Il maxi libro dell'orto. Come progettare, organizzare e curare il tuo orto. [2021 ed.] 9788844078775

Occuparsi dell'orto è un'attività che regala grandi soddisfazioni ma necessita un po' di lavoro, cure cos

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Table of contents :
Copertina
Occhiello
Frontespizio
Colophon
Introduzione
Per cominciare
Un po’ di storia
Biologia vegetale
Dal seme al seme
Ciclo biologico e ciclo produttivo
Produzione della semente
Tipi di orto
L’orto minimo
L’orto nei terreni scoscesi
L’orto nel cortile
L’orto-giardino
L’orto in terrazza
L’orto sul balcone
L’orto nell’acqua
Orto biologico e orto biodinamico
L’orto biologico
Il sovescio
La lotta biologica
L’orto biodinamico
Il clima
Temperatura
Luce
Vento
Precipitazioni
Protezione delle colture
L’acqua
Qualità
Temperatura
Quantità di acqua e periodicità delle irrigazioni
Sistemi di distribuzione dell’acqua
La pacciamatura
Il terreno
L’esposizione
Composizione e struttura
La valutazione pratica del terreno
La reazione o pH
L’organizzazione dell’orto
La messa in coltura di una nuova superficie
La successione delle colture
Gli attrezzi
La preparazione del terreno
La vangatura
La zappatura
La sarchiatura
La rincalzatura
L’uso del rastrello
La fertilizzazione
I concimi minerali o chimici
I concimi organici naturali
La distribuzione dei concimi
La fertirrigazione
Semine e trapianti
La scelta della semente
La semina a dimora
La semina in semenzaio
I cassoni: letto freddo e letto caldo
La semina in contenitori
Il diradamento
Il trapianto
Le cure alla vegetazione
Moltiplicazione e potatura
Sistemi diversi di moltiplicazione
Gli innesti nelle piante ortive
La potatura
Malattie, parassiti e lotta integrata
Le malattie fisiologiche
I parassiti vegetali
I batteri
Le virosi
I parassiti animali
Gli animali terricoli
Gli interventi di lotta
Infestanti e diserbo
Le malerbe nell’orto
Raccolta e conservazione
La raccolta
La conservazione e la cottura
L’essiccazione
La surgelazione
Il ruolo degli ortaggi nella dieta
Le specie dell’orto
Gli ortaggi
Varietà tradizionali e nuove cultivar
Aglio
Anguria (cocomero)
Asparago
Barbabietola rossa
Batata (patata dolce o americana)
Bietola (o bieta) da coste ed erbette
Carciofo
Cardo
Carota
Cavolo
Cavolfiore
Cavolino di Bruxelles
Cavolo broccolo
Cavolo cappuccio
Cavolo nero o a penna
Cavolo rapa
Cavolo verza
Cetriolo
Cicoria
Cicorie da taglio o radicchi
Cicorie o radicchi da cespo
Cima di rapa
Cipolla
Fagiolo
Fava
Finocchio
Indivia (endivia)
Lattuga
Melanzana
Melone
Patata
Peperone
Pisello
Pomodoro
Porro
Rabarbaro
Rapa
Ravanello
Rucola (o ruchetta)
Scorzonera
Sedano
Spinacio
Topinambur
Tuberina (stachis)
Valerianella (songino)
Zucca
Zucchina
Le piante aromatiche
Aneto
Basilico
Cappero
Dragoncello
Erba cipollina
Maggiorana
Menta
Origano
Prezzemolo
Rosmarino
Salvia
Timo
I piccoli frutti
Una coltivazione golosa
Preparazione del terreno per l’impianto
Cure colturali
Malattie
Le varietà più interessanti
Il fragoleto
Lampone
Mirtillo
Ribes
Rovo
Uva spina
Gli errori nell’orto
Errori di scelta
Clima
Terreno
Semi
Errori di inizio coltivazione
Semina
Avvicendamento delle colture
Trapianti
Errori nelle operazioni colturali
Lavorazioni
Irrigazione
Concimazione
Forzature
Errori nella raccolta
Il calendario dell’orticoltore
Gennaio
Febbraio
Marzo
Aprile
Maggio
Giugno
Luglio
Agosto
Settembre
Ottobre
Novembre
Dicembre
Tabelle riassuntive
Il calendario lunare
Brevi richiami di astronomia
Specie trattate
I miei lavori nell’orto
Indice
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Il maxi libro dell'orto. Come progettare, organizzare e curare il tuo orto. [2021 ed.]
 9788844078775

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TECNICHE del BUON RACCOLTO

[email protected]

12.01.2018

09:21

Enrica Boffelli – Guido Sirtori

il

maxi libro dell’ ORTO

come progettare, organizzare e curare il tuo orto

[email protected]

12.01.2018

09:21

Progetto grafico di Elisabetta Lepore Realizzazione editoriale a cura di Thèsis Contents srl, Firenze-Milano Foto di copertina di ©Yasonya - stock.adobe.com Disegni: Archivio Giunti/© Michela Ameli pp. 14-17, 19b, 20, 22-25, 35b, 36-40, 43-47, 50, 52, 54b, 56-57, 60-62, 65-67, 69b, 70-74, 79, 80, 83, 85b, 86-99b, 101, 103, 105, 108-12, 119, 121-23, 133, 135a, 135cd, 135cs, 136-139, 141ad, 147, 165a, 193, 199, 200, 206, 209, 222-23, 227, 229, 241-45, 247, 250-53, 255-59, 261, 262-71, 273, 276-77, 281, 286-87, 292-93, 297, 299-302, 307-08, 312-14, 319, 324, 326, 331-33, 341, 351. Archivio Giunti/© Annalisa e Marina Durante pp. 9, 13, 26-27, 127, 135b, 140, 141as, 142, 144-45, 148-49, 151, 153, 155-61, 164, 165b, 166-67, 169-71, 173-76, 178, 180, 182-85, 187-89, 191-92, 195-98, 201, 203, 205, 207-08, 210-19, 230-34, 284, 289, 294, 303, 317, 321, 325, 329, 334, 337, 340, 366-77. Archivio Giunti/© Linda Holt Ayriss/Artville (CD-RF) pp. 10-11, 19a, 29a, 30, 32, 35a, 40a, 49a, 54a, 69a, 75a, 81, 82, 85a, 99a, 115, 117, 124, 239, 249, 274, 279, 343, 362. L’Editore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per quelle immagini di cui non sia stato possibile reperire la fonte.

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2021 Giunti Editore S.p.A. Via Bolognese 165 - 50139 Firenze - Italia Via G.B. Pirelli 30 - 20124 Milano - Italia ISBN: 9788844078775 Ultima edizione digitale: marzo 2021

Introduzione

Occuparsi dell’orto sta diventando un’attività sempre più diffusa e praticata da persone di ogni età e condizione sociale. Ritrovato contatto con la natura e cicli delle stagioni, attività fisica all’aria aperta, soddisfazione che deriva dal raccogliere, consumare, donare o vendere quanto viene prodotto... A questi motivi se ne aggiungono altri, che vanno dalla possibilità di coinvolgere più persone – familiari o amici – all’effetto antistress ormai riconosciuto da più parti. E per di più talvolta non è nemmeno necessario essere proprietari di un pezzetto di terra per dedicarsi all’orto, sia perché alcune illuminate amministrazioni comunali mettono a disposizione dei cittadini appezzamenti in periferia altrimenti destinati all’incolto sia perché è possibile allestire un orto anche sul balcone di casa. Un problema che però accomuna molti appassionati di orticoltura e chi sta pensando di dedicarvisi riguarda le operazioni da eseguire, la loro programmazione e la loro suddivisione nel corso dell’anno, i piccoli e grandi problemi da affrontare tempestivamente se non si vuole vanificare la fatica fatta. Più in generale, si potrebbe dire che oggi l’orticoltore dilettante ha difficoltà a procurarsi tutte le informazioni che un tempo,nelle società contadine,erano trasmesse oralmente e con l’osservazione diretta del lavoro altrui. È proprio questa la ragione che ha portato alla stesura di questo libro. Sono state illustrate, in forma semplice e, si spera, chiara, le questioni e le tecniche generali di orticoltura: la scelta del sito adatto, i mezzi per meglio sfruttare le diverse situazioni di clima e di terreno, l’attrezzatura necessaria e la sua manutenzione e ricovero, la preparazione del terreno, la semina, la fertilizzazione, l’irrigazione, il raccolto, ovviamente con l’intera programmazione dei lavori necessari.Vengono inoltre indicate alcune soluzioni pratiche da copiare o alle quali ispirarsi per ricavare l’orto in condizioni difficili di terreno e in uno

spazio esiguo. Un’ampia parte del libro è dedicata alle varietà che è possibile coltivare con risultati soddisfacenti, compresi le piante aromatiche e i piccoli frutti. Sia l’orticoltore alle prime armi sia quello più esperto troveranno di grande utilità la sezione relativa alla soluzione dei problemi e alla correzione degli errori più frequenti, in modo da evitare brutte sorprese in qualsiasi fase dei lavori. Il calendario dell’orticoltore e il calendario lunare, infine, completano il volume e costituiscono un valido promemoria per scandire nel tempo le operazioni da eseguire e per invogliare chi vuole cominciare subito. Con il nostro augurio che dal suo orto possa trarre prodotti genuini, segno tangibile e gustoso della sua soddisfazione.

PER COMINCIARE Un po’ di storia Biologia vegetale Tipi di orto Orto biologico e orto biodinamico Il clima L’acqua Il terreno L’organizzazione dell’orto La preparazione del terreno La fertilizzazione Semine e trapianti Moltiplicazione e potatura Malattie, parassiti e lotta integrata Infestanti e diserbo Raccolta e conservazione Il ruolo degli ortaggi nella dieta

Un po’ di storia

Già nell’antica Roma, due secoli prima della nascita di Cristo, Marco Porcio Catone scrisse il primo manuale pratico di coltivazione. Altri lo seguirono, magari dissertando di semine e di concimazioni in versi, come Virgilio, o fingendo di dialogare con un interlocutore interessato ai problemi agricoli, come Marco Terenzio Varrone. È stupefacente che in tempi così antichi gli uomini, privi di qualsiasi possibilità di controllare scientificamente quanto empiricamente svolgevano nei campi, inventassero tecniche che oggi ancora applichiamo quasi senza alcuna modifica. Gli antichi sapevano come riconoscere la qualità del terreno e come correggerla e conoscevano la pratica delle rotazioni: «la terra, mutando frutti, si riposa», si legge nelle Georgiche trent’anni prima di Cristo. E nel 200 a.C. Catone diceva: «Qual è la prima opera per coltivare la terra? arare; e la seconda? arare; e la terza? concimare».

Peccato che a quei tempi i coltivatori troppo spesso si lasciassero fuorviare dalle credenze più strane, ciechi a quanto di persona potevano constatare. Accanto a norme tecniche quasi perfette sulla coltivazione del carciofo, si può, per esempio, trovare questo consiglio: interrare i semi di varietà con le spine, avvolti ciascuno in un pezzetto di foglia di lattuga, allo scopo di raccogliere carciofi senza spine. Una lezione però impararono presto e tramandarono ai posteri: “la nostra inerzia isterilisce i campi”. Gli stessi autori latini ci danno notizie delle piante da orto coltivate, per esempio la fava era considerata un ingrediente fondamentale nella preparazione della puls fabata, termine forse di derivazione etrusca che indicava la polenta, o per le farratae (farinate) citate da Giovenale (Satire XI, 109) e considerate il piatto tradizionale degli Etruschi. Conosciuti e coltivati erano anche i piselli, le lenticchie e i

ceci, tanto che i nomi di molte famiglie romane sono di evidente derivazione: Fabius da faba (fava) o Cicero da cicer (cece). Altre specie ortive sicuramente coltivate erano l’aglio, la cipolla, le carote, le rape, i cavoli e il finocchio, ma anche (già presenti in epoche più remote) le lattughe e vari germogli, come sedano e asparagi, provenienti da piante spontanee. Secondo gli studiosi di etnografia, il primo gradino nello sviluppo dei popoli primitivi, cacciatori e raccoglitori di prodotti spontanei come radici e germogli, è stata certamente l’orticoltura, praticata particolarmente dalle donne in quelle zone caratterizzate da clima caldo-umido e su terreni liberati dalla vegetazione arborea e boschiva per mezzo del fuoco. La descrizione delle diverse operazioni colturali e la rappresentazione del lavoro sono però rilevabili solo in epoche successive, soprattutto in quella romana attraverso raffigurazioni murali e mano-

10 n Per cominciare

cronologia degli ortaggi in europa Piante selvatiche e spontanee conosciute già nel Mesolitico: sedano, lattuga, asparago, pisello, cipolla, carota, fragola, lampone, fico, ciliegio, susino, melo, pero, nocciolo, vite, mandorlo, olivo Dal Neolitico si conoscono: fava, cavolo acefalo, lenticchia, lino, rapa, aglio Con l’Età del bronzo inizia la coltivazione di: pisello, cece, fava, lenticchia, fico, castagno, noce, olivo

puccio, anguria, melone, sedano, finocchio, asparago, zucca, bieta, cetriolo, fragola, falso fagiolo, cipolla, aglio, carota, pesco, limone, albicocco, castagno, noce, pero, vite Dal XIV secolo inizia la coltivazione di: spinacio, melanzana, carciofo, arancio amaro, nuovi limoni e cedri A partire dal XVI secolo inizia la coltivazione di: varie zucche, peperone, cavolfiore, nuovi carciofi, arancio dolce

Nell’Età del ferro si introducono: cedro, mandorlo, melo, pero, vite

Dal XVII secolo al XIX secolo si susseguono apporti di nuove varietà e molte innovazioni colturali che riguardano moltissime specie, fra le quali: pomodoro, zucca, peperone, sedano, asparago, fragola, lampone

Con la colonizzazione greca inizia una vera esplosione di coltivazioni nuove e di rilevanti innovazioni colturali (si pensi all’introduzione dell’innesto per i fruttiferi): cavolfiore, cavolo broccolo, cavolo cap-

In ultimo ricordiamo: l’introduzione della patata e della barbabietola da zucchero nel XVIII secolo, del mandarino e del caco nel XIX e, per finire, quella del pompelmo nel XX secolo.

Fonte: Gli albori dell’agricoltura di G. Forni, Reda, Roma 1990.

Un po’ di storia n 11

scritti specifici anche di autori provenienti dalle colonie dell’impero: classico è il De re rustica dello spagnolo Columella. Più tardi, nella Spagna invasa dagli Arabi, Al Awam dedica un intero libro all’agricoltura in generale, nel quale riassume le teorie di tutti gli studiosi antichi e suoi contemporanei, applicandole a una orticoltura più mediterranea con particolari riferimenti alle esigenze di carattere pedologico, climatico e irriguo degli ortaggi. Le piante descritte sono sempre quelle che già conosciamo: sarà necessario aspettare la scoperta dell’America (1492) per poter incrementare il numero delle specie conosciute e coltivate, con l’aggiunta di pomodori, peperoni, patate, zucche e anche del fagiolo (quello colti-

vato dai romani era la Vigna unguiculata e non il Phaseolus vulgaris). Gli scambi botanici dopo la scoperta delle nuove terre diedero largo incremento alla coltivazione di tante nuove specie destinate a molteplici utilizzi: si pensi che il pomodoro fu importato inizialmente come pianta ornamentale e solo molti anni dopo fu utilizzato, in Europa, per il consumo dei frutti. L’evoluzione della scienza agronomica ha poi consentito, attraverso sempre più affinate pratiche di selezione, di ottenere nuove e migliori cultivar o varietà delle specie orticole. Forme e dimensioni particolari e adattabilità a condizioni diverse di clima e di terreno sono sempre state le linee guida della ricerca. Nuove varietà selezionate per

la coltivazione intensiva in pieno campo, suscettibili di raccolta meccanizzata, resistenti alle manipolazioni e a numerose malattie, conservabili sempre più a lungo, sono solo una parte del grande elenco di essenze ortive oggi presenti sul mercato. Anche piante soggette a trattamenti particolari (si pensi solo alle cicorie rosse, al sedano bianco) che necessitavano di manipolazioni per raggiungere le caratteristiche per cui erano conosciute, si coltivano oggi senza problemi e senza ricorrere a operazioni colturali successive alla raccolta. Infine, nuove tecniche agronomiche, l’uso di mezzi di protezione, la conoscenza delle differenti esigenze consentono di praticare l’orticoltura con piacere e con grandi soddisfazioni.

12 n Per cominciare

HANNO DETTO SULL’ORTICOLtURA I porri sostengono quasi ogni aere, e desiderano terra mezzamente soluta, acciocché ottimamente facciano utilitade, e anche grassa, e letaminata. Seminansi in luoghi caldi, e in quelli, che siano quasi temperati [...] E questa semenza si fa, o sola nelle porche, o mescolatamente con altre erbe in terra, che sia ottimamente lavorata [...] E quando si divellono, in un luogo se ne lasciano alcuni, i quali si serbano per seme: il cui seme si può per tre anni, senza lesioni serbare… De ruralium commodorum di Pietro de Crescenzi, Bologna 1299-1305 cap. LXXXVI

I porri, cipolle capitate e cipolle distese non ricercano terra si buona, ne si acconcia [...] Et si possono seminare da tutti i tempi, se non che per havere il seme, bisogna seminarle di decembre, genaro e febraro, per coglirle dopo i mesi di Marzo e mezo agosto. E così subito dopo che saranno state seminate, non le adacquate se non quatro dì dopo. Si piantano, come prima sono cresciute di seme overo in solchi e all’hora non si leva loro niente se non le cime [...] Sopra tutto bisogna zapparle e ingrassarle spesso massime i porri capitati. Maison rustique di Charles Estienne, Paris MDLXXXIII cap. XXIIX

Pisel bianchi che son buoni Per la pentola e la borsa Seminarli troppo presto Vuol dir perder seme e opra. Son gentili e delicati, hanno in odio il freddo e il gelo, se li semini di marzo non sia il tempo troppo altero Five hundred points of good husbandry di Thomas Tusser, London 1572 traduzione di A. Saltini in Storia delle scienze agrarie, Edagricole, Bologna 1984

Biologia vegetale

La coltivazione degli ortaggi non sempre segue il ciclo naturale e completo della vegetazione perché le componenti commestibili corrispondono a differenti parti delle piante e a diversi momenti del loro sviluppo. L’orticoltura risulta quindi essere una pratica agricola mirata al raggiungimento della produzione indipendentemente dal completo sviluppo delle piante. Possiamo fare le seguenti distinzioni. Ortaggi da foglia: la raccolta per il consumo interessa solo le foglie e quindi possono avere un ciclo di coltivazione breve (per esempio le insalate, gli spinaci, i cavoli da foglia, il prezzemolo e tutte le aromatiche ecc.). Non è importante arrivare alla fioritura e alla fruttificazione, anzi, si cerca di evitare che questo processo avvenga troppo velocemente. La pianta, in questo caso, viene spinta a completare il ciclo soltanto se si vuole produrre seme.

Ortaggi da fiore: la parte edule è rappresentata dagli organi fiorali e quindi anche in questo caso il ciclo biologico non viene portato a termine.Tipici rappresentanti di questo gruppo sono i carciofi, i cavolfiori, i capperi, i fiori di zucca o zucchina. Ortaggi da frutto: la parte commestibile è il frutto che può essere raccolto allo stadio giovanile (zucchina, fagiolino, cetriolo) o quando ha raggiunto la maturità (pomodori, melanzane, zucche, peperoni, anguria, melone ecc.) Ortaggi da seme: sono quelle specie in cui si mangiano i semi contenuti nei frutti (fagioli, fave, piselli, lenticchie, ceci). Ortaggi da radice: con questo termine si indicano quegli ortaggi il cui consumo interessa la parte sotterranea della coltura e quindi non solo radici ma anche tuberi o bulbi (carote, rape, ravanelli, patate, tapinambur, aglio, cipolla ecc.).

Ortaggi da fusto: la parte commestibile è rappresentata dal fusto, anche modificato, di piante come l’asparago, il sedano, il finocchio, il cardo e il porro. Quando da un ortaggio si vuole ottenere la produzione di semi per il riutilizzo è necessario lasciare che le piante destinate a questo scopo completino tutto il loro ciclo vitale.

Dal seme al seme Il ciclo biologico dei vegetali consiste di due fasi: – vegetativa, relativa alla crescita e alla produzione di foglie; – riproduttiva, relativa alla fioritura, alla fruttificazione, alla produzione di semi. Il seme contiene gli abbozzi della radichetta e del germoglio (piumetta), oltre alle sostanze di riserva accumulate a formare i cotiledoni, che sono in numero di uno (Liliacee) o

14 n Per cominciare

di due (restanti ortaggi), ben distinguibili nel fagiolo. Di qui la classificazione dei vegetali in Monocotiledoni e Dicotiledoni. Il seme, posto in adatte condizioni di umidità, temperatura e ossigenazione, abbandona lo stato di quiescenza e inizia la germogliazione. I cotiledoni, dotati di elevata capacità di assorbimento, si ri-

gonfiano di acqua, le sostanze nutritive si solubilizzano e mobilizzano, il tegumento si spacca lasciando uscire dapprima la radichetta. Poi, mentre questa ramifica, il fusticino si allunga facendo emergere una o due foglioline “cotiledonari” o “false foglie”, tra le quali inizia la sua attività la piumetta, costituita dalle vere foglie.Via via che que-

ste acquistano autonomia adempiendo alla funzione clorofilliana, le foglie cotiledonari, venuta meno la funzione di nutrire il germoglio, si esauriscono o cadono. La piantina aumenta in altezza, emette fusti e foglie, mentre dalla radice principale si diramano radici secondarie che esplorano il terreno provvedendo all’ancoraggio e alla

fagiolo

porro tegumento

piumetta prima foglia

1

2

3

piumetta fusticino

seme

prime foglie vere

4

cotiledoni radichetta

1 Il tegumento si spacca lasciando uscire la radichetta

2 Il fusticino si allunga facendo radichetta

emergere le due foglie cotiledonari

3 Tra le foglie cotiledonari spunta la piumetta

4 Il fusticino si allunga ulteriormente e dà origine alle prime foglie vere

Sviluppo di seme monocotiledone (porro) e sviluppo di seme dicotiledone (fagiolo).

radici

Biologia vegetale n 15

pistillo

stami

ovario

stami pistilli

ovario

Fiori ermafroditi

pistillo

stami

ovario

fiore femminile

Fiori unisessuali

fiore maschile

nutrizione minerale e idrica. Sono soprattutto le radici capillari che esplicano la funzione assorbente, e quindi, nei trapianti, vanno rispettate al massimo. La fase riproduttiva inizia con la fioritura e termina, attraverso il frutto, con la maturazione del seme. Il polline prodotto dagli stami (organi maschili) maturi si posa sullo stimma, che è la terminazione del pistillo (organo femminile) attraverso il quale giunge all’ovario. Gli ovuli in esso contenuti, fecondati, si evolvono: si verifica così l’allegagione; l’ovario si ingrossa trasformandosi in frutto; quando questo ha raggiunto la maturazione, anche i semi sono completi di embrione e di sostanze di riserva e quindi il ciclo biologico è concluso. L’impollinazione avviene per opera degli insetti, di altri animali, del vento, dell’acqua, o per semplice caduta della polvere pollinica da un fiore all’altro. Il meccanismo è strettamente legato alle caratteristiche botaniche delle diverse specie, che possono avere fiori di diverso tipo: – ermafrodita, quando presentano nello stesso involucro sia stami sia pistilli; – unisessuale, quando i petali avvolgono solo gli stami o solo i pistilli e quindi si hanno fiori maschi e fiori femminili.

In relazione alle caratteristiche di questo secondo tipo di fiore distinguiamo poi le piante: – monoiche, con fiori unisessuali presenti sulla stessa pianta ma in posizioni diverse (per esempio melone); – dioiche, con i fiori unisessuali che sono posti su due piante diverse, considerate come pianta maschio e pianta femmina (per esempio asparago). Nel caso di piante dioiche è chiaro che affinché avvenga l’impollinazione (necessaria quando il prodotto richiesto è costituito da frutti e semi) occorre coltivare piante dei due sessi. Tuttavia molto spesso si verifica la stessa necessità per le specie monoiche, a causa della non concomitanza della maturazione di stami e pistilli, o per le difficoltà meccaniche della caduta del polline. Non tutti i fiori fecondati allegano o comunque portano a compimento la funzione riproduttiva con la maturazione del seme; ciò non sempre è un danno, perché all’elevato numero di frutti fanno generalmente riscontro una pezzatura inferiore e una maturazione più tardiva. Vi sono alcune specie che producono frutti partenocarpici, cioè senza l’intervento del polline. In questi casi non si ha formazione di semi e i frutti

16 n Per cominciare

semina

sviluppo

fioritura

raccolto

patata (tubero)

pomodoro (frutto) pisello (seme)

Le piante con ciclo biologico e produttivo annuale fioriscono nello stesso anno della semina.

semina

sviluppo

raccolto (cavolo)

I anno

maturità

fioritura

II anno

Nel cavolo il ciclo biologico è biennale perché la fioritura (con produzione del seme) avviene nel secondo anno; il ciclo produttivo è invece annuale perché la raccolta si effettua prima della fioritura.

vengono detti apireni. Questa prerogativa è interessante, dal punto di vista orticolo, per esempio per i pomodori, i cetrioli ecc. Sembra sia sufficiente che il polline tocchi lo stimma, senza discendere, o che l’ovario abbia già in sé abbastanza ormoni di crescita. Infatti, frutti apireni si ottengono nell’orticoltura industriale attraverso trattamenti con auxine, cioè con ormoni vegetali.

Ciclo biologico e ciclo produttivo In alcune specie c’è una netta distinzione tra ciclo biologico e ciclo produttivo: le insalate, i cavoli, gli spinaci e altri ortaggi dapprima producono soltanto foglie, poi uno stelo fiorifero che coincide con l’arresto della crescita e che, con la maturazione del seme, segna la fine del ciclo vitale della pianta. Lo stesso avviene in specie “vivaci” come il carciofo e l’asparago, solo per la parte aerea, poiché le radici sono perenni. In altre specie, per contro, i fiori sbocciano via via che la pianta ramifica e cresce: ciò avviene per esempio nel pomodoro, nella melanzana, nella patata, nel fagiolo, nei piselli, nelle zucche.

Biologia vegetale n 17

Le due fasi si svolgono entro l’anno di semina negli ortaggi annuali, entro il secondo anno in quelli biennali. Ciò vale anche nel caso di semine autunnali con sverno nel terreno e ripresa vegetativa con fioritura nella primavera successiva. Quanto abbiamo detto è importante dal punto di vista pratico per la necessaria distinzione tra ciclo biologico e ciclo produttivo (o economico) degli ortaggi, che non sempre coincidono. Prodotti come le insalate, i cavoli, le rape, i ravanelli, le carote, si raccolgono logicamente prima che avvenga la fioritura, e così pure si procede alla raccolta scalare degli ortaggi da frutto (pomodoro, melanzana, zucchina ecc.) e dei legumi freschi (fagiolini, piselli). La pianta richiama e concentra negli organi riproduttori (semi, tuberi) la massima parte delle sostanze di riserva, quindi è logico attendere la conclusione del ciclo biologico quando il prodotto è costituito dal seme (fagiolo da essiccare) e dai tuberi (patata); diverso è il caso dei bulbi come la cipolla in cui a una prima fase vegetativa segue l’ingrossamento del bulbo, le cui sostanze vengono nuovamente riassorbite per sostenere la fioritura l’anno seguente.

Produzione della semente Produrre la semente in proprio può riservare delle sorprese perché anche se coltiviamo una sola varietà di ciascun ortaggio, i fattori di impollinazione sono tanti e agiscono a notevoli distanze. L’impollinazione incrociata può portare, se non è volutamente cercata mediante impollinazione artificiale di varietà prescelte, alla creazione

di forme alle quali vengono spesso a mancare quei requisiti per cui abbiamo adottato una particolare cultivar. È necessario impedire ogni rischio di inquinamento da parte di polline estraneo, proteggendo con un cappuccio di garza fitta alcuni fiori, scelti tra i “migliori” delle piante “migliori” per robustezza, sanità, produttività. Se il fiore è ermafrodita, l’impollinazione avviene da sé; ma in tutti i casi di fiori unisessuali, occorre prelevare con 1 Fiore prescelto per l’impollinazione

2 Tecnica di impollinazione effettuata utilizzando un pennellino

stame pistillo

3 Protezione con cappuccio di garza

4 Raccolta del frutto

2

1

3

4

Impollinazione artificiale per la produzione di semente selezionata.

18 n Per cominciare

un pennellino la polverina gialla dalle antere e posarla sullo stimma, aprendo rapidamente la protezione e richiudendola, finché l’ingrossamento dell’ovario non indichi l’avvenuta allegagione, oppure attendendo che il fiore sia secco, a seconda delle caratteristiche botaniche. Il seme è in grado di produrre una nuova pianta soltanto se ha completato la maturazione ed è necessario che raggiunga questo stadio sulla pianta, perché la formazione dell’embrione e l’accumulo di sostanze di riserva necessarie alla germogliazione possano completarsi. I semi si raccolgono dunque, a seconda delle specie, quando il fiore è secco, o il frutto è in fase di maturazione, oppure l’ha superata; in molti casi occorre attendere che l’intera pianta sia diventata secca. Non sempre la maturità fisiologica raggiunta sulla pianta coincide con la maturità germinativa, che si compie soltanto dopo una opportuna stagionatura. In genere i semi maturati all’inizio dell’estate possono essere utilizzati subito; in ogni caso, la durata della facoltà germinativa è superiore all’anno, e per quasi tutti gli ortaggi è di 3-4 anni. Naturalmente tale durata dipende dalle modalità con le quali la semente viene trattata dopo il raccolto e con-

servata. I semi vanno dapprima liberati dagli involucri, quelli contenuti nei frutti polposi vanno lavati abbondantemente sotto l’acqua. Si fanno poi asciugare all’aria e all’ombra, evitando l’essiccamento, allo scopo di frenare, senza peraltro bloccarla, la respirazione. L’embrione infatti è vivo e tale deve mantenersi senza tuttavia esaurire le riserve nutritive che lo circondano, affamando alla fine proprio se stesso. La semente si conserva in sacchetti di carta o di tela, accuratamente etichettati con nome dell’ortaggio e data di raccolta, e riposti in ambiente asciutto, fresco, buio. Poiché i semi devono respirare, gravissimo è l’errore di conservarli in contenitori di latta o plastica sigillati, in quanto lo sviluppo di umidità derivante dalla respirazione causa una pregerminazione o porta alla marcescenza dei semi. La temperatura media di conservazione dei semi si aggira intorno ai 5 °C, ma anche temperature fino a 10 °C sono accettabili; risulterebbero davvero dannose invece quelle troppo basse. La cernita della semente, che è sempre opportuna prima della conservazione almeno per eliminare i semi con i difetti più evidenti o attaccati da malattie, è indispensabile prima dell’impiego.

Per prevenire ogni possibilità di deterioramento, conviene trattare la semente da conservare con le apposite polveri insetticide e anticrittogamiche. Le sementi certificate vengono prodotte da ditte specializzate che garantiscono quelli che sono i requisiti fondamentali perché la coltura abbia un ottimo esito sotto ogni punto di vista. Tali requisiti, che nella maggior parte dei casi sono presenti quasi al 100%, si riferiscono alla: – purezza genetica, cioè l’appartenenza di tutti i semi alla varietà o alla cultivar indicata; – purezza commerciale, cioè l’assenza di impurità, corpi estranei, semi di piante infestanti, semi di altri ortaggi; – sanità, cioè l’assenza di malattie. La prova della germinabilità è consigliabile sempre quando si dispone di semente fatta in proprio, e anche dopo la conservazione di buste di semi acquistate molto tempo prima. Diversi sono i mezzi per fornire ai semi l’umidità e la temperatura necessaria (15-20 °C) a favorire la germinazione: fogli di carta da filtro, o panni arrotolati, vassoi con uno strato di bambagia ecc. Importante è provare un numero controllato di semi per ricavare una percentuale di germinazione utile ai fini pratici.

Tipi di orto

Solo la mancanza di tempo e di “passione” impediscono di coltivare un orto. Non è un problema di spazio o di luogo geografico in quanto tutte le regioni del mondo presentano clima favorevole all’allevamento di almeno alcune delle specie vegetali coltivabili a questo scopo. Con una serie di piccoli accorgimenti è possibile avviare la

coltivazione anche in vaso, sul balcone o sulla terrazza, persino sul davanzale della cucina. Certamente la disponibilità di una superficie di terreno, anche esigua, facilita notevolmente le cose. Per crescere e per svilupparsi in modo ottimale, le piante necessitano essenzialmente di luce, aria e acqua o meglio di quell’acqua che circola nel terreno

ricca di sali minerali solubili. Sono proprio questi ultimi la base del nutrimento di tutte le piante e, quando la loro presenza nel terreno risulta insufficiente, possono essere somministrati dall’uomo sotto forma di concimi. Il terreno ha anche funzione di sostegno e ancoraggio delle radici ma, il semplice nutrimento che permette la col-

Quando lo spazio è ridotto è bene scegliere in modo oculato gli ortaggi da coltivare.

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tivazione degli ortaggi può essere somministrato anche utilizzando semplicemente acqua arricchita con questi sali minerali, opportunamente dosati e in diverse miscelazioni, in funzione della specie coltivata e dello stadio vegetativo in cui si trova la pianta. Ma andiamo con ordine. Per produrre verdure per tutto l’anno, a uso familiare, sono sufficienti circa 100 metri quadrati di terreno a persona e le varietà oggi a disposizione degli appassionati sono talmente numerose e di dimensioni, colori e forme variabilissime che rimane solo l’imbarazzo della scelta.Un davanzale può ospitare solo gli ortaggi che maggiormente ri-

spondono alle necessità familiari: qualche pianta aromatica, qualche pomodoro a ciliegia, lattughe o ravanelli, prezzemolo, basilico o un bel vasetto di peperoncini multicolori che occupano poco spazio e possono rallegrare e profumare l’ambiente. Maggiore disponibilità e varietà di prodotti si possono ottenere su terrazze e balconi assolati, dove trovano spazio contenitori destinati a più ortaggi, magari inseriti in un contesto di piante ornamentali. L’ideale è comunque il classico orto di casa, sul retro dell’abitazione, dove è possibile coltivare tutto quello che si può desiderare, anche sperimentando varietà, specie e tec-

niche nuove. Sul davanti della casa, invece, si possono realizzare dei bellissimi orti-giardino come l’esperienza francese del jardin potager insegna.

L’orto minimo Quando il terreno disponibile è esiguo, nella programmazione dell’orto è importante, oltre al massimo sfruttamento della componente spaziotempo, la scelta oculata degli ortaggi da coltivare. Si sceglieranno ortaggi a ciclo rapido e che occupano poco spazio aiutandosi anche con la scelta della coltivazione

Disposizione della vegetazione a file senza stradine per ottimizzare gli spazi.

Tipi di orto n 21

a file che permette il passaggio tra i filari senza ricorrere alla sottrazione di terreno per far posto alle stradine tra le prode. Si dovrà distribuire la vegetazione in funzione del movimento giornaliero del sole disponendo le piante in base alle diverse altezze, in modo che i rampicanti non nascondano il sole alle piante di taglia più ridotta. Per avere una rotazione continua così da poter raccogliere sempre qualcosa, possiamo sostituire le piante prossime a esaurirsi con altre già pronte al trapianto. Per far questo, dobbiamo riservare una striscia di terreno al semenzaio, ma se non c’è posto per i cassoni, dato l’esiguo numero di piantine necessarie possiamo anche seminare in plateau di plastica o di torba, da tenere in un luogo riparato: un portico, uno scantinato non buio, un corridoio, un sottoscala. Inoltre, con una modica spesa, è possibile acquistare anche al supermercato piantine già pronte al trapianto, di specie e varietà che si vogliono coltivare. In luogo dell’irrigazione per scorrimento e infiltrazione, si adotta l’irrigazione a pioggia o a goccia, che consentono una maggiore utilizzazione dello spazio. La rete di recinzione può servire, dal lato esposto al sole, come sostegno per pomodori, piselli, fagioli ecc.

Il vivaio e i cassoni possono avere forma lunga e stretta e costituire la cordonatura delle aiuole.

L’orto nei terreni scoscesi In collina e anche in montagna, esistono dolci pendii esposti a mezzogiorno che rappresentano l’ideale per impiantarvi l’orto. Ma spesso in una piccola proprietà vi sono soltanto fazzoletti di terra scoscesi, e il terreno è perlopiù accidentato. Innanzitutto vale la pena di sfruttare per l’orto tutti i piccoli appezzamenti piani, poiché il giardino riesce benissimo, scegliendo opportunamente le piante (cespugli, tappezzanti ecc.), lungo le scarpate. Ma anche queste, se le parti in piano non sono sufficienti o non esistono, possono essere sistemate e trasformate in orticelli. Naturalmente occorre procedere a lavori di preparazione che si basano su tecniche del tutto particolari. Se i ripiani hanno l’inclinazione giusta e l’esposizione conveniente, si procede come in pianura. Se invece i ripiani vanno costruiti artificialmente mediante muretti a secco elevati in senso perpendicolare al pendio, è un grave

errore sbancare a monte per colmare a valle, perché così facendo si mette a nudo da un lato il sottosuolo non coltivabile e si seppellisce dall’altro lo strato attivo superficiale. Questo strato attivo è composto da terreno buono, ricco di humus e microrganismi, che collocati in profondità sono destinati a soccombere e a non essere utilizzati dalle radici delle piante. Errato è anche colmare il dislivello con terra d’apporto, sia pure ottima. In entrambi i casi si ottiene un substrato di caratteristiche eterogenee, al quale sono da addebitarsi i risultati difformi degli esemplari di uno stesso ortaggio coltivati a pochi centimetri di distanza tra loro. Il modo corretto di operare consiste nell’asportare temporaneamente lo strato attivo “coltivabile” e metterlo da parte; quindi si agisce sul sottosuolo, distribuendolo in modo da ottenere il livellamento; infine si ridistribuisce la terra accumulata. Se il pendio è orientato verso esposizioni non idonee, si innalza un muretto di sostegno in modo da modificare la pendenza. Entriamo ora in un discorso di carattere estetico più che tecnico: la coltivazione degli ortaggi in un terreno estremamente limitato, oltre che scosceso, irregolare, solcato da gradinate e sentieri, può tro-

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vare soluzioni molto piacevoli. È opportuno ricavare delle piccole aiuole nelle anse delle gradinate, delle piazzole lungo i sentieri, impartendo al terreno l’inclinazione adeguata. Le singole aiuole o piazzole vanno sostenute con una cordonatura rocciosa, o in mattoni o altro materiale, a seconda delle caratteristiche dell’ambiente, per impedire all’acqua di erodere i bordi, di asportare la terra scoprendo le radici, di dilavare i fertilizzanti. La piantagione di timo serpillo, di menta, di origano – piante aromatiche a portamento tappezzante –, lungo il bordo inferiore della cordonatura impedisce smottamenti e costituisce un gradevole e utile contorno.

