Il pennello di Cupido. Il dottor Meige e il mal d'amore nella pittura olandese del Seicento 8843090313, 9788843090310

Nell'Olanda del Seicento il mal d'amore, o melanconia amorosa, si diffuse come un'epidemia. Lo testimonia

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Italian Pages 263 [271] Year 2017

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Il pennello di Cupido. Il dottor Meige e il mal d'amore nella pittura olandese del Seicento
 8843090313, 9788843090310

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI ' STORIA DELL ARTE

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Chiara Tartarini

Il pennello di Cupido Il dottor Meige e il mal d'amore nella pittura olandese del Seicento

Carocci editore

L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto. 1" edizione, dicembre 2.017 ©copyright 2.017 by Carocci editore S.p.A., Roma

Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nel dicembre 2.017

da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG)

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Premessa

II

I.

Storie

15

I. I. 1.2. 1.3. 1.4.

Guardarsi indietro Sguardi melanconici Parole, parole, parole Eccessi e difetti

15 20 30 39

2.

Visite

53

2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

Primi indizi La forza della ragione La verità, vi prego Lettere morali Dettagli gravidi (ode all'aringa) Tristezza, vai via Mezz'ora di altalena Realismi apparenti

53 63 79 93 107 120 136 145



Teorie

159

3·1. 3.2. 3·3· 3·4·

Ipotesi folli Papa Charcot Il terzo tipo Note su un Bilderatlas

159 1 67 175 186



Appendice

197

4·1.

Shakespeare e il roditore

197 7

INDICE 4.2. 4·3·

Prenditi una pastiglia Test di logica

204 2IO

Bibliografia

2IS

Indice dei nomi

255

Referenze iconografiche

Avvertenza Ove non altrimenti specificato, le traduzioni sono dell'autrice. 8

A papa, al suo umorismo e alla sua saggezza, con il mio amore piu grande

Premessa

Questo libro è nato grazie alla lettura della scheda di un dipinto. La scheda, curiosamente, non è stata scritta da uno storico dell'arte ma da una stu­ dentessa della New York School of Medicine. Il dipinto è un'opera di Jan Steen, databile alla metà degli anni Sessanta del Seicento, che oggi si trova al Philadelphia Museum of Art: rappresenta una delle scene più popolari nella pittura di genere del Seicento olandese, ovvero la "visita del dottore", di cui Steen realizzò molte versioni (cfr. TAV. 7 ) . L'autrice descrive bene l' immagine, soffermandosi su alcuni dettagli significativi: l'eleganza della malata, l'espressione preoccupata del medico e quella, assai diversa, dell'uomo che sghignazza. E poi: il sorriso della gio­ vane alla spinetta, il fascino del ragazzo che si affaccia sulla porta, la lettera caduta a terra, lo scaldino, il cordone bruciato. Insomma, anche se in ma­ niera sintetica, ci racconta tutto quanto è visibile, o quasi. Dopodiché, visto che studia medicina, si concentra sulla malattia che potrebbe aver colpito la paziente. Scrive che qui, come in altri dipinti simili, «di regola » le pazienti « soffrono di una serie di malattie correlate all'amore, "mal d'amore", "me­ lanconia eroticà' o gravidanza » . Poi precisa: Il mal d'amore, noto anche comeminne-pijn ( dolore al cuore ) o minne-koorts ( feb­ bre del cuore ) è una malattia, apparentemente assai diffusa nei Paesi Bassi, che fu oggetto di molti trattati medici. Si pensava che l'amore insoddisfatto o non corri­ sposto causasse uno squilibrio dei quattro Umori e provocasse melanconia, polso irregolare, pallore, disturbi dell'appetito e oscillazioni dell'umore. Solitamente la cura era il matrimonio, che appagava sia i bisogni del minne ( cuore ) sia quelli del corpo. Il mal d'amore aveva molti sintomi in comune con la gravidanza, che spesso era uno degli elementi della diagnosi differenziale•.

La studentessa ha idee piuttosto chiare, e rivolge pure alcune critiche al 1.

Brown Clark (2oos). II

IL PENNELLO DI CUPIDO medico giunto al capezzale della donna. « Indossa un abito fuori moda » ( « sembra un costume della commedia dell'arte » ), è « un tipo antiquato » che non sa niente delle « cose dei giovani » : ecco perché non riesce a fare la diagnosi ! O, più esattamente, ecco perché non si accorge di tutte le claves interpretandi che il pittore ha disseminato sulla scena: la lettera (dev'essere senz'altro una «lettera d'amore » ), lo sguardo malizioso della ragazza che suona ( « si credeva che la musica potesse curare la melanconia » ), il cordon­ cino bruciacchiato ( « un test medico non molto attendibile per verificare la gravidanza » ) e, soprattutto, gli oggetti che tiene in mano quel figuro sguaiato, un'aringa e due cipollotti, simboli dal significato esplicitamente sessuale - ovvero, puntualizza l'autrice, « quel che ci vorrebbe per curare la paziente » . Insomma, qui «la diagnosi è chiara a tutti, tranne che allo sven­ turato dottore » 2.. Ed è questo, legittimamente, che colpisce la studentessa di medicina. Non è una buona scheda di un dipinto ma è utile. In primo luogo perché, anche se menziona una sola fonte\ sintetizza l' interpretazione corrente su questo genere di opere : sono dipinti in cui il pittore, rappresentando tanti elementi simbolici - scaldini, cordoncini, lettere ma anche, come vedremo, pitali, statuette di Amore, dipinti mitologici, animali domestici -, mette in ridicolo il medico, trasformandolo in un personaggio da burla. Opere divertenti che, nell' Olanda del tempo, piacevano moltissimo al pubblico per il loro contenuto malizioso, anche se, il più delle volte, nascondevano finalità moralistiche. In breve, esempi via immagine del castigat ridendo mores4• La scheda, però, ha stimolato il nostro interesse per un altro aspetto. Perché, a suo modo, evidenzia gli stessi dubbi semeiotici che forse attana­ gliavano il povero dottore del dipinto. Dubbi nosografici: mal d'amore e melanconia erotica sono la stessa cosa ? Dubbi sulla diagnosi differenziale : mal d'amore, melanconia erotica o gravidanza ? Dubbi epidemiologici (o di geografia medica): come mai questi sintomi sono tanto diffusi nei Pa­ esi Bassi ? Dubbi deontologici: la malattia va presa sul serio ? E, in caso di risposta negativa, un medico dovrà ugualmente occuparsene ? Questioni piuttosto importanti. Nelle pagine che seguono condurremo la nostra indagine grazie alla collaborazione di un medico di fiducia: il dottor Henry Meige, neurologo. 2. Ibid.

3· Westermann (1997 ) 4· Il volume più esaustivo .

sull'argomento è Petterson (2ooo). 12

PREMESSA Il quale, una volta terminati gli studi universitari, ha dimostrato una note­ vole acribia storico-artistica. Ha effettuato un esame comparativo o, per dirla con le sue parole, ha cercato di far sì che tanti dipinti sul mal d'amore, fino ad allora sparsi per molte « gallerie pubbliche o private » , smettessero di nascondere il loro significato « causa isolamento » e, finalmente gli uni accanto agli altri, « si chiarissero a vicenda » 5• Il dottor Meige annovera queste immagini sotto la medesima rubrica: dipinti sul Mal d'amore. E con questo titolo, nel 1 899, pubblica un lungo scritto nella sezione Les Peintres de la médecine della "Nouvelle Iconographie de la Salpetrière". Rispettere­ mo la sua scelta, anche se oggi quasi tutte queste opere vengono presentate al pubblico con un titolo diverso. E, soprattutto, proveremo a omaggiare il gusto per il racconto e per l'umorismo di cui Meige ha dato prova in questa che, per noi, resta una delle indagini più acute sulle manifestazioni del mal d'amore per interposta pittura. Avremo modo di spiegare le ragioni di tanta predilezione ma vogliamo anticiparne una. Prima di dedicarsi a questo tema, Meige, che fu uno degli ultimi allievi di Jean-Martin Charcot, aveva pubblicato articoli su diversi argomenti, dal gozzo nell'arte ai pédicures nel XVII secolo6• Ma nello studio sul mal d'amore (così come in altri successivi di cui ci occuperemo) si scon­ tra con questioni che lo spingono a compiere scelte inconsuete per la "scuo­ la della Salpetrière", almeno per come, di solito, essa viene rappresentata nella storia dell'arte o nella storia dell' immagine. Avendo a che fare con una « forma psicopatica speciale » (come vedremo, è una delle sue definizioni del mal d'amore) intuisce che sarebbe poco vantaggioso andare a caccia di dettagli, indizi e segni patognomonici solo nell'immagine, ben compren­ dendo i limiti della visualità nella diagnosi di malattie dell'immaginazione. Così, per non avviarsi su un cammino che probabilmente lo avrebbe esposto allo stesso scherno che si abbatte sui medici di Steen, sospende il giudizio iconodiagnostico e adotta una strategia diversa. Per provare a far chiarezza, senza perdere di vista le immagini, anzi sottolineando ne le ragioni e le pe­ culiarità, attinge a elementi esterni: trattati, nosografie, poesie, commedie, espressioni popolari ecc. La soluzione gli è suggerita dalla malattia stessa, dalle tracce che essa ha lasciato nell' immaginario, cioè nella sua memoria letteraria, filosofica, medica e visiva. Come scriverà molto più tardi Einar Petterson nel suo fondamentale volume dedicato ai dipinti sul mal d'amore (o più precisamente al "motivo Meige (I899a, P· s8). 6. Cfr. Meige (1 894; 189sa; 1897a; 1897b).



13

IL PENNELLO DI CUPIDO della visita del dottore"), questo tipo di opere necessita di una « iconologia indipendente dalle categorie » 7• E Meige è così convincente nell'applicare il suo metodo "strabico", nel mescolare elementi eterogenei, interni ed ester­ ni ai dipinti, che forse dal suo vecchio articolo sul mal d'amore gli storici dell'arte o dell' immagine possono trarre qualche ispirazione. Per esempio, fantasticare sulla possibilità di una variante (decisamente eterodossa) del metodo warburghiano o vagheggiare una riconciliazione tra le due linee interpretative dell'arte olandese del Seicento, quella emblematista e quella realistica. Per seguire il dottor Meige dovremo leggere una certa quantità di scritti sul mal d'amore, dal Medioevo all' Ottocento. Dovremo cercare di andare oltre l'eterogeneità di tradizioni, categorie e tassonomie, e rinvenire alcu­ ne costanti che potrebbero aver orientato il nostro medico nella sua scelta metodologica. Per esempio, la connotazione via via sempre più femminile della malattia, o la sua tensione congenita tra due polarizzazioni valoriali. Oppure il ruolo degli occhi e delle immagini nell'eziologia, nella patogene­ si e anche nella terapia, o l'efficacia di certe "cure della parola" sperimentate nel passato per sollecitare l' immaginazione dei malati. Tenteremo insomma di capire come si articolino i diversi sguardi a proposito del mal d'amore: quelli del paziente, che sono sempre alla ricerca dell'oggetto amato; quelli del medico, che non sempre sono rivolti dalla parte sbagliata; quelli del pittore, che si posano su un' idea di sintomo e provano a tradurla in im­ magine; e soprattutto lo sguardo dell' interprete ( il dottor Meige, prima di tutti), che deve fare i conti con una malattia dell' immaginazione tradotta in immagine. Qualsiasi indagine sul mal d'amore non può distinguere il discorso me­ dico da quello filosofico, letterario e artistico, e l'amalgama resta pressoché immutato nel tempo. Perché anche le immagini, le parole e le idee soffrono di reminiscenze.

7· Petterson (2ooo, in part. pp. 457-8, 467 ). 14

I

Storie L'anima non pensa mai senza immagini [phantdsmatos]

Aristotele, De anima (111 7, 431a, 16-17)

I. I

Guardarsi indietro In questo capitolo cercheremo di tracciare una breve storia della melanco­ nia amorosa, o mal d'amore. Ovviamente, non abbiamo alcuna pretesa di esaustività. Ci siamo limitati a esaminare alcuni scritti di epoche differenti e a rinvenire alcune costanti, in particolare quelle relative al ruolo della vi­ sività nello scatenarsi della malattia. Infatti, stando alla quasi totalità del trattati, la malattia penetra dagli occhi attraverso immagini che poi resta­ no indelebilmente impresse all' interno del corpo e dello spirito. E mentre tutto, nel corpo e nello spirito, si indebolisce, gli occhi non perdono il loro fervore, continuano a restare mobili e irrequieti, a esercitare i loro muscoli e a dardeggiare sguardi d'amore (FIG. 1.1 ) . Partiamo da Arnaldo da Villanova, celebre medico e alchimista cata­ lano, autore del primo vero e proprio trattato sul mal d'amore. Composto probabilmente tra il 1276 e il 128 6, il suo De amore heroico venne pubbli­ cato a Lione nel 1504 e conobbe molte edizioni nel corso del XVI secolo. Arnaldo definisce la malattia come « una cogitazione intensa e permanente sull'oggetto del desiderio, unita alla ferma speranza di trarne il godimento immaginato » , e ne spiega l'origine in questo modo : se una forma si pre­ senta ai nostri occhi, e crediamo di poterne ricavare qualcosa di piacevole, la nostra facoltà immaginativa tratterrà saldamente l' impressione di que­ sto oggetto, facendo sì che le nostre idee e la nostra attenzione ne siano polarizzate1• Per cui, se la causa del mal d'amore, o amor hereos, è questa "cogitazione" che porta a ciò che, in termini assai più recenti, definiremmo un sovrainvestimento dell'oggetto d'amore, una terapia possibile consisterà 1. Arnaldo da Villanova (1985, pp. 46-7). Sul mal d'amore nel Medioevo, cfr. Wack (1990); Ciavolella (1 976, in part. pp. 70-8); Poma (2007, pp. 39-52). IS

IL PENNELLO DI CUPIDO FIGURA 1.1

Cornelis Boel, Amor, ut lacryma, ex oculis oritur, in pectus cadit, in Vaenius, Amorum emblemata, Venalia apud Auctorem, prostant apud Hieronymum Verdussen, Antuer­ piae, 1608, p. 151 (emblema 76)

nell' indurre la virtus fantastica del paziente a funzionare alla rovescia (a contrariis) , cioè a immaginare cose che rendano odiose le forme dell'oggetto fìno a quel momento desiderabile. Questa sorta di operazione allopatica può iniziare, dice Arnaldo, con il graduale inserimento nella vita quotidiana del paziente di elementi di sostituzione ; oppure, in maniera più radicale, è possibile ricorrere ad autentiche pratiche di capovolgimento che inducano il malato a sovrainvestire, questa volta, la difformità o le nefandezze della persona amata2 • La sola fonte citata nel suo scritto è il De moto animalium di Aristotele, ma è evidente l' influenza dell'Etica nicomachea e della teoria dei sensi inter­ ni del Canone di Avicenna. Il quale, sulla scorta di una tradizione più antica, 2.

Cfr. Arnaldo da Villanova (1985, pp. 53-4).

I. STORIE Galeno in primis, ricordava che, per comprendere le cause della melanco­ nia amorosa, cioè per scoprire chi avesse provocato la malattia, si dovesse prendere il polso del paziente mentre si pronunciavano i nomi dei possibili responsabili: al nome della persona amata, il polso avrebbe subìto un re­ pentino mutamento nella frequenza. Poi si poteva perfezionare l' indagine, concentrandosi sui dettagli delle sembianze dell'amato e, una volta che que­ sto fosse stato identificato, cioè una volta che avesse assunto un' immagine certa, si sarebbero scelte le terapie più idonee : salassi, decotti, lunghe dor­ mite, moderata attività fisica e, in casi particolarmente gravi, l' intervento di donnacce che denigrassero la persona amata in presenza dell'amante3• Questi suggerimenti vengono recuperati anche da Bernardus Gor­ donius, uno dei medici della scuola di Montpellier, attivo tra la fine del Duecento e l' inizio del Trecento. In un capitolo del suo Lilium Medicinae dedicato alle malattie "cerebrali': tratta dell' aegritudo amoris e la descrive come una sollicitudo melancholica originata dalla corruzione delle capacità estimative, per cui le forme esteriori della persona amata ci appaiono le più belle, e le sue qualità morali sempre le migliori. Bisognerà dunque convin­ cere il malato, « ad diligendum multas, ut distrahatur amor unius propter amorem alterius » \ provare a far sì che colori le virtù dell'amato con le tinte del vizio. Anche in questo caso, per ottenere il risultato, si consiglia di far assegnamento su « una vecchia laidissima d'aspetto, con grandi denti e barba, con un vestito brutto e vile » , la quale, giunta in presenza dell 'amata «cominci a sconciarle la camicia dicendo che è tignosa e ubriacona, che piscia nel letto, che è epilettica e impudica, che nel suo corpo ci sono escre­ scenze enormi piene di fetore e altre sconcezze » 5• Insomma, alle cause e alla natura immaginative del mal d'amore si addi­ cono terapie altrettanto immaginative, o meglio contro-immaginative. Ma sono d'obbligo due precisazioni. Nella tradizione medica antica, l' imma­ ginazione ha una spiccata natura fisiologica: sarebbero infatti gli « spiriti vitali » , i vapori generati dalla parte più sottile e aerea del sangue che, una volta raggiunto il cervello, entrano in contatto con l'anima, la quale, poi, elabora le sensazioni tramutandole in « immaginazione » . Inoltre, come si sarà evinto dal passo citato, specialmente nel Medioevo e nel primo Rina­ scimento, l'amor hereos colpisce principalmente gli uomini, soprattutto i

pp.

