Il processo di civilizzazione. La civiltà delle buone maniere [Vol. 1]

Usare le posate per mangiare, evitare di sputare nel piatto, soddisfare in privato i bisogni fisici ci sembrano comporta

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Italian Pages 401 Year 1982

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Il processo di civilizzazione. La civiltà delle buone maniere [Vol. 1]

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Norbert El ias LA CIVILTA DELLE BUONE MANIERE Usare le posate per mangiare, non sputare nel piatto, conservare una assoluta •privacy• nel soddisfare i propri bisogni fisici è un fatto per noi del tutto naturale. Ma è veramente naturale, o non è invece il risultato di un processo culturale? Se in una sorta di ga­ lateo francese del 1714 si scrive .. Quando vien servita la carne, non è bene prenderla con le mani ... o, in un altro del 1729 •Quando si è a tavola, non è bene pulire le posate nel tovagliolo o pulire il piatto con le dita•, o ancora .. Quando sì passa vicino ad una persona che sta per soddisfare un proprio bisogno fisico, bisogna far finta di non vederla; In ogni caso non è fine salutarlan, allora è evidente che la nostra vita quotidiana è il frutto di una stratìfìcazione di re­ gole che ci vengono dal passato. Del resto, è sufficiente il contatto con civiltà diverse per renderei conto che il nostro comportamento è solo uno fra i molti possibili tratti culturali. Ma Elias va ancora piu avanti, mostrando, sulla base di fonti che sono insieme curiose e divertenti, ma sempre significative e importanti, come le nostre abitudini si collochino a un determinato stadio dì evoluzione cultu­ rale, che interessa anche la psicologia del profondo. Le classi diri­ genti si sono lentamente plasmate a una vita di corte che ha im­ posto loro certe etichette e la vita pubblica è via via passata alla sfera del privato diventando abitudine. La spontaneità ha lasciato il posto alla regola, il comportamento si è evoluto; ma è un'evoluzione che continua ancora. Forse i nostri posteri troveranno le nostre abi­ tudini piu raffinate rozze e sorprendenti. Nulla infatti ci fa pensare di essere giunti al termine del •processo di civilizzazione ... Indice del volume: Parte prima: Cultura e civilizzazione. - 1. La for­ mazione dell'antitesi •cultura•-«Civilizzazione .. in Germania. - 2. La formazione del concetto di civilizzazione in Francia. - Parte seconda: Come si può essere civilizzati? - 3. Storia e sociologia del proble­ ma·. - 4. Come comportarsi a tavola. - 5. Alcune funzioni naturali. 6. Le relazioni sessuali. - 7. Le modificazioni dell'aggressività. - 8. Conclusioni: La vita di un cavaliere.

Norbert Elias, nato nel 1897 in Germania, ha studiato medicina, filo­ sofia e psicologia in varie università tedesche, seguendo corsi di Honigswald, Rickert, Husserl e Jaspers, laureandosi infine con Al­ fred Weber. Abbandonata la Germania durante il periodo nazista. ha vissuto in Francia e in Inghilterra. Attualmente è rientrato in Germania e risiede a Bielefeld. Le sue opere sono state • riscoper­ te• negli ultimi anni e stanno uscendo con crescente successo in Germania, in Francia, in Inghilterra e negli Stati Uniti. In Italia il Mulino ha pubblicato nel 1980 «la società di corte•. Questo è il primo dei due volumi di cui si compone la sua opera piu impor­ tante sul •Processo di civilizzazione•. Il secondo, la ·Dinamica dell'occidente .. , uscirà tra breve.

Prezzo L. 20.000 (i.i.)

SAGGI

224.

Questo volume costituisce la prima parte dell'opera fon­ damentale di Norbert Elias, uscita nel 1 9 3 6. con il titolo ùber den Prozess der Zivilisatior.. La traduzione è stata condotta sulla più recente edizione tedesca, che contiene, rispetto all'edizione del 1 93 6 , una lunga introduzione scrit­ ta nel 1 968. Si è tenuto conto dell'edizione in lingua in­ glese, uscita nel 1977-78 con il titolo The Civilising Pro­ cess, I. The History of Manners e dell'edizione francese, uscita nel 1 9 7 3 con il titolo La civilisatiòn des moeurs.

NORBERT ELIAS

La civiltà delle buone maniere

IL MULINO

()ber den Prozess der Zivilisation. l. Wandlungen des Verhaltens in den Wetlichen Oberschichten des Abendlandes,

Edizione originale:

Frankfurt, Suhrkamp. 19692• Copyright © 1969 by Norbert Elias. Copyright © 1982 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Giuseppina Panzieri.

INTRODUZIONE

Introduzione

I

Nel riflettere sulla struttura degli affetti umani e del controllo su di essi, cercando di elaborare delle teorie in merito, oggigiorno ci si limita di solito ad utilizzare come materiale empirico le osservazioni fatte su contempora­ nei che vivono in società avanzate . Si procede insomma, senza accorgersene, dall'ipotesi che sia possibile costruire teorie sulle strutture affettive e di controllo dell'uomo in generale, cioè dell'uomo di qualsiasi società, sulla base di ricerche compiute sulle strutture affettive e di controllo proprie degli uomini delle nostre società, che possiamo osservare qui ed ora. Esistono invece 11ilevazioni relativa­ mente accessibili, che indicano come lo standard e il mo­ dello dei controlli affettivi possano essere differenti in società che si trovano a differenti stadi di sviluppo, e perfino in differenti strati di una medesima società. Che ci si occupi di problemi riguardanti il secolare sviluppo di paesi europei, oppure i cosiddetti «paesi in via di svilup· po» di altri continenti, ci si scontra sempre con osserva· zioni che propongono un quesito : come e perché nel cor­ so di questa lenta trasformazione globale delle società verso una ben precisa direzione - trasformazione per la quale si è ormai consolidato come termine tecnico il con­ cetto di «sviluppo» - mutino insieme al resto, seguendo una determinata dire2Jione , anche l'affettività del compor­ tamento e delle esperienze umane, la regolazione degli affetti umani attraverso auto-ed etero-costrizioni e quin­ di, sotto un certo profilo, la struttura di tutte le e­ spressioni umane. Nel linguaggio quotidiano ci si riferi­ sce anche a queste mutazioni quando si afferma che gli 7

Introduzione

uomini della propria società sono ormai «civili» più di quanto lo fossero in precedenza, oppure che gli uomini di altre società sono «meno civili» o addirittura «più barbari» di quelli della nostra società. Le accentuazioni di valore di simili affermazioni sono chiare; non sono invece chiari i fatti cui esse si riferiscono. Ciò dipende, in parte dal fatto che, allo stato attuale dell'indagine sociologica, le .ricerche empiriche sulle trasformazioni a lunga scadenza delle strutture della personalità e in particolare della re­ golazione degli affetti umani presentano ancora rilevanti difficoltà. Attualmente, ,l'interesse principale della socio­ logia si appunta su processi di durata relativamente bre­ ve, e in massima parte soltanto su problemi che si riferi­ scono ad una situazione data delle società. Ma nel com­ plesso si sono perse di vista le trasformazioni a lunga scadenza delle strutture sociali, e quindi anche quelle del­ le strutture della personalità. Le ricerche contenute nel presente libro si occupano invece di questi processi di più lunga durata. Per facili­ tarne la comprensione, sarà utile accennare brevemente ai diversi tipi di processi. A un primo approCGio, si possono distinguere due tendenze principaLi nei mutamenti sociali delle strutture: mutamenti strutturali che tendono a una crescente differenziazione ed integrazione, e mutamenti strutturali che tendono a una differenziazione e integra· zione decrescenti. Esiste però anche un terzo tipo di pro· cessi sociali, nel corso dei quali la struttura di una società o di alcuni suoi singoli aspetti muta bensl, ma non in direzione di un livello superiore né di un livello inferiore di differenziazione e integrazione. Avvengono, infine, nel· le società infiniti mutamenti che non comportano cam· biamenti strutturali. Ma con ciò non si è ancora resa giustizia alla straordinaria complessità di tali mutamenti, giacché esistono numerosissimi tipi misti; e assai spesso è dato osservare contemporaneamente in una stessa società parecchi tipi di mutamenti e perfino mutamenti in dire­ zioni opposte. Ma per il momento questo breve elenco è sufficiente a mettere in evidenza i proble!ni di cui si occuperanno le ricerche qui contenute. Il primo volume 8

Introduzione si occupa prevalentemente di un problema: se sia possibi­ le confermare con testimonianze attendibili, dimostrando­ ne la validità oggettiva, l'ipotesi basata su osservazioni di­ sparate secondo cui in certe società avvengono cambia­ menti a lunga scadenza delle strutture affettive e di con­ trollo, che per una intera serie di generazioni procedono verso una medesima direzione. n volume comprende an­ che un'esposizione dei progressi compiuti dalla ricerca so­ ciologica e dei suoi risultati, che hanno come riscontro più conosciuto gli esperimenti ed i risultati delle scienze fisiche. Esso ci aiuta a scoprire e spiegare ciò che, nel campo d'osservazione ancora inesplorato cui si riferiscono i problemi, di tatto si verifica circa la scoperta e la de­ terminazione di nessi effettivi. La prova di un mutamento nelle strutture affettive e di controllo degli uomini, mutamento che per un'intera serie di generazioni è proceduto verso una medesima di­ rezione, vale a dire (riassumendo) in direzione di un cre­ scente irrigidimento e di una crescente differenziazione dei controlli, ha sollevato un ulteriore problema: è possibile mettere in relazione questi mutamenti a lunga scadenza delle strutture della personalità con mutamenti strutturali a lunga scadenza dell'intera società, che vanno anch'essi in una determinata direzione, in direzione cioè di un più ele­ vato livello di differenziazione e integrazione sociali? Di questi successivi problemi si occuperà i� secondo volume. Si è rilevato che, anche per mutamenti a lunga sca­ denza della struttura della società che vanno in una me­ desima direzione, mancano testimonianze empiriche. È stato dunque neces•sario dedicare anche una parte del se­ condo volume alla scoperta e alla spiegazione di nessi effettivi di quest'altro tipo. Il problema era se fosse possibile dimostrare, con l'aiuto di atte . ndibili testi­ monianze empiriche, un mutamento strutturale complessi" vo della società in direzione di un più elevato livello di differenzial'lione ed tintegrazione. Si è dimostrato che ciò è possibile. Il processo di formazione dello Stato, che viene trattato nel secondo volume, è appunto un esempio di mutamento strutturale di questo tipo. 9

Introduzione

Alla fine, nell'abbozzo preliminare di una teoria della civilizzazione, è stato elaborato un modello dei nessi pos­ sibili tra il mutamento a lunga scadenza delle strutture individuali umane verso un rafforzamento e una differen­ ziazione dei controlli affettivi, da un lato, e il mutamento a lunga scadenza delle formazioni create congiuntamente dagli uomini, verso un più elevato livello di differenzia­ zione e d integrazione, ad esempio. verso una differenzia­ zione e un prolungamento delle ·catene di ·interdipendenza e verso un rafforzamento dei «controlli statali». II È facile comprendere come, con una problematica di questo genere tendente a scoprire nessi effettivi e a spie­ garli, con una problematica empirico-teorica che prende in considerazione mutamenti strutturali a lunga scadenza di un genere specifico, ossia «evoluzioni», ci si distacchi dal­ le idee metafisiche che al concetto di evoluzione collegano o l'idea di una necessità meccanica o quella di una finalizza­ zazione teleologica. Anche ri1 concetto di civilizzazione come mostra il primo capitolo di questo volume - è stato in passato di frequente usato in un senso semi-meta­ Hsico, tuttora piuttosto diffuso. Come già si è detto, qui si è cercato di cogliere ,n nucleo dei dati di fatto cui si riferisce il corrente concetto pre·scentifico del processo di civilizzazione, cioè innanzi tutto il mutamento strutturale degli uomini in direzione di un maggior rafforzamento e di una maggiore differenziazione dei loro controlli affetti­ vi, e quindi anche del loro vissuto - ad esempio, come spostamento in avanti della soglia del pudore e della ri­ pugnanza - e del loro comportamento - ad esempio a tavola come differenziazione delle stoviglie. Il compito successivo posto allo studioso dalla documentabile scoper­ ta di tale mutamento nel corso di parecchie generazioni, è stato il problema di darne una spiegazione. Alla fine del secondo volume vi sarà infatti, come si è già accennato, un abbozzo di spiegazione. lO

Introduzione

Con questo genere di ricerca ci si distacca, altresì, dal tipo di teoria che nel corso del tempo è subentrata nel­ l'indagine sociologica al precedente tipo incentrato sul­ l'antico concetto ancora semi-metafisica di evoluzione: ci si distacca cioè dalle teorie oggi dominanti del mutamento sociale. A quanto è dato vedere, a tutt'oggi tali teorie non operano una netta distinzione tra i vari tipi di mu­ tamento sociale cui abbiamo accennato sopra. In partico­ lare, mancano ancora teorie, sostenute da testimonianze empiriche, circa quel genere di mutamenti sociali a lunga scadenza che si presentano sotto forma di processo e so­ prattutto di evoluzione. Nel corso del lavoro, mi era parso assai evidente che in questo modo sarebbero state gettate le basi per una teoria sociologica non dogmatica, empiricamente fondata, dei processi sociali in generale e dello svJluppo sociale in particolare. In special modo ho ritenuto che fosse del tutto chiaro come la ricerca e il modello complessivo del processo a lunga scadenza della progressiva formazione dello Stato - che ritroveremo nel secondo volume potessero servire da modello anche per la dinamica a lun­ ga scadenza delle società verso una ben precisa direzione, cui si riferisce il concetto di sviluppo sociale. Allora non credetti necessario richiamare specificamente l'attenzione sul fatto che questa non era una ricerca sull'«evoluzione» secondo l'interpretazione del XIX secolo, nel senso di progresso automatico, e neppure una ricerca su un «mu­ tamento sociale» aspecifico, nel significato in uso nel XX secolo. Tutto ciò mi pareva talmente evidente che non mi sono soffermato a indicare esplicitamente queste implica­ zioni teoriche. Mi accorgo ora di essermi sbagliato. L'in­ troduzione a questa seconda edizione mi offre quindi l'op­ portunità di correggere tale errore.

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Introduzione III

Lo sviluppo sociale complessivo, a rappresentare il quale è stato qui esaminato ed illustrato uno dei suoi fenomeni centrali, un movimento secolare di progressiva integrazione, un processo di formazione dello Stato con il complemento di una progressiva differenziazione, è un mutamento di configurazione che con fasi alterne guardando in prospettiva - si è mosso per molte genera­ zioni verso una medesima direzione. Questo mutamento strutturale può essere documentato come un dato di fatto, comunque lo si voglia valutare, e appunto di tale docu­ mentazione ci occuperemo qui. Il concetto di mutamento sociale da solo non basta come strumento di indagine per rendere giustizia a questi dati di fatto. Un mero muta­ mento può benissimo essere del tipo che si osserva nelle nuvole o negli anelli di fumo: ora appaiono in un modo, ora in un altro . Senza una chiara distinzione tra muta­ menti che si riferiscono alla struttura di una società e mutamenti che non vi si riferiscono, e ancora tra mu­ tamenti strutturali senza una precisa direzione e altri che per molte generazioni hanno seguito una precisa direzio­ ne, ad esempio quella di una maggiore o minore comples­ sità, il concetto di mutamento sociale per l'indagine socio­ logica è uno strumento quanto mai insufficiente. La stessa cosa può dirsi per una serie di altri proble­ mi affrontati in questa sede. Allorché, dopo un lavoro preparatorio che servì nello stesso tempo alla rielabora­ zione di documenti e di materiale d'appoggio e altresì di problemi teorici che si andavano via via chiarendo, mi apparve più chiara la via per una loro possibile solu:ZJione, mi resi conto tra l'altro che questo lavoro rendeva anche più vicina la soluzione di uno spinoso problema: quello del rapporto tra strutture individuali, psicologiche - vale a dire le cosiddette strutture della personalità - e le configurazioni che molti individui interdipendenti creano congiuntamente, cioè le strutture sociali ; e ciò proprio perché qui entrambi i tipi di strutture sono visti, non come ancora per lo più avviene, come strutture immutabi12

Introduzione

li ma piuttosto come strutture mutabili, come aspettl m terdipendenti del medesimo sviluppo a lungo termine.

IV Se le diverse discipline accademiche il cui ambito di problemi si estende a questa ricerca, se soprattutto la sociologia avesse già raggiunto quella fase di maturità scientifica in cui si trovano attualmente molti settori delle scienze naturali, ci si sarebbe potuto aspettare che una ricerca accuratamente documentata di processi a lungo termine, come quello della civilizzazione o della forma­ zione dello Stato con la proposta teorica che ne scaturi­ sce, dopo approfonditi esami e discussioni, dopo aver sce­ verato criticamente i dati inutilizzabili o confutati, fosse accolta nella sua totalità o in alcuni dei suoi aspetti nel comune patrimonio empirico-teorico di conoscenze della disciplina stessa. Dato che il progresso del lavoro scienti­ fico poggia in buona parte sullo scambio e l'utilizzazione dei lavori di molti colleghi e sull'incessante sviluppo del comune patrimonio di conoscenze, ci si sarebbe potuto aspettare che le presenti ricerche a ·distanza di trent'anni fossero entrate a far parte delle conoscenze standard della disciplina stessa, oppure, grazie all'ulteriore lavoro di altri, risultassero più o meno superate e affossate. Dopo una generazione, constato invece che questa ri· cerca ha ancora conservato il suo carattere pionieristico in un ambito di problemi che, come non meno di trent'anni addietro, ha bisogno di una ricerca combinata sul piano empirico e su quello teorico contemporaneamente, come è stato fatto qui. È cresciuta la consapevolezza di quanto siano urgenti i problemi qui trattati. Si può osservare da ogni parte una decisa tendenza a muoversi nella direzione di tali problemi. Non mancano ulteriori tentativi di risol­ vere problemi alla cui soluzione avevano già cercato di contribuire la documentazione empirica contenuta in questi due volumi e l'annesso abbozzo di una teoria della 13

Introduzione

civilizzazione. Ma non credo che quei tentativi abbiano avuto successo. Basta, come esempio, esaminare il modo in cui lo studioso che ai nostri giorni è largamente considerato il teorico-guida della sociologia, Talcott Parsons, cerca di impostare e di risolvere alcuni dei problemi trattati qui. V-impostazione teorica di Parsons è caratterizzata dal ten­ tativo di scomporre analiticamente nelle loro componenti elementari i diversi tipi di società nel suo campo d'osser­ vazione, come egli si espresse una volta 1• Un tipo parti­ colare di queste componenti elementari (elementary com­ ponents) è da lui denominato « variabili modello» (pattern variables) . A questi «pattern variables» appa,rtiene, tra l'altro, la dicotomia «affettività-neutralità affettiva». Me­ glio di tutti ci si avvicina a questa sua rappresentazione dicendo che egli si immagina una società come un mazzo di carte nelle mani di un determinato giocatore : ogni tipo di società, tale sembra l'idea di Parsons, rappresenta una differente mescolanza di carte, ma le carte di per sé sono sempre le medesime; e il numero delle carte a sua volta è modesto, per quanto svariate possano tra loro essere le carte. Una delle carte con cui si conduce il gioco è la polarità tra affettività e neutralità affettiva . Com'egli stesso :infonna, Parsons pervenne originariamente a que­ sta idea scomponendo i tipi di società del Tonnies, «co­ munità» e « società». La prima, a quanto sembra proporre Parsons, è caratterizzata dalla « affettività», la seconda dalla «neutralità affettiva» . Ma così come agli altri « pat tern variables» del gioco delle carte, anche a questo egli attribuisce un'importanza tutta particolare per determina­ re le differenze tra i diversi tipi di società e anche quelle tra i diversi tipi di rapporti in una medesima società. Con lo stesso procedimento, Parsons affronta anche i problemi del rapporto tra struttura sociale e personalità 2• All'ini­ zio, dice, li aveva considerati soltanto come « sistemi di azione umana» strettamente legati e interagenti ; ma ora poteva affermare con sicurezza che in senso teorico sono fasi o aspetti differenti di un medesimo, fondamentale sistema di azione. Illustrò, tra l'altro, questo punto con ­

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Introduzione

un esempio: spiegò -che ciò che sul piano sociologico può essere considerato un'istituzionalizzazione della «neutrali­ tà affettiva», sostanzialmente coincide con quella che sul piano della personalità si può considerare un' «imposizione a rinunziare al soddisfacimento immediato nell'interesse dell'organizzazione disciplinata e degli obiettivi a lungo termine della personalità». Per comprendere le ricerche qui contenute non sarà forse inutile confrontare questo nuovo sforzo di risolvere tali problemi con il tentativo precedente qui ripol'tato in una nuova edizione immutata. La differenza decisiva tra il procedimento scientifico e la concezione dei compiti di una teoria sociologica emerge chiaramente anche da que­ sto breve esempio del modo in cui Parsons tratta proble­ mi affini. Quello che 1in ùber den Prozess der Zivilization si dimostrò, con l'aiuto di una documentazione empirica dettagliata, di essere appunto un processo, fu successiva­ mente ridotto da Parsons - e a mio giudizio senza ne­ cessità attraverso concettualizzazioni statiche a Zustande ossia a stati della situazione. In luogo di un processo relativamente complicato, nel corso del quale l'e· conomia affettiva degli uomini si trasformò gradatamente in un più forte e regolare controllo degli affetti - ma non certamente nel senso di una situazione (Zustand) di totale neutralità affettiva - subentrò in Parsons una semplice contrapposizione tra due categorie di situazioni, affettività e neutralità affettiva, che si suppone siano pre­ senti in gradi diversi in diversi tipi di società, come ad esempio certe sostanze chimiche sono presenti in differen­ ti miscele. Attraverso questa riduzione concettuale a due situazioni (Zustande) differenti di quello che in ùber den Prozess der Zivilisation era stato empiricamente indicato e teoricamente elaborato come processo, Parsons si privò della possibilità di scoprire come sia dato spiegare le pe­ culiarità distintive di differenti società alle quali egli si riferisce. A quanto è dato vedere, egli non si pone neppu­ re il quesito di una spiegazione. Le diverse situazioni (Zustande) cui si piferiscono le coppie contrapposte dei «pattern variables» sono, a quanto appare, semplicemente 15

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dati. Lo sfumato e articolato mutamento :;trutturale in direzione di un maggiore e più regolare controllo degli affetti, quale si può osservare nella realtà, in questo tipo di teorizzazione scompare. La scomposizione di fenomeni sociali che in effetti si possono osservare soltanto come in divenire e divenuti, con l'aiuto di coppie concettuali che limitano l'analisi a due stati contrapposti equivale ad un non necessario impoverimento della percezione sociologi­ ca, sia per l'attività empirica sia per quella teorica. Compito di ogni teoria sociologica è certamente quello di far chiarezza sulle pecuHarità che tutte le possibili so­ cietà umane hanno in comune tra loro. n concetto di processo sociale e molti altri concetti che saranno utilizza­ ti nelle vicerche qui contenute rientrano appunto nelle categorie aventi tale funzione. Ma le categorie di base scelte da Parsons mi sembrano in larga misura arbitrarie. Dietro di esse vi è, inespressa e non verificata, l'idea ritenuta spesso ovvia che compito di ogni teoria scientifi­ ca sia quello di ridurre concettualmente tutto ciò che è mutevole a qualcosa di immutabile e di semplificare tutti i fenomeni complessi scomponendoli nelle loro singole parti costituenti. L'esempio della teorizzazione parsonsiana suggerisce però anche l'idea che, attraverso una sistematica riduzione concettuale di processi sociali a situazioni (Zustiinde) so­ ciali e di fenomeni complessi ·e compositi a componenti più semplici e apparentemente non composite, neH'ambito della sociologia si finisca per complicare anziché semplifJ­ care la teorizzazione. Questo genere di riduzione, questo tipo di astra2lione usato come metodo di teorizzazione po­ trebbe comunque giustificarsi se avesse inequivocabilmen­ te portato a chiarire ed approfondire la comprensione che gli uomini hanno di se stessi come società e come indi­ vidui. Al contranio, troviamo che le teorie che ricorrono a questi metodi di pensiero, come la teoria tolemaica del­ l'epiciclo, rendono indispensabili costruzioni ausiliarie i­ nutilmente complicate, per poterle far concordare con i fattJi empiricamente accertabili. Si presentano spesso come 16

Introduzione

una nuvola scura dalla quale irrompono di quando in quando sulla terra alcuni raggi di luce. v

Un esempio in proposito, del quale parleremo ptu dettagliatamente in seguito, è il tentativo di Parsons di elaborare un modello teorico del rapporto tra strutture della personalità e strutture della società. Sotto questo profilo, in Parsons si intrecciano spesso due idee non conciliabHi: l'idea che ìndividuo e società - «Ego>> e «System» - siano due dati che esistono separatamente l'uno dall'altro, il primo dei quali, il singolo uomo, deve essere considerato la realtà effettiva mentre il secondo è piuttosto un epifenomeno; e l'idea che entrambi siano settori diversi e inseparabili dell'universo creato dall'uo­ mo. Concetti come «Ego» e «System» e tutti gli altri concetti affini che si riferiscono agli uomini in quanto singoli e agli uomini in quanto società, inoltre, in Parsons sono predisposti - tranne quando egli si serve di catego­ rie psicanalitiche - come se uno stato di immutabilità possa essere considerato r1ormale per entrambi. È impos­ sibile comprendere realmente le ricerche qui contenute se si permette che tali idee facciano deviare lo sguardo da ciò che realmente si può osservare negli uomini. È impos­ sibile insomma comprenderle se si perde di vista il fatto che concett'i come «individuo» e «società» si riferiscono non a oggetti che esistono separatamente ma ad aspetti dell'uomo diversi ma inseparabili tra loro, e che entrambi gli aspetti si riferiscono in generale al fatto che gli uomini sono di norma coinvolti in un mutamento strutturale. Entrambi hanno il carattere di processi, e nella formazio­ ne di una teoria riferita agli uomini non vi è la minima necessità di fare astrazione da questo loro carattere. È insomma indispensabile inserire tale carattere di processo nelle teorie sociologiche e d'altro tipo riferite agli uomini. Come si mostrerà nelle pagine che seguono, anche il pro­ blema del rapporto tra strutture indh11iduali e strutture 17

Introduzione

della società può essere chiarito appunto se entrambe vengono esaminate come strutture mutevoli, in divenire e divenute. S oltanto così, come apparirà nelle pagine che seguono, si avrà la possibilità di elaborare per tale rap­ porto abbozzi di modelli che in qualche misura si accor­ dino con i dati empiricamente documentabili. Si può af. fermare con maggior sicurezza che il rapporto tra ciò che viene concettualmente elaborato come «individuo» e co­ me « società» resterà incomprensibile fino a che nel pen­ siero eo �ipso si manipoleranno questi concetti come se si avesse a che fare con due corpi che esistono separatamen­ te, e per di più con due corpi normalmente immobili, che soltanto successivamente, diciamo così, entrano in contat­ to tra di loro. Senza che ciò venga mai affermato in modo aperto e chiaro, in Parsons e in tutti 'i sociologi che sono figli del medesimo spirito aleggia senza dubbio l'idea che ciò cui si riferiscono concetti quali e « società» abbia un'esistenza in qualche modo separata. Ad esempio - per citare soltanto un esempio che ne illustra il pensiero - Parsons accoglie l'idea già sviluppa­ ta da Durckheim che il rapporto tra «individuo» e «socie­ tà» significhi una «penetraZ'ione reciproca» , un' « interpe­ netrazione» tra persone singole e sistema sociale. Comun­ que d si voglia figurare questa «penetrazione reciproca», questa metafora che altro può significare se non che si ha a che fare con due entità diverse, che in un primo tempo esistono separatamente e poi, in un secondo tempo, in certo qual modo si «interpenetrano»? 3• È evidente a questo punto la diversità della nostra impostazione del problema sodologico. Nelle ricerche che presentiamo, la possibilità di ricavare con maggior rigore i nessi tra strutture individuali e strutture sociali è scaturi­ ta proprio dal fatto che non si è fatta astrazione dal mutamento in entrambe, os&ia dal processo di divenire ed essere divenuto come se fosse qualcosa di estraneo alla struttura, di «meramente sto11ico». Infatti il divenire delle strutture della personalità e di quelle della società si compie in modo reciprocamente indissolubile. Non si può ormai dire con certezza che gli uomini di una data società 18

Introduzione

sono civili. Sulla base di ricerche sistematiche e con riferimento a prove documentabHi, si può invece afferma­ re con piena certezza che alcuni gruppi umani sono diven­ tati civili, senza necessariamente collegare tale affer­ mazione all'idea che sia meglio o peggio, che abbia un valore positivo o negativo essere diventati tali. Ma tale mutamento delle strutture della personalità si dimostra facilmente come un aspetto specifico del divenire delle strutture della società. Ed è quanto cercheremo di fare nelle parti che seguono. Non è part,icolarmente strano trovare in Parsons, così come a, con la tendenza a:lla monopolizzazione immanente in una confi­ gurazione di unità in libera concorrenza. Quindi la ricerca mostrerà come nel corso dei secoli la configurazione ori­ ginaria si trasformi in un'altra nella quale ad una singola posizione sociale, quella del re, si colleghino chances mo­ nopolistiche di potere talmente superiori che nessun de­ tentore di qualsiasi altra posizione sociale possa fargLi concorrenza, all'interno della rete di interdipendenze : Nel­ lo stesso tempo, dimostrerà che nel corso di un cambia­ mento della configurazione mutano anche le strutture del­ la personaHtà umana, e in che modo. Dobbiamo trascurare qui molti problemi che merite­ rebbero di essere presi in esame in un'introduzione; di­ versamente, questa diventerebbe un volume a sé. Ma, pur limitate come sono, queste riflessioni indicano forse come per la comprensione delle ricerche che seguono, sia neces­ sario modificare alquanto l'orientamento del pensiero e del patrimonio di rappresentazioni oggi dominanti nella sociologia. Certamente non è facile per ognuno liberarsi dall'idea che egli stesso, che il singolo uomo in generale sia da considerare homo clausus. Ma se non ci si libera di quest'idea non sarà possibile comprendere che cosa si in62

Introdu:r.ione

tende quando si definisce un processo di civilizzazione come un mutamento delle strutture individuali. Parimen­ ti, non è facile sviluppare la propria immaginazione in modo tale da poter pensare per configurazioni, e per di più per configurazioni che hanno tra le loro normali ca­ ratteristiche quella di mutare, e a volte perfino in una direzione ben precisa. In quest'introduzione mi sono sforzato di esaminare i problemi fondamentali il cui mancato esame, a mio giudi­ zio, ostacola la comprensione del presente libro . I concet­ ti non sono tutti molto semplici, ma ho cercato di esporli nel modo più semplice possibile. Spero che contribuiran­ no a facilitare e anche ad approfondire la comprensione di questo libro, e forse anche a renderlo più gradevole. N.E. Leicester, luglio 1 968

Note all'Introduzione 1 Talcott Parsons, Essays in Sociological Theory, Glencoe, 1963, p. 259 s . 2 T . Parsons, cit., p. 359. 3 T. Parsons, Social Structure and Personality, Glencoe, 1963, pp. 82, 258 s. 4 L'idea che il mutamento sociale, nel senso di mutamento struttu­ rale, sia da interpretare come turbamento di uno stato di equilibrio sociale di norma stabile, si trova in parecchi passi dell'opera di Parsons (dr. ad es. T. Parsons, N.l. Smelser, Economy and Society, London, 1957, p. 247 s.; rrad. !i.t. Economia e società, Milano, 1970). Lo stesso in Robert K. Merton, Social Theory and Social Structure, Glencoe, 1957, p. 122; trad. it., Teoria e struttura sociale, 3 voli., Bologna, 1972; anche qui ad uno stato sociale ideale, anche se inteso in apparenza come reale, nei quale non esistono contraddizioni e tensioni, ne viene contrapposto uo altro nel quale fenomeni sociali intesi come «perturbazioni», «cattivo funzionamento» (dysfunctional) sospingono verso il «mutamento» una struttura sociale di norma priva di tensioni ed immutabile. Come si può notare, il problema da noi posto in discussione non coincide con quello tradizionalmente discusso mediante i concetti di «statica» e «dinamica». Nelle discussioni tradizionali, il problema è spesso relativo al procedimento e al metodo da preferire quando si esaminano fenomeni sociali: un metodo con cui ci si limita a esaminarl!.

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Introduzione un determinato periodo di tempo oppure un metodo che affronti processi più estesi nel tempo. Qui intendiamo invece mettere in discu& sione non i metodi sociologici e neppure la selezione sociologica dei problemi, bensi le idee relative alla società, alle configurazioni create dagli uomini che motivano l'uso dei differenti metodi e dei differenti tipi di selezione. In altre parole, non neghiamo la possibilità di sòttoporre ad un'indagine sociologica situazioni sociali a breve termine. Questa scelta è pienamente legittima e indispensabile nella ricerca sociologica. Il nostro discorso è invece diretto contro un determinato tipo di idee teoretiche che si ricollegano spesso, ma non certamente in modo indispen sabile , a ricerche sociologiche empiriche relative a una situazione (Zustand). È sicu­ ramente possibile intraprendere ri cerche empiriche relative a una situazione che abbiano come ambito di riferimento modelli di mutamenti, process i e sviluppi sociali di un genere o di un altro. La discussione sul rapporto tra «statica sociale» e «dinamica sociale» risente del fatto che non si distingue con sufficiente chiarezza tra la ricerca empirica su problemi sociologici a breve termine con i relativi metodi di ricerca, da un lato, e, dall'altro, i modelli teoretici che ci guidano nell'impostazione dei pro­ blemi e nella rappresentazione dei risultati della ricerca stessa. L'uso che Merton fa, nel passo succitato, dei concetti di «statica» e «dinamica» indica chiaramente questa insufficiente capacità di distinguere, allorché egli afferma che nell'ambito di una teoria sociologica della funzione è possibile superare il divario tra statica e dinamica, in quanto discrep a nze , tensioni e opposizioni sono bensl «dysfunktional» in riferimento al «sistema sociale» esistente, ed equivalgono quindi ad un cattivo funzio­ namento, ma sono «strumentali» in riferimento al mutamento. 5 Le tendenze all'aggregazione (Zusammenschlusstendenzen) delle nazioni europee traggono certamente una buona parte della loro forza propulsiva dall'infoltirsi e prolungarsi delle catene di interdipendenze, soprattutto a livello economico e militare; tuttavia, la scossa subita dalla loro tradizionale immagine di sé ha spin to questi paesi, anche se in modo incerto e inizialmente sperimentale, ad adeguare in qualche modo ii loro atteggiamento allo sviluppo effettivo, accettando una maggior interdipendenza funzionale, a dispetto della tradizione «naziocentrica». La difficoltà consiste però nel fatto che a livello affettivo il sentimento nazionale delle popolazioni di tutti questi paesi ha un posto dominante, dato che la socializzazione ha avuto un'impronta � domineranno a tal punto il pensiero teoretico dei principali sociologi americani, finché essi non si renderanno conto che la sociologia come la fisica non possono essere dominate da una visione essenzialmente nazionalistica, la loro indiscutibile influenza rappresenterà un pericolo non indifferente per uno sviluppo universale della sociologia. Come si vede, la «fine dell'ideologia» non è ancora apparsa all'orizzonte dei sociologi. Si potrebbe, probabilmente, dire la stessa cosa anche della sociologia russa, qualora avesse un'influenza di pari peso. Ma, per quanto ne so, pur essendo in aumento nell'URSS il numero delle ricerche di sociologia empirica, non esiste ancora una sociologia teoretica. Ciò è comprensibile, in quanto nell'URSS il suo posto è occupato non tanto dal sistema concettuale di Marx-Engels, quanto dal sistema marxista elevato a sistema fideistico. Al pari della dominante teoria americana della società, anche quella russa è una struttura concettuale «naziocentrica». E certa­ mente anche in URSS la fine dell'ideologia nella teorizzazione sociologica non è ancora in vista. Ma questo non autorizza a non compiere ogni sforzo per porre fine a questo costante autoinganno, a questo sempre rinnovato camuffamento di ideali sociali a breve termine per farli apparire come teorie sociologiche eternamente valide. 8 T. Parsons, Societies, Evolutionary and Comparative Perspectives, Englewood Cliffs, 1966; trad. it. Sistemi di società. Vol. I, Le società tradizionali, Bologna, 1971 : «Questo processo si verifica all'interno di questa scatola nera (black box), la personalità dell'attore». 9 Gilbert Ryle, The Concept of Mind, London, 1949 ; trad. it. Lo spirito come comportamento, Torino, 1955.