L’orto nel cortile Sono molte le abitazioni in città e in campagna che hanno un modesto giardinetto più o meno quadrato e simile a un cortile, spesso disposto per metà sul davanti, verso la via d’accesso, e per metà sul retro dell’edificio. In genere, dove naturalmente non manchi l’adeguata insolazione, all’orto viene destinata la parte del giardino non visibile dalla strada.

Schema di orto nel cortile.

Risulta certamente utilissimo il riparo costituito dal muro della casa, contro il quale si addossano i cassoni e i letti caldi e che in climi non troppo favorevoli permette di prolungare oltre la norma il raccolto di qualche ortaggio. Se invece il terreno si trova totalmente sul davanti della casa, allora l’orto va interpretato come “giardino”, va cioè realizzato con il massimo ordine e può affiancare il vialetto d’accesso. Un problema non troppo facile da risolvere si presenta quando lo spazio è angusto e per di più recintato da un muro che preclude per la maggior parte del giorno i raggi del sole, che lambisce gli ortaggi soltanto quando splende alto nel cielo.

In questi casi l’unica soluzione possibile è quella di costruire dei terrapieni, elevando dei muretti, preferibilmente a secco o di mattoni, così da portare la superficie coltivabile a un livello più elevato. La situazione migliora ulteriormente inclinando il terreno verso sud o sud-ovest in modo da approfittare al massimo delle ore di sole. I muretti di sostegno possono essere ingentiliti da ciuffi fioriti di specie tappezzanti a portamento ricadente, così nel piccolo giardino non si rinuncerà alle piante ornamentali. La stessa soluzione si adotta per il bordo superiore del muro di cinta, escludendo siepi e rampicanti che sottraggono spazio, luce e nutrimento agli ortaggi.

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L’orto-giardino Un orto ben tenuto, in cui crescono ortaggi sani e ordinati, si inserisce perfettamente nel giardino e non comprendiamo coloro che vogliono a tutti i costi nasconderlo alla vista, relegandolo in una posizione inadatta, magari ombrosa o ventosa, oppure lo circondano di alte siepi. È sufficiente qualche elemento decorativo che leghi orto e giardino, evitando nette divisioni: una staccionata dipinta di bianco o di verde, adorna di roselline selvatiche, un antico abbeveratoio ricolmo di gerani, un pozzo su cui si avvolge un rampicante fiorito, un tino che fa da contenitore a una ricca composizione di cespugli. Lungo uno o più lati si possono coltivare delle strisce di fiori da recidere, alcuni dei quali, come le alte dalie, i gladioli, i garofani, richiedono sostegni e quindi non stanno bene nel giardino. Ma vogliamo considerare qui anche l’orto-giardino, vale a dire l’orto interpretato in chiave ornamentale. Ci sembra una proposta interessante per coloro che, avendo a disposizione realmente poco spazio, sono combattuti tra il desiderio di piantare delle rose e quello molto più utilitario di coltivare degli ortaggi.

Esempio di orto nel giardino con aiuole fiorite lungo il perimetro.

Le soluzioni per realizzare un orto-giardino, con funzione sia produttiva sia decorativa, sono le più varie e diversificate.

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Le soluzioni possono essere diversissime, in rapporto all’estrema variabilità delle situazioni, per cui possiamo soltanto suggerire qualche idea. Per esempio quella di impiegare cespi di lattughini colorati come bordura di un’aiuola di pomodori nani “ciliegia”, di comporre una festonatura di carote e ravanelli ai piedi di una spalliera di piselli, di creare un fantasioso mosaico di insalatine diverse. Senza andare troppo nell’originale, possiamo consociare i fiori con gli ortaggi, purché non rubino il sole: tageti, nasturzi, zinnie nane, petunie, costituiscono una bordura poco ingombrante e, dato il ciclo annuale, con radici modeste. È sufficiente qualche vaso, magari un po’ speciale, appoggiato qua e là in mezzo all’orto per creare un insieme insolito e allegro.

sono infatti alterare la stabilità della terrazza. Si può sopperire all’eventuale inconveniente utilizzando contenitori fabbricati con materiali leggeri (plastiche e derivati), distribuendoli in modo uniforme senza gravare su uno stesso punto e utilizzando, per i vasi più profondi, un “fondo” di materiale inerte (al di

L’orto in terrazza L’ampiezza della terrazza e la sua posizione, di solito particolarmente assolata, consente la coltivazione di un gran numero di specie ortive. Un elemento importante da considerare è la buona conoscenza della capacità di tenuta delle strutture. Il peso dei contenitori e del terriccio pos-

Piante di fagioli rampicanti allevati a tenda indiana.

sotto del terriccio) come vermiculite, perlite ecc. – tutti componenti molto più leggeri della terra. Tutto dovrà essere effettuato in contenitori di forma e dimensioni variabili. In commercio ne esistono di diversi materiali e dalle fogge più strane che permettono anche di arredare l’ambiente con gusto e personalità. Una soluzione molto economica e certamente pratica è quella di utilizzare contenitori di polistirolo o semplici cassette di legno. Nel primo caso sarà necessario bucherellare il fondo per favorire lo sgrondo dell’acqua, nel secondo conviene sempre rivestire l’interno della cassetta con fogli di polietilene per impedire la fuoriuscita del terreno dalle fessure. Anche in questo caso è indispensabile praticare dei fori sul fondo del rivestimento del contenitore. Le cassette per il contenimento del terriccio devono avere diverse profondità in funzione degli ortaggi che si vogliono coltivare. Le piante che hanno radici fascicolate o poco profonde come gli spinaci, la lattuga, i piselli, i fagiolini, i ravanelli ecc. hanno bisogno di uno strato di terra non superiore ai 25-30 cm. Per gli ortaggi a radice fittonante (carote, sedano, prezzemolo) conviene scegliere contenitori più alti da riempire

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con uno strato di terriccio più spesso (50-60 cm) per consentire l’approfondimento e lo sviluppo dell’apparato radicale. Per le piante che crescono maggiormente in altezza o a chioma espansa (pomodoro, cetriolo, fagiolo e fagiolino rampicanti, peperone, melanzana) conviene utilizzare comuni vasi da fiore. Una sola pianta per vaso sarebbe l’ideale, ma se le dimensioni del contenitore lo consentono si possono costruire anche dei “castelli” di fagioli e di po-

modori utilizzando canne di sostegno disposte “a tenda indiana”. Importante, per la vivibilità della terrazza, è mantenere una gradevole sistemazione degli arredi, esteticamente apprezzabile, distribuendo con criterio la vegetazione ortiva che dovrà sempre essere in sintonia con le piante ornamentali. Nelle zone centrali delle grandi città (e purtroppo ormai non solo in queste zone!), dove l’inquinamento dell’aria è un problema da non sottovaluta-

re, è consigliabile sostituire il terriccio utilizzato per gli ortaggi almeno una volta all’anno, in quanto è proprio sul terreno che i vari elementi inquinanti si depositano e, penetrando in profondità, possono essere assorbiti dalle radici delle piante. È conseguenza logica che gli ortaggi coltivati sulle terrazze di città, in particolare quelli da foglia, dovranno subire più accurati e più numerosi lavaggi prima di essere consumati a tavola.

L’orto sul balcone

Contenitori di varie forme e dimensioni per l’orto in terrazza.

Sul balcone, invece, gli spazi ridotti sconsigliano i tentativi con ortaggi molto voluminosi (zucche e zucchine, cardi, carciofi). Il maggior ombreggiamento e gli angoli più riparati invitano a scegliere specie che si sviluppano soprattutto in altezza (pomodori, fagioli e fagiolini rampicanti, cetrioli ecc.). È necessario ridurre i quantitativi e prestare maggior cura alle piante, procedendo più frequentemente con operazioni di contenimento della vegetazione, eliminando o legando le ramificazioni laterali. Le piante più adatte ad essere coltivate su un balcone sono sicuramente molte essenze

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aromatiche: ciuffi di erba cipollina, prezzemolo, basilico, origano ma anche le innumerevoli varietà di peperoncino piccante possono trovare spazio tra i vasi di essenze ornamentali. Una classica e piacevole consociazione è quella delle aromatiche sopracitate con i gerani. Salvia e rosmarino possono stare nello stesso vaso con altre “specie mediterranee” come la lavanda. Ai piedi di un arbusto ornamentale si possono sistemare alcune piantine di lattuga, di rucola, o alcune varietà di pomodori nani o comunque “varietà determinate” (significa non rampicanti). In cassette come quelle dei gerani si possono seminare a file carote, spinaci e cicorie da taglio. Singoli contenitori saranno destinati agli ortaggi estivi (pomodori, peperoni, melanzane ecc.), tutto in funzione delle dimensioni del balcone che si possiede. Le diverse tonalità di verde delle foglie arredano, rendendo variegato ed allegro anche uno spazio esiguo. Importante è non ammassare troppe piante nello stesso contenitore. Anche se il balcone è un luogo abitualmente frequentato, e questo consente di controllare con facilità eventuali manifestazioni morbose, una ridotta circolazione dell’aria unita a un’eccessiva sommi-

nistrazione di acqua possono causare facilmente l’insorgere di marciumi, soprattutto sugli apparati radicali degli ortaggi. Balconi troppo assolati, inoltre, richiedono nella stagione estiva e soprattutto nelle ore più calde del giorno, una protezione ombreggiante (ideale è l’utilizzo di piccoli graticci di canne o l’installazione di tende da sole).

L’orto nell’acqua È una tecnica di coltivazione usata già dai Babilonesi, dagli Aztechi e dai Cinesi (Marco Polo ne parla nel suo Il milione). Una prima diffusione su larga scala la troviamo durante la Seconda guerra mondiale quando l’esercito americano la utilizzò nelle isole del Pacifico per il riforni-

Struttura con vasetti tipo “net pot” che lasciano fluttuare nell’acqua le radici degli ortaggi.

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mento di prodotti vegetali freschi alle truppe. Oggi, grazie ai notevoli sviluppi tecnologici, viene sfruttata ampiamente in molte parti del mondo, soprattutto in zone dove la scarsa superficie o terreni particolarmente aridi non permettono l’utilizzazione del suolo. La sua realizzazione non richiede l’utilizzo di apparecchiature particolari. In casa è sufficiente un secchio di pla-

stica ricoperto con una lamina di polistirolo bucherellato dove inserire i vasetti, ma in commercio si trovano facilmente materiali e attrezzature idonei per piccole e grandi superfici. È possibile coltivare gli ortaggi direttamente nell’acqua, o meglio, in una soluzione nutritiva (floating system) in cui sono presenti, in rapporti ideali, tutti gli elementi chimici indispensabili

Vaso “net pot” con substrato inerte immerso in un vaso più grande contenente la soluzione nutritiva.

alla crescita e allo sviluppo della vegetazione (sono circa 16). Queste soluzioni nutritive si possono facilmente reperire nei Garden Center, nei Consorzi Agrari e in tutti i negozi specializzati. In questo caso è necessario un supporto, costituito da una rete, da polistirolo o anche da vasetti tipo “net pot”, per sostenere le piantine le cui radici fluttueranno e cresceranno nel liquido. Più comunemente si utilizza, anche perché di più facile impiego, la coltivazione su “substrati inerti”, come argilla espansa, sabbia lavata, vermiculite, perlite, lana di roccia ma anche foglie di bamboo o altro materiale vegetale di scarto (per le piante d’appartamento sono usati anche polimeri variamente colorati). Tutti questi substrati hanno il compito di ancorare la pianta e sostenerla. Solitamente si utilizza un doppio vaso: il primo contiene il materiale inerte e la pianta, mentre il secondo, più grande, posizionato esternamente, contiene l’acqua arricchita di soluzione nutritiva che viene sostituita o rimboccata ogni 15 giorni. È molto importante che il livello dell’acqua sia mantenuto sempre costante. Questa tecnica presenta notevoli vantaggi: oltre all’estrema semplicità di coltivazione ricordiamo la possibilità di coltivare in spazi ridotti e

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di aumentare considerevolmente la produzione in quanto la crescita è molto rapida (anche 2-3 volte in più rispetto alle piante coltivate nel terreno). La rapidità di crescita è dovuta al fatto che le piantine in coltura idroponica hanno a disposizione tutti gli elementi essenziali in un giusto equilibrio cioè in un rapporto ottimale, evento che in un terreno difficilmente si riesce ad ottenere. Un altro vantaggio, non trascurabile, è costituito dalla maggior sanità e pulizia del prodotto. Da non sottovalutare, inoltre, il minor sforzo fisico richiesto e il risparmio di

acqua che il metodo comporta. Infine, questo tipo di coltivazione rende possibile assentarsi da casa anche per lunghi periodi di tempo senza che questo provochi gravi sofferenze alla vegetazione. ALCUNI CONSIGLI PRATICI

Le radici delle piantine, prima di essere inserite nell’acqua, devono essere completamente ripulite dal terreno in quanto la presenza anche di poche particelle può favorire lo sviluppo di batteri e di marcescenze. Per evitare questo pericolo è sufficiente lasciare le piantine immerse in acqua tiepida per una not-

te e poi lavarle con la doccia. In commercio sono presenti preparati concentrati di sali minerali da diluire con l’acqua e anche prodotti che permettono di assorbire sostanze eventualmente nocive che si possono formare. La tecnologia mette inoltre a disposizione interi kit di materiali per questa coltivazione. Tutte le piante dell’orto possono essere coltivate con questa tecnica e i contenitori possono essere posizionati in ogni ambiente, anche all’esterno, purché siano rispettate le esigenze di luce e temperatura adatte ad ogni singola specie.

Orto biologico e orto biodinamico L’orto biologico Gran parte di coloro che coltivano l’orto nei pressi della casa sono spinti dal desiderio di produrre ortaggi sani e privi di tutti i residui legati all’uso di prodotti di sintesi per la concimazione, la pulizia dalle infestanti e la distruzione di parassiti e patogeni. In effetti consumare prodotti non sottoposti ad alcun trattamento è motivo di orgoglio, è tranquillizzante rispetto alla salute e spesso nasce anche da convinzioni di tipo culturale. Tutto questo è dimostrato dalle aumentate esigenze dei consumatori che, pur sostenendo un maggior costo, si orientano sempre più spesso verso prodotti alimentari freschi commercializzati come provenienti da coltivazioni biologiche. Il principio generale che porta alla realizzazione di un “orto biologico”, dove devono entrare solo prodotti naturali, si basa sul presupposto che è necessario conservare e incre-

mentare sia la fertilità del suolo sia la componente biologica in esso presente per raggiungere buoni risultati produttivi. Questo principio è sancito anche dai regolamenti comunitari sull’agricoltura biologica. Per essere correttamente in linea con i dettami dell’orticoltura biologica è necessario seguire alcune regole che si possono riassumere nel modo seguente. Utilizzare su uno stesso appezzamento la rotazione degli ortaggi per un periodo di tempo della durata di più anni. Sfruttare alcune specie di Leguminose, anche non orticole che, debitamente coltivate e interrate, possono migliorare le caratteristiche fisico-chimiche: classico è l’esempio del sovescio. Interrare con le operazioni di vangatura solo materiale organico, rappresentato dal letame, da altri residui animali, da scarti delle coltivazioni,

da prodotti ottenuti con il compostaggio o terricciati di foglie allo scopo di restituire al terreno le sostanze sottratte dalle colture. Quando si evidenzia la necessità di combattere malattie, parassiti e piante infestanti ci si deve orientare principalmente verso tecniche colturali che escludono sostanze chimiche. Si combattono i parassiti sfruttando varietà precoci o tardive il cui ciclo vegetativo non coincide con il ciclo biologico dei patogeni e utilizzando, ove è possibile, ortaggi “antichi” perché più rustici e più resistenti agli attacchi. Un altro mezzo di difesa è rappresentato dalle continue rotazioni che non consentono ai parassiti specifici di proliferare nel terreno o sugli organi vegetali che prediligono. Si deve poi ricorrere a pratiche di tipo fisico utilizzando acqua o fuoco per l’eliminazione di piante infestanti (spesso ospiti intermedi degli or-

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ganismi dannosi) con allagamenti delle prode o bruciando la vegetazione (pirodiserbo). L’eliminazione delle malerbe si può realizzare anche estirpando manualmente le piante prima della fioritura (scerbatura) o per mezzo di frequenti zappature. La distruzione degli insetti parassiti si può effettuare anche con la raccolta manuale degli adulti, delle larve e delle uova presenti sugli ortaggi e allevando in prossimità dell’orto specie botaniche in grado di formare siepi per incrementare la presenza di nemici naturali (per esempio gli

uccelli e piccoli animali insettivori o insetti predatori). Sempre come mezzo di difesa possono essere utilizzati insetticidi di origine naturale (piretro, macerato di ortica ecc.) o biologica (per esempio Bacillus thuringiensis) e anticrittogamici per i funghi a base di rame e zolfo (elementi chimici presenti in natura). Anche la scelta dei concimi deve essere orientata verso quelli organici o eventualmente di natura chimica ma ottenuti da rocce (fosforiti, guano, salino potassico) o derivanti dalla lavorazione dei minerali (scorie Thomas).

In effetti succede molto spesso che gli orti di casa siano di fatto lavorati seguendo i criteri della coltivazione biologica, specie se coltivati da pensionati che dedicano gran parte del tempo libero a questa attività, seguendo i vecchi metodi della tradizione. La pratica delle rotazioni e tutte le altre attività colturali che favoriscono forme di difesa naturali, il riutilizzo dei materiali organici di scarto, sono ancora oggi le normali operazioni che si effettuano in moltissimi orti di tutte le regioni italiane. In particolare nell’orticoltura familiare la tradizione prevede quale elemento essenziale di concimazione il letame e la produzione di terricciati. Vengono sempre evitati tutti i presidi chimici più complessi partendo dal presupposto che i prodotti ottenuti vengono consumati nell’ambito familiare. In definitiva l’orto biologico è molto più diffuso di quanto si possa pensare.

Il sovescio

Lo spaventapasseri: il più antico strumento dell’uomo per allontanare gli uccelli dalle colture.

Il sovescio è una pratica agronomica tradizionale che consente un netto incremento della fertilità e che trova conveniente applicazione nei casi in cui manchino o scarseg-

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gino letame e altri concimi organici. Nella sua forma più semplice consiste nell’interrare con l’aratura piante in vegetazione, spontanee o appositamente coltivate, allo scopo di ottenere un effetto umificante e un conseguente miglioramento della struttura fisica e della composizione del terreno. Rimuovendo i vegetali con la radice si portano in superficie gli elementi nutritivi profondi, mentre l’interramento delle foglie fresche apporta umidità negli strati sottostanti. Da questo punto di vista, i migliori risultati si ottengono coltivando specie con apparato radicale profondo e con fogliame ampio e ricco di acqua. Più completo è il sovescio che allo scopo di umificare aggiunge quello di arricchire il terreno di azoto (sovescio nitrificante). In questo caso è richiesta la coltivazione di specie Leguminose (erba medica, trifoglio, lupino, veccia, pisello campestre), che hanno la particolarità di ospitare entro tubercoli radicali alcuni batteri che vivono in simbiosi con la pianta, vale a dire in una forma di convivenza fatta di reciproco scambio di nutrimento. Questi batteri sono detti azoto-fissatori per la loro capacità di utilizzare, per nutrir-

si, l’azoto contenuto nell’aria, trasformandolo in azoto organico che va a costituire importanti riserve nel terreno. Il sovescio semplice può essere attuato su qualsiasi terreno povero senza apportare alcun miglioramento preventivo, mentre per quello nitrificante il terreno deve già possedere caratteristiche adeguate alla coltivazione di specie notevolmente esigenti come le Leguminose. Un accorgimento molto efficace è quello di interrare Leguminose ricche di tubercoli prelevate in altri appezzamenti, o della terra di prato ricca di queste specie. Il momento più adatto per il sovescio coincide con la fioritura o, per le Leguminose, con l’inizio della formazione dei baccelli.

La lotta biologica Non possiamo evitare di accennare, sia pure brevemente, alla lotta biologica, poiché si tratta di un argomento di grande attualità. Questo tipo di intervento si basa sulla conservazione, sull’incremento e sull’introduzione nei coltivi di nemici naturali dei parassiti delle piante. Nemici naturali che comprendono predatori, quali gli uccelli, le lu-

certole, i pesci; insetti entomofagi che si nutrono di altri insetti in ogni stadio vitale; oppure altri insetti che depongono le uova nelle larve di altre specie, sviluppandosi a spese di queste; microrganismi del tutto innocui per l’uomo, gli animali e le piante, ma letali per alcuni insetti. Sono in commercio bioinsetticidi costituiti da colture di microbi o di spore ottenute in appositi apparecchi fermentatori e rese disponibili per l’uso sotto forma di preparati liquidi o in polvere. I risultati della lotta biologica, che già viene attuata in alcune colture industrializzate, sia in pieno campo sia in serra, testimoniano che la nuova via imboccata dalla fitopatologia è quella giusta. Ma purtroppo gli elevati costi di produzione dei mezzi necessari costituiscono una barriera difficile da superare ai fini di una sua diffusione generalizzata. L’impiego massiccio e indiscriminato di antiparassitari distrugge non solo gli insetti nocivi ma anche quelli utili: insetti che non danneggiano le piante perché si nutrono di altri insetti, come per esempio le coccinelle, predatrici di afidi. Sembra poi che nei luoghi frequentati dalle lucertole gli afidi e i ragnetti rossi abbiano vita difficile. Inoltre vi sono alcuni miriapodi, quali i

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notissimi millepiedi che tutti si affrettano a schiacciare sotto i piedi, e altri loro simili, che sono temibili predatori di svariati insetti e delle loro larve. Questi animaletti vivono nascosti nei mucchi di foglie, nelle fenditure delle cortecce, nei luoghi umidi e scuri e raramente sono dannosi agli ortaggi, dando comunque la preferenza ai vegetali già attaccati. Nel caso in cu da un vicino stagno sconfinano nell’orto ranocchi e rospi, la lotta biologica riceve sicuramente un valido contributo. Un breve cenno meritano gli uccelli: sebbene alcuni rechino danni soprattutto alle

giovani piantine, altri come le rondini, le cince e gli storni (tutti uccelli insettivori) riescono a limitare, anche in misura notevole, il proliferare di molte specie di insetti dannosi. Altri insettivori particolarmente utili negli orti familiari sono i ricci: ospitare in un angolo del giardino una famigliola di ricci europei, comuni abitatori dei boschi, delle macchie e dei coltivi, può portare un tangibile contributo alla lotta biologica. Pur cibandosi in caso di necessità anche di qualche vegetale, il riccio è principalmente insettivoro e carnivoro: fa strage di coleotteri, ca-

Alcuni esempi di animaletti nemici delle piante.

vallette, larve, lumache, chiocciole, piccoli roditori e vipere. Anzi, è uno dei più efficaci rimedi contro i temibili rettili ai quali spezza la colonna vertebrale e stritola la testa. Non è che il riccio sia immune dal veleno (la sua resistenza è però enormemente superiore a quella degli altri animali), ma grazie al suo mantello irto di aculei, che non offre presa ai morsi dei suoi aggressori, riesce a sopraffare la vipera prima di essere sopraffatto a sua volta. Non è difficile trattenere i ricci nel proprio giardino perché sono di natura sedentaria e poco avventurosi. Il loro territorio di caccia è di poche centinaia di metri quadrati e, se trovano un nascondiglio di loro gradimento, tranquillo e comodo, difficilmente lo abbandonano. Non si tratta di allevarli perché nulla dobbiamo procurare loro per il sostentamento; d’inverno poi, quando la natura non offre più nulla o quasi per la loro alimentazione, se ne vanno in letargo. In primavera e in autunno, la femmina, dopo cinque-sei settimane di gestazione, mette al mondo da tre a sette piccoli, ciechi e ricoperti da aculei teneri e biancastri, che diventano rigidi solo dopo quattro settimane. I ricci si fanno un nido di erbe e foglie secche sotto un ce-

Orto biologico e orto biodinamico n 33

spuglio folto, nell’anfratto di un vecchio muro, nelle legnaie e nei fienili poco frequentati. Non temono il freddo (e infatti vivono allo stato libero fino a 2000 metri di quota), anche perché prima di andare in letargo accumulano sottocute un pannicolo adiposo che serve da coibente e da fonte di calorie: per sopravvivere, il riccio lo consuma a poco a poco. Offrire una tana confortevole e calda non è inutile: il riccio volentieri, se ne trova una abbandonata, evita la fatica di farsela.

L’orto biodinamico È indispensabile dedicare un po’ di spazio anche all’agricoltura biodinamica, che si differenzia da quella biologica in quanto si basa su principi filosofici che coinvolgono l’essere umano in tutte le sue manifestazioni e nel suo rapporto con l’universo, includendo il suo modo di vivere, di osservare e di lavorare la terra. Lo scopo dell’attività biodinamica è quello di migliorare la qualità dell’alimentazione, della salute e dell’ambien-

te in tutto il mondo. Questo “modo di vivere” si basa su presupposti teorici generali che indirizzano il pensare e l’agire dell’uomo e che possono essere sviluppati in funzione delle condizioni in cui si trova a operare. Sanciti dal filosofo austriaco Rudolf Steiner, fondatore dell’antroposofia, sono stati applicati inizialmente in campo medico, artistico, economico, pedagogico e successivamente anche in quello agricolo. Presuppongono una conoscenza globale della terra intesa come pianeta e del suo rapporto con il cosmo: l’uomo deve solo imparare a osservare la natura e le sue leggi per poterle applicare alla propria attività. Utilizzando i fondamenti tradizionali dell’agricoltura biologica (rigoroso uso di sostanze naturali, applicazioni di rotazioni e tecniche agronomiche come il sovescio), la biodinamica interviene anche con la distribuzione di preparati medicinali omeopatici, da somministrare in piccolissime dosi, per migliorare e curare sia le piante sia il terreno. I presupposti di questa teoria si basano sulla cosciente utilizzazione delle forze naturali per il mantenimento

della fertilità del terreno, per rendere sane le piante coltivate perché possano resistere agli attacchi parassitari e patogeni e per poter produrre alimenti di qualità superiore. Tutto questo viene ottenuto rendendo vitali le sostanze presenti nel terreno con l’ausilio di microrganismi e di piccoli animali, che con la loro opera di degradazione mettono a disposizione delle piante abbondanti sostanze nutritive che arricchiscono il terreno senza bisogno di ulteriori apporti. Nello stesso tempo le piante coltivate sfruttano i componenti dell’atmosfera (acqua, anidride carbonica e azoto) che vengono messi a disposizione per la crescita e lo sviluppo in un processo che è di autoregolazione e che viene chiamato “equilibrio della natura”. La produzione deve essere in funzione del numero degli animali e delle persone che si devono nutrire, evitando surplus e quindi sfruttando il terreno in misura limitata, in funzione delle necessità. Tutto tende al raggiungimento della “massima armonia biologica” che è ideale solo in un’azienda a circolo chiuso, presupposto di fondo dell’agricoltura biodinamica.

Il clima

Le piante per crescere e produrre regolarmente necessitano di ripetuti interventi da parte dell’uomo e di tre fattori fondamentali: acqua, luce e terreno. Si tratta di elementi imprescindibili; solo l’ultimo, il terreno, può essere sostituito da substrati differenti, rappresentati dall’acqua (nella coltura idroponica) o da materiale inerte che ha la sola funzione di sostegno mentre i sali minerali necessari vengono forniti attraverso una ir-

rigazione fertilizzante. Nelle nostre regioni gli orti familiari e anche le colture in pieno campo trovano tutti i presupposti per dare risultati soddisfacenti senza la necessità di ricorrere a tecniche particolari ma semplicemente praticando normali cure colturali. Ma si può dire che ogni regione del mondo possa ospitare la coltivazione delle piante da orto: le caratteristiche climatiche possono interagire limitando la coltivazione di

alcune specie e favorendo una migliore crescita di altre, ma sono talmente numerose le piante commestibili e diverse le diete delle popolazioni che non può essere considerato fattore limitante in assoluto il tipo di clima.Tutte le piante, spontanee e coltivate, presentano particolari esigenze nei confronti del clima, i cui elementi più significativi per le colture sono rappresentati essenzialmente da temperatura, luce, vento e tutte le pre-

con telo plastico trasparente protezione mobile

con paglia

Metodi per proteggere le piante dal gelo.

36 n Per cominciare

cipitazioni atmosferiche (pioggia, neve, rugiada, nebbia, grandine). La distribuzione della vegetazione sulla terra è infatti strettamente legata alle condizioni ambientali che permettono e influenzano lo svolgersi completo del ciclo biologico, dalla germinazione dei semi alla fruttificazione. Nella maggior parte delle specie ortive questo ciclo si svolge nell’arco di un anno, alcune presentano ciclo biennale (prezzemolo, sedano, carota, cavoli), un numero molto limitato può essere classificato come perenne (asparago, carciofo). Certamente molti ortaggi preferiscono ambienti a clima temperato, altri regioni più calde o più fredde: per questo motivo si interviene ovunque e regolarmente adottando opportune tecniche che aiutano il coltivatore a superare condizioni climatiche poco favorevoli. Per esempio, la semi-

na in semenzaio, assieme ad altri vantaggi colturali, è una tecnica che permette la produzione di giovani piante da mettere a dimora anche in ambienti climatici dove la semina diretta in piena terra ritarderebbe l’entrata in produzione rendendo problematica la raccolta.

la fioritura e la temperatura massima al di sopra della quale la pianta interrompe ogni attività fisiologica. All’interno di queste “temperature critiche” è possibile decidere per ogni singola specie le operazioni colturali migliori che consentano di ottimizzare i risultati.

Temperatura

Luce

Come per tutte le piante, anche per quelle ortive si presentano specifiche esigenze di temperatura. Ogni fase del ciclo biologico deve avvenire all’interno di intervalli termici che consentono il normale sviluppo delle piante. È necessario inoltre conoscere, specie per specie, la temperatura minima di germogliamento del seme, quella del-

La crescita degli ortaggi dipende molto dalla luce in quanto il ciclo di coltivazione è spesso molto breve e quindi l’attività fotosintetica molto elevata. Inoltre le piante si comportano nei confronti della durata del giorno in maniera differente. In misura maggiore rispetto alle altre colture è necessario conoscere il comportamento degli ortaggi nei

Porche a costa, con inclinazione per sfruttare al massimo il calore solare.

Il clima n 37

confronti della luce, in base al quale possiamo fare le seguenti distinzioni.

esposizione alla luce intermedie tra le due categorie che abbiamo sopracitato.

Piante a giorno lungo o lungidiurne: sono quelle che per compiere il loro ciclo vegetativo necessitano di una illuminazione che dura dalle 14 alle 18 ore al giorno; solitamente queste condizioni si trovano in prossimità delle latitudini nordiche e nelle zone di alta montagna; la fioritura avviene in primavera-estate.

Se artificialmente si riesce ad allungare o ad accorciare il periodo di illuminazione solare, si allunga o si accorcia anche il periodo vegetativo. Questa tecnica è molto utilizzata nell’orto-floricoltura intensiva per produrre fiori o frutti in periodi diversi rispetto a quelli normali. Anche negli orti familiari è possibile intervenire con qualche piccolo accorgimento che consenta di aumentare o diminuire l’intensità dell’illuminazione solare e così raggiungere i risultati richiesti: per esempio le lattughe sono piante lungidiurne, coltivate alle nostre latitudini. Appena le giornate si allungano i cespi tendono a “montare a seme”. Questa fase è indesiderata in quanto la parte commestibile è rappresentata dalle fo-

Piante a giorno breve o bre vidiurne: compiono il loro ciclo vegetativo con illuminazione solare compresa tra le 8 e le 13 ore giornaliere; questo avviene nelle zone tropicali e subtropicali; fioriscono solitamente in autunnoinverno. Piante a giorno neutro o indifferenti: sono quelle che preferiscono condizioni di

Protezione dal vento e per ombreggiare.

glie: ritardandola si ottiene una produzione prolungata nel tempo. Ombreggiando per alcune ore al giorno con semplici coperture mobili si ottiene facilmente il risultato desiderato.

Vento Le piante ortive si avvantaggiano in presenza di venti deboli che favoriscono la traspirazione, l’impollinazione, il volo degli insetti pronubi, temperano il caldo eccessivo, ostacolano la formazione di brine e allontanano le nebbie. Quando l’intensità aumenta il vento risulta sempre dannoso in quanto può provocare la caduta di foglie, fiori e frutti e spesso può scalzare l’intera pianta. Nelle zone costiere i venti marini ricchi di salsedine cau-

38 n Per cominciare

sano abrasioni e lesioni fogliari, disidratazione e alcalinizzazione del terreno.

Precipitazioni L’acqua è fondamentale per la vita dell’orto: precipitazioni frequenti favoriscono sicuramente le coltivazioni che in queste condizioni non richiedono interventi irrigui di sostegno. Questi sono comunque necessari, nei nostri climi, nella stagione primaverile-estiva in quanto la distribuzione delle piogge non è quasi mai sufficiente. Piogge violente possono danneggiare le giovani piantine nei semenzai e causare ruscellamenti su superfici mal siste-

Protezione dalla grandine.

mate. La neve non crea gravi problemi perché si manifesta in epoche in cui l’attività orticola è ridotta al minimo; causa inconvenienti solo alle strutture protettive che possono crollare sotto il suo peso. La rugiada è sempre un fattore idrico importante, particolarmente nelle zone a precipitazioni limitate in quanto fonte di preziosa umidità. L’azione della nebbia è sempre nociva perché favorisce il proliferare di forme patogene sulla vegetazione. Sui danni causati dalla grandine non è necessario soffermarsi: spesso si manifesta principalmente nella stagione estiva trovando le piante nel pieno dell’attività vegetativa e causando così danni veramente ingenti. Per una rapida ripresa delle piante colpi-

te gli unici interventi possibili consistono in immediate irrigazioni e in abbondanti concimazioni di soccorso. Ugualmente pericolose sono le gelate, sia quelle precoci che si presentano in autunno quando le piante sono ancora produttive, sia quelle primaverili che colpiscono particolarmente le giovani piantine nei semenzai o quelle appena spuntate nelle prode. Per difendersi da questi eventi meteorologici sono facilmente attuabili semplici interventi di protezione.

Protezione delle colture Proteggere le colture significa svincolare in tutto o in parte il ciclo produttivo dalle condizioni climatiche. Allo scopo si adottano tecniche che vanno dall’uso di attrezzature estremamente semplici atte a sottrarre gli ortaggi alle avverse condizioni climatiche, a quelle che permettono di conseguire un modesto condizionamento climatico, fino alla realizzazione di serre vere e proprie in cui l’intera coltivazione si svolge in ambiente artificiale, in condizioni di luce, temperatura, umidità, aerazione programmate a seconda delle esigenze dei vari

Il clima n 39

in vetro o plastica rigida con telo plastico

I tunnel di protezione possono essere fissi oppure smontabili e componibili.

La campana di vetro va sollevata nelle ore più calde per eliminare i ristagni di umidità

Caldine: aiuole esposte al sole con campane di vetro.

40 n Per cominciare

Dilavamento delle foglie dalla salsedine.

ortaggi. Quando si parla di forzatura ci si riferisce specificatamente alla produzione, in ambiente totalmente condizionato, di ortaggi “extrastagionali”, o “fuori tempo”. La semiforzatura invece è alla portata dell’orticoltura familiare e va considerata una pratica integrativa della normale coltivazione. Prevede infatti una protezione degli ortaggi realizzata con attrezzature molto semplici e limitatamente ad alcuni periodi del ciclo produttivo, a

seconda delle condizioni climatiche. Facendo svolgere in condizioni favorevoli la prima o l’ultima fase del ciclo, si possono ottenere primizie anticipando le semine, o raccogliere prodotti tardivi prolungando la maturazione. I mezzi per realizzare la semiforzatura sono le campane di vetro o di materiale plastico, i tunnel e i cassoni come copertura. L’efficacia di questi mezzi può essere aumentata da particolari sistemazioni del terreno, intese a proteggere dalle correnti fredde e a esporre a una maggiore insolazione gli ortaggi. Le coperture hanno lo scopo di raggiungere il cosiddetto “effetto serra”, cioè di trattenere durante la notte le radiazioni calorifiche accumulate durante il giorno, dal terreno e dalle piante stesse, in modo che non si disperdano. Così non si ha solamente un

aumento medio della temperatura attorno alle piante, ma si evitano i sensibili e troppo repentini sbalzi termici. In particolari zone è necessario poi predisporre forme di protezione anche da altri elementi climatici. Senza necessariamente ricorrere a vere e proprie barriere vive (siepi) che circondano gli orti, nelle zone più ventose si possono approntare semplici stuoie a protezione dei seminativi o delle colture più delicate. Questi stessi manufatti possono essere utilizzati anche come ombreggianti nelle ore più soleggiate e più calde per evitare scottature alle foglie e agli organi più delicati, frutti compresi. L’azione abrasiva e disidratante dei venti salmastri si può contrastare con frequenti irrigazioni sopracchioma che dilavano la superficie fogliare dei sali depositati.