3· Cfr. Ciavolella (1976, pp. 6o ss. ) ; Ferrand, 1623 (1991, pp. 29, So ss. ) ; Burton (1981, 331-2). 4· Gordonius, cit. in Ciavolella (1976, pp. ns-6). S· Gordonius, ci t. in Lowes (1914, pp. 499-502). Cfr. Agamben (1993, p. 133). 17

IL PENNELLO DI CUPIDO nobili, la cui vita è dominata dall' otium. La malattia li spingerebbe a com­ portarsi con le amate come i sudditi verso i loro signori: sarà dunque un amor heroicus e contemporaneamente dominalis6• È in questa forma che il mal d'amore compare diffusamente nella lette­ ratura del tempo, nella lirica cortese, nel Collare della colomba di Ibn Hazm, nel De amore di Andrea Cappellano, in alcune storie delle Mille e una not­ te, nel Roman de Tristan o in alcune novelle del Decameron7• Qualsivoglia antologia sarebbe arbitraria, e ogni passaggio necessiterebbe di una tratta­ zione dedicata che desse conto del contesto della sua produzione. Fatto sta che nell'eziologia del mal d'amore la centralità degli occhi, dell' immagine­ immaginazione, è centrale, e soprattutto è uno degli elementi che conserva la sua importanza nei secoli. Lo sostenevano Platone nel Crati/o ( 42ob) e Aristotele nel De anima ( I 4, 4o 8b, 1-15); lo confermavano la medicina araba, Oribasio (Sinossi, libro VIII ) , assieme a Paolo di Egina (De re medica libri septem, III, 17) e Guglielmo da Saliceto ( Cyrurgia, XVIII ) 8; e pure Boc­ caccio parla dell'amore come di una cogitatio intensa originata dalla perme­ abilità degli occhi - e il suo Giachetto si innamorò « sì forte » di Giannetta «che più avanti di lei non vedeva»9• Giovanni Battista Della Porta lo ribadisce alla sua maniera: l'amore si insinua dagli occhi e raggiunge il cuore ; gli spiriti scatenano una serie di reazioni disordinate, poi salgono verso gli occhi dell'amante, li trovano «porosi » e, di lì, scagliano mille dardi che si conficcano negli occhi dell'a­ mato, raggiungono il suo cuore e «lo infettano tutto » . Perché, precisa, « quell'aria che sta vicino a gli occhi del riguardante [ ... ] porta seco un va­ por di sangue corrotto della cui contagiane s' infetta l'occhio di colui che guarda » 10• E chiosa: considerando l' infirmità che sogliano venir per la contagiane, come il prorito, la scabie, l' infiammatione de gli occhi e la peste, se 'l toccar, con la vista e con il parlare, può ammazzare il vicino e infettarlo della sua infermità, perché la peste amorosa, che è la magior di tutte le pesti, non può impestare i vicini e farle consu­ mar nel fuoco ?11

6. Jacquart, Thomasset (1985, pp. 150-4) . Cfr. Lowes (1914). 7· Per una sintesi, Ciavolella (1 976, in part. pp. 25, 97 ). 8. Per una sintesi di queste posizioni, cfr. Ciavolella (1976,passim , in part. p. 22). 9· Decameron, II, 8 (corsivo nostro). Cfr. Ciavolella (1976, pp. 117-8) ; Menghi (1999). 10. G. B. Della Porta, Della magia naturale, VIII, 15, cit. in Paolella (1997, pp. 37-9 ). Cfr. Girard (2oos, pp. 7-47 ). 1 1. Della Porta, cit. in Paolella (1997, III, p. 40 ). Cfr. Beecher (1988, pp. 8-9 ). 18

I. STORIE Consiglia quindi un rimedio radicale. Per proteggersi da questo morbo, è sufficiente eliminarne le cause, ovvero non guardare, né lasciarsi guardare: Rimedi contro l'amore. Molti n' imparò l'età vecchia. Se vorrai da te tar il fascino amoroso, così lo torrai : fuggi di mirarla, né far che gli occhi tuoi s' incontrino con i suoi, né s'accompagnino i tuoi guardi con i suoi; [poi, una volta fatto ciò] [togli] la conversazione; togli l'o ti o, cava fuori dal tuo corpo sangue, sudore e il seme e ogni altro escremento, che con quelli scacci fuora quei spiriti che sono remasti nel suo corpo•l.

Lucrezio descriveva gli illusi dai simulacri di Venere come individui che, volnere caeco, ovvero per una ferita segreta, misteriosa, si consumano nell' incertezza•\ L'amore non è affatto un sentimento cieco. È un disturbo dell' immaginazione che favorisce perniciose e visionarie trasfigurazioni: in qualsiasi oggetto, anche nel meno piacevole, l'amante scorgerà il volto dell'amato e lo troverà degno della più incondizionata ammirazione. È esat­ tamente ciò che secoli dopo, con parole diverse, confermerà anche Voltaire, sostenendo che l'amore è il frutto di un' immaginazione abile a ricamare «la stoffa offerta dalla natura » 1 4 o che, ancor più tardi, ribadirà un disin­ cantato Stendhal con la sua celebre teoria della cristallizzazione•s. Medici, poeti, letterati e filosofi di epoche diverse paiono dunque ado ­ perarsi all'unisono per persuadere i lettori sui pericoli dell'amore, delle im­ magini e degli occhi. Anche se, alcune volte, pur descrivendo gli amanti come pazzi con « il cervello sempre in ebollizione » , come dissennati che « si dànno a concepire assai più di quel che la ragione sarebbe mai disposta ad accettare » e riescono a « veder la bellezza di Elena sulla fronte di una zingara » 16 , con le loro parole, con le loro immagini, non mancano di cele­ brare al meglio l' infinito potere dell'amore. Meglio dunque prestare molta attenzione. 12. Della Porta, Della magia naturale, ci t. in Paolella ( 1997, pp. 40-1). 13. Lucrezio, De rerum natura, IV, 1097-1 120 ( in part. 1101, 1120 ). 14. Voltaire ( 1995, s. v . Amour, p. 20 ) . 15. «Lasciate lavorare la testa di un innamorato per ventiquattr 'ore, ecco che cosa vi troverete: nelle miniere di sale di Salisburgo si usa gettare nelle profondità abbandonate un ramo privato di foglie dal gelo: due o tre mesi dopo lo si ritrova coperto di fulgide cri­ stallizzazioni: i più minuti ramoscelli, quelli che non sono più grossi dello zampino di una cincia, sono fioriti d'una infinità di diamanti mobili e scintillanti; è impossibile riconoscere il ramo primitivo» (Stendhal, 1980, p. 147; cfr. ivi, p. 89 ) . Cfr. Ortega y Gasset ( 1992, p. 23; 2oo6, p. ss). 16. W. Shakespeare, A Midsummer Night's Dream, atto v, scena unica. 19

IL PENNELLO DI CUPIDO 1.2 Sguardi melanconici Si è detto che tra le varie denominazioni del mal d'amore c'è quella, piutto­ sto costante, di "melanconia amorosa". Ora, in questa sede sarebbe impossi­ bile tracciare una storia della melanconia, amorosa o meno. Ma considerato il fatto che prenderemo in esame una serie di dipinti realizzati nel Seicento, sarà perlomeno necessario definire che cosa fosse la melanconia in quell'e­ poca. Potremmo dirlo così: tra la fine del Cinquecento e l' inizio del Sei­ cento, la melanconia non è più solo ilfuror metafisico dell'uomo di genio, né l' acedia, né la condizione esemplificata dalla celebre incisione di Diirer del ISI4. È un morbo divorante da cui occorre liberarsi con ogni mezzo. Non a caso, fu oggetto di attenzione da parte di molti medici: ne scrissero gli spagnoli Andrés Velazquez e Luis Mercado, gli inglesi Timothie Bright, Robert Burton e Thomas Willis, e i francesi André Du Laurens,Jean Aube­ ry e Jacques Ferrand - area, quella francese, da cui proverrà poi gran parte la letteratura sulla sua variante "amo rosà'. Due esempi inglesi ( George Cheyney, nel I733, definì la melanconia the English malady). Nel I S 8 6, Timothie Bright pubblica a Londra il suo Tre­ atise ofMelancholy, un'opera dallo spiccato militantismo protestante dedi­ cata a un melanconickfriend. La malattia è presentata secondo la tradizione umorale. Di regola, così si dice, i melanconici sono freddi e secchi; ma se la loro temperatura interna aumenta, la malattia può farsi "adustà' e originare l'atrabile, un vero e proprio veleno capace di sconvolgere il funzionamento di tutti gli organi. Alla variante amorosa, Brighe dedica poche pagine, in cui ci presenta una sorta di teoria fisiologico-dinamica delle passioni: la gioia e l'amore producono nel corpo movimenti centrifughi e una dilatazione del cuore, mentre la tristezza, così come la paura e l'odio, provoca movimenti centripeti, accompagnati da una contrazione del cuore e da un accumularsi degli spiriti animali al centro del corpo. Per questo l'amore è un piacere : perché dilata il cuore e rende più chiaro il sangue. L'anima è immortale, e non può essere alterata dal corpo, che invece è mortale, ma il collegamento tra i due può essere difettoso. A livello fisiologico, gli effetti nocivi delle passioni sarebbero provocati da un errore di comunicazione tra cervello e cuore, in un sistema in cui il primo è adibito a cogliere l'oggetto, a valutario e a trasmettere il proprio giudizio al secondo : per cui, se il cervello "sba­ glia" a compiere queste operazioni, anche il cuore ne soffrirà17• Se poi un

17. Cfr. Bright (1996, passim); E. Cuvelier, lntroduction, ivi, p. 15. 20

I. STORIE melanconico è innamorato, secondo Brighe la sua disposizione d'animo lo spingerà ad ammirare più l'altro che non se stesso, a "idealizzarlo" a detri­ mento di sé e del proprio valore, alimentando così la propria melanconia in un nefasto circolo vizioso•8• Quanto all'amore non corrisposto, Brighe consiglia di insistere perché lo diventi o, in alternativa, di intervenire dall'e­ sterno per convincere il melanconico che l'oggetto del suo desiderio non è poi così attraente9• Nel I 62I, Robert Burton pubblica la prima edizione della sua Anatomy ofMelancholy, un'opera stracolma di erudizione, così smisurata da suscitare nel lettore l' idea di trovarsi dinanzi a un'enorme nebulosa, a un pot-pourri di citazioni e aneddoti che ha inebriato perfino l'autore - un melanconico dichiarato, che si definisce Democrito junior ( « un solo Democrito non basterà di questi tempi; abbiamo bisogno di un Democrito per ridere di Democrito » )2.o e afferma che « nessuno ride della propria follia, ma di quel­ la che vede in un altro »2.1• Facendo capolino dalla pletora di teorie e aned­ doti antichi, medievali e moderni, Burton, nel suo avvertimento al lettore, confessa di aver « sfogliato alla rinfusa vari libri nelle nostre biblioteche » ; e aggiunge, forse provando a convincere anche se stesso, che quella messe di testi e citazioni potrà essere utile (anche a un maleforiate lector, un lettore che, fin qui, ha impiegato male il suo tempo )2.2. per sottrarsi alla cupa malìa melanconica. « Scrivo sulla melanconia », ammette, « adoperandomi per evicarla » 2.3• Ovviamente, l' idea che l' Anatomy burtoniana sia soltanto l'opera di un pastore erudito che, per placare la sua melanconia, ha passato in rassegna molti libri e poi, con mania ritentiva, ha composto il suo, è quanto mai inadeguata. Burton non si è limitato ad assimilare ingordamente tutto lo scibile sulla melanconia catalogabile. Ha compiuto un' impresa filosofica originale, sconfinata e babelica, tipica di un'epoca che conobbe dibattiti vivacissimi, anche quelli tra una medicina come arse una medicina co­ me scientia2.4• Eppure, su Burton non sono mancati espliciti tentativi di patografia: avrebbe avuto, si dice, una predisposizione ereditaria per la 18. Cfr. ivi, p. 185. 19. lvi, p. 249. 20. Burton (1983, p. 90 ). 21. lvi, p. 87. 22. Cfr. ivi, p. 55; Burton (1977, p. 124). 23. Burton (1983, pp. 52, 54; 1977, p. 26). Cfr. la postfazione di Pigeaud in Burton (2ooo, p. 1894) e Pigeaud (2oo8a, pp. 29-66). 24. Cfr. Gowland (2oo6, p. 34); Starobinsk.i (2ooo, p. VIII ) . 21

IL PENNELLO DI CUPIDO melanconia (lo zio materno sarebbe stato stroncato da un attacco di « me­ lanconia fulminante » , sottogenere piuttosto indecifrabile) e la sua vita si sarebbe svolta in un susseguirsi di condizioni ambientali ed esistenziali favorevoli al manifestarsi della malattia: sarebbe stato un « ragazzino non amato, poi uno scolaro tirannizzato, uno studioso confuso e uno scapolo insoddisfatto » 2.s. Scapolo o meno, Burton, in apertura del suo scritto si chiedeva se non si dovesse forse ridere « nel vedere uno sciocco innamorato »2.6• Tuttavia, dedica alla love melancholy la terza parte della sua opera, aprendola con queste parole : Suppongo che qualcuno vorrà biasimare qualche parte di questo trattato sulla malinconia d'amore, e obiettare [ ... ] che il discorrere dei sintomi dell'amore è [ ... ] argomento troppo frivolo, stravagante, adatto solo ai poeti lascivi, a giovani e svenevoli damerini malati d'amore, a cortegiani effemminati o a perdigiorno del genere7•

Burton non teme la deplorazione e si avventura nell'argomento, forse so­ stenuto dalle parole oraziane (puntualmente citate) secondo cui « merita il massimo » chi « Sa unire l'utile al dilettevole » 2.8• Specifica che le sue pagine non si propongono soltanto di sollazzare l'animo del lettore ma anche quello di « correggerlo » 2.9, e nella prima sezione ci racconta come nasca l'amore. Cita Platone, che distingue tra forme di amore pure e forme di amore impure, e discute di come la bellezza possa essere colta da occhi e orecchie ; riferisce dei dubbi di P lo tino, che si chiedeva se l'amore fosse « un dio, un demonio, una passione della mente, o un semidio, un semide­ mone, e solo in parte una passione della mente » ; poi, in una vertigine che mescola esseri animati e inanimati, amori sacri e amori profani, passa da Agostino a Origene e Leone Ebreo, da Della Porta a Paolo Giovio, da Ora­ zio a Giovenale fino al Vecchio e al Nuovo Testamento30• Dopodiché, nel­ la seconda sezione, passa all' « amore eroico come causa di malinconia » , considerando l a sua antichissima origine, il suo potere e l a sua sterminata

25. Lepenies (1985, p. 18). 26. Burton (1983, p. 89). 27. Burton (1977, III, pp. 3-4; 1981, p. 35). 28. «Omne tulit punctum, qui miscuit utile dulci, Lectorem delectando» (Orazio, Ars poetica, 343-344, ci t. in Burton, 1981, p. 40 ). 29. Burton (1981, pp. 41, 44). 30. lvi, pp. 41-90. 22

I. STORIE ampiezza (voler illustrare il potere e gli effetti dell'amore, dice, sarebbe « come illuminare il sole con una candela » )3\ e di qui, gradualmente, en­ tra nel merito. Ci ricorda che, secondo il Simposio platonico, Eros fu concepito du­ rante il banchetto per la nascita di Afrodite e dunque che i due, se avessero voluto, avrebbero potuto festeggiare i loro compleanni assieme ; ma ci ri­ corda anche che, fin da piccolo, Eros iniziò ad assumere comportamenti capricciosi, a mostrarsi «pervicace e indomabile » , « ingiurioso verso gli altri dèi » , Afrodite compresa, che invano lo sculacciava con la pantofola, lo minacciava di spuntargli le ali o di spezzargli arco e frecce. Niente da fare. Neanche Apollo, che lo aveva sfidato a curare le malattie, fu in grado di scacciare la sua molestia. Fu così che la melanconia d'amore cominciò a tormentare dèi, uomi­ ni, animali e piante. Burton ci informa infatti che la malattia può colpire anche i vegetali ( in particolare, le palme maschio e femmina), i cavalli, i tori, gli orsi e i cinghiali, i galli, i leoni e i cervi, i pesci e gli spiriti. Poi, pe­ rò, quando inizia a precisare come l'amore tiranneggi l'uomo e quali parti del suo corpo infetti, è intimorito : «horresco referens » . Perché, è vero, l'amore « ha unito province, edificato città e [ ... ] tiene in vita il genere umano. [ ... ] Ma se si infiamma non è più amore, è cocente lussuria, malat­ tia, delirio, follia, inferno » 32·• È una malattia peggiore «della calentura e delle febbri maligne, la gotta, la sifilide, il mal d'ossa, la paralisi, i crampi, la sciatica, le convulsioni, i dolori e le infiammazioni » . E, appunto, nel timo­ re di riferire le « immonde seduzioni » di questo tipo d 'amore, ci consegna un lungo brano in latino, il più lungo dell' intera opera, cautelandosi così dall'eventuale critica di qualche illetterato che, caso mai, avesse deciso di sfogliare il suo libro33• La melanconia d'amore, ci conferma, è una fissazione costante, origi­ nata, come ogni altra forma di melanconia, da una « immaginazione cor­ rotta » che spinge il malato a «meditare in continuazione sull'oggetto del suo desiderio » . Le cause esterne, ambientali, sono varie : gli astri, il clima, la salubrità dell'aria, l'ozio e l'alimentazione non corretta, ricca di spezie, sale e vino robusto34• Ma più di tutto ci sono gli occhi, che sono « uccellatori d'amore » e fanno sì che i sensi restino « impaniati » . La più frequente e

