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Italian Pages 368 [360] Year 2010
MAURO BUSSAMI IL DIRITTO DELL’OCCIDENTE GEOPOLITICA DELLE REGOLE GLOBALI
IINAUOI
© 2oio Giulio Einaudi editore s.p.a., Torino
www.einaudi.it
ISBN 978-88-06-18577-0
Mauro Bussani Il diritto dell’occidente Geopolitica delle regole globali
Einaudi
Indice generale
p. IX
Prefazione
Il diritto dell’occidente PARTE PRIMA
L’assalto ai luoghi comuni
1.
Diritti e giuristi
9
1. 2. 3. 4.
i4
5.
Eliche, stringhe e usure Legge e diritto: una goffa equiparazione Diritti senza giuristi Chi dice le regole IPuqaha , i professori italiani e F. D. Roose velt) Le catene di montaggio del diritto
5 6 8
il. Giuristi e giustizia 16 17 18 20
1. 2. 3. 4.
Le bugie dei giuristi Teorie e pratiche La giustizia occidentale allo specchio del discorso pubblico Il quando e il dove della giustizia
in. Noi e gli altri 23 23 25 25 28 31 38
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Tabelle ministeriali Pensieri buffi La struttura intima dei sistemi giuridici Strati Capi, terre e famiglie in Africa Siyàsa, Dharma, Li, Giri: la forza odierna della tradizione Lo sviluppo giuridico fra regole nostre e altrui
Indice generale
vi
PARTE SECONDA
Le regole globali fra tempo e geografia iv. Le premesse P- 43 46
48 5i 52 54 58 59 63 66
72 73 74 75 78 80 85
1. 2.
Uniformità v. Concorrenza La congiura degli innocenti
v.
Rule of law. di chi e per chi ?
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
'Le rules of law Sovrapposizioni Il diritto: una fabbrica del potere americano Avvocati, studenti e Costituzioni: le fibre dell’espansione La promessa di futuro Rule Doctors Cure senza storia La fragilità progettuale del vecchio continente
Vi.
La globalità tradita. Dentro e oltre la crisi
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Pressioni selettive Domande tardive I preparativi della tempesta La crisi delle regole La triste storia delle agenzie di rating Le regole della crisi Sotto il diritto, poco o niente
vii. Intermezzo. L’ambiguo declino dello Stato 87 89 9i
1. 2. 3.
Lo spacchettamento dell’interesse nazionale Lo Stato come abitudine Localismi
vili. Rule-makers e rule-takers. Il caso del commercio globale 94 97 99 108 109
1. 2. 3. 4. 5.
Poteri dispari, poteri irresponsabili Grozio e la WTO Diritto del commercio iniquo e poco solidale Paradossi e cinismi Commercio globale e scelte dell’occidente
Indice generale IX.
Il diritto dei giusti
p. 113 114
I. 2.
115 119 121 125 I2Ó 128 130
3456. 78. 9-
Il rumore dei nemici Corti e crimini Noi non abbiamo confini: abbiamo dispute I guai dei vinti Grida nel buio Visioni in transito Il mondo in tasca Atrocità e simbolismi Gentilezze Usa v. asprezze europee?
VII
PARTE TERZA
I diritti umani:quando e dove?
x. 135 136 138
1. 2.
3.
Carte, linguaggi e sconfitte Moltiplicazioni Radici Diritti sulla carta
xi. Diritti senza diritto 141 144 147 148 149 151
1.
2. 3. 4. 5.
6.
Diritti e politica La frammentazione delle identità Il dinamismo delle identità Universale e relativo Macro-particolarismi? Al di qua del discorso
xii. Le pratiche 152
1.
158 165
2. 3.
La tortura come routine e la religione come libertà dalla satira Donne I popoli indigeni e i profeti del passato
xiii. Un tempo per le soluzioni 170 171 174 175 180
1. 2. 3. 4. 5.
Esercizi di indifferenza Confetti al funerale ? Esercizi di differenza La scelta per il candore - Il candore delle scelte Contro il vento
Indice generale
Vili
PARTE QUARTA
Diritto e democrazia
xiv. La nostra democrazia e le tracce lunghe del (suo) diritto
189
1. 2. 3.' 4.
191
5.
p. 185 185 187
Letizie e disincanti Il primato della democrazia: questione di tempo Democrazia e diritti Specialismo e secolarismo (Gregorio VII, re Andrea II e Podiebrad, mugnai e follatori) Il diritto fra‘purezze’e totalitarismi
xv. Derive ed espansioni 194 197 198 202 203 205 206 211
1.
213
Note
2. 3. 4. 5. 6. 7.
8.
Arretramenti possibili Accelerazioni ed etnocentrismi Trapianti e rigetti I limiti del nostro discorso Una Global Court for International Aid Oltre il democratic short-termism Scelte risapute Al posto delle conclusioni
Indici 321
325 339
Indice delle riviste citate in modo abbreviato Indice degli autori citati Indice analitico
Prefazione
Questo non è un libro di diritto, è un libro sul diritto. É una riflessione centrata su: il ruolo che il diritto svolge a li vello globale nel farsi dei fenomeni economico-sociali; e l’im piego del diritto stesso come lente d’ingrandimento per l’e same di alcune questioni che il discorso pubblico neglige, o non sa valorizzare, e che invece incidono in profondità sul modo di guardare al mondo in cui viviamo. Non sono parole nostre quelle che segnalano come «Ogni mutamento di sistema, di regime - da quello che ha condot to alle signorie del Trecento a quello sfociato nell’Assemblea costituente francese del 1789, dalla genesi dei Comuni alla formazione degli stati territoriali moderni, dalle riforme del l’assolutismo illuminato, alle moderne costituzioni - ha avu to il suo momento giuridico, coessenziale ad esso; e ha spes so avuto la sua preparazione nella prassi giuridica, o nel pen siero giuridico»1. Né vengono da chi scrive i moniti, puntuti, per cui «Nessuna istituzione dello Stato è più importante delle nostre corti, né cosi pienamente fraintesa dai governa ti. ... Tuttavia l’opinione popolare sui giudici e sull’arte del giudicare è fatta principalmente di slogan vuoti, fra i quali includo le opinioni di numerosi giuristi e giudici quando scri vono o parlano del proprio lavoro. Tutto ciò è riprovevole, e rappresenta solo una parte del danno. Infatti il diritto ci interessa non solo perché lo usiamo per ottenere i nostri sco 1 A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa nella storia del diritto, il Mulino, Bologna 2003, p.295.
Prefazione
X
pi, egoistici o nobili che siano, ma perché il diritto è la no stra istituzione sociale più strutturata e rivelatrice. Se riusci remo a capire meglio la natura dell’argomento giuridico, co nosceremo meglio che tipo di persone siamo»2. Si tratta di ammonizioni celebri, autorevoli e ficcanti. Ep pure, la fragilità del diritto nei circuiti di produzione delle idee resta paradossale. Nessuno dubita seriamente che i sistemi giu ridici stiano in corrispondenza biunivoca con la cultura e la ci viltà, di cui sono frutto e seme. Nondimeno, i circoli scienti fici, intellettuali, mediatici e politici trattano quotidianamen te il diritto quale fonte di ‘codicilli’, ‘cavilli’, oppure come esercizio letterario, al più appendice di qualche corrente filo sofica. Cosi, quegli stessi circuiti, di fronte alle spinose que stioni poste dalle realtà locali e globali, finiscono per riserva re - con le eccezioni che incontreremo - le attenzioni maggio ri ai verba degli economisti, dei sociologi, degli scienziati della politica, spesso a loro volta ignari di come il diritto abbia in vece potentemente orientato, e sempre orienti, gli orizzonti su cui essi esercitano le loro scienze, e tutti noi pratichiamo le nostre scelte.
'Fila. Il diritto forgia in effetti prassi e destini, ed è attraverso il suo angolo visuale che tracceremo qui una storia e una crona ca di alcune vicende del pianeta, che ricevono d’abitudine al tre attenzioni e altre letture3. Sottraendo la nostra né triste né gaia scienza al gioco dell’incudine fra cavilli e filosofia, incon treremo allora regole che trovano differenti origini, giudici di 2 R. Dworkin, L'impero del diritto, il Saggiatore, Milano 1989, p. 17 (trad. it. da Law's Empire, Belknap Harvard University Press, Cambridge Mass. 1986). 3 Paradossale in apparenza, riduttiva nella sostanza, ma istruttiva di una realtà sottaciuta, è l’osservazione di C. Gearty, Can Human Rights Survive?, The Hamlyn Lectures 2005, Cambridge University Press, Cambridge 2006, p. 81: «Cabinet mi nisters ask not, “is the policy good for the country?” but rather “can we get it pa st the lawyers ?” »
Prefazione
XI
varia toga, produttori di diritto di diversa legittimazione, stu diosi e avvocati, insieme ad attivisti, donne e bambine, indige ni e banchieri, torturatori e depredati, all’interno di una conti nua dialettica fra i ‘noi’ e gli ‘altri’, nonché tra i differenti gra di di ‘globalità’ - quella dei traffici, delle comunicazioni, delle idee - e di ‘località’ - quella delle comunità, delle tradizioni, delle identità - che la comprensione dei fenomeni impone. Alcuni fili conduttori tesseranno però la riflessione. Il primo è dato dall’attenzione per il diritto che incorpora, trascende, o attraversa la dimensione degli Stati, e delle regio ni del mondo in cui essi si collocano. E questo il livello del di scorso su cui è possibile cogliere i fattori di elaborazione e gli usi geopolitici di quel diritto che si vuole globale, insieme al le sue interrelazioni con la diversità delle culture e delle tradi zioni giuridiche, formali e informali, che abitano il pianeta. Analisi che a sua volta permetterà non solo di individuare gli strumenti con cui quel diritto determini o punti a guidare la produzione delle stesse regole domestiche e regionali, ma an che di esaminare i vettori che spingono l’espansione del dirit to globale e quelli che, muovendo da una eterogenea varietà di dimensioni ‘locali’, ne decretano gli insuccessi. Da sottolineare è solo (al di là che il termine regionale an drà qui riferito non a entità sub-statuali, ma all’insieme di giurisdizioni che appartengono a un’area geografica determi nata) che la nozione di diritto globale risulta ben diversa da quella di diritto internazionale. Quest’ultima descrive lo spa zio giuridico segnato dagli accordi fra Stati; il primo termi ne, invece, oltre a includere il secondo, incorpora sia il dirit to c.d. transnazionale, che dai confini delle giurisdizioni sta tali in principio prescinde, sia il diritto che esprime una vocazione planetaria in senso proprio4. Un altro filo conduttore si ritrova nella costante cura per 4 Sui livelli di discorso possibili in punto di dimensione giuridica: globale, in ternazionale, regionale, transnazionale, statuale territoriale, sub-statuale, non-statuale, si veda per tutti W. Twining, Globalisation and Legal Theory, Northwestern University Press - Butterworths, Evanston 2000, p. 139.
XII
Prefazione
le modalità e gli argomenti con cui l’Occidente, artefice mas simo di quel diritto globale, si confronta con le altre espe rienze e tradizioni giuridiche. Sono modalità e argomenti che partono spesso dal presupposto che il diritto ce l’abbiamo so lo noi, mentre gli altri si arrabattano cercando di imitarci o, scioccamente, di resisterci. Sono atteggiamenti che scopri remo spesso inconsapevoli delle ragioni altrui e, quindi, non di rado arroganti, privi del candore necessario a veicolare con forza persuasiva le proprie ragioni, e persino ciechi nei ri guardi degli interessi che lo stesso Occidente dovrebbe sa per coltivare, nell’inevitabile competizione che il presente e il lungo periodo impongono con i modelli altrui. ‘Occidente’, è bene intendersi, è termine il cui impiego sarà duplice - o, meglio, l’uno è dato in partenza, l’altro af fiorerà nel corso della riflessione. Nella maggior parte dei ca si il riferimento correrà all’abituale perimetro geopolitico del la nozione, quello euro-atlantico, centro propulsore di quegli argomenti e atteggiamenti di cui abbiamo appena anticipato la trattazione. Su un altro versante della riflessione, ci accor geremo però che quella nozione esiste, e nella storia ha po tuto consolidarsi (proiettandosi al di là della propria geogra fia), anche grazie al suo diritto e al modo in cui esso ha sa puto radicarsi nelle percezioni capillari dei suoi utenti, negli orizzonti delle aspettative diffuse su come le società debba no essere organizzate, e debbano appianare i propri conflit ti. E quindi un Occidente giuridico che emergerà, al contem po come dimensione cognitiva preziosa, termine di raffron to, mobile frontiera e quindi, come ogni frontiera, quale postazione utile a guardare i fatti del mondo, utile a meglio valutare le proprie e le altrui identità. Ulteriore filo conduttore è dato dall’incessante riconosci mento del fattore ‘tempo’ quale strumento ordinatore del l’analisi. Tempo come selettore di mutamenti, come secretore di identità, ma anche come produttore di consapevolez ze nei confronti del passato di chiunque, e di visioni mature, nei confronti del futuro di chiunque. La considerazione per
Prefazione
xm
il ruolo che il tempo occupa nel farsi dei fenomeni (pure) giu ridici ci obbligherà a riflettere sul tortuoso passato di cui i nostri diritti e le nostre società sono figlie; ci spingerà a sot tolineare le peculiarità della nostra storia e a farne uno stru mento interpretativo del presente; ci esorterà a non svende re quelle peculiarità a un prezzo molto inferiore a quanto ci siano costate, imponendone l’acquisto a chi quel passato non ha né ha avuto. Ecco allora il tempo quale ulteriore e potente dimensio ne cognitiva della nostra analisi, avversaria di ogni opportu nismo di corto termine e del suo ingenuo o cinico elettora to, dimensione ricca di ossigeno prezioso per quei governan ti, e chierici di fila, sovente in debito di fiato sulle salite della storia, e delle tradizioni giuridiche, proprie come altrui.
Strutture.
Ovviamente, il libro non promuove alcuna pan-giuridicità. Non si tratta di assumere il diritto come l’esclusivo, né, in molti casi, il più importante metro di riferimento, ma di coglierne l’utilità, e trarne i dovuti insegnamenti nell’anali si dei fenomeni che ci circondano. Prima però occorre spiegare cosa sia il diritto, quale nozio ne figlia di storie differenti. Ecco perché la Parte prima avvia il lettore verso la risposta ai quesiti su: cosa si debba intende re per diritto, nostro e altrui {Capitolo primo)-, come sia d’abi tudine forgiata la riflessione sull’idea di giustizia, e come sia invece possibile pensarla, da noi e altrove, nel tempo dato e in quello a venire5 {Capitolo secondo)-, con quali lenti esamina re l’esistenza della rigogliosa varietà di strati giuridici, forma li e informali, che in Occidente e fuori di esso governano la vita delle persone e delle istituzioni {Capitolo terzo). ’ Quesiti questi ultimi non lontani da quelli, rimasti inevasi, che si poneva già, fra gli altri, il Foscolo dell’orazione Sull’origine e i limiti della giustizia (1809), ora in Id., Sulla giustizia, Ibis, Como-Pavia 1992, pp. 17, 23 sgg.
XIV
Prefazione
Su queste basi il discorso potrà inoltrarsi verso la com prensione del ruolo che il diritto occupa nello scolpire i fe nomeni, e delle ragioni per cui ostinato è il tentativo dell’Occidente di forgiare quel diritto a sua immagine e somi glianza. La Parte seconda si apre così con alcune premesse meto dologiche circa i pregi e i difetti di quell’uniformazione del le regole che è al cuore del modo di pensare, prima ancora che di produrre, il diritto globale (Capitolo quarto). Il passo successivo è dato dall’esame dei fattori di produzione di quel diritto, e del peso su di essi esercitato dalla macchina giuri dica Usa, di cui si mettono in evidenza gli elementi propul sivi e la loro influenza sull’agire delle istituzioni internazio nali - qui con particolare riferimento al Fondo Monetario Internazionale e alla Banca Mondiale - (Capitolo quinto). Il Capitolo sesto svela le radici (giuridiche) della recente crisi finanziaria, enfatizza la necessità di individuare un nuovo assetto generale della regolazione e si sforza di indicare qua li soluzioni siano in grado di promettere un futuro meno burrascoso. La riflessione sulla crisi chiama però inelutta bilmente all’attenzione il tema (amplissimo, e di cui merite rà, nel Capitolo settimo, menzionare solo alcune dinamiche, utili al prosieguo del discorso) dell’ambito di manovra che in questo, come in molti altri settori, può tuttora dirsi sal damente nelle mani dello Stato. Nel Capitolo ottavo l’anali si dei fattori di elaborazione e delle modalità di funziona mento degli ordini giuridici globali punta a due ulteriori pro fili: l’apparente paritaria orizzontalità, e la sostanziale ver ticale diseguaglianza da essi espressa, a favore dei soggetti più forti sullo scacchiere geopolitico; e la irresponsabilità che caratterizza i produttori delle regole e i decisori delle dispute. Le illustrazioni pratiche scelte come paradigmati che in questa prospettiva, e tratte dal regime giuridico WTO (standard lavorativi, contratti pubblici d’appalto, soluzione delle dispute), aggiungono al quadro l’evidenza che le rego le odierne si pongono al servizio di un Occidente talora mio
Prefazione
xv
pe (anche) nei confronti dei propri interessi di lungo perio do. Il Capitolo nono si sofferma su un altro spicchio della vi sione globalizzante che nutriamo del nostro diritto, presen tando le ragioni della retorica (abbondante) e dei successi (scarsi) che hanno accompagnato la nascita delle regole tut te occidentali in materia di giustizia penale internazionale - mettendole poi a confronto con quelle forme di giurisdi zione (istituite in Sierra Leone, a Timor Est, in Kosovo, Cambogia, Ruanda) che nella persecuzione dei crimini più efferati si sono per contro rivelate assai efficaci, proprio per ché meglio armonizzate al contesto locale. In virtù di una ormai risalente specificità disciplinare, ai diritti umani è de dicata una Parte a sé stante, la terza. Qui, dopo aver presen tato e discusso i terminali maggiori intorno a cui ruota il di battito transnazionale {Capitoli decimo e undicesimo), si porrà quest’ultimo allo specchio delle modalità pratiche con cui taluni diritti umani ‘camminano’ nella (e talvolta sulla) vita delle persone e dei gruppi - il riferimento andrà, in par ticolare, a questioni sorte in punto di tortura, libertà reli giosa e di satira, mutilazioni genitali, prostituzione e sosten tamento familiare, ambiente e sviluppo dei popoli indigeni {Capitolo dodicesimo). Il Capitolo tredicesimo è riservato al le valutazioni d’insieme e, perciò, alla critica dei dogmati smi percorrenti il dibattito, alla sua altezzosa retorica, ma anche all’individuazione di un percorso diverso da quelli abi tuali, che alla nobiltà dell’idea eviti le trappole dell’ideolo gia e garantisca un destino operativo agganciato alla realtà dei tempi, dei luoghi, e della dinamica delle culture. La Par te quarta, e ultima, porta a termine il nostro viaggio attra verso il diritto, e il suo spesso misconosciuto ruolo, mostran do quanto profonde siano le radici che le nostre stesse de mocrazie affondano nella storia della propria cultura giuridica {Capitolo quattordicesimo), e come senza la consa pevolezza di questo dato le pratiche dell’esportazione della democrazia possono rivelarsi funeste, e i relativi dibattiti null’altro che esercizi di retorica, di opportunismo e, o in
XVI
Prefazione
alternativa, di ‘fuoco amico’ nei confronti dei nostri stessi interessi e delle nostre ragioni (Capitolo quindicesimo).
Alice al posto degli indovini. Insomma, forse può « sorprendere qualcuno - e spiacere ad altri - ma il diritto conta»6. Conta nella costruzione e nel lo sviluppo dei fatti e delle culture, locali e globali. Conta, al livello cui è posto il nostro discorso, perché permette di misurare virtu e difetti dell’occidente e delle resistenze al le nostre ambizioni. Conta perché rende possibile compren dere le ragioni nostre e quelle altrui nelle loro dimensioni operative, ossia sul terreno in cui nascono e vengono com battuti diritti e responsabilità. Altrettanto sicuro è che l’indicazione nel corso della ri flessione di alcuni punti fermi, e la traccia di alcune prospet tive, non sfiderà la vastità dei fenomeni. Al contrario, li ri conoscerà - saggiandone l’articolazione e il dinamismo in cessante. Cosi come li riconosce la necessaria selezione operata intorno alle questioni potenzialmente rilevanti. Ta le è la pervasività del diritto, come qui inteso, negli orizzon ti quotidiani di ciascuno (e talmente numerose sono le mo dalità con cui l’Occidente e il suo diritto tentano di incorpo rare nelle proprie ragioni la complessità del mondo), che l’estensione della trattazione a problemi notevoli, e ulterio ri, come quelli connessi, ad esempio, al diritto ambientale, del mare, dell’energia, delle contrattazioni commerciali, del la proprietà intellettuale - che qui riceveranno bensì dei cen ni, ma occasionali -, avrebbe vestito l’opera dei panni del trattato. Intento estraneo all’editore e all’autore (nonché al le capacità di quest’ultimo). Fra gli intenti sicuri di chi scrive vi è invece quello di ali mentare la consapevolezza circa il ruolo del diritto fra gli ‘ G. Rossi, Il gioco delle regole, Adelphi, Milano 2006, p. 76.
Prefazione
xvn
strumenti di comprensione del mondo, sottraendolo sia al l’impotenza delle sue visioni burocratiche, temprate da due secoli di filibustering positivista, sia all’aridità delle sue visio ni metafisiche - che come lo sguardo interiore degli antichi indovini si credono sovente vicine alla verità, solo perché di scoste dalla realtà’. Si tratta allora di porre semplicemente il diritto allo spec chio della variegata congerie di fenomeni che esso stesso con tribuisce a produrre. Ma, come accadde ad Alice, il passag gio dall’una all’altra parte dello specchio rischia di far sì che il modo di guardare a talune vicende del mondo non sia più lo stesso. Trieste, 15 febbraio 2010.
’ Cfr. R. Jacob, Images de la justice. Essai sur l’iconographie judiciaire du Aio-yen Age à l’àge classique, Le Léopard d’or, Paris 1994, pp. 229 sgg.
a larissa, figlia di un vento tiepido di dicembre
Il diritto dell’occidente
Parte prima
L’assalto ai luoghi comuni
Capitolo primo Diritti e giuristi
i. Eliche, stringhe e usure.
Una sterminata serie di cose, nozioni, attività possono es sere pensate o toccate, apprese e divulgate, programmate e svolte, senza troppa cura del luogo in cui ci si trova. Ciò è possibile, ad esempio, quando illustriamo o ascoltiamo la spiegazione del principio dei vasi comunicanti, della struttu ra a elica del Dna; oppure quando cerchiamo di applicare la teoria delle superstringhe alle forze elettromagnetiche che abitano il pianeta. Tutto ciò non è possibile quando si ha a che fare con le regole giuridiche. Fra i non iniziati al diritto, molti sanno che la presenza della giuria è assai piu diffusa nel processo penale statunitense che nel nostro, e alcuni sanno che la pre senza della stessa giuria in quel paese, a differenza che da noi, può rinvenirsi anche nei processi civili. Molti sanno che le regole cardinali in materia di coniugio allineano regimi po ligamici, in gran parte dei paesi islamici, e dell’Africa sub sahariana, e regimi monogamici come il nostro, come quello tunisino o cinese (con una parziale eccezione che riguarda il Tibet). Meno noto è che negli Usa il cittadino d’abitudine non deve rivolgersi a un tribunale amministrativo per far va lere l’illegittimità degli atti della pubblica amministrazione, visto che le Corti ordinarie servono di regola anche a questo scopo; oppure che la regola «gli interessi usurati sono vieta ti» non è un precetto che troviamo ovunque, e dove è in vi gore riceve un’applicazione molto variegata, rispetto a quel la in uso da noi. Gli esempi potrebbero moltiplicarsi senza interruzione,
6
Capitolo primo
a testimonianza della varietà di regole giuridiche da cui gli abitanti del pianeta sono governati, negli aspetti centrali e periferici della loro esistenza. Ma di cosa parliamo quando facciamo riferimento a re gole giuridiche ?
2. Legge e diritto : una goffa equiparazione.
La vulgata corrente dà per presupposto che non ci sia di ritto se non esiste uno Stato a produrlo1. In realtà se assu miamo, come nelle riflessioni più mature è pacifico, che di ritto è l’insieme di regole attraverso le quali una data comu nità (non importa quanto socialmente o economicamente sofisticata) organizza se stessa, e le proprie relazioni, inter ne ed esterne, dovremo pianamente riconoscere che è indi spensabile parlare di diritto con riferimento a tutte le società umane, indipendentemente dall’architettura istituzionale di cui esse siano dotate2. La forma occidentale di Stato, a noi nota - e che siamo stati abituati a conoscere nelle ultime dieci-quindici genera zioni -, non rappresenta che una tappa, che si annuncia co me intermedia’, nella storia di lunga durata delle organizza zioni sovraindividuali. Una storia segnata dall’assemblaggio di comunità sempre più estese, dal loro collasso, dall’auto nomia crescente di gruppi e individui, dal loro ricompattar si a titolo vario e con estensione differenziata4. Il diffuso er rore prospettico di considerare il diritto come figlio dello Sta to si deve allora a una serie di ragioni, fra loro interrelate, e tutte debitrici della storia - o delle sue narrazioni meno can dide. Prima del xix secolo, il diritto vive, anche in Occidente, senza che le comunità da esso regolate conoscessero la stes sa figura di legislatore a noi nota. Un diritto che vive senza legislatore sa essere (oggi come allora) un diritto rivelato, un diritto dei dotti, o un diritto consuetudinario. Il diritto dei
Diritti e giuristi
7
dotti o quello consuetudinario possono anch’essi, a loro vol ta, coltivare rapporti piu o meno intensi con l’ultramondano, oppure dar luogo a un diritto tecnocratizzato, gestito da figure professionalizzate quali giudici, avvocati o professo ri. Le varietà di soluzioni sono notevoli5. Ad ogni modo, il potere legislativo moderno certo non esisteva nell’antica Roma, né al tempo di Giustiniano, né in quello a egli successivo. Giustiniano ebbe anzi cura di sot tolineare che con il suo Corpus iuris non aveva voluto crea re nulla, ma solo raccogliere le precedenti e autorevoli in terpretazioni dottorali, se del caso emendandole e raziona lizzandole6. Quanto poi alle regole inglobate in quel Corpus, una delle ragioni fondamentali per cui seppero garantirsi nel tempo autorità e legittimazione, e fungere per secoli da piat taforma di sviluppo del diritto quotidiano, fu (non tanto perché erano state poste da un imperatore romano antico, ma) perché esse erano percepite come le vesti di un corpo so sapere dottorale che, formatosi in modo spontaneo, era stato capace di elaborare nozioni e criteri di giudizio trans temporali7. Il potere legislativo moderno è stato per secoli estraneo agli sviluppi pure del common law inglese: qui si tramanda va l’idea che il diritto giace nella società allo stato amorfo, frutto delle consuetudini maturate nel regno lungo il filo de gli anni, diritto che spetta al giudice rinvenire e ‘dire’ nelle sue decisioni8. Di alcun ruolo gode il legislatore terreno in shari‘a e nel diritto ebraico’, dove la norma vincola per il suo collegamento con il sacrale, elemento il quale è in principio immutabile. Declamato come immutabile (proiezione di un ordine cosmico superiore, o maturato negli usi della comu nità locale) è anche il diritto consuetudinario della tradizio ne indiana, cinese e giapponese. Immutabilità che - al di là dei suoi possibili usi10, peraltro smentiti dalle continue ela borazioni delle prassi - lascia ovviamente poco spazio all’i dea di un legislatore onnipotente e lo relega comunque lon tano dalle chiavi di volta delle strutture sociali11.
8
Capitolo primo
Lo scenario muta - in Occidente - solo allorché un ag glomerato di fattori arma una rivoluzione impegnata nel sot terrare regole e consuetudini feudali, oramai percepite come ingiustamente oppressive. Fu sostanzialmente allora che l’i dea legalistica, nata in numerosi circoli e dibattiti12, potè pre valere e imporre la sua visione, che confonde legge e diritto, diritto e legislatore, diritto e Stato. E in effetti la Rivoluzio ne francese a consegnare a una forza politica il potere legi slativo illimitato, del tipo moderno, ossia quello che noi co nosciamo15. Vero è che si tratta di una figura di legislatore fin da subito piuttosto ambigua (ambiguità poi ricorrente nel la storia, anche delle idee, che giunge sino a noi)14: si batte per liberare il paese dalle norme del passato, sostituendole con quelle dettate dalla ragione, e tuttavia la sua legge recla ma obbedienza non perché razionale, ma perché provenien te da un organo competente a legiferare. Altrettanto vero è che tutte le premesse sono poste, perché il diritto venga iden tificato non più con il diritto naturale o razionale, ma con il diritto «positivo», cioè posto dallo Stato.
3. Diritti senza giuristi.
Un rilievo cui si è fatto cenno nel precedente paragrafo vale qui la sottolineatura. Se il diritto può fare a meno di un legislatore, nessuna trascendenza impone che esso debba af fidarsi a giuristi, legati a esoterismi di casta e di professione, dotati di un vocabolario specialistico, veicolato da gazzette dedicate. Nonostante l’assenza di un ‘legislatore’, il giurista nasce a Roma, contemporaneamente alla laicizzazione dell’interes se al diritto15. Certo, già prima di quella svolta romana esi steva la funzione del giudice, e altrettanto sicuro è che per sone sagge avessero una speciale conoscenza delle consuetu dini. Ma questa attitudine non veniva necessariamente percepita come una qualità professionale, come la intendia
Diritti e giuristi
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mo oggi, da noi. Furono uomini di religione, funzionari am ministrativi, personaggi apprezzati per il loro equilibrio e la loro correttezza, a provvedere, senza essere giuristi, ai com piti giuridici. La figura del giurista come cultore scientifico non esiste nella Grecia classica, né nella storia africana anteriore ai con tatti con Roma, con l’IsIam e con l’Europa. Eppure, la Gre cia, l’Africa tradizionale, le civiltà del bronzo sono tutte so cietà che fondavano la propria esistenza su di una rigogliosa produzione giuridica16. Anche in quelle civiltà, come ovun que come sempre, il diritto si è costantemente collocato in relazione biunivoca con la cultura della comunità che lo espri me, e che lo può esprimere - questa è la notazione di rilievo con o senza giuristi di professione. In altre parole, il diritto è vissuto, può vivere e svilupparsi, senza l’attività del giuri sta a noi nota, ossia senza essere contrappuntato da un ap parato di conoscenze elaborato criticamente.
4. Chi dice le regole (Fuqahà’, i professori italiani e F. D. Roosevelt). Di un altro dato occorre però impadronirsi. Non c’è di scussione seria sul punto che una tradizione giuridica non è un insieme di regole sulla tassazione, sulle società di capita li, o sui compiti della polizia - regole che sono mutevoli, e possono essere ispirate da contingenze, o pure da ammira zione per modelli altrui17. Piuttosto, una tradizione giuridi ca va compresa quale «un insieme di atteggiamenti profon damente radicati e condizionati dalla storia, circa la natura del diritto, e circa il ruolo che il diritto deve svolgere nella società politicamente organizzata, circa il miglior modo di organizzare il funzionamento del sistema giuridico e circa il modo in cui il diritto deve essere fatto, applicato, studiato, perfezionato e pensato. La nozione di tradizione giuridica pone un sistema giuridico in relazione alla cultura di cui es
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so è parziale espressione. Pone un sistema giuridico in una prospettiva culturale»18. Ricorderemo più avanti come definizioni del genere do vrebbero trovarsi ben distese, e pronte all’uso, nella borsa degli attrezzi dei nostri politici e scienziati sociali, inclusi gli economisti, al fine minimo di dotarsi della consapevolezza di una prospettiva capace di impatto decisivo sulla compren sione (prima ancora che sulla soluzione) dei problemi ‘altrui’. Qui invece preme sottolineare che se il diritto e il suo farsi sono il prodotto dell’attività di una varietà di fattori, le re gole non possono dirsi date a priori, ossia quali semplici ri sultanti di un accertamento limitato alle Costituzioni, o agli ‘atti normativi’. In tutti i contesti, rivelati o consuetudinari che siano, c’è bisogno di chi ‘dice’ il diritto, ossia di chi manifesta nel lin guaggio atteso il contenuto delle regole che vanno applicate. Sappiamo che la storia del diritto inglese ha affidato questo compito al giudice, l’Europa continentale ci mostra il dirit to elaborato dal teorico e applicato dal giudice. Il diritto isla mico ci offre a dirittura uno dei modelli più estremi di crea zione dottorale del diritto15. Il diritto rivelato è in gran par te opera dei fuqahà’, cioè degli interpreti dotti, che distillano distinzioni e conclusioni sapienti20. Ma in quei contesti la produzione dottrinale è resa massimamente autorevole da due circostanze. Il giudice islamico - il qàdì - non motiva, e quindi non incoraggia l’estrazione della ratio decidendi, la memorizzazione dei giudicati, l’imitazione del precedente. Oltre a ciò, l’area dove si pratica la shari‘a non è dotata di un organo giudiziario di vertice, una Corte Suprema, perché le piramidi giudiziarie appartengono ai singoli stati, e non al la comunità islamica21. Insomma nei paesi in cui è diffuso l’IsIam, come da noi, come altrove, non è possibile sapere quale sia il contenuto di una ‘legge’ senza conoscere gli apparati categoriali e le mo dalità operative con cui viene data applicazione alle regole, senza conoscere il ruolo giocato e il potere goduto dai corpi
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applicativi. Detto altrimenti, non è in alcun luogo possibile comprendere il linguaggio con cui camminano i diritti e gli obblighi, la maniera in cui vengono giudicati i conflitti, ma neppure il modo con cui vengono gestite le riforme sociali ed economiche più rilevanti, senza conoscere il c.d. legal pro cess, ossia senza conoscere quell’insieme di elementi che van no dal modo in cui si formano i giuristi (o chi è chiamato a dire le regole), al loro linguaggio, alle ragioni per cui costo ro si sentono obbligati a prendere quella determinata deci sione, o a scrivere in un certo modo le sentenze, o le circo lari, parlando a chi, volendo essere ascoltato da chi, volen do persuadere chi. Un’applicazione domestica aiuterà a meglio comprende re. Dal 1942 l’Italia dispone di un codice civile nuovo, su bentrato a quello del 1865 - entrambi sostanzialmente ispi rati al codice napoleonico del 1804, tuttora in vigore in Fran cia. Ebbene, la letteratura giuridica del secondo dopoguerra usava dialogare soprattutto con la dottrina tedesca, specialmente quella anteriore al 1900, e ciò non per fare storia, ma per interpretare il diritto vigente, nella convinzione che i concetti giuridici fossero stati studiati in modo insuperato dall’ultima generazione dei cc.dd. pandettisti tedeschi. Que sta impostazione ovviamente rifluiva nell’insegnamento e an dava a comporre il bagaglio tecnico del dottore in giurispru denza, che finiva poi a sedere sullo scranno dei tribunali. Co si - per stilizzare uno dei molti esempi proponibili - sino agli anni ’70 del ’900 vi era sempre la possibilità che chi chiedes se il risarcimento di un danno di natura economica si sentis se rispondere dal giudice che il ristoro poteva essere conces so solo in presenza di una lesione di diritti come quello di proprietà, all’integrità fisica o alla vita. Questa risposta non trovava alcun appiglio nel nostro codice. Essa era invece il frutto di un insegnamento scolare che aveva fatto propri gli stessi limiti risarcitori dettati dal codificatore civile tedesco del 1896 e cui davano voce gli autori germanici. Per lungo tempo, in somma, chi da noi cercava il dato legale s’imbat
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teva in un modello di derivazione francese, chi cercava le so luzioni operative incrociava un modello interpretativo di de rivazione tedesca: e cosi l’attore in giudizio non poteva nem meno sognarsi di vedere risarciti, come accade oggi, i propri danni puramente economici, biologici, o ‘esistenziali’. Si ba di, quanto è cambiato sono i riferimenti culturali degli inter preti. Il codice è rimasto immutato. Può allora esistere una profonda disarmonia fra dato le gislativo e dato giurisprudenziale. Non si tratta però di una deformazione italiana. La forza dei corpi applicativi è do vunque possente e, con maggiore o minore trasparenza - a seconda dei tempi, dei luoghi e dei settori del diritto -, sem pre in grado di veicolare la parola lungo i canali che quei cor pi ritengono adeguati alla bisogna. Un esempio fuori dai nostri confini? Restando in Occi dente, basterà richiamare quello che viene d’abitudine ricor dato come una delle svolte politiche maggiori nel xx secolo e che, al di là di questa indubbia caratteristica, si rivela un epico scontro condotto sul terreno giuridico. Non è difatti possibile cogliere cosa abbia rappresentato il New Deal rooseveltiano senza comprendere il sofisticato e dinamico equi librio che, attraverso una serie di prove di forza, si deter minò nel corso del tempo fra i maggiori attori del sistema giuridico statunitense - vicenda, peraltro, non priva di spun ti di rilievo per il travagliato presente nostro, e americano in particolare. L’idea base del progetto di F. D. Roosevelt era quella che, per far uscire il paese dalla depressione economica in cui era piombato dopo la crisi del 1929, toccasse al governo federa le la manovra del ciclo economico. I corollari di questo as sunto contrastavano però cosi fortemente con il tradiziona le sistema di common law da rendere necessario derogarvi tramite apposita legislazione, soprattutto al fine di sottrarre alcuni poteri alle corti, vestali del common law, e affidarli al le diverse agenzie governative che si venivano istituendo. Lo scontro ideologico, come spesso accade in Occidente,
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si trasferì sul terreno giuridico, dove il valore della certezza del diritto, racchiuso nella fedeltà al sistema tradizionale, fi niva coll’opporsi ai valori della nuova giustizia sociale, mi ranti a un allargamento della sfera dei diritti dei cittadini. In effetti, la legislazione e le burocrazie che il New Deal intro dusse non erano affatto volte ad assimilare i risultati e i lin guaggi della secolare elaborazione del common law, ma a su perarli. Quella legislazione e quelle burocrazie presuppone vano il common law come un sistema che rifletteva tutti gli anacronismi e le ingiustizie del laissez-faire: le regole in ma teria di proprietà e contratto apparivano, cioè, come stru menti atti non a connettere, ma a isolare le posizioni priva te nei confronti del controllo sociale22. Al loro posto, i segua ci del New Deal rivendicavano la centralità del diritto al lavoro, all’abitazione, all’educazione, e pensavano che tali diritti potessero divenire effettivi solo grazie all’azione ‘sov vertitrice’ del governo federale. Assumendo il ruolo di guardiana del common law quale parte integrante dell’ordine costituzionale fondato sull’indi vidualismo proprietario23, la Corte Suprema federale finì coll’invalidare come costituzionalmente illegittime molte delle leggi votate dal Congresso nel primo mandato rooseveltiano (1933-36). Il conflitto fra la Corte e l’amministrazione de mocratica si trasformò, presentandosi come il problema di chi meglio incarna i valori costituzionali e, in definitiva, di chi deve tradurli in prassi: il presidente e il Congresso elet ti dal popolo, oppure i nove giudici della Corte Suprema co stituzionalmente collocati al di fuori del circuito democra tico. Ecco perché, quando le elezioni del 1936 confermarono l’enorme popolarità del programma del New Deal, Roosevelt andò subito all’attacco della Corte. Ciò che avvenne princi palmente con il c.d. Court Packing Pian, attraverso cui il pre sidente avrebbe potuto nominare alcuni membri nuovi del la Corte, sì da sovvertirne la maggioranza. La giustificazio ne ostensa fu quella di aiutare gli anziani giudici a sostenere
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il crescente carico di lavoro24. La mossa fu accolta assai cri ticamente, e non solo dai suoi oppositori politici, perché il gesto fu accusato di minacciare l’indipendenza del potere giu diziario, e in particolare di quella Corte Suprema che era con siderata uno dei simboli dell’unità nazionale25. Fu una serie di eventi ulteriori, tuttavia, a indurre Roosevelt ad accanto nare per sempre quella riforma. Nel maggio del 1937, un giudice noto per le sue idee con servatrici annunciò le sue dimissioni e ciò consenti a Roose velt di nominare al suo posto un progressista. Ma soprattut to la Corte modificò sensibilmente il suo metro di giudizio, avviando un rapido revirement con cui iniziò a vagliare po sitivamente leggi che fino a poco prima avrebbe considerato costituzionalmente illegittime (dal Social Security Act al Na tional Labor Relations Act, a una legge sul minimo salariale dello Stato di Washington, del tutto simile a quella dello Sta to di New York dichiarata illegittima pochi mesi prima). Lo scontro era finito. La sfera di competenza del gover no federale venne allargandosi imponentemente con la crea zione di una vasta serie di agenzie, le quali, oltre a trasfor mare radicalmente il diritto degli affari26, presentavano la ca ratteristica rilevante di riunire in capo a se stesse poteri tradizionalmente separati. Agendo infatti in base a leggi che fissavano obiettivi generali e che delegavano ad esse la nor mazione di dettaglio, nonché il compito di regolare i ricorsi e le controversie con i soggetti amministrati, queste agenzie finirono - si noti - con il condensare su di sé poteri legisla tivi, giudiziali e amministrativi.
5. Le catene di montaggio del diritto. Qui il punto non è solo levare il memento (utile anche agli ‘esportatori di democrazia’) che la politica passa attra verso il diritto, il quale è a sua volta dinamicamente inseri to nello sviluppo della società di cui è espressione. Né si trat
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ta di sottolineare come la stessa tripartizione dei poteri pos sa senza danno piegarsi alle esigenze del tempo se (e solo se) il quadro istituzionale è dotato di contrappesi e controlli ef ficaci27. Quanto vale maggiormente è ribadire che, in siste mi istituzionali complessi, il compito di fare il diritto spetta ad attori numerosi: le autorità amministrative, le corti, i ce ti forensi, le burocrazie - oltre ovviamente al legislatore, con la varietà morfologica dei suoi prodotti, ciascuno dei quali da intendersi come esito di un processo decisionale segnato da esigenze mutevoli28. L’avvertenza ulteriore è una sola, ma come vedremo ro tola fino a valle delle questioni piu rilevanti poste dalle cc.dd. globalizzazioni: è la necessità di comprendere come ogni si stema giuridico viva all’interno di coordinate culturali che, pure in Occidente, non sempre sono prone a mutazioni dal l’alto, che non si cambiano in una notte, sia pure boreale, che esprimono interrelazioni complesse tanto quanto sono complesse le società in cui operano. Che poi le idee nate in Occidente riescano o no a riflet tere sullo specchio voltairiano della propria ragione le altrui ideologie, tradizioni, trascendenze e l’intera, diversificata realtà del mondo, è una questione che ritroveremo più vol te cruciale nella nostra riflessione.
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Giuristi e giustizia
i. Le bugie dei giuristi.
Un altro dei prismi attraverso cui avanzare la compren sione dei fenomeni, locali e globali, è quello che connette di ritto e giustizia. Un dato incorporato nell’antropologia culturale dell’Occidente indica come in questa tradizione il diritto pretenda di essere giusto. A questo scopo, il giurista occidentale ha sempre affermato che il proprio compito è quello di descri vere, i.e.: ‘trovare’, ‘glossare’, applicare il diritto, lasciando le decisioni politiche alle sedi politiche. I giuristi hanno sem pre finto di descrivere il diritto mentre in realtà lo elabora vano, e lo elaborano. Insomma i giuristi mentono. Che men tano perché essi si rapportano a una verità dettata da una ra gione artificiale, in quanto tecnica e specialistica, è un dato che le società occidentali dovrebbero considerare un presup posto essenziale della propria cultura. Come abbiamo visto e meglio vedremo, proprio perché tecniche e specialistiche, quelle elaborazioni, a differenza di altre, hanno saputo len tamente evolversi al servizio di una concezione operativa di giustizia sostanzialmente indipendente dalla religione e dal le altre trascendenze2’. Riguardato tuttavia dal punto di vista interno agli stessi dibattiti occidentali, quell’anelito al ‘giusto’ risulta assai fria bile. Cangianti sono le circostanze storiche in cui i giuristi operano, mutevole è la ‘volontà politica’ di contorno: altro è il feudatario, altro è l’imperatore, altro ancora è lo Stato sovrano, o le istituzioni globali. Assai varie, di conseguenza, sono le modalità con cui si può apprezzare la ‘giustizia’. Qua
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le giustizia ? resa come ? resa dove, resa quando ? e soprattut to per chi ? Modalità tutte potenzialmente in grado d’incide re profondamente sugli esiti che la data regola può produrre.
2. Teorie e pratiche.
Si tratta di articolazioni che è utile porre allo specchio di due distinte percezioni della giustizia, entrambe assai diffu se: quelle di matrice teorica e quelle interne ai corpi applica tivi del diritto. Con riguardo a queste ultime, la prospettiva tradiziona le - in particolare quella da noi prona al positivismo (di cui abbiamo fatto cenno al capitolo precedente, e) che vuole il giurista bocca della legge - si avvale di una visione secondo la quale ciascuna regola è apprezzata attraverso la sua valen za sistematica, trovando il sistema legittimazione e limite nella sua razionalità’0. Su tale direttrice, il giurista mirereb be in sostanza alla legittimazione «materiale» di una, rectius: della decisione giusta, mentre a fornire fondamento al la decisione è l’apparato concettuale, variamente irrorato da prospettive lato sensu politiche e culturali (la trasparenza con cui queste prospettive sono esplicitate distingue poi l’atteg giamento dell’interprete europeo rispetto a quello angloame ricano)’1. Di conseguenza, il problema della conformità a giu stizia si pone semplicemente in termini di ricerca di quale so luzione, fra quelle possibili all’interno del sistema dato, soddisfa al meglio quelle esigenze di conformità. Con riguardo invece agli apparati (puramente) teorici, è ben noto che nella storia della nostra cultura il rimando biu nivoco fra diritto e giustizia è stato a lungo centrato sul pa rametro del raggiungimento di un ‘bene comune’. Gli esem pi abitualmente tratti a riferimento sono numerosissimi: dal Platone per cui il diritto dovrebbe orientarsi verso «il comu ne interesse di tutto lo Stato»’2, all’Aristotele secondo il qua le «un vero governo» dovrebbe avere un diritto giusto, e un
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diritto giusto è quello orientato verso «gli interessi comu ni»”; dal Tommaso che definiva il diritto come un ordine di ragione volto a realizzare il bene comune”; al Locke che sot tolinea come, secondo il diritto naturale, il potere legislati vo «nella massima estensione, è comunque limitato dal cri terio del pubblico bene della società»”. Nella letteratura più recente, si moltiplicano poi - ma, come vedremo subito, le tracce profonde della riflessione non sono cambiate - i so stenitori di chi individua le nuove fonti dei procedimenti che conducono dalla legittimità alla giustizia, per esempio, nelle idee della «giustizia come equità», come ‘correttezza’ (Rawls, Alexy), oppure nelle idee dell’«auditoire universel» (Perel man), dell’«integrity» (à la Dworkin), o del «kommunikatives Handeln» (Habermas)36, della giustizia come «formula di contingenza» o come «formula di trascendenza»3’. Si trat ta di prospettive tutte, quelle più antiche come quelle più re centi, che all’evidenza finiscono per rimandare la palla del la ‘giustizia’ nel campo delle opzioni politiche, al cui riparo il giurista può continuare a vestire i panni visibili del tecni co supino al diritto ‘ufficiale’, e quelli occulti dell’autentico facitore di regole.
3. La giustizia occidentale allo specchio del discorso pub blico . Di fronte a orientamenti del genere - qui ridotti a cenni brutalmente semplificatori, ma la cui ricchezza è foriera di dibattiti veicolati da una pubblicistica imponente -, alcune considerazioni meritano la paziente sottolineatura. Si tratta di dati necessari a comprendere i modi in cui la giustizia è percepita all’interno della nostra cultura, e che ci permette ranno nel prosieguo del discorso di meglio misurare la distan za che separa le nostre prospettive da quelle altrui. La prima considerazione vale a sgomberare il campo da alcuni possibili equivoci. La comunicazione fra diritto e
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scienze altre - siano esse naturali, sociali, o filosofiche, e in cluse quindi quelle che si occupano delle teorie della giusti zia - rappresenta un bene assai prezioso. Si tratta di un fe condo arricchimento del terreno su cui nella nostra civiltà germina la comprensione dei problemi e l’offerta di soluzio ni. Tuttavia, detto che tale arricchimento potrebbe e (per demerito dei giuristi) non sa essere biunivoco, il punto è che i corpi applicativi muovono da una posizione che in Occi dente, come si è detto, è quella del tecnico posto di fronte a un reticolato di regole. Ruolo che la tradizione in cui siamo immersi declama indifferente, almeno in principio, al dato a-specialistico, come quello rappresentato dalle teorie sulla giustizia. Ciò che aiuta a spiegare perché ai luoghi in cui si costruisce il discorso pubblico (media, circoli politico intellettuali) i corpi professionali rimandano l’ineluttabilità di una nozione di giustizia ‘burocratica’, ‘cavillosa’, figlia unica di un precedente giudiziario, o di un comma”. Allorché le questioni giuridiche arrivano sul tavolo di que gli stessi produttori del discorso pubblico, cosa accade? Co storo, quando non si abbeverano alla burocratica fonte del la cronaca processuale, o parlamentare del giorno, non pos sono che filtrare l’esperienza giuridica attraverso la sola alternativa a loro disposizione, ossia il dibattito teorico sul la giustizia. Si tratta però, spesso, di teorie mal rifornite dei dati che attengono ai problemi concreti su cui esse vorrebbero eser citare la propria capacità d’indirizzo. Si tratta conseguente mente di teorie che, sovente, diffondono l’idea di una giu stizia metafisica, congegnata in termini pretenziosamente universali e astratti, rinserrata attorno ad affermazioni il cui tasso di condivisione è pari solo a quello di generalità, e con dannata alla distanza dai conflitti che quotidianamente chie dono di essere amministrati e risolti”. Nel dibattito teorico poi, e dalle sue origini, si trovano volta a volta veicolate nozioni assai distanti fra loro, come quelle di giustizia ‘commutativa’, ‘distributiva’, di giustizia
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come rispondente, equivalente a tradizione, a ragione, a na tura40. Il punto è però che - pur tenendo aperti gli occhi sul solo nostro mondo occidentale - quelle nozioni sono soven te costruite prescindendo dalla considerazione per il settore del diritto su cui si esercita la riflessione. Il dato è ovviamen te cruciale, perché il diritto dei disabili esprime problemi e vive di principi e regole che non sono replicabili per le so cietà commerciali, o per i contratti internazionali, e lo stes so vale per le distanze che separano il diritto di famiglia da quello amministrativo, o quello del processo penale dal dirit to agrario. Così il discorso appare sclerotizzato in un retico lo di astrazioni (ex ante, ex ignorantia), che non hanno nul la a che fare con le scelte concrete, di persone concrete po ste in situazioni concrete41 (le eccezioni ovviamente ci sono, e ce ne occuperemo nel prosieguo del discorso, ma restano eccezioni)42. Non c’è qui bisogno di insistere sul pericolo sem pre incombente di generare falsi negativi - ossia di mancare di scorgere interessi concreti - oppure falsi positivi, cioè co gliere come pubblici e valevoli di protezione primaria, inte ressi che possono non esserlo4’. Il problema di ultima istan za è che quelle maniere di catturare la comprensione finisco no sovente col risultare solo dogmatiche, e auto-referenziali (benché utili a svolgere il role-game di accademici, oppure, e talora simultaneamente, di consiglieri del principe).
4. Il quando e il dove della giustizia.
Stretta fra ‘cavilli’ e astrazioni, ecco allora come veleg gia, senza albero maestro, la percezione pubblica del nostro diritto. Ma quanto precede non è tutto e, ai nostri fini, nem meno il più. Nei circuiti in cui si fabbricano le teorie e si produce il dibattito sulla ‘giustizia’, oltre al deficit di concretezza poc’anzi richiamato, scarso risulta l’approfondimento su te mi che per converso appaiono centrali. Tali dovrebbero ap-
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patire, quanto meno, a chi volesse guadagnare a quéi circui ti comunicativi, e a quei dibattiti teorici, capacità d’indiriz zo delle ‘percezioni condivise’ circa i problemi che al diritto sono assegnati dallo sviluppo delle nostre società. Ma cen trali dovrebbero apparire pure a chi ambisce a propagare no zioni universali e a-temporali di diritti e di giustizia, cosi co me a chi punta a comprendere, o a incidere su, il modo in cui si dipana la concreta amministrazione del ‘giusto’ nelle are ne del diritto globale44. Qualunque sia la nozione di giustizia adottata, manca una massa critica di analisi, sgombra da odierni pre-giudizi, sul la possibilità che quanto è giusto in un tempo determinato lo sia, pure all’interno della stessa società, in un periodo sto rico diverso (e gran parte del dibattito sulle evoluzioni del diritto fuori dall’occidente, o sullo sviluppo dei diritti uma ni, ne sono vividi esempi - si veda infra, Capp. 3, 10-13). Piu in particolare, poi, manca una massa critica di analisi sulla possibilità che sia giusto quanto guarda (solo) all’allocazione delle risorse presenti o sia giusto quanto guarda anche alle allocazioni future delle risorse. E chiaro, del resto, che con tinuare a intendere la giustizia come avente a oggetto i beni contesi già esistenti rende inevitabile - e non solo nella pro spettiva della salvaguardia dell’ambiente45 - che le idee e i sistemi giuridici in uso funzionino (al meglio) quali preser vatoti e non dilatatori di giustizia nel tempo46. Quanto poi risalta in quelle ‘teorie’ è come i dibattiti e le nozioni da esse veicolati siano raramente riforniti di dati, elementi e riflessioni che valichino la dimensione regionale dell’occidente47. Manca in altri termini l’attenzione neces saria a comprendere l’impatto di quelle visioni - nel tempo dato e nella data area del diritto - su esperienze altre dalla nostra, ove le coordinate di riferimento per il farsi della ra gione pubblica, per il soggetto che è chiamato a risolvere le dispute, cosi come per chi aspira a veder soddisfatte le pro prie pretese, sono assai mutevoli e spesso distanti da quelle proprie all’Occidente48.
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Capitolo secondo
' Intendiamoci, i teorici della giustizia fanno il loro mestie ri, costruiscono prospettive, delineano orizzonti di senso, e non ci sarebbe nulla da ridire se intitolassero i frutti delle loro riflessioni ‘teorie della giustizia occidentale’ (o ameri cana, europea, italiana) del decennio ‘Y’ del secolo ‘Z’. Ma questo non accade: implicita è d’abitudine la vocazione uni versale e/o atemporale di quei discorsi. Eppure, s’immagina con facilità quale potrebbe essere la reazione ordinaria di un pensatore del nostro emisfero «to a Chinese intellectual who puts forward a universal theory of justice that draws on the Chinese political tradition for in spiration and completely ignores the history of Western so cieties, except for brief criticism of slavery and imperial ism»4’. Eppure sono i giuristi occidentali - come ricordere mo - a scrivere lo spartito, e suonare le note, di quel diritto su cui vorremmo il resto del mondo fosse chiamato a danzare.
Capitolo terzo
Noi e gli altri
i. Tabelle ministeriali.
Come dovrebbe esser noto - e non lo è, ad esempio, alle nostrane tabelle ministeriali per i corsi di laurea in giurispru denza -, il diritto non nasce e vive fra Brennero e Lampedu sa, o fra Trieste e Ventimiglia, né fra Lisbona e Vilnius30. Allorquando si discorre di diritto tout court, oppure di business law, di diritti di cittadinanza, ma anche di diritti della personalità, oppure di diritto all’autodeterminazione delle scelte in materia familiare, o dello stesso diritto di pro prietà, si è di fronte all’esistenza di una pluralità di modelli giuridici, fra loro più o meno distanti e diversamente in gra do di assorbire concezioni e ragioni pubbliche altrui, e altro ve condivise. In una prospettiva che mira a comprendere la realtà at traverso le regole che le comunità si danno, ricevono ed ela borano, questo è però un aspetto che merita considerazione speciale. Ecco perché vale la pena di tratteggiare - seppure in punta di penna - alcuni dei possibili punti di partenza per una riflessione che si voglia consapevole circa le articolazio ni e le diversità di cui tener conto.
2. Pensieri buffi.
Un chiarimento s’impone subito, come volto a sgombe rare il campo da luoghi comuni perniciosi. A dire il meno, risulta buffo pensare che, poiché negli ul timi secoli la forza e il prestigio dell’occidente ha diffuso in
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Capitolo terzo
gran parte del mondo la propria ‘rule of law’51 (insieme ai suoi apparati: giuristi e giudici professionisti, codici, costi tuzioni, gazzette specialistiche), questo impianto funzioni o possa funzionare dappertutto come nelle sue terre d’origi ne52. Condivide il destino di tutte le natveté pensare che là do ve troviamo un codice, una costituzione, una legge scritta che formula una regola identica a quella di un altro paese, questa regola finisca necessariamente coll’essere interpreta ta e applicata allo stesso modo nelle due realtà. Si è già det to come sulla formazione della regola operativa incidano una pluralità di fattori, che variano da contesto a contesto, e fra i quali vale la pena dì richiamare l’esistenza e l’influenza di ceti giuridici professionali, di controlli istituzionali efficaci, oppure il ruolo sociale, ma anche i modi di reclutamento, del giudice. A tacer d’altro, un giudice scelto tra le fila degli ac cademici sarà portato a dare maggior peso alle posizioni dot trinali rispetto a un giudice proveniente dal mondo forense; un giudice di nomina politica potrebbe seguire nella propria navigazione giuridica stelle polari diverse da quelle di chi ac cede alla carica per concorso; differenze di rilievo potrebbe ro determinarsi fra le concrete ispirazioni di un giudice no minato a tempo e quelle di un giudice inamovibile; e si trat ta di specificazioni tutte direttamente influenti sul modo di realizzare qualsivoglia modello di giustizia, a livello dome stico come sul piano internazionale, o globale55. Tutto questo, intendiamoci, vale dappertutto, ma si trat ta di un dato che attira una particolare attenzione anche, e (nella nostra prospettiva) soprattutto, allorché si crede di po ter esaminare, o risolvere i problemi di un paese non occi dentale semplicemente con l’occhio, o la penna, poggiati su un codice, una costituzione, una legge scritta. Qualche precisazione, e qualche illustrazione meritano al lora l’evidenza, cominciando dalle prime.
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3. La struttura intima dei sistemi giuridici.
Il dibattito sembra essere assai poco consapevole di un fe nomeno di vasto impatto sul funzionamento dei sistemi, og gi evidente soprattutto al di fuori della tradizione giuridica occidentale34, ma tuttora vivo pure nelle nostre esperienze55. Il riferimento è alla sopravvivenza (o talora alla ri-nascita) di differenti ‘strati’ giuridici, nei quali le regole e le soluzioni fioriscono indifferenti a, o in contrasto con, il diritto ufficia le dello Stato (o dell’autorità sub- o sovra-nazionale da esso riconosciuta)56, ossia il diritto espresso dalle decisioni giudi ziali, dalle norme scritte nei codici, nelle altre leggi e regola mentazioni di ogni tipo. Questi diversi strati coesistono, sto ricamente asserviti ciascuno a un obiettivo differente, e alcu ni di essi evitano pure i meccanismi usuali di soluzione delle controversie, nel senso che la maggior parte delle liti, che sor gono fra gli utenti dello strato giuridico dato, non sono rimes se all’operare dei circuiti ordinari di decisione57. Ovviamente, non entra qui in linea di conto il dibattito tutto occidentale e tutto di marca positivista che si esercita sul ruolo svolto dalle cc.dd. social norms, regole sociali o cul turali, come ‘altro’ dal diritto. Alla base della nostra analisi vi è, come sa il lettore, l’assunto che il diritto sia l’insieme di regole che una data comunità (non importa quanto gran de, e socialmente o economicamente sofisticata) adotta per organizzarsi. Data questa definizione del fenomeno giuridi co, ogni distinzione fra regole giuridiche e regole sociali vie ne meno, nella misura in cui queste ultime rispondano ai so praddetti requisiti58.
4. Strati. L’articolato fenomeno della stratificazione può essere qui brevemente illustrato nel modo che segue.
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Solo uno dei nostri orizzonti giuridici è racchiuso in quel lo che potremmo chiamare ‘lo strato formale ordinario’, e cui di solito è riferito il discorso giuridico occidentale. E il livel lo in cui incontriamo la produzione, e l’applicazione, di nor mative nazionali e locali, del diritto UE, di quello interna zionale. Qui comportamenti, attribuzioni e dispute sono con trollati dal diritto ufficiale, e dai circuiti formali di aggiu dicazione. Ad altri livelli dell’esperienza giuridica regna invece l’informalità - la quale può naturalmente esprimere regole più o me no coerenti con i principi che forgiano il diritto ufficiale. Sotto i cieli dell’informalità, uno strato in cui ci si imbat te facilmente, perché governa comportamenti diffusi, è quel lo controllato da regole, e strumenti di soluzione delle dispu te, di stampo tradizionale (z.e. consuetudinario), che poggiano su valori condivisi nella comunità data, e che sono ispirati dal principio di ‘autorità personale’. In quest’area si collocano so vente, anche da noi, le relazioni familiari e di parentela”. Un altro strato è retto da regole e strumenti di aggiudi cazione informali, ma queste regole e questi strumenti han no, almeno in parte, natura e origini differenti. Esse sono ra dicate nel diritto consuetudinario locale e la loro azionabilità, extra-giudiziale, è assicurata da fattori extra-parentali. Si pensi ai comportamenti opportunisticamente tesi a man tenere buoni rapporti di vicinato, oppure si pensi a quelli ba sati sulla fiducia nel rispetto delle regole locali da parte de gli altri consociati. Questo è quanto da noi risulta visibile in larga misura nell’esercizio dei diritti proprietari (soprattut to al di fuori dei contesti urbani)60, nella gestione di affari di poco valore61 e nella risoluzione delle dispute che prendono origine dai piccoli incidenti della vita quotidiana62. L’informalità - sempre intesa come osservanza di regole non provenienti da un’autorità ‘ufficiale’ - è poi presente, oltre che nel tempio stesso della statualità, ossia nel dome stico diritto pubblico e costituzionale (si parla allora di con suetudini, prassi, convenzioni)6’, anche nelle maglie del di
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ritto pubblico ‘globale’, dove la soluzione delle controversie finisce talora per conformarsi a valori, e perseguire scopi, la terali rispetto a quelli scolpiti negli strumenti normativi for mali (ne vedremo qualche esemplificazione nei Capitoli se sto e ottavo). L’ultimo strato che qui vale il richiamo è quello del dirit to privato degli affari transnazionali, dove le regole che si applicano sono sovente il risultato delle tradizioni e delle am bizioni proprie ai protagonisti del business law transnazio nale, e dove gli attori tendono ad adottare regimi e strumen ti di aggiudicazione auto-creati, elaborando da sé le moda lità di composizione delle liti o nominando essi stessi i loro giudici e dando vita alle proprie corti (sul punto torneremo nel Capitolo quinto). Due osservazioni, al limite dell’ovvio. La prima è che an che gli strati informali sono da noi governati dal diritto uffi ciale, e amministrati dai circuiti formali di aggiudicazione. Il punto è però che non solo i dati statistici ma anche la perce zione sociale, e la giornaliera amministrazione del diritto, mo strano che questi sono strati nei quali la fonte rilevante e di retta dell’ordine sociale non si ritrova nel diritto ufficiale e nei circuiti formali di decisione, bensì nella congerie di rego le a formazione consuetudinaria che, orientando comporta menti, erogando premi e sanzioni, controlla con elevati tassi di effettività le dinamiche delle relazioni interpersonali64. La seconda osservazione ricorda come la disposizione dell’espe rienza giuridica su di una varietà di piani, le loro interrelazio ni, l’attingere dei membri della micro- o macro-comunità a un insieme di regole differenziate, siano fenomeni che esisto no da sempre, da noi come altrove. In Occidente è stata la temperie statalista degli ultimi due secoli a occultare il dato, reclinando l’attenzione del discorso pubblico, così delle per cezioni politiche come della letteratura giuridica, sul mero di ritto ufficiale, posto dalle fonti riconosciute dallo Stato65. La presa in conto della stratificazione del diritto risulta invece utile al fine minimo di acquisire la necessaria consa
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Capitolo terzo
pevolezza circa le relazioni giuridiche che si intendono com prendere e governare, qualunque sia la prospettiva, domesti ca o internazionale, su cui si pone lo sguardo. Più in partico lare, questa analisi appare cruciale, non solo al fine di vaglia re la linea di displuvio fra quanto - da noi come altrove - è o no alla portata del discorso ‘ufficiale’, ma anche per com prendere quanto i dibattiti sul diritto, sulla giustizia, sulle tradizioni che li forgiano, sulla loro ‘riforma’, sugli interven ti istituzionali, sulla stessa ‘democrazia’66, siano tutte discus sioni a rischio di accomodarsi al riparo dalla realtà, se non esposte alle tensioni che la producono. Fra queste tensioni non si possono certo trascurare le di verse evoluzioni che nel tempo hanno conformato, e confor mano, dall’interno lo sviluppo di ciascun corpo di regole67. Ma è proprio la consapevolezza circa le modalità di sviluppo di tali fenomeni a rendere chiaro come per tutti gli strati, e in particolare per quelli incardinati su costumi e differenti valori e tradizioni, ogni tentativo di imposizione dall’ester no, o dall’alto, di nuove regole e istituzioni può aspirare al successo di lungo periodo solo laddove esso sappia ingloba re, adattarsi - in una relazione dinamicamente biunivoca all’ordine espresso dagli strati pre-esistenti, alle applicazio ni che essi offrono ai loro valori68. E una questione che ritroveremo drammaticamente aper ta, sia sul piano del funzionamento degli ordini globali, sia sul più generale piano dei rapporti fra modelli occidentali e modelli altrui. Rapporti di cui le illustrazioni che avevamo annunciato cominceranno a chiarire alcuni contorni.
5. Capi, terre e famiglie in Africa. Lo stesso nucleo della categoria generale e portante «di ritto oggettivo», come lo intendiamo noi (ossia quale insie me di regole, poste dallo Stato, che ordinano la vita della so
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cietà), non regna ufficialmente incontrastato nelle tradizio ni extra-occidentali, dove è sfidato dal rilievo quotidiano as segnato a strati diversi del diritto, che mantengono una straordinaria vitalità. Prendiamo come primo esempio il Sub-Sahara. Occorre ricordare subito che colà le regole tradizionali sono permea bili al sacrale al punto non solo di trovare in esso la propria legittimazione, ma di farvi sovente ricorso anche per la scel ta del capo della comunità. Quanto viene in gioco è il favo re che le forze invisibili possono assicurare al gruppo allor ché le scelte di quest’ultimo assecondino i disegni delle pri me. Ecco allora che, in molte culture africane, il diritto tradizionale dispone che al capo succeda chi risulti vittorio so nel conflitto aperto a quel fine, anche se ciò può implica re la sconfitta del capo stesso ad opera dei propri figli. Il pun to è che chi prevale gode del favore delle forze vitali e, una volta al potere, potrà convogliarle a beneficio della comu nità6’. E su queste premesse, si sottolinea da più parti, che risulta meglio comprensibile come la debolezza dell’autorità statuale, la scarsità di altri poteri contendibili (e talora la ric chezza di risorse economicamente appetibili)70, nonché le ar tificiose frontiere interetniche direttamente prodotte dal po tere coloniale71, siano tutti fattori che hanno finito per in centivare, pure al tempo dell’indipendenza, la sopravvivenza delle regole tradizionali, rendendo manifesta la frequenza con cui il potere politico viene perseguito e acquisito median te (ciò che in Occidente è spesso semplicemente archiviato come) una guerra civile o un colpo di stato72. Ma la tradizione non esercita il proprio peso unicamente sugli aspetti che noi chiameremmo costituzionali. Poco dopo l’indipendenza, l’Etiopia si cimentò in un’am biziosa intrapresa di codificazione di tutto il diritto privato, con il dichiarato scopo di cementificare l’unità nazionale e favorire la modernizzazione delle sue istituzioni. Quegli sfor zi non ebbero alcun successo pratico: i giudici che avrebbe ro dovuto applicare il nuovo codice civile evitavano di farvi
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Capitolo terzo
ricorso e gli stessi costumi della popolazione non subirono alcun mutamento a seguito della sua promulgazione. Fra le ragioni del fallimento dell’iniziativa si è soliti ricordare gli alti tassi di analfabetizzazione, le difficoltà di comprensione della lingua amarica impiegata dal codice, ma soprattutto il fatto che le regole portate da quest’ultimo, di ispirazione eu ropea, non trovassero la benché minima corrispondenza nel sostrato giuridico tradizionale alle cui direttive la popolazio ne, e con essa i giudici, seguitavano ad attenersi”. Il diritto fondiario della regione non offre prospettive di analisi diverse. Chi ha a cuore le sorti (anche micro-)economiche del continente invoca da tempo la valorizzazione del suolo e il suo impiego quale garanzia fondiaria ai fini dello sviluppo di un sistema decentrato di finanziamenti. In que sta direzione, con l’obiettivo quindi di assicurare certezza al diritto di proprietà, e la pubblicità dei suoi trasferimenti, si sono mossi molti legislatori (ad esempio in Costa d’Avorio, Eritrea, Camerun, Togo, Madagascar, Senegai, Kenia, Zam bia, Gabon), introducendo sistemi di stampo occidentale per la registrazione dei diritti sui beni immobili. Chi cercasse traccia dell’operatività di queste leggi scritte resterebbe però deluso. La loro effettività è stata ostacolata bensì dalla mac chinosità delle procedure d’impianto e dal loro costo, ma so prattutto dalla scarsa compatibilità di quelle norme con le re gole giuridiche tradizionali che nell’Africa sub-sahariana go vernano la proprietà del suolo. Regole al cui nucleo essenziale troviamo quella per cui il fondo è legato indissolubilmente a una comunità, all’interno della quale avviene una distribu zione di aree fra gruppi minori o famiglie”. E questo un as setto che si rivela estremamente protettivo nei confronti del le esigenze trans-generazionali”, ma che al contempo, impac ciando il funzionamento di ogni sistema di garanzie ipotecarie del tipo che conosciamo, rende utopico pensare che, senza incentivi di altra natura, e parametrati sulle dif ferenti realtà locali76, siano di per sé quelle riforme fondia rie a poter supportare la trasformazione della proprietà in
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ricchezza (economica) e lo sviluppo di un mercato del credi to diverso da quello esistente77. Un’altra coppia di esempi, fra i molti possibili, attiene al diritto di famiglia. Il primo: in molti Stati il legislatore si è in caricato di ‘modernizzare’ questo spicchio del diritto introdu cendo regimi matrimoniali di tipo europeo. Tali gesti norma tivi sono ben di rado valsi a scalfire le tradizioni locali esisten ti, e il dato si spiega facilmente. Decisivo è considerare come qualunque soluzione di stampo europeo presupponga l’esisten za di apparati amministrativi capaci di tenere traccia degli eventi che si vogliono regolare. Apparati che in molti paesi africani sono ancora ben lontani dal poter assolvere questo compito78. Il secondo esempio ricorda invece come molti co dici africani, adottati sulla falsariga di quelli occidentali, vie tino la poligamia, mentre le regole tradizionali Faccettano, e la pratica vi ricorre. Nulla di sorprendente allora che l’adozio ne, ad esempio nella Repubblica Centrafricana o in Gabon7’, di norme che favoriscono il regime patrimoniale di comunio ne fra i coniugi finisse per restare lettera morta, tanto più ove si rammenti che quelle norme si volevano immediatamente operative, non solo in presenza di una struttura tradizional mente (e quindi praticamente) poligamica del coniugio, ma in contrasto con un’altra regola tradizionale, e diffusa: quella che attribuisce al marito il frutto del lavoro della donna80.
6. Siyàsa, Dharma, Li, Giri: la forza odierna della tradi zione.
Se si custodiscono questi ammaestramenti, si è già fatto un bel percorso in direzione opposta a quella solcata dalla fa ciloneria, o dalla naiveté, di chi pensa al diritto come una va riabile sempre indipendente dalla propria tradizione e dalla storia. Il vero è però che di altri dati minimi occorre essere padroni, prima di avviare qualunque discorso sul diritto espresso da società diverse dalla nostra.
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La concorrenza del diritto tradizionale con il diritto ‘og gettivo’ à la occidentale è, in effetti, visibile e incisiva anche fuori dall’Africa sub-sahariana. Sappiamo che il sistema germogliato nella cultura islami ca pone al centro della scena la sharia, regola giuridica rive lata, e la tiene separata così dalla consuetudine laica come dalla regola imposta dallo Stato, ossia la siyàsa (semmai è da stigmatizzare che il giurista e il discorso pubblico occidenta le trovino conveniente sottrarsi alla complessità e presenta re d’abitudine il diritto di quei paesi come espressione della sola sharì'a81 - si veda anche poco oltre). La visione indiana del diritto non unisce nello stesso contenitore tre fonti di re gole vigenti, come la consuetudine laica82, il precetto statale e il dharma - corpo, quest’ultimo, di norme etico-religiose volte anche alla prevenzione e alla composizione dei conflit ti83, sulla base del quale la tradizione sapienziale è giunta a regolare in modo particolareggiato, ad esempio, la famiglia, i tipi di matrimonio, la casta, la terra, le successioni. Del pa ri, la prospettiva giapponese tramandata tiene ben discoste le regole statuali da quelle stratificate nella consuetudine po polare, la cui natura incrocia principi morali di estrazione sia religiosa che secolare84. Lo stesso è a dirsi della concezione cinese tradizionale, la quale non confonde il fa, norma im posta d’autorità85, con il su, la consuetudine popolare e lai ca, o con il li (traduzione convenzionale: «rito»), insieme di regole suggerito dalla tradizione sapienziale imbevuta di con fucianesimo - che occupava un posto eminente nell’educa zione, nonché nei programmi d’esame per adire la carriera amministrativa86.
Per chi pratica il monoteismo giuridico, il piano che cor re da queste osservazioni generali a quelle di dettaglio si fa ancora più scivoloso. La siyàsa dei paesi islamici, ad esempio, non si lascia rap presentare dappertutto come un semplice spartitraffico pe riferico rispetto ai percorsi di vita dei cittadini. Detto che le
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varietà geopolitiche dell’IsIam sono assai piu articolate di quanto si usi pensare”, è chiaro che porre mano - come è sta to fatto nel corso del tempo, e.g., in Turchia, Egitto, Tuni sia, Marocco, Algeria, Siria, Giordania - a grandi opere di codificazione di impronta occidentale, specie del diritto ci vile (implementandole nella prassi, a differenza di quanto ab biamo visto accadere in Etiopia), significa far sedere il dirit to rivelato al tavolo delle concessioni con il diritto secolare88. Del resto, in molti paesi islamici, le corti laiche hanno sot tratto a tal punto competenze alle corti religiose che queste ultime si limitano a decidere di controversie connesse al di ritto delle persone e della famiglia, alle successioni e ai waqf (sorta di patrimonio di scopo): illustrazioni di questa evolu zione vengono dai sistemi giuridici di Egitto, Tunisia, Alge ria, Marocco, Turchia, Guinea, Mali8’. Ma anche prassi informali possono incaricarsi di redistribuire i pesi delle in fluenze fra diritto religioso e secolare. Ad esempio, la poli gamia può essere contrastata con la stipula di clausole pena li al momento delle nozze, e a favore della prima sposa, e tec niche simili possono rendere difficile il ripudio maschile della donna”. Alla stessa stregua, la proibizione di concludere al cuni tipi di contratti, quali il mutuo a interesse, o l’assicura zione, ha dato vita a una nutrita serie di pratiche le quali, ri spettando la lettera del divieto, realizzano l’identico conte nuto economico del contratto interdetto’1. Insomma, è un panorama, quello che si apre all’osserva zione dei paesi islamici, in cui articolazioni, rifiniture, det tagli, si candidano a prendere urgentemente il posto di gros solane semplificazioni. In India, per altro verso, se molte delle regole indù han no finito per essere assorbite all’interno delle consuetudini laiche, e viceversa’2, neppure oggi il processo di creazione del diritto è in to to controllato dal moderno diritto statuale”. Il diritto formale è di derivazione inglese, ma la Costituzio ne (del 1950) ha inteso garantire la sopravvivenza delle re gole che governano lo statuto personale dei membri della co-
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munita musulmana, cristiana, parsi, ebrea e, naturalmente, indù94. Con specifico riguardo a quest’ultima, occorre ricor dare che le regole del diritto indù continuano a esercitare un rilievo assai più incisivo di quanto si potrebbe disinvolta mente essere indotti a credere. La sezione 7 dell’Hindu Mar riage Act 1955 dispone, ad esempio, che «un matrimonio in dù viene celebrato secondo i riti e le cerimonie tradizionali di entrambi gli sposi». La conclusione del matrimonio indù è quindi regolata non dal ricorso a procedure statali, ma dal rispetto delle (molteplici e mutevoli) regole tradizionali. Ta li regole governano però non solo i rapporti extra-patrimo niali (come ad esempio quelli incidenti, oltre che sul matri monio e sul divorzio, sullo stato delle persone, sulla filiazio ne e sull’adozione), ma pure una parte delle relazioni patri moniali, quali la comunione familiare, le successioni, i rap porti fiduciari («benami», accostabili al trust del common law)”, i contratti di prestito96. Insomma, lo Stato ha inglobato in leggi i riti indù, non modificandone la sostanza, né sfidandone l’autonoma vali dità, oppure ha accettato che il governo di una serie di rap porti fra le persone e con le cose fossero frutto, non dei pro pri precetti, ma delle regole tradizionali. Considerazioni analoghe possono proporsi per il Giappo ne97. Qui la permanenza delle gerarchie sociali e la concezio ne paternalistica del potere si nutrono della diffusa sopravvi venza del «giri», ossia di quell’insieme variegato di regole di convivenza deputato a governare la condotta di un soggetto nei confronti delle altre persone: si tratta di comportamenti sociali ritualizzati ispirati dalla posizione occupata dal primo nei riguardi delle seconde. Il «giri» riassume in sostanza i do veri sociali del soggetto, in quanto parte di un gruppo. Ecco allora che una relazione retta dal «giri» s’instaura tra creditore e debitore: il creditore, nell’esercizio delle pro prie pretese, deve prendere in conto le condizioni finanzia rie del debitore, il quale a propria volta è tenuto d’abitudi ne a restituire una somma più elevata rispetto a quella rice
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vuta. Alla stessa stregua un «giri» regge i rapporti fra il da tore di lavoro e il dipendente: il primo deve interessarsi alla vita privata del secondo; costui deve però essergli leale e ri fiutare eventuali offerte di lavoro che pur siano maggiormen te remunerative - e non diversamente accade nelle relazioni fra grandi imprese e subfornitori, ove la parte forte assolve anche a doveri di tipo paternalistico nei confronti della par te debole, ad esempio fornendole assistenza finanziaria e con sulenza tecnica’8. Ma i doveri che al «giri» si connettono non hanno necessariamente carattere patrimoniale, applicandosi pure nelle relazioni amicali, nei rapporti di colleganza o di vicinato ed entro la famiglia. L’inadempimento di questi do veri, va da sé, incontra la propria temuta ed efficace sanzio ne nel disonore che cade sul suo autore, mentre non dà adi to a un rimedio azionabile presso gli organi giudiziari ordi nari, quelli che aggiudicano le dispute nascenti sullo strato ufficiale del diritto”. Il diritto giapponese autoctono non si esaurisce però nel «giri». Le regole tradizionali attingono a una base consuetu dinaria più ampia, i cui precetti si manifestano vivi e rilevan ti anche all’interno delle odierne pratiche giuridiche. Anzi, alla consuetudine può farsi ricorso, quale fonte di regolamen to giuridico, pur quando essa esprima una regola contraria a norme qualificate come imperative. Per esempio, ai sensi del codice civile giapponese il matrimonio produce effetti al mo mento della sua iscrizione nei registri dello stato civile. La coscienza sociale giapponese considera legati da vincolo ma trimoniale persone di sesso diverso che apertamente convi vano e la giurisprudenza non ha atteso alcuna legge sulle ‘unioni civili’ per fornire il proprio suggello a questo matri monio tradizionale, attribuendo ai ‘coniugi di fatto’ parte dei diritti spettanti alle coppie ufficiali100. Alla luce dei tratti fin qui evidenziati, nessuno può stu pirsi del fatto che in Giappone una parte importante nella trattazione dei conflitti continui a essere rimesso a istanze diverse da quelle giurisdizionali101.
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L’influsso della tradizione giuridica sulle regole operati ve proprie di un dato paese può però esercitarsi in modi mag giormente clandestini rispetto a quelli che abbiamo appena descritto; essa può cioè ispirare e guidare scelte che con la tradizione medesima - apparentemente - nulla hanno a che fare. Prendiamo la Cina Popolare ad esempio. Nel 1949 fu av viato un percorso politico che avrebbe dovuto condurre il paese al comuniSmo. La realizzazione del progetto obbligò nondimeno i governanti, e ovviamente, a ricorrere al dirit to. Costoro potevano attuare questo ricorso adottando l’u no o l’altro fra gli itinerari che i legami fra la storia e il tem po, allora presente, ponevano a disposizione: essi potevano identificare la norma giuridica con la pura volontà politica degli organi di partito, garantita da un apparato di dissuasio ne e deterrenza, fondato sulla propaganda e sulla sanzione politica; oppure potevano rivolgersi alla norma giuridica for malizzata, ossia adottata dagli organi statali mediante pro cedure e atti predefiniti, e assegnata per la sua attuazione, a seconda dei versanti, a funzionari amministrativi o a giudi ci102. La decisione in ordine al tipo di sistema da adottare, po liticizzato o tecnocratico, si intrecciava alla scelta delle per sone cui affidare la formulazione delle norme e la loro ese cuzione, potendosi in sostanza attribuire tale competenza al funzionario di partito oppure al giurista. La tradizione cine se, usa a gestire il fenomeno giuridico tramite criteri infor mali e disavvezza alla figura del giurista professionale, avreb be largamente consentito - in astratto - di concentrare tut ta la potestà normativa in capo al politico. In concreto, tuttavia, il problema si complicava perché a) il diritto infor male aveva avuto in Cina saldissimi legami con il pensiero confuciano - pensiero percepito come tenacemente rivolto alla difesa dell’immobilismo sociale105 - e, per converso, b) l’e ventuale scelta di affidarsi ai giuristi doveva passare al va glio della sfiducia allora diffusa nei confronti dell’intera clas
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se degli intellettuali, per lungo tempo identificata con i let terati confuciani onnipotenti, corrotti e irresponsabili. E tenendo presente queste condizioni che si spiega come la prima opzione rivoluzionaria s’indirizzò all’imitazione dei modelli legali sovietici, istituendosi cosi una Corte Suprema e una procuratura, legiferando formalmente sul matrimonio, sulla riforma agraria, sull’organizzazione giudiziaria, e cosi via104. Anche in quel contesto, peraltro, la tradizione non mancò di far sentire il proprio peso sulla temperie politica, nella misura in cui, all’interno di quelle scelte, si potè senza clamore depotenziare il ruolo del giurista professionale, per mettendo agli organi politici o di polizia di condizionare di rettamente, o sostanzialmente sostituire, i tribunali105. Valutazioni dello stesso segno concludono l’osservazione di un altro rilevante fenomeno. Le vicende politico-istituzio nali che si sono susseguite fino ad oggi hanno difatti finito per consolidare un impianto di norme regolanti la soluzione dei conflitti per vie che non sono strettamente giurisdizio nali106. La conciliazione è invero l’obiettivo cui mirano appo siti comitati, resi inoperanti ai tempi della rivoluzione cul turale e ritornati in seguito in funzione. Essi sono diffusi ca pillarmente nel paese, costituendo il più complesso ed esteso sistema di risoluzione extra-giudiziale delle controversie esi stente a livello mondiale107. Lo stesso diritto «ufficiale» fini sce per essere condizionato dalla presenza e dalla forza so ciale di questo circuito alternativo. A testimonianza del ri lievo della conciliazione, basti difatti osservare che essa viene proposta, nella stessa legge sulla procedura civile108, in ogni grado del giudizio e, all’interno di ciascun grado, dopo ogni attività significativa, i.e.: dopo la fase preparatoria, dopo l’i struzione, dopo il dibattimento10’. Ma l’attività di concilia zione e soluzione amichevole delle controversie non si esau risce all’interno di questi organismi. Il tessuto delle con troversie locali - anche entro modernissimi ambienti urba ni - vede all’opera un notevole numero di figure di concilia tori e mediatori, che agiscono in veste più o meno ufficiale
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e che traggono le loro autorità dall’interno di strutture nor mative di tipo comunitario (villaggio, quartiere, unità di la voro), in parte riagganciate ai moduli organizzativi tradizio nali, in parte frutto di traduzioni di formule derivate dal mo dello sovietico110.
7. Lo sviluppo giuridico fra regole nostre e altrui.
Dettagli, e precisazioni ulteriori, seguirebbero ovviamen te copiosi. Certo, molti dei paesi dove la tradizione giuridica occi dentale non domina l’ordinamento hanno recentemente fi nito coll’adottare, o per essere indotti a utilizzare (al livello dello strato giuridico ufficiale), il modello euro-americano - e in un passato recente anche quello socialista -, per governa re questo o quello spicchio del diritto. Tuttavia, è proprio la consapevolezza che non sempre è stato il diritto occidentale a fornire il paradigma di riferimento, e che questo di sicuro non copre neppure ora l’intero spettro di regole su cui i mem bri di quelle società fondano la propria convivenza, che ci permette di capire molti degli intrecci e delle persistenti di versità, di atteggiamenti nel rapportarsi alla regola giuridi ca, e di mentalità, nell’elaborazione delle soluzioni pratiche. Altrettanto sicuro è che nessuna tradizione è statica, immutevole. Ogni tradizione, seppure con modalità differenti a seconda dei singoli suoi strati, s’irrora degli stimoli del tem po, filtrati o espansi dai fattori che sono in grado d’incidere sugli orientamenti delle diverse comunità. Il punto però è che non esiste, in e per nessun paese, un modello «ideale» di sviluppo giuridico. Più precisamente, non esiste alcun mo dello di sviluppo giuridico che possa fare a meno di nutrire robusti legami di compatibilità con la realtà socio-economi ca, culturale e giuridica preesistente111. E lo stesso progetto di sovrapporre a contesti dati modelli giuridici altrui che si rivelerebbe inefficiente, e si è rivelato tale, perché sordo al
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la realtà che le analisi richiamate riflettono. La presa in con to della realtà giuridica propria dei paesi che non apparten gono alla tradizione occidentale - e a qualsiasi fine essa sia diretta - dovrebbe allora considerare tanto le regole che «noi» riconosciamo come giuridiche, quanto quelle che sono avver tite come tali dalle popolazioni autoctone (e non solo dalle élite locali, che possono essere state educate in Occidente)112, assieme al contesto sociale e culturale in cui le stesse regole nascono e operano.
Parte seconda Le regole globali fra tempo e geografìa
Capitolo quarto
Le premesse
Le differenze che abbiamo ricordato esistere fra le varie tradizioni giuridiche non hanno impedito che sforzi notevo li di marca occidentale si volgessero, e da tempo, a unifor mare questo o quel settore del diritto, dando corpo a una plu ralità di ordini giuridici, di natura fra loro assai varia, ma ac comunati dalla vocazione planetaria del loro potenziale raggio d’azione113. Ordini che da ultimo vettori retorici po tenti, e accelerate dinamiche operative, hanno forgiato co me avamposti della c.d. globalizzazione giuridica114. In questa e nelle successive Parti del libro esamineremo na tura e implicazioni di tale ‘globalizzazione’ del diritto, non senza però aver introdotto qui alcune avvertenze preliminari.
i. Uniformità v. Concorrenza.
La storia moderna ci mostra come spesso, allorché si è di retto al di fuori dei confini occidentali, al nostro ardore uni versalistico sia mancato il sostegno di un appropriato stru mentario comparatistico in grado di soddisfare le primarie esigenze di contestualizzazione, di queste o quelle soluzioni, all’interno delle realtà da uniformare. Su questi ardori, sul le differenze fra loro notevoli, sulle loro radici, promesse e carenze, i livelli possibili del discorso vanno però distinti. Uno è il giudizio di tipo culturale, altra è la valutazione di stampo operativo. Sul piano culturale, a quello zelo normalizzatore sono sta
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te levate molteplici obiezioni. Chi non nega il proprio orec chio agli ammaestramenti del passato sa che la colonizzazio ne, ossia uno dei più evidenti fenomeni di compressione del la diversità giuridica, ha generato dapprima un processo di propagazione del modello europeo nelle colonie, una sua clau dicante effettività e infine una reazione critica a quella dif fusione forzata, cui l’europeo aveva provveduto (anche) cre dendo di offrire alle società tradizionali un livello di giusti zia e di sviluppo sociale ‘più avanzato’. A prescindere dai desiderata delle élite locali, spesso educate in Occidente, uniformità è diventato, nel linguaggio di chi porta seriamen te la propria attenzione ai modelli tradizionali, sinonimo di deculturazione, di prevaricazione sull’identità debole, di di struzione di significati possibili - analisi questa che solo gof famente taluno ha potuto datare in contemporanea alla na scita dei movimenti anti-globalizzazione115. Ma non è tutto. Al netto delle preferenze di natura socio economica di chi qui scrive o legge, l’ulteriore e più genera le critica contro l’uniformazione imposta viene - sempre sul piano culturale - in punto di semplice calcolo delle opportu nità circa l’evoluzione delle soluzioni giuridiche. Quanto più vari sono questi modelli di soluzione, tanto più numerose sa ranno le possibilità che sulla loro base, in relazione al muta re dei bisogni, nuovi modelli vengano sperimentati, diffusi o imitati, così come è accaduto svariate volte all’interno del la nostra stessa storia occidentale. La riduzione del numero dei modelli attualmente in vigore restringe invece i possibi li punti di partenza per future elaborazioni, o futuri adatta menti, e impedisce di trarre i frutti della naturale concorren za che si istituisce fra essi116. Esiti del genere sono raramen te discussi e ancor meno contrastati nel discorso pubblico transnazionale. Il che può sorprendere, di fronte al contem poraneo dominio in quello stesso pubblico discorso del cre do concorrenziale, circa gli assetti economici del mercato. Indiscussi qui i meriti di quest’ultima prospettiva, la sorpre sa si tiene facilmente alla larga allorché si rammenti, per un
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verso, che le differenze giuridiche da superare sono sempre quelle degli ‘altri’, e, per altro verso, che quel credo circola grazie al verbo di sacerdoti, soprattutto economisti, per (la gran parte de)i quali, non tanto il diritto, quanto la sua di versità, è percepita essenzialmente come un incentivo nega tivo, oppure come un mero costo, da abbattere sempre e quanto più possibile117. Sul piano operativo altre valutazioni si aprono il terre no118. Qui occorre riconoscere a) che non tutte le differenze sono da celebrare, che molte di esse possono risultare secre zioni di una tradizione giuridica di cui gli stessi utenti sa prebbero fare a meno, e i cui costi di gestione possono esse re molto elevati; b) che anche la norma spontanea e quella ammantata dal contingente ‘prestigio’ circolano, per imita zione o altrimenti (le speciali regole che sovrintendono al traffico internazionale di diamanti11’, così come l’antica «lex mercatoria», si sono diffuse grazie alla propria matrice con suetudinaria e origine spontanea)120, potendo produrre inci sive ed estese uniformazioni. Duplice è però il monito. Da un lato, i modelli in circo lazione, le esigenze da soddisfare, l’efficacia delle possibili iniziative, sono tutti fattori che variano di molto, a seconda del settore del diritto di cui ci occupiamo e dell’area del mon do cui guardiamo (la finanza non è il welfare, la sanità non è il commercio, quanto occorre fare per consegnare effettività a riforme di tipo processuale cambia assai se ci occupiamo della Francia o del Burundi). Dall’altro lato, quel che sclerotizza può rendere, e spesso ha reso, la circolazione giuridica dei nostri modelli ineffettiva e inefficiente, fuori dalla koinè occidentale, è l’imposizione dall’esterno e dall’alto delle re gole, assieme alla pre-definizione dell’ambito spazio-tempo rale in cui dovrebbe affermarsi, come per incanto, la loro operatività. Come ricorderemo anche più avanti, senza un coinvolgi mento degli utenti e dei facitori locali del diritto, l’unifor mazione imposta rischia sempre di rimanere lettera morta, o
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ili veder la propria implementazione sul terreno costare prez zi enormi in termini di tempo ed energie.