L’acqua

Non si può fare orticoltura invece in assenza di acqua: la distribuzione irrigua in certi periodi deve essere quotidiana perché il breve ciclo produttivo di molti ortaggi richiede continui rifornimenti per sostenere l’intensa attività vegetativa. Quindi è necessario fornire alle piante tutti quegli elementi essenziali che solo l’acqua riesce a veicolare all’interno degli organi vegetali attraverso l’apparato radicale. L’acqua è l’unico mezzo attraverso il quale le piante assorbono gli elementi minerali necessari alla loro crescita. Dal terreno infatti, attraverso i peli radicali e le radichette, gli elementi chimici sciolti nella soluzione circolante raggiungono i tessuti. È quindi necessario che l’acqua per l’irrigazione delle piante sia indenne da composti inquinanti (per esempio metalli pesanti come cromo e mercurio) che potrebbero essere assorbiti dalle stesse, entrare così nel ciclo alimentare e giungere fino all’uomo.

Qualità L’acqua è il più importante, efficace e veloce veicolo di inquinamento: è la principale responsabile della diffusione di epidemie e della distribuzione a largo raggio di sostanze tossiche provenienti dagli scarichi industriali e urbani. I vegetali però non assorbono passivamente le sostanze tossiche, che nella peggiore delle ipotesi circolano nella linfa in percentuali minime, compatibili con la vita vegetale. Il terreno, fortunatamente, è dotato di un efficace potere filtrante, per cui l’acqua che affiora nelle falde freatiche e nei pozzi è praticamente esente da principi tossici. Solo se la concentrazione di sostanze solubili supera certi limiti, il potere filtrante funziona limitatamente. Le acque dure, dotate cioè di elevate percentuali di sali di calcio e di magnesio (carbonati, bicarbonati, solfati) esplicano azione correttiva nei riguardi dell’acidità, mentre le

acque dolci correggono l’alcalinità. Nei terreni di buona qualità, che presentano una reazione adeguata, lievemente spostata intorno a valori neutri, sia le acque dure sia le acque dolci hanno effetto controproducente, accumulando sali alcalini nel primo caso, asportandoli nel secondo, e creando così situazioni di alcalinità o di acidità spinta. Le acque piovane sono praticamente paragonabili all’acqua distillata, cioè priva di sali, a meno che non vengano raccolte in una cisterna alimentata dalle falde del tetto o dai tombini stradali: in questi casi contengono una certa quantità di elementi minerali e anche materiali come argilla, sabbia ecc. Le acque praticamente pure impoveriscono i terreni permeabili, in quanto defluendo con facilità asportano i sali che hanno solubilizzato, mentre svolgono un’azione utile in quelli forti, i quali fissano in forma stabile i fertilizzanti, permettendone la solubilizzazione.

42 n Per cominciare

Attenzione dunque alle caratteristiche dell’acqua, che vanno valutate in rapporto a quelle del terreno. Vanno escluse dall’irrigazione le acque cosiddette “riducenti”, povere di ossigeno, che provengono da terreni paludosi, da stagni e sono ricche di sostanza organica. A esse sono da imputare situazioni asfittiche del terreno e delle radici; si possono utilizzare previo arricchimento di ossigeno, che si ottiene agitandole entro serbatoi o facendole scorrere in canaletti interrotti da salti. Le acque salmastre sono tollerate se contengono non più del 5% di cloruro di sodio, ma l’effetto della salinità dipende ancora dalle caratteristiche del terreno, dalla piovosità e dalla frequenza delle irrigazioni che ne permettono ora l’allontanamento, ora l’accumulo.

Temperatura I repentini sbalzi termici arrecano danni spesso irreversibili alla vegetazione, soprattutto nelle prime fasi dello sviluppo. Non è raro che l’impiego di acqua troppo fredda uccida le piantine nei cassoni e fermi definitivamente la crescita delle piante nell’orto. Le acque molto fredde, come

quelle di pozzo, devono sostare qualche ora in un serbatoio, oppure si fanno scorrere lentamente in canalizzazioni fuori terra. I rischi sono inferiori logicamente con l’irrigazione per scorrimento e con quella a goccia, mentre sono superiori con l’irrigazione a pioggia poiché coinvolge anche il fogliame. L’ideale sarebbe annaffiare con acqua a temperatura ambiente e anche superiore. Soprattutto nei semenzai si ottengono risultati evidenti impiegando acqua sui 27-30 °C. Ma poiché, specialmente per un orto molto esteso, non è agevole poter disporre giornalmente di una quantità adeguata di acqua a temperatura adatta, si annaffia, in primavera e in estate, dopo che il sole è calato, oppure al mattino prima che sia alto, o dopo il tramonto e addirittura di notte se il terreno è soggetto a forte insolazione. In tal modo il terreno, sottratto all’evaporazione diurna, ha il tempo di accumulare una notevole umidità. Durante la stagione autunnoinvernale, invece, bisogna annaffiare nelle ore centrali della giornata, per evitare che l’acqua, non ancora uniformemente assorbita, si trasformi in ghiaccio durante la notte o che comunque ristagni inutilizzata attorno alle radici.

Quantità di acqua e periodicità delle irrigazioni È evidente che non è possibile fornire indicazioni valide in ogni caso sui quantitativi di acqua necessari alla buona conduzione dell’orto, anche perché il fabbisogno specifico di ciascun ortaggio può essere molto variabile e, per una stessa specie, cambia nei diversi momenti del ciclo produttivo. In linea di massima gli ortaggi a crescita lenta sono meno avidi di acqua, e così pure, logicamente, quelli che svernano nel terreno. Gli ortaggi da foglia, in particolare le lattughe, i cavoli ecc. desiderano irrigazioni abbondanti e regolari, altrimenti forniscono foglie poco sviluppate e dure. Molto importante è infine la regolarità per le specie da radice, che danno prodotti asciutti e di sapore pungente, e per quelle da frutto come il pomodoro, che vanno soggette a spaccature. Quando si prevedono gelate e non si dispone di acqua a temperatura superiore a quella del suolo, si rinuncia ad annaffiare. Con la pratica e l’osservazione attenta del comportamento degli ortaggi e delle condizioni del terreno, si riesce

L’acqua n 43

a condurre razionalmente il programma di irrigazione. I vegetali dovrebbero avere, nelle condizioni ideali, le radici affondate in un terreno fresco (lo stato di freschezza deve interessare una profondità di 50 cm). Non è difficile giudicare il grado di imbibizione della terra: sotto la pressione della mano deve cedere leggermente senza trasudare acqua, né tanto meno gocciolare. Non si somministra mai un volume di acqua superiore a quello necessario e sufficiente a sfruttare la capacità idrica del terreno che, comunque, deve rimanere sempre grumoso e soffice, esente da pericolosi ristagni.

Irrigazione per scorrimento con infiltrazione “a fossetti”.

Nelle zone in cui l’acqua è scarsa e preziosa alcuni interventi colturali permettono di mantenere più a lungo le risorse idriche del suolo. Le frequenti zappature infatti (chiamate sarchiature) intorno alla vegetazione o sulle file hanno lo scopo di interrompere la risalita capillare dell’acqua che evapora dal terreno.

Sistemi di distribuzione dell’acqua Il sistema tradizionale per scorrimento e infiltrazione richiede la suddivisione in aiuo-

le del terreno destinato all’orto mediante canaletti che si dipartono perpendicolarmente da un fosso scavato a monte dell’appezzamento. Naturalmente, perché l’acqua immessa nel fosso si distribuisca nella rete irrigatoria, è necessario che il terreno abbia non solo una certa pendenza, ma una giacitura molto regolare. Gli aspetti negativi del sistema per scorrimento sono di vario ordine: onerosi o addirittura impossibili lavori di sistemazione del terreno quando questo è frazionato o accidentato; imbibizione non uniforme delle aiuole che, tranne quando sono di larghezza modesta, difettano di

Irrigazione per scorrimento con infiltrazione “a prode”.

44 n Per cominciare

Irrigazione con sommersione in fossetti.

umidità al centro rispetto alla periferia.Vi sono degli accorgimenti per assicurare con uniformità acqua sufficiente alle piante delle diverse file. Si adotta per esempio la sistemazione delle aiuole a “proda vuota” o in “fossetti”, in cui l’acqua ha la possibilità di sostare più a lungo. In questi casi si parla più precisamente di irrigazione per sommersione o “a risaie”. Questo metodo richiede grossi volumi di acqua che facilmente si disperde per evaporazione e ruscellamento sotterraneo e non sempre soddisfa le necessità delle piante. Solo chi possiede un pozzo e abita in zone ricche di fal-

Irrigazione con sommersione “a proda vuota”.

de può ormai pensare di utilizzarlo per irrigare gli orti. IRRIGAZIONE A PIOGGIA

L’adozione di questo sistema permette di conseguire i seguenti vantaggi: possibilità di irrigare terreni a giacitura irregolare che non si prestano alla canalizzazione, rispar-

mio notevole del volume di acqua, fino all’80%, grazie alla più uniforme e graduale distribuzione; possibilità di irrigare, anche quando si dispone di portate idriche modeste, con l’impiego di regolatori di pressione e sistemi di pompaggio. Il getto sottilmente nebulizzato con cui

Distribuzione dell’acqua con lancia “a pioggia”.

L’acqua n 45

Apparecchio per irrigazione a pioggia “statica”.

Piccola pompa elettrica per il prelievo e la distribuzione dell’acqua.

viene distribuita, permette all’acqua di ossigenarsi, con effetti benefici sul terreno e sulle foglie. La pluvirrigazione può assolvere anche una funzione fertilizzante, antiparassitaria, erbicida o disinfettante. Per questi scopi si impiegano dei particolari dispositivi installati all’inizio della condotta di distribuzione che provvedono al prelievo e al dosaggio del-

Irrigatori a goccia.

l’acqua e del materiale solubile (fertilizzante o antiparassitario), miscelandolo con l’acqua. È possibile effettuare anche la concimazione fogliare mediante prodotti appositamente studiati. L’irrigazione a pioggia si rivela particolarmente efficace quando all’acqua si richiede un’azione termoregolatrice, sia contro il gelo sia contro l’eccessiva secchezza dell’aria.

IRRIGAZIONE A GOCCIA

È un’irrigazione “di risparmio” che sta alla base della fiorente agricoltura del deserto israeliano. Consiste nel somministrare piccole quantità di acqua mediante una rete di tubazioni munita di numerosi gocciolatoi, ugelli particolari studiati in modo da evitare l’intasamento da parte della terra. La somministrazione può avvenire inin-

46 n Per cominciare

L’IRRIGAZIONE DI SOCCORSO Scarse o nulle speranze di recupero esistono per gli ortaggi che superano il limite di appassimento, che cioè si trovano in avanzato stadio di disidratazione a causa di prolungata siccità, eccessiva insolazione, vento persistente. Occorre intervenire prima che il danno sia irreparabile, mettendo in atto alcuni accorgimenti. Per prima cosa si ombreggiano le piante con giornali, cartoni o con le apposite stuoie, e le si irrora, parte aerea com-

terrottamente o a intermittenza (a “sorsi”). I vantaggi di questo sistema sono la possibilità di erogare l’acqua limitatamente allo spazio esplorato dalle radici (in dosi tali da venire tutta utilizzata dalle piante), la quasi totale assenza di erbe infestanti tra le file degli ortaggi, l’adattabilità ai diversi tipi di terreno, la facilità di programmazione, la possibilità di utilizzazione a scopo fertilizzante.

presa, con acqua a temperatura ambiente o addirittura tiepida se il sole è alto. È importante somministrare l’acqua in dosi molto modeste e intervallate, attendendo, per ripetere l’operazione, che la dose precedente sia stata completamente assorbita. È inutile e dannoso utilizzare volumi di acqua massicci perché la pianta sofferente non è in grado di assumerla e ciò provoca un ristagno attorno alle radici che marciscono.

come paglia, foglie, torba ecc. È la tecnica ideale per la coltivazione delle fragole (i cui frutti si mantengono anche più puliti non essendo a diretto contatto con il terreno) e di quelle specie, come melone, angurie, zucchine, cetrioli, pomodori ecc., che necessitano di abbondanti volumi di acqua. Gli scopi che si prefigge sono molteplici: proteggere dal freddo crean-

do uno strato coibente, frenare l’evaporazione impedendo la formazione di crosta superficiale e impedire lo sviluppo di erbacce sottraendo loro la luce. Nella scelta del materiale va tenuto conto delle caratteristiche che ciascuno presenta in rapporto alla funzione desiderata. I fogli di polietilene impediscono lo sviluppo delle erbe infestanti, sottraendo loro luce

La pacciamatura Un altro intervento che ha la funzione di mantenere il terreno umido è rappresentato dalla pacciamatura. Si tratta di una pratica di largo impiego in ogni branca agricola che consiste nella protezione del terreno con un foglio di polietilene scuro o con materiali vari,

Pacciamatura con fogli di polietilene.

L’acqua n 47

e aria, ma non permettono l’accumulo dell’umidità atmosferica, per esempio della rugiada notturna; la paglia, le foglie e la torba lasciano respirare meglio il terreno, ne favoriscono la freschezza ed esplicano un’azione umificante via via che si decompongono (la paglia e le foglie però possono essere veicolo di parassiti, mentre la torba è sterile). Da tenere presente la possibile interferenza sul pH del terreno da parte delle foglie e soprattutto della torba, a segui-

to di un impiego massiccio e continuato. Esistono in commercio fogli di polietilene già muniti di fori, che consentono la semina o il trapianto a distanze regolari. Con dei semplici attrezzi si può tuttavia eseguire la foratura a seconda delle singole necessità. È stato di recente messo a punto un nuovo tipo di foglio pacciamante, composto da una miscela di cellulosa e di torba, che non richiede la rimozione al termine della coltu-

50%

50%

assorbimento del calore solare (50%)

Effetti della pacciamatura sulla temperatura del terreno.

ra in quanto, essendo biodegradabile, si incorpora nel terreno migliorandone la frazione organica e la struttura. L’irrigazione che maggiormente si addice a un terreno protetto con teli è quella a goccia effettuata mediante manichette forate che vanno stese, preferibilmente lungo piccoli solchetti, prima della posa del materiale pacciamante. Altri sistemi sono possibili dopo aver provveduto alla foratura dei fogli in corrispondenza dei solchetti che dividono le aiuole.

20%

80%

minor dispersione del calore del suolo (20%)

Il terreno

L’esposizione Parliamo qui dei requisiti ottimali che si richiedono a un terreno perché vi si possa impiantare un orto senza dover ricorrere a opere straordinarie di sistemazione. Naturalmente, data l’estensione di terreno relativamente modesta necessaria per una produzione familiare, vale ugualmente la pena di mettere in atto tutti i provvedimenti utili a creare le condizioni adatte. La superficie deve essere preferibilmente pianeggiante e non troppo frazionata, ai fini di una certa agibilità, che consenta per esempio l’uso di mezzi meccanici. L’esposizione a sud e sud-ovest si addice ai climi settentrionali, mentre quella a est e sudest a quelli meridionali, per sfruttare al massimo il calore nel primo caso, e per sottrarre gli ortaggi all’eccessiva insolazione nel secondo. Questo in linea di massima, perché può essere opportuno rinunciare in parte a quella

che teoricamente è l’esposizione ottimale, allo scopo di correggere alcuni difetti del terreno. Così, per esempio, nelle regioni settentrionali un suolo troppo sciolto, che non trattiene l’umidità, si avvantaggia di una moderata insolazione, mentre in quelle meridionali un terreno pesante soggetto a ristagni ha modo di smaltire l’umidità eccessiva se esposto a sud e sud-ovest. L’appezzamento non deve andare soggetto a brinate precoci o tardive, cioè sul finire dell’estate o nella primavera avanzata, quando la vegetazione è in piena attività, né trovarsi sotto il tiro di venti dominanti.

Composizione e struttura Una sia pur sommaria conoscenza delle caratteristiche del terreno è indispensabile non solo per poter scegliere con cognizione di causa l’appezzamento da destinare a orto,

ma anche per mettere in atto i necessari interventi per correggerne eventuali difetti. Qui di seguito i fattori che determinano le caratteristiche del terreno. Costituenti, che si distinguono in due frazioni. Frazione inorganica o minerale, rappresentata dai minerali derivanti direttamente dalla roccia madre, presente nel sottosuolo, oppure depositati dai fiumi, dal vento e dai ghiacciai. Frazione organica, o humus, costituita da materiali organici (resti vegetali e animali accumulatisi naturalmente o apportati con le concimazioni a base di letame, terricciati e simili) in diversi stadi di decomposizione. La degradazione della sostanza organica, che avviene a opera dell’acqua, della temperatura, dei microrganismi (batteri, funghi ecc.) viene detta umificazione. Il prodotto finale viene detto humus, un ma-

50 n Per cominciare

teriale di colore bruno, soffice, poroso, dotato di elevato potere di accumulo del calore e di notevole capacità idrica, senza peraltro dar luogo a ristagni e intasamenti. Composizione chimica, che risulta dalla qualità e dalla quantità di elementi (azoto, fosforo, potassio, calcio, magnesio, ferro ecc.) che fanno parte sia della frazione inorganica sia della frazione organica; generalmente sono parte di composti chimici complessi che i vegetali non sono in grado di assimilare direttamente ma soltanto dopo che una serie di processi chimici e biologici li ha ridotti in forma più semplice. Struttura fisica (o tessitura), cioè le dimensioni dei costituenti del terreno; determina caratteristiche di enorme importanza quali la compattezza, la permeabilità, la capacità idrica. Gli elementi che costituiscono il terreno ven-

strato attivo suolo

strato inerte

sottosuolo

Stratigrafia del terreno

L’AMMENDAMENTO L’ammendamento è una pratica che ha lo scopo di modificare i difetti di struttura del terreno. Consiste nell’apporto di materiali come la sabbia, che conferisce scheletro ai terreni compatti, alleggerendoli, e di argilla e limo che rendono più coerenti i terreni troppo sciolti.

Si può effettuare indirettamente mediante un programma coordinato di lavorazioni e di concimazioni, in particolare organiche, che comportino la correzione di una reazione anomala, alla quale le caratteristiche fisiche del terreno sono strettamente connesse.

Il terreno n 51

gono distinti in scheletro e in terra fine.Vengono classificati come scheletro la ghiaia (particelle di diametro compreso tra i 2 e i 20 mm) e i ciottoli (diametro superiore ai 20 mm). Costituiscono invece la terra fine tutte le particelle di diametro inferiore ai 2 mm comprendenti, in ordine di grandezza decrescente, la sabbia grossa e fine, il limo e l’argilla, composta di particelle praticamente impalpabili. Si riscontra nel terreno tutta una gamma di condizioni, che risultano dalla variabilità del rapporto reciproco tra lo scheletro e la terra fine, comprese tra quelle estreme indicate come “struttura lacunare” e “struttura compatta”. La struttura ideale del terreno orticolo prevede una percentuale moderata di scheletro e percentuali equilibrate di sabbia, argilla e limo. I terreni in cui abbonda lo scheletro grossolano sono incoerenti, non trattengono l’acqua e i fertilizzanti e sono destinati a un progressivo impoverimento, in quanto soggetti a dilavamento da parte della pioggia e delle irrigazioni. Opposto è il difetto dei terreni in cui prevale la terra fine, quando questa è composta in massima parte da argilla e limo. Essi risultano marcatamente compatti, trattengono umidità stagnante e quindi non consentono all’aria di cir-

colare. In queste condizioni la vita microbica è impossibile o fortemente ostacolata e di conseguenza non possono avere luogo quelle trasformazioni che mettono a disposizione dei vegetali le sostanze nutritive. Ai fini pratici, soltanto quando la frazione fine è composta prevalentemente da sabbia, le caratteristiche fisiche del terreno si avvicinano a quelle dei terreni con scheletro abbondante. L’humus esercita sulla struttura un’influenza determinante: lega infatti i terreni incoerenti e rende più soffici quelli compatti. Conferisce in entrambi i casi quelle caratteristiche importanti nei riguardi del calore e della capacità idrica, e costituisce la base per la riserva della fertilità, in quanto fissa i fertilizzanti mettendoli gradualmente a disposizione delle piante. Le condizioni ottimali nei confronti della capacità idrica si realizzano quando il terreno riesce a trattenere il 50% dell’acqua che potrebbe contenere quando è saturo. Considerato in sezione verticale, il terreno risulta costituito dal sottosuolo e dal suolo, il quale a sua volta si distingue in due strati: strato inerte e strato attivo. Quest’ultimo è il più superficiale, ospita le radici e contiene elementi di fertilità con il relativo corredo di microflora. Lo

spessore e le proporzioni reciproche dei vari strati sono variabili e spetta alle lavorazioni e alle concimazioni rendere coltivabile a maggior profondità il terreno. In genere per gli ortaggi è necessario uno strato attivo di 30-40 cm che, a titolo indicativo, dovrebbe essere composto per il 50% da materiale sabbioso e per l’altro 50% da argilla, calcare e humus in parti uguali.

La valutazione pratica del terreno In base a quanto abbiamo osservato in precedenza, è possibile identificare la qualità di un terreno in misura abbastanza soddisfacente ai fini pratici. Allo scopo si effettua uno scavo infiggendo la vanga verticalmente per un tratto di 50 cm e per un’uguale profondità. Si osserva dapprima il tipo di struttura, il colore, la presenza o meno di residui organici e di lombrichi. In base a questa analisi possiamo distinguere diversi tipi di terreno. Sciolto: il colore grigiastro e la grana grossolana indicano materiale di tipo sabbioso, di scarsa coesione ed elevata permeabilità.

52 n Per cominciare

Forte: il colore rossastro o olivastro (a seconda del grado di ossidazione) e la grana fine indicano materiale argilloso, compatto, impermeabile. Di medio impasto: è di colore marrone, con grana né troppo fine né troppo grossolana, e ha una moderata struttura lacunare; è facile da met-

tere a coltura con normali interventi agronomici. Organico: di colore scuro, bruno-nerastro, con grana né troppo fine né troppo grossolana, grumosa, presenta residui organici e lombrichi. Possiamo completare l’analisi visiva con una prova mol-

to semplice ma attendibile. Il terreno sciolto scivola tra le dita anche se bagnato e, posto in un bicchiere di plastica dal fondo forato, filtra rapidamente l’acqua. Quello forte si impasta e, nei casi estremi, si può addirittura modellare; messo nel bicchiere forato lascia passare l’acqua a gocce e in parte rimane in sospensio-

valutazione del tipo di terreno attraverso la manipolazione GRANULOSA/RUVIDA

formare una pallina con le mani

è impossibile

la pallina si sbriciola

suolo sabbioso o sciolto

suolo di medio impasto

SETOSA/PASTOSA

APPICCICOSA/ADESIVA

ricavare un cilindretto di 1 cm di diametro

formare ancora una pallina e, strofinandola tra il pollice e l’indice, giudicare la sensazione al tatto:

è impossibile o si ottiene solo un cilindretto di diametro maggiore

è impossibile ricavare un cilindro più sottile e piegarlo a ferro di cavallo o chiuderlo ad anello

suolo di medio impasto sabbioso

suolo di medio impasto limoso

– ruvida = suolo di medio impasto – pastosa e liscia = suolo limoso argilloso o compatto – con qualche particella sporgente = suolo argillososabbioso o di medio impasto – setosa e opaca = suolo argilloso-limoso o compatto – liscia come sapone e lucente = suolo argilloso o molto compatto

Il terreno n 53

ne, depositando poi una crosta impermeabile. Quello di medio impasto assorbe regolarmente l’acqua e ne cede solo l’eccesso.

La reazione o pH Numerosi e complessi sono i fattori che determinano il rapporto reciproco tra sostanze alcaline (o basiche) e sostanze acide presenti nel terreno: fra i principali le modificazioni indotte dalla flora microbica legata all’humus, la composizione chimica iniziale, la qualità e quantità delle concimazioni, il dilavamento che asporta sostanze solubili o, per contro, la siccità che ne provoca l’accumulo. L’importanza della struttura fisica, determinante per la circolazione dell’acqua e dell’aria, è poi evidente. Ricordiamo infine che i diversi elementi minerali vengono assorbiti dalle radici in proporzioni differenti, in base

al fabbisogno specifico, per una funzione detta assorbimento selettivo. Ne consegue che, a seconda della specie coltivata, si accumula ora l’una ora l’altra sostanza. L’eccesso di acidità o di alcalinità conferisce ai terreni a tessitura fine una compattezza eccessiva, accompagnata da impermeabilità all’acqua e all’aria; con le lavorazioni essi accumulano acqua ma non la smaltiscono, si impastano e formano una crosta destinata a screpolarsi. In entrambi i casi non si ottiene alcun vantaggio dalle concimazioni organiche, che si accumulano indecomposte e ricche di principi attivi non assimilabili dalle piante, quando l’acidità è elevata, mentre vanno soggette a rapida distruzione quando elevata è l’alcalinità. Ciò si spiega con il rallentamento o la cessazione dell’attività microbica nel primo caso, con la sua accelerazione nel secondo. Con la sigla pH 7 si indica la reazione neutra; con pH com-

preso tra 7 e 0, valori crescenti di acidità, con pH da 7 a 14, valori crescenti di alcalinità. Il concetto di pH non è però rigido ma relativo al tipo di coltura, nel senso che non tutte le specie hanno esigenze uguali in fatto di reazione. In linea di massima gli ortaggi desiderano reazione neutra o lievemente spostata verso valori di acidità (più raramente di alcalinità), il che facilita le cose quando su un piccolo appezzamento si desidera impiantare un orto con varie specie secondo le proprie esigenze. LA CORREZIONE

La reazione eccessivamente acida o alcalina del terreno può essere corretta indirettamente attraverso pratiche agronomiche, lavorazioni, concimazioni appropriate. Di seguito i “correttivi” veri e propri. Per i terreni acidi: calcare finemente macinato, marna, argilla calcarea, calce viva (o calce grassa), calce magra.

ANALISI DEL PH Per procedere all’analisi del pH si prelevano i campioni di terreno, si sminuzzano, si mettono in sospensione in un bicchiere di acqua distillata e vi si immerge una cartina al tornasole.

Si confronta la colorazione che essa assume con quella di una apposita scala colorimetrica: nella gamma del rosso si ha reazione acida, nella gamma dell’azzurro reazione alcalina.

54 n Per cominciare

Tutti questi materiali modificano il pH perché apportano calcio, e quindi il loro impiego è razionale soltanto quando le analisi accertano che il difetto è dovuto alla carenza di calcio del terreno; in

caso contrario si può ricorrere a concimi adatti. Per i terreni alcalini: gesso agricolo finemente macinato, fiori di zolfo, solfato di ferro. L’impiego delle acque di ir-

rigazione è un mezzo correttivo valido: le acque dure, ricche di sali di calcio e di magnesio, correggono l’acidità, mentre quelle relativamente pure combattono l’alcalinità asportando sali solubili.

L’organizzazione dell’orto L’orto familiare viene solitamente sistemato in prossimità della casa per potervi agevolmente accedere in ogni stagione, in posizione soleggiata e normalmente sul retro dell’abitazione, quasi nascosto per lasciare spazio al giardino nella parte anteriore. Questa sistemazione permette di collocare adeguatamente anche altri elementi connessi all’orticoltura: cassoni, letti caldi, tunnel, concimaie e capanni per il ricovero degli attrezzi. L’esigenza di luce di gran parte degli ortaggi richiede che non vengano messi a dimora

alberi d’alto fusto sia sulla superficie dell’orto sia intorno a essa. Le essenze arboree possono ombreggiare eccessivamente la vegetazione ortiva, ostacolare le operazioni colturali ed entrare in competizione con le radici nell’assorbimento delle sostanze nutritive e dell’acqua. La recinzione è un completamento necessario dell’orto per evitare scorribande di bambini e cani e salvare le giovani piante dal calpestio, ma anche per proteggere e preservare gli ortaggi da fonti di inquina-

smog rumori

Recinzione con rete plastificata

Recinzione con siepe

mento come possono essere le strade trafficate in prossimità della casa. Il materiale più economico, duraturo, igienico e anche gradevole esteticamente è la rete di ferro plastificata, o interamente di filo plastico, leggerissima e praticamente invisibile. Non richiede manutenzione, non offre asilo ai parassiti e non viene danneggiata dalle sostanze chimiche dei concimi e dei fitofarmaci. È comunque utilizzabile anche una bella siepe di separazione, a patto che non ombreggi eccessivamente gli ortaggi in coltura.

56 n Per cominciare

La messa in coltura di una nuova superficie La maggior parte degli ortaggi sviluppa la propria radice, dove il terreno gliene dia la possibilità, abbastanza profondamente, il che consente loro di usufruire dell’umidità di riserva del suolo così da non soggiacere a rapido e irreversibile appassimento in caso di siccità prolungata e utilizzare più largamente i principi nutritivi di riserva. Un terreno che non è mai stato messo a coltura in precedenza deve necessariamente essere sottoposto a lavorazioni profonde, in pratica a quello che viene chiamato scasso.

Lo scasso deve coinvolgere almeno uno strato di 50 cm, profondità che risulta sufficiente quando il terreno è di buona qualità. Lo scopo principale dello scasso è quello di interrompere la compattezza dello strato superficiale, portando alla luce la terra profonda che, a contatto con l’ossigeno dell’aria e per azione degli agenti atmosferici, si degrada dando luogo a composti minerali semplici, assimilabili dalle piante. Essa viene sostituita dalla terra superficiale, calda, soffice e ricca di microflora e di sostanze nutritive, cui spetta il compito di preparare l’ambiente adatto alla vita delle radici. Con i lavori profondi vengo-

no alla luce materiali inerti grossolani (pietre, ciottoli, detriti vari), grosse radici, pezzi di legno e altri residui vegetali di lunga e difficile decomposizione, che devono essere accuratamente asportati. Vengono anche stanate radici di erbe infestanti e larve di insetti che così sono destinati così a soccombere. Il letame non deve essere seppellito sotto l’intero spessore dello strato coltivabile (50 cm), ma deve restare coperto da soli 10-15 cm di terra; in tal modo si troverà alla portata delle colture. Per quanto riguarda l’epoca più adatta per effettuare i lavori profondi di preparazione, l’autunno è preferibile in

Sistemazione dell’orto a prode sopraelevate: in evidenza l’assenza di coltivazioni sotto l’albero e le stradine molto piccole.

L’organizzazione dell’orto n 57

quanto l’alternarsi del gelo e del disgelo durante l’inverno frantuma le zolle; per contro, il terreno lavorato d’estate si sminuzza eccessivamente e si dissecca. Anche gli inverni miti sono adatti a questi lavori, mentre in quelli rigidi sussistono difficoltà di lavorazione e inoltre le zolle ghiacciate portate in profondità resistono a lungo ostacolando il disfacimento biologico del substrato. Allo scasso segue la sistemazione del terreno, con la quale si sminuzzano ulteriormente le zolle, si colmano avvallamenti e buche, si spiana la superficie imprimendole una lieve inclinazione così da sfruttare la migliore esposi-

zione e da favorire lo sgrondo delle acque. Se non è urgente mettere a coltura l’appezzamento, la tecnica più razionale vuole che i lavori di sistemazione definitiva vengano rimandati alla primavera successiva allo scasso autunnale per lasciare le zolle, grossolanamente suddivise, all’azione disgregatrice delle intemperie. Il lavoro si esegue con l’erpice o, per piccoli orti, con il rastrello, passando più volte secondo linee perpendicolari tra loro, finché lo strato superficiale non appaia ben livellato e di grana uniforme. Attenzione a non insistere troppo con l’erpicatura, per non sminuzzare eccessiva-

mente le zolle, compromettendo la struttura glomerulare del terreno che finisce con il compattarsi. Il terreno va sempre lavorato quando è “in tempera”, quando cioè ha un grado di umidità tale da non impastarsi sugli attrezzi e da non scivolare via. Soprattutto le terre argillose danno origine a zolle durissime se lavorate quando sono secche, a zolle compatte e impermeabili se lavorate quando sono eccessivamente bagnate. Per avere ortaggi tutto l’anno, rendendosi indipendenti dall’acquisto esterno, si calcola che occorrano 100 m2 a persona, ma c’è chi con la prati-

Prima suddivisione del terreno dell’orto in prode con stradine allo stesso livello del piano di coltivazione.

58 n Per cominciare

ca e le cure assidue raggiunge l’autosufficienza, almeno per quanto riguarda i prodotti di consumo abituale, anche con un orticello di 20 m2. Il segreto sta principalmente nell’organizzazione perfetta del lavoro, nella programmazione anticipata del piano di coltivazione, tale da assicurare l’esercizio ininterrotto di tutto l’appezzamento che deve essere sfruttato intensivamente, cioè utilizzato al massimo nel tempo e nello spazio. Ciò si ottiene attraverso un’elevata densità di semina e un rapido susseguirsi delle diverse colture. Le abbondanti concimazioni, le regolari irrigazioni, le semine protette sono i principali strumenti che abbiamo a disposizione. Il programma di coltivazione deve essere però anche passibile di improvvise modifiche, che possono rendersi necessarie quando situazioni estemporanee, come gli imprevisti mutamenti climatici, danneggiano gravemente un ortaggio. Quasi sempre, ai tentativi di recupero, che comportano soltanto perdite di tempo e di denaro, è preferibile la pronta sostituzione con nuove piantine, della medesima o di altra specie, di cui il vivaio deve essere sempre fornito, oppure provvedere con una nuova semina. Le diverse soluzioni ci vengono suggerite dal calendario delle se-

mine e dei trapianti e, naturalmente, dalla lunghezza del ciclo colturale degli ortaggi sostitutivi. Dopo i “grandi lavori di sistemazione” l’appezzamento va suddiviso in parcelle, ciascuna riservata a una coltura diversa. Ciò per motivi di ordine, semplificazione e organizzazione del lavoro, per la possibilità di adottare cure colturali differenziate a seconda delle esigenze specifiche dei singoli ortaggi, ma soprattutto per poter calcolare la superficie necessaria a ottenere un determinato quantitativo di prodotto. Mentre la lunghezza delle aiuole non è importante, la larghezza deve essere tale da permettere le operazioni colturali: in genere si adottano parcelle di 5 m2, lunghe 5 m e larghe 1. La suddivisione si ottiene mediante sentieri della larghezza minima di 30 cm, più ampi se lo spazio lo consente, così da permettere il passaggio di eventuali attrezzi meccanici o carriole. Con il sistema tradizionale di irrigazione per scorrimento e infiltrazione, le singole aiuole sono sopraelevate rispetto ai sentieri, che fungono da canaletti distributori dell’acqua. Con i moderni sistemi a pioggia e a goccia, aiuole e sentieri possono invece trovarsi allo stesso livello, con risparmio di lavora-

zioni preliminari e di spazio. È infatti da tener presente che nelle parcelle sopraelevate, la superficie non è utilizzabile fino all’orlo. Occorre però ricordare che, indipendentemente dalla tecnica di irrigazione prescelta, è opportuno in alcuni casi mettere in atto alcuni accorgimenti: se per esempio il terreno è compatto e si temono ristagni, si esegue una leggera baulatura delle aiuole, così da facilitare lo sgrondo dell’acqua, oppure si riduce l’ampiezza delle prode (invece di 1 m, 70-80 cm). Se invece si teme la siccità e occorre risparmiare l’acqua, si abbassa il livello delle aiuole rispetto a quello dei sentieri o dei canaletti, affinché l’acqua stazioni più a lungo e venga trattenuta in maggiore quantità. Nel livellare le singole parcelle non bisogna trascurare di mantenere l’inclinazione adatta ai fini dell’esposizione migliore.

La successione delle colture Molti ortaggi coltivati rimangono sulle prode per periodi estremamente brevi, per questo è necessario programmare con cura l’alternarsi delle coltivazioni allo scopo di avvantaggiare la produzione

L’organizzazione dell’orto n 59

e mantenere inalterata la fertilità del suolo. Il succedersi dei diversi ortaggi su uno stesso appezzamento si chiama “rotazione delle colture” ed è una modalità di lavorazione attuata da sempre su piccole

superfici per i molteplici vantaggi che offre. Questa pratica, nella sua concezione più semplice, consiste nel far seguire l’un l’altro sul medesimo appezzamento ortaggi appartenenti a specie

differenti, e quindi con esigenze diverse e possibilmente opposte, così da ovviare al fenomeno della “stanchezza del terreno”. Ogni specie vegetale ha una composizione chimica pro-

20 m pomodori

barbabietole

carote

cavoli

pomodori

cipolle e aglio

cardi

cavoli

melanzane

insalate

spinaci

patate

patate

porri

rape

patate

patate

peperoni

finocchi

asparagi

asparagi

fagiolini

fagiolini

asparagi

asparagi

fagioli

fagioli

zucche

zucche

fave

piselli

meloni

cetrioli

piselli

piselli

meloni

SEMENZAIO

carciofi

carciofi

20 m

sedani

Distribuzione delle colture su una superficie di 400 m2, sufficienti per il fabbisogno di una famiglia di quattro persone adulte.

60 n Per cominciare

La consociazione In relazione a quanto detto sul diverso sfruttamento del terreno, è possibile, in particolare su piccole superfici, attuare la consociazione, cioè la coltivazione contemporanea sullo stesso appezzamento di ortaggi con caratteristiche ed esigenze diverse. Si tratta di una pratica che ha lo scopo di sfruttare al massimo e di non disperdere la fertilità del terreno, di ottenere un incremento della produzione unitaria e annua, di ridurre infine l’onere relativo alle cure colturali, all’irrigazione, alla fertilizzazione. Per praticare la consociazione è necessario anzitutto che le specie vegetali abbiano esigenze analoghe in fatto di stagione, di terreno e di tecnica colturale. In secondo luogo devono avere fabbisogni qualitativamente diversi riguardo i singoli principi nutritivi. Infine, è bene che abbiano caratteristiche botaniche contrastanti, in modo da non

Consociazione di cipolla e lattuga.

entrare in competizione tra loro. Si consociano per esempio specie a radice superficiale con altre a radice profonda e specie con chioma espansa con altre a chioma modesta. In genere le specie consociate hanno ciclo produttivo di differente durata, per cui il posto lasciato libero dalla prima a maturare può essere occupato dall’altra. Da ciò deriva la possibilità di coltivare un ortaggio a ciclo breve frammisto a un altro a ciclo lento, che impiega più tempo a svilupparsi nella prima fase. Per organizzare meglio il lavoro anche negli anni successivi è molto utile tenere un diario in cui segnare date di semina o di raccolta, quantità e qualità di produzione, incidenza delle malattie, andamento meteorologico, spese sostenute ecc. Si possono in tal modo rilevare eventuali errori per poterli correggere in futuro.

