I corpi del potere. Il cinema di Aleksandr Sokurov 8816411422, 9788816411425

Secondo Walter Benjamin, il cinema è l'arte emblematica del mondo moderno, di cui riflette i ritmi, l'esperien

114 3 28MB

Italian Pages 217 [112] Year 2012

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

I corpi del potere. Il cinema di Aleksandr Sokurov
 8816411422, 9788816411425

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

('I:$

A CURA DI MARIO PEZZELLA E ANTONIO TRICOMI

u ......

ti ...... (/)

~ ........_ QJ

I CORPI DEL POTERE IL CINEMA DI ALEKSANDRSOKUROV

di fronte e attraverso

JacaBook

t

~ ~

:=l QJ '""O

......I--. Se ciò è vero in gene-

4

5

Cfr. pp. l 92ss. di questo libro. P. Florenskij, Lo spazio e il tempo nell'arte, Adelphi, Milano 1995, p. 323.

3

Mario Pezzella

Introduzione

raie per ogni forma artistica o addirittura per ogni percezione, il cinema di Sokurov pone questa coincidenza a suo oggetto consapevole.

a un passato storico definito. Sta ora accadendo qualcosa, indipendentemente da ciò che seguirà dopo questa inquadratura o è avvenuto prima di essa, senza che le azioni siano legate da un legame necessitante di causa ed effetto: Lenin sta morendo, Hitler sta danzando grottescamente, la musica è in atto d'essere suonata7 • Vi invito - sembra dirci Sokurov - a percepire questo presente in bilico. Vi chiedo di cogliere la transizione infinitesimale in cui un presente sta divenendo passato; non ci riuscirete mai pienamente, ma comprenderete che la vostra vita scorre allo stesso modo, che non possedete un essere assoluto o illimitato, ma divenite nel possibile, esitando tra la morte e l'inizio.

Il tempo che viene I.:immagine-quadro inquieta l'attenzione dello spettatore, abituato a perdersi nell'effimero flusso delle immagini del cinema spettacolare, nella sua visibilità immatèriale e senza peso. I.:arresto tendenziale del movimento gli impone un rallentamento dell'attenzione e lo spinge a considerare la profondità singolare del fenomeno, invece di trascorrere immediatamente ad altro, annientando la sua specificità. Tale arresto è tuttavia paradossale e porta in effetti a percepire il passare infinitesimale del tempo, il suo inerire a ogni esperienza e a ogni spazio. Non senza sofferenza, lo spettatore devé distogliere la sua attenzione da ciò che segue all'inquadratura presente e concentrarsi su quanto avviene in essa e sta passando nell'attimo; del resto, egli può cogliere tale istante solo come già trascorso, sia pure per una frazione minima6• Più che la presenza stessa, diviene visibile il suo divenire, la sua sospensione indecisa tra il futuro e il passato. Questa intuizione metafisica corrisponde a una visione storica e politica. Se i totalitarismi del Novecento tendono a irrigidire la storia in un presente statico e inamovibile, se la forma di merce dissolve l'esperienza in una inconsistenza immaginaria e immateriale, l'immagine-quadro riscopre nel singolo fenomeno la densità della memoria e l'apertura del possibile. Al tempo omogeneo e vuoto della modernità, essa oppone l'intensità contraddittoria e irripetibile di un'esperienza spazio-temporale determinata. Se volessimo tradurre in linguaggio orale il racconto del cinema narrativo classico, probabilmente la forma verbale più adatta sarebbe l'imperfetto (la carrozza correva nel deserto, gli indiani la attaccavano urlando e noi sparavamo per difenderci... ). I.:immagine-quadro .di Sokurov agisce invece al gerundio, anche quando il suo contenuto si riferisce

Il lavoro delle /orme I.:immagine-quadro racchiude la tensione di un quasi-presente, attimo che trascorre, desiderato e inafferrabile. Essa «manifesta la presenza sensibile di una realtà che tuttavia ci sfugge... L'immagine non è mai data, ma sempre in cammino. [Sokurov) filma il "divenire visibile" o, per usare i termini di Merleau-Ponty, "la quasi presenza e la visibilità imminente": il lavoro dell'immagine, la sua dinamica, tra figurazione e defigurazione»8 . La figura si sgrana, si smaterializza, come una pellicola che brucia o un paesaggio in cui i contorni smuoiono nella nebbia; la prospettiva centrale si deforma allusivamente, forzata spesso da grandangoli estre1J1.i: il visibile diviene traccia o rinvio a un "altro", a un non

Partendo dalla pittura, la videoarte di Bill Viola raggiunge un risultato per certi versi s.ù:oile. Ricorderei anche, a partire dalla scultura, le installazioni oscillanti di Alexan_der Caldee. In entrambi i casi lo spazio è relativizzato dal mutamento temporale. Per quanto riguarda "il cinema, Tarkovslcij ha dato un esempio straordinario di immagine• quadro nella sequenza finale dell'llndrej Rublev (1966), e un procedimento analogo si trova in Godard (Passion, 1982) e in Huillet-Straub (Une visite au Louvre, 2004).

Si tratta di riferimenti a fùm di Sokurov: rispettivamente Tourus (Telec, 2000), Molcch (1999), Diario di Son Pietroburgo: Mozart. Requiem (Peterburgskij dnevnik: Mozart. Rekviem, 2004). A. Shumakova, curatrice della raccolta in italiano degli scritti di Sokurov, fa notare l'interesse del regista per il present continuous della lingua inglese e, più in generale, per le forme verbali che esprimono una contrazione, una indecisione o una contaminazione delle dimensioni temporali: «Parlando, usa spesso espressioni come: "Questo è passato futuro ... passato presente... futuro anteriore", non per sottolineare una categoria grammaticale (che, tra l'altro, in russo non esiste) ma per definire in maniera preèisa un'impressione». Cfr. A. Sokurov, Nel centro dell'oceano, Bompiani, Milano 2009, pp. 93-94, nota I. 8 S. Rollet, Lo spettro delle immagini, in questo libro, p. 40 e p. 43. L~ citazione di Merleau-Ponty proviene da l'(Ei/ et l'e.rprit, Gallimard, Paris 2002, p. 23. La distanza tragica tra il desiderio di essere puro presente e il trasconcre dell'attimo verso la mor• te spiega ÌJl parte la fascinazione più volte confessata da Sokurov per il Faust di Goethe, dove questo tema è centrale.

4

5

6

7

Mario Pezzella

Introduzìone

essere ancora o non essere più, che pure abita nella sua intima profondità, ne costituisce lo strato nascosto e segreto. Così appaiono le figure delle anime, intervistate in Elegia orientale (Vostocnaja elegija, 1996): la morte e il non essere non hanno cancellato il loro aspetto umano, semplicemente ne hanno sgranato i contorni. Ogni tratto del viso o del corpo è colto nel mutamento che lo porta oltre il suo stato attuale, nella sua impermanenza: i morti sono sereni perché hanno accettato questa condizione dell'essere, non lottano più contro di essa, non affermano più il loro Io contro la metamorfosi della vita. Come nelle ultime opere di Monet, la figura è colta nell'attimo originante che la compone e simultaneamente già la inclina al nulla, mentre un'altra già accenna a riformarsi sullo sfondo. Questo è il sapere del tempo che i morti hanno acquisito e vorrebbero lasciarci in eredità, invitandoci ad acquietare il fermento doloroso della volontà di conservazione. Spesso Sokurov cita direttamente un'opera figurativa. Egli ha una particolare predilezione per la pittura romantica, in particolare per quella di Caspar David Friedrich, molto presente in Madre e figlio (Mat' i syn, A. Sokurov, 1997)9• All'inizio di Elegia orientale, dopo che la nebbia ha invaso il cielo e poi si è diradata, emerge un bosco fitto e oscuro: una panoramica termina su un uomo di spalle, alla sinistra dell'inquadratura, e sulla riva del mare; un impulso interiore e misterioso spingerà l'enigmatico personaggio (un alter-ego del regista?) verso l'isola dei morti, dove - con un paradossale uso della tecnica documentaria - le anime verranno interrogate sul senso della propria vita. Il dato di partenza dell'immagine è il quadro Luna nascente sul mare di Friedrich, uno dei capolavori del "sublime" romantico 10• I:inqua-

dratura iniziale è una cellula germinale, da cui procede tutto il film: quasi che Sokurov ponesse in cammino il viandante del quadro di Friedrich e gli lasciasse compiere un suo percorso immaginario epossibile. Il cinema sprigiona il movimento potenziale, compresso nell'immagine figurativa. Sokurov attenua la verticalità e l'altezza eroica del sublime romantico: La luce, in Elegia orientale, è penombrale e pervasa di malinconia. Più che il confronto eroico, quasi una sfida, con l'infinito, il regista sottolinea il riconoscimento della piccolezza e della creaturalità indifesa dell'uomo, i suoi limiti, la sua mortalità. Questa umiltà accompagna l'uomo inquadrato di spalle nel ~uo viaggio verso l'isola delle anime e forse in grazia di essa gli viene concesso di·intervistare i morti. Sokurov è ben consapevole della sua scelta e del significato ambivalente del sublime, non sempre estraneo a tentazioni faustiane ed eroiche. In Moloch, il paesaggio scosceso e romantico delle montagne, in cui si trova il "nido d'aquila" hitleriano, fa da sfondo alla retorica superomistica e wagneriana del capo e dei suoi gerarchi, messa spietatamente in ridicolo dal regista: fino all'inquadratura in cui il possente soldato homo novus inquadra con il catinocchiale del fucile Hitler, mentre fa i suoi bisogni sulle rocce maestose.

9

«Le inquadrature fisse del paesaggio filmato, di cui si sono già segnalate la qu.alità vaporosa e la profondità misteriosa, somigliano penanto più agli spazi romantici che alla prospettiva del Rinascimento». Cfr. D. Amaud, La poetica dello spazio in Sokurov, in questo libro, p. 168. Tra i quadri di Friedrich citati nel film: I/ monaco in riva al mare, Z:abbazia nel querceto, Le bianche scogliere di Rugen. 1 Che ha avuto del resto differenti declinazioni. Particolarmente significativa quella di Solger, cosl ricordata da Pinna: «Rispeno al bello, dunque, in cui l'opposizione dell'universale e del particolare appare pienaroeote risolta nella particolarità della forma finita, il sublime rivela una tensione interna che lo apparenta alla riflessività inquieta del!'ane moderna. Non solo nel sublime viene in primo piano la contraddizione da cui risulta la sintesi estetica, ma con assai maggiore evidenza che nella bellezza in senso proprio si manifesta la negatività del finito, in cui l'idea è costrètta a perder-

°

6

Fotografia e dnema Sokurov crea un rapporto dinamico tra immagine fotografica e inquadratura filmica. Di per sé la fotografia rinvia a una figura del passato; con la sua potenza mimetica essa crea un simulacro di presenza, ma in realtà l'evento o l'esistenza raffigurati non vivono più, sono irrevocabilmente trascorsi. Come aveva notato Bazin, essa garantisce una sopravvivenza in certo senso mummificata, «presente inquietante di vite arrestate nella loro durata» 11 • I:essere passato del presente è la base ontologica della fotografia, il grado zero necessario del suo linguaggio. Con un procedimento simile a quello che usa per la pittura, Sokurov porta alcune inquadrature al limite della fissità fotografica, in lunghissimi piani sequenza che, nel colore e nella disposizione, rievocano

si per divenire reale» (G. Pinna, Il sublime romantico. Storia di un conce/lo sommerso, Aesthetica Praeprint, Palermo 2007, p. 56). 11 A. Bazin, Che cosa è il cinema, Garzanti, Milano 1973, p. 9.

7

Mario Pezzella

Introduzione

una istantanea in bianco e nero o virata in seppia. Se il cinema simula - a differenza della fotografia - una presenza animata e vitale, questa illusione viene drasticamente smentita: del resto, la mia percezione non è mai simultanea all'attimo del movimento che corre sotto i miei occhi, ma già sempre-e sia pure di poco-io ritardo su di esso. J.:azione si compone sempre come ricordo, che rinvia all'appena trascorso. È qµanto vuole evidenziare il lungo piano sequenza che, in Elegia sovietica (Sovetskaja elegija, 1989), inquadra il volto di Eltsin, una quasi-fotografia che esprime intensamente la sua appartenenza al passato. Poco prima abbiamo assistito alla sfilata delle foto celebrative dei burocrati' che nel corso del Novecento hanno governato l'Unione Sovietica. In questo caso, non è difficile associare all'accentuazione malinconica della fissità fotografica un giudizio negativo su un esperimento politico interamente fallito. Può avvenire l'inverso: un documento fotografico d'archivio, dimenticato e ignoto, viene riattualizzato e un movimento inedito sembra animarne le figure, con carrelli, zoom, panoramiche, che fanno della foto una quasi-sequenza cinematografica. È quanto avviene con le istantanee di contadini dell!epoca zarista in Elegia dalla Russia (Elegija iz Rossii, 19.92) o con quelle del secondo conflitto mondiale in E nulla più (I nicego bol"se, 1982-1987). Sokurov sottolinea allora il non morire del passato, il suo ripresentarsi in una memoria vivente, che ricostruisce un legame con gli esseri anonimi e dimenticati del documento fotografico. Il movimento della macchina da presa estrae figure viventi dal nulla del tempo. In Elegia dalla Russia i volti dimenticati degli umili riacquistano individualità, iniziano un dialogo immaginario tra loro grazie a una serie di campo-controcampo, rispondono al nostro sguardo: ci rivolgono una preghiera di riconoscimento, che li salvi dall'oblio.

