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Italian Pages 316 [312] Year 2013
EDI Z I O N E NA Z I O NA LE DEL L E OP E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
d i retta da g io rg io ba roni
Co m m issione sc ie ntifica Giorgio Baroni, Presidente Franco Anelli (Rettore pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Marco Ballarini · Paolo Bartesaghi · Anna Bellio Davide De Camilli · Andrea De Pasquale, Segretario tesoriere Marco Elefanti (Direttore amministrativo pro tempore dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano) Edoardo Esposito · Pietro Frassica · Bortolo Martinelli Silvia Morgana · Andrea Rondini · Giuseppe Savoca William Spaggiari · Corrado Viola
Ente che ha chiesto di istituire l ’ edizione
Istituzione conservatrice delle carte pariniane
S ede Biblioteca Nazionale Braidense Via Brera 28, i 20121 Milano, tel. 02/86460907, fax 02/72023910 MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI
Con il contributo di
i l m att i n o (1763) i l m e z z o g i o r n o (1765) G I US E P P E PA R I N I a c ur a di g iovan n i bian card i introduzione di edoardo esposito commento di stefano ballerio
P I SA · ROMA FA B R I ZI O SER R A ED I TORE MMXIII
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S OM M AR IO Introduzione
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Tavola delle abbreviazioni
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Nota al testo Descrizione delle fonti
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I testi e la loro storia La prima edizione del Mattino L’«Edizione seconda» del 1763 e l’esemplare A1Bo1 Il terzo Mattino della tipografia Agnelli e la comparsa del Mezzogiorno Le edizioni Galeazzi del Mezzogiorno Il manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis e la sua datazione Le copie di lavoro del poeta Le successive edizioni Criteri di edizione
59 59 61 64 68 72 77 83 90
Il mattino (1763)
105
Il mezzogiorno (1765)
191
Appendice Il manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis
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Indice dei nomi
297
Testi citati nelle note di commento
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INTRODU ZIONE ipresentare in questa Edizione Nazionale i due poemetti che diedero a Giuseppe Parini la fama desiderata e il luogo meritato nella storia delle nostre lettere non vuol dire pretendere, dopo più di due secoli di riflessione attenta e sapiente, a una risistemazione critica, né la lezione di testi che furono pubblicati direttamente dall’autore potrà presentare significative modifiche. Si può anzi dire che proprio l’assetto ormai stabile della valutazione storiografica renda necessaria questa edizione e che questa, per contro, abbia consentito la messa a punto di alcune questioni filologiche sollevate dalle ricerche più recenti e di cui è bene che ci si renda criticamente conto. Dedicare inoltre a questi poemetti un volume specifico vuol dire promuoverne una conoscenza oggettiva e autonoma, una valutazione che si appelli ai caratteri della loro scrittura così come furono recepiti dal pubblico del tempo loro, che li accolse e apprezzò per quello che immediatamente ed esplicitamente proponevano, senza riguardo per ciò che – forse – sarebbe seguito: «Se a te piacerà di riguardare con placid’occhio questo Mattino forse gli succederanno il Mezzogiorno, e la Sera; e il loro Autore si studierà di comporli, ed ornarli in modo, che non men di questo abbiano ad esserti cari». Il Giorno, infatti, quel Giorno a cui sempre si associa il nome del Parini, non esisteva ancora quando nel 1763 apparve Il Mattino;1 non ne esisteva l’idea – l’idea di una composizione quale poi l’autore cercherà di perseguire – nemmeno quando nel 1765 fu stampato Il Mezzogiorno,2 e nelle carte pariniane il nome ne compare solo quando nel 1786 viene pubblicata La caduta. Dei due poemetti pubblicati dall’autore è necessaria allora una considerazione che ad essi singolarmente sia rivolta e che li apprezzi nella loro individualità e specificità, nella dialettica evoluzione che lega l’un testo all’altro e con cui il secondo venne, a soli due anni di distanza dal primo, a confermare l’ispirazione e il senso complessivo nonché la qualità di una poesia che, nel quadro
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1 Il Mattino, Milano, nella Stamperia di Antonio Agnelli, 1763. 2 Il Mezzogiorno, Milano, appresso Giuseppe Galeazzi, 1765.
10 introduzione di un secolo letterariamente povero e incline più a esercitazioni di scuola che a prove di alto sentire riproponeva decisamente la dimensione morale dello scrivere, la presenza non solo di un artista ma di un ‘uomo’. Non torniamo a termini desanctisiani per rinnovare un’opposizione polare che la critica ha ormai messo da parte da più di un secolo – se la dicotomia sia davvero superata, non è il caso di discutere qui – ma perché quell’opposizione, sia pure non ancora precisata in termini così fermi, presiede immediatamente alla ricezione critica di questi poemetti, e ci sembra necessario rifarsi allo spirito del tempo per impostare correttamente il discorso sulla loro valutazione, ricollocandoli in un ambito definito e dunque in quella Milano parte dell’Impero asburgico in cui all’Accademia d’Arcadia succedeva quella dei Pugni e in cui il moderatismo dei Trasformati conviveva con il più caustico spirito di un Illuminismo che stava per tenere a battesimo la Rivoluzione francese. Non a caso il Carducci, lettore fra i più sensibili alle finezze stilistiche del discorso pariniano, sentiva tuttavia il bisogno di dedicare gran parte della sua Storia del ‘Giorno’ proprio all’analisi di questo contesto, e di questo contesto è necessario ancora tenere conto perché è ad esso che si deve la ricezione prima e l’apprezzamento (e anche le prime obiezioni, naturalmente) dei poemetti pariniani; ed è a quanto fu stampato allora che dobbiamo l’affermarsi, nel tempo immediatamente successivo, del mito di Parini, via via declinato in chiave romantica e risorgimentale e stemperatosi poi e più propriamente in un’ottica letteraria che ancora non si è terminato di indagare in tutte le sue luci. Citeremo semplicemente il Baretti, che già nel primo numero della «Frusta letteraria» (ottobre 1763) elogiava l’autore del Mattino come «uno di que’ pochissimi buoni poeti che onorano la moderna Italia» e ne apprezzava l’ironia, «molto bravamente continuata dal principio sino alla fine di questo poemetto»; e il Cesarotti, che pur sottolineando che «la sua ironia è forse un po’ troppo acre» lo diceva «il primo a farci sentire un’urbanità piccante ben diversa dalle puerilità e dai plebeismi del nostro stile Bernesco».1
1 Cfr. Baretti, i, p. 85; Melchiorre Cesarotti, Opere, xxxvi, Firenze, Molini e Landi, 1811, pp. 122-123.
introduzione 11 Sappiamo del plauso che fu immediatamente tributato al Mattino e della fortuna editoriale che gli ottenne ben tre impressioni nel giro di un anno (e tre ne ebbe successivamente Il Mezzogiorno);1 e che fece rapidamente moltiplicare gli stampatori, tanto che «stomacato» se ne diceva il Parini scrivendo al libraio Colombani a proposito della programmata Sera: sono stomacato dell’avidità e della cabala degli stampatori. Non solo essi mi hanno ristampato in mille luoghi gli altri due [poemetti], ma lo hanno fatto senza veruna partecipazion meco, senza mandarmene una copia, senza lasciarmi luogo a correggervi pure un errore.2
Lo stesso Colombani era responsabile di una stampa veneziana del Mattino già nel ’63, e sempre nel ’63 ne stampava il Locatelli un’edizione a Bergamo e nel ’64 una a Torino il Morano.3 Nel 1776 troviamo conferma dell’interesse sollevato dall’opera persino in una libera traduzione – di cui è stata trovata copia nella biblioteca pariniana – intitolata Les quatre Parties du jour à la Ville,4 dove le ‘quattro parti’ altro non sono che le due pubblicate dal Parini, diversamente articolate: «Il Mattino & il Mezzogiorno contiennent les quatre Parties du Jour, quoique le Poëte n’ait parlé que fort légérement du Soir & de la Nuit».5 1 Ha confermato il numero di tre edizioni per Il Mattino, correggendo Isella che ne segnalava due sole, Giovanni Biancardi; cfr. Per il testo della prima redazione del Mattino: appunti sulle stampe milanesi del 1763, «Studi e problemi di critica testuale», lv, 1997, pp. 51-76. Si veda inoltre qui la Nota al testo per quanto riguarda le edizioni del Mezzogiorno. 2 Cfr. Barbarisi-Bartesaghi, p. 600 (lettera del 10 settembre 1766). 3 Cfr. Bustico, e ora la ‘descrizione delle fonti’ qui messa a punto da Biancardi. 4 Les quatre Parties du jour à la Ville, Paris 1776: così l’inventario della biblioteca pariniana in Barbarisi-Bartesaghi, p. 744 (n. 168). È del Carducci la prima segnalazione del testo: «Les quatre Parties du jour à la Ville, traduction libre [par l’abbé Jos. Grellet Desprades]. Milan et Paris, Ruault, 1776» e la precisazione «V’ha esemplari che portano per titolo: l’Art de s’amuser à la ville, ou les Quatre parties du jour» (Giosue Carducci, Storia del «Giorno» di Giuseppe Parini, Bologna, Zanichelli, 1892, p. 339). Circolarono di quest’opera diverse edizioni e una riproduzione del testo con data 1778, insieme a varie altre notizie sulle coeve traduzioni dei poemetti, è offerta in Schlüter - Gipper, pp. 366-445. Ma cfr. il paragrafo dedicato ora da Biancardi alle traduzioni. 5 Così la prefazione, che pur all’oscuro delle vicende che porteranno effettivamente all’idea di una quadripartizione del poema interpretava il periodo che va dal risveglio mattutino del Giovin Signore alle tenebre che lo avvolgono entro al loro «umido velo» secondo una più che tradizionale suddivisione dei cicli naturali e del giorno. Si veda il Carducci, che discorrendo della poesia del Settecento citava Le
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introduzione Fiorirono persino gli emulatori, tanto che la Sera ipotizzata dal Parini è presto messa a punto ma non ad opera sua, sì di un anonimo che nel 1766 la pubblica a Verona: e gli editori si affrettano ad annettere La Sera agli altri due poemetti in un unico volume di stampa,1 gabellando così per opera compiuta quella che solo alla lettura doveva rivelarsi arbitrario centone (e pure di non spregevole fattura, diremo qui tra parentesi, perché l’anonimo, Giovanni Battista Mutinelli, aveva letto e assimilato con intelligenza la lezione pariniana). Ma non è una storia della fortuna pariniana che si vuole tracciare qui, fortuna fatta anche di critici aspri e di intelligenti oppositori; e si dirà solo, restringendosi a questi ultimi e all’ambiente milanese, che della più prossima e autorevole sempre citata, quella dei fratelli Verri, saranno ormai da rivedere i termini, dopo le precisazioni degli studi più recenti. Al di là di una «sorta di incompatibilità caratteriale» di cui è possibile parlare e che aveva del resto salde radici in una storia sociale e familiare così diversa per l’uno e per gli altri, Gennaro Barbarisi ha sottolineato infatti «l’esistenza di un patrimonio di idee ampiamente circolanti fra le persone colte e gli stessi uomini di governo, convergente nei princìpi dell’utile sociale e della pubblica felicità, che sono alla base sia delle opere del poeta (e del maestro) sia degli articoli dei giovani polemisti», e precisato che «La differenza stava, oltre che negli obiettivi personali, nelle forme della trasmissione e nei metodi che si ritenevano più efficaci per incidere sulla realtà: la poesia per l’uno (verso la quale i fratelli Verri nutrivano […] diffidenze […] ritenendola irrimediabilmente legata al passato), la prosa sempre più orientata verso la saggistica di carattere politico e morale, per gli altri».2 Stagioni di James Thompson che, «correndo ammirate, tradotte, imitate tutta l’Europa, segnavano il trionfo della poesia descrittiva» e continuava: «In mezzo a tante stagioni, primo, credo, l’abate De Bernis introdusse nel genere descrittivo la varietà delle “quattro parti del giorno”. […] Malouet […] componeva Le quattro parti del giorno in mare, poema didascalico e descrittivo, ahi secolo decimottavo!, in prosa. Solamente descrittivi, ed in versi, ma non meno noiosi ed inutili, sono Il mattino, il mezzodì, la sera e la notte del tedesco Federico Zachariae; e pure furono subito tradotti in francese, e poi in isciolti italiani dall’ab. Carlo Belli». (Giosue Carducci, Storia del «Giorno», cit., p. 284). 1 E ciò a partire dallo stesso 1766; cfr. qui oltre nella Nota al testo la descrizione delle Stampe. 2 Gennaro Barbarisi, I Verri e l’idea del Giorno, in Barbarisi-Esposito, pp. 205-250: 233.
introduzione 13 La poesia, dunque, per il Parini; per un Parini che, privo di mezzi e di una posizione che lo facesse di per sé autorevole nella Milano del tempo, aveva solo nella parola la possibilità di creare ascolto e di crescere un pubblico alle proprie idee. La strada scelta fu quella che gli suggerivano l’esperienza maturata a contatto con l’ambiente nobiliare e l’osservazione del divario insanabile e ingiustificato che separava il povero dal ricco e l’onesto dal prepotente; e la satira fu, dal classico Giovenale al moderno Pope, il mezzo che la letteratura gli aveva già fatto conoscere e apprezzare.1 Come è noto, si celebrano nel Mattino, dopo una dedica ironicamente indirizzata alla «vezzosissima dea» della Moda cui sempre più si andavano inchinando le attenzioni del bel mondo che Parini si apprestava a dipingere, e dopo una classicheggiante protasi rivolta al «Giovin Signore» oggetto degli insegnamenti che si finge di impartire, il risveglio del giovane stesso, o piuttosto dell’«eroe» o del «semidio» come sarà in seguito più volte appellato, e il suo attendere, tra lo svagato e l’annoiato, alle cure quotidiane del corpo (non altrettanto dello spirito), ai rapporti con servitori e fornitori, agli omaggi di rito all’amata che, come lui, si è tardi risvegliata dai piaceri notturni. E con l’amata, anzi con «l’altrui fida sposa a cui sei caro», il giovane si tratterrà poi nel Mezzogiorno partecipando con lei e coi degni loro sodali a un pranzo dove sarà, più che la varietà e la ricchezza delle portate, la Voluttà a dettare legge, e dove ciascuno si preoccuperà soprattutto di fare sfoggio di sé e del proprio ‘buon gusto’, di cogliere tutti gli aspetti di quel Piacere che solo la nobiltà conosce fino in fondo, avendolo eletto a unica guida dei suoi atti. Il poeta, che illustra tutto ciò descrivendo sagacemente ora l’abbigliamento ora una posa, ora un detto ora un’usanza, si atteggia a ‘precettore’ di questo amabile gioco di società, ‘rito’ che giorno per giorno si consuma nelle case dei grandi, e fingendo di istruire mostra con continua ironia la vacuità e la scelleratezza che si nascondono in una classe nemmeno più degna del passato che l’ha innalzata. Lo fa con tutti i mezzi a sua disposizione, ora valendosi proprio del confronto con gli antichi, ora ricorrendo 1 Sull’importanza del Pope, e sui caratteri di questa satira, nonché della scrittura di Parini in genere, mi è grato ricordare, fra i tanti ottimi studi, quello del mio maestro: Sergio Antonielli, Giuseppe Parini, Firenze, La Nuova Italia, 1973.
14 introduzione all’iperbole dei paragoni mitologici, ora inventando favole e racconti (famoso fra gli altri quello della «vergine cuccia»), o semplicemente mettendo in mostra la futilità e protervia dei comportamenti; e dipinge forse con troppo amore quel mondo che vorrebbe sferzare, tanto che ne avrà da taluno taccia di invidioso, e si attarda talvolta troppo a ricamare e commentare ciò che vede, dando qua e là un’impressione di inutile insistenza e di ristagno, soprattutto nel passaggio dall’uno all’altro poemetto, che inevitabilmente ripropone qua e là mosse e passaggi che si erano già incontrati. Ma, se non tutto è ugualmente apprezzabile, e se in molte cose sarà lo stesso Parini che troveremo intento a correggere se stesso, colpì fin da subito la nobiltà dell’intento morale, teso dovunque a riscattare l’umile e laboriosa plebe a paragone dell’«ozio de’ grandi» (così nell’ode Alla Musa), e quella del verso, di un eloquio che, innalzandosi sulle tante melensaggini della poesia settecentesca, metteva di nuovo a frutto, e superbamente, l’insegnamento dei grandi (di Dante, anzitutto) e costruiva un endecasillabo di cui efficacemente anche se sinteticamente diceva il Carducci: all’endecasillabo sciolto il Parini seppe far prendere tutte quasi le pose dell’esametro, seppe farlo nella tenuità sua limitata allungare, allargare, snodare, fargli simulare, direi, il passo del gran verso antico: ciò che il Caro, stilista meglio che artista, non aveva, non che osato, ma né anche pensato.1
Parini, insomma, ricomponeva ancora una volta grazie alla parola, nella poesia, la sgradevole prosa della realtà; lo faceva nei modi di una classicità che stava per cedere il passo a più attuali modi di rappresentazione, e i miti romantici dell’originalità, della fantasia, del pathos lo avrebbero presto fatto sentire lontano. Ma quell’«uomo» che il De Sanctis sentiva rinascere con lui era quello stesso che di lì a poco avrebbe dato corpo al nostro Risorgimento, e che non a caso fu apprezzato da Settembrini e da Mazzini, né disconosciuto da coloro, come lo stesso De Sanctis o il Carducci, che pure ebbero dell’arte più libera e diretta consapevolezza. Così veniva comunque recepito il Parini, e non è qui il luogo per scendere a più dettagliate considerazioni; la sommarietà con cui abbiamo accennato alla sua materia, del resto, risponde alle 1 Giosue Carducci, Storia del «Giorno», cit., p. 322.
introduzione 15 esigenze di sintetica descrizione che sono implicite in uno scritto introduttivo e mira solo a ricordare che già nel Mattino e nel Mezzogiorno l’arte di Parini si presenta intera, sostanzialmente incurante di un completamento che, per quanto desiderabile, non doveva portare a cambiamenti decisivi. La poesia di Parini è infatti descrittiva, pittorica, ed è priva di sviluppo; solo a tratti, almeno nei due primi poemetti, si fa narrativa, ma l’eventuale spunto drammatico si risolve subito all’interno di una cornice. La sua musa è l’ironia, si appoggia all’osservazione, e se sfocia qua e là nel sarcasmo, è per lo più acuta ma pacata, e nei primi cento versi del Mattino la vita artificiosa del Giovin Signore e il suo ritratto (caricaturale) sono già del tutto sbozzati. L’evoluzione successiva sarà arricchimento e variazione ma poco muterà dell’impianto di partenza; e se è vero che le parti manoscritte testimoniano di un’attenzione più sottile e di una modalità descrittiva che accenna a un percorso più che a un’astratta casistica (e già l’ultima parte del Mezzogiorno avverte di questa tendenza) è anche vero che la loro mancata messa a punto rende in buona misura arbitraria ogni valutazione critica che volesse darsi come conclusiva. Si può sostenere che Parini si sia sentito sufficientemente o correttamente rappresentato solo dai suoi due primi poemetti; certo è da lì che la sua storia ebbe inizio e fortuna, e si fece tradizione. Tradizione – si dirà – è anche ciò che Reina pubblicò a partire dal 1801 nei volumi delle Opere;1 e dunque il Parini di Manzoni e Leopardi e non solo quello di Verri e di Foscolo. Pure, esisterebbe l’uno senza l’altro? L’Ottocento avrebbe letto – e con quale atteggiamento – ciò cui fosse mancato l’avallo del Settecento? Non è il caso di avviare una discussione simile, soprattutto nei termini rigidi che qui vogliono solo servire a sostenere l’importanza dei due poemetti primi del Parini e la necessità di una loro considerazione preliminare e separata da ciò che si ebbe in seguito. Del resto, seppure con altre e comunque condivisibili ragioni, la critica ha intrapreso da tempo a distinguere Il Mattino e Il Mezzogiorno dai manoscritti che testimoniano il lungo e incompiuto lavorìo del Giorno, e rigettando la scelta di Reina che, mescolando 1 Cfr. Reina. La data del 1801 indicata nella pubblicazione, come ha osservato Spaggiari, deve essere probabilmente posticipata di un anno. Cfr. William Spaggiari, L’edizione Reina, in Barbarisi-Esposito, pp. 117-160:151-152.
16 introduzione ragioni filologiche a criteri di personale valutazione aveva associato, a disegnare la fisionomia del poema, sia le parti a stampa sia le testimonianze autografe, si sono via via pronunciati e hanno conseguentemente operato Egidio Bellorini (nell’edizione del 1929, che correggeva l’impostazione ‘sincretista’ del 1921), Felice Bellotti e Filippo Salveraglio (con fatiche purtroppo non giunte a termine, per altro),1 Lanfranco Caretti con il decisivo intervento del 19512 e infine Dante Isella, che ha approntato la sua edizione critica del Giorno, nel 1969 (e l’ha confermata con la revisione del 1996), separando nettamente il momento delle stampe da quello delle fatiche successive.3 Non ripercorreremo in dettaglio – non è compito di questo volume – le diverse scelte compiute dagli editori che, dopo il Reina, hanno variamente cercato di restituire al Giorno l’unitarietà che non seppe dargli l’autore:4 tale era il vizio d’origine che nessuna soluzione poteva mai e definitivamente accontentare, e difficile era definire i limiti stessi di ciò che poteva dirsi arbitrario. Qui ci compete soltanto ricordare che i due momenti di cui parliamo non sono soltanto legati a periodi diversi della vita del Parini e a una differenziata ricezione critica della sua opera, ma attengono a due diverse concezioni dell’opera stessa, immaginata in un primo tempo, com’è noto e come è attestato dalla dedica Alla Moda, secondo la tripartizione di Mattino, Mezzogiorno e Sera, e successivamente modificatasi in un progetto che ne articolava la materia nelle quattro parti di Mattino, Meriggio, Vespro e Notte. 1 Si vedano in proposito gli studi di Alberto Cadioli, Le carte di Felice Bellotti, in Fra i Fondi dell’Ambrosiana. Manoscritti italiani antichi e moderni, Atti del Convegno di Milano, 15-18 maggio 2007, a cura di Marco Ballarini, Gennaro Barbarisi, Claudia Berra, Giuseppe Frasso, Milano, Cisalpino, 2008, tomo i, pp. 457-478, e Idem, Protofilologia d’autore in un progetto di edizione del Giorno, in Ballarini-Bartesaghi, pp. 199-211. 2 Lanfranco Caretti, Nota sul testo del Giorno del Parini, «Studi di filologia italiana», ix, 1951, pp. 175-182 (poi in Filologia e critica. Studi di letteratura italiana, Milano-Napoli, Ricciardi, 1955). 3 Cfr. Isella 1996. 4 Si veda il capitolo Giuseppe Parini di Lanfranco Caretti in I classici italiani nella storia della critica, opera diretta da Walter Binni, Firenze, La nuova Italia, 1955, v. II, pp. 185-235; inoltre, William Spaggiari, L’edizione Reina, cit., pp. 134-141; Roberto Leporatti, Parini, Goldoni, Alfieri, in Storia della letteratura italiana, diretta da Enrico Malato, v. x, La tradizione dei testi, Roma, Salerno, 2001, pp. 1039-1085; una recente e limpida ricostruzione della tormentata storia della filologia pariniana è in Alberto Cadioli, Dare una cronologia alle carte del Giorno di Parini. Una riflessione metodologica, «Ecdotica», 9, 2012, pp. 39-68.
introduzione 17 Il Mattino e Il Mezzogiorno che qui pubblichiamo testimoniano solo della prima di queste fasi, e pure, nelle correzioni e varianti che l’autore cominciò ad appuntare sui margini delle stampe stesse, annunciano l’interminato lavorìo che vi farà seguito, l’aspirazione a una perfezione che costituisce una delle ragioni dell’incompiutezza dell’opera. L’apparato critico darà conto di questi primi mutamenti, secondo l’esempio già offerto da Isella nella sua edizione critica; apparato evolutivo, dunque, e contrariamente ad Isella soltanto evolutivo, perché non si ritiene provato che gli ultimi 39 versi del Mezzogiorno offerti dal manoscritto Ambr. IV 10bis costituiscano testimonianza del lavoro precedente la stampa, o solo di quello.1 Riassumiamo i termini del problema: Reina spostò i versi che già chiudevano Il Mezzogiorno (vv. 1334-1376; inizio: «e già con essa Precipitosamente al Corso arrivi») alla fine della parte manoscritta del Vespro, facendoli precedere dal gruppo 1220-1326 (inizio: «Già di cocchi frequente il Corso splende») che dai manoscritti appariva, come l’altro, espunto dal nuovo Meriggio. Tralasciò però i vv. 1327-1334 che erano stati rielaborati a comporre i vv. 36-46 del Vespro, e «non senza abilità» – notava Isella – ricollegò i due brani con l’aggiunta di «Già tarda a la tua dama che completa l’emistichio [del v. 1334] e già con essa»,2 unendo di nuovo insieme i circa 150 versi che il manoscritto del Vespro non aveva utilizzato e che risultavano perfettamente funzionali alla conclusione del poemetto. L’operazione, che si inquadra nella contaminazione complessivamente attuata da Reina fra stampe e manoscritti e che certo le carte pariniane non autorizzano in alcun modo, era complicata dal fatto che, per i 39 versi suddetti, Reina attingeva non direttamente al Mezzogiorno, ma ai fogli ambrosiani IV 10bis, giudicandone la lezione posteriore alla stampa, mentre per Isella essa rappresenta «uno stadio non già successivo, ma antecedente al testo a stampa del ’65».3 Isella invitava in proposito a non cedere «alla tentazione, frequente, di considerare seriore, fra due diverse stesure di uno stesso episodio, quella che dà più ampio sviluppo all’uno o all’altro particolare» – cosa che appunto nel manoscritto si riscon1 Il manoscritto è siglato nella presente edizione come x. 2 Isella 1996, p. lxxvi. Aggiunta resa necessaria in quanto la prima parte del verso, Di tua man la guidasti, non risultava più fungibile. 3 Isella 1996, p. lxix.
18 introduzione tra – e con la consueta chiarezza ed eleganza indicava le ragioni della sua valutazione, che tuttavia non ha convinto tutti gli studiosi. Se ne dissociò primo Ettore Bonora, accogliendo però in un secondo tempo ulteriori argomentazioni di Isella,1 e più recentemente una lunga e alternativa analisi del brano è stata condotta da Roberto Leporatti, con osservazioni largamente condivisibili.2 Anch’esse, tuttavia, non paiono fino in fondo probanti, e di comune accordo con Biancardi si è deciso perciò di allegare questi versi in una autonoma appendice, convinti che sia cosa migliore prendere atto di questa indecidibilità piuttosto che esibire una sicurezza fondata su troppo incerte prove. Personalmente, mi sento tuttavia confortato in questa scelta da un ordine di considerazioni che può valer la pena di esporre a integrazione della Nota al testo del presente volume e che cercano di gettar luce sulla questione da un diverso punto di vista: se questi fogli fanno parte dell’antica stesura del Mezzogiorno, che bisogno c’era di conservarli una volta avvenuta la stampa, se tutti gli altri sono stati eliminati? poteva avere un senso che se ne trattenesse una traccia così parziale? Si può credere, d’altra parte, che si tratti di una riscrittura, e che Parini vi si sia esercitato nella prospettiva di utilizzare questa parte a chiusura del Vespro come già era servita a chiudere il Mezzogiorno? si può crederlo, quando mancava ancora tutta la parte centrale del poemetto? E poteva un autore sensibilissimo alle giunture, ai trapassi della scena, e che proprio i versi immediatamente precedenti a questi aveva profondamente mutato per integrarli al nuovo sviluppo del discorso,3 applicarsi a un brano che ancora mancava non dirò di una destinazione, ma dell’aggetto a cui doveva saldarsi? Quali che siano le risposte, se guardiamo più da vicino al testo c’è almeno una considerazione che potrebbe traghettarci finalmente a un approdo: ed è che questi versi sono privi di un avvio
1 Cfr. la recensione di Bonora all’edizione di Isella del Giorno, «Giornale storico della letteratura italiana», cxlvii, 1970, pp. 603-611, e la replica di Isella con la risposta di Bonora, ivi, cxlviii, 1971, pp. 327-331 (poi in Bonora, pp. 223-237, e in Isella 1987, pp. 149-155). 2 Vedi Leporatti. 3 Mi riferisco ai vv. 1327-1333 del Mezzogiorno, rielaborati a formare i vv. 36-46 del Vespro.
introduzione 19 grammaticalmente plausibile, giacché iniziano con il verso «Fra le ignobili rote al vulgo esporre» ignorando che il soggetto responsabile dell’azione, il «cocchier», era nominato solo nel foglio precedente e perduto; è stata solo la mano del Reina a recuperarlo aggiungendo i versi ‘mancanti’ nel margine alto del foglio. Se, insomma, Parini avesse riscritto quest’ultima parte non avrebbe certo cominciato la pagina con tale incongrua aferesi, e si può solo concludere che questi fogli siano non testimonianza di una riscrittura, ma reliquia di una stesura precedente, salvatasi per chissà quale ragione – e magari per pura casualità – dalla perdita cui il resto è andato soggetto.1 L’ipotesi della reliquia reggerebbe anche se la si pensasse conservata appositamente da Parini in quanto depositaria di lezioni messe da parte, sì, al momento della stampa, ma giudicate meritevoli di un’ulteriore valutazione;2 e ciò porterebbe a superare la pregiudiziale del discorso ‘aferetico’ prima espressa, giacché non erano necessariamente i primi versi ad interessare. Ma senza addentrarsi nel labirinto delle ipotesi vorrei piuttosto considerare quella sola che, sulla base dei dati disponibili, riesce meglio a darci ragione delle cose, e persino a mettere d’accordo talune delle opposte considerazioni fin qui messe in campo. Se è vero, infatti, che i fogli IV 10bis costituiscono un antecedente dei corrispondenti versi del Mezzogiorno («i soli superstiti testimoni della sua preistoria»),3 non è detto che le correzioni e i mutamenti che vi sono registrati appartengano tutti a quel tempo stesso, al tempo del progetto originario, e non siano invece testimonianza di ripensamenti successivi. Occorrerà, in questo senso, riprendere analiticamente le osservazioni di Isella: 1 Non si sa nulla, purtroppo, dell’esatta consistenza delle carte lasciate dal Parini, e l’impegno profuso dal Reina per salvarle dalla dispersione non ci assicura che non ne siano andate perdute. Reina le acquistò al prezzo di 2200 lire milanesi, ed è noto l’aneddoto secondo cui uno degli eredi, «meravigliando, come dai compratori venisse a quelle carte attribuito tanto valore, entrò in sospetto, non tra esse rinchiuso e nascosto fosse molto denaro, e si diede a scuoterle fortemente, quasi aspettando che ne cadessero a terra doppie e zecchini» (Bramieri-Pozzetti, pp. 26-28). 2 Leporatti ha efficacemente argomentato la probabilità di uno ‘sguardo lungo’ del Parini, che pur ancora impegnato nella redazione dei due primi poemetti prefigurava il possibile séguito, e cominciava a prepararlo anche se al di fuori di un chiaro e definito progetto (cfr. Roberto Leporatti, Per dar luogo a la notte. Sull’elaborazione del Giorno del Parini, Firenze, Le Lettere, 1990, in particolare il primo capitolo, pp. 9-55). 3 Isella 1996, p. lxx.
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se partiamo dall’ipotesi che l’autografo è precedente al testo a stampa, riscontreremo un solo paio di casi in cui il Parini, fra due lezioni manoscritte di cui la prima cassata a favore dell’altra, si risolve, in ultima istanza, per quella già soccombente (cfr. Mez. V. 1365, Vespro 499: Ambr. IV 10bis «E via li spazza con l’immenso lembo» corretto in li sgombra, edizione del ’65 gli spazza; Mez. V. 1375, Vespro 509: Ambr. IV 10bis «Toglie il pennello; e il mio Signore avvolge» corretto in «Tolto il pennello, il mio ecc.», edizione del ’65 Toglie ecc.); se invece muoviamo dall’ipotesi inversa (autografo posteriore alla stampa), i casi di recupero [‘recupero’ della lezione della stampa che si intendeva superare] salirebbero a sei, il primo e l’ultimo ben altrimenti importanti, perché casi di varianti instaurative: il Parini partirebbe da tutt’altra lezione (il che viene a significare rifiuto di quanto già stampato) e per successive correzioni ritornerebbe al testo del ’65.1
Ebbene, i due casi ‘importanti’ sono anche i soli le cui correzioni possano dirsi sicuramente coeve alla stesura del testo, giacché evidentemente intervenute inter scribendum.2 I primi versi del brano si leggevano infatti così: De le rote frequenti all’urto esporre, Se star fermi a voi piace; e ai guardi altrui Dissimular qualche recente sdegno Già cantato de’ trivj, ed oltre scorra, Se di scorrer v’aggrada; e ai guardi altrui Spiegar gioje novelle, e nuove paci, Che la publica fama ignori ancora.
È evidentemente nel momento in cui la penna si trova a vergare una seconda volta «guardi altrui» (abbiamo volutamente messo in corsivo l’espressione) che Parini, accorgendosi della ripetizione e non trovando forse altra formula soddisfacente, torna sui suoi passi e corregge cancellando due interi versi, fino ad ottenere: Fra le ignobili rote al vulgo esporre Se star fermi a voi piace; ed oltre scorra Se di scorrer v’aggrada; e a’ guardi altrui Spiegar gioje novelle, e nuove paci, Che la publica fama ignori ancora. 1 Ibidem. 2 Lo notava già Leporatti per il primo dei due, osservando giustamente che la soluzione alla fine adottata dal Parini non risultava del tutto soddisfacente (cfr. Leporatti, p. 105).
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Più difficile, infatti, pensare che questi «guardi altrui» (lasciati cadere nella stampa, come si dirà più oltre), riproposti due volte a soli due versi di distanza, risultassero inosservati e che la correzione sia stata effettuata solo successivamente. Allo stesso modo è non solo difficile ma impossibile che, nell’altro caso, il verso di Mez. 1366 che contiene la mirabile immagine della notte «suora de la morte» venisse inserito, come voleva Isella, «in un secondo tempo»,1 giacché esso viene sì soprascritto al cassato «E un aspetto indistinto un solo volto» che l’aveva preceduto, ma quest’ultimo appare immediatamente riscritto sotto, con la sola eliminazione della congiunzione E iniziale, conseguenza appunto dell’inserimento di «suora de la morte», esso stesso introdotto da congiunzione e. Quest’ultimo passo è il più complesso da interpretare geneticamente, eppure proprio questa piccola e mi pare garantisca quanto si è detto. Teniamo presente, a ulteriore eziologia del brano, che dei sette versi che – cancellati o no – completano la pagina di IV 10bis, solo quattro rispettano l’interlinea che la scrittura di Parini idealmente seguiva e che portava ogni pagina al numero totale di quindici versi (in questo, Parini è scrupolosissimo: in tutte le sue carte di bella copia la costanza dei numeri è assoluta). Gli altri tre vengono inseriti nell’interlinea, ma solo del primo di essi (appunto quello di «suora de la morte») possiamo essere certi trattarsi di correzione immediata, perché è il solo che condiziona la stesura successiva. Parini scrisse insomma, in un primo tempo, così: E il rugiadoso pié lenta movendo, Rimescola i color varj infiniti, E via li spazza con l’immenso lembo: E un aspetto indistinto, un solo volto
Cancellò poi l’ultimo verso, completando il periodo come segue (in corsivo il verso ‘aggiunto’): E il rugiadoso pié lenta movendo, Rimescola i color varj infiniti, E via li spazza con l’immenso lembo Di cosa in cosa: e suora de la morte, Un aspetto indistinto, un solo volto Ai grandi ed a la plebe equa permette; 1 Isella 1996, p. lxxii.
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Manca ancora un verso, quello in cui il disegno si allarga, dai grandi e dalla plebe, alla contemplazione di tutto il creato, tutto sottomesso all’equo e implacabile ciclo della natura: «Al suolo ai vegetanti agli animali», verso che viene prima posizionato con un abbozzo Al suolo ai vegetanti al séguito di «suora de la morte», poi, completo, al posto che gli è rimasto: e suora de la morte, Un aspetto indistinto, un solo volto Al suolo ai vegetanti agli animali Ai grandi ed a la plebe equa permette;
Si può immaginare che l’inserimento1 sia avvenuto più o meno contestualmente alla serie (la grafia lo confermerebbe), ma in entrambi i casi l’aggiunta avviene nell’interlinea e potrebbe essere intervenuta – così come accade per altre correzioni di questi fogli – in tutt’altro tempo, una volta che era stato già vergato il quindicesimo verso della pagina («E i nudi insieme, e li dipinti visi») e che il periodo era stato splendidamente portato a termine alla pagina successiva con la discesa del «tenebroso umido velo» della notte. Torniamo agli altri quattro luoghi che confermerebbero il movimento dal manoscritto alla stampa. Le considerazioni di Isella mi paiono, in proposito, ancora accettabili, salvo che per il v. 1350, che per correzione passa da «E inerpicarti, e v’introdurre il capo» a «E inerpicarti, et introdurvi il capo»; se è vero, infatti, che la stampa conferma la correzione, le postille apposte successivamente dal Parini all’esemplare Cerretti-Bentivoglio2 riconducono al «v’introdurre» originario e testimoniano dunque di un opposto movimento (e, insieme, di quell’altalenare continuo fra possibilità diverse che si riscontra continuamente nei manoscritti pariniani e che rende così difficile stabilirne una successione). È il movimento che già si diceva testimoniato da «E via li spazza con l’immenso lembo», che sul manoscritto è corretto in li sgombra (variante che 1 Credo di poter interpretare in questo senso una serie di interventi sulla cui disposizione aveva già finemente osservato Leporatti: «L’esatta successione degli interventi è difficilmente ricostruibile. La scrittura, fin qui scandita con un ampio spazio interlineare, probabilmente proprio per accogliere eventuali correzioni, a questo punto si infittisce, il ritmo fin qui regolare si rompe» (cfr. Leporatti, p. 110). 2 Nella presente edizione tale esemplare è siglato cx.
introduzione 23 la stampa non accoglie) e da «Toglie il pennello; e il mio Signore avvolge» corretto in «Tolto il pennello, il mio Signore avvolge», che pure non viene accolto dalla stampa: forse, però, in quanto varianti ‘successive’ ad essa e che manifestano infatti quel raffinamento di gusto che sarà caratteristico del Parini più maturo. Avevamo sottolineato in proposito che le correzioni attestate dal manoscritto non sono tutte e necessariamente coestensive al testo stesso; e particolarmente nei casi di spazza/sgombra, toglie/ tolto (ma anche di e v’introdurre/et introdurvi) si potrebbe pensare a una rielaborazione più tarda. Analogamente si potrebbe dire dei due ultimi casi citati da Isella e che non commenteremo qui ulteriormente, accontentandoci di segnalarli: Indi/Ivi, v. 1352, e Or lieve un salto / Un salto ancora, v. 1342. È questa la precisazione che può – parzialmente – mettere d’accordo le diverse posizioni e giustificare la scelta di riprodurre il IV 10bis in appendice, come testimonianza di momenti compositivi stratigraficamente diversi. Un’ultima cosa va però segnalata: quando Parini corregge ai vv. 1353-1354 «da lunge n’oda La dama il suon» > «da lunge gli oda La tua dama») inserisce una stortura grammaticale, dato che gli si riferisce a le tue risa,1 eppure la correzione viene confermata dalla stampa: una svista? Analoga la situazione che si verifica altre due volte nel manoscritto; anzitutto nei versi già citati, che converrà ora riportare per intero, integrando le correzioni: Ivi salir tant’alto Fa le tue risa, che da lunge gli oda La tua dama e si turbi ed interrompa Il celiar degli eroi, che accorser tosto, Tra ’l dubbio giorno a custodire intanto, Che solinga rimase.
Manca infatti l’oggetto del verbo «custodire», e la stampa ne sanerà l’assenza scrivendo «a custodir la bella Che solinga lasciasti», mentre nell’altro caso, quello già citato dei versi iniziali di IV 10bis («Fra le ignobili rote al vulgo esporre» ecc.), i due versi che vengono cassati nel manoscritto creano una leggera sfasatura alla logica del discorso (Leporatti osservava giustamente che «risulta 1 Segno forse di una affrettata conclusione più che di una pacata riconsiderazione del passo? Reina nella sua edizione correggeva in le oda (Reina, p. 182).
24 introduzione piuttosto incongruo quel riferimento alle nuove paci senza quello precedente agli sdegni nel frattempo intervenuti»),1 e solo un ulteriore taglio risolverà la situazione: anche qui, in sede di stampa, e la cosa, che non mi pare sia stata ancora osservata, potrebbe ulteriormente confermare la complessiva anteriorità di IV 10bis. Non si pretende, con ciò, di aver dato fondo alla questione; mi preme però far notare che la conclusione così proposta, se concorda per buona parte con quella già sostenuta da Isella non ne dipende però dal punto di vista metodologico né da quello argomentativo; e può non essere senza significato che, per due strade diverse, si giunga tuttavia alla stessa meta. Il lettore non troverà, rispetto alle edizioni già curate da Isella, altre macroscopiche novità; ma la nuova e più estesa recensione delle differenti impressioni di stampa, e un più accurato controllo della lezione hanno consentito a Biancardi, che già nel 1997 aveva avviato ricerche in proposito, di precisare e confermare in più luoghi quanto egli aveva osservato. Si veda già nella dedica Alla Moda come vengano solo ora documentate alcune correzioni che, presenti nell’esemplare braidense del Mattino AB IX 54 e sfuggite o forse non giudicate autografe da Isella, sono invece confermate da altre presenti nell’esemplare della Biblioteca di casa Carducci, già appartenuto alla famiglia Agnelli. Pare così assodato che Parini sia intervenuto sulle oscillazioni pronominali egli/esso della dedica (riferite al «piccolo libretto» che veniva presentato) rendendo più scorrevole (con una eliminazione) e uniforme il testo, anche se solo alcuni mutamenti della punteggiatura e della grafia verranno accolti nella seconda e terza edizione del testo. Segnaliamo inoltre, rimandando alla Nota al testo per più precise indicazioni, la lezione di Matt. 459, che non dovrà leggersi più «Mentre che il fido messaggier si attende» ma «Mentre che il fido messaggier sì attende» (Biancardi: «Non più oggetto di un’attesa, il servitore assume il ruolo di esecutore di una ben precisa incombenza, assegnatagli dal padrone»),2 e quella di Mezz. 277, dove «l’aura estiva» blandirà le membra del Piacere non più «lentamente» come si è sempre letto, ma «lenemente»; annota Biancardi che 1 In Leporatti, p. 105.
2 Ivi, pp. 43-44.
introduzione 25 «sulla maggior efficacia poetica di questa variante, squisitamente sensistica, non vi è davvero alcuna necessità di discutere».1 Importante mi sembra anche segnalare la correzione, rispetto all’edizione Isella, di motti in moti a Mezz. 449: Teco son io, Signor; già intendo e veggo Felice osservatore i detti e i moti De’ Semidei che coronando stanno;
motti non risulta infatti attestato da alcuna stampa, e dipende esclusivamente dalla lettura facilior di un’espressione pariniana che, invece, si preoccupava di distanziarsi dalla frase fatta e di far corrispondere ai verbi intendo e veggo complementi specifici; cosa che il termine motti non rispetterebbe, creando anzi uno spiacevole omoteleuto. Nulla che sconvolga, dunque, l’immagine già acquisita del Parini, ma un lavoro sistematico di messa a punto che ha comunque messo in luce interessanti momenti sia del lavoro pariniano che della storia editoriale dei due poemetti. Abbiamo già sottolineato, sotto questo aspetto, l’accertata esistenza non di due, ma di tre diverse edizioni sia del Mattino (due del 1763, una del 1765) sia del Mezzogiorno (due del 1765, e una probabilmente del 1768), ed era necessario verificare che queste ‘terze’ edizioni, sconosciute ad Isella, non attestassero varianti d’autore; così come era necessario accertarsi che non figurassero eventuali interventi riconducibili al Parini nelle molte edizioni che, fino alla sua morte, si succedettero alle milanesi. Soprattutto, e grazie anche all’evoluzione degli studi sulla filologia dei testi a stampa e all’attenzione posta alle cosiddette ‘varianti di stato’, secondo una metodologia che ai tempi dell’edizione Isella muoveva solo i primi passi, si è finalmente chiarito lo scarto fra la prima e la seconda edizione e definita la reale fisionomia della princeps, che risultava finora imprecisa per l’errata attribuzione di alcune varianti all’una piuttosto che all’altra edizione. Non insisteremo sulle molte, per quanto minute, correzioni che un controllo severo dei vari esemplari e lo studio sistematico della storia dei testi ha consentito sugli apparati, e segnaleremo piuttosto ed infine la migliore definizione della copia CerrettiBentivoglio, ottenuta grazie alla scoperta di nuove fonti. 1 Ibidem.
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introduzione Aggiungerò da ultimo che siamo stati incerti a lungo se associare in appendice – e nell’attesa (quella stessa che fu dei contemporanei del poeta, anche se auspicabilmente meno lunga) che anche gli autografi del Giorno vengano ad integrare questa edizione – quella Sera del Mutinelli che già abbiamo ricordato e che dal 1766 in poi venne quasi costantemente associata ai due poemetti pariniani, in un unico volumetto e in una serie quanto mai numerosa di edizioni.1 Edizioni pirata, naturalmente, tipiche di un’età di frammentazione politica e di legislazione che, in un ambito come quello della stampa, era pensata più a protezione di interessi governativi che con riguardo al diritto d’autore, e che pure costituiscono precisa testimonianza della curiosità e dell’adesione suscitata dai versi pariniani e, nel caso specifico, di un’emulazione che oserei dire virtuosa. Si intenda con giudizio l’affermazione, perché è chiaro che questo ulteriore poemetto (assai più lungo degli altri: 1634 versi) deve tutto a quelli del Parini, e dall’ideazione fino alla fattura dei versi assolutamente ne dipende. L’autore, citando Stazio, lo riconosce del resto già nella ‘dedica’, redatta sulla falsariga di quella pariniana e indirizzata analogamente Alla Moda: Gradisci adunque questa picciola offerta, e benchè disadorna dei necessarii ornamenti non corrisponda la sera al mattino, ed al mezzogiorno al tuo glorioso nome pria consacrati, non lasciar però di rivolger a lei cortesi i tuoi sguardi, anzi laudando la sincera volontà di chi l’offre rassicura del pari il tuo primiero gentilissimo Poeta, com’io eccitato mirabilmente dalla bellezza, e dalla novità dell’idee sue leggiadre, con non biasimevole audacia ne volli imitare l’esempio, mentre per altro in così giocondissima impresa Da lunge il sieguo e sue vestigia adoro.
Si potrebbe parlare di una ‘variazione sul tema’, giacché spunti, episodi, espressioni e anche interi versi dei poemetti pariniani (spesso segnalati, per altro, con virgolette) vengono continuamente ripresi; ma Mutinelli si muove con discrezione e non senza eleganza, nutrito di buone letture, e sebbene manchi del piglio morale e delle capacità inventive del Parini sa comunque 1 Cfr. qui oltre la descrizione delle stampe dei poemetti e della loro storia. Sul Mutinelli, si veda Giuseppe Bianchini, Un verseggiatore veronese del secolo xviii (Giambattista Mutinelli), «Memorie della Accademia di Verona (Agricoltura, Scienze, Lettere, Arti e Commercio)», s. iii, 2, Verona, Stab. Tipo-litografico G. Franchini, 1898, pp. 1-60.
introduzione 27 creare (il biliardo, il teatro, la musica) qualche mossa e situazione nuova.1 Questa Sera, dunque, poteva costituire, legata come già fu al Mattino e al Mezzogiorno pariniani, un esempio e una testimonianza precisa della fortuna dei due poemetti, e di una conoscenza del Parini che presso molti lettori finì probabilmente per confondere e sovrapporre l’un testo agli altri. Proprio per questo, però, ci siamo astenuti dal farlo: per non rinnovare un’immagine viva sì ma apocrifa di un autore e di un’opera, e per garantire a quest’ultima il rilievo che le spetta e l’autonomia che già abbiamo invocato e di cui anche la tradizione scolastica sarebbe bene facesse conto. È pensando a questa tradizione e alla necessità di tenerla viva che è stato redatto, da Stefano Ballerio, anche il commento al testo: tenendo conto degli orientamenti e delle acquisizioni più recenti della critica ma volutamente distanziandosi dall’accumulo erudito e specificamente intertestuale dei dati, e privilegiando una sobrietà che andasse a reale servizio dell’interpretazione. Edoardo Esposito 1 Cfr. Franco Fido, Le sudate carte della Sera: una continuazione apocrifa del Giorno, in Studi di filologia italiana in onore di Maria Picchio Simonelli, a cura di Pietro Frassica, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 1992, pp. 109-121; Roberto Leporatti, Parini e i «cattivi scolari», in Le tradizioni del testo. Studi di letteratura italiana offerti a Domenico De Robertis, a cura di Franco Gavazzeni e Guglielmo Gorni, MilanoNapoli, Ricciardi, 1993, pp. 291-318.
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TAVO L A DEL L E ABBR EVI AZ I O NI Ballarini-Bartesaghi = Rileggendo Giuseppe Parini: storia e testi, Atti delle giornate di studio 10-12 maggio 2010, a cura di Marco Ballarini e Paolo Bartesaghi, Roma, Bulzoni, 2011 («Studi ambrosiani di italianistica», 2). Barbarisi-Bartesaghi = Giuseppe Parini, Prose. ii . Lettere e scritti vari, edizione critica a cura di Gennaro Barbarisi e Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2005. Barbarisi-Esposito = Interpretazioni e letture del Giorno, Gargnano del Garda (2-4 ottobre 1997), a cura di Gennaro Barbarisi e Edoardo Esposito, Milano, Cisalpino, 1998. Baretti = Giuseppe Baretti, Opere scelte, a cura di Bruno Maier, Torino, utet, 1972 Bonora = Ettore bonora, Parini e altro Settecento. Fra Classicismo e Illuminismo, Milano, Feltrinelli, 1982. Bramieri-Pozzetti = Della vita e degli scritti di Giuseppe Parini milanese. Lettere di due amici [Luigi Bramieri e Pompilio Pozzetti], seconda edizione riveduta con diligenza, ed accresciuta di giunte notabili, Milano, Andrea Majnardi, 1802. Bustico = Guido Bustico, Bibliografia di Giuseppe Parini, Firenze, Olschki, 1929. Caldelari = Callisto Caldelari, Editoria e illuminismo fra Lugano e Milano, prefazione di Mario Infelise, postfazione di Giovanni Pozzi, Milano, Sylvestre Bonnard, 2005. Carducci = Giosue Carducci, Storia del «Giorno», in Id., Studi su Giuseppe Parini. Il Parini maggiore, Bologna, Zanichelli, 1937, pp. 5-289 (Edizione Nazionale delle Opere, xvii). Isella 1996 = Giuseppe Parini, Il Giorno, edizione critica a cura di Dante Isella, commento di Marco Tizi, Milano, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 1996, 2 voll. Isella 1975 = Giuseppe Parini, Le Odi, edizione critica a cura di Dante Isella, Milano-Napoli, Ricciardi, 1975. Isella 1987 = Dante Isella, Poscritta pariniana, in Idem, Le carte mescolate. Esperienze di filologia d’autore, Padova, Liviana, 1987, pp. 149-155. Infelise = Mario Infelise, L’editoria veneziana nel ’700, Milano, Franco Angeli, 1991. Leporatti = Roberto Leporatti, Sull’incompiutezza del Giorno, in Barbarisi - Esposito, pp. 75-115. Martinoni = Renato Martinoni, Per la protostoria del ‘Giorno’ pariniano, «Filologia e Critica», xiv, 1989, pp. 223-232.
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tavola delle abbreviazioni
Mazzoni = Tutte le opere edite e inedite di Giuseppe Parini, raccolte da Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925. Morgana-Bartesaghi = Giuseppe Parini, Prose. Scritti polemici (17561760), a cura di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, Pisa-Roma, Serra, 2012 (Edizione Nazionale delle Opere, ii). Reina = Opere di Giuseppe Parini. I, pubblicate ed illustrate da Francesco Reina, Milano, Genio Tipografico, 1801-1804, 6 voll. Schlüter-Gipper = Giuseppe Parinis “Il Giorno” im Kontext der europäischen Auf klärung, Herausgegeben von Andreas Gipper und Gisela Schlüter, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2006. Vianello = Carlo Antonio Vianello, La giovinezza di Parini, Verri e Beccaria con scritti, documenti e ritratti inediti, Milano, Baldini e Castoldi, 1933.
NOTA AL TES TO volume offre il testo critico del Mattino e del MezQ uesto zogiorno secondo le lezioni che Parini affidò alle stampe,
rispettivamente nel 1763 e nel 1765. L’esigenza di mantenerle editorialmente distinte dai successivi sviluppi del progetto poematico del Giorno è già stata avanzata e magistralmente discussa da Dante Isella.1 Mi limiterò quindi a ricordare che una simile scelta si impone perché le prime stesure dei poemetti e le loro successive rielaborazioni, oltre a rispecchiare momenti della poesia pariniana profondamente diversi (sia sotto il profilo temporale, sia dal punto di vista stilistico), rispondono a due disegni strutturali fra loro differenti e assolutamente non sovrapponibili: tripartito quello originario, impostato su quattro parti il successivo. Validi, ancor oggi, rimangono anche i criteri generali indicati da Isella per una corretta ricostruzione del testo critico del primo Mattino e del Mezzogiorno: in assenza di fonti manoscritte integrali, era e resta necessario seguire fedelmente le edizioni prìncipi milanesi, affidando all’apparato il compito di illustrare l’evoluzione dei testi, ma entro i ben precisi limiti del progetto iniziale dell’opera. La precedente edizione critica, tuttavia, fu allestita in una stagione in cui la filologia del testo a stampa compiva i suoi primi passi, faticosi ed incerti, e in Italia erano pressoché sconosciuti i fenomeni di instabilità che hanno caratterizzato i testi traditi attraverso la stampa a caratteri mobili, né si aveva un’idea, ancorché vaga, di quali e quanti problemi potesse causare una preconcetta fiducia nel potere testimoniale di singoli prodotti tipografici. Poiché fondato in principal luogo su fonti a stampa, il testo offerto da Isella meritava dunque di essere sottoposto a verifica, mediante una debita ricognizione delle prime edizioni milanesi, così come delle restanti pubblicazioni settecentesche, che ancora attendevano di essere sistematicamente esaminate. Qualche rettifica ed aggiunta, peraltro, meritava anche il capitolo relativo alle superstiti testimonianze manoscritte della prima redazione del 1 Cfr. Isella 1996, i, pp. xx e cxvi-cxvii.
32 nota al testo poema. Senza ulteriori indugi, quindi, passo a descrivere le fonti del primo Mattino e del Mezzogiorno.1 Descrizione delle fonti Le fonti manoscritte Non è mai stata segnalata l’esistenza di un manoscritto che rechi l’intero Mattino, o parte dei suoi versi, secondo una lezione più antica di quella fissata dall’editio princeps del 1763. Della preistoria del Mezzogiorno, invece, Dante Isella ritenne di aver rintracciato una superstite reliquia. Gli parve, infatti, che un frammento autografo, conservato fra le carte pariniane della Biblioteca Ambrosiana, fosse sicuramente anteriore alla prima stampa del poemetto o perlomeno credette di poterlo dimostrare attraverso solidi riscontri oggettivi. Sul valore probatorio delle sue argomentazioni, tuttavia, sono state sollevate a più riprese – e da diverse voci – significative riserve, che mi costringeranno, tra breve, a tornare ampiamente sul problema della reale natura del manoscritto. Per il momento segnalo che il frammento autografo possiede le seguenti caratteristiche: x = Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis Si compone di un foglio e di un bifolio sciolti, entrambi di mm 300 × 205, numerati modernamente a matita, per pagine, da 1 a 6. È con tutta 1 Costituiscono delle parziali anticipazioni dei dati qui raccolti sia quanto ho pubblicato nel volume Dal primo Mattino al Mezzogiorno. Indagini sulle prime edizioni dei poemetti pariniani, Milano, Unicopli, 2011, sia le notizie che ho offerto nei seguenti contributi: Per il testo della prima redazione del Mattino: appunti sulle stampe milanesi del 1763, uscite in «Studi e Problemi di Critica Testuale», lv, 1997, pp. 51-76; Alcune osservazioni sulla dedica e sul proemio del primo Mattino, in Interpretazioni e letture del Giorno, Gargnano del Garda (2-4 ottobre 1997), a cura di Gennaro Barbarisi e Edoardo Esposito, Milano, Cisalpino, 1998, pp. 161-175; Le prime stampe del «Mattino» pariniano ed il testo della dedica «Alla Moda», in Dalla Textual bibliography alla filologia dei testi italiani a stampa, a cura di Antonio Sorella, Pescara, Libreria dell’Università Editrice, 1998, pp. 159-206; L’esemplare carducciano della prima edizione del Mattino, «Studi e Problemi di Critica Testuale», lxxiii, 2006, pp. 201-211; Dal Mattino al Mezzogiorno. Bilancio di un’indagine sulle prime stampe dei poemetti pariniani, in Prassi ecdotiche. Esperienze editoriali su testi manoscritti e testi a stampa, a cura di Alberto Cadioli e Paolo Chiesa, Milano, Cisalpino, 2008, pp. 257-275; I postillati ambrosiani del primo Mattino e del Mezzogiorno, in Ballarini - Bartesaghi, pp. 213-226; Nella selva delle stampe pariniane: una sconosciuta edizione del «Mezzogiorno», «Ecdotica», 8, 2011, pp. 75-85.
nota al testo
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evidenza il frammento superstite di un testo di più ampie dimensioni e più precisamente la parte conclusiva di una trascrizione in pulito, avviata dallo stesso Parini su fogli destinati ad accogliere 15 versi per facciata. Tenendo conto che sulla quarta ed ultima pagina furono trascritti solo 6 vv., il manoscritto ci ha quindi conservato un brano di 51 endecasillabi sciolti, assai vicino, ma non identico, a quello corrispondente ai vv. 1338-1376 del Mezzogiorno. I versi autografi sono fitti di cancellature e ripensamenti dell’autore, e appaiono preceduti (nel margine superiore di p. 1) da 4 vv., aggiunti successivamente dalla mano di Francesco Reina (Già tarda a la tua dama; e già con essa|Precipitosamente al Corso arrivi.|Il memore cocchier serbi quel loco|Che voi dianzi sceglieste, e voi non osi); bianche le pp. 5-6.
Sicure fonti manoscritte del primo Mattino e del Mezzogiorno – dei quali permettono di seguire il processo evolutivo – sono invece le postille e le correzioni con cui Parini intervenne su più di una copia a stampa dei propri poemetti. Alcune di queste annotazioni ci sono pervenute autografe: a = Bologna, Biblioteca di Casa Carducci, 2 d 309. Su un esemplare della prima edizione del Mattino (d’ora in poi A1Bo1), lievemente rifilato (mm 175 × 108), che presenta una legatura della seconda metà dell’800, in mezza pelle, con tasselli: rosso in alto («PARINI| IL|MATTINO»), grigio scuro in basso («1763»). Si tratta della copia d’archivio della tipografia Agnelli, recante i publicetur manoscritti delle autorità civili e religiose di Milano: il visto della curia arcivescovile vi compare a p. 5 (si tratta di un semplice «v(idit)» seguito dalla sigla del revisore), mentre a p. 8 si leggono i visti del Sant’Ufficio (datato 13 aprile 1763) e del Senato milanese: «14. Ap(ri)lis 1763|Publ(icetu)r|Caroellus». Le pagine del Mattino sono precedute da 3 cc., aggiunte quando il volume venne rilegato per l’ultima volta. Al r. della prima compaiono il timbro della biblioteca di Gentile Pagani e una nota, vergata dalla mano di quest’ultimo: «A Filippo Salveraglio»; sul v. della terza, si legge invece la seguente postilla, della mano di Filippo Salveraglio: «Dono del Tipografo Pietro Agnelli al prof. Gentile Pagani; di Gentile Pagani a F. Salveraglio; e di F. Salveraglio al mio professore Giosuè Carducci, come ricordo delle lezioni sul Parini, negli anni 1874 e 1875. Catania 6 settembre 1891».1 Dopo la p. 64 del poemetto, bianca, seguono altre 14 cc., anch’esse aggiunte nel secolo xix e tutte bianche. Le postille autografe di Parini sono tutte concentrate a p. 7. 1 Su Pietro – ultimo discendente diretto del primo editore del Mattino, Antonio Agnelli – e su Gentile Pagani, direttore dell’Archivio Storico Civico di Milano, rimando alle pp. 201-211 de L’esemplare carducciano della prima edizione del Mattino, cit., nelle quali segnalai l’esistenza di A1Bo1.
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nota al testo
b = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana AB. IX. 54. Su un altro esemplare della prima edizione del Mattino (A1Mi1) sensibilmente smarginato (mm 163 × 98), entro legatura coeva in piena pelle. Reso noto da Dante Isella, fu venduto alla Biblioteca Nazionale Braidense dalla Libreria Giovanni Puccinelli di Roma, nel gennaio del 1933 (compare come n. 243 del catalogo n. 68 della medesima libreria, diffuso nel dicembre 1932 e stampato a Roma, dalla Tip. Sociale) ed è lo stesso esemplare che si trova descritto nel Catalogo della Biblioteca Marzorati, Bologna, Librerie Italiane Riunite Antiquariato, [1932], p. 156, n. 682 (di Marzorati, reca la seguente nota a penna, riportata su cartiglio applicato al retto della c. di guardia anteriore: «La legatura è contemporanea, fatta certamente per conto dello stesso Parini, poiché le correzioni marginali, mutilate dal ferro del legatore, vennero reintegrate dalla stessa mano. Vedi pagg. 47 - 50 - 52»). A1Mi1, peraltro, si trovava già a Bologna negli ultimi anni dell’Ottocento, come si evince dalla seguente dichiarazione peritale, estesa da Carlo Lozzi e controfirmata da Egidio-Francesco Succi: «Bologna, 21 ottobre 1886||I sottoscritti dichiarano che con=| frontate le correzioni che sono scritte|in questo esempl. dell’edizione originale|del Poemetto Il Mattino cogli auto=|grafi firmati e sicuri, di Giuseppe Pa=|rini da essi posseduti le hanno riscon=|trate della stessa mano di quel|celebre poeta». Qui il poeta intervenne sia sul testo della dedica Alla Moda, sia sui versi del Mattino (iniziando con p. 7 e terminando a p. 60).
Le restanti innovazioni appartenevano tutte ad un volume, attualmente irreperibile, in cui Parini aveva fatto riunire un’edizione del Mattino ed una delle prime stampe del Mezzogiorno. Ne esistono tre differenti copie di mani otto-novecentesche:1 c = Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambr. S. P. arm. 6 / 3 IV. 1-2. Su un esemplare della princeps del Mattino (A1Mi4) e su una copia della prima edizione del Mezzogiorno (G1Mi3). Il primo dei due volumetti è di mm 202 × 124, senza legatura (un cartiglio, applicato al retto della prima c. bianca, reca a stampa: «SI VENDONO DA CARLO CETTI|LIBRARO IN MILANO»). Tutte le annotazioni manoscritte in esso contenute sono della mano di Francesco Reina, che a p. 1, sotto il titolo, copiò anche questa postilla dell’originale: «Cerretti dono dell’autore|con note del medesimo.» (precisando, entro parentesi: «scritto di mano|del Cer1 Puntuali descrizioni di A1Mi4 e G1Mi3 erano già in Isella 1996, i, pp. xxix-xxxi e xxxiv-xxxv (dove compaiono anche brevi cenni su G2Mi1); di b e delle postille manoscritte A3Mi1, ho dato invece una prima notizia ne I postillati ambrosiani del primo Mattino e del Mezzogiorno, in Ballarini - Bartesaghi, pp. 218-223.
nota al testo
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retti»). Sempre al frontespizio, ma sopra il titolo, la nota: «Copia del Codice † Bentivoglio|rubato al Parini|dal Cerretti, cui egli chiamava|il Masnadiere Modonese» (la croce è richiamo all’ultima postilla della pagina, vergata da Reina in epoca diversa e con differente inchiostro: «† Esso Codice fu|venduto al Bentivoglio|dal Cerretti per|100. Z.ni Romani»).1 L’esemplare G1Mi3, invece, conserva la propria legatura originale in carta picchiettata, ma risulta sensibilmente smarginato (mm 191 × 117). Gli interventi manoscritti sulle sue pagine sono tutti ascrivibili, senza dubbio alcuno, alla stessa mano che agì su A1Mi4. d = Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambr. S. P. arm. 6 / 3 IV, 22. Bifolio manoscritto della prima metà del sec. xix e di mm 275 × 185; su tutte le sue quattro facciate reca scrittura di una sola mano, quella di Felice Bellotti. A c. 1r, dopo aver riportato e discusso alcune postille al testo del Mattino, descrive in questi termini la fonte da cui le ha tratte: «Nell’antiporta del libro sotto le parole Il Mattino Poemetto, è scritto Cerretti dono|dell’autore con note del medesimo.|Al Mattino è unito anche il Mezzogiorno con correzioni pure autografe». Segue, terminando a c. 2v, un ordinato elenco di ottanta correzioni pariniane al testo del Mezzogiorno. e = Milano, Biblioteca Ambrosiana, Ambr. Hie. A A. I. 47-46. Su un esemplare della terza edizione milanese del Mattino (A3Mi1) e una copia della seconda edizione del Mezzogiorno (G2Mi1). Il primo è di mm 200 × 130, entro legatura alla rustica con foglio di carta marmorizzata non coeva. All’esterno del piatto anteriore, sopra la segnatura: «Il Mattino|2ª ediz. (?)»; al suo interno, invece, la seguente nota manoscritta: «Correzioni autografe tolte|da un esemplare del Mattino a cui è|unito il Mezzogiorno che sotto le|parole Il Mattino poemetto reca|scritto:| “Cerretti. Dono dell’autore con|note del medesimo.”|(mss. Bellotti)| L’esemplare sembra identico|al presente». La seconda è di mm 200 × 126, entro legatura posticcia con foglio di carta marmorizzata settecentesca, applicato alla prima ed ultima bianche.2 1 Nel riportare queste annotazioni, Dante Isella ha segnalato che un’analoga notizia compare anche in un altro appunto manoscritto di Francesco Reina (sul testo del Mattino) dove l’originale è definito «stampato corretto a penna, destramente involatogli da mano amica, e a sommo prezzo venduto a Bentivoglio di Ferrara, che gentilmente me lo comunicò» (cfr. Isella 1996, i, p. xxx e lii, ma anche Egidio Bellorini, Intorno al testo del «Mattino» – Nuovi appunti, «Atti del R. Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti», lxxv (a. a. 1915-1916), p. 846). 2 Anch’essa reca all’interno del piatto anteriore un’annotazione, simile a quella di Ambr. Hie. A A. I. 47: «Correzioni autografe|tratte da un esemplare del Mattino a cui|è unito il Mezzogiorno|che reca nell’antiporto sotto le parole|Il Mattino poemetto:|“Cerretti, dono dell’autore con|note del medesimo.”|(mss. Bellotti)».
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nota al testo
Gli interventi manoscritti su A3Mi1 e G2Mi1 sono coevi, dei primi anni del secolo xx (come si evince dal tipo di scrittura, corsiva non calligrafica, e dall’inchiostro, sempre della medesima qualità e di eguale colore) e tutti della mano di Filippo Salveraglio. La coppia di volumetti giunse in Ambrosiana dopo la morte di Salveraglio, avvenuta nel 1925.
Le stampe 1. Le edizioni Agnelli del Mattino con data 1763. La tipografia Agnelli1 allestì in Milano tre edizioni del Mattino,2 assai simili fra loro e tutte recanti la data 1763: A1 = IL MATTINO|Poemetto. Colophon [p. 61]: IN MILANO. MDCCLXIII.|-|Nella Stamperìa di Antonio Agnelli.|Con licenza de’ Superiori. 8º, pp. [1-8], 9-62, (2). Fasc. 4: A - D8. [1-2] [3] [4] [5-8] 9-61 62 (1-2)
A1r-v A2r A2v A3r-A4v A5r-D7r D7v D8r-v
Bianche Frontespizio. Bianca ALLA MODA. IL MATTINO.; a p. 61 in calce: colophon. Approvazione ed imprimatur. Bianche
[p. 62] Per commissione del M. Rev. Padre Maestro|Cassinoni Commissario del S. Officio ho letto|Il Mattino, Poemetto, ne vi ho trovata cosa con-|traria alla Cattolica Religione, o a’ buoni costu-|mi, e però lo giudico degno di stampa, se così ec.|Milano li 24. Marzo 1763.|Giuseppe Casati Revisore|per il S. Officio.|-|Die 24. Martii 1763.|Stante supranotata approbatione.|IMPRIMATUR.|F. Joseph Dominicus Cassinoni Ord. Prædic. 1 La principale fonte di notizie sugli Agnelli, stampatori e librai in Milano, è ancor oggi lo studio di Pietro Borgo-Caratti, La famiglia Agnelli tipografi in Milano dal 1625 ad oggi, Milano, Agnelli, 1898. Per la loro intensa attività tipografica nella Lugano del Settecento, rimando invece al recente e documentatissimo Caldelari. 2 Due sole ne conobbe e descrisse Dante Isella (qui rappresentate dalle sigle A1 e A2, cfr. Isella 1996, i, pp. xxvi-xxvii), ma ad una «seconda ristampa» del Mattino, anch’essa datata 1763, aveva già accennato Bustico, p. 8 (e cfr. anche Giuseppe Parini, Il Giorno, a cura di Raffaele Amaturo, Milano, Feltrinelli, 1966, p. 5).
nota al testo
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Sac.|Theol. Magister, & Commissarius S. Officii Me-|diolani.|J. A Vismara pro Eminentiss., & Reverendiss.|D.D. Cardinali Archiepisc.|Vidit Julius Cæsar Bersanus pro Excell. Senatu. Tipi: Il testo della dedica ALLA MODA è in caratteri corsivi e disposto su 14 ll. (A3r: 9 ll., A4v: 8 ll.) Il testo de IL MATTINO è in caratteri tondi; ogni pagina reca 21 vv., tranne A5r (8 vv.), D7r (11 vv.) e, per l’inserimento di note a piè di pagina, B2r, B3v, C2r, C3v, D2r (20 vv.); C4r (19 vv.). Esemplari esaminati: A1DA1 = Augsburg, Staats und Stadtbibliothek, H 1711 A1Bo1 = Bologna, Biblioteca di Casa Carducci, 2 d 309; copia d’archivio della tipografia Agnelli, recante le postille autografe a A1Co1 = Como, Biblioteca Comunale, 12. 7. 14/I A1GBL1 = London, British Library, Humanities and Social Sciences, St. Pancras Reading Rooms, o11429. E. 22 (1) A1Mi1 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana AB. IX. 54, appartenuto a Parini e recante le postille autografe b A1Mi2 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana I. 33 A1Mi3 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana III. 59/6 A1Mi4 = Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. arm. 6/3 IV. 1, appartenuto a Francesco Reina, che vi aggiunse le postille c A1Mi5 = Milano, Biblioteca Comunale, J. Vet. Var. 22 A1Pg1 = Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, II G 178,1 A1Priv1 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi A1Priv2 = Isola Bella, Biblioteca privata Borromeo Arese, Sc.E, P. I, n. 40 A1Priv3 = Parma, Collezione privata Paolo Bongrani Varianti di stato: c. A3r Alla Moda, l. 1
occhi ] occhj A1Bo1 A1Mi5 A1Co1 A1Pg1 A1Priv1
A2 = IL MATTINO|Poemetto. Colophon [p. 61]: EDIZIONE SECONDA.|IN MILANO. MDCCLXIII. |-|Nella Stampería di Antonio Agnelli.|Con licenza de’ Superiori. 8º, pp. [1-8], 9-62, (2). Fasc. 4: A - D8. [1-2] [3] [4] [5-8] 9-61
A1r-v A2r A2v A3r-A4v A5r-D7r
Bianche Frontespizio. Bianca ALLA MODA. IL MATTINO.; a p. 61 in calce: colophon.
38 62 (1-2)
nota al testo D7v D8r-v
Approvazione ed imprimatur. Bianche
[p. 62] Per commissione del M. Rev. Padre Maestro|Cassinoni Commissario del S. Officio ho|letto Il Mattino Poemetto, ne vi ho trovata|cosa contraria alla Cattolica Religione, o a’|buoni costumi, e però lo giudico degno di|Stampa, se così ec.|Milano li 24. Marzo 1763.|Giuseppe Casati Revisore|per il S. Officio.|-|Die 24. Martii 1763.|Stante supranotata approbatione.|IMPRIMATUR.|Fr. Joseph Dominicus Cassinoni Ord. Prædic.|Sac. Theol. Magister, & Commissarius S. Of-|fitii Mediolani.|J. A. Vismara pro Eminentiss., & Reverendiss.|D.D. Cardin. Archiepisc.|Vidit Julius Cæsar Bersanus pro Excell. Senatu. Tipi: Il testo della dedica ALLA MODA è in caratteri corsivi e disposto su 13 ll. (A3r: 9 ll., A4v: 10 ll.) Il testo de IL MATTINO è in caratteri tondi; ogni pagina reca 21 vv., tranne A5r (8 vv.), D7r (12vv.) e per la presenza di note B2r, B3v, C2r, C2v, C3v, D2r (20 vv.), C4r (19 vv.). Esemplari esaminati: A2Cr1 = Cremona, Libreria Civica, Fondo Perona 757/1 A2Fi1 = Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Magl. 22.5.241./a A2DL1 = Leipzig, Universitätsbibliothek, Lit. Ital. 4320 A2Mi1 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana I. 14/1 A2Mi2 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana I. 34 copia donata alla biblioteca dal cardinal Angelo Maria Durini1 A2Mi3 = Milano, Archivio Verri, Raccolta verriana, Fascicolo 486, 1; esemplare appartenuto ad Alessandro Verri2 A2Pu1 = Pesaro, Biblioteca Oliveriana, E A 09-03-35 A2Priv1 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi A2Priv2 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi Varianti di stato: c. D7r Nell’esemplare A2Priv2 non compare l’indicazione EDIZIONE SECONDA.
1 Come si ricava dall’ex libris applicato all’interno della legatura (entro cornice tipografica, recita: «BIBLIOTECÆ|BRAYDENSI|Ang. M. Card. Durini|D. D.»). 2 Che intervenne sulle sue pagine con postille «fatte per puro amore della bella verità» (come si legge al frontespizio, sotto il titolo); le annotazioni manoscritte si interrompono bruscamente a p. 17 (cfr. Giorgio Panizza - Barbara Costa, L’archivio Verri. Parte seconda. La «Raccolta Verriana», Milano, Fondazione Raffaele Mattioli per la Storia del Pensiero Economico, 2000, p. 279, ma anche Vianello, pp. 216-218, 252 e 272 con riproduzione fotografica delle cc. A2r e A5r).
nota al testo
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A3 = IL MATTINO|Poemetto. Colophon [p. 61]: IN MILANO. MDCCLXIII.|-|Nella Stamperìa di Antonio Agnelli.|Con licenza de’ Superiori. 8º, pp. [1-8], 9-62, (2). Fasc. 4: A - D8. [1-2] [3] [4] [5-8] 9-61 62 (1-2)
A1r-v A2r A2v A3r-A4v A5r-D7r D7v D8r-v
Bianche Frontespizio. Bianca ALLA MODA. IL MATTINO.; a p. 61 in calce: colophon. Approvazione ed imprimatur. Bianche
[p. 62] Per commissione del M. Rev. Padre Maestro|Cassinoni Commissario del S.Officio ho letto|Il Mattino Poemetto, ne vi ho trovata cosa contraria|alla Cattolica Religione, o a’ buoni costumi, e però|lo giudico degno di Stampa, se così ec.|Milano li 24. Marzo 1763.|Giuseppe Casati Revisore|per il S. Officio.|-|Die 24. Martii 1763.|Stante supranotata approbatione.|IMPRIMATUR.|Fr. Joseph Dominicus Cassinoni Ord. Prædic. Sac.| Theol. Magister, & Commissarius S. Officii Me-|diolani.|J. A. Vismara pro Eminentiss., & Reverendiss.|D.D. Cardin. Archiepisc.|Vidit Julius Cæsar Bersanus pro Excell. Senatu. Tipi: Testo della dedica ALLA MODA disposto su 13 ll., ma in caratteri corsivi di maggior formato e più spaziati rispetto ad A2 (differente è anche il numero di ll. delle pp. 5 e 8: A3r reca 10 ll., A4v ne presenta 11). Il testo de IL MATTINO è in caratteri tondi; ogni pagina reca 21 vv., tranne A5r (8 vv.), D7r (12 vv.) e per le note B2r, B3v, C2r, C2v, C3v, D2r (20 vv.), C4r (19 vv.). Esemplari esaminati: A3CV1 = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Ferr. V. 4450 (int. 1) A3FinH1= Helsinki, Kansalliskirjasto, H Monrepos 1658/1 A3Lo1 = Lodi, Collegio San Francesco dei Padri Barnabiti, Fondo Luigi Cremascoli 2 CR. V. 62 A3Mi1 = Milano, Biblioteca Ambrosiana, IV. Hie. A A. I. 47 appartenuto a Filippo Salveraglio, che vi appose le note e A3Mi2 = Milano, Biblioteca Ambrosiana, IV. Hie. A A. I. 86, anch’esso appartenuto a Salveraglio A3FP1 = Paris, Bibliothèque Nationale de France, Tolbiac, Rez de jardin, YD - 6284 A3Pv1 = Pavia, Biblioteca Civica, Fondo Sala, Sett. 63-A
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nota al testo = Torino, Biblioteca Storica della Provincia di Torino, FP. RP c. 295/1 A3AW1 = Wien, Wienbibliothek, Bibl. Portheim, A 99 920 A3Priv1 = Milano, Collezione privata Daniele Bresciani A3To1
Varianti di stato: c. A7v v. 109. lenti ] lentti A3Priv1 c. C3r v. 583. dinanzi ] dinanzl A3Priv1 c. C4v v. 641. chioma ] chiom A3Priv1 c. C8r La pagina appare numerata 74 in A3FP1, A3MI1 e A3V1 (mentre i restanti esemplari recano 47); priva totalmente di numerazione in A3MI2 c. D7r In A3AW1, dopo gli ultimi versi del poemetto, e prima del colophon, compare il seguente avviso: «Dallo Stampatore di questo Poemetto si vende|anche il MEZZOGIORNO del medesimo Autore.»1
2. Le edizioni Galeazzi del Mezzogiorno. Anche del Mezzogiorno ci sono pervenute tre edizioni che, sebbene fra loro differenti, sono tutte dichiarate milanesi e del 1765:2 G1 = IL|MEZZOGIORNO|Poemetto. Colophon [p. 64]: IN MILANO. MDCCLXV.|-|Appresso Giuseppe Galeazzi.|Con licenza de’ Superiori,|E PRIVILEGIO. Sempre a p. 64, l’approvazione e l’imprimatur, seguiti da un avviso del tipografo: Di commissione del M. R. Padre Commissario|del Sant’Officio Fr. Giuseppe Giacinto Catta-|neo ho letto il Poemetto, intitolato: Il Mezzogior-|no; nè avendo in esso ritrovato cosa contraria alla|Cattolica Religione, o a’ buoni costumi, giudico,|che si possa dare alla luce, se però ec.|Milano adì 22. Luglio 1765.|Giuseppe Casati Revisore de’ Libri| per il Sant’Offizio.|-|Die 24. Julii 1765.|Attenta supranotata approbatione.| IMPRIMATUR.|Fr. Joseph Hyacinthus Cattaneo O. P. S. Theol.|Magister, & 1 Variante di stato già segnalata in Gaetano Melzi, Dizionario di opere anonime e pseudonime di scrittori italiani o come che sia aventi relazione all’Italia, ii, Milano, Giacomo Pirola, 1852, p. 170: «È […] curioso che sotto a varj esemplari del Mattino della stampa del 1763 per l’Agnelli (e certamente della prima tipografica composizione) leggesi alla pag. 61: – Dallo stampatore di questo Poemetto si vende anche il Mezzogiorno del medesimo autore. – Il che non trovasi in altri esemplari». Ricordo, inoltre, che un esemplare caratterizzato da simile variante fu posto in vendita con il Catalogo 46 (Febbraio 1929) della Libreria Antiquaria Giovanni Puccinelli, Roma, Tip. Sociale, [1929], pp. 25-26. 2 Oltre alle due descritte in Isella 1996, i, pp. xxxii-xxxiv (G1 e G2), la tipografia Galeazzi allestì infatti una terza edizione (G3), che ho avuto già modo di segnalare in Nella selva delle stampe pariniane: una sconosciuta edizione del «Mezzogiorno», «Ecdotica», 8, 2011, pp. 79-84.
nota al testo
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Commissarius S. O. Mediolani.| J. A. Vismara pro Eminentiss., & Reverendiss.|D. D. Cardinali Achiepisc.|Vidit Julius Cæsar Bersanus pro Excellentissimo|Senatu.|-|Dallo Stampatore di questo Poemetto si vende anche il| MATTINO del medesimo Autore.|-| 8º, pp. [1-4], 5-64. Fasc. 4: A - D8. [1-2] [3] [4] 5-63 64
A1r-v A2r A2v A3r-D8r D8v
Bianche. Frontespizio. Bianca. IL|MEZZOGIORNO. Approvazione, imprimatur, avviso tipografico e colophon.
Tipi: Il testo del poemetto è in caratteri tondi su 24 vv. per pagina, tranne che alle cc. A3r (6 vv.), D8r (13 vv.) e per l’inserimento di note in calce alle cc. A3v, B2v, B8r, Cv, C4v, C5v, C6r, C6v, D4r, D5v, D6v (23 vv.). Esemplari esaminati: G1CV1 = Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Stamp. Ferr. V. 4450 (int. 2) G1Bo1 = Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, Sorbelli Caps. B Opusc. 2340 G1Bo2 = Bologna, Biblioteca dell’Archiginnasio, 8. V. VI. 82 op. 2 G1BNo1 = Borgomanero, Biblioteca Pubblica e Casa della Cultura Fondazione Achille Marazza, FML.TO. 854. 214 G1Fc1 = Cesena, Biblioteca Comunale Malatestiana, Nori A Opusc 151 G1Co1 = Como, Biblioteca Comunale, 12. 7. 14/II G1Cr1 = Cremona, Libreria Civica, Fondo Perona 757/2 G1Fe1 = Ferrara, Biblioteca Comunale Ariostea, Caretti Rari B 0048 G1DL1 = Leipzig, Universitätsbibliothek, Lit. ital. 4320 G1Mi1 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Sala Foscoliana I. 37 G1Mi2 = Milano, Biblioteca Nazionale Braidense, Misc. P. 1313 G1Mi3 = Milano, Biblioteca Ambrosiana, S. P. Armadio N. 6/3 IV, 2, appartenuto a Francesco Reina, che vi aggiunse le postille c G1DS1 = Stuttgart, Landesbibliothek, HBF 2903 G1To1 = Torino, Biblioteca Nazionale Universitaria, F. VIII. 304 G1Ve1 = Venezia, Biblioteca S. Francesco della Vigna, CSCF SC Y VII 9 (copia mista: G1 nei fascc. a-c) G1Vi1 = Vicenza, Biblioteca Internazionale La Vigna, MSC A XVIII 8 (12) G1AW1 = Wien, Wienbibliothek, Bibl. Portheim, A 99 919 G1Priv1 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi G1Priv2 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi
42
nota al testo G1Priv3 G1Priv4 G1Priv5
= Parma, Collezione privata Paolo Bongrani = Milano, Collezione privata Corrado Feudatari = Milano, Collezione privata Daniele Bresciani
Varianti di stato: c. A3v v. 19. Amici ] Amici? G1Fe1 G1Priv1 c. D8r v. 1366. Morte ] morte G1Bo1 G1Bo2 G1CV1 G1Co1 G1Cr1 G1Fe1 G1DL1 G1Mi2 G1Mi3 G1DS1 G1To1 G1AW1 G1Priv3 G1Priv4 G1Priv5 c. D8r v. 1367. solo volto ] sol colore G1Fe1 G2 = IL|MEZZOGIORNO|Poemetto. Colophon [p. 64]: IN MILANO. MDCCLXV.|-|Appresso Giuseppe Galeazzi. Con licenza de’ Superiori,|E PRIVILEGIO. Sempre a p. 64, l’approvazione e l’imprimatur, seguiti da un avviso del tipografo: Di commissione del M. R. Padre Commissario|del Sant’Offizio Fr. Giuseppe Giacinto Catta-|neo ho letto il Poemetto, intitolato: Il Mezzogior-|no; nè avendo in esso ritrovato cosa contraria alla|Cattolica Religione, o a’ buoni costumi, giudico,|che si possa dare alla luce, se però ec.|Milano adì 22. Luglio 1765.|Giuseppe Casati Revisore de’ Libri|per il Sant’Offizio.|-|Die 24. Julii 1765.|Attenta supranotata approbatione.|IMPRIMATUR.|Fr. Joseph Hyacinthus Cattaneo O. P. S. Theol. Ma-|gister, & Commissarius S. O. Mediolani.|J. A. Vismara pro Eminentiss., & Reverendiss. D. D.|Cardinali Achiepisc.|Vidit Julius Cæsar Bersanus pro Excellentiss. Senatu.|-|Dallo Stampatore di questo Poemetto si vende anche il|MATTINO del medesimo Autore.|-| 8º, pp. [1-4], 5-64. Fasc. 4: A - D8. [1-2] [3] [4] 5-63 64
A1r-v A2r A2v A3r-D8r D8v
Bianche. Frontespizio. Bianca. IL|MEZZOGIORNO. Approvazione, imprimatur, avviso tipografico e colophon.
Tipi: Il testo del poemetto è in caratteri tondi su 24 vv. per pagina, tranne che alle cc. A3r (6 vv.), D8r (13 vv.) e per l’inserimento di note in calce alle cc. A3v, B2v, B8r, Cv, C4v, C5v, C6r, C6v, D4r, D5v, D6v (23 vv.). Esemplari esaminati: G2Bg1 = Bergamo, Biblioteca Civica, Salone Cassapanca, n. III. F. Fila II. 11/2 G2BNo1 = Borgomanero, Biblioteca Pubblica e Casa della Cultura Fondazione Achille Marazza, BMB. 851. PAR
nota al testo
43
G2Co1 = G2FinH1 = G2Mi1 =
Como, Biblioteca Comunale, Miscell. A-594 Helsinki, Kansalliskirjasto, H Monrepos 1658/2 Milano, Biblioteca Ambrosiana, IV. Hie. AA. I. 46, appartenuto a Filippo Salveraglio, che vi appose le note e G2Mi2 = Milano, Biblioteca Comunale, J. Vet. Var. 21 G2Ve1 = Venezia, Biblioteca S. Francesco della Vigna, CSCF SC Y VII 9 (copia mista: G2 nel solo fasc. d) G2Priv1 = Milano, Collezione privata Giovanni Biancardi G3 = IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. Colophon [c. A19v, p. (1)]: IN MILANO. MDCCLXV.|-|Appresso Giuseppe Galeazzi. Con licenza de’ Superiori. A c. A19v, anche l’avviso, contenuto entro due fusi: Dallo Stampatore di questo Poemetto si vende|anche il MATTINO del medesimo Autore. 8º, pp. [1-2], 3-37,(3). Fasc. 1: A20. [1] [2] 3-37 (1) (2-3)
A1r A1v A2r-A19r A19v A20r-v
Frontespizio. Bianca. IL|MEZZOGIORNO. Avviso tipografico e colophon. Bianche.
Tipi: Il testo del poemetto è in caratteri tondi con 41 vv. per pagina, tranne le cc. A2r (26 vv.), A8v (vv. 42), A19r (19 vv.) e – per l’inserimento di note in calce – le cc. A6r, A9v (38 vv.); A12r, A12v, A13r, A13v, A16v, A17v, A18r (39 vv.). Esemplari esaminati: G3Priv1 = Milano, Collezione privata Giuliano Brusa
3. Altre edizioni dei poemetti (1763-1799). Fino al 1799, anno della morte di Parini, il Mattino ed il Mezzogiorno furono più volte ristampati e spesso in edizioni che offrirono il testo di entrambi i poemetti. In queste ultime seguiva sempre la Sera, un esercizio poetico di Giovanni Battista Mutinelli che uscì per la prima volta a stampa, anonimo, nel seguente opuscolo del 1766:1 1 Per questa edizione assumo come esemplare di riferimento la copia Sala Foscoliana I. 14/3 della Biblioteca Nazionale Braidense, in tutto e per tutto identica a quelle conservate nella mia raccolta e nella collezione privata milanese di Daniele Bresciani.
44
nota al testo
LA|SERA|POEMETTO||[vignetta inc.]||-|CI I CCLXVI.|CON LICENZA DE’ SUPERIORI. Colophon [p. lxxvi] Si vende in Verona dal Carattoni|a S. Anastasia. 8º, pp. [i-ii], iii-lxxvi, (4). Fasc. 5: A-E8. [i] [ii] iii-iv v-lxxvi (1) (2-4)
Frontespizio. Bianca. ALLA MODA. LA SERA. Errata corrige. Bianche.
Qui di seguito ho pertanto registrato e descritto, in tre paragrafi distinti, le edizioni dei singoli poemetti e quelle dove il Mattino ed il Mezzogiorno vennero stampati unitamente alla Sera. a. Edizioni del solo Mattino. MtBg = IL|MATTINO|POEMETTO|SECONDA EDIZIONE.|| [fregio]||BERGAMO, MDCCLXIII.|-|Dalle stampe di FRANCESCO LOCATELLI|Colla Facoltà de’ Superiori. 8º, pp. [1-8], 9-48. Fasc. 3: A-C8. [1-2] [3] [4] [5-8] 9-48
Bianche. Frontespizio. Bianca. ALLA MODA. IL MATTINO.
(Bustico, p. 8, n. 16) MtVe1 = IL MATTINO|POEMETTO.||[fregio]||VENEZIA|-| MDCCLXIII.|DAL COLOMBANI|AL SEGNO DELLA PACE.| CON LICENZA DE’ SUPERIORI. 8º, pp. [1-2], 3-48. Fasc. 3: A-C8. [1] [2] 3-4 5-48
Frontespizio. Bianca. ALLA MODA. IL MATTINO.
(Bustico, p. 8, n. 17)
nota al testo
45
MtTo = IL|MATTINO|POEMETTO|EDIZIONE TERZA.||[ fregio]|| IN TORINO, MDCCLXIV.|=|A spese di MICHEL’ANGELO MORANO,|Libraio vicino a San Francesco. 8º, pp. [1-6], 7-52. Fasc. 3: A-B8, C10. [1] Frontespizio. [2] Bianca. [3-5] ALLA MODA. [6] Imprimatur. 7-52 IL MATTINO. [p. 6] Imprimatur F: Joannes Dominicus Piselli Vicarius|Gen. S. Officii Taurini.|V. Vigus LL. AA. P.|Se ne permette la Stampa.|Di S. VITTORIA Per la Gran Cancelleria. A p. [52] NELLA STAMPERIA REALE. (Bustico, p. 8, n. 18) MtVe2 = IL MATTINO|POEMETTO.|-|EDIZIONE QUINTA.|-|| [ fregio]||VENEZIA|-|MDCCLXIV.|DAL COLOMBANI AL SEGNO DELLA PACE.|CON LICENZA DE’ SUPERIORI. 8º, pp. [1-2], 3-48. Fasc. 3: A-C8. [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-4 ALLA MODA. 5-48 IL MATTINO. (Bustico, p. 9, n. 19) MtVe3 = IL MATTINO|POEMETTO.|-|EDIZIONE SESTA.|-||[fregio]||VENEZIA|-|MDCCLXV.|DAL COLOMBANI AL SEGNO DELLA PACE.|CON LICENZA DE’ SUPERIORI. 8º, pp. [1-2], 3-48. Fasc. 3: A-C8. [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-4 ALLA MODA. 5-48 IL MATTINO. (Bustico, p. 9, n. 20) MtVe4 = IL|MATTINO|POEMETTO.|=|SESTA EDIZIONE.|=|| [vignetta inc.]||IN VENEZIA, MDCCLXVI.|=|Per Bortolo Baronchelli,|CON LICENZA DE’ SUPERIORI.
46
nota al testo 8º, pp. [1-2], 3-48. Fasc. 3: A-C8.
[1] [2] [3] [4] 5-6 7-48
Frontespizio. Bianca. Avviso tipografico. Bianca. ALLA MODA. IL MATTINO.
L’avviso di p. [3] recita: «IL nuovo Foglio periodico intito-|lato: Corrier Letterario, che fa|stampare a Venezia il Sig. Antonio|Graziosi ha ottenuto quel favorevo-|le incontro che nell’idearlo si ha|proposto. Li Associati si ricevono|da lui, e si paga per ogni Seme-|stre L. 16 di Venezia.||La mia premura di giovare agl’|Amatori delle cose Letterarie mi|ha impegnato di dare il presente|Avviso.» (Bustico, p. 9, n. 21) MtMi1 = IL MATTINO|POEMETTO. Colophon [p. 48]: IN MILANO. 1789.|-|Appresso Giuseppe Galeazzi R. Stampatore.|Con approvazione. 8º, pp. (1-2), 1-48. Fasc. 3: A - C8, preceduti da una carta cucita con il fascicolo A. (1) (2) 1-[2] 3-48
Frontespizio. Bianca. ALLA MODA. IL MATTINO.; a p. 48 in calce: colophon.
(Bustico, p. 9, n. 22)
b. Edizioni del solo Mezzogiorno. MzVe1 = IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO.|-|EDIZIONE PRIMA VENETA.|-||[vignetta inc.]||VENEZIA, MDCCLXV|=|DAL COLOMBANI LIBRAJO. 8º, pp. [1-4], 5-63, (1). Fasc. 4: A-D8. [1-2] [3] [4] 5-63 [64]
Bianche. Frontespizio. Bianca. IL MEZZOGIORNO. Bianca.
(Bustico, p. 11, n. 30)
nota al testo
47
MzTo = IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO||[fregio]||IN TORINO, MDCCLXV.|-|A spese di MICHEL’ANGELO MORANO|Librajo vicino a San Francesco. 8º, pp. [1-2], 3-61, (3). Fasc. 4: A – D8. [1] [2] 3-61 (1) (2-3)
Frontespizio. Bianca. IL MEZZOGIORNO. Reimprimatur. Bianche.
[(1)] Reimprimatur F. Joannes Dominicus Piselli|Vicarius Generalis S. Officii Taurini.|V. Triveri LL. AA. P.|Se ne permette la Stampa.|Di S. VITTORIA Per la gran Cancellaría [(1)] Dallo stesso Michel’Angelo Morano si vende anche|il MATTINO del medesimo Autore.||Nella stampería di CARLO GIUSEPPE RICCA.» (Bustico, p. 11, n. 31) MzVe2 = IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO.|=|Quarta Edizione.|=||[vignetta inc. ]||IN VENEZIA MDCCLXVI.|=|Per Antonio Graziosi. CON LICENZA DE’ SUPERIORI. 8º, pp. (2), [1-2], 3-53, (3). Fasc. 4 preceduti da una carta a sé stante: A-D8. (1) (2) [1] [2] 3-53 (1-3)
Frontespizio. Bianca. Occhietto: IL MEZZOGIORNO|Poemetto. Bianca. IL MEZZOGIORNO. Bianche.
I quattro fascicoli di MzVe2 presero a circolare anche privi della carta iniziale, recante il frontespizio, sia da soli (come nell’esemplare Caretti Rari B 0057 della Biblioteca Ariostea di Ferrara), sia unitamente ad altri fogli, sempre fatti stampare da Graziosi, ma con caratteri diversi e recanti il testo del Mattino (si veda più avanti l’edizione RVe2). (Bustico, p. 11, n. 32)
c. Edizioni del Mattino e del Mezzogiorno uniti alla Sera RX = RACCOLTA|DI VARIE|POESIE ITALIANE.||(fregio tipografico)||1766.|-|CON LICENZA DE’ SUPERIORI
48
nota al testo
In 8º, pp. [1-6], 7-141,(3) Fasc. 8: A-D8, E12, F-G8, H12. [1] Frontespizio. [2] Bianca. [3] Occhietto: IL MATTINO|POEMETTO. [4] Bianca. [5-6] ALLA MODA. 7-41 IL MATTINO. [42] Bianca. [43] Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. [44] Bianca. 45-88 IL|MEZZOGIORNO. [89] Occhietto: LA SERA|POEMETTO. [90] Bianca. 91-92 ALLA MODA. 93-141 LA SERA. (1) INDICE|DE’ POEMETTI. (2-3) Bianche. (Bustico, p. 14, n. 38) RVe1 = IL MATTINO|MEZZOGIORNO|E LA|SERA||-|POEMETTI TRE.|-||(vignetta inc.)||IN VENEZIA,|PER IL COLOMBANI.|-|MDCLXVI. 8º, pp. [1-2], 3-128. Fasc. 8: A-H8. [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-4 ALLA MODA. 5-36 IL MATTINO. [37] Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. [38] Bianca. 39-80 IL|MEZZOGIORNO. [81] Occhietto: LA|SERA|POEMETTO. [82] Bianca. 83-84 ALLA MODA. 85-128 LA|SERA. [p. 128, in fine] «Si vende Soldi 30». Le pp. [81]-128 circolarono anche da sole e con proprio frontespizio, in luogo dell’occhietto («LA|SERA|POEMETTO.|-|Terza Edizione. |-|| [fregio]||IN VENEZIA,|MDCCLXVI.|-|Per il Colombani.»); negli esemplari della sola Sera, a p. 128, in fine, si legge: «Si vende Soldi 10». (Bustico, p. 14, n. 37)
nota al testo
49
RVe2 = MATTINO|MEZZOGIORNO|E|SERA||-|POEMET TI TRE.|-||(fregio)||VENEZIA,|MDCLXVII.|-|PER ANTONIO GRAZIOSI,|CON APPROVAZIONE. La Sera, di altro stampatore, ha autonomo frontespizio [p. 81]: LA| SERA|POEMETTO. Terza Edizione.|-||[fregio]||IN VENEZIA,|MDCCLXVI.|-|Per il Colombani. 8º, pp.[1-4], 5-48; [1-2], 3-53,(3); [81-82],83-128. Fasc. 9: A-C8; A-B8, C12; F-H8. [1] [2] [3] [4] 5-6 7-48 [1] [2] 3-53 (1-3) [81] [82] 83-84 85-128
Frontespizio. Bianca. Avviso. Bianca. ALLA MODA. IL MATTINO. Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|Poemetto. Bianca. IL|MEZZOGIORNO. Bianche. Frontespizio de La Sera. Bianca. ALLA MODA. LA|SERA.
Il testo dell’Avviso che precede il Mattino a p. [3] è il medesimo di MtVe4; il quarto, quinto e sesto fascicolo sono di MzVe2, mentre gli ultimi tre fascicoli sono gli stessi di RVe1 (nella variante munita di proprio frontespizio e recante a p. 128, in fine: «Si vende Soldi 10»). (Manca alla bibliografia di Guido Bustico) RVe3 = IL MATTINO|IL MEZZOGIORNO|E|LA SERA|POEMETTI|NUOVAMENTE|ILLUSTRATI|CON NOTE ISTORICHE.||[fregio]||IN VENEZIA,|MDCCLXVII.|-|PER ANTONIO GRAZIOSI,|Con Licenza de’ Superiori, e Privilegio. 12º, pp. [i-ii], iii-ccxi, (5). Fasc. 9: A-I12. [i] [ii] iii-iv v-xiv xv-lxiii [lxiv]
Frontespizio. Bianca. ALLA MODA. PREFAZIONE. MATTINO Bianca.