2. La congiura degli innocenti.
Puntualizzazioni del genere paiono però destinate a re stare grida nel buio, se poste di fronte all’evidenza del dato che richiamavamo all’inizio del capitolo, ossia l’impetuosa spinta verso l’uniformazione delle regole. E uno sforzo sup portato da parti rilevanti del discorso pubblico, così come delle élite, politiche intellettuali professionali, e non solo eco nomiche, del mondo occidentalizzato121. I modelli uniformatori a livello planetario sono poi for giati dallo stesso diritto occidentale e dai suoi giuristi, con le loro tecnicalità, piu o meno trasparenti, con le loro prefe renze più o meno innocenti. Queste uniformazioni non si li mitano però a seminare regole. Sospinte da un apparato ar gomentativo che di quelle maggiori o minori trasparenze, e innocenze, si avvale, esse mirano a penetrare le mentalità, gli atteggiamenti, gli strumenti stessi con cui si catalogano i problemi - ben prima di ogni soluzione. É insomma il ten tativo di globalizzare uno degli assi portanti della nostra ci viltà, ossia di rendere universali le nozioni, i principi e le re toriche che sono alla base del diritto occidentale. Prima di analizzare i dibattiti e le prassi notevoli che fian cheggiano questi sforzi, è però necessario esaminare i fatto ri di spinta alla proiezione esterna del ‘nostro’ diritto. Ecco perché le domande cui cercheremo di dare risposta subito, nel capitolo successivo, vertono su quali siano i promotori principali (e secondari) di una dimensione globale per il west ern law, su quali presupposti e interessi essi fondano le pro prie azioni, quali siano le modalità di gestione delle iniziati ve assunte. E questo il miglior punto di osservazione, e di partenza, per comprendere molti dei fenomeni del nostro tempo, dei
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problemi che essi pongono e annunciano per l’avvenire, ma anche per chiarire i termini in cui il diritto nostro ha forgia to e forgia quei fenomeni e tenta di rispondere a quei pro blemi - siano essi di natura finanziaria (si veda il Capitolo sesto), attinenti al ruolo dello Stato (Capitolo settimo), di matrice commerciale (Capitolo ottavo), riguardanti la san zione dei soprusi più efferati (Capitolo nono), la violazione dei diritti umani (Capitoli da decimo a tredicesimo) o la fi bra e i destini della stessa nostra democrazia (Capitoli quat tordicesimo e quindicesimo). Beninteso - ed è bene anticiparlo come una delle cifre ri costruttive dell’intero discorso -, è possibile che l’Occidente abbia argomenti ‘migliori’ degli altri su tutto, o quasi tut to, lo spettro di questioni giuridiche che affronteremo. I tem pi lo chiamano però, e nel suo stesso interesse, a una svolta epocale: a spiegarsi e non a imporre, a persuadere e non a mi nacciare, a riconoscere i meriti e le ragioni altrui, e non so lo le proprie innocenze.
Capitolo quinto
Rule of law. di chi e per chi?
i. Le rules of law.
Una nozione chiave per ogni possibile discorso sul dirit to dell’Ovest, su chi ne è signore, e sulla sua proiezione pla netaria, è quella di ‘rule of law’. Locuzione fra le piu diffu se e prestigiose del lessico giuridico e politico occidentale, essa è tradotta il più delle volte come ‘principio di legalità’ o come ‘stato di diritto’ (traduzioni, come vedremo subito, così insoddisfacenti da suggerire qui il mantenimento dell’o riginale)122. È opinione ingenuamente comune che la rule of law di cui parliamo oggi abbia preso inizialmente forma in Inghil terra. Ci sono studiosi che ne indicano la Magna Charta (1215) come primo esempio; altri invece che ne scorgono gli albori qualche secolo dopo, quando il celebre giudice Edward Cook «proibisce» a re Giacomo I (1603-25) di sedere nella «propria» Corte, ritenendolo carente di quel patrimonio tec nico-culturale su cui si fonda così il diritto come la legittima zione di un giudice12’. In realtà, la rule of law è al contempo seme e (nella sua versione odierna: travagliato) frutto dell’intera storia occi dentale. Alla sua più intima radice, essa altro non è che un modello organizzativo in cui il potere decisionale sui conflit ti che sorgono in una società, incluse le dispute con i gover nanti, viene assegnato principalmente a un giurista laico, il quale è chiamato a operare imparzialmente. Legittimato a ri solvere le controversie è allora il tecnocrate, sulla scorta di un bagaglio di nozioni specialistiche, e non il soggetto dota-
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to di un sapere religioso, filosofico-morale o tradizionale, co me il qàdì islamico o il capo-comunità africano, né il sogget to delegato dal partito (come nel principio di legalità socia lista). Altro poi, e assai più complicato, è stato il tragitto verso la costruzione di apparati di nozioni e principi, nonché di tecnostrutture atte a supportare quella rule of law intesa qua le edificio al cui riparo siamo soliti collocare ora le nostre isti tuzioni (su questo percorso torneremo più volte, in partico lare nel Capitolo quattordicesimo). Certo è però che, in Oc cidente, il fascio di significati più o meno consapevolmente veicolati dall’espressione rule of law ha finito per collocare quest’ultima su uno scranno sacrale. Marchio possibile di una monarchia, come quella inglese, quanto di una rivoluzione, come quella statunitense; nozione ‘bipartisan’, adottata dal la cultura conservatrice, come da quella riformista124; nozio ne rimasta al riparo persino della tempesta finanziaria, e se mantica, che ha attraversato le nostre società. Tutto bene, quindi? Se ne può dubitare, soprattutto quando si pretenda di utilizzare la rule of law in proiezione esterna (fuori dall’occidente), non quale fattore di costru zione di orizzonti da condividere, ma a fini di mera espor tazione dei nostri odierni apparati, come se si trattasse di una merce, o di un impianto chiavi-in-mano. Un atteggia mento, questo - a tacere di quanto si dirà -, immemore e in grato nei confronti della stessa nostra storia, la quale solo molto faticosamente, e dopo lunghi percorsi, è giunta a met terci nelle mani tutto il complesso strumentario di cui dispo niamo oggi e che oggi vorremmo adottato ovunque. La rule of law, proprio perché spogliata del suo valore storico-comparatistico, è in effetti divenuta, nella sua versione ‘export’, una di quelle nozioni spugnose che si offrono a sin tesi disparate, figlie delle opportunità di chi le usa. Due so no almeno, e assai diverse fra loro, le direzioni che il corren te discorso pubblico imbocca, quando affronta o utilizza l’e spressione in oggetto. Allorché le istituzioni dell’economia
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globale, vettori potenti di quel discorso in chiave geopoliti ca, impongono la rule of law come elemento fondamentale dei loro programmi di assistenza tecnica, di finanziamenti, di lotta alla povertà, di aiuti allo sviluppo, esse vi leggono la necessità di riforme legislative, di rafforzamento dell’appa rato giudiziario, di garanzie per gli investimenti esteri, con speciale riguardo per il rispetto - a-contestuale - della pro prietà privata e della ‘sacralità’ dei contratti. Quando inve ce il discorso vira, quanto meno in apparenza, lontano dai valori economici, rule of law si fa leggere quale baluardo del la difesa dei diritti umani, delle minoranze oppresse, della partecipazione alle deliberazioni collettive, della democrazia - va senza dirlo: all’occidentale125. Ora, il primo punto da rilevare è che - presi al loro valo re nominale, ossia per come essi stessi si presentano: indif ferenti alle complessità della storia - questi due orientamen ti possono risultare fra loro in contraddizione. La Colombia di Uribe o la stessa Cina, d’abitudine esecrati per il manca to rispetto dei diritti umani, sono o si avviano a essere go vernati dalla rule of law, nella sua accezione di garanzia per gli investimenti economici e di sicurezza per i diritti proprie tari126. Per converso, è ben possibile che limitazioni alla sal vaguardia del contratto e della proprietà, anche utilizzando acuminate leve fiscali, portino - bensì a una compressione dell’accezione prima, ma - a una redistribuzione di titolarità che meglio garantisce i risultati perseguiti dall’accezione se conda del termine, ossia livelli più alti di partecipazione al le procedure democratiche, barriere meno elevate per l’ac cesso alle risorse e più intensa protezione dei diritti umani cc.dd. sociali (come i diritti al lavoro, alla sua equa remune razione, alla sicurezza sociale, alla salute o alla libertà dalla fame)127. L’osservazione ulteriore, come verificheremo nel corso di tutta la nostra riflessione, è che l’idea stessa di rule of law trova le proprie radici nelle interiora della cultura occiden tale, e non in quelle delle esperienze altrui. Il nostro discor-
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so pubblico, tuttavia, nutre la considerazione delF'altro’, sprovvisto di rule of law, non quale dato di partenza di qual siasi analisi che si voglia inclusiva della diversità e di prospet tive condivise, ma come difetto da sanare o condannare - qua si che, essendo solo l’Occidente padrone della rule of law, esso fosse anche il solo padrone della legalità128. Ben più di un rischio è allora che questo concetto vago, universalizzato in varie direzioni, tutte legittimate coi e dai giuristi, venga posto non al servizio di una dialettica atta a costruire un rap porto pacificato, e opportuno, fra ‘noi’ e gli ‘altri’, ma con tinui a essere ‘naturalizzato’ e ‘decontestualizzato ’, finendo cosi per alimentare posizioni ideologiche, o per nutrire una visione del mondo autarchica, perché mal rifornita di pro blemi.
2. Sovrapposizioni.
Queste ultime posizioni e visioni sono state a lungo ca ratteristiche salienti del modo d’intendere la rule of law so prattutto125 da parte della politica Usa, dei suoi governi, dei suoi circuiti mediatici e giuridici1’0. Tali atteggiamenti han no generato dibattiti aspri, cosi sulle ragioni e i modi d’esse re di quella che è stata definita l’egemonia giuridica statuni tense1’1, come sui rischi impliciti, e in divenire, di una so vrapposizione fra regole e tecniche di matrice americana e diritto globale. I dati che animano quelle discussioni vanno meglio com presi: da un lato, essi figurano come esito e fattore di produ zione di fenomeni ulteriori e, ai fini del prosieguo del discor so, assai rilevanti; dall’altro lato, si tratta di fenomeni anco ra in corso e di cui è prematuro fissare qualsiasi data di scadenza, anche perché i loro capisaldi non sono stati sfiora ti dai dissesti economici recenti, né dai rovesci della prece dente amministrazione americana. Cominceremo allora dalle radici proprie all’‘egemonia’
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del pensiero giuridico Usa, per passare all’analisi di come quel dominio si sia tradotto in fonte d’ispirazione di politiche glo bali, e poi concludere con l’esame del ruolo strategico che non è stato e potrebbe essere giocato dall’Europa.
3. Il diritto : una fabbrica del potere americano.
E risaputo come nell’ultimo trentennio la leadership eser citata in Occidente dall’economia, dalla politica e dalla cul tura americana si sia trasformata in supremazia globale, gra zie a una lunga serie di fattori, fra i quali: la comparativamen te fragile politica degli altri paesi occidentali, (auto-)confinati sovente al ruolo di «enthusiastic junior partners»1’2, il decli no dell’avversario sovietico, la parallela revisione dell’arma mentario marxista proprio alle élite di sinistra occidentali, e il conseguente depotenziamento di quello che è stato per gran parte del ’900 l’interlocutore più popolare e agguerrito sul piano del discorso pubblico internazionale1”. Meno noto è quale impiego notevole e concreto si sia fat to del diritto, nel sostenere e consolidare quella nuova supre mazia. Nel corso della sua storia, il diritto nordamericano ha adottato e poi saputo enfatizzare ruolo e funzioni di due im portanti fabbriche di produzione del dibattito politico e del lo stesso più generale discorso pubblico: il sistema delle cor ti, da un lato e, dall’altro, una altrettanto rilevante comunità accademica di giuristi, libera da pressioni economiche (per ché composta da professori ben pagati e a tempo pieno), che ha ereditato dal modello continentale ottocentesco uno sta tus ragguardevole e ha saputo conservarlo con un’autonomia critica grandemente valorizzata nei circoli universitari, non ché apprezzata e insistentemente propagata nei circuiti co municativi1’4. Tutto ciò ha contribuito a far sì che quanto ri cevuto dal gius-naturalismo, e dalle sue protesi illuministi che, ossia la concezione universalistica dei diritti1”, forgiasse
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una percezione civilizzatrice del (proprio) diritto, trasfor mandosi in programma d’azione, come vedremo, anche po litica. Si tratta, e si badi, di un programma non solo condi viso dalle élite governative, ma radicato in profondità - pro prio in virtù del ruolo dell’accademia e del sostegno del poderoso sistema giudiziario - nella cultura giuridica e poli tica delle classi dirigenti del paese, le quali hanno poi sapu to rilanciarlo nelle arene globali, grazie alle risorse comuni cative che lo stesso sistema politico e giuridico metteva loro a disposizione1’6. Il circolo ‘virtuoso’ appena descritto permette di coglie re la rilevanza di un altro fenomeno notevole. Imprese e pri vati non statunitensi trovano sovente negli Usa, e molto più facilmente di quanto accadrebbe in qualsiasi altro paese, cor ti ben disposte ad accettare la giurisdizione sui casi che gli attori stranieri portano in giudizio - ciò che avviene per una serie di ragioni, varianti a seconda delle materie, e che van no dalla prensile retorica dei diritti umani, ai tecnicismi del lo ius cogens1”, dalla relativamente meno formalizzata cul tura dei corpi applicativi, alla comparativamente alta remuneratività delle class action, e delle azioni di danni in generale. Un esempio utile (su cui torneremo nel Capitolo nono) viene dalle numerose cause intentate davanti alle cor ti Usa da parte di soggetti stranieri che, grazie in parte alle prestazioni professionali gratuite offerte da molti gruppi di ‘social activists’, contestano gli standard adottati dal proprio paese in punto di protezione dell’ambiente, o dei lavorato ri, come inadeguati e lesivi di diritti internazionalmente ri conosciuti. Il successo di quest’ultimo fenomeno, sotto il pro filo (assai più che quantitativo) comunicativo, ha contribui to a rendere possibile che nel discorso pubblico globale si propagasse l’idea che il diritto americano sia l’efficace e na turale arbitro dei dolori del mondo, e che il ricorso ad esso possa rappresentare un’efficiente alternativa alle contese po litiche domestiche, finendo per conferire alle corti Usa un ruolo equivalente a quello di un’agenzia di controllo sui go-
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verni stranieri e sul loro rispetto dei ‘civilized standards’158. Accanto al veicolo della forza economica e dei suoi mo delli di business, sono queste le vie attraverso cui concetti e nozioni che sono inerenti alla morfologia legale statunitense hanno progressivamente finito per diventar parte integran te - oltre che della vulgata mediatica - del vocabolario e del patrimonio tecnico della pratica internazionale del diritto155.
4. Avvocati, studenti e Costituzioni: le fibre dell’espan sione.
Non è tutto, però. Che l’infrastruttura ‘diritto’ sia uno dei più potenti strumenti con cui gli Usa giocano la loro par tita sul tappeto globale è conclusione che riceve conforto da una serie ulteriore di osservazioni. La prima riguarda l’esportazione del modello di common law (promosso con l’ausilio dei cugini inglesi) quale paradig ma della pratica internazionale degli affari. Secondo la gui da Chambers Global'™, la quale effettua annualmente, sulla base dei dati provenienti da 170 paesi, il ranking delle mi gliori law firms mondiali - ossia degli snodi cruciali per la progettazione e gestione del business planetario141 -, risulta no in mano a common lawyers: 12 delle 19 migliori law firms africane, 32 delle 38 sudamericane, 29 delle 30 mediorien tali, 18 delle 25 giapponesi. La tendenza non risparmia però neppure il nostro continente: in Germania 38 dei 146 mi gliori studi sono controllati da law firms angloamericane, in Europa centrale e orientale 21 su 26, in Italia 22 su 102, in Francia ne troviamo 40 su 119, in Spagna 18 su 90. É poi sul fronte dell’educazione della futura ‘legal ruling class’ che si gioca una delle contese più importanti. Il serba toio di nozioni, reazioni, visioni assunte durante l’educazio ne e la formazione costituisce, come è noto, un insieme straordinariamente influente sulla vita di ognuno. Se in lin gua inglese e con vocabolario tecnico inevitabilmente allinea-
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to a quello di common law, si svolgono all’ora attuale 81 cor si di LLM (master in diritto) in Africa, 102 in Asia, 218 in Europa continentale142, nella ricorrente prospettiva che po ne al centro della scena la vocazione universale del proprio diritto, non stupirà certo l’attenzione riposta dalle istituzio ni americane sull’educazione giuridica, e sulla formazione professionale degli attuali e futuri giuristi stranieri. Basti qui richiamare il rapporto «A National Security Strategy for a New Century (The White House, October 1998)», il quale con forza sottolinea che uno degli interessi prioritari degli Stati Uniti sia proprio quello di «expanding U.S. training and assistance programs in law enforcement and administra tion of justice»14’. Nella medesima prospettiva (‘education is power’), che mira a incidere sulla formazione stessa delle culture giuridi che, un altro dato non pubblicizzato sovente è quello che ri guarda l’assistenza Usa ai processi di costruzione (o ricostru zione) dei sistemi giuridici altrui. Gli esempi sono numerosi. Con particolare riguardo alla Cina, la Ford Foundation e lo US-Asia Law Institute si sono a lungo distinti per gli sfor zi notevoli sostenuti in punto di organizzazione e gestione degli studi legali e, allo stesso modo - in particolare a segui to dell’accordo del 1998 fra i presidenti Clinton e Jiang -, si è mossa l’American Bar Association (ABA) impegnandosi, di concerto con PAH China Lawyers Association, a promuove re la rule of law in Cina, anche e soprattutto attraverso il le gai training e il rafforzamento dell’attività degli ordini pro fessionali144. Sulla medesima traccia, rilevante è l’impegno dell’agen zia governativa USAID145 nel supportare programmi di im pianto e/o consolidazione della rule of law, attraverso una varietà di iniziative, e in particolare con quella che va sotto il nome di ‘Democracy & Governance’146. A conferma delle osservazioni svolte poc’anzi sui possi bili usi strategici della rule of law, vale la pena di ricordare in che cosa essa si concretizzi, per USAID: «The term ‘rule
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of law’ embodies the basic principles of equal treatment of all people before the law, fairness, and both constitutional and actual guarantees of basic human rights. A predictable legal system with fair, transparent, and effective judicial in stitutions is essential». Di più: «Beyond the democracy and governance sector, the accomplishment of other USAID goals also relies on effective rule of law. For example, civil and commercial codes that respect private property and contracts are key ingredients for the development of market-based economies. USAID’s efforts to strengthen legal systems fall under three inter-connected priority areas: supporting legal reform, improving the administration of justice, and increas ing citizens’ access to justice»147. Che, a questi fini, promo zione della democrazia, sviluppo dell’economia di mercato e riforme giuridiche corrano su di un binario parallelo, risulta ancora una volta evidente: «Democracies require a stable structure of law, an impartial judicial system, and clear ways for ordinary citizens to get legal protection. In the rule of law area, USAID often works on several fronts. Encouraging legal reform may involve everything from drafting new con stitutions to training judges. Training needs of prosecutors, inhumane prison conditions, outdated commercial codes, and the absence of published legal opinions are problems USAID has tackled as well»148. Ecco allora i progetti di riforma giudiziaria, di rafforza mento dell’attività legislativa, di riforma delle normative (in ispecie, quelle più sensibili all’economia di mercato, ossia la legislazione civile e commerciale), perseguiti in tutti i paesi ritenuti meritevoli di supporto: i.e. gran parte del pianeta, con l’eccezione dell’occidente e del Giappone. Fedele a una cultura istituzionale che nella propria Co stituzione vede uno dei più solidi pilastri della democrazia, la macchina giuridica americana non ha poi esitato a impie gare come uno strumento incisivo di politica estera anche il diritto costituzionale. Molto vi è da discutere sull’idea stes sa di utilizzo della Costituzione quale arma strategica, sulle
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sue vaghezze (quale costituzione, per chi, costituzione che si riflette sulla diapositiva del presente, del passato recente, o guarda al futuro ?)149, sulla sua stessa esportabilità, e su alcu ni di questi punti ci soffermeremo più avanti150. Qui vale so lo ribadire quanto operativamente fragile sia presumere che l’adozione in un paese non occidentale di (qualsiasi strumen to normativo, massime) una Costituzione, che ai nostri va lori s’ispiri, possa auto-applicarsi con gli stessi esiti conosciu ti da noi151. Tutto ciò non ostante, la sinonimia retorica e forzata fra i termini costituzione - democrazia - rule of law - diritti uma ni - libero mercato rappresenta una costante nella politica estera americana. Se impegnata in questa direzione troviamo ancora una volta, e significativamente, l’ABA, soprattutto sul fronte ira cheno152, ad agire come uno dei perni della versione ameri cana del costituzionalismo globale è senz’altro il Dipartimen to di Stato. Il Bureau of Democracy, Human Rights and La bor (alle dirette dipendenze del Sottosegretariato per la Democrazia e gli Affari Globali) si auto-rappresenta - qua le «nation’s primary democracy advocate»155, consapevole che «[P]romoting freedom and democracy and protecting hu man rights around the world are central to U.S. foreign pol icy». Il Bureau non tentenna nel ricordare come gli Usa uti lizzino «a wide range of tools to advance a freedom agenda, including bilateral diplomacy, multilateral engagement, for eign assistance^ reporting and public outreach, and econom ic sanctions». E poi lo stesso ramo del Dipartimento che spe cificamente si occupa di ‘Democracy’ a richiamare quanto sappiamo, ossia che: «Democracy and respect for human rights have long been central components of U.S. foreign policy. Supporting democracy ... helps create a more secure, stable, and prosperous global arena in which the United States can advance its national interests»154. Non si fa scrupoli nemmeno il già citato rapporto «A National Security Strategy for a New Century (The White
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House, October 1998)» nel sottolineare come uno degli in teressi prioritari degli Usa sia quello di promuovere «[the] international cooperation and the rule of law by ... expan ding U.S. training and assistance programs in law enforce ment and administration of justice, and strengthening the rule of law as the foundation for democratic government and free markets»155. Né si occulta dietro parafrasi lo stesso Di partimento di Stato, allorché segnala come la crescita della democrazia in più di 80 Stati nell’ultimo quarto del xx seco lo sarà riguardato come «one of the United States’ greatest legacies»156. Ma gli sforzi in questa direzione non si sono cer to esauriti. Basta scorrere l’ultima disponibile delle sue pub blicazioni annuali - « Supporting Human Rights and Democ racy: The U.S. Record 2006»157 - per leggervi le decine di interventi su altrettanti Stati africani, asiatici, dell’Europa orientale, dell’America centrale e meridionale, volti a redi gere, riscrivere costituzioni e al contempo supportare « a free and fair elections process, with a level playing field to ensure genuine competition ... good governance, with representa tive, transparent and accountable institutions operating un der the rule of law, including independent legislatures and judiciaries»158.
5. La promessa di futuro. É una caratteristica distintiva, e un merito comparativo, della cultura politica americana quello di avanzare con nito re le proprie determinazioni circa il ruolo propulsore del di ritto nei confronti degli interessi di politica estera - merito comparativo perché dalle istituzioni europee, come vedre mo, quella strumentazione è tuttora percepita come un uten sile regionale, e declinata dai suoi stessi signori in maniera burocratica e priva di sostanziale (e autonoma) proiezione esterna. Gli Usa hanno trasformato nozioni porose alla storia e al
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la geografia, come quelle di democrazia, rule of law, diritti umani, in potenti argomenti simbolici, facendone non solo veicoli domestici di una identità e di una tradizione, ma riu scendo a convogliare quegli stessi argomenti, scortati dallo stesso potere retorico, nell’arena globale, fino a utilizzarli quali strumenti di protezione ed espansione dei propri inte ressi nazionali. Fra le realizzazioni della civiltà americana, questa è probabilmente una delle piu monumentali, certo la meglio adatta a essere collocata in una prospettiva ‘imperia le’. L’americanizzazione del diritto, a differenza dell’egemo nia economica militare o tecnologica (che certo supportano la prima), ha avuto bisogno di penetrare i territori globali della retorica, del linguaggio, della formazione universitaria, dei circoli scientifici, degli atteggiamenti culturali, dei circo li mediatici. É una storia di successo, è una storia raccontata con la retorica dei vincitori, ma è pure una delle architravi più so lide su cui possa contare il modello culturale americano al fine di mantenere la propria centralità nel xxi secolo. Para dossalmente - sia detto per inciso, e per i non giuristi -, ciò resta vero anche al cospetto della elezione di Barack Oba ma alla presidenza dell’Unione. Evento straordinario, con cui gli Usa hanno saputo mirabilmente cogliere lo Zeitgeist che cercava una trama nuova, per essi e per il resto del mon do, ma evento i cui frutti sono di là da venire e (ovviamen te) ancora da vagliare al minuzioso setaccio della storia di lungo periodo15’. Mentre il diritto americano e i suoi giuri sti quella storia l’hanno già scritta e i suoi frutti li hanno già colti.
6. Rule Doctors.
Certo, è tempo di rifiniture e ripensamenti, per i metodi, gli atteggiamenti, i programmi. E in effetti su un nuovo dia gramma che si misurerà la capacità del sistema (anche giuri
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dico) americano di continuare a occupare la posizione di su premazia guadagnata fin qui. Che il fuoco dell’analisi sia sul versante giuridico o su quello politico, anche per gli Usa le sfide future si giocheran no, nei confronti del resto del mondo, sul terreno della in clusione al tavolo delle decisioni, della capacità di persuasio ne delle proprie ragioni, della fattualità e storicità delle scel te, della ricerca di criteri in grado di calibrare le opzioni, non a misura di spiriti messianici, ma sui variabili metri che le realtà altrui offrono alla comprensione dei fenomeni. E di tutto questo che, di fronte ai rinnovati scacchieri geopoliti ci, gli Usa (e l’Occidente con loro) avranno bisogno nel tem po a venire. E proprio tutto questo che negli ultimi decenni è invece mancato agli Usa e a chi li ha fiancheggiati, allorché si sono posti a perseguire, attraverso il potente strumentario mes so a disposizione dal diritto, politiche di «furthering Ame rica’s foreign policy interests in expanding democracy and free markets»160. Anche attori apparentemente disinteressa ti alla costruzione di politiche estere filo-americane hanno difatti finito con il versare acqua nel mulino che produceva la stessa farina giuridica e contribuiva a quegli stessi esiti ‘egemonici’161. Ciò che è avvenuto attraverso operazioni, so vente ideate o gestite da personale formatosi negli Usa e al lineate nel lessico, e nei contenuti, alle formule messianiche che abbiamo visto supportare le politiche d’intervento americane. Qualche esempio aiuterà a chiarire la misura, e i conte nuti, del consenso che si è registrato intorno alle coordinate culturali disegnate dagli Usa162. La più volte menzionata American Bar Association ha dato vita insieme allo United Nations Development Pro gramme all’‘ABA-UNDP International Legal Resource Cen ter’ (ILRC)163. Scopo dichiarato dell’iniziativa è quello di pro muovere «good governance and the rule of law around the world. The mission of the ILRC is to provide a legal resource
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capability to serve UNDP global governance programs and projects supporting legal reform and democratic institution building. The primary task of the ILRC is to assist UNDP Country Offices to identify candidates capable of providing legal advice, normally on a pro bono basis, on the drafting of legislation, judicial reform, building of legal institutions including professional groups and associations, and other le gal dimensions of governance»164. La commistione di politiche e obiettivi fra un ordine pro fessionale Usa e un’agenzia ufficialmente al servizio di inte ressi globali non potrebbe risultare piu evidente, e striden te. L’elenco delle aree di lavoro congiunto, fra AB A e UNDP («Reform of legal institutions and systems, including reform of constitutional frameworks; Support to electoral bodies and drafting of electoral laws; Improvement of legislative drafting and parliamentary practices; Reform of public sec tor regulations and processes; Strengthening anti-corruption measures; Support for decentralization and strengthening of local institutions; Development of the capacity of indepen dent lawyers associations; Legal education and judicial train ing; Legal services to the indigent and underrepresented»), apparirà allora niente più che una lista di nozze fra messianesimo giuridico e visionaria indifferenza per la complessa realtà non occidentale165. Con specifico riguardo alle riforme costituzionali, in Iraq opera l’Onu mediante l’Ufficio di Supporto Costituzionale (OCS), il quale è deputato a formulare «recommendations on potential amendments to specific areas of the Constitution, including federalism/fiscal federalism (wealth sharing), the judiciary, the Federation Council or upper house, indepen dent institutions and human rights»166. Le stesse corde risuonano nelle attività dell’Organization for Security and Co-operation in Europe (OSCE). Attraver so 1’Office for Democratic Institutions and Human Rights, essa si occupa, su scala regionale allargata ai paesi caucasici e dell’Asia centrale, delle riforme processuali e degli ordini
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forensi167, nonché della formazione professionale di avvoca ti e giudici, al fine specifico di supportare i programmi di de mocratizzazione e di impianto della rule of law168. Ma non diverso è l’impegno profuso dall’International Monetary Fund e dalla World Bank nel diffondere lo stesso verbo, all’interno dei loro programmi di ‘technical assis tance’. Nonostante moniti autorevoli, come quello per cui « [T]he rapidly growing field of rule-of-law assistance is oper ating from a disturbingly thin base of knowledge at every le vel»165, la rule of law - nella sua indifferenziata generalità compare sempre fra gli obiettivi dei cc.dd. Poverty Reduc tion Strategy Papers (PRSPs) elaborati dai governi locali in col laborazione coll’IMF (e la WB). Sulla base di questi docu menti, il Fondo e la Banca programmano le loro attività e tutti i PRSPs prevedono, fra gli scopi strategici da persegui re, obiettivi - fra loro retoricamente indistinti - quali «to improve governance, the rule of law and ensure human rights», «strengthen democratic processes and institutions, human rights, the rule of law»; o «strengthening the rule of law and respecting human rights», «strengthening governance and the rule of law»; oppure «developing a strong justice system and rule of law»170. E in particolare la World Bank - soprattutto a partire dal la svolta operata alla fine degli anni ’90 con l’adozione del c.d. Comprehensive Development Prameworkm - a insistere tenacemente sull’utilizzo del diritto quale grimaldello accon cio a perseguire i propri dichiarati scopi, che risultano esse re «to help developing countries and ... to alleviate pov erty»172. Sono in questo momento attivi ben 127 progetti aventi a oggetto la rule of law (progetti suddivisi, significa tivamente, nelle seguenti aree tematiche: «access to law and justice, judicial and other dispute resolutions mechanisms, law reform, legal institutions for a market economy, legal services, personal and property rights»)173.
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7. Cure senza storia.
In nome dello sviluppo e della stabilità macro-economi ca, le istituzioni internazionali sembrano in effetti aver fat to della riforma giuridica e dell’impianto della (indifferenzia ta, de-contestualizzata, a-storicizzata) rule of law uno degli aspetti centrali delle loro strategie di intervento. La consa pevolezza della rilevanza e della potenza dell’infrastruttura ‘diritto’ è uno dei meriti indiscussi di tutte queste iniziative. Il loro ‘lato scuro’ è dato dall’incapacità di comprendere co me le riforme giuridiche non si esercitano nel vuoto, né su spugne che l’acqua delle tecnicalità occidentali può gonfiare a piacimento: il patrimonio di valori, di coordinate cultura li, di assetti sociali, di rapporti di potere, che forgiano qua lunque comunità, non sanno offrirsi a mutamenti repentini. Questo è vero, si badi, persino in Occidente (ove pure il tasso di omogeneità interna è comparativamente assai più elevato che in altre aree del mondo), altrimenti non si riusci rebbero a comprendere fenomeni di lunga durata, propri al nostro recente passato o allo stesso presente - dalla resisten za nord-irlandese, alla questione basca a quella della mafia italiana. Religione, lingua, cultura sono alcuni tra i più rile vanti fattori centripeti nel catalizzare identità e visioni del mondo174, con cui il verbo dello Stato, delle Costituzioni, del la rule of law egalitaria e/o promozionale deve fare conti quo tidiani, ma il cui bilancio non può essere chiamato a trime stre, o semestre, e neppure alla scadenza di una generazio ne, bensì essere capace di includere e progettare partite di lungo termine173. Sorprende poco, perciò, che lo scarso rifornimento di pro blemi circa la complessità dell’infrastruttura ‘diritto’, e la conseguente ridotta potenza interpretativa, che caratterizza la gran mole di programmi delle istituzioni internazionali, abbiano dati esiti fra loro assai contraddittori rispetto alle (e certamente non all’altezza delle) premesse.
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Non ci soffermeremo qui su moniti risaputi (almeno al di battito avvertito), come quello secondo cui alcuni dei siste mi che hanno beneficiato al meglio della globalizzazione, co me l’india, sono «those that have not played by the rules of the standard liberal market approach», ossia della fin qui consolidata accezione della rule of law in campo economi co176; o come quello che segnala quante delle critiche oggi ri volte alla democrazia russa avrebbero perduto ragion d’esse re se, subito dopo la caduta del comuniSmo, gli advisor occi dentali non avessero puntato solo (o soprattutto) alla privatizzazione delle imprese177. Tra i molti altri esempi pos sibili, un supplemento di considerazione possono invece me ritare le attività della World Bank. Nella nostra prospettiva è difatti notevole che quelle attività siano programmatica mente alimentate da una particolare attenzione a connette re tra loro indicatori economici e giuridici. Un primo dato rileva i dibattiti aspri e puntuti sollevati dalla distanza fra presupposti ideologici rivendicati dalla WB e risultati conseguiti sul terreno. Nella corposa lista di illu strazioni, valgono il richiamo quelle: i) di Costa Rica e Uru guay per i quali, proprio alla luce delle misurazioni effettua te dalla World Bank178, stridente è il contrasto fra lo scarso sviluppo economico e l’elevata considerazione da essi godu ta nei ‘Rule of Law Governance Indicators’ predisposti dal la stessa istituzione17’; n) di paesi lontani dal disporre di un apparato istituzionale e giuridico conforme alle aspettative della WB, che hanno sperimentato per decenni tassi di cre scita estremamente elevati: è il caso, fra gli altri, della Corea del Sud, di Taiwan, del Vietnam, della Cina Popolare180; ni) di modelli informali o misti, pubblico-privati, di regola zione dei diritti contrattuali e proprietari, che hanno prodot to in Cina risultati economici comparabili, se non migliori di quei modelli formali di protezione dei contratti181, e di attri buzione dei diritti di proprietà privata182, che invece rappre sentano gli ingredienti abituali della ricetta propugnata con vigore dalla WB ai «developing countries», nel quadro di un
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trapianto delle tecnicalità occidentali che si vuole sempre di retto, indifferente al contesto e quanto più rapido possibile. Il secondo motivo di attenzione nei confronti della World Bank si spiega con le matrici tecnico-culturali del suo opera to. La pervicace opera di disseminazione del verbo della ru le of law si è in effetti ben guardata dal prospettarsi inclusi va (non solo dei valori ‘altri’, ma) degli stessi valori giuridi ci occidentali intesi nel loro complesso, ossia comprensivi dei portati propri alla tradizione euro-continentale. La WB pro duce annualmente dei rapporti noti con il nome ‘Doing Bu siness’, i cui contenuti hanno più volte vivacemente attacca to i sistemi giuridici continentali come inefficienti, statali sti, inadeguati nel lungo periodo a competere economica mente, e quindi non solo incapaci di porsi a modello di svi luppo per chicchessia ma meritevoli di radicali riforme, le quali dovrebbero essenzialmente ispirarsi - va da sé - alla re golazione decentrata del mercato che si ritiene supportata al meglio da istituti e tecniche del common law (angloameri cano185. Ora, detto che nel 2008, stando ai dati della stessa World Bank, il Pii dell’insieme mondiale delle giurisdizioni ‘civili stiche’ (nelle quali possono includersi, oltre al continente eu ropeo, il Giappone, l’America Latina e la stessa Cina)184 am montava a oltre 29 000 miliardi di dollari, contro i 19 000 miliardi di dollari delle giurisdizioni di common law185, sulla povertà di analisi scientifica e comparatistica che sorregge quelle valutazioni non vale la pena di insistere oltre il segno. Assumere un solo possibile modello di sviluppo economico impiantabile ovunque, mediante un solo possibile modello di istituzioni giuridiche, è offa per gli illetterati di ogni disci plina, o per gli inconsapevoli di professione. Quanto conta tuttavia segnalare è che, anche grazie a quell’attività di disseminazione di dati, si perpetra negli ar gomenti che animano una gran massa dei dibattiti transna zionali il senso comune della necessità - oltre che di canto nate i sistemi di civil law nel ruolo di rule-takers - di propa
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Capitolo quinto
gare il diritto à la common law come veicolo di democrazia, di giustizia universale, di prosperità186. Il che avviene - an cora una volta - senza un’adeguata considerazione, o con una voluta indifferenza, non solo a) per la diversità dei modelli e delle tradizioni giuridiche, e per la conseguente difficoltà di trasformarle nel giro di pochi anni, ma anche b) per la ne cessità di alzare il velo sugli interessi perseguiti con quegli strumenti e, nel caso li si ritenesse indiscutibili e indispen sabili, c) per l’opportunità di valutare se al fine di realizzare quegli stessi interessi gli strumenti attuali siano i più effica ci - ossia se per raggiungere gli scopi perseguiti dall’Occidente (nella sua intierezza) sia sempre indispensabile utiliz zare lo strumentario giuridico-politico nordamericano187. Se anche su questi atteggiamenti spireranno i venti nuo vi della storia, con i cantieri delle riforme aperte sulla govern ance delle istituzioni finanziarie internazionali188, coll’auspi cata presa di consapevolezza circa i difetti dei modelli pro pagandati, sono tutte questioni i cui esiti non tarderemo troppo a conoscere.
8. La fragilità progettuale del vecchio continente. Una diversa domanda è invece pressante: e l’Europa? La risposta comincia col segnalare che sul nostro conti nente l’utilizzo della infrastruttura giuridica in chiave di pro mozione globale degli interessi regionali è resa assai diffici le, fra l’altro, dalla accentuata diversità di linguaggi, quelli nazionali e quelli giuridici. E vero che una buona parte delle classi dirigenti, nonché delle élite forensi europee, conosce l’inglese e che fioriscono corsi e master giuridici nel linguaggio dei common lawyers. Altrettanto vero, tuttavia, è che il diritto globale usa una lin gua e un vocabolario tecnico che non sono i nostri - e che talora non possono trovare traduzioni accurate nelle nostre lingue giuridiche (e per nostre intendo non solo l’italiano,
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ma anche il polacco, il francese, il tedesco, il greco o lo spa gnolo). Il punto merita rispetto, non certo perché si voglia scioccamente contestare la veicolarità di una lingua, ma per ché segnala come i giuristi, pur occidentali e tuttavia non an glofoni, e/o privi di familiarità con il tecnicismo del common law, possono aspirare a un rilievo delle proprie idee solo a li vello domestico, al massimo regionale. Essi non sono in gra do di contribuire in alcun modo incisivo, ossia diretto e con tinuo, al farsi del diritto nelle arene globali, diventando so stanzialmente invisibili, inudibili, se non per rimbalzo più o meno tardivo, tanto nei dibattiti specialistici quanto, e so prattutto, nel discorso pubblico. Del resto, vale la pena di aggiungere, nelle facoltà euro pee si educano giuristi attraverso curricula pregni al 90% di corsi centrati sul diritto positivo statuale (il che è esattamen te l’opposto di quanto avviene negli Usa, dove il 90% dei corsi verte sul diritto dell’Unione e non su quello del singo lo Stato in cui ha sede la facoltà). Si tratta di un approccio educativo che potrà essere utile - se lo si ritenesse necessa rio - a infoltire le schiere dei pratici o dei burocrati attivi sul fronte domestico, ma non è certo quanto si possa auspicare nella prospettiva della formazione di una classe dirigente al l’altezza delle sfide poste all’Europa dalle evoluzioni del tem po18’. Eppure, anche quando partono dal continente europeo, gli sforzi di estendere in maniera duratura il proprio presti gio e l’attrattività del sistema economico poggiano sovente, oggi come nel passato (con le esperienze coloniali), sulle in frastrutture giuridiche. Si pensi al contributo francese alla costruzione del modello legislativo dell’Organisation pour 1’Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires (OKA DA)190, agli sforzi olandesi in Mongolia191, italiani in Afgha nistan e nei rapporti con la Cina192, tedeschi in America La tina, nell’Africa sub-sahariana e nei Sud-est asiatico ed eu ropeo193. Ma si tratta di investimenti che veicolano il marchio del paese che li opera, con le sue ricadute e i suoi obiettivi
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Capitolo quinto
di rango statale, e non continentale, con gli inevitabili limi ti che un modello percepito come nazionale (senza una cor nice imperiale, e della stazza di un singolo paese europeo) porta con sé nell’arena globale. Dal punto di vista istituzionale poi, la lunga post-bellica dipendenza economica dagli Usa, e la stessa temperie che ha trasformato la leadership americana in egemonia, ha indebo lito le potenzialità delle ancora fragili istituzioni europee: a) di proporsi, nei confronti del resto dell’occidente, quale concorrente agguerrito degli Usa nell’utilizzo del proprio di ritto, forgiando paradigmi globali all’altezza della propria economia e demografia1’4, valorizzando a tale scopo, come abbiamo visto accadere sull’altra sponda dell’Atlantico, le proprie istituzioni universitarie e i propri centri di ricerca; e poi b), soprattutto nei confronti delle realtà non occidenta li, di proporsi come piattaforma compatta di irradiazione di valori alternativi, centrati su una visione della società, e del suo diritto, attenta alla dimensione sociale dei problemi, in clusiva non solo in nome della libertà di mercato, della sa cralità della proprietà e del contratto, ma inclusiva anche in nome della capacità normativa di proteggere gli svantaggia ti e di contrastare sistemi sanitari, previdenziali, lavorativi, indifferenti alle opzioni disponibili per i più deboli1’3. E considerando tali carenze che si spiega come gli stru menti programmatici della UE, e pure quelli operativi, risul tino sovente appiattiti su quella che abbiamo visto essere la terminologia mainstream1’6, circa l’esportazione, parallela, sincronica e sinonimica, della democrazia, del libero merca to e della rule of law1”. Le criticità e i difetti di questo allineamento rappresen tano un tema che sfiora appena le burocrazie, e le istituzio ni politiche di Bruxelles, le quali, a differenza delle conso relle Usa, non hanno fin qui inteso la straordinaria potenzia lità del proprio diritto di farsi battistrada di politiche globali autonome1’8. Il che peraltro testimonia, sia detto qui per in ciso, come il modello istituzionale UE continui a proporsi co-
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me protesi di una frattura mai ricomposta: quella fra l’illu minismo tedesco (di funzionari) e quello francese (di giuri sti)1”, protesi nella cui costruzione hanno prevalso i materia li e le culture burocratiche, incapaci di forgiare una visione dell’Europa che andasse al di là della ‘mimesi’ dello Stato na zionale - al quale quindi il diritto serve, quando serve, solo a rafforzare l’identità interna e non a comunicare con il re sto del mondo. Anche cosi, con questa impreparazione culturale dell’Eu ropa nel suo insieme a percepire il diritto quale strumento di potere globale, si comprende la supina accettazione dei pa radigmi giuridici, quelli tecnici e quelli retorici, provenienti dal Nord America. Ma su questo punto vi è da considerare un dato ulteriore, che incide su un ampio spettro delle que stioni fin qui tratteggiate. L’ultimo ventennio ha conosciuto la fioritura di una va rietà di progetti, di fonte prevalentemente accademica e di varia natura (privata, o godenti dell’avallo ufficiale delle isti tuzioni UE, oppure semplicemente da queste finanziati), vol ti all’armonizzazione del diritto civile europeo200. L’occasio ne si presentava propizia per ri-fondare201 su basi condivise, ossia con il contributo ‘dal basso’ delle tradizioni nazionali, una cultura giuridica comune, un comune tessuto connetti vo delle relazioni che sono alla base di qualunque società: dalla proprietà al contratto, dalla responsabilità per danni al diritto ereditario e di famiglia. L’occasione si presentava pro pizia per abbassare i costi di accesso al diritto da parte di tut ti i suoi utilizzatori europei, nonché per proporre - nella pro spettiva dell’espansione del raggio d’influenza geopolitica del nostro continente - un modello di governo (forte e alterna tivo a quello angloamericano) delle relazioni private e com merciali. Se i progetti sono stati finora condotti con metodi che si espongono a più di una critica in chiave scientifica202, le obiezioni che qui meritano il risalto sono altre. La stragran de maggioranza di quei lavori mira a individuare a ogni prez
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Capitolo quinto
zò il punto di equilibrio fra diritto continentale e il common law. Ciò spiega alcune delle difficoltà e dei ritardi accumu lati nell’elaborazione dei progetti, postisi di fronte a una no menclatura, una tassonomia e ad apparati concettuali che oltremanica (a differenza delle regole operative, spesso as similabili alle nostre) risultano assai diversi da quelli roma nistica comuni invece a tutto il continente. Ma si tratta an che di una scelta che vuole forzare la condivisione del pro getto da parte di un sistema paese, qui il riferimento è al Regno Unito203, che dai grandi disegni che hanno forgiato il modo d’essere dell’Europa, dall’Euro a ‘Schengen’204, si è sempre tenuto discosto, e che non esiterà a riproporre lo stesso atteggiamento nei confronti di qualsiasi ‘codice civi le’ (categoria estranea alla sua storia giuridica), tanto più se ‘europeo’. A questo proposito, valgono poi la sottolineatura alcuni dati. Il Regno Unito dispone quale lingua madre di quella che è veicolare nel mondo, di una vasta e ben mantenuta re te di relazioni post-imperiali, di una ‘City’ come centro fi nanziario fra i maggiori del pianeta, di una produzione di pe trolio pari all’1,8% di quella mondiale annua205 e i suoi cen tri universitari di eccellenza figurano ai primi posti di qualsiasi classifica mondiale. Di contro, il suo Pii - inclusi vo del rilevante contributo della City - era nel 2008 del 15% superiore a quello dell’Italia, ma del 7% circa inferiore a quel lo francese, del 27,6% inferiore a quello della Germania, e del 46,2 inferiore a quello giapponese206: tutti paesi che non godono, o godono solo di alcune, delle risorse di cui si avva le il Regno Unito. Ma non è tutto. Secondo gli ultimi dati disponibili, del 2007, i paesi ‘civilistici’ della UE (i.e. esclu si Regno Unito, Irlanda, Cipro e Malta) coprivano un’area di 4 227 000 km2 (il 92,3% dell’intera UE) Con una popola zione di 457 milioni di abitanti207 (87%) e il loro Pii era di 14 mila miliardi di dollari, corrispondente all’83 % della UE208 e a circa un quarto di quello mondiale20’. Le conclusioni lasciano spazio a qualche dubbio di una
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cattiva taratura circa i costi e i benefici discendenti dalla este nuante ricerca di un compromesso con le visioni del common law europeo. Si tratta tuttavia di conclusioni che non sfiorano Bruxel les. La ricerca forzosa del compromesso con i common lawyers, e le difficoltà e i ritardi che ne sono conseguiti, han no indotto le istituzioni europee, non a un ripensamento stra tegico del progetto di codificazione210, ma a limitarne la por tata centrando la propria attenzione sulla sola armonizzazio ne di uno spicchio del diritto contrattuale europeo, quello relativo ai contratti con i consumatori211. Un’armonizzazio ne parziale, o debole, significa però non decidere, significa non riuscire a vedere il futuro da protagonisti, significa tra scurare la straordinaria occasione offerta dalla storia di uti lizzare la comunanza che oggi esiste, sul piano dei principi e delle regole, fra il diritto civile e commerciale del nostro con tinente e quello latinoamericano, quello russo, quello giap ponese e quello che sta diventando il riformato diritto legi slativo cinese; significa insomma contribuire a mantenere sul piedistallo (occidentale) della solidità, dell’efficienza, e quin di del prestigio e dell’attrattività, il solo diritto privato e com merciale americano212. Quando si lanciano o dibattono progetti volti al raffor zamento della posizione della UE nelle arene globali, di tut to quanto precede occorrerebbe avere buona memoria, e sti molante consapevolezza.
Capitolo sesto
La globalità tradita. Dentro e oltre la crisi
i. Pressioni selettive. Avevamo anticipato al Capitolo quarto che una caratte ristica saliente, e non da oggi, del modo con cui l’Occidente guarda al mondo si ritrova nella domanda di diritto unifor me che esso incessantemente avanza. Si tratta di una richie sta che, oltre a essere figlia degli interessi più direttamente connessi alle attività economiche, alimenta istanze come quelle (che vedremo) rivolte alla creazione di Tribunali pe nali internazionali, alla protezione universale dei diritti uma ni, fino all’esportazione delle regole della democrazia213. Del tutto estranei ai tavoli dove si imprime o si tenta di infondere effettività alle regolazioni globali - ma anche a quelle regionali-europee - permangono invece bisogni che dal basso esprimono aspettative pressanti per vaste moltitu dini: dalle unioni di fatto al testamento biologico, all’abor to, alle più generali questioni dei confini della vita e della morte. Tutte questioni che le società occidentali, talora as sai più che altre esperienze, percepiscono come proprie. Ma tutte questioni su cui - a differenza di altre - il dibattito è lesto a internalizzare le diversità e le sfumature negli atteg giamenti culturali esistenti presso le varie tradizioni, rappre sentandosi quei problemi come eticamente sensibili (come se molte delle scelte del capitalismo avanzato non lo fossero) e, quindi, come questioni che è possibile lasciare fluttuare al tasso di cambio giuridico prescelto dai singoli sistemi214.
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2. Domande tardive.
In questo capitolo e nei due successivi, esamineremo na tura, tempestività ed esiti delle pressioni più strettamente intrecciate agli interessi business-driven. D’abitudine, su questo versante, la domanda di diritto globalizzato si volge all’adozione di trattati, convenzioni, co dificazioni; ottiene poi l’istituzione di organismi come la World Trade Organization (WTO); mira, come abbiamo vi sto nel capitolo precedente, a modellare in chiave di rulessupplier il ruolo originariamente altro di istituzioni come l’International Monetary Fund (IMF) o la World Bank (WB)215; ambisce a presidiare gli snodi cruciali dei traffici con nuove autorità sovranazionali, incaricate di gestire, e giudicare, i conflitti che sorgono nelle maglie dell’ordinamento globa le216. Quelle che attengono alla regolamentazione degli scam bi sono insomma domande di diritto con le quali si esprime nettamente un bisogno fermo di autorità. Bisogno e autorità che non sono isomorfi, perché frutto delle articolate e varia bili aggregazioni d’interessi, ma che, sul piano globale, sem pre mirano a soddisfare finalità che si presentano come ‘ge nerali’, sovraordinate a quelli dei singoli player, anche sta tuali. Le pressioni a favore di regolazioni globali possono però esercitarsi, non solo in maniera selettiva, ma anche con for za e tempistiche assai varie, in anticipo o in ritardo sui feno meni, a seconda dei settori e degli interessi coinvolti, dei mo di in cui questi sono strutturati, della cultura propria ai loro specifici attori. Un buon esempio di domande tardive è dato dalla recen te crisi finanziaria, che pure si sa innescata da eventi niente affatto originali217.
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Capitolo sesto
3. 1 preparativi della tempesta.
Una forte espansione del credito, dovuta anche alle forze dell’innovazione finanziaria (peraltro sempre all’opera), inde bolisce la percezione del rischio, mentre gli investitori sono indotti a impieghi con alto grado di leva fra debito e capita le, nell’illusione di poter ottenere rendimenti sempre più ele vati218. Il che accade, sino a quando interviene una serie di fattori di segno inverso. Il che da ultimo accade non di rado: nei paesi ‘avanzati’ il numero delle crisi nell’ultimo venticin quennio del secolo scorso è stato superiore a ogni periodo an tecedente, mentre nei paesi ‘in via di sviluppo’ esso è stato negli ultimi trent’anni addirittura il doppio rispetto a tutto il secolo precedente21’. Nel promuovere lo scatenamento della crisi odierna, a fianco di numerose e potenti cause meglio spiegate dall’eco nomia comportamentale e dalle scienze cognitive220, è stato però il diritto a giocare, più chiaramente che nel passato221, un ruolo fondamentale. Ma ciò è avvenuto sul piano dell’im provvidenza delle regole e non, come si ama ripetere, sul pia no della loro mancanza. L’assenza del legislatore, indifferente o intenzionale che sia, certo non equivale all’assenza di diritto. Al lettore di que ste pagine è ben noto come le organizzazioni sociali di qual siasi tipo, e anche quelle raggruppate intorno alle comunità finanziarie, costruiscano sulle regole la propria convivenza e le proprie attività. Il fatto che queste regole non vengano da un’autorità sovraordinata significa semplicemente che saran no i partecipanti a quell’organizzazione, a quelle attività, a quel mercato, a dettarne di proprie. Produzione che può di scendere da un consenso maggioritario o generalizzato, con senso che a sua volta può essere formalizzato in documenti, i quali raccolgono best practices, formulano raccomandazioni, guidelines, standard rules, oppure sarà consenso tacito, emer gente dall’abituale accettazione e propagazione delle medesi me regole di comportamento.
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A entrambe le modalità di auto-governo la comunità fi nanziaria ha fatto esteso ricorso. Ma questa regolazione informale (l’abbiamo ricordato al Capitolo terzo, §§ 3-4) reg ge una gran mole delle attività, economiche e no, che ogni abitante del pianeta svolge ogni giorno, senza che la natura della regolazione sia di per sé fonte di crisi, economiche o so ciali. Invero, le crisi restano al di là degli orizzonti tutte le volte che il diritto informale è stabile e prevedibile e, affin ché lo sia, occorre che tutti i membri della comunità di rife rimento, dai più deboli ai più forti, perseguano interessi fra loro convergenti e operino sotto la pressione degli stessi in centivi e disincentivi. Allorché invece questi requisiti ven gono a mancare, come è accaduto nella lunga vigilia della cri si222, il risultato è quello che abbiamo avuto sotto gli occhi: le regole implodono e la comunità finanziaria, insieme alle economie che da essa dipendono, sono forzate verso l’incer tezza, l’imprevedibilità e il collasso.
4. La crisi delle regole. Nel comprendere (anche) l’ultima crisi finanziaria, un punto resta quindi fermo: pensare alla de-regolazione da par te dello Stato, o delle sue istituzioni, come fenomeno forie ro di un’assenza di regole, è hobby da positivisti incalliti, o intellettualmente disoccupati, perché congedati dalla realtà. Il passo successivo è capire come, di fronte a risalenti pressioni per regolazioni formali di ogni aspetto del traffico giuridico ed economico globale, si sia giunti a permettere che proprio i mercati finanziari, ossia uno dei settori nevralgici di quei traffici, fossero lasciati liberi di auto-governarsi - e con riguardo a profili cruciali delle loro attività. Nella nostra prospettiva alcuni dati meritano allora di essere richiamati. Per lungo tempo gli Usa hanno rappresentato in campo finanziario il modello giuridico internazionalmente ricono sciuto come quello di riferimento, anche perché sotto la sua
Capitolo sesto
(fioca) giurisdizione cadevano, e tuttora cadono, gran parte dei contratti che forgiano il mercato delle cartolarizzazioni e della c.d. finanza strutturata223 - e di qui si comprende pu re l’assenza, in queste materie, di filoni giurisprudenziali si gnificativi nel resto del mondo, Europa compresa. Ma è pro prio negli Usa che comportamenti auto-regolati da parte de gli attori del mercato finanziario sono stati largamente incentivati, grazie al ritrarsi delle regole federali dagli avam posti del controllo effettivo sulle pratiche potenzialmente distorsive. Si tratta di un processo non certo irretito dalla leg ge c.d. Sarbanes-Oxley, del 2002224, la quale, sulla scia di al cuni scandali finanziari (Enron, Arthur Andersen, World Com, Tyco International), ha irrigidito alcune regole (quel le sulla correttezza delle informazioni di bilancio, sui dove ri dei contabili, sulla trasparenza della corporate govern ance)225 che restano periferiche rispetto alle tecniche del mer cato finanziario che si sono poste all’epicentro del terremoto recente. Si tratta, piuttosto, di un processo - quello di riti ro del regolatore federale dal terreno dei controlli - esempli ficato dall’adozione del Private Securities Litigation Reform Act, del 1995, che ha reso più impervia la possibilità di ot tenere la condanna, e avviare azioni collettive, a carico de gli autori di frodi sul mercato dei capitali226. Si tratta di un processo corroborato da provvedimenti quali il Commodity Future Modernization Act del 2000, che ha sostanzialmen te lasciato nelle mani del mercato vasti settori del trading sui derivati227; processo proseguito nel 2004 col rilassamento, da parte della Securities and Exchange Commission (SEC) del le regole sul ricorso alle leve finanziarie228. Nell’ultimo decennio si è poi moltiplicato il ricorso ai vo latili e opachi credit default swap (CDS), sorta di polizze con tro l’inadempimento del debitore: titoli negoziabili senza li miti ed estranei a ogni regolazione ‘ufficiale’22’. I CDS han no soppiantato, e nessuna regola imponeva di mantenerli, i meccanismi cosiddetti di credit enhancement fondati su orto dosse garanzie assicurative relative al rischio insito negli as-
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set sottostanti le cartolarizzazioni250. L’assenza di controlli adeguati su queste ultime ha inoltre fatto si che si cartolarizzassero pool di crediti ipotecari contenenti un numero sem pre maggiore di prestiti (i cc.dd. subprime) ad alto pericolo di inadempimento2” - ma sia malinconicamente chiaro: ac comunare nella critica gli attori finanziari e i cittadini di sinformati, o bisognosi, che hanno colto l’opportunità, of ferta loro dai primi, di acquistare la propria abitazione pur essendo disoccupati o (poco 0) nulla tenenti, equivale a nient’altro che celebrare la saggezza del bardo, secondo cui sempre: «Misery acquaints a man with strange bedfel lows»252. Rischiosamente benedetto dalle cattive pratiche del rat ing (su cui torneremo poco oltre), l’avvitamento delle opera zioni finanziarie su spirali sempre più innovative, sempre più rischiose, ha finito col determinare una situazione «so com plex that virtually no one really understood them» - per dir la con le parole dello stesso Chairman del ‘Committee on Oversight and Government Reform’ dello stesso Congresso Usa2”. Al cospetto di, e nonostante tutto ciò, potrà apparire grot tesco - ed è invece un dato rilevante circa la cultura degli at tori del mercato - che ancora nel novembre 2007 un rappor to dell’autorevole Committee on Capital Markets Regula tion (presieduto da Hai Scott, della Harvard Law School; il report è disponibile a: www.capmktsreg.org ) spiegava con l’eccesso di regolazione la perdita di competitività Usa sul mercato globale dei capitali254. Il punto resta, tuttavia, che per analizzare e correggere i comportamenti degli operatori finanziari i contribuenti, an che oltreoceano, pagavano e pagano le autorità di vigilanza. A livello aggregato, la crescita sregolata del credito e del rap porto fra debito e capitale era un fenomeno evidente e, quin di, «un maggiore attivismo di vigilanza a livello microecono mico, ossia sulla situazione effettiva (e non solo su quella evi denziata dai bilanci) delle istituzioni bancarie, sarebbe stato
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doveroso»255. Che si sia trattato di un fenomeno di ‘cattura’ del regolatore, il quale finisce per recepire e proteggere gli interessi dei soggetti vigilati; di eccessivo affidamento ripo sto sulle regole di vigilanza bancaria256 o su quelle di conta bilità finanziaria257; oppure - ed è la spiegazione più puntu ta e aderente alla cultura del settore - si sia trattato di cie ca, perché ideologica, fiducia nell’efficienza dei centri finanziari e nella capacità di auto-regolazione del mercato, la questione resta quella di un evidente ‘sonno’ delle auto rità nazionali, e internazionali, preposte alla vigilanza dei mercati. Come è stato autorevolmente sottolineato, le «dé faillance delle autorità di controllo sono state clamorose. La tesi secondo la quale impedire le deviazioni della finanza è praticamente impossibile in quanto la sua capacità di inno vazione è troppo rapida per essere compresa in tempo dal re golatore è semplicemente ridicola. Le degenerazioni della fi nanza e i rischi che esse comportavano sono state individua te e denunciate da anni anche da eminenti personalità della finanza, oltre che da istituzioni tipo la International Bank of Settlement. Se le Banche centrali e soprattutto la Fed non hanno voluto riconoscere quelle deviazioni e le hanno anche alimentate con la loro politica monetaria è per motivi sostan zialmente ideologici; perché intimamente convinte, come Alan Greenspan ha autocriticamente ammesso di recente, della capacità di autoregolazione dei mercati»258.
5. La triste storia delle agenzie di rating. Qualche considerazione supplementare va però rivolta a quelle agenzie di rating che hanno esercitato, e tuttora eser citano, un’incisiva forza di orientamento delle scelte finan ziarie, pubbliche e private. Non da oggi, il problema dell’indipendenza delle agenzie e dell’adeguata gestione dei conflitti di interesse riveste un’importanza primaria per la credibilità e l’affidabilità del
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le informazioni. Eppure, la maggior parte dei ricavi delle agenzie che si occupano di valutare i prodotti finanziari pro viene tuttora dai compensi degli stessi emittenti cui esse han no assegnato un rating, mentre introiti assai minori deriva no dalla esecuzione di studi sul rating commissionati dagli investitori2”. Questo scenario si è prodotto nonostante che negli Usa un quadro normativo per le agenzie di rating esistesse fin dal 1975 e fosse stato riformato alla vigilia della crisi attuale nel 2oo624°. Tali interventi - sulla cui direttrice si è accomodata la recente legislazione europea241 - si limitano a rafforzare i requisiti di trasparenza e concorrenzialità del mercato del rating e a incrementare i poteri delle autorità di vigilanza. I limiti di questi interventi, registri e presagi del loro fallimen to operativo, si ritrovano nella tipologia centralistica del con trollo - sempre difficile da mantenere in un mercato in cui le informazioni sono estremamente disperse e non agilmen te reperibili dal di fuori del mercato stesso - e nella natura amministrativa delle sanzioni (peraltro in qualche caso Ero gabili con elevato grado di discrezionalità). L’assunzione im plicita in tale approccio regolatorio è che il valore di un’a genzia di rating stia tutto nella sua reputazione sul mercato e, quindi, che il timore di perdere quella reputazione sia in centivo sufficiente a evitare deviazioni dalle ‘buone prati che’ dettate dal legislatore. In altri termini: il mercato basta sempre a se stesso. .E le corti ? In Europa non si registrano filoni giurispru denziali che abbiano affrontato il tema della responsabilità per danni a carico delle agenzie242. Negli Usa, dove la mate ria è da tempo oggetto di dibattito243, le corti hanno disco nosciuto il potere regolatorio che de facto le agenzie eserci tano e, equiparando i rating a manifestazioni della libertà di espressione tutelata costituzionalmente, hanno concesso la possibilità di condannare le agenzie solo in presenza di ciò che noi chiameremmo colpa grave o dolo. Non sfugge peral tro che in questi casi la prova dello stato soggettivo, ossia la
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grossolana negligenza o la vera e propria intenzione di recar danno, rappresenta un ostacolo maggiore per l’accertamen to della responsabilità. Problema che è reso complicato dal l’assenza (anche oltreoceano) di regole legislative che per le stesse agenzie individuino, ex ante e nel dettaglio, obblighi di condotta su cui parametrare in maniera diversa, e traspa rente, il giudizio risarcitorio nei confronti dei soggetti dan neggiati.
6. Le regole della crisi.
Quali vie d’uscita si prospettano, nel lungo periodo ? Certo, nessuna risposta a questa crisi può muovere seria mente dalla critica alla speculazione o all’avidità di alcuni at tori del mercato. Speculazione e avidità sono termini del les sico messianico, o psichiatrico, oppure di coloro i quali non sanno di essere a favore del modello capitalista, dove quegli atteggiamenti, avidi o speculativi, sono da sempre ingranag gi non secondari nella sala motori del sistema. Se invece la critica si centra sulla misura che di speculazione o avidità è possibile tollerare, ecco che la questione diventa, come sem pre, quella delle regole: quali, per chi? pensate, e soprattut to applicate, come ? La mancanza di una regolazione formale in natura, e glo bale in raggio d’azione, è stata in effetti, come abbiamo det to, un vizio della cultura stessa dei mercati finanziari. È un vizio che occorre sanare, ma muniti di una serie di consape volezze. i) A Race to the Top. A ogni livello e in ogni settore di operatività dei mercati finanziari, occorre ribadire con fer mezza l’impegno a disincentivare non solo per il presente, ma anche nel futuro nuove pericolose ‘race to the bottom’ da parte dei legislatori nazionali, che finiscano col permet tere agli operatori più ‘scaltri’ di spostare i capitali, e le ope razioni su di essi, nei paesi dotati di regole più lasche244. A
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tacer d’altro, accontentarsi di risposte fornite a livello sta tuale implica sempre il rischio che una frammentazione del le normative finisca, se non col paralizzare, coll’alzare insop portabilmente i costi dei controlli per le autorità nazionali e quelli delle reazioni legali per i soggetti dislocati nelle varie parti del mondo e ingiustamente danneggiati da attività fi nanziarie condotte in spregio alle regole. In questa prospettiva è sicuramente da lodare, e sostene re assai più e meglio di quanto finora fatto, l’iniziativa del nostro governo, lanciata in occasione della presidenza italia na del G8 per il 2009, di redigere dei «Global Standards» mirati alla promozione di livelli appropriati di trasparenza, al rafforzamento dei sistemi di regolazione e di supervisio ne, al consolidamento della protezione degli investitori245. n) Dalla forma alla sostanza. Ogni sforzo di regolazione dovrà tuttavia tenersi discosto dal demone della retorica, mi naccioso tutte le volte in cui ci si limiti a invocare ‘traspa renza’, ‘correttezza’, ‘integrità’ delle condotte. Se questo les sico può essere utile nelle normazioni domestiche (d’abitu dine monitorate da una fitta giurisprudenza), oppure ai preamboli o alle press-release dei documenti politici, nel vuo to normativo di questo settore a livello globale, la sostanza delle regole da proporre dovrebbe invece (quanto meno co minciare ad) aggredire i dettagli delle pratiche, agganciando violazioni a sanzioni. Quanto insomma conta è che il nuovo disegno tracci linee rette fra incentivi e soggezione alle re gole, cosi come fra poteri e responsabilità. ni) Il mercato non basta. Di fronte alla possibilità di rischi sistemici, come quello che si è materializzato nel corso del l’ultimo anno, ai cittadini, risparmiatori e no, occidentali e no, non si può continuare a somministrare la ricetta del mer cato che auto-regola gli scostamenti dei propri attori dalle ‘buone pratiche’ e poi si limita a espellere dallo stesso mer cato chi mal si comporta (e nel frattempo ha già molto dan neggiato), erigendo cosi un gruppo circoscritto di individui a capri espiatori dell’intera comunità finanziaria. Una comu
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Capitolo sesto
nità, vale ribadire, i cui controllori si sono rivelati ineffetti vi, al limite della complicità, se è vero che negli Usa, nei pri mi undici mesi del 2008, sono state avviate 133 indagini per frodi sul mercato mobiliare, numero che è però «down from 437 cases in 2000 and from a high of 513 cases in 2002, when Wall Street scandals from Enron to WorldCom led to a crackdown on corporate crime ... At the SEC, agency inves tigations that led to Justice Department prosecutions for se curities fraud dropped from 69 in 2000 to just 9 in 2007, a decline of 87 percent»246. iv) Long-termism. Occorre poi che il ri-disegno della re golazione si curi dell’equilibrio complessivo del sistema. Un passo opportuno dovrebbe perciò rendere tangibili disincen tivi normativi, anche di natura fiscale, al short-termism dif fuso nelle pratiche (e negli atteggiamenti culturali) dei mer cati finanziari. Per questi ultimi, infatti, dati come le per formance dei titoli (inclusi i fondi pensione e quelli sanitari), il valore delle materie prime, i documenti di bilancio da ren dere pubblici, le remunerazioni dei dirigenti, sono tutti fat tori da valutarsi secondo canoni e risultati temporali che cal pestano ogni prospettiva di lungo periodo, rendendo cosi, a tacere di ogni altra considerazione, drammaticamente pro ciclica la dimensione funzionale dei mercati - accelerando i moltiplicatori benefici in tempi di crescita e quelli malefici, non appena la rotta s’inverte247. Più in generale, le scelte dovrebbero intonarsi, non alla supina reattività alle fruste globali, ma alla necessità di un governo pro-attivo dei problemi, alimentando decisioni pub bliche in grado di calibrare la bilancia sul tempo che verrà e non solo su quello che ci viene dato. Non è del resto diffici le raggiungere la certezza che tanto più un’economia si ‘globalizza’, tanto più necessario diventa il rafforzamento degli interventi di natura sociale - ossia il più formidabile set di aiuti di stato leciti di cui un sistema può avvalersi -, inter venti che alla varietà di squilibri generati sulle economie in terne dall’apertura dei mercati sappia rispondere in maniera
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flessibile rispetto ai bisogni ed efficace rispetto alle perso ne248 - restando poi sempre da maturare la consapevolezza di come una generale e incisiva compressione delle diseguaglian ze interne possa fungere da volano effettivo alla crescita eco nomica di lungo periodo24’ (e al piu generale benessere della società in cui la diseguaglianza si attenua)250. v) Cerberi v. Volpi. Le regolazioni, inoltre, dovrebbero mostrarsi tenacemente flessibili nella capacità di incorpora re sotto il loro usbergo le mutazioni e le distorsioni che i sog getti regolati possono continuamente produrre. Un solo esempio: le parole del governatore della Banca d’Italia, pro nunciate al Senato italiano, in un intervento successivo allo scoppio della crisi. Qui saggiamente (anche per un giurista) si rileva che la « trasparenza richiede una drastica semplifi cazione e standardizzazione dei contratti; strumenti non standard sono, per natura, difficili da valutare»251. La storia della tipizzazione contrattuale mostra, tuttavia, come que sta scelta dia frutti accettabili, i.e. non distorsivi degli scam bi e non incentivanti l’elusione, quando il ventaglio dei tipi contrattuali è abbastanza ampio da permettere a utenti e con trollori del mercato di trovare punti di bilanciamento fra gli interessi delle parti all’interno di quella stessa offerta di ti pi, senza doverne forzare i contorni o la struttura252. L’elen co e i contenuti dei contratti dovrebbero allora essere sog getti a pre-stabilite revisioni periodiche, in modo da incor porare nella (e non spingere fuori dalla) regolazione le sollecitazioni che l’innovazione finanziaria, o le mutazioni del contesto globale in cui si muovono i mercati, possono produrre nel tempo. Detto poi che il linguaggio di questi con tratti dovrebbe essere reso accessibile anche a chi non abbia un PhD in finanza a Chicago, l’ulteriore questione rilevan te è, non solo ‘chi’ redige e revisiona questi tipi contrattua li, ma anche e soprattutto chi ne è giudice (e su questo pun to torneremo fra poco). vi) Il rating del rating. Discorso analogo meritano le rego le possibili per il governo delle agenzie di rating. Non è chia
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Capitolo sesto
ro se queste agenzie debbano restare imprese private o ve dere le proprie attività assunte, direttamente o indirettamen te, da istituzioni internazionali253. Quanto è certo è che re golare globalmente le procedure di attribuzione dei voti è ne cessario - fissando standard precisi, e revisionabili nel tempo, per inchiodare le agenzie che li violassero a danno di terzi a una responsabilità certa -, tanto quanto è necessaria una nor mativa globale di dettaglio sui conflitti di interesse, che con sideri tutti i fattori condizionanti (di natura economica, po litica, o d’altro genere) in grado di distoreere i risultati del le analisi e di far perdere alle agenzie l’equidistanza, tra coloro che sono oggetto delle valutazioni e i soggetti infor mati254. Sarà a quel punto che il controllo decentrato permes so dalle azioni di responsabilità per danni (tanto meglio se ‘collettive’)255 potrà rappresentare un efficace deterrente e una sanzione temibile nei confronti dei comportamenti de viami. vii) Giudici globali. Di piu: per tutte le attività finanzia rie che, a differenza di altre, esercitano un così capillare e tecnicamente omogeneo impatto a-territoriale, quanto do vrebbe essere ovvio è l’affermazione, a ogni livello, del sem plice principio ‘chi sbaglia paga’ - sottraendo così il discor so sulle responsabilità al magmatico argomentare in termini di ‘follia’, o di ‘sventura’, in cui lo si vuole immerso. Ecco perché auspicabile sarebbe l’istituzione di un network di cor ti256 dedicate allo scrutinio della responsabilità per danni che siano cagionati direttamente a chi, senza propria colpa, si af fida a, o utilizza, i risultati degli attori finanziari globali (le cui categorie andrebbero ovviamente pre-selezionate con pre cisione). Questa giurisdizione globale, operante sotto un’unica normativa sostanziale e procedurale, dovrebbe avvalersi di giudici indipendenti e tecnicamente adeguati, di provenien za volta a volta tanto plurale quanto esteso è il mercato di ri ferimento dell’operazione sotto esame, e la cui nomina, ad opera di Stati e istituzioni internazionali, dovrebbe avveni-
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re con procedure trasparenti, anche al fine di rendere possi bile che eventuali mancanze e responsabilità degli stessi giu dici possano imputarsi direttamente ai soggetti che li hanno prescelti. Tali corti dovrebbero giudicare della violazione di obblighi (va senza dirlo:) pre-definiti, obblighi che potreb bero essere individuati dallo stesso strumento di diritto in ternazionale che istituisce la giurisdizione. Le corti dovreb bero poi essere dotate di poteri di sanzione effettiva, di na tura certo amministrativa (blocco definitivo o sospensione delle attività), ma soprattutto pecuniaria, miranti a risarcire i soggetti danneggiati da quelle attività. Buffo o grottesco ri sulta infatti pensare che il vulnus al ‘buon nome’ arrecato mediaticamente o con l’inflizione di sanzioni amministrati ve (specie se di contenuto economico inferiore al profitto ge nerato dalle attività illecite) possa rappresentare un deter rente efficace in comunità in cui la reputazione è sempre in grado di risorgere come la fenice araba. Occorrono invece condanne risarcitone adeguate al danno prodotto, e attiva bili con azioni collettive aperte a tutte le vittime delle stes se violazioni - alle badanti della libertà d’impresa finanzia ria non occorrerà ricordare che in questi settori esiste da mol to tempo un rigoglioso libero mercato delle assicurazioni della responsabilità civile. Le sanzioni pecuniarie potrebbero poi essere pari a un multiplo (per 1.5-2) del danno cagionato, pe nalità che dovrebbe alimentare un fondo, in grado di risar cire anche i soggetti che si trovassero di fronte a convenuti insolventi o che, per qualche ragione tecnico-procedurale, non avessero accesso al giudizio risarcitorio.
7. Sotto il diritto, poco o niente. Tutte e ciascuna delle ipotesi appena abbozzate necessi tano di emendamenti e correzioni. Sotto tiro non merita però di finire l’approccio che rivendica la soluzione dei problemi generati dalla crisi alla dimensione giuridica formale, e glo-
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Capitolo sesto
baie, anche e soprattutto con riguardo alla capacità di deter renza e sanzione in chiave risarcitoria che quella soluzione consente. Le alternative a tale disegno risultano infatti solo due, nessuna delle quali appare dotata di pregi superiori a quella sopra richiamata. La prima alternativa consiste nel lasciare i mercati finan ziari al governo di quell’informalità che li ha resi così fre quentemente fragili (e dannosi), al più solleticandone l’amor proprio con i richiami a trasparenza, integrità e correttezza dei comportamenti. L’altra opzione è quella che colloca il punto di equilibrio fra utilità e svantaggi delle attività finanziarie nella loro sot toposizione a un controllo centralistico di tipo esclusivamen te tecnico-politico, affidato a qualche agenzia di vecchio o nuovo conio. Il problema è che questo genere di controlli a) esiste già pressoché ovunque, con i risultati che si sono vi sti, e che comunque b) quel genere di controlli, da attivarsi su scala globale, una volta privati di una protesi giudiziaria altrettanto globale, non si capisce con il braccio di quali isti tuzioni, quali tecniche, quali regole, possano garantire la de terrenza necessaria più efficace di quella odierna) nei confronti delle ‘cattive pratiche’ e, soprattutto, la tutela ope rativa dei diritti di chi a causa di quelle pratiche molto ha perduto. A tacer d’altro, la fiducia che investitori, risparmiatori, pensionandi ripongono nel sistema economico-finanziario e nella sua capacità di risarcire le vittime (innocenti) dei suoi misfatti dovrebbe essere uno dei tasselli essenziali nei nuo vi equilibri che andiamo cercando.
Capitolo settimo
Intermezzo. L’ambiguo declino dello Stato
i. Lo spacchettamento dell’interesse nazionale.
A seguito della crisi, da piu parti si chiede la messa in ope ra (di alcuni) degli interventi regolatori discussi nel capitolo precedente. Fin qui, tuttavia, al di là dei propositi buoni pro futuro, si è assistito all’accumularsi di tentativi di soluzione della crisi soprattutto mediante impiego di denaro pubblico, di provenienza nazionale - valendo ai nostri fini, e con spe cifico riguardo alle misure adottate negli Usa, l’attesa di co noscere come una Corte Suprema a orientamento maggio ritario repubblicano potrà vagliare le regolazioni di marca non-liberista divisate daU’amministrazione americana (un eventuale scontro non sarebbe inedito: dell’esperienza af frontata da F. D. Roosevelt, ai tempi del New Deal, abbia mo discusso nel Capitolo primo, § 4). Vero è, ad ogni modo, che il supporto dei contribuenti (tutti inclusi) allo scopo di togliere le società e le istituzioni finanziarie dai guai in cui si sono cacciate, e ci hanno trasci nato, si offre quale segnale e misura dell’accentuazione di due fenomeni: del grado d’integrazione raggiunto fra l’atti vità degli operatori globali e le singole micro-economie degli stessi cittadini; della torsione impressa al ruolo dello Stato da quella stessa integrazione. E bene intendersi, però. Si trat ta di ‘accentuazioni’, perché neppure queste sono novità di cui accreditare la crisi finanziaria. Da tempo, il commercio, il valore della moneta, dei mu tui, l’ambiente, la navigazione marittima e quella aerea, lo sfruttamento delle risorse marine, la pesca, l’agricoltura, l’a limentazione, le telecomunicazioni, la proprietà intellettua
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Capitolo settimo
le, l’uso dello spazio e delle fonti di energia, oltre che ovvia mente la finanza, sono oggetto di una disciplina largamente denazionalizzata: ossia non determinata né esclusivamente dipendente dallo Stato, ma da centri di produzione delle re gole dislocati nelle arene regionali e globali. Di questi feno meni, come risultanti dell’aspirazione uniformatrice del di ritto, abbiamo già fatto cenno. Di alcuni dei problemi ge nerati dalle attività dei produttori di diritto globale del l’economia torneremo a occuparci nel capitolo successivo. Qui preme soprattutto segnalare che si tratta di organi di re golazione le cui determinazioni incidono in profondità sugli ordinamenti domestici, talora attraverso il filtro dell’inter vento statale, necessario alla loro esecuzione, talvolta attra verso l’interazione sempre più marcata fra organi giudiziari statali e globali2”, altre volte ancora direttamente, senza bi sogno di intermediazioni258. E così che i cc.dd. ordini globali finiscono per forgiare, sotto il profilo economico, le scelte degli stessi attori statua li, disaggregando le funzioni tradizionalmente proprie a que sti ultimi in uno spettro di agende e interessi fra loro diver sificati, a seconda delle differenti materie, e sottoponendo alle medesime tensioni la stessa idea di «interesse naziona le»259. Una nozione, quest’ultima, ovviamente esposta allo spec chio degli altrui interessi nazionali, ma anche di quelli regio nali (per noi, in primis la UE), come definiti dalle interrela zioni e dalle sfide che si aprono a livello globale. Una nozio ne, quella di interesse nazionale, ormai facilmente scom ponibile in una varietà di preferenze e istanze settoriali, con tinuamente ri-costruite all’interno di ciascuno Stato attra verso processi di negoziazione non sempre trasparenti e de bitori di politiche spesso (solo) contingenti. Gli esempi sono numerosi. A tacere di come i tessuti socio-economici delle varie comunità statuali siano attraver sati dalle attività e dalle istanze di circa 82 mila multinazio nali - i cui dipendenti ammontavano nel 2008 a 77 milioni
Intermezzo. L’ambiguo declino dello Stato
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di unità (più del doppio dell’intera forza lavoro della Ger mania)260 -, si pensi ai conflitti fra gli interessi che sostengo no: i produttori locali di beni e i consumatori di beni impor tati; i produttori o distributori di energia261 e gli utenti del l’ambiente; gli ambientalisti e i lavoratori dell’industria; le aggregazioni industriali e i loro dipendenti; le aggregazioni bancarie e (di nuovo i loro dipendenti, oltre che) i clienti lo cali; i fautori di incisive politiche di concorrenza (possibil mente coordinate a livello globale) e i sostenitori di queste o quelle eccezioni, legate a esigenze locali/nazionali262. Oppu re si ponga mente, più in generale, agli interessi dei settori economici che vivono ancora al riparo dagli effetti, e dalle crisi, della globalizzazione giuridica ed economica e, per con verso, agli interessi degli attori che al vento di queste ultime sono esposti, procedendo o sbandando. La mediazione fra queste istanze non è un gioco a som ma zero, ossia senza perdenti né vincitori, e la loro sintesi è ovviamente il compito di qualsiasi governo. Il punto è che il raggio d’azione lasciato all’elaborazione di quella sintesi è drammaticamente limitato proprio dalla maglia di vincoli giu ridici ed economici dettati dagli ordini ultrastatuali, regio nali, globali.
2. Lo Stato come abitudine.
E da quest’ultima prospettiva che ben si coglie l’ennesi ma e progressiva trasformazione dello Stato, quanto meno nella sua forma conosciuta in Occidente263. Il mutamento, già lungamente in atto, è quello che ha per oggetto - non già il superamento, ma - la valorizzazione del ruolo dello Stato in termini di agenzia, pubblica e locale, per un ordine econo mico che lo trascende. Si tratta di un modello di organizza zione che può chiamare vicino quello dell’indirect rule264, con cui l’impero britannico amministrava le proprie colonie, fa cendo affidamento su governanti o intermediari indigeni. Ma
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Capitolo settimo
certo è - con le rifiniture di cui si darà conto nel capitolo suc cessivo, circa la capacità di orientare i fenomeni da parte di alcune entità - che oggi il ruolo dello Stato in ambito econo mico è assai distante da quello veicolato nei dibattiti interni. All’interno di una logica di integrazione delle economie, che in Occidente è da tempo inevitabile realtà, lo Stato si fa cogliere sempre più spesso come il soggetto che, grazie al do mestico monopolio del potere normativo/sanzionatorio (e, talora, grazie alla proiezione esterna della propria forza mi litare), è chiamato a monitorare l’implementazione, non im porta quanto variegata, di valori e principi degli ordini glo bali2". E un fenomeno266 le cui puntuali modalità di sviluppo me riterebbero ovviamente una trattazione a sé, ma il cui con tenuto essenziale va qui rimarcato. In effetti, detto che per emergenze altrettanto globali e non meno calamitose - di na tura ambientale o umanitaria, incluse quelle connesse alla fa me e alla povertà - non si registrano investimenti anche lon tanamente paragonabili a quelli profusi nazionalmente e in ternazionalmente per reagire alla tempesta finanziaria, la funzione delegata dello Stato non si tarda a scorgere pure ai tempi della crisi attuale. La tensione fra coordinamento delle regolazioni globali e interventi domestici trova sintesi nella selezione degli inte ressi da proteggere prioritariamente (con denaro pubblico) e quelli da considerare in subordine (infliggendo nel frattem po costi privati). I primi sono quelli ritenuti immediatamen te funzionali al mantenimento dell’ordine economico-finanziario globale, i secondi tendono a essere - quando non col ti nella loro propulsiva funzione di ‘lungo termine’ {supra, Cap. sesto, § 6) - quelli ancorati alla dimensione domestica, dei servizi al cittadino, delle safety net, dell’istruzione e de gli altri beni pubblici locali267. In mezzo ritroviamo le misu re protezionistiche, paventate o adottate, con la loro vasta articolazione possibile, con la loro efficacia da verificare, con la loro certa selettività - ricette, peraltro, storicamente gra
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vate dal fardello del loro fallimentare impatto sulle stesse economie nazionali, allorché furono attivate in risposta alla crisi degli anni ’30268. E vero che fra i due livelli estremi può non esservi una cesura secca: come si è detto, il corretto fun zionamento dei mercati globali, anche finanziari, impatta di rettamente su un gran numero di utilità essenziali alla vita di ogni cittadino (dal cibo alle pensioni, dal costo dei beni e servizi importati, a quello dei mutui, al valore degli immo bili). Ma il punto resta che il governo statuale delle dinami che interne, circa le priorità e gli stessi contenuti delle scel te, è destinato a sempre meno comandare e a sempre piu su bire lo stiletto della globalizzazione dell’economia e della finanza, a vestire sempre meno i panni del rule-maker e sem pre più spesso quelli del rule-taker. Al cospetto degli ordini economici, insomma, lo Stato ri schia ormai di rivelarsi una struttura bensì preziosa, ma so prattutto se compresa in chiave di path-dependency: da un lato, quale entità tuttora utile all’implementazione e prote zione degli interessi globali; dall’altro lato, quale struttura che è assai meno costoso mantenere cosi come è (se del caso erodendone dall’esterno i confini) che sostituire in tempi brevi.
3. Localismi.
Un’osservazione e una precisazione a questo punto s’im pongono, entrambe alle frontiere con la banalità. L’osservazione concerne una ricaduta del discorso appe na svolto sul farsi delle politiche domestiche. Se è vero che nei fattori di produzione delle scelte lo Stato viene sempre più spesso sostituito, o affiancato dall’ordine globale (o re gionale), altrettanto vero è che quest’ultimo continua a es sere percepito dalla gran parte dei cittadini come potente e lontano, promettente o nefasto, ma sostanzialmente amorfo, gelatinoso e opaco. Non può allora sorprendere che la parti
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Capitolo settimo
ta, per tutti cruciale, del senso della propria attività e dei confini della propria identità, individuale o collettiva, possa radicalizzarsi, fuori e dentro l’Occidente, esprimendo visio ni profondamente debitrici del locale, del proprio (credo, po polo, territorio), e caricate di forti connotati simbolici che finiscono con l’orientare anche il discorso pubblico e le pre ferenze politiche - le quali divengono sempre piu permeabi li alla penetrazione di strategie orientate alla diffidenza, al sospetto, alla paura, circa qualsiasi differenza, novità, o al terità. La precisazione vale a sottolineare, nuovamente, che quanto abbiamo sopra tratteggiato è il ruolo dello Stato nel governo dell’economia. La sua erosione potrà incidere sulle sue future configurazioni e sull’espletamento delle altre fun zioni che allo Stato post-westfaliano si è soliti attribuire, ma nulla di quanto precede può scalfire l’odierna evidenza di co me lo Stato sia - fra l’altro - il custode maggiore dell’oriz zonte linguistico (talora plurale) entro il quale i cittadini eser citano il proprio diritto a informarsi ed esprimersi26’, così co me primario resta il ruolo dello Stato, col suo interno monopolio della forza, nella generale selezione del lecito e dell’illecito, nonché quale fornitore primario di sicurezza fi sica per gli individui e i loro beni (e, possibilmente, come sponda territoriale per chi cerca asilo e diritti altrove concul cati). Allo stesso modo, ovvio è che lo Stato, insieme ai suoi apparati giudiziari, risulta tuttora per i cittadini il termina le maggiore delle dispute sui propri diritti civili sociali e po litici (nonché su quelli ‘umani’, per i quali si veda infra Capp. 10-13) - dispute che peraltro si rivelano sempre piu spinose, e non indifferenti allo sviluppo della nostra democrazia, di fronte alla già ricordata incidenza dei fenomeni economici globali sui margini di manovra dei bilanci, e sulla loro capa cità di allocare diritti ‘costosi’270. Tutto questo non è in discussione. Anzi, in una prospet tiva diversa dalla nostra, vasto si aprirebbe lo spazio per svi luppare la riflessione su quanto rudemente la nozione neo
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liberale di Stato minimo e deregolato sia stata travolta dalla medesima ideologia che ne aveva promosso le virtu e che ha prodotto la crisi recente, con le sue onnivore ricadute nor mative a livello domestico, spesso marcate dall’ampliamen to del raggio d’azione dei poteri pubblici, a scapito di quel li privati271. Sulla direttrice propria al nostro discorso, rileva invece una diversa serie di questioni, che, oggetto del capitolo suc cessivo, riguardano tutte fenomeni interni ai meccanismi di produzione e applicazione delle regole globali.
Capitolo ottavo
Rule-makers e rule-takers. Il caso del commercio globale
i. Poteri' dispari, poteri irresponsabili.
Nella visuale del confronto con la classica verticalità del l’immagine dello Stato, le regolazioni globali tendono a es sere rappresentate come una rete orizzontale, piatta272. Vista da più vicino, quella maglia regolatoria segna invece un am pliamento del ricorso agli strumentari del diritto ‘di auto rità’, fra ‘diseguali’. E un’osservazione corroborata dall’esa me di tre dati rilevanti. In primo luogo, è sotto gli occhi di tutti che le interdi pendenze economiche e le copperazioni, militari, commer ciai, tecnologiche, giuridiche, che corrono a differenti livel li e fra attori volta a volta diversi, sono fenomeni che non impattano su quegli stessi attori con benevola indifferenza. Essi conducono per un verso, come si è detto nel capitolo precedente, a una generale perdita di autonomia per gran parte dei soggetti statuali. Per altro verso, i medesimi feno meni finiscono per offrire ad alcuni Stati (Usa, Cina) e agli attori economici più forti - WB, IMF, multinazionali, la stes sa UE -, rispettivamente, un’estensione e un’iniezione di so vranità275. Ciò che si deve a) alla loro incisiva capacità d’in fluire sulla produzione di diritto globale, formale e informa le (quello che si produce attraverso regole leggibili negli strumenti normativi ‘ufficiali’ e quello che si produce attra verso l’esercizio della diplomazia del potere)274. Ciò che si de ve b) al. condizionamento esercitato, proprio per tal via, sul le scelte degli attori economicamente più deboli, e nondime no risucchiati sul piano di quelle interdipendenze, di quegli scambi e di quelle cooperazioni - legami che certo è possibi
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le allentare, ma non recidere, se si vogliono evitare ritorsio ni ad opera dei soggetti più forti, o rovesci economici inter ni, politicamente delegittimanti 2”. In secondo luogo, la frammentazione di regolatori e dici tori del diritto (agenzie e tribunali globali) si spalma su una estesa varietà di livelli, geografici e settoriali276, ma il pano rama attuale sconta l’assenza di meccanismi gerarchici di con trollo e di sanzione, posti ‘al di sopra’ di quegli attori277. Per questi ultimi, nonostante il loro capillare impatto sulle scel te di vita degli individui, sulle attività delle imprese, sulle politiche degli Stati, non vi è alcuno strumento in grado di determinarne la accountability, ossia che ne misuri i risulta ti e, soprattutto, ne sancisca le eventuali responsabilità, quan to meno giuridiche (a quelle politiche veniamo subito)278. In terzo luogo, essendo il diritto globale formato da più regimi diversi, separati e autonomi, ciascuno con le proprie regole di merito e procedurali, esso manca di principi di am pia portata, che possano essere applicati a tutti i regimi. Ba sterà ricordare che, in assenza di un «regolatore» superiore, nello spazio giuridico globale finisce coll’essere incerta per sino l’attribuzione di una controversia a uno o ad altro regi me regolatorio: un caso riguardante il trasporto per nave di sostanze pericolose, ad esempio, potrebbe essere assunto co me problema attinente al trasporto marittimo, oppure al di ritto del mare, o alla tutela dell’ambiente, oppure al commer cio, ed essere conseguentemente sottoposto a regolamenta zioni differenti a seconda dei criteri di qualificazione27’. E un dato questo che permette di comprendere anche la ragio ne per cui all’ora attuale non sia sempre agevole individua re in concreto lo stesso pubblico, o i ‘pubblici’280, ai quali i diversi regolatori globali, per il settore di loro competenza, dovrebbero essere chiamati a rispondere politicamente, del proprio operato («What we can say with confidence is that, today, while there are fragmentary global publics, a genuine global public comparable to publics in well-established de mocracies does not exist»)281.