Consociazione di lattuga e asparagi.

L’organizzazione dell’orto n 61

pria e costante, alla quale corrisponde un particolare assorbimento di elementi minerali, specifico per quantità e per qualità. Quando si coltiva per più anni una medesima specie nella stessa aiuola, a ogni raccolto si verifica l’asportazione di determinate sostanze richieste dalla pianta e un parallelo accumulo nel terreno di altre di cui la pianta stessa ha un fabbisogno scarso o nullo. Inoltre, si ha anche l’accumulo di sostanze di rifiuto emesse dalle radici a seguito del metabolismo. Ne consegue un mutamento delle caratteristiche chimiche del terreno, e quindi anche del

Alcuni tipi di vanga.

pH, della struttura, della permeabilità, della microflora e così via; mutamento che va in una direzione unica e opposta alle esigenze della specie in questione e che conduce a una degradazione in senso assoluto che rende a lungo andare il substrato inospitale per qualsiasi coltivazione. Il fenomeno della stanchezza si verifica anche quando si susseguono specie non necessariamente appartenenti alla medesima famiglia, ma che abbiano per esempio analogo apparato fogliare e radicale, o che forniscano prodotti dello stesso tipo. Si deve inoltre tenere presente che nella maggior parte dei casi i parassiti

animali e vegetali sono specifici di un singolo ortaggio o di ortaggi della stessa famiglia e che quindi il ripetersi di colture “ospiti” crea l’ambiente favorevole alla diffusione e alla virulenza delle malattie.

Gli attrezzi Negli ultimi anni anche gli attrezzi per la lavorazione di un piccolo orto presentano novità considerevoli. Non sono cambiati certamente gli arnesi manuali per la lavorazione del terreno: le vanghe di varie fogge, quadrate, trapezoi-

Alcuni tipi di zappa: triangolare, doppia con bidente, quadrata, per scerbatura.

62 n Per cominciare

dali o triangolari, per essere utilizzate rispettivamente su terreni sciolti, medi o compatti, sono però ormai commercializzate con manici estremamente più leggeri di quelli tradizionali per evitare eccessivi affaticamenti all’operatore. Lo stesso vale per zappe, rastrelli e forche. Il vecchio e classico “zappone” è stato sostituito da leggere zappette studiate per le differenti operazioni: non solo la forma rettangolare del sarchiello adatto alla estirpazione delle malerbe e a una sarchiatura estremamente superficiale, ma anche la forma “a cuore” per quella che può maggiormente avvicinarsi alla base della vegetazione senza danneggiare le radici. Sempre utili risultano comunque le normali zappette doppie dove a un’estremità è presente il bidente mentre nella parte opposta la lama è quadrangolare. La novità è rappresentata dalla commercializzazione di mezzi meccanici a motore, leggeri e maneggevoli, che sostituiscono degnamente, anche se parzialmente, vanga e zappa. Motocoltivatori di piccole dimensioni e a prezzi contenuti alleviano notevolmente le operazioni di vangatura, interramento del letame e sminuzzamento delle zolle. Per ognuna di queste operazioni sono previste parti meccaniche specifiche che si sostitui-

scono all’occorrenza con semplicità. Il letto di semina ottenuto con queste macchine si presenta particolarmente omogeneo e uniforme e gli attrezzi manuali servono solo per rifinire il lavoro. Sono sempre uguali i rastrelli, sia quello “da terreno”, corto e stretto con pochi denti pesanti, sia quello “da fieno” dai denti lunghi, numerosi e leggeri per meglio raccogliere il materiale, ammassarlo in mucchio e caricarlo sulla carriola con la forca. Quest’ultimo attrezzo viene anche utilizzato per togliere dal terreno i tuberi e i bulbi evitando i danneggiamenti e per il movimento del letame. L’elenco degli attrezzi potrebbe essere ancora molto lungo: ciascuno di noi predilige determinate operazioni e sceglie con cura le attrezzature più idonee alle proprie necessità. Molto più importan-

te ci sembra dedicare spazio alla manutenzione. LA CURA DEGLI ATTREZZI

Quando l’orto è ricoperto da una spessa coltre di neve o la temperatura media giornaliera è costantemente al di sotto degli zero gradi l’unica attività possibile, oltre alla raccolta sotto tunnel o cassone e al controllo di questi manufatti, è quella di occuparsi della sistemazione degli attrezzi lavorando in un luogo caldo e riparato. Il buon ortolano dovrebbe avere cura e attenzione per la propria attrezzatura tutti i giorni dell’anno. Abbandonarla nell’orto terminato il lavoro fa sì che si logori più velocemente sotto l’azione degli agenti atmosferici, in particolare sole e pioggia (ossidazione delle parti metalliche e fessurazioni delle parti legnose).

Affilatura di una lama con l’ausilio di una morsa.

L’organizzazione dell’orto n 63

Radunarla al riparo permette di avere a portata di mano ogni cosa al momento del bisogno ed è la miglior “manutenzione” che si possa praticare. Il controllo degli attrezzi deve cominciare da quelli più usati: vanga, zappa, forca e rastrello. Se i manici sono di legno controllare che non siano incrinati, fessurati o addirittura rotti. In questo caso occorre togliere dal “collare” la parte del legno rimasta inserita: lo si può fare spingendo verso l’esterno il moncone con un punteruolo e una mazza di legno. Se l’operazione si presenta difficoltosa è sufficiente scaldare l’anello e la dilatazione del metallo consentirà la rapida fuoriuscita del pezzo incastrato. Spesso questi collari sono apribili e quindi si può facilmente adattare il manico al supporto metallico. Nella parte superiore del collare sono presenti uno o due fori che consentono di inserire una vite (meglio non usare chiodi) per rendere ben saldo l’attrezzo. Quando si inserisce il manico bisogna sempre avere particolare attenzione alla curvatura (deve essere rivolta verso l’alto) e al bilanciamento ottimale della vanga. I manici ancora in perfetta efficienza devono essere oliati con olio di lino o rivestiti di nastro adesivo plastico per migliorarne l’impugnatura.

In alcune regioni italiane è in uso lasciare la vanga (o gli altri attrezzi a cui è stato sostituito il manico di legno) a bagno in un secchio di acqua per un paio di giorni per favorire il rigonfiamento della parte terminale. Le parti metalliche della vanga e della zappa, dopo essere state ripulite da ogni residuo, si levigano con carta vetrata su tutta la superficie e poi si affilano leggermente i bordi terminali per consentire una migliore penetrazione nel terreno al momento dell’utilizzo. Se non si possiede una mola basta inserire la lama in una morsa e affilarla con una comune lima triangolare per metalli. I denti del rastrello devono riprendere la loro posizione iniziale: occorre raddrizzare quelli storti e battere con un martello quelli che hanno subito modificazioni in punta. Anche la forca può presentare la necessità di ridistanziare e appuntire i denti. L’operazione conclusiva è la distribuzione, con un pennello, di una sottile mano di olio di lino su tutte le parti metalliche: ciò preserva dall’ossidazione specialmente se gli attrezzi sono conservati sotto un portico e non in un locale chiuso. Il contenitore in plastica della carriola deve essere solo lavato ed asciugato mentre se è di metallo occorre sem-

pre controllare il fondo: potrebbe essere “consumato” e presentare piccoli fori. Questo capita spesso a causa di ristagni d’acqua o per l’azione corrosiva dei residui del materiale trasportato: vegetali e letame.Tutta la parte metallica deve essere raschiata con carta vetrata e riverniciata dopo aver steso una buona mano di antiruggine.Verificare e ingrassare l’ingranaggio della ruota, la tenuta della camera d’aria e che il battistrada non sia eccessivamente usurato. Le carriole di legno sono ormai in disuso, ma anche loro, se ci sono, devono essere sistemate sostituendo con delle nuove assi quelle usurate. I tubi di gomma per irrigare devono essere riposti completamente svuotati dall’acqua per impedire il proliferare delle alghe: è opportuno verificare eventuali perdite e provvedere se necessario alla sostituzione. Per conservarne a lungo l’elasticità e l’integrità è necessario non lasciarli esposti agli sbalzi termici. Soprattutto il gelo, ma anche il sole sono le principali cause delle fessurazioni che li rendono inservibili. Gli irrigatori necessitano di ripuliture accurate per eliminare le incrostazioni: il calcare che ottura i fori viene rimosso immergendoli per qualche ora in una soluzione

64 n Per cominciare

debolmente acida (aceto o altri prodotti in commercio). Poi, lavati e asciugati, sono pronti per essere riposti dopo aver verificato anche lo stato delle guarnizioni. Il rullo avvolgitubo deve essere solo oliato e ingrassato. L’annaffiatoio, di plastica o di metallo, non deve avere perdite e risultare asciutto e pulito: in particolare la rosetta va ripulita dalle eventuali incrostazioni formatesi. La pompa irroratrice per i trattamenti fitosanitari è certamente lo strumento che necessita di maggiori cure e attenzioni. La sua manutenzione deve avvenire subito dopo ogni utilizzo e non solo quando deve essere riposta nella stagione invernale. Il pericolo più grave in cui può incorrere un orticoltore sprovveduto è quello di utilizzare la pompa sporca di residui di un trattamento precedente o, ancora peggio, di un diserbante, con inevitabili danni alla coltura. Lo stesso può dirsi anche per altri contenitori con cui si praticano interventi fitosanitari, come l’innaffiatoio o gli spruzzatori manuali. La manutenzione invernale, sia per le pompe in plastica sia per quelle in rame, consiste nel controllare eventuali perdite, incrostazioni e indurimenti o fessurazioni delle parti in gomma. Queste ultime devono es-

sere sostituite abbastanza frequentemente. Coltelli e cesoie devono essere affilati e oliati: anche loro necessitano di accurata pulizia dopo ogni uso perché è ormai scientificamente provato che sono fra le principali fonti di trasmissione delle malattie (in particolare le virosi) da una pianta all’altra. Se non si è particolarmente esperti, è buona norma far affilare le lame a chi è dotato della strumentazione adatta. Controllare la molla delle cesoie e ricordarsi sempre di conservare questi attrezzi taglienti chiusi e protetti dalla loro custodia. Le reti di sostegno in plastica, se ancora riutilizzabili, vanno pulite da tutti i residui della vegetazione e lavate con acqua addizionata a un prodotto disinfettante (per esempio candeggina) per premunirsi dalla presenza microscopica di organismi svernanti. In seguito vanno arrotolate ordinatamente su un palo e riposte. I pali di legno utilizzati nella stagione precedente conviene eliminarli e procurarsene di nuovi. Anche se il legno può apparire ancora integro difficilmente riuscirebbe a resistere una seconda stagione. È comunque consigliabile il non riutilizzo perché possono essere fonte di infezione per le colture suc-

cessive. Molti funghi o insetti svernano infatti nelle piccole cavità del legno, pronti a entrare in azione sulle nuove colture. In commercio sono presenti tutori di plastica di dimensioni e lunghezze variabili: sono robusti, leggeri e maneggevoli. Il maggior inconveniente consiste nel surriscaldamento della loro superficie che può verificarsi nelle calde e soleggiate giornate estive e che provoca la allessatura dei giovani germogli. Se si è optato per l’utilizzo di questo tipo di sostegni, prima di riporli legati in mazzi, è necessario lavarli accuratamente e disinfettarli. I migliori pali restano comunque le canne di bambù che durano anni e hanno una capacità di sostegno eccezionale. Meno durature ma anche molto meno costose sono le canne palustri (Arundo donax) che si possono raccogliere e preparare proprio nella stagione invernale. Occorre avere l’accortezza, essendo l’internodo vuoto, di tagliare appena al di sopra di un nodo per impedire l’infiltrazione dell’acqua che le rovinerebbe anzitempo. IL CAPANNO DEGLI ATTREZZI

Per eseguire razionalmente e con risparmio di tempo e fatica i lavori nell’orto, è indispensabile che gli attrezzi ne-

L’organizzazione dell’orto n 65

cessari siano a portata di mano, riuniti ordinatamente in un capanno in prossimità dell’appezzamento coltivato. Dipende dalla bravura, dai mezzi e dal tempo disponibile di ciascuno la scelta della struttura e dei materiali di costruzione, ma è certo che, anche con una spesa e una fatica modeste, si può realizzare un capanno funzionale, bello e duraturo. Possiamo per esempio utilizzare materiali di ogni genere provenienti dallo sgombero di solai e cantine, o recuperabili in seguito a opere di riammodernamento della

Capanno per gli attrezzi

casa: vecchie persiane, infissi, tegole, tettoie di vetroresina, di lamiera; e anche grosse pietre, mattoni sbeccati e piastrelle, molto adatti per fare basamenti e pavimentazione. Per scegliere e mettere assieme materiali eterogenei e di scarto come quelli che abbiamo nominato occorre naturalmente avere fantasia e buon gusto, altrimenti il risultato potrebbe essere un esemplare da “bidonville”, cioè un facsimile di quelle baracche che purtroppo ancora oggi si vedono alla periferia delle metropoli e che sembrano esse-

re prese a modello da molti proprietari di orti. È importante che il capanno sia asciutto e aerato all’interno, così gli attrezzi asciugano rapidamente, le parti in ferro non arrugginiscono, i manici di legno non marciscono e vi possono essere conservati adeguatamente anche insetticidi e concimi che l’umidità altera facilmente. Pavimento isolato dal terreno, pareti impenetrabili dalla pioggia e tetto a tenuta perfetta sono le condizioni indispensabili perché il capanno risulti veramente utile e utilizzabile.

66 n Per cominciare

L’intera struttura può poggiare su uno strato di ciottoli, su corti pali conficcati nel terreno o su qualche fila di mattoni messi di costa. I ciottoli possono fungere anche da pavimento, oppure questo può essere formato con listelli di legno leggermente distanziati tra loro per impedire i ristagni dell’acqua e del fango che inevitabilmente si portano dentro con gli stivali quando piove o quando si annaffia. Per le pareti del capanno una soluzione ideale è costituita dall’impiego di persiane, che non permettono all’acqua di

Capanno con tetto a due spioventi

penetrare ma consentono il ricambio d’aria. Inoltre non lasciano entrare topi e altri animali di una certa dimensione, mentre è sufficiente spruzzare di tanto in tanto un insetticida tra le assicelle per impedire che vi si annidino gli insetti per deporre le uova, imbozzolarsi, formare colonie. Anche un graticcio, un traliccio di canne, una rete piuttosto fitta servono alla realizzazione delle pareti, purché il tetto sia abbastanza ampio da impedire alla pioggia di battervi contro.

Il tetto può essere a uno o due spioventi inclinati quanto basta a evitare che crolli sotto il peso di eventuale neve. Materiali adatti per la copertura sono le tegole, che richiedono un non facile lavoro di travatura sottostante, vetroresina, vetro retinato, o semplicemente un tavolato di legno reso impermeabile con una vernice al bitume. Molto gradevole può riuscire un tetto realizzato con un traliccio di canne composto da due strati inframmezzati da un foglio di plastica resistente o da un cartone catramato.

L’organizzazione dell’orto n 67

L’entrata deve essere chiusa con una porta, da realizzarsi nei medesimi materiali usati per la struttura. Molto semplice è per esempio incernierare a uno stipite, o direttamente sul paletto di sostegno in corrispondenza di uno spigolo, una o due persiane. Per quanto riguarda le dimensioni, ognuno le decide in base al proprio orto e agli attrezzi che possiede. Per un capanno piccolo, una pianta quadrata e quattro pali di sostegno sono sufficienti, mentre per una pianta rettan-

Capannina sussidiaria

golare di una certa lunghezza occorrono altri due sostegni al centro. Comunque, anche una struttura composta da materiali poveri o di recupero e rifinita approssimativamente da una persona non esperta può essere mascherata con un rampicante perenne o con cespugli sempreverdi. Materiali eterogenei si accostano meglio tra loro se verniciati con cura dello stesso colore, che non dovrebbe in ogni caso dare mai eccessivo risalto alla costruzione: verde o marrone sono sicura-

mente le tinte più adatte. L’arredamento interno deve essere studiato in modo da sfruttare al massimo lo spazio così che ogni cosa abbia un posto e ci sia un posto per ogni cosa, attrezzo o altro. Ci devono essere mensole robuste e un soppalco, se il capanno è abbastanza alto e ampio; e poi chiodi, ganci, rastrelliere. Tutto deve stare appeso o appoggiato a ripiani fatti a listelli o di rete, in modo che la terra aderente agli attrezzi si asciughi in fretta e si possa facilmente rimuovere. Soltanto gli insetticidi avranno un armadietto chiuso a chiave e sistemato il più in alto possibile, fuori dalla portata di bambini e animali. Nel capanno si stendono sementi e bulbi ad asciugare al riparo dalle intemperie e, se il clima lo permette, possono rimanervi anche durante l’inverno assieme alle piante non rustiche. Se l’orto è molto piccolo è meglio non sottrargli spazio per il capanno e utilizzare quindi per il ricovero degli attrezzi locali annessi alla casa, garage o cantine, oppure provvedere con capannine sussidiarie piccolissime, simili ad armadi, addossate alla recinzione o a un albero e mimetizzate tra la vegetazione.

La preparazione del terreno Per tradizione, per procedere con ordine e per organizzare meglio il lavoro si è detto che inizialmente è necessario suddividere il terreno in prode che devono presentare caratteristiche tali da agevolare tutte le lavorazioni, dalla semina alla raccolta compresa. Ogni anno, o anche più spesso se il tempo di occupazione del suolo è breve, è necessario intervenire con i lavori preparatori sulle singole parcelle. Solitamente queste operazioni si effettuano in autunno quando la maggior parte delle prode si presenta libera dalle coltivazioni ed è necessario aspettare tempi climaticamente più favorevoli per una nuova messa in coltura. Inoltre, lasciare le zolle all’azione benefica del gelo invernale favorisce un miglior immagazzinamento dell’acqua nel terreno, una più regolare disgregazione delle particelle e la distruzione di forme ibernanti di parassiti portati allo scoperto con la vangatura.

La vangatura Sulla proda liberata dai residui della vegetazione precedente (che andrebbero allontanati e non interrati ma posti nella concimaia o bruciati) si distribuisce uno strato di letame, di compost o di terriccio che dovrà essere interrato con la vangatura. Se la vangatura viene effettuata più avanti nel tempo, il letame

sparso sulla superficie inizia ad amalgamarsi al terreno rendendo più facile la successiva operazione di interramento. È molto pratico anche eseguire la letamazione contemporaneamente alla lavorazione, interrando il materiale organico man mano si procede con il rovesciamento delle zolle, posizionandolo sul fondo della buca e ricoprendolo con la terra asportata dalla vangata successiva. La vangatura

“zoccolo” di lavorazione che si forma se per più anni si vanga alla stessa profondità

Dimensione ottimale delle “fette” di terreno per una facile e agevole operazione di vangatura.

70 n Per cominciare

non deve essere troppo profonda, è sufficiente rimuovere i primi 25-30 cm di substrato: è importante però, ogni anno, variare la profondità per impedire che si formi sul fondo dell’aiuola uno zoccolo di terreno duro che, a lungo andare, rallenta l’attività biologica e impedisce lo sgrondo dell’acqua in profondità creando ristagni molto dannosi. Con la vangatura si procede lavorando all’indietro, per non calpestare il terreno appena smosso, e tagliando fette di terra non particolarmente grandi allo scopo di favorire il rivoltamento delle zolle e lo “sminuzzamento” del terreno. La vangatura manuale può essere sostituita con l’aratura eseguita mediante piccoli motocoltivatori forniti di numerosi accessori adatti alle diverse operazioni colturali, che possono così essere svolte tutte meccanicamente. La vangatura va eseguita all’inizio di ogni ciclo colturale, tuttavia, compatibilmente con le necessità di programmazione dell’orto legate al clima, si dovrebbero seguire alcuni criteri tecnici atti a migliorare le caratteristiche del terreno. I terreni sciolti vanno preferibilmente vangati in autunno mentre in primavera si erpicano solamente. Per contro, quelli argillosi-compatti si vangano in primavera-estate, per smaltire l’umi-

Il rivoltamento delle zolle procede per file parallele.

Distribuzione del letame sulla superficie da vangare. L’operazione di vangatura può essere eseguita in un secondo tempo.

La preparazione del terreno n 71

dità stagnante grazie al calore e all’evaporazione. Nei nostri climi, la maggioranza delle semine avviene al termine dell’inverno e in primavera; con terreni di buona qualità, motivi organizzativi suggeriscono di vangare in autunno, con il terreno sgombro da vegetazione. Grazie alla vangatura autunnale, l’orto si presenta ordinato e pulito durante l’inverno, esteticamente accettabile anche in mezzo al giardino; inoltre in primavera ci troveremo alleggeriti del la-

voro più impegnativo e pesante e potremo dedicarci alle semine anticipate nei cassoni e nei tunnel. Una semplice erpicatura, seguita da una rastrellatura, è sufficiente per completare lo sminuzzamento delle zolle e per rendere la superficie uniforme. Con la vangatura si sotterrano i concimi organici e i fertilizzanti chimici complessi, la cui utilizzazione è a lunga scadenza e frazionata nel tempo. Quando precede di poco la semina o il trapianto, occorre impiegare letame perfettamente

maturo, mentre in autunno si può interrare anche letame meno stagionato, che completerà la maturazione in primavera.

La zappatura Nella primavera successiva alla vangatura autunnale la proda si presenta con il terreno già sminuzzato dall’azione degli agenti atmosferici e quindi è facile, con qualche rastrellatu-

Distribuzione del letame man mano che si procede con il rovesciamento delle zolle: si scava la prima fila e subito si distribuisce il letame che sarà ricoperto dalla terra della vangata successiva. La lavorazione procede all’indietro.

72 n Per cominciare

ra, pareggiare la superficie e procedere con le semine o i trapianti degli ortaggi. Se la vangatura si effettua invece subito prima delle semine, le zolle devono essere frantumate con la zappa e poi la superficie va pareggiata con il rastrello. La zappa si utilizza procedendo in avanti per osservare meglio il lavoro da svolgere: con la parte metallica si colpiscono le zolle frantumandole in porzioni sempre più piccole che verranno poi ulteriormente sminuzzate con il rastrello. Perché il lavoro risulti efficace è necessario che le zolle siano umide, ma non bagnate o, come si dice comunemente, il terreno deve essere “in tempera”. A fine zappatura i bordi alti della proda vanno battuti con la parte piatta della vanga per contenere meglio il terreno e dare la tipica forma rettangolare, lasciando pulito e regolare il passaggio sulle stradine laterali. Quando il terreno è soffice e fresco, tra una coltura e la successiva può essere sufficiente, anziché vangare, rompere con la zappa la crosta superficiale e rimuovere le infestanti. La zappa viene poi utilizzata per tutto il ciclo produttivo delle piante in quanto è lo strumento ideale per le sarchiature, le rincalzature, il diserbo meccanico, la sistemazione dei canaletti di irrigazione ecc.

La sarchiatura Si esegue nel corso della coltivazione e consiste in una zappatura leggera e superficiale che ha lo scopo di impedire la formazione di crosta, difetto comune ai terreni argillosi e a quelli sabbiosi. Sotto la superficie compatta del terreno, infatti, si formano canaletti capillari verticali, attraverso i quali l’umidità del sottosuolo evapora facilmente; interrompendo con le lavorazioni la continuità dei canaletti, si frena la risalita dell’acqua.

La sarchiatura inoltre, se frequente, impedisce alle radici delle erbe infestanti di radicare in profondità. Ricordiamo che il terreno ben lavorato assorbe uniformemente e in profondità l’acqua, accumula calore durante il giorno e umidità durante la notte; permette la circolazione dell’aria e l’emanazione di anidride carbonica. Le sarchiature devono interessare uno strato esiguo di terreno, per non lesionare le radici delle piante, che specie in prossimità del piede corrono superficialmente, e per

Operazione di sarchiatura con l’apposita zappa, denominata “sarchiello”.

La preparazione del terreno n 73

non aumentare, anziché frenare, le possibilità di evaporazione mettendo allo scoperto zolle profonde. Le sarchiature si eseguono: – quando le piantine derivate dalla semina o dal trapianto hanno un’altezza di qualche centimetro e sono ben radicate e ferme sulla fila; – ogniqualvolta piogge violente o annaffiature non ben nebulizzate compattano e costipano la terra (occorre però attendere che il terreno sia “in tempera”, altrimenti si compatta ulteriormente);

– superato il pericolo di gelate, in primavera, per dare ossigeno al terreno attorno al piede degli ortaggi che hanno svernato a dimora. Le sarchiature sono un lavoro oneroso e le persone non esperte spesso le trasformano in un’arma pericolosa per le radici superficiali delle piante. Si può ovviare al pericolo mettendo a dimora o seminando a maggiori distanze per permettere il passaggio agevole della zappa tra le piante. In questo modo però si incorre in una maggior diffusione di infestanti sulla proda che possono comunque essere eliminate sia con la zappatura sia ricorrendo alla scerbatura, vale a dire estirpando con le mani le giovani erbe infestanti.

– mantenere il terreno umido attorno al piede; – proteggere dal freddo le colture invernali; – provocare l’emissione di radici avventizie nella zona del colletto di piantine che al trapianto hanno apparato radicale povero (che tuttavia dovrebbero essere scartate); – provocare l’emissione di getti basali da impiegare per la riproduzione vegetativa (per esempio nel carciofo); – ottenere l’imbianchimento, grazie all’esclusione della luce, di alcuni ortaggi (bietole, sedani, asparagi, indivie, porri ecc.). Nel rincalzare non bisogna mai sotterrare le foglie, a meno che lo scopo non sia l’imbianchimento. La terra deve essere disposta a monticello, ben compressa, e precedentemente bagnata, altrimenti non rimane in posizione.

La rincalzatura Evaporazione dell’acqua dal terreno in estate.

Terreno dopo la sarchiatura.

Con il rincalzo si accumula un po’ di terra attorno al piede delle piante con scopi diversi: – aumentare la stabilità nelle posizioni ventose e nei terreni in discesa, dove lo scorrimento dell’acqua può denudare le radici superficiali; – evitare ristagni alla base delle piante in caso di piogge prolungate;

Per procedere con la rincalzatura, occorre che la terra sia leggermente bagnata.

74 n Per cominciare

Che la terra sia umida è importante, per mantenere la freschezza in estate (il terreno sottostante va abbondantemente inumidito) e per proteggere dal freddo in inverno: il ghiaccio che si forma ha, infatti, funzione coibente.

L’uso del rastrello Si è già accennato come, dopo vangatura e zappatura, il ra-

strello svolga la funzione di sminuzzare ulteriormente le particelle terrose. Questo attrezzo diventa estremamente importante anche nella fase di semina, in particolare di quegli ortaggi a semi molto piccoli (lattughe, cicorie, carote, prezzemolo ecc.), in quanto i ripetuti passaggi dei denti sulla proda permettono l’interramento e una distribuzione più uniforme della semente. L’operazione di rastrellatura si effettua posizionandosi ai

bordi della proda, sulle stradine, senza calpestare il piano di lavoro, interrando i denti dell’attrezzo solo per pochi centimetri. Al termine della coltivazione la raccolta dei residui della vegetazione è facilitata dall’uso del rastrello: si utilizza un rastrello a denti più lunghi e radi e, quando saranno formati i mucchi di materiale di scarto, con la forca si provvede al caricamento sulla carriola e al trasporto nella concimaia.

I ripetuti passaggi del rastrello sul terreno hanno la funzione di sminuzzare ulteriormente le particelle, pareggiare la superficie, interrare i semi e distribuirli uniformemente.

La fertilizzazione

Il terreno possiede naturalmente un certo grado di fertilità che è solitamente garantito dalla composizione chimica delle particelle che lo costituiscono. La coltivazione dell’orto, anche quella di tipo casalingo, sottopone il terreno a una sottrazione continua e costante di elementi che sono utilizzati dalle piante per la formazione della vegetazione e dei prodotti. È quindi necessario intervenire con apporti minerali che ripristinino le condizioni migliori per tutte le coltivazioni successive. Per questo annualmente si devono somministrare buone dosi di macroelementi (azoto, fosforo e potassio) e piccole quantità di microelementi (calcio, magnesio, ferro, manganese, cobalto, boro, zinco ecc.) sia sotto forma di concimi organici sia come prodotti chimici comunemente reperibili in commercio. Per un razionale impiego dei concimi è utile conoscere le funzioni specifiche che i singoli elementi nutritivi svol-

gono nei confronti dello sviluppo vegetativo e del ciclo biologico delle piante, dai quali dipendono la quantità, la qualità e l’epoca del raccolto. Azoto. È il principale costituente delle proteine e si trova in ogni parte della pianta: radici, fusto, foglie, fiori, frutti e semi. Stimola particolarmente lo sviluppo vegetativo ed è quindi indispensabile a tutte le specie di ortaggi dalla semina fino alle prime fasi del ciclo. In seguito, traggono molto vantaggio dalle abbondanti somministrazioni di azoto gli ortaggi da foglia (insalate, cavoli, spinaci ecc.) che si sviluppano rimanendo teneri, mentre altri vengono negativamente influenzati producendo una quantità eccessiva di fogliame a scapito della produzione di frutti, radici, tuberi, bulbi, oppure dando un raccolto tardivo. Le carenze di azoto si manifestano vistosamente con arresto di sviluppo e ingiallimento delle foglie.

Fosforo. Influisce positivamente sulla robustezza della pianta, equilibrando gli effetti stimolanti della crescita provocati dall’azoto; accresce la resistenza alle malattie, favorisce lo sviluppo radicale e la produzione dei frutti, anticipandone la maturazione e accrescendone la conservabilità. Si trova localizzato soprattutto negli organi sotterranei, nei frutti e nei semi. A causa di dosi eccessive di fosforo, gli ortaggi da foglia risultano poco teneri. Potassio. Favorisce la sintesi degli zuccheri e degli amidi e il loro accumulo negli organi di riserva e nei semi; stimola la formazione dei fiori e quindi anche dei frutti e dei semi; migliora la pezzatura, la colorazione, il tenore zuccherino dei frutti. Calcio. Promuove la germogliazione e la formazione dei tessuti vegetali, quindi è indispensabile in ogni fase del ciclo; aumenta la resistenza alle avversità e la qualità dei pro-

76 n Per cominciare

I CONCIMI SEMPLICI

Azotati I nitrati: sono concimi di pronto effetto che contengono azoto nitrico, rapidamente assorbito dalle radici ma soggetto a dilavamento; sono distinguibili: – nitrato di calcio: fisiologicamente alcalino, corregge i terreni acidi per scarsità di calcare; – nitrato potassico: fisiologicamente neutro; – nitrato ammonico: contiene azoto nitrico di rapida utilizzazione e azoto ammoniacale di lenta utilizzazione perché fissato dal terreno; è un concime a duplice effetto, pronto e graduale; è fisiologicamente neutro; – solfato ammonico: contiene azoto ammoniacale di lenta e graduale utilizzazione; è un concime di fondo; fisiologicamente acido; – calciocianamide: contiene azoto ammoniacale, di lenta e graduale utilizzazione; fisiologicamente alcalino, corregge i terreni acidi; – urea agricola: contiene azoto organico, che nel terreno si converte in azoto ammoniacale.

Contengono un elemento fertilizzante principale, in base al quale vengono classificati, e generalmente uno o più elementi secondari a esso legati nella formula chimica.

Fosfatici – perfosfati minerali: contengono il fosforo sotto forma di anidride fosforica, che viene assimilato dalle

dotti, che risultano più sapidi e più durevoli. Zolfo. È parte integrante delle proteine. Magnesio. È il componente essenziale della clorofilla. Microelementi. Svolgono, in dosi infinitesimali, azione catalizzatrice, cioè condizionano e stimolano le funzioni fisiologiche.

I concimi minerali o chimici È molto difficile orientarsi nella fitta selva dei concimi che l’industria produce e che vanno valutati in base a un complesso di caratteristiche: la composizione, la percentuale di principi fertilizzanti, la “forma” in cui questi si presentano in quanto ne condiziona l’utilizzazione da parte delle piante. Il prezzo, infine, va calcolato in rapporto al titolo, cioè al contenuto di elementi utili.

piante con relativa rapidità; risultano adatti per le concimazioni di mantenimento e produzione; – scorie Thomas: si tratta di un sottoprodotto delle acciaierie; l’anidride fosforica diviene assimilabile solo se il materiale viene macinato molto finemente; sono adatte per le concimazioni di fondo; – perfosfati d’ossa: contengono piccole percentuali di azoto organico; – fosfati greggi: minerali macinati di lenta utilizzazione, adatti per terreni umidi e acidi su cui hanno un’azione correttiva. Potassici – solfato potassico: adatto ai terreni leggeri, silicei; concime di stimolo; fisiologicamente acido; – salino potassico: contiene minerali potassici allo stato grezzo; ha basso potere fertilizzante; contiene anche cloro, non sopportato da molti ortaggi; fisiologicamente alcalino; – nitrato potassico: contiene anche azoto nitrico, per cui esplica anche un’azione di stimolo sulla vegetazione; adatto in copertura; fisiologicamente neutro. I CONCIMI COMPLESSI

Contengono due o tre elementi minerali fondamentali

La fertilizzazione n 77

e vengono pertanto detti rispettivamente concimi binari e ternari. I componenti elementari sono legati tra loro mediante processi chimici particolari che ne aumentano l’efficacia. Hanno reazione neutra, e quindi sono privi di effetti secondari sulle caratteristiche del terreno. Sono confezionati in granuli, ciascuno dei quali ha la medesima composizione, il che assicura una distribuzione omogenea degli elementi nutritivi sull’intera superficie e semplifica le operazioni pratiche della concimazione. Contengono i fertilizzanti in duplice forma, prontamente assimilabile e a effetto graduale, così da consentire l’unificazione dei trattamenti, mediante un’unica dose massiccia. I concimi complessi non vanno confusi con i concimi composti, che si ottengono per miscelazione meccanica di concimi semplici. Molte volte la miscela viene fatta in casa, senza sapere che i prodotti con pH opposto possono dare origine a sali diversi, dando luogo a effetti indesiderati o comunque diversi da quelli prefissati. I CONCIMI LIQUIDI

Garantiscono la massima uniformità di distribuzione e la precisione del dosaggio, in quanto contengono i principi

fertilizzanti in forma solubile o in sospensione nell’acqua. A seconda della formulazione, provocano un effetto ritardato, pronto o a cessione programmata. I CONCIMI FOGLIARI

Rappresentano il mezzo più rapido ed efficace per risolvere le alterazioni dovute a carenze nutritive legate principalmente all’esaurimento nel terreno di microelementi (boro, rame, ferro, zinco ecc.). Poiché questi prodotti contengono l’intera gamma degli elementi minerali in forma prontamente assimilabile attraverso l’epidermide dei vegetali, la concimazione fogliare non dovrebbe considerarsi un semplice intervento di soccorso, ma un complemento dell’ordinaria concimazione per via radicale.

I concimi organici naturali IL LETAME

Viene detto stallatico perché proviene dalle operazioni di pulizia delle stalle. Risulta composto dalle deiezioni liquide e solide degli animali di allevamento e dai materiali della lettiera: principalmente paglia, ma anche foglie, trucioli e segatura di legno, can-

ne palustri, stocchi di mais ecc. La sua composizione è estremamente variabile, appunto in dipendenza della qualità della lettiera e della diversa alimentazione cui sono state sottoposte le diverse specie animali. Allo stato fresco, il letame è costituito da sostanze complesse, come le proteine delle feci, la cellulosa incrostata di lignina e cera dei vegetali; soltanto le urine contengono azoto solubile di pronto effetto. Per essere impiegato, deve subire la cosiddetta “maturazione” durante la quale ha luogo una serie di processi fermentativi che degradano le complesse sostanze organiche e inorganiche a sostanze semplici utilizzabili dai vegetali. Questa trasformazione non deve essere totale, perché il compito del letame è quello di apportare al terreno una fertilità duratura, cioè di costituire una riserva di elementi nutritivi da cedere con gradualità alle colture. Per questo l’ultima, definitiva trasformazione, deve compiersi sul campo. Il letame è pronto per l’uso quando ha raggiunto il giusto grado di maturazione, che corrisponde alla fase in cui si riconosce ancora, sia pure in minima parte, la struttura dei materiali originari. Il letame eccessivamente maturo, simile a un terriccio umi-

78 n Per cominciare

fero, risulta di troppo pronta assimilazione e il suo effetto nei riguardi della conservazione della fertilità del terreno è pressoché nullo. Rispetto alle esigenze degli ortaggi da coltivare e alle risorse naturali dei nostri terreni, il letame è relativamente povero di fosforo, e viene infatti di norma classificato tra i concimi azotati. Il letame non va sparso e quindi abbandonato sulla superficie del terreno, esposto al sole, al vento e alla pioggia, ma va interrato, altrimenti si verificano ingenti perdite di valore fertilizzante. Con funzione termica, o per mantenere soffice la superficie, il letame maturo può essere interrato molto superficialmente, con una leggera erpicatura. Il letame fresco va invece interrato a 10 cm di profondità, o poco più nei terreni molto leggeri, in occasione della vangatura.

l’orto, a meno che non si proceda a un’abbondante diluizione in acqua e a una preventiva fermentazione. Più razionale risulta il loro impiego per la preparazione di terricciati, o la distribuzione in mescolanza con cenere, terra secca, torba ben sminuzzata, che hanno la funzione di rendere più stabili i principi fertilizzanti. Quando i materiali di origine vegetale e le piume sono in percentuale elevata, la pollina va utilizzata dopo aver subito un processo di decomposizione piuttosto avanzato, a evitare che questo si svolga nel terreno a spese dell’azoto presente. LA CENERE VEGETALE

Escluso l’azoto, la cenere contiene tutti gli elementi minerali, ma è da considerarsi un concime prevalentemente potassico, con azione correttiva del pH acido.