tramontare in questa vita»12 • I: elegia evoca la mancanza dell'essere amato e la speranza che il suo ricordo non si perda nel nulla e si conservi per tempi migliori. I film di Sokurov mostrano il dissolvimento dell'intera tradizione culturale europea, del più semplice tessuto d'esperienza, della capacità di raccontare e tramandare: tutto soccombe all'energia distruttiva del totalitarismo e della mercificazione. A proposito dello scrittore Platonov, che ha ispirato il film La voce solitaria dell'uomo (Odinokij golos celoveka, 1978-1987), egli afferma: «Platonov è l'artista della vita flebile con una luce vaga, diffusa, che solo gli occhi dello spirito riescono a vedere. Con un lenzuolo bianco e la neve caduta per strada egli crea dei giochi di prestigio che raccolgono e trasmettono quella poca energia diffusa, la platonoviana "luce della vita", affmché non vada perduta. Nel suo mondo Platonov genera un'illuminazione interessante, purificando e liberando la luce "pulita e mite", solitamente dimenticata e affiochita, della vita più nascosta»n. A un' esistenza fioca e dimenticata si rivolgono le elegie di Sokurov, cercando di redimerla dall'oblio. Dalla tensione fra malinconia e memoria derivano le più intense immagini-tempo del regista russo. Le elegie banno uno stile di montaggio particolare. Potremmo definirlo paratattico, nel senso in cui Adorno usava questo termine per la poesia e la musica moderna. Caduta la sintassi classica del montaggio, il decorso narrativo è sospeso e le sequènze - o anche i singoli piani - si seguono secondo una coordinazione associativa, talora espressa fuori campo dalla voce del regista, come in Elegia del viaggio. Questo stile ricorda del resto anche quello delle antiche cronache, che disponevano gli eventi senza un preciso nesso di causa ed effetto: «e allora... e allora... e allora...». Nelle elegie di Sokurov il nesso causale sospeso lascia il posto a un raccordo simbolico, simile a quello usato da Holderlin nei suoi ultimi inni, per unire un verso con l'altro; così, nell'Elegia del viaggio, il succedersi delle immagini rispetta il percorso mitico della luce da Orien-

La vita più nascosta 12

ferisce a un essere scomparso o in via di sparizione; la nostalgia per ciò che è perduto si unisce al desiderio di conservarne memoria, come afferma Schiller, che ha indicato per primo le caratteristiche della poesia "sentimentale": «Ciò che vivrà per sempre in una poesia/è destinato a

F. Schiller, Gli dèi della Grecia, Verba, Mil.ano 1980. Cfr. intervista concessa da A. Sokurov a G. Nivat, cit., p. 387: «L'elegia è uo ricordo buono e triste di ciò che fu e non tornerà più. Ma non è perduto per sempre, è ciò che prosegue in mc la sua vita [. ..] non è un passato compiuto». i; A. Sokurov, La voce splitaria dell'uomo, in Eclissi di cinema, a cura di S. Francia di Celle, E. Ghezzi, A. Jankowski, Associazione Cinema Giovani-Torino Film Festival, Torino 2003, p. 218.

8

9

I.: elegia - con questo termine Sokurov titola molti dei suoi film - si ri-

Mario Pezzella

Introduzione

te ad Occidente o crea improvvise corrispondenze tra presente e passato o rievoca l'iconografia dell'incarnazione del divino nel terreno. Questo stile paratattico-associativo è composto da/rasi-immagine, che - secondo Rancière - portano a compimento il paradigma estetico della modernità e la sua radicale «democrazia dei materiali». Da questo punto di vista, il cinema invera una possibilità già presente nei grandi narratori del secondo Ottocento, come Flaubert e Dostoevskij. L'arte moderna è caratterizzata da una «grande paratassi», in cui ogni atomo del reale può affiancarsi ad ogni altro, qualsiasi linguaggio espressivo può ibridarsi çon ciò che sembrerebbe ad esso incompatibile: «L'arte dell'epoca estetica tende a identificare il proprio potere incondizionato con·il suo contrario: la passività dell'essere privo di ragione, la polvere delle particelle elementari, il sorgere originario delle cose»14• li cinema contemporaneo tende a liberare il linguaggio filmico dalle gerarchie stabilite dalla sintassi classica del montaggio, formatasi nei primi decenni del Novecento, e la sua forma compositiva può essere paragonata a quella dell'atonalità, che abbandonò a fine Ottocento le leggi della musica armonica. La democrazia atonale dei materiali richiede tanto più un'attività compositiva di/rasi-immagine, una costellazione di elementi simbolici e significanti, che sostituisca le regole codificate del cinema-movimento e dell'immagine-azione.

Interruzioni critiche

14

J. Rancière, La favola cinematografica, Edizioni ETS, Pisa 2006, p. 19. Il cinema

delle origini è in effetti un coacervo di materiali plurali, tratti dai linguaggi delle altre ani o dalla regist.razione fotografica del real.e. Solo successivamente, e sempre più rigidamente, si è configurata la sintassi narrativa del montaggio classico, col suo sistema di regole volte a favorire l'identificazione tra lo spettatore e la visione. Rancière cosl descrive uno stile 61mico fondato su /rasi-immagine, che sconvolgerebbe raie codificazione: «Un principio costante della regia e della messinscena cinematografica consiste dunque nel supplementare, e nel contrastare, lo svolgersi dell'azione e la razionalità degli scopi con la non coincidenza di due visibilità o di due rapporti tra il visibile e il movimento, con gli aggiustamenti d'inquadratura e i movimenti aberranti imposti da un personaggio, che, pur conformandosi a una sceneggiatura fondata sul perseguimento di fini, la fa al contempo deragliare» (ibid., pp. 27-28); «La virtù della frase-immagine giusta è quella di una sintassi paratattica. Questa sintassi si potrebbe anche chiamare montaggio, ampliando la nozione al di là del suo ristretto significato cinematografico. Gli scrittori del XIX secolo che hanno scoperto, dietro le storie, la forza nuda dei vortici di polvere, delle nebbie oppressive, dei cumuli di merce o delle intensità folli hanno anche inventato il montaggio come misura del senza misura o disciplina del caos» O- Rancière, Il destino delle immagini, Pellegrini, Cosenza 2007, p. 83).

In alcune occasioni, Sokurov assume decisamente un atteggiamento più critico e meno lirico, rispetto al documento storico-visivo (istantanee o cinegiornali). Egli mostra allora la natura fittizia, artificiale, ideologica, di quanto si presentava con l'apparenza di una mimesi oggettiva del reale. La "neutralità" del cinema documentario è contestata alla radice. In E nulla più le immagini di Churchill, Roosevelt, Stalin, sono ripetute più volte, variandone dimensioni e angolo ·d i inquadratura, sottolineando il carattere celebrativo della rappresentazione e i suoi latenti aspetti grotteschi. La macchina da presa interviene sul dato visivo di partenza, distruggendone la monumentalità e la retorica. Questo détournement critico può ricordare il modo di filmare di Guy Debord: «Ponendo la ripetizione al centro della sua tecnica compositiva, Debord rende nuovamente possibile ciò che ci mostra, o piuttosto apre una zona di indecidibilità tra il reale e il possibile. [ ...) Il secondo elemento, la seconda condizione trascendentale del cinema, è l'arresto. È il potere di interrompere, l'interruzione rivoluzionaria di cui parlava ~njamin»1'. L'esempio più incisivo di reinterpretazione del dato è offerto probabilmente da Sonata per Hitler (Sonata dija Gitlera, 1979-1989), dove i film documentari in cui appare il dittatore sono sottoposti a uri procedimento vertiginoso di analisi, e di fatto disgregati. In particolare, in un'immagine forse casuale o non pienamente controllata dall'operatore del cinegiornale, Hitler rivela tutta la sua espressività malinconica e paranoide, oltre che nello sguardo assente e smarrito anche col gesto involontario e inconsulto della mano. Queste inquadrature estranianti fanno da contrappunto critico ai bagni di folla e alle "feste" naziste. Un procedimento simile si trova anche in Moloch. A un certo punto del film, Hitler vuole che gli venga proiettato un documentario sull'avanzata delle truppe tedesche in Russia; non ne è contento, perché gli sembra non abbastanza eroico e celebrativo. Ma pèr noi, per gli spettatori, il cinegiornale si inserisce a pieno titolo nel contesto per-

1'

G. Agamben, Il cinema di Guy Debord, in Guy Debord (contro) il cinema, a cura di E. Ghezzi e R Turigliano, Il Castoro-La Biennale di Venezia, Milano-Venezia 2001, p.105.

11

Mario Pezzella

Introduzione

verso e farsesco in cui ci appare il corpo assai poco sublime di Hitler e perde ogni pretesa di verità oggettiva. Una tale decostruzione dei materiali documentari ricorda in parte la metafora della lastra fotografica, con cui Benjamin raffigurava il lavoro dello storico critico. Del passato ci restano immagini latenti, '.' negativi" che l'osservatore presente può "sviluppare" e portare a visibilità. Nessuna fotografia possiede una datità inalterabile, ma ad ogni stampa può essere diversamente inquadrata e subire una indefinita variazione di toni. Qualcosa di simile awiene nel passaggio ulteriore dal documento visivo alla sua rielaborazione cinematografica, operata da Sokurov. Non è che lo sguardo presente inventi qualcosa che assolutamente non c'era nel dato di partenza; ma - in base al suo punto di vista e all'urgenza del suo interesse attuale - presentifica aspetti epossibilità fino a quel momento invisibili.

della tradizione, ma paga la sua libertà individuale divenendo un divo dello spettacolo, una grottesca imitazione di Charlie Chaplin. I personaggi di Sokurov vivono in uno spazio occluso, in una situazione di chiusura, che sembra impedire qualsiasi trascendimento della situazione e soffocare ogni inizio e ogni possibile. La storia si chiude intorno a loro come una cripta oscura, o come una prigione sottilmente estesa alla totalità delle relazioni intersoggettive e simboliche, fino al punto di divenire una condizione abituale e inawertita: «Storia sotterranea, storia di un trauma, che riorganizza la messa in sc·ena configurando una chiusura entro il tempo» 17• Nei film di Sokurov il dolore nasc~sto della prigionia e della chiusura diviene visibile, e tale riconoscimento permette di evadere in parte da esso. Nei Giorni dell'eclisse (Dni uitmenija, 1988), la realtà del potere intollerabile e misterioso che governa la città di frontiera si rivela lentamente fino a determinare la separazione dei due amici (o amanti?) protagonisti del film.

Paesaggio con rovine Sylvie Rollet ha attirato l'attenzione sulla profondità malinconica del cinema di Sokurov, in cui il tempo della storia, come negli ultimi scritti di Benjamin, sembra «segnato fin nella sua origine dalla catastrofe»16• Catastrofe è innan~itutto la modernità, che giunge a compimento nei totalitarismi del Novecento, oggetto dei primi tre film che fanno parte del ciclo dedicato al potere: Moloch, Taurus (Telec, 2000), Il sole (Solnce, 2004). Un prodotto dei regimi autoritari del secolo passato è anche l'anonima burocrazia che compare nei film di Sokurov e gestisce in modo freddo e disanimato i momenti decisivi della vita: il matrimonio in La voce·:solitaria del!'uomo, il rapporto tra padri e figli, la morte stessa nel Secondo cerchio (Krug vtoroj, 1990). Altrettanto corrosiva è la forma della merce, apparentemente alternativa al sistema totalitario e burocratico, ma non meno dissolutiva. In Salva e custodisci (Spasi i sochrani, 1989) la figura del mercante incarna l'essenza stessa della seduzione demoniaca del danaro, che determina il destino della protagonista; in modo più ironico, ma non più ottimista, il principio distruttivo della modernità penetra nel Giappone del Sole; alla fine, Hirohito non è più schiavo dell'opprimente ordine simbolico

Radure e boscaglie Negli Appunti per delle lezioni di filosofia Sokurov fa esplicito riferimento a un'immagine centrale del pensiero di Heidegger, il «sentiero errante», ché viene ricordato in modo anche più definito in un altro testo, dedicato a Tarkovskij: «Ciascun russo in fondo all'anima è un "tagliaboschi": chi per caso, chi per volontà. Ciascuno di noi si apre un passaggio attraverso la vita come attraverso la tajga sopportando strani sacrifici; se capita di ritrovarsi, lungo il percorso, in una radura quieta, colma di bacche, di sole e di morbida erba, ci perdiamo subito, ci dibattiamo, -abbandoniamo la Terra Promessa, e fuggiamo alla ricerca di nuove verifiche, di nuove prove, verso una boscaglia letale per non tornare lì, dove era comparsa al nostro sguardo una semplice umana seducente felicità» 18• Non è questo il luogo per analizzare la congruenza della meditazione di Sokurov con la complessa riflessione di Heidegger, che nell'interpretazione del regista subisce una curvatu-

17

D. Arnaud, Le ci11éma de Sokourov. Figurer d'enfermement, cii., p. 155. A. Sokurov, La banale uguaglian,a della morie, in Eclissi di cinema, cii., p. 212. Cfr. anche A. Sokurov, Nel centro dell'oceano, cii., p. 113. 18

t6

S. Rollet, Lo rpetlro delle immagini, cit., p. 41 di questo libro.

12

13

Mario Pezzclla

Introduzione

ra del tutto originale. Il bosco non è in Heidegger boscaglia letale ma l'oscuro grembo in cui soltanto può nascondersi-rivelarsi la chiarità della radura: e, d'altra parte, l'inquietudine faustiana che spinge il "russo" a ricercare nuove prove e pericoli è del tutto lontana dal quieto "dimorare" nella Lichtung, cui Heidegger vorrebbe invitare. In Sokurov il bosco, divenuto boscaglia letale, è metafora della chiusura e dell'imprigionamento nel trauma della modernità; il sentiero errante, privo di ogni garanzia di sacralità riconosciuta, estraneo all'ordine simbolico tradizionale, è figura di una fede senza religione, rivolta a un dio ignoto. Esso ci porta, nonostante tutto, all'apertura improvvisa della Lichtung, a una traccia di redenzione o di liberazione, che ci sottrae alla violenza della storia e per un attimo illumina e trascende la reclusione in cui ci troviamo. Questa imprevista e improvvisa illuminazione non garantisce lanascita di un nuovo ordine simbolico, che sostituisca quello scomparso o destinato al tramonto. Essa ci pone a contatto con un nulla, con un vuoto, in cui si intuisce una potenzialità generativa, della quale·non possiamo indicare il percorso e i contorni. Sappiamo solo che la chiusura nella "cripta" o nel trauma della storia del Novecento non è assoluta e totalizzante, ma che - all'altro estremo - un'apertura hmJ..inosa può dilagare improvvisamente nel paesaggio e convivere con l'oscurità del bosco, oppure la finestra di una casa desolata aprirsi verso un orizzonte imprevisto. Alla polarità tra "boscaglia letale" e "radura quieta" è affine quella tra volontà di potenza e arte. Quest'ultima, come la intende Sokurov, conserva il sottinteso ricordo di una rivelazione che le "religioni" ufficiali hanno invece perduto.