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Capitolo ottavo
Proprio alla luce di quanto precede, va sottolineato, paio no mal istradate le ricorrenti discussioni circa l’effettiva le gittimazione (in ispecie democratica) delle istituzioni globa li282. Un dibattito che muove dall’equivoco di ritenere che so lo la rappresentatività e non anche il diritto - ossia il corpo di regole condivise della comunità di riferimento - sia forma di legittimazione del potere28’. Un dibattito che andrebbe rifornito di dati ulteriori, di vario ordine, fra i quali sicura mente: quello che rileva la natura privata, o solo semi-pubbli ca, di alcuni dei regolatori (si veda subito oltre); e quello che evidenzia come anche le Ong, potenti attori globali, che ta lora affiancano talora contrastano i regolatori, si espongono alle medesime critiche in punto di rappresentatività democra tica284. Ma fra i rifornimenti attesi vi è pure quello, cruciale, che dovrebbe chiarire al dibattito sulle istituzioni globali co me il punto non sia tanto il perseguimento di una legittima zione che sia mimesi di quella delle democrazie domestiche285, quanto la promozione di un disegno che, settore per settore, vale ribadirlo, porti alla definizione di regole certe di traspa renza e di accountability, ossia regole chiare (ed effettive) da porre a carico di qualunque istituzione globale, e in grado di apprezzarne i risultati, nonché di chiamarle (nei confronti di soggetti privati e pubblici pre-definiti) a rispondere, giuridi camente o politicamente, delle loro condotte e degli eventua li pregiudizi arrecati nei settori di intervento286. Ciò che dovrebbe valere, va da sé, anche nelle numerose aree di regolazione affidate a organismi di natura privata o ibrida (nel senso che possono godere di uno statuto privati stico e al contempo vedersi partecipati direttamente o indi rettamente da amministrazioni nazionali), ove si registrano le stesse carenze di sistematicità e gli stessi loro frutti dispa ri e asimmetrici. Anche qui gli esempi abbondano. Oltre al clamoroso ca so delle agenzie di rating su cui ci siamo già intrattenuti, sarà sufficiente il richiamo all’International Organization of Standardization (ISO) che adotta migliaia di standard tee-
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nici, volti ad armonizzare processi o prodotti e utilizzati nel la propria attività regolatoria dalla stessa WTO; alla Society for Worldwide Interbank Financial Telecommunications (SWIFT), che fissa i codici di identificazione bancaria uti lizzati nelle transazioni internazionali e a loro volta adotta ti dall’ISO; o allTCANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers), che svolge numerose attività di ge stione relative alla rete Internet mondiale, e in particolare si occupa dei protocolli tecnici e della gestione dei nomi a dominio287. Si tratta di organismi nei cui confronti è generalmente friabile il controllo politico, anche (grazie alla loro frequen te scarsa trasparenza) quello indiretto, esercitabile dagli elet tori degli Stati membri delle istituzioni internazionali. Si tratta di organismi sottoposti a un regime di responsabilità giuridica (civile e pubblica, domestica e transnazionale), che dovrebbe, proprio in virtù dell’assenza di responsabilità po litica, essere estremamente severo, e invece risulta assai fa rinoso, e del tutto inadeguato alla misura di potere e di li bertà d’azione di cui essi godono288. Ancora una volta: pote ri amplissimi, responsabilità ridottissime.
2. Grazio e la WTO. Tutte queste enclave di irresponsabilità, asimmetrie e di sparità di trattamento hanno prodotto dibattiti numerosi, centrati però, come si è detto, soprattutto sulla democrati cità delle istituzioni globali, sulla critica alla diffusione di ‘self-contained regimes’ o sull’ingovernabilità della loro at tuale matassa28’. Oltre a quello dell’accountability delle stes se istituzioni, l’altro dato che qui s’intende sottolineare at tiene invece ad alcuni dei pregiudizi su cui l’impianto di quei regimi si fonda e ad alcuni ulteriori squilibri cui quegli stes si regimi possono dar corso. Solo a quel punto sarà possibile comprendere anche - ma
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non è un profilo secondario - se pregiudizi e squilibri siano ritenuti funzionali agli interessi di chi se ne avvale e, qualo ra fosse così, se allora si tratti di interessi ebbri di valutazio ni di breve periodo, oppure sobriamente volti a includere le sfide poste dal tempo a venire. A sgomberare il terreno da perniciose naiveté, occorre in tendersi. Che il diritto internazionale sia una fucina di solu zioni in rapporto saldo con gli interessi di chi le propone, è un dato acquisito da tempo. Basti qui ricordare come uno dei fondatori del moderno diritto internazionale, l’olandese Hu go Grotius (de Groot), al tempo in cui i Paesi Bassi dipen devano dal commercio marittimo e dovevano fronteggiare la temibile concorrenza di Spagna e Portogallo, mercé una con sulenza prestata al proprio paese scrivesse il celebre Mare li berum (1609), in cui concludeva che la libertà dei mari fos se un principio di diritto naturale290. Mentre qualche decen nio più tardi, allorché l’Inghilterra cominciava ad affermare la sua egemonia marittima, un altro famoso giurista, inglese questa volta, John Selden (chiamato da Giacomo I a patro cinare contro l’Olanda le rivendicazioni inglesi sul Mare del Nord e il Nord Atlantico), ritenne scientificamente ineludi bile difendere la tesi opposta a quella di Grotius, nell’altret tanto celebre Mare clausum (1635). L’opera, peraltro, cono sce la sua prima edizione in lingua inglese nel 1652, solo un anno dopo l’Atto di Navigazione di Cromwell, che aveva li mitato esclusivamente alla flotta inglese il traffico commer ciale con l’Inghilterra291. Non molto è cambiato, nel corso dei secoli. Come abbia mo ricordato con riguardo agli usi strategici della rule of law, ancor oggi gli attori più forti e carismatici sullo scenario in ternazionale promuovono soluzioni che si vogliono globali, ma sono elaborate dai propri giuristi e propagate con indif ferenza rispetto, non solo alla diversità dei sistemi giuridici e degli assetti socio-economici esistenti, ma anche alla va rietà possibile del loro divenire. Quel diritto ‘globale’ è poi chiamato a operare nelle diverse arene con lessico e impalca
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ture tecniche di matrice occidentale, senza che i suoi artefi ci siano, il più delle volte, sottoposti a obblighi e controlli, circa le ragioni e le modalità di bilanciamento degli interes si volta a volta in gioco (e alle eventuali conseguenti respon sabilità), che in Occidente rappresentano invece pilastri fer mi nella produzione, esecuzione, e amministrazione del di ritto2’2. Siamo allora di fronte a una duplice linea di frattura: tra fenomeni in corso e nostra capacità d’interpretarli, nonché fra i valori fondanti la tradizione giuridica occidentale, al cui interno germinano gran parte degli attori globali, e il diritto che quegli stessi attori producono2”. Gli aspetti operazionali di quanto siamo venuti esponen do possono essere illustrati da tre esempi, attinenti al fun zionamento del regime giuridico del commercio, ossia uno dei modelli globali per eccellenza.
3. Diritto del commercio iniquo e poco solidale.
II primo esempio riguarda il c.d. dumping sociale. Con l’e spressione si designa il noto fenomeno che vede alcuni pae si esportare beni prodotti in condizioni e con metodi poco rispettosi degli standard riconosciuti internazionalmente a protezione dei lavoratori. Più in particolare, il riferimento va alle merci provenienti da paesi che li producono a costi sensibilmente inferiori a quelli del mercato euro-americano, ciò che si imputa allo sfruttamento del lavoro minorile o al la mancanza, in capo ai datori di lavoro, di significativi ob blighi assistenziali e previdenziali nei confronti dei lavora tori2”. Questi Stati sono ritenuti operare una concorrenza sleale nei confronti dei produttori degli altri paesi e mettere a repentaglio gli standard di protezione dei lavoratori negli stessi paesi importatori, all’interno dei quali, si dice - con tassi di innocenza assai variabili -, il rischio è di determina
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re, per via delle dinamiche competitive globali, l’innesco di una corsa verso la riduzione di quegli stessi standard2”. Al fine di contrastare questo ‘social dumping’, si tenta di affermare la cogenza di regole internazionali (e.g. gli artt. VI e XX, lett. b) ed e) del GATT 1947)2’6, che si vorrebbero in clusive dei cc.dd. Core Labour Standards; ovvero: a) libertà di associazione e riconoscimento effettivo del diritto di con trattazione collettiva; b) eliminazione di ogni forma di lavo ro forzato od obbligatorio; c) abolizione effettiva del lavoro infantile; d) eliminazione della discriminazione in materia di impiego e professione2”. La violazione di questi standard fa rebbe allora scattare la possibilità di comminare sanzioni commerciali a titolo di ritorsione, sub specie di imposizioni tariffarie, restrizioni quantitative alle importazioni o revo che di precedenti concessioni di vantaggi commerciali2’8. Ora, non è difficile comprendere quanto strumenti del genere riescano a servire con precisione gli interessi occiden tali, delle sue imprese (soprattutto quelle che non si sono do tate di una struttura multi-nazionale)2”, nonché dei suoi la voratori, ai quali per il vero le proprie (s)fortune sono soven te rappresentate come dipendenti dalle globalizzazioni dei mercati e dai fenomeni migratori, in misura assai maggiore di quanto quelle stesse sorti siano in effetti legate alle con crete politiche che potrebbero essere attuate a livello dome stico - in ispecie quelle della formazione, della ricerca, del l’innovazione, del lavoro e della sicurezza sociale500. Quanto è ad ogni modo sicuro è che il nostro (variabile) conglomerato di regole poste a protezione dei lavoratori rap presenta una conquista relativamente recente, di cui l’Occidente e le sue economie hanno fatto a meno per lungo tem po. Altrove la situazione è diversa, e - a esclusione del lavo ro forzato, e delle vessatorie (nel contesto dato) forme di sfruttamento - la rivendicazione di quegli standard finisce spesso per equivalere alla compressione della stessa aspira zione al sostentamento, prodotto dal lavoro: vuoi perché il mercato locale può fornire altri lavoratori che di quella pro-
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tezione sono pronti a fare a meno, vuoi perché l’imprendi tore non può alzare i costi di produzione dei suoi beni o ser vizi senza il rischio di estromettersi dal mercato”1. É questo quanto si mira a realizzare coll’eliminazione del ‘dumping’ sociale ? E la sincronia forzata dei fenomeni a fungere da paradig ma delle nostre (valut)azioni ? Di più - e più cinicamente un atteggiamento del genere è funzionale ai nostri interessi di lungo, e breve periodo ? Al netto delle opzioni politiche soggettive, alcuni dati sembrano sottratti al dubbio. a) Scaricare sui lavoratori occidentali i costi della globa lizzazione, senza munirli di salvaguardie adeguate; così come invocare il ‘social dumping’ nei confronti di imprese e lavo ratori non occidentali, senza costruire attorno ad essi - e, vi sti i valori in gioco, nel più breve tempo possibile - una re te di accompagnamento all’uscita dalle pratiche più odiose, composta di incentivi (e non di sanzioni, che finiscono col colpire soprattutto la parte di popolazione più debole), sen za costruire una rete fittamente intessuta di maglie giuridi che e socio-economiche di supporto all’imposizione di que gli standard, ammonta - nella migliore delle ipotesi - a una patente manifestazione di inconsapevolezza dei, e indiffe renza per i, problemi che si vorrebbero risolvere”2. Nella peg giore delle ipotesi si tratta invece del perseguimento di una logica difensiva, da fortezza assediata, che finisce col non coltivare: ai) né gli interessi immediati dei nostri sistemi economi ci, illudendoli che i problemi vengano dalle altrui politiche del lavoro, cosi riducendo nel breve periodo la reattività del sistema (e la responsabilità politica di chi lo guida); ai) né gli interessi nostri di lungo periodo, rendendo cie chi i nostri sistemi al fatto ovvio che le geograficamente ir regolari logiche dello sviluppo, economico e giuridico, han no sempre generato ‘social dumper’ (come la nostra storia in segna) e che sempre nuovi ne potranno sorgere; cosicché le
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soluzioni andrebbero trovate non al di là, ma di qua delle frontiere, nostre e altrui, nazionali o regionali. Senza dire b) che è proprio l’Occidente a mascherare die tro argomenti come quello del ‘dumping sociale’ ciò che in realtà finisce per ammontare a un vasto e capillare progetto di dumping culturale, con il quale si mira a vendere a un prez zo molto inferiore rispetto a quanto ci siano costati: il libe ro mercato, gli standard di sicurezza e di protezione dei la voratori e i relativi apparati giuridici.
Il secondo esempio si pone paradossalmente503 allo spec chio del primo e riguarda le procedure di gara dettate in am bito WTO dal Government Procurement Agreement (GPA), stipulato nel 1994. Ideato a sostegno della libera circolazio ne delle forniture e dei servizi, l’accordo stabilisce che la scel ta dei contraenti debba avvenire attraverso bandi di gara aperti, in condizioni di uguaglianza e di trasparente concor renza. Tali principi, una volta sottoscritti, devono essere applicati anche dal paese in cui, per ipotesi, i contratti di ap palto pubblici sono utilizzati al fine di perseguire obiettivi speciali, quali lo sviluppo di aree, o di comunità, storicamen te penalizzate in termini socio-economici. In Malesia, ad esempio, esistono da tempo normative mi ranti a sradicare la povertà e riorganizzare la società, anche al fine di rimuovere la tradizionale identificazione dell’etnia con i mestieri esercitati dai suoi membri. Queste leggi, fra l’altro, riservano quote per le licenze commerciali e per la proprietà delle imprese, oltre che regimi e prezzi preferen ziali, a favore delle attività della popolazione indigena, i Bumiputera. Di qui, la difficile compatibilità della normativa locale con quella posta dal GPA, e di qui la questione indi rizzarsi sulla (affollata) linea di collisione fra le astratte esi genze del commercio mondiale e i concreti bisogni locali, vol ti in questo caso ad attuare politiche distributive a favore di gruppi determinati. La Malesia si trovava in effètti di fronte all’alternativa di
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chiedere deroghe ad hoc per i Bumiputera; sottostare alle pressioni provenienti da governi e imprese (specialmente) oc cidentali, pressioni peraltro frequenti soprattutto nel setto re delle infrastrutture e volte a disapplicare per questo o quel l’appalto le clausole di protezione sociale previste dalle nor mative locali (alcune delle quali, come abbiamo visto, si vorrebbero di contro implementare allorché la loro assenza minacci gli interessi delle domestiche imprese occidentali)504; oppure, scelta effettivamente abbracciata, non aderire al Government Procurement Agreement505. Esiti del genere rappresentano una lacerazione nell’ordito del libero commercio mondiale, strappi che sono generati pro prio dalla difficoltà dei tessitori globali di elaborare punti di equilibrio fra le loro ragioni e quelle delle variegate realtà lo cali506. Proviamo difatti a interrogarci se sia accettabile che re gole giuridiche etero-imposte restringano l’agenda di poten ziamento - nei paesi in via di sviluppo - delle opportunità eco nomiche di gruppi, aree o comunità svantaggiate. Qualunque sia la risposta, proviamo a chiederci chi sono gli attori che nel breve periodo beneficerebbero dell’adozione, da parte di quei paesi, delle regole del GPA. Se la risposta sono le imprese oc cidentali, proviamo infine a domandarci quale relazione ci sia fra il tentativo d’imporre quelle regole e il declamato obietti vo di sostenere lo sviluppo delle economie piu deboli507. Non sfugga peraltro che i negoziati sull’adesione dei pae si non occidentali al GPA è stato fin qui marcato dallo sfor zo d’imporre a questi ultimi - in nome della trasparenza del le procedure - anche una serie pre-definita di rimedi giuri sdizionali a favore dei soggetti esclusi dall’aggiudicazione degli appalti. Misure le quali - una volta considerato che la loro apparente neutralità è volta soprattutto a tutelare le im prese occidentali dal rischio di esclusione dagli appalti - non dovrebbe sorprendere siano state respinte come ingiustifica ti tentativi di colonizzazione giuridica, anche da paesi non appartenenti al girone infernale della derelizione, quali il Pakistan, l’Egitto, l’india, la Cina508.
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Beninteso, alcune delle questioni fin qui richiamate pos sono affacciarsi sulla scena domestica di molti dei paesi oc cidentali (si pensi al Meridione italiano, alla Corsica, alla Germania orientale50’, ma anche al Canada, agli Stati Uniti, all’Australia)510. Altrettanto sicuro è però che: a) scampa a ogni retorica il dato che segnala come al GPA aderiscano 41 soggetti contro i 153 aderenti alla WTO; b) per i paesi ‘svi luppati’ il ricorso all’eccezione non impedisce l’adozione del corpo generale di regole (in questo caso: del GPA) che le no stre élite hanno forgiato a misura della nostra civiltà e delle nostre tecnicalità giuridiche, nonché dei nostri interessi eco nomici; c) nelle nostre società il tasso di sviluppo complessi vo dei sistemi, nonché la profonda integrazione fra le econo mie nazionali, inquadra il più delle volte le stesse questioni in un contesto che si profila diverso e, (sia pur solo) compa rativamente, meno drammatico di quello che può determi narsi fuori dall’occidente511. Ecco perché le conclusioni si ri flettono proprio nello specchio di quelle delineate a propo sito del ‘dumping sociale’, e che ritroveremo anche più avanti: con un Occidente che rischia di rivelarsi talmente li gio ai propri dogmi, e alle proprie lobby, da perdere di vista la diversificata proiezione dei propri interessi, nel medio e nel lungo periodo, interessi che non possono essere volti che a favorire uno sviluppo geograficamente il più esteso ed equi librato possibile, interessi che sono certo ulteriori e più com plessi di quelli degli appaltatori odierni. Il terzo esempio concerne le modalità attraverso le quali vie ne garantito l’enforcement del diritto globale del commercio. In generale, esistono modi tra loro assai diversi per con segnare efficacia alle decisioni dei regolatori globali e degli organi deputati a dirimere le controversie, che da quel dirit to sorgono. Più in particolare, è da tempo nota al dibattito la distinzione fra modalità formali e modalità informali di rendere effettive le determinazioni dei decisori globali512. Le prime si fondano, per l’essenza, su strumenti giuridici pre-
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disposti ex ante, che attribuiscono a un’istituzione terza il potere di imporre sanzioni all’inadempiente. Di contro, e con riguardo alla ricca articolazione delle modalità informali, un esempio per noi rilevante si ha quando a imporre direttamen te costi o sanzioni, su chi ha infranto la data regola, è lo Sta to che ne ha subito le conseguenze, il quale si determina a ciò autonomamente, facendo ricorso al proprio potere economico-politico515. Cadendo ovviamente al di là del perimetro della nostra riflessione i dettagli propri a ciascuna istituzione globale, qui preme sottolineare che le modalità informali risultano, no nostante talune narrazioni514, sostanzialmente prevalenti pro prio nel cruciale e sofisticato regime giuridico disegnato dal la WTO515. All’interno di quest’ultima, esiste invero un autonomo e complesso sistema di risoluzione delle controversie, previsto dall’AUegato 2 all’Accordo WTO (Understanding on rules and procedures governing the settlement of disputes), comunemen te indicato come Dispute Settlement Understanding, o DSU. Tramite il DSU si è creato un procedimento atto ad ammini strare le liti insorte fra gli Stati membri della WTO in sede di applicazione dei vari accordi multilaterali conclusi sotto l’egida di questa organizzazione. Assai in breve: s’inizia con l’apertura di consultazioni e negoziati fra le parti. Se gli stru menti consultivi non conducono ad alcun risultato ciascuna delle parti in lite può chiedere la costituzione di un panel di esperti (art. 6 DSU). Il panel opera come un collegio arbitra le e termina i propri lavori con la pronuncia di un report, la cui adozione spetta al Dispute Settlement Body (DSB), ossia all’organo competente a vegliare sull’applicazione del DSU (art. 16 DSU). Contro il report è possibile proporre impugna zione dinanzi a un organo d’appello, composto da sette mem bri permanenti, competente a esercitare una giurisdizione di mera legittimità sulle decisioni adottate dal suddetto panel (art. 17 DSU) - anche la pronuncia di quest’organo è sotto posta al DSB per l’adozione definitiva.
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Ciò detto, il DSB non ha il potere di far eseguire la deci sione adottata. Esso può solamente autorizzare e controlla re la reazione di un paese nei confronti di un altro, svolgen do una funzione arbitrale. Le sanzioni sono in effetti appli cate a livello bilaterale, tra la parte che ha richiesto e quella che ha subito la condanna, potendo la prima nei confronti della seconda, e sia pure sotto il controllo degli organi giuri sdizionali della WTO, applicare financo misure ritorsive (le cc.dd. retaliatory measures)316. In particolare, gli artt. 21-23 del DSU prevedono che la parte giudicata inadempiente317 sia obbligata ad avviare negoziazioni con la parte che ha inizia to il procedimento, al fine di fissare una forma di compen sazione sufficiente a porre rimedio all’inadempimento. Qua lora le parti non si accordino, lo Stato interessato può chie dere al DSB l’autorizzazione a sospendere le concessioni o qualsiasi altra obbligazione prevista in favore della parte ina dempiente [art. 22(2) DSU]. Le misure in questione devono però avere durata limitata nel tempo [art. 22(1) e (8) DSU] ed essere proporzionate alla violazione subita [art. 22(4) DSU]318. Ovviamente, la parte inadempiente può sempre con testare il livello delle sanzioni proposte, o la correttezza del la procedura, richiedendo di sottoporre l’intera questione a un arbitro [art. 22(6) DSU]315. Già da quanto precede risulterà evidente che - allorquan do la lite involge soggetti il cui grado di sviluppo economico diverge largamente - l’eventuale condanna del soggetto eco nomicamente più forte rischia sovente di tradursi in un nul la di fatto, posto che gli Stati la cui economia è meno svilup pata (quand’anche siano nelle condizioni di affrontare le asperità tecniche, nonché il costo di un giudizio avanti al DSB)320 spesso non hanno mezzi per reagire efficacemente agli inadempimenti dei soggetti economicamente (e politicamente) più forti321. Inoltriamoci però un poco nel discorso. Anzitutto, è ovvio che l’efficacia di una misura, financo ritorsiva, dipende dalla credibilità che, alla luce dei conno-
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tati economici propri ai vari soggetti in gioco, assume la di mensione operativa di quella stessa misura. E chiaro a tutti che essere esclusi dal mercato statunitense o da quello euro peo è una situazione imparagonabile rispetto all’esclusione di un soggetto occidentale dal mercato, poniamo, dell’Ecua dor. Ben può darsi, allora, che l’ineffettività degli eventua li rimedi adottabili nei riguardi della parte inadempiente (eu ropea o Usa) induca quest’ultima a scegliere di subire quelle misure, piuttosto che porre fine al proprio comportamento illecito’22. Senza dire che la consapevolezza circa l’impossi bilità di coercere i soggetti economicamente più forti ad adempiere, potrà funzionare spesso quale deterrente, per gli Stati che hanno subito la violazione, a iniziare qualsivoglia procedimento davanti al DSB’2’. In secondo luogo, è d’immediata evidenza che lo Stato danneggiato, qualora riceva sostanziali aiuti economici di al tra natura da parte dell’inadempiente (o da parte dell’istitu zione internazionale di cui questi è membro influente), po trà finire col trovarsi costretto di fatto ad accettare il persi stere della violazione, almeno nella misura in cui il costo di quest’ultima (sommato al costo del complesso procedimento giurisdizionale in seno alla WTO) appaia inferiore a quello ingenerato dalla perdita dei privilegi concessigli’24. Ancora: s’immagini che lo Stato danneggiato venga au torizzato dal DSB ad alzare le tariffe per le importazioni, pro venienti dalla parte inadempiente, di un ammontare tale da compensare la violazione. Supponiamo però che il paese dan neggiato sia un esportatore netto, e cosi non presenti una do manda interna che consente importazioni cospicue dal pae se danneggiante o, peggio ancora, trattandosi di derrate ali mentari di base, che la domanda esista ma sia legata alla sopravvivenza di parte della popolazione. Il rialzo delle ta riffe, scoraggiando l’esportatore, potrebbe allora determina re una impossibilità di approvvigionamento, anche solo per brevi periodi. Insomma: a) i negoziati possibili, a livello bilaterale, non
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garantiscono al paese economicamente più vulnerabile con sistenti aspettative di successo, nel far valere le proprie ra gioni; b) le misure di ritorsione sono congegnate in modo ta le da poter esser utilmente sfruttate solo da chi colloca la pro pria in un circuito integrato di economie, dove il flusso notevole, e continuo, di scambi permette azioni e reazioni la cui articolazione può essere calibrata a seconda delle circo stanze. Cosi, i regimi WTO - sia quello palese e formale, sia quello occulto e informale - non forniscono rimedi concreti per sfuggire alla rassegnazione del più debole.
4. Paradossi e cinismi.
Ora, le valutazioni d’insieme su quanto precede possono intonarsi a due registri. Il primo è quello che si fonda sulla resa del diritto a una realtà che lo rende fragile, ai limiti dell’irrilevanza di fronte alla potenza delle forze economiche e politiche. Ma è una via che si basa sul falso presupposto che le regole (solo e sempre) seguano e non (anche) ‘facciano’ l’e conomia - postulato che persino le istituzioni finanziarie in ternazionali, dopo molte pene inflitte e critiche subite, han no abbandonato325. Il secondo registro è quello, imparenta to assai più strettamente con la realtà, che recupera al diritto e ai suoi facitori la possibilità di una guida consapevole dei fenomeni, suggerendo allora le considerazioni che seguono. Innanzitutto, anche a un osservatore inavvertito balza agli occhi (quanto appare come) un paradosso. La finanza, che vive di scambi, interessi e matrici tecniche largamente comuni a tutti gli attori del pianeta, è stata fin qui sostan zialmente governata da un diritto informale condiviso dagli operatori e da un diritto formale largamente dipendente dal le legislazioni nazionali/regionali. Il commercio, il quale si ba sa su scambi e interessi strettamente intrecciati a regole ed esigenze locali, è sin qui vissuto sotto l’usbergo di un dirit to formale uniforme e di regole informali a disposizione di
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pochi (ma si tratta davvero di un paradosso o di una utilita ristica - se si preferisce: beffarda - distribuzione di costi e benefici ?) In secondo luogo, non vi sarà bisogno di ricordare quan to alte siano le barriere frapposte a molti paesi dal tecnici smo delle regole della WTO, nonché dal ricorso a una gram matica e a una nomenclatura del diritto che, evidentemen te, sono al meglio sfruttabili e sfruttate da parte degli attori occidentali526. Ma certo le illustrazioni sopra richiamate ren dono difficile sfuggire alla conclusione per cui fin qui527 si son volute soddisfare le esigenze di disciplina globale del com mercio, anche: 1) tentando di esportare i nostri recenti mo delli di organizzazione del lavoro senza predisporre in loco le condizioni utili a che quei modelli siano sostenibili; n) de potenziando gli stessi (nostri) principi di pari opportunità nell’accesso alla giustizia, nonché di equilibrio e uguaglian za per le prerogative a disposizione di chi del diritto globa le reclama l’applicazione528; in) privando l’effettività delle de cisioni di un ‘due process’ allineato agli standard occidenta li52’, abbandonando gran parte dei rimedi al ‘jungle law’ del bilateralismo, e così enfatizzando le disparità di collocazio ne, gli squilibri nel potere economico e politico, le asimme trie di opportunità, a disposizione dei vari Stati550 - esito for se da ritenersi cinicamente inevitabile, ma che risulta inac cettabile (agli ‘altri’, prima ancora che a noi) quando scortato dalla retorica legalista di chi ha fatto la ‘cosa giusta’, predi sponendo procedure minuziose e impeccabili.
5. Commercio globale e scelte dell’ Occidente. I problemi che dati del genere sollevano prendono corpo a prescindere che noi li si voglia riconoscere o no, e si tratta di questioni che in realtà abbiamo visto e vedremo ricorren ti, nell’analisi delle lacerazioni che attraversano tutto il tes suto del diritto globale. In questa sede non sono ovviamen
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te in discussione gli aspetti latamente redistributivi della glo balizzazione economica, quella alle nostre spalle e quella che verrà - con le nuove mappature di tessuti sociali, e le sue nuove sperequazioni, da combattere nel Sud, come nel Nord del mondo”1. Nella nostra prospettiva, vi è piuttosto la ne cessità che l’Occidente recuperi consapevolezza dei rischi, e dei costi, connessi al protrarsi dello status quo, chiarisca qua li siano gli interessi che intende perseguire nel lungo perio do e con quali strumenti tecnici si propone di farlo, siano es si allineati o no alla propria civiltà giuridica. Ecco allora che bisognerà meglio chiarire a) se, sui diver si scacchieri, gli interessi europei, quanto meno continenta li, siano sempre omogenei, fra loro e con riguardo a quelli angloamericani; e comunque b) se la UE nel suo complesso sia pronta a sfruttare il vantaggio competitivo offertole dal proprio conclamato ‘soft power’ per diventare elemento trai nante della riforma degli assetti vigenti, guadagnando così nuova centralità, nel farsi delle regole globali e negli ambiti in cui esse operano”2. Sulla scorta, o pure in assenza di chia rimenti del genere, occorrerà poi che la regione euro-atlan tica nel suo insieme decida c) come accogliere le sfide fron tali alle normative attuali portate da chi - in primis Cina, In dia, Brasile, Russia - reclama o già ottiene di sedere al banco dei redattori delle regole (magari trainandovi gli interessi di chi dalle regole attuali, abbiamo visto, ha poco da guadagna re) e chiede di contare diversamente ai tavoli cui già siede - su strapuntini, come quelli dell’IMF e della WB’”; d) co me fronteggiare il pericolo che viene dal protrarsi della mo sca cieca dell’informalità dell’enforcement, gioco nel quale le dinamiche del potere economico potrebbero nel medio pe riodo vedere il nostro stesso Occidente smarrire, o fortemen te erodersi, l’attuale supremazia negoziale; e) come contene re le tentazioni di un protezionismo che, oltre alla perdita di gran parte dei benefici del libero commercio, è verosimile fi nisca coll’impoverire economie già deboli - così, peraltro, alimentando ulteriormente la spinta all’emigrazione dei di-
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seredati in Occidente”4; f) come parare i rischi già affioran ti nelle tensioni attuali di una neo- o ri-regionalizzazione del le regolazioni”5, che innalza per gli attori occidentali i costi di negoziazione e di mantenimento dell’odierna leadership al tavolo delle regole giuridico-economiche. E in questa prospettiva che valgono il richiamo, in luogo di molti altri discorsi, due notazioni. La prima sottolinea la ricchezza di alternative, nei confronti dei paradigmi occiden tali, già da tempo a disposizione dei paesi ‘emergenti’: «they are stockpilling their own reserves (and hence have little need of the IMF); in some cases they are setting up their own mul tilateralized swaps arrangements (the CMI); they have access to multiple sources of development financing (and hence lit tle need for World Bank loans); they are planning new mul tilateral development initiatives (the Bank of the South); and several now have their own aid programmes. They are not formally disengaging from the IMF or World Bank but in practice the institutions have slipped to the margins of their policy-making since they have little confidence that the agen cies will act as multilaterals rather than as agents of the OECD, G7 or Gi economies»”6. Con la seconda notazione si stigmatizza, al di là della sup ponenza, la vista corta degli occidentali (tanto più grave nel la prospettiva della crisi odierna): «When American and Eu ropean diplomats talk about the rising powers becoming re sponsible stakeholders in the global system, what they really mean is that China, India and the rest must not be allowed to challenge existing standards and norms... The case for global rules - that open markets need multilateral governance - could not have been made more forcefully than by the pre sent crisis. Yet the big lesson is that the west can no longer assume the global order will be remade in its own image»”7. Se sviluppi ed evenienze del genere meritano governo, e se si vuole ‘salvare’ la possibilità di un coordinamento glo bale della regolazione del commercio, vi è l’esigenza di av viare anche qui una riflessione pro-attiva, che muova in an-
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ticipo sui fenomeni. Sotto il nostro angolo visuale, quanto occorre è ripartire dalla consapevolezza che le regole in vi gore sono in gran parte espressione delle tecnicalità occiden tali e che, nel merito, sono regole che fin qui (et pour cause) hanno ignorato i modelli giuridici, culturali, sociali ed eco nomici altrui. Se le attività finanziarie reclamano una rego lazione globale sulla base della protezione di interessi larga mente omogenei a tutti gli operatori, per il commercio - che risponde (anche) a esigenze primarie, e talora drammatiche, dei cittadini del pianeta -, il passo ulteriore dovrebbe esse re quello di promuovere, ai vari livelli possibili, riforme dei criteri di regolazione che siano rispettose dei nostri e degli altrui interessi, e (proprio per questo) ispirate alla trasparen za delle scelte e degli atteggiamenti, tecnici e culturali. E su questa direttrice che appare evidente come il ruolo guida da noi sino ad ora esercitato saprà conservarsi nel medio e lun go periodo tanto più saldo, quanto più sarà frutto di politi che di regolazione inclusive, e non ostative di chi oggi appa re solo un pericolo o un questuante. Non c’è dubbio: nella prospettiva della trasparenza, po tremmo continuare ad avanzare la pretesa a essere i para digm-setter degli ordini globali perché siamo in grado di di mostrare la maggiore correttezza e il più sofisticato e meglio bilanciato equilibrio delle regole che la nostra tradizione è in grado di produrre. Ma allora - e ammesso che nel frattempo gli ‘altri’ stiano a guardare -, l’abbassamento dei costi di ac cesso e di gestione delle regolazioni, l’adozione di criteri im parziali di enforcement e di allocazione effettiva delle re sponsabilità, sugli Stati e sui regolatori, il superamento del l’atteggiamento per cui l’altrui debolezza geopolitica vale quale fattore di esclusione dal circuito dei rule-maker, o co me elemento di compressione delle possibilità di giocarvi ad armi pari, dovrebbero essere i primi obiettivi di ognuno dei negoziati aperti, e di quelli a venire.
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i. Il rumore dei nemici358.
Un altro utilizzo su scala globale del diritto, e delle sue visioni di marca occidentale, si svolge con modalità ben no te al discorso pubblico. Si tratta degli sforzi di un movimen to vasto, fatto di donne e uomini occidentali - per nascita, o per formazione - che, sensibilissimo alle ‘differenze’ iden titarie interne alle nostre società, mira a rendere uniforme il giudizio contro questa o quella barbarie, contro questa o quella concezione non occidentale di bisogni, di sviluppo, di rapporti familiari. Questo movimento supporta l’impianto di corti a giurisdizione geograficamente illimitata, con alcu ne frange talora persino sollecita (qualche volta ottenendo) interventi militari in nome della salvaguardia dei diritti uma ni. Interventi che talvolta invocano a proprio fondamento giuridico quelle stesse carte che li proibiscono33’. Azioni che si reclamano o realizzano a prescindere dalla sovranità al trui340, nonché dalla responsabilità di chi ha disegnato i con fini all’interno dei quali sovente scoppiano i conflitti orribi li che gli interventi umanitari aspirano a sedare341. Si tratta però di capire come, con quali linguaggi quale cultura e quali prassi operative, sia costruita la stretta interre lazione che corre fra quei movimenti, quegli sforzi e inter venti e il loro martellante richiamo al diritto e alla sua infra struttura. E a tal fine che vale la pena di soffermarsi, in questo capi tolo, sui temi connessi alla c.d. giustizia penale internaziona le e dedicare l’intera successiva Parte terza ai diritti umani, i quali sollevano questioni, e agitano dibattiti, solo parzialmen te sovrapponibili a quelli di cui andiamo ora a occuparci.
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2. Corti e crimini.
La storia delle corti come agenzie dell’ordine giuridico globale inizia con il secondo dopoguerra342 e accelera il suo sviluppo negli ultimi due decenni, dopo la fine della guerra fredda. Di fronte agli orrori del secondo conflitto mondiale, i processi di Norimberga (1945) e di Tokyo (1946) piantaro no in effetti il seme di una legalità internazionale salvaguar data da speciali corti di giustizia, chiamate a operare secon do diritto non solo nei confronti degli Stati, ma anche nei ri guardi dell’individuo, indipendentemente dalla qualità di organo di uno Stato da questi rivestita - il carattere interna zionale di tali tribunali, va rilevato poi, si ritrova nell’esse re stati essi istituiti da una pluralità di Stati, quelli vincito ri del conflitto (Francia, Regno Unito, Stati Uniti, Unione Sovietica)343. Per decenni, i modelli del Tribunale di Norimberga e di Tokyo sono rimasti privi di capacità espansiva344. E solo di recente che la giurisdizione penale internazionale è stata ri lanciata, ciò che è operativamente avvenuto dapprima nella forma di tribunali ad hoc: il Tribunale dell’Aja per la ex Ju goslavia (1993), il Tribunale di Arusha per il Ruanda (1994)345, e poi con l’istituzione di una Corte permanente. I tribunali sono stati istituiti dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con Statuti che attingono largamente al precedente di Norimberga e ai suoi principi, fissando la com petenza sui crimini cc.dd. di ius in bello, e cioè crimini di guerra, contro l’umanità e di genocidio346. La Corte penale internazionale (International Criminal Court), con sede all’Aja, - epifania maggiore (non della prassi, come sarà chia ro fra poco, ma) degli argomenti anelanti a una giustizia pe nale globale -, è invece un organo giurisdizionale permanen te, istituito con il ricorso a un trattato internazionale. Il suo Statuto, adottato a Roma nel luglio del 1998 ed entrato in vigore il i° luglio 2002, definisce la giurisdizione della Cor
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te come avente carattere generale e a oggetto i «crimini più gravi nel contesto internazionale» (art. 1), riguardanti, an cora una volta, il genocidio, i crimini contro l’umanità, i cri mini di guerra e - formalmente - pure il crimine di aggres sione (artt. j-S)347.
3. Noi non abbiamo confini : abbiamo dispute348. Una valutazione circa l’opportunità, e le implicazioni uti li alla nostra indagine, recate dalla presenza di questi organi di giustizia non può prescindere da una riflessione su alcuni profili del loro funzionamento, ossia su come il diritto ven ga impiegato nel brandire questo o quell’interesse, nel per seguire questo o quell’obiettivo. Facile è tracciare l’elenco delle questioni, tutte ben note, che hanno agitato il dibattito intorno ai Tribunali per il Ruanda e per l’ex Jugoslavia. Questi sono stati sottoposti a critiche vibranti perché hanno principalmente processato gli appartenenti a uno solo dei gruppi coinvolti nel conflitto: ri spettivamente, hutu e serbi34’. Perplessità ulteriori si sono appuntate sull’operato del Tribunale per la ex Jugoslavia350, il cui Procuratore, pur essendo munito di giurisdizione sui presunti crimini di guerra commessi dalle forze della Nato, ha reso pubblica la sua decisione di non avviare alcuna inve stigazione in merito, decisione fondata sul rapporto di un co mitato di esperti, istituito dall’ufficio dello stesso Procura tore351. Va poi ricordato come questi Tribunali, per volontà del Consiglio di sicurezza, abbiano priorità (primacy} sulle giu risdizioni nazionali352. Ciò significa che, quando un tribuna le nazionale avvia un procedimento contro una persona ac cusata di aver commesso crimini di competenza di uno dei due Tribunali internazionali ad hoc, questi ultimi hanno il diritto di avocare il caso e richiedere la consegna della per sona contro cui è stato avviato il procedimento nazionale.
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Salta insomma agli occhi che, in tal modo, accanto all’impo sizione di forme di limitazione militare della sovranità degli Stati - come è accaduto per l’ex Jugoslavia e per il Ruanda -, si è dato vita a forme di limitazione anche giudiziaria della stessa sovranità, sovrapponendo coercitivamente la prima zia giurisdizionale del Tribunale internazionale alla giurisdi zione penale interna degli Stati coinvolti’5’. Si tratta di re gole - occorre sottolineare - che sono state lasciate alla por ta della Corte penale internazionale (CPI). Quest’ultima infatti, a differenza dei tribunali penali ad hoc, non ha primacy nei riguardi delle giurisdizioni naziona li, ma opera in via complementare rispetto ad esse (Pream bolo dello Statuto e art. i). La Corte penale internazionale può cioè avviare un procedimento contro una persona accu sata di uno dei crimini rientranti nel suo ambito di compe tenza solo se lo Stato che ha giurisdizione dimostra di non poter o voler avviare alcun procedimento domestico”4. Altri profili meritano però l’evidenza. Mentre la giurisdi zione universale scatta su crimini da chiunque e ovunque commessi soltanto nel caso in cui l’intervento della Corte venga sollecitato dal Consiglio di sicurezza, d’abitudine es sa può esercitare la propria giurisdizione solo se i crimini rien tranti nel suo ambito di competenza siano stati commessi nel territorio di uno Stato parte (Stato territoriale), o da un cit tadino di uno Stato parte (Stato di nazionalità attiva), oppu re nel territorio, o da un cittadino, di uno Stato non parte dello Statuto, che accetti nondimeno la competenza della Corte (art. 12)’”. La norma dello Statuto, soprattutto nella parte in cui attribuisce giurisdizione alla Corte in base al cri terio di territorialità, è stata fortemente contestata da talu ni Stati, in particolare dagli Usa, appoggiandosi a un argo mento giuridico di vasto respiro: sostenendo cioè che la nor ma viola un principio fondamentale del diritto dei trattati, secondo il quale un accordo internazionale può produrre ef fetti giuridici solo per gli Stati contraenti, non potendo i trat tati creare né diritti, né obblighi per gli Stati terzi.
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L’argomento in punto di diritto veste, come sempre, una preoccupazione di fatto. Può invero accadere356 che militari di uno Stato non parte allo Statuto (ad esempio, soldati sta tunitensi), in missione all’estero, si trovino a operare sul ter ritorio di uno Stato parte allo Statuto (ad esempio l’Afghani stan) e siano accusati di aver commesso crimini di guerra nel territorio di questo Stato. Secondo lo Statuto, se lo Stato in cui i crimini sono stati commessi (nell’esempio, l’Afghanistan) ha ratificato lo Statuto, la Corte potrà esercitare la propria giurisdizione nei confronti di quei militari, e ciò anche se lo Stato di nazionalità (nel nostro esempio, gli Stati Uniti) non è parte contraente e dunque non ha accettato le norme dello Statuto. Ecco allora una delle ragioni per cui gli Stati Uniti, oltre a non aver ratificato lo Statuto della Corte, agiscono da anni per ostacolarne l’attività, in particolare sfruttando a pro prio favore Part. 98 dello stesso Statuto. Questa norma con sente a uno Stato di non consegnare alla Corte il cittadino di un altro Stato (che si trovi nel territorio del primo e che la Corte intenda sottoporre a processo), se tra i due Stati esiste un trattato che vieta tale estradizione. Cosi gli Usa si sono operosamente attivati per concludere il maggior numero pos sibile di accordi bilaterali specificatamente volti a evitare le conseguenze di cui si è dato conto357. Perseguendo invece una funzione allineata con le miglio ri intenzioni di bandire, o quantomeno sanzionare, «l’uso del la forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’in tegrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Sta to»358, la Corte include il crimine di aggressione nell’elenco delle gravi fattispecie criminose su cui ha giurisdizione (art. 5). Nondimeno, il medesimo articolo, al secondo comma, sta bilisce che la Corte «eserciterà la giurisdizione sul crimine di aggressione solo dopo che sia stata adottata una norma che, nel rispetto degli articoli 121 e 123, definisca il crimine di ag gressione e indichi le condizioni in presenza delle quali la Cor te potrà esercitare la propria giurisdizione su tale crimine». Si tratta certamente di una formulazione assai ambigua - ve
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rosimilmente essa è stata adottata per coprire l’insuperabile dissenso sulla nozione di «crimine di aggressione» che era emerso nel corso dei negoziati3”. Ma è bene precisare che, concretamente, il rinvio della definizione di ‘aggressione’ è operato a una procedura di emendamento (art. 121) avviabi le da uno Stato solo dopo sette anni dall’entrata in vigore del lo Statuto della Corte; oppure a una conferenza di revisione (art. 123), convocabile dal Segretario generale delle Nazioni Unite e sempre dopo sette anni dall’entrata in vigore del me desimo Statuto. Al momento in cui si scrive questa pagina, nessuna delle due procedure ha dato esiti360. Quanto precede, però, non è tutto, neppure ai nostri fi ni. Il sistema delineato dallo Statuto non prevede alcuna al ternativa efficace all’inerzia investigativa del Procuratore. Vero: lo stesso Statuto contempla la possibilità che il Procu ratore venga sollecitato ad avviare le indagini su iniziativa di ogni Stato parte o del Consiglio di sicurezza (cfr. artt. 13 e 53). Nondimeno, se è difficile pensare che Stati contraen ti, del tutto estranei alla commissione di crimini internazio nali, promuovano un’azione al riguardo, certo inverosimile è attendersi in questa direzione supporti continui e genero si da un Consiglio di sicurezza ove siedono tre membri per manenti (Usa, Russia e Cina) che lo Statuto della Corte non hanno ratificato361. Infine, va segnalata l’esistenza di alcuni problemi inter ni allo stesso ordito processuale362. L’accoglimento del mo dello accusatorio - parafrasato su quello proprio al common law, qui esportato in ambito internazionale - prevede che ogni mezzo di prova debba essere acquisito oralmente nel corso del dibattimento. In un contesto giurisdizionale come quello della CPI tutto ciò, unitamente al frequente bisogno di detenere l’accusato in custodia preventiva nel corso di tut te le fasi del procedimento, può nondimeno causare, e all’e videnza causa, un grave pregiudizio tanto al diritto di avere un processo equo e rapido, quanto all’effettivo rispetto del principio della presunzione di innocenza di ogni accusato363.
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4. I guai dei vinti. Se quanto siamo andati allineando è degno di considera zione, e se nei suoi primi sette anni di vita la Corte penale internazionale ha finito per portare tre soli casi alla fase del giudizio’64, all’orizzonte si affaccia un’osservazione non ine dita. Le prassi operative del diritto internazionale penale’65 si sono fin qui rivelate - efficaci quali ornamenti preziosi di una narrativa universalistica e livellatrice che blandisce le co scienze occidentali, ma - sostanzialmente incapaci di contra stare gli interessi dei soggetti che quel diritto sfidano e me glio sanno o possono utilizzare’66. È proprio alla luce di queste notazioni che sfuggono al l’antologia della retorica tanto le risalenti conclusioni secon do cui «la sola cosa che il vincitore non può dare al vinto è giustizia»’67, quanto l’odierna, amara osservazione che «dal punto di vista delle grandi potenze, il Consiglio di sicurez za, la giurisdizione penale internazionale e l’intero diritto di guerra si rivelano utili se svolgono una funzione di legittima zione ex post dei risultati che esse hanno inteso persegui re»’68. Ma c’è di più, e attiene ai precipitati potenzialmente per niciosi (anche per noi stessi) dei modelli di giurisdizione pe nale globale attualmente in uso. Il modo d’intendere questi modelli coniuga difatti la propria inefficacia col rischio di una sconfitta culturale, e politica, infetta agli stessi ideali cui quelle giurisdizioni s’ispirano. Sappiamo che, fuori e dentro l’Occidente, non vi è mo dello di giustizia che possa funzionare se i suoi organi non sono espressione di una tradizione percepita diffusamente come legittima o, detto in altri termini, se non vi è consen so capillare intorno al suo modo di concretizzarsi. L’imposi zione dall’alto di Corti internazionali, che giudicano con tec niche e procedure altrui la propria storia e i propri conflitti, rischia invece di far levare la voce (se non la mano) di chi,
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paese o fazione, si sente accusato o condannato non dal suo giudice ‘naturale’, ma da un consesso di estranei. L’attività giudiziaria che venga svolta come una sorta di eco penale al lo scontro militare corre così il pericolo di produrre un raffor zamento dei sentimenti di ostilità e di introdurre rigidezze nelle posture politiche locali, le quali, all’evidenza, finisco no coll’operare in senso opposto rispetto alle aspirazioni di ogni sorta di cosmopolitismo umanitario che punti a ottene re ‘global justice through western law’56’. Certo, si dirà, il più delle volte le tensioni possono esse re appianate attraverso pressioni politiche (a seconda dei ca si: adesione alla UE, vantaggi commerciali, altre ‘compensa zioni’). Ma allora non è ben chiaro quale sia il ruolo assegna to al diritto penale e alle sue corti, quali ragioni sostengano lo spreco di energie e retoriche intorno a quel diritto e alle sue giurisdizioni internazionali. La loro funzione di monito, di deterrenza, pare insomma essere rivolta soprattutto all’a nima dell’occidente: ‘compi questi sforzi, istituisci queste corti, altrimenti non sarai a posto con la tua coscienza, non sarai pacificato coll’immagine ideale che di te intendi colti vare e propagare’. Sono dati su cui torneremo - nei capitoli successivi, a proposito delle interrelate sorti dei diritti uma ni -, ma se non si vogliono esporre gli impulsi nobili di quel la coscienza alla critica particolarista, o relativista, e peggio: a una dannosa inefficacia, quanto è necessario è l’elaborazio ne di un tragitto diverso. Una via che alla nostra (faticosamente raggiunta) conqui sta per cui ‘il vinto non si passa più per le armi’, ma viene avviato a un processo, associ lo sforzo di rendere questo stes so modello, ideale e giuridico, accettabile a tutti, condiviso, e perciò assai meglio gestito sul piano operativo. Un itinera rio che guardi da lontano la fallacia della domestic analogy - per la quale se la centralizzazione del potere politico e giu ridico ha ridotto la violenza all’interno degli Stati naziona li, allora si può ritenere che la concentrazione del potere nel le mani di una suprema autorità sovranazionale sia la strada
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maestra per costruire un mondo più giusto, ordinato e paci fico370. Un percorso in cui il diritto e l’esercizio della sua giu risdizione si facciano carico delle varietà e delle differenze nelle culture politiche e sociali, nonché nelle tradizioni giu ridiche, sostanziali e processuali. Così, l’Occidente - se rie sce a persuadere gli Usa a farne parte, a questi fini - potrà ben continuare a trattare i crimini propri o quelli commessi nei propri territori secondo le regole che ha immaginato es sere ‘universali’, mentre per i crimini di diverso radicamen to geografico diventa doveroso pensare a soluzioni alterna tive. Soluzioni allineate con quanto abbiamo appena richia mato, e quanto stiamo per ricordare.
5. Grida nel buio. Non mancano in effetti esempi di giurisdizioni impianta te ad hoc e che, nondimeno, hanno saputo inglobare regole locali, o comunque regole adattate alla tradizione giuridica della comunità in cui le corti sono chiamate a operare. A fianco di esperienze diverse, note come «commissioni per la verità e la riconciliazione» - la cui natura giurisdizio nale è discussa, ma non lo è l’impatto benefico sul lungo pe riodo -371, può ricordarsi anzitutto la Corte speciale per la Sierra Leone, con sede a Freetown, istituita nel 2002 in virtù di un accordo fra quel paese e le Nazioni Unite. La compe tenza ha per oggetto fatti commessi durante la guerra civile, a partire dal 30 novembre 1996, e si centra su due versanti: le violazioni delle leggi interne e le gravi violazioni del ‘di ritto internazionale umanitario’372. La composizione della Corte è mista, essendo i giudici nominati in parte dal Segre tario generale delle Nazioni Unite e in parte dal governo del la Sierra Leone. Misto è pure il personale amministrativo, laddove la legge applicabile, sostanziale e processuale, è quel la locale, come integrata da una varietà di regole di diritto internazionale373.
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Altri organi giurisdizionali sono stati creati da parte di amministrazioni transitorie, istituite dalle Nazioni Unite. A Timor Est, la SCU (Serious Crimes Unit) è stata creata nel 1999, in forza della Risoluzione Onu 1272/1999, e ha ter minato i lavori nel maggio 2005, secondo il disposto delle Ri soluzioni Onu nn. 1543 e 1573, del 2004. La competenza oggettiva si estendeva ai crimini di guerra e contro l’uma nità, nonché ai crimini contro l’individuo (quali omicidi e stupri) commessi a Timor Est tra il i° gennaio 1999 e il 25 ottobre 1999, indipendentemente dalla cittadinanza del reo o della vittima. Qui, non solo la legge applicabile era quella in vigore a Timor Est prima del 25 ottobre 1999, nella par te in cui non contrastava con gli standard minimi del diritto internazionale umanitario (come individuati dalla United Nations Transitional Administration in East Timor), ma cia scun caso portato dinanzi alla SCU era trattato da Special Panels composti da due giudici internazionali e un giudice timorese; e lo stesso personale afferente all’organo giurisdi zionale era costituito per la metà da membri provenienti dal personale Onu e per l’altra metà da specialisti timoresi”4. In Kosovo, la UNMIK (UN Interim Administration Mis sion in Kosovo) ha istituito - e su questi profili non ha fin qui inciso la dichiarazione di indipendenza del Kosovo del 17 febbraio 2008 - un sistema giudiziario supportato da una normativa di propria produzione (le cc.dd. ‘Regulations’) as sai attenta a salvaguardare al massimo grado la interazione dell’amministrazione internazionale con la realtà territoria le, ad esempio accentuando nel corso del tempo la provenien za locale dei giudici. La competenza oggettiva dei tribunali penali non è limitata a particolari categorie di crimini, go dendo essi della medesima competenza che spetterebbe a una giurisdizione nazionale, nonché degli stessi poteri e funzio ni, mentre la legge applicabile è ancora una volta quella lo cale, cosi come modificata dai Regolamenti UNMIK”5. Dal 2005 (UNMIK Reg. n. 52/2005), lo UNMIK Depart ment of Justice ha poi perseguito una politica più pregnante
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di trasferimento delle competenze alle autorità locali, e di rafforzamento della trasparenza del potere giudiziario. So no stati difatti istituiti il Kosovo Judicial Council, organi smo indipendente formato da membri kosovari, che vigila sull’operato dei magistrati locali e, successivamente - con Reg. n. 7/2008 -, l’Office of the Disciplinary Counsel, sem pre composto da membri kosovari, competente a conoscere dei casi che vedono imputati magistrati e giudici e dotato del potere di imporre sanzioni disciplinari376. Dopo lunghe trattative, le Nazioni Unite e la Cambogia hanno concordato nel 2003 di istituire, all’interno delle Cor ti locali, sezioni speciali (Extraordinary Chambers) per giu dicare i crimini commessi dal 1975 al 1979 dai Khmer rossi. Con una legge ad hoc (Law on the Establishment of the Ex traordinary Chambers, del 27 aprile 2004) e poi con un re gio decreto cambogiano dell’8 maggio 2006, che ha nomina to anche giudici e magistrati inquirenti, sono state istituite due Extraordinary Chambers, delle quali l’una rappresenta un tribunale di primo grado e l’altra, in seno alla Corte Su prema cambogiana, l’istanza d’appello. Entrambi gli organi sono integrati nel sistema giudiziario già esistente. Il tribu nale di primo grado è composto di tre giudici cambogiani e due stranieri. La sezione speciale di seconda istanza è forma ta invece da quattro giudici cambogiani e tre rappresentan ti della comunità internazionale. I giudici stranieri, tanto nel primo che nel secondo grado, sono scelti dal Consiglio su premo della magistratura cambogiano entro una rosa di giu dici indicati dalle Nazioni Unite. Tali Corti hanno compe tenza a giudicare ipotesi di crimini contro l’umanità, geno cidio, gravi violazioni delle Convenzioni di Ginevra del 1949, oltre che sui crimini definiti dal suddetto atto legisla tivo cambogiano (artt. 3-8 della Law on the Establishment of the Extraordinary Chambers: in particolare, omicidi, tor ture, persecuzione religiosa, distruzione del patrimonio cul turale in tempo di conflitto armato, detenzione di civili in qualità di ostaggi, violazione della Convenzione di Vienna
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sulla protezione del personale diplomatico). Dal punto di vi sta soggettivo, la competenza dei tribunali in questione è li mitata ai leader della Democratic Kampuchea e ai (soli) cam bogiani che si resero responsabili dei crimini richiamati po co sopra. La pena massima prevista è l’ergastolo e non pos sono essere concessi in alcun caso amnistie o indulti377. Le indagini e l’accusa sono condotte congiuntamente da un magistrato cambogiano e da uno straniero. Anche la leg ge processuale applicabile è quella cambogiana, integrata dal la Law on the Establishment of the Extraordinary Cham bers, che regola specifici aspetti procedurali e sostanziali ed è corredata dalle Internal Rules adottate il 12 giugno 2007 (e modificate da ultimo l’n settembre 2009). In caso di la cune, si fa riferimento ai principi e agli standard definiti dal diritto internazionale (art. 20 Law on the Establishment of the Extraordinary Chambers)378. Si pensi infine, e ancora, al caso Ruanda, dove le cc.dd. corti Gacaca, che operano con meccanismi di risoluzione dei conflitti di matrice tradizionale, sono state ritenute compe tenti a conoscere alcuni dei crimini connessi al genocidio del 1994”’ (in Ruanda sono quindi contemporaneamente attive addirittura tre giurisdizioni, variamente correlate fra loro380: quella del Tribunale penale internazionale, quella delle Cor ti penali ordinarie e quella del sistema Gacaca). Le corti Gacaca tradizionali sono composte dai saggi elet ti dalla comunità i cui poteri sanzionatoti includono, oltre alla detenzione, la prestazione di servizi obbligatori alla co munità, la gogna pubblica, l’obbligo di presentare le proprie scuse o di riparare il danno381. Il sistema Gacaca istituito dal governo ruandese, ed entrato in vigore nel giugno 2002, è una versione mutata di quello tradizionale. Esso prevede va ri livelli di corti e riserva a ciascuno di essi la competenza di un particolare reato (tanto più grave quanto più elevato è il grado della corte), oltre che quella di decidere sugli appelli promossi nei confronti delle decisioni delle corti inferiori. Questa competenza in materia penale è stata assegnata alle
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nuove corti Gacaca con riferimento ai crimini commessi fra il i° ottobre 1990 e il 31 dicembre 1994, e con esclusivo ri guardo agli omicidi (intenzionali e no), lesioni personali e at tentati alla proprietà382. Anche nelle neo-istituite corti Gaca ca, nondimeno: a) le sanzioni possono essere tratte dall’ar mamentario punitivo tradizionale, e perciò formularsi in termini di obblighi alla riparazione del danno o di prestazio ne di servizi gratuiti alla comunità383; b) i convenuti non so no necessariamente rappresentati da un difensore, e i giudi ci, eletti su base locale384, non sono necessariamente sogget ti dotati di un’approfondita preparazione tecnico-giuridica, quanto meno se intesa à la occidentale385.
6. Visioni in transito. Detto che tutte quelle appena ricordate sono giurisdizio ni localizzate negli stessi territori in cui si sono perpetrati i crimini oggetto di giudizio - il che marca una differenza profonda con le Corti posizionate all’Aja -, è bene sottoli neare che si tratta di esperienze cui ha contribuito lo stesso Occidente, tramite l’Onu o le organizzazioni regionali. Il che rende: a} evanescenti pregiudiziali ragioni di riluttanza, da par te degli ‘universalisti’ di professione; e, al contempo b} rende possibile la programmazione di un modello giurisdizionale alternativo a quello in essere, pensato a vasto raggio, artico lato su base decentrata, arricchito dalla contiguità culturale e geografica rispetto alle vicende i cui protagonisti reclami no impianti giudiziari straordinari. Non c’è dubbio che alcune delle indicazioni provenienti dalle giurisdizioni richiamate nel precedente paragrafo ne cessitano rifiniture tecniche, e pure riflessioni progettuali che tengano conto delle particolarità transnazionali di talu ni conflitti, e crimini386. Ma sicuro è, ancora una volta, che solo incorporando quanto più possibile soggetti e regole lo cali, l’intervento giurisdizionale alieno potrà evitare crisi di
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rigetto o auto-condanne all’inutilità. In altre parole, richia mando quanto abbiamo tratteggiato alla fine del paragrafo precedente, e ricordando che culture e tradizioni giuridiche non si possono imporre, né sono in grado di transitare verso le nostre visioni nello spazio temporale di una notte, né di una guerra, è solo per quelle vie che immaginare kelsenianamente pacificazioni attraverso il diritto potrà apparire - de purata di ogni messianesimo senza tempo, né geografia - una risposta plausibile, un sensato tentativo dell’occidente di non abbandonare a se stesse le vittime dei peggiori soprusi’87.
7. Il mondo in tasca.
Nella riflessione sulla giustizia ‘globale’, quelli appena evi denziati sono metodi e obiettivi che fanno ancora fatica a gua dagnarsi il centro dei nostri dibattiti, anche grazie al peso su di esso esercitato da una ulteriore, massiccia serie di dati. In numerosi paesi occidentali si è normativamente radi cata l’idea per la quale anche un singolo Stato e i suoi giudi ci hanno il potere di processare persone accusate di fatti in ternazionalmente riconosciuti come illeciti, indipendente mente dal luogo in cui i fatti stessi sono avvenuti, dalla nazionalità dell’autore o della vittima. E questa una ‘giuri sdizione universale’ a base domestica che, secondo una opi nione diffusa, trova fondamento tecnico nell’applicabilità di alcune convenzioni internazionali di c.d. ‘diritto umanita rio’, ove si stigmatizzano sostanzialmente i crimini di guer ra, di tortura, di genocidio’88. Dal punto di vista operativo l’idea ha prodotto risultati giudiziali - liminari in Italia’8’ e poi - sul nostro continente, in giurisdizioni quali l’Inghilterra (ove si è, per esempio, giunti alla condanna di uno dei leader della milizia afgana, Faryadi Zardad, per torture e cattura di ostaggi)’”, la Spa gna (celebri i casi nei confronti di Augusto Pinochet e Alber to Fujimori)”1, la Norvegia (dove si è tentato di processare
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un cittadino ruandese per genocidio)”2, l’Olanda (e.g.: con danne a carico di un cittadino congolese e due afgani)’”, il Belgio (si sono per esempio emesse condanne a carico di cit tadini ruandesi implicati nel genocidio del 1994)”4, la Dani marca (condanna di un cittadino ugandese)”5, la Francia (con danna di un funzionario mauritano per torture, mandato d’arresto levato contro il presidente dello Zimbabwe, Ro bert Mugabe)”6. Al netto dei nobili protagonismi di taluni magistrati, sia mo ancora una volta di fronte a epifanie di una coscienza, comune all’area del mondo in cui viviamo, che tenta di er gersi a paladina della giustizia planetaria”7. Nulla di male, se si parlasse a noi stessi soltanto. Nulla di male, se la giurisdi zione venisse esercitata solo nei riguardi di crimini commes si da noi o ad opera di nostri cittadini. Siccome così non è, alcune domande cruciali continuano ad attendere risposta. Tali esercizi di giustizia sono consci dell’autorevole «su spicion that the exercise of universal jurisdiction by Third World states over the leaders of rich countries would be met with much less Western enthusiasm» ?”8. Tali esercizi di giu stizia sono altrettanto consapevoli di come il consenso pub blico possa venir loro solo da posture universaliste o da pae si fragili ? Questi ultimi, perché d’abitudine interessati a que sto o quel rapporto preferenziale Coll’Occidente - e quindi latori di un consenso volubile, e revocabile. Le prime, inte se nel peggiore dei sensi, perché rese impotenti dalla loro in differenza alla diversità del contesto, ma soprattutto perché utilizzate in modo tale da esporsi al sospetto che si selezio nino gli oppressi da tutelare, che si usi la forza del diritto in maniera asimmetrica, non con pari intensità, nei confronti dei cittadini di paesi ‘deboli’ e di paesi ‘forti’’”. Ai quesiti sopra esposti, non sono in circolazione rispo ste precise. Se invece dovessimo accogliere la reazione into nata al «si deve pur far qualcosa contro i crimini più atroci, e questo ‘qualcosa’ va bene anche se si pone sul piano sim bolico», vi sono dati ulteriori su cui riflettere.
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8. Atrocità e simbolismi. Ovunque s’impianti l’esercizio di quella domestica giuri sdizione universale (basata, si noti, su normative sostanzia li e processuali non sempre omogenee fra i vari sistemi)400, es sa è di natura penalistica401, e ciò sul continente europeo im plica che l’attività investigativa sia condotta da magistrati e con costi a carico del contribuente; si scontra sovente con le immunità sovrane (di cui godono o sono reputati godere, ad esempio, i membri di governi stranieri402, i quali peraltro rap presentano gli obiettivi di maggior peso per i sostenitori del l’istituto), esponendo cosi l’apparato giudiziario nell’eserci zio di queste funzioni a pressioni politiche notevoli405. Ebbene, le caratteristiche appena richiamate valgono l’at tenzione alla particolare luce di un confronto con quanto nel frattempo ha saputo produrre sugli stessi versanti il diritto americano. Come abbiamo anticipato nel Capitolo quinto, a partire dal dopo - guerra fredda alcuni fattori hanno contri buito incisivamente a dipanare l’idea che il sistema giudizia rio Usa potesse ergersi a fustigatore efficace degli illeciti in ternazionalmente riconosciuti404. Uno di questi fattori si ritrova nella spettacolare saga dei processi connessi all’olocausto. A partire dal 1996, nume rose azioni civili sono state intentate di fronte alle corti Usa, da migliaia di soggetti, ebrei e no, i quali allegavano sostan zialmente: di essere stati sottoposti a (o essere eredi o fami liari delle vittime di) lavori forzati da parte di imprese tede sche che cooperavano con il governo nazista; oppure di aver subito ad opera di banche e assicurazioni, nel dopoguerra, ingiusti rifiuti all’esercizio dei propri diritti su polizze e con ti correnti. Sono i cc.dd. ‘Holocaust Claims’405. Un altro dei fattori che spiegano l’attrazione esercitata dal sistema giudiziario Usa trova la propria radice nella Co stituzione americana, la quale, redatta nel 1787, rispecchia molte delle idee che dominarono la scena culturale settecen
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tesca e, fra queste, la convinzione universalistica, e giusna turalistica, della necessità di offrire riconoscimento e tutela giudiziaria ai diritti fondamentali dell’individuo, non impor ta se violati negli Usa o altrove. Il principio si riflette nell’ar ticolo III della stessa costituzione, il quale nel definire l’am bito del potere giudiziario federale già esponeva docilmente il suo verbo («The judicial Power [da intendersi qui riferito alla giurisdizione federale] shall extend to all Cases ... aris ing under this Constitution, the Laws of the United States, and Treaties made, or which shall be made, under their Authority»), all’inclusione in esso dei casi nascenti non solo dal diritto dei trattati ma anche dal diritto internazionale consuetudinario406. Questa visione espansiva della competen za federale si troverà di li a poco ulteriormente ampliata da una legge approvata dal Congresso nel 1789, l’Alien Tort Statute (ATS)407, secondo la quale, «The district courts shall have original jurisdiction of any civil action by an alien for a tort only, committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States». Per circa duecento anni que st’ultima norma è rimasta praticamente dormiente, finché nel 1980, in Filartiga v. Pena-lrala*™, una corte federale riten ne che le torture subite da un cittadino del Paraguay, in quel paese, da parte di un connazionale poliziotto, violassero il «law of nations» e meritassero condanna. La potenziale ca pacità delle corti americane di reagire contro gli illeciti per petrati su scala mondiale trovò cosi espressione pratica, aprendo teoricamente la strada a dispute innumerevoli da li tigarsi negli Usa40’. Ecco allora le decine di azioni portate nell’ultimo tren tennio a cavallo delle previsioni dell’ATS410 e volte a ottene re condanne nei confronti di privati, pubblici ufficiali e mul tinazionali411 accusati di violazioni degli standard di prote zione dei lavoratori o di natura ambientale412 o di complicità in torture e uccisioni, connesse a gravi violazioni di diritti umani e a danno di cittadini stranieri413. Va ricordato come l’Alien Tort Statute copra solo cause
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Capitolo nono
civili, intentate da stranieri, nelle quali chi è giudicato re sponsabile è soggetto unicamente all’obbligo di risarcire il danno causato e non a sanzioni penali. Detto poi che il con dannato, come è nella natura di questi casi, al momento del la decisione si trova solitamente all’estero e può quindi sfug gire alle conseguenze pratiche della sentenza, questa finisce per esercitare un ruolo soprattutto simbolico. Ma certo su un terreno sospeso fra retorica universalistica e orribili atro cità, altrimenti impunite, il contenuto simbolico di questi ri medi finisce per brillare di luce propria.
9. Gentilezze Usa v. asprezze europee? Quali le conclusioni di questo spicchio di raffronto, fra ‘simbolismi’ americani ed europei? Quelli americani sono rimedi: attivabili nella lingua fran ca più diffusa a livello transcontinentale e presso gli organi giurisdizionali di un paese che, come abbiamo visto al capi tolo precedente, è il migliore propagatore mediatico su sca la planetaria (anche) del proprio sistema giuridico414. Non im porta qui che gli Holocaust Claims, cosi come le azioni por tate sulla base dell’ATS, si siano usualmente incanalati verso accordi transattivi, preme piuttosto segnalare che tali accor di siano stati il più delle volte estremamente vantaggiosi per le vittime - oltre che per il timore, da parte dei soggetti con venuti in giudizio, di esiti processuali ancor più onerosi proprio grazie al peso che quel simbolismo ha saputo eserci tare al di fuori del sistema giudiziario, sui circoli intellettua li e sul circuito comunicativo415. Come è poi regola nel sistema giudiziario Usa, tanto gli ‘Holocaust’ quanto gli ‘ATS claims’ offrono la prima linea della battaglia giudiziale agli attori in giudizio (e non ai ma gistrati inquirenti), i loro cospicui costi d’instaurazione e ge stione sono finanziati, non dalle vittime, né dalla parte soc combente in giudizio, né dal contribuente, ma dagli avvoca
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ti (sulla base dei patti di quota lite), e mirano unicamente al le politicamente meno esposte, ma non meno mediaticamente rutilanti, condanne risarcitorie. Vale ancora aggiungere che azioni del genere, litigate in Usa, sottoposte alle costose procedure americane, non pos sono essere gestite che da avvocati Usa. Di qui, al di là del le minute contingenze, la giuntura fra interessi economicocorporativi del ceto forense e quelli di un sistema paese che si erge a modello in grado di includere, governare e riparare le ingiustizie del mondo, rendendo concretamente rivendi cabili pretese altrove silenziate - o consegnate a quei mecca nismi farraginosi che abbiamo visto propri alle giurisdizioni penali universali, domestiche o no416. Ma di qui anche il paradosso di un’America che non ra tifica lo Statuto della Corte penale internazionale, che è sal da nel difendere l’inflessibilità del proprio diritto criminale (dalla pena di morte alla ‘third strike rule’417, all’infamante gestione nel recente passato dei processi ai terroristi)418 e che però persegue gli ‘altri’ esecrandi del pianeta con le azioni risarcitorie civili. L’Europa garantista e ‘gentile’415 tenta di ergersi a baluar do dei medesimi valori, utilizzando gli stessi linguaggi e at tingendo agli stessi messianici riflessi culturali, indifferenti alla storia e alla geografia, impugnando tuttavia il martello della sanzione penale e volendolo brandire su scala univer sale, a partire dalla stazza di un singolo paese europeo. La passione cosmopolita, lo slancio umanitario e la forza dei simboli, come vediamo ancora una volta, non si declina no dappertutto allo stesso modo e, soprattutto, non riescono a cogliere gli stessi risultati indipendentemente dal diritto, dai suoi apparati e dalle sue culture.
Parte terza
I diritti umani-.quando e dove?
Capitolo decimo
Carte, linguaggi e sconfitte
Oltre agli usi centrati sull’economia, e ai tentativi di rea gire ai crimini più efferati, ulteriori impieghi su scala globa le del diritto si sono volti a rendere uniforme la nozione di diritti umani, insieme ai modi di intenderne la protezione. In argomento, le prassi, i dibattiti, e le retoriche, si rincor rono incessantemente e meritano un’analisi rispettosa delle loro articolazioni.
i. Moltiplicazioni.
L’affermazione della voce e delle carte sui diritti umani, come li intendiamo oggi, è frutto di un processo multiforme, che ha visto all’opera nei contesti domestici e internaziona li attori diversi, provenienti da una grande varietà di tradi zioni, culturali, politiche e giuridiche. La trasformazione dei diritti umani, da focolaio latente di pretese a tema fondan te di un regime giuridico transnazionale è stata però una ri sposta a circostanze storiche particolari. Dopo la seconda guerra mondiale, la convinzione che la protezione di taluni diritti non potesse più essere abbando nata ai variabili umori degli affari interni dei singoli paesi in dusse a puntare a uno strumento che ‘costituzionalizzasse’ i limiti al potere degli Stati su una serie di diritti spettanti agli individui420, un controllo visto quale strumento essenziale per evitare il ripetersi di orrori come quelli dell’olocausto421. L’i dea era quella di offrire proiezione normativa ai principi che
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Capitolo decimo
tutti gli individui hanno diritto al minimale rispetto della lo ro dignità, che certi diritti sono universali, fondamentali, inalienabili, e che perciò non possono, e non devono essere compressi, né dagli apparati statali, né dalle sottostanti tra dizioni culturali o religiose422. In seguito, furono le critiche al colonialismo, le teorie sul diritto all’autodeterminazione dei popoli, emerse con forza negli anni ’50 e ’60, assieme alle istanze socialiste e social democratiche di varia provenienza423, a produrre un’espan sione del dibattito e delle sue rivendicazioni. Nel corso del tempo che porta vicino a noi, il ventaglio dei diritti umani si è in effetti articolato in una direzione assai più egualitaria e meno individualistica di quanto lo fosse a metà del xx se colo. Ai diritti civili e politici si sono aggiunte, dapprima, le essenziali garanzie al lavoro e a lavorare a ragionevoli condi zioni, alla salute, al cibo e alla sicurezza sociale, all’educazio ne e alla partecipazione alla vita culturale della comunità; e poi i diritti collettivi, specialmente quelli che hanno tratto ai diritti delle popolazioni indigene424. Cosi, la nozione stes sa dei diritti umani si è estesa, dal suo significato originale tutto interno al liberalismo - la protezione dell’individuo dal lo Stato -, fino a includere una serie di obblighi almeno teo ricamente gravanti sullo Stato e sugli attori globali, a favo re dei singoli e dei gruppi. Personaggi questi ultimi che, sul drammatico palcoscenico delle sopraffazioni, hanno final mente trovato un autore. Sulla scena, come vedremo, non mancano né le luci, né il pathos, è la regia a risultare spesso di maniera.
2. Radici. Cominciamo col rimarcare alcuni punti fermi. Nella loro inclusiva vaghezza, le radici dei diritti umani possono trovare accoglienza in ognuna delle grandi tradizio ni di pensiero che pongono l’individuo al centro della visio
Carte, linguaggi e sconfitte
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ne del mondo425: dai principi economico-sociali scolpiti nel le leggi babilonesi, al forte accento posto dal confucianesi mo sul potere emancipatorio dell’educazione e della cono scenza; dalle libertà fondamentali (di coscienza, dalla violen za, dall’indigenza, dallo sfruttamento, dalla malattia, dalla paura, per la tolleranza, per la conoscenza) al centro del pen siero induista e buddista, alle radici greche e romane della riflessione su virtù e diritti (e alla loro preveggente tensione fra relativismo e universalità); dall’ampio ventaglio di spun ti, direttive e principi che si è potuto trarre dalle tradizioni monoteiste, dell’ebraismo, dell’islam e della cristianità, alle più recenti, ma non meno pervasive, istanze egalitarie pro poste dal pensiero marxista426. Su questi presupposti, si è autorevolmente sostenuto che i diritti umani godono di una universalità cognitiva e norma tiva, che tiene discosta da sé ogni forma di imperialismo cul turale. Cosi, in sintonia con chi ritiene esistere un ‘overlap ping consensus’ sul quale l’umanità può fondare la sua con vivenza pacifica427, si è potuto sottolineare come la teoria dei diritti dell’uomo si appoggi su di una universalità trascen dentale, che può essere interpretata come un nucleo di intui zioni morali, verso il quale convergono le grandi religioni e filosofie metafisiche che si sono affermate nella storia uma na, al di là e a prescindere dalle vicende che hanno caratte rizzato lo sviluppo dell’occidente428. Al dibattito più avanzato42’ sono noti i limiti di questa ri cerca di una diacronica universalità delle radici dei ‘diritti umani’ (sulla loro sincronica, contemporanea transculturalità verremo invece più avanti), soprattutto quando essa in tenda spingersi oltre il rilievo di come nessuna civiltà o po polo possa rivendicare l’esclusiva di alcune aspirazioni450. Quei limiti si scorgono facilmente ponendo allo specchio linguaggio e storia. In primo luogo, se si parla di diritti - nel senso di pretese reclamabili di fronte a un’autorità indipen dente dalle parti, che giudica sulla base di regole specialistiche, secolari e non ideologiche -, si fa riferimento a una no
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Capitolo decimo
zione che, coibente linguistico di tutta la materia in questio ne, è propria all’elaborazione della cultura occidentale, e da qui irradiata nel discorso pubblico internazionale431. In se condo luogo, a trasformare la « sostanza normativa delle gran di dottrine profetiche e delle interpretazioni metafisiche af fermatesi nella storia universale»432 in una dottrina attiva dei diritti umani è stata ancora una volta la cultura occidentale. Ciò che è avvenuto peraltro solo al termine di un lungo pe riodo della sua storia, costellato da violenti conflitti, sociali e militari, che neppure il secolare radicamento delle «grandi religioni e filosofie»433 ha saputo impedire (ed è tanto desi derabile quanto difficile che le stesse dottrine dei diritti uma ni sappiano prevenire). Dato, quest’ultimo, da tenere a mente - e su cui infatti torneremo - perché pone al centro dell’attenzione, sul pia no delle prassi operative, la rilevanza cruciale che sempre spetta al fattore tempo, nell’apprezzare ogni possibile con vergenza, o specularità, fra grandi e piccole rivoluzioni.
3. Diritti sulla carta.
La trasformazione delle visioni metafisiche del mondo in pratiche quotidiane si compie, come spesso accade, attraver so il diritto: dapprima mediante il riconoscimento, quanto meno formale434, di tutti gli individui del pianeta come tito lari di prerogative oltre e contro gli Stati435, e poi tramite la diffusione del linguaggio, e l’invocazione della tecnologia giu ridica, a sostegno delle attività di denuncia e sanzione dei colpevoli per le violazioni di quei diritti436. L’innesco del cambio di paradigma si ha in effetti con la Dichiarazione Onu del 1948, la quale colloca i diritti umani a livello ultra-statuale, mirando in linea di principio a sot trarli alla dipendenza dalle visioni domestiche, ripiegate sul le mutevoli opzioni politiche e giuridiche nazionali. Ad es sa, come è noto, sono seguiti numerosi documenti, volti a
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specificarne il contenuto in relazione a specifici soggetti o settori (fra le altre: la Convenzione sul genocidio, del 1948; la Convenzione dei diritti politici della donna e la Conven zione sulla nazionalità della donna coniugata, entrambe del 1952; la Dichiarazione dei diritti del bambino, del 1959; la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discrimi nazione razziale, del 1963; i ‘Patti’ sui diritti civili e politi ci e quello sui diritti economici, sociali e culturali, entrambi del 1966; la Dichiarazione sull’eliminazione delle discrimi nazioni contro la donna, del 1967; la Convenzione sulla di scriminazione contro le donne, del 1979; la Convenzione sul la tortura, del 1984; la Dichiarazione sul diritto allo svilup po, del 1986; la Convenzione sui diritti dei minori, del 1989; la Convenzione sui diritti delle persone disabili, del 2006, la Dichiarazione sui diritti dei popoli indigeni, del 2007). Op pure si tratta di documenti volti a rifinire i dettami della Di chiarazione universale o a proporne di propri su scala geo grafica, fissa o variabile (come la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamen tali, del 1950, o la Convenzione americana sui diritti dell’uo mo, del 1969, la Carta africana dell’(O)UA, adottata nel 1981; e il suo Protocollo sui diritti delle donne in Africa, del 2003; la Carta asiatica, del 1998; e poi la Dichiarazione isla mica universale dei diritti dell’uomo - del Consiglio islami co d’Europa - del 1981; la Dichiarazione del Cairo sui dirit ti dell’uomo nell’IsIam - della Organizzazione della Confe renza islamica, del 1990; la Carta della Lega degli Stati arabi, del 2004). Inoltre, come abbiamo ricordato al Capitolo pre cedente, si è affermata l’opinione secondo cui vanno repu tate esistenti una serie di norme consuetudinarie di diritto internazionale ‘umanitario’, le quali vincolerebbero gli Sta ti a prescindere che essi abbiano o no ratificato questo o quel lo strumento normativo437. Occorre tuttavia compiere subito un passo a lato delle po sizioni dominanti, o di mera contemplazione. Ogni vocazione a cambiare la realtà delle relazioni urna-
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Capitolo decimo
ne, tanto più se espressa in termini planetari, ha bisogno di regole non solo programmatiche, ma precettive e, soprattut to, capaci di sanzionare effettivamente le condotte eversive di quei precetti - e, conseguentemente, di operare come ef ficace deterrente per ogni violazione futura. Ebbene, a dif ferenza di quanto avviene a livello regionale, per gli Stati membri del Consiglio d’Europa, per quelli membri dell’Organizzazione degli Stati americani (OAS) e dell’Organizza zione per l’Unità africana, che hanno istituito Corti apposi te a tutela delle loro Carte4’8, non esistono meccanismi di ti po giurisdizionale deputati a garantire l’osservanza universale dell’intera panoplia dei diritti umani. A tal fine sono invece all’opera comitati di vario genere, deputati al controllo del l’applicazione dei trattati, delle dichiarazioni e risoluzioni Onu, ma sprovvisti di funzioni giurisdizionali e di ogni ca pacità di enforcement, a fianco dei quali si muove poi, con attività di analisi, mobilitazione e denuncia, una vasta con gerie di organizzazioni non governative4”. Eppure, quotidianamente, ciascuno dei numerosi diritti umani viene conculcato o calpestato, senza rimedio, in que sto o quell’angolo del pianeta. E l’osservazione di questa ce sura profonda, tra altisonanti proclamazioni di principio a valenza planetaria, e modeste, incomplete, tutele operazio nali, a porre subito una questione cardinale: Come si spiega questo iato ? E l’illusione di governare le ingiustizie con il diritto che svanisce, evaporata al sole delle realtà ? Oppure, come per le giurisdizioni penali universali, è il modo di pen sare e forgiare quel diritto che va mutato, perché ebbro di postulati inadeguati a comprendere le stesse realtà che inten derebbe governare ?
Capitolo undicesimo Diritti senza diritto
I quesiti con cui si è chiuso il capitolo precedente cerca no risposte. Prima di tentare le nostre, è bene ricordare quel le avanzate dalle prospettive che hanno guadagnato il centro del dibattito. L’insufficiente salvaguardia operativa offerta ai diritti umani su scala globale viene difatti connessa, da un lato, alla loro reclusione nel recinto giuridico, dall’altro, al la loro matrice euro-americo-centrica. I due argomenti presentano fra loro punti di contatto as sai piu numerosi di quanto possa sembrare a una frettolosa ricognizione delle loro prassi discorsive, ma qui vale la pena di introdurli separatamente.
i. Diritti e politica.
Le quotidiane sconfitte subite dai diritti umani sul terre no della loro effettività, e una percezione generale del dirit to assai lontana da quella qui esposta, hanno spinto frange anche autorevoli del dibattito a uno scarto argomentativo, nobile negli intenti ma, come vedremo, velleitario quanto agli esiti. Sotto tiro è l’approccio ai diritti umani che si vol ge a enfatizzarne la dimensione giuridica. Secondo alcuni l’accento sulla dimensione giuridica si sa rebbe tradotto, da un lato, nel negare l’evidenza che qualun que atto normativo sul punto deve fronteggiare tradizioni e sentimenti diffusi, che pre-esistono e trascendono quegli stes si gesti normativi440. Dall’altro lato, la critica si centra sulla
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Capitolo undicesimo
stessa giuridicità, da intendersi come matrice occulta della scarsa effettività di quei diritti, giacché finirebbe per forza re questi ultimi in una struttura istituzionale che non riesce a essere efficace dappertutto allo stesso modo441. Di qui i ri ferimenti a chi, Bentham, Hart o Rawls442, si ritiene consen ta di esaltare una natura solo pre-, post- o ideal-giuridica dei diritti umani, i cui valori fondanti dovrebbero essere meglio spesi e supportati, e così meglio difesi, nell’ambito della di scussione pubblica443. Le stesse corde risuonano in chi avver sa la positivizzazione dei diritti umani perché finirebbe per ridurre di questi il ‘potenziale critico’444; oppure in chi dis sente dalla visione che ‘costituzionalizza’ i diritti umani co me diritti pre-politici, o supra-politici, cui la politica dovreb be essere soggetta, anziché trattarli, più opportunamente, come diritti il cui sostegno e conseguimento può avvenire so lo attraverso la politica445. Si tratta di letture appassionate, e talora affascinanti. Il punto è però che tutte postulano a) una realtà in cui tutti, in ogni parte del mondo, abbiano uguale accesso alle ‘discussio ni pubbliche’, b) che queste ultime siano ovunque gestite su un piede di parità, quanto a risorse per, e opportunità di, di scutere, e c) che le decisioni politiche siano più stabili di quel le giuridiche. Risaputo che così non è, né in Occidente né al trove, anche supponendo il contrario, la domanda urgente diverrebbe sempre: in concreto, nel quotidiano, con quali istituzioni, quali tecniche, quali regole, si può garantire la tutela operativa, l’applicazione effettiva di quei diritti, a fa vore di chi ne subisce la violazione ? Sostenere poi - come si è fatto, tentando di spostare lie vemente il piano del discorso - che ogni insistenza sulla cen tralità dell’enforcement dei diritti umani rischia di far pas sare l’idea che la responsabilità unica della mancata prote zione di quei diritti sia dei giudici e non anche del legislativo o dell’esecutivo446, è argomento che si annuncia altrettanto fragile dei precedenti. Se in Occidente, sul punto che ci riguarda, la dialettica
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fra governi, parlamenti e giudici è talmente pronunciata da impedire pregiudiziali distribuzioni inique di responsabilità, nel confronto con le realtà non occidentali quell’argomento si mostra addirittura ingenuo. Innanzitutto, fuori dall’Occidente la catena di controllo che lega il potere legislativo al l’esecutivo e alla giurisdizione è assai più corta che da noi: insistere quindi sulla centralità dell’enforcement dei diritti umani, lungi dal de-responsabilizzare legislativi ed esecuti vi, significa sfidare direttamente, di quei sistemi, le stesse posture politiche. In secondo luogo, senza un processo di rafforzamento della cultura locale che consolidi centralità, laicità e terzietà del giudice (locale) chiamato a dirimere i conflitti inerenti i diritti umani, il gruppo o l’individuo che reclami una lesione ai propri diritti finirebbe in quelle realtà, come di fatto già finisce, per essere lasciato appeso al filo del la sua capacità (di mobilitare risorse, locali o internazionali, in grado) di influire sulla decisione politica. Soluzione diffi cile da promuovere non appena si ponga mente alla estrema diseguaglianza, inaffidabilità e variabilità di quelle capacità, nel tempo, nei luoghi, e nei differenti contesti sociali e poli tici. Insomma, la distanza delle proprie traiettorie da quelle esplorate dalla tecnocrazia giuridica e, o in alternativa, la per cezione del diritto come una sovrastruttura di cui si dovreb be tendere al superamento, oppure l’invocazione al suo po sto di una ‘etica sociale’447, non bastano a se stesse per giu stificare la marginalizzazione del diritto dal campo in cui - certo: accanto alla politica, alle etiche sociali, ai dibattiti appassionati - si gioca la partita che ha in palio la vita quo tidiana di miliardi di persone, le loro pretese, i loro conflit ti. Quelle percezioni e invocazioni sono invece fondate al lorché ribadiscono che reclamare la politicità dei diritti uma ni equivale a denunciare la loro insopprimibile appartenenza ai valori condivisi dalla concreta comunità (anche politica)448 in cui vengono discussi, affermati o rivendicati. É del resto proprio in quest’ultima prospettiva che si comincia a intra
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vedere il senso e gli obiettivi propri al secondo filone di ar gomenti, volti a spiegare e sfidare la claudicante salvaguar dia che i diritti umani ricevono in larga parte del pianeta: il tema è quello della loro pretesa universalità. Prima di saggiarne il fondamento è però bene svolgere una considerazione preliminare sul lessico di questo dibatti to e su quelli che dovrebbero rappresentarne i presupposti. Nota che si rivelerà utile, quanto meno, a sgomberare il cam po da costrutti in rapporti malfermi con la realtà.
2. La frammentazione delle identità.
Il riferimento alla persona titolare di diritti come sogget to astratto (per lungo tempo: maschio, bianco, adulto, sano, libero e possidente) è stata una conquista occidentale, rasso data negli due ultimi secoli, e con cui si è inteso archiviare il frammentato regime di status, privilegi, franchigie e immu nità che caratterizzava l’età precedente44’. Nonostante l’articolazione e l’accelerazione nel prodursi delle interrelazioni personali ed economiche (e l’inclusione, nel parametro, delle donne, dei minori, dei non-‘sani’, non bianchi, non-possidenti), l’unificazione del soggetto di dirit to, quale forma di organizzazione del discorso giuridico, è potuta sopravvivere fino a noi perché non sfidata efficace mente da forme di organizzazione del discorso che a quel pa radigma sfuggissero. Oggi, il caracollio della storia pare stimolare uno sforzo rinnovato di riflessione - su dati che peraltro, scopriremo su bito, nuovi non sono. In rude sintesi, si può ricordare come la scena contempo ranea sia marcata dal declino dell’idea che gli Stati, e il ‘lo ro’ diritto, diano voce e governo a una indifferenziata e omo genea comunità450. La dipartita da questo assunto è stata certamente resa più agile dall’accelerata velocità d’intercon nessione fra idee e persone abitanti il pianeta, ma gli svilup
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pi tecno-economici non bastano a spiegare l’occaso di quel modo d’intendere i rapporti fra sovranità, diritto e identità. Ciò cui si assiste con sempre maggior nitore è difatti un fe nomeno più vasto, e insieme più profondo o, se si preferisce, quanto è avvenuto è il recupero di un dato fondamentale, anche ai nostri fini. Il dato è che in gran parte delle società conosciute, occidentali e no, le identità individuali sono spal mate su differenti strati di affiliazioni, dettate e.g:. dalla re ligione, dalla famiglia, dall’idioma locale nazionale transna zionale, dalle scelte professionali ed economiche (astratte o ideali, oppure concrete o d’investimento), dalle scelte ali mentari, dalle opzioni politiche, locali nazionali transnazio nali, dall’appartenenza a una comunità etnica o territoriale - dato, quest’ultimo, ovviamente meno insolito in Stati i cui confini, etero-disegnati, risultano etnicamente ‘fantasiosi’. ‘Affiliazioni’ che, con diversa intensità e raggio d’azione, esprimono bisogni, orientano le scelte degli individui o dei loro raggruppamenti, chiedono o postulano rappresentanza, ma domandano pure regole rispettose della loro identità451. Senza dire delle fedeltà di maggiore evidenza, come quel le politiche o religiose, né delle appartenenze che meglio di ogni altro sono esplorate dai genetisti, nella nostra prospet tiva uno sforzo anche superficiale di analisi mette in luce al meno quanto segue. a) I legami familiari432 e di natura tribale453 determinano soggezione al principio di autorità personale (tramite il qua le il più delle volte le dispute sono risolte al di fuori del cir cuito giuridico formale); e la fedeltà a questi vincoli può de terminare scelte e comportamenti che sono inefficaci per il, o proibiti dal, diritto ufficiale, ossia quello posto dallo Sta to e dalle sue propaggini istituzionali454. E questo il profilo sotto il quale vengono sovente riguardate anche le regole pro prie delle società claniche endostatuali (di cui un vigoroso esempio sono le comunità cc.dd. mafiose)455. b) I legami comunitari - etnici456, di vicinato, dell’asso ciazionismo in genere - determinano scelte orientate al per
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seguimento della coesione del gruppo (talora favorendo di nuovo l’informalità, come terreno privilegiato di soluzione per un gran numero di dispute) e producono fedeltà a valo ri che possono risultare anche qui indifferenti al, o di contro avversati dal, diritto ufficiale437. c) L’osservazione dell’esistenza di legami educazionali, nascenti soprattutto dalla formazione accademica e post-accademica, non solo consente di vedere come essi possano so vrapporsi (ad esempio nel linguaggio delle élite) ad altri le gami, ma è pure un potente strumento di comprensione del le ragioni per cui, ad esempio, un politico, un giurista, un giudice, non occidentale e tuttavia formatosi in Occidente, finisce per essere sensibile a valori e pratiche occidentali nel lo svolgere la propria attività all’interno di istituzioni sovranazionali o del paese d’origine458 - e di qui, peraltro, la fri zione frequente fra quei valori e quelle pratiche e il contesto locale, dove tradizioni, valori e soluzioni esprimono resisten ze che possono portare molti degli sforzi di ‘occidentalizza zione’, anche del diritto, a un punto morto45’. d) I legami economici (appartenenze a corporazioni pro fessionali, dipendenza da un lavoro460, da scelte d’investi mento, personale o imprenditoriale, da scelte di consumo)461 determinano opzioni individuali che possono essere in anti tesi con i valori sottostanti gli altri legami e, non di meno, condizionare cospicuamente pratiche, gerarchie di opportu nità e le stesse scelte circa le modalità d’istradare la soluzio ne dei conflitti462. e) I legami linguistici orientano a loro volta non solo l’o rizzonte culturale di riferimento, quello sociale di apparte nenza, ma anche l’interlocuzione diretta e le scelte operati ve dettate dai significati inclusi nel, e quelli esclusi dal, vo cabolario della/e lingua/e maneggiata/e. Dato che delimita altresì la possibilità di rifornirsi tempestivamente dei proble mi, prima ancora che delle soluzioni, riguardanti non solo i fenomeni in corso ma anche (e fuori dall’occidente soprat tutto) i propri diritti e le vie per proteggerli463.
