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Italian Pages 223 [219] Year 2009
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Madre Agnès-Mariam de la Croix
ICONE ARABE Fotografi.e di F rançois-Xavier Émery
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Titolo originale Icones arabes mystères d'Orient Traduzione dal francese Albina e Anna Regalzi © 2006 Éditions Grégoriennes © 2009 Editoriale J aca Book spa per l'edizione italiana Prima edizione italiana settembre 2009 Fotografie di François-Xavier Émery eccetto p . 153 e p . 155 (La Maison d'Antioche, Libano) In copertina: Mikhail al-Dimashqi, Sant'Elia e vita, tempera su legno, 52,6 x 42 ,9 cm, 1734, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria). Retro: Anonimo, I santi Sergio e Bacco, tempera su legno, 64 x 79,7 cm, XIII secolo, Chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, Maalula (Siria) .
Ouvrage publié avec le concours du Ministère français chargé de la Culture - Centre National du Livre Opera pubblicata con il contributo del Ministero della Cultura francese - Centre National du Livre
Impaginazione e redazione Jo type di Nisticò Francesco snc, Pero (Milano) Stampa e confezione Grafiche Flaminia, Foligno (Perugia) agosto 2009
ISBN 978-88-16-60416-2
Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale J aca Book spa - Servizio Lettori, Via Prua 11 , 20146 Milano - tel. 02/ 48561520-29, fax 02/ 48193361 e-mail: [email protected]; internet: www.jacabook.it
Indice
• Prefazione Introduzione LE ICO E ARABE E IL LORO AMBIENTE CULTURALE Itinerario dell'arte cristiana primitiva Fondamenti tradizionali dell 'iconografia La tradizione del Mandylion Il passaggio alla frontalità La tradizione dell'icona dipinta dal santo apostolo Luca L' iconoclasmo Per una visione purificata Liconografia cristiana in terra d'islam L'arte arabo-cristiana, gemma del Rinascimento arabo Le icone arabe, peculiarità di un mondo nuovo . ote TESTIMONIANZE PRIMITIVE Icona bilaterale. Lato anteriore: Madre di Dio Hodegetria, detta «di Kaftoun» Lato posteriore: Battesimo di Cristo I santi Sergio e Bacco Koimesis Panagia ergine della Passione
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LA SCUOLA i1ALEPPO Yusuf al-Musawwir ehmet Allah o Nehmet al-Musawwir Hanania al-Musawwir Girgis al-Musawwir Altri artisti della scuola di Aleppo
29 30 30 31 31 31
an Michele arcangelo anti Pietro e Paolo Ascensione Inno A kathistos an Simeone il Giovane Madre di Dio e due santi guerrieri Deesis Cristo Re dei re
33 33 34 37 39 40 40 41
Madre di Dio Hodegetria I santi stiliti: Simeone il Vecchio e Simeone il Giovane San Giorgio e Passione Santi quaranta martiri di Sebaste Santa Maria Egiziaca Santa Giulitta e san Quirico San Giorgio Trittico (Hodegetrza e santi) Madre di Dio, Eleousa della Passione Icona quadripartita Icona in nove parti Battesimo di san Paolo Koimesis Pantokrator e sinassi dei santi angeli Madre di Dio della Rosa immarcescibile Presentazione di Maria al Tempio Annunciazione Domenica dell'ortodossia Madre di Dio, Albero di lesse Pantokrator Hodegetrza Pantanassa San Giuseppe Sacra Cena Sant'Elia Immacolata Concezione San Giacomo il Mutilato Hypapante San Giovanni Battista Sant'Elia e vita Vergine allattante, o Galaktotrophousa Sant' Antonio il Grande San Michele Psicopompo Battesimo di Cristo Pantokrator Hodegetria Santa Lucia Madre di Dio e dodici scene Calvario San Gregorio il Teologo San Basilio Santa Barbara
41 42 44 46 48 50 52 54 57 58 60 62 64 66 66 67 68 70 72 74 74 75 76 78 80 82 84 86 88 90 92 93 94 95 95 96 99 100 102 102 103 I NDICE
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San Mosè l'Etiope San Giuseppe e il Bambino Gesù Mandylion Il profeta Elia uccide i profeti di Baal Akra Tapeinosis Pantokrator Madre di Dio, Rosa immarcescibile Palme
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MAESTRI DEL XVIII SECOLO Natività di Maria San Basilio Pannello tripartito San Michele arcangelo Psicopompo Santi Pietro e Paolo San Giorgio Fuga in Egitto Crocifissione Vergine della Passione Sant'Elia e vita San Nicola in trono San Teodoro San Gabriele arcangelo Pantokrator Crocifissione San Spiridione Ascensione Santi Cosma e Damiano Sacrificio di Abramo San Basilio San Giuseppe col Bambino Gesù Santi Giacomo e Tecla Ultima Cena e Crocifissione Pantokrator e scene della Passione Vergine della Rosa e Inno Akathistos Sacrificio di Abramo
113 115 116 118 119 119 120 122 124 126 128 130 132 134 136 138 140 142 144 146 148 149 149 150 152 154 156
MIKHAIL POLYCHRONIS E LA SUA SCUOLA San Giovanni Climaco Santi Sergio e Bacco Vita sancti Antonii Esaltazione della Santa Croce Fonte di vita Pantokrator
159 161 162 164 166 168 170
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I NDICE
Madre di Dio Santa Tecla San Giovanni Damasceno e santa Barbara Madre di Dio e profeti Presentazione della Vergine
170 171 171 172 174
LA SCUOLA DI GERUSALEMME Topografia della Palestina Vergine Glykophilousa Sant'Elia e i profeti di Baal Eleousa con la Rosa e Akedah Threnos Dodekaorton Madre di Dio, Fonte di vita e santi Trasfigurazione Dubbio di Tommaso Deesis e santi San Demetrio Sant' Anna e santi I quaranta martiri di Sebaste Circoncisione Philoxenia e Akedah
177 178 180 182 184 186 188 190 192 194 196 198 200 202 204 206
ULTIMI PITTORI DEL XIX SECOLO Madre di Dio Kardiotissa San Michele arcangelo San Nicola in trono Dormizione Sant'Elia San Spiridione Fuga in Egitto Sinassi dei tre angeli Sacra Cena
209 210 211 211 212 212 213 213 214 214
Note
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Glossario
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Elenco dei pittori arabo-cristiani
221
Bibliografia
222
Ringraziamenti
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Prefazione
Gli anni tra il 2002 e il 2004 rappresentarono un periodo fasto per le icone melchite, anche dette arabo-cristiane o più semplicemente arabe. Nell'ottobre 2002 al _luseo delle Icone di Francoforte si inaugurò la mostra Lo splendore dell'Oriente cristiano, che ebbe un grande uccesso. Nel maggio 2003 le stesse icone, assieme a oggetti liturgici e a una trentina di manoscritti arabi, siriaci e karshuni, furono esibite nelle prestigiose sale dell'Istituto del Mondo Arabo a Parigi, in una mostra dal titolo Icone arabe, arte cristiana del Levante. Nell'ottobre 2004 un numero ridotto di queste stesse icone, ma integrato da altre creazioni dello stesso stile e da opere copte, era oggetto di una nuova esposizione dal titolo Dalle mani della vostra serva presso il museo di Francoforte, in occasione della Fiera Internazionale del Libro dedicata alla civiltà araba. Le icone arabe oggi affascinano per l'indiscutibile valore estetico, ma bisogna riconoscere che gli eventi che dall' ll settembre 2001 scuotono il globo gettano una luce particolare su tali opere. Depositarie di una suggetiva simbiosi di culture che trovano in Medio Oriente il loro punto di incontro, esse sono diventate messaggere di dialogo, pace e apertura verso l'altro. Le proposte di organizzare esposizioni di queste icone in numerose città, così come l'interesse manifestato
per il genere, ci hanno spinto a realizzare quest'opera, che si propone di riunire gli aspetti più significativi dello stile, tenuto conto delle possibilità a nostra disposizione. Presentiamo le opere di ventitré pittori arabo-cristiani, ai quali si aggiunge una decina di anonimi. Quest'opera è organizzata in base alle tappe storiche e alle scuole stilistiche. Ciascun capitolo è preceduto da una nota introduttiva sul contenuto, lo stile e la tecnica della scuola o del pittore. Oltre al piacere estetico e ali' apporto di conoscenza che si ricaverà da questo percorso, non bisogna tralasciare il beneficio fondamentale che se ne trarrà: palesare allo sguardo ciò che, nella comune eredità del passato, rappresenta oggi un messaggio per il futuro: ovvero come le culture si fecondino reciprocamente, selezionando il meglio di sé senza mai rinnegare se stesse o annullarsi l'una nell'altra, ma contribuendo, al contrario, ali' arricchimento reciproco. Si entrerà insomma, esteticamente e intellettualmente, in un mondo sconosciuto in cui non esiste alcuna barriera nell'insondabile profondità culturale, ma piuttosto un'apertura alle dimensioni del tempo, dello spazio e addirittura dell'eternità, poiché si tratta, per l'arte sacra, di mostrare l'invisibile nel suo mistero di prossimità.
P REFAZIONE
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Introduzione
LE ICONE ARABE E IL LORO AMBIENTE CULTURALE
Per l'arte sacra esiste un Oriente 1 che, come un sole che nasce, ha rifulso per divenire la sorgente di un irradiamento spazio-temporale. Questo Oriente matriciale è alla congiunzione di una moltitudine di culture. È sorto grazie a una straordinaria interazione e si è sviluppato secondo una dinamica feconda, senza mai rinnegare il mistero delle sue origini: prima un incontro dell'uomo con Dio, poi un incontro tra civiltà. Al di là delle catastrofi. della storia, al di là dei loro conflitti politici o religiosi, gli uomini si sono espressi in un linguaggio comune dando forma a una bellezza incomparabile. La ricerca di Dio da parte dell'uomo delimitò un'area identitaria universale, autentico crogiolo di civiltà e culla delle grandi religioni monoteiste. Quest'area è conosciuta con il suggestivo nome di Mezzaluna fertile. I suoi confini vanno dalle sponde del Mediterraneo alla Persia, dal delta del Nilo alla Mesopotamia passando per il Sinai, Palmira e Dura Europos. È qui che è nata l'arte figurativa monoteista. L'incarnazione divina proclamata dalla fede cristiana ha dato qui origine a un'arte nuova, che si è propagata e ha interagito ben al di là dell'area geografica originaria2 • Ripercorrere l'itinerario di quest'arte significa risalire alle origini stesse dell'espressione iconografi.ca, ritrovare schemi e simboli che fanno ormai parte dell'universale.
Itinerario dell'arte cristiana primitiva È in Oriente che nasce l'icona3 , là dove nasce la luce. Il suo percorso è quello della Rivelazione giudaico-cristiana, che afferma che Dio è Luce ed è stato visto in mezzo agli uomini. Le sue terre d'origine, che hanno visto gli 8 I NTRODUZIONE
esordi della rappresentazione sacra frontale , appartengono tutte alla Mezzaluna fertile. Preceduta da pitture murali e mosaici, l'icona cristiana è stata prefigurata dalla misteriosa Donna alla finestra mesopotamica4 , rivolta verso lo spettatore in assoluta frontalità, dalle nicchie delle divinità sasanidi o palmirene, dalle maschere funerarie delle mummie egizie. Il giudeo-cristianesimo ha attinto senza timore dalle civiltà vicine, arricchendole della propria visione del sacro. L'origine di certi simboli o di certe composizioni è dovuta dunque all'influenza dei popoli vicini. A tal proposito, le cristianità di ceppo aramaico, siano esse giudeo-cristiane o siriache, sono di importanza capitale nella genesi dell'arte figurativa sacra5 . Le fonti di ispirazione dell'arte iconografica sono numerose. Possono essere ridotte a cinque: l'influet).za giudaica con gli schemi dell'Antico Testamento; l'influenza egizia, religione essenzialmente funeraria che ispirerà il ciclo escatologico; l'Assiria darà impulso alla cosmologia e all'angelologia; la Persia sasanide ispirerà i cicli teofanici così come l'angelologia e la demonologia; infine, vi è l'influenza greco-romana con i suoi simboli o le sue feste6. Le prime rappresentazioni cristiane, che risalgono alle persecuzioni (n-rn secolo), ci colpiscono per l'unzione celeste che le pervade: le figure del Buon Pastore, della Madre di Dio, del Banchetto mistico o dell'orante mescolano in una prima sintesi elementi dell'antichità greco-romana a una nuova visione della vita, della morte e della religione. Bisognerà attendere l'editto di Milano (313) con la libertà di culto concessa dall'imperatore Costantino perché la Chiesa e, con essa, l'arte figurativa sacra si manifestino alla luce del sole.
G razie alla munificenza dell'imperatore e di sua madre sant'Elena, si edificano basiliche a Roma, in Palerina e in tutta la cristianità. Mosaici sfavillanti ornao l'interno dei monumenti sacri; illustrano i grandi cicli storici degli avvenimenti dell'Antico e del Nuovo Te tamento. Eteria scriverà nel suo Diario di viaggio: «E che dire della decorazione degli edifici che Costantino, otto la guida di sua madre, impiegando tutte le risorse del suo Impero, ha ornato d'oro, di mosaici, di marmi preziosi ... »7 • Q uest'arte «regale» rivelò una sorprendente maturità. È in quest'epoca che viene instaurata la maggior parte delle principali feste del calendario liturgico con le composizioni iconografiche che ad esse corrispondono . Nel VI secolo la loro serie è completa, poiché le i trova sulle ampolle di Monza e di Bobbio . Ornate di scene evangeliche, queste servivano a trasportare 1 olio benedetto dei santuari palestinesi. Qualcuna fu donata a Teodolinda, regina dei Longobardi (t 625 ), e costituisce per noi un documento prezioso. Alcuni mdiosi sono oggi concordi nel riconoscere che le composizioni che vi sono incise riproducono i mosaici delle chiese palestinesi edificate da Costantino e dalla madre Elena. on ci si limitò, infatti, a contemplare i magnifici moaici nelle basiliche e nelle chiese, si cercò di venerarli nello spazio domestico. È così che l'icona portatile è sopraggiunta a esaudire il desiderio dell'uomo di portare e custodire nella propria casa la rappresentazione del divino, alla maniera degli altari domestici eretti in onore dell'imperatore negli ultimi anni di Roma. Le diverse scuole iconografiche si svilupparono in base alla diffusione del Vangelo nelle differenti culture, ma anche conformemente alle vicende storiche.
Fondamenti tradizionali dell'iconografia
L arte sacra monoteista trova nel cristianesimo l'humus che la farà fruttificare coi giustificativi necessari alla sua e istenza. Se nell'Antico Testamento ogni raffigurazione era proibita, la realtà dell'Incarnazione divina rese l'espressione iconografica non solo legittima, ma necessaria in quanto voluta da Dio. Q uando l'iconografo si propone di dipingere un'icona, è consuetudine che reciti una preghiera8 o rievochi due avvenimenti cruciali riferiti dalla tradizione, che hanno il valore di elementi fondanti dell'iconografia cristiana: la storia della prima icona di Cristo «non fatta da mano
umana» - il Mandylion - e di quella della Madre di Dio, dipinta dall'apostolo Luca. La tradizione del Mandylion Fin dal IV secolo, è attestata una tradizione9 secondo la quale Abgar Ukhomo 10 , re di Edessa 11 , inviò una delegazione al Cristo chiedendogli di recarsi nel suo regno. Il Messia avrebbe scritto personalmente ad Abgar. A questo nucleo originario, si aggiunse poco più tardi un'altra fonte che san Giovanni Damasceno, tra molti altri, considera attendibile e secondo la quale Abgar, colpito dalla lebbra, domandava a Cristo di venire a Edessa per guarirlo. Il Signore, non potendo lasciare la Terra Santa, prese un panno (mandylion) e se lo applicò sul volto, che vi lasciò la sua impronta. L'immagine di Cristo, portata dagli emissari o dall'apostolo Taddeo, guarì il re non appena questi se la applicò sulla pelle. Una bellissima icona del monte Sinai rappresenta la scena: il re Abgar assiso sul trono, sfigurato dalla lebbra, reca il Mandylio n sul quale è impresso il volto di Cristo. È vano tentare di circoscrivere la veridicità «storica» di questa tradizione: ciò che trasmette è un messaggio spirituale. Il re Abgar rappresenta un lebbroso guarito dalla prima icona. La lebbra simboleggia l'immagine di Dio nell'uomo sfigurata dal peccato. Essa sarà restituita alla sua integrità grazie all'immagine del volto di Cristo. La tradizione del Mandylio n fonda l'iconografia cristiana facendone un'istituzione di diritto divino. La prima immagine di Cristo sarebbe divina, ed è per questo che la si definisce «non fatta da mano umana» 12 • Se Dio, nell'Antico Testamento, invitava Mosè a contemplare il modello apparso in cielo per farne la copia 13 , ecco che il modello iconografico per eccellenza, il Mandylion del volto di Cristo, è donato al mondo affinché gli uomini lo riproducano senza timore. Il passaggio alla frontalità La tradizione del Mandylion ha avuto origine negli ambienti siro-mesopotamici. Il volto di Cristo, così come lo vediamo sul Mandylion, somiglia sorprendentemente a quelle figure frontali di re sasanidi (224-651 ), rappresentati senza collo, con una barba appuntita. L'arte sasanide, che è frutto di un grande amalgama di civiltà in Mesopotamia, opta per la frontalità, che verrà adottata dall'arte cristiana. I NTRODUZIONE
9
Egizi e assiro-babilonesi rappresentavano i loro soggetti di profilo. I Sasanidi fecero questo passo decisivo, seguiti in ciò dagli Egizi (ritratti funerari a encausto) e dai palmireni (bassorilievi funerari). Notiamo che questi temi iconografi.ci sono connessi con l'aldilà. Questo passaggio alla frontalità 14 è fondamentale. Essa introduce la nozione della presenza divina di fronte all'umano. L'arte cessa di essere episodica per divenire epifani ca. L'icona porterà al grado più elevato questa personalizzazione del divino. Non si tratterà più di rappresentare la storia o l'epopea mitica del re-eroe o del dio, ma di rivelare un mistero, di costituire una teofania. La frontalità adottata dall'iconografia cristiana cerca di rendere manifesta la presenza divina divenuta visibile agli occhi degli uomini 15, proclama la vicinanza di Dio che dialoga con essi.
La tradizione dell'icona dipinta dal santo apostolo Luca
•
Per la seconda tradizione fondatrice dell'iconografia cristiana l'evangelista san Luca, originario di Antiochia, sarebbe il primo iconografo. Egli avrebbe ritratto la Madre di Dio da viva. Nel XIV secolo, Niceforo Callisto attesta una tradizione, basata sulla testimonianza di Teodoro il Lettore (vI-VII secolo), secondo la quale l'imperatrice Eudossia inviò a Pulcheria un ritratto della Madre di Dio dipinto da san Luca. Quest'ultima lo avrebbe posto nella chiesa detta «delle Guide» (o Hodegon, da cui l'appellativo Hodegetria). Anche l'icona della Madre di Dio dipinta dal santo apostolo Luca è designata come «non fatta da mano umana». Essa costituisce l'origine apostolica dell'icona. Se il Mandylion è l'icona per eccellenza, quella della Madre di Dio riassume l'Economia della Salvezza. Infatti, la Vergine che tiene tra le braccia il BambinoDio è la proclamazione eloquente del mistero dell'Incarnazione. Forte di un 'ascendenza divina e apostolica, l'iconografia cristiana si dispiegherà con vigore, trovando nel culto il suo elemento naturale. L'icona si inserirà nella dinamica interna della liturgia che innalza al cielo la nostra realtà terrena e ci fa entrare nell'eterno presente di Dio. Tuttavia, i fondamenti teologici dell'arte sacra verranno definitivamente fissati solo dai successivi processi di purificazione dovuti all'iconoclasmo. 10
I NTRODUZIONE
I..}iconoclasmo Per una visione purificata La tendenza a ripudiare il figurativo è sempre esistita in Oriente; essa rappresenta un passo avanti nell'utopica aspirazione di esprimere l'ineffabile Invisibile. L'iconoclasmo risalirebbe al faraone Akhenaton (13721354 a.C.) 16 . Questo faraone, che viene considerato il padre del monoteismo, ha proclamato il Sole, Aton, sola e unica divinità, e ha ordinato di chiudere i templi delle altre divinità e di distruggerne le statue. L'unico tratto umano conservato da Aton è espresso dalle mani, che si trovano ali' estremità dei raggi del sole. Strabone (morto intorno al 20 d.C.) ritiene che gli Ebrei siano originari dell'Egitto. Freud ipotizza che Mosè appartenesse alla famiglia di Akhenaton e che abbia lasciato l'Egitto alla morte di quest'ultimo per fondare il suo monoteismo in Palestina. Ciò potrebbe spiegare l'atteggiamento della Bibbia nei confronti dell'arte fìgurativa 17 ? Fin dall'inizio esiste un'eccezione: la tenda della testimonianza include due cherubini dal volto umano, modellati a tutto tondo in oro puro18. Questi due cherubini dispiegano le loro ali al di sopra del propiziatorio. Lo spazio compreso tra di esse è proprio il luogo in cui si manifesta il Dio d'Israele19. Nel Tempio di Salomone ritroviamo la figura dei cherubini dal volto umano lungo le pareti e sui battenti delle porte20 , oltre che sul propiziatorio. Come si spiega, nonostante la proibizione aniconica, la presenza di immagini nel culto della prima Alleanza2 1? Si tratta di una pedagogia divina relativa tanto all'immagine che alla visione. Per quanto riguarda l'immagine, l'icona raggiunge l'identità più profonda dell'uomo che, secondo la rivelazione biblica, è creato a immagine di Dio. L'ambiguità dell'immagine è legata alla caduta22 , che spezza la relazione esistenziale tra l'uomo-immagine-di-Dio e Dioarchetipo-dell'uomo, impedendo all'uomo di trascendere il suo essere-immagine per risalire al proprio archetipo. Ora, fermarsi all'immagine e dimenticare l'archetipo è idolatrico. Da ciò il pericolo connesso all'immagine. Per quanto riguarda la visione, i cherubini sono per l'appunto gli angeli della visione: «Tutto il loro corpo, il dorso, le mani, le ali e le ruote erano pieni di occhi tutt'intornm>23. Per vedere l'ineffabile, bisogna essere totalmente ricettivi alla visione: avere gli occhi del cuore aperti dalla fede. Senza questi occhi, che i Padri chiamano «l'occhio della colomba», lo sguardo gettato sull'immagine non può divenire visione di Dio. La porta
del paradiso è sorvegliata dal cherubino con la spada fìammeggiante24 : incaricato di ricordare all'uomo la sua origine, non gli permette di ritornare in paradiso se non quando sarà ricostituita in lui l'immagine di Dio25 , senza la quale la sua relazione col divino sarebbe idolatrica. L'Oriente, che aveva visto l'arte cristiana primitiva prendere corpo, fu il protagonista della sua purificaz10ne. La prima crisi iconoclasta26 del cristianesimo risale al II secolo d.C. e riguarda il mistero della Croce. I doceti e gli aftartodoceti rifiutavano di mostrare Cristo sulla croce27. Si diceva che un bagliore fosse sopraggiunto a naconderlo e che nessuno lo avesse visto crocifisso. Fino al IV secolo dunque, si avranno pochissime rappresentazioni di Cristo in croce. La croce era rappresentata spoglia, ornata di motivi geometrici o floreali. Questa eresia è passata nell'islam, che non ammette la crocifissione. La crisi iconoclasta più significativa durò quasi centoventi anni (726-842 ). Gli iconoclasti (distruttori di immagini) e gli iconoduli (difensori di immagini) si abbandonarono a una guerra spietata. L'icona uscì trionfante da questa lotta, con una salda argomentazione teologica grazie a grandi dottori come Giovanni Damasceno, Teodoro Abu Qurra - entrambi di cultura arabo-cristiana - Teodoro Studita e Massimo il Confessore, di cultura greca. Questi teologi orientali28 dell'icona affermano con chiarezza: Dio, che nessuno ha visto e che era vietato rappresentare nell'Antico Testamento per non cadere in chemi idolatrici, è divenuto visibile. Poiché Dio è stato visto da occhi umani, è ormai possibile rappresentarlo. L'icona diviene il mezzo adeguato per esprimere la più grande manifestazione di Dio nella storia: l'Incarnazione29, che dà un volto alla parola di Dio, in comunicazione con l'uomo dall'inizio dei tempi. L'icona è il frutto di questa visione di Dio e la esprime. Illustra ciò che la Chiesa custodisce in prezioso deposito come memoria della fede. La rivelazione giunge agli uomini attraverso una trasmissione, una traditio ininterrotta da Cristo agli apostoli e da questi ai loro successori fino ai giorni nostri. Esiste una trasmissione della fede come dogma e una trasmissione della fede come visione. Dunque, il ministero dell'iconografo è apostolico e l'iconografia aera è una trasmissione della visione della fede 30 : rivelazione del Volto , prorompere di un 'Epifania, sfavillio di un'Apparizione, Teofania per mezzo delle linee e dei colori dell'espressione umana. Fino alla fine dei tempi, l'uomo desidererà volgersi all'icona per contemplare la gloria del Dio vivente cui
segretamente aspira: condividerà la visione di coloro che ebbero il privilegio di essere contemporanei di Cristo e che annunciarono all'umanità ciò che i loro occhi videro, che le loro orecchie udirono e che le loro mani toccarono del Verbo della vita31 .
J;iconografia cristiana in terra d'islam
La crisi iconoclasta è contemporanea, decennio più, decennio meno, alla conquista arabo-musulmana. Lo stato delle ricerche non consente di stabilire se l'islam abbia influenzato questa crisi o se essa sia stata originata da correnti eterodosse, proprie di un giudeo-cristianesimo tardivo che avrebbe esso stesso influenzato l'islam in senso iconofobo32 . Fatto sta che l'islam non ha impedito il trionfo dell'ortodossia. Le rare icone o rappresentazioni pittoriche scampate al massacro iconoclasta sono conservate per lo più nel monastero di S. Caterina del Sinai e furono risparmiate perché si trovavano in terra d'islam, al di fuori della giurisdizione del basileus bizantino. Per di più, le prime dinastie regnanti musulmane sono state favorevoli alle rappresentazioni antropomorfe al di fuori dei luoghi di culto. Possiamo tuttora contemplare i begli affreschi dei palazzi omayyadi del deserto. Non si narra che Maometto, al momento di eliminare ogni traccia di politeismo dalla Mecca, impedì ai suoi discepoli di cancellare l'icona di Cristo e quella della Vergine, dipinte ciascuna su un pilastro del santuario33 ? È così che i cristiani del Dar al-islam (letteralmente «casa spaziosa dell'islam», a indicare il mondo musulmano) hanno sempre dipinto e venerato icone. Nel trattato apologetico Disputa contro gli arabi di Abraham di Bet Hale, risalente all'vm secolo, il monaco siriaco parla in questo modo delle icone: «Noi ci prosterniamo e onoriamo la sua immagine perché Egli l'ha impressa col suo Volto (parsopa) e ce ne ha fatto dono. Ogni volta che guardiamo la sua immagine lo vediamo. Onoriamo l'immagine del Re per riguardo al Re»34 . Esistono molte testimonianze dell'attività iconografica dei cristiani sotto il dominio musulmano. Una fioritura artistica dovuta al periodo di tregua risultante dalla vittoria momentanea dei crociati ebbe senza dubbio luogo, ma l'attività iconografica continuò dopo il ripiegamento delle armate occidentali. Indubbiamente, malgrado le severe misure prese nei confronti dei cristiani da parte dei Fatimidi, poi degli Ayyubidi e soprattutto dei Mamelucchi, che li consideravano assoggettati all'Occidente, i cristiani hanno continuato alla meno I NTRODUZIONE
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peggio a esercitare la propria arte e a rappresentare i propri misteri. Citiamo alcune creazioni significative di quest'epoca buia della presenza cristiana in Medio Oriente, chiamata in arabo Asr al-Inhitat: l'affresco siromaronita su tela di Nostra Signora di Ilige risalente al x secolo; il manoscritto arabo-cristiano del XII secolo detto di Josaphat e Barlaam, del monastero di Balamand; i pannelli di cedro della chiesa al-Mu'allaqa al Cairo, con sei magnifiche scene del Dodekaorton (le dodici feste dell'anno liturgico) scolpite in gesso, risalenti al 1300; i manoscritti miniati siriaci del Tur 'Abdin, datati tra l'XI e il XIII secolo; i manoscritti miniati copti del XIII e XIV secolo; infine, la caraffa siriana con scene monastiche della Furussiya Art Foundation della metà del XIII secolo. Anche nel Qalamun siriano sono presenti affreschi prestigiosi datati tra il x e il XIV secolo: nel monastero di Mar Musa al-Habashi a Nabk, nel monastero di Mar Ya' qub a Qara, a Saydnaya nella chiesa dei Concili, a Maaret Saydnaya nella cripta di S. Elia, a Homs nella chiesa di Mar Elian. Ricordiamo anche il Batrashil di Hama, datato 1534-1535, con il ricamo di dieci feste del Dodekaorton. Infine, abbiamo appena scoperto un'icona bizantino-maronita, datata 1513, appartenente alla residenza patriarcale di Diman in Libano. Queste e altre opere hanno dovuto tuttavia affrontare i maltrattamenti degli uomini e del tempo. Molte sono andate distrutte o sono state gravemente danneggiate. Forte di queste premesse, l'arte arabo-cristiana si è sviluppata, una volta divenute più favorevoli le circostanze politiche.