50 [lxv] [lxvi] lxvii-cxxvii [cxxviii] [cxxix] [cxxx] cxxxi-cxxxii cxxxiii-cxcix cc-ccxi (1-5)
nota al testo Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. Bianca. MEZZOGIORNO. Bianca. Occhietto: LA|SERA|POEMETTO. Bianca. ALLA MODA. LA|SERA. OTTAVE [inc.: Chi mai sarà, se voi Muse non siete] Ultime Edizioni dell’Impressore e Librajo|Graziosi di Venezia.
Ogni pagina del testo è inquadrata entro cornice tipografica. In alcuni esemplari, compare anche una tavola inc., a specchio del frontespizio. La Prefazione è anonima: [p. v] Non v’ha certamente dubbio, che in questo Secolo, il quale vien detto in generale l’illuminato, non nascano tanti pregiudizj, per i quali sconvolta la sincera disposizion delle cose, ed uscendo fuori da quei semplici confini, che la Natura provvida e sagace maestra prescrisse, si vedono miseramente gli uomini senza verun vantaggio cercar con sollecita brama tutto ciò, ch’è fuor di proposito, persuasi non esservi nel mondo niente d’interessante o di bello, se non|[p. vi] quanto di là dall’Alpi, e dagli Oltremarini paesi è a noi tramandato. In ogni genere d’arti, di scienze, e di costumi si deggion consultare le forestiere nazioni, quasichè la nostra povera Italia più dettar non potesse quelle magnanime idee, le quali non risvegliate dal Lusso, o dalla curiosità, ma dai più saldi principj della moderazione, e della prudenza educate, facessero pompa, e a maraviglia trionfassero in un animo ben costumato e sapiente. Perciò non così solleciti ricorrevano i Greci in qualche loro pubblica calamità al bugiardo favoloso Oracolo di Delfo, come i moderni vivacissimi ingegni disingannati dai pregiudizj delle opinioni volgari cercano per ogni strada, ed attendono in ogni menomo punto le sovrane decisioni della Francia, o d’altro estranio paese, in cui regni con libero dominio il Buon Gusto. Sarebbe peccato da non perdonarsi in alcuna maniera, se a’ tempi nostri cominciando un Giovane a vivere in questo bel Mondo non si volesse uniformare al Genio comune, all’eleganza, ed alle ca-| [p. vii] pricciose leggi della Moda, la quale secondo l’opinione di moltissimi Venendo in terra a illuminar le carte, Che da molt’anni avean celato i[l] vero; Petrar. Sciolse dai troppo duri legami della Ragione, e della regolata disciplina questo Secolo fortunato; in cui per altro a mio corto intendimento La gola il sonno e l’oziose piume Hanno dal Mondo ogni virtù sbandita. Petrar. Così sopportar non si potrebbe dai delicati moderni spiriti, che le massime, e gli ufficj della vita civile s’apprendessero dai morali precetti della Filosofia, la quale
nota al testo
51
in se contenendo le regole più certe e necessarie d’un ottimo costume c’insegna doversi in ogni nostra azione seguir la continenza, l’onestà, e la giustizia, come sfuggir dall’altra parte l’ozio, il libertinaggio, ed ogni genere di voluttà troppo|[p. viii] perniciose in vero, nè convenienti agl’animi umani di ragione e di sapere forniti; poiché siccome questi possono solamente esser ricchi col possedimento della virtù, certamente coll’andar in traccia dei piaceri vengono a perdere ogni loro ricchezza, non potendo in animi dalle delizie, e dall’ozio corrotti e indeboliti darsi luogo alla temperanza, nè ritrovarsi la virtù dove il piacer signoreggia. Ecco perciò, come a’ nostri giorni molti Giovani, che nei sapientissimi insegnamenti della Filosofia, e conseguentemente della vera virtù nutriti potrebbero gustare un soavissimo pascolo, ed esser insieme di giovamento alla Patria, e di lustro alle loro famiglie, si lasciano in vece talmente trasportare dall’ozio, e dalla libertà, che formando da se stessi una ben vasta Repubblica, vanno con ingiuriosi motti, e ingiusti scherni que’ pochi insultando, i quali da loro dissimili coltivano di buona voglia l’ingegno, per poter poi facilmente Porlo a la via de gli onorati affanni. Bernard. Tasso. [p. ix] Per le quali cose tutte mosso dai deplorabili effetti della moderna vita civile vi fu chi con mirabile invenzione pensò in istile serio e poetico descrivere tutte le azioni, che giornalmente da quelli, a cui piace una vita agiata ed oziosa, si van commettendo: e perchè il giorno in tre parti principalmente si divide, così stimò cosa ben fatta dover esso pure dividere il novello lavoro in tre distinti Poemetti, il primo dei quali le azioni descrivesse, che nel Mattino suole il Giovane ozioso intraprendere, nel secondo quelle, che al Mezzogiorno convengono, e nell’ultimo le conversazioni, i giochi, e i non interrotti piaceri, che si frequentan la Sera. Son ben io sicuro essere stata da pochi biasimata questa saggia idea, poichè avendo il nostro Poeta già pubblicati i due primi Poemetti, e cercato in essi di mescolar l’utile col dilettevole, non poteva per verun conto riuscire nojoso, mentre secondo i precetti d’Orazio Omne tulit punctum qui miscuit utile dulci, [p. x] Lectorem delectando, pariterque monendo. In Art. Poet. Che se alcuni per avventura avrebbero desiderato il veder trattata questa materia in istile Bernesco, non mancando alla Lingua Italiana Riboboli, e curiosi proverbj coi quali si potessero porre in ridicolo agevolmente le affettazioni del viver moderno, io d’altra parte mi do a credere, che in questa maniera scrivendo si sarebbe forse incontrato in qualche pericolosissimo scoglio, e la Critica non più sotto il velo dei versi e delle favole coperta sarebbe stata assai più pungente e spiacevole. Pure lasciando a tutti la libertà di pensare a loro talento, se il nostro Poeta ha giudicato conveniente il descrivere con serietà le cure moderne dei giovani, ne riportò ancora singolarissima laude, e le replicate Edizioni de’ suoi due Poemetti, che in tanti paesi continuamente si videro uscir alla luce, fanno sicura testimonianza dell’approvazione comune, nè lasciano luogo di dubitare, che non siano stati let-|[p. xi] ti da per tutto con maraviglioso piacere. Comparvero alla
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nota al testo
luce il Mattino ed il Mezzogiorno per la prima volta in Milano, e furono dipoi ristampati parecchie volte a Venezia; segno evidente, che se anco la Sera ai primi due di mano fosse successa, sarebbe stata senza dubbio dal Pubblico cortesemente aggradita. S’invogliò pertanto di questo soggetto anche un Giovane Veronese, e in brevissimo tempo non per desiderio di gloria, ne per derogare punto alla giustissima onorevole fama del primiero Poeta condusse a fine l’ultimo Poemetto, che si desiderava; indi consigliato dagli amici, e da parecchj letterati, cui aveva commesso l’esame del suo componimento, deliberò finalmente di renderlo universale col mezzo delle stampe, incerto per altro dell’esito, che doveva incontrare per esser d’Autore diverso, e questi d’età giovanile. Uscì dunque la Sera in Verona dai Torchj dell’Erede di Agostino Carattoni, e fu subito|[p. xii] quì in Venezia ristampata incontrando appresso gli amatori della Poesia compatimento ed applauso, così che facilmente avrà potuto l’Autore da per se stesso esperimentare, non aver egli mal collocata l’opera sua coll’essersi accinto a questa difficile impresa. È ben vero, come confessa l’istesso Poeta, che il suo Poemetto non è tanto ricercato, né di squisiti fioretti cosperso, ma l’Autore cercando solamente la purità della lingua non volle con ostentazione offendere in certa guisa gli orecchj del Leggitore Co le lascivie del parlar Toscano: il Lasca ond’assai meglio gli servisse di guida nelle poetiche composizioni Con l’ornamento debito Natura, Che con pompose voci una fint’arte. Giraldi nell’Orbecche. Questo è quanto ho creduto proprio di premettere alla presente nuova Edizione, nella quale potrà senza fatica ritrovare|[p. xiii] chi legge tutti tre i Poemetti insieme raccolti, ed in fine alcune Ottave, le quali l’Autor della Sera si compiacque d’aggiungere a fine solo di eccitar il Giovane ozioso a seguir la virtù, che può solo donare all’uomo la vera felicità. Perché poi questi Poemetti vanno alle mani di qualunque persona, così mi piacque di far alcune picciole annotazioni, che le Favole, e i passi storici brevemente additassero, e togliessero in tal maniera la fatica a chi non ha sì fatte cognizioni di lasciar la lettura intrapresa per illuminarsi della materia che legge. Piaccia a Dio per altro, che i Giovani in leggendo questo picciolo libretto facciano tutto al contrario di quanto vien loro insegnato, giacchè questo è stato l’unico scopo di quelli che lo composero, ma piaccia a Dio altresì, che pongano in uso di buona voglia i morali virtuosi precetti suggeriti dall’Autor della Sera nelle sue Ottave, onde scacciato il tenebroso velo dell’ignoranza, che a cagione dell’Ozio, e della Voluttà in-|[p. xiv] gombra le menti degli umani, si veda una volta fiorire una perpetua calma di vivere ben costumato, ed un ottimo progresso nell’arti, nelle scienze, e in qualunque genere di letteratura. (Bustico, p. 14, n. 39)
nota al testo
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RVe4 = IL MATTINO|MEZZOGIORNO|E LA|SERA|-|POEMETTI TRE|-||[vignetta]||IN VENEZIA,|PER IL COLOMBANI,|-|MDCCLXXI.| La Sera è preceduta da autonomo frontespizio [p. 81]: LA| SE RA|POEMETTO.|-|Terza Edizione.|-||[fregio]||IN VENEZIA,| MDCCLXVI.|-|Per il Colombani. 8º, pp.[1-2], 3-128. Fasc. 8: A-H8. [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-4 ALLA MODA. 5-36 IL|MATTINO. [37] Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. [38] Bianca. 39-80 IL|MEZZOGIORNO. [81] Frontespizio de La Sera. [82] Bianca. 83-84 ALLA MODA. 85-128 LA|SERA. Le pp. [81]-128 sono ancora una volta quelle di RVe2, nella variante con proprio frontespizio e recante a p. 128, in fine, l’indicazione: «Si vende Soldi 10.» (Bustico, p. 14, n. 40) RVe5 = IL|MATTINO,|IL|MEZZOGIORNO,|E LA|SERA.|-|POEMETTI TRE|-||(marca tipografica)||IN VENEZIA, MDCCLXXIV.| Presso PIETRO SAVIONI|Sul Ponte de’ Barettieri all’Insegna della NAVE.|=|CON APPROVAZIONE, E PRIVILEGIO. 8º, pp.[1-2], 3-120. Fasc. 4: A-C16, D6 [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-4 ALLA MODA. 5-33 IL|MATTINO. [34] Bianca. [35] Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. [36] Bianca. 37-73 IL|MEZZOGIORNO. [74] Bianca. [75] Occhietto: LA|SERA|POEMETTO. [76] Bianca. 77-78 ALLA MODA.
54
nota al testo
79-119 120 [p. 119] [p. 120]
LA SERA Licenza Si vende Soldi 30. NOI RIFORMATORI|Dello Studio di Padova.|Concediamo Licenza a Pietro Savioni Stampa-|tor di Venezia di poter ristampare il Libro|intitolato: Il Mattino, il Mezzogiorno, e la| Sera Poemetti tre ec. osservando gli ordini so-|liti in materia di Stampe, e presentando le|Copie alle Pubbliche Librarie di Venezia, e di|Padova.|Dat. lì 7. Ottobre 1774.|(|(GIROLAMO GRIMANI RIF.|(SEBASTIAN FOSCARINI KAV. RIF.| Registrato in Libro a Carte 171. al Num. 138.|Davidde Marchesini Seg. (Bustico, p. 15, n. 41) RVe6 = IL|MATTINO,|IL|MEZZOGIORNO,|E LA|SERA.|-|POE METTI TRE.|-||[marca tipografica]||IN VENEZIA, MDCCLXXIX.| Appresso Pietro Savioni|Stampatore e Librajo in Merceria all’Insegna| della NAVE.|-|CON APPROVAZIONE, E PRIVILEGIO. 8º, pp.[1-2], 3-120. Fasc. 4: A-C16, D6. [1] Frontespizio. [2] Bianca. 3-5 ALLA MODA. 5-34 IL|MATTINO. [34] Bianca. [35] Occhietto: IL|MEZZOGIORNO|POEMETTO. [36] Bianca. 37-74 IL|MEZZOGIORNO. [74] Bianca. [75] Occhietto: LA|SERA|POEMETTO. [76] Bianca. 77-79 ALLA MODA. 79-119 LA SERA 120 Licenza. [p. 119] Si vende Soldi 30. [p. 120] NOI RIFORMATORI|Dello Studio di Padova.|Concediamo Licenza a Pietro Savioni Stampa-|tor di Venezia di poter ristampare il Libro|intitolato: Il Mattino, il Mezzogiorno, e la Se-|ra Poemetti tre ec. Osservando gli ordini soliti|in materia di Stampe, e presentando le solite|Copie alle Pubbliche Librarie di Venezia, e di|Padova.|Data lì 7. Ottobre 1774.|(|(Girolamo Grimani Rif.|(Sebastiano Foscarini Kav. Rif.|Registrato in Libro a Carte 171. al Num. 138.|Davidde Marchesini Seg.». (Manca alla bibliografia di Guido Bustico)
nota al testo
55
RRm = IL|MATTINO|IL|MEZZOGIORNO|E LA|SERA|POEMETTI TRE||[vignetta]||ROMA MDCCXCIII|-|Presso Giuseppe Nave|Mercante Librajo al Corso 8º, pp. (2), 174, (2). Fasc. 11: a-l8 (1) Frontespizio. (2) Bianca. 1-2 ALLA MODA. 3-48 IL MATTINO. 49-106 IL MEZZOGIORNO. 107-108 A LA MODA. 109-174 LA SERA (1) Colophon. (2) Bianca. Colophon (p. 1 in fine): In Roma|Da’ torchj di Luigi Perego Salvioni| Stampator Vaticano|MDCCXCIII|-|Con licenza de’ Superiori. (Bustico, p. 15, n. 42) RTo = POEMETTI|ITALIANI|VOL. VI.||[vignetta]||1797|Dalla Società Letteraria Di Torino|E Presso Michel Angelo Morano 12º, pp. (2), 239, (1). Fasc. 10: A-K12. (1) Frontespizio. (2) Bianca. 1-17 IL PIACERE|POEMETTO|DI|FRANCESCO BOLOGNETTI|BOLOGNESE 18-43 LACRIME DI SANTA|MARIA MADDALENA|POEMETTO|DI|ERASMO DA VALVASONE 44-63 IL RAPIMENTO D’ELENA|POEMETTO|DI COLUTO TEBANO|DI LICOPOLI 64-104 IL MATTINO|POEMETTO|DEL|PARINI 105-156 IL MEZZOGIORNO|POEMETTO|DELLO STESSO 157-213 LA SERA|POEMETTO|DI|AUTORE INCERTO 214-221 I FONTI|POEMETTO|DI|GIO. BATTISTA CORNIANI 222-227 L’ANELLO NUZIALE|POEMETTO|DI|D. GUARINO BELGRANO|ABATE DE’ CANONICI LATERANENSI|PIEMONTESE 228-238 LA MACCHINA|AEROSTATICA|POEMETTO|DELLO STESSO (1) INDICE|DE’ POEMETTI E DEGLI AUTORI (2) Licenza.
56
nota al testo
[p. 2 in fine]: V. Se ne permette la stampa.|Garretti di Ferrere per la gran Cancelleria|[fuso]|TORINO|DALLA NUOVA STAMPERIA DI PANE E BARBERIS|in Doragrossa vicino a s. Dalmazzo (Bustico, p. 9, n. 22)
4. Traduzioni. Queste, infine, sono le edizioni in cui il Mattino e il Mezzogiorno compaiono anche in lingua originale, ed integralmente, accanto alla loro traduzione.1 MtL = HETRUSCUM POEMA|cui titulus: IL MATTINO:|latine redditum. Colophon [p. 77]: MEDIOLANI. MDCCXCI.|-|Excudebat Franciscus Pogliani.|SUPERIORUM FACULTATE. 8º, pp. (4), [1-2], 3-77, (3). Fasc. 5 preceduti da un bifolio senza segnatura: A-E8 (con vari errori ed omissioni nelle segnature). (1) (2) (3)
Frontespizio. Bianca. Dedica: CAROLO COMITI PETRASANCTAE|REITANO|CANTVRII PLEBIS GALLIANI ALCIATIS|NO-
1 Mi limito invece a segnalare con questa nota la traduzione francese di Joseph Grellet Desprades (Les|quatre parties|du jour|a la ville:|traduction libre de l’italien, de|l’abbé Parini,|sur la sixième edition, faite à Milan en 1771,|avec le texte à la suite., Milano e Parigi, Ruault, 1776, voll. 2, riproposta nel 1777 e nel 1778, sempre a Milano e Parigi, rispettivamente da Bastien e da Dorez), poiché reca solamente una scelta antologica dei versi del Mattino (privo della dedica Alla Moda e dei vv. 217-244, 562565, 650-670, 749-774) e del Mezzogiorno (mancante dei vv. 1-23, 412-433, 448-700, 707716, 797-820, 842-1020, 1317-1322). Segnalo, comunque, che l’editore francese non si servì affatto di una sesta ed inesistente edizione milanese del 1771, ma di MtVe3, «edizione sesta» veneziana del Mattino, e di un esemplare G1 del Mezzogiorno. Di MtVe3, infatti, l’edizione parigina ripropone le principali corruttele distintive (con per col al v. 103, apoggia per appoggia al v. 108, se per sen v. 194, moloce per molce al v. 246, appressa per appresta al v. 273, possente per cauto il guida al v. 325, trascosa per trascorsa al v. 439, vedendosi a per vedeansi al al v. 546, omissione di le al v. 622, Dee qualch’ora per Den qualch’ore al v. 958, Arrogi per Arroge al v. 962, fredda per feda al v. 979, incarcate per inarcate al v. 981, orivolo per oriolo ai vv. 1026 e 1051, oggidì per oggi si al v. 1049), mentre dal Mezzogiorno G1 si discosta, in modo significativo, nei soli casi che qui di seguito registro: o v. 53 (e G1), ad v. 61 (al G1), Monstrar v. 160 (Mostrar G1), Sollecita v. 376 (Solletica G1), fia v. 1039 (fie G1), dietro v. 1289 (diretro G1). Per questa e per le traduzioni del Mattino e del Mezzogiorno in lingua inglese, tedesca e spagnola si veda ora Schlüter - Gipper, pp. 366-445.
nota al testo
(4) [1] 2-77 (1-3)
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VEDRATIS FIGINI INTIMIANI|CVCCIAGHI MONTORPHANI VIGHIZOLI|FECCHI SVANIGI NOVATIS &c. &c.|FEVDAT.|EX PRINCIPIBVS SANCTI PETRI &c. &c.|PVTEI GOTTI DOMINO|MARCH. CAMPI ROTVNDI|EX TITVLVS PARLAMENTARIIS IN REGNO SICVLO &c. &c.|VIRO|GENERE GRATIA|INGENII ATQVE ANIMI|ORNAMENTIS OMNIBVS|FLORENTISSIMO|CAROLVS ANTONIVS MORONDI|E SCHOLIS PIIS|HETRVSCUM POEMA|CVI TITVLVS: IL MATTINO|AB SE LATINE REDDITVM|STVDII OFFICII|OBSERVANTIAEQVE ERGO|D. D. D. Bianca. Occhietto: IL MATTINO|POEMETTO. IL MATTINO (su pagine pari, con a fronte il testo latino) Bianche.
(Bustico, p. 38, n. 181) MzL = HETRUSCUM POEMA|cui titulus: IL MEZZOGIORNO:| latine redditum. Colophon [p. 99]: MEDIOLANI. MDCCXCII.|-|Excudebat Franciscus Pogliani.|SUPERIORUM FACULTATE. 8º, pp. [1-5], 6-99, (1). Fasc. 6: A-E12, F10. [1] [2] [3]
[4] [5] 6-97
Frontespizio. Bianca. Dedica: COMITI CAROLO PETRASANCTAE|REITANO|EX PRINCIPIBVS SANCTI PETRI &C. &C.| QVOD|HETRVSCVM POEMA|CUI TITVLVS: IL MATTINO:|LATINE REDDITVM|COMITER EXCEPERIT|CAROLVS ANTONIVS MORONDI|E SCHOLIS PIIS|IL MEZZOGIORNO|POEMA ALTERVM|LATINA PARITER VESTE DONATVM|DEDICAT|OPVS DIFFICILLIMVM|PIGNVS|DEVINCTI GRATISSIMIQVE|ANIMI|ERGA NOBILISSIMVM VIRVM|OPTIMARVM ARTIVM|FAVTOREM|NVMQVAM NON MEMOR|HVMANITATIS BENEVOLENTIAEQVE| EIVS. Bianca. Occhietto: IL MEZZOGIORNO|POEMETTO. IL MEZZOGIORNO (su pagine pari, con a fronte il testo latino)
58 98-99
(1)
nota al testo Epistola in versi latini, indirizzata da Angelo Maria Durini al traduttore (datata: XV, Jan. 1792, inc.: Graeca vertere, vertere & Latina), seguita da tre epigrammi (inc: I. Nullus erat Magni, qui carmina Dia Parini; II. Quantum equidem debet Parino Tusca Poesis; III. Non tu, Morondi, sed magnus vertit Apollo), anch’essi inviati da Durini a Morondi. Bianca.
(Bustico, p. 38, n. 182)
I T ES TI E L A LORO S TORI A 1. La prima edizione del Mattino en poco è dato di sapere intorno alla genesi del Mattino, in quanto nessun manoscritto la documenta e le più antiche notizie che possediamo sul testo ce lo presentano come già pronto per la stampa. Carl’Antonio Tanzi, infatti, con una lettera del 16 dicembre 1761, rivolse all’amico Baldassarre Zamboni1 la seguente richiesta:
B
Ho bisogno de’ fatti v(ost)ri, e sentite sopra di che. Un mio amico fa un gentil Poemetto di tre Canti in verso sciolto, in cui rappresenta la vita che mena il Ricco il Mattino, il dopo pranso, la notte. Mostra d’istituire il Giovine ricco, e gli dà con continua grave ironia i Precetti del vivere secondo i pregiudicj correnti. Satira piú grave, piú utile, e piú ben trattata di questa difficilmente si trova. Il primo canto è in pronto; ed è intitolato: Della Vita degli uomini illustri. Il Mattino. Vorrebbe cominciare a dar fuori questo, che sarà cinque foglj di stampa; ma senza suo nome, e che non fosse pubblicato in Milano. Io gli ho suggerito di valersi de’ Torchj del v(ost)ro sig(no)r Felicino, m(ent)re cosí avrà l’opera ottimamente stampata, e corretta, e senza pericolo che se ne tirino piú copie di quelle che vorrà l’Autore. Quello adunque ch’io vorrei da voi si è che primam(en)te mi diceste se costà possa incontrare cavillazioni co’ Revisori, che non credo per essere satira in generale; e poi che ne parlaste al bravo sig(no)r Felicino, che stimo e riverisco moltissimo, e lo impegnaste a far la cosa pulita, e con prontezza. Fatemi grazia di puntuale riscontro, e di tutto per favorirmi.2
Il signor Felicino chiamato in causa dal segretario perpetuo dell’Accademia dei Trasformati era il giovane stampatore Felice Rizzardi, di Brescia.3 Se effettivamente interpellato, tuttavia, il tipografo finì per sottrarsi alla richiesta, dissuaso, presumibilmen1 Su Baldassarre Camillo Zamboni, erudito bresciano in stretto contatto con i Trasformati milanesi, cfr. Jacopo Gussago, Memorie intorno alla vita e agli scritti di Baldassarre Zamboni arciprete di Calvisano, Brescia, Vescovi, 1798. La lettera a lui indirizzata dal Tanzi è attualmente conservata presso la Biblioteca Queriniana di Brescia (Carteggio Zamboni-Tanzi, ms. E V 10-2, c. 276). 2 Pubblicata per la prima volta in Martinoni, pp. 223-232, al cui testo ci siamo attenuti. 3 Per la stamperia di Felice Rizzardi, continuatore dell’opera del padre Giammaria, rimando alle notizie e alle indicazioni bibliografiche offerte da Martinoni, pp. 225.
60 i testi e la loro storia te, da considerazioni d’ordine economico. Parini, allora, non era assolutamente nelle condizioni di poter finanziare di tasca propria la stampa del Mattino, né fu in grado di trovare, per più di un anno, chi se ne potesse far carico.1 Dovette attendere, perciò, l’inizio del 1763, per ottenere la disponibilità del tipografo milanese Antonio Agnelli.2 Fu allora possibile avviare la composizione e dar corso alla stampa del testo, operazioni che, come già Parini aveva sperato due anni prima, furono condotte con sollecitudine. L’imprimatur (riportato da tutti gli esemplari A1 a p. 62) fu concesso il 24 marzo e i quattro fogli del poemetto furono impressi entro il 13 aprile, data in cui sulla copia A1Bo1 (a p. 8) fu apposto il publicetur manoscritto del Sant’Uffizio di Milano. L’esemplare A1Bo1, oltre ai visti delle autorità religiose, reca anche quello del Senato milanese, rilasciato da don Paolo Caroello, il 14 aprile 1763.3 Fu a partire da tale data, pertanto, che il Mattino poté essere esposto sui banchi dei librai o inviato alla cerchia dei Trasformati milanesi e a importanti lettori come Giuseppe Baret1 I vv. del celebre capitolo al canonico Giuseppe Candido Agudio recitano infatti: Per carità, se non m’avete dato|Un’altra volta quel ch’io vi cercai|Per quel poema, che vorrei stampato,|Me ’l concedete adesso, che ne ho assai|Più di bisogno. Io chiesine diciotto,|Ed otto solamente ne impetrai.|Una decina or aggiugnete agli otto|Per aiutar mia madre (cfr. Mazzoni, p. 444). E poiché vennero composti prima del 14 giugno 1762 (giorno in cui morì la madre del poeta), è ben probabile che si riferiscano proprio agli zecchini indispensabili per la stampa del Mattino ed inutilmente richiesti anche a chi, solo due anni addietro, aveva personalmente finanziato la pubblicazione degli scritti pariniani contro il padre Branda. Per il sostegno economico dato dall’Agudio alla polemica sul dialetto milanese del 1760 cfr. ora Morgana - Bartesaghi, pp. 27 e 314; per la data di morte della madre di Parini, cfr. invece Vianello, pp. 60-61. 2 E quasi certamente grazie all’aiuto della cerchia dei Trasformati, che continuò a sostenere il progetto pariniano anche dopo la morte di Tanzi (avvenuta il 18 maggio 1762) e non solo economicamente. Francesco Fogliazzi, infatti, si adoperò attivamente presso il ministro plenipotenziario Carlo Firmian, ottenendo il suo consenso alla stampa del poemetto nel capoluogo lombardo (cfr. Reina, p. xv), mentre Giuseppe Casati, in qualità di revisore per il S. Uffizio, espresse parere favorevole alla pubblicazione e Giulio Cesare Bersano suggellò l’imprimatur con il visto del Senato (sull’appartenenza di Fogliazzi, Casati e Bersano all’Accademia dei Trasformati offre notizie Vianello, pp. 249 e 268-269). Ricordo infine che la famiglia Agnelli, nella sua tipografia di Lugano, aveva già stampato la raccolta Alcune poesie di Ripano Eupilino, del 1752 (come ha definitivamente dimostrato Caldelari, pp. 177-178), e nel 1760 aveva impresso il quarto intervento di Parini nella polemica brandana, ovvero la Riverenza, su foglio volante (cfr. Morgana - Bartesaghi, p. 394). 3 Sempre in calce a p. 8; Paolo Caroello, conte di Vespolate, ricoprì la carica di senatore dal 1730 al 1771, anno della sua morte (cfr. Storia di Milano, xii, Milano, Fondazione Treccani degli Alfieri, 1959, p. 266).
i testi e la loro storia 61 ti, che il 30 aprile, da Venezia, scrisse a Francesco Carcano: «Vi sono estremamente obbligato della gentilezza che m’avete usata in mandarmi il poemetto del nostro Parini, che ho dato subito al ligatore, onde potermelo leggere con comodo».1 Il poemetto, anonimo, si caratterizza per una veste editoriale volutamente sobria e nel contempo dignitosa. Gli esemplari A1 non recano infatti alcun fregio, nessuna testata o finalino inciso e modesto è il loro formato, in ottavo piccolo; ma per imprimerli furono usati caratteri nitidi, ben spaziati, ed una carta di media grammatura e discreta qualità. Il testo, poi, riuscì particolarmente corretto: a un’attenta revisione delle prove di stampa sfuggì solo uno sparuto manipolo di errori di composizione: sviste, peraltro, di entità assai modesta.2 Segnalo, infine, che la lezione attestata dagli esemplari di A1 appare notevolmente stabile,3 anche se è certo che la tiratura di un foglio fu temporaneamente sospesa per introdurre un estremo ritocco. Gli esemplari A1Bo1, A1Co1, A1Mi5, A1Pg1 e A1Priv1 presentano infatti la forma tipografica esterna del fasc. 1 in uno stato non definitivo: a c. A3r, al termine della prima linea della dedica Alla Moda, leggono occhj, mentre le restanti copie da me esaminate recano la variante occhi, che Parini introdusse per uniformare l’uscita di questo plurale alla grafia costantemente adottata nei versi del Mattino4 e che in seguito confermò nelle edizioni A2 e A3. 2. L’«Edizione seconda» del 1763 e l ’ esemplare A1B01 Il Mattino fu da subito accolto con favore5 e ben presto se ne rese necessaria, in Milano, una seconda edizione. Parini fece allora ri1 Baretti, ii, p. 796. 2 Evidenti refusi sono Gia (per Già, v. 255), avreo (per aureo, v. 577), Tutte (per Tutti al v. 842, aggettivo da concordare con arnesi del v. 839). 3 Negli esemplari A1, infatti, ho costantemente letto nuovo al v. 125, jeri al v. 414 e ministro al v. 674, senza mai vederli oscillare con le varianti novo, ieri e Ministro, segnalate da Isella come proprie di tutte le edizioni milanesi del Mattino e da me, invece, rintracciate solo in volumi A2 e A3. Né ho rinvenuto in copie A1, anche e solo in qualità di varianti di ‘stato’, le seguenti lezioni, che il precedente editore del Mattino attribuì alla princeps: dei (per Dei al v. 348), si (per sì al v. 459), sotto la (per sotto a la al v. 553), insino (per infino al v. 970). 4 Dove occhi compare ai vv. 112, 488, 535, 586, 638, 738, 792, 844, 983. 5 E accompagnato da positive recensioni sia sulle Nuove di diverse corti e paesi (nel n. 17 del 25 aprile 1763), sia sulla «Frusta letteraria» di Giuseppe Baretti (n. 1 del 1 ottobre 1763); per queste recensioni cfr. Carducci, pp. 57-58 e Caldelari, p. 183.
62 i testi e la loro storia chiesta di privativa per la stampa del poemetto, ottenendola il 21 luglio del 1763,1 e la tipografia Agnelli ricompose nuovamente l’intero testo. A2 non fu tuttavia una semplice ristampa della princeps, di cui corresse gli errori più evidenti,2 ma una vera e propria «Edizione seconda» del Mattino (come recita il suo colophon a p. 61), in più luoghi rivista e migliorata dal poeta. Non v’è il minimo dubbio, infatti, che il solo autore poté richiedere l’inserimento di una nuova nota al v. 536, anche perché una simile aggiunta costrinse il tipografo ad abbandonare, a partire da p. 36, la mise en page già sperimentata con A1.3 Sicuramente pariniani, inoltre, sono tutti i mutamenti apportati al testo della prosa introduttiva. In A2, la dedica Alla Moda si allontana nei seguenti tre luoghi dalla lezione di A1:
p. 7 l. 3 p. 7 l. 6 p. 7 l. 11
A1
A2
superbo, versi sciolti sepelliti
superbo Versi Sciolti seppelliti
E giust’appunto queste varianti innovative di A2, e queste sole, sono quanto risulta introdotto a penna, dalla mano del poeta,4 alla p. 7 della copia d’archivio della tipografia Agnelli (A1Bo1). 1 L’autografo della sua domanda (segnalata per la prima volta in Carducci, p. 9) è conservato presso l’Archivio di Stato di Milano (Fondo Autografi, Cart. 178) e recita: «L’Abate Parini sendo per far l’edizione di un suo Poemetto nominato il Mattino, dimanda la privativa dell’edizione per trè anni, colla proibizione all’introdurlo, e venderlo stampato fuori di Paese»; a margine, di mano diversa da quella del poeta, la risposta: «21 Luglio S(ua) A(ltezza) S(erenissima) accorda la privativa, e si dia Decreto al R(egi)o Cap(ita)no di Giust(iz)ia», e più sotto: «fatto Come da Minuta» (cfr. Isella 1996, i, p. xxvi). 2 Stampando Già al v. 255, aureo al v. 577, Tutti al v. 842 e abbassando le iniziali maiuscole che A1 recava dopo i due punti (Avverso al v. 25 e Ahimè al v. 164). 3 A partire dalla pagina conclusiva del fascicolo B, l’ultimo verso di ogni pagina della princeps slittò in avanti, divenendo il primo delle pp. 37-61 di A2. Nell’«Edizione seconda», inoltre, compare un primo, parziale tentativo di uniformare le modalità di segnalazione delle note a piè di pagina. In A1, per il rinvio di p. 19 era stato usato il simbolo numerico 1, mentre per quelli alle pp. 22, 35, 38, 39, 51 si era fatto ricorso alle prime due lettere dell’alfabeto, minuscole e corsive; in A2, per contro, l’uso dell’indicatore numerico fu esteso anche alla p. 22. 4 A p. 7 compare un simbolo correttorio inconfondibilmente pariniano, una crocetta che sul margine destro della linea 3 richiama la soppressione della virgola dopo superbo, effettuata nel testo. Anche le restanti innovazioni sono riportate sul margine destro e corrispondono a mutamenti segnalati nel testo mediante tratti di
i testi e la loro storia 63 Le restanti vestigia dei primissimi ritocchi al testo di A1 finirono invece per mischiarsi alle indebite innovazioni apportate da chi compose le nuove forme tipografiche. Accantonati gli errori manifesti1 ed isolate le differenze nell’interpunzione,2 dalle restanti lezioni introdotte da A2 emerge comunque un quadro sufficientemente chiaro della modesta entità dei movimenti impressi al testo tra la primavera e l’estate del 1763:
39 125 141 414 504 532 542 598 628 646
A2
A1
Suoi figlioletti intepidìr la notte; Ma già il ben pettinato entrar di novo Fuma, et arde il legume a te d’Aleppo Le fu Mòrfeo cortese. È ver che ieri Più vite insidi-ar: semplici sieno Pur ier di Francia, ahi quale atroce folgore, E pettine ad un tempo. In cotal guisa, Soppresso capoverso Ai polli, ed alle gru (b) d’amor maestre. Condurrà il Merciajuol che in patria or torna
intiepidìr nuovo ed jeri Tre jer pettini a le merciajuol
penna obliqui (direttamente sulle consonanti v ed s, da innalzare a maiuscole alla l. 6, ed immediatamente dopo la lettera p di sepelliti, di cui Parini richiese il raddoppiamento). 1 Non numerosi peraltro: sempre. (per sempre al v. 29); delizie. (per delizie, al v. 156); licore (per licore. al v. 274) Globo, (per Globo. al v. 307); genitore. (per genitore, al v. 433); Architetto (per Architetto. al v. 490); Signore (per Signore, al v. 896); il (per al nel v. 956). 2 Eccone l’elenco: celeste; v. 3 (celeste, A1); vita v. 9 (vita, A1); sacre, v. 16 (sacre A1); Gallie, v. 17 (Gallie A1); impressi; v. 19 (impressi: A1); benigno; v. 63 (benigno: A1); corsier v. 70 (corsier, A1); colli v. 80 (colli, A1); d’Ispani o di Toschi v. 81 (d’Ispani, o di Toschi, A1); mano v. 86 (mano, A1); legno, v. 99 (legno; A1); arco v. 114 (arco, A1); O! v. 116 (O, A1); armi v. 117 (armi, A1); orecchi v. 119 (orecchi, A1); tazza. v. 128 (tazza: A1); cioccolatte v. 134 (cioccolatte, A1); Giunto v. 142 (Giunto, A1); Incassi v. 155 (Incassi, A1); che v. 161 (che, A1); Guida v. 172 (Guida, A1); uno v. 206 (uno, A1); schifa v. 220 (schifa, A1); talento v. 222 (talento, A1); poscia v. 224 (poscia, A1); orecchio v. 225 (orecchio, A1); giammai; v. 236 (giammai, A1); pronti: v. 254 (pronti. A1); altri v. 257 (altri, A1); quei v. 262 (quei, A1); frutto v. 268 (frutto, A1); membri v. 284 (membri, A1); bambini, altrui v. 302 (bambini altrui, A1); Gongolando v. 303 (Gongolando, A1); diversi v. 381 (diversi, A1); membra; v. 389 (membra: A1); avran v. 393 (avran, A1); Che spontanea o pregata v. 398 (Che, spontanea o pregata, A1); ella v. 428 (ella, A1); che v. 432 (che, A1); mano v. 463 (mano, A1); tua: v. 513 (tua; A1); piedi, v. 534 (piedi; A1); imprecarti, v. 536 (imprecarti; A1); maggiore, v. 538 (maggiore; A1); minacciarti, v. 539 (minacciarti; A1); verso, v. 567 (verso A1); tasche: v. 655 (tasche. A1); giammai, v. 732 (giammai; A1); tabacchiera; v. 740 (tabacchiera, A1); vergar v. 945 (vergar, A1); Momo v. 947 (Momo, A1); mano v. 964 (mano, A1); cotanti v. 970 (cotanti, A1); armato: v. 1048 (armato. A1); mensa v. 1062 (mensa, A1).
64
i testi e la loro storia
663 674 772 792 860 920
A2
A1
De la Necessitade, antiqua è vero Stipendiato Ministro atto a gli affari Or tu adunque, o Signor, tu che se ’l primo Uscirai quindi a poco bear gli occhi Prezi-oso Vasello: indi traluce D’ambo i lati la giubba, ed oleoso
necessitade ministro se’ il a bear Vasello onde oleosa
Non mi risulta che il testo del poemetto abbia subito modifiche nel corso della tiratura. Nel mio campione di copie A2, ho rintracciato una sola variante di ‘stato’ e alla sola altezza del colophon di A2Priv2, che si apre con l’indicazione del luogo e della data di stampa, senza essere preceduto, come in tutte le restanti copie A2, dalla linea recante la scritta: «EDIZIONE SECONDA». Anche in questo caso ritengo vi siano pochi dubbi sulla natura non definitiva della variante di minoranza. La scomparsa di un’originaria dicitura «EDIZIONE SECONDA» non troverebbe alcuna credibile spiegazione. Il suo apparire a tiratura già avviata potrebbe invece rispondere a comprensibilissime esigenze di promozione commerciale: il Mattino, in poche settimane, era giunto alla sua seconda edizione e dichiararlo esplicitamente sarebbe stato un efficace espediente per segnalare che era opera di grande successo. Ricordo, inoltre, che Agnelli dovette ben presto fronteggiare l’agguerrita concorrenza degli stampatori degli stati confinanti: del 1763 sono anche l’edizione bergamasca del Mattino di Francesco Locatelli (MtBg) e quella veneziana di Paolo Colombani (MtVe1). Ad entrambi i colleghi, pertanto, l’editore della princeps potrebbe aver risposto col precisare che la sua – e solo la sua – era la seconda edizione del poemetto. Avrebbe così riaffermato il proprio ruolo di unico depositario della volontà di Parini, con l’autorevolezza, peraltro, di chi sapeva di poter offrire il poemetto in una veste rinnovata dallo stesso autore. 3. Il terzo Mattino della tipografia Agnelli e la comparsa del Mezzogiorno Anche gli esemplari A3 riportano nel colophon la data 1763, ma in realtà furono stampati e posti in commercio solo due anni dopo. In copie come A3AW1, a p. 61 compare infatti il seguente avviso li-
i testi e la loro storia 65 brario: «Dallo Stampatore di questo Poemetto si vende|anche il MEZZOGIORNO del medesimo Autore». E non v’è alcun dubbio che la loro c. D7r sia stata impressa dalla medesima forma tipografica che servì per stampare tutte le copie di A3, comprese quelle prive dell’avviso.1 Anche queste ultime, perciò, non furono tirate prima dell’estate del 1765, quando Giuseppe Galeazzi2 fece uscire la prima edizione del Mezzogiorno3 e le pose al termine una segnalazione speculare a quella di A3AW1: «Dallo Stampatore di 1 La p. 61 delle restanti copie A3 presenta infatti i medesimi difetti di composizione tipografica riscontrabili in A3AW1; i più significativi sono i due punti più bassi rispetto ai restanti caratteri del rigo al v. 1076 (di seguito a Signore) e il punto esclamativo più in alto del dovuto al v. 1083 (dopo miserabile). 2 Stampatore e libraio di cui Parini si era già servito nel 1760, per i primi tre scritti contro il padre Onofrio Branda (cfr. Morgana - Bartesaghi, pp. 391-394). 3 L’imprimatur fu concesso il 24 luglio 1766 e tre giorni prima venne accordata a Parini, per un triennio, la privativa di stampa del poemetto. Questo il testo integrale del dispaccio ufficiale, indirizzato al Capitano di Giustizia, e datato, per l’appunto, 21 luglio 1765 (Archivio di Stato di Milano, Fondo Autografi, cart. 178): «Comendando il Ser.mo Amm.e l’applicazione, e valore dell’abate Giuseppe Parini, che con molto plauso di questo Pubblico produsse già il leggiadro e sensato poemetto intitolato il Mattino, che ben si meritò l’accettazione e distinto gradimento d’ogni ordine di Persone si compiace S.A.S. egualmente di sentire ch’esso Abate sia ora per far l’edizione di un altro somigliante poemetto intitolato il Mezzo giorno, e non dubitando S.A.S., che sia esso per riuscire dello stesso valore del Primo ha stimato di doversi prestare all’istanza che l’autore le ha fatta per una privativa dell’edizione medesima, di modo che venga fatto argine all’inofficiosa avidità de Stampatori sì nazionali che esteri, che per voglia d’incompetente guadagno si fanno lecito ristampare e vendere l’opre degli Autori contro il loro buon piacere e defraudandoli di quell’aspettativa che a ragion loro compete di esitare li esemplari che a loro gravi spese ànno qui fatti stampare. Quindi è che dovendosi l’edizione del nuovo Poemetto intitolata il Mezzogiorno fare per commissione dell’Autore dallo stampatore e Librajo Giuseppe Galeazzi concede S.A.S. al medesimo la privativa Ragione di stamparlo e di venderlo, e di farlo vendere in questo stato, proibendo perciò a qualsivoglia altro Stampatore e librajo di questo medesimo Stato la ristampa, e l’introduzione e vendita d’edizioni forastiere se per aventura si facessero, e ciò per il termine di trè anni dal g[iorn]o della diffidazione che a ciaschedun librajo verrà fatta, e ciò sotto la pena di cinquanta scudi d’applicarsi all’indennizzazione dell’autore oltre la perdita delli esemplari, che si trovassero di contravenzione. Ne fa però S.A.S. prevenire il Regio Capitano di Giustizia perché inteso della Superior Mente, ed intenzione del Governo a favore del d[ett]o abate Parini passi a far notificare alli Stampatori, e librai di questo stato la succennata diffesa e proibizione di ristampare il d[ett]o Poemetto e di introdurne, e venderne edizioni stampate dentro del d[ett]o termine e vegliando alla esatta osservanza contro de trasgressori, per esiggere da essi la succennata pena a favore del prelodato Autore. Fuentes» (edito parzialmente in Carducci, p. 59, è stato offerto nella sua interezza da Isella 1996, i, pp. xxxivxxxv, alla cui lezione ci siamo attenuti).
66 i testi e la loro storia questo Poemetto si vende anche il|MATTINO del medesimo Autore».1 Le altre varianti di ‘stato’ delle copie A3 denunciano che l’edizione fu allestita con una certa fretta. Sia quelle riemerse attraverso A3Priv1 (lentti al v. 109, dinanzl al v. 583, chiom al v. 641, mentre le restanti copie leggono correttamente lenti, dinanzi e chioma), sia il difetto che accomuna A3FP1, A3MI1 e A3V1 (la c. C8r vi compare numerata 74 e non 47, come negli altri esemplari, ad eccezione di A3MI2, privo di numerazione), sono delle mere sviste del compositore, non corrette attraverso prove di stampa, ma tanto grossolane da imporre una temporanea sospensione della tiratura, per essere sanate. Come A1 e A2, invece, la terza edizione Agnelli fu impressa su carta di discreta qualità e anche in A3 fu conservata una conveniente spaziatura fra le linee di testo e tra i singoli caratteri, che risultarono persino più eleganti nella dedica Alla Moda, grazie alla scelta di un corsivo di maggiori dimensioni.2 Con A3, inoltre, si raggiunse la piena uniformità nei criteri di rinvio alle note: ovunque si rimandò a piè pagina con indicatori numerici. Per il testo, fu presa a modello l’«Edizione seconda», da cui A3 ereditò tutte le lezioni innovative rispetto ad A1, comprese quelle manifestamente erronee (con un’unica eccezione al v. 12, dove fu ripristinata la maiuscola in Sera). Nuove e indebite varianti, nel contempo, furono introdotte al v. 101, dove comparve gentil (in luogo di gentili e immediatamente seguito dal tronco udìr), e al v. 109, imprimendo quali (per quai), così come furono minime ma indiscutibili sviste l’aggiunta di una virgola dopo dilicati al v. 202 e la scomparsa del punto di domanda dopo bello al v. 715. Ed è possibile che altre se ne annidino fra le restanti lezioni proprie del solo A3, che qui riporto:
135 226
A3
A1 + A2
Ti dà il Guatimalese e il Carribbèo Se meno ch’oggi a te cure d’intorno
Caribbéo dintorno
1 Ed è probabile, quindi, che almeno per la vendita al dettaglio delle copie di A3 e G1 esistesse qualche forma d’accordo fra Antonio Agnelli, stampatore del Mattino, ed il tipografo-libraio scelto da Parini (o dai suoi finanziatori) per la seconda parte del poema. 2 Disposto su linee che finirono per contenere segmenti di testo più brevi rispetto a quelle di A1 e A2.
i testi e la loro storia
299 310 499 531 545 553 944 1026 1036 1046
67
A3
A1 + A2
In quei melati seni eccitar bile Che fia giovine dama, ed altrui sposa; Soppresso capoverso Di prender legge da colui, che giunse Tauro spezzava i raddoppiati nodi, Gia di fior cinto, e sotto a la man sacra Tal dì aspetta d’eloquenti fogli Soppresso capoverso Chiuso in picciol cristallo il dolce pegno Di trattar l’arme che d’orribil palle
que’ giovane colui nodi Gía ti aspetta Pegno palla
Non si può affatto escludere, tuttavia, che un simile elenco comprenda degli aggiustamenti richiesti dall’autore, che se anche non promosse direttamente l’uscita del terzo Mattino Agnelli, di certo ne dovette approvare l’allestimento, in quanto detentore di una privativa per la stampa valida fino al luglio 1766. È presumibile, pertanto, che in qualche modo il poeta abbia sorvegliato anche il processo di composizione di A3, esponendosi, ancora una volta, alla tentazione di intervenire con nuove velature al proprio testo, ancorché sporadiche ed apportate con mano leggera, per non turbare l’architettura tipografica delle pagine già composte. Senz’altro pariniane, perciò, potrebbero essere sia la soppressione di capoverso operata al v. 1026 (poiché ribadita dalle postille c di A1Mi4), sia le varianti d’intorno per dintorno al v. 226 (rispondente ad un’esigenza di maggior uniformità, dato che altrove – e già a partire dai vv. 185 e 491 di A1 – il Mattino leggeva sempre e solo d’intorno) e In quei per In que’ al v. 299 (lezione forse troppo vicina al Di que’ del v. 302 e comunque sostituita anche dai manoscritti autografi del secondo Mattino, ma con la variante Entro). Se pariniani, risulterebbero comunque gli ultimi ritocchi d’autore affidati alla tipografia Agnelli. Da allora, l’edizione A3 rimase infatti la punta più avanzata del progetto editoriale avviato con la princeps e costituì il più sicuro punto di riferimento per tutte le ristampe eseguite, verso la fine del secolo, dalle altre botteghe milanesi.1 1 Direttamente da A3, come vedremo più innanzi, discendono le uniche due ristampe del Mattino uscite nel capoluogo lombardo tra il 1789 e il 1791 (MtMi1 e MtL).
68
i testi e la loro storia 4. Le edizioni Galeazzi del Mezzogiorno
La prima edizione del Mezzogiorno (G1) uscì anonima e in una veste tipografica assai sobria, apertamente ispirata al modello offerto da A1. I volumi di Galeazzi non eguagliarono tuttavia l’eleganza delle edizioni Agnelli: ben più modesta era la qualità della loro carta, mediocre quella dei caratteri, stipati in pagine costrette ad accogliere 24 versi, contro i 21 di A1, A2 e A3. La nuova tipografia non si distinse nemmeno per la correttezza del testo che riuscì ad allestire. Il compositore di G1 mostrò infatti una spiccata tendenza a confondere le vocali accentate con quelle semplici. Predispose, quindi, delle forme tipografiche in cui comparvero i seguenti errori, che in fase di correzione non furono poi sanati: Gia per Già (v. 383), filosofìco in luogo di filosofico (v. 496), empiò per empio (v. 542), intreccíar per intrecciar (v. 638), Aúguri per Àuguri (v. 793), fermì per fermi (v. 1339). Chi rivide le prove di stampa si lasciò poi sfuggire labara per labbra al v. 426, chiedea per chieda al v. 805 e Zorastro per Zoroastro al v. 876, unitamente ad alcune sviste nell’interpunzione.1 Per contro, una variante di ‘stato’ posseduta dagli esemplari G1Fe1 e G1Priv1 rivela che un punto di domanda tra amici ed or, al v. 19 e del tutto indebito, fu individuato e rimosso a tiratura già avviata. Pare, comunque, che la forma tipografica più tormentata di G1 sia stata quella interna del quarto foglio, il cui stato più antico è riemerso attraverso l’esemplare G1Fe1. Questa sola copia (su 22 esaminate), al v. 1367 di p. 63 (c. D8r) attesta la variante sol colore, poi soppiantata da solo volto, con cui fu evitata la ripetizione di un sostantivo già usato al v. 1364 (Rimescola i color varj infiniti). Uno stadio intermedio, invece, ci è stato tramandato da tutti gli esemplari che condividono con G1Fe1 la variante morte al v. 1366 (G1Bo1, G1Bo2, G1CV1, G1Co1, G1Cr1, G1Fe1, G1DL1, G1Mi2, G1Mi3, G1DS1, G1To1, G1AW1, G1Priv3, G1Priv4 e G1Priv5), mentre le restanti copie G1 ne testimoniano uno ancor più recente: unitamente alla correzione solo volto, leggono Morte, per un estremo intervento, suggerito dall’uso della maiuscola in Notte al v. 1360 (di cui la Morte era definita suora, al v. 1366) e sicuramente imposto dallo stesso Parini.2 1 Eccone l’elenco: mensa, (v. 16); imbelle; (v. 54); sdegna (v. 148); tremulo, (v. 283); canuti, (v. 659), intorno; (v. 689); prostra. (v. 1309). 2 Il solo autore, infatti, avrebbe potuto richiedere, ed ottenere, un’interruzione della tiratura per apportare una rettifica di così lieve portata. Non mi risulta, invece,
i testi e la loro storia 69 Anche le copie della prima edizione del Mezzogiorno si esaurirono in breve tempo, rendendo necessaria la ricomposizione dell’intero poemetto e l’impressione degli esemplari G2. Non vi è il minimo dubbio che per il testo di questi ultimi fu seguito scrupolosamente il modello degli esemplari impressi dalle forme definitive della princeps, cui i compositori si attennero anche per quanto concerne la messa in pagina.1 Risulta meno agevole, semmai, stabilire con certezza se fra le varianti proprie di G2 siano presenti innovazioni richieste dall’autore. È ben vero, infatti, che nella seconda edizione Galeazzi la congiunzione et risulta sistematicamente sostituita da ed (vv. 401, 407, 429, 1350) e che al v. 915, in luogo di cacciano, compare un più raro e toscaneggiante cacciono;2 né si può escludere che qualche sporadico ritocco del poeta si annidi fra le minute varianti adiafore che caratterizzano l’edizione.3 Il più delle volte, tuttavia, dove G2 si discosta in modo significativo dalla princeps compaiono varianti deteriori:
18. 34. 35. 211. 244. 364. 661. 713.
G2
G1
E i pietosi licori, e la consorte Damigelle or con vezzi or con gariti Rovesciò la fortuna; a se medesima Introdotto capoverso L’orca, il delfino, e quant’altri Maliziosetto svollazzando intorno, All’alto lato de la mensa or odi Di voce che gorgolia, ed esce alfine
petrosi garriti medesma altri mortali svolazzando altro gorgoglia
che alcun esemplare G1 rechi le lezioni lentamente al v. 277 (per lenemenente) e motti al v. 449 (per moti), poste a testo nell’edizione critica di Isella, né la variante di ‘stato’ a freddo al v. 191 (per al freddo) segnalata in Mazzoni, p. 49. 1 Tanto che la tipografia Galeazzi non mancò di allestire esemplari misti, servendosi indistintamente di fogli dell’una e dell’altra edizione. Tale risulta, infatti, la copia CSCF SC Y VII 9 della Biblioteca di San Francesco della Vigna di Venezia, composta fino a p. 48 da fascicoli G1, e a partire da p. 49 (fino a p. 64) da carte G2. 2 Che tuttavia non fu riconfermato nell’unico manoscritto autografo dei vv. 6591178 del Meriggio (Ambr. S. P. arm. 6 IV 9). 3 Ovvero alquanto; v. 50 (alquanto G1); Egeo v. 79 (Egéo G1); O vv. 361 e 456 (Oh G1); languir v. 321 (languír G1); sembrolle; v. 540 (sembrolle: G1); misero v. 551 (mìsero G1); grande v. 705 (Grande G1); Varca, v. 706 (Varca G1); gobba v. 710 (gobba, G1); che v. 721 (ch’ G1); della v. 723 (de la G1); ninfe v. 763 (Ninfe G1); gioja v. 775 (gioja, G1); brindesi vv. 776 e 779 (brindisi G1); fera; v. 856 (fera, G1); avvolgeste, v. 910 (avvolgeste; G1); parrucchier, v. 956 (parrucchier; G1); dinota v. 1194 (dinóta G1); scellerata v. 1261 (scelerata, G1); Pallade Minerva v. 1291 (Pallade–Minerva G1).
70
i testi e la loro storia
786. 788. 794. 975. 1146. 1157. 1168.
G2
G1
Velli con l’ali sue sagace oblìo Potriéno un giorno sperar per sempre Nostra nobil Musa a voi desia Il Ver celato; alfin cada adorando La bipartita tavola prepara Ha la campagna, onde il nemico assalto All’un de’ lati: ambi gli orrecchi tende;
Veli separar nobile e alfin Là compagna orecchi
Chi allestì G2, poi, non pose un particolare impegno nel sanare le più evidenti corruttele della princeps. La seconda edizione del Mezzogiorno legge Già (e non Gia) al v. 383, labbra (in luogo di labara) al v. 426, empio al v. 542 (e non empiò) e fermi al v. 1339 (fermì in G1), ma ripropone, nel contempo, errori come chiedea al v. 805 e Zorastro al v. 876, né presenta, attraverso varianti di ‘stato’, alcuna traccia di estremi interventi correttorii. Segnalo, infine, che la data 1765 e il nome dello stampatore milanese Giuseppe Galeazzi compaiono anche in una terza edizione del Mezzogiorno (G3).1 Quest’ultima si presenta in una veste tipografica ben più modesta rispetto a quelle di G1 e G2. Nelle prime due edizioni, infatti, il testo del poemetto fu distribuito in 4 fascicoli in 8º, mentre in G3, componendo 41 vv. per pagina (e con caratteri assai più minuti), l’intero Mezzogiorno fu racchiuso in sole 20 carte, sempre in 8º, legate in modo da costituire un unico fascicolo. Circa l’effettiva data di stampa di G3, offrono interessanti indicazioni i criteri seguiti da Galeazzi nel sottoscrivere il colophon e garantire la liceità della nuova edizione. Tanto in G1 quanto in G2, a p. 64, il tipografo aveva ottemperato all’obbligo di riprodurre per intero sia il testo dell’approvazione, sia quello dell’imprimatur delle autorità religiose e civili;2 dopo gli ultimi versi del Mezzogiorno, 1 Quando ne detti una prima notizia in Nella selva delle stampe pariniane: una sconosciuta edizione del «Mezzogiorno», in «Ecdotica», 8 (2011), pp. 75-85, espressi dei dubbi circa la veridicità del suo colophon, successivamente fugati da un confronto delle caratteristiche tipografiche di G3 con quelle, in tutto conformi, di altre edizioni impresse da Galeazzi negli anni Sessanta. Rammento, comunque, che dell’edizione G3, rarissima, ho potuto rintracciare e consultare un solo esemplare, custodito nella collezione privata di Giuliano Brusa. 2 In ossequio all’editto emanato da Maria Teresa il 28 Gennaio 1744 e firmato dal senatore marchese Pietro Goldoni Vidoni (una sua copia a stampa, impressa a Mi-
i testi e la loro storia 71 per contro, in G3 si limitò a far seguire al proprio nome la formula «Con licenza de’ Superiori». L’edizione, pertanto, non poté essere allestita prima delle ultime settimane del 1765, allorché entrarono in vigore nuove istruzioni per la censura dettate da Maria Teresa,1 ed è anzi probabile che sia stata impressa alcuni anni dopo e precisamente a partire dal luglio 1768, dato che non vi si trova alcun cenno al privilegio triennale di cui avevano beneficiato le prime due edizioni del poemetto.2 Dal punto di vista testuale, comunque, G3 risulta discendente diretto e fedele di G2, di cui ereditò pressoché tutte le più evidenti corruttele (solo all’altezza del v. 1168 tornò a leggere orecchi e non orrecchi) introducendone, a sua volta, un’esigua manciata di nuove (apparir per apparire al v. 87, Sollecito per Solletico al v. 207, satollo per fatollo al v. 412), unitamente ad alcune varianti grafiche e interpuntorie di poco momento.3 Nella presente edizione critica si lano da Giuseppe Richino Malatesta, è conservata presso l’Archivio di Stato di Milano, Studi - Parte Antica, Cart. xxxi). 1 Nell’autunno del 1765, infatti, l’imperatrice era intervenuta sulle norme relative alla stampa all’interno delle Istruzioni aggiunte al Supremo Consiglio di economia nelle province lombarde e con l’articolo xxii di queste ultime aveva introdotto profondi cambiamenti in merito agli organi preposti alla censura: «avendo Sua Maestà derogato e annullata qualunque legge, costituzione e consuetudine sopra di ciò, questa arte di stampatori e librai sarà unicamente sottoposta al Governo, il quale a consulta del Consiglio, darà le patenti di stampatore regio a chiunque crederà bene nella città e nello Stato; e chiunque avrà tale patente (…) [sarà] sottoposto unicamente alla sola revisione dei due revisori per Milano (…) che dipendentemente dalla approvazione governativa saranno assegnati al Consiglio col titolo di revisori regi» (cfr. Alceste Tarchetti, Censura e censori di Sua Maestà Imperiale nella Lombardia austriaca: 1740-1780, in Economia, istituzioni, cultura in Lombardia nell’età di Maria Teresa, II, Bologna, il Mulino, 1982, p. 746 e per maggiori dettagli sulle Istruzioni aggiunte le pp. 746-751); cessato l’obbligo di esibire le approvazioni della Curia arcivescovile, del Sant’Uffizio e del Senato, i tipografi milanesi iniziarono dunque ad imprimere al frontespizio la sola formula «Con licenza de’ Superiori», di certo adottata anche da Giuseppe Galeazzi a partire dal 1766, anno in cui stampò le Meditazioni sulla felicità di Pietro Verri (privo d’imprimatur o di qualsivoglia altra nota d’approvazione, il volume così si apre a p. 1: MEDITAZIONI|SULLA|FELICITÀ.|=|Victrix fortunæ sapientiæ.|Juv. Satyr. XIII.|=|CON NOTE CRITICHE| RISPOSTA ALLE MEDESIME|D’UN AMICO PIEMONTESE.||(fregio tipografico)||IN MILANO. MDCCLXVI.|Appresso Giuseppe Galeazzi|Regio Stampatore.|Con licenza de’ Superiori, e Privilegio.). 2 Ricordato nel paragrafo precedente alla n. 3 di p. 65. 3 improvviso v. 136 e 422 (improviso G2); nuziali v. 169 (nuzziali G2); desío v. 304 (desio G2); viltade; v. 326 (viltade, G2); nati. v. 327 (nati, G2); difende, v. 407 (difende. G2); scarse v. 494 (scarze G2); figli v. 570 (figlj G2); noja v. 582 (noia G2); leggi, v. 583 (leggi. G2); orec-
72 i testi e la loro storia è tuttavia ritenuto di dover tenere conto anche di queste ultime, in quanto estreme manifestazioni di una vicenda editoriale avviata dallo stesso Parini e con buone probabilità da lui seguita, seppur con interesse via via decrescente, in tutte le sue tappe. 5. Il manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10BIS e la sua datazione Gli interventi pariniani sull’esemplare A1Bo1 non sono le uniche reliquie manoscritte del percorso testuale compiuto dalla prima redazione del poema. Varianti evolutive ci sono pervenute attraverso le postille di altri esemplari a stampa e Dante Isella ha persino ritenuto che l’autografo Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis (x) si potesse proporre quale sicuro documento della genesi del Mezzogiorno. Dopo la morte del poeta, invero, il frammento x giunse nelle mani di Francesco Reina, che lo usò per pubblicare i vv. 461-510 della prima edizione del Vespro. Da allora, e fino a tutta la prima metà del secolo scorso, nessuno mise in dubbio che si trattasse di una fonte della seconda redazione del Giorno, né che i suoi versi appartenessero alla terza parte del poema e non più alla seconda, divenuta Meriggio.1 Nel 1910, tuttavia, le carte di Parini furono donate alla Biblioteca Ambrosiana. Guido Mazzoni poté quindi esaminare direttamente x e per primo segnalò che non ovunque era autografo:2 i quattro versi iniziali di p. 1 erano stati aggiunti da Reina e secondo modalità assai sospette. Mentre i vv. 2-4 apparivano in tutto conformi ai vv. 1335-1337 del Mezzogiorno, il primo risultava indubbiamente rielaborato (con l’inserimento di Già tarda a la tua dama innanzi all’emistichio originale e già con essa) e all’evidente scopo di poter pubblicare i versi autografi di x come l’immediato seguito dei vv. 1220-1326 di G1.3 Questo, d’altronde, era solo uno dei più evidenti indizi della disinvoltura con cui Reina si era servito delle superstiti carte pariniane. Tornato sulla questione, Dante Isella chio; v. 597 (orecchio, G2); natíe v. 682 (natie G2); potría v. 916 (potria G2); disse; v. 1182 (disse, G2); dal v. 1340 (del G2); segrete; v. 1374 (segrete: G2). 1 E nel cui unico manoscritto autografo (Ambr. S. P. arm. 6 IV, 8-9) non compaiono i vv. 1195-1376 di G1; cfr. a tale proposito Isella 1996, i, pp. lxvii-lxviii. 2 In Mazzoni, p. 88. 3 Dato che non sarebbe più stato possibile farli precedere dai vv. 1327-1334ª del Mezzogiorno, poiché già assorbiti nei vv. 36-46 del Vespro.
i testi e la loro storia 73 poté dunque dimostrare, in via definitiva, l’assoluta arbitrarietà dell’intera ricostruzione compiuta dal primo editore del Giorno, in quanto espressione di un vano tentativo di ridurre ad unità il contenuto di fonti eterogenee come G1, il frammento x ed i 349 endecasillabi autografi del Vespro.1 Chiarito che x non poteva essere usato per allestire illecite continuazioni della terza parte del poema, restava tuttavia da stabilire quale nuovo valore testimoniale dare alle sue carte. Fu allora che Isella ritenne di intravedere, nella loro lezione, uno stadio del testo antecedente a quello tramandato da G1. Pensò, in un primo momento, che la prova regia si potesse ricavare da un esame del flusso delle «lezioni concorrenti». Nel manoscritto era decisamente più frequente che «fra due lezioni di cui la prima cassata a favore dell’altra», Parini si fosse risolto per quella attestata dalla princeps del Mezzogiorno o, comunque, per soluzioni assai prossime a quelle adottate nel 1765.2 Meglio pensare, dunque, che x fosse un testo in graduale avvicinamento a G1, piuttosto che un frammento di trascrizione più recente della stampa e ciononostante fitto di «ritorni faticosi a una lezione già posseduta e respinta». In seguito, tuttavia, sollecitato da alcune aperte riserve di Ettore Bonora,3 Isella tornò a riformulare la propria tesi,4 attribuendo 1 Isella 1996, i, pp. lxvi-lxix. 2 Queste sono le sei correzioni messe in evidenza da Isella, contro i due casi in cui x tende ad allontanarsi da G1 (li spazza → li sgombra al v. 1365 e Toglie → Tolto al v. 1375): De le rote frequenti all’urto esporre,|Se star fermi a voi piace; e ai guardi altrui|Dissimular qualche recente sdegno,|Già cantato ne’ trivj, ed oltre scorra → Fra le ignobili rote al vulgo esporre,|Se star fermi a voi piace; ed oltre scorra (Tra le ignobili rote esporre al vulgo,|Se star fermi vi piace; od oltre scorra ai vv. 1338-1339 di G1); Ecco già corsi|Al tuo scendere i servi. Or lieve un salto → Ecco son pronti|Al tuo scendere i servi. Un salto ancora (T’accolgan pronti|Allo scendere i servi. Ancora un salto in G1 ai vv. 1341b1342); E inerpicarti, e v’introdurre il capo → E inerpicarti, et introdurvi il capo (E inerpicarti, et introdurvi ’l capo al v. 1350 di G1); Indi → Ivi (Ivi al v. 1352 di G1); che da lunge n’oda|La Dama il suon, e se ne turbi, e rompa → che da lunge gli oda|La tua Dama, e si turbi, ed interrompa (conformemente a G1, vv. 1353b-1354); E via li spazza con l’immenso lembo:|E un aspetto indistinto un solo volto → E via li sgombra con l’immenso lembo|Di cosa in cosa; e suora de la morte,|Un aspetto indistinto, un solo volto (così come in G1, ai vv. 1365-1368, con la sola variante spazza in luogo di sgombra). 3 Formulate in una recensione all’edizione critica del Giorno sul «Giornale Storico della Letteratura Italiana», cxlvii, 1970, pp. 603-611 (poi confluita in Bonora, pp. 223-237). 4 Con una lettera pubblicata dal «Giornale Storico della Letteratura Italiana», cxlviii, 1971, pp. 327-331, e riprodotta sia in Bonora, pp. 223-237, sia in Isella 1987, pp. 149-155.
74 i testi e la loro storia un peso probatorio determinante ad altri riscontri, inizialmente considerati di mero rincalzo ai dati offerti dall’analisi delle varianti d’autore. Segnali incontrovertibili dell’anteriorità di x divennero perciò alcune peculiarità grafiche attestate dal manoscritto (uso di preposizioni articolate e di avverbi composti, della j semivocalica, della congiunzione et), giudicate poco consone alle consuetudini scrittorie del più maturo Parini.1 Pare infine che Isella ritenesse di disporre anche di prove archivistico-paleografiche. Nella sua replica, però, si limitò a segnalare che per la loro qualità e grammatura i fogli di x risultavano «diversissimi in tutto dagli altri fogli degli autografi» e che ne era «diversa pure la grafia, meno angolosa e serrata». Differentemente esposta, e sicuramente razionalizzata, la proposta di Isella convinse Bonora, ma non Roberto Leporatti, che in un’ampia nota2 si pose a riesaminarla punto per punto. Iniziò pertanto con un esame analitico di tutte le correzioni indicate come sicuri indizi di un movimento di x verso G1 e fece notare che quasi tutte si potevano leggere anche – e forse meglio – in chiave diametralmente opposta, ossia come recuperi, spesso parziali,3 di lezioni della princeps, sollecitati ora da evidenti implicazioni con altri luoghi della seconda redazione del Giorno,4 ora da perduranti difficoltà nel sostituire lezioni G1 segnalate anche altrove come insoddisfacenti.5 Parallelamente sostenne, e con argomenti assai persuasivi, la necessità di ridimensionare il valore cronologicamente discriminatorio degli usi grafici riscontrabili in x. Da un lato, infatti, era perlomeno poco prudente metterli in diretto confronto con le peculiarità scrittorie dei restanti autografi del Giorno, tutti linde ed ordinate trascrizioni,6 dall’altro era pur ne1 Isella 1987, pp. 151-153. 2 Leporatti, pp. 103-115. 3 Giacché le correzioni di x si avvicinano a G1, ma non coincidono con quanto stampato nella princeps ai vv. 1338-1339, 1341b-1342 e 1365-1368. 4 Come nel caso dei vv. De le rote frequenti all’urto esporre,|Se star fermi a voi piace; e ai guardi altrui|Dissimular qualche recente sdegno,|Già cantato ne’ trivj, ed oltre scorra (corrispondenti ai vv. 1338-1339 di G1), che mostrano sensibili tratti in comune con il v. 1220 del Mezzogiorno del 1765 (Già di cocchi frequente il Corso splende) e il v. 300 del Vespro (Sì ben finti stamane all’urto esporre). 5 Il v. 1350, infatti, risulta analogamente corretto (et introdurvi → e v’introdurre) dalle postille c e d, che parimenti segnalano, con una crocetta, l’insoddisfazione del poeta per il v. 1354. 6 Anche x, invero, fu inizialmente una trascrizione in pulito, ma certo non paragonabile, per accuratezza calligrafica, ai quaderni Ambr. S. P. arm. 6 IV, 3-15.
i testi e la loro storia 75 cessario constatare che deroghe alle consuetudini grafiche del Parini meno giovane erano comunque riscontrabili in scritti sicuramente posteriori al 1765.1 Leporatti, infine, si soffermò su alcuni luoghi di x in precedenza del tutto trascurati. Arricchendo il discorso di nuovi spunti di riflessione, fece così notare come alcune varianti alternative del manoscritto ambrosiano avessero tutto il sapore di ritocchi coerenti con le idealità estetiche della seconda redazione del poema2 e concluse segnalando un’affinità senz’altro curiosa – e a suo avviso non casuale – fra i versi di cui solo x era testimone3 e un passaggio della traduzione dell’Eneide di Clemente Bondi,4 uscita per i torchi di Giambattista Bodoni solo nel 1790. Ogni nuovo indizio, insomma, suggeriva allo studioso che la soluzione prospettata da Isella non possedesse maggiori probabilità di cogliere nel vero rispetto a quella tradizionale, che avrebbe visto x più recente di G1. Le osservazioni di Leporatti, tuttavia, pur suggerendo maggior cautela nell’accostarsi ad x, non portavano prove irrefragabili contro l’ipotesi dell’anteriorità del manoscritto rispetto alla princeps. Trovatomi ad affrontare nuovamente il problema, ho quindi preferito sottoporre il manoscritto a verifiche ulteriori e senz’altro doverose. Le pagine di x, infatti, meritavano una compiuta expertise paleografica e le loro caratteristiche materiali attendevano ancora di essere sistematicamente confrontate con quelle delle restanti reliquie dello scrittoio pariniano.
1 Come il manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 III, 8, allestito da Agostino Gambarelli sotto la stretta sorveglianza di Parini (cfr. Leporatti, pp. 107-108). 2 Eccone l’elenco: gli increspati al v. 1343 (i rincrespati G1); Ai lucidi al v. 1345 (Ed ai lievi G1); versarte al v. 1352 (versarti G1); custodirla intanto al v. 1356 (custodir la bella G1); e li dipinti v. 1370 (ed i dipinti G1); aere al v. 1372 (aer G1); cfr. Leporatti, pp. 111-113. 3 Alle pp. 1-2 (inseriti in corrispondenza dei vv. 1340b e 1341ª di G1): Nè conteso a te fia per brevi istanti|Uscir del cocchio: e sfolgorando intorno,|Qual da repente spalancata nube,|Tutti scoprir di tua bellezza i rai,|Nel tergo, ne le gambe, e nel sembiante|Simile a un Dio; poi che a te, non meno|Che all’altro semideo Venere diede|E zazzera leggiadra, e porporino Splendor di gioventù, quando stamane|Allo speglio sedesti. 4 Nel libro i, ai vv. 942-952 (Verg., Aen., I, vv. 586-591): «Avea finito appena, allorchè il denso|Opaco vel, che li cingea dintorno,|S’aprì nel mezzo, assottigliossi, e lieve|Nell’aria aperta si purgò diffuso.|Scoperto Enea nel chiaro dì comparve,|Al vago aspetto, agli omeri, al sembiante,|Simile a un Dio; poichè Venere istessa| Avea del figlio al biondo crine aggiunta|Nuova bellezza, e del purpureo lume|Di gioventù sparse le gote, e in fronte|Gli occhi avvivati di celeste raggio».
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i testi e la loro storia Del tutto inutile, invero, è stato l’esame comparato degli inchiostri1 e senz’altro inefficace è risultato un confronto fra i caratteri di x e quelli di altri autografi: a partire dai primi anni sessanta non si verificò alcun sostanziale mutamento nei modelli calligrafici cui Parini si attenne e differenze nel corpo delle singole lettere o nella rapidità del tratto, come nell’inclinazione della scrittura, caratterizzarono semmai le diverse funzioni o particolari destinazioni degli scritti.2 Non tutti gli aspetti materiali di x si sono comunque dimostrati assolutamente reticenti. Altri due manoscritti pariniani posseggono infatti dei fogli in tutto identici a quelli dell’Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis, di buona qualità, cospicua grammatura e di ampie, inusuali dimensioni:3 l’Ambr. S. P. arm. 6/1 II, 3 alle pp. 89-904 e l’Ambr. S. P. arm. 6/5 VIII, 13 alle pp. 45-46, 71-72.5 Nel secondo, per giunta, si intravedono i medesimi tratti di filigrana leggibili alle pp. 5-6 di x: una stella a sei punte, inscritta in una circonferenza, è accompagnata da un cerchio di minori dimensioni in testa e dalla sigla «BMO» al piede. Non v’è il minimo dubbio, insomma: si tratta di carte coeve, su cui Parini riportò cose proprie, con un inchiostro di tinta analoga a quella di x. Ed è certo di un qualche interesse notare che contengono testi decisamente più recenti della prima edizione del Mezzogiorno: la prosa dell’Ambr. S. P. arm. 6/5 VIII, 13 è sicuramente successiva al 17696 e buona parte dei versi dell’Ambr. S. P. arm. 6/1 II, 3 è senz’altro degli anni settanta.7 1 Soggetti, di carta in carta, a continui e talvolta sensibili mutamenti di densità e colore, ma solo in ragione della loro produzione a livello artigianale, se non addirittura domestico. 2 Si può solo dire, perciò, che la scrittura di x sia analoga a quella di tante altre trascrizioni in pulito e fogli sciolti, non particolarmente posate ed eleganti, su cui il poeta era solito intervenire con ulteriori ritocchi, prima di trasferire il testo su nuovi supporti, spesso altrettanto provvisori, o affidarlo alla trascrizione di copisti calligrafici. 3 E cioè di mm 300 × 205. Identica, inoltre è la distanza che si osserva sia fra le loro vergelle, sia tra i loro filoni. 4 Foglio semplice descritto in Isella 1975, pp. xl-xli. 5 Che costituiscono un bifolio autonomo entro cui si trovano raccolte altre carte sciolte numerate per pagina, dalla mano di Guido Mazzoni (da 47 a 70), e tutte dedicate ai soggetti commissionati a Parini per la decorazione del Palazzo di Corte (cfr. Barbarisi - Bartesaghi, p. 569). 6 Data in cui furono avviati i lavori di ristrutturazione del Palazzo di Corte (cfr. Barbarisi - Bartesaghi, p. 563). 7 A p. 89, infatti, compaiono i vv. 46-56 del Brindisi, mentre e a p. 90 si legge un abbozzo dei vv. 1-12 delle Nozze.
i testi e la loro storia 77 È comunque necessario precisare che nemmeno sulla scorta di questi ultimi rilievi si può ricavare alcunché di preciso sulla datazione di x. Se ne trae infatti l’esclusiva certezza che il manoscritto fu allestito su un tipo di carta usato anche in differenti occasioni e – limitatamente a quelle, ma quelle sole – senz’altro dopo l’uscita a stampa del Mezzogiorno.1 Sono costretto a concludere, perciò, che al momento non risulta possibile stabilire, sulla base di dati oggettivi ed incontrovertibili, se il manoscritto x sia testimonianza della genesi del testo di G1 o ne rappresenti una successiva ripresa. Ritengo, nondimeno, che se prudenza richiede di valutare la soluzione di Isella esclusivamente come un’ipotesi, d’altro canto, un equilibrato rigore filologico impone di tenerla comunque in debita considerazione. Un’esclusione di x dalle fonti del Mezzogiorno finirebbe d’altronde per avallare una tesi assolutamente indimostrabile e cioè quella che il manoscritto sia testimonianza della sola genesi del Vespro. Resta del tutto aperta, infatti, la possibilità che x, anche se posteriore a G1, documenti un successivo stadio di elaborazione del Mezzogiorno e che i ripensamenti di cui è testimonianza rientrino perciò, a buon diritto, fra le oscillazioni testuali soggette alla forza gravitazionale della prima redazione del poema. Questa edizione, pertanto, pur sospendendo il giudizio sulla loro natura genetica o evolutiva, ne ha dato pieno conto attraverso la trascrizione diplomatica dell’Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis che segue il testo critico del Mezzogiorno. 6. Le copie di lavoro del poeta I restanti postillati del Mattino e del Mezzogiorno sono invece testimonianze certe del percorso evolutivo di entrambi i poemetti. Parini, infatti, per apportare lievi modifiche a testi già pubblicati, era solito servirsi di esemplari a stampa come il già ricordato A1Bo1,2 1 E per testi – si noti – che con il poema non hanno alcun rapporto e che Parini, abituato a far uso parsimonioso di ogni tipo di carta disponibile, potrebbe aver vergato su materiali di recupero, ora in ragione delle loro dimensioni (una breve prosa nell’Ambr. S. P. arm. 6/5 VIII, 13), ora perché allo stato di meri abbozzi di nuove poesie (nell’Ambr. S. P. arm. 6/1 II, 3). 2 E come la copia Ambr. S. P 6/1 I, 1 per le Alcune poesie di Ripano Eupilino. Giuseppe Bernardoni segnalò anche l’esistenza di «un esemplare delle Odi, impresse in Milano nel 1791» – attualmente irreperibile – nel quale si leggevano «qua e là le opportune correzioni di mano di Parini» (cfr. Giuseppe Parini, Poesie scelte. Prima
78 i testi e la loro storia le cui correzioni autografe (a) risultano le più antiche di cui si abbia notizia e senza dubbio precedettero i ritocchi b del secondo postillato autografo a noi pervenuto, l’esemplare A1Mi1. In quest’altra copia, il più delle volte, il poeta si limitò a segnare (con crocette e sottolineature) versi o parole di cui non era pienamente convinto. Ben presto, però, si fece assai fitta la trama degli interventi ritenuti necessari, e tale da far assumere all’esemplare braidense la fisionomia di una vera e propria copia di lavoro. Né forse fu l’unica di cui il poeta si servì nel medesimo arco di tempo.1 Giunse un momento, comunque, in cui sul tavolo di Parini fu senz’altro affiancata, se non del tutto sostituita da cx, nuovo strumento d’azione che oltre al Mattino conteneva anche il testo del Mezzogiorno.2 Sulle sue pagine il processo di elaborazione fu infatti riavviato, ma con tratti di discontinuità rispetto a b,3 e poté continuare, perlomeno, finché il disegno strutturale dell’opera non mutò profondamente, allontanandosi dal primitivo schema tripartito. Tale preziosa testimonianza fu però sottratta all’anziano poeta da Luigi Cerretti e ricomparve a Milano solo nei primi anni dell’Ottocento, grazie all’impegno con cui Francesco Reina si pose a rintracciare le superstiti carte pariniane. edizione milanese, Milano, Giovanni Bernardoni, 1814, pp. vi, ix e Isella 1975, pp. xxxii-xxxiii). 1 Non è infatti possibile dire se coincidano con le copie attualmente conosciute, o siano ulteriori postillati autografi (o loro copie), l’esemplare segnalato nel Catalogo 321 del libraio Pio Luzietti (Roma, 9 dicembre 1918), con «alcune correzioni mss. attribuite al Parini» (sul quale cfr. Isella 1996, i, p. xxxviii, ma soprattutto Mazzoni, p. 8) e il volume del «Giorno [sic] del Parini con correzioni del poeta» (un tempo custodito dalla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ma attualmente irreperibile), di cui fa menzione Carlo Vambianchi, Raccolte e raccoglitori di autografi in Italia, Milano, Hoepli, 1901, p. 38. 2 Pompilio Pozzetti fu il primo a darne notizia, in questo ricordo dei suoi ultimi incontri con il poeta: «nel Gennaro del mille settecento novantotto aveva il contento di visitarlo sovente in Brera e di trattenermi seco lui in giocondi colloquj, dai quali io mi partiva ognora istruito e pieno d’ammirazione pe’ suoi rari talenti e pel suo bel cuore. Fu in quel tempo ch’ei mi disse aver notati sul margine di un esemplare de’ suoi poemetti alcuni miglioramenti da se fattivi» (cfr. Bramieri - Pozzetti, p. 41). 3 In cx finì difatti per confluire solo una parte delle innovazioni del postillato A1Mi1 e non solo perché l’insoddisfazione espressa con le crocette di b portò alla comparsa di lezioni alternative in cx. Talvolta i dubbi espressi in A1Mi1 non tornarono a manifestarsi nella nuova copia di lavoro ed in alcuni casi le innovazioni b non vennero confermate (cfr. l’apparato al Mattino ai vv. 848 e 913).
i testi e la loro storia 79 È da tempo noto che Carlo Bentivoglio, attraverso Leopoldo Cicognara, fece giungere cx al primo editore del Giorno,1 il quale ne trascrisse le preziose postille sugli esemplari A1Mi4 e G1Mi3. Ancor oggi, di contro, non è affatto chiaro se Reina, una volta terminato il proprio lavoro di copiatura (d’ora in poi c), abbia restituito l’originale o sia riuscito ad aggiungerlo alla propria collezione di cimeli pariniani. Di certo si sa solo che tra le sue carte,
1 Il volumetto gli giunse accompagnato dalla seguente lettera, che ne riassumeva le singolari peregrinazioni: «A[mico] C[aro]|Ferrara li 17 Brum[a]le [1801]|Mando a Reina il libretto del Mattino di Parini col mezzo|di Somenzari Comiss[a]rio. Me ne accuserai con riscontro la ricevuta.|L’amico lo affida a me, e a te fintanto che tu ne sia|servito a norma del tuo bisogno: dopo ciò me lo rimetterai.|Questo fu rubbato all’Autore, e non donato a Cerretti, e Benti-|voglio poi lo pagò altissimo prezzo. Vedrai varianti anche|molte e interessanti; ma alla pagina 60 del Mattino| v’è una riga che non intendo, e dice qual di loro è più|degno di fama e stima. Non sò cosa s’intenda in quella|nè che v’abbia a fare: sei un uomo bravo, se te ne cavi,|come non dubito p[er] la tua perspicacia.||Aggradirò notizia dei libri che riceverai da Galdi quando|giugneranno. Intanto io ti prego scusarmi della tardanza|del mio riscontro: attribuiscilo a negligenza e bestialità. Vera-|mente non soglio mai scusarmi dove sono colpevole, come|altrettanto sarei sensibile ad acuse immeritate. Mille doveri ben cordiali all’Avv[oca]to Mariani, e alla sua|amabilis[si]ma consorte. Vogliatemi bene, e se vi occorre qualche|cosa non mi risparmiate.|V[ostr]o aff [ezionato] amico|Leopoldo Cicognara» (dall’originale Ambr. S. P. arm. 6/IV 1b, di mm 232 × 175, recante al v. sigillo in ceralacca di Leopoldo Cicognara e indirizzo autografo: «Al Cittadino Reina|Membro della Consulta Legislativa|Milano». A Dante Isella spetta il merito di aver definitivamente stabilito l’anno della missiva, dimostrando come Reina, imprigionato per motivi politici il I maggio 1799, poté riceverla solo dopo l’uscita dal carcere croato di Petervaradino, avvenuta nel marzo 1801; cfr. Isella 1996, i, p. xxxi). Per la figura del poeta modenese Luigi Cerretti, sono ancor oggi imprescindibili Giambattista Dall’Olio, Pensieri sulla vita letteraria e civile di Luigi Cerretti, Milano, Cairo e Compagno, 1808, [Luigi Cagnoli], Di Luigi Cerretti modenese. Notizie biografiche e letterarie con prose e versi mancanti nell’edizioni dell’autore, Reggio, Torreggiani e C., 1833 (utile anche, a p. 16 n. 1, per il ricordo di Carlo Bentivoglio in qualità di «munifico Mecenate» del Cerretti) e Francesco Solerio, Studio critico su Luigi Cerretti e le sue opere, Firenze, Tipografia Elzeviriana, 1902, così come la silloge dei suoi migliori versi Luigi Cerretti, Poesie scelte. Raccolte dall’abate Gio. Innocenzo Dott. Pedroni, Milano e Pavia, Galeazzi, 1810 (alle pp. 118-119, vi si legge peraltro il sonetto di proposta Ardon tel giuro al tuo divin aspetto, di Parini, e la risposta del Cerretti: O tu che vedi il più leggiadro aspetto). Per l’epistolario del poeta, cfr. Cesare Cerretti, Prose e poesie del Prof. Luigi Cerretti. E lettere dirette al medesimo conservate nel R. Archivio di Stato di Modena, Modena, Società Tipografica Modenese, 1894, Giuseppe Cavatorti, Contributo all’epistolario dell’epoca napoleonica: Giovanni Paradisi, Paolo Ruffini, Luigi Cerretti, Antonio Aldini, Gaetano Fantuzzi, Stefano Mejan, Carpi, Tipografia Ravagli, 1907 ed il recentissimo Claudio Chiancone, Le lettere inedite di Fiorenza Vendramin Sale a Luigi Cerretti (1795-1796), «Quaderni veneti», 40 (2004), pp. 121-164.
80 i testi e la loro storia quando giunsero presso la Biblioteca Ambrosiana, cx non era presente e che a tutt’oggi il volume risulta irreperibile.1 Felice Bellotti, tuttavia, poté ancora rintracciare delle notizie di prima mano sul suo contenuto, che raccolse nel manoscritto d (Ambr. S. P. arm. 6/3 IV, 22). Lo studioso, infatti, ebbe modo di esaminare, se non l’originale cx, almeno una copia delle sue varianti, assai accurata e comunque diversa da c,2 ricavandone dati che permettono di rettificare, per alcuni luoghi del Mattino, la trascrizione compiuta da Reina3 e di integrare, rispetto al Mezzogiorno, quanto riportato sulle pagine di G1Mi3.4 Presso la Biblioteca Ambrosiana, infine, è custodita una terza e più moderna trascrizione delle postille di cx. Si tratta, invero, di una trasposizione delle varianti di d operata da Filippo Salveraglio.5 È 1 Nonostante le meticolose ricerche compiute da Dante Isella, che non ha mancato di porsi sulle tracce dell’archivio e dei libri appartenuti a Carlo Bentivoglio (cfr. Isella 1996, i, p. xxix). 2 Che Bellotti conosceva bene, poiché dopo la morte di Reina era entrato in possesso della sua collezione di carte pariniane (cfr. Mazzoni, p. lxii). Si noti, però, che Bellotti riferì di una significativa caratteristica di cx, non segnalata da Reina, né deducibile dalla particolare struttura materiale della copia c, composta da due opuscoli fra loro distinti. Il postillato originale, come risulta anche da Bramieri - Pozzetti, p. 41, recava infatti legati assieme i due poemetti pariniani; ed il bifolio d precisò: «Al Mattino è unito anche il Mezzogiorno con correzioni pure autografe» (c.1r). Sulle ricerche avviate da Felice Bellotti, e mai approdate ad una nuova edizione del Giorno, anche se a lungo vagheggiata, cfr. ora Alberto Cadioli, Protofilologia d’autore in un progetto di edizione del Giorno, in Ballarini - Bartesaghi, pp. 199-211. 3 Pare, d’altronde, che la principale funzione di d fosse proprio quella di supplire alle manchevolezze di A1Mi4 e G1Mi3. E ciò non si evince tanto dalla puntuale lista delle varianti del Mezzogiorno riportate alle cc. 1r-2v, quanto piuttosto dai pochissimi rilievi sul testo del Mattino (c.1r). Bellotti si soffermò infatti sulle postille che Reina aveva trascritto senza alcun commento alla p. 58 di A1Mi4. La nuova trascrizione, invece, precisava come non si trattasse di correzioni: «Si vede che queste parole il Parini le|notò per memoria di ciò che in que’ luoghi voleva aggiungere». E l’intento di apportare correzioni a c è altrettanto evidente nella successiva annotazione del manoscritto d. Nella sua edizione, Reina aveva così interpretato la correzione al v. 42 del Mattino cx: Va col bue lento innanzi andando, e scuote. Bellotti, quindi, sentì doveroso precisare che: «Il verso Va col bue lento innanzi al campo, e scuote, ha cancellato le parole al campo,|e dopo scuote ha scritto in margine andando; sicché il verso corretto riesce questo:|Va col bue lento innanzi, e scuote andando». 4 Attribuendo al Mezzogiorno cx anche le seguenti correzioni: v. 146 De’ ricchi (G1 Di ricchi); v. 448 veggio (G1 veggo); v. 564 quale (G1 qual); v. 571 delicato (G1 dilicato); v. 1031 Porien (G1 Potrien); v. 1088 De la stirpe (G1 Da la stirpe). Anche d, però, presenta delle manchevolezze, come già ebbe a rilevare Isella (cfr. Isella 1996, i, p. xxxv). 5 Che si premurò di porre l’indicazione «mss. Bellotti» sia sul risguardo anteriore di A3Mi1, sia su quello di G2Mi1. Ed ancor più esplicita, circa la provenienza delle va-
i testi e la loro storia 81 opportuno ricordare, però, che lo studioso la eseguì, per il Mattino, sulla copia A3Mi1, con squisita sensibilità filologica. Comprese, infatti, che per giungere a una compiuta ricostruzione della fisionomia testuale di cx era necessario stabilire anche il tipo di edizioni effettivamente postillate da Parini. E se le trascrizioni b e c non offrivano – né offrono tuttora – alcun appiglio per eventuali indagini sul testo base del Mezzogiorno, altrettanto non si poteva dire per quello del Mattino cx. Su quest’ultimo, preziose informazioni si ricavavano dalla copia A1Mi4. L’esemplare adottato da Reina, all’altezza del v. 141 di p. 16, riportava la seguente annotazione, di pugno del primo editore del Giorno: «nell’ediz.e|veramente del 1763. sta|Fuma, et arde. L’autore nol|corresse in questo|Codice». E più innanzi, accanto al v. 792 di p. 47, recava la seguente postilla, sempre della mano di Reina: «N.B. qui si scorge, ed|altrove, che esistono|più edizioni del|Mattino colla data|del 1763; perchè|nel testo a stampa|dell’Autore dice: Uscirai quindi a poco bear gli occhi.» Il Mattino cx, pur con un’eguale datazione ed anch’esso stampato dall’Agnelli,1 non era dunque una copia della prima edizione2 e almeno in due luoghi possedeva varianti attestate dagli esemplari A3.3 Di qui la scelta operata da Salveraglio, che dopo aver dichiarato la provenienza delle varianti raccolte in A3Mi1 (sul risguardo anteriore: «Correzioni autografe tolte|da un esemplare del Mattino a cui è|unito il Mezzogiorno, che sotto le|parole Il mattino poemetto reca|scritto:||“Cerretti. Dono dell’autore|con note del rianti e, risulta la nota che in A3Mi1 (p. 58) precede la fedele trascrizione delle considerazioni svolte da d all’altezza della terza variante di c.1r: «E il Bellotti osserva a queste parole scritte|sotto il verso Ciondola ecc. si vede che queste|parole il Parini le notò per memoria di|ciò che voleva aggiungere». Per le indicazioni che Dante Isella trasse da G2Mi1 (ignorando, a quanto pare, l’esistenza di A3Mi1), cfr. Isella 1996, i, p. xxxv. 1 Da come venne formulata la postilla al v. 792 di A1Mi4, si evince infatti che la riflessione di Reina ebbe come oggetto le sole stampe del 1763 ed esclusivamente le milanesi. Si può tranquillamente escludere, quindi, che il testo postillato da Parini sia appartenuto ad una delle mere ristampe del Mattino impresse a Venezia, Bergamo e Torino. 2 E questa non è garanzia di poco conto, poiché ci assicura che Parini, servendosi di qualunque altro Mattino Agnelli, ritrovò in cx tutte le innovazioni introdotte a partire da A2 e non mostrò – si noti – alcuna volontà di correggerle. 3 Tutti gli esemplari della terza edizione Agnelli leggevano et arde al v. 141 (ed arde A1) e poco bear al v. 792 (poco a bear A1), lezioni proprie, invero, anche di A2, ma non è affatto certo che Salveraglio conoscesse l’esistenza di quest’ultima, come si può dedurre dall’annotazione che lasciò sul piatto anteriore di A3Mi1: «Il Mattino|2ª ediz. (?)».
82 i testi e la loro storia medesimo”|(mss. Bellotti)»), volle precisare: «L’esemplare sembra identico|al presente». E non è affatto improbabile che abbia colto nel vero. Si consideri, a tale proposito, che A3 uscì a ridosso della pubblicazione del Mezzogiorno; allorché fu possibile allestire cx, e sorse l’esigenza di riunire fisicamente una copia del primo poemetto alla continuazione dell’opera, la terza stampa Agnelli risultava quindi il più recente Mattino milanese e senz’altro l’edizione di più immediata reperibilità. Non si dovrà poi trascurare il fatto che, una volta inserito in cx, il volumetto del Mattino riuscì ad ingannare un raffinato bibliofilo come Francesco Reina, che ebbe sicuramente in mano il postillato originale e poté confrontarlo con la copia A1Mi4 della princeps, e ciononostante giunse a scambiare il Mattino cx per l’edizione «veramente del 1763». L’esemplare postillato direttamente da Parini, pertanto, non doveva recare al colophon alcuna indicazione che permettesse di stabilirne la seriorità rispetto ad A1. E questo era quanto avrebbero garantito le copie del tipo più comune dell’edizione A3,1 mentre la maggioranza degli esemplari A22 avrebbe riportato a p. 61, in chiari caratteri maiuscoli, la dicitura EDIZIONE SECONDA. Bisogna comunque ricordare che anche A2Priv2 è copia della seconda edizione Agnelli e che un esemplare conforme a questo rarissimo testimone,3 se collocato all’inizio di cx, in quanto a reticenza avrebbe potuto competere alla pari con i volumi A3. Sarà più prudente, perciò, collocare il tenue scarto di lezione fra A2 e A3 in una residua zona grigia, entro i cui confini i contorni del Mattino cx si intravedano, a tratti, ancora incerti. 1 Sono particolarmente rare, infatti, le copie conformi ad A3AW1, che presenta sopra il colophon l’annuncio, invero assai sospetto, dell’uscita del Mezzogiorno. Si potrebbe obiettare, semmai, che la dedica Alla Moda in tutte le copie A3 si presenta in caratteri di maggiori dimensioni e ben più spaziati rispetto a quelli della princeps. Per poterlo necessariamente rilevare, tuttavia, Reina si sarebbe dovuto trovare nella condizione di collazionare anche le pagine della dedica, per trascriverne eventuali varianti pariniane. Ma cx, a quanto pare, era sprovvista di postille manoscritte alle pp. 5-8. 2 Anch’essi caratterizzati dalle varianti et arde (v. 141) e poco bear (v. 792), tanto che Isella (non conoscendo A3) pensò di poter giungere ad «un’ideale ricostruzione dell’originale pariniano» intergrando le varianti c con quelle di A2 (cfr. Isella 1996, i, pp. xxx-xxxi). 3 Ricordo infatti che l’esemplare risulta privo della scritta EDIZIONE SECONDA, ma che al momento non si conoscono altre copie caratterizzate da una simile variante di ‘stato’.
i testi e la loro storia
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7. Le successive edizioni Ad un anno di distanza dall’uscita del Mezzogiorno, Parini fu interpellato da Paolo Colombani, che intendeva ristampare il poemetto. L’autore non solo acconsentì, con una lunga lettera del 10 settembre 1766, ma si spinse fino a proporre al libraio veneziano di farsi primo editore della Sera, in un volume in cui la terza ed ultima parte del poema sarebbe comparsa preceduta da un Mattino e da un Mezzogiorno «corretti in molti luoghi, e migliorati».1 L’uscita della Sera di Gian Battista Mutinelli fece poi tramontare quest’ultimo progetto. Il solo fatto che Parini l’avesse comunque concepito, rivolgendosi per realizzarlo ad un libraio non milanese, lasciava adito, tuttavia, a dubbi che era necessario fugare con la presente edizione. Era necessario, infatti, dimostrare che il poeta, una volta abbandonata l’idea di completare la redazione tripartita, si fosse anche astenuto dal far introdurre qualche ritoc1 Fu pubblicata per la prima volta in Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato, Milano, Giacomo Gnocchi, 1854, p. 238. Eccone il testo integrale (secondo la lezione offerta da Barbarisi - Bartesaghi, p. 600): «Fu per errore che esibii a V. S. Riv.ma il mio Mezzodì. Il Sig.r Graziosi m’avea scritto raccomandandomisi per esso. Come io tardai molto a rispondergli, mi dimenticai del cognome, e scambiai Graziosi in Colombani. Tuttavia non mi dolgo di questo equivoco, avendo io la medesima stima per lei, che ho per il Sig.r Graziosi. Quanto alla mia Sera, io ne ho quasi dimesso il pensiere; non che non mi piaccia di compiere i tre Poemetti da me annunciati; ma perchè sono stomacato dell’avidità e della cabala degli stampatori. Non solo essi mi hanno ristampato in mille luoghi gli altri due, ma lo hanno fatto senza veruna participazion meco, senza mandarmene una copia, senza lasciarmi luogo a correggervi pure un errore. Questa Sera è appena cominciata; e io non mi son dato veruna briga di andare avanti, veduto che non me ne posso aspettare il menomo vantaggio; e probabilmente non proseguirò, se non avrò stimoli a farlo. Aggradisco le proposizioni di lei; e su questo proposito le rispondo che sarebbe mia intenzione di fare un’edizione elegante di tutte e tre i poemetti qualora l’opera fosse compiuta. Se Ella adunque si risente di farla, io mi esibisco di darle la Sera terminata per il principio della ventura Primavera, e insieme gli altri due Poemetti corretti in molti luoghi, e migliorati. Il prezzo che io ne pretendo senza speranza di dibatterne uno zero è di cento cinquanta zecchini, da pagarsi un terzo alla conchiusione del contratto, e il restante al consegnarsi del manoscritto. Se Ella non è di ciò contenta non s’incomodi a scrivermi più oltre. Io mi sono indotto a risponderle in grazia della pulitezza con cui Ella mi scrive. Così non ho fatto con molti altri librai, e fra questi con due o tre veneziani, i quali hanno ardito di farmi le esibizioni che fannosi a’ compositori d’almanacchi, alle lett[er]e vigliacche de’ quali io non piglierò mai il disagio di rispondere. Farò il possibile per promulgar l’esito del suo Giornale. E con tutta la stima mi protesto di V. S. Riv.ma Div.mo e Obb.mo serv.re Giuseppe Parini».
84 i testi e la loro storia co nelle non poche edizioni che uscirono, in varie città italiane, tra il 1763 e l’anno della sua morte. Una volta censite, ho pertanto sottoposto tutte le stampe settecentesche del Mattino e del Mezzogiorno1 ad una sistematica comparazione con le prime edizioni milanesi. Quanto è emerso da un simile confronto mi permette di fugare ogni residuo e legittimo sospetto sulle varianti tradite dalle stampe non milanesi dei due poemetti, così come dalle loro tarde edizioni uscite nel capoluogo lombardo: ebbero tutte a prodursi indipendentemente dalla volontà dello scrittore. Ne offro, comunque, un sintetico resoconto, quale doveroso contributo alla storia della prima redazione del poema e delle modalità secondo cui fu concretamente fruita dai contemporanei dell’autore. Nel corso degli anni sessanta, il più attivo editore di Parini fu proprio il libraio Paolo Colombani. Oltre all’«edizione prima veneta» del Mezzogiorno (MzVe1), allestì infatti un proprio Mattino nel 1763 (MtVe1), tornando ad offrirlo sia nel 1764 (MtVe2), sia nell’anno successivo (MtVe3), e si attribuì, nel 1766, anche la prima stampa del Mattino unito al Mezzogiorno e alla Sera del Mutinelli (RVe1),2 che ripropose nel 1771 (RVe4). Libraio intraprendente e aggressivo, Colombani era solito servire una clientela ampia e sparsa lungo tutta la penisola.3 Le sue edizioni erano perciò caratterizzate da larghe tirature, ma spesso non si distinguevano per particolare eleganza, sia per la scelta dei materiali, sia per la qualità dell’impressione, effettuata perlopiù con caratteri privi di grazia e logori per il frequente uso.4 In quan1 Ad eccezione della sola edizione stampata a Milano nel 1799 dalla tipografia Pirola, poiché già postuma (cfr. Bustico, p. 15, n. 44). 2 Anche il tipografo Giambattista Pasquali richiese il permesso di stampare un’edizione de Il Mattino, e Il Mezzogiorno in Venezia (ma con falso luogo di stampa Milano), ed anzi l’ottenne il 20 agosto 1765, un anno prima dell’uscita di RVe1. Pare, tuttavia, che questo suo progetto non sia mai stato realizzato (cfr. False date. Repertorio delle licenze di stampa veneziane con falso luogo di edizione (1740-1797). A cura di Patrizia Bravetti e Orfea Granzotto. Introduzione di Mario Infelise, Firenze, Firenze University Press, 2008, p. 226). 3 Sull’attività editoriale di Paolo Colombani e sulla rete dei suoi rapporti commerciali col Piemonte, la Repubblica di Genova e la Lombardia austriaca, cfr. Infelise, p. 242 e 349. 4 Colombani, peraltro, non possedeva torchi propri; dovendo avvalersi di attrezzature tipografiche e di manodopera altrui, era perciò costretto a contenere il più possibile le restanti spese di produzione (per un elenco dei torchi posseduti nel 1765 dai librai veneziani, cfr. Infelise, p. 143).
i testi e la loro storia 85 to a correttezza, invece, i testi fatti allestire da Colombani si mantenevano su livelli più che decorosi. Anche MtVe1 e MzVe1, pertanto, uscirono in una veste tipograficamente dimessa, ma recando una lezione sostanzialmente fedele alle edizioni originali dei poemetti pariniani.1 Le loro ristampe, per contro, risultarono sempre più scorrette col passare del tempo, e non solo perché nel Mattino, a partire dal 1765, si manifestarono fenomeni di contaminazione.2 Per ogni nuovo processo di composizione, la libreria Colombani offrì come modello la più recente fra le proprie edizioni, provocando, di fatto, la sovrapposizione di sempre nuovi errori a quelli già lasciati correre.3 1 Il primo Mattino Colombani ripropone infatti il testo A1 con modesti ritocchi all’interpunzione, un più largo uso di iniziali maiuscole e poche indebite innovazioni (tra cui: distenda per difenda al v. 261, o quattro per e quattro al v. 475, Solo per Sommo al v. 564), mentre il Mezzogiorno MzVe1 segue G1 anche nella distribuzione del testo pagina per pagina e giunge persino a correggerne i più evidenti errori: Gia in Già al v. 383, labara in labbra al v. 426 empiò in empio al v. 542, aìta in alta al v. 798, chiedea in chieda al v. 805, fermì in fermi al v. 1339. Anch’esso introduce comunque delle corruttele; le più significative sono: Epèo v. 79 (Egéo G1), ed una v. 105 (e d’una G1), trascini v. 105 (trascina G1), soppressione capoverso al v. 203, i mortal v. 255 (gli umani G1), foja v. 306 (foga G1), Qual v. 420 (Quasi G1), ristette v. 814 (ristè G1), dal gregge v. 1025 (dai greggi G1), vana v. 1297 (inane G1), egual v. 1369 (equa G1). 2 Per allestire MtVe3, fu usato il testo di MtVe2 (di ascendenza A1) unitamente ad una fonte A2, che interferì con le proprie varianti all’altezza dei primissimi vv. del poemetto (MtVe3 legge pertanto sera al v. 12, sacre, al v. 16, Gallie, al v. 17, impressi; al v. 19). Gli esiti della contaminazione di MtVe3 furono poi ereditati da tutte le successive edizioni Colombani, a partire da RVe1. 3 MtVe2 è infatti discendente diretta di MtVe1 (da cui eredita le varianti distenda v. 261 o quattro v. 475 e Solo v. 564) e MtVe3, a sua volta, riprende le più significative corruttele del secondo Mattino Colombani (tra cui merta per merca al v. 22, Pala per Pale al v. 41, redivio per redivivo al v. 266, pensi per pensa al v. 731, diversa per diverse al v. 805,), aggiungendo numerosi nuovi errori: e leggiadre v. 97 (le leggiadre A1), con v. 103 (col A1), se v. 194 (sen A1), pelagio v. 241 (palagio A1), moloce v. 246 (molce A1), Altri v. 255 (Altri ti A1), Il v. 265 (In A1), appressa v. 273 (appresta A1), altre v. 283 (alte A1), possente v. 325 (cauto il guida A1), più v. 416 (più che A1), vedendosi a v. 546 (vedeansi al A1), Purpuera v. 588 (Purpurea A1), con v. 622 (con le A1), marita v. 704 (matita A1), vi v. 766 (poi A1), nero v. 768 (il nero A1), in v. 864 (o A1), questo v. 896 (questi A1), arti v. 932 (atrj A1), Dee qualch’ora v. 958 (Den qualch’ore A1), fredda v. 979 (feda A1), incarcate v. 981 (inarcate A1), oggidì v. 1049 (oggi si A1; tentativo di sanare un’ulteriore svista di MtVe2, che aveva stampato oggi gli, per oggi si). L’accumulo di indebite innovazioni proseguì poi con RVe1, edizione che fu allestita sulla scorta di un esemplare del Mattino MtVe3 e di una copia del Mezzogiorno MzVe1. Da RVe1 discese infine RVe4, che finì per risultare la più scorretta edizione Colombani, poiché ripropose gli errori di RVe1 (per il Mattino i più significativi sono mai per mar v. 74, seni per sensi v. 90, vodrà per vedrà v. 240, pianto per piato v. 749; per il Mezzogiorno la soppressione del capoverso al v.
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i testi e la loro storia I più tardi esiti di un simile impegno editoriale finirono nondimeno per costituire l’asse portante della tradizione, lungo cui si disposero quasi tutte le ulteriori iniziative degli anni settanta e novanta. Da RVe4, infatti, discese direttamente la prima edizione veneziana di Pietro Savioni (RVe5),1 del 1774, seguita scrupolosamente dalla seconda (RVe6),2 impressa nel 1779 e a sua volta presa a modello sia dall’unica stampa romana del 1793 (RRm),3 358, scommossi per scommessi al v. 472, Andace per Audace v. 893, segni per sogni v. 1007, e ninfa per e la ninfa v. 1165, cucino per cuscino v. 1280) e appesantì ulteriormente il testo con i propri. Tra le numerosissime sviste del Mattino RVe4 ricordo: Ardue v. 49 (Ardua A1 + RVe2), inpocondria v. 137 (ipocondría A1+ RVe2), Chinese se v. 257 (Chinese; altri, se A1+ RVe2), vendemme v. 301 (vendemmie A1+ RVe2), industrie vv. 466 e 698 (industre A1+ RVe2), perziosa v. 498 (prezi-osa A1+ RVe2), pregi v. 561 (preghi A1+ RVe2), liberar v. 648 (liberal A1+ RVe2), giojgelli v. 653 (giojelli A1 + RVe2), morti v. 754 (motti A1+ RVe2). Nel Mezzogiorno RVe4 segnalo invece: accolger v. 44 (accoglie G1+ RVe2), Poichè v. 45 (Pochi G1+ RVe2), trinofal v. 133 (trionfal G1+ RVe2), querela v. 153 (querele G1+ RVe2), vadente v. 275 (cadente G1+ RVe2), instria v. 336 (industria G1+ RVe2), fianca v. 341 (fianco G1+ RVe2), scanze v. 494 (scarze G1+ RVe2), cruccia vv. 519 e 541 (cuccia G1+ RVe2), faci v. 712 (fauci G1+ RVe2), un v. 759 (unqua G1+ RVe2), empia v. 800 (ampia G1+ RVe4). 1 Che cercò, per quanto poté, di emendare la lezione assai scorretta dell’ultima edizione Colombani. Nel Mattino, ad esempio, tornò a stampare correttamente ti veste v. 255 (veste RVe4), redivivo v. 266 (redivio RVe4), liberal v. 648 (liberar RVe4), motti v. 754 (morti RVe4), atrj v. 932 (arti RVe4), e nel Mezzogiorno reintrodusse accoglie v. 44 (accolger RVe4), querele v. 153 (querela RVe4), Cuccia vv. 519 e 541 (cruccia RVe4), ampia v. 800 (empia RVe4), sogni v. 1007 (segni RVe4). Poiché congetturali, tuttavia, non sempre i ritocchi riuscirono a restituire la lezione originaria. Nel Mattino, infatti, stampò metta per merta al v. 22 (laddove A1 recitava merca) e al v. 48 mutò chiave in chiavi, non potendo sapere che l’errore di RVe4 non si era prodotto all’altezza del sostantivo, ma dell’aggettivo Ardue v. 49 (Ardua A1), mentre nel Mezzogiorno, al v. 322, pose un per in luogo di un sotto omesso in RVe4. Queste sono infine le principali corruttele introdotte dal compositore di RVe5: nel Mattino legge pelvi v. 482 (polvi A1 + RVe4), oltro v. 560 (oltr’ A1 + RVe4), nel Mezzogiorno fa stampare sopor v. 384 (sapor G1 + RVe4), otti v. 482 (orti G1 + RVe4), Brillanti v. 666 (Brillantati G1 + RVe4). 2 Di RVe5 ripropose anche la mise en page, limitandosi a correggerne qualche passo, sia del Mattino (come pelvi che ricondusse a polvi al v. 482), sia del Mezzogiorno (stampando cadente e non più vadente al v. 275, così come orti e non otti al v. 482). Per contro, apportò al Mattino le seguenti e del tutto indebite innovazioni: sprezzava v. 545 (spezzava A1 + RVe5), degno v. 568 (degni A1 + RVe5), affoggi v. 730 (affoghi A1 + RVe5). Nel Mezzogiorno, poi, introdusse: Vaga v. 125 (Paga G1 + RVe5), presidea v. 418 (presieda G1 + RVe5), legge v. 583 (leggi G1 + RVe5), Anderà v. 731 (Arderà G1 + RVe5), mosso v. 810 (messo G1 + RVe5), nel v. 815 (del G1 + RVe5), Samarriti v. 884 (Smarriti G1 + RVe5), desii v. 1010 (desiri G1 + RVe5) ed invertì la successione dei vv. 1297-1298. 3 Anche il compositore di RRm tentò di sanare le più evidenti corruttele del proprio modello, ma non sempre raggiunse risultati apprezzabili: al v. 766 del Mattino, fece stampare si in luogo di vi RVe6 (poi A1) e al v. 351 del Mezzogiorno corresse in anni il mutilo an di RVe6 (antichi G1). A sua volta macchiò il proprio Mattino con un Ma-
i testi e la loro storia 87 sia dall’ultima edizione uscita in vita del poeta, la torinese RTo del 1797.1 Altrettanto ossequio alle stampe Colombani fu inizialmente tributato da Antonio Graziosi,2 le cui edizioni pariniane comparvero, sempre in Venezia, a partire dal 1766. Il giovane libraio cominciò infatti con una fedele ristampa di MtVe3 (MtVe4).3 Ma quando decise di far stampare un proprio Mezzogiorno (MzVe2), si affidò ad un curatore del testo che ripropose direttamente G1.4 Ed in seguito le sue edizioni si allontanarono ancor di gnamino v. 460 (Magnanimo A1 + RVe6) e il Mezzogiorno con le voci crinto v. 10 (crinito G1 + RVe6), prode v. 14 (prole G1 + RVe6), rosse v. 245 (rosee G1 + RVe6), lambendo v. 272 (labendo G1 + RVe6), Colco v. 624 (Jolco G1 + RVe6), orrore v. 1186 (errore G1 + RVe6). 1 Di RVe6, tuttavia, omette sia il testo della dedica Alla Moda, sia le note al Mattino e al Mezzogiorno. Per il resto, il suo compositore si attenne con notevole fedeltà alla lezione della Colombani, che si limitò a correggere sporadicamente sulla scorta di almeno un’edizione diversa del Mattino (come denuncia la comparsa della variante Più v. 504, introdotta da Parini all’altezza di A2 e in sostituzione di Tre, caratteristica della tradizione A1, da cui RVe6 discende) e fors’anche di una più corretta stampa del Mezzogiorno (come paiono suggerire le seguenti impeccabili correzioni: foga v. 306 per foja RVe6, Brillantati v. 666 per Brillanti RVe6, Ha la v. 1157 per Alla RVe6). Il Mattino RTo è poi caratterizzato dalle varianti Sghangherando v. 118 (Sgangherando A1 + RVe6), giaccia v. 289 (giacci A1 + RVe6), Voltair v. 599 (Voltaire A1 + RVe6) ed il Mezzogiorno da a destro v. 390 (al destro G1 + RVe6), presida v. 418 (presidea RVe6 presieda G1), permute v. 699 (premute G1 + RVe6), tetti v. 892 (letti G1 + RVe6). 2 Anch’egli privo di torchi propri. Sul notevole successo della libreria Graziosi tra il 1764 e il 1768, cfr. Infelise, pp. 158-162. 3 Per sé sola – è necessario precisarlo – prese a circolare quale pubblicazione di Bortolo Baronchelli, che era allora annoverato tra i «poveri» della corporazione dei librai ed in passato aveva già ricoperto il ruolo di prestanome (cfr. Infelise, pp. 8687 e 158). In MtVe4, d’altronde, la forma esterna del primo fascicolo fu impressa anche con un diverso frontespizio, recante il titolo MATTINO|MEZZOGIORNO| E|SERA, la data 1767, ed il nome di Antonio Graziosi, in qualità di libraio editore. Era già previsto, pertanto, che una parte della tiratura di MtVe4 dovesse confluire in un’altra edizione e per precisione RVe2, nella quale le pagine di MtVe4 vennero fatte seguire dai fascc. A-C del Mezzogiorno Graziosi MzVe2 e dalla Sera Colombani (fascc. F-H di RVe1, nella loro variante munita di proprio frontespizio e recante a p. 128, in fine: «Si vende Soldi 10»). Singolare edizione composita, RVe2 non si limita peraltro a smascherare la natura del tutto strumentale della primitiva attribuzione di MtVe4, ma denuncia anche l’esistenza di uno stretto rapporto di collaborazione tra Graziosi e Paolo Colombani (confermato peraltro dal fatto che il frontespizio della Sera RVe1 presenta una vignetta identica a quella riportata dal Mattino Baronchelli). Ricordo, infine, che il testo di MtVe4 si segnala per le lezioni rimbandita v. 297 (rimbambita A1) e spuntanea v. 398 (spontanea A1), come anche per l’omissione di assai alla fine del v. 924. 4 Di cui reperì un esemplare conforme a G1Fe1 (e perciò caratterizzato dalla variante di ‘stato’ un sol colore al v. 1367, in luogo di un solo volto delle restanti copie G1)
88 i testi e la loro storia più dalle esperienze editoriali della bottega Colombani. Nel 1767, Graziosi commissionò l’allestimento di RVe3, che fu la prima edizione del Mattino e del Mezzogiorno introdotti e commentati da una penna diversa da quella del loro autore.1 E se per questa fu seguita nuovamente G1 alle pp. lxvii-cxxvii,2 per il testo del primo poemetto si tenne conto di più fonti a stampa, assai diverse fra loro; oltre ad una copia di MtVe3, fu usato un esemplare dell’unica edizione bergamasca del Mattino, uscita nel 1763 per i torchi di Francesco Locatelli (MtBg) e recante un testo che discendeva direttamente da A1.3 Da una simile operazione – è evidente – scaturì un testo profondamente contaminato,4 che al libraio settecentesco, tuttavia, offrì la possibilità di proporre un Mattino più corretto rispetto a quello delle altre edizioni veneziane allora in commercio. Non diversamente, peraltro, ebbe a comportarsi chi approntò RX, apparsa senza luogo di stampa e nome del tipografo (o libraio editore), con la data 1765. Per quest’ultima, ancora una volta, fu scelta come testo base l’edizione MtVe3, ma sul suo tronco vennero innestate lezioni desunte da un altro ramo della emendandone i principali errori (labara al v. 426 divenne labbra, aìta v. 798 passò ad alta e fermì v. 1339 fu mutato in fermi). Non corresse, per contro, Gia v. 383, empiò v. 542, e stampò chied al v. 805, laddove G1 recava la scorretta lezione chiedea. Queste sono infine le principali varianti che MzVe2 introdusse indebitamente: famosa v. 216 (famosi G1), Da Dama v. 417 (La Dama G1), Accorso ognun v. 533 (Accorse ognuno G1), tutto v. 562 (tutte G1), aure v. 625 (auree G1), frequenei v. 900 (frequenti G1). 1 Con il fine esplicito di avvicinare ai testi pariniani anche i giovani lettori e le persone prive di una solida cultura letteraria. L’anonimo prefatore, infatti, giustificò in questi termini l’aggiunta di nuove note all’apparato di commento già predisposto da Parini: «Perché poi questi Poemetti vanno alle mani di qualunque persona, così mi piacque di far alcune picciole annotazioni, che le Favole, e i passi storici brevemente additassero, e togliessero in tal maniera la fatica a chi non ha sì fatte cognizioni di lasciar la lettura intrapresa per illuminarsi della materia che legge» (p. xiii; per il testo dell’intera nota rimando alla decrizione di RVe3). 2 Pochissime le varianti di sostanza che le caratterizzano: omissione di gli al v. 300, creduti v. 469 (ceduti G1), Col v. 795 (Sol G1). 3 Anche se, rispetto alla quella della princeps A1, l’interpunzione di MtBg risultava appesantita (soprattutto dall’aggiunta di virgole) ed il testo si contraddistingueva per significative varianti, come orecchie v. 198 (orecchio A1), Globo? v. 307 (Globo. A1), uguale v. 718 (eguale A1), perpetue v. 825 (purpuree A1), Leve v. 868 (Lene A1). 4 Anche perché la composizione del testo fu effettuata seguendo in parte le pagine di MtBg (con la loro pesante interpunzione), in parte quelle di MtVe3 (che fecero confluire in RVe3 anche gli usi interpuntivi dell’edizione Colombani, così come alcune delle sue più pesanti mende: Dee qualch’ora v. 958, fredda v. 979, incarcate v. 981, oggidì v. 1049).
i testi e la loro storia 89 tradizione di A1,1 mentre per il testo del Mezzogiorno si contaminò la fisionomia testuale di G1 con quella di G2.2 Nessun rapporto con il ceppo veneto si registra invece nelle edizioni torinesi degli anni sessanta (MtTo e MtTo),3 così come in MtMi1, MtL e MzL, uscite a Milano tra il 1789 e il 1792. Come ho già anticipato, il Mattino impresso da Galeazzi e quello posto a fronte della traduzione latina di Carl’Antonio Morondi discendono direttamente da A3.4 La versione MzL, infine, riprende il testo delle prime edizioni milanesi del Mezzogiorno.5 1 Al v. 325, infatti, il ripristino dell’originaria lezione A1 (cauto il guida) fu possibile solo mediante il ricorso a un’edizione diversa da MtVe3, che leggeva possente e che altrove, invece, fece ereditare a RX manifeste corruttele come appressa v. 273, marita v. 704, Dee qualch’ora v. 958, fredda v. 979, incarcate v. 981, oggidì v. 1049. 2 Giacché reca, da un lato, varianti G2 come Ed vv. 401, 407, 429, 1350 (Et G1), gorgolia v. 713 (gorgoglia G1), alfin v. 975 (e alfin G1), La v. 1146 (Là G1), scellerata v. 1261 (scelerata G1), dall’altro lezioni proprie della tradizione G1: mortali v. 244 (omesso in G2), altro v. 661 (alto G2), brindisi vv. 776 e 779 (brindesi G2), Veli v. 786 (Velli G2), cacciano v. 915, (cacciono G2 G3). 3 MtTo è ristampa della seconda edizione milanese, fedele e assai corretta. Di A2, infatti, ripropone tutte le varianti innovative, ma non tutti gli errori manifesti (non ha un punto al termine dei vv. 29 e 433), e sporadici sono i casi in cui introduce nuove corruttele (questi i più significativi: il per in al v. 365, a fagian per o fagian al v. 917, omissione dell’articolo le al v. 985 e del punto alla fine del v. 1073). Per MzTo, invece, la tipografia Morano riuscì a serivirsi della prima edizione G1, cui si attenne scrupolosamente (anche nella messa in pagina). Questi i pochi errori che il suo compositore si lasciò sfuggire: e fortuna v. 331 (o fortuna G1), sieno v. 440 (fieno G1), barbe, v. 992 (barbe. G1), cielí v. 1242 (cieli G1). 4 MtMi1 ripropone le principali varianti del terzo Mattino Agnelli, da cui si discosta in sporadiche occasioni: Agli v. 109 (Alli A3 + A1), erroi v. 157 (eroi A3 + A1), De v. 216 (De’ A3 + A1), giaci v. 289 (giacci A3 + A1), ed vv. 396, 711 e 818 (et A3 + A1), nuovo v. 405 (novo A3 + A1), traviai v. 567 (travviai A3 + A1), E v. 587 (Ei A3 + A1), gli v. 861 (agli A3 + A1), Signore v. 1059 (Signor A3 + A1). Anche MtL si attiene scrupolosamente ad A3. Segnalo, comunque, che risulta priva della dedica Alla Moda e si contraddistingue per queste innovazioni: giovine v. 280 (giovane A3 +A1 A2), intendi: v. 368 (intendi, A3 +A1 A2), si v. 459 (sì A3 +A1 A2), Abbian v. 511 (Abbiano A3 +A1 A2). 5 Quest’ultima edizione ha una natura decisamente singolare. Limitatamente ai vv. 1-269, ovvero quelli contenuti nel fascicolo A delle prime due edizioni milanesi, segue evidentemente il testo di G1, di cui corregge i più scoperti errori (leggendo mensa rallegrar al v. 16 e sdegna. al v. 148) ed eredita le restanti caratteristiche distintive: petrosi v. 18 (pietosi G2 G3), garriti v. 34 (gariti G2 G3), medesma v. 35 (medesima G2 G3), alquanto, v. 50 (alquanto; G2 G3), la mancanza di capoverso al v. 211 e la lezione mortali v. 244 (omessa a fine verso in G2 G3). A partire dal v. 321, invece, MzL tende a presentare lezioni introdotte da G2 ed ereditate anche da G3 (languir v. 321, O come v. 361, ed vv. 401, 407, 429 e 1350, convitati, v. 444, O di mente v. 456, sembrolle; v. 540, misero v. 551, alto v. 661, Varca, v. 706, gobba or v. 710, gorgolia v. 713, che v. 721, della v. 723, gioja v. 775, brindesi vv. 776 e 779, fera; v. 856, avvolgeste, v. 910, parrucchier, v. 956,
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i testi e la loro storia 8. Criteri di edizione
I testi del primo Mattino e del Mezzogiorno compaiono qui secondo la lezione delle rispettive edizioni originali A1 e G1, su cui sono intervenuto per emendare i seguenti errori: 255 577 842
383 426 496 542 638 793 798 805 876 1339
A1
Ed.
Gia ferve il gran lavoro. Altri ti veste Del bel collo e del crin l’avreo volume Tutte importan del par. Veggo l’Astuccio
Già aureo Tutti
G1
Ed.
Gia s’avanza la mensa. In mille guise E immota e muta, e con le labara aperte Onor di filosofìco talento L’empiò servo tremò: con gli occhi al suolo Chi sa intreccíar, chi sa pulir fermaglio Aúguri ai vostri cor volgar cantore Tolga l’aìta novella, e grande n’empia Ne ragionin gran tempo: ognun ne chiedea Se alcun di Zorastro, e d’Archimede Se star fermì vi piace, od oltre scorra
Già labbra filosofico empio intrecciar Àuguri alta chieda Zoroastro fermi
Ho inoltre modificato la loro interpunzione laddove si rivelava manifestamente errata per difetto di composizione e l’ho ritoccata, secondo l’uso moderno, nei soli e sporadici casi in cui, riflettendo consuetudini oramai abbandonate da tempo, avrebbe potuto celato; alfin v. 975, La v. 1146, dinota v. 1194, scellerata v. 1261, Pallade Minerva v. 1291), con sporadici recuperi della lezione di G1, che si potrebbero tutti ricondurre, tuttavia, a correzioni ope ingenio di chi allestì la nuova edizione: svolazzando v. 364 (svollazzando G2 G3), Veli v. 786 (Velli G2 G3), separar v. 788 (sperar G2 G3), nobile v. 794 (nobil G2 G3), compagna v. 1157 (campagna G2 G3). Poiché non vi sono elementi che inducano a ritenere ipotizzabile una discendenza diretta da G3 (con le cui lezioni caratterizzanti si accorda solo all’altezza dei vv. 494 e 582, dove legge scarse e noja e non scarze e noia come G1 e G2) o da altre edizioni non milanesi del Mezzogiorno, sono propenso a credere che il curatore di MzL si sia inizialmente servito di un esemplare di G1, per poi passare ad un volume di G2, o abbia fatto uso di una sola copia del Mezzogiorno, ma mista (analogamente al volume CSCF SC Y VII 9 della Biblioteca veneziana di S. Francesco della Vigna), ovverosia composta da un fascicolo A di G1 rilegato assieme ai fascicoli B-D di G2. Questo è l’elenco dei suoi più significativi errori e lezioni singolari: se n’esca v. 101 (sen esca G1 G2 G3), fien v. 760 (sien G1 G2 G3), autre v. 922 (auree G1 G2 G3), toilete vv. 958, 1271 e 1317 (toilette G1 G2 G3), infermo? v. 1007 (infermo! G1 G2 G3).
i testi e la loro storia 91 effettivamente pregiudicare la comprensione del testo. Ho pertanto ridotto a minuscola, nel Mattino, le iniziali di Avverso al v. 25, di Ahimè al v. 164 e di e al v. 1005 (poiché impresse dopo i due punti e peraltro abbassate, ai vv. 25 e 164, già a partire da A2) e ridotto a virgola semplice il punto e virgola al termine del v. 1018, mentre nel Mezzogiorno ho abolito, dopo il punto e virgola, la maiuscola di Mal al v. 1250, ho soppresso le indebite virgole dopo mensa al v. 16 e tremulo al v. 283, rimosso l’errato punto fermo dopo prostra al v. 1309, mutato in punto le virgole alla fine dei vv. 148 e 659, cambiato in virgola il punto e virgola dopo imbelle al v. 54, trasportato al v. 690 il punto e virgola erroneamente collocato al v. 689.1 In ogni altro caso mi sono attenuto scrupolosamente al sistema d’interpunzione delle edizioni originali, così come ho adottato criteri strettamente conservativi per ogni altro aspetto della veste grafica di A1 e G1. Non ho quindi normalizzato alcuna oscillazione tra consonante breve e geminata,2 o tra iniziali maiuscole e minuscole,3 né ho ritenuto necessario intervenire su peculiarità grafiche costanti nelle edizioni milanesi del Mattino, ma non riscontrabili in quelle del Mezzogiorno (e mi riferisco in particolare al 1 Desidero avvertire che, fra tutti gli interventi finora segnalati, quest’ultimo è il solo per il quale mi sono discostato dalle soluzioni già proposte da Isella (che preferì modificare con un due punti il punto e virgola originariamente impresso al v. 689, ma fu poi costretto ad aggiungere anche un punto fermo, dopo commercio, al v. 690) e che in pochissimi altri casi non ho riproposto emendamenti del mio predecessore: non ho sentito la necessità di sopprimere il punto fermo dopo severo al v. 1073 del Mattino né l’urgenza di porre a testo il ritocco operato da A2 mediante la soppressione di una virgola dopo cotanti (v. 970), virgola senz’altro superflua, sovrabbondante nell’uso moderno, ma non scorretta per quello settecentesco (né tale da rendere attualmente difficoltosa la lettura e la comprensione del passo), così come le numerose altre segnalate, nel Mezzogiorno, in Isella 1996, i, p. cxvii n. 2. 2 Nel Mezzogiorno, perciò, ho conservato anche nuzziali al v. 169, pur in presenza di un nuziali al v. 656 (e di un nuzial anche nel Mattino, al v. 500). Nella seconda metà del secolo xviii, peraltro, le grafie nuzziale / nuzziali, risultano ancora largamente accettate e spesso vengono accolte in testi a stampa; ricordo, a mero titolo d’esempio, che a p. 89 (l. 4) recano nuzziale le verriane Avventure di Saffo poetessa di Mitilene, Padova, Manfrè, 1780, così come il tomo III dell’edizione bodoniana delle opere di Carlo Innocenzo Frugoni, uscito nel 1779 (p. 213, l. 11), mentre fu impresso nuzziali a p. 317 (l. 18) nel vol. ix dell’edizione Pasquali delle Commedie di Carlo Goldoni, edito nel 1761. 3 Anche nei casi di merciajuol, necessitade, ministro (rispettivamente ai vv. 646, 663 e 674 del Mattino), resi a partire da A2 con Merciajuol (in uniformità con Calzolar e al Drappiere del v. 660, già maiuscoli in A1), Necessitade (perché contrapposta al Lusso del v. 667, maiuscolo in A1), Ministro. Non possiamo escludere, infatti, che i criteri oscillanti di A1 dipendano da incertezze grafiche dello stesso Parini.
92 i testi e la loro storia trattino intervocalico che in A1, A2 e A3 segnala le dieresi e compare per la prima volta al v. 17, in Albi-one), limitandomi ad aggiungere, laddove richiesto dall’uso moderno, l’accento al pronome sè (che nelle stampe è sempre e solo se) e a porre un apostrofo all’unica forma pronominale i del Mattino (v. 126). Tutte le lezioni cui ho apportato modifiche sono comunque registrate nella prima fascia d’apparato, nella quale compaiono (ma precedute dalla sigla Ess.) anche le varianti di ‘stato’ che ci hanno trasmesso alcuni fra gli esemplari A1 e G1. Le restanti fasce sono invece destinate ad accogliere l’apparato evolutivo dei testi. Nella seconda, sotto la dicitura Altre edd., ho posto tutte le varianti e corruttele presenti in A2, A3, G2 e G3 (le varianti di ‘stato’, anche qui, seguono la sigla Ess.). Nella terza, precedute dall’abbreviazione Mss., ho collocato le postille e i ritocchi manoscritti tramandatici da A1Bo1 (a), A1Mi1 (b), A1Mi4 e G1Mi3 (c) e Ambr. IV, 22 (d). Segnalo inoltre che nel margine destro ho posto la numerazione dei versi (o delle linee, per la dedica Alla Moda), nel sinistro quella data alle pagine nelle edizioni A1 e G1 (le integrazioni compariranno tra parentesi quadre). Avverto, infine, che nella trascrizione del manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis le correzioni pariniane sono disposte dall’alto in basso, secondo il loro ordine cronologico, e ricordo che il corsivo distingue le lezioni cancellate dal poeta. Mi congedo da queste pagine ricordando che molto debbono ai preziosi consigli e suggerimenti degli amici Alberto Cadioli e Massimo Rodella. A loro e a Edoardo Esposito, che ha voluto questo mio contributo all’edizione nazionale delle opere pariniane, va il mio grazie più sentito. Giovanni Biancardi
Fig. 1. A1Priv1 p. [5] (c. A3r).
Fig. 2. A1Priv3 p. [5] (c. A3r).
Fig. 3. A3Privl p. [5] (c. A3r).
Fig. 4. A1Priv1 p. 61 (c. D7r).
Fig. 5. A2Priv2 p. 61 (c. D7r).
Fig. 6. A2Priv2 p. 61 (c. D7r)
Fig. 7. A3FP1 p. 61 (c. D7r).
Fig. 8. A3AW1 p. 61 (c. D7r).
Fig. 9. G1Fe1 p. 63 (c. D8r).
Fig. 10. G1AW1 p. 63 (c. D8r).
Fig. 11. G1BNo1 p. 63 (c. D8r).
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I L MATTI NO Poemetto (1763)
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[5]
AL L A M ODA.
L
ungi da queste carte i cisposi occhi già da un secolo rintuzzati, lungi i fluidi nasi de’ malinconici vegliardi. Qui non si tratta di gravi ministerj nella patria esercitati, non di severe leggi, non di annojante domestica economía misero appannaggio della canuta
A1 Ess. Altre edd.
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1 occhi ] occhj A1Bo1 A1Co1 A1Mi5 A1Pg1 A1Priv1 7 economía ] economìa A3
1 cisposi: la cispa è il residuo viscoso del secreto lacrimale che si rapprende alla commessura tra le palpebre. Cisposi ricorre nella tradizione satirica, per esempio in G. Gozzi, Sermoni iv 102: «le vecchie con la cispa agli occhi»; e in Burchiello, Sonetti lviii 7: «pien di cispa all’occhio». 1-2 occhi già da un secolo rintuzzati: la vista dei vegliardi ha perso il suo acume in quanto il secolo presente ha rifiutato il sapere tradizionale degli anziani. 3 i fluidi nasi: i nasi che gocciolano muco. – Anche il naso del sapiente censore ricorre nella tradizione satirica latina e italiana: cfr. Marziale, Epigrammi i 3, 5-6: «maiores nusquam rhonchi: iuvenesque senesque / et pueri nasum rhinocerotis habent»; Sergardi, Satire vii 85-87: «Tempo già fu che al rigido Catone / Il romano teatro avea rispetto / E al suo naso censor venerazione»; e Cordara, Sermones iv 86-87: «nasumque subinde / Censorem ducens» (Tizi). – malinconici: in PV cxc 1, malinconici sono i sapienti. Ne è avvalorata l’interpretazione che i nasi vengano scacciati in quanto emblemi di austera censura. Cfr. allora il Saggio di legislazione sul pedantismo di Alessandro Verri, pubblicato sul «Caffè» nel 1764: «E quando fie che sappiano anche le delicate madamigelle alle loro toilette e le tenere spose fra i soavi profumi d’un solitario gabinetto che razza d’uomini furono coloro che vissero ne’ secoli addietro […]? Ciò non oso dire che accada a’ dì nostri, ma per certo non avverrà che quando ci spoglieremo ormai di quell’austero pedantismo che sparge la melanconia sopra tutte le cognizioni e che ha fatto delle belle lettere la cosa più sonnifera del mondo» (t. i, f. xii); e quindi MT i 26-30 e nota. 4 gravi ministerj: importanti uffici pubblici. – gravi: esprime anche la gravità come atteggiamento morale ed evoca forse, per allontanarlo antifrasticamente dal poemetto dedicato alla Moda, il sommo grado stilistico della tradizione retorica. 5-6 severe leggi: cfr. Roberti, Moda i 1-7: «Chi legge queste non severe carte / Fia, che l’incerto ingegno, e i certi inganni / Orditi con sagace amabil arte, / Le leggi dolci, ed i giocondi danni / Ascolti di colei, che in ogni parte / I modi rinnovella, i crini, i panni. / Canto la moda varia, e capricciosa» (per i riferimenti intertestuali alla tradizione didascalica si rimanda in generale a Tizi).
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Altre edd.
giuseppe parini età. A te vezzosissima Dea, che con sì dolci redine oggi temperi, e governi la nostra brillante gioventù, a te sola questo piccolo Libretto si dedica, e si consagra. Chi è che te qual sommo Nume oggimai non riverisca, ed onori, poichè in sì breve tempo se’ giunta a debellar la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso, e l’Ordine seccagginoso tuoi capitali nemici, ed hai sciolto dagli antichissimi lacci questo secolo avventurato? Piacciati adunque di accogliere sotto alla tua protezione, che forse non n’è indegno, questo piccolo Poemetto. Tu il reca su i pacifici altari ove le gentili Dame, e gli amabili Garzoni sa-
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10 gioventù ] gioventú A3
8 vezzosissima Dea: cfr. Roberti, Moda 46, 2: «alla Moda, allorché i vezzi elegge»; e Marchetti, Natura i 48: «Deh porgi a lui vezzosa Dea deh porgi». 9 redine: redini. – Il plurale in -e è latineggiante. – temperi, e governi: moderi e dirigi. – È endiadi tradizionale, per cui cfr. Par. I 78: «temperi e discerni». Cfr. inoltre MT i 172 e 570, dove l’espressione è ripresa con variazione per il maestro di ballo e per il parrucchiere, effimeri ministri della moda. La struttura dell’endiadi, infine, è ripetuta appena sotto in si dedica, e si consagra e in riverisca, ed onori. 11 piccolo Libretto: libro di poesia. – Libretto: diminuzione classica. 15-16 la ghiacciata Ragione, il pedante Buon Senso: nel Discorso sopra la poesia (1761) Parini scriveva: «Lo spirito filosofico, che quasi Genio felice sorto a dominar la letteratura di questo secolo scorre colla facella della verità accesa nelle mani non pur l’Inghilterra, la Francia, e l’Italia, ma la Germania, e le Spagne, dissipando le dense tenebre de’ pregiudizj autorizzati dalla lunga età e dalle venerande barbe de’ nostri maggiori, finalmente perviene a ristabilire nel loro trono il buon senso e la ragione» (p. 152). Come la filosofia illuminista, la moda si discosta dalla tradizione, ma distrugge anche il valore di quella filosofia in quanto la accoglie per mero conformismo e ne banalizza il pensiero (cfr. MT i 708-710 e 893-895 e note). 16 seccagginoso: noioso, importuno. – Nel Discorso sopra le Caricature (letto il 15 febbraio 1759 all’Accademia dei Trasformati) il poeta, fingendo di avere perso un foglio del suo discorso, così dice al suo pubblico: «voi avrete un foglio di seccaggine manco» (p. 144). 18 antichissimi lacci: vincoli che duravano da secoli. 18-19 avventurato: fortunato. 22 su i pacifici altari: i tavolini da toilette. – Cfr. MT i 583-597 e MZ 949-953 e note.
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Altre edd. Mss.
il mattino grificano a se medesimi le mattutine ore. Di questo solo egli è vago, e di questo solo andrà superbo, e contento. Per esserti più caro egli ha scosso il giogo della servile rima, e se ne va libero in versi sciolti, sapendo, che tu di questi specialmente ora godi, e ti compiaci. Esso non aspira all’immortalità, come altri libri, troppo lusingati da’ loro Autori, che tu, repentinamente sopravvenendo, hai sepelliti nell’oblío. Siccome egli è per te nato, e consagrato a te sola, così fie pago di vivere quel solo momento, che tu ti mostri sotto un medesimo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme. Se a
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26 superbo, ] superbo A2 A3 27 più ] piú A3 29 versi sciolti ] Versi Sciolti A2 A3 34 sepelliti ] seppelliti A2 A3 oblío ] oblìo A3 39 più ] piú A3 25 egli ] esso b 26 superbo, ] superbo a 27 egli ] cancellato in b 29 versi sciolti ] Versi Sciolti a 34 sepelliti ] seppelliti a b 35 egli ] esso b
24 a se medesimi: l’amore di sé, che in MT I 563 appare come divinità con il nome di Filauzio, è un altro topos della filosofia settecentesca. È tra le voci del Dizionario Filosofico di Voltaire («Amor proprio») e Alexander Pope lo evoca nel suo Essay on man, Ep. iv 396: «That true Self-love and Social are the same» (Antonielli, p. 57). Banalizzato anch’esso da aristocratica insipienza, scade da movente di nobili azioni, quale sarà ancora nell’«Introduzione» alla Vita alfieriana, a nuda pulsione narcisistica. Nei versi Al Consigliere barone De Martini (PV lvi 21-22), del 1785, Parini scriverà infatti di avere stigmatizzato nel Giorno «la nemica / D’ogni atto egregio vanità del core». 25 vago: desideroso. 27-28 il giogo della servile rima: cfr. PV lxxxix (L’auto da fè) 2-6: «in versi sciolti / Atti a svegliar nel sen del mio Baretti / Leggiadra bile contro a quel che il primo / Osò scuotere il giogo della rima / Che della querul’eco il suono imita». Nel 1752, inoltre, era apparso il Saggio sopra la rima di Francesco Algarotti. – servile: evoca il rifiuto aristocratico delle regole, della ragione e dell’arte, come di cose indegne della propria classe (cfr. MT i 708-710 e nota). 29 versi sciolti: nel 1757 erano stati pubblicati i Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori con alcune lettere non più stampate, di Carlo Innocenzo Frugoni, Francesco Algarotti e Saverio Bettinelli, che avevano sancito l’affermazione o almeno la moda del genere. 36 fie pago: si appagherà. 36-37 quel solo momento: sulla brevità delle mode, cfr. MT i 653-654.
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giuseppe parini te piacerà di riguardare con placid’occhio questo Mattino forse gli succederanno il Mezzogiorno, e la Sera; e il loro Autore si studierà di comporli, ed ornarli in modo, che non men di questo abbiano ad esserti cari.
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40-41 con placid’occhio: con sguardo benevolo. – Albini ricorda Orazio, Odi iv, iii 1-2: «Quem tu, Melpomene, semel / nascentem placido lumine videris». 42 il Mezzogiorno, e la Sera: Parini allude alla tripartizione del Giorno alla quale originariamente aveva pensato. 43-44 ornarli: allusione ancipite agli ornamenti che la moda prescrive e alla virtù retorica dell’ornatus.
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IL M ATTINO.
G
iovin Signore, o a te scenda per lungo Di magnanimi lombi ordine il sangue
1 Giovin Signore: l’aristocratico protagonista del poemetto resterà senza nome. Egli è infatti l’emblema di un costume nobiliare e Parini, rappresentandolo, non alludeva in particolare ad alcuno dei suoi contemporanei. Secondo una voce che ancora Foscolo raccoglieva, tuttavia, il principe Alberico di Belgiojoso si sarebbe sentito personalmente colpito e avrebbe minacciato Parini di ritorsioni qualora il poeta avesse pubblicato anche il Mezzogiorno. La voce era però priva di fondamento, come già sostenne Carducci (pp. 178-186) e come mostra il fatto che Parini abbia scritto alcuni soggetti per le decorazioni dei palazzi del principe. 1-3 o a te […] celeste: sia che il tuo sangue discenda fino a te incontaminato, divino, per lunga tratta di generazioni di aristocratici. – lungo […] ordine: i lombi sono le fasce muscolari addominali situate in corrispondenza dei reni. La parola ha connotazione sessuale nella Bibbia e nella tradizione classica (Tizi), ma al v. 501 troviamo molle lombo nel senso di «ventre materno» e in MZ 329 il sangue del giovin signore è giunto fino a lui «feltrato per mille invitte reni». Cfr. inoltre i vv. 970-971; e Giovenale, Satire viii 1-2 (contro i patrizi): «Stemmata quid faciunt, quid prodest, Pontice, longo / sanguine censeri?» (per i riferimenti intertestuali alla letteratura latina si rimanda in generale ad Albini, Pinelli e Tizi, ai quali sono state aggiunte poche integrazioni). – sangue / Purissimo celeste: cfr. la celeste prole di MT I 61, il viso almo, celeste di MT i 794, i divini / Antiquissimi sangui di MZ 188-189, le celesti / Mense di MZ 247-248 e NT 248-253; o, al contrario, l’impuro sangue del volgo in MT i 1081. Nel Dialogo sopra la Nobiltà (1762), il nobile afferma che il sangue aristocratico «è disceso purissimo per insino a noi per li purissimi canali de’ nostri antenati» (p. 194), ma il poeta allude agli imprevisti avvenimenti che possono turbarne la purezza. Per il motivo dell’ascendenza divina dell’eroe, che è ripreso ironicamente dalla poesia epica e che torna spesso nel poemetto, cfr. invece i vv. 61-62: «A voi celeste prole, a voi concilio / Di Semidei terreni»; e altrove. Cfr. inoltre Aeneis vi 322: «Anchisa generate, deum certissima proles»; e viii 36 «O sate gente deum». – Il richiamo alla corporeità dei lombi mentre si afferma l’ascendenza divina del giovin signore esprime la stessa intenzione demistificante che si manifesta nell’enfasi retorica di questi primi versi, dove le anastrofi, gli iperbati, le spezzature e l’ampia architettura sintattica sono strumenti caratteristici dell’ironia pariniana, che rileva la miseria del soggetto attraverso l’eccedenza dello stile. Un precedente in questo senso potrebbe essere stato il Femia (1724) di Pier Jacopo Martello, se è vero che Parini, come racconta Reina, lo ricordava come «l’unica opera che desse […] alcuna norma del suo verseggiare» (p. xiv). Manzoni, avendolo letto, si mostrò scettico sul suo valore di modello; Carducci invece (pp. 148-159) giudicò fondata l’affermazione di Reina, ma non gli parve che l’originalità di Parini ne fosse sminuita. Si noti infine che troviamo qui un istituto metrico caratteristico di Parini, ovvero il contraccento, consistente nell’accentazione della sesta e della settima sede dell’endecasillabo: il v. 2 lo esibisce chiaramente (lómbi órdine) e presenta un ulteriore tratto ricorrente nella sinalefe in settima sede.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Purissimo celeste, o in te del sangue Emendino il difetto i compri onori E le adunate in terra o in mar ricchezze Dal genitor frugale in pochi lustri, Me Precettor d’amabil Rito ascolta. Come ingannar questi nojosi e lenti Giorni di vita, cui sì lungo tedio E fastidio insoffribile accompagna 3 celeste, ] celeste; A2 A3 8 Soppresso capoverso in c
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9 vita, ] vita A2 A3 9 cui ] che c
3-5 o in te […] ricchezze: sia che le impurità del sangue, dovute ad antenati non aristocratici, siano emendate in te da titoli acquistati con denaro e da ricchezze accumulate per terra e per mare, con le proprietà fondiarie o con i commerci. – compri onori: cfr. MZ 1246-1247: «Altri ne viene / Che di compro pur or titol si vanta». Donati (p. 185 e n. 21) ricorda in proposito che, per effetto della «politica di vendita di titoli e feudi» praticata da Filippo IV e da Carlo II di Spagna e poi da Carlo VI, «delle 273 famiglie titolate milanesi esistenti all’inizio del Settecento, solo 98 avevano ricevuto il titolo prima della metà del Cinquecento; dal 1707 al 1740 furono concessi da Carlo VI 124 nuovi titoli». 6 dal genitor […] lustri: frugale sta per sobrio, oculato, ma forse fino alla grettezza, mentre la rapidità dell’arricchimento insinua dubbi sulla sua onestà (cfr. MT i 1039 e MZ 469-477 e note). 7 Precettor: cfr. Ovidio, Ars amatoria i 17: «ego sum praeceptor Amoris». – amabil Rito: cfr. MT i 307, dove amabil Globo è la società aristocratica di cui gli insegnamenti del precettore ripetono i valori; MT i 665-667 e MZ 307-309, dove amabile è detto rispettivamente del lusso e del genere femminile dopo che il piacere ha sostituito la necessità; MT I 181 e nota per l’amabile come categoria estetica; e MT i 311 e 387 e MZ 194 per Rito, che ironizza sulle usanze mondane descritte, alludendo al discrimine sociale che esse segnano e alla religiosità con cui sono seguite dai nobili. – ascolta: l’esortazione è tipica del genere didascalico ed è ripresa altrove con variazioni (cfr. MT i 14-15, 31, 225 e 395-396 e MZ 19-20). 8 ingannar: cfr. Ovidio, Metamorfosi viii 651: «interea medias fallunt sermonibus horas»; e MG 1090-1091: «Così a queste, o signore, illustre inganno / Ore lente si faccia». 8-9 nojosi […] vita: cfr. i vv. 278-279: «il lungo peso / Di quest’inerte vita»; Rip. Eup. xxxiv 1-3: «Se di Bacco il liquor nel mio Cervello / Coll’ammirabil suo poter penetra, / Ogni cura sen va nojosa, e tetra»; e La caduta 57-60: «penètra / Ne’ recessi de’ grandi; / E sopra la lor tetra / Noja le facezie e le novelle spandi». La spezzatura protrae l’enunciazione fino allo sfinimento (così accade anche tra i vv. 9 e 10). 9-10 cui sì lungo tedio […] accompagna: ai quali si accompagnano una noia senza fine e un fastidio insopportabile. – Cfr. NT 138-139: «Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostri / Così lunghi ritiri». L’affermazione è ironica, poiché si descrive una vita trascorsa fra i piaceri, ma insieme autentica, perché la vacuità di questo trascorrere da un piacere all’altro rende quella stessa vita tormentosa. Anche il successivo cure (v. 13) è ambivalente: «occupazioni», ma anche «affanni, assilli». Insieme con l’intenzione
il mattino Or io t’insegnerò. Quali al Mattino, Quai dopo il Mezzodì, quali la Sera Esser debban tue cure apprenderai, Se in mezzo agli ozj tuoi ozio ti resta Pur di tender gli orecchi a’ versi miei. Già l’are a Vener sacre e al giocatore Altre edd.
12 Sera ] sera A2
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16 sacre ] sacre, A2 A3
di stigmatizzare un costume, agisce qui il sensismo di Parini, che nel Discorso sopra la poesia scriveva: «L’anima nostra, che ama di esser sempre in azione e in movimento, niente più abborre che la noja» (p. 156). E cfr. anche le Lezioni di Belle Lettere: «l’anima nostra ha non manco bisogni di quel, che si abbia il nostro corpo: e il maggior bisogno di questa, è quello di dover esser sempre occupata, e di variar frequentemente d’occupazione […]. Tosto che l’anima nostra si trova nella inazione, […] pruova essa un bisogno, cioè un sentimento di pena, il qual sentimento noi chiamiamo noja. […] Le fatiche del corpo, gli affetti del cuore, le meditazioni della mente sono gli unichi mezzi con cui può l’uomo sottrarsi alle persecuzioni di costei» (cc. 48r-49r, p. 115). Oziosi, incapaci d’amare e incolti, i nobili del poemetto appariranno sempre oppressi dalla noia. 11-12 Quali al Mattino, […] quali la Sera: l’enumerazione delle cure e dei precetti è tipica del genere didascalico. Cfr. Georg. i 1-5: «Quid faciat laetas segetes, quo sidere terram / vertere, Maecenas, ulmisque adiungere vites / conveniat, quae cura boum, qui cultus habendo / sit pecori, apibus quanta experientia parcis, / hinc canere incipiam»; e Alamanni, Coltivazione i 1-7: «Che deggia quando il Sol rallunga il giorno / Oprar il buon Cultor ne i campi suoi; / Quel che deggia l’estate, e quel che poscia / Al pomifero Autunno, al freddo Verno: / Come rida il giardin d’ogni stagione: / Quai sieno i miglior dì, quali i più rei, / O magnanimo Re, cantar intendo»; Spolverini, Riso i 9-12: «Quinci de’ tuoi cultor qual esser deggia / La fatica, il saper, l’industria e l’arte; / E in qual terra e in qual acqua apprestar giovi / Albergo al seme tuo; sotto quai segni»; e Betti, Baco i 1-4: «Qual opra voglia l’arboscel felice, / Che l’esca porge a’ più fecondi insetti; / E qual di questi aver cura, e a’ loro morbi / Qual convengasi aita». – Il riferimento a mattino, mezzogiorno e sera, e quindi alla struttura del poemetto, riprende quello anticipato nella chiusa della dedica «Alla Moda». 14-15 Se in mezzo […] a’ versi miei: se fra un’occupazione oziosa e l’altra trovi il tempo e la voglia per ascoltare i miei versi. – Gli otia latini, dedicati allo studio o al piacere intellettuale, sono ridotti qui a ozio come inanità, mentre il poliptoto raffigura come ozio ininterrotto la giornata del giovin signore. Cfr. MT i 968-969: «de’ grand’avi tuoi / Le imprese ti rimembra e gli ozj illustri»; MG 334: «Godi de gli ozj tuoi»; e VP 137: «gli ozj del mattino illustri» (e frequente nel poemetto è anche l’aggettivo ozioso). – tender gli orecchi: cfr. MT i 395-396 e MZ 19-20. 16-18 Già l’are a Vener sacre […] hai visitate: allude alle case di tolleranza e alle case da gioco (Mercurio era il nume dei mercanti e dei giocatori) che i nobili frequentavano durante i loro viaggi in Europa (qui in Francia e in Inghilterra). L’ironia pariniana investe quindi anche la moda del grand tour, oltre che, di nuovo, la devozione religiosa dei nobili per le usanze mondane. Albini cita G. Gozzi, Sermoni xvi 117120: «Ecco i licei / Spalancati del gioco, e i templi e l’are / Sacre alla Dea di Cipri, ove
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A1 Altre edd. Mss.
giuseppe parini Mercurio ne le Gallie e in Albi-one Devotamente hai visitate, e porti Pur anco i segni del tuo zelo impressi: Ora è tempo di posa. In vano Marte A sè t’invita; che ben folle è quegli Che a rischio de la vita onor si merca, E tu naturalmente il sangue aborri. Nè i mesti de la Dea Pallade studj
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21 se (+A2 A3) 17 Gallie ] Gallie, A2 A3 19 impressi: ] impressi; A2 A3 20 In vano Marte ] In van te chiama c 21 A se t’invita ] Lo Dio dell’armi c
la prima / Scola si ribadisce e si rassoda». – Albi-one: nelle stampe del Mattino la lineetta segnala che la parola, secondo il suo etimo latino, deve essere letta con dieresi. 18-19 e porti […] impressi: e porti ancora su di te i segni delle tue occupazioni. – segni: sono probabilmente i segni delle malattie veneree contratte nelle case di tolleranza, alle quali più esplicitamente si allude in MZ 706-709. Anche Alfieri, nella sua Vita, ricorderà le «ferite poco gloriose» riportate da un soggiorno a Cadice (iii 12). 20-21 Ora è tempo […] A sè t’invita: ora è tempo di riposo. Inutilmente Marte, dio della guerra, ti invita alla carriera militare. – Ora […] posa: formula di ascendenza epica e dunque di valore eroicomico, per la quale cfr. Caro, Eneide v 1202: «Temp’è che pòsi homai»; e Ger. Lib. viii 40, 6: «tempo è di riposo» (anche per numerosi riferimenti intertestuali alla tradizione epica si rimanda a Tizi, al quale sono state aggiunte alcune integrazioni). – In vano […] t’invita: i giovani aristocratici hanno abbandonato la tradizione militare degli avi (cfr. vv. 781-785 e 1039-1053 e note). 22 si merca: si compra. – Cfr. Par. xvii 51: «là dove Cristo tutto dì si merca»; e La vita rustica 29-32: «No, ricchezza nè onore / Con frode o con viltà / Il secol venditore / Mercar non mi vedrà». Che la gloria e l’onore debbano essere anteposti alla vita è un topos della letteratura epica: Achille, che sceglie di partire per Troia sebbene sappia che con la gloria troverà la morte, è il caso più emblematico; Turno così risponde a Drance in Aeneis xi 440-444: «vobis animam hanc soceroque Latino / Turnus ego, haud ulli veterum virtute secundus, / devovi. ‘solum Aeneas vocat.’ et vocet oro; / nec Drances potius, sive est haec ira deorum, / morte luat, sive est virtus et gloria, tollat»; e Argante rivolge a Clorinda queste parole in Ger. Lib. xii 8, 1-2: «Ho core anch’io che morte sprezza e crede / che ben si cambi con l’onor la vita». 23 E tu naturalmente il sangue aborri: e tu per natura hai orrore del sangue. – naturalmente: la categoria filosofica della natura umana, che nel pensiero illuministico svolge un ruolo centrale, è qui usata ironicamente per alludere a un tratto non della natura, ma del costume di una classe, ovvero alla viltà di quei nobili che nell’onore, tradizionalmente, avrebbero dovuto avere la propria virtù distintiva. – il sangue aborri: è sottinteso che il sangue aborrito sia il proprio e non l’altrui, per cui Tizi osserva che eroicomicamente si allude a Ger. Lib. viii 76, 4: «la destra mia dal civil sangue aborre». 24-25 Nè i mesti […] meno odiosi: né ti sono meno insopportabili i malinconici studi letterari e scientifici, cari ad Atena. – mesti: in senso attivo, in quanto indurrebbero malinconia (nella dedica «Alla Moda» i vegliardi erano detti malinconici).
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A1 Altre edd. Mss.
il mattino Ti son meno odi-osi: avverso ad essi Ti feron troppo i queruli ricinti Ove l’arti migliori, e le sci-enze Cangiate in mostri, e in vane orride larve, Fan le capaci volte echeggiar sempre Di giovanili strida. Or primamente Odi quali il Mattino a te soavi Cure debba guidar con facil mano. Sorge il Mattino in compagnía dell’Alba Innanzi al Sol che di poi grande appare 25 Avverso 29 sempre ] sempre. A2 A3 26 feron ] fero hai c
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33 compagnía ] compagnìa A2 A3
25-26 avverso […] i queruli ricinti: le aule risonanti delle grida degli scolari, puniti con la frusta, ti hanno reso troppo ostile a essi. 27 l’arti migliori: le arti liberali, ovvero le arti del trivio (grammatica, retorica e dialettica) e del quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), che dal Medioevo erano il fondamento dell’educazione scolastica. 28 larve: fantasmi. – Parini censura il disprezzo aristocratico per lo studio, ma critica anche i metodi didattici della sua epoca. 29-30 fan le capaci volte […] strida: cfr. Inf. i 115: «le disperate strida»; v 35: «le strida, il compianto, il lamento»; e xii 102: «facieno alte strida»; e soprattutto Pietro Verri, Il tempio dell’Ignoranza («Il Caffè», t. i, f. ii): «grida, urli, malediche voci rimbombano d’ogni parte e fanno eccheggiare le capaci volte». Così Verri rappresenta l’oscurantismo delle scuole, dove si insegna ad assoggettarsi alla tradizione e a diffidare della ragione. Ancora nel Saggio di legislazione sul pedantismo, invece, Alessandro Verri cita questi versi ed elogia l’«eccellente poeta» del Mattino per avere rappresentato l’avversione contro lo studio che necessariamente nascerebbe quando esso fosse impartito da maestri più verbosi che raziocinanti. Verri sembra intendere le strida del passo, dovute alla frusta dei maestri, come urla di allievi vanamente loquaci e mostra di cogliervi la critica alla pedanteria dei maestri (già nel Discorso sopra le Caricature Parini aveva deriso i pedanti impegnati a dibattere questioni oziose: cfr. pp. 144-146), ma non quella al rifiuto opposto agli studi dal giovin signore. Sul tema delle punizioni corporali inflitte agli studenti, infine, cfr. ancora Alessandro Verri, Della eccellenza, utilità e giustizia della flagellazione de’ fanciulli. Ragionamento fra un Pedante ed un Ottentotto («Il caffè», t. ii, f. v). 30-32 Or primamente […] con facil mano: ora, innanzitutto, ascolta quali dolci occupazioni debba portarti il mattino con mano abile e leggera. – Dopo la protasi generale, la voce del precettore introduce l’argomento della prima sezione del poemetto e rinnova l’invito all’ascolto del v. 7. – i vv. 1-32 non figurano nei manoscritti della seconda redazione del poemetto. 33-52 Sorge il Mattino […] mense: l’idillio del falso esordio didascalico sarà interrotto al v. 53 dall’orrore del giovin signore. Con il buon villan (v. 37) al centro della scena, intanto, la sintassi diventa più lineare, per tornare tuttavia alle inversioni dove si nomina il ricco (vv. 48-52). 34 Innanzi al Sol: cfr. Ger. Lib. xvii 6, 4: «Incontra al sol che matutino appare».
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Su l’estremo orizzonte a render lieti Gli animali e le piante e i campi e l’onde. Allora il buon villan sorge dal caro Letto cui la fedel sposa, e i minori Suoi figlioletti intiepidìr la notte; Poi sul collo recando i sacri arnesi Che prima ritrovàr Cerere, e Pale, Va col bue lento innanzi al campo, e scuote
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39 intiepidìr ] intepidìr A2 A3 42 Crocetta accanto al verso in b; innanzi al campo, e scuote ] innanzi, e scuote andando c; in d si legge: «Pag. 11. Il verso Va col bue lento innanzi al campo, e scuote, ha cancellato le parole al campo,|e dopo scuote ha scritto in margine andando; sicché il verso corretto riesce questo:|Va col bue lento innanzi, e scuote andando|Lungo il picciol sentier ecc.»
37 il buon villan sorge: il contadino onesto, laborioso, si alza. – sorge: è la stessa forma verbale usata al v. 33 per il mattino, a rilevare l’armonia tra il contadino e la natura. Il giovin signore, al contrario, conduce una vita rovesciata dal giorno alla notte, secondo le altr’arti e leggi del v. 63. 38 cui: al quale. Si riferisce al buon villan del verso precedente. 38-39 la fedel sposa, […] figlioletti: l’immagine della casta compagna (laddove per le mogli aristocratiche la fedeltà è sempre oggetto di ironia) e dei figli bambini è topica: cfr. Georg. ii 523-524: «interea dulces pendent circum oscula nati, / casta pudicitiam servat domus»; Orazio, Epistole ii 1, 139-144: «agricolae prisci, fortes parvoque beati, / condita post frumenta levantes tempore festo / corpus et ipsum animum spe finis dura ferentem, / cum sociis operum pueris et coniuge fida / Tellurem porco, Silvanum lacte piabant, / floribus et vino Genium memorem brevis aevi»; e Alamanni, Coltivazione i 978: «Tra la casta consorte e i cari figli». 40 i sacri arnesi: i sacri attrezzi per il lavoro dei campi. – sacri: perché sono stati dati agli uomini dalle dee Cerere e Pale, come si dice al verso successivo, ma soprattutto per il loro intrinseco valore. Non vi è quindi l’ironia che investe l’ossequio religioso del costume nobiliare. 41 prima ritrovar Cerere, e Pale: che originariamente inventarono Cerere e Pale. – Cerere: presso i Romani (ma il suo culto era già vivo presso i popoli italici preromani) era la dea della terra, della fertilità e dell’agricoltura. Cfr. Georg. i 147-148: «prima Ceres ferro mortalis vertere terram / instituit»; Ovidio, Metamorfosi v 341: «Prima Ceres unco glaebam dimovit aratro»; e uno dei Soggetti pariniani per il Nuovo Palazzo Belgiojoso (1790), intitolato Cerere che insegna l’agricoltura a Trittolemo: «Uno è con manto ed abito semplice, e con seguito d’uomini e donne di forma selvaggia, nudi o coperti in qualche parte di pelli. Cerere, vestita leggiermente e coronata di spiche, presenta loro il giogo, l’aratro e simili stromenti. Quelli in vario atteggiamento stanno guardando, con segno di ve[ne]razione e ricognoscenza» (p. 544). – Pale: era la dea protettrice del bestiame e dei pastori. Cfr. ancora i Soggetti pariniani: «Pale col bastone curvo all’estremità nella sinistra ed un paniere di latte rappreso nella destra. Ha fisionomia di una bella rusticità» (p. 458). – Affiorano qui la prossimità di Parini al pensiero fisiocratico (per cui cfr. MZ 668-690, dove riappaiono Cerere e Pale) e il carattere etico, prima che economico, della sua predilezione per l’agricoltura e per le arti e i mestieri utili.
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Mss.
il mattino Lungo il picciol sentier da’ curvi rami Il rugiadoso umor che, quasi gemma, I nascenti del Sol raggi rifrange. Allora sorge il Fabbro, e la sonante Officina riapre, e all’opre torna L’altro dì non perfette, o se di chiave Ardua e ferrati ingegni all’inquieto Ricco l’arche assecura, o se d’argento E d’oro incider vuol giojelli e vasi Per ornamento a nuove spose o a mense. Ma che? tu inorridisci, e mostri in capo, Qual istrice pungente, irti i capegli Al suon di mie parole? Ah non è questo, Signore, il tuo mattin. Tu col cadente Sol non sedesti a parca mensa, e al lume Dell’incerto crepuscolo non gisti Jeri a corcarti in male agiate piume,
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44-45 Crocetta accanto ad entrambi i versi in c 46 Allora sorge il Fabbro ] Sorge anche il fabbro allora c 55 Ah non è questo, ] Ah il tuo mattino, c 56 Signore, il tuo mattin ] Questo, Signor, non è c 57 Crocetta accanto al verso in c 59 Crocetta accanto al verso in b c; Jeri ] Ieri c
45 I nascenti […] rifrange: rifrange i raggi del sole nascente. – nascenti: è riferito grammaticalmente a raggi, con ipallage e iperbato. 46 sonante: che risuona (per i colpi del fabbro sul metallo). 47-48 all’opre […] non perfette: torna ai lavori che non ha terminato il giorno precedente. – perfette: latinismo. 48-50 o se di chiave […] assecura: sia che, fabbricando chiavi, serrature e chiavistelli robusti e difficili da forzare, debba rendere sicuri i forzieri del ricco, inquieto per il timore dei furti. – Si ripete la struttura di proposizioni condizionali in disgiunzione logica dell’esordio. Cfr. inoltre La vita rustica 17-24: «So che felice stimasi / Il possessor d’un’arca / Che Pluto abbia propizio / Di gran tesoro carca: / Ma so ancor che al potente / Palpita oppresso il cor / Sotto la man sovente / Del gelato timor». 50-51 o se d’argento […] vasi: sia che voglia cesellare gioielli e vasi d’oro e d’argento. 52 mense: tavole imbandite. 53-55 e mostri […] mie parole: e sulla testa, all’udire le mie parole, i capelli ti si rizzano come gli aculei di un istrice. – Il paragone zoomorfo è palesemente canzonatorio. 56-59 Tu col cadente […] piume: tu non hai consumato, al tramonto, una cena (mensa, metonimicamente) frugale e ieri non andasti (gisti) a coricarti in uno scomodo giaciglio alla luce incerta del crepuscolo. – al lume / Dell’incerto crepuscolo: ipallage, a meno che l’incertezza non sia dell’ora, per la transizione dal giorno alla notte che si compie nel crepuscolo; peraltro, le due interpretazioni confluiscono l’una nell’altra.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Come dannato è a far l’umile vulgo. A voi celeste prole, a voi concilio Di Semidei terreni altro concesse Giove benigno: e con altr’arti e leggi Per novo calle a me convien guidarvi. Tu tra le veglie, e le canore scene, E il patetico gioco oltre più assai Producesti la notte; e stanco alfine In aureo cocchio, col fragor di calde Precipitose rote, e il calpestío
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63 benigno: ] benigno; A2 A3 69 calpestío ] calpestìo A2 A3 60 Crocetta accanto al verso in c 61 Soppresso il capoverso in c 67 Crocetta accanto al verso in b
61-63 A voi celeste Prole […] Giove benigno: a voi figli degli dei celesti, a voi schiera di esseri semidivini sulla terra, Giove benevolo (ma benevolo verso i nobili, non in senso assoluto) ha concesso un’altra sorte. – A voi […] a voi: l’anafora innalza retoricamente il tono dell’apostrofe e insieme rimanda a coloro che da quel voi restano esclusi. – celeste Prole: l’ironica rappresentazione della condizione aristocratica come dono divino (per cui cfr. la nota ai vv. 1-3) solleva implicitamente la questione delle origini dell’ineguaglianza sociale, che sarà ripresa in forma di mito nella favola del Piacere (MZ 250-338). 64 Per novo calle […] guidarvi: è opportuno che vi conduca per una via diversa e inusuale (secondo l’accezione latina di novo). – convien: probabilmente allude all’«A te convien tenere altro viaggio» di Inf. i 91. Esposito vi legge «non solo l’antica espressione della doverosa necessità, ma anche quella moderna della rassegnata opportunità» (Aspetti stilistici, p. 76). 65 le canore scene: il teatro dell’opera. – Cfr. La Musica 1-4: «Aborro in su la scena / Un canoro elefante, / Che si strascina a pena / Su le adipose piante»; e le «canore Scene» di Frugoni, Versi sciolti xviii 1 (Tizi). 66 il patetico gioco: il gioco che suscita emozioni. – L’espressione è di matrice sensista. Cfr. inoltre ciò che scrive Alessandro Verri sul «Caffè» nel suo articolo Dell’ozio (t. i, f. xxvi): «Il giuoco occupa in taluno d’essi [i ricchi] la maggior parte de’ loro ozi, e se per un momento vorranno meco riflettere sopra se medesimi, dovranno confessare che passano le notti e i giorni fra una speranza inquieta ed un mordace timore». 66-67 oltre […] la notte: protraesti la tua notte molto oltre. – Cfr. Aeneis i 748: «nec non et vario noctem sermone trahebat»; e Orazio, Satire i, v 70: «Prorsus iucunde cenam producimus illam». Producesti è quindi latinismo, usato nell’accezione presente già in Orl. Fur. xxix 21, 1: «Che producendo quella notte in giuoco». 68-69 calde […] rote: ruote riscaldate dalla corsa a precipizio. – Sia il calore sia la precipitazione devono riferirsi, per ipallage e metaforicamente, allo stato emotivo del giovin signore. Albini ricorda Georg. iii 107: «volat vi fervidus axis»; e Orazio, Odi i, i 3-6: «sunt, quos curriculo pulverem Olympicum / collegisse iuvat metaque fervidis / evitata rotis palmaque nobilis / terrarum dominos evehit ad deos».
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Altre edd. Mss.
il mattino Di volanti corsier, lunge agitasti Il queto aere notturno, e le tenèbre Con fiaccole superbe intorno apristi, Siccome allor che il Siculo terreno Dall’uno all’altro mar rimbombar feo Pluto col carro a cui splendeano innanzi Le tede de le Furie anguicrinite. Così tornasti a la magion; ma quivi A novi studj ti attendea la mensa
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70 corsier, ] corsier A2 A3 73 Siculo ] Sìculo A2 A3 77 Soppresso il capoverso in c
70-71 lunge […] aere notturno: per largo tratto sconvolgesti l’aria serena della notte. – Anche qui si manifesta il narcisismo del giovin signore, che non frena le proprie emozioni e ne impone le manifestazioni all’ambiente circostante. Per il motivo dell’affanno che affligge il ricco e il potente più del povero contadino, cfr. vv. 8-9 e 226-227 e note; e La vita rustica 45-48: «E le cure e gli affanni / Quindi lunge volar / Scorgo, e gire i tiranni / Superbi ad agitar». – tenèbre: l’accento avanza con diastole sulla penultima, consentendo la terminazione piana del verso. Nel Mattino, nota Esposito (L’endecasillabo del Giorno, p. 450), «più del 90 per cento dei versi appoggia il proprio accento principale, quello che li conclude, su voci bi- o trisillabiche, e comunque su voci piane». 72 con fiaccole superbe: i cocchi dei nobili erano preceduti da lacchè a piedi, che reggevano le fiaccole per illuminare il percorso e segnalare il passaggio del veicolo e dei suoi passeggeri. Le fiaccole sono superbe in quanto sono levate in alto dai lacchè e perché superbo, nell’annuncio del proprio passaggio, è innanzitutto il giovin signore. 74 Dall’uno all’altro mar: lo Ionio e il Tirreno. 75 Pluto: in Sicilia Plutone (Pluto è forma latineggiante) rapì Proserpina alla madre Cerere e sul proprio carro la portò con sé negli inferi. Il paragone con il dio infernale è naturalmente ironico, ma non sembra casuale che Parini rievochi un atto di violenza che colpisce anche la dea Cerere, nominata appena sopra (v. 41) per il suo legame con il mondo contadino. – splendeano: l’imperfetto indicativo in -ea o -eano è usato sistematicamente nel poemetto. 76 Le tede […] anguicrinite: le torce delle Furie dalle chiome di serpenti. – tede: ancora un latinismo. – le Furie anguicrinite: anche chiamate Erinni, erano presso i Greci le divinità tenebrose, armate di fiaccola e sferza e con chiome di serpenti, che proteggevano l’ordine naturale e i legami tra consanguinei, perseguitando coloro che, come Oreste assassino di Clitennestra, ne violavano le leggi. Per questo loro ruolo di tutrici dell’ordine, le Erinni assumevano talvolta la forma benigna di Eumenidi. Cfr. Martello, Femia i, i 223-224, dove Mercurio nomina le «anguicrinite, immansuete / Furie». 78 novi studi: contrasta con «i mesti de la dea Pallade studi» del v. 24 e riecheggia il novo calle del v. 64. Ai vv. 604, 634 e 644 gli studj sono leggiadri, cari e begli, sempre ironicamente; in MZ 963 sono invece, sarcasticamente, brevi.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Cui ricoprien pruriginosi cibi E licor lieti di Francesi colli, O d’Ispani, o di Toschi, o l’Ongarese Bottiglia a cui di verde edera Bacco Concedette corona, e disse: siedi De le mense reina. Alfine il Sonno Ti sprimacciò le morbide coltrici Di propria mano, ove, te accolto, il fido Servo calò le seriche cortine: E a te soavemente i lumi chiuse Il gallo che li suole aprire altrui. Dritto è perciò, che a te gli stanchi sensi Non sciolga da’ papaveri tenaci
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80 colli, ] colli A2 A3 81 d’Ispani, o di Toschi, ] d’Ispani o di Toschi A2 A3 86 mano, ] mano A2 A3 79 Cui ] Che c; pruriginosi ] un tratto di penna sopra la sillaba -gi- c 82 Bottiglia ] Bottiglia, c 85 Crocetta accanto al verso in b c 90 perciò ] in c reca soprascritta la variante però
79 cui ricoprien […] cibi: imbandita di cibi appetitosi. – pruriginosi: il giovin signore mangia non per fame, ovvero per necessità, ma per piacere. 80 licor lieti: vini inebrianti, che allietano. 81-82 l’ongarese / bottiglia: il tokai, originario dell’Ungheria e ritenuto vino di grande pregio, è designato qui con una perifrasi che innalza il dettato mediante il riferimento mitologico. – edera: è attributo tipico di Bacco. 84 il Sonno: la personificazione classica finge che non meno che una divinità accompagni il giovin signore al suo riposo. 85 morbide coltrici: soffici materassi. – morbide: cfr. le morbide piume di Rip. Eup. li 4, dove il ricco «non mai si spoltre / Dalla gola, e dal sonno empj, e malvagi» (7-8). – coltrici: il verso richiede che l’accento sia spostato con diastole sulla penultima sillaba (coltrìci); in MT ii 530 l’accento tornerà invece sulla terzultima. 86 te accolto: equivale a un ablativo assoluto latino. 86-87 il fido […] cortine: il servo fidato abbassò le tende di seta del letto a baldacchino. – il fido / Servo: ai vv. 410-411 il più fido servo / E il più accorto è mandato dal giovin signore al palazzo della dama perché si informi sul sonno di lei. 88-89 E a te […] altrui: e a te dolcemente chiuse gli occhi il canto del gallo, al quale altri usano svegliarsi. – Il motivo della vita rovesciata del giovin signore è espresso anche dalla struttura chiastica dei due versi, con i pronomi riferiti al giovin signore e ai possibili altri alle estremità, il gallo al centro, in posizione di rilievo all’inizio del secondo verso, e i verbi chiuse e aprire, con i relativi oggetti, simmetricamente disposti. 90-94 Dritto è perciò […] imposte: è quindi giusto che Morfeo non ridesti i tuoi sensi affaticati dal loro sonno profondo (papaveri tenaci) finché il sole già alto non manderà i suoi raggi attraverso le imposte dorate. – Dritto è perciò: antifrastico. Cfr., nella tradizione didascalica, Spolverini, Riso iv 426: «egli è pur dritto»; e Baldi, Nautica iv 269: «Dritto è ch’io mostri a te». – papaveri tenaci: tradizionale attributo
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Altre edd. Mss.
il mattino Mòrfeo prima, che già grande il giorno Tenti di penetrar fra gli spiragli De le dorate imposte, e la parete Pingano a stento in alcun lato i raggi Del Sol ch’eccelso a te pende sul capo. Or qui principio le leggiadre cure Denno aver del tuo giorno; e quinci io debbo Sciorre il mio legno; e co’ precetti miei Te ad alte imprese ammaestrar cantando. Già i valetti gentili udìr lo squillo Del vicino metal cui da lontano
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99 legno; ] legno, A2 A3 101 gentili ] gentil A3 92 Crocetta accanto al verso in b c 93 Crocetta accanto al verso in c 96 Crocetta accanto al verso in b 102-104 Del vicino … E accorser ] De’ penduli metalli, a cui da lunge|Diffusi moti la tua mano impresse.|Già corser c
iconografico del Sonno, che Parini menziona ripetutamente nei suoi Soggetti. Per il Palazzo di Corte, per esempio, scrive: «Il Sonno sarà un bel giovane di membra piuttosto ritonde e pienotte, e sembreranno sparse di quel rubicondo e di quel lucido madore, che suol vedersi in una persona che dorme. Avrà egli una corona di papaveri posta negligentemente sul capo, e in una delle mani terrà pure negligentemente un dente d’elefante» (Soggetti, p. 462). Cfr. inoltre Georg. i 78: «urunt Lethaeo perfusa papavera somno»; e Frugoni, Versi sciolti ii (ad Aurelio Bernieri) 7-10: «Nè so, perche di buon mattin mi sia / Desto oltre l’uso. Su le mie palpebre / Vapor tenace di soave sonno / Dai papaveri suoi Morfeo diffonde» (Tizi). – Mòrfeo: nella mitologia greca, era uno dei milli figli di Ipno, dio del sonno. Ovidio lo ricorda con i fratelli Fantaso e Fobetore in Metamorfosi xi 633-645. 95 Pingano: dipingano, illuminino. – Latinismo. 97-99 Or qui principio […] legno: le leggiadre occupazioni che riempiono la tua giornata devono cominciare da qui e da qui devo sciogliere gli ormeggi della mia nave. – Or qui principio: per la terza volta il precettore annuncia l’inizio delle attività del giovin signore e dei propri ammaestramenti. – le leggiadre cure: cfr. le tue cure del v. 13 e le soavi / Cure dei vv. 31-32. – il mio legno: la metafora della nave (designata qui con metonimia classica) per l’ingegno poetico e il canto è già in Georg. i 40: «da facilem cursum atque audacibus adnue coeptis»; in Ovidio, Fasti iii 790: «Et des ingenio vela secunda meo»; in Purg. i 2: «la navicella del mio ingegno»; e in Par. ii 3: «Dietro il mio legno che cantando varca». 100 Te […] cantando: educarti ed esortarti con il canto a nobili imprese. 101-103 Già i valetti […] moto: già i valletti cortesi udirono lo squillo del campanello collocato vicino a loro e di cui la tua mano suscita il suono di lontano. – propagato moto: espressione di matrice sensista. Cfr. L’innesto del vaiuolo 167-168: «i soavi moti / Propagherà d’amore». – Il poemetto esibisce e insieme ridicolizza la tradizionale renitenza a incorporare nel linguaggio poetico i nomi degli oggetti di uso quotidiano, denotati invece con lunghe perifrasi e così nobilitati.
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Altre edd. Ess. Mss.
giuseppe parini Scosse tua man col propagato moto; E accorser pronti a spalancar gli opposti Schermi a la luce, e rigidi osserváro, Che con tua pena non osasse Febo Entrar diretto a saettarti i lumi. Ergiti or tu alcun poco, e sì ti appoggia Alli origlieri i quai lenti gradando All’omero ti fan molle sostegno. Poi coll’indice destro, lieve lieve Sopra gli occhi scorrendo, indi dilegua Quel che riman de la Cimmeria nebbia; E de’ labbri formando un picciol arco, Dolce a vedersi, tacito sbadiglia. O, se te in sì gentile atto mirasse Il duro Capitan qualor tra l’armi,
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105 osserváro ] osservàro A2 A3 109 quai ] quali A3 114 arco, ] arco A2 A3 116 O, ] O! A2 A3 117 armi, ] armi A2 A3 109 lenti ] lentti A3Priv1 109 origlieri i quai lenti gradando ] origlier, che lenti degradando c 111 Poi ] E c 112 scorrendo, indi ] trascorri e ne c 114 E ] Poi c 116 O, ] Oh! c
104-105 gli opposti / Schermi a la luce: le imposte che riparano dalla luce. – L’anastrofe svolge la consueta funzione di innalzamento dello stile e quindi di ironia. – osserváro: la forma verbale apocopata è arcaizzante e consente la terminazione piana del verso. Cfr. v. 71 (tenèbre) e nota. 106 Febo: epiteto («puro») e altro nome del dio Apollo quale personificazione del sole. 107 diretto […] i lumi: a ferirti gli occhi con luce diretta. 108-109 Ergiti or […] sostegno: sollevati ora appena un poco e appoggiati ai cuscini così che essi, accumulati in leggera pendenza, offrano un morbido sostegno alle tue spalle. – origlieri: francesismo, ma recepito nella lingua poetica italiana già dal Trecento. Tizi ricorda Pope, Il riccio rapito i 23: «Ma sul molle origlier giacea dormendo». 112-113 indi dilegua […] nebbia: quindi scaccia l’ultimo torpore residuo dal sonno notturno. – Cimmeria nebbia: nell’Odissea (xi 14), i Cimmeri sono una popolazione mitica che abita regioni prossime all’Ade e coperte da nebbie perenni. Ovidio, nelle Metamorfosi, li colloca invece presso l’antro del Sonno: «Est prope Cimmerios longo spelunca recessu / mons cavus, ignavi domus et penetralia Somni» (xi 592-593). Di loro scrisse anche Erodoto e oggi si ritiene che essi, storicamente, fossero genti indoeuropee, forse tracie, stanziatesi in Crimea e calate nel secolo viii a.C. in Asia Minore, da dove sarebbero state scacciate per opera di Aliatte re di Lidia intorno al 600 a.C. 114 de’ labbri: delle labbra, con la bocca. – La forma plurale maschile era usata in poesia. Nel Giorno si alterna con labbra, per cui cfr. già il v. 118.
il mattino Sgangherando le labbra, innalza un grido Lacerator di ben costrutti orecchi, Onde a le squadre varj moti impone; Se te mirasse allor, certo vergogna Avria di sè più che Minerva il giorno Che, di flauto sonando, al fonte scorse Il turpe aspetto de le guance enfiate. Ma già il ben pettinato entrar di nuovo Tuo damigello i’ veggo; egli a te chiede Quale oggi più de le bevande usate Sorbir ti piaccia in prezi-osa tazza:
A1 Altre edd. Mss.
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122 se (+A2 A3) 126 i (+ A2 A3) 119 orecchi, ] orecchi A2 A3 125 nuovo ] novo A2 A3 128 tazza: ] tazza. A2 A3 125 Crocetta accanto al verso in b; entrar di ] in c compare una fila di punti sotto le lettere -ar di 126 damigello i veggo; egli a te ] damigel vegg’io. Sommesso ei c
118-20 Sgangherando […] impone: spalancando e deformando la bocca, emette un grido che rompe i timpani di orecchie ben formate e così ordina alle squadre di compiere i loro diversi movimenti. – un grido […] orecchi: il grido del capitano è descritto eroicomicamente come un’arma che schianta le fortificazioni degli orecchi. Il v. 119, in particolare, è citato da Pietro Verri nel suo articolo La commedia («Il Caffè», t. i, f. v), dove si descrive la scomposta recitazione dei comici italiani e vi si contrappongono, come modelli per una riforma del teatro, la tradizione francese di Molière e Baron e la commedia di Goldoni. 122-124 Minerva […] le guance enfiate: Minerva, che per prima aveva suonato un flauto ricavato da ossi di cervo, lo aveva poi gettato dopo essersi vista riflessa nell’acqua di un fiume con le guance gonfie e deformate per l’aria. – Ovidio racconta l’episodio in Fasti vi 697-700: «Prima, terebrato per rara foramina buxo, / ut daret, effeci, tibia longa sonos. / Vox placuit: faciem liquidis referentibus undis / vidi virgineas intumuisse genas»; e in Ars amatoria iii 503-506: «ora tument ira, nigrescunt sanguine venae, / lumina Gorgoneo saevius igne micant. / ‘i procul hinc,’ dixit ‘non es mihi, tibia, tanti’, / ut vidit vultus Pallas in amne suos»; mentre Properzio lo richiama in Elegie ii 30, 16-18: «hic locus est in quo, tibia docta, sones, / quae non iure vado Maeandri iacta natasti, / turpia cum faceret Palladis ora tumor». 125 ben pettinato: epiteto pseudo-omerico. La chioma è attributo tipico degli Achei nell’Iliade, per cui Placella (p. 40) segnala ii 323 e 472 e iii 43. 127-128 Quale oggi […] ti piaccia: cfr. MT i 130, 495-496 e 717 e MZ 560-561, 935 e 13361340; Spolverini, Riso i 834-835: «Ma qual di questi, o cotal’altri ingegni / Usar ti piaccia»; e i 845-846: «o quest’arnese, o qual t’aggrada / Usar più tosto, fermo abbia sostegno»; Marchetti, Natura ii 493-494: «Or tu di questi / Segui pure a pigliar qual più ti aggrada»; e Betti, Baco ii 217: «Scegli ciò che a te par».
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Indiche merci son tazze e bevande; Scegli qual più desii. S’oggi ti giova Porger dolci allo stomaco fomenti, Sì che con legge il natural calore V’arda temprato, e al digerir ti vaglia, Scegli ’l brun cioccolatte, onde tributo Ti dà il Guatimalese e il Caribbéo C’ha di barbare penne avvolto il crine: Ma se nojosa ipocondría t’opprime, O troppo intorno a le vezzose membra Adipe cresce, de’ tuoi labbri onora
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134 cioccolatte, ] cioccolatte A2 A3 135 Caribbéo ] Carribbèo A3 134 Crocetta accanto al verso in b c 135 Caribbèo ] Caribèo c 136 Crocetta accanto al verso in b
129 indiche merci: prodotti delle Indie, o (più genericamente e per sineddoche) orientali. – Tizi cita Roberti, Perle 13-15: «i veleggianti abeti peregrini / Che versano dal grembo prezioso / Indiche merci ed arabi profumi»; Bettinelli, Versi sciolti x (a Michele Fracastoro) 137-139: «Al cenno suo volar ne’ mari ignoti / Le navi ardite, e riportaro a noi / L’indiche gemme, gli arabi profumi»; e Pope, Il riccio rapito i 192193: «qui splendon ne’ scrignetti indiche gemme / e là l’Arabia olezza in pinti vasi»; a cui si può aggiungere Tasso, Rime 676, 1-2: «O degna a cui mandi l’Arabia odori / e l’India gemme». 130 ti giova: ti è di conforto, ti si conviene. – È ironico che una scelta dettata dalla gola più che dalla ragione sia indicata con un verbo che significa opportunità e salute. Cfr. quindi MZ 434-435: «Ma se a la Dama dispensar non piace / Le vivande, o non giova». 131 fomenti: bevande calde e tonificanti. 132-133 Sì che con legge […] temprato: così che il calore naturale dello stomaco ne sia ravvivato con misura. 134-135 Scegli […] Caribbéo: il Guatimalese è l’abitante del Guatemala; il Caribbéo, dei Caraibi. Il passo esibisce un gusto per l’esotico diffusamente settecentesco. Cfr. per esempio Bettinelli, Versi sciolti x (a Michele Fracastoro) 141-143: «la gradita nereggiante pasta, / Che a ricolmar le mattutine tazze / Di farmaco febeo Messico manda»; e iv 232-240: «Non vedi quante a porgermi tributo / qui muovon genti? Ben conosci al ricco / turbante il Turco, a le pellicce il Russo, / e tra ’l simo Cinese e il pingue Armeno / l’Etiope al bruno ed a la barba il Greco; / né men distingui a’ molli vezzi il Gallo, / né men l’inglese al taciturno aspetto, / e col Batavo a moversi pesante / l’Ispano agli atti ed a l’andar superbo». 136 C’ha di barbare […] crine: Bonora ricorda Guidi, Al Signor Cardinale Bandino Panciatici 102: «e di barbare bende avvolti i crini». 137 ipocondría: nel Settecento, denota una condizione di prostrazione psicologica e di malinconia. Torna così, e anche per l’aggettivo nojosa, il motivo della tormentosa vanità della vita nobiliare. 139 de’ tuoi labbri: con le tue labbra. – Cfr. v. 114 e nota.
il mattino La nettarea bevanda ove abbronzato Fuma, ed arde il legume a te d’Aleppo Giunto, e da Moca che di mille navi Popolata mai sempre insuperbisce. Certo fu d’uopo, che dal prisco seggio Uscisse un Regno, e con ardite vele Fra straniere procelle e novi mostri E teme e rischi ed inumane fami Superasse i confin, per lunga etade Inviolati ancora: e ben fu dritto Altre edd. Mss.
125 140
145
141 ed ] et A2 A3 142 Giunto, ] Giunto A2 A3 141 Crocetta accanto al verso in b; ed ] e c (Reina cancellò la -d e aggiunse a margine: «N. B. nell’ediz.e|veramente|del 1763. sta|Fuma, et arde|l’autore nol|corresse in questo|Codice») 144 Soppresso il capoverso in c
140 abbronzato: tostato. – Così descriveva il caffè Francesco Redi (il passo è segnalato da Cantù) nelle note al suo Bacco in Toscana: «Beveraggio usato anticamente tra gli Arabi, ed oggi tra Turchi, e tra Persiani, e quasi in tutto l’Oriente; ed è fatto d’un certo legume abbronzato prima, e poscia polverizzato, e bollito nell’acqua con un poco di zucchero per temprarne l’amarezza. Non è gran tempo, che comincia ad esser consumato in Cristianità, ma vi piglia gran piede» (p. 41). 141-142 Fuma […] Moca: arde e fuma il caffè che ti giunge da Aleppo, in Siria, e da Moca, in Yemen. – Fuma, ed arde: hýsteron pròteron. – il legume: scrive Pietro Verri nella sua Storia naturale del caffè: «Il caffè, signori miei, non è altrimenti una fava o un legume […] è prodotto non da un legume, ma bensì da un albero» («Il Caffè», t. i, f. i). In MT ii 107-109 Parini si correggerà: «La nettarea bevanda ove abbronzato / Arde e fumica il grano a te d’Aleppo / Giunto e da Moca». 143 mai sempre: è forma intensiva, dove mai accentua il significato di sempre. – insuperbisce: e dunque è tanto più significativo che tributi il suo caffè al giovin signore. 144-145 Certo fu d’uopo […] Regno: era certamente necessario che un regno, la Spagna, varcasse i propri confini. – dal prisco seggio / Uscisse: è implicita l’idea di un’infrazione dell’ordine del mondo che, apparsa prima nello stile di vita rovesciato dei nobili (cfr. vv. 76 e 88-89 e note), diviene ora rappresentazione di una società subordinata ai loro desideri di lusso e piaceri. Tutte le violenze e i travagli del colonialismo, assurdamente, sono valsi solo a portare il caffè o la cioccolata sulla mensa del giovin signore. 146 straniere […] mostri: tempeste su mari sconosciuti e mostri mai visti prima. – Cfr. Ger. Lib. iv 5, 7: «e in novi mostri, e non più intesi o visti». 148-149 i confin […] inviolati ancora: i limiti delle colonne d’Ercole, mai varcati. – Cfr. L’innesto del vaiuolo 10-12 e 19-20: «Erra chi dice / che natura ponesse a l’uom confine / di vaste acque marine / […] / Così l’eroe nocchier pensa, ed abbatte / i paventati d’Ercole pilastri» (l’eroe nocchier è Cristoforo Colombo); e La tempesta 9-10, dove avidità e ambizione spingono le navi «per li mobili regni / lor speme a sciorre oltre gli erculei segni!». 149-152 e ben fu dritto […] membra: e fu cosa assai giusta, se Cortés e Pizarro non giudicarono sangue umano quello che scorreva nelle membra degli uomini al di là
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Altre edd.
giuseppe parini Se Cortes, e Pizzarro umano sangue Non istimàr quel ch’oltre l’Oceáno Scorrea le umane membra, onde tonando E fulminando, alfin spietatamente Balzaron giù da’ loro aviti troni Re Messicani e generosi Incassi, Poichè nuove così venner delizie, O gemma degli eroi, al tuo palato. Cessi ’l Cielo però, che in quel momento Che la scelta bevanda a sorbir prendi, Servo indiscreto a te improvviso annunzj
155 Incassi, ] Incassi A3
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156 delizie, ] delizie. A2 A3
dell’oceano. – Cortes: Hernán Cortés (1485-1547), conquistador, causò tra il 1518 e il 1521 la rovina dell’impero azteco. – Pizzarro: Francisco Pizarro (circa 1475-1541) distrusse l’impero degli Incas tra il 1532 e il 1533. – Oceáno: la forma diastolica era comune in poesia. – L’antifrasi è dichiarata dal fatto che dritto è contraddetto da spietatamente (e cfr. vv. 90-94 e nota), mentre il giudizio dei conquistadores è smentito da umane membra. Cfr. inoltre i vv. 398-410 del canto ix, tradotto da Parini, della Colombiade di Anne-Marie du Boccage, dove tra l’altro si dice che «la sete / De le ricchezze a dira strage invita» (vv. 407-408) gli spagnoli di Pizarro. 152-153 tonando / E fulminando: le armi da fuoco consentirono agli spagnoli di sconfiggere gli eserciti molto più numerosi delle popolazioni americane. 154-155 Balzaron giù […] Incassi: rovesciarono dai troni dei loro antenati i sovrani degli Aztechi (Montezuma e, dopo di lui, Cuauhtémoc) e gli Incas di nobile stirpe (e in particolare l’imperatore Atahualpa, che era salito al trono spodestando il fratello Huáscar). – Il tema della violenza coloniale in America del Sud è trattato anche nel sonetto Ecco la reggia, ecco de’ prischi Incassi (PV cxxxix), probabilmente composto per una seduta dei Trasformati precedente al 1760. 156-157 Poichè nuove […] al tuo palato: dopo il racconto della devastazione di due regni, la chiusa, tornando al palato del giovin signore, assume quasi il tono dell’invettiva. Nel Dialogo sopra la Nobiltà il poeta, poiché il nobile si sorprende che egli dismetta il tono burlesco di prima e cominci a parlare sul serio, sbotta: «Finché voi non mi faceste vedere altro che vanità, io mi risi della leggerezza del vostro cervello; ma dappoichè mi cominciate a scambiare i vizj per virtù, egli è pur forza che mi si ecciti la bile» (p. 199). Nell’Innesto del vaiuolo 118-126, invece, Parini così descrive gli europei che ricevono i frutti delle conquiste coloniali: «Ben fur preste a raccor gl’infausti doni / Che, attraversando l’oceàno aprico, / Lor condusse Americo; / E ad ambe man li trangugiaron pronte. / De’ lacerati troni / Gli avanzi sanguinosi, / E i frutti velenosi / Strinser gioiendo; e da lo stesso fonte / De la vita succhiar spasimi ed onte». Lo stesso motivo dei doni avvelenati e rovinosi, per l’avidità e i conflitti che suscitarono, è trattato infine in Colombiade ix 420-447. 158 Cessi ’l Cielo: il cielo non voglia.
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A1 Altre edd. Mss.
il mattino Il villano sartor che, non ben pago D’aver teco diviso i ricchi drappi, Oso sia ancor con pòlizza infinita A te chieder mercede: ahimè, che fatto Quel salutar licore agro e indigesto Tra le viscere tue, te allor farebbe E in casa e fuori e nel teatro e al corso Ruttar plebejamente il giorno intero! Ma non attenda già ch’altri lo annunzj Gradito ognor, benchè improvviso, il dolce Mastro che i piedi tuoi come a lui pare Guida, e corregge. Egli all’entrar si fermi Ritto sul limitare, indi elevando Ambe le spalle, qual testudo il collo Contragga alquanto; e ad un medesmo tempo Inchini ’l mento, e con l’estrema falda Del piumato cappello il labbro tocchi. Non meno di costui facile al letto Del mio Signor t’accosta, o tu che addestri
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164 Ahimè 161 che, ] che A2 A3 172 Guida, ] Guida A2 A3 169 Soppresso il capoverso in c 178 Soppresso il capoverso in c
161-164 Il villano […] mercede: il sarto rozzo e sgarbato, che, non contento di avere diviso con te i (suoi) preziosi tessuti, si permetta ancora di chiedertene il pagamento presentando un conto interminabile. – Oso sia: ricalca il latino ausus sit. 167 E in casa […] al corso: polisindeto. Cfr. anche le serie asindetiche di MZ 846847: «Oh letto, oh specchio, oh mensa, / Oh corso, oh scena, oh feudi, oh sangue, oh avi»; e 1318: «A la mensa, al teatro, al corso, al gioco»; FR ii 69: «a la veglia al teatro al corso in cocchio»; e Pope, Il riccio rapito i 62: «alla Corte, al teatro, al parco, al corso». 170 benchè improvviso: al v. 160 l’annuncio improvviso del servo era invece sgradito. 170-172 il dolce […] e corregge: il dolce maestro di ballo, che dirige i tuoi passi e li corregge come gli pare. – guida, e corregge: cfr., nella dedica «Alla Moda», l’analogo temperi, e governi (e nota). 172-177: questi versi sono citati da Alessandro Verri nel suo articolo Le riverenze («Il Caffè», t. i, f. vii), dove Parini è chiamato «un nuovo Giovenale». 174-175 qual testudo […] alquanto: ritiri il collo ben dentro le spalle, come una testuggine. – testudo: latinismo. In MT ii 948 troveremo invece testuggine. 176 l’estrema falda: l’estremità della tesa. 178-179 Non meno […] t’accosta: e tu avvicinati al letto del mio signore con facilità e con familiarità non minori di quelle del maestro di ballo. – Il precettore apostrofa ora il maestro di canto.
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Mss.
giuseppe parini A modular con la flessibil voce Teneri canti, e tu che mostri altrui Come vibrar con maestrevol arco Sul cavo legno armoniose fila. Nè la squisita a terminar corona D’intorno al letto tuo manchi, o Signore, Il Precettor del tenero idioma Che da la Senna de le Grazie madre Or ora a sparger di celeste ambrosia Venne all’Italia nauseata i labbri. All’apparir di lui l’itale voci Tronche cedano il campo al lor tiranno; 184 Soppresso il capoverso in c torno siede a te c
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185
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185 D’intorno al letto tuo ] Che in-
180 la flessibil voce: la voce duttile, modulabile. 181 teneri canti: tutte le categorie estetiche evocate in questo passo – la dolcezza (v. 170), la duttilità (v. 180), la tenerezza (vv. 181 e 186), l’armonia (v. 183) – appartengono al dominio del piacevole, del molle o del gradevole. Nella dedica, la Moda era detta vezzosissima Dea e le Dame e i Garzoni suoi officianti erano gentili e amabili, come amabile è il Rito che il precettore insegna (per cui cfr. v. 7 e nota; e cfr. ancora la «tenera assemblea di giovani ed amabili penitenti» delle Lettere del conte N. N. ad una falsa divota, p. 173). Questa molle amabilità dell’estetica nobiliare è oggetto dell’ironia di Parini in quanto manifesta una predilezione effeminata per il lusso e nasconde l’iniquità dell’ordine sociale che presuppone, ma il vago, il dolce e il soave, di per sé, appartengono anche all’estetica del poeta: nei Soggetti, per esempio, essi sono spesso evocati a caratterizzare positivamente le immagini proposte. 183 cavo legno: il violino. – fila: le corde dello strumento. 184-185 Nè la squisita […] manchi: e non manchi, a completare la deliziosa, eletta compagnia che circonda il tuo letto. – L’anastrofe interviene come di consueto a sostenere il dettato e l’ironia. 186 tenero idioma: il francese. – tenero: cfr. v. 181 e nota. 187 de le Grazie madre: cfr. la «Vergine cuccia de le Grazie alunna» di MZ 519 e le Galliche grazie di NT 548. 188 ambrosia: il cibo degli dei, che con il nettare conservava loro giovinezza e immortalità. Secondo alcune fonti, nettare e ambrosia sgorgavano dalle corna della capra Amaltea; secondo altre, da sorgenti situate nel giardino delle Esperidi. 189 nauseata: stuccata, infastidita dalla sua stessa lingua. 190-191 l’itale voci […] tiranno: le parole italiane siano troncate e cedano il campo all’altro idioma che le tiranneggia. – tronche: allude alla pronuncia delle parole francesi, accentate sull’ultima vocale. – Parini aveva ironizzato sui forestierismi linguistici, e in particolare sui francesismi alla moda, già nel Discorso sopra le Caricature, dove una dama si esprime così: «mi permetterete ch’io mi lusinghi di non avermi a rendere indegna di questo bel mondo. Frattanto io mi prenderò ben guardia di non meritarlo; e spero che voi menagerete troppo bene il mio spirito per non attaccargli
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il mattino E a la nova ineffabile armonía De’ soprumani accenti, odio ti nasca Più grande in sen contro alle impure labbra Ch’osan macchiarsi ancor di quel sermone Onde in Valchiusa fu lodata e pianta Già la bella Francese, et onde i campi All’orecchio dei Re cantati furo Lungo il fonte gentil de le bell’acque. (1) Misere labbra che temprar non sanno Con le Galliche grazie il sermon nostro,
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(1) Alamanni. Coltivaz. Mss.
197 et onde i ] e i culti c
del ridicolo» (p. 148). Nelle Lezioni di Belle Lettere, inoltre, Parini afferma che le scienze e le lettere andranno incontro a una nuova decadenza «se la vanità degl’ingegni Italiani non lascia di strascinarli ciecamente dietro alle opinioni ed al gusto intemperante di molti forestieri scrittori» (c. 241r, p. 251). 192-193 a la nova […] accenti: e udendo l’armonia mai udita e irripetibile delle parole divine. 195-197 quel sermone […] la bella Francese: quel linguaggio, ovvero l’italiano, con il quale in Valchiusa Laura fu lodata e pianta. – Valchiusa: regione della Francia meridionale (Vaucluse) dove Petrarca soggiornò. Cfr. La gratitudine 256-260, dove Petrarca è chiamato «gran Tosco […] / Che gli antiqui vestigi / Del saper discoperse, e fèo la chiusa / Valle sonar di così nobil Musa». – lodata e pianta: si riferisce alle due sezioni dei Rerum vulgarium fragmenta, in vita (testi i-cclxiii) e in morte (testi cclxiv-ccclxvi) di Laura. – et onde: la forma et è usata anche altrove nel testo, secondo un criterio di musicalità per il quale, tra l’altro, Parini cerca di evitare la ripetizione della consonante occlusiva dentale sonora [d]. 198 All’orecchio dei Re: Parini si riferisce alla Coltivazione di Alamanni, che originariamente, nel 1546, fu dedicata a Francesco I (ma Albini ricorda anche Alamanni, Coltivazione ii 472-474: «Per divisar ritorno al buon cultore / Quel che deggia operar, pur ch’a voi piaccia / L’alte orecchie reali avere intente»). Il poema alamanniano è citato qui come esempio di poesia italiana insigne e per il suo ruolo nella tradizione didascalica alla quale Il Mattino si richiama. Ammirazione per Alamanni è espressa anche nelle Lezioni di Belle Lettere: «Luigi Alamanni, scrittore di cose liriche, di satire, di tragedie, e di poemi, merita spezialmente d’essere studiato, come uno degli ottimi; il suo Poema della Coltivazione, è testo classico della lingua della poesia, e della letteratura italiana, una delle opere che è vergogna di non aver mai letto» (c. 218r, p. 235). 199 Lungo […] acque: come Parini stesso indica in nota, questo verso è una citazione di Alamanni, Coltivazione v 19. Esso indica la località di Fontainebleu, il cui nome era inteso come contrazione di «fontaine belle eau» e dove i re di Francia risiedevano talvolta per proprio piacere (Albini). 201 le Galliche grazie: le dolcezze del francese. – Cfr. ancora v. 181 e nota.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Sì che men aspro a’ dilicati spirti, E men barbaro suon fieda gli orecchi! Or te questa, o Signor, leggiadra schiera Trattenga al novo giorno; e di tue voglie Irresolute ancora or l’uno, or l’altro Con piacevoli detti il vano occùpi, Mentre tu chiedi lor tra i lenti sorsi Dell’ardente bevanda a qual cantore Nel vicin verno si darà la palma Sopra le scene; e s’egli è il ver, che rieda L’astuta Frine che ben cento folli Milordi rimandò nudi al Tamigi; O se il brillante danzator Narcisso Tornerà pure ad agghiacciare i petti De’ palpitanti Italici mariti. Poichè così gran pezzo a’ primi albori
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210
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202 dilicati ] dilicati, A3 206 uno, ] uno A2 A3 217 Soppresso il capoverso in c
203 fieda: ferisca. – È latinismo usato già da Dante (cfr. Inf. xxii 6 e 95). 204-205 Or te questa […] novo giorno: dunque questa leggiadra compagnia ti intrattenga sul limitare del giorno. – leggiadra schiera: riprende la squisita […] corona del v. 184. 207 il vano occùpi: occupi il vuoto (dei desideri senza oggetto). – occùpi: l’accento è spostato con diastole sulla penultima sillaba. – Il futile dovrebbe colmare il vuoto esistenziale del giovin signore. 209 cantore: cantante d’opera lirica. 212 Frine: etera greca, nata a Tespie, in Beozia, e vissuta ad Atene nel iv secolo a.C. Fu modella di Prassitele per due statue e forse anche sua amante. Qui il suo nome è usato per antonomasia a significare «cortigiana», come anche, al plurale, in MZ 715. Tizi ricorda Sergardi, Satire x 568-569: «Gli occhi del capo caverassi inante / Che lasciar la sua Frine». Vittorio Alfieri, invece, nella nota del 30 aprile 1777 dei Giornali, chiama la sua amante «dotta Frine». 212-213 che ben cento […] Tamigi: per la quale molti nobili inglesi, pazzi d’amore, tornarono a casa spogliati delle loro ricchezze. 213 Narcisso: figlio del fiume Cefiso e della ninfa Liriope, rifiutò l’amore di Eco e di altre ninfe e fu punito per questo dalla dea Nemesi, che lo indusse a innamorarsi della sua stessa immagine riflessa nell’acqua. Non potendo raggiungere l’oggetto del proprio amore, morì consumato dalla passione e il suo corpo si trasformò nel fiore omonimo. Il mito è narrato in Ovidio, Metamorfosi iii 339-510. In questo passo, il nome di Narciso, come già quello di Frine, è usato per antonomasia, per alludere alla vanità dei ballerini. 215-216 ad agghiacciare […] mariti: a tormentare con la gelosia i cuori palpitanti dei mariti italiani. 217 gran pezzo: a lungo.
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Altre edd. Mss.
il mattino Del tuo mattin teco scherzato fia Non senz’aver licenzi-ato prima L’ipocrita pudore, e quella schifa, Cui le accigliate gelide matrone Chiaman modestia, alfine o a lor talento, O da te congedati escan costoro. Doman si potrà poscia, o forse l’altro Giorno a’ precetti lor porgere orecchio, Se meno ch’oggi a te cure dintorno Porranno assedio. A voi divina schiatta, Vie più che a noi mortali il ciel concesse Domabile midollo entro al cerèbro,
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220 schifa, ] schifa A2 A3 222 talento, ] talento A2 A3 224 poscia, ] poscia A2 A3 225 orecchio, ] orecchio A2 A3 226 dintorno ] d’intorno A3 221 Crocetta accanto al verso in b; Cui ] Che c 226 meno ] men c; a te cure ] le cure a te c 229 Domabile midollo ] Domabili midolle c
219 licenzi-ato: congedato. – La lineetta segnala che la parola deve essere letta come pentasillabo. 220 schifa: schiva, scostante, ritrosa. 221-222 cui le accigliate […] modestia: che le nobildonne più mature, severe e fredde chiamano modestia. – gelide: riecheggia la ghiacciata Ragione della dedica e allude al raffreddamento dei sensi causato alle matrone dall’età. Il precettore insinua che l’appello alla modestia, intesa come continenza nell’esibizione del proprio aspetto, sia ipocrita come il pudore (v. 220). Nelle Lettere del conte N. N. ad una falsa divota, analogamente, il conte N. N. insinuava che la nuova devozione della sua amica Elisa fosse dovuta all’avanzare dell’età (cfr. la maligna allusione al «bel petto» che Elisa aveva «molti anni sono», a p. 172). 223 a lor talento: di loro iniziativa. 224 poscia: è forma arcaica, che nella seconda redazione del poemetto sarà abbandonata. 224-225 l’altro / Giorno: dopodomani. – La spezzatura assume qui valore iconico di rinvio. 225 porgere orecchio: riprende il tender gli orecchi del v. 15, così come il verso successivo riecheggia il v. 14. È espressione tipica del genere didascalico, per cui Tizi ricorda Rucellai, Api 56: «deh porgi le tue dotte orecchie»; Baldi, Nautica iii 308309 «e porgi / Gli orecchi intenti a me»; Marchetti, Natura ii 1033: «Or porgi in oltre a questi versi orecchio»; e Spolverini, Riso iv 9-10: «Voi pur facile e attento a questi carmi, / Generoso Signor, porgete orecchio». Parini la usa anche in MZ 597 e 1248, ma altrove varia con volgi (MT i 395) o piega (MZ 19). 226-227 Se meno […] assedio: ironico ed eroicomico (assedio è termine del lessico militare), ma riprende anche il tema del tormento della noia. 227 divina schiatta: torna il motivo ironico della divinità dei nobili, per cui cfr. v. 3 e nota. 228 Vie più: molto più. 229 Domabile […] cerèbro: docile materia cerebrale. – Agisce qui la filosofia sensista, ma forse si riecheggia anche la trattatistica retorica latina, secondo la quale il retore doveva rendere il suo pubblico docile, ovvero ricettivo al suo docere. La scelta
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Sì che breve lavor basta a stamparvi Novelle idee. In oltre a voi fu dato Tal de’ sensi e de’ nervi e degli spirti Moto e struttura, che ad un tempo mille Penetrar puote, e concepir vostr’alma Cose diverse, e non però turbarle O confonder giammai, ma scevre e chiare Ne’ loro alberghi ricovrarle in mente. Il vulgo intanto a cui non dessi il velo Aprir de’ venerabili misterj, Fie pago assai, poi che vedrà sovente Ire e tornar dal tuo palagio i primi D’arte maestri, e con aperte fauci
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236 giammai, ] giammai; A2 A3 238 Soppresso il capoverso in c; intanto ] intanto, c
di Domabile e l’intenzione generalmente ironica, comunque, mirano innanzitutto a stigmatizzare la debolezza di intelletto del giovin signore. 230-231 stamparvi / Novelle idee: imprimervi nuove idee. – Anche questa espressione risente nella sua formulazione della filosofia sensista, mentre un gusto scientifico e materialistico agisce nell’intero passo e detta midollo e cerèbro, sopra, e sensi, nervi, spirti, moto e struttura, sotto. 233-235 che ad un tempo […] diverse: che il vostro intelletto può afferrare e comprendere molte idee diverse contemporaneamente. – Penetrar: cfr. il v. 642. 236 scevre e chiare: richiama il Discorso sul metodo di Descartes, presente anche a un passo del Discorso sopra le Caricature: «non s’udiva altro discorrere che di maniera di pensare e di ragionare, di pregiudizj, d’idee chiare e distinte» (p. 149). Cfr. inoltre le Lezioni di Belle Lettere: «Gli uomini che noi giudichiamo meglio organizzati o sia di miglior talento o sia meglio educati son quelli, che sanno meglio distinguer nell’animo loro un’idea dall’altra, che sanno meglio discoprire i lati per gli quali esse idee si approssimano fra loro e si assomigliano, e che le sanno meglio esprimere» (c. 101r, p. 150). 237 Ne’ loro […] mente: riporle nei loro luoghi deputati nella mente. – Può essere presente l’idea retorica dei loci della memoria, dove gli argomenti erano riposti in attesa di essere usati, ma è anche sottinteso che il giovin signore può dominare le mille […] Cose solo banalizzandole. 238-240 Il vulgo […] assai: intanto il popolo, al quale non si devono svelare i misteri sacri (relativi cioè alla vita dei nobili), si accontenterà. – vulgo: è forma frequente nel poemetto, dove del vulgo sempre si rilevano la distanza che deve separarlo dalla nobiltà, la subordinazione e la diversità. Cfr. per esempio MT i 630-633 e 851-853 e MZ 335-338. – pago assai: l’avverbio che modifica la quantità dell’aggettivo è spesso posposto: cfr. rigido assai, MT i 690; artificiosa meno, MT i 519; intento meno, MZ 748; cupida troppo, MZ 129; lontana troppo, MZ 342. 241-42 i primi / D’arte maestri: i più celebrati maestri di ballo, di musica e di francese (nominati sopra). – Per l’unione di iperbato e spezzatura, cfr. vv. 1-3 e nota.
il mattino Stupefatto berà le tue sentenze. Ma già vegg’io, che le ozi-ose lane Soffrir non puoi più lungamente, e in vano Te l’ignavo tepor lusinga e molce, Però che or te più gloriosi affanni Aspettan l’ore a trapassar del giorno. Su dunque o voi del primo ordine servi Che degli alti Signor ministri al fianco Siete incontaminati, or dunque voi Al mio divino Achille, al mio Rinaldo L’armi apprestate. Ed ecco in un baleno Mss.
244 già ] ben c
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249 Su ] Or c
242-243 e con aperte fauci […] sentenze: e a bocca aperta, stupefatto (per la loro stolida arditezza), berrà i tuoi pronunciamenti. – sentenze: aggiunge l’ironia di connotazioni sapienziali. 244 oziose lane: coperte (metonimicamente) sotto le quali si resta in ozio (con ipallage). – Cfr. RVF vii 1: «l’otïose piume»; ma anche Don Chisciotte, monologando in stile pseudoepico sull’inizio del proprio viaggio, dice di avere disertato «las ociosas plumas» (Don Quijote, i, ii p. 38). 245-246 invano […] molce: inutilmente il calore delle coperte, che indurrebbe a protrarre l’ozio, ti tenta e ti accarezza. – ignavo tepor: per la parziale personificazione ottenuta con l’attributo morale, cfr. l’ipocrita pudore (v. 220) e la schifa […] modestia (vv. 220-222). – Molce: è verbo di lunga tradizione lirica (cfr. per esempio RVF ccclxiii 9: «Fuor di man di colui che punge et molce») e contribuisce al carattere insieme sensista e mollemente indeterminato del passo. 247 affanni: impegni, fatiche. – Riprende le cure dei vv. 13, 32, 97 e 226, ma con una nota d’ansia più pronunciata. Cfr. i vv. 436 e 452. 249 del primo ordine servi: servitori addetti alla persona del giovin signore. – L’espressione ricalca il latino «primus ordo, detto dei soldati della prima schiera» (Bonora). Eroicomicamente, quindi, denota i servitori più vicini alla persona del giovin signore. 250 ministri: servitori. – È latinismo semantico (minister). 251 incontaminati: allude alla presunta perfezione morale dei ministri del giovin signore e al loro distacco dai comuni mortali. – or dunque voi: riprende il primo emistichio del v. 249. Anche il successivo v. 252 è costruito per ripetizione e variazione. 252 Al mio […] Rinaldo: Parini evoca Omero e Tasso. Nell’Educazione, ad Achille è paragonato il giovane Imbonati, di fronte al quale il poeta sta come Chirone, maestro dell’eroe. Qui però il riferimento mitologico non è nobilitante, ma satirico per antifrasi. Tizi segnala inoltre Frugoni, Versi sciolti ii 133-137: «Infin pensai ch’altri salire in grido / Potria per la sublime Epica tromba, / Che un nuovo Achille, o un redivivo Ulisse, / O l’insigne pietà d’un altro Enea / E d’un altro Goffredo al ciel ergesse»; e viii 77: «Rinasca un nuovo Ulisse, un nuovo Achille». 253-259 Ed ecco […] pelli: Tizi segnala Aeneis i 427-436: «hic portus alii effodiunt; hic alta theatri / fundamenta locant alii […] fervet opus redolentque thymo fragran-
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A1 Altre edd.
giuseppe parini I tuoi valetti a’ cenni tuoi star pronti. Già ferve il gran lavoro. Altri ti veste La serica zimarra ove disegno Diramasi Chinese; altri, se il chiede Più la stagione, a te le membra copre Di stese infino al piè tiepide pelli. Questi al fianco ti adatta il bianco lino Che sciorinato poi cada, e difenda I calzonetti; e quei, d’alto curvando Il cristallino rostro, in su le mani Ti versa acque odorate, e da le mani In limpido bacin sotto le accoglie. Quale il sapon del redivivo muschio 255 Gia 254 pronti. ] pronti: A2 A3 A2 A3
257 altri, ] altri A2 A3
255
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262 quei, ] quei
tia mella»; e Bentivoglio, Tebaide i 693-703: «E si preparin nuove cene: Pronti / Accorrono i Ministri e ne rimbomba / Di vario suono la sublime Reggia. / Altri portan purpurei aurei tappeti, / E n’adornano i Letti: altri le mense / Copron co’ bianchi lini: altri le Faci / Accendon su le pendole lumiere: / […] Ferve nell’opra la Real Famiglia»; e nota che «appare rilevante la mediazione di Bettinelli, Versi sciolti iv 219-222», dove già il passo virgiliano è ripreso per descrivere un banchetto allegorico con accenti mondani: «Ferve l’opra, ed altri / Vengon Genj e vanno, altri gli eletti / Versan volumi: ogni dottrina, ogni arte, / Ed ogni Musa ha il suo ministro alato». – La serica zimarra […] Chinese: la zimarra (dallo spagnolo zamarra e, prima ancora, dal basco zamar) è propriamente un lungo soprabito, ma qui, con serica, si intende una veste da camera. Ancora Tizi rileva che la zimarra è spesso nominata nella poesia burlesca dei secoli xvii e xviii. Il disegno cinese sembra invece esibire un superficiale gusto per l’esotico. Infine, si noti la trama fonica intessuta nei due versi dalle vocali [i] ed [e] con [s] e [d]. 260-262 Questi […] calzonetti: questi ti aggiusta sul fianco un drappo di lino bianco, che si distenda a proteggerti i calzoni (dall’acqua versata). – La scena è una parodia del rito della vestizione dell’eroe di tradizione epica. 262-263 d’alto […] rostro: inclinando dall’alto il becco della brocca. – Anche d’alto e rostro riecheggiano parodicamente il lessico della poesia epica. 266-267 Quale il sapon […] all’intorno: uno ti porge il sapone profumato del muschio che torna a diffondersi nell’aria. – muschio: è una sostanza odorosa che in alcune specie di mammiferi, come il mosco, ha funzione di segnale olfattivo e che viene usata in profumeria. È detto redivivo perché la sua essenza, il muscone, si libera quando il sapone si scioglie nell’acqua. Cesare Beccaria, nel suo Frammento sugli odori («Il Caffè», t. i, f. iv), scrive: «Il muschio e l’ambra s’insinua talmente nelle intime parti del corpo che la traspirazione di chi ne usa è tutta di odor di muschio fragrante. Ciò si chiama un migliorare la nostra macchina, che per lo più esala un sudore ingrato». E cfr. il Dialogo sopra la Nobiltà: «Voi non olezzate già più muschi
il mattino Olezzante all’intorno; e qual ti porge Il macinato di quell’arbor frutto, Che a Ròdope fu già vaga donzella, E chiama in van sotto mutate spoglie Demofoonte ancor Demofoonte. (a) L’un di soavi essenze intrisa spugna Onde tergere i denti, e l’altro appresta Ad imbianchir le guance util licore. Assai pensasti a te medesmo; or volgi Le tue cure per poco ad altro obbietto Non indegno di te. Sai che compagna Con cui divider possa il lungo peso Di quest’inerte vita il ciel destìna
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(a) Filli cangiata in Mandorlo. V. la Favola. Altre edd.
268 frutto, ] frutto A2 A3 271 Demofoonte. (a) ] Demofoonte. (1) A2 A3 (anche in nota a piè pagina) 274 licore. ] licore A2 A3
ed ambra» (p. 188). La cura nell’abbigliamento manifesta la divisione di classe tra nobiltà e popolo. – Anche questo passo risente della filosofia sensista e della sua attenzione verso i processi biologici. 267-271 e qual ti porge […] Demofoonte: Parini rievoca la versione ovidiana (cfr. Heroides ii) del mito di Filli, figlia del re di Tracia Sitone e promessa sposa di Demofoonte, che si uccise perché credette di essere stata abbandonata e fu trasformata in mandorlo. Il Rodope era il monte della Tracia presso il quale abitava Sitone con la sua corte. Cfr. inoltre Alamanni, Coltivazione i 534-535: «L’arbor gentil, che già sostenne in alto / La morta Filli»; e v 987-990: «con l’olio insieme / Di quel frutto gentil sopra i cui rami / Sì veloce al suo mal morì sospesa / L’impaziente Filli». Infine, il mito di Filli è rievocato in Par. ix 100-101: «né quella Rodopëa che delusa / fu da Demofoonte». Secondo l’uso ironico del poemetto, una lunga perifrasi mitologica è dispiegata a denotare la pasta di mandorle, che il giovin signore usa con il muschio per profumarsi. 273 Onde tergere i denti: con la quale detergere i denti. 274 Ad imbianchir […] licore: il belletto, utile per imbiancare le guance. – utile: può essere inteso letteralmente rispetto al fine cosmetico di imbiancare il viso, ma in senso antifrastico rispetto a una più ampia idea di utilità. 275 Assai: abbastanza. 276 per poco: l’attenzione del giovin signore, votato all’effimero, non deve posarsi a lungo su nulla. 277-280 Sai che […] giovane Signore: sai che il cielo destina a ogni giovane nobile una compagna con la quale egli possa condividere il peso di questa inane vita. – compagna […] vita: l’affermazione è insieme antifrastica e autentica (cfr. vv. 9-10 e nota). – il ciel destìna: come ai vv. 61-63, Parini ironizza sull’origine delle leggi sociali e sulla sacra inviolabilità del costume nobiliare.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Al giovane Signore. Impallidisci? No non parlo di nozze: antiquo e vieto Dottor sarei se così folle io dessi A te consiglio. Di tant’alte doti Tu non orni così lo spirto, e i membri, Perchè in mezzo a la tua nobil carriera Sospender debbi ’l corso, e fuora uscendo Di cotesto a ragion detto Bel Mondo, In tra i severi di famiglia padri Relegato ti giacci, a un nodo avvinto Di giorno in giorno più penoso, e fatto Stallone ignobil de la razza umana. D’altra parte il Marito ahi quanto spiace, E lo stomaco move ai dilicati Del vostr’Orbe leggiadro abitatori Qualor de’ semplicetti avoli nostri Portar osa in ridicolo trionfo
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284 membri, ] membri A2 A3 291 Stallone ] Autore c 292 Soppresso capoverso in c
280 Impallidisci?: cfr. l’analoga reazione del giovin signore al v. 53. 281-282 antiquo […] Dottor: maestro antiquato e obsoleto. – Dottor: Anche Virgilio, nella Commedia, è chiamato «dottore» (cfr. per esempio Inf. v 70), secondo il significato del latino docere. – La spezzatura enfatizza la semantica aggettivale, così come l’iperbato che segue sottolinea la follia del consiglio (v. 283). 284 lo spirto, e i membri: la mente e il corpo. 285 carriera: Ferretti nota che carriera denota anche il passo più veloce del cavallo e dunque inizia una nuova metafora zoomorfa che continuerà con corso (v. 286) e si concluderà con Stallone (v. 291). 287 Bel Mondo: torna ancora al v. 312 e poi in MZ 194, 495 e 1260 e in NT 117. 288-289 In tra i severi […] ti giacci: giaccia relegato tra gli austeri padri di famiglia. 291 Stallone ignobil: Parini muterà questa espressione in autore ignobil (cfr. qui in apparato) e infine, nella seconda redazione, in ignobil fabbro (MT ii 266). Stallone doveva essergli sembrato incoerente con l’immagine di mollezza del giovin signore, o scabroso e stridente con la crescente raffinatezza della sua scrittura. 293 move: urta, rivolta. 294 Orbe leggiadro: variazione su Bel mondo, così come amabil Globo al v. 307. – abitatori: è variato in cittadino al v. 312. 295 semplicetti avoli: antenati semplici, austeri. – Dopo il genitor frugale del v. 6, ripetono l’immagine di una nobiltà che alle sue origini non era contaminata dal superfluo. Si noti anche la prolessi del complemento di specificazione rispetto all’oggetto («La rimbambita Fè, la Pudicizia», al v. 297).
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Altre edd. Mss.
il mattino La rimbambita Fe, la Pudicizia Severi nomi! E qual non suole a forza In que’ melati seni eccitar bile Quando i calcoli vili del castaldo Le vendemmie, i ricolti, i pedagoghi Di que’ sì dolci suoi bambini altrui, Gongolando, ricorda; e non vergogna Di mischiar cotai fole a peregrini Subbietti, a nuove del dir forme, a sciolti Da volgar fren concetti onde s’avviva Da’ begli spirti il vostro amabil Globo. Pera dunque chi a te nozze consiglia. Ma non però senza compagna andrai Che fia giovane dama, ed altrui sposa; 299 303 310 300 310
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310
que’ ] quei A3 302 bambini altrui, ] bambini, altrui A2 A3 Gongolando, ] Gongolando A2 A3 307 Globo. ] Globo, A2 A3 giovane ] giovine A3 calcoli ] computi c 302 bambini altrui, ] bambini, altrui b ed ] e d’ c
297 la rimbambita Fè: la fedeltà degna dei rimbambiti. – Cfr. l’ipocrita pudore (v. 220) e la schifa […] modestia (vv. 220-222). 298 Severi nomi!: riprende i severi di famiglia padri del v. 288, ma riduce le virtù, cinicamente, a nomi. 298-299 E qual […] bile: e quale attacco di bile non suscita irresistibilmente in quei dolci petti. 300 castaldo: l’amministratore della fattoria. 301 ricolti: raccolti. 302 Di que’ […] altrui: grammaticalmente, altrui può essere inteso come complemento di termine di ricorda (v. 303) o come aggettivo riferito a bambini, alla cui incerta paternità maliziosamente si allude. 303 e non vergogna: e non si vergogna. – Lo stesso uso assoluto del verbo ricorre in MZ 238 e 1029. 304-307 a peregrini […] Globo: agli argomenti stravaganti, alle nuove forme idiomatiche e alle idee libere dai vincoli di un pensiero troppo comune con cui il vostro mondo leggiadro è ravvivato dai suoi spiriti brillanti. – Alla razionalità e alla morale tradizionale, i nobili preferiscono la stravaganza e la novità che li distraggono dalla noia. Nei concetti sciolti, tuttavia, si legge un’allusione all’insensatezza dei loro discorsi. 308 Pera: muoia. – È anatema tradizionale. Cfr. La salubrità dell’aria 25: «Pera colui»; La musica 7-8: «Ahi pera lo spietato / Genitor»; e il sonetto Pèra colui che dall’estraneo lito (PV lxxxvii). Tornerà in MZ 503, pronunciato dall’ospite vegetariano. 310 altrui sposa: come i bambini (v. 302), ma inversamente, la sposa è altrui. L’espressione diventerà formulare attraverso le ripetizioni di MT i 499, 682, 744, e 822; di MZ 780; e di NT 137 e 315 (mentre si ha altrui […] consorte in NT 128).
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25 Mss.
giuseppe parini Poichè sì vuole inviolabil rito Del Bel Mondo onde tu se’ cittadino. Tempo già fu, che il pargoletto Amore Dato era in guardia al suo fratello Imene; Poichè la madre lor temea, che il cieco Incauto Nume perigliando gisse Misero e solo per oblique vie, E che bersaglio agl’indiscreti colpi Di senza guida, e senza freno arciero, Troppo immaturo al fin corresse il seme Uman ch’è nato a dominar la terra. Perciò la prole mal secura all’altra 311 Una crocetta accanto al verso in c altera c 322 Perciò ] Però c
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312 tu se’ cittadino ] se’ parte sì
311 inviolabil rito: il giovin signore dovrà mostrare il consueto religioso rispetto per la consuetudine aristocratica del cavalier servente. 313-395 La favola di Amore e Imene esemplifica il topos didascalico del mito eziologico. Altre ne seguiranno nel corso del poemetto, da quella della cipria (MT i 749771) a quella del canapè (NT 276-350), con intenzione duplice di derisione eroicomica del costume nobiliare e di richiamo alla tradizione letteraria greca e latina. 313 Tempo già fu: vi fu un’epoca. 314 Imene: presso i greci e i romani, Imene, o Imeneo, era il nume tutelare delle nozze legittime. Secondo alcune fonti era figlio di Apollo e di una musa, essendo originariamente legato al canto nuziale; secondo altre, alle quali Parini si richiama, di Venere e Bacco. I suoi attributi tradizionali erano la fiaccola (per cui cfr. il v. 385), la corona di fiori e talvolta il flauto. 315 la madre lor: Venere. 315-317 che il cieco […] per oblique vie: che il dio bendato (così Amore è tradizionalmente rappresentato) e imprudente andasse per vie traverse, solo e abbandonato, e così incontrasse dei pericoli. – oblique vie: sono quelle degli amori illeciti. Cfr. Ger. Lib. xv 1, 7, dove «oblique vie» circondano e proteggono il palazzo di Armida. – La situazione non è priva di ironia, con Venere che originariamente pensa che bisognoso di protezione sia Amore. 318-321 E che bersaglio […] la terra: e che il genere umano, nato per regnare sul mondo, divenuto bersaglio delle frecce scoccate senza criterio da un arciere privo di guida e di freni, si estinguesse prematuramente. – seme uman: se in questa espressione si coglie un doppio senso sessuale, troppo immaturo al fin corresse potrebbe essere inteso come «si precipitasse prematuramente a consumare il suo desiderio erotico». Per questo possibile doppio senso di seme, cfr. NT 248-253: «Io, di razza mortale ignoto vate, / Come ardirò di penetrar fra i cori / De’ semidei, ne lo cui sangue in vano / Gocciola impura cercheria con vetro / Indagator colui che vide a nuoto / Per l’onda genitale il picciol uomo?»; e il sonetto Nel maschio umor più puro un verme sta (PV xc), che mostrano come Parini sapesse rappresentare nei suoi versi anche la fisiologia della riproduzione. 322 la prole mal secura: Amore, esposto ai pericoli e a sua volta pericoloso.
il mattino In cura dato avea, sì lor dicendo: ” Ite o figli del par; tu più possente ” Il dardo scocca, e tu più cauto il guida ” A certa meta. ” Così ognor compagna Iva la dolce coppia, e in un sol regno, E d’un nodo comun l’alme stringea. Allora fu che il Sol mai sempre uniti Vedea un pastore, ed una pastorella Starsi al prato, a la selva, al colle, al fonte; E la Suora di lui vedeali poi Uniti ancor nel talamo beato Ch’ambo gli amici Numi a piene mani Gareggiando spargean di gigli e rose. Ma che non puote anco in divino petto, Se mai s’accende ambizi-on di regno? Crebber l’ali ad Amore a poco a poco, E la forza con esse; ed è la forza Unica e sola del regnar maestra.
Mss.
328 stringea ] strignea c
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329 fu che il ] il chiaro c
324 Ite o figli del par: andate insieme, figli miei. 325-326 il guida / A certa meta: guidalo a un esito sicuro (ovvero al matrimonio). 329 mai sempre: sempre. – Cfr. v. 143 e nota e v. 733. 331 Starsi […] al fonte: enumerazione di ascendenza petrarchesca (cfr. per esempio RVF lxxi 37: «O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi»), che dipinge i luoghi ameni e l’età felice del consenso di Amore e Imene. 332 la Suora di lui: sua sorella, la Luna. – Cfr. Purg. xxiii 120: «la suora di colui». 333 talamo: in età omerica era la camera nuziale; per traslato, assunse nel linguaggio poetico il significato di «letto nuziale». 335 gigli e rose: il giglio è simbolo di purezza e l’iconografia cristiana lo associa alla Madonna. La rosa è simbolo di passione: quando Afrodite corre da Adone ferito a morte e si graffia con dei rovi, dal suo sangue nascono rose rosse. Parini ricorda il mito nelle Lezioni di Belle Lettere, c. 93r, p. 144. 336-337 Ma che […] regno?: richiama Aeneis iii 56-57: «quid non mortalia pectora cogis, / auri sacra fames?», dove Enea deplora l’assassinio di Polidoro (il pariniano anco sembra implicare i mortalia pectora di Virgilio). Il passo virgiliano è riecheggiato in numerosi luoghi della tradizione letteraria, a cominciare da Purg. xxii 40-41: «‘Per che non reggi tu, o sacra fame / de l’oro, l’appetito de’ mortali?’»; e cfr. Martello, Femia i, ii 364-365: «E a che non sforzi tu gli umani petti, / o d’onor vano sacrilega fame?»; Roberti, Perle 378-379: «Ché a tutto spigne, e tutto puote fame / In mortal petto di ricchezza ambita»; e (Fabrizi, p. 93) Bentivoglio, Tebaide ii 708: «Empio furor di Regno, e che non osi?».
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Mss.
giuseppe parini Perciò a poc’aere prima, indi più ardito A vie maggior fidossi, e fiero alfine Entrò nell’alto, e il grande arco crollando, E il capo, risonar fece a quel moto Il duro acciar che la faretra a tergo Gli empie, e gridò: solo regnar vogl’io. Disse, e volto a la madre ” Amore adunque ” Il più possente in fra gli Dei, il primo ” Di Citerea figliuol ricever leggi, ” E dal minor german ricever leggi ” Vile alunno, anzi servo? Or dunque Amore ” Non oserà fuor ch’una unica volta ” Ferire un’alma come questo schifo ” Da me vorrebbe? E non potrò giammai ” Dappoi ch’io strinsi un laccio, anco slegarlo ” A mio talento, e qualor parmi un altro ” Stringerne ancora? E lascerò pur ch’egli 341 Perciò ] Egli c Strignerne c
354 vorrebbe ] pur chiede c
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357 Stringerne ]
341-343 Perciò […] alto: e dunque tentò prima un breve volo, poi osò levarsi più in alto e infine, fieramente, affrontò il cielo aperto. – vie: avverbio intensivo (cfr. anche il v. 690) che modifica maggior, attributo di un secondo aere sottinteso. – alto: è tradizionalmente attribuito al mare aperto (a cominciare da Aeneis i 3: «multum ille et terris iactatus et alto»), ma qui passa agevolmente al cielo. 343-346 e il grande arco […] empie: e, scuotendo l’arco e il capo, fece risuonare con quel moto l’acciaio delle frecce che riempivano la faretra sulle sue spalle. 347 Disse: la ripetizione del verbum dicendi dopo il discorso diretto è caratteristica della narrazione epica. È frequente nell’Aeneis, ma cfr. anche Ger. Lib. i 29, 1, dopo l’orazione di Goffredo: «Disse, e a i detti seguì breve bisbiglio». 347-351 Amore adunque […] dunque Amore: le ripetizioni di Amore adunque […] dunque Amore, con variazione, e di ricever leggi […] ricever leggi, identica, conferiscono enfasi retorica al discorso di Amore. – Citerea: così era detta Venere dal nome dell’isola greca di Citera, dove sarebbe nata (ma altre fonti indicano Cipro). – Vile alunno, anzi servo: si noti la progressione da Vile alunno, dove la subordinazione a Imene è descritta come assoggettamento a un magistero, ad anzi servo, dove essa diventa asservimento. Anche così Amore rifiuta la saggezza e sposta la sua rivendicazione sul terreno della forza «Unica e sola del regnar maestra» (v. 340). 352 una unica volta: la ridondanza di una unica, e senza elisioni, esprime la frustrazione di Amore per il vincolo del solo colpo che egli può infliggere a ciascun uomo. 353 schifo: schifa era già la modestia delle gelide matrone (vv. 220-222). 354-357 E non potrò […] ancora?: e, avendo stretto un legame amoroso (tra un uomo e una donna), non potrò mai scioglierlo a mio piacimento e, qualora ciò mi aggradisca, stringerne uno nuovo? – A mio talento, e qualor parmi: la ripetizione della stessa idea insiste sul narcisismo del capriccio di Amore.
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il mattino ” Di suoi unguenti impeci a me i miei dardi ” Perchè men velenosi e men crudeli ” Scendano ai petti? Or via perchè non togli ” A me da le mie man quest’arco, e queste ” Armi da le mie spalle, e ignudo lasci ” Quasi rifiuto de gli Dei Cupido? ” O il bel viver che fia qualor tu solo ” Regni in mio loco! O il bel vederti, lasso! ” Studiarti a torre da le languid’alme ” La stanchezza e ’l fastidio, e spander gelo ” Di foco in vece! Or genitrice intendi, ” Vaglio, e vo’ regnar solo. A tuo piacere ” Tra noi parti l’impero, ond’io con teco ” Abbia omai pace, e in compagnía d’Imene ” Me non trovin mai più le umane genti. ” Qui tacque Amore, e minaccioso in atto, Parve all’Idalia Dea chieder risposta. Ella tenta placarlo, e pianti e preghi Sparge ma in vano; onde a’ due figli volta Con questo dir pose al contender fine.
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358 Di suoi unguenti […] dardi: mi imbratti le mie frecce con i suoi unguenti. – impeci: assimila alla pece, dispregiativamente, gli unguenti di Imene. – a me i miei: il poliptoto dichiara nuovamente il narcisismo egocentrico di Amore. 363 Quasi rifiuto de gli Dei: come se fosse stato fatto oggetto di rifiuto da parte degli dei. 364-365 O il bel viver […] lasso!: l’apostrofe a Imene (tu solo) e l’anafora di O il bel viver […] O il bel vederti proseguono il crescendo retorico iniziato con le domande melodrammatiche dei versi precedenti. 366 Studiarti a torre: ingegnarti e affaticarti a togliere. 367 La stanchezza e ’l fastidio: eppure il fastidio (v. 10) e la stanchezza, con gli stanchi sensi del v. 90 e con il lungo peso del v. 278, accompagneranno tutto il giorno anche il giovin signore. Nel costume nobiliare, la libertà di Amore si rivela una licenza degradata e presto logorante per la noia che arreca. 368 Di foco in vece: invece del fuoco. 369 vaglio: valgo, sono potente. 370 parti l’impero: dividi il regno. 373 minaccioso in atto: anche quest’espressione, per cui Tizi ricorda i precedenti di Ger. Lib. viii 84, 2: «ed in atto feroce e minacciante»; e x 52, 2, «in minaccievol atto», contribuisce all’uso parodico dello stile dell’epica nel passo. 374 Idalia Dea: così era chiamata Afrodite, dal nome della città di Idalio, sull’isola di Cipro, dove le era dedicato un grande tempio. 375-376 pianti […] in vano: cfr. RVF ccclxvi 79-80: «Vergine, quante lagrime ò già sparte, / quante lusinghe et quanti preghi indarno» (Albini). 376-377 onde […] fine: e dunque, rivolgendosi ai suoi due figli, pose fine alla loro contesa con queste parole.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini ” Poichè nulla tra voi pace esser puote, ” Si dividano i regni. E perchè l’uno ” Sia dall’altro germano ognor disgiunto, ” Sieno tra voi diversi, e ’l tempo, e l’opra. ” Tu che di strali altero a fren non cedi ” L’alme ferisci, e tutto il giorno impera: ” E tu che di fior placidi hai corona ” Le salme accoppia, e coll’ardente face ” Regna la notte.” Ora di qui, Signore, Venne il rito gentil che a’ freddi sposi Le tenebre concede, e de le spose Le caste membra: e a voi beata gente Di più nobile mondo il cor di queste, E il dominio del dì, largo destìna. Fors’anco un dì più liberal confine 381 381 qui 391
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diversi, ] diversi A2 A3 389 membra: ] membra; A2 A3 Sieno tra voi diversi, e ’l ] Sien diversi tra voi e il c 386 Ora di ] Or quindi, almo c 390 Di più nobile ] E di più nobil c destìna ] sottolineato in b, mentre in c è corretto con dispensa
378 nulla […] puote: poiché tra voi non ci può essere alcuna pacificazione. – Come aggettivo, nulla è forma latineggiante. Cfr. Bentivoglio, Tebaide vi 667: «Nulla pace è fra lor, nullo riguardo» (Albini). 381 e ’l tempo, e l’opra: sia il tempo del dominio sia le azioni (nei modi che Venere spiega nei versi successivi). 383 Tu […] ferisci: tu, che sei orgoglioso delle tue frecce e non ti pieghi ad alcun vincolo, ferirai le anime. 384 E tu […] corona: e tu, che porti una corona di placidi fiori. – placidi: placido è Imene stesso e l’aggettivo passa a fiori per ipallage. Questa placidità di Imene porterà alla sua dispregiativa assimilazione con il dio del sonno in MZ 412-416 e 429-433. Nella Musica 21-22, infine, placide sono le ali della natura in cui il diletto risiede: «le placid’ale / Di natura». – corona: cfr. Ovidio, Heroides vi 44: «sertis tempora vinctus Hymen». 385 Le salme: i corpi, ma in antitesi alle anime. – Cfr. La educazione 65-66: «Ma non men che a la salma / Porgea vigore all’alma»; e La Musica 80-82: «chè l’alma / In lui depressa cade / Con la troncata salma». 387 il rito gentil: cfr. v. 7 e nota. – gentile: è usato di norma per coloro che appartengono al mondo nobiliare e si connota di mollezza e leziosità più che di cortesia e delicatezza. 389 beata gente: cfr. vv. 3 e 61-63 e note. 390 più nobile mondo: cfr. il Bel Mondo del v. 287 e l’Orbe leggiadro del v. 294 (e note). 391 largo destìna: attribuisce con liberalità. 392-395 Fors’anco […] sperar: accadrà forse un giorno che i vostri diritti abbiano più ampio riconoscimento, se Amore, più forte del fratello (o divenuto più forte), gli sottrarrà qualche parte del suo regno: così è giusto sperare.
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Altre edd. Mss.
il mattino Vostri diritti avran, se Amor più forte Qualche provincia al suo germano usurpa: Così giova sperar. Tu volgi intanto A’ miei versi l’orecchio, et odi or quale Cura al mattin tu debbi aver di lei Che, spontanea o pregata, a te donossi Per tua Dama quel dì lieto che a fida Carta, non senza testimonj furo A vicenda commessi i patti santi, E le condizi-on del caro nodo. Già la Dama gentil de’ cui be’ lacci Godi avvinto sembrar le chiare luci Col novo giorno aperse; e suo primiero Pensier fu dove teco abbia piuttosto
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393 avran, ] avran A2 A3 398 Che, spontanea o pregata, ] Che spontanea o pregata A2 A3 395 sperar. Tu ] sperare. Or c 396 et odi or quale ] e meco apprendi c 397 Cura … di lei ] Quai tu deggia il mattin cure a colei c 400 non ] nè c 403 gentil ] gentil, c 405 e ] il c
395-396 Tu volgi […] Cura al mattin: cfr. MT i 11-13, 14-15, 31-32 e 225 e MZ 19-20. 399-402 quel dì […] nodo: quel giorno felice in cui nel contratto di matrimonio ( fida carta) furono registrati i reciproci e sacri impegni nuziali, non senza testimoni, e le condizioni dell’accordo. – Il contratto di matrimonio prevedeva spesso la designazione del cavalier servente della sposa e Carducci (p. 41) ricorda che il marchese Spinola, genovese, fu giudicato stravagante per avere vietato per contratto, al contrario, qualsiasi cavalier servente. Se poi certi teologi cattolici come Costantino Roncaglia (ricordato ancora da Carducci) condannavano il cicisbeismo, cicisbei erano perfino alcuni abati. – fida / Carta […] condizion: il rilievo dato alla dimensione giuridica e negoziale del patto, dove clausole e testimoni prevalgono su dedizione e fiducia (fida è la carta, non la sposa), ne sminuisce ironicamente la dimensione umana e sacrale. Cfr. MZ 185-189: «Non di costume simiglianza or guida / Gl’incauti sposi al talamo bramato; / Ma la Prudenza coi canuti padri / Siede librando il molt’oro, e i divini / Antiquissimi sangui» – caro nodo: dovrebbe riferirsi al legame tra gli sposi e invece denota quello tra la dama e il cavaliere. Cfr. quindi MT i 682: «La pudica d’altrui sposa a te cara» (e altrove); e MZ 792-795: «Un sempiterno indissolubil nodo / Àuguri ai vostri cor volgar cantore; / Nostra nobile Musa a voi desia / Sol fin che piace a voi durevol nodo». 403-405 Già la Dama gentil […] aperse: già la dama gentile a cui ti piace sembrare legato da amore, con il nuovo giorno, ha aperto i suoi occhi splendenti. – lacci: riprende il laccio del v. 355 e il nodo del v. 402. – godi […] sembrar: la finzione e il narcisismo prevalgono sul sentimento.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini A vegliar questa sera, e consultonne Contegnosa lo sposo il qual pur dianzi Fu la mano a baciarle in stanza ammesso. Or dunque è tempo che il più fido servo E il più accorto tra i tuoi mandi al palagio Di lei chiedendo se tranquilli sonni Dormìo la notte, e se d’imagin liete Le fu Mòrfeo cortese. È ver che jeri Sera tu l’ammirasti in viso tinta Di freschissime rose; e più che mai Vivace e lieta uscío teco del cocchio, E la vigile tua mano per vezzo Ricusò sorridendo allor che l’ampie Scale salì del maritale albergo: Ma ciò non basti ad acquetarti, e mai
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414 jeri ] ieri A2 A3 417 uscío ] uscìo A2 A3 413 Dormìo ] Le concesse c; se d’imagin liete ] di bei sogni c 414 Crocetta accanto al verso in b 417 Vivace e lieta uscío teco del ] Lieta e snella con te balzò dal c
407-409 e consultonne […] ammesso: e a questo proposito si consultò con modi gravi con il marito, che era appena stato ammesso nella sua stanza a baciarle la mano. – consultonne / Contegnosa: il contegno che la dama assume di fronte a una questione così futile è lo stesso con cui il giovin signore rispetta i riti del bel mondo. È anche significativo che della questione la dama discuta proprio con il marito. – fu […] ammesso: l’iperbato consacra retoricamente la formalità rituale del consulto. 410 Or dunque è tempo: espressione formulare della tradizione didascalica, per cui cfr. Spolverini, Riso ii 277: «Dunque egli è tempo»; e Betti, Baco iv 103: «Tempo egli dunque è». 410-411 il più fido servo […] al palagio: anche questo rilievo dato alla missione del servo appartiene al registro eroicomico del poemetto. 413 Dormio: dormì. 413-414 e se […] cortese: e se Morfeo cortesemente le abbia offerto sogni sereni. 415-416 in viso […] rose: la metafore delle rose per l’incarnato delle guance è tradizionale nella poesia lirica. Cfr. per esempio RVF cxxvii 71-75: «Se mai candide rose con vermiglie / in vasel d’oro vider gli occhi miei / allor allor da vergine man colte, / veder pensaro il viso di colei / ch’avanza tutte l’altre meraviglie». – tinta: il colore potrebbe essere dovuto al trucco. 417 uscío: uscì. 420 del maritale albergo: del palazzo del marito. 421 Ma ciò non basti: formula esortativa didascalica. Cfr. Alamanni, Coltivazione i 203: «Non basti al buon villan»; e, al contrario, il v. 1026: «Ciò ti basti per or».
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Altre edd. Mss.
il mattino Non obliar sì giusti ufici. Ahi quanti Genj malvagi tra ’l notturno orrore Godono uscire ed empier di perigli La placida quiete de’ mortali! Potria, tolgalo il cielo, il picciol cane Con latrati improvvisi i cari sogni Troncare a la tua Dama, ond’ella, scossa Da subito capriccio, a rannicchiarsi Astretta fosse, di sudor gelato E la fronte bagnando, e il guancial molle. Anco potria colui che, sì de’ tristi Come de’ lieti sogni è genitore, Crearle in mente di diverse idee In un congiunte orribile chimera,
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428 ella, ] ella A2 A3 432 che, ] che A2 A3 433 genitore, ] genitore. A2 A3 423 Tra ’l notturno orrore ] per la notte opaca c 426 In c è soppresso il capoverso e Potria ] Poria 432 potria ] poria c; colui ] colui, c 433 genitore, ] genitore c
422 sì giusti ufici: così giusti doveri. – sì giusti: cfr. i sì begli studj del v. 634 e i sì preziosi istanti del v. 640. – ufici: latinismo (officia) per «doveri derivanti da un ruolo», così che di nuovo le manifestazioni di attenzione per la dama sono ricondotte all’interpretazione di una parte e non a una cura che derivi da sentimento. 422-425 Ahi quanti […] mortali: ahimè, spesso gli spiriti maligni si divertono ad apparire nella notte spaventosa e a disseminare di pericoli il tranquillo riposo degli uomini. – placida […] mortali: riprende un altro topos della tradizione poetica. Cfr. Aeneis ii 268-269: «Tempus erat, quo prima quies mortalibus aegris / incipit et dono divum gratissima serpit»; o Ger. Lib. vii 4, 1-6: «Cibo non prende già, ché de’ suoi mali / solo si pasce e sol di pianto ha sete; / ma ’l sonno, che de’ miseri mortali / è co ’l suo dolce oblio posa e quiete, / sopì co’ sensi i suoi dolori, e l’ali / dispiegò sovra lei placide e chete». 426 tolgalo il cielo: il cielo non voglia. – Varia il precedente Cessi ’l cielo (v. 158) e riappare in NT 78, ma riprende anche il tema ironico della benevolenza degli dei verso i nobili. 428 scossa […] fosse: risvegliata da improvviso raccapriccio, fosse costretta a rannicchiarsi. – subito capriccio: richiama il notturno orrore del v. 423. 431 il guancial molle: molle era anche il sostegno offerto dagli origlieri al giovin signore, al suo risveglio, ai vv. 109-110. 432-433 colui […] genitore: il Sonno, già nominato al v. 84. 434-435 di diverse idee […] chimera: un’immagine mostruosa, derivante dall’unione di idee difformi. – diverse idee / In un congiunte: dietro l’ascendenza classica della successiva immagine della Chimera si sente una nota di filosofia sensista. – chimera: era un mostro mitologico, una sorta di leone con una seconda testa, di capra, che le
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giuseppe parini Onde agitata in ansi-oso affanno Gridar tentasse, e non però potesse Aprire ai gridi tra le fauci il varco. Sovente ancor ne la trascorsa sera La perduta tra ’l gioco aurea moneta Non men che al Cavalier, suole a la Dama Lunga vigilia cagionar: talora Nobile invidia de la bella amica Vagheggiata da molti, e talor breve Gelosía n’è cagione. A questo aggiugni Gl’importuni mariti i quali in mente Ravvolgendosi ancor le viete usanze, Poi che cessero ad altri il giorno, quasi Abbian fatto gran cosa, aman d’Imene Con superstizi-on serbare i dritti, E dell’ombre notturne esser tiranni, 439 trascorsa ] passata c
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cresceva sul dorso e un serpente come coda. Fu uccisa da Bellerofonte, che la affrontò come una delle prove impostegli da Iobate, re di Licia, e la sconfisse a cavallo di Pegaso. – Cfr. infine Rip. Eup.xli 5-8: «Là dove Fillide secura dorme / Stesa su’ candidi molli guanciali / Vanne, e un’imagine carca di mali / In mente pignile trista, e deforme». 436-438 Onde agitata […] varco: così che la Dama, turbata dal timore e dall’affanno, cercasse di gridare e però non riuscisse ad aprire la bocca per far uscire la voce. – Il passo descrive l’inibizione del movimento che esperiamo durante i sogni e mima l’affanno che ne deriva con le contorsioni della sintassi. 443 Nobile invidia: espressione ironica, perché non è quell’invidia che prelude all’emulazione di nobili imprese. 445 A questo aggiugni: sintagma di tradizione didascalica, per cui cfr. Spolverini, Riso iii 578: «Aggiungi a questo». 446 Gl’importuni mariti: i mariti fastidiosi e inopportuni. 446-447 in mente […] usanze: serbando ancora in mente le usanze tradizionali, ormai obsolete. 448-450 Poi che cessero […] dritti: avendo ceduto il giorno ad altri, ovvero ai cavalieri serventi, come se avessero fatto un grande gesto, amano rivendicare superstiziosamente i loro diritti matrimoniali. – Il passo riprende la favola di Amore e Imene. – superstizion: le usanze tradizionali sono descritte come superstizioni da coloro che aderiscono religiosamente ai nuovi costumi. La parola ricorre spesso, in Parini e nella pubblicistica illuminista, dove si stigmatizzano le false credenze del passato: cfr. per esempio la «fanatica Superstizione» che opprime «gl’ingegni Italiani» nella lettera di Parini a Saverio Bettinelli del 10 maggio 1769 (Lettere, p. 88). 451 E dell’ombre […] tiranni: e regnare tirannicamente nelle ombre della notte. – Confinati nelle ore notturne, i mariti si trovano assimilati agli orrori che le abitano e a suscitare, come gli incubi, l’affanno (v. 452) delle loro spose.
il mattino Non senz’affanno de le caste spose Ch’indi preveggon tra poc’anni il fiore De la fresca beltade a sè rapirsi. Or dunque ammaestrato a quali e quanti Miseri casi espor soglia il notturno Orror le Dame, tu non esser lento, Signore, a chieder de la tua novelle. Mentre che il fido messaggier sì attende, Magnanimo Signor, tu non starai Ozi-oso però. Nel dolce campo Pur in questo momento il buon Cultore Suda, e incallisce al vomere la mano, Lieto, che i suoi sudor ti fruttin poi Dorati cocchi, e peregrine mense. Ora per te l’industre Artier sta fiso Allo scarpello, all’asce, al subbio, all’ago; A1 Altre edd. Mss.
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454 se (+A2 A3) 463 mano, ] mano A2 A3 455 Soppresso capoverso in c
452 le caste spose: è come sempre ironico, ma allude anche, senza antifrasi, al rifiuto della maternità. 453-454 Ch’indi […] rapirsi: che quindi temono che il fiore della loro giovanile bellezza possa essere loro sottratto. 456-457 il notturno / Orror: riprende il v. 423, ad accentuare il valore di ricapitolazione dei vv. 455-458. 459 mentre […] sì attende: per questo verso, cfr. l’«Introduzione». 460-461 tu non starai / Ozioso però: cfr. v. 309: «Ma non però senza compagna andrai». 461-463 Nel dolce campo […] la mano: torna per breve tratto l’atmosfera idillica dei vv. 33-52, ma con il realismo di Suda, e incallisce (v. 463). – il buon Cultore: è sintagma ricorrente nella Coltivazione di Alamanni. Cfr. i 1-2: « Che deggia quando il Sol rallunga il giorno / Oprar il buon Cultor ne i campi suoi»; ii 294-295: «non han fine / Le fatiche e i pensier del buon cultore»; e altrove. – vomere: è la lama principale dell’aratro, che così è denotato per sineddoche. 464-465 Lieto […] mense: felice che le sue fatiche valgano a procurarti il lusso delle tue carrozze dorate e delle tue tavole imbandite di cibi stravaganti. – peregrine mense: cfr. i peregrini / Subbietti di MT i 304-305 e il peregrino d’eloquenza fiume di MZ 663. Soggetti alla moda e alla noia, i nobili cercano l’esotico e lo stravagante. Cfr. quindi la parca mensa del contadino, al v. 57, e la nota ai vv. 144-145. 466 l’industre Artier sta fiso: l’artigiano industrioso è intento. 467 Allo scarpello, […] all’ago: lo scalpello, le asce, il subbio (il cilindro sul quale si avvolge il tessuto prodotto dal telaio) e l’ago indicano per metonimia i diversi artigiani che li usano: fabbri o scalpellini, falegnami o legnaioli, tessitori e sarti.
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giuseppe parini Ed ora a tuo favor contende, o veglia Il Ministro di Temi. Ecco te pure Te la toilette attende: ivi i bei pregi De la natura accrescerai con l’arte, Ond’oggi uscendo, del beante aspetto Beneficar potrai le genti, e grato Ricompensar di sue fatiche il mondo. Ma già tre volte e quattro il mio Signore Velocemente il gabinetto scorse 470 toilette ] teletta c
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472 Ond’ ] Sì ch’ c
468-469 Ed ora […] Temi: e in questo momento l’avvocato vigila sui tuoi interessi e li difende. – Temi: dea del pantheon greco, figlia di Gea e di Urano e protettrice della giustizia e dell’ordine naturale. Il Ministro di Temi sarà quindi il giudice, come nell’ode Il bisogno (v. 55), o l’avvocato, come più probabilmente si intende in questo passo, dove il verbo contende non sarebbe appropriato all’azione del giudice. Dopo i contadini, gli artigiani e gli operai dei versi precedenti, anche i professionisti appaiono tra coloro che subiscono il danno di un ordine sociale che privilegia i desideri dell’aristocrazia rispetto all’utilità collettiva e all’equità. Se usualmente Parini guarda al popolo più disagiato (contadini, artigiani, operai, servi e piccoli commercianti), la menzione della borghesia delle professioni richiama qui quella più ampia idea di Terzo Stato come insieme di tutti i cittadini produttivi, contro una nobiltà che si qualifica essenzialmente per il suo parassitismo, che sarà formulata dall’abate Sieyès nel suo celebre pamphlet del 1789 Qu’est-ce que le Tiers État? 470 toilette: è il mobile con tavolino, specchio e cassetti a cui sedevano le donne per truccarsi e pettinarsi. Insoddisfatto del francesismo, Parini valutò la forma alternativa teletta, che troviamo come variante in alcuni esemplari del Mezzogiorno, e infine, con la seconda versione del Mattino (MT ii 433 e 461) e poi nella Notte (NT 68), adottò tavoletta. 471 l’arte: truccandoti e pettinandoti. 472-474 Ond’oggi […] mondo: così che oggi, uscendo, potrai beneficare il popolo con la beatitudine che nasce dal tuo aspetto e con gratitudine ricompensare il mondo per le sue fatiche. – grato: in alternativa, potrebbe essere attribuito a mondo, con ambiguità che forse è intenzionale, perché implicitamente domanda chi debba essere grato a chi. – Anche questa immagine della beatitudine elargita dall’aspetto del giovin signore, oltre che riecheggiare ascendenze stilnoviste e più genericamente liriche, varia sul tema della sua divinità. 475 tre volte e quattro: formula virgiliana (terque quaterque) e poi dell’epica italiana (tre volte e quattro), che Parini riceve attraverso la mediazione già eroicomica di Roberti. Cfr. Georg. ii 399; Aeneis i 94, iv 589 e xii 155; Orl. Fur. xvii 94, 5; Ger. Lib. ii 80, 6; Roberti, Moda 47, 3: «E i crin ritocca quattro volte e sei». In MZ 162 troviamo invece «o tre fiate avventurosi e quattro». 476-480 il gabinetto […] s’udía: percorse il gabinetto (ovvero la stanza della toilette) con i capelli sciolti e scompigliati sulle spalle, come soleva fare la Sibilla Cumana, terribile maga, quando la si udiva pronunciare i vaticini che Apollo (il possente
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Altre edd.
il mattino Col crin disciolto e su gli omeri sparso, Quale a Cuma solea l’orribil maga Quando agitata dal possente Nume Vaticinar s’udía. Così dal capo Evaporar lasciò degli olj sparsi Il nocivo fermento, e de le polvi Che roder gli potrien la molle cute, O d’atroce emicrania a lui le tempia Trafigger anco. Or egli avvolto in lino Candido siede. Avanti a lui lo specchio Altero sembra di raccor nel seno L’imagin diva: e stassi agli occhi suoi Severo esplorator de la tua mano O di bel crin volubile Architetto. Mille d’intorno a lui volano odori
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490 Architetto. ] Architetto A2 A3
nume), invasandola, le ispirava. – Il passo è memore del libro vi dell’Aeneis (anche tramite la versione di Caro). 481-483 degli olj […] cute: le esalazioni nocive degli oli di cui era asperso e di polveri che potrebbero irritare la sua pelle delicata. 485-486 avvolto […] Candido: le vesti candide, a significare purezza, alludono a una dimensione rituale che partecipa del tono eroicomico del passo. Cfr. Caro, Eneide xii 209-210: «i sacerdoti / Di bianco lino involti»; e, per un uso già parodico, Pope, Il Riccio Rapito i 178-182: «Del letto uscita ella s’invia là dove / stanno su la teletta argentei vasi / in un ordine mistico disposti. / Pria vestita di bianco a capo nudo / adora le cosmetiche potenze»; e Roberti, Moda 51, 1: «Intanto avvolta dentro a lini bianchi». 487-488 Altero […] l’imagin diva: sembra orgoglioso di accogliere in sé l’immagine divina del signore. – Altero: l’alterigia dello specchio è in realtà del giovin signore (così come la severità del successivo v. 489), di cui lo specchio riflette l’immagine. – Tizi ricorda ancora Pope, Il Riccio Rapito i 183: «Celeste immago ne lo specchio appare». 488-490 e stassi […] Architetto: e sta di fronte al suo sguardo a seguire attento la tua mano, o volubile artefice dell’acconciatura del signore. – Severo esplorator: di nuovo l’attributo si riferisce per ipallage al giovin signore, ovvero al suo sguardo. – Volubile: descrive il movimento della mano del parrucchiere, ma allude anche alla natura effimera della moda (Bonora). – Architetto: cfr. L’edificio del capo di MT i 530 e «Le architettate del bel crine anella» di MZ 599. 491-494 mille […] farfalla: intorno a lui si diffondono molteplici profumi, che l’aria, ungendo sui vasi le sue leggerissime ali di farfalla, dolcemente solleva dalle diverse pomate. – mille: è spesso usato con valore genericamente iperbolico. Cfr. le mille navi di MT i 142, le mille […] Cose diverse di MT i 233-235, i mille strazj di MT i 536 e così via. – Che a le varie […] dolce: Tizi ricorda Roberti, Moda 48 1-3: «Va depredando a quelle acque odorose / L’aer, che i furti suoi non cela, e tace, / Le liquide fragranze dilettose». – L’immagine di questi versi non è estranea a un gusto rococò.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Che a le varie manteche ama rapire L’auretta dolce, intorno ai vasi ugnendo Le leggerissim’ale di farfalla. Tu chiedi in prima a lui qual più gli aggrada Sparger sul crin, se il gelsomino, o il biondo Fior d’arancio piuttosto, o la giunchiglia, O l’ambra prezi-osa agli avi nostri. Ma se la Sposa altrui, cara al Signore, Del talamo nuzial si duole, e scosse Pur or da lungo peso il molle lombo, Ah fuggi allor tutti gli odori, ah fuggi; Che micidial potresti a un sol momento Tre vite insidi-ar: semplici sieno I tuoi balsami allor, nè oprarli ardisci Pria che su lor deciso abbian le nari Del mio Signore, e tuo. Pon mano poscia Al pettin liscio, e coll’ottuso dente Lieve solca i capegli; indi li turba
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499 Soppresso capoverso in A3 504 Tre ] Più A2 A3 499 Ma ] Che c 504 Crocetta accanto al verso in b
495 qual più gli aggrada: cfr. vv. 127-128 e nota. 498 l’ambra: l’ambra grigia, che già anticamente era usata per il suo profumo di muschio. 499 la Sposa altrui: cfr. v. 310 e nota. 500-501 e scosse […] lombo: e ha appena liberato il suo corpo delicato dal lungo peso della gravidanza (conseguenza dolorosa del talamo nuzial). – il lungo peso: ai vv. 278-279, era quello Di quest’inerte vita. – Cfr. MZ 569-572: «Serbala, oh dio, / Serbala ai cari figlj. Essi dal giorno / Che le alleviaro il dilicato fianco / Non la rivider più»; e Ovidio, Fasti i 624: «visceribus crescens excutiebat onus»; e Heroides xi 41-42: «ut penitus nostris – hoc te celavimus unum – / visceribus crescens excuteretur onus», dove però si parla di aborto e non di parto. 502 Ah fuggi […] ah fuggi: cfr. Aeneis ii 289: «‘heu fuge, nate dea, teque his’ ait ‘eripe flammis» e iii 44: «heu! fuge crudelis terras, fuge litus avarum»; e Ger. Lib. viii 60, 7-8: «Fuggi, Argillan; non vedi omai la luce? / Fuggi le tende infami e l’empio duce». 503-504 Che micidial […] insidiar: che, mortifero, potresti mettere in pericolo tre vite in un solo momento. – micidial: vale nel suo significato etimologico. – Tre vite: quelle del neonato, della dama e del marito, che morirebbe forse per il dolore (ma in MT ii 517 Parini correggerà in Più vite). 505-507 nè oprarli […] tuo: e non osare adoperarli prima che il naso del mio e tuo signore abbia deciso in proposito. 507-510 Pon mano […] scompiglia: le allitterazioni di poscia e liscio, ripresa anche da ardisci (v. 505), e di capegli e scompiglia esprimono levigatezza, mentre liscio, ottuso e lieve insistono sul motivo della fatua mollezza dei nobili.
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Altre edd. Mss.
il mattino Col pettine e scompiglia: ordin leggiadro Abbiano alfin da la tua mente industre. Io breve a te parlai; ma non pertanto Lunga fia l’opra tua; nè al termin giunta Prima sarà, che da più strani eventi Turbisi e tronchi a la tua impresa il filo. Fisa i lumi allo speglio, e vedrai quivi Non di rado il Signor morder le labbra Impazi-ente, ed arrossir nel viso. Sovente ancor se artificiosa meno Fia la tua destra, del convulso piede Udrai lo scalpitar breve e frequente, Non senza un tronco articolar di voce Che condanni, e minacci. Anco t’aspetta Veder talvolta il mio Signor gentile Furiando agitarsi, e destra e manca Porsi nel crine; e scompigliar con l’ugna Lo studio di molt’ore in un momento.
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513 tua; ] tua: A2 A3 512 Soppresso capoverso in c
510-511 Ordin leggiadro […] mente industre: riprendono l’Architetto del v. 490. 512 Io breve a te parlai: modulo didascalico. Cfr. Spolverini, Riso i 720-721: «Col più semplice stil, piano e soave / Brevemente esporrò»; e Marchetti, Natura iv 1039: «in brevi detti ascolta»; e 1310: «Brevemente dirò». Ma si ricordi anche l’attacco della risposta di Virgilio a Dante in Inf. iii 45: «Dicerolti molto breve». La brevitas è virtù retorica. – Ma non per tanto: ma ciò nonostante. 513-515 nè al termin […] il filo: e, prima che essa (l’opra tua) sia compiuta, il corso della tua impresa sarà turbato e interrotto da più strani incidenti. 516 Fisa i lumi: concentra lo sguardo. 519 artificiosa meno: meno abile nell’arte di quanto sarebbe occorso. 522 un tronco articolar di voce: la voce soffocata è caratteristica dell’ira, di cui il passo descrive alcune manifestazioni somatiche: il rossore cutaneo, i movimenti inquieti e ora il timbro vocale caratteristico. 525 Furiando agitarsi: agitarsi in preda a furore. – Furiando: contrasta con il precedente gentil. Tornerà al v. 782 e in MZ 811. – La giuntura richiama il latino furiis agitatus (cfr. Aeneis iii 331: «furiis agitatus Orestes»; e dunque «agitasti […] le Furie» ai vv. 7076) e così getta un’ombra ironicamente tragica sull’agitazione del giovin signore. 526-527 e scompigliar […] momento: e con le dita scompigliare in un momento il lavoro attento di molte ore. – con l’ugna: con il precedente scalpitar (v. 521), prepara la similitudine taurina dei versi seguenti. – La dissipazione e la volubilità segnano anche in questo caso il gesto del giovin signore. Cfr. Roberti, Moda 53, 7-8: «Così quel lavorìo, che un’ora face, / Scompiglia, e perde poi l’ora seguace», anche lì a proposito dell’acconciatura.
152
35
Altre edd. Mss.
giuseppe parini Che più? Se per tuo male un dì vaghezza D’accordar ti prendesse al suo sembiante L’edificio del capo, ed obliassi Di prender legge da colui che giunse Pur jer di Francia, ahi quale atroce folgore, Meschino! allor ti penderìa sul capo? Che il tuo Signor vedresti ergers’in piedi; E versando per gli occhi ira e dispetto, Mille strazj imprecarti; e scender fino Ad usurpar le infami voci al vulgo Per farti onta maggiore; e di bastone Il tergo minacciarti; e violento Rovesciare ogni cosa, al suol spargendo Rotti cristalli e calamistri e vasi E pettini ad un tempo. In cotal guisa, Se del Tonante all’ara o de la Dea, 531 536 539 532
530
535
540
colui ] colui, A3 532 jer ] ier A2 A3 534 piedi; ] piedi, A2 A3 imprecarti; ] imprecarti, A2 A3 538 maggiore; ] maggiore, A2 A3 minacciarti; ] minacciarti, A2 A3 542 pettini ] pettine A2 A3 Crocetta accanto al verso in b
528-532 Se per tuo male […] Francia: se un giorno, per tua disgrazia, tu cedessi al desiderio di accordare l’acconciatura alle sue fattezze e dimenticassi di seguire i dettami di chi sia appena venuto dalla Francia (riferendo sulle ultime mode dell’acconciatura). – atroce folgore: il giovin signore è ritratto, come Zeus, nell’atto di fulminare. Il v. 532 è uno dei due soli che nel Mattino abbiano terminazione sdrucciola (l’altro è il v. 572). 534-536 Che il tuo Signor […] imprecarti: che vedresti il tuo signore levarsi in piedi e augurarti mille tormenti con occhi accesi d’ira e di dispetto. – Imprecarti: transitivo. È ricalcato sul latino imprecor. 536-538 e scender […] onta maggiore: e abbassarsi al linguaggio del popolo, del quale userebbe il turpiloquio per offenderti di più. – Come al v. 168, dove gli accadeva di Ruttar plebejamente, il giovin signore non è esente da comportamenti volgari, suscitando anche così degli interrogativi sulla natura della sua nobiltà. 538-539 e di bastone […] minacciarti: come spiega ai lettori della sua Vita (iii 12) Vittorio Alfieri, che si vanta però di fare altrimenti, i nobili picchiavano la servitù con il bastone. 541 calamistri: strumenti per arricciare i capelli. 543 del Tonante all’ara: se presso l’ara di Giove. – Tonante: così è detto Giove, perché suo attributo tradizionale era la folgore. – Nei versi seguenti si mescolano i pantheon e i riti latini ed egizi. 543-544 la Dea […] Phallo: Iside, sorella e moglie di Osiride, dio della fertilità, recuperò i resti del marito che era stato ucciso e smembrato dal fratello Seth. – Phallo: Parini lo nomina in quanto emblema di fertilità, ma insieme introduce un’altra nota di turpitudine nell’immagine del giovin signore.
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il mattino Che ricovrò dal Nilo il turpe Phallo, (a) Tauro spezzava i raddoppiati nodi E libero fuggìa, vedeansi al suolo Vibrar tripodi, tazze, bende, scuri, Litui, coltelli, e d’orridi muggiti Commosse rimbombar le arcate volte, E d’ogni lato astanti e sacerdoti Pallidi all’urto e all’impeto involarsi Del feroce animal che pria sì queto Gía di fior cinto, e sotto a la man sacra Umiliava le dorate corna. Tu non pertanto coraggioso e forte Soffri, e ti serba a la miglior fortuna. Quasi foco di paglia è il foco d’ira In nobil cor. Tosto il Signor vedrai Mansuefatto a te chieder perdono,
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(a) Iside. Altre edd.
544 Phallo, (a)] Phallo, (1) A3 (anche in nota a piè pagina) nodi, A3 553 Gìa ] Gia A3
545 nodi ]
545 Tauro: il toro è la vittima sacrificale. Parini preferisce la forma dittongata, latineggiante. – i raddoppiati nodi: i nodi dei lacci con i quali il toro era trattenuto all’altare. 547-548 tripodi […] coltelli: l’asindeto, protratto su due versi, riproduce il disordine degli arredi sacri rovesciati dal toro infuriato. – tripodi: sostegni a tre piedi, di bronzo o d’altro materiale, sui quali potevano essere collocati dei recipienti o che potevano essere usati come sgabelli nelle funzioni sacre. – bende: con esse si avvolgevano i sacerdoti e le vittime sacrificali. – litui: bastoni curvi che gli auguri usavano per delimitare il tratto di cielo entro il quale osservare il volo degli uccelli. 549 Commosse rimbombar: dipende da vedeansi, con zeugma. Commosse: è da intendersi come «percosse», ma insieme rileva il pathos della scena. 550-552 E d’ogni lato […] animal: e astanti e sacerdoti, pallidi di paura, cercare da ogni parte di sottrarrsi all’impatto e alla furia della bestia inferocita. 553-554 Già di fior […] dorate corna: i tori destinati al sacrificio erano ornati di fiori e le loro corna erano tinte d’oro. – man sacra: del sacerdote officiante. 555-556 Tu non pertanto […] fortuna: il v. 556 ricalca ironicamente Aeneis i 207: «durate, et vosmet rebus serbate secundis», già ripreso da Ger. Lib. v 91, 7-8: «Or durate magnanimi, e voi stessi / serbate, prego, a i prosperi successi», mentre i due versi insieme riecheggiano forse (Fabrizi, p. 91) anche Aeneis vi 95-96: «tu ne cede malis, sed contra audentior ito / quam tua te Fortuna sinet». 557 Quasi foco di paglia: più che rilevare la clemenza del giovin signore, ne suggerisce ancora la volubilità. 559 Mansuefatto: si dice normalmente degli animali feroci e quindi conclude la similitudine tra il giovin signore e il toro sacrificale.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini E sollevarti oltr’ogni altro mortale Con preghi e scuse a niun altro concesse; Onde securo sacerdote allora L’immolerai qual vittima a Filauzio Sommo Nume de’ Grandi, e pria d’ognaltro Larga otterrai del tuo lavor mercede. Or Signore, a te riedo. Ah non sia colpa Dinanzi a te s’io travviai col verso Breve parlando ad un mortal cui degni Tu degli arcani tuoi. Sai, che a sua voglia Questi ogni dì volge, e governa i capi De’ più felici spirti; e le matrone,
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563 Filauzio ] Filauzio (a) A2 Filauzio (1) A3 (e in entrambe le edd. fu aggiunta, a piè pagina, la nota: (a) Amor di se. A2 (1) Amor di se A3) 566 sia ] fia A3 567 verso ] verso, A2 A3 562 Onde ] E tu c
562 securo sacerdote: riprende contrastivamente l’immagine dei vv. 550-552. 563 L’immolerai […] Filauzio: «amor di sé», nota Parini. Mazzoni e Bonora ricordano che la parola «filautìa», già usata da Aristotele nell’Etica Nicomachea (ix 8), era stata ripresa da Erasmo da Rotterdam nell’Elogio della pazzia, per designare la personificazione dell’amore di sé, e quindi da altri autori. Nella dedica «Alla Moda», invece, «le gentili Dame, e gli amabili Garzoni sagrificano a se medesimi le mattutine ore» (e cfr. la nota). Infine, si ricordi che Parini aveva letto ai Trasformati, il 4 giugno 1762, un Discorso sopra la Carità nel quale la carità è descritta come virtù «che accosta e lega insieme gli animi degli uomini» (p. 175), rompendo cioè il cerchio dell’egoismo. 565 Larga […] mercede: cfr. Alamanni, Coltivazione i 172: «Alle fatiche sue larga mercede»; e analogamente in iii 2-3. 567 s’io travviai col verso: se nei miei versi mi sono abbandonato a una digressione. 568-569 Breve parlando […] arcani tuoi: parlando brevemente con un comune mortale che però tu ritieni degno e onori delle tue confidenze. – breve parlando: cfr. v. 512 e nota. – Arcani: ironizza ancora sull’apparente sacralità del costume nobiliare. – a sua voglia: come vuole. 570 volge, e governa: cfr. la nota a temperi, e governi nella dedica «Alla Moda». 571 più felici spirti: variazione sui dilicati spirti del v. 202 e sui begli spirti del v. 307. Inoltre, si può forse cogliere un’allusione al privilegio nobiliare, perché la categoria della felicità pubblica era frequente nella pubblicistica dell’illuminismo francese e italiano (da Voltaire a Rousseau, Diderot, Genovesi, Verri e altri), che ne rivendicava una più equa distribuzione; Pietro Verri, in particolare, scriveva nel 1763 che scopo del patto sociale era la «maggiore felicità possibile ripartita colla maggiore uguaglianza possibile» (Meditazioni sulla felicità, § 38, p. 33). Infine, è ovviamente ironico che dei felici spirti si curi la capigliatura e non l’intelligenza, così che essi possono essere governati dal parrucchiere.
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A1 Ess. Mss.
il mattino Che da’ sublimi cocchi alto disdegnano Volgere il guardo a la pedestre turba, Non disdegnan sovente entrar con lui In festevoli motti allor ch’esposti A la sua man sono i ridenti avorj Del bel collo e del crin l’aureo volume. Perciò accogli ti prego i versi miei Tuttor benigno: et odi or come possi L’ore a te render grazi-ose mentre Dal pettin creator tua chioma acquista Leggiadra o almen non più veduta forma. Picciol libro elegante a te dinanzi Tra gli arnesi vedrai che l’arte aduna Per disputare a la natura il vanto Del renderti sì caro agli occhi altrui.
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575
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577 avreo 583 dinanzi ] dinanzl A3Priv1 578 Perciò ] Però c 579 et odi or come possi ] e come possi ascolta c 580 mentre ] intanto c 581 Dal ] Che il c; tua chioma acquista ] dona a le chiome c 583 Soppresso capoverso in c
572-573 da’ sublimi […] turba: dall’alto dei cocchi superbamente disdegnano di rivolgere lo sguardo alla massa disordinata del popolo che cammina. – Che da’ sublimi […] disdegnano: dopo il v. 532, è questo il secondo e ultimo verso sdrucciolo del Mattino. – sublimi cocchi: la sublimità dei nobili si riduce qui alla materialità della posizione sopraelevata nel cocchio, così come i capi / De’ più felici spirti, ai versi precedenti, altro non erano che le chiome, con analoga riduzione della dimensione intellettuale alla materialità del corpo. – alto: ha funzione avverbiale. – pedestre: indica il popolo a piedi, ma vi si stratificano il significato ulteriore di «umile, prosaico» e la contrapposizione implicita tra popolo-fanteria e aristocrazia-cavalleria (l’ordine equestre). – Cfr. infine MZ 1230-1232: «o da le ciglia, / Disdegnando, de’ cocchi signoreggia / La turba inferior». 574-575 entrar […] motti: animare con lui un’allegra conversazione. 576 i ridenti avorj: la pelle candida e splendente. 579 benigno: al v. 63, benigno verso i nobili era Giove, del quale il precettore incoraggia il giovin signore a ripetere l’atteggiamento. 580 graziose: cfr. la nota ai teneri canti del v. 181. 582 Leggiadra […] forma: anche ai vv. 528-532 la ricerca dell’armonia era subordinata all’ossequio alla moda, ma questa non più veduta forma ha anche qualcosa di mostruoso. 583-586 Picciol […] altrui: vedrai davanti a te, tra gli strumenti ai quali l’arte ricorre per contendere alla natura la gloria del piacere che con il tuo aspetto offri a chi ti vede, un elegante libretto. – Picciol libro: il libro suggerito non può essere troppo impegnativo e il posto assegnato, sul tavolo da toilette, è lo stesso che nella dedica «Alla Moda» si chiedeva per il poemetto. – gli arnesi […] altrui: cfr. vv. 470-474 e note.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Ei ti lusingherà forse con liscia Purpurea pelle onde fornito avrallo O Mauritano conciatore, o Siro; E d’oro fregi dilicati, e vago Mutabile color che il collo imiti De la colomba v’avrà posto intorno Squisito legator Batavo, o Franco. Ora il libro gentil con lenta mano Togli; e non senza sbadigliare un poco Aprilo a caso, o pur là dove il parta Tra una pagina e l’altra indice nastro. O de la Francia Proteo multiforme Voltaire troppo biasmato e troppo a torto Lodato ancor che sai con novi modi 598 Soppresso capoverso in A2 A3 587 Crocetta accanto al verso in b 590 dilicati ] delicati c il ] Tu quel c 598 Soppresso capoverso in c
590
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600
594 Ora
587-589 Ei ti lusingherà […] o Siro: esso forse ti alletterà con una liscia rilegatura di marocchino, di cui un conciatore della Mauritania o della Siria lo avrà rivestito. – Ei […] pelle: anche qui la natura materiale del libro è privilegiata rispetto al suo eventuale valore intellettuale. – Mauritano […] Siro: la Mauritania e la Siria esportavano tradizionalmente pelli pregiate. 590-591 E d’oro […] color: al giovin signore piace necessariamente ciò che come lui è dilicato, vago e mutabile. Cfr. inoltre Pope, Il riccio rapito ii 48-51: «Egli al tuo nume / altare erige con ben dieci e sei / di romanzi francesi ampi volumi / gentilmente dorati». – imiti: con diastole. 593 Batavo, o Franco: olandese o francese. – Nota Mari che «Batavo e Franco non hanno un “senso poetico” diverso da squisito» (p. 378) e che dunque riaffiora il gusto pariniano per l’esotico, il vario e il meraviglioso, in prossimità con gli sciolti di Algarotti, Bettinelli e Frugoni. In particolare, cfr. Frugoni, Altri versi sciolti xlvii (a Climene Teutonia) 57-60: «maestoso margine di carta, / Che il Batavo lisciò, nè d’aurei fili / Vergata pelle, che purpurea veli / L’inette rime mie» (per cui cfr. anche la Purpurea pelle di MT i 588). 594-595 con lenta mano / Togli: solleva con mano flessuosa. – lenta […] togli: nelle accezioni presenti, sono latinismi. 596 il parta: lo divida. – È ancora un latinismo. 597 indice nastro: il segnalibro. – indice: aggettivo. 598 Proteo: divinità marina, capace di assumere forme diverse. Il riferimento mitologico allude all’eclettismo dell’opera di Voltaire. 599-600 Voltaire […] lodato: Voltaire, troppo biasimato e troppo, e ingiustamente, elogiato. – Voltaire: François-Marie Arouet (1694-1778), in arte Voltaire, filosofo e letterato, fu tra i massimi esponenti dell’illuminismo francese. Le sue opere furono oggetto di consenso, di moda e di entusiasmo, ma anche di critiche e di censure. A Milano, quando Parini pubblicò Il Mattino, erano proibite.
il mattino Imbandir ne’ tuoi scritti eterno cibo Ai semplici palati; e se’ maestro Di coloro che mostran di sapere, Tu appresta al mio Signor leggiadri studj Con quella tua Fanciulla agli Angli infesta Che il grande Enrico tuo vince d’assai, L’Enrico tuo che non peranco abbatte L’Italian Goffredo ardito scoglio Contro a la Senna d’ogni vanto altera. Tu de la Francia onor, tu in mille scritti Mss.
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610 Soppresso capoverso in c
600-602 che sai […] semplici palati: che nei tuoi scritti, usando uno stile all’ultima moda intellettuale, sai offrire eterno nutrimento ai palati meno esigenti. – Sotto la veste nuova e brillante del suo stile, Voltaire non offrirebbe altro che idee effimere. Nel Quadro del Méhégan, tuttavia, Parini lo elogia come uno di «[t]re illustri scrittori di questo secolo, tutti e tre francesi, tutti e tre grandi» e spiega che egli «col suo Saggio sopra la Storia universale ec. guida i suoi lettori a riflettere sopra la forza e l’influenza e l’uso e le conseguenze dell’umana opinione, la quale, ricevendo corpo dalla debolezza, dall’ignoranza e dal fanatismo, opera nel mondo le più grandi e le più impensate rivoluzioni» (p. 239). L’elogio, che unisce Voltaire a Bossuet e a Montesquieu, è rivolto alla loro storiografia non erudita, diretta all’utilità e all’ammaestramento degli uomini. 603 Di coloro […] sapere: di coloro che sfoggiano una cultura solo apparente. – Il verso riprende parodicamente il «maestro di color che sanno» di Inf. iv 131. 604 leggiadri studj: contrastano con i «mesti de la Dea Pallade studj» del v. 24. 605-606 Con quella […] d’assai: la fanciulla è Giovanna d’Arco, eroina della guerra anglofrancese dei Cento Anni e protagonista del poema voltairiano La Pucelle d’Orléans, pubblicato in prima edizione nel 1755. L’opera, per il suo carattere comico e licenzioso, è preferita dal giovin signore all’Henriade, il poema epico che Voltaire scrisse nel 1723 (e riscrisse nel 1728) intorno alla figura di Enrico IV. La preferenza però non è priva di fondamento critico e potrebbe essere condivisa dallo stesso Parini, che nei versi successivi esprime senza antifrasi né obliquità la propria predilezione, rispetto all’Henriade, per il poema di Torquato Tasso. 607-609 che non peranco […] altera: il quale peraltro non supera la Gerusalemme Liberata, che quindi si erge a baluardo contro le pretese dei Francesi di primeggiare in ogni genere di poesia. – Cfr. anche il v. 833 per un nuovo elogio del poema tassiano. E cfr. le Lezioni di Belle Lettere, dove Tasso è il «Principe dell’epica Poesia Italiana» (c. 230r, p. 244) e dove della Liberata si dice: «Gl’Italiani critici osano dir con ragione, che niuna delle moderne lingue non ha nulla, da poter mettere al paro di questo componimento» (c. 231r, p. 245). 610-612 Tu de la Francia […] Taide novella: Anne de Lenclos (1620-1705), detta «Ninon», fu amante di nobili e letterati e divenne celebre per la sua bellezza e per il suo spirito. Dopo la sua morte furono pubblicate le sue lettere, ma accresciute di numerosi documenti apocrifi, e a esse si aggiunsero gli scritti altrui che di lei parlavano, tra i quali una Lettre sur Madamoiselle de Lanclos di Voltaire (per questo Parini
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giuseppe parini Celebrata Ninon (a) novella Aspasia, Taide novella ai facili sapienti De la Gallica Atene i tuoi precetti Pur dona al mio Signore: e a lui non meno Pasci la nobil mente o tu ch’a Italia, Poi che rapirle i tuoi l’oro e le gemme, Invidiasti il fedo loto ancora Onde macchiato è il Certaldese, e l’altro Per cui va sì famoso il pazzo Conte. (a) Questi, o Signore, i tuoi studiati autori
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(a) Ninon de Lenclos. (a) La Fontaine. Altre edd. Mss.
611 Ninon (a) ] Ninon (1) A3 (anche in nota a piè pagina) (a) ] Conte. (1) A3 (anche in nota a piè pagina) 614 dona ] detta c 615 Crocetta accanto al verso in c so capoverso in c
619 Conte. 620 Soppres-
parla di mille scritti). – Aspasia: era la colta etera ateniese amata, tra gli altri, da Pericle. – Taide: è la cortigiana protagonista dell’Eunuchus di Terenzio; Dante la nomina in Inf. xviii 133. 612 facili sapienti: la brillantezza vantata dai letterati illuministi à la Voltaire è tacciata implicitamente di superficialità. Cfr. la facil mano del v. 32. 613 la Gallica Atene: Parigi. – Il paragone con Atene è ironico e suggerisce che la letteratura della Francia illuminista sia molto inferiore a quella greca. 615-619 o tu […] il pazzo Conte: come indica Parini stesso in nota, l’apostrofe è rivolta a Jean de La Fontaine (1621-1695), autore di Contes licenziosi che attingono al Decameron (il Certaldese è Boccaccio) e all’Orlando Furioso, dove si racconta della follia del conte Orlando (il pazzo Conte), di Ludovico Ariosto (l’altro). – rapirle […] le gemme: si riferiscono letteralmente al bottino dei re di Francia che nei secoli avevano invaso la penisola italiana (il primo fu Carlo VIII, nel 1494) ma metaforicamente, come suggerisce Mazzoni, potrebbero alludere all’opera di Petrarca, che originò anche un petrarchismo francese da parte di Ronsard e dei poeti della Pléiade. – fedo loto: sporco fango (con latinismo). È la licenziosità di Jean de La Fontaine e delle sue fonti. In particolare, Parini stigmatizza l’oscenità e l’irreligiosità di Boccaccio, del quale invece ammira la scrittura, anche nelle Lezioni di Belle Lettere: «scrivendo in prosa, diede nella sua più celebre opera illustri esempj dell’uso, che far si potea del suo volgare in ogni sorta di stili. […] È da dolersi, che quest’uomo eccellente […] sia stato nella sua gioventù in modo sconvenevole ad uomo cristiano e ad uomo di lettere, troppo libertino ne’ costumi e nella maniera del pensare. Ma assai più merita d’esser compianto perché abusando vergognosamente de’ suoi talenti imbrattò fin dalla culla la sua bellissima, crescente lingua, poiché di quella si valse per iscriver molte infamie oscene ed irreligiose» (cc. 184r185r, pp. 210-211).
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il mattino Fieno e mill’altri che guidàro in Francia A novellar con le vezzose schiave I bendati Sultani i regi Persi, E le peregrinanti Arabe dame; O che con penna liberale ai cani Ragion donàro e ai barbari sedili, E dier feste e conviti e liete scene Ai polli, ed a le gru (b) d’amor maestre. O pascol degno d’anima sublime! O chiara o nobil mente! A te ben dritto È che si curvi riverente il vulgo, E gli oracoli attenda. Or chi fia dunque Sì temerario che in suo cor ti beffi Qualor partendo da sì begli studj Del tuo paese l’ignoranza accusi, E tenti aprir col tuo felice raggio
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625
630
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(b) Si accennano varj romanzi, e varie novelle di vario genere. Altre edd. Mss.
621 guidàro ] guidaro A2 A3 A3 (anche in nota a piè pagina) 629 Soppresso capoverso in c
628 a le ] alle A2 A3 gru. (b) ] gru. (2)
621 Fieno: saranno. 621-624 mill’altri […] Arabe dame: e molti altri che portarono in Francia a raccontare novelle, con le graziose schiave, i sultani avvolti nei loro turbanti, i re persiani e le donne arabe vaganti. – Parini allude all’esotismo orientaleggiante di molta narrativa e di molto teatro settecenteschi, dalla traduzione in francese delle Mille e una notte di Antoine Galland (1704-1717) alle Lettres Persanes di Montesquieu (1721), alle Lettres d’une Turque à Paris (1730) di Germain-François Poullain de Saint-Foix, alla Zaïre (1732) e al Mahomet (1742) di Voltaire. – peregrinanti: spesso le Arabe dame erano protagoniste di racconti di viaggio. 625-626 ai cani […] ai barbari sedili: donarono la ragione anche ai cani e ai divani orientali. – Il passo evoca gli animali parlanti della tradizione favolistica e il romanzo Le Sopha (1742) di Crébillon fils (1707-1777), dove un cortigiano che in una vita precedente era stato un divano racconta a un principe indiano le vicende erotiche nelle quali era stato coinvolto. – Ragion donàro: ironizza forse su certe forme di divulgazione del sapere frequentate dagli illuministi francesi. 629 O pascol: riprende il pasci la nobil mente del v. 615, ma la ripetizione della metafora potrebbe anche rilevarne il senso letterale e riportare al precedente paragone denigratorio con il toro sacrificale. 630 ben dritto: cfr. vv. 90 e 149 e note. 631 si curvi […] il vulgo: cfr. «la turba volgare che si prostra» di MZ 1309. 632 oracoli: riprende, ancora ironicamente, le sentenze del v. 243. 636 tenti: dice il tentativo, ma non l’esito.
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Altre edd. Ess. Mss.
giuseppe parini La Gotica caligine che annosa Siede su gli occhi a le misere genti? Così non mai ti venga estranea cura Questi a troncar sì prezi-osi istanti In cui non meno de la docil chioma Coltivi ed orni il penetrante ingegno. Non pertanto avverrà, che tu sospenda Quindi a pochi momenti i cari studj, E che ad altro ti volga. A te quest’ora Condurrà il merciajuol che in patria or torna Pronto inventor di lusinghiere fole, E liberal di forestieri nomi A merci che non mai varcàro i monti. Tu a lui credi ogni detto: e chi vuoi, ch’osi Unqua mentire ad un tuo pari in faccia? Ei fia che venda, se a te piace, o cambj Mille fregi e giojelli a cui la moda
646 merciajuol ] Merciajuol A2 A3 641 Chioma ] Chiom A3Priv1 641 Crocetta accanto al verso in c evidenzia i due versi
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651-652 In b un tratto verticale
637-638 La Gotica caligine […] misere genti: la barbara, medievale ignoranza che opprime e offusca la vista del popolo. – Sarebbe questa l’ignoranza che l’illuminismo stigmatizzava dalla sua modernità razionalista. Cfr. ancora la lettera a Bettinelli citata in nota ai vv. 448-450. 639-640 Così non mai […] istanti: dunque non accada che un’occupazione imprevista sopraggiunga a interrompere questi momenti preziosi. 641 docil chioma: riprende il domabile midollo del v. 229, ancora riducendo l’intelletto alla testa e ora la testa alla chioma (cfr. vv. 570-571). 646 il merciajuol: il merciaio, con i suoi articoli per la sartoria e per l’abbigliamento. 647-649 pronto inventor […] monti: facondo propalatore di frottole allettanti e generoso di nomi stranieri per oggetti che non hanno mai varcato le Alpi (ovvero i confini del territorio italiano). – Pronto […] nomi: la copia dell’eloquenza, che classicamente sarebbe una virtù, è qui svilita a parlantina di venditore. Analogamente, la liberalità diventa corrività linguistica nell’uso di forestierismi alla moda (per cui cfr. anche i vv. 184-203 e in particolare i vv. 190-191 e nota). 650 Tu […] detto: tu credi a tutto ciò che dice (con credi imperativo). 651 Unqua: mai. – È latinismo rilevato, ma frequente nella lingua poetica. 652-653 Ei fia […] giojelli: sarà lui a vendere o a scambiare, se così ti aggrada, mille ornamenti e gioielli. – se: ha valore condizionale e ottativo insieme.
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Altre edd. Mss.
il mattino Di viver concedette un giorno intero Tra le folte d’inezie illustri tasche. Poi lieto sen andrà con l’una mano Pesante di molt’oro; e in cor giojendo, Spregerà le bestemmie imprecatrici, E il gittato lavoro, e i vani passi Del Calzolar diserto, e del Drappiere; E dirà lor: ben degna pena avete O troppo ancor religi-osi servi De la necessitade, antiqua è vero Madre e donna dell’arti, or nondimeno Fatta cenciosa e vile. Al suo possente Amabil vincitor v’era assai meglio, O miseri, ubbidire. Il Lusso il Lusso
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655 tasche. ] tasche: A2 A3 663 necessitade ] Necessitade A2 A3 657 Crocetta accanto al verso in b 663 Crocetta accanto al verso in b
654 un giorno intero: cfr. la dedica «Alla Moda»: «[Questo piccolo Poemetto] fie pago di vivere quel solo momento, che tu ti mostri sotto un medesimo aspetto, e pensi a cangiarti, e risorgere in più graziose forme». 655 tra le folte […] tasche: nelle tasche dei nobili, piene di cianfrusaglie. – L’inversione, che sposta tasche a fine verso, e l’iperbato, che divide folte da tasche, gonfiano il dettato ironicamente e quasi iconicamente. 658-660 Spregerà […] Drappiere: disprezzerà le imprecazioni, il lavoro sprecato (perché non riceve alcun compenso) e gli inutili tentativi (di ottenere il pagamento del lavoro svolto) del calzolaio che viene ignorato (diserto, dal giovin signore) e del drappiere. 661 ben degna pena avete: cfr. ancora vv. 630-631 e nota. Il merciaio, come il precettore, è organico al sistema economico e sociale che garantisce i privilegi della nobiltà. 662-663 O troppo […] necessitade: o servitori ancora troppo fedeli della necessità. – Cfr. le viete usanze serbate con superstizion dai mariti ai vv. 445-450, dove pure si stigmatizzava la subordinazione di qualcosa (là il matrimonio, qui il lavoro) a un fine che Parini suggerisce essere il suo naturale (la procreazione, la sussistanza) e se ne predicava invece, ironicamente, la defunzionalizzazione estetizzante nel costume di vita nobiliare. 664 Madre e donna dell’arti: le arti sarebbero nate dalla necessità e dalla necessità avrebbero tratto, in passato, la propria regola. – Donna: ha il senso del latino domina, «signora, padrona». 665-667 Al suo possente […] ubbidire: assai vi sarebbe convenuto servire il suo potente e più gradevole vincitore, o miseri. – vincitor: è naturalmente il lusso, che qui è detto amabile come il rito al quale il giovin signore viene ammaestrato. 667 Il Lusso, il Lusso: la ripetizione mima l’insistenza di molta pubblicistica illuminista sul lusso come fattore di progresso economico e civile; cfr. per esempio le Considerazioni sul lusso di Pietro Verri («Il Caffè», t. i, f. xiv), che riprendono ar-
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giuseppe parini Oggi sol puote dal ferace corno Versar sull’arti a lui vassalle applausi E non contesi mai premj e dovizie. L’ora fia questa ancor che a te conduca Il dilicato Miniator di Belle, Ch’è de la Corte d’Amatunta e Pafo Stipendiato ministro atto a gli affari Sollecitar dell’amorosa Dea.
