quello dello strato immediatamente superiore, o almeno con un innalzamento del loro standard in questa direzione. Gli strati della popolazione che vivono costantemente sotto la minaccia della fame o anche soltanto in gravi ristrettezze, nella povertà e nell' indigenza, non pos­ sono comportarsi in modo «civile» . Per sviluppare e mante­ nere in piedi un meccanismo piu stabile di Super-Io, era ed è 397

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necessario godere di uno standard di vita relativamente agia­ to e di un certo grado di sicurezza. Per quanto complicati possano apparire a prima vista i meccanismi della rete di interdipendenze nel cui quadro pro­ cede la civilizzazione occidentale del comportamento, lo schema di questi meccanismi è invero piuttosto semplice : tutti i singoli fenomeni che abbiamo sin qui illustrato - il lento miglioramento dello standard di vita di ampi strati della popolazione, la piu stretta dipendenza funzionale degli strati superiori, la stabilità dei monopoli centrali - sono conse­ guenze e manifestazioni parziali di una divisione delle fun­ zioni che procede a ritmi piu o meno accelerati. La divisione delle funzioni stimola la crescita della produttività del lavo­ ro; l'accresciuta produttività del lavoro è la premessa per il miglioramento dello standard di vita di strati sempre piu ampi; la divisione delle funzioni accresce inoltre la dipen­ denza degli strati superiori. Soltanto a partire da un livello assai elevato di divisione delle funzioni diviene però possibi­ le la formazione di piu stabili monopoli della costrizione fisi­ ca e del fisco che comportano amministrazioni monopolisti­ che fortemente specializzate - ossia la formazione di Stati nel significato occidentale del termine - che a poco a poco garantiscono alla vita dell'individuo una sempre maggiore «sicurezza». Ma questa divisione delle funzioni provoca anche la reciproca dipendenza di masse umane sempre piu numerose e di sempre nuove regioni; esige e inculca nel sin­ golo un crescente riserbo, una piu rigorosa regolazione del suo comportamento e dei suoi affetti; richiede una piu forte repressione delle pulsioni e, a partire da un determinato livello, una piu costante autocostrizione . Questo è il prezzo - se cosi possiamo chiamarlo - che dobbiamo pagare per la maggior sicurezza e per tutti gli altri vantaggi del genere. In ogni caso - e ciò è di estrema importanza per lo stan­ dard di civiltà della nostra epoca - questo autocontrollo e quest' autocostrizione nelle fasi iniziali della civilizzazione non scaturiscono semplicemente dalla necessità per ognuno di collaborare con altri, ma sono ampiamente condizionati e determinati dalla peculiare divisione della società in strati superiori e inferiori. L ' autocontrollo e il ' condizionamento 398

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delle pulsioni che ad ogni fase si stabiliscono negli strati superiori, in un primo tempo sono quindi il prodotto delle costanti tensioni che scuotono la società. La formazione del­ l'Io e del Super-Io di questi uomini è determinata tanto dalla pressione della concorrenza, dalle lotte per l'eliminazione all'interno del proprio strato quanto dalla crescente spinta dal basso prodotta, in forme sempre nuove, dalla progressiva divisione delle funzioni. La forza e le contraddizioni dei con­ trolli sociali cui è assoggettato il comportamento di ogni individuo negli strati superiori, e che sono rappresentate dal suo «Super-Io», dipendono non soltanto dal fatto che i con­ trolli sono esercitati da rivali, in parte ancora in un ambito di libera concorrenza, ma soprattutto dal fatto che i rivali devono concertare un'azione comune per difendere il presti­ gio che li distingue e il loro elevato standard di vita contro gli strati emergenti, esercitando non senza angoscia le loro capacità di previsione e la loro attenzione. Se si osserva attraverso i secoli il percorso di questo pro­ cesso, si nota una chiara tendenza a livellare gli standards di vita e di comportamento, ad appianare i grandi contrasti . Ma questo movimento non procede affatto in modo rettili­ neo. In ciascuna ondata che diffonde i modi di comporta­ mento di una piccola cerchia in una cerchia piu ampia ed emergente, si possono nettamente distinguere due fasi: una fase di colonizzazione o assimilazione, nella quale strati infe­ riori e piu ampi sono bens1 in ascesa ma sempre nettamente subordinati a uno strato piu elevato, sul quale si orientano prendendolo a modello, poiché esso trasmette loro i propri comportamenti; e una seconda fase di rifiuto, di differenzia­ zione o di emancipazione, durante la quale i gruppi in ascesa accrescono chiaramente la propria forza sociale e la propria consapevolezza, mentre per contro lo strato superiore viene spinto ad adottare un maggior riserbo, un piu accentuato distacco; in questa fase si acuiscono i contrasti e le tensioni della società. Come sempre, le due tendenze all' assimilazione e alla distanziazione sono contemporaneamente presenti in ciascu­ na delle due fasi; anche i rapporti sono sempre ambivalenti. Ma nella prima fase, che per lo piu equivale all'ascesa indivi399