POLLINA E COLOMBINA

Hanno composizione molto variabile in relazione alla qualità e quantità di residui come piume, terra, scarti di mangimi, che apportano percentuali spesso notevoli di fosforo. Sono però da considerarsi concimi prevalentemente azotati, dotati di una notevole concentrazione cui si accompagna un odore sgradevole e acuto. Questo aspetto ne sconsiglia l’impiego diretto nel-

I TERRICCIATI

Costituiscono un materiale preziosissimo, di cui l’orticoltura non può fare a meno e che possiede, potenziate, le caratteristiche dell’humus. Si ottengono sottoponendo a un particolare “governo” i detriti organici mescolati con terra e sostanze minerali affinché subiscano una decomposizione spinta e si arricchiscano di elementi nutritivi a

pronto effetto. Oltre che per le concimazioni in copertura, i terricciati servono, tagliati opportunamente con sabbia, terriccio fine, o torba, per formare i letti di semina, per riempire vasetti, arricchire i solchi o le buchette in occasione dei trapianti. Benché molto variabile nella composizione in dipendenza dei materiali impiegati, sempre diversi per qualità e proporzioni reciproche, il terricciato rientra nella categoria dei concimi azotati, in grado di apportare interessanti percentuali di fosforo e potassio. Per preparare il terricciato si formano cumuli con strati alterni e di pari spessore di terra e residui dell’orto, segatura e soprattutto foglie. I terricciati migliori sono quelli arricchiti con letame, pollina o altro concime organico, anche in dosi modeste, al semplice scopo di innescare le fermentazioni biologiche. Sono molto utili anche alcuni prodotti che si trovano in commercio che contengono specifiche colture di microrganismi. Il cumulo deve, soprattutto all’inizio, essere mantenuto giustamente umido e aerato, allo scopo di favorire l’avvio dei processi microbici. È preferibile proteggerlo con uno strato di terra o con un foglio di polietilene, o prepararlo sotto una tettoia.

La fertilizzazione n 79

foglie o materiale organico

terra

ghiaia o sassi

Per la preparazione del terricciato, sotto un portico o in posizione riparata, si prepara una base di ghiaia su cui disporre a strati di 20-25 cm terra e foglie o altro materiale organico.

Può essere necessario di tanto in tanto disfare e rifare il mucchio, mescolando i materiali in diverso grado di decomposizione o, meglio, portando all’interno quelli più disfatti e viceversa. Questa operazione serve a ravvivare la fermentazione nel momento in cui tende a esaurirsi. Perché il terricciato sia pronto, cioè si sia trasformato in humus particolarmente scuro, soffice, terroso, fresco, devono trascorrere in genere tre mesi in estate e almeno sei mesi in inverno. Per non dilazionare eccessivamente l’impiego del terricciato, non conviene formare cumuli troppo grandi, soprattutto troppo larghi e alti.

LA TORBA

È un materiale fossile di origine relativamente recente che si accumula in giacimenti detti appunto torbiere, tipici di alcune zone (Val Padana, colline della Brianza, laghi prealpini, qualche valle alpina, delta dell’Adige e del Brenta) in cui il clima temperato e il terreno stagnante favoriscono la decomposizione parziale, in ambiente asfittico e umido, dei residui vegetali. La torba si presenta come un materiale fibroso, di colore bruno-rossiccio, all’origine notevolmente impregnato di acqua; conserva il suo potere di ritenzione idrica, pari a circa cinque volte il suo peso, anche dopo essere stata più o

meno essiccata, triturata e compressa in balle per facilitarne il trasporto. La torba, anche per le origini comuni, possiede molte delle caratteristiche dell’humus: apporta sostanze organiche, corregge i terreni leggeri e quelli compatti, favorisce l’attività della flora microbica modificando la struttura. Per la sua natuta, la torba in commercio non apporta microflora, a causa della sterilizzazione, e per questa prerogativa si presta egregiamente per la preparazione dei substrati di semina. È un materiale pacciamante di prim’ordine, che svolge funzioni isolanti contro il freddo e la calura e frena l’evaporazione, creando uno

80 n Per cominciare

terricciato 1/3

terricciato

torba 1/3

sabbia 1/3

vaglio

Il terricciato viene passato al vaglio e mescolato a torba e sabbia per la preparazione di terra per i letti di semina.

strato poroso sulla superficie che non forma mai crosta. Come ammendante dei terreni leggeri conviene usare torba a grana fine, che lega maggiormente le particelle, mentre per alleggerire i terreni pesanti serve meglio quella a fibre grossolane. È da tenere presente che la torba ha reazione prettamente acida e quindi, mentre è utile come correttivo dei terreni calcarei, peggiora la situazione di quelli poveri di calcio. Tuttavia il suo impiego non è precluso in nessun caso, in quanto è sufficiente utilizzarla per il terricciato preparato con aggiunta di calciocianamide, scorie Thomas e salino potassico (3 parti di torba, 1 parte di scorie, salino e calciocianamide). La torba va prima sminuzzata accuratamente, mescolata a secco con i concimi, poi disposta a strati e bagnata su tutta la su-

perficie, attendendo, prima di fare il secondo strato, che il primo si sia imbevuto completamente. Si fa un cumulo di modesta altezza e si copre con qualche centimetro di terra. Si lascia riposare un mese quindi si rivolta la massa e si rifà il cumulo; dopo un mese dovrebbe essere pronta. Il commercio offre dei substrati colturali a base di torbe speciali arricchite di azoto, fosforo, potassio, nonché di vari microelementi riconosciuti indispensabili per evitare in alcuni ortaggi l’insorgere di malattie fisiologiche. Le sostanze minerali sono a solubilità progressiva, il che assicura un effetto pronto e prolungato nel tempo. Questi substrati sono spesso anche arricchiti con fitormoni, che stimolano la germinazione, favoriscono il radicamento e la rapida crescita di

piantine sane. Con le torbe concimate vengono anche prodotti piccoli contenitori in cui si possono effettuare le semine, o le ripicchettature, e che vengono interrati con la piantina ormai sviluppata. Queste torbe hanno un pH costante, non eccessivamente acido, in genere intorno a 5,5 che può essere corretto. Esistono comunque anche torbe arricchite specificamente studiate per le piante da orto. IL COMPOST

Il principio del compostaggio si basa sulla vecchia tecnica di accumulare in fosse, in contenitori di plastica o di legno, o in cumuli sul terreno, tutto il materiale di scarto dell’orto e del giardino e la componente umida degli scarti di cucina, in modo che rimanga totalmente o parzialmente a contatto con gli agenti at-

La fertilizzazione n 81

mosferici e l’aria, in particolare l’ossigeno che favorisce la proliferazione di quei piccoli organismi animali e vegetali che presiedono alla trasformazione. L’aggiunta di sostanze che attivano e che accelerano il processo di trasformazione ha la funzione di orientare lo sviluppo dei microrganismi più utili a discapito di quelli che possono innescare putrefazioni anomale. Inoltre questi prodotti, facilmente reperibili in commercio, sono completati con elementi chimici (come azoto e fosforo), enzimi che ac-

celerano la distruzione delle sostanze più complesse (come cellulose e lignina), e sostanze inerti come le argille che hanno la proprietà di catturare eventuali sostanze volatili maleodoranti. Alcuni di questi prodotti contengono anche uova incapsulate di lombrichi che si nutrono di terreno mescolato con residui vegetali e contribuiscono notevolmente alla trasformazione finale del materiale di partenza. Se si ha poco spazio lo strumento più conveniente per questa operazione è rappre-

Diversi tipi di cassoni utilizzabili per la preparazione del compost.

sentato dal composter o compostiere, contenitore cilindrico o troncoconico da appoggiare sul terreno anche in prossimità della casa per agevolare le operazioni di riempimento nei momenti climatici sfavorevoli. L’arieggiamento dei materiali è consentito da fessure laterali o in corrispondenza della copertura e dalla grigliatura del fondo che, rimanendo a contatto con il suolo, consente lo scambio e il passaggio dei lombrichi dal terreno al materiale in decomposizione e viceversa. All’interno la massa subisce

82 n Per cominciare

il lombrico umificatore È noto che i lombrichi pullulano soltanto nei terreni organici, soffici e freschi, mentre sono assenti in quelli magri, compatti e asciutti. La loro presenza quindi è un chiaro indizio di fertilità, mentre la loro assenza ci avverte che la terra necessita di migliorie. I lombrichi si insediano dove trovano sostanza organica e contribuiscono, assieme all’acqua, all’aria e alla microflora, alla formazione dello strato attivo del suolo. Per nutrirsi e per farsi strada, erodono il terreno ingerendolo ed espellendolo come deiezioni sotto e sopra la superficie. Nel loro apparato digerente passano quindi terra, detriti vegetali e animali, batteri ecc., che vengono digeriti, polverizzati e trasformati in una massa leggera e semifluida ricca di elementi assimilabili. Nel loro peregrinare, i lombrichi scavano una rete di canali e gallerie che formano un capillare sistema di drenaggio e di ventilazione in uno strato di una trentina di centimetri sotto la superficie, appunto quello maggiormente esplorato dalle radici. Si calcola che in un ettaro di terreno coltivato vi siano da 50 a 100 mila lombrichi che producono in un anno 10-20 tonnellate di deiezioni. In certe foreste con un imponente accumulo di humus nel sottobosco, sono stati contati fino a 4 milioni di lombrichi per ettaro. Nel miglioramento dei terreni compatti e scarsamente organici, un valido mezzo complementare può dunque essere l’incremento della popolazione di lombrichi con i quali arricchire il letame e i terricciati

elevati innalzamenti termici durante la stagione estiva che causano la morte di parassiti, di patogeni e dei semi delle piante infestanti.Viceversa, in inverno l’insieme è sottoposto ad abbassamenti della tem-

(che già ne contengono) o “inoculare” il terreno. Poiché i lombrichi si moltiplicano rapidamente e attivamente, per allevarli appositamente occorre solo offrire loro le condizioni che prediligono: umidità, abbondante sostanza organica e ambiente aerato, come si realizza in un compostiere. I lombrichi allo stato naturale in caso di siccità abbandonano gli strati superficiali e si rifugiano in profondità. Anche quando la temperatura è elevata questi animali, per cui sono letali 37 °C, cessano ogni attività e si ritirano a vita latente. La temperatura ottimale per la riproduzione e la crescita è intorno ai 20 °C. Ogni lombrico dà vita a 150 individui all’anno; si riproduce per mezzo di uova racchiuse in numero di 5 o 6 in una capsula detta “cocone”, entro la quale schiudono, 21 giorni dopo la deposizione, i piccoli, simili a filamenti biancastri lunghi qualche millimetro, che raggiungono la maturità sessuale tre mesi dopo.

peratura non eccessivi che mantengono vitale e attiva la componente biologica. Il risultato è rappresentato da una più veloce “umificazione” dei materiali vegetali i quali risultano anche più ricchi grazie

alla composizione dell’attivatore. In circa tre mesi, da una parete mobile posta su un lato, è possibile prelevare il “terriccio” nerastro: all’apparenza è ancora formato da alcune parti di materiale indecomposto

La fertilizzazione n 83

ma, una volta interrato, svolge egregiamente il proprio compito di fertilizzare e migliorare le caratteristiche fisiche del terreno sul quale viene sparso.

La distribuzione dei concimi QUANDO SI DISTRIBUISCONO

Il programma di concimazione dell’orto si svolge fondamentalmente secondo tre direttive. Concimazione di fondo: ha lo scopo di promuovere la fertilità nei terreni destinati per la prima volta a coltura, attraverso l’apporto di abbondan-

a postarelle

ti riserve nutritive utilizzabili con lenta gradualità dalle piante: si attua mediante letame e complessi fosfo-potassici. Concimazione di mantenimento: ha lo scopo di mantenere la fertilità del terreno reintegrando le perdite di elementi fertilizzanti asportati dai vegetali o perduti a opera del dilavamento; si attua all’inizio di ogni ciclo colturale, in occasione delle arature profonde, impiegando nuovamente concimi a effetto lento. Concimazione di produzione: ha lo scopo di sostenere e stimolare le singole colture all’inizio del ciclo produttivo e nel corso di questo; si attua in due fasi ben distinte. Pre-semina o pre-trapianto: in occasione dei lavori di af-

finamento del terreno che precedono lo spargimento del seme o la messa a dimora degli ortaggi; si impiegano complessi ternari contenenti azoto, in parte ammoniacale e in parte nitrico, così da ottenere un effetto pronto “d’avviamento” e un effetto graduale; i concimi organici devono essere completamente maturi. In copertura: durante lo sviluppo vegetativo degli ortaggi, facendo in modo di distribuire il concime nei momenti “chiave” del ciclo, così da ottenere una pronta risposta allo stimolo. Si spargono in superficie e si interrano leggermente. Si impiegano principalmente azotati a pronto effetto (nitrati), ma anche altri sali solubili ri-

lungo le file

La concimazione in copertura viene effettuata durante lo sviluppo vegetativo degli ortaggi e costituisce uno stimolo immediato.

84 n Per cominciare

chiesti dai diversi tipi di prodotto (foglie, frutti, semi). Le concimazioni di stimolo, cioè quelle effettuate con sali solubili di pronto effetto, sono utilissime durante lo sviluppo vegetativo e a ogni ripresa vegetativa, dopo un raccolto o alla ripresa primaverile degli ortaggi derivati dalle semine precoci nei cassoni o svernati in campo. Vanno però praticate soltanto su piante sane e robuste che siano in grado di rispondere allo stimolo supplementare con una crescita più rapida e una produzione più abbondante e anticipata. Per contro, piante deboli, stressate da avverse condizioni ambientali o da malattie, non sopportano stimoli per così dire violenti, ma si avvalgono invece di concimazioni blande che possono eventualmente divenire via via più intensive nel tempo. COME SI DISTRIBUISCONO

Diversi sono i sistemi seguiti nella pratica per la distribuzione dei concimi, a seconda degli scopi desiderati.

A pieno campo o a spaglio: il fertilizzante viene distribuito uniformemente su tutto l’appezzamento, a mano o con appositi attrezzi spandiconcime. Con questa tecnica si ottiene una più completa e duratura fertilità del terreno. Localizzata: il fertilizzante viene distribuito lungo le file, oppure a postarelle, accanto al piede di ciascuna pianta. Questa tecnica può essere applicata all’atto della semina mediante apposite seminatrici-spandiconcime, oppure entro il solco destinato a ricevere i semi o le piantine; occorre evitare in ogni caso il contatto diretto con l’apparato radicale. Offre il vantaggio di mettere alla portata diretta delle piante gli elementi nutritivi, il che permette una più completa utilizzazione del concime e quindi un risparmio. La localizzazione si addice particolarmente ai terreni che, per difetti di struttura o di reazione, legano stabilmente a sé i principi nutritivi oppure ne permettono il dilavamento.

La fertirrigazione Con questo termine si intende la distribuzione del concime con l’acqua usata per l’irrigazione. È la tecnica ideale per gli orti dove si pratica l’irrigazione localizzata o a goccia, ma si può adattare a tutti i metodi di irrigazione, innaffiatoio compreso. In commercio sono presenti concimi sia polverulenti sia liquidi da diluire in acqua nelle dosi consigliate. Sono altamente solubili e se ne consiglia la distribuzione ogni 15 giorni. Quando si sceglie di utilizzare questo metodo di concimazione è necessario innanzitutto conoscere lo spessore di terreno che viene esplorato dalle radici, quindi adeguare a questo parametro i volumi d’acqua da somministrare. Inizialmente si umidifica il terreno con il 20% del totale dell’acqua che si vuole distribuire, poi si procede con l’irrigazione fertilizzante. In questo modo si mettono immediatamente a disposizione delle radici gli elementi nutritivi già pronti per essere assorbiti; la resa produttiva può aumentare anche del 30%.

Semine e trapianti

La scelta della semente La crescita, lo sviluppo e la produzione delle piante da orto è strettamente collegata al seme e alla pratica della semina. Sia prodotto in casa sia acquistato, il seme deve presentare le caratteristiche migliori per originare piantine sane, robuste e altamente produttive. Oggi in commercio è facile trovare semi di ortaggi con caratteristiche estremamente diverse che riguardano forme, colori e dimensioni, spesso anche curiose e originali, nonché facilmente adattabili a condizioni pedoclimatiche variabilissime. Soprattutto chi è “alle prime armi” deve orientare la propria scelta verso sementi di varietà e caratteristiche conosciute e consolidate nella zona in cui si trova a operare; è importante anche rivolgersi a ditte produttrici serie e affidabili. I migliori risultati si ottengono sempre utilizzando i cosiddetti “ibridi” o “F1”, otte-

nuti per selezione di linee pure che consentono lo sviluppo di piante più resistenti alle malattie e produzioni più regolari, uniformi e abbondanti. La produzione casalinga dei semi ottenuti dai frutti di queste selezioni non è conveniente in quanto si ottengono risultati estremamente variabili e sempre inferiori a quelli della prima generazione.

Nei confronti del tipo di semina gli ortaggi si distinguono fra quelli che possono essere seminati direttamente a dimora, in quanto compiono il loro ciclo rapidamente, e quelli che necessitano di uno spazio più ristretto, il semenzaio, per evitare complicazioni di tipo climatico o colturale e successivamente essere sottoposti a trapianto.

Con la semina a spaglio non è facilissimo ottenere una distribuzione regolare e uniforme dei semi.

86 n Per cominciare

La semina a dimora Il terreno destinato a ricevere la semente deve essere particolarmente buono, soffice, a grana fine per i semi minuti, relativamente grumoso per i semi grossi, ma rastrellato accuratamente nei due sensi in modo tale da rendere la superficie tutta uniforme e ben sminuzzata. La distribuzione del seme può essere eseguita a spaglio, a file o a buche.

Nel primo caso, si getta con la mano il seme a ventaglio oppure ci si serve di un semplice apparecchietto detto appunto spagliatrice. È comunque ugualmente difficile ottenere una distribuzione regolare, che richiede ripetuti diradamenti e rende problematiche o inattuabili le sarchiature intese a rompere la crosta superficiale e ad allontanare le erbe infestanti. Nella semina a spaglio il seme rimane logicamente in superficie, ed è quindi necessa-

rio ricoprirlo con uno straterello di terriccio (di spessore variabile a seconda della profondità richiesta) distribuito mediante un setaccio o con oculate rastrellature. Facilmente, tuttavia, a causa delle piogge e delle irrigazioni, i semi si spostano dando luogo a una coltura disordinata e irregolare. L’inconveniente può essere in parte ovviato con la rullatura o battendo leggermente su tutta la superficie della proda con la parte posteriore del badile. Questa operazione si esegue subito dopo la semina specialmente nei terreni sciolti per far meglio aderire i semi al substrato. La semina a righe si effettua in solchetti distanziati in base alle necessità di spazio dei singoli ortaggi una volta sviluppati. Il vantaggio di questa tecnica risiede soprattutto nella possibilità di interrare il seme alla profondità opportuna.

Macchina spagliatrice

LA PROFONDITà DI SEMINA Per ogni seme esiste una profondità di semina ottimale in base alle sue dimensioni. Ciò in teoria, perché in pratica sono determinanti le condizioni dello strato superficiale del terreno. Se ha la tendenza a disidratarsi, occorre aumentare la profondità, mentre si può interrare più in superficie se conserva un buon grado di umidità. È inoltre evidente che, in caso di compattezza del substrato, si deve ridurre l’entità

dello strato di terreno che il germoglio deve superare per emergere. Ai seminati va mantenuta una costante ma moderata umidità, il sistema migliore è l’annaffiatura con getto finemente nebulizzato, o l’irrigazione a goccia. L’impiego di una rete a maglie fitte sovrapposta alle aiuole impedisce che il terreno faccia crosta e che i germogli appena spuntati si pieghino.

Semine e trapianti n 87

Per ottenere una più regolare distribuzione dei semi minuti, sia nella semina a spaglio sia in quella a righe, questi si mescolano accuratamente con sabbia o, meglio, con terriccio da semina perfettamente asciutto. L’accorgimento è necessario specie quando occorrono esigue quantità di semi impalpabili. Le specie rampicanti che necessitano di sostegni durante la coltivazione (fagiolo e fagiolino) o particolarmente voluminose (zucchine e zucche) e che normalmente presentano semi grossi, vengono messe a dimora in buche. Sulla superficie lavorata si predispongono con una piccola zappa o

con una paletta le buchette profonde pochi centimetri sul fondo delle quali vengono disposti alcuni semi. Si ricopre e si bagna leggermente.

La semina in semenzaio Per sfruttare al meglio il tempo e lo spazio a disposizione si ricorre alla semina a elevata densità in piccoli appezzamenti detti semenzai, per trapiantare a dimora piantine già radicate e pronte a iniziare subito la fase di sviluppo. In tal modo si abbrevia il ciclo pro-

La semina a file si effettua dopo aver tracciato un solchetto nel terreno.

duttivo e nelle medesime aiuole può susseguirsi un numero di ortaggi superiore a quello consentito con la semina diretta. Certamente questa pratica richiede pazienza, perizia e una maggior cura delle piantine dopo il trapianto, ma i risultati che permette di ottenere sono di gran lunga superiori, a causa dei molti problemi legati alle particolari esigenze dei seminati che non possono risolversi in appezzamenti di una certa ampiezza. Infatti, in un’estensione limitata si possono mettere in atto con maggior cura e assiduità pratiche colturali come le annaffiature, le concimazioni, la protezione dalle intemperie, la difesa sanitaria ecc. Nel semenzaio la difesa sanitaria si basa soprattutto sulla prevenzione delle malattie attraverso la sterilizzazione del terriccio. Si possono offrire inoltre le condizioni più favorevoli alla germogliazione in fatto di esposizione e di substrato. Si prepara infatti il cosiddetto “letto di semina”, composto da terriccio apposito, soffice e di grana più fine di quello comune da orto, perché il germoglio, per emergere senza fatica, deve trovare sopra di sé un substrato leggero. Oneroso e praticamente impossibile sarebbe formare tutto l’orto con un substrato da semina, che per di più non

88 n Per cominciare

Per realizzare nel modo più semplice un semenzaio è sufficiente recintare un appezzamento di terreno con una cordonatura di mattoni.

Annaffiatura del semenzaio attraverso una rete di protezione utile anche per l’ombreggiatura.

è adatto alle piante in produzione. Il seme per germogliare e le plantule, nelle prime fasi di sviluppo, necessitano di una costante ma moderata umidità assicurata da annaffiature leggere, per ottenere le quali è molto utile proteggere il semenzaio con una

rete a maglie fini, di plastica o di filo zincato, che fraziona il getto di acqua. Poiché i seminati desiderano posizioni calde ma non soleggiate, si ricorre alle reti ombreggianti di nylon, che possono servire anche come difesa dalle intemperie, in quan-

to fermano la grandine e attutiscono la violenza delle piogge. Per ovvi motivi di praticità, il semenzaio deve trovarsi in prossimità dell’orto, anzi far parte di questo. Gli si riserva un angolo riparato, eventualmente protetto

Semine e trapianti n 89

verso nord da un muretto, un terrapieno o una siepe. L’esposizione più adatta è verso sud, poiché dopo i primissimi stadi della fase germinativa, in cui è necessaria l’ombreggiatura, le piantine desiderano molta luce e si riparano soltanto durante le ore d’intensa insolazione. La realizzazione più semplice consiste nel recintare l’appezzamento con una cordonatura di cemento o di mattoni, con la quale si suddivide anche internamente in parcelle regolari. Non è necessario tracciare solchetti, poiché si preferisce l’irrigazione a pioggia o a goccia. L’altezza della cordonatura deve essere di 50 cm, in modo da poter contenere un letto di semina di almeno 20 cm e permettere la posa di protezioni. Il letto di semina si prepara miscelando appositamente in parti uguali del terricciato, perfettamente decomposto, sabbia e torba. Per ottenere una miscela omogenea, conviene fare con questi materiali uno strato di una ventina di centimetri sul terreno, quindi con il rastrello mescolare e rivoltare il tutto. Infine si passa attraverso un setaccio a maglie non troppo fini (10-15 mm), perché non si perda la struttura grumosa. Questa operazione, a evitare che il terriccio si compatti, può essere fatta al momento dell’impiego.

I cassoni: letto freddo e letto caldo Dal punto di vista costruttivo, non esistono praticamente differenze tra i due tipi di letto per la semina, che si realizzano con recinti rettangolari in muratura, o con cassoni in legno o ferro, chiusi superiormente da vetrate, fogli o lastre di materiale plastico fissati a finestre incernierate per permettere l’arieggiamento nelle ore più calde. Le finestre hanno inclinazione verso sud o sud-ovest, così da poter raggiungere al mas-

simo l’effetto-serra. Tranne che nelle ore più calde, si deve evitare di aprire i cassoni, anzi si impedisce la dispersione del calore con l’aggiunta di doppi vetri, altri fogli di plastica, stuoie ecc. In molte nostre regioni per un anticipo ragionevole della produzione sono sufficienti i cassoni freddi. Molto pratici sono quelli mobili che si possono eventualmente sfruttare come mezzo estemporaneo di difesa direttamente nell’orto, sulle piante più delicate in caso di un ritorno di freddo o di un autunno anticipato.

vetrata

terriccio

letame

terra

vespaio

Schema di funzionamento di cassone a letto caldo.

90 n Per cominciare

Anziché fabbricare un cassone già completamente montato, conviene preparare le assi necessarie e comporre il cassone sul terreno, fissandone i pezzi con dei picchetti e accumulandovi attorno della terra ben compressa; cosa questa da raccomandarsi in ogni caso per aumentare la coibenza termica. Benché oggi vi siano a disposizione i tunnel per coprire le aiuole, il cassone offre una protezione più sicura e una climatizzazione più favorevole. La terra, all’interno, deve avere profilo orizzontale, per evitare che l’acqua, data l’area modesta, si distribuisca irregolarmente. Il letto caldo consente anticipi più sensibili rispetto al calendario delle semine e risulta a questo scopo necessario nei climi rigidi. Chi ha spazio, può coltivare per l’intero ciclo produttivo gli ortag-

gi nei cassoni freddi o caldi. Il riscaldamento tradizionale si ottiene mediante fermentazione di materiale organico fresco. Per regolare l’andamento della fermentazione, si aumenta o diminuisce lo spessore della massa, mantenendola più o meno umida, consentendo un’attiva circolazione all’aria o frenandola. Per quanto riguarda la qualità del materiale, in linea di massima il letame di cavallo è quello che fornisce maggior calore: raggiunge in breve i 75 °C quindi mantiene una temperatura costante di circa 40 °C per un mese. Il letame bovino raggiunge i 50 °C e si stabilizza intorno ai 30 °C per 40 giorni; quello ovino infine, pur elevandosi inizialmente a 60 °C, cade bruscamente intorno ai 20°C mantenendoli per 60 giorni. Temperature molto più basse vengono fornite dalla fer-

Cassone in legno per colture anticipate

mentazione di cascami vegetali, come foglie, paglie, vinacce ecc.; con questi materiali si formano i cosiddetti “letti tiepidi”, nei quali si raggiungono temperature non superiori in genere ai 15 °C, che tuttavia si mantengono piuttosto a lungo, anche per tre mesi. Mentre il cassone freddo può essere semplicemente poggiato sul suolo o parzialmente interrato, quello caldo richiede la posa di un vespaio di ciottoli sul fondo, quindi di uno strato di terra, su cui si forma il cumulo di letame, per terminare con il letto di semina. Occorre tenere presente che, per ottenere un effetto termico uniforme, si forma la massa disponendo il materiale più fresco e bagnato ai margini. Per evitare eccessivi squilibri tra le varie zone del letto si può accumulare altro materiale in fermentazione ester-

Semine e trapianti n 91

namente, contro le pareti del cassone. Questo espediente serve anche a ripristinare le condizioni termiche necessarie quando il clima particolarmente rigido conduce a una brusca e definitiva caduta della temperatura. Circa una settimana dopo la preparazione del letto avviene il cosiddetto “colpo di fuoco”: la temperatura sale rapidamente per raggiungere la punta massima, che mantiene per un tempo relativamente breve, e quindi inizia la fase discendente. La semina o la piantagione si eseguono quando, con l’apposito termometro, si rileva che la temperatura adatta è stata raggiunta. I criteri di semina sono analoghi a quelli indicati per il semenzaio. Particolari sono invece le cure dopo la germogliazione. Appena sono spuntate le foglioline cotiledonari, occorre arieggiare il cassone e dare

Cassone metallico

luce, altrimenti i fusticini si allungano senza che le vere foglie compaiano. Le finestre vanno alzate anche per evitare la condensa che poi ricade, di notte, con un gelido stillicidio. È sufficiente che la temperatura esterna non sia inferiore ai 5 °C, ma naturalmente occorre avere molta cautela, alzando il telaio di 1-2 cm solo nelle belle giornate non ventose e lasciandolo aperto durante tutte le ore di sole; se il tempo non fosse favorevole, si deve arieggiare ugualmente, ma per un tempo più breve. In primavera occorre ombreggiare, specie con il sole alto e il telaio chiuso ma, quando la temperatura è ancora invernale, non nuoce alle piantine già con qualche fogliolina il sole diretto, purché le finestre vengano leggermente alzate. In genere i cassoni caldi, dato il periodo in cui vengono uti-

lizzati, non richiedono ombreggiature.Via via che la stagione procede, si alza sempre più a lungo e maggiormente il telaio; quando poi all’esterno vi sono almeno 15 °C, si toglie la protezione. Umidità e calore sono fattori che creano l’ambiente favorevole allo sviluppo di malattie crittogamiche, perciò occorre annaffiare con le dovute cautele le semine nel cassone. Poiché il seme desidera quantità di acqua relativamente elevate bisogna somministrare con frequenza dosi modeste, anche per non costipare l’esiguo substrato. Si annaffia nelle ore più calde, naturalmente con acqua a temperatura analoga a quella del cassone, meglio ancora se decisamente tiepida, in quantità tale che venga assorbita e smaltita rapidamente e non rimanga quindi a costipare e raffreddare il terreno durante la notte.

92 n Per cominciare

La semina in contenitori La semina in piccoli contenitori riduce enormemente il lavoro e soprattutto evita i rischi da trapianto, in quanto la possibilità di estrarre il pane di terra intatto non pone problemi di attecchimento. Più che di trapianto si dovrebbe parlare in realtà di trasferimento: le piantine non so-

spendono né rallentano le loro funzioni ed entrano anticipatamente in fase produttiva. I contenitori più usati in orticoltura per le semine sono i vasetti di plastica, generalmente riuniti in plateau, i cilindri di cartone paraffinato o di plastica semirigida privi di fondo e, per piante come le zucche e i meloni di rapido sviluppo già nelle prime fasi, le blocchiere di terracotta. I vasetti con pareti di torba

pressata, oppure la torba in dischi che, bagnati, si rigonfiano trasformandosi in cilindretti e, infine, i vasetti di letame essiccato, sono i più costosi ma non richiedono nemmeno l’estrazione del pane di terra; interrati, si disfano di pari passo con lo sviluppo delle radici. I vasetti di materiale organico, inoltre, offrono la possibilità di un’efficace azione concimante.

Le blocchiere di terracotta consentono il trapianto con pane di terra.

La semina in vasetti di torba pressata facilita molto le operazioni di trapianto.

Semine e trapianti n 93

Il diradamento Sia con la semina a dimora, a spaglio o a righe, sia con quella in semenzaio o in cassoni, occorre procedere al diradamento, in modo da distanziare opportunamente tra loro le giovani piantine, affinché crescano robuste e verdi. Se troppo fitte, crescono bianchicce, filanti e malnutrite a causa della scarsità di spazio vitale. Ci si può domandare se non sia il caso di seminare più rado, risparmiando semente e fatica. I motivi che lo sconsigliano sono diversi: anzitutto la percentuale di germinazione non è mai del cento per cento, ma anche di molto inferiore se la conservazione della semente non è stata accurata; in secondo luogo molti

fattori, come la siccità o le piogge eccessive, gli sbalzi termici, gli attacchi parassitari, le razzie da parte di uccelli e insetti e così via, portano a perdite spesso imponenti alle quali è troppo tardi poi cercare di rimediare con nuove semine. Meglio abbondare che scarseggiare, quindi: le piantine eccedenti, se di buona qualità, possono essere trapiantate provvisoriamente in un vivaio o in vasetti, pronte a sostituire eventuali piante morte o danneggiate da parassiti e intemperie. Può sempre inoltre venire libero qualche spazio nell’orto e il fatto di avere delle piantine già radicate con cui utilizzarlo non è da sottovalutare. Il diradamento deve essere eseguito quando le piantine hanno raggiunto una statura

di almeno 3 cm e hanno sviluppato almeno 4-5 vere foglie. Soltanto nel caso di semine molto disordinate e molto affollate si può agire non appena è possibile afferrare le plantule, limitandosi agli interventi più urgenti per completare poi l’operazione in seguito, magari a più riprese. Tutto questo per non ritardare ulteriormente lo sviluppo e la radicazione delle altre pianticelle. Alcune ore prima dell’operazione, il terreno va annaffiato a fondo, con molta delicatezza. In tal modo è possibile procedere all’estirpazione delle piantine senza danneggiare le altre, che vengono trattenute al piede con le dita, per evitare di scalzarle. Cercando il più possibile di lasciare giustamente distanziate e allineate le piantine migliori e uniformemente sviluppate, si eliminano quelle più gracili e malformate. Se necessario, per ottenere la regolarità della coltura si ripicchettano, cioè si trapiantano subito negli eventuali spazi vuoti o in vasetti.

Il trapianto

Semina in vasetti

Con il trapianto si prelevano dal semenzaio, per metterle a dimora nell’orto, le piantine

94 n Per cominciare

L’ACQUISTO DI PIANTINE Ormai anche nei supermercati è facile trovare le vaschette contenenti alcune piantine da trapiantare, provviste di pane di terra, delle specie ortive appartenenti alle varietà più comuni. Il costo non è particolarmente elevato per chi possiede un piccolo orto. A chi invece necessita di un gran numero di piantine da trapiantare consigliamo di produrle in proprio (coltivare un semenzaio) o optare per l’acquisto di piantine a radice nuda che si possono trovare facilmente nei

Trapianto di piantine con pane di terra.

Trapianto di piantine a radice nuda.

mercati o presso amici orticoltori che ne producono in abbondanza. In questo caso non bisogna far trascorrere troppo tempo tra l’acquisto e la messa a dimora ed è bene preparare in anticipo il terreno e avere a portata di mano gli arnesi necessari alla piantagione. Se la temperatura è elevata e il viaggio non breve, conviene trasportarle dentro un secchiello che abbia sul fondo un po’ di acqua e avvolgere anche la parte aerea in carta bagnata.

Semine e trapianti n 95

fornite di 4-5 foglie e di apparato radicale abbastanza sviluppato, in grado di attecchire rapidamente, così da sopperire al fabbisogno idrico e nutritivo della parte aerea, che altrimenti va incontro a rapido appassimento. Nella migliore delle ipotesi, le piantine potrebbero subire in misura eccessiva l’arresto di ve-

getazione, che è inevitabile quando vengono prelevate a radice nuda. Diversi sono i sistemi per evitare o ridurre al minimo la cosiddetta crisi da trapianto. Il terreno va annaffiato qualche ora prima, senza eccedere, altrimenti la terra scivola via completamente dalle radici. Le piantine non vanno estir-

pate, ma prelevate con l’apposito trapiantatoio, così da conservare un piccolo pane di terra; si allineano in una cassetta e si portano subito nell’orto, già predisposto a riceverle. In buchette o solchetti scavati in precedenza, si pongono le piantine con il fusticino verticale e le radici distese, evi-

Mentre si tiene in sede la piantina, si rincalza il terreno tutt’attorno comprimendolo leggermente

Nel trapianto di piantine a radice nuda è di grande praticità l’uso di una rete per effettuare l’operazione a distanze regolari.

96 n Per cominciare

tando che subiscano torsioni. Il colletto generalmente si deve trovare a livello superficiale. Se il terreno è asciutto, si immette nella buchetta dell’acqua, quindi si sistema la piantina e si chiude con la terra che va accuratamente compressa attorno al piede. Solo così le piantine rimangono stabili e le radici trovano le condizioni più favorevoli per attecchire e iniziare il loro lavoro. Il trapianto, soprattutto quando le piantine sono a radice nuda, va eseguito dopo il tramonto oppure approfittando di giornate con cielo coperto. Nel caso in cui le piantine denunciassero uno stato di appassimento, si proteggono dall’evaporazione con l’ombreggiamento, finché non si sono decisamente riprese. Si può, riempiendo i solchet-

ti o le buchette con del terriccio di ottima qualità, aiutare le piantine a radice nuda a superare la crisi. Molta attenzione bisogna fare a che le sottili radichette capillari non vengano lesionate, perché a esse soprattutto è affidata la funzione assorbente. Soltanto nei casi in cui le radici di tipo fascicolato siano eccessivamente lunghe, piuttosto che torcerle o piegarle, è preferibile cimarle leggermente. Alcuni ortaggi dal fogliame ampio, si avvantaggiano inoltre della riduzione dell’apparato aereo. Nella scelta delle piantine, non ci si deve far tentare da quelle che sembrano più sviluppate perché più alte e magari con più foglie. Bisogna preferire quelle tozze, con il fusto breve e gros-

Corretta estrazione dal vasetto della piantina da trapiantare.

so e un apparato radicale abbondante. Le piantine in eccedenza le possiamo lasciare nel semenzaio, ma se questo occorre per altre semine, le mettiamo in un vivaio, oppure le piantiamo tra le file della stessa aiuola o di un altro ortaggio, per eventuali sostituzioni. In genere quando si teme la siccità, si dispone la terra a conca attorno al piede delle piante perché l’acqua possa sostare più a lungo; in caso di piogge prolungate invece si forma la terra a monticello, perché l’umidità venga smaltita. Occorre interrare le piantine con il fusto e la radice verticali, ma piuttosto che maltrattarle estraendole e ripiantandole più volte, è più conveniente lasciarle anche leggermente inclinate. Se la terra attorno è ben compressa, così da assicurare l’aderenza delle radici, la piantina si raddrizza da sé. Sarà però necessario nei giorni successivi controllare la vegetazione, intervenendo solamente con quotidiane somministrazioni di acqua. Il periodo di interruzione della crescita varia in funzione delle specie ortive e in funzione dell’andamento climatico: i finocchi per esempio soffrono di una lunga crisi da trapianto mentre i pomodori e i peperoni riprendono a vegetare più velocemente.