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3. Il dinamismo delle identità. Se prendiamo minimamente sul serio quanto fin qui solo tratteggiato, la questione diventa quella della misura e delle modalità con cui il discorso e la pratica dei diritti umani so no disposti a riconoscere ciascuna di queste differenti appar tenenze, spesso stratificate e intrecciate fra loro. Non c’è dubbio, ad esempio, che le fedeltà tribali etni che linguistiche siano in grado di condizionare potentemen te le rivendicazioni dei relativi diritti. Ciascuno di questi le gami può tuttavia sovrapporsi e incrociarsi con uno o più de gli altri vincoli. Ancora: l’assenza di alternative allo Stato, quale fonte di ogni privilegio sociale, politico, economico, può esasperare il conflitto etnico per il controllo del pote re464. Come è risaputo, la dipendenza economica può enfa tizzare il rilievo del diritto al lavoro e stingere sulla capacità della persona di reagire alla compressione dei diritti ambien tali465 o alla messa in iscacco della propria stessa dignità per sonale466. Le illustrazioni potrebbero moltiplicarsi467, ma quanto conta sottolineare è che il variegato articolarsi dei ‘dosaggi’ fra queste interrelazioni evidenzia pure il dinami smo insito nelle dimensioni dell’appartenenza. Si tratta di fedeltà che - seppure non sempre e con tem pi fra loro diversi - possono essere acquisite, rimodellate dal la forza del diritto e dei suoi attori (locali e no)468 o riforgiate al proprio interno, nel corso del tempo, attraverso la diffe rente comparazione concreta che la persona, o il gruppo, fa o è indotto a fare fra le proprie preferenze, gli interessi e i va lori in gioco46’. Questo è un dato che dovrebbe proporre alla riflessione modelli più articolati di quelli su cui essa indugia d’abitudine (anche, e per esempio, con riguardo al trattamen to giuridico offerto da noi alle minoranze e alle appartenen ze degli immigrati)470. Più in particolare, è un dato che appa re di grande rilevanza al fine di valutare come e quanto le ri vendicazioni dei diritti riescano a veicolare affermazioni di
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identità che guardano solo al passato, intendono protrarre il proprio sé nel futuro, o più realisticamente incamerano il di namismo dei fattori di produzione di quelle stesse identità. Certo, qualunque istradamento della riflessione necessi ta della preliminare avvertenza che ogni esito in questa pro spettiva dipende dall’area del mondo cui guardiamo, dal set tore del diritto cui poniamo le domande, dagli obiettivi che ci proponiamo di raggiungere con le risposte. E però solo te nendo a mente la dispersione e, nel tempo, la mobilità delle appartenenze, che è possibile accorciare la distanza che ta lora ci separa dalla comprensione dei fenomeni e sollevare, al contempo, la polvere della retorica da uno dei cuscini me glio imbottiti di pregiudizi del nostro occidentale divano - quello da cui si è soliti scorgere le vicende del mondo.
4. Universale e relativo. E del resto proprio la percezione e il modo di considera re la natura delle diverse identità ad alimentare il dibattito di una tensione stridente: quella fra i sostenitori del relati vismo e i sostenitori dell’universalismo, culturale e giuridi co. Questa tensione finisce per innervare anche l’asse reto rico che oppone il ‘globale’ al ‘locale’. Ciò che è globale ap pare senza radici geografiche, quanto è locale presuppone un’area spaziale su cui esercitarsi471. La controversa fissità della relazione fra diritti e cultura si lascia conseguentemen te cogliere come un’opposizione fra universalismo, nella for ma di una concezione transnazionale e ubiqua dei diritti, e relativismo, nella forma del rispetto per le (o adesione alle) differenze culturali e giuridiche locali472. Meglio noto al lettore l’argomento degli universalisti - giac ché motore della diffusione dei modelli giuridici occidenta li, delle domande di diritto ‘globale’, delle giurisdizioni pe nali ‘universali’ -, è la posizione dei relativisti a meritare qualche precisazione.
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5. Macro-particolarismi?
In effetti, di scarso impatto sulle élite politiche occiden tali, dedite all’universalismo di facciata473, a sua volta frutto di una scelta non sempre innocente474 (e fatta spesso fluttua re al volatile tasso della contingenza politica), il relativismo è supportato da una variegata schiera di protagonisti del di battito globale. Le articolazioni che meritano qui il richiamo sono quelle che enfatizzano il valore intrinseco di ciascuna cultura, qua le che essa sia; rifiutano l’idea che alcune siano primitive, o meno sofisticate delle altre; combattono come il peggior ne mico sia l’etnocentrismo, cioè ‘il punto di vista che il pro prio modo di vivere sia migliore di tutti gli altri’, sia l’impat to che questa stessa visione produce in termini di strategie di azione475. Tale prospettiva, e il suo confronto con l’anti tesi universalista, ha continuato a costituire il dato di par tenza fondamentale per le più animate discussioni - in par ticolare, quelle sull’accettabilità o no, in nome della diver sità, di (ciò che agli occidentali appaiono) intollerabili soprusi ai danni delle persone476. Di tali diatribe offriremo nel capitolo seguente qualche concretizzazione. Fin d’ora è bene però ricordare come a trarre linfa dai serrati dibattiti condotti proprio in punto di universalità/relatività dei diritti umani siano stati fenomeni maggiori. Al di là del proliferare delle già richiamate carte a geografia fissa o variabile (che mirano appunto ad adeguare i diritti ‘universali’, o a forgiarne di propri, sulla base dei va lori culturali e delle tradizioni particolari a quelle macroco munità), altre epifanie, che si vogliono ‘autonomiste’ su lar ga scala, hanno guadagnato i riflettori. Celebre è la polemica sui cc.dd. Asian values, esplosa nel corso della seconda Conferenza delle Nazioni Unite sui di ritti dell’uomo, che si tenne a Vienna nel giugno del 1993. In quella sede, i delegati di buona parte dei paesi asiatici si
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opposero alla tesi sostenuta dai paesi europei e nordamerica ni circa l’universalità e l’indivisibilità dei diritti fondamen tali, rivendicando la connotazione marcatamente occidenta le delle proclamazioni di quei diritti, nonché l’esistenza di una classe di valori specificamente asiatici (disciplina, ordi ne, coesione sociale), inconciliabili con l’individualismo uni versalistico, e colà prevalenti su altri valori, nonché priori tari rispetto alle stesse libertà politiche4”. Non si creda però che il fronte asiatico della polemica sia compatto. Si è infat ti autorevolmente sostenuta la fruttuosità della ricerca nel corpus delle tradizioni culturali orientali di dati utili a mo strare la compresenza, accanto ai valori enfatizzati dai teo rici degli Asian values, di principi compatibili con la tutela dei diritti umani ‘occidentali’. E la strada percorsa, fra gli altri478, da Amartya Sen, il quale sostiene che non solo è pos sibile rintracciare nella tradizione buddista consapevoli teo rizzazioni del rilievo della tolleranza e della libertà indivi duale, ma che nelle culture indiana e cinese sarebbero pre senti gli stessi elementi costitutivi dell’idea di libertà individuale che ricorrono nella tradizione europea, elemen ti che solo l’autoritarismo di taluni regimi contemporanei cercherebbe di mettere in ombra47’. Neppure il dibattito sulla cultura islamica si è tenuto di scosto dallo stesso genere di discussioni, e divisioni480. Cer to, in quei contesti, la commistione di autorità religiose e se colari rappresenta ancora oggi una frattura non facilmente componibile sul terreno dell’effettività di una cospicua fet ta dei diritti umani: ed ecco perché lo stesso linguaggio dei diritti, basato sul riconoscimento di un individuo sovrano e indipendente, è sovente presentato come dato del tutto in conferente all’interno di un pensiero politico e una visione della società che si vuole incardinata sulla teocrazia481. Ma ecco pure il medesimo genere di rifiniture che avevamo tro vate apposte al dibattito sugli Asian values, e qui volte a ri levare che il contenuto preciso del sistema della sharì'a è sta to e continuerà a essere il prodotto della interpretazione urna-
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na in uno specifico contesto storico482; a sottolineare come l’IsIam parli oggi con molte voci e come la presa in conto dei contesti nazionali possa essere più importante del semplice focalizzarsi sui principi teologici generali485; a evidenziare co me siano motivazioni politiche a ispirare le rappresentazio ni più aspre che dell’IsIam filtrano in Occidente, animate a loro volta dalle fazioni più conservatrici, che prevalgono nei paesi islamici del Medio Oriente e non altrove484. Dati tutti questi che non permetterebbero di concludere in termini di un conflitto necessariamente duraturo fra teocrazia islamica e ideologia occidentale dei diritti485.
6. Aldi qua del discorso.
Le sfide e le aporie appena richiamate non esauriscono il loro peso sul terreno dei dibattiti teorici o su quello della con fezione di carte geografiche dei diritti. Esse incidono diret tamente sugli argomenti con cui nelle prassi comunicative si pensa l’identità, I’‘altro’, e il ‘sé’, scontandone o no l’immu tabilità486. Esse, non solo si offrono come ricettacoli di ten sione politica e resistenza giuridica locale, in punto di tute la effettiva dei diritti, ma condizionano pure le modalità con le quali si progettano interventi, architetture istituzionali, tecniche interpretative, apparati giudiziari, intorno alla sal vaguardia dei diritti umani. Vale allora la pena di tentare di comprendere come si pre sentino oggi quelle tensioni, quelle resistenze e quei proget ti, nella ‘pratica’ dei diritti umani, e nel prisma di alcuni ca si concreti.
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Al nucleo di tutti gli esempi che seguono troviamo il con flitto fra diritti declinati globalmente e quelli declinati local mente. Gli ultimi due casi riguarderanno i diritti dei popoli indigeni, allo specchio della diatriba sul valore e sul conte nuto delle identità. I due casi che li precedono avranno trat to alla condizione femminile, come giacimento di diritti la cui realizzazione fronteggia situazioni sociali e tradizioni cul turali assai differenziate. I primi due casi stirano le pieghe del discorso intorno al possibile utilizzo del diritto e dei suoi apparati.
i. La tortura come routine e la religione come libertà dalla satira.
Il primo esempio serve in effetti da monito circa i rischi recati, pure in Occidente, da un arretramento della dimen sione giuridica dei diritti. Rischi che possono condurre a un uso politico aberrante del diritto, in particolare se esso si at tua al riparo da ogni controllo giurisdizionale. E un caso che tratta della maniera in cui negli Usa giuri sti proni al potere hanno saputo elaborare la nozione di tor tura - vicende ben note agli studiosi assai prima delle più re centi rivelazioni della stampa487. Proclamato in vari atti internazionali di carattere gene rale, il divieto di tortura trova specifica consacrazione nella menzionata Convenzione Onu del 1984. Questa contiene al-
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Part. i,i° co., una definizione dettagliata: «il termine ‘tor tura’ indica qualsiasi atto mediante il quale sono intenzio nalmente inflitti a una persona dolore o sofferenze acute, fi siche o mentali, al fine segnatamente di ottenere da essa o da una terza persona informazioni o confessioni, di punirla per un atto che essa o una terza persona ha commesso o è so spettata di aver commesso, di intimorirla o di far pressione su di lei o di intimorire o di far pressione su una terza per sona o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenze siano in flitte da un agente della funzione pubblica o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale o su sua istigazione o con il suo consenso espresso o tacito. Tale termine non si esten de al dolore o alle sofferenze risultanti unicamente da san zioni legittime, inerenti a tali sanzioni o da esse cagionate». La stessa Convenzione proscrive poi, all’art. 16, i° co., i trat tamenti «crudeli, inumani o degradanti che non siano atti di tortura quale definita all’articolo i » anche se inflitti quali «metodi e pratiche d’interrogatorio» o durante «la custodia e il trattamento delle persone arrestate, detenute o imprigio nate» (art. n). Nonostante gli Usa abbiano ratificato la Convenzione (con una cospicua serie di riserve, che consentono ampia cor sa a condotte al limite di quanto ritenuto lecito dalla stessa Convenzione)488, la precedente amministrazione americana ha ritenuto a un certo punto di essere vincolata da una no zione di tortura che risultava incerta, o comunque al di qua dell’opinabile. Per rimuovere queste aporie, schermare la propria azione da critiche pubbliche e precostituirsi un’even tuale difesa in chiave processuale, il Dipartimento di Giusti zia americano interpellò ripetutamente il proprio Office of Legal Counsel al fine di ottenere definizioni autorevoli e, volta a volta, appropriate alla bisogna. Uno dei più celebri fra questi responsi è quello reso in punto di identificazione di una nozione di tortura che si rivelasse utile ai fini della conduzione degli interrogatori di sospetti terroristi48’. Il ri
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lievo della vicenda è dato anche dalla qualità dei giuristi coin volti: il destinatario di questo ‘Torture Memo’ era Alberto Gonzales, un tempo giudice della Suprema Corte del Texas, all’epoca consigliere della Casa Bianca e più tardi promosso U.S. Attorney General, ossia ciò che noi chiameremmo mi nistro della Giustizia; mentre il primo firmatario del docu mento in questione è Jay Bybee, allora Assistant Attorney General e successivamente nominato al prestigioso scranno di giudice di una Corte d’Appello federale. Leggere selettivamente l’insieme delle regole in vigore, al fine di arrivare a una definizione ‘accettabile’ di cosa fosse tortura è stato, per gli autori di quel documento, un eserci zio banale. L’art. i (i) della Convenzione del 1984 che proi bisce la tortura, come sappiamo, la descrive come inflizione di ‘dolore o sofferenze acute, fisiche o psichiche’, senza però spiegare cosa debba intendersi per ‘acute’ (‘severe’ nel testo inglese). L’obiettivo finale del Memo era produrre una in terpretazione del termine che permettesse di ottenere quan to desiderato dalla committenza: innalzare quanto possibile la soglia della nozione di tortura, creando cosi una coltre giu ridica quanto più spessa, sotto la quale proteggere chi venis se scoperto a esercitare quelle pratiche. I giuristi hanno rag giunto l’obiettivo in una sola, trasparente mossa. Essi han no sciolto il predicato, nel modo più restrittivo possibile, prendendo spunto da una definizione presente in una serie di atti normativi che disciplinano le caratteristiche delle con dizioni mediche d’emergenza il cui riscontro è necessario al l’ottenimento di benefici assicurativi490. Ecco allora che, se condo il Torture Memo, la soglia della tortura scatta « al li vello che sarebbe ordinariamente associato a una lesione fisica sufficientemente seria, come la morte, il collasso di un organo o una seria menomazione delle funzioni corporali»491. Ovviamente, molto dolore e sofferenza possono essere inflit ti prima che si raggiunga ciò che in questa definizione è con siderato tortura - il che è precisamente ciò che l’amministra zione allora in carica voleva.
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Quando il Torture Memo fu reso pubblico, anche sulla scia della scoperta delle torture realizzate presso la prigione di Abu Ghraib, le critiche furono intense4’2, non abbastan za pervasive, però, da impedire a giuristi autorevoli come Charles Fried4” di difendere il Memo, affermando che « the re’s nothing wrong with exploring any topic to find out what the legal requirements are»; o, ad altrettanto rinomati do centi, come Eric Posner e Adrien Vermeule494, di considera re l’analisi operata nel Memo quale «standard lawyerly fare, routine staff ... reasonable legal advice and no more»4”. Nonostante la tortura sia tutto tranne che una questione di routine, è il Torture Memo a risultare un esercizio routi nario di tecnocrazia, nella misura in cui ogni giurista che lo legga si troverà immediatamente a suo agio con lo stile e i metodi utilizzati per manipolare il diritto, allo scopo di ot tenere l’esito desiderato. Charles Fried è quindi astrattamen te nel giusto se il suo rilievo vale a segnalare che, purché con dotta in termini tecnicamente impeccabili, non vi è nulla di reprensibile in un’interpretazione che estende o riduce il si gnificato di una regola, al fine di raggiungere un certo risul tato. Ma, non appena tradotti fuori da quelle rarefatte astra zioni, i succitati rilievi di Fried si svelano parziali e falsi: par ziali, perché scordano di sottolineare che per raggiungere quegli specifici risultati non basta essere un giurista, occor re essere un giurista supino alla politica del governante di turno; falsi, perché opportunisticamente negano che i giuri sti conoscano la differenza fra un’esplorazione dei possibili significati attribuibili a un testo di legge e un’analisi pura mente strumentale di quello stesso testo, elaborata per fini politicamente contingenti.
Quello appena richiamato è un caso che attiene alle tec niche di adattamento che possono venire apprestate all’oscu ro delle corti, e nello stesso Occidente, allorché gli interessi del potere statuale si trovino in linea di collisione con la sal vaguardia dei diritti umani. Il secondo esempio ricorda inve
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ce come il diritto e la sua tecno-struttura possano utilizzare lo stesso raggio di manovra loro affidato, e di cui abbiamo visto abusare i giuristi del Torture Memo, per proporre so luzioni che si prestano a letture fra loro divergenti, a secon da dell’interesse che si ha cura di valorizzare. Qui il proble ma è indipendente dall’accondiscendenza verso questo o quel potere governativo, e attiene al modo in cui le corti possono filtrare istanze che il discorso pubblico ritiene egualmente ‘legittime’. Lo spunto viene dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in una delle tante occasioni in cui essa ha applicato la dottrina del c.d. ‘margine di apprezzamen to’4’6. Riducendo all’osso i fatti rilevanti, il caso riguardava il sequestro e la distruzione in Titolo di un film che rappresen tava il Padre, il Figlio e la Madonna in ruoli ‘molto lontani’ da quelli tradizionali e che, per ciò, i giudici austriaci aveva no ritenuto offendesse i sentimenti religiosi, in particolare quelli coltivati dalla stragrande maggioranza dei tirolesi. La questione che la Corte si è trovata a decidere riguardava la valutazione delle decisioni adottate dai giudici locali: si trat tava in particolare di stabilire se le pronunce tirolesi avesse ro violato, o no, il diritto alla libertà di espressione con sacrato nell’art. io della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. La Corte ha ritenuto non sussistere alcuna viola zione, argomentando che: «Questa Corte non può dimen ticare il fatto che la religione cattolica è la religione della stra grande maggioranza dei tirolesi. Sequestrando il film, le au torità austriache hanno agito al fine di mantenere la pace religiosa nella regione e di impedire che alcune persone po tessero sentirsi attaccate nelle loro credenze religiose in un modo offensivo. Spetta principalmente alle autorità nazio nali, che si trovano in una posizione migliore rispetto a quella di un giudice internazionale, di stabilire l’opportunità di una simile misura, alla luce della situazione esistente a li vello locale in quel preciso momento. Alla luce di tutte le cir
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costanze del caso, questa Corte non reputa che le autorità austriache abbiano superato i margini di apprezzamento lo ro concessi»4”. Questo caso è un’applicazione standard della dottrina con cui la Corte, prima di dichiarare se la misura statale di dero ga, di limitazione o di interferenza, con una libertà garanti ta dalla Convenzione europea configuri o no una concreta violazione della Convenzione stessa, riconosce ai diritti sta tuali libertà di azione e di manovra interpretativa458. Ma non sfugge come questa dottrina, ricollocata sulle coordinate del diritto globale, possa essere valutata anche in un’altra luce, ossia quale modalità con cui la Corte affronta, su scala regio nale, il conflitto fra universalismo e relativismo (e, in una prospettiva diversa dalla nostra, pure quale carta di tornaso le per valutare l’altrui modo di reagire alla nostra satira su temi religiosi)455. La Corte non rende onore alla diatriba in termini espli citi, ma non sfugge che - al netto delle opzioni di chi legge e di chi scrive - l’utilizzo della dottrina sui ‘margini di ap prezzamento’ può qui essere letta in direzioni fra loro assai diverse: come locale prevaricazione della maggioranza sulla minoranza, attraverso la compressione della libertà di espres sione e la cessione di terreno dei valori laici a favore di quel li religiosi; oppure come protezione delle visioni tradizionali della comunità, i ‘sentimenti cattolici’ dei tirolesi, mercé l’enfatizzazione, da parte dei giudici europei, delle condizioni concrete in cui il conflitto si è dipanato, in quello specifico luogo e in quella particolare cultura. Anche quello appena illustrato rappresenta quindi un ri chiamo: qui contro ogni semplificazione, tanto piu se coatta da pregiudizi, quando in gioco sono conflitti tra diverse ca tegorie di diritti umani (come in questo caso: libertà laiche e valori religiosi), la cui declinazione locale può sfuggire alle accette del relativismo e dell’universalismo, specie se predi cati in astratto500.
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2. Donne.
Spostiamoci in Tailandia, per il terzo esempio, il quale non riguarda direttamente le modalità di esercizio della tecnocra zia giuridica, ma concerne il diritto dei minori, soprattutto di sesso femminile. I minori trovano protezione in una vasta serie di strumen ti normativi e, in particolare, nella già menzionata Conven zione Onu del 1989 (ratificata da ogni Stato, salvo la Soma lia e gli Usa). All’interno di tale Convenzione, che presta la propria tutela a tutti i soggetti minori di 18 anni (art. 1), l’art. 34 recita: «Gli Stati parti si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di vio lenza sessuale. A tal fine, gli Stati adottano in particolare ogni adeguata misura a livello nazionale, bilaterale e multi laterale per impedire: a) che dei fanciulli siano incitati o co stretti a dedicarsi a una attività sessuale illegale; b) che dei fanciulli siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pra tiche sessuali illegali». In Tailandia la prostituzione minorile, come è noto501, ri sulta tristemente assai diffusa - a fianco di un basso livello di lavoro minorile502 -, ma ai nostri fini la domanda è se, e come, possa essere implementato il diritto delle minorenni tailandesi a essere ‘liberate’ dalla prostituzione, là dove si scopra che le stesse ragazze direttamente coinvolte nella pro stituzione, e le loro famiglie, non intendano esercitare quel diritto. Autorevoli studi e ricerche sul campo503 pongono di fatti in evidenza che, nel quadro culturale della società tai landese, la devozione per la famiglia può condurre a vere e proprie forme di sacrificio personale; che la prostituzione in fantile è percepita anche dalla cultura tailandese come uno scandalo e una vergogna; che i genitori nondimeno tollera no la prostituzione delle loro figlie (‘soltanto’) a causa delle condizioni di disperazione socio-economica in cui le proprie famiglie versano504.
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Qui l’interrogativo ulteriore, se il caso della prostituzio ne infantile tailandese si presti a essere ricondotto a un con flitto tra valori occidentali e quelli propri a culture diverse, è certamente fondato, ma non conosce risposte che esauri scano il merito del problema. Quest’ultimo può difatti tro vare soluzione solo nella messa a disposizione, a favore di quei nuclei, di strumentazioni giuridiche che sfidino, o pu re accompagnino, le scelte locali di politica economica e che siano in grado nel tempo di rifornire quelle famiglie e le lo ro figlie di pretese materialmente tutelabili e, per tal via, di scelte di vita alternative. Se poi è vero che situazioni di de grado e di abbandono sono purtroppo comuni, in Occiden te come fuori da esso, il punto è che in taluni contesti le si tuazioni di povertà finiscono per creare gerarchie di valori e diritti più nette e rigide che altrove, assai meno (Ì£. assai più difficilmente) negoziabili che in altri contesti. Nel caso del la prostituzione tailandese, cibo, rifugio, unità familiare so no precisamente i diritti che le famiglie e le stesse minori fan no prevalere sul diritto di quest’ultime di essere libere dal l’abuso sessuale505. Riguardiamo del resto la situazione appena descritta da un altro angolo visuale, fornito dalla stessa Convenzione. Quest’ultima impartisce le seguenti direttive: art. 5 «Gli Sta ti parti rispettano la responsabilità, il diritto e il dovere dei genitori o, se del caso, dei membri della famiglia allargata o della collettività, come previsto dagli usi locali, dei tutori o al tre persone legalmente responsabili del fanciullo, di dare a quest’ultimo, in maniera corrispondente allo sviluppo delle sue capacità, l’orientamento e i consigli adeguati all’eserci zio dei diritti che gli sono riconosciuti dalla presente Con venzione»; art. 18 «1. ... La responsabilità di allevare il fan ciullo e di provvedere al suo sviluppo incombe innanzitutto sui genitori ... i quali devono essere guidati principalmente dall’interesse preminente del fanciullo. 2. Al fine di garan tire e di promuovere i diritti enunciati nella presente Con venzione, gli Stati parti accordano gli aiuti appropriati ai ge
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nitori e ai rappresentanti legali del fanciullo nell’esercizio della responsabilità che incombe loro di allevare il fanciullo e provvedono alla creazione di istituzioni, istituti e servizi incaricati di vigilare sul benessere del fanciullo»; art. 19 « i. Gli Stati parti adottano ogni misura legislativa, amministra tiva, sociale ed educativa per tutelare il fanciullo contro ogni forma di violenza, di oltraggio o di brutalità fisiche o men tali, di abbandono o di negligenza, di maltrattamenti o di sfruttamento, compresa la violenza sessuale ... 2. Le suddet te misure di protezione comporteranno, a seconda del caso, procedure efficaci per la creazione di programmi sociali fi nalizzati a fornire l’appoggio necessario al fanciullo e a colo ro ai quali egli è affidato, nonché per altre forme di preven zione, e ai fini dell’individuazione, del rapporto, del rinvio, dell’inchiesta, della trattazione e dei seguiti da dare ai casi di maltrattamento del fanciullo di cui sopra; esse dovranno altresì includere, se necessario, procedure di intervento giu diziario»; art. 27 « 1. Gli Stati parti riconoscono il diritto di ogni fanciullo a un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e sociale. 2. Spetta ai genitori o ad altre persone che hanno l’affida mento del fanciullo la responsabilità fondamentale di assicu rare, entro i limiti delle loro possibilità e dei loro mezzi fi nanziari, le condizioni di vita necessarie allo sviluppo del fan ciullo. 3. Gli Stati parti adottano adeguati provvedimenti, in considerazione delle condizioni nazionali e compatibil mente con i loro mezzi, per aiutare i genitori e altre persone aventi la custodia del fanciullo ad attuare questo diritto e of frono, se del caso, un’assistenza materiale e programmi di sostegno, in particolare per quanto riguarda l’alimentazione, il vestiario e l’alloggio»506. Anche a volersi accomodare sul piano più strettamente normativo: quale gerarchia di valori privilegerebbe chi po nesse il diritto delle ragazze tailandesi a liberarsi dalla pro stituzione sul podio dell’urgenza, rispetto ai diritti al soste gno materiale e sociale delle loro famiglie ? E viceversa ? Op
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pure vogliamo dare il crisma dell’urgenza a entrambe le pia ghe ? E siamo allora in grado di mobilitare risorse e strumen ti, sul piano politico, culturale e giuridico (e su una dimen sione geografica sufficientemente ampia da fungere da trai no socialmente esteso), per offrire incisività ed effettività ai nostri sforzi di curare quelle piaghe? Certo, quest’ultima è opzione difficile da praticare sulla scala necessaria, ma è quel la indispensabile. Qualsiasi soluzione diversa da essa signifi cherebbe semplicemente piegare il capo di fronte a un’evi denza: che la retorica dei diritti umani sconta uno iato piut tosto ampio fra i suoi argomenti e la realtà materiale, e che lo stesso iato separa in profondità le proclamazioni normati ve di principio e le prassi operative che ad esse dovrebbero richiamarsi.
Il quarto esempio riguarda il controverso ambito delle mu tilazioni genitali femminili. Siamo a Seattle, Usa, città con un’alta percentuale di im migrati provenienti da paesi africani507. Nel 1996 alcuni gi necologi e pediatri del centro medico di Harborview porta no di fronte all’opinione pubblica i casi ricorrenti di donne somale che chiedono di poter sottoporre le loro bambine a una procedura, la ‘sunna’, simile a quella della circoncisione maschile. Questi medici pongono un quesito: possono essi praticare una puntura di spillo sul clitoride come viene loro richiesto dalle madri africane o devono accettare che quelle stesse madri siano costrette a un costoso viaggio in qualche paese africano, dove probabilmente le loro bambine sareb bero sottoposte a mutilazioni ben più severe ? La strada del la ‘sunna’ sembrava a quei medici una soluzione di compro messo, che avrebbe aiutato a mantenere aperto il dialogo tra la comunità medica e le donne delle comunità immigrate, al cune delle quali con particolari esigenze dal punto di vista sanitario (necessità a loro volta connesse anche alle mutila zioni genitali subite nei loro paesi d’origine). La proposta fu ritirata dagli stessi medici in ragione dell’enorme quantità di
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critiche ricevute (da parte del Procuratore generale dello Sta to di Washington, da deputati, senatori, altri medici, orga nizzazioni religiose) e nello stesso anno fu approvata negli Stati Uniti d’America una legge federale che dichiarava ille gali le mutilazioni genitali femminili508. Queste ultime, di cui esistono diverse varianti - tra cui la clitoridectomia, l’escissione e l’infibulazione50’ -, sono ra dicate in Africa (soprattutto in Burkina Faso, Egitto, Eri trea, Etiopia, Guinea, Kenya settentrionale, Mali, Maurita nia, Nigeria settentrionale, Somalia, Sudan), nel Medio Oriente (Emirati Arabi, Oman, Yemen), in taluni paesi del l’Asia orientale (India, Indonesia, Malesia, Sri Lanka)510 e, grazie ai flussi migratori, si sono diffuse anche in Occiden te. Mentre l’età in cui le forme di mutilazione genitale sono operate varia secondo la tradizione (da prima del matrimo nio ai pochi giorni di vita)511, l’Organizzazione Mondiale del la Sanità stima fra 100 e 140 milioni le donne soggette a que ste pratiche, con un incremento annuo pari a circa 3 milio ni512. Le mutilazioni genitali femminili risultano indirettamen te proibite da numerose previsioni normative internaziona li e, in particolare, dalla succitata Convenzione sui diritti del fanciullo, la quale stabilisce, all’art. 24, 30 co., che: «Gli Sta ti parti adottano ogni misura efficace atta ad abolire le pra tiche tradizionali pregiudizievoli per la salute dei minori»; nonché dalla Convenzione sull’eliminazione di ogni discri minazione contro le donne, ove all’art. 2 si prevede che «gli Stati devono prendere tutte le misure idonee ... per modifi care o abolire le leggi esistenti, i regolamenti, i costumi e le pratiche che costituiscono una discriminazione contro le don ne»515. Non c’è dubbio: agli occhi di un occidentale le mutilazio ni genitali rappresentano una gravissima violazione del dirit to all’integrità fisica e alla salute, ingiuria che si presta a es sere rappresentata come l’ennesima epifania di una secolare oppressione perpetrata sulle menti e sui corpi delle donne.
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Altrettanto sicuro è che queste pratiche, nelle tradizioni in cui sono diffuse, vengono sovente avvertite come un obbli go, un rito di passaggio, necessario affinché la bambina o la ragazza diventi un’adulta responsabile, se non una ‘donna’ in senso pieno, titolare dell’intierezza dei diritti che la pro pria tradizione le attribuisce. Non mancano del resto i casi in cui sono le stesse potenziali ‘vittime’ a rivendicare il loro diritto a essere sottoposte a quelle pratiche - sottraendo pa radossalità all’osservazione per cui «ciò che per l’Occidente è inconcepibile, in altre culture è addirittura doveroso, e an zi desiderabile»514. Alcuni continuano doverosamente a in dignarsi, altri no, ma è difficile concludere aprioristicamen te che fuori dalla nostra cultura le donne siano sempre «in trappolate in una qualche forma di falsa coscienza che sarebbe compito del movimento per i diritti umani svela re»515; oppure negare in principio che chi aderisce a una tra dizione diversa dalla nostra possa ritenere che godere di quel la forma di appartenenza abbia un valore maggiore di qua lunque libertà negativa516. Inoltriamo però il discorso, osservando che se nei paesi d’origine i tentativi di vietare tali pratiche, già attuati dalle potenze coloniali e poi dai governi indipendenti, si sono ri velati infruttuosi, non è chiaro quale valore aggiunto possa attrarre su di sé l’imposizione dall’alto di sanzioni, invocate a partire da un diritto sovranazionale, sovente percepito co me ‘altrui’. Nei paesi di immigrazione, va sottolineato poi, una politica di mera repressione, in ispecie nei confronti dei genitori, oltre a rivelarsi impotente (e rendere frequente il ricorso a viaggi nel paese di origine per operare le mutilazio ni), rischia di risolversi in un danno per la stessa vittima che si vorrebbe tutelare, la quale alla mutilazione del proprio cor po potrebbe vedersi aggiungere la separazione dai genitori, o parenti, condannati 517. Ma c’è di piu. Non si scopre qui che la manipolazione del corpo e in particolare degli organi genitali, femminili e ma schili, si è diffusa in tutte le civiltà e le culture, e non soltan
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to in quelle ‘primitive’518, e che ancor oggi queste pratiche so no tutt’altro che estinte51’. Occorre chiedersi però le ragioni della differenza di trattamento riservata alle mutilazioni fem minili nelle normative nazionali e internazionali, cosi come nella gran parte dei dibattiti, rispetto alle pratiche delle mu tilazioni maschili, in primis la circoncisione - largamente dif fusa nel mondo islamico, in quello ebraico, e non solo520. Se si condannano le manipolazioni sessuali femminili, anche nel le loro forme più lievi o puramente simboliche, muovendosi sullo stesso asse di valori e di principi giuridici, è difficile ac cettare a occhi chiusi le mutilazioni genitali maschili. Si trat ta di una lesione con conseguenze - normalmente - molto me no serie, e molto meno invalidanti, rispetto alle più gravi mu tilazioni femminili521, ma l’esperienza clinica segnala patologie e disfunzioni anche tra i circoncisi: emorragie, infezioni, fi stole uretrali, ritenzione urinaria, cisti del prepuzio, necrosi del glande, senza dire delle possibili conseguenze di caratte re psichico, come la sensazione di mutilazione e la riduzione del piacere e dell’attività sessuale522. Poiché viene praticata quasi esclusivamente sui minori, da un punto di vista giuridi co (e proprio dal nostro), se effettuata senza alcuna ragione sanitaria la circoncisione maschile non può che essere confi gurata come la lesione di un organo sano, spesso eseguita sen za poter ottenere l’autonomo consenso del diretto interessa to. Si tratta pur sempre di una «violazione della libertà e del l’integrità personale del minore»525. Quindi ? Ribadito che né i legislatori né il dibattito di ten denza si curano di questa stridente incongruenza - quasi a confermare che il «valore della donna non è nel suo corpo, ma nell’uomo che nel suo corpo si specchia e riflette l’ordi ne delle sue relazioni»524 - è chiaro che, tornando alle muti lazioni genitali femminili, l’attivista, occidentale e no, non pare disporre di alternative credibili rispetto a un approccio che, evitando forme di sovrapposizione culturale, assuma il punto di vista delle vittime e si saldi con i movimenti autoc toni, in particolare delle donne. Il fine ultimo dovrebbe es
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sere la progressiva adozione, e poi applicazione all’interno di quelle stesse comunità, di regole (ad esempio, in campo suc cessorio e di diritto familiare)525: che promuovano l’allenta mento del vincolo fra status giuridico-sociale e quelle prati che; che favoriscano la loro sostituzione con rituali incruen ti o ne consentano l’esercizio solo su adulte consenzienti. La premessa consapevole consiste nel saper utilizzare nel tem po il diritto e le sue regole, nel loro rapporto biunivoco con le culture di cui sono (come sappiamo) veicoli e terminali, al fine di offrire la sola alternativa realistica alla situazione at tuale526. Nell’immediato, se quanto a noi risulta una grave violazione di diritti umani può non apparire tale a coloro al le quali vorremmo spiegare che in verità si sbagliano, non può che essere il consenso delle donne, tanto libero quanto informato, ad assurgere a presupposto giuridico che suggel la il rispetto per la persona, a nesso ineludibile fra preferen ze nostre e scelte altrui, a vincolo determinante per ogni pos sibile intervento527.
3. I popoli indigeni e i profeti del passato.
Le ultime due riflessioni centreranno il tema dei diritti collettivi e della loro (fin troppo trascurata) collocazione nel la prospettiva inter-generazionale. Entrambi i casi trovano il proprio fondale normativo nell’art. 1 del Patto Internazio nale sui Diritti Economici, Sociali e Culturali, del 1966, ove si stabilisce che «1. Tutti i popoli ... decidono liberamente del loro statuto politico e perseguono liberamente il loro svi luppo economico, sociale e culturale. 2. Per raggiungere i lo ro fini, tutti i popoli possono disporre liberamente delle pro prie ricchezze e delle proprie risorse naturali, senza pregiu dizio degli obblighi derivanti dalla cooperazione economica internazionale, fondata sul principio del mutuo interesse, e dal diritto internazionale. In nessun caso un popolo può es sere privato dei propri mezzi di sussistenza»528.
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Il quinto esempio offre contorni facili da tracciare e con clusioni difficili da distillare. Alla fine degli anni ’60, le au torità della Provincia canadese del Newfoundland promos sero una serie di misure nei confronti degli inuit stanziati in quel territorio, e percepiti come popolazione arretrata e de stinata all’estinzione, se non ‘persuasa’ ad adottare la cultu ra sedentaria e ad abbandonare credenze e pratiche che ave vano permesso loro di abitare foreste e lande boreali subar tiche. Dal punto di vista pratico, è nel 1968 che il governo provinciale comincia una politica d’insediamento attraverso la costruzione di case, concesse in locazione agli inuit per die ci anni con opzione d’acquisto, gratuita ed esercitabile lad dove la casa fosse risultata in buono stato manutentivo al ter mine del decennio. Gli inuit finirono coll’abbandonare la lo ro terra, grande circa come la Francia, per diventare locatari di piccole proprietà individuali, anche grazie a una ‘forma zione’ del loro consenso resa possibile dall’intermediazione di sacerdoti oblati. Il processo di ‘sedentarizzazione ’ degli inuit fu completato nel 197152’. Qui l’attribuzione di ‘diritti’ nel senso occidentale del termine ebbe come risultato, da un lato, una perdita di risa lenti diritti collettivi su una terra vastissima; e, dall’altro la to, la soluzione dell’«heart of the whole Indian problem», ossia la integrazione degli indigeni nell’economia di merca to canadese5”. La costruzione dell’assimilazione si basò sul la distruzione del nomadismo e la sua sostituzione con il ‘la voro’ (z.e.: lo scambio fra caccia e sedentarizzazione), sulla sostituzione degli dei animali e dei propri capi tradizionali con il Dio e i preti cristiani, sulla sostituzione del linguaggio tradizionale con la lingua inglese. Cosi, nella luce dello stesso Patto internazionale poc’an zi citato - e a prescindere dalle prospettive che ciascuno può abbracciare - è certo a) che il rispetto integrale dei valori cul turali inuit avrebbe lasciato incerto il rapporto di questi, e soprattutto delle loro future generazioni, col resto della so cietà e dell’economia canadese551; ma anche b) che i ‘diritti
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dei nativi’ a un’esistenza (che agli occidentali pare senz’al tro) ‘migliore’ finirono per essere garantiti solo allorché i na tivi e la loro cultura cessarono di essere tali552.
Le contraddizioni - quantomeno intergenerazionali - ca ratterizzanti la salvaguardia di diritti che nessun occidenta le rifiuterebbe per sé, possono però incidere anche sulla ri vendicazione di diritti che l’Occidente, per parte sua, a lun go ha ignorato555. Il sesto esempio prende difatti spunto dalla contrastata storia del progetto ‘Camisea’, in Perù, mirato all’estrazione, il trasporto, la distribuzione e l’export di gas naturale - ini ziativa ben nota alla comunità internazionale e alle organiz zazioni non governative, per i suoi drammatici impatti so ciali e ambientali554. Il progetto è localizzato in una delle più preziose foreste pluviali del mondo, nella valle dell’Urubamba, sud-est dell’Amazzonia peruviana, e prevede - e in par te ha già attuato - la costruzione di impianti di estrazione di gas naturale e di gasdotti nel cuore della foresta. Gli impat ti del progetto hanno destato allarme - richiamando la voce della normativa sovrannazionale citata all’inizio di questo paragrafo - non solo a) per i delicatissimi ecosistemi e la lo ro straordinaria biodiversità; ma anche b) per le popolazio ni indigene della regione, esposte al rischio di perdita di ri sorse alimentari (in particolare riserve ittiche e di cacciagio ne), di contaminazione delle riserve di acqua potabile e diffusione di malattie; nonché c) per la scarsa informazione che gli sponsor dell’iniziativa e il governo peruviano hanno a lungo offerto alle comunità e alle organizzazioni indige ne555. La storia del progetto è innervata da un’intensa campa gna di attivisti e Ong contro la sua realizzazione. Seppur qui non contino i dettagli minuti, preme rilevare alcuni dati, an cora una volta connessi all’utilizzo dei diritti umani in con testi non occidentali. Il primo dato ricorda come le campagne di cui si è fatta
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menzione hanno prodotto un carosello di entrate e uscite dal progetto di grosse società, agenzie pubbliche e organismi in ternazionali536. Il punto è però che non sempre il bilancio del l’affidabilità, in termini di rispetto per i diritti ambientali delle popolazioni indigene, ha conosciuto un saldo positivo con i nuovi entrati. La presenza di grandi multinazionali (al cune delle quali hanno finito per abbandonare il progetto) potrebbe invero essere trasformata in un’utilità da sfruttare per ogni attivista che abbia a cuore gli esiti della sua opera. Quelle società sono oggi fra le più esposte nella valorizzazio ne (e nell’impedire il discredito) della loro reputazione pla netaria. Esse sono quindi, almeno potenzialmente, le più sen sibili a vedersi imporre una negoziazione in punto di rispetto dei diritti umani, la implementazione dei quali è precisamen te l’arma potente di controllo (e di minaccia di quella repu tazione) in mano agli attivisti53’. Nella stessa prospettiva, le fortunate campagne per l’estromissione della Us ExportImport Bank - fuoriuscita che si sarebbe rivelata peraltro so lo temporanea (dal 2003 al 2008)538 - hanno negletto la cir costanza che l’agenzia americana risultava in grado di assi curare, comparativamente, i più elevati standard di tutela dei diritti umani. Ecco perché si è potuto sottolineare come la scelta, a quel punto necessitata per i realizzatori del pro getto, di importare beni da altri paesi, le cui agenzie di cre dito all’export non usano equiparabili strumenti di control lo sul rispetto dei diritti umani, abbia in realtà finito per de potenziare i risultati ottenuti da quelle stesse campagne53’. Ma non è tutto. Indiscussa la necessità primaria di salva guardare ognuno e l’insieme dei diritti delle popolazioni in digene, vi è una questione ulteriore, e più generale, da im mettere nell’ordine del giorno di qualunque riflessione su questi temi, cosi come di qualunque analisi del Patto inter nazionale del 1966, che si voglia votata all’effettività540. a) Si tratta di comprendere se le modalità con cui si con ducono le campagne a favore degli indigeni peruviani siano quelle auspicabili, di fronte al rischio che un paese non occi
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dentale resti senza infrastrutture essenziali al suo sviluppo, e con la consapevolezza che mantenere intatti valori identitari degli indigeni nei confronti della loro terra, e intonsi va lori ambientali e naturali5'*1, significa difendere valori tutti che l’Occidente si è ben guardato dal salvaguardare, nella fa se ascendente delle proprie economie542. b) Qualora invece il rimprovero sia diretto proprio al mo dello socio-economico di sviluppo occidentale e ai tentativi di sua implementazione in quelle terre, bisognerebbe, al fi ne minimo di scongiurare una divaricazione drammatica fra mezzi e fini, compiere uno sforzo di trasparenza. Occorre rebbe cioè mettere in chiaro quanto profonda - e quanto de siderabile per chi la riceve - sia l’influenza esercitata proprio dal modello occidentale (dalla sua storia, dai suoi stessi va lori, linguaggi e retoriche) sulle modalità con cui si procla mano e brandiscono i diritti umani, nella valle dell’Urubamba come in tutto il Sud e l’Est del mondo.
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Un tempo per le soluzioni
i. Esercizi di indifferenza.
Giunti a questo punto, è difficile sfuggire alla conclusio ne che le diatribe sulla politicità o giuridicità, nonché su re lativismo o universalismo dei diritti umani, una volta calate nelle pratiche quotidiane di quei diritti, finiscono per appa rire un esercizio di indifferenza, proprio nei riguardi dell’ar ticolazione e della complessità delle circostanze concrete cui dovrebbero applicarsi. Da quanto abbiamo ricordato in precedenza (nel Capitolo undicesimo) e dagli esempi appena scorsi risulta, in effetti, co me i paradigmi operativi abitualmente propagati veicolino: a) concezioni ‘politiche’ dei diritti, emergenti non solo quando (i) essi vengono calpestati in nome della soggezione al potere domestico, ma anche quando (n) se ne propone una tutela cen trata, assai piu che sulle preferenze locali, sulla resistenza all’(occidentale) ‘impero del male’543, e pure quando (in) gli strumentari del relativismo sono impiegati al fine di precosti tuire una sorta di «excuse for abuse»344, un alibi per la tiran nia545; b) argomenti di chi ai diritti umani riconosce piena va lenza giuridica e nondimeno promuove (i) un universalismo, sordo alla nostra storia e al suo travagliato dispiegarsi, e cieco rispetto alle sue differenze con le storie altrui; oppure (n) un relativismo ‘positivistico’, ripiegato sull’esegesi della diaposi tiva odierna dei popoli e delle culture, spesso incapace di in terrogarsi sulle forze dinamiche al lavoro (anche) in quei con testi, dinamismo che non deve necessariamente inseguire i no stri percorsi, ma nemmeno forzatamente evitare fratture, svolte, mutazioni, nei confronti della propria storia.
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Tensioni queste ultime, si badi, sempre all’opera e dap pertutto, anche da noi. Assunta una discendenza familiare nei secoli radicata a Trieste, ad Augsburg, a Toulouse o a Edinburgh, siamo sicuri, ad esempio, che i discendenti odier ni delle famiglie de quibus considerino i diritti all’ambiente, al lavoro, alla casa, all’integrità fisica, alla parità fra i sessi, all’aborto, nella stessa maniera dei loro antenati di 80, 180, 810 anni fa? Porre insomma l’alternativa in termini dicotomici, uni versalismo v. relativismo, offusca la complessità dei fenome ni e, sul piano della loro comprensione, reca con sé il perico lo di una cristallizzazione a-storica del dinamismo, sia del di ritto che delle culture546. Rischio, quest’ultimo, alimentato da entrambi i produttori del discorso, ‘globalisti’ e ‘localisti’, essendo dai primi i diritti umani propagati come nozio ni a tenuta universale, oscurandone così la natura e la tecni ca di matrice occidentale (e sopravvalutando la loro capacità d’imporsi rapidamente in ordinamenti ‘altrui’)547. Mentre i secondi presentano le culture altre come sistemi omogenei e integrati di credenze e valori condivisi, da parte di un più o meno ampio gruppo di persone; sistemi destinati a restare fissi nel tempo, e nei confronti dei quali si predica la neces sità di punti di vista differenziati, sul terreno morale e giu ridico (così sottovalutando la capacità dei sistemi, anche giu ridici, di adattarsi, di convivere e, convivendo, di cambia re)548.
2. Confetti alfunerale?
Certo non si può tacere che la babele di discorsi sui dirit ti umani è incentivata dalla ampiezza del loro rosario54’. L’estensione del ventaglio di diritti stratificati nelle car te, e veicolati nel dibattito, è tale da forzare investimenti di energie, sul campo delle pratiche e delle retoriche, che risul tano inevitabilmente assai differenziati fra loro, intermitten
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ti, dispersivi e, di fronte alla gran massa di diritti che chie dono tutela, inesorabilmente inadeguati530. Quando poi il di scorso pubblico - politico, mediatico, accademico - adotta nel proprio linguaggio nozioni quali diritti ‘fondamentali’551, ‘basilari’552 - a parte l’intento retorico («non vorrete negare che abbiamo ragione di / bisogna fare X, almeno con riguar do a...») - a che cosa esattamente si fa riferimento? A una selezione fra i diritti affermati nelle decine di carte interna zionali ? A quale selezione e a quali carte ? Ed è una selezio ne operata come e da chi ? Occorre, e.g., includere in questa prima scelta di diritti umani anche quelli dei disabili, fisici e psichici553, il diritto all’alfabetizzazione, cartacea e/o tecnologica, i diritti delle minoranze sessuali ? Se la risposta è affermativa, è allora pen sabile di rimproverare il vasto popolo dei diritti umani, atti visti e no, per non aver incessantemente mobilitato l’opinio ne pubblica globale in favore di un intervento, se non mili tare, quantomeno economico, di ritorsione commerciale, o di tipo giuridico (normativo, giudiziario), al fine di garanti re l’effettivo rispetto di tutti quei diritti, a favore di tutti i loro destinatari ? Se la risposta è negativa, occorre riconosce re l’esistenza di una (esplicita o latente) gerarchia fra quei di ritti. Cosi, però, riemerge la necessità di una replica agli in terrogativi formulati poco sopra554. Fra quelle scollate dalla retorica, una replica realistica è che le mobilitazioni, a difesa dei diritti o contro i soprusi, non possono basarsi che sulle mutevoli contingenze mediatiche, sulla passione o gli interessi specifici degli attivisti, sul la finitezza delle loro energie e risorse555. Una replica pro grammatica viene invece, e con autorevolezza, da chi invita a concentrarsi «su un nucleo ristretto di diritti ‘essenziali’ che costituiscono i valori fondanti della dignità umana». Sul fronte sociale ed economico, questi diritti ‘essenziali’ si ri troverebbero nel diritto all’alimentazione, nel diritto al la voro, nel diritto a un ambiente sano. Sul versante dei dirit ti civili e politici, gli sforzi maggiori dovrebbero invece ver
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tere sulla protezione del diritto alla vita, del diritto a non es sere sottoposti a tortura o a trattamenti crudeli e degradan ti, del diritto a non essere vittima di arresto o detenzione ar bitraria, del diritto alla non discriminazione556. Si tratta di una distribuzione di confetti, ai funerali del l’ipertrofia del catalogo, e dell’ambizione alla sua tutela uni versale ? Si tratta dell’unico orizzonte su cui è possibile pro gettare azioni dotate di senso operativo ? La risposta va cercata pazientemente - e su di essa fra po co ci eserciteremo -, con la consapevolezza degli obiettivi da perseguire e delle loro reciproche priorità. Necessario è chia rire fin d’ora, però, le difficoltà d’implementazione che pu re una lista limitata di diritti, come quella proposta da An tonio Cassese, troverebbe (e trova) a livello di attuazione concreta. Essa implica per esempio, sotto il profilo dei dirit ti sociali - come lo stesso autore non si nasconde -, «note voli mutamenti nelle relazioni economiche internazionali (e in particolare nel commercio internazionale), nonché un ge nerale riorientamento dell’azione degli organismi internazio nali deputati a promuovere lo sviluppo»557. Ma anche sul ter reno dei diritti civili, a parte la dose di tecnocrazia giuridi ca necessaria a implementare su scala planetaria l’habeas corpus558, dovremmo ricordare quanto sbiadita sia la tutela operativa offerta a quei diritti dalle istituzioni del diritto in ternazionale55’ o quanto precario sia oggi divenuto, e proprio in Occidente, l’equilibrio fra quegli stessi diritti e le esigen ze di sicurezza interna o ‘nazionale’560. Oppure dovremmo sottolineare che l’ampia nozione di non-discriminazione fi nisce coll’invocare la ri-costruzione dell’intero tessuto cultu rale di molte delle tradizioni non occidentali; o che essa ri schia di articolarsi in conflitti ulteriori (vibranti anche nelle nostre domestiche politiche sull’immigrazione561, ossia) mag gioranza v. minoranza, e poi individuo v. comunità minori taria562; o, ancora, che la nozione medesima di non-discriminazione si presta a essere fondatamente rivendicata nei nostri confronti da chi, come gli omosessuali (anche in Occidente),
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si scontra tuttora sovente con le ideologie centrate sulla na turalità del coniugio eterosessuale563. Quanto poi al diritto alla vita, senza che occorra rammentare quanto faticose (e ancora incompiute) siano state le conquiste in punto di pe na di morte564, è bene sottolineare come la stessa condivisio ne di un valore morale, e del linguaggio con cui veicolarlo, possa rivelarsi illusoria e sterile dal punto di vista operativo. Basti pensare ai dibattiti occidentali sull’eutanasia o sull’a borto, dove le aspre divisioni circa l’inizio e il termine della vita non sono punto smussate dalla comune convinzione, in ogni schieramento, della necessità di proibire trattamenti crudeli alla persona e della protezione speciale e indispensa bile da riservare alla vita umana565.
3. Esercìzi di differenza. Prendere atto di questa complessità non significa arretra re davanti ai soprusi, né di fronte alla contro-retorica del lo calismo, né abbandonarsi alle derive di quel discorso pubbli co, occidentale e no, che mal rifornito di problemi concreti ama tutto ricondurre al cielo della metafisica, o al ‘dirty job’ della politica. Si tratta piuttosto - alla stessa stregua di quan to abbiamo invocato nei capitoli precedenti, a proposito del global business law o delle giurisdizioni penali universali di modellare strumentari i più aderenti possibile alla com plessità delle situazioni concrete. Quella cui si è chiamati è una scelta di contiguità ai pro blemi, che deve nondimeno far sua, e incorporare, un’altra serie di fattori essenziali alla comprensione dei fenomeni. Ciò di cui si sente il bisogno, da un lato, è un tentativo di in tegrazione degli strumenti, in modo da evitare gli estremi dell’indifferenza, quella relativista alla mutazione e quella universalista alla complessità. Ciò di cui si sente il bisogno, dall’altro lato - e anche in questa prospettiva -, è la consi derazione per il fattore ‘tempo’.
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Se è vero che un risvolto notevole della strategia dei di ritti umani è il loro utilizzo come veicoli di esportazione di modelli occidentali, il punto è che - a prescindere dalle op zioni a favore o contro tale utilizzo - questo export mira a diffondere modelli ‘odierni’, nel senso che si tratta di con cezioni che, da noi, appartengono a un modo diffuso di in tendere e organizzare la società solo da qualche secolo, e in qualche caso da pochi decenni. Sono modelli recenti di organizzazione del lavoro: si pen si al bando del lavoro minorile566. Sono recenti modelli cul turali, ad esempio: quanto alla nozione attuale di ‘assoluta’ inviolabilità della vita e dell’integrità fisica567, quanto alla no zione di tolleranza religiosa568, quanto ai diritti ambientali56’, quanto al ruolo sociale, politico, economico e giuridico del la donna570. E sicuro che, in tutti i casi, oggi si tratta di con cezioni e modelli di organizzazione sociale intorno ai quali il consenso, da noi, si acquista con poco. Ma altrettanto paci fico è che si tratta di modelli e concezioni la cui ricezione e attivazione si rivela estremamente costosa in ogni sistema che debba adottarli in poco tempo. Per far questo - per far diventare reclamabili oggi quei diritti irrivendicabili di cui parla Giuliano Amato571 -, talora bisognerebbe comprare un acceleratore per la propria storia, talora occorrerebbe inve ce comprare in blocco una tradizione (culturale, sociale, giu ridica) che propria non è.
4. La scelta per il candore - Il candore delle scelte.
Che fare, allora ? In qualsiasi prospettiva si collochi il problema, la presa in considerazione del contesto in cui diritti e cultura operano non è una variabile indipendente del discorso. Occorre però subito ricordare come su questi terreni, al di là dei crimini efferati ricadenti sotto le giurisdizioni internazionali (non da tutti accettate, come sappiamo)572, gli Stati restino largamen
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te sovrani, e sostanzialmente non sfidati - a differenza di ciò che abbiamo visto accadere nelle materie commerciali, finan ziarie ed economiche in generale - quanto alla selezione, e alla sanzione, di ciò che è lecito e ciò che è illecito. Ecco la ragione per cui non si è mai avviata l’istituzione di una Glob al Court of Human Rights, che non risultasse un miraggio della retorica e che - a differenza della Corte penale inter nazionale (di cui, se la prima fosse attuabile, non si sarebbe forse sentito il bisogno) - risultasse quindi dotata di regole di funzionamento a natura transculturale; provvista di pote ri effettivi, estesi a tutto il pianeta e, da ultimo ma non ulti mo, articolata in sezioni operanti in prossimità dei proble mi, all’interno delle realtà locali (e non con giudici altezzo samente seduti sugli scranni di una sede occidentale). La via per fuggire le sirene dell’ipocrisia, e per non in goiare il boccone amaro deWinanità, né quello indigesto del colonialismo umanitario, si annuncia allora assai stretta. Le opzioni possibili paiono difatti solo le seguenti. A) La retorica è retorica. Ci dichiariamo esplicitamente al lineati a chi considera i diritti umani, nella loro dimensione giuridica, «nonsense upon stilts»573 o «fictions»574, al più espressioni di una ricerca «post-materiale di ancoraggi e di significato»575. Prendiamo atto del loro destino operativo (per il momento, soprattutto) occidentale, continuiamo a batter ci per la loro puntuta difesa nelle nostre occidentali terre (e aule giudiziarie), consegnando il sogno di un’equivalente ap plicazione universale e quotidiana di quei diritti all’esilio do rato delle utopie. Nel frattempo riorientiamo le nostre ener gie umanitarie, le iniziative, gli investimenti, anche retorici, su frontiere diverse, che si affidano ai meccanismi dell’azio ne o della resistenza politica e che del linguaggio dei diritti e della tecnocrazia del diritto sappiano fare un uso solo stru mentale, a supporto del (mutevole) obiettivo politico576. Certo, anche in una direzione del genere è necessario te nere a mente, sia le lezioni impartite dal tempo, nostro e al trui, sia quelle che insegnano a rifiutare l’universalismo e il
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relativismo come termini mutualmente esclusivi, e a perce pire entrambe le visioni come costituenti di un processo con tinuo di negoziazione, fra interessi globali e locali, dell’indi viduo e del gruppo, tra l’implacabilità dei loro conflitti odier ni e la loro diversa possibile articolazione nel futuro. Ma le coordinate della riflessione e delle prassi restano, in questa prospettiva, tracciate da penne diverse, che al diritto chie dono la carta, non di riempirla. B) Abbiamo ragione : le premesse. L’alternativa è issarsi sul le spalle delle nostre ragioni odierne e perseverare a difen derle, trapiantando la cultura giuridica dei diritti umani ovunque (riteniamo) ve ne sia bisogno. Anche quest’atteg giamento necessita però di una visione e di una strategia con sapevoli. Potremmo partire allora dall’assunto sostanzialmente in discusso che la gran parte delle società sviluppano il proprio etnocentrismo (ossia: credono che sulle questioni volta a vol ta rilevanti il loro punto di vista sia migliore di quello degli altri)577 e supporre ai nostri fini che una prospettiva intima mente comune all’Occidente esista e sia quella cui facciamo riferimento. Ma poiché queste non sono buone ragioni per continuare a propagare le nostre visioni del mondo nel buio dei pregiudizi, o degli opportunismi, è meglio dirlo a noi e al mondo con franchezza e, con Rorty, riconoscere che « [U]sare la parola ‘razionale’ per rendere encomio alle proprie scel te di fronte a tali dilemmi, è un vacuo complimentarsi con se stessi ... la retorica che noi occidentali usiamo per tenta re di persuadere tutti quanti ad assomigliarci di più miglio rerebbe, se noi fossimo più onestamente etnocentrici e smet tessimo di professare universalismo. Sarebbe meglio dire: noi siamo divenuti ciò che siamo, perché abbiamo smesso di eser citare la schiavitù, abbiamo mandato le donne a scuola, ab biamo separato Stato e Chiesa, ecc. ecc.; ecco che cosa è ac caduto quando abbiamo cominciato a considerare arbitrarie certe distinzioni ... Dire tali cose è preferibile a dire: guar da quanto siamo più bravi noi a distinguere quali differenze
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fra le persone sono arbitrarie e quali non lo sono; quanto sia mo più morali noi rispetto a voi»578. Bi) Abbiamo ragione: le prassi possibili. Occorre intender si, perseguire l’alternativa in discorso non vale a celebrare al cuna pan-giuridicità delle soluzioni. Anche nella prospettiva dell’implementazione globale e operativa dei diritti umani, il monitoraggio di governi e Ong sul rispetto delle Carte firma te dai singoli paesi resta assolutamente indispensabile. Ma co me sappiamo le energie e le risorse degli attivisti non sono in finite, i governi hanno molti interessi da mediare e le nume rose carte contengono «non solo le attese proibizioni sulla crudeltà ma anche un’agenda di azioni per migliorare la vita delle popolazioni del mondo, il tipo di cose che noi potrem mo immaginare se dovessimo disegnare il Nirvana partendo da zero»5”. Cosi, se adottare sanzioni economiche al fine di ottenere la salvaguardia dei diritti rischia (oltre ai possibili strali della WTO) di mancare il bersaglio, punendo le popola zioni nel loro intero e non i responsabili degli abusi580, man tenere pressioni politiche sugli Stati che violano i propri im pegni nei confronti delle Carte che hanno sottoscritto, è in astratto possibile per la violazione di ogni diritto, ma la di stribuzione del potere e degli interessi economici sugli scac chieri geopolitici non consente operazioni scortate da tassi ac cettabili di efficacia, che siano a largo raggio (ossia dirette al la salvaguardia dell’intero catalogo dei diritti umani). E qui che soccorre il maturo pragmatismo delle proposte à la Antonio Cassese, il cui tratto potrebbe essere recupera to, scontato di ogni nostra pretesa impositiva, e collocato in una prospettiva capace di guardare in faccia e superare le sue criticità anche all’interno dell’occidente. Il recupero non è ovviamente inteso a fornire alibi agli autori di abusi e viola zioni degli altri, numerosi, diritti formalmente sanciti dalle Carte, né a postulare un’adesione generalizzata e globale al ‘catalogo Cassese’. Si tratta piuttosto - in linea con le pre messe dell’alternativa che stiamo discutendo - di fornire un senso operativo all’aspirazione occidentale a trovare il con
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senso più ampio possibile per le proprie proposte e di collo care quindi sul piano dAY effettività gli obiettivi perseguiti. In questo contesto, la riflessione sul metodo di quella propo sta si offrirebbe preziosa: (1) in chiave programmatica, come nuova piattaforma del discorso, pubblico e giuridico, sui di ritti umani; (n) in chiave operativa, per canalizzare le atten zioni, le retoriche, le energie e gli investimenti verso il con tenimento dei soprusi che maggiori sono ritenuti sul piano globale (e non solo dagli occidentali); (ni) in entrambe le pre cedenti dimensioni, quale purga dal dibattito di approssima zioni, spesso strategicamente orientate a legittiniare inter venti, anche militari, solo allorché il calcolo dei costi e bene fici risulti positivo per chi interviene581. B2) Abbiamo ragione: le avvertenze necessarie. Si potrà di scutere se il catalogo di Antonio Cassese è quello meglio ade guato a rispecchiare una gerarchia degli abusi condivisa dap pertutto; se esso debba essere riscritto in un trattato ad hoc; e comunque quanta flessibilità esso debba incorporare, in modo da assorbire le priorità e le istanze espresse, nella di namica del tempo, dalle variegate realtà non occidentali; su come quell’elenco possa trovare tutela rafforzata, effettiva, quotidiana, e con giudici (locali) di quale formazione, con quali avvocati, quali sanzioni e per chi; su come proseguire l’attività di salvaguardia delle istanze non incluse in quella lista, continuando a considerarle veri e propri diritti e allo ra immaginando strumenti giuridici per la loro protezione, oppure derubricandole ad aspirazioni politiche, che dalle po li tiché internazionali (e domestiche) dipendono. Indispensabile a ognuna di queste direzioni è però, anco ra una volta, guadagnare la coscienza che noi siamo figli e padri della nostra storia, tanto quanto lo sono gli altri, della loro. Ciò ci condurrebbe a introiettare due paradigmi inos sidabili - almeno quanto si sono rivelati tali a proposito dei destini possibili del commercio globale e delle giurisdizioni penali universali. Il primo marca il riconoscimento delle re gole altrui alla stessa stregua delle nostre, fe la consapevolez
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za operativa che senza la partecipazione degli utenti e dei fa citori locali del diritto ogni paradigma operativo rischia di rimanere lettera morta582. Il secondo scolpisce il rilievo fon damentale, per noi e per chiunque, che il fattore tempo - co me abbiamo piu volte ribadito - occupa nella costruzione dei fenomeni, quelli a venire, come quelli che abbiamo alle spal le, o di fronte. Rifornita di questi problemi e di queste strategie - nei termini che qui si è solo tentato di abbozzare -, la scelta di perseverare nella difesa ed esportazione dei diritti umani po trebbe consolidare un nesso accettabile fra premesse e risul tati. E cosi che quella stessa scelta potrebbe alleggerirsi del peso di retoriche pregne di obiettivi indistinti, contribuire a liberare il guardaroba della politica dagli abiti griffati con il marchio dell’opportunità e catalizzare sui terminali giuridi ci e giudiziari locali le risorse dei dibattiti, nazionali e trans nazionali, rafforzando notevolmente gli strumenti di prote zione di un set determinato di diritti. Nella prospettiva di quella scelta, del resto, nulla avrà un senso di cui il tempo ci possa rendere orgogliosi, se l’investi mento di energie politiche e comunicative nella costruzione delle condizioni concrete in cui quei diritti possono diventa re irrinunciabili, non saprà sposarsi con investimenti dello stesso calibro consacrati all’edificazione delle concrete con dizioni in cui (senza altre perdite, di identità, o di futuro) quei diritti possono diventare autonomamente e materialmen te rivendicabili, da chi ne subisce direttamente la violazione e davanti ai propri giudici - non solo a Berlino o New York, ma anche a Bangkok, Lima, Lagos o Riyàd.
5. Contro il vento. Che si prediliga la via che vede nei diritti umani, e nella loro giuridica universalità, una irrealizzabile utopia, oppure quella che ne accetta la mondana necessità come un compi
Un tempo per le soluzioni
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to da perseguire nel segno della storia e della geografia, un dato resta indubbio. L’idea stessa e il movimento per l’affer mazione dei diritti umani hanno saputo creare un’attitudine culturale, sociale, emozionale, che si è diffusa e che non so lo ha dato e dà quotidiano sostegno a innumerevoli ‘ultimi’, vittime di ogni sopruso, ma ha permesso a molti una svolta autentica nel modo di guardare ai fatti della propria e altrui vita585. Quell’idea e quel movimento hanno potuto piantare ra dici estese anche grazie alla capacità propulsiva dimostrata dal discorso politico, accademico e mediatico, che nel tem po ha edificato il piedistallo su cui i diritti umani sono assisi oggi. E un discorso che ha potuto produrre icone, parole d’ordine, luoghi comuni, ma anche retoriche avvincenti, re se possibili dal dominio che l’Occidente ha esercitato, so prattutto negli ultimi decenni, sui paradigmi a disposizione dell’opinione pubblica mondiale. Un potere che l’Occidente si è guadagnato grazie all’attrattività del proprio modello di organizzazione sociale; un potere che ha potuto dettare agenda e contenuti al discorso pubblico ‘altrui’, finendo coll’invertire l’onere della prova su qualsiasi argomento sfidas se i capisaldi del nostro modo di elaborare la civiltà. C’è da chiedersi, però, se il vento della storia spiri anco ra alle nostre spalle o se lo faccia con lo stesso impeto del pas sato. Se cosi non fosse - e alcune avvisaglie, demografiche, economiche e politiche, offrono una misura di questa even tualità - occorrerebbe interrogarsi seriamente anche su qua le destino possa garantirsi il nostro modo di pensare i dirit ti umani (e come saremo capaci di proteggerli) nei nuovi equi libri: quelli che la concorrenza fra modelli culturali, giuridici, economici e politici sta determinando, e quelli, ancora piu incerti, che essa scolpirà per le generazioni a venire.
Parte quarta
Diritto e democrazia
Capitolo quattordicesimo
La nostra democrazia e le tracce lunghe del (suo) diritto
i. Letizie e disincanti.
Una delle misure cui si fa più di frequente ricorso nel sag giare la democraticità di un paese non occidentale è l’ado zione, da parte di questi, di una costituzione intonata alla nostra ‘rule of law’584. Il superamento di questi esami è sta to salutato con letizia, per richiamare esempi ben conosciu ti, a riguardo delle Costituzioni irachena e afgana, celebran do le prove di democrazia offerte da quei martoriati paesi. Altrettanto agevole, per converso, è esprimere disincanto nei confronti di eventi che rappresentano solo tappe ‘a crono metro’, preliminari a un cammino che verso la democrazia appare tanto lungo quanto disseminato di ostacoli585. Misurazioni eteronome, letizia e disincanti non possono tuttavia oscurare dati che appaiono fondamentali per com prendere, sia le radici e le prospettive del dibattito sull’im pianto della democrazia, al di fuori dell’occidente euro-ame ricano, sia il ruolo specifico che riveste il diritto nel farsi di quei fenomeni e nella valutazione di quegli stessi dibattiti.
2. Il primato della democrazia : questione di tempo.
Nel guardare alle cose del mondo, la disponibilità della democrazia è d’abitudine presentata come un pre-requisito di ogni valutazione (politica, economica, giuridica) e, talora, come un imperativo da conseguire - senza o con l’aiuto oc cidentale - da parte delle società che non ne godono. Non è questo il luogo per discutere le varie declinazioni
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su cui i politologi occidentali appoggiano le proprie nozioni di democrazia586 o per dibattere se vi sia qualcosa di ineren te a quest’ultima che la renda astrattamente o necessariamen te ‘giusta’587. Indubbio è che, allo specchio di chi guarda le società non democratiche come patologie della storia, si ri trova chi pensa alle nostre democrazie come espressioni lo cali di una cultura particolare e poi chi, per luoghi e tempi dati, discute o celebra i meriti di forme di governo ‘altre’, incluse quelle di natura autocratica o epistocratica588. Si trat ta di prospettive, queste ultime38’, che hanno animato posi zioni e discussioni politiche, oggi con particolare riguardo al le società est-asiatiche e islamiche5”, e alle cui sfide è diffi cile offrire una risposta non dogmatica, ossia rispettosa delle altrui differenze. In questa sede - senza neppure pensare di poter affrontare con rigore questioni di tale ampiezza - , due soli dati meritano l’evidenza. In primo luogo, affidarsi a chi è saggio o sapiente presuppone convenire su chi lo è, e que sto, a sua volta, necessita di un corpo sociale che condivida diffusamente un’omogenea gerarchia di priorità politico-cul turali: presupposto che non può essere dato per scontato nel lungo periodo, e tanto meno all’ora attuale, in gran parte del le società conosciute. In secondo luogo, nelle forme non-democratiche di governo non c’è garanzia di ricambio nella cul tura e nelle preferenze di chi detiene il potere. Il che non osta cola derive autoritarie, e soprattutto rende sicuro che - di fronte al problema delle migliori condizioni di governo per la comunità - quanto possa far preferire la democrazia è la sua maggiore flessibilità di risposta nel tempo™'. Profilo que st’ultimo da considerare essenziale, quanto meno - per ri correre a una immagine nota, ma biologicamente impeccabi le - se ciascuna generazione, e ognuno di noi, accetta di es sere un inquilino che risponde ai propri figli e alle generazioni a venire, come ai veri padroni di casa. Ma quanto precede è solo uno spicchio del discorso, an che ai nostri fini. Un conto è difatti la preferibilità della de mocrazia, un altro è la sua struttura intima. Il confronto ma
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turo con le realtà non democratiche, ma anche coll’aspira zione occidentale a trasformarle e con lo stesso futuro nostro e altrui, non può prescindere dalla considerazione per gli ele menti costitutivi della nostra realtà, per la fibra di cui è tes suta la nostra democrazia. Ciò che permetterà di avanzare la discussione, in direzioni opposte a quelle perseguite, non so lo dai detrattori della stessa democrazia, ma anche (è quan to vedremo nel capitolo successivo) da chi la considera una merce facilmente esportabile. In entrambe le direzioni risulterà ovviamente necessario tenere sotto gli occhi i fattori di produzione degli argomen ti odierni. Si tratta di un confronto che appare invero indi spensabile, eppure è sovente gestito attraverso analisi (at traenti, ma nella nostra prospettiva) solo fino a un certo pun to rilevanti.
3. Democrazia e diritti.
Chiediamoci difatti quali siano, in Occidente, i fonda menti, o se si vuole i pre-requisiti, che - dalpunto di vista giu ridico - hanno reso possibile la nascita e lo sviluppo di quel la democrazia di cui oggi si discute anche come materia di trapianto5’2. Sgomberato il campo dall’ingenua credenza che la demo crazia si esaurisca sul mero piano delle (mutevoli) forme co stituzionali5’5, una prima risposta richiama i (parimenti va riabili) modelli di selezione dei governanti”4. Risposta indi scussa, come appena ricordato, ma che non basta a se stessa, se non arricchita da contenuti giuridici più densi. Questi por tano subito in superficie le grandi regole dell’eguaglianza e della libertà di espressione. Accanto ad esse, assieme ad es se, la storia ha però consegnato un ruolo di spicco a (il gro viglio di fenomeni che hanno alfine prodotto) la libera acces sibilità e la incisiva protezione della proprietà privata, ser batoio di obblighi, di diritti e, soprattutto, di riflessi comu
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nicativi. Riflessi che, nel lungo e travagliato periodo593 - con i ricorrenti rischi di sopraffazione a spese dei non- o piccoli proprietari -, sono stati capaci di veicolare su, e irradiare dal l’individuo valori e pretese che hanno finito col conformare la sua stessa soggettività nei riguardi dei consociati e dei po teri pubblici396. Non è un caso del resto che la tutela messa a punto in riferimento al diritto di proprietà privata si sia nel corso del tempo posta in corrispondenza biunivoca con l’i dea secondo cui i diritti spettano all’individuo come tale, e non in quanto membro di una famiglia, di una tribù, o di una comunità religiosa, etnica o partitica397. Di qui, lo stesso prin cipio che riconosce in capo all’individuo obblighi e diritti si collega ulteriormente al principio per cui la responsabilità è personale, e non di gruppo, e si sviluppa nel riconoscimento della intangibilità della sfera privata di ciascuno, la quale a sua volta assume la struttura di tutela che è stata elaborata per la proprietà privata598. Alla domanda sui pre-requisiti della democrazia, una se conda risposta, intimamente connessa a quanto precede, segnala che, per come la intendiamo in Occidente (e per co me la dovremmo confrontare quindi con gli altri sistemi), la democrazia si rivela un complesso insieme di diritti e dove ri che il sistema giuridico, come implementato dai corpi ap plicativi, garantisce quotidianamente vengano rispettati, da gli individui cosi come dalle istituzioni. Che anche queste ul time siano (nel tempo divenute) soggette al controllo del diritto, ha costituito la via che oggi consente al cerchio de mocratico di aprirsi e chiudersi in capo ai singoli individui. Al fine minimo di scoprire, valutare e sviluppare le proprie preferenze, incluse le scelte politiche e istituzionali, gli indi vidui hanno difatti bisogno delle risorse comunicative che, nelle nostre società, sono loro fornite proprio dalla consape volezza, propagata e diffusa, della materiale reclamabilità di quei diritti e di quei doveri599.
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4. Specialismo e secolarismo (Gregorio VII, re Andrea II e Podiebrad, mugnai e follatori). Un altro dato essenziale a comprendere le ‘nostre’ demo crazie è che la mentalità occidentale assegna alla giustizia e al diritto (in particolare a quello civile, il quale, veste e au tentico tessuto connettivo dei rapporti fondamentali ‘con’ le cose e ‘fra’ le persone del mondo, ha funto storicamente da matrice allo sviluppo delle altre branche del diritto)600 uno spazio autonomo, estraneo alla dimensione delle scelte pura mente politiche, puramente morali o puramente religiose. Un’autonomia che ha vissuto un parallelo dinamismo di qua e di là della Manica601, conoscendo cicliche restrizioni ed ero sioni, ma che ha sempre incaricato la storia di ridicolizzare ogni tentativo di definitiva soppressione. Giustizia e dirit to, a loro volta - si noti - da non intendersi quali prospetti ve metafisiche602 o come nomenclature giurisdizionali, testi scritti603, galere e gabelle, ma quale mentalità diffusa, tradi zione profonda, visione quotidiana di cosa sia la legittimità604, a chi e come spetti amministrarla605. E questo un presupposto fondamentale, fra quelli che la storia ci ha consegnato, per ognuna delle nostre democrazie. A partire con nettezza dal xn secolo606 (e questo profilo del la storia trascenderà pure Weimar, Vichy, Salò o il Piano Marshall), la succitata autonomia607 dello spazio giuridico si lascia difatti cogliere in rapporto di corrispondenza biunivo ca con l’idea e la convinzione che l’amministrazione del di ritto debba essere affidata a un ceto, non di teologi o ideo logi, ma di tecnocrati. Professionisti i quali svolgono la pro pria attività sulla base di una cultura specialistica. Un sapere che è coltivato e percepito come terzo, imparziale, e che pro prio per questo ha potuto rappresentare il terreno fertile in grado di accogliere, quando la storia ha inteso affidarglieli, i semi delle libertà e della eguaglianza. Di sicuro, tutto ciò non sarebbe stato possibile se le for-
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ze che hanno guidato le evoluzioni della nostra storia, anche economica, non avessero avuto bisogno del diritto che noi conosciamo, e non ne avessero promosso lo sviluppo608. Di sicuro, tutto ciò non sarebbe stato possibile senza che un al tro motore della nostra civiltà, il cristianesimo occidentale60’, non avesse ribadito, con forza dai tempi di Gregorio VII610 (certo con qualche, anche recentissima, distorsione), il pre cetto evangelico che incoraggia il rispetto di Cesare611. Ma tutte queste occorrenze non sarebbero bastate a loro stesse se il tecnicismo del diritto non fosse stato in grado di forgiare pretese e obblighi indipendenti dal principe e dal trascendente. Ciò che ha consentito a quel tecnicismo di fun gere da efficace ‘isolante’ rispetto alle pressioni del potere politico e religioso. Ciò che‘ha concorso a costruire e diffon dere quella mentalità, quel bagaglio di riflessi culturali, che ha permesso, nel lungo periodo, alla Magna Charta, alla Bol la d’oro di re Andrea II612, a re Podiebrad613 e poi agli stessi illuministi, al parlamentarismo inglese, a Madison & Co., a tutti gli autori degli sforzi di minimizzare l’impatto dell’ar bitrio nelle nostre società - sforzi i cui esiti piu maturi sono proprio le nostre democrazie - , di far prevalere la legittimità (come la richiamiamo in queste pagine) sullà sovranità, di qualsiasi conio. Il dato che richiama lo specialismo e il professionismo del giurista occidentale distende poi la propria valenza anche in un’altra direzione. Il patrimonio di conoscenze (e di tecni che necessarie ad acquisirle) è diventato infatti, e dappertut to in Occidente, un fattore organizzativo del sistema. Ciò che è avvenuto non solo come si è detto ‘dal basso’: nel sen so che la percezione quotidiana dell’astratto ‘giusto’ si irrorò lentamente del concreto ‘legittimo’ - per i mugnai di Pots dam come già per gli artigiani di Figeac, i follatori di Gand o tutti gli altri promotori delle lotte proto-sindacali del ’200 e ^oo614 ma anche ‘dall’alto’, nel senso che mentre da un lato le conoscenze tecnico-giuridiche servivano a descrivere l’insieme delle regole e delle istituzioni secolari, dall’altro la-
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to il funzionamento delle stesse regole e istituzioni è dive nuto conoscibile e praticabile solo attraverso i giuristi - e non attraverso i politici o i ministri del culto. E in quest’ultima prospettiva che si comprendono pure le differenze di struttura, di categorie e di nomenclatura che, aH’interno dello stesso Occidente, si riscontrano: fra sistemi a profonda impronta liberista e quelli che si sono rifatti o s’i spirano a modelli ‘sociali’ di mercato; fra paesi ‘romanistici’ e quelli di common law. Paradossalmente queste differenze sono possibili proprio perché nella nostra tradizione l’auto nomia del giuridico dalle scelte politiche contingenti si è, nel corso del tempo, affermata come un valore fondamentale e diffuso, permettendo al diritto di evolversi indipendente mente dalle somiglianze o dalle differenze che la storia ha marcato in ambito politico, sociale o economico615.
5. Il diritto fra ‘purezze’ e totalitarismi. Alla base del modo nostro d’intendere la democrazia e il diritto vi è, insomma, questa circolarità fra libertà e diritti individuali, secolarismo e professionismo, risorse comunica tive e mentalità diffuse. Nessuno può ignorare, lo abbiamo già sottolineato, che ognuno degli esiti di cui discorriamo è stato seme e frutto di una congerie di fattori, economici, religiosi, politici, né che l’influenza di questi ultimi può essere più elevata in materie pubblico-costituzionali. Sul punto, tuttavia, quanto permet te di sfuggire alla zoppia cognitiva è ricordare: che il diritto si coglie dappertutto quale infrastruttura sociale di condot te pubbliche e private; che nelle democrazie esso si pone pu re quale fondamentale premessa dell’esercizio del potere; che quindi il governante di turno, da noi, può essere legittimamente scelto, e operare, solo grazie al diritto. Altro è quindi ogni discussione sulla dimensione ‘politi ca’ del diritto e altro è la dipendenza delle prassi operative
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e discorsive dal principe ad interim. Si badi poi che qui non so no in gioco (né i sussulti della politica quotidiana, vale ripeter lo, né alcuna di) quelle discussioni - anch’esse, et pour cause, tutte occidentali - circa la ‘purezza’ astratta del diritto come fine in sé. Posizione che, da un lato, si nega alla evidente con siderazione che, dappertutto, il diritto si colloca in rapporto di namicamente biunivoco con la civiltà che esso contribuisce a forgiare, e di cui è espressione. Posizione che, dall’altro lato, si svela incapace di cogliere come ad essa possano abbarbicarsi ta vole di valori etero- o sovra-imposti, di cui le finalità sono so lo apparentemente neutre616. Si potrà allora trattare di valori ‘naturali’ o religiosi617 (il cui problema più evidente, anche in Occidente, è - oltre al fatto che quegli stessi valori possano declinarsi diversamente già all’attraversamento di una frontie ra - il tasso di condivisione, in società i cui membri sono sem pre meno proni a raccogliere l’ampia gamma delle proprie scel te di vita sotto l’ombrello, che si vorrebbe esteso, di una com patta prospettiva valoriale)618. Oppure, si potrà trattare della difesa dei valori di cui è imbevuto un diritto ‘consuetudinario’, la cui velocità di sviluppo consente al meglio il mantenimento dello status quo - l’esempio occidentale notevole è il common law angloamericano, per lungo tempo al servizio degli interes si maggiori di una fetta minore della società61’. Non sbaglia perciò chi ricorda come la battaglia dei valo ri in ogni società si giochi anche (e da noi: soprattutto) sul tavolo del diritto e come i sistemi giuridici possano rappre sentarsi nel loro complesso quali «contested sites of meaning, where dominant ideas and values provide the framework for contestation and for advancing alternative understandings and practices»620. Quel che però muta con i luoghi e con la storia - e si tratta di un dato fondamentale - è la differente civiltà giuridica diffusa nella società di riferimento, e quin di la diversa capacità dei giuristi, laici o no, di contribuire, o resistere, alle torsioni impresse alle regole da chi governa la comunità. Ebbene, in Occidente, a differenza che altro ve, tale capacità si è consolidata (con o senza un formale os
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sequio alla moderna separazione dei poteri)621 attraverso gli strumenti della tecnocrazia laica e secolare, erigendo que st’ultima a caratteristica saliente dei rapporti fra potere e in dividuo e a solido piedistallo per il ruolo che il diritto ha sa puto stabilmente esercitare all’interno delle nostre società622. Fra i tanti possibili, un esempio ancora, vicino alla nostra storia. Senza l’autonomia del diritto, intesa come abbiamo ricordato - e come alimentata dai corpi applicativi, e dalla stessa cultura diffusa presso gli utenti del diritto - diviene difficile spiegare la sostanziale impermeabilità della natura e dell’articolazione degli istituti giuridici fondamentali allo scorrere dei nostri regimi totalitari, ciò che ha fin qui rap presentato un’affidabile promessa di superamento di ogni contingenza autocratica: una sorta di siero biotico contro ogni totalitarismo 62’. Totalitarismi che il diritto occidentale, di per sé, non ha i mezzi per prevenire, ma ha avuto la for za di archiviare rapidamente. E in questa traccia che si può in effetti comprendere l’agio relativo con cui la democrazia ha guadagnato il suo ruolo nell’Italia e nella Germania del secondo dopoguerra; ed è per questi stessi motivi che acco munare, senza l’analisi che stiamo qui evocando, l’esperien za nostra e tedesca624 a quella della possibile democrazia ira chena, o afgana, appare un percorso argomentativo indebi tato col grottesco, assai più che coll’opportunismo. Certo, ovunque la democrazia abbia prevalso si è tratta to di una vittoria faticosa e costosa. Ma di sicuro è una vit toria che non si sarebbe potuta raggiungere se il campo di battaglia non fosse stato liberato degli ostacoli del trascen dentalismo religioso625, se non fossero stati a disposizione gli armamentari propri a quella tradizione che abbiamo richia mato, alla sua tecnostruttura, ai suoi professionisti. Vittoria e armamenti, vale la pena di sottolinearlo, che possono all’o ra attuale assumere il ruolo di demarcatori, e fra i piu nitidi, di cosa sia V Occidente rispetto a ciò che non lo è, di dove la democrazia possa farsi strada in tempi ragionevoli e di dove quella strada rischi di rivelarsi cieca o assai più lunga.
Capitolo quindicesimo
Derive ed espansioni
È solo nella prospettiva tracciata nel capitolo preceden te che la democrazia può essere colta, da noi, come sorella siamese della ‘rule of law’. Coppia di elementi che, come ab biamo visto, presso svariati e influenti consessi, sarebbero destinati a circolare parallelamente, non insieme alla consa pevolezza della propria storia, ma con il peso e la leggerezza di una nuvola, con la velocità del vento che tutto spazza e tutto rinnova626. Su quella coppia, giunti a questo punto del discorso, sia mo però in grado di intenderci meglio e di proporre una se rie di osservazioni utili a collocare in una prospettiva dina mica le nostre stesse esperienze, nonché a vagliare quanto quella stessa prospettiva sia necessaria per essere padroni del le scelte che l’Occidente è (o si sente) chiamato a compiere fuori dai propri confini.
i. Arretramenti possibili.
Abbiamo detto che, al di là delle epifanie contingenti, do mestiche a questo o quello spicchio della comunità occiden tale, la circolarità prodotta dalla tutela dei diritti individua li e dal secolarismo e professionismo dei giuristi, la menta lità diffusa che è attraverso i secondi che si reclamano i primi, le libertà, l’eguaglianza, la laicità dello Stato, sono i capisal di della nostra democrazia. Altrettanto vero è, però, che que sti pilastri hanno conosciuto fasi di edificazione lunghe e pe-
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tigliose627. È bene ribadire cioè che il dinamismo storico è proprio anche alla nostra civiltà, alla nostra tradizione, e che leggere i fenomeni di luiigo periodo come abbiamo fatto nei paragrafi precedenti, non significa celebrare alcuna fine del la storia, alcuna sua ineluttabile linearità, alcun inarrestabi le progresso quale nozione sempre e ovunque condivisa (a meno che non si voglia ridurre il progresso a quello scienti fico-tecnologico)628. Il futuro che vogliamo è quello che sapremo costruire, co me lo è il tempo odierno, che ha saputo essere esito di con flitti violenti, spesso armati, in nome di visioni del mondo che erano o si rappresentavano come antitetiche (dal contra sto fra i baroni e il re in Inghilterra, a quello sul continente fra papato e impero, dalle guerre di religione a quelle d’indi pendenza, civili, mondiali). Visioni che nel lungo periodo po trebbero entrare nuovamente in conflitto. Non essendo da noi all’orizzonte totalitarismi, si tratta piuttosto di conflitti che potrebbero essere causati da arre tramenti significativi sul piano dei diritti di libertà, per ipo tesi supportati dal consenso popolare, ad esempio in nome di ragioni di sicurezza nazionale protratte indefinitamente nel tempo62’. Oppure si potrà trattare di un’erosione della so vranità, statuale e democratica, da parte dei mercati finan ziari e delle istituzioni del capitalismo ‘scatenato’630, erosio ne ancora più marcata di quella di cui abbiamo dato conto nei Capitoli sesto e settimo, e tale da ridurre il raggio di ma novra degli eletti dal popolo oltre il punto in cui si pongono a repentaglio dei cittadini gli stessi diritti politici (in termi ni di rappresentanza effettiva) o sociali (e.g., rendendo an cor più dipendenti dai mercati le prestazioni previdenziali, sanitarie o di. economia sociale). Esiti che, incidendo sulla stessa allocazione dei diritti e penalizzando soprattutto i sog getti più deboli del corpo sociale, sottoporrebbero a tensio ni ancora più stridenti di quelle odierne lo stesso principio di eguaglianza tra cittadini. Ma i conflitti possono nascere pure in virtù del radica
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mento sociale di orientamenti che mal sopportano (non ne cessariamente il principio teorico, ma) le pratiche quotidiane della laicità dello Stato e delle sue istituzioni, a partire dalle scelte cc.dd. eticamente sensibili6’1. Denominazione che ri sulta goffa (quante scelte non lo sono ?), ma funzionale anche a promuovere una profonda diseguaglianza fra chi a quelle scelte può dar corso altrove, fuori dallo Stato che le proibi sce, e chi quell’opzione non può praticarla. Oppure si potrà trattare di conflitti generati dal progressivo e diffuso consen so guadagnabile da posizioni che rivendicano, allo specchio di altrui fondamentalismi, o semplici diversità, un più saldo ancoraggio della propria società a valori tradizionali, presun ti e no6’2, fra i quali sono inclusi, talora come fondale che si fa fronte del palcoscenico, quelli comunitari/identitari e quel li religiosi6”. Valori, questi ultimi, che potrebbero armare due differenti pretese: che lo Stato si faccia braccio normativo della maggioranza religiosa, o ‘etnica’, nei confronti delle al trui minorità; che una minoranza non secolarizzata allarghi il raggio d’influenza delle proprie visioni sulle regole di convi venza (profittando pure di climi culturali in cui il multicultu ralismo è vissuto non come confronto continuo con la diver sità, ma come percorso di smarrimento dell’identità più tol lerante). Il risultato sarebbe all’evidenza quello di erodere principi fondanti come quello della laicità dello Stato e, an cora una volta, quello dell’eguaglianza dei cittadini6’4. Si tratta di arretramenti che, a differenza dei totalitari smi politici - architetture costituzionali e reti di polizia -, potrebbero incidere sulla sala-motori delle percezioni e del le aspettative sociali. Ciò che da noi certo (o auspicabilmen te) potrebbe accadere solo nel lungo periodo. Ciò che da noi potrebbe poi finire per scontrarsi - come è accaduto al tra monto dei totalitarismi novecenteschi - con la riemersione di quelle risorse culturali e professionali, di quella mentalità diffusa circa la reclamabilità dei diritti e dei doveri, pubbli ci e privati, che abbiamo visto essere gli elementi fondanti delle nostre forme di convivenza.
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Ma si tratta di una consapevolezza, quella del lungo pe riodo, che dovrebbe essere tale anche con riguardo al com plesso farsi dell’odierna democrazia e delle sue componenti, nutrendo cosi qualsiasi punto di vista, circa il divenire delle storie nostre e altrui, circa i variegati ‘oggi’ e ‘domani’ del le dinamiche sociali e istituzionali.
2. Accelerazioni ed etnocentrismi. L’accresciuta velocità delle comunicazioni - uno dei fat tori fondanti i fenomeni della globalizzazione - incentiva in vece un pregiudizio esteso circa la parallela accelerazione di ogni mutamento6’5. E cosi che si smarriscono, si oscurano o si rendono meno visibili le asincronie dettate dalle differen ze (non solo digitali, nelle infrastrutture o nel Pii) che per corrono le società del pianeta. Ma è cosi che la centrifuga del discorso globalizzante alimenta pure una visione del mondo incapace di filtrare i propri argomenti (e le proprie possibili ragioni) al setaccio della geografia e della storia altrui. In questo contesto si colloca pure - al netto di ragioni me no nobili - il dibattito sull’esportazione della (nostra) demo crazia. Come abbiamo visto per i diritti umani, anche su questo versante possono facilmente entrare in rotta di collisione le passioni e le analisi, i linguaggi e le pratiche, le strategie e il candore, gli interessi nostri e quelli altrui, gli interessi di og gi e quelli di domani. Come valutare allora questo dibattito, e i suoi fattori di produzione ? Anche qui le variabili da considerare sono numerose, e d’abitudine rincorrono le preferenze di chi le usa. Detto però che le gloriose litanie messianiche, incluse quelle neoliberali, che tutto rivoltano, e molto trascurano, hanno dietro di sé una storia trapuntata di fallimenti, non solo economici, vale la pena - ed è certo, anche cognitiva
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mente, imprescindibile - accettare nuovamente la sfida con un dato che abbiamo già incontrato (e che non è estraneo a quelle stesse litanie). E ciò che gli antropologi insegnano es sere una prospettiva difficilmente sradicabile dalle società umane, ossia l’etnocentrismo espansionista: qui declinato co me tendenza a considerare migliori delle altre le proprie for me di convivenza e quindi a diffonderle quanto possibile6’6 - e cosi espandere e rafforzare i propri interessi. Si tratta in altri termini di assumere: che in Occidente la democrazia è considerata un bene in sé, o il male minore fra le forme di governo conosciute; nonché che l’Occidente è inevitabile si faccia promotore della visione del mondo di cui oggi dispo ne, visione che include l’incarico di spargere ovunque i semi dèlia democrazia, come behe da condividere con il resto del l’umanità, anche al fine di far meglio convivere il proprio plurimo sé (umanitario, affaristico, culturale) con i mondi al trui. E un atteggiamento che può rappresentarsi come nobile, o necessitato, ma affinché non si riveli goffo, o tragico, al cuni dati vanno allineati - privilegiando come sempre quel li con il regolo puntato sul diritto.
3. Trapianti e rigetti. (1) In primo luogo, non dovrebbe sfuggire che un atteg giamento mirante a riprodurre, sic et simpliciter, la demo crazia, le sue regole e istituzioni, come maturate nell’alveo dell’occidente, in esperienze ad esso estranee, si espone a controindicazioni drammatiche, anche sul versante più squi sitamente strategico. Il trapianto rischia infatti di produrre un costo di manu tenzione della transizione, dalle regole altrui alle nostre, straordinariamente alto (anche per chi ha semplicemente a cuore là costituzione di ‘mercati’). Costo contrassegnato dal l’elevato tasso di imprevedibilità, circa la tutela di ogni di
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ritto e l’attuazione di ogni regola imposte dall’esterno - in cluse quelle elettorali, con i rischi di traumi da «inedita rap presentanza» (per gruppi tradizionalmente ai margini del po tere in quella comunità)637 -, in ambienti che possono essere, culturalmente, professionalmente o tecnicamente, imprepa rati a recepire e/o amministrare prontamente quelle regole, nell’orizzonte diffuso e variegato della quotidianità638. Quei costi di manutenzione sono poi destinati ad aumen tare, e di molto, senza una maggiore articolazione in punto di scelta degli interlocutori. L’obiettivo di assicurare effica cia al rispetto delle regole e dei diritti che vorremmo trapian tare, ancora oggi, non sempre include come dovrebbe tutti i soggetti che possono garantire effettività al progetto, in spe cie allorché lo Stato si mostri indifferente, insufficiente o in capace a darvi seguito, o a dirittura complice della sua mes sa in iscacco. La lista di tali soggetti è ampia, comprenden do certamente le organizzazioni umanitarie, le istituzioni endostatuali riconosciute dallo Stato, senza dimenticare le imprese e ogni altra istituzione detentrice di poteri effetti vi, e quindi di autorità giuridica, su la vita e le modalità in cui si pratica l’appartenenza delle persone: dalla famiglia, al la tribù, alle comunità territoriali, a quelle religiose63’. La interlocuzione forzata in direzione ‘top-down’, tanto più se mirata unicamente verso lo Stato altrui, reca poi co me sottoprodotto un’ulteriore minaccia, da valutarsi sempre più seriamente in termini di strategia politica: quella di in coraggiare la tensione, latente o già esplicita nel dibattito po litico extra-occidentale, fra Tradizione propria e Modernità altrui. I nuovi media del resto consentono facilmente alle po polazioni locali di ricevere, non soltanto i messaggi del ‘ne mico imperialista’ e del potere domestico, ma anche le altre, diverse voci che dissentono dalla nostra ‘modernità’. Di qui il pericolo del consolidarsi di un serbatoio automatico di ri sposte condivise, nascenti dalla fusione fra l’elemento identitario della tradizione e l’attrattività della postura naziona le della resistenza640. Di qui anche, e di conseguenza, il ri
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schio di impoverire il discorso politico locale rafforzando la mano dei sedicenti tradizionalisti - ai quali è offerta una chance gloriosa di presentare qualunque loro politica come un’alternativa, al contempo globale e locale, alle mire ‘altrui’, ossia le nostre (e da quella gloriosa chance alla radiosa lotta per il terrorismo il passo non è mai stato così breve)641. (n) In secondo luogo, occorrerebbe riconoscere consape volmente, e manifestare pubblicamente, quali siano i presup posti e gli obiettivi dei nostri ‘interventi’, militari e no, fuo ri dai nostri confini. Di fronte al riscontro di ‘carenze’ de mocratiche in Russia o Cina siamo in grado di / pronti a eseguire o minacciare ritorsioni dotate di effettività ? La sto ria recente insegna di no, e pare proiettare la stessa risposta anche nel prevedibile futuro. Con quali strumenti pacifici pensiamo allora di confrontarci con le altrui mire di espan dere i propri interessi, i propri modelli di business, i propri ‘modi di guardare al mondo’ ? Ecco le ragioni per cui chiari re, a noi e ai discorsi pubblici altrui, premesse e obiettivi di ognuno degli interventi pro-democrazia, nonché Io strumen tario culturale di cui intendiamo servirci, è una necessità da affrontare con candore e urgenza. Non basta certo semina re parole d’ordine generiche - senza geografia né storia (se non la nostra), quali - ‘proteggere i diritti umani’, ‘costrui re la democrazia’, ‘diffondere la rule of law’, di cui sappia mo zeppe le dichiarazioni d’intenti di governi e organizza zioni internazionali. Questi sono proclami che, senza la sot tostante consapevolezza circa presupposti e scopi, nonché circa il tortuoso farsi dei fenomeni, si limitano a trasudare baldanzosa indifferenza per le realtà altrui e a imbottire il dibattito (senza che occorra richiamare le coscienze) di or pelli e distorsioni che alimentano, vuoi una mancanza di tra sparenza delle élite politiche, economiche, militari, vuoi un imbarazzante spreco di buona fede ingenuità ed energie di una moltitudine di individui, occidentali e no. (ni) Ricordare come tutti noi siamo figli di una storia multilineare, che ha condotto solo di recente le nostre idee di
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democrazia a maturità, muove una considerazione ulteriore. Se l’obiettivo è promuovere la nostra democrazia fuori dai confini dell’occidente, il minimo viatico è essere consape voli di quali siano i fattori che ne hanno reso possibile la na scita e lo sviluppo. Di sicuro le Costituzioni, le forme di go verno, i sistemi elettorali sono importanti ma, come abbia mo detto, senza la percezione diffusa e capillare della reclamabilità dei propri diritti, e della legalità, nei confron ti di chiunque, qualsiasi tentativo di radicare e diffondere il seme primigenio delle nostre convivenze resta un desiderio pio o ipocrita. Nella stessa prospettiva è bene aggiungere - quanto ab biamo ricordato più volte, ossia - che non esiste, in e per nessun paese, un modello «ideale» di sviluppo giuridico. Più precisamente, non esiste alcun modello di sviluppo giuridi co che possa fare a meno di nutrire robusti legami di compa tibilità con la realtà socio-economica, culturale e giuridica pre-esistente. Lo stesso progetto di sovrapporre a contesti dati modelli giuridici altrui si rivelerebbe inefficiente, e si è rivelato storicamente tale, perché sordo alla realtà che tutte le analisi fin qui richiamate riflettono, e al contesto sociale e culturale in cui le stesse regole fioriscono e operano. Beninteso: è verosimile che la realtà attuale del mondo, e in particolare la potenza globale dei media, degli argomen ti, dei modelli e simboli da essi veicolati, possa far si che non occorra un millennio, e forse neppure un secolo, affinché le nostre idee (possibilmente depurate da arroganze e cecità) e il nostro strumentario di diritti s’incardinino stabilmente in società diverse dalle nostre. Ma supporre che questi siano processi che si compiono nell’arco di un decennio, o pure di una generazione, significa amoreggiare con l’utopia e rifiu tarsi di convivere con la realtà.
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4. I limiti del nostro discorso. Sulla scorta di queste premesse, un progetto possibile è quello di costruire modelli d’intervento, rectius: di coopera zione, quanto piu discosti da ogni millenarismo, da ogni messianesimo ‘civilizzatore’ e adeguati alla bisogna, nostra e al trui. La prospettiva di chi scrive è tesa a richiamare unicamen te alcuni basilari pre-requisiti della democrazia, come la sto ria ce li ha consegnati e sotto il profilo squisitamente giuri dico642. Altro poi è - vale la pena di ribadirlo - scegliere co me far fiorire quella democrazia, in quale delle direzioni che essa e il suo diritto consentono: con o senza domestiche e drammatiche sperequazioni economiche, con o senza uno svi luppo debitore di aiuti esteri (e se ‘con’, fino a che punto). Qui la penna passa ad altri saperi. L’avvertenza è però una, ed è la solita. Si tratta di scelte che sarebbe bene dipendes sero assai più dal tempo e dalle fatiche di chi localmente lo produce, che dallo sfrenato e uniyersalista liberismo, o anti liberismo, di chi anche dei destini e del tempo altrui - ‘a fin di bene’, il va sans le dire - vuole restare padrone. Tralasceremo quindi ogni considerazione per una serie di questioni ben connesse alla genesi della democrazia, e del suo diritto, ma che si pongono al di là dei limiti di questa inda gine. Il riferimento va ovviamente alla desiderabilità di al tre forme di convivenza e di sviluppo (facile e tumultuoso è il richiamo all’odierno modello cinese)643 o alla diatriba sul genere di sviluppo da incentivare, privilegiando la sola accu mulazione o appaiandole fin da subito la redistribuzione644, e poi all’ineluttabilità del legame fra democrazie e capitali smi645, cosi come al mai troppo enfatizzato tema degli «ob vious goods»646 (dai vaccini agli antibiotici, dalle sementi ai fertilizzanti - e ai corrispondenti diritti di proprietà intellet tuale -, dalle infrastrutture logistiche, all’eliminazione di mi ne e residui esplosivi), i quali rappresentano utilità la cui di
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stribuzione capillare è talmente indispensabile, da qualificar si come presupposto irrinunciabile di ogni cooperazione re sponsabile, a qualsiasi fine diretta647.
5. Una Global Court for International Aid. Si tratta però di una indispensabilità che nel frattempo, si consenta di aprire un inciso, dovrebbe confrontarsi con la parallela esigenza di chiamare finalmente governi e agenzie internazionali a rispondere del proprio operato, e delle pro prie altisonanti promesse, nei confronti del ‘sud’ del mondo. Questa è una prospettiva che non dipende da alcuna for zata equiparazione tra democrazia e sviluppo economico. E piuttosto una prospettiva alimentata dalla stringente consa pevolezza che il tempo necessario a un ripensamento delle nostre attitudini, dei nostri progetti, delle stesse regolazio ni, anche di quelle di cui abbiamo parlato nèl Capitolo sesto, non può passare invano nei confronti delle economie e dei popoli più deboli del pianeta648. Nei riguardi di questi ulti mi, i proclami (nostri) e le illusioni (di molti) si rincorrono da decenni. Ad esempio, proprio per accorciare tali distan ze, a partire dal summit 2008 di Hokkaido Toyako, il G8 ha inteso istituire una procedura di verifica degli impegni as sunti dagli Stati membri nei riguardi dei paesi e popolazioni più vulnerabili64’. Il meccanismo però prevede unicamente la confezione di un Report a cura di un gruppo di esperti da presentarsi al vertice di Muskoka in Canada, nel 2010. La natura largamente auto-referenziale dell’iniziativa salta agli occhi, non appena ci si accorge che manca qualunque con trollo esterno al lavoro degli esperti, cosi come è assente, ver so chi non adempie le promesse, qualsiasi misura sanzionatoria - se non quelle potenzialmente mediatiche, che agli ul timi del mondo, destinatari di quei mancati aiuti, è difficile risultino sufficienti. Qui allora conta mettere a fuoco i modi con cui soddisfa
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re la necessità richiamata poco sopra: far finalmente rispon dere governi e agenzie di quanto promesso e non adempiu to, o mal adempiuto. Questa assunzione di responsabilità po trebbe acquisire i toni della serietà di fronte a un organo che - per delinearne qui rozzamente i contorni - si candidereb be al ruolo di Global Court for International Aid, da istituir si ad esempio presso l’Onu. Tale organo, composto di sezio ni specializzate, per tema e regione, e a partecipazione mista (Ong, governi, agenzie, rappresentanti locali non governati vi), avrebbe il compito di valutare quanto è stato e quanto non è stato realizzato alla luce delle Dichiarazioni, Agende, Patti, Accordi, liberamente e ufficialmente adottati da quei soggetti in questo o quel consesso internazionale. Alla Cor te dovrebbe essere poi attribuita la competenza, e la stru mentazione tecnica, per sanzionare efficacemente gli inadem pienti, o i mal-adempienti, con condanne risarcitorie in de naro o in natura (ad es., attraverso misure macro- e micro finanziarie, commerciali, tariffarie o non tariffarie, o attra verso la realizzazione di opere pubbliche, con l’impiego di personale indigeno), da erogare a favore e con il concerto del le realtà locali, secondo i criteri dettati dalla Corte medesima. Al pari di quella divisata in materia finanziaria (al Capi tolo 6, § 6), e a differenza di molti altri esperimenti di giu risdizione universale, troppo spesso intonati al vae victìs o di pendenti dall’unilateralismo della domestica forza sovrana650, questa rappresenterebbe un’iniziativa che, oltre a reagire al le locali istanze e aspettative - create da promesse altrui -, sarebbe dotata dell’effettività opportuna a fissare alle pro prie responsabilità soggetti altrimenti, e fin qui, non ben riforniti di incentivi diversi da quelli di rispondere burocra ticamente ai propri statuti o ai propri compassionevoli e (troppo spesso solo) cosmetici proclami.
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6. Oltre il democratic short-termism.
Torniamo ora ai contenuti sostanziali di cui, dal punto di vista giuridico, è necessario si doti qualunque prospettiva che, a partire dall’Occidente, voglia incentivare la nascita o lo sviluppo della democrazia. Va senza dirlo che il primo passo in questa direzione do vrebbe ribadire l’inutilità di ogni intervento imposto dall’al to, specie quelli di occupazione militare (dei limiti da frap porre allo stesso intervento ‘umanitario’ abbiamo già discus so)651. Occupazioni che, a meno che non le si mantenga sul campo per decenni, hanno storicamente mostrato, di per sé, di saper incidere sulle culture (anche giuridiche) locali quan to le ali per il volo del tacchino652. Il secondo passo dovrebbe chiamare in causa, da parte dell’Occidente e delle istituzioni globali, l’esercizio di quella vi sione che è sinonimo di forza civile, di capacità di contestua lizzare le soluzioni, di vivificare i germi della democrazia già all’opera negli altrui terreni e culture655. Capacità che dovreb bero a loro volta essere alimentate dalla consapevolezza dei tempi e dei processi necessari al raggiungimento dei concreti risultati attesi. Si potrà chiamare tutto questo ‘soft power’654, ma si tratta di un potere il cui esercizio non potrà mai pre scindere dall’interazione con le popolazioni interessate e poi da una collaborazione di governi, agenzie regionali e globa li, finalizzata al coordinamento degli interventi, che eviti spreco di energie umane e finanziarie al seguito di obiettivi sovrapposti. Del resto, dal punto di vista meramente strate gico, non potrà sfuggire che, in assenza di queste consape volezze, e di queste pratiche, diventa difficile fronteggiare efficacemente il pericolo che Cina, India, Fondi arabi e isla mici accrescano la propria sfera d’influenza, anche in termi ni di progettazione politica e giuridica, sulle regioni piu po vere (e ricche di risorse naturali) del globo, rappresentando si « come completamento o alternativa della globalizzazione proposta o imposta dall’Occidente»655.
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Su queste premesse, il terzo passo dovrebbe mettere in opera le indicazioni che meglio si prestano a tracciare pro spettive convergenti con ciò che si è fin qui esposto. Quan to richiameremo al paragrafo successivo - scontando il ri schio, in una sede stringata come questa, di una presentazio ne alla power-point - è una selezione fra gli spunti che affiorano o sono presenti, in maniera più o meno omogenea, in numerose fra le iniziative e i dibattiti in corso636. La dif ferenza cruciale, oltre che il fuoco sugli strumentari giuridi ci, è l’attenzione alla variabilità dei singoli contesti - altro è l’Iraq o l’Afghanistan, altro è la penisola araba, altro ancora è l’Africa sub-sahariana e così via -, nonché la più volte ribadita consapevolezza dei termini e dei tempi con cui le ‘ri cette’ possono essere metabolizzate da chi è chiamato a uti lizzarle, e quindi il rifiuto di ogni democratic short-termism, a favore della gradualità e del necessario coordinamento che tutte queste misure richiedono.
7. Scelte risapute. A) La diffusione delle risorse. Anzitutto, è opportuno mo bilitare saperi e risorse in grado di orientare processi equi di allocazione diffusa di risorse pubbliche e private, con parti colare riguardo all’articolazione degli interventi e della scel ta dei loro destinatari non statuali637. In questa direzione, oc corre una mobilitazione di saperi e risorse in grado di forgia re strumenti utili soprattutto nelle seguenti direzioni. (1) Luce sugli invisibili. Un’attenzione ovviamente prima ria andrebbe rivolta alla questione di sapere «chi e quanti siamo», ossia al basilare problema del riconoscimento giuri dico delle persone, visto che decine di milioni di individui, abitanti soprattutto i ‘paesi in via di sviluppo’, non trovano identità in alcun archivio o registro638. (11) Risorse pubbliche. Occorre promuovere regole di eguaglianza nell’accesso, e nella sua manutenzione655, alle ri
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sorse pubbliche, quali acqua660, gas, elettricità; e poi all’alfa betizzazione, anche informatica, all’istruzione, anche tecni co-professionale661. Si tratta di risorse, quelle educative, che sono in grado prospetticamente di attuare al meglio il più ge nerale principio di eguaglianza, e alle quali l’accesso deve es sere garantito in forme e modalità che risultino convenienti dal punto di vista delle economie familiari. Non è in alcun modo pensabile, per tornare a un esempio noto al lettore, in sistere con la richiesta di abolizione del lavoro minorile sen za al contempo dirigere massicci investimenti all’alfabetizzazione-istruzione e al sostentamento economico della spe cifica comunità di riferimento662. (in) Proprietà private e collettive. Parimenti indispensa bile è la sicurezza e prevedibilità del regime giuridico delle risorse private e collettive, garantendo quanto possibile cer tezza e condizioni di impiego non discriminatorie (in specie di un gruppo sull’altro) della proprietà mobiliare e soprattut to immobiliare663. Per quest’ultima le partite più delicate si giocano (sempre inefficace ogni intervento ‘top-down’) in punto di processi di attribuzione della terra rispettosi anche del diritto locale, formale e informale664; nonché in punto di eventuale equa distribuzione di proprietà statali; in punto di protezione della titolarità, collettiva e individuale, dei di ritti - sia nei confronti di espropriazioni illegittime, sia con riguardo ai possibili abusi (sub specie di sfruttamento del maggiore potere economico-negoziale)665 ad opera dei sogget ti più forti sul mercato. In quest’ultima prospettiva, accan to a molti fattori diversi, di natura politica ed economica e di immediata incidenza sulla valorizzazione dei diritti pro prietari666, cruciale si rivela la sicurezza del titolo667, formale o informale668, quanto meno se riteniamo che le (variegate) forme di proprietà possano giocare anche altrove il ruolo di catalizzatore di valori e diritti che esse hanno svolto nelle nostre occidentali storie669. (iv) Accesso al credito e protezione dei contratti. E altre sì necessario incentivare la diffusione premiale del credito,
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insieme alla diffusione capillare del micro-credito - secondo il modello teoricamente persuasivo, e vincente sul terreno operativo, di Muhammad Yunus670 -, nonché una tutela, compatibile con le tradizioni locali, dell’effettività dei con tratti, soprattutto quelli di ‘durata’. A quest’ultimo propo sito, una nota ulteriore merita rilievo. Nei nostri schemi cul turali, la libertà di accesso al contratto, e alla tutela per la sua mancata esecuzione, è vista come co-sustanziale all’espli cazione della persona nella comunità di riferimento671. E no to però che ogni sistema contrattuale, per funzionare oltre la dimensione dello scambio immediato, ha bisogno che le parti si fidino l’una dell’altra, o comunque sappiano che la rottura immotivata del contratto espone chi l’ha causata a una sanzione. Questo, beninteso, è quanto si registra anche fuori dall’occidente, in società dove i partecipanti danno vi ta a reti di scambi e impegni reciproci che permettono all’e conomia locale di funzionare. Se però l’obiettivo è far usci re queste società ed economie dalla logica di mero, etero dipendente, o incerto, sostentamento e di promuovere la sicurezza della contrattazione anche come potenziale stru mento di libertà della persona da costrizioni comunitarie, serve che a disposizione di (qualunque) contraente vi siano rimedi in grado di sanzionare con effettività (qualunque) ina dempiente. Parallelamente, occorre consapevolezza: da un lato, che introdurre dall’alto i nostri modelli non farebbe che distruggere i vecchi legami, senza costruire quanto è neces sario; dall’altro lato, che sempre una «riforma in cui la gra duale introduzione di regole formali rinforzi i network esi stenti funzionerebbe meglio rispetto a una che cerchi di so stituirli»672, trattandosi perciò di adottare incentivi (anche di natura non economica) che creino le condizioni affinché quei vincoli di durata possano realizzarsi, al riparo di protezioni effettive673. B) Formazione trans-culturale. Al contempo, si tratta di mobilitare saperi e risorse in grado di determinare processi di formazione e selezione di classe dirigente capace di dialo
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gare con le identità locali e con quella occidentale. Di qui l’attenzione anche al governo delle possibili fughe di cervel li, che lasciano i paesi d’origine privi delle risorse umane ne cessarie a (qualsivoglia) sviluppo674. Di qui pure l’attenzione alla costruzione, là dove possibile, di corpi sociali intermedi su base trans-comunitaria, trans-religiosa, trans-tribale, con l’obiettivo di attirare questi soggetti nel circuito di forma zione e applicazione del ‘nuovo’ diritto, anche perché, lo si è già sottolineato, l’ostinazione a vedere dappertutto nello Stato l’unico detentore del potere giuridico e della capacità di governo dei fenomeni rischia di apparire come propaga zione di una tradizione vischiosa e politicamente miope675. Ma di lì l’attenzione, altresì, per l’adozione di metodi di formazione per i giudici e i funzionari locali, che non si limi tino (come d’abitudine accade) a insegnare i modelli occiden tali, ma che siano in grado di mettere in comunicazione que sti ultimi con la tradizione giuridica del contesto e di tradurre gradualmente in regole, e assetti istituzionali, le aspirazioni locali a mutare uno o più spicchi d’orizzonte della conviven za sociale676. Aspirazioni che è possibile trovino alfine suggel lo in una costituzione, ma questa potrà spiegare con efficacia operativa le proprie ali solo allorché si sia stabilizzato il qua dro istituzionale cui abbiamo fatto cenno, alzando a quel pun to i costi transattivi necessari a una sua modificazione. Al di là dei quotidiani problemi d’implementazione di so fisticate architetture estranee alle tradizioni locali, supporre invece - come accade per la vulgata americo-europea ricor data supra al Capitolo quarto - che il testo di una costituzio ne fondi la legalità di un sistema, l’unità o l’identità di un popolo, svela niente più che un interesse di opportunità stra tegica o una perniciosa ingenuità677. Se così fosse, significhe rebbe che quella legalità, quell’unità, quell’appartenenza non esistevano, ma allora è sicuro che nessuna costituzione, o al tra legge scritta, sarebbe capace di crearla di per sé, ossia sen za il sostegno dei circuiti di produzione capillare del consen so, sociale e culturale.
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C) Scelte locali. Notoria è la difficoltà del mercato a indi viduare da sé, in una prospettiva che abbracci il lungo perio do, quale sia la ‘giusta’ collocazione di scuole, ospedali e be ni pubblici in genere, nonché quali siano le scelte appropria te (specie se gli attori sul mercato non sono espressione locale) a uno sviluppo che risulti sostenibile e duraturo. La conse guente necessità è che qualsiasi politica mirante alla priva tizzazione di assetti proprietari, o al perseguimento di ‘pub lic-private partnership’, entri sulla scena unicamente come mezzo per accompagnare, finanziare la realizzazione o me glio utilizzare i public goods scelti localmente. Non c’è dub bio: comunità percorse da forti eterogeneità di preferenze (dovute a fratture sociali, religiose, etniche) possono produr re scelte assai difficili da mediare, su qualsiasi tavolo678. Ma altrettanto sicuro è che la locale debolezza delle istituzioni ‘ufficiali’ consegna sovente all’utopia, o a una nalveté crude le, il disegno di co-decidere semplicemente a livello governa tivo, fra paesi ‘donatori’ di aiuti e paesi che li ricevono, le politiche d’intervento67’. Vale quindi la pena di articolare gli sforzi in una prospettiva multi-livello, che contempli proce dure di negoziazione anche con i rappresentanti delle comu nità, sub-statuali e locali680, il cui consenso dovrà ovviamen te risultare tanto libero e informato quanto possibile681. Obiettivo quest’ultimo che si sottrae, almeno parzialmente, alla vaghezza, se si chiarisce come su quel consenso non pos sano incidere i desiderata delle multinazionali, né quelli di quegli attivisti ‘umanitari’, che abbiamo visto volti a costrui re nell’altro un duraturo specchio dell’odierno sé682. Si trat ta di influenze che, se decisive, rischierebbero di mettere in iscacco quanto è saliente per la nostra visione della democra zia: ossia il superamento della percezione delle regole come meri veicoli di favori o minacce, e la promozione della par tecipazione politica (diretta o indiretta) dei membri della co munità alla produzione del diritto che li riguarda683. La for mazione di quel locale consenso è invece da valorizzare for temente, senza pregiudizi, ma con la consapevolezza dei
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tempi e delle modalità necessarie alla sua progressiva evolu zione684. Quest’ultima può giungere a maturità - in un circo lo che virtuoso deve pazientemente divenire - non prima che le pretese di cui più volte abbiamo discorso si siano trasfor mate in diritti operativamente reclamabili, e patrimonio del lo status dell’individuo, nei confronti così del governante co me degli altri consociati.
8. Al posto delle conclusioni. Se il vento della storia spirerà ancora alle nostre spalle, garantendo sostegno alle nostre convinzioni685, è solo da que sti rinnovati esercizi di differenza che si può avviare, fuori dall’occidente, un radicamento di quelle infrastrutture giuridico-istituzionali che hanno storicamente rappresentato le pre-condizioni per far acquisire alla democrazia, quantome no ai nostri occhi, un vantaggio competitivo - in termini di convenienza diffusa686, di aspirazioni condivise, per i singo li come per i corpi intermedi della società - su altre forme di organizzazione collettiva687. Del resto, affinché un processo di democratizzazione sia effettivo occorre - è sempre occorso - che i cittadini siano incentivati a utilizzare le (nuove) infrastrutture istituziona li e a produrre una domanda di legalità effettiva, veicolata su centri di decisione l’accesso ai quali deve essere garanti to estesamente, senza discriminazioni e, quindi, con moda lità tecniche e costi sopportabili da ogni consociato688. Allo stesso modo, occorre che giudici, giuristi, politici, ammini stratori siano in grado di maneggiare gli istituti della demo crazia, di comunicarli e di rispondere efficacemente a quel la nuova - inevitabilmente ‘in progress’ - domanda di lega lità68’. E solo sulla scia di questa domanda diffusa, e della convinzione di poter avere delle risposte sul piano dell’effet tività, che potrà allargarsi la strada verso la operativa reclamabilità del fitto tessuto di diritti (politici, sociali, economi
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ci, culturali, ambientali) che noi abbiamo faticosamente con quistato, e verso la conformazione che essi sapranno assume re nei differenti contesti. Ovvio è che questa prospettiva reca con sé tempi lunghi. Verosimile è che si tratti dell’unica strategia destinata a da re fiato e sbocco operativo a quella costruzione di società pa cificate con il proprio (talora plurimo) ‘sé’, con la propria sto ria, con il proprio presente e con l’Occidente. Certo è che questi processi necessitano di una regia trasparente quanto alle premesse e consapevole delle complesse e differenziate modalità di realizzazione quanto agli obiettivi. Sicuro è al tresì che quei processi necessitano dell’apporto di un movi mento di opinione rifornito di competenze estese - antropo logiche religiose giuridiche sociologiche economiche, insom ma uno strumentario di analisi assai più sofisticato di quello rinserrato intorno alle econometrie delle istituzioni fi nanziarie internazionali, o pure sulle dicotomie Corano - rule of law, relativismo-imperialismo, pace-guerra. Ma ogni altra possibile alternativa rischia di apparire, in nocente o no, consapevole o no, un esercizio di retorica, ta lora commendevole, talora inutile e talora sanguinoso.
Note
I. DIRITTI E GIURISTI (pp. 5-15)
1 Per gli argomenti trattati in questo e nel successivo paragrafo, oltre ai riferi menti puntuali di cui alle note, si veda soprattutto R. Sacco, Legal Formants: A Dynamic Approach to Comparative Law (pts. 1 & 2), in «Am. J. Comp. L. », 39 (1991), n. 1, p. 343; Id., Antropologia giuridica, il Mulino, Bologna 2007, PP- 92 sgg. 2 Fra i moltissimi, P. Stein, I fondamenti del diritto europeo, Giuffrè, Milano 1987, pp. 3 sgg. (trad, da Legal Institutions. Fhe Development of Dispute Settle ment, Butterworths, London 1984); B. de Sousa Santos, Toward a New Com mon Sense. Law, Globalization, and Emancipation, Butterworths, London 2002’, passim, spec. pp. 16 sg., 86 sgg., 384 sgg.; J. H. Merryman, Compara tive Law Scholarship, in «Hastings Int’l & Comp. L. Rev.», 2r (1998), pp. 271 sgg.; M. Chiba, Introduction e Conclusions, in Id. (a cura di), Asian Indigenous Law in Interaction with Received Law, Kpi, London - New York 1986, pp. 1 sgg., 385 sgg.; F. von Benda-Beckmann, Who's Afraid of Legal Pluralism?, in «Journal of Legal Pluralism», 47 (2002), pp. 37, 48 sgg. Cfr. pure E. Ehrlich, GrundlegungderSoziologiedesRechts (rist. della i‘ ed. 1913), Duncker & Hum blot, Miinchen-Leipzig 1929, pp. 49 sgg., 315 sgg.; S. Romano, L’ordinamen to giuridico (1918), Sansoni, Firenze 1946", pp. 25 sgg. Per ilimiti entro iqua li la nozione di diritto può estendersi alle società animali più evolute, R. Sac co, Antropologia cit., p. 19. ’ Si veda ad es., P. Grossi, Globalizzazione, diritto, scienza giuridica, in Id., So cietà, diritto, Stato. Un recupero per il diritto, in Quaderni fiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno, n. 70, Giuffrè, Milano 2006, pp. 279, 294 sgg.; e, dadiverso angolo visuale,}. Attali, Breve storia delfuturo, Fazi, Roma 2007, 139 sgg. (trad, da Une brève histoire de Tavenir, Fayard, Paris 2006); si veda anche infra, Cap. 6. 4 E.g., M. Van Creveld, The Rise and Decline of the State, Cambridge University Press, Cambridge 1999, passim. Con particolare riguardo alla dimensione eu ropea, per la messa in iscacco di luoghi comuni circolanti, anche a livello di storici autorevoli, pagine illuminanti si leggono in P. Grossi, L’ordine giuridi co medievale, Laterza, Bari-Roma 1995, pp. 41 sgg. ’ Si veda in generale, C. Geertz, Local Knowledge: Fact and Law in Compara tive Perspective, in Id., Local Knowledge: Further Essays in Interpretive Anthro pology, Basic Books, New York 1983, pp. 167 sgg.; e già M. Weber, Econo mia e società, III: Sociologia del diritto (1922), Edizioni di Comunità, Milano I995> PP- 1 sgg., 11 sgg. ‘ L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma tra diritto e potere, il Mulino, Bologna 2009, pp. 465 sgg.; P. Bonfante, Istituzioni di diritto romano, Vallardi, Milano
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Note
1925s, pp. 3 sg.; A. Schiavone, lus. L’invenzione del diritto in Occidente, Ei naudi, Torino 2005, pp. 6 sgg. 7 R. Orestano, Introduzione allo studio storico del diritto romano, Giappichelli, Torino 1961“, pp. 517-18; A. Watson, Law Making in the Later Roman Repub lic, Clarendon Press, Oxford 1974, pp. 102 sg.; G. Pugliese, Diritto, in Enci clopedia delle scienze sociali, vol. Ili, Treccani, Roma 1993, pp. 34, 42 sgg. * H. J. Berman, Law and Revolution. The Formation of Western Legal Tradition, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1983, pp. 445 sgg.; L. M. Fried man, Storia del diritto americano, Giuffrè, Milano 1995, pp. 103 sgg. (trad. it. da History ofAmerican Law, 1985“); G. Calabresi, A Common Law for the Age of Statutes, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1982, pp. 1 sgg. ’ Si veda, rispettivamente, W. B. Hallaq, The Origins and Evolutions of Islamic Law, Cambridge University Press, Cambridge 2005, passim e pp. 178 sgg.; A. Abécassis, Droit et religion dans la società hébraìque, in « Archives de philosophic du droit», 38 (1993), pp. 23 sgg.; I. Englard, Law and Religion in Israel, in «Am. J. Comp. L.», 35 (1987), pp. 185, 191. Per valutazioni d’insieme, G. C. Kozlowski, Whenthe ‘Way’ Becomes the ‘Law’ : Modem States and the Transfor mations of «Halakhah» and «Shan'a», in W. M. Brinner e S. D. Ricks (a cura di), Studies in Islamic and Judaic Traditions, vol. II, Scholars Press, Atlanta 1989, pp. 97 sgg.; S. Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi, il Mulino, Bologna 2002, pp. 47 sgg., anche per ulteriori riferimenti. ” Si tratta di un fattore che certamente funge da efficace moltiplicatore nel tem po dello status quo, a favore di chi lo controlla, ma anche da mezzo comuni cativo potente nelle relazioni fra governante e governato, perché aggrava, sul piano della retorica, l’onere della prova di chi voglia argomentare il contrario. 11 Anche per i riferimenti ulteriori, si veda G. Ajani, A. Serafino e M. Timo teo, Diritto dell’Asia orientale, Utet, Torino 2007, pp. 3 sgg., 47 sgg., 77 sgg.; R. W. Lariviere, Dharmasàstra, Custom, «RealLaw», and «Apocryphal» Smrtis, in «J. Ind. Phil.», 32 (2004), pp. 611 sgg.; W. Menski, Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, Oxford University Press, New Delhi 2003, pp. 121 sgg.; L. Rocher, Law Books in an Oral Culture: The Indian Dharmasàstra, in «Proceedings of the American Philosophical Society», 137 (1993), pp. 254 sgg. ; R. May, Law & Society East and West. Dharma, Li and Nomos, Their Con tribution to Thought and to Life, Franz Steiner, Stuttgart 1985, spec. pp. 15 sgg., 40 sgg. 12 Si veda P. Grossi, L’Europa del diritto, Laterza, Bari-Roma 2007, pp. 104 sgg. “ E multis, G. Zagrebelsky, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vive recomune, Torino, Einaudi 2009, pp. 13 sg.; M. Fioravanti, Stato e costituzio ne, in Id. (a cura di), Lo Stato moderno in Europa. Istituzioni e diritto, Laterza, Bari-Roma 2005, pp. 3, 14 sgg.; e per le valutazioni di contorno, M. Van Creveld, The Rise cit., spec. pp. 184 sgg. Al di là della Manica e dell’Atlantico, esiti del genere non avevano potuto prodursi in forza del difficile equilibrio fra common law e legislatore che ha connotato di sé tutta la storia del diritto angloamericano. Dal tempo dei Normanni, è il diritto elaborato dalle Corti a essere percepito come eminente strumento di organizzazione dei rapporti so ciali, mentre il sovrano e poi il Parlamento saranno visti - ben oltre le rivolu zioni inglese e americana - come agenti sempre in grado di comprimere i di ritti dei cittadini. Si veda in generale, P. Stein, Ifondamenti cit., pp. 109 sgg.; H. J. Berman, Law and Revolution cit., pp. 445 sgg.; M. J. Horwitz, The Trans formation ofAmerican Law, 1780-1860, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1977, pp. 1 sgg.
Capitolo primo
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14 Per qualche rilievo, si veda infra. Cap. 14, § 5. 15 A. Schiavone, lus cit., pp. 29 sgg.; Id., Giuristi e nobili nella Roma repubblica na, Laterza, Roma-Bari 1987, pp. v sgg.; L. Capogrossi Colognesi, Storia di Roma cit., pp. 169 sgg.; M. Humbert, Droit et religion dans la Rome antique, in «Archives de philosophic du droit», 38 (1993), pp. 34 sgg.; F. Schulz, His tory of Roman Legai Science, Oxford University Press, Oxford 1946, passim e spec. pp. 6-12, 30 sgg., 60 sgg. “ Per i primi riferimenti nella prospettiva di cui al testo, con riguardo alla civiltà egiziana: S. Curto, L’antico Egitto, Utet, Torino 1981, pp. 314 sgg.; J. Assmann, Potere e salvezza. Teologia politica nell'antico Egitto, in Israele e in Euro pa, Einaudi, Torino 2002, pp. 176 sgg. (trad. it. da Herrschaft und Heil. Politische Theologie in Altdgypten, Israelund Europa, Carl Hanser, Munchen 2000); A. A. Schiller, Coptic Law, in «Juridical Review», 43 (1931), p. 211; per quel la mesopotamica, B. Jackson, Evolution and Foreign Influence in Ancient Law, in «Am. J. Comp. L.», 16 (1968), pp. 372-73; sulla Grecia classica, N. Lemche, Justice in Western Asia in Antiquity, or: Why no Laws Were Needed, in «Chi.-Kent L. Rev.», 70 (1995), p. 1695; R. Garner, Law Er Society in Classi cal Athens, St Martin Press, New York 1987; M. Gagarin, Early Greek Law, University of California Press, Berkeley - Los Angeles - London 1986; A. Lanni, Law and Justice in the Courts of Classical Athens, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006, passim, spec. pp. 15 sgg.; E. Cantarella, Norma e sanzione in Omero. Contributo alla protostoria del diritto greco, Giuffrè, Mila no 1979, spec. pp. 61 sgg., e ibid., 1-5, gli ulteriori rinvìi essenziali, cui adde A. Maffi, Gli studi di diritto greco, in «Etica & Politica / Ethics & Politics», 9 (2007), n. 1, pp. 11-24; per l’Africa tradizionale si veda, eg., la rassegna com pilata e annotata da E. Okupa, International Bibliography ofAfrican Customary Law, Lit, Hamburg 1998. Per considerazioni analoghe, con riguardo alle tra dizioni asiatiche, W. Menski, Comparative Law in a Global Context. The Legai Systems ofAsia and Africa, Cambridge University Press, Cambridge 20062, pp. 196 sgg., 228, 493 sgg., 543 sgg. 17 Per tutti, A. Watson, LegalTransplants : An Approach to Comparative Law, Uni versity of Georgia Press, Athens-London 1993"; il volume 10(2), gennaio 2008, di «Theoretical Inquiries in Law», dedicato a Histories of Legal Transplanta tions. «Legai cultures, like languages, can absorb huge amounts of foreign ma terial while preserving a distintive structure and flavor»: M. Galanter, Preda tors and Parasites : Lawyer-Bashing and Civil Justice, in «Georgia Law Review», 28 (1994), pp. 633, 680. 18 J. H. Merryman, La tradizione di civil law nell’analisi di un giurista di common law, Giuffrè, Milano 1973, p. 9 (trad. da The Civil Law Tradition, Stanford University Press, Stanford 1969). *’ Per esiti e sviluppi paralleli, in diritto ebraico, F. M. Denny, Orthopraxy in Islam and Judaism: Convictions and Categories, in W. M. Brinner e S. D. Ricks (a cura di), Studies in Islamic cit., pp. 83 sgg.; J. Neusner e T. Sonn, Compar ing Religions through Law. Judaism and Islam, Routledge, London - New York 1999, pp. 81 sgg., 127 sgg., 139 sgg.; J. D. Bleich e A. J. Jacobson, Jewish Le gal Tradition, in corso di pubblicazione, in M. Bussani e U. Mattei (a cura di), The Cambridge Companion to Comparative Law, Cambridge University Press, Cambridge 2010. 20 W. B. Hallaq, The Origins cit., spec. capp. 3-6, pp. 57-149; F. Castro, s.v. Di ritto musulmano, in Dig. IV, Disc, priv., sez. civ., Utet, Torino 1990, vol. VI, pp. 287, 289, 292-93. 21 Agli autori cit. nelle due note precedenti, adde R. Sacco, Antropologia giuridi-
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Note
ca cit., pp. 95 sgg., too; H. P. Glenn, Legal Traditions of the World, Oxford University Press, Oxford 2007’, pp. 177 sgg. 22 C. R. Sunstein, The Second Bill of Rights. FDR’s Unfinished Revolution and Why We Need It More than Ever, Basic Books, New York 2004, pp. 17 sgg., 54 sgg. ” T. Mackey, The Politics of the Courts, in C. L. Zeldon (a cura di), The Judicial Branch of Federal Government. People, Process, and Politics, Abe-Clio, Santa Barbara 2007, pp. 123, 146 sgg. 24 U. Mattei, Common law, Utet, Torino 1992, pp. 75 sgg., 203; E. Leuchtenburg, The Supreme Court Reborn : the Constitutional Revolution in the Age of Roosevelt, Oxford University Press, New York 1995, pp. 82 sg., 96 sgg. ” M. C. McKenan, Franklin Roosevelt and the Great Constitutional War :The Court Packing Crisis of 1937, Fordham University Press, New York 2002, pp. 303 sgg.; D. G. Stephenson jr, Campaign and the Courts: The US Supreme Court in Presidential Elections, Columbia University Press, New York 1999, pp. 149 sgg. 24 Risale a quei tempi la istituzione, ad esempio, della Federal Communication Commission (1936) e della Security and Exchange Commission (1934). 27 Del resto per secoli, fino al recente Constitutional Reform Act 2005, in In ghilterra il Lord Chancellor riuniva su di sé i ruoli di membro del governo, pre sidente della Camera dei Lord e vertice supremo del sistema giudiziario: si ve da J. Bell, Judiciaries within Europe. A Comparative Review, Cambridge Uni versity Press, Cambridge 2006, pp. 310 sg., 320 sgg. 22 Un inciso italiano. Dappertutto in Occidente, la formazione dei corpi applica tivi nasce nel ventre delle facoltà giuridiche. Per conseguenza, qualsiasi elogio o critica alla cultura di avvocati, notai, giudici o burocrati va rivolta, prima che a ogni altro obiettivo, a quei centri di produzione di sapere. Ebbene, di fronte alla ricchezza e alla complessità del fenomeno giuridico, i corsi fonda mentali delle facoltà giuridiche tacciono. Un modello d’insegnamento che non incorpora il divenire del diritto, e le sue interrelazioni con le esperienze altrui, ovviamente non incentiva la ricerca critica, neppure sul proprio sistema, e de termina un inevitabile corto circuito scientifico. Che questo sia il modo d’in tendere il ruolo del docente e dello studioso si presta a più di una perplessità, non solo al confronto con alcune delle esperienze occidentali, ma anche nella prospettiva di pensare alle facoltà di giurisprudenza come serbatoi di una clas se dirigente che, sul terreno della cruciale infrastruttura ‘diritto’, sappia com petere efficacemente sul mercato delle idee e delle soluzioni, al servizio del paese e del suo sistema socio-economico. Sul punto si veda la nota 50.
IL GIURISTI E GIUSTIZIA (pp. 16-22) ” Si veda per tutti, M. Graziadei, Artificial Reason, in B. Pozzo (a cura di), Or dinary Language and Legal Language, Giuffrè, Milano 2005, pp. 153 sgg.; e poi infra, Cap. 14. Razionalità da intendersi come strumentario variamente articolato, a seconda delle condizioni storiche e geografiche in cui si trova a operare. Uno strumen tario che può anche influire solo fino a un certo grado sui risultati operativi, ma che sempre risulta funzionale al mantenimento di un elevato tasso di iera ticità per il ruolo del giurista e per il corpus iuris di cui è (in larga parte arte fice, oltre che) messaggero: corpus juris che può variamente appellarsi Diritto Naturale e/o Diritto Razionale, Common Law, Code Civil, ecc. Si veda anche M. Bussani, Appunti sull'interlocutore delgiurista ed ilproblema dell'interpreta-
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zione, in M. Bussani (coord.), Diritto, Giustizia e Interpretazione, in Annuario filosofico Europeo, a cura di G. Vattimo e J. Derrida, Laterza, Bari-Roma 1998, pp. 37, 41 sg. ” Si veda M. Lasser, Law, Culture, and Text:Do Judges Deploy Policy?, in «Car dozo L.R.», 22 (2001), pp. 863 sgg.; V. Varano e V. Barsotti, La tradizione giuridica occidentale, vol. I, Giappichelli, Torino 2006’, pp. 250, 300 sg.; M. Schwartzman, The Principle of Judicial Sincerity, University of Virginia Law School Public Law and Legal Theory Working Paper Series, n. 69, 2007. 12 Platone, Le leggi, in F. Adorno (a cura di), Dialoghi politici e lettere, Utet, To rino 19702, vol. II, 169 (Libro IV, 715b). ” Aristotele, La politica, Laterza, Bari 1966, 128 (Libro III, 1279a). ,4 S. Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1996, qu. 90, arti. 1-3 (pp. 701-4), qu. 95, art. 2 (pp. 737-39), qu. 96, art. 4 (pp. 746-48), qu. 97, art. 1 (pp. 752-53), qu. 104, art. 1 (pp. 85354) ■ ” J. Locke, Secondo trattato sul governo, a cura di L. Formigari, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 150 (sezione 135). “ Si veda, rispettivamente, J. Rawls, eg., A Theory ofJustice, Harvard Univer sity Press, Cambridge Mass. 1971; Id., PoliticalLiberalism, Columbia Universi ty Press, New York 1993, 1996' - ma per l’utilizzo dello strumento del velo d’ignoranza, volto a individuare le preferenze che gli individui avrebbero, se non conoscessero la propria personale posizione nella situazione ipotetica in cui devono compiere la scelta, si veda già J. C. Harsanyi, Cardinal Utility in Welfare Economics and in the Theory of Risk-Taking, in «J. of Political Econ omy», 61 (1953), pp. 434-35; Id., Cardinal Welfare, Individualistic Ethics and Interpersonal Comparisons ofUtility, in«J. Pol. Econ.», 63 (1955), PP- 3°9 sS>-> R. Alexy, La giustizia come correttezza, in «Ragion Pratica», 9 (1997), pp. 103 sgg.; Ch. Perelman, eg., Logique juridique. Nouvelle rhétorique, Dalloz, Paris 1976; Id., The Idea of Justice and the Problem of Argumentation, Routledge, London 1963; R. Dworkin, eg., L’impero del diritto, il Saggiatore, Milano 1989, passim e pp. 159, 168 sgg. (trad. it. da Law's Empire, Belknap Harvard University Press, Cambridge Mass. 1986); J. Habermas, eg., Theorie des kommunikatives Handelns, voli. I-II, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1981; Id., Moralbewujitsein und kommunikatives Handeln, Suhrkamp, Frankfurt am Main 1983. ” Si veda G. Teubner, Economics of Gift - Positivity ofJustice: The Mutual Para noia ofJacques Derrida and Niklas Luhmann, in «Theory, Culture and Society», 18 (2001), n. 1, pp. 29, 41 sgg. Con le formule di cui al testo il riferimento è, rispettivamente, a N. Luhmann, eg., The Third Question: The Creative Use of Paradoxes in Law and Legal History, in «Journal of Law and Society», 15 (1988), pp. 153, 158 sgg.; e aj. Derrida, eg., Force of Law : The ‘Mystical Foundation of Authority’, in «Cardozo L. R.», n (1990), pp. 919, 959. Si vedano anche le opere cit. poco oltre, alla nota 39. C. Douzinas e A. Gearey, CriticalJurisprudence. The Political Philosophy ofJus tice, Hart, Oxford-Portland 2005, pp. 89 sgg. ” Si veda in generale e per tutti (con argomenti spendibili in ogni esperienza oc cidentale), P. Cendon, Sul metodo, anzi sui metodi, in «Riv. crit. dir. priv. », 8 (1990), n. 1-2, pp. 155 sgg. “ Sulla varietà di nozioni circolanti, e per i riferimenti essenziali, M. Walzer, Sfere di giustizia, Laterza, Bari-Roma 2008 (trad. it. di Spheres ofJustice: A De fense ofPluralism and Equality, Basic Books, New York 1983); da noi, G. Za-
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Note
grebelsky, Giustizia, in M. Flores (dir.), Diritti umani. Cultura dei diritti e di gnità della persona nell’epoca della globalizzazione. Dizionario, Utet, Torino 2007, pp. 624 sgg.; I. Trujillo, Giustizia globale. Le nuove frontiere dell’ugua glianza, il Mulino, Bologna 2007, pp. 11 sgg. (e ibid., pp. 61-149, l’ordinato richiamo teoretico alle posizioni che, dal punto di vista operativo, esaminere mo più avanti, ai Capp. 4-7). 41 Difatti « there is no guarantee that what idealized members of the group would find to be in their common interest as members is what is in the common in terest of members of the group under actual, distinctly unidealized circum stances»: Ph. Pettit, The Common Good, in K. Dowding, R. E. Goodin e C. Pateman (a cura di), Justice & Democracy, Cambridge University Press, Cam bridge 2004, pp. 150, 166 sgg. Si pensi pure alle posizioni di Ronald Dworkin, secondo cui vi sarebbe sempre la corretta risposta a ogni quesito giuridico, ri sposta che può essere individuata dai giudici attraverso la considerazione dei principi morali e politici immanenti alla comunità data (e^. L’impero cit., pas sim e pp. 159, 168 sgg.). Detto della forte dipendenza di tale visione dalla fe nomenologia di common law, la critica altrettanto vibrante (e tale già nella li mitata prospettiva del nostro mondo occidentale) è sempre quella della seg mentazione di quei principi nella realtà sociale: «no fact seems plainer in the modem world than the extent and depth of moral disagreement, often enough disagreement on basic issues»: cosi, e per tutti, A. MacIntyre, Theories of Na tural Law in the Culture of Advanced Modernity, in E. B. McLean (a cura di), Common Truths:New Perspectives on Natural Law, Isi Books, Wilmington 2000, P- 9342 Senza che occorra sottolineare la loro lontananza pure dai pregnanti esiti del le ricerche - oltre che in punto di interrelazioni operative fra biologia e dirit to, su cui, eg., R. D. Masters e M. Gruter (a cura di), The Sense ofJustice. Bio logical Foundations ofLaw, Sage, Newsbury Park - London - New Delhi 1992; O. D. Jones e T. H. Goldsmith, Law and Behavioral Biology, in «Colum. L. Rev.», 105 (2005), pp. 405-502 - sul promettente versante delle scienze co gnitive: per i primi riferimenti utili, e.g., O. R. Goodenough e K. Prehn, À Neuroscientific Approach to Normative Judgment in Law and Justice, in « Phil. Trans. Roy. Soc. Lond.», B359 (2004), pp. 1709 sgg.; W. Glannon (a cura di), Defining Right and Wrong in Brain Science: Essential Readings in Neuroethics, Dana Press, New York 2007; D. DeGrazia, Human Identity and Bioethics, Cam bridge University Press, Cambridge 2005. Si vedano da noi, utilmente, i sag gi raccolti in R. Caterina (a cura di), I fondamenti cognitivi del diritto, Bruno Mondadori, Milano 2008. ■° Per entrambe le categorie di ‘falsi’, nella nostra prospettiva, si veda ancora Ph. Pettit, The Common Good cit., pp. 150, 166 sgg. 44 Si leggano sul punto le lezioni di S. Cassese, Il diritto globale. Giustizia e demo crazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino 2009. Per spunti ulteriori, I. Shapiro e L. Brilmayer (a cura di), Nomos XLl : Global Justice, New York University Press, New York 1999; M. C. Nussbaum, Le nuove frontiere della giustizia. Disabilità, nazionalità, appartenenza di specie, il Mulino, Bologna 2007, spec. pp. 243 sgg. (trad, da Frontiers of Justice. Disability, Nationality, Species Membership, Har vard University Press, Cambridge Mass. - London 2006); Th. Nagel, È possi bile una giustizia globale?, Laterza, Roma-Bari 2009 (trad, da The Problem of Global Justice, in «Philosophy and Public Affairs», 33 (2005), pp. 113-47 e> ibid., VIntroduzione di S. Veca, pp. v sg. ; i saggi ora raccolti in Th. Pogge e D. Moellendorf, GlobalJustice. Seminal Essays, I: Global Responsibilities, Paragon, St Paul 2008; G. Brock, Global Justice. A Cosmopolitan Account, Oxford Uni versity Press, Oxford - New York 2009.
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45 Per tutti, S. Vanderheiden, Atmospheric Justice: A Political Theory of Climate Change, Oxford University Press, Oxford - New York 2008, pp. ni sgg. 46 Per i primi riferimenti, J. C. Tremmel (a cura di), Demographic Change and Intergenerational Justice. The Implementation of Long-Term Thinking in the Politi cal Decision Making Process, Springer, Berlin-Heidelberg 2008; Id. (a cura di), Handbook of IntergenerationalJustice, Edward Elgar, Cheltenham-Northamp ton 2006 (e in partic. C. Dierksmeier, John Rawls on the Rights of Future Ge nerations, ibid., pp. 72 sg.); A. Gosseries e L. H. Meyer (a cura di), Intergene rationalJustice, Oxford University Press, Oxford - New York 2009 (e D. Heyd, A Value or an Obligation? Rawls on Justice to Future Generations, ibid., pp. 167 sgg.); e cfr. anche E. Somaini, Uguaglianza. Teorie .politiche .problemi, Donzel li, Roma 2002, pp. 303, 311 sgg.; A. Gosseries, What Do We Owe the Next Generation(s)?, in «Loyola of Los Angeles Law Review», 35 (2001), pp. 293, 318 sg., 330 sg.; B. Ackerman, Temporal Horizons of Justice, in «Journal of Philosophy», 94 (1997), n. 6, pp. 299, 305 sgg.; H. Jonas, The Imperative of Responsibility, University of Chicago Press, Chicago 1984, spec. pp. 117 sg., 136 sg.; R. I. Sikora e B. Barry (a cura di), Obligations to Future Generations, Temple University Press, Philadelphia 1978; D. C. Hubin, Justice and Future Generations, in «Philosophy and Public Affairs», 6 (1976-77), pp. 70 sg.; J. English, Justice Between Generations, in «Philosophica! Studies», 31 (1977), pp. 91, 96 sg. Per il dibattito - spesso solo sincronico e tarato sulle categorie storiografiche occidentali - circa le modalità giudiziarie e no con cui i sistemi gestiscono le risorse presenti per riparare i torti maggiori originati dai regimi che li hanno preceduti, infra Cap. 9 e, fin d’ora, V. Grosswald Curran, The Politics of Memory/Erinnerun&politik and the Use and Propriety of Law in the Process ofMemory Construction, in «L. & Crit.», 14 (2003), p. 309; J. Elster, Closing the Books: Transitional Justice in Historical Perspective, Cambridge Uni versity Press, Cambridge 2004; R. M. Buxbaum, A Legal History of Interna tional Reparations, in «B.J. Int’l L.», 23 (2005), p. 314; D. Miller, National Responsibility and Global Justice, Oxford University Press, Oxford 2007, pp. 135 sgg., 238 sgg.; M. J. Sandel, Justice. What’s the Right Thing to Do?, Far rar, Straus & Giroux, New York 2009, pp. 211 sgg.; ma si veda anche A. Garapon, Peut-on réparer I’histoire? Colonisation, esclavage, Shoah, Odile Jacob, Paris 2008; e F. Lenzerini (a cura di), Reparations for Indigenous Peoples. Inter national and Comparative Perspectives, Oxford University Press, Oxford - New York 2009; nonché P. Bruckner, Il singhiozzo dell'uomo bianco (1984), Guanda, Parma 2008 (trad, da Le sanglot de I’homme blanc, Seuil, Paris 1983). ” Rimarca la distinzione, e la porta sul piano operativo, fra approccio ‘trascen dente’ e ‘comparativo’ ai problemi della giustizia ‘globale’ e alle sue priorità, A. Sen, The Idea ofJustice, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2009, passim, ma si veda in partic. pp. 403 sgg. 48 Basterà forse ricordare, da un lato, che John Rawls - uno dei più autorevoli e rispettati produttori dei dibattiti sulla giustizia - incardini le sue riflessioni sul modello di una «self-contained» e «closed society» (giustificando la scelta, che riconosce astratta, «because it enables us to focus on certain main questions free from distracting details»: Political Liberalism, Columbia University Press, New York 1993, ed. riveduta 1996, p. 12); dall’altro lato, che sul punto delle relazioni internazionali lo stesso autore limita l’analisi ai rapporti fra «liberal and decent peoples»: The Law ofPeoples, Harvard University Press, Cambrid ge Mass. 1999, pp. 3 sg. In argomento, e all’interno di una letteratura sconfi nata, mirano al cuore della prospettiva di Rawls (e non solo) le critiche di G. Teubner, Self-subversive Justice : Contingency or Transcendence Formula ofLaw?, in «Modern Law Review», 72 (2009), pp. 1-23, spec. 3 sgg.
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Note
” D. A. Bell, East Meets West .Human Rightsand Democracy in East Asia, Prince ton University Press, Princeton 2000, p. 6. III. NOI E GLI ALTRI (pp. 23-39) ” I curricula delle nostre facoltà giuridiche sono invece al 90% dediti allo studio del diritto interno - il quale peraltro domina nei primi anni di corso, quelli più rilevanti nel forgiare gli abiti culturali. Niente di grave se pensiamo che que sto paese abbia bisogno di un ulteriore rifornimento di avvocati (destinati a restare) periferici sul mercato del diritto globale, e se accettiamo che buona parte di quel lucroso mercato resti in mano a studi angloamericani e alle loro filiali. Niente di grave se riteniamo non importante che il nostro paese sia ter ra di conquista per modelli, o ispirazioni altrui, spesso veicolati senza chiara consapevolezza delle implicazioni o delle necessità che quei trapianti recano con sé. Niente di grave se riteniamo irrilevante che la formazione giuridica del le nostre classi dirigenti sia gestita con modalità proprie a quelle di una colo nia intellettuale (quando si dà ascolto alle voci altrui), o di un paese autarchi co (quando quell’ascolto neppure si pratica). Per alcune osservazioni ulteriori, si veda supra, Cap. 1, nota 28, e infra, Cap. 5, § 8. ” Sulla cui articolata nozione, si veda anche infra, Cap. 5. ” Fra i tanti, M. Chiba, LegalPluralism in Mind: A Non-Westem View, in H. Pe tersen e H. Zahle (a cura di), Legal Polycentricity : Consequences of Pluralism in Law, Dartmouth, Aidershot 1995, pp. 71-83; Id., Three Dichotomies of Law : An Analytical Scheme of Legal Culture, in «Tokai Law Review», 1 (1987), pp. r sgg. (290 sgg.); M. Alliot, Les transferts du droit ou la double illusion, in Id., Le droit et le service public au miroir de I’anthropologic, Khartala, Paris 2003, pp. 129 sgg.; F. von Benda-Beckmann, Who's Afraid of Legal Pluralism?, in «Journal of Legal Pluralism», 47 (2002), pp. 37, 48 sgg.; J. L. Esquirol, The Failed Law of Latin America, in «Am. J. Comp. L.», 56 (2008), p. 75; C. R. Sunstein, On the Expressive Function ofLaw, in «U. Pa. L. Rev.», 144 (1996), pp. 2021, 2050. ” Si veda, fin d’ora, R. E. Scott e P. B. Stephan, The Limits of the Leviathan. Contract Theory and the Enforcement of International Law, Cambridge Univer sity Press, Cambridge 2006, p. no; T. Moustafa e T. Ginsburg, Introduction: The Functions of Courts in Authoritarian Politics, in Id. (a cura di), Rule by Law. The Politics of Courts in Authoritarian Regimes, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2008, pp. 1, 16 sgg.; C. P. R. Romano, The Judgesand Prosecutors of Internationalized Criminal Courts and Tribunals, in C. P. R. Ro mano, A. Nollkaemper e J. K. Kleffner (a cura di), Internationalized Criminal Courts and Tribunals : Sierra Leone, East Timor, Kosovo and Cambodia, Oxford University Press, Oxford - New York 2004, pp. 235, 246 sgg. ” Eg., R. Sacco, Le grandi linee del sistema giuridico somalo, Giuffrè, Milano 1985; Id., Il diritto africano, Utet, Torino 1995; M. Doucet e J. Vanderlinden (dir.), La reception des systèmes juridiques: implantation et destin, Bruylant, Bruxelles 1994. ” Si vedano le approfondite analisi raccolte da R. L. Abel (a cura di), The Poli tics ofInformal Justice, 2 voli. (I: The American Experience-, II: Comparative Stud ies'), Academic Press, New York 1982; e il più impressionistico approccio dei saggi racchiusi in H. Van Schooten e J. Verschuuren (a cura di), International Governance and Law. State Regulation and Non-state Law, Edward Elgar, Chel tenham-Northampton 2008.
Capitolo terzo
221
56 Si veda, per tutti, W. Menski, Comparative Law in a Global Context. The Le gai Systems ofAsia and Africa, Cambridge University Press, Cambridge 20062, pp. 3 sg.; M. Chiba, Introduction e Conclusions, in Id. (a cura di), Aria» Indig enous Law in Interaction with Received Law, Kpi, London - New York 1986, PP- 1 sg., 385 sgg. ” Sulle modalità con cui le pratiche di composizione dei conflitti riflettano e al contempo costruiscano la cultura delle comunità, O. Chase, Law, Culture and Ritual:Disputing Systems in Cross-Cultural Context, New York University Press, New York - London 2005, passim, spec. pp. 30 sgg., 94 sgg. E multis, oltre ai luoghi cit. supra, nota 2, si veda R. Sacco, Mute Law, in «Am. J. Comp. L. », 43 (2995), p. 455; M. Graziadei, La legge, la consuetudine, il di ritto tacito, le circostanze, in R. Caterina (a cura di), La dimensione tacita del diritto, Esi, Napoli 2009, pp. 49 sgg.; R. Cotterrell, Law, Culture and Society. Legal Ideas in the Mirror of Social Theory, Ashgate, Aidershot 2006, spec. pp. 112 sgg., 155 sgg. Ma si ricordi anche (per pescare tra i riferimenti che il di battito ama usare, spesso solo opportunisticamente) la distinzione fra ‘diritto’ e ‘legislazione’ tracciata da F. A. Hayek in Law, Legislation and Liberty, I: Rules and Order, University of Chicago Press, Chicago 1973, passim e spec. pp. 35 sgg., 72 sgg., I24 sgg. Secondo Hayek il diritto appartiene alla categoria degli ordini endogeni che nascono entro una data società, a causa delle aspet tative reciproche - cioè originano spontaneamente attraverso regole nel rispet to delle quali vivono le persone -, laddove la legislazione appartiene alla cate goria degli ordini esogeni, imposti dall’esterno o dall’alto, nell’intento di in fluenzare le regole endogene quando esse evolvono in una direzione percepita come inadeguata. ” Per tutti, B. de Sousa Santos, Toward a New Common Sense. Law, Globaliza tion, and Emancipation, Butterworths, London 2002’, spec. pp. 426 sgg. Ma si veda anche infra, note 452, 454. “ Si veda R. Sacco, in G. Alpa et alii, Le fonti del diritto italiano, II: Le fonti non scritte e Tinterpretazione, Utet, Torino 1999, pp. 17 sgg.; A. Gambaro, Perspec tives on the Codification of the Law of Property, in «Eur. Rev. Private L.», 5 (2997), PP- 497 sgg.; H. de Soto, The Mistery of Capital, Basic Books, New York 2000. 61 Persino il limite di valore è reputato irrilevante da S. Macaulay, Non-Contractual Relations in Business: A Preliminary Study, in «Am. Sociol. Rev.», 28 (1963), p. 55. Si veda anche Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work for Everyone, Toppan Printing, Somerset 2008, vol. II, cap. 4 (Business Rights), pp. 196 sgg.; J. T. Landa, Trust, Ethnicity, and Iden tity. Beyond the New Institutional Economics of Ethnic Trading Networks, Con tract Law and Gift-Exchange, The University of Michigan Press, Ann Arbor 2994. Dall’angolatura degli economisti, B. Klein e K. B. Leffler, The Role of Market Eorces in Assuring Contractual Performance, in «J. Pol. Econ.», 89 (1981), p. 6r5; O. E. Williamson, Credible Commitments: Using Hostages to Support Exchange, in «Am. Ec. Rev.», 73 (2983), p. 529; A. T. Kronman, Con tract Law and the State of Nature, in «J. L. Econ. & Org.», 2 (2985), p. 5. “ R. C. Ellickson, Order Without Law. How Neighbors Settle Disputes, Harvard University Press, Cambridge Mass. - London rggr, pp. 50 sg., 87 sg., 185 sg., 209 sg. Sull’esistenza di «multiple normative orders» che «push litigation to the periphery of dispute processing»: S. Macaulay, Elegant Models, Empirical Pictures and the Complexities of Contract, in «Law & Society Review», 22 (2977), PP- 507 sgg.; S. E. Merry, Getting Justice and Getting Even:Legal Con sciousness among Working Class Americans, University of Chicago Press, Chi-
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Note
cago 1990, passim, spec. pp. 37 sgg., 88 sgg.; H. Jacob, The Elusive Shadow of the Law, in «Law & Society Review», 26 (1992), p. 565. In ciascuno di que sti strati si può facilmente osservare come le ricompense usualmente consista no in beni, servizi, obbligazioni ai quali si assegna un valore (economico 0 no) positivo; e le sanzioni riguardino beni, servizi, obbligazioni ai quali si assegna un valore (economico o no) negativo: R. C. Ellickson, Order Without Law cit., passim, spec. pp. 123 sg. 65 Per una valutazione del dibattito, sovente alimentato a forza dall’ossigeno po sitivista, Alessandro Pizzorusso, in A. Pizzorusso e S. Ferreri, Le fonti del di ritto italiano, I: Le fonti scritte, Utet, Torino 1998, pp. 86 sg., 165 sgg. “ In argomento, e sul ruolo giocato dalle regole non ufficiali nel raggiungere e mantenere l’ordine sociale, ai luoghi cit. supra, Cap. 1, note 2 e 4, e quelli ci tati fin qui in questo Capitolo, adde W. G. Sumner, Folkways: A Study of the Sociological Importance of Usages, Manners, Customs, Mores, and Morals, Ginn & Co, Boston 1906; L. L. Fuller, Human Interaction and the Law, in R. P. Wolff (a cura di), The Rule of Law, Simon & Schuster, New York 1971; W. Menski, The Uniform Civil Code Debate in Indian Law : New Developments and Changing Agenda, in «German L. J.», 9 (2008), n. 3, pp. 211 sgg., 216; N. MacCormick, La sovranità in discussione. Diritto, stato e nazione nel «com monwealth» europeo, il Mulino, Bologna 2003, pp. 43 sgg. (trad, da Question ing Sovereignty. Law, State, and Nation in the European Commonwealth, Oxford University Press, Oxford 1999); e poi, fra gli economisti, anche W. Easterly, I disastri dell'uomo bianco. Perché gli aiuti dell'occidente al resto del mondo han no fatto più male che bene, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 94 sgg. (trad, it. da The White Man’s Burden. Why the West’s Efforts to Aid the Rest Have Done So Much III and So Little Good, Penguin, New York 2006). 67 E multis, W. Twining, Globalisation and Legal Theory, Butterworths, London 2000, p. 232. “ La quale, come ricorderemo - infra, Capp. 14 e 15 - può germogliare solo se supportata da un reticolato di regole informali, non antagoniste ai suoi valori e ai suoi principi. Si veda, fin d’ora, Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work for Everyone cit.; ma anche, dal punto di vi sta degli economisti, G. Tabellini, Institutions and Culture, in «Journal of the European Economic Association Papers and Proceedings», 6 (2008), n. 2-3, pp. 255 sgg., e ivi le indicazioni ulteriori all’assai vasto dibattito disciplinare. 67 Apprezzare la sopra descritta stratificazione significa tuttavia tenere a mente pure che non tutti gli strati di un sistema giuridico sono come vestiti che pos sono essere indossati o dismessi a piacimento. Quando uno strato esiste, esso non può essere rapidamente cancellato (sarebbe impossibile, ad esempio, per i sistemi ufficiali francese e italiano decidere d’improvviso di diventare siste mi di common law). Altrettanto vero è però che non tutti gli strati presenta no un grado omogeneo di resistenza. Ecco perché il diritto privato del com mercio internazionale è uno strato che poggia su regole largamente armoniz zate in tutto l’ambito giuridico occidentale: armonizzazione resa possibile anche, e soprattutto, perché apertamente supportata da tutti gli attori maggio ri dello strato in questione. “ Il dato è reso evidente dagli studi storici e antropologici: si veda eg., P. Gros si, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Bari-Roma passim-, K. von Benda-Beckmann, Why Bother About Legal Pluralism ? Analytical and Policy Ques tions : An Introductory Address, in Commission on Folk Law and Legal Plura lism, in «Newsletter», 39 (1997), pp. 14 sg. 69 Cosi, R. Sacco, Antropologia giuridica, il Mulino, Bologna 2007, p. 217.
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Che poi per quelle risorse l’appetito sia condiviso da attori economici e gover nativi occidentali, che lo sfamano con scarsa innocenza e ampia indifferenza alle esigenze locali, è un dato risaputo (e su alcuni suoi profili torneremo). Per tutti, da noi, A. Sciortino, L'Africa in guerra. I conflitti africani e la globalizza zione, Baldini Castoldi Dalai, Milano 2008, passim e pp. 245 sgg., 353 sgg. 71 Al quale non sfuggivano i benefici (propri) del divide et impera: e multis, G. B. N. Ayittey, Indigenous African Institutions, Transnational Publishers, Ards ley 20061, spec. pp. 444, 460 (ma si veda anche pp. 146, 150, 152); J. Iliffe, Popoli dell’Africa. Storia di un continente, Bruno Mondadori, Milano 2007, spec. pp. 254 sgg. (trad. it. da Africans. The History ofA Continent, Cambridge University Press, Cambridge 2007’); W. Menski, Comparative Law cit., pp. 477 sgg-, anche per ulteriori riferimenti. 72 Sul punto, assai utili). Goody, Introduction, in Id. (a cura di), Succession to High Office, Cambridge University Press, Cambridge 1966, pp. 1 sgg. ; e poi M. Alliot, Un droit nouveau est-il en train de naitre en Afrique?, in G. Conac (dir.), Dynamiques et finalités des droits africains, Economica, Paris T980, pp. 467, 478 sg.; M. Gluckman, Politics, Law and Ritual in Tribal Societies (1965), Basil Blackwell, London-Oxford 1971, pp. 123 sgg.; Id., Custom and Conflict in Africa (1956), Basil Blackwell, Oxford 1973, pp. 27 sgg.; e i saggi raccolti in C.-H. Perrot e F.-X. Fauvelle-Aymar, Le retour des rois. Les autorités traditionnelles et I’Etaten Afrique contemporaine, Karthala, Paris 2003; oltre al clas sico E. Evans-Pritchard, Witchcraft, Oracles and Magic among the Azande, Cla rendon, Oxford 1937 (trad. it. Stregoneria, oracoli e magia tra gli Azande, F. Angeli, Milano 1976). Più in generale, A. Richards, Some Mechanisms for the Transfer ofPolitical Rights in Some African Tribes, in «J. Roy. Anthr. Inst.», 90 (i960), pp. 175 sg.; ma si veda anche J.Djoli, Le constitutionnalisme africain: entre l'officici et le réel... et les mythes. État de lieux, in C. Kuyu (dir.), À la re cherche du droit africain du xxf siècle, Connaissances et Savoirs, Paris 2005, pp. 175 sgg. Da noi, G. Calchi Novali, Dalla parte dei leoni. Africa nuova, Afri ca vecchia, il Saggiatore, Milano 1995, p. 94. ” W. Menski, Comparative Law cit., p. 483. 74 R. Sacco, Il diritto africano cit., pp. 199 sgg.; si veda anche H. W. O. OkothOgendo, The Imposition of Property Law in Kenya, in S. B. Burman e B. E. Harrell-Bond (a cura di), The Imposition of Law, Academic Press, New York 1979, PP- 147, 154 sgg. ” Si veda in particolare, B. Sitack Yombatina, Droit de l’environnement à l'épreuvedes representations culturelies africaines : une gestion à réinventer?, in C. Kuyu (dir.), À la recherche du droitafricain du xxf siècle cit., pp. 145, 164 sgg.; J. W. Bruce e S. E. Migot-Adholla, Searchingfor Land Tenure Security in Africa, Kendall/Hunt, Dubuque 1994. 76 Per alcuni cenni, infra Cap. 15 e, sin d’ora, si veda la soluzione, accolta in Tan zania, di registrare senza mediazioni tecniche diritti di natura consuetudina ria, oppure quella realizzata in Etiopia e Malawi, di registrare diritti su base familiare: Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work for Everyone cit., vol. II, p. 91. 77 Fra i tanti, A-. Rochegude, Ubi societas ibi jus : ubi jus, ibi societas, in C. Kuyu (dir.), À la recherche cit., pp. 115, 126 sgg.; C. Kuyu, Le Fancier, unepreoccu pation constante, un champ d‘expertise reconnue, in «Juridicités, Cahiers d’anthropologie du droit», U.S. (2006), pp. 83 sgg.; si veda anche E. Le Roy, La generalisation de la propriété privée de la terre, une fausse «bornie solution» pour l'Afrique noire, ivi, pp. 83 sgg.; cosi come L. Cotula (a cura di), Changes in «Customary» Land Tenure Systems in Africa, lied-Fao, London-Rome 2007.
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Note
’’ M. Guadagni, limodello pluralista, Giappichelli, Torino 1996, p. 71. ” Si veda, rispettivamente, T. Dejean, L’organisation judiciaire centrafricaine, pp. 28 sgg.; D. Nanare, La méconnaissance du droit et ses consequences sur le développement, pp. 85 sgg. : tutti in J. Willibiro-Sako (coord.), Le ròte de la justice dans le développement de laR.CA., Bangui 1991; e J. John-Nambo, Le droit et sespratiques au Gabon, in C. Kuyu (dir.), À la recherche cit., pp. 229, 232 sgg. " R. Sacco, Il diritto africano cit., p. 205. 81 Per rilievi analoghi, L. Abu-Odeh, The Politics of (Mis)recognition : Islamic Law Pedagogy in American Academia, in «Am. J. Comp. L.», 52 (2004), pp. 789, 806 sgg.; R. Sacco, Antropologia cit., p. 223. " A. Wezler, Dharma in the Veda and the Dharmasastras, in «J. Ind. Phil.», 32 (2004), pp. 629, 631; R. W. Lariviere, Dharmasàstra, Custom, «Real Law», and «Apocryphal» Smrtis, in «J. Ind. Phil.», 32 (2004), pp. 611 sgg.; L. Rocher, Law Books in an Oral Culture: The Indian Dharmasastras, in «Proceedings of the American Philosophical Society», 137 (1993), pp. 254-67. ” A. Kumar Giri, Il «governo della legge» e la società indiana. Dal colonialismo al postcolonialismo, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria e critica, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 708 sgg. Per il rilievo che «absent any general principle of equality in hindu society, and given the pervasive pres ence of dharma, the notion of rights, as individual power, or as anything else, is not inherent in hindu thought», H. P. Glenn, Legal Traditions of the World, Oxford University Press, Oxford 2007', p. 288. Per alcune utili precisazioni, W. Menski, Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, Oxford University Press, New Delhi 2003, pp. 77 sgg., 83. Si veda anche R. Lingat, The ClassicalLaw ofIndia, Oxford University Press, New Delhi 1973 (rist. 1999), spec, pp. 176 sgg. (trad. ingl. con aggiunte dij. D. M. Derrett da Les sources du droit dans le système traditionnelde I'lnde, Mouton & Co., Paris 1967); e, per la sot tolineatura di come gli stessi testi sacri accogliessero molte delle piu antiche consuetudini, J. D. M. Derrett, Hindu Law. Past and Present, A. Mukherjee, Calcutta 1957, pp. 1 sg., 42 sg.; Id., Religion, Law and State in India, Faber & Faber, London 1968, pp. 158 sgg.; U. Baxi, People's Law in India. The Hindu Society, in M. Chiba (a cura di), Asian Indigenous Law in Interaction with Re ceived Law, Kpi, London - New York 1986, pp. 216, 220 sgg.; si veda V. P. Nanda e S. Prakash Sinha (a cura di), Hindu Law and Legal Theory, New York University Press, New York 1996, spec. Vlntroduzione, pp. xn-xin. 84 G. Ajani, A. Serafino e M. Timoteo, Diritto dell'Asia orientale, Utet, Torino 2007, spec. pp. 168, 359. ” R. Sacco, s.v. Cina, in Dig. IV, Disc.priv., sez. civ., Utet, Torino 1988, vol. II, pp. 360 sgg.; L. Moccia, Il diritto in Cina, Bollati Boringhieri, Torino 2009; T. Ruskola, The East Asian Legal Tradition, in M. Bussani e U. Mattei (a cura di), The Cambridge Companion to Comparative Law, Cambridge University Press, Cambridge 2010, in corso di pubblicazione. “ W. Menski, Comparative Law cit., pp. 518 sgg., 523 sgg. " Per tutti, M. Tessier, Islam and Democracy in the Middle East, in «J. Comp. Pol.», 34 (2002), pp. 337 sg.; D. B. Burrell, Review: Varieties of Islamic Thought, in «Rev. Pol.», 56 (1994), pp. 773 sg.; T. Ramadan, La riforma radi cale. Elam, etica e liberazione, Rizzoli, Milano 2009, passim e pp. 12 2 sgg. (trad, da Radical Reform. Islamic Ethics and Liberation, Oxford University Press, Oxford - New York 2009); A. Piga, L'islam in Africa. Sufismo e jihadfra storia e antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 2003, pp. 58 sgg. “ Si veda F. Castro, La codificazione del diritto privato negli stati arabi contempo
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ranei, in«Riv.dir. civ.», 1 (1985), pp. 387 sgg.; Id., Ilmodello islamico, a cu ra di G. M. Piccinelli, Giappichelli, Torino 2007’, pp. 87 sgg., 92 sgg. ” A. GambaroeR. Sacco, Sistemi giuridici comparati, Utet, Torino 2008’, p. 358. ” R. Aluffi Beck-Peccoz, La modernizzazione del diritto di famiglia nei Paesi ara bi, Giuffrè, Milano 1990, p. no. T. Abdulkader, Examining the Role of Islamic Law, in T. Abdulkader, S. Cox e B. Kraty (a cura di), Structuring Islamic Finance Transactions, Euromoney Books, London 2005, pp. 13, 27; J. Schacht, Introduzione al diritto musulma no, Fondazione Agnelli, Torino 1995, pp. 83 sg. (trad. da An Introduction to Islamic Law, Clarendon Press, Oxford 1964); in particolare, riguardo agli stra tagemmi giuridici ideati per superare l’impossibilità di prestare denaro a inte resse, G. M. Piccinelli, s.v. Ribà, in Dig. TV, Disc, prie., sez. civ., Utet, Torino 1998, vol. XVII, pp. 494-95; con riferimento a quelli impiegati per evitare i divieti esistenti in materia di contratti assicurativi, G. M. Piccinelli, Il sistema bancario islamico, Istituto per l’Oriente (Ipo), Roma 1989, p. 15. ” Si vedano supra, in questo Capitolo, i luoghi cit. alle note 82-83. ” Sul punto, D. R. Davis jr, Law and 581 final. B. S. Chimni, International Institutions Today: An Imperial Global State in the Making, in «Eur. J. Int’l L.», 15 (2004), n. 1, p. 27; si veda anche C. Pinelli, Le clausole sui diritti umani negli accordi di cooperazione intemazionale dell’Unione, in «Riv. crit. dir. priv.», 2006, pp. 39 sgg. Si centra sulla «diffusione
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del patrimonio costituzionale europeo», nella prospettiva «di consolidare la posizione delle corti costituzionali, quali garanti dei diritti costituzionali e del primato del diritto», non puntando tuttavia «ad imporre una soluzione, ma a promuovere uno scambio di vedute in un’ottica di dialogo non direttivo», la «Commissione europea per la Democrazia attraverso il Diritto» (nota come Commissione di Venezia, dal nome della città in cui si riunisce), la quale è un organo consultivo del Consiglio d’Europa. Si veda www.venice.coe.int. La Commissione dirige i suoi lavori soprattutto verso i sistemi est-europei e del l’Asia centrale, un’area dove peraltro - come abbiamo ricordato (supra, in que sto Capitolo, § 4, e si veda pure Supporting Human Rights and Democracy: The US. Record, p. rii) - sono massicciamente presenti anche le agenzie Usa. 1,7 E.g., Ch. Bretherton e J. Vogler, The European Union cit., pp. 132 sgg., 180 sg. Si veda poi «Communication from the Commission to the Council, the Eu ropean Parliament, the European Economic and Social Committee and the Committee of the Regions, Governance in the European Consensus on devel opment towards a harmonised approach within the European Union», COM 65 sgg.; J. Peel, A Gmo by Any Other Name ...Might Be an Sps Risk! .Implications of Expanding the Scope oftheWto Sanitary andPhytosanitary Measures Agreement, in «Eur. J. Int’l L.», 17 (2006), n. 5, pp. 1009 sgg.), con particolare riguardo alla materia ambientale (A. E. Dessler e E. Parson, The Science and Policy of Global Climate Change : A Guide to the Debate, Cambridge University Press, Cambridge 2006, pp. 47-87; S. H. Schneider, A. Rosencranz, M. D. Mastrandrea e K. Kuntz-Duriseti (a cura di), Climate Change Science and Policy, Island Press, Washington D.C. 2010); e alla compatibilità dei modelli di proprietà intellettuale adottati dagli accor di TRIPS con la ‘traditional knowledge’, matrice produttiva di gran parte del l’agricoltura non occidentale (M. Goodhart, Democracy as Human Rights cit., pp. 208 sgg.; Th. Pogge, ora in World Poverty and Human Rights, Polity, Cam bridge 2008', p. 222). Óra, scontato l’impatto del fenomeno per cui criteri e risultati scientifici di cui si discute sono in grandissima parte quelli prodotti dal ‘Nord’ del mondo, ai nostri fini vale la sottolineatura di quello che appa re essere il punto piu avanzato della riflessione: ossia l’esigenza che tutti gli at tori coinvolti (scienziati, industrie, portatori di interessi pubblici) siano incen tivati (e qui il controllo dei circoli scientifici e del circuito mediatico si annun cia fondamentale) a svelare sempre le opzioni che s’intendono perseguire attraverso la scelta delle regole scientifiche date. Si veda almeno M. Shapiro, The Frontiers of Science Doctrine : American Experiences with the Judicial Con trol of Science-Based Decision-Making, in Ch. Joerges, K.-H. Ladeur e E. Vos (a cura di), Integrating Scientific Expertise into Regulatory Decision-Making, Nomos Verlagsgesellschaft, Baden-Baden 1997, pp. 325, 339 sgg.; Ch. Joerges, Constitutionalism in Postnational Constellations : Contrasting Social Regulation in the EU and in the WTO, in Ch. Joerges e E.-U. Petersmann, Constitutionalism, Multilevel Trade Governance and Social Regulation, Hart, Oxford-Portland 2006, pp. 491, 511 sgg. 2,4 M. J. Trebilcock e R. Howse, The Regulation ofInternational Trade, Routledge, London - New York 2005’, PP- 559 s88- Su quanto segue si veda anche Astrid, Governare l'economia globale nella crisi e oltre la crisi, a cura di G. Amato, Pas sigli, Firenze 2009, pp. 279 sg., 289 sgg. 2” Sono difatti i soggetti espressione delle economie più forti a esercitare note voli pressioni affinché sia introdotta una ‘clausola sociale’ entro le maglie de gli accordi WTO, al declamato fine di estendere ai paesi in via di sviluppo l’ap plicazione di quegli standard di protezione dei lavoratori che sono propri ai nostri più solidi sistemi economici. Sono pressioni che hanno ovviamente in contrato il netto rifiuto dei soggetti rappresentanti le economie più deboli, se-
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Note
condo i quali la ‘clausola sociale’ altro non sarebbe che uno strumento al ser vizio di politiche protezionistiche, destinato a innalzare nuove barriere al com mercio delle economie meno sviluppate, e a far perdere a queste ultime uno dei pochi vantaggi competitivi di cui esse godono: il minor costo della mano dopera. Si veda, eg., J. Krè, E. Cihelkova e J. Biè, WTO and the Social Clause, or else: the Multilateral Approaches to the International Labor Standards, in «Acta Oeconomica Pragensia», x6 (2008), pp. 48 sgg.; S. Cho, Beyond Doha's Promises : Administrative Barriers as an Obstruction to Development, in «B.J. Int’l L.», 25 (2007), pp. 395, 419 sg.; T. N. Srinivasan e S. D. Ten dulkar, Reintegrating India with the World Economy, Peterson Institute, Wash ington D.C. 2003, p. 92; V. A. Leary, The WTO and the Social Clause:PostSingapore, in «Eur. J. Int’l L. », 8 (1997), pp. 118-19. 2M Per la sintesi del dibattito, M. Shahin, To What Extent Should Labor and En vironmental Standards Be Linked to Trade?, in «The Law and Development Re view», 2 (2009), n. 1, art. 2, pp. 1 sgg. I testi dell’accordo GATT sono stati inclusi nell’Accordo istitutivo della WTO. Sul punto, M. J. Trebilcock e R. Howse, The Regulation cit., pp. 27 sgg. 2” Si veda la Dichiarazione dell’organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) del 1998 sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro, che ha sintetizzato i contenuti delle cosiddette otto Convenzioni Fondamentali dell’OIL, ossia del le Convenzioni nn. 87/1948, 98/1949, 29/1930, 105/1957, 100/1951, 111/1958, 138/1973, 182/1999. Sul punto, eg., B. Hepple, Labour Laws and Global Trade, Hart, Oxford 2005, p. 144; E. Alben, GATT and the Fair Wage: A Historical Perspective on the Labor-Trade Link, in «Colum. L. Rev.», 101 (2001), pp. 1410, 1416 sgg.; e soprattutto M. J. Trebilcock e R. Howse, Trade Policy and Labour Standards, in «Minn. J. Global Trade», 14 (2005), pp. 261, 267. 2” La revoca delle concessioni di vantaggi commerciali è lo strumento primario adottato dall’Unione Europea, la quale, al riscontro del mancato rispetto, da parte di uno Stato esportatore, di una delle otto Convenzioni Fondamentali elaborate dall’OIL (e cit. alla nota precedente) - o di una delle Convenzioni Onu fra quelle ora indicate nell’All. Ili, parte A, del Regolamento (CE) n. 732/2008 del Consiglio, del 22 luglio 2008, può dichiarare quello Stato deca duto dal Generalized System of Preferences (GSP o GSP + ). Si veda in partico lare quanto disposto dagli artt. 15 sgg., e 20, dello stesso Regolamento - e, con riguardo alla base giuridica per il sistema generalizzato di preferenze attuato dalla WTO, si veda il contenuto della c.d. ‘Enabling Clause’ (Differential and More Favourable Treatment. Reciprocity and Fuller Participation of Develop ing Countries, Decisione del 28 novembre 1979, a: www.wto.org). 2” Sono sintomatici, da questo punto di vista, due dati: a) che «la Camera di com mercio americana abbia contestato l’introduzione delle nuove leggi sul lavoro [in Cina], alludendo alla possibilità che i nuovi investimenti sarebbero stati di rottati verso altri paesi, dove il lavoro è a minor costo e senza vincoli legisla tivi e contrattuali»: A. Lettieri, Lavoro, globalizzazione e crisi, in Astrid, Go vernare l'economia globale nella crisi ed oltre la crisi cit., pp. 197, 208; e, per contro b) che negli stessi Usa siano state adottate a livello locale numerose leg gi volte a escludere dal mercato prodotti non provenienti da ‘responsible ma nufacturers’. Si veda A. Barnes, Do They Have To Buy from Burma? A Preempt ion Analysis of Local Antisweatshop Procurement Laws, in «Colum. L. Rev.», 107 (2007), n. 2, pp. 426, 432 sgg. In luogo di tanti, M. Goodhart, Democracy as Human Rights cit., pp. 206 sg., 215 sg.; e cfr. J. Bhagwati, Elogio della globalizzazione, Laterza, Roma-Bari
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2005, PP- 166 sgg. (trad, da In Defense of Globalization, Oxford University Press, Oxford 2004). Si noti peraltro che gli Usa, delle otto citate Convenzio ni costituenti i ‘Core Labour Standards’ (supra, nota 297), hanno finora rati ficato soltanto le Convenzioni n. 105 (lavoro forzato) e n. 182 (peggiori for me di lavoro minorile). m Per la critica a una rigida applicazione degli standard lavorativi internaziona li a paesi non occidentali, di fronte al rischio della loro insostenibilità da par te del locale sistema produttivo, e multis, F. Onida, Standard sociali e del lavo ro nella ‘rule of law ’ intemazionale, in Astrid, Governare l’economia globale nel la crisi ed oltre la crisi cit., pp. 215, 230 sg.; M. J. Trebilcock e M. Fishbein, International Trade : Barriers to Trade, in A. T. Guzman e A. O. Sykes (a cura di), Research Handbook in International Economie Law, Edward Èlgar, Chel tenham-Northampton 2007, pp. 1, 55 sg.; e, in particolare, K. Basu, EléBelé. L'India e le illusioni della democrazia globale, Laterza, Bari-Roma 2008, pp. 21 sgg. (trad, da The Retreat of Democracy and Other Itinerant Essays on Globali zation Economics and India, Permanent Black, Delhi 2007) ove, con specifico riguardo al lavoro minorile, si leggono le seguenti preziose osservazioni: «si consideri un provvedimento che imponga una sanzione pecuniaria a tutte le imprese che impiegano lavoratori con meno di 15 anni: una misura apparente mente ragionevole per controllare il lavoro minorile. Il Child Labour Act del l’india, varato nel 1986, contiene proprio un provvedimento di questo gene re. Esaminiamo l'impatto di questa norma sul salario orario dei bambini. E probabile che il salario diminuisca, perché a seguito del provvedimento i bam bini diventano un fattore di produzione meno conveniente (il datore di lavo ro rischia di essere scoperto e multato). Se i bambini lavorano per permettere alle famiglie di guadagnare un livello minimo accettabile di reddito, allora l’ab bassamento del salario orario li costringe a lavorare piti a lungo [p. 21]... Nel le regioni pili povere, invece, si dovrebbe permettere ai bambini di lavorare qualche ora al giorno, perché questa è spesso l’unica maniera in cui possono fi nanziare la propria istruzione o quella dei propri fratelli ... Nell’affrontare il problema del lavoro minorile è facile commettere due errori: cader nella trap pola dell’autocompiacimento, lasciando tutto ai mercati, e cercare di elimina re il lavoro minorile in un colpo solo, senza alcun riguardo per il benessere dei presunti beneficiari di questi provvedimenti, vale a dire i bambini» [p. 25]. Su questo stesso punto, si veda anche E. V. Edmonds e N. Pavcnik, Child Labor in the Global Economy, in «J. Econ. Persp.», 19 (2005), n. r, pp. 199 sgg.; e infra, Cap. r2, § 2, e Cap. 15, § 8. «First you Western countries are pressing standards upon us that have arisen from your development rather than ours. And then you are worsening our com petitive situation through protectionism if we fail along these lines, by sup porting your own industries more than you otherwise would anyway»: M. Ris se, A Right to Work? A Right to Leisure? Labor Rights as Human Rights, in «Law & Ethics of Human Rights», 3 (2009), n. r, art. r, p. 13. In argomen to, oltre agli autori cit. fin qui, in questo paragrafo, si veda, per il dibattito, D. Rodrik, One Economics Many Recipes. Globalization, Institutions, and Eco nomic Growth, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2007, pp. 237 sgg.; J. E. Stiglitz, La globalizzazione che funziona (2006), Einaudi, Torino 2007, spec. pp. 65 sgg. (trad, da Making Globalization Work, Norton & Co., New York 2006). Si vedano anche i dati richiamati infra, alla nota 566. ’°’ Ma solo per chi non sfugge ai paradigmi abituali. Si veda infatti, lucidamen te, S. Cassese, Oltre lo Stato cit., p. 93. M. B. Likosky, Law Infrastructure, and Human Rights, Columbia University Press, New York 2006, passim, e pp. 7 sgg., 62 sgg., 141 sgg.; D. A. Levy,
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Note
BOT and Public Procurement: A Conceptual framework, in «Indiana Int’l & Comp. L. Rev.», 7 (1996), pp. 95, 106. Si veda C. McCrudden e S. G. Gross, Wto Rules on Government Procurement andNational Administrative Law, in«Eur.J. Int’l L.», 17 (2006), pp. 151 sg.; C. McCrudden, Buying Social Justice. Equality, Government Procurement and Legal Change, Oxford University Press, New York - Oxford 2007, pp. 232 sgg., 247 sgg. La stessa scelta è stata abbracciata, e per motivi analoghi, dal Sudafrica (qui per promuovere l’integrazione economica di gruppi storicamen te svantaggiati in ragione del colore della pelle, del genere, o di disabilità): M. J. Trebilcock e R. Howse, The Regulation cit., pp. 583 sg. J“ Si veda anche B. S. Chimni, International Institutions Today cit., p. 25. M’Domande assai simili si pongono C. McCrudden e S. G. Gross, Wto Rules cit., pp. 151, 153; ma si veda anche J. Yeng e S. C. Van Dissei, Improving Access of Small Local Contractors to Public Procurement. The experience of Andean Countries, in «ILO-ASIST Bulletin» (September 2004), n. 18, pp. 8 sgg.; Suc cess Africa .Partnership for Decent Work.ImprovingPeople’s Lives, vol. II, ILO, Addis Abeba 2007, pp. 2 sgg., 31 sgg. J centrate sui percorsi occidentali, A. Pacchi, Breve storia dei dirit ti umani, il Mulino, Bologna 2007; L. Hunt, La forza dell’empatia. Una storia dei diritti dell’uomo, Laterza, Roma-Bari 2010 (trad, da Inventing Human Rights. A History, W. W. Norton, New York - London 2007). Per alcune pro spettive di maggior dettaglio, G. R. Drivers e J. C. Miles, The Babylonian Laws, 2 voli., Clarendon, Oxford 1952 e 1955, spec. vol. I, passim-, V. P. Nanda, Hinduism and Human Rights, in V. P. Nanda e S. Prakash Sinha (a cura di), Hindu Law and Legal Theory, New York University Press, New York 1996, pp. 237 sgg.; Masao Abe, Religious Tolerance and Human Rights: A Buddhist Perspective, in L. Swidler (a cura di), Religious Liberty and Human Rights, Ecu menical Press - Hippocrene Books, Philadelphia - New York 1986, pp. 193 sgg.; J. Chan, A Confucian Perspective on Human Rights for Contemporary China, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge for Human Ri ghts, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 212, 227 sgg.; e poi, per le radici greche in particolare, C. Douzinas, The End ofHuman Rights. Crit ical Legal Thought at the Turn of the Century, Hart, Oxford 2000, pp. 24 sgg.; per quelle romane, R. H. Helmholz, Natural Human Rights: The Perspective of the lus Commune, in «Cath. U. L. Rev.», 52 (2003), pp. 301, 308, 313 sg., 319 sg.; T. Honore, Ulpian: Pioneer ofHuman Rights, Oxford University Press, New York 20022, spec. pp. 84 sgg.; R. A. Bauman, Human Rights in Ancient Rome, Routledge, London 2000. Si veda inoltre M. R. Konvitz (a cura di), Ju daism and Human Rights, W. W. Norton, New York 1972; H. H. Cohn, Hu man Rights in Jewish Law, Institute of Jewish Affairs, London - New York 1984; A. E. Mayer, Islam and Human Rights: Tradition and Politics, Westview, Boulder 20074; S. Avineri, The Paradox of Religion and the Universality of Hu man Rights, in A. Sajó (a cura di), Human Rights with Modesty: The Problem of Universalism, Koninklijke Brill NV, Leiden-Boston 2004, pp. 317 sgg. 427 J. Rawls, The Idea of an Overlapping Consensus, in «Oxf. J. Leg. Stud.», 7 (1987), p. 1. Se ne veda una discussione ai nostri fini utile in D. Miller, Na tional Responsibility and GlobalJustice, Oxford University Press, Oxford 2007, pp. 162 sgg.; Ch. R. Beitz, The Idea ofHuman Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 2009, pp. 74 sgg.; da noi, S. Maffettone, Diritti umani e diversità culturale, in A. Sen, P. Fassino e S. Maffettone (a cura di), Giustizia globale, il Saggiatore, Milano 2006, pp. 47, 51 sgg. 42! Cosi, J. Habermas, VergangenheitalsZukunft, Pendo Verlag, Ziirich 1990 (trad, it. Dopo l’utopia, Marsilio, Venezia 1992, p. 20); su posizioni analoghe, si ve da la teoria degli ‘assoluti morali’ di J. M. Finnis, Natural Law and Naturai Rights, Clarendon University Press, Oxford 1980, spec. pp. 241-44 (trad. it. Legge naturale e diritti naturali, Giappichelli, Torino 1996); ma anche J. Grif fin, On Human Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 2008, pp. 31 sgg. (ove l’autore argomenta a favore di un «expansive naturalism»). 425 Per tutti, la stessa M. R. Ishay, The History ofHuman Rights cit., pp. 47 sgg.; e poi N. Bobbio, L'età dei diritti, Einaudi, Torino 1990, pp. 5 sgg.; D. Zolo, Fondamentalismo umanitario, in M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei di ritti umani cit., pp. 137 sgg.; A. Cassese, Idiritti umani oggi cit., pp. 63 sg.; J. R. Bauer e D. A. Bell, Introduction, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), East Asian cit., pp. 3-4. 4,0 P. G. Lauren, The Evolution of International Human Rights, University Penn sylvania Press, Philadelphia. 2003’, pp. 1 sg., 4 sg.; ma si vedano anche le pre-
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Note
cisazioni di W. Twining, Conclusion, in Id. (a cura di), Human Rights,Southern Voices, Cambridge University Press, Cambridge 2009, pp. 217 sg. 4)1 Già sappiamo, peraltro, che le stesse nozioni di diritto ‘oggettivo’ e ‘soggetti vo’ sono costrutti occidentali che faticano o hanno molto faticato a far brec cia nelle culture ‘altre’: supra, Capp, r e 3; adde R. Panikkar, Is the Notion of Human Rights a Western Concept?, in «Diogenes», 30 (1982), n. 120, pp. 75 sgg.; N. Rouland, I fondamenti antropologici dei diritti dell’uomo, in «Rivista internazionale di filosofia del diritto» (1998), pp. 245, 267 sgg.; K. Olivecrona, Legal Language and Reality, in R. A. Newman (a cura di), Essays in Jurispru dencein Honor ofRoscoe Pound, Bobbs-Merrill, Indianapolis - New York 1962, PP- 151 sgg. 4)2 J. Habermas, Dopo l’utopia cit., p. 20. 4” Ibid. 4)4 Fin d’ora, S. M. Carbone, I soggetti e gli attori nella comunità intemazionale, in aa.vv., Istituzioni di diritto intemazionale, Giappichelli, Torino 2003', pp. 26-32; B. Conforti, Diritto intemazionale, Esi, Napoli 20026 (rist. 2005), pp. 19-21. 4” È bene infatti sottolineare come la tradizione di pensiero (occidentale), spes so evocata a supporto storico dell’attuale configurazione dei diritti umani, non riconosceva che scarso o alcun ruolo agli individui e ai popoli come soggetti di un diritto ultra-statuale. Come ricorda A. Cassese - Idiritti umani oggi cit., p. 9 - ciascuno dei grandi pensatori attenti al ruolo e alle prerogative dell’indivi duo, quando «passa a parlare dei rapporti internazionali conclude - amaramen te o con rassegnazione - che soli vi dominano gli Stati» (si veda anche M. R. Ishay, The History of Human Rights cit., pp. 100 sgg.). Le grandi dichiarazio ni settecentesche (Usa 1776, 1787, Francia 1789) non vanno oltre: detto che colà nessuna considerazione è dedicata ai diritti dei gruppi, ogni forma di tu tela da esse predisposte valeva sull’esclusivo piano dei rapporti interni allo Sta to. Lo scenario non muta, né sul piano del discorso pubblico, né su quello nor mativo, con l’adozione, fra la seconda metà dell’ ’800 e la prima del ’900, di alcuni strumenti di diritto internazionale - aventi ad oggetto, e.g., la schiavitù, la codificazione del diritto di guerra, o l’uniformità di trattamento dei lavora tori (per alcune riflessioni utili a comprendere le ragioni politico-economiche che animarono l’adozione di questi strumenti, A. Cassese, I diritti umani oggi cit., pp. 17 sg.; P. G. Lauren, The Evolution ofInternational Human Rights cit., pp. 28 sgg., 38 sgg.) -. Si tratta di strumenti che non schiudono orizzonti nuo vi, vuoi per la limitatezza del loro campo di intervento, vuoi perché si muovo no nel solco dell’elaborazione tradizionale per la quale «gli individui sono pre si in considerazione in quanto pertinenza dello Stato»: M. Ignatieff, Una ra gionevole apologia dei diritti umani cit., p. 9. 4,4 Cfr. M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 11 sgg.; P. G. Carezza, «My Friend is a Stranger»: The Death Penalty and the Globallus Commune of Human Rights, in «Tex. L. Rev.», 81 (2003), pp. 1031 sgg. 4” Ai luoghi cit. supra, Cap. 9, nota 388, adde O. Schachter, International Law in Theory and Practice, Martinus Nijhoff, Dordrecht 1991, pp. 335 sgg.; I. Detter, The International Legal Order, Aidershot, Dartmouth 1994, pp. 281, 304 sg. 4" Si veda A. Cassese, Idiritti umani oggi cit., pp. 50 sgg.; D. Shelton, Remedies in International Human Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 1999, pp. 137 sgg.; H. J. Steiner, P. Alston e R. Goodman, International Hu man Rights in Context:Law, Politics,Morals, Oxford University Press, Oxford - New York 2008’, pp. 925-1083.
