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Italian Pages 712 [693] [693] Year 2017
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La teologia degli ultimi decenni ha ripetutamente evidenzia to l'eccellenza dei tratti squisitamente umani di Gesù di Na zaret, ma per affermare la vera e straordinaria umanità di Ge sù è necessario scendere più in profondità fino a cogliere la sua misteriosa identità di Figlio di Dio. Gesù è «vero uomo» perché non solo «perfettamente uomo», ma anche perché «Uomo per fetto», come ha insegnato il concilio Vaticano Il, sulla scia del la dottrina dei Padri della Chiesa. La confessione di fede e il riconoscimento di Gesù Cristo, Figlio di Dio, rappresenta il tornante decisivo e la questione capitale del cristianesimo: l'identità messianica di Gesù va infatti oltre l'umano perché ci troviamo davanti a Dio stesso.
Nicola Ciola, professore ordinario di Cristologia e decano della Facoltà di Teologia della Pontificia Università Lateranense, è membro della Pontificia Accademia di Teologia e socio dell'Accademia Fulgina di Lettere Scienze e Arti. Con EDB ha pubblicato Gesù nostra speranza. Saggio di escatologia in
42008) e Teologia trinitaria. Sto (22000). Con Antonio Sabetta e Pierluigi Sguazzardo
prospettiva trinitaria (con Marcello Bordoni, ria, metodo, prospettive
è curatore del saggio di Cristologia sistematica in quattro volumi scritto da Marcello Bordoni con il titolo Gesù di Nazaret Signore e Cristo.
ISBN 978-88-10-41229-9
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1 1111111 1111 1 1 1 1 1 1 1 788810 412299
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€ 60,00 (IVA compresa)
NICOLA C/OLA
GESÙ CRISTO FIGLIO DI DIO Vicenda storica e sviluppi della tradizione ecclesiale
Nuova edizione
EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA
Realizzazione editoriale: Prohemio editoriale srl, Firenze
©
2017
Centro editoriale dehoniano Via Scipione Dal Ferro, 4 - 40138 Bologna www .dehoniane.it
EDB® ISBN
978-88-10-41229-9
Stampa: Tipografia Giammarioli, Frascati (RM) 2017
Ai miei genitori Lucia e Donato che, come vegliardi, accompagnano con umiltà, preghiera e nascondimento, gioie, speranze e fatiche di una ricerca infinita
ABBREVIAZIONI E SIGLE
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Acta Apostolicae Sedis, Città del Vaticano 1909ss.
CoNCILIO VATICANO Il, decreto sull'attività missionaria della Chiesa Ad gentes, 7 dicembre 1965 (EV 111087-1242). La Civiltà Cattolica, 1850ss. Catechismo della Chiesa cattolica, Città del Vaticano 1992. Corpus christianorum. Series latina, Turnhout 1953ss. Conciliorum Oecumenicorum Decreta, a cura dell'Istituto per le
scienze religiose, ediz. bilingue, Bologna 1991. Corona Patrum, collezione di testi patristici greci, latini e orientali, SEI, Torino 1975ss. Corpus scriptorum ecclesiasticorum latinorum, Wien 1965ss. Commissione teologica internazionale. H. DENZINGER, Enchiridion symbolorum et declarationum de rebus fidei et morum, edizione bilingue a cura di P. HONERMANN, EDB, Bo� logna 1995. CoNCILIO VATICANO II, costituzione dogmatica sulla divina rivela zione Dei Verbum, 18 novembre 1965 (EV 11872-911). Enchiridion Vaticanum, EDB, Bologna 1977ss. CoNCILIO VATICANO Il, costituzione pastorale sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 7 dicembre 1965 (EV 111319-1644). CoNCILIO VATICANO Il, costituzione dogmatica sulla Chiesa Lumen gentium, 21 novembre 1964 (EV 11284-456). J.D. MANSI, Sacrorum Conciliorum nova et amplissima collectio (ri stampa anastatica, Graz 1960-1962). CoNCILIO VATICANO Il, dichiarazione sulle relazioni della Chiesa con le religioni non cristiane Nostra aetate, 28 ottobre 1965 (EV 11853871). CoNCILIO VATICANO II, decreto sulla formazione sacerdotale Opta tam totius, 28 ottobre 1965 (EV 11771-818).
Path
Pontificia Accademia di Teologia.
PCB
Pontificia commissione biblica. Patrologiae cursus completus, accurante J.-P. MIGNE, Series Graeca, Paris 1857ss. Patrologiae cursus completus, accurante J.-P. MIGNE, Series Latina, Paris 1841ss.
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Patristische Texte und Studien, de Gruyter, Berlin 1963ss. GIOVANNI PAOLO II, lettera enciclica Redemptoris missio circa la per
manente validità del mandato missionario, 7 dicembre 1990 (EV 12/547-732). Sources chrétiennes, Cerf, Paris 1941ss. ToMMASO o' AQUINO, Summa theologiae. Martin Luthers Werke, Kritische Gesamtausgabe, Weimar 1883ss.