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duale dallo strato inferiore a quello superiore, risultano piu evidenti la tendenza dello strato superiore a colonizzare e quella dello strato inferiore ad adeguarsi; nella seconda fase, in cui la forza sociale del gruppo inferiore aumenta nella sua totalità mentre diminuisce quella dello strato superiore, insieme con la rivalità e il rifiuto si rafforzano anche l ' auto­ coscienza di entrambi i gruppi, ossia la tendenza a sottoli­ neare gli elementi di differenziazione e - per quanto riguar­ da lo strato superiore - a stabilizzarli. I contrast i tra i vari strati si accrescono e le barriere divengono piu solide. Nelle fasi del primo tempo, quelle dell'assimilazione, molti singoli individui dello strato emergente sono forte­ mente dipendenti dallo strato superiore non soltanto per quanto riguarda la loro esistenza sociale, ma anche per il comportamento, le idee e gli ideali. Spesso, anche se non sempre, sono ancora goffi in molti campi nei quali i membri dello strato superiore possiedono già una raffinatezza mag­ giore; e data la loro inferiorità sociale, sono a tal punto impressionati dall'insieme dei divieti, dalla regolazione degli affetti e dal codice di comportamento dello strato superiore che cercano in ogni modo di uniformare al medesimo schema la propria regolazione degli affetti. Si tratta di uno dei piu singolari fenomeni che è dato osservare nel processo di civi­ lizzazione : i membri dello strato emergente, infatti, svilup­ pano in sé un «Super-Io» modellato su quello dello strato superiore e colonizzatore . Ma questo Super-lo degli strati in ascesa, apparentemente modellato su quello dello strato superiore,, a ben vedere differisce sotto molti aspetti dal suo modello. E meno equilibrato, ma nello stesso tempo è spesso assai piu severo e rigoroso. Non rinnega mai lo sforzo gigan­ tesco imposto dall' ascesa individuale; tanto meno rinnega la costante minaccia che viene tanto dal basso quanto dall' alto, il fuoco incrociato cui sono esposti tutti coloro che tendono individualmente a salire . La totale assimilazione al livello piu alto nel corso di una sola generazione riesce soltanto in casi eccezionali ad alcuni individui. Nella maggior parte dei membri degli strati desiderosi di ascendere, questo sforzo provoca dapprima e inevitabilmente specifiche deformazioni della coscienza e del comportamento. Riferendosi all'Orien400

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te ed ai paesi coloniali, tutto ciò è stato definito come «levantinismm>; nella piccola borghesia e nei ceti medi della società occidentale ritroviamo queste deformazioni sotto forma di «pseudocultura» (Halbbildung) , come pretesa di essere ciò che non si è, come insicurezza del comportamento e del gusto, come «processo di formazione del cattivo gusto» (Verkitschung) non soltanto nel mobilio e nell' abbigliamento ma anche nell ' atteggiamento spirituale. Tutto ciò esprime la volontà d ' imitare i modelli proposti da un gruppo sociale di rango piu elevato. Ma tale assimilazione non riesce, e risulta quindi evidente che è soltanto un'imitazione di modelli estranei. In questa fase, l 'educazione, il livello di vita e lo spazio vitale dello strato emergente e di quello superiore sono ancora tanto distanti tra loro che il tentativo di imitare la sicurezza di comportamento e la raffinatezza dello strato superiore conduce, nella maggior parte dei membri dello strato emergente, ad un comportamento particolarmente goffo e inautentico. Dietro di esso, tuttavia, vi sono una rea­ le e concreta necessità di affermare la propria esistenza sociale, il desiderio di sottrarsi alla pressione che viene dal­ l' alto ed alla propria inferiorità. Questa pressione sul Super­ Io da parte dello strato superiore crea di continuo una forma specifica di sentimenti di vergogna e di inferiorità nello stra­ to emergente. Sono sentimenti assai differenti da quelli di strati inferiori senza prospettive di ascesa individuale. Il comportamento di questi ultimi può essere magari piu rozzo, ma è piu deciso, piu uniforme, meno incerto e, sotto questo profilo, piu strutturato; essi vivono saldamente ancorati al proprio mondo, senza mirare a un prestigio analogo a quello dello strato superiore; di conseguenza, concedono maggior spazio alle esplosioni affettive. Vivono piu legati tra loro e secondo i loro usi e costumi; la loro inferiorità rispetto allo strato superiore, i loro gesti di subordinazione e altresi di opposizione sono chiari, come del resto i loro affetti, e vin­ colati a forme semplici e ben determinate. Nella loro coscienza, assegnano a se stessi e agli altri strati, nel bene come nel male, una posizione ben differenziata. Invece negli individui impegnati nell' ascesa individuale, i sentimenti ed i gesti di inferiorità sono caratterizzati in 401