Come una radura si apre lo spazio della natura alla fine del film su Lenin, Taurus. Nell'ultima sequenza, quando la moglie si allontana, per rispondere a una telefonata del Comitato Centrale, Lenin fa un breve tentativo per seguirla, ricade sulla sedia; in una falsa soggettiva crediamo di seguire il suo stesso sguardo sulla natura, sugli alberi mossi dal vento; ma in realtà la panoramica si conclude alle sue spalle, assumendo un punto di vista cosmico e impersonale. Lo sguardo di Lenin non è più la sorgente dominatrice della visione e del dominio. Sul suo volto si alternano fissità e stupore e una distensione indefinita, finché, come

un'apertura nell'opacità dell'essere - la prima e l'unica in tutto il film - affiora in esso un sorriso: alla fine, è inquadrato il cielo, ove si muovono le nubi, che annunciano un temporale; si odono i tuoni premonitori della pioggia, la "melodia degli angeli", .che solo i bambini riescono a intendere, secondo una favola raccontata al figlio dalla madre del dittatore e ricordata nella prima sequenza; Lenin commentava che era molto meglio comprendere la natura scientifica ed elettrica del fenomeno, ora invece è come se regredisse verso lo stupore incantato dell'infanzia. Il potere incatenava il corpo - anche quello del capo - nell'opacità compatta di un'esistenza senza varco, compressa nell'immediatezza brutale della reificazione e della schiavitù. Il sorriso finale sul volto di Lenin esprime insieme una liberazione e una sospensione, simile a quella del principe Mishkin nell'Idiota di Dostoevskij, dopo il venir meno definitivo della suii coscienza. L'annullamento totale dell'io riconduce Lenin alla sua vita puramente creaturale, pronta ad essere riassorbita come una particella elementare nell'unità del cosmo. In uno spirito più vicino a quello originale di Heidegger, alla fine di Elegia di Mosca (Moskovskaja elegija, 1987) viene ripresa una sequenza dello Specchio (Zerkalo, 1974) di Tarkovskij, che allude alla metamorfosi della vita, al suo uscire e ritrarsi nell'oscurità: mentre la madre e i due bambini si allontanano nella radura luminosa, la macchina da presa arretra verso il folto sempre più oscuro del bosco, come se la potenza generativa che ha pervaso il mondo delle sue manifestazioni ritornasse al nulla e alla latenza di una nuova gestazione. Se di religiosità si può parlare nel caso di Sokurov, essa riguarda la scoperta della profonda solidarietà creaturale, il necessario perdersi della separatezza dell'Io, della divisione spietata tra gli uomini e tra uomo e natura, che invece domina il mondo storico della modernità. L'apertura della cripta, il rinvio oltre il chiuso mondo della volontà di potenza, avviene attraverso la negazione dell'assolutezza e dell'illimitatezza dell'io, in forme che ricordano -quelle della tradizione mistica. Esse non ignorano la corporeità creaturale nuda, colpevole, malata, che eccede l'universo del dominio: «Reietto, ridotto a rifiuto, il soggetto non cessa di volgersi tuttavia verso l'Oriente da cui è definitivamente separato. Esiste un al di fuori - un Fuori - rispetto a ciò che egli è. [ ...] Ogni singola tappa del viaggio è scandita dalla non identità del soggetto con lo stato in cui esso si trova. La percezione, la visione, l'estasi, la spoliazione, l'impurità stessa vengono di volta in volta squarciati da un "non è questo", di modo che il discorso di Giovanni della Croce è

14

15

La forza del negativo

•I

Introduzione

Mario Pezzella

una serie ininterrotta di non è questo, non è questo, non è questo»19 • Un rinvio-negazione simile sembra caratterizzare la costruzione decentrata e slittante delle immagini di Sokurov, là dove esse si soffermano su un corpo uriiiliato e sofferente. Alla fine di Arca russa (Russkij kovéeg, 2002), dopo che tutti gli invitati si affrettano>2>.

20 21 18 19

G. Genna, Hitler, Mondadori, Milano 2009, pp. 50,302,507. A. Sokurov, Nel centro dell'oceano, cit., p. 238.

34

Ibid., pp. 66,226,250, 255-256. lbid., p. 227. 22 Ibidem. 2> Ibid., p. 87.

35

Antonio Tricomi

Caspar David Friedrich appare così l'artista figurativo che più di chiunque altro guida Sokurov nella costruzione delle proprie "tele": l'affinità, espressiva e finanche spirituale, tra i due trova conferma se si consultano i lacerti teorici del pittore24 , mentre l'influenza di costui sulle opere del regista è testimoniata, in particolar modo, da un film come Madre e figlio (Mat' i syn, 1996), dall'Elegia dalla Russia - Studi per un sogno (Elegija iz Rossz'i- Etjudy dlja sna, 1992), dalle immagini contenute in Arca russa (Russkij kovceg, 2002) nelle quali scorgiamo, fuori da una finestra, lo stesso mare coperto da foschie su cui dovrà «navigare per sempre» la barca malcerta della Patria. Raffigurazione, quest'ultima, che peraltro trasporta sullo schermo alcuni versi del poeta che Sokurov sente a sé più ·vicino-25: quel Fjodor Ivanovic Tjutcev che aveva ritratto gli uomini costretti sempre a navigare «da ogni lato awolti» da un «abisso che è tutto di fiamma» e che aveva intitolato Il mare e lo scoglio un componimento del 1848 nel quale, in forma allegorica, intendeva riferirsi, con le «onde infuriate», alle rivoluzioni europee e, con l' «enorme massiccio» sporgente dall'acqua, alla Russia, eterna «pietra immutabile>~6 • E se Madame Bovary e Flaubert vengono espressamente. riattraversati in un film quale Salva e custodisci (Spasi i sochrani, 1989), sono - più in generale -la memoria dell'intera tradizione letteraria moderna, e specialmente - come anticipato - il magistero dei capolavori romanzeschi russi e francesi dell'Otto• cento, che sembrano precipitare nelle opere migliori del cineasta. Potrebbe allora non essere un azzardo definire il cinema di Sokurov più o meno così: l'affresco della storia, le parole dell'uomo.

LO SPETTRO DELLE IMMAGINI* di Sylvie Rollet

I

fùm di Sokurov rifiutano l'abituale distinzione tra documentario e

fiction, perché in essi - in realtà - si svolge un solo dramma: quello dell'immagine. Certo, dire di un cineasta che il suo universo è un mon- · do di immagini potrebbe sembrare una tautologia. Tuttavia, questo èl'unico modo di comprendere ciò che è in gioco nella posizione, essenziale e paradossale, di Sokurov: il punto in çui nella sua opera si intrecciano i legami tra il cinema e la pittura. «La pittura - egli dice - è divenuta decisiva per me. Ma bisognava conquistare la superficie. Il volume non mi interessava. Qual è l'essere della superficie? [. ..] Tocca al cinema fare questo passo. È questo il problema dell'essere-in-superficie del cinema»1•

Una superficie di apparizione Si può intendere in due modi cosa significhi conquistare «l'essere-insuperficie del cinema», «appiattire» l'immagine. Il primo sarebbe di or• dine estetico, perché l'illusione del volume ha accompagnato la rivolu* Questo saggio è tratto da Alexandre Sokourov, «CinémAction», n. 133 (2009), a cura di F. Albera e M. Estève, pp. 64-72. 24

25 26

C.D. Friedrich, Scritti sull'arte, Abscondita, Milano 2001. A. Sokurov, Nel centro dell'oceano, cit., p. 67. F.I. Tjutcev, Poesie, Rizzoli,' Milano 2006, pp. 123, 241.

36

1

Intervista concessa da A. Sokurov a G. Nivat (28 maggio 2001), in AA.VV., I.:ombre de l'image. De la /alsi/ication à l'in/igurable, a cura di M. Gagnebin, Seyssel, Champ Vallon 2002, pp. 388-389.

37

Sylvie Rollct

Lo 1pettro delle lmm1glnl

zione figurativa del Rinascimento occidentale. La svolta si è realizzata scavando lo spazio pittorico, che si dispiega nella profondità fittizia della rappresentazione, improvvisamente liberata dalla planarità del supporto. Il modellato dei corpi e dei volti, il rilievo degli oggetti, ottenuti con un gioco sapiente di ombre e di luci, facevano parte a quel tempo del mestiere dei pittori. Con la fotografia e poi col cinema, essi sono divenuti - se non un gioco da ragazz.i - quanto meno il risultato di una serie di operazioni ottiche e meccaniche di registrazione. Rappresentazione e riproduzione del visibile sono così giunti a confondersi. L'opera di Sokurov rifiuta la mortificazione di quelle immagini che sono "modellate"2 sul reale, immagini-simulacro o figura , cioè maschere mortuarie di un mondo ridotto allo stato di cadavere. Aprire l'immagine cinematografica all'" essere-in-superficie" significa in certo senso combattere il regime della "somiglianza", almeno nel senso che Maurice Blanchot dà a questo termine: quello per cui l'immagine procede dal cadavere. «Potrebbe darsi - egli dice - che l'estraneità del cadavere sia la stessa dell'immagine [...). Qualcosa è là, davanti a noi, che non è il vivente in persona né una qualunque realtà, né la stessa cosa di colui che era in vita, né un altro, né altra cosa [ ...) nel momento in cui la presenza cadaverica è davanti a noi come presenza dell'ignoto, proprio allora il morto, che era oggetto di rimpianto, comincia a

consiste nell'iscriversi al centro di questa necessità lacunosa. La sostituzione dell'"essere-in-superficie" al rilievo-simulacro può allora intendersi in un secondo senso: l'immagine diviene superficie di scambi, pellicola o membrana, che - in uno stesso movimento - ci separa e ci lega al mondo, così come ci lega gli uni agli altri. Dobbiamo dare al termine immagine tutto il suo senso, dispiegare tutto lo spettro dei suoi significati. In Sokurov, la superficie dell'immagine ha la sensibilità di una membrana tesa su una cassa di risonanza, capace di riverberare i suoni del mondo. L'immagine-pelle diviene lo schermo, in cui si proiettano l'ombra delle voci- incantesimi o mormorii -, il soffio del vento, il rombo del tuono e la' risacca del mare: tutti fantasmi che abitano l'opera del regista. Talvolta il rumore del mondo forma come un alone intorno all'immagine vfsiva, talvolta l'immagine diffonde, nel visibile, le onde sonore della musica, che l'hanno fatta nascere. In Sokurov, la musica precede spesso la ripresa filmica. Così Whispering Pages (Tikhiye stranitsy, 1993) aveva còme titolo originario Mahler, «e ciò conferma l'anteriorità dello spartito musicale (i Kindertotenlieder) sul tema dostoevskijano», come afferma Nivav. Allo stesso modo, il piano fisso di quaranta minuti, con cui si apre Voci dello spirito, costituisce lo spettro visibile, in cui si dispiegano le armoniche delle immagini sonore tratte dalla musica di Mozart, di Messiaen o di Beethoven·. · L'espressione "spettro" dell'immagine va tuttavia intesa anzitutto nel suo significato originario, arcaico, di eidolon preplatonico. Che essa sia eikon, cioè copia fedele, o phantasma, simulacro destinato a produrre un effetto di trompe-l'ceil, per Platone l'immagine non ha altra realtà al di fuori della somiglianza. Puro apparire, essa definisce lo spazio del fittizio e dell'illusorio. Ben altra cosa è l' eidolon arcaico. Immagine di sogno (oneirps) , apparizione (phasma), ombra (skia) o fantasma di un defunto (psyche), queste diverse categorie del doppio non hanno il carattere della rappresentazione, dell'apparenza, ma dell'apparizione reale: «Si tratta certo di un apparire, ma di qualcosa che non è di fronte a noi; la sua presenza è quella di un assente. Ma l'assenza che l'eidolon porta in sé non è... assenza di ciò che non esiste, di un nulla, ma _quella di un essere che non è di questo mondo»6.

somigliare a se stesso>~. Rifiutando lo statuto della duplicazione mimetica del visibile, non rinviando più a un referente esterno evocato per similitudine, cancellando il confine tra documentario e finzione, le immagini di Sokurov tuttavia non voltano le spalle al mondo, al contrario. La questione centrale per il regista è in realtà che il mondo, per l'uomo, non può essere altro che "immaginabile", in senso letterale: il nostro "essere al mondo" è un "essere per l'immagine"◄. La forza dell'opera di Sokurov «L'immagine in sé non ha ancora un'anima. Essa può essere un semplice stampo», dice Sokurov (ibid., p . 392). 3 M. Blanchot, T.:espace littéraire, Gallimard, Paris 1978, pp. 348,350. 4 In francese c'è un solo termine, "immagine", mentre il russo distingue tra • isobrajeniem (insieme traccia, impronta, riproduzione o rappresentazione) e •obraz", che in• dica la visione mentale e l'icona. La nozione che restituisce meglio il pensiero attivo nei film di Sokurov è tuttavia la kantiana Ei11bildung ("messa in immagine", "fare immagine"), ripresa da Heidegger come "ad-venire immaginante dell'immagine", come "immaginazione" in senso letterale. Cfr. il saggio diJ.-L. Nancy, Lecture d'une masque mortuaire, in AA.W., Les images et l'Image, La Différence, Pa.ris 2003.