PREFAZIONE
L'intento di questo libro sta già tutto nel titolo dal forte impatto evocativo, che prende spunto da alcune espressioni contenute nella Prima lettera di Giovanni, /ad dove, nel contesto del tema delle fonti della carità e della fede, si afferma: «Chiun que crede che Gesù è il Cristo, è stato generato da Dio» (5, 1) e «chiunque confessa che Gesù è il Figlio di Dio, Dio rimane in lui ed egli in Dio» (4, 15). «Credere» e «riconoscere» che Gesù di Nazaret è il Cristo, Figlio di Dio, vuoi dire scorgere in quell'uomo l'evento unico e irripetibile della presenza di Dio tra gli uomini. Tutto il cristianesimo è racchiuso in quei due versetti. In Gesù di Nazaret, avvenimento ap partenuto alla storia, si concentra la questione di Dio e, nello stesso tempo, la que stione e il destino degli esseri umani. Il presente saggio ha l'ardire di porgere un umile contributo per condurre a «ri conoscere» Gesù, il Cristo, come Figlio di Dio. Esso è stato pensato come rispo sta a un'urgenza particolarmente avvertita nell'odierno dibattito teologico, dove giustamente si parla di «riapertura della questione cristologica» o anche di «pro blema radicale della cristologia», temi tutti che troveranno ampio spazio in questa trattazione. Nella teologia degli ultimi decenni si è evidenziata molto, della figura di Gesù di Nazaret, l'eccellenza dei suoi tratti squisitamente umani, ma non è sufficiente af fermare la vera e straordinaria umanità di Gesù, se non si scende più in profondità fino a scoprire la sua misteriosa identità di Figlio di Dio. Gesù è «vero uomo», per ché non solo «perfettamente uomo», ma anche perché «l'uomo perfetto», come ci ha insegnato il concilio Vaticano II, sulla scia della migliore dottrina dei padri della Chiesa. A lui guardiamo per crescere anche noi in umanità. L'attingimento della peculiare umanità di Gesù è reso possibile dal fatto che il Maestro di Nazaret sconvolge le nostre aspettative e tutti i parametri di riconosci mento dell'«umanità» degli esseri umani. Egli non è uomo sul metro della nostra umanità, è solo dalla sua persona e dalla sua prassi di vita che è possibile compren derne la stupefacente portata. Quell'essere veramente uomo che è Gesù di Nazaret è fatto di profondi sentimenti, di amicizia delicata, di totale donazione fino al su premo sacrificio della vita, di santità somma: ma ciò che più importa è che questa umanità totale è stata assunta dal Verbo fatto carne, è l'umanità del Figlio di Dio. Così «umano» poteva esserlo soltanto il Figlio di Dio! La finalità sottintesa alla presente ricerca, dunque, è mostrare come, parados salmente, nel «riconoscere» Gesù come «Figlio di Dio», si può comprendere tutto il suo itinerario, a partire dalla sua storia terrena. Essa conduce gradualmente a ve-
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der/o come il centurione sotto la croce, il quale - per lo meno come avviene nella ricostruzione redazionale dell'evangelista Marco - «avendolo visto spirare in quel modo», lo scoprì per quel che egli realmente era, cioè Figlio di Dio! (Mc 15, 39). La grande Chiesa, definendo la fede in Gesù Cristo, non ha voluto mettere in concorrenza «umanità» e «divinità», quasi due dati simmetrici, bensì ha inteso di chiarare l'unità di un mistero difficile a tradursi in categorie, ma tanto vero e indi spensabile. In quell'uomo c'è davvero Dio, anzi Gesù il Cristo è l'uomo-Dio, per ché il Figlio di Dio. La confessione di fede e il riconoscimento di Gesù Cristo, Figlio di Dio, rappre sentano anche per noi oggi il tornante decisivo per cui sta o cade il cristianesimo. Tutti i problemi riguardanti l'identità del nostro essere credenti e la rilevanza della nostra fede di fronte alle religioni mondiali e alla cultura contemporanea, si gio cano interamente sulla questione capitale: l'identità messianica di Gesù va oltre l 'u mano, ci troviamo davanti a Dio stesso. «Mio Signore e mio Dio» (Gv 20,28), come esclamò l 'apostolo Tommaso. In questo senso, a fronte di una «presenza» di Gesù nel nostro contesto contemporaneo che va salutata con favore, si registra un vistoso deficit di fede in lui come il Figlio di Dio venuto nel mondo. Occorre colmare que sto vuoto oltre che con l 'esperienza di fede, forte della testimonianza martiriale, con un impulso più deciso dove è chiamato in causa senz'altro un impegno di «nuova evangelizzazione», ma non meno importante è operare con gli strumenti che gli studi biblici e la scienza teologica hanno oggi a disposizione per mettersi al servizio della fede credente. Nel presente saggio, una tale preoccupazione risulterà evidente continuamente. Occuparsi del perché nell'uomo Gesù di Nazaret c'è il Figlio di Dio vuoi dire ri scoprire, accanto a ciò che ha in comune con noi, la sua peculiare identità di uomo «vero», proprio perché «l'uomo nuovo» che è il Figlio di Dio venuto per la salvezza de/ mondo. Tutto questo sforzo comporta certamente l 'esercizio dell'intelligenza illuminata dalla fede, ma trova la sua ragione intrinseca nel fatto che il «riconoscimento» di Gesù, Figlio di Dio, è fondamento della nostra vera vita, la «vita eterna». L 'evan gelista Giovanni, al termine del suo Vangelo, ha dichiarato che lo scopo del suo racconto è stato quello di narrare alcuni segni, tra i molti che Gesù compì, «perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). Dunque il «riconoscimento» di Gesù Cristo, Figlio di Dio, non è certo qualcosa di astratto, dal momento che conferisce a noi il dono della vita eterna! Il senso più profondo della nostra vita (la «vita eterna») è dunque legato al fatto che quell 'uomo è il Figlio di Dio. E anche questo, nel presente saggio, sarà ri tornello comune: il senso assoluto della nostra esistenza (la nostra «salvezza»!) è possibile perché solo nel mistero dell'incarnato trova significato il nostro esistere, dal momento che- come ci ha insegnato la Gaudium et spes del Vaticano II- «Cri sto rivelando il mistero del Padre e del suo amore svela anche pienamente l'uomo all'uomo» (n. 22). La vera essenza del nostro essere persone, libere e responsabili, è dunque ne/ fatto che «il Verbo di Dio, carne è diventato» (Gv 1, 14). Ne/ licenziare alle stampe il presente volume desidero ringraziare quanti con me hanno collaborato. La mia più sincera gratitudine va a Ernesto Guglieri per il pre-
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zioso aiuto al computer lungo la stesura di questo lavoro, alla dottoressa Daniela Torella per aver rivisto l'intera opera prima della stampa, all'amico fraterno dottor Stefano Segreto al quale mi lega da sempre lo stesso interesse scientifico e pasto rale per gli studi sulla passione di Gesù. Gli sono particolarmente grato per il suo fattivo contributo e consiglio nell 'organizzazione anche didattica della materia in questione. Questo libro è nato dalla scuola e guarda all'ambiente accademico come sua prima destinazione; ma chi scrive è convinto che soprattutto alcune sezioni possano essere fruibili in molteplici ambienti ecclesiali dove ci si sforza di vivere e approfon dire la fede e nutre la speranza che, anche più in generale, sia gradito a un pubblico che non rinunci a porsi domande di senso in un'epoca, come la nostra, dove non è particolarmente agevole suscitare quell'anelito che, peraltro, rimane sempre insito in un cuore umano che sia libero da pregiudizi di sorta. NICOLA CIOLA Pontificia Università Lateranense Roma, 15 giugno 2012 Solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù
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PREFAZIONE ALLA SECONDA EDIZIONE