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particolare dal fatto che costoro si identificano, entro certi limiti, con la classe superiore; hanno la medesima struttura dei sentimenti di pudore descritti sopra; con una parte della loro coscienza riconoscono come vincolanti anche per sé i divieti e i comandamenti, le norme e i modi di comporta­ mento dello strato superiore, ma non per questo sanno prati­ cadi con la stessa disinvoltura e naturalezza degli altri. Que­ sta singolare contraddizione tra lo strato superiore che in essi è rappresentato dal Super-Io e la loro incapacità ad assol­ vere in sé queste esigenze, questa costante tensione interna danno appunto un carattere particolare alla loro vita affetti­ va ed al loro comportamento. Ma nello stesso tempo possiamo rilevare da una prospet­ tiva differente quale importanza abbia per lo strato superio­ re una rigorosa codificazione del comportamento: è s.f uno strumento di prestigio, ma in una determinata fase anche un mezzo di dominio. È certo assai tipico della struttura della società occidentale l' aver assunto come parola d ' ordine dei processi di colonizzazione il termine «civilizzazione». Ai membri di una società dominata dalla divisione delle funzio­ ni non basta semplicemente dominare armi alla mano popoli e paesi soggiogati, anche se nel movimento espansionistico dell'Occidente ebbe un ruolo non indifferente il vecchio e semplice obiettivo di quasi tutti i movimenti espansionistici precedenti: la cacciata di altri popoli dalla loro terra, la con­ quista di nuovi territori da coltivare e su cui insediarsi. Ma la terra non basta, ci vogliono anche gli uomini; l' aspirazione è quella di inglobare altri popoli nell'intreccio formato dalla divisione del lavoro nel proprio paese, per utilizzarli sia come forza-lavoro sia come consumatori. Ma ciò costringe tanto ad elevarne il livello di vita quanto ad imporre ai popo­ li assoggettati meccanismi di autocostrizione o propri del Super-Io, secondo il modello degli stessi occidentali: esige dunque la civilizzazione di questi popoli. Cosi come in Occidente a partire da un certo livello di interdipendenza non fu piu possibile dominare gli uomini con le armi e la minaccia fisica, allo stesso modo per poter conservare un impero, non volendosi limitare ad avere terre da coltivare e schiavi da far lavorare, fu necessario dominare gli uomini 402