Semine e trapianti n 97

Le cure alla vegetazione Durante il ciclo produttivo le piante devono essere seguite nel loro sviluppo non solo con interventi irrigui costanti ma con cure colturali specifiche. Alcuni ortaggi sviluppano una parte aerea estremamente allungata e per questo necessitano di sostegni. Le angurie e i meloni, dato il considerevole peso che raggiungono i frutti, vengono fatti strisciare sulla proda. Gli ortaggi a fusti lunghi e gracili, rampicanti come il fagiolo, o prostrati come il ce-

triolo, o sarmentosi come il pomodoro di alta statura, necessitano di sostegni ai quali si arrampicano spontaneamente o devono essere fissati con legacci (pomodoro). Ciò permette di evitare il contatto con il terreno, causa di marciumi di fusti e frutti, e consente all’aria e al sole di penetrare uniformemente nella chioma, favorendo la maturazione dei frutti. Alle tradizionali infrascature e impalature, eseguite con rami d’albero sfrondati o con canne, vanno preferiti tutori singoli, fili tesi tra paletti allineati, reti a larghe maglie sostenute anch’esse da paletti.

Tutoraggio su reticolato di ferro plastificato.

Questi mezzi di sostegno realizzati in materiale plastico o in ferro plastificato sono praticamente indistruttibili e, soprattutto, non offrono asilo a parassiti e larve. Si prestano comunque a una perfetta pulizia e disinfezione al termine di ogni ciclo produttivo. La messa a dimora dei pali o delle reti deve avvenire contemporaneamente o subito dopo il trapianto o la germogliazione delle piantine dal terreno. Questo permette di sistemare i pali senza danneggiare le radici e favorisce l’aggancio dei germogli ai tutori.

98 n Per cominciare

Tutoraggio di ortaggi a fusti volubili (fagiolo, pisello).

Tutoraggio di ortaggi a fusti prostrati (pomodoro).

Moltiplicazione e potatura Sistemi diversi di moltiplicazione Alcuni ortaggi non si prestano alla moltiplicazione per mezzo del seme perché impiegano troppo tempo per dare la produzione o non riproducono con sufficiente fedeltà le caratteristiche varietali. Si ricorre in questi casi alla riproduzione vegetativa, che impiega parti di pianta: bulbi per l’aglio e per la cipolla; tuberi per la patata, il tapinambur, la batata; rizomi per l’asparago, polloni o talee per il carciofo. La scelta delle piante madri prevede i medesimi criteri validi per la produzione del seme. Con la moltiplicazione vegetativa si riproducono i caratteri non solo della varietà, ma della pianta e in particolare della porzione da essa prelevata. Di qui l’importanza di prestare particolari cure ai soggetti prescelti, mantenendoli in perfetto stato di nutrizione ed esenti da malattie; ricordiamo che quelle critto-

Come si piantano bulbi e tuberi destinati alla produzione del seme.

100 n Per cominciare

gamiche, batteriche e da virus sono altamente trasmissibili alla discendenza. Abbondanti devono essere le concimazioni fosforiche e potassiche, che favoriscono la formazione degli organi sotterranei e l’accumulo di sostanze di riserva. Un trattamento comune devono avere le piante di cui si utilizzano tuberi, bulbi, rizomi. Poiché la fioritura, la fruttificazione e la produzione del seme vanno a scapito della formazione degli organi sotterranei, occorre evitare che si compiano, favorendo, invece, l’entrata in riposo non appena le foglie cominciano ad appassire, riducendo gradualmente le annaffiature e sospendendo le concimazioni. Mentre i rizomi, i polloni e le talee si utilizzano subito, mettendoli a dimora appena prelevati, i bulbi e i tuberi si lasciano asciugare in luogo aerato e ombreggiato, si liberano dai residui della vegetazione e si conservano in unico strato in cassette con sabbia o in locali alla temperatura di 6-10 °C. Per evitare il pregermogliamento con conseguente esaurimento delle riserve, i bulbi si mantengono al buio; i tuberi invece devono stare alla luce, che li fa rinverdire e permette lo sviluppo di germogli brevi e vigorosi, mentre al buio emettono numerosi

germogli molto lunghi, bianchi e molli e vanno scartati dalla riproduzione perché danno piante deboli. I bulbi e i tuberi destinati alla riproduzione vanno accuratamente scelti esaminandoli in rapporto a diverse caratteristiche: devono avere dimensioni, forma e colore tipici della varietà cui appartengono; devono essere sodi, pieni, integri e sani. I bulbi devono avere la gemma ben sviluppata e radichette abbondanti; i tuberi devono presentare gli abbozzi (occhi) dei germogli ben conformati e non superficiali. Vanno preferiti i tuberi di media grandezza, che si possono impiegare interi; quelli molto piccoli hanno poca sostanza di riserva e danno piante deboli, quelli molto grossi vanno sezionati in porzioni fornite di qualche gemma e di dimensioni sufficienti a sostenere le prime fasi vegetative. Per favorire la formazione della cuticola cicatriziale sulla superficie di taglio, atta ad aumentare la resistenza all’umidità e all’attacco di batteri e virus, le parti del tubero si ricompongono durante il periodo di conservazione. I bulbi si interrano in buchette praticate con il foraterra, i tuberi in solchi. Tutti gli organi sotterranei desiderano terreno soffice, per-

meabile, esente da ristagni e privo di materiali grossolani, che ne ostacolano l’armonico sviluppo provocando deformazioni e lesioni.

Gli innesti nelle piante ortive Pur trattandosi di piante annuali ed erbacee da alcuni anni è possibile praticare innesti anche nelle piante ortive, in particolare su pomodori, melanzane, peperoni, cetrioli, meloni e cocomeri. Si ha così la possibilità di ottenere produzioni estremamente elevate grazie alle migliori capacità di assorbimento delle radici del portinnesto e, cosa molto più importante, di avere a disposizione piante altamente resistenti a numerose malattie che colpiscono gli ortaggi, in particolare i marciumi radicali (causati da Fusarium, Verticillium e Phytophtora) che sono curabili solo con trattamenti sterilizzanti del terreno e con presidi sanitari notevolmente tossici. L’innesto si ottiene utilizzando due piante appartenenti alla stessa specie o allo stesso genere di cui una fornirà la parte radicale (poiché appartiene a specie resistenti anche se produttivamente scadenti) e l’altra la parte aerea, che cor-

Moltiplicazione e potatura n 101

portinnesto pronto per essere innestato

la marza sagomata a cuneo si inserisce nel portinnesto

legatura con nastro

inserimento del nesto in corrispondenza dell’inserzione della prima foglia del portinnesto

innesto completato

unione dei due individui

legatura con nastro

Innesto a spacco laterale

portinnesto e nesto con sezione di taglio

Innesto a spacco pieno o di testa

portinnesto con il taglio rivolto verso l’alto (a sinistra) e nesto con taglio rivolto verso il basso (a destra)

Innesto per approssimazione

102 n Per cominciare

risponde alla pianta che si vuole coltivare per le ottime qualità dei frutti. La preparazione del materiale e l’esecuzione dell’innesto non presentano particolari difficoltà. Innanzitutto si seminano i due individui, possibilmente in vasetti singoli per facilitare le operazioni. Quando le piantine hanno raggiunto le 4-5 foglie vere, circa 8-15 giorni dopo la semina, si esegue l’innesto. L’ambiente in cui operare deve essere tenuto a una temperatura intorno ai 20-25 °C ed elevata umidità che si può ottenere anche coprendo le piantine con piccoli coni di plastica trasparente. Gli innesti più utilizzati sono quelli per approssimazione (in tutte le specie sopra elencate), a spacco laterale per le Solanacee e a spacco pieno per le Cucurbitacee. Nel primo caso con una lama tagliente, un bisturi o una lametta da barba, si incide praticando un taglio inclinato il fusticino di entrambe le piante: in uno il taglio sarà rivolto verso l’alto, nell’altra pianticella verso il basso. A questo punto si possono congiungere strettamente i due lembi e si chiude il punto d’innesto con una mollettina, oppure anche con della semplice stagnola di alluminio o con del nastro adesivo.

Per alcuni giorni si mantiene elevata la temperatura (2025 °C) e in particolare l’umidità del terreno e dell’aria coprendo le piantine innestate con teli di plastica trasparenti. In 10-15 giorni l’innesto è attecchito, si procede allora all’eliminazione della parte aerea del portinnesto e a quella radicale del nesto. L’innesto a spacco laterale comporta invece la preventiva eliminazione della parte aerea del portinnesto mediante un taglio obliquo e la sovrapposizione immediata della parte aerea del fusticino della pianta produttiva, con successiva legatura e conservazione nelle condizioni precedentemente descritte. Questo tipo di innesto è usato per le Solanacee, tra cui il pomodoro, per il quale sono ottimi portinnesti gli ibridi F1 di pomodoro usati anche per la melanzana. Anche per il peperone si usano varietà F1 di peperone, particolarmente resistenti ai marciumi. Nell’innesto a spacco pieno usato per le Cucurbitacee è necessario seminare le piante di cui si utilizzerà la parte aerea qualche giorno prima rispetto a quelle che serviranno da portinnesto. Tutto questo allo scopo di consentire l’inserimento di alcune foglie vere nello spazio all’interno delle due foglie cotiledonari del portinnesto.

Per il cetriolo il portinnesto più usato è la zucca di Malabar, mentre altre varietà di zucca, come la Benincasa cerifera, sono le più utilizzate per il melone e il cocomero.

La potatura Parlare di potatura nell’orto può sembrare un’incongruenza ma se con il termine si intendono tutte quelle operazioni che si effettuano sulla parte aerea della pianta, allora la parola potatura trova perfetta corrispondenza anche nella pratica orticola. Per esempio, per piante a crescita rapida è molto usata la cimatura, con cui si mozza il fusto principale o i secondari per stimolare l’emissione di nuove ramificazioni e quindi aumentare la produzione; oppure si accorciano i rami che portano i frutti in formazione, per concentrare in questi la linfa e ottenere una pezzatura migliore e un anticipo della maturazione. Questa pratica è particolarmente indicata per le zucche, i meloni e le altre Cucurbitacee che, allungandosi velocemente, continuano a produrre frutti che non arriveranno mai a maturazione. Interrompendo lo sviluppo con l’asportazione del fusto al di sopra delle 4-5 foglie dopo

Moltiplicazione e potatura n 103

l’ultimo frutto che si vuole far giungere a maturazione, si ottiene un ingrossamento consistente di tutti quelli rimasti sulla pianta, una maturazione più uniforme, un miglioramento delle qualità organolettiche e della conservabilità. Analogamente su altre ortive come i pomodori che tendono ad assumere una forma ce-

spugliata a svantaggio della produzione dei frutti, si deve intervenire con l’eliminazione dei germogli laterali. Altra operazione assimilabile alla potatura è la scacchiatura, con cui si sopprimono i germogli che si formano all’ascella delle ramificazioni e che sono detti “femminelle”; ciò allo scopo di contenere lo

La cimatura favorisce l’emissione di nuove ramificazioni.

sviluppo vegetativo a favore della fruttificazione. La potatura interessa in particolare quelle specie arbustive comunemente presenti negli orti come i piccoli frutti che, essendo perenni, necessitano annualmente di interventi cesori per mantenere ogni anno le potenzialità produttive (vedi le pagine 219-235).

La scacchiatura, o sfemminellatura, contiene lo sviluppo vegetativo a favore della produzione di frutti.

Malattie, parassiti e lotta integrata Secondo statistiche attendibili, il 35% della produzione agricola mondiale viene distrutta o gravemente danneggiata da insetti, crittogame, virosi, malerbe. I presidi fitosanitari – antiparassitari ed erbicidi – sono dunque un male necessario ma anche un’arma a doppio taglio, in quanto gravissime possono essere le conseguenze, per le colture e per la salute dell’uomo e degli animali, derivanti dal loro uso indiscriminato e non corretto. Oggi gli studiosi sostengono che i parassiti non devono essere sterminati a qualunque costo e non totalmente, ma combattuti solo quando i danni che arrecano sono gravi. Ciò per non rompere l’equilibrio naturale del “sistema” al cui centro si trovano le piante coltivate e che risulta da una moltitudine di fattori interdipendenti (clima, terreno, acqua, pratiche colturali ecc.). Sulla base di queste teorie, la tendenza attuale degli agronomi e degli ecologi è quella di condurre la cosiddetta

“lotta integrata”, che consiste nell’applicazione combinata di tutti i mezzi disponibili per prevenire e controllare le malattie parassitarie, al fine di far ricorso ai prodotti chimici solo nei casi estremi. Tra i mezzi della lotta integrata molto importante è l’ambiente, in quanto le condizioni di clima, di terreno e di esposizione, oltre a tecniche colturali inadeguate, costituiscono un fattore che predispone l’attacco dei parassiti. Di grande interesse è la continua ricerca e sperimentazione di “cultivar” adatte alle varie condizioni di ambiente e che sono il risultato di una selezione intesa a potenziare le capacità di resistenza delle piante nei confronti delle malattie. Molti parassiti infatti sono specifici di una determinata specie o di specie di una stessa famiglia e quindi si moltiplicano enormemente quando gli ospiti non vengono mai a mancare. La lotta preventiva è dunque più o meno sinonimo di lotta integrata. Essa si basa in-

fatti sull’oculata scelta di varietà adatte all’ambiente in cui si opera, sull’acquisto di sementi certificate, esenti da malattie trasmissibili sia per semplice contatto da parte del tegumento infetto, sia a opera di parassiti e virus annidati all’interno. Occorre disinfettare sementi, bulbi e tuberi prodotti in casa se si sono verificate malattie nell’orto, anche se sono stati raccolti da piante sane. Bisogna eliminare tempestivamente le foglie macchiate, arricciate, ingiallite, quando non si sia sicuri che il motivo è la pioggia, la grandine, la siccità ecc., e distruggere con il fuoco tutte le parti sospette. I resti degli ortaggi, anche sotterranei, vanno allontanati dal terreno e impiegati per preparare terricciati, sempre che siano esenti da malattie. Occorre dare spazio, luce e nutrimento alle piante fin dalle prime fasi vegetative, evitando però di forzarne eccessivamente la crescita con esagerate concimazioni e irriga-

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zioni, a scapito della robustezza. Occorre evitare il più possibile, durante le operazioni colturali, di lesionare le radici, le foglie e i fusti per non aprire la via ai parassiti; soprattutto in caso di invasioni crittogamiche si deve evitare di bagnare la parte aerea delle piante. Inutile dire che le operazioni di scacchiatura e cimatura devono essere in generale eseguite con fogliame asciutto. Nell’orto di tipo familiare è possibile tenere sotto controllo le invasioni di alcuni tra i più comuni parassiti animali senza dover ricorrere a mezzi drastici quali trattamenti con fitofarmaci o ad esche avvelenate. Gli insetti e le larve di dimensioni piuttosto grandi possono essere raccolti a mano oppure, scuotendo le piante, si fanno cadere sopra un telo. Le farfalle notturne, cui appartiene la maggioranza dei bruchi dannosi agli ortaggi, devono essere attirate con apposite lampade per evitare che si riproducano. Le forbicine si rifugiano volentieri, durante il giorno, in barattoli riempiti di carta o paglia, poiché non amano la luce; si distruggono con il fuoco prima che escano di sera. Le formiche non danneggiano direttamente le piante, ma contribuiscono alla diffusione degli afidi, della cui secrezione zuccherina si nutrono.

Conviene distruggere sistematicamente i formicai prima che si diramino per tutto l’orto, dissestando i seminati e scalzando le giovani piantine. Un metodo molto efficace e scevro di pericoli è l’acqua bollente versata dopo aver scostato un poco la terra attorno ai nidi. Anche i lombrichi, di cui parliamo come animali utili, vanno tenuti sotto controllo, evitando di disseminare per tutto l’appezzamento materiali organici in fermentazione. Le lumache e le chiocciole si raccolgono facilmente alla sera, quando accorrono nell’orto appena irrigato. Eventualmente si attirano mettendo sul loro cammino, segnato dalla scia iridata, dei mucchietti di crusca umida protetti con un vaso capovolto; ogni mattina occorre recuperarle prima che tornino ai loro rifugi al riparo dal sole.

Le malattie fisiologiche Sono comprese in questo gruppo tutte le alterazioni attribuibili a condizioni ambientali anomale: clima, esposizione, terreno, tecniche colturali (irrigazioni e concimazioni) non rispondenti alle esigenze di una pianta. Dalle nor-

me di coltivazione possiamo dedurre quali siano le condizioni inadatte, responsabili di malattie che, oltre ai danni diretti spesso irreversibili (crescita stentata, malformazioni, caduta delle foglie, mancata fioritura, aborto fiorale ecc.) costituiscono una causa predisponente nei confronti delle malattie parassitarie, aprendo la via alle infezioni e alle infestazioni o, comunque, diminuendo le difese naturali delle piante. I danni più gravi alle colture derivano dalle basse temperature delle gelate tardive primaverili, quando la vegetazione è già in piena attività; oppure delle gelate precoci, sul finire dell’estate, mentre gli ortaggi stanno completando la vegetazione. I danni invece da eccesso di temperatura sono più rari e si manifestano di regola in concomitanza della siccità e di un’insolazione troppo intensa e prolungata. In questo caso, oltre ad alterazioni patologiche (come appassimento, spaccature dei frutti e delle radici ecc.) si hanno spostamenti del ciclo biologico, con fioriture anticipate e quindi con raccolti scarsi e scadenti. Ma soprattutto gravi sono gli squilibri nutrizionali legati molto spesso alla reazione inadatta del terreno, a carenze di elementi principali (azoto,

Malattie, parassiti e lotta integrata n 107

fosforo, potassio) o di microelementi. Questi infatti sono nel terreno, per ricchezza naturale o per apporto mediante i concimi, in misura sufficiente alle esigenze degli ortaggi, ma la coltura intensiva e continuata di una specie che ha particolari fabbisogni di un determinato elemento conduce al loro esaurimento, che si manifesta con tipiche alterazioni da carenza nelle piante. Per fare qualche esempio, ricordiamo le elevate esigenze di boro da parte della barbabietola e della carota; di manganese delle suddette specie e dei piselli; ancora di boro, oltre a magnesio, rame e zolfo, del sedano e così via. Per prevenire questi danni è sufficiente l’impiego di fertilizzanti completi di tutti gli elementi.

I parassiti vegetali Muffe e funghi microscopici si riproducono per mezzo di spore, cellule particolari che per semplicità possono essere paragonate ai semi delle piante superiori. Le spore sono diffusissime nell’ambiente vegetale e resistono a lungo nelle condizioni più avverse durante lo stato di quiescenza, per riprendere a moltiplicarsi attiva-

mente favorite dall’umidità elevata unita alla temperatura mite e all’aerazione scarsa. Venute a contatto con i tessuti vegetali, emettono un filamento sottile (ifa) mediante il quale “radicano” ramificandosi all’interno e all’esterno di essi. Danni – Macchie sugli steli, sulle foglie, sugli organi sotterranei, generalmente in aree limitate. – Pustole ed efflorescenze in corrispondenza delle macchie; le alterazioni hanno aspetto diverso e colorazione bruna, nera, verdastra, bianca, a seconda delle specie di crittogama responsabile della malattia; le pustole si aprono e lasciano uscire le spore sotto forma di polverina. – Avvizzimento. – Appassimento. – Accrescimento stentato. – Marciumi. – Deformazioni degli organi colpiti. Lotta È necessario riuscire a riconoscere il parassita in modo da poter impiegare il prodotto più specifico: – fitofarmaci del gruppo degli anticrittogamici; si trovano in commercio preparati ad azione polivalente; – disinfezione del terreno;

– trattamento preventivo del materiale da riproduzione; – eliminazione e distruzione con il fuoco delle parti irrimediabilmente colpite.

I batteri Sono organismi composti di una sola cellula dotata di movimento proprio e visibile solo al microscopio. Penetrano nelle piante attraverso lesioni o aperture naturali e provocano danni tramite l’emissione di sostanze tossiche e la “digestione” dei tessuti vegetali. Danni – Macchie giallo-brune sulle foglie. – Avvizzimento, iscurimento, disseccamento della parte aerea. – Rammollimento e marciume maleodorante degli organi sotterranei. – Escrescenze sul colletto e sulle radici. – Accrescimento stentato. Lotta – Disinfezione del terreno. – Disinfezione degli organi sotterranei e dei semi con prodotti antibiotici o altri specifici. – Distruzione con il fuoco delle parti ammalate.

108 n Per cominciare

Le virosi

I parassiti animali

Malattie sostenute da virus, entità ultramicroscopiche (grandezza nell’ordine di milionesimi di millimetro) che si riproducono solamente all’interno della cellula vegetale (e animale). Penetrano in ogni parte della pianta attraverso lesioni di qualsiasi origine, veicolati dagli insetti, dall’acqua, dal vento, e per contagio a opera di piante infette, attrezzi, mani e vestiario delle persone.

INSETTI EMITTERI

Danni – Nanismo, ingiallimento, curvatura dei germogli. – Ingrossamenti, arricciamenti, deformazioni, avvizzimento, necrosi, disseccamento delle foglie. – Macchie chiare su foglie e fiori. Lotta – Impossibile la lotta diretta. – Lotta preventiva attraverso distruzione delle piante ammalate o sospette; esclusione dalla riproduzione di materiale proveniente da piante colpite; impiego di sementi certificate; lotta contro gli insetti parassiti; protezione delle piante dagli agenti atmosferici; disinfezione degli arnesi di lavoro (in particolare forbici); vestiario e mani puliti.

Gli insetti emitteri sono afidi (pidocchi), cocciniglie e insetti minuscoli che si presentano con ali oppure senza. Sono muniti di un apparato boccale che serve loro a pungere e a succhiare e si fissano in dense colonie biancastre, verdi, nere, rosa su tutte le parti delle piante ma soprattutto sulla pagina inferiore delle foglie, sui giovani germogli e sui boccioli fiorali, che vengono da esse completamente ricoperte. Emettono una melata di cui sono molto ghiotte le formiche che contribuiscono alla loro diffusione. Gli afidi possono talvolta apparire coperti da una lanuggine fioccosa. Le cocciniglie invece da uno scudetto ceroso e compatto, di colore variabile, o da un ammasso di filamenti. Gli afidi sono tra i più attivi e pericolosi agenti diffusori delle virosi. Danni – Accartocciamento, deformazione, seccume delle foglie, specie di quelle apicali, e dei boccioli. – Macchie bianche. – Macchie scure sulla melata. – Masserelle schiumose. – Tumori sulle radici.

Lotta – Fitofarmaci specifici detti aficidi. – Lotta indiretta alle formiche. INSETTI DITTERI

Sono comunemente detti mosche; l’adulto ha un solo paio di ali membranose, apparato boccale lambente e quindi non è direttamente dannoso. La larva è molle, bianchiccia, priva di zampe; ha apparato boccale succhiante e quindi provoca danni diretti; raggiunge lo stadio adulto attraverso quello intermedio di pupa; si insedia negli organi sotterranei, nella zona del colletto, nelle gemme e nello spessore delle foglie.

Ditteri: stadio larvale

Ditteri: insetto adulto

Malattie, parassiti e lotta integrata n 109

Danni – Macchie di secco sulle foglie. – Ipertrofia, aborto e marcescenza dei boccioli fiorali. – Marcescenza di bulbi e tuberi. Lotta – Disinfestazione del terreno. – Trattamenti preventivi del materiale per la riproduzione vegetativa. – Irrorazioni con prodotti attivi per ingestione. INSETTI IMENOTTERI

Gli imenotteri adulti hanno quattro ali trasparenti, appa-

rato boccale masticatore (vespidi) e sono quindi direttamente dannosi; la larva è un bruco con tre paia di zampe, provvisto o non di false zampe; raggiunge lo stadio adulto attraverso quello di ninfa che si svolge entro particolari nidi (celle) o entro bozzoli. Gli adulti depongono le uova nei germogli o in altre parti della pianta; le larve si evolvono dentro le foglie e gli organi sotterranei. Il rappresentante più noto del gruppo è l’ape mellifera, che però non è dannosa alle colture. Danni – Protuberanze (galle) sulla pagina fogliare; gallerie nei bulbi e nei tuberi. Lotta – Raccolta e distruzione delle parti colpite; irrorazioni con prodotti che agiscono per ingestione. INSETTI LEPIDOTTERI

Imenotteri: dallo stadio larvale a quello adulto

L’adulto è una farfalla, con apparato boccale lambente e succhiante, e quindi non dannoso. La larva è un bruco, con tre paia di zampe anteriori e un numero variabile di false zampe posteriori; ha apparato boccale masticatore e attacca ogni parte dei vegetali; giunge allo stadio adulto attraverso quello di crisalide, entro bozzoli.

Lepidotteri: stadi evolutivi

Danni – Erosioni del lembo fogliare. – Gallerie nello spessore della foglia; foglie arrotolate con dentro larva e bozzoli. – Erosioni delle giovani piantine al colletto con risalita delle larve entro i fusti. – Annidamento delle larve nei semi. Lotta – Disinfestazione del terreno. – Trattamento preventivo del materiale da riproduzione. – Irrorazioni con prodotti attivi per ingestione. INSETTI COLEOTTERI

Rappresentante tipico è il maggiolino. L’adulto ha le ali anteriori dure e rigide (elitre) che ricoprono le posteriori, membranose; ha apparato

110 n Per cominciare

boccale masticatore e quindi è direttamente dannoso. La larva è tozza, reniforme, con tre sole paia di zampe; ha anch’essa apparato masticatore ed è molto dannosa; raggiunge lo stadio adulto attraverso quello di crisalide. Danni – Buchi ed erosioni su foglie, germogli, fiori. – Gallerie nei fusti e negli organi sotterranei.

ALTRI INSETTI

ACARI

Forbicine (Dermatteri): erodono foglie e fiori allo stato sia adulto sia di larva; si combattono con arseniati e niditrappola.

Ragni di dimensioni piccolissime o microscopiche; hanno il corpo costituito da una massa unica, fornito di quattro paia di zampe e di apparato boccale pungente e succhiante.

Grillotalpa (Ortotteri): larve e adulti si nutrono degli organi sotterranei; si combattono con la disinfestazione del terreno, esche avvelenate o la raccolta manuale.

Lotta – Raccolta degli adulti. – Lavorazioni del terreno per snidare le larve. – Disinfestazione del terreno. – Irrorazioni con prodotti attivi per ingestione.

Tripidi (Tisanotteri): rovinano sia la parte aerea sia gli organi sotterranei con il loro apparato boccale pungente e succhiante. Si possono combattere con trattamenti preventivi di bulbi e tuberi.

Larva e adulto di coleottero

Grillotalpa

Danni – Avvizzimento delle piante. – Foglie arricciate. – Fiori atrofizzati. – Aspetto polverulento dell’intera pianta a causa della fitta ragnatela. – Bulbi e tuberi disseccano nel terreno e in magazzino. Lotta – Irrorazioni con fitofarmaci specifici detti acaricidi.

Malattie, parassiti e lotta integrata n 111

NEMATODI

Questi insetti sono vermi (anguillule) microscopici, diffusi nel terreno e nei terricciati; sono dotati di elevatissima resistenza alle più avverse condizioni e ai fitofarmaci: attaccano direttamente la parte radicale delle piante e risalgono i fusti. Attraverso le ferite che producono, divetano pericolosi vettori di batteri, di virus e di crittogame. Danni Molto gravi anche a causa della difficoltà di diagnosi, quasi sempre tardiva:

– radici ingrossate e ricoperte da tubercoli (galle); – macchie gialle, brune e rigonfiamenti sui tuberi e sui bulbi; – deformazioni e fenditure degli organi sotterranei; – ulcerazioni sui fusti; – ispessimenti e necrosi delle foglie; – nanismo e particolare deformità dei fusti; – fioritura stentata e deforme. Lotta – Disinfestazione del terreno con il calore. – Irrorazioni con prodotti specifici.

Le radici delle piante sono un facile bersaglio per i Nematodi.

Gli animali terricoli I RODITORI: TOPI E TALPE

I roditori si cibano di radici, bulbi, tuberi, sementi, ma il danno peggiore deriva dal fatto che scavano gallerie nel terreno, tagliando tutto quanto trovano sul loro cammino. Ciò spiega la morte improvvisa di piantine fino al giorno precedente sane e robuste, e l’insuccesso spesso totale dei seminati, dovuto al dissestamento del terreno. I roditori segnano con le deiezioni le vie che portano al nido e l’intero loro territorio; una comunità di questi animali può dominare da un centinaio a un migliaio di metri quadrati. Fabbricano nidi ad almeno 30 cm di profondità, provvisti di più fori di uscita e gallerie che conducono anche a depositi dove ammassano le provviste: radici, tuberi, bulbi, nonché granaglie, fatta eccezione per l’arvicola che non è granivora. Le esche avvelenate non hanno molto successo con i roditori che si possono catturare eventualmente con delle trappole poste all’uscita delle gallerie. Nello stesso modo si può procedere anche per le talpe, strettamente insettivore e quindi in teoria da proteggere, ma che con i loro cunicoli tagliano ogni radice che incontrano.

112 n Per cominciare

I topi recano spesso gravi danni alle colture.

to se abbiamo animali domestici, di ricorrere alle sia pur efficacissime esche avvelenate. Questi prolifici molluschi terrestri cercano l’oscurità e l’umidità e sono ghiotti di crusca. Mettiamo sul loro cammino, denunciato dalla scia iridescente che lasciano, nonché dalle caratteristiche erosioni sulle foglie, dei vasi capovolti sopra un mucchietto di crusca umida. Al mattino ne troveremo sotto parecchie. Si possono catturare facilmente anche annaffiando al tramonto dopo una giornata secca.

Le talpe, nonostante siano insettivore, danneggiano le colture scavando tane e cunicoli.

Gli interventi di lotta Per accertarsi della presenza nelle gallerie di questi animali, e che i monticelli di terra nell’orto non siano invece i segni di un territorio abbandonato, si possono chiudere alla sera le aperture facendovi franare dentro la terra. Se le tane sono abitate, al mattino ritroveremo ripristinate le vie d’accesso. Oggi il tipo di lotta più diffusa sfrutta piccole apparecchiature a ultrasuoni. LE LUMACHE

Le lumache e le chiocciole sono un flagello per l’orto e sono capaci in una notte di trasformare in deserto intere aiuole, ma non è il caso, soprattut-

Soprattutto negli orti casalinghi si deve fare ogni sforzo per evitare l’intervento con mezzi chimici per combattere i parassiti.Vi sono però alcuni prodotti a bassa tossicità che si utilizzano da moltissimo tempo e ancora oggi sono efficaci per proteggere l’orto da un gran numero di malattie. Ci riferiamo alla poltiglia bordolese o verderame contro la peronospora del pomodoro, delle patate e di altri ortaggi e allo zolfo contro gli attacchi virulenti di oidio o muffa bianca su lattughe, fragole ecc. È comunque consigliabile ricorrere, finché è possibile, a

mezzi di lotta fisici e agronomici. Distruggere con il fuoco le piantine che manifestano precocemente i sintomi, operare rotazioni, ripulire bene le prode dai residui delle colture ultimate molto spesso sono operazioni sufficienti per controllare egregiamente le malattie. Nella lotta contro gli insetti è preferibile intervenire con la raccolta di uova, larve e adulti nel momento del rilevamento della loro presenza o, per esempio, nel caso degli afidi asportare i germogli colpiti e distruggerli lontano dalla proda. Quando si verificano attacchi massicci conviene scegliere prodotti per i trattamenti di natura biologica o a basso impatto ambientale. I FITOFARMACI

A seconda dell’azione che svolgono i fitofarmaci sono distinti in antiparassitari e anticrittogamici. I primi combattono gli insetti parassiti, i secondi (detti anche funghicidi) vengono utilizzati contro le malattie causate da funghi e batteri. Contro i parassiti con apparato boccale pungente e succhiante (afidi e cocciniglie), che traggono il nutrimento dai tessuti interni dei vegetali, si usano insetticidi per contatto, che penetrano nelle connessure del rivestimento del corpo dell’insetto, paralizzandolo, cau-

Malattie, parassiti e lotta integrata n 113

sticandolo e intossicandolo. Contro i parassiti allo stadio di vita latente, che non si nutrono (pupe, crisalidi), sono migliori gli insetticidi per asfissia, mentre contro i parassiti con apparato boccale lambente (farfalle, mosche, vespe) e masticatore (coleotteri, bruchi) si usano insetticidi per ingestione. Gli insetticidi sistemici agiscono dall’interno della pianta, circolando nella linfa, riuscendo così a combattere i parassiti annidati all’interno dei vegetali (uova, larve), e quelli che tengono l’apparato boccale infisso nei tessuti (afidi). La pianta irrorata assorbe questi prodotti attraverso l’epidermide, in ogni sua parte. Il trattamento può quindi essere fatto sulla chioma, ai semi, ai bulbi, ai tuberi, nel terreno, benché in questo risulti meno attivo. Molto interessanti gli insetticidi sistemici che, innocui finché sono nei tessuti vegetali, divengono attivi nel corpo dell’insetto. LE NORME PER L’IMPIEGO DEI FITOFARMACI

La legislazione è oggi divenuta più severa in fatto di produzione e vendita di fitofarmaci, alcuni dei quali sono stati esclusi dall’impiego in campo ortofrutticolo. Inoltre consente la vendita e l’impiego dei prodotti molto tossici e tossici solo a personale abili-

tato all’uso, munito di apposito patentino che si ottiene seguendo dei corsi e sostenendo il relativo esame presso gli Ispettorati dell’Agricoltura. La nuova classificazione della Comunità europea distingue i prodotti fitosanitari in: – molto tossici contrassegnati dalla lettera T+ e dall’immagine del teschio; – tossici contrassegnati dalla lettera T e dall’immagine del teschio; – nocivi contrassegnati dalle lettere Xn e con la croce di sant’Andrea; – irritanti contrassegnati dalle lettere Xi e la croce di sant’Andrea; – pericolosi per l’ambiente contrassegnati dalla lettera N; – infiammabili/molto infiammabili contrassegnati dalle lettere F/F+; – prodotti non classificati, senza simboli ma che riportano la scritta “attenzione manipolare con prudenza”. È assolutamente necessario in ogni caso leggere molto attentamente le istruzioni, rispettando alla lettera le dosi, le modalità d’impiego e i cosiddetti “tempi di carenza”, cioè gli intervalli minimi che devono intercorrere tra l’ultimo trattamento e la raccolta del prodotto. Attualmente si tende a pro-

durre fitofarmaci dotati di rapida azione e di altrettanto rapida degradabilità, adatti a far fronte ad attacchi parassitari in prossimità del raccolto; la lotta a fondo si combatte preventivamente sugli stadi giovanili dei parassiti con prodotti più persistenti. La persistenza di un prodotto sulla pianta dipende dalla resistenza al dilavamento e dalla capacità di adesione ai tessuti vegetali della sostanza che funge da veicolo e da diluente del principio attivo. La manipolazione di fitofarmaci senza le fondamentali norme prudenziali può costituire un grave rischio, poiché l’azione tossica si esplica sia per assorbimento attraverso la cute, sia attraverso la respirazione, sia naturalmente per ingestione. Regole importanti sono quindi non lasciare la pelle scoperta, usare copricapo e guanti impermeabili, proteggere naso e bocca con l’apposita mascherina; logicamente si si sconsiglia di irrorare quando c’è il vento. I fitofarmaci vanno conservati possibilmente in un locale esterno alla casa, etichettati in maniera evidente e tenuti sotto chiave. Vanno manipolati preferibilmente all’aperto evitando di far cadere sul terreno il prodotto concentrato; per la preparazione si usano recipienti,

114 n Per cominciare

mestoli, bilance, misurini destinati esclusivamente allo scopo. I prodotti avanzati non vanno versati nelle condutture e i recipienti non vanno gettati nella spazzatura. GLI INTERVENTI SUL TERRENO

Molti parassiti animali e vegetali sono dotati di elevata capacità di sopravvivenza e rimangono allo stato quiescente nel terreno. Il letame non perfettamente maturo, o che ha subito fermentazioni anomale, è una pericolosa fonte di funghi, batteri, virus e larve di ogni genere, che invece con il buon governo della massa, vengono pressoché totalmente distrutti dalle elevate temperature. Per intervenire sul terreno esistono mezzi agronomici come le lavorazioni profonde – che mettono allo scoperto larve e insetti terricoli che, specialmente nella stagione fredda, non sopravvivono – e le rotazioni, che consentono di ottenere un efficace controllo dei parassiti soltanto quando questi sono strettamente obbligatori (cioè sono specifici di una sola specie vegetale). Generalmente gli ortaggi appartenenti a una stessa famiglia ospitano gli stessi nemici e quindi la loro coltivazione nella medesima parcella va sospesa per qualche tempo, così

da “affamare” il parassita.Tuttavia il problema è che alcuni parassiti si adattano a ortaggi di famiglie diverse. Si parla di disinfestazione quando si combattono gli insetti, i vermi, i parassiti animali in genere, mentre si ha disinfezione quando si combattono i parassiti microscopici di origine vegetale (funghi, muffe, batteri) e i virus. Il fatto è che i trattamenti disinfettanti hanno generalmente ragione anche dei parassiti animali, mentre non avviene il contrario. I trattamenti al terreno, necessari in caso di massicci e costanti attacchi parassitari in campo, e consigliabili comunque nei semenzai e nei cassoni, trovano la loro limitazione quando le colture sono in atto. In pratica solo quelli a scopo disinfestante, attuati con fitofarmaci, possono essere effettuati con terreno coperto da vegetazione, mentre quelli a scopo disinfettante devono necessariamente essere effettuati a terreno nudo. I TRATTAMENTI DISINFESTANTI

Per i trattamenti disinfestanti del terreno ci si può servire degli stessi prodotti impiegati per irrorare la parte aerea delle piante, oppure di prodotti specifici. I prodotti in forma liquida si distribuiscono con le attrez-

zature per l’irrigazione, mentre quelli polverulenti o granulari si spargono a spaglio o mediante uno spandiconcime. I metodi fisici non sono applicabili, come già osservato, sul terreno coltivato, in quanto prevedono la sommersione per qualche giorno del terreno allo scopo di asfissiare i parassiti. La sommersione inoltre non sempre è applicabile in quanto potrebbero peggiorare le condizioni del terreno. L’impiego del calore, se questo è elevato, porta alla completa distruzione non solo degli agenti patogeni, ma dell’intera sfera biologica del terreno, che riporta così profonde modificazioni chimico-fisiche. La sterilizzazione assoluta si effettua in genere per i cassoni, in quanto la germogliazione avviene anche in un substrato pressoché inerte. È sufficiente limitare l’incidenza dei fitofagi e dei funghi; i trattamenti si effettuano a temperature intorno ai 60 °C per 10 minuti con calore secco o con calore umido. Il calore umido è più efficace di quello secco e si ottiene versando acqua calda, se la superficie da trattare è modesta, oppure con vapore surriscaldato, emesso da un distributore a pettine. Il trattamento a secco si effettua, per piccole estensioni, ponendo un po’ di terriccio in forno, o su lamiere sospese su un fuoco di legna.