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674 ministro ] Ministro A2 A3
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gomenti di Montesquieu, Hume, Melon, Mirabeau e Forbonnais (cfr. Jonard, pp. 298-305). Diversamente, Parini insiste sulla disuguaglianza sociale che del lusso nobiliare è necessario presupposto e suggerisce che effetto delle spese di lusso siano non il progresso economico, ma la prosperità di attività economiche prive di utilità sociale e l’aumento delle importazioni a danno di attività socialmente necessarie e delle produzioni locali (cfr. v. 649 e nota). La prospettiva di Parini è comunque etica più che economica, o quanto meno esclude che si possano scindere le considerazioni di ordine etico da quelle di ordine economico, come invece pensano alcuni sostenitori dell’utilità pubblica del lusso, e presenta analogie con quelle di Fénelon («le luxe empoisonne toute une nation», leggiamo nel libro xvii di Télémaque, citato da Jonard, p. 313), dei fisiocratici e dei discorsi Si le rétablissement des sciences et des arts à contribué à épurer les moeurs (1750) e Sur l’origine de l’inégalité (1755) di Jean-Jacques Rousseau. Queste analogie non implicano necessariamente una derivazione del pensiero pariniano dalle opere di questi autori, e in particolare da Rousseau, ma mostrano almeno come esso sia in sintonia con quello di altri protagonisti del dibattito filosofico di quegli anni (cfr. Accame Bobbio, pp. 516-517). Infine, cfr. i versi Al Consigliere barone De Martini (PV lvi 18-20): «Nè paventai seguir con lunga beffa / E la superbia prepotente, e il lusso / Stolto ed ingiusto»; L’innesto del vaiuolo 71-72, dove il «lusso» si accompagna all’«avarizia» e alla «stolta pigrizia»; e il Discorso di apertura per la cattedra di Belle Lettere, recitato il 6 dicembre 1769, dove Parini afferma che le lettere sono ciò che più di tutto può spingere i cittadini «ad oggetti più sublimi, che non sono la vana pompa del lusso o la falsa gloria delle ricchezze» (p. 305). 668 dal ferace corno: dal corno dell’abbondanza. 669 sull’arti a lui vassalle: sulle arti asservite al lusso. – vassalle: la rifunzionalizzazione delle arti alla produzione di oggetti di lusso è designata con una parola che originariamente designava una relazione di subordinazione interna alla nobiltà. 671 L’ora fia questa: riprende i vv. 645-646. 672 Il dilicato Miniator di Belle: anch’egli partecipa dell’estetica nobiliare e dunque gli compete una delicatezza che, come chiariranno i vv. 674-675, non è gentilezza di spirito. 673 la Corte d’Amatunta e Pafo: le città di Amatunte e Pafo sorgevano sull’isola di Cipro, sacra ad Afrodite. Albini ricorda Aeneis x 51: «est Amathus, est celsa mihi Paphus atque Cythera». 674-675 Stipendiato ministro […] Dea: servo prezzolato, abile nel favorire le avventure amorose.
il mattino Impazi-ente or tu l’affretta e sprona Perchè a te porga il desiato avorio Che de le amate forme impresso ride, O che il pennel cortese ivi dispieghi L’alme sembianze del tuo viso ond’abbia Tacito pasco allor che te non vede La pudica d’altrui sposa a te cara; O che di lei medesma al vivo esprima L’imagin vaga; o se ti piace, ancora D’altra fiamma furtiva a te presenti Con più largo confin le amiche membra. Ma poi che al fine a le tue luci esposto Fia il ritratto gentil, tu cauto osserva Se bene il simulato al ver risponda, Vie più rigido assai se il tuo sembiante Esprimer denno i colorati punti Che l’arte ivi dispose. O quante mende Scorger tu vi saprai! Or brune troppo A te parran le guance; or fia ch’ecceda Mss.
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676 Impazi-ente: come ai vv. 516-527, il giovin signore appare infastidito e privo di autocontrollo. 677 il desiato avorio: la desiderata miniatura d’avorio. 678 che […] ride: che risplende delle amate sembianze che vi sono state incise. 679-683 O che […] O che: sia che … sia che. 680 alme: nobili. 680-682 ond’abbia […] a te cara: così che la casta sposa altrui che ti è cara, quando anche non sia con te, possa pascersi in silenzio della tua immagine. – La pudica [… ] cara: cfr. v. 310 e nota. 683-684 O che di lei […] vaga: sia che raffiguri, come se fosse viva e presente, la bella immagine di lei. 685 d’altra fiamma furtiva: di un’altra donna con cui tu abbia avuto una segreta relazione. – Il complemento di specificazione è anticipato con ampia prolessi. 686 Con più largo confin: non solo il viso, quindi, ma probabilmente anche la scollatura. Non per caso, l’espressione richiama il più liberal confine del v. 392. 689 Se bene […] risponda: se l’immagine effigiata corrisponda fedelmente alla realtà del modello. 690-692 vie più rigido assai […] dispose: tanto più esigente se i punti colorati disposti secondo l’arte della miniatura devono rappresentare il tuo volto. – mende: difetti, imperfezioni. 694-696 or fia ch’ecceda […] il naso fia: potrà accadere che la bocca appaia troppo larga, per non essere stata contenuta dall’artista, o che il naso sembri camuso come quello degli Etiopi. – Il passo insinua che il difetto non sia dell’artista, ma del modello, e che quindi l’arte non debba rappresentare la verità, nel sistema sociale dominato dalla nobiltà, ma celebrare il committente e soddisfare il suo narcisismo.
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giuseppe parini Mal frenata la bocca; or qual conviensi Al camuso Etiòpe il naso fia. Ti giovi ancora d’accusar sovente Il dipintor, che non atteggi industre L’agili membra e il dignitoso busto, O che con poca legge a la tua imago Dia contorno o la posi o la panneggi. È ver, che tu del grande di Crotone Non conosci la scuola; e mai tua mano Non abbassossi a la volgar matita Che fu nell’altra età cara a’ tuoi pari Cui sconosciute ancora eran più dolci E più nobili cure a te serbate. Ma che non puote quel d’ogni precetto Gusto trionfator che all’ordin vostro In vece di maestro il Ciel concesse, 697 Ti giovi ancora ] Ancor ti giovi c 703 scuola ] scola b c
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698 che non atteggi industre: che per poco impegno non abbia rappresentato adeguatamente. 700-701 con poca legge […] panneggi: con arte insufficiente delinei la tua immagine, le conferisca la sua posa o raffiguri il panneggio degli abiti. – Imago: latinismo. – contorno […] posi […] panneggi: termini tecnici della critica figurativa, così come il precedente atteggi (v. 698). 702-703 del grande […] la scuola: non conosci Zeusi, illustre per ciò che dipinse a Crotone, e la sua scuola. – Zeusi: pittore greco vissuto nella seconda metà del v secolo a.C. e nativo di Eraclea, è detto grande di Crotone per il quadro di Elena che dipinse in quella città. Qui è il pittore per antonomasia e sta per la pittura in generale. 703-705 e mai tua mano […] a’ tuoi pari: e mai ti abbassasti a impugnare l’umile matita da disegno, che in altro tempo fu cara ai nobili. – Nel Rinascimento, il disegno e la pittura non erano mestieri da artigiani, ma nobili occupazioni degne anche dell’aristocrazia. 708-710 Ma che non puote […] concesse: ma che cosa non può fare quel gusto che trionfa su tutte le regole dell’arte e che il cielo ha concesso al posto di altro maestro alla vostra classe? – Gusto: di nuovo una categoria centrale del pensiero filosofico settecentesco appare banalizzata dal costume nobiliare e di nuovo i diritti di nascita sono invocati come pretesto per sottrarsi alle leggi e alle fatiche dello studio, con il quale si dovrebbero apprendere quei precetti sopra i quali l’insipiente gusto del giovin signore e dei suoi pari si vanta di trionfare. Nel Discorso di apertura per la cattedra di Belle Lettere, Parini descrive il buon gusto come «un sentimento perfezionato dall’arte», e cioè «formato» dai «grandi esemplari» (p. 316); e la stessa unione di sentimento e giudizio si ritrova nella lettera al Principe di Kaunitz del 16 dicembre 1769: «La squisitezza del gusto, con cui l’Altezza Vostra sente e giudica il Bello delle Let-
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Altre edd. Mss.
il mattino Et onde a voi coniò le altere menti Acciò che possan de’ volgari ingegni Oltre passar la paludosa nebbia, E d’aere più puro abitatrici Non fallibili scerre il vero e il bello? Perciò qual più ti par loda, riprendi Non men fermo d’allor che a scranna siedi Rafael giudicando, o l’altro eguale Che del gran nome suo l’Adige onora: E a le tavole ignote i noti nomi Grave comparti di color che primi Fur tra’ Pittori. Ah s’altri è sì procace Ch’osi rider di te, costui paventi
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715 bello? ] bello A3 718 Rafael ] Raffael c
tere e delle Arti» (Lettere, p. 99). Se quindi il gusto è una facoltà che deve essere coltivata e che si richiama a una tradizione, ciò che il giovin signore esprime non sarà buon gusto, ma ossequio alla moda, alla quale infatti il poemetto è consacrato (e cfr. vv. 528-532 e 800-801 e note). – il Ciel concesse: cfr. i vv. 61-63 e 227-229. 711-715 Et onde […] il bello?: e del quale impresse la forma nelle vostre menti superbe, così che esse possano sollevarsi oltre la torbida nebbia delle menti degli umili e, librandosi in un cielo più alto e più puro, discernere infallibilmente il vero e il bello. – paludosa nebbia: cfr. la Gotica caligine del v. 637 e la nota relativa. – aere: trisillabo. Nella revisione del poemetto, Parini correggerà questo e tutti gli altri casi di aere trisillabico, uniformandosi alla più frequente lettura bisillabica della tradizione poetica (cfr. Menichetti, pp. 259-260). – il vero e il bello: anche questo accoppiamento è caratteristico del pensiero estetico del Settecento (scriverà Alfieri, nell’«Introduzione» alla Vita, che essi «non son se non uno»). – Nuovamente la sintassi si complica di anastrofi per innalzarsi ironicamente oltre l’effettiva ignoranza dei nobili. 716-719 qual più ti par […] onora: elogia e critica chi credi meglio, con fermezza non minore rispetto a quando ti ergi a giudice di Raffaello o di quel suo pari che illustra l’Adige con il suo nome. – qual più ti par: cfr. vv. 127-128 e nota. – a scranna siedi: metafora sentenziosa e topica, per cui cfr. Par. xix 79-81: «Or tu chi se’, che vuoi sedere a scranna / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?». – l’altro […] onora: Paolo Caliari di Verona (1528-1588), detto il Veronese. 720-722 E a le tavole ignote […] tra’ Pittori: e ai quadri sconosciuti, con gravità di intenditore, attribuisci i nomi noti di coloro che furono illustri tra i pittori. – tavole ignote: è difficile dire se questi dipinti siano sconosciuti al giovin signore per la sua ignoranza della pittura o per l’oscurità dei loro autori, che egli comicamente confonderebbe con i maestri dell’arte, dimostrando la propria effettiva incompetenza a scerre il vero e il bello. – Il chiasmo di le tavole ignote i noti nomi e il latinismo di comparti parodiano la vacua gravitas esibita dal giovin signore all’atto di giudicare. 722 procace: sfrontato (secondo il significato non solo erotico del latino procax).
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giuseppe parini L’augusta maestà del tuo cospetto, Si volga a la parete; e mentr’ei cerca Por freno in van col morder de le labbra Allo scrosciar de le importune risa Che scoppian da’ precordj, violenta Convulsi-one a lui deformi il volto, E lo affoghi aspra tosse; e lo punisca Di sua temerità. Ma tu non pensa Ch’altri ardisca di te rider giammai; E mai sempre imperterrito decidi. Or l’immagin compiuta intanto serba Perchè in nobile arnese un dì si chiuda Con opposto cristallo ove tu facci Sovente paragon di tua beltade Con la beltà de la tua Dama; o agli occhi Degl’invidi la tolga, e in sen l’asconda Sagace tabacchiera, o a te riluca Sul minor dito fra le gemme e l’oro; 732 giammai; ] giammai, A2 A3 A2 A3 734 Soppresso capoverso in c
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740 tabacchiera, ] tabacchiera;
728 Che scoppian da’ precordj: che erompono dalle viscere. 731-732 Ma tu […] giammai: ma tu non pensare nemmeno che qualcuno possa mai osare ridere di te. – Come ai vv. 650-651, dove si insinuava che il merciaio mentisse in faccia al giovin signore, anche qui si rappresentano le offese che questi deve subire a causa della sua ignoranza e la sua effettiva impotenza contro quelle offese. Nei versi precedenti, l’anatema pronunciato contro chi avesse osato ridere era di fatto una lunga descrizione, e in questo senso un’affermazione, della derisione che il giovin signore attirava su di sé. 735 nobile arnese: un medaglione che, aprendosi, riveli da un lato il ritratto della dama e dall’altro uno specchietto (l’opposto cristallo del verso successivo). – arnese: cfr. i leggiadri arnesi dei vv. 837 e 839. 736-738 ove tu facci […] la tua Dama: nel quale tu possa spesso confrontare la tua bellezza con quella della tua dama. 738-740 o a gli occhi […] tabacchiera: o che una scaltra tabacchiera la tenga nascosta sul petto, sotto il vestito, e la sottragga agli sguardi degli invidiosi. – sagace tabacchiera: come per le fiaccole superbe del v. 72 o per lo specchio / Altero dei vv. 486-487, l’epiteto pertiene propriamente al giovin signore, che sa difendere l’immagine della dama grazie alla propria conoscenza dei costumi del bel mondo. Esso inoltre risente del latino sagax, che denotava la sensibilità dell’olfatto o dell’udito. 740-741 o a te riluca […] l’oro: o che la porti, brillante, sul mignolo, tra gli ori e le gemme degli anelli.
il mattino O de le grazie del tuo viso desti Soavi rimembranze al braccio avvolta De la pudica altrui Sposa a te cara. Ma giunta è al fin del dotto pettin l’opra. Già il maestro elegante intorno spande Da la man scossa un polveroso nembo Onde a te innanzi tempo il crine imbianchi. D’orribil piato risonar s’udío Già la corte d’Amore. I tardi veglj Grinzuti osár coi giovani nipoti Contendere di grado in faccia al soglio Del comune Signor. Rise la fresca Gioventude animosa, e d’agri motti Libera punse la senil baldanza. Gran tumulto nascea, se non che Amore Ch’ogni diseguaglianza odia in sua corte
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751 osár ] osàr A2 A3 749 Soppresso capoverso in c 752 Contendere ] Già contender c 753 Crocetta accanto al verso in c
743 al braccio avvolta: incastonata in un bracciale. 744 De la pudica […] cara: cfr. ancora v. 310 e nota. 745 Ma giunta […] l’opra: ma infine si è conclusa l’opera del pettine sapiente. – Al v. 513 il precettore aveva avvisato il parrucchiere: Lunga fia l’opra tua. 746-747 intorno spande […] nembo: sparge con una mano una nuvola di cipria. – Nembo: parola del lessico militare, oltre che della meteorologia. In Caro, Eneide vii 1197 si trova «di fanti un nembo», traduzione del virgiliano «insequitur nimbus peditum» (Aeneis vii 793). 748 Onde a te […] imbianchi: che ti imbianchi i capelli prima del tempo (prima, cioè, della vecchiaia). 749-750 D’orribil piato […] d’Amore: un tempo si udì la corte di Amore riecheggiare delle grida di una lite spaventosa. – Comincia qui la favola della cipria. – piato: appare già in Dante (Inf. xxx 147) ed è usato da Parini anche in Rip. Eup. lvii 12: «io fei tanto piato con quel bue». Originariamente aveva il significato di «lite giudiziaria» (deriva dal latino placitum) e quindi si presta a introdurre la contesa tra giovani e vecchi sui ruoli e sui diritti rispettivi nella corte di Amore. – già: introduce il tempo mitico della favola. Cfr. MT i 313 e MZ 1110-1111. 752-753 Contendere […] Signor: disputarsi la precedenza di fronte al trono di Amore, loro comune signore. 754-755 e d’agri motti […] baldanza: e senza riguardi colpì la baldanza dei vecchi con aspri motteggi. 756 Gran tumulto nascea: cominciava a sollevarsi un grande tumulto.
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giuseppe parini A spegner mosse i perigliosi sdegni: E a quei che militando incanutiro Suoi servi impose d’imitar con arte I duo bei fior che in giovenile gota Educa e nutre di sua man natura: Indi fè cenno, e in un balen fur visti Mille alati ministri alto volando Scoter le piume, e lieve indi fiocconne Candida polve che a posar poi venne Su le giovani chiome; e in bianco volse Il biondo, il nero, e l’odi-ato rosso. L’occhio così nell’amorosa reggia Più non distinse le due opposte etadi, E solo vi restò giudice il Tatto. Or tu adunque, o Signor, tu che se’ il primo Fregio ed onor dell’amoroso regno I sacri usi ne serba. Ecco che sparsa
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772 se’ il ] se ’l A2 A3 760 servi impose d’ ] servi, apprese ad c
758 A spegner […] sdegni: agì per placare le ire minacciose. – perigliosi sdegni: di questa pericolosità è lecito dubitare, dato che la nobiltà, nel poemetto, è sempre apparsa imbelle. 759-760 a quei […] Suoi servi: a quei suoi servitori che erano invecchiati seguendolo fedelmente. – militando incanutiro: come osserva Tizi, questa pervicacia nel servizio di amore contraddice il precetto ovidiano: «Militat omnis amans, et habet sua castra Cupido; / Attice crede mihi, militat omnis amans. / quae bello est habilis, Veneri quoque convenit aetas: / turpe senex miles, turpe senilis amor» (Ovidio, Amores i, ix 1-4). La forma apocopata incanutiro è arcaizzante (cfr. osserváro, al v. 105, e nota; e inoltre cantàro, al v. 832, e segnàro, al v. 1083) 761 I duo bei fior: il giglio e la rosa, metafore tradizionali per il bianco e il rosa dell’incarnato dei giovani (cfr. v. 355). 764 Mille alati ministri: mille amorini. – L’iconografia della favola, più che classicamente atteggiata, è comicamente rococò. 765-767 e lieve […] chiome: e dalle ali degli amorini cominciò a fioccare leggermente una polvere bianca, la cipria, che quindi si posò sulle capigliature dei giovani. – Cfr. Roberti, Moda 50, 7-8: «Polve, che a lieve soffio ondeggia e fiocca / Candida più che neve ancor non tocca». 768 l’odi-ato rosso: i capelli rossi erano oggetto di superstizione. 770 le due opposte etadi: giovinezza e vecchiaia sono opposte nella contesa e in quanto stanno ai due estremi della vita dell’uomo. 771 il Tatto: la cosmesi può ingannare l’occhio, ma non il tatto. 772-773 primo […] onor: cfr. i vv. 952-953: «O di grand’alma / Primo fregio ed onor Beneficenza». 774 I sacri usi: cfr. v. 7 e nota.
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il mattino Pria da provvida man la bianca polve In piccolo stanzin con l’aere pugna, E degli atomi suoi tutto riempie Egualmente divisa. Or ti fa cuore, E in seno a quella vorticosa nebbia Animoso ti avventa. O bravo o forte! Tale il grand’Avo tuo tra ’l fumo e ’l foco Orribile di Marte, furiando Gittossi allor che i palpitanti Lari De la Patria difese, e ruppe e in fuga Mise l’oste feroce. Ei non pertanto Fuliginoso il volto, e d’atro sangue Asperso e di sudore, e co’ capegli Stracciati ed irti da la mischia uscío Spettacol fero a’ cittadini istessi 783 Crocetta accanto al verso in c 788 da ] de c
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775-776 la bianca polve […] pugna: la bianca polvere si contende con l’aria lo spazio di un piccolo camerino. – La cipria veniva aspersa in un apposito camerino perché si diffondesse uniformemente senza disperdersi in un ambiente troppo ampio. – pugna: il verbo partecipa della componente eroicomica del poemetto, che costituisce la nota dominante dei successivi vv. 778-795. Tizi ricorda anche Pope, Il riccio rapito v 108-109: «senza nè pur che se ne sparga un atomo, / ché de la polve titillante i grani» (con riscontri lessicali anche in sparsa, v. 774, e in atomi, v. 777). 778 Egualmente divisa: distribuita uniformemente. 779-780 E in seno […] ti avventa: e lanciati nel cuore di quel nembo vorticante. – L’esortazione parodizza il topos epico dell’eroe che in battaglia si lancia nel fitto dei nemici (cfr. per esempio Ger. Lib. IX 90, 1-3: «Questi ristretti insieme in ordin folto / poco cedeano o nulla al valor franco. / In questi urtò Goffredo». 781-83 Tale […] gittossi: allo stesso modo il tuo grande antenato si lanciò ferocemente in mezzo al fumo e al fuoco terribili della battaglia. – Marte: cfr. vv. 20-21 e nota. – furiando: era già apparso al v. 525 e tornerà in MZ 811. Bonora ricorda Ger. Lib. viii 23, 5-6: «Quando ecco furiando a lui s’aventa / uom grande, c’ha sembiante e guardo atroce». – Gittossi: Tizi ricorda Caro, Eneide xii 374-375: «Giuturna sua sorella, infra le schiere / Gittossi»; e Bentivoglio, Tebaide I 421: «Gittossi poscia nel freddo aer puro». 783-784 i palpitanti […] Patria: le divinità tutelari della patria minacciata e atterrita. 784-785 ruppe […] l’oste feroce: travolse e mise in fuga il nemico feroce. – ruppe: latinismo. – oste: ancora un latinismo. 786 Fuliginoso il volto: con il volto nero per il fumo delle armi e della battaglia. – L’accusativo di relazione è un latinismo sintattico. 789 spettacol fero: spettacolo feroce, terribile, crudele. – Il precettore insiste sulla ferocia degli antenati del giovin signore, diversamente da lui forti e pronti al sangue, ma ancora estranei alla squisita civiltà dei suoi costumi.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Per sua man salvi; ove tu assai più dolce E leggiadro a vedersi, in bianca spoglia Uscirai quindi a poco a bear gli occhi De la cara tua Patria a cui dell’Avo Il forte braccio, e il viso almo, celeste Del Nipote dovean portar salute. Ella ti attende impazi-ente, e mille Anni le sembra il tuo tardar poc’ore. È tempo omai che i tuoi valetti al dorso Con lieve man ti adattino le vesti Cui la moda e ’l buon gusto in su la Senna T’abbian tessute a gara, e qui cucite
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792 a bear ] bear A2 A3 792 In c Reina commentò: «N. B. qui si scorge, ed| altrove, che esistono| più edizioni del|Mattino colla data|del 1763; perchè|nel testo a stampa|dell’Autore dice: Uscirai quindi a poco bear gli occhi.» 796 Soppresso capoverso in c 800 Cui ] Che c; buon gusto ] bongusto b c
792-793 a bear […] Patria: cfr. vv. 472-474 e nota. 793-795 a cui dell’Avo […] salute: a cui dovevano dare salvezza il forte braccio dell’antenato e il viso nobile, divino, del nipote. – almo, celeste: cfr. il sangue / Purissimo, celeste del v. 3 e la nota relativa. – salute: deve essere inteso, polisemicamente, come salvezza dalla minaccia del nemico portata dall’antenato e come beatitudine portata dal giovin signore in senso parodisticamente lirico, come già in MT i 472-474. – Sui meriti dei nobili, della presente generazione o delle precedenti, e sul rapporto tra nobiltà di sangue e virtù, cfr. anche i versi di Pope (An essay on man, Ep. iv, 205214) che Parini reca in epigrafe al suo Dialogo sopra la nobiltà, così traducendoli: «Ben puoi tu forse per favor de’ regi / E de le drude loro andar coperto / Di titoli, di croci, e di cordoni. / Ben può il tuo già da mille anni vantato / Sangue scendere a te d’una in un’altra / Lucrezia; ma, se tu il tuo merto fondi / Sopra il merto de’ padri, a me non conta / Se non quelli che fur grandi e dabbene. / Che se il tuo prisco sì, ma ignobil sangue / Scorse per vili petti, anco che scenda / Fin dal diluvio, vattene e racconta, / Ch’è plebea la tua stirpe, e non mi scopri, / Che sì gran tempo senza merti furo / I padri tuoi». 796 Ella: la patria. 798 È tempo omai: espressione formulare della tradizione didascalica, per cui cfr. Spolverini, Riso iii 421: «Ma tempo è omai»; Betti, Baco ii 512: «Pensa che tempo è omai»; e i 204: «Or tempo è ben ormai»; Alamanni, Coltivazione i 1138: «Ma tempo viene omai» e altrove. Cfr. anche MT i 410 e nota. 800-801 Cui la moda […] a gara: che la moda e il buon gusto parigini, cercando di superarsi tra loro, ti abbiano confezionato. – a gara: ambiguo, in quanto può implicare armonia di intenti ma anche contrapposizione, così che seguire la moda significherebbe inevitabilmente infrangere le regole di un più autentico buon gusto. Cfr. quindi vv. 528-532, 582 e 708-710 e note. – Di nuovo il precettore descrive un mondo proteso a servire il giovin signore (cfr. vv. 156-157).
il mattino Abbia ricco sartor che in su lo scudo Mostri intrecciato a forbici eleganti Il titol di Monsieur. Non sol dia leggi A la materia la stagion diverse; Ma sien qual si conviene al giorno e all’ora Sempre varj il lavoro e la ricchezza. Fero Genio di Marte a guardar posto De la stirpe de’ Numi il caro fianco, Tu al mio giovane Eroe la spada or cingi Lieve e corta non già, ma, qual richiede La stagion bellicosa, al suol cadente, E di triplice taglio armata e d’elsa Immane. Quanto esser può mai sublime L’annoda pure, onde l’impugni all’uopo La furibonda destra in un momento:
Mss.
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805
810
815
810 cingi ] cigni c
802 in su lo scudo: sullo stemma. 804 Il titol di Monsieur: anche i termini di presentazione soggiacciono alla voga francese. In Mt ii 817, però, Monsieur sarà italianizzato in monsù. 804-807 Non sol […] la ricchezza: non solo gli abiti devono mutare foggia in relazione alla stagione, ma la loro forma e la loro ricchezza devono variare continuamente, come si conviene rispetto alle diverse occasioni del giorno e del momento. – Ancora una volta la legge non sia quella della necessità (le stagioni con i loro diversi climi, che impongono abiti più o meno caldi), ma quella del lusso e dell’apparenza, che impongono cambiamenti più frequenti. Il richiamo alla variazione e alla convenienza, con la loro dimensione retorica latente, evoca l’orizzonte di un pubblico al quale l’abbigliamento sia rivolto come gesto di comunicazione. 808-809 Fero Genio […] fianco: fiero spirito di Marte, preposto a proteggere i corpi amati, preziosi, della stirpe degli dei. – stirpe de’ Numi: in MZ 237 si avrà prole alta di numi; e, in generale, cfr. ancora v. 3 e nota. – caro fianco: l’aggettivo riecheggia forse il Ê›ÏÔ˜ omerico, caratteristicamente riferito, anche con accezione possessiva, alle parti del corpo (Placella, p. 38). 811-812 qual […] bellicosa: come vogliono questi tempi bellicosi. – La precisazione è antifrastica in quanto i giovani nobili, diversamente dai loro antenati, si astengono ormai dalla carriera militare (cfr. i vv. 20-21). Non sarà invece antifrastica, ma resterà ironica, qualora si legga l’allusione a ciò che vuole la stagion come avvertimento che la necessità della spada è dettata dalla moda. 813 di triplice taglio armata: affilata sul dritto e sul rovescio e dotata di punta. 814 Quanto […] sublime: quanto più in alto è possibile. – sublime: come il precedente Immane, è iperbole ironica.
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49
Mss.
giuseppe parini Nè disdegnar con le sanguigne dita Di ripulire et ordinar quel nodo Onde l’elsa è superba; industre studio È di candida mano: al mio Signore Dianzi donollo, e gliel appese al brando La pudica d’altrui sposa a lui cara. Tal del famoso Artù vide la corte Le infiammate d’amor donzelle ardite Ornar di piume e di purpuree fasce I fatati guerrieri, onde più ardenti Gisser poi questi ad incontrar periglio In selve orrende tra i giganti e i mostri. Figlie de la memoria inclite Suore Che invocate scendeste, e i feri nomi De le squadre diverse e degli Eroi Annoveraste ai grandi che cantàro Achille, Enea, e il non minor Buglione, 826 guerrieri, onde più ardenti ] guerrieri; e questi poi c ser poi questi ] Correan mortale c
820
825
830
827 Gis-
817-819 Nè disdegnar […] superba: e non disdegnare di forbire e aggiustare con le tue dita, sporche di sangue, il nastro che orna superbamente l’elsa della spada. – Nè disdegnar […] nodo: l’invito allude alla possibilità che Marte spregi il nodo in quanto ornamento e pegno d’amore. La superbia riferita al nodo esemplifica il consueto trasferimento agli oggetti delle qualità di coloro che li usano. – sanguigne dita: perché Marte è il dio della guerra. 819 industre studio: né l’operosità né lo zelo, in realtà, sono qualità del giovin signore e della sua dama. 821 brando: spada. – È parola dell’epica. 823-826 Tal […] guerrieri: così la corte del celebre re Artù vide le giovani dame innamorate ornare arditamente, con piume e nastri color porpora, i cavalieri incantati. – Il riferimento ai personaggi e alle vicende del ciclo arturiano evoca apparentemente l’eroismo e lo spirito guerriero dei cavalieri della Tavola Rotonda, ma più ancora la dimensione favolistica del ciclo, attraverso l’allusione agli incantamenti di alcuni cavalieri e ai giganti e ai mostri combattuti nelle selve, e quella amorosa, su cui insistono il richiamo ad amor e le variazioni sulla metafora del fuoco d’amore, con infiammate e ardenti (ripreso foneticamente da ardite, quasi a evocare la rispondenza del sentimento). 829 Figlie […] suore: figlie della memoria, sorelle gloriose. – Le nove Muse erano figlie di Zeus e di Mnemosine, dea della memoria. 830-833 Che invocate […] Buglione: che rispondeste alle invocazioni ed enumeraste i nomi feroci delle schiere diverse e degli eroi ai grandi poeti (Omero, Virgilio e Tasso) che cantarono Achille, Enea e Goffredo di Buglione, di grandezza non minore. – Il giudizio sul personaggio tassiano vale per metonimia anche per il poema di cui egli è protagonista, come già ai vv. 607-609.
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A1 Mss.
il mattino Or m’è d’uopo di voi: tropp’ardua impresa, E insuperabil senza vostr’aìta Fia ricordare al mio Signor di quanti Leggiadri arnesi graverà sue vesti Pria che di se medesmo esca a far pompa. Ma qual tra tanti e sì leggiadri arnesi Sì felice sarà che pria d’ognaltro, Signor, venga a formar tua nobil soma? Tutti importan del par. Veggo l’Astuccio Di pelle rilucente ornato e d’oro Sdegnar la turba, e gli occhi tuoi primiero Occupar di sua mole: esso a mill’uopi Opportuno si vanta, e in grembo a lui Atta agli orecchi, ai denti, ai peli, all’ugne 842 Tutte 839 Soppresso capoverso in c so b c
842 Tutte ] Tutti b
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840
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846 a lui ] ad es-
834-838 Or m’è d’uopo […] pompa: ora ho bisogno di voi: senza il vostro aiuto, ricordare al mio signore tutti gli orpelli che dovrà appendere alle sue vesti, prima di uscire a fare mostra di sé, sarebbe impresa troppo ardua, insuperabile. – Or […] voi: cfr. Inf. ii 7: «O muse, o alto ingegno, or m’aiutate». 839 leggiadri arnesi: la formularità del linguaggio è caratteristica dell’epica antica e medievale, che affondavano le loro radici nella tradizione, nella memoria e nell’improvvisazione. Cfr. Caro, Eneide i 1147-1149: «A l’apparir del giovinetto Iulo, / Corser tutti a mirare il manto, e ’l velo, / Et gli altri ch’adducea leggiadri arnesi». Nel Discorso sopra le Caricature, invece, Parini racconta del re dell’isola che, se si fosse smarrito, subito lo avrebbero ritrovato, «tanti erano i sonaglj, le trombettine, le squadre, i panieruzzi, i camei, le calamite, i suggelli, e bandiere, e cannoni, e colubrine, e mille altre cianfrusaglie, che gli pendeano a’ calzoni […]. Che vi dirò io di tutto l’altro ciarpame di ch’egli avea cariche le tasche?» (pp. 143-144). 841 tua nobil soma: il tuo carico glorioso. – L’espressione è velatamente ossimorica, poiché la soma grava usualmente sul dorso degli asini, e riprende le precedenti similitudini zoomorfe (cfr. vv. 54 e 542-554). 842 Tutti importan del par: gli oggetti del giovin signore sembrano ripetere le dispute nobiliari sulla precedenza già evocate ai vv. 749-753. – l’Astuccio: contiene gli strumenti per la cura del corpo. I nomi degli oggetti inizieranno con lettera maiuscola come se fossero nomi di eroi. 844 Sdegnar la turba: anche in questo sdegno altezzoso verso il volgo degli altri oggetti, l’astuccio riproduce gli atteggiamenti del giovin signore (cfr. vv. 572-573). 845 di sua mole: con le sue dimensioni (maggiori di quelle degli altri oggetti). 847-848 Atta […] forbita famiglia: viene un insieme di lucidi strumenti, utili per orecchie, denti, peli e unghie. – Al momento del bagno (vv. 962-976) il giovin signore dovrà compiere un supremo sforzo di rimozione della propria comune corpo-
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Vien forbita famiglia. A lui contende I primi onori d’odorifer’onda Colmo Cristal che a la tua vita in forse Rechi soccorso allor che il vulgo ardisce Troppo accosto vibrar da la vil salma Fastidiosi effluvj a le tue nari. Nè men pronto di quella all’uopo istesso L’imitante un cuscin purpureo Drappo Mostra turgido il sen d’erbe odorate Che l’aprica montagna in tuo favore Al possente meriggio educa e scalda. Seco vien pur di cristallina rupe Prezi-oso Vasello onde traluce Non volgare confetto ove agli aromi Stimolanti s’unìo l’ambra o la terra, Che il Giappon manda a profumar de’ Grandi L’etereo fiato; o quel che il Caramano 860 Vasello onde] Vasello: indi A2 A3 848 Crocetta accanto al verso in c; lui ] quel b 861 Non volgare ] Il non volgar c
850
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860
854 quella ] quel b
reità. Qui il poeta sembra demistificare in anticipo quello sforzo attraverso la menzione analitica delle parti del corpo che richiedono cura e pulizia. 848-850 A lui […] Cristal: gli disputa l’onore di essere il primo la boccetta di cristallo, piena di profumo. 850-853 che a la tua vita […] nari: che soccorra la tua vita minacciata quando gli uomini del popolo osano diffondere troppo vicino al tuo naso gli spiacevoli odori dei loro corpi spregevoli. – Nel Dialogo sopra la Nobiltà, il nobile cerca di allontanare da sé il poeta, che puzza di cadavere (cfr. vv. 266-267 e nota). 854-856 Nè men pronto […] odorate: e il drappo purpureo cucito come un cuscino, non meno pronto alla stessa bisogna, mostra la sua imbottitura di erbe odorose. 857 aprica: soleggiata. 858 educa e scalda: cresce e alimenta. – Cfr. l’analoga espressione al v. 762: educa e nutre. Ancora una volta sembra che tutto, perfino la natura, operi per compiacere il giovin signore. 859-860 di cristallina […] Vasello: un prezioso flacone di cristallo di rocca. 861-864 Non volgare […] fiato: una pregiata pastiglia nella quale ad aromi eccitanti si siano mescolate l’ambra o quella terra, il cattù, che il Giappone manda a profumare l’alito dei nobili. – la terra: il cattù, o catecù, è l’estratto di una varietà asiatica di acacia, usato in erboristeria. – il Giappon […] fiato: cfr. i vv. 134-143. 864-866 o quel […] papaveri suoi: o quel lattice che gli abitanti della Caramania fanno uscire dai loro papaveri incidendone la capsula. – Caramano: la Caramania è la
il mattino Fa gemer Latte dall’inciso capo De’ papaveri suoi (a) perchè, qualora Non ben felice amor l’alma t’attrista, Lene serpendo per le membra, acqueti A te gli spirti, e ne la mente induca Lieta stupidità che mille aduni Imagin dolci e al tuo desìo conformi. A questi arnesi il Cannochiale aggiugni, E la guernita d’oro anglica Lente. Quel notturno favor ti presti allora Che in teatro t’assidi, e t’avvicini Gli snelli piedi e le canore labbra Da la scena rimota, o con maligno Occhio ricerchi di qualch’alta loggia Le abitate tenebre, o miri altrove
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(a) L’Oppio Altre edd.
866 suoi (a) ] suoi (1) A3 (anche in nota a piè pagina) tenèbre A2 A3
879 tenebre ]
regione interna dell’Anatolia. – Latte […] papaveri: il lattice ottenuto dai papaveri contiene l’oppio. 868-871 Lene […] conformi: diffondendosi dolcemente nel corpo calmi il tuo spirito agitato e porti nella tua mente un sereno torpore, che richiami mille immagini soavi e conformi ai tuoi desideri. – Serpendo: in MZ 993-997 il veleno mortale dell’egualitarismo illuminista sa Gir serpendo nei cuori. Cfr. inoltre NT 138-139: «Ecco il tedio a la fin serpe tra i vostri / Così lunghi ritiri». – stupidità: si intende innanzitutto «torpore», ma sembra evidente che insieme si insinua l’altro e più corrente significato della parola. – mille […] conformi: l’augurio che le immagini portate dall’oppio siano conformi al desìo del giovin signore implica una sua infantile inclinazione a indulgere in fantasie consolatorie invece di affrontare la realtà. 873 E la guernita […] Lente: e l’occhialetto d’oro, con lente di fabbricazione inglese. 874 Quel […] ti presti: quello (il cannocchiale) ti serva di notte. 875 t’assidi: è forma aulica e contribuisce all’ironia dello stile. 875-877 e t’avvicini […] rimota: e ingrandisca ai tuoi occhi, come avvicinandoli a te dal lontano palcoscenico, gli agili piedi delle danzatrici e le bocche delle cantanti. – L’attenzione del giovin signore non si concentra sullo spettacolo, ma sui corpi delle donne sul palcoscenico. Lo stesso Parini, tuttavia, non era insensibile al fascino delle cantanti: cfr. i sonetti per Caterina Gabrielli (PV xvi-xviii) e quelli per Clementina Piccinelli (PV cxxxiii-cxxxiv). 877-879 o con maligno […] tenebre: o se scruti con occhio malevolo, che cerca materia di maldicenza, le tenebre di uno dei palchi più alti, con i suoi occupanti.
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Mss.
giuseppe parini Gli ognor nascenti e moribondi amori De le tenere Dame onde s’appresti Per l’eloquenza tua nel dì vicino Lunga e grave materia. A te la Lente Nel giorno assista, e de gli sguardi tuoi Economa presieda, e sì li parta, Che il mirato da te vada superbo, Nè i malvisti accusarti osin giammai. La Lente ancora all’occhio tuo vicina Irrefragabil giudice condanni O approvi di Paladio i muri e gli archi O di Tizian le tele: essa a le vesti, Ai libri, ai volti feminili applauda Severa o li dispregi. E chi del senso Comun sì privo fia che opporsi unquanco Osi al sentenziar de la tua Lente? 890 Paladio ] Palladio b c 895 Osi ] Contro b c
880
885
890
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894 opporsi unquanco ] insorger osi b c
880 Gli ognor […] amori: gli amori che continuamente nascono e muoiono. – Torna il motivo della vanità effimera delle relazioni sentimentali dei nobili, per cui cfr. ancora MZ 792-795. 881-883 onde s’appresti […] materia: così che il giorno dopo si offra alla tua eloquenza una materia copiosa e solenne. Altri però intendono: così che il giorno dopo la tua eloquenza fornisca materia di lunghi e solenni discorsi (con valore causale di Per l’eloquenza tua). 884-887 e de gli sguardi […] giammai: e misuri oculatamente i tuoi sguardi, distribuendoli in modo che coloro che osservi si inorgogliscano e che invece non ti possano accusare coloro che fingi di non vedere. 889-891 irrefragabil […] tele: come giudice inappellabile condanni o approvi le mura e gli archi progettati da Palladio o i dipinti di Tiziano. – La lente giudica al posto del giovin signore, che ancora appare ridotto ai propri oggetti, e, come già Raffaello e Veronese, anche Andrea Palladio (1508-1580) e Tiziano Vecellio (14771576), architetto e pittore insigni, sono raggiunti dal suo reciso e incompetente giudizio (cfr. MT i 716-719 e 733). 892 Ai libri […] applauda: riproduce con il complemento di termine la sintassi del latino applaudere, che è seguito da ad e nome in accusativo. 893-895 E chi […] lente?: e chi mai si dimostrerà così privo di senso comune da osare opporsi alla sentenza della tua lente? – senso / Comun: come altrove (cfr. vv. 708710 e nota), una categoria del pensiero settecentesco (Sensus Communis si intitola un’opera di Shaftesbury del 1709) è banalizzata a conformismo e ossequio. – Cfr. i vv. 722-732, dove analogamente si dubitava e si insinuava che qualcuno potesse ridere dei giudizi del giovin signore.
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Altre edd.
il mattino Non per questi però sdegna, o Signore, Giunto a lo specchio, in gallico sermone Il vezzoso Giornal; non le notate Eburnee Tavolette a guardar preste Tuoi sublimi pensier fin ch’abbian luce Doman tra i begli spirti; e non isdegna La picciola Guaina ove a’ tuoi cenni Mille stan pronti ognora argentei spilli. O quante volte a cavalier sagace Ho vedut’io le man render beate Uno apprestato a tempo unico spillo! Ma dove, ahi dove inonorato e solo Lasci ’l Coltello a cui l’oro e l’acciaro Donàr gemina lama, e a cui la madre
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900
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896 Signore, ] Signore A2 A3
896-898 Non per questi […] Giornal: non disdegnare però, a causa di questi oggetti, il giornale francese di moda, al quale unirai lo specchio. – vezzoso Giornal: è verosimilmente un giornale di moda, se vezzosissima Dea era la Moda, nella dedica, e se proprio lo specchio lo accompagna. – gallico Sermon, cfr. vv. 200-201. 898-899 le notate […] Tavolette: il taccuino per le tue note, fatto di tavolette d’avorio; oppure, secondo altri interpreti: rilegato in avorio; o ancora: fogli di carta del colore dell’avorio (che metaforicamente sono assimilati alle tabellae latine), pronti comunque a registrare i sublimi pensier da trasmettere poi agli altri begli spirti. 901-903 e non isdegna […] spilli: e non disdegnare la piccola custodia dove mille spilli sono sempre pronti a rispondere ai tuoi ordini. – L’insistenza sulla prontezza degli oggetti a rispondere ai cenni e ai bisogni del giovin signore estende fino all’assurdo la rappresentazione di un ordine sociale dove tutto si piega ai desideri della nobiltà. 904-906 Oh quante […] spillo!: quante volte ho visto un solo, semplice spillo, offerto al momento giusto, rendere beate le mani di uno scaltro cavaliere (che coglie l’occasione per toccare la dama alla quale lo offre). – quante volte […] Ho vedut’io: è «formula testimoniale di tradizione didascalica», nota Tizi, che cita Rucellai, Api 129: «Io l’ho vedute a’ miei dì mille volte»; e Betti, Baco iii 361: «Oh quante volte or ti vegg’io la notte». – Uno […] spillo: la forte e ironicamente aulica inversione è impreziosita dal modulo ritmico, caro a Parini, degli accenti ribattuti di sesta e settima posizione. 907 Ma dove, ahi dove: la ripetizione accentua il pathos della domanda. Cfr. NT 70: «Or dove ahi dove senza me t’aggiri». – inonorato: negletto, trascurato. – La parola rileva la dimensione dell’onore e quindi rinnova la rappresentazione degli arnesi del giovin signore come figure partecipi del costume nobiliare (cfr. v. 842 e nota). 908-909 a cui […] lama: il coltello ha un doppio filo di lama, d’oro da un lato e d’acciaio dall’altro.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini De la gemma più bella d’Anfitrite Diè manico elegante ove il colore Con dolce variar l’iride imita? Opra sol fia di lui se ne’ superbi Convivj ognaltro avanzerai per fama D’esimio Trinciatore, e se l’invidia De’ tuoi gran pari ecciterai qualora, Pollo o fagian con la forcina in alto Sospeso, a un colpo il priverai dell’anca Mirabilmente. Or ti ricolmi alfine D’ambo i lati la giubba, ed oleosa Spagna e Rapè cui semplice Origuela Chiuda, o a molti colori oro dipinto; E cupide ad ornar tue bianche dita Salgan le anella in fra le quali assai
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920 oleosa ] oleoso A2 A3 913 lui ] quel b; in c il verso reca accanto una crocetta 920 D’ambo i lati la giubba ] Il giubbon d’ambo i lati c; giubba] Sottolineato in b; oleosa ] oleoso b
909-912 e a cui […] imita: e al quale la madreperla, che genera la gemma più bella dell’oceano, la perla, fornì un manico elegante, dove i colori cangianti imitano l’arcobaleno. – la madre […] d’Anfitrite: anticamente si credeva che la perla fosse generata dalla madreperla, che è lo strato interno della conchiglia dei molluschi. Anfitrite era una divinità marina del gruppo delle Nereidi e la sposa di Poseidone, re del mare. – imita: come al v. 591, si legge come parola piana, con diastole. 913-915 Opra sol fia […] Tinciatore: sarà solo merito suo (del coltello) se nei sublimi banchetti supererai chiunque altro con la tua reputazione di eccellente tagliatore. 915-919 e se l’invidia […] Mirabilmente: e se susciterai l’invidia dei tuoi nobili pari ogni volta che, avendo sollevato con la forchetta un pollo o un fagiano, con un sol colpo ne taglierai la coscia, meravigliosamente. – a un colpo: vibrato a un pollo o a un fagiano, suona distintamente eroicomico. – Mirabilmente: acquisisce maggiore rilievo per la sua collocazione alla fine del periodo e per essere rigettato con forte spezzatura al v. 919. 919-922 Or ti ricolmi […] dipinto: ora riempiti le tasche della giubba, da entrambi i lati, di tabacco di Spagna, grasso e odoroso, e di rapè, che stiano racchiusi in una tabacchiera di semplice radica di Orihuela o di oro smaltato con vari colori. – Spagna e Rapè: sono due qualità di tabacco da fiuto. Mazzoni ricorda che di tabacco di Spagna e rapè discutono Don Marzio e Leandro nella scena xvi del secondo atto della Bottega del caffè (1750) di Goldoni: «Don Marzio: “Non ve ne intendete. Il vero tabacco è il rapè”. Leandro: “A me piace il tabacco di Spagna”». – Orihuela: città spagnola della provincia di Alicante. Vi si producevano oggetti in radica. 924 anella: per il plurale Parini usa regolarmente la forma femminile (cfr. MZ 64 e 599).
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il mattino Più caro a te dell’adamante istesso Cerchietto inciso d’amorosi motti Stringati alquanto, e sovvenir ti faccia De la pudica altrui Sposa a te cara. Compiuto è il gran lavoro. Odi, o Signore, Sonar già intorno la ferrata zampa De’ superbi corsier che irrequieti Ne’ grand’atrj sospigne arretra e volge La disciplina dell’ardito auriga. Sorgi, e t’appresta a render baldi e lieti Del tuo nobile incarco i bruti ancora. Ma a possente Signor scender non lice Da le stanze superne infin che al gelo, O al meriggio non abbia il cocchier stanco Durato un pezzo, onde l’uom servo intenda Per quanto immensa via natura il parta Dal suo Signore. I miei precetti intanto Io seguirò; che varie al tuo mattino Portar dee cure il variar dei giorni.
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925 adamante: diamante. 927 Stringati alquanto: insinua il sospetto di un certo fastidio del giovin signore per l’obbligo di fedeltà alla pudica altrui Sposa che l’anello sembrerebbe implicare. – sovvenir ti faccia: esortazione di ascendenza didascalica. Cfr. Alamanni, Coltivazione i 47: «e gli sovvenga allor». 929 Compiuto […] lavoro: cfr. Betti, Baco iv 741: «Ma già compiuta è la grand’opra». 929-933 Odi, o Signore, […] auriga: ascolta, mio signore, come riecheggia il suono dello zoccolo ferrato dei cavalli superbi e frementi, che l’intrepido cocchiere, nell’ampio cortile, spinge, frena e indirizza con la sua frusta. – la ferrata […] corsier: cfr. Bentivoglio, Tebaide vi 582-587: «Stanno i destrier […] e la ferrata zampa»; vii 532: «De’ tuoi destrier tra le ferrate zampe»; e altrove (Tizi e Fabrizi, p. 75). – disciplina: come nota Bonora, può designare la norma morale ma anche, più materialmente, la frusta del cocchiere (cfr. vv. 572-573 e nota). – ardito auriga: il cocchiere, eroicomicamente, assume tratti di auriga omerico. 934-935 t’appresta […] ancora: preparati a ravvivare e rallegrare anche i cavalli con il peso del tuo augusto corpo. – nobile incarco: richiama la nobil soma del v. 841. 936-937 scender […] superne: non è lecito scendere dai suoi sublimi alloggi. – superne: indica la collocazione delle stanze ai piani superiori del palazzo e contribuisce alla rappresentazione ironica del giovin signore come divinità. 939-941 onde l’uom […] Signore: così che l’uomo di condizione servile comprenda con quale immane distanza la natura lo abbia separato dal suo signore. – L’affermazione che le disuguaglianze sociali abbiano origine nella natura è ovviamente antifrastica. 942-943 varie […] variar: il poliptoto raffigura retoricamente la rispondenza del costume nobiliare al mutare dei giorni e insiste sulla volubilità determinata dall’ossequio alla moda e dall’assillo della noia.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Tal dì ti aspetta d’eloquenti fogli Serie a vergar, che al Rodano, al Lemano All’Amstel, al Tirreno, all’Adria legga Il Librajo che Momo, e Citerea Colmàr di beni, o il più di lui possente Appaltator di forestiere scene Con cui per opra tua facil donzella Sua virtù merchi, e non sperato ottenga Guiderdone al suo canto. O di grand’alma Primo fregio ed onor Beneficenza Che al merto porgi, ed a virtù la mano! Tu il ricco e il grande sopra il vulgo innalzi,
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944 ti aspetta ] aspetta A3 945 vergar, ] vergar A2 A3 947 Momo, ] Momo A2 A3 947 Il ] O il c 949 scene ] scene, c 950 cui ] cui, c; tua ] tua, c; sempre in c, il verso è segnato accanto con una crocetta 952 O ] Oh c; grand’ ] gran c 954 ed a ] e a la c
944-945 Tal dì […] vergar: un giorno dovrai scrivere una serie di lettere piene di eloquenza. – eloquenti fogli: già al v. 882 si ironizzava sull’eloquenza del giovin signore. 945-948 che al Rodano […] di beni: che a Lione, sul Rodano, a Ginevra, sul Lemano, ad Amsterdam, sull’Amstel, a Livorno, sul Tirreno, e a Venezia, sull’Adriatico, siano lette da librai che la letteratura satirica e la letteratura licenziosa hanno arricchito. – Rodano […] Adria: i nomi di fiumi, di laghi e di mari designano metonimicamente città che alla metà del Settecento erano celebri per le loro tipografie. – Momo: dio del biasimo. Esiodo, nella Teogonia, lo presenta come figlio della Notte e gli attribisce il consiglio, offerto a Zeus, di suscitare una guerra tra Asia ed Europa creando in Elena un oggetto di contesa, così da ridurre il numero degli uomini ormai troppo numerosi per la Terra. Qui è emblema della letteratura satirica. – Citerea: Afrodite (cfr. v. 349), che sta per la letteratura erotica già stigmatizzata ai vv. 610-619. 948-949 il più di lui possente […] scene: l’impresario di teatri stranieri, più potente del libraio. – il più […] possente: questo maggior potere dell’impresario deriva forse dai suoi contatti con donne disponibili, come emerge nei versi successivi. 950-952 Con cui […] canto: con il quale, grazie alla tua mediazione, qualche fanciulla di talento, o di facili costumi, metta a frutto le sue virtù, guadagnando un compenso insperato per le sue doti di cantante. – Né il canto né l’arte drammatica sono il vero oggetto dello scambio o la ragione del guiderdon. Il significato di insperato […] al suo canto è infatti ambiguo («insperato compenso per il suo canto», ma anche «compenso insperato se fosse solo per il suo canto»), come ambiguo è l’aggettivo facil, che esibisce il significato latino di «abile, sciolta» (per cui cfr. la facil mano del v. 32), ma sottintende «di facili costumi». Nel Settecento, d’altra parte, la facilità dei costumi delle attrici era un luogo comune non sempre privo di fondamento e contro il quale Goldoni si batté, o mostrò di battersi, per tutta la sua carriera. 955 Tu: la Beneficenza del v. 953, alla quale si rivolge questa antifrastica invocazione.
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Altre edd. Mss.
il mattino Ed al concilio de gli Dei lo aggiugni. Tal giorno ancora, o d’ogni giorno forse Den qualch’ore serbarsi al molle ferro Che il pelo a te rigermogliante a pena D’in su la guancia miete, e par che invidj, Ch’altri fuor che lui solo esplori o scopra Unqua il tuo sesso. Arroge a questi il giorno Che di lavacro universal convienti Bagnar le membra, per tua propria mano, O per altrui con odorose spugne Trascorrendo la cute. È ver che allora D’esser mortal ti sembrerà; ma innalza Tu allor la mente, e de’ grand’avi tuoi Le imprese ti rimembra e gli ozj illustri Che infino a te per secoli cotanti, Misti scesero al chiaro altero sangue, E l’ubbioso pensier vedrai fuggirsi Lunge da te per l’aere rapito Su l’ale de la Gloria alto volanti; Et indi a poco sorgerai qual prima
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956 al ] il A2 A3 964 mano, ] mano A2 A3 970 cotanti,] cotanti A2 A3 956 Crocetta accanto al verso in c 957 Soppresso capoverso in c 975 Et indi ] E quindi c
956 al concilio […] lo aggiugni: cfr. vv. 3 e 61-62 e note. 957 Tal giorno ancora: riprende il Tal dì del v. 944. 958-962 Den qualch’ore […] il tuo sesso: alcune ore devono essere riservate al flessibile rasoio, che ti taglia la barba appena rinascente sulle guance e sembra che non voglia che nessuno, se non lui, si accorga che sei uomo. – Ancora una volta il giovin signore appare effeminato e molle come il suo rasoio. – Arroge: aggiungi. – È forma arcaizzante. 963 lavacro universal: bagno intero. – convienti: formula didascalica, già in Georg. i 3 e 255 («conveniat») e poi («convienti») in Rucellai, Api 79 e in Betti, Baco ii 259. 966 trascorrendo la cute: detergendo la pelle ripetutamente. 967-968 d’esser mortal […] la mente: di fronte all’evidenza della propria comune umanità, il giovin signore è esortato a compiere uno sforzo di rimozione. 968-971 de’ grand’avi […] altero sangue: cfr. vv. 1-6. 972 ubbioso: fastidioso e infondato, perché gli aristocratici non sono creature mortali come gli uomini del popolo. 974 alto volanti: che volano in alto. – L’espressione è di tono epico. – alto: ancora in contraccento di settima posizione (cfr. vv. 1-3 e 906 e note), ha funzione di avverbio.
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giuseppe parini Gran Semidèo che a sè solo somiglia. Fama è così, che il dì quinto le Fate Loro salma immortal vedean coprirsi Già d’orribili scaglie, e in feda serpe Volta strisciar sul suolo a sè facendo De le inarcate spire impeto e forza; Ma il primo sol le rivedea più belle Far beati gli amanti, e a un volger d’occhi Mescere a voglia lor la terra e il mare. Fia d’uopo ancor, che da le lunghe cure T’allevj alquanto, e con pietosa mano Il teso per gran tempo arco rallenti. Signore, al Ciel non è più cara cosa Di tua salute: e troppo a noi mortali È il viver de’ tuoi pari util tesoro. Tu adunque allor che placida mattina
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976 se (+A2 A3) 980 se (+A2 A3) 977 quinto ] sesto c
976 Gran Semidèo […] somiglia: l’allitterazione di «Semidèo […] sè solo somiglia» mima la fissità narcisistica del nobile concentrato esclusivamente su se stesso. 977-981 Fama è così […] forza: si racconta che il venerdì le fate, similmente, vedessero il loro corpo immortale ricoprirsi di orribili scaglie e, trasformato in sudicia serpe, strisciare per terra grazie alla spinta delle proprie spire. – Fama è così: espressione di tradizione didascalica. Tizi ricorda Spolverini, Riso i 1138: «è fama»; iv 242: «com’è fama»; e iv 942: «Non bugiarda è tal fama»; Betti, Baco i 69: «Fama antica è»; Baldi, Nautica iii 147: «Come canta la fama»; e, all’origine, Georg. iv 318: «ut fama». – feda: cfr. il fedo loto del v. 617. – La metamorfosi delle fate era stata raccontata nella fiaba della Donna Serpente (1762) di Carlo Gozzi e in Orl. Fur. xliii 98-102, ma, più in generale, è di tradizione popolare. Mazzoni: «Tutti questi versi meritano ammirazione pel suono bellissimo e per la vivacità della rappresentazione: si osservi […] l’armonia imitativa del movimento serpentino, ottenuta per mezzo della consonante s su cui il verso insiste, dopo salma, coprirsi, scaglia, che quasi vi preludono, con le voci serpe, strisciar, sul suolo, sè, fino a spire che conclude sì fatto accorgimento; né sfugga la frase elegante, e propria, ed efficace di realtà nel tempo stesso ‘a se facendo de le spire inarcate impeto e forza’ [sic], che dipinge il moto progressivo de’ rettili». 982 il primo sol: l’alba del giorno seguente. 984 Mescere a voglia lor: mescolare, confondere a proprio piacimento. 985-986 Fia d’uopo […] alquanto: sarà poi necessario che ti riposi debitamente, dopo queste così lunghe fatiche. – Cfr., nella tradizione didascalica, Spolverini, Riso i 587-588: «Qui fa d’uopo osservar, qui l’arte, e ’l senno / Adoprar tutto». – con pietosa mano: narcisisticamente, il giovin signore rivolge la propra pietà verso se stesso. 989 a noi mortali: cfr. il v. 228. 990 util tesoro: la metafora, apparentemente banale, insiste sul tema del parassitismo economico della nobiltà.
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il mattino Vestita riderà d’un bel sereno Esci pedestre, e le abbattute membra All’aura salutar snoda e rinfranca. Di nobil cuojo a te la gamba calzi Purpureo stivaletto, onde il tuo piede Non macchino giammai la polve e ’l limo, Che l’uom calpesta. A te s’avvolga intorno Leggiadra veste che sul dorso sciolta Vada ondeggiando, e tue formose braccia Leghi in manica angusta a cui vermiglio O cilestro velluto orni gli estremi. Del bel color che l’elitropio tigne Sottilissima benda indi ti fasci La snella gola: e il crin…. Ma il crin, Signore, Forma non abbia ancor da la man dotta Dell’artefice suo; che troppo fora, Ahi! troppo grave error lasciar tant’opra De le licenzi-ose aure in balía. Non senz’arte però vada negletto
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1005 E (+A2 A3) 1010 Non ] Nè c
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992 Vestita […] sereno: risplenderà illuminata in un bel giorno sereno. – Cfr. Inf. i 17: «vestite già de’ raggi del pianeta»; e, per la metafora del sorriso del cielo, Purg. i 20: «faceva tutto rider l’orïente». 993 Esci pedestre: esci a piedi. – pedestre: vi è anche adombrata una negazione della distinzione spirituale del giovin signore da quel volgo che socialmente egli distingue e respinge da sé. Cfr. quindi v. 573 e nota. 998 l’uom: l’uomo del popolo, il comune mortale. 1000 formose: belle. – Latinismo e nuova allusione all’effeminatezza del giovin signore. 1001-1002 a cui vermiglio […] estremi: i cui bordi siano adornati di velluto rosso o celeste. 1003 Del bel color […] tigne: del bel colore, il giallo, che si ricava come tintura dal girasole. 1004 benda: fazzoletto. 1005 La snella gola: anche questo, come le formose braccia del v. 1000, è un tratto di bellezza femminile più che maschile. 1005-1007 Ma il crin […] artefice suo: ma i capelli, mio signore, non siano ancora stati acconciati dalla mano esperta del parrucchiere. – la man dotta: cfr. il dotto pettin del v. 745. 1008 tant’opra: un lavoro così grandioso. 1009 de le licenziose […] balía: in balia dei venti senza freno (che oserebbero sconvolgere l’acconciatura del giovin signore). 1010-1011 Non senz’arte […] cader: in un soggetto del 1790, per una decorazione del nuovo palazzo Belgiojoso, i capelli di Minerva sono «raccolti negligentemente» (Sog-
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giuseppe parini Su gli omeri a cader; ma, o che natura A te il nodrisca, o che da ignota fronte Il più famoso parrucchier lo tolga, E l’adatti al tuo capo, in sul tuo capo Ripiegato l’afferri e lo sospenda Con testugginei denti il pettin curvo. Poi che in tal guisa te medesmo ornato Con artificio negligente avrai, Esci pedestre a respirar talvolta L’aere mattutino; e ad alta canna Appoggiando la man, quasi baleno Le vie trascorri, e premi ed urta il volgo Che s’oppone al tuo corso. In altra guisa
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1018 avrai; (+ A2 A3) 1016-1017 «Scatole» è postilla tra i due versi, a margine, in c; in d si legge: «Nel Mattino pag. 58. in margine al verso Con testugginei denti era poi scritto Scatole.» 1017 Soppresso capoverso in c
getti, p. 550); in generale, l’avverbio ricorre di frequente nei soggetti pariniani (cfr. la descrizione del Sonno riportata in nota ai vv. 90-94). 1011-1013 o che natura […] lo tolga: o che la chioma sia la tua naturale, o che il più celebre dei parrucchieri te l’abbia composta con i capelli di persona ignota (o che cioè sia una parrucca). 1014-1016 In sul tuo capo […] curvo: un pettine ricurvo di tartaruga lo pieghi e lo trattenga fissato sulla tua testa. 1018 Con artificio negligente: con ricercatezza che non vuole apparire. – È il principio classico dell’arte raffinata che sembra facile e non appare grazie al virtuosismo dell’artista, ma banalizzato a cura narcisistica di sé che si nasconde per civetteria (cfr. anche vv. 1010-1011 e nota). 1020 alta canna: un lungo bastone da passeggio in canna di bambù. – alta: alti, anzi sublimi erano anche i cocchi delle matrone e la spada del giovin signore ai vv. 572 e 814-815. L’estetica nobiliare insiste sull’altezza come elemento simbolico della posizione sociale rivendicata. Successivamente, comunque, Parini correggerà in lieve canna per seguire i mutamenti della moda (ma anche la levità è un tratto ricorrente dell’estetica nobiliare raffigurata). 1021 quasi baleno: la rapidità è attributo dell’eroe epico, a cominciare dall’Achille omerico. 1022-1023 premi ed urta […] corso: spingi e urta il popolo che ti intralcia il cammino. – Cfr. Orazio, Satire ii, vi 28-30: «luctandum in turba, et facienda iniuria tardis […] tu pulses omne, quod obstat»; e Sergardi, Satire iv 190-192: «Per il Corso […] urta impertinente / Or questo, or quello». 1023-1025 In altra guisa […] i primi eroi: muoversi per strada diversamente (senza urtare gli uomini del popolo) sarebbe sconveniente, perché i signori di più alto rango si distinguerebbero a fatica dagli uomini del popolo. – Mal distinti […] dal vulgo:
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il mattino 185 Fora colpa l’uscir, però che andrièno Mal distinti dal vulgo i primi eroi. 1025 Ciò ti basti per or. Già l’oriolo A girtene ti affretta. Ohimè che vago Arsenal minutissimo di cose Ciondola quindi, e ripercosso insieme Molce con soavissimo tintinno! 1030 Di costì che non pende? avvi per fino Piccioli cocchi e piccioli destrieri Finti in oro così, che sembran vivi. Ma v’hai tu il meglio? ah sì, che i miei precetti Sagace prevenisti: ecco che splende 1035 Chiuso in picciol cristallo il dolce Pegno Di fortunato amor. Lunge o profani, Che a voi tant’oltre penetrar non lice. E voi dell’altro secolo feroci, 1026 Soppresso capoverso in A3 1036 Pegno ] pegno A3 1025-1026 Postilla pariniana in c, tra i due versi, a margine: «Cannuccia Noia Moda»; in d si legge: «tra il vs. Mal distinti dal vulgo e l’altro Ciò ti basti per or sta scritto Cannuccia noja moda» 1026 Soppresso capoverso in c 1030 Postilla dell’autore in c, sotto il verso: «Due orologi»; in d si legge: «sotto l’ultimo vs. Ciondola quindi sta scritto due orologi. = Si vede che queste parole il Parini le|notò per memoria di ciò che in que’ luoghi voleva aggiungere.» 1033 Crocetta accanto al verso in b c 1037 Crocetta accanto al verso in c
ancora una volta, i nobili sembrano spiccare solo per l’effettiva volgarità dei loro modi. – i primi eroi: espressione di tono epico, che connota la scena eroicomicamente. – Si implica qui che lo scopo ultimo del costume aristocratico sia preservare la distinzione dei nobili dal popolo e dunque le disuguaglianze di classe. 1026-1027 Già l’oriolo […] t’affretta: già l’orologio ti sollecita ad andartene. 1027-1030 che vago […] tintinno!: quale repertorio di vezzosi e minuscoli gingilli oscilla appeso e, scosso, accarezza l’udito con un dolcissimo tintinnio. – ripercosso […] tintinno: il crollare di lance e scudi dell’epica (cfr. per esempio Ger. Lib. xi 75, 57: «il pio Goffredo / già ne l’ostro le gambe avolge e serra / e l’asta crolla smisurata») diventa qui, con l’arsenale delle cose minutissime, una musica soave per bambini. 1033 Finti: foggiati. 1036-1037 il dolce pegno […] amor: è verosimilmente una ciocca dei capelli dell’amata, che il giovin signore porta in un medaglione di cristallo. 1037 Lunge o profani: cfr. Aeneis vi 258: «‘procul o, procul este, profani’»; e La gratitudine 311: «Lungi o profani!». È il tema consueto della sacralità del costume nobiliare e del suo significato di distinzione di classe. 1039 E voi […] feroci: la bellicosità degli avi dell’altro secolo potrebbe essere riferita a un generico passato o più precisamente al Seicento. I documenti genealogici delle
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giuseppe parini Ed ispid’avi i vostri almi nipoti Venite oggi a mirar. Co’ sanguinosi Pugnali a lato le campestri rocche Voi godeste abitar, truci all’aspetto, E per gran baffi rigidi la guancia Consultando gli sgherri, e sol giojendo Di trattar l’arme che d’orribil palla Givan notturne a traforar le porte Del non meno di voi rivale armato. Ma i vostri almi nipoti oggi si stanno Ad agitar fra le tranquille dita Dell’oriolo i ciondoli vezzosi; Ed opra è lor se all’innocenza antica
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1046 palla ] palle A3 1048 armato. ] armato: A2 A3 1041 Crocetta accanto al verso in c 1045 giojendo ] gioiendo b 1048 meno ] manco c 1051 Sotto il verso, in c, la postilla pariniana: «Avo»
famiglie nobili dicono infatti che nel Seicento i loro membri erano spesso uomini d’arme, usi cioè a portare e usare le armi anche per scopi privati, e che ancora all’inizio del Settecento essi sceglievano spesso la carriera militare nelle file dell’esercito imperiale (cfr. Donati, pp. 190-192). La rinuncia alle armi, dunque, sarebbe solo delle ultime generazioni. Nel Dialogo sopra la Nobiltà, il nobile così dice al poeta: «Tu dei sapere che que’ primi de’ nostri avoli prestarono de’ grandi servigj agli antichi nostri principi, ajutandoli nelle guerre ch’eglino intrapresero; e perciò furono da quelli beneficati insignemente e renduti ricchi sfondolati. Dopo questi, altri, divenuti fieri per la loro potenza, riuscirono celebri fuorusciti, e segnalarono la loro vita faccendo stare al segno il loro principe e la loro patria; altri si diedero per assoldati a condurre delle armate in servigio ora di questo, or di quell’altro signore, e fecero un memorabile macello di gente d’ogni paese» (pp. 198-199). 1040 almi nipoti: cfr. vv. 793-795 e nota. 1042 le campestri rocche: i castelli fortificati nelle campagne. 1044 E per gran baffi […] guancia: e induriti nell’espressione per i grandi baffi che vi crescevano sulle guance. – L’accusativo di relazione è tipico del classicismo stilistico di Parini. 1045-1048 e sol giojendo […] armato: felici solo quando potevate usare le armi da fuoco, che con i loro terribili proiettili, anche durante la notte, abbattevano le difese del vostro nemico, non meno armato di voi. – Del non meno […] armato: con pronunciate anastrofi. 1052 Ed opra è lor […] il mondo: ed è merito loro se il mondo torna all’ingenuità delle età primitive e alla sua infanzia. – Anche qui si arieggia, ironicamente, un topos del pensiero illuminista e in particolare roussoiano, e cioè quello di uno stato di natura nel quale l’uomo, incorrotto dalla civiltà, sarebbe vissuto in una condizione di innocenza originaria. In realtà, l’infantilismo dei nobili deriva da troppa civilizzazione e, come sanciranno i versi finali del Mattino, è tutt’altro che innocente.
il mattino 187 Torna pur anco, e bamboleggia il mondo. Or vanne, o mio Signore, e il pranzo allegra De la tua Dama: a lei dolce ministro 1055 Dispensa i cibi, e detta al suo palato E a la sua fame inviolabil legge. Ma tu non obliar, che in nulla cosa Esser mediocre a gran Signor non lice: Abbia il popol confini; a voi natura 1060 Donò senza confini e mente, e cuore. Dunque a la mensa, o tu schifo rifuggi Ogni vivanda, e te medesmo rendi Per inedia famoso, o nome acquista D’illustre voratore. Intanto addio 1065 Degli uomini delizia, e di tua stirpe, E de la patria tua gloria e sostegno. Ecco che umíli in bipartita schiera
Altre edd. Mss.
1062 mensa, ] mensa A2 A3 1053 Sotto il verso, in c, l’autore annotò: «Qual di loro è più degno di fama e stima.» 1061 cuore ] core b c
1055 dolce ministro: da attento e delicato servitore. – Sintatticamente, è apposizione del soggetto sottinteso «tu». 1057 inviolabil legge: decisione fermissima. – Come nella formulazione dei suoi giudizi estetici, quando si atteggiava a Irrefragabil giudice (v. 889), anche qui il giovin signore deve interpretare il gusto e il rito nobiliari con sicurezza pari alla loro vanità. 1058 Ma tu non obliar: l’invito, come nota Tizi, è di tradizione didascalica: cfr. Alamanni, Coltivazione iii 717-718: «porre in obblio / Non si devrien» (e cfr. la forma positiva dell’esortazione al v. 927). 1060-1061 Abbia […] cuore: i limiti siano per il popolo. A voi nobili la natura ha dato sentimento e intelligenza senza limiti. – natura / Donò: ancora una volta la disuguaglianza di classe è antifrasticamente ricondotta a una diversità di natura (cfr. vv. 227-229 e nota). – senza confini […] cuore: la sfrenatezza dei nobili è affermata con parole che, se mostrano di assumere il vanto nobiliare della grandiosa dismisura, velatamente insinuano che questa dismisura non sia altro che incondito narcisismo. 1062-1065 schifo […] voratore: respingi ogni cibo mostrandoti disgustato e renditi celebre per la tua astinenza dal cibo o, al contrario, per il tuo formidabile appetito. – schifo: ai vv. 220-222, schifa era la modestia; al v. 355, Amore chiamava spregiativamente schifo il fratello Imene. – rendi […] acquista: perfino per l’alimentazione prevalgono sulla necessità le ragioni dell’ostentazione sociale, di cui ancora emerge la radice narcisistica nel pronome te medesmo rafforzato. 1065 Intanto addio: il giovin signore esce finalmente di casa e il precettore si congeda fino alla ripresa del Mezzogiorno.
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Mss.
giuseppe parini T’accolgono i tuoi servi: altri già pronto Via se ne corre ad annunciare al mondo, Che tu vieni a bearlo; altri a le braccia Timido ti sostien mentre il dorato Cocchio tu sali, e tacito, e severo. Sur un canto ti sdrai. Apriti o vulgo, E cedi il passo al trono ove s’asside Il mio Signore: ahi te meschin s’ei perde Un sol per te de’ preziosi istanti. Temi ’l non mai da legge, o verga, o fune Domabile cocchier, temi le rote, Che già più volte le tue membra in giro Avvolser seco, e del tuo impuro sangue Corser macchiate, e il suol di lunga striscia, Spettacol miserabile! segnàro.
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1083 Sotto il verso, in c, si legge il numero 871., poi cancellato e sostituito da 1091.
1069-1070 altri […] corre: cfr. v. 72 e nota. 1070-1071 ad annunciare […] bearlo: cfr. i vv. 472-474 e 792-793, con le note relative. 1072 Timido: ossequioso. 1075 trono: i cocchi degli aristocratici, sublimi al v. 572, erano emblemi del loro potere e della loro ricchezza. 1076-1077 ahi te meschin […] istanti: ah, povero te, se egli perde per causa tua anche uno solo dei suoi preziosi istanti. 1078-1079 Temi […] cocchier: temi il cocchiere, che non si riesce a frenare né con le leggi, né con le bastonate o i tratti di corda. – Cantù ricorda una grida del 21 gennaio 1763, che censura il costume di correre sui cocchi per le strade cittadine, di giorno e di notte, causando incidenti sanguinosi, nonostante una precedente grida del 1760, e minaccia l’arresto per «qualunque cocchiere, vetturale o condottiere, che sia côlto in attuale corso smoderato; o indiziato ed imputato d’inosservanza della grida, facendo indilatamente subire a’ contravventori la comminata pena di tre pubblici tratti di corda, procedendo in seguito per le ulteriori a norma della detta grida» (p. 354). E Pietro Verri, nei Pensieri sullo stato politico del Milanese nel 1790 narra che «di giorno gli sbirri sparsi per le strade gettavano le stanghe nei raggi delle ruote di quelle carrozze che a lor giudizio correvano, e la contessa Brebbia nata Zonati fu la prima a trovarsi così sorpresa» (p. 21). Cfr. infine La caduta 7-8, dove si nomina «l’obliqua / Furia de’ carri». 1079-1083 temi le rote […] segnàro: temi le ruote del cocchio, che spesso ti hanno preso nel loro giro e hanno proseguito la loro corsa macchiate del tuo sangue impuro e di quel sangue – triste visione! – hanno lasciato sul terreno lunga scia. – Cfr. La salubrità dell’aria 79-84: «E la comun salute / Sacrificossi al pasto / D’ambizïose mute, / Che poi con crudo fasto / Calchin per l’ampie strade / Il popolo che cade». Il Mattino, che si era aperto con il sangue / Purissimo celeste del giovin Signore (vv. 23), si chiude con l’impuro sangue dell’uomo del popolo.
IL ME ZZOG I ORNO Poemetto (1765)
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I L M EZZOGIOR NO.
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rdirò ancor tra i desinari illustri Sul Meriggio innoltrarmi umil Cantore, Poichè troppa di te cura mi punge, Signor, ch’io spero un dì veder maestro E dittator di graziosi modi All’alma gioventù che Italia onora. Tal fra le tazze e i coronati vini,
Mss.
7 Soppresso capoverso c
A
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1-2 Ardirò […] Cantore: oserò ancora, modesto cantore, avanzare fra le mense nobiliari nelle ore pomeridiane. – Sul Meriggio: dovrebbe designare il mezzogiorno e le prime ore del pomeriggio, ma i vv. 24-25 dicono che il pranzo si protrarrà fino al tramonto. Con l’uso della maiuscola, diversamente da meriggio al v. 24, Parini intende inoltre richiamare il titolo della seconda parte del poemetto. – innoltrarmi: cfr. La laurea 35-37: «Io rapito al tuo merto / Fra i portici solenni e l’alte menti, / M’innoltro». – umil Cantore: così ripresentandosi, il Precettor d’amabil Rito annuncia la tendenza di questa seconda parte del poemetto a ridurre la componente didascalica per accrescere quella descrittiva e ironicamente celebrativa. Cfr. quindi NT 248-250: «Io, di razza mortale ignoto vate / Come ardirò di penetrar fra i cori / De’ semidei». Umil Cantore anticipa inoltre l’evocazione di Jopa e di Femio dei vv. 10 e 15 ed è in corrispondenza chiastica, e contrastiva, con desinari illustri, espressione ironica (illustri in quanto sono dei nobili, ma anche, ironicamente, nel significato di «eccellenti», «di uomini illustri») che rileva subito la connotazione eroicomica dell’ardir del cantore che s’avanza. 3 troppa […] punge: tanto viva è la mia sollecitudine verso di te. 4-5 maestro […] modi: l’allievo dovrà pareggiare il maestro e infatti i graziosi modi riprendono l’amabil Rito di MT i 7 (e cfr. la nota a MT i 181). – dittator: deve essere inteso secondo l’idea retorica del dettato e dell’insegnamento, a raddoppiare maestro, piuttosto che secondo quella della suprema magistratura romana, sebbene la parola rimandi connotativamente, e ironicamente, alla romanità. 6 all’alma […] onora: oggetto della satira pariniana, più che la nobiltà in quanto tale, è il costume di vita degli aristocratici delle ultime generazioni. – alma gioventù: cfr. le alme sembianze di MT i 680, il viso almo, celeste / Del Nipote di MT i 794-795 e gli almi nipoti di MT i 1040 e 1049. – che Italia onora: «che onora l’Italia», ma anche «che l’Italia onora», e i due significati sembrano coesistere e rinforzarsi l’uno con l’altro. Cfr. infine RVF liii 100: «un cavalier, ch’Italia tutta honora» (Tizi); e Orl. Fur. iii 16, 6-8: «o casta e nobilissima donzella / dal cui ventre uscirà il seme fecondo / che onorar deve Italia e tutto il mondo». 7 fra le tazze […] vini: fra le coppe di vino inghirlandate. – Il passo riecheggia Aeneis i 723 sgg. e questo verso, in particolare, Aeneis i 724: «crateras magnos statuunt et vina coronant», dove il senso, che potrebbe riflettersi in un’altra possibile interpretazione del passo pariniano, è «coppe di vino colme fino all’orlo». Cfr. inoltre MT i 81-83.
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giuseppe parini Onde all’ospite suo fe’ lieta pompa La Punica Regina, i canti alzava Jopa crinito (1): e la Regina intanto Da’ begli occhi stranieri iva beendo L’oblivion del misero Sichéo. E tale allor che l’orba Itaca in vano Chiedea a Nettun la prole di Laerte, Femio (2) s’udía co’ versi e con la cetra La facil mensa rallegrar de’ Proci Cui dell’errante Ulisse i pingui agnelli (1) V. Virg. Eneid. Lib. i.
G1 Mss.
10
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(2) Omer. Odiss. Lib. i. e altrove.
16 mensa, (+G2 G3) 17 Crocetta accanto al verso in c d
8-9 onde […] regina: con i quali Didone, regina di Cartagine, celebrò lietamente Enea, suo ospite. 10 Jopa crinito: Jopa dalla lunga chioma. – Jopa: figlio di Atlante, allietò con il suo canto il banchetto offerto da Didone per Enea. Cfr. Aeneis i 740-741: «cithara crinitus Iopas / personat aurata, docuit quem maximus Atlas». 10-12 e la Regina […] Sicheo: Didone si innamorò di Enea e così dimenticò il marito Sicheo, al quale aveva giurato di restare fedele oltre la morte. – iva beendo […] Sichéo: cfr. Aeneis i 749: «longumque bibebat amorem»; e iv 20: «miseri post fata Sychaei»; e Inf. v 62: «e ruppe fede al cener di Sicheo». Il passo richiama inoltre il mito greco di Lete («oblio»), figlia della discordia Eris, e della fonte che da lei prendeva nome: si trovava negli inferi e i trapassati vi si abbeveravano dopo la morte per dimenticare la propria esistenza terrena, e prima di tornare in vita, per dimenticare la propria esistenza ultramondana. Anche Dante si riferisce al mito di Lete nella seconda cantica della Commedia (cfr. per esempio Purg. xxxiii 95-99: «or ti rammenta / come bevesti di Letè ancoi; / e se dal fummo foco si argomenta, / cotesta oblivion chiaro conchiude / colpa ne la tua voglia altrove attenta»). Del poema virgiliano, questa volta, Parini sceglie un passo che richiama il tema dell’infedeltà coniugale dei nobili e che già aveva ripreso, ma per celebrare un felice matrimonio, nell’Epistola a Giulio Zanzi del 1757, vv. 78-80: «egli bee / dal bel volto di lei tosco soave, / ch’al cor gli scende» (De Robertis, p. 243). 13-14 allor […] Laerte: quando Itaca, priva del suo signore Ulisse, figlio di Laerte, ne chiedeva invano il ritorno a Nettuno. – in vano: perché Poseidone (Nettuno) era adirato contro Ulisse e cercava di impedirne il ritorno. 15-16 Femio […] Proci: si udiva Femio allietare le mense usurpate dai Proci con i suoi versi e con la sua musica. – facil mensa: perché è goduta a spese di Ulisse e in sua assenza. Albini nota che Parini riprende qui Odissea i 160, dove Atena dice a Telemaco che i Proci si godono facilmente, incontrastati, i banchetti della casa di Ulisse. 17-19 Cui […] pranzo: cui è complemento oggetto di Invitavano e si riferisce ai Proci. – petrosi: i licori sono detti petrosi per ipallage, perché petrosa era Itaca in Omero. Placella (pp. 42-44) nota in particolare che Parini potrebbe avere ripreso dall’Odissea, tramite la mediazione di Alamanni (Coltivazione iv 301-303: «non son tutti / Simiglianti i terren: quello è pietroso, / Quello è trito e leggier, quello è tenace»),
il mezzogiorno E i petrosi licori, e la consorte Invitavano al pranzo. Amici or piega Giovin Signore, al mio cantar gli orecchi Or che tra nuove Elise, e novi Proci, E tra fedeli ancor Penelopée, Ti guidano a la mensa i versi miei. Già dal meriggio ardente il sol fuggendo Verge all’occaso: e i piccioli mortali Dominati dal tempo escon di novo A popolar le vie ch’all’oriente Volgon ombra già grande: a te null’altro Dominator fuor che te stesso è dato. G1 Ess. Altre edd.
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20
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19 Amici ] Amici? G1Fe1 G1Priv1 18 petrosi ] pietosi G2 G3
l’aggettivo ÂÙÚ‹ÂȘ, sebbene Omero usi per la rocciosa asperità dell’isola non questo, ma altri aggettivi. – licori: cfr. MT i 80. 19-20 Amici […] orecchi: ora, giovin signore, presta ai miei versi un orecchio benevolo. – Per l’esortazione, tipica del genere didascalico, cfr. MT i 14-15, 225 e 395-396 e note. 21 nuove Elise: Elisa è un altro nome di Didone, che qui diviene moglie infedele per antonomasia. – nuovi Proci: i nobili contemporanei sono assimilati ai Proci perché desiderano le donne d’altri e perché usurpano ricchezze che non appartengono o non dovrebbero appartenere loro. 22 tra fedeli ancor Penelopee: tra altre mogli ancora fedeli, come Penelope. – Penelopee: Penelopea «è la forma regolare latina dell’omerico ¶ËÓÂÏfiÂÈ·» (Albini). Essa appare già in Martello, Femia i, i 35: «Che alla tentata invan Penelopea»; e nella traduzione dell’Iliade di Anton Maria Salvini (Placella). Qui Penelope è contrapposta a Didone come esempio di fedeltà, ma nell’avverbio ancor, se lo si intende in senso temporale, risuona un’insinuazione dubitativa sulla durata di questa fedeltà. 23 i versi miei: la stessa clausola era in MT i 15 e 578. 24-25 Già dal meriggio […] occaso: già il sole, sfuggendo all’infuocato mezzogiorno, volge verso il tramonto. – Come in MT i , l’indicazione dell’ora tramite il moto apparente del sole segue l’invito all’ascolto del Precettor fattosi Cantore. – Per l’attacco con Già, Tizi ricorda Aeneis iv 584 e ix 459; ma cfr. anche Inf. vii 98-99: «già ogne stella cade che saliva / quand’io mi mossi»; e Ger. Lib. xx 1, 1-2: «Già il sole avea desti i mortali a l’opre, / già diece ore del giorno eran trascorse». – Verge: latinismo. 25-28 e i piccioli mortali […] ombra già grande: e gli uomini di umile condizione, soggetti al corso del tempo, tornano ad affollare le strade, dove già le ombre (per il moto apparente del sole verso ovest) si allungano verso est. – Come già in MT i 33-52, Parini rileva la soggezione degli uomini del popolo alle leggi della necessità e della natura, alle quali i nobili, come dirà di seguito e come già in MT i 55-56 e altrove, sono invece estranei. 28-29 a te […] è dato: tu non hai altro signore che te stesso. – Cfr. vv. 1218-1219 e, per il motivo dell’insofferenza nobiliare di ogni legge e regola, che trapassa in anomia, MT i 708-710 e nota.
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G1 Altre edd. Mss.
giuseppe parini Alfin di consigliarsi al fido speglio La tua Dama cessò. Quante uopo è volte Chiedette, e rimandò novelli ornati; Quante convien de le agitate ognora Damigelle or con vezzi or con garriti Rovesciò la fortuna; a se medesma Quante volte convien piacque e dispiacque; E quante volte è d’uopo a sè ragione Fece, e a’ suoi lodatori. I mille intorno Dispersi arnesi alfin raccolse in uno La consapevol del suo cor ministra: 37 se (+G2 G3) 34 garriti ] gariti G2 G3 30 Soppresso capoverso c
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35 medesma ] medesima G2 G3 31 Crocetta accanto al verso in c d
30-31 Alfin […] cessò: la tua Dama smise infine di chiedere consiglio allo specchio fidato. – Non meno del giovin signore, la sua dama si è lungamente trattenuta alla toilette. Anche per lei Parini ricorre all’umanizzazione eroicomica degli oggetti personali (cfr. in particolare, per lo specchio, MT i 486-488). – fido speglio: Tizi ricorda RVF ccclxi 1: «Dicemi spesso il mio fidato speglio»; Frugoni, Altri versi sciolti xxii 201: «Tiengli prudenza avanti il fido speglio»; e Roberti, Moda 46, 6: «Di un fido speglio alla difficil legge». In VP 92-93 troviamo inoltre «i tardi / De lo specchio consigli». 31 Quante uopo è volte: tante volte quanto è necessario. – L’espressione è ripetuta con variazione, a raffigurare il prevedibile ripetersi dei moti di fastidio e di piacere della dama, ai vv. 33, 36 e 37. Per l’anafora di Quante, cfr. anche MT i 11-12 e nota. 32 Chiedette […] ornati: si fece portare e rimandò indietro capi d’abbigliamento all’ultima moda. – La volubilità della dama nasce da un narcisismo che non può trovare requie e si trasforma in tormento per lei e per coloro che le sono vicine, come già accadeva al giovin signore in MT i 70-71 (e cfr. nota) e 512 sgg. 33-35 de le agitate […] la fortuna: mutò le sorti delle cameriere, sempre concitate e inquiete, con lodi e promesse e con rimproveri e minacce. – agitate: denota la concitazione dei movimenti delle cameriere, ma tradisce anche lo stato emotivo che a loro si propaga dalla padrona, le cui parole infatti diventano garriti. Cfr. vv. 730-732 e nota. – Rovesciò la fortuna è insieme eroicomico, in quanto la dama è ritratta come divinità fatale alle sue cameriere, e veritiero, in quanto rappresenta il potere dei nobili sui loro soggetti, come si vedrà nell’episodio della vergine cuccia (v. 517 sgg.). 35-38 a se medesma […] lodatori: fu contenta e poi scontenta di se stessa quante volte si conviene e quante volte è necessario dette ragione a se stessa e ai suoi adulatori. – a se medesma: cfr. la dedica «Alla Moda», dove si leggeva che sui suoi «pacifici altari […] le gentili Dame, e gli amabili Garzoni sagrificano a se medesimi le mattutine ore» (e cfr. nota). 38-40 I mille intorno […] ministra: infine, la servitrice prediletta, che conosce il suo cuore, raccolse nuovamente i mille strumenti sparsi per la stanza. – dispersi arnesi: sono rappresentati, eroicomicamente, come soldati sconfitti; cfr. Ger. Lib. x 44, 7-8: «han già rotti e dispersi / gli Arabi, i Turchi, i Soriani e i Persi». – alfin: riprende l’omologo del v. 30 e sarà ripreso in anafora al v. 41.
il mezzogiorno Alfin velata d’un leggier zendado È l’ara tutelar di sua beltate; E la seggiola sacra un po’ rimossa, Languidetta l’accoglie. Intorno ad essa Pochi giovani eroi van rimembrando I cari lacci altrui, mentre da lungi Ad altra intorno i cari lacci vostri Pochi giovani eroi van rimembrando. Il marito gentil queto sorride A le lor celie; o s’ei si cruccia alquanto, Del tuo lungo tardar solo si cruccia. Nulla però di lui cura te prenda Oggi, o Signore, e s’egli a par del vulgo Altre edd. Mss.
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50 alquanto,] alquanto; G2 G3 42 beltate ] beltade c 49 Soppresso capoverso c
41 zendado: velo quasi trasparente, solitamente di seta. 42 l’ara […] beltate: l’altare dedicato al culto della sua bellezza (la toilette). – Come di consueto, l’ossequio alla moda e all’apparenza è per i nobili rito e religione. Cfr. Pope, Il riccio rapito i 185-186: «Una minor sacerdotessa a lato / de l’ara giace». 43 la seggiola sacra: in quanto fa parte degli arredi sacri del rito. 44 languidetta: il suffisso vezzeggiativo, che allude alla fatuità del mondo rappresentato, torna nelle cupidette luci del v. 110. 45-48 Pochi giovani eroi […] van rimembrando: alcuni giovani nobili chiacchierano delle altrui relazioni, mentre lontano, e altrove, alcuni giovani nobili chiacchierano della vostra relazione. – Il pettegolezzo (di questo si tratta, se la conversazione è intrattenuta solo in assenza degli interessati e se al v. 50 si parla di celie) è reciproco e universale. – giovani eroi: formula eroicomica che varia sull’assai frequente eroi (cfr. in particolare MZ 1355, dove si parla similmente del celiar degli eroi). – Pochi […] rimembrando: la ripetizione dello stesso verso (45 e 48), con conseguente chiasmo, è figura della monotona uniformità del costume nobiliare. – cari lacci: cfr. il caro nodo e i be’ lacci di MT i 402 e 403. 49-50 Il marito […] celie: la placida stupidità del marito torna in MZ 158-161, 369370 e 409; e in VP 26-29: «Odo le rote / Odo i lieti corsier che all’alma sposa / E a te suo fido cavalier nodrisce / il placido marito». Placido come il sonno è inoltre Imene in MT i 384 e in MZ 412-416. 51 Del tuo […] solo si cruccia: come si comprende dai vv. 56-58, il pranzo potrà iniziare solo quando sarà arrivato il giovin signore, cavalier servente della dama. 52 Nulla […] prenda: ma tu non preoccuparti di lui. – Cfr l’analoga struttura metrico-sintattica del v. 3 e le altre esortazioni avversativo-negative di MT i 309, 896 e 1010. 53-58 e s’egli […] avidi d’esca: e se egli, come un uomo del popolo, ha umiliato il suo animo imbelle e non ha sdegnato di sposarsi, come un uomo del popolo senta la fame stimolargli fastidiosamente nelle viscere i succhi gastrici che non trovano
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G1 Mss.
giuseppe parini Prostrò l’anima imbelle, e non sdegnosse Di chiamarsi marito, a par del vulgo Senta la fame esercitargl’in petto Lo stimol fier degli oziosi sughi Avidi d’esca: o s’a un marito alcuna D’anima generosa orma rimane, Ad altra mensa il piè rivolga; e d’altra Dama al fianco s’assida il cui marito Pranzi altrove lontan d’un’altra a lato Ch’abbia lungi lo sposo: e così nuove Anella intrecci a la catena immensa Onde, alternando, Amor l’anime annoda. Ma sia che vuol, tu baldanzoso innoltra Ne le stanze più interne: ecco precorre Per annunciarti al gabinetto estremo Il noto stropiccío de’ piedi tuoi. 54 imbelle; (+ G2 G3) 59 orma ] ombra c d
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69 stropiccío ] scalpiccio c d
cibo su cui riversarsi. – Prostrò l’anima: cfr. La caduta 83-84: «l’animo tenti / Prostrarmi a terra». Simile sdegno per la possibilità del matrimonio e per la condizione maritale era già in MT i 281-307. – Senta la fame: la fame è stimolo che si conviene al popolo e che il nobile non dovrebbe sentire; il giovin signore siede a tavola solo per il piacere e la fama che può trarne, come in MT i 78-84. – stimol […] sughi: parole di matrice sensista, che si uniscono però ad altre di più tradizionale letterarietà come fier e oziosi. 58-60 o s’a un marito […] il piè rivolga: e il marito a cui resti qualche traccia di grandezza d’animo si diriga a un’altra mensa. 60-63 e d’altra […] lungi lo sposo: come ai vv. 45-48, Parini usa la ripetizione per sorprendere la stasi dell’uniforme ossequio a un costume nel moto apparente delle relazioni nobiliari. Le spezzature ai vv. 60-61 e 61-62 e la relativa del v. 63, che rinnova subito il periodo che poteva chiudersi, raffigurano nel metro e nella sintassi la catena immensa del v. 64. 63-65 e così nuove […] annoda: e in questo modo aggiunga nuovi anelli all’infinita catena con la quale Amore, avvicendando i mariti e gli amanti, unisce le anime. 66-67 Ma sia […] più interne: accada ciò che deve. Tu addentrati con baldanza fino nelle più private stanze. – Eroicomiche sono la sfida ai possibili pericoli di sia ciò che vuol e la baldanza del giovin signore («con secura baldanza» Rinaldo si dirige verso la selva di Saron in Ger. Lib. xviii 17, 4), che deriva la sicurezza del suo incesso, fino a stanze descritte come i penetrali di un tempio, dal suo diritto riconosciuto di cavalier servente. 68 al gabinetto estremo: fino alla stanza della toilette, la più lontana della casa dall’ingresso.
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Già lo Sposo t’incontra. In un baleno Sfugge dall’altrui man l’accorta mano De la tua Dama: e il suo bel labbro intanto T’apparecchia un sorriso. Ognun s’arretra Che conosce i tuoi dritti, e si conforta Con le adulte speranze a te lasciando Libero e scarco il più beato seggio. Tal colà dove infra gelose mura Bizanzio ed Ispaán guardano il fiore De la beltà che il popolato Egéo Manda, e l’Armeno, e il Tartaro, e il Circasso Per delizia d’un solo, a bear entra L’ardente sposa il grave Munsulmano. Tra ’l maestoso passeggiar gli ondeggiano
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79 Egéo ] Egeo G2 G3 82 Munsulmano ] Musulmano c d
70-72 Già lo sposo […] De la tua Dama: già il marito della dama ti viene incontro. Subito dall’altrui mano si stacca la mano prudente della tua dama. – t’incontra: nella tradizione epica, incontro e incontrare possono denotare lo scontro fra cavalieri in singolar tenzone: «fiero incontro» è l’assalto tra Ruggiero ed Erifilla in Orl. Fur. vii, 6 5, mentre Clorinda, in Ger. Lib. iii, 21, 1-2, «ad incontrar l’assalto / va di Tancredi». Parini evoca dunque la possibilità della gelosia e del conflitto, ma subito la storna nei gesti conciliatori della dama e dei presenti. – altrui mano: non del marito, ma di un terzo uomo con il quale la dama sta intrecciando una nuova relazione, come si comprende dal v. 75 (e si ricordi l’altra fiamma furtiva del giovin signore in MT i 685). Il suo sorriso mirerà quindi ad allontanare lo sguardo del giovin signore dal gesto della mano. 73-74 T’apparecchia un sorriso: ti prepara (e quindi ad arte) un sorriso. – Ognun […] dritti: tutti, conoscendo i tuoi diritti, retrocedono. 74-76 e si conforta […] seggio: e si consola con speranze ormai mature (cfr. i vv. 7172) e ti cede il posto più felice (accanto alla dama), ora libero e vuoto. 77-82 Tal colà […] il grave Munsulmano: similmente, fra le mura entro le quali, in Bisanzio e in Ispahan, si custodisce gelosamente il fiore della bellezza femminile, che le isole popolose dell’Egeo e l’Armenia, la Tartaria e la Circassia mandano per deliziare un unico uomo, il sultano entra solenne per portare la felicità alla sua sposa ardente di passione. – Bizanzio ed Ispaán: Bisanzio, oggi Istanbul, era la capitale della Turchia anche in epoca ottomana. Ispahan fu la capitale della Persia nei secoli xvi-xviii. – Per delizia d’un solo: per i doni che interi popoli mandano per il piacere di un solo uomo, cfr. MT i 134-157 e 863. Anche in questi versi, come in quelli, Parini indulge nell’esotico e nel pittoresco, ma vi unisce il suo sdegno, ironicamente espresso, per l’iniquità dell’ordine politico ed economico. 83-86 Tra ’l maestoso […] il guardo: i contrassegni virili del sultano (il passo maestoso, le late spalle, l’alta testa, l’arcato ciglio e lo sguardo imperioso) non possono essere riferiti al giovin signore se non antifrasticamente. – avvolte fasce: le bende che si avvolgono nel turbante.
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giuseppe parini Le late spalle, e sopra l’alta testa Le avvolte fasce: dall’arcato ciglio Ei volge intorno imperioso il guardo; E vede al su’ apparire umil chinarsi, E il piè ritrar l’effeminata, occhiuta Turba, che sorridendo egli dispregia. Ora imponi, o Signor, che tutte a schiera Si dispongan tue grazie; e a la tua Dama Quanto elegante esser più puoi ti mostra. Tengasi al fianco la sinistra mano Sotto il breve giubbon celata; e l’altra Sul finissimo lin posi, e s’asconda Vicino al cor: sublime alzisi ’l petto, Sorgan gli omeri entrambi, e verso lei Piega il duttile collo; ai lati stringi Le labbra un poco; ver lo mezzo acute Rendile alquanto, e da la bocca poi Compendiata in guisa tal sen esca Un non inteso mormorío. La destra
Altre edd. Mss.
87 apparire ] apparir G3 89 Crocetta accanto al verso in c d
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98 stringi ] strigni c d
87-89 E vede […] egli dispregia: e al suo apparire vede la folla degli eunuchi, effeminati e attenti (occhiuti) custodi dell’harem, inchinarsi umilmente e arretrare, e sorride con disprezzo. 90-92 Ora imponi […] ti mostra: diversamente dal grave Munsulmano, il giovin signore deve esibire grazie ed eleganza e l’esortazione a disporre le grazie tutte a schiera, come un generale che istruisca le truppe, è ancora una volta eroicomica. Con essa inizia una serie di istruzioni minuziose che scandiscono i movimenti del giovin signore, ai vv. 90-110 e ancora 231-235 e altrove, assimilandolo a un automa o a una marionetta. 95 Sul finissimo lin posi: poggi sulle trine dello sparato della camicia. – Questa composizione della postura che il giovin signore deve assumere di fronte alla dama richiama i soggetti per pittura di Parini (cfr. nota a MT i 822). Il giovin signore si riduce così a figura superficiale e artefatta. 96-98 sublime […] collo: il petto si sollevi altissimo, entrambe le spalle si innalzino e tu piega il collo verso di lei. – Analoga descrizione di un inchino, ma del maestro di ballo, era in MT i 173-176. Qui il petto e le spalle sollevati vorrebbero esprimere fierezza (il contraccento al v. 96 rallenta il gesto così da accrescerne la solennità), ma la duttilità del collo è tratto di bellezza femminile. 100-102 e da la bocca […] mormorío: e dalle labbra così atteggiate esca un sussurro impercettibile. – Non si chiede al giovin signore di dire alcunché di significativo, ma di rendere prezioso ciò che dice con un vociferio sommesso (cfr. v. 108).
il mezzogiorno Ella intanto ti porga: e molle caschi Sopra i tiepidi avorj un doppio bacio. Siedi tu poscia; e d’una man trascina Più presso a lei la seggioletta. Ognuno Tacciasi; ma tu sol curvato alquanto Seco susurra ignoti detti a cui Concordin vicendevoli sorrisi, E sfavillar di cupidette luci Che amor dimostri, o che lo finga almeno. Ma rimembra, o Signor, che troppo nuoce Negli amorosi cor lunga e ostinata Tranquillità. Su l’oceáno ancora Perigliosa è la calma: oh quante volte Dall’immobile prora il buon nocchiere Invocò la tempesta! e sì crudele Soccorso ancor gli fu negato; e giacque Affamato assetato estenuato Dal velenoso aere stagnante oppresso Mss.