31. lvi, pp. 91, 114. 32. lvi, pp. 94-104. 33· lvi, pp. 105-8. 34· lvi, pp. 11 6-26. 23

IL PENNELLO DI CUPIDO comune causa d'amore è la vista, che « fa convergere sul cuore i raggi fol­ goranti della bellezza » : gli occhi sono come due cataratte che lasciano libero ingresso a quella divina, po­ tente, violenta, tirannica beltà che, [ ... ] più acuminata di un dardo, s ' infigge nel profondo del cuore e, in mezzo agli occhi, apre una così larga ferita da colpire l'anima stessa35•

Insomma, «l'occhio è lo scherano dell'anima, e in questa impresa ha una funzione sia attiva che passiva, ferisce ed è ferito, è causa efficiente e stru­ mento, sia nel soggetto che nell'oggetto »36• Gli esempi degli effetti dell'amore potrebbero essere infiniti e, come d'abitudine, Burton ne riporta così tanti da sfinire il lettore - e se poi questi desiderasse una «più precisa descrizione » , gli consiglia, potrà rivolgersi ai poeti, agli storiografi e agli scrittori erotici: al Luciano delle Imagines, al ritratto di Pantea tracciato da Senofonte, a Petronio, alla Leucippe di Achille Tazio o a Castiglione (che chiama gli occhi «lampade d'amore » ) o a Tibullo (che l i chiama « esche per il fuoco » ). Quel che è certo è che, come ormai sottoscrivono tutti, l'amore nasce da un contagio provocato dagli occhi, i quali per un po' se ne stanno « acquattati come soldati » e poi, all' improvviso, danno inizio al conflitto e si trafiggono a vicenda, disegnan­ do un groviglio di raggi37• Secondo Burton, ci sono alcuni tipi di occhio particolarmente peri­ colosi, come quello « capriccioso, roteante, lascivo » oppure «l'occhio di triglia » , un vero «persuasore occulto, il re dei ruffiani » 38• Gli amanti, in­ fatti, per conquistare gli amati ricorrono volentieri all'astuzia, alla frode, all' inganno, trasformandosi con la velocità del fulmine da esseri zotici quali erano a personcine azzimate che si muovono col «passo di uno che cam­ mina sulle uova » . Pur di raggiungere il loro obiettivo, diventano maestri «di improvvise ritrosie, di eleganza e di curiosità », e impiegano « tutto il loro tempo e le loro risorse nell'agghindarsi, nel mostrarsi sofisticat [i], nel portamento e irreprensibili nella persona, nel far piombare con suprema eleganza il vestito » , nell'andar sempre « sistemati a puntino, con le chio­ me e i boccoli in piega [ ... ] , tutti profumati, [ ... ] come se fossero altrettanti

3 5· lvi, pp. 1 28-9. 36. lvi, pp. 143, 152. 37· lvi, pp. 147-8, 152-9. 38. lvi, pp. 162-3, 198. 24

I. STORIE Ganimedi pronti a mutar d'abito ogni giorno » . Pare quasi, chiosa Burton, che abbiano stretto un patto con sarti e barbieri39• Quanto ai sintomi, medici e poeti concordano : il malato d'amore è pallido, mangia pochissimo, dorme ancor meno (per lui il letto è un « cespuglio di rovi » ), suda copiosamente, ha gli occhi infossati e il polso irregolare, che accelera bruscamente alla vista della persona amata. Geme spesso, smania, è triste e angosciato, anche se talvolta sembra che sorrida, come se vedesse « qualcosa di piacevole » - e in tal caso sulle sue gote affiora un colorito roseo. Ma, soprattutto, i malati d'amore « non sono capaci di togliere lo sguardo dall'amato » , « sono sempre lì a fissare, quasi volessero rubargli il volto » ; se l'amato non c 'è, l'amante « guarda costan­ temente dalla parte donde venne » , non aspetta altro che poterio rivedere e gli pare che quell'assenza, benché passeggera, occupi un tempo eterno, che lo scorrere del tempo sia fatalmente rallentato o addirittura che l'o­ rologio vada all' indietro. In quest 'eterna attesa, l'amante cade spesso in adorazione di qualche effigie : passa in rassegna ogni dettaglio dei ritratti dell'amato, misura «la lunghezza, l'ampiezza, la profondità, e tutte le sue dimensioni » con «l'astrolabio dell' immaginazione » , con un fervore e un' intensità tale « che alla fine gli sembra di vederlo » davvero. Al punto che, scrive Burton, la presenza o l 'assenza dell'amato sono quasi irrilevan­ ti: la sua immagine si è così potentemente « impressa nell'animo » dell'a­ mante che questi diventa come « quel tale che, essendo stato morso da un cane idrofobo, vede cani dappertutto : cani nel piatto, cani nella carne, cani nel vino » 40• Questa cieca ammirazione può giocare brutti scherzi. Ovvero immagi­ ne e immaginazione possono non combaciare : Vizzosa, foruncolosa, bianca, rossa, gialla, nera, pallida come cera, il faccione piat­ to e rotondo come quello di un buffone, oppure smunto, rinsecchito e minuto come il volto di un pargolo, maculata in corpo, contorta, tutta pelle e ossa, spelac­ chiata, gli occhi strabuzzati e roteanti, lo sguardo di un gatto stretto all 'uscio, [ ... ] le occhiaie incavate, gialle e nere, guercia, la bocca spalancata come i passeri, il naso adunco dei Persiani, o lungo e affilato come quello della volpe, rosso, mastodonti­ co, imponente, appiattito come quello dei Cinesi [ ... ] , naso a promontorio, denti radi e sporgenti, neri, marci, soprammessi, in tartari ti, sopracciglia come antenne di scarafaggio, barbetta da strega, il fiato che appesta la stanza, il naso che sgocciola estate e inverno, gozzuta come una bavarese [ . ] , il collo lungo e sbilenco come ..

39· lvi, pp. 290-3. 40. lvi, pp. 228, 23 1, 23 6-40, 250-1, 279. 25

IL PENNELLO DI CUPIDO quello di una gru [ ... ] , le dita a salsicciotto pei geloni [ ... ], il groppone ricurvo, gobba, zoppa, i piedi piatti, sottile in vita quanto può esserlo la trippa di una vacca; le gambe gottose, le caviglie che traboccano sulle scarpe, i piedi puzzolenti, un covo di pidocchi, un essere informe, un mostro, uno scherzo della natura [ ... ] , un don­ none immenso, una nana ripugnante, una sguattera grassa e sporca, un gomitolo, una stecca di balena lunga e secca, un'ombra, si qua latent meliora puta [pensa che è meglio quel che non si vede] , simile a una merda alla luce di lanterna, peggiore di quanto avessi immaginato, ma che odi, aborri, alla quale vorresti sputare in faccia o nel cui petto ti vorresti soffiare il naso, remedium amoris. Sono queste le cose che gli piacciono4 1 •

In altri termini, anche se l'amata è la « bruttezza in persona » , l'amante l'ammirerà sempre e senza riserve. Se poi l'amato o la sua immagine sono inaccessibili, o se l'amore non è soddisfatto, o ricambiato, o possibile, l'a­ mante si esporrà a una sofferenza senza paragoni, a timori, sospetti, affanni e prostrazioni, a « una tortura che vince l' inventiva del sovrano più truce » , che l o porta a mettere a repentaglio tutto ciò che possiede, a dire addio all'o­ nore, al decoro e alla rettitudine, a diventare simile a una bestia. Proprio come Giove, che diventò un toro, come Apuleio, che si trasformò in un asi­ no, come Licaone, che si mutò in lupo, o come Ovidio, che diceva di voler diventare una mosca o una zanzara, o Catullo che, per poter stare accanto all'amata, avrebbe desiderato essere un passero. E c'è anche chi, con imma­ ne sforzo di lucidità, avrebbe desiderato trasformarsi in un oggetto, in una cosa, anche se non una cosa qualsiasi: «Vorrei essere uno specchio l perché tu mi possa guardar sempre » 42.. Quanto alla terapia, non è affatto di semplice individuazione. Già Ovidio, al proposito, era stato categorico : nullis amor est medicabilis ber­ bis. E, aggiunge Burton, c 'è chi ritiene che ordinare una terapia per l'amo ­ re, cioè per la melanconia amorosa, è assimilabile ali' atto di « comandare a un sordo di udire, a un cieco di vedere, a un muto di parlare e a uno zoppo di correre » 43. Perché in amore a nulla valgono i consigli: gli innamora­ ti non vogliono guarire. E poi, quali terapie si potrebbero prescrivere a malati che manifestano segni così irrequieti ? La loro temperatura cambia

41. lvi, pp. 261-2. Si tenga presente che anche Burton ( ivi, pp. 355-6), come da tradizio­ ne, fa riferimento all'amante come uomo e all'amata come donna ; ma poi precisa: «Ciò che ho detto, converrete, si può riferire altrettanto bene agli uomini che alle donne, anche se le donne sono nominate più spesso in questo trattato. [ .. . ] Se qualcuno ha delle critiche da rivolgermi, cambi i nomi, legga lui al posto di lei, e tutto andrà a posto ». 42. lvi, pp. 252-60, 281-5. 43· lvi, p. 305.

I. STORIE bruscamente dal troppo caldo al troppo freddo, il loro colorito dal pallore al rossore, l'umore dalla mestizia all'euforia, e senza ragione passano dal mutismo al fragore di mille parole. È come se fossero affetti da malattie opposte ! Tuttavia, è necessario trovare un rimedio per i dolori degli innamorati (dimensione introversa), contenerne i perniciosi eccessi (dimensione estro­ versa) . Così Burton passa in rassegna l' intero arsenale terapeutico che le diverse epoche avevano proposto : erbe, filtri, pozioni magiche ( « sì da cu­ rare la malattia con gli stessi mezzi che l'hanno causata » ), o l' immancabile flebotomia, sempre consigliata, almeno dal Regimen sanitatis salernitanum in poi, affinché amantes ne sin t amentes44• A ciò, affianca consigli dietetici e anche un abbozzo di trattamento paracomportamentale (che definisce « cura esterna » ), fatto di passatempi, visione di bei dipinti, di giardini, di passeggiate, viaggi, musica e attività fisica. Raccomanda soprattutto di « re­ sistere agli stimoli ed evitare le occasioni non appena si presentano, cam­ biando dimora e ricorrendo a mezzi onesti e disonesti, passioni contrarie e intelligenti stratagemmi » . Per esempio, ricorda che qualcuno consiglia di non leggere il Cantico dei Cantici, di rimandare la lettura di alcuni passi della Genesi a momenti più tranquilli, che molti ordinano di non nominare mai l'amato e che quasi tutti prescrivono di non guardarlo, di « fare un pat­ to con i [propri] occhi » 4s. Nel caso lo si voglia proprio guardare, lo si faccia molto da vicino, così da scoprirne i difetti: allora si vedranno « vene promi­ nenti, occhiaie, rughe, cicatrici, lentiggini, peli, verruche » ; si potrà perfino immaginare di « sollevare la pelle che [gli] ricopre il volto » e accorgersi che, in fin dei conti, « tutta quella bellezza consiste solo di pelle, ossa, nervi e tendini » . In alternativa si potrà immaginare di vedere la persona amata in situazioni sconvenienti, per far sì che colei che fino a poco prima ci era parsa una dea inizi a somigliare « alla cornacchia di Esopo o alla cantaride di Plinio » , e sia così spaventosa e ridicola che non potremo più sopportarne la vista46• E chi guarisce dall'amore diventa un uomo nuovo : è « come se avesse perduto gli occhi che aveva prima » 47• Burton, tuttavia, sa che la miglior cura per la melanconia d'amore è quella di obbedire alla natura, di soddisfare l'amore e far sì che « gli innamorati l'abbiano vinta » ; ovvero, scrive, che essi « mettano in croce

44· lvi, p. 319. 45· lvi, pp. 319-25. 46. lvi, pp. 343-51. 47· lvi, pp. 329-30. 27

IL PENNELLO DI CUPIDO Cupido finché non abbia accordato le loro richieste e soddisfatto i loro desideri » , cosicché possano « dormire beatamente assieme » 48• Il melan­ conico Burton è alla ricerca di un happy ending? D ' altra parte, parecchie pagine addietro aveva già insinuato il dubbio nel lettore, affermando che, malgrado il tumulto di sintomi tanto molesti, malgrado gli accessi visio­ nari cui vanno soggetti gli innamorati, l'amore « sovente rinsavisce i pazzi, rende generosi gli abietti, coraggiosi i codardi, liberali e prodighi gli avari [ ... ] , pii e devoti i malvagi e i miscredenti, puliti e ordinati gli sciattoni, caritatevoli gli spilorci, amanti del parlare coloro che stavano muti come pesci, attivi e pieni di iniziativa i torpidi somari » 49• Ma Burton resta pur sempre Democrito junior. Per cui, dopo aver evo­ cato l' immagine beata degli innamorati finalmente uniti, passa in rassegna le difficoltà che potrebbero frapporsi alla realizzazione del felice quadret­ to. Cupido ha due dardi al suo arco : « uno dalla punta aguzza e tutto d'oro » , che fa nascere l'amore, e un altro, « senza punta e di piombo » , che lo frena so. Fuor d i metafora, il sentimento dell'amante potrebbe non essere corrisposto, le famiglie potrebbero non approvare, oppure l'amore potrebbe essere funestato dalla gelosia, argomento a cui Burton dedica il finale della sua trattazione. La gelosia, afferma, è una «pallida strega » , un « ramo bastardo o una specie particolare della malinconia d'amore » , che provoca un « acutissimo dolore » , uno « sconvolgimento furiosissimo » e scatena violenze inaudi­ tes1. È una follia che spinge all'azione, ma a quelle impulsive, vane e sconsi­ derate. Perché gli atti dei gelosi sono inutili: se l'amato è fedele, ogni azione del geloso è immotivata; se è infedele, non c'è nulla da fare : «più [l'amato] si agita, si scalmana, più peggiora le cose » s2.. Tertulliano riportava l' aned­ doto secondo cui Democrito si sarebbe cavato gli occhi perché non riusciva a guardare una donna senza farne oggetto di concupiscenza: ecco, scrive Burton, un geloso potrebbe fare altrettanto, così, finalmente, eviterebbe di star sempre a tener d'occhio l'amatoS3. Come sappiamo, Burton riprenderà più volte il suo testo. Nel frontespi­ zio della terza edizione, pubblicata nel I 628, c 'è un' immagine realizzata da Christian Le Blon e commentata in poesia dallo stesso Burton ( The Argu-

48. lvi, pp. 376-9. 49· lvi, p. 286. so. Ovidio, Metamorfosi, I, ci t. ivi, p. 381. 51. lvi, pp. 421, 457-78. 52. lvi, pp. 436, 472-3. 53· Tertulliano, Apologeticum, 46, ci t. ivi p. 507.

I. STORIE

FIGURA 1.2 Christian Le Blon, lnamorato, frontespizio per Robert Burton, The Anatomy oJMel­ ancholy, Henry Crips, Oxford 1628

ment ofthe Frontispiece) : sotto il segno di Saturno sta Democrito d'Abdera; in basso, in corrispondenza del riquadro centrale, c'è il ritratto di Burton, ovviamente come Democrito junior. Accanto al Democrito senior, invece, stanno la Gelosia e la Solitudine, scortate dal Superstizioso, dal Maniaco, dall' Ipocondriaco e dall' Inamorato (FIG. 1.2 ) H . Per illustrare come sia un Inamorato, Le Blon rappresenta un giovane "chiuso in sé", gli occhi coperti da un cappello a falde larghe, le mani strette al petto, come illord offolded arms di cui parla Shakespeare in Love's Labour 's Lost ( ni, I ) - benché, se54· Cfr. Klibansky,

Panofsky, Saxl (2002, in part. p. 3 50, nota 2). 29

IL PENNELLO DI CUPIDO condo alcuni, si premerebbe il fianco sinistro, chiaro segno di un dolore alla milza che, come si sa, la melanconia infiamma 55• Ad ogni modo, è un giova­ ne introverso, diremmo oggi, elegante, con ai piedi uno spartito musicale e un liuto ; e, dice Burton, se tutto questo non vi è abbastanza chiaro, per dipingerlo « osservate bene voi stessi » 56• Insomma, de tefabula narratur.

1.3 Parole, parole, parole Un paio di decenni prima che venisse pubblicata la I edizione dell'Ana tomy di Burton, nel IS94, il medico francese André Du Laurens, formatosi a Montpellier, aveva dato alle stampe un libro sulla melanconia piuttosto diverso da quello burtoniano e dal titolo, per noi, assai attraente : Discours de la conservation de la veue, et des maladies melancholiques ( cioè "Discorso sulla conservazione della vista, e sulle malattie melanconiche" ) . In quindici capitoli, l'autore descrive quattro tipi di melanconia: cerebrale, sanguigna, ipocondrica ed erotica. La melanconia è una resverie senza febbre, associata a paura e tristezza, come una « notte perpetua che si impadronisce del cer­ vello » ( Galeno ) 57• Nello specifico, Du Laurens spiega che la melanconia erotica si sviluppa negli ipocondri o nel basso ventre, ma suggerisce una misteriosa complicità tra l'alto e il basso, o più precisamente fra una tenace cogitatio che, dall'alto, muove verso il basso e un umore adusto che, dal basso, fatalmente si propaga verso l'alto. Il meccanismo alla base di questi movimenti è riassumibile come segue : il cervello, ossessionato dai demoni dell'amore, consegna il corpo ai suoi disordini; a sua volta, il corpo cor­ rompe l'organo in cui ha sede l'anima, ne perturba le facoltà di giudizio e l' immaginazione. L'amore consuma il malato da due parti, lo rende simile a una torcia accesa da entrambe le estremità58• Anche per Du Laurens, i primi colpevoli dello scatenarsi del mal d'a­

55 · È l'ipotesi di A. Brilli, nella sua Introduzione a Burton (1981, p. 1 2). 5 6. Ecco i versi di Burton (19 77, p. 7 ) : «I'th' under column there doth stand l lnam­

orato with folded hand; l Down hangs his head, terse and polite, l Some ditty sure he doth indite. l His Iute and books about him lie, lAs symptoms ofhis vanity. If this do no t enough disclose, l To paint him, take thyselfby th' nose ». 57· Du Laurens (201 2, p. 23). L'autore, tra l'altro, completa e problematizza il paragone di Galeno con una constatazione di Averroè, secondo cui questa notte non può far paura perché «il cervello non ha occhi: come potrebbe dunque turbarsi del buio dell'umore me­ lanconico, se non può vederlo ?» (ivi, p. 30). Cfr. Postel, Farjon (1992). 58. Cfr. Suciu (2012, p. LXXXIV ) . 30

I. STORIE more sono gli occhi, cioè le immagini a cui essi concedono di penetrare nel corpo : [L'amore] , essendosi approfittato degli occhi, che sono le spie e i custodi dell'a­ nima, scivola lentamente lungo le vene fino al fegato, dove imprime un ardente desiderio per quell'oggetto che o è davvero amabile o pare soltanto esserlo. Qui l'amore incendia la concupiscenza, e dà inizio alla sedizione. Ma, temendo di esser troppo debole per sconvolgere la ragione, parte suprema dell'anima, va subito a impadronirsi del cuore, e una volta conquistatolo attacca violentemente la ragione e tutti i suoi nobili poteri, li assoggetta e li rende schiavi59•

Ne derivano perturbamenti del sangue, delle funzioni viscerali e del giudi­ zio, e conseguenti deliri d' immaginazione : il tutto provocato dalla sconsi­ deratezza e dall' imprudenza di questi portieri dell'anima. Da una prospettiva assai vicina al neostoicismo60, anche Du Laurens sostiene che la melanconia amorosa è una patologia a tutti gli effetti, e suggerisce alcuni rimedi ( al di là ovviamente del rimedio major, che resta sempre il « godimento della cosa amata » ) . Non ci soffermiamo su quelli farmacologici o dietetici ma su uno di essi che, a dire di Du Laurens, po­ trebbe avere una certa utilità per distrarre l'amante dall'oggetto del desi­ derio, o meglio per capovolgerlo : le belles paroles. Le parole possono esse­ re deleterie e mistificatorie. Eppure, per destare nel paziente una salutare contro-immaginazione, il buon medico deve saper utilizzare l'eloquenza e «l'artificio » 61• E Du Laurens dimostra di saper utilizzare quest 'arte con maestria: [Nella melanconia amorosa] l ' immaginazione è così depravata che il melanconi­ co pensa sempre di vedere ciò che ama, vi corre sempre dietro, lo bacia nell 'aria, lo accarezza come se fosse presente; quel che è strano è che, anche se l'amato è di brutto aspetto, egli se lo raffigura come il più bello del mondo : sta sempre dietro a descrivere la perfezione di questa bellezza, che gli pare aver capelli lunghi e dorati, graziosamente ondulati [ ... ] , una fronte a volta, come un cielo sgombro di nubi, chiara e liscia come alabastro, due astri lucenti [ ... ] che dardeggiano mille raggi amorosi, simili a tante frecce [ ... ] ; le sopracciglia d'ebano, sottili e arcuate, le gote bianche e vermiglie come le rose, e ai lati due fossette; la bocca di corallo, entro cui stanno due file di piccole perle orientali, candide, e ben giunte, da cui

59· Du Laurens (2012, p. 72). Cfr. Ferrand, 1623 (1991, pp. 27-8). 6o. Suciu (2009, pp. 61 ss.). Sulla melanconia dal punto di vista neostoico, cfr. Kliban­ sky, Panofsky, Saxl (2002, pp. 40 ss.). 61. Du Laurens (2012, p. 81). 31

IL PENNELLO DI CUPIDO fuoriesce un vapore più soave di quello dell 'ambra e del muschio, più fragrante di tutti i profumi del Libano ; [ ... ] il collo di latte, il petto di neve, il seno come due piccoli pomi d'alabastro, che si gonfiano con piccoli sussulti e poi si riab­ bassano, a immagine delle maree, con due boccioli freschi e di un rosa pallido, e tra questi monti gemelli un 'ampia valle [ ... ] . Questo povero melanconico se ne va sempre immaginando le trentasei bellezze richieste alla perfezione, e la grazia che sovrasta tutto, sogna sempre quest 'oggetto, corre dietro alla sua ombra, non ha mai pacél.

Du Laurens fa ricorso al lessi co della lirica amorosa e ad alcune sue imma­ gini specifiche - tra cui le frecce che escono dagli occhi, uno dei motivi principali del Roman de la Rosé3• Dice che l ' innamorato vede nell'ama­ ta, anche nella meno attraente, le « trentasei bellezze » della perfezione : riccioli d 'oro, pelle d'alabastro, di perfido e di diaspro, denti come perle lucenti, occhi come stelle, seni bianchi e rotondi, mari, monti e vallate ... Tanto che Du Laurens, con questo passaggio, potrebbe facilmente collo ­ carsi in una regione letteraria, curiosa e inattesa, a mezza via tra il Bembo e il Berni: perché dice che l'amata resta perfetta e irresistibile pur con le sue « chiome d'argento, fino, irte e attorte » , le sue « ciglie di neve » , i suoi « denti d'ebeno rari e pellegrini » e le sue «labbra di latte » 64• Ma le facezie, in questioni mediche, non possono prendere il soprav­ vento. Du Laurens, in realtà, ci parla dell' immaginazione del malato e sem­ bra aderirvi, in un apparente delirio erotico al quadrato. Da buon oratore, si serve di verbi d'azione (courir, baiser, caresser) simulando l'espansione, via assimilazione, del desiderio del malato. Al contempo, però, utilizza precise tecniche di distanziazione, costringendo il lettore a contenersi e a limitarsi a osservare il povero innamorato che si dibatte tra i suoi fantasmi: Egli diventa pallido, magro, perde l'appetito, con gli occhi incavati e infossati, e, come dice il poeta [Virgilio, Eneide, IV, 2 9 - 3 0 ], non può vedere la notte né con gli occhi né col cuore. Tu lo vedrai piangente, singhiozzante, e sospirante, in una smania perpetua, fuggire ogni compagnia e amar la solitudine per alimentare i suoi pensieri [ ... ]. Il suo cuore sobbalza, il suo polso è sottile, irregolare, frequente e mu­ ta subito, non solo alla vista, ma persino al nome dell'oggetto delle sue passioni65•

62. lvi, pp. 78-9. 63. «Senza freccia nell'occhio ("the arrow piercing through the eye") non esisterebbe il Roman de la Rose né, io credo, potrebbe esistere un Roman de la Rose illustrato» (Stoi­ chita, 2006, p. 36 ) . 64. Il riferimento, ovviamente, è al sonetto del Berni (Rime, xxx). 6s. Du Laurens ( 2012, p . 73; corsivo nostro). Cfr. Suciu ( 2009, pp. 69-71 ) . 32

I. STORIE A volte basta il nome, una parola, per scatenare i sintomi della passione, dice Du Laurens. Il quale, appunto, alle parole presta grande attenzione e, grazie ad esse, per un verso rende piacevole il suo scritto, per l'altro pa­ re suggerire un modello di terapia. I suoi lunghi passaggi letterari, infatti, presentano le immagini del delirio mostrandolo per ciò che è: un delirio af­ fascinante che, sulle prime, indugia ossessivamente all' interno del proprio circolo fantasmatico66• Al contempo, però, le sue parole funzionano come "purgativi dell' immaginazione": ammaliano, paiono seguire e alimentare il delirio (quello del malato, il suo, e anche quello del lettore), salvo poi inter­ romperne il flusso, con la perizia di un terapeuta navigato che padroneggia appieno la situazione, cioè l'arte della parola. Cinque anni dopo il libro di Du Laurens, nel I 599, il medico Jean Au­ bery, intendente alle acque minerali di Francia, pubblica a Parigi L 'antidote d'amour, dedicato proprio a Du Laurens. Rivolgendosi al « casto lettore » , scrive : L'opera che presento oggi, amico Lettore, è una Venere, dipinta più castamente di quella d'Apelle, ma come la sua soggetta alla censura, che io voglio subire dai pittori e non da un impudente ciabattino [ ... ] . Alcuni, vedendomi armato per com­ battere l'impudico Amore, potrà credermi un eunuco sfuggito al gran serraglio, custode ormai della pudicizia delle dame, altri [ ... ] mi rimprovereranno di aver usato più cura nel dipingere e nel pettinare le ali dell'Amore che non a spiumarle per qualche sgarbo ricevuto67•

Noi sappiamo che «pochi parlano di castità castamente » 68• Ma Aubery si dice persuaso che l'uomo «per natura » non abbia bisogno dell'amo ­ re. Si chiede come nasca «la più perniciosa » tra le passioni dell'anima, quali sensi ne siano i maggiori responsabili, e anch'egli fornisce la stessa, inequivocabile risposta I più grandi colpevoli sono gli occhi, veri e propri « zolfanelli amorosi » , specchi di vanità capaci di accendere bracieri, di sca­ gliare su di noi « scintille lascive, come il Sole proietta i suoi raggi sul rogo della Fenice » , e provocare incendi voluttuosi a causa dei quali gli uomini « invecchiano e, alla fine, muoiono » 69• Più nel dettaglio : le immagini penetrano attraverso gli occhi, lo spi66. Cfr. Agamben (1993, pp. 142-5) ; Wack (1990, p. x n ) . 67. Aubery (1599, p. III ) . Il riferimento è al celebre racconto di Plinio che vede coinvol­ ti, appunto, Apelle e il ciabattino ; cfr. Naturalis Historia, xxxv, 36, 85. 68. Pascal, Pensieri, 377· 69. Aubery (1599, p. 13). 33

IL PENNELLO DI CUPIDO rito le trasporta fino all'anima e la traccia della loro forma si conserva a lungo nell' immaginazione degli innamorati. La cui memoria è una sorta di « serbatoio » , e la cui cogitazione dipende da quanto in esso è contenu­ to70. La passione rimette loro costantemente davanti agli occhi l' immagine dell'amato, cioè tanti ritratti «dai colori così vividi » che essi scambiano per l'oggetto reale; anzi: gli occhi degli innamorati, come quelli dei me­ lanconici, possono vedere anche le immagini che si trovano all' interno del loro cervello, continuando a crederle esterne, a vagheggiare che siano « i corpi dei loro amori » . Perciò restano astratti, « senza respiro » , rapiti come tanti Ganimede «dalle aquile dei loro pensieri, nel cielo di un godimento immaginario » 7 1 . Non troppo diversamente la pensava Jacques Ferrand che, nel 1 610, pubblica la prima edizione del suo Traité de l 'essen ce et de la guérison de l a­ mour, ou De la mélancolie érotique, seguito poi da una seconda, del 1 623, che conobbe maggiore successo e longevità (e che qui citeremo più diffusamen­ te). Come i colleghi, anche Ferrand è in difficoltà dinanzi a una malattia che compendia tante perturbazioni dell'animo e del corpo, e chiede aiuto ai saggi del passato. Anzi, esattamente come i suoi predecessori, li ammas­ sa gli uni sugli altri, senza preoccuparsi sempre di conferire una coerenza argomentativa al suo testo. Per cercare di far chiarezza su una malattia così polimorfa, chiama tutti a rapporto : Platone, Euripide, Plutarco, Ovidio, Catullo, Ippocrate, Galeno, Avicenna, Ficino, Mercuriale, Valleriola, Teo­ frasto, Areteo di Cappadocia, Cicerone, Seneca, P lauto, Apuleio, Aristofa­ ne, Oribasio, Paolo di Egina, Arnaldo da Villanova, Gordonio - e persino un giovane nobile di Agen, città in cui Ferrand iniziò a esercitare la profes­ sione, che, in preda alle pene d'amore, ripeteva desolato i versi di Properzio : «Nemmeno la tua nobiltà verrà in soccorso al tuo amore : Amore non si inchina alle immagini degli avi » 72.. In tal modo, anch'egli costruisce una specie di enciclopedia sulla melanconia erotica, destinata prima di tutto ai physici ma anche ai « begli spiriti innamorati della bellezza delle dame » che, tuttavia, vogliano conservarsi in salute73. 70. lvi, pp. s. 9, 28. 71. lvi, pp. 38-41. Cfr. Gabriel (2011, p. 198). 72. Properzio, Elegiae, I, s. in Ferrand, 1623 (1991, p. 46; traduzione modificata). 73· Questa dedica compare solo nella prima edizione, messa al bando dal tribunale ecclesiastico di Toulouse nel 1 620; nella seconda edizione la dedica è «à Messieurs les étu­ diants de médecine à Paris », perché trovino i rimedi contro la melanconia erotica, per sé e per gli altri. Cfr. Ferrand, 1610 (2001, pp. s-6). Sulle principali differenze tra la prima e la seconda edizione, cfr. G. Jacquin, Introduction, ivi, pp. XVIII-XXI. 34

I. STORIE Ferrand concorda con Aubery nel dire che l'amore « non sembra di uti­ lità a nessuno » , visto che è « il vivaio di un milione di mali » , « il principio e l'origine di tutte le nostre affezioni » , «l'epitome di tutte le perturbazioni dell'anima » . Dopodiché descrive i sintomi della malattia amorosa: Dall'amore derivano una complessione pallida e esangue, accompagnata da una febbre lenta che i professionisti di oggi chiamano febbre amorosa, palpitazioni al cuore, rigonfiamento del viso, perdita dell'appetito, dolori, sospiri, lacrime senza motivo, fame insaziabile, sete rabbiosa, sincopi, oppressioni, soffocamenti, inson­ nia continua, mal di capo, malinconia, epilessia, follia, furori uterini, satiriasi e altri sintomi perniciosi74•

Quanto alle cause, sono confermate da secoli di letteratura : i responsabili sono i sensi, in primo luogo la vista. Lo affermavano Plotino e Teocrito ( « lo vidi, e la follia si impossessò di me » ) e faceva loro eco Virgilio : « Al primo guardo perii: così un malvagio inganno rapì il mio cuore » . Lo diceva Aristotele ( « nessuno ama senza aver prima visto » ), lo riba­ divano Ficino e Valleriola, e lo intuiva Museo G rammatico, secondo cui «l'amore entra in noi mortali più a fondo che una freccia » , e «l'occhio ne è il varco ; e dall'occhio che è colpito la forza che ferisce scivola ver­ so il cuore » . Ecco perché, commenta Ferrand, Esiodo definiva gli occhi belli « saettanti » ! Ecco perché, prosegue, « se leggiamo in Filostrato che Paride ed Elena furono i primi a innamorarsi senza essersi mai visti, è ché questa storia vuole mostrare quanto straordinario sia l'amore » , e se qualche autore menziona un « amante cieco » lo fa, giustamente, per sot­ tolinearne il «prodigio » 7s. Anche per Ferrand l' innamorato si riconosce dagli occhi: « sono pro ­ fondi, infossati, aridi » , come se recassero traccia del violento passaggio del­ le immagini del desiderio. Eppure non deperiscono, restano « in continuo movimento » ( « i nostri anatomisti moderni chiamano il muscolo respon­ sabile di questo tipo di sguardo "l'amoroso" » ) , assumono un'espressione dolce: è come se gli innamorati vedessero qualcosa di piacevole « con gli occhi del corpo o con quelli dello spirito » 76•