L'arte arabo-cristiana, gemma del Rinascimento arabo Perché designare certe icone come arabe, e melchita o «arabo-cristiana» l'arte da cui discendono? Il termine melchita deriva dal siriaco melkoye. L' appellativo per designare gli «agenti» del sovrano bizantino occupante era melkoyo. Vengono designati in tal modo i fedeli durante il Concilio di Calcedonia (481) , in particolare quelli del patriarcato di Antiochia che nel XVIII secolo si sono ricongiunti a Roma. Ricorrendo a questo termine, le opere esposte al museo Sursock nel 1968 sono state distinte da quelle bizantine. Sulle icone arabo-cristiane, l'epiteto melchita viene apposto riferendosi a quei monaci venuti dal monastero ortodosso di Nostra Signora di Balamand, a Khonchara, per fondare l'Ordine Basiliano, legato a una parte della 12
I NTRODUZIONE
Chiesa greco-ortodossa di Antiochia che appunto, nel 1724, si era ricongiunta a Roma sotto il titolo di Chiesa greco-melchita cattolica. Notiamo che la famiglia dei Musawwir, pioniera dell'iconografia moderna, accompagna la Chiesa-madre e dipinge tanto per gli ortodossi come per i cattolici. Il termine arabo è contemporaneo. È riferito a identità diverse che coincidono, si completano ma possono scontrarsi. Può appartenere tanto a ideologie geopolitiche che ad aspirazioni di specificità culturale. Pur avendo una connotazione religiosa, dovuta al fatto che l'islam è la religione degli Arabi per antonomasia 35 , il termine arabo non si identifica con musulmano. La coscienza contemporanea di un'appartenenza «araba» deriva da un risveglio e da una lotta socio-culturale e politica che ha assunto storicamente il nome di Nahda o Rinascimento arabo, dove arabo designa non l'etnia ma la cultura che fu portafiaccola di questi sussulti contro l'egemonia ottomana. Più tardi, l'arabismo si ergerà contro l'imperialismo occidentale. L'arte dei cristiani arabofoni si sviluppa nel momento in cui l'Impero ottomano apre le sue porte all'Occidente. Essa è frutto di una simbiosi tra culture diverse. Se, dopo il VII secolo, l'arte bizantina si era impregnata di arte orientale36, dal 1210 si apre all'influenza occidentale per il tramite delle banche veneziane stabilitesi nel Mediterraneo. Alla caduta di Costantinopoli, nel 1453, gli iconografi bizantini si erano già rifugiati principalmente sull'isola di Creta37 , che divenne il crocevia dell'arte postbizantina, fino alla sua conquista da parte degli Ottomani (1645-1669). Fin dal loro accesso al potere, gli Ottomani legiferarono sullo statuto religioso delle diverse comunità cristiane, riconosciute nel XIX secolo sotto la definizione di millet. Il sultano accrebbe il potere del patriarcato di Costantinopoli avocando a sé certe prerogative del basileus bizantino. Bisognerà tuttavia attendere il XVI secolo perché si allenti la morsa politica che ostacolava i cristiani d'Oriente. Dal 1683 comincia il declino militare ottomano. Indebolita dalle sconfitte inflitte dalla coalizione cristiana della Santa Alleanza, la Sublime Porta si apre agli Europei, che convocano nelle grandi metropoli consoli e agenti commerciali, seguiti dagli ordini religiosi latini. Terza città dell'Impero ottomano38 , Aleppo sarà il luogo privilegiato di questo incontro tra Oriente e Occidente. Nel 1548 vi si apre il consolato di Venezia, che permette l'arrivo dei francescani nel 1571. Nel 1562 l'inaugurazione del consolato di Francia coincide con
1 avvento dei cappuccini. I carmelitani sono presenti dal 1623, i gesuiti dal 1625. I lazzaristi si insediano ad Aleppo nel 1773. Le missioni anglicane avranno inizio nel 1583 con l'apertura del consolato d'Inghilterra. L'Olanda nomina un console nel 1613. I missionari fonderanno conventi e scuole. Diffonderanno la spiritualità occidentale per mezzo della traduzione in arabo degli autori spirituali e predicheranno con successo l'adesione al cattolicesimo e al papato. Una parte dei melchiti del patriarcato di Antiochia si unì a Roma nel 1724, seguita da alcuni giacobiti e Armeni. Si assiste in questo momento all'emergere di una vata corrente culturale e religiosa che trae vantaggio dalla nuova situazione politica e dallo sviluppo commerciale di Aleppo, dovuti alla sua posizione privilegiata sulla via della seta e delle spezie. Ciò che più tardi verrà chiamato Rinascimento arabo sarà portato al suo massimo sviluppo da personalità appartenenti alle diverse comunità cristiane e musulmane. La fondazione a Roma, nel 1584, del Collegio maronita aveva favorito la formazione di élite cattoliche provenienti dal Libano, dalla Siria e da Cipro. L'assunzione del monastero millenario di S. Saba da parte dei cristiani di Istanbul galvanizzerà la gioventù aleppina ortodossa, che qui verrà ad attingere alle fonti della spiritualità orientale. Così Meletios Karma (1572-1635), futuro vescovo di Aleppo, poi patriarca con il nome di Euthymios II. Questi si impegnò nella traduzione della Bibbia dal greco all'arabo e modernizzò i libri liturgici. Il suo amico Mikhail al-Bagha (1610-1710), proprio come il maronita Abul Mawahib Ya'qub Ibn Nehmetallah al-Dibsi (morto nel 1692), insegna l'arabo ai missionari stranieri così come agli autoctoni. Tra gli intellettuali ricordiamo: Mikhail Bajaa (1610-1705 ); Abdallah Zakher (16801748), fondatore della prima tipografia araba; Maximos Hakim; Nicolas Sayegh (1692 -1756); Meguerdich alKassih; Nehmet, figlio del prete Turna, e Germanos Farhat (1670-1732). La Nahda prenderà corpo attorno a quest'ultimo, divenuto vescovo maronita di Aleppo. Cinque ordini religiosi orientali furono fondati ad Aleppo sulla scia di questo Rinascimento. Un altro monaco di S. Saba, Meletios di Chio, pittore, successe a Meletios Karma sul seggio patriarcale col nome di Euthymios III, dal 1635 al 1647. Sembra sia stato questi a iniziare alcuni giovani ecclesiastici di Aleppo all'arte iconografica. Tra di essi c'era Yusuf alusawwir, capostipite della dinastia dei Musawwirun aleppini.
Le icone arabe, peculiarità di un mondo nuovo
L'arte sacra ebbe un ruolo nel movimento culturale della Nahda. Aperti all'influenza delle isole greche e dei Balcani, iconografi e copisti vengono incoraggiati dagli eruditi e mecenati locali. Lavorano sia per gli ortodossi sia per i cattolici. Facendo la sua comparsa ad Aleppo nel XVI secolo, l'icona araba appare quale emanazione dell'arte postbizantina. Ma un'analisi approfondita dello stile e della tecnica rivela che essa porta con sé uno straordinario amalgama di culture. Le icone presentate in queste pagine recano reminiscenze delle miniature siriache o armene, delle prosopografie vicine all'arte selgiuchide o mongola, delle influenze del Trecento. Sapendo essere fedele ai temi e alla tecnica tradizionali bizantini o siriaci, l'arte arabocristiana è propensa a rappresentare soggetti latinizzanti che elabora alla maniera orientale, svelando l'inclinazione dogmatica verso il cattolicesimo di una parte dei committenti, se non degli stessi pittori. Si lascia anche influenzare dalla cultura islamica e dall'ambiente orientale. Ne nasce una simbiosi interessante e unica. Nonostante l'ascendenza dalle isole greche e dai Balcani, l'arte melchita non segue lo stile tardopaleologo, ma resta permeata da quello del XIII secolo39 . I temi trattati sono conformi alla spiritualità e anche al gusto del tempo, ma sono caratterizzati da una grande sicurezza dottrinale e da una profondità teologica non trascurabile. Certi soggetti sono privilegiati per via del posto che occupano dapprima nei luoghi di culto sull'iconostasi, ad esempio - poi nella liturgia, come le icone delle feste o dei santi; altri, infine, perché frutto della devozione privata. La produzione si limiterà alle icone portatili e alle miniature, con rare pitture murali. L'arte arabo-cristiana adotta, certo, i temi postbizantini elaborati nelle isole greche o nei Balcani; ha una tendenza alle rappresentazioni teologiche talvolta prolisse: quelle del Pantokrator con l'appellativo di Re dei re e Sommo Sacerdote, o quelle della Madre di Dio definita Albero di lesse, Rosa immarcescibile o Inno Akathistos. Temi antichi, come ad esempio quello della Vergine che allatta o quello della Fonte di vita, trovano nuovo vigore, altri testimoniano un sentito ritorno alla vita liturgica, come nelle icone delle feste o degli apostoli che ornano l'architrave dell'iconostasi melchita. Temi occidentali sono all'ordine del giorno: la Sacra Famiglia, san Giuseppe, il Rosario o il Sacro Cuore. Si nota una proI NTRODUZIONE
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pensione per i santi guerrieri come Michele Psicopompo, Giorgio, Demetrio, Eliano, Teodoro o Giacomo il Persiano, o ancora l'insistenza sulla figura del profeta Elia che uccide i sacerdoti di Baal. Si sarebbe tentati di leggere in queste icone un messaggio di resistenza e fiera sopportazione, al contempo spirituale e secolare. Stilisticamente, l'arte melchita oscilla tra un conformismo fedele ai canoni tradizionali e una creatività impetuosa sulla scia dell'arte postbizantina. Per certe icone è difficile giudicare se la mano sia greca o melchita, tanto lo stile è simile. I procedimenti tecnici sono diversi: dalle pennellate asciutte e spesse alla maniera greca alle vela-
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I NTRODUZIONE
ture delicate e sovrapposte dei maestri italiani. Uno stesso pittore passa agevolmente dall'uno all'altro. Infine, c'è la straordinaria audacia dei pittori di provincia che, in mancanza di abilità tecnica, sanno perfettamente combinare i colori e le forme in una semplicità creativa. Le immagini che seguono, divise per gruppi stilistici, ci aiuteranno a scoprire un'arte straordinariamente eterogenea. Lasciamoci affascinare da un linguaggio estetico nuovo e multiforme che ci rivelerà l'animo dei cristiani d'Oriente in un momento privilegiato della loro storia, così spesso travagliata.
Note
~ ell'antichità , si considerava Oriente l'insieme di Stati e città a est della Grecia, poi di Roma. A est, fino alle Indie e alla Cina passando per le steppe asiatiche; a ovest, l'Africa del _ ·ord, la Spagna e l'Italia del Sud sono integrate in questa vasta simbiosi. Dal greco flKWV, che significa «immagine». Si tratta il più delle volte di una tavola di .egno, talvolta scavata in forma d i nicchia, ricoperta da un tessuto su cui vengono stesi din:rsi strati di polvere di marmo o gesso misto a colla, accuratamente levigati prima della dorarura e della pittura. I pigmenti naturali o di sintesi vengono miscelati con un legante: :uorlo d'uovo o caseina. Le icone a encausto sono dipinte servendosi di cera calda. i tratta di una nicchia, simile all'incavatura di un'icona, che contiene l'immagine di donna rappresentata frontalmente fino al collo (Nimrud, bassorilievo, vn secolo a.C.). . ·e11a Chiesa copta la Donna alla finestra si ritrova su tessuti tipici. Dom Gregory Dix (]ew and Greek, a study in the primitive church , Westminster 1950, cap. l) afferma: «È negli ambienti di cultura siriaca in opposizione al mondo greco che va ran-isato il principio fecondante del pensiero cristiano». Fino al v secolo, ad esempio, il Cristo Didascalo verrà rappresentato imberbe, con indosso la toga, le mani alzate in segno di proclamazione della parola, alla maniera delle r:tppresentazioni di filosofi come Seneca o Sofocle. Ereria, Journal de voyage (Sources chrétiennes), p. 205. A proposito delle chiese edificne da Costantino e da sua madre, sant'Elena, vedi Eusebio, De Vita Constantini, 3 ,41.43 , in Patrologia Graeca , voi. XX, c. 1101; Id. , De Laudzbus Constantini, 9,17 , in Patrologia G,aeca, voi. xx, c. 1369. «Signore Gesù Cristo che siete immenso nella vostra divinità, che nella pienezza del =po voleste nascere dalla Beata Vergine Maria, Madre di Dio, assumendo così la natura mnana in un modo che va al di là di ogni intelletto. Voi che avete impresso i tratti del .ostro volto sulla Sacra Sindone e avete così recato la guarigione al re Abgar. Voi che, per oezzo del vostro Santissimo Spirito, avete illuminato il vostro santo apostolo ed evangeliSl.3 Luca affinché potesse riprodurre la beltà di vostra Madre che vi tiene, bambino, fra le b raccia. Santo Maestro dell'universo, illuminate, rischiarate, fortificate l'anima, il cuore e mente del vostro servitore, dirigete la sua mano affinché, per la gloria vostra e per la ma;mificenza della vostra santa Chiesa, possa degnamente e con perfezione rappresentare la \"06ITa santa immagine, quelle della vostra Madre purissima e di tutti i santi. Fate che egli sia al riparo dalle tentazioni del demonio per intercessione della vostra purissima Madre, del santo apostolo ed evangelista Luca e di tutti i santi». 9 Cfr. Eusebio di Cesarea, Storia ecclesiastica, I,13 ; Addai, Dottrina , testo siriaco del VI secolo. _o Termine siriaco che significa «il Nero». In realtà, Abgar era affetto da lebbra. 11 J.:arruale Urfa, in Turchia. Piccolo regno della Mesopotamia orientale, talvolta vassallo dei Romani, talaltra dei Persiani. 2 In greco: ÙXEtpo1tOLT]'tOç. l3 Esodo 25 ,40. [Tutte le traduzioni di passi biblici sono tratte da La Sacra Bibbù1. &ii::ione ufficiale della CEJ, Conferenza Episcopale Italiana, Roma 1974. (ndt) ]. l Vedi, ad esempio, le pitture murali del palazzo di Kush-al-Khawadja, caratterizzate da tma frontalità ieratica (1-m secolo). - È per questo che, nell'iconografia cristiana orientale, il profilo diviene segno di imperic:zione e persino di inimicizia con Dio. Il demonio e Giuda sono sempre rappresentati di ;>rofilo. _6 ami A. Aldeeb Abu-Sahlieh , I:Art figu rati/ en drolts juzf, chrétien et musulman Erudes Suisses de Droit Comparé, 5), D origny 2006, http:// tinyurl.com/b4arjb. i- Deuteronomio 5 ,8. Esodo 25 ,18. 19 . umeri 7,89. ~ 1 Re 6,29-32. _ } Questa proibizione è stata presa alla lettera solo dopo l'esilio di Babilonia, soprattut::o all'epoca dei Maccabei. Il magistero ecclesiale farà sempre riferimento a questa eccenone nel culto ebraico per provare la legittimità delle immagini sacre. Ciononostante, :x,n è sicuro che gli ebrei non abbiano esercitato un'attività iconografica. Gli affreschi di Dura Europos non possono essere frutto d i generazione spontanea. La tradizione degli
Ottateuchi (i primi otto libri della Scrittura, ossia il Pentateuco più i libri di Giosuè, dei Giudici e di Rut) rivela indizi dell'esistenza, ad Alessandria, di miniature ebraiche che illustrano il testo della Settanta valorizzato da una «catena» di commenti, e che servirono da modello agli Ottateuchi cristiani. Ma non resta traccia di questi manoscritti ebraici illustrati. È incontestabile che certi m idrashim (soprattutto il Pirqe de-Rabbi Eliezer) e certi targumim (in particolare lo Pseudo-Yonatan) abbiano influenzato la miniatura cristiana primitiva. 22 Genesi 3,1-22. 23 Ezechiele 10,12. 24 Genesi 3 ,24. 25 Nella tradizione bizantina, il primo uomo a fare ritorno in paradiso è il Buon Ladrone . Lo si vede chiaramente nella rappresentazione del Giudizio finale. 26 Da un'espressione greca che significa «distruttore di immagini». 27 Tuttavia, è attestato che gli gnostici carpocraziani usassero rappresentare il Crocifisso. Ricordiamo in particolar modo una gemma di Siria, che risale al II secolo, su cui è inciso il Crocifisso con nimbo crucifero circondato da Maria e Giovanni. Non è possibile asserire che questo crocifisso così primitivo sia opera di una setta gnostica. In ogni caso, i primi crocifissi, come tanti altri elementi dell'iconografia, della liturgia e della teologia, ci giungono dalla Chiesa di Antiochia. 28 I teologi occidentali, a cominciare da Gregorio Magno, diranno che l'icona serve a «ricordarci» i misteri della salvezza.
29 In una frase lapidaria Olivier Clément afferma: «I.:Incarnazione dà fondamento all'icona e l'icona prova l'Incarnazione». 30 Non sarà difficile notare la grande somiglianza tra i volti di Cristo adulto dalle origini fino ai giorni nostri . 31 1 Giovanni 1,1. 32 In nessun punto il Corano proibisce di disegnare un 'immagine, una forma , ma poiché questo termine è collegato all'opera di Dio, colui che si dedica a un tale compito è percepito come se facesse la stessa opera di Dio e come un concorrente temuto, tanto più che l'immagine può essere oggetto di adorazione e dunque favorire il politeismo (adorazione di altre divinità oltre a Dio). I.:interdizione delle immagini si diffonderà negli Hadith (cfr. Aldeeb Abu-Sahlieh , L'Art figurati/. , cit.). 33 Negli H adith chiaramente ostili all'arte figurativa, va segnalato un episodio riferito dallo storico al-Azraqi (morto intorno all'865 ). Questi scrive che quando Maometto conquistò La Mecca entrò nella Ka'ba e vi trovò l'immagine di Abramo che giurava con le frecce divinatorie, immagini di angeli e quelle di Maria e di Gesù. Egli prese dell'acqua, fece portare della stoffa, coprì con le sue mani le immagini di Maria e di Gesù e dette l'ordine di cancellare tutto, tranne ciò che era stato coperto dalle sue mani. AI-Azraqi sostiene che queste due immagini siano rimaste nella Ka'ba fino all'incendio del 683, ovvero più di mezzo secolo dopo la conquista della Mecca. Questo episodio, mai smentito, ma neppure menzionato dagli autori musulmani ostili all 'arte figurativa, fa dubitare dell'autenticità di altri racconti che sostengono il contrario (ibzd.). 34 Cfr. S.H. Griffith, Disputing with islam in Syriac. The Case o/ the Monk o/Bet H iile and a Muslim Emir, lnstitute of Christian Orientai Research, Catholic University of America, Washington, DC 2000, p. 6. 35 «Noi ne facemmo un Corano arabo a che per avventura intendiate» (A. Bausani [a cura di], Il Corano, XLIII,3 , Rizzali, Milano 1988, p. 362). 36 Colonie siriache esistono nelle Puglie e in Calabria dal VI secolo. Diversi Siriani e Greci ebbero accesso all'investitura papale e contribuirono a far penetrare la cultura orientale in Italia: Giovanni V (685-686), Sisinnio (morto nel 708), Costantino (consacrato il 25 marzo 708), san Gregorio III (pontificato 731-741 ). 37 Tra il 1453 e il 1526, si conteranno fino a centoventi iconografi a Heraklion , capitale dell 'isola di C reta. 38 È ciò che afferma il viaggiatore d'Arvieux, quando dice che «era la più bella, la più grande e la più ricca delle città ottomane dopo Costantinopoli e Il Cairo». 39 Cfr. T. Velmans, L e Icone. Il viaggio da Bisanzio al '900, Jaca Book, Milano 2005 , p. 184.
I NTRODUZION E
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TESTIMONIANZE PRIMITIVE
_-\bbiamo detto che l'arte arabo-cristiana è erede di una vasta simbiosi di civiltà della Mezzaluna fertile. In questa sezione che inaugura il nostro percorso, presentiamo cinque icone che denotano una grande varietà di stili e condensano un periodo che si estende dal x al XVI secolo. Due icone hanno ascendenze siriache: quella di Kaftoun e quella del Patriarcato maronita. Non bisogna dimenticare che le cristianità locali sono, nella maggior parte dei casi, di ceppo siriano, per riprendere l'espressione del defunto Padre ì' uakim Mubarak.
L'icona dei santi Sergio e Bacco è di fattura cipriota, abbastanza vicina allo stile del Trecento, per non dimenticare l'evidente ascendente dell'isola più vicina al Medio Oriente arabizzato sull'iconografia di queste regioni. Le ultime due icone sono interamente grecizzanti ma integrate in un ambito arabo-cristiano: la Panagia e la Vergine della Passione. Esse testimoniano l'influenza predominante delle isole greche e dei Balcani nell'evoluzione dell'arte arabo-cristiana in generale e nella cristallizzazione dello stile aleppino in particolare.
T ESTIMONIANZE PRIMITIVE
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--,,;·::-.. . Icona bilaterale ,-·-e· ~· ··~)"'~ JJIJ Lato anteriore: Madre di Dio Hodegetria, ·.,.JI . ,, / ·' detta «di Kaftoun» ,~-.i.~ !
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La creazione dell' Hodegetria viene attribuita dalla tradizione al santo apostolo Luca. Un'icona lo rappresenta nell'atto di dipingere, ispirato da un angelo, la Vergine col Bambino in braccio. I.:Hodegetria ha la sua collocazione nel rango «despotico» dell'iconostasi. Quest'icona non si dicosta dalla regola, anche se è dipinta su due lati. Il lato posteriore era destinato a venire contemplato dai ministri del culto. Si conoscono molte icone bilaterali, tutte datate al XIV secolo. Citiamo quelle del Museo bizantino di Atene: Hodegetria Dexiokratousa contornata dal Dodekaorton con l'Hetoimasia tau Thronou, sul lato posteriore; l'Hodegetria con la mano destra appoggiata sul ginocchio del Bambino, sul cui lato poteriore si trova la magnifica Crocifissione in cui la \ ergine indossa il blu lapislazzulo. Infine, nel monastero di Chalke, a Costantinopoli, è stata appena re taurata una magnifica icona bilaterale, anch'essa del XIV secolo. Rappresenta la Vergine «cessazione di ogni dolore», contornata da dieci scene del Dodekaorton e, sul lato anteriore, la Crocifissione incorniciata da santi. I..:icona è di grande sobrietà e bellezza. La Vergine è giovane, i suoi occhi sono colmi di dolcezza ma anche di un segreto dolore. Come le ha predetto il \'ecchio Simeone, il suo cuore si spezzerà di fronte alla Passione del Figlio. Il Bambino-Dio si erge sulle braccia di sua Madre. Benedice con autorevolezza e eraficità . Il Bambino sembra avere più anni della _ ladre. Non è forse il Re dei secoli? Nella mano sini-
stra tiene il rotolo della Scrittura di cui egli rappresenta il compimento. La mano della Vergine si leva verso il Figlio. Per via dell'appellativo Hodegetria, molti ritengono che, col suo gesto, Maria ci mostri il Figlio o ci guidi verso di lui. I.: appellativo non deriva da una funzione svolta dalla Vergine, ma da un luogo in cui l'icona originale, dipinta da san Luca, era stata posta: la chiesa «delle Guide» (Hodegon in greco). In realtà, la mano è levata in segno di intercessione. Maria introduce gli uomini presso suo Figlio, intercedendo incessantemente in favore di tutti e divenendo il canale della misericordia infinita. Nella parte superiore dell'icona, sia a sinistra che a destra, figura un angelo all'interno di un medaglione. Il medaglione simboleggia il cielo. I due angeli sono, secondo la tradizione, gli arcangeli Michele e Gabriele, incaricati di servire il mistero dell'Incarnazione. Essi sono rivolti verso la figura centrale in atteggiamento di venerazione, le mani nascoste sotto l'himation in segno di rispetto. Questi angeli sono un'aggiunta. I loro colori cangianti contrastano con il chiaroscuro così morbido della Madre col Bambino. I..:icona è incorniciata da una fascia ornamentale ornata da senmurv 1 in rilievo, inserite tra i girali. Queste rappresentazioni zoomorfiche sono una combinazione di leone e uccello. Di origine sasanide, tali decorazioni sono state utilizzate dai Selgiuchidi e aiutano a determinare la data dell'icona così come il suo contesto: l'xr secolo e il sultanato di Rum, in Anatolia (1081-1307) , all'epoca della prima crociata2.
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Anonimo, icona bilaterale (lato anteriore), Madre di Dio Hodegetria detta «di Ka/toun», Tempera su legno, 104 x 76 cm, x I secolo, Monastero di Nostra Signora, Ka/toun (Libano).
TESTIMONIANZE PRIMITIVE
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Lato posteriore: Battesimo di Cristo
Anonimo, icona bilaterale (lato posteriore), Battesimo di Cristo, Tempera su legno, 104 x 76 cm, X lii secolo, Monastero di Nostra Signora, Ka/toun (Libano).
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L'icona del Battesimo costituisce una perfetta catechesi battesimale. Con il suo stile essa si apparenta alle prime rappresentazioni del genere, in cui Cristo è ancora completamente nudo, quale Nuovo Adamo in paradiso. San Giovanni Battista osserva la colomba che scende dal semicerchio celeste. Leva la mano sinistra in segno d'intercessione, mentre posa l'altra sulla testa di Cristo, facendo il gesto di battezzarlo. Cristo è a testa china, nell'atteggiamento del Servo sofferente che si umilia per elevare la moltitudine. La testa china simboleggia la morte di Cristo che, secondo il Vangelo di san Giovanni «chinato il capo, spirò» (Giovanni 19,30). Gesù è in piedi tra le cupe acque del Giordano che rappresentano la nostra morte3 . L'intero tema del battesimo cristiano risiede in questi due movimenti che simboleggiano la morte e la resurrezione di Cristo: sepolti nella sua morte, noi resuscitiamo con lui. Allo stesso modo, il battesimo per immersione, caratteristico della tradizione orientale, simboleggia questa discesa nella morte di Cristo; l' emergere dall'acqua rappresenta invece la resurrezione. A sinistra di Cristo, i sei angeli presenti sono i cosiddetti «protoctisti», propri della tradizione giudeocristiana. Nei loro commenti alla Genesi, infatti, gli autori antichi (rabbini, gnostici, cristiani) affermano che, per ogni giorno della Creazione, un angelo uscì dalle mani di Dio per vegliare sulla sua opera4 • Nel pensiero giudeo-cristiano, i sei angeli associati alla prima creazione dovevano certo esserlo anche alla seconda, tanto più importante, rappresentata
TESTIMONIANZE PRIMITIVE
dal Battesimo5 . Quest'idea influenzò l'iconografia del battesimo, nella quale Cristo venne rappresentato nel Giordano circondato da angeli. Questi hanno l'atteggiamento di servitori e testimoni del mistero. Ciò è simboleggiato dal panno che essi recano per asciugare Cristo che esce dall'acqua, al contempo simbolo di deferenza di fronte al mistero dell'umiliazione del Figlio di Dio. Le mani nascoste dalle vesti simboleggiano infatti l'ossequio e la sottomissione. In alto a sinistra, il santo re Davide reca una pergamena sulla quale è scritto in arabo: «Il mare vide e si ritrasse, il Giordano si volse indietro, i monti saltellarono come arieti, le colline come agnelli di un gregge. Che hai tu, mare, per fuggire , e tu, Giordano, perché torni indietro? Ti videro le acque, Dio, ti videro e ne furono sconvolte» (estratti dei Salmi 114 e 77 propri della liturgia bizantina della festa del Battesimo). In basso a sinistra, un vecchio accovacciato si volge indietro e reca un 'anfora. Si tratta della personificazione del Giordano, dio-fiume, come nella tradizione greco-romana. La sua presenza illustra i versetti del salmo. A destra, il profeta Isaia reca un filatterio su cui è scritto in siriaco: «Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista» (Isaia 1,16) e «O voi tutti assetati venite all'acqua» (Isaia 55 ,1), «attingerete acqua con gioia alle sorgenti della salvezza» (Isaia 12,3) - testi propri della tradizione siriaca della festa del Battesimo. Il titolo dell'icona, Il Battesimo, è in greco. Occupa la parte centrale superiore dell'icona. Anche i nomi dei personaggi sono in greco.
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I santi Sergio e Bacco
A nonimo (cipriota?), I santi Sergio e Bacco, tempera su legno, 64 x79,7 cm, XIll secolo, Chiesa dei Ss. Sergio e Bacco, Maalula (Siria).
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Secondo la Passione latina6, tradotta dal greco e forse più antica della biografia di Teodoro Metafraste, i due martiri sarebbero stati intimi dell'imperatore Massimiano, che li avrebbe messi a capo di un gruppo d'élite costituito da barbari, chiamato schola gentilium. Sergio ne era il primicerius, ufficiale maggiore romano, Bacco il suo luogotenente, o secunda rius. Denunciati come cristiani, comparvero davanti al protetto di un tempo, il duca Antioco, che fece di tutto per convincerli, ma i due ufficiali confessarono coraggiosamente la loro fede. Bacco morì per primo per flagellazione. Sergio, uscito indenne da svariati supplizi, venne infine decapitato. Il luogo del loro martirio divenne meta di pellegrinaggi. Sin dalla fine del III secolo, più di cinquanta vescovi unirono i loro sforzi per costruire a Resafa, a duecento chilometri a est di Aleppo, in Siria, una basilica e degli edifici ausiliari che nel VI secolo si trasformarono nella città di Sergiopolis. Nell'icona, i due martiri indossano sticharia, come i diaconi: rosa violaceo per Sergio e giallo indiano per Bacco, con una fascia dorata sul petto. Sopra le vesti portano una clamide, verde per Sergio, arancione per Bacco; chiuse da fibule, esse svolazzano all'indietro e si gonfiano elegantemente. Entrambi levano la mano destra in segno di intercessione mentre, con la sinistra, reggono al contempo le redini del cavallo e una lancia rivolta al suolo. In epoca molto più tarda, sono stati apposti su queste lance ex voto di metallo. Non è affatto per caso che i due santi guerrieri sono rappresentati senza la loro armatura, ma per fe-
T ESTIMONIANZE PRIMITIVE
deltà al racconto della loro passione e allo scopo di trarne un insegnamento per i fedeli. Infatti, per via dell'accusa loro rivolta, l'imperatore li aveva privati del grado e spogliati dei privilegi militari allo scopo di screditarli. Nell'icona essi appaiono circonfusi dalla gloria del martirio, che fa di loro dei servitori liturgici e dei partecipanti al mistero della salvezza. San Sergio si volge verso san Bacco che lo ha preceduto nel martirio. Al di sopra di essi, la mano benedicente di Cristo emerge da un triplo segmento circolare. San Sergio è portato da un cavallo sauro, mentre il suo compagno cavalca uno stallone nero dal muso bianco. Le selle sono dello stesso colore delle rispettive clamidi. La composizione colpisce per la sua sobrietà come per la simmetria dei due cavalieri e delle loro cavalcature. Il cromatismo è delicato e raffinato, il grafismo quasi lineare. La tavolozza e la tecnica fanno pensare a una mano da affreschista. Sia la fattura che lo stile suggeriscono per quest'icona una collocazione in area cipriota, intorno alla fine del XIII secolo. I volti dei due martiri, rappresentati con tratti infantili, presentano una sorprendente somiglianza col volto del Bambino Gesù dell'Hodegetria di Laneia7 . Accanto all'immagine di ciascun santo si trova il rispettivo nome in greco. L'iscrizione araba coi nomi è collocata sotto le rispettive cavalcature. Essa presenta una traslitterazione dal greco che denota un certo arcaismo. Un graffito in basso a destra reca una data a stento leggibile: 1753.
Koimesis
Anonimo, Koimesis, tempera su legno, 120x98 cm, 1593, Patriarcato maronita, Diman (Libano)
Titolo in greco: La Dormizione della Madre di Dio. Dedica: «[in karshuni] Quando giunse l'anno 1593 , [in siriaco] è stata dipinta l'immagine della Madre di Dio Maryam nella sua Dormizione, che le loro preghiere siano con noi. Amin. Proprietà [in karshuni] del monaco Antonio e del kassis Carmelo di Creta». La Dormizione si ispira a un apocrifo del v secolo, il Transitus Mariae dello Pseudo-Giovanni. La Madre di Dio, le braccia incrociate ali' altezza della vita, è distesa su una coltrice vermiglia, la testa adagiata su un cuscino rettangolare verde, striato sui lati. Indossa una veste blu scuro e un maphorion rosso. Sugli abiti non è presente alcuna stella8 . Il catafalco è rosso, bordato in alto e in basso da una banda ornamentale dorata 9 a girali. Dietro il catafalco si trova Cristo in una mandorla verdeazzurro pallido. Di dimensioni imponenti, indossa una veste giallo ocra lumeggiata da fili d'oro. Anche la croce della sua aureola è vermiglia, ma reca il trigramma, ed egli tiene in mano l' eidolon della Vergine avvolto in fasce e nimbato. Da ambo i lati figurano le potenze angeliche, con colori sbiaditi per creare un'illusione di trasparenza. Gli angeli non hanno nastro uraeus. La chiave di volta della mandorla è chiusa da un serafino con sei ali. In primo piano, a sinistra, si trova san Pietro.