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servendosi almeno in parte di essi stessi, modellando il loro Super-Io. Per questo motivo, in una parte di questi popoli assoggettati si riprodussero tutti quei fenomeni che caratte­ rizzano questa prima fase dell'ascesa e che abbiamo illustra­ to sopra: ascesa individuale, assimilazione della regolazione pulsionale e degli imperativi dello strato superiore , parziale identificazione con quest'ultimo e formazione o trasforma­ zione del meccanismo del Super-Io secondo il suo schema, amalgama piu o meno ben riuscito delle consuetudini e auto­ costrizioni già presenti con il rituale della società occidentale civilizzata, con tutte le conseguenze già descritte sopra. Per osservare questi fenomeni non è necessario andare troppo lontano. Una fase analoga - tanto per !imitarci ad un esempio - la ritroviamo ad esempio nel movimento di ascesa della stessa borghesia occidentale , ossia nella fase del­ la curializzazione . Anche qui in un primo tempo la massima aspirazione di molti individui degli strati elitari borghesi fu di comportarsi e vivere al modo dei membri dello strato superiore - i nobili. Entro di sé questi borghesi riconosce­ vano la superiorità del comportamento aristocratico-cortese, cercando di plasmare se stessi e di controllarsi secondo tale modello . Ne è un esempio il dialogo di un borghese e di un cortigiano sul modo corretto di parlare, citato in La civiltà delle buone maniere. Nella storia della lingua tedesca, questa fase «cortese» della borghesia è caratterizzata dalla nota abi­ tudine di chi parla o scrive ad inserire ogni tre o quattro parole tedesche una parola francese, a meno che non preferi­ sca addirittura servirsi del francese, divenuta ormai la lingua di corte in Europa. I nobili e spesso anche i borghesi della cerchia di corte hanno avuto spesso modo, in questo perio­ do, di divertirsi alle spalle di qualche borghese che cercava di atteggiarsi a «raffinato» o aristocratico senza riuscirvi. Ma la derisione scompare via via che aumenta la forza sociale della borghesia. Presto o tardi emergono in primo piano tutti i fenomeni che caratterizzano la seconda fase del­ l'ascesa. Certi gruppi borghesi mettono ora fortemente in evidenza la loro autocoscienza specificamente borghese: con sempre maggior decisione e consapevolezza contrappongono al codice aristocratico di divieti e di comandamenti il pro403

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prio. Contrappongono - a seconda della loro posizione par­ ticolare - il lavoro all'ozio aristocratico, la «natura» all' eti­ chetta, l'interesse per la cultura a quello per le forme del saper vivere, per tacere poi delle peculiari richieste borghesi di esercitare il controllo sui monopoli-chiave e di dare una diversa struttura all' amministrazione fiscale e militare. Soprattutto, contrappongono la «virtu» alla «frivolezza» di corte. La regolazione dei rapporti tra i sessi, la barriera entro cui viene racchiusa la sfera sessuale dell'economia pulsionale sono assai piu forti tra gli strati medi e quelli emergenti della borghesia - conformemente alla loro posizione professiona­ le - che non tra lo strato superiore aristocratico di corte; pili tardi diverranno ancora p ili forti tra i gruppi dell'alta borghesia già pienamente affermati, già pervenuti al livello piu alto della scala sociale . Ma per quanto aspra sia stata que­ sta contrapposizione durante la fase della lotta, per quanto ampia sia stata l'emancipazione della borghesia dai modelli e dall'egemonia della nobiltà, lo schema di comportamento sviluppato dagli strati elitari borghesi - una volta conqui­ stata la funzione riservata un tempo alla nobiltà, ossia una volta divenuti strato superiore - è sempre il prodotto di un amalgama del codice di comportamento dell' antico strato superiore e di quello nuovo, proprio perché ad ognuno di questi passi verso l'alto è sempre connessa una fase di assimi­ lazione . Nelle sue grandi linee questo movimento di civilizzazio­ ne, questa ascesa a ondate di strati sempre piu vasti è uguale in tutti i paesi occidentali e, in linea di principio, anche in altre regioni non occidentali; uguali sono anche le leggi strut­ turali su cui esso si fonda: la crescente divisione delle funzio­ ni sotto la pressione della concorrenza, la tendenza verso un' uniforme dipendenza di tutti da tutti che nel lungo perio­ do non consente a nessun gruppo funzionale di avere una forza sociale superiore , annullando i privilegi ereditari. Anche l' andamento della libera concorrenza è simile; essa porta alla creazione di monopoli concentrati nelle mani di pochi e successivamente al passaggio del controllo sui mono­ poli nelle mani di strati piu ampi. In questa fase di lotta della borghesia contro i privilegi aristocratici, questa evoluzione si 404