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LA CIVILTA DELLE BUONE MANIERE

Prefazione

Al centro di questa ricerca vi sono modi di compor­ tamento che sono considerati tipici degli uomini civilizzati dell'Occidente. Il problema che essi ci propongono è ab­ bastanza semplice: gli uomini dell'Occidente non si sono sempre comportati al modo che oggi siamo soliti conside­ rare tipico e caratteristico di uomini «civitl i». Se uno di essi potesse catapultarsi di punto in bianco in un pe­ riodo antecedente della sua stessa società, ad esempio nel periodo medievale-feudale, ritroverebbe molti aspetti che oggi in altre società considera «non civili» ; le sue sen­ sazioni non si discosterebbero essenzialmente da quelle che modi di comportamento di uomini di società feudali non occidentali suscitano oggi in lui. A seconda della sua condizione e delle sue tendenze, potrebbe essere attratto dalla vita più selvaggia, libera e avventurosa degli strati superiori di quella società, oppure sentirsi urtato dalle consuetudini «barbariche», dalla sporcizia e dalla rozzezza che le erano proprie. E qualunque cosa egli intenda per propria «civiltà», in ogni caso si accorgerebbe ine­ quivocabilmente che, in quel periodo ormai trascorso del­ la storia occidentale, la società che esamina non è affatto «civile» secondo i criteri e la misura della odierna civiltà occidentale. Questo dato di fatto oggi può essere chiaramente av­ vertito nella coscienza di molti, e potrebbe apparire inuti­ le parlarne ancora. Esso fa però sorgere un quesito, del quale non si può affermare allo stesso titolo che sia chia­ ro ed evidente nella coscienza delle generazioni attuali, quantunque non sia privo di importanza per la compren­ sione di noi stessi. Come è avvenuto in realtà questo mutamento, questa «civilizzazione» dell'Occidente ? In 69

Prefazione

che cosa consiste ? Quali ne furono gli stimoli, le cause, i motori ? Sono questi i quesiti principali alla cui soluzione il presente lavoro cerca di dare un contributo . Per spianare la via alla loro comprensione, e in un certo senso per introdurne la problematica, mi è sembrato necessario esaminare il differente significato e la differen­ te valutazione che si attribuiscono in Germania e in Fran­ cia al concetto di « civilizzazione>> . L'argomento è affron­ tato nel primo capitolo. Può essere utile cercare di rende­ re meno rigida e ovvia la contrapposizione tra « cultura» e «civiltà». Nello stesso tempo, ciò può contribuire in parte a facilitare per i tedeschi la comprensione storica per il comportamento dei francesi e anche degli inglesi, e vice­ versa. Infine, può servire anche a mettere in luce deter­ minate figure tipiche del processo di civilizzazione. Per affrontare i problemi principali, si doveva innanzi tutto farsi un quadro più chiaro del modo in cui il com­ portamento e l'economia degli affetti sono andati lenta­ mente mutando nell'uomo occidentale a partire dal Me­ dioevo . Sarà compito del secondo capitolo indicare in modo semplice e con chiarezza la via per comprendere il processo psichico della civilizzazione. È possibile che al livello del pensiero storico attuale appaia un po' azzardata e dubbia l'idea di un processo psichico che si prolunga per molte generazioni. Ma non è possibile decidere, in sede puramente teorica o speculativa, se i mutamenti del­ l'habitus psichico che si possono osservare nel corso della storia occidentale avvengano secondo un determinato or­ dine e direzione; soltanto l'esame dei documenti storici può farci capire che cosa vi sia di giusto o no. Per lo stesso motivo, non è possibile neppure anticipare bre­ vemente a questo punto, non potendo ancora presupporre la conoscenza di questi documenti, la struttura e le idee guida di tutto il lavoro ; esse hanno assunto forma più precisa soltanto gradualmente, attraverso l'osservazione costante di fatti storici, il controllo e la revisione perma­ nenti del materiale già considerato alla luce di quello 70

Prefazione

successivo; cosl anche ogni singola parte di questo lavoro, anche la sua struttura ed il suo metodo potranno essere compresi interamente soltanto se considerati come un tut­ to. Per facilitare la comprensione del lettore, basterà dunque enucleare alcuni problemi. Il secondo capitolo contiene molte serie di esempi, che hanno per cosl dire funzione di acceleratore . In poche pagine possiamo infatti vedere come lo standard del com­ portamento umano nei secoli, e a parità di situazioni, si sposti assai gradualmente verso una determinata direzione. Vedremo gli uomini a tavola, li vedremo quando vanno a letto oppure quando si scontrano col nemico in battaglia . In queste e in altre occasioni cambiano lentamente sia il modo in cui il singolo si comporta sia il suo modo di sentire; cambiano nel senso che gradualmente si « civiliz­ zano», ma soltanto l'esperienza storica rende evidente il vero significato di questa parola. Mostra, ad esempio, quale ruolo decisivo abbia in questo processo di « civiliz­ zazione» un preciso cambiamento del senso del pudore e della ripugnanza. Muta lo standard di ciò che è social­ mente consentito e vietato, e parallelamente si sposta la soglia dell'avversione e dell'angoscia socialmente alimenta­ te ; pertanto il problema delle angosce umane sociogene dimostra di essere uno dei problemi-chiave del processo di civilizzazione. Un altro gruppo di problemi è strettamente collegato a questi . La distanza tra il comportamento e tutta la 1>truttura psichica dei bambini da un lato e quella degli adulti dall'altro aumenta nel corso del processo di civiliz­ zazione ; e questa è probabilmente la chiave per risolvere un quesito : perché alcuni popoli o gruppi ci appaiono «più giovani» o «più infantili», altri invece «più vecchi » o «più adulti» . Ciò che cerchiamo di esprimere con que­ ste espressioni sono le differenze di modo e di grado del processo di civilizzazione percorso da queste società; ma si tratta di un quesito a sé, che si è dovuto trascurare nell'ambito del presente lavoro. La serie di esempi e le spiegazioni contenute nel secondo capitolo mostrano in­ nanzi tutto e con grande evidenza una cosa : lo specifico 71

Prefazione

processo del «divenire adulti» psichlcamente, che oggi­ giorno fa spesso riflettere pedagogisti e psicologi, non è altro che il processo individuale d.i civilizzazione cui nelle società civili, a segu1to del secolare processo sociale di civilizzazione, ogni adolescente viene assoggettato fin da piccolo e automaticamente, in diverso grado e con diverso successo. Perciò non è possibile comprendere la psicogenesi dell'habitus delJ' adulto nella società civile se la si considera indipendente dalla sociogenesi della nostra «civilizzazione» . In base ad una sorta d.i « legge sociogenetica fondamentale» 1, l'individuo nel corso della sua piccola storia ripercorre ancora un po' dei processi percorsi dalla sua società nel corso della sua grande storia. Rendere comprensibili determinati processi di questa grande storia è appunto compito del terzo capitolo, che occupa la parte maggiore del secondo volume. Qui cer­ cheremo di far chiarezza, per alcuni campi ben determina­ ti, sul come e perché nel corso della sua storia la società occidentale ha costantemente mutato la propria struttura ; contemporaneamente, indicheremo la via per rispondere al quesito sul perché negli stessi campi cambiano lo stan­ dard di comportamento e l'habitus psichico dell'uomo oc­ cidentale. Ad esempio, si esaminerà il paesaggio sociale dell'alto Medioevo. Esisteva allora un gran numero di castelli grandi e piccoli ; anche gli insediamenti urbani di un tempo si erano feudalizzati e il loro centro economico era rap­ presentato dai castelli e dalle corti dei signori appartenen­ ti al ceto dei guerrieri. n problema è : quali combinazioni sociali portarono alla creazione di quello che definiamo « sistema feudale» ? Cercheremo pertanto di indicare alcuni di questi «meccanismi della feudalizzazione» . Vedremo i­ noltre come a poco a poco dal paesaggio formato da ca­ stelli siano emerse, contemporaneamente ad una serie di liberi insediamenti urbani di artigiani e mercanti, anche una serie di corti feudali più grandi e più ricche; come all'interno del ceto dei guerrieri si sia formato sempre più nettamente uno strato superiore, le cui dimore furono da un lato centri del Minnesang e della lirica trovadorica, 72

Prefazione

dall'altro delle forme «cortesi» di relazioni e di compor­ tamento . Se in precedenza lo standard « cortese» di com­ portamento è stato posto al punto di partenza di numero­ se serie di esempi, che possono dare un quadro del mu­ tamento dell'habitus psichico, ora qui troviamo l'accesso alla sociogenesi di queste forme cortesi di comporta­ mento. Si veda anche come si forma lentamente la protofor­ ma di quello che chiamiamo « Stato » . In precedenza a'Ve­ vamo mostrato come nell'età dell'assolutismo sotto la pa­ rola d'ordine «civilité» il comportamento si modifichi in modo assai visibile in direzione di quello standard che oggi, con un derivato dal termine «civilité» definiamo comportJamento «civile»; perciò per chiarire questo pro­ cesso di civilizzazione. era parso necessario innanzi tut­ to avere un quadro più chiaro della via per la quale si arriva alla formazione di un regime assolutistico e quindi deUo stato assolutistico. A indicare questa via non vi è soltanto l'osservazione del passato: anche una quantità di osservazioni del presente consente l'ipotesi che la struttu­ ra del comportamento «civile» sia strettamente colle­ gata all'organizzazione delle civiltà occidentali in forma di «Stati » . In altre parole il problema era: in che modo da quella società ampiamente decentrata dell'alto Medioevo, nella quale molti guerrieri grandi e piccoli erano i veri signori dei territori occidentali, scaturisce una di quelle società più o meno pacificate all'interno e armate nei confronti del mondo esterno, che noi chiamiamo «Stato» ? Quali combinazioni sociali spingono all'integrazione di territori sempre più vasti sotto un apparato di dominio relativamente stabile e centralizzato ? A prima vista, potrebbe forse apparire una complica­ zione superflua porsi per ogni formazione storica il pro­ blema della sua genesi. Ma poiché tutti i fenomeni storici, tanto i comportamenti umani quanto le istituzioni sociali, di fatto una volta o l'altra sono « divenuti» , come potreb­ bero dimostrarsi semplici e sufficienti alla loro spiegazio­ ne certe fanne di pensiero che, con una sorta di artificio­ sa astrazione, isolano tutti questi fenomeni dal loro natu73

Prefazione

rale flusso storico, tolgono loro lo specifico carattere di movimento e di processo e cercano di comprenderli come formazioni statiche, indipendentemente dal modo in cui sono sorte e si trasformano ? Non è un preconcetto teori­ co ma è l'esperienza stessa che spinge a cercare strumenti e vie concettuali, a guidare la nostra coscienza tra lo Scilla di questo « staticismo», che tende a esprimere in forma statica e immutabile tutto ciò che è storicamente movimento, e il Cariddi di quel «relativismo storico» che vede nella storia soltanto un cambiamento costante senza cercare di chiarire l'ordine di questo cambiamento e le leggi secondo cui si creano le formazioni storiche. Questo è ciò che abbiamo cercato di fare qui. La ricerca socioge­ netica e psicogenetica è diretta a scoprire l'ordine dei mutamenti storici, la sua meccanica e i suoi meccanismi concreti ; riteniamo infatti che in tal modo una quantità di problemi che oggi a prima vista appaiono complicati o impermeabili alla riflessione, possa trovare una risposta sufficientemente semplice e precisa. Sotto questo profilo, cercheremo an-che di chiarire la sociogene,i dello « Stato » ; qui risiede - per enucleare un aspetto della storia della sua formazione e struttura - il problema del «monopolio della violenza». Già Max We­ ber aveva indicato, dapprima soltanto sotto forma di de­ finizione, che tra le istituzioni costitutive dell'organizza­ zione sociale che chiamiamo «Stato» vi è il monopolio dell'esercizio fisico della violenza. Qui cercheremo di ren­ dere in qualche modo evidenti i concreti processi storici per cui dal periodo in cui l'esercizio della violenza era privilegio di una massa di guerrieri in libera competizione reciproca, si è passati per gradi a quella centralizzazione e monopolizzazione dell'esercizio fisico della violenza e dei suoi strumenti . Dimostreremo che comprendere la ten­ denza verso questa formazione di un monopolio in un'e­ poca precedente della nostra storia, non è né più facile né più difficile che comprendere, ad esempio, la forte ten­ denza alla formazione di monopoli all'epoca nostra; infine non sarà difficile comprendere che con questa monopoliz­ zazione della violenza fisic-� , che è come un punto nodale

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Prefazione

per tutta una serie di interdipendenze sociali, mutano in modo decisivo sia l'apparato che modella l'individuo, sia il modo in cui operano le richieste e le proibizioni sociali che plasmano nel singolo l'habitus sociale, sia soprattutto il genere di angosce che hanno un ruolo nella vita dell'in­ dividuo . Infine la sintesi, !'«abbozzo di una teoria della civiliz­ zazione», sottolinea ancora una volta questi nessi tra i mutamenti avvenuti nella struttura della società e quelli intervenuti nella struttura del comportamento e dell'habi­ tus psichico. Qui verrà esposta più ampiamente una buo­ na parte di ciò cui in precedenza si era soltanto accennato nell'illustrare i concreti processi storici. Ad esempio, vi si troverà un breve excursus sulla struttura delle angosce legate al pudore e a:lla vipugnanza, quasi una summa teo­ rica di quanto era stato indicato in precedenza esaminan­ do i materiali storici; vi si troverà una spiegazione del motivo per cui proprio angosce di questo tipo hanno un ruolo di particolare importanza nel corso del processo di civilizzazione ; nello stesso tempo si farà luce anche sulla formazione del «Super-Io», sul rapporto tra movimenti consci ed inconsci nella economia psichica degli uomini «civili» . Qui otterrà una risposta il problema dei processi storici, ossia il problema di come si debba intendere il fatto che tutti questi processi sono composti unicamente di azioni di singoli uomini, e tuttavia scaturiscono in essi istituzioni e formazioni che nessun singolo individuo si era proposto o aveva progettato proprio in quei termini. Infine, in un «panorama» generale queste indagini sul passato si combineranno in un unico quadro con le espe­ rienze del presente , Questo lavoro insomma prospetta e sviluppa un pro­ blema quanto mai vasto, ma non pretende di risolverlo . Esso stabilisce un piano di osservazione cui fino ad ora si è dedicata un'attenzione relativamente ridotta, e intraprende i primi passi per illuminarlo . Altri dovranno seguire. Ho consapevolmente trascurato molti problemi e mol­ ti aspetti che si sono presentati nel corso della ricerca. 75