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4” J. F. Murphy, The United States and the Rule of Law in International Affairs, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 326 sgg.; D. Archibugi, Cittadini del mondo. Verso una democrazia cosmopolitica, il Saggiatore, Milano 2009, pp. 177 sg. Per un’analisi comparata delle difficoltà che incontra, nelle varie giurisdizioni domestiche, l’applicazione orizzontale dei diritti umani (os sia la possibilità delle vittime di agire direttamente nei confronti di soggetti privati, responsabili della violazione di quei diritti), si veda, fra i tanti, D. Friedmann e D. Barak-Erez, Human Rights in Private Law, Hart, Oxford-Port land 2001 ; Ph. Alston (a cura di), Non-State Actors and Human Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 2005; D. Oliver e J. Fedtke (a cura di), Human Rights and the Private Sphere, Routledge-Cavendish, London - New York 2007; H. Hershkoff, Transforming Legal Theory in the Light of Practice: The Judicial Application of Social and Economic Rights to Private Orderings, in V. Gauri e D. M. Brinks (a cura di), Courting Social Justice. Judicial Enforce ment of Social and Economic Rights in the Developing World, Cambridge Uni versity Press, Cambridge - New York 2008, pp. 268 sgg. XI. DIRITTI SENZA DIRITTO (pp. 141-51) 440 M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli, Milano 2003, pp. 70 sgg. (trad, da Human Rights as Politics and Idolatry, Princeton Univer sity Press, Princeton 2001); si veda pure Ch. R. Beitz, The Idea of Human Ri ghts, Oxford University Press, Oxford - New York 2009, pp. 3 sgg., 198 sgg. 441 A. Sen, Human Rightsand the Limits of Law, in «Cardozo L. R.», 27 (2006), pp. 2913 sgg.; ma si veda anche M. C. Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, il Mulino, Bologna 2001, pp. 112 sgg. (trad. it. da Wom en and Human Development. The Capabilities Approach, Columbia University Press, New York 2000). 442 «Right, the substantive right, is the child of law; from real laws come real rights; but from imaginary laws, from ‘laws of nature’ ... come imaginary rights». J. Bentham, Anarchical Fallacies; Being an Examination of the Declara tion of Rights Issued during the French Revolution, in J. Waldron (a cura di), Nonsense upon Stilts. Bentham, Burke and Marx on the Rights ofMan, Methuen & Co., New York 1987, pp. 46, 49. Si veda poi H. L. A. Hart, Are There Any Natural Rights?, in «Phil. Rev.», 64 (1955), pp. 175, 177 sgg.; J. Rawls, Poli tical Liberalism, Columbia University Press, New York 1996’, pp. 409 sgg. 441 A. Sen, The Idea ofJustice, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2009, PP- 337 sgg-; F. Kurasawa, The Work of Global Justice. Human Rights as Prac tices, Columbia University Press, New York 2007, passim e p. 209. 444 O. Hòffe, Determiner les droits de I’homme à travers une discussion interculturelle, in «Revue de Métaphysique et de Morale», 4 (1997), pp. 461, 463. 445 C. Gearty, Can Human Rights Survive?, The Hamlyn Lectures 2005, Cam bridge University Press, Cambridge 2006, pp. 72 sgg.; si veda anche, con ar gomenti che, benché centrati sull’esperienza Usa, si vorrebbero generalizzabi li, M. A. Glendon, Rights Talk. The Impoverishment of Political Discourse, Free Press, New York 1991, spec. pp. 14 sgg. 446 Per il rilievo secondo cui il ruolo delle corti nelle correnti negoziazioni in te ma di diritti umani sarebbe invece quello di un «bargaining chip for use in other politicai fora», H. H. Koh, Transnational Public Law Litigation, in «Yale L. J.», 100 (1991), pp. 2347, 2349. Ma si veda anche M. Loughlin, Rights, Democracy and Law, in T. Campbell, K. D. Ewing e A. Tomkins (a cura di),
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Note
Sceptical Essays on Human Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 2001 (rist. 2003), pp. 41 sgg.; M. Tushnet, Scepticism about Judicial Review : A Perspective from the United States, ibid., pp. 359 sgg.; M. J. Dennis e D. P. Stewart, Justiciability of Economic, Social, and Cultural Rights : Should There Be an Int’l Complaints Mechanism to Adjudicate the Rights to Food, Water, Hous ing, and Health?, in «Am. J. Int’l L.», 98 (2004), p. 462. A. Sen, Identità, povertà e diritti umani, in A. Sen, P. Fassino e S. Maffettone, Giustizia globale, il Saggiatore, Milano 2006, pp. 7, 15 sgg. 44‘ Per la messa in guardia contro il rischio di sovrapporre la ‘comunità’ alla ‘co munità politica’ e quindi allo Stato nazione, assumendo cosi che comunità po litica e ‘comunità culturale’ coincidano, J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson, Introduction, in Id. (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Per spectives, Cambridge University Press, Cambridge 2001, pp. 17 sg. Si veda an che il paragrafo successivo. m Eg., G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna. Assolutismo e codifica zione del diritto, il Mulino, Bologna 1976, pp. 615 sg.; G. Calabresi, Ideals, Be liefs, Attitudes, and the Law. Private Law Perspectives on a Public Law Problem, Syracuse University Press, New York 1985, pp. 22-24; F. Werro, L'homme raisonnable a perdu sa pipe, in P. Gauch e P. Pichonnaz (a cura di), Figures Juridiques Rechtsfiguren - Melanges Dissociés pour Pierre Tercier, Schulthess, Zurich 2003, pp. 109 sgg.; M. Bussani, La colpa soggettiva, Cedam, Padova 1991, passim e pp. 1 sgg. 4” Si veda S. Sassen, Territorio, autorità, diritti, Bruno Mondadori, Milano 2008, PP- 355 sgg- (trad. da Territory, Authority, Rights, Princeton University Press, Princeton 2006); S. Benhabib, I. Shapiro e D. Petranovic, Editor’s Introduc tion, in Id. (a cura di), Identities, Affiliations, and Allegiances, Columbia Univer sity Press, New York 2007, pp. 1 sgg.; L. Caracciolo, Le vite degli altri (e la no stra), in «Limes» (2007), n. 4, pp. 7 sgg.; M. Bussarti e M. Graziadei, Afterword, in Id. (a cura di), Human Diversity and the Law, Staempfli - Bruylant - Ant. N. Sakkoulas, Berne-Bruxelles-Athens 2005, pp. 183 sgg.; utile poi, pure in una prospettiva americo-centrica, S. P. Huntington, Who Are We? The Challenges to America’s national Identity, Simon & Schuster, New York 2004. «Today, no country in the world only has one type of people within its borders, since mi gration is not only an ancient human phenomenon, but has become ever more ubiquitous»: W. Menski, The Uniform Civil Code Debate in Indian Law . New Developments and Changing Agenda, in «German L. J.», 9 (2008), n. 3, p. 215. 4,1 A. Sen, Identità e violenza, Laterza, Roma-Bari, pp. 20 sgg. (trad. it. da Iden tity and Value. The Illusion of Destiny, W. W. Norton, London 2006); M. C. Nussbaum, Diventare persone cit., pp. 141 sgg.; A. Loretani, Identità, in M. Flores (dir.), Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell'epoca della globalizzazione. Dizionario, Utet, Torino 2007, pp. 705, 707 sgg.; e poi, in generale, e multis, M. R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo delle istituzioni, il Mulino, Bologna 2002, p. 71; U. Hannerz, La diver sità culturale, il Mulino, Bologna 2001 (trad. it. parziale di Transnational Con nections. Culture, People, Places, Routledge, London - New York 1996); S. N. Eisenstadt, Paradossi della democrazia, il Mulino, Bologna 2002, pp. 129 sgg., 137 (trad. da Paradoxes of Democracy, Johns Hopkins University Press, Balti more 1999); D. Nelken, Eugen Ehrlich, Living Law, and Plural Legalities, in «Theoretical Inquiries in Law», 9 (2008), n. 2, art. 6, pp. 443 sgg.; ma si ve da anche P. Perlingieri, La persona e i suoi diritti. Problemi deidiritto civile, Edi zioni Scientifiche Italiane, Napoli 2005; Id., La personalità umana nell’ordina mento giuridico, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli 1972.
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,S1 Nella vastissima letteratura, con qualche spunto particolarmente utile ai no stri fini, R. M. Keesing, Kin Groups and Social Structure, Holt, Rinehart & Winston, New York 1975; A. R. Radcliffe-Brown e C.D. Forde (a cura di), African Systems ofKinship and Marriage, Oxford University Press, Oxford 1950; P. P. Schweitzer (a cura di), Dividends of Kinship. Meanings and Uses ofSocial Kelatedness, Routledge, London - New York 2000; i classici C. Lévi-Strauss, Les structures élémentaires de la parenté, Mouton, Paris - The Hague 19672; J. G. Frazer, Matrimonio e parentela, il Saggiatore, Milano 1991 (trad, da Folk lore in the Old Testament. Studies in Comparative Religion, Legend and Law, vol. II, parte n, cap. Vi, Macmillan, London 1918); L. H. Morgan, Systems of Con sanguinity and Affinity of the Human Family (1870), The Smithsonian Institu tion, Washington D.C. 1871. Su versanti (solo apparentemente) diversi della riflessione, utili indicazioni sulla società cinese vengono da F. Sisci, Made in China, Carocci, Roma 2004, pp. 73 sg.; su quella indiana, da F. Rampini, La speranza indiana, Mondadori, Milano 2007, pp. 145 sgg.; mentre, su quella ita liana, analisi articolate si leggono in A. Alesina e P. Ichino, L’Italia fatta in ca sa. Indagine sulla vera ricchezza degli italiani, Mondadori, Milano 2009; e E. C. Banfield, Le basi morali di una società arretrata, il Mulino, Bologna 2006 (trad, da The Moral Basis of a Backward Society, Free Press, New York 1958). 4” E multis, J. Helm (a cura di), Essays on the Problem of Tribe, University of Washington Press, Seattle-London 1968; M. D. Sahlins, Tribesmen, Prentice Hall, Englewood Cliffs 1968; L. Sheleff, The Future of Tradition. Customary Law, Common Law and Legal Pluralism, Frank Cass, London-Portland 2000; L. Rosen, The Culture of Islam. Changing Aspects of Contemporary Muslim Life, University of Chicago Press, London-Chicago 2002, pp. 39 sgg.; si veda an che P. Kirchhoff, The Principles of Clanship in Human Society, in M. Fried (a cura di), Readings in Anthropology, vol. II, Crowell, New York 1968’, pp. 370 sgg.; anche in U. Fabietti (a cura di), Dalla tribù allo stato. Saggi di antropolo gia politica, Unicopli, Milano 1991, pp. 17 sgg.; A. R. Radcliffe-Brown, Introduction, in A. R. Radcliffe-Brown e C. D. Forde (a cura di), African Sy stems of Kinship and Marriage cit., pp. 1,39 sgg. 454 Si veda anche supra, Cap. 3, § 4 e note 59, 64; nonché, sul punto di cui al te sto, e.g., ]. H. Murphy (a cura di), Ethnic Minorities, Their Families and the Law, Hart, Oxford-Portland 2000, passim; W. Menski, Rethinking Legal Theory in the Light ofSouth-North Migration, in P. Shah e W. Menski (a cura di), Migra tion, Diasporas and Legal Systems in Europe, Routledge-Cavendish, London New York 2006, pp. 13 sgg.; M. Angelucci, G. De Giorgi, M. Rangel e I. Rasul, Village Economies and the Structure of Extended Family Networks, in«B. E. Journal of Economic Analysis & Policy», 9 (2009), n. 1 (Contributions), art. 44. 4” Eg., P. Stein, I fondamenti del diritto europeo, Giuffrè, Milano 1987, pp. 21 sgg. (trad. da Legal Institutions. The Development of Dispute Settlement, But terworths, London 1984); R. Sacco, Antropologia giuridica, il Mulino, Bologna 2007, pp. 166 sgg.; A. A. Bootaan, Somalia:Stato regionale o canonizzazione clanica, in aa.vv., Scritti in onore di R. Sacco, vol. I, Giuffrè, Milano 1994, pp. 93 sgg.; S. Romano, L’ordinamento giuridico (1918), Sansoni, Firenze 1946’, pp. 106 sgg.; e A. Pizzorusso, La dottrina di Santi Romano e la mafia siciliana, in «L’Indice penale» (1994), pp. 608 sgg. 4,6 Si veda per esempio P. Shah (a cura di), Law and Ethnic Plurality : Socio-Legal Perspectives, Koninklijke Brill NV, Leiden-Boston 2007; e poi J. L. Carr e J. T. Landa, The Economics of Symbols, Clan Names, and Religion, in J. T. Lan da, Trust, Ethnicity, and Identity. Beyond the New Institutional Economics of Eth nic TradingNetworks, Contract Law and Gift-Exchange, University of Michigan
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Note
Press, Ann Arbor 1994, pp. 115 sgg.; S. Fenton e H. Bradley, Ethnicity and economy : «race and class» revisited, Palgrave Macmillan, Basingstoke - New York 2002; W. Easterly, l disastri dell’uomo bianco. Perché gli aiuti dell’Oc cidente al resto del mondo hanno fatto più male che bene, Bruno Mondadori, Milano 2007, pp. 97 sgg. (trad, da The White Man’s Burden. Why the West’s Efforts to Aid the Rest Have Done So Much III and So Little Good, Penguin, New York 2006). * ” Si veda anche supra, Cap. 3, § 4, e note 60-62, 64; nonché C. Geertz, Mondo globale, mondi locali. Cultura e politica alla fine del ventesimo secolo, il Mulino, Bologna 1999, pp. 85 sgg. (trad, da vari luoghi); F. von Benda-Beckmann et alii (a cura di), Between Kinship and the State : Social Security and Law in Devel oping Countries, Foris, Dordrecht 1988; e poi, fra i tanti, R. C. Ellickson, Order Without Law. How Neighbors Settle Disputes, Harvard University Press, Cambridge Mass. - London 1991; W. G. Sumner, Folkways: A Study ofthe So ciological Importance of Usages, Manners, Customs, Mores, and Morals, Ginn & Co., Boston 2907 (rist. Arno Press, New York 1979); K. N. Llewellyn, The Bramble Bush: On Our Law and Its Study, Oceana, New York r95r; L. L. Ful ler, Human Interaction and the Law, in R. P. Wolff (a cura di), The Rule ofLaw, Simon & Schuster, New York 1971; H. de Soto, TheMistery of Capital: Why Capitalism Triumphs in the West and Fails Everywhere Else, Basic Books, New York 2000; P. Karsten, Between Law and Custom, Cambridge University Press, Cambridge - New York - Melbourne - Madrid - Cape Town 2002. * ” Si veda D. J. Rothkopf, Superclass : The Global Power Elite and the World They Are Making, Farrar Straus & Giroux, New York 2008. R. Sacco, Il diritto africano, Utet, Torino 1995, pp. 150 sgg.; M. Bussani, Di versità e diritti «umani». Frammenti di agenda, in P. Perlingieri (a cura di), Te mi e problemi della civilistica contemporanea. Venticinque anni della Rassegna di diritto civile, Esi, Napoli 2005, pp. 19 sgg.; ma si veda anche W. Easterly, I disastri dell’uomo bianco cit., p. 99; e A. Ehr-Soon Tay, l‘valori asiatici’ e il rule of law, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria e critica, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 683, 694: «Negli anni cinquanta i giova ni asiatici arrivavano a frotte nel Regno Unito per sedere ai piedi dei profes sori di diritto e di politica della London School of Economics; per studiare Locke, Hobbes e Hume, Burke, Marx e Lenin. Apprendevano tutto ciò che c’era da apprendere, lo assimilavano e lo portavano a casa con sé. Facevano ri torno consapevoli della loro insoddisfazione e del loro ardente desiderio di cambiare il proprio status, da sudditi a cittadini, da pubblici impiegati di bas so livello a leader dei loro popoli. Fra i venti e i trent’anni, guadagnando au tonomia, presero in mano le redini del governo senza alcuna esperienza prece dente, promettendo libertà, uguaglianza e indipendenza». * “ Si veda e.g. P. J. Williamson, Varieties ofCorporatism. A Conceptual Discussion, Cambridge University Press, Cambridge 1985; ma anche T. H. Marshall, Cit tadinanza e classe sociale, Utet, Torino 1976, passim, spec. pp. 9-199 (trad. it. da Sociology at the Crossroad, Heinemann, London 1963). Esemplare, B. R. Barber, L'impero della paura, Einaudi, Torino 2004, pp. 248 sg. (trad. da Fear’s Empire. War, Terrorism and Democracy, Norton, New York 2003). Si veda anche supra, Cap. 3, § 4 e, in generale, J. T. Landa, Trust, Ethnicity, and Identity cit., passim. Utili ai nostri fini, e multis, R. Sacco, Langue et droit, in Rapports nationaux italiens au xVm Congrès International de Droit Compare Bristol 1998, Giuffrè, Mi lano 1998, pp. r sgg.; A. Ross, Tù-tù, in Festskrift tilHenry Ussing, Borum og
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Ilium, Kobenhavn 1951, pp. 468 sgg., e poi in molti luoghi, fra cui U. Scar pelli e P. Di Lucia (a cura di), Il linguaggio del diritto, Led, Milano 1994, pp. 119 sgg.; J.-C. Gémar e N. Kasirer (a cura di), Jurilinguistique:entre langues et droits / jurilinguistique Between Law and Language, Bruylant-Thémis, BrusselsMontreal 2005. 414 Si veda M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 37 sg. Ma si veda an che, con specifico riguardo alle società africane, supra, Cap. 3, § 5. Si veda anche più avanti, in questo Capitolo, § 3 e, fin d’ora, per una panora mica delle questioni aperte a livello globale, S. S. C. Tay, Trade, the Environ ment, and Labor: Text, Institutions and Context, in W. Martin e M. Pangestu, Options for Global Trade Reform. A View from the Asia-Pacific, Cambridge Uni versity Press, Cambridge 2003, pp. 280 sgg. Si veda anche supra, Cap. 3, § 4. Vale poi la pena di ricordare la decisione del Consiglio di Stato francese - Commune de Morsang-sur-Orge, del 27 ottobre 1995, in Rec. Lebon, 1995, 372; ma riportato anche da A. Cassese, I diritti umani oggi cit., p. 57 -, in cui si è stabilito che il rispetto della dignità della persona umana deve essere considerato un precetto di ordine pubblico, invio labile persino da parte del suo stesso titolare. Si trattava di un soggetto affet to da nanismo che aveva accettato, contro corrispettivo, di essere lanciato a turno dai clienti di una discoteca di provincia, i quali gareggiavano fra loro per raggiungere la distanza più elevata. In argomento, si veda pure A. Massaren ti, Il lancio del nano e altri esercizi di filosofia minima, Guanda, Parma 2006, PP- 7 sg. *’ Per spunti ulteriori, si veda ad esempio C. Douzinas, Human Rights and Em pire .The Political Philosophy of Cosmopolitanism, Routledge-Cavendish, Lon don 2007, pp. 48 sg., 290; M. C. Nussbaum, Diventare persone àt., spec. Cap. il, pp. 141 sgg.; A. Shachar, Privatizing Diversity : A Cautionary Tale from Re ligious Arbitration in Pamily Law, in «Theoretical Inquiries in Law», 9 (2008), n. 2, art. 11, pp. 573 sgg. Si vedano le illustrazioni raccolte in A. Pottage e M. Mundy (a cura di), Law, Anthropology, and the Construction of the Social, Cambridge University Press, Cambridge 2004. Per qualche ulteriore esemplificazione, infra, Cap. 12, §§ 2-3. 4M Si veda eg., T. Pogge, Group Rights and Ethnicity, in I. Shapiro e W. Kymlicka (a cura di), Ethnicity and Group Rights, New York University Press, New York - London 1997, pp. 187, 210 sgg.; e cfr. W. Kymlicka, Liberalism, Com munity and Culture, Clarendon, Oxford 1989, p. 186; S. Benhabib, I. Shapi ro e D. Petranovic, Editor's Introduction, in Id. (a cura di), Identities cit., pp. 1 sgg.; S. Maffettone, Diritti umani e diversità culturale, in A. Sen, P. Fassino e S. Maffettone (a cura di), Giustizia globale, il Saggiatore, Milano 2006, pp. 47, 64 sgg. Per uno scorcio impressionistico, utile soprattutto a cogliere alcu ne articolazioni del fenomeno, S. Godin, Tribes, Penguin, New York 2008. 4M Sul punto, si veda per tutti, P. Bruckner, Fundamentalismus der Aufklarung oder Rassismus der Antirassisten?, in T. Chervel e A. Seeliger (a cura di), Islam in Europa. Eine Internationale Debatte, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2007, pp. 55, 62: «Il multiculturalismo garantisce lo stesso trattamento a tutte le co munità, ma non alle persone che le costituiscono, negando a queste ultime la libertà di abbandonare le loro proprie tradizioni ... riconoscimento del grup po, oppressione dell’individuo» [t.d.a.J; Y. Ben-Shemesh, Law and Internai Cultural Conflicts, in «Law & Ethics of Human Rights», 1 (2007), n. 1, art. 9, a: www.bepress.com/lehr/vol1/iss1/art9; e, sempre utili, B. Barry, Culture and Equality, Polity, Cambridge 2001, passim e pp. 292 sgg.; J. Habermas, Tra scienza efede, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 198 sgg. (trad. it. da Zwischen Na-
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Note
turalismus und Religion, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005). Sull’utilizzo di canoni differenziati nel giudicare condotte criminose, in ragione dell’identità culturale del reo, si veda eg., per l’esperienza (soprattutto) statunitense, A. Dundes Renteln, The Cultural Defense (2004), Oxford University Press, Oxford - New York 2005; da noi, A. Bernardi, Modelli penali e società multiculturale, Giappichelli, Torino 2006. 471 S. E. Merry, Transnational Human Rights and Local Activism : Mapping the Mid dle, in «American Anthropologist», 108 (2006), n. 1, pp. 38, 44. Ma si veda anche, significativamente, R. O’Brien, Global Financial Integration : The End of Geography, Council on Foreign Relations Press, New York 1992. m Sulla contrapposizione fra diritti e cultura, fin d’ora, per i primi riferimenti allo sconfinato dibattito, J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R, A. Wilson, Intro duction, in Id. (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Perspectives, Cam bridge University Press, Cambridge 2001, pp. 2-4. 4” O, come accade in molti contesti, a un relativismo auto-identitario, che fa un uso opportunistico del fattore ‘tempo’, chiamando radici ciò che - in assenza di analisi circa il dinamismo di qualsiasi storia (inclusa quella dei rapporti fra l“altro’ e il ‘noi’) - è, in realtà, un’agenda, un progetto. 474 Ad esempio: per i dati che testimoniano come il grande risalto da offrire, e poi effettivamente offerto ai diritti umani, nel discorso politico, e pubblico più in generale, fosse un obiettivo strategico lucidamente perseguito dagli Usa del se condo dopoguerra, fra i tanti, Y. Dezalay e B. G. Garth, The Internationaliza tion of Palace Wars: Lawyers, Economists and the Contest to Transform Latin American States, University of Chicago Press, Chicago-London 2002, pp. 62 sgg., 127 sgg. Ma si veda anche L. Baccelli, What Are They Fightingfor? Dirit ti umani, valori americani e interesse nazionale nella politica estera degli Stati Uni ti, a: www.juragentium.unifi.it; e supra, Cap. 5, § 4. 4” Emultis, E. Hatch, The Good Side ofRelativism, in«J. Anthr. Res.», 53 (1997), pp. 371. Ma, sul punto, si veda pure infra, Cap. 13, § 4. 474 Si veda già J. H. Steward, Comments on the Statement on Human Rights, in «American Anthropologist», 50 (1948), p. 351; e poi, eg., C. Taylor, Condi tions of an Unforced Consensus on Human Rights, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge for Human Rights, Cambridge University Press, Cambridge 1999, pp. 124 sgg. 477 Sul punto, eg., S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mon diale (1997), Garzanti, Milano 2004, pp. 285 sgg. (trad, da The Clash of Civi lization and the Remaking of the World Order, Simon and Schuster, New York 1996); B. von Alberini Mason, The Case for Liberal Democracy in China, Schulthess, Ziirich 2005, pp. 84 sgg.; ma cfr. già K. A. Wittfogel, Orientai Despotism. A Comparative Study of Total Power, Yale University Press, New Haven 1957. Non manca ovviamente chi scorge in queste proclamazioni mo tivi di ordine politico interno (in argomento, fra i tanti, J. R. Bauer e D. A. Bell, Introduction, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Chal lenge cit., pp. 3 sg.). L’atteggiamento dei governi dell’Estremo Oriente verso i diritti umani dovrebbe allora esser letto come una forma di reazione alle pres sioni occidentali per l’applicazione delle norme internazionali sui diritti e, con temporaneamente, come una legittimazione del modello politico esistente. Si veda anche A. Ehr-Soon Tay, l‘valori asiatici’ e il rule of law, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto cit., pp. 683, 702 sg. D. A. Bell, East Meets West: Human Rights and Democracy in East Asia, Princeton University Press, Princeton 2000, pp. 49 sgg.; oppure A. J. Langlois, The Politics ofJustice and Human Rights. Southeast Asia and Universalist Theory, Cambridge University
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Press, Cambridge 2001, passim, spec. pp. 12 sgg., 46 sgg.; S. C. Angle, Hu man Rights and Chinese Thought, A Cross-Cultural Inquiry, Cambridge Univer sity Press, Cambridge 2002. m Si vedano ad esempio supra, nota 426, i lavori di V. P. Nanda, Masao Abe, J. Chan, J. R. Bauer e D. A. Bell. A. Sen, eg: Human Rights and Asian Values, Sixteenth Morgenthau Memo rial Lecture on Ethics & Foreign Policy, 1997 (Carnegie Council on Ethics and International Affairs, New York 1997), trad. it. in Id., Laicismo indiano (introd, e cura di A. Massarenti), Feltrinelli, Milano 1998, pp. 147 sgg.; J. Donnelly, Universal Human Rights in Theory and Practice, Manas, New Delhi 20051, pp. 79 sgg., 108 sgg.; A. Harding, Buddhism, Human Rights and Con stitutional Reform in Thailand, in «Asian Journal of Comparative Law», 2 (2007), n. 1, art. 1; S. C. Angle, Human Rights and Harmony, in «Human Rights Quarterly», 30 (2008), pp. 76 sgg. "° Si veda eg. A. E. Mayer, Islam and Human Rights: Tradition and Politics, West view, Boulder 20074; oppure N. Othman, Rights of Women in Modem Islamic State, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge cit., pp. 169, 273 sgg., secondo il quale, ad esempio, la nozione coranica di fitna che de finisce la comune natura umana, può essere invocata per sostenere la non estra neità alla cultura dell’IsIam del fondamentale principio di eguaglianza. Si veda anche M. Khatami, Religione, libertà e democrazia, Laterza, Roma-Bari 1999, pp. 65 sgg., 122 sgg.; R. Bahlul, Prospettive islamiche del costituzionalismo, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto cit., pp. 617 sgg.; per una sinte tica e utile valutazione comparativa circa la collocazione dell’individuo nella ci viltà occidentale e in quella islamica, E. Gellner, Le condizioni della libertà. La società civile e i suoi rivali, Comunità, Milano 1996, pp. 21 sgg. (trad. it. di The Conditions of Liberty, Penguin, East Rutherford 1994). Su questi temi, da noi, eg., S. Ceccanti, Una libertà comparata. Libertà religiosa, fondamentalismi e so cietà multietniche, il Mulino, Bologna 2001, spec. pp. 33 sgg. 481 Per i riferimenti: A. E. Mayer, Shifting Grounds for Challenging the Authority ofInternational Human Rights Law : Religion as Malleable and Politicized Pretext for Governmental Noncompliance with Human Rights, in A. Sajó (a cura di), Human Rights with Modesty: The Problem of Universalism, Koninklijke Brill NV, Leiden-Boston 2004, pp. 349 sgg. 482 Si veda, in generale, A. A. An-Na‘im, Islam and Human Rights .Beyond the Uni versality Debate, Proceedings of the 94th Annual Meeting of the American So ciety of International Law (2000), William S. Hein & Co., Washington D.C. 2001, pp. 95, 97 sg.; T. Ramadan, La riforma radicale. Islam, etica e liberazio ne, Rizzoli, Milano 2009, passim e pp. 341 sgg. (trad, da Radical Reform. Islam ic Ethics and Liberation, Oxford University Press, Oxford - New York 2009); e poi B. G. Weiss, The Spirit of Islamic Law, University of Georgia Press, Athens-London 1998, passim epp. 186 sgg.; e il volume 4, n. 1 «Muslim World Journal of Human Rights» 2007, dedicato al tema The Transnational Muslim World, Human Rights, and the Rights of Women and Sexual Minorities (Guest ed. A. Chase), e ivi, in partic., A. E. Mayer, The Islam and Human Rights Nexus : Shifting Dimensions (art. 4). Si veda anche supra, Cap. 3, § 6. 484 Per esempio, N. Othman, Rights of Women in Modem Islamic State, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge cit., pp. 169, 171 sgg.; G. E. Fuller, TheFutureofPoliticallslam, in «Foreign Affairs», 81 (2002), n. 2, pp. 48 sgg.; P. Marshall (a cura di), Radical Islam’s Rules. The Worldwide Spread of Extreme Shan a Law, Rowmon & Littlefield, Lonham 2005.
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Note
4!! Si veda, e multis, B. Lewis, Islam and Liberal Democracy : A Historical Over view, in «Journal of Democracy», 7 (1996), n. 2, pp. 52-63; E. Said, A Clash of Ignorance, in«The Nation», 273 (22 ottobre 2001), n. I2;J. Donnelly, Uni versal Human Rights in Theory and Practice, Manas, New Delhi 2005', pp. 72 sgg.; R. M. Feener, Muslim Legal Thought in Modem Indonesia, Cambridge Uni versity Press, Cambridge - New York 2007; D. Anselmo, Shari'a e diritti uma ni, Giappichelli, Torino 2007; G. Caracciolo, Diritti umani ed Islam, Giappi chelli, Torino 2006, pp. 77 sgg. Fra i moltissimi, di recente, Th. McCarthy, Race, Empire, and the Idea of Hu man Development, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2009, passim e pp. 48 sgg., 180 sgg. XH. LE PRATICHE (pp. 152-69)
Si vedano infatti le opere cit. alle note seguenti. 4M L’istruttiva lettura di tali riserve è possibile a: untreaty.un.org. 4!’ Standard of Conduct for Interrogation under 18 U.S.C. §§ 2340-2340A, Me morandum from J. S. Bybee, Assistant Attorney General, for Alberto Gonza les, Counsel to the President, August 1, 2002. Il documento si legge in K. J. Greenberg e J. L. Dratel, The Torture Papers. The Road to Abu Ghraib, Colum bia University Press, New York 2005, pp. 172 sgg. In argomento, anche M. Normak, What Practices Constitute Torture: US and UN Standards, in «Human Rights Quarterly», 28 (2006), pp. 809 sgg.; P. Sands, «Lawless World»:Amer ica and the Making and Breaking of Global Rules from FDR's Atlantic Charter to George W. Bush’s Illegal War, Viking Penguin, New York - London 2005, pp. 205 sgg. 4W Si veda R. K. Vischer, Legal Advice as Moral Perspective, in «Geo. J. Legal Ethics», 19 (2006), pp. 225, 232 sg. 4,1 Standard of Conduct for Interrogation under 18 U.S.C. §§ 2340-2340A, Me morandum from J. S. Bybee, Assistant Attorney General, for Alberto Gonza les, Counsel to the President, August 1, 2002, in K. J. Greenberg e J. L. Dra tel, The Torture Papers cit., p. 176. 4” Eg., S. D. Murphy, US. Abuse ofIraqi Detainees at Abu Ghraib Prison, in «Am. J. Int’l L.», 98 (2004), pp. 595-96; O. Z. Bekerman, Torture - The Absolute Prohibition of a Relative Term-Does Everyone Know What Is in Room 101?, in «Am. J. Comp. L.», 53 (2005), pp. 743, 774 sg.; K. J. Greenberg (a cura di), The Torture Debate in America, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006; e G. J. Annas, Human Rights Outlaws: Numberg, Geneva, and the GlobalLaw on Terror, in «Boston U. L. Rev.», 87 (2007), pp. 433-34; K. Roo sevelt III, Detention and Interrogation in the Post-9/11 World, University of Pennsylvania Law School - Scholarship at Penn Law, Paper 227, 2008. 4” Beneficial Professor of Law presso la Harvard Law School, e già Solicitor Gen eral of the United States (colui che rappresenta il governo federale dinanzi al la Corte Suprema). 4,4 E. Posner è Kirkland and Ellis Professor of Law, presso la University of Chi cago Law School. A. Vermeule è ora Professor of Law alla Harvard Law School. 4” Le citazioni sono tratte da R. K. Vischer, Legal Advice cit., rispettivamente a pp. 225 e 226-27. Si veda ora il duro giudizio sugli autori dei ‘Memo’, centra to sulla loro mancanza «to provide thorough objective and candid legal advi ce, even if that advice is not what the clients want to hear», nel rapporto del
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Department of Justice, Office of Professional Responsibility, Investigation in to the Office of Legal Counsel’s Memoranda Concerning Issues Relating to the Central Intelligence Agency’s Use of «Enhanced Interrogation Techni ques» on Suspected Terrorists, July 29, 2009 (spec. pp. 30 sgg., 159 sgg., 234 sgg., la citazione è a p. 21), divulgata dal «New York Times» il 20 febbraio 2010 e raggiungibile da: www.nytimes.com. ”* Su cui, in generale, I. de la Rasilla del Moral, The Increasingly Marginal Appre ciation of the Margin-of-Appreciation Doctrine, in «German L. J.», 7 (2006), p. 611; M. R. Hutchinson, The Margin of Appreciation Doctrine in the European Court of Human Rights, in «Int’l & Comp. L. Quart.», 48 (1999), p. 638; S. Cassese, 1 tribunali di Babele. 1 giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Donzelli, Roma 2009, pp. 58 sgg. *” Otto Preminger Institutes. Austria, Judgement of 20 September 1994, Series A, n. 295-A; 19 European Human Rights Report 1995, p. 34 [t.d.a.]. I. de la Rasilla del Moral, The Increasingly cit., pp. 613-14. m Sul punto, si vedano le indicazioni e le osservazioni di H. J. Steiner, P. Alston e R. Goodman, International Human Rights in Context. Law, Politics, Morals, Oxford University Press, Oxford - New York 2008’, pp. 655 sgg.; nonché M. Barberis, Europa del diritto, il Mulino, Bologna 2008, pp. 214 sg.; e, più in ge nerale, V. Zeno Zencovich, Freedom of Expression : A Critical and Comparative Analysis, Routledge-Cavendish, Abingdon - New York 2008, pp. 90 sgg. Tec nicamente e culturalmente differenti sono le coordinate su cui la stessa Corte si è mossa nella decisione del caso Lautsie v. Italia, il 3 novembre 2009. Req. n. 30814/06 (il caso verteva sulla presenza del crocifisso nelle aule scolastiche in cui sedevano i figli minorenni della ricorrente, presenza ritenuta dalla Cor te in contrasto coll’art. 2 del r° Protocollo addizionale alla Convenzione, esa minato congiuntamente all*art. 9 della Convenzione medesima). Sotto il profi lo tecnico la Corte non ha qui ritenuto di dover poggiare i propri argomenti sul la dottrina del ‘margine di apprezzamento’. Dal punto di vista culturale, in Lautsie in gioco era - non un’azione considerata lesiva dei valori localmente maggioritari, ma - una istanza difensiva ‘da’ quegli stessi valori, nella loro ac cezione religiosa declinata come tradizionale. Si veda, anche per i riferimenti al dibattito, S. Mancini, La supervisione europea presa sul serio : la controversia sul crocifisso tra margine di apprezzamento e ruolo contro-maggioritario delle Corti, a: www.associazionedeicostituzionalisti.it, e poi G. D’Elia, Il Crocifisso nelle au le scolastiche : un paradosso che non resiste all’Europa; A. Schuster, Una ‘ratatouil le’,perfavore'. , nota a Lautsi v. Italia, entrambi a: www.forumcostituzionale.it. Si veda peraltro J. H. H. Weiler, Diritti umani, costituzionalismo ed integrazio ne: iconografia e feticismo, in «Quad, cost.», 3 (2002), pp. 521, 528, ove l’au tore s’interroga - in una prospettiva che abbiamo più in generale rilevato as sai utile (supra, Cap. 4, § 1) — se inserendo la Carta dei diritti fondamentali dell’UE (ora incorporata dall’art. 1 del Trattato di Lisbona entro Part. 6 del Trattato sull’UE) nell’ordinamento giuridico europeo non si sacrifichi «una delle caratteristiche veramente originali dell’architettura costituzionale preCarta nel campo dei diritti umani - la capacità di usare il sistema legale di cia scuno Stato membro come un laboratorio organico e vivente nella protezione dei diritti». Si veda J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson, Introduction, in Id. (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Perspectives, Cambridge Univer sity Press, Cambridge zoor, p. 7; i dati raccolti dal 2008 Country Report on Human Rights Practices, Thailand, pubblicato il 25 febbraio 2009, a: www. state.gov; e quelli riportati dai lavori citati alle note seguenti, 503-6.
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Note
Circa l’i% nel 2000: The End of Child Labour: Within Reach, ILO, Geneva 2006, p. ii. Per un avvio della riflessione su queste interrelazioni, K. Basu, Eie Relè. L’India e le illusioni della democrazia globale, Laterza, Bari-Roma 2008, pp. 16 sgg. (trad, da The Retreat of Democracy and Other Itinerant Essays on Globalization Economics and India, Permanent Black, Delhi 2007), ove si segnala, ad esempio, come, sulla base di dati raccolti negli anni ’90 in Nepal, «uno studio dell’Unicef ha rivelato che i produttori di tappeti artigianali ne palesi hanno licenziato sbrigativamente molti bambini dalla forza lavoro, te mendo un boicottaggio internazionale dei loro prodotti, spingendo cosi diver se migliaia di bambine a darsi alla prostituzione» (ibid., p. 20). s” E.g., M. A. Muecke, Make Money Not Babies: Changing Status Markers of Northern Thai Women, in «Asian Survey», 24 (1984), n. 4, pp. 459, 468 sgg.; M. A. Muecke, Mother Sold Food, Daughter Sells Her Body: The Cultural Con tinuity of Prostitution, in «Social Science and Medicine», 35 (1992), n. 7, pp. 891 sgg.; S. Satha-Anand, Looking to Buddhism to Turn Back Prostitution in Thailand, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge for Human Rights, Columbia University Press, New York 1999 (rist. 2005), pp. 193 sgg.; Mei-Hua Chen, Selling Bodies - Selling Pleasure: the Social Organiza tion ofSex Work in Taiwan e A. Brody, Prostitution in Thailand:Perceptions and Realities: entrambi in G. Gangoli e N. Westmarland (a cura di), International Approaches to Prostitution:Law and Policy in Europe and Asia, Policy Press, Bri stol 2006, rispettivamente a pp. 165 e 185. Piu in generale, si veda anche L. M. Hanks jr, Merit and Power in the Thai Social Order, in «American Anthro pologist», 64 (1962), n. 6, pp. 1247 sgg. 5M Per un raffronto con la Malesia, in condizioni socio-economiche affini a quel le tailandesi (Commission on Growth and Development, The Growth Report Strategies for Sustained Growth and Inclusive Development, The World Bank, Washington D.C. 2008, p. 113), ma con tassi di prostituzione assai inferiori, e per la spiegazione centrata sul peso specifico delle direttive religiose, islami che in Malaysia e buddiste in Tailandia, si veda, anche per i riferimenti, J. R. Bauer e D. A. Bell, Introduction, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge cit., p. 16.1 precetti islamici - rilevano gli autori - cele brano il sesso all’interno del matrimonio e lo condannano fuori dal vincolo; il buddismo invece tende a denigrare l’atto sessuale indipendentemente dal con testo. La conseguenza è che le prostitute buddiste non porterebbero su di sé uno stigma peggiore di qualunque altra donna sessualmente attiva, sposata o no. Sul punto si veda anche A. A. An-Na‘im, Towards an Islamic Reformation : Islamic Law in History and Society Today, pp. 7,16 sgg. e A. Wadud-Mushin, The Qu'ran, Shari'a and the Citizenship Rights ofMuslim Women in the Umma, PP- 77 sgg-> entrambi in N. Otham, Sharia Law and the Modem State. A Ma laysian Symposium, SIS Forum (Malaysia) Berhad, Kuala Lampur 1994, rist. 1998. H. Montgomery, Imposing Rights? A Case Study of Child Prostitution in Thai land, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., pp. 80 sgg.; M. A. Muecke, Mother Sold Food, Daughter Sells Her Body cit., pp. 891 sgg. Su questi ultimi aspetti, fra i resoconti utili, S. Boonyabancha, Mainstreaming Community Led Processesfor Housing and Poverty Alleviation : The Development of CODI and the Baan Mankong Programme, a: www.community-planning.net; D. Tajgman (a cura di), Extending Labour Law to All Workers : Promoting De cent Work in the Informal Economy in Cambodia, Thailand and Mongolia, In ternational Labour Office, Bangkok 2006.
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507 Si veda www.juragentium.unifi.it. Public Law n. 104-208, 30 September 1996 (Sections 579, 644, and 645). Per una ricostruzione dettagliata degli eventi, si veda D. L. Coleman, The Seattle Compromise-.Multicultural Sensitivity and Americanization, in «Duke L. J.», 47 (1998), p- 717Si veda, per le classificazioni utili, il sito dell’organizzazione Mondiale della Sanità, www.who.int. Ivi, è reperibile pure la definizione convenzionale di ‘mutilazione genitale femminile’ elaborata dalla stessa OMS, per la quale «Fe male genital mutilation comprises all procedures involving partial or total re moval of the female external genitalia or other injury to the female genital or gans for non-medical reasons». In argomento, e in luogo di tanti, si veda Y. Bonnefoi, Dizionario delle mito logie e delle religioni, Rizzoli, Milano 1989, s.v. Circoncisione, pp. 299 sgg. (trad, da Dictionnaire des mythologies, FÌammarion, Paris 1981); S. McLean e S. E. Graham (a cura di), Temale Circumcision, Excision and Infibulation. The Facts and Proposals for Change, Minority Rights Group, Report n. 47, London 1985; A. Rahman e N. Toubia, Femdie Genital Mutilation. A Guide to Laws and Policies Worldwide, Zed Books, London - New York 2000; e, assai utile, E. Grande, Hegemonic Human Rights and African Resistance: Female Circum cision in a Broader Comparative Perspective, in «Global Jurist Frontiers», 4 (2004), n. 2, art. 3. sn M. Paganelli e F. Ventura, Una nuova fattispecie delittuosa: le mutilazioni geni tali femminili, in «Rassegna italiana di criminologia» (2004), pp. 453, 454 sg. 712 WHO, Progress in Sexual and Reproductive Health Research, n. 72, 2006. Per le campagne internazionali che promuovono il bando delle mutilazioni ge nitali femminili, si veda soprattutto il sito «No Peace Without Justice», a: www.npwj.org (e ivi pure la più recente dichiarazione «From Cairo to Ouaga dougou: Towards a Global Ban of Female Genital Mutilation», sottoscritta dai rappresentanti di 16 Stati africani, all’esito dell’High Level Meeting di Ouagadougou, 8-ro November 2009). A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 68; E. Grande, Hegemonic Human Rights cit. Si veda anche R. O. Hayes, Female Genital Mu tilation Fertility Control, Women's Role and the Patrilineage in Modem Sudan, in «American Ethnologist», 2 (1975), pp. 617, 618 sgg.; J. Boddy, Womb as Oa sis . The Symbolic Context of Pharaonic Circumcision in Rural Northern Sudan, in «American Ethnologist», 9 (1982), pp. 682, 685 sgg.; L. Favali, Fra legge e mo delli ancestrali : prime osservazioni sulle mutilazioni genitali in Eritrea, Giappichel li, Torino 2002; N. Ehrenreich e M. Barr, Intersex Surgery, Female Genital Cut ting, and the Selective Condemnation of ‘Cultural Practices’, in «Harv. Civil Rights - Civil Liberties L. Rev.», 40 (2005), p. 71, specialmente pp. 76 sg. M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli, Milano 2003, p. 76 (trad, da Human Rights as Politics and Idolatry, Princeton University Press, Princeton 2001). Si veda peraltro M. Deckha, The Salience of Species Differ ence /or Fctwwms/TZieoty, in «Hastings Women’s L. J.», 17(2006), n. r,p. r6: «Typically in mainstream feminist theory, “women” referred to white, mid dle-class, heterosexual, able-bodied women, thus excluding women who were marginalized by differences based on constructs other than gender. Other “wo men” who were of color, lesbian, differently abled, elderly, non-Western or low-income were never invoked under the term “women”»; e J. A. Baer, The Global Impact of Feminist Legal Theory: Five Minutes of Global Feminism, in «T. Jefferson L. Rev.», 28 (2005), p. 93. Alla stessa stregua, si fa notare, leg gere «la violenza contro le donne come un’opposizione fra cultura e diritti as
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Note sume che tutti questi comportamenti siano ‘culturali’ e che non ci sia dibatti to, all’interno delle società, quanto alla accettabilità di ciascuno di essi»: S. E. Merry, Changing Rights, Changing Culture, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Perspectives, Cam bridge University Press, Cambridge 2001, p. 38 [t.d.a.]. Davvero numerosi sono gli esempi che sfidano le percezioni comuni. Valga qui, e.g., il richiamo ai movimenti femministi della Nigeria settentrionale che non intendono sfidare ciò che noi chiameremmo diseguaglianza di genere, puntan do invece all’implementazione dei diritti delle donne come affermati dalla sharì'a (H. J. Abdullah, Religious Revivalism, Human Rights Activism and the Struggle for Women's Rights in Nigeria, in A. A. An-Na‘im (a cura di), Cultural Transformation and Human Rights in Africa, Zed Books, London - New York 2002, pp. 169-71); cosi, «women’s human rights, in this context, become wom en’s rights under sharì'a»: S. E. Merry, Transnational Human Rights and Lo cal Activism : Mapping the Middle, in «American Anthropologist», 108 (2006), n. 1, pp. 38, 40. Si veda in questo medesimo senso la posizione espressa dall’Inter-African Com mittee on Traditional Practices Affecting the Health of Women and Children, Newsletter 14, July 1993, 6. In direzione diametralmente opposta - nel senso cioè dell’imposizione della responsabilità in capo ai genitori, e al medico - si veda invece la summenzionata legge Usa (Public Law n. 104-208, 30 Septem ber 1996, § 645), nonché quella italiana: 1. 9 gennaio 2006, n. 7, «Disposizio ni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genita le femminile», in partic. art. 6. Gli effetti deleteri della criminalizzazione del le mutilazioni genitali femminili sono stigmatizzati da una letteratura estesa, per la quale, eg., E. L. Han, Book Review : Legal and Non-Legal Responses to Concerns for Women's Rights in Countries Practicing Female Circumcision : De bating Women's Equality by Ute Gerhard, in «B. C. Third World L. J.», 22 (2002), pp. 2ox, 212; L. A. Obiora, Bridges and Barricades : Rethinking Polemics and Intransigence in the Campaign against Female Circumcision, in «Case W. Res. L. Rev.», 47 (1997), pp. 357-58; e, con particolare riguardo al rischio che ciò induca le comunità interessate a percorrere le strade della clandestinità, da noi, N. Colaianni, Eguaglianza e diversità culturali e religiose, il Mulino, Bologna 2006, pp. 185 sg.; G. Brunelli, Prevenzione e divieto delle mutilazioni genitali femminili : genealogia (e limiti) di una legge, in «Quad, cost.» (2007), pp. 567, 573 sg.; B. Pastore, Pluralismo, fiducia,solidarietà. Questioni di filosofia del di ritto, Carocci, Roma 2007, pp. 19 sg. Su tutto ciò, in una letteratura vastissima, si veda C. Chipaux, Des mutilations, deformations, tatouages rituels et intentionnels chez l’homme, in J. Poirier (dir.), Histoire des moeurs, Gallimard, Paris 1990, vol. I, pp. 553-67; e da noi A. De stro (a cura di), Le politiche del corpo. Prospettive antropologiche e storiche, Patròn, Bologna 1994. Sulle mutevoli frontiere del c.d. bio-diritto, quale disci plina che indaga le regole relative al corpo e alle sue metamorfosi, si veda, sot to diversi angoli visuali, O. D. Jones e T. H. Goldsmith, Law and Behavioral Biology, in «Colum. L. Rev.», 105 (2005), pp. 405-502; C. Casonato, Intro duzione al biodiritto. La bioetica nel diritto costituzionale comparato, in «Qua derni del Dipartimento di Scienze Giuridiche», Trento 2006; e già S. Rodotà, Questioni di bioetica, Laterza, Bari-Roma 1993. Come prova l’enorme diffusione anche in Occidente del tatuaggio, del pierc ing e di varie forme di modellazione chimica e chirurgica del corpo. Nel corso dell’ottocento, sia in Europa che negli Stati Uniti, l’ablazione del clitoride e la circoncisione maschile erano usate come rimedio alla masturbazione. La clitoridectomia era usata anche come cura dei disturbi psichici, come l’isteria,
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l’epilessia e la ninfomania. Nell’Inghilterra vittoriana l’asportazione del clito ride era adottata da una parte della medicina ufficiale ed è stata praticata ne gli ospedali psichiatrici sino ai primi decenni del secolo scorso. Anche «per Sig mund Freud, è noto, l’eliminazione della sessualità clitoridea era un requisito indispensabile per lo sviluppo di una femminilità matura»; D. Zolo, Infibula zione e circoncisione, a: www.juragentium.unifi.it. Si veda poi, fra gli altri, C. Pasquinelli, Infibulazione. Il corpo violato, Meltemi, Roma 2007, spec. pp. 67 sgg.; O. Nnaemeka, If Female Circumcision Did Not Exist, Western Feminism Would Invent It, in S. Perry e C. Schenck (a cura di), Eye to Eye. Women Practis ing Development Across Cultures, Zed Books, London - New York 2001, pp. 171 sgg. Negli Usa si segnala che il 60-70% degli adulti è stato circonciso da neonato. Si veda (anche per considerazioni riguardanti la diffusione della pratica in Au stralia e in Canada) J. P. Warren, NORM UK and the Medical Case against Cir cumcisions British Perspective, in G. C. Denniston e M. F. Milos (a cura di), Sexual Mutilations. A Human Tragedy, Plenum Press, New York - London 1997, pp. 85, 92; E. Grande, Hegemonic Human Rights cit. Fuori dall’occidente non sempre è cosi: si vedano ad esempio i dati raccolti in punto di morti e gravi malattie conseguenti alla circoncisione maschile in Su dafrica, da G. C. Denniston e M. F. Milos, Preface, in Id. (a cura di), Sexual Mutilations cit., pp. v-vi. D. Zolo, Infibulazione e circoncisione cit. Ibid.-, si veda anche E. Grande, Hegemonic Human Rights cit.; e poi J. Rogers, Flesh Made Law :The Economics of Female Genital Mutilation Legislation, in A. Orford (a cura di), International Law and Its Others, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006, pp. 357 sgg.; e cfr. M. Fusaschi, Isegni sul corpo cit., pp. 123 sgg.; G. Cassano e F. Patruno, Mutilazioni genitali fem minili, in «Famiglia e diritto» (2007), n. 2, pp. 194 sgg. 514 U. Galimberti, Il corpo, Feltrinelli, Milano 1994’, p. 214. In questa direzione si veda, fra gli altri, The Centre on Housing Rights and Evictions, Bringing Equality Home: Promoting and Protecting the Inheritance Rights of Women: A Survey of Law and Practice in Sub-Saharan Africa, COHRE, Geneva 2004, spec. p. 73. Nell’art. 7 della stessa legge italiana 9 gen naio 2006, n. 7, «Disposizioni concernenti la prevenzione e il divieto delle pratiche di mutilazione genitale femminile», si legge: «comunque senza nuo vi o maggiori oneri per lo Stato, sono previsti, in accordo con i Governi in teressati, presso le popolazioni locali, progetti di formazione e informazio ne diretti a scoraggiare tali pratiche nonché a creare centri antiviolenza che possano eventualmente dare accoglienza alle giovani che intendano sottrar si a tali pratiche ovvero alle donne che intendano sottrarvi le proprie figlie o le proprie parenti in età minore». Sul punto, eg., G. Cassano e F. Patru no, Mutilazioni genitali femminili, in «Famiglia e diritto» (2007), n. 2, pp. 192 sgg. Del resto, senza prendere le distanze da un’idea di ‘donna’ (o di ‘uomo’) co me entità universali e omogenee nel tempo, o dall’idea che esiste un prototi po di donna (o di uomo) sui cui interessi si possano modellare le nostre aspira zioni, non solo si resta lontani dal realizzare come noi, le altre, gli altri, siano categorie sempre culturalmente e storicamente determinate, ma soprattutto ci si priva degli strumenti utili a supportare gli interessi concreti delle donne e promuoverne l’affermazione proprio sul piano dei diritti. Diritti la cui appli cazione dovrebbe essere sensibile al contesto loro proprio, al fine minimo di coniugare i diversi bisogni delle diverse identità. In questi termini, A. Grif-
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Note
fiths, Gendering Culture: Towards a Plural Perspective on Kwena Women’s Rights, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., p. 120; egiàC. Pateman, The Disorder of Women. Democracy, fe minism and Political Theory, Stanford University Press, Stanford 1989, passim e p. 125; M. Strathern, No Nature, No Culture: The Hagen Case, in C. P. MacCormack e M. Strathern (a cura di), Culture and Gender, Cambridge Univer sity Press, Cambridge 1980, pp. 174 sgg. M. Fusaschi, I segni sul corpo cit., pp. 139 sgg. In generale, per l’indispensabi lità di quel consenso libero e informato, si veda soprattutto M. Colchester e F. Mackay, In Search of Middle Ground: Indigenous Peoples, Collective Repre sentation and the Right to Free, Prior and Informed Consent, Paper presented to the 10th Conference of the International Association for the Study of Com mon Property Oaxaca, August 2004, disponibile, fra i molti luoghi, a: www.forestpeoples.org; ma si veda anche A. Cassese, Idiritti umani oggi cit., pp. 70 sg.; M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 23 sg. Per un esempio di suc cesso dell’approccio delineato al testo, M. Melching, Abandoning Female Ge nital Cutting in Africa, in S. Perry e C. Schenck (a cura di), Eye to Eye. Women Practising Development Across Cultures cit., pp. 156 sgg. Si veda anche la United Nations Declaration on the Rights of Indigenous Peoples, A/RES/61/295, del 13 settembre 2007, al suo art. 29: «1. Indige nous peoples have the right to the conservation and protection of the envi ronment and the productive capacity of their lands or territories and resour ces. States shall establish and implement assistance programmes for indige nous peoples for such conservation and protection, without discrimination. 2. States shall take effective measures to ensure that no storage or disposal of hazardous materials shall take place in the lands or territories of indige nous peoples without their free, prior and informed consent. 3. States shall also take effective measures to ensure, as needed, that programmes for mo nitoring, maintaining and restoring the health of indigenous peoples, as de veloped and implemented by the peoples affected by such materials, are duly implemented». Si veda C. Samson, Rights as the Reward for Simulated Cultural Sameness: The Innu in the Canadian Colonial Context, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., pp. 226, 229 sgg. ”* C. Samson, Rights as the reward cit., p. 231. ”* Sul punto si veda anche W. Kymlicka, Liberalism, Community, and Culture, Oxford University Press, Oxford 1989, pp. 146 sg., 183 sg., 189; Y. Tamir, Liberal Nationalism, Princeton University Press, Princeton 19953, pp. 146 sg., 149 sg.; R. Hardin, Subnational Groups and Globalization, in K. Dowding, R. E. Goodin e C. Pateman (a cura di), Justice & Democracy, Cambridge Univer sity Press, Cambridge 2004, p. 186; B. W. Morse, S. Reynolds e A. Ronson, Anche gli inuit hanno una voce, in «Limes» (2008), Quaderno speciale Partita al Polo, suppl. al n. 3, p. 63 sgg. Per una dura contestazione della vicenda si veda, eg., il rapporto dell’Assembly of First Nations (Violations of Law and Human Rights by the Govern ments of Canada and Newfoundland in Regard to the Mushuau Innu: A Doc umentation of Injustice in Utshimasits (Davis Inlet), Ottawa, 1993), secondo cui «the federal and Newfoundland governments have repeatedly failed to meet even the most minimum human rights standards» (p. 57). Tutte queste distinzioni, come vedremo, non sono però nette come potrebbe sembrare, né dal punto di vista teorico, né da quello operativo. Non sfugge come ogni au to-rappresentazione di identità culturale, le altrui come le nostre, possano es
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sere frutto di una fra le molte possibili interpretazioni della propria storia e che, soprattutto, tali rappresentazioni possono essere adattate alla protezione di interessi contingenti. Si veda pure il n. 3(1-2) di «Identities: Global Studies in Culture and Power» (1996) (e ivi in particolare i saggi di J. Beckett, pp. x sgg.; M. Rogers, pp. 73 sgg.; J. Friedman, pp. 127 sgg.). Per un esempio di co me gli standard normativi internazionali contribuiscano a dare forma concre ta ai movimenti di rivendicazione dei diritti delle popolazioni indigene, si ve da, con particolare riferimento ai nativi del Guatemala, R. Sieder e J. Witchell, Advancing Indigenous Claims through the Law: Reflections on the Guatemalan Peace Process, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Cul ture and Rights cit., pp. 201 sgg. Le autrici osservano come, seppure la lotta per il riconoscimento dei diritti culturali vada intesa come risposta a una lun ga storia di discriminazioni, quegli standard finiscano per favorire l’adozio ne, da parte degli attivisti nazionali, di una strategia «essenzialistica», ossia tesa a far sempre valere l’immutabilità di un ‘oggi’ erede del passato - aspet to particolarmente evidente, ad esempio, nella proiezione idealizzata dell’an tico diritto consuetudinario maya (si veda in partic. pp. 213 sg.). L’effetto complessivo di queste reificazioni è - secondo le studiose - quello di rappre sentare solo parzialmente la complessa realtà sociale in cui le comunità indi gene sono calate, e di produrre un’ulteriore marginalizzazione dei loro mem bri dalla piu ampia società guatemalteca. Per una rassegna di casi in cui a es sere in gioco è il conflitto tra integrazione, o sviluppo economico, e identità indigene, P. Ratcliffe, ‘Race’, Ethnicity and Difference. Imagining the Inclusi ve Society, Open University Press, Maidenhead 2004; P. Macklem, Indigeni, in M. Flores (dir.), Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nel l’epoca della globalizzazione. Dizionario, Utet, Torino 2007, pp. 737, 743 sgg. Si veda anche infra, nota 542 e, in generale, sempre assai utili, E. Hobsbawm e T. Ranger (a cura di), L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino 1987, rist. 2002 (trad, da The Invention ofTradititon, Cambridge University Press, Cambridge 1983); W. Sollors (a cura di), The Invention of Ethnicity, Oxford University Press, New York - Oxford 1989 (e in particolare l’Introduzione del curatore, pp. xx sgg.); A. L. Epstein, Ethnos and Identity. Three Studies in Eth nicity, Tavistock, London 1978 (trad. it. L’identità etnica. Tre studi sull’etnicità, Loescher, Torino 1983); E. Tonkin, M. McDonald e M. Chapman (a cu ra di), History and Ethnicity, Routledge, London - New York 1989; U. Fabietti, L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco (1998), Carocci, Roma 2003“. ”J « It is ironie that much of the concern with the supposed consequences of glob alization is [the] relatively paternalistic concern by wealthy Westerners for ‘protections’ of cultural groups, many of them in the Third World or other wise still outside the main flood of the global economy, and that those protec tions would generally be strictures on members of those groups, strictures that the proponents of protection would adamantly refuse for themselves»: R. Har din, Subnational Groups and Globalization cit., p. 194. ”* Si veda la storia del progetto a www.iadb.org; e poi R. Kuppe, Pluralismo juridico en el neoliberalismo? Unas reflexiones criticas sobre elproyecto CAMISEA de la Amazonia peruana, in M. Castro Lucie (a cura di), XII Congreso International. Derecho consuetudinario y pluralismo legal: desaftos en el tercer milenio, vol. I, Universidad de Chile - Universidad de Tarapacà, Santiago 2000, pp. 394 sgg. M. B. Likosky, Law Infrastructure, and Human Rights, Columbia University Press, New York 2006, pp. 114 sgg.; e poi: www.bicusa.org. Svariate iniziative sono state promosse, a vari livelli, al fine di incanalare i comportamenti delle multinazionali verso pratiche di rispetto dei diritti urna-
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Note
ni, dei diritti dei lavoratori, della protezione dell’ambiente. Gli esiti si sono raccolti intorno a una serie di ‘soft law codes of conduct’ («[A] kind of regu latory gesture ... required to help defuse mounting public concern about the lack of accountability of MNEs within the international economic system»). Si tratta di ‘gesti regolatori’ alla cui adozione ha probabilmente contribuito il timore che «interference by MNEs might provoke hostile reactions in devel oping states and possibly lead to the imposition of restrictions on the rights of foreign investors», ma che certo valgono assai più come meritoria attività se gnaletica di un impegno verso l’opinione pubblica mondiale, che come sforzo di costruzione di paradigmi giuridici dotati di effettività. Per una panoramica sugli esiti di tali iniziative, G. Schuler, Effective Governance through Decentral ized Soft Implementation: The OECD Guidelines for Multinational Enterprises, in «German L. J.», 9 (2008), pp. 1753 sgg. (da cui sono tratte le citazioni, a p. 1757); 1 tre volumi del Rapporto «Corporate Complicity in International Crimes», reso pubblico il 16 settembre 2008 dall"Expert Legai Panel’ costi tuito in seno alla ‘International Commission of Jurists’ (i volumi sono a: www.business-humanrights.org); B. Scholtens e L. Dam, Banking on the Equa tor. Are Banks that Adopted the Equator Principles Differentfrom Non-Adopters?, in «World Development», 35 (2007), pp. 1307-28; K. M. Leisinger, Capital ism with a Human Face: The UN Global Compact, in «J. Corp. Citizenship», 28 (2007), pp. 1 sg.; J. A. Zerk, Multinationals and Corporate Social Responsi bility, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006. Da noi, so prattutto, L. Gallino, Con i soldi degli altri. Il capitalismo per procura contro l'e conomia, Einaudi, Torino 2009, pp. 72 sgg.; e S. Cassese, I tribunali di Babe le. 1 giudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Donzelli, Roma 2009, pp. 16 sgg.; ma anche F. Denozza, L’etica delle relazioni intemazionali, in N. Boschiero e R. Luzzatto (a cura di), I rapporti economici intemazionali e l’evoluzione del loro regime giuridico, Esi, Napoli 2008, pp. 123 sgg. Per critiche vibranti circa il moralistico supporto offerto al modello di ‘corporate social responsibil ity’, giudicato funzionale ai meri interessi delle imprese e distorsivo anche ri spetto ai compiti (di vigilanza e di attuazione delle regole) che dovrebbero ve nire assolti dagli Stati, R. B. Reich, Supercapitalismo. Come cambia l’economia globale e i rischi per la democrazia, Fazi, Roma 2008, pp. 196 sgg. (trad, da Supercapitalism. The Transformation ofBusiness, Democracy, and Everyday Life, A. A. Knopf, New York 2007) e, ibid., G. Rossi, Prefazione, p. x. Si veda, M. B. Likosky, Beyond Naming and Shaming: Towards a Human Rights Unitfor Infrastructure Projects, in Id. (a cura di), Privatising Development. Trans national Law, Infrastructure and Human Rights, Martinus Nijhoff, Leiden-Bos ton 2005, pp. 3, 15 sg., 20; C. A. Rodriguez-Garavito e L. C. Arenas, Indig enous Rights, Transnational Activism, and Legal Mobilization: the Struggle of the U’wa people in Colombia, in B. de Sousa Santos e C. A. Rodriguez-Garavito (a cura di), Law and Globalization from Below. Towards a Cosmopolitan Lega lity, Cambridge University Press, Cambridge 2005, pp. 241, 258 sgg. 538 Si veda di recente, per il rinnovato interesse della banca, www.exim.gov. M. B. Likosky, Law Infrastructure cit., p. 174. Piu in generale, per una valuta zione dei dati da bilanciare, in questa prospettiva, S. Joseph, Corporations and Transnational Human Rights Litigation, Hart, Oxford-Portland 2004, passim e pp. 101 sgg., 148 sgg.; R. W. Grant e R. O. Keohane, Accountability and Abus es ofPower in World Politics, in «Am. Pol. Sci. Rev.», 99 (2005), n. 1, pp. 29, 37 sg., 40; D. Litvin, Gli imperi del profitto, Garzanti, Milano 2007, soprat tutto Parte IV, pp. 263 sgg., 355 sgg. (trad. da Empires ofProfit, Texere, New York - London 2003). Per una vicenda analoga, che conferma - pur di fronte a pericoli comparativa
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mente meno gravi di lesione ai diritti umani - come gli esiti possano variare a seconda delle circostanze, del contesto socio-economico, e delle conseguenti sensibilità dei governanti, si ricordi il caso che contrapponeva una società mi neraria canadese interessata allo sfruttamento di una zona adiacente il parco americano di Yellowstone, e una serie di associazioni ambientalistiche. Qui la vicenda si è conclusa in tempi relativamente brevi a favore di queste ultime, grazie a una decisione del World Heritage Committee dell’Unesco, che spin se l’amministrazione Clinton a negoziare con la società canadese un accordo che pose fine al progetto: T. McDonnell, Case Study of Ecosystem Management, the Biosphere Reserve Program, the World Heritage Program & the Wildlands Projects in the Greater Yellowstone Ecosystem, 2005, a: sovereignty.net. Si ve da anche S. Cassese, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Ei naudi, Torino 2009, pp. 39 sgg. Su questo specifico punto, non manca la discussione di alternative utili a mol te delle soluzioni, o teorizzazioni, avanzate fin qui. Si vedano ad es. le tracce di una nuova «good global environmental governance» delineate da D. C. Esty, Rethinking Global Environmental Governance to Deal with Climate Change: The Multiple Logics of Global Collective Action, in «Am. Econ. Rev.», 98 (2008), n. 2, pp. 116, 117 sgg. (sul punto, anche). D. Sachs, Common Wealth. Econom ics for a Crowded Planet, Penguin, New York 2008, pp. 301 sg., 308 sgg.; B. Larsen, G. Hutton e N. Khanna, Air Pollution, in B. Lomborg (a cura di), Global Crises, Global Solutions, Cambridge University Press, New York - Cam bridge 2009", pp. 7 sgg.; e ibid, le alternative discusse da J. Shah, Perspective Paper x.r, p. 50 sgg.); oppure la proposta di estendere il già diffuso ricorso ai cc.dd. debt-for-nature swaps, tecniche finanziarie che permettono di sostene re il costo della conservazione delle bio-diversità, e piu in generale delle risor se naturali - per le modalità d’impiego di quelle tecniche, si veda il sito del WWF: www.worldwildlife.org; oppure R. Buckley, Debt-for-development Ex changes: The Origins of a Financial Technique, in «L. & Dev. Rev.», 2 (2009), n. 1, art. 3, pp. 25, 32 sgg. 542 « [R]ich people are rich because they have developed technology successfully to address a lot of challenges and because they were lucky enough not to have some of the ecological barriers that the poor have». J. D. Sachs, Poor Man's Economist, in «New York Times Magazine», 15 dicembre 2002, a: www.nytimes.com. Si vedano poi le osservazioni di Haripriya Rangan sulla realtà del le Garhwal Himalayas, luogo di origine del movimento Chipko di protezione degli alberi, reso famoso e celebrato dagli ambientalisti di tutto il mondo, ma in loco contrapposto al desiderio di molti residenti di continuare nel loro an tico e tradizionale utilizzo commerciale delle foreste e nelle altre attività ne cessarie al proprio sostentamento: H. Rangan, Romancing the Environment: Popular Environmental Action in the Garhwal Himalayas, in J. Friedman e H. Rangan (a cura di), In Defense ofLivelihood: Comparative Studies on Environmen tal Action, Kumarian Press, Westport 1993, p. 162. Per altri illuminanti casi di contrapposizione fra istanze malamente conciliabili sul mero piano della reto rica, D. M. Goldstein, Human Rights as Culprit, Human Rights as 'Victim: Rights and Security in the State of Exception, in M. Goodale e S. E. Merry (a cura di), The Practice of Human Rights. Tracking Law Between the Global and the Local, Columbia University Press, New York 2007, pp. 49 sgg.; B. King sbury, The Applicability of the International Legal Concept of «Indigenous Peo ple» in Asia, in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge cit., pp. 336, 361 sgg., e ibid., p. 369, l’osservazione secondo cui «le popola zioni indigene possono avere numerose ragioni per sentirsi esse stesse vittime della ‘conservazione’ - si pensi alle restrizioni a certe forme di agricoltura in
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Note tradotte nella maggior parte dei paesi del Sud-est asiatico, allo spostamento di persone per far spazio a parchi nazionali, alla protezione di specie animali sel vagge in via di estinzione, al rifiuto di accedere a foreste minori, onde evitare la deforestazione» [t.d.a.J.
Xin. UN TEMPO PER LE SOLUZIONI (pp. 170-81) Ricorda come l’accusa di occidentalizzazione possa in taluni contesti apparire uno stratagemma politico, utilizzato dalle élite locali al fine di screditare le for ze che premono per un cambiamento, M. C. Nussbaum, Diventare persone. Donne e universalità dei diritti, il Mulino, Bologna 2001, p. 56 (trad, da Wom en and Human Development. The Capabilities Approach, Columbia University Press, New York 2000). Si veda anche supra, Cap. 11, § 5. 544 M.-B. Dembour, Following the Movement ofa Pendulum: Between Universalism and Relativism, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge 2001, p. 59. M. Ignatieff, Una ragionevole apologia dei diritti umani, Feltrinelli, Milano 2003, p. 76 (trad, da Human Rights as Politics and Idolatry, Princeton University Press, Princeton 2001); e si veda supra, Cap. 11, § 5. ,4‘ Eg. S. E. Merry, Changing Rights, Changing Culture, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., pp. 32-34; S. Benhabib, La rivendicazione dell’identità culturale. Eguaglianza e diversità nel l’era globale, il Mulino, Bologna 2005, passim e pp. 22 sgg., 104 sgg. (trad, da The Claims of Culture : Equality and Diversity in the Global Era, Princeton Uni versity Press, Princeton 2002); M. Barberis, Europa del diritto, il Mulino, Bo logna 2008, pp. 176 sgg.; L. Boccelli, I diritti dei popoli. Universalismo e diffe renze culturali, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 64 sgg. Per rilievi analoghi, eg., H. P. Glenn, Legal Traditions of the World, Oxford University Press, Oxford 2007’, p. 265. !4“ S. Cassese, Oltre lo Stato, Laterza, Roma-Bari 2006, p. 103. Per l’osservazio ne che è virtualmente impossibile trovare un diritto indigeno ‘puro’, giacché se in generale tale può essere definito il «law existing indigenously in the na tive culture of a people prior to the reception of Western state law», il piti del le volte esso «include some assimilated law which was originally received in earlier times», M. Chiba, Introduction, in Id. (a cura di), Asian Indigenous Law in Interaction with Received Law, Kpi, London - New York 1986, p. 8. In pro spettiva analoga, Ann Armbrecht Forbes: «la ricerca del vero ‘locale’ è una ri cerca incompleta e potenzialmente fuorviarne. Sapere chi parla più forte, chi pretende di parlare per chi, chi sceglie di rimanere in silenzio e perché, sono tutti influenti sulla voce che viene, alla fine, etichettata come ‘locale’ » [t.d.a.]. A. A. Forbes, Defining the ‘Local’ in the Arun Controversy: Villagers, NGOs, and the World Bank in the Arun Valley, Nepal, in «Cultural Survival Quarterly», 20 (1996), n. 3, p. 31. Ma si veda pure J. Habermas, Tra scienza e fede, Later za, Roma-Bari 2006, pp. 198 sgg. (trad. it. da Zwischen Naturalismus und Re ligion, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005); J. Waldron, Minority Cultures and the Cosmopolitan Alternative, in «U. Mich. L. Rev.», 25 (1992), pp. 751 sgg. ; oppure i saggi di L. Leve, «Secularism Is a Human Right! » : Double-binds of Buddhism, Democracy, and Identity in Nepal; L. Nader, Introduction: Regi sters of Power; J. E. Jackson, Rights to Indigenous Culture in Colombia: tutti in M. Goodale e S. E. Merry (a cura di), The Practice of Human Rights. Tracking
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Law Between the Global and the Local, Columbia University Press, New York 2007, rispettivamente pp. 78 sgg., 117 sgg. e 204 sgg. Ch. R. Beitz e R. E. Goodin, Introduction: 'Basic Rights’ and Beyond, in Id. (a cura di), Global Basic Rights, Oxford University Press, Oxford - New York 2009, pp. 1, 23 sg. Sembra cosi che «la precisione dei diritti ‘positivi’ sia ab bandonata in favore delle piti solenni ma piti vaghe pretese ai ‘diritti umani’, come se il linguaggio del diritto dovesse recuperare in decibel ciò che perde in accuratezza»: C. Gearty, Can Human Rights Survive?, The Hamlyn Lectures 2005, Cambridge University Press, Cambridge 2006, p. 70 [t.d.a.]. «The rhetoric of human rights seems to have triumphed because it can be adopted by left and right, the north and the south, the state and the pulpit, the minister and the rebel. ... But this ‘broad church’ allure of human rights is also their weakness»: C. Douzinas, Human Rights and Empire: The Political Philosophy of Cosmopolitanism, Routledge-Cavendish, London 2007, p. 33. ”l Eg., L. Ferrajoli, Ifondamenti dei diritti fondamentali, in Id. et alii, Diritti fon damentali. Un dibattito teorico, a cura di E. Vitale, Laterza, Roma-Bari 20021, pp. 279 sgg.; G. Peces-Barba, Teoria dei diritti fondamentali, Giuffrè, Milano 1993 (trad. it. da Carso de derechos fundamentales. Teoria generai, Edema, Ma drid 1991). Ad esempio: H. Shue, Basic Rights : Subsistence, Affluence and US. Foreign Pol icy, Princeton University Press, Princeton 1996’; D. Miller, Justice and Glob al Inequality, in A. Hurrell e N. Woods (a cura di), Inequality, Globalization, and World Politics, Oxford University Press, Oxford 1999, pp. 198 sgg. Per 1’uso della formula ‘diritti inderogabili’, e multis, G. Cataldi, s.v., in M. Flo res (dir.), Diritti umani. Cultura dei diritti e dignità della persona nell'epoca del la globalizzazione. Dizionario, Utet, Torino 2007, pp. 382 sgg. Si veda anche la UN Convention on the Rights of Persons with Disabilities, adottata il 23 dicembre 2006 ed entrata in vigore il 3 maggio 2008; su cui eg. F. Mégret, The Disabilities Convention: Human Rights of Persons with Disabili ties orDisability Rights?, in «Human Rights Quarterly», 30 (2008), pp. 494 sgg. !M Nella stessa direzione si muove chi rileva come «diritti fondamentali ma antinomici non possono avere, gli uni e gli altri, un fondamento assoluto, un fon damento che renda un diritto e il suo opposto entrambi inconfutabili e irresi stibili» (N. Bobbio, L’età dei diritti, Einaudi, Torino 1990, p. 13), e chi segna la le ricorrenti tensioni interne che lacerano le carte dei diritti fondamentali, con la reciproca antinomia che separa i diritti di libertà e patrimoniali da un lato, e i diritti sociali, ispirati al valore dell’uguaglianza, dall’altro; il diritto al la sicurezza e il diritto alla privacy; i diritti economici in linea di collisione con la tutela dell’ambiente: M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 25 sg.; D. Zolo, Fondamentalismo umanitario, ibid., pp. 138 sg. Ma si veda anche A. Sen, Human Rights and the Limits of Law, in «Cardozo L. R.», 27 (2006), p. 2913; e i saggi di O. Yasuaki, Y. Ghai e K. Y. L. Tan, rispettivamente pp. 103 sgg., 241 sgg., 264 sgg., in J. R. Bauer e D. A. Bell (a cura di), The East Asian Challenge for Human Rights, Cambridge University Press, Cambridge 1999. Restando nondimeno vero che «se i nomadi avessero diritto di parola nella co struzione della dichiarazione dei diritti umani, il diritto alla proprietà di una capra avrebbe trovato un rango alto nella lista; e se gli abitanti dei villaggi in diani avessero contribuito a un paragrafo della stessa dichiarazione, un dirit to essenziale sarebbe stato rinvenuto nel diritto a morire a casa circondato dai membri della propria famiglia»: T. H. Eriksen, Between Universalism and Re lativism: A Critique of the Unesco Concept of Culture, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., p. 135 [t.d.a.].