Infestanti e diserbo

Sono considerate malerbe o piante infestanti tutti i vegetali che occupano una superficie coltivata e che non appartengono alla specie in allevamento, quindi un pomodoro in una proda di cipolle deve essere considerato una malerba. In realtà tutti noi conosciamo le numerosissime specie, appartenenti alle più diverse famiglie botaniche, che invadono le nostre coltivazioni sottraendo acqua, elementi e luce agli ortaggi, deprimendone la crescita e lo sviluppo. Caratteristica tipica di queste piante è la loro elevata rusticità per cui resistono a condizioni climatiche sfavorevoli, si adattano bene in qualsiasi ambiente, tanto che i loro semi possono rimanere per lungo tempo nel terreno e germinare solo quando le condizioni per il loro sviluppo sono divenute favorevoli. Producono un numero abbondantissimo di semi, solitamente molto piccoli e quindi facilmente disseminabili e spesso sono provviste di organi di ri-

produzione sotterranei. In ogni tipo di coltivazione e in ogni zona sono sempre presenti per cui la lotta non deve rimanere circoscritta all’orto, ma deve interessare anche le zone circostanti, altrimenti si assiste a un rapido e continuo ripullulare di erbacce, che affidano la propria sopravvivenza all’opera disseminatrice dell’acqua, del vento, degli insetti, degli uccelli, di altri animali e anche dell’uomo. Inoltre in genere si trascura di sottoporre ai trattamenti antiparassitari le piante selvatiche, dimenticando che, al pari di quelle coltivate, albergano parassiti di ogni genere che sono comuni a entrambe. Anzi, molte volte sono ospiti intermedie obbligatorie per molti insetti, cioè sono la condizione indispensabile perché questi possano sopravvivere e moltiplicarsi. Nell’orto, grazie alle condizioni di terreno più favorevoli, le erbe spontanee degli incolti si insediano facilmente, divenendo particolarmen-

te rigogliose e sottraendo spazio, luce, acqua e nutrimento alle colture. Contro di esse si impiegano, oltre alle misure preventive volte alla totale disinfestazione del terreno prima delle semine e dei trapianti, mezzi di lotta applicabili nel corso delle coltivazioni. Tecnicamente si parla di “diserbo” quando si impiegano mezzi chimici, che comprendono prodotti da usare in “preemergenza” e che coinvolgono ogni specie vegetale, lasciando il terreno completamente sgombro, oppure prodotti da usare in “postemergenza”, ad azione selettiva, cioè che agiscono sulle erbe estranee rispettando la coltura in atto. La necessità dell’impiego dei diserbanti chimici è fuori discussione per quanto riguarda l’orticoltura intensiva, a causa dell’insostenibile onere di manodopera richiesta per effettuare il diserbo manuale o meccanico. Restano gli interrogativi sui possibili effetti secondari, a

116 n Per cominciare

scadenza più o meno lunga, sull’equilibrio ecologico e sulla salute dell’uomo e degli animali; sono perciò rigorose le norme prudenziali che riguardano la manipolazione, le modalità e i tempi di impiego dei vari prodotti. Nell’orto familiare sarebbe opportuno usare alcuni diserbanti tra i meno drastici, dando la preferenza a un diserbo preventivo ed evitando, nella distribuzione del prodotto, gli sconfinamenti. A livello familiare il problema delle infestanti non è di difficile soluzione, a patto che si conduca una lotta tempestiva e coordinata. Si impiegano sementi esenti al massimo da semi di specie estranee: quindi si acquistano prodotti “certificati” o si usa la massima diligenza nella produzione casalinga. In occasione dei lavori preliminari e a ogni inizio di ciclo colturale si ripulisce bene il terreno da tutte le piante preventivamente estirpate con la vangatura. Per qualche giorno, prima della messa a coltura, è necessario mantenere l’appezzamento umido, per poter eliminare le infestanti che via via spuntano; nel terreno possono infatti rimanere frammenti di radici, semi e organi sotterranei capaci di restare a lungo quiescenti per germogliare in condizioni favorevoli.

Tutte le erbe annuali, cioè prive di apparato sotterraneo perennante o perenne, si combattono impedendone la disseminazione estirpando l’intera pianta prima della fioritura o recidendo il fiore. La pacciamatura, tra le sue funzioni, ha anche quella di soffocare le erbacce, togliendo loro l’aria e, se realizzata con fogli scuri, anche la luce. La consociazione, che comporta la massima copertura del terreno con piante ortensi, non lascia spazio alle erbacce. La rotazione, se opportunamente studiata, rientra anch’essa negli interventi preventivi contro le infestanti; le specie a sviluppo lento e chioma ridotta, facili vittime di erbe estranee, si possono far seguire a ortaggi di rapido sviluppo e a fogliame ampio, che, oltre a difendersi da sé, lasciano il terreno sgombro. Un’altra possibilità è quella di coltivare ortaggi che non desiderano o non permettono sarchiature dopo una coltura cosiddetta “sarchiata”, che esige frequenti lavorazioni e ha quindi funzione preparatoria. Gli interventi fisici, consistenti nei trattamenti del terreno, sgombro da colture, con il calore secco o umido, sono molto efficaci anche contro la ricrescita delle erbe. I metodi più efficaci rimangono comunque la scerbatura, cioè l’estirpazione manua-

le delle giovani piante prima che queste entrino in fioritura, e la sarchiatura che risulta ottimale sulle prode degli ortaggi allevati a file o a buche.

Le malerbe nell’orto Più che secondo una suddivisione di tipo botanico, le infestanti dell’orto vengono classificate in funzione del periodo in cui si manifestano: molte di loro spuntano infatti precocemente in primavera e si ripresentano verso la fine dell’estate, altre invece trovano il massimo sviluppo durante la stagione estiva. Anche la localizzazione ambientale ha la sua importanza: in molte regioni prevalgono alcune specie tipicamente endemiche che non si riscontrano in altre aree geografiche. In ogni caso è sempre necessario che le malerbe non raggiungano la fase di fioritura e meno ancora quella della fruttificazione, altrimenti la loro presenza diventa sempre più preponderante e invasiva grazie all’elevata capacità di inseminazione. Solitamente si tratta di piante annuali che possono presentare sviluppo notevole o portamento prostrato come la stellaria o la veronica. Altre sono perennanti e presentano

Infestanti e diserbo n 117

la parte sotterranea rizomatosa, altre ancora hanno una notevole capacità di emettere radici in corrispondenza dei nodi per cui la loro diffusione è imponente e l’estirpazione sempre più complicata. La distribuzione delle malerbe è inoltre legata al tipo di terreno: alcune prediligono quelli calcarei (coriandolo, cicuta, convolvolo, veronica, linaria), alcune si sviluppano meglio su terreni acidi (camomilla bastarda, crisantemo segeto), altre preferiscono substrati sciolti o sabbiosi (digitaria, setaria, persicaria, portulaca), altre ancora affondano le loro radici in quelli argillosi e compatti (lamio, piantaggine), alcune infine si adattano a ogni condizione pedoclimatica (tarassaco o dente di leone, romice).Tutte comunque prosperano abbondantemente nei fertili e ricchi terreni di un orto dove trovano con facilità e in abbondanza sia acqua sia sali minerali oltre a considerevoli quantità di composti azotati. Grande importanza nella lotta alle malerbe deve perciò essere data alle lavorazioni principali del terreno. Durante la vangatura è necessario asportare completamente, o il più possibile, le radici del dente di leone o del romice, i rizomi della gramigna o delle campanule, gli stoloni della potentilla o del ranuncolo e tut-

to il materiale di conservazione e di riproduzione che si riscontra durante l’operazione di movimentazione del terreno. Per esempio, bastano piccoli rametti di gramigna o anche solo qualche gemma, perché la pianta ricompaia velocemente. Il materiale raccolto non deve essere accumulato o usato per il compostaggio, ma distrutto possibilmente in zone lontane dalla superficie coltivata dell’orto. Anche le operazioni successive prima della semina cioè le zappature e le rastrellature devono essere effettuate con l’intento di eliminare il maggior numero di radici, in particolare quelle delle malerbe perenni. Solo in autunno con-

viene interrare con la vangatura la vegetazione infestante annuale cercando di inserirla in profondità. Se le lavorazioni sono primaverili è meglio asportare tutta la vegetazione dalle prode. Il diserbo chimico è consigliato prevalentemente in quelle zone dove si ha un’eccessiva presenza di incolti, o dove l’orto non è protetto da siepi o recinzioni che limitano l’arrivo dei semi. Per essere efficace però il trattamento dovrebbe interessare anche le zone adiacenti all’orto. Nell’orto familiare comunque, se non vi sono infestazioni eccessive, è sempre meglio intervenire con metodi agronomici o meccanici.

Il tarassaco è un tipo di malerba che si adatta facilmente al fertile terreno di un orto.

Raccolta e conservazione Prima di entrare nel merito della questione, vogliamo sottolineare un aspetto importante:“verdura fresca” è esclusivamente quella che raccogliamo nell’orto poco tempo prima di portarla a tavola o di cucinarla; “notevolmente fresca” è la verdura surgelata, mentre quella acquistata dall’ortolano ha molto spesso perduto gran parte del suo valore dietetico in quanto gli ortaggi rimangono il più delle volte a lungo in attesa nei luoghi di raccolta, hanno viaggiato in vagoni non sempre refrigerati, sono rimasti in bella mostra per ore e giorni. I processi vitali, nei vegetali, proseguono anche dopo la raccolta, così che in un giorno va perduto il 50% del contenuto in zuccheri, il 25% di vitamine e anche di più per quanto riguarda la vitamina C, molto labile. Infatti non solo la temperatura elevata e il sole, ma anche la semplice luce distruggono molti principi nutritivi per ossidazione. Con il passare del tempo, la cellulosa contenu-

ta nei vegetali subisce un processo di lignificazione che la rende indigeribile e deprime anche la digeribilità delle sostanze a essa associate. Anche il gelo invernale sminuisce il valore nutritivo e le caratteristiche organolettiche degli ortaggi, le cui parti vetrificate marciscono non appena li si porta in casa. La presenza di parti appassite, gelate, macchiate, indica che il prodotto ha sofferto e che quindi, anche se viene ripulito alla perfezione, non è un alimento fresco e neppure sano né di buon sapore.

La raccolta Contrariamente a quanto comunemente si è portati a pensare, la raccolta dei prodotti dell’orto è l’operazione colturale che occupa più tempo e, complessivamente, il maggior numero di ore di lavoro. Ogni ortaggio richiede per la raccolta un metodo ben pre-

ciso, attrezzature diverse e l’identificazione di un tempo opportuno in cui le caratteristiche organolettiche del prodotto, al giusto grado di maturazione, vengono esaltate. IL MOMENTO

Se il lavoro dell’orticoltore è stato effettuato in maniera razionale e ragionata è possibile procedere alla raccolta dei diversi ortaggi in ogni mese dell’anno. Inoltre, quando viene effettuata nei modi corretti e nei momenti più idonei, è certamente anche la “fatica” più gratificante e piacevole. In un orto familiare è buona norma procedere sempre alla raccolta in funzione delle necessità quotidiane. Il discorso cambia per quegli ortaggi che si devono consumare solo allo stato giovanile. Per esempio le zucchine pronte per la raccolta non possono rimanere sulla pianta in quanto, a causa del loro rapido accrescimento, già il giorno dopo possono raggiungere dimensioni eccessive che ne pregiudicano le qualità organolettiche.

120 n Per cominciare

Da tutto ciò deriva che il momento della raccolta è una delle pratiche colturali a cui prestare maggiore attenzione. Non si possono indicare date precise con il calendario alla mano, in quanto i parametri di maturazione dei diversi ortaggi dipendono molto dall’andamento climatico stagionale e dalla zona di coltivazione. Solo l’esperienza e magari gli errori commessi negli anni precedenti possono dare le giuste risposte all’orticoltore. In funzione delle parti commestibili dell’ortaggio è anche importante considerare qual è il momento migliore per la raccolta nell’ambito della giornata. Al mattino è consigliabile la raccolta dei frutti (pomodori, peperoni, melanzane, zucchine...) perché presentano un maggior accumulo di sostanze di riserva trasferite, durante la notte, dalle foglie agli organi eduli. Viceversa, per le piante da foglia, la maggior ricchezza di elementi nutritivi si riscontra alla fine di una giornata di attività fotosintetica. Questo consiglia la raccolta al tramonto del sole di lattughe, cicorie, spinaci, bietole da costa, prezzemolo. La raccolta durante il giorno, specialmente nel periodo estivo, può provocare in queste specie da foglia l’inconveniente di un rapido appassimento.

Altre piante, quelle che presentano frutti vicino o a contatto con il terreno (cetrioli, fagioli nani, fagiolini, fragole, meloni, angurie…) devono essere raccolte asciutte, quindi meglio durante la giornata, in quanto possono presentare residui di terreno che creano difficoltà nel lavaggio e facilitano l’insorgenza di marciumi durante la fase di conservazione.

gressivo. È ovvio che danneggiando la vegetazione o, peggio ancora, scalzando le piante si pregiudica la produzione e la raccolta dei giorni successivi. Lo strumento più adatto per la raccolta non sono le mani, ma alcuni attrezzi comunemente a disposizione di ogni orticoltore (forbici, coltelli, forche); solo per alcuni ortaggi sono richiesti strumenti particolari, come nel caso degli asparagi.

IL METODO

Precisione e accuratezza sono le qualità richieste per effettuare correttamente la raccolta. Si raggiunge così lo scopo di evitare il danneggiamento della pianta interessata o di quelle vicine, in quanto sono relativamente poche le ortive che si raccolgono con un solo “passaggio” (cavoli, porri, finocchi, rape). Per questi ortaggi conviene comunque sempre asportare tutta la pianta dal terreno ed effettuare le operazioni di pulizia del materiale raccolto lontano dalla proda. Questo evita che sul terreno rimangano i residui di vegetazione appassita che, spesso, rappresentano la maggior fonte di inquinamento parassitario e patologico del suolo, a danno delle colture successive. La maggior parte degli ortaggi entra in produzione scalarmente e la maturazione dei frutti avviene in modo pro-

MODALITÀ DI RACCOLTA

La raccolta può essere effettuata in tre diverse modalità. Con le mani Tutti gli ortaggi da raccogliere senza l’aiuto di strumenti richiedono sempre l’uso di entrambe le mani. Se si devono strappare dal terreno (carote, rape, sedano bianco, cardo) si esercita una maggior forza di trazione e soprattutto si evita il distacco della sola parte fogliare, anche se una leggera irrigazione, prima dell’operazione, favorisce la fuoriuscita dal terreno dell’intera radice senza inconvenienti. Nel caso dei legumi (fagiolo, fagiolino, pisello) l’uso di entrambe le mani consente di tenere saldamente con una la pianta, o il germoglio laterale, e con l’altra di effettuare il distacco del baccello senza danno per la vegetazione.

Raccolta e conservazione n 121

Allo stesso modo si interviene nella raccolta delle fragole per evitare principalmente lo sradicamento dell’intera pianta dal terreno. Anche per alcuni ortaggi da foglia è consigliabile non utilizzare strumenti ma operare staccando, con entrambe le mani, le singole foglie o fusti dalla base della pianta. È il caso della bietola da coste e del sedano verde dove si staccano le foglie più esterne della roset-

fave

ta, cercando sempre di asportare interamente dalla base la parte interessata. Meloni e angurie, una volta che hanno raggiunto la completa maturazione, si separano praticamente da soli dalla pianta, per cui spesso il semplice contatto fa allontanare il frutto dal peduncolo. Con forbici e coltelli È preferibile tagliare un frutto con le cesoie lungo l’asse

del picciolo piuttosto che provocarne il distacco ricorrendo a torsioni e strappi. Si usano le forbici per ortaggi come pomodoro, melanzana, peperone, zucchine ecc., tagliando al centro del peduncolo. La parte che rimane attaccata alla pianta seccherà rapidamente e si distaccherà in breve tempo. Con le forbici inoltre si raccolgono tutte le piante aromatiche: basilico, menta, erba

carote

fagiolini

Modalità di raccolta con le mani.

cipolle

fagioli

122 n Per cominciare

cipollina, salvia, rosmarino, maggiorana, timo, origano ecc. Il coltello si usa per tutti gli ortaggi che presentano la capacità di rigermogliare: cicoria da taglio, prezzemolo, lattughino e anche per quelli che hanno una radice fittonante che può essere tagliata a livello del terreno, come la lattuga, lo spinacio, il finocchio, tutti i cavoli da foglia.

Anche i cavolini di Bruxelles e i carciofi necessitano per la raccolta dell’uso del coltello. Con attrezzi particolari Per l’estrazione dei turioni di asparago è necessario utilizzare l’apposito coltello che si infigge nel terreno e raggiunge il fusto nel punto di inserzione sul rizoma, al di sotto il livello del terreno. Patate, aglio e cipolle, vengono

peperoni

melanzane

cicoria

Modalità di raccolta con forbici e coltelli.

zucchina

raccolti quando la parte aerea è completamente seccata, e si estraggono molto più facilmente con l’ausilio di una forca o tridente. Non è consigliabile l’uso della vanga perché potrebbe causare notevoli danni ai tuberi e ai bulbi. Per la raccolta di questi ortaggi non si bagna il terreno prima dell’operazione perché l’umidità riduce la conservabilità del prodotto.

cavolini di Bruxelles

carciofo

Raccolta e conservazione n 123

Per ogni ortaggio esiste una temperatura ottimale di conservazione, che in media si aggira sui 3-4 °C, con minime di 1 °C e massime di 7 °C. Le capacità di resistenza degli ortaggi alla conservazione allo stato fresco è molto varia ed è legata, oltre che alla specie,

alla cultivar, che viene selezionata appunto per il consumo non immediato, e ai sistemi di coltivazione. In generale possiamo dire che gli ortaggi a ciclo lento e quelli derivati dalle semine tardive sono più adatti alla conservazione; quelli che vengono stimolati con abbondanti irrigazioni e nitrature risultano molto acquosi e di più facile deperimento.

Gli ortaggi tardivi si lasciano il più possibile sul terreno, affinché completino la maturazione divenendo sodi e pieni, acquistando quei requisiti indispensabili a una buona conservazione. È buona norma coltivare la quantità necessaria e sufficiente per il consumo immediato, raccoglierla e cucinarla al più presto o portarla subito in tavola se da mangiarsi cruda.

asparagi

patate

rape

La conservazione e la cottura

Modalità di raccolta con attrezzi specifici.

124 n Per cominciare

Se non se ne può fare a meno, riporla in un luogo fresco e umido, lavare (se necessario) rapidamente: in acqua passano in soluzione alcune vitamine (la vitamina C e il gruppo B in particolare). Erroneamente è generalizzato l’uso di lasciare frutta e verdura a lungo a bagno oppure sotto l’acqua corrente. La cottura porta inevitabilmente a forti perdite vitaminiche, fino al 50% di quelle idrosolubili, che passano nell’acqua. Una notevole riduzione delle perdite si ha con l’impiego della pentola a pressione che, oltre a consentire di utilizzare poca acqua, permette un più rapido ed elevato riscaldamento con tempi di cottura molto ridotti.

Se, terminata la cottura, si sottopongono gli ortaggi a un rapido raffreddamento mettendo la pentola sotto l’acqua corrente, si riducono ulteriormente le perdite. Al contrario, la cottura in abbondante acqua, a fuoco lento, in una pentola non perfettamente chiusa che permette la circolazione dell’ossigeno, è estremamente dispersiva per le vitamine. Altri accorgimenti prevedono di cuocere le patate con la buccia, di non tagliare le verdure in pezzi troppo piccoli, di non scartare le foglie esterne e più verdi dei cespi, di gettare i prodotti nell’acqua in ebollizione, salvo indicazioni contrarie, e di usare l’acqua di cottura per minestre o condimenti.

L’essiccazione Con l’avvento della surgelazione e con l’accessibile acquisto dei congelatori da parte delle famiglie, l’essiccazione degli ortaggi è in via d’abbandono, ma riteniamo utile ricordarne le modalità generali perché è possibile che, per errori nella programmazione, nell’orto si sia raccolto più del previsto, oppure che un’annata particolarmente propizia abbia reso estremamente produttivi i nostri ortaggi. Per evitare che il raccolto abbondante vada sprecato e nello stesso tempo per non invadere armadi e dispense con verdure conservate nei più svariati modi, il mezzo più

Raccolta e conservazione n 125

pratico è l’essiccazione, che consente di ridurre enormemente il volume dei vegetali: basti pensare che oltre il 97% di alcuni ortaggi da foglia e l’85% di quelli da radice e da seme è costituito di acqua. Al momento dell’uso gli ortaggi essiccati si fanno reidratare in acqua. Le perdite vitaminiche cui si va inevitabilmente incontro sono ripagate dal vantaggio di poter avere in ogni stagione verdure ottime, che conservano ancora un buon contenuto in proteine, zuccheri e sali minerali. Nei climi meridionali il calore estivo e la forte insolazione sono sufficienti per essiccare diversi ortaggi, stesi in strato sottile su delle assi e ritirati durante le ore notturne perché non riacquistino umidità. Negli altri climi, e comunque per non correre il rischio che le piogge interrompano il trattamento, conviene servirsi di piccoli essiccatoi per uso domestico, che recano accluse anche le istruzioni relative ai diversi ortaggi.

La surgelazione La surgelazione è il sistema più razionale per la conservazione degli ortaggi in quanto non comporta alterazioni degne

di nota per quel che riguarda il valore nutritivo, non provoca alcuna conseguenza sulle caratteristiche organolettiche e determina una perdita vitaminica molto ridotta rispetto agli altri sistemi. I processi enzimatici (che conducono ad alterazioni) vengono totalmente inibiti dal freddo, ma possono ugualmente instaurarsi nel corso dello scongelamento. Per ovviare a questo inconveniente, si procede pertanto a un’operazione di sbollentatura degli ortaggi prima del congelamento. La scottatura viene raccomandata per tutti i tipi di ortaggi, ma è assolutamente indispensabile per le cipolle, i porri, le rape, le carote, i fagiolini, i piselli e, in particolare, i cardi. Le patate tagliate a quadretti e i cavolfiori suddivisi in piccole porzioni vanno sottoposti a tre quarti di cottura. Lo scopo principale del trattamento con il calore è quello di inattivare gli enzimi, cioè dei fermenti che favoriscono l’ossidazione dei tessuti vegetali, cui seguono trasformazioni chimiche che hanno come conseguenza l’insorgere di macchie brune di sapore e odore sgradevoli. Le perdite riguardano comunque più che altro la vitamina C che è particolarmente soggetta all’ossidazione.

Non è raro che gli ortaggi surgelati, se vengono sottoposti al trattamento al più presto dopo il raccolto, abbiano un valore nutritivo e un contenuto vitaminico addirittura superiore a quelli freschi che potrebbero essere rimasti anche soltanto poche ore esposti alla luce e alle temperature ambientali. La surgelazione tempestiva permette anche di raccogliere gli ortaggi nella piena maturazione, quindi già in partenza più ricchi di sostanze nutritive e vitamine. La cosa più importante è applicare la giusta temperatura di surgelazione. A livello domestico, si devono trattare i prodotti inizialmente alla temperatura di -30 °C (occorre impostare il termostato a questa temperatura il giorno precedente) e la si mantiene per due giorni. Quindi occorre portare il termostato alla temperatura di conservazione, cioè a -18 °C. Tutte le verdure devono essere accuratamente pulite, asciugate e suddivise in varie porzioni da collocare in appositi contenitori o sacchetti che impediscano il contatto con l’aria durante la permanenza nel congelatore. Riporre nel surgelatore gli ortaggi divisi in porzioni offre la possibilità, inoltre, di poterli consumare scongelando solo la quantità necessaria.

Il ruolo degli ortaggi nella dieta Poiché tradizionalmente occupano nel menu il posto del “contorno”, gli ortaggi, rispetto ad altri alimenti, vengono consumati in misura limitata. In realtà, per le molteplici funzioni che svolgono nel nostro organismo, va a essi riconosciuto un ruolo di primaria e insostituibile importanza nella dieta. Occorre tuttavia ridimensionare la convinzione che degli ortaggi ci si debba nutrire soprattutto perché sono una ricca fonte di vitamine e di sali minerali. È vero che la maggior parte di essi possiede un corredo di vitamine piuttosto completo (fatta eccezione per la vitamina D, sempre assente) e spesso in percentuale elevata, ma il valore degli ortaggi, sotto questo profilo, è strettamente legato alla freschezza e al consumo a crudo. Il tempo trascorso dopo il raccolto, l’esposizione all’aria e alla luce, le temperature elevate distruggono rapidamente buona parte delle vitamine, e così pure la cottura in acqua che asporta inoltre la quasi to-

talità dei sali minerali solubili. La composizione chimica delle diverse specie è estremamente varia e ciò consente di poter attuare un’alimentazio-

ne completa dal punto di vista qualitativo, cautelandoci contro i rischi da carenze. A parte alcuni ortaggi come la patata, che ha un contenu-

CONTENUTO DI FOSFORO

CONTENUTO DI FERRO

• pisello • carciofo • fagiolo • cavolo broccolo • scorzonera • cavolfiore • asparago • indivia, patate nuove conservate

• spinacio • cima di rapa, rapa • bietola • cipolla, zucca gialla, fagiolino

• aglio, sedano • carota, melanzana • cavolo cappuccio e verza, ravanello

• porro • cardo, melone • pomodoro maturo • pomodoro verde • lattuga, peperone • barbabietola • cicoria, cetriolo, zucchina

• anguria

• spinacio • bietola • cime di rapa • pisello • aglio • barbabietola • carciofo • fagiolo, scorzonera, porro

• cicoria e indivia • cavolo broccolo, cardo • cavolfiore • cipolle nuove • ravanello • asparago • carota e peperone • patate nuove e conservate

• rapa, zucca gialla, zucchine

• cipolle conservate, lattuga, sedano

• cavolo cappuccio e verza, melanzana, pomodoro verde, melone • cetriolo • anguria

* Gli ortaggi sono elencati in ordine decrescente di contenuto

128 n Per cominciare

CONTENUTO DI CALCIO

CONTENUTO DI VITAMINA A

CONTENUTO DI VITAMINE DEL GRUPPO B

(sotto forma di caroteni, cioè di provitamine)

• cime di rapa • cavolo broccolo • bietola, cardo • porro • spinacio • cipolle nuove • fagiolo • cicoria e indivia • fagiolino • carciofo, cavolo cappuccio, verza

• sedano, scorzonera • rapa • ravanello • carota • pisello • cipolle conservate • lattuga • barbabietola • cavolfiore • asparago • zucca gialla e zucchina

• melanzana • pomodoro maturo e verde

• melone • cetriolo, aglio • patate nuove e conservate

• peperone, anguria

to notevole di carboidrati, e i legumi, che contengono anche molte proteine e quindi hanno un valore calorico e nutritivo relativamente importante, le verdure in genere sono scarsamente energetiche a causa dell’alta percentuale di acqua rispetto alla sostanza secca. Sono quindi ali-

• carota • catalogna • spinacio • cime di rapa • zucca gialla • pomodoro maturo • cavolo broccolo • cicoria • indivia • bietola • sedano da foglia • cardo • asparago • cavolo di Bruxelles • peperone • melone • finocchio • piselli freschi • fagiolino • anguria • barbabietola • ravanello • melanzana • porro • lattuga • fagioli freschi • carciofo • cavolo • cetriolo • cipolla • zucchina • sedano rapa

menti pochissimo concentrati, cioè voluminosi e particolarmente adatti a soddisfare il senso di sazietà mantenendo basso il numero di calorie. Per la stessa caratteristica, si prestano a diluire una razione concentrata (quale quella in cui entrano largamente cibi ad alto contenuto in grassi animali)

• cime di rapa • patate nuove • aglio • asparago • cavolo broccolo • fagiolo • cavolfiore • cardo • spinacio • fagiolino, melone, porro, scorzonera

• cicoria • indivia • carciofo • peperone • bietola, anguria • patate conservate • lattuga • cavolo cappuccio • cavolo verza • rapa • pomodoro maturo • zucchina • carota • cipolla fresca e conservata

• sedano da foglia • melanzana • pisello fresco • zucca gialla • cetriolo • ravanello • barbabietola

che, oltre ad affaticare la digestione, conduce a stati di acidosi e a disturbi renali. La loro azione benefica si esplica quindi in quanto risultano essere alimenti ricchi di fibra che vengono sfruttati dall’organismo per dare senso di sazietà e regolare l’importante funzione digestiva.

Il ruolo degli ortaggi nella dieta n 129

CONTENUTO DI VITAMINA C

VALORE ENERGETICO DEGLI ORTAGGI

• cime di rapa • cavolo broccolo • peperone • cavolo cappuccio • cavolfiore • cavolo di Bruxelles • rapa • spinacio • cavolo verza • porro • bietola • asparago • carota • catalogna • fagioli freschi • cardo • melone • patate nuove • piselli freschi • pomodoro • patate conservate • ravanello • lattuga romana • zucchina • cipolle nuove

• piselli secchi • fagioli secchi • fagioli freschi • aglio • piselli freschi • patate conservate • patate nuove • scorzonera • barbabietola • carota • cavolo broccolo • rapa • carciofo • spinacio • porro • sedano rapa • cavolfiore • cavolo di Bruxelles • cipolle nuove • anguria • bietola • pomodoro • melone • cavolo verza,

e conservate • cetriolo • fagiolino • carciofo • zucca gialla • cicoria • indivia • scarola • finocchio • aglio • anguria • sedano da foglia • sedano rapa • barbabietola • scorzonera

• cicoria,

I vegetali contengono cellulosa non digeribile dall’uomo e che perciò stimola la peristalsi intestinale favorendo la

cavolo cappuccio fiori di zucca, cime di rapa • pomodori verdi • asparago • lattuga, cipolla conservata • melanzana, peperone • zucchina, cetriolo • indivia, scarola, sedano, ravanello • cicoria riccia • cardo • zucca gialla • finocchio • catalogna

digestione di pietanze “pesanti” come i fritti e i sughi ricchi di grasso. Occorre però tenere presente che negli or-

taggi poco teneri, perché in avanzato stadio di vegetazione o raccolti da tempo, la cellulosa è parzialmente lignificata e incrostata di sostanze che la rendono ancora più indigeribile così da affrettare eccessivamente la digestione e provocare l’espulsione di alimenti solo in parte utilizzati. Gli ortaggi dovrebbero entrare largamente negli antipasti con il compito di stimolare la secrezione dei succhi gastrici e salivari gettando le basi per una buona digestione. L’influenza benefica sulle funzioni digerenti è legata sia alle gradevoli caratteristiche organolettiche – forme, colori, sapori, aromi – sia alla composizione chimica degli ortaggi. I vegetali sono ricchi di acidi organici (ossalico, citrico, malico, tartarico ecc.), che esplicano effetti diuretici e disintossicanti, e inoltre coadiuvano i succhi gastrici nel lavoro digestivo; sono controindicati solo per coloro che soffrono di iperacidità di stomaco. Ciò limitatamente alla sfera digerente vera e propria, perché, una volta assimilati, gli ortaggi hanno generalmente un’azione alcalinizzante e quindi attenuano gli effetti di una dieta acidogena come quella prevalentemente carnea. I vegetali forniscono all’organismo gran parte dell’acqua necessaria e perciò, soprattutto d’estate o quando ac-

130 n Per cominciare

compagnano cibi piccanti e salati, riducono il desiderio di bere durante il pasto, evitando così di diluire pericolosamente i succhi gastrici e di rallentare la digestione. Le statistiche dicono che il consumo di ortaggi in Italia – terra meravigliosamente agricola – sfiora appena il limite accettabile sotto il profilo di una razionale alimentazione. I motivi di questa situazione sono molteplici: la scarsa edu-

cazione alimentare, la mancanza di tempo per cucinare, l’abitudine, più o meno forzata, di consumare panini sul lavoro e, probabilmente primo fra tutti, il motivo economico: gli ortaggi infatti sono divenuti oggigiorno un alimento di lusso. In questi ultimi anni però, grazie al maggior numero di informazioni, si evidenzia un cambiamento di tendenza. Grazie anche alla commercializzazione di pro-

dotti precotti e conservati, in particolare surgelati, ma anche di alimenti freschi che non abbisognano di ulteriori tempi di preparazione (si pensi solo alle confezioni di insalate miste pronte per l’uso) la tendenza si va invertendo. Un veloce spuntino a mezzogiorno non è più solo rappresentato necessariamente da un panino ma anche da bellissime, coloratissime, deliziose e leggere “insalatone”.

LE SPECIE DELL’ORTO Gli ortaggi Le piante aromatiche I piccoli frutti

Gli ortaggi

I diversi ortaggi che abbiamo trattato sono presentati in ordine alfabetico*. Per ogni specie è stato indicato anche il nome latino impiegato nella classificazione scientifica. La classificazione sistematica raggruppa in famiglie gli ortaggi in base alla loro appartenenza botanica, secondo criteri che sono rilevanti non solo dal punto di vista teorico e scientifico, ma anche pratico, in quanto i vegetali che hanno tra loro una parentela più o meno stretta, hanno anche caratteristiche strutturali, biologiche e fisiologiche simili, e di conseguenza anche esigenze analoghe. Questo indipendentemente dalla qualità del prodotto che forniscono, o meglio, per cui vengono coltivati: foglie, radici, frutti, semi ecc. Il pomodoro, la melanzana, il peperone e la patata, per esempio, sono specie diverse di un

*Queste note tecniche sono basate sui dati sperimentali del professor Fausto Gorini dell’Università di Milano.

medesimo genere e hanno tra loro evidenti somiglianze morfologiche e di comportamento, ma mentre i primi tre producono grossi frutti, l’ultima fornisce tuberi. La famiglia riunisce vegetali accomunati da un certo numero di caratteri fondamentali, mentre i generi e le specie raccolgono caratteri che via via si presentano più particolari e differenziati. Le varietà, infine, sono “forme” diverse di una stessa specie, che si distinguono per uno o più caratteri. L’incrocio è il risultato della fusione di due varietà di una stessa specie; l’ibrido tra varietà di specie diverse.

Varietà tradizionali e nuove cultivar L’orticoltura moderna si orienta ormai sull’impiego di cultivar, vale a dire di forme che riuniscono in sé un complesso di caratteristiche pecu-

liari stabili cioè trasmissibili alla discendenza. Tali caratteristiche non vanno però intese in senso assoluto, ma relativo alle condizioni di clima e di terreno, alla resistenza alle malattie, alla durata del ciclo, alle diverse finalità produttive. Ne deriva che una cultivar appositamente selezionata per un certo ambiente può non dare buoni risultati in un altro e che per raccogliere pomodori da concentrato occorre scegliere la cultivar adatta e non una selezionata, per esempio, per fornire pomodori da insalata. Consultare oggi un catalogo di orticoltura può essere facile, ma per certi versi anche estremamente complicato. L’elencazione delle varietà è sconfinata e certamente è difficile non farsi tentare dalle promesse di produzioni enormi di ortaggi giganteschi. Ma ricordiamo che più una varietà è produttiva e qualitativamente pregiata, più è esigente in fatto di concimazioni, di irrigazioni, di cure col-

134 n Le specie dell’orto

turali. La precocità, le alte rese, il colore intenso, il sapore spiccato, richiedono di essere sostenuti adeguatamente. Poiché è giusto e intelligente non ignorare il progresso, conviene provare le novità in piccolo, senza abbandonare una varietà che ha già dato buoni risultati. Solo il confronto, a parità di condizioni ambientali e colturali, potrà dare suggerimenti validi per il futuro e salvaguardare da rischi. In orticoltura ricorrono spesso le definizioni di ortaggi precoci, semiprecoci, tardivi o, il che è lo stesso, di ortaggi a ciclo rapido (o breve), semirapido, lento. Gli ortaggi a ciclo rapido o precoce, che si

scelgono per le semine anticipate nei cassoni e letti caldi, in genere danno una produzione media non elevata. Questi ortaggi sono adatti anche per quelle zone in cui il periodo climatico favorevole è relativamente breve, come in montagna o in località poco favorite dall’esposizione. Su di essi ci si orienta per la consociazione da limitarsi a un breve periodo iniziale, quando, cioè, si ha la necessità di sgomberare in fretta il terreno. Le varietà tardive o a ciclo lento sono più produttive, più rustiche, meno esigenti; occupano però il terreno più a lungo e quindi si adottano quando lo spazio è abbondante. Vanno bene nei casi in cui si

può impiegare un’ampia parcella con un solo ortaggio, per esempio fagioli da essiccare, pomodori per conserva, cavoli da sverno. Sono adatti anche in tutti quei casi in cui l’ubicazione del terreno, la sua giacitura, oppure la scarsità di acqua non consentano di intervenire con frequenza per sostenere il ciclo vegetativo e produttivo. Un consiglio utile ci sembra quello di rifornirsi da un vivaista che operi nella stessa zona, in quanto le sementi e le piantine che fornisce derivano da ortaggi che già hanno subito una selezione, naturale o guidata, in analoghe condizioni ambientali.

classificazione Famiglia

Ortaggi

ASPARAGACEE

asparago

CHENOPODIACEE

barbabietola, bietola da coste e da erbette, spinacio

COMPOSITE O ASTERACEE

carciofo, cardo, cicoria, radicchio, indivia, lattuga, topinambur

CRUCIFERE O BRASSICACEE

cavoli, rapa, ravanello, cima di rapa

CUCURBITACEE

anguria, cetriolo, melone, zucca, zucchina, zucchetta abissina

LEGUMINOSE O FABACEE

fagiolo, fagiolino, fava, pisello, taccola

LILIACEE

aglio, cipolla, porro, scalogno

OMBRELLIFERE O APIACEE

carota, finocchio, sedano

SOLANACEE

melanzana, peperone, pomodoro, patata

Gli ortaggi n 135

FUSTO CON FOGLIE, FIORI E FRUTTI DELLE FAMIGLIE BOTANICHE COLTIVATE NELL’ORTO

CHENOPODIACEE spinacio

fiore di pianta maschio

sviluppo verticale della vegetazione con allungamento degli internodi; i fiori maschili o femminili compaiono all’ascella delle foglie e in punta

fiore di pianta femmina

bietola

136 n Le specie dell’orto

COMPOSITE O ASTERACEE carciofo

seme di carciofo con organi di volo (pappo)

achenio (frutto)

capolino di carciofo in piena fioritura

CRUCIFERE O BRASSICACEE rapa

fiore singolo

asse fiorale (al secondo anno) di rapa portante fiori e frutti (silique)

radice edule con rosetta di foglie (primo anno di coltivazione)

Gli ortaggi n 137

CUCURBITACEE melone

fusto strisciante con fiore femminile già allegato

frutto intero di melone

LEGUMINOSE O FABACEE fagiolo

baccello aperto con semi in evidenza

fusto volubile con foglie, fiori e frutti

138 n Le specie dell’orto

LILIACEE

cipolla

infiorescenza di cipolla (secondo anno di vegetazione). Evidente la riduzione del bulbo a vantaggio della fioritura

bulbo e foglie nel primo anno di crescita

fiore singolo

Gli ortaggi n 139

OMBRELLIFERE O APIACEE foglie di sedano con coste edule

sedano asse fiorale portante numerose ombrelle composte

achenio (seme)

fiore singolo

SOLANACEE

pomodoro

fiore singolo

ramo di pomodoro con foglie e fiori

grappolo di frutti

140 n Le specie dell’orto

I FIORI COMMESTIBILI Periodicamente molte riviste pubblicano articoli sull’uso dei fiori in cucina e presentano improponibili insalate con petali di rose o risotti alle viole: spesso più che il gusto si tenta di accontentare l’olfatto e la vista cercando di conservare nella cottura il profumo e il colore dei petali. Non è però necessario andare in giardino per raccogliere “materiale” e gustare il prodotto più bello delle piante: ortaggi da fiore, o di cui si utilizzano anche i fiori, sono presenti negli orti in ogni stagione dell’anno. Il carciofo è il fiore commestibile più conosciuto e apprezzato. I capolini, ancora ben serrati, con i verdi e tenerissimi petali e il cuore bianco e carnoso, si possono consumare sia cucinati in vario modo sia crudi (meglio se appena raccolti). Importante è prelevare i fiori giovani per evitare che il cuore si riempia di fastidiosi peli (sono gli organi di volo dei semi). Analogamente la grossa e tondeggiante infiorescenza bianca o violetta del cavolfiore, ancora ben serrata prima che i piccoli fiorellini si aprano allargando le ramificazioni, allieta le nostre tavole per tutta la stagione invernale, fin quasi a primavera. Non tutti comunque apprezzano queste Crucifere o Brassicacee perché, durante la cottura, emanano un persistente odore di composti solforati: Mark Twain era fra questi e lo aveva definito “il cavolo che è andato all’università”.