2

38

'

G. Nivat, Sokourov ou la quete de l'envers de l'image, in T.:ombre de l'image... , cit.,

p. 329. 6

J.-P. Vernant, Entre mythe et politique, Seui!, Paris 2000, p. 390.

39

Sylvic Rollet

Lo spettro delle immagini

I:eidolon è dunque tutt'altra cosa da ciò che noi intendiamo abitualmente per immagine. Né imitazione, né illusione, l'"apparizione" manifesta la presenza sensibile di una realtà, che tuttavia ci sfugge. È proprio questo duplice aspetto di presenza e di spettralità che caratterizza le immagini dei film di Sokurov, perché esse sembrano sorgere dall'aldilà, venire a noi da una notte profonda.

fanno fare le sue immagini, come un basso continuo che sostenga la linea melodica. Questa voce, che con le sue armoniche fa vibrare la superficie delle immagini, questa voce errante, sconosciuta e tuttavia familiare, a forza di ascoltarla diviene stranamente nostra: essa ci rassomiglia. Ma tale somiglianza coesiste con la nostra estraneità: come fosse il doppio della nostra voce interiore, proiettata nello spazio del film, o il fantasma del nostro sguardo, sconcertato dal sorgere di immagini sconosciute. Come se fossimo abitati dalle immagini e tuttavia mantenuti a distanza, in un processo di riconoscimento indefinitamente sospeso, saremmo tentati di dire, come dice la voce in Elegia del viaggio: «Io non sono mai stato qui», «Perché sono in quel luogo?». Il raddoppiamento dell'enunciazione filmica forma così l'epicentro di un'onda di choc che, propagandosi, colpisce lo spettatore. Ciascuno di noi diviene lo spettro di se stesso: non pi~ spettatore, ma voce senza volto, sguardo errante, che vede senza essere visto. Ogni film di Sokurov - in un processo contraddittorio di incarnazione e cancellazione - sembra restituirci la vita, per meglio mantenerci nello spazio illimitato dei limbi. Questo "dispositivo di alterità" è moltiplicato in Arca russa, in cui l'io senza volto, puro sguardo interrogante, è come raddoppiato dal personaggio di Custine, proiettato nello spazio filmico. Simmetrico all'occhio della carnera da presa, questo doppio deve la sua esistenza a una geometria proiettiva: esso configura, più che incarnare, il "punto del soggetto" nel senso della prospettiva. Doppiamente straniero, perché francese e proveniente da un tempo eterogeneo a quello delle scene cui assiste, il doppio visibile della voce è tanto più radicalmente escluso dallo spazio dell'Ermitage, perché nessun personaggio sembra prestare attenzione alla sua esistenza, se non per scacciarlo. La spettralità, che colpisce le immagini di Sokurov, deriva il più delle volte dal modo in cui la voce o/I iscrive la presenza di un'alterità radicale. In effetti il commento sembra sempre giungere a posteriori, come reagendo a immagini straniere, la cui origine resta non identificata. In Elegia del viaggio, per esempio, il racconto sovrappone eventi riferiti al passato remoto («Poi ci furono nubi ... Ci fu .un movimento nell'acqua... Ci furono uccelli») separati dal presente dell'enunciazione, e altri col verbo al presente, senza legame col passato («Mi trovo in una radura ... dei soldati passano sul sentiero»). Ci troviamo nel "dopo", ma dopo che cosa? Sembra che, film dopo fùm, Sokurov non cessi di esplorare un tempo segnato fin nella sua origine dalla catastrofe: «Apro gli occhi e non vedo niente. Mi ricordo che è accaduta una

Lo spettro della voce «Apro gli occhi e non vedo niente», dice una voce che sembra sperduta da qualche parte dietro la superficie oscura dello schermo, all'inizio di Arca russa (Russkij kovceg, 2002). Dal nero emerge lentamente un'immagine: formazione lanuginosa di un cielo nuvoloso, in Elegia orientale (Vostocnaja elegija, 1996): «È tutto come un sogno. Vedo delle nuvole, la nebbia». Apparizione radiosa di un albero spoglio ma ancora coperto di frutti, in Elegia del viaggio (Elegija dorogi, 2001): «All'inizio ci· fu un albero». Sempre la voce di Sokurov accompagna l'apparizione del visibile. Sempre essa sembra venire da un luogo insituabile, da un tempo precedente l'immagine, da un mondo ancora indifferenziato. Sempre essa sembra sorgere dal rumore cosmico, come se si distaccasse a fatica dal soffio del vento o dalla risacca del mare. Sempre questa nascita congiunta della voce e dell'immagine ci rende contemporanei della genesi del mondo, come se ogni film ricostituisse la scena primitiva dell'umanità. Per questo forse non siamo tanto spettatori delle immagini di un fùm, ma piuttosto siamo guardati da esse, come le immagini del sogno "guardano" il sognatore. La potenza delle immagini, la loro "inquietante estraneità" derivano dal fatto clie esse sembrano nascere sotto i nostri occhi da un tempo che ci ha preceduto, letteralmente "inimmaginabile". I:apparizione delle immagini ci soggioga, perché la fascinazione - come osserva Blanchòt - è «fondamentalmente legata alla presenza neutra, impersonale, al Si (On) indeterminato, all'immenso Qualcuno senza figura»7• La fascinazione che esercitano i film di Sokurov proviene anche dalla presenza stranamente familiare della voce, che insiste entro i confini dell'immagine. Dalle Elegie ad Arca russa, passando per suoi saggi poetici documentari, la voce del regista accompagna i viaggi che ci 7

M. Blaochot, I.:espace lit1éraire, cit., p. 27.

40

41

Lo 1pettro delle Immagini

Sylvie Rollet

catastrofe... Ma a me cosa è successo?» Le prime parole di Arca russa fanno stranamente eco a quelle di Elegia dei viaggio: «Cercavo di ricordarmi almeno un volto di coloro che vivevano qui ... Li conoscevo e credo di aver vissuto insieme a loro... Avevamo paura di essere sempre meno. Allora ci siamo trasferiti vicino alla strada... Ma non ricordo se questo ci ha aiutati».

!;umanità di uno sguardo Nessun racconto riesce davvero a costruirsi. Il tempo slitta, come arrestato dalla catastrofe senza nome, la cui breccia accompagna indefinitamente il presente. Il testo pronunciato dalla voce fuori campo ~rocede per accumulazione, così come il montaggio crea una successione di blocchi temporali più o meno lunghi, ma sempre limitati dal taglio dell'inquadratura; dall'una all'altra non c'è raccordo possibile. J.:immagine, anche in movimento, sembra fuori_ del temp~, perch~ il mut~mento è senza origine e senza un fine prectso. Non s1 scorge m esso il desiderio di un personaggio, né l'oggetto di una qualunque ricerca. Il mutamento è così colpito dall'immobilità. Allo stesso modo, in molti film di Sokurov, la scelta ricorrente della dissolvenza incrociata o addirittura della sovrapposizione dà l'impressione che un'immagine scacci la precedente, rinviando~a ~ell~ spazio indeterminato da cui è sorta. In Arca russa, un effetto slffiile d1 slittamento da una scena e da un'epoca all'altra è prodotto dalla successione delle sale dell'Ermitage, percorse dalla macchina da presa. Il susseguirsi delle porte (come in altri film l'uso della dissolvenza) sostituisce all'articolazione cronologica - che ordina il tempo e così attribuisce un posto unico a ogni segmento temporale - un meccanismo di cancellazione di un'immagine ad opera di un'altra. Venute a noi come per incantamento, esse si ritirano in modo altrettant~ eni~~tico. ~a potenza delle immagini deriva sia dal loro potere d1 apparizione, sia

al di sopra

degli alberi, nel lungo piano fisso che apre Voci dello spiri-

to (Duchovnye golosa, 1995). In altri momenti, nella Voce solitaria dell'uomo (Odinokij golos cel.oveka, 1978-1987) o in Padre e figlio (Otec i syn, 2003), l'immagine è come appannata perché è stata strappata al flusso del tempo, come se serbasse il segno di tale afferramento (saisie); eppure conserva allo stesso tempo, come cosa preziosa, la traccia dell'istante catturato - un movimento dd corpo, un gesto delle mani: l'afferramento (saisie) si rivda allora come salvezza. La fragilità dello sguardo umano, del nostro sguardo, colpisce spesso la struttura stessa delle immagini. Scolorita, lanuginosa, resa confusa dai fiocchi di neve che segnano il paesaggio, in Elegia del viaggio; invasa dalla nebbia, corrosa dall'oscurità in Elegia orientale, l'immagine lacunosa diviene testimone del nostro "essere-per-l'immagine". In altri termini, essa non è mai piena, se non io un lampo presto scomparso - la bellezza brutale di un cielo nuvoloso o di una luna autunnale - poiché, per Sokurov, l'immagine non è mai presente, ma in cammino. Egli filma il "divenire visibile" o, nei termini di MerleauPonty, «la quasi presenza e la visibilità imminente»8: il lavoro dell'immagine, la sua dinamica, tra configurazione e defigurazione. La defigurazione dell'immagine appare dunque intimamente legata alla questione della configurazione dell'uomo, in quanto "essereper-l'immagine". Le deformazioni9 che il regista infligge alle sue immagini ne caratterizzano, in certo senso, l'umanità. J.:esempio di Madre e figlio (Mat' i sin, 1996), a questo proposito, è particolarmente chiaro. J.:uso di una lente deformante, che imprime una curvatura all'immagine e rende sfoqtti i contorni del campo di visione, dà l'impressione di una proiezione non focalizzata. Come notaJean-Louis Déotte, sembra che Sokurov «abbia voluto contrastare il destino della prospettiva: generare soggettività e il soggetto moderno della metafisica cartesiana» 10• Che resta, in effetti, del "soggetto" postulato dalla rappresentazione prospettica a punto di fuga centrale, questo ego video del quadro, che appare come l'equivalente stretto del cogito cartesia-

dal loro svanire. In effetti, l'immagine - in Sokurov - è sempre mostrata nella s_ua inadeguatezza, nella sua precarietà, nella sua incertezza. Talvolta l'mquadratura si dilata, ci impegna in una durata infinita, in attesa che sorga un infimo gesto - quello, per esempio, di una vecchia donna che si pettina, in Una vita umile (Smirennaja ziznj, 1997) - o che a"".enga · una impercettibile trasformazione del paesaggio - un fumo che s1 leva

M. Merleau-Ponty, I.:reil et l'esprit, Gallimard, Paris 2002, p. 23. Le operazioni di montaggio nello stadio della postproduzjone sono essenziali per Sokurov. Filtri, lenti deformanti, alterazioni cromatiche vengono a «marcare» succes• sivamente il materiale registrato. 10 J.-L. Déotte, Les risques de filmer un musée, «Vertigo», n. 24, ottobre 2003,

42

4.3

8

9

p. 39.

Lo spettro delle immagini

Sylvie Rollet

no? Come in Descartes «l'io pronome personale (. ..) è un luogo vuoto, disponibile nella lingua, in cui può essere posta qualunque cosa»11. il soggetto per il quale si organizza la rappresentazione prospettica si riduce a un luogo o a un semplice punto. Il preteso potere di abbracciare con lo sguardo il reale, che la prospettiva ci conferirebbe, ha un prezzo: la disincarnazione del soggetto del vedere. La "defocalizzazione" dell'immagine in Madre e figlio può anche essere compresa come una restaurazione. Rivelando il luogo in cui siamo, nella sua stessa inadeguatezza, essa manifesta allo stesso tempo la presenza del nostro sguardo. Più esattamente, Sokurov sembra ritrovare il senso attivo-passivo del termine latino species: il paesaggio è una "veduta" su di noi, oltre che per noi. Il segreto della prospettiva deformata usata in Madre e figlio consisterebbe allora nel rivelare «che l'immagine diviene immagine rassomigliando a uno sguardo... essa può formarsi solo formando un riflesso o una risonanza con lo sguardo, ponendosi di fronte a colui che vede, che immagina»12 • In questo senso, i film di fiction e i saggi poetici documentari di Sokurov non rinunciano a dare figura ai drammi umani, ma ne modificano la posta in gioco. Come in alcune Crocefissioni del XIV secolo stu• diate da Didi-Huberman, «la defigurazione sostiene l'evento immaginale. Essa non denomina né descrive ... ma invoca... supplica»n. La defigurazione dell'immagine in Sokurov appare come l'altra faccia della difficoltà ad abitare i luoghi fùrnati, che provano i personaggi. La relazione che si instaura tra lo spettatore e il film - uno spettatore alle prese con immagini che non gli assicurano nessuna padronanza del visibile - ha in certo modo il suo doppio o il suo corrispondente all'in· terno dello spazio filmico. ·

La separazione originale L'oggetto dei film di Sokurov è in effetti lo scarto tra gli uomini e un mondo che essi non riescono ad abitare: ciò è vero quando riprendt: !'àttesa dei soldati alla frontiera del Tadjikistan (Voci dello spirito) o

Il 12

13

quella dei soldati che montano la guardia ai confini dell'Artico (Confessione) (Povinnost', 1998) o l'impossibile ritorno di un soldato tra i viventi (La voce solitaria dell'uomo). Tale scarto è ancora più sensibile in Elegia del viaggio, in cui si succedono i paesaggi desolati, le strade vuote, le facciate lugubri di edifici deserti, mentre la voce-io non ha inizialmente altra esistenza che quella di un"'ombra portata" fuggen te, indice di una presenza fuori campo che stenta a incarnarsi. Quando l'ombra diventerà corpo, nello spazio del museo di Rotterdam, vedremo una massa ottusa, un dorso opaco che ci sbarra la vista. La figura dell'uomo visto di spalle è ricorrente nell'opera di Sokurov. Con essa si apre Elegia orientale. Una lenta panoramica parte dalla penombra di un sottobosco per venire a inquadrare il profilo lontano di un uomo visto di spalle, in piedi presso la riva, nella luce del crepuscolo. Evidentemente, il regista ritrova qui una figura familiare delle tele di Friedrich14; in effetti, per il pittore, i personaggi visti di spai- · le indicano - con la loro presenza "assorbita" dalla distesa del paesaggio - un rifiuto del mondo e al contempo un appello alla lontananza. Come mostra Banu, l'uomo di spalle «è al centro di un incrocio fra due cose, egli afferma un rifiuto nello stesso momento in cui riconosce un'attesa»", quella di una partenza sospesa in una malinconia infinita. Nel regista ritroviamo la tensione lacerante tra un paesaggio percepito come totalità e l'uomo abbandonato, che cerca invano di raggiungerla. La natura diviene così la scena di una separazione originaria: «Restiamo sempre solitari nella nostra relazione alla natura», dice il regista. «È una relazione senza Altro, un amore a senso unico. È l'origine stessa del sentimento tragico» 16• Questo "essere-separato" si incarna in due figure filmiche particolari: il décadrage 17 - in esso i corpi sono come respinti ai confini di un'inquadratura, che non riescono ad occupare - e il non-raccordo tra i piani. Così, in Padre e figlio, l'incontro in caserma tra Aleksej e la ragazza amata non riesce a realizzarsi. Separati da un vetro, essi lo

14

J.-L. Déotte, I:époque de l'appareil perspecti/, I.:Harmattan, Paris 2001, p. 46. J.-1. Nancy, Lecture d'un masque... , cit., pp. 115, 122. G. Dicli-Huberman, Deva11t l'image, Minuit, Paris 2001, pp. 245-246.

In particolare, Luna nascente sul mare (1822} o Due uomini sulla riva del mare (1817), conservati alla Nationalgalerie di Berlino. 15 G. Banu, I.:Homme de dcs, Adam Biro, Paris 2000, p. 122. 16 Intervista di A. Sokurov con A. de Baecque, Nostalghia, «Cahiers du cinéma», n. 521, febbraio 1998, p. 39. 17 Distorsione che procede da un punto di vista "non giustificato" prospetticamente.

44

45

Sylvie Rollet

Lo spettro delle immagini

sono ancor più a causa del movimento della macchina da presa a 180°, che iso}a ognuno dei due in una porzione di spazio eterogenea a quella dell'altro. Per effetto di questo falso campo-controcampo, le due inquadrature danno l'impressione di scivolare l'una sull'altra, come superfici piane, invece di definire uno spazio comune. L'immagine di uno spazio inabitabile, torturato, diviene centrale in Whispen·ng Pages, come a costituire l'equivalente visivo del dramma vissuto dai personaggi dostoevskijani. La facciata sinistra di vecchi edifici, il dedalo oscuro dei passages a volta, riducono i personaggi ad essere solo ombre fuggenti o corpi travolti da una caduta perenne. L'universo di Sokurov pare ancora più oscuro di quello di Dostoev• skij, perché il conflitto morale che tortura i personaggi del romanziere ha qui contaminato tutto lo spazio. L'immagine del mondo dopo la Caduta può essere solo.quella di una derelizione ormai senza uscita.

estrema attenzione dd regista per il corpo-immagine è del resto enunciata esplicitamente in Padre e /iglz:o, quando Aleksej dice, della radiografia polmonare del padre, che essa dà di lui un ritratto «che non mente». Forse la stessa preoccupazione anima Sokurov quando inquadra, all'estremo limite del piano ravvicinato, la bocca o la nuca della vecchia sarta giapponese, nella Vita umile, lo spuntare dei capelli o i baffi dello scrittore in Conversazioni con Soli.enicyn (Besedy s Soli.enicynym, 1998). Una sorta di profonda eguaglianza tra gli uomini appare così nelle immagini gemelle dell'umile sarta e del grande scrittore. A questo riguardo, è anche degno di nota che, mettendo in scena .Hitler in Moloch (1999) e Lenin in Taurus (Telec, 2000), Sokurov "consacra" in certo senso i loro corpi sofferenti. Il corpo come materia sembra dare - per il regista - la misura intera dell'Incarnazione. In tutti i suoi film risuona il rumore dei passi che fanno scricchiolare la neve o i pavimenti. Una lunga sequenza, in Padre efiglio_, trasforma l'addestramento dei giovani soldati in una serie di bagliori frammentari di membra intrecciate, accompagnate dal rumore sordo dei corpi, che ricadono sul suolo della.palestra. Attraverso la frammentazione dei corpi, l'immagine assume subito lo spessore del reale: un reale impenetrabile, senza mediazione, violentemente straniero. . Tutto ci fa credere che questa effrazione brutale del reale sia indissociabile dal problema del sacrificio. Alla domanda rivolta al Pope, in Elegia del viaggio - «Perché Cristo ha chiesto al Padre di risparmiargli la croce del sacrificio? Perché voleva fuggire la crocefissione?» -, sembra fare eco l'affermazione di Aleksej in Padre e figlio: «Un padre che ama crocifigge, un figlio si lascia crocifiggere». Anche in questo caso, la questione è posta in termini di immagini, il sacrificio è pensato con la categoria della rassomiglianza. Se il sacrificio è il destino dd figlio, nel film è il padre ad essere inquadrato con la testa inclinata da un lato, nella posizione del Cristo in croce. In modo simile, il "Cristo flagellato e legato agli anelli", la cui incisione si trova nella camera del figlio, ricorda insieme il movimento del figlio, sospeso agli anelli all'entrata dell'appartamento, e l'immagine del "padre-scorticato" della radiografia. Lo stesso rovesciamento di ruoli avviene in Madre e figlio riguardo alla postura del figlio che sostiene la madre, come in una Pietà all'inverso. La somiglianza, fondatrice dell'immagine nella tradizione cristiana, è messa in scena da Sokurov in una reversibilità infinita dei luoghi, in una transfusione. Così i due personaggi di Madre e figlio fanno lo stesso sogno, identità che ritro-

Una poetica dell'Incarnazione Il "dramma dell'immagine" rimesso in scena da ogni film di Sokurov sembra dunque ripetere instancabilmente il soggetto fondativo della teologia cristiana: il "dramma della somiglianza". In effetti, "se Dio ha creato l'uomo a propria immagine", dopo la Caduta solo l'Incarnazione del Verbo divino nel Figlio, Icona del Padre, può assicurare agli uomini la Redenzione. L'Incarnazione è inseparabile dalla Passione di Cristo; in questa, l'evento centrale è il momento in cui l'Immagine del Padre «si sacrifica nella prova di una defigurazione ignominiosa». Inoltre, se la Crocefissione è promessa di Redenzione, questa accadrà solo alla fine dei tempi: «Fino ad allora, gli uomini non faranno altro che cercare in se stessi i resti, le vestigia di que~ta rassomiglianza rovinata dall'errore del primo figlio terrestre. Fino ad allora, gli uomini non potranno che errare nella "regione della dissomiglianza"»18• La dimensione profondamente carnale della cultura cristiana - l'Incarnazione non è separabile dal sacrificio e dalla morte - è forse all' ori· gine del "dramma dell'immagine" in Sokurov. Un'intensa presenza dei corpi corrisponde infatti all'uomo separato, di cui testimoniano i paesaggi immensamente vuoti, spazzàti dal vento o dalla neve. Questa

18

G. Dicli-Huberman, Devant l'image, cit., p. 250.

46

47

Sylvie Rollet

Lo spettro delle immagini

viamo nella simmetria dei sogni del figlio e poi del padre con i quali si apre e si conclude Padre e figlio. La massima rassomiglianza è raggiunta quando l'immagine si fa superficie diafana, il volto del padre e quello del figlio appaiono l'uno accanto all'altro, in trasparenza, attraverso la membrana di celluloide di una radiografia polmonare. La disindividuazione dei volti-immagine appare, in questo preciso momento del film, come il punto estremo di una ricerca che attraversa tutta l'opera dèl regista: quella dell'immagine prototipica, del volto di tutti i volti, del volto dell'Uomo.

là, alla sua destra». Grazie all'immagine dipinta, l'io senza volto sembra infine trovare un suo luogo intrecciando il proprio sguardo a quello del pittore. L'incarnazione, tuttavia, non è una duplicazione, ma uno spostamento del punto di vista. L'angolo di ripresa si differenzia allora dal punto di fuga centrale e, adottando un punto di vista laterale, provoca l'anamorfosi della scena dipinta. Sembra che lo stesso problema stia alla base di Arca russa (Russkij kovéeg, 2002). Il film adotta infatti un punto di vista ellittico, impo• nendo allo spettatore un movimento continuo tra i due punti focali occupati rispettivamente dallo "straniero" Custine e dalla voce russa senza volto. La lunga deambulazione che li porterà per le gallerie e le sale dell'Ermitage prende origine dall'osservazione ironica del diplomatico francese: i Russi, egli dice, non hanno fatto altro che copiare l'Europa occidentale, come mostrano la costruzione di San Pietroburgo ad opera di Pietro il Grande o l'immensa collezione di pitture italiane raccolte da Caterina n. La questione dell'imitazione, posta in termini di mestiere artistico da Custine, è riproposta dal film nel conte• sto di una problematica completamente diversa: quella della "somiglianza". Come il Figlio è ad immagine del Padre, cosl le immagini uniscono l'uomo all'altro uomo. In altri termini, l'imitazione non è una copia, ma è una dinamica, è un movimento di transfusione generalizzata delle immagini. Il pensiero che opera nel film si rivelerà progressivamente, mettendo in scena tutte le relazioni possibili con l'immagine, per ricusarle una dopo l'altra. Viene considerata innanzitutto la figura dell'esteta, per il quale l'opera ha a che fare solo col giudizio di gusto, dunque con la cultura 19. «I vostri quadri sono belli»; dice il conoscitore aristocratico, vivacemente rimproverato dalla voce russa: «Belli? Tutto qui?». Ma l'opera può anche divenire un oggetto cli studio per gli storici dell'arte. Questi devono allora mobilitare un sapere erudito per interpretare l'immagine: la gallina e il gatto, nella Nascita di Giovanni Battista del Tintoretto, sono così ridotti al loro significato simbolico. All'opposto, per Custine, fervente cattolico, che si inginocchia dinanzi alla tela di Veronese che rappresenta gli apostoli Pietro e Paolo, è impensabile accedere alla dimensione profonda dell'immagine senza riferirla ai testi che ad essa hanno dato vita: la Storia Sacra e i Vangeli.

Un legame di immagini Dato che in Sokurov l'uomo è a immagine dell' Uomo, anche il mondo somiglia alle sue immagini. Cosi, in Una vita umile, il vano della porta delimita un'immagine del giardino, che ricorda esplicitamente una stampa di Hokusai'. L'inquadratura filmica imita la pittura perché lo sguardo del regista e del pittore si sono rivolti al mondo nello stesso modo. Se il mondo può apparire come opera d'arte, è perché esso esiste solo grazie allo sguardo dell'uomo. Probabilmente per questa ragione lo strano periplo di Elegia del viaggio si conclude in un museo, in ·cui le immagini sommerse dal grigio dei paesaggi attraversati lasciano il posto all'immagine a colori di paesaggi immobili, dipinti trecento anni fa. Dinanzi al quadro del mulino sulla riva del fiume, dipinto da Wijnand Nuyen, il narratore esclama: «Finalmente vidi delle persone», mentre il colore che ora compare e le voci mescolate di uomini e donne sembrano accompagnare questa resurrezione. La riconciliazione della voce senza volto e del paesaggio si realizza dunque grazie alla pittura: il processo di incar- · nazione della voce termina dinanzi al dipinto di Saenredam, Piazza Santa Maria e chiesa di Santa Maria a Utrecht. In effetti, quando scopriamo il quadro per la prima volta, un carrello ottico ne cancella progressivamente la cornice e ci fa penetrare all'interno della scena dipinta. Subito la voce fuori campo si interroga: «Non sono io che ho dipinto questo quadro? Non sono io che ho visto tutto. questo?». Le due inquadrature successive - il quadro incorniciato, appeso al muro, poi un frammento di cornice su cui si legge il nome del pittore - ripristinano la clistanza e restituiscono alla tela la sua dimensione di pittura. La voce allora si corregge: «È la sua opera, ma io ero accanto a lui, ero

48

Sulla rdazione tra istituzione del museo e nascita dell'estetica, dr. J.-L. Déone, Le musée, l'origine de l'esthétique, L'Harmattan, Paris 1993. 19

49

Syhric Rollct

Lo spettro delle immagini

In questo complesso intreccio di posizioni, tutte più o meno dotte o colte, Sokurov fa subentrare un intruso, un giovane uomo. Lui solo, guardando l'immagine degli apostoli, «spera che un giorno tutti gli uomini saranno come loro». La parola dell'innocente sembra dunque proporre un'apertura completamente diversa dell'immagine, quasi a far eco allo sguardo del cieco, che vede con le mani, o con quello della danzatrice del Mariinskij, il cui corpo in movimento danza per la · tela, alla quale la lega un "segreto". Ciò che vede il giovane nell'immagine dei santi, sono le loro mani. Dalle loro mani germina in lui l'idea di un avvenire per l'umanità. Con la mano, ancora, il narratore di Elegia del viaggio scopriva la carne vivente della tela «ancora calda». La sola relazione possibile con le immagini, che ci hanno lasciato in eredità generazioni di pittori, è dunque - per il regista - un corpo a corpo, come se una lunga catena legasse la mano dei pittori fiamminghi o italiani a quella della sarta giapponese o a quella dello scrittore russo Solzenicyn. Perché, tuttavia, questa profonda umanità delle immagini, che lo sguardo di Sokurov ridesta dal sonno in cui l'aveva rinchiusa il museo, non riesce a rendere meno malinconico il viaggio compiuto dal regista? Probabilmente perché la loro resurrezione ha un prezzo. Come dice il vecchio, sorto come un fantasma dai corridoi dell'Ermitage in cui sono ammassate bare e comici vuote: «Voi camminate sui cadaveri. Non fate altro che questo». Forse la missione segreta, che si è data Sokurov, ha la sua origine nel dramma intimo, che lega indissolubilmente lo splendore delle tele salvate dal disastro e le cornici vuote dell'immondezzaio, in cui erra l'ombra delle immagini perdute; e che lega pure il destino straordinario della grande Caterina al milione di morti anonimi dell'assedio di Leningrado. Sokurov rifiuta le immagini-simulacro in nome del potere, posseduto dall'immagine, di conservare il mondo come apparizione, in nome dell'immagine stessa, in quanto "fa mondo". In ogni caso, è questo il compito che egli sembra assegnare al cinema: essere il luogo di una resurrezione delle immagini, che hanno legato gli uomini al mondo. Egli filma la pittura da regista (e non da pittore-imitatore), proprio perché l'immagine in movimento ha il potere di far uscire la pittura dalla sua cornice spaziale, di spezzare le catene che ancorano la rappresentazione a un punto di vista unico. Ma questa defigurazione è anche una riconfigurazione, perché riattualizza l'immagine fissata nel tempo, iscrivendola nella durata di un 'esperienza condivisa: quella della proiezione cinematografica.