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Note A. Cassese, I diritti umani oggi, Laterza, Roma-Bari 2005, p. 215. Cfr., fra gli altri, M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 58 sg.; A. Ferrara, Two Notions of Humanity and the Judgment Argument for Human Rights, in «Politi cal Theory», 31 (2003), n. 3, pp. 392 sgg.; G. Preterossi, L’Occidente contro se stesso, Laterza, Roma-Bari 2004, spec. pp. no sgg.; P. De Sena e A. Saccucci, Diritti fondamentali, in M. Flores (dir.), Diritti umani cit., p. 376; D. Miller, National Responsibility and Global Justice, Oxford University Press, Oxford 2007, pp. 163 sgg., 197 sgg., anche per ulteriori riferimenti; ma si ve da pure il richiamo all’inderogabilità di una serie di diritti, largamente coinci denti con quella di A. Cassese, all’art. 4(2) del Patto Onu sui diritti civili e po litici del 1966. Per un catalogo affine a quello di Cassese, ma virato sulla no zione (mutuata da Sen) di capability (intese qui quali: ‘capacità funzionali umane fondamentali’), M. C. Nussbaum, Diventare persone cit., pp. 95 sgg. A. Cassese, idiritti umani oggi cit., p. 216; e si veda pure A. Sen, The Idea of Justice, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2009, pp. 379 sgg.; e i saggi di M. Langford e K. Roach, in M. Langford (a cura di), Social Rights Juris prudence. Emerging Trends in International and Comparative Law, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2008, rispettivamente pp. 3 sgg., 46 sgg.; ma anche B. S. Chimni, The Sen Conception of Development and Contem porary International Law Discourse : Some Parallels, in «The Law and Develop ment Review», 1 (2008), n. 1, art. 2, pp. 3 sgg. Su un altro versante della ri flessione, per il rilievo secondo cui le contrazioni del catalogo dei diritti si li miterebbero a ridurre la quantità ma non la natura dei problemi, senza evitare il sospetto che il centrarsi sui diritti essenziali sia un mezzo per lubrificare l’e sportazione del modello culturale e giuridico occidentale, ad essi sotteso (e pre tenziosamente radicato in un inesistente ‘global moral consensus’): P. Jones, Human Rights and Diverse Cultures: Continuity or Discontinuity, in S. Caney e P. Jones (a cura di), Human Rights and Global Diversity, Frank Cass, LondonPortland 2001, pp. 27, 34 sgg.; D. Zolo, Fondamentalismo cit., pp. 149, 154; T. Mazzarese, Minimalismo dei diritti : pragmatismo antiretorico o liberalismo in dividualista?, in «Ragion Pratica», 26 (2006), pp. 179 sgg.; e si veda anche U. Baxi, The Future ofHuman Rights, Oxford University Press, New Delhi 2002, pp. 67 sgg.; nonché i saggi raccolti in S. Hertel e L. Minkler (a cura di), Eco nomie Rights. Conceptual, Measurement, and Policy Issues, Columbia University Press, New York 2007. Con riguardo allo stesso Occidente, si veda C. Gearty, Can Human Rights Sur vive cit., pp. 102 sg., ove l’autore ricorda i continui assalti dell’Esecutivo in glese ai diritti inerenti l’habeas corpus, nel 1867, nel 1939, nel 1996, nel 2005; senza dire del vastissimo dibattito sulla normativa Usa antiterrorismo, su cui, e per tutti, J. F. Murphy, The United States and the Rule ofLaw in Internation al Affairs, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 289 sgg., 335 sgg.; e sul punto specifico di cui al testo, P. Halliday e G. E. White, The Sus pension Clause: English Text, Imperial Contexts, and American Implications, Uni versity of Virginia Law School, Public Law and Legal Theory Working Paper Series, 2007, n. 83. A. Cassese, I diritti umani oggi cit., pp. 178-80. Per il dibattito, e per tutti, cfr. J. Waldron, Security as Basic Right (after 9/11), in Ch. R. Beitz e R. E. Goodin (a cura di), Global Basic Rights cit., pp. 207 sgg.; e A. Hurrell, Another Turn of the Wheel? Basic Rights in International So ciety, ibid., pp. 49, 66 sg. E multis, J. Habermas, Notes on a Post-secular Society, 18 giugno 2008, a: www.signandsight.com; W. Menski, Comparative Law in a Global Context. The
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Legai Systems of Asia and Africa, Cambridge University Press, Cambridge 20062, passim, spec. pp. 58 sgg.; R. Baubòck, Politicai Boundaries in a Multilev el Democracy, in S. Benhabib, I. Shapiro e D. Petranovic (a cura di), Identi ties, Affiliations, and Allegiances, Columbia University Press, New York 2007, pp. 85, 96 sgg. Sotto lo specifico profilo dei conflitti linguistici, si veda e.g. M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 69 sgg. A. Kumar Giri, Il «governo della leggeri e la società indiana. Dal colonialismo al postcolonialismo, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria e critica, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 708, 727 sg., richiama invece il celebre caso di Shah Bano, una donna indiana e musulmana, che si era rivolta al giudice per chiedere il mantenimento da par te dell’ex marito (peraltro facoltoso, che l’aveva lasciata per una giovane don na). Nel 1985 la Corte Suprema indiana aveva confermato la decisione dell’Alta corte che aveva accolto le pretese dell’ex moglie (Mohammed Ahmed Khan v. Shah Bano Begum, A.I.R. 1985 S.C. 945). La Commissione indiana per il diritto personale musulmano aveva accusato la sentenza della Corte Suprema di grave interferenza nel diritto personale (colà in vigore) e ben presto le for ze politiche e religiose conservatrici, affermando di rappresentare e protegge re gli interessi delle minoranze, esercitarono pressioni sul governo affinché fos se adottata una legge ad hoc che, in materia di statuto personale, affermasse con chiarezza l’applicazione del diritto islamico agli islamici. La legge fu effet tivamente promulgata l’anno dopo [The Muslim Women (Protection of Rights in Divorce Act), n. 25, Acts of Parliament, 1986] e, nelle parole dell’autore, si è trattato di «un trionfo dei leader politici e religiosi musulmani maschi che pretendono di essere gli unici portavoce dell’intera popolazione musulmana ... La domanda chiave è: la libertà di religione può venire usata per sopprimere il diritto all’uguaglianza costituzionalmente garantito degli individui, in partico lare delle donne ?» Sul punto si veda anche M. C. Nussbaum, The Clash Within: Democracy, Religious Violence and India’s Future, Harvard University Press, Cambridge Mass. - London 2007, PP- J45 sgg.; K- R- Khory, The Shah Bano Case, in R. D. Baird (a cura di), Religion and Law in Independent India, Manohar, New Delhi 2005', pp. 149 sgg.; nonché, per alcune puntualizzazioni, e sul destino operativo di quella legge nelle aule dei tribunali indiani, W. Men ski, The Uniform Civil Code Debate in Indian Law : New Developments and Chang ing Agenda, in «German L. J.», 9 (2008), n. 3, pp. 219 sg., 237 sgg. Ancora di recente il 25% degli europei ritenevano impossibile da giustificare l’omosessualità: P. Skidmore e K. Bound (a cura di), The Everyday Democracy Index, Demos, London 2008, p. 18; mentre l’orientamento sessuale della per sona è visto «as the second most widespread form of discrimination in the EU» (dopo quella basata sull’origine etnica): Discrimination in the European Union: Perceptions, Experiences and Attitudes (Fieldwork February - March 2008), Spe cial Eurobarometer 296, July 2008, a: ec.europa.eu/public_ opinion/ archives/ebs/ebs__296__ en.pdf, p. 52. Si veda comunque, e in generale, N. Teunis e G. Herdt (a cura di), Sexual Inequalities and SocialJustice, University of California Press, Berkeley - Los Angeles ■ London 2007; e poi C. J. Cohen, Straight Gay Politics: The Limits of an Ethnic Model of Inclusion, in I. Shapiro e W. Kymlicka (a cura di), Ethnicity and Group Rights, New York University Press, New York - London 1997, pp. 572 sgg.; A. S. Young, Attitudes Toward Homosexuality, in «Public Opinion Quart.», 61 (1997), p. 477. La pena di morte, tuttora in vigore in almeno 80 paesi, è stata abrogata in Ca nada nel 1976, e in altri 50 paesi solo fra il 1985 e il 2005: D. Scaglione, Pe na di morte, in M. Flores (dir.), Diritti umani cit., pp. 1062, 1064 sgg. Per gli argomenti giustificativi del suo uso in chiave di deterrenza, e.g., C. R. Sun-
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Note
stein e A. Vermeule, Is Capital Punishment Morally Required? Acts Omissions, and Life-Life Tradeoffs, in «Stan. L. Rev.», 58 (2005), p. 703 - il primo dei due autori, entrambi professori alla Harvard Law School, è ora «Administra tor of the Office of Information and Regulatory Affairs at the Office of Man agement and Budget», nell’Amministrazione Obama; il secondo, lo abbiamo già incontrato, nella discussione del Torture Memo: supra, Cap. 12, § 1. !6! Emultis, M. Ignatieff, Una ragionevole apologia cit., pp. 25-26; L. H. Tribe, Abortion: The Clash of Absolutes, Norton, New York - London 1990, passim-, M. Kohl, TheMorality ofKilling: Sanctity ofLife, Abortion, and Euthanasia, Hu manities Press, New York 1974; K. L. Vaux, Death Ethics : Religious and Cul tural Values in Prolonging and Ending Life, Trinity Press International, Phila delphia 1992; P. Lewis, Assisted Dying and Legal Change, Oxford University Press, Oxford - New York 2007; R. Young, Medically Assisted Death, Cam bridge University Press, Cambridge - New York 2007. Si veda anche supra, Cap. 8, § 3. Per i dati comprovanti come i minori fra i io e i 14 anni rappresentassero, al torno del xx secolo, in Francia, Inghilterra e Usa, un numero oscillante fra il 17 e il 20% delle forze lavoro, J. Humphries, Child Labour: The Experience of Today’s Advanced Economies and the Lessons of the Past, paper prepared for the Conference on «The Economics of Child Labour», Oslo, 28-29 May 2002, a: ucw-mirror.peanetweb.it, pp. 4 sgg. (an che in «World Bank Review», 17 (2003), pp. 175-96); e si veda anche H. Cun ningham e P. P. Viazzo (a cura di), Child Labour in Historical Perspective, 18001985: Case Studies from Europe, Japan and Colombia, Unicef-Istituto degli In nocenti, Firenze 1996. Secondo uno studio Istat pubblicato nel 2002, con dati relativi al 2000, «Bambini, lavori e lavoretti. Verso un sistema informativo sul lavoro minorile. Primi risultati», le percentuali di minori che da noi svolgeva no in quell’anno qualche attività lavorativa erano stimate: 0,5% per la fascia fra i 7 e i io anni, 3,7% tra 11 e 13 anni, e 11,6% per i quattordicenni. Se condo invece le stime pubblicate dallTLO nel 2006, «more than 200 millions child labourers aged 5-17 years are still working. The number in hazardous work, which accounts for the bulk of the worst forms of child labour, is esti mated at 126 millions. Most working children (69 per cent) are involved in agriculture, compared with only 9 per cent in industry. Globally, the AsianPacific region accounts for the largest number of child workers - 122 million in total, followed by Sub-Saharan Africa (49.3 million) and Latin America and the Caribbean (5.7 million)», in «World of Work», 61 (December 2007), p. 5. Si veda, ad esempio, supra, in questo Capitolo, la nota 564 in punto di pena di morte; e Cap. 12, § 1, a proposito della tortura, su cui, in generale, si veda pureG. Frankenberg, Torture and Taboo: An Essay Comparing Paradigms of Or ganized Cruelty, in «Am. J. Comp. L. », 56 (2008), pp. 403 sgg. E.g., P. Zagorin, How the Idea ofReligious Toleration Came to the West, Prince ton University Press, Princeton 2003, passim, e pp. 3 sg., 9 sg., 93 sg.; N. Bentwich, The Religious Foundations ofInternationalism : A Study ofInternation al Relations through the Ages, Allen & Unwin, London 19592, spec. Capp, ix e x, pp. 204 sgg. *’ Un riferimento utile, fra i tanti, è quello che segnala come la prima Conferen za delle Nazioni Unite sull’ambiente (UNCHE, United Nations Conference on Human Environment) si sia tenuta a Stoccolma nel 1972. ”° Si veda eg., S. E. Merry, Changing Rights, Changing Culture cit., pp. 34 sgg. Noi in bilico. Inquietudini e speranze di un cittadino europeo. Intervista a cura di F. Forquet, Laterza, Bari-Roma 2005, p. 24.
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5,2 Supra, Cap. 9, in particolare § 2. Per parafrasare ciò che Bentham affermava a proposito dei «naturai rights»: J. Waldron (a cura di), Nonsense upon Stilts : Bentham, Burke and Marx on the Rights of Men, Methuen Books, London 1987, p. 53. 574 A. MacIntyre, After Virtue. A Study in Moral Theory, Notre Dame Press, No tre Dame 19842, p. 70: «Natural or human rights then are fictions». C. Gearty, Can Human Rights cit., p. 28; ma si veda anche M.-B. Dembour, Who Believes in Human Rights?, Cambridge University Press, Cambridge New York 2006, spec. pp. 1 sgg., 272 sgg. Si veda A. Sen, The Idea ofJustice cit., pp. 337 sgg. E multis, E. R. Leach, Etnocentrismi, in Enciclopedia Einaudi, vol. V, Einau di, Torino 1978, pp. 955 sgg.; ma si veda anche F. Remotti, Noi primitivi. Lo specchio dell’antropologia, Bollati Boringhieri, Torino 1990, spec. pp. 216 sgg.; T. Todorov, Noi e gli altri. La riflessione francese sulla diversità umana, Einau di, Torino 1991, pp. 5 sgg., 73 sgg. (trad, da Nous et les autres. La reflexion franpaise sur la diversité humaine, Seuil, Paris 1989); E. De Martino, La fine del mondo. Contributo all'analisi delle apocalissi culturali, Einaudi, Torino 2002, pp. 394 sg.; e già W. G. Sumner, Folkways : A Study of the Sociological Impor tance of Usages,Manners,Customs,Mores,andMorals, Ginn&Co, Boston 1906, pp. 13 sg. - cui si fa risalire l’uso del termine ‘etnocentrismo’. 5,8 R. Rorty, Giustizia come lealtà piu ampia, in Filosofia e questioni pubbliche, voi. Il, n. 1, Armando, Roma 1996, pp. 53, 63 sg. Cosi, e a proposito della sola Dichiarazione Onu del 1948, C. Gearty, Can Hu man Rights cit., p. 7. s“ Si veda per tutti, Buhm Suk Baek, Economie Sanctions Against Human Rights Violations, in Cornell Law School LL.M. Papers Series, 2008, 11, a: Isr.nellco.org/cornell/lps/clacp/r 1. ”* Lo stesso A. Cassese, I diritti umani oggi cit., pp. 225-28, elabora un’ipotesi per cui, di fronte a «violazioni gravissime dei diritti umani (crimini contro l’u manità, atti di genocidio)» attestate da organi internazionali competenti «qua li l’Alto Commissariato dell’Onu per i diritti umani, od organi regionali con simili, nonché da Organizzazioni non governative autorevoli, quali Amnesty International o Human Rights Watch» - e fallito ogni intervento di soluzio ne pacifica da parte del Consiglio di sicurezza, dell’Assemblea generale dell’O nu e di ogni altra istituzione internazionale competente -, uno Stato «potreb be essere autorizzato a usare la forza, purché essa fosse (1) limitata e mirasse esclusivamente a porre termine alle atrocità, (2) proporzionata alla gravità del le violazioni, (3) utilizzata nello stretto rispetto delle norme internazionali di diritto umanitario, e (4) cessasse immediatamente appena terminate le viola zioni» [p. 228]. Si veda anche Id., Ex iniuria jus oritur: Are We Moving towards International Legitimation of Forcible Humanitarian Countermeasures in the World Community?, in «Eur. J. Int’l L.», 10 (1999), pp. 23, 27; S. Cassese, I tribunali di Babele. Igiudici alla ricerca di un nuovo ordine globale, Donzelli, Ro ma 2009, pp. 27 sgg.; D. Archibugi, Cittadini del mondo. Verso una democra zia cosmopolitica, il Saggiatore, Milano 2009, pp. r88 sgg. Si veda poi, sulla medesima lunghezza d’onda della proposta di A. Cassese, le iniziative inter nazionali concernenti la c.d. ‘responsibility to protect’ (ogni riferimento in C. Focarelli, La dottrina della «responsabilità di proteggere» e l'intervento umanita rio, in «Riv. dir. int.», 2008, n. 2, pp. 317 sgg.). La vaghezza e il rischio di abusi di meccanismi del genere sono sotto gli occhi di tutti (si vedano le valu tazioni critiche raccolte dallo stesso C. Focarelli, a p. 330 sgg.). Ai nostri fini,
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tuttavia, la domanda da rivolgere a politici, attivisti e sostenitori dei diritti umani, diventa: il diritto occidentale, e i suoi giuristi, possono proporre qual cosa di meglio ? 5“ E nella prospettiva tracciata da queste osservazioni che diviene pensabile e pos sibile cooperare con le realtà altrui, anche incentivando la formazione, in capo alle persone volta a volta interessate, di un consenso tanto libero quanto infor mato circa la natura e le modalità di rivendicazione delle proprie identità, sin golari e collettive, circa lo spettro dei propri diritti e delle loro alternative con crete, oggi e nel tempo (il che è quanto vale, a riprendere i nostri esempi, per gli inuit come per gli indigeni peruviani, per le persone soggette a mutilazioni genitali come per i genitori e le bambine tailandesi). Per la necessità che le co munità indigene si autogovernino in una maniera tollerante delle differenze, ma senza legittimare imposizioni esterne, o anche statuali, in nome dei ‘diritti umani’, eg., R. Sieder e J. Witchell, Advancing Indigenous Claims through the Law: Reflections on the Guatemalan Peace Process, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wilson (a cura di), Culture and Rights cit., p. 229; ma si veda anche L. M. Smith, Implementing International Human Rights Law in Post Conflict Set tings - Racklash without Buy-In: Lessons from Afghanistan, in «Muslim World Journal of Human Rights», 5 (2008), n. 1, art. 5. Si veda anche Da. Kennedy, Reassessing International Humanitarianism : The Dark Sides, in A. Orford (a cura di), International Law and Its Others, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006, pp. 131, 133 sgg.
XIV. LA NOSTRA DEMOCRAZIA (pp. 185-93) Si veda anche supra, Cap. 5. Per una riflessione serena ed efficace, S. Romano, Con gli occhi dell'IsIam, Lon ganesi, Milano 2007, pp. 136 sgg. Se ne veda una sinossi in L. Moriino, Democrazie e democratizzazioni, il Muli no, Bologna 2003, passim e pp. r8 sgg.; A. Magen e L. Moriino, Scope, Depth, and Limits of External Influence, in Id. (a cura di), International Actors, Democ ratization and the Rule of Law : Anchoring Democracy?, Routledge, New York 2008, pp. 224-32; C. Tilly, Democracy, Cambridge University Press, Cam bridge - New York 2007, pp. 7 sgg. Del dibattito, estesissimo, una sintesi efficace si legge in G. Sartori, Democra zia. Cosa è, Rizzoli, Milano 2007 (nuova ed.), pp. 118 sgg., 156 sgg.; adde - sulla dichiarata scia di B. Barry, Democracy and Power: Essays in Politicai Theory, vol. I, Clarendon Press, Oxford 1991; Id., Justice as Impartiality ; A Treatise on Social Justice, vol. II, Oxford University Press, Oxford 1995 - K. Dowding, R. E. Goodin e C. Pateman, Introduction : Between Justice and Democracy, in Id. (a cura di), Justice and Democracy, Cambridge University Press, Cambridge 2004, pp. 1 sgg., in partic. p. 5: «there is nothing inherent in democracy that necessarily makes it just. Democracy is a procedure for for mally capturing the views of the citizens and translating into outcomes. That procedure has only tangential connections to the outcomes being just». Per lo sviluppo di tali argomenti, e riferimenti ulteriori, R. J. Arneson, Democracy Is Not Intrinsically Just, ibid., pp. 40 sgg. In una letteratura sconfinata, per i riferimenti essenziali, e utili ai nostri fini, D. M. Estlund, Why Not Epistocracy, in N. Reshotko (a cura di), Desire, Iden tity and Existence. Essays in Honor of T. M. Penner, Academic Printing and Pub lishing, Kelowna 2003, pp. 53 sgg.; Id., Democratic Authority. A Philosophi
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cal Framework, Princeton University Press, Princeton-Oxford 2008; A. Olbrecht, Long Live the Philosopher-King?, in «Rerum Causae», 1 (2006), n. 1, pp. 37 sgg.; S. S. Wolin, Democracy Incorporated. Managed Democracy and the Specter of Inverted Totalitarianism, Princeton University Press, PrincetonOxford 2008, pp. 159 sgg.; oppure, per un altro versante del dibattito, J.-P. Benoit e L. A. Kornhauser, Only a Dictatorship is Efficient or Neutral, New York University Law and Economics Working Papers, New York 2006, Pa per 85. Per toni assai più impressionistici, ma che valgono il richiamo perché riassuntivi di quelli ‘di tendenza’, A. Gat, The Return of Authoritarian Great Powers, in «Foreign Affairs», 86 (2007), n. 4, pp. 59 sgg. In argomento, si veda già S. M. Lipset, Some Social Requisites of Democracy: Economie Development and Political Legitimacy, in «Am. Poi. Sci. Rev.», 53 (1959), n. 3, pp. 69 sgg.; e più di recente, eg., F. Zakaria, Democrazia senza libertà, in America e nel resto del mondo, Rizzoli, Milano 2003, passim e pp. 14 sgg., 320 sgg. (trad, da The Future of Freedom Alliberai Democracy at Home and Abroad, W.W. Norton, New York 2003); E. L. Glaeser, R. La Porta, F. Lopez-de-Silanes e A. Shleifer, Do Institutions Cause Growth, in «J. Econ. Growth», 9 (2004), pp. 271 sgg.; e si veda pure H. L. Root e K. May, Judicial Systems and Economie Development, in T. Moustafa e T. Ginsburg (a cura di), Rule by Law. The Politics of Courts in Authoritarian Regimes, Cambridge Uni versity Press, Cambridge - New York 2008, pp. 304 sgg. Si veda supra, Cap. 11, § 5, il dibattito sulle configurazioni del potere che ta luni vorrebbero connaturate al vigore degli ‘Asian’ e ‘Islamic Values’; adde R. Guolo, L'Islam è compatibile con la democrazia?, Laterza, Roma-Bari 2004; A. J. Langlois, Human Rights without Democracy? A Critique of the Separationist Thesis, in «Human Rights Quarterly», 25 (2003), p. 990; B. Rajagopal, Inter national Law from Below. Development, Social Movements, and Third World Resistance, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2003, pp. 212 sgg.; C. McCrudden, A Common Law ofHuman Rights? Transnational Judicial Conversations on Constitutional Rights, in «Oxf. J. Leg. Stud. », 20 (2000), pp. 499 sgg-; G. Walker, The Idea of Nonliberal Constitutionalism, in I. Shapiro e W. Kymlicka (a cura di), Ethnicity and Group Rights, New York University Press, New York - London 1997, pp. 154 sgg. Si veda anche G. Sartori, Democrazie e definizioni, il Mulino, Bologna 1957, pp. 119 sg.; A. Dixit, G. M. Grossman e F. Gul, The Dynamics of Political Compromise, in «J. Pol. Econ.», ro8 (2000), p. 531; fra gli altri, attenti alla dimensione temporale delle preferenze, D. Acemoglu e H. A. Robinson, Eco nomie Origins of Dictatorship and Democracy, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2006, pp. 23 sgg.; F. Fukuyama, La fine della storia e l’ultimo uomo, Rizzoli, Milano 1992, pp. 20, 328 (trad, da The End of History and the Last Man, Free Press, New York 1992); S. M. Lipset, Some Social Req uisites of Democracy : Economie Development and Political Legitimacy, in «Am. Poi. Sci. Rev.», 53 (1959), pp. 69 sgg.; F. A. von Hayek, The Constitution of Liberty, University of Chicago Press, Chicago i960, spec. p. 132 (trad. it. La società libera, Vallecchi, Firenze 1969); ma anche K. R. Popper, The Open So ciety and Its Enemies. The Spell ofPlato, Routledge & Kegan Paul, London 1966, p. 179 (trad. it. La società aperta e i suoi nemici, I: Platone totalitario, Arman do Editore, Roma 1973). ”2 Sulla questione, ovviamente, la scienza politica (che, quando li usa, di rado fa leva su argomenti giuridici diversi da quelli del diritto pubblico) nutre prospet tive numerose, e il dibattito è sconfinato. Per i ragguagli essenziali, G. Sarto ri, Democrazia. Cosa è, cit., parte I, pp. n-137. Sempre all’opera di Sartori (pp. 141 sgg., 159) si rimanda per i limiti ‘fisici’ e strutturali dell’esperienza
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democratica nella Grecia antica. Su quest’ultimo punto si veda, anche per i ri ferimenti ulteriori, L. Canfora, La democrazia. Storia di un’ideologia, Laterza, Roma-Bari 2004 (rist. 2008), pp. 31 sgg.; R. A. Dahl, La democrazia e i suoi critici, Editori Riuniti, Roma 2005, pp. 20 sgg., 30 sgg. (trad, da Democracy and Its Critics, Yale University Press, New Haven - London 1989); J. Dunn, Democracy: A History, Atlantic Monthly Press, New York 2005, in panie, pp. 13 sg.; D. Held, Modelli di democrazia, il Mulino, Bologna 2006, pp. 30 sgg. (trad, da Models of Democracy, Polity Press, Cambridge 2006’); J. Keane, The Life and Death of Democracy, W.W. Norton, New York - London 2009, pp. 3 sgg., 70 sgg. Del resto, allorché ci si confronti con le società islamiche, un dato da tenere a mente è la rilevanza relativa che assume - beninteso: all’interno della nostra specifica analisi - ogni discorso sulla centralità della forma costituzionale. Oc corre essere consapevoli che, tanto da noi, quanto nei paesi islamici, esiste in variabilmente un livello di legalità ‘costituzionale’ superiore alla volontà del singolo Parlamento o governo: questi ultimi, là come qui, quando emanano una qualsiasi legge sono concepiti come organi che nell’esercitare i propri poteri sono vincolati da norme, principi e valori (rispettivamente: costituzionali al l’occidentale, e sciaraitici) che ne giustificano la stessa esistenza e ne orienta no la ragion d’essere. Il punto critico è dato dal contenuto e, ancor più, dal modo di operare della struttura costituzionale sovraordinata che, in Occiden te, è quella che conosciamo e, ‘da loro’, è la shari‘a. Ecco perché è ben altro dal suo testo scritto che da noi rende possibile l’utilizzo della Costituzione qua le strumento di battaglie politiche trasferite sul terreno giuridico e arbitrate/arbitrabili sul pavimento delle Corti. Potrà semmai risultare di tutta evidenza il rapporto dialettico che sussiste - da noi come nei paesi islamici - tra civiltà e tradizione giuridica. La tradizione giuridica ‘secolare’ è un pilastro fondamen tale della nostra civiltà, tanto quanto la tradizione giuridica ‘coranica’ lo è nei paesi islamici. In altre parole, è storicamente facile cogliere, all’interno di en trambe le tradizioni: a) la corrispondenza biunivoca fra valori di civiltà e va lori giuridici; h) il ruolo portante, nello sviluppo di quei valori, svolto dalla fi gura del giurista - laico, da noi, religioso nei paesi islamici -, come artefice e messaggero di quel complesso di regole che costituiscono il sostrato storico e attuale delle diverse società. In una direzione non dissimile, ad esempio, A. Quraishi, Interpreting the Qur'an and the Constitution : Similarities in the Vse of Text, Tradition, and Reason in Islamic and American Jurisprudence, in «Cardozo L. R.», 28 (2006), pp. 67 sgg. Si veda anche supra, Cap. 1, § 4, Cap. 3, § 6. Cfr., per tutti, A. Sen, Le radici globali della democrazia. Perché la libertà non è un’invenzione dell'occidente, Mondadori, Milano 2004, spec. pp. 8 sgg.; e G. Sartori, Democrazia cit., pp. 337 sgg., e ivi pure le critiche del secondo ai corollari delle argomentazioni del primo. Per comprendere appieno il significato dei due aggettivi, il rimando è a P. Gros si, Le situazioni reali nell’esperienza giuridica medievale. Corso di storia del dirit to, Cedam, Padova 1968; Id., Il dominio e le cose. Percezioni medievali e mo derne dei diritti reali, Giuffrè, Milano 1992. 5% Per la cruciale questione relativa alla funzione, ai limiti e alla stessa conforma zione dei diritti proprietari (finanziari, di produzione, di consumo), nel tem po e nello spazio in cui i sistemi si muovono, lo stato dell’arte circa le idee cir colanti in Occidente si ottiene, oltre che da P. Grossi, nei luoghi citati alla no ta precedente, da S. Rodotà, Il terribile diritto. Studi sulla proprietà privata, il Mulino, Bologna 19901; A. Gambaro, Il diritto di proprietà, Giuffrè, Milano 1995; U. Mattei, La proprietà, Utet, Torino 2001.
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Per l’influenza decisiva esercitata in America Latina sugli sviluppi della demo crazia (all’occidentale) dall’architettura socio-economica centrata sul latifon do (e dalla conseguente scarsa protezione e diffusione della proprietà privata), si veda R. L. Prosterman, Land Reform in Latin America : How to Have a Rev olution Without a Revolution, in «Wash. L. Rev.», 42 (1966-67), pp. 189, 193 sg. (per gli aspetti istituzionali); E. Feder, 'Latifundios’ and Agricultural La bour in Latin America, in T. Shanin (a cura di), Peasants and Peasant Societies, Basii Blackwell, Oxford 1987', pp. 89, 90 sgg.; A. de Janvry, Peasants, Cap italism and the State in Latin American Culture, ibid., pp. 391, 399 sgg.; F. M. Foland, Agrarian Reform in Latin America, in «Foreign Affairs», 48 (1969/70), PP- 97 sgg. (per gli aspetti socio-economici); Th. T. Ankersen e Th. Ruppert, Tierra y Libertad.The Social Function-Doctrine and Land Reform in Latin Amer ica, in «Tul. Envtl. L.J.», 19 (2006), pp. 69 sgg. (per un’utile sintesi degli svi luppi storici - e ibid., pp. 76 sgg., anche per la non dissimile organizzazione fondiaria precedente alle conquiste europee); Pak Hung Mo, Land Distribution Inequality and Economie Growth: Transmission Channels and Effects, in «Pac. Econ. Rev.», 8 (2003), pp. 171, 178, 181 (per le evidenze statistiche circa la profonda ineguaglianza nella distribuzione delle terre); R. Miguez Nùnez, Las Oscilaciones de la Propiedad Colectiva en las Constituciones Andinas, in «Global Jurist», 8 (2008), n. 1, art. 4 (per la dicotomia proprietà collettiva - proprietà privata nella costruzione del diritto latino-americano). Cfr. poi, U. Mattei, The Peruvian Civil Code, Property and Plunder. Time for a Latin American Alliance to Resist the Neo Liberal Order, in «Global Jurist Topics», 5 (2005), n. 1, art. 3, con H. de Soto, The Mistery of Capital. Why Capitalism Triumphs in the West and Fails Everywhere Else, Basic Books, New York 2000, spec. pp. 157 sgg., 187 sgg., 224 sgg. Non sorprenderà peraltro che tali assetti proprietari abbiano scatenato una reazione, oltre che sociale estesa, anche scolare, sotto le bandiere della dottrina della funzione sociale della proprietà, declinata però - li, come in altri tempi e luoghi - su versanti non fertili agli sviluppi di una democrazia di matrice occidentale: si veda ancora il saggio di Th. T. Ankersen e Th. Ruppert, Tierra y Libertad cit. poco sopra (e ibid., pp. 1 io sg., il ri lievo di come queste reazioni possano, in quei contesti, rivelarsi controprodu centi alle stesse idee che le animano, allorché deforestazioni e messe a pasco lo di terreni agricoli diventano la risposta dei proprietari alla necessità di giustificare un impiego socialmente utile della terra). Per il latifondo e l’asset to feudale dell’organizzazione socio-economica, quali fattori di produzione, prima, e di sostegno poi, dell’autocrazia russa, R. Pipes, Russia under the Old Regime (1974), Penguin Books, Harmondsworth 1977, passim, spec. pp. xvnxvin, 64 sgg. (per gli aspetti post-rivoluzionari, pp. 18 sg.); e, sul punto, ana lisi preziose pure in A. Romano, Contadini in uniforme. L’Armata Rossa e la collettivizzazione delle campagne nell'URSS, Olschki, Firenze 1999; Id., Lo sta linismo, Bruno Mondadori, Milano 2002, pp. 9 sgg.; T. Shanin, Russia as a De veloping Society, vol. I, Macmillan, London 1985, pp. 17 sgg. (e, per utili ana lisi quantitative, pp. 133 sgg.); J. P. LeDonne, Absolutism and Ruling Class. The Formation of the Russian Political Order, 1700-1825, Oxford University Press, New York - Oxford 1991, pp. 4 sgg., 40 sg., 188, 218 sgg.; U. Procac cia, Russian Culture, Property Rights and the Market Economy, Columbia Uni versity Press, New York 2007, passim e pp. 115 sgg. ; S. Hoch, Serfdom and So cial Control in Russia, University of Chicago Press, Chicago 1986; ma si veda anche E. R. Wolf, On Peasant Rebellions, inT. Shanin (a cura di), Peasants cit., pp. 367 sgg. ; A. Walicki, Legal Philosophies of Russian Liberalism, Clarendon, Oxford 1987, pp. 82, 85 sgg., 125 sgg.; T. McDaniel, Autocracy, Capitalism, and Revolution in Russia, University of California Press, Berkeley-London 1988, pp. 17 sgg., 174 sg., 322 sgg.; e, per una sintetica riflessione sugli svi-
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luppi successivi alla caduta del regime sovietico, M. McFaul e K. Stoner-Weiss, The Myth of the Authoritarian Model, in «Foreign Affairs», 87 (2008), n. 1, pp. 68 sgg.; L. J. Rolfes jr, The Struggle for Private Land Rights in Russia, in «Eco nomie Reform Today», 1 (1996), pp. io sgg. Cosi A. Gambaro e R. Sacco, Sistemi giuridici comparati, Utet, Torino 2008’, P- 37J. Habermas, Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. io sg., 174 sg. (trad, da Zwischen Lìaturalismus und Religion, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005); A. Sen, L’altra India, Mondadori, Milano 2005, pp. 25 sgg. (trad, da The Argumentative Indian, Penguin, London 2005); G. Zagrebelsky, Intorno alla legge. Il diritto come dimensione del vivere comune, Einaudi, Torino 2009, pp. 31 sgg.; G. Ferrara, I presupposti della democrazia, febbraio 2010, a: www.astrid-online.it; K. Dowding, Are Democratic and Just Institutions the Sa me?, in K. Dowding, R. E. Goodin e C. Pateman (a cura di), Justice and De mocracy cit., pp. 25 sgg., anche per gli ulteriori, essenziali riferimenti. 6“ Come del resto ci ricorda G. Boehmer (Vorwort, in Id., Grundlagen der Biirgerlichen Rechtsordnung, vol. I, J.C.B. Mohr (Paul Siebeck), Tubingen 1950, p. ix), con icasticità efficace, seppure anelastica alle evoluzioni della storia: Òffentliches Recht vergeht, Privatrecht bestebt. Si veda anche F. A. von Hayek, Die Sprachverwirrung im politischen Denken (1968), in Id., Grundsdtze einer liberalen Gesellschaftsordnung. Aufsàtze zurPolitischen Philosophic und Theorie, Mohr Siebeck, Tiibingen 2002, pp. 150, 157-58; oppure M. J. Horwitz, The History of the Public/Private Distinction, in «U. Pa. L. Rev.», 130 (1982), pp. 1423 sgg.; e, ora, il volume 56(3), Summer 2008, dell’« American Journal of Com parative Law», Special Symposium Issue: Beyond the State:Rethinking Private Law (a cura di N. Jansen e R. Michaels). H. J. Berman, Law and Revolution. The Formation of Western Legal Tradition, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1983, pp. 273 sgg., 434 sgg. Si veda supra, Cap. 2. "J E chi riduce a questo il diritto, che dovrebbe far tesoro dei moniti di coloro i quali paventano uno scenario in cui la normatività astratta «spossessa la poli tica ... il legalismo si impossessa della vita, e la politica muore»: B. de Giovan ni, L’ambigua potenza dell’Europa, Guida, Napoli 2002, p. 190. Si veda inve ce, nitidamente, G. Calabresi, Two Functions ofFormalism. In Memory of Gui do Tedeschi, in «U. Chi. L. Rev.», 67 (2000), pp. 479, 482. Per l’uso di questo termine, in luogo di ‘legalità’, perché meglio in grado di co gliere le «fondazioni sostanziali e non formali» dei fenomeni di cui si discute al testo, P. Grossi, L’ordine giuridico medievale, Laterza, Bari-Roma 1995, p. 144. «Preso singolarmente, quasi nessuno di tali fattori costituisce un elemento pe culiare della civiltà occidentale; ciò che contraddistingue l’Occidente è la loro presenza congiunta»: S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordi ne mondiale (1997), Garzanti, Milano 2004, p. 95 (trad, da The Clash of Civi lization and the Remaking of the World Order, Simon and Schuster, New York 1996). 6“ Sulle fortune alterne, e le diverse configurazioni, che quell’autonomia conob be nei secoli precedenti, e.g., H. J. Berman, Law and Revolution cit., pp. 49 sgg.; P. Grossi, L’Europa deidiritto, Laterza, Bari-Roma 2007, pp. 11 sgg., 39 sgg.; Id., L’ordine giuridico cit., pp. 61 sgg.; R. C. Van Caenegem, An Histor ical Introduction to Western Constitutional Law, Cambridge University Press, Cambridge 1995, pp. 34 sgg.; M. Lupoi, The Origins of the European Legal Or-
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der, Cambridge University Press, Cambridge 2000, passim e spec. pp. 247 sgg., 270 sgg. (trad, da Alle radici del mondo giuridico europeo, Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1994). In questa stessa direzione, e sui semi fecon di piantati a Roma con la nascita del giurista professionale, supra, Cap. r, § 3. Nozione, beninteso, che come sempre «non significa neutralità del diritto né sua sottrazione al gioco delle forze storiche: in una realtà umanissima com’è ogni realtà giuridica le zone neutrali sono infatti, se non impensabili, almeno estremamente ridotte. Autonomia è quindi nozione relativa ... e si gnifica soltanto che il diritto non è l’espressione di questo o quel regime né delle sole forze che ad esso fan capo». P. Grossi, L'ordine giuridico cit., p. 51. 60S Si vedano sul punto i riconoscimenti che vengono da giuristi e storici quali P. Grossi, L’Europa del diritto, Laterza, Bari-Roma 2007, pp. r8 sgg., 29 sgg., 67 sgg., 83 sgg., ri3 sgg.; A. Padoa Schioppa, Italia ed Europa nella storia del di ritto, il Mulino, Bologna 2003, pp. 108 sgg., 409 sgg., 533 sgg. Per il fenomeno ben noto come ‘cesaropapismo’ che ha connotato l’evoluzio ne dei complessi rapporti fra autorità secolari e Ortodossia cristiano-orienta le, si veda - con particolare riguardo alla Russia - R. Pipes, Russia under the Old Regime cit., passim, spec. pp. 223 sgg.; J. P. LeDonne, Absolutism and Ruling Class cit., pp. 141 sg., 298; T. McDaniel, Autocracy, Capitalism, and Revolution in Russia cit., pp. 172, 187 sgg.; T. Shanin, Russia as a Developing Society, vol. I, cit., p. 50; V. Lobachev e V. Pravotorov, A Millennium ofRus sian Orthodoxy, Novosti Press, Moscow 2988, pp. 38-63 (e pp. 64 sgg. per gli sviluppi post-rivoluzionari); G. P. Fedotov, The Russian Religious Mind, 2 vol!., Harvard University Press, Cambridge Mass. 1946-1966; S. Runciman, The Orthodox Churches and The Secular State, Oxford University Press, Auck land-Oxford 1911, passim, spec. pp. 9-25; G. Codevilla, Lo Zar e il Patriarca, La Casa di Matriona, Milano 2008, passim. Per i portati di quel fenomeno nel lungo periodo, e rilevanti nella nostra prospettiva, che in Russia hanno ali mentato la commistione fra diritto e morale religiosa, nonché, e di conseguen za, a) «quell’importante aspetto della cultura russa che collegava all’ideale cri stiano lo spirito antilegalista»; e è) la propensione all’autocrazia come model lo organizzativo dello Stato, mai sfidato da un’articolazione della società civile sufficientemente organizzata a protezione dei propri diritti, né rifornita dal le risorse comunicative necessarie a rivendicarne di nuovi, si veda per tutti, G. Ajani, Diritto dell'Europa orientale, Utet, Torino 1996, pp. 64 sgg. (la ci tazione è da p. 75, nota 39); U. Procaccia, Russian Culture, Property Rights and the Market Economy cit.; ma pure A. Romano, Lo stalinismo cit., pp. 9 sgg.; D. J. Galligan, Legal Failure: Law and Social Norms in Post-Communist Europe, in D. J. Galligan e M. Kurkchiyan (a cura di), Law and Informal Prac tices. The Post-Communist Experience, Oxford University Press, Oxford - New York 2003, anche per ulteriori riferimenti. Si veda almeno H. J. Berman, Law and Revolution cit., passim, spec. pp. 87 sgg., 94 sgg. (e nota 1 a pp. 574 sgg.); ]. Le Goff, Il cielo sceso in terra. Le ra dici medievali dell'Europa, Laterza, Bari-Roma 2004, pp. 78 sg., ma anche pp. 246 sg. (trad, da L'Europe est-elle née au Moyen Age?, Seuil, Paris 2003). Per riferimenti arricchiti da datazioni anteriori (fino alle dignitates distinctae fra imperatore e papa, proclamate da papa Gelasio I, 492-96), A. Padoa Schiop pa, Italia ed Europa nella storia del diritto, il Mulino, Bologna 2003, pp. 202 sgg.; e si veda anche P. Prodi, Una storia della giustizia, il Mulino, Bologna 2000, pp. 40 sgg., 59 sgg.
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Note
611 Mt 22, 21; Me i2, 17; Lc 20, 25. Su questo specifico punto, per la netta di stinzione fra il cristianesimo, da un lato, e islam ed ebraismo dall’altro, demar cazione fondata proprio sull’incorporazione, da parte del primo, della diffe renziazione fra ‘spirituale’ e ‘secolare’, J. Neusner e T. Sonn, Comparing Re ligions through Law. Judaism and Islam, Routledge, London - New York 1999, pp. 2 sgg.; S. Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi, il Mulino, Bologna 2002, pp. 41 sgg. Cosi già M. Weber, Economia e società, III: Sociologia del diritto (1922), Edizioni di Comunità, Milano 1995, pp. 140 sgg. (la cui analisi si pri va tuttavia di prensilità allorché colloca le esperienze non cristiano-occidenta li sotto il segno della staticità e dell’irrazionalità: si veda eg., pp. 142 sg., 189). 612 Per il cui testo originale del 1222, e quello rivisto, del 1231, H. Marczali, En chiridion Eontium Historiae Hungarorum, Athenaeum, Budapest 1901, pp. 104 sgg. e 134 sgg.; si veda anche}. M. Bak, G. Bónis e J. R. Sweeney (a cura di), Decreta regni mediaevalis HungariaefThe Laws of the Medieval Kingdom of Hun gary, I: rooo-rjor (con la collaborazione di L. S. Domonkos), Charles Schlacks jr Pub, Idyllwild 19992, pp. 32 sgg. e (per la trad, ingl.) 95 sgg.; in argomen to, pure H. J. Berman, Law and Revolution cit., pp. 294, 515. 611 Si veda il visionario, premonitore e affascinante Tractatus [1464], ora in J.-P. Faye (dir.), L'Europe une, Gallimard, Paris 1992, pp. 52 sg. 614 J. Le Goff, Il cielo sceso in terra cit., pp. 210 sg. Si veda A. Gambaro e R. Sacco, Sistemi giuridici comparati cit., p. 43. Su quella posizione, il rimando è, per tutti, a H. Kelsen, Reine Rechtslehre, Verlag Franz Deuticke, Wien i9602, spec. pp. 200 sgg. Per quelle incapacità, si veda, e.g., B. Z. Tamanaha, Law as a Means to an End cit., pp. 5 sgg., 61 sgg., 75, anche per la discussione delle posizioni assunte, sul punto di cui al testo, da una lunga serie di protagonisti del dibattito gius-politico, da F. Engels a F. Cohen, da O. W. Holmes a R. von Jhering (dalla cui trad. ingl. di DerZweck im Recht - The Boston Book Company, Boston 1913 - Tamanaha riprende il titolo); con efficaci toni figurativi, F. Galgano, Il diritto e le altre arti. Una sfi da alla divisione fra le culture, Compositori, Bologna 2009, pp. 65 sgg. Si veda e.g E. J. Weinrib, Legal Formalism: On the Immanent Rationality of Law, in «Yale L. J.», 97 (1988), p. 949 (per il radicamento del fenomeno giu ridico nel paradigma del diritto naturale ‘classico’); J. M. Finnis, Natural Law and Natural Rights, Clarendon University Press, Oxford 1980, pp. 65-103 (il richiamo è al diritto naturale nella versione cattolica di Tommaso); M. S. Moo re, Educating Oneself in Public: Critical Essays in Jurisprudence, Oxford Univer sity Press, Oxford 2000, pp. 295 sgg. (il rimando è al ‘realismo morale’); J. Gordley, The State's Private Law and Legal Academia, in «Am. J. Comp. L.», 56 (2008), soprattutto pp. 643 sg., 647 sg. (per l’interazione fra il diritto na turale e il positivismo giuridico). Si veda G. Zagrebelsky, La legge e la sua giustizia, il Mulino, Bologna 2008, pp. 28 sg. ; V. Ferrari, Diritto che cambia e diritto che svanisce, in P. Rossi (a cu ra di), Fine del diritto?, il Mulino, Bologna 2009, pp. 37 sg., 41 sgg.; e già C. Schmitt, La tirannia dei valori, Morcelliana, Brescia 2008, pp. 21 sgg., 67 sgg. (trad, da Die Tyrannei der Werte, i960, in Sàkularisation und Utopie. Ebracher Studien. Ernst Forsthoff zum 65. Geburtstag, W. Kohlhammer Verlag, Stuttgart 1967, pp. 37 sgg.); ma anche supra, Cap. 11, §§ 2-5. M. Weber, Economia e società, III: Sociologia del diritto (1922), Edizioni di Comunità, Milano 1995, p. 136. Per un’agile rassegna di esempi, G. Tullock, The Case Against Common Law, Carolina Academic Press, Durham 1997, pas sim e pp. 6, 9 sg. Per analisi piu articolate si veda, eg, U. Mattei e L. Nader, Plunder. When the Rule ofLaw is Illegal, Blackwell, Malden 2008, pp. 12, 168
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sgg.; D. C. North, J. J. Wallis e B. R. Weingast, Violence and Social Orders . A Conceptual Frameworkfor Interpreting Recorded Human History, Cambridge Uni versity Press, Cambridge - New York 2009, pp. 89, 91 sgg.; per qualche illu strazione utile in materia di allocazione di diritti proprietari, M. A. Glendon, Rights Talk. The Impoverishment of Political Discourse, The Free Press, New York 1991, pp. 20 sgg.; M. J. Horwitz, The Transformation of American Law, 1780-1860, Harvard University Press, Cambridge Mass. 1977, pp. roi-8. “° R. Sieder e J. Witchell, Advancing Indigenous Claims through the Law .Reflections on the Guatemalan Peace Process, in J. K. Cowan, M.-B. Dembour e R. A. Wil son (a cura di), Culture and Rights. Anthropological Perspectives, Cambridge Uni versity Press, Cambridge 2001, p. 203; e cfr., più in generale, J. M. Maravall, The Rule of Law as a Political Weapon, in J. M. Maravall e A. Przeworski (a cu ra di), Democracy and Rule ofLaw, Cambridge University Press, Cambridge 2003, pp. 261 sgg. Innumerevoli sono le illustrazioni di come la citazione di cui al te sto rifletta quanto accade da sempre, accade tutti i giorni e ovunque. Fra i tan ti, in Occidente, M. J. Horwitz, The Transformation ofAmerican Law, 1780-1860 cit., pp. 1 sgg.; L. M. Friedman, Storia del diritto americano, Giuffrè, Milano 1995, P- 25 (trad, da History of American Law, Simon & Schuster, New York 1985“); H. Jacob, Introduction, in H. Jacob, E. Blankenburg, H. M. Kritzer, D. M. Provine e J. Sanders, Courts, Law and Politics in Comparative Perspective, Ya le University Press, New Haven - London 1996, pp. 6 sgg.; N. Irti, Norma e luo ghi. Problemi di geo-diritto, Laterza, Roma-Bari zoor, pp. 50 sgg. Per il diritto canonico, fin dai suoi primi passi, P. Grossi, L ' ordine giuridico cit., pp. 109, r 19 sgg.; per il diritto islamico ed ebraico, S. Ferrari, Lo spirito dei diritti religiosi, il Mulino, Bologna 2002, pp. 244 sgg., 252 sgg.; per l’esperienza giuridica russa, G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale, Utet, Torino 1996, pp. 64 sgg., 76; per la Cina imperiale, G. Ajani, A. Serafino e M. Timoteo, Diritto dell’Asia orienta le, Utet, Torino 2007, PP- 51 sgg.; Per il diritto tradizionale africano (anche nel le sue interrelazioni col diritto odierno), J. Djoli, Le constitutionnalisme africain: entre Tofficici et le réel ...et les mythes. Etat de lieux, in C. Kuyu (dir.), Àia re cherche du droit africain du xxf siècle, Connaissances et Savoirs, Paris 2005, pp. 175 sggSi veda anche supra, Cap. r, § 5 e nota 27. 612 Una paradossale controprova si ha dal richiamo alle modalità tecniche che gli autori del ‘Torture Memo’ hanno dovuto utilizzare per costruire i propri ar gomenti: supra, Cap. 12, § 1. 621 Come è testimoniato, e.g., dal ricongiungimento del diritto odierno, in Euro pa orientale, con la tradizione romanistica propria a quei sistemi fino all’av vento dei regimi comunisti (G. Ajani, Diritto dell’Europa orientale cit., pp. 33162); oppure dalla vigenza complessivamente inalterata - non solo dal punto di vista formale, ma anche da quello sostanziale, ossia nella fabbrica quotidia na del diritto - del codice civile tedesco, del 1896, prima e dopo l’esperienza nazista, del codice civile spagnolo, del 1889, prima e dopo l’esperienza fran chista, della continuità tecnica e culturale fra il codice civile italiano del 1865 e quello ‘fascista’ del 1942, tuttora in vigore. 624 Ad es., C. Gearty, Can Human Rights Survive?, The Hamlyn Lectures 2005, Cambridge University Press, Cambridge 2006, p. 78; oppure (con riferimen to a Germania e Giappone) U.S. Department of State, The Future ofIraq Project (una serie di r3 voli, redatti fra l’ottobre 2001 e il settembre 2003, e disponi bili sub National Security Archive Electronic Briefing Book n. 198, a: www.gwu.edu), Overview, p. 1 r - ma vedi ora le assai più caute osservazioni contenute nel Rapporto dello Special Inspector General for Iraq Reconstruc-
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Note tion (SIGIR - che risponde ai segretari di Stato e della Difesa Usa), Hard Les sons. The Iraq Reconstruction Experience, febbraio 2009, a: www.sigir.mil, pp. 14, 159, xói. Con riguardo particolare al Giappone, É. O. Reischauer, Storia del Giappone .Dalle origini ai giorni nostri, Bompiani, Milano 2000 (trad. it. da Japan. The Story of a Nation, apparentemente dalla 3“ ed., A. A. Knopf, New York 1981), segnala: «La decisione più saggia degli americani fu quella di fon dare le riforme sulle passate conquiste democratiche dei giapponesi, partico larmente sul loro Parlamento di tipo inglese creato durante il periodo della ‘de mocrazia Taisho’, e non di trapiantare le istituzioni democratiche americane in Giappone [p. 173] ... La concezione erronea degli americani sui grandi ma li della società giapponese fece si che essi si occupassero delle riforme in mo do energico e perfino radicale, ma il successo alla fin fine dipese proprio dalla natura della società giapponese e dalle basi democratiche e liberali di fatto già stabilite» [p. 189]. La presenza di uno di quelli che abbiamo visto essere i pre supposti per la nascita della democrazia ‘occidentale’, ossia la laicità delle isti tuzioni, è sottolineata da G. Ajani, A. Serafino e M. Timoteo, Diritto dell'A sia orientale cit., pp. 165 sgg.; D. A. Metraux, The Soka Gakai's Critical Role in the Rapidly Changing World of Postwar Japanese Politics, in Tun-Jen Cheng e D. A. Brown (a cura di), Religious Organizations and Democratization. Case Studies from Contemporary Asia, M. E. Sharpe, Armonk 2006, pp. 267 sgg. L’odierna incompiutezza della marcia nipponica verso la democrazia (à la oc cidentale) è segnalata invece, e fra gli altri, da L. D. Hayes, Introduction to Jap anese Politics, M. E. Sharpe, Armonk 2005, il quale allinea la corruzione dif fusa (pp. 105 sgg.), la diuturna subordinazione del Parlamento alle decisioni prese dalle élite politiche, economiche e burocratiche (pp. 57, 280 sgg.; ma sul punto si veda anche Yun’ichi Kyogoka, The Politicai Dynamics ofJapan, Uni versity of Tokyo Press, Tokyo 1987, p. 69), la scarsa indipendenza della ma gistratura dal potere politico (pp. 62 sgg.; e si veda J. Sanders, Courts and Law in Japan, in H. Jacob, E. Blankenburg, H. M. Kritzer, D. M. Provine e J. San ders (a cura di), Courts, Law and Politics cit., pp. 326 sgg.; J. M. Ramseyer, The Puzzling (In)dependence of the Courts :A Comparative Approach, in «J. Leg. Stud.», 23 (1994), pp. 72T, 724 sg.); il nepotismo endemico nella selezione della classe politica (il 40% dei candidati del Partito liberaldemocratico per le elezioni della Camera Bassa nel 1990 erano figli di membri del Parlamento: p. 49). Più in generale, sui percorsi della democrazia giapponese, e per riferimen ti ulteriori, N. Ike, A Theory ofJapanese Democracy, Westview Press, Boulder 1978; J- Arnason, Paths to Modernity: The Peculiarities of Japanese Feudalism, in G. McCormack e Yoshio Sugimoto (a cura di), The Japanese Trajectory .Mod ernization and Beyond, Cambridge University Press, Cambridge 1988, p. 235 sgg.; F. K. Upham, The Illusory Promise of the Rule of Law, in A. Sajó (a cura di), Human Rights with Modesty : The Problem of Universalism, Koninklijke Brill NV, Leiden-Boston 2004, pp. 279, 301 sgg. U. Mattei, Why the Wind Changed: Intellectual Leadership in Western Law, in «Am. J. Comp. L.», 42 (1994), pp. 195 sgg. L’insistenza sullo storico prima to della consuetudine laica, quale presupposto dell’odierno percorso delle isti tuzioni democratiche in India, è diffusa. Eg.: M. MacLaren, Thank you India - Reflections on the 4th International Conference on Federalism, New Delhi, 5-7 November 2007, in «German L. J.», 9 (2008), n. 3, pp. 367 sgg., il quale os serva in particolare (p. 381): «The task of striking the fine balance between manifold identities, of reconciling competing national and sub-national inter ests, and of managing contradictions between unity and diversity is not an easy one. It is, however, easier when there is a narrative of cultural heritage to be drawn upon, and much easier when that heritage is one of acceptance of
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heterodoxy, ongoing dialogue, and pluralism». Sul medesimo punto si veda anche A. Sen, Le radici globali della democrazia cit., spec. pp. 19 sg., 50 sg.; Id., L’altra India, Mondadori, Milano 2005, pp. 30 sgg., 68 sg., 293 sgg. (trad, da The Argumentative Indian, Penguin, London 2005); W. Menski, Hindu Law. Beyond Tradition and Modernity, Oxford University Press, New Delhi 2003, pp. 121 sgg., 548, 590; e poi J. J. Lipner, The Rise of «Hinduism» ; or, How to Invent a World Religion with only Moderate Success, in «Int’l J. Hindu Stud. », 10 (2006), pp. 91 sgg.; P. N. Bhagwati, Religion and Secularism under the In dian Constitution, in R. D. Baird (a cura di), Religion and Law in Independent India, Manohar, New Delhi 2005', pp. 35 sgg.; G. J. Jacobsohn, The Wheel of Law. India’s Secularism in Comparative Constitutional Context, Princeton Uni versity Press, Princeton 2003; S. Rajagopalan, Secularism in India ; Accepted Principle, Contentious Interpretation, in W. Safran (a cura di), The Secular and the Sacred, Nation, Religion and Politics, Frank Cass, London-Portland 2003, pp. 241 sgg.;M. V. Rajeev Gowda e E. Sridharan, Parties and the Party System, 1947-2006, in S. Ganguly, L. J. Diamond e M. F. Plattner (a cura di), The State of India’s Democracy, Johns Hopkins University Press, Baltimore 2007, pp. 3 sgg. Considerazioni non dissimili, con riguardo agli sviluppi della democra zia indonesiana, si leggono in G. Barton, Islam and Democratic Transition in In donesia, in Tun-Jen Cheng e D. A. Brown (a cura di), Religious Organizations cit., pp. 221 sgg.; Tun-Jen Cheng e D. A. Brown, Introduction: The Roles of Religious Organizations in Asian Democratization, ibid., pp. 3, 16, 27 sgg.; e si veda anche T. Lindsey, Indonesia: Devaluing Asian Values Rewriting Rule of Law, in R. Peerenboom (a cura di), Asian Discourses of Rule of Law, Routled ge-Curzon, London - New York 2004, pp. 281 sgg. Per il dibattito vasto - ma sovente svolto solo all’interno delle categorie interpretative occidentali - su gli sviluppi possibili della democrazia in Cina, R. Peerenboom, China Modern izes. Threat to the West or Modelfor the Rest?, Oxford University Press, Oxford 2007, spec. pp. 195 sgg., 257 sgg.; Id., China's Long March Toward the Rule of Law, Cambridge University Press, Cambridge 2002, pp. 513 sgg.; e, con particolare riguardo al ruolo giocato in quella tradizione dal confucianesimo, L. W. Pye, Asian Power and Politics, Belknap Press, Cambridge Mass. 1985, passim e pp. 182, 187 sgg.; F. Fukuyama, Confucianism and Democracy, in «Journal of Democracy», 6 (1995), n. 2, p. 20; W. Th. de Bary, Some Com mon Tendencies in Neo-Confucianism, in D. S. Nivison e A. F. Wright (a cura di), Confucianism in Action, Stanford University Press, Stanford 1959, pp. 25, 28 sgg.; D. A. Bell, East Meets West:Human Rights and Democracy in East Asia, Princeton University Press, Princeton 2000, pp. 286 sgg.; ma anche i saggi di T. Zhou, Y. Lang (pseud.) e Y. Zhang, in «Limes» (2008), n. 4, rispettiva mente pp. 97, 107 e 117. Con specifico riguardo all’impatto che sul farsi del la democrazia hanno avuto le interrelazioni fra religione (in ispecie il confu cianesimo) e potere, a Taiwan e in Corea, G. Ajani, A. Serafino e M. Timo teo, Diritto dell’Asia orientale cit., rispettivamente pp. 229 sg., 237 sg., e 251 sgg., anche per i riferimenti essenziali; cui adde, per Taiwan A. Laliberté, 'Buddhism for the Human Realms’ and Taiwanese Democracy, M. A. Rubin stein, The Presbyterian Church in the Eormation of Taiwan’s Democratic Society, 1945-2004-, e, per la Corea del Sud, Im Hyug-Baeg, Christian Churches and De mocratization in South Korea, tutti in Tun-Jen Cheng e D. A. Brown (a cura di), Religious Organizations cit., rispettivamente pp. 55 sgg., 109 sgg., 136 sgg.
XV. DERIVE ED ESPANSIONI (pp. 194-212) Si veda supra, in partic. Cap. 5. Per utili ragguagli (anche statistici) sul lungo cammino compiuto dall’Occiden
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Note
te per raggiungere gli standard sociali, politici ed economici, che ora esso van ta, H.-J. Chang, Kicking Away the Ladder. Development Strategy in Historical Perspective, Anthem Press, London 2003 (rist. 2005), pp. 69, 71 sgg. Si veda anche J. Keane, The Life and Death of Democracy, W.W. Norton, New York London 2009, pp. 873 sgg. “• G. A. Almond, M. Chodorow e R. H. Pearce (a cura di), Progress and Its Dis contents, University of California Press, Berkeley 1982, passim;]. H. Steward, Teoria del mutamento culturale, Bollati Boringhieri, Torino 1977, passim e pp. 19 sgg., 87 sgg. (trad. da Theory of Cultural Change. The Methodology ofMul tilinear Evolution, University of Illinois Press, Urbana 1955). Ma, in genera le, moniti severi a non cadere nella tentazione di cui al testo vengono da una letteratura imponente. Si ricordi solo G. Sasso, Tramonto di un mito. L'idea di «progresso» tra Ottocento e Novecento, il Mulino, Bologna 1984; J. Le Goff, Progresso/Reazione, in Enciclopedia Einaudi, vol. XI, Einaudi, Torino 1980, pp. 198 sgg.; M. Ginsberg, Progress in the Modem Era, in P. P. Wiener (a cu ra di), Dictionary of the History of Ideas, vol. Ill, Scribner’s Sons, New York 1973, PP- 633 sgg.; e M. D. Sahlins e E. R. Service, Introduction, in Id. (a cu ra di), Evolution and Culture, University of Michigan Press, Ann Arbor i960, pp. i sgg.; R. Nisbet, History of the Idea of Progress, Basic Books, New York 1980; J. B. Bury, Storia dell'idea di progresso, Feltrinelli, Milano 1964 (trad, da The Idea ofProgress. An Inquiry into Its Origin and Growth, Macmillan, New York 1932). Si veda eg. M. Ainis, Le libertà negate, Rizzoli, Milano 2004, pp. 220 sgg., 302 sgg“° A. Glyn, Capitalism Unleashed, Oxford University Press, Oxford - New York 2006 (trad. it. Capitalismo scatenato, Brioschi, Milano 2007); si veda anche M. Salvati, Capitalismo, mercato e democrazia, il Mulino, Bologna 2009, spec. pp. 39, 106 sgg.; R. B. Reich, Supercapitalismo. Come cambia l’economia globale e i rischi per la democrazia, Fazi, Roma 2008; e poi C. E. Lindblom, The Market System. What It Is, How It Works, and What to Make of It, Yale University Press, New Haven 2001; nonché R. Dahrendorf, Qua drare il cerchio. Benessere economico, coesione sociale e libertà politica, Later za, Roma-Bari 1995 (trad. it. da Economie Opportunity, Civil Society, and Politicai Liberty, UN Research Institute for Social Development, Geneva 1995); C- Crouch, Postdemocrazia (2003), Laterza, Roma-Bari 2004, spec, pp. 41-60, 90-126. V. Barsotti e N. Fiorita, Separatismo e laicità. Testo e materiali per un confron to tra Stati Uniti e Italia in tema di rapporti stato-chiesa, Giappichelli, Torino 2008. 02 Sulla possibile ‘costruzione’ delle tradizioni, supra, Cap. 12, §§ 2-3, e i luoghi ivi cit. Si veda per tutti S. Rodotà, Perché laico, Laterza, Roma-Bari 2009. 6M Sul punto le valutazioni d’insieme si leggono in J. Habermas, Notes on a Post secular Society, 18 giugno 2008, a: www.signandsight.com; H. Joas, Gesell schaft, Stoat und Religion, in Id. (a cura di), Sdkularisierung und die Weltreligionen, Fischer, Frankfurt am Main 2007, pp. 9 sgg.; si veda anche C. Tilly, De mocracy, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2007, pp. 106 sggSi veda e.g. M. R. Ferrarese, Il diritto al presente. Globalizzazione e tempo del le istituzioni, il Mulino, Bologna 2002, pp. 1 sgg. La prospettiva, peraltro, non
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è inedita: si veda ad esempio D. Halévy, Essai sur I’acceleration de l’histoire, Fayard, Paris 1961'; D. Harvey, The Condition of Postmodemity, Blackwell, Malden 1990, passim e pp. 240 sgg. 6)6 Su questo punto, agli autori cit. supra, Cap. 13, § 4, nota 577, in partic. E. R. Leach, Etnocentrismi, in Enciclopedia Einaudi, V, Einaudi, Torino 1978, pp. 955 sgg.; adde, per gli ulteriori riferimenti essenziali, in una letteratura vastis sima, U. Fabietti e F. Remotti (a cura di), Dizionario di Antropologia, s.v. Et nocentrismo, Zanichelli, Bologna 1997, pp. 273 sg.; e i contributi raccolti in U. Fabietti (a cura di), Dalla tribù allo stato. Saggi di antropologia politica, Unicopli, Milano 1991. Assai perspicui, sul punto, P. Collier, A. Hoeffler e M. Sòderbom, Post-Con flict Risks, in «Journal of Peace Research», 45 (2008), n. 4, pp. 461 sgg.; si ve da anche P. Collier, Wars, Guns, and Votes, Harper Collins, New York 2009; nonché J. Snyder e E. D. Mansfield, Electing to Eight: Why Emerging Democ racies Go to War, Mit Press, Cambridge Mass. 2007; J. Snyder, From Voting to Violence : Democratization and Nationalist Conflict, W. W. Norton, New York 2000; con particolare riguardo ai rischi recati dall’enfatizzazione dei con notati ‘elettorali’ della democrazia, in società che non condividono con le no stre i caratteri che abbiamo ricordato al Capitolo precedente, W. Bello, The Global Crisis ofLegitimacy ofLiberal Democracy, inG. Lechini (a cura di), Glo balization and the Washington Consensus : Its Influence on Democracy and Deve lopment in the South, Clacso, Consejo Latinoamericano de Ciencias Sociales, Buenos Aires 2008, pp. 133 sgg. 1,1 Per tutti, D. Berkowitz, K. Pistor e J.-F. Richard, The Transplant Effect, in «Am. J. Comp. L.», 51 (2003), pp. 163 sg. Si veda anche supra, Cap. 3, §§ 3-4, Cap. 11, §§ 2-3; e Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work for Everyone, Toppan Print ing, Somerset 2008, vol. I, p. 18. s* D. Held, Democrazia e ordine globale, Asterios, Trieste 1999, pp. 126, 130 sg. (trad. it. da Democracy and the Global Order, Polity Press, Cambridge 1995). Si veda ad es. Da. Kennedy, New Approaches to Comparative Law : Comparativism and International Governance, in «Utah L. Rev.» (1997), pp. 545, 578 sg.; D. Chirot, A Clash of Civilizations or of Paradigms? Theorizing Progress and So cial Change, in «International Sociology», 16 (2001), n. 3, pp. 341 sgg.; U. Baxi, The Future of Human Rights, Oxford University Press, New Delhi 2002, PP- 9i sgg. 642 « [E]ven if legal development were not to contribute one iota to economic de velopment (I am not saying that is the case, but even if this were, counterfactually, true), even then legal and judicial reform would be a critical part of the development process»: cosf, A. Sen, What Is the Role of Legal and Judicial Reform in Economic Development?, lezione tenuta presso la Banca Mondiale in occasione della prima conferenza sul Comprehensive Legal and Judiciary De velopment, Washington D.C., 5 giugno 2000: siteresources.wordbank.org, p. io (un insegnamento che - come abbiamo visto supra, Cap. 5, § 7 - la World Bank ha tradotto in progetti senza tempo né geografia); ma si veda pure Com mission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work for Every one cit., vol. I, p. 47; e, fra gli altri, i saggi raccolti in A. Perry-Kessaris, Law in the Pursuit of Development, Routledge, Abingdon 2010. Si veda anche supra, Cap. 5 e note 180-82; e P. Grilli di Cortona, Come gli Sta ti diventano democratici, Laterza, Roma-Bari 2009, pp. 75 sgg., 82 sgg. In ge-
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Note
nerale, per il dibattito rilevante ai nostri fini, si veda supra, il Capitolo prece dente, § 2, anche per i riferimenti, cui adde, e multis, fra i giuristi, U. Mattei e L. Nader, Plunder. When the Rule of Law is Illegal, Blackwell, Malden 2008, spec. pp. 196 sgg.; fra gli economisti, E. S. Reinert, How Rich Countries Got Rich ... and Why Poor Countries Stay Poor (2007), Public Affairs, New York 2008, spec. pp. rot sgg. Spunti ricostruttivi in L. G. Pes, Diritto e sviluppo neoliberale : il dibattito sul 'new law and development’, in «Poi. dir.», 38 (2007), pp. 611 sgg.; J.-M. Se verino e O. Charnoz, De I’ordre global à la justice globale: vers une politique mondiale de régulation. I: Concepts, in «En Temps Réel», Mai 2008, Cahier n. 33, pp. 6 sgg.; si veda anche D. C. North, J. J. Wallis e B. R. Weingast, Vio lence and Social Orders. A Conceptual Framework for Interpreting Recorded Hu man History, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2009, pp. 263 sgg. Per critiche acuminate ai modelli circolanti, S. Latouche, La scom messa della decrescita, Feltrinelli, Milano 2007, passim, spec. pp. 73 sgg. (trad. da Le pari de la décroissance, Fayard, Paris 2006). Per i ragguagli sul dibattito corrente, oltre a P. Hall e D. Soskice (a cura di), Varieties of Capitalism. The Institutional Foundations of Comparative Advan tage, Oxford University Press, Oxford 2001; J.-P. Fitoussi, La democrazia e il mercato, Feltrinelli, Milano 2004 (trad, da La democratic et le marche, Grasset, Paris 2004); M. Salvati, Capitalismo, mercato e democrazia, il Mulino, Bo logna 2009, spec. pp. 39, 106 sgg.; P. Savona, Il governo dell'economia globa le, Marsilio, Venezia 2009, pp. 154 sgg.; si veda C. J. Milhaupt e K. Pistor, Law and Capitalism. What Corporate Crises Reveal about Legal Systems and Eco nomic Development around the World, University of Chicago Press, ChicagoLondon 2008, passim', K. E. Davis e M. J. Trebilcock, The Relationship between Law and Development cit., pp. 895, 933 sgg.; G. Sartori, Democrazia. Cosa è cit., pp. 237 sgg., 271 sg., 355 sgg.; nonché B. Bueno de Mesquita e G. W. Downs, Le autocrazie sostenibili, in «Aspenia», 46 (2009), pp. 166 sgg.; H.-J. Chang, Bad Samaritans. The Myth of Free Trade and the Secret History of Capi talism, Bloomsbury Press, New York 2009, pp. 171 sgg.; S. Cassese, Il diritto globale. Giustizia e democrazia oltre lo Stato, Einaudi, Torino 2009, pp. 176177: «La “democrazia globale” sviluppa o sostituisce le democrazie naziona li? E non potrebbero gli ordini giuridici globali abusare, a loro volta, dei po teri di cui dispongono, sia pure a fini “giusti” ?» M Per i quali, e per tutti, W. Easterly, Idisastri dell’uomo bianco cit., p. 413. Sul cruciale punto che concerne l’identificazione e le modalità di realizzare e di stribuire i «global public goods», cfr. J. D. Sachs, Common Wealth. Economics fora Crowded Planet, Penguin, New York 2008, pp. 295 sgg.; S. Barret, Why Cooperate? The Incentive to Supply GlobalPublic Goods, Oxford University Press, Oxford - New York 2007; Vandana Shiva, Le nuove guerre della globalizzazione. Sementi acqua eforme di vita, Utet, Torino 2005, passim (trad, da Globalization’s New Wars: Seed, Water and Life Forms, Women Unlimited, New Delhi 2005); B. Chimni, The Sen Conception of Development and Contemporary International Law Discourse:Some Parallels, in «The Law and Development Review», 1 (2008), n. 1, art. 2, pp. 3 sgg.; L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della demo crazia, IL Teoria della democrazia, Laterza, Roma-Bari 2007, pp. 596 sgg. Sul punto, anche per i riferimenti essenziali al dibattito, il quale è arato da pro poste di cui si scorgono con fatica i contenuti di effettività, D. Miller, Nation al Responsibility and Global Justice, Oxford University Press, Oxford 2007, passim, spec. pp. 238 sgg.; e ibid., pp. 57 sgg., pure la discussione di rimedi centrati sull’istituzione di una Global Resources Tax (avanzata da Th. Pogge,
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An Egalitarian Law of Peoples, in «Philosophy and Public Affairs», 23 (1994), pp. 195-224). Si veda anche, per la proposta di distribuzione di un ‘Global Re sources Dividend’ a favore degli individui impossibilitati a soddisfare « their own basic needs with dignity», Th. Pogge, World Poverty and Human Rights, Polity, Cambridge 2008’, pp. 202 sgg. (la cit. è da p. 203). M’ Peraltro, la letteratura critica sugli aiuti occidentali, e in particolare sulle loro articolazioni dannose nei confronti degli stessi beneficiari, è sterminata. Si ve da, anche per i riferimenti essenziali, D. Moyo, Dead Aid. Why Aid Is Not Working and How There is Another Way for Africa, Farrar, Straus & Giroux, New York 2009; H.-J. Chang, B«d Samaritans cit.; W. Easterly (a cura di), Reinventing Foreign Aid, Mit Press,Gambridge Mass. 2008; P. T. Bauer, Dal ia sussistenza allo scambio. Uno sguaradcritico agli aiuti allo sviluppo, Ibi, Tori no 2009; R. Glenn Hubbard e E. W. Duggan, The Aid Trap:Hard Truths About Ending Poverty, Columbia University Press, New York 2009; L. Whitfield (a cura di), The Politics ofAid. African Strategies for Dealing with Donors, Oxford University Press, Oxford - New York 2009; W. Maarhai, The Challenge for Africa, Pantheon Books, New York 2009. "" Si veda supra, Cap. 9. 651 Supra, Cap. 13, § 4, nota 581. 6,2 Dal punto di vista europeo, poi, ogni riflessione sulle relazioni fra interven tismi e investimenti ‘umanitari’ dovrebbe tener conto dei dati che segnalano come «[N]early two decades after the end of the Cold War ... European de fence resources still pay for a total of 10,000 tanks, 2,500 combat aircraft, and nearly two million men and women in uniform - more than half a mil lion more than the US hyper-power. Yet 70% of Europe’s land forces are sim ply unable to operate outside national territory - and transport aircraft, com munications, surveillance drones and helicopters (not to mention policemen and experts in civil administration) remain in chronically short supply. This failure to modernize means that much of the € 200 billion that Europe spends on defence each year is simply wasted»: N. Witney, Re-energising Europe’s Security and Defence Policy, European Council on Foreign Relations, July 2008, pp. 1,31. 655 Per tutti, e per lezioni preziose, si vedano gli scritti di A. Sen, e.g: The Idea of Justice, Harvard University Press, Cambridge Mass. 2009, pp. 329 sgg. Fra i primi, J. S. Nyie jr, Il paradosso del potere americano, Einaudi, Torino 2002, pp. 12 sg. (trad. it. da The Paradox ofAmerican Power, Oxford Univer sity Press, Oxford 2002). Si veda poi, e multis, J. D. Sachs, Common Wealth cit., pp. 272 sgg., 278 sgg., 298 sgg. Per il richiamo all’attrattività esercitata dal ‘software’ del potere proprio all’ideologia comunista, nel periodo della guerra fredda, G. Tremonti, La paura e la speranza, Mondadori, Milano 2008, p. 27. G. Calchi Nevati, Africa Cinquanta, ISPI Policy Brief, n. 169, December 2009, p. 6. Per l’impostazione dei percorsi possibili, lungo la prospettiva di cui al te sto, W. Easterly, I disastri dell'uomo bianco cit., pp. 193 sgg., 210, 216 sgg., 413 sgg.; R. G. Rajan, The Future of the IMF and the World Bank, in «Am. Econ. Rev.», 98 (2008), n. 2, pp. no sgg.; nonché Harmonising Donor Prac tices for Effective Aid Delivery, DAC Guidelines and Reference Series, 3 voli., OECD, Paris 2003-2006; e i luoghi cit. supra, in questo Capitolo, § 6. A fa vore dell’impiego di interventi basati sullo scambio ‘debt-for-development’, in materia di sanità, ambiente, educazione, R. Buckley, Debt-for-development Ex changes: The Origins of a Financial Technique, in «L. & Dev. Rev.», 2 (2009), n. 1, art. 3, pp. 25 sgg.
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Note
6!‘ Oltre ai riferimenti di cui alle note che seguono, si vedano i saggi raccolti in D. M. Trubek e A. Santos (a cura di), The New Law and Economie Develop ment. A Critical Appraisal, Cambridge University Press, Cambridge 2006. Let tura utile, quest’ultima, non solo per la qualità dei contributi, ma anche in vi sta di una valutazione complessiva del movimento - di marca culturale statu nitense - noto come ‘law & development’, ancora oggi mal rifornito di adeguata cultura comparatistica, e sovente imbrigliato fra le maglie dell’interventismo e quelle del relativismo progressista (che sulle spalle del primo finisce sovente per barcollare). Si veda ad ogni modo L. G. Pes, Diritto e sviluppo neoliberale cit., pp. 611 sgg.; e i luoghi cit. supra, nota 173. In questa direzione si veda, e.g., seppure con accenti privi della concretezza auspicabile da parte di un attore come la UE, la «Dichiarazione comune del Consiglio e dei rappresentanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio, del Parlamento europeo e della Commissione sulla politica di svi luppo dell’Unione europea: ‘Il consenso europeo’». Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. II, cap. r, pp. 4 sgg.; e si veda anche il programma «Birth Registration for All Versus Oblivion (BRAVO)» lanciato dalla comunità di Sant’Egidio, a: www.santegidio.org. *” W. Easterly, I disastri dell’uomo bianco cit., pp. 207, 214 sgg. “° Sul punto, si veda l’analisi di D. Whittington, W. M. Hanemann, C. Sadoff e M. Jeuland, Water and Sanitation, in B. Lomborg (a cura di), Global Crises, Global Solutions, Cambridge University Press, New York - Cambridge 2009', PP- 355 sgg-; e ibid, le alternative discusse da J. Davis, Perspective Paper 7.1, pp. 430 sgg.; F. R. Rijsberman e A. P. Zwane, Perspective Paper 7.2, pp. 440 sggPer alcune evidenze empiriche circa la correlazione fra livelli d’istruzione e na scita o crescita di istituzioni democratiche, fra gli altri, E. L. Glaeser, R. La Porta, F. Lopez-de-Silanes e A. Shleifer, Do Institutions Cause Growth, in «J. Econ. Growth», 9 (2004), pp. 271, 285 sgg. Per utili indicazioni operative si veda invece M. Grosh, C. del Ninno, E. Tesliuc e A. Ouerghi, For Protection and Promotion. The Design and Implementation of Effective Safety Nets, The World Bank, Washington D.C. 2008,passim, spec. pp. 128 sgg., 253 sgg., 283 sgg-. 343 sgg., 373 sgg., 415 sgg. Cfr. P. F. Orazem, P. Glewwe e H. Patrinos, The Benefits and Costs ofAlternative Strategies to Improve Educational Out comes, in B. Lomborg (a cura di), Global Crises cit., pp. 180 sgg.; e ibid., V. Lavy, Perspective Paper 4.1, pp. 215 sgg. Da noi, cfr. P. De Sena, Banca mon diale, diritto all’istruzione e patto sui diritti economici, sociali e culturali, in N. Boschiero e R. Luzzatto (a cura di), I rapporti economici intemazionali e l’evo luzione del loro regime giuridico, Esi, Napoli 2008, pp. 123 sgg. Si veda anche supra, Cap. 8, § 3 e note 299-302; Cap. 12, §2, note 503, 505506. Per possibili illustrazioni pratiche, si veda M. Grosh, C. del Ninno, E. Tesliuc e A. Ouerghi, For Protection and Promotion cit., spec. pp. 137 sgg., 297 sgg. Nella prospettiva di cui al testo si colloca, ad esempio, il progetto «Cibo per l’istruzione», dello United Nations World Food Program. In sintesi, l’ini ziativa punta a offrire cibo (sotto forma di pasti scolastici) per sfamare i bam bini e al contempo attirarli allo studio. Onde favorire l’accesso dei bambini al le scuole, il programma prevede anche la distribuzione di razioni alimentari da portare a casa, in modo da incoraggiare i genitori a mandare i figli, e soprattut to le figlie, a studiare. Si vedano le informazioni disponibili a: one.wfp.org. Sul punto, i caveat necessari si leggono nelle opere citate supra, alla nota 597; adde, assai utile nella prospettiva che tiene gli occhi aperti sulla complessità
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dei fenomeni extra-occidentali, B, Rajagopal, International Law from Below. Development, Social Movements, and Third World Resistance, Cambridge Uni versity Press, Cambridge - New York 2003, pp. 263 sgg.; L. Godden e M. Tehan (a cura di), Comparative Perspectives on Communal Lands and Individual Ownership. Sustainable Futures, Routledge, Abingdon 2010. M F. Place e P. Hazell, Productivity Effects of Indigenous Land Tenure Systems in Sub-Saharan Africa, in «American journal of Agricultural Economics», 75 (1993), n. 1, pp. 10 sgg.; P. Collier e J. W. Gunning, Explaining African Eco nomic Performance, in «J. Econ. Lit.», 37 (1999), n. 1, pp. 64 sgg.; C. J. Milhaupt e K. Pistor, Law and Capitalism cit., passim, spec. pp. 17 sgg., 197 sgg. Si vedano peraltro le difficoltà incontrate - per le ragioni di cui al testo dai programmi internazionali di ‘peace-building’ che si sono volti a riconfigu rare l’assetto dei diritti immobiliari in territori usciti da conflitti, in S. Leckie (a cura di), Housing, Land, and Property Rights in Post-Conflict United Nations and Other Peace Operations, Cambridge University Press, Cambridge - New York 2009, e, in particolare, le analisi su Cambogia (R. C. Williams, Stability, Justice and Rights in the Wake of the Cold War: The Housing, Land and Property Rights Legacy of the UN Transitional Authority in Cambodia, pp. 19 sgg.), Af ghanistan (C. Foley, Housing, Land, and Property Restitution Rights in Afghani stan, pp. 136 sgg.), quelle pili ottimistiche sul Kosovo (M. Cordial e K. Rosandhaug, The Response of the United Nations Interim Administration Mission in Kosovo to Address Property Rights Challenges, pp. 61 sgg.) e quelle, che rinvia no il giudizio al futuro, sull’Iraq (N. Thomson, The Trouble with Iraq : Lessons from the Field on the Development of a Property Restitution System in «Post»Conflict Circumstances, pp. 220 sgg.). Va difatti tenuto in considerazione che in molte realtà «speculators pre-empt prospective titling programmes by buying up land from squatters at prices slightly higher than prevailing informal ones. Squatters benefit in the short term, but miss out on the main benefits of the titling programme, which ac crue to the people with deeper pockets» (Commission on Legal Empower ment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. I, p. 80; e si veda anche il vol. Il, p. 101). Si tratta di evenienze che però potrebbero essere contrasta te con regole prevedenti l’efficacia differita di quei contratti, scortate dalla attribuzione medio tempore del diritto di recesso a favore del venditore; op pure con regole stabilenti vuoi una moratoria sulla rivendita (come, eg., nel le Filippine e in Armenia: ibid., vol. II, p. 101), vuoi limiti all’accumulo di di ritti proprietari, anche per interposta persona. Sullo spinoso problema delle terre africane, rivendicate da comunità o individui locali e acquisite da entità statuali straniere, che, in quanto tali, risultano d’abitudine immuni da qual sivoglia responsabilità, L. Cotula, S. Vermeulen, R. Leonard e J. Keeley, Land Grab or Development Opportunity? Agricultural Investment and International Land Deals in Africa, IIED/FAO/IFAD, London-Rome 2009, passim e pp. 95 sgPer una ricognizione articolata di tali fattori, Th. Kelley, Unintended Conse quences ofLegal Westernization in Niger: Harming Contemporary Slaves by Re conceptualizing Property, in «Am. J. Comp. L.», 56 (2008), pp. 999 sgg. Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. II, pp. 64 sgg.; ma cfr. pure A. Sen, L’altra India, Mondadori, Milano 2005, p. 237 (trad. da The Argumentative Indian, Penguin, London 2005). “* Si veda anche supra, Cap. 3, § 5; e cfr. J. W. Bruce, Property Rights Issues in Common Property Regimes for forestry, in «The World Bank Legal Review. Law and Justice for Development», World Bank - Kluwer, Washington D.C. - The Hague 2003, pp. 257, 263 sgg.
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Note
Fungendo cosi da possibile terminale di riferimento anche per politiche redi stributive, altrimenti appese al cappio dell’assenza di utilità da ripartire. Sul punto, cfr. H. de Soto, The Mistery of Capital, Basic Books, New York 2000, passim; J. K. Ohnersorge, Developing Development Theory : Law and Develop ment Orthodoxies and Northeast Asian Experience, in «U. Pa. J. Int’l Econ. L. », 28 (2008), n. 2, pp. 219, 294 sgg.; M. Grosh, C. del Ninno, E. Tesliuc e A. Ouerghi, For Protection and Promotion cit., passim, spec. pp. 128 sgg.; M. Trebilcock e P. E. Veel, Property Rights and Development: The Contingent Case for Formalization, in «U. Pa. J. Int’l L.», 30 (2008), pp. 429 sg.; M. Salvati, Ca pitalismo, mercato e democrazia cit., passim, e pp. 23, 69 sgg.; ma cfr. anche R. G. Rajan e L. Zingales, Salvare il capitalismo dai capitalisti, Einaudi, Torino 2004, pp. 13 sgg., 165 sgg. (trad, da Saving Capitalism from the Capitalists, Crown Business, New York 2003); nonché D. Usher, The Economic Prerequi sites of Democracy, Columbia University Press, New York i98r. Si veda da noi M. Yunus, Il banchiere dei poveri, Feltrinelli, Milano 1998 (trad, it. da Versun mond sons pauvreté, Lattès, Paris 1997); Id., Un mondo senza po vertà, Feltrinelli, Milano 2008 (trad, da Vers un nouveau capitalisme, Lattès, Paris 2008); e per altre, non dissimili iniziative, W. Easterly, Idisastri dell’uo mo bianco cit., pp. 416 sgg.; qualche spunto ulteriore in S. Borzutzky, AntiPoverty Politics in Chile: A Preliminary Assessment of the Chile Solidario Pro gram, in «Poverty & Public Policy», 1 (2009), n. 1, art. 2; E. M. King, S. Klasen e M. Porter, Women and Development, in B. Lomborg (a cura di), Global Crises cit., pp. 585, 610 sgg.; e ibid., L. Haddad, Perspective Paper 10.1, pp. 638 sgg., e A. Tansel, Perspective Paper 1 o .2, pp. 642,647 sgg.; D. Moyo, Dead Aid cit., pp. 128 sgg.; e cfr. pure i saggi raccolti in M. Fairbanks, M. Fai, M. Escobari-Rose e E. Hooper (a cura di), In the River They Swim: Essays from Around the World on Enterprise Solutions to Poverty, Templeton Press, West Conshohocken 2009. Per il ricorso al «microtrade», definito come una forma di «international trade on a small scale, based primarily on manually produced products using small amounts of capital and low levels of technology available at a local level in LDCs [Least Developed Countries, n.d.a.J» e concepito «as a means to raise income to reduce or eliminate poverty», Y.-S. Lee, Theoretic al Basis and Regulatory Framework for Microtrade : Combining Volunteerism with International Trade towards Poverty Elimination, in «L. & Dev. Rev.», 2 (2009), pp. 367 sgg. (la citazione è da pp. 367-68). ‘71 M. Bussani, Libertà contrattuale e diritto europeo, Utet, Torino 2005, pp. 11 sgg. 672 La fonte, non sospetta di eccessivi penchant antropo- o socio-logici, è W. Eas terly, I disastri dell’uomo bianco cit., pp. 116. Si veda M. Fafchamps, Networks, Communities, and Markets in Sub-Saharian Africa. Implications for Firm Growth and Investment, in «J. African Econ.», 10 (2001), AERC Supplement 2, pp. 109 sgg.; piti in generale, R. Caterina, Un approccio cognitivo alla diversità culturale, in Id. (a cura di), Ifondamenti cogni tivi del diritto, Bruno Mondadori, Milano 2008, pp. 205 sgg. m Per una meritoria presa in carico del problema, si veda la Comunicazione del la commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, L’UE partner mondiale per lo svi luppo. Accelerare i progressi verso la realizzazione degli obiettivi di sviluppo del millennio (COM(zoo8) 177 def.), ove tuttavia si pecca di ingenuo paternali smo nel senso che - invece di prevedere misure di compensazione alla fuoriu scita di ‘cervelli’ attraverso investimenti sociali ed educativi nei paesi d’origi ne - si punta a incidere sui destini individuali proponendo programmi di «for mazione per l’esportazione, il rafforzamento dei diritti - soprattutto sociali -
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dei lavoratori che rientrano nei paesi di origine e la stipula di accordi sull’occu pazione tra Stati membri e paesi in via di sviluppo per consentire la gestione delle assunzioni proteggendo al tempo stesso i settori vulnerabili» (sub n. 4). Per il superamento di questa ‘tradizione’, ma su di un piano ancora largamen te programmatico, si vedano le «Conclusioni del Consiglio e dei Rappresen tanti dei governi degli Stati membri riuniti in sede di Consiglio su ‘L’UE part ner mondiale per lo sviluppo - Accelerare i progressi verso la realizzazione de gli obiettivi di sviluppo del millennio (MDG)’», del 27 maggio 2008, nn. 18-20 e 64; il Rapporto dello Special Inspector General for Iraq Reconstruction, Hard Lessons. The Iraq Reconstruction Experience, febbraio 2009, a: www.sigir.mil, pp. 115 sgg., 238 sgg., 332 sgg.; White Paper on U.S. Policy Toward Afghani stan and Pakistan, 27 marzo 2009, a: www.america.gov. E appena il caso di ricordare che «obedience to the law depends not only on a feeling that the substantive injunctions of the law are fair but also that courts impose them fairly»: cosi, S. M. A. Lloyd-Bostock, Explaining Compliance with Imposed Law, in S. B. Burman e B. E. Harrell-Bond (a cura di), The Imposition of Law, Academic Press, New York 1979, pp. 9 sgg. Fra i tanti, si veda pure H. Jacob, Introduction, in H. Jacob, E. Blankenburg, H. M. Kritzer, D. M. Pro vine e J. Sanders, Courts, Law and Politics in Comparative Perspective, Yale Uni versity Press, New Haven - London 1996, p. 13; F. Fukuyama e M. McFaul, Should Democracy Be Promoted or Demoted?, in «The Washington Quarterly Winter», 31 (2007/2008), n. 1, pp. 23, 28; A. N. Licht, Social Norms and the Law: Why Peoples Obey the Law, in «Rev. L. & Econ.», 4 (2008), pp. 715 sgg.; nonché R. Sacco, Perché l’armato ubbidisce all’inerme? (Saggio sulla legittimazio ne del diritto e delpotere), in «Riv. dir. civ.», r (1997), n. 1, pp. rr sgg. 677 Si veda ad es. N. MacCormick, La sovranità in discussione. Diritto, stato e na zione nel «commonwealth» europeo, il Mulino, Bologna 2003, PP- 53 sgg. (trad, da Questioning Sovereignty. Law, State, and Nation in the European Com monwealth, Oxford University Press, Oxford 1999); M. J. Horwitz, Constitu tional Transplants, in «Theoretical Inquiries in Law», 10 (2009), n. 2, pp. 535 sgg. Un buon esempio di opportunità/ingenuità, nel senso di cui al testo, è da to invece da U.S. Department of State, The Future ofIraq Project (una serie di 13 voli, redatti fra l’ottobre 2001 e il settembre 2003, e disponibili sub Na tional Security Archive Electronic Briefing Book n. rg8, a: www.gwu.edu), cap. 4, Democratic Principles and Procedures, p. 49: «The first task of politics is to restore the faith of the people of Iraq in the idea of a founding document, a Constitution». 678 Eg., A. Alesina e E. Spolaore, The Size of Nations, Mit Press, Cambridge Mass. London 2003, pp. 3, 17 sgg., r39 sgg.; e, tra gli altri, R. La Porta, F. Lopezde-Silanes, A. Shleifer e R. W. Vishny, The Quality of Government, in «J. L. Econ. & Org.», 15 (1999), pp. 245, 261 sgg. 6” Si veda la Paris Declaration on Aid Effectiveness: Ownership, Harmonisation, Ali gnment, Results and Mutual Accountability (marzo 2005), e il documento che dovrebbe implementarne i principi, Accra Agenda for Action (settembre 2008), entrambi a: www.oecd.org. Si veda anche la nota successiva. “° Molto diversi e, nella nostra prospettiva, assai discutibili, si rivelano gli inter venti che transitano attraverso la c.d. ‘revisione paritaria’ di alcuni governan ti da parte di altri governanti, come adottata ad esempio dalla New Partner ship for Africa Development (NPAD). Questo meccanismo prevede che i lea der africani garantiscano reciprocamente la realizzazione di standard di buon governo. Una volta sottolineato come non sia ben comprensibile la ragione per cui «i donatori adottino un meccanismo di rendicontazione che essi non appli-
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Note
cherebbero mai ai loro paesi» (si veda anche supra, in questo Capitolo, § 6, la nostra diversa proposta), quanto rileva è che la ‘revisione paritaria’ «ignora un elemento essenziale di democrazia, che è il rendere conto delle proprie scelte ai propri cittadini, e non ad altri governi»: W. Easterly, 1 disastri dell’uomo bianco cit., p. 167 (entrambe le citazioni). 181 Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. IV, pp. 239 sgg. Si vedano i luoghi cit. supra, Cap. 12, §§ 2-3, Cap. 13, § 1. Eg., A. Sen, Le radici globali della democrazia. Perché la libertà non è un’inven zione dell’occidente, Mondadori, Milano 2004, pp. 5 sgg., 61 sgg., 79; Com mission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. I. P- 46,4 M. Grosh, C. del Ninno, E. Tesliuc e A. Ouerghi, For Protection and Promo tion cit., pp. 118 sg.; ma si veda anche D. Archibugi, Cittadini del mondo. Ver so una democrazia cosmopolitica, il Saggiatore, Milano 2009, pp. 39 sg.; M. Pa pa, Afghanistan : tradizione giuridica e ricostruzione dell’ordinamento tra Shari'a, consuetudini e diritto statale, Giappichelli, Torino 2006, spec. pp. 313 sgg., 339 sggSi vedano pure le considerazioni svolte supra, Cap. 8, § 5 e Cap. 13, § 5. “* Altrimenti il rischio è sempre quello che la popolazione si comporti con la con vinzione che « seguire le regole non è solo ingiustificato ma è persino contro producente per i suoi interessi». Cosi, con riguardo alla realtà indiana attua le, A. Kumar Giri, Il «governo della legge» e la società indiana. Dal colonialismo al postcolonialismo, in P. Costa e D. Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto. Storia, teoria e critica, Feltrinelli, Milano 2002, pp. 708, 728. T. Carothers, Aiding Democracy Abroad: The Learning Curve, Carnegie Endow ment for Int’l Peace, Washington D.C. 1999, p. 87; J. Habermas, Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2006, pp. io sg. (trad, da Zwischen Naturalismi und Religion, Suhrkamp, Frankfurt am Main 2005); nella medesima prospet tiva, cenni utili, seppure resi a compasso allargato, in A. Sen, Lo sviluppo è li bertà. Perché non c’è crescita senza democrazia, Mondadori, Milano 2000, pas sim e pp. 150 sgg., 157 sgg. (trad, da Development as Freedom, A. A. Knopf, New York 1999). Si veda anche Commission on Legal Empowerment of the Poor, Making the Law Work cit., vol. II, cap. 1, pp. 12 sgg.; L. Nader ed E. Grande, Current il lusions and Delusions about Conflict Management - In Africa and Elsewhere, in «L. & Soc. Inq.», 27 (2002), pp. 573 sgg.; e, nella stessa prospettiva di cui al testo, per evidenze documentate a riguardo di esperienze condotte in Ameri ca Latina, in India, Sudafrica e Ungheria, R. Gargella, P. Domingo e Th. Roux (a cura di), Courts and Social Transformation in New Democracies: An Institutional Voice for the Poor?, Ashgate, Aidershot 2006. K. Hendley, Rewriting the Rules of the Games in Russia: The Neglected Issue of the Demand for Law, in «East Eur. Const. Rev.», 8 (1999), n. 4, p. 89; C. J. Milhaupt e K. Pistor, Law and Capitalism cit., passim, spec. cap. 10, pp. 197 sgg.; R. W. Gordon, The Role of Lawyers in Producing the Rule of Law: Some Critical Reflections, in «Theoretical Inquiries in Law», 11 (2010), pp. 441 sgg., 464 sgg.