La buona accoglienza che il presente volume ha avuto mi spinge, dopo cin que anni, a ripubblicarlo sostanzialmente immutato nell 'impianto metodologico, ma aggiornato riguardo all 'apparato critico e bibliografico relativamente alle que stioni che si sono ultimamente evolute. Nonostante i rapidi mutamenti di indirizzo anche all 'interno della missione della Chiesa nel mondo, i grandi temi quali storia e storicità, unicità salvifica di Cristo, la quaestio de veritate, la risoluzione agapica della soteriologia, per evocare solo quelli più importanti, continueranno ancora per molto tempo a restare al centro degli interessi della cristologia. Mi auguro che la lettura di queste pagine possa costituire un umile contributo alla riflessione su questi punti capitali della nostra fede nel mistero dell'Incarnato, Crocifisso e Risorto propter nos hominem et propter nostram salutem. NICOLA CIOLA Pontificia Università Lateranense, 16 aprile 2017 Pasqua di Risurrezione
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INTRODUZIONE
Il presente testo affronta il primo di due momenti del progetto di una tratta zione di cristologia sistematica di ampio respiro.1 In questo primo percorso ven gono trattati i seguenti grandi temi: il profilo epistemologico della cristologia, la vicenda di Gesù di Nazaret nel suo intreccio tra fede e storia, nonché gli sviluppi della cristologia ecclesiale. Tutta la materia si viene a dispiegare perciò in tre parti strettamente connesse. a) Nella prima parte si tratta rispettivamente: - del contesto nel quale si viene a collocare lo studio della figura di Gesù di Nazaret. Si vuole indagare, cioè, sull' auditu s temporis oggi particolarmente sensibile e reattivo di fronte alla figura di Gesù, proclamato Signore e Cri sto dalla fede della Chiesa. Si passano perciò in rassegna varie figure come il Gesù dei letterati, il Cristo dei filosofi, il Gesù percepito dalle grandi religioni istituzionali, quelle profetiche ( ebraismo anzitutto e islam) per poi passare a quelle teo-antropo-cosmiche (soprattutto asiatiche ) , senza dimenticare l'in teresse per Gesù delle nuove forme di religiosità mondiale che attingono a varie espressioni di più religioni mescolate insieme, ma senza un'identità precisa; -del percorso metodologico dell'attuale cristologia sistematica. Qui vengono affrontati alcuni nodi fondamentali che da qualche decennio interessano l'approccio sistematico a una trattazione ormai interamente rinnovata, dopo l'impulso del Vaticano II e in particolar modo di Optatam totius, n. 16.2 Il pro filo epistemologico della cristologia si delinea con la convergenza di alcune acquisizioni che ne vengono a costituire scientificamente l'oggetto. Si parte anzitutto dalla questione dell'attingibilità dell'evento Gesù di Nazaret e per ciò viene subito indagato il rapporto fede-storia, nella convinzione che, se è vero che il Gesù della storia è l'evento fondatore della fede in lui come Cristo e Signore, nello stesso tempo non è meno vero che quel medesimo avveni-
1 Il secondo momento del progetto sarà dedicato alla ripresa sistematica dei temi della soteriolo gia, dell'incarnazione e dell'antologia del Cristo. 2 Circa l'impulso proveniente dal decreto Optatam totius, n. 16 del concilio Vaticano II, cf. N. CIOLA, «La lectio delle ricerche cristologiche post-conciliari di fronte a Optatam totius 16», in Path 12(2012), 165-194, ora in Io., Concilio Vaticano II e rinnovamento teologico, LUP, Roma 2013, 1746. 15
mento è filtrato e interpretato dalla fede della Chiesa. E questo non ne dimi nuisce affatto la portata storica, anzi la illustra e rafforza nella sua significa tività. Evidentemente l'equilibrio storia-fede è stato alquanto problematico da almeno tre secoli (XVIII-XX) e ancora oggi stenta a trovare un equilibrio accettabile nella prima fase del terzo millennio. È così che in questo nostro testo si dà ampio spazio alla ricostruzione di un dibattito appassionante e dif ficile per tanti versi, ma che è approdato a una rivalutazione della storia di Gesù, questa volta per via critica; è questo l'indiscutibile vantaggio ! I chiari menti sul significato di che cosa è «storia», che non può mai essere dissociata dallo «storico» (H. Marrou ) , in questo senso hanno contribuito allo scopo, fino alla discussione intorno all'attuale «terza ricerca» sul Gesù storico (se ne dà conto segnalandone pregi e difetti) , la quale vuole restituire Gesù alla sua ebraicità. A questo punto il discorso metodologico in cristologia si apre su varie pro spettive che verranno poi approfondite in altrettante tematiche. Infatti in quella vicenda particolare, accaduta in un segmento di storia duemila anni fa, in una re gione sperduta dell'impero romano, la Palestina, si nasconde una storia significa tiva che ha la pretesa di essere la storia stessa di un Dio unico e assoluto che si ma nifesta in una vicenda dalla portata universale e salvifica per tutti e per sempre. Si dovranno perciò evolvere alcune dimensioni, quasi come conseguenza necessaria: - la storia di Gesù di Nazaret ci pone di fronte a una nuova immagine di Dio, rispetto al Dio di Israele ( senza il quale sarebbe impensabile collocare la sua vicenda) , ma anche rispetto a qualsiasi immagine di Dio. Qui infatti si tratta di una rivelazione escatologica verso un compimento definitivo, ma dove già ora si è realizzata la salvezza; - . . . e proprio questo carattere «escatologico» apre a una prospettiva univer sale: si tratta di un evento soteriologico per tutti e per sempre perché la Pa squa di Gesù, da una parte rimanda a un proton, cioè a una preesistenza ( solo chi era figlio eterno da sempre, poteva arrivare alla gloria presso il Padre ) , dall'altra parte la Pasqua fa di Gesù un evento universale per la presenza dello Spirito Santo. La pneumatologia dà alla cristologia una reale prospet tiva universale: lo Spirito è colui che dilata l'annuncio salvifico e nello stesso tempo interiorizza la presenza del Risorto nei cuori di chi aderisce nella fede alla sua parola; - la ricaduta sul versante antropologico di quanto si è fino a ora acquisito, non tarda a farsi strada. Ne scaturisce una relazione diversa nel rapporto Dio uomo che d'ora in avanti passa sempre attraverso Cristo. L'antropologia assume perciò una sua consistenza reale e profonda, poiché il rapporto è provveduto veramente e senza sbilanciamenti. Si evita sia il rischio di cri stomonismo dove l'umano non ha effettiva consistenza, sia quello opposto di una deriva nell'immanenza chiusa a ogni prospettiva trascendente, che fa di Gesù una cifra interpretativa dell'antropologico, così come è successo in tante declinazioni delle teologie nell'epoca della secolarizzazione. Al di là della plausibilità dei modelli di correlazione, resta il fatto che l'incarnazione
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del Logos è il fondamento di ogni autentica «umanizzazione», «salvezza» e «liberazione» degli esseri umani; -infine l'evento escatologico-universale di Gesù Cristo esige oggi per la teo logia un serio confronto con le religioni universali. Il dialogo interreligioso, condotto con franchezza e senza pregiudizi, è diventato essenziale per una comprensione più puntuale del punto di vista degli altri, ma anche per una migliore qualificazione dell'identità cristiana. Si tratterà, allora, di giustifi care l'unica mediazione cosmica e universale di Cristo, cioè di come egli sia il mediatore salvifico costitutivo, oltre che unico e normativa, nel contesto del l'odierno dibattito interreligioso, che tanto ha occupato la vita della Chiesa e il dibattito teologico tra XX e XXI secolo. Tutto l'itinerario fin qui esposto comprende quell'arco di problematiche trat tate in prospettiva «fondamentale», con l'avvertenza, però, del nesso imprescindi bile con l'intera cristologia sistematica, la quale poi invera sul campo quei suespo sti criteri metodologici nella ricostruzione effettiva della storia del tutto partico lare di Gesù di Nazaret, fino alla vicenda della croce e della risurrezione conside rata, quest'ultima, come evento storico e metastorico insieme.