Prefazione

Non mi interessava tanto costruire nel vuoto una teoria generale della civilizzazione e poi esaminarla a posteriori per vedere se concorda con l'esperienza; il compito più urgente mi è parso quello di riguadagnare innanzi tutto , per un settore determinato, la perduta visione del proces­ so, del peculiare mutamento del comportamento umano, quindi ricercare una comprensione certa delle sue cause e infine raccogliere i criteri teorici che ne sono scaturiti . Se mi riuscirà di creare un fondamento in certo qual modo più sicuro per proseguire la riflessione e il lavoro in que­ sta direzione, avrò raggiunto tutto ciò che con questo lavoro mi ero proposto. Saranno necessarie la riflessione di molti e la cooperazione di molte discipline, oggi spesso separate da barriere artificiose, per dare via via risposta ai quesiti che emergono nel corso della ricerca. Essi inte­ ressano la psicologia, la filologia, l'etnologia o l'antropo­ logia non meno che la sociologia o i diversi rami specia­ listici dell'indagine storica. La problematica stessa scaturisce comunque non tanto dalla tradizione scientifica in senso stretto quanto dalle esperienze che noi tutti viviamo, le esperienze della crisi e della trasformazione dell'attuale civiltà occidentale, e dalla semplice necessità di conoscere che cosa sia in realtà questa «civiltà». Nella ricerca non sono stato guida­ to né dall'idea che il nostro comportamento civile sia il più progredito di tutti i possibili modi di comportamento umano, né dall'opinione che la «civiltà» sia la peggior forma di vita e sia condannata alla rovina. Tutto quanto è dato vedere oggi è che con la progressiva civilizzazione emergono una quantità di specifici travagli; tuttavia non si può affermare che comprendiamo già ora che cosa ci tormenta. Sentiamo che la civiltà ci coinvolge in determinati modi che uomini meno civili non co­ noscono; ma sappiamo anche che questi uomini meno «dvili» a loro volta sono spesso tormentati da tra­ vagli ed angosce di cui noi non soffriamo, o almeno in misura inferiore. Forse tutto questo può essere visto più chiaramente se si riesce a comprendere come avvengono in realtà tali processi di civilizzazione. In ogni caso quest�:�

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Prefazione

è stata una delle aspirazioni che mi hanno spinto a in­ traprendere questo lavoro. È possibile che una volta o l'altra, grazie a una migliore comprensione si riesca a imprimere una direzione più consapevole a tali processi che oggi si compiono in noi e attorno a noi in modo non molto differente da eventi naturali e rispetto ai quali ci poniamo nello stesso modo in cui gli uomini del Medioe­ vo si ponevano rispetto alle forze di natura. Io stesso nel corso della ricerca ho dovuto imparare a mutare pensiero su tutta una serie di punti, e non vorrei togliere al lettore la possibilità di prendere confidenza con tutta una serie di aspetti ed espressioni inconsueti. Soprattutto mi è diventata più chiara la natura di processi storici, la « meccanica di sviluppo della stoda», se cosl si può chiamarla, ed il suo legame con i processi psicologici. Può essere espressa con concetti come sociogenesi e p si­ cogenesi, dominio degli affetti e modellamento degli im­ pulsi, eterocostrizioni e autocostrizioni; soglia della ripu­ gnanza, forze sociali, meccanismo del monopolio e altri. Ma ho cercato di farmi condizionare il meno possibile dalla necessità di esprimere con termini nuovi il nuovo che si presentava. Questo per quanto riguarda il tema del lavoro . Sia per la presente ricerca sia per una serie di lavori preliminari necessari ho ottenuto consigli e appoggio da molte parti. È mio desiderio, e insieme un'esigenza, e­ sprimere la mia gratitudine a tutte le persone e istituzioni che mi hanno aiutato. La rielaborazione della mia tesi di laurea, un'ampia ricerca su nobiltà, monarchia e società di corte in Francia, che è alla base di questo lavoro, mi fu resa possibile gra>­ zie all'appoggio della Fondazione Steun di Amsterdam. Ad essa, come al prof. Frijda di Amsterdam e al prof. Bou­ glé di Parigi, debbo esprimere il mio ringraziamento per la grande gentilezza e l'interesse dimostratimi durante il mio periodo di lavoro a Parigi. Per il periodo di lavoro a Londra ho avuto il genero­ so appoggio della Woburn-House, verso la quale sono mol­ to in debito, come pure verso il prof. Ginsberg di Londra, 77

Prefazione

il prof. H. Loewe di Cambridge e a Makower M.A. di Londra. Senza il loro aiuto questo lavoro non si sarebbe mai concluso. Ringrazio inoltre il prof. K. Mannheim di Londra per l'aiuto ed i consigli con cui mi ha sorretto. Non ultimi, sono in debito con i miei amici Gisèle Freund, di Parigi, dottore in filosofia, M. Braun, di Cambridge, dottore in filosofia, A. Gliicksman di Cam­ bridge, dottore in medicina, H. Rosenhaupt, di Chicago, dottore in filosofia e R. Bonwit di Londra, per il loro aiuto e per i colloqu1 che mi sono serviti a chiarire molte cose, ed esprimo qui il mio ringraziamento . N. E . Settembre 1 9 3 6

Nota alla Prefazione 1 Non si equivochi su questa espressione, nel senso che nella storia dell'individuo «civile» sia possibile rintracciare tutte le singole fasi della storia della società. Non vi sarebbe nulla di più assurdo che ricercare nella vita dcll'individuo un' «epoca feudale di economia naturale» o un'epoca «rinascimentale» e un «periodo assolutistico-curtense». Tutti i concetti di questo tipo si riferiscono alla struttura di interi gruppi sociali. Vogliamo soltanto richiamare alla mente un dato semplice : che anche nella società civilizzata nessun essere umano viene alla luce già civilizzato, e che il processo individuale di civilizzazione che egli inevita­ bilmente subisce è una funzione del processo sociale di civilizzazione. Perciò la struttura degli affetti e della coscienza del bambino ha sicuramente una certa affinità con quella di popoli «non civili»; e lo stesso vale negli adulti per quello strato che col progredire della dviltà è sottoposto a una censura più o meno severa e che, ad esempio, trova ancora espressione nei sogni. Ma poiché nella nostra società ogni essere umano fin dal primo istante della sua esistenza è esposto alle influenze e all'intervento modellatore di adulti «civili», l'essere umano deve in effetti ripercorrere a sua volta un processo di civilizzazione in direzione dello standard raggiunto dalla sua società nel corso della sua storia, ma non certo tutti i singoli segmenti storici di questo processo.

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PARTE PRIMA

CIVILTA E CULTURA

CAPITOLO

PRIMO

Genesi sociale dell'antitesi

ormai da tempo non è quasi più messo in discussione dai francesi e dagli inglesi. Ma il quesito : «Che cos'è pro­ priamente tedesco ? » da secoli non ha cessato di essere inquietante . A questo quesito risponde, •in una determina­ t2 fase, il concetto di «cultura» . La struttura dell'autocoscienza nazionale, che è rap­ presentata da concetti come «cultura}> o «civiltà» , è dun­ que assa:i differente . Ma per quanto grande sia questa differenza, tanto il tedesco che parla con vanto della sua «cultura}>, quanto il francese e l'inglese che pensano con orgoglio alla loro «civiltà}> , considerano assolutamente ovvio il fatto che è questo il criterio con cui va conside­ rato e valutato nel suo insieme il mondo degli uomini. Il tedesco può affannarsi a spiegare al francese e all'inglese quale significato egli dà ·a!l concetto di «cultura», ma ben difficilmente potrà trasmettere loro qualcosa della tradi­ zione specificamente nazionale di esperienze, il valore e­ mozionale che per lui riveste il termine . Il francese e l'inglese, a loro volta, possono certamen­ te spiegare al tedesco quali sono i contenuti che ai loro occhi fanno del concetto di «civiltà}> la quintessenza ( in­ carnazione) dell'autocoscienza nazionale ; ma per quanto razionale poss·a apparire loco tale concetto, scaturisce an-

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Antitesi «civiltà» e «cultura» in Germania

ch'esso da una catena specifica di situazioni storiche, è avvolto anch'esso da un'atmosfera emozionale e tradizio­ nale assai difficile da definire e che è tuttavia parte inte­ grante del loro essere. E la discussione si perde nel vuoto non appena il tedesco cerca di dimostrare loro il motivo per cui il concetto di «civiltà» è sl per lui un valore, ma di secondaria :importanza. Entrambi questi concetti possono essere paragonati a quelle parole che talvolta si impongono in un gruppo ristretto, in una famiglia o in una setta, o in una classe a scuola, o in una qualsiasi «associaZJione» , i quali mentre dicono molto agli iniziati dicono assai poco agli estranei. Esse si formano sulla base di esperienze comuni : crescono e si trasformano insieme al gruppo di cui sono espressio­ ne. In essi si rispecchiano la sua situazione, la sua storia. Restano scolorite, non acquistano mai una vitalità piena per coloro che non condividono quelle esperienze, per coloro il cui linguaggio non scaturisce dalla stessa tradi­ zione e situazione. · È ovvio che dietro «cultura» e «civiltà» si riconosce l'�mpronta non di sette o famiglie ma di interi popoli o forse, all'inizio , soltanto di determinati strati di questi popoli. Tuttavia, sotto molti aspetti, vale lo stesso di­ scorso fatto per il gergo specifico di gruppi più piccoli : si tratta di un linguaggio rivolto da uomini a uomini di una determinata tradizione e di una determinata situazione. I concett:i matematici possono benissimo essere di­ sgiunti dalla collettività che li adopera; gli angoli possono essere spiegati indipendentemente dalle situazioni stori­ che. Non è cosl invece per concetti come «cultura» e «civiltà». È possibile che singoli individui li abbiano formati traendoli dal materiale linguistico presente nel loro grup­ po, o .almeno che abbiano loro assegnato un significato nuovo . Ed i concetti hanno avuto fortuna e si sono im­ posti.. Altri li hanno accettati con questo nuovo significa­ to, sotto questa nuova forma, hanno continuato ad usarli, li hanno raffinati nei loro discorsi o scritti. Se li sono scambievolmente passati, finché sono diventati strumenti 85

Civiltà

e

cultura

adeguati ad esprimere quelle che erano le esperienze co­ muni e sulle quali ci si voleva e poteva intendere. Diven­ nero termini alla moda, concetti correnti del linguaggio quotidiano di una determinata società. Ciò dimostra che nacquero da un bisogno espressivo non del singolo ma di una collettività, la cui storiia essi rispecchiano e ripropon­ gono . Così, il singolo ha trovato in ciò la possibilità di u�ilizzarle . Egli non sa con precisione perché a queste parole sono legati questo significato e questa delimitazio­ ne, e perché se ne possono enucleare proprio questa sfumatura e quella nuova possibilità. Se ne serve perché per lui è ormai automatico farlo, perché fin da piccolo ha imparato a guardare il mondo attraverso le lenti rappre­ sentate da questi concetti. Il processo della loro genesi sociale può essere ormai stato dimenticato da tempo ; una generazione li trasmette alle successive senza conservare memoria del processo di mutamento nel suo complesso, ed esse continuano a vivere finché continuano a riflettere esperienze e situazioni passate come un valore attuale, come funzione nell'esistenza attuale della società, finché le generazioni che si susseguono possono sentir riecheg­ giare nel significato di questi termini le loro proprie espe­ rienze. Muoiono a poco a poco solo quando nella vita sociale attuale non sono più collegate a nessuna funzione e a nessuna esperienza. Talvolta sonnecchiano, oppure sonnecchiano determinati campi semantioi di esse, e grazie a una nuova situazione sociale riconquistano un nuovo valore di attualità. Vengono allora ricordate perché nella situazione presente della società vi è qualche elemento che esprime un riflesso del passato contenuto in esse.