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Egli leva la mano sinistra, coperta in segno di rispettoso dolore, e con l'altra fa oscillare il turibolo per la cerimonia funeraria. Di fronte a lui si trova san Paolo, le mani coperte, il capo chino. Al suo fianco , un apostolo che potrebbe essere Giacomo, fratello del Signore 10 , preceduto da Giovanni il Teologo. Conformemente alla tradizione apocrifa, secondo la quale san Tommaso non era presentel1, si contano solo undici apostoli. Su ciascun lato della mandorla è rappresentato un gerarca: san Ieroteo e san Dionigi Areopagita, menzionati negli apocrifi, con indosso un phelonion bianco e un omophorion bordato di croci nere. Gli edifici indicano che si tratta di una scena intra muros. Più in basso, a destra, un vescovo raffigurato in dimensioni ridotte indossa una tiara latina, un epitrachelion e un phelonion bizantino. Alle sue spalle si trova un prete di dimensioni ancora più ridotte, vestito di un'alba e di una pianeta latina con una grande croce, ma con il kukulos siriaco, che lo cinge con le braccia per tenere giunte le sue mani. La dedica declina i nomi dei committenti. Il pittore ha uno stile stereotipato che conferisce la stessa fisionomia a tutti i personaggi. Si tratta di un maronita cipriota? Quest'opera unica, restaurata dalla Maison d' Antioche in Libano, è un enigma che solo la ricerca potrà chiarire.
Panagia
Anonimo cretese, Panagia, tempera su legno, 29,5 x 19 cm, XVI secolo, Ordine Basiliano Aleppino, Libano.
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Titolo in greco: Elevazione della Panagia. Secondo una tradizione apocrifa, gli apostoli erano soliti riunirsi attorno alla Madre di Dio per elevare a Dio la particola di pane che gli è consacrata e che è di forma triangolare. Il pane eucaristico bizantino, o prosphora, è fermentato e diviso in particole dal prete durante il rito della proskomidia per replicare il corpo di Cristo: l'Agnello, la Vergine, gli angeli, i santi, i vivi e i morti. La cerimonia della Panagia (o «Santissima») ha luogo nel refettorio o in un locale destinato a questo scopo 12 , alla fine del pasto che segue la liturgia. La particola viene conservata in un apposito recipiente detto panagiarion. Alla fine del pasto, essa viene sollevata dall'igumeno che proclama: «Grande è il nome!», e la comunità risponde: «Della Santa Trinità, Santissima Madre di Dio, aiutaci! Per sua intercessione, o Dio, abbi pietà di noi e salvaci!». Queste preghiere preliminari sono iscritte in oro su un cartiglio bianco che sovrasta la scena. Nell'icona, la Madre di Dio, le braccia incrociate sul petto, presiede l'assemblea degli apostoli, attorno a un altare a forma di calice. Sopra di lei, la sacra Triade: il Padre nelle sembianze dell'Antico dei giorni, il Figlio assiso di fronte a lui, recante il libro dei Vangeli e, al di sopra di essi, la colomba dello Spirito Santo. I dodici apostoli circondano la Vergine, a cominciare dai quattro evangelisti. Riconosciamo san Luca dalla tonsura. Di fronte a Maria, volgendo le spalle allo spettatore, Pietro eleva la parti-
T ESTIMONIANZE PRIMITIVE
cola della Vergine mentre Giacomo, il fratello del Signore 13 e primo vescovo di Gerusalemme, eleva il calice. San Paolo non è rappresentato, segno dell'ascendenza giudeo-cristiana della cerimonia. L'icona è di ascendenza cretese. Abbiamo trovato tre icone della Panagia: una nel monastero di S. Salvatore di Sarba, un'altra presso gli Aleppini di Zouk Mikael, entrambe di origine aleppina; la terza è di Butros Ajaimi, nel monastero di S. Salvatore aJoun.
Vergine della Passione
i tratta di un affresco staccato da un'antica casa di Aleppo. Rappresenta una variante della Vergine della Passione. Questo tipo iconografico fu formulato dall'artista cretese Andrea Ritzos nella seconda metà del xv secolo. Maria tiene in braccio il Bambino Gesù ma ha l' atteggiamento dell'Eleousa. Il Bambino guarda intenamente la Madre e non gli strumenti della Passione presentati dai due angeli, come succede nel prototipo della Pammakaristos. L'angelo di destra reca la Croce, mentre quello di inistra la lancia e l'asta munita di spugna. Lo sfondo dell'icona è di colore blu su campo tellato. Ai lati della figura centrale si trovano, a sinistra, una rappresentazione della Luna, a detra, una rappresentazione del Sole. Il fine è quello di esprimere la totale regalità sulla creazione di colui che, pur essendo Figlio tra le braccia della Madre, non è per questo motivo meno Dio dell'universo. L'autore di questo affresco è un maestro che i serve con tale abilità dei colori da dominare le linee. Potrebbe trattarsi dell'opera di un pittore
della regione della Moldavia o della Valacchia realizzata durante un soggiorno ad Aleppo. I quattro angoli di questo affresco sono ornati da una figura di angelo del tutto estranea alla tradizione bizantina e allo stile della composizione. Si direbbe uno stile postgotico. Analogamente, i girali che incorniciano la composizione sono di ispirazione occidentale. È possibile che la composizione centrale sia stata aggiunta a un 'opera anteriore risalente all'epoca dei crociati?
Anonimo, Vergine della Passione, a/fresco staccato su legno, 90 x 90 cm, xvm secolo, Collezione Georges Antaki.
TESTIMONIANZE PRIMITIVE
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La nascita di una scuola di iconografia propria di Aleppo all'inizio del XVII secolo coincide con un 'importante rinascica culturale vissuta dalla comunità greco-melchita della città. Ricordiamo brevemente le sue figure di spicco, le sue risorse e le sue caratteristiche salienti. Quale figura emblematica di questa rinascita, va menzionato il vescovo di Aleppo Meletios Karma. Originario di H ama, in giovanissima età divenne monaco nel monastero di S. Saba a Gerusalemme, la Città Santa. È là che apprese il greco e si accostò alle scienze religiose. Fece in seguito ritorno ad Aleppo, dove venne consacrato vescovo della città nell'anno 1612. Resse questa eparchia fino al 1634, data in cui fu eletto patriarca a Damasco, col nome di Euthymios II. Morì l' 1 ottobre 1635. Meletios Karma rappresentava tra i cristiani arabi l'erudito del suo tempo . Si assunse il compito di trascrivere la Sacra Bibbia dal greco all'arabo, adattò i libri liturgici ad uso della sua comunità e prese contatto con la sede apostolica, a Roma, per far sì che fossero stampati presso la stamperia della Propaganda Fide, ma non riuscì nel suo intento. Dal punto di vista artistico, Karma godette del sostegno del monaco Meletios il Sakezita, termine che indica la pro, enienza di questi dall'Isola di Chio. In turco, l'isola è infatti detta Sakez Adasi. Karma lo aveva portato con sé dal monatero di S. Saba ad Aleppo. Questo Meletios di Chio era un iconografo. Alcuni giovani aleppini si formarono presso di lui. Tra questi vi era Yusuf al-Musawwir, il fondatore della cuola iconografica di Aleppo, come vedremo. Era risaputo che Meletios Karma teneva in grande considerazione il suo allievo di Chio, al punto che, in articulo mortis, lo designò suo uccessore alla sede antiochena. Meletios il Sakezita fu dunque elevato alla dignità patriarcale col nome di Euthymios III. Occupò questa carica dal 1635 al 1647. Dal punto di vista letterario, è il prete Mikhail Bajaa, coniderato l'oratore del suo tempo, a figurare come il primo dei pionieri del Rinascimento. Numerosi giovani si formarono presso di lui e presso lo sceicco Mustafa al-Nahhawi e di-
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vennero celebri per la loro produzione linguistica, letteraria e teologica. Ricordiamo tra di essi Nehmet, figlio del prete Turna, Germanos Farhat, Abdallah Zakher, Nicolas Sayegh, Meguerdich al-Kassih e Mikhail Hakim. Il successore del vescovo Meletios Karma al seggio della città di Aleppo fu il suo ex discepolo Hanna El Za'im, che prese a sua volta il nome di Meletios per riconoscenza nei confronti del suo maestro. Egli continuò a sostenere lo sviluppo della rinascita culturale. Occupò il seggio episcopale di Aleppo dal 1635 al 1647. Tra i suoi discepoli si annovera Yusuf al-Musawwir. Questi si applicò, sotto la sua tutela e guida, alla traduzione dal greco, alla copia dei manoscritti e alla loro decorazione con miniature. Si dedicò anche alla pittura di icone. Meletios Za'im fu elevato al seggio episcopale nel 1647 col nome di Macario III. Accompagnato dal figlio , il diacono Paolo Za'im, egli intraprese un lungo viaggio durato sette anni (dal 1653 al 1660) in Galazia, Moldavia, Valacchia, Ucraina e Russia. In questi luoghi ricevette un'accoglienza molto calorosa e un significativo aiuto morale e materiale da parte dei principi, degli zar e del popolo ortodosso. Questo aiuto fu determinante per alleggerire i debiti sotto il cui peso sprofondava il patriarcato di Antiochia. Dal 1666 al 1669, egli fece un altro viaggio in Russia. È certo che portò con sé numerose icone con le quali adornò le chiese della sua comunità, e che esse contribuirono a stimolare l'arte iconografica nel suo patriarcato. Morì nel 1672. Uno dei suoi successori al seggio di Aleppo e, in seguito, a quello patriarcale, fu conosciuto col nome di Atanasio III Debbas. Era di origine damascena e nel 1700 riuscì a compiere un lungo periplo di quattro anni in Valacchia, dove poté raccogliere donazioni e pubblicare libri liturgici. Riuscì anche a riportarne un'intera stamperia che costituì la prima tipografia araba in Siria e nel Vicino Oriente. Riuscì a farla funzionare grazie a un giovane melchita aleppino, il diacono Abdallah al-Zakher. È così che la rinascita culturale dei cristiani di Aleppo raggiunse il suo apice. Tra i pionieri della rinascita scientifica di Aleppo bisogna
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includere i missionari stranieri che all'inizio del XVII secolo avevano assimilato la lingua araba e insegnato i propri idiomi. Essi stimolarono non solo il movimento uniate cattolico ma anche la trascrizione e la redazione. Tra questi, un missionario gesuita, Padre Girolamo Quiro, aprì nel 1628 una scuola per i figli dei greco-melchiti nella via Jdeideh e perfino nel palazzo episcopale dei Greci. Si tratta probabilmente della prima scuola cristiana di Aleppo. Un altro fattore contribuì a favorire la rinascita culturale presso i greco-melchiti di Aleppo: il fatto che alcuni giovani, maggiormente dotati, compirono i loro studi negli istituti di Roma e di altre città europee. È in quest'ambito culturale e nell'euforia di questa dinamica rinascita letteraria che nacque quella che possiamo chiamare la scuola icono grafica di Aleppo. Tuttavia, questa non fu mai una scuola nel senso moderno del termine, essendo in realtà un 'arte e una professione che il suo fondatore, Yusuf al-Musawwir, aveva acquisito presso Eutimio il Sakezita e trasmesso al proprio figlio Nehmet al-Musawwir che, a sua volta, la lasciò in legato al proprio figlio Hanania al-Musawwir, che la insegnò al proprio figlio Girgis al-Musawwir. Quattro generazioni di artisti si succedettero nella scuola di Aleppo dipingendo icone.
Yusu/ al-Musawwir È figlio di Hajj Antonios, figlio di Raad l' Aleppino. Il suo vero nome di famiglia resta sconosciuto. Nacque ad Aleppo verso la fine del XVI secolo e fu discepolo del vescovo della città, il celebre Meletios Karma. Era collega di Yuhanna Za'im e di altri giovani colti che questo vescovo aveva radunato attorno a sé per realizzare traduzioni, comporre saggi e creare opere d'arte. Era diacono evangelico nel 1650 e ricevette l'ordinazione sacerdotale tra il 1650 e il 1653, dal momento chefirma l'icona della Resurrezione, che dipinse nel 1645, col solo nome di Yusuf, mentre con Yusuf, il prete, nel 1653, quella dell'Arcangelo Michele. Non sappiamo niente di più sulla sua vita, a parte il nome di due dei suoi figli. Il primo è il prete Nehmet che - come vedremo - prenderà il suo posto come pittore di icone. Il secondo è Zaccaria, che nel 1699 istituì in waq/ per il monastero di Balamand un'icona realizzata da suo fratello, il prete Nehmet, che rappresenta i due santi del Monte Mirabile, Simeone lo Stilita e Simeone il Giovane. Dalle iscrizioni di questa icona apprendiamo che a quell'epoca, cioè nel 1699, il prete Yusuf al-Musawwir era già morto. L'attività di Yusuf al-Musawwir non si limitò alla pittura di icone. Oltre a essere iconografo, egli è un abile copista, un traduttore, un compositore e un miniaturista. La sua opera più antica giunta fino a noi è il libro dei Salmi del profeta Davide, che egli copiò nella sua elegante calligrafia e che firmò di suo pugno Yusu/, figlio di Antonios, discepolo del Signor Patriarca Kyr Eutimio. La portò a termi30
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ne il 21 dicembre 1641. Questo libro è conservato presso la biblioteca dei Padri Paolisti a Harissa, col numero di inventario 77. Da tutta la sua produzione letteraria si evince che il prete Yusuf al-Musawwir fu un uomo colto che eccelleva nella lingua di Omero, scriveva l'arabo con la grammatica dei suoi contemporanei, copiava e decorava manoscritti con splendide miniature. Di lui ci sono giunti cinque manoscritti miniati. Fino ad oggi, si ritiene di aver individuato quasi diciannove icone di Yusuf al-Musawwir. Alcune sono firmate e datate, mentre le altre gli vengono attribuite per comparazione. La più antica risale al 1645. Benché fondatore della scuola di Aleppo, Yusuf al-Musawwir conserva uno stile molto vicino all'arte greca. Più che creare, imita. In lui non troviamo nessuna delle caratteristiche dell'arte arabo-melchita quali si manifesteranno dopo di lui, ad eccezione di qualche lieve traccia. Nelle sue icone non vediamo bordi colorati; non fa uso di decorazioni a stampo su fondo d'oro. In genere continua a ricorrere alle iscrizioni in greco. Tuttavia, le fattezze dei suoi personaggi fanno pensare all'opera di una mano locale in un paese arabo. Nelle sue icone troviamo figure che sfoggiano il turbante tradizionale e notiamo vesti di manifattura araba su cui abbondano striature d'oro. Le icone di Yusuf al-Musawwir sono caratterizzate da sottili lumeggiature bianche sulla fronte e le tempie dei personaggi. Egli mette in rilievo i contorni con toni più scuri.
Nehmet Allah o Nehmet al-Musawwir Sappiamo poco della sua vita. È figlio del prete Yusuf al-Musawwir, suo discepolo e suo successore nella pittura di icone. Si consacrò a quest'arte e vi eccelse. Nacque prima del 1686 e morì dopo il 1722. La sua produzione fu così immensa che nessuna grande chiesa in Siria o in Libano è priva di una delle sue icone. Ornò di magnifiche rappresentazioni il libro dei Vangeli conservato in una collezione privata a Beirut e risalente al 1675 2 . Nell'anno 1677 era diacono, come risulta dal manoscritto 412 della Biblioteca Orientale di Beirut, folio 39z. Fu ordinato kassis al più tardi nel 1694, mentre suo padre era prete. La tradizione ecclesiale ad Aleppo distingue sempre tra kassis e prete, che è in realtà il curato della parrocchia. La produzione artistica di Nehmet va dal 1686 (anno in cui dipinge la prima delle sue opere conosciute, la Natività di Cristo, conservata nella cattedrale greco-ortodossa di Hama) al 1722 (anno in cui dipinge l'ultima delle sue icone, quella dell'Hodegetria del monastero di S. Giovanni il Precursore a Khonchara). Ma, fin dalla prima delle sue icone conosciute, egli si dimostra un artista esperto e consumato. Nel corso della sua carriera Nehmet sviluppa due maniere di dipingere: una pittura sobria, disadorna, che spesso denota nostalgia per la severa pittura cretese, e l'altra, ruti-
lante e ricercata all'estremo, che trasforma le icone in pezzi di oreficeria. Infonde grande dinamismo alla foglia d'oro attraverso molteplici e ingegnosi procedimenti; diversifica pazientemente i motivi di ciascuna superficie e li rinnova di icona in icona. Per primo, Nehmet personalizza le icone melchite per mezzo delle caratteristiche cornici, che stimolano il gusto per un 'ornamentazione esuberante a motivi orientali. Nehmet ebbe due figli: Hanania, al quale insegnò la sua arte, e Marco.
Hanania al-Musawwir i tratta del diacono Hanania al-Musawwir, figlio del kiss ehmet Allah l' Aleppino. Non sappiamo se il soprannome di Shammas («diacono») che gli viene attribuito significhi che egli ha veramente avuto accesso all'ordine del diaconato o se i tratti di un titolo onorifico che si aveva l'abitudine di attribuire agli uomini di cultura di quest'epoca, come ad esempio lo Shammas Abdallah Zakher. Nacque alla fine del XVII secolo. Visse ad Aleppo e morì dopo il 17 40. Apprese l'arte dell 'iconografia da suo padre, e la prima volta che li vediamo lavorare insieme è l'anno 1708, per il dipinto del Giudizio finale nella chiesa dei Q uaranta Martiri degli Armeni ortodossi ad Aleppo. La prima icona che realizzò da solo risale al 1714 . Probabilmente morì poco prima del 1769, poiché sulla dedica di una sua icona che rappresenta la Vergine allattante si legge: «opera del defunto Hanania al-Musawwir», il che dimostra che a questa data Hanania era morto, dopo sessant'anni di attività artistica. Hanania eredita dal padre lo stile artistico e i modelli. All'inizio della sua attività, la collaborazione tra Hanania e il padre rende difficile l'attribuzione delle icone a uno dei due, soprattutto quando non sono firmate. L'arte di Hanania differisce da quella del padre per i seguenti aspetti: meno genio, più dolcezza, talvolta una certa goffaggine che determina una sorta di freddezza o di immobilità; vesti più morbide; riduzione dell'ornamentazione; infine, crescente influenza dell'Occidente nella scelta dei soggetti e nello stile iconografico.
Girgis al-Musawwir i tratta del diacono Girgis, figlio di Hanania al-Musawwir. Come per suo padre, non sappiamo se il titolo di diacono che gli viene attribuito indichi un grado ecclesiastico o solo il fatto che egli è un intellettuale e un uomo di lettere. La sua attività artistica è limitata quasi esclusivamente alla econda metà del XVIII secolo. È probabile che sia stato attratto dal cattolicesimo e dall'Occidente. Difficilmente, infatti, troviamo sue icone al di fuori delle chiese cattoliche. Per di
più, i soggetti sono spesso ispirati alle tradizioni occidentali. Girgis cerca tuttavia di mantenere il suo stile conforme all' arte bizantina, almeno in apparenza. Nato all'inizio del XVIII secolo, muore dopo il 1777 (stando alla data dell'ultima icona che gli è attribuita). La più antica icona di Girgis che si conosce riporta la data del 17 44. È conservata presso la cattedrale dei greco-ortodossi di Aleppo. Ispirata alla litania della Vergine nella tradizione occidentale, rappresenta la Vergine Maria da sola, circondata da simboli dell'Antico Testamento. L'ultima icona di Girgis di cui si è a conoscenza, conservata presso la cattedrale greco-ortodossa di Hama, risale al 1777 e mostra la Vergine Maria nella rappresentazione conosciuta in Occidente col nome di Immacolata Concezione. Essa è tuttavia circondata da scene marginali che rievocano le ventiquattro stanze dell'Akathistos. Nel suo stile si distinguono due periodi: nel primo Girgis è più vicino a suo padre Hanania, i volti sono ben delineati e il protoplasma è chiaro; il secondo è caratterizzato da un protoplasma molto scuro che, assieme alle luci, conferisce grande intensità ai volti. A causa del gran numero di commissioni, egli sacrifica talvolta la qualità alla produzione. Opera un ritorno alle illustrazioni a margine e alle tecniche di ornamentazione che Hanania aveva in parte trascurato.
Altri artisti della scuola di Aleppo La scuola di Aleppo non si limita alla famiglia al-Musawwir, ma comprende altri artisti in Siria e in Libano che ad essa si ispirarono o la imitarono. Questi pittori hanno in comune lo stile greco-bizantino dei volti, la tavolozza esuberante e l'ornamentazione araba. Essi sono: 1. Kirillos al-Dimashqi o al-Musawwir, vero nome Antun Bitar, monaco regolare basiliano. La sua attività artistica è circoscritta alla seconda metà del XVIII secolo. Morì nel 1798 mentre cercava in una foresta dei coloranti per le sue icone. È allievo di Girgis e cerca di imitarlo. Il suo stile è più ingenuo e luminoso. Egli semplifica le forme e le decorazioni pur copiando fedelmente i modelli tradizionali ereditati dai Musawwirun. 2. Shukrallah, figlio di Yoakim, figlio di Zallum, pittore aleppino dell'inizio del XVIII secolo. Nel 1725 dipinge una grande e suggestiva icona (8 1 X 40 cm ) che rappresenta san Giovanni Battista, istituita in waqf per il monastero di S. Giovanni il Precursore a Khonchara in Libano . Vi è tuttora conservata, ma è talmente danneggiata che non ci è stato possibile riprodurla in questo libro. Rivela un artista sicuro di sé, a metà strada tra Nehmet e Yuhanna Ibn Abdel Masih . 3. Yuhanna Ibn Abdel Masih, rimasto a lungo sconosciuL A SCUOLA DI ALEPPO
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to. Nel 2002 la scoperta, in una collezione berlinese, dell'icona del Battesimo di san Paolo, datata al 1725, ci ha rivelato una nuova stella nel firmamento della scuola di Aleppo, cosa che ci ha permesso di attribuirgli una Koimesis che si credeva opera di Nehmet. Il suo stile si ispira a quello dei maestri di Aleppo, ma possiede una tavolozza molto personale con uso frequente della lacca di garanza, una prosopografia caratteristica con labbra carnose, così come una maniera peculiare di rendere le vesti in forma di broccati. 4. Hanna al-Kudsi (Giovanni di Gerusalemme) imita talvolta Nehmet al-Musawwir, talaltra le icone cretesi. È un artista della prima metà del XVIII secolo.
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5. Il patriarca antiocheno Silvestro, di ongme cipriota (1696-1766): le opere che gli vengono attribuite e a cui abbiamo avuto accesso si sono rivelate dei falsi. 6. Parthenios, vescovo di Tripoli, è attivo nella seconda metà del XVIII secolo e ha uno stile decisamente greco. Associa tocchi arabeggianti allo stile di Nehmet. 7. Il pittore ucraino anonimo che ha tanto lavorato ad Aleppo all'inizio del XIX secolo e che ha tentato di riprodurre lo stile della scuola di Aleppo. Realizzando dei trompe-l' a::il, riuscì a creare l'illusione della bellezza senza mai raggiungere un effetto di autenticità.
San Michele arcangelo Yusu/ al-Musawwir, San Mich ele arcangelo, tempera su legno, 46x34 cm, 1653, Arcivescovado greco-cattolico, Aleppo (Siria).
Firma in greco in basso a sinistra: «Opera di Yusuf» e, a destra: «Prete, nell'anno 1653 ». Questa icona rappresenta un eccellente prototipo dello stile grecizzante di Yusuf al-Musawwir, che ha tratto ispirazione da modelli originali, più antichi delle creazioni dei maestri cretesi. L'arcangelo san Michele è rappresentato in piedi, in tenuta militare bizantina imperiale. Tiene la spada sguainata nella mano destra e il fodero nella sinistra, attorno alla quale, con un movimento deciso, si avvolge la clamide, attraversata sul rovescio da una banda dorata. Le vesti ono lumeggiate da striature dorate secondo la tecnica dell'assist. L'arcangelo san Michele poggia su un suolo di colore verdastro. Nella simbologia biblica, la spada sguainata rappresenta una misione di sterminio (cfr. Numeri 22 ,23 ; Giosuè 5,13; ecc.). Nel caso di san Michele, questa missione ha lo scopo di distruggere il male, dal momento che egli, assieme ai suoi angeli, è colui che ha vinto atana (cfr. Apocalisse 12,8). La sua spada sguainata è dunque per noi simbolo di salvezza. Possiamo applicare a lui questa frase tratta dai Salmi: «L'angelo del Signore si accampa attorno a quelli che lo temono, e li libera» (Salmi 34,8). La postura dell'arcangelo è molto simile a quella della Vittoria alata (datata al 412-413 ) che brandisce una spada sguainata, proveniente dalle mura edificate da Teodosio I e attualmente conservata presso il useo Archeologico di Istanbul.
Santi Pietro e Paolo Attribuita a Yiisuf al-Musawwir, Santi Pietro e Paolo, tempera su legno, 46x35 cm, ca. 1653, Arcivescovado greco-cattolico, Aleppo (Siria).
I due corifei degli apostoli sono in piedi, uno di fronte all'altro. A inistra, san Pietro leva la mano destra in segno di intercessione o, forse, per introdurre san Paolo, come fa nella sua epistola (2 Pietro 3,15). Nell'altra mano reca una pergamena semiaperta su un'iscrizione illeggibile e le due chiavi del Regno che Cristo gli ha affidato. Indossa un chitone blu e un himation marrone. San Paolo tiene tra le mani un evangeliario chiuso. Indossa un chitone verde e un himation giallo dalle brillanti lumeggiature. L'icona non è firmata. Ha le stesse dimensioni della precedente e appartiene allo stesso santuario. Tanto lo stile quanto la fattura del legno ci inducono ad attribuirla a Yusuf al-Musawwir e a datarla all'incirca allo stesso anno di quella di san Michele.
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Ascensione
A ttribuita a Yusu/ al-Musawwir, Ascensione, tempera su legno, 47,2 x37,9 cm, anteriore al 1667, A rcivescovado grecoortodosso, Latakia (Siria).
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L'Ascensione è un tema centrale dell'iconografia primitiva, come ci conferma il famoso evangeliario siriaco di Rabula (546 d.C.). Sin dal N secolo, le cupole delle grandi basiliche sono decorate con questo tema, che ricorda al contempo l'ascesa in cielo di Cristo e il suo secondo avvento, perché egli tornerà «allo stesso modo» in cui è partito3 • Poco alla volta, si abbandonò questo tema a beneficio del solo Cristo Pantokrator, per un fenomeno di astrazione molto frequente nell'arte bizantina. La struttura dell'icona segue il modello tradizionale. L'influenza postbizantina è tuttavia visibile nell'accentuato dinamismo: Cristo sale in cielo, assiso su una mandorla circolare, recando il rotolo delle Scritture nella mano sinistra e benedicendo con la destra. È trasportato da due angeli in assetto simmetrico e dal movimento potente. In basso, il gruppo degli apostoli circonda la Vergine, che rappresenta la Chiesa in attesa della parusia fino alla fine dei secoli. Maria è rappresentata frontalmente, mentre apre le mani in segno di inter-
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cessione orante. Ciascuno dei due angeli, vestiti di un chitone color arancio e di un himation bianco, si rivolge rispettivamente a un gruppo di apostoli additando Cristo, e reca un filatterio con le parole che il Vangelo di Luca attribuisce loro. Quello di destra riporta la frase in arabo: «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo?» (Atti 1,11). Quello di sinistra la frase che fa seguito alla precedente: «Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo» (Atti 1, 11). Le montagne e gli alberi che circondano la scena sono caratteristici di questo episodio e illustrano il testo liturgico, nel quale si parla della natura che partecipa nella sua totalità alla glorificazione di Cristo che sale in cielo. Il pittore ha abbellito l'icona apponendo, secondo la tecnica dell'assist, sottili striature dorate su alcune vesti: quelle di Cristo, degli angeli e di due apostoli. Questa icona è stata attribuita a Yusuf alMusawwir sia da Sylvia Agémian 4 che dal defunto Monsignor Neophytos Edelby5 .