b ) Questo compito viene assolto precipuamente nella seconda parte del nostro lavoro,3 nella quale si snodano diversi capitoli, in cui si dispiega la ricostruzione della vicenda di Gesù di Nazaret. L'attento lettore si accorgerà subito, da quanto contenuto in questo nostro esposto, quali sono i criteri e come vengono delineate le coordinate entro le quali ci si muove per ripercorrere la storia di Gesù di Naza ret, per la quale sta o cade tutta la proposta cristiana. Se si vuole qualificare, con un'espressione sintetica, lo stile e l'obiettivo, si può dire che tutto ruota attorno alla convinzione che di Gesù, professato dalla fede come il Cristo e il Signore, il Figlio di Dio, se ne può parlare tra fede e storia. Emergerà con forza, in ogni pagina della presente indagine, quanto sia impre scindibile un fondato discorso storico per parlare di Gesù di N azaret, ma nello stesso tempo si chiarirà che questo medesimo discorso non può prescindere dalla fede in lui. Quest'ultima non rappresenta un sovrappiù rispetto alla storia di Gesù, ma è innegabile aggancio per la comprensione della sua stessa vicenda, dal mo mento che quella storia narrata si trova dentro un contesto di fede, che non può essere vivisezionato rispetto a quella. D'altro canto, da una parte la fede non mag giora il dato, ma lo orienta, e dall'altra parte la storia, a sua volta, non condiziona la fede in lui, caso mai la fa meglio comprendere, cosicché essa possa poggiare su di un dato ben solido e non su un mito.
3 A tal proposito, e con la preoccupazione di fare interagire la dimensione «fondamentale» in cristologia sistematica, restano insuperati ed emblematici i primi due volumi della monumentale opera cristologica di M. BoRDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristologia, 1: Proble mi di metodo; 2: Gesù alle origini della cristologia, Herder-PUL, Roma 1982-1986; cf. su questa linea e con diverse accentuazioni metodologiche B. SESBOUÉ, Cristologia fondamentale, Piemme, Casale Monferrato 1997. 17
Tutto questo poi risalterà dal capitolo XIV di questa seconda parte ( «Il Croci fisso-Risorto annunziato dalla Chiesa» ) , dove lo studio dei modi con cui Gesù di Nazaret veniva annunciato (Signore e Cristo, immagine del Padre, Figlio di Dio, Logos incarnato . . . ) non fece altro che tradurre ciò che egli in realtà era stato da sempre. E tutto questo per mostrare ancora come il binomio «storia e fede» sia imprescindibile per investigare su ciò che costituisce il patrimonio genetico del cristianesimo. c) La terza parte di questo lavoro tratta di Gesù Cristo negli sviluppi della tradi zione ecclesiale e intende mettere in atto, creativamente, i criteri metodologici che si ispirano a Optatam totius 16c del concilio Vaticano Il. Il termine sviluppi desi gna qual è lo stile e l'approccio che, in modo pertinente, viene perseguito. Infatti non si tratta di offrire un materiale grezzo da utilizzare poi, magari in sede specu lativa ( si ricadrebbe così nei difetti metodologici del passato ) , bensì di elaborare un vero e proprio criterio ermeneutico di rilettura, dove, accanto alla ricezione del cammino già percorso, si ponga attenzione a una vera e propria ri-recezione, che vuol dire la valorizzazione della lezione di quella storia (in specie della tradizione dogmatica in ciò che essa ha di permanente, ma non solo ) , perché possa rispon dere significativamente alle domande del presente. L'attento lettore non farà fatica ad accorgersi che il criterio prescelto in questo lavoro non è quello di ricostruire esaustivamente la cristologia dei singoli padri della Chiesa o degli autori ecclesiastici, e neppure in modo completo la cristolo gia di tutti i periodi storici fino all'epoca contemporanea; ciò non sarebbe oggi più possibile neppure a livello monografico, data l'esigenza di molteplici compe tenze settoriali. Trattandosi per noi di un lavoro di teologia sistematica e perciò di una «scienza sintetica e integrale della fede» ( C. Vagaggini ) , si è voluto porre attenzione al rapporto che si viene a stabilire, all'interno di un'unica scienza con il suo proprio metodo e unico oggetto, tra esposizione sintetica generale di tutto il sapere di quella scienza e l'investigazione monografica di un aspetto particolare della medesima scienza.4 In altre parole, si vogliono far emergere alcuni passaggi chiave, di modo che l'elaborazione scientifica della grande tradizione ecclesiale, mediante il corretto impiego delle scienze storico-critiche, persegua un procedi mento scientifico «totale>> nella prospettiva di un'unica scienza. In questo modo la rilettura della tradizione ecclesiale propria della cristologia sistematica non risul-
4 Rimane sempre valido, a mio parere, quanto con lucidità aveva già intuito riguardo agli svilup pi del dettato conciliare C. VAGAGGINI, «La teologia dogmatica nell'art. 16 del Decreto sulla forma zione sacerdotale», in Seminarium n.s. 6(1966), 819-841. In particolare vale la pena qui riportare la descrizione che egli fa della teologia dogmatica: «[Il concilio] concepisce la teologia dogmatica di cui parla non solo come teologia sintetica generale, ma, inoltre, come scienza integrale della fede. Una scienza cioè nella quale l'elaborazione del dato rivelato nel suo aspetto più direttamente concreto, storico, sperimentale, personale, mediante il retto uso delle scienze storico-critiche e sperimentali (psicologia in primo luogo) e l'elaborazione del suo oggetto più direttamente astratto, universale, oggettivo e necessario mediante l'uso oculato di una retta metafisica, sono due aspetti integranti di un unico procedimento scientifico totale in vista di un'unica scienza» (ivi, 830), ma è tutto il saggio che va attentamente ponderato. 18
terà un coacervo di scienze tra loro diverse metodologicamente. Contrariamente a quanto avviene per le scienze profane, i diversi metodi scientifici applicati in teo logia «vengono unificati in una scienza formalmente unica, con metodo formale unico, dalla luce della fede dirigente positivamente la ragione. L'unità di scienza dipende dall'unità della luce formale sotto la quale procede».5 Nella terza parte della presente trattazione sono state operate, in modo conse quenziale, alcune scelte: - per quanto riguarda la cristologia della Chiesa antica fino al III secolo (c. I della Parte Terza), più che passare in rassegna i singoli autori, sono state richiamate alcune problematiche tipiche suscitate dall'impatto dell'annun cio del vangelo di fronte alle culture. Esse hanno ruotato, oltre che intorno alla questione di Gesù Cristo compimento delle Scritture, anche intorno all'i naudito realismo della carne umana di Gesù e sul linguaggio di incarnazione nell'attenzione al passaggio di livello tra l'orizzonte soteriologico e quello cristologico/teologico; - ci si è poi diffusamente soffermati sulla principale problematica del grande dibattito tra IV e VIII secolo, vale a dire quello sull'unità del Cristo (c. II). Si è posta una costante attenzione nel rileggere i primi sette concili ecumenici della Chiesa antica, da Nicea a Nicea Il, con la preoccupazione di collocarli nel loro contesto storico, forti del duplice principio, non solo che i testi vanno collocati nei loro contesti vitali, ma che va di essi operata una rilettura attua lizzante, cosicché la loro recezione possa farsi anche «ri-recezione» e così tendano a essere vivi e significativi nel grande fiume della tradizione vivente della Chiesa; - circa la cristologia in epoca medievale si è cercato di integrare alcune linee abbastanza note come l'accentuazione, a livello speculativo, dell'interesse soteriologico (dopo quello antologico del primo millennio), con altre meno presenti (almeno nei saggi di cristologia sistematica) e cioè come la contem plazione e la spiritualità abbiano contribuito a dilatare gli orizzonti della speculazione, in ottemperanza al principio agostiniano che «chi ama, cono sce di più»; -infine, dopo aver delineato le coordinate preponderanti nel passaggio tra cri stologia in epoca moderna e contemporanea, si è voluto rendere conto della odierna navigazione della cristologia di fronte alle sfide più recenti, dove or mai -ed è storia dei nostri giorni - il grande dibattito si è spostato intorno all'unicità di Cristo mediatore costitutivo di salvezza, in un contesto plane tario di «pluralismo religioso» e culturale. Sta succedendo oggi un analogo processo rispetto a quanto è avvenuto nella Chiesa antica: la questione so teriologica richiama quella cristologica. La «domanda di salvezza» coinvolge la questione fondamentale su chi è colui che ci ha salvato. Dunque non vi è soteriologia senza antologia del Cristo e non vi è antologia del Cristo senza dimensione soteriologica.