Indici
Indice delle riviste citate in modo abbreviato
Africa Pol’y J. «Africa Policy Journal». Ala. L. Rev. «Alabama Law Review». Alb. L. Rev. «Albany Law Review». Am. Econ. Rev. «American Economic Review». Am. J. Comp. L. «American Journal of Comparative Law». Am. J. Int’l L. «American Journal of International Law». Am. Pol. Sci. Rev. «American Political Science Review». Am. Sociol. Rev. «American Sociological Review». Am. U. Int’l L. Rev. «American University International Law Review». Asian L. J. «Asian Law Journal». B.C. Int’l & Comp. L. Rev. «Boston College International &. Comparative Law Review». B.E.J. Econ. Analysis & Pol’y «Berkeley Electronic Journal of Economic Analy sis & Policy». BJ. Int’l L. «Berkeley Journal of International Law». Boston U. L. Rev. «Boston University Law Review». Brigham Young U. L. Rev «Brigham Young University Law Review». Brook. J. Int’l L. «Brooklyn Journal of International Law». Buff. L. Rev. «Buffalo Law Review». Cardozo J. Int’l & Comp. L. «Cardozo Journal of International and Compara tive Law». Cardozo L. R. «Cardozo Law Review». Case W. Res. L. Rev. «Case Western Reserve Law Review». Cath. U. L. Rev. «Catholic University Law Review». Chi.-Kent L. Rev. «Chicago-Kent Law Review». Colum. Bus. L. Rev. «Columbia Business Law Review». Colum. L. Rev. «Columbia Law Review». Comp. Labor L. & Pol’y J. «Comparative Labor Law and Policy Journal». Crim. L. Forum «Criminal Law Forum». DePaul Bus. L. J. «DePaul Business Law Journal». Duke L. J. «Duke Law Journal». East Eur. Const. Rev. «East European Constitutional Review». El. J. Comp. L. «Electronic Journal of Comparative Law». Eur. J. Comp. Econ. «European Journal of Comparative Economics». Eur. J. Int’l L. «European Journal of International Law». Eur. Rev. Private L. «European Review of Private Law». Fla. St. U. L. Rev. «Florida State University Law Review». Fordham Int’l L. J. «Fordham International Law Journal». Geo. J. Legal Ethics «Georgetown Journal Legal Ethics». German L. J. «German Law Journal».
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Indice delle riviste citate in modo abbreviato
Giust. civ. «Giustizia civile». Harv. Civil Rights - Civil Liberties L. Rev. «Harvard Civil Rights - Civil Liber ties Law Review». Harv. Int’l L. J. «Harvard International Law Journal». Harv. J. Legis. «Harvard Journal on Legislation». Harv. L. Rev. «Harvard Law Review». Hastings Bus. L. J. «Hastings Business Law Journal». Hastings Int’l & Comp. L. Rev. «Hastings International and Comparative Law Review». Hastings Women’s L. J. «Hastings Women’s Law Journal». Ind. Int’l & Comp. L. Rev. «Indiana International and Comparative Law Re view». Ind. J. Glob. Stud. « Indiana Journal of Global Legal Studies». Int’l Business L.J. «International Business Law Journal». Int’l J. Const. L. «International Journal of Constitutional Law». Int’l J. Hindu Stud. « International Journal of Hindu Studies». J. African Econ. «Journal of African Economics». J. Am. Oriental Society «Journal of the American Oriental Society». J. Anthr. Res. «Journal of Anthropological Research». J. Comp. Pol. «Journal of Comparative Politics». J. Corp. Citizenship «Journal of Corporate Citizenship». J. Disp. Resol. «Journal of Dispute Resolution». J. Econ. Growth «Journal of Economic Growth». J. Econ. Lit. «Journal of Economic Literature». J. Econ. Persp. «Journal of Economic Perspectives». J. Hist. Ideas «Journal of the History of Ideas». J. Ind. Phil. «Journal of Indian Philosophy». J. Int’l Crim. Just. «Journal of International Criminal Justice». J. Int’l Econ. L. «Journal of International Economic Law». J. L. Econ. & Org. «Journal of Law, Economics, & Organization». J. Leg. Stud. «Journal of Legal Studies». J. Marshall L. Rev. «John Marshall Law Review». J. Pol. Econ. «Journal of Political Economy». J. Roy. Anthr. Inst. «Journal of the Royal Anthropological Institute». J. World Trade «Journal of World Trade». L. & Contemp. Prob. «Law & Contemporary Problems». L. & Crit. «Law and Critique». L. & Dev. Rev. «Law and Development Review». L. & Soc. Inq. «Law and Social Inquiry». Mat. st. cult. giur. «Materiali per una storia della cultura giuridica». Mich. J. Int’l Law «Michigan Journal of International Law». Mich. L. Rev. «Michigan Law Review». Minn. J. Global Trade «Minnesota Journal of Global Trade». N.C. L. Rev. «North Carolina Law Review». N.E. L. Rev. «New England Law Review». Nw J. Int’l L. & Bus. «Northwestern Journal of International Law and Business». N.Y.U. J. Int’l L. & Pol. «New York University Journal of International Law and Politics». N.Y.U. L. Rev. «New York University Law Review». Ohio N.U. L. Rev. «Ohio Northern University Law Review». Oxf. J. Leg. Stud. «Oxford Journal of Legal Studies». Pac. Econ. Rev. «Pacific Economic Review». Pa. St. Int’l L. Rev. «Penn State International Law Review». Phil. Rev. «Philosophical Review».
Indice delle riviste citate in modo abbreviato
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Phil. Trans. Roy. Soc. Lond. «Philosophical Transactions of the Royal Society B Biological Sciences». Poi. dir. «Politica del diritto». Public Opinion Quart. «Public Opinion Quarterly». Quad. cost. «Quaderni costituzionali». Quart. J. Econ. «Quarterly Journal of Economics». Rass. dir. civ. «Rassegna di diritto civile». Rev. int. dr. comp. «Revue internationale de droit compare». Rev. L. & Econ. «Review of Law & Economics». Rev. Pol. «Review of Politics». Riv. crit. dir. priv. «Rivista critica del diritto privato». Riv. dir. civ. «Rivista di diritto civile». Riv. dir. int. «Rivista di diritto internazionale». Riv. trim. dir. pubbl. «Rivista trimestrale di diritto pubblico». Securities Regulation L. J. «Securities Regulation Law Journal». Stan. L. Rev. «Stanford Law Review». St. John’s L. Rev. «St. John’s Law Review». St. Thomas L. Rev. «St. Thomas Law Review». Tex. L. Rev. «Texas Law Review». T. Jefferson L. Rev. «Thomas Jefferson Law Review». Tul. L. Rev. «Tulane Law Review». Tul. Envtl. L.J. «Tulane Environmental Law Journal». U. Chi. L. Rev. «University of Chicago Law Review». UCLA Pac. Basin L. J. «UCLA Pacific Basin Law Journal». U. Kan. L. Rev. «University of Kansas Law Review». U. Mich. L. Rev. «University of Michigan Law Review». U. Pa. J. Int’l Econ. L. «University of Pennsylvania Journal of International Eco nomic Law». U. Pa. J. Int’l L. «University of Pennsylvania Journal of International Law». U. Pa. L. Rev. «University of Pennsylvania Law Review». U. Pitt. L. Rev. «University of Pittsburgh Law Review». U. Rich. L. Rev. «University of Richmond Law Review». Utah L. Rev. «Utah Law Review». Va. L. Rev. «Virginia Law Review». Wash. L. Rev. «Washington Law Review». Will. & Mary Bill of Rts J. «William & Mary Bill of Rights Journal». Wis. L. Rev. «Wisconsin Law Review». World Econ. «World Economy». Yale J. Int’l L. «Yale Journal of International Law». Yale L. J. «Yale Law Journal». ZaòRV «Zeitschrift fiir auslàndisches òffentliches Recht und Vólkerrecht».
NéU’Indice degli autori citati il numero che segue il nome indica la nota, eccet to che per la Prefazione per la quale si indica invece il numero di pagina in cui com pare la nota.
Indice degli autori citati
Abdulkader, T., 91. Abdullah, H. J., 516. Abe, M., 426, 478. Abécassis, A., 9. Abel, R. L., 55. Abrams, J. S., 342, 388. Abu Garda, B. I., 364. Abu-Odeh, L., 8r. Acemoglu, D., 59T. Ackerman, B., 46. Adorno, F., 32. Agostino di Tagaste, 368. Ainis, M., 629. Ajanì, G., rr, 84, 97, 102, rio, 609, 620, 623-25. Akerlof, G. A., 220. Alben, E., 297. Alberini Mason, B. von, 477. Alesina, A., 452, 678. Alexy, R., 36. Alford, R. P., 405, 415. Alliot, M., 52, 72. Almond, G. A., 628. Alpa, G., 60. Alston, P., 402, 438, 439, 499. Aluffi Beck-Peccoz, R., 90. Alvarez,}. E., 258,.287, 388. Amato, C., 386. Amato, G., 177, 222, 244, 262, 294, 299. Ambos, K., 399. Amorim, C. L. N., 321. Andenas, M., 322. Anderson, K., 319. Andriani, S., 238. Angelucci, M., 454. Angle, S. C., 477, 479Ankersen, Th. T., 597. An-Na‘im, A. A., 482, 504, 5r6. Annas, G. J., 492.
Annunziato, P., 114. Anseimo, D., 485. Antoniolli, L., 410. Archibugi, D., 284, 344, 439, 58r, 684. Arenas, L. C., 537. Aristotele, 33. Arlacchi, P., 339. Arnason, J. P., 624. Arneson, R.}., 587. Aronowitz, S., 266. Assmann,}., 16. Attali,}., 3. Avineri, S., 426. Awaji, T., 97. Axelrod, R., 312. Ayittey, B. N., 71. Aziz, M., 266, 269. Baccelli, L., 474. Bachmann, S.-D., 401. Baek, B. S., 580. Baer, J. A., 515. Bagwell, K., 3r4. Bahlul, R., 480. Baird, R. D., 94, 562, 625. Bak, J. M.,612. Bakker, C. A. E., 391. Banfield, E. C., 452. Barak-Erez, D., 439. Barber, B. R., 461. Barberis, M., 499, 546. Bardusco, A., 402. Bar Grill, O., 220. Barnes, A., 299. Barr, M., 514. Barret, S., 647. Barry, B., 46, 470, 587. Barsotti, V., 31, 123, 632. Battole, S., 270. Barton, G., 625.
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Indice degli autori citati
Bary, W. Th. de, 625. Basile, M. E., 120. Bassanini, F., 247. Bassiouni, M. C., 342, 343, 371. Basu, K., 301, 502. Battini, S., 265, 288. Baubòck, R., 561. Bauer, J. R., 426, 429, 476-78, 480, 484, 503, 504, 542, 554. Bauer, P. T., 649. Bauman, R. A., 426. Baxi, U., 83, 557, 641. Baylis, E. A., 376. Bazyler, M. }., 405, 415. Beck, C. H., 120. Beck, U., 204, 273. Becker, C., 415. Beckett,}., 532. Beitz, Ch. R., 422, 427, 440, 549, 560. Bekerman, O. Z., 492. Bekker, P. H. F., 350. Bell, D. A., 49, 98, 161, 426, 429, 476478, 48°. 484, 5°3> 504, 542, 554, 625. Bell,}., 27. Belletiger, A., 97. Bello, W„ 637. Benda-Beckmann, F. von, 2, 52, 68, 457Benhabib, S., 280, 450, 469, 546, 561. Benoit, J.-P., 588. Ben-Shemesh, Y., 470. Bentham,}., 442. Bentwich, N., 426, 568. Benvenisti, E., 257, 274, 289, 330. Benvenuti, P., 351, 372. Berkowitz, D., 638. Berman, H. }., 8, 13, 601, 606, 610, 612. Bermann, G. A., 320, 326. Bermann, S., 318. Bernanke, B. S., 230. Bernardi, A., 470. Bernstein, L. , 119. Bertolin, F., 389. Bestor,}. F., 120. Bhagwati,}., 300, 321. Bhagwati, P. N., 625. Biè,}., 295. Bigsten, A., 332. Blankenburg, E., 97, 620, 624, 676. Blaurock, U., 241. Bleich,}. D., 19. Bobbio, N., 273, 429, 554.
Boccelli, L., 368, 426, 546. Bòckenfòrde, E.-W., 266. Bodde, D., 105. Boddy,}., 514, Boehmer, G., 600. Boele-Woelki, K., 212. Bohannan, P., 348. Bohlander, M., 363. Bonfante, P., 6. Bónis, G., 612. Bonnefoi, Y., 510. Boonyabancha, S., 506. Bootaan, A, 455. Bork, R., 150. Borrowman,}., 410. Borzutzky, S., 670. Boschiero, N., 266, 536, 661. Bosco, D., 138. Bound, K., 563. Bradley, C., 418. Bradley, H., 456. Braithwaite, K., 258. Brantner, F., 195, 332. Brass, N. A., 321. Bratsis, P., 266. Braudel, F., 118. Bretherton, Ch., 195, 197, 332. Breuss, F., 324. Brilmayer, L., 44. Brinks, D. M., 439. Brinner, W. M., 9, 19. Brito Vieira, M., 291. Brock, G., 44. Brody, A., 503. Broomhall, B., 388. Brown, C. P., 323. Brown, D. A., 624, 625. Bruce,}. W., 75, 668. Bruckner, P., 46, 470. Brunelli, G., 517. Buchanan, A., 282. Buckley, R., 541, 655. Bueno de Mesquita, B., 645. Buiter, W. H., 239. Bull, H„ 266. Burman, S. B., 74, 676. Burrell, D. B., 87. Bury,}. B., 628. Busch, M. L., 326. Bussani, M., 19, 30, 85, 114, 136, 149, 200, 202, 210, 212, 240, 247, 252, 253> 256, 449, 45°, 459, &7tBuxbaum, R. M., 46. Bybee,}. S., 489, 491.
Indice degli autori citati Cabatingan, L., 187. Caenegem, R. C. van, 606. Calabresi, G., 8, 449, 603. Calabro, A., 114. Calchi Novati, G., 72, 115, 655. Calleo, D. P., 133. Galloni, M., 355, 356. Campbell, T., 446. Cananea, G. della, 265, 279, 289, 330. Caney, S., 557. Canfora, L., 592. Cantarella, E., 16. Capogrossi Colognesi, L., 6, 15. Caracciolo, G., 485. Caracciolo, I., 365. Caracciolo, L., 114, 160, 187, 192, 291, 450. Carbone, S. M., 434. Carothers, T., 125, 161, 169, 173, 687. Carezza, P. G., 436. Carr, J. L., 456. Carrino, A., 266. Cartabia, M., 402. Casonato, C., 518. Cass, D. Z., 292. Cassano, G., 523, 525. Cassese, A., 342, 346, 354, 355, 359, 363, 366, 385, 388, 391, 394, 400, 416, 424, 429, 435, 438, 466, 514, 527. 556, 557> 559, 581. Cassese, S., 44,113,114, 216, 257, 264, 266, 276, 282, 285, 287, 303, 327, 329, 496, 536, 540, 548, 581, 645. Castellucci, I., 106. Castro, F., 20, 88. Castro Lucie, M., 534. Casucci, F., 114. Cataldi, G., 552. Caterina, R., 42, 58, 220, 673. Cavalieri, R., 102, 104. Ceccanti, S., 480. Cecco, M. de, 232, 236. Cendon, P., 39. Chan, J., 426, 478. Chandler, D., 340. Chang, H.-J., 126, 180, 182, 627, 645, 649. Chang, P. L., 324. Channell, W., 173. Chapman, M., 532. Charnovitz, S., 316. Chase, O., 57. Cheng, Tun-Jen, 624, 625.
327
Chervel, T., 470. Chesterman, S., 123, 292. Chianale, A., 96, 97. Chiavano, M., 363. Chiba, M., 2, 52, 56, 83, 548. Chi-hye Suk, J., 269. Chimni, B. S., 112, 118, 196, 275, 292, 306, 557, 647. Chipaux, C., 518. Chirot, D., 641. Cho, S., 295, 321, 324, 326, 328. Chodorow, M., 628. Chow, D. G. K., 107, 109. Cihelkova, E., 295. Cimiotta, E., 345, 385. Clarke, D. C., 180. Claussen, K., 377. Codevilla, G., 609. Cohen, C. J., 563. Cohen, F., 616. Cohen, J. A., 104. Cohn, H. H., 426. Coing, H., 120. Colaianni, N., 517. Colchester, M., 527. Coleman, D. L., 508. Collier, P., 331, 637, 664. Colombi Ciacchi, A., 401. Conac, G., 72. Conforti, B., 289, 434. Cooke, J. E., 406. Coquillette, D. R., 120. Cordes, A., 120. Cordial, M., 664. Costa, P., 83, 414, 459, 477, 480, 562, 686. Cotteteli, R., 58. Cotula, L., 77, 665. Cowan, J. K., 111, 448, 472, 501, 505, 515. 526, 529, 532, 544, 546, 555, 570, 582, 620. Cox, S., 91. Crane, D. M., 373, 387. Crespi Reghizzi, G., 105. Creveld, M. van, 4, 13, 266. Crook, J. R., 361. Crouch, C., 630. Cui, F., 328. Cui, Z., 182. Cunningham, H., 566. Curto, S., 16.
Dahl, R. A., 282, 592. Dahrendorf, R., 630.
328
Indice degli autori citati
D’Alberti, M., 262, 330. Dalhuisen, J. H., 270. Dallago, B., 183. Daly, E., 381. Dam, L., 536. Daniels, R. J., 125. Darcy, D., 239. Darcy, S-, 371. Davis, D. R. jr, 93. Davis,}., 409, 660. Davis, K. È., 173, 179, 645, De Andreis, M., 262. Deckha, M., 515. De Francesco, G., 363. De Giorgi, G., 454. DeGrazia, D., 42. Dejean, T., 79. D’Elia, G., 499. De Lisle, }., 144. Delmas-Marty, M., 216, 366. Del Ponte, C., 351. Del Vecchio, A., 385. De Martino, E., 577. Dembour, M.-B., ni, 349, 448, 472, 5°i, ?O5> 5t5, 526, 529, 532, 544, 546, 555> 57°> 575. 582, 620. Dennis, M. }., 446. Denniston, G. C., 520, 521. Denny, F. M., 19. Denozza, F., 536. Derrett, J. D. M., 83, 94, 96. Derrida, J-, 30, 37. De Sena, P., 401, 556, 661. Dessler, A. E., 293. Destro, A., 518. Detter, I., 437. De Vittor, F., 401. Dezalay, Y., 130, 141, 162, 474. Diamond, L. }., 625. Di Bello, A., 291. Dickinson, E., 229. Dierksmeier, C., 46. Di Lucia, P., 463. Dima Ehongo, P., 190. Diomande, A. M., 253. Dissei, S. C. van, 307. Dixit, A., 591. Dixon, R-, 378. Djoli, J., 72, 620. Dombalagian, O. H., 240. Domingo, P-, 688. Domonkos, L. S., 612. Donahue, C., 120. Donnedieu de Vabres, H., 342.
Donnelly,}., 479, 485. Donovan, D. F., 413. Doucet, M., 54. Douzinas, C., 38, 130, 340, 351, 426, 467, 55°Dowding, K., 41, 43, 531, 533, 587, 599Downs, G. W., 257, 645. Draghi, M., 228, 251. Drahos, P., 258. Dratel, J. L., 489, 491. Drigo, F., 243. Drivers, G. R., 426. Drumbl, M. A., 381. Duggan, E. W., 649. Dundes Renteln, A., 470. Dunn,}., 592. Dworkin, R., x, 36, 41. Dyzenhaus, D., 292, 405. Easterly, W., 64, 117, 187, 456, 459, 646, 649, 655, 659, 670, 672, 680. Edmonds, E. V., 301. Ehrenreich, N., 514. Ehrlich, E., 2. Ehr-Soon Tay, A., 459, 477. Eichengreen, B., 244. Eisenstadt, S. N., 451. Ellickson, R. C., 62, 457. Elliott,}., 229. Elsea,}. K., 357. Elshtain,}. B., 368. Elster,}., 46. Engels, F., 616. Englard, L, 9. Engle, E. A., 396. English,}., 46. Epstein, A. L., 532. Eriksen, T. H., 555. Escobari-Rose, M., 670. Esquirol,}. L., 52, 186, 221. Estlund, D. M., 588. Esty, D. C., 315, 541. Etzioni, A., 368. Evans-Pritchard, E., 72. Evenett, S.}., 268. Ewing, K. D., 446. Eyrich, H., 139.
Fabietti, U., 453, 532, 636. pacchi, A., 426. Fafchamps, M., 673. Fairbanks, M., 670. Fai, M., 670.
Indice degli autori citati Falk, R., 275. Farnell, E. J., 291. Fassino, P., 427, 447, 469. Fauvarque-Cosson, B., 183. Fauvelie-Aymar, F.-X., 72. Favali, L., 514. Faye, J.-P., 613. Feder, E., 597. Fedotov, G. P., 609. Fedtke, ]., 439. Feener, R. M., 485. Feichtner, I., 326. Feldman, E. A., 97. Fenton, S., 456. Ferdinandusse, W., 393. Ferrajoli, L., 266, 551, 647. Ferrara, A., 556. Ferrara, G., 599. Ferrarese, M. R., 149, 216, 266, 451, 635. Ferrari, S., 9, 611, 620. Ferrari, V., 618. Ferreri, S., 63. Finnis, J. M., 428, 6x7. Fioravanti, M., 23. Fiorentini, F., 230. Fiorita, N., 631. Fischer-Lescano, A., 321. Fishbein, M., 301, 328, 334. Fitoussi, J.-P., 645. Fitzpatrick,]., 413. Fletcher, G. P., 363, 4ro-r2. Flores, M., 40, 340, 363, 372, 400, 451, 532, 552, 556, 564. Focarelli, C., 401, 582. Foland, F. M., 597. Foley, C., 664. Forbes, A. A., 548. Forde, C. D., 452, 453. Forquet, F., 571. Forsythe, D. P., 387. Foscolo, U„ xin. Fracasso, A., 229, 249, 268, 332, 335. Franck, Th., 344. Francois, J. F., 335. Frankenberg, G., 249, 567. Fraser, N., 280. Frazer, J. G., 452. Freedman, S. G., 368. Freeman, M., 372. Fried, M., 453. Friedman, D., 439. Friedman, J., 532, 542. Friedman, L. M., 8, 272, 620.
329
Friedman, T. L., 272. Frulli, M., 402, 402. Fukuyama, F., 368, 592, 625, 676. Fulford, A., 378. Fuller, C. ]., 93. Fuller, G. E., 484. Fuller, L. L., 64, 457. Fusaschi, M., 523, 527. Gaeta, P., 355-57> 361, 363, 388Gagarin, M., r6. Galanter, M., 27, 94, 273. Galgano, F., 626. Galimberti, U., 524. Galligan, D. J., 609. Gallino, L., 238, 247, 536. Gambaro, A., 60, 89, 202, 596, 598, 625. Gangoli, G., 503. Ganguly, S., 625. Garapon, A., 46, 2x6, 416. Gargella, R., 688. Garner, R., 16. Garth, B. G., 130, 141, 262, 474. Gat, A., 588. Gauch, P., 449. Gauri, V., 439. Ge, J., 107. Gearey, A., 38. Gearty, C., x, 445, 549, 558> 575> 579> 624. Geertz, C., 5, rxr, 457. Gelasio I, 6ro. Gellner, E., 480. Gémar, J.-C., 463. Gewirtz, P., 244. Ghai, Y., 554. Giegerich, T., 402. Ginsberg, M., 628. Ginsburg, T., 53, 589. Giovanni, B. de, 603. Glaeser, E. L., 126, 183, 589, 662. Glannon, W., 42. Glendon, M. A., 445, 619. Glenn, H. P., 22, 83, 204, 547Glenn Hubbard, R., 649. Glewwe, P., 66r. Gluckman, M., 72. Glyn, A., 630. Godden, L., 663. Godin, S., 469. Godt, C., 402. Goldin, L., 238. Goldsmith,]. L., 259.
33°
Indice degli autori citati
Goldsmith, T. H., 42, 518. Goldstein, D. M., 542. Goldstein, J., 121, 274. Goldstein-Bolocan, M., 383. Gonzales, A., 489, 491. Goodale, M., 542, 548. Goodenough, O. R., 42. Goodhart, Ch. A. E., 254. Goodhart, M., 293, 300, 326, 330. Goodin, R. E., 41, 43, 531, 533, 549, 560, 587, 599. Goodman, R., 402, 438, 499. Goody, J., 72. Gordley, J., 617. Gordon, R. W., 125, 689. Gorman, R. A., 292. Gosseries, A., 46. Gottwald, E., 326. Gowan, R., 195, 332. Graham, S. E., 510. Gramsci, A., 131. Grande, E., 417, 510, 524, 520, 523, 688. Grandini, R., 277, 420. Grant, R. W., 281, 284, 330, 340, 539. Gray,J., 177, 186. Graziadei, M., 29, 58, 450. Graziani, R., 344. Greenberg, K. J., 489, 491, 492. Griffin, J., 428. Griffiths, A., 526. Grilli di Cortona, P., 643. Grosh, M., 661, 662, 669, 684. Grosheide, F. W., 212. Gross, S. C., 305, 307, 308. Grossi, P., 3, 4, 12, 68, 120, 201, 595, 596, 604, 606-8, 620. Grossman, G. M., 591. Grosswald Curran, V., 46. Guadagni, M., 78. Guarnieri, C., 216. Gul, F., 591. Gunning,]. W., 664. Guolo, R., 590. Gutmann, A., 421. Guzman, A. T., 301, 328, 334. Habermas,]., 36, 428, 432, 433, 470, 548, 561, 599, 634, 687. Haberstroh, J., 405. Hacker-Cordón, C., 282. Hafner, D. L., 371, 381, 384. Hajjar, L., 399. Hakimi, M., 413.
Halberstam, M., 394. Halévy, D., 635. Hall, P., 645. Hallaq, W. B„ 9, 20. Halliday, P., 558. Halperin, M. H., 176. Hammergren, L., 179. Han, E. L., 517. Haneman, W. M., 660. Hanks, L. M. jr, 503. Hannerz, U., 451. Harbon, L., 341. Hardin, R., 531, 533. Harding, A., 479. Harrell-Bond, B. E., 74, 676. Harsanyi, J. C., 36. Hart, H. L. A., 442. Hartigan, J. C., 329. Harvey, A. F., 213. Harvey, D., 635. Haskell, J. F., 177. Haslam, E., 349. Hatch, E., 475. Hayek, F. A. von, 58, 591, 600. Hayes, L. D., 624. Hayes, R. O., 514. Hayner, P. B., 371. Hazell, P., 664. Heckman, J. J., 287. Held, D., 176, 213, 275, 281, 592, 640. Helm, J., 453. Helmholz, R. H., 426. Hendley, K., 221, 689. Henzelin, M., 342. Hepple, B., 297. Herdt, G., 563. Hershkoff, H., 439. Hertel, S., 557. Hewko, ]., 177. Heyd, D., 46. Higgott, R., 334. Hirschl, R., 216. Hobsbawm, E., 532. Hoch, S., 597. Hoeffler, A., 637. Hoekman, B. M., 322. Hoffe, O., 270, 444. Holden, P., 332. Holland, S., 244. Holmes, O. W., 616. Holmes, S., 270. Honoré, T., 426. Hooper, E., 670. Hornberger, K., 386.
Indice degli autori citati Horwitz, M. J., 13, 600, 619, 620, 677. Howse, R., 214, 293, 294, 296, 297, 305, 321. Hrovatin, S., 229. Hubin, D. C., 46. Humbert, M., 15. Humphries,}., 566. Hunt, L., 426. Huntington, S. P., 368, 450, 477, 605. Hurrell, A., 552, 560. Hurrelmann, A., 266. Hutchinson, M. R., 496. Hutton, G., 541. Hyug-Baeg, Im, 625. Ichino, P., 452. Ignatieff, M., 421, 429, 435, 436, 440, 464, 5i5> 527> 545, 554, 556, 562, 565. Ike, N., 624. Iliffe, J., 71. Inazumi, M., 388. Irti, N., 325, 620. Ishay, M. R., 368, 423, 426, 429, 435.
Jackson, B., 16. Jackson, J. E., 548. Jacob, H., 62, 97, 620, 624, 676. Jacob, R., xvn. Jacobsen, T., 270. Jacobsohn, G. J., 625. Jacobson, A. J., 19. Jansen, N., 600. Janvry, A. de, 597. Jefferson, T., 338. Jeuland, M., 660. Jhering, R. von, 616. Joas, H., 634. Joerges, Ch., 293. John-Nambo, J., 79. Jonas, H., 46. Jones, N. A., 379, 381, 385, 387. Jones, O. D., 42, 518. Jones, P., 557. Joseph, S., 401, 411, 539. Jouannet, E., 292. Jùrger Sàcker, F., 139. Kahler, M., 121, 274. Kahn, K. A. A., 378. Kaleck, W., 399. Kané, M., 190. Kapstein, E., 323. Karsten, P., 457.
331
Kasirer, N., 463. Kazarian, E., 229. Keane, J., 592, 627. Keeley, J., 665. Keesing, R. M., 452. Keleman, D., 141. Kelley, Th., 666. Kelly, T., 349. Kelsall, T., 373. Kelsen, H., 343, 369, 616. Kelsey, J., 330. Kennedy, Daniel L. M., 316. Kennedy, David, 136, 221, 368, 583, 641. Kennedy, Duncan, 139, 173. Keohane, R. O., rai, 274, 281, 282, 284, 312, 33°. 34°, 539Kerchove, M. van de, 272. Kerhuel, A.-J., 283. Khanna, N., 541. Khatami, M., 480. Khory, K. R„ 562. Kiff, J., 229. King, D. B., 266. King, E. B. L., 371, 381, 384. King, E. M., 670. Kingsbury, B., 259, 277, 280, 282, 33°> 344> 398, 542. Kirchhoff, P., 453. Kitamura, I., 101. Klasen, S., 670. Kleffner, J. K., 53, 378. Klein, B., 61. Kloner, D., 227. Klug, H., 321. Knopf, A. A., 536, 624, 687. Kochavi, A. J., 342. Koh, H. H„ 446. Kohl, M„ 565. Kontorovich, E., 388. Konvitz, M. R., 426. Kormos, B. J., 240. Kornhauser, L- A., 588. Koskenniemi, M., 279, 289. Koyama, N., 101. Kozlowski, G. C„ 9. Krasner, D., 273. Kraty, B., 91. Krè, J., 295. KreB, C„ 342. Krisch, N., 277, 280, 282, 330, 344. Krishnan, J., 94. Kritzer, H. M., 97, 620, 624, 676. Kroeschell, K., 120.
332
Indice degli autori citati
Kronman, A, T., 61. Kruse, M. B., 179. Kumar, K., 371. Kumar Giri, A,, 83, 414, 562, 686. Kumm, M., 277. Kuntz-Duriseti, K., 293. Kuppe, R., 534. Kurkchiyan, M., 609. Kuyu, C., 72, 75, 77, 79, 225, 620. Kymlicka, W., 469, 53T, 563, 590. Kyogoka, Y., 624. Ladeur, K.-H., 293. Laliberté, A., 625. Làncos, P. L., 315. Landa,}. T., 6r, 456, 462. Lang, Y., 625. Langevoort, D. C., 234. Langford, M., 557. Langlois, A.}., 477, 590. Lanni, A., 26. La Porta, R., 126, 589, 66r, 678. Lariviere, R. W., 11, 82. Larsen, B., 542. Larson, G., 94. Lasser, M., 32. Latouche, S., 644. Lattanzi, F., 340. Lauren, P. G., 425, 430, 435. Lavranos, N., 226. Lavy, V., 662. Leach, E. R., 577, 636. Leary, V. A., 295. Lechini, G., rÓ2, 637. Leckie, S., 664. LeDonne, J.-P., 597, 609. Lee, Y. S., 335, 670. Leffler, K. B., 62. Le Goff,}., 6ro, 6r4, 628. Leibfried, S., 266. Leisinger, K. M., 536. Lemche, N., r6. Lena,}. S., 404. Leng,}., r8r. Lenzerini, F., 46. Leonard, R., 665. LeRoy, E., 77, 225. Lettieri, A., 262, 299. Leuchtenburg, E., 24. Leve, L., 548. Lévi-Strauss, C., 452. Levin, M., 229. Levy, D. A., 304. Lewis, B., 485.
Lewis, P., 565. Licht, A. N„ 676. Lichtblau, E., 246. Likosky, M. B., r6r, 259, 304, 422, 535> 537> 539Lindblom, C. E., 270, 630. Lindsey, T., 625. Lingat, R., 83. Linton, S., 374. Lipner,}.}., 625. Lipset, S. M., 589, 592. Litvin, D., 539. Llewllyn, K. N., 457. Lloyd-Bostock, S. M. A., 676. Lobachev, V., 609. Locke,}., 35. Lollini, A., 322, 372, 379. Lomborg, B., 542, 660, 662, 670. Lopez-de-Silanes, F., 226, 589, 662, 678. Loretani, A., 452. Loughlin, M., 446. Luhmann, N., 37. Luo, Y., 99. Lupoi, M., 606. Luzzatto, R., 266, 536, 662. Maathai, W., 649. Macaulay, S., 6r, 62. MacCormack, C. P., 526. MacCormick, N., 64, 270, 677. Macedo, S., 282. MacIntyre, 42, 574. Mackay, F., 527. Mackey, T., 23. Macklem, P., 532. MacLaren, M., 625. Maffettone, S., 427, 447, 469. Maffi, A., 26. Magen, A., 586. Mamlyuk, B. N., 277. Mancini, S., 499. Mancuso, S., 290. Mandel, M., 357. Manns,}., 239. Mansfield, E. D., 637. Maravall,}. M., 620. Marczali, H., 622. Marè, M., 262. Mariezcurrena,}., 372. Markesinis, B., 289. Marks, S., 266. Marshall, P., 484. Marshall, T. H., 460.
Indice degli autori citati Martin, W., 465. Martinelli, A., 195. Massarenti, A., 466, 479. Masters, R. D., 42. Mastrandrea, M. D., 293. Matsushita, M., 335. Mattei, U., 29, 24, 85, 122, 124, 136, 139, 149, 187, 212, 221, 225, 404, 414, 596, 597, 619, 625, 643. Matteucci, N., 273. Matthias, K., 95. Mavroidis, P. C., 320, 322, 326. May, K., 589. May, R., 11. Mayer, A. E., 426, 480-82. Mazzarese, T., 557. McCarthy, Th., 486. McCormack, G., 624. McCoy, P. A., 240. McCrudden, C., 305, 307, 308, 310, 590. McDaniel, T., 597, 609. McDonald, M., 532. McDonnell, T., 540. McFaul, M., 597, 676. McKenan, M. C., 25. McLaughlin Mitchell, S., 344. McLean, E. B., 41. McLean, S., 510. McMahon, P. C., 387. Meagher, N., 320. Mégret, F., 553. Mehmet, O., 330. Mei-Hua Chen, 503. Melching, M., 527. Menski, W., ri, 16, 56, 64, 71, 73, 83, 86, 93, 96, 103, 450, 454, 561, 562, 625. Merry, S. E., 62, 471, 515, 516, 542, 546, 548, 57°Merryman,}. H., 2, 18. Messer, E., 424. Metraux, D. A., 624. Meyer, L. H., 46. Michaels, R., 600. Migot-Adholla, S. E., 75. Miguez Nunez, R., 597. Miles, J. C., 426. Milhaupt, C. }., 186, 226, 645, 664, 689. Miller, D., 46, 427, 552, 556, 648. Milos, M. F., 520, 521. Minkler, L., 557. Minsky, H., 218.
333
Mo, P. H., 597. Moccia, L., 85. Moellendor, D., 44. Montgomery, H., 503, 505. Moore, M. S., 617. Moran, M., 405. Moravcsik, A., 282. Morgan, L. H., 452. Moriino, L., 586. Morse, B. W., 531. Moustafa, T., 53, 589. Moyo, D., 321, 649, 670. Muecke, M. A., 503, 505. Mundy, M., 468. Murphy, J. F., 315, 340, 399, 413, 439, 558. Murphy, J. H., 454. Murphy, R., 361. Murphy, S. D., 492. Murrell, P., t8o.
Nader, L., 124, 127, 134, 221, 414, 548, 619, 643, 688. Nagel, Th., 44. Nanare, D., 79. Nanda, V. P., 83, 343, 426, 478. Napolitano, G., 231, 265, 271. Nava, M., 229. Nedzel, N. E., 321. Neff, S. C., 359. Negri, A., 266. Negri, S., 363. Nelken, D., 451. Nelson, R. L., 187. Nesbitt, M., 371, 373. Neusner, J., 19, 611. Newman, R. A., 431. Nicolazzi, M., 261. Ninno, C. del, 661, 662, 669, 684. Nisbett, R., 628. Nivison, D. S., 625. Nnaemeka, O., 519. Nollkaemper, A., 53, 378. Norberg,}., 231. Nordstrom, H., 326. Normak, M., 489. North, D. C., 619, 644. Nussbaum, M. C., 44, 441, 451, 467, 543, 556, 562Nyie,}. S. jr, 654. Obiora, L. A., 517. O’Brien, R., 471. O’Brien, W. V., 368.
334
Indice degli autori citati
Ocampo, J. A., 331. Oda, IL, 100. Odendahl, K., 278. Odersky, W., 139. Ohmae, K., 259. Ohnersorge, J. K., 669. Okoth-Ogendo, O., 74. Okupa, E., 16. Olbrecht, A., 588. Olivecrona, K., 431. Oliver, D., 439. Onado, M., 230, 238. Onida, F., 301. Oprilo, W. C„ 266. Oppenheim, L., 274. Orazem, P. F., 661. Orbie, J., 194. Orestano, R., 7. Orford, A., 523, 583. Orni, R., 386, Ortino, F., 322. Ost, F., 272. Othman, N., 480, 484. Ouerghi, A., 661, 662, 669, 684. Pacheco-López, P., 331. Padoa Schioppa, T., ix, 332, 419, 608, 610. Paganelli, M., 511. Pal, R. B., 367. Panditaratne, D., 405. Pangestu, M., 465. Panikkar, R., 431. Papa, M., 684. Parsi, V. E., 259, 266, 275. Parson, E., 293. Partner, P., 368. Pasquino, G., 273. Pastore, B., 517. Pateman, C., 41, 43, 526, 531, 533, 587. 599Patrinos, H., 661. Patrono, F., 523, 525. Paulus, A. L., 360. Paust, J. J., 413. Pauwelyn, J., 289, 322, 324. Pavcnik, N., 301. Pearce, R, H., 628. Peces-Barba, G., 551. Peel, J., 293. Peerenboom, R., 108, 128, 144, 625, Pelanda, C., 270. Peli, O. C„ 415. Perelman, Ch., 36.
Perez Esquivel, A., 347. Perissich, R., 204, 262. Perlingieri, P., 451, 459. Perrot, C.-H., 72. Perry, S., 519, 527. Perry-Kessaris, A., 642. Pes, L. G., 644, 656. Peters, R. F., 368. Petersen, H., 52. Petersmann, E.-U., 293. Petranovic, D., 280, 450, 469, 561. Pettit, Ph., 41, 43. Piccinelli, G. M., 88, 91. Pichonaz, P., 449. Pickett, K., 250. Pielke, R. A. jr, 293. Piga, A., 87. Pinelli, C., 196. Pinto, A. R., 243. Pipes, R., 597, 609. Pistor, K., 186, 226, 256, 638, 645, 664, 689. Pizzorusso, A., 63, 455. Place, F., 664. Pianta, F., 229. Platone, 32. Plattner, M. F., 625. Pogge, Th., 44, 293, 321, 469, 648. Poirier, J., 518. Ponzanelli, G., 386. Popper, K. R., 591. Porter, M., 670. Posner, E. A., 259. Posner, R. A., 150, 217, 229, 230, 250, 494Pottage, A., 468. Powell, J., 344. Pozzo, B., 29. Prakash Sinha, S., 83, 426. Pravotorov, V., 609. Prehn, K., 42. Preterossi, G., 266, 556. Procaccia, U., 221, 597, 609. Prodi, P., 610. Prosterman, R. L., 597. Provine, D. M., 97, 620, 624, 676. Przeworski, A., 620. Pugliese, G., 7. Putnam, R. D., 368. Pye, L. W., 625. Quartapelle, L., 115. Quattrocolo, S., 354, 355. Quraishi, A., 593.
Indice degli autori citati Rabkin, A., 274. Radcliffe-Brown, A. R., 452, 453. Rahman, A., 510. Rajagopal, B., 173, 275, 590, 663. Rajagopalan, S., 625. Rajan, R. G., 273, 655, 669. Rajeev Gowda, M. V., 625. Ramadan, T., 87, 482. Ramasastry, A., 405. Rampini, F., 452. Ramseyer, J. M., 624. Rangan, H., 542. Rangel, M., 454. Ranger, T., 532. Rasilla del Moral, I. de, 496, 498. Rasul, I., 454. Ratcliffe, P., 532. Ratner, M., 415. Ratner, S. R., 342, 388. Rawls, J., 36, 48, 427, 442. Raz,J., 127. Reich, R. B., 536, 630. Reimann, M., 139. Reinert, E. S., 643. Reinhardt, E., 326. Reinhart, C. M., 217, 219. Reischauer, E. O., 624. Reisman, W. M., 413. Reiss, D., 239. Remotti, F., 577, 636. Reshotko, N., 588. Reviglio, E., 247. Reydams, L., 396, 399. Reynolds, K. M., 329. Reynolds, S., 531. Richard, J.-F., 638. Richards, A., 72. Richman, B. D., 119. Ricks, S. D., 9, 19. Rijsberman, F. R., 660. Risse, M., 302. Ritter, P., 229. Rizzello, S., 220. Roach, K., 557. Ròben, V., 216, 313. Roberts, A., 413. Robinson, H. A., 591. Rochegude, A., 77. Rocher, L., 11, 82, 93. Rodotà, S., 518, 596, 633. Rodriguez-Garavito, C. A., 321, 537. Rodrik, D., 182, 302. Rogers, J., 523.
335
Rogers, M., 532. Rogoff, K. S., 217, 219. Róhl, W„ 100. Rolfes, L. J. jr, 597. Ròling, B. V. A., 343. Romano, A., 204, 597, 609. Romano, C. P. R., 53, 378. Romano, S., 2, 455, 585. Ronson, A,, 531. Roosevelt, K. III, 418, 492. Root, H. L., 589. Rorty, R., 578. Rosandhaug, K., 664. Rosen, L., 453. Rosencranz, A., 293. Rosenfeld, M., 266. Rosow, S. J., 266. Ross, A., 463. Rossi, G., xvi, 116, 536. Rossi, P., 618. Rotberg, R. I., 371. Roth-Arriaza, N., 371. Rothkopf, D. J., 458. Rott, P., 401. Rouland, N., 431. Roux, Th., 688. Rubinstein, M. A., 625. Runciman, S., 609. Ruppert, Th., 597. Ruskola, T., 85, 128. Russell, F. H., 368.
Sacco, R., t, 2, 21, 54, 58, 6o, 69, 74, 80, 81, 85, 89, 102, 103, 115, 116, 455. 459, 463, 598, 615, 676. Saccucci, A., 556. Sachs, J. D., 213, 541, 542, 647, 654. Sadoff, C., 660. Safran, W., 625. Sahlins, M. D., 453, 628. Said, E., 485. Sajó, A., 187, 426, 481, 624. Salvadori, M. L., 266. Salvati, M., 630, 645, 669. Sampford, Ch., 270. Samson, C., 529, 530. Sandel, M. J., 46. Sanders, J., 97, 620, 624, 676. Sands, P., 330, 489. Santa Maria, A., 266. Santoro, E., 266. Santos, A., 139, 180, 221, 656. Sapelli, G., 217. Sapir, A., 194, 332.
336
Indice degli autori citati
Sapra, S. G., 220. Sartori, F., 225. Sartori, G., 587, 591, 592, 594, 645. Sasseti, S„ 259, 450. Sasso, G., 628. Satha-Anand, S., 503. Savona, P., 270, 645. Scaglione, D., 564. Scalia, A., 150. Scartata,}., 229. Scarpelli, U., 463. Schabas, W. A., 361, 371. Schacht,}., 91. Schachter, O., 437. Scheiber, H. N., 405. Schelling, Th. C., 312. Schenck, C., 519, 527. Schiavone, A., 6, 15. Schiff, B. N., 363. Schiff Berman, P., 259. Schiller, A. A., 16. Schmidt, P., 100. Schmitt, C., 618. Schneider, S. H., 293. Scholtens, B., 536. Schooten, H. van, 55. Schott,}.}., 337. Schropp, S. A. B., 314. Schuler, G., 536. Schuster, A., 499. Schwartzman, M., 31. Schwarzenberger, G., 131. Schweitzer, P. P., 452. Sciortino, A., 70. Scott, R. E., 53, 274, 313, 314. Sebastian, T., 318. Sebok, A.}., 405, 412. Seeliger, A., 470. Sen, A., 47, 222, 427, 441, 443, 447, 451. 469, 479, 554, 557, 57Ó, 594, 599, 625, 642, 653, 667, 683, 687. Serafino, A., ri, 84, 97, 102, no, 620, 624, 625. Service, E. R., 628. Shaak, B. van, 342. Shachar, A., 467. Shah,}., 541. Shah, P., 454, 456. Shahin, M., 296. Shanin, T., 597, 609. Shany, Y., 216. Shapiro, I., 44, 280, 282, 450, 469, 561, 563, 59°Shapiro,}., 194.
Shapiro, M., 282, 293. Sharawi, H., 162. Sheleff, L., 453. Shelton, D., 401, 438. Shiller, R.}., 220. Shiva, V., 647. Shleifer, A., 126, 183, 589, 661, 678. Shue, H., 552. Shy Kraytman, Y., 342. Sibbitt, E. C., 141. Siddique, A., 179. Sieder, R., ni, 532, 582, 620. Siegle,}. T., 276. Sikora, R. I., 46. Silbey, S. S., 161. Silverstein, G., 169. Singer, P., 213, 330. Sisci, F., 452. Sitack Yombatina, B., 75. Skidmore, P., 563. Skinner, G., 409. Skocpol, T., 368. Slaughter, A.-M., 121, 138, 216, 266, 274Sloane, R., 387. Sloss, D., 257. Slye, R. C., 342. Smith,}. T., 399. Smith, L.}., 401. Smith, L. M., 582. Snyder, F. G., 259. Snyder,}., 637. Sòderbom, M., 637. Sollors, W., 532. Somaini, E., 46. Sonn, T., 19, 611. Soskie, D., 645. Soto, H. de, 60, 457, 597, 669. Sousa Santos, B. de, 2, 59, 321, 537. Southwick,}. D., 316. Spackman, C., 229. Spada, A., 220. Spaventa, L., 227, 235. Spolaore, E., 678. Sridharan, E., 625. Srinivasan, T. N., 295. Staiger, R. W., 314. Steffek,}., 288. Stein, P., 2, 13, 455. Steiner, H.}., 402, 438, 499. Stephan, P. B., 53, 274, 313, 314. Stephens, B., 411. Stephens, Ph., 337. Stephenson, D. G. jr, 25.
Indice degli autori citati Stevens, J., 275. Steward,). H., 476, 628, Stewart, D. P., 446. Stewart, R. B., 277, 278, 280, 282, 313, 33°. 344Stiglitz,). E., 213, 217, 221, 227, 229, 230, 255, 267, 302, 321, 326, 337. Stoner-Weiss, K., 597. Strathern, M., 526. Strauss, A. L., 406. Stiirner, R., 139. Sudetic, C., 351. Sugimoto, Y., 624. Sumner, W. G., 64, 457, 577. Sunstein, C. R., 22, 52,149, 270, 564. Sweeney,). R., 612. Swidler, L., 426. Sykes, A. O., 301, 328, 334.
Tabellini, G., 66. Tajgman, D., 506. Tamanaha, B. Z., 123, 125, 292, Tamir, Y., 531. Tan, K. Y. L., 554Tansel, A., 670. Tarello, G., 135, 199, 449Targetti, F., 219, 222, 249, 268, 333, 335Tay, S. S. C., 465. Taylor, C., 476. Tehan, M., 663. Tendulkar, S. D., 295. Termini, V., 315. Tesliuc, E., 661, 662, 669, 684. Tessier, M., 87. Teubner, G., 37, 48, 259, 277, 420. Teunis, N., 563. Thakur, R., 270. Thirlwall, A. P., 331. Thompson, D., 371. Thompson, H., 231. Thomson, N., 664. Tilly, C., 266, 586, 634. Timoteo, M., ir, 84, 97, 102, 1 io, 620, 624, 625. Todorov, T., 577. Tomkins, A., 446. Tommaso d’Aquino, 34. Tondini, M., 389. Tonello, M., 247. Tonkin, E., 532. Tosic, )., 349. Toubia, N., 510.
Trebilcock, M. (J.), 125, 173, 181, 214, 294, 296, 297, 301, 305, 321, 328, 334, Ó45, 669. Tremmel, ). C., 46. Tremonti, G., 330, 654. Treves, T., 216. Tribe, L. H., 565. Triepel, H., 131. Trubek, D. M., 139, 173, 180, 221, 656. Trujillo, I., 40. Trumbull, Ch. P., 388. Tullock, G., 619. Tushnet, M., 446. Twining, W., xi, 65, 162, 430. Udombana, N. )., 322, 326. Unterman, A., 223. Upham, F. K., 187, 624. Usher, D., 669. Utter, R. F., 107.
616.
331,
321,
106,
337
Vagts, D. F., 131. Vanderheiden, S., 45. Vanderlinden,)., 54. Varano, V., 31, 101, 106, 123. Vattimo, G., 30. Vaux, K. L., 565. Veca, S., 44. Veel, P. E., 669. Ventura, F., 511. Venzke, I., 187. Vermeule, A., 564. Vermeulen, S., 665. Verschuuren, )., 55. Viazzo, P. P., 566. Vibert, F., 282. Vigevani, G. E., 402. Vischer, R. K., 490, 495. Vishny, R. W., 678. Vitale, E., 551. Vogel, T., 238. Vogler,)., 195, 197, 33^ Vos, E., 293.
Wadud-Mushin, A., 504. Waldron,)., 442, 548, 560, 573. Walicki, A., 597. Walker, )., 590. Wallensteen, P., 341. Wallerstein, I., 133. Wallis, ). )., 619, 644. Walzer, M., 40, 127, 368. Warren,). P., 520.
jj8
Indice degli autori citati
Watson, A., 7, 17. Waxman, H. A., 233. Weber, M., 5, 611, 619. Weiler, J. H. H., 282, 500. Weingast, B. R., 619, 644. Weinrib, E. J., 617. Weinstein, M. M., 176. Weiss, B. G., 482. Werro, F., 449. Westmarland, N., 503. Weston, B. H., 132. Wet, E. de, 278. Wezler, A., 82. White, G. E„ 558. Whitfield, L„ 649. Whiting, S. H., 180. Whittington, D., 660. Wiegand, W., 139. Wiener, P. P., 628. Wierda, M., 371. Wignaraja, G., 335. Wilf, S., 115. Wilkinson, R., 250. Williams, A., 179. Williams, R. C., 664. Williamson, O. E., 61. Williamson, P. J., 460. Willibiro-Sako, J., 79. Willis, J. F„ 342. Wilson, B., 329. Wilson, R. A., ni, 448,472,501,515, 526, 529, 532, 544, 546, 555, 570, 582, 620. Witchell, J., in, 532, 582, 620. Witney, N., 194, 652. Wittfogel, K. A., 477. Wolf, E. R., 597. Wolf, M., 115, 265. Wolfensohn, J. D., 170, 171. Wolff, R.P., 64, 457. Wolfrum, R., 216. Wolin, S. S„ 588. Woods, N., 336, 552. Wright, A. F., 625. Yacoub, J., 353. Yasuaki, O., 554. Yeng/J., 307. Young, A. S., 563. Young, R., 565.
Zaccagnini, L., 357. Zagorin, P., 568. Zagrebelsky, G., 13, 40, 599, 618.
Zahle, H., 52. Zak, P. J., 220. Zakaria, F., 589. Zapatero, P., 215. Zappala, S., 363. Zechenter, E, M., 422. Zeeuw, J. De, 371. Zeldon, C. L., 23. Zeno Zencovich, V., 499. Zerk, J. A., 536. Zhang, Y., 625. Zhou, T., 625. Ziccardi Capaldo, G., 340. Zingales, L., 228, 669. Zolo, D„ 83, 340, 344, 351, 353, 359, 368, 370, 388, 414, 459, 477, 480, 519, 522, 523, 554, 557, 562, 686. Ziirn, M., 266. Zwane, A. P., 660.
Indice analitico
aborto, 72, 171, 174. Accra Agenda for Action, 317. acqua (diritto all’), 207. Afghanistan: - assistenza tecnica, 67. - costituzione, 185. - rule of law, 185. Africa sub-sahariana: - diritto informale, 28-31. - diritto tradizionale, 29-31. - figura del giurista, 9. - matrimonio: - lavoro della donna nel, 31. - regimi patrimoniali, 31. - registri civili, 31. - micro-credito, 208. - mutilazioni genitali femminili, 161165, 287-90. - proprietà fondiaria, 30. - regole di successione al potere, 29. Aids: - farmaci anti-retrovirali, 256. - WTO, 256. aiuti allo sviluppo, 50, 107, 202-4, 210, 3I3aiuti di Stato, 82, 102-4, 254. Alexy R., 18. alfabetizzazione: - diritto all’, 172. - informatica, 207. Algeria: - codificazione, 33. - corti laiche e religiose, 33. Amato G., 175. Amazzonia, vedi Peru. ambiente: - accordo di Copenaghen, 238. - associazioni ambientaliste, 293. - Chipko (movimento), 293. - debt-for-nature swap, 293.
diritto all’, 167-69, 171. diritto e scienza, 19-20, 251. disastro ambientale come crimine con tro l’umanità, 129. - e giustizia intergenerazionale, 21, 167. - United Nations Conference on the Human Envinronment (UNCHE), 298. America Latina, 65, 67, 240, 318. - democrazia, 303. - latifondo, 303. - regimi di proprietà fondiaria, 303. - riforme economiche, 240. American Bar Association (ABA), 55, 57, 60-61, 231. anagrafe: - mancanza di, 206, 314. Aristotele, 17. Armenia, 315. Asia orientale: - Asian values, 149-50. - Carta asiatica dei diritti umani, 139. Australia: - appalti pubblici, 254. - e WTO, X04. autocrazia, 186, 193, 229, 303, 305. avvocati: - come formanti del diritto, 54-57, 130t3t. - law firms angloamericane, 54. - nel mercato globale, 54-55, 220.
-
Badoglio P., 261. Banca Mondiale, vedi World Bank. Bano Shah, 297. Belgio: - e IMF, 259. - giurisdizione penale universale, 127. Benami, 34.
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Indice analitico
beni pubblici, 90, 210. Bentham J., 142, 299. Bosnia-Erzegovina: - Camera per i crimini di guerra, 261. - Corte costituzionale, 261. Brasile: - e farmaci anti-retrovirali, 256. - e IMF, 1 io, 259. - e ruolo geopolitico, 110-11. - eWTO, 255. buddismo, 137, 150, 275, 283, 286, 309. Bumiputera, 102-3. Burke E., 280. Burkina Faso, 162. Burundi, 45. Bush G. W., 280. Bybee J., 154.
- guanxi, 225. - li, 32. - maoista, 36-38. - matrimonio, 5, 37. - procedura civile, 37. - riforma agraria, 37. - rule of law, 50, 55, 237. - ruolo geopolitico, no-ii, 205. - su, 32. - Tibet, 5, 269. - tradizione giuridica, 7, 32, 36-38. - US-Asia Law Institute, 55. circolazione dei modelli giuridici, 38-39, 43-46, 52-68, 108-9, 118, 125-26, 148-51, 158-69, 174-81, 197-201. circoncisione, 161, 164, 288-89. civil law: - e common law, 191. - e diritto scolare, 11. - e Doing Business, 65. Cambogia, 315. - europeo, 66-71. - Democratic Kampuchea, 124. - possibile ruolo globale del, 68-71. - Extraordinary Chambers, 123-24. - giurisdizioni di, come rule takers, 65. Camerun, 30. - prodotto interno lordo, delle giurisdi Canada: zioni di, 65, 70. - appalti pubblici, 254. Clinton, W. J., 55, 293. - inuit, 166. codice civile: - Newfoundland, 166, 290. - algerino, 33. capitalismo/i, 72, 80, 195, 228, 246. - egiziano, 33. - e democrazia, 189-90, 202, 229, 303. - etiope, 29. cartolarizzazioni, 76-77. - europeo, 69-71. - Pfandbriefe, 241. - francese, n, 307. Cassese A., 173, 178, 196, 296. - giapponese, 35. cesaro-papismo, 305. - giordano, 33. cibo: - italiano, 11, 307. - diritto all’alimentazione, 136, 159- marocchino, 33. 160, 172, 314. - siriano, 33. - diritto e scienza, 251. - spagnolo, 307. - Food and Agriculture Organization - tedesco, 307. (FAO), 244. - tunisino, 33. - UN World Food Program, 314. - turco, 33. Cina: codice SWIFT di identificazione banca - All China Lawyers Association, 55. ria, 97. - comuniSmo, 36. Colombia, 229., - conciliazione, 37. - Uribe Vélez A., 50. - confucianesimo, 36. colonialismo, 29, 67, 136, 163, 176. - consuetudine, 3 2. - e diversità giuridica, 44. - diritto informale, 36-38. Commission on Growth and Develop - e Corte penale internazionale, 118. ment, 234, 254, 286. - e democrazia, 200, 202, 309. Commissione europea per la Democra - e diritti umani, 50. zia attraverso il Diritto, 237. - e giustizia, 22. Commissioni per la verità e la riconci - e IMF, no. liazione, 121, 265. - Europe-China School of Law, 237. Committee on Capital Market Regula tion, 77. - fa, 32.
Indice analitico common law: - come paradigma dominante, 54-71, 130-31. - e civil law, 191. - e corti, 12. - e custodia dello status quo, 192. - e legislatore, t3. - India, 33. - inglese, 7. - Magna Charta, 48, 190. - parlamentarismo, 190. - prodotto interno lordo, delle giurisdi zioni di, 65. - ruolo del giudice, 7. - ruolo del legislatore, 214. -Usa: - Corte Suprema, 13. - individualismo proprietario, 13. - laissez-faire, 13. confucianesimo, 32, 36-37, 137, 275. - e democrazia, 226, 309. Cook E., 48. Corea del Sud: - confucianesimo, 309. - democrazia, 64. corpo: - della donna, 164. - manipolazione del, 163. Corpus luris civilis, 7. corruzione, 267, 308. Corte europea dei diritti dell’uomo, 140. - libertà di espressione, 157. - margine di apprezzamento, 157. - religione cattolica, 156. Corte interamericana dei diritti dell’uo mo, 140. Corte internazionale di giustizia, 248, 261. Corte penale internazionale: -competenza, 114-25. - crimine di aggressione, 115, 117-18. - Darfur, 263. - e Usa, 116-17. - American Service Members’ Pro tection Act 2002, 262. - Repubblica Democratica del Congo, 127, 264, 269. - Statuto della, 114, 116-18. - Sudan 264. Corti penali internazionali, vedi Giuri sdizioni penali internazionali. Costa d’Avorio, 30. Costa Rica, 64, 234. Costituzione:
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afgana, 185. come fattore di produzione di iden tità, 209. - e Islam, 302. - esportazione della, 56-58, 61, 63, 185, 201, 209. - indiana, 33. - irachena, 185. - Usa, 56-58, 128-29, 272Court Packing Pian, 13. Credit Rating Agencies, 78-80. - irresponsabilità, 79-80. - regolazione globale delle, 83-84. credito: - diritto di accesso al, 207-8. - micro-, 208. crimine/i: - contro l’umanità, 114-15, 122-23, 264, 270, 299. - di aggressione, 115, 117-18, 263. - di genocidio, 114-15, 123-24, 126, 267, 269. -diguerra, 114-15,117, 122,126, 261, 264, 267, 270. crisi finanziaria/e: - ricorrenza delle, 74. cristianesimo: - e democrazia, 190. - e secolarismo, 189-91, 195. Cromwell O., 98. cultura/e: - dinamismo delle, 148, 165-67, 170171, 175, 205, 215, 287-91, 294. - e tradizioni giuridiche, xi, xvi, 9-10, i5-i7> 29> 32> 38-39. 43-44. 48-50. 53, 56, 63, 72, 121, 126, 128, 138, 149-50, 157, 163, 173, 175, 186, 189, 193, 201, 208, 226-27, 232, 276, 282-83, 305, 307.
-
Darfur, 263. Debt for Development, 313. Debt for Nature, 293. democrazia: - America Latina, 303. - Cina, 200, 309. - e capitalismo, 72, 195. - ed elezioni, 187, 311. - e diritti umani, 197, 200. - e istituzioni globali, 96, 312. - e latifondo, 303. - e Occidente, 198. - e rule of law, 50, 56-59, 64, 66, 68, 187-93, 194-
342
Indice analitico
e secolarismo, 189, 292, 194. e short-termism, 205-6. e tecnocrazia giuridica, 143, 155,158, 173, 176, 189-93. - Giappone, 308. - India, 205, 308-9, 318. - Indonesia, 309. - nel tempo, 185-86. - nozioni, 186. - requisiti, 187-93, 2°2. - risorse comunicative, 188, 191. - Russia, 64, 200. dharma, 31-32, 224. diamanti: - traffico internazionale di, regole del, 45. diritti civili, 92, 136, 139, 172-73, 271, 396. diritti costosi, 92. diritti politici, 139, 195. diritti sociali, 173, 295. diritti umani [vedi anche Asia orientale, Islam, Unione Africana]: - Amnesty International, 271, 299. - applicazione orizzontale, 244, 277. - convenzione/i: - americana sui diritti dell’uomo, 139, 27t- europea per la salvaguardia dei di ritti dell’uomo e delle libertà fon damentali, 239, 271. - Onu: - sui diritti dei minori, 139, 159x6o, 162. - sui diritti delle persone disabili, 239. - sul genocidio, 239. - sulla discriminazione contro le donne, 239, 262. - sulla tortura, 239, 252-54. - dichiarazione/i dell’Onu: - sui diritti dei popoli indigeni, 239. - sul diritto allo sviluppo, 239. - universale dei diritti dell’uomo, 139. 274; - e democrazia, 297, 200. - e multinazionali, 229. - e religioni, 252-56. - e rule of law, 50,53. - Global Court of Human Rights, 276. - Human Rights Watch, 299. - nucleo ristretto di, 270. - Patto Onu: - sui diritti civili e politici, 239, 272, 296. -
sui diritti economici, sociali e cul turali, 239, 265-66, 268. - relativismo v. universalismo, 248-52, 270-80. diritto: - canonico, 307. - come ‘luogo’ di conflitti, 292, 226. - consuetudinario, 6-7, 26, 229, 292; vedi anche Cina, Giappone, India, Stratificazione giuridica. - e custodia dello status quo, 292, 224. - dotto, 6-7, 20. - ebraico, 7, 224-25, 307. - e cultura, 9-20. - e legal process, rr. - e lingua, 30, 54, 63, 66-67, - e scienza, 29-20, 252. - e Stato, 8. - informale, 30, 36, 75, 208, 207, 240. - nel diritto pubblico, 26-27. - globale, 94, 205-9, 248-50, 254255- internazionale, applicazione orizzon tale del, 277. - modello sovietico, 37-38. - naturale, 8, 28, 98, 2x6, 306. - oggettivo, 28. - professionalizzato, 7-9, 48-49, 289x93- ragioni dell’obbedienza al, 8, 327. - razionale, 226. - rivelato, 6, to, 33. - romano, 7-9. - sacrale, 7, 29. - soggettivo, 276. - tecnocratizzato, 7, 48-49, 189-93. disabili: - Convenzione Onu sui diritti delle per sone, 139. - diritto dei, 20, 272. donna/e [vedianche Corpo, Matrimonio]: - Convenzioni e Dichiarazioni Onu, ve di diritti umani. - e Islam, 33, 288. - mutilazioni genitali femminili, vedi Mutilazioni genitali femminili. - prostituzione infantile, 258-59. - Protocollo sui diritti delle donne in Africa, 139. dumping culturale, 202. dumping sociale, vedi World Trade Or ganization. Dworkin, R. M., r8, 228. -
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- codice civile, 11. - Corsica, 104, 233. ebraismo, 34, 137, 164, 306-7. - e IMF, 259. economia comportamentale, 74. - e Organisation pour l’Harmonisation Ecuador, 107. en Afrique du Droit des Affairs educazione, 32, 54-55, 137, 313. (OHADA), 67, 236. - diritto all’, 13, 136. - giurisdizione penale universale, 127, Egitto: 270. - codificazione, 33. Freud S., 289. - corti laiche e religiose, 33. Fujimori A., 126. eguaglianza, principio di, 83, 194-96, Fuqahà’, 9-10. 206-7, 233, 2&3Emirati Arabi Uniti, 162. epistocrazia, 186. Gì, in. G7, ni. Eritrea, 30, 162. G8, 81, 203. Etiopia: G20, 259. - codificazione civile, 29, 33. - registrazione dei diritti di proprietà, Gabon, 30-31. Gelasio I, 305. 223generazioni future: etnocentrismo, 149, 177, 198, 299, - ambiente, 21, 169, 238. 311. - e democrazia, 186, 208-11. Europa [vedi anche Unione Europea]: - e diritti umani, 181. - armonizzazione del diritto civile, 69- e giustizia, 21. 71, 222. - e popoli indigeni, 166-69. - orientale, 58, 307. genocidio, 114-15, 123-24, 126, 139, - spese militari, 313. 267, 269, 299. Europe-China School of Law, 237. Germania, 11-12, 54, 69-70, 89, 234, eutanasia, 174. 241, 243, 270-72. Extraordinary Chambers, vedi Cambo - assistenza tecnica: gia. - in America Latina, 67. - nell’Africa sub-sahariana, 67. Facoltà di giurisprudenza, 216. - nel Sud-est asiatico, 67. - curricula, 67, 220. - Bundesministerium fiir wirtschaftlifalsi: che Zusammenarbeit und Entwick- negativi, 20. lung, 236. - positivi, 20. - codice civile, 11, 307. farmaci: - Deutsche Gesellschaft fiir technische - anti retro-virali, 256. Zusammenarbeit, 236. fascismo, 193, 307. - Deutsche Stiftung fiir Internationale Federal Reserve, 246. Entwicklung, 236. Filippine, 315. - Deutsche Stiftung fiir internationale Financial Stability Board, 241. rechtliche Zusammenarbeit, 236. finanza, 74-86, 88-91, 108-9. - Deutscher Entwicklungsdienst, 236. - Credit Default Swap, 76. - Internationale Weiterbildung und - deregolazione, 75, 93. Entwicklung GmbH, 236. - derivati, 76. - nazismo, 128, 193, 307. - regolazione, 75-86. - orientale, 104. - subprime, 77, 241. Giacomo I, 49, 98. Fondo monetario internazionale, vedi Giappone: International Monetary Fund. - chòtei, 226. Ford Foundation, 55. - codice civile, 35. formanti: - consuetudine, 35. - mito della concordanza, 12, 15. - democrazia, 308. Francia, 54, 69-70, 114, 234, 281, 298. - diritto informale, 34-35. - civil law, 222.
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epoca Tokugawa, 226. gerarchie sociali, 34. giri, 34matrimonio, 35. metodi di soluzione delle dispute, 35, 226. - tradizione giuridica, 7, 32, 34-35. - unioni civili, 35. giochi di ruolo: - accademici, 20. Giordania: - codificazione, 33. giudice/i: - e circuito democratico, 13. - formazione, 62, 146, 179, 209, 232, 235- globali, 84. - modi di reclutamento, 24. Giurisdizioni penali internazionali [ve di anche Cambogia, Corte penale in ternazionale, Kosovo, Libano, Sier ra Leone, Timor Est]: - Camera per i crimini di guerra in Bosnia-Erzegovina, 261. - immunità sovrana, 128. - Tribunale di Norimberga, 114, 261. - Tribunale di Tokyo, 114, 264. - Tribunale penale internazionale per il Ruanda, 114-15, 124, 267. - Tribunale penale internazionale per la ex Jugoslavia, 114, 261. - e attività Nato, 115. Giurisdizioni universali [vedi anche Giurisdizioni penali internazionali]: - Belgio, 127. - Corte penale internazionale, 116-18; ve di anche Corte penale internazionale. - Francia, 127. - Italia, 126. - Norvegia, 126. -Olanda, 127. - Regno Unito, 126. - riparazioni monetarie, 271. - Spagna, 126. - Usa: - Alien Tort Statute, 129-31. - Holocaust Claims, 128. giurista [vedi anche avvocati, Facoltà di giurisprudenza, giudice/i]: - assenza del, 8-9. - bouche de la loi, 17. - di civil law, 66-67. - di common law, 54-55. - di professione, 36-37, 190.
-
e discorso pubblico, ix-x, 18-20. e sfera sacrale, 302. formazione del: - in Italia, 216, 220. - in Europa, 66-67, 235- negli Usa, 67. - straniero, come obiettivo della politica estera, 55-57. - in Cina, 36-37. - in Giappone, 32, 34-35. - in India, 32-34. - nell’antica Grecia, 9. - nell’antica Roma, 8-9. - nell’IsIam, io, 32-33. - professori: - come formanti del diritto, n-12. - in Usa, 52. giusnaturalismo, 129. Giustiniano, 7. giustizia: - accesso alla, 109. - e opzioni politiche, 18. - e World Trade Organization, 73. - globale, 21-22, 84, 114. - intergenerazionale, 21, 166, 169. - occidentale, teorie della, 16-22. Global Compact, 292. Global Court for International Aid, 203-4. globalizzazione: - aspetti redistributivi, no. - giudiziaria, 73, 239. - istituzioni della: - democraticità, 96-97. - irresponsabilità, 95-97. - movimenti anti-, 44. - ‘obvious goods’, 202. Global Standards, 81. - Lecce Framework, 243. Gonzales A., 154. Graziani R., 261. Gregorio VII, 190. Grozio U., 98. Guinea: - corti laiche e religiose, 33. - mutilazioni genitali femminili, 162. -
Habeas Corpus, 173, 296. Habermas J., 18. Hamilton A., 272. Hariri R., 268. Hart H. L. A., 142. Hobbes T., 280. Hume D., 280.
Indice analitico identità: - come fattori di produzione d’istanze giuridiche, 144-46. - corporative, 146. - culturali, 63, 145-48; vedi anche Co stituzione, Diritti umani, Popoli in digeni. - nel processo penale, 282. - di gruppo, 143, 145-47; ve^‘ “fiche Di ritti umani, Popoli indigeni. - economiche, 145-46. - educazionali, 146. - etniche, 145, 196. - familiari, 145. - linguistiche, 63, 145-46; vedi anche Lingua. - professionali, 145. - religiose, 63, 145, 196. - tribali, 290. Illuminismo, 52, 69, 190. immigrazione, 147, 173. imperialismo umanitario, 274. India: - benami, 34. - casta, 32. - common law, 33. - consuetudine, 32, 222. - laicità della, 33, 225, 308-9. - democrazia, 205, 308-9, 318. - dharma, 32, 224. - e IMF, 1 io. - e liberalismo economico, 64. -eWTO, 255. - farmaci antiretrovirali, 256. - induismo, 33-34, 137, 224. - lavoro minorile, 253. - Child Labour Act 1986, 253. - matrimonio, 32. - Hindu Marriage Act, 34. - Shah Bano case, 297. - ruolo geopolitico, iio-n, 205. - tradizione giuridica, 7, 32-33, 105, 222, 224, 273-74. indirect rule, 89. Indonesia [vedi anche Timor Est]: - Ad hoc Human Rights Court, 266. - democrazia, 309. - mutilazioni genitali femminili, 162. induismo, vedi India. Inghilterra, vedi Common law, Naviga zione marittima, Regno Unito. International Bank for Reconstruction and Development, 233, 259.
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International Centre for Settlement of Investment Disputes, 78. International Development Associa tion, 233. International Labour Organization (ILO): - Core Labour Standards, 100, 253. - dumping sociale, vedi World Trade Organization. International Monetary Fund (IMF), 62, 73, no. - e rule of law, 62. - Poverty Reduction Strategy Papers, 62. - riforma dell’, 259. internet: - Internet Corporation for Assigned Names and Numbers (ICANN), 97. Iraq, 232, 307-8, 315, 317. - American Bar Association, 57, 61. - costituzione, 61, 135. - democrazia, 193. - giurisdizione italiana su fatti accadu ti in, 269. - Office of Constitutional Support, 61. - rule of law, 57. Irlanda del Nord, 233. Islam: - Carta della Lega degli Stati Arabi, 139. - corti: - laiche, 33. - religiose, 33. - Dichiarazioni: - del Cairo sui diritti dell’uomo nel l’islam, 139. - islamica universale dei diritti del l’uomo, 139. - e donne, 33. - finanza, 225. - fuqahà’, 9-10. - giudice, io. - islamic values, 150-51, 186, 301. - legalità ‘costituzionale’, 302. - matrimonio: - divorzio e clausole penali, 33. - poligamico, 33. - mutilazioni genitali femminili, 164. - mutuo a interesse, 33. - qàdl, 10-11. - ruolo del giurista, 10-11. - siyàsa, 32. Italia, 54, 70, 81, 83, 104, 222, 234, 261, 285.
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Indice analitico
assistenza tecnica: e rapporti con la Cina, 67. in Afghanistan, 67. - codice civile, 11, 307. - educazione del giurista, 23, 216, 220. - fascismo, 193, 307. - giurisdizione universale, 126, 269, 271-72. - mutilazioni genitali femminili, 288289. lus cogens, 53, 230. -
-
Jiang Zemin, 55. Jugoslavia (ex) [vedi anche Kosovo]: - serbi, 115, 271. - Tribunale penale internazionale per la, 114-16, 261-62. jungle law, 109.
Katanga G., 264. Kenya, 162. Khan M. A., 297. Kosovo: - European Union Rule of Law Mission in Kosovo (EULEX), 266-67. - Interim Administration Mission in Kosovo (UNMIK), 122-23. lavoro [vedi anche International Labour Organization]: - diritto al, r3, 147, 172. - dumping sociale, vedi World Trade Organization. - forzato, xoo, 253, 271. - lotte proto-sindacali, 190. - minorile, 99,158, 175, 207, 253, 298. Law and Development, 214, 232-33. legal origins, 234. legal process, 11. Lenin V. I., 280. lex mercatoria, 45, 228. Libano: - Tribunale speciale per il: - competenza, 268. - diritto applicabile, 268. lingua: - come fattore di identità, 63. - della comunità, 63, 147. - del singolo, 146. - e Stato, 63. - minoranze linguistiche, 297. Locke J., 18, 280. lotta alla povertà, 50. - Cibo per l’istruzione, programma, 314.
Commission for the Legal Empower ment of the Poor, 221. - Poverty Reduction Strategy Papers, 62. Lubanga Dyilo T., 264.
-
Madagascar, 30. mafia, 63, 233. Magna Charta, 49, 190. Malawi: - registrazione dei diritti di proprietà, 223. Malesia: - Bumiputera, 103. - e Islam, 286. - e WTO (Government Procurement Agreement), 102-4. - mutilazioni genitali femminili, 162. Mali: - corti laiche e religiose, 33. - mutilazioni genitali femminili, 162. Marocco: - codificazione, 33. - corti laiche e religiose, 33. Marx K., 280. marxismo, 52, 137. matrimonio: - in Giappone, 35. - in India, 34. - nell’Africa sub-sahariana, 31. - nell’IsIam, 33. - regimi monogamici, 5. - regimi patrimoniali, 31. - regimi poligamici, 5, 31, 33. - unioni di fatto, 72. Mauritania [vedi anche Unione Euro pea]: - latte di cammello, 256. - mutilazioni genitali femminili, 162. mercati finanziari [vedi anche Crisi fi nanziaria, Finanza]: - autorità di controllo, 78. - cartolarizzazioni, 76-77. - Credit Default Swap, 76. - crisi, 74-80. - deregolazione, 75-80. - Global Standards, 81. - informalità, 74-80. - regolazione globale, 80-86. - Race to the bottom v. Race to the top, 80. - short-termism v. long-termism, 82. - subprime, 77, 241.
Indice analitico mercato: - concorrenza nel, 44, 79, 89, 99, 102, 245- e sviluppo, 210. - regolazione decentrata del, 65. micro-credito, 208, 316. micro-trade, 316. minoranze, 50, 233, 266, 298. - etniche, 196. - linguistiche, 297. - religiose, 196. - sessuali, 272. minori: - diritti dei: - al cibo e all’educazione, 314. - Convenzioni e Dichiarazioni Onu, vedi diritti umani. - lavoro dei, 99, 158, 175, 207, 253, 298. - prostituzione infantile, 158-59. Moldavia, 256. Mongolia, 67, 236. Mugabe R., 127. multiculturalismo, 196, 281. multinazionali [vedi anche Global Com pact]: - comportamenti anti-concorrenziali, 245- e Alien Tort Statute, 129. - e diritti umani, 129, 168, 291. - e paesi ‘in via di sviluppo’, 245. - OECD Guidelines for Multinational Enterprises, in, 243. - responsabilità sociale delle imprese, 292. mutilazioni genitali femminili, 161-65. - consenso libero e informato, 165, 290. - diffusione, 162. - e circoncisione maschile, 161, 164, 288-89. - forme, 162. - Italia, 288-89. - rimedi, 164-65, 289. - Usa, 208, 288.
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- mare clausum, 98. - mare liberum, 98. nazismo, 128, 193, 307. Nepal, 286. New Comparative Economics, 234. New Deal, 12-13, ®7New Partnership for Africa Develop ment (NPAD), 317. Ngudjolo Chui M., 264. Nigeria, 162, 262, 288. - giurisdizione universale, 180. nomadi, 166, 295. North-Atlantic Treaty Organization (NATO), 115, 262, 271. Norvegia, 126, 266.
Obama B. H., 59, 265, 298. obvious goods, 202. Occidente: - giuridico, come dimensione cognitiva, xn, 6-7, 16, 38-39, 46-51, 66-69, 109-12, 128-31, 136-38, 175-81, 185-93, 194-98, zìi-12occupazioni militari, 205. Olanda, 98. - assistenza tecnico-legale in Mongolia, 67, 236. - giurisdizione universale, 127. Olocausto, 128, 136. - Holocaust claims, 128, 130. - processo di Norimberga, 114, 261. Oman, 162. omosessualità, 173-74, 297. Organization for Economie Co-opera tion and Development (OECD), in, 243-44, 3I7Organisation pour 1’Harmonisation en Afrique du Droit des Affaires (OHADA), 67, 236. Organization for Security and Co-oper ation in Europe (OSCE), 61. Organizzazione delle Nazioni Unite (Onu): - Assemblea Generale, 289. - Consiglio di sicurezza, 114-16, 118119, 261, 263, 266, 268, 299. - crimine di aggressione, 115,117-18. navigazione aerea, 88. - International Civil Aviation Organi - Darfur, 263. - Special Working Group on the zation (ICAO), 244. Crime of Aggression, 263. navigazione marittima, 88. - International Maritime Organization - Convenzioni/Dichiarazioni, vedi Di (IMO), 244. ritti umani. - Corte penale internazionale, vedi Cor - libertà dei mari, 98. te penale internazionale. - limite del mare territoriale, 250.
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Indice analitico
giurisdizioni penali internazionali, vedi Giurisdizioni penali internazio nali. - United Nations Children’s Fund (UNICEF), 286. - United Nations Conference on the Hu man Envinronment (UNCHE), 298. - United Nations Conference on Trade and Development (UNCTAD), 244. - United Nations Development Pro gramme (UNDP), 60-61, 232. - United Nations Educational, Scientif ic and Cultural Organization (UNE SCO), 293. Organizzazione Mondiale del Commer cio (OMC), vedi WTO. Organizzazione Mondiale della Sanità (QMS), 287. organizzazioni internazionali, 200, 248, 250, 265. organizzazioni non governative, 140, 167, 299. -
Paesi Baschi, 63, 233. Pakistan, 103, 255, 317. Pal R. B., 264. pandettistica, ri. Paraguay, 139. Paris Declaration on Aid Effectiveness, 317; pena di morte, 131, 174, 297, 398. Perelman C., 18. Perù, 300, 303. - Amazzonia: - progetto Camisea, 167-69. Pinochet A., 126. Platone, 17. politica agricola: - Unione Europea, 256. - Usa, 255. popoli indigeni, 265, 291. - consenso libero e informato, 290, 300. - dell’Amazzonia, 167-69. - Dichiarazione sui diritti dei, 139. - e multinazionali, 168. - e Patto Onu sui diritti economici, cul turali e sociali, 265-66. - generazioni future, 166-69. - inuit, 166. - progetto Camisea, 267-69. - proprietà collettiva, 266. Portogallo, 98. proprietà:
-
-
-
collettiva, 266, 288, 207, 303. diritto di, 23, 30-32,64, 287-88, 207, 302. e democrazia, 287-88, 207. e diritti umani, 50. e rule of law, 50, 68, 287-88. espropriazione, 207, 325. fondiaria: - in America Latina, 303. - in Russia, 303. - nell’Africa sub-sahariana, 30-32, 3I5- registrazione della, 30-32. - sviluppo del credito, 32. - titolo di, formale e informale, 26, 207, 324-26. funzione sociale, 64. individuale, 23, 288, 207. intellettuale, 87. - Agreement on Trade Related As pects of Intellectual Property Rights (TRIPs), 252. - diritto e scienza, 29-20, 252. - in ambito agricolo-sanitario, 202. - World Intellectual Property Or ganization (WIPO), 244.
Quebec, 233.
Rawls J., 28, 242, 229. reddito di cittadinanza, 243. Regno Unito, 224 [vedi anche Common law]: - anti-europeismo, 70. - Constitutional Reform Act 2005, 226. - e codice civile europeo, 70. - e separazione dei poteri, 216. - giurisdizione universale, 226. - indicatori economico-culturali, 70. Repubblica Centro-Africana, 32. Repubblica Democratica del Congo, 227, 264, 269. resistenza: - ai modelli occidentali, 272, 298-202. responsabilità sociale dell’impresa, vedi Multinazionali. Rivoluzione francese, ix, 8. Roosevelt F. D., 9, 22-24, 87. Rorty R., 277. Ruanda: - corti Gacaca, 224-25, 267-68. -genocidio, 224. - giurisdizioni penali, 224, rr6, 224-25.
Indice analitico Tribunale penale internazionale per il, 115, 124. rule of law: - e democrazia, 50, 56-59, 64, 66, 68, 194. - e diritti umani, 50, 53, 57-58, 61-62. - e proprietà privata, 50, 68. - e sacralità dei contratti, 50, 68. - Governance Indicators, 64, 234. - Magna Charta, 48, 190. - nozioni, 48-51. - thick/thin, 49-50, 228. - promozione della: - e assistenza tecnica, 50, 54-55, 68. - e costituzioni, 54, 56-58. - e istituzioni internazionali, 59-66. Rumsfeld D., 270. Russia, 240, 256, 307. - democrazia, 64, 200. - e cesaro-papismo, 305. - e latifondo, 303-4. - e Corte penale internazionale, 118. - e IMF, 1 io, 259.
-
Safety net, 90, 101, 158-59, 207. schiavitù, 177, 272, 276. scienze cognitive, 74, 218. Scott IL, 77. Securities and Exchange Commission (SEC), 76, 82, 240, 242. Selden J., 98. Sen A., 150, 296. Senegai, 30. separazione dei poteri (principio della), 192. - in Inghilterra, 216. - negli Usa, 12-14. Serbia, 271; vedi anche Corte penale in ternazionale, Jugoslavia, Kosovo. shari'a, 7, io, 32, 150, 302. Sierra Leone: - Corte speciale per la, 121, 266. - competenza, 121. - diritto sostanziale e processuale ap plicabile, 121. Siria: - codificazione, 33. siyàsa, 31-32. socialismo, 38, 49. - americano, 246. social norms, 25. Somalia, 158, 162. sovranità, 86-92, 94-95, 113, 116-17, 145, 190, 195, 244-48.
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Spagna, 54, 98, 126. - codice civile ed esperienza franchista, 3°7- giurisdizione universale, 126, 270. - indipendentismo basco, vedi Paesi Ba schi. Spence Commission, vedi Commission on Growth and Development. spettacolarità del diritto, 273-74. Sri Lanka, 162. standard tecnici, 228, 251. - International Organization for Stand ardization (ISO), 96-97. stato minimo, 93. stratificazione giuridica (fenomeni del la): - nel diritto occidentale, 26. - strati, 25-28. - consuetudinari, 26-27. - nel diritto pubblico, 26-27. - del commercio transnazionale, 27. - dinamismo degli, 28. - formali, 26-27. - informali, 26-27. successione ereditaria, regole sulla, 3234, 165, 268. Sudafrica: - appalti pubblici, 254. - e farmaci anti-retrovirali, 256. Sudan, 162, 264. - Darfur, 263. Swaziland, 231. Tailandia: - buddismo, 286. - e diritti umani, 158, 300. - prostituzione minorile, 158-61, 286. Taiwan, 64, 254. - confucianesimo, 309. - democrazia, 309. Tanzania: - registrazione dei diritti di proprietà, 223. terrorismo, 153, 200, 267. - normative Usa anti-, 131, 296. testamento biologico, 73. Tibet, 5, 269. Timor Est, 266. - Comissào de Acolhimento, Verdade e Reconciliaijào, 266. - Serious Crimes Unit, 122. Togo, 30. Tommaso d’Aquino, 18, 264, 306. tortura [vedi anche Diritti umani]:
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Indice analitico
Abu Ghraib, 155. Guantanamo, 270. Torture Memo, 154-56, 298, 307. - Fried C., 155. - Posner E., 155. - Vermeule A., 155. totalitarismo/i, 191-93, 196. Traditional Knowledge, 251. tradizione giuridica, nozione di, 9. trapianto giuridico, vedi Circolazione dei modelli giuridici. tribù, 145, 147, 188, 199, 209, 279. Tribunale speciale per il Libano, vedi Li bano. Tribunali penali internazionali, vedi Giurisdizioni penali internazionali. Tunisia: - corti laiche e religiose, 33. - matrimonio, 5, 33. Turchia: - codificazione, 33. - corti laiche e religiose, 33. -
Ungheria: - Bolla d’oro, 190. Unione Africana, (Organizzazione dell’) ((O)UA), 139. - Carta africana dei diritti dell’uomo e dei popoli, 139. - Protocollo sui diritti delle donne in Africa, 139. Unione Europea: - educazione dei giuristi, 66-68. - e Mauritania, 256. - e Moldavia, 256. - e politiche Usa, 54, 58. - e Regno Unito, 70. - giustizia sociale, 44. - in Kosovo, 266. - politica agricola, 256. - politica estera, 67-71, 110-11, 236237, 258, 266-67. - prodotto interno lordo delle giurisdi zioni civilistiche dell’, 65. - prodotto interno lordo delle giurisdi zioni di common law dell’, 65. - promozione della rule of law, 68, 237, 266-67. - revoca delle concessioni di vantaggi commerciali, 252. - Core Labour Standards, too, 253. - Generalized System of Preferences (GSP), 252. - ruolo globale dell’, 67-69, no, 236,258.
- Schengen, accordi di, 70. - Trattato di Lisbona, 285. Unione Sovietica, 37-38, 52, 114. Uruguay, 64, 234. Usa: - Alien Tort Statute, 129-31. - American Bar Association, vedi Ame rican Bar Association. - circoncisione, 161, 288. - Core Labour Standards, too, 253. - corti, 12-14, 52-54. - e controversie finanziarie, 75-76. - e giurisdizione universale, 53, 128131. - Holocaust claims, 128, 130. - ius cogens, 53. - Japanese Forced Labour Litigation, 272. - Torture Victims Protection Act 1991, 273. - Costituzione, 56, 128-29, 272. - crisi del ’29, 12. - e Corte penale internazionale, 116117. - American Service Members’ Pro tection Act 2002, 262. - egemonia giuridica, 51-60, 66-67, 71- formazione del giurista, 67. - straniero, come obiettivo della po litica estera, 55-57. - Obama B. H., 59, 265, 298. - pena di morte, 131, 297. - politica estera degli: - e Costituzioni, 56-58, 61, 63, 185, 201, 209. - e democrazia, 55-62. - e diritti umani, 50, 53, 55-58. - e rule of law, 50, 53, 57-58, 61-62. - ‘responsible manufacturer’, 252. - Rumsfeld D., 270. - social activists, 53. - Securities and Exchange Commission (SEC), vedi Securities and Exchange Commission. - spettacolarità del diritto, 273. - third strike rule, 131. - tortura, vedi Tortura. - United States Aid for International Development (USAID), 55-56, 230, 266. - US-Asia Law Institute, 55. - US Export-Import Bank, 168.
Indice analitico Vermeule A,, 155, 284. Vietnam, 64. waqf, 33. Washington consensus, 162. World Bank (WB), 73, no. - Comprehensive Development Frame work, 62, 3ir-r2. - Doing Business, 65-66, 229, 234-35. - e rule of law, 63-66. - Governance Indicators, 64, 234. - International Finance Corporation, 233- Investment Climate Surveys, 234. - Poverty Reduction Strategy Papers, 62. - riforma della, 65, 258-59. World Trade Organization (WTO), 73, 97, 99-112, T78, 238. - Agreement on Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights (TRIPs), 251. - clausola sociale, 251-52. - dumping sociale, 99-102, 104. - Core Labour Standards, 100, 253. - Enabling Clause, 252. - enforcement delle regole, 104-9. - Dispute Settlement Body (DSB), 105-8. - casi pendenti, 255. - cotone americano, 255. - e accesso alla giustizia, ro5-6, 109. - farmaci anti-retrovirali, 256. - frutta moldava, 256. - latte di cammello, 256. - retaliatory measures, 106-8, 255. - Dispute Settlement Understanding (DSU), 105-8. - e paesi ‘in via di sviluppo’, 99-109, 251-59. - e Unione Europea, 1 io. - General Agreement on Tariffs and Trade (GATT), 100, 252. - Government Procurement Agree ment (GPA), 102-4; anche Au stralia, Canada, Malesia, Sudafrica.
Yemen, 162.
Zambia, 30. Zardad F. S., 126.
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Ringraziamenti particolari. Di debiti intellettuali credo si viva, ed è certamente il mio caso. Inin terrotta sarebbe perciò la lista di creditori cui questo libro deve qualcosa. Mi limito allora a ringraziare qui due persone, meno attrezzate a pensar si come indispensabili, ma senza le quali le pagine che precedono sareb bero state assai diverse. Grazie alla eterea, eppure contagiosa allegria di colei alla quale il li bro è dedicato. Grazie all’irresistibile tenerezza di Niccolò, che nei giorni piu tortuo si della riflessione ha saputo rincuorarmi, trasmettendomi la persuasione sua che «se quancuno leggerà il libro, di sicuro non gomiterà» (enfasi nel l’originale).