2. Processo di sviluppo dell'antitesi «civiltà» e «cultura»

È chiaro che la funzione del concetto tedesco di «cul­ tura» 2 in contrapposizione a «civiltà», riprese vigore nel 1 9 1 9 e anzi già negli anni precedentJi, perché in nome della «civiltà» fu combattuta la guerra contro la Germa­ nia, e perché i tedeschi nella nuova situazione creata dalla 86

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Germania

fine della guerra dovettero trovare un nuova coscienza di sé. È però altrettanto chiaro, e dev'essere tenuto ben presente, che questa situazione storica della Germania dopo la guerra non fece che infondere nuovo impulso ad un'antitesi che aveva trovato espressione già da tempo, fin dal XVIII secolo, in questi due concet.ti. Sembra sia stato Kant a dare espressione per primo attraverso due concetti affini a una determinata esperien­ za ed antitesi della sua società. Nelle Ideen zu einer allgemeinen Geschichte in weltbiirgerlicher Absicht (1 7 84 ), egli scriveva : Noi siamo coltivati in misura elevata dall'arte e dalla scienza, siamo civili fino all'eccesso al Hne di praticare ogni sorta di buone maniere e convenienze sociali . . . L'idea della moralità aggiungeva - rientra nella cultura. Ma l'uso di quest'idea, che mira soltanto a una parvenza di morale nell'amore per l'onore e a un'onestà esteriore, si riduce a civiltà.

Per quanto la formulazione di quest'antitesi già qui, nell'atto della sua genesi, possa appa11ilre aHilfle alla nostra formulazione, il suo concreto punto di partenza, le espe­ rienze e la situazione cui si riferisce sono sostanzialmente diversi agli inizi del secolo XVIII, quantunque non man­ chi un legame storico con le espe11ienze su cui si fonda il suo uso odierno. Qui, dove n portavoce della borghesia tedesca in formazione, cioè l'intelligenza tedesca del ceto medio 3, in buona parte si esprime ancora «con intenti cosmopoliti» , l a contrapposizione è assai vaga e nel migliore dei casi si riferisce soltanto secondariamente a un'opposi­ zione r.azionale. In primo piano sta invece come esperien­ za motivante un'opposizione interna alla società, un'oppo­ sizione sociale, che comunque contiene in modo singolare il nucleo di un'opposizione nazionale : l'opposizione cioè tra la nobiltà di corte, che si esprime prevalentemente in francese ed è «civilizzata» secondo modelli francesi, da un lato, e dall'altro uno strato intellettuale del ceto medio, che si esprime in tedesco e si recluta principalmente nella

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Civiltà e cultura

cerch�a dei «servitori dei principi» borghesi o degli im­ piegati nel senso più ampio del termine, e tavolta anche tra elementi della nobiltà terriera. Abbiamo dunque qui un ceto amp1amente escluso da qualsiasi attività politica, che quasi mai pensa secondo categorie politiche e soltanto timidamente secondo catego­ rie nazionali, e la cui legittimazione da principio risiede soltanto in prestazioni spicituali, scientifiche o artistiche; l'altro, invece, è un ceto superiore che non «produce» nulla nel senso indicato sopra, ma che pone al centro della coscienza e della giustifica2'lione di se stesso l'acqui­ sizione di un comportamento differenziato e differenzian­ te. Ed è questo ceto che Kant ha i:n mente quando parla di «essere civili fino all'eccesso», di mere intellet­ tuale borghese privo di un retroterra. Più sopra è stata citata una sua affermazione, secondo cui la gente di corte sarebbe incolta. Più sotto dice la stessa cosa riguardo al popolo . In effetti, cultura e forma:zJione sono le parole d'ordine di un esiguo strato intermedio e che emerge dal popolo . Non soltanto il ristrett.o ceto di corte che sta al di sopra, ma anche i più ampi strati che stanno al di sotto dimostrano una comprensione relativamente scarsa per gli sforzi della loro élite.

E tuttavia proprio lo sviluppo relativamente esiguo dei più ampi strati borghesi professionisti è una delle cause per cui ia lotta dell'avanguardia borghese, dello 1 12

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Germania

strato intellettuale borghese contro lo strato superiore di corte avviene quasi interamente al di là della sfera politi­ ca, ed è per questo che l'attacco è diretto in prevalenza contro ii comportamento umano dello strato superiore, contro caratteri genericamente umani come la « superficiali­ tà», la «cortesia esterioJ:Ie» , l'«insincerità» e simili. Le poche citazioni che abbiamo potuto fornire, indicano già con grande evidenza questo stato di cose . E, in generale, l'attacco viene portato di rado, e senza eccessiva accentua­ zione, contro determinati e specifici concetti opposti a quelli che servono ·all'autolegittimazione dell'intellighenzia tedesca, cioè formazione e cultura. Uno dei pochi concetti opposti che è dato rilevare è quello della «Zivilisiertheit» ( condizione di civilizzato ) di Kant.

6 . L'affermarsi dell'opposizione sociale e il potenziarsi di

quella nazionale nella contrapposizione di "civiltà" e {{cultura" Che l'antit.e si si esprima con questo o altri concetti, una cosa risuha comunque evidente: la contrappos�zione di determinati caratteri umani che, più tardi, serviranno prevalentemente a esprimere un'opposizione nazionale, qui appare ancora in primo luogo come un'opposizione sociale. Esperienza determinante per la formazione di coppie oppositive come ). In altre parole, Kolb è un ), Tuttavia, ancora nell'edizione del 1897 del Meyers Konversationlexi­ kon è detto: «La civiltà è lo stadio attraverso il quale deve passare un popolo barbaro per raggiungere un livello più elevato nell'industria, nel!'arte, nella scienza e nelle opinioni>). Quantunque, in queste affermazioni il concetto tedesco di cultura , sembri avvicinarsi alla concezione francese e inglese di «civiltà», anche durante questo periodo in Germania non scompare mai l'idea che «civiltà>) sia un valore di secondo piano rispetto a «cultura>). Quest'ulti­ ma esprime la coscienza di sé della Germania rispetto ai paesi occidentali che si sentono i portabandiera della «civiltà>), e la sua tensione nei loro confronti. La storia della coppia di concetti «civiltà>) e «cultura» in Germania è strettamente legata a quella dei rapporti tra Inghilterra, Francia e Germania; alle sue spalle, come elementi costitutivi, vi sono certi dati politici che sopravvivono a molte, singole ondate di sviluppo e che emergono nell'habitus psichico-spirituale dei tedeschi cosl come nei loro concetti, soprattutto in quei concetti che ne esprimono l'autoco­ scienza . Cfr. anche Conrad Hermann , Philosophie der Geschichte, 1870; qui la Francia è definita il paese della «civiltà>), l'Inghilterra quello della «cultura materiale>) e la Germania quello della «formazione ideale» ; il termine «cultura materiale» di uso corrente in Francia e Inghilterra è praticamente scomparso nel linguaggio quotidiano tedesco, anche se non completamente dal linguaggio scientifico. Il concetto di «cultura» nel linguaggio quotidiano si è totalmente fuso con quello qui indicato come «formazione ideale>). L'ideale della «cultura>) e quello della «formazione» sono sempre stati gemelli, anche se, come abbiamo detto, nel concetto di cultura si è gradatamente imposta la funzione di determinare aggettiva­ zioni e prestazioni umane. J Sul problema dell'intelligenza, cfr. soprattutto K. Mannheim, Ideologie und Utopie, Bonn, 1924, pp. 121-134. Il problema è trattato in modo ancor più esauriente nell'edizione inglese : Ideology und Utopia, An introduction to the Sociology of Knowledge, London, 1936; trad. it. Ideologia e utopia, Bologna, 19683, pp. 163-174. Sullo stesso tema, cfr. anche K. Mannheim, Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbru­ chs, Leiden, 1935 [trad. it. Uomo e società in un'età di ricostruzione,

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Antitesi «civiltà» e «cultura» in Germania Roma, 1940], e H. Weil, Bonn, 1930, cap. V.

Die Entstehung des Deutschen Bildungsprinzips,

4 Grosses, vollstiindiges Universal-Lexikon alter Wissenschaften und Kiinste, Leipzig und Halle, 1736 (a cura di }oh. H. Zedler). Tutti i passi

sottolineati sono dell'autore. Cfr. anche l'articolo «Hofmann» (cortigia­ no ) : «Colui che occupa un posto di rilievo a corte al servizio di un principe. La vita di corte in tutti i tempi è stata qualcosa di pericoloso, da un lato a causa dell'incostanz.a del favore dei signori, del gran numero di invidiosi, dei calunniatori segreti e dei nemici palesi; dall'altra, a causa dell'ozio, del libertinaggio e del fasto che tanto spesso vi regnano, è stata descritta come viziosa e riprovevole. Tuttavia in tutti i tempi vi sono stati anche cortigiani che con la loro scaltrezza hanno saputo evitare lo scoglio pericoloso dello scandalo e con la loro avvedutezza hanno saputo respingere le sue tentazioni al male, dimostrandosi quindi degni esempi di cortigiani fortunati e virtuo­ si. Tuttavia non a caso si dice: vicini alla corte, vicini all'inferno». Cfr. anche l'articolo «Hof» (corte): «Se tutti i sudditi fossero profondamente convinti di venerare il principe per le sue qualità interiori, non vi sarebbe affatto bisogno di pompa esteriore; ma, cosi come stanno le cose, la maggior parte dei sudditi è attratta dall'esteriorità. Un principe resta sempre lo stesso, tanto se passeggia da solo quanto se ha attorno a sé una folta compagnia; tuttavia non mancano esempi del fatto che se il principe si presenta da solo ai suoi sudditi è poco o nulla considerato, mentre lo si accoglie in maniera del tutto differente quando si presenta con la pompa conforme al suo rango. Per questo motivo, dunque, è necessario che il principe abbia non soltanto dei servitori che governano il paese ma anche altri che sono indispensabili al suo lusso esteriore e al suo servizio personale». Concetti analoghi erano stati espressi già nel XVII secolo, ad esempio nel Discurs von der Hofflichkeit ( 1665); cfr. in proposito E. Cohn, Gesellschaftsideale und Gesellschaftsroman des XVII ]ahrhun­ derts, Berlin, 1921, p. 12. Anche la contrapposizione tra «cortesia esteriore>> e «qualità interiori» è vecchia quanto l'assolutismo tedesco, quanto la debolezza sociale della borghesia tedesca rispetto ai circoli di corte dell'epoca, debolezza che va messa in collegamento, non ultimo, con la particolare forza della borghesia tedesca nella fase precedente. 5 Citato da Aronson, Lessing et les classics français, Montpellier, 1935, p. 18. 6 E. de Mauvhllon, Lettres Françoises et Germaniques, London, 1!:.40, p. 430. 7 Ibidem, p. 427. s Ibidem, pp. 461-462. 9 Ristampato nei Deutschen Literaturdenkmalen, XVI, Heilbronn,

1883.

Io

Cfr. in proposito Arnold Berney,

1934, p. 7 1 .

Friedrich der Grosse, Tiibingen,

11 Cfr. Hettner, Geschichte der Literatur im 18. ]ahrhundert, I, 10. «È innegabile che il dramma francese nella sua più intima essenza sia un dramma di corte, il dra=a dell'etichetta. Il privilegio di essere un eroe tragico è legato alla rigorosissima etichetta della cortigianeria». 12 Lessing, Briefe aus dem zweiten Teil der Schriften, Goschen, 1753, citato da Aronson, Lessing et les classics français, Montpellier, 1935, p. 161.

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Civiltà e cultura

cht,

n

Queste informazioni e quelle che seguono sono tolte da Lampre­

Deutsche Geschichte, Freiburg, 1906, VIII, l, p. 195. 14 Mauvillon, op. cit., p. 398 s. 1 5 Geschichte des Fraiilein von Sternheim, di Sophie de la Roche

( 177 1 ) , a cura di Kuno Ridderhoff, Berlin, 1907. 16 Da Herders Nachlass, cit., vol. III, pp. 67-68. 17 Sophie de la Roche, op. cit., p. 99. 18 Ibidem, p. 25. 19 Ibidem, p. 90. 20 Caroline von Wolzogen, Agnes von Lilien, ( 1796, apparso nelle Horen di Schiller sotto forma di libro nel 1798 ) ; un piccolo estratto ristampato in Deutsche Nationalliteratur, Berlin e Stuttgart, vol. 137 /II. La citazione è a p. 375 . 21 Caroline von Wolzogen, op. cit., p. 363. 22 Ibidem, p. 364. 23 Grimms Worterbuch, articolo «Hofleute» (cortigiani). 24 Ibidem.