5 lvi, 831. 19
Si mostrerà in questa sezione della nostra trattazione che questo è proprio il lascito più prezioso della lezione che proviene dal rinnovamento degli studi cristo logici per l'impulso del Vaticano Il. Oggi, per varie ragioni, si impone con forza la questione radicale della cristologia, vale a dire il riconoscimento in quell'uomo, Gesù di Nazaret, del Figlio di Dio. Affermare, come oggi si fa, che il tema dell'in carnazione, o meglio dell'Incarnato, è ritornato centrale in cristologia, dipende certamente da una indiscutibile motivazione di carattere soteriologico e antropo logico (propter nos homines et propter nostram salutem) e, proprio per questo, si fa sempre più largo l'esigenza di rendere ragione della verità medesima del cristia nesimo. Vengono così superati perniciosi dualismi del passato: la dimensione me tafisica veritativa è correlata con quella soteriologica e quest'ultima esige la prima come suo fondamento credibile. Nuove sfide interessano dunque l'odierno dibattito cristologico. Lo aveva ben intuito Marcello Bordoni allorquando intravedeva che la pretesa cristiana del l'unicità del suo messaggio salvifico e del suo valore universale impone la riaper tura della «questione cristologica» che sta al suo fondamento. Mentre nei primi secoli dell'era cristiana la «questione cristologica» si riassumeva nel problema della «unità del Cristo», possiamo dire che, alla fine del secondo millennio, la riapertura del dibattito cristologico si riassume nel problema della «singolarità-universa lità mediatrice salvifica» di Gesù Cristo, nel suo valore costitutivo e normativa. Si tratta del «problema fondamentale cristologico>> del nostro tempo e dei prossimi anni che dovrà affrontare il problema di verità del cristianesimo nel contesto delle nuove imprescindibili esigenze del dialogo interreligioso e dell'incalzare del pluralismo religioso. La riapertura del problema cristologico si incentra sempre più nel mistero dell'incarnazione che sta alla base della pretesa assoluta della singolarità di Gesù Cristo e dell'unicità assoluta del cristianesimo!6
6 M. BORDONI, «Singolarità ed universalità di Gesù Cristo nella riflessione teologica contempo ranea», in P. CODA (a cura di), L'unico e i molti. La salvezza in Gesù Cristo e la sfida del pluralismo, Mursia-PUL, Roma 1997, 71. 20
Parte Prima
PROLEGOMENI: CONTESTO E PROFILO EPISTEMOLOGICO DELLA CRISTOLOGIA
Capitolo l L'IRRESISTIBILE ATTRATTIVA DI GESÙ DI NAZARET Molti ritengono che sia sufficiente credere nella morale di Cristo, per essere cristiano. Non la morale di Cristo, né l'insegnamento di Cristo salveranno il mondo, ma precisamente la fede in ciò, che il Verbo si è fatto carne. Questa fede non è soltanto il riconosci mento mentale della superiorità del suo insegnamento, ma spon tanea inclinazione. Bisogna precisamente credere che l'ideale de finitivo dell'uomo è sempre il Verbo incarnato, il Dio incarnato. Perché con questa fede soltanto noi perveniamo all'adorazione, a quell'estasi, che più di tutto c'incatena a lui direttamente e ha po tere di non far deviare l'uomo. Con un minore entusiasmo l'uma nità forse senz 'altro avrebbe deviato, dapprima nell'eresia, poi nel l'ateismo, poi nell'immoralità e infine nell'ateismo e in uno stato di trogloditi sarebbe marcita e scomparsa. (F. DosTOEVSKIJ, I demoni. I taccuini per «l demoni», Sansoni, Fi renze 1958, 1027)
l. «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3)
La domanda che i discepoli di Giovanni Battista rivolsero a Gesù a nome dell'ultimo dei profeti, che si trovava in carcere, risuona anche oggi con forza di fronte a un'irresistibile attrazione che la figura di Gesù continua a esercitare sugli uomini e le donne nell'epoca contemporanea. Gesù suscita un grande interesse, i suoi gesti e il suo stile personale esercitano un fascino eccezionale anche su chi è più indifferente o distante dall'esplicita pro fessione di fede che lo riconosce come salvatore assoluto e universale. Nel XX secolo si sono registrati, al contempo e in modo impressionante, un'ascesa che sembrava irresistibile e un declino vertiginoso di forti messaggi mes sianici. Si può affermare con sufficiente realismo che anche quando sembravano trionfare ambiziosi programmi umanistici, connotati da una forte carica soterio logico-escatologica, mai si è spenta del tutto nel cuore dell'uomo l'attesa di una salvezza assoluta e trascendente. Di fronte ai totalitarismi che hanno ingoiato gli esseri umani e le loro aspirazioni, sacrificando la libertà personale a progetti che si sono rivelati anti-umani, mai è mancata l'invocazione e la ricerca di una sal vezza che proviene da oltre l'umano e che nello stesso tempo si fa profondamente umana, quella appunto di Gesù di N azaret. Egli è stato e continua a essere un punto di riferimento imprescindibile per milioni di esseri umani e risulta anche essere, per molti non cristiani, motivo di interesse e di rispetto. Anche oggi, nel XXI secolo, in un mutato clima culturale, nell'era chiamata della globalizzazione, Gesù fa ancora notizia, non lascia indifferenti: la storia in
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qualche modo anche ai nostri giorni deve fare i conti con lui. Di fronte al Naza reno sono crollati molti miti che si sono sciolti come neve al sole. È crollato il mito dell' homo oeconomicus e della modernità, infatti l'ideolo gia del progresso per il progresso ha svuotato di senso le coscienze, inibendole di prospettive e di motivazioni. Lo sviluppo si è ritorto contro l'uomo come un boo merang, gli esseri umani sono arrivati fino a violare il creato, opera di Dio, mani polandolo a piacimento. In un rigurgito di ateismo non più di stampo umanistico ideologico, gli uomini hanno negato - per dirla con Moltmann1 - lo spirito della vita. Si tratta di una negazione dell'esistenza di Dio non tanto sul piano teoretico, bensì pratico: gli esseri umani si sono fatti essi stessi nuovi padroni delle leggi della natura, manipolandole a piacimento secondo il principio che tutto ciò che la scienza può sperimentare è lecito. Ne è un esempio il dramma della dissociazione tra ricerca biologica e valori etici che resta, ai nostri giorni, un problema sempre più preoccupante e di difficile soluzione. Nell'enciclica Laudato si' di papa Fran cesco è stato lanciato un preoccupato allarme, dove si è chiarita lucidamente la «radice umana» della crisi ecologica.2 Si parla, in quel documento, di antropocen trismo moderno deviato che, con le sue conseguenze, sta facendo andare alla de riva il nostro pianeta e la qualità stessa della nostra vita. 3 Se la crisi ecologica è un emergere o una manifestazione della crisi etica, culturale e spiri tuale della modernità, non possiamo illuderci di risanare la nostra relazione con la natura e l'ambiente senza risanare tutte le relazioni umane fondamentali. Infatti, non si può proporre una relazione con l'ambiente a prescindere da quella con le altre persone e con Dio. Sarebbe un individualismo romantico travestito da bellezza ecologica e un asfissiante rinchiudersi nell'immanenza.4
Oggi più che mai, mentre sembra che da una parte tutto renda evanescente ogni riferimento etico, dall'altra parte, una volta avvertito un generale sbandamento, va registrato che è quanto mai viva, inconsciamente, l'attesa di una salvezza che proviene da lontano, come soluzione insperata, unica possibile via d'uscita a un disorientamento sempre più generale.