74· Ferrand, I623 (I991, pp. 4-7 ). 75· Aristotele, Etica nicomachea, IX, 5; Plotino, Enneadi, III , 5; Teocrito, Egloghe, II, 82; Virgilio, Bucoliche, VIII, 4I; Museo, Ero e Leandro, VII, 7-10; Esiodo, Teogonia, I6, cit. in Ferrand, I623 (I991, pp. IO-I, I9 ). 76. lvi, pp. 4I-2, 49· Cfr. Du Laurens (I62I, v, I2, p. 119); Gordonius, cit. in Lowes (I9I4, pp. 499-502); Ciavolella (I976, pp. 70-I ); Culianu ( 2oo6, pp. 36-7 ). 35

IL PENNELLO DI CUPIDO Erroneamente, scrive Ferrand, l'amore è stato dipinto cieco. Al contra­ rio, una delle definizioni della melanconia d'amore potrebbe proprio essere lo smodato attaccamento dei malati alle immagini - come provano la storia di Macate, che si era innamorato di un phantasma, o quella di Alchidia, che amava una statua di marmo - e sono queste immagini che nuocciono all' immaginazione. Possiamo trovare conferma quotidiana degli effetti di tale corruzione : giovani innamorati, azzimati, profumati e riccioluti, irretiti perdutamente nei lacci di qualche vecchia megera curva e lardosa, dalla fronte butterata, le sopracciglia irte di folti peli, gli occhi catarrosi e lacrimosi, le orecchie pendenti, il naso schiac­ ciato, le grosse labbra rigonfie e piegate all' interno, i denti neri e fetidi, il mento che sporge in un grugno distorto e dispettoso; i quali ciononostante giureranno trattarsi di una seconda Elena la cui bellezza sta proprio in quelle rughe superlative, la cui fronte a volta rassomiglia al cielo sereno, bianco e nitido come alabastro, le cui sopracciglia sono di ebano, al di sotto delle quali si situano due astri splendenti che irradiano e saettano senza pari mille raggi d'amore77•

E così via, in un passaggio che riprende quasi alla lettera quello di Du Lau­ rens citato più sopra. Esattamente come per lui, anche per Ferrand gli arti­ fici veicolati dalle parole possono essere mistificatori perché rinforzano le passioni e le chimere dell'amante « nascondendo la verità sotto il velame delle favole » 78• Eppure, anche le sue pagine traboccano di passaggi dal­ la profonda sensualità e intrattengono con la malattia un rapporto ambi­ guo - elemento che, tra l'altro, è avvalorato dal fatto che Ferrand, con un certo humour, data la dedica della prima edizione al 9 agosto, giorno di « Saint Amour » 79• In questi trattati l'utilizzo dell'artificio poetico è una questione com­ plessa. Da un lato, se l'argomento è l'amore, cioè la melanconia amorosa, il ricorso alla letteratura e alla poesia è inevitabile, visto che l' « amorosa Saf­ fo » , scrive Ferrand, è « altrettanto dotta ed esperta in quest 'arte dei nostri medici greci, arabi e latini» 80• Dall'altro, siamo tentati di scorgere qualcosa in più in questa scelta degli autori: il desiderio che la parola, sotto l'egida di Apollo, dio della poesia e della medicina, possa essere phannakon - nel

pp.

77· Ferrand, 1 623 (1991, pp. 15-6, 44). È evidente qui il recupero di Du Laurens (2012, 78-9). 78. Ferrand, 1623 (1991, p . 17 ). 79· Ferrand, 1610 (2001, p . 5). So. Ferrand, 1 623 (1991, pp. 13, 45, 87-95). Cfr. Gowland (2oo6, p . 127 ).

I. STORIE doppio significato del termine - e che, con un po' di fortuna, la medicina si possa fare omeopatica, ovvero guarisca gli eventuali misfatti delle parole d'amore grazie ad altre parole. Certo, si tratta di parole particolari. Quando Ferrand spiega come diagnosticare il mal d'amore, per esempio, non considera fondamentale la confessione verbale del paziente : il più delle volte un medico accorto sarà in grado di stilare la diagnosi grazie a dati puramente visivi (colorito smorto, agitazione delle palpebre ecc.)8•. Se però il corpo del paziente non reca an­ cora i signa della malattia, il medico dovrà utilizzare metodi più sofisticati: non dovrà solo valutare la temperatura degli organi genitali, la quantità di peli sul corpo, l' irregolarità del polso e del respiro (gli innamorati me­ lanconici, infatti, sospirano perché « si dimenticano di respirare, a causa delle intense fantasie che nutrono » ) 82. ma dovrà adoperarsi per capire se il paziente sia inappetente, insonne o sia facile alle lacrime. E questo avviene, ovviamente, attraverso le parole. In casi difficili, il medico potrà addirittura far ricorso all' « interpretazione dei sogni » , tecnica che, precisa Ferrand, richiede una certa cautela ma sulla quale è comunque preferibile che la me­ dicina riconquisti il controllo. Le donne « infiammate dali' amore » , infatti, dopo una notte trascorsa in preda a qualche sogno confuso, fanno volentie­ ri ricorso a dei « ciarlatani » che « offrono loro quelle spiegazioni che sanno bene, e già da prima, che potranno incontrare la [loro] approvazione » 83• E la terapia ? Ferrand concorda con chi sostiene che sia difficile cura­ re chi è malato di una malattia da cui non vuoi essere guarito, ma offre ugualmente i suoi consigli. Si dovranno seguire alcune precauzioni: evitare il profumo di muschio, zibetto o ambra; niente polvere di viole o unguento di ranuncolino ; niente abiti foderati di pelliccia o di velluto, ché riscaldano il sangue; è bene, invece, abbondare con la canfora. Quanto al cibo, giove­ rà l'assunzione di portulaca, di acetosa di giardino, indivia, cicoria e tanta lattuga (non a caso, ricorda Ferrand, Venere, nella speranza di dimenticare i suoi amori illeciti, sotterrò Adone sotto un letto di lattuga !). E ancora: me­ loni, ciliegie, prugne, mele, pere, aceto, molto succo di limone e di cedro ... Va evitato l'abuso di sale, che provoca lussuria, vanno eliminate le carni ad alto valore nutritivo, come «le pernici, i piccioni, i passeri, le quaglie, le lepri giovani e soprattutto l'oca » , e anche «pinoli, pistacchi, scalogno, 81. Cfr. Ferrand, I 623 (I991, pp. 39-4I); M. Ciavolella, Introduzione, ivi, pp. XVI-XVII; Diethelm (I97I). 82. Ferrand, I 623 (I99I, p . SI) 83. lvi, pp. 53, 68, XVIII. 37

IL PENNELLO DI CUPIDO carciofi, carote, cipolla, ruchetta, ostriche » 84• Infine, Ferrand fornisce pun­ tualmente la ricetta di alcuni intrugli: Prendete I onza di rosato e 6 dramme di confettura di fìori di nenufero e di borragi­ ne, Y2 onza di polpa di limone e di lattuga condita con dello zucchero, 2 dramme di emblice in una conserva di zucchero e una confettura di alchermes. [ ... ] Aggiungete I dramma del confortativo di Galeno polverizzato, 4 scrupoli di perle orientali e 2 scrupoli di avorio in polvere. Mischiate tutti gli ingredienti con uno sciroppo di frutta e fatene un oppiato, che il paziente prenderà in una quantità della grandezza di una castagna e che inghiottirà con un po' di vino diluito con abbondante acqua di buglossia. Deve venir preso I volta ogni 2 giorni circa 2 ore prima del pasto85•

E avanti così, con una farmacopea immaginosa - «dilatata ed espansa come gli spazi multipli delle cattedrali barocche » 86• Ma anche per Ferrand, la prima cosa che il medico deve saper fare per curare il mal d'amore è utilizzare a proposito l'arte dell 'eloquenza, come ben sapevano gli antichi, che infatti « collocavano l ' immagine di Venere tra quelle di Mercurio e di Pito » , cioè tra il dio dell'eloquenza e la dea della persuasione87• Ferrand ricorda, con Galeno, che, ancor più dei rimedi degli apotecari, sottili strategie e consigli esperti sono ottimi « medicinali dell'anima malata » e che si sbagliava il poeta ( Virgilio ) a definire la medicina una « arte muta » 88• Tuttavia, se le parole sono phar­ maka dell' anima, dovranno essere utilizzate con grande attenzione da un medico molto preparato, che sappia mutarsi alternativamente in filoso­ fo, moralista, avvocato, drammaturgo, pedagogo, consigliere di lettura e « consigliere delle grazie » - il tutto per provare a « capovolgere la fatalità melanco nica » 89• Ormai lo sappiamo : l' innamorato è assediato da immagini che, dall'e­ sterno e dall' interno, parassitano e corrompono la sua immaginazione. Ma poco alla volta, cioè contro-immagine dopo contro-immagine, forse comprenderà di essere soltanto schiavo delle sue fantasie, delle sue chimere, dei suoi idoli, in apparenza enormi, potenti e in grado di emettere sguardi 84. lvi, pp. 21, 87-91. 8s. lvi, p. 128. 86. Il paragone è in Camporesi (1989a, p. 88). 87. Ferrand, 1623 (1991, p. 43) 88. Virgilio, Eneide, XII, 396-397, cit. in Ferrand, 1 623 (1991, pp. 73, 75). 89. Fumaroli (1994, p. 426). L'espressione «consigliere delle grazie » , in uso nel XVII secolo, indica lo specchio. Cfr. tra gli altri Molière (2013, pp. 284-5, Lesprécieuses ridicules, 1659, atto I, scena VI) .

I. STORIE incantatori, ma le cui basi sono fragili e incerte. Grazie alle parole, capirà, insomma, che è tutta immaginazione.

1. 4 Eccessi e difetti Ferrand conosceva bene la moda della melanconia e ne denunciava il mito, schierandosi, come altri, dalla parte della ragione e della moderazione. Nei decenni e nei secoli a seguire, lui e il suo libro conobbero un certo successo. Nel I 83 8, Esquirol si rifece proprio a Ferrand per definire la monomania erotica: una « affezione cerebrale, cronica, caratterizzata da un amore ec­ cessivo o per un oggetto conosciuto o per un oggetto immaginario », che colpisce soprattutto « i giovani dal temperamento nervoso e dall' imma­ ginazione ardente » , che « conducono una vita inoperosa e dominata dai piaceri » , « si esaltano per la lettura di romanzi » e «hanno ricevuto un'e­ ducazione molle ed effemminata » 90• Tuttavia, salvo questa eccezione, nell' Ottocento il povero Ferrand non viene molto citato. Ritroviamo il suo nome, solo quello, nei Mysteres de Pa­ ris: Eugène Sue, che era figlio di un chirurgo della guardia napoleonica, lo affibbiò a un notaio erotomane, un « avaro eccezionale » , « tozzo, rosso e peloso come un orso » , che aveva la «lussuria del bruto e della belva » 91• Non sospettiamo che dalla descrizione di questo Ferrand emerga l'aspetto turpe della malattia che, un tempo, l'altro Ferrand aveva cercato di nascon­ dere dietro la saggezza degli antichi. Fatto sta che le espressioni "melanconia amorosà' e "mal d'amore" nell' Ottocento vengono via via lasciate ai profa­ ni, o ai letterati. Ma cosa era avvenuto nel frattempo negli studi su queste malattie ? Dal punto di vista fisiopatologico, furono definitivamente abbando­ nate le teorie umorali e quelle che individuavano nel cuore il centro delle emozioni. L'attenzione si spostò risolutamente sulle fibre, sui nervi, e sui "vapori". Così, nel I 77 I, quando Bienville pubblicò ad Amsterdam La Nym­ phomanie, ou Traité de lafureur utérine, dedicato a una malattia dalla decli­ nazione esclusivamente femminile, il panorama era ormai assai mutato. O meglio, il quadro sindromico del mal d'amore era pressoché invariato, ma

90. Esquirol (1838, pp. 32, 47-8). Cfr. Ciavolella (2001, pp. 41-9); jordanova (1 989, in part. pp. 19-42). 91. Sue (1990, p. 146). 39

IL PENNELLO DI CUPIDO erano profondamente cambiati i significati dei termini utilizzati per descri­ verne l'eziologia e la patogenesi. Qualche passaggio del testo di Bienville è sufficiente a spiegare la portata del cambiamento : Per ninfomania si intende un movimento sregolato delle fibre negli organi fem­ minili. [ ... ] Talvolta questa malattia colpisce di sorpresa le fanciulle nubili, il cui cuore immaturo per l'amore ha espresso il suo favore per un giovanotto, di cui esse si sono perdutamente innamorate e di cui non possono godere a causa di ostaco­ li insormontabili. Talaltra si vedono ragazze debosciate, che hanno vissuto nella sregolatezza di una vita voluttuosa, improvvisamente colpite da questo male, al­ lorché un riposo forzato le tiene lontane dalle occasioni favorevoli alla loro fatale inclinazione. Neppure le donne sposate ne sono esenti, soprattutto quelle che sono unite in matrimonio a uomini dal temperamento debole, bisognosi di sobrietà nei piaceri, oppure a uomini freddi, poco sensibili alle delizie della carne [ ... ]. Tutte, non appena sono colpite da questo male, si interessano con grande intensità e inin­ terrottamente agli oggetti capaci di suscitare nelle loro passioni la fiamma infernale della lubricità92..

Le donne colpite da furor uterino sembrerebbero avere un comportamen­ to tutt'altro che "melanconico" (termine che adoperiamo qui in accezione moderna, mondana e non umorale ). Sono fanciulle acerbe o giovani vedove prematuramente private del vigore dei commerci amorosi, donne inquiete o, meglio, inquietate dalle loro fibre, intese in senso spiccatamente fisico. Bienville sostiene, ed è sorprendente, che nessuno tra i grandi medici del passato si era fino ad allora interessato al furor uterino e, che al massimo, per i disturbi femminili, si erano sempre adoperati termini arbitrari93. Ora, anche tralasciando le diatribe terminologiche, frequenti nella storia della medicina, si dovrà riconoscere che Bienville non si mostra abbastanza ge­ neroso con i suoi predecessori. Il furor uterino, in senso lato, non è affatto di sua esclusiva descrizione. È indubbio, per esempio, che l' isteria, nelle sue declinazioni mediche, abbia qualcosa a che vedere con il furor uterino, e che, a sua volta, esso condivida con il mal d'amore, in versione decisamente femminile e iperfisiologica, alcuni aspetti essenziali, non ultimi la corru­ zione dell' immaginazione e del ricordo, il potenziamento dell' illusione e il suo prolungamento nel tempo, e anche l'eventualità, affatto paradossale, che queste donne "furiose" possano trovarsi a languire in un ennui morte!. Bienville afferma che chiunque può essere oggetto della cupidigia di 92. Bienville ( 1771, pp. 32-6; 1986, pp. 75-6 ) . 93· Cfr. Bienville ( 1986, p. S o) .