Inno Akathistos
Firma in greco sul filatterio ai piedi dell'altare, m basso a destra: «Opera di Yusuf». L'inno Akathistos è una serie di lodi alla Madre di Dio, attribuita a Romano il Melode della città di Homs in Siria (prima metà del VI secolo)6 . Questo inno è composto da ventiquattro stanze, ognuna delle quali comincia con una lettera dell'alfabeto greco. Esso gravita intorno al mistero dell'Incarnazione. Dapprima cantato in occasione della sinassi in onore della Madre di Dio, celebrata il 26 dicembre, fu poi esteso alla festa dell'Annunciazione. Ma, in seguito alla miracolosa liberazione di Costantinopoli, questo inno divenne il canto della vittoria per eccellenza, in omaggio alla Vergine onorata col titolo di Archistratega o «capo per eccellenza delle armate». Ali' epoca dell'invasione dell'Asia Minore, i Periani e gli Avari assediarono Costantinopoli nel 626, otto il regno dell'imperatore Eraclio. Il patriarca ergio fece uscire l'icona di Maria e una processione si mosse intorno alle mura. Il popolo cantò tutta la notte l'inno Akathistos (che significa letteralmenre «inno durante il quale non ci si siede»). La citrà imperiale fu liberata dall'intervento miracoloso della Vergine: una tempesta di pietre e una pioggia di fuoco annientarono gli assedianti. Il patriarca Sergio aggiunse un Proemium, o introduzione, all'inno Akathistos e ordinò di celebrare questa liberazione il quinto venerdì di Quaresima7 . In seguito si aggiunse il ricordo di altre due liberazioni di Costantinopoli, quelle seguite ali' assedio della città da parte degli Arabi, nel 677 e anche nel 717. Yusuf al-Musawwir è fedele al modello tradizionale greco, che elabora secondo uno stile miniaturistico. La rappresentazione dell'inno Akathistos è ricca di simboli iconografìci ispirati dal testo liturgico, composto interamente per glorifìcare la Madre di Dio. L'iconografìa si propone di illustrare questo inno prendendo a riferimento l'inizio di ciascuna tanza. Le illustrazioni sono disposte attorno a una figura centrale che qui rappresenta il re Davide, padre degli innografì sacri. Le piccole scene vanno lette riga per riga, da sinistra a destra. Qui a fìanco le iscrizioni arabe che aostituiscono il titolo di ciascuna di esse, da sinistra a destra e dall'alto in basso:
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(L'Arcangelo è stato inviato dai cieli ... ). Annunciazione davanti alla fonte . (Conscia della sua purezza, la Vergine ... ). Scena dell'Annunciazione con la Vergine in piedi. (Conoscere una consapevolezza ignota ...). Scena dell'Annunciazione con la Vergine seduta, a filare il velo del Tempio. (La forza dell'Altissimo ... ). Due angeli recano un velo bianco e vi avvolgono la Vergine a simboleggiare la parola dell'Angelo dell'Annunciazione: «Su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo» (Luca 1,35 ). (Quella che possiede Dio ...). La Visitazione (Incontro tra la Vergine e santa Elisabetta). (Con una tempesta dentro di sé, Giuseppe ...). Dubbi di Giuseppe. (I pastori hanno udito ... ). Gli angeli annunciano la Natività ai pastori. (Vedendo la stella indicare il cammino verso Dio, i Magi ... ). La Natività. (I figli dei Caldei hanno visto nelle mani ... ). Adorazione dei Magi. (Araldi che portano Dio ... ). Fuga dei Re Magi. (Rifulgente in Egitto, Luce ...). Fuga in Egitto. (Simeone attendeva ... ). Presentazione al Tempio. («Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio, dimentica il tuo popolo» [Salmi, 45 ,11]). Il re Davide reca un filatterio con l'iscrizione. (Egli ha mostrato una nuova creazione ... [arabo] Quando il Creatore si è rivelato ... ). Adorazione di Cristo. (Egli vede un parto insolito ... ). I pastori trovano il Bambino avvolto in fasce e disteso in una mangiatoia, secondo quanto detto dagli angeli. (Egli era un essere completamente terreno ... ). Cristo in trono e Pantok rator. (Tutta la natura angelica è incantata ...). Gli angeli intonano l'inno della Natività: «Gloria a Dio nell'alto dei cieli e Pace agli uomini di buona volontà». (Gli oratori loquaci ... ). Stupore degli oratori sapienti davanti al mistero della Madre di Dio . (Egli ha voluto salvare il mondo ... [arabo] Quando il Creatore ha voluto .. .). L'Emmanuele nell'atteggiamento caratteristico dell'«occhio che non dorme». (Tu sei il baluardo delle vergini ... ). La Vergine protettrice delle vergini, delle monache e delle suore di clausura. (Inno universale... [arabo] Tutto l'inno è misero ... ). Pontefici, monaci e laici cantano le glorie di Cristo rappresentato dalla sua icona. (Lume risplendente ... ). La Vergine porta Cristo Luce del Mondo, mentre gli increduli sono nelle tenebre dell'ignoranza. (Egli voleva concedere la grazia ... [arabo] Quando il Giudice dei debiti ha voluto ...). Cristo resuscitato rompe il patto di Adamo col diavolo. (Celebrando la tua maternità ...). Venerazione della Vergine in trono col Bambino. (O Madre celebrata da tutto l'universo ... ). Venerazione dell'icona della Vergine.
Yusu/ al-Musawwir, Inno Akathistos, tempera su legno, 87 x 58,5 cm, tra il 1650 e il 1667, Collezione Georges A ntaki.
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San Simeone il Giovane
L icona rappresenta san Simeone il Giovane, detto anche il Taumaturgo, come recita il titolo in arabo dell'icona. Egli visse sul Monte Mirabile, presso Antiochia, e fu discepolo di Giovanni lo Stilita. È rappresentato in piedi a mezzo busto sulla sua colonna, che termina a forma di calice. Alla sua destra, Cristo emerge da un cerchio di nubi e, mentre benedice il santo, gli tende un filatterio su cui è vergato un testo illeggibile. Alla sua sinistra, un angelo in volo porta al santo una capra in un cesto, secondo quanto riportato nella Vita. Il santo indossa l'abito monastico: chitone, cappa, analapos e un kukulos blu. La colonna su cui si trova è costituita da tre fusti. All'altezza del secondo i trova un'apertura a cui si accede da una scalinata che conta dodici gradini. Nella parte superiore della colonna, a destra, sporge un beccatello in stile barocco recante due edifìci di forma rettangolare dal tetto rosso. Il più grande è sormontato da un ciborio dalla cupola verdastra. Questa singolare tettoia potrebbe rappresentare il locale di cui disponeva lo Stilita nella parte superiore della colonna, ma anche la Chiesa che è come sostenuta dalla colonna dello Stilita, divenuto egli stesso colonna della fede e sostegno dei credenti. Nella mano sinistra, il santo tiene una pergamena su cui leggiamo questo testo in arabo: «Gli abitanti di Ninive che hanno sentito parlare di eclissi e di terremoto causati dai peccati, e questo tramite Giona che ha prefigurato i segni della resurrezione per mezzo della balena, hanno supplicato con la con,·ersione e la contrizione. (Ma) come costoro, il tuo popolo grida coi bambini: 'Sii clemente e abbi misericordia, quando ci educhi con la tua resurrezione il erzo giorno, e abbi pietà di noi'». Nella mano destra san Simeone tiene una corda alla cui estremità sua madre, santa Marta, appende del cibo.
Tutto attorno alla figura centrale, svariate scene ispirate ai racconti biografici del santo. Le scene recano titoli in arabo. Li leggiamo procedendo dall'alto verso il basso. A destra:
Attribuita a Yusuf al-Musawwir, San Simeone il Giovane, tempera su legno, 113 x 79 cm, anteriore al 1667, Chiesa di Nostra Signora dei greco-ortodossi A leppo (Siria)
I demoni fanno cadere l'uomo dall'albero, mentre il santo, in basso, gli apre le braccia. 2. Il cieco, il paralizzato, il lebbroso, il paralitico. 3. «Il barbaro taglia la testa all'invalido» e, più in là: «L'uomo malato» e «il paraplegico». 4. L'uomo che [. .. ] e che chiama il santo in soccorso (che lo libera dalle bestie feroci) . 5. Poiché i discepoli del santo hanno imposto il suo bastone sui malati, questi sono guariti. 6. «Il muto folle» (o posseduto, visto che dal bambino escono due demoni). 7. «Il folle» (o il posseduto, perché anche dalla bocca di quest'uomo, steso davanti al santo che lo benedice, escono quattro demoni). 8. «Santa Marta» e, più in là, il momento in cui san Giovanni Battista appare a Marta, madre del santo. 1.
A sinistra: 1. «Il santo resuscita il morto». 2. «Il tiranno che perseguitava i Greci, il fuoco che discende su di lui in seguito alla preghiera del santo e lo spirito (o l'angelo) della vendetta che, con un tizzone ardente in mano, si appresta a colpirlo». 3. «Il Patriarca» (probabilmente Germano, patriarca di Costantinopoli). 4. «L'uomo glabro». 5. «Il cieco, la donna folle (o posseduta), il gobbo, l'uomo senza denti, il cieco nato, l'emorroissa, la donna priva di latte». 6. In basso, all'estrema sinistra: «Il santo all'età di sei anni, in piedi su una piccola colonna».
Questa icona è attribuita a Yusuf al-Musawwir. È stata oggetto di numerose ridipinture.
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Madre di Dio e due santi guerrieri A ttribuita a Y iisu/ al-Musawwir, Madre di Dio e due santi guerrieri; tempera su legno, 26,5 x 20,7 cm, anteriore al 1667, Collezione Georges A ntaki.
Nel registro superiore, la Madre di Dio è rappresentata nell' atteggiamento della Vergine orante, detta «più vasta dei cieli» (in greco Platytera) o ancora «muro inespugnabile», che porta nel suo seno il Bambino Gesù. È un'icona simile a quella che la città di Costantinopoli portava in processione sulle mura ogni volta che i nemici premevano. Nel registro inferiore si trovano due santi guerrieri: san Giorgio a sinistra e san Demetrio a destra. In sella al cavallo, dietro san Giorgio, figura il coppiere ebreo cui salvò la vita. Quanto a san Demetrio, egli affonda la lancia nel corpo di un cavaliere rintanato in una grotta. Si tratta dell'avversario pagano che il santo sconfisse nell'arena. Qui, il gladiatore Lieo rappresenta il Male di origine infernale. L'icona è stata attribuita a Yusuf al-Musawwir da Sylvia Agémian 8 .
Deesis A ttribuita a Y iisu/ al-Musawwir, Deesis, tempera su legno, 33 x 22 cm, anteriore al 1667, Collezione Georges A ntaki.
Il Cristo in trono benedice con la mano destra, con accanto la Vergine Maria, alla sua destra, e san Giovanni Battista, alla sua sinistra, in atteggiamento di intercessione. Giovanni il Precursore è l'ultimo e il più grande dei profeti; egli pone fine al regime dell'Antica Alleanza e rappresenta la sinagoga, mentre la Vergine, la Benedetta fra le donne, inaugura la Nuova Alleanza e rappresenta la Chiesa. In questa veste di testimoni e prototipi, Maria e Giovanni portano a cospetto del Cristo Nuovo Adamo le necessità dell'intera umanità che egli è venuto a salvare. La loro intercessione è decisiva al momento del Giudizio finale, alla cui rappresentazione si riallaccia il tema della Deesis. Sull'iconostasi, questo tema può occupare il posto che si trova proprio al di sopra della porta regia. L'icona è stata attribuita a Yusuf al-Musawwir da Sylvia Agémian 9 .
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Cristo Re dei re Nehmet al-M usawwir, Cristo Re dei re, tempera su legno, 99 x 68 cm, 1698, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano
Firma e dedica in arabo nella losanga centrale: «Questa icona è stata istituita in waqf per il convento di Nostra Signora di Balamand dal Reverendo Padre Farah, superiore del convento. Essa è stata dipinta dal kassis Nehmet, figlio del prete Yusuf al-Musawwir nell'anno 1698 dell'era cristiana». Il Cristo, a mezzo busto, porta gli ornamenti pontificali: sakkos, omophorion e corona. Benedice con la mano destra mentre, con la sinistra, tiene aperto il libro dei Vangeli con due iscrizioni in greco che illustrano teologicamente la rappresentazione iconografica. A sinistra, il testo si riferisce a Cristo Re dei re: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo ... » (Giovanni 18,36) . A destra, il testo è connesso al ministero sacerdotale di Cristo, al contempo sacerdote sacrificatore e vittima senza peccato: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo [ ... ] versato per molti, in remissione dei peccati» (Matteo 26,26). L'oro del fondo è finemente cesellato, mentre le famose losanghe bicrome ornano l'icona. Ordinato kassis dopo il 1694, Nehmet è al suo apogeo artistico. Il contorno del volto risulta tuttavia alterato a causa di una pulitura eccessiva.
Madre di Dio Hodegetria Nehmet al-Musawwir, Madre di Dio Hodegetria, tempera su legno, 99 x 68 cm, 1698, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano.
Titolo: i monogrammi greci che significano «Maria, Madre di Dio» sono inseriti in due cartigli rossastri quadrilateri dai bordi polilobati. Firma e dedica in arabo nella parte inferiore dell'icona, nel cartiglio centrale: «Questa icona è stata istituita in waq/ per il convento di Nostra Signora di Balamand dal Reverendo Padre Farah, superiore del convento. È stata dipinta dal kassis Nehmet, figlio del prete Yusuf al-Musawwir nell'anno 1698 dell'era cristiana». Quest'icona forma una coppia assieme alla precedente. L'Hodegetria è la rappresentazione ufficiale della Madre di Dio in seguito alla proclamazione del dogma della Theotokos durante il concilio di Efeso nel 431. La si colloca a sinistra della porta regia dell'iconostasi. In luogo della bicromia tradizionale, la Vergine 10 indossa vesti sontuoamente damascate. Le tre stelle che simboleggiano la verginità eterna di Maria - prima, durante e dopo il parto - hanno la forma di fiori dai petali d'oro. La Vergine tiene il Bambino sul fianco sinistro e leva la mano destra in egno di intercessione. Cristo è in posizione frontale, seduto sul braccio della Madre. Benedice con la mano destra e tiene nell'altra il volumen delle Scritture. È vestito di un chitone vermiglio e di un himation rossastro riccamente damascato.
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I santi stiliti: Simeone il Vecchio e Simeone il Giovane
Nehmet al-Musawwir, I santi stiliti: Simeone il Vecchio e Simeone il Giovane, tempera su legno, 98,5x67 cm, 1699, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano.
Titolo in greco, a destra: San Simeone lo Stilita; a sinistra: San Simeone del Monte Mirabile. Firma e dedica in arabo thulsi, in basso, sull'intera ampiezza dell'icona: «Questa venerabile icona è stata istituita in waqf dallo ha;j Zacharia, figlio del defunto prete Joseph, per la chiesa di Nostra Signora di Balamand nel 1699, all'epoca in cui il fedele Padre Farah era superiore del convento. Essa fu realizzata da Nehmet al-Musawwir». Simeone il Vecchio (t459) e Simeone il Giovane (t591), detto «del Monte Mirabile», sono riuniti in una medesima composizione. È attraverso il racconto di Teodoreto di Cirro, suo contemporaneo, che conosciamo la vita del primo e più grande degli stiliti. Simeone il Vecchio è nato nel 388 a Sisan, in Cilicia, nel nord della Siria. Fu pastore ed entrò in monastero ali' età di sedici anni. Dovette abbandonare molto presto il monastero perché le sue penitenze spaventavano i monaci 11 • Si sistemò in una grotta e poi si stabilì su una serie di colonne sempre più alte. Ebbe una notevole influenza sulla sua epoca. Collocato sulla sua colonna, il busto scoperto, è vestito di un perizoma color ocra e di un maphorion marrone scuro che termina con un kukulos azzurrognolo, la mano sinistra aperta in segno di intercessione, mentre nella destra tiene un cartiglio su cui è scritto questo testo in arabo: «O Dio misericordioso, abbi pietà dell'opera delle tue mani, tu l'Onnipotente, non permettere a coloro che si sono affidati a te di morire all'improvviso, ma concedici più pazienza e longanimità, come hai sempre fatto, tu l'Onnipotente». Secondo la Vita, una posizione eretta quasi costante avrebbe provocato un ulcera alla gamba del santo; è per questo che la gamba rimane fuori dalla colonna. Ai piedi della colonna si accalca una folla di fedeli , monaci e malati che illustra il ministero del santo, al contempo evangelizzatore e taumaturgo. A sinistra, un personaggio di grandi dimensioni col turbante
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sembra essere l'emissario della regina degli Ismaeliti; questa lo inviò a domandare preghiere al santo per essere liberata dalla sua sterilità e fu esaudita. Simeone il Giovane è in piedi sulla sua colonna e indossa l'abito monastico completo: chitone, analapos, maphorion rosso feccia di vino che termina con un kukulos. Nella mano destra tiene la corda legata a un canestro che santa Marta, sua madre, riempie ai piedi della colonna; con l'altra mano tiene un filatterio scritto in arabo: «Gli abitanti di Ninive che hanno sentito parlare di eclissi e di terremoto causati dai peccati, e questo tramite Giona che ha prefigurato i segni della resurrezione per mezzo della balena, hanno supplicato con la conversione e la contrizione. Come costoro, il tuo popolo grida coi bambini: 'Sii clemente e abbi misericordia, quando ci educhi con la tua resurrezione il terzo giorno, e abbi pietà di noi'». Attorno alla colonna del santo si trovano diverse scene tratte dalla sua Vita, già illustrate nell'icona che gli ha dedicato Yusuf al-Musawwir. In alto a destra: guarigione del giovane ossesso e del paralitico. A sinistra: il glabro e il bambino posseduto. In basso, guarigione della donna cui si era seccato il latte. Al centro, Cristo emerge dal semicerchio della gloria aprendo le braccia e tenendo in ciascuna mano un filatterio: a destra, in arabo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me ... » (Matteo 11 ,28-29); a sinistra leggiamo il seguito: « ... che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero». Malgrado l'austerità del soggetto, la scena è ridente, pittoresca. I volti sono resi con accuratezza, gli abiti presentano contrasti sorprendenti. Nehmet eccelle nello stile narrativo. Quest'icona è la prima opera melchita ad essere stata esaminata e commentata dal defunto abate J ules Leroy12 .
San Giorgio e Passione
Nehmet al-Musawwir, San Gzòrgzò e Passione, tempera su legno, 125,5x94 cm, 1701, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano.
Titolo in greco: San Giorgio Megalomartire, il Taumaturgo. Firma in arabo nel cartiglio centrale: «Dipinta dalla mano dell'umile monaco Nehmet Allah, figlio del prete Yusuf al-Musawwir, nell'anno 1701 dell'era cristiana». Nato in Cappadocia da genitori cristiani, Giorgio fu ufficiale dell'esercito romano. Sotto l'imperatore Diocleziano (303 d .C.) , subì nella città di Lidda (Lod, in Israele) numerosi supplizi (fuoco, acqua bollente, ruota, ecc.) cui miracolosamente sopravvisse prima di essere decapitato. La sua passione è stata redatta nel VI secolo da Pasicrates. Ma la leggenda del santo andrà ben al di là di questo racconto, sino a fare di lui il simbolo mitico e solare della vittoria della fede sul male. Il megalomartire Giorgio fa parte dei santi ausiliari. È il primo tra i santi detti apotropaici. Definito «ricoperto di vittoria», perché le sue sofferenze hanno oltrepassato la misura comune al punto da costituire un vero messaggio di fedeltà e resistenza per i cristiani, viene rappresentato su un cavallo mentre combatte il male. Tra i santi cavalieri 13 , san Giorgio è il solo assieme a san Giacomo il Persiano a montare un cavallo bianco. Il medaglione centrale dell'icona mostra il combattimento con il drago 14. Giorgio lo trafigge con la lancia e libera la principessa che fugge, le braccia levate. Di fronte, sulla torre di guardia del palazzo, il re, la regina e un ciambellano si sporgono per contemplare la scena. Dal semicerchio della gloria celeste, in alto, spunta un angelo con una corona per ornare il capo del valoroso martire, fatto esplicitamente citato negli atti del martire. Tutto attorno alla scena centrale, Nehmet ha dipinto la passione del santo. Una cornice a cartigli al-
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ternati circonda le scene. I colori sono vivaci, il rosso cinabro e il rosa garanza predominano. Alcuni dettagli architettonici rivelano una nota arabeggiante, in particolare, ad esempio, l'arcata a tessere bianche e nere dell'ottava scena. Ciascun medaglione reca in arabo il titolo del supplizio. In alto, da sinistra a destra: 1.
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«Quando fu fatto comparire al cospetto dei due re». Si tratta infatti degli imperatori romani Diocleziano e Massenzio. «Q~ando lo si imprigionò». Si tratta di una rappresentazione aspaziale in cui il santo è appeso in aria, mentre due soldati gli posano una lastra di pietra sul corpo. «Quando lo posero sotto la ruota».
Colonna di sinistra: 4. «Quando lo posero nella fornace di calce». 5. «Quando resuscitò il morto». 6. «Quando entrò nel tempio degli idoli».
Colonna di destra: 7. «Quando gli idoli furono vinti». 8. «Quando resuscitò il toro».
In basso, da sinistra a destra: 9. «Quando lo flagellarono». 10. «Quando fu decapitato».
La scena centrale, come il resto dell'icona, è pittoresca. Un equilibrio contrastante contrappone il rosso cinabro della clamide del cavaliere a quello delle ali del drago. Nehmet ha lavorato molto a questo soggetto. La prima icona, datata di suo pugno 1666, è una Passione di san Giorgio che si trova nella collezione Abu Adal.
Santi quaranta martiri di Sebaste
Nehmet al-Musawwir, Santi quaranta martiri di Sebaste, tempera su legno, 117 x 86 cm, 1701, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano.
Titolo in arabo: I quaranta martiri suppliziati a Sebaste. Dedica e firma in arabo, in basso e al centro dell'icona: «Questa venerabile e santa icona è stata istituita in waqf dai cittadini greco-ortodossi di Aleppo: Abdallah Ibn Gazal e Girgis Ibn Musa, per la chiesa di S. Giorgio del convento di Balamand al tempo in cui il Padre Farah era superiore del monastero, nell'anno 1701 dell'era cristiana. Essa è stata dipinta dalla mano del kassis Nehmet al-Musawwir, figlio del prete Yusuf al-Halabi, chiedendo a Dio la grazia». L'iconografo è fedele al modello tradizionale risalente al VII secolo (affresco di S. Maria Antigua a Roma): i martiri facevano parte della legione romana chiamata Fulminata , di stanza nella piccola Armenia, a Sebaste. Poiché l'imperatore Licinio aveva ordinato che tutto il suo esercito sacrificasse agli dei, i quaranta soldati rifiutarono di tradire la fede del loro battesimo e non ebbero che una risposta tanto semplice quanto sublime: «Noi siamo cristiani!» 15 • Si era in pieno inverno. Vicino alla città c'era uno stagno ghiacciato; il governatore diede ordine di abbandonarveli finché non fosse sopraggiunta la morte. L'icona è divisa orizzontalmente in tre registri. In basso sono rappresentati trentanove martiri, con indosso solo un perizoma , nello stagno che forma un'oscura spelonca. Il loro atteggiamento esprime dolore ma anche la determinazione a non tradire Cristo. Alcuni si abbracciano per incoraggiarsi o semplicemente per riscaldarsi. In basso a destra, il quarantesimo personaggio entra in un edificio: si tratta del soldato traditore che non riuscì a sopportare il supplizio e rinnegò Cristo. Secondo gli atti, non resistette al brusco cambiamen-
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to di temperatura. Egli ha lunghi capelli, contrariamente a tutti gli altri soldati. Con questo, Nehmet ha voluto esprimere la sua mancanza di virilità, poiché per la sua debolezza somiglia alle donne. Al di sopra dell'edificio si trova un personaggio a torso nudo. Si tratta del guardiano che, contemplando in cielo angeli che portavano corone, si rese conto che la quarantesima mancava di un destinatario. Si precipitò al martirio per esserne degno. Nel registro centrale, a destra, il governatore è assiso sul suo trono e impartisce ordini a un giannizzero. Al centro, un carro trasporta i corpi dei martiri. Dopo la notte del supplizio erano ancora in vita. Gli furono spezzate le gambe e vennero condotti al rogo. Un personaggio si arrampica sul carro: è la madre di Melitone, il più giovane dei martiri, che lo portò sulle spalle incoraggiandolo a condividere la sorte finale degli altri. Essendo ancora vivo, Melitone fu lasciato da parte viella speranza di farlo abiurare. Grazie a sua madre, raggiunse il corteo dei martiri e fu arso con loro su di un rogo, rappresentato a sinistra. Nell'icona, Cristo si trova in alto, al centro del registro superiore. Si sporge dalle nubi del cielo, benedice con la mano destra, mentre nella sinistra tiene un evangeliario aperto su queste pagine, evocative per la scena del martirio: «Chi ama il padre o la madre più di me non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me non è degno di me; chi non prende la sua croce e non mi segue, non è degno di me. Chi avrà trovato la sua vita, la perderà: e chi avrà perduto la sua vita per causa mia, la troverà. Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato» (Matteo 10,37-40). A destra e a sinistra del semicerchio di nuvole figurano le quaranta corone preparate per i martiri.
Santa Maria Egiziaca
Attribuita a Nehmet al-Musawwir, Santa Maria Egiziaca, tempera su legno, 72x49,5 cm,finedel xv11 secolo, Collezione Georges A ntaki.
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Titolo in greco: Santa Maria di Alessandria. La vita di santa Maria Egiziaca è celebre grazie al racconto che ne fece san Sofronio, vescovo di Gerusalemme (550-638) . Nella Chiesa bizantina, questa santa è divenuta uno dei più rimarchevoli esempi di conversione e penitenza di tutta la storia cristiana, tanto che la sua biografia viene letta durante l'ufficio del Grande Canone di sant' Andrea di Creta il giovedì della quarta settimana della grande Quaresima, un tropario in suo onore vi è cantato alla fine di ciascuna ode del Grande Canone, e la quinta domenica di Quaresima è consacrata alla sua memoria, oltre alla data tradizionale della sua festa che cade l'l aprile. Secondo il racconto di san Sofronio, santa Maria era una grande peccatrice di Alessandria. Dopo esserle stato impedito da una forza misteriosa di entrare nel Santo Sepolcro a Gerusalemme, si convertì davanti all'icona della Madre di Dio che dominava l'ingresso del santuario. Dopo aver venerato la Santa Croce, si recò a fare penitenza, secondo le indicazioni della Vergine, «sull'altra sponda del Giordano», nel deserto di Cisgiordania. Vi dimorò nella più completa solitudine. È nel corso della Quaresima del suo quarantasettesimo anno nel deserto che il monaco Zosimo la trovò. La descrizione della santa asceta è delle più impressionanti: «Questo essere era nudo, col corpo nero come se fosse stato bruciato dall' ardore del sole; i suoi capelli erano bianchi come il lino e corti, non scendendo oltre il collo». È così che la dipinge l'icona che presentiamo. La santa raccontò a Zosimo la sua storia, ed egli descrisse tutto ciò che ella aveva dovuto sopportare
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per dominarsi e fare penitenza. Gli domandò di ritornare l'anno seguente, il giorno del Giovedì Santo, per impartirle l'eucaristia. Un anno dopo, Zosimo tenne fede alla promessa e impartì la comunione alla santa. Ella lo pregò di tornare ancora l'anno dopo, ma spirò immediatamente dopo questa prima comunione. Quando Zosimo tornò un anno dopo, non poté che seppellirla con l'aiuto di un leone che scavò la fossa. L'icona illustra il momento del primo incontro di san Zosimo con la santa, che ha appena coperto la sua nudità col mantello di quest'ultimo. Da sacerdote qual è, il monaco si prosterna davanti a colei che considera più perfetta di sé, in un atteggiamento di totale adorazione davanti al mistero della conversione e della santificazione dell'antica peccatrice. In effetti, la cortigiana di un tempo è ormai un essere trasfigurato. L'emaciamento di Maria e la sua seminudità evidenziano in lei una nuova bellezza tutta celeste. Questa bellezza le proviene da Cristo, che la benedice dalla volta celeste. Maria è completamente rivolta verso di lui, entrambe le mani levate in segno di intercessione. Col suo atteggiamento e il ginocchio alzato, somiglia a Giovanni Battista, angelo nella carne e abitante del deserto. È così che Zosimo la vide pregare e levarsi in aria, totalmente investita ' dalla presenza divina. L'icona è stata attribuita a Nehmet al-Musawwir da Virgil Candea e da Sylvia Agémian 16 • Per la sobrietà e la potenza espressiva, si tratta incontestabilmente dell'opera più suggestiva del maestro dei pittori melchiti. Qui, l'arte arabo-cristiana trova una realizzazione esemplare. Il ricordo di san Zosimo viene celebrato il 4 aprile.
Santa Giulitta e san Quirico
Attribuita a Nehmet al-Musawwir, Santa Giulitta e san Quirico, tempera su legno, 91,5x50,3 cm, Convento di S. Mich ele degli Aleppini, Zouk (Libano).
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Icona-reliquiario la cui parte superiore, un arco a tutto sesto, contiene la mano di san Quirico, posta in un'apertura chiusa da un cristallo tagliato e levigato. La sua provenienza è sconosciuta 17 . Santa Giulitta nacque a Iconio 18 . Discendente di re d'Asia, fu sposata a un uomo devoto da cui ebbe un figlio chiamato Quirico. Giulitta rimase vedova molto presto. Quando nel 303 d.C. si scatenò la persecuzione di Diocleziano, suo figlio Quirico aveva tre anni. Temendo di perderlo, Giulitta fuggì in Seleucia, poi a Tarso, capitale della Cilicia. Qui vennero arrestati entrambi e condotti al cospetto del governatore. Giulitta confessò la sua fede e fu frustata a morte. Si adirarono anche con Quirico che, pur essendo un bambino, gridava le stesse parole della madre: «Sono cristiano, sono cristiano!». Per la rabbia, il governatore afferrò il bambino e gli fracassò la testa contro il suolo. Quirico ottenne in tal modo la palma del martirio. Giulitta subì varie torture e morì decapitata. Le due preziose spoglie rimasero nascoste fino ali' avvento di Costantino. Riproduciamo qui solo la parte centrale del reliqmano. L'icona rappresenta santa Giulitta giusto dopo il martirio di suo figlio e prima del proprio. Mette in evidenza il martirio di Quirico, ma anche quello del cuore di Giulitta che, cercando di scampare alla persecuzione per non perdere il suo unico figlio, finì per offrirlo sull'altare dell'olocausto. Giulitta somiglia stranamente alla Vergine Maria che, malgrado la spada che le trafigge l'anima (cfr. Luca 2,35), offre con amorosa rassegnazione il suo primogenito per la salvezza di molti. La scena rinvia anche alla vedova di Nain, il cui immenso dolore per la perdita del suo
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unico figlio mosse Cristo a compassione facendogli dire: «Non piangere»; egli resuscitò il morto per restituirlo alla madre (cfr. Luca 7, 11-14). Giulitta è in piedi, piegata in avanti, la testa china, poggiata sulla mano sinistra in segno di lutto, come la Vergine dei dolori nell'Akra Tapeinosis. Indossa una veste blu egizio dai polsi ocra chiaro e un maphorion porpora ravvivato dal garanza. La santa contempla con dolore il figlio adagiato ai suoi piedi, la testa aureolata separata dal corpo, il collo sanguinante, le mani lungo il corpo, in una postura rigida ma colma di maestosa serenità. Quirico è vestito, secondo i dettami della tradizione bizantina per i bambini, con un chitone vermiglio molto corto che lascia scoperte le gambe a partire dal ginocchio. Sopra di lui, un angelo scende dal semicerchio striato della gloria blu notte collocata in alto. Reca la corona di gloria destinata al fanciullo martire. Lo stile è magistrale. I volti sono eseguiti con toni caldi su fondo oliva: il volto di Giulitta esprime un dolore incommensurabile ma anche l'affettuosa e serena volontà di offrire il suo bene più prezioso. Quirico commuove per la sua innocenza e la sua compostezza. Benché deteriorata e con gravi lacune, l'icona è di grande forza espressiva. Le aureole e il fondo sono ornati con cesellature dei maestri di Aleppo. Tanto il modellato dei volti che il panneggio delle vesti fanno pensare alla mano incomparabile del maestro dei pittori melchiti, Nehmet al-Musawwir. Il culto di santa Giulitta e san Quirico è molto sentito nell'alto Egitto, a Tahta,,nella chiesa loro dedicata. Costruita nel 550 d.C. e restaurata nel 1740, ospita tre icone dei santi martiri, una delle quali proveniente da Gerusalemme.
San Giorgio
Nehmet alMusawwir, San Giorgio, tempera su legno, 142,8x99,2 cm, 1706, Arcivescovado maronita, Aleppo (Siria).
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Firma in arabo, in basso a sinistra: «Il kassis Nehmet, figlio del prete Yusuf al-Musawwir, anno 1706». Secondo la leggenda, un giorno Giorgio arrivò in una città della Libia chiamata Silene (Silcha), ma che i Libanesi sostengono essere Beirut. Ora, in uno stagno nei pressi della città viveva un drago. Al fine di placare il furore del mostro e impedirgli di annientare l'intera città, gli abitanti decisero di offrirgli ogni giorno due pecore. Presto queste vennero a mancare e gli abitanti furono costretti a sostituirle con dei giovani estratti a sorte. Nessuna famiglia fu esentata dall'estrazione e la sorte designò come vittima l'unica figlia del re. Giorgio arrivò il giorno in cui la giovane principessa, legata a una roccia vicino allo stagno, era sul punto di essere vittima del drago. In sella al suo destriero, tiene ben alto il suo stendardo e si getta coraggiosamente sul mostro con tale foga da gettarlo a terra. In seguito la principessa condusse la bestia fino alla città, dove fu decapitata 19 . Nel 1265 -1266 questa leggenda fu ripresa e adat-
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tata per l'Occidente cristiano nella Legenda A urea da Jacopo da Varagine, il quale sottolinea che questo racconto è stato messo sullo stesso piano dei documenti apocrifi fin dal secondo concilio di Nicea (787 ). L'icona è monumentale. Rappresenta il combattimento di san Giorgio con rara potenza espressiva. La scena è tradizionale. San Giorgio tiene la testa del drago di cui ha trapassato la gola con la lancia e brandisce una scimitarra per decapitarlo. A sinistra, la figlia del re fugge , mentre il re e la regina contemplano la scena dall'alto dei bastioni della città. Al di sopra del santo appare Cristo che lo benedice, mentre l'angelo di destra gli porge la palma della vittoria e quello di sinistra la corona del martirio. Si tratta di un 'opera di grande potenza del maestro dei pittori melchiti. Nehmet è ancora diviso tra lo stile grecizzante di suo padre e la svolta postbizantina orientaleggiante che presto si imporrà. Assieme al Giudizio finale della chiesa dei Quaranta Martiri di Aleppo, è forse l'icona in cui esprime al meglio se stesso.
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Trittico (Hodegetria e santi)
A ttribuita a Nehmet al-Musawwir, Trittico (Hodegetria e santi), tempera su legno, 64,5 x 42,5 cm, inizio del XVI/I secolo, M onastero di Saydnaya, Siria.
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Titoli in greco. Sull'anta centrale si trova la Vergine Conduttrice, o Hodegetria, con in braccio il Bambino Gesù, verso cui leva la mano in segno di intercessione. In alto a destra, un angelo che vola sulle nuvole reca gli strumenti della Passione: la croce, la lancia e la spugna. A sinistra, un altro angelo, in posizione simmetrica, reca una pergamena su cui è scritto in greco: «O Madre di Dio .. .». L'anta di destra è suddivisa in due registri. In alto, santa Tecla, con indosso un maphorion violaceo, tiene una croce nella mano destra, simbolo del suo martirio. A destra figura in scala più piccola un altro
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martire con le sembianze di un giovane, anch'egli con una croce. Si tratta di san Trifone, taumaturgo, originario della Frigia, che tradizionalmente porta una falce in quanto protettore delle vigne e dei raccolti. In basso, il santo guerriero Demetrio atterra l'empio avversario Lieo. L'anta di sinistra è anch 'essa suddivisa in due registri: in alto, i due santi guerrieri Sergio e Bacco si abbracciano, sebbene in sella ai loro cavalli; in basso, san Giorgio trafigge il drago con la sua lancia.
L'icona non è firmata né datata, ma l'elaborazione dei volti e dei colori induce ad attribuirla a Nehmet.
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Madre di Dio, Eleousa della Passione
Questa magnifìca icona è di recente stata scoperta e restaurata ad opera della Maison d' Antioche. Si tratta di un'opera di spicco dell'arte arabo-cristiana, comunemente detta melchita. La composizione è a metà strada tra il modello dell'Eleousa, o Vladimirskaia, e quello, più tardo, detto Vergine della Passione, tipo iconografìco ideato dall'artista cretese Andrea Ritzos nel XVII secolo. Nel contesto dell'arte arabo-cristiana, questi due temi sono affrontati molto più parsimoniosamente rispetto a quello dell'Hodegetria. La Vergine indossa una veste rosso cinabro e uno splendido maphorion in vero lapislazzulo20 , le cui maniche sono adorne di una doppia banda ornamentale dorata guarnita di pietre policrome. La Madre di Dio tiene il Bambino sul braccio sinistro, mentre leva verso di lui la mano destra in segno di intercessione. È inclinata verso il suo primogenito in un gesto di tenerezza materna. Cristo porta un chitone bianco-grigio, fermato in vita da una cintura rosa, e un himation d'oro modellato da velature trasparenti. Il Bambino-Dio abbraccia con familiarità sua madre con entrambe le braccia, contrariamente al modello della Vergine della Passione, nel quale poggia una mano sulla sua. Qui, alza la testa verso di lei, mentre, nel modello, volge lo sguardo indietro verso gli strumenti della Passione portati dagli angeli.
Anche se gli angeli sono presenti su entrambi i lati della composizione, non recano gli strumenti della Passione e tengono le mani incrociate sul petto in segno di adorazione del mistero . Cristo, che non volge lo sguardo verso di loro, perde tuttavia un sandalo, come nel modello suddetto, in segno di emozione di fron te alla prospettiva della Passione. Conformemente alla tradizione della composizione iconografìca della Vergine della tenerezza, Maria non guarda suo fìglio. Si volge allo spettatore, mentre il suo sguardo è perso nell'infìnito. Ella contempla il mistero di colui a proposito del quale il vecchio Simeone ha profetizzato in questi termini: «Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafìggerà l'anima» (Luca 2,34-35). L'icona ha il fondo punzonato dei maestri aleppini. È incorniciata dai famosi cartigli bicromi della scuola di Aleppo. La presenza dei due angeli è frequente nelle opere di Girgis al-Musawwir. Qui è giustifìcata dalla commistione tra i due tipi iconografìci. La fattura dell'icona, la sua delicatezza e i pigmenti impiegati ci inducono ad attribuirla a Nehmet. Si ritrova la medesima composizione, con una commistione tipologica differente da quella riscontrata qui, nell'icona in nove parti che gli viene attribuita (vedi p . 60).
Attribuita a Nehmet al-Musawwir, Madre di Dio, Eleousa della Passione, tempera su legno, 43, 1 x33,8 cm, posteriore al 1700, Collezione Li/zane Kareh, Libano.
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Icona quadripartita
Attribuita a Nehmet al-Musawwir, icona quadripartita, tempera su legno, 57,5x45 cm, inizio del xvm secolo, Ordine Basilù:mo Aleppino, Libano.
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Questa icona è un'espressione tipica dell'arte melchita, sia dal punto di vista dello stile che del contenuto. La composizione risponde alle esigenze del committente. I soggetti sono disposti senza preoccuparsi troppo della gerarchia, tanto cara ali' arte bizantina. Di conseguenza, la Vergine Hodegetria si trova sullo
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stesso registro di san Nicola, mentre san Giorgio che abbatte il drago è sullo stesso livello dei corifei degli apostoli Pietro e Paolo, che sostengono solennemente la Chiesa sotto forma di edificio di culto. L'icona è stata attribuita a Nehmet al-Musawwir da Virgil Candea e da Sylvia Agémian 2 1.
Icona in nove parti
Attribuita a Nehmet al-Musawwir, icona in nove partz; tempera su legno, 79 x 60 cm, inizio del xvm secolo, Ordine Basiliano Aleppino, Libano.
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Per quanto riguarda i personaggi, l'icona risponde al gusto del committente. È suddivisa in nove parti su tre registri. Nel registro superiore, la Vergine della Passione è circondata dai santi arcangeli Michele, che in tenuta militare brandisce una spada, e Gabriele, con indosso una dalmatica, che reca il globo terrestre e tiene, come servitore dell'Incarnazione, il chrismon e il monogramma di Cristo. Nel secondo registro si trova san Giovanni Crisostomo in mezzo a san Basilio il Grande e Gregorio Nazianzeno. Teniamo presente che la Chiesa bizantina fissò una celebrazione comune ai tre santi gerarchi Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo. L'origine di questa festa risale ali' anno 1100, all'epoca dell'imperatore Alessio Comneno, in occasione di una discussione che degenerò in disputa per stabilire quale dei tre dottori fosse il più importante. Le parti in lite fecero ricorso ali' arbitrato del metropolita Giovanni, tanto sapiente quanto santo, che si rifugiò nella preghiera implorando la luce dall'Alto. I tre santi gli apparvero in gloria per dirgli che erano pari in santità, in gloria e in sapienza, come tre «soli» nel firmamento, da cui il nome della festa che divenne in arabo quella delle «Tre lune». Gli chiesero di dire ai fedeli di porre fine alla loro sterile disputa e di stabilire una festa comune in loro onore. Il metropolita scelse il 30 gennaio e compose l'ufficio della festa. Ciascuno dei tre santi è rappresentato in abito episcopale, con un vangelo aperto su passi scelti. Sul filatterio di san Basilio, a destra, si può leg-
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gere: «Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone» (Matteo 5 ,14-16). Sul filatterio di san Giovanni Crisostomo: «Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore. Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono ... » (Giovanni 10,14). Sul filatterio di san Gregorio il Teologo: «Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo. Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere. In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un 'altra parte, è un ladro e un brigante» (Giovanni 10,9). Infine, nel rango inferiore, si trovano i santi guerrieri: san Giorgio al centro, mentre combatte il drago; a destra, san Demetrio con l'empio Lieo e, asinistra, san Procopio nelle vesti di arciere che brandisce uno stendardo. Come nell'icona precedente, Nehmet eccelle nella resa dei dettagli e nelle lumeggiature di colore, inserendo i personaggi in piccole scene incorniciate dai famosi cartigli bicromi aleppini a intreccio, ornati di margherite bianche di grande effetto. I fondi rossi formano croci attorno alle piccole scene centrali. L'icona è stata attribuita a Nehmet al-Musawwir da Virgil Candea e da Sylvia Agémian22.
Battesimo di san Paolo
Yuhanna, figlio del prete Abdel Masih, Battesimo di san Paolo, tempera su legno, 37x29 cm, 1715, Collezione privata, Berlino.
Titolo in greco: Il santo apostolo Anania battezza Paolo. Firma in arabo sulla banda ornamentale inferiore: «Questa venerata icona è dipinta dal kiss Yuhanna, figlio del compianto kiss Abdel Masih, che Dio la renda benedetta, e questo nell'anno 1715 dell'Incarnazione». Il tema di quest'icona è piuttosto raro. Rappresenta l'apostolo san Paolo in ginocchio, battezzato da Anania, secondo il racconto degli Atti degli Apostoli (Atti 9,10-19). San Paolo indossa un abito militare. L'iconografo illustra in tal modo la sua venuta a Damasco alla testa di un drappello di soldati per arrestare i cristiani. Anania è vestito come un prete bizantino col phelonion, l' epitrachelion, l'epigonation e inoltre l' omophorion caratteristico dei vescovi, forse per sottolineare l'autorità apostolica di colui che battezzò l'apostolo per eccellenza, san Paolo. L'iscrizione non attribuisce a Paolo il titolo di santo perché la scena raffigura il suo battesimo. Per la stessa ragione, egli non è nimbato. Alle spalle dei due personaggi, l'edificio è coperto da una cupola sormontata da una croce, come a suggerire una chiesa. Ritualmente parlando, questo battesimo presenta delle discordanze liturgiche. In primo luogo, il santo è in ginocchio, forse per suggerire il suo pentimento, ma i battesimi di tutti i riti raccomandano che il catecumeno stia in piedi per evocare la resurrezione
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di Cristo. In secondo luogo, Anania porta il paramento liturgico di un sacerdote bizantino (benché non venga specificato negli Atti degli Apostoli che Anania è prete), ma battezza per aspersione con una conchiglia alla maniera latina, mentre il battesimo bizantino si effettua per immersione. Questi anacronismi rivelano, nel contesto della scuola di Aleppo, un'assimilazione ancora imperfetta di un'influenza latina che andrà crescendo. L'icona appartiene alla scuola di Aleppo, la cui impronta è visibile nei colori cangianti, nell'ornamentazione delle vesti, nel generoso ricorso ali' assist, nel nimbo di Anania lavorato a punzone, come nello stile della cornice esterna, costituita da girali a riserva d'oro su fondo nero. Chi è Yuhanna Ibn Abdel Masih? Non compare in nessuno dei repertori degli iconografi melchiti. Suo padre è forse quell'Abdel Masih al-Kubrussi la cui icona tripartita analizzeremo più avanti (p. 118)? L'opera di Yuhanna, figlio di Abdel Masih, rivela un pittore sicuro di sé, che non è inferiore ai Musawwirun e che, soprattutto, è attivo nel primo quarto del XVIII secolo, cioè nel momento in cui il maestro Nehmet al-Musawwir elaborava la splendida sintesi tra lo stile grecizzante di suo padre e la fecondità creatrice propria dello stile postbizantino arabo. Solo una ricerca applicata consentirà di rintracciare le opere di Yuhanna Ibn Abdel Masih, permettendo di ripercorrere la sua storia e dargli il posto che merita tra i pittori arabo-cristiani.
Koimesis
Attribuita a Yuhanna Ibn Abdel Masih, Koimesis, tempera su Legno, 96x 73,5 cm, prima metà del XVIII secolo, Collezione Georges Antaki.
Titolo in greco: La Dormizione della Panagia.
della Santissima. L'icona è fedele ai modelli tradizionali bizantini, pur comportando elementi propri dello stile e della visione dell'artista. La composizione è divisa in tre registri. Il centro è occupato dal catafalco su cui giace la Vergine e da Cristo che, in seno a una mandorla, circondato da angeli, riceve la sua anima, rappresentata come un bambino avvolto in fasce bianche: l' eidolon. Ai lati della doppia figura centrale si trovano gli apostoli. A sinistra, sono raggruppati alle spalle di san Pietro, che presiede alla cerimonia funeraria agitando il turibolo. Vicino a lui, leggermente chinato verso le auguste spoglie, si trova Giovanni, che ebbe l'onore di ospitare a casa propria la Madre di Dio la sera stessa del venerdì santo e fino alla sua morte. A destra, dietro san Paolo, che si china con dolore sui piedi di Maria, figurano san Giacomo, fratello del Signore23 , e san Luca con la testa tonsurata. Sono rappresentati due vescovi: san Dionigi Areopagita e san Ieroteo, così come quattro pie donne. La maggior parte dei personaggi, compresi gli angeli, porta un cero in segno di partecipazione alla cerimonia funeraria. Le case che si trovano alle spalle dei personaggi suggeriscono che si tratta di una scena intra
muros. Nel registro inferiore, davanti al catafalco, è rappresentato un episodio riportato dagli apocrifi: l'ebreo Iefonia, incredulo, che cercava impudentemente di toccare il catafalco, si vede tagliare le mani da un angelo. Ciò a simboleggiare la santità del corteo funebre di colei che è Santissima (Panagia in gre-
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co), come afferma il titolo dell'icona: La Dormizione
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Nel registro superiore, la Santa Vergine è elevata in cielo dagli angeli, mentre dai quattro angoli dell'universo gli apostoli sono trasportati dalle nuvole per assisterla nei suoi ultimi momenti. Il gruppo di destra è composto da cinque apostoli, mentre quello di sinistra ne conta sei. Manca san Tommaso che, come per la Resurrezione di Cristo, è testimone dell'ultima ora. Essendo arrivato in ritardo, ha il privilegio di una manifestazione particolare: la Vergine gli porge la sua cintura che egli porterà con sé nelle Indie durante il suo ministero di evangelizzazione. Quest'ultimo episodio è particolarmente caro agli Orientali, che venerano proprio questa cintura nella cripta della cattedrale dei Siriani ortodossi a Homs, chiamata per questo motivo Um al-Zunar, la «Madre della Cintura». L'icona è stata attribuita a Nehmet al-Musawwir da Virgil Candea e da Sylvia Agémian 24 . Tuttavia, dopo la scoperta dell'icona del Battesimo di san Paolo, firmata e datata da Yuhanna, figlio di Abdel Masili al-Kubrussi, siamo fortemente inclini ad attribuirla a quest'ultimo. La prosopografia delle due icone è la medesima, col rigonfiamento caratteristico del labbro inferiore e la sporgenza degli zigomi. Inoltre, la gamma cromatica della Dormizione è lontana da quella abituale di Nehmet, sempre molto accesa e con pochissime tonalità pastello. I rosa e i blu abbondano nelle due icone attribuite a Yuhanna, conferendo meno vivacità ma più morbidezza al suo lavoro.
Pantokrator e sinassi dei santi angeli Hanania, Pantokrator e sinassi dei santi angeli, tempera su legno, 91,8x66,5 cm, 1726, Cattedrale di Nostra Signora dei greco-ortodossi, Aleppo (Siria)
Titolo in greco: La sinassi degli esseri celesti. Firma dopo la dedica, in arabo: «L'ha istituita in waqf il sire Faddul [. .. ] (per) l'altare degli angeli ad Aleppo, la protetta (di Dio), sotto il pontificato del patriarca il sire Atanasio [ .. .] ed è opera del povero servo Hanania, fìglio del maestro Nehmet al-Musawwir, nell'anno 1718». Cristo siede in trono in una mandorla con, ai piedi, le due ruote alate del «carro di Yahweh» (cfr. Ezechiele 1,15). Attorno alla mandorla, si trova il passo del Salmo 148 scritto in greco, cantato nella Chiesa bizantina durante le laudi: «Lodate il Signore dai cieli, lodatelo nell'alto dei cieli. Lodatelo, voi tutti, suoi angeli, lodatelo, voi tutte, sue schiere» (Salmi 148,1-2). I sette «spiriti di Dio» che si trovano sempre in sua presenza (Apocalisse 1,4; 4,5) circondano Cristo vestiti da soldati. Negli angoli figurano due gruppi di angeli, mentre in alto tre angeli-diaconi con sticharia , oraria e hastae. Hanania ha forse voluto rappresentare la Santa Trinità così come apparve ad Abramo. In basso, i simboli del sole e della luna si fronteggiano . Alquanto deteriorata, l'icona testimonia uno stile molto ellenizzante.
Madre di Dio della Rosa immarcescibile Hanania, Madre di Dio della Rosa immarcescibile, tempera su legno, 91,8x 66,5 cm, 1721, Cattedrale di Nostra Signora dei greco-ortodom; Aleppo (Siria).
Titolo in greco: La Pantanassa (Regina del mondo), despota e signora degli
angeli. Dedica: «Ha istituito in waqf questa venerabile icona il makdessi Semaan, figlio del makdessi Elias Fadl per la chiesa di Nostra Signora ad Aleppo, la protetta (di Dio), per la sua anima e l'anima dei suoi avi, cercando ricompensa e merito nel giorno terribile della morte». Firma: «L'ha dipinta con la sua mano peritura Hanania, figlio del kiss Nehmet, figlio di Yusuf al-Musawwir, nell'anno 1721 dell'era cristiana». Ispirato all'inno Akathistos25 , il tema è stato creato a Mosca per i quattro santuari del Cremlino dedicati alla Vergine26 • Tikhon Filatev l'ha dipinto nel 1691. In piedi sull'altare, vestito dell'abito imperiale, Cristo Bambino reca una mela che richiama alla mente il peccato originale che egli è venuto a togliere. La madre lo cinge con la mano destra nella quale tiene una rosa, segno della salvezza portata dalla Croce27 • Due angeli recano filatteri su cui si legge in greco, a sinistra: «Ave, o Santa più di tutti» e, a destra: «Ave, o sola senza peccato». L'icona è di innegabile bellezza, malgrado la fissità dei volti.
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Presentazione di Maria al Tempio
Titolo in greco: Presentazione della Madre di Dio al Tempio. Firma in arabo, nella parte inferiore dell'icona: «L'ha dipinta con la sua mano peritura il debole servo Hanania, figlio del kiss Nehmetallah, figlio del prete Yiisuf, nell'anno 1718 dell'Incarnazione». Dedica in arabo, nella parte inferiore dell'icona: «Ha istituito in waq/ questa venerabile icona il debole servo Yusuf Gibrayel per la chiesa di Nostra Signora nella città di Aleppo, protetta (di Dio), all'epoca
del Signor Patriarca il sire Atanasio l' Antiocheno». Il soggetto è interamente ispirato al Protovangelo di Giacomo 28 . La festa è tuttavia entrata a far parte della liturgia della Chiesa sin dal 543 , anno di consacrazione della basilica di S. Maria Novella a Gerusalemme. Fa parte del ciclo iconografico mariano. L'icona è fedele ai modelli tradizionali: Gioacchino e Anna sono seguiti da quattro giovani donne che recano ceri. Essi conducono la piccola Maria di tre anni, che sale i gradini in direzione di Zaccaria, che le apre le braccia. Egli si trova all'ingresso del Tempio, vestito dei paramenti sacerdotali con una tiara d'oro. Alle spalle del gruppo che segue la Vergine figura il Santo dei Santi sotto forma di un ciborium a quattro colonne sormontato da una cupola. A destra, Maria è seduta in alto su una scalinata, sotto un baldacchino. Un angelo in volo emerge da una nuvola per portarle il suo nutrimento. L'icona è un esempio eclatante del «nuovo» stile di Hanania, che differisce da quello del padre, Nehmet, principalmente per la scelta dei colori. La gamma cromatica ruota attorno al blu, dominante in tutte le sue creazioni. Inoltre, Hanania conferisce meno calore ai volti. Cerca di renderli in maniera più realistica, senza riuscirvi sempre. L'ornamentazione e la decorazione hanno tendenze barocche, come succede in alcune creazioni di Hanania, ad esempio l' Albero di lesse.
Hanania, Presentazione di Maria al Tempio, tempera su legno, 90x67,2cm, 1718, Cattedrale di Nostra Signora dei grecoortodossz; Aleppo (Siria).
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Annunciazione
Hananùz, A nnunciazione, tempera su legno, 66x 48,9 cm, 1719, Ordine Basiliano Choueirita, Libano.
Titolo in greco: L'Annunciazione della Madre di Dio. Dedica in arabo, sul bordo inferiore: «Il kiss Nicola il Monaco 29 ha istituito questa venerata icona in waqf per il convento di S. Giovanni il Precursore nel villaggio di Choueir, circoscrizione di Beirut della (provincia) di Sham, nell'anno 1719 dell'era cristiana». L'Annunciazione è la prima delle feste del Dodekaorton. È rappresentata sui due battenti della porta regia dell'iconostasi. La si colloca anche su entrambi i lati dell'abside centrale, rivolta a Oriente. Questa festa ha luogo il 25 marzo, ossia nove mesi prima di Natale e sei mesi dopo il concepimento di Giovanni Battista (23 settembre). La composizione si ispira al Protovangelo di Giacomo, che attribuisce due tempi all'Annunciazione. L'angelo incontra dapprima Maria alla fonte, poi la saluta a casa di lei mentre è intenta a filare la porpora per il velo del Tempio, simbolo della carne di cui si rivestirà il Figlio di Dio. La Vergine è in piedi su un piedistallo ocra rosso, davanti a una panca in legno rilevato in oro. Indossa una veste azzurro chiaro e un maphorion alizarina. La mano destra è levata in segno di ricettività orante. La mano sinistra è richiusa sul vuoto. In realtà, Maria dovrebbe tenere il fuso con cui filava la porpora e lo scarlatto per tessere il velo del Tempio30 • Qui, il pittore dimentica questo dettaglio tradizionale. L'arcangelo Gabriele avanza risolutamente verso la Vergine. Indossa una veste dello stesso colore di quella della Vergine e un himation rosa il cui bordo si gonfia all'indietro in un movimento aggraziato. Le ali spiegate sono color ocra, finemente decorate con un assist in oro. In veste di messaggero di Dio, porta un bastone lanceolato nella mano sinistra, mentre
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leva la destra in un gesto di benedizione che simboleggia la parola. Le aureole sono finemente battute e cesellate in oro. Al di sopra di quella della Vergine è iscritta l'abbreviazione greca del titolo Maria, Madre di Dio. Al di sopra di quella dell'arcangelo, figura l'abbreviazione greca del titolo San Gabriele. La scena si svolge intra m uros con due edifici bianco-grigi affrontati sullo sfondo. A sinistra, l'edificio termina con una pergola rossastra da cui pende un velo scarlatto, simbolo della buona novella che viene annunciata. A destra, una costruzione a forma di portico è sormontata da una struttura dalla copertura rossastra. Gli edifici sono stretti tra due muriccioli: in secondo piano, uno ocra rosso, in primo piano, uno bianco-grigio dalle arcate allungate. In diversi punti l'iconografo fa apparire dei cespugli verde scuro, insoliti su uno sfondo architettonico. Al centro del bordo superiore dell'icona, un triplice raggio fuoriesce dal semicerchio della gloria. All'estremità del raggio mediano, un bulbo racchiude la raffigurazione dello Spirito Santo sotto forma di colomba. Questo simbolo illustra le parole di Gabriele alla Vergine: «Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo» (Luca 1,35). Ma la raffigurazione dello Spirito sotto forma di colomba è tratta dal racconto evangelico del battesimo di Cristo. Quest'icona si colloca nel primo periodo dell' opera di Hanania. Pur essendosi emancipato, egli non disdegna di lavorare con suo padre Nehmet. L'icona è elaborata nelle tonalità pastello del blu e del rosa, che diverranno caratteristiche della sua opera e che si discostano dalla tavolozza di Nehmet. I volti sono ben modellati, pervasi di dolcezza e amenità.
Domenica dell'ortodossia
Hananù1, Domenica dell'ortodossia, tempera su legno, 65x47,5 cm, 1722, Convento di Nostra Signora di Balamand, Libano.
Titolo in greco: Domenica dell'ortodossia. Dedica in arabo: «Ha istituito in waqf questa venerabile icona il diacono Nehmetallah al-Trabulsi (provincia) di Sham per il convento di Balamand, protetto da Dio». Firma: «L'ha dipinta il servo Hanania, figlio del kiss Nehmetallah, figlio del prete Yusuf, l'anno 1722 dell'era cristiana». L'icona rappresenta, per la storia dei dogmi, la vittoria della fede retta, o ortodossa, sull'ultima delle eresie, cioè l'iconoclasmo. Per la liturgia, è il nome dato alla prima domenica di Quaresima che commemora il ripristino del culto delle immagini attraverso la lettura del nomos e una processione solenne con le icone. L'iconoclasmo fu scatenato nel VII secolo dall'imperatore Leone III che, distruggendo la statua del Cristo di Chalke, all'entrata del Palazzo reale, provocò una sommossa e l'inizio di una sanguinosa repressione. Nell'icona, sono riuniti i due principali eventi del trionfo dell'ortodossia: il settimo concilio ecumenico Niceno II - tenuto dall'imperatrice Irene e dal giovane Costantino VI, sotto il patriarca Tarasio e il papa Adriano III, che mise fine al primo periodo iconoclasta (73 0-7 87 ) - e l' Endemousa (o sinodo regionale) di Costantinopoli, subito dopo l'intronizzazione di san Metodio come patriarca della città imperiale, 1'11 marzo 843, col sostegno dell'imperatrice Teodora, vedova di Teofilo (829-842 ) e del giovane imperatore Michele III. Nel registro superiore, due angeli elevano, per esporla alla venerazione, l'icona-palladio dell'Hodegetria, che aveva salvato Costantinopoli dagli Avari nel 626 e dagli Arabi nel 718: autentico ripristino del culto delle immagini attraverso la venerazione pubblica resa all'icona della Madre di Dio.
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Quest'icona è l'esatta copia di quella che si trova nella collezione Abu Adal e che è stata descritta da Sylvia Agémian, che la attribuisce a Hanna al-Kudsi31 . A sinistra, l'imperatrice Teodora è assieme a suo figlio , l'imperatore Michele III, ancora bambino. Entrambi indossano il sakkos e la corona imperiale. A destra figura il patriarca Metodio in abiti pontificali affiancato da un vescovo e da due monaci. Per quanto riguarda le iscrizioni, che non sono presenti in questa icona, possediamo solo la lettura che ne ha fatto Sylvia Agémian. Per il rango inferiore, a sinistra, essa nomina: santa Teodosia che reca l'icona dell'Emmanuele, sostituita in questa icona da un volumen 32 , e, al suo fianco , i confessori Ioannikos, Stefano, Tommaso e Pietro; il gruppo di destra sarebbe formato dai confessori Macario di Peleketi, Stefano il Giovane, Giuseppe, Giovanni Katharon, Arsenio e Andrea. Infine, al centro, l'icona di Cristo è sostenuta da san Teofane del Gran Campo e da san Teodoro Studita. I confessori sono monaci vestiti dello schema angelico; un eremita, in piedi accanto a santa Teodosia, reca un filatterio con questo testo·in greco: «Vergine Madre di Dio e Madre di tutti i credenti ortodossi>>. Anche l'ultimo confessore, a destra, reca un filatterio con un 'iscrizione in greco tratta dal tropario della festa - cancellata sull'icona della collezione Abu Adal: «Ci prosterniamo davanti alla tua immacolata icona, o Salvatore». Il British Museum ospita un 'icona col medesimo soggetto, datata al 1400, con le stesse figure e un 'unica differenza: accanto al Patriarca, nel rango superiore, non ci sono che monaci. Lo stile di Hanania appare qui ancora più rigido per via della postura ieratica e fuori dal tempo dei personaggi. Sospettiamo delle ridipinture posteriori e persino un falso che solo un 'analisi spettrale potrà evidenziare.
Madre di Dio, Albero di lesse
Hanama, Madre di Dio, Albero di l esse, tempera su legno, 56x 156 cm, 1719,
Convento di Nostra Signora di Balamand, Koura (Libano).
Dedica in basso a destra: «Il venerabile Padre Mikhail, conosciuto come figlio (Ibn) di Akrut, superiore del convento di Nostra Signora di Balamand, ha istituito in waqf questa icona per il suddetto convento». A sinistra: «Ricordati, Signore, dei tuoi servi Maktub, Ibrahim e Constantin, e di Giorgio, defunto nel 1719». Firma: «Dipinta dall'umile servo Hanania, figlio del kiss Nehmetallah, figlio del prete Yusuf al-Musaww1r». L'Albero di lesse è uno dei principali temi del Medioevo occidentale. In Oriente, lo si incontra dal XIII secolo nel monastero di S. Caterina: un'icona rappresenta la Vergine in trono col Bambino circondata dai profeti dell'Antico Testamento. Una miniatura armena di Vaspurakan (XVI secolo) illustra lo stesso soggetto. Ma questo tema raggiungerà il suo pieno sviluppo solo verso la fine del XVII secolo: la composizione più completa proviene dal Palazzo delle armature di Mosca. Realizzata tra il 1660 e il 1670, è esposta alla Galleria Tret'jakov. Una grande icona della Vergine Albero di lesse, datata al 1666 e firmata Teodoro Poulakis, si trova a Mantzavinata, a Cefalonia (la più grande delle isole Ionie). Lo stesso tema appare in un affresco della Grande Lavra del Monte Athos. Il Museo Bizantino di Atene conserva un'icona dello stesso tipo, opera di Antonios Sigalas, risalente al 1786. Si deve a quest'ultimo l'unione del tema dell'Albero di lesse con quello del fiore im marcescibile. Gli affreschi esterni della MoldaviaBucovina (Voronet, Sucevita, Moldovita, Humor, Arbore), tutti posteriori al XVI secolo, danno particolare rilievo a questo tema. I melchiti furono profondamente influenzati dall'arte romena dopo che il patriarca Atanasio Debbas fece un viaggio in Valacchia, intorno al 1700, e ne riportò la prima tipografia.
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La struttura dell'icona è orizzontale. lesse, padre del re Davide e dunque antenato di Cristo, è disteso nella parte inferiore dell'icona. Poggia la testa coperta dall' himation sulla mano destra mentre, con la sinistra, tiene un filatterio su cui è scritto in greco: «Un germoglio spunterà dal tronco di lesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici. Su di lui si poserà lo spirito del Signore» (Isaia 11 ,1-2). Alle sue spalle, si erge un albero i cui rami coperti di foglie di vite e di pampini, di rose e di frutti di acanto, si dispiegano attorno alla maestosa figura della Madre di Dio che tiene in braccio il Bambino seduto su un cuscino. Cristo benedice con la mano sinistra, mentre con l'altra tiene una pergamena in cui è scritto in arabo: «Lo spirito del Signore Dio è su di me», prime parole di Isaia (61,1) in cui si parla del Messia. Trattandosi di lesse e della sua discendenza, ci si aspetterebbe un albero «genealogico», come in Matteo 1,1-17 e Luca 3,23-38. Non è così. In realtà, il tema è mariologico. Su entrambi i lati, sui rami, sono distribuiti in due ranghi sei personaggi dell'Antico Testamento. Ciascuno tiene in una mano un oggetto-simbolo e, nell'altra, un filatterio con un 'iscrizione araba. I testi e i simboli che vi sono connessi evocano tutti il mistero della Vergine, nata dalla stirpe di Davide, che ha generato Cristo, autentico virgulto di lesse. Li enumereremo più avanti. La composizione è elegante e le tonalità cromatiche, oro su fondo azzurro chiaro; sono audaci. Hanania si sforza di mantenere viva la fiamma dei Padri, tuttavia lo stile comincia a perdere vigore. I volti sembrano compassati e privi di vita, conseguenza di una recente pulitura che ha attenuato le delicate velature della superficie e compromesso i contorni.
Registro superiore, da sinistra a destra: • • • • • •
Il profeta Abacuc reca la montagna ombrosa e questo testo: «Dio viene da Teman, il Santo dal monte Paràn» (Abacuc 3,3). Gedeone col vello su cui è dipinta la Madre di Dio con questo testo: «O giovane serva, ho visto il tuo volto coprirsi di rugiada» (vedi Giudici 6,37 ). Il re Davide con l'Arca e queste parole: «Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua potenza» (Salmi 132,8). Il re Salomone, senza simbolo, con questo testo: «Molte figlie hanno compiuto cose eccellenti, ma tu le hai superate tutte» (Proverbi 31,29) . Il patriarca Giacobbe reca la scala e questo testo: «Vi ho visto come una scala poggiata sulla terra la cui cima raggiunge il cielo» (vedi Genesi 28,12 ). Il profeta Isaia reca un paio di carboni ardenti e questo testo: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele'» (Isaia 7,14).
Registro inferiore, da sinistra a destra: • • • • • •
Il profeta Zaccaria col candelabro a sette bracci: «Vedo un candelabro tutto d'oro; in cima ha un recipiente con sette lucerne» (Zaccaria 4,2 ). Il sommo sacerdote Aronne col ramo fiorito , una croce e questo testo: «O figlia , tu sei il ramo di Aronne che ha germogliato da l esse» (vedi Numeri 17). Mosè col roveto ardente, che reca l'immagine della Madre di Dio, con questo testo: «Ho guardato ed ecco, o Vergine, voi eravate come un roveto arso dal fuoco e il roveto non si consumava» (vedi Esodo 3,2). Ezechiele reca la porta con questo testo: «O Madre di Dio, ho predetto che voi sareste stata la porta che sarà sempre chiusa e mai più aperta» (vedi Ezechiele 44 ,2). Daniele con una roccia e questo testo: «O Madre di Dio, ho immaginato la vostra venuta come quella di una roccia staccatasi senza l'intervento di una mano (umana)» (vedi Daniele 2,34). Il profeta Geremia con una cintura e questo testo: «O Sposa e Madre di Dio, ho predetto che voi sareste stata la cintura» (vedi Geremia 13 ,1) .
Pantokrator Hanania, Pantokrator, tempera su legno, 77, 4 x 5 7, 5 cm, 1740, Convento delle suore Aleppine, Zouk (Libano).
Titolo in greco: I: amoroso e dolce Salvatore. Dedica in arabo nella parte inferiore dell'icona: «Ha istituito in waqf questa icona venerabile il diacono Abdel Nur, figlio del defunto Constantin J arbuch il Makdessi, per i monaci regolari melchiti aleppini nel 17 4033 ». Firma: «L'ha dipinta con la sua peritura mano il debole servo, il diacono Hanania, figlio del kiss Nehmet l'Aleppino al-Musaww1r». Cristo benedice con entrambe le mani. Indossa un chitone violetto dalla scollatura d'oro, impreziosita da perle che circondano il collo bianco. L' himation blu scuro forma pesanti pieghe intorno alle braccia. Il vangelo riporta, in arabo, i testi interpolati di Giovanni 10,14 e 10,12 sul buon pastore. Cristo ha un atteggiamento statico, il busto è leggermente sproporzionato. Hanania lavora da solo, lontano dal padre Nehmet, e il suo stile ne risente. L'icona è appesantita da ridipinture che ne alterano soprattutto il fondo d'oro.
Hodegetria Pantanassa Hanania, Hodegetrza Pantanassa, tempera su legno, 77,6x57,8 cm, 1740, Convento delle suore Aleppine, Zouk (Libano).
Titolo in greco ai lati dell'aureola della Vergine: La Vergin e Sovrana
dell'universo. Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waq/ questa icona venerabile il diacono Abdel Nur, figlio del defunto Constantin Jarbuch il (pellegrino) di Gerusalemme, per i monaci regolari melchiti aleppini nel 17 40». Firma: «L'ha dipinta con la sua peritura mano il debole servo, il diacono Hanania, figlio del kiss Nehmet l'Aleppino al-Musaww1r». La Vergine indossa una veste alizarina e un maphorion blu a bande dorate, impreziosite da pietre policrome. Nasconde i capelli sotto un velo bianco alla maniera italo-bizantina. Il Bambino porta un chitone bianco-grigio e un himation giallo ocra. Benedice con la mano destra e, con l'altra, tiene un filatterio aperto verso l'alto34 su cui è scritta in arabo una frase del profeta Isaia (61,1), che egli applicò a se stesso nella sinagoga di Nazareth inaugurando il suo ministero apostolico.
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San Giuseppe
Titolo in greco: Il giusto Giuseppe. Dedica in arabo nella parte inferiore dell'icona: «Il diacono Yusuf, figlio di Faddul Arkash, ha istituito in waqf questa venerabile icona, per il monastero di S. Giovanni il Precursore, nel villaggio di Choueir, circoscrizione di Beirut (provincia) di Damasco, anno 1719 dell'era cristiana». Per rimarcare il fatto che Giuseppe non è il vero padre di Cristo, l'iconografo bizantino respinge l'idea di rappresentarlo da solo, eccetto che nell'icona della
Domenica degli avi di Cristo che precede il Natale. Egli è presente nelle scene narrative di origine evangelica o apocrifa35 • Ciò equivale a dire che il tema di san Giuseppe che porta in braccio il Bambino Gesù è latinizzante e testimonia le influenze cattoliche che sono state esercitate sulle comunità cristiane di Aleppo, che hanno condotto gran parte del patriarcato di Antiochia a rendere obbedienza a Roma, ricevendone il titolo di uniate. L'icona rappresenta Giuseppe seduto, vestito di un abito blu chiusosulloscolloda un fermaglio. L' himation è violaceo. Giuseppe cinge il Bambino Gesù con la mano sinistra e tiene un giglio nella destra. Nell'iconografia latina il giglio simboleggia la castità di Giuseppe, soprannominato «lo sposo verginale di Maria». Il Bambino Gesù è in piedi sul ginocchio destro del suo padre adottivo, gli occhi fissi nei suoi. La mano sinistra si posa familiarmente sul suo petto, mentre l'altra gli pone sul capo una corona d'alloro. Il Bambino-Dio indossa un chitone arancione che lascia intravedere al di sotto una camicia di velo trasparente. Fatto insolito, Giuseppe non ha aureola, mentre quella del Bambino Gesù è accuratamente martellata e punzonata col trigramma. È per sottolineare il fatto che Gesù è l'unico santo, come recita la Divina Liturgia bizantina appena prima della comunione? In questa icona dai tratti gravi e severi lo stile di Hanania è manifesto. L'armonia dei toni pastello è messa in rilievo dall'ampia superficie luminosa del1' himation di Giuseppe.
Hanania, San Giuseppe, tempera su legno, 65,6x48,9 cm, 1719, Monastero di 5. Giovanni dei Choueiritz; Khonchara.
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Sacra Cena
Hanna al-Kudsi, Sacra Cena, tempera su legno, JJOx 70 cm, 1727, Chiesa di S. Nicola dei greco-ortodorri, Tripoli (Libano).
Titolo in greco e in arabo: La Cena Mistica. Firme in arabo: «Opera del miserabile Hanna alMusawwir al-Kudsi» e «Opera di Mikhail al-Kariti». Dediche in arabo, a sinistra: «All'epoca della prelatura del nostro venerabile Padre Kir Makarios, vescovo di Tripoli (paese di) Sham, ha istituito in waq/ questa icona benedetta Yaakub, figlio di Hajj Sleiman, per la chiesa di Tripoli, per la sua anima e l'anima dei suoi avi, nell'anno 1727 dell'Incarnazione». «L'ha restaurata e l'ha abbellita[ ...] l'anno 1816 [ .. .] al tempo di [. ..]». Il tema è fra i più antichi dell'iconografia cristiana. Lo si ritrova nelle catacombe romane così come nel Codex Rossanensis (ca. 545). Hanna al-Kudsi riproduce qui un modello tardo della Sacra Cena. L'evento ha luogo intra muros, il che è simboleggiato dagli edifici che costituiscono una cinta muraria. La mensa Domini è allestita di fronte a quattro arcate. Cristo è assiso frontalmente al centro della tavola. Indossa un chitone rosso e un himation verde, entrambi ravvivati dall'oro. Il suo nimbo crucifero reca il trigramma. Benedice con la mano destra, mentre con l'altra cinge san Giovanni il Diletto che si piega verso di lui - il suo nome abbreviato è iscritto in greco sull'aureola. L'iconografo ha avuto cura di scrivere in arabo, all'interno delle aureole, i nomi dei personaggi. A partire dalla destra di Cristo e procedendo in senso orario: Matteo, Luca, Andrea, Giacomo, Giuda - privo di nimbo e visto di profilo - Tommaso, Filippo, Bartolomeo, Giuda Taddeo, Marco, per finire con Pietro a destra di Cristo.
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Davanti a Giuda figurano il catino, la caraffa e il panno adoperati da Cristo per lavare i piedi dei discepoli, segno evidente dell'amore del Salvatore, che contrasta col tradimento del suo discepolo. La tavola è contornata da un panno bianco sapientemente arrotolato, striato di linee scure. Davanti a Cristo sono posati una coppa d'oro e un piatto con l'agnello pasquale, e diverse coppe, piatti, caraffe e posate sono disposte sul tavolo, così come un pane rotondo davanti a ciascun personaggio. I candelieri sono accesi. Hanna al-Kudsi è fedele alla prosopografia tradizionale dei personaggi. Non include san Paolo, presente nella Sacra Cena a partire dal VI secolo. Preferisce dare priorità ai quattro evangelisti, il che potrebbe indicare che l'icona si trovava al di sopra della porta regia di un 'iconostasi. Il lavoro è accurato e i colori sono ben equilibrati, con tocchi di rosa garanza e di vermiglio e un discreto assist sui clavus. Tutto questo avvicina l'opera alle creazioni dei maestri cretesi. Tuttavia, la fonte diretta di Hanna al-Kudsi - che è anche conosciuto col nome di Hanna al-Musawwir - è Nehmet e, soprattutto, Hanania. Ma, come dice la dedica, l'icona è stata «restaurata e abbellita» dalla mano di Mikhail al-Kariti o al-Kurdali o Mikhail Polychronis, che ha rispettato lo stile originale, limitandosi a ravvivare i colori. Abbiamo trovato a Balamand una copia di quest'icona, eseguita dal falsario particolarmente attivo a Tripoli intorno al 1950. Fortunatamente, questi non ha potuto impadronirsi dell'originale.
Sant'Elia
Girgis al-Musawwir, Sant'Elia, tempera su legno, 39x20,5 cm, 1754, Ordine Basiliano Aleppino, Libano.
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La composizione è tradizionale. Rappresenta il profeta ali' epoca del ritiro sulla riva del torrente Cherit, ingiuntogli da Dio dopo che egli aveva annunciato il flagello della siccità provocato dall'idolatria del regno di Israele (cfr. 1 Re 17 ,3). Notiamo che il dettaglio della grotta è tratto da un altro episodio della vita del grande profeta, in cui viene detto esplicitamente che egli entra in una grotta. Si tratta della teofania dell'Oreb (cfr. 1 Re 19,9). È consuetudine dell'iconografia orientale fondere in una stessa scena due avvenimenti cronologicamente distanti. Il profeta Elia è seduto ali' entrata della grotta che si trova sulla riva del torrente, ma quest'ultimo non è visibile. Tiene la testa poggiata su una mano in segno di attesa contemplativa. Si volge verso il corvo, che gli tende un pezzo di pane, secondo la promessa divina (cfr. 1 Re 17 ,3 ). Particolare insolito per questa composizione, il
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santo porta una spada snudata. L'iconografo ha voluto unire la scena contemplativa della grotta con quella, molto violenta, dello sterminio dei sacerdoti di Baal che avrà luogo tre anni dopo, al termine della siccità (cfr. 1 Re 18,40). I margini sono ornati da una cornice rossa e blu caratteristica della scuola di Aleppo. Allo stesso modo, il fondo d'oro è inciso secondo l'uso di questa scuola. Quest'icona è opera di Girgis al-Musawwir. Sul lato anteriore dell'opera non è visibile alcuna iscrizione, ma il pittore ha firmato sul lato posteriore con una matita rossa. Leggiamo in arabo: «Fu ultimata dalla mano di Girgis al-Musawwir [. .. ] il 5 novembre dell'anno 1754 dell'era cristiana». Dopo il deterioramento del colore, il titolo in greco dell'icona è rimasto impresso in una tonalità più chiara sull'oro decorato da volute punzonate: Il pro/eta Elia. Sant'Elia si festeggia il 20 luglio.
Immacolata Concezione
Girgis al-M usawwir, Immacolata Concezione, tempera su legno, 73x51,3cm, 1762, Ordine Basiliano Aleppino, Libano.
Dedica e firma: nel 1969 Sylvia Agémian 36 leggeva su questa icona una dedica in arabo che non esiste più: «Questa icona benedetta è stata istituita in waqf dallo shammas Yusuf, figlio di Musa Hayr, per i monaci di San Giovanni di Choueir dei Basiliani regolari del convento di S. Giorgio al-Garb nel mese di maggio dell'anno 17 62 dell'era cristiana. È stata dipinta da Girgis al-Musawwir». Qui, Girgis adatta a un contesto iconografico orientale l'Immacolata Concezione di Murillo37 . Questo dogma è stato in gestazione durante tutto il Medioevo. Era difeso dagli Ordini mendicanti che, giunti in Oriente, ebbero grande influenza38 • Non sarà ratificato che nel 1851 da papa Pio IX. Esso afferma che, fin dal primo momento della sua concezione, la Madre di Dio è stata preservata da ogni macchia del peccato originale. Maria è in piedi nella posizione che le attribuisce Murillo, le mani ripiegate sul petto, la testa leggermente inclinata, incorniciata da un nimbo d'oro finemente inciso. Al di sopra si libra la colomba dello Spirito Santo. Ella indossa una veste rossa, ornata di un gallone d'oro e di gemme, e un mantello blu sapientemente avvolto intorno al corpo. Contrariamente alla tradizione iconografica, i capelli sono visibili, come nel modello latino, e fermati da una fascia bianca che temina con un velo giallo indiano.
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Maria è la figura della Nuova Eva che schiaccia la testa del serpente che aveva tentato la prima Eva (Genesi 3,15). Come la Donna dell'Apocalisse (Apocalisse 12), è circonfusa di sole, espresso dal fondo d'oro striato di raggi; la luna è ai piedi della Vergine, attorno alla quale figurano, in guisa di stelle, dodici simboli del suo mistero. Ella è la Gerusalemme che discende dal cielo, simboleggiata ai suoi piedi da una città in miniatura. È anche il paradiso terrestre, rappresentato dal suolo fiorito e dagli alberi verdeggianti. È, infine, il giardino chiuso del Cantico dei Cantici, recintato da un muretto in basso a sinistra. I simboli si trovano all'interno di medaglioni fo rmati dalla giustapposizione di nuvole. In alto, sui due lati, il sole e la luna rappresentano segni cosmici comunemente utilizzati in Oriente per esprimere la sovranità assoluta della Madre di Dio. Altri elementi sono tratti sia dalle Litanie della Vergine che dall'inno Akathistos, o sono comuni a entrambi. A destra, dal basso verso l'alto: l' Arca dell'Alleanza (Litanie), la stella del mattino (Litanie) , la Fonte di vita (Akathistos) , la casa d'oro (Litanie), la porta del cielo (Litanie e Akathistos). A sinistra, dal basso verso l'alto: la scala di Giacobbe (Akathistos) , il turibolo d'oro (Ak athistos), la fonte d'acqua viva (A k athistos), la torre d'avorio (Litanie), il vello (A k athistos).
San Giacomo il Mutilato
Girgis al-Musawwir, San Giacomo il Mutilato, tempera su legno, 74 x 61,4 cm, 1765, Arcivescovado greco-cattolico di Beirut, Libano.
Titolo in greco: San Giacomo il Persiano. Il grande martire è rappresentato su un cavallo bianco dalla sella dorata, sontuosamente ornata di perle e pietre preziose, la cui parte anteriore termina a forma di chiocciola. Indossa un abito militare riccamente decorato. Su un chitone blu di Prussia dagli epimanikia d'oro e di perle, porta una corazza il cui busto è in damasco dorato, mentre i manicotti sono formati da una fila serrata di orlature d'oro su un tessuto ocra; il gonnellino della corazza è costituito da larghe bande di cuoio dorato e ornato da motivi a losanghe, che si aprono su un sontuoso damasco nero a spirali a riserva d'oro. Indossa un casco scita. Tiene la briglia del cavallo e brandisce una lancia in direzione di un quarto di cerchio nerastro su cui è scritto in arabo a lettere d'oro lavorate a riserva: «Chi dunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anch'io lo riconoscerò davanti al Padre mio che è nei cieli; chi invece mi rinnegherà davanti agli uomini, anch'io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli». Queste parole riassumono la vita di san Giacomo il Persiano, che in un primo tempo rinnegò Cristo,
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per paura della persecuzione e sedotto dalle promesse del re sasanide Yazdegerd III, in seguito si pentì e lo riconobbe coraggiosamente, incorrendo in un terribile supplizio: quello di essere tagliato a pezzi. Nella parte inferiore dell'icona, due scene sono ispirate alla vita del santo: a destra, Giacomo, ancora vestito degli abiti da dignitario, si trova dietro le sbarre, mentre il re cerca di fargli cambiare idea; a sinistra, due soldati tengono fermo il martire, mentre un terzo brandisce l'ascia per eseguire il supplizio. Il fondo è dorato e goffrato con le caratteristiche volute in cui Girgis eccelle. Nella parte superiore dell'icona, su entrambi i lati del semicerchio, è scritto in greco il titolo dell'icona: San Giacomo il Persiano, con un errore, dal momento che la C è divenuta E per l'aggiunta di un tratto mediano. Ciò dimostra la scarsa padronanza del greco da parte di Girgis, che riproduce il più fedelmente possibile le iscrizioni in questa lingua, ma che regolarmente commette errori. Si tratta di una delle più belle icone di Girgis alMusawwir, che unisce i colori ispirati ali' arte cretese, quali il rosa garanza o il vermiglio, al nero lumeggiato d 'oro di influenza araba.
Hypapante
Girgis al-Musawwir, Hypapante, tempera su legno, 64,2 x50,8 cm, 1763, Arcivescovado grecocattolico di Beirut, Libano.
Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Hanno istituito in waqf questa icona benedetta lo sceicco Yusuf Fadel al-Dahan e i suoi fratelli per il capitolo dei religiosi di San Giovanni dei Basiliani regolari grecomelchiti per la parrocchia di S. Elia, a Beirut, nell'anno 1763». Il tema è evangelico (cfr. Luca 2,22-28) ed è anche riportato negli apocrifi: Vangelo dello Pseudo-Matteo (15) e di Nicodemo (1,8). Fa parte del Dodekaorton. La Vergine, rivolta al Santo dei Santi, si trova davanti ali' altare e presenta suo Figlio al vecchio Simeone. Questi, dall'alto di tre gradini, tiene il Bambino in un drappo d'oro mentre si china in segno di deferenza. Il Bambino Gesù è vestito con un chitone dorato molto corto, che lascia scoperte le gambe. È rivolto verso la Madre mentre benedice con entrambe le mani. All'estrema sinistra, san Giuseppe si fa avanti con due colombe su un drappo bianco: l'offerta prescritta dalla Torah per i poveri in un'occasione di tal genere (Levitico 12,8). La pro-
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fetessa Anna si trova tra la Vergine e san Giuseppe e reca un filatterio scritto in greco: «Questo Nuovo Nato ha creato il cielo e la terra» e, in arabo: «Questo Bambino è colui che ha consolidato i cieli e la terra». Il titolo dell'icona, in greco, è Hypapante, che significa «Incontro», perché il Tempio, che era la dimora di Dio assieme agli uomini, realizza la sua vocazione ricevendo l'Emmanuele: «Dio con noi», che viene per essere definitivamente presente tra gli uomm1. La composizione riprende fedelmente il tema tradizionale dell'Hypapante, attestato dal v secolo39 , inserendolo nel contesto stilistico della scuola di Aleppo. L'equilibrio dei colori e la bellezza del volto della Vergine colmo di serena maestà sono mirabili. La festa dell' Hypapante si celebra il 2 febbraio. La dedica ci informa che ci troviamo ali' epoca del grande sviluppo dell'Ordine Choueirita, al tempo del patriarcato di Massimo Hakim, fondato re di questo stesso Ordine, a cui affidò la direzione dell'eparchia di Beirut .
San Giovanni Battista
Girgis al-Musawwir, San Giovanni Battista, tempera su legno, 75,7x59,5 cm, ca. 1755, Chiesa dei Sette Concili, Saydnaya (Siria).
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Titolo in greco: Il pro/eta Giovanni. Magnifica icona dell'ultimo dei Musawwirun. San Giovanni Battista è rivolto verso Cristo, che appare nell'angolo superiore destro dell'icona emergendo da quattro segmenti di cerchio concentrici che vanno dal verde chiaro al blu scuro e sono striati di raggi ondulati dorati. Cristo è rappresentato di tre quarti. Indossa una veste verde pistacchio con clavus dorato e ornato di perle e un himation arancione. Il suo nimbo è crucifero e reca il trigramma. Benedice con la mano destra e tiene il volumen delle Scritture nell'altra. Giovanni Battista è in piedi in un paesaggio roccioso con due piccoli arbusti, al centro del quale scorre un rivolo d'acqua che rappresenta il Giordano. Porta una tunica di pelle di cammello, tinta di blu alla maniera tradizionale per sottolineare il suo ruolo di «battista», e un himation violaceo. Fa il segno della benedizione formando il monogramma di Cristo, e reca un filatterio sul quale è scritto in un greco piuttosto approssimativo: «O Verbo di Dio che vedi le sofferenze di coloro che condannano le colpe dell'empio, guarda Erode che, non tollerando questa condanna, mi ha tagliato la testa». Il Precursore indica, ai suoi piedi, la coppa nella quale è deposta la propria testa, decapitata e debitamente nimbata. Si tratta di un'allusione visiva al martirio patito da
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Giovanni in nome della verità profetica. Infatti, egli aveva rimproverato al re Erode il fatto di aver sposato la moglie di suo fratello. Ciò gli procurò l'odio di Erodiade che, alla prima occasione, reclamò la sua testa su un piatto. A sinistra, nell'angolo inferiore, un'ascia è poggiata a un albero. Si tratta di una reminiscenza delle parole del Battista: «Anzi, la scure è gia posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Luca 3,9) . In qualità di autentico «angelo nella carne»40 , Giovanni è alato. Riferendosi a lui, il Vangelo fa ricorso al termine di «messaggero» che, in ebraico, si legge Malak, cioè «angelo» (cfr. Marco 1,1). La sua statura è slanciata, col volto atteggiato a un'intensa contemplazione. Le carni sono rese con tonalità scure, dal verde oliva al rosa. Il cromatismo dell'icona rifulge come una gemma multicolore sul fondo dorato di impeccabile levigatezza, valorizzata dalle volute incise dei maestri di Aleppo. Il titolo in greco - Il pro/eta Giovanni - è inappropriato, perché il titolo consacrato dalla tradizione per Giovanni Battista è quello di «Precursore». San Giovanni Battista si festeggia più volte l'anno: la sua nascita si celebra il 24 giugno, la decollazione il 29 agosto, una sinassi il 7 gennaio; si celebrano inoltre tre ritrovamenti della sua testa.
Sant'Elia e vita
Girgis al-Musawwir, Sant'Elza e vita, tempera su legno, 107, 3 x 87,5 cm, 1765, Ordine Basiliano Aleppino, Libano.
Dedica e firma in arabo, in basso: «Ha istituito in waqf eterno questa venerabile icona il pellegrino di Gerusalemme [... ] figlio del compianto Nehmetallah Ghadban, cavaliere del Pontefice romano e servitore del santo Ordine religioso di Aleppo, per il capitolo del convento di S. Giovanni [ ... ] dei regolari Basiliani melchiti. Opera di Girgis al-Musawwir, nell'anno 1765 dell'era cristiana». L'icona colpisce per l'originale composizione. Come sua abitudine, Girgis riduce il volume della figura principale per far risaltare l'oro inciso del fondo. Il profeta Elia indossa abiti inconsueti, alla maniera di un servitore: pantaloni grigi coperti da stivali neri, un chitone molto corto color ocra e, al di sopra, la melate tradizionale rosso minio. È in piedi sui corpi ammucchiati dei sacerdoti di Baal, alcuni dei quali sono decapitati. L'esile figura risalta sull'ampio mantello verde chiaro della sua vittima, cui afferra la barba con un movimento energico per sgozzarla con la scimitarra. Sebbene di un
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crudo realismo, la scena non è ripugnante. L'armonia dei colori e la bellezza delle scene ci fa dimenticare l'aspetto cruento dell'azione. Girgis articola il ciclo di Elia in cinque episodi, che vanno letti dal basso verso l'alto. A destra: Elia è sulla sponda del torrente Cherit e il corvo gli porta il cibo. A sinistra: Elia consegna il figlio resuscitato alla vedova di Zarepta. In alto a destra: Elia fa scendere il fuoco sulla cinquantina di soldati inviati dal re Acab. Al centro: Elia, in ginocchio, fa scendere il fuoco sull'olocausto del monte Carmelo. Alle sue spalle si trovano il re e i suoi soldati. A sinistra: l'angelo sveglia Elia che dorme e gli indica un pezzo di pane e una brocca d'acqua prima del cammino di quaranta giorni verso l'Oreb. Ali' estrema sinistra: Elia sale in cielo su un carro in un turbine di fuoco . Lascia la melate al suo discepolo Eliseo che la raccoglie. Il bordo dell'icona è incorniciato da cartigli bicromi con girali realizzati con la tecnica dello sgraffito, o riserva d'oro.
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Vergine allattante, o Galaktotrophousa
Girgis al-Musawwir, Vergine allattante, o Galaktotrophousa, tempera su legno, 32,4 x 26 cm, ultimo quarto del XVJ/1 secolo, Arcivescovado greco-cattolico di Aleppo, Siria.
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Le prime icone della Vergine allattante sono di origine copta 41 . Questo tema, già noto in Egitto nelle immagini della dea Iside che allatta suo figlio Horus, fu diffuso dopo il concilio di Efeso a sostegno della dottrina difesa da san Cirillo di Alessandria concernente la maternità divina di Maria. Nel VII secolo, durante la disputa iconoclasta, papa Gregorio II scrisse al suo avversario, l'imperatore Leone III Isaurico: «Tra le icone da venerare, si trova anche la rappresentazione della Santa Madre che tiene tra le braccia Nostro Signore e Dio e lo nutre col suo latte». Questo tipo iconografico fu esportato dal monachesimo egiziano in Palestina, Siria, Italia42 • Nell'icona la Madre di Dio è seduta. Tiene il Bambino, avvolto in fasce sul braccio sinistro, cingendolo. Con la mano destra gli porge il seno attraverso un'apertura della veste, sotto cui si trova una tunica bianca. La Vergine tiene gli occhi bassi sul Bambino, che osserva lo spettatore come a sottoline-
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are la realtà della sua Incarnazione e della sua fìlia. . z1one mariana. Maria indossa una veste blu e un maphorion rosso scuro dall'interno giallo e i bordi dorati ornati di gemme. Da ciascun lato della composizione centrale, si trova un angelo in una voluta di nuvole, in atteggiamento di preghiera, le braccia incrociate sul petto. Girgis ha elaborato magistralmente il profilo dei volti. È ancora nella prima fase del suo stile, caratterizzata da un incarnato dai toni chiari e caldi. I volumi sono ben distribuiti. Sylvia Agémian ritiene che si tratti della più bella icona di Girgis - la nostra preferenza va al San Giovanni Battista di Saydnaya o a San Giacomo il Persiano dell'arcivescovado grecocattolico di Beirut. Quest'icona è molto venerata ad Aleppo, dove occupa un altare laterale assiduamente visitato dai fedeli.
Sant' Antonio il Grande
Girgis al-Musawwir, Sant'Antonio il Grande, tempera su legno, 64,2 x50,8 cm, 1763, Arcivescovado greco-cattolico di Beirut, Libano.
Titolo in greco: Sant'Antonio. Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waq/ questa icona benedetta lo sceicco F adlallah Yared per il capitolo dei religiosi regolari Basiliani greco-melchiti di San Giovanni per la parrocchia di S. Elia il Vivente nell'anno 1763 dell'era cristiana». Sant'Antonio è il fondatore e il padre universale del monachesimo. La sua Vita è stata compilata da sant'Atanasio, patriarca di Alessandria. Nasce nel 250 a Coma, in Egitto. Una domenica, intorno ai vent'anni, sente la parola del Vangelo: «Una cosa ancora ti manca: vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli; poi vieni e seguimi» (Luca 18,22) . Obbedisce immediatamente, abbracciando l'esistenza eremitica. Quindici anni dopo si ritira nel deserto, vicino al Nilo, e nei vent'anni successivi intensifica le privazioni. Al termine di questi lunghi anni di solitudine, accoglie dei discepoli e fonda due monasteri, a Fayyum e a Pispir. Padre di tutti i monaci, muore nel 356 nel suo eremo sul monte Kolzim, vicino al Mar Rosso, con accanto sant'Atanasio e san Serapione di Thmuis. La Vita Antonii ebbe una enorme ripercussione sulla vita e la spiritualità della Chiesa fin dal IV secolo. Il santo è rappresentato a tre quarti di busto. Indossa l'abito monastico tradizionale: un chitone terra di Siena, un analapos sul verde e un maphorion rosso violaceo. La testa è coperta da un kukulos verdastro con una croce sulla fronte , secondo la tradizione siriaca. Antonio tiene una croce nella mano con cui benedice. La presenza della croce rivela una scarsa conoscenza dei cano-
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ni iconografici, che la attribuiscono solo ai martiri. Questo dettaglio deriva da un 'influenza crescente dell'iconografia occidentale sui pittori melchiti. Il santo reca una pergamena su cui è scritta in greco la sua celebre frase a proposito dell'umiltà: «Ho visto le trappole che il diavolo ha teso sulla terra e sospiravo dicendo: 'Ma chi dunque potrà essere salvato?' . Udii (una voce) che mi diceva: 'L'umiltà'». Il fondo d'oro è goffrato con le volute tipiche della scuola di Aleppo. Malgrado i colori siano ben armonizzati, la composizione manca di intensità. Girgis non ha saputo conferire al grande santo, che si festeggia il 17 gennaio, l'espressione plastica che merita.
San Michele Psicopompo
Girgis al-Musawwir, San Michele Psicopompo, tempera su legno, 59,9x43,8 cm, 1765, Arcivescovado grecocattolico di Beirut, Libano.
Titolo in greco: San Michele A rcangelo. Dedica in arabo, nella parte inferiore dell'icona: «Ha istituito in waq/ questa icona benedetta il sire (khawaja ) Mikhail ... ki e Mikhail [ ... ] per la chiesa di S. Elia nella città di Beirut per l'Ordine di San Giovanni di Choueir, l'anno 17 60 dell'era cristiana». Archistratega della milizia celeste, san Michele - il cui nome ebraico significa «Chi è simile a Dio?» - è colui che ha combattuto e vinto gli angeli ribelli (cfr. Apocalisse 12,7). In Daniele43 è presentato come il difensore del popolo ebraico44 e, di conseguenza, è considerato il protettore della Chiesa. Il Libro di Enoch lo descrive come l'angelo «misericordioso e lontano dall'ira» 45 . È anche psicopompo, guida delle anime nel loro ultimo viaggio verso l' eternità46 . Il tema è quello del giudizio e della ricompensa finale, nei quali l'arcangelo Michele ha un ruolo di primo piano. San Michele arcangelo sta in piedi al centro dell'icona, tiene con la mano destra una spada sguainata ricoperta da un ex voto in argento sbalzato, e con la sinistra un filatterio su cui è scritto in greco: «Tu mi vedi, me l'Immateriale, pronto a combattere. La spada in pugno, sto a guardia della porta». Ai suoi piedi giace un personaggio simile a un principe orientale col turbante, mollemente adagiato sul suo giaciglio. È l'uomo ricco della parabola che diceva alla sua anima: «Anima mia, hai a disposizione molti beni; riposati e datti alla gioia.
Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Luca 12,19-20). Egli dorme sulle sue ricchezze senza sospettare che non gli serviranno a niente. L'arcangelo, in classica tenuta militare, indossa una corazza d'oro con una testa di toro sulla spalla. La clamide è color porpora, riccamente damascata. Le ali sono finemente modellate sul fondo d'oro inciso. L'icona è incorniciata dai caratteristici cartigli aleppini.
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Battesimo di Cristo
Girgis al-Musawwir, Battesimo di Cristo, tempera rn legno, 50,2x40,3 cm, ca. 1755, Arcivescovado greco-cattolico di Aleppo, Siria.
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Titolo in greco: Il battesimo di Cristo. Giovanni Battista, vestito di una tunica di pelle e di un himation scuro, leva la mano sinistra e posa l'altra sul capo di Cristo, in piedi tra le acque del Giordano. Cristo indossa un perizoma rosa. Ha la testa china e tiene le braccia lungo il corpo. La mano destra accenna il gesto della benedizione. Alla sua sinistra, angeli dalle ali dorate recano panni che coprono loro le mani in segno di umile deferenza. L'ultimo di questi leva la testa per contemplare lo Spirito Santo discendere dal semicerchio della gloria sotto forma di colomba. Nel fiume figurano a sinistra un vecchio che svuota un'anfora e, a destra, una naiade a cavallo di un mostro marino. Si tratta rispettivamente delle personificazioni del Giordano e del mare secondo l'iconografia greco-romana, allo scopo di illustrare le parole del Salmo 114 che la liturgia della festa cita diffusamente: «Il mare vide e si ritrasse, il Giordano si volse indietro, i monti saltellarono come arieti, le colline come agnelli di un gregge. Che hai tu, mare, per fuggire, e tu, Giordano, perché torni indietro?» (Salmi 114,3-5). A sinistra figura una scure poggiata a un arbusto. È un'immagine che fa riferimento alle parole di Giovanni: «Anzi, la scure è gia posta alla radice degli alberi; ogni albero che non porta buon frutto , sarà tagliato e buttato nel fuoco» (Luca 3,9). Girgis, che è chiaramente l'autore di questa icona, ha ridistribuito i volumi della composizione dan-
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do più spazio al fondo dorato, inciso a volute. Dall'insieme risulta un'impressione quasi aerea e una suggestiva policromia. Tuttavia, i volti hanno poco volume e sono inespressivi. Girgis si lascia facilmente dominare da un'abilità puramente ornamentale. I bordi dell'icona sono circondati dai caratteristici cartigli che delimitano spazi bicromi, ornati da volute a riserva d'oro. La festa dell'Epifania è una delle più importanti del calendario cristiano. Viene celebrata il 6 gennaio.
Pantokrator Girgis al-Musawwir e Kirillos Dimashqz; Pantokrator, tempera su legno, 84,4 x 64,4 cm, 1770, Ordine Basiliano Choueirita, Libano.
Quest'icona fa parte, assieme a quella che segue, del medesimo rango «despotico». Come si evince dalla firma dell'icona della Madre di Dio, sono entrambe opera di Girgis e del suo «discepolo», ossia Kirillos Dimashqi, il monaco basiliano. I modelli sono conformi a quelli di Hanania, padre di Girgis. Cristo è raffigurato come Pantokrator. Nobile ed esile, indossa un chitone vermiglio dal sontuoso clavus e un himation verde. Benedice con una mano e tiene nell'altra un vangelo bianchissimo con due testi in greco: Giovanni 18,36 e Matteo 26,26-28. Cristo sembra distante, malgrado la finezza delle lumeggiature. Il fondo è lavorato a bulino, così come il nimbo crucifero. Il bordo è costituito dai cartigli bicromi della scuola di Aleppo.
Hodegetria Girgis al-Musawwir e Kirillos Dimashqz; Hodegetria, tempera su legno, 84,4 x 64,4 cm, 1770, Ordine Basiliano Choueirita, Libano.
Dedica e firma in arabo nella parte inferiore dell'icona: «Questa icona sacra e benedetta è proprietà del convento di Nostra Signora che si trova nel villaggio di Ras Baalbeck. Nessuno ha l'autorità di sottrarla al suo statuto di waqf Ultimata nell'anno 1770 dell 'era cristiana dalla mano della più miserevole delle creature, Girgis al-Musawwir assieme al suo discepolo». Il discepolo in questione, come dicevamo, è Kirillos Dimashqi, il monaco basiliano. Il convento citato è il più antico dell'Ordine dei monaci regolari basiliani. La composizione è in tutto e per tutto uguale a quella che Hanania realizzò per l'Ordine Basiliano Choueirita nel 1722 (vedi p. 74), a parte qualche variante nei colori, dal momento che quelli di Girgis sono più intensi di quelli del padre. Il titolo erudito dell'icona suddetta è stato omesso. Sul filatterio del Bambino Gesù figura la stessa iscrizione in arabo: «Lo Spirito del Signore è su di me. Egli mi ha unto e mi ha inviato per proclamare la buona novella di un anno di grazia del Signore». L'interesse di questa icona e della precedente risiede nel fatto che sono dipinte da Girgis e dal suo discepolo, il monaco basiliano Kirillos di Damasco, su un modello di Hanania. Esse ci permettono di ripercorrere la traditio, ossia la trasmissione dell'arte iconografica della famiglia dei Musawwirun a uno dei suoi successori. L A SCUOLA DI ALEPPO
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Santa Lucia
Kirillos al-Dimashqz; Santa Lucia, tempera su legno, 23, 1 x 17,4 cm, tra il 1765 e il 1775, Collezione Hoda e Na;i Skaff, Libano.
Titolo in greco: Santa Lucia. La dedica è nascosta sotto uno strato di pittura. Firma in arabo al centro del cartiglio del bordo inferiore: «Per mano del monaco Kirillos». Il nome Lucia significa «luce». La sua biografia si trova negli Acta Sanctorum del breviario latino e nella Legenda Aurea. Nel rito latino la si festeggia il 13 dicembre. Nata a Siracusa da famiglia nobile, visitò con la madre Eutichia, che era malata, il sepolcro di sant' Agata. Ottenuta la guarigione sperata dalla santa, che le era apparsa, decise di distribuire tutti i suoi beni ai poveri per consacrarsi a Dio. Il fidanzato Pascasio ne fu molto contrariato e la denunciò alle autorità. Si era all'epoca della persecuzione di Diocleziano (245-313 ). Lucia comparve con coraggio davanti al giudice, che ordinò di condannarla al disonore; ma Dio la rese così pesante che nessuno riuscì a spostarla. Le gettarono addosso dell'olio bollente e, infine, le conficcarono un gladio nel collo, ma continuò a parlare, profetizzando la caduta di Massimiano e la morte di Diocleziano, e annunciando che sarebbe diventata la protettrice di Siracusa come sant' Agata lo era di Catania. Non morì prima che i sacerdoti le avessero portato il Corpo di Cristo. Il culto di santa Lucia non è diffuso in Oriente. Tuttavia, Kirillos ha dipinto due icone di questa martire, la presente e un'altra, identica ma più grande, che si trova presso il patriarcato greco-melchita cattolico di Damasco. In questa seconda icona, santa
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Lucia, che reca la palma e un calice bianco con una fiamma , è vestita di un 'ampia clamide rossa 47 e figura a sinistra di una Vergine della Consolazione in trono, datata al 1750, con, a destra, santa Caterina. Qui, la santa è di tre quarti. Indossa una veste vermiglia, con scollo ed epimanikia bordati di una banda ornamentale dorata, e una clamide blu smeraldo damascata. Il capo non è velato, probabilmente per sottolineare il fatto che i suoi giudici volevano costringerla alla prostituzione. Infatti, secondo la tradizione iconografica orientale, sono le donne di facili costumi a non portare il velo. Lucia ha un 'espressione intensa, uno sguardo vibrante. Un gladio le attraversa il collo, ma la mano destra impugna la spada della parola poiché, anche dopo essere stata sgozzata, Lucia continuò a parlare e a confessare la sua fede. Nella mano sinistra tiene la palma del martirio. L'icona è molto curata. Si direbbe che Girgis sia ancora attivo e che lavori col suo discepolo, visto che le cesellature dell'oro e i cartigli bicromiche incorniciano la composizione sono di sua mano. Si nota una certa volgarizzazione dello stile di Kirillos man mano che la presenza di Girgis si fa meno costante. L'icona di san Pacomio della collezione Aboussouan, risalente al 1779, epoca in cui Kirillos è già prete, è a metà strada tra questa e le icone presentate più avanti, che risalgono al 1785. Questo ci induce a datare questa icona tra il 17 65 , data dei voti religiosi di Kirillos, e il 1775 , anno della sua ordinazione, al tempo in cui lavorava con Girgis ed era ancora un semplice religioso.
Madre di Dio e dodici scene
Intorno all'immagine tradizionale dell' Hodegetria sono rappresentati dodici santi in piccoli riquadri, incorniciati dai famosi cartigli bicromi della scuola di Aleppo. In alto, da sinistra a destra, sono rappresentati i tre gerarchi: san Gregorio il Teologo, san Giovanni Crisostomo e san Basilio. È consuetudine collocarli assieme sotto la definizione di «Tre soli», o «Tre lune» in arabo. In effetti, la Chiesa bizantina fissò una celebrazione comune ai tre santi gerarchi Basilio il Grande, Gregorio Nazianzeno e Giovanni Crisostomo, la cui origine risale al 1100 (vedi p. 60). All'estrema destra si trova san Nicola e, al di sotto, san Giovanni il Misericordioso. I pontefici benedicono con la mano destra e nell'altra tengono un evangeliario chiuso. Sono vestiti dell'abito episcopale con phelonion, epitrachelion e omophorion. Solo san Giovanni Crisostomo, in qualità di patriarca di Costantinopoli, porta il sakkos pontificale, mentre Giovanni il Misericordioso ha il capo coperto da una tiara. Sotto è rappresentato sant' Antonio il Grande nella medesima posa e con lo stesso filatterio dell'icona del 1763 (vedi p . 92) . A sinistra si trovano san Giovanni il Precursore con la coppa contenente la sua testa e, al di sotto,
Giuseppe il Giusto con in braccio il Bambino Gesù avvolto nelle fasce e disteso, come nell'icona di Simeone il Teoforo, o il Teodoco 48 . Ricordiamo che il Cristo disteso, tra le braccia del vegliardo nell'icona dell'Hypapante, è un'allusione alla Passione e alla morte del Salvatore49 • Infine, nella fila inferiore sono rappresentati quattro santi guerrieri. A partire da sinistra, san Giorgio che abbatte il drago e, di fronte, san Demetrio che trafigge l'empio Lieo; san Teodoro Stratilate nello stesso atteggiamento di san Giorgio e, di fronte , san Procopio con scudo e arco. Realizzata secondo le direttive del committente, l'icona è opera di Kirillos ed è elaborata secondo i modelli di Girgis, suo maestro. L'icona è pressoché identica, quanto alla ripartizione dei temi, a quella di Yiisuf al-Musawwir custodita presso il Museo Sursock e datata al 1645. Kirillos cerca di imitare il protoplasma scuro del maestro Girgis, senza approdare a quell'intensità espressiva dovuta al contrasto ottenuto per mezzo delle lumeggiature finali . A partire dal 1781, egli troverà una tessitura dei volti più appropriata alla sua arte, applicando una lumeggiatura biancastra su un protoplasma verdastro.
Kirillos al-Dimashqi e Girgis al-Musawwir, Madre di Dio e dodici scene, tempera su legno, 115 x 83 cm, ca. 1775, Arcivescovado grecocattolico di Aleppo,
Siria.
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Calvario
Kirillos al-Dimashqi, Calvario, tempera su legno, 175 x 140 cm, 1781, Chiesa dei Santi Concili; Saydnaya (Siria).
Dedica in arabo al di sopra di san Luca: «Fu ultimato grazie agli sforzi del curato Gibrayil, grazie all' elemosina dei cattolici50 di Damasco (paese di) Sham per opera del miserevole kiss Kirillos al-Musawwir al-Dimashqi, nell'anno 1782 dell'era cristiana». La Crocifissione è uno dei soggetti più antichi del cristianesimo; la si trova ad esempio sul portale di S. Sabina a Roma (436) , o nel Codex Rabulensis (586) - la rappresentazione di questo tema più completa dell'arte paleocristiana. Il calvario di cui ci occupiamo si compone di quattro parti assemblabili: la croce centrale, due pannelli e la base. Kirillos riprende qui i temi cari agli iconografi melchiti trasmessi dal suo maestro Girgis , pur prendendo le distanze da quest'ultimo con la fisionomia decisamente orientale di Cristo51 • La croce, in legno dorato e inciso, possiede un 'elegante forma orientale. Il Crocifisso è rappresentato subito dopo la morte: il costato reca il segno della lancia, gli occhi sono chiusi, il capo, coronato di spine, è chino (cfr. Giovanni 19,30). I simboli del sole e della luna suggeriscono i segni cosmici presenti al momento della morte di Cristo, riportati da Matteo e Luca. Due angeli dai capelli corti raccolgono in un calice dorato il sangue che cola dalle sue mani. In basso, santa Maria Maddalena è in ginocchio e raccoglie in un calice il prezioso sangue che cola dai piedi52 e che bagna il teschio di Adamo nella grotta. Il piccolo promontorio su cui è infissa la croce simboleggia il Golgota, o «luogo del teschio», mentre le mura sono quelle di Gerusalemme e stanno a significare che la crocifissione ha avuto luogo «al di fuori della città». L'iscrizione inchiodata sulla croce è in versione latina (INRI) e non greca (INBI). Il suppedaneum è stato omesso. Alle quattro estremità della croce figurano i quat-
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tro evangelisti, col vangelo aperto su un testo in arabo. Dietro ciascuno di essi si trova il simbolo del tetramorfo che gli è proprio. In alto san Giovanni e, alle sue spalle, un 'aquila; reca l'evangeliario per metà chiuso. A destra san Marco con l'immagine del leone; il suo vangelo riporta il passo di Marco 15,39. A sinistra san Matteo con un angelo alle spalle; il testo è tratto da Matteo 27 ,46. In basso san Luca col simbolo del toro . Il passo è tratto da Luca 23 ,44-46. Pannelli: In piedi, la Vergine poggia il viso sulla mano sinistra in segno di dolore e apre la mano destra in atteggiamento di supplica. Indossa una veste blu a epimanikia dorati e un maphorion rosso vermiglio. Al di sopra, nella lunetta in forma di arcosolium53, vediamo i simboli della Passione: il gallo, che ricorda il rinnegamento di Pietro, la colonna della flagellazione, l'asta con la spugna amara e la lancia che trafisse il costato di Cristo. L'apostolo Giovanni è nella stessa posa. Indossa una veste verde con clavus dorato e himation rosa. Sopra di lui sono raffigurati la scala della deposizione e due stendardi che rappresentano la vittoria della Resurrezione. L'oro dei due pannelli è a punti incisi su un fondo geometrico. Gli angoli sono decorati con sottili arabeschi su fondo d 'oro. La base del calvario è costituita da un medaglione centrale su cui è rappresentato, su fondo rosa, un pellicano nell'atto di divorare le proprie viscere, simbolo soteriologico ed eucaristico proprio della tradizione latina. Due grandi draghi a contrasto, dorati su fondo blu egizio, contornano questo motivo.
San Gregorio il Teologo Kirillos al-Dimashqi; San Gregorio il Teologo, tempera su legno, 36,8x28 cm, 1785, Chiesa dei Santi Concili; Saydnaya (Siria).
Titolo in greco: San Gregorio. Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waqf questa icona benedetta il sire Girgis Eid per il santuario di S. Elia lo Zelante della chiesa dei Concili nel villaggio di Saydnaya. Per mano del kiss Kirillos, che Dio lo accolga nella sua misericordia, nell'anno 1785». Gregorio Nazianzeno è originario di Arianzo, in Cappadocia. Detto «il teologo», è uno dei Padri della Chiesa d'Oriente. Il suo amico san Basilio lo consacrò vescovo suffragante di Cesarea. Al termine del concilio di Costantinopoli, fu proclamato patriarca, ma rinunciò per fare ritorno ad Arianzo, dove morì tra il 389 e il 390. Lo si festeggia il 25 gennaio. Si deve a lui la Liturgia dei presantifìcati, celebrata durante la Quaresima - rito di comunione senza consacrazione. Veste l'abito episcopale completo, tranne l' epitrachelion. Benedice con la mano destra e tiene un libro aperto sulla versione araba di Giovanni 10,1-2. Il volto manca di profondità, ma la gamma cromatica e l' ornamentazione discreta, come il nimbo stampato e inciso, rendono l'icona gradevole alla vista.
San Basilio Kirillos al-Dimashqi; San Basilio, tempera su legno, 36,8 x 28 cm, 1785, Chiesa dei Santi Concili; Saydnaya (Siria)
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Titolo in greco: San Basilio. Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waq/ questa icona Barbara Keir per il santuario di Mar Elias della chiesa dei Concili Ecumenici nel villaggio di Saydnaya. Per mano del miserevole kiss Kirillos Bitar, il Damasceno, nell'anno 1785». San Basilio il Grande è uno dei Padri greci della Chiesa. Nato a Cesarea di Cappadocia intorno al 330, battezzato da adulto, iniziato alla vita monastica in Oriente, si ritira nel Ponto con Gregorio Nazianzeno e un gruppo di cenobiti e redige le regole e le opere ascetiche, sulle quali si fonda il monachesimo in Asia Minore. Divenuto vescovo di Cesarea nel 3 70, fonda una «città ideale» chiamata Basiliade. Muore l' l gennaio 379 ed è festeggiato in questo giorno. A lui si deve la Divina Liturgia, che porta il suo nome. È rappresentato frontalmente a tre quarti di busto con indosso il paramento episcopale, senza l' epitrachelion . Benedice con la mano destra e tiene un libro aperto sulla versione araba di Matteo 5,14-15 . Anche qui, Kirillos ha seguito i canoni prosopografìci, ma l'espressione manca di profondità.
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Santa Barbara Kirillos al-Dimashqz; Santa Barbara, tempera su legno, 37 x28 cm, 1785, Chiesa dei Santi Concili, Saydnaya (Siria)
Titolo in greco: Santa Barbara. La dedica è cancellata, rimane solo la firma: «Per mano del kiss Kirillos al-Dimashqi nell'anno 1785». La vita di santa Barbara è riportata a pagina 171 . Qui, è rappresentata con la corona, seduta, vestita di una veste blu-grigia con cintura e banda ornamentale attorno al collo e alle maniche. Porta un mantello rosso vermiglio. Tiene una torre forata da tre finestre nella parte superiore. Come abbiamo detto, si tratta del simbolo del martirio della santa. Nella mano sinistra tiene la palma del martirio.
San Mosè l'Etiope Kirillos al-Dimashqz; San Mosè l'Etiope, tempera su legno, 36,8 x 28, 1 cm, 1785, Chiesa dei Santi Conczlz; Saydnaya (Siria).
Titolo in greco: San Mosè. Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waqf questa icona Girgis Eid per il santuario di S. Elia nella chiesa dei Concili nel villaggio di Saydnaya. Per mano del povero kiss Kirillos il Damasceno, che Dio abbia misericordia di lui, nell'anno 1785». Originario dell'Etiopia, Mosè era schiavo. Cacciato dal padrone a causa del suo carattere indocile, si organizzò per vivere di piccoli furti e saccheggi. Miracolosamente convertito, si recò presso san Macario che era contrario a riceverlo, ma fu conquistato dall'umiltà del malfattore di un tempo. Mosè divenne un eremita esemplare e morì in età avanzata. Lo si festeggia il 28 agosto. Indossa un abito monastico incompleto, poiché manca dell'analapos. Apre la mano destra in un gesto di benedizione e tiene una piccola croce nera, aggiunta posteriormente. Reca un filatterio con questo testo in arabo: «Colui che teme Dio, è temuto da tutto e tutto è sottomesso a lui. Colui che non teme Dio, ha paura di tutto e a tutto è sottomesso».
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San Giuseppe e il Bambino Gesù
Kirillos al-Dimashqi, San Giuseppe e Il Bambino Gesù, tempera su legno, 37x28 cm, 1785, Chiesa dei Santi Concili, Saydnaya (Siria).
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Titolo in greco: San Giuseppe. Dedica e firma in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waqf questa icona il povero Girgis Eid per il santuario di S. Elia della chiesa dei Concili nel villaggio di Saydnaya. Per mano del prete Kirillos Damasceno, anno 1785». Nel rappresentare san Giuseppe, l'Oriente si è preoccupato di conservare una distanza «teologica» tra questi, Gesù e Maria, a sottolineare il ruolo di Giuseppe come servitore dell'Incarnazione e a preservare i fedeli dal pericolo di considerarlo, secondo la carne, sposo della Vergine e padre di Cristo. In questo senso, l'influenza degli scritti apocrifi è stata determinante. Nel Protovangelo di Giacomo, Giuseppe è vedovo e, quando la scelta cade su di lui per «custodire» la Vergine Maria, egli esclama: «Ho dei figli e sono vecchio e lei è una fanciulla»54. È per questo motivo che Giuseppe non sarà mai rappresentato solo assieme a Cristo. Saranno i missionari latini, soprattutto i carmelitani55, a influenzarne l'iconografia in Oriente. San Giuseppe è rappresentato frontalmente, con le sembianze di un venerabile vegliardo dai lunghi capelli. Indossa una veste verde e un himation rosa, e tiene un giglio che simboleggia la castità. Il Cristo Bambino è vestito di una tunica bianca con cintura
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dallo scollo ornato e di un mantello giallo indiano. Gesù china teneramente la testa verso il padre putativo, pone la mano sinistra sul suo petto e guarda lo spettatore con insistenza come per dirgli di confidare in Giuseppe. Come nelle altre icone della collezione di Saydnaya, i colori e la linea dei volti conferiscono una nota di gioiosa serenità malgrado la loro inespressività.
Mandylion
Kirillos al-Dimashqz; Mandylion, tempera su legno, 36,4 x 28,2 cm,
1785, Chiesa dei Santi Concilz; Saydnaya (Siria).
Titolo in greco, in alto: il monogramma di Cristo. Dedica in arabo: «Ha istituito questa icona in waqf [. ..] per la chiesa dei Concili nel villaggio di Saydnaya. Per mano di Kirillos al-Dimashqi, che Dio lo accolga in misericordia, nell'anno 1785». Il M andylion è un elemento centrale dell'iconografia cristiana56 . Il panno era conservato a Edessa, che nel 544 lo mise in salvo dall'assalto dei Persiani. Fu trasferito a Costantinopoli nel 944 e conservato a S. Sofia, dove veniva esposto alla venerazione dei fedeli il 19 agosto di ogni anno, anniversario del suo trasferimento. Scomparve al1'epoca della quarta crociata per riapparire in Occidente57 • In quest'icona, il Mandylion è disteso sull'oro del fondo , con quattro nodi nella parte superiore del telo che formano una doppia piega. Al centro è dipinto il volto di Cristo senza collo, i capelli che scendono in lunghi riccioli. Nell'iconografia cristiana Cristo ha tre tipi di fisionomia. Il primo è grecoromano: volto giovane e imberbe che sostituisce il culto di Apollo; il secondo è siriano: adulto e con la barba coi tratti del Re dei re orientale5 8 ; il terzo è quello del Mandylion di ascendenza sasanide, in cui ci si concentra sul volto senza collo per manifestare l'origine celeste del personaggio rappre-
sentato. Nell'arte orientale primitiva, verranno rappresentati in tal modo gli angeli59 • Il Cristo è di buona fattura. Il nimbo crucifero col trigramma è perfettamente levigato e incorniciato da un margine in rilievo a borchie. La cornice è costituita da una banda ornamentale con un motivo laminato a volute, lavorato in argento su fondo alizarina.
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Il profeta Elia uccide i profeti di Baal
Vescovo Parthenios di Tripoh Il pro/eta Elia uccide i profeti di Baal, tempera su legno, 103 x 76 cm, 1761, Monastero greco-ortodosso di Mar Elias, Chouaiya (Libano).
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L'icona rappresenta il massacro dei sacerdoti di Baal così com 'è riportato nel primo libro dei Re (1 Re 18,20-40) . Il soggetto è identico a quello dell'icona di pagina 89; queste due opere possono fornire un 'idea dello sviluppo dello stile da un secolo all'altro nel Vicino Oriente, in relazione a uno stesso soggetto iconografico. Il profeta Elia occupa tutta l'altezza dell'icona. Indossa una lunga veste di uno splendido verde oliva dalle impeccabili lumeggiature, coperta da una melate rosso fuoco foderata di pelliccia color ocra. Elia brandisce una scimitarra con un ampio e potente movimento. Ai suoi piedi giacciono i profeti di Baal con le teste inturbantate alla maniera turca. Dettaglio realistico: essi hanno le mani legate dietro la schiena con un laccio nero. L'aureola del profeta è incisa a motivi circolari. L'icona è incorniciata da cartigli ispirati a quelli della
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scuola di Aleppo, ma di minore ampiezza. Sul fondo d 'oro, il titolo dell'icona è riportato in greco e in arabo: Il prof eta Elia . La proliferazione delle icone che hanno per tema il massacro dei sacerdoti di Baal è particolarmente significativa, in un momento in cui le popolazioni autoctone cominciano a scuotere il giogo dell'occupante ottomano. Con quest'opera il vescovo Parthenios raggiunge un risultato di elevata qualità artistica. Il gesto potente del profeta di fuoco , il suo volto al contempo grave e pensoso dai tratti decisi e luminosi, il cromatismo estremamente raffinato dei diversi elementi della composizione collocano quest'icona tra le più belle della produzione melchita del XVIII secolo. Il vescovo firma solo in greco l'angolo inferiore sinistro dell'icona: «Per mano di Parthenios, vescovo di Tripoli, 1765 di Cristo».
Akra Tapeinosis
Vescovo Parthenios di Tripoli, Akra Tap einosis, tempera su legno, 93 x 64 cm, 1762, Chiesa di S. Nicola dei grecoortodossi Tripoli (Libano).
Titolo in arabo, a destra: Dio si sottomette (in piedz) al giudizio; a sinistra: Per salvare tutti gli umili della terra. Dedica: «L'ha dipinta Parthenios, di beata memoria, vescovo di Tripoli (paese) di Sham, poi l'ha rinnovata il maestro Mikhail Polychronis, il pittore dell'isola di Creta, nell'anno 1815 dell'era cristiana come waqf della chiesa di Nostra Signora e di S. Nicola a Tripoli (paese) di Sham». Cristo è in piedi a tre quarti di busto. È nell'atteggiamento dell'Ecce Homo, secondo la lettura di Giovanni 19,5, vestito della tunica color porpora60 , con la corona di spine e le mani legate intorno alla canna derisoria 61 • Qui, la tunica è di gloria, bordata di un gallone ornamentale attorno al collo e ai polsi, come uno sticharion da diacono. Cristo non è forse venuto per «servire» e dare la vita in riscatto della moltitudine, da autentico Servo sofferente di Yahweh 62 ?