Proprio perché è anzitutto un'arte del montaggio (con o senza montaggio in senso stretto, come dimostra efficacemente Arca russa film in piano sequenza unico) il cinema può apparire come il luog~ privilegiato, in cui potrà esercitarsi la "memoria resurrezionista" evocata da Baudelaire2°. I fùm di Sokurov danno spesso uno spazio .i mportante alla pittura, sempre però associando i quadri a immagini qualunque, prive di gloria: fotografie tratte da un album di famiglia, immagini documentarie prelevate da altri film. Così, all'interno di uno stesso film (le Conversazioni con Solzenicyn) le foto tratte dai giornali o dagli archivi del gulag possono fondersi con la massa anonima dei contadini vestiti di stracci, che girano a fatica l'immensa ruota di un meccanismo invisibile. Queste immagini provenienti dal primo film del regista, La voce solitaria dell'uomo, si associano a quelle più recenti di Confessione: i giovani marinai di profùo, che montano la guardia ai confini artici. Sembra così che si costituisca una grande catena di immagini fragili, minacciate di sparizione, ognuna delle quali è unica: e tuttavia, messe insieme, si rassomigliano delineando una sorta di mondo comune.

50

° C. Baudelaire, (F,uvres complètes, Gallimard, Paris 1964, p. 1168.

2

51

«COLUI CHE MI VEDE MI FA ESSERE; SONO COME EGLI MI VEDE»*. SUMOLOCH di Tiziano Toracca

- Le persone indifese e timorose vengono attratte dalle

figure magiche, mitiche, dai personaggi epici imùnidatori e cupamente giganteggianti. - Stai parlando di Hitler, mi pare. Don DeLillo, Rumore bianco

In Moloch (1999), primo film dedicato alle pei:sonificazioni del potere totalitario, Sokurov si disinteressa dell'immagine storica e ufficiale di Hitler per penetrare nella sua quotidianità1• Il dittatore tedesco, che non a caso entra in scena di spalle, diventa infatti «Adi», nomignolo con cui Eva Braun chiama il Fi.ibrer, giunto nel castello di Berghof, a Berchtesgaden, per trascorrere alcuni giorni di riposo in compagnia di Bormann e dei coniugi Goebbels. Moloch si apre su Eva che attende l'arrivo di Hitler e si conclude con la loro separazione: la donna, rinchiusa nella fortezza2, è il perso* J.-P. Sartre, Il rinvio, Mondadori, Milano 1973, p. 385. 1

La stessa cosa Sokurov aveva fatto nel cortometraggio Sonata per Hitler (Sonata dlja Gitlera, 1979-1989), che viene commercializzato solo dopo una censura durata dieci anni. Molte testimonianze storiche, tra cui quelle dei suoi più stretti collaboratori, confermano il gravissimo declino fisico del Fiihrer, e la sua crescente ipocondria, a partire dal 1943. Si veda, su questo: I. Kershaw, Hitler e l'enigma del consenso, Laterza, Bari 2007, in particolare alle pp. 204-231. Per la sua trilogia sul potere, Sokurov ha dichiarato di aver scelto personalità eccezionali, le cui azioni sono risultate influenzate dalla loro fragilità umana, prima ancora che dalle condizionJ politiche e sto· riche. Il grande rilievo attribuito dal regista al • carattere" umano sembra richiamare, peraltro, le indicazioni della prima lezione dcl L. Febvre degli «Annales» e, con riferimento al dittatore tedesco, anche l'approccio storiografico cosiddetto "intenzionalista". Cfr. I. Kershaw, Hitler e l'enigma del consenso, cit., pp. 12-13. 2 Vi uscirà soltanto nella scena finale per dire addio a Hitler. La prigionìa di Eva Braun esaspera il senso di mortifera sospensione in cw è immerso il potere del Fiihrer.

53

Tiziano Toracca

«Colul che mi vede ml fa e11ere; 1ono come egli mi vede». Su Mol Un inedito sguardo sul dittatore tedesco, ripreso appunto attraverso il mirino di un'arma da fuoco, e perciò un'interrogazione sul vedere, sono già presenti in Duello mortale (Man Htmt, F. Lang, 1941). 24 Cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino 1976, p. 220. 2' Esclama Hitler: «Non è comunque la comprensione che pretendiamo da voi. Si può forse pretendere che una donna capisca? Né la nazione né il partito né il vostro

2

59

Tiziano Toracca

TAURUS: IL CORPO MALATO DEL SOVRANO

di avere un tetto coniugale: desiderio frustrato dall'orrore del dittatore per «un'intera famiglia Hitler». Come dice la Braun, a spaventare Hitler è l'idea stessa di una qualche normalità, o meglio quella limitatezza contraria all'aura sacrale di cui si nutre il potere sovrano:

di Massimo Cappitti

È per timore della banalità che sei diventato così duro. Lo sai cosa disse mio padre nel 1929, l'anno in cui noi due ci conoscemmo, mentre eravamo da quel fotografo? Quel giovanotto è un'assoluta nullità.

L'amore di Eva per Hitler si fonda appunto sulla banalità e sulle debolezze del dittatore (come peraltro sulle proprie), divenendone implacabile specchio: «Per me puoi anche rimanere una nullità». L'immagine della «famiglia Hitler», re/rain dell'intera sequenza succitata, evoca quel «dominio totale che mira a organizzare gli uomini nella loro infinita pluralità e diversità come se tutti insieme costituissero un unico individuo>>26, e perciò realizza una sorta di teologia demoniaca in cui lo spirito del male è principalmente astrazione assoluta27. A spaventare il dittatore è, tuttavia, la condizione simbolica dell'esperienza da cui nasce la democrazia, ossia - parafrasando Claude Lefort - l'indeterminatezza derivante dalla perdita di sost_lUlza del corpo politico28. Hitler, dopotutto, non vuole affrontare l'idea della morte: così, il fotogramma del pilota d'aereo che "migra" dal cinegiornale di guerra al ftlm, inserendosi nella sequenza della lotta fra Eva e Adi, disvela, come in un lampo, l'essenza. del Moloch: «Un essere beve il sangue dell'altro. Uno trova nutrimento nella morte dell'altro. Inutile blaterare di umanità [ ...] La lotta rimane»29.

Fuhrer si aspettano una cosa simile da una donna. La capacità cli capire è unicamen • te e strettamente di competenza dell'uomo. Quanto più una donna è stupida, tanto più è espressiva. Non è un caso che le donne cli tanti grandi uomini si possano definire delle perfette idiote. Mozart! Aveva per moglie una stupida oca, non è cosi?». 26 H. Arendt, Le origini del totaltiarismo, Einaudi, Torino 2004, p. 599. 27 Cfr. M. Pezzella, Le metamorfosi del potere. Note su «Taurus» di Aleksandr Sokurov, cit. 28 Cfr. C. Lefort, r;immagine del corpo e il tota/1iarismo, in La filosofia di fronte all'estremo, cit., pp. 107-124. 29 A. Hitler, La mia v,ia, Bompiani, Milano 1949, p. 143.

60

Scrive Canetti che «l'istante del sopravvivere è l'istante della potenza», giacché coloro che guardano il morto giacere davanti a sé non possono non provare «la sensazione di essere eletti tra molti che hanno un comune destino»1• C'è dunque, nel vivo, una passione della sopravvivenza «pericolosa e insaziabile», perché quanto più numerosi sono i cadaveri sui quali si erge solitario e quanto più frequentemente egli ripete l'esperienza della propria elezione, «tanto più forte e imperioso» è per lui il bisogno di accumulare corpi morti2. Un nesso inscindibile lega, pertanto, potere, morte e sopravvivenza. L'ebbrezza dell'immortalità, infatti, e il reiterato bisogno di affermar~ la propria unicità spingono il potente a fare il vuoto intorno a sé, ad accumulare morti, come se la vita sottratta agli altri costituisse la condizione per incrementare e potenziare la propria o, ancora, come se l'altrui morte bastasse a dispensarlo dalla caducità, che ineluttabilmente segna il mondo. · Nella necessità, quindi, di sopravvivere ad ogni costo risiede la pericolosità del potere e, come direbbe Canetti, la sua costitutiva struttura paranoica. Il potente, infatti, è «colui che con ogni mezzo tiene lontano il pericolo dal proprio corpo»>, creando attorno a sé uno spazio deserto di uomini: uno spazio da dove «guardare senza essere visto» e 1

E. Canetti, Massa e potere, Adelphi, Milano 1994, pp. 273-274. Ibidem. > Ibid., p. 279. 2

61

Massimo Cappitti

Taurus: Il corpo malato del sovrano

«che potrà abbracciare con lo sguardo spiando attentamente ogni segno dell'avvicinarsi del pericolo»4• Tutti potrebbero cospirare contro di lui, per cui egli sfuggirà ali' «angoscia di essere accerchiato» solo moltiplicando i dispositivi di controllo, sorveglianza e protezione. Del desiderio di immortalità che abita il potente e, insieme, della consapevolezza ferocemente dolorosa dellÒ scacco, cui questo desiderio è consegnato, e della sua vanità, parla Taurus (Telec, 2000), film di Aleksandr Sokurov su Lenin che costituisce il secondo episodio di una quadrilogia dedicata al potere aperta da Moloch (1999), dove protagonista è Hitler, proseguita dal Sole (Solnce, 2004) e ora conclusa dal Faust (2011). I primi tre fùm, seppure con accenti diversi, rappresentano il rapporto tra la fragilità personale del potente e la labilità del progetto politico che questi incarna. Se in Moloch l'ipocondria di Hitler sembra essere la spia della crisi più profonda che investe le fondamenta stesse del progetto nazista di costituzione del Reich millenario, in Taurus, Lenin, gravemente malato e ormai prossimo alla morte, è ossessionato dalla constatazione che il mondo gli sopravvivrà. Egli, infatti, sbigottito dall'orrore senza rimed~o della sua fine, chiede insistentemente e rabbiosamente alla moglie non solo se ella vorrà vivere senza di lui, ma, persino, se il sole sorgerà ancora; se tutto, nonostante la sua ssomparsa, permarrà identico; se la storia, dominata dalla lotta che oppone alla «bestia borghese» lo «stupido proletario», proseguirà imperturbabile il suo corso. Nell'incalzare delle sue domande, Lenin non solo fa mostra del suo risentimento nei confronti della sopravvivenza delle persone a lui vicirie, ma indirizza la sua rabbia - che, in taluni momenti, si trasforma in furia distruttiva' - perfino contro la «resistenza dell'universo», contro l'insopportabile pretesa del mondo di durare oltre la vita del singolo individuo. Egli vive l'anticipazione della morte nelle separazioni cui è soggetto: tra il rivoluzionario e la sua opera, che durerà anche in sua assenza; tra il corpo, prigioniero della malattia, e la volontà ormai incapace di

"governarlo"; tra la transitorietà della vita e l'apparente saldezza delle cose, indifferente al trascorrere del tempo ed evidenziata dai movimenti della macchina da presa, che indugia sui singoli oggetti, accarezzandone i contorni e saggiandone pieghe, volumi e sporgenze, per poi, all'improvviso, spostarsi sul volto del protagonista, cogliendo, nella sua espressione stupita e perplessa, il dolore dell'irreversibilità del tempo. Sokurov descrive gli ultimi giorni del capo rivoluzionario, segregato in una grande villa nella campagna russa, dimenticato dal partito, al punto che, più volte, egli chiede perché non riceva più lettere o telefonate da Mosca. Lo assistono la moglie, costretta a leggergli la cronaca delle ultime ore di Marx e la storia dei supplizi corporali in Russia, le domestiche e gli uomini della scorta, sempre più insofferenti ai suoi accessi d'ira, intervallati, a tratti, dai tentativi - parodistici e, soprattutto, inutili, perché si risolvono in ulteriori conferme della sua impotenza - di riaffermare la sua antica autorità, di cui egli avverte - parallelmente ali' aggravarsi della malattia - l'indebolimento, se non il definitivo svuotamento. Lenin è c° fret• tolosamente uascurata l'interpretazione stonca che vede lll Hirohno il notaio della potenza americana in Asia. , 4 Il 1• gennaio del 1946 Hirohito fece un pubblico ~p~ello al suo pop?lo affinc~e cessassero le operazioni militari. Milioni di giapponesi runasero sc1occau nel senure per la prima volta la voce dell'imperatore. . s M. Pezzella, Le metamorfosi del potere. Note su «Taurus» dz Aleksandr Sokurov, «Iride», n. 49 (2006), p. 647. ·