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CAPITOLO

S ECONDO

Genesi sociale dell'antitesi «civiltà» e «cultura» in Franci'a

l . Introduzione Il fatto che nella contrapposizione tedesca tra educa­ zione interiore e cultura da un lato, e il mero «essere civili» dall'altro , possa sbiadire l'immagine dell'interno contrasto sociale e diventare dominante quella del contra­ sto nazionale, non sarebbe comprensibile se lo sviluppo della borghesia francese non fosse stato, sotto certi aspet­ ti, esattamente opposto a quello della borghesia tedesca. In Francia, l'intellighenzia borghese e i vertici del ceto medio penetrarono relativamente assai presto nella cerchia della società di- corte. L'antico strumento di di­ scriminazione usato dalla nobiltà tedesca, la prova della nobiltà, che successivamente ( trasformato in senso bor­ ghese) rinacque nella legislazione mzziale tedesca, non mancava certo nella tradizione francese ; tuttavia in Fran­ cia, soprattutto dopo che si fu imposta e consolidata la «monarchia assoluta», essa non ebbe più un ruolo decisi­ vo come barriera tra due livelli sociali. La penetrazione del patrimonio di tr�dizioni specificamente aristocratjche nei circoli borghesi - che in Germania a causa della più rigorosa separazione tra i ceti avvenne sl profondamente in determinati settori, ad esempio in quello militare, ma nel resto con minor intensità -, in Francia ebbe dimen­ sioni ben differenti. Già nel XVIII secolo in Francia non esisteva più una considerevole differenza di abitudini, o almeno non tra i vertici della borghesia e l'aristocrazia di corte. E anche se i costumi e il comportamento si modifi­ carono lentamente .con h vigorosa ascesa di circoli borghesi a partire dalla metà del XVIII secolo e, in altre parole, con l'allargamento della società di corte a seguito della

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Civiltà e cultura

copiosa immissione in essa dei gruppi al vertice della borghesia, tutto ciò avvenne senza fratture, mantenendo la continuità con la tradizione aristocratico-borghese del secolo XVII. Tanto la borghesia di corte quanto l'aristo­ crazia di corte parlavano la medesima lingua, leggevano gli stessi libri, avevano - nonostante determinate sfuma­ ture - le stesse maniere; e quando i dislivelli sociali ed eco­ nomici fecero esplodere le strutture istituzionali dell'« ancien régime» , quando la borghesia divenne la nazione stessa, molti aspetti di quello che in origine era stato un caratte­ re sociale specificamente cortese e in certo qual modo distintivo dell'aristocrazia di corte, e successivamente an­ che dei gruppi borghesi assimilati a corte, si trasformò, attraverso un moto espansionistico sempre più accentuato e certamente in un modo ben preciso, in carattere nazio­ nale : le convenzioni dello stile, le forme di relazione re­ ciproca, il dominio esercitato sugli affetti, il valore attri­ buito alla cortesia, l'importanza del bel parlare e della conversazione, le sfumature del linguaggio e molti altri elementi, in Francia si formarono innanzi tutto all'interno della società di corte e a poco a poco, attraverso un ininterrotto espandersi, si convertirono da carattere sociale in carattere naziortale . Anche in questo caso, Nietzsche ha colto con molta chiarezza questa differenza : Dovunque vi fosse una corte - dice in Jenseits von Gut un d (par. 1 0 1 ) - ha imposto la legge del bel parlare e quindi anche la legge dello stile a tutti coloro che scrivevano . Ma la lingua di corte è la lingua del cortigiano, che non ha nessuna specializzazione (professione), e che anche quando parl a di argo­ menti scientifici evita tutte le comode espressioni tecniche, pro­ prio perché sanno di specializzazione; perciò le espressioni tecni­ che e tutto ciò che rivela lo specialista sono considerate, nei paesi di cultura cortigiana, una macchia dello stile. Ora che tutte le corti sono diventate . . . una caricatura, notiamo con stupore come anche Voltaire da questo punto di vista sia indicibilmente affet­ tato e sgradevole. E infatti noi ci siamo tutti emancipati dal gusto di corte, mentre Voltaire fu colui che lo perfezionò !

Base

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Antitesi «civiltà» e «cultura» in Francia

In Germania lo strato intellettuale borghese, ansioso di emergere, educato nelle univer.sità scientifiche specializ­ zate, elaborò il proprio modo di esprimersi, la propria cultura specifica attraverso le arti e le scienze. In Francia, la borghesia era già sviluppata in ben altra misura, ed era economicamente forte. Gli intellettuali in ascesa avevano anche un ampio pubblico borghese oltre a quello aristo­ cratico . Essi stessi, cosi come altre determinatç funzioni borghesi, furono assimilati dai circoli di corte. Cosi av­ venne che gli strati borghesi tedeschi, che si affermarono a poco a poco come nazione, individuarono sempre più decisamente come carattere nazionale dello stato confinan­ te quei modi di comportamento che in un primo tempo avevano rilevato soprattutto nelle corti tedesche, e giudi­ cati inferiori oppure respinti perché opposti al loro mon­ do affettivo . È soltanto un apparente paradosso il fatto che in Germania - dove 1a separazione sociale tra ceto medio e aristocrazia era più marcata, dove i contratti sociali e mondani erano più rari e le differenze di costume più accentuate -, la tensione sociale non abbia trovat.o per parecchio tempo espressione politica, mentre in Francia, dove le barriere tra le classi erano meno forti mentre assai più intensi erano i contatti sociali e mondani tra di esse, l 'attività politica della borghesia si sia sviluppata molto prima e la tensione tra le classi abbia avuto assai per tempo uno sbocco politico . Ma il paradosso è soltanto apparente : il progressivo allontanamento della nobiltà francese daUe funzioni poli­ tiche ad opera della politica monarchica, la precoce parte­ cipazione di elementi borghesi al governo e all'ammini­ strazione, e addirittura il loro accesso a funzioni di go­ verno, la loro ascesa ed influenza a corte ebbero un'iden­ tica conseguenza : un permanente contatto sociale tra ele­ menti di estrazione sociale diversa da un lato, e, dall'al­ tro, chances di attività politica per elementi borghesi al­ lorché la situazione sociale divenne matura, ma già in precedenza un intenso addestramento politico, l'abitudine a riflettere secondo categorie politiche. In Germania si

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verificò, nel complesso, esattamente l 'opposto. I massuru incarichi di governo rimasero per lo più riservati aUa nobiltà. Essa, a differenza che in Francia, come minimo esercitò un ruolo decisivo ai vertici dell'amministrazione dei Lander. La sua forza di stato indipendente non fu mai radicalmente infranta come in Francia. Di contro, la forza sociale della borghesia, parallelamente a quella eco­ nomica e di ceto, rimase relativamente ridotta fino al secolo XIX inoltrato. Il fatto che gli elementi borghesi tedeschi fossero più nettamente esclusi dal contatto socia­ le e mondano con l'aristocrazia di corte che non i france­ si, corrispondeva pienamente a questa relativa debolezza economica e a questa loro esclusione dalla maggior parte degli incarichi-chiave nello stato. In Francia, la struttura sociale consentì alla moderata opposizione, che a partire dalla metà del XVIII secolo andò lentamente aumentando, di penetrare con un certo successo anche nei più esclusivi circoli di corte. I suoi rappresentanti non costituivano ancora un partito : infatti, data la struttura istituzionale dell'«ancien régime» , altre dovevano essere le forme di lotta politica. A corte essi costituivano un gruppo ristretto , privo di una solida or­ ganizzazione ma forte dell'appoggio di uomini e gruppi presenti nella più ampia società di corte e nel paese stes­ so. Le differenze esistenti tra gli interessi sociali si e­ spressero nelle lotte di queste «confraternite» a corte, sia pure in forma vaga e fortemente mescolata a problemi personali tra i più svariati; tuttavia si espressero, e diede­ ro i loro frutti. Al pari çlel parallelo concetto tedesco di cultura, an­ che il concetto francese di civiltà si formò entro questo movimento di opposizione nella seconda metà del XVIII secolo. Il suo processo di formazione, la sua funzione ed il suo significato differiscono da quelli del concetto tede­ sco, così come differenti erano là e qua i rapporti ed il comportamento dei ceti medi . Non è privo di interesse osservare quanto il concetto di civiltà, là dove lo si incontra per la prima volta nella letteratura francese, sia analogo a quel concetto cui parec1 26

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Francia

chi anni dopo Kant contrappose il proprio concetto di cultura. La prima testimonianza letteraria dell'argomento del verbo «civiliser» nel concetto di «dvilisation» si tro­ va, secondo le ricerche odierne 1 nel primo Mirabeau, poco dopo la metà del secolo . Ammiro - egli dice - il modo in cm tutti i nostri progetti di ricerche, falsati sotto tutti i punti, lo siano circa il significato di ciò che noi consideriamo essere la civiltà. Se chiedo alla maggior parte delle persone : «> . Ma tutto questo mi mostra soltanto la maschera, non il viso della virtù, e la civiltà non migliora affatto la società se non le dà sia la sostanza sia la forma della virtù». Raffinamen­ to dei costumi, cortesia, buone maniere, tutto ciò secondo Mira­ beau costituisce soltanto la maschera della virtù, non il suo volto, e quindi la civiltà non fa nul1a per la società se non le offre sia l'essenza sia l'aspetto della virtù 2•

Queste affermazioni sono molto simili a quelle che venivano fatte in Germania contro i costumi di corte . Anche in Germania, a quella che secondo Mirabeau è ritenuta dalla maggior parte delle persone civiltà - vale a dire appunto la cortesia e le buone maniere - si con­ trappone quell'ideale in nome del quale in tutta Europa gli strati borghesi fecero fronte comune contro lo strato superiore aristocratico-cortese, e per il quale legittimavano se stessi in nome della virtù. Anche qui, come in Kant, il concetto di civiltà viene ricollegato agli specifici caratteri dell'aristocrazia : infatti, con il termine «homme civiHsé» non si definiva altro che una più ampia variante di quel tipo umano che rappresentava lo specifico ideale della società di corte, l ' «honnèt homme» . « Civilisé», così come «cultivé», «poli» o «policé», era uno dei tanti concetti usati spesso come sinonimi per mezzo dei quali gli uomini di corte intendevano caratte­ rizzare - in senso più o meno ampio - la specificità del loro comportamento e con cui, nello stesso tempo, con­ trapponevano 1'alto livello del loro costume sociale, il 127

Civiltà

e

cultura

loro «standard» a quello di uomini più semplici e social­ mente inferiori. Prima che si formasse e si affermasse il concetto di «civiltà», concetti come «politesse» o «civilité» ebbero addirittura la sua stessa funzione : esprimere l'autoco­ scienza degli strati superiori europei rispetto ad altri che essi ritenevano più semplici o più primitivi, e insieme caratterizzare quello specifico modo di comportamento per il quale questi strati superiori avvertivano la propria differenza rispetto a tutte le persone più semplici e più primitive. L'affermazione di Mirabeau rivela chiaramente come il concetto di civiltà innanzi tutto sia un prolunga­ mento diretto delle altre incarnazioni dell'autocoscienza cortese : Se gli fosse stato chiesto : «Che cos'è la civiltà ? » , questi uomini avrebbero risposto «affinamento dei costumi», «cortesia>> e simili, egli afferma.

E come Rousseau, anch'egli capovolge, sia pure m forma attenuata, i valori esistenti : Voi e la vostra civiltà, ciò di cui siete così superbi e per cui ritenete di elevarvi rispetto alla gente semplice, dice in sostanza, non vale poi tanto 3 : I n tutte l e lingue . . . e i n tutte l e epoche la rappresentazio­ ne dell'amore che i pastori nutrono per il loro gregge e i loro cani trova la via della nostra anima, per quanto sviata possa essere dalla ricerca del lusso e di una falsa civiltà.