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Il tema è innanzitutto liturgico, poiché i primi tre giorni della grande e Santa Settimana si celebra l'Ufficio dello Sposo, in occasione del quale viene esposta l'icona che presentiamo. La composizione parte dall'Akra Tap einosis greco per conformarsi all'Ecce Homo latino. Infatti, contrariamente alla versione bizantina, non vediamo le ferite del Salvatore, ed egli non esce dal suo sepolcro. Può darsi che il primo pittore, il vescovo Parthenios, sia stato fedele al modello tradizionale. Ma la dedica afferma che l'icona è stata ritoccata da Mikhail Polychronis, il quale l'ha resa conforme alla sua versione dell'icona dello Sposo - che abbiamo analizzato in uno studio precedente63 - il cui titolo è La Grande Umiltà, o Akra Tapeinosis, ma la rappresentazione è quella dell'Ecce Homo. Sotto le ridipinture di Michele il Cretese, si intuisce la forza espressiva del vescovo Parthenios, di cui si può ammirare lo stile nelle opere presentate più avanti.
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Pantokrator Vescovo Parthenios di Tripoli, Pantokrator, tempera su legno, 103 x 76 cm, 1761, Monastero greco-ortodosso di Mar Elzas, Chouaiya (Libano).
Titolo: il consueto monogramma di Cristo. Firma in greco a destra e in arabo a sinistra, nelle parte inferiore dell'icona: «L'ha dipinta con la sua mano peritura Parthenios, vescovo di Tripoli, nell'anno 1761 dell'era cristiana». La rappresentazione è a metà strada tra il tema del Pantokrator e quello del Cristo Re dei re e Sommo Sacerdote. Il Cristo, incoronato, porta uno sfarzoso sakkos damascato in oro, al di sotto del quale si intravede uno sticharion rosso cinabro con sontuosi epimanikia. Al di sopra di queste vesti indossa un lunghissimo omophorion di eccezionale candore, valorizzato da eleganti croci lanceolate, che la cintura e una spilla d'oro fissano al petto. Benedice con la mano destra e tiene un evangeliario aperto su questa frase in arabo: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per le vostre anime. Il mio giogo infatti è dolce e il mio carico leggero» (Matteo 11,28-30).
Madre di Dio, Rosa immarcescibile Vescovo Parthenios di Tripoli; Madre di Dio, Rosa immarcescibile, tempera su legno, 102,4 x 76,2 cm, 1765, Monastero greco-ortodosso di Mar Eltas, Chouazya (Libano).
Firma in arabo e in greco in basso: «L'ha dipinta con la sua mano peritura Parthenios, vescovo di Tripoli, nell'anno 1765 dell'era cristiana». La Madre di Dio indossa una veste verde pistacchio stretta da una cintura, con epimanichia d'oro e un sontuoso maphorion cremisi, fissato al petto con una spilla. Cinge con la mano sinistra suo Figlio e nell'altra tiene, fissando lo spettatore con gravità, una grande e splendida rosa. Cristo è la Rosa immarcescibile perché, offerto da sua Madre al momento della Passione, non sarà vinto dalla morte. Il Bambino Gesù è in piedi su un altare di pietra. Indossa l'abito imperiale: sticharion cremisi, sakkos d'oro. Incoronato come sua Madre, reca lo scettro e il globo terrestre. È il Re dell'Universo, ma la Vergine lo offre sull'altare del sacrificio, esponendolo alle sofferenze profetizzate da Simeone64 al momento della Presentazione di Gesù al Tempio.
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Palme
Pittore ucraino, Palme, tempera su legno, 53 x33,2 cm, 1857, Cattedrale greco-cattolica, Aleppo (Siria)
Dedica in arabo, in basso e al centro: «Waqf del khawaja Mikhail alNahhas per la chiesa di [. ..] nell'anno 1857». Gesù cavalca un asino, benedice con la mano destra e non ha il volume delle Scritture. Alle sue spalle si trovano i dodici apostoli, tra i quali, in prima fila, Pietro con Giovanni e Paolo. Di fronte a lui, gli abitanti di Gerusalemme si accalcano alla porta della città. Sulla palma che si erge al centro dell'icona i bambini tagliano rami con cui cospargere il suolo; un giovane uomo è in ginocchio per stendere un ampio mantello al passaggio di Cristo (cfr. Matteo 21 ,8). La composizione segue il modello dell'Adventus (o Baiophoros in greco) , cioè l'Entrata del Salvatore a Gerusalemme. La scena farebbe pensare all'entrata dell'imperatore vittorioso come è rappresentata su più di un bassorilievo paleocristiano. In realtà, l'Adventus di Cristo contrasta con queste rappresentazioni fondate sulla gloria umana e la vittoria in guerra. Gesù cavalca un asino e non un cavallo. Monta pacificamente all'amazzone come un filosofo e non a cavalcioni come un guerriero. Non viene per essere glorificato ma per subire la Passione. Non è ricevuto dall'esultanza dei notabili ebrei ma dai bambini. Non marcia sui suoi nemici, ma sulle vesti stese dai suoi fedeli. A lui si addicono le parole del profeta: «Giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d 'asina» (Zaccaria 9,9). Il pittore è noto ad Aleppo per aver adornato con decine di icone la cattedrale greco-cattolica. È detto
semplicemente il «Pittore ucraino». Aveva sotto gli occhi i prestigiosi modelli dei Musawwirun, che ha cercato di riprodurre usando le stesse tecniche decorative; per questo lo consideriamo continuatore di quello stile. La sua arte è tuttavia priva di ispirazione e si basa sulla replica stereotipata degli schemi divenuti familiari ai fedeli. Ricorda certamente l'esuberanza di un Mikhail Polychronis, ma senza la sua genialità creativa.
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MAESTRI DEL XVIII SECOLO
Il XVIII secolo rappresenta l'apogeo dell'arte arabo-cristiana. Accanto ai Musawwirun, che hanno portato a maturazione il loro stile e sviluppato le loro tecniche, emerge una pleiade di pittori il cui stile e la cui tecnica non dipendono dalla scuola di Aleppo. La maggior parte di questi pittori lavora nella regione del Qalamun. A metà strada tra Damasco e Homs, questa regione è meta di pellegrinaggio a causa del monastero di ostra Signora di Saydnaya - tappa necessaria sulla via di Gerusalemme - circondato da antichi monasteri come quello di S. Tecla, di S. Giacomo il Mutilato, di S. Mosè l'Etiope e di S. Tommaso. È importante riservare a questi pittori uno spazio a parte, in cui sarà interessante notare come ciascuno di essi dia vita a uno stile completamente sui generis. Ciò che accomuna questi maestri del XVIII secolo è la loro appartenenza alla stessa area geografica e alla medesima cultura arabo-cristiana. Molti pittori fanno parte di una stessa corrente, la cui particolarità consiste in una semplicità di forme e fisionomie che conduce talvolta a un vero arcaismo provinciale. Il copista di Euthymios Saifi si distingue per una tavolozza di grande effetto e una prosopografia quasi mongola. Il grande maestro di questo periodo è senza dubbio Mikhail Najjar al-Dimashqi, di cui abbiamo rinvenuto numerose icone mai riprodotte che completano le nostre conoscenze al suo riguardo. Egli si rivela un grande artista dalla tecnica impeccabile, dai colori radiosi, dall'espressività ingenua. Yusuf Ibn Elian è caratterizzato, come l'artista precedente, da un 'elaborazione provinciale, ma si distingue per la se-
verità del protoplasma, quasi nero, e per la scarsità di decorazione, che conferisce un'impronta austera alla sua opera. Il prete Semaan è attivo in Libano, ma copia tanto i soggetti della scuola di Aleppo quanto quelli dei pittori greci. La sua cifra espressiva risiede nella linea dei volti, nella scelta dei colori e delle decorazioni, decisamente barocche. Il pittore anonimo dei basiliani è celebre per la sua icona del sacrificio di Abramo. Anch'egli conferisce ai volti una fisionomia mongola o ottomana. Meno dotato, per quel che riguarda i colori, del copista di Euthymios Saifi, eccelle nella giustapposizione dei volumi in uno spazio adimensionale che accentua la presenza dei personaggi e l'intensità dell'espressione, per quanto ingenua. Mostriamo anche due nuove opere del Maestro dell'Ultima Cena di Maalula, che evidenziano il suo stile. La sua elaborazione dei volti è caratterizzata dalla giustapposizione senza sfumature del protoplasma scuro e delle luci quasi bianche, cosa che conferisce una certa rigidità espressiva. La sua maniera grafica di suggerire le pieghe delle vesti è ottenuta lavorando con inchiostri colorati sull'oro. Introduciamo due nuovi iconografi melchiti fino ad oggi sconosciuti. Lo stile di Abdel Masih al-Kubrussi è molto vicino a quello di Mikhail al-Dimashqi, con più ingenuità e colori pastello. Il diacono Abdallah, figlio di Nahhas, crea un 'icona tra le più originali, esprimendo una grande libertà nella scelta delle decorazioni e dei simboli. Infine, molte altre opere, spesso di pittori anonimi e molto diverse le une dalle altre, evidenziano la grande creatività e libertà dei pittori di questo periodo.
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Natività di Maria
Dedica in arabo, in basso a sinistra: «Questa sacra icona è di Abdel Nur, figlio di Salim Abu Mrueh, che Dio la trasformi in benedizione per lui. Anno 1702 dell'era cristiana». Conformemente ai canoni iconografici, il pittore ha ripreso fedelmente il tema della natività di Maria dai racconti dell'infanzia della Vergine, in particolare dal Protovangelo di Giacomo. Sant' Anna è distesa sul letto e assistita da due levatrici. Una le porta una brocca d'acqua e l'altra una ciotola, mentre san Gioacchino porge a una domestica un piatto fondo.
La Vergine Maria è in una culla, sorvegliata da una domestica che fila col fuso. L'icona colpisce per il cromatismo sapientemente calibrato. Sfortunatamente, le superfici dorate hanno subìto danni irreversibili. L'autore è anonimo ma, secondo Sylvia Agémian, potrebbe essere il copista di un evangeliario commissionato da Euthymios Saifi, fondatore dell'Ordine Basiliano del Santo Salvatore, per la cattedrale di S. Nicola di Saida 1 . Gli vengono attribuite due icone della collezione Abu Adal: un Pantok rator e una Vergine in trono 2 •
Copista di Euthymios Sai/i, Natività di Maria, tempera su legno, 55,5 x 42 cm, 1702, Ordine Basiliano del Santo Salvatore, Joun (Libano).
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San Basilio
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Attribuita al copista di Euthymios Sai/i, San Basllio, tempera su legno, 50,5x40 cm, 1723, Ordine Basiliano del Santo Salvatore, Joun (Liban o).
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Titolo in greco: San Basilio. Dedica in arabo, a destra: «Questa venerabile icona è un waqf per i religiosi di San Basilio il Grande. Nell'anno 1723 cieli' era cristiana». San Basilio è in piedi sotto l'arcata trilobata di un ciborio. Indossa gli abiti episcopali: kamision blu bordato ai polsi, phelonion rosso vermiglio con uno splendido epitrachelion e un epigonation; al di sopra di queste vesti, l' omophorion con croci nere dagli angoli gigliati. Benedice con la mano destra e reca un evangeliario chiuso.
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Se il volto è elaborato con cura, l'icona nel suo insieme appartiene al genere detto «ingenuo». Sylvia Agémian ritiene che questa icona potrebbe essere opera dello stesso pittore della precedente; noi condividiamo la sua opinione3 . I religiosi di San Basilio cui si fa cenno nella dedica sono i Salvatoriani, dal nome della loro casa madre dedicata al Santo Salvatore, a Joun (Libano meridionale).
Pannello tripartito
Abdel Masih alKubrussi, Pannello tripartito, tempera su legno, 46,5 x 69,4 cm, 1702, Ordine Basiliano Choueirita, Libano.
Firma artistica in arabo ispirata ai firmani ottomani: «Opera di Abdel Masih al-Kubrussi (il Cipriota)». Dedica in arabo sul bordo inferiore: «Ha istituito in waqf questa sacra icona [ ...] Attallah [ ... ] e al-Salibi per la chiesa di S. Barbara a Baalbek, la Protetta (da Dio), nell'anno 1702 dell'Incarnazione di Cristo». L'icona, longitudinale, è divisa per mezzo di bande colorate in tre pannelli che rappresentano tre differenti soggetti. A sinistra è raffigurato il battesimo di Cristo con il titolo in greco; a destra, un ciclo sintetico della vita del profeta Elia: il passaggio del Giordano senza bagnarsi, l'ascensione su un carro di fuoco e il dono del mantello, prova del suo doppio spirito (cfr. 2 Re 2,10-13). Il titolo della scena è in arabo: Ascensione del pro/eta Elia. La parte centrale è dedicata alla Koimesis. La
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scena si svolge intra muros. Rispecchia la tradizione iconografica greca. La Vergine, distesa su un catafalco, è circondata dagli apostoli, da alcune donne e da due gerarchi, probabilmente san Dionigi Areopagita e san Ieroteo. Cristo presenzia all'interno di una mandorla in cui sono raffigurate le potenze angeliche, che culmina in un hexapterygon fiammeggiante. Egli reca l' eidolon di sua madre. Chi è il pittore Abdel Masih? Tutto quello che sappiamo è che è cipriota, ma il suo nome è arabo e va ad aggiungersi ali' elenco degli iconografi arabocristiani. Il suo stile è vicino a quello di Mikhail alDimashqi ma, in aggiunta, ingenuo. Maneggia con abilità i colori e i suoi volti sono pervasi di dolcezza. Dà più importanza all'espressione dei volti e alla dinamica del gesto che all'ornamentazione, cosa che va tutta a suo vantaggio.
San Michele arcangelo Psicopompo Mzkhiiil al-Dimashqz; San Michele arcangelo Psicopompo, tempera su legno, 46x34 cm, prima metà del XVIT secolo, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria).
Titolo dell'icona in greco: L'Archistratega Michele. L'arcangelo è in abiti militari e indossa, particolare curioso, il berretto frigio . Impugna una spada snudata, senza fodero. Ai suoi piedi, un uomo denudato vomita sangue. Si tratta dell'uomo ricco della parabola. Al suo fianco, la frase del Vangelo che si riferisce a lui è scritta in arabo (cfr. Luca 12,19). L'arcangelo reca sotto forma di eidolon l'anima del ricco che è venuto a riprendere. Reca al contempo un filatterio su cui si legge in greco: «Tu mi vedi, me l'Immateriale, pronto a combattere. La spada in pugno, sto a guardia della porta (del paradiso)». Michele viene identificato col cherubino dalla spada fiammeggiante che sorveglia la porta dell'Eden (Genesi 3 ,24). Per approfondire l'argomento, vedi pagina 93. Lo stile e la fattura sono di Michele di Damasco, che ha lavorato a lungo a Deir-Atiyeh e Yabrud, in provincia di Damasco.
Santi Pietro e Paolo Mikhiiil al-Dimashqz; Santi Pietro e Paolo, tempera su legno, 46x34 cm, ca. 1716, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria).
L'icona segue il modello di quella attribuita a Yusuf al-Musawwir (p . 33) con alcune differenze. I due corifei degli apostoli sono in piedi, fa ccia a faccia, ma il loro sguardo è rivolto verso l'alto. A sinistra, san Pietro leva la mano destra in segno di benedizione mentre nell'altra reca una pergamena semiaperto e le due chiavi del Regno che Cristo gli ha affidato. Indossa un chitone verde e un himation di un rosa canea. San Paolo reca un evangeliario chiuso. Indossa un chitone blu e un himation rosa. L'icona riporta i nomi dei due apostoli in greco. In arabo è scritto: «I due grandi santi apostoli Pietro e Paolo». L'icona è stata attribuita a Michele di Damasco da Padre Antoine Lammens.
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San Giorgio
Mikhail al-Dimashqi; San Giorgio, tempera su legno, 52,7x41,5 cm, 1705, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria).
Titolo in greco: Il santo megalomartire Giorgio. Dedica in arabo nella parte inferiore dell'icona: «Latife, figlia del compianto Zakhur, ha istituito in waqf questa venerabile icona, per la chiesa di S. Giorgio, chiedendo per questo una ricompensa e un pagamento, nell'anno 1705 dell'era cristiana». Il pittore conferisce particolare enfasi alla scena di san Giorgio che abbatte il drago. Lo rappresenta nella dinamica della lotta dopo aver trafitto il mostro alla gola, una volta che questo è uscito dal suo antro. La punta della lancia emerge dalla testa del drago, mentre l'asta è ridotta in pezzi, manifestando in tal modo la violenza dello scontro. San Giorgio afferra la testa del drago e si accinge a mozzarla con una scimitarra. Il drago avvolge la coda attorno alle zampe del cavallo. Due angeli in volo su nuvole si apprestano a incoronare il santo guerriero per ricompensarlo della sua lotta contro il male, mentre dal semicerchio della gloria emerge la mano di Dio che benedice il suo servitore. A sinistra, sull'alto delle mura, si trovano il re e la regina. Il re tende al santo le chiavi della città di
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Beirut e con la mano sinistra indica la propria corona, come per dire che Giorgio l'ha meritata. A destra la figlia del re, che doveva essere data in pasto al drago, è finalmente libera, così come il suo popolo. Questo drago, che secondo la leggenda reclamava quotidianamente una vittima da divorare (vedi p . 52), rappresenta una personificazione del male che distrugge le anime e che la preghiera, il coraggio, il martirio possono vincere, secondo la parola di san Paolo: «Non avete ancora resistito fino al sangue nella vostra lotta contro il peccato». Giorgio fece ciò col suo martirio, ed è per questo che l'icona lo definisce megalomartire, vale a dire «il grande martire». La mano di Mikhail al-Dimashqi (Michele di Damasco) è visibile nell'insieme dell'elaborazione di questa icona, dalle iscrizioni fino ai colori e allo stile che gli è proprio. Se si paragona questa icona e quelle che gli vengono attribuite all'icona della Fuga in Egitto che egli ha firmato (vedi p. 122), si notano lo stesso semicerchio che rappresenta il cielo con raggi rossi ondulati, i medesimi colori e, infine, la stessa maniera di scrivere le desinenze greche in -os.
Fuga in Egitto
Mikhiiil al-Dimashqz; Fuga in Egitto, tempera su legno, 37,7x31 cm, 1740, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria).
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Firma in arabo sotto il ventre dell'asino: «Opera di Michele di Damasco, 17 40». La Vergine con in braccio il Bambino Gesù cavalca un asino dai finimenti rossi bordati di vermiglio che avanza a testa china, condotto per la cavezza da un angelo. Ella indossa una veste grigio-azzurra in foggia di epimanikia e un maphorion color granata dall'interno vermiglio, bordato da una ricca banda guarnita di perle e rubini. Il Bambino Gesù è tra le braccia di sua Madre, avvolto in fasce come un neonato; ciò non è conforme ai racconti apocrifi, che precisano che al momento della fuga in Egitto aveva tre anni 4 • L'angelo dalle ali dorate indossa uno sticharion verde scuro con un clavus sull'avambraccio destro. Indica il cammino alla Sacra Famiglia e regge un 'asta lanceolata alle due estremità. San Giuseppe, un fagotto sulle spalle e un paniere di viveri in mano, si tiene dietro all'asino, quale fedele servitore del mistero dell'Incarnazione. Ha del resto un abbigliamento da subalterno: un chitone marrone chiaro, una clamide rosa garanza. Calzastivali neri, allacciati sopra il ginocchio da una doppia stringa che si avvolge attorno a calze grige. A destra figura una città dalle alte mura colorate e circondate da un bastione verde senape. Sulla porta l'artista si è premurato di annotare in arabo: «Porta d'Egitto». A sinistra, l'albero che si china al passaggio del Bambino-Dio ricorda un episodio menzionato nel Vangelo dello Pseudo-Matteo, secondo cui questi
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avrebbe ordinato a una palma di chinarsi per nutrire la Vergine coi suoi frutti. Dall'alto degli edifici cade una moltitudine di demoni e, al centro dell'icona, un testo in arabo, ispirato alla liturgia, commenta la scena: «Quando apparisti in Egitto, o Luce di verità, dissipasti le tenebre della vanità. Infatti i suoi idoli, non sopportando di rimanere spettatori della tua potenza, o Salvatore, soccombettero e si infransero». L'episodio è menzionato nei Vangeli apocrifi: quello di Tommaso (ca. 200 d.C.) , quello dello Pseudo-Matteo (ca. 400) - che precisa che il numero degli idoli equivaleva a trecentocinquantacinque e che Maria era entrata col Bambino nel Tempio, detto Campidoglio - , come pure il Vangelo arabo dell'infanzia (ca. 600 d.C.) . In Svizzera, a Mi.istair, esiste un affresco della fuga in Egitto datato al IX secolo, ma è nell'undicesima strofa dell'inno Akathistos che il tema verrà illustrato. I pittori cretesi vi si cimenteranno indipendentemente dall'Akathistos, come fa qui il pittore seguendo il loro esempio. Un'icona di Emmanouil Tzanes, molto italianizzante, si trova nella collezione Rena Andreadis. Un'icona arabo-cristiana della fine del XVIII secolo che rappresenta questa scena, cara ai cristiani d'Egitto perché ha luogo nel loro paese, è stata esposta di recente presso il Museo di Francoforte, proveniente dal Museo del Cairo5 . L'icona qui presentata si situa nell'ultimo periodo della produzione di Mikhail al-Dimashqi, il cui stile ha raggiunto la maturità nella gamma cromatica come nel modellato dei volti.
Crocifissione
Mzkhiiil al-Dimashqz; Croczfissione, tempera su legno, 49,5x34 cm, metà del XVIII secolo, Chiesa grecoortodossa, DeirAtiyeh (Siria).
Significativo esempio della carattenstlca saliente dell'arte melchita, questa icona della Crocifissione mescola elementi tradizionali dell'iconografia bizantina e siriaca a elementi presi a prestito dall'arte post bizantina. La croce occupa il centro dell'icona. Su di essa si trova Cristo nell'atteggiamento descritto dal Vangelo di san Giovanni: «E, chinato il capo, spirò» (Giovanni 19,30). La scena ha luogo dopo che il soldato ha trafitto il costato del Crocifisso, dal momento che l'arcangelo Michele, trasportato da una nuvola, raccoglie il sangue e l'acqua che ne sgorgano, mentre l'arcangelo Gabriele raccoglie il sangue che cola dalla mano trafitta del Salvatore. L'intervento degli angeli nella raccolta del sangue redentore e il versetto sulle anime rappresentano un tema caro alla devozione cosiddetta «moderna», caratteristica dei secoli XVI e XVII. Gli artisti bizantini ne trassero ispirazione grazie ai loro contatti coi commercianti europei, soprattutto veneziani, che avevano fondato banche nelle isole greche e in numerose città del Levante, in particolar modo Aleppo. Ai lati del Crocifisso, la Vergine Maria e san Giovanni il Diletto sono rappresentati con propor-
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zioni maggiori del solito. Sono uno di fronte all'altra, in una postura simmetrica che esprime dolore e compassione. Il teschio di Adamo è rappresentato in una grotta, ai piedi della croce. Il sangue che cola dai piedi trafitti del Salvatore lo bagna copiosamente. Secondo i Padri della Chiesa, il Golgota, il cui nome significa «luogo del teschio», è lo stesso luogo del sepolcro di Adamo, che il sangue di Cristo è venuto a rigenerare - simbolo teologico per esprimere il mistero della Salvezza: il sangue di Cristo dona la vita eterna all'umanità decaduta. Nella parte superiore dell'icona, il sole e la luna illustrano il fatto che la Creazione ha partecipato a suo modo alla Passione di Cristo: il sole si è oscurato e la luna ha trattenuto il suo fulgore - temi classici dell'apocalittica che servono a esprimere i segni temibili della manifestazione escatologica di Dio. L'icona è opera di Michele di Damasco, che ha lavorato soprattutto nella sua città natale e nei suoi dintorni. L'equilibrio cromatico dell'opera è perfetto . Michele ha utilizzato con maestria le diverse tonalità di garanza combinandole abilmente con tonalità pastello.
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Vergine della Passione
Mikhiiil al-Dimashqi, Vergine della Passione, tempera su legno, 30 x 25 cm, 1740, Ordine Basiliano Aleppino, Zouk (Libano)
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Firma in arabo, in basso e al centro: «Opera di Mikhail al-Dimashqi, anno 17 40 dell'era cristiana». Come si è già detto a proposito dell'icona di pagina 27, il tipo iconografico della Vergine della Passione fu formulato dall'artista cretese Andrea Ritzos nella seconda metà del xv secolo. Mikhail al-Dimashqi cerca di attenervisi. La Madre di Dio sostiene il Bambino col braccio sinistro e guarda lo spettatore con insistenza. Indossa una veste blu antracite con galloni al collo e ai polsi e un maphorion rosso con le stesse bande ornamentali della veste. Il Bambino Gesù indossa un chitone verde oliva punteggiato, con una cintura vermiglia e un himation rosa. La testa è circondata da un 'aureola con trigramma. Le mani poggiano sulla mano sinistra della Vergine, attorno al pollice, motivo per cui questa composizione è detta «Vergine del pollice». Su ciascun lato delle figure centrali si trova un angelo su una nuvola. Quello di destra è Gabriele, l'angelo dell'Incarnazione. Indossa un chitone rosa e un himation blu scuro e reca una croce con basamento. A sinistra figura l'angelo Michele, angelo della parusia, che reca la spugna e la lancia che trafiggerà il costato del Crocifisso. Cristo volge la testa all'indietro per guardare la croce e, con un tremito, lascia cadere il sandalo, come a significare che l'avversario lo colpirà al calcagno (cfr. Genesi 3,15 ).
M AESTRI DEL XVIII SECOLO
A sinistra, sul fondo d'oro, un testo in arabo spiega molto efficacemente la scena: «Colui che ha salutato in principio la Purissima (con l'Annunciazione) mostra ora le sofferenze di Cristo che, assunte spoglie mortali, nel momento in cui presagì tali sofferenze , ebbe timore della morte e tremò di paura (allusione al Getsemani)». È opportuno notare l'insistenza dell'iconografia sulla preveggenza di Cristo Bambino, che «conosceva» il significato dell' «Ora» per la quale era venuto. Icone come I.: occhio che non dorme o quella che stiamo analizzando sottolineano il fatto che, costantemente, Cristo si confrontava con l'angoscia della propria morte, come se sperimentasse senza tregua ciò che il Vangelo di san Giovanni lascia intuire del suo «turbamento» di fronte alla propria Passione: «Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!» (cfr. Giovanni 12 ,27 ). Di quest'angoscia, la Vergine è la fedele testimone e consolatrice con san Michele e san Gabriele. Non condivide forse questa Passione, dal momento che anche a lei «una spada trafiggerà l'anima» (cfr. Luca 2,35 )? A sinistra, un testo rinvia a una devozione mariana ispirata alla spiritualità latina che accompagna la raffigurazione dell'Immacolata Concezione: «Colui che è devoto alla Vergine Maria non sarà mai colpito dalla perdizione».
Sant'Elia e vita
Mikhail al-Dimashqt; Sant'Elia e vita, tempera su legno, 52,6x42,9 cm, 1734, Chiesa dei Ss. Costantino ed Elena, Yabrud (Siria)
Dedica in arabo, in basso: «Hana, figlio di Mikhail Ibn Jabla, ha istituito in waqf questa nobile icona, per la chiesa del Megalomartire S. Giorgio nel villaggio di Yabrud, cercando per questo di ottenere ricompensa e pagamento dal generoso sovrano, nell'anno 1734 della divina Incarnazione». L'icona riporta la storia del profeta Elia, il cui nome significa «Dio è il mio Dio». Lo spazio della composizione è onnitemporale: vi si trovano giustapposti avvenimenti che hanno avuto luogo in momenti diversi, visto che lo stesso personaggio viene rappresentato più volte in contesti a loro volta differenti. Elia indossa una tunica ocra stretta da una cintura e coperta da una melate color melanzana dall'interno in pelliccia azzurrognola. I suoi capelli sono lunghi, caratteristici del nazir (consacrato a Dio con un voto). Le scene sono suddivise in tre registri. Scena 1, registro inferiore, centro: dopo aver annunciato la siccità quale castigo per l'idolatria, Elia si ritira al torrente Cherit (cfr. 1 Re 17 ,1). È seduto su una roccia, il bastone da profeta nella mano destra, la testa appoggiata al braccio nell'atteggiamento ricettivo che l'Antichità attribuiva alla sibilla. Guarda il corvo in volo che gli porta il cibo (cfr. 1 Re 17 ,6). A sinistra, la scritta in arabo: «Il profeta Elia quando siede nel wadi e il corvo gli porta il cibo». Scena 2, registro inferiore, destra: quando il torrente Cherit si secca, Dio ordina a Elia di rifugiarsi in Fenicia: «Alzati, va ' in Zarepta di Sidòne e ivi stabilisciti. Ecco io ho dato ordine a una vedova di là per il tuo cibo» (1 Re 17, 9). Elia si trova nella casa della vedova che sta di fronte a lui con suo figlio ( 1 Re 17,16-24 ), entrambi nello stesso atteggiamento di sottomissione fiduciosa , le braccia incrociate sul petto. Al di sopra della casa la scritta in arabo: «Il profeta Elia con la vedova e suo figlio».
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M AESTRI DEL XVIII SECOLO
Scena 3 , registro centrale, destra: episodio della fine della pioggia grazie al miracolo del fuoco che scende sul sacrificio di Elia, in cima al monte Carmelo. Il profeta è in ginocchio davanti all'altare e implora Dio con queste parole: «Rispondimi, Signore, rispondimi e questo popolo sappia che tu sei il Signore Dio e che converti il loro cuore!» (1 Re 18,19-39)6 . A destra, sotto l'altare, la scritta in arabo: «Quando Sant'Elia pregò, un fuoco scese dal cielo e consumò l'olocausto». Scena 4, registro centrale, sinistra: Elia è disteso sotto un albero e dorme, la testa poggiata sulla mano destra. Un angelo ad ali spiegate, che nell'icona è chiamato Michele, si china su di lui per svegliarlo, dicendogli le parole scritte in arabo al di sopra della scena, che costituiscono una libera interpretazione di 1 Re 19,7 : «Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino». Scena 5 , registro inferiore, sinistra: Elia, accompagnato dal profeta Eliseo, suo discepolo, come lo definisce l'icona, divide le acque del Giordano con la sua melate per passare sull'asciutto (cfr. 2 Re 2,8). Sopra, la scritta in arabo: «Il profeta Elia fende il Giordano». Eliseo, che indossa un chitone grigioazzurro e un himatian color vinaccia, sta dietro al suo maestro. Scena 6, registro superiore: «L'Ascensione del santo profeta Elia in cielo su un carro di fuoco», come titola l'icona. Elia si trova su un carro igneo, tirato in due direzioni opposte da due paia di cavalli di fuoco. Il suo corpo è orientato a destra, ma la sua testa è rivolta verso il profeta Eliseo. Con la mano destra levata, sembra prendere congedo da lui mostrandogli il cielo. Al di sotto, nel registro centrale, si trova Eliseo: egli prende al volo la melate di Elia, pegno del doppio spirito che ha chiesto (cfr. 2 Re 2,10-12 ); dietro di lui questa iscrizione in arabo: «Il profeta Eliseo raccoglie il mantello di Elia che è caduto su di lui». L'icona si distingue per il gioioso cromatismo e la toccante semplicità delle figure.
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San Nicola in trono
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