I. STORIE queste sventurate. «Un bell'adolescente si offre alla loro vista ? » , scrive; poi, aggiunge : Che dico ? Un uomo scaturito dalla loro immaginazione !, poiché nei vortici delle fìamme che compongono la loro atmosfera, i raggi di fuoco irradiati dai loro occhi sono in grado di abbellire l'oggetto, per quanto difettoso esso sia, sino a trasforma­ re un Vulcano in Adone94•

Inoltre, queste donne sono continuamente « sprofondate nello stesso pen­ siero » e « il loro maggior timore è di esserne distratte per un momento » : Non pensano che all'oggetto fatale, causa della loro malattia; non vedono che es­ so, tutto il vigore della loro anima ne è come immobilizzato; non percepiscono e non odono più nulla di ciò che avviene intorno a loro. La loro attenzione è tutta concentrata verso un solo punto [ ... ] . Tristi e malinconiche, amano il riposo e il silenzio, che infrangono soltanto per parlare a se stesse. [E] guai a colui o colei che osa venire a turbare quel silenzio sublime !95

L' ipererotismo di queste pazienti, dunque, può condurle all' immobilità, al silenzio e alla melanconia (versio usitata). Una melanconia che, però, resta avida di lusinghe e di parole, a cui le malate talvolta rispondono con altre parole, con sguardi o comportamenti che tradiscono «l'orribile segreto della loro vile anima » , incurante della modestia e del pudore. Un delirio melanconico, dunque, che spinge questi « mostri sotto spoglie umane » a far ricorso a biechi stratagemmi, ad affilati rimproveri, a tenaci persecuzio­ ni, ad atroci vendette96• Insomma, siamo al cospetto di creature la cui me­ lanconia, per interposte fibre nervose, si declina inforor, in mania, a donne che « si comportano come insensate, dicendo e contraddicendo, fischiando e applaudendo, negando e affermando » 97• La ninfomania è questo : una malattia che inizia con un delirio me­ lanconico, le cui cause sono fisiologiche, e che poi si trasforma in delirio maniaco, le cui cause sono cerebrali. O meglio, scrive Bienville: « allorché i due sintomi si manifestano in concomitanza, formano ciò che abbiamo definito la ninfomania » 98• Ed è una malattia così difficile da diagnosticare 94· lvi, p. 77· 95· Ibid. 96. lvi, pp. 75-8, 8s. 97· lvi, pp. 78-9. 98. lvi, p. Ss. Esquirol (1838, pp. 32 ss.) distinguerà l'erotomania dalla ninfomania, mettendola nuovamente in correlazione con la melanconia, cioè inserendola tra le «mo41

IL PENNELLO DI CUPIDO che egli stesso, spesso assai critico, non ha il coraggio di biasimare quei me­ dici che hanno cercato di curare come potevano questo genere di pazienti pur « senza sospettare la natura della loro malattia » - ovvero, a suo dire, quella fisiologico-nervosa. Perché queste donne, di regola, mantengono un «ostinato silenzio sulla bassezza delle cause che hanno prodotto la malat­ tia » e praticano con maestria «l'arte dell' inganno » . Insomma, sono casi molto difficili. Per cui, il medico non dovrà mai trascurare la benché minima possibilità di conquistare la fiducia della malata. Non le darà a vedere quanto abbia penetrato il suo animo, perché ella potrebbe aversene a male e rinchiudersi in una diffidenza insormontabile. [ ... ] Farà il possibile per conquistarla e per diventare il confidente di tutti i suoi segreti. Inizialmente incoraggerà la sua debolezza; a poco a poco le mostrerà il pericolo, impercettibilmente le ispirerà ripro­ vazione. [E] i suoi farmaci, sostenuti dai suoi consigli, qualche precauzione da parte dei genitori [ . . . ] , contribuiranno a determinare una guarigione certa, quanto rapida99•

Bienville, dunque, pur fondando gran parte della sua argomentazione sulla descrizione di segni fisici, si chiede se non sia il caso di riflettere sulla ma­ lattia anche altrimenti. Non a caso, conclude il suo libro con un capitolo intitolato Osservazioni sull'immaginazione in rapporto alla ninfomania. Tiene molto a precisare subito che si guarderà dal cimentarsi con questioni metafisiche, e che l' immaginazione, per lui, è in tutto e per tutto assimila­ bile a un organo. Ma scrive : L'immaginazione è uno specchio in cui si riflettono quegli oggetti che suscitano interesse e che stimolano l'individuo all'azione. Il vetro di questo specchio varia nella sua composizione, come tutti gli organi; la natura e i pregiudizi gli permetto­ no il gioco dei riflessi; ecco il canovaccio su cui lavora. La natura fornisce gli oggetti primi e le inclinazioni che il temperamento sceglie. Lo specchio ingrandisce, rim­ picciolisce, moltiplica o riflette fedelmente gli oggetti, a seconda del suo grado di perfezione. Grazie ai sensi, lo specchio riflette gli oggetti primi; l'immaginazione, tuttavia, ne partorisce un numero infinito, attraverso un gioco di comparazioni e di relazioni; a questi oggetti basta la verosimiglianza per esistere. L'immaginazione è all'origine [ . .. ] della maggior parte delle passioni e del loro eccesso [ ... ] , [e] l'amo­ re è una delle passioni su cui l' immaginazione lavora di pi Ù 100•

nomanie melanconiche». Cfr. Portemer (1902). L'ultima accezione dell'erotomania, che culmina con Ferdière (1937 ), si riferisce all'illusione di essere amati. Cfr. Berrios, Kennedy (20 02, pp. 381-400 ) ; Clérambault (1942, pp. 315-451; 1993). 99· Bienville (1986, pp. 91-101). 100. lvi, pp. 131-2. 42

I. STORIE L' immaginazione, ci dice Bienville, pur originata da dati sensoriali natu­ rali, è uno specchio deformante che, a volte, trasforma profondamente la fisionomia dei dati. Nel caso delle malattie d'amore, a questo specchio è sufficiente ben poco per produrre incendi rovinosi. Non capita quasi mai, infatti, che i soli rimedi fisici possano operare una cura radicale, perché in queste malattie sono in campo troppe variabili che, appunto, fisiche non so­ no. Variabili ambientali: le cattive compagnie, i falsi amici che frequentano anche le case più oneste. Variabili educative : un'educazione troppo rigida, ad esempio, può stimolare nelle giovani una morbosa curiosità su alcuni aspetti intimi della natura umana (l'autore ne parla assai pudicamente in quest'ultimo capitolo). E, infine, variabili occasionali: più volte, nel corso della sua trattazione, Bienville ci mette in guardia sulla pericolosità di « at­ tizzare il fuoco » con la complicità della lettura di un romanzo lussurioso, la visione di un quadro voluttuoso, l'ascolto di una canzone lasciva - tutti artifici svenevoli che inizialmente dispongono le donne a « teneri senti­ menti » ma poi le ispirano alla «più volgare lascivia » , agendo sulle loro immaginazioni permeabili con «lo stesso effetto che i raggi del sole riflessi da un bicchiere esercitano su un oggett0 » 10 1 • Per cui, scrive Bienville, quando il medico sospetta che l'immaginazione sia all'origine della malattia, egli deve, in ogni caso, agire con acume per ricercare le vere cause del male [e] per tro­ vare neli' immaginazione una parte dei rimedi capaci di guarire la malata. Quanto mai appropriata si rivela, in quest 'ultimo caso, la massima contraria contrariis cu­

rantur01.

Anche Bienville, quindi, suggerisce una terapia contro-immaginativa, non troppo diversa da quella che prescrivevano Du Laurens o Ferrand quasi due secoli e mezzo prima. E anch'egli conclude il suo trattato con un happy ending: esistono medici che non hanno bisogno di alcun consiglio. A tal proposito, racconta la storia di un collega «più abile nella cura delle ma­ lattie che presentano l ' intervento dell' immaginazione, che non dei mali puramente fisici » . Questi si trovò a dover curare una mademoiselle affetta da furor uterino. Provò con i rimedi classici, quelli che agiscono sul corpo ; poi, accortosi della loro inutilità, giudicò necessario intervenire sull' imma­ ginazione : « il garbo con il quale operò, purificò, mitigò e fissò i sentimenti teneri della malata » furono così efficaci che i genitori (di lei), accortisi 101. lvi, pp. 76, 96, 133, 137. 102. lvi, p. 132. 43

IL PENNELLO DI CUPIDO dell'amore della figlia (per lui), « gliela offrirono in matrimonio come pro­ va della loro riconoscenza » •o3 . Forse Bienville non appartiene a questa categoria di medici. D 'altra parte, ci aveva già fatti partecipi di un suo ricordo. Una volta fu chiamato al capezzale di una giovane che aveva conosciuto in tempi migliori, e che egli ricordava con affetto e ammirazione : « non riuscivo a dimenticare » , scrive, «la nobiltà del suo volto, la bellezza dei suoi occhi, i suoi tratti regolari, la sua carnagione fresca » . Quando la rivide in un collegio dove la ragazza, afflitta dal terribile male, era stata rinchiusa, la trovò in una condizione pietosa: Che sguardo sconvolto e che occhi infossati, che pelle giallastra e livida, che guance flaccide e scolorite, che labbra pendenti e violacee, che bocca schiumante e puzzo­ lente [ ... ]. Posso ancora credere che voi riunivate tante grazie ? Quella capigliatura, di cui l'artistica acconciatura esaltava la bellezza, è ora una criniera disordinata e ispida, ricoperta di polvere e sporcizia. Le vostre mani, un tempo candide e abili, sono ora l'ornamento di un corpo disgraziato, ricoperto di escrementi, che esse spalmano a guisa di crema, profumo e rossetto sul vostro viso [ ... ] . A cosa siete ridotta! [ ... ] Amore fatale ! Passione infernale [ ... ], sei più volgare del cibo schifoso che viene servito qui alle malate; sei mille volte più impura della paglia marcia e infetta che fa le veci del letto. [ ... ] Disgraziatissima Eléonore P 0 4

Non si può negare che Bienville si scagli sull' immagine della povera fan­ ciulla con l 'ardore di un amante ferito, che le esprima con ogni mezzo tutto il suo disgusto. Tanto che, al termine della visita, chiede di essere « esonerato dal pranzo » al quale era stato invitato in quel luogo putrido e indegno. Ma ha la soluzione : decide di ospitare Eléonore nella sua tenuta di campagna e di curarla col suo metodo - ovvero : bagni, salassi, bende sugli occhi, sorveglianza continua, getti d'acqua sul viso, e infine « farma­ ci leggermente più tonici » . Eléonore migliora, ma resta muta, triste e piena di vergogna (segno inequivocabile, secondo Bienville, del suo miglioramento). Fintanto che un giorno rinsavisce, chiede al padre di essere ricondotta a casa e di poter portare con sé una donna che durante il soggiorno nella tenuta di Bienville le aveva, con altri, fatto la guardia: «è l'unica persona » , disse, « che non abbia eccitato la mia immaginazione durante il mio infelice sogno » . Ora sta bene, dice Bienville, segue un dieta corretta, dorme, suo padre «ha avu103. lvi, p. 143. 104. lvi, pp. 122-3. 44

I. STORIE to la massima cura di farle incontrare solo persone allegre e virtuose » , « si è sposata con un giovane che adora ed è considerata ancora oggi come la donna più bella e virtuosa della regione » 105• Non ci è chiaro quali siano stati i passaggi che hanno portato alla gua­ rigione di Eléonore e al recupero della bellezza che tanto aveva incantato Bienville. Ma tant'è. Con le malattie d'amore esistono troppe variabili che impongono limiti sia alla chiarezza nosografica sia a quella terapeutica, e talvolta oscurano persino la luce delle nuove conquiste scientifiche, di cui il secolo di Bienville non fu certo avaro. Quanto alla melanconia, non declinata unicamente in senso amoroso, nel corso del Settecento perse sempre di più la sua origine umorale per assumere le sembianze di uno stato d'animo orientato alla mestizia, allo scontento di sé e del mondo. Nell' Encyclopédie, però, troviamo una distinzione molto importante : quella tra mélancolie come stato d'animo e mélancolie come malattia, cioè come condizione di interesse medico. La prima è definita « il sentimento abituale della nostra imperfezione, che si oppone alla gaiezza, nata dalla soddisfazione di noi stessi » . Per descriverla si ricorre alla Douce Mélancolie dipinta da Joseph-Marie Vien, che la rappresenta - così si legge nell'arti­ colo dell' Encyclopédie - come una fanciulla « magra e abbattuta » , con gli occhi fissi a terra e «l'anima racchiusa in sé » . Non si fa cenno alla posa ricercata della giovane, al suo abito elegante di foggia antica, al bel colorito sulle gote, al colombo, simbolo di fedeltà, che ella tiene delicatamente in grembo e che la osserva incuriosito, né alla lettera aperta sul tavolo, solo parzialmente occultata da un grazioso mazzolino di fiori. Si dice che la melanconia, il più delle volte, è causata da un effetto della « debolezza » dell'anima e, ovviamente, degli organi, nonché dalla ricerca di una « certa perfezione, che non si trova né in sé, né negli altri » . Tuttavia, scrive l'auto ­ re della breve voce, la melanconia « non è nemica della voluttà, e si presta alle illusioni dell'amore » : anzi, il melanconico « si avvince a ciò che ama come l'edera al giovane albero » 106• Alla voce Mélancolie (médecine), che è più lunga, si sottolinea invece la stretta correlazione tra melanconia e mania - anche se, a differenza di quest 'ultima, la melanconia «è senza febbre né furore » . Le cause delle due affezioni sono più o meno le stesse : i regimi di vita scorretti, « i dispiaceri, le pene dello spirito, le passioni, e soprattutto l'amore [ ... ] non soddisfatto » , 105. lvi, pp. 125-9. 106. Mélancolie (1751, p. 307 ) . 45

IL PENNELLO DI CUPIDO assieme a certe « impressioni troppo forti » provocate da quei predicatori che parlano solo di «disperazione, vendetta, punizione » . Chi guarisce dal­ la mania conserva un fondo di « invincibile melanconia » - magari anche solo quella relativa al sentimento della propria imperfezione di cui si parlava nell'articolo precedente 107• Quanto alla guarigione, non è affatto semplice, ma una cosa è certa: nel suo trattamento, « bisogna iniziare a guarire lo spi­ rito e poi attaccare i vizi del corpo (sempre che li si individui) » . La terapia dovrà essere condotta da un « medico prudente » , che non tema il ricor­ so a « rimedi singolari » , che « sappia conquistarsi la fiducia del malato » e perfino « accomodarsi al suo delirio » , fingendosi persuaso che le cose stiano proprio come il melanconico le immagina108• Un medico ingegnoso, dunque, che sappia cogliere le occasioni offerte dal delirio dei pazienti, che sappia districarsi tra gli inganni delle loro immaginazioni e, al quel punto, sia capace di districarsi anche tra le loro fibre nervose, tra i loro organi in­ quieti, per porre finalmente rimedio al loro torment0109• Evidentemente, siamo al cospetto di un quadro nosografico complesso ed elastico, in cui si mescolano segni obiettivi, cause presunte, sfumature mediche e tonalità mondane. Quello che però è costante è il fatto che que­ sto genere di malattie, anche alla luce della rivoluzione dell' illuminismo scientifico, restano malattie speciali. Una digressione (quasi). C 'è un libello curioso, e molto misogino, pub­ blicato a Venezia nel I789, che non risente affatto di climi rivoluzionari, medici o meno. Si intitola Le convulsioni delle Signore ed è firmato da un avvocato biliosissimo, tal Giovanni Pirani, di Cento, che lo ha scritto «per noia » , in un lungo inverno trascorso accanto al fuoco in compagnia solo di un cane di nome « Spavent0 » 110• Ai suoi tempi, scrive l'autore, le donne sono quasi tutte affette da convulsioni, un male alla moda, che conquista soprattutto tre categorie femminili: le « signore di bello spirito », « bril­ lanti, sempre col riso in bocca » , che « impiegano tutta la vita in amori, in teatri, in cene e in pranzi » ; le signore che « affettan letteratura » , cioè quelle che vorrebbero conquistarsi « il nome rispettabile di letterate » solo perché leggono « qualche pezzo di poesia, per lo più rancida, e snervata » ; infine, le signore attempate che, pur tuttavia, restano « attaccate dalla dolce passione d'amore » 1 11 •

107. Mélancolie (médecine) (1751, pp. 308-10) . Cfr. Menuret (1751, pp. 3 2 ss. ) . 108. Mélancolie (médecine) (1751, p. 310 ). 109. Cfr. Diderot (1994, in part. pp. 229-30 ) . no. Pirani (1789, p. IX ) . Cfr. Gazzaniga (2007, pp. 387-403). 111. Pirani (1789, pp. 22-34).

I. STORIE Queste donne sono tutte abitate da « un popolo rivoltoso di spiriti » , e hanno una costante « brama d i farsi amare » , perché i loro fluidi e i loro umori sono più sottili e più agili di quelli delle altre donne, e « trovano con prestezza la via di ascendere al cerebro - ove peraltro sol per istanti si fermano, giacché ricadono costantemente quasi tutti sul cuore » L'avvocato P iran i ci regala questa immagine fisiopatologica, simile a quella antica, ma la suffraga con uno stratagemma originale. Nel suo scritto, dedicato a cicisbei, damerini e « amatori languenti » , cioè agli « archimandriti dell' amabile sesso imbelle » 1 1 \ il lettore può trovare con­ ferma delle teorie esposte perché lui ha avuto modo di compiere su tre sciagurate, una per categoria, una vera e propria dissezione. Siamo lonta­ ni anni luce dall' anatomia così come la intendeva Burton, benché anche Pirani dichiari di avere obiettivi morali: seziona, e scrive, perché le donne che, eventualmente, fossero inclini a comportarsi in maniera scriteriata possano vedere, per interposta autopsia, ciò che il male provocherebbe in loro. La dissezione del corpo di una quarantenne - categoria: quelle che « af­ fettan letteratura » -, sposata a un uomo amabile «cui sembravano oracoli tutti i detti di sua moglie » , rivela che la donna aveva un cuore «larghissi­ mo » , pieno d'aria e di sangue conglutinato, che, precisa Pirani, « s'era ivi ammassato in certe conversazioni, quando la Signora parlava ex cathedra per acquistarsi la maraviglia delle donne, la stima degl'uomini, e guadagnar­ si ad un tempo qualche amatore » . La parte destra del muscolo cardiaco ap­ pare lacerata da una ferita provocata da un vecchio amore non corrisposto. Nelle cellette del cervello, poi, ci sono cose incredibili: arie di Metastasio, frammenti di storia sacra e molta storia profana, celebri novelle d'amore, cioè tutte quelle cose che « ella usava raccontare a certe Signore più ritirate prima che cominciasse la conversazione » 114• Così P iran i, dopo aver lodato «l' ignoranza di quelle che non fanno che i loro affari domestici » , passa alla seconda dissezione. In questo caso, si tratta di una donna morta in seguito a febbri, caches­ sia e consunzione. Categoria: quelle « di bello spirito » . Pirani scopre che aveva un cuore «picciolissimo » , « con tanti pertugi, reliquie di piccole ferite d'amore, con attorno uno smalto prodotto dalla polvere di Cipro » , che, essendo molto volatile e sottile, le era entrata i n corpo. Il cervello era m.