L'atteggiamento assunto verso l'«uomo semplice», e soprattutto verso l' e «cultura» in Francia

in primo luogo i loro elementi più progressisti, tutta una serie di intendenti di provincia che rappresentavano l'uni­ ca forma moderna di funzionadato prodotta dall'« ancien régime», non venale e quindi non ereditaria al pari delle altre, riconoscevano i mali del sistema vigente. Questi e­ lementi progressisti dell'amministrazione formavano uno degli elementi più importanti di raccordo tra il desiderio di riforme, che si avvertiva ormai nel paese, e la corte. Direttamente o indirettamente, essi ebbero un ruolo tut­ t'altro che irrilevante nella lotta tra le fazioni di corte per il possesso degli incarichi, degli uffici politici più impor­ tanti e in primo luogo di quelli ministeriali. È già stato detto come queste lotte non fossero anco­ ra scontri politici relativamente impersonali nella stessa misura in cui lo furono in seguito, quando i differenti interessi furono rappresentati nell'ambito dei parlamenti dai partiti. Ma i gruppi di corte, che si combattevano a vicenda per i più differenti motivi al fine di conquistare influenza a corte e occupare incarichi, costituivano nello stesso tempo formazioni sociali centrali attraverso le quali potevano farsi sentire presso il govemo centrale gli inte­ ressi di gruppi e strati più ampi. Nella seconda metà del XVIII secolo, i re non erano più da tempo monarchi in grado di decidere a loro arbi­ trio. In misura assai maggiore di quanto non fosse acca­ duto con Luigi XIV, erano prigionieri dei processi sociali e dipendevano da queste fazioni, da questi gruppi di cor­ te, che in parte avevano ampie ramificazioni in tutto il paese, e particolarmente nei circoli borghesi. La fisiocrazia è appunto una delle espressioni teoriche di queste lotte di frazioni. Non è un mero sist.ema eco­ nomico, ma un grandioso sistema politico e sociale di riforme. In una forma più accentuata, astratta e dogmati­ ca, essa contiene idee che, in modo meno teorico, meno dogmatico ma più coerente, cioè come rivendicazione pra­ tica di riforme, caratterizzano l'intero movimento il cui esponente, Turgot, fu per un lungo periodo di tempo a capo delle finanze. Volendo dare un nome a quello che non aveva un suo nome specifico e non possedeva una 13 1

Civiltà e cultura

struttura unitariamente organizzata, si potrebbe definire tale movimento la corrente dei funzionari riformisti. Ma senza dubbio costoro avevano dietro di sé anche parte degli intellettuali e della borghesia commerciale . Certamente, all'interno di questa corrente di uomini che miravano e reclamavano le riforme, vi erano rilevanti divergenze d'opinione circa il tipo di riforme . Vi erano tra di essi alcuni che desideravano sl una riforma del sistema fiscale e dell'apparato statale, ma nello stesso tempo erano molto più protezionisti dei fisiocratici . Uno dei più caratteristici rappresentanti di questa corrente è Forbonnais. E non è possibile comprendere sia lui sia i suoi compagni di fede se lo si annovera senz'altro tra i «mercantilisti», a causa della sua accentuata propensione per il protezionismo. Nel dibattito tra Forbonnais e i fisiocratici emerge già quel contrasto, proprio di una mo­ derna società industriale, che da allora ha provocato inte­ ressanti scontri tra gruppi di interesse fortemente liberi­ stici e altri fortemente protezionistici . Entrambi appar­ tengono al medesimo movimento riformista della bor­ ghesia. D'altra parte, non si può certo affermare che l'intera borghesia fosse favorevole alle riforme e l'aristocrazia in­ teramente contraria ad esse. Esistevano infatti parecchi gruppi borghesi, facilmente individuabili, che opponevano la più vigorosa resistenza ad ogni serio tentativo di rifor­ me e la cui esistenza, in effetti, era legata al mantenimen­ to dell' «ancien régime» nella sua forma tradizionale. Ne facevano parte soprattutto parti consistenti dell'alto fun­ zionariato, la noblesse de robe, i cui incarichi erano pro­ prietà di famiglia allo stesso modo in cui oggi una fabbri­ ca o una qualsiasi impresa costituiscono un bene eredita­ rio ; ne facevano inoltre parte le corporazioni artigiane e una grossa fetta degli esattori fiscali, i financiers. E se in effetti le riforme in Francia fallirono, se le ineguaglianze sociali della struttura istituzionale dell' «ancien régime» esplosero infine con violenza, una parte considerevole del­ la responsabilità è da attribuirsi all'opposizione di questi gruppi borghesi alle riforme. 132

Antitesi «civiltà» e . Come già si è detto, tale esperienza trova la sua espressione nella tesi della fisiocrazia secondo cui gli eventi sociali, così come i fenomeni naturali, si verificano secondo un processo regolato da leggi . Nello stesso tempo, si tratta dell'esperienza che si incarna nella trasformazione dell'an134

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Francia

tico aggettivo «civilisé» , divenuto per estensione il so­ stantivo «civilisation», e che contribuisce a dargli un si­ gnificato che oltrepassa l'uso individuale . I mali della rivoluzione industriale, che non potevano più essere concepiti come il risultato di una politica gui­ data, per un breve periodo insegnarono agli uomini a considerare per la prima volta se stessi e la propria esi­ stenza sociale come un processo. Seguendo ulteriormente l'uso del concetto di «civilisation» in Mirabeau, appare assai evidente come questa esperienza lo porti a vedere sotto una luce nuova i costumi del suo tempo . Egli per­ cepisce e riconosce che anche questi costumi, anche l'esse­ re civilizzato (Zivilisiert-Sein) vientrano in un determinato ciclo, e auspica che i governanti prendano atto di queste leggi per poterle utilizzare. Questo è il significato del concetto di «civilisation» in questo primo stadio della sua utilizzazione. In un passo del suo Ami des hommes \ Mirabeau afferma che una sovrabbondanza di denaro fa decrescere la popolazione nella stessa misura in cui aumenta il con­ sumo di ogni singolo individuo. Questa sovrabbondanza di denaro, a suo giudizio, «mette in difficoltà l'industria e le arti e, di conseguenza, provoca negli stati povertà e spopolamento» quando aumenta troppo . E continua : Da qui ne deriverebbe che il ciclo dalla barbarie alla deca­ denza, passando attraverso la civilizzazione e la ricchezza, potreb­ be essere corretto da un ministro abile e attento, e l'intero macchinario rimontato prima d'arrivare alla fine .

Questa frase riassume tutto ciò che, in generale, ca­ ratteruzza l'atteggiamento di fondo dei fisiocratici : la natu­ ralezza con cui i processi di sviluppo dell'economia, della popolazione e dei costumi in generale vengono considerati come una grande concatenazione, la coerenza con cui tut­ to ciò viene visto come un ciclo, un perpetuo saliscendi, e la tendenza politica, la volontà riformatrice in forza della quale questa conoscenza in ultima analisi è destinata ai governanti affinché essi, avendo individuato queste leggi, 135

Civiltà e cultura

siano in grado di regolare e guidare i processi sociali in modo migliore, più illuminato e razionale di prima . Il medesimo pensiero si ritrova per intero nella dedi­ ca di Mirabeau al re della sua Theorie de l'impot, nel l 7 60, e con la quale egli raccomanda al monarca il pro­ getto fisiocratico della riforma fiscale : L'esempio di tutti gli imperi che hanno preceduto il vostro e che hanno percorso il ciclo della civilizzazione sarà, nei particolari, una prova di quanto intendo proporvi.

L'atteggiamento critico del nobiluomo di campagna Mirabeau verso la ricchezza, il lusso e i costumi dominan­ ti dà una coloritura particolare alla sua concezione. La vera civiltà a suo giudizio sta nel mezzo, nel ciclo che va dalla barbarie alla falsa, «decadente» civiltà prodotta da una sovrabbondanza di denaro. È compito di un governo illuminato guidare questo automatismo in modo che la società possa prosperare in questa posizione intermedia tra barbarie e decadenza. L'intera problematica della «ci­ viltà» è dunque già presente al momento in cui viene coniato il concetto . Fin da allora, a questo concetto si ricollega l'idea della decadenza o del «declino» , che da allora riemergerà sempre, in modo aperto o velato, nel ritmo delle crisi cicliche . Ma un altro elemento emerge con chiarezza: la volontà di riforma si mantiene pur sempre nell'ambito del sistema sociale vigente manipolato dall'alto ; e Mirabeau non contrappone affatto ai mali che individua nei costumi attuali un quadro ed un concetto del tutto nuovi, ma rifacendosi a quelli esistenti tende a migliorarli ; grazie a misure accorte e illuminate del go­ verno, la «falsa civiltà» dovrà ritrasformarsi in una «buo­ na ed effettiva civiltà» . Questa concezione della «civilisation» all'inizio è forse imbevuta di molte sfumature individuali ; tuttavia contie­ ne elementi che corrispondono all'esigenza e alle esperien­ ze generali dei circoli riformatori e progressisti della so­ cietà parigina. E in tali circoli il concetto entra tanto più nell'uso quanto più fortemente viene stimolato il movi136

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Francia

mento di riforma della crescente commercializzazione e industrializzazione. Gli ultimi anni del regno di Luigi XV rivelano con grande evidenza la debolezza e il disordine del vecchio sistema. Crescono le tensioni all'interno e all'esterno, e si accumulano i segnali che accennano a una trasformazione della società. Nel 1 773 nel porto di Boston vengono gettate in mare casse di tè, e nel 1775 viene proclamata la Dichia­ razione d'indipendenza delle colonie inglesi in America: il governo, vi si dice, è istituito per la felicità del popolo. Se esso non corrisponde a tale scopo, una maggioranza del popolo ha il diritto di deporlo. In Francia i circoli riformatori borghesi seguivano con grandissima attenzione quanto stava avvenendo al di là del mare, e con una simpatia a cui alle tendenze riforma­ trici sociali si mescolavano quelle nazionali, la crescente ostilità nei confronti dell'Inghilterra, anche se i loro capi non pensavano certo ad abbattere la monarchia. Contemporaneamente, fin dal 1774 si rafforza sensi­ bilmente la consapevolezza che bisogna arrivare a una resa dei conti con l'Inghilterra, e che bisogna quindi pre­ pararsi per la guerra. Nello stesso anno muore Luigi XV. Sotto il nuovo re, la lotta per la riforma del sistema amministrativo e fiscale riprende con rinnovato vigore nella cerchia più ristretta e in quella più ampia di corte. Come risultato di questa lotta, ancora nello stesso anno il «Controleur général des finances», Turgot, viene accolto con entusiasmo da tutti i rif�rmatori e i progressisti del paese. «Ecco finalment.e l'ora tardiva della giustizia», scrive il fisiocratico Baudeau all'atto della nomina di Turgot. E, aggiunge d'Alembert, se ora «il bene non trionferà, vuoi dire che il bene è impossibile» . E Voltaire si rammarica di essere alle soglie della morte proprio ora che vede «messe al loro posto la virtù e la ragione» 5 • In questi stessi anni, il concetto di «civilisation» compare per la prima volta come un concetto corrente e otmai in larga parte acquisito secondo il suo significato ·

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Civiltà e cultura

sulla bocca di parecchi. Nella prima edizione ( 1770 ) , del­ l'Histoire philosophique et politique des établissements et de commerce des Européens dans !es Ir.des) il termine

non compare neppure una volta; ma nella seconda edizio­ ne ( 1 7 7 4 ) esso viene «usato di frequente e senza alcuna variazione del significato, come un termine universale e indispensabile» 6 • Il Système de la nature di Holbach, del 1 770, non contiene ancora la parola civiltà, mentre nel suo Système sociale del 1 77 4 «civilisation» è usato di frequente. Non vi è nulla, dice ad esempio Holbach, che ponga un maggior numero di ostacoli alla felicità umana, ai progressi della ragione umana, alla civilizzazione completa degli uomini più delle continue guerre nelle quali i principi sconsiderati si lasciano di continuo coinvolgere 7 •

Oppure, in un altro passo : La ragione umana non è ancora esercitata a sufficienza; la civilizzazioJ?e dei popoli non è ancora completata; innumerevoli ostacoli si sono fin qui frapposti ai progressi delle conoscenze utili, la cui avanzata è la sola che possa contribuire a pefezionare i nostri governi, le nostre leggi, la nostra educazione, le nostre istituzioni e i nostri costumi 8 •

La concezione di fondo di questo movimento riforma­ tore illuminato e critico nei confronti della società è sempre la stessa: grazie al progresso della conoscenza non della « scienza» nel senso usuale nella Germania del XVIII secolo, giacché a parlare non sono membri dell'u­ niversità ma liberi scrittori, funzionari, intellettuali, bor­ ghesi di corte del tipo più disparato, uniti tra loro trami­ te la buona società, i salotti - quindi innanzi tutto grazie alla convinzione dei re, all'illuminazione dei gover­ nanti indirizzati verso 'la «ragione» o - il che è la medesima cosa - verso la «natura», all'assegnazione de­ gli incarichi chiave a uomini illuminati e cioè riformatori, si potrà arrivare a migliorare le istituzioni, l'istru­ zione, le leggi. Per qualificare un aspetto importan138

Antitesi «civiltà» e «cultura» in Francia

te di tutto questo movimento progress�sta di riforma, è stato creato nell'ambito dei rapporti sociali un termine preciso : « civilisation». Tutto ciò che era già presente in Mirabeau, sia pure in una accezione individuale e non ancora modellata in senso sociale, tutto dò che caratteriz­ za ogni movimento di riforma si ritrova anche qui : la parziale accettazione e la parziale negazione di ciò che esiste. L'opinione corrente è che la società ha già raggiun­ to un determinato stadio nella via verso la «civHisation», ma ciò non è ancora sufficiente. Non è possibile fermarsi a questo stadio . Il progresso avanza e deve essere fatto avanzare : «La civilizzazione dei popoli non è ancora completata». Due diverse idee si fondono nel concetto di civilizza­ zione : da un lato, è stato creato con esso un concetto opposto ad un altro stadio della società, quello della « barbarie» . Questa consapevolezza era già da tempo pe­ netrata nella società di corte, e aveva trovato in termini come «politesse» o «civilité» la sua espressione aristocra­ tico-cortese. Ma gli uomini non sono ancora sufficientemente «ci­ vili» , dicono i fautori del movimento borghese-cortese di riforma. Essere «civilisé» non è una condizione ma un processo, che deve essere portato avanti. Ecco la novità che trova la sua espressione nel concetto di «civilisa­ tion». Esso accoglie pa