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105 Crocetta accanto al verso in c d
104 i tiepidi avorj: nella tradizione lirica l’avorio è termine di paragone per l’incarnato delle dame. Cfr. la «man ch’avorio et neve avanza» di RVF clxxxi 11; e il «molle avorio e vago» di Tasso, Rime 44, 7. 108 seco susurra: sussurra con lei. – La frequenza delle sibilanti, in questi vv. 105109, riproduce il suono quasi inudibile del mormorio e dei gesti degli amanti. 108-110 a cui […] cupidette luci: a cui si intonino reciproci sorrisi e sguardi delicatamente accesi dal desiderio. – Cfr. Il pericolo 49: «guardi cupidi». 111 Che amor […] almeno: in MT i 404 il giovin signore si compiaceva di avvinto sembrar alla dama. 112 Ma rimembra: cfr. MT i 927: «sovvenir ti faccia»; e 1058: «Ma tu non obliar»; e note. 113-114: lunga […] tranquillità: la stabilità è del matrimonio e la placidità è dei mariti (e cfr. l’analoga clausola metrica con spezzatura di antiquo e vieto / Dottor in MT i 281-282, dove si scaccia l’idea del matrimonio). Il cantore però non si diffonde su tempeste che travaglino l’amore tra il giovin signore e la sua dama, secondo una tradizione lirica che spesso evoca la tempesta come metafora del tormento amoroso, ma sulla bonaccia che la insidia e sulle schermaglie che stornano la bonaccia. L’amore, come al v. 111, è solo finto. 117-118 sì crudele / Soccorso: la tempesta può soccorrere dalla bonaccia, ma può anche essere fatale. 119 affamato […] estenuato: i tre aggettivi in asindeto e in omeoteleuto rendono l’azione sfiancante della bonaccia. 120 dal velenoso aere stagnante: dall’aria nociva per l’afa. – Cfr. La salubrità dell’aria 93-96: «E di sali malvagi / Ammorba l’aria lenta, / Che a stagnar si rimase / Tra le sublimi case».
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Tra l’inutile ciurma al suol languendo. Però ti giovi de la scorsa notte Ricordar le vicende; e con obliqui Motti pungerl’alquanto, o se nel volto Paga più che non suole accor fu vista Il novello straniere; e co’ bei labbri Semiaperti aspettar, quasi marina Conca, la soavissima rugiada De’ novi accenti: o se cupida troppo Col guardo accompagnò di loggia in loggia Il seguace di Marte, idol vegliante De’ feminili voti, a la cui chioma Col lauro trionfal s’avvolgon mille E mille frondi dell’Idalio mirto. Colpevole o innocente allor la bella Dama improviso adombrerà la fronte D’un nuvoletto di verace sdegno
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136 improviso ] improvviso G3 135 Soppresso capoverso in c
121 l’inutile ciurma: a causa della bonaccia, i marinai non possono che restare inoperosi. 122-124 Però ti giovi […] pungerl’alquanto: e dunque ti converrà ricordare i trascorsi dell’ultima notte e stuzzicarla un po’ con parole insinuanti. – ti giovi: cfr. MT i 395: «Così giova sperar»; e 697: «Ti giovi ancora». – obliqui […] alquanto: cfr. MT i 753-755: «Rise la fresca / Gioventude animosa, e d’agri motti / Libera punse la senil baldanza». 124-129 o se nel volto […] De’ novi accenti: o se fu vista accogliere lo straniero appena arrivato con viso più lieto del solito e attendere con la bella bocca appena dischiusa, come una conchiglia di mare, il suono dolcissimo, come rugiada, delle parole straniere. – quasi […] rugiada: il paragone richiama «l’origine della perla, che alcuni favoleggiavano derivata appunto da goccie di rugiada accolte furtivamente, sul far dell’alba, dal seno appena dischiuso della conchiglia» (Caretti). Cfr. Ovidio, Metamorfosi xv 264: «concae […] marinae»; e Decameron v 6, 4: «marine conche» (Albini). 129-134 o se cupida […] Idalio mirto: o se ha cercato con sguardo troppo bramoso, da un palco all’altro, il militare (seguace di Marte), disponibile e pronto (vegliante) oggetto dei desideri delle donne, sul cui capo, con la corona d’alloro della vittoria, si posano infinite ghirlande di mirto sacro a Venere. – Il seguace di Marte: vanamente Marte chiamava a sé il giovin signore in MT i 20-21. – Idalio mirto: cfr. MT i 374 e nota. 135-138 Colpevole […] simulato: la fronte della bella Dama, sia ella colpevole o innocente (di ciò di cui il giovin signore la accusa), si oscurerà allora di un’ombra di sdegno, autentico o simulato. – improviso: ha valore avverbiale. – nuvoletto: torna la forma vezzeggiativa di languidetta (v. 44) e cupidette (v. 110), che riduce lo sdegno della dama a posa rococò. – verace […] simulato: la coppia di aggettivi riproduce in chiasmo quella iniziale di colpevole e innocente.
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G1 Mss.
il mezzogiorno O simulato; e la nevosa spalla Scoterà un poco; e premerà col dente L’infimo labbro: e volgeransi alfine Gli altri a bear le sue parole estreme. Fors’anco rintuzzar di tue querele Saprà l’agrezza; e sovvenir faratti Le visite furtive ai tetti, ai cocchi Ed a le logge de le mogli illustri Di ricchi cittadini a cui sovente Per calle che il piacer mostra, piegarsi La maestà di cavalier non sdegna. Felice te, se mesta e disdegnosa La conduci a la mensa; e s’ivi puoi Solo piegarla a comportar de’ cibi La nausea universal. Sorridan pure
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148 sdegna, (+ G2) 145 Crocetta accanto al verso in c d 146 Di ] De’ d; cittadini ] cittadini, c 147-149 Crocette accanto ai versi in c d 149 Soppresso capoverso in c 151-152 Crocette accanto ai versi in c d
138 nevosa spalla: la spalla candida come la neve. 139 scoterà un poco: cfr. MT i 108: «Ergiti or tu alcun poco»; e 595: «non senza sbadigliare un poco»; e MZ 98-99: «ai lati stringi / Le labbra un poco». La leziosità dei nobili si manifesta anche in questa debole gestualità. 140 infimo: inferiore. 140-141 e volgeransi […] estreme: e le sue ultime parole saranno rivolte ad allietare gli altri. – bear: cfr. MT I 792, dove il giovin signore esce a bear gli occhi dei suoi concittadini; e 1071-1072, dove un servo corre ad annunciare al mondo che il suo signore viene a bearlo; e note. – estreme: per il suo significato superlativo suona antifrasticamente tragico. 142-148 Fors’anco […] non sdegna: forse saprà anche ribattere all’asprezza delle tue lamentele e ti ricorderà i tuoi furtivi passaggi nelle case, nelle carrozze e nei palchi delle mogli eccellenti di ricchi borghesi, a cui spesso perfino un cavaliere, seguendo le vie che la ricerca del piacere gli mostra, non sdegna di abbassarsi. – visite furtive: cfr. l’altra fiamma furtiva di MT i 685. – calle che il piacer mostra: cfr. le oblique vie di Amore in MT i 317. 149-150 felice te […] mensa: sarai fortunato se potrai accompagnarla a tavola, triste e sdegnata com’è. 150-152 e s’ivi […] universal: e se a tavola riuscirai anche solo a indurla a tollerare la nausea che ogni cibo le suscita. – Non meno del giovin signore, la dama sdegna il cibo come nutrimento (cfr. MZ 53-58 e nota), ma un sentimento di fastidio, ancora una volta, è ciò che nasce da questa estraneità all’ordine naturale al quale anche la pulsione della fame appartiene.
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giuseppe parini A le vostre dolcissime querele I convitati; e l’un l’altro percota Col gomito maligno: ah nondimeno Come fremon lor alme; e quanta invidia Ti portan, te veggendo unico scopo Di sì bell’ire! Al solo Sposo è dato Nodrir nel cor magnanima quiete, Mostrar nel volto ingenuo riso, e tanto Docil fidanza ne le innocue luci. O tre fiate avventurosi e quattro Voi del nostro buon secolo mariti Quanto diversi da’ vostr’avi! Un tempo
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153 dolcissime querele: dolcissime liti. – L’ossimoro sottolinea l’inconsistenza delle querele. Cfr. inoltre Colombiade ix 224: «Dolci querele d’un sì caldo amore». 154-155 e l’un […] maligno: e si diano di gomito l’un l’altro malignamente. – gomito: cfr. Orazio, Satire ii, v 42: «aliquis cubito stantem prope tangens». – maligno: può essere riferito a l’un o, meglio, con ipallage, a gomito. La malignità del pettegolezzo era già apparsa nel maligno / Occhio con cui il giovin signore scrutava nelle tenebre a teatro in MT i 877-878. 157-158 te veggendo […] sì bell’ire: vedendo che tu sei il solo bersaglio di questo grazioso risentimento. – Il giovin signore attrae comunque su di sé i sentimenti della dama e suscita pertanto l’invidia di coloro che al suo arrivo hanno dovuto cedergli il passo. 159 Nodrir […] quiete: nutrire in cuore una comprensiva serenità. – Magnanima quiete: riprende ironicamente l’anima generosa del v. 59. 160-161 Mostrar […] luci: dopo la magnanima quiete, l’ingenuo riso, la docil fidanza e le innocue luci ripetono la sequenza di nome e aggettivo premesso a significare stolida placidità, per cui cfr. vv. 53-58 e 113-114 e note. 162 O tre […] quattro: formula eroicomica, per cui cfr. MT i 475 e nota. 163 nostro buon secolo: richiama il secolo avventurato della dedica «Alla Moda» e si contrappone all’altro secolo dei feroci ed ispid’avi di MT i 1039-1040, menzionati di seguito al v. 164. 164 Quanto […] avi: degli avi si sono perse non solo la prodezza in guerra, ma anche la fierezza erotica e la gelosia. Analogo pensiero, sempre espresso come affettata deplorazione del costume passato, torna ai vv. 1183-1189 e in NT 581-582. Un’invettiva esplicita contro la diffusa accettazione dell’adulterio si trova invece nelle terzine del Teatro: «Stimas’oggi un error d’esser punito, / Non che da tinger per rossor le guance, / Veder lo sposo a la sua moglie unito. / […] / Perocch’ad uom più non incresce o nuoce / Sopra gli altri apparir con quel cimiero / Ch’ebbe a’ tempi più rei sì mala voce» (PV lxxx, vv. 43-45 e 55-57). Nella Gelosia 37-42, però, Parini si scaglia anche contro la barbara gelosia che porta a evirare i bambini per crescerli come eunuchi guardiani dell’harem. Sulla moderazione delle passioni degli uomini inciviliti, inoltre, cfr. le Lezioni di Belle Lettere: «Si rintuzzò non poco a dir vero la parte più energica del gesto nel progresso dell’umana società, dappoiché gli uomini inciviliti si avvezzarono o a moderare le loro passioni o a moderarne l’espressione, ma tuttavia la Natura volle sempre il suo dritto» (c. 14r, p. 91).
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Uscía d’Averno con viperei crini, Con torbid’occhi irrequieti, e fredde Tenaci branche un indomabil mostro Che ansando e anelando intorno giva Ai nuzziali letti; e tutto empiea Di sospetto e di fremito e di sangue. Allor gli antri domestici, le selve, L’onde, le rupi alto ulular s’udiéno Di feminili strida: allor le belle Dame con mani incrocicchiate, e luci Pavide al ciel, tremando lagrimando, Tra la pompa feral de le lugubri
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169 nuzziali ] nuziali G3 171 domestici ] domestichi c d
165-167 Uscía d’Averno […] mostro: usciva dall’inferno un mostro indomabile, anguicrinito, con occhi foschi e intenti a cercare e artigli gelidi e saldi nella presa. – viperei […] irrequieti: la gelosia ha le sembianze di una Furia, per cui cfr. le Furie anguicrinite di MT i 76; e il «vipereum crinem» della Discordia in Aeneis vi 281. 168 ansando […] giva: si aggirava (andava intorno) ansimando e respirando con affanno. – ansando e anelando: l’omeoteleuto e l’allitterazione dei gerundi, scanditi con dialefe tra ansando ed e, mimano fonosimbolicamente il respiro del mostro. 170 Di sospetto […] sangue: il polisindeto scandisce le fasi di una tragedia dove il sospetto del tradimento suscita il fremito dell’ira e infine il sangue del delitto compiuto. Cfr. A Silvia 74-76: «Le belve in guerra oscena / Empièan d’urla e di fremito / E di sangue l’arena». 171-173 gli antri domestici […] strida: nelle case fatte simili a grotte spaventose, nei boschi, sui laghi e sui monti si sentivano risuonare gli urli e le grida delle donne. – Inizia una descrizione delle famiglie degli avi funestate dalla gelosia che insiste comicamente su immagini di cruda barbarie, come già in MT i 1041-1048. – ulular: sposta il carico semantico dell’urlo femminile sul risuonare delle case e del paesaggio, con ipallage e condensazione che sembrano esprimere la partecipazione della natura al grido di dolore delle vittime. 174-175 con mani […] al ciel: con le mani intrecciate in preghiera e gli occhi spaventati rivolti verso il cielo. 175 tremando lagrimando: riprende il doppio gerundio del v. 168, ma lo varia con l’asindeto. 176-177 Tra la pompa feral […] sposo: la menzione diretta delle categorie del truce e del lugubre, che si sovrappone alla loro evocazione tramite immagini lugubri e truci, contribuisce al carattere di esibito eccesso del passo. – pompa feral: cfr. Colombiade ix 272: «Funerea pompa». Tizi richiama inoltre Orl. Fur. xliii 166, 8: «funeral pompa»; e Caro, Eneide vi 1319-1320: «funèbre / Pompa»; a cui si possono aggiungere la «pompa funeral» e la «funebre pompa» di Ger. Lib. iii 72, 2, e xvii 40, 6. – lugubri / Sale: riecheggiano gli antri domestici del v. 171.
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giuseppe parini Sale vedean dal truce sposo offrirsi Le tazze attossicate o i nudi stili. Ahi pazza Italia! Il tuo furor medesmo Oltre l’alpi, oltre ’l mar destò le risa Presso agli emoli tuoi che di gelosa Titol ti diero; e t’è serbato ancora Ingiustamente. Non di cieco amore Vicendevol desire, alterno impulso, Non di costume simiglianza or guida Gl’incauti sposi al talamo bramato; Ma la Prudenza coi canuti padri Siede librando il molt’oro, e i divini
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177-178 vedean […] stili: si vedevano offrire dai feroci mariti le coppe colme di veleno o i pugnali sguainati. – Il marito impone alla moglie di scegliere come morire. Savarese ricorda che il Filippo della tragedia di Alfieri offre a Carlo e a Isabella di scegliere «quel pugnale o quel nappo» (v 4, 255). 179 Ahi pazza Italia!: esclamazione memore forse di Purg. vi 76: «Ahi serva Italia, di dolore ostello», dove anche si deplora la decadenza della nazione di fronte ad altre che le erano state inferiori. 179-183 Il tuo furor […] ingiustamente: la furia della tua stessa gelosia ha suscitato il riso, oltre i confini delle Alpi e del mare, di quelle nazioni che in passato ti volevano emulare e che ti hanno bollato come gelosa; e tuttora, ma senza più ragione, ti chiamano così. – Ancora alla fine del secolo, tuttavia, Vittorio Alfieri trasecola per la compostezza dimostrata dal marito della sua amante inglese di fronte alla scoperta dell’adulterio: «nel descrivere gli effetti stranissimi di una gelosia inglese, la gelosia italiana si vede costretta di ridere, cotanto son diverse le passioni nei diversi caratteri e climi, e massime sotto diversissime leggi. Ogni lettore italiano qui sta aspettando pugnali, veleni, battiture, o almeno carcerazione della moglie, e simili ben giuste smanie. Nulla di questo. L’inglese marito, ancorché assaissimo al modo suo adorasse la moglie, non perdé il tempo in invettive, in minacce, in querele» (Vita, iii 10). 183-195 Non di cieco […] affronta: questi versi sono citati con approvazione da Pietro Secchi, e Parini è chiamato «il nostro Orazio», in un articolo intitolato «Del teatro» che apparve sul «Caffè» (t. ii, f. xx). 183-86 Non di cieco […] bramato: gli sposi non sono condotti al letto nuziale desiderato, imprudentemente, dal desiderio reciproco o dalla passione di un amore cieco, né dall’affinità dei caratteri. – cieco amore: la cieca passionalità di Amore, vantata contro Imene nella favola di MT i 313-395, dove Amore è cieco / Incauto Nume (vv. 315316) e senza guida (v. 319), è coerentemente censurata proprio per il matrimonio, a dire non solo che l’amore non deve sottostare ai vincoli del matrimonio, ma anche che il matrimonio non deve ascoltare ciò che l’amore suggerisce. 187-189 Ma la Prudenza […] sangui: invece gli anziani padri (degli sposi) soppesano con oculatezza le ricchezze e i titoli di antica nobiltà delle famiglie. – molt’oro: potrebbe anche essere, più precisamente, la dote della sposa, sulla quale i padri negoziavano un accordo. Cfr. MT i 399-402 e nota. – divini / Antiquissimi sangui: cfr. MT i 1-3 e nota.
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il mezzogiorno Antiquissimi sangui: e allor che l’uno Bene all’altro risponde, ecco Imenéo Scoter sua face; e unirsi al freddo sposo, Di lui non già, ma de le nozze amante La freddissima vergine che in core Già volge i riti del Bel Mondo; e lieta L’indifferenza maritale affronta. Così non fien de la crudel Megera Più temuti gli sdegni. Oltre Pirene Contenda or pur le desiate porte Ai gravi amanti; e di feminee risse Turbi Oriente: Italia oggi si ride Di quello ond’era già derisa; tanto Puote una sola età volger le menti. Ma già rimbomba d’una in altra sala Il tuo nome, o Signor; di già l’udíro
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189-191 e allor […] face: e quando la ricchezza e la nobiltà delle due famiglie si corrispondono, ecco che Imeneo scuote la sua fiaccola (in segno di approvazione). – Imeneo […] face: cfr. MT i 314 e nota; Catullo, Carmina lxi 5-15: «O Hymen […] manu / pineam quate taedam»; e Tasso, Rime 538, 64-66: «Imeneo scende, ed una man la face / Scote accesa in quel foco onde ferventi / son le superne menti». 191-195 e unirsi […] affronta: ed ecco che si unisce al freddo sposo, innamorata non di lui ma del matrimonio, la gelida sposa, che nel suo cuore già pensa alle usanze del bel mondo; e lietamente accoglie l’indifferenza dimostratale dal marito. – vergine: in quanto sia connotato di castità e in quanto richiami le romane vergini, sarà naturalmente ironico. – riti: cfr. MT i 7 e nota. – Bel Mondo: cfr. MT i 287 e nota. 196-197 Così […] sdegni: in questo modo, le ire della terribile Megera non saranno più temute. – Megera: una delle tre Furie. Cfr. vv. 165-167; e Orl. Fur. v 2, 1-4: «Ch’abominevol peste, che Megera / è venuta a turbar gli umani petti? / che si sente il marito e la mogliera / sempre garrir d’ingiuriosi detti» (Mazzoni). 197-200 Oltre Pirene […] Oriente: in Spagna (oltre i Pirenei), ostacoli pure l’ingresso degli amanti nelle case desiderate. E sconvolga i paesi orientali con le liti delle donne (degli harem). – La gelosia vive ancora presso i mariti spagnoli e tra le donne degli harem, già evocati ai vv. 77-89. – gravi amanti: in NT 207-208 l’Ibèro amador è contegnoso. 201-202 tanto / Puote […] menti: a tal punto le idee possono mutare nel volgere di una sola generazione. 203-204 Ma già rimbomba […] nome: cfr. Orl. Fur. xxxvii 21, 7: «sì ’l nome tuo rimbombe». Ma in Ariosto il rimbombare del nome è metaforico ed è, topicamente, effetto della fama; qui il nome del giovin signore rimbomba letteralmente tra le sale, dove viene ripetuto, e verso il basso delle cucine. Cfr. NT 225-226: «Oh come al tuo venir gli archi e le volte / De’ gran titoli tuoi forte rimbombano!». 204-209 di già l’udiro […] dell’alma: già lo udirono nelle cucine, ai piani inferiori, dove per il gusto capriccioso dei più puri palati si preparano cibi complicati che ne stuz-
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini L’ime officine ove al volubil tatto Degl’ingenui palati arduo s’appresta Solletico che molle i nervi scota, E varia seco voluttà conduca Fino al core dell’alma. In bianche spoglie S’affrettano a compir la nobil opra Prodi ministri: e lor sue leggi detta Una gran mente del paese uscita Ove Colbert, e Richelieu fur chiari. Forse con tanta maestade in fronte Presso a le navi ond’Ilio arse e cadéo, Per gli ospiti famosi il grande Achille Disegnava la cena: e seco intanto 207 Solletico ] Sollecito G3 209 core ] centro c d
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211 Introdotto capoverso in G2 G3
zichino delicatamente la sensibilità e portino con sé, fino al profondo dell’anima, un vario piacere. – ime: le cucine erano situate nei piani inferiori del palazzo e soprattutto vi lavorano uomini del popolo (superne erano infatti le stanze del giovin signore in MT i 937). – volubil: tale era anche il parrucchiere in MT i 490 – molle: continua la serie dei dilicati spirti di MT i 202, del domabile midollo di MT i 229 e della molle cute di MT i 483. L’arte di coloro che servono la nobiltà ne deve rispecchiare il gusto capriccioso e l’estenuata sensibilità (cfr. ancora i pruriginosi cibi di MT i 79). – Il passo unisce il riferimento sensista ai nervi stimolati con la vaga rappresentazione del lezioso gusto nobiliare, denunciando l’alterazione di una sensibilità ottusa dalla noia e dalla ricerca ossessiva del piacere e bisognosa ormai di arduo […] Solletico per scuotersi. 209-211 In bianche spoglie […] ministri: servi valorosi (i cuochi), vestiti di bianco, si affrettano a eseguire il nobile lavoro della cucina. – nobil opra: perché nobili saranno i commensali. – Prodi ministri: anche sui cuochi ridonda l’eroicomico elogio del giovin signore e dei suoi pari. 211-213 e lor […] fur chiari: e a loro impartisce gli ordini un uomo di intelligenza eccezionale, originario del paese (la Francia) dove vissero e furono celebri Colbert e Richelieu. – Colbert, e Richelieu: Jean-Baptiste Colbert (1619-1683) fu ministro delle finanze di Luigi XIV e promosse una politica economica di stampo mercantilista che fu poi chiamata colbertismo. Armand-Jean du Plessis de Richelieu (1585-1642), cardinale, fu dal 1624 fino all’anno della morte l’onnipotente primo ministro di Luigi XIII. 214-217 Forse […] la cena: forse con la stessa maestosa espressione sul volto, presso le navi a causa delle quali Troia fu bruciata e vinta, il grande Achille ordinava la cena per i suoi ospiti illustri. – ond’Ilio […] cadéo: Tizi ricorda Caro, Eneide ii 19: «L’ultimo eccidio, ond’ella arse e cadèo»; e Martello, Femia ii, i 25: «So della guerra, ond’Ilio arse e cadeo» (dove già occorre la forma epitetica cadéo). – ospiti […] Achille: gli ospiti di Achille, nell’Iliade, erano Ulisse, Fenice e Aiace, mandati in ambasciata a placare l’ira dell’eroe. A lui, prima del cuoco, era stato paragonato lo stesso giovin signore in MT i 252.
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Mss.
il mezzogiorno Le vivande cocean sui lenti fochi Pátroclo fido, e il guidator di carri Automedonte. O tu sagace mastro Di lusinghe al palato udrai fra poco Sonar le lodi tue dall’alta mensa. Chi fia che ardisca di trovar pur macchia Nel tuo lavoro? Il tuo Signor farassi Campion de le tue glorie: e male a quanti Cercator di conviti oseran motto Pronunciar contro te; chè sul cocente Meriggio andran peregrinando poi Miseri e stanchi, e non avran cui piaccia Più popolar con le lor bocche i pranzi.
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223 macchia ] menda c d
218 sui lenti fochi: a fuoco lento. – In alternativa, si può intendere che i fochi siano lenti in quanto fuochi di cucina, domestici e implicitamente opposti al fuoco distruttore degli incendi. 219-220 Pátroclo […] Automedonte: Patroclo, il compagno più fedele di Achille, e Automedonte, il suo auriga. 220-224 O tu […] Nel tuo lavoro?: o artefice sapiente di delizie del palato, presto udrai le tue lodi risuonare fino a te dalla sala da pranzo, ai piani superiori. E chi oserà trovare una pecca nella tua opera? Come già al parrucchiere, anche al capocuoco il cantore rivolge ora la sua apostrofe. La sala da pranzo è alta perché è situata più in alto delle ime cucine, ma anche perché vi pranzano i nobili (e infatti troviamo celesti / Mense ai vv. 247-248). 224-225 Il tuo Signor […] glorie: il tuo signore difenderà a spada tratta i tuoi meriti. – Al di là del comico rovesciamento per il quale il padrone diventa campione della gloria del suo cuoco, si ritrova l’incredulità del nobile di fronte all’eventualità che qualcuno possa dubitare del suo gusto che già era apparsa in MT i 722-733. Resta peraltro incerto se nel tuo Signor si debba riconoscere il marito della Dama, che è il padrone di casa ma che sembra troppo imbelle perfino per difendere il suo cuoco, o il giovin signore, che anche in questo farebbe le veci del marito e che spadroneggerebbe nella sua casa come i Proci nella reggia di Ulisse. 225-227 e male […] contro te: e guai a quegli scrocconi, frequentatori di banchetti, che oseranno dire una parola contro la tua cucina. – Cercator di conviti: campione letterario di questa genia di scrocconi è forse il Ferdinando della goldoniana Trilogia della villeggiatura (1761). 227-230 chè sul cocente […] i pranzi: che saranno condannati ad aggirarsi sotto il sole ardente del mezzogiorno, poveri ed esausti, e non troveranno nessuno che voglia accrescere con loro il numero degli invitati ai suoi pranzi. – Come già in MT i 722-733, i critici del gusto dei nobili sono colpiti dall’anatema del cantore: come anime in pena, dovranno peregrinare per l’eternità senza trovare conforto nella comunità umana. – bocche: la sineddoche, nota Tizi, riduce brutalmente gli scrocconi a semplici apparati digerenti.
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Altre edd.
giuseppe parini Imbandita è la mensa. In piè d’un salto Alzati e porgi, almo Signor, la mano A la tua Dama; e lei dolce cadente Sopra di te col tuo valor sostieni, E al pranzo l’accompagna. I convitati Vengan dopo di voi; quindi ’l marito Ultimo segua. O prole alta di numi Non vergognate di donar voi anco Pochi momenti al cibo: in voi non fia Vil opra il pasto; a quei soltanto è vile, Che il duro irresistibile bisogno Stimola e caccia. All’impeto di quello Cedan l’orso, la tigre, il falco, il nibbio, L’orca, il delfino, e quant’altri mortali Vivon quaggiù; ma voi con rosee labbra La sola Voluttade inviti al pasto, La sola Voluttà che le celesti
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244 mortali ] omesso in G2 G3
231-235 In piè […] accompagna: balza in piedi, nobile Signore, e porgi la mano alla tua Dama; e offrile il tuo valido sostegno quando mollemente si lascia cadere su di te. – In piè d’un salto: istruzione di tono epico e quindi eroicomica, come l’allusione al valor, per cui cfr. Orl. Fur. xvi 20, 7-8: «Dissi ch’entrò d’un salto ne la terra / sopra la fossa che la cinge e serra»; e xxxi 53, 6-7: «che dentro all’alte sbarre entrò d’un salto, / e versò cavallier, pestò pedoni»; e Ger. Lib. ix 54, 1-2: «Egli ancor dal suo lato in fuga mosse / le guardie e ne’ ripari entrò d’un salto». 237-240 O prole […] il pasto: o nobile progenie degli dei, non vergognatevi di concedere anche voi qualche momento al cibo: il vostro pasto non è un’occupazione volgare. – prole alta di numi: cfr. MT i 1-3 e 61-63 e note, nonché invece la squallida prole dell’empio servo che colpisce la vergine cuccia in MZ 552. Che per i nobili il cibo non sia necessario e dunque vile nutrimento, ma occasione di piacere e di mondanità, era già stato suggerito in MT i 78-84 e 1060-1065 e sarà ribadito ai vv. 744-747 e altrove. Qui il motivo viene ripreso più ampiamente e introduce alla successiva favola del Piacere. 240-242 a quei […] caccia: (il pasto) è un’occupazione volgare solo per coloro che sono incalzati e oppressi dalla dura e irresistibile necessità (della fame). – bisogno […] caccia: cfr. v. 325; Il Bisogno 5-6: «Bisogno, e che non spezza / Tua indomita fierezza!»; e 74-75: «gl’infelici / Che il bisogno sospinse»; La caduta 90: «Il bisogno lo stringe»; e (Tizi) Purg. xxv 6: «se di bisogno stimolo il trafigge». – All’impeto di quello: all’assalto del bisogno. – impeto: conclude in crescendo la protratta metafora del bisogno che assilla, incalza e infine assale le sue vittime. 245 quaggiù: il luogo del cantore è quello degli animali e del volgo, che un confine quasi metafisico divide dal Bel Mondo della nobiltà.
il mezzogiorno Mense imbandisce, e al néttare convita I viventi per sè Dei sempiterni. Forse vero non è; ma un giorno è fama, Che fur gli uomini eguali; e ignoti nomi Fur Plebe, e Nobiltade. Al cibo, al bere G1
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249 se (+G2 G3)
248-249 al néttare […] sempiterni: e invita a banchettare con il nettare le divinità eterne e per sé sole viventi. – néttare: cfr. la nettarea bevanda di MT i 140 e MZ 1061. – viventi […] sempiterni: da idea filosofica, l’autotelia della divinità diventa metafora della condizione nobiliare e dell’ordine politico ed economico che la sostiene. 250-338 Forse […] non a gioirne: per comprendere la favola del Piacere, conviene leggere le pagine delle Lezioni di Belle Lettere in cui Parini cerca l’origine dei principi fondamentali delle arti nella condizione dell’umanità primitiva. Il racconto di questa condizione, spiega Parini, non deve essere inteso come racconto storico, ma come «supposizione» dei filosofi (c. 15r, p. 92) che rivendica tuttavia un valore di verità. Per l’interpretazione della favola del Piacere importa che Parini, nelle Lezioni, esponga il suo pensiero senza antifrasi e svolgendone le implicazioni anche in contraddizione con alcuni passi della favola. In particolare, Parini afferma che gli uomini «anche prima che si unissero nella Società avevano dei bisogni e dei piaceri» (c. 10r, p. 88) e che uno di questi piaceri era la «graziosa immagine de’ corpi di molti di essi» (cc. 10r-11r, p. 88); che la ricerca del piacere corrisponde alla natura umana, senza distinzioni di classe, quanto il soddisfacimento dei bisogni (c. 18r, p. 94) e che l’uomo «cerca sempre […] avidamente […] il necessario, la comodità, il piacere» (c. 57r, p. 122); che le arti devono unirsi per «recare alle anime delicate ed oneste il massimo de’ piaceri, l’uso regolato del quale si concilj colla Religione, colla Ragione, col privato interesse e col generale» (c. 59r, p. 123); e che «la ragione […] illumina» l’uomo «affinché sappia distinguere i veri e reali bisogni e piaceri da quelli, che sono immaginarj e falsi» (c. 259r, p. 264). Se questo è il pensiero di Parini, la favola del Piacere non può essere intesa né come racconto veritiero dell’origine della nobiltà o di un costume edonistico (come pure alcuni interpreti hanno ipotizzato), né come censura della ricerca del piacere. Il suo significato, dall’esordio che rievoca una perduta uguaglianza alla chiusa che addita la presente ineguaglianza, è invece nella denuncia di questa ineguaglianza, fondata sullo sfruttamento del lavoro del popolo allo scopo di garantire ai nobili un godimento del piacere esclusivo e contrario alla ragione, alla religione e all’utile pubblico e privato. Con la consueta ironia, Parini scambia causa ed effetto e finge di raccontare che la sensibilità al piacere esclusiva di coloro che sarebbero stati i nobili abbia fondato la divisione della società in classi, per dire, inversamente, che la divisione della società in classi fa sì che i soli nobili possano conoscere il piacere. 250 Forse […] fama: forse non è vero, ma si racconta che un tempo. – Cfr. MT i 977 e nota. Tizi ricorda Aeneis iii 551: «si vera est Fama»; Riso ii 966: «se ’l ver suona la fama»; e Baco i 782: «E, se pur fama a noi del ver fa fede»; a cui si aggiunga, con ironica inversione, Orl. Fur. i 56 1-2: «Forse era ver, ma non però credibile / a chi del senso suo fosse signore». – Forse vero non è: «con questa frase, che vuole essere un’ironica concessione all’albagia dei nobili, secondo i quali la distinzione in caste è sempre esistita, comincia la favola del Piacere» (Bonora).
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Mss.
giuseppe parini All’accoppiarsi d’ambo i sessi, al sonno Un istinto medesmo, un’egual forza Sospingeva gli umani: e niun consiglio Niuna scelta d’obbietti o lochi o tempi Era lor conceduta. A un rivo stesso, A un medesimo frutto, a una stess’ombra Convenivano insieme i primi padri Del tuo sangue, o Signore, e i primi padri De la plebe spregiata. I medesm’antri Il medesimo suolo offrieno loro Il riposo, e l’albergo; e a le lor membra I medesmi animai le irsute vesti. Sol’una cura a tutti era comune Di sfuggire il dolore, e ignota cosa Era il desire agli uman petti ancora.
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255 Sospingeva ] Sospigneva c d
254-255 Un istinto […] umani: un istinto e una forza comuni muovevano tutti gli esseri umani. – Mancano qui, dove la condizione degli uomini si caratterizza per uguaglianza oltre che per necessità, i tratti di oppressione tormentosa che sono del bisogno, ai vv. 241-242, quando questo raggiunge solo il popolo. 255-257 e niun consiglio […] conceduta: e agli uomini non era concessa alcuna riflessione, né alcuna facoltà di scegliere tra scopi, luoghi o tempi. 257-264 A un rivo […] vesti: una analoga rappresentazione dell’uomo nello stato di natura è in Rousseau, Discours sur l’origine et les fondaments de l’inégalité: «Je le vois se rassasiant sous un chesne, se désalterant au premier Ruisseau, trouvant son lit au pied du même arbre qui lui a fourni son repas, et voilà ses besoins satisfaits»; «Ses desirs ne passent pas ses besoins Physiques. Les seuls biens qu’il connoisse dans l’Univers, sont la nourriture, une femelle, et le repos; les seuls maux qu’il craigne, sont la douleur, et la faim» (pp. 135 e 143; cfr. Accame Bobbio, p. 520). Secondo Antonielli (pp. 54-55), invece, Parini ricorda l’Epistola III (vv. 148-156) dell’Essay on Man di Pope: «The state of Nature was the reign of God: / Self-love and Social at her birth began, / Union the bonds of all things, and of Man. / Pride then was not; nor Arts, that Pride to aid; Man walk’d with beast, joint tenant of the shade; / The same his table, and the same his bed. / No murder cloath’d him, and no murder fed. / In the same temple, the resounding wood, / All vocal beings hymn’d their equal God». – stesso […] medesmi: gli aggettivi dimostrativi e l’avverbio insieme ribadiscono la comune condizione dei progenitori della nobiltà e del popolo con insistenza quasi provocatoria. – albergo: riparo – irsute vesti: le pellicce di cui gli uomini primitivi si vestivano. 265-267 Sol’una cura […] ancora: una sola preoccupazione era di tutti, quella di evitare il dolore, mentre il desiderio era ancora sconosciuto ai cuori degli uomini. – Nel pensiero sensista, il dolore e il piacere sono le due motivazioni che determinano l’azione dell’uomo. Come si è detto, l’idea che il desiderio sia primamente insorto in un dato momento storico, o pre-storico, è una finzione narrativa funzionale alla denuncia sociale attuata tramite la favola. – Ignota cosa: riprende, ancora
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Mss.
il mezzogiorno L’uniforme degli uomini sembianza Spiacque a’ Celesti: e a variar la Terra Fu spedito il Piacer. Quale già i numi D’Ilio sui campi, tal l’amico Genio, Lieve lieve per l’aere labendo S’avvicina a la Terra; e questa ride Di riso ancor non conosciuto. Ei move, E l’aura estiva del cadente rivo, E dei clivi odorosi a lui blandisce Le vaghe membra, e lenemente sdrucciola Sul tondeggiar dei muscoli gentile. Gli s’aggiran dintorno i Vezzi e i Giochi, E come ambrosia, le lusinghe scorrongli Da le fraghe del labbro: e da le luci Socchiuse, languidette, umide fuori 268 Soppresso il capoverso in c
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270 Crocetta accanto al verso in c d
in clausola e in rilievo, gli ignoti nomi del v. 251, raffigurando così anche nel lessico l’idea, che la favola finge, che il desiderio generato dal piacere sia all’origine della divisione delle classi. 268-270 L’uniforme […] Piacere: l’uniforme apparenza della vita degli uomini dispiacque agli dei, che mandarono il Piacere a portare varietà sulla Terra. – La superficie della favola rispecchia l’etica e il gusto della nobiltà anche in questa idea che gli dei, annoiati dalla monotona uniformità della condizione umana, abbiano mandato il piacere per soddisfare un’esigenza estetica di varietà. – Celesti […] Piacer: Tizi ricorda G. Gozzi, Sermoni xii 35-36: «Scese dal cielo a rischiarar gl’ingegni / Florida Voluttade». 270-274 Quale […] non conosciuto: come gli dei omerici scesero più volte sui campi di Troia, così lo spirito benefico si avvicina alla Terra scivolando leggero per l’aria; e la Terra ride di un riso prima ignoto. – Lieve […] labendo: il verso rende la grazia trascorrente del volo con l’allitterazione delle liquide (e cfr. anche MT i 111-112). Il dettato inoltre si solleva con il latinismo di labendo, per cui cfr. i «labentia signa» di Lucrezio, De Rerum Natura i 2 (Savoca, p. 222), e quindi (vv. 273-274) con il poliptoto ride / Di riso. 275-278 E l’aura estiva […] gentile: e la brezza estiva che trascorre dalla cascatella (o dal fiume che scende a valle) e dai pendii profumati gli accarezza il bel corpo e delicatamente scivola sui muscoli finemente tondeggianti. – La leziosità del passo è conforme a quella dell’etica e dell’estetica aristocratiche. 279-281 Gli s’aggiran […] labbro: i Vezzi e i Giochi gli girano intorno e parole lusinghiere, dolci come ambrosia, gli escono dalle labbra rosse come fragole. – Albini ricorda Orazio, Odi i, ii 34: «quam Iocus circum volat et Cupido». – le fraghe del labbro: la metafora rende la sensualità delle labbra del Piacere. 281-284 e da le luci […] varca: e dagli occhi umidi e languidamente socchiusi luccicano sguardi di tremulo splendore, di cui si illumina l’aria che egli, scendendo, attraversa. – languidette: cfr. v. 44. – Cfr. Ovidio, Ars amatoria ii 721-722: «Aspicies
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G1 Mss.
giuseppe parini Di tremulo fulgore escon scintille Ond’arde l’aere che scendendo, ei varca. Alfin sul dorso tuo sentisti, o Terra, Sua prim’orma stamparsi; e tosto un lento Fremere soavissimo si sparse Di cosa in cosa; e ognor crescendo, tutte Di natura le viscere commosse: Come nell’arsa state il tuono s’ode Che di lontano mormorando viene; E col profondo suon di monte in monte Sorge; e la valle, e la foresta intorno Mugon del fragoroso alto rimbombo, Finchè poi cade la feconda pioggia Che gli uomini e le fere e i fiori e l’erbe Ravviva riconforta allegra e abbella. Oh beati tra gli altri, oh cari al cielo Viventi a cui con miglior man Titano 283 tremulo, (+G2 G3) 285 Soppresso capoverso in c
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295 cade ] scroscia c d
oculos tremulo fulgore micantes, / ut sol a liquida saepe refulget aqua»; e Ger. Lib. xvi 18, 5-6: «qual raggio in onda le scintilla un riso / ne gli umidi occhi tremulo e lascivo». 286-289 e tosto un lento […] commosse: e subito un lento e dolcissimo fremito si propagò da una cosa all’altra e, crescendo costantemente, agitò le viscere della natura. – commosse: unisce sensisticamente la fisicità della vibrazione trasmessa al sollevarsi del sentimento. Cfr. MT i 549 e MZ 515. – Le spezzature di lento / Fremere e di si sparse / Di cosa in cosa rallentano icasticamente il dettato, mentre l’ampiezza del fremito è resa dall’iperbato con l’altra spezzatura di tutte / Di natura le viscere. 290-294 Come […] rimbombo: la similitudine si svolge in crescendo, lentamente attraverso l’allitterazione delle nasali e delle dentali e la spezzatura dei vv. 292-293 e poi fragorosamente con i suoni onomatopeici e il contraccento del v. 294. – nell’arsa state: nell’arida estate. – Per un’analisi stilistica dei vv. 290-297, cfr. Carducci (pp. 283-284). 295-297 Finchè poi […] abbella: dopo i suoni cupi e fragorosi del tuono, l’allitterazione della fricativa [f] rende il fruscio della pioggia. – la feconda pioggia: Savoca (pp. 219-220) vi coglie una metafora sessuale, spiegando la soppressione di questi versi nel Meriggio come effetto dell’imbarazzo di Parini per la sua eccessiva audacia. – uomini […] abbella: gli uomini, gli animali e le piante sono uniti pretarchescamente in polisindeto, mentre il verso successivo varia il dettato con l’asindeto dei verbi, disposti a coppie nei suoi due emistichi. 298 Oh beati […] al cielo: cfr. la beata gente di MT i 389 e nota. 299-301 a cui […] inondolli!: ai quali Prometeo, con mano più felice, foggiò gli organi eccelsi e li dispose in più perfetta tensione, empiendoli di fluidi più sottili. – Titano: Prometeo non era un titano, ma era figlio del titano Giapeto. Creò gli uo-
il mezzogiorno Formò gli organi illustri, e meglio tese, E di fluido agilissimo inondolli! Voi l’ignoto solletico sentiste Del celeste motore. In voi ben tosto Le voglie fermentár, nacque il desio. Voi primieri scopriste il buono, il meglio; E con foga dolcissima correste A possederli. Allor quel de’ due sessi, Che necessario in prima era soltanto, D’amabile, e di bello il nome ottenne. Al giudizio di Paride voi deste Il primo esempio: tra feminei volti A distinguer s’apprese; e voi sentiste Altre edd.
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304 desio ] desío G3
mini, secondo un celebre mito, foggiandoli nel fango e poi animandoli con una scintilla sottratta al sole. – organi […] fluido: parole di matrice sensista. – E di fluido […] inondolli: l’allitterazione di liquide, dentali e fricative rende la fluidità degli umori trascorrenti. – Cfr. MT i 227-229; e Giovenale, Satire xiv 34-35: «forsitan haec spernant iuvenes, quibus arte benigna / et meliore luto finxit praecordia Titan». 302 l’ignoto solletico: la sollecitazione, mai provata prima, del Piacere. – Cfr. il solletico del v. 207 e il riso ancor non conosciuto del v. 274. 303 celeste motore: il Piacere, denotato con espressione che di nuovo unisce terminologia filosofica (il motore, meccanicisticamente) e forme vaghe esornative (celeste). 304 Le voglie fermentár: crebbero le voglie. – Ancora il verbo evoca la dimensione fisiologica. 307 A possederli: non per caso Parini usa un verbo che richiama il diritto e l’economia, perché esito di questa maggiore prontezza di alcuni nel rispondere al Piacere (o invece causa, oltre l’ironia della superficie) saranno le disuguaglianze tra le classi. 307-309 Allor […] ottenne: allora, quel sesso che prima era semplicemente necessario (le donne, necessarie per la perpetuazione del genere umano) fu chiamato amabile e bello. – amabile: così nasce la categoria dell’amabile, che qualificava inizialmente il rito al quale il giovin signore doveva essere ammaestrato e dunque l’estetica della sua classe: in relazione al superamento della necessità verso il piacere e all’affermazione di un ordine sociale. Un’arte amabile sarà allora uno svago piacevole, che non contesti quell’ordine e non offra all’uomo niente di necessario (tali, per esempio, erano gli Amori di Ludovico Savioli, usciti in prima edizione nel 1763 e in seconda edizione nel 1765), e si comprende come l’arduità sintattica del poemetto e l’oltranza della sua ironia valgano anche a scongiurare il rischio dell’amabilità, che ne avrebbe contraddetto l’intento critico originario. 310-311 Al giudizio […] esempio: Paride dovette giudicare chi tra Afrodite, Atena ed Era fosse la più bella. Scelse Afrodite, che gli prometteva la donna più bella del mondo, e ne ebbe l’amore di Elena.
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Altre edd.
giuseppe parini Primamente le grazie. A voi tra mille Sapor fur noti i più soavi: allora Fu il vin preposto all’onda; e il vin s’elesse Figlio de’ tralci più riarsi, e posti A più fervido sol, ne’ più sublimi Colli dove più zolfo il suolo impingua. Così l’Uom si divise: e fu il Signore Dai Volgari distinto a cui nel seno Troppo languír l’ebeti fibre, inette A rimbalzar sotto i soavi colpi De la nova cagione onde fur tocche: E quasi bovi, al suol curvati ancora Dinanzi al pungol del bisogno andáro; E tra la servitute, e la viltade, E ’l travaglio, e l’inopia a viver nati, Ebber nome di Plebe. Or tu Signore Che feltrato per mille invitte reni
321 languír ] languir G2 G3 nati. G3
326 viltade, ] viltade; G3
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327 nati, ]
313-314 A voi […] soavi: tra mille sapori, voi conosceste i più soavi. – voi: il pronome è ripetuto per la terza volta (dopo le due occorrenze dei vv. 310 e 312), sempre in posizione rilevata all’inizio del secondo emistichio. – noti: contrasta con l’ignoto solletico del v. 302. Anche così il poeta significa che il piacere resterà sconosciuto agli uomini del popolo. 314-318 allora […] impingua: allora il vino fu preferito all’acqua e si scelsero i vini prodotti dalle viti coltivate sui terreni più siccitosi, esposti al sole più caldo, sui colli più elevati e dove il suolo è più ricco di zolfo. – La divisione in classi, con le pretese di superiorità della nobiltà, diventa distinzione gerarchizzante anche rispetto alla natura e ai suoi prodotti. 319 Così l’Uom si divise: così il genere umano si divise. 319-323 e fu il Signore […] tocche: e il nobile fu distinto dagli uomini del volgo, i cui nervi ottusi languirono troppo a lungo, incapaci di rispondere alle soavi sollecitazioni dell’ignoto Piacere che li sfiorava. – ebeti: latinismo. – fibre […] tocche: di nuovo il discorso si articola nelle categorie e nella terminologia del sensismo. 324-328 E quasi bovi […] Plebe: e ancora curvi al suolo (come erano già prima della venuta del Piacere), simili a buoi, andarono spinti dal pungolo della necessità; e, destinati a vivere nel servaggio, nell’avvilimento, nella fatica e nella miseria, ebbero il nome di plebe. – pungol del bisogno: cfr. vv. 240-242 e nota. 329-330 che feltrato […] racchiudi: che porti dentro te sangue filtrato per mille generazioni di indomiti eroi. – Con ampio iperbato, a portare Sangue in evidenza all’inizio del verso, torna il motivo su cui esordiva il poemetto, per cui cfr. MT i 1-3 e nota.
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il mezzogiorno Sangue racchiudi, poichè in altra etade Arte, forza, o fortuna i padri tuoi Grandi rendette, poichè il tempo alfine Lor divisi tesori in te raccolse, Del tuo senso gioisci, a te dai numi Concessa parte: e l’umil vulgo intanto Dell’industria donato, ora ministri A te i piaceri tuoi nato a recarli Su la mensa real, non a gioirne. Ecco la Dama tua s’asside al desco: Tu la man le abbandona; e mentre il servo La seggiola avanzando, all’agil fianco La sottopon, sì che lontana troppo
Mss.
338 gioirne ] goderne c d
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330-334 poichè […] gioisci: poiché in un’età passata l’abilità, la forza o la fortuna resero grandi i tuoi antenati, poiché col tempo le eredità di diverse famiglie si sono riunite in te, rallegrati della tua sensibilità. – Cfr. MT i 4-6, 793-795 e 1039-1040 e note. La ripresa dei motivi già addotti in precedenza per spiegare la nobiltà del giovin signore, elencati ancora in disgiunzione dubitativa al v. 331, costituisce di fatto un’immediata negazione del valore eziologico apparente della favola narrata e quindi un invito a coglierne il significato profondo. 334-335 a te […] parte: se si fa dipendere concessa parte da gioisci, il significato del passo è «ruolo (questo di gioire della tua sensibilità) che gli dei ti hanno concesso». Se invece si intende concessa parte come apposizione di senso, il significato del passo è «dono (questo di una più perfetta sensibilità) che gli dei ti hanno concesso». 335-338 e l’umil vulgo […] gioirne: e intanto l’umile plebe, a cui è stato concesso il dono del lavoro, si occupi di somministrarti i tuoi piaceri, destinata com’è a portarli sulle tavole signorili e non a goderne. – umil vulgo: cfr. l’umile vulgo di MT i 60. – dell’industria donato: ricrea una delle costruzioni del latino donare, che ammetteva l’accusativo della persona e l’ablativo della cosa. È affermazione ironica in quanto il lavoro del popolo è fatica sfruttata dai nobili (e la costruzione latineggiante rileva l’ironia), ma è anche veritiera in quanto il lavoro e le arti, di per sé, nobilitano l’uomo. – A te i piaceri tuoi: il poliptoto insiste ancora una volta, anche scegliendo la forma tonica del pronome e accentuando l’aggettivo possessivo, sul giovin signore in contrapposizione con il volgo. – nato: cfr. v. 327. – la mensa real: real significa in generale «nobiliare», secondo il significato già di Orazio, Satire ii, ii 45: «epulis regum». 339 s’asside: Parini alterna assidersi al meno aulico sedersi. 340 Tu la man le abbandona: il giovin signore aveva preso la mano della dama ai vv. 232-233. Con l’istruzione a lasciarla allorché ella siede a tavola, il cantore riprende a dettargli i movimenti. 340-346 e mentre il servo […] volume: e, mentre il servitore spinge avanti la sedia e la fa scivolare sotto il suo fianco flessuoso, così che ella non sia troppo lontana dalla tavola né vi prema contro con il petto, tu avanza d’un saltello e raccoglile il volu-
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giuseppe parini Ella non sia, nè da vicin col petto Prema troppo la mensa, un picciol salto Spicca, e chino raccogli a lei del lembo Il diffuso volume. A lato poscia Di lei tu siedi: a cavalier gentile Il fianco abbandonar de la sua Dama Non fia lecito mai, se già non sorge Strana cagione a meritar, ch’egli usi Tanta licenza. Un Nume (1) ebber gli antichi Immobil sempre, e ch’allo stesso padre Degli Dei non cedette, allor ch’ei venne Il Campidoglio ad abitar, sebbene E Giuno e Febo e Venere e Gradivo E tutti gli altri Dei da le lor sedi Per riverenza del Tonante uscíro.
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(1) Lo Dio Termine. Mss.
347 tu siedi ] t’assidi c d
minoso strascico del vestito. – picciol salto: cfr. vv. 231-235 e nota, sebbene manchino qui i tratti eroicomici che là erano rilevati. 349-351 Non fia lecito mai […] licenza: non sarà mai permesso, a meno che non si presenti una situazione così peculiare da giustificare che egli si prenda una simile libertà. – lecito […] cagione […] licenza: il costume nobiliare è informato a una minuziosa giurisprudenza. L’uso della parola licenza per un’interruzione del contatto tra gli amanti è chiaramente antifrastico. 351-357 Un Nume […] uscíro: presso gli antichi romani era vivo il culto di un dio perfettamente inamovibile, il dio Termine, che non cedette neanche a Giove, padre degli dei, quando fu eretto il suo tempio in Campidoglio, sebbene Giunone, Apollo, Venere e Marte e tutti gli altri dei abbandonassero le loro sedi in segno di reverenza verso il Tonante. – Parini si riferisce a un episodio della storia di Roma narrato da Tito Livio (Histor. i 55) e da Ovidio (Fasti ii 669-670): quando Tarquinio il Superbo decise di innalzare un tempio a Giove Tonante in Campidoglio, furono spostati tutti gli altri templi che vi sorgevano, tranne quello del dio Termine (Albini). Il paragone tra il giovin signore e il dio Termine è ironico non solo in quanto è iperbolico, ma anche in quanto l’inamovibilità del dio contrasta con la reale volubilità del giovin signore. Cfr. infine PV lxxxvii 7-8: «E voi, o santo Dio Termin, sorgeste / Curvo e pesante dall’antico sito». – padre / Degli Dei: epiteto tradizionale di Giove, ricorrente nei poemi omerici e nell’Aeneis. – Gradivo: epiteto tradizionale di Marte, che forse significa «colui che accompagna gli eserciti in marcia». – Tonante: come già in MT i 543, Giove è così chiamato perché suo attributo tradizionale era la folgore.
21 Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Indistinto ad ognaltro il loco sia Presso al nobile desco: e s’alcun arde Ambizioso di brillar fra gli altri, Brilli altramente. Oh come i varj ingegni La libertà del genial convito Desta ed infiamma! Ivi il gentil Motteggio, Maliziosetto svolazzando intorno, Reca su l’ali fuggitive ed agita
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361 Oh ] O G2 G3 364 svolazzando ] svollazzando G2 G3 359 Presso al nobile desco ] Al nobil desco intorno c d 363 Motteggio ] motteggio a b
358-359 Indistinto […] desco: tutti gli altri abbiano alla nobile tavola un posto qualunque. – Privo com’è di personalità, il giovin signore è tuttavia soggetto all’ossessione di distinguersi che per la nobiltà è costume (cfr. MT i 1062-1065) e che deriva dall’esigenza costante di affermare i propri privilegi per conservarli (cfr. MZ 9931013). 359-361 e s’alcun […] altramente: e se qualcuno ambiziosamente brama di distinguersi fra gli altri, si distingua in altro modo (che non per il posto accanto alla dama). – brillar […] brilli: cfr. la nostra brillante gioventù della dedica «Alla Moda»; e le Lezioni di Belle Lettere: «ciascuno degli uomini s’immagina d’aver qualche dote, o qualche merito, che lo contraddistingua dagli altri. Perciò è che egli di buon grado comporta, che altri arrivi a segnalarsi in una carriera e in un genere di cose, purché gli si lasci salva la persuasione d’esser lui segnalato in un altro genere di cose, e in un’altra carriera» (c. 119r, p. 164). 361-363 Oh come […] infiamma: oh come si accendono e come rifulgono i diversi ingegni (dei convitati) nella libertà (da ogni regola) del geniale banchetto. – varj ingegni: offrono ancora uno spettacolo di bella varietà, ma già preludono alla galleria di figure grottesche che Parini comporrà in MZ 452 sgg. e in NT 351 e ss. – infiamma: lascia intendere che la discussione può accalorarsi fino al conflitto (come conferma il Motteggio malizioso dei versi successivi). – genial: «lieto; non senza una punta di ambiguità, per cui si pensa anche al significato corrente dell’aggettivo. Il poeta si è ricordato di espressioni latine come genio indulgere e simili, che significano dare gioia allo spirito, essendo il genio il nume tutelare di ogni persona» (Bonora). – genial convito: Albini cita Ovidio, Fasti iii 523: «festum geniale»; Tizi aggiunge Bettinelli, Versi sciolti iv 67-68: «Apre a versarne in genial convito / I soavi licor»; e Frugoni, Altri versi sciolti l 484-486: «dovea / Spasimi e doglie al genial convito / Io dolente recar?»; e lxvii 38: «Sederem lieti al genial convito». 363-368 Ivi il gentil […] costumi: qui lo scherzo gentile, svolazzando intorno malizioso, porta sulle sue ali rapide e diffonde le avventure delle dame assenti, che le voci raccontano, o le ingenuità di un amante o di un marito. – gentil Motteggio: lezioso, più che bonario, poiché di seguito se ne afferma la malizia (con aggettivo arcadicamente vezzeggiativo, per cui cfr. i precedenti vv. 44, 110 e 137), e come d’uso personificato. – fuggitive: rapide, ma anche furtive, perché lo scherzo malizioso deve essere insinuato, più che esplicitamente pronunciato. – agita: lo scherzo diffonde i racconti, ma insieme suscita agitazione tra i commensali e le persone interessate.
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giuseppe parini Ora i raccolti da la fama errori De le belle lontane, ora d’amante O di marito i semplici costumi: E gode di mirare il queto sposo Rider primiero, e di crucciar con lievi Minacce in cor de la sua fida sposa I timidi segreti. Ivi abbracciata Co’ festivi Racconti intorno gira L’elegante Licenza: or nuda appare Come le Grazie; or con leggiadro velo Solletica vie meglio; e s’affatica Di richiamar de le matrone al volto Quella rosa gentil che fu già un tempo Onor di belle donne, all’Amor cara E cara all’Onestade; ora ne’ campi Cresce solinga, e tra i selvaggi scherzi A le rozze villane il viso adorna.
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– i raccolti […] errori: con iperbato; per errori, cfr. inoltre le oblique vie di MT i 317. – semplici costumi: cfr. Alla Musa 17-18: «Colui, cui diede il ciel placido senso / e puri affetti e semplice costume» (qui la semplicità non è oggetto di ironia, poiché non è colta nel giudizio della nobiltà maldicente). 369-372 E gode […] segreti: e si compiace di vedere che il placido marito ne ride per primo e di tormentare la fedele sposa di lui con velate allusioni ai segreti innocenti nascosti nel suo cuore. – il queto sposo: cfr. vv. 49-50 e nota. Il marito ride dei tradimenti a danno di altri mariti senza pensare, ingenuamente, al proprio caso. – fida sposa: ironico, come sempre. 372-374 Ivi […] Licenza: qui la raffinata licenza si aggira in compagnia di allegri racconti. – Licenza: è detta elegante non perché lo sia, ma perché caratterizza il costume del bel mondo aristocratico, e dunque per ipallage. 374-376 or nuda […] meglio: ora si mostra nuda (ovvero esplicita) come le Grazie, ora stuzzica anche di più nascondendosi dietro un bel velo (di doppi sensi o allusioni tacite). 376-380 e s’affatica […] Onestade: e si sforza di riportare sul viso delle matrone quel rossore delicato, caro all’Amore e all’Onestà, che un tempo era l’onore delle belle donne. – matrone: se ancora in MT i 219-222 le accigliate gelide matrone invocavano la modestia, ormai neanche da loro si può sperare un argine alla licenza. – rosa gentil: la metafora, che per la nobiltà evoca antifrasticamente un topos lirico ormai consunto, ritrova la sua autenticità nel paesaggio della campagna, dove gli scherzi volgari dei contadini esprimono tuttavia un’ingenuità che abbellisce anche di più le loro donne. Ancora una volta, il mondo contadino si offre come paradigma di moralità contro il degrado del bel mondo. 380-382 ora ne’ campi […] adorna: ormai la modestia sopravvive solo nelle campagne, dove tra i grevi scherzi dei contadini adorna il viso alle ineducate contadine.
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G1 Mss.
il mezzogiorno Già s’avanza la mensa. In mille guise E di mille sapor, di color mille La variata eredità degli avi Scherza ne’ piatti; e giust’ordine serba. Forse a la Dama di sua man le dapi Piacerà ministrar, che novo pregio Acquisteran da lei. Veloce il ferro Che forbito ti attende al destro lato Nudo fuor esca; e come quel di Marte, Scintillando lampeggi: indi la punta Fra due dita ne stringi, e chino a lei Tu il presenta, o Signore. Or si vedranno De la candida mano all’opra intenta I muscoli giocar soavi e molli: E le grazie, piegandosi dintorno, 383 Gia 383 Già s’avanza la mensa ] Di già il pranzo s’affretta c d cetta accanto al verso in c d
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383 Già […] la mensa: di solito si intende: «già la tavola è imbandita per i commensali»; mensa però può essere interpretato come «pietanza», «portata», secondo un’accezione già usata in latino, e il senso del passo sarà allora: «già si servono le pietanze». – Già s’avanza: l’attacco avverbiale (per cui cfr. vv. 24-25 e nota) e il verbo di moto conferiscono al passo un’intonazione narrativa e velatamente eroicomica. 383-386 In mille guise […] serba: l’eredità degli avi si mostra nei piatti (dove sarà consumata) allegramente variata in mille forme, sapori e colori; e secondo l’ordine delle portate previsto dall’etichetta. – giust’ordine: in alternativa, può essere inteso come principio estetico che presiede alla presentazione dei piatti, poiché congiuntamente si parla di varietà. Nelle Lezioni di Belle Lettere, l’ordine e la varietà sono infatti principi fondamentali delle belle arti (cfr. la nota ai vv. 838-844) e all’ordine, in particolare, è dedicato il Capo 6º delle Lezioni. 387-389 Forse […] da lei: forse la dama vorrà servire personalmente le vivande, che da lei riceveranno nuovo valore. – Dapi: latinismo. 389-392 Veloce […] lampeggi: rapida la lama, che lucida ti attende al fianco destro, sia snudata e baleni scintillante come la spada di Marte. – il ferro: è il coltello descritto in MT i 907-919, per il quale il giovin signore avrà fama di esimio Trinciatore (MT i 915). 394 il presenta: porgilo. 394-396 Or si vedranno […] molli: ora si vedranno i muscoli della bianca mano (della dama), intenta al taglio, muoversi con grazia e con delicatezza. – candida mano: era già stata evocata in MT i 820. Nel suo moto si riuniscono i tratti di lieve ludicità, soavità e mollezza dell’estetica nobiliare. 397-402 E le grazie […] Amore: e nuove grazie seguiranno i movimenti della mano, ora scorrendo rapide e leggere dalle dita, ora librandosi sulle giunture appena visibili e ora ricadendo nelle fossette che Amore impresse tra una giuntura e l’altra.
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Altre edd.
giuseppe parini Vestiran nuove forme, or da le dita Fuggevoli scorrendo, ora su l’alto De’ bei nodi insensibili aleggiando, Et or de le pozzette in sen cadendo, Che dei nodi al confin v’impresse Amore. Mille baci di freno impazienti Ecco sorgon dal labbro ai convitati; Già s’arrischian, già volano, già un guardo Sfugge dagli occhi tuoi, che i vanni audaci Fulmina, et arde, e tue ragion difende. Sol de la fida sposa a cui se’ caro Il tranquillo marito immoto siede: E nulla impression l’agita e scuote Di brama, o di timor; però che Imene Da capo a piè fatollo. Imene or porta Non più serti di rose avvolti al crine, Ma stupido papavero grondante 401 Et ] Ed G2 G3 407 et ] ed G2 G3; 412 fatollo ] satollo G3
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difende ] difende, G3
403-404 Mille baci […] convitati: ecco che mille baci che non tollerano freni sorgono sulle labbra agli invitati. 405-407 Già s’arrischian […] difende: già si affacciano, già spiccano il volo, ma già dai tuoi occhi sfugge uno sguardo che fulmina e incenerisce le loro ali (vanni) audaci, difendendo i tuoi diritti. – Tizi: «anche i baci appaiono concepiti come spiritelli alati, al pari delle precedenti grazie e degli amorini, in una specie di proliferazione ironica delle leziose personificazioni arcadiche». – Già s’arrischian […] Sfugge: l’asindeto e la ripetizione dell’avverbio accelerano improvvisamente il ritmo della scena. – Sfugge: in quanto amante e non marito, il giovin signore non può manifestare scopertamente il proprio sentimento di possesso verso la dama. La ragion che egli difende, tra l’altro in presenza del marito, è assai dubbia. – Fulmina: appartiene al linguaggio dell’epica (Orl. Fur. xviii 81, 1: «Grida Aquilante, e fulminar non resta»; Ger. Lib. i 58, 7-8: «se’l miri fulminar ne l’arme avolto, / Marte lo stimi»). 408-409 Sol de la fida […] siede: un’altra variazione sul motivo dell’altrui sposa, per cui cfr. MT i 310 e nota. 410-412 E nulla impression […] fatollo: e nessun sentimento di desiderio o di gelosia lo inquieta e lo tormenta, perché Imene lo ha incantato dalla testa ai piedi. – Da capo […] fatollo: come Achille, Sigfrido e tanti eroi ariosteschi, da Orlando a Ferraù, anche il marito della dama è catafratto per magia contro ogni offesa; il matrimonio ha spento cioè tutte le sue passioni. 412-416 Imene […] insegne: Imene ormai non porta più ghirlande di rose fra i capelli, ma soporiferi papaveri grondanti delle acque torbide del Lete. Imene e il Sonno oggi hanno gli stessi attributi – Imene: cfr. MT i 314 e 384 e note. – stupido: ha senso
il mezzogiorno Di crassa onda Letéa: Imene, e il Sonno Oggi han pari le insegne. Oh come spesso La Dama dilicata invoca il Sonno Che al talamo presieda, e seco invece Trova Imenéo; e stupida rimane Quasi al meriggio stanca villanella Che tra l’erbe innocenti adagia il fianco Queta e sicura; e d’improviso vede Un serpe; e balza in piedi inorridita; E le rigide man stende, e ritragge Il gomito, e l’anelito sospende; E immota e muta, e con le labbra aperte Obliquamente il guarda! Oh come spesso Incauto amante a la sua lunga pena Cercò sollievo: et invocar credendo Imene, ahi folle! invocò il Sonno; e questi Di fredda oblivion l’alma gli asperse; G1 Altre edd. Mss.
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426 labara 422 improviso ] improvviso G3 429 et ] ed G2 G3 417 dilicata ] delicata c d 429 et ] e d’ c d
attivo per ipallage, «che causa torpore». – onda Letéa: cfr. vv. 10-12 e nota; e Caro, Eneide v 1214-1216: «Il Sonno allora di letèo liquore, / E di stigio veleno un ramo asperso / Sovra gli scosse». – il Sonno: cfr. MT i 90-94 e nota. 416-419 Oh come spesso […] Imenéo: ahi quanto spesso una dama delicata invoca il Sonno, perché scenda a occupare il letto matrimoniale, e invece si trova accanto Imene. – dilicata: cfr. MT i 202 e 293 e, più avanti, i vv. 443 e 571. – seco […] Imenéo: i mariti, come già in MT i 445-454, si ostinano a rivendicare i propri diritti. 420-427 e stupida […] il guarda!: e resta stupefatta, come una stanca contadina che nel meriggio si sdraia tra le erbe innocue, tranquilla e credendosi sicura, e all’improvviso scorge un serpente, e salta in piedi terrorizzata, e protende le mani irrigidite, e ritrae i gomiti, e trattiene il respiro, e ammutolita, immobile, lo guarda di traverso a bocca aperta. – Per l’intera similitudine, Albini ricorda Aeneis ii 378-382, dove il guerriero greco Androgeo scopre di essere tra le schiere nemiche. – con le labbra aperte: cfr. MT i 242-243. 427-430 Oh come spesso […] Sonno: ahi quanto spesso un incauto amante cercò (nel matrimonio) un sollievo dalle sue lunghe pene (amorose) e, pensando di invocare Imene (di sposarsi), pazzo!, invocò il Sonno. – Il caso dell’amante riprende specularmente quello della dama. Insieme, essi rielaborano il motivo antifrastico della polemica contro il matrimonio aperta in MT i 281 sgg. – Oh come spesso: in anafora con il secondo emistichio del v. 416. 430-433 e questi […] il core: e il Sonno versò sul suo spirito il gelido oblio e gli avvolse il cuore in una noia irresistibile e in una torpida insensibilità. – Di fredda […] asperse:
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini E d’invincibil noja, e di torpente Indifferenza gli ricinse il core. Ma se a la Dama dispensar non piace Le vivande, o non giova, allor tu stesso Il bel lavoro imprendi. Agli occhi altrui Più brillerà così l’enorme gemma, Dolc’esca agli usurai, che quella osaro A le promesse di Signor preporre Villanamente: ed osservati fieno I manichetti, la più nobil opra Che tessesse giammai Anglica Aracne. Invidieran tua dilicata mano I convitati; inarcheran le ciglia Sul difficil lavoro, e d’oggi in poi Ti fia ceduto il trinciator coltello
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444 convitati; ] convitati, G2 G3 440 Crocetta accanto al verso in c
riprende la metafora delle acque letee. – torpente: ha significato attivo, come stupido al v. 414. 435 o non giova: o non le è gradito. 436 il bel lavoro imprendi: intraprendi il nobile compito (di dispensare le vivande). 436-440 Agli occhi […] villanamente: così brillerà ancora più vistosamente l’enorme gemma (dell’anello) che attira gli usurai, i quali volgarmente, non accontentandosi delle promesse di un nobile, osarono chiederla in pegno. – Già nel Mattino erano apparsi i temi dell’abitudine dei nobili all’indebitamento (cfr. MT i 161-164) e della loro indignazione ormai disarmata contro coloro che mancavano di ossequiarli (cfr. MT i 722-733) – Villanamente: collocato dalla spezzatura all’inizio del verso, assume maggiore rilievo. 440-442 ed osservati […] Aracne: e saranno ammirati i polsini ricamati, l’opera più sublime che mai artefice inglese abbia tessuto. – nobil opra: la stessa espressione denotava al v. 210 il lavoro squisito del capocuoco e dei suoi assistenti, mentre non […] Vil opra era il pasto dei nobili ai vv. 239-240. Per il giovin signore e i suoi pari, opere e attività si qualificano positivamente o negativamente in relazione alla loro convenienza alla nobiltà e alla loro estraneità al volgo, in una compiuta autoreferenzialità etica ed estetica. – Aracne: abilissima tessitrice lidia, sfidò Atena nella tessitura e fu da lei trasformata in ragno come punizione per la sua hybris (il mito è narrato in Ovidio, Metamorfosi vi 5-145). Come altrove nel poemetto (cfr. vv. 212-230), l’antonomasia mitologica celebra l’artefice, ma anche, mediatamente, il giovin signore che si avvale del suo lavoro. 444 inarcheran le ciglia: spalancando gli occhi. 445-447 e d’oggi in poi […] mense: e da oggi in avanti ti sarà sempre dato il coltello per trinciare le carni, che a tavola (nelle famiglie nobili) si riserva ai figli cadetti, destinati alla carriera militare. – In MT i 913-915 il precettore aveva anticipato al giovin
il mezzogiorno Che al cadetto guerrier serban le mense. Teco son io, Signor; già intendo e veggo Felice osservatore i detti e i moti De’ Semidei che coronando stanno; E con vario costume ornan la mensa. Or chi è quell’eroe che tanta parte Colà ingombra di loco, e mangia e fiuta E guata e de le altrui cure ridendo Sì superba di ventre agita mole? Oh di mente acutissima dotate Mamme del suo palato! oh da mortali Invidiabil anima che siede Altre edd. Mss.
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signore che sarebbe forse assurto alla fama / D’esimio Trinciatore. – guerrier: la celebrazione del taglio della carne assume subito un tono eroicomico, che già si era profilato nel coltello come spada dei vv. 389-392 e in MT i 907-919. Il contraccento di guerrier serban innalza conseguentemente il ritmo del dettato. 448-451 già intendo […] la mensa: già vedo e intendo, osservatore fortunato, i gesti e le parole dei semidei che siedono intorno alla tavola come corona e che la adornano della loro varia apparenza. – già intendo e veggo: analoghe formule testimoniali si trovavano in MT i 126, 244, 842 e 905. – Felice osservatore: così è mutato il ruolo del precettore fattosi cantore, felice di vedere il proprio allievo ammirato dai suoi pari. – vario costume: sulla varietà come categoria dell’estetica nobiliare, cfr. i vv. 268-270 e 361-363 e note. – Semidei: cfr. MT i 61-63 e nota. – ornan la mensa: velatamente, i convitati sono ridotti ad arredo. 452-455 Or chi è […] mole?: chi è dunque quell’eroe che laggiù occupa tanto spazio, e mangia e annusa e osserva e, ridendo delle preoccupazioni altrui, scuote la massa di una pancia così superba? – Tizi (riprendendo Bonifazi): «inizia, con la scena del grande mangiatore, la rassegna eroicomica dei commensali, concepita sul modello della descrizione dei guerrieri cristiani compiuta da Erminia nel canto iii della Gerusalemme Liberata, in risposta alle domande del re di Gerusalemme»; ma cfr. anche Aeneis vi 808-809: «Quis procul ille autem ramis insignis olivae / sacra ferens?»; e 863: «quis, pater, ille, virum qui sic comitatur euntem?»; e Inf. xiv 46-47: «chi è quel grande che non par che curi / lo ’ncendio». – e mangia e fiuta e guata: il polisindeto, con hysteron proteron, rende la voracità bulimica (o affettata? Si ricordi MT i 10641065) del convitato. – de le altrui cure […] mole: il primo convitato assomiglia a guerrieri come l’Argante tassiano, di mole immensa e spregiatore d’ogni cosa. Si notino infine l’inversione e l’iperbato del v. 455. 456-460 Oh di mente […] sugge!: oh papille gustative dotate di intelligenza acutissima! Oh anima che risiede nella loro mirabile struttura, a destare l’invidia dei mortali, e di lì può assorbire il piacere fino al suo estremo limite (fino quasi a svenire). – anima: significa che le papille possono dirsi animate, tanto sono sensibili, ma anche che l’anima del convitato risiede nelle sue papille. Contro la rimozione della propria
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giuseppe parini Tra la mirabil lor testura; e quindi L’ultimo del piacer deliquio sugge! Chi più saggio di lui penétra e intende La natura migliore; o chi più industre Converte a suo piacer l’aria, la terra, E ’l ferace di mostri ondoso abisso? Qualor s’accosta al desco altrui, paventano Suo gusto inesorabile le smilze Ombre de’ padri, che per l’aria lievi S’aggirano vegliando ancora intorno Ai ceduti tesori: e piangon lasse Le mal spese vigilie, i sobrj pasti, Le in preda all’aquilon case, le antique Digiune rozze, gli scommessi cocchj
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corporeità che i nobili attuano rispetto al cibo, l’ironica riduzione dell’anima del convitato alle sue papille gustative svolge una funzione demistificante. – La terminologia di matrice sensistica del passo contribuisce all’assurdità e all’ironia dell’encomio, il cui dettato si innalza mediante la due esclamazioni e la duplice prolessi del complemento, rispetto all’aggettivo reggente, dei vv. 456 e, con spezzatura, 457-458. 461-464 Chi più […] abisso?: chi penetra e comprende con sapienza maggiore della sua ciò che di meglio ha la natura? E chi è più solerte nel volgere in proprio piacere gli uccelli, gli animali e i prodotti della terra e i pesci di cui sono fecondi gli ondosi abissi del mare? – più saggio di lui: cfr. Ger. Lib. iii 59, 5-6: «né fra turba sì grande uom più guerriero / o più saggio di lui potrei mostrarte» (Bonifazi, p. 182) – penétra […] migliore: i due verbi evocano un’operazione intellettuale, ma subito si comprende, e la successiva serie di metonimie lo conferma, che la natura è apprezzata solo in senso gastronomico. – Converte […] abisso: se converte evoca il metabolismo e dunque la nutrizione, piacer ribadisce che non la fame ma la voluttà guiderebbe i nobili al loro pasto. Già in MT i 668 ferace era il corno del Lusso, sempre contrapposto alla necessità. 465-469 Qualor […] tesori: quando si siede alle tavole altrui, le magre ombre degli antenati, che si aggirano leggere per l’aria vigilando ancora sulle ricchezze lasciate in eredità, temono il suo gusto e il suo appetito irrefrenabili. – Suo gusto inesorabile: come in MT i 708-709 il gusto nobiliare trionfava di ogni precetto, anche se solo nelle pretese di chi lo esercitava, così ora il gusto ovvero l’appetito del convitato appare inesorabile ed esemplifica di nuovo il rifiuto aristocratico di ogni freno o regola. – ceduti tesori: cfr. vv. 385-386. 469-474 e piangon […] i tetti: e deplorano, misere, le notti inutilmente sacrificate (all’accumulo di ricchezze), i pasti frugali, le case esposte al freddo vento del nord, i vecchi ronzini denutriti, le carrozze sconnesse, che assordavano le persone, nelle strade e perfino nelle case, con il loro stridii di ferro – mal spese: per lo sperpero che ne fanno i discendenti, ma forse anche per l’immoralità intrinseca della vita di fera violenza degli avi. – vigilie […] cocchj: in contrapposizione alle veglie protratte nel gioco (MT i 66-67), alle peregrine mense (MT i 465) che lusingano il palato (MZ 221), alle stanze superne dove non giungono il gelo e il calore del meriggio (MT i 937), ai superbi corsier (MT i 931) e ai dorati cocchi (MT i 465) dei loro eredi. Si noti inoltre il forte
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il mezzogiorno Forte assordanti per stridente ferro Le piazze e i tetti: e lamentando vanno Gl’invan nudati rustici, le fami Mal desiate, e de le sacre toghe L’armata in vano autorità sul vulgo. Chi siede a lui vicin? Per certo il caso Congiunse accorto i due leggiadri estremi Perchè doppio spettacolo campeggi; E l’un dell’altro al par più lustri e splenda. Falcato Dio degli orti a cui la Greca Lámsaco d’asinelli offrir solea Vittima degna, al giovine seguace Del sapiente di Samo i doni tuoi
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iperbato del v. 471, quasi icasticamente ruvido. – Forte […] ferro: verso quasi onomatopeico, percorso da [f], [s], [t] e [r]. 474-477 e lamentando […] vulgo: e lamentano i contadini ridotti inutilmente alla miseria, le carestie vanamente invocate (per le speculazioni che consentivano) e l’autorità dei magistrati e degli uomini di chiesa sul popolo armata in vano (per volgerla a proprio vantaggio). – Il dubbio insinuato già in MT i 6 sull’eticità della ricchezza accumulata dagli antenati del giovin signore trova ironica conferma. 478-481 Per certo […] splenda: certamente il caso ha posto questi due nobili estremi l’uno accanto all’altro con discernimento, perché ne risulti con maggiore evidenza un duplice spettacolo e perché ciascuno sia illustrato e illuminato dal contrasto con l’altro. – il caso […] accorto: l’ossimoro del caso che agisce con accortezza suona inevitabilmente ironico. – i due leggiadri estremi: i due convitati esemplificano le scelte che il precettore offriva al giovin signore in MT i 1062-1065. – campeggi: verbo non estraneo al lessico militare. – lustri e splenda: dittologia sinonimica. 482-486 Falcato Dio […] desco: O Priapo dotato di falce, dio degli orti a cui la città greca di Lampsaco usava offrire degno sacrificio di asinelli, porta in tavola i tuoi doni per il giovane discepolo del sapiente Pitagora di Samo. – Falcato Dio degli orti: Priapo, dio della fertilità, era tradizionalmente rappresentato con una falce. Cfr. i Soggetti: «Priapo quasi nudo, falcato nella sinistra, ed avente alla destra un gran canestro di erbe e di frutta. Vecchio forte e rubesto, ma non caricato» (p. 457). – Lámsaco: nella città di Lampsaco, sull’Ellesponto, nacque il culto di Priapo. – degna: l’iconografia di Priapo assunse nel tempo connotazioni marcatamente falliche, anche in funzione apotropaica, così che l’asino, che pure era emblema di potenza sessuale nella letteratura comica (cfr. le Metamorfosi di Apuleio), poteva essere vittima degna per un sacrificio al dio. – al giovine […] Samo: la scuola pitagorica credeva nella metempsicosi e dunque predicava il vegetarianesimo. Cfr. la raffigurazione di Pitagora nei Soggetti: «Capretti ed agnelli uccisi giacciono al suolo. Alcuni giovani ascoltano attentamente il parlare d’un vecchio venerabile in abito filosofico. Questi presenta loro con una mano degli erbaggi e dei frutti, indicando con l’altra dell’orrore per quelli animali uccisi» (p. 512).
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G1 Altre edd.
giuseppe parini Reca sul desco: egli ozioso siede Dispregiando le carni; e le narici Schifo raggrinza, in nauseanti rughe Ripiega i labbri, e poco pane intanto Rumina lentamente. Altro giammai A la squallida fame eroe non seppe Durar sì forte: nè lassezza il vinse Nè deliquio giammai nè febbre ardente; Tanto importa lo aver scarze le membra, Singolare il costume, e nel bel mondo Onor di filosofico talento. Qual anima è volgar la sua pietade 496 filosofìco 494 scarze ] scarse G3
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496 filosofìco ] filosofíco G2 G3
486-490 Egli ozioso […] lentamente: egli siede inerte e mostra di rifiutare la carne; e arriccia schifato le narici, storce le labbra con espressione disgustata e intanto rumina lentamente un pezzetto di pane. – Dispregiando: come il primo convitato, che rideva de le altrui cure (v. 454), anche il vegetariano esibisce sprezzantemente il proprio sentimento di superiorità. – Schifo: cfr. MT i 220, 353 e soprattutto 1062. – rumina: verbo usato propriamente per gli animali dotati di rumine, quali le vacche o le pecore. Il vegetariano è così assimilato a un animale erbivoro. 490-493 Altro giammai […] ardente: nessun altro eroe seppe resistere alla fame emaciata con la stessa fermezza: non lo piegarono né la debolezza, né gli svenimenti, né la febbre alta. – squallida: ha il significato latino di «pallida, emaciata» e descrive propriamente l’aspetto di coloro che soffrono la fame. Cfr. infatti la squallida prole e le squallide facce dei vv. 552 e 1058. – Altro […] eroe: l’ampio iperbato innalza il dettato, collocando le due parti del sintagma all’inizio dei due secondi emistichi, come si conviene per l’elogio dell’eroe. 494-496 Tanto importa […] talento: tanto conta avere corpo snello, costumi originali e fama, nel bel mondo, di mente filosofica. – bel mondo: cfr. MT i 287 e nota. – Onor […] talento: riecheggia forse una memoria ritmica, oltre che lessicale, di Inf. iv 132: «seder tra filosofica famiglia». Talento, nell’accezione di «ingegno», era un francesismo introdotto nell’italiano da pochi decenni. Anche così Parini svela che il vegetarianesimo del secondo convitato non è che esibizione e ossequio alla moda. 497-500 Qual anima […] piaghe: riservi la sua compassione all’uomo un qualunque spirito volgare; e i mali, le miserie e i tormenti del suo simile suscitino in lui un facile sentimento di orrore. – anima […] volgar: denota gli spiriti privi della singolarità di costumi e dell’ingegno filosofico del vegetariano, ma con volgar potrebbe anche alludere al popolo, lasciando così intendere che la pietà per gli uomini, come mostreranno l’episodio successivo della vergine cuccia e il passo dell’atroce folla (v. 1051 sgg.), non è cosa per i nobili. Conseguentemente, simíle indicherà ogni altro uomo o ogni altra anima volgar, ovvero uomo del popolo, con i suoi bisogni e le sue piaghe, da cui certo non è afflitta la nobiltà. – facile: perché si prova facilmente, essendo suscitato da un simile, ma anche per la sua comune banalità.
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Mss.
il mezzogiorno All’Uom riserbi; e facile ribrezzo Déstino in lui del suo simíle i danni, I bisogni, e le piaghe. Il cor di lui Sdegna comune affetto; e i dolci moti A più lontano limite sospinge. ” Pera colui che prima osò la mano ” Armata alzar su l’innocente agnella, ” E sul placido bue: nè il truculento ” Cor gli piegáro i teneri belati ” Nè i pietosi mugiti nè le molli ” Lingue lambenti tortuosamente ” La man che il loro fato, ahimè, stringea. Tal ei parla, o Signore; e sorge intanto
499 lui ] lei c d verso c
500 lui ] questo c d
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510 Introdotto nuovo capo-
500-502 Il cor di lui […] sospinge: il suo cuore sdegna i sentimenti comuni e dirige i suoi moti soavi verso oggetti più lontani. – L’insistenza sullo sdegno del vegetariano conferma la matrice negativa della sua diversa pietà e induce a intendere il più lontano limite come una forma di rimozione e di distanziamento da più vicini oggetti. Contemporaneamente, agisce l’imperativo nobiliare alla stravaganza, per cui cfr. MT i 303-307. 503 Pera: muoia. – Cfr. MT i 308 e nota. È notevole che il pietoso vegetariano, sia pure con formula tradizionale, invochi la morte di coloro che uccidono gli animali. Per questo passo e per l’anatema del personaggio, Cantù cita Ovidio, Metamorfosi xv 116-121: «quid meruistis oves, placidum pecus inque tuendos / natum homines, pleno quae fertis in ubere nectar, / mollia quae nobis vestras velamina lanas / praebetis vitaque magis quam morte iuvatis? / quid meruere boves, animal sine fraude dolisque, / innocuum, simplex, natum tolerare labores?»; mentre Carducci (pp. 92-93) ricorda un passo di Gasparo Gozzi, dall’«Osservatore Veneto» del 30 settembre 1761, dove un’analoga tirata non impedisce al suo autore di abbuffarsi poi di carne (e il passo gozziano, secondo Natali, è un adattamento da Jean-François Marmontel, Contes moraux, t. i, Philosophe soidisant). 505 truculento: sanguinario. – Latinismo. 506 piegáro: piegarono, dissuasero, ammansirono. 507-509 nè le molli […] stringea: né le molli e umide lingue che leccavano e la mano, avvolgendolesi intorno, che preparava la loro morte. – nè le molli […] man: l’allitterazione di [l], [m] e [n] ha valore fonosimbolico. – il loro fato […] stringea: poiché la mano è armata, si può intendere come un riferimento all’arma e, metonimicamente, alla morte di cui l’arma è strumento; in alternativa, si può intendere come «compiva la loro sorte». 510-517 e sorge […] Fecondatrici: e intanto, per le sue parole compassionevoli, spunta dagli occhi della tua dama una lacrima soave, simile alle gocce (di linfa) tremule
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giuseppe parini Al suo pietoso favellar dagli occhi De la tua Dama dolce lagrimetta Pari a le stille tremule, brillanti Che a la nova stagion gemendo vanno Dai palmiti di Bacco entro commossi Al tiepido spirar de le prim’aure Fecondatrici. Or le sovviene il giorno, Ahi fero giorno! allor che la sua bella Vergine cuccia de le Grazie alunna, Giovenilmente vezzeggiando, il piede Villan del servo con l’eburneo dente Segnò di lieve nota: ed egli audace Con sacrilego piè lanciolla: e quella Tre volte rotolò; tre volte scosse
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520
e brillanti che in primavera stillano dai tralci delle viti, intimamente risvegliatisi al tiepido soffio delle prime brezze fecondatrici (della primavera). – commossi: unisce il significato materiale della vita organica che vibra e quello spirituale, riferito alla dama tramite la similitudine, del sentimento insorgente; cfr. v. 289 e nota. 517-518 il giorno […] giorno: inizia il racconto del celebre episodio della vergine cuccia, «episodio che si stacca dal resto anche per procedimento; mentre il Parini procede di solito per descrizioni, per una casistica minuziosa di quello che fa o può fare il giovin signore, qui invece passa al racconto» (Fubini, p. 334). E il pathos del suo esordio è enfatizzato retoricamente dalla ripetizione di giorno, esclamato nell’a parte delle parentesi e modificato dall’aggettivo. Cfr. RVF cccxxix 5-6: «Or conosco i miei danni, or mi risento: / ch’i’ credeva (ahi, credenze vane e ’nfirme!)»; e Ger. Lib. xvi 35, 7: «e ’l vide (ahi fera vista!) al dolce albergo». 518-522 la sua bella […] nota: la sua bella, virginea, graziosissima cagnolina, scherzando come fanno i giovani, con un piccolo morso lasciò il segno dei suoi denti bianchi come l’avorio sul rozzo piede del servo. – de le grazie alunna: cfr. Bettinelli, Versi sciolti iii 97-98: «de le Grazie […] alunno» (Tizi). – il piede: isolato a fine verso, quasi a raffigurarne l’importuna marginalità rispetto al gioco della cagnolina. – dente […] nota: con segnò, Parini passa dal presente consueto al passato della narrazione e questo passaggio «non è soltanto un fatto grammaticale, ma diventa anche un fatto poetico» (Fubini, p. 334). Cfr. Orazio, Odi i xiii 12: «inpressit memorem dente labris notam»; e Ovidio, Amores i, vii 42: «dentis habere notam» (Albini). 522-523 ed egli […] lanciolla: ed egli osò allontanarla con un calcio del suo piede sacrilego. – Audace: l’audacia è la colpa di cui tipicamente si macchia chi offende i nobili o i loro protetti. Cfr. MT i 723 e 895 e MZ 503. – Con sacrilego piè: il piede Villan (v. 521) diventa sacrilego, poiché così comporta la pretesa, iperbolica divinità dei nobili quando essi siano offesi. Tizi cita Pope, Il riccio rapito iv 221-222: «lo strappa / co’ la mano sacrilega». 524 Tre […] tre: espressione ricorrente nell’epica greca e latina, da Omero (Odissea xi 206-207) a Virgilio (Aeneis II 792-793 e altrove).
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Gli scompigliati peli, e da le molli Nari soffiò la polvere rodente. Indi i gemiti alzando: aita aita Parea dicesse; e da le aurate volte A lei l’impietosita Eco rispose: E dagl’infimi chiostri i mesti servi Asceser tutti; e da le somme stanze Le damigelle pallide tremanti Precipitáro. Accorse ognuno; il volto Fu spruzzato d’essenze a la tua Dama; Ella rinvenne alfin: l’ira, il dolore L’agitavano ancor; fulminei sguardi Gettò sul servo, e con languida voce Chiamò tre volte la sua cuccia: e questa Al sen le corse; in suo tenor vendetta Chieder sembrolle: e tu vendetta avesti
229 525
530
535
540
540 sembrolle: ] sembrolle; G2 G3 536 sguardi ] guardi c d
525-526 e da le molli […] rodente: e soffiò via la polvere, irritante, dalle sue narici delicate. – polvere rodente: cfr. «le polvi / Che roder gli potrien la molle cute» di MT i 482-483. 527 aita aita: aiuto, aiuto! – L’espressione rende anche con onomatopea il guaito della cagnolina. 528-529 e da le aurate volte […] rispose: e dai soffitti decorati di stucchi dorati Eco, impietosita, le rispose. – impietosita: in rima interna, a raffigurare la ripetizione di suono nell’eco, con aita aita. – Eco: ninfa oreade o naiade il cui mito è narrato in due versioni da Ovidio nelle Metamorfosi (iii 356-401 e 493-507): in una, Eco è condannata da Giunone, per avere favorito gli amori di Giove, a ripetere sempre gli ultimi suoni delle parole altrui; nell’altra, Eco si consuma d’amore per Narciso fino a ridursi a pura voce. – Eco rispose: cfr. Ger. Lib. vii 25, 6: «e chiama, e sola a i gridi Ecco risponde». 530-533 E dagl’infimi chiostri […] Precipitáro: i due enunciati narrativi si svolgono in parallelo, descrivendo i movimenti simmetrici della servitù dal basso degli infimi chiostri (le stanze sotterranee dei servi) e dall’alto delle somme stanze (le soffitte dove dormivano le cameriere). – Precipitáro: isolato e messo in rilievo dalla spezzatura, apre una serie di verbi che scandiscono la narrazione dei versi successivi, rapida e come protesa al suo esito fatale. 534 essenze: aromi, sali (usati per far rinvenire la Dama, il cui svenimento è sottinteso). 537 languida: già al v. 44 la dama si accomodava languidetta sulla sedia. 538 tre volte: riprende ancora l’espressione formulare del v. 524. 539-540 in suo tenor […] sembrolle: a modo suo, con il suo linguaggio, le sembrò che le chiedesse di vendicarla.
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G1 Mss.
giuseppe parini Vergine cuccia de le grazie alunna. L’empio servo tremò; con gli occhi al suolo Udì la sua condanna. A lui non valse Merito quadrilustre; a lui non valse Zelo d’arcani uficj: in van per lui Fu pregato e promesso; ei nudo andonne Dell’assisa spogliato ond’era un giorno Venerabile al vulgo. In van novello Signor sperò; chè le pietose dame Inorridiro, e del misfatto atroce
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542 empiò 545-546 Zelo … andonne ] Zelo d’arcani uficj: ei nudo andonne d (con soppressione dei due emistichi: in van per lui|Fu pregato e promesso; in c, mostrando di non aver compreso la correzione, Reina commentò: N. B. manca la variante) 548 vulgo. In ] vulgo; e in c d
541 Vergine […] alunna: ripete il v. 519 e la ripetizione ha effetto di clausola che sancisce l’inevitabile pronunciamento della sentenza contro il servo. 542 empio: profanatore, scellerato. – Consegue dal sacrilego piè del v. 523. 543-545 A lui […] uficj: non gli furono d’aiuto né il servizio meritevolmente prestato per vent’anni, né gli incarichi segreti portati a termine con cura. – A lui non valse […] a lui non valse: ancora un’anafora, a rilevare la fatalità del corso degli eventi. – arcani uficj: probabilmente, commissioni d’amore. 545-548 In van […] vulgo: invano pregò e promise. Se ne dovette andare via, spogliato della livrea (assisa) per la quale era stato ammirato dai plebei suoi pari. – per lui: «da parte sua, del servo. Credo che questa spiegazione sia la migliore, non sembrando credibile che altre persone si siano mosse per intercedere a favore del servo» (Caretti). Altri interpreti ritengono invece plausibile un’intercessione e notano congiuntamente che l’introduzione con «per» del complemento d’agente sembra estranea all’uso linguistico di Parini (cfr. Gibellini, pp. 47-49). In questo secondo caso, il passo significherebbe «in vano qualcuno pregò e promise per lui (intercedendo)». – nudo andonne: prelude alla miseria e all’emarginazione in cui il servo cadrà con la famiglia (cfr. v. 552). – venerabile al vulgo: anche il mondo della servitù è diviso in livelli gerarchici, secondo la diversa prossimità dei servi ai signori. 548-549 In van […] sperò: in vano sperò di trovare un nuovo padrone. – In van: ancora una ripresa anaforica, del v. 545. 549-551 chè le pietose […] l’autore: perché le dame compassionevoli rimasero inorridite e odiarono l’autore del terribile delitto. – pietose: lo sarebbero letteralmente verso la cagnetta, ma l’aggettivo diventa antifrastico in relazione al servo, il quale, come dice la scelta di misero al v. 551, è colui che dovrebbe propriamente suscitare compassione e che invece è odiato e punito. – Odiár: il sentimento delle dame contrasta acutamente con la loro pretesa pietà e non ha per oggetto il misfatto, ma il suo autore.
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Odiár l’autore. Il mìsero si giacque Con la squallida prole, e con la nuda Consorte a lato su la via spargendo Al passeggiere inutile lamento: E tu vergine cuccia, idol placato Da le vittime umane, isti superba. Fia tua cura, o Signore, or che più ferve La mensa, di vegliar su i cibi; e pronto Scoprir qual d’essi a la tua Dama è caro: O qual di raro augel, di stranio pesce Parte le aggrada. Il tuo coltello Amore Anatomico renda, Amor che tutte Degli animali noverar le membra Puote; e discerner sa qual abbian tutte Uso, e natura. Più d’ognaltra cosa Però ti caglia rammentar mai sempre
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555
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551 mìsero ] misero G2 G3 564 qual ] quale d
551-554 il misero […] lamento: lo sventurato fu gettato sulla strada con i figli affamati, emaciati, e con la moglie privata di tutto, a rivolgere ai passanti inutili lamenti. – squallida: tale era la fame al v. 491. – nuda: cfr. v. 546. 555-556 E tu […] superba: e tu, vergine cuccia, come un idolo che, avendo ricevuto un sacrificio di vite umane, plachi la sua ira, ne fosti superba. – E tu, vergine cuccia: l’apostrofe e la ripetizione, per la terza volta, del sintagma vergine cuccia, ormai formulare, conferiscono una solenne drammaticità alla chiusa dell’episodio. – idol: la cagnolina partecipa dell’ironica assimilazione al divino che tocca ai suoi aristocratici padroni. – placato […] umane: così l’uomo, con rito blasfemo, è sacrificato all’animale. – superba: la superbia è tratto tipicamente aristocratico (cfr. MT i 72, 819, 913 e 931 e MZ 455 e 617 e note). La soddisfazione della cagnolina non è altro che la riaffermazione dei privilegi della nobiltà e del suo potere sul popolo. 557 Fia tua cura: cfr. MT i 396-399 e MZ 3 e 52. È anche un’esortazione tipica del genere didascalico, per cui cfr. Alamanni, Coltivazione ii 548-549: «Prenda adunque il Villan, nè se ne sdegni / De gli onorati armenti estrema cura». 558-561 e pronto […] aggrada: e rapido intuire quale desideri la tua Dama o quale parte di un raro volatile o di un pesce esotico le sia gradita. – Cfr. MT i 1055-1057 e note. – qual […] parte: con ampio iperbato. – di raro augel, di stranio pesce: è il motivo ricorrente del vario esotismo delle mense nobiliari. 561-565 Il tuo coltello […] natura: Amore renda il tuo coltello capace di precisione chirurgica; Amore, che conosce tutte le membra degli animali (perché le pervade e le sollecita) e che sa distinguere le funzioni e le caratteristiche di ciascuna. 566 ti caglia: ti prema, ti importi. – mai sempre: cfr. MT i 143 e nota.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Qual più cibo le nuoca, o qual più giovi; E l’un rapisci a lei, l’altro concedi Come d’uopo ti par. Serbala, oh dio, Serbala ai cari figlj. Essi dal giorno Che le alleviaro il dilicato fianco Non la rivider più: d’ignobil petto Esaurirono i vasi, e la ricolma Nitidezza serbáro al sen materno. Sgridala, se a te par, ch’avida troppo Agogni al cibo; e le ricorda i mali Che forse avranno altra cagione, e ch’ella Al cibo imputerà nel dì venturo. Nè al cucinier perdona a cui non calse
570
575
570 figlj ] figli G3 571 dilicato ] delicato d
567 Qual […] giovi: quale cibo le sia più nocivo e quale più benefico. – L’anastrofe crea un parallelismo sintattico tra i due emistichi e genera con il precedente mai sempre un effetto di intensificazione. 570 Serbala […] figlj: conservala, di grazia, conservala in salute per i suoi cari figli. – Come già ai vv. 517-518 e come poi al v. 993, l’esclamazione con ripetizione e interiezione dà voce melodrammatica al pathos della scena. 570-572 Essi […] non la rivider più: dopo il giorno del parto, non la rividero mai più. – Cfr. MT i 500-501: «scosse / Pur or da lungo peso il molle lombo» (e nota). – dilicato: cfr. v. 417 e nota. 572-574 d’ignobil petto […] materno: consumarono il petto della donna del popolo che li prese a balia e al seno materno conservarono invece pienezza e candore. – ignobil: per la sua connotazione sociologica nel senso, etimologico, di «non nobile» e quindi «proprio del volgo», cfr. vv. 694, 1218 e 1338. – Sebbene l’uso di affidare i lattanti a una balia fosse comune (cfr. Alfieri, Vita i 1) e sebbene potesse essere dettato da necessità, l’immagine esprime fortemente l’anteposizione dell’apparenza agli affetti più naturali tipica del costume nobiliare e il parassitismo a danno del popolo su cui si fonda la sopravvivenza della classe aristocratica. 575-576 ch’avida […] cibo: che desideri il cibo con troppa avidità. 576-578 e le ricorda […] nel dì venturo: e ricordale i malanni che domani imputerà al cibo, anche se forse la loro causa sarà un’altra. – forse […] cagione: al di là dell’insinuazione, esprime la consueta rimozione delle vere ragioni delle cose che i nobili praticano per giustificare la propria condizione, per cui cfr. il Forse vero non è (MZ 250) che apre la favola del Piacere o la disgiuntiva dell’esordio di MT i . 579-580 Nè al cucinier […] salute: e non perdonare il cuoco, che non si preoccupò della salute di una persona così preziosa. – Anche la fortuna del cuoco, come quella del parrucchiere o delle cameriere, è esposta a continui rovesci. – calse: in contrapposizione con il ti caglia del v. 566.