L’infiorescenza del cavolo broccolo, ortaggio geograficamente meno diffuso, non particolarmente compatta e bianca, è formata da tante piccole “rosette” avvolte da tenere foglioline che devono essere anche loro raccolte prima dell’inizio della fioritura. Altri fiori, tipicamente “italiani” sono le “cime di rapa”, conosciute e coltivate per la realizzazione di un eccellente piatto pugliese: le “orecchiette con cime di rapa”. Anche questi ultimi ortaggi appartengono alla famiglia delle Crucifere o Brassicacee, ma il “profumo” della cottura è meno intenso di quello del cavolfiore e il loro sapore è più forte e acre. Durante l’estate i fiori in cucina sono quelli maschili (sterili) delle zucche e delle zucchine. Si raccolgono con tutto il gambo quando sono ancora chiusi, si conserva la sola corolla, svuotandoli degli organi riproduttivi, leggermente amarognoli, e si cucinano fritti dopo essere stati passati in una pastella o opportunamente riempiti con svariati tipi di farciture. Il vivace colore giallo e il leggero gusto erbaceo sono particolarmente apprezzati. Anche di alcune piante aromatiche si raccolgono i fiori: un forte e piacevole sapore caratterizza infatti i fiori ancora chiusi del cappero. I boccioli, sotto sale o in salamoia, servono per aromatizzare e decorare molti piatti.

Aglio n 141

AGLIO|Allium sativum Esigenze nutritive: evitare le letamazioni (deprimono la qualità e la serbevolezza dei bulbi); terricciato decomposto alla semina, unitamente a complessi ternari a elevato titolo di potassio. Esigenze idriche: scarse all’impianto, normali in fase di sviluppo, evitare in preraccolta. Tipologia: ortaggio da bulbo. Origine: Asia centrale. Famiglia: Liliacee. Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno 120-230 giorni. Varietà: tuniche bianche

(aglio da serbo); tuniche rosee (aglio da consumo fresco); ciclo precoce o tardivo. Clima: temperato-caldo; ortaggio molto adattabile; temperatura ottimale 20 °C. Terreno: sciolto, sabbiosoorganico, esente da ristagni; pH pressoché neutro.

Semina: non praticata. Piantagione dei bulbilli: a dimora: ottobre-febbraio, in solchi distanti 30 cm; distanze sulla fila 15 cm; – profondità di semina 2-3 cm; – quantità di bulbilli 70-100 g/m2;

DA VICINO L’aglio coltivato nelle zone litoranee marine produce bulbi più dolci, di sapore e aroma meno pungente. Per la riproduzione si scelgono gli spicchi periferici, ben conformati e turgidi. L’aglio non va rincalzato, anzi va piantato con la punta in superficie o anche più superficialmente nei terreni poco soffici. La torsione dei fusti nell’ultima fase del ciclo, da molti praticata allo scopo di accelerare la maturazione, è sconsigliata perché arresta lo sviluppo del bulbo. L’aglio da serbo si lascia asciugare al sole dopo il raccolto e si conserva riunito in trecce, appeso in locali ben asciutti. Il caratteristico aroma pungente e il sapore piccante, dovuti

a composti volatili che passano direttamente in circolo esalando attraverso l’alito, la traspirazione, le urine, il latte, fanno dell’aglio solo un complemento e un condimento delle pietanze, mentre meriterebbe di essere considerato un alimento per il suo valore nutritivo e calorico. È molto utile come stimolante della secrezione gastrica. Un paio di cucchiai al giorno di uno sciroppo ottenuto mettendo a macerare per un giorno 50 g di aglio spellato e tritato in un litro di acqua, quindi filtrando e zuccherando, ha azione ipotensiva, espettorante, stimolante e antisettica intestinale. Eventualmente si può sostituire l’acqua con la grappa, eliminando lo zucchero.

142 n Le specie dell’orto

in semenzaio: non consigliabile. Germogliazione: 10-20 giorni; temperatura ottimale 15 °C; temperatura minima 5 °C.

gno-agosto con foglie secche (da serbo); 120-230 giorni dopo la piantagione; contemporanea. Produzione media: 1 kg/m2.

Lavori colturali: scerbature e sarchiature frequenti.

Conservazione: un anno a temperature di 0-12 °C.

Raccolta: marzo con foglie verdi (consumo fresco); giu-

Rotazione: coltura da rinnovo; non segue se stesso,

dopo l’aglio è bene seminare una leguminosa o una specie da foglia. Consociazione: lattuga, spinacio, ravanello. Produzione del seme: non necessaria in quanto la propagazione avviene per mezzo di bulbilli.

ANGURIA (COCOMERO)|Citrullus lanatus Clima: temperato-caldo, esposizione aperta e soleggiata; temperatura ottimale 21-29 °C. Terreno: profondo, organico, di elevata capacità idrica; pH tendenzialmente acido.

Tipologia: ortaggio da frutto.

mente per 90-150 giorni.

Origine: Africa tropicale.

Varietà: frutto sferico, ovale, oblungo; verde scuro, verde chiaro, striato, polpa rossa, rosea oppure giallastra; ciclo precoce, semiprecoce, tardivo.

Famiglia: Cucurbitacee. Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno normal-

Esigenze nutritive: abbondanti letamazioni anticipate, o terricciato misto a pollina in pre-semina, unitamente a concimi ternari a elevato titolo di potassio e di fosforo; nitrato potassico in copertura. Esigenze idriche: normali in fase di germogliazione, elevate e costanti in fase di sviluppo.

Anguria n 143

Semina: a dimora: aprile-maggio, 56 semi in buchette distanti tra loro 1-1,5 m; profondità di semina 2 cm; quantità di seme 15-20 g/m2; diradamento: piantine alte 3 cm, 1 o 2 per buca; in semenzaio: protetto, gennaio febbraio; in vasetti di 10 cm di diametro (2-3 semi per vasetto); profondità di semina 1 cm; trapianto: marzo-aprile, 2030 giorni dopo la semina; piante alte 10 cm con 4-5 foglie; distanze tra le file 150 cm, sulla fila 100 cm.

Lavori colturali: sarchiatura, scacchiatura, cimatura, eventuale diradamento.

Germogliazione: 4-15 giorni; temperatura ottimale 2528 °C, temperatura minima 20 °C.

Produzione media: 5 kg/m2.

Raccolta: al disseccamento del viticcio prossimo al frutto, quando presenta lieve depressione della buccia attorno al peduncolo, scomparsa della patina cerosa (pruina) che riveste la scorza, scricchiolio della polpa sotto pressione, tipico suono sordo che si avverte alla percussione; luglio-settembre, 90-150 giorni dopo la semina; scalare, per 1 mese.

Conservazione: 20-30 giorni a 3-4 °C.

Rotazione: coltura da rinnovo. Consociazione: nessuna in quanto il consistente sviluppo vegetativo di ogni singola pianta tende a ricoprire tutta la proda. Produzione del seme: ciclo biologico annuale; pianta monoica con fiori unisessuali; è sempre consigliabile però ricorrere a semi acquistati per non incorrere in spiacevoli fallimenti dovuti all’utilizzo di sementi derivate da piante F1; maturazione del seme scalare nei mesi di luglio e settembre; quantità: 30-40 g/frutto; durata della germinabilità: 3-4 anni.

DA VICINO La coltivazione dell’anguria riesce molto bene in esposizioni caldissime, purché le venga assicurato un abbondante rifornimento idrico; in periodi di grande siccità si usa la sommersione notturna del campo. Rispetto alle elevatissime necessità di acqua, l’anguria è dotata di un apparato radicale poco profondo; le varietà d’importazione tuttavia hanno radici più sviluppate in profondità e quindi sono meno esigenti. Per l’elevata percentuale di acqua, l’anguria è un alimento scarsamente nutritivo, ma sufficientemente energetico per il buon contenuto in zuccheri assimilabili. Si ritiene in genere che sia un frutto piuttosto in-

digesto, ma ciò può attribuirsi appunto al notevole contenuto idrico, che diluisce fortemente i succhi gastrici, e all’abitudine a consumarla molto fredda, quando si è accaldati, con effetto tipico delle bibite ghiacciate. L’anguria è un alimento voluminoso che soddisfa il senso di sazietà abbastanza a lungo e per questa prerogativa viene consigliata nelle diete dimagranti. La sua polpa particolarmente dissetante si presta alla preparazione di frullati privi di zucchero, molto utili anche per gli effetti diuretici, lassativi e disintossicanti. Deve essere perfettamente matura, cioè uniformemente rossa; le parti bianche, soprattutto in prossimità della buccia, vanno scartate.

144 n Le specie dell’orto

ASPARAGO|Asparagus officinalis Origine: bacino del Mediterraneo. Famiglia: Liliacee. Ciclo produttivo: annuale; pianta perenne-vivace; occupa il terreno per 10-20 anni. Varietà: turioni grossi e sottili; verdi, viola, rosa, bianchi. Clima: indifferente; ortaggio resistente al freddo; temperatura ottimale 15-18 °C.

Tipologia: ortaggio da fusto.

Terreno: profondo, fresco, leggero, permeabile, soleggiato, senza eccessi di umidità; pH neutro.

Esigenze nutritive: abbondanti concimi organici all’impianto; concimi complessi a elevato titolo di potassio all’inizio di ogni ciclo; nitrati in copertura. Esigenze idriche: normali nella fase di radicamento, limitate a mantenere il terreno fresco in seguito. Semina: serve alla produzione dei rizomi (zampe) da cui ha origine la pianta; poco praticata, poiché conviene acquistare le zampe; attualmente con le nuove varietà si acquistano piantine in vasetti che, dopo due anni, permettono una buona raccolta.

DA VICINO L’asparago riesce particolarmente bene nelle zone collinari e aperte. Le terre fredde producono turioni duri, quelle umide e compatte turioni amari, quelle troppo leggere causano un’anticipata colorazione delle squame. Il prodotto insipido può essere migliorato con abbondanti concimazioni potassiche. Va data la preferenza alle cultivar con turioni grossi ma privi di fibre, di cui si scarta solo un breve tratto. I nitrati in copertura e la rincalzatura in primavera (tecnica dei monticelli) favoriscono la produzione di turioni teneri e bianchi. La raccolta si fa scalarmente, per evitare che la luce provochi il rapido inverdimento dei turioni. Si tagliano i fusti alla base, un paio di centimetri al di sotto del piano di coltivazione con l’apposito strumento.

Appena raccolti, gli asparagi vanno legati in mazzi che vanno sistemati, con le punte rivolte in alto, in cantina coperti con sacchi asciutti; si conservano per 3-4 giorni. I turioni dopo la raccolta tendono ad allungarsi e a divenire fibrosi; non vanno conservati con la base nell’acqua, altrimenti perdono aroma e valore nutritivo (ma aumentano di peso). L’asparago è un ortaggio non particolarmente nutriente, a basso valore calorico, con effetti marcatamente diuretici e pertanto molto indicato per gli obesi. Comunica alle urine un caratteristico odore dovuto alla presenza di asparagina, una particolare sostanza che si accumula nei tessuti. Il consumo di asparagi è controindicato per i sofferenti di disfunzioni renali.

Asparago – Barbabietola rossa n 145

in semenzaio: marzo, in solchetti distanti 40 cm e profondi 6 cm; profondità di semina 3 cm; quantità di seme 0,4 g/m2; diradamento: piante alte 8 cm, per lasciare una pianta ogni 5 cm; poi, con 3 fusticini, ogni 15 cm. trapianto: marzo, zampe di 1-2 anni in solchi distanti 70 cm, larghi 60 cm, profondi 20 cm; profondità di piantagione 4 cm.

Lavori colturali: sarchiature, taglio degli steli secchi in novembre, rincalzature protettive e imbiancanti.

Germogliazione: 8-15 giorni; temperatura ottimale 35 °C; temperatura minima 3 °C.

Produzione media: 2,5 kg/ m 2 negli impianti nuovi; 6 kg/m2 tra il 6° e il 10° anno.

Raccolta: marzo-aprile, dal 2°-3° anno; scalare, in base alle dimensioni e al colore dei turioni, può protrarsi fino al mese di giugno. Poi è consigliabile interrompere la raccolta per permettere un maggior sviluppo della parte sotterranea.

Conservazione: 20 giorni a 0-1 °C; anche un anno per prodotti congelati: meglio se scottati prima della congelazione. Consociazione: insalate e ravanelli sui bordi della proda. Produzione del seme: ciclo biologico annuale; pianta dioica, fiori unisessuali; incroci facili; maturazione del seme (bacca completamente matura) e piante quasi secche in ottobre-novembre; quantità: 3-5 g/stelo; durata della germinabilità: 3-4 anni.

BARBABIETOLA ROSSA|Beta vulgaris var. “Rubra” Tipologia: ortaggio da radice. Origine: Africa settentrionale, Europa. Famiglia: Chenopodiacee. Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno per 60-180 giorni. Varietà: radici di dimensioni variabili, di forma sferica, piatta, allungata; di colore rosso chiaro, rosso scuro, paonaz-

146 n Le specie dell’orto

zo; ciclo vegetativo precoce o tardivo; per la coltura in orto familiare sono da preferirsi le varietà a radice piccola, polpa rosso chiaro, con apparato fogliare scarso. Clima: ortaggio notevolmente adattabile; preferisce i climi temperati; temperatura ottimale 16-24 °C. Terreno: sciolto, sabbioso, fresco ma non umido; pH pressoché neutro. Esigenze idriche: elevate in fase di germinazione; normali, ma con frequenza costante, in fase di sviluppo. Semina: a dimora: febbraio-maggio (varietà precoci); settembre

(varietà tardive); su file distanti 30 cm; profondità di semina 0,5-1 cm; quantità di seme 0,1-1,5 g/m2; diradamento: piantine con 4 foglie a 20 cm sulla fila; trapianto: marzo-aprile, 3040 giorni dopo la semina, piantine alte 15 cm, con 4 foglie, a radice nuda; distanza tra le file 25 cm, sulla fila cm 20. Germogliazione: 4-15 giorni; temperatura ottimale 2530 °C; temperatura minima 10 °C. Lavori colturali: sarchiature, scerbature. Raccolta: maggio-dicembre, 60-150 giorni dopo la semina; contemporanea o scala-

re, in base alle dimensioni e alle necessità di consumo. Produzione media: 3 kg/m2. Conservazione: 150 giorni a 0 °C. Rotazione: coltura sarchiata; non segue se stessa; spinacio. Consociazione: con ortaggio rapido fin dall’inizio della coltura. Produzione del seme: ciclo biologico biennale; pianta ermafrodita, fiori ermafroditi; incroci facili; maturazione del seme scalare, in luglio-agosto; quantità: 50-80 g/pianta; durata della germinabilità: 3-4 anni.

DA VICINO Nel trapianto, il colletto deve stare fuori terra. I terreni troppo argillosi producono barbabietole con polpa asciutta, quelli troppo umidi con polpa insipida. La concimazione diretta con letame produce radici di cattivo sapore, biforcate e di scarsa conservabilità. Le brinate e le basse temperature, nelle prime fasi di sviluppo delle radici, sono causa di prefioritura. La raccolta si fa quando le foglie denunciano segni di invecchiamento e le radici affiorano dal terreno. Le barbabietole destinate alla conservazione invernale non devono presentare lesioni; si lasciano asciugare un paio di giorni, dopo aver

eseguito la torsione del ciuffo fogliare a un centimetro sopra il colletto, quindi si possono stratificare nell’orto, a strati alternati con terra. Le barbabietole raccolte non sopportano le temperature inferiori allo zero, che vanno ad alterare le caratteristiche organolettiche proprie dell’alimento e la conservabilità. Le barbabietole si cuociono preferibilmente nella pentola a pressione; meglio conservare una porzione di foglie per evitare fuoriuscite di succo zuccherino. Questa radice è un alimento sano, digeribile, di elevato valore calorico grazie al contenuto in zuccheri assimilabili, la cui concentrazione aumenta con la conservazione.

Batata n 147

BATATA (PATATA DOLCE O AMERICANA)| Ipomea batatas leggiate delle zone temperato-calde, riparate dal vento. Terreno: sciolto, leggero, organico. Esigenze nutritive: nitrati nelle prime fasi. Esigenze idriche: costanti e moderate in tutte le fasi del ciclo vegetativo.

Tipologia: ortaggio da tubero. Origine: America centrale e meridionale. Famiglia: Convolvulacee.

Ciclo produttivo: annuale. Specie vivace, occupa il terreno per 200-250 giorni. Clima: indifferente, specie rustica; predilige esposizioni so-

Propagazione: per mezzo di getti staccati dai tuberi e posti a germogliare in locali luminosi alla temperatura di 15 °C. Vanno poi posti in piena terra in marzo-aprile alla profondità di 10 cm e alla distanza di 40 cm. Raccolta: ottobre-novembre dopo 7-8 mesi, tagliando gli steli e scalzando i tuberi.

DA VICINO È una specie vivace, annua nella coltivazione, con steli rampicanti lunghi fino a 2-3 m che danno una bella fioritura di campanule azzurre. Le radici sono abbondanti e ramificate e alcune si ingrossano notevolmente formando dei tuberi simili per aspetto alla patata, ma di forma affusolata; sono forniti di gemme (occhi) soltanto nella porzione dell’estremità, per la quale sono attaccati alla pianta madre. Hanno scorza liscia o segnata da solchi, di colore giallastro o rossastro, e polpa farinosa

bianco-grigiastra o giallastra. Finché non si sono sviluppati germogli robusti, occorre annaffiare con frequenza e moderatamente; si sarchia finché la vegetazione non copre il terreno: la parte aerea è infatti folta e necessita di sostegni, altrimenti si adagia. I fusti emettono ai nodi delle radici stolonifere che potrebbero essere sfruttate per ottenere nuove piante. La batata costituisce un alimento particolarmente energetico per l’elevato contenuto di carboidrati.

148 n Le specie dell’orto

Produzione media: 2,5 kg/m2. Conservazione: i tuberi sono di conservazione molto diffi-

cile, ma possono comunque essere mantenuti per qualche tempo, perfettamente asciutti, in un locale alla tem-

peratura di 10 °C. Appena al di sotto di questo limite, la polpa si altera e va soggetta a putrefazione.

BIETOLA (O BIETA) DA COSTE ED ERBETTE| Beta vulgaris var. “Cycla” Esigenze nutritive: letamazioni moderate e anticipate o terricciato in pre-semina; nitrati in copertura. Esigenze idriche: costanti e notevoli in ogni fase del ciclo.

Famiglia: Chenopodiacee.

o tardivo; per le coste, si preferiscono le varietà a piccioli larghi e carnosi, per le erbette quelle a coste ridotte e foglie tenere, di rapido ricaccio.

Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno per 60-200 giorni.

Clima: indifferente; ortaggio di elevata adattabilità; temperatura ottimale 15-18 °C.

Varietà: piccioli bianchi, verdi, rosa; foglie lisce, bollose, sottili, carnose; verde chiaro o verde scuro; ciclo precoce

Terreno: medio impasto, profondo, fresco, organico; pH lievemente acido; ortaggio adattabile.

Tipologia: ortaggio da foglia. Origine: Europa, Africa settentrionale.

Semina: a dimora: marzo-agosto, su file distanti 50 cm; profondità di semina 3 cm; quantità di seme 1-2 g/m2; diradamento: piantine alte 3 cm a 35 cm sulla fila; in semenzaio: protetto, febbraio; all’aperto, aprile-luglio, a spaglio; profondità di semina 3 cm; quantità di seme 4-5 g/m2; trapianto: aprile-maggio; agosto; 30 giorni dopo la semina; piantine alte 15 cm con 5 foglie; a radice nuda; distanze tra le file 50 cm, sulla fila 20 cm. Germogliazione: 4-15 giorni; temperatura ottimale 30 °C; temperatura minima 10 °C.

Bietola – Carciofo n 149

Lavori colturali: scerbature, sarchiature, leggere rincalzature, pacciamatura nei periodi più rigidi. Raccolta: giugno-dicembre; nei climi miti fino a maggio; 60-70 giorni dopo la semina; scalare, per circa 7 mesi: le coste in base allo sviluppo dei piccioli, recidendo al col-

letto; le erbette con frequenza, sopra il colletto. Produzione: 3-8 kg/m2 di coste; 2-3 kg/m2 di erbette. Conservazione: 6-12 giorni a 0 °C. Rotazione: coltura sarchiata; non segue né lo spinacio

e neppure la barbabietola. Consociazione: non consigliabile. Produzione del seme: ciclo biologico biennale; pianta ermafrodita, fiori ermafroditi; incroci facili; quantità: 90-100 g/pianta; durata della germinabilità: 3-4 anni.

DA VICINO La raccolta può protrarsi per tutto l’inverno. Nei climi rigidi con inverni sotto 0 °C, le piante a dimora vanno protette con pacciamatura o tunnel; eventualmente si prelevano con i pani di terra e si ricoverano affiancate in cassoni freddi o in cantina. Nel trapianto, le colture estive devono rimanere con il colletto fuori terra, mentre le colture da sverno devono essere leggermente rincalzate, o piantate in fossetti colmati poi con foglie secche. Temperature basse durante il primo periodo del ciclo causano prefioritura.

Le erbette seminate fitte e tagliate frequentemente danno un prodotto più abbondante, continuato e tenero. Le coste si possono raccogliere staccando soltanto i piccioli più sviluppati ed esterni del cespo. Le bietole contengono tutti i principi nutritivi in dosi equilibrate, ma hanno scarso valore alimentare a causa dell’elevato contenuto di acqua. Discreto è l’apporto di sali minerali, che si trovano concentrati soprattutto nella costa; la parte verde è meno ricca di cellulosa e quindi molto più digeribile.

CARCIOFO|Cynara scolymus Tipologia: ortaggio da infiorescenza-capolino. Origine: bacino del Mediterraneo. Famiglia: Asteracee o Composite. Ciclo produttivo: annuale o poliennale (pianta vivace); occupa il terreno per 8 mesi15 anni.

150 n Le specie dell’orto

Clima: temperato-caldo, non umido; temperatura ottimale 15-18 °C. Varietà: capolino inerme o spinoso (resistente al freddo), tondo o allungato, verde o violaceo; taglia ridotta o gigante; ciclo precoce (impianti primaverili) o ciclo tardivo (impianti autunnali); cultivar rifiorenti: producono due volte l’anno, da aprile a giugno e da agosto ai geli. Terreno: profondo, organico, con elevata capacità idrica ma esente da ristagni; pH lievemente acido. Esigenze nutritive: abbondante letame maturo negli impianti primaverili; letame non del tutto maturo in co-

pertura con funzione termica in quelli autunnali; concimi complessi a elevato titolo di potassio con i lavori di preparazione; nitrati in copertura. Esigenze idriche: elevate all’impianto e a ogni ripresa vegetativa. Semina: non praticata poiché produce carciofi piccoli e spinosi. Moltiplicazione vegetativa: per mezzo di “carducci”, cioè di polloni provvisti di radici e di almeno 4 foglie, che si acquistano o si prelevano al piede delle piante madri; per mezzo di “ovoli”, cioè di porzioni di fusto provvisti di gemme; il pre-

lievo avviene alla ripresa vegetativa, e a seconda del clima si pianta subito. Impianto della carciofaia: marzo-aprile; giugno-agosto (ovoli); settembre-novembre (carducci); in buchette larghe e profonde 30 cm; distanze: tra le file 90-120 cm, sulla fila 70-100 cm. Durata della carciofaia: varia a seconda delle condizioni climatiche e delle consuetudini locali; la durata massima è di 10-15 anni; in genere si rinnova dopo il 4° anno oppure, dove i polloni attecchiscono facilmente, si tratta la coltura come annuale. Lavori colturali: scerbature, sarchiature; rincalzatura a un

DA VICINO Mamme o mammole sono detti i capolini che per primi maturano in primavera nei climi temperati, o anche “carciofi di testa” perché sbocciano all’estremità del fusto centrale (gli altri che spuntano in seguito sono detti “carciofi di corona”); sono ricercati perché primaticci, grossi, teneri. La piantagione autunnale dei carducci e degli ovoli in vasetti nei cassoni freddi, con trapianto a dimora in aprile, anticipa la produzione ed evita fallanze da gelo. Le piante che il primo anno non hanno prodotto, si tagliano in settembre a 10 cm dal piede per stimolare l’emissione di carducci. Nei climi freddi è utile in inverno legare le foglie dei cespi prima di rincalzarle. Le colture invernali necessitano di riposo estivo, che si induce evi-

tando per almeno 60 giorni le irrigazioni e le concimazioni. I capolini si raccolgono quando sono ancora ben chiusi, compatti e teneri; le foglie esterne devono spezzarsi e non piegarsi. I capolini, con il gambo e qualche foglia, si possono conservare per qualche giorno in un luogo asciutto, coperti con fogliame fresco, altrimenti seccano e anneriscono. Il carciofo è un alimento nutriente, sano e di basso tenore calorico, noto fin dall’antichità come materia prima per la preparazione di infusi ed elisir dai molteplici effetti più che come ortaggio. La scienza moderna ha accertato la presenza nel carciofo di una sostanza detta cynarina, dal nome botanico della specie, che ha comprovati effetti epatoprotettivi e diuretici.

Cardo n 151

mese dall’impianto e in autunno; scalzatura in gennaio-febbraio; taglio alla base degli steli secchi dopo il raccolto; diradamento dei carducci per lasciarne due o tre per pianta negli impianti poliennali.

Raccolta: luglio-ottobre; ottobre-dicembre; primaveraestate (a seconda della tecnica colturale e del clima), 150-250 giorni dopo l’impianto; poi scalare, per almeno 40 giorni, in base alla grossezza dei capolini.

Produzione media: 0,5-1,5 kg/m2; 5-9 capolini/pianta. Conservazione: 20 giorni a 0 °C. Consociazione: eventuali ortaggi a ciclo breve.

PRODUZIONE DEI GOBBI I carducci in soprannumero, emessi alla base dei cespi alla ripresa vegetativa, possono per qualche tempo essere risparmiati: incurvati e interrati in un piccolo solco al piede della pianta madre, assumono una forma caratteristica,

da cui il nome di “gobbi”, e divengono bianchi, teneri, delicati, di sapore molto simile a quello dei cardi. È possibile ottenere un prodotto discreto anche interrando i polloni dopo averli staccati.

CARDO|Cynara cardunculus Tipologia: ortaggio da foglia. Origine: Europa meridionale. Famiglia: Asteracee o Composite. Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno per 120180 giorni. Varietà: piccioli pieni o cavi (da ripieno); colore verde o bianco; spinosi o non; ciclo precoce o tardivo. Clima: temperato; ortaggio adattabile durante la vegetazione; temperatura ottimale 15-18 °C.

152 n Le specie dell’orto Terreno: profondo, soffice, fresco, organico; pH lievemente acido. Esigenze nutritive: abbondante letame maturo; concimi ternari ricchi di azoto e potassio; nitrati in copertura. Esigenze idriche: elevate in ogni fase del ciclo. Semina: a dimora: aprile-maggio; in buchette distanti tra loro 80 cm; profondità di semina 3 cm; quantità di seme 1,5 g/m2; diradamento: una pianta per buca; in semenzaio: all’aperto, aprile-maggio; vasetti di 8 cm di

diametro (2-3 semi per ciascuno); profondità di semina 2 cm; trapianto: maggio-giugno, 50-60 giorni dopo la semina; piante alte 15 cm con 6 foglie; distanza 80 cm con una pianta per buca. Germinazione: 8-20 giorni; temperatura ottimale 30 °C; temperatura minima 16 °C. Lavori colturali: sarchiature e scerbature; rincalzatura alla fine dell’estate a scopo imbiancante e in seguito anche come protezione dal freddo. Raccolta: settembre-dicembre, 120-180 giorni dopo la

semina; scalare, per 2 mesi, in base alle dimensioni dei cespi e all’andamento climatico. Produzione media: 1,5 kg/m2. Rotazione: coltura da rinnovo; non segue se stessa. Consociazione: durante i primi due mesi, insalate, ravanelli, carote. Produzione del seme: ciclo biologico perenne; pianta ermafrodita con fiori ermafroditi; incroci facili; maturazione del seme scalare, in luglio; quantità: 100 g/pianta; durata della germinabilità: 4-5 anni.

DA VICINO Nel trapianto, il colletto non va interrato; le foglie e le radici vanno leggermente cimate. Non conviene fare semine troppo anticipate, per evitare la prefioritura. L’imbianchimento ha inizio quando le piante hanno completato lo sviluppo, tra la fine di agosto e ottobre; va eseguito scalarmente, in base alle necessità di consumo, perché il cardo imbianchito è scarsamente conservabile, specie negli inverni miti.

Il cardo sopporta temperature di 2 °C sotto zero e va rincalzato quando si teme il gelo eccessivo; in questo caso l’imbianchimento non provoca danni. La rincalzatura va fatta per gradi, coprendo prima per circa 20 cm, per giungere poi a 2/3 dell’altezza. In caso di temperature molto rigide, si trapiantano i cespi, con il pane di terra, in fossi all’aperto con paglia, o in cantina affondati in sabbia umida.

Carota n 153

CAROTA|Daucus carota Tipologia: ortaggio da radice. Origine: Europa, Asia sudoccidentale. Famiglia: Apiacee o Ombrellifere. Ciclo produttivo: annuale; occupa il terreno per 65-300 giorni. Varietà: radice cilindrica, fusiforme, tonda (a trottola), tonda di Parigi (molto pre-

DA VICINO I semi vanno strofinati entro un panno ruvido, allo scopo di liberarli dalle piccolissime spine di cui sono muniti e che li tengono agglomerati gli uni agli altri, impedendone l’uniforme distribuzione. Il primo diradamento va effettuato quando le foglioline sono alte 3 cm; per il secondo si può attendere che le piccole carotine abbiano preso colore, per poterle consumare. La parte migliore della carota è quella periferica, mentre quella più interna, il cuore, è più duro, in quanto corrisponde al legno della radice; occorre perciò dare la preferenza alle varietà con cuore poco sviluppato e in ogni caso raccoglierle poco prima che siano state raggiunte le dimensioni tipiche della varietà, comunque prima della comparsa dello stelo fiorale. La carota è molto adattabile, ma in condizioni ottimali di clima e di terreno, la qualità ne viene avvantaggiata. Le basse temperature, durante le prime fasi vegetative, provocano la prefioritura. La siccità produce carote piccole, legnose, acri; nei terreni profondi, leggeri e secchi vanno preferite le varietà a radici lunghe, capaci di attingere meglio

all’umidità sotterranea. Nei terreni compatti, poco profondi e umidi, riescono meglio le varietà a radice breve, tonda. Le carote destinate allo sverno si raccolgono contemporaneamente prima dei geli; si conservano defogliate, in cantina o all’aperto, in fosse o cumuli protetti con paglia. Si rende talvolta necessaria una rincalzatura, per evitare l’inverdimento del colletto delle radici. La carota è una delle principali fonti vegetali di vitamina A (carotene), ma il contenuto in zuccheri le attribuisce anche un discreto valore energetico. Il consumo abbondante e regolare di carote crude o del loro succo esplica benefici effetti sulla crescita e sul tasso di emoglobina; protegge la vista da alterazioni, aumenta le resistenze naturali contro le infezioni, in quanto protegge le mucose di tutti gli apparati; ha quindi anche effetti cicatrizzanti. Con il frullato di carota cruda, si preparano maschere di bellezza particolarmente rivitalizzanti e che favoriscono l’abbronzatura. Questa risulta più rapida anche a seguito del consumo abbondante di succo di carota fresco.

154 n Le specie dell’orto

coce); colore arancio, gialloarancio, rosso-arancio; bianco, violetto; ciclo precoce, semiprecoce, tardivo. Clima: ortaggio molto adattabile, temperatura ottimale 16-18 °C. Terreno: fresco, fertile, sciolto, esente da ristagni; pH lievemente acido. Esigenze nutritive: da evitare le letamazioni; eventuale terricciato ben maturo; concimi complessi e ternari a elevato titolo di potassio; eventuali nitrati in copertura. Esigenze idriche: normali in fase di germogliazione, moderate e costanti in seguito.

Semina: a dimora: gennaio-agosto, su file distanti 20-25 cm; profondità di semina 1 cm; quantità di seme 0,5 g/m2; diradamento: scalare, a 310 cm sulla fila. Germogliazione: 6-25 giorni; temperatura ottimale 28 °C; temperatura minima 8 °C. Lavori colturali: scerbature e sarchiature. Raccolta: dal mese di aprile, 65-200 giorni dopo la semina; scalare, in base alle dimensioni delle radici, per 30 giorni; dopo aver perso la vegetazione aerea, si può continuare la raccolta purché la temperatura del ter-

reno non scenda al di sotto degli 0 °C. Produzione media: 5 kg/m2. Conservazione: 180 giorni a 1 °C. Rotazione: coltura sarchiata; non segue se stessa. Consociazione: insalate, spinaci, ravanello. Produzione del seme: ciclo biologico biennale; pianta ermafrodita con fiori ermafroditi; incroci facili; maturazione del seme scalare in agosto-settembre; quantità di seme: 15-30 g/pianta; durata della germinabilità: dai 3 ai 4 anni.

CAVOLO|Brassica oleracea Tipologia: ortaggio da foglia e da fiore. Origine: Europa, Asia occidentale. Famiglia: Brassicacee o Crucifere. Ciclo produttivo: annuale; comprende diverse sottospecie con stesse esigenze di ambiente e di coltura.

Clima: temperato-umido; ortaggio molto adattabile, resistente alle basse temperature; temperatura ottimale 15-18 °C. Terreno: di medio impasto, profondo, fresco; pH tendenzialmente acido. Esigenze nutritive: abbondanti letamazioni, concimi ternari a elevato titolo di

azoto e di potassio; nitrati in copertura. Esigenze idriche: normali durante la germogliazione, elevate e costanti in seguito. Rotazione: tutti i tipi di cavolo sono colture sfruttanti: non devono seguire se stessi, altre Crucifere, Solanacee, Ombrellifere, Cucurbitacee.

Cavolo – Cavolfiore n 155

Consociazione: cavoli da foglia con lattughe e spinaci. Produzione del seme: ciclo biologico biennale; piante ermafrodite con fiori erma-

froditi; incroci facili; maturazione del seme scalare durante i di mesi agosto e settembre (è necessario operare un taglio a croce nella testa delle verze e del

cavolo cappuccio in modo da facilitare la fuoriuscita dello stelo fiorale); quantità: dai 10 ai 30 g/m2; durata della germinabilità: dai 4 ai 5 anni.

CAVOLFIORE|Brassica oleracea sabauda o botrytis Semina: in semenzaio: protetto in gennaio-marzo; all’aperto in maggio-agosto; a spaglio; profondità di semina 2 cm; quantità di seme 2-3 g/m2; diradamento: a 10 cm; trapianto: aprile; luglio-settembre, 30-90 giorni dopo la semina; piante di 15 cm con 5-6 foglie; distanze tra le file 60-90 cm, sulla fila 40-70 cm. Germogliazione: giorni 4-20; temperatura ottimale 30 °C; temperatura minima 10 °C. Lavori colturali: scerbature e rincalzature.

le informazioni generali sono comuni alle varietà di cavolo