II 2. lvi, pp. I 9, 27· 113. lvi, p. VIII. 114. lvi, pp. 35-7. 47

IL PENNELLO DI CUPIDO « quasi disseccato » : in una celletta c 'era un « residuo di velo di Francia, un po' di cinabro e di biacca » , vicino al nervo ottico dei « fioretti col gambo d'oro e un vasetto d'acqua odorosissima » , e qua e là molti «effetti della fantasia » e di quei « giuochi ch'ella soleva fare quando erano fortissime le impressioni » 1 1 5• Infine ecco l'ultima anatomia: una donna di cinquant 'anni « ottima­ mente portati » (categoria: quelle anzianotte, ma sempre inclini alle pas­ sioni) . L'esame rivela che il suo sangue ha ristagnato attorno al cuore e che il cervello è «più piccolo di una noce » ma è «pieno di ritratti in forma ovale di uomini » , di biglietti amorosi, di brani di letteratura cavalleresca e seicenteschi sull'amore, e di qualche frammento di Voltaire. « Con tante cose nella testa, e che dilatavano assaissimo ogni membrana, ogni fibra, come poteva mai vivere questa Signora ? » , si chiede l'autore 116 • Per Pirani, dunque, la malattia che colpisce il corpo di queste donne è « un'essenzial conseguenza dei loro stessi caratteri » 11 7, cioè di comporta­ menti che, immagine dopo immagine, hanno alimentato la loro immagi­ nazione. Ma cambiamo secolo, ed entriamo in quello che vede la nascita e la formazione del dottor Meige. L' Ottocento, per la storia psichiatrica, si apre con la pubblicazione nel I 8 0 I del Traité di Philippe Pinel. Nella si­ stematizzazione delle diverse alienazioni, cioè nella quarta sezione, Pinel definisce la melanconia un « tipo di mania » , un « delirio esclusivo su un oggetto » che implica un disordine delle facoltà percettive e « immagi­ native » . Anch'egli, come molti suoi predecessori, suggerisce di prendere sul serio le bizzarrie del malato per accedere al suo delirio e operarvi, per così dire, dali' interno118• Inoltre, scrive, la « tristezza può essere considerata la causa prima della mania » ma il delirio può conoscere forme opposte : per esempio, l'eccitante chimera di possedere immense ricchezze può es­ sere seguita dal «più pusillanime abbattimento » o dalla più «profonda costernazione » 119• Non vi è nulla di nuovo nel definire la follia secondo il topos dell' in­ stabilità. Ma nell' Ottocento l' idea di malattia "doppia", cioè mobile, di­ namica, che si manifesta con fisionomie opposte, viene gradualmente a precisarsi. Nel I 854, Jean-Pierre Falret parlò di folie circulaire e Jules Bailns. lvi, pp. 38-9. 116. lvi, pp. 43-4. 117. lvi, p . 25. 118. Pinel (19 87, pp. ss. 72, 103). 119. lvi, pp. 44, 101.

I. STORIE larger di folie a double fonne (e sono note le controversie che opposero questi due allievi di Esquirol). La malattia si presenta con il passaggio da stati disforici a stati euforici, o viceversa, in maniera così rapida che, scrive Baillarger, era facile credere « che la forma che veniva per seconda potesse essere lo sforzo critico della prima » 12.0• In tempi successivi, altri descrissero forme analoghe : si parlò di follia a doppia fase (Billod), di follia o di delirio a forme alterne (Delaye ; Legrand du Saulle ), e di circulare Irresein ( Krafft­ Ebing ) I2.1. E non sarà inutile ricordare che queste teorie, nelle loro linee vincenti, sono considerate alla base della concezione maniaco-depressiva sistematizzata da Kraepelin alla fine del secolo, e sostanzialmente tuttora in uso. Quanto al mal d'amore, nel 1891 il dottor Pierre Garnier, curatore della collana "Hygiène de la génération", dopo il successo di Le mariage, dans ses devoirs, ses rapports et ses ejjèts conjugaux, pubblica il volume Le mal d'amour. Contagion, préservatifs et remedes, che in realtà, tranne alcune con­ siderazioni generali che riguardano, ancora una volta, le polarità eccesso­ difetto (afrodisia/anafrodisia, sovreccitazione/insensibilità), si occupa pre­ valentemente delle malattie veneree, o « segrete » I2.2.. Ben diverso è il testo del neurologo Joseph Grasset, pubblicato cinque anni dopo, dal titolo Le médecin de l 'amour au temps de Marivaux, che, sostanzialmente, recupera il pensiero di François Boissier de Sauvages, medico e autore di poesie, ma soprattutto di una celebre Nosologia methodica, che, sulla scorta del metodo linneano, ordinava le malattie in dieci classi, duecentonovantacinque gene­ ri e duemilaquattrocento specie. Secondo questa sistematizzazione, che ritroveremo in seguito, il mal d'amore, assieme alla fame canina, alla nostalgia per il proprio paese, al timor panico e all' idrofobia, rientrerebbe tra le morositates, cioè tra le "stravaganze" 1 2.3• Ma è probabile che in gioventù Boissier de Sauvages la pen­ sasse un po' diversamente. Nel 1724, infatti, discusse la sua tesi dal titolo Dissertatio medica atque ludicra de amore, il cui sottotitolo, Utrum sit amor medicabilis herbis, recupera in forma interrogativa il celebre passo ovidiano dei Remedia amoris. Fu questo scritto, probabilmente, a far meritare a Bois­ sier de Sauvages l'appellativo di "medico dell'amore" - oltre al fatto che, negli stessi anni, egli si dilettava a comporre versi « in lode o a detrimento 120. Baillarger (1854, p. 33; corsivo nostro). 121. Cfr. Falret (1854, pp. 249 ss.) ; Baillarger (1854, p. 33); Ritti (1883, p. 5). 122. Garnier (1891). 123. Boissier de Sauvages (1772, t. IX ) . Cfr. Foucault (2011, p . 308). 49

IL PENNELLO DI CUPIDO del bel sesso » , che, così pare, gli assicuravano quella guarigione che le erbe non avevano procurato. Poi, accantonate le aspirazioni di gioventù, Boissier de Sauvages proseguì la sua carriera di medico, mosso solo dall' « amore per la verità » . Tuttavia, ci dice Grasset, egli non fu mai uno di quei « gi­ necologi moderni » che si adoperavano solo per facilitare la realizzazione delle conseguenze dell'amore legittimo o per rimediare a quelle dell'amore illegittimo : per lui nell'amore si manifestava in massimo grado «l'unione del fisico e del morale » !2.4• Grasset finisce così per intrecciare le sue idee con quelle del vecchio collega - ovvero con idee vecchie di più di centosettant' anni (a riprova del fatto che ogni studio sul mal d'amore deve attingere a universi scientifici anche molto distanti tra loro). Per entrambi l'amore è una malattia, diffu­ sa in particolare tra i giovani, i cui sintomi sono, diremmo oggi, alquanto bipolari: l' innamorato, le cui « fibre del cervello » sono inquietate dall' im­ pressione dell'oggetto amato, è triste o ilare, loquace o taciturno, ha le gote arrossate oppure è sempre pallido ... Ma il tutto è affrontato con una verve più consona al coté ludicrus che non a quello medicus. llludicrus è la cifra più evidente anche del lungo articolo sul mal d'a­ more pubblicato nel I 899 da Henry Meige, uno degli ultimi allievi di Jean­ Martin Charcot, nella rubrica Les Peintres de la médecine della "Nouvelle Iconographie de la Salpetrière". Un testo influenzato da quello di G rasset, che infatti viene profusamente citato, ma anche un documento di singolare interesse, le cui argomentazioni vengono agitate da dubbi forieri di conse­ guenze inattese. Meige, da medico, sa che la sua professione lo obbliga a osservare la natura, a rielaborare i dati visivi e trasformare le immagini in elementi diagnostici. Ma, come vedremo, dinanzi ad alcune manifestazioni di mal d'amore per interposta pittura, sperimenta la difficoltà di operare fino in fondo questa trasmutazione, di raggiungere questa « metasensibilità » 1 2.5• D'altra parte, è difficile introdurre l'ordine, la regolarità di una clas­ sificazione scientifica in fenomeni così multipli e variabili, o anche solo tentare di farne un quadro « il più pittoresco possibile » . Così, a volte, ci si 124. Grasset (1 896, p. 6). Sul soprannome di médecin de l'amour, cfr. É.-H. de la Ratte, Éloge de M. de Sauvages (1772), in Boissier de Sauvages (2011, pp. 14, 18). Si tenga presente che Le médecin de l'amour è anche il titolo di un' opéra-comique di Louis Anseaume, messa in scena a Parigi nel 1758, e di un'opera "medico-romanzesca" di François-Amédée Doppet (Leroy, Paris 1787 ). 125. Segalen (19 80, pp. 51-3). Cfr. J. Starobinsk.i, Prefazione, ivi, pp. 9-34. so

I. STORIE dimentica che si stanno osservando dei malati, e si possono creare «di sana pianta dei folli immaginari, simili a quelli dei romanzi o a teatro » ! 2.6• Nel caso specifico, però, forse Meige non sbaglia. Come sosteneva l'a­ mato Grasset, l'amore « fugge alla sola vista di un medico » 1 2.7• Seguiamo dunque il dottor Meige nel suo giro di visite.

126. Falret (I854, pp. 2-6, Discours d'ouverture). I27. Grasset (I896, p. 6). SI

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Visite E quale sguardo in quegli occhi vuoti ! Baudelaire, Salon del IS59

2.1 Primi indizi In Olanda, verso la metà del XVII secolo, fece la sua apparizione un'insolita epide­ mia. Che male singolare !... Colpiva solo le donne, e non quelle vecchie e brutte, ma le giovani e graziose. Era un flagello che prediligeva la ricercatezza : disdegnava le dimore degli umili, si insinuava in quelle degli abbienti e se ne impadroniva. Provocava crudeli sofferenze ma non era privo d'attrattiva: la Facoltà si impietosì e accorse, visitò le vittime, tastò i polsi, analizzò l'urina, drogò, purgò, salassò, e alla fine ... si ritirò. La malattia non era di sua competenza•.

A scrivere queste parole, nel 18 99, è Henry Meige ( 1 8 6 6-1940 ) . È l' inizio di un suo lungo articolo, diviso in quattro parti, di un ottantina di pagine complessive, comparso nel dodicesimo tomo della "Nouvelle lconographie de la Salpetrière': curato da Fulgence Raymond (che insegnava Clinica delle malattie del sistema nervoso), Alix Joffroy (docente di Clinica delle malat­ tie mentali) e Alfred Fournier (che insegnava Clinica delle malattie cutanee e sifilitiche ), con la collaborazione di Paul Richer, Albert Lo nde e Georges Gilles de la Tourette. Il dottor Meige, ali'epoca segretario di redazione, era un tipo alto, snello, altero ma cordiale ( FIG. 2.1 ) . Aveva due « occhi osservatori » , uno « spirito cartesiano » unito a un « temperamento da poeta » , e due baffi da moschettiere che gli fecero guadagnare il soprannome di "com te de la Fère", come Athos2.. In gioventù aveva fantasticato di non fare il medico, benché nella sua famiglia se ne contassero diversi. Ciononostante studiò medicina. 1. Meige (1899a, p. 57). L'espressione «drogò, purgò, salassÒ » è un esplicito rife­ rimento a Il malato immaginario (cfr. Molière, 2013, pp. 3006-8). Cfr. Richer (1902a, pp. 399-407 ). 2. Souques (1941, p. 372). 53

IL PENNELLO DI CUPIDO FIGURA 2.1

Henry Meige all'École supérieure des beaux-arts, post quem 1922

Iniziò presto a lavorare con Édouard Brissaud, neurologo e storico della me­ dicina, nonché, così si dice, probabile modello per il personaggio del dottor du Boulbon della Recherche di Proust3• Nel corso della sua carriera, Meige si dedicò principalmente allo studio del gigantismo, dell'acromegalia e dei tic, e a quello del trofoedema, malattia ereditaria caratterizzata da un ri­ gonfiamento edematoso agli arti, soprattutto a quelli inferiori, causato da una displasia dei vasi linfatici e dei capillari, che oggi, non a caso, si chiama "malattia di Meige". Si dice che avesse la stravagante abitudine di piantare in asso i colleghi durante i convegni per andare a visitare i musei dei luoghi in cui si trovava e 3·

Cfr. Bizub (2oo6, p. 174). 54

2. VISITE

che, nella sua bella casa in riva al fiume, a Champigny-sur-Marne, avesse una grande biblioteca « in stile Rinascimento » , piena di libri antichi e moderni e di molti oggetti d'arte, di cui era appassionato. La sua passione venne pre­ miata: nel I922, fu nominato professore di anatomia artistica presso l' École des beaux-arts, ruolo che per anni era stato ricoperto da Paul Richer, incon­ trando il favore e l'ammirazione di molti studenti4• Fu segretario generale della Société française de neurologie dal I 9 0 8 al I925. Ora, questo neurologo di cui sappiamo poche cose, in un articolo per la rubrica Les Peintres de la médecine della " Nouvelle Iconographie de la Salpetrière", ci dice che nei Paesi Bassi, attorno alla metà dei Seicento, ci fu un'epidemia di uno strano male ; e ravvisa la probabilità che questo ma­ le non sia di pertinenza medica. Davvero bizzarro. È possibile che la sua circospezione sia indice di una medicina difensiva ante litteram o che altre motivazioni, del tutto ragionevoli, lo abbiano spinto a pensarla così. Sta di fatto che, leggendo con attenzione il suo resoconto di viaggio e la descrizio­ ne delle visite ai musei, sfogliamo, come ci suggerisce egli stesso, « un intero capitolo di medicina per immagini » s . E, immagini alla mano, possiamo dire, con lui, che nel Seicento, in Olanda, lo strano male in effetti si diffuse, e che celebri pittori transitarono per le stanze di dolore delle giovani che ne erano afflitte. Le visite del dottor Meige cominciano al Rijksmuseum di Amsterdam (TAV. I ) . Ecco la scena che egli si trova dinanzi agli occhi: Una stanza tutta pulitina, un arredo di un certo pregio ; una poltrona, un tavolo coperto da un tappeto orientale, una pendola appesa al muro e, sul fondo, un letto a baldacchino con le tende verdi. C 'è una giovane borghese che s'approssima alle venti primavere. [ ... ] Sta male. Non ha più il suo colorito roseo ; ha pianto ; il suo liuto [guitare] abbandonato è tristemente appeso alla parete. È proprio malata, poverina. Si regge appena; non è riuscita, come fa di solito, a riordinare la stanza, e neppure a vestirsi. La sua mantelletta [ caraco] di raso grigio bordata di pelliccia bianca e i riflessi dorati del suo abito sono una lusinga per gli occhi. Ma a lei non importa. Ha persino dimenticato di nascondere sotto il letto il vaso da notte - un errore imperdonabile per una massaia olandese ! Ma ahimè, non ha forze, non ha energia; tutto la ferisce, tutto le è indifferente, tutto la tedia. La sua povera testa è così debole, dolente... Eppure ha tentato diversi rimedi: c 'è una pozione che sta intiepidendo sullo scaldino e sulla tempia destra ha già applicato una mosca. Non sono serviti a nulla. E così, disperata, ha fatto chiamare il dottore. Eccolo lì, ac-

4· Bellugue (1941, pp. 372-4). Cfr. Henry Meige, M.D., rS66-r940 (1 941 ). 5· Meige (1899a, p . 57). ss

IL PENNELLO DI CUPIDO canto a lei. È un brav 'uomo, un medico anziano, che si è fatto esperienza con una dura pratica, che non ama le cerimonie [ ... ] . Non indossa né la zimarra, né l'alto copricapo dottorale, che per lui sarebbero solo d' intralcio nelle vie fangose e nelle dimore anguste; veste un farsetto nero, un corto mantello marrone e un berretto, di colore scuro, senz'altro paramento : ai suoi occhi, è sufficiente per assicurare il decoro professionale. È molto semplice e coscienzioso, ma è uno di quelli la cui vista non invita certo al sorriso6•

A voler essere pignoli la descrizione di Meige contiene alcune inesattezze: il liuto diventa una guitare e la mantella da camera diventa un caraco, la giacchetta attillata, con falde e maniche a tre quarti, in uso prevalentemente nella Francia del Settecento. Ma Meige è un neurologo, non è uno storico della musica o della moda. Difatti, riconosce immediatamente la mosca, il cataplasma preparato con la polvere di cantaride, efficace antiflogistico e sedativo del dolore (e con qualche virtù afrodisiaca) . A parte questo, l'analisi procede secondo la descrizione di dati obiet­ tivi, fatta eccezione per qualche considerazione che riguarda la malata e il medico. Meige fa notare l ' inopinata stravaganza del comportamento della malata: in un 'abitazione ammodo dei Paesi Bassi, dove un tappeto orientale ricopre il tavolo buono, una giovane altrettanto ammodo, vesti­ ta di raso e pelliccia, ha dimenticato di nascondere il pitale sotto al letto. Quanto al medico, Meige tiene molto a precisare subito che gli sembra un collega perbene, un brav 'uomo, incurante delle apparenze, senza tanti paludamenti, avvezzo alla sobrietà richiesta dalle umide città olandesi. Manifesta per lui un'accorata simpatia, si mette nei suoi panni, legge nei suoi pensieri, ode le sue parole, e non resiste alla tentazione di riferirle al lettore : Ah ! Ecco una giovane [ . . .] che affonda i l suo visetto i n u n grosso cuscino. Quale sarà il suo male ? ... Un grande peso alla testa. Forse. Conosciamo bene quelle atroci emicranie che molestano le giovinette; ma scommetto che la nostra malata soffre anche d'altro : quegli occhi arrossati, quelle labbra scolorite, quel profondo languo­ re in cui par essere precipitata mi fa pensare che debba esser stato colpito anche il cuore. Ben stolto è chi non si accorga di quanto ha pianto ... Uhm !... Credo proprio che non fosse la mia visita ciò che desiderava ardentemente. Sentiamo il polso ... Non è cattivo : ma è quello di una giovane che è molto infelice [qui a le aeur bien gros] . Non indaghiamo oltre. La nostra malata mi pare soffrire di quell'affezione alla moda che, entrando dagli occhi, si insedia nel cuore ... Sarà grave ? - Sì e no. I