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Tanta salute. A te sui servi altrui Ragion donossi in quel felice istante Che la noia, o l’amor vi strinser ambo In dolce nodo; e dier ordini e leggi. Per te sgravato d’odioso incarco Ti fia grato colui che dritto vanta D’impor novo cognome a la tua Dama; E pinte trascinar su gli aurei cocchi Giunte a quelle di lei le proprie insegne: Dritto illustre per lui, e ch’altri seco Audace non tentò divider mai. Ma non sempre, o Signor, tue cure fieno A la Dama rivolte: anco talora Ti fia lecito aver qualche riposo;
233 580
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590
582 noia ] noja G3 583 leggi. ] leggi, G3 584 te ] te, c d; incarco ] incarco, c d 585 fia ] fie c d
580-583 A te […] leggi: a te è stata concessa autorità sui servitori altrui (della dama e del marito) in quel momento felice in cui la noia o l’amore vi hanno uniti con un dolce nodo; e hanno imposto il loro ordine e le loro leggi. – Il giovin signore esercita la sua autorità in casa della Dama da quando sono stati stretti i patti che lo hanno reso suo cavalier servente, come si ricordava in MT i 397-402. – altrui: l’aggettivo era già toccato alla sposa (MT i 310 e altrove) e ai suoi bambini (MT i 302). – la noia, o l’amor: nelle disgiunzioni, finora, l’eventuale ipotesi maliziosa era insinuata come seconda possibilità (in cauda venenum: cfr. MT i 1-6, 222-23, 224, 398, 582, 683-686, 957, 1011-1014; e MZ 111). Ora la noia è nominata per prima, come se non fosse neanche più necessario salvare le apparenze. – dolce nodo: riprende il caro nodo di MT i 402. 584-590 Per te […] divider mai: ti sarà grato, per essere stato sollevato, grazie a te, da questo compito spiacevole (di assistere la dama durante il pranzo), colui che vanta il diritto di dare alla tua dama un nuovo cognome (il marito di lei); e di portare dipinto sui cocchi dorati, unito al proprio, il suo stemma; diritto magnifico, per lui, e di cui nessunò osò mai cercare di partecipare. – odioso incarco: Tizi nota che l’espressione suona ironicamente antitetica rispetto al «felice incarco» di RVF ccxxviii 13. Odioso deve essere letto come quadrisillabo, come già odiosi in MT i 25. – trascinar: rileva la noia del legame coniugale. – non tentò divider mai: osservazione sarcasticamente lapalissiana, non essendo lecita la poligamia, o altrimenti ironica se il significato è che nessun altro avrebbe voluto sposare la dama. 590-591 Ma non sempre […] rivolte: un invito analogo a spostare la propria attenzione, ma in quel caso da sé alla dama, era stato rivolto al giovin signore in MT i 275-277. 592-593 anco […] riposo: talora ti è anche permesso di concederti un poco di riposo. – Cfr. MT i 20-21 e nota.
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Altre edd.
giuseppe parini E de la quercia trionfale all’ombra Te de la polve olimpica tergendo, Al vario ragionar degli altri eroi Porgere orecchio, e il tuo sermone ai loro Ozioso mischiar. Già scote un d’essi Le architettate del bel crine anella Su l’orecchio ondeggianti; e ad ogni scossa, De’ convitati a le narici manda Vezzoso nembo d’arabi profumi. Allo spirto di lui l’alma Natura Fu prodiga così, che più non seppe Di che il volto abbellirgli; e all’Arte disse: Compisci ’l mio lavoro; e l’Arte suda Sollecita d’intorno all’opra illustre. Molli tinture, preziose linfe,
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597 orecchio, ] orecchio; G3
594-598 E de la quercia […] mischiar: e prestare ascolto al vario discorrere degli altri eroi, mentre ti tergi della polvere olimpica all’ombra della corona di rami di quercia dei salvatori della patria, e oziosamente unirti alla conversazione. – quercia trionfale: nell’antica Roma, la corona di rami di quercia onorava i salvatori della patria. Cfr. Aeneis vi 772: «umbrata gerunt civili tempora quercu»; e L’innesto del vaiuolo 174-175: «All’alta quercia intorno / I giovinetti fronde coglieranno». – polve olimpica: il giovin signore è raffigurato come atleta che abbia gareggiato alle Olimpiadi. Cfr. ancora Orazio, Odi I, I 3: «pulverem Olympicum». – vario ragionar: anche i discorsi dei nobili sono belli dell’ambigua varietas, ricchezza di forme o rimedio alla noia, che caratterizza la loro estetica (cfr. vv. 268-270 e 361-363 e note) e che qui assume connotazioni di virtù retorica. 598-602 Già scote […] profumi: già uno di loro scuote i boccoli artificiali della sua bella chioma, che gli ondeggiano sull’orecchio, e a ogni scossa manda verso i nasi dei convitati una nube soave di arabi profumi. – Il gesto vezzoso del convitato richiama comicamente il crollare del capo di Giove, che così versava ambrosia dalla propria chioma. Si noti inoltre che il vario ragionar si riduce subito a uno scuotere il capo per diffondere profumo: come già in MT i 569-571, la testa dei nobili non è sede di intelligenza, ma sostegno per la chioma. – architettate […] anella: cfr. il di bel crin volubile Architetto di MT i 490; e La educazione 13-18: «I crin […] Forma attendono novella / D’artificiose anella». Il plurale femminile anella è forma arcaica. – arabi profumi: cfr. nota a MT i 129. 603-607 Allo spirto […] illustre: la divina natura fu così generosa di doni per il suo spirito, che non le resto più niente per abbellirgli il volto. E disse all’arte: completa il mio lavoro; e l’arte, sollecita, si affatica a compiere la nobile opera. – Arte: cfr. MT i 470-471 e 584-586 e note; e NT 355-356: «Quanto di bello e glorioso e grande / Sparse in cento di loro arte o natura». 608-613 Molli tinture […] concede: lievi tinture, pregiati profumi, polveri, pastiglie, pomate delicate, per lui tenta ogni cosa. A lui per primo dona ciò che di più nuovo
il mezzogiorno Polvi, pastiglie, dilicati unguenti Tutto arrischia per lui. Quanto di novo, E mostruoso più sa tesser spola, O bulino intagliar Francese ed Anglo A lui primo concede. Oh lui beato, Che primo può di non più viste forme Tabacchiera mostrar! l’etica invidia I Grandi eguali a lui lacera, e mangia; Ed ei pago di sè, superbamente Crudo fa loro balenar su gli occhi L’ultima gloria onde Parigi ornollo.
G1 Mss.
617 se (+G2 G3) 614 può ] ancor c d
235 610
615
615 mostrar ] mostrò c d
e prodigioso sappiano tessere telai o incidere bulini francesi e inglesi. – Tutto arrischia: il tentativo è disperato e il polisindeto dei vv. 608-609 rende gli sforzi prolungati dell’arte che comicamente suda per sopperire alle manchevolezze dell’opera della natura. – mostruoso: finge di esprimere latinamente il significato di «mai veduto prima, prodigioso, che suscita stupore», ma insinua di fatto il suo significato italiano corrente. – spola: sarebbe propriamente il pezzo del telaio intorno al quale si avvolge il filato della trama e che poi si inserisce nella navetta, ma qui si intende l’insieme della spola e della navetta, che attraversa l’ordito con moto alterno e vi fa passare in mezzo i fili della trama; metonimicamente, si allude ai vestiti. – bulino: strumento per incidere il cuoio o i metalli meno duri; metonimicamente, si allude ai gioielli. 613-615 Oh lui beato […] mostrar!: nota Albini che è frequente nella letteratura latina la costruzione con aggettivo esclamativo seguito da pronome e preposizione relativi con valore dichiarativo (Georg. ii 490: «felix, qui potuit rerum cognoscere causas») o, come qui, causale (Aeneis vi 590-591: «demens, qui nimbos et non imitabile fulmen / aere et cornipedum pulsu simularet equorum»); cfr. inoltre i vv. 298301. – primo […] mostrar: l’iperbato e le anastrofi svolgono la consueta funzione di antifrastico innalzamento del dettato. – non più viste: insiste sul motivo dell’inusitato e del mostruoso, per cui cfr. anche MT i 582 e nota. 616 etica: affetta da tisi. – L’invidia appare pallida, consunta, emaciata, perché tale diviene l’invidioso. Al verso successivo, infatti, i Grandi eguali a lui sono mangiati e lacerati dall’invidia. 617-619 Ed ei pago […] ornollo: ed egli, soddisfatto di sé, con crudele superbia lascia apparire per un istante ai loro occhi l’ultimo ornamento ricevuto da Parigi. – pago di sè: cfr. La gratitudine 265: «Tal di sè solo ei pago»; e Alla Musa 19: «di sè pago». L’ironia è duplice, perché il nobile è rappresentato nella condizione di serenità e autotelia degli dei olimpici (per cui cfr. vv. 248-249 e nota; e anche il passo sulla «inalterabile tranquillità degli dei» del Discorso di apertura per la Cattedra di Belle Lettere, p. 311) e perché l’ornamento fatto balenar su gli occhi dei suoi pari tradisce il reale desiderio della loro invidia.
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giuseppe parini Forse altera così d’Egitto in faccia Vaga Prole di Semele (1) apparisti I giocondi rubini alto levando Del grappolo primiero: e tal tu forse Tessalico garzon (2) mostrasti a Jolco (3) L’auree lane rapite al fero Drago. Vedi, o Signor, quanto magnanim’ira Nell’eroe che vicino all’altro siede A quel novo spettacolo si desta: Vedi come s’affanna, e sembra il cibo (1) Bacco.
(2) Giasone.
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(3) Città della Tessaglia.
620-623 Forse altera […] primiero: forse, o Bacco, bella progenie di Semele, apparisti ugualmente altero, agli occhi dell’Egitto, quando sollevasti per mostrarli gli acini rossi come rubini del primo grappolo d’uva. – Prole di Semele: Semele, divinità greca di natura ctonia il cui culto nacque forse in Tracia, concepì Dioniso (Bacco) con Zeus (Giove). Nella tradizione della città greca di Tebe, dove la nascita di Bacco avrebbe avuto luogo, Semele era ritenuta figlia di Cadmo, fondatore della città. Questo duplice legame con Tebe potrebbe spiegare il riferimento all’Egitto del verso precedente: Parini potrebbe cioè avere confuso la Tebe greca con l’omonima città egiziana (Mazzoni, per esempio, interpreta in questo senso). Altri commentatori ritengono invece che Parini «conoscesse e accettasse l’identificazione tra Bacco e il dio egiziano Osiride, che si ritrova in molti autori classici. Erodoto (Storie, l. ii, c. 149, trad. Sgroi) scrive: ‘Osiride corrisponde in lingua greca a Diòniso’» (Savarese). Cfr. infine Tibullo iii 4, 45: «proles Semeles Bacchus»; e Orazio, Odi i xix 2: «Thebanaeque […] Semelae puer» (Albini). – giocondi rubini: a Dioniso si attribuiva, tra l’altro, la scoperta della vite e del vino. I giocondi rubini denotano i grappoli d’uva metaforicamente e, come i licor lieti di MT i 80, sono giocondi per metonimia, ovvero per la giocondità che il vino porta in chi ne beve. – alto levando: ancora Albini segnala un passo dei Soggetti in cui Bacco è descritto «con pampini in capo, un grappolo nella destra» (p. 458). 623-625 E tal […] Drago: e forse anche tu, giovane tessalo, Giasone, apparivi così quando a Jolco mostrasti il vello d’oro che avevi sottratto al feroce drago. – Tessalico garzon: Giasone era originario della città di Jolco, in Tessaglia. Per rivendicare il trono della città, che era stato di suo padre Esone ma che il fratellastro di lui, Pelia, aveva usurpato, guidò gli Argonauti nella Colchide, alla conquista del vello d’oro. Cfr. i soggetti scritti da Parini nel 1778 per il Palazzo di Corte (Soggetti, pp. 476-484). 626-630 Vedi […] declamando: guarda, o signore, quale ira magnanima si accenda a quello spettacolo mai veduto (il nuovo ornamento) nell’altro eroe che gli siede accanto. Guarda come si agita e come, preso dal discorso, sembri dimenticarsi del cibo. – Vedi […] Vedi: l’anafora enfatizza l’esortazione. – magnanim’ira: cfr. l’ire / Magnanime del gioco di NT 161; la magnanima stizza (anche ossimorica) di VP 291; La educazione 149-150: «Qua volgi qua l’ardire / De le magnanim’ire»; e, senza l’ironia eroicomica del passo pariniano, Orl. Fur. xx 25, 6: «il magnanimo cor d’ira infiammato» – Nell’eroe […] siede: secondo i moduli retorici del catalogo, l’occhio del cantore trascorre dall’uno all’altro eroe, come già al v. 478. – sembra: nega che il ragionamento e la parola possano davvero distrarre i nobili dal piacere materiale.
il mezzogiorno Obliar declamando. Al certo al certo Il nemico è a le porte: ohimè i Penati Tremano, e in forse è la civil salute. Ah no; più grave a lui, più preziosa Cura lo infiamma: ” Oh depravati ingegni ” Degli artefici nostri! In van si spera ” Dall’inerte lor man lavoro industre, ” Felice invenzion d’uom nobil degna: ” Chi sa intrecciar, chi sa pulir fermaglio ” A nobile calzar? chi tesser drappo ” Soffribil tanto, che d’ornar presuma ” Le membra di signor che un lustro a pena ” Di feudo conti? In van s’adopra e stanca ” Chi ’l genio lor bituminoso e crasso G1
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638 intreccíar (+ G2 G3)
630-632 Al certo […] salute: sicuramente (se tale è il suo furore oratorio) l’esercito nemico deve essere alle porte; tremano i Penati, ahimè, e la salvezza della nazione è in pericolo. – Il nemico è alle porte: «Quasi proverbiale, per dire un gran pericolo imminente; dal lat. Hannibal ad portas» (Albini). – i Penati: presso i Romani, erano i numi protettori della patria (e, prima, della casa e della famiglia), di cui Enea porta le effigi e il culto da Troia a Roma. – la civil salute: espressione caratteristicamente illuministica, ma che riprende insieme il topos dell’eroe salvatore della patria già evocato dalla quercia trionfale del v. 594; cfr. La salubrità dell’aria 29-30: «E per lucro ebbe a vile / La salute civile». 633 a lui: acquista rilievo, come indice dell’egoismo dei nobili, in opposizione alla civil salute del verso precedente. 634-637 Oh depravati […] degna: oh menti corrotte dei nostri artigiani! Inutilmente si spera che le loro mani oziose compiano un valido lavoro e creino qualcosa che sia degno di un nobile. – depravati […] inerte: il nobile imputa agli artigiani italiani la corruzione intellettuale e l’inanità proprie della sua classe. 638-642 Chi sa […] conti?: chi di loro sa foggiare e lucidare una fibbia per una calzatura degna di un nobile? Chi sa tessere una veste che sia appena tollerabile come ornamento per le membra di un nobile il cui titolo abbia anche solo cinque anni? – Chi […] chi […] chi: anafore (cfr. anche l’anafora di In van ai vv. 635 e 642) e domande retoriche strutturano l’indignata eloquenza del convitato. – Soffribil: il fastidio assilla i nobili. Cfr. il fastidio insoffribile di MT i 10. – un lustro […] conti: sulla distinzione tra nobiltà antica e recente, cfr. MT i 3-5 e nota; e i novamente / Compri feudi di NT 591-592. 642-644 In van […] destar: in vano si industria e si affatica chi ardisce risvegliare il loro intelletto torpido e grossolano. – s’adopra e stanca: dopo avere ipocritamente imputato agli artigiani i vizi dell’aristocrazia, ora il nobile si rappresenta industrioso e affaticato come chi lavori a un’ardua impresa. – genio […] bituminoso: appartengono al lessico del razionalismo e della scienza del Settecento, ma vengono piegati all’uso retorico del convitato, così come altre categorie del pensiero filosofico illuminista, in precedenza, erano apparse banalizzate dal discorso e dal costume nobiliari (cfr. la prefazione «Alla Moda» o MT i 237 e 708-710 e note).
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Mss.
giuseppe parini ” Osa destar. Di là dall’alpi è forza ” Ricercar l’eleganza: e chi giammai ” Fuor che il Genio di Francia osato avrebbe ” Su i menomi lavori i Grechi ornati ” Recar felicemente? Andò romito ” Il Bongusto finora spaziando ” Su le auguste cornici, e su gli eccelsi ” Timpani de le moli al Nume sacre, ” E agli uomini scettrati; oggi ne scende ” Vago alfin di condurre i gravi fregi ” Infra le man di cavalieri e dame: ” Tosto forse il vedrem trascinar anco ” Su molli veli, e nuziali doni ” Le Greche travi; e docile trastullo
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644 Crocetta accanto al verso in c d
644-648 Di là dall’alpi […] felicemente: di necessità si deve cercare oltralpe, in Francia, l’eleganza. E chi, se non il Genio francese, avrebbe osato portare con successo le decorazioni greche su ogni oggetto, per quanto minuscolo? – Di là dall’alpi: forse Parini vuole rilevare il danno che l’acquisto di beni di lusso di produzione francese arrecava alle produzioni locali. Anche Goldoni, nelle Femmine puntigliose (ii 8), ironizza sulla smania, soprattutto femminile, per le manifatture francesi: «In Italia – nota la borghese Rosaura – sanno lavorare al pari di Francia, ma fra noi donne corre un certo puntiglio, che la roba forestiera sia meglio dell’italiana» (cfr. De Caprio, p. 391). – il Genio di Francia: maiuscolo, in contrapposizione con il genio degli artigiani italiani. – osato […] felicemente: è ovviamente ironico che l’applicazione delle greche ai menomi oggetti, che banalizza in estetizzazione diffusa il ritorno neoclassico all’arte greca, sia onorato come audacia intellettuale. 648-652 Andò […] scettrati: finora il buon gusto era rimasto isolato sugli alti cornicioni e nei timpani sublimi dei templi (moli) sacri agli dei e dei palazzi dei re (uomini scettrati). – il Bongusto: cfr. MT i 800 e nota. – moli: cfr. La laurea 51-52: «Sovra salde colonne antica mole / Sorge augusta e superba». – uomini scettrati: cfr. La gratitudine 228: «i re scettrati». 652-654 oggi ne scende […] dame: oggi il buon gusto scende (da cornicioni e timpani), finalmente desideroso di portare quelle solenni decorazioni tra le mani dei cavalieri e delle dame. – oggi: designa il tempo della presente decadenza contro il passato della tradizione, evocato nei versi precedenti, come già nella dedica «Alla Moda», in MT i 1041 e 1049 e in MZ 200 e 416. – ne scende: la discesa deve essere intesa metaforicamente come avvilimento, oltre che letteralmente. 655-659 Tosto forse […] canuti: forse presto lo vedremo trascinare gli architravi dell’architettura greca anche sui veli leggeri (delle donne) e sui corredi nuziali; e le colonne e gli archi sotto cui stavano i secoli antichi si piegheranno al gioco della Moda. – Alla rievocazione dei secoli passati e alla descrizione del diverso presente dei giovani aristocratici segue, come già nella chiusa della favola di Amore e Imene (cfr. MT i 392: «Fors’anco un dì»), l’ironico auspicio che il futuro porti ulteriori cambiamenti. – trascinar […] travi: parrebbe quasi l’impossibile premessa di un adyna-
il mezzogiorno ” Fien de la Moda le colonne, e gli archi ” Ove sedeano i secoli canuti. Commercio alto gridar, gridar commercio All’altro lato de la mensa or odi Con fanatica voce: e tra ’l fragore G1 Altre edd.
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659 canuti, (+G2 G3) 661 altro ] alto G2 G3
ton, ma in forma di auspicio suona quasi surreale e prelude al motivo, esposto nei versi successivi e ricorrente nell’opera, della civiltà antica distrutta non dal tempo che tutto divora, ma dalla Moda che di tutto si trastulla. 660-662 Commercio […] voce: ascolta, ecco che dall’altro capo del tavolo qualcuno grida con voce fanatica “Commercio, commercio”. – L’invocazione del commercio sembra alludere a un passo del trattato Della moneta (1751) di Ferdinando Galiani (iv, 4), che già criticava il semplicismo di chi esaltava il commercio come origine della ricchezza delle nazioni, senza comprendere come esso, per raggiungere la scala a cui lo avevano portato le «potenze marittime», richiedesse una politica imperialista e la forza degli eserciti e come vera origine della ricchezza fossero l’agricoltura, la pesca, e il «terreno popolato»: «Né la potenza può nascere da altro, che donde la trassero i Romani, cioè dalla conquista e dall’altrui servitù. Questo è il commercio delle Compagnie inglesi, olandesi e francesi. Gran conquiste fatte, gran terreni, gran frutti, e gran numero di schiavi. Ma siccome stanno lontani, noi gridiamo commercio commercio in vece di dire armi e virtù militare. […] Ora chi riguarderà che l’ingrandirsi uno stato colla vendita delle merci sue è pregio dell’agricoltura, non del commercio; e poi avvertirà a quante merci nate in terreni olandesi ei consuma, troverà che l’agricoltura è la madre delle ricchezze». Si è discusso se la figura del convitato che grida al commercio con fanatica voce satireggi Pietro Verri, autorevole voce del mercantilismo e poi del libero scambio delle merci, ma nel passo non si trovano elementi che giustifichino un riferimento particolare all’illuminista lombardo; già nel Discorso sopra le Caricature, tra l’altro, Parini aveva messo in ridicolo la moda dei discorsi sul commercio in generale: «Allora tutte le scienze ch’erano della moda furono messe sul tappeto. Questa ragionava del commercio, e quell’altra della popolazione; l’una contava le sperienze d’un suo amante sopra i polipi, e quell’altra quelle del suo sopra le molecule organiche» (p. 149). È chiaro invece che Parini predilige l’agricoltura al commercio, come mostrano i successivi vv. 668-681, e che la sua polemica si svolge su un terreno etico-sociale prima che di teoria economica (cfr. per questo MT i 667 e nota; e La vita rustica 31: «Il secol venditore»). – Commercio […] commercio: il chiasmo e la ripetizione raffigurano l’insistenza e il riecheggiarsi l’una con l’altra delle voci dei propagandisti del commercio. 662-666 e tra ’l fragore […] mente: e, nel fragore di un’eloquenza fluviale e stravagante, impara a conoscere i neologismi alla moda, così che poi i pensieri colpiscano le menti in forme più brillanti. – fragore […] fiume: la metafora del fiume di eloquenza è tradizionale: cfr. Inf. i 79-80: «Or se’ tu quel Virgilio e quella fonte / che spandi di parlar sì largo fiume?»; e (Tizi) RVF cclviii 4: «d’alta eloquentia sì soavi fiumi». Nel passo pariniano, tuttavia, la metafora accentua la propria materiale letteralità nel fragore della voce e questa accentuazione, come già in MT i 570-572 e in MZ 456-460 e come al v. 666 nel picchin dei pensier, porta a un simmetrico indebolimento del suo signifi-
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giuseppe parini D’un peregrino d’eloquenza fiume, Di bella novità stampate al conio Le forme apprendi, onde assai meglio poi Brillantati i pensier picchin la mente. Tu pur grida commercio; e la tua Dama Anco un motto ne dica. Empiono è vero Il nostro suol di Cerere i favori, Che tra i folti di biade immensi campi Move sublime; e fuor ne mostra a pena Tra le spighe confuso il crin dorato. Bacco, e Vertunno i lieti poggi intorno Ne coronan di poma: e Pale amica Latte ne preme a larga mano, e tonde Candidi velli, e per li prati pasce Mille al palato uman vittime sacre: Cresce fecondo il lin soave cura Del verno rusticale; e d’infinita
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cato spirituale, cosicché il discorso si riduce a rumore. – peregrino: come già in MT i 647-649 (e nota), allude all’uso smodato di forestierismi, e soprattutto di francesismi, nella pubblicistica di attualità e nei discorsi dei suoi ripetitori alla moda. – stampate al conio: denuncia la meccanicità dell’idea che presto si riduce a luogo comune; né sembra casuale la scelta della metafora della zecca là dove si parla di commerci. – Brillantati: francesismo, per cui cfr. la brillante gioventù della dedica «Alla Moda» (e nota) e i vv. 359-361. Tuttavia, anche questa brillantezza, in quanto la forma usata equivale a «smaltati, rivestiti», si presenta in una dimensione di superficiale materialità. 668-672 Empiono […] dorato: è vero che la nostra terra è ricca dei doni di Cerere, che avanza solenne sui campi senza fine, fertili di messi al punto che appena spicca sulle spighe la sua chioma dorata. – è vero: la stessa movenza retorica, con la verità insinuata come concessione nell’esordio del periodo e poi negata in una successiva avversativa o in un’argomentazione contraria (qui è la domanda Che vale or ciò?, al v. 682), era in MT i 663-665 e 702-705. – Cerere […] biade: cfr. MT i 41 e nota; e La vita rustica 13-14: «Qui Cerere ne manda / Le biade, e Bacco il vin». – tra i folti […] campi: cfr. MT i 655 per un’analoga combinazione di iperbato e anastrofe con folte. 673-674 Bacco […] poma: Bacco e Vertumno ne ornano di frutti i lieti colli. – Vertunno: divinità etrusca e poi romana. La sua fisionomia originaria è incerta, ma riceveva offerte di frutta e di fiori e già gli eruditi latini lo descrissero come dio del volgere delle stagioni. Un breve riferimento a Vertumno si trova nei soggetti per il nuovo palazzo Belgiojoso (Soggetti, p. 536). 674-677 e Pale […] vittime sacre: e Pale, propizia, munge latte in abbondanza, tosa manti candidi e nutre greggi e mandrie numerose, destinate a essere sacrificate per sfamare gli uomini. – Pale: cfr. MT i 41 e nota. – Mille […] sacre: con ampio iperbato. Cfr. inoltre vv. 555-556 e nota. 678-681 Cresce fecondo […] famoso: il lino, lieta occupazione dei contadini durante l’inverno, cresce abbondante e il gelso, celebre per la morte di Tisbe, segna i confini dei terreni, in campagna, con i suoi lunghissimi filari. – soave […] rusticale: du-
il mezzogiorno Serie ne cinge le campagne il tanto Per la morte di Tisbe arbor famoso. Che vale or ciò? Su le natie lor balze Rodan le capre: ruminando il bue Lungo i prati natii vada; e la plebe Non dissimile a lor, si nutra e vesta De le fatiche sue; ma a le grand’alme Di troppo agevol ben schife Cillenio Il comodo presenti a cui le miglia Pregio acquistino, e l’oro: e d’ogn’intorno Commercio risonar s’oda, commercio; Tale dai letti de la molle rosa Síbari (1) ancor gridar soleva; i lumi
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(1) Città voluttuosa della Magna Grecia. G1 Altre edd. Mss.
689 intorno; (+G2 G3) 690 Omesso il punto e virgola a fine verso (+G2 G3) 682 natie ] natíe G3 686 alme ] alme, c 687 schife ] schife, c
rante l’inverno i contadini filavano il lino. Nel suo dialogo Dell’agricoltura apparso sul «Caffè» (t. i, ff. v-vi), Sebastiano Franci scriveva: «Il lino è molto in uso nel nostro paese e di buona qualità. Egli ha il vantaggio, come ben sapete, di produrre due frutti: il filo e l’oglio». In questi versi pariniani, come già in MT i 33-52, la rappresentazione del lavoro contadino indulge nelle forme dell’idillio campestre. – il tanto […] famoso: sotto un gelso si uccisero Piramo e Tisbe e il loro sangue ne tinse le more, che prima erano bianche. Cfr. Ovidio, Metamorfosi iv 55-166; e la breve ode che Parini intitola a Piramo e Tisbe. Nelle campagne lombarde, il gelso era coltivato per le sue foglie, delle quali si nutrono i bachi da seta. In una nota al citato dialogo di Franci Dell’agricoltura, Pietro Verri osserva che i gelsi «formano uno de’ principali prodotti del commercio d’Italia colla seta che per essi coltiviamo». In PV lxxxvii il baco da seta è invece censurato, austeramente, come il «verme infelice ond’uom si veste» (v. 2). 682-686 Che vale […] sue: che valore ha tutto ciò? Bruchino le capre sulle rocce da dove provengono; il bue si aggiri ruminando per i pascoli natii; e la plebe, che non è tanto diversa da loro, si nutra e si vesta con i prodotti del suo lavoro. 686-689 ma a le grand’alme […] l’oro: ma, agli spiriti magnanimi che sdegnano i beni troppo facili, Mercurio offra agi che siano preziosi per la distanza (del luogo da cui provengono) e per il loro costo. – Cillenio: Mercurio (Ermete), dio protettore dei commerci, era nato sul monte Cillene, in Arcadia. 691-694 Tale dai letti […] cura: così gridavano un tempo i Sibariti dai letti di morbidi petali di rose; e distoglievano lo sguardo dai campi degli avi, fatica degna di plebei e non di loro. – Tale […] rosa: l’allitterazione della liquida [l] e delle dentali [t] e [d] rende la mollezza e la levigatezza dei petali (e cfr. MT i 181 e nota). – Síbari: era una città della Lucania. I suoi abitanti, arricchitisi con il commercio, conducevano
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Altre edd.
giuseppe parini Disdegnando volgea dai campi aviti, Troppo per lei ignobil cura; e mentre Cartagin dura a le fatiche, e Tiro, Pericolando per l’immenso sale, Con l’oro altrui le voluttà cambiava, Síbari si volgea sull’altro lato; E non premute ancor rose cercando, Pur di commercio novellava, e d’arti. Nè senza i miei precetti, e senza scorta Inerudito andrai, Signor, qualora Il perverso destin dal fianco amato T’allontani a la mensa. Avvien sovente, Che un Grande illustre or l’alpi, or l’oceáno
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una vita dedita al piacere, fino a divenire antonomasia di edonismo. – Disdegnando […] aviti: lo sdegno per i campi aviti è lo stesso che i nobili della generazione presente nutrono per la vita dei loro antenati. – ignobil cura: cfr. v. 572 e nota. 694-700 e mentre […] arti: e mentre Cartagine, resistente alle fatiche, e Tiro, affrontando i pericoli del mare, scambiavano beni voluttuari contro oro, i Sibariti si giravano dall’altra parte e, cercando petali non ancora premuti (dal corpo che vi giaceva), chiacchieravano tuttavia di commerci e di arti. – La similitudine con Sibari diventa quasi un’allegoria delle relazioni tra la nobiltà oziosa e la borghesia imprenditoriale nel Settecento. Rifiutando di affrontare la realtà (si volgea sull’altro lato), distraendosi con piaceri sempre nuovi (non premute ancor rose cercando) e compiacendosi di chiacchiere vane (novellando), i nobili sembrano acconsentire al proprio declino. – dura a le fatiche: i Cartaginesi erano uomini assai ostici, come insegna la storia delle loro guerre contro Roma. – l’immenso sale: metonimia per il mare, come già in Par. ii 13-14: «metter potete ben per l’alto sale / vostro navigio». – cambiava: grammaticalmente singolare, ma semanticamente plurale. 701-704 Nè senza […] mensa: ma non sarai privato della guida dei miei insegnamenti, signore, neanche quando un destino innaturale e avverso dovesse allontanarti, per il pranzo, dal fianco della tua amata. – Nè senza […] andrai: cfr. MT i 309 e 319. – inerudito: privo della saggezza degli insegnamenti del cantore e precettore e dunque esposto a esiti incerti. 704-709 Avvien sovente […] ineguali: accade spesso che un nobile straniero superi le Alpi (venendo quindi da un paese dell’Europa continentale) o il mare (la Manica, venendo quindi dall’Inghilterra) e scenda in Italia, con un muso mostruoso, per nascita o per decadenza (dovuta al vizio), a cui la sifilide (Venere, Ciprigna) corrose le narici e i sali di mercurio consumarono le gengive. – un Grande: cfr. MT i 564, 863, 955 e MZ 616. – Ausonia: gli Ausoni erano una popolazione preromana che abitava la regione dell’attuale Campania. Ausonia fu detta dapprima quella regione e in seguito, quando ormai gli Ausoni erano scomparsi, l’intera penisola italiana, con
il mezzogiorno Varca e scende in Ausonia, orribil ceffo Per natura o per arte, a cui Ciprigna Rose le nari; e sale impuro e crudo Snudò i denti ineguali. Ora il distingue Risibil gobba, or furiosi sguardi, Obliqui o loschi; or rantoloso avvolge Tra le tumide fauci ampio volume Di voce che gorgoglia, ed esce alfine Come da inverso fiasco onda che goccia. Or d’avi or di cavalli ora di Frini Instancabile parla, or de’ Celesti Le folgori deride. Aurei monili, E gemme e nastri gloriose pompe L’ingombran tutto; e gran titolo suona Altre edd. Mss.
706 Varca ] Varca, G2 G3 glia ] gorgolia G2 G3 708 e ] o c d
710 gobba, ] gobba G2 G3
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713 gorgo-
arcaismo durevole nel linguaggio della poesia. – orribil […] arte: cfr. i vv. 603-607. – Ciprigna: così era detta Venere (Afrodite) dal nome dell’isola di Cipro (cfr. MT i 374 e 673 e note). Qui sta per le malattie veneree e in particolare per la sifilide, per cui cfr. anche MT i 18-19 e nota. – sale impuro e crudo: per curare la sifilide si usavano i sali di mercurio, che però consumavano le gengive. 709-711 Ora il distingue […] loschi: talvolta lo contraddistingue una ridicola gobba; talaltra, uno sguardo da pazzo, bieco ed equivoco. – distingue: la distinzione è virtù nobiliare, ma qui il poeta gioca sull’ambiguità della parola, che nel passo rileva l’appariscente bruttezza dello straniero. 711-714 or rantoloso […] goccia: talvolta cerca con un rantolo di articolare nella gola rigonfia una voce sonora e gorgogliante, che alla fine esce faticosamente, goccia a goccia, come l’acqua da un fiasco capovolto. – Cfr. Orl. Fur. xxiii 113, 1-8: «L’impetuosa doglia entro rimase, / che volea tutta uscir con troppa fretta. / Così veggiàn restar l’acqua nel vase, / che largo il ventre e la bocca abbia stretta; / che nel voltar che si fa in su la base, / l’umor che vorria uscir, tanto s’affretta, / e ne l’angusta via tanto s’intrica, / ch’a goccia a goccia fuore esce a fatica» (Albini); e La musica 5-6: «E manda per gran foce / Di bocca un fil di voce». 715-717 or d’avi […] deride: ora parla di antenati, ora di cavalli e ora di cortigiane, infaticabilmente, e si fa beffe delle pene minacciate dalla religione. – Il nobile straniero non sembra diverso dai nobili italiani: arieggia la filosofia dei lumi nel suo ateismo alla moda, ma intanto pensa a titoli di nobiltà, cavalli e prostitute. – or [… ] or […] ora: la rapida anafora, triplicata nella misura del verso, mima il movimento incessante della conversazione. – Frini: cfr. MT i 212 e nota. 718 gloriose pompe: ornamenti grandiosi. – È apposizione di monili, gemme e nastri. 719-720 E gran titolo […] lui: e il sonoro annuncio dei suoi titoli grandiosi lo precede.
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Altre edd.
giuseppe parini Dinanzi a lui. Qual più tra noi risplende Inclita stirpe, ch’onorar non voglia D’un ospite sì degno i lari suoi? Ei però sederà de la tua Dama Al fianco ancora: e tu lontan da Giuno Tra i Silvani capripedi n’andrai Presso al marito; e pranzerai negletto Col popol folto degli Dei minori. Ma negletto non già dagli occhi andrai De la Dama gentil, che a te rivolti Incontreranno i tuoi. L’aere a quell’urto Arderà di faville: e Amor con l’ali L’agiterà. Nel fortunato incontro 721 ch’ ] che G2 G3
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723 de la ] della G2 G3
720-722 Qual più […] suoi?: quale nobile e gloriosa famiglia italiana non vorrebbe onorare la propria dimora (i lari suoi) di un ospite così illustre? – Qual […] risplende / Inclita stirpe: la spezzatura e l’iperbato, che dividono il sintagma soggetto dal verbo e dall’aggettivo interrogativo, lo isolano in posizione di rilievo all’inizio del verso. Cfr. Orl. Fur. xli 3, 1-3: «L’inclita stirpe che per tanti lustri / mostrò di cortesia sempre gran lume, / e par ch’ognor più ne risplenda e lustri». – lari: antiche divinità romane, legate come i penati al culto familiare e interpretate dalla tradizione letteraria come protettrici della casa; e così li descrive anche Parini nei Soggetti: «Dei custodi della casa» (p. 458). 723 però: perciò. 724-727 e tu lontan […] minori: e tu dovrai andare tra i silvani dai piedi di capra, vicino al marito e lontano da Giunone (la Dama); e, trascurato, pranzerai con la folla delle divinità minori. – Giuno: la Dama, padrona di casa e domina del pranzo, è assimilata a Giunone (Giuno, con latinismo, come già al v. 355 e come poi al v. 1291). – i Silvani capripedi: i silvani erano divinità minori protettrici dei boschi, tradizionalmente raffigurate con piede caprino. Sono menzionati anche nei Soggetti: «Silvano bello e robusto giovine con orecchi e piedi di capra, col petto e le coscie alquanto pelose» (p. 548). Inoltre, cfr. PV c 1: «O Pan capripede, che tutto puoi»; e (Albini) Lucrezio, De Rerum Natura iv 580: «capripedes Satyros»; Orazio, Odi ii, xix 3-4: «auris / capripedum Satyrorum acutas»; e Redi, Bacco in Toscana 553-554: «Questa, che Pan somiglia / Capribarbicornipede famiglia». – Presso al marito: il marito non è degno nemmeno del travestimento mitologico che tocca ancora ai convitati minori. – popol folto: cfr. L’innesto del vaiuolo 82-83: «il folto / Popol che noi chiamiam barbaro e rude»; e PV ccxvi 1: «Tra il popol folto». 728 Ma negletto non già: cfr. MT i 169 e 309 per analoghe riprese narrative. 730-732 L’aere […] agiterà: a quell’urto, l’aria avvamperà di scintille e Amore l’agiterà con le sue ali. – L’aere […] faville: nella metafora, frequente nella tradizione lirica (Tizi ricorda RVF cix 3: «torno dov’arder vidi le faville»), si insinua per antifrasi la verità già adombrata dell’assenza di passione tra il giovin signore e la dama. – L’aere […] agiterà: cfr. MT i 70-71: «lunge agitasti / Il queto aere notturno». L’agitazione e la commozione sono spesso rappresentate, sensisticamente, come fenomeni fisici ed emotivi insieme. Cfr. vv. 33 e 286-289 e note.
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il mezzogiorno I messaggier pacifici dell’alma Cambieran lor novelle, e alternamente Spinti, rifluiranno a voi con dolce Delizioso tremito sui cori. Tu le ubbidisci allora, o se t’invita Le vivande a gustar che a lei vicine L’ordin dispose, o se a te chiede in vece Quella che innanzi a te sue voglie punge Non col soave odor, ma con le nove Leggiadre forme onde abbellir la seppe Dell’ammirato cucinier la mano. Con la mente si pascono gli Dei Sopra le nubi del brillante Olimpo: E le labbra immortali irrita e move Non la materia, ma il divin lavoro. Nè intento meno ad ubbidir sarai
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733-736 I messaggier […] cori: gli sguardi, messaggeri placidi dell’anima, si parleranno e, spinti ora verso di te, ora verso la dama, torneranno a voi con un fremito soave e piacevolissimo dei cuori. – alternamente […] cori: il lessico ha ascendenze sensiste, ma volge verso un’intenzionale stereotipia arcadica degli affetti. Coerentemente, la sintassi del passo depone le consuete movenze per iperbati e inversioni e si svolge lineare per un breve tratto. 737-743 Tu le ubbidisci […] la mano: e tu ubbidiscile, sia che ti inviti ad assaggiare le pietanze che secondo convenienza le sono state appoggiate davanti, sia che invece chieda lei a te quelle che ti stanno davanti e che stuzzicano il suo appetito non per il loro profumo delicato, ma per le forme inusitate e aggraziate con cui seppe renderle più belle la mano del cuoco degno di lode. – La sintassi torna alle sue movenze consuete e il discorso si ridispone nelle forme delle esortazioni e delle disgiunzioni logiche. – L’ordin dispose: cfr. v. 386. – Non […] forme: ancora il cantore nega che i nobili mangino per fame e indica invece una motivazione estetica, qui riferendosi alla dama e nei versi successivi teorizzandolo esplicitamente per l’intera nobiltà. Cfr. MT i 78-84 e MZ 53-58, 150-152, 237-249 e 461-464 e note. – ammirato cucinier: la stella del cuoco torna a brillare. Cfr. vv. 220-222 e 579-580 e note. 744-747 Con la mente […] lavoro: sopra le nubi che circondano la vetta del brillante Olimpo, gli dei vivono di solo nutrimento intellettuale ed è la perfezione dell’opera, non la sua materia, che stimola e attrae le loro labbra immortali. – brillante: in senso letterale e, con francesismo, spirituale. Cfr. vv. 359-361 e nota. Osserva Placella (p. 34) che brillante Olimpo è anche calco omerico, per cui cfr. Iliade i 532 e xiii 243 e Odissea xx 103. – Non la materia […] lavoro: Parini riprende ironicamente il topos dell’arte che vince la materia. Cfr. Ovidio, Metamorfosi ii 5: «materiam superabat opus»; e Ger. Lib. xvi 2, 6: «ché vinta la materia è dal lavoro».
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini I cenni del bel guardo allor che quella Di licor peregrino ai labbri accosta Colmo bicchiere a lo cui orlo intorno Serpe dorata striscia; o a cui vermiglia Cera la base impronta, e par, che dica: Lungi o labbra profane: al labbro solo De la Diva che qui soggiorna e regna Il castissimo calice si serbi: Nè cavalier con l’alito maschile Osi appannarne il nitido cristallo, Nè dama convitata unqua presuma Di porvi i labbri; e sien pur casti e puri, E quant’esser si può cari all’amore. Nessun’altra è di lei più pura cosa; Chi macchiarla oserà? Le Ninfe in vano Da le arenose loro urne versando Cento limpidi rivi, al candor primo
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763 Ninfe ] ninfe G2 G3 749 I cenni del bel guardo allor che quella ] Il cenno de’ bei guardi or che la Dama c d (dama d)
749-753 allor che quella […] impronta: quando la dama accosterà alle labbra un bicchiere, colmo di vino straniero e pregiato, intorno al cui orlo giri serpeggiando una linea dorata, o al quale un sigillo di ceralacca rossa segni la base (a distinguerlo dagli altri). – licor peregrino: cfr. i licor lieti di tutta Europa di MT i 80-82. 753-756 e par […] si serbi: e sembra che dica “via, labbra profane. Il calice purissimo sia riservato al solo labbro della dea che qui abita e regna”. – e par, che dica: espressione di tono stilnovista. – Lungi o labbra profane: cfr MT i 1037 e nota. – castissimo: la purezza è preteso attributo nobiliare che qui, come di consueto, si trasmette all’oggetto. – calice: con alito (v. 757) e nitido (v. 758) compone una serie di parole sdrucciole nella stessa sede metrica. 759 unqua: mai. – Cfr. MT i 651 e nota. 760-761 e sien […] amore: quand’anche siano (i labbri della dama convitata) casti e puri e desiderabili. 763 Chi macchiarla oserà?: un’analoga interrogazione retorica, a escludere l’audacia di alcuno, era rivolta al cuoco ai vv. 223-224. Inoltre, cfr. MT i 650-651 e 893-895. 763-771 Le Ninfe in vano […] loro: vanamente le Naiadi, versando cento limpide acque dai loro vasi d’argilla, cercherebbero di riportare il calice violato alla sua purezza originaria e di renderlo degno di risalire alle labbra della dea, alle quali, incontaminate, non è permesso di accostarsi a calici che i cavalieri e le dame che partecipano al convito abbiano macchiato con le proprie. – Ninfe: sono, più precisamente, le Naiadi, divinità minori delle sorgenti e dei fiumi. – le arenose loro urne: potrebbero essere i vasi di terracotta con cui le Naiadi sono tradizionalmente raffigurate o le loro «sor-
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Tornar vorriéno il profanato vaso; E degno farlo di salir di novo A le labbra celesti, a cui non lice Inviolate approssimarsi ai vasi Che convitati cavalieri, e dame Convitate macchiar coi labbri loro. Tu ai cenni del bel guardo, e de la mano Che reggendo il bicchier, sospesa ondeggia, Affettuoso attendi. I guardi tuoi Sfavillando di gioja, accolgan lieti Il brindisi segreto; e tu ti accingi In simil modo a tacita risposta. Immortal come voi la nostra Musa Brindisi grida all’uno, e all’altro amante; All’altrui fida sposa a cui se’ caro, E a te, Signor, sua dolce cura e nostra. Come annoso licor Liéo vi mesce, Tale Amore a voi mesca eterna gioja 775 gioja, ] gioja G2 G3 disi ] Brindesi G2 G3 778 Soppresso capoverso c
776 brindisi ] brindesi G2 G3
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779 Brin-
genti tra rocce e pomice» (Bonora). – labbra celesti: cfr. MT i 1-3 e nota. – convitati […] convitate: la struttura chiastica, con la ripetizione di convitati […] convitate, ribadisce la distinzione della dama rispetto alle altre dame e ai cavalieri. 772 ai cenni del bel guardo: riprende il v. 749. 774 affettuoso attendi: presta affettuosa attenzione. – Gli sguardi e i cenni sono inviti a un brindisi segreto, come dice il v. 776. 775 Sfavillando: riprende la metafora dei vv. 730-731. 778 Immortal […] musa: già nella dedica «Alla Moda» si augurava al poemetto non l’«immortalità», ma «di vivere quel solo momento» in cui la Moda si fosse mostrata «sotto un medesimo aspetto», e anche questo nuovo auspicio, come chiariscono i vv. 792-796, è rivolto ironicamente all’effimero. 779 Brindisi grida: è il brindisi segreto del v. 776, che la poesia non deve tacere. 780 All’altrui […] caro: cfr. MZ 408 e MT i 310 e nota. 781 Signor […] nostra: cfr. MT I 396-397: «odi or quale / Cura al mattin tu debbi aver di lei»; e MZ 3-4: «troppa di te cura mi punge, / Signor». 782-785 Come annoso […] l’hanno: come Bacco vi mesce vino di cui l’invecchiamento ha accresciuto i pregi, così Amore vi offra una gioia eterna, non provata dal marito e invidiata da coloro che invece l’hanno provata. – annoso licor: cfr. La laurea 3: «Entro ai dogli paterni il vino annoso». – Liéo: ci si può chiedere se la scelta di questo nome di Bacco, che etimologicamente significa «che scioglie dalle cure», sia casuale o se invece, dopo il precedente v. 781, essa non sia subdolamente ironica.
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39 G1 Altre edd.
giuseppe parini Non gustata al marito, e da coloro Invidiata che gustata l’hanno. Veli con l’ali sue sagace oblìo Le alterne infedeltà che un cor dall’altro Potriéno un giorno separar per sempre E sole agli occhi vostri Amor discopra Le alterne infedeltà che in ambo i cori Ventilar possan le cedenti fiamme. Un sempiterno indissolubil nodo Àuguri ai vostri cor volgar cantore; Nostra nobile Musa a voi desia Sol fin che piace a voi durevol nodo. 793 Aúguri (+ G2 G3) 786 Veli ] Velli G2 G3; oblìo ] oblío G2 G3 794 nobile ] nobil G2 G3
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788 separar ] sperar G2 G3
Anche i versi successivi inducono a sospettare della similitudine tra vino vecchio, tramite di lieta ebbrezza e quindi di sfrenatezza, e gioia di una lunga unione amorosa. – Non gustata […] l’hanno: chiasmo con elegante complicazione del secondo membro. 786-791 Veli […] fiamme: l’accorto oblio copra con le sue ali le reciproche infedeltà, che un giorno potrebbero dividere i due cuori irrimediabilmente, e Amore vi sveli solo quelle reciproche infedeltà che in entrambi i cuori possano riaccendere il fuoco della passione che si spegne. – Veli con l’ali: con allitterazione di [l]. – sagace oblìo: in MT i 740, la tabacchiera era analogamente sagace per la sua capacità di nascondere l’immagine della dama. – Le alterne […] per sempre: la verità, come altrove (cfr. vv. 668-672 e nota), è deprecata e però insieme insinuata. Ai vv. 787 e 790, la ripetizione nella stessa sede metrica di Le alterne infedeltà, espressione che dovrebbe servire alla distinzione tra diversi casi ed esiti, insiste di fatto sulla rinnovata infedeltà degli amanti. 792-795 Un sempiterno […] nodo: un legame eterno, indissolubile, vi può essere augurato solo da un poeta volgare. La nostra nobile Musa auspica per voi un amore che duri solo finché lo desiderate. – I quattro versi si dispongono chiasticamente (il nodo eterno, il poeta volgare, la musa nobile, il nodo effimero). I due versi esterni parallelamente si chiudono con nodo; i due versi interni creano un secondo chiasmo disponendo simmetricamente i tre membri (verbo, complemento di termine e soggetto) di cui si compongono. – sempiterno indissolubil nodo: cfr. MT i 402 e 880 e note; Colombiade ix 386: «Chieder vedrassi indissolubil nodo» (ma non è un nodo d’amore); Orl. Fur. xxi 1, 3-4: «come la fé ch’una bella alma cinga / del suo tenace indissolubil nodo»; e Tasso, Rime 221, 12-13: «Né dubbio in voi de la mia fé sia unquanco, / ché fia il mio nodo indissolubil sempre». – volgar […] nobile: è l’antitesi fondamentale del costume nobiliare. Cfr. inoltre MT i 281-282 e nota. – Sol fin che piace a voi: il piacere è termine ultimo anche dell’amore, per l’aristocrazia, mentre la forma tonica del pronome rileva l’egocentrismo dei due nobili amanti, usi a cercare in se stessi la ragione di ogni cosa.
il mezzogiorno Duri fin che a voi piace; e non si sciolga Senza che Fama sopra l’ali immense Tolga l’alta novella, e grande n’empia Col reboáto dell’aperta tromba L’ampia cittade, e dell’Enotria i monti E le piagge sonanti, e s’esser puote, La bianca Teti, e Guadiana, e Tule. Il mattutino gabinetto, il corso, Il teatro, la mensa in vario stile Ne ragionin gran tempo: ognun ne chieda G1
798 aìta (+ G2 G3)
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805
805 chiedea (+G2 G3)
796 Duri […] piace: riprende il verso precedente, con poliptoto di durevol […] Duri e ripetizione invertita di fin che piace a voi in fin che a voi piace. Complessivamente, le ripetizioni e le riprese con minime variazioni, anche a breve distanza, e le frequenti apocopi (si noti in particolare cor, al v. 793, che ricava nell’endecasillabo un settenario tronco) dei versi 782-796 arieggiano uno stile di canzonetta metastasiana per l’amore galante del signore e della dama. 796-802 e non si sciolga […] Tule: e non si sciolga senza che la fama ne porti la grande notizia sulle sue ali immense e senza che riempia con il boato della sua tromba dispiegata l’ampia città e i monti e le pianure d’Italia risuonanti (Enotria) e, se è possibile, il mare spumeggiante e le terre d’Europa fino al Portogallo a ovest e a Tule a nord. – sopra l’ali immense: cfr. Aeneis iv 180-181: «pedibus celerem et pernicibus alis, / monstrum horrendum, ingens». – Tolga: latinismo. – reboáto: latinismo. – Cfr. inoltre In morte del maestro Sacchini 25-26: «Amò de’ bei concenti / Empier la tromba sua poscia la Fama». – ampia cittade: ampia continua la serie di immense, alta e aperta. L’espressione riprende complessivamente Aeneis iv 173: «Extemplo Libyae magnas it Fama per urbes». – Enotria: gli Enotri erano una popolazione che abitava le regioni della Lucania e del Bruzio in età preromana. Enotria, come Ausonia al v. 706, denota tradizionalmente, per sineddoche, la penisola italiana. – piagge sonanti: cfr. Il pericolo 31: «lidi sonanti»; e Georg. i 358-359: «resonantia longe / litora». – la bianca Teti: dea del mare e moglie di Oceano, bianca per la spuma delle onde. – Guadiana: fiume che scorre tra Spagna e Portogallo, raggiungendo il mare presso Cadice. Denota metonimicamente la penisola iberica in quanto estremo occidente d’Europa. – Tule: nell’antichità era una terra dell’estremo nord e di localizzazione incerta, che in seguito sarebbe stata variamente identificata con le isole Shetland, con la Norvegia e con l’Islanda. Virgilio la nomina in Georg. i 30: «ultima Thule». 803-805 Il mattutino gabinetto […] tempo: alle toilette, sul corso, in teatro, a tavola se ne parli lungamente in vario modo. – in vario stile / Ne ragionin: cfr. il vario ragionar del v. 596 e MT I 879-883: «o miri altrove / Gli ognor nascenti e moribondi amori / De le tenere Dame onde s’appresti / Per l’eloquenza tua nel dì vicino / Lunga e grave materia»; nonché RVF i 5: «del vario stile in ch’io piango et ragiono». – gran tempo: richiama ancora RVF i: «al popol tutto / favola fui gran tempo» (vv. 9-10); e NT 99-101: «Di sì fatte cose / Voi progenie d’eroi famosi andate / Ne le bocche de gli uomini gran tempo». 805-807 ognun […] cominci: tutti interroghino in proposito il marito addolorato;
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Mss.
giuseppe parini Il dolente marito; ed ei dall’alto La lamentabil favola cominci. Tal su le scene ove agitar solea L’ombre tinte di sangue Argo piagnente, Squallido messo al palpitante coro Narrava, come furiando Edipo Al talamo corresse incestuoso; Come le porte rovescionne, e come Al subito spettacolo ristè
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814 ristè ] ristette c d
ed egli racconti dall’inizio quella storia degna di compassione. – Il dolente marito: per colmo di ironia, proprio il marito è descritto come narratore dolente della rottura tra gli amanti. – dall’alto: rende il latino ex alto. – lamentabil favola: indica la vicenda tragica, come nelle Lezioni di Belle Lettere («la Poesia […] conduce seco la Favola con cui interessa il nostro cuore»; c. 64r, p. 126) e come mostra il successivo riferimento a Edipo, e quindi evoca la compassione che essa, come scriveva già Aristotele nella Poetica, doveva suscitare; è anche indicazione di genere caratteristica (cfr. per esempio William Shakespeare, The Lamentable Tragedy of Titus Andronicus). Inoltre, favola allude alle dicerie sulle vicende amorose, anche tramite il riferimento a RVF i 9-10 ricordato nella nota precedente. 808-812 Tal […] incestuoso: così un messaggero pallido, sconvolto, sulla scena sulla quale i Greci, compassionevolmente, usavano rianimare le ombre insanguinate dei personaggi tragici, raccontava come Edipo, furioso, si precipitasse al suo incestuoso letto nuziale. – agitar: con il consueto duplice significato di azione fisica, nella recitazione, e di sommovimento emotivo, nelle passioni tragiche. – L’ombre tinte di sangue: evoca il sangue e la morte (ombre) come elementi caratteristici del genere tragico, ma anche la natura di oscuri fantasmi dell’anima dei personaggi tragici. – Argo: metonimia per la Grecia tutta, la città di Argo è forse scelta tra le altre in quanto luogo delle tragiche vicende degli Atridi. – piagnente: allude alla compassione che i personaggi tragici destano nel pubblico. Cfr. La gratitudine 157-158, dove Sofocle è colui «Che la patria onorò trattando l’arme / E le tibie piagnenti». – palpitante coro: è naturalmente il coro della tragedia classica, che esprime la stessa partecipazione del pubblico alla vicenda. – furiando: esprime lo sconvolgimento causato in Edipo dalla coscienza del suo fato. Cfr. MT i 525 e 782. – Nell’ode La gratitudine Parini ricorda di avere ricevuto una visita del cardinale Durini, durante una lezione al ginnasio di Brera, mentre commentava l’Edipo Re di Sofocle (La gratitudine 151-160), che molti nel Settecento giudicavano la più perfetta tragedia che fosse stata scritta. Bonora ricorda a questo proposito una lettera di Francesco Algarotti a Francesco Albergati, del 7 ottobre 1753, in cui l’opera è definita «forse dopo la Iliade e l’Odissea il più bel monumento dell’ingegno umano» (Parini e altro Settecento, n. 25, p. 64). Fubini (pp. 407-408) nota invece che, dopo avere rievocato l’epica antica attraverso l’Odissea e l’Aeneis (vv. 7-19), ora Parini rievoca la tragedia greca. 814 al subito spettacolo […] ristè: è l’unico verso tronco del poemetto e la parola tronca finale è preceduta da due parole sdrucciole, quasi a rilevare ritmicamente l’eccezionalità del fatto. In MG 800, ristè sarà corretto in ristette.
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il mezzogiorno Quando vicina del nefando letto Vide in un corpo solo e sposa e madre Pender strozzata; e del fatale uncino Le mani armossi; e con le proprie mani A sè le care luci da la testa Con le man proprie misero strapposse. (1) Ecco volge al suo fine il pranzo illustre. Già Como, (2) e Dionisio (3) al desco intorno Rapidissimamente in danza girano Con la libera Gioja: ella saltando, Or questo or quel dei convitati lieve Tocca col dito; e al suo toccar scoppiettano Brillanti vivacissime scintille Ch’altre ne destan poi. Sonan le risa; (1) V. Sofocl. Edip.
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(2) Lo Dio de’ Conviti.
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(3) Bacco.
819 se (+G2 G3)
815 vicina del nefando letto: accanto al letto scellerato. – nefando: nel significato del latino nefandus e quindi di nefas, «ciò che è contro la religione e dunque scellerato, sacrilego». 816-817 Vide […] strozzata: vide il corpo appeso di Giocasta, sua sposa e madre, che si era impiccata. – strozzata: l’aggettivo è al singolare in quanto sposa e madre sono appunto una sola persona. 817 uncino: Edipo si acceca ferendosi gli occhi con le fibbie d’oro della veste di Giocasta. 818-820 e con le proprie mani […] strapposse: la serie di proprie mani (v. 818), A sè (v. 819) e man proprie (v. 820) insiste sulla volontà di Edipo di essere il proprio carnefice, così come era stato l’autore, anche se inconsapevole, delle proprie sventure. 822 Como: così Parini lo descrive per uno scudo che accompagna la medaglia nella sala da pranzo del Palazzo di Corte (1778): «Rappresenterà Como, Dio de’ conviti, attorniato dai Lari, Dei custodi della casa. Como avrà la figura d’un bel giovinetto dell’età di quindici in sedici anni. Starà a sedere quasi in atto d’esser vinto dal sonno; appoggerà la sinistra mano ad un’asta, e lascerà negligentemente cadere la destra, nella quale terrà una fiaccola accesa. Avrà un abito semplice, legato alla cintura, e che non arrivi fino al ginocchio. I capelli di lui saranno ciondolanti graziosamente, come se fossero sparsi d’olii odoriferi, e sul capo avrà come un vago berrettino formato di fiori» (Soggetti, p. 458). – Dioniso: Bacco era già apparso in MT i 82 e in MZ 621, 673 e 782. 824 la libera Gioja: la gioia libera dagli affanni. – Gioja: la gioia, che qui è personificata, era stata evocata in relazione ad Amore e allo stesso Bacco già al v. 783. – saltando: nel significato del latino saltare e quindi «danzando». 827 Brillanti […] scintille: battute spiritose e allegre. – Brillanti: vale sia letteralmente, sia metaforicamente, come già al v. 745 (e cfr. nota).
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Mss.
giuseppe parini E il clamoroso disputar s’accende. La nobil vanità punge le menti; E l’Amor di se sol, baldo scorrendo, Porge un scettro a ciascuno, e dice: Regna. Questi i concilj di Bellona, e quegli Penetra i tempj de la Pace. Un guida I condottieri: ai consiglier consiglio L’altro dona, e divide e capovolge Con seste ardite il pelago e la terra. Qual di Pallade l’arti e de le Muse
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830 punge ] pugne c d
829-832 E il clamoroso […] Regna: si accendono discussioni rumorose. La nobile vanità stimola gli ingegni. E l’amore esclusivo di se stessi, passando baldanzosamente dall’uno all’altro convitato, sollecita ciascuno a primeggiare e gli dice «Regna». – clamoroso disputar: la chiassosità e la litigiosità dei nobili erano state già rappresentate in MT i 749-756 e MZ 660-668. – s’accende: l’ingegno e l’eloquenza nobiliari divampavano già ai vv. 363 e 634. – nobil vanità: la giuntura è antifrastica, ma può essere letta anche letteralmente e senza antifrasi come «vanità tipica dei nobili». Cfr. la Nobile invidia di MT i 443 e il Nobil furor di NT 167. – punge le menti: le menti dei nobili, che al v. 666 erano colpite da Brillantati […] pensier, ora sono stimolate dal vuoto. Sull’inanità intellettuale dei nobili, cfr. soprattutto MT i 227-237. – l’Amor di se sol: già nella dedica «Alla Moda», con il sacrificio a se medesimi delle ore del mattino (e cfr. nota), e in MT i 563, dove si evocava Filauzio (e cfr. nota), l’amor proprio sensista appariva degradato a narcisismo. – Porge […] Regna: cfr. MT i 84-85: «Concedette corona; e disse: siedi / De le mense reina». 833-834 Questi […] Pace: l’uno si addentra nei consigli di guerra, l’altro nei templi della pace. – Questi […] quegli: inizia una rapida rassegna dei convitati che vanamente discorrono. – concilj di Bellona: Bellona era la dea romana della guerra. I suoi concilj sono quindi i gabinetti degli stati maggiori e insieme i ragionamenti che vi si svolgono, rispetto ai quali Penetra significa un addentrarsi nel luogo come metafora di un ragionare con profonda comprensione della materia, come già in MT i 233-235: «ad un tempo mille / Penetrar puote, e concepir vostr’alma / Cose diverse». – tempj de la Pace: i luoghi dove si tratta la pace e quindi i negoziati, ancora con allusione a una dimensione religiosa e a un luogo fisico come metafora della materia discussa, cosicché il Penetrar assume i tratti di un accedere alle segrete camere del tempio. – Analoghi discorsi di politica e di guerra sono descritti nella Recita de’ versi 13-24 (Bonora). 834-837 Un guida […] la terra: uno dirige i generali degli eserciti, l’altro consiglia ministri e segretari e con audaci tratti di compasso (seste) ridistribuisce mari (pelago) e terre. – ai consiglier consiglio: bisticcio scopertamente ironico. – dona: i consigli sono graziosamente concessi, come se fossero preziosi e attesi. Cfr. MT I 613-614: «i tuoi precetti / Pur dona». 838-844 Qual di Pallade […] forti: uno giudica e soppesa le arti liberali, care ad Atena, e la poesia cara alle Muse. Un altro, con acume, ne chiarisce le cause prime e confuta i principi fondamentali stabiliti dalla natura e che a lungo, in Grecia, dominarono tirannicamente sopra l’intelligenza degli uomini, per rinascere poi in Toscana ancora più forti e potenti. – di Pallade l’arti: cfr. MT i 24: «i mesti de la Dea
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Mss.
il mezzogiorno 253 Giudica e libra: qual ne scopre acuto L’alte cagioni; e i gran principj abbatte 840 Cui creò la natura, e che tiranni Sopra il senso degli uomini regnaro Gran tempo in Grecia; e ne la Tosca terra Rinacquer poi più poderosi e forti. Cotanto adunque di sapere è dato 845 A nobil mente? Oh letto, oh specchio, oh mensa, Oh corso, oh scena, oh feudi, oh sangue, oh avi, Che per voi non s’apprende? Or tu Signore, Col volo ardito del felice ingegno 841 Cui ] Che c d
845 Soppresso capoverso c
Pallade studj». – Giudica e libra: hysteron proteron che rappresenta il convitato proteso a giudicare prima di avere soppesato la questione. Tornerà in NT 363-364: «Ognun folleggia e scherza; / Ognun giudica e libra». – L’alte cagioni: cfr. RVF ccclx 143: «l’alta cagion prima»; Ger. Lib. ii 36, 2 e xx 14, 5: «alta cagion»; e Orl. Fur. xvii 68, 8: «l’alta cagione». – gran principj […] Grecia: i principi dell’estetica e delle belle lettere furono argomento dei corsi tenuti da Parini a Brera, nei quali l’idea classicistica dell’arte come immagine dell’ordine naturale è integrata con il pensiero di matrice sensistica del Settecento. La presunta confutazione di questi principi svolta dal convitato appare come l’ennesimo segno di superficialità e presunzione dei nobili, che deformano la critica illuminista della tradizione a giustificazione della propria ignoranza dei principi e delle regole. Nella metafora dei principi come tiranni dell’intelletto si coglie infatti l’eco distorta delle battaglie illuministe contro la tirannide e l’oscurantismo. – Gran tempo: cfr. il v. 805. Non sembra casuale la ripresa di un sintagma chiaramente petrarchesco in un verso in cui si nomina la Toscana come terra natia della letteratura italiana. – ne la Tosca terra […] forti: Parini afferma così la continuità della letteratura italiana con le letterature classiche e perfino la sua superiorità nel portare a espressione i principi che esse per prime avevano affermato. Nelle Lezioni di Belle Lettere leggiamo che gli scrittori toscani «diedero forma e consistenza a quella parte della Dizione, che serve di base a quello, che chiamasi Linguaggio poetico, per il quale la lingua italiana si distingue così notabilmente dalle altre lingue moderne, e si agguaglia colle antiche Greca e Latina» (cc. 248r-249r, p. 257). Già in MT i 833, d’altra parte, il giudizio su Goffredo di Buglione non minor di Achille e di Enea passava per metonimia al poema tassiano rispetto a quelli classici. Infine, cfr. Tr. Cup. i 48: «e teco nacqui in terra tosca» (Tizi). 846-847 Oh letto […] oh avi: come già MT i 331, ma ironicamente, richiama RVF lxxi 37: «O poggi, o valli, o fiumi, o selve, o campi». L’enumerazione pariniana ripercorre i luoghi della giornata dei nobili, come avverrà ancora ai vv. 1317-1318, e i fondamenti del loro potere, risalendo infine agli avi come all’origine di tutto. 848 per voi: per vostro tramite, grazie a voi. 849-851 Col volo […] più dei: innalzati sopra chiunque altro con lo slancio ardito della tua superiore intelligenza. – volo ardito: l’ardimento nasce dal troppo presumere di sé. Cfr. le seste ardite del v. 837; e La magistratura 10-12: «le glorie ottiene / Fra le Muse immortali / Con fortunato ardir spiegando l’ali». – felice ingegno: l’ingegno era penetrante in MT i 642 e sarà sagace in NT 577.
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Altre edd.
giuseppe parini T’ergi sopra d’ognaltro. Il campo è questo Ove splender più dei: nulla scienza, Sia quant’esser si vuole, arcana e grande, Ti spaventi giammai. Se cosa udisti, O leggesti al mattino onde tu possa Gloria sperar; qual cacciator che segue Circuendo la fera, e sì la guida E volge di lontan, che a poco a poco S’avvicina a le insidie, e dentro piomba; Tal tu il sermone altrui volgi sagace Finchè là cada ove spiegar ti giovi Il tuo novo tesor. Se nova forma Del parlare apprendesti, allor ti piaccia Materia espor che, favellando, ammetta La nova gemma: e poi che il punto hai colto, Ratto la scopri, e sfolgorando abbaglia Qual altra è mente che superba andasse Di squisita eloquenza ai gran convivj. In simil guisa il favoloso amante Dell’animosa vergin di Dordona
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865
856 fera, ] fera; G2 G3
853-861 se cosa […] tesor: se al mattino hai letto o udito qualcosa per cui tu possa sperare di essere ammirato, come un cacciatore che segue la sua preda muovendolesi intorno e stringendola via via, e così da lontano la fa deviare e la conduce in modo tale che essa a poco a poco si avvicina all’agguato e vi cade dentro, così tu dirigi il discorso altrui, abilmente, in modo che esso cada su un argomento che ti consenta di mostrare il tuo nuovo tesoro. – guida / E volge: cfr. Guida e corregge, in MT i 172, e volge, e governa, in MT i 570. – Il tuo novo tesor: giunge alla fine della lunga similitudine, a riprodurre nella sequenza sintattica il pervenire al suo intento del giovin signore. 861-862 nova forma / Del parlare: un neologismo o un’espressione inusuale e notevole. – Cfr. le nuove del dir forme di MT i 305. 862-864 allor ti piaccia […] gemma: allora procura di trattare un argomento che, tu discorrendo, possa accogliere la gemma della tua nuova espressione. – La nova gemma: riprende la sede metrica di Il tuo novo tesor al v. 861. 865-867 abbaglia […] convivj: e acceca ogni altro ingegno che nei conviti dell’aristocrazia si vantasse di eloquenza raffinata. – abbaglia: cfr. vv. 618-619. 868-875 In simil guisa […] a terra: così Ruggiero, il leggendario innamorato della coraggiosa vergine della Dordogna, Bradamante, lasciava che i baldanzosi cavalieri che lo attaccavano usassero tutte le loro forze e la loro abilità; e poi, al culmine del terribile scontro, scopriva lo scudo che gli aveva donato l’amorevole Mago Atlante e quelli, sorpresi dalla sua luce abbagliante, cadevano a terra accecati e vinti. – Parini indica la fonte del passo in Orl. Fur. xxii, dove Ariosto narra di come Ruggiero
il mezzogiorno Ai cavalier che l’assalien superbi Usar lasciava ogni lor possa ed arte; Poi nel miglior de la terribil pugna Svelava il don dell’amoroso Mago: E quei sorpresi dall’immensa luce Cadeano ciechi e soggiogati a terra. (1) Se alcun di Zoroastro, e d’Archimede Discepol sederà teco a la mensa, A lui ti volgi: seco lui ragiona; Suo linguaggio ne apprendi, e quello poi Quas’innato a te fosse, alto ripeti: Nè paventar quel che l’antica fama Narrò de’ suoi compagni. Oggi la diva Urania il crin compose: e gl’irti alunni
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(1) Ariost. Cant. 22. G1
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sconfiggesse Aquilante, Guidone e Grifone usando lo scudo incantato che gli aveva regalato il mago Atlante. Lo scudo abbagliava con la sua luce e così abbatteva chiunque lo guardasse. Normalmente però Ruggiero lo teneva coperto, non volendo vincere con altre armi che il proprio valore, e anche nel passo citato esso agisce contro le sue intenzioni. Parini corresse quindi il passo e in MT ii , più precisamente, attribuì l’uso dello scudo al mago Atlante. 876-878 Se alcun […] ragiona: se un allievo di Zarathustra, astronomo, o di Archimede, fisico, matematico e ingegnere, dovesse sedere a tavola con te, tu rivolgiti a lui e con lui discuti. – Zoroastro: figura leggendaria di profeta e riformatore religioso, fondatore del mazdeismo, visse in Persia non oltre il vi secolo a.C. Poiché al v. 883 appare Urania, è verosimile che Parini lo nomini in quanto astronomo, forse appoggiandosi alla fama di magia che ne circonda il nome nella tradizione e quindi figurandolo come astrologo e infine come astronomo. – Archimede: è il grande fisico, matematico e ingegnere vissuto a Siracusa tra il 287 e il 212 a.C. – Discepol: come si evince dai versi successivi, i discepoli di Zarathustra e di Archimede rappresentano gli scienziati in generale, tramite l’antonomasia dei loro maestri. 881-882 Nè paventare […] compagni: e non ti preoccupare di ciò che una fama ormai antica narra dei suoi colleghi. – L’austerità quasi selvatica dei costumi degli scienziati, che potrebbe preoccupare il giovin signore (già in MT i 24-30 egli si mostrava avverso agli studi e alle scuole), è descritta nei versi successivi. 882-887 Oggi la diva […] consiglio: oggi Urania, Musa dell’astronomia, si è rimessa in ordine la chioma: ha portato i suoi discepoli irsuti, smarriti, imbarazzati e balbettanti fuori dalle loro caverne, dove prima meditavano nel buio della notte e nel silenzio. – il crin compose: il gesto significa il ritorno a un vivere civile da un precedente selvatico costume. – gl’irti alunni: gli scienziati ripetono l’ispida austerità della loro Musa, ma l’immagine allude anche all’arcana (v. 852) arduità delle scienze.
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Mss.
giuseppe parini Smarriti vergognosi balbettanti Trasse da le lor cave ove pur dianzi Col profondo silenzio e con la notte Tenean consiglio: indi le serve braccia Fornien di leve onnipotenti ond’alto Salisser poi piramidi, obelischi Ad eternar de’ popoli superbi I gravi casi: oppur con feri dicchi Stavan contro i gran letti; o di pignone Audace armati spaventosamente Cozzavan con la piena, e giù a traverso Spezzate, dissipate rovesciavano
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887 indi le serve ] e le servili c d
– Smarriti […] balbettanti: i tre aggettivi, in serie asindetica come già al v. 119, rappresentano gli scienziati come uomini ferini per l’imbarazzo che mostravano. – Col profondo […] consiglio: Ferretti segnala un passo di Pietro Verri sul «Caffè» (t. i, f. xxv): «Nel secolo decimottavo […] [i]l pubblico legge assai più di quello che non si sia mai letto forse dacché s’è inventata l’arte dello scrivere. Un libro non è più riservato a quelle sole caverne dove al pallido lume d’una lampada se ne stava un irsuto sapiente ne’ secoli scorsi, come un mostro della specie umana. Un libro è un mobile che si trova nelle stanze più elegantemente adornate; un libro trovasi sulle pettiniere delle più amabili dame». Sulla passata insocievolezza dei sapienti, cfr. i malinconici vegliardi della dedica «Alla Moda», MT i 24-30 e note. 887-891 indi le serve […] casi: di lì (dalle meditazioni condotte nelle cave) dotavano le braccia degli schiavi di meccanismi poderosi, con i quali si potessero innalzare piramidi e obelischi che celebrassero nel tempo i fatti delle storie dei popoli superbi. – gravi casi: la gravità dei casi celebrati è la grandiosità epica dei momenti culminanti della storia di un popolo. 891-897 oppur […] invitto: oppure si opponevano alle acque di fiumi e mari con dighe (dicchi) saldissime; o si scontravano terribilmente con le esondazioni, armati di argini audaci, e disperdevano le correnti (corna) torbide dei fiumi, decima fatica di Ercole mai sconfitto, dopo averli deviati e divisi. – dicchi: adattamento di forme dell’olandese («dijk»), dell’inglese («dike» o «dyke») o dell’antico francese («dike»), attestato in Marino, Anversa Liberata 35: «da Convestine al maggior dicco arriva»; e in Chiabrera, Sermoni xx 5: «dentro i dicchi della bassa Olanda» (Tizi). – pignone: negli argini trasversali, è il cuneo esposto all’impeto della corrente. – e giù […] invitto: Parini paragona l’opera degli scienziati alla lotta di Ercole contro il fiume Acheloo, che si era trasformato in toro e al quale l’eroe ruppe un corno per ricondurne poi le acque nel letto originario. Come notava già Albini, l’impresa non è una delle dodici fatiche di Ercole, ma una delle altre sue imprese narrate nella tradizione (cfr. Ovidio, Metamorfosi ix 1-92) – L’azione degli scienziati per contenere gli elementi è trasfigurata in lotta epica dell’uomo contro la natura, così che anche per gli scienziati, come già per i nobili, si delinea il passaggio da un’originaria fierezza (leve onnipotenti, feri dicchi, pignone / Audace) alla presente mansuetudine.
il mezzogiorno Le tetre corna, decima fatica D’Ercole invitto. Ora i selvaggi amici Urania incivilì: baldi e leggiadri Nel gran mondo li guida o tra ’l clamore De’ frequenti convivj, oppur tra i vezzi De’ gabinetti ove a la docil Dama, E al saggio Cavalier mostran qual via Venere (1) tenga; e in quante forme o quali Suo volto lucidissimo si cambj. Nè del Poeta temerai, che beffi Con satira indiscreta i detti tuoi; Nè che a maligne risa esponer osi Tuo talento immortal. Voi l’innalzaste All’alta mensa: e tra la vostra luce Beato l’avvolgeste; e de le Muse
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(1) Uno de’ sei Pianeti. Altre edd.
910 avvolgeste; ] avvolgeste, G2 G3
897 i selvaggi amici: riprende gli irti alunni del v. 883. 899-901 o tra ’l clamore […] gabinetti: o tra le chiacchiere rumorose degli affollati (frequenti: latinismo) banchetti, o negli eleganti gabinetti. 901 docil: disposta a essere formata. – Cfr. la Domabile materia di MT i 229 e la docil chioma di MT i 641 (e cfr. note). 902-904 mostran […] si cambj: illustrano l’orbita di Venere e quanti e quali aspetti assuma la sua superficie splendente. – qual […] quante […] quali: si ripropone, per le spiegazioni dello scienziato, la tipica successione di aggettivi interrogativi della poesia didascalica (cfr. MT i 11-12 e nota). – Venere: non per caso l’orbita descritta è quella del pianeta che prende il suo nome dalla dea dell’amore («Uno de’ sei Pianeti», annota Parini, perché tanti se ne conoscevano), del quale poi si rileva il mutevole aspetto. La scienza è così ridotta a occasione di pettegolezzo. – Il passo sembra alludere alla moda della divulgazione scientifica e in particolare, per la docil Dama, al Newtonianesimo per le Dame (1737) di Francesco Algarotti. 905-908 Nè del Poeta […] immortal: il giovin Signore non deve temere che il poeta cortigiano raffigurato in questi versi (905-939) possa ridicolizzare i suoi sproloqui pseudoscientifici (i detti tuoi), ma questa affermazione, tramite la possibilità sempre incombente dell’antifrasi (cfr. MT i 731-732 e nota), evoca una mise en abyme del poemetto satirico entro se stesso. – indiscreta: in MT i 160, indiscreto era il servo che annunciava la presenza del sarto venuto per riscuotere. Discrezione sarebbero quindi il muto ossequio e la negazione del giusto. – Tuo talento immortal: cfr. NT 375: «Suo talento immortal». 909-910 e tra la vostra […] l’avvolgeste: cfr. MT i 472-474, dove analoga beatitudine derivava al popolo dalla visione del giovin signore, e 793-795. 910-912 e de le Muse […] Vati: e lo uniste al sacro coro dei poeti contro il giudizio delle Muse e di Apollo. – Come già in MT i 702-722 e 888-895, i nobili mancano di
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giuseppe parini A dispetto e d’Apollo, al sacro coro L’ascriveste de’ Vati. Egli ’l suo Pindo Feo de la mensa: e guai a lui, se quinci Le Dee sdegnate giù precipitando Con le forchette il cacciano. Meschino! Più non potria su le dolenti membra Del suo infermo Signor chiedere aita Da la bona Salute; o con alate Odi ringraziar, nè tesser Inni Al barbato figliuol (1) di Febo intonso: Più del giorno natale i chiari albori Salutar non potrebbe, e l’auree frecce Nomi-sempiternanti all’arco imporre:
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(1) Esculapio. Altre edd. Mss.
915 cacciano ] cacciono G2 G3 916 potria ] poria c d
916 potria ] potría G3
buon gusto e di giudizio per l’arte. – sacro coro […] de’ Vati: Tizi ricorda Orazio, Odi iv, iii 14-15: «dignatur […] inter amabilis / vatum ponere me choros». 912 Pindo: catena montuosa della Grecia, presente nella tradizione come monte sacro alle Muse. 913-915 e guai […] il cacciano: e guai a lui se le dame divine, sdegnate, precipitandosi su di lui lo scacciano dalla mensa a colpi di forchetta. – Parini allude a Catullo, Carmina cv, dove le Muse, a colpi di forcone, cacciano dal Parnaso un aspirante poeta privo di talento: «Mentula conatur Pipleium scandere montem: / Musae furcillis precipitem eiciunt» (Albini). 916-918 Più non potria […]Salute: non potrebbe più chiedere alla benevola dea Salute soccorso per il corpo sofferente del suo signore malato. – chiedere aita: con versi che auspicherebbero la guarigione del suo signore. – Salute: ennesima personificazione. Appare come dea anche nei soggetti per il Palazzo di Corte (cfr. Soggetti, p. 457). 918-919 alate / Odi: cfr. La laurea 180-181: «E scotendo le corde amiche ai vati / Pindaro lo seguìa con gl’Inni alati». – alate: rileva con la sua ironia la vacuità di questo poetare. 920 Al barbato […] intonso: a Esculapio, figlio barbuto di Apollo dalla lunga chioma. – barbato figliuol: Esculapio era il dio della medicina. – intonso: Placella (p. 33) segnala la traduzione dell’Iliade di Anton Maria Salvini: «Febo con chioma / Non tondata» (Iliade xx 39). 921-923 Più del giorno […] imporre: non potrebbe più celebrare il nuovo sorgere del giorno del compleanno del signore, né comporre versi sublimi che eternino i nomi dei personaggi che vi si cantano. – l’auree […] imporre: la metafora dell’arco e delle frecce e l’epiteto composto nomi-sempiternanti parodiano lo stile pindareggiante di numerosi e deprecati poeti encomiastici del Settecento, per cui cfr. La recita dei versi 25-36; e La caduta 73-76: «pari a vile / Mima, il pudore insulti, / Dilettando scurrile / I bassi genj dietro al fasto occulti». – Le anastrofi gonfiano lo stile con il consueto intento ironico.
il mezzogiorno 259 Non più gli urti festevoli, o sul naso L’elegante scoccar d’illustri dita 925 Fora dato sperare. A lui tu dunque Non isdegna, o Signor, volger talvolta Tu’ amabil voce: a lui declama i versi Del dilicato cortigian d’Augusto, O di quel che tra Venere, e Liéo 930 Pinse Trimalcion. La Moda impone, Ch’Arbitro, o Flacco a un bello spirto ingombri Spesso le tasche. Il vostro amico vate T’udrà, maravigliando, il sermon prisco
924-926 Non più […] sperare: non sarà più concesso sperare di ricevere colpetti affettuosi o delicati buffetti sul naso dalle dita dei signori. 929 dilicato cortigian d’Augusto: Quinto Orazio Flacco, poeta vicino all’imperatore Augusto. Sulla condizione di poeta di corte di Orazio insiste Vittorio Alfieri nel suo trattato Del principe e delle lettere: «Orazio e Virgilio furono protetti: e diedero perciò quel tanto di meno, che la dipendenza e il timore andavano ogni giorno togliendo alla energia già non moltissima degli animi loro» (ii, 3, p. 148; e cfr. anche I, 3, p. 121). La perifrasi pariniana, tuttavia, se addita la condizione di Orazio di poeta cortigiano, non vale come giudizio politico, ma come artificio per fare emergere la condizione più penosamente subordinata del poeta raffigurato in questi versi (lo stesso aggettivo dilicato, per cui cfr. v. 417 e nota, tradisce l’attrazione della figura oraziana nell’orbita dell’estetica nobiliare). L’ammirazione di Parini per Orazio (per cui cfr. Savarese, Orazio e Parini) è infatti espressa in numerosi luoghi della sua opera, dalle Lezioni di Belle Lettere, dove il poeta latino è chiamato «primo Legislatore del Bello» (p. 173), alle tre strofe del frammento di ode Ad Orazio («Lucido esempio e guida / te, Venusin, d’ogni poetic’arte»; vv. 1-2), quando non bastasse a provarlo la stessa fattura dello stile delle Odi e del Giorno. 930-931 O di quel […] Trimalcion: o di Petronio Arbitro, che rappresentò Trimalcione sprofondato nella lussuria (Venere) e nell’ebbrezza (Liéo). – La letteratura latina è evocata nei suoi estremi di raffinamento stilistico, con Orazio, e di realismo comico, con il Satyricon di Petronio Arbitro (m. 66 d.C.), di cui il banchetto di Trimalcione, ricchissimo liberto che a tavola ostenta la propria cultura posticcia, è la più celebre scena, ma la loro scelta dipende innanzitutto da ciò che di erotico o di scurrile si può trovare nei loro testi. 931-933 La moda […] tasche: Tizi cita Roberti, Perle 80-81: «Il Flacco tuo, che sì sovente teco / Conversa». – Arbitro, o Flacco: disposti in chiasmo con le perifrasi dei vv. 929-931. – un bello spirto: cfr. MT i 307 e 571. – ingombri […] tasche: già folte d’inezie, secondo MT i 655. 933-935 Il vostro amico […] piace: il poeta vostro amico, meravigliandosi, ti sentirà pronunciare le sillabe lunghe e brevi del latino a tuo piacere. – maravigliando: più che affettata ammirazione per il nobile, la meraviglia del poeta sarà taciuta perplessità per gli errori della sua pronuncia, ai quali di seguito si allude. – sermon prisco: il latino, come già in RVF xl 6: «Tra lo stil de’ moderni e ’l sermon prisco».
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giuseppe parini Or sciogliere or frenar qual più ti piace: E per la sua faretra, e per li cento Destrier focosi che in Arcadia pasce Ti giurerà, che di Donato al paro Il difficil sermone intendi e gusti. Cotesto ancor di rammentar fia tempo I novi Sofi, che la Gallia, e l’Alpe Esecrando persegue: e dir qual arse De’ volumi infelici, e andò macchiato D’infame nota: e quale asilo appresti
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– Or sciogliere or frenar: allude alle sillabe lunghe e brevi del latino. – qual più ti piace: cfr. MT i 127-128 e nota. Qui il sintagma dice che il giovin signore non rende correttamente le quantità vocaliche e dunque sbaglia nella pronuncia dei versi. 936-939 E per la sua faretra […] gusti: e ti giurerà sulla sua faretra e sui cento cavalli pieni di fuoco che alleva in Arcadia che tu intendi e apprezzi il latino, lingua assai difficile, non meno di Donato. – faretra: continua la metafora delle auree frecce del v. 922. – cento […] pasce: le regole degli Arcadi prevedevano che ciascun poeta che entrasse nella società ricevesse al suo ingresso un’immaginaria campagna in Arcadia. Qui dunque crescerebbero i cento / Destrieri, focosi a figurare l’ardore dell’ispirazione poetica e forse memori, ma non senza ironia, della canzone premessa da Alessandro Guidi a Endimione (All’eminentissimo e reverendissimo Signore Cardinale Albano “Erilo Cleoneo” Pastore Arcade), vv. 6-7: «ed ho cento destrieri / su la riva d’Alfeo» (Natali, Il Settecento, p. 49) – Donato: Elio Donato, grammatico latino, visse nel iv sec. d.C. 940-942 Cotesto […] persegue: questa sarà anche l’occasione per ricordare i nuovi filosofi contemporanei, che Francia e Svizzera (l’Alpe) deprecano e seguono insieme. – novi Sofi: sono i filosofi illuministi e innanzitutto Voltaire e Rousseau, come specificano i versi successivi. – l’Alpe: la Svizzera è nominata perché a Ginevra, nel 1712, nacque Jean-Jacques Rousseau e perché Voltaire risiedette a lungo presso Ginevra e presso Losanna. – persegue: verbo di significato ambiguo, ma non è dubbio che l’espressione rilevi l’ambivalenza del pubblico e delle istituzioni francesi e svizzere, divise tra sostegno e persecuzione. In MG 930 il passo è infatti modificato in ammirando persegue, dove persegue assume l’altro suo possibile significato di «perseguita». 942-944 e dir […] nota: e per dire quale opera sfortunata sia stata bruciata pubblicamente e quale sia stata proibita dalla censura. – infame nota: come ricorda Bonora, «nel 1765, anno di pubblicazione del Mezzogiorno, a Milano funzionavano ancora tre censure, tra governative ed ecclesiastiche»; e naturalmente l’istituzione della censura e del rogo pubblico dei libri non era solo milanese, ma generalmente europea: quando nel maggio del 1762, mentre Parini attendeva al Mattino, fu pubblicato l’Émile di Roussau, per esempio, il libro fu subito censurato e roghi pubblici furono indetti dalle autorità sia a Parigi sia a Ginevra. 944-946 e quale asilo […] nostro: e quale rifugio si prepari per il filosofo Voltaire, difensore dell’edonismo (morbido) e simile a un Aristippo del nostro tempo. – asilo […] Filosofia: se è vero che Parini stigmatizza non la filosofia illuminista, ma la sua banalizzazione nella ricezione del pubblico aristocratico, è anche manifesta la sua antipatia per la compromissione con il costume nobiliare a cui alcuni filosofi si
il mezzogiorno Filosofia al morbido Aristippo Del secol nostro; e qual ne appresti al novo Diogene dell’auro spregiatore, E della opinione de’ mortali. Lor volumi famosi a te verranno Da le fiamme fuggendo a gran giornate Per calle obliquo, e compri a gran tesoro: O da cortese man prestati, fiéno Lungo ornamento a lo tuo speglio innanzi.
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espongono a causa dei loro contatti con i monarchi europei (asilo di Voltaire fu anche la corte di Federico di Prussia) e dell’edonismo materialista che talvolta professano (a ciò si deve, di seguito, il nome di Aristippo; e si noti come Parini rappresenti la filosofia personificata che assiste il filosofo, similmente a ciò che in MT i 84 e altrove aveva fatto per il giovin Signore). Cfr. MT i 598-609. – morbido Aristippo: Aristippo di Cirene (435-366 ca a.C.) fondò una scuola filosofica di ispirazione socratica il cui ideale di vita, secondo una tradizione che oggi appare incerta, si sarebbe basato sul piacere. Soggiornò inoltre a Corinto e a Siracusa, presso la corte del tiranno Dionigi. La designazione di Voltaire tramite il suo nome, unitamente a morbido, imputa al filosofo francese scarso rigore morale e dedizione al piacere materiale. 946-948 e qual […] mortali: e quale asilo prepari invece per il nuovo Diogene, che disprezza i beni materiali e i giudizi degli uomini. – Diogene: filosofo cinico (413-323 a.C.) e spregiatore per antonomasia della ricchezza, delle convenzioni sociali e dei comuni giudizi morali. È menzionato con Aristippo, nota Albini, già in Diogene Laerzio II 8, 68 e quindi in Orazio, Epistole i 17, 13 sgg. – Di Rousseau, Parini aveva letto certamente La Nouvelle Héloïse (ne traduce nascostamente un passo nella seconda delle Lettere del conte N. N. ad una falsa divota, come osserva Bonora, Parini e altro Settecento, pp. 81-85), dove le lettere da Parigi di Saint-Preux rappresentano la noia, l’ossequio conformistico per le opinioni di moda o della maggioranza e l’affettazione di sentimenti fittizi come cause dei mali morali e sociali che affliggono le persone (cfr. Accame Bobbio, pp. 503-506); inoltre, Carducci (pp. 25-26) informa che Maria Vittoria Serbelloni, dei cui figli Parini era stato precettore fino al 1760, incoraggia il figlio Galeazzo, in una lettera del 22 febbraio 1764, a leggere Rousseau, «scrittore stravagantissimo, ma ingegno senza pari, il più cinico di tutti i filosofi di questa setta»; e il 21 marzo: «è un cittadino di Ginevra, filosofo cinico, nemico del genere umano»; infine, cfr. nel n. xxxiv della «Gazzetta di Milano» del 1769 (t. ii, p. 411) la notiziola sul «famoso Gian-Jacopo Rousseau» che nel Nivernese incontra il principe de Conti. 950-951 Da le fiamme […] obliquo: fuggendo dai roghi a marce forzate e per tratte clandestine. – gran giornate: riprende dal lessico militare latino l’espressione magnis itineribus. Cfr. RVF cclxxii 2: «et la morte vien dietro a gran giornate»; e Orl. fur. xiii 54 6: «a gran giornate e in gran fretta la guida»; xxvii 127, 3: «cavalca a gran giornate, e non assonna»; e xxxv 62, 2: «vanno a gran giornate insieme». – per calle obliquo: cfr. le oblique vie tenute da Amore in MT i 317; Orl. Fur. i 2, 6: «calli obliqui»; e Ger. Lib. vi 96, 8: «obliqui calli». 952-953 fiéno […] innanzi: staranno a lungo come soprammobili davanti al tuo specchio. – Cfr. MT i 583-597 e nota a MZ 882-887.
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Altre edd. Mss.
giuseppe parini Poichè scorsi gli avrai pochi momenti Specchiandoti, e a la man garrendo indotta Del parrucchier; poichè t’avran la sera Conciliato il facil sonno, allora A la toilette passeran di quella Che comuni ha con te studj e licéo Ove togato in cattedra elegante Siede interprete Amor. Ma fia la mensa Il favorevol loco ove al sol esca De’ brevi studj il glorioso frutto. Qui ti segnalerai co’ novi Sofi Schernendo il fren che i creduli maggiori Atto solo stimár l’impeto folle A vincer de’ mortali, a stringer forte Nodo fra questi, e a sollevar lor speme Con penne oltre natura alto volanti.
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956 parrucchier; ] parrucchier, G2 G3 956 Crocetta accanto al verso c d 958 toilette ] teletta c d 961 Crocetta accanto al verso c d 964 ti segnalerai ] segnalar ti dei c d 967 stringer ] strigner c d
954 pochi momenti: cfr. la dedica «Alla Moda», dove il «piccolo Poemetto» era «pago di vivere quel solo momento» durante il quale la Moda non cambiava aspetto. La stessa vita effimera, nella mente del giovin signore distratto dal proprio narcisismo, tocca alle opere dei filosofi illuministi. 955-956 a la man […] parrucchier: redarguendo il parrucchiere per il suo operato maldestro. – Cfr. MT i 519-523, dove il giovin signore inveiva già contro il parrucchiere, e poi la man dotta di questi in MT i 1006. 956 poichè: dopo che. 958-961 quella […] Amor: la tua Dama (quella), che condivide con te le letture e la scuola (licéo) dove Amore, togato, siede come un professore dietro l’elegante cattedra della toilette. – licéo: il Liceo era in Atene la scuola di filosofia dove insegnava Aristotele. – togato […] interprete: cfr. La laurea 136-137: «ti miri a gli onorati seggi / Salir togato, e de le sacre leggi / Interprete gentile». – Amore: è ancora Filauzio, l’amore di sé di MT i 563. 963 brevi studj: cfr. MT i 230-231: «breve lavor basta a stamparvi / Novelle idee». 964 ti segnalerai […] Sofi: mostrerai di essere schierato con i nuovi filosofi. 965-969 schernendo […] volanti: facendoti beffe della religione, che gli ingenui antenati ritennero essere il solo mezzo capace di frenare le pulsioni irrazionali degli uomini, di legarli saldamente tra loro e di innalzare la loro speranza con la promessa di una vita che durasse oltre la morte naturale. – schernendo: nella saggistica illuministica, dalla Storia naturale della religione (1757) di David Hume alle voci dedicate da Voltaire ai patriarchi biblici nel suo Dizionario filosofico (1764), la critica della religione ricorreva spesso all’ironia e all’umorismo. – maggiori: calco del latino maiores (cfr. Inf. x 42: «mi dimandò: “Chi fuor li maggior tui?”»).
il mezzogiorno Chi por freno oserà d’almo Signore A la mente od al cor? Paventi il vulgo Oltre natura: il debole Prudente Rispetti il vulgo; e quei, cui dona il vulgo Titol di Saggio, mediti romito Il Ver celato; e alfin cada adorando La sacra nebbia che lo avvolge intorno. Ma il mio Signor, com’aquila sublime Dietro ai Sofi novelli il volo spieghi. Perchè più generoso il volo sia, Voli senz’ale ancor; nè degni ’l tergo Altre edd. Mss.
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975 e alfin ] alfin G2 G3 971 Crocetta accanto al verso c d
970-971 Chi por […] cor?: chi oserà imporre un freno al pensiero e alle passioni di un nobile signore? – almo Signore: cfr. v. 232. – freno: riprende il fren del v. 965 e richiama il volgar fren di MT i 306, che non intralcia i concetti dei nobili, ovvero il loro pensiero, e il freno di Imene su Amore, ovvero sulle passioni, di MT i 319. – d’almo […] al cor: la libertà intellettuale e il libertinismo morale dell’illuminismo si trasformano prontamente in arrogante sfrenatezza nobiliare. – Analoga domanda retorica era al v. 763 (e cfr. nota). 971-972 Paventi […] natura: tema pure il popolo ciò che lo aspetta oltre la vita terrena. 972-973 il debole […] vulgo: rispetti pure il popolo la saggezza di chi è prudente per pavidità. – Secondo questa interpretazione, il debole Prudente è complemento oggetto di Rispetti e la frase è in chiasmo con la precedente. In alternativa, si può leggere «il saggio pavido rispetti le credenze del popolo». La frequenza nel Mezzogiorno delle ripetizioni, dai vv. 45 e 48 in avanti, suggerisce che la prima interpretazione possa essere preferibile. Nel Meriggio, comunque, Parini eliminerà il passo. 973-976 e quei […] intorno: e colui al quale il popolo conferisce il nome di saggio se ne stia pure in solitudine a riflettere sui misteri della fede. E infine si prostri in adorazione della sacra oscurità che li sottrae all’intelligenza umana. – il vulgo: ripetuto per la terza volta, a insistere sulla diversità della sua condizione rispetto a quella della nobiltà. – sacra nebbia: cfr. la Gotica caligine di MT i 637 e «de’ volgari ingegni […] la paludosa nebbia» di MT i 711-712. 977-981 Ma il mio Signor […] penne: ma il mio signore, come un’aquila che voli altissima, si alzi in volo al seguito dei nuovi filosofi. Perché più ardito sia il suo volo, voli senza le ali. – com’aquila sublime […] il volo spieghi: il passo potrebbe essere memore di Inf. iv 94-96: «la bella scola / di quel segnor de l’altissimo canto / che sovra li altri com’aquila vola», dove pure l’allievo Dante si unisce alla schiera eletta dei suoi maestri spirituali. – volo […] penne: il giovin signore sdegna non solo le penne della religione (v. 969), ma anche quelle degli studi che sarebbero necessari per filosofare (vv. 980-981). Il suo volo tre volte ripetuto si contrappone alla triplice ripetizione di vulgo dei vv. 971-973, oltre a rievocare l’ulteriore memoria dantesca dei tre capovolgimenti della nave di Ulisse al termine del «folle volo» (Inf. xxvi 139), emblema di audacia intellettuale non sorretta dalla fede.