70

Un pe1ce fuor d'1cqu1 nel ventre della balena: l'anima russa del Giappone

lo della divinità, divenuto per lui inesorabilmente scomodo. Valga su tutte la scena della vestizione, in cui Hirohito è costretto a una vicinanza intima con l'addetto alla cura della sua persona: prossimità fisica sottolineata dalla fronte imperlata di sudore del vecchio servo1 che si affanna a chiudere bottoni in asole troppo strette. Come oserà dire il sottoposto al silo signore: «Il fatto che vostra altezza possa di per sé ritenersi un essere umano è una preoccupazione priva di fondamento. La realtà è che vostra altezza non è soltanto un giapponése, è il Giap: pone stesso, persino i bambini sanno che sua altezza l'imperatore è il discendente della Dea del Sole Amaterasu ed egli stesso è l'incarnazione del dio». Il campo/controcampo, che accompagna il dialogo iniziale tra l'!mperatore e il suo ciambellano, contribuisce a configurare quest'ultimo come il depositario di quell'apparato teologico-rituale che si sta sgretolando sotto il peso delle bombe: Hirohito è inquadrato dal!' alto verso il basso, decentrato, seduto alla scrivania; mentre il servo è sull'attenti in piano americano, con la macchina dà presa che lo inquadra dal basso centralmente, protagonista, si direbbe, del dialogo che sta awenendo. Il disagio esistenziale del ribelle Hirohito è restituito mirabilmente dalla mimica, anzitutto facciale, dell'uomo: egli sembra dawero un pesce fuor d'acqua, mentre boccheggia, spalancando le labbra a denti stretti come se parlasse a vuoto o non riuscisse ad articolare parole che non appartengano al gergo del figlio del Sole. Parole ormai inusitate. L'imperatore esibisce un tic isterico·a cui nessuno presta attenzione e sul quale solo la macchina da presa indugia impietosa. Hirohito mormora spesso delle parole per noi inudibili, forse senza significato, quasi che l'imperatore, .precipitato nella condizione umana dal suo statuto di dio vivénte, imparasse a parlare soltanto ·ora e soltanto tra sé e sé, recitando anch'egli il monologo degli uomini. Sokurov realizza infatti un cinema in cui la comunicazione non ha ragion d'essere; un cinema fatto di personaggi autoreferenziali, che sussurrano a se stessi pensieri deliranti (è insomma la follia di Hitler, di Lenin, di Hirohito che prende corpo sullo schermo nella trilogia sul potere totalitario); un cinema che rende visibile l'incepparsi del meccanismo del dominio assoluto. È questa una delle caratteristiche dell'opera del regista, che interrompe il tempo narrativo: filmare le cose e gli esseri lo interessa molto di più che filmare ciò che le cose o gli esseri fanno. L'azione, o 71

Un petce fuor d'acqua nel ventre dclla balena: l'anima russa del Giappone

Katia Rossi

meglio «l'immagine-azione», per dirla con Deleuze6, è assente in tale cinema. Se è vero che, prima di diventare cineasta, Sokurov è stato studente di storia, allora colpisce che, nell'avvicinarsi ai personaggi della sua trilogia sul potere totalitario, egli non miri al documento storico, né usi l'approccio classico al genere storico/biografico, così come lo si è canonizzato nella tradizione cinematografica (excursus sull'intera vita del personaggio, narrazione degli avvenimenti salienti della sua esistenza). A Sokurov interessa invece ritrarre i simulacri della sovranità perché si tratta di figure che il potere - il potere di fare - ha abbandonato; di figure letteralmente prive di schemi senso-motori precostituiti,· impossibilitate a reagire in funzione dei propri sentimenti e delle proprie convinzioni, ormai superate dalla Storia. L'impotenza del potere è evidenziata dal corpo marcescente del sovrano, che sente tra i denti l'amaro della caduta. «Ho un sapore strano in bocca, un odore strano, un sapore e un odore cattivi», dice Hirohito guardandosi allo specchio, finché egli non arriva addirittura a confessare: «non c'è nessuno che mi ami». Il suo corpo malaticcio, piccolo di statura, goffo, smagrito (l'uniforme gli va larga, nota il servo con aria preoccupatissima), un corpo che a volte sembra quasi incepparsi come un pupazzo a molla rotto, anticipa le movenze del burattino evocato nella sequenza finale, quando l'imperatore rinuncerà allo stato divino. Il senso di precarietà, di pericolo, che aleggia nel bunker, viene amplificato nella sequenza successiva a quella della vestizione, quando l'imperatore si avvia all'incontro con i vertici del governo: e.gli penetra nei corridoi illuminati da una luce livida, resi-inquietanti da un veloce movimento di macchina, analogo ad altri che si ripeteranno nel prosieguo e in grado di restituire al meglio l'atmosfera da sommergibile in guerra dei cunicoli. Tale atmosfera è poi ulteriormente sottolineata da rumori metallici e perentorie istruzioni militaresche («iniziare le operazioni di ventilazione», «aprite il portello!»), mentre dalle pareti cola un' umidità insidiosa. Nella sala delle riunioni, luogo di r~ppresentanza per eccellenza, l'imperatore trova alle sue spalle un séparé d'oro, sorta di quinta teatrale messa lì a ribadire l'ormai anacronistica solari-

tà del sovrano. Questi assiste al susseguirsi degli interventi del suo Stato Maggiore, restando impassibile (solo la mano guantata accarezza esitante il tessuto che ricopre il tavolo). Infine, egli replica citando i versi di un suo predecessore, l'imperatore Meiji: , n. 133 (2009), pp. 146-149 (qui, p. 149, nota 10). > L'identificazione corrente di questo personaggio con il marchese Adolphe de Custine (1790-1857) è stata contestata dal regista, il quale vi ha tuttavia giocato in maniera abbastanza evidente. Contro le sue stesse affermazioni (Sokurov di fro,zte a,,~; [/ontano da noz1, cit., p. 244: «Mi spiace, ma devo deludervi. Il Marchese de Cus11ne nel · film non c'è. Come anche voi avrete notato, non viene mai menzionato il nome»), il nome è pronunciato da un personaggio che tenta di ris~re la fiumana di. ospiti in uscita dall'Errnita.ge, come se volesse andare a recuperare il marchese, ~etuvarnente rimasto all'interno. Al pari del personaggio storico, inoltre, anche quello inventato d~ Sokurov ha, tra l'altro, partecipato al Congresso di Vienna. Per Sokur?v, tutta~a, '.

  • > (ibid., p. 154).

    145

    Thea Rimini'

    Corpi privati, A propolito di Salva e custodisci, Madre e figlio, Padre e figlio

    umano. E, ancora, i frequenti paesaggi tormentati dal vento diventano

    presentata dagli aerei che sorvolano il cielo cittadino. Una volta di più,

    dolenti correlativi oggettivi del desolato stato d'animo del figlio. Altre volte, invece, la possibilità del dolce naufragio paesaggistico è preclusa ai protagonisti: alberi e cielo si chiudono in una sontuosa indifferenza. Prossima alla morte, la donna avverte il contrasto violento tra il proprio strazio e l'indifferenza di una natura in fiore. All' esclamazione di stupore adamitico del figlio - «Creato, sei bellissimo» -, la madre sembra rispondere a distanza di qualche sequenza: «No, non è male, non è male. Però c'è qualcosa che mi opprime sempre». Neppure il figlio riesce a trovarsi in perfetta armonia con la natura. Da solo nel bosco, il giovane scoppia a piangere per il lutto imminènte. Della rottura di questo equilibrio ci dà conferma Sokurov:

    torna cosl ad assumere plastica consistenza quell'antitesi tra vecchio e nuovo che è cifra stilistica di tutto il cinema di Sokurov.

    Noi rimaniamo sempre soli nel nostro rapporto con la natura. Si tratta di una relazione senza l'Altro, di un amore a senso unico. Si tratta dell' origine stessa del sentimento tragico 16•

    In Padre e figlio, invece, la natura è spesso confinata alla sola dimensione onirica. Una radura boschiva compare nel sogno che il figlio racconta al padre e che Sokurov ci mostra per immagini. Ritorna l'idea di un'analogia tra corpo e natura: il figlio dice al genitore che lui è come «un albero»; che le sue gambe sono «radici»; che il suo petto è «un tronco». Ma i momenti di immersione panica si fanno più rari. Di uno di questi è protagonista il padre. Sul tetto, l'uomo si allena e sorride felice, perché da lì vede spuntare il sole sulla distesa d'acqua davanti a sé. Che lo spazio naturale, in Padre e figlio, si riduca, è colpa della guerra. Il genitore è reduce da una missione militare e il figlio lavora nell'esercito: si frantuma l'atmosfera atemporale che caratterizzava le precedenti opere di Sokurov. Ma forse la sensazione è fallace. Se, da un lato, la guerra ancora la vicenda alla storia, dall'altro I'ambientazione del film in una città onirica, qual è Lisbona, diffonde un'aria irreale su luoghi e personaggi. Un'aria quasi d'altri tempi. Lo riconosce un amico del figlio quando, dopo una corsa su uno dei caratteristici tram lisbonesi (un avatar dei treni che compaiono sia in Salva e custodisci, sia in Madre e figlio?), giudica quella lusitana una città sorprendente, perché capace di ricondurre al passato. Semmai, la modernità è rap-

    La fine del corpo Il volto di Emma vicino a quello di un'altra donna; la mano immobile àella madre in stretto primo piano e una farfalla posata fra le sue dita; il torso nudo del padre accasciato ~ul tetto della sua casa: nei tre finali di Salva e custodisci, Madre e figlio, Padre e figlio è una parte del corpo a imporsi sulle altre. In Salva e custodisci, la macchina da presa mostra il cadavere di Emma deposto nella bara e segue il funerale della donna. L'ultima inquadratura, però, si sofferma sul viso della protagonista, che, quasi fosse tornata in vita, rivolge gli occhi al cielo in atto di preghiera. Al suo volto si avvicina quello di un'altra donna (la madre che ha perduto molti anni prima?) e sulla scena risuona il Kyrie eleison. Forse si tratta di un'allusione alla resurrezione del corpo; sicuramente è unarisposta alle parole pronunziate dal farmacista alla morte di Emma: «I filosofi non devono temere il non essere». Il corpo - aveva assicurato il personaggio - non appartiene a chi lo possiede, bensl alla scienza. Ma il corpo di Emma, benché destinato per volontà testamentaria alla clinica locale, si prende una rivincita, E ricompare post mortem. Vengono in mente le parole della successiva Elegia dalla Russia (Studi per un sogno) [Elegija Rossii (Etjudy dlja sna), A. Sokurov, 1992), pronunciate da chi ha appena assistito al decesso di un familiare: «si dice che per due ore [il morto) può ancora sentire». Anche la protagonista di Madre e figlio forse può ancora sentire, nonostante sia morta. È lo stesso Sokurov a insinuare il dubbio, riducendo la distanza tra l'essere e il ·non essere: Il figlio si è potuto sbagliare. La mano fredda della madre gli ha provato la sua morte, ma chi ci dice che lei non ha aperto gli,occhi? 17

    Persino sul corpo della farfalla, poggiata tra le dita della madre, il giu-

    16

    A. Sokurov in Nostalghia. Entretien avec Alexandre Sokurov, a cura di A. de Baecque e O. Joyard, «Cabiers du cinéma», n. 521 (1998), p. 39 (la traduzione è mia). 146

    17

    Ibid., p. 36 (la traduzione è mia). 147

    Thca Rimini

    dizio rimane sospeso. Campione del variegato bestiario della filinografia di Sokurov, il coleottero non rìesce a staccarsi dalla mano: è vivo o morto? Con decisione il regista sceglie l'indecidibilità. Non sorprende, allora, che il figlio rivolga queste tùtime parole alla madre già defunta: «So che tu mi senti [ ...] Ascolta quello che voglio dirti. Noi ci incontreremo dove sai [ ...]. Aspettami». Nulla è detto sul luogo del futuro incontro: forse avverrà sull'isola fantasmatica a cui approda la voce della coeva Elegia orientale (Vostocnaja elegija, A. Sokurov, 1996) per un appuntamento con gli spettri. O forse non ci sarà nessun effettivo abboccamento, ma si tratta solo di un'allusione alla continuità della «specie» (come vorrebbe Manoel De Oliveira)18. Qualsiasi accezione venga attribuita alla battuta finale del figlio, la parola latrice di speranza è però contraddetta dall'immagine successiva: un nero a schermo pieno, quasi fossimo in presenza di un'incarnazione del buio della morte che sancisce l'impossibilità di una visione onnisciente e onnicomprensiva. Alla cecità è condannato chi si è macchiato della hybris del "voler tutto vedere e tutto comprendere" rispetto al mistero insondabile della morte. Uno schermo finale nero chiude perciò anche Padre e figlio. Subito prima, il genitore aveva replicato così al figlio, che gli chiedeva se ci fosse pure lui nel suo sogno: «No, sono solo». La solitudine-sembra suggerire il regista con questo suo film - costituisce l'orizzonte fi. nale della vita dei corpi.