6. lvi, pp. 59-60. s6

2. VISITE Professori dell' Università discutono ancora per capire se questo male vada attri­ buito a qualche vapore sottile generato da un certo umore volatile, o viceversa ... Quanto a me, che non sono così istruito, ho il solo desiderio di guarirlo [ ... ]. Non dirò altro7•

Che significa « Non dirò altro » ? Questo medico di sicura esperienza si schiera dalla parte di coloro che pensano che il male non sia di loro com­ petenza, e decide che è inutile andare oltre ? Impiastri e pozioni non servi­ rebbero a nulla, d'accordo ... Eppure egli dimostra di sapere che, da tempo, sull'eziologia del male e sulla sua patogenesi, ascrivibili a qualche "vapore" di cui, tuttavia, non si è certi se sia causa o effetto, i professori continuano a discutere. E allora perché non prosegue, perché non cerca qualche ipotesi e qualche soluzione per guarire la disgraziata, visto che è questo che dice di voler fare ? Il medico dipinto ha la risposta pronta: « non sarebbe conforme alla buona creanza che io prescriva un rimedio che non viene preparato dai nostri apotecari » 8• Meige non osa contestare la posizione del collega, forse apprezza il suo pudore e decide di continuare le indagini da sé, alla ricerca di altre pazienti e di altri colleghi. Va all'Aj a, dove incontra la seconda vittima (TAV. 2 ) . In questo caso la situazione è più grave : la paziente è allettata e, pur avendo braccia sode e rotondette, sembra molto sofferente. Il suo sguardo, però, non ha perso vivacità, e Meige rassicura il lettore : « non è moribonda » 9• È assistita da un collega che si presenta in maniera piuttosto diversa da quello di Am­ sterdam: indossa un grosso anello, un ampio copricapo (liturgia vuole che si possa continuare a tenere il cappello nel corso delle visite, perché è segno di distinzione e appartenenza alla categoria), un paio di guanti (che invece è necessario togliersi se si vuole sentire il polso dei pazienti) e siede accanto al letto. Pare che sappia il da farsi: ha consigliato alla malata di applicare una mosca sulla tempia e le ha prescritto un intruglio rossastro che la fantesca, o la madre, o un'amica più matura, si sarebbe incaricata di preparare. È « una donna opulenta, il cui seno procace è imprigionato nel corsetto solo a forza di stringhe » , che si è «premurata di proteggere con un grembiule il suo bell'abito di seta verde a bordure dorate » . Ed è lei che, « non senza una certa emozione » , presenta al dottore in visita domiciliare un bicchiere

7· lvi, pp. 61-2. Sul "far parlare" i personaggi di Steen, cfr. ivi, p. 6o. 8. lvi, p. 62. 9· Ibid. 57

IL PENNELLO DI CUPIDO mezzo pieno, e che è «pronta a completare la misura con il contenuto di una brocca in ceramica » •o. E intanto paziente e medico cosa fanno ? Il medico esamina il livello del liquido, mentre la paziente gli rivolge uno sguardo inquieto. Meige pare leggere il pensiero della giovane : « Purché il dottore non aumenti la dose e non mi costringa a ingoiare un bicchiere intero dell'atroce pozione ... ! » . Il commento è fulmineo : in questo sguardo, scrive l'autore, si indovina che, « se avesse il coraggio di farlo, la giovane manderebbe volentieri al diavolo medicina e medico » 11• Meige dice la sua. Ma cerchiamo di veder bene quello che lui vede. An­ che in questa stanza c 'è un bel letto a baldacchino, con tendaggi di velluto. Sul tavolo, in primo piano, c'è il tappeto orientale ; poi c'è lo scaldino ; e sul pianerottolo, che sulla destra conduce al piano superiore, ci sono due cani, occupati, dice Meige, « a farsi le cortesie d'uso » •2.. Sulla parete c 'è un grande dipinto con una cornice dorata, forse fatto arrivare dalla Francia o dall' Italia: rappresenta dei centauri che rapiscono delle ninfe, dice l'autore. E non vi è dubbio che, se si potesse entrare nella scena, si udirebbero gri­ da furiose, simili a quelle che risuonano nei ricoveri dei folli, un'atmosfera molto diversa da quella che regna nella stanza olandese. Inoltre, nel dipinto si vede chiaramente un centauro che afferra una giovane - e, come si sa, i centauri sono celebri per il loro carattere irascibile e per la loro intolleran­ za all'alcool, che li fa precipitare immediatamente in uno stato di violenta ebbrezza•3• Una puntualizzazione. Meige suggerisce che il calice che la donna por­ ge al medico contenga una di quelle « atroci pozioni » preparate sulla base degli antichi libri di medicina. Tuttavia, a un primo sguardo, non ci pare così. Ci sembra piuttosto che si cerchi di ossequiare le regole di xenia, esattamente quelle infrante dai centauri durante le nozze di Ippodamia. Pensiamo, insomma, che potrebbe trattarsi di un calice di vino•4• Meige non lo dice. I bravi medici non bevono alcolici durante le visite. Ma se pure avanzasse questa ipotesi non arrecherebbe disonore al collega, né dal punto di vista etico né dal punto di vista clinico. Se fosse un bicchiere di IO. lvi, pp. 62-3. II. fbid. 12. lvi, p. 63. 13. Su questo dipinto cfr. Jongh (1976, pp. 240-2), che lo legge come una rappresen­ tazione della lotta tra i Lapiti e i centauri, e lo mette in relazione con l'emblema CXVII delle Symbolicarum quaestionum di Achille Bocchi ( «Semper libidini imperat prudentia » ). 14. Cfr. tra gli altri Hollander (1913, p. 310). ss

2. VISITE

vino e il medico lo dovesse passare alla paziente ? L'espressione del dotto­ re non ci fa propendere per questa ipotesi, ma non è completamente da escludere. D ' altra parte, la questione degli effetti del vino sulla melanco ­ nia (amorosa) non è mai stata chiarita del tutto : l'abuso, ovviamente, è sempre stato considerato nefasto, ma alcuni autori, attingendo alle fonti più disparate, ne hanno celebrato l'utilità: « in un istante il vino restaura i nostri spiriti » , scriveva Bright, e gli stessi Burton e Ferrand menzionano teorie similari15• Meige, però, manifesta una curiosa resistenza a considerare l' eventua­ lità che in quel bicchiere non sia contenuta una medicina. È strano. Nel I 8 8 9, Charcot e Richer, i suoi maestri, avevano esaminato un'opera di Jan Steen ( FIG. 2 . 2 ) in cui è presente un bicchiere simile, al cui interno c 'è un liquido ugualmente rossastro. Alla loro maniera, cioè piuttosto surrettizia­ mente, avevano attribuito al dipinto il titolo di Femme malade. Notavano i tratti languidi della donna, suggerivano che col gesto della mano sul pet­ to potesse voler indicare la sede del male, e chiosavano : «la malata aveva proprio bisogno di un cordiale » 16• Meige, chiamato a consulto su questo stesso dipinto, conferma l' ipotesi degli illustri maestri secondo cui si trat­ terebbe di una "donna malata" - sotto il fazzoletto bianco che le infagotta la testa gli pare anche di scorgere la mosca - e diagnostica unajèbris ama­ toria17. Tuttavia, si sorprende del fatto che un medicinale venga servito in un calice (ma «poco male, l' importante è che l ' intruglio sia efficace » ) 1 8, e nell'uomo che con aria premurosa affianca la paziente riconosce un gio ­ vane medico, disposto a fare appello a tutte le sue doti di persuasione per incoraggiare la donna a superare la ripugnanza per l'orrenda pozione. In segno di estrema cortesia, ha persino posato il cappello ... Comunque, il dottor Meige non dubita neppure per un istante : in quei bicchieri c'è un farmaco. Proseguiamo. Terzo caso, sempre all'Aja (TAV. 3). La nuova vittima sembra la sorella della precedente. Riesce a star seduta ma è esausta e pare che niente le interessi, neanche l'arrivo del medico, che pure, commenta

15. Bright (1 996, p. 69 ) ; Burton (1981, p. 313); Ferrand, 1623 (1991, p. 120 ). Cfr. Nevitt (20 03, pp. 6s ss.). Sulla melanconia scatenata dal vino, cfr. Aristotele, Problema xxx, I; K.li­ bansky, Panofsky, Sax.l (2002, pp. 23-4). Cfr. anche Camporesi (1989a, pp. 63-5) ; Kristeva (1988, p. 14). 16. Charcot, Richer (1889, pp. 116-7 ). 17. Meige (1899a, p. 245). 18. Ibid. 59

IL PENNELLO DI CUPIDO FIGURA 2.2 Jan Steen, Coppia che beve, 1 660-79, olio su tavola, 24, 5 x 21 cm, Amsterdam, Rijksmu­ seum (inv. SK-C-233), particolare

Meige, « non è un tipo che passa inosservat0 » 1 9• Somiglia un po' al prece­ dente, se non fosse per il naso puntuto e rubizzo, e per il mento prominente accentuato dalla barba rossiccia che spicca sulla gorgiera candida. Mostra attenzione alla cura della sua persona e molte premure nei confronti della paziente. « Si vede che è esperto di belle maniere » . Dunque, 19. lvi, p. 64. 6o

2. VISITE

che importano le imperfezioni del volto se sa farsele perdonare con l'eleganza ? Certo, ha gli occhi troppo piccoli, il naso troppo lungo, la bocca troppo grande e i capelli resistenti a qualsiasi trattamento. Ma ammirate il candore e la perfetta tenu­ ta della gorgiera, la tinta discreta del farsetto, l'ampiezza dei nastri che ciondolano alla base dei calzoni, la morbidezza dei guanti, la falda del cappello, e come sa stare avvolto con disinvoltura nel suo mantello nero - il tutto mentre visita la paziente po

In un interno così raffinato, « troppa austerità sarebbe fuori luogo » , ri­ schierebbe di apparire stonata; perché, spiega Meige, bisogna sempre che un medico adegui la propria tenuta e il proprio comportamento alla qualità dei malati, e che utilizzi parole appropriate 2 1• Così, con un misto di curiosità e di stupore, ascolta quelle del collega: Signora mia [ ... ], vi credevo al riparo da tutte le impertinenze della malattia e fa­ tico a figurarmi che questa spudorata abbia avuto l'ardire di prendersela con una persona come voi. [ ... ] Ma dovrà vedersela con me, perché non lo tollererò [ ... ] . Vogliate dunque accettare che i o conosca i l male che v 'importuna e permettetemi di interpellare il vostro polso: lo trovo angustus, e persino aequaliter inaequalis ... E, come è facile ravvisare dal vostro pallore [ ... ] , in voi si è prodotto un movimento impetuoso del sangue, che è rifluito dai ventricoli del cervello verso i ventricoli del cuore - da cui certo dipende il vostro male. Ma non vi farò domande [ ... ] , non ricorrerò a mezzucci poco garbati. Il vostro male mi è chiaro11•

È molto educato, fin troppo. Ma non dice di quale malattia si tratta. Meige osserva la donna più anziana - secondo lui una domestica -, nota che non è affatto preoccupata, né intimidita dal latinorum del dottore. Così la ascolta: «Turti i vostri bei discorso n i non ci imbrogliano ! [ ... ] So io chi potrebbe far sloggiare il male in meno tempo di quanto ne serve a voi per trovargli un nome » 23. Una bella insolenza da parte di una dilettante ! D 'altra parte, si sa, queste linguacciute sono molto impiccione, e spesso conoscono bene le faccende della casa. Ma per Meige, che sta scrivendo un articolo per la " Nouvelle Iconographie de la Salpètrière': il problema è proprio quello di trovare il nome della malattia, perché qui, dopo dieci pagine di articolo, questo nome non è ancora emerso, neppure di sfuggita. A questo punto, nota qualcosa di fondamentale. Sul camino a destra della paziente c'è una statuetta di marmo che rappresenta Cupido, con tutti 20. lvi, pp. 64-5. 21. lvi, p. 6s. 22. Ibid. 23. Ibid. Cfr. Pelling (1997, p. 66).

IL PENNELLO DI CUPIDO i suoi bravi attributi, le ali, l'aria birichina e una freccia che sta per scagliare dritto dritto verso il cuore della giovane : « seguite bene la traiettoria » , dice Meige. Ed ecco la soluzione : «c 'est le Mal d'amour!» 2.4• Non si chiede come mai i suoi colleghi nei dipinti non lo avessero messo al corrente delle loro diagnosi, né si prende gioco di quelli, tra loro, che forse non si erano accorti di nulla2.s. Il mal d'amore è difficilissimo da riconoscere. Anche al grande Galeno era toccato faticare non poco per scoprire la veri­ tà, e lo raccontò lui stesso. Una notte fu chiamato a visitare una donna (la "moglie di Giusto") che si tormentava nel letto. Si sincerò che non avesse febbri, poi le domandò cosa le fosse accaduto di recente. Ma la sventurata non rispose, cioè non collaborò e si rintanò sotto le coperte. Per risolvere il caso, Galeno fu aiutato dalla fortuna: l' indomani, mentre si trovava nuo­ vamente a casa della paziente, qualcuno giunse dal teatro, dove, disse, aveva incontrato un certo Pilade. La malata udì questo nome e impallidì. Galeno le tastò il polso: irregolare. Così, dopo aver proseguito secondo il metodo della diagnosi differenziale - nella fattispecie, nominare altri uomini del teatro e accorgersi che, in quei casi, il polso della paziente restava regolare -, capì2.6• Meige non sa quale sia il nome dell'amato per cui si strugge la giova­ ne olandese, ma sa qual è il nome della malattia. Non ha più dubbi e le sue ipotesi verranno confermate dalle visite successive. La quarta vittima si trova a Monaco di Baviera ( TAV. 4) e abita un inter­ no molto simile ai precedenti - c 'è il letto a baldacchino, il tappeto, lo scal­ dino e un cane (forse il fratello di quello visto poco prima all'Aja) che fiuta l'aria. La giovane è afflitta da cupi pensieri, indossa un abito dalle tonalità cangianti e una giacchetta rosso fuoco con revers di pelliccia bianca. Guar­ da nel vuoto o forse osserva il medico con aria supplichevole. Accanto a lei c 'è un tavolo, con sopra un cuscino su cui la paziente appoggia mollemente il gomito. Sul bordo del tavolo, è in bilico un piatto con un limone semi­ sbucciato : indizio rivelatore di qualche perversione dell'appetito ? Segno del fatto che la giovane ha seguito qualche consiglio medico ? Meige non si pronuncia2.7• Quanto al collega, degno socio di quello dell 'Aja, prende 24. Meige (1899a, p. 66). 25. Cfr. supra, pp. 11-2. 26. Cfr. Galeno (1979, pp. loo-s); Ferrand, 1623 (1991, p. 40 ); Burton (1981, p. 232) ; Gourevitch (1997, pp. 249-6o); Bylebyl (1971, pp. 482-5). 27. Cfr. Richer (1902a, pp. 405-6). Redi (1958, p. 128) a una dama affetta da «epilessia uterina » consiglia «acqua cedrata » o «sciroppo con sugo di limone». Meige (1899a, p. 237). Cfr. anche Alpers (1984, p. 162; figg. 51-52, 59); Westermann (1996a, pp. 116-21); Berger Hochstrasser (2007, p. 74).

2. VISITE

il polso di questa giovane facendo una riverenza che è «la più comica del mondo » 28• Così Meige preferisce far parlare la paziente - « ah, mi sento morire, niente mi interessa, non voglio nessuna medicina » - e soprattutto la domestica: « suvvia, il rimedio si troverà, c 'è qui il dottore, e poi se prima di sera arriverà qualche biglietto ... » . Difatti questa volta, se escludiamo il Cupido, in alto a sinistra, sempre pronto a colpire, la chiave sta proprio in un biglietto. Non tanto quello a cui si riferisce la domestica, cioè quello che probabilmente un giovane sta consegnando a una donna di spalle oltre lo specchio della porta sulla sinistra, ma quello che la paziente tiene fiaccamente tra le dita e su cui è scritto : Daar baatgen l medesyn l wan t het is l minepeyn, ovvero "Non serve alcuna medicina, perché è mal d' amore"29• Un simbolo, e una didascalia Ne riparleremo più avanti.

2.2 La forza della ragione Meige aveva iniziato il suo articolo dicendo che « in O landa, verso la metà del XVII secolo, fece la sua apparizione un' insolita epidemia » che