1 «Di fronte alla "fine della natura", le Chiese o riscoprono il significato cosmico di Cristo e del lo Spirito o si rendono esse stesse complici dell'annientamento della creazione terrena di Dio» (J. MoLTMANN, Lo Spirito della vita. Per una pneumatologia integrale, Queriniana, Brescia 1994, 22). 2 Cf. FRANCESCO, Lettera enciclica sulla cura della casa comune Laudato si' (24.5.2015), 115-118. 3 Cf. ivi, 119. 4lb. Con non poca «parresia» il pontefice, se da una parte è convinto che non vada mortificata la creatività umana, dall'altra sostiene che vadano riconsiderati «gli obiettivi, gli effetti, il contesto e i limiti etici di tale attività umana che è una forma di potere con grandi rischi» (ivi, 131). Il discorso sul limite fa comprendere tutto il portato di questo documento papale, il quale ha una valenza pro fetica; resterà segno di contraddizione, sia per chi crede in un'economia ferrea di mercato, sia per chi pratica la sperimentazione tecnologica a oltranza, sia per gli ecologisti, più ideologizzati, perché fa notare anche alcune «incoerenze ecologiste», come quelle di chi difende l'integrità dell'ambiente, ma non applica questi medesimi principi alla vita umana, come quando si giustificano tutte le specie di esperimenti con embrioni umani vivi (cf. ivi, 136). Quando la tecnica e la scienza sono separate dall'etica, difficilmente saranno capaci di autolirnitare il proprio potere. 24
Ma vi sono altri miti che ormai da tempo sono crollati e uno di questi è il mito della società perfetta con quella forte carica di messianismo escatologico, ma sol tanto orizzontale e terrenistico che la società moderna e contemporanea ha co nosciuto nel XIX e XX secolo. E ciò a motivo dell'ipostatizzazione di un'idea di giustizia e d'uguaglianza che non teneva conto dei limiti della storia e degli uomini medesimi.5 L'ideologia di un uomo allo stato puro, senza peccato e in una società che si era già deciso potesse essere perfetta, ha generato, di fatto, dei mostri e pro dotto immani sofferenze. La speranza riposta su tali ideali è stata sconfitta dalla storia, lasciando un vuoto spirituale terribile, un disorientamento suscettibile di rabbiose rivincite che ha visto il risorgere di nazionalismi feroci e l'affermarsi di paurosi conflitti etnici, i quali hanno prodotto lotte sanguinose inaudite, su cui la noncuranza del mondo economicamente sviluppato e la manipolazione dei mezzi mass-mediatici impongono di volta in volta un vergognoso silenzio. Ritornano di attualità le intuizioni di alcuni filosofi come Heidegger sul ver sante dell'esistenzialismo che, prevedendo la caduta della modernità, poteva af fermare: «Ormai solo un Dio ci può salvare!»,6 o di Max Horkheimer, fondatore della scuola di Francoforte, collega di Adorno con il quale firmò l'opera Dialettica dell'illuminismo del 1949 che, accorgendosi anch'egli della fragilità della moder nità, si appellò a una nostalgia del totalmente Altro: «L'"Altro" non è possibile comprenderlo descrivendolo, ma solo interpretando il mondo così come esso è, con riferimento al fatto che esso, il mondo, non è l'unico, non è la meta, in cui pos sono trovare riposo i nostri pensieri».7 1. 1. Gesù e il contesto presente
Il passaggio epocale tra il XX secolo e il terzo millennio, nella situazione pre sente, sta registrando un quadro contestuale che a grandi linee possiamo così sin tetizzare. a) Nell'epoca della post-modernità prevale il vuoto della cultura nichilista, oggi imperante, che non ammette punti di riferimento stabili e valori assoluti, accor cia inesorabilmente la prospettiva escatologica ed è connotata da una relativizza zione etica alquanto insidiosa. La lettura nichilista della realtà ha preso congedo dal senso dell'essere ed è insieme rifiuto di ogni fondamento e negazione di ogni
5 Lo ha affermato con grande lu cidit à Giovanni Paolo II nell'en ci cli ca Centesimus annus: «Quan do gli uomini ritengono di possedere il segreto di un'organizzazione so ciale perfetta che renda im possibile il male, ritengono an che di poter usare tutti i mezzi, an che la violenza o la menzogna, per realizzarla. La politi ca diventa allora una religione se colare, che si illude di costruire il para diso in questo mondo. Ma qualsiasi so ciet à politi ca, che possiede la sua propria autonomia e le sue proprie leggi, non potr à mai essere confusa col regno di Dio» ( Centesimus annus, 25: EV 13/150). 6 M. HEIDEGGER, Ormai solo un Dio ci può salvare. lntervista con lo «Spiegel», a cura di A. MA RIN, Guanda, Parma 1987 (or. tedes co: «Nur no ch ein Gott kann uns retten» [1976 ), in Antwort, Mar tin Heidegger von Gespriich, Neske, Pfullingen 1988, 81-111). 7 Si tratta della famosa intervista a Der Spiegel per la morte di Adorno del 1976. La citazione si trova in M. HoRKHEIMER, La nostalgia del totalmente Altro, Queriniana, Bres cia 31982, 12. 25
verità oggettiva. Già nell'enciclica Fides et ratio di Giovanni Paolo Il, il nichilismo veniva presentato non solo in contrasto con le esigenze e i contenuti propri della parola di Dio, ma prima ancora come «negazione dell'umanità dell'uomo e della sua stessa identità». Quando viene sottratta la verità dell'uomo come partner di Dio, allora anche la libertà viene meno e tutto conduce «a una distruttiva volontà di potenza o alla disperazione della solitudine».8 Quali possibilità di un messaggio di salvezza in questo contesto? Molto poche. Si registra tuttavia un certo interesse del pensiero debole per la figura di Gesù e questo non è da sottovalutare, anche se insufficiente quanto agli esiti e talvolta ambiguo rispetto ai contenuti. Esso è rivolto soprattutto verso quei tratti «kenotici» della figura di Gesù che ne esal tano la debolezza di fronte all'onnipotenza,9 non riuscendo però a evidenziare che si tratta di «debolezza» per amore. Quella di Gesù è l'espressione di una libertà che si manifesta nel dono totale di sé (pro-esistenza) fino al sacrificio completo della vita. Di fronte al pensiero debole occorre annunciare Gesù non solo come prototipo di una figura etica contagiosa, ma incarnazione personale dell'amore di Dio che coinvolge, in tutti gli aspetti dell'umana esistenza. Un Gesù certamente «fratello universale» dai tratti di bontà e misericordia, che chiama a una sequela coinvolgimento, che