    UN'ELEGIA DELLA SOLITUDINE: CONSIDERAZIONI SU MADRE E FIGLIO di Diego Battistini

    In Madre e figlio (Mat' i syn, 1996), il registro narrativo è quasi assen-

    18 M. De Oliveira, Aleksa>1dr Sokurov e il suo film «Madre e Figlio», in A'teksa11dr Sokurov eclissi di cinema, cit., p. 177.

    te e viene invece dato largo spazio a immagini iconograficamente ispirate alla pittura romantica tedesca. Vediamo pochi tagli di montaggio, talvolta bruschi e sconnessi, oltre a inquadrature fisse che devono essere penetrate dall'occhio dello spettatore. Osserviamo qualche movimento della macchina da presa o dei corpi, capaci di evidenziare lentamente la plasticità di questi ultimi. Il lavoro del regista somiglia qui a quello del pittore, che lavora con pennellate leggere per far emergere nuovi elementi dalla tela; la profondità è annullata, l'uso di filtri ottici produce colori sabbiosi (simili a quelli che si ottengono con inchiostro seppia su carta) o immagini distorte dal sapore espressionista. Madre e figlio (Mat' i syn, 1996) racconta una piccola storia in cui è bandito il superfluo: un figlio si prende cura della madre morente. Piccoli gesti, che si presume identici, giorno dopo giorno si vanno sommando. Tutto avviene all'interno di una casa buia: una sorta di non celato simbolo dell'utero materno; un ritorno alla madre, quello del figlio, inevitabile. Intorno ai due una natura primordiale che segue il proprio corso. Si intravedono alcune case, forse un paese, ma noh vi è nessuna figura umana ad interferire tra loro: il figlio ~ la madre vivono in un'empatia totale, che li porta a fare i medesimi sogni. La vita della madre volge ormai al termine e così, quelli del figlio, sono gli ultimi atti d'amore prima del congedo della donna dall'esistenza: gesti come pettinarle i capelli con cura, sollevarla sopra una panchina, darle da bere e lentamente asciugarle la bocca con un fazzoletto; in-

    148

    149

    Diego Battistini

    Un'elegl• delle 10Utudlne: con1lderazioni su Madre e figlio

    somma, gesti che l'amore e la dedizione rendono solenni e sacrali, fino a creare una vera e propria liturgia. Madre e figlio è infatti un film di corpi e di gesti. Il relazionarsi dei corpi con lo spazio e l'uno con l'altro, nonché il rapporto tra l'individuo e il proprio corpo, sono terni che il cinema di Sokurov ha sempre trattato fin dagli esordi. In questo caso, la relazione tra madre e figlio. non è conflittuale come invece sarà quella tra i protagonisti nella seconda parte del dittico dedicato ai legami familiari: Padre e figlio (Otec' i syn, 2003); anche se c'è un contrasto tra il fisico malato, in decadenza, della donna, e quello possente del figlio, figura scultorea messa in rilievo dai suoi movimenti lenti e dall'immobilità di alcune pose, oltre che dalla staticità delle inquadrature. Il figlio angelico non solo assisté amorevolmente la madre, ma diviene il suo protettore, il ponte tra la vita e la morte: in un certo qual modo, la personificazione della morte stessa. «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi», recita un bellissimo verso di Cesare Pavese. Ebbene, il figlio si fa carico di sorreggere la madre, che, abbandonando il proprio corpo, è come se, per un attimo, trapassasse in quello del figlio, per poi lasciare le cose terrene. In alcuni momenti, il giovane sembrerebbe voler riportare in vita il passato appoggiando la testa sulle ginocchia della madre e facendosi accarezzare dolcemente i capelli: il suo si rivela però un tentativo vano. Ciò che è stato rimane imprigionato in vecchie fotografie ormai sbiadite, dimenticate vicino alla finestra e poi scompigliate dal vento del presente che annuncia il futuro prossimo. Si invertono così i ruoli iconografici della "Pietà", anche se non c'è nessun riferimento religioso esplicito: il figlio è in qualche modo genitore di una madre che diviene a sua volta figlia e, prendendola in braccio, la conduce verso l'ultimo viaggio, ponendola e ponendo se stesso in relazione con Io spazio esterno. Passiamo allora dallo spazio limitato e chiuso della casa/utero materno allo spazio infinito del mondo al di fuori di essa. Il mondo esterno è un reticolo di rimandi simbolici: i corvi, dei quali udiamo in un primo momento solo il lugubre verso e che poi si manifestano volando da un albero all'altro, fino ad arrivare persino a disturbare un'inquadratura; il treno, che passa per ben due volte a valle fischiando e di cui intravediamo il fumo; un veliero, che volge verso un orizzonte obliquo. Elementi che divengono _Presagi di morte o manifestazioni del trapasso ormai imminente. Piccole figure umane avanzano, quasi impercettibili, nel condensarsi di nubi nere minacciose, che dall'orizzonte, lentamente ma in maniera inesorabile, come in

    un quadro del pittore inglese William Turner, cominciano a calare sulla terra, inondando ogni cosa. L'uomo vive il mondo in un conflitto insanabile. Egli chiede ad esso più di quanto potrà mai ricevere. In un primo momento, il figlio accompagna la madre verso un ultimo viaggio di congedo dalle cose terrene, deponendola nell'erba o appoggiandola ad un albero perché osservi meglio il panorama; dopo aver riportato la madre in casa, in un letto somigliante ad un feretro, egli, smarrito e in preda al dolore, esce e si incammina entro una natura che noi, come lui, percepiamo impassibile. Fino a quel momento la dedizione amorevole nei confronti della genitrice e l'obbligo morale di portare a termine il proprio dovere di accudirla avevano represso il dolore; ma ora, solo, privo di qualsiasi immediata utilità, il figlio, ormai orfano, vaga muto sperando in un rifugio nel mondo esterno. Egli ricerca nella natura una pietas che ad essa non è propria. La.natura non è indifferente in sé, segue semplicemente il suo corso. L'uomo non desidera solo un connubio con essa, ma vorrebbe che essa fosse partecipe del suo dramma. 2. Le opere di Sokurov, che innovano ogni volta dal punto di vista della creazione artistica, sviluppano tratti spaziali comuni: la sensazione di chiusura nel concatenarsi delle inquadrature, la traccia pittorica nella composizione del campo visivo, l'effetto di "fantastico" nel succedersi dei luoghi. Lo spettatore non smette di scoprire l'enigma del suo cinema, senza poterlo interamente decifrare, attraverso una "poetica dello spazio filmico". Riprendiamo questa terminologia letteraria dal saggio di

    Bachdard, ma non vogliamo con questo rendere confuso lo sguardo

    1

    Nostalghia, intetvista con A. Sokurov realizzata da A. de Baecque e O. Joyard,

    «Cahiers du cinéma», n. .521, febbraio 1998, p. 38. Il regista precisa: «Qualunque cosa succeda, il lavoro dell'anima è prioritario rispetto a quello degli occhi. E il cinema ha conosciuto tali disastri con l'immagine, che solo l'udito conseiva una certa purezza, una forma di legame diretto con l'anima». 2 Gli uomini e i luoghi, dichiarazioni raccolte da R Guinard, «Mensuel du ciném~». n. 17, maggio 1994, p. 22. D regista, a questo riguardo, prende le distanze da Tarkovskij: «Sono sensibile allo spazio, egli invece agli attori; io sono attento all'interpreta2ione della forma documentaria, lui piuttosto alla/iction. Io amo prima di tutto mo• strare i senùmenti degli uomini».

    154

    rivolto allo spazio filmico specifico. Lo scopo del nostro saggio non è cli rivdare "l'immaginazione poetica">, ma di studiare la poiesis, il modo in cui l'arte organizza la rappresentazione spaziale. !:articolazione tra luoghi "esterni" (du dehors) e luoghi interni (du dedans) ci indicherà alcuni modi per dare profondità al racconto in immagini. Seguiremo un cammino, che ci porterà a sondare i luoghi filmici, per condividere una Esperienza emozionale dello spazio4• Secondo Gardies, «dopo essere entrati nel mondo diegetico, questo attenua la sua importanza a vantaggio di un'altra entità, quella della realtà percettiva dei luoghi. Ali'occhio e all'udito si offrono oggetti locativi: una pianura, una montagna, una città, una costa battuta dalle onde, una via deserta, o piena di attività cittadina, ecc.»'. Tutti questi luoghi, citati all'interno di una ricerca teorica sul mondo finzionale del cinema, si ritrovano nei ricordi visivi, che ci hanno lasciato i film di Sokurov: le baracche decrepite sul suolo pietroso del Turkmenistan (I giorni del/'eclisse (Dni zatmenija, 1988)), la casa senza tetto di Emma nell' altipiano accidentato del Caucaso (Salva e custodisci), le tempeste di neve al largo del Baltico [Confessione, Elegia del viaggio (Elegija dorogi, 2001)], i bassifondi di altezza variabile sulle rive dei canali nebbiosi di San Pietroburgo (Whispering Pages). Tuttavia non basta enumerare i luoghi, per rendere ragione dell'emozione e del disorientamento spaziali, provocati da questi viaggi cinematografici. La relazione tra il luogo e lo spazio non può essere compresa secondo un principio di aggregazione tra il frammento e l'insieme: «[...) Con una semplice sommatoria non si va molto.più lontano della punta del proprio naso»6• La ricerca di Gardies, che si basa sulla semiotica topologica di Greimas - un punto di vista sullo spazio narrativo, che noi non seguiremo - , lo conduce ad articolare le due nozioni in modo più concettuale. I luoghi rappresentano lo spazio, come segnala la forma nostalgica:«(...] Sotto il luogo, lo spazio»7 • La comprensione del mondo diegetico da parte dello spettatore, di questo spazio coG. Bachelatd, La poétique de l'espace, PUF, Paris 1998, p. 1. P. Kaufmann, J.:Expérience émotionnelle del'espace, Vrin, Paris 1987. ~ A. Gatdies, J.:espace au cinéma, Klincksieck, Paris 1995, pp. 69 e 73. l

    4

    6

    7

    Ibidem. Ibidem.

    155

    Diane Arnaud

    L1 poetica dello 1p1zlo in Sokurov

    struito nel tempo, grazie al montaggio di «blocchi di movimenùdurata»8 (come dice Deleuze), richiede dunque di interrogarsi sulle dimensioni dei luoghi rappresentaù, sulle possibilità di raccordo o sulle impossibilità di legame, nell'abitare uno spazio artistico.

    esemplare, studiato da.Estève 11, congiunge la dimensione inquietante dei luoghi chiusi e la cornice pittorica della rappresentazione - due fondamenti della poetica dello spazio, che approfondiremo analizzando più dettagliatamente Whispering Pages e Madre e figlio.

    Solo un'esplorazione sistematica delle opere filmiche permettereb.be di comprendere il mistero dei luoghi, affascinante e profondo, e illuminare la dimensione metafisica dello spazio. Essa si avvicinerebbe ai personaggi che si muovono nelle "scene del xicordo" (Là voce solitaria del/'uomo, Salva e custodisc,,), che abitano "luoghi fantastici" [Whispering Pages, Moloch (1999), Confessione], che entrano in "paesaggiquadro" [Madre e figlio (Mat' i syn, 1997), Elegia del viaggio]. La costruzione spaziale, in Sokurov, ha una relazione stretta con la letteratura, la piti:ura e la vita dello spirito. Prima di riconsiderare alcune sue opere, notiamo che-in Arca russa (Russkijkovceg, 2OO2) - la realizzazione di un piano-sequenza, lungo quanto il film, sembra rendere secondario il montaggio. Tuttavia l'unità di luogo, data dal Museo dell'Ermitage, assume un andamento mobile e mutevole; seguendo gli spostamenù dello "Straniero", che ricordano le figure di un balletto aereo e fluttuante, accompagnato dalla voce del regista. La presenza sonora fuori campo di Sokurov crea un effetto di perdita di controllo (emballement) del movimento filmico. La deambulazione nei recessi del Museo tra ombre e luci fluttuanti, la messa in scena non cronolo- . gica delle sale di ricevimento- che ci fanno passare da un'epoca all'altra, da Nicola Il alla Grande Caterina, da un "regime estetico" 9 a un altro, da un apparato tecnico a un altro (museo, fotografia, cinema) secondo }a teoria di Dèotte10- impongono un senso di scoperta topologica nel modo di inquadrare e di "montare" la storia. Questo film

    Echi fantastici nell'esplorazione delle «cripte" filmiche Secondo il saggio di Grivel, FantastiqueJiction, «non c'è Wl universo del fantastico, più di quanto non ci siano luoghi del fantastico» 12• La poetica cinematografica, negli oscuri film di Sokurov, costruisce modi di articolazione dell'interno e del!'esterno, grazie a figure a incastro, tuffiB vertiginosi, e percorsi labirintici caratteristici di una spazialità fantastica. Tuttavia, i racconti in immagini del regista russo, adattamenti di opere letterarie, tessiture di universi pittorici, elegie storiche, non seguono i codici e le convenzioni del genere fantastico. Le trame mettono in scena solo in modo sotterraneo le irruzioni dello straordinario nel terreno della realtà familiare. L'arte cinematografica di Sokurov traccia in forma nuova la esile li-· nea del "fantastico cinematografico", espressione cara a Leutrat: «Se la qualità del "fantastico" è rara nelle opere cinematografiche, non è tuttavia impossibile. Per scoprirla, preferiremo le opere che enunciano i vincoli e le forme dell'espressione cinematografica, cioè quelle che invece di esibire le figure dell'eccesso portano il cinema al suo limite, dimorano su una frontiera non suscettibile di precisa definizione»14. Le opere di Sokurov danno vita proprio alle ossessioni dell'anima umana e costruiscono una visione singolare del reale, come non l'abbiamo mai visto. L'incredibile che si mescola alla rappresentazione dei luoghi e alla vita delle forme non è né mostruoso né pauro-

    G. Dcleuzc, Qu'est-ce que l'acte de création?,