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giuseppe parini Affaticar con penne. Applauda intanto Tutta la mensa al tuo poggiare ardito. Te con lo sguardo, e con l’orecchio beva La Dama dalle tue labbra rapita: Con cenno approvator vezzosa il capo Pieghi sovente: e il calcolo, e la massa, E l’inversa ragion sonino ancora Su la bocca amorosa. Or più non odia De le scole il sermone Amor maestro; Ma l’accademia e i portici passeggia De’ filosofi al fianco, e con la molle Mano accarezza le cadenti barbe. Ma guardati, o Signor, guardati oh dio Dal tossico mortal che fuora esala Dai volumi famosi; e occulto poi
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981-982 Applauda […] ardito: tutti i convitati intanto applaudano al tuo volo ardito. – poggiare: «salire, muoversi in direzione ascendente». 983 beva: cfr. MT i 243. 985 Con cenno approvator: cfr. Frugoni, Versi sciolti xviii 70: «In un suo dolce approvator sorriso». 986-987 e il calcolo […] amorosa: nuovamente (cfr. vv. 902-904) Parini ironizza sulla moda di esibire un linguaggio scientifico che pochi comprendevano davvero e che si era diffuso nei salotti tramite opere come il citato Newtonianesimo per le dame di Algarotti o gli Éléments de la philosophie de Newton (1738) di Voltaire. Sulla bocca del giovin signore e della sua dama, i termini scientifici si riducono a puri suoni (sonino), che, dopo i farfugliamenti di MT i 522 e MZ 102, i maldestri tentativi con il francese e con il latino di MT i 184-203 e MZ 926-935 e le imprecazioni volgari di MT i 537, tradiscono ancora, come nota Grosser (p. 26) la mancanza di eloquenza e il vuoto intellettuale quasi di automa del personaggio. Cfr. infine il passo del Discorso sopra le Caricature già citato nella nota ai vv. 660-662; e Alfieri, Satire, I Viaggi ii 8287 (dopo una similitudine matematica): «Non vi par bello il paragon, ch’io avvolgo / Nella moderna scorza geometrica, / Da cui sì dotta l’evidenza or colgo? / Ma già la numeral frase simmetrica / Lascio, e il suo gelo; e sfogherò il mio dire, / Sciolto dalla Ragione Inversa tetrica». 988-989 Or più non odia […] maestro: Amore, fattosi maestro, non odia più il linguaggio delle accademie. – Come gli scienziati frequentano ormai i salotti (vv. 882887 e 897-904), così Amore frequenta le accademie e il loro linguaggio, ovvero la mondanità accoglie il diversivo che può trovare in una curiosità superficiale per le scienze. – Amor maestro: cfr. i vv. 960-961. 990 l’accademia e i portici: presso la scuola ateniese dell’Accademia insegnò Platone. Sotto i portici del Liceo, invece, Aristotele passeggiava con gli allievi durante le lezioni. 993-995 Ma guardati […] famosi: per l’esclamazione enfaticamente replicata, cfr. «Serbala, oh Dio, / Serbala» ai vv. 569-570 e nota. – tossico: veleno. – volumi famosi: così erano chiamati al v. 949 i libri di Voltaire e di Rousseau, dei quali ora si riconosce l’egualitarismo rivoluzionario.
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il mezzogiorno Sa, per le luci penetrato all’alma, Gir serpendo nei cori; e con fallace Lusinghevole stil corromper tenta Il generoso de le stirpi orgoglio Che ti scevra dal vulgo. Udrai da quelli, Che ciascun de’ mortali all’altro è pari; Che caro a la Natura, e caro al Cielo È non meno di te colui che regge I tuoi destrieri, e quei ch’ara i tuoi campi; E che la tua pietade, e il tuo rispetto Dovrien fino a costor scender vilmente. Folli sogni d’infermo! Intatti lascia Così strani consiglj; e sol ne apprendi Quel che la dolce voluttà rinfranca, Quel che scioglie i desiri, e quel che nutre La libertà magnanima. Tu questo
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995-997 e occulto […] cori: e senza apparire, penetrato nello spirito attraverso gli occhi (attraverso la lettura), sa trovare la sua strada fino al cuore e insinuarvisi. – serpendo: riprende l’assimilazione dei libri a serpenti allusa già nel tossico che ne esala. Cfr. MT i 868-871 e nota. 997-1000 e con fallace […] vulgo: e con linguaggio ingannevole e suadente cerca di corrompere quel magnanimo orgoglio del tuo lignaggio che ti distingue dal popolo. – Lusinghevole: cfr. La salubrità dell’aria 127-132: «Va per negletta via / Ognor l’util cercando / La calda fantasìa, / Che sol felice è quando / L’utile unir può al vanto / Di lusinghevol canto». – Il generoso […] orgoglio: l’iperbato solleva il dettato per corrispondere all’orgoglio nobiliare. Cfr. inoltre i generosi Incassi di MT i 155. Nota infine Albini: «Non già è la stirpe che ti separi dal volgo, sì è l’orgoglio della stirpe: quindi la separazione è fittizia». 1000-1004 Udrai […] campi: li sentirai dire che gli uomini sono tutti pari e che il tuo cocchiere, che guida i tuoi cavalli, e il tuo contadino, che ara i tuoi campi, non sono meno cari di te alla natura e a Dio. – a la Natura […] al Cielo: allude al giusnaturalismo e al cristianesimo come fondamenti dell’ugualitarismo illuminista. Si noti che cari al cielo, ma con iniziale minuscola, erano i nobili al v. 298. – colui […] destrieri: proprio il cocchiere, in MT i 939-941, doveva invece intendere, grazie all’attesa a cui il giovin signore lo avrebbe costretto, «Per quanto immensa via natura il parta / Dal suo Signore». 1007-1008 Folli […] consiglj: fantasie degne di un pazzo! Evita ogni contatto con simili insegnamenti. – Folli […] d’infermo: cfr. Orazio, Ars poetica 7: «aegri somnia» (Albini); e Tr. Cup. iv 66: «Sogno d’infermi, e fola di romanzi!». 1008-1011 e sol ne apprendi […] magnanima: e apprendine solo ciò che giustifica la ricerca del piacere, ciò che libera i desideri (dai freni della morale) e ciò che nutre una grandiosa libertà. – Come già diceva il paragone di Voltaire con Aristippo (vv. 945-946), Parini depreca del pensiero illuminista proprio quelle punte di edonismo che invece trovano accoglienza nel costume nobiliare. La magnanima libertà deve infatti essere intesa come «sfrenata licenza» caratteristica della nobiltà, a cui tipicamente l’aggettivo «magnanimo» è riferito (cfr. MT i 2 e 460 e MZ 626).
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Mss.
giuseppe parini Reca solo a la mensa: e sol da questo Cerca plausi ed onor. Così dell’api L’industrioso popolo ronzando, Gira di fiore in fior, di prato in prato; E i dissimili sughi raccogliendo, Tesoreggia nell’arnie: un giorno poi Ne van colme le pátere dorate Sopra l’ara de’ numi; e d’ogn’intorno Ribocca la fragrante alma dolcezza. Or versa pur dall’odorato grembo I tuoi doni o Pomona; e l’ampie colma Tazze che d’oro e di color diversi Fregiò il Sássone industre; il fine è giunto De la mensa divina. E tu dai greggi Rustica Pale coronata vieni
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1013-1017 Così dell’api […] arnie: allo stesso modo le api operose volano ronzando da un fiore all’altro e da un prato all’altro e, raccogliendo il nettare dei diversi fiori, lo accumulano poi nei loro alveari. – La similitudine con le api, a rappresentare la scelta tra fonti diverse e la successiva composizione, è di ascendenza classica, come nota Tizi citando Seneca, Ad Lucilium 84, 3: «Apes, ut aiunt, debemus imitari, quae vagantur et flores ad mel faciendum idoneos carpunt, deinde quidquid attulere disponunt ac per favos digerunt et, ut Vergilius noster ait, ‘liquentia mella / stipant et dulci distendunt nectare cellas’». – industrioso: l’attribuzione dell’aggettivo al giovin signore, tramite il termine di paragone delle api, è naturalmente ironica. 1017-1020 un giorno […] dolcezza: e poi un giorno ne vengono riempite le tazze (pátere) dorate che stanno sopra gli altari degli dei e ovunque se ne diffonde il dolce e fresco aroma. – pátere: basse scodelle prive di orlo che i Romani usavano nei sacrifici e nelle libagioni sacre. – Sopra […] numi: agli altari delle divinità romane sono ironicamente paragonate le tavole imbandite della nobiltà. 1022 Pomona: dea della frutta, che Parini così descrive nei Soggetti: «Bella Giovane robusta con panneggiamento corto e picciola falce in mano, in atto di prendere delle frutte, che le sono presentate da un fanciullo in una corba, che tiene sopra il capo. Coronata di erbe e di frutti vari» (p. 552). 1022-1024 e l’ampie […] industre: e ne riempie le grandi fruttiere che gli industriosi ceramisti della Sassonia decorarono d’oro e di colori diversi. – l’ampie […] Tazze: la spezzatura accentua l’iperbato. – Sássone: la Sassonia produceva ceramiche pregiate. – industre: qualifica sovente la dovuta operosità di chi serve la nobiltà; cfr. MT i 466, 511 e 819 e MZ 636. 1024-1025 il fine […] divina: al v. 821 già «volgeva al suo fine il pranzo illustre», ma gli inappetenti convitati sembrano attendere sempre nuove portate. 1026 Pale: cfr. MT i 41 e nota e MZ 674.
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Mss.
il mezzogiorno Di Melissa olezzante e di ginebro; E co’ lavori tuoi di presso latte Vergognando t’accosta a chi ti chiede, Ma deporli non osa. In su la mensa Potrien deposti le celesti nari Commover troppo, e con volgare olezzo Gli stomachi agitar. Torreggin solo Su’ ripiegati lini in varie forme I latti tuoi cui di serbato verno Rassodarono i sali, e reser atti A dilettar con subito rigore Di convitato cavalier le labbra. Tu, Signor, che farai poichè fie posto Fine a la mensa, e che lieve puntando, La tua Dama gentil fatto avrà cenno, Che di sorger è tempo? In piè d’un salto Balza prima di tutti; a lei t’accosta, La seggiola rimovi, la man porgi; 1031 Potrien ] Porien d
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1028-1030 E co’ lavori […] non osa: e con le tue forme di cacio (presso latte) avvicinati timidamente a chi te ne chiede, ma senza spingerti ad appoggiarle sulla tavola. – presso latte: Albini e Tizi ricordano Buc. i 81: «castaneae molles et pressi copia lactis»; e Sannazaro, Arcadia iv 28: «due grandi fiscelle di premuto latte». – Vergognando: evoca per Pale una timidezza come di pastorella. 1030-1033 In su la mensa […] agitar: appoggiati sulla tavola, potrebbero stimolare eccessivamente i nasi dei divini convitati e nausearli con il loro spiacevole odore. – Gli stomachi agitar: cfr. MT i 293-294: «E lo stomaco move ai dilicati / Del vostr’Orbe leggiadro abitatori». Il fastidio, che qui assume sensisticamente i tratti di una fisiologica nausea, assilla senza posa l’insofferente nobiltà. 1033-1038 Torreggin […] labbra: si innalzino solo nelle loro varie fogge, su tovaglioli di lino, i gelati alla crema, che i sali e il ghiaccio conservato dall’inverno (la cosiddetta «miscela frigorifera») hanno mantenuto solidi e freddi, così che possano deliziare con il loro gelo improvviso la bocca di un nobile convitato. – I latti […] i sali: per analoga perifrasi, cfr. Roberti, Le fragole ii 21, 4: «del fisso latte la rappresa brina»; e 70, 3-4: «succo, che non riman liquido e raro, / fatto dal ghiaccio ancor tenace e spesso». – A dilettar […] rigore: la piacevolezza di una sensazione, secondo l’estetica sensista di Parini, può essere accresciuta dalla sua improvvisa insorgenza (cfr. Lezioni di Belle Lettere, c. 81r, p. 138). 1039-1042 poichè fie posto […] tempo?: quando il pranzo sarà terminato e la tua dama gentile, puntando leggermente le mani e i piedi (come per alzarsi), avrà dato il segnale che è giunto il momento di levarsi da tavola? 1042-1045 In piè […] stanza: ai vv. 231-235 (e cfr. nota), le stesse istruzioni erano impartite al giovin signore perché conducesse a tavola la dama.
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Mss.
giuseppe parini Guidala in altra stanza, e più non soffri, Che lo stagnante de le dapi odore Il célabro le offenda. Ivi con gli altri Gratissimo vapor t’invita, ond’empie L’aria il caffè che preparato fuma In tavola minor cui vela ed orna Indica tela. Ridolente gomma Quinci arde intanto; e va lustrando e purga L’aere profano, e fuor caccia del cibo Le volanti reliquie. Egri mortali Cui la miseria e la fidanza un giorno Sul meriggio guidáro a queste porte; Tumultuosa, ignuda, atroce, folla
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1045-1047 e più non soffri […] offenda: e non sopportare ulteriormente che l’odore stagnante dei cibi le causi il mal di capo. – stagnante […] odore: l’iperbato e il latinismo di dapi sollevano il dettato in accordo con la rappresentazione eroicomica del giovin signore proteso a difendere la dama dalle offese degli odori. – célabro: forma alternativa a cerèbro (usata in MT i 229). 1047-1051 Ivi […] tela: qui ti invita, con gli altri commensali, l’odore graditissimo di cui riempie l’aria il caffè, già pronto e fumante su un tavolino che una tovaglia orientale ricopre e abbellisce. – il caffè: cfr. MT i 140-143 e nota. – Indica: cfr. MT i 129 e nota. 1051 Ridolente gomma: resina profumata. 1052-1054 e va lustrando […] reliquie: e pulisce e purifica l’aria profana, disperdendo i residui odori di cibo. – e va lustrando e purga: dittologia sinonimica. – l’aere profano: perché i cibi, necessari ai mortali ma ai quali i nobili si sono pure piegati, vi hanno lasciato il proprio odore. La purificazione degli odori sembra quindi un momento ulteriore di quel processo di rimozione della propria corporeità per cui cfr. MT i 847-848 e 967-968 e MZ 456-460 e note. 1054 Egri mortali: sono i mendicanti alle porte dei palazzi nobiliari, come si comprende dai versi successivi. L’espressione risale almeno a Petrarca, Tr. Etern. 5254: «O veramente sordi, ignudi e frali / poveri d’argomenti e di consiglio, / egri del tutto e miseri mortali!» (Bonora). Nel passo pariniano, tuttavia, essa non allude a una condizione di fragilità e debolezza intrinsecamente umana, ma alla miseria in cui, diversamente dai divini aristocratici, versano molti uomini del popolo. La miseria è cioè rappresentata come fatto sociale che nasce dalla disuguaglianza e non come condizione dell’uomo in quanto tale. 1055 la miseria e la fidanza: la miseria e la fiducia (di ricevere l’elemosina dei nobili). 1057 Tumultuosa […] folla: il climax dei tre aggettivi in asindeto sale fino all’ambivalente atroce, che allude da una parte al disgusto dei nobili per la miseria alle proprie porte, ma anche, dall’altra, all’indignazione dell’autore per la tragedia di quello stesso spettacolo. – Tumultuosa: deve essere letto come pentasillabo, a rilevarne fonosimbolicamente il significato.
il mezzogiorno Di tronche membra, e di squallide facce, E di bare e di grucce, ora da lungi Vi confortate; e per le aperte nari Del divin pranzo il néttare beete Che favorevol aura a voi conduce: Ma non osate i limitari illustri Assediar, fastidioso offrendo Spettacolo di mali a chi ci regna. Or la piccola tazza a te conviene Apprestare, o Signor, che i lenti sorsi Ministri poi de la tua Dama ai labbri: Or memore avvertir s’ella più goda, O sobria o liberal, temprar col dolce La bollente bevanda; o se più forse L’ami così, come sorbir la suole Barbara sposa, allor che, molle assisa Su’ broccati di Persia, al suo signore Con le dita pieghevoli ’l selvoso
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1058-1059 Di tronche membra […] di grucce: i miserabili sulla strada sono rappresentati, con una sineddoche protratta che rileva la disumanità del loro stato, tramite i loro arti mutilati, i loro volti emaciati, i carretti (bare) sui quali si trascinano e le stampelle a cui si appoggiano. 1059-1062 ora da lungi […] confortate: ora consolatevi da lontano; e tramite le narici ben aperte bevete gli effluvi squisiti del pranzo degli dei, che un vento favorevole porta fino a voi. – da lungi: e quindi, implicitamente, «senza avvicinarvi». – divin pranzo: cfr. la mensa divina del v. 1025. 1063 i limitari illustri: le soglie dei palazzi nobiliari. – Cfr., nella stessa sede metrica, i desinari illustri del v. 1. 1064 Assediar […] offrendo: le due dieresi di Assedïar e fastidïoso, che ostacolano il flusso allitterante di fricative e dentali, conferiscono al passo un ritmo più drammatico. 1065 Spettacol di mali: cfr. lo Spettacol miserabile di MT i 1083. – a chi ci regna: il pronome ci, che unisce l’autore, che qui parla attraverso il suo cantore, alla folla dei miserabili, proietta all’indietro una sfumatura interrogativa («quale genere di uomini?») sull’indefinito chi. 1069-1071 memore […] bevanda: notare, ricordando i suoi gusti, se ella preferisca correggere l’amarezza della bevanda bollente con il dolce dello zucchero, con moderazione (sobria) o con maggiore larghezza (liberal). – liberal: cfr. MT i 392, 625 e 648. 1071-1073 o se più […] sposa: o se invece la preferisca come sogliono prenderla le spose orientali. – Riprende la similitudine dei vv. 77-89. 1075 selvoso: barbuto. – Cfr. L’educazione 73-75: «Scorrea con giovanile / Man pel selvoso mento / Del precettor gentile».
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Mss.
giuseppe parini Mento vezzeggia, e la svelata fronte Alzando, il guarda; e quelli sguardi han possa Di far che a poco a poco di man cada Al suo signore la fumante canna. Mentre il labbro, e la man v’occupa, e scalda 1080 L’odorosa bevanda, altere cose Macchinerà tua infaticabil mente. Qual coppia di destrieri oggi de’ il carro Guidar de la tua Dama; o l’alte moli Che su le fredde piagge educa il Cimbro; 1085 O quei che abbeverò la Drava, o quelli Che a le vigili guardie un dì fuggíro Da la stirpe Campana. Oggi qual meglio Si convenga ornamento ai dorsi alteri: Se semplici e negletti; o se pomposi 1090 Di ricche nappe e variate stringhe 1088 Da ] De d
1076 la svelata fronte: la fronte liberata dal velo (che in pubblico la nasconde). 1079 la fumante canna: la pipa, o forse il bocchino del narghilè. 1081 altere cose: cose degne delle altere menti di MT i 711 e dell’altero sangue di MT i 971. 1083-1084 de’ il carro / Guidar: debba trainare il cocchio. 1084-1085 o l’alte moli […] cimbro: o i grandi cavalli che i Cimbri allevano sulle loro fredde spiagge. – Parini si riferisce a un’antica razza di cavalli della regione tedesca dell’Holstein, situata nella parte meridionale della penisola dello Jütland, dove abitava l’antico popolo germanico dei Cimbri, e affacciata sulle fredde acque del Mar Baltico. 1086 O quei […] Drava: o i cavalli ungheresi, che si abbeverarono alle acque della Drava. – Drava: affluente di destra del Danubio, che nasce sulle Dolomiti e attraversa territori austriaci e ungheresi. 1086-1088 O quelli […] Campana: probabilmente Parini si riferisce a una razza di cavalli che nel Regno di Napoli erano allevati solo per la corte e per l’esercito e che quindi potevano essere acquistati solo clandestinamente, ingannando o corrompendo le vigili (ironico) guardie. 1088-1089 qual […] alteri: quale ornamento sia più opportuno per quelle nobili groppe. – qual meglio / Si convenga: formula didascalica, per cui cfr. MT i 127-128 e nota. – dorsi alteri: altere erano al v. 1081 le cose macchinate dalla mente del giovin signore, con corrispondenza significativa. 1090 negletti: così cadeva sulle spalle la chioma del giovin signore, falsamente trascurata secondo lo stesso criterio estetico, in MT i 1010. 1091 ricche […] stringhe: di grandi fiocchi e di finimenti di vario colore. – nappe: per decreto dell’imperatrice Maria Teresa, solo i gentiluomini, le gentildonne e i magistrati con titolo di eccellenza potevano ornare di nappe cavalli e carrozze.
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Mss.
il mezzogiorno Andran su l’alto collo i crin volando; E sotto a cuoi vermigli e ad auree fibbie Ondeggeranno li ritondi fianchi. Quale oggi cocchio trionfanti al corso Vi porterà: se quel cui l’oro copre; O quel su le cui tavole pesanti Saggio pennello i dilicati finse Studj dell’ago, onde si fregia il capo E il bel sen la tua Dama; e pieni vetri Di freschissima linfa e di fior varj Gli diede a trascinar. Cotanta mole Di cose a un tempo sol nell’alta mente Rivolgerai: poi col supremo auriga Arduo consiglio ne terrai, non senza Qualche lieve garrir con la tua Dama. Servi le leggi tue l’auriga: e intanto Altre v’occupin cure. Il gioco puote
1102 Gli diede a trascinar ] A trascinar gli diè c d nuovo capoverso c
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1095-1096 Quale […] Vi porterà: continua la serie delle altere cose su cui si esercita la mente del giovin signore (vv. 1081-1082). – se […] copre: se quello dorato. 1097-1102 O quel […] trascinar: o quello sulle cui portiere un abile pittore ha dipinto immagini simili ai ricami leggiadri di cui la tua dama orna i copricapi e gli abiti; e vasi di vetro colmi di acqua purissima e di fiori diversi. – Saggio pennello: denota il pittore, per metonimia, attraverso il suo strumento. Cfr. MT i 467 e nota. – pieni […] linfa: la capacità di rendere la trasparenza del vetro e dell’acqua testimonia l’eccellenza del pittore. 1102-1104 Cotanta mole […] rivolgerai: rilievo eroicomico, per cui cfr. Aeneis i 33: «tantae molis erat Romanam condere gentem» (Bonora); Caro, Eneide v 994-995: «Di sì fero accidente Enea turbato, / Molti e gravi pensier tra sé volgendo»; e Ger. Lib. viii 57, 6: «volgi gran cose e pensi»; nonché NT 552-553: «Nel suo pensier volge di cose / L’alta madre di eroi mole più grande». 1104 supremo auriga: l’aggettivo si riferisce alla posizione sopraelevata, a cassetta, del cocchiere, ma anche al suo rango nella servitù e alla sua eccellenza in quanto cocchiere del giovin signore e della dama. Per questo e per l’allusione alla figura omerica dell’auriga, l’espressione ha carattere eroicomico, come già l’ardito auriga di MT i 933. 1105-1106 non senza […] garrir: non senza qualche battibecco. – non senza: cfr. MT i 522 e 595. – garrir: cfr. vv. 35 e 955. 1107 servi […] l’auriga: il cocchiere rispetti i tuoi ordini.
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giuseppe parini Ora il tempo ingannare: ed altri ancora Forse ingannar potrà. Tu il gioco eleggi Che due soltanto a un tavoliere ammetta; Tale Amor ti consiglia. Occulto ardea Già di ninfa gentil misero amante Cui null’altra eloquenza usar con lei, Fuor che quella degli occhi era concesso; Poichè il rozzo marito ad Argo eguale Vigilava mai sempre; e quasi biscia Ora piegando, or allungando il collo, Ad ogni verbo con gli orecchi acuti Era presente. Oimè, come con cenni, O con notata tavola giammai O con servi sedotti a la sua ninfa Chieder pace ed aíta? Ogni d’Amore
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1109 il tempo ingannare: cfr. MT i 8-9: «Come ingannar questi nojosi e lenti / Giorni di vita». Funzione del gioco, per i nobili, è contrastare la noia che li assedia. 1109-1110 ed altri […] potrà: allude al marito, poiché il gioco del tric-trac che il giovin signore e la dama si accingono a giocare, come racconta la favola successiva (vv. 1112-1194) sarebbe nato proprio dall’esigenza di ingannare un marito geloso. 1110-1112 Tu il gioco […] consiglia: tu scegli quel gioco per il quale due soli giocatori possono sedersi al tavolo. Così ti suggerisce Amore. 1112-1115 Occulto […] concesso: un tempo uno sfortunato amante ardeva di segreto amore per una dama gentile e non gli era permesso comunicare con lei altrimenti che con gli sguardi. – di ninfa […] amante: con la prolessi del complemento e con il chiasmo, la favola attacca su un grado stilistico adeguato alla tragicità del caso narrato. 1116 il rozzo marito: la rozzezza del marito, come al v. 1125 la sua rusticità, si deve alla sua sconveniente gelosia. – Argo: mostro dai cento occhi (ma la sua figura varia da una fonte all’altra) posto da Giunone a guardia di Io, la fanciulla amata da Giove che la dea aveva prima trasformato in giovenca. Mercurio gliela sottrasse dopo averlo addormentato e ucciso (come si ricorda ai vv. 1132-1134). Cfr. Ovidio, Metamorfosi i 568-747. 1117 quasi biscia: il paragone è volutamente denigratorio, ma non è senza ironia che al serpente, animale infido per antonomasia, sia assimilato il marito che cerca di impedire il tradimento. 1119 Ad ogni verbo: a ogni parola del cavaliere e della dama. – acuti: sensibili e attenti. 1121 notata tavola: biglietto. – Cfr. le «notate / Eburnee Tavolette» di MT i 898-899. – giammai: talvolta (letterario). 1122 con servi sedotti: corrompendo qualche servitore. 1123 Chieder […] aita: chiedere sollievo e soccorso. – Cfr. RVF cxxxiv 10: «et bramo di perir, et cheggio aita» (Tizi). 1123-1125 Ogni d’Amore […] marito: la sintassi del periodo sembra raffigurare la frustrazione finale di tutti i più astuti tentativi d’amore, da parte del rozzo ma incrol-
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il mezzogiorno Stratagemma finissimo vinceva La gelosía del rustico marito. Che più lice sperare? Al tempio ei corre Del nume accorto che le serpi intreccia All’aurea verga, e il capo e le calcagna D’ali fornisce. A lui si prostra umíle; E in questa guisa, lagrimando, il prega. ” O propizio agli amanti, o buon figliuolo ” De la candida Maja, o tu che d’Argo ” Deludesti i cent’occhi, e a lui rapisti ” La guardata giovenca, i preghi accetta ” D’un amante infelice; e a me concedi ” Se non gli occhi ingannar, gli orecchi almeno ” D’un marito importuno. Ecco si scote Il divin simulacro, a lui si china, Con la verga pacifica la fronte Gli percote tre volte: e il lieto amante Sente dettarsi ne la mente un gioco Che i mariti assordisce. A lui diresti,
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labile marito, concludendo e quasi soffocando la movenza aperta con l’inversione e la spezzatura di «Ogni d’Amore / stratagemma finissimo» nella linearità perentoria di «La gelosia del rustico marito». 1126 Che più […] sperare?: che cosa si può sperare ormai? – Cfr. MT i 395 (dove si auspica che Amore usurpi altre province a Imene): «Così giova sperar». 1127-1129 Del nume […] fornisce: del dio sagace che porta la verga dorata con i due serpenti intrecciati (il caduceo) e copricapo (il petaso) e calzari dotati di ali. – La perifrasi per Mercurio segue l’iconografia tradizionale del dio. 1132 la candida Maja: la maggiore e la più bella delle Pleiadi, figlie di Atlante e di Pleione, splendente di luce e dunque candida, concepì Ermete (Mercurio) da Zeus in una grotta del monte Cillene. – Cfr. NT 394: «figliuol di Maia»; e Aeneis i 297: «Haec ait et Maia genitum demittit ab alto»; e viii 138-139: «vobis Mercurius pater est, quem candida Maia / Cyllenae gelido conceptum vertice fudit». 1133 Deludesti: eludesti. 1135-1137 E a me […] importuno: e concedimi di ingannare almeno gli orecchi, se non gli occhi, di un marito importuno. – Cfr. MT i 446, dove già i mariti erano importuni in quanto rivendicavano il godimento dei propri diritti coniugali. 1138 il divin simulacro: la statua del dio. 1139 la verga pacifica: il caduceo, capace di placare gli animi e simbolo di pace. – Caduceator, presso i Romani, era chiamato il messaggero di pace. 1140 Gli percote tre volte: gesto rituale. – il lieto amante: misero al v. 1113, infelice al v. 1135, l’amante è ora fatto lieto dalla risposta del dio. 1142-1145 A lui diresti […] donna: diresti quasi che il dio, pregato, gli abbia concesso le ali dei suoi calzari, tanto velocemente egli si precipita dalla sua donna.
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Altre edd.
giuseppe parini Che l’ali del suo piè concesse ancora Il supplicato Dio; cotanto ei vola Velocissimamente a la sua donna. Là bipartita tavola prepara Ov’ebano, ed avorio intarsiati Regnan sul piano; e partono alternando In dodici magioni ambe le sponde. Quindici nere d’ebano girelle E d’avorio bianchissimo altrettante Stan divise in due parti; e moto e norma Da due dadi gittati attendon, pronte Ad occupar le case, e quinci e quindi Pugnar contrarie. Oh cara a la Fortuna Quella che corre innanzi all’altre, e seco Ha la compagna, onde il nemico assalto Forte sostenga! Oh giocator felice Chi pria l’estrema casa occupa; e l’altro 1146 Là ] La G2 G3
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1157 compagna ] campagna G2 G3
1146-1149 bipartita […] sponde: prepara un tavoliere composto di due parti, la cui superficie è occupata da intarsi di ebano e d’avorio i quali, alternandosi, ne dividono i due lati opposti in dodici case ciascuno. – Così Parini descrive il tavoliere del trictrac, gioco simile alla dama e al backgammon che fu molto diffuso nei secoli xvii e xviii. 1150-1152 Quindici […] parti: quindici pedine nere rotonde, di ebano, e altrettante bianchissime, d’avorio, si fronteggiano sulle due sponde. – bianchissime: la notazione impreziosisce la descrizione del gioco. 1152-1155 e moto […] contrarie: e ricevono dal lancio di due dadi la misura del proprio movimento, pronte a occupare le case e a scontrarsi dalle due parti. – Pugnar contrarie: «tradizionali le reiterate metafore belliche, già alla base delle descrizioni ludiche del Vida, del Marino e del Pope» (Tizi) e funzionali alla consueta intonazione eroicomica. 1155-1158 Oh cara […] sostenga: oh fortunata la pedina che sopravanza le altre (per l’esito di un lancio dei dadi) e ha vicino a sé una compagna che le consenta di resistere validamente all’assalto del nemico. – Secondo le regole del gioco, le vittorie nelle battaglie, che determinano il punteggio, sono assegnate in relazione al numero di pedine portate da ciascun giocatore nelle diverse posizioni del tavoliere. 1158-1163 Oh giocator […] ostili: oh fortunato il giocatore che raggiunge per primo la casella più lontana e occupa con una coppia di pedine ciascuno degli spazi dell’altro settore della propria parte; e poi da qui, saldissimo nello schieramento raggiunto (la falange), dà battaglia al nemico e rivolge i suoi colpi a proprio favore. – Oh giocator felice: raddoppia anaforicamente la precedente esclamazione dei vv.
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Altre edd. Mss.
il mezzogiorno De le proprie magioni ordin riempie Con doppio segno, e quindi poi, securo Da la falange il suo rival combatte; E in proprio ben rivolge i colpi ostili. Al tavolier s’assidono ambidue, L’amante cupidissimo, e la ninfa: Quella occupa una sponda, e questi l’altra. Il marito col gomito s’appoggia All’un de’ lati: ambi gli orecchi tende; E sotto al tavolier di quando in quando Guata con gli occhi. Or l’agitar dei dadi Entro ai sonanti bossoli comincia; Ora il picchiar de’ bossoli sul piano; Ora il vibrar, lo sparpagliar, l’urtare Il cozzar de’ due dadi; or de le mosse Pedine il martellar. Torcesi e freme Sbalordito il geloso: a fuggir pensa, Ma rattienlo il sospetto. Il romor cresce Il rombazzo, il frastono, il rovinío. Ei più regger non puote; in piedi balza,
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1168 orecchi ] orrecchi G2 1175 Crocetta accanto al verso in c d
1155-1156 (cfr. vv. 456-458 e nota). – occupa: con diastole (occùpa). – in proprio […] ostili: il giocatore che dalle posizioni raggiunte resiste agli attacchi dell’avversario segna punti a proprio favore. 1165 L’amante […] ninfa: sia per il superlativo così ingombrante o per l’attrazione semantica esercitata dalla parola ninfa, questo amante cupidissimo sembra tradire una lascivia satiresca. 1166 Quella […] l’altra: il cavaliere e la dama si fronteggiano come rivali nel gioco, ma saranno di fatto alleati contro il marito spettatore. Ancora una volta il costume nobiliare si svela come finzione. 1169-1170 E sotto […] gli occhi: occhiuto come Argo (cfr. vv. 1116-1117), il marito controlla che i piedi degli amanti non si tocchino sotto il tavolo. 1170-1175 Or l’agitar […] martellar: l’anafora di Or … Ora … Ora … or, la serie degli infiniti verbali e l’allitterazione delle occlusive e delle dentali rendono l’azione rumorosa e concitata dei giocatori, che scuotono i dadi nei bossoli, li lanciano sbattendo i bossoli contro il piano di gioco e spostano le pedine con voluto martellar. 1175-1177 Torcesi […] sospetto: l’energia del gioco, quasi meccanicamente, si propaga al marito tormentosamente geloso. – freme […] sospetto: cfr. MT i 169-170, dove si dice che la gelosia «tutto empiea / Di sospetto e di fremito». – rattienlo: lo trattiene. 1177-1178 Il romor […] rovinío: nuova serie allitterante di [r] e di [o], svolta attraverso un accumulo nominale asindetico che raggiunge il suo climax nel crollo del marito al verso successivo.
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giuseppe parini E con ambe le man tura gli orecchi. Tu vincesti o Mercurio: il cauto amante Poco disse, e la bella intese assai. Tal ne la ferrea età quando gli sposi Folle superstizion chiamava all’armi Giocato fu. Ma poi che l’aureo fulse Secol di novo, e che del prisco errore Si spogliáro i mariti, al sol diletto La Dama, e il Cavalier volsero il gioco Che la necessità scoperto avea. Fu superfluo il romor: di molle panno La tavola vestissi, e de’ patenti Bossoli ’l sen: lo schiamazzío molesto Tal rintuzzossi; e durò al gioco il nome (1) Che ancor l’antico strepito dinóta.
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(1) Trictrac. Altre edd. Mss.
1182 disse, ] disse; G3 1194 dinóta ] dinota G2 G3 1183 Soppresso capoverso in c 1193 Accanto al verso, c d registano la postilla: «1150».
1181-1182 Il cauto […] assai: il parallelismo della sequenza di soggetto e verbo, nelle due proposizioni, è variato dal chiasmo di Poco disse … intese assai, dove l’avverbio conclude il racconto lasciando intuire il seguito della vicenda. 1183-1185 Tal […] giocato fu: così si giocò nell’età del ferro, quando la folle superstizione della gelosia spingeva i coniugi al delitto. – la ferrea età: indica l’età del ferro in contrapposizione all’età dell’oro che la contemporaneità rappresenterebbe, ma anche a un’età di ferro, portata cioè, come si chiarisce nel seguito, alle armi e al delitto. – Folle superstizion: cfr. MT i 449-450, dove i mariti «aman d’Imene con superstizion serbare i dritti», e nota. – all’armi: cfr. vv. 164-182 e nota. 1185-1189 Ma poi che l’aureo […] scoperto avea: quando però l’età dell’oro tornò a risplendere, e quando i mariti si furono liberati dall’antico errore della gelosia, le dame e i cavalieri continuarono a giocare solo per piacere quel gioco che per necessità avevano escogitato. – poi che […] di novo: cfr. Il piacere e la virtù 2 e 46: «Ecco riede il secol d’oro»; e Aeneis vi 792-794: «Augustus Caesar, Divi genus, aurea condet / saecula qui rursus Latio regnata per arva / Saturno quondam» (ma il topos dell’età dell’oro appartiene alla tradizione greco-latina in generale). – al sol diletto […] scoperto avea: torna il tema del tralignamento dalle ragioni della necessità ai capricci del piacere, per cui cfr. MT i 661-670 e la favola del Piacere (MZ 250-338, in particolare 307-309), ma con duplice ironia per la qualifica di necessità attribuita all’adulterio. 1191-1192 e de’ patenti […] sen: e l’incavo dei larghi bussolotti. – patenti: dal latino patere, «essere aperto». 1192-1194 lo schiamazzío […] dinòta: così si attutirono i fastidiosi schiamazzi, ma rimase al gioco il nome di tric-trac (come nota Parini), che ancora si riferisce al rumore originario.
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Mss.
il mezzogiorno Già de le fere, e degli augelli il giorno, E de’ pesci notanti, e de’ fior varj, Degli alberi, e del vulgo al suo fin corre. Di sotto al guardo dell’immenso Febo Sfugge l’un Mondo; e a berne i vivi raggi Cuba s’affretta, e il Messico, e l’altrice Di molte perle California estrema. Già da’ maggiori colli, e da l’eccelse Torri il Sol manda gli ultimi saluti All’Italia, fuggente; e par, che brami Rivederti, o Signore, anzi che l’Alpe, O l’Appennino, o il mar curvo ti celi Agli occhi suoi. Altro finor non vide, Che di falcato mietitore i fianchi Su le campagne tue piegati e lassi,
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1195 Già ] Ma c d
1195-1197 Già de le fere […] corre: volge ormai al termine il giorno degli animali e degli uccelli e dei pesci che nuotano e dei diversi fiori, degli alberi e del popolo. – de le fere […] vulgo: l’enumerazione polisindetica unisce il popolo, le piante e gli animali nell’ordine della natura, isolando in negativo la nobiltà nella sua innaturale condizione. Lo stesso contrasto emergeva dalla descrizione dei diversi mattini e delle notti precedenti del contadino e del nobil signore in MT i 33-89. Per il motivo della notte e del sonno che portano la pace a uomini e animali, cfr. Aeneis iv 522525: «Nox erat et placidum carpebant fessa soporem / corpora per terras […] cum tacet omnis ager, pecudes pictaeque volucres»; e RVF clxiv 1-2: «Or che ’l ciel et la terra e ’l vento tace / et le fere e gli augelli il sonno affrena». 1198-1199 Di sotto […] Mondo: il nostro continente si sottrae ai raggi del sole immenso. 1199-1201 e a berne […] estrema: e corrono a riceverne la luce vivificante Cuba, il Messico e la lontana California, che produce perle in abbondanza (altrice, dal latino alere: «nutrire»). 1201-1204 Già da maggiori […] fuggente: ormai il sole comincia a scomparire dietro ai colli più alti e alle altissime torri e si congeda dall’Italia che si allontana. – Italia, fuggente: come nota Bonora, rimanda, al di là della diversità dei contesti, a Aeneis v 629: «Italiam sequimur fugientem»; e vi 61: «iam tandem Italiae fugientis prendimus oras». Con fuggente, inoltre, si compie la serie composta da corre (v. 1197),sfugge (v. 1199) e s’affretta (v. 1200), a rappresentare la rapida discesa della sera e la fuga del tempo. 1204-1207 e par […] occhi suoi: rovescia ironicamente il topos dell’ultima luce cercata dall’uomo prima dell’oscurità della morte, descrivendo il sole desideroso di bearsi ancora della vista del giovin signore. – mar curvo: così appare il mare all’orizzonte per effetto della curvatura terrestre. 1207-1209 Altro finor […] lassi: finora non vide altro che i fianchi del mietitore munito di falce, piegati e stanchi sulle tue terre. – fianchi: il contadino, come gli altri la-
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giuseppe parini E su le armate mura or fronti or spalle Carche di ferro, e su le aeree capre Degli edificj tuoi man scabre e arsicce, E villan polverosi innanzi ai carri Gravi del tuo ricolto, e sui canali E sui fertili laghi irsute braccia Di remigante che le alterne merci Al tuo comodo guida ed al tuo lusso, Tutt’ignobili oggetti. Or colui vegga, Che da tutti servito, a nullo serve.
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voratori che seguiranno, è denotato per sineddoche, attraverso la parte del suo corpo più provata dal lavoro. In MT i 467 e in MZ 1098 la denotazione passava invece per lo strumento caratteristico del lavoratore. 1210-1211 E su le armate […] ferro: e spalle e teste cariche di ferro sulle mura fortificate. – Dopo i contadini, vengono i soldati di guardia sulle mura cittadine. Alcuni interpreti, diversamente, ritengono che le armate mura siano «mura circondate da impalcature» e che il ferro sia quello degli attrezzi dei muratori, ai quali qui si farebbe riferimento, ma sembra difficile giustificare la menzione delle fronti se non pensando agli elmi dei soldati; i muratori, inoltre, compaiono subito dopo. 1211-1212 e su le aeree […] arsicce: e mani ruvide e secche sulle alte impalcature dei tuoi palazzi. 1214 Gravi del tuo ricolto: gravati dal peso dei raccolti dei tuoi campi. 1214-1217 e sui canali […] lusso: e sui canali e sui laghi, che rendono fertili le terre circostanti, braccia ispide di rematori che portano merci diverse per la tua comodità e per i tuoi lussi. – fertili: un’altra possibile interpretazione è «ricche di pesci», come il «ferace di mostri ondoso abisso» del v. 464. – irsute: tali erano anche le vesti che gli uomini si procuravano dagli animali (v. 264) nell’originaria condizione di uguaglianza descritta all’inizio della favola del Piacere. Anche così Parini mostra che gli uomini del popolo perdurano in uno stato che della costante necessità sconta il rigore ma insieme conserva le ragioni morali. – Al tuo […] lusso: il verso conclude con il doppio possessivo la serie delle campagne tue (v. 1209), degli edificj tuoi (v. 1212) e del tuo ricolto (v. 1214), dicendo che il possesso dei beni fondiari e immobili e lo sfruttamento del lavoro del popolo servono alla nobiltà per garantirsi i propri agi superflui. Torna così a essere denunciata l’assurdità dell’ordine politico-economico vigente, che già era stata deprecata in MT i 144-157 (e cfr. note). Per le opinioni di Parini sul lusso, inoltre, cfr. MT i 667 e nota. 1218 Tutt’ignobili oggetti: come già ai vv. 572 e 694 e come ancora al v. 1338, ignobili è connotato sociologicamente come ciò che non è della nobiltà, ma del volgo, e per questo è disprezzabile. Lo stesso sguardo sprezzante è poi ribadito da oggetti, che nega lo statuto di persona agli uomini costretti al lavoro. 1218-1219 Or colui […] serve: è evidente che la chiusa, che nelle intenzioni del cantore dovrebbe vantare la condizione di supremazia dei nobili, denuncia nella voce dell’autore la loro oziosa inutilità. Fubini (p. 258) ricorda quindi un articolo di Alessandro Verri per il «Caffè» (t. i, f. xxiii), Alcune riflessioni sulla opinione che il commercio deroghi alla nobiltà, dove si legge: «un corpo di uomini che tutto riceve dalla società ed a lei nulla restituisce non gli può essere che d’aggravio. Quindi è
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Mss.
il mezzogiorno Già di cocchi frequente il Corso splende: E di mille che là volano rote Rimbombano le vie. Fiero per nova Scoperta biga il giovine leggiadro Che cesse al carpentier gli avíti campi Là si scorge tra i primi. All’un de’ lati Sdrajasi tutto: e de le stese gambe La snellezza dispiega. A lui nel seno La conoscenza del suo merto abbonda; E con gentil sorriso arde e balena Su la vetta del labbro; o da le ciglia,
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che il costume si corrompe coll’ozio, che lo spirito di patriotismo s’annienta e che l’inquieta attività di taluni, non avendo altro impiego, si rivolge al giuoco, alla licenza ed a qualunque altro dissipamento, e quindi è che riesce il ceto de’ nobili un popolo ozioso e gallonato». 1220 Già di cocchi […] splende: ormai il corso si riempie dello splendore delle carrozze che lo affollano. – cocchi: cfr. la Descrizione delle Feste del 1771, dove Parini scrive: «Il corso delle carrozze è un oggetto massimamente considerabile nella nostra città per il sorprendente numero di quelle e per la ricchezza ed eleganza loro» (p. 419). – il Corso: «il corso di Porta Orientale o Porta Renza, oggi Porta Venezia» (Bonora). 1221-1222 E di mille […] vie: e le vie risuonano delle ruote numerosissime delle carrozze che vi corrono. – Cfr. in MT i 68-69 le calde / Precipitose rote del cocchio del giovin signore, paragonato a quello con cui Plutone fece rimbombar (MT i 74) il terreno fuggendo con Proserpina; e MT i 491: «Mille d’intorno a lui volano odori», analogo per l’iperbato e per scelta e disposizione del lessico. 1223 Scoperta biga: carrozza a due ruote e a due posti, scopribile, detta cabriolet. 1224 Che cesse […] campi: che cedette (in pagamento) al fabbricante (di carrozze) i campi ereditati dagli avi. – Cfr. la seconda stesura del Dialogo sopra la Nobiltà: «Di ciò [ricchezze. N.d.R.] io ben ne aveva: ma io ne ho giocato e mangiato una gran parte, e il resto me lo sono speso in abiti, in cocchi, in villeggiature, in servi e in mille altre cose finalmente che sono necessarie a’ pari miei» (Dialogo sopra la Nobiltà ii , p. 211). 1225-1227 All’un de’ lati […] dispiega: sta completamente sdraiato su un sedile e distendendo le gambe ne esibisce la snellezza. – Il giovine leggiadro esibisce l’effeminatezza caratteristica dei suoi pari. Cfr. gli snelli piedi e la snella gola di MT i 876 e 1005, ma anche MT i 181 e 958-962 e note. 1227-1228 A lui […] abbonda: gli riempie il petto la consapevolezza del suo valore e dei suoi meriti. – abbonda: si intende, naturalmente, che l’idea che il giovane aristocratico ha del proprio valore eccede il vero. 1229-1230 arde […] labbro: il soggetto è ancora la conoscenza. – Cfr. Per l’inclita Nice 61-62: «I labbri, onde il sorridere / Gratissimo balena»; e Ger. Lib. xix 70, 4: «un soave sorriso apre e balena». 1230-1232 o da le ciglia […] inferior: o domina con lo sguardo, esprimendo il suo disprezzo, la folla disordinata delle carrozze meno eleganti. – Cfr. MT i 572-573, dove
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giuseppe parini Disdegnando, de’ cocchi signoreggia La turba inferior: soave intanto Egli alza il mento, e il gomito protende; E mollemente la man ripiegando, I merletti finissimi su l’alto Petto si ricompon con le due dita. Quinci vien l’altro che pur oggi al cocchio Dai casali pervenne, e già s’ascrive Al concilio de’ numi. Egli oggi impara A conoscere il vulgo, e già da quello Mille miglia lontan sente rapirsi Per lo spazio de’ cieli. A lui davanti Ossequiosi cadono i cristalli De’ generosi cocchi oltrepassando; E il lusingano ancor perchè sostegno Sia de la pompa loro. Altri ne viene Che di compro pur or titol si vanta;
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1232 Crocetta accanto al verso in c d
le matrone «da’ sublimi cocchi alto disdegnano / Volgere il guardo a la pedestre turba»; lo Sdegnar la turba dell’astuccio in MT i 844; e MZ 692-693, dove Sibari «i lumi / Disdegnando volgea dai campi aviti». 1233-1234 e il gomito […] ripiegando: cfr. (anche per i versi precedenti) VP 66-69: «I bei membri ondeggiando alquanto libra / Su le gracili gambe; e con la destra / Molle verso il tuo sen piegata e mossa / Scopri la gemma»; e NT 217-218: «Snello adunque e vivace offri a la bella / Mollemente piegato il destro braccio». 1237-1239 Quinci vien l’altro […] numi: da questa parte arriva quell’altro arricchito che ha appena lasciato i lavori delle campagne per il lusso delle carrozze e già si sente accolto nel consiglio degli dei. – concilio de’ numi: è la consueta perifrasi, mitologica e antifrastica, per l’angusto mondo nobiliare, per cui cfr. MT i 61-62 e 956. 1239-1242 Egli oggi […] cieli: oggi impara a conoscere il popolo vile e già se ne sente trasportato a infinita distanza, nell’alto dei cieli. – Egli […] vulgo: nota psicologica sottile, perché l’uomo che fino a ieri seguiva i lavori agricoli non può non conoscere già il popolo per assidua frequentazione; ciò che quindi egli acquisisce è la visione che del popolo ha la nobiltà, ovvero il suo disprezzo. 1242-1246 A lui davanti […] pompa loro: i nobili di antico lignaggio, ormai rovinatisi, omaggiano l’arricchito nella speranza di ricevere da lui prestiti che consentano loro di perpetuare il proprio stile di vita. – generosi: cfr. vv. 59 e 999 e note. Qui la generosità non è tale anche perché l’ossequio è interessato. 1246-1247 Altri ne viene […] si vanta: e un altro ne arriva che si vanta di un titolo nobiliare appena comprato. – Cfr. MT i 3-5 e nota.
il mezzogiorno E pur s’affaccia, e pur gli orecchi porge, E pur sembragli udir da tutti i labbri Sonar le glorie sue: mal abbia il lungo De le rote stridore, e il calpestío De’ ferrati cavalli, e l’aura, e il vento Che il bel tenor de le bramate voci Scender non lascia a dilettargli ’l core. Di momento in momento il fragor cresce, E la folla con esso. Ecco le vaghe A cui gli amanti per lo dì solenne Mendicarono i cocchi. Ecco le gravi Matrone che gran tempo arser di zelo Contro al bel Mondo, e dell’ignoto Corso La scelerata polvere dannáro; Ma poi che la vivace amabil prole Crebbe, e invitar sembrò con gli occhi Imene, G1 Altre edd.
281
1250
1255
1260
1250 Mal (+ G2 G3) 1261 scelerata ] scellerata G2 G3
1248-1250 E pur […] le glorie sue: e di continuo si affaccia (al finestrino della carrozza), tende gli orecchi (in ascolto) e gli sembra che tutti esaltino i suoi meriti. – E pur […] e pur […] E pur: l’anafora raffigura il desiderio spasmodico di riconoscimento del nobile di recente acquisto. – sonar le glorie sue: cfr. v. 222: «Sonar le lodi tue». 1250-1252 Mal abbia […] il vento: siano maledetti il costante stridere delle ruote, gli urti degli zoccoli ferrati dei cavalli e l’aria e il vento. – il lungo […] calpestío: cfr. ancora MT i 68-70: «col fragor di calde / Precipitose rote, e il calpestío / Di volanti corsier». – ferrati cavalli: cfr. la «ferrata zampa / De’ superbi corsier» di MT i 930-931. 1253-1254 Che il bel tenor […] core: che non permette al piacevole suono delle agognate parole di scendere nel suo cuore a deliziarlo. – bramate: oggetto del desiderio sono le parole dei nobili nel momento narrato, ma l’ingresso nella nobiltà, più profondamente, nel tempo che lo precede. – Naturalmente, i rumori che impedirebbero alle voci dei nobili di raggiungere il personaggio sono finzioni della sua immaginazione. 1256-1258 Ecco le vaghe […] cocchi: ecco le belle per le quali gli amanti chiesero in prestito le carrozze per il giorno solenne. 1258-1261 Ecco le gravi […] dannáro: ecco le austere matrone, che a lungo riprovarono aspramente la società mondana e maledissero la polvere scellerata del corso. – bel Mondo: espressione quasi formulare, per cui cfr. MT i 287 e nota. 1262-1264 Ma poi […] alfine: ma quando le figlie vivaci e amabili furono cresciute, e sembravano chiamare con lo sguardo il matrimonio, finirono per cedere. – vivace amabil prole: il primo aggettivo insinua forse qualcosa sull’intraprendenza delle fanciulle; il secondo ne predica la bellezza e i modi conformi all’estetica nobiliare (cfr. MT i 7 e 181 e note). – invitar […] Imene: allude agli sguardi lanciati dalle fanciulle agli uomini, confermando l’insinuazione di vivace. Per Imene, cfr. MT i 314 e nota.
282
59
giuseppe parini Cessero alfine; e le tornite braccia, E del sorgente petto i rugiadosi Frutti prudentemente al guardo aprìro Dei nipoti di Giano (1). Affrettan quindi Le belle cittadine, ora è più lustri Note a la Fama, poi che ai tetti loro Dedussero gli Dei; e sepper meglio, E in più tragico stil da la toilette Ai loro amici declamar l’istoria De’ rotti amori; ed agitar repente
1265
1270
(1) Giano si vuole, che sia stato il patriarca degl’Italiani. Mss.
1271 toilette ] teletta c d
1264-1267 E le tornite braccia […] Giano: e cautamente offrirono agli sguardi dei giovani Italiani, discendenti del dio Giano, le loro braccia ben formate e il seno giovane e fresco. – prudentemente: non descrive la severità delle madri nel vigilare sui costumi delle figlie, ma la loro oculatezza nel gestirne gli affari matrimoniali, secondo ciò che si diceva ai vv. 187-191. – Dei nipoti di Giano: nota Parini: Giano era spesso chiamato «Ianus Pater», sebbene non fosse tra le più antiche divinità originariamente latine (appare nella tradizione scritta a partire dal Carmen Saliare). È probabile che Parini lo nomini qui in quanto nume delle aperture e dei passaggi, e quindi in relazione con le madri che al guardo aprìro le grazie delle figlie, ma non si può escludere un’ulteriore allusione, mediata dalla nota fisionomia bifronte di Giano, al fatto che gli sguardi dei giovani sarebbero rivolti a più di una fanciulla allo stesso tempo. 1267-1270 Affrettan quindi […] gli Dei: seguono quindi, ansiose (di raggiungere le dame della nobiltà), le belle borghesi, da molti anni note e chiacchierate per avere attirato i nobili (come amanti) nelle proprie case. – dedussero: il verbo denota la discesa dall’Olimpo dei salotti nobiliari verso il basso delle case borghesi. – A relazioni adultere tra nobili e borghesi si alludeva anche nei vv. 144-148. 1270-1273 e sepper […] amori: e furono ancora più abili (delle dame) nel raccontare in stile solenne ai loro amici, presso la toilette, la storia delle loro relazioni interrotte. – in più tragico stil: lo stile tragico, nella tradizionale tripartizione retorica dei livelli di stile, è lo stile più elevato. È detto tragico in quanto, come scrive Aristotele nella Poetica, è appropriato per la tragedia. Contemporaneamente, Parini suggerisce che la donna racconti la storia del proprio amore con accenti degni di una tragedia, come già accadeva ai vv. 806-820. – da la toilette: il pettegolezzo alla toilette era già stato rappresentato ai vv. 44-48, dove la toilette era quella della dama del giovin signore. Qui Parini suggerisce che la borghesia abbia ormai cominciato a imitare i costumi della nobiltà. 1273-1275 ed agitar […] la danza: e all’improvviso mettere in subbuglio i banchetti, i teatri e i balli con un episodio di convulsioni che sia poi chiacchieratissimo. – agitar repente: implica la consueta suscettibilità all’eccitazione a cui la noia e la vanità
il mezzogiorno Con celebrata convulsion la mensa, Il teatro, e la danza. Il lor ventaglio Irrequieto sempre or quinci or quindi Con variata eloquenza esce e saluta. Convolgonsi le belle: or su l’un fianco Or su l’altro si posano tentennano Volteggiano si rizzan, sul cuscino Ricadono pesanti, e la lor voce Acuta scorre d’uno in altro cocchio. Ma ecco alfin che le divine spose Degl’Italici eroi vengono anch’esse. Io le conosco ai messaggier volanti Che le annuncian da lungi, ed urtan fieri, E rompono la folla; io le conosco
283 1275
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espongono i nobili. Cfr. inoltre VP 191, dove l’espressione è usata proprio per il moto convulsivo che ha colto un’amica della Dama. – celebrata convulsion: la celebrazione trasforma l’episodio in un pezzo di bravura attoriale, coerentemente con la connotazione teatrale e melodrammatica del tragico stil (v. 1271) del suo racconto. – la mensa […] la danza: enumera alcuni luoghi della quotidianità dei nobili, come già in MT i 167 e in MZ 846-847. 1275-1277 Il loro ventaglio […] saluta: i loro ventagli, sempre inquieti e in movimento, escono (dal finestrino) e salutano di qua e di là con mutevole eloquenza. – Con variata eloquenza: i saluti sono commisurati al personaggio incontrato. L’espressione contribuisce inoltre alla rappresentazione ironica di una società che non coltiva l’eloquenza come arte della parola (cfr. vv. 986-987 e nota) e comunica invece tramite i gesti e gli oggetti. 1278 Convolgonsi: si rigirano su un fianco e poi sull’altro. – Ripetendo i suoni della convulsion del v. 1274, il verbo insiste sull’irrequietezza frenetica dei movimenti delle belle, ma anche, simmetricamente, sulla natura sociale e non patologica della convulsione. 1278-1281 or su l’un fianco […] pesanti: la serie verbale asindetica mima il movimento continuo delle belle. Il conclusivo pesanti suggerisce però che manchino loro la grazia e la leggerezza nobiliari. 1283-1284 le divine […] eroi: le dame dell’alta nobiltà. – eroi: cfr. MT i 157, 810 e 1025 e MZ 45, 48, 452, 491, 596, 627, 1314-1317 e 1355. 1285-1287 Io le conosco […] folla: le riconosco dai lacchè che da lontano le annunciano correndo avanti a loro e fieramente urtano e spingono via le persone. – messaggier volanti: cfr. MT i 1069-1071: «altri già pronto / Via se ne corre ad annunciare al mondo, / Che tu vieni a bearlo» (e nota); e VP 29-35. – urtan: cfr. MT i 1022-1023: «premi ed urta il volgo / Che s’oppone al tuo corso». 1287-1290 io le conosco […] braccia: le riconosco dalla folla degli staffieri, sottratti all’agricoltura perché venissero a restare in ozio sul retro della carrozza trionfale,
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60
giuseppe parini Da la turba de’ servi al vomer tolti, Perchè oziosi poi diretro pendano Al carro trionfal con alte braccia. Male a Giuno ed a Pallade-Minerva E a Cinzia e a Citerea mischiarvi osate Voi pettorute Naiadi e Napee (1) Vane di picciol fonte o d’umil selva Che agli Egipani (2) vostri in guardia diede Giove dall’alto. Vostr’incerti sguardi, Vostra frequente inane maraviglia, E l’aria alpestre ancor de’ vostri moti Vi tradiscono, ahi lasse, e rendon vana La multiplice in fronte ai palafreni Pendente nappa, ch’usurpar tentaste, E la divisa onde copriste il mozzo
(1) Ninfe silvestri. Altre edd. Mss.
1290
1295
1300
(2) Semidei silvestri.
1291 Pallade-Minerva] Pallade Minerva G2 G3 1291 Crocetta accanto al verso in c
con le braccia alzate per aggrapparsi ai sostegni. – vomer: in MT i 463, denotava per sineddoche l’aratro; qui il riferimento si estende per metonimia all’agricoltura. – oziosi: coinvolti nella vita dei nobili e così sottratti al lavoro. 1291-1293 Male […] Napee: sbagliate, o ninfe (Naiadi e Napee) pettorute, se osate mescolarvi alle dee maggiori: Giunone, Minerva, Diana e Venere. – Cinzia: Diana (Artemide), così chiamata dal nome del monte Cinto, che nell’isola di Delo era sacro al suo culto. – Citerea: Venere. Cfr. MT i 349 e nota. – pettorute: attributo che usualmente qualifica le contadine e che quindi, se anche si accorda al paragone con le ninfe silvestri, vale tuttavia a tacciare le borghesi di perdurante rusticità, come risulterà più esplicitamente dal v. 1298. Cfr. G. Gozzi, Sermoni iv 80-82: «Quella procede, anzi veleggia intorno / Qual caravella, con immenso grembo / Di guardinfante, pettoruta e grave»; e vi 127-128: «Già nel suo cocchio pettoruta e salda / La signora s’adagia» (Tizi). 1294-1296 vane […] dall’alto: vanamente superbe per i modesti titoli di nobiltà e i semplici incarichi (il picciol fonte e l’umil selva) che l’imperatore (Giove), dall’alto, affidò in custodia ai vostri borghesi mariti (gli Egipani vostri). 1298 l’aria […] moti: e l’aria ancora rustica dei vostri modi. – Conferma l’allusione di pettorute (v. 1293). Cfr. inoltre NT 30-32: «gl’inclit’avi, / Onde pur sempre il mio garzon si vanta, / Eran duri ed alpestri»; e 576: «Gli atti e gli accenti ancor serba del monte». 1299 Vi tradiscono: tradiscono le vostre origini. 1299-1303 e rendon vana […] cucinier: e rendono inutili le sfarzose nappe, appese sulla fronte dei cavalli, che avete cercato di usurpare e le livree di cui rivestiste il mozzo e il cuoco. – nappa […] tentaste: cfr. la nota al v. 1091.
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il mezzogiorno E il cucinier che la seguace corte Accrebber stanchi, e i miseri lasciáro Canuti padri di famiglia soli Ne la muta magion serbati a chiave. Troppo da voi diverse esse ne vanno Ritte negli alti cocchi alteramente; E a la turba volgare che si prostra Non badan punto: a voi talor si volge Lor guardo negligente, e par, che dica: Tu ignota mi sei; o nel mirarvi Col compagno susurrano ridendo. Le giovinette madri degli eroi Tutto empierono il Corso, e tutte han seco Un giovinetto eroe, o un giovin padre
G1 Mss.
1309 prostra. (+G2 G3) 1314 Soppresso capoverso in c
285
1305
1310
1315
1303-1306 che la seguace corte […] a chiave: che stancamente si unirono alla schiera dei servitori al seguito per ingrossarne il numero, lasciando i poveri, anziani genitori (dei padroni) soli e chiusi a chiave nella casa deserta e silenziosa. – stanchi: perché così devono svolgere un doppio lavoro. – Canuti padri: cfr. v. 187. – serbati a chiave: suggerisce che i figli si vergognino dei padri e che quindi provvedano affinché essi non appaiano in pubblico. 1307 esse: le dee maggiori dei vv. 1291-1292, ovvero le dame della nobiltà. 1308 Ritte […] alteramente: la postura composta e altera delle dame contrasta con i frenetici movimenti delle altre (vv. 1278-1281). – alti cocchi: cfr. i sublimi cocchi di MT i 572 e nota. 1311 lor guardo negligente: la negligenza, come in MT I 1010 e 1018, è naturalmente affettata. – e par, che dica: cfr. v. 753, dove analogamente seguiva un’espressione di superiore disdegno. 1314 Le giovinette […] eroi: cfr. NT 489-490: «madre / Di dieci eroi»; e 553: «L’alta madre d’eroi»; PV cxxvii 10: «Il loco ove sarà madre d’eroi»; L’innesto del vaiuolo 4445: «Già cultori apparecchia artieri e squadre / A la patria d’eroi famosa madre»; Orl. Fur. vii 39, 4: «esser de’ progenitrice / d’uomini invitti, anzi di semidei»; e Ger. Lib. xvii 86, 6: «fertil d’eroi madre e felice». 1316-1317 un giovinetto […] eroi: «il poeta si riferisce a un cavalier servente in nuce, e cioè al figlio giovinetto di queste giovinette madri, destinato un giorno (v. 1319) a diventar a sua volta eroe (e quindi cicisbeo), ovvero padre / D’altri futuri eroi (nella sua contestuale funzione di sposo): donde poi il discorso dei vv. segg. fino a v. 1326» (Nicoletti). Altri interpretano diversamente: «un giovane cavalier servente o un nobile divenuto di recente padre di nobili, futuri eroi». – L’attribuzione di eroismo e gioventù dei vv. 1314-1317 si smentisce per effetto della sua stessa meccanica ripetizione.
286
Mss.
giuseppe parini D’altri futuri eroi, che a la toilette A la mensa, al teatro, al corso, al gioco Segnaleransi un giorno; e fien cantati, S’io scorgo l’avvenir, da tromba eguale A quella che a me diede Apollo, e disse: Canta gli Achilli tuoi, canta gli Augusti Del secol tuo. Sol tu manchi, o Pupilla Del più nobile mondo: ora ne vieni, E del rallegratore de le cose Rallegra or tu la moribonda luce. Già d’untuosa polvere novella Di propria man la tabacchiera empisti A la tua Dama, e di novelli odori Il cristallo dorato; ed al suo crine La bionda che svanío polve tornasti Con piuma dilicata; e adatto al giorno
1320
1325
1330
1317 toilette ] teletta c d 1325 rallegrator de le cose ] rallegrator dell’universo c d 1330 al suo crine ] alle sue chiome c d 1331 svanío ] svanì c d 1332 Con piuma dilicata; e adatto ] Colla morbida piuma; adatto c d (Reina pose inoltre un N. B., ad indicare che nell’originale Parini cancellò per errore piuma in luogo di dilicata)
1317-1318 a la toilette […] al gioco: ennesima elencazione dei luoghi della nobiltà, per cui cfr. MT i 167 e nota. 1319-1321 da tromba […] Apollo: da una poesia epica pari a quella che a me ispirò Apollo. – La tromba sarà pari a quella suonata dal poeta, ma di questa, con insinuante reticenza, il poeta non dice se sia celebrativa o satirica. 1323-1324 Sol tu […] mondo: il cantore torna a rivolgersi al giovin signore. – Pupilla: varia il precedente gemma degli eroi di MT i 157. – Del più nobile mondo: cfr. MT i 389390: «a voi beata gente / Di più nobile mondo». 1325-1326 E del rallegratore […] luce: e ravviva tu la luce morente del sole, che ravviva tutte le altre cose. – rallegratore de le cose: cfr. Inf. vii 122: «ne l’aere dolce che dal sol s’allegra» (Tizi). – rallegra: la figura etimologica esalta la potenza beatificante del giovin signore, per cui cfr. MT i 472-474, 792-793 e 1071 e note e MZ 1204-1207; e RVF cxcii 12-14: «e ’l ciel di vaghe et lucide faville / s’accende intorno, e ’n vista si rallegra / d’esser fatto seren da sì belli occhi»; e cccxxvi 9-10: «ché l’altro à ’l cielo, et di sua chiaritate, / quasi d’un più bel sol, s’allegra et gloria». 1327 d’untuosa polvere novella: di nuovo e grasso tabacco da fiuto. – Cfr. l’oleosa / Spagna di MT i 920-921. 1329-1330 e di novelli odori […] dorato: e (hai riempito) la fiala di cristallo dorato con nuovi profumi. – Cfr. MT i 849-850: «d’odorifer’onda / Colmo Cristal». 1330-1332 ed al suo crine […] dilicata: e con un leggero piumino hai ridato sui suoi capelli la cipria bionda che si era dispersa. – La bionda […] tornasti: iperbato e inversione consueti.
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G1 Altre edd. Mss.
il mezzogiorno Le scegliesti ’l ventaglio: al pronto cocchio Di tua man la guidasti, e già con essa Precipitosamente al Corso arrivi. Il memore cocchier serbi quel loco Che voi dianzi sceglieste, e voi non osi Tra le ignobili rote esporre al vulgo, Se star fermi vi piace, od oltre scorra, Se di scorrer v’aggrada. Uscir del cocchio Ti fia lecito ancor. T’accolgan pronti Allo scendere i servi. Ancora un salto Spicca; e rassetta i rincrespati panni, E le trine sul petto: un po’ t’inchina, Ed ai lievi calzári un guardo volgi; Ergiti, e marcia dimenando il fianco. Il Corso misurar potrai soletto,
287
1335
1340
1345
1339 fermì 1340 del ] dal G3 1345 Ed ai lievi ] Ai leggieri c d
1333-1335 al pronto cocchio […] arrivi: porgendole il braccio la conducesti al cocchio, preparato per tempo, e ora ecco che arrivi sul corso precipitosamente. – Precipitosamente: cfr. ancora le calde / Precipitose rote di MT i 68-69. Qui l’avverbio allude alla guida sconsiderata dei cocchieri (per cui cfr. la chiusa del Mattino) e insieme aggiunge un’ulteriore nota eroicomica, descrivendo l’arrivo del giovin signore come un precipitarsi sul luogo di una battaglia. 1336-1340 Il memore […] v’aggrada: il cocchiere occupi il luogo che sceglieste in passato, memore delle istruzioni ricevute allora, e non osi esporvi alla vista del popolo tra i gli infimi carri, se gradite stare fermi; o invece proceda, se questo è ciò che desiderate. – Se […] se: per analoghe istruzioni in forma di condizionali alternativi, cfr. MT i 130-143 e 677-686. – ignobili rote: cfr. v. 1218 e nota. 1342-1346 Ancora un salto […] fianco: spicca ancora un salto. Riordina i vestiti spiegazzati e i merletti che ti ornano il petto. Piegati un poco e rivolgi uno sguardo alle scarpette. Raddrizzati e comincia a camminare ancheggiando. – Ancora […] spicca: cfr. vv. 231-232 (e nota), 344-345 e 1042-1043. – le trine sul petto: cfr. vv. 1235-1236. – un po’: ennesimo gesto appena accennato, come già in MT i 108 e 595 e in MZ 99 e 139. – Ergiti […] fianco: le prime due istruzioni, di tono marziale, sono smentite dalla terza, che riporta il giovin signore ai suoi modi effeminati. – Come ai vv. 231-235 (cfr. nota), 340-347 e 1042-1045, il cantore impartisce al giovin signore una serie di istruzioni minuziose che lo raffigurano come automa e che, isolando i singoli e minimi atti come se fossero degni ciascuno di specifica attenzione, rileva per antifrasi la vacuità del tempo che in essi trascorre. 1347 Il Corso […] soletto: potrai percorrere il corso da solo. – Rimanda a RVF xxxv 1-2: «Solo et pensoso i più deserti campi / vo mesurando», ma, nota Tizi, con «banalizzazione mondana, fin nel suffisso vezzeggiativo».
288
Altre edd. Mss.
giuseppe parini S’ami di passeggiare; anco potrai Dell’altrui Dame avvicinarti al cocchio, E inerpicarti, et introdurvi ’l capo E le spalle e le braccia, e mezzo ancora Dentro versarti. Ivi sonar tant’alto Fa le tue risa, che da lunge gli oda La tua Dama, e si turbi, ed interrompa Il celiar degli eroi che accorser tosto Tra ’l dubbio giorno a custodir la bella Che solinga lasciasti. O sommi numi Sospendete la Notte; e i fatti egregi Del mio Giovin Signor splender lasciate Al chiaro giorno. Ma la Notte segue 1350 et ] ed G2 G3 1350 et introdurvi ] e v’introdurre c d in c d 1356 bella ] gemma c d
1350
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1360
1354 Crocetta accanto al verso
1348-1352 anco potrai […] versarti: la possibile malinconia del v. 1347 è subito smentita da questa descrizione in crescendo dei movimenti che il giovin signore potrà compiere in alternativa, fino al suo volgare rovesciarsi, per poi ridere chiassosamente, dentro il cocchio di un’altra dama. 1352-1355 Ivi sonar […] eroi: qui fai risuonare le tue risa così rumorosamente che la tua dama possa udirle da lontano, ne sia turbata e interrompa gli scherzi degli altri cavalieri. – sonar […] risa: nella tradizione epica, risuonano le grida di guerra (Ger. Lib. xviii 101 1-3: «Allor tutte le squadre il grido alzaro / de la vittoria altissimo e festante / e risonaro i monti») e l’urto delle armi (Orl. Fur. iv 51, 8: «s’ode sonar di bellicosi ferri»); nella tradizione lirica, i lamenti degli innamorati infelici (RVF xxiii 64-65: «né mai in sì dolci o in sì soavi tempre / risonar seppi gli amorosi guai»). Il giovin signore, eroe mondano e amante di sé solo, ride. Cfr. Sonan le risa, al v. 828, e le sonanti risa di NT 533. – Il celiar degli eroi: ai vv. 44-50, argomento delle celie dei giovani eroi erano le relazioni amorose del giovin signore e di altri cavalieri. I versi successivi mostreranno che anche qui si evocano i possibili tradimenti reciproci del giovin signore e della sua dama. Per eroi, infine, cfr. la nota ai vv. 1283-1284. 1355-1357 che accorser […] lasciasti: che subito accorsero, nell’ora del tramonto, a custodire la dama che tu lasciasti sola. – tra ’l dubbio giorno: cfr. l’incerto crepuscolo di MT i 58; Ovidio Metamorfosi iv 401 «dubiae confinia noctis»; e xi 596: «dubiaeque crepuscula lucis»; (Bonora, Parini e altro Settecento, p. 63 n. 3, e Tizi). – a custodir [… ] lasciasti: travestite da protezione cavalleresca, le intenzioni dei nobili accorsi sono in realtà le stesse che portano il giovin signore ai cocchi delle altrui Dame (v. 1349). 1357-1360 O sommi numi […] giorno: altissimi dèi, fermate l’approssimarsi della notte e lasciate che le gesta del mio giovin signore splendano alla luce del giorno. – Sospendete la Notte: cfr. Bentivoglio, Tebaide v 252-254: «Giove mosso a pietà […] in ciel sospese / L’umida notte». 1360-1362 Ma la Notte […] emispero: ma la notte segue le sue leggi immutabili e scende sul nostro mondo con la sua ombra silenziosa. – Ma: l’avversativa smentisce
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G1 – Ess. Mss.
il mezzogiorno Sue leggi inviolabili, e declina Con tacit’ombra sopra l’emispero; E il rugiadoso piè lenta movendo, Rimescola i color varj infiniti, E via gli spazza con l’immenso lembo Di cosa in cosa: e suora de la Morte Un aspetto indistinto, un solo volto Al suolo, ai vegetanti, agli animali, A i grandi, ed a la plebe equa permette; E i nudi insieme, ed i dipinti visi De le belle confonde, e i cenci e l’oro. Nè veder mi concede all’aer cieco
289
1365
1370
1366 Morte ] morte G1Bo1 G1Bo2 G1CV1 G1Co1 G1Cr1 G1Fe1 G1DL1 G1Mi2 G1Mi3 G1DS1 G1To1 G1AW1 G1Priv3 G1Priv4 G1Priv5 1367 solo volto ] sol colore G1Fe1 1369-1370 Crocette accanto ai versi in c d
l’auspicio espresso dal cantore e, richiamando il corso inviolabile della natura, procede alla verità dei versi successivi, espressa senza antifrasi e con intonazione autenticamente lirica. Il cambiamento della sintassi, che procederà per coordinate aggiunte fino alla fine del poemetto, riflette questa diversa intonazione. – tacit’ombra: il silenzio portato dalla notte contrasta con le risa del signore e con le celie dei suoi pari e sembra spegnerle. 1363-1366 E il rugiadoso […] cosa: e avanzando lentamente, e portando la rugiada, confonde tutti gli infiniti e diversi colori e li cancella con l’immenso lembo della sua veste. – E il rugiadoso piè […] movendo: la notte è classicamente personificata in figura femminile. – Di cosa in cosa: espressione già usata al v. 288. Qui riflette l’indistinzione portata dall’oscurità, anticipando il tema dell’uguaglianza degli uomini nella morte, e insieme comunica il sollevarsi dello sguardo del poeta oltre le distinzioni effimere del giorno. 1366-1369 e suora […] permette: e, come la morte sua sorella, equamente concede una stessa apparenza e un solo volto alla terra, alle piante, agli animali, ai nobili e al popolo. – Un aspetto […] volto: con chiasmo. Cfr. (anche per i vv. 1366 e 1371) Ger. Lib. xvii 56, 3-4: «Sorgea la notte intanto, e de le cose / confondea i vari aspetti un solo aspetto». – equa permette: cfr. Orazio, Odi ii xviii 32-34: «aequa tellus / pauperi recluditur / regumque pueris» (Bonora). – Nella notte, ovvero nella morte, anche la nobiltà è finalmente accomunata al popolo e alla natura, da cui ancora ai vv. 11951197 (cfr. nota) aspirava a distinguersi. 1370-1371 E i nudi […] l’oro: e confonde i visi truccati e quelli senza trucco delle donne (della nobiltà e del popolo), gli stracci dei poveri e gli ornamenti dei ricchi. 1372-1374 Nè veder […] segrete: e nel buio non mi concede di vedere quali carrozze partano e quali restino nelle ombre favorevoli agli incontri segreti. – aer cieco: cfr. Inf. ii 1: «Lo giorno se n’andava, e l’aere bruno»; e Ger. Lib. iv 3, 4: «e l’aer cieco a quel
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Altre edd.
giuseppe parini Qual de’ cocchi si parta, o qual rimanga Solo all’ombre segrete: e a me di mano Toglie il pennello; e il mio Signore avvolge Per entro al tenebroso umido velo.
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1374 segrete: ] segrete; G3
romor rimbomba». – Qual […] o qual: la disgiunzione degli interrogativi, che più volte era stata usata per i precetti e per le scelte diverse che si offrivano al giovin signore, sancisce infine l’indistinzione di tutto. 1375 il pennello: metafora per la rappresentazione poetica, secondo il motto oraziano ut pictura poësis. 1375-1376 e il mio Signore […] velo: e avvolge nel suo manto umido e oscuro il mio signore. – Cfr. Aeneis ii 250-251: «Vertitur interea caelum et ruit Oceano nox / involvens umbra magna terramque polumque». – tenebroso umido velo: al termine di una giornata trascorsa nella cura dell’apparenza, il velo di oscurità che avvolge il giovin signore, per effetto dell’accostamento della notte con la morte, sembra ironicamente prefigurare l’ultima veste del sudario che lo avvolgerà nella sepoltura.
APPENDIC E Il manoscritto Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis Ambr. S. P. arm. 6 IV, 10bis p. 1
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De le rote frequenti all’urto esporre, Fra le ignobili rote al vulgo esporre Se star fermi a voi piace; e ai guardi altrui ed oltre scorra Dissimular qualche recente sdegno, Già cantato ne’ trivj, ed oltre scorra, Se di scorrer v’aggrada; e ai guardi altrui Spiegar gioje novelle, e nuove paci, Che la pubblica fama ignori ancora. Nè conteso a te fia per brevi istanti Uscir del cocchio: e sfolgorando intorno, Qual da repente spalancata nube, Tutti scoprir di tua bellezza i rai, Nel tergo, ne le gambe, e nel sembiante Simile a un Dio; poi che a te, non meno Che al trojano eroe l’onore diede Trojano Che all’altro semideo E zazzera leggiadra, e porporino Splendor di gioventù, quando stamane Allo speglio sedesti. Ecco già corsi Accorron pronti Ecco son pronti Al tuo scendere i servi. Or lieve un salto Un salto ancora Spicca, e rassetta gl’increpati panni, E le trine sul petto: un po’ t’inchina: Ai lucidi calzari un guardo volgi: Ergiti; e marcia dimenando il fianco. E il corso misurar potrai soletto Se passeggiar tu brami: o tu potrai Dell’altrui dame avvicinarti al cocchio,
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p. 3
p. 4
appendice E inerpicarti; e v’introdurre il capo, et introdurvi E le spalle, e le braccia, e mezzo ancora Dentro versarte. Indi salir tant’alto Ivi Fa le tue risa, che da lunge n’oda gli oda La dama il suon, e se ne turbi, e rompa La tua dama e si turbi ed interrompa Il celiar degli eroi, che accorron tosto, Tra ’l dubbio giorno a custodirla intanto, Che solinga rimase. O sommi numi Sospendete la notte: e i fatti egregi Del mio giovin signor splender lasciate Al chiaro giorno. Ma la notte segue Sue leggi inesorabili, e declina Con tacit’ombra sopra l’emispero; E il rugiadoso pié lenta movendo, Rimescola i color varj infiniti, E via li spazza con l’immenso lembo sgombra E un aspetto indistinto, un solo volto Di cosa in cosa: e suora de la morte, Un aspetto indistinto, un solo volto Al suolo ai vegetanti Al suolo ai vegetanti agli animali Ai grandi ed a la plebe equa permette; E i nudi insieme i nudi, e li dipinti visi I nudi De le belle confonde, e i cenci, e l’oro: Nè veder mi concede all’aer cieco Qual de cocchj si parta, e qual rimanga Solo all’ombre segrete: e a me di mano Toglie il pennello, e il mio Signore avvolge Tolto Per entro al tenebroso umido velo.
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I NDIC E DEI NOM I
Achille Adige Adria Alamanni Albione Aleppo Alpe [= Svizzera] Alpe [= le Alpi] Amatunta Amore Amstel Anfitrite Apollo Appennino Aracne Arbitro Arcadia Archimede Argo [= città] Argo [= personaggio mit.] Ariosto Aristippo Artù Aspasia Atene Augusto Ausonia Automedonte Averno
Mt 252, 833, Mz 216; Achilli Mz 1322 Mt 719 Mt 946 Mt 199n Mt 17 Mt 141 Mz 941 Mz 1205; alpi Mz 644, 705 Mt 673 Mt 313, 338, 347, 351, 750, 756, Mz 402, 561, 783, 1123; Amor Mt 393, Mz 379, 562, 731, 789, 961, 989, 1112 Mt 946 Mt 910 Mz 911, 1321 Mz 1206 Mz 442 Mz 932 Mz 937 Mz 876 Mz 809 Mz 1116, 1132 Mz 875n Mz 945 Mt 823 Mt 611 Mt 613 Mz 929; Augusti Mz 1322 Mz 706 Mz 220 Mz 165
Bacco Bellona Bizanzio Buglione
Mt 82, Mz 515, 621n, 673, 822n Mz 833 Mz 78 Mt 833 (v. anche Goffredo)
California Campidoglio
Mz 1201 Mz 354
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indice dei nomi
Caramano Caribbéo Cartagin Cerere Certaldese [= Boccaccio] Cillenio Cimbro Cinzia Ciprigna Circasso Citerea Colbert Como Cortes Crotone Cuba Cuma Cupido
Mt 864 Mt 135 Mz 695 Mt 41, Mz 669 Mt 618 Mz 687 Mz 1085 Mz 1292 Mz 707 Mz 80 Mt 349, 947, Mz 1292 Mz 213 Mz 822 Mt 150 Mt 702 Mz 1200 Mt 478 Mt 363
Demofoonte Diogene Dionisio Donato Dordona Drava
Mt 271 Mz 947 Mz 822 Mz 938 Mz 869 Mz 1086
Eco
Mz 529 Mz 811 Mz 79 Mz 1295 Mz 620 Mz 21 (v. anche Didone) Mt 833 Mz 800 Mt 606, 607 Mz 897 Mt 696
Edipo Egéo Egipani Egitto Elise Enea Enotria Enrico [IV] Ercole Etiòpe
Fate Febo Femio Filauzio Filli Flacco
Mt 977 Mt 106, Mz 355, 920, 1198 Mz 15 Mt 563 Mt 271n Mz 932 (v. anche Orazio)
indice dei nomi
299
Francia Frine Furie
Mt 532, 598, 610, 621, Mz 646 Mt 212; Frini Mz 715 Mt 76
Gallia Genj Giano Giappon Giasone Giove Giuno Goffredo Gradivo Grazie Grecia Guadiana Guatimalese
Mz 941; Gallie Mt 17 Mt 423 Mz 1267 e n. Mt 863 Mz 624n Mt 63, Mz 1296 Mz 355, 724, 1291 Mt 608 (v. anche Buglione) Mz 355 Mt 187, Mz 375, 519, 541 Mz 843 Mz 802 Mt 135
Ilio
Mz 215, 271 Mt 314, 371, 449, Mz 411, 412, 415, 430, 1263; Imenéo Mz 190, 419 Mt 155 Mt 544n Mz 78 Mz 13 Mt 189, 615, Mz 6, 179, 200, 1204
Imene Incassi Iside Ispaán Itaca Italia
Jolco Jopa
Laerte
Mz 624 Mz 10
La Fontaine Lámsaco Lenclos Lari Francese [= Laura] Lemano Liéo
Mz 14 Mt 619n Mz 483 Mt 611n (v. anche Ninon) Mt 783, Mz 722 Mt 197 Mt 945 Mz 782, 930
Magna Grecia Maja Marte Megera Mercurio
Mz 692n Mz 1132 Mt 20, 782, 808, Mz 131, 391 Mz 196 Mt 17, Mz 1181
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indice dei nomi
Messico Minerva Moca Momo Mòrfeo Munsulmano Musa
Mz 1200 Mt 122, Mz 1291 Mt 142 Mt 947 Mt 92, 414 Mz 82 Mz 778, 794; Muse Mz 838, 910
Naiadi
Mz 1293 Mz 1293 Mt 214 Mz 14 Mt 544 Mz 763 Mt 611 e n. (v. anche Lenclos)
Napee Narcisso Nettun Nilo Ninfe Ninon
Olimpo Omer[o] Oriente Origuela
Mz 745 Mz 15n Mz 200 Mt 921
Pafo Pale Pallade Paladio Paride Parigi Pátroclo Penati Penelopée Persia Phallo Pindo Pirene Pizzarro Pluto Pomona Proci Proteo
Mt 673 Mt 41, Mz 674, 1026 Mt 24, Mz 838, 1291 Mt 890 Mz 310 Mz 619 Mz 219 Mz 631 Mz 22 Mz 1074 Mt 544 Mz 912 Mz 197 Mt 150 Mt 75 Mz 1022 Mz 16, 21 Mt 598
Rafael
Mt 718 Mz 213 Mt 252
Richelieu Rinaldo
indice dei nomi Rodano Ròdope
Mt 945 Mt 269
Samo Sássone Semele Senna Síbari Sichéo Sofocl[e] Spagna
Mz 485 Mz 1024 Mz 621 Mt 187, 609, 800 Mz 692, 698 Mz 12 Mz 820n Mt 921
Taide Tamigi Tartaro Temi Termine Tessaglia Teti Tiro Tirreno Tisbe Titano Tizian Trimalcion Tule Ulisse Urania
Mt 612 Mt 213 Mz 80 Mt 469 Mz 351n Mz 642n Mz 802 Mz 695 Mt 946 Mz 681 Mz 299 Mt 891 Mz 931 Mz 802 Mz 17 Mz 883, 898
Valchiusa Venere [= divinità] Venere [= pianeta] Vertunno Virg[ilio] Voltaire
Mt 196 Mz 355, 930; Vener Mt 16 Mz 903 Mz 673 Mz 10n Mt 599
Zoroastro
Mz 876
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TES TI C ITATI N E LL E NOTE DI C OM M E NTO Opere di Giuseppe Parini Colombiade = Colombiade, in Tutte le opere edite e inedite di Giuseppe Parini raccolte da Guido Mazzoni, Firenze, Barbèra, 1925, pp. 271-285. Descrizione delle Feste = Descrizione delle Feste celebrate in Milano per le nozze delle LL. AA. RR. l’Arciduca Ferdinando d’Austria, e l’Arciduchessa Maria Beatrice d’Este. Fatta per ordine della R. Corte l’anno delle medesime nozze 1771, in Lettere e scritti vari, pp. 411-432. Dialogo sopra la Nobiltà = Dialogo sopra la Nobiltà, in Lettere e scritti vari, pp. 187-207. Dialogo sopra la Nobiltà ii = Della Nobiltà. Dialogo, in Lettere e scritti vari, pp. 207-218. Discorso di apertura per la Cattedra di Belle Lettere = Discorso recitato nell’aprimento della nuova Cattedra delle Belle Lettere dall’abate Giuseppe Parini Regio Professore nelle Pubbliche Scuole Palatine di Milano, in Lettere e scritti vari, pp. 304-316. Discorso sopra la Carità = Sopra la Carità, in Lettere e scritti vari, pp. 175-186. Discorso sopra la Poesia = Discorso sopra la Poesia, in Lettere e scritti vari, pp. 152-162. Discorso sopra le Caricature = Discorso che ha servito d’introduzione all’Accademia sopra le Caricature, in Lettere e scritti vari, pp. 137-151. FR = I frammenti minori della «Notte», in Il Giorno, vol. i, pp. 233-251. «La gazzetta di Milano» = «La gazzetta di Milano», a cura di Arnaldo Bruni, Milano-Napoli, Ricciardi, 1981 Il Giorno = Il Giorno, edizione critica a cura di Dante Isella, commento di Marco Tizi, Milano, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 1996, 2 voll. Lettere = Lettere, a cura di Corrado Viola con la collaborazione di Paolo Bartesaghi e Giovanni Catalani, Pisa-Roma, Serra, 2013 (Edizione Nazionale delle Opere, iii). Lettere del conte N. N. ad una falsa divota = Lettere del conte N. N. ad una falsa divota. Tradotte dal francese, in Lettere e scritti vari, pp. 163-174. Lettere e scritti vari = Prose. ii . Lettere e scritti vari, edizione critica a cura di Gennaro Barbarisi e Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2005. Lezioni di Belle Lettere = Lezioni di Belle Lettere, in Prose. i . Lezioni, elementi di retorica, edizione critica a cura di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, Milano, led, 2003, pp. 79-279. MG = Il Meriggio, in Il Giorno, vol. i, pp. 145-190.
304
testi citati nelle note di commento
MT i = Il Mattino (1763), in Il Mattino (1763). Il Mezzogiorno (1765), a cura di Giovanni Biancardi, Pisa-Roma, Serra, 2013 (Edizione Nazionale delle Opere, v). MT ii = Il Mattino, seconda redazione, in Il Giorno, vol. i, pp. 97-144. MZ = Il Mezzogiorno (1765), in Il Mattino (1763). Il Mezzogiorno (1765), a cura di Giovanni Biancardi, Pisa-Roma, Serra, 2013 (Edizione Nazionale delle Opere, v). NT = La Notte, in Il Giorno, vol. i, pp. 203-229. Odi = Odi, a cura di Nadia Ebani, Milano, Fondazione Pietro Bembo / Guanda, 2010. PV = Poesie varie e frammenti in verso, in Tutte le opere edite e inedite di Giuseppe Parini, cit., pp. 349-543. Quadro del Méhégan = Quadro dell’Istoria moderna dalla caduta dell’Imperio d’Occidente fino alla Pace di Vestfalia del sig. cavalier di Mehegan , in Lettere e scritti vari, pp. 238-249. Rip. Eup. = Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico, Pisa-Roma, Serra, 2011 (Edizione Nazionale delle Opere, i). Soggetti = Soggetti e appunti per pitture decorative, in Lettere e scritti vari, pp. 435-595. VP = Il Vespro, in Il Giorno, vol. i, pp. 191-202.
Altre opere Accame Bobbio = Aurelia Accame Bobbio, Presenza di Rousseau nel Giorno, in Letteratura e critica. Studi in onore di Natalino Sapegno, Roma, Bulzoni, 1975, vol. ii, pp. 503-525. Aeneis = P. Vergilius Maro, Aeneid, in Opera, a cura di Henry Rushton Fairclough, Cambridge (ma), Harvard University Press, 1932, vol. i, pp. 239-571, e vol. ii, pp. 1-365. Alamanni, Coltivazione = Luigi Alamanni, La Coltivazione, in La Coltivazione di Luigi Alamanni e Le Api di Giovanni Rucellai con annotazioni del dottor Giuseppe Bianchini da Prato sopra La Coltivazione e di Roberto Titi sopra Le Api, Milano, Società Tipografica dei Classici Italiani, 1804. Albini = Giuseppe Parini, Il Giorno, con introduzione e commento di Giuseppe Albini, nuova presentazione di Mario Fubini, Firenze, Sansoni, 1957. Alfieri, Del principe e delle lettere = Vittorio Alfieri, Del principe e delle lettere, in Idem, Scritti politici e morali, t. i, a cura di Pietro Cazzani, Asti, Casa d’Alfieri, 1951, pp. 111-254 (Edizione Nazionale delle Opere, iii). Alfieri, Giornali = Vittorio Alfieri, Giornali, in Idem, Vita scritta da esso, t. ii, a cura di Luigi Fassò, Asti, Casa d’Alfieri, 1951, pp. 227-250 (Edizione Nazionale delle Opere, ii).
testi citati nelle note di commento
305
Alfieri, Satire = Vittorio Alfieri, Satire, in Idem, Scritti politici e morali, t. iii, a cura di Clemente Mazzotta, Asti, Casa d’Alfieri, 1984, pp. 63-190 (Edizione Nazionale delle Opere, v). Alfieri, Vita = Vittorio Alfieri, Vita di Vittorio Alfieri da Asti scritta da esso, seconda redazione, in Idem, Opere, a cura di Mario Fubini e Arnaldo Di Benedetto, Milano-Napoli, Ricciardi, 1977, vol. i, pp. 1-328. Antonielli = Sergio Antonielli, Il «Saggio sopra l’uomo», in Idem, Giuseppe Parini, Firenze, La Nuova Italia, 1973, pp. 47-64. Baldi, Nautica = Bernardino Baldi, La Nautica, in Versi e prose, di Monsignor Bernardino Baldi da Urbino Abbate di Guastalla, in Venetia, appresso Francesco de’ Franceschi Senese, 1590. Barbarisi - Esposito = Interpretazioni e letture del Giorno, Gargnano del Garda (2-4 ottobre 1997), a cura di Gennaro Barbarisi ed Edoardo Esposito, Milano, Cisalpino, 1998. Bentivoglio, Tebaide = La Tebaide di Stazio di Selvaggio Porpora [C. Bentivoglio], In Roma, Appresso Giovanni Maria Salvioni Nell’Archiginnasio della Sapienza, 1729. Betti, Baco = Zaccaria Betti, Del baco da seta canti iv . Con annotazioni, Verona, per Antonio Andreoni, 1756. Bettinelli, Versi sciolti = Saverio Bettinelli, Dodici poemetti in verso sciolto del P. Saverio Bettinelli Gesuita, in Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori con alcune lettere non più stampate, In Venezia, Impressi nella Stamperia di Modesto Fenzo, 1758 [ma 1757]. Bonifazi = Neuro Bonifazi, Parini e il «Giorno», Urbino, Argalia, 1966. Bonora = Giuseppe Parini, Il Giorno, a cura di Ettore Bonora, Milano, Rusconi, 1984. Bonora, Parini e altro Settecento = Ettore Bonora, Parini e altro Settecento. Fra classicismo e illuminismo, Milano, Feltrinelli, 1982. Buc. = P. Vergilius Maro, Bucolica, a cura di R. A. B. Mynors, Oxford, Oxford University Press, 1969, pp. 1-28 Burchiello, Sonetti = I sonetti del Burchiello. Edizione critica della vulgata Quattrocentesca, a cura di Michelangelo Zaccarello, Bologna, Commissione per i testi di lingua, 2000. Cantù = Cesare Cantù, L’abate Parini e la Lombardia nel secolo passato. Studj di Cesare Cantù, Milano, presso Giacomo Gnocchi, 1854. Carducci = Giosue Carducci, Storia del “Giorno”, in Idem, Studi su Giuseppe Parini. Il Parini maggiore, Bologna, Zanichelli, 1937, pp. 5-289 (Edizione Nazionale delle Opere, xvii). Caretti = Giuseppe Parini, Poesie e Prose. Con un’appendice di poeti satirici e didascalici del Settecento, a cura di Lanfranco Caretti, MilanoNapoli, Ricciardi, 1951. Caro, Eneide = L’Eneide di Virgilio del commendatore Annibal Caro. Col Privilegio di N. S. et della Ser.ma Sig.ria di Venetia, In Venetia, appresso Bernardo Giunti et fratelli, 1581.
306
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Catullo, Carmina = C. Valerius Catullus, Catulli Veronensis Liber, a cura di Werner Eisenhut, Leipzig, Teubner, 1983. Cordara, Sermones = Giulio Cesare Cordara, L. Sectani Q. Fil. De tota Graeculorum huius aetatis litteratura ad Gaium Salmorium Sermones Quattuor. Accessere quaedam M. Philocardii enarrationes, Hagae Vulpiae, 1738. Decameron = Giovanni Boccaccio, Decameron, a cura di Vittore Branca, Firenze, Le Monnier, 1965. De Caprio = Caterina De Caprio, Parini e i consumi delle donne, «Rivista di letteratura italiana», xvii 2-3 (1999), pp. 387-395. De Robertis = Domenico De Robertis, Aurora pariniana, in Carte d’identità, Milano, Il Saggiatore, 1974, pp. 27-52. Diogene Laerzio = Diogenes Laertius, Lives of Eminent Philosophers, a cura di Robert D. Hicks, London uk-Cambridge ma, Harvard University Press, 1925. Don Quijote = Miguel de Cervantes, Don Quijote de la Mancha, edición de Alberto Blecua y Andrés Pozo, Madrid, Espasa, 1998. Donati = La nobiltà milanese nelle fonti documentarie e nella satira pariniana, in Barbarisi - Esposito, pp. 177-203. Esposito, Aspetti stilistici = Edoardo Esposito, Aspetti stilistici dell’ironia pariniana, in Idem, Studi di critica militante, Milano, Marcos y Marcos, 1994, pp. 69-85. Esposito, L’endecasillabo del Giorno = Edoardo Esposito, L’endecasillabo del Giorno: prospezioni, in Barbarisi - Esposito, pp. 443-466. Fabrizi = Angelo Fabrizi, L’Eneide del Giorno, «Rivista di letteratura italiana», xvii 2-3 (1999), pp. 69-101. Ferretti = Giuseppe Parini, Il Giorno, commentato da Giovanni Ferretti, Milano-Roma-Napoli, Società Editrice Dante Alighieri, seconda edizione riveduta, 1925. Frugoni, Altri versi sciolti = Carlo Innocenzo Frugoni, Versi sciolti, in Opere Poetiche del Signor Abate Carlo Innocenzio Frugoni fra gli Arcadi Comante Eginetico Segretario Perpetuo della Reale Accademia delle Belle Arti Compositore e Revisore degli Spettacoli Teatrali di S. A. R. il Signor Infante Duca di Parma, Piacenza, Guastalla ec. ec. ec., Tomo vii, Parma, dalla Stamperia Reale, 1779. Frugoni, Versi sciolti = Carlo Innocenzo Frugoni, Versi sciolti dell’Abate Carlo Innocenzo Frugoni, in Versi sciolti di tre eccellenti moderni autori con alcune lettere non più stampate, In Venezia, Impressi nella Stamperia di Modesto Fenzo, 1758 [ma 1757]. Fubini = Mario Fubini, Il Parini e il «Giorno». Lezioni raccolte dal Dottor Sergio Antonielli, Milano, Malfasi, 1952. Georg. = P. Vergilius Maro, Georgics, in Opera, a cura di Henry Rushton Fairclough, Cambridge (ma), Harvard University Press, 1935, pp. 79-237.
testi citati nelle note di commento
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308
testi citati nelle note di commento
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comp osto i n c a r att e re da n t e m on otype da lla fa br i z i o se rr a e d i to re, p i sa · ro m a . sta m pato e ri l e gato n e l la ti p o g r af i a d i agna n o, ag na n o p i sa no (pisa ).
* Dicembre 2013 (cz 2 · fg 21)
EDI Z I O N E NA Z I O NA LE DEL L E OP E R E D I G I U S E P P E PARIN I Istituita dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali (D. M. 2 giugno 1999)
d i retta da g io rg io ba roni Giuseppe Parini, Alcune poesie di Ripano Eupilino, a cura di Maria Cristina Albonico, introduzione di Anna Bellio, 2011, pp. 280. Giuseppe Parini, Prose. Scritti polemici (1756-1760), a cura di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, introduzione di Silvia Morgana e Paolo Bartesaghi, 2012, pp. 420. Giuseppe Parini, Lettere, a cura di Corrado Viola, con la collaborazione di Paolo Bartesaghi e Giovanni Catalani, 2013, pp. 256. Giuseppe Parini, Odi, a cura di Mirella d’Ettorre, introduzione di Giorgio Baroni, 2013, pp. 288. Giuseppe Parini, Il Mattino (1763); Il Mezzogiorno (1765), a cura di Giovanni Biancardi, introduzione di Edoardo Esposito, commento di Stefano Ballerio, 2013, pp. 316.