esige un impegno decisivo di trasformazione e conversione con forti conseguenze etiche. Gesù è qualcuno di fronte al quale ci si gioca l'intera esistenza, un riferimento assoluto di tutti gli aspetti della propria vicenda perso nale. La posta in gioco qui è tutta sulla figura di Gesù come Figlio di Dio, in mezzo a noi, 10 colui che ha «pretese» paradossali, proprio perché capace di penetrare nell'animo umano, infatti «egli sapeva che cosa c'era nel cuore dell'uomo»- come afferma san Giovanni nel descrivere la prima andata di Gesù a Gerusalemme: «Gesù però non si confidava con loro, perché conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c'è in ogni uomo» (2,24-25). Il problema del senso ultimo interpella poi subito il pro blema ermeneutico. Se davvero è salvatore assoluto e universale, dove va rinve nuto il fondamento di una simile «pretesa»? Si tratta di una salvezza apparsa nella storia; è credibile la sua pretesa e in che modo è attingibile? Quale il fondamento critico di tutto questo? Come e con quali mezzi potersi sincerare delle origini del cristianesimo? E l'ermeneutica basta da sola a rispondere a tutte queste domande, dal momento che l'uomo non solo interpella, ma si sente «decifrato» da Cristo? La prospettiva teologico-fondamentale cerca di rispondere a queste domande, nella consapevolezza però che Cristo eccede sempre rispetto alle stesse domande di senso, così difficili da far emergere nel contesto del pensiero contemporaneo connotato da forti accentuazioni nichiliste.
G 1ovANNI PAOLO Il, Fides et ratio, 90: EV 17/1366. 9 G. VATTIMO, Credere di credere, Garzanti, Milano 1996, 43-44; 49-60. 10 Questa è la sfida prin cipale per la cristologia attuale, ben evidenziata da J. RATZINGERIBENE DETTO XVI che ne fa oggetto della sua ri cer ca fin dal prologo al suo Gesù di Nazaret, Rizzoli, Mila 8
no 2007, laddove afferma che il vero centro della personalit à di Gesù sta tutto nella sua comunione con il Padre (p. 10). 26
Si colloca a questo punto il compito della cristologia sistematica fondamentale che tende a ritrovare nella solidità della ricostruzione del Gesù storico già quel significato assoluto di cui egli è portatore e che risponde alle attese degli uomini che ricercano un senso alla loro esistenza. Problema ermeneutico e problema del senso si intersecano così mutuamente e si influenzano reciprocamente. Proprio di fronte a un pensiero debole particolarmente refrattario alle domande di senso assoluto, si dispiega il compito della cristologia in prospettiva fondamentale, im pegnata a trovare possibili «punti di inserzione» per l'annuncio di Gesù crocifisso e risorto. Egli d'altra parte non solo irrompe nella storia degli esseri umani, ma ne svela nel contempo la loro identità, cosicché questi si sentono in qualche modo decifrati e interpretati da colui che può a ben diritto dirsi la chiave del «critto gramma» umano: La necessità di decifrarsi, di decodificarsi, è sempre presente alla coscienza dell'uomo; ma si fa sentire in maniera più acuta in certi momenti di crisi, nella nostra vita personale (momenti di solitudine, di abbandono, di malattia) o nella vita dell'umanità. Si produce, allora, nell'uomo, una specie di commozione viscerale, uno stringimento del cuore. Il senso della nostra fragilità si ravviva: l'uomo non sarebbe niente altro che questo? La vita non avrebbe proprio altro senso? Come spiegare tanti apparenti controsensi? Ogni generazione umana conosce dei «punti critici» che possono divenire «punti d'inserzione» per il vangelo che viene incontro alla nostra solitudine per riempirla, alla nostra indigenza per guarirla.11
b) Un secondo dato contestuale è rinvenibile nel permanente grido del mondo dei poveri. Tale dato, e il problema connesso, sembra in questi ultimi tempi piutto sto dimenticato, forse perché racchiuso per lo più nel contesto delle teologie della liberazione con tutti i problemi epistemologici connessi; esso si riaffaccia oggi in alcune occasioni legate al dibattito sulla globalizzazione, non senza retaggi ideolo gici, ma poi viene di nuovo accantonato. Il problema invece resta tutt'altro che ri solto e interpella valutazioni di carattere antropologico e teologico, oltre che stret tamente economico e sociale. Si tratta infatti di raccogliere il grido di coloro che, più che poveri, sono da considerarsi degli impoveriti, cioè resi poveri da strutture e situazioni di ingiustizia e di peccato che sembrano ineluttabili. Essi sono coloro che non vedono riconosciuta la loro dignità di persone umane. Sono coloro che vi vono oppressi da «strutture di peccato>> P le quali moltiplicano il male che si accre sce e fa violenza sulle coscienze con effetti negativi e devastanti. La conseguenza è che gli esseri umani rimangono disorientati e non sono più neppure in grado di potersi elevare dalla loro condizione di miseria. Le strutture di peccato sembrano schiacciare inesorabilmente ogni via di uscita in una situazione dove i ricchi sono sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.13
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R. LATOURELLE, L'uomo e ì suoi problemì alla luce dì Cristo, Cittadella, Assisi 1982, 10. Cf. GIOVANNI PAoLO II, Sollicitudo reì socialis, 36: EV 10/2639. 1 3 Nas cono per ciò, an che da un punto di vista eti co, problemi di non fa cile soluzione cir ca il rap porto tra strutture di pe ccato e gio co delle libert à umane, quali cause di responsabilit à rispetto alla 27