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manifesta dapprima nella «pubblicizzazione», ossia nella tra­ sformazione dei monopoli del fisco e della coercizione, un tempo amministrati nell'interesse di una piccola cerchia, in monopoli pubblici o statali; e presto o tardi, per una via o per l' altra questi fenomeni si riproducono in tutti i paesi inseriti nella rete occidentale di interdipendenze. Ma cosi come sono molteplici le vie che nei vari paesi approdano a questo risultato, conformemente alle loro differenti struttu­ re e condizioni, differenti sono anche i comportamenti, lo schema della regolazione degli affetti, la struttura dell'eco­ nomia pulsionale e del Super-Io che si affermano nelle singo­ le nazioni. Sono differenti - lo ripetiamo ancora una volta - in Inghilterra, dove la fase assolutistico-cortese fu relativamen­ te breve, dove per tempo si stabilirono alleanze e contatti tra i circoli urbano-borghesi e la nobiltà di campagna, dove l' amalgama del comportamento degli strati superiori e dei ceti medi emergenti si compi in modo graduale attraverso corsi e ricorsi . Sono differenti in Germania, un paese di mancata centralizzazione (con tutte le conseguenze che ciò comporta: la Guerra dei Trent' anni) e rimasto relativamente povero e con uno standard di vita inferiore ai suoi vicini occidentali: un paese che ebbe una fase assolutistica eccezio­ nalmente prolungata, con molte piccole corti non certo fastose, e che sempre a causa della mancata centralizzazione avviò abbastanza in ritardo e in modo incompleto un'espan­ sione verso l' esterno, una espansione coloniale. Un paese, inoltre, nel quale per tutti questi motivi le tensioni interne, la chiusura della nobiltà nei confronti della borghesia furono profonde e durevoli, e di conseguenza difficile fu l ' accesso degli strati borghesi ai monopoli centrali. Durante il Medioevo, per un certo periodo in Germania gli strati urba­ no-borghesi erano stati potenti a livello politico ed economi­ co ; erano stati piu autonomi e piu consapevoli della loro importanza che in qualsiasi altro paese europeo. Perciò il trauma della loro decadenza politica ed economica fu parti­ colarmente violento. Mentre un tempo in molti territori tedeschi certe tradizioni tipiche dei ceti medi borghesi si era­ no affermate con caratteri particolarmente puri proprio per405

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ché le formazioni urbane erano cosi ricche ed autonome, ora continuarono come tradizioni specificamente borg:ìesi proprio perché i loro portatori erano cosi impoveriti e socialmente impotenti. Quindi la maggior interpenetrazbne tra circoli borghesi e aristocratici, l ' amalgama dei rispettivi modi di comportamento avvennero assai piu tardi. Per lungo tempo i rispettivi codici di divieti e norme procedettero affiancati, ma senza quasi collegamento reciproco; e poiché in tutto questo periodo tanto le posizioni-chiave del moi1o­ polio fiscale quanto dell' amministrazione della polizia e del­ l 'esercito furono, in misura maggiore o minore, monopolio della nobiltà, nella borghesia si impresse profondamente l'abitudine a sottomettersi ad una forte autorità statale . Mentre ad esempio in Inghilterra - grazie alla posizione insulare del paese 25 né l'esercito territoriale né una polizia 25 Si è cercato spesso di spiegare il carattere nazionale degli inglesi o alccne delle sue peculiarità con la posizione geografica del loro paese, con il suo carattere insulare. Ma se al carattere insulare in quanto mero dato della natura si dovesse at­ tribuire il carattere nazionale degli isolani, allora tutte le altre nazioni insulari do­ vrebbero mostrare caratteri analoghi; ad esempio, nessun popolo dovrebbe essere ora piu affine a quello inglese, per comportamento e habitus, di quello giapponese. Non è dunque la posizione insulare in sé a modellare il carattere nazionale de­ gli isolani, bensi l'importanza che questa posizione ha nella struttura complessiva della società isolana e nell'insieme della sua storia. Ad esempio, la mancanza di confini territoriali in Inghilterra, dato il peculiare sviluppo storico del paese, fece si che a differenza che in Giappone la valentìa militare e, piu concretamente, il mestiere di soldato, non si affermassero mai come un particolare valore di presti­ gio e quindi non occupassero mai un posto elevato nella gerarchia delle funzioni sociali. In Inghilterra infatti, una nobiltà relativamente pacificata unitamente agli strati superiori della borghesia riusd abbastanza per tempo a limitare il potere del re di disporre delle armi e dell'esercito e soprattutto dell' impiego degli stru­ menti di coercizione fisica nel paese, e a esercitare su di esso un controllo piuttosto rigoroso. E certamente questa struttura del monopolio della coercizione, in effetti resa possibile soltanto dalla posizione insulare del paese, influi non poco sulla formazione dello specifico carattere nazionale inglese. Lo stretto legame esistente tra determinati tratti della formazione del Super-Io inglese, o se si preferisce della formazione della coscienza, e questa struttura del monopolio della coercizione è dimostrato ancor oggi dall'ampio margine concesso in Inghiltera al >, e p. 73: