Goldoni. Dalla commedia dell'arte al dramma borghese 8811600375


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Goldoni. Dalla commedia dell'arte al dramma borghese
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Dalla commedia dell’arte al dramma borghese

Roberto Alonge

Carlo Goldoni drammaturgo

è probabilmente italiano. Come

il massimo

tutti i classici,

sollecita letture sempre nuove, che scavano nelle stratificazioni del testo e lo arricchiscono di significati. In particolare negli ultimi decenni le commedie insieme godibili e amare dell’autore veneziano sono state al centro di una vera e propria revisione critica, frutto sia dell’opera degli studiosi e degli storici del teatro e della letteratura, sia della pratica scenica di registi come Luchino Visconti e Giorgio Strehler, e più di recente Luca Ronconi e Massimo Castri, passando per Squarzina, De Bosio, Missiroli, Cobelli. Infatti la grande regia svolge anche una funzione critica, in grado di illuminare zone d’ombra e

restituire attualità ai testi. Nell’affrontare il teatro di Carlo Goldoni, Roberto Alonge riparte proprio da lì: da nove testi che da un lato rappresentano il meglio della sterminata produzione goldoniana e dall’altro permettono di seguire l'evoluzione del suo percorso poetico. Emergono così due aspetti fondamentali. Per un verso viene evidenziato il progressivo passaggio dagli scenari della commedia dell’arte alla lucida prefigurazione del dramma borghese, e così si illumina il significato profondo della «riforma goldoniana». Per l’altro una analisi «in contropelo» dei testi mette a nudo la complessità dei personaggi e delle situazioni, del contesto sociale e dei risvolti psicologici, ma soprattutto riesce a offrire un quadro organico della drammaturgia. Fermo restando che un libro di critica è sempre e solo un accompagnamento alle opere di un autore, Roberto Alonge riesce dunque a trasmettere il piacere suscitato dal contatto ravvicinato con il testo, e con l’universo umano e poetico di un grande scrittore. Soprattutto, mette alla prova l’efficacia della drammaturgia goldoniana grazie ad alcune recenti memorabili messinscene.

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ROBERTO ALONGE

Goldoni Dalla commedia dell’arte al dramma borghese

GARZANTI

Prima edizione: marzo 2004

ISBN 88-11-60037-5 © 2004, Garzanti Libri s.p.a., Milano

Printed in Italy www.garzantilibri.it

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PREFAZIONE

Viviamo in tempi difficili, assediati-dalla volgarità e dalla incultura di una società dell'immagine che sta perdendo, di giorno in giorno, il gusto della lettura, il senso di una capacità critica di scavo nella pagina scritta. Ma dobbiamo apprendere dai nostri nemici, e batterci sul loro stesso terreno. Occorre,

prima di tutto, imparare a scrivere in modo semplice, chiaro,

utile, possibilmente anche in modo ‘accattivante, e - perché no? - persino.divertente. Spero che questo libretto goldoniano riesca a essere tutte queste cose insieme. Ci sono però naturalmente altre scommesse che mi piacerebbe vincere. Intanto quella di offrire un profilo di Goldoni che non sia divulgativo, che non si limiti cioè a riportare quello che tutti sanno. La cosa veramente difficile è essere didascalici dicendo però cose nuove. Ma per fare questo, per fare avanzare la ricerca, per portare un contributo originale lavorando sui testi, è necessario ripartire da essi, ricominciare dalla loro indagine analitica. Tutto il resto sono chiacchiere. È solo il testo che contiene la vena d’oro, ed è questa che dobbiamo saper tirar fuori, da una lettura possibilmente în contropelo. Il guaio, nel nostro caso, è che Goldoni ha scritto più di un

centinaio di commedie (tralasciando quindi le tragicommedie, i melodrammi giocosi, i drammi per musica e quant'altro), anche se quelle che fanno parte del bagaglio culturale delle persone di media cultura, quelle che circolano nei cartelloni delle stagioni teatrali, sono poco più di una ventina. Che pure sono già troppe. Per essere competitivi, in questo mondo troppo veloce, ossessionato dal comando televisivo e dal mouse, dobbiamo

rassegnarci a far leggere poco, riuscendo a offrire però egual mente un’idea di insieme, un quadro organico, e non solo dei

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frammenti senza senso compiuto. Un libro di critica è sempre e solo un libro di accompagnamento ai libri dell'autore. Se comprate un libro su Goldoni, ma non leggete almeno qualche commedia di Goldoni, avete buttato via i vostri soldi.

E non mi pos-

so certo illudere che i lettori di questo volumetto goldoniano (almeno quelli giovani) abbiano voglia di leggere più dei nove testi esaminati. Ecco, la seconda scommessa è proprio questa: che nove testi (nove testi significativi, di cui sei peraltro riconosciutitunanimemente come capolavori) possano essere suffi-

cienti a delineare un percorso, la storia di un viaggio, che è poi quello che porta Goldoni dalla commedia dell’arte sino alle soglie del dramma Lor eetalla rottura della forma-commedia ereditata dalla tradizione del teatro italiano del Cinquecento. Non ho difficoltà ad ammettere che uno dei miei nove testi,

La donna di maneggio, potrà sembrare una scelta molto discutibile, quasi arbitraria, gratuita. In effetti non rientra nel novero delle commedie canoniche, di quelle rappresentate dai teatri. Ma il sogno di chi scava nei testi è sempre quello di riuscire a riportare alla luce un reperto dimenticato, una scultura che non si conosceva, un capolavoro perduto e ritrovato. Scommessa dentro la scommessa, insomma.

Restano poche considerazioni residue-(e un ultimo paradosso), a sigillo di questo breve indugio prefativo. Un libro su Goldoni, che non parla esplicitamente dei registi importanti che lo hanno messo in scena in Italia nel secondo Novecento, e che pure li presuppone continuamente. Devo confessare che nutro da tempo (se non proprio da sempre) l'orgoglio di appartenere a una corporazione di studiosi, quella degli storici del teatro, che, sebbene annoveri anch'essa, come tante altre congreghe accademiche, i suoi perfetti imbecilli e i suoi utili idioti, ha saputo nel

complesso produrre, in questi quarant'anni, una ricca serie di libri acuti e talvolta persino geniali, di cui si sono spesso appropriati gli uomini di teatro. Molti spettacoli della scena italiana non sarebbero sicuramente mai nati senza il lavoro preventivo e sotterraneo (e naturalmente scarsamente retribuito dagli operatori teatrali...) dei docenti di Storia del teatro. Per quanto riguarda però Goldoni, necessita riconoscere che questa volta il doppio registro del dare e dell’avere è quasi completamente a fa-

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vore degli artisti. Qui non sono gli universitari ad avere insegnato qualcosa a registi e attori. Sì, è certamente vero che generazioni di registi (da Strehler a Squarzina a De Bosio, da Missiroli a Ronconi, da Cobelli a Castri) hanno attinto al fondamentale sag-

gio di Mario Baratto, «Mondo» e «teatro» nella poetica del Goldoni, ma quel saggio, del 1957, si è alimentato, a sua volta, alle fondamentali intuizioni della Locandiera allestita da Luchino Visconti nel 1952. La regia, quando è grande regia, svolge sempre una funzione critica decisiva. Uno spettacolo importante vale quanto un libro importante di saggistica. Zone intere dell’opera goldoniana, fraintese o scarsamente esplorate, sono state messe a frutto dagli studiosi solo grazie al fatto che ci sono state preliminarmente le messinscene dei registi che ho sopra ricordato. Il titolo stesso di questo libro è debitore a Massimo Castri, perché l’idea di un Goldoni che arriva a presagire la struttura ottocentesca del dramma borghese discende direttamente dalla sua capitale messinscena della Trilogia della Villeggiatura del ’95-96.) Per finire, una glossa sulle edizioni da cui citare i testi goldoniani. Solitamente si fa riferimento ai quattordici volumi di Tutte le opere di Carlo Goldoni, a cura di Giuseppe Ortolani (Mondadori, Milano 1935-1956, e successive ristampe), ma si tratta di un’edi-

zione filologicamente incerta. Una nuova Edizione nazionale delle opere è stata avviata, presso l’editore Marsilio di Venezia, nel 1993, in occasione del bicentenario della morte di Goldoni, ma sono uscite finora solo una trentina di commedie (e una sola di

quelle che ci interessano). Anche in questo caso, peraltro, i criteri filologici hanno sollevato una vivace discussione. Se infatti, in li-

nea di massima, è normale il principio di pubblicare l’ultima edizione approvata dall’autore, nel campo dei testi teatrali può essere paradossalmente più interessante il principio opposto della prima edizione d’autore, quella cioè più vicina al copione di scena, che ci te-

stimonia una maggiore attenzione alla dimensione dello spettacolo (i recitativi d’attore, il ritmo teatrale, i trucchi del palcosceni-

! Per uno sguardo d’insieme sulle regie goldoniane della scena italiana contemporanea si veda l’ottimo volume di Paolo Bosisio, Il teatro di Goldoni sulle scene italiane del Novecento, Electa, Milano 1993.

di

co per strappare gli applausi ecc.). Tanto più nel caso di Goldoni che, stampando e ristampando le sue commedie (dall’edizione Bettinelli, 1750-1755, a quella Paperini, 1753-1757, alla Pasquali,

1761-1778), assume sempre di più un contegno da letterato e procede eliminando gag e lazzi troppo legati alla vecchia commedia dell’arte, anche per compiacere i circoli accademici e le compagnie dilettanti di aristocratici fiorentini, emiliani e milanesi cui

Goldoni va sempre più stringendosi. Spunti considerati troppo vivaci, troppo realistici (o francamente osceni) sono smorzati, rimossi, cancellati. Se nella prima edizione Bettinelli della Pamela

un gentiluomo chiama la serva «sporchetta», cioè «sgualdrinella», nella successiva edizione Paperini abbiamo un più morbido «fraschetta», che vale «giovane frivola, superficiale, di poco senno». Per tutti questi motivi cito, quando posso, dalla antologia di Marzia Pieri, dal momento che la Pieri, da buona storica del tea-

tro, è più sensibile a questo ordine di considerazioni.? Per i testi non editi dalla Pieri ricorro, faute de mieux, all'edizione Pasquali.

Questo libro è un primo frutto di due anni di insegnamento all’Università di Paris I. All’Istituto di Italiano di Paris HI,

che mi ha ospitato, si lavora ottimamente: è un posto pulito, simpatico, illuminato bene. Vicino c’è un ristorante, L'équitable, un po’ caro, ma dove si mangia squisitamente, e hanno un vino prezioso, Pouilly fumé. Dunque un ringraziamento particolarmente caloroso a tutte le colleghe e amiche che mi hanno invitato: da Dominique Budor (mia santa protettrice francese da molti anni)

a Mathée Giacomo,

da Danielle Boillet a My-

riam Tanant a Véronique Abbruzzetti. Un grazie riconoscente - per i suoi consigli e i suoi suggerimenti - anche a Marzia Pieri, cui ho chiesto di leggere il mio dattiloscritto, da specialista goldoniana di valore quale è.

Parigi, 10 gennaio 2004

R.A.

? M. Pieri (a cura di), /! teatro italiano. Carlo Goldoni, 3 voll., Einaudi, Torino 1991. 3 Delle commedie di Carlo Goldoni avvocato veneto, 17 voll., Giambatista Pa-

squali, Venezia 1761-1768.

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1. AL SERVIZIO DELLA COMMEDIA

DELL'ARTE:

IL SERVITORE DI DUE PADRONI

Tutti i manuali scolastici ripetono che Goldoni ha determinato la fine della secolare (e ormai sclerotizzata e deca-

duta) commedia dell’arte, imponendo la benedetta riforma del teatro, ma tutti i manuali si preoccupano anche di precisare che la riforma è un processo

lento, graduale, perché

Goldoni lavora inizialmente nel campo del nemico, opera dal di dentro, come poeta di compagnia, cioè come intellettuale utilizzato dagli attori per aggiustare,(rabberciare o rifare gli scenari di cui continuano a servirsi le troupes teatrali, le quali seguitano, appunto, secondo la tradizione della commedia dell’arte. Al] massimo,

Goldoni riesce a far accettare

dai suoi committenti dei prodotti misti, con parti completamente scritte, e altre parti redatte solo sotto forma di scena-

ri (o canovacci che dir si voglia), cioè di semplici scalette delle azioni, destinate a essere dialogate direttamente dagli attori, secondo

la consolidata

tecnica

dell’improvvisazione.

Purtroppo non ci è rimasto nessun documento di questa fase iniziale dell’operosità goldoniana, diciamo del decennio che inizia nel 1738, con il Momolo cortesan. Naturalmente, a cose fatte, dall’alto di una riforma che - bene o male - è sta-

ta varata, Goldoni si preoccupa di pubblicare le sue commedie, e stampa anche i primi testi, ma li stampa in linea con la riforma, cioè riempiendo i buchi dei suoi copioni pri-

mitivi, completando le parti non scritte, e comunque censurando, modificando, spargendo una patina letteraria sull’originaria polvere del palcoscenico. La commedia dell’arte è un teatro commerciale, con tutte le volgarità, i doppi sensi osceni, le vere e proprie «scurrilità» che ricorda lo stesso Goldoni. Come ha commentato sapidamente un brillante

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studioso goldoniano, Bartolo Anglani (citando dalla prefazione di Goldoni alla Bancarotta, uno dei primi testi): «Che peccato, allora, che riscrivendo queste commedie l’autore le abbia spogliate “di tutto quello che nei tempi oscuri passati era ancor tollerato, e oggi, per la Dio grazia, fu dalle scene sbafidito”! [...] Se ne hanno tante, di opere guidate dai princìpi della Riforma, che una di meno non sarebbe una gran perdita: mentre, figurarsi, un Goldoni autentico prima

della Riforma, un Goldoni nature! Chi non darebbe una Pamela maritata per un Momolo cortesan d’annata?».! È dunque soltanto un’idea vaga, imprecisa, non suffragatà) da dati certi, quella che possiamo farci di questo primo Goldoni. E forse vale la pena esemplificare non tanto scegliendo all’interno della cosiddetta trilogia dell’esordio (cioè i primi tre testi che abbiamo, il Momoloxcortesan, il Momolo sulla Brenta e

Il mercante fallito, scritti fra il 1738 e il 1741, stampati poi con titoli diversi, rispettivamente L'uomo di mondo, Il prodigo, La bancarotta), bensì puntando sul Servitore dî due padroni, testo un po’ più tardo, del 1745, ma che ha il vantaggio di offrirci un prezioso documento di confronto. Goldoni è a Pisa, e fa

l'avvocato. I casi della vita lo hanno un po’ allontanato dal teatro (ma vi tornerà presto, ovviamente). In questa congiuntura lo raggiunge la richiesta di un famoso attore dell’arte del tempo, Antonio Sacchi, specializzatosi nel personaggio di Truffaldino (una variante della maschera di Arlecchino) che

chiede a Goldoni di predisporgliun nuovoccanovaccio sul te-

! B. Anglani, Dal «Momolo cortesan» all’«Uomo di mondo», «Il castello di El sinore», 23(1995), p. 6. In realtà una scheggia (per quanto minuta, quasi

minima) dei perduti canovacci goldoniani è stata ritrovata, grazie all’implacabile e ferratissima Anna Scannapieco: riguarda la «tragicommedia» Osmano re di Tunisi, del 1740, sebbene non si tratti propriamente dello scenario, bensì solo di quello che potremmo chiamare il programma di sa-

la dello spettacolo, quattro pagine a stampa che offrono, oltre al titolo dell’opera, l’«argomento» della stessa, l’elenco dei personaggi, con rela-

tivi interpreti, e un avviso de «Li Comici a chi leggerà». Si veda il denso saggio di Anna Scannapieco, Alla ricerca di un Goldoni perduto: «Osmano re di Tunisi», Longo, Ravenna 1994 («Quaderni veneti», diretti da Giorgio

Padoan, 20), pp. 9-56.

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ma di un vecchio scenario di origine francese, composto da

Jean Pierre des Ours de Mandajors, che faceva parte del repertorio dei comici italiani operanti in Francia. Nel suo numero dell’agosto 1718 il giornale parigino «Le Nouveau Mercure» informa che «Les Comédiens Italiens» hanno messo in scena, alla data del 31 luglio passato, «une pièce nouvelle, en trois actes, qui a pour titre Arlequin valet de deux maîtres», di cui offre un ampio riassunto. Il comico italiano che lo recita è Luigi Riccoboni che più tardi, nel 17729, nel primo fomò della seconda edizione del suo Nouveau

Thédtre Italien, ne forni-

sce un nuovo riassunto, con qualche variante rispetto a quello del «Nouveau Mercure». Cominciamo dalla redazione del canovaccio francese, per comprendere meglio come opera Goldoni. È preferibile utilizzare la versione originaria del «Nouveau Mercure», che - a

differenza del riassunto di Riccoboni - presenta la