Gesù viene percepito in questo contesto come il grande liberatore che è stato capace di offrirsi per noi, l'unica speranza cui aggrapparsi in una situazione dove le croci della storia diventano principio di conoscenza ed esperienza di un nuovo volto di Dio. Un Dio che assume le colpe e le ingiustizie per trasformarle in amore e così dà risposta al grido degli impoveriti che vedono nella croce di Gesù la via più corretta per una rivelazione dell'autentico volto di Dio, al di là di ogni tenta tivo umano di manipolazione. Si tratta di prendere sul serio l'invocazione di una via di salvezza che restituisca diritti e dignità a coloro che vivono come «non-uomini». Qui evidentemente Gesù è cercato come uomo libero e liberatore per eccellenza, colui che è stato solidale con i derelitti e gli scarti della storia, il profeta ucciso sia per la sua predicazione che per la sua prassi a difesa dei più deboli. Fu perseguitato da un potere religioso legalista e da un potere politico che ha fatto prevalere la ragion di Stato, anziché la forza della verità e le ragioni della giustizia. Emergono chiaramente le istanze di alcuni modelli delle teologie della libera zione dove, al di là delle valutazioni di ordine epistemologico,14 si impone la que stione non solo della solidarietà con le sofferenze degli esseri umani e di tutti i cro cifissi della storia, ma ben di più il significato assoluto e trascendente della figura del salvatore stesso. È in fondo, quella epistemologica, la questione più delicata rispetto ai modelli pluriformi e perciò non omologabili delle diverse prospettive delle teologie/cristologie della liberazione. Sta di fatto però che, al di là degli esiti dell'indagine preventiva circa l'affidabilità dell'impianto metodologico,IS le cristo logie della liberazione fanno balzare alla ribalta tutta la drammaticità della croce del Cristo quale espressione compiuta e definitiva di un «Dio solidale»,16 diretta conseguenza dell'incarnazione di un Dio che entra in una situazione di peccato e di contraddizione. La croce del Crocifisso offre una nuova immagine della pater nità di Dio in una situazione contestuale differente da quella occidentale.17 Qui si
povert à e alla miseria. Per una chiarifi cazione, cf. in proposito S. BASTIANEL (a cura di), Strutture di peccato: una sfida teologica e pastorale, Piemme, Casale Monferrato 1989. 14 Per una prima valutazione ci si può riferire ai saggi orientativi in proposito di R. GIBELLINI, Il dibattito sulla teologia della liberazione, Queriniana, Bres cia 1986; Io., «Teologia della liberazione», in La teologia del XX secolo, Queriniana, Bres cia 1992, 371-409; R. MARLÉ, Introduzione alla teolo gia della liberazione, Mor celliana, Bres cia 1991. 1 5 L'intre ccio tra il « contesto vitale» del tema più generale e la/le cristologia/e nel contesto delle teologie della liberazione è esposto da S.S. TAvARES, Il mistero della Croce nei teologi della liberazio ne latino-americani, Pontifi cium Athenaeum Antonianum, Roma 1999, 19-90. 16 Nel lavoro citato nella nota pre cedente, il tema della cro ce, nella struttura epistemologi ca della teologia della liberazione latino-ameri cana viene de clinato, più in generale, con il mistero del «Dio cro cifisso» ( cf. ivi, 178-203) e i problemi connessi come quelli dell'immutabilit à-mutabilit à di Dio, la «sofferenza» di Dio e altro an cora. 17 È nota in proposito la coerente analisi, dal suo punto di vista, di G. Gutierrez che afferma: «In un continente come l'Ameri ca Latina la sfida non viene prin cipalmente dal non credente, bensì dal non uomo, cioè da chi non è ri conos ciuto come uomo da parte dell'ordine so ciale imperante: il povero, lo sfruttato, colui che è sistemati camente e legalmente spogliato del suo essere uomo, colui che a malapena sa che cosa sia un uomo. Il non-uomo mette in questione, prima di tutto, non tanto il nostro mondo religioso, quanto il nostro mondo e conomi co, so ciale, politi co, culturale; per questo spinge alla trasformazione rivoluzionaria delle stesse basi di una so ciet à disumanizzante. Pertanto, la domanda non verter à sul come parlare di Dio in un mondo adulto, ma piuttosto sul come annun28
opta per l'immagine di un Dio che è capace di soffrire e perciò di trasformare il dolore in amore: «Che Dio possa soffrire è tutt'altro che un segno di imperfezione, ma rivela, al contrario, la sua onnipotenza e il suo sconfinato amore per l'umanità manifestato proprio nella capacità di essere radicalmente solidale con tutti gli uo mini e con ogni uomo».18 c) Vi è poi un terzo dato rilevante nella nostra situazione contestuale: la nuova domanda religiosa e il dialogo con le grandi religioni. Qui la sfida assume carat teri davvero planetari. Ci troviamo a dialogare su due fronti: da una parte vi sono i nuovi paradigmi di religiosità e dall'altra le grandi religioni istituzionali, quelle profetiche come l'ebraismo e l'islam e quelle teo-antropo-cosmiche come le re ligioni asiatiche, senza dimenticare le forme di religiosità ancestrali tipiche delle religioni africane o quelle dell'Oceania. - Rispetto alle nuove forme di religiosità la grande questione riguarda il rap porto tra l'attingimento del divino attraverso una ricerca nelle più recondite pie ghe del sé e l'annuncio cristiano di un Dio che si fa uomo. Nel primo caso la sal vezza appare più che altro un cammino di ascesa attraverso un contatto con lo spi rituale, ma senza volto e perciò dall'intonazione alquanto gnostica. Gesù diventa in questo caso un fenomeno emblematico di una religiosità magari straordinaria, ma non certamente qualcuno che appartiene all'eternità e trascendenza di Dio e che ha a che fare con la storia. Osservando la variegata sinossi fenomenologica delle immagini di Gesù delle nuove forme di religiosità contemporanea, ci si trova di fronte da una parte a «Una immensa pluralità di tentativi che sfruttano la nobile icona del Cristo per mistificare le proprie ideologie e interessi, dall'altra parte di mostra una certa convergenza di vedute che si lasciano sintetizzare sotto la meta fora del New Age» 19 Nel cristianesimo, viceversa, il mistero dell'incarnazione resta sempre pensa bile in un orizzonte che appella anche alla ragione umana e che per nessun mo tivo esclude un orizzonte noetico,20 dove il tema di un Dio trascendente coinvolto nella storia degli uomini (e perciò ragione e cultura) diventa imprescindibile. L'e vento della rivelazione in Cristo non è un fenomeno religioso soltanto, neppure un qualcosa di sopraggiunto che non abbia riferimento alla storia, bensì si fa in.
ciarlo Padre in un mondo non umano, sulle impli cazioni che comporta il dire al non uomo che è Figlio di Dio» (G. GunERREZ, «Prassi di liberazione, teologia e annun cio>>, in GIBELLINI, Il dibattito sulla teologia della liberazione, 28). 18 TAVARES, Il mistero della Croce nei teologi della liberazione latino-americani, 185. 19 M. Fuss, «La figura di Cristo nelle nuove credenze religiose contemporanee>>, in Convivium Assisiense 5(2003), 166. In questo saggio l'autore enun cia ed espone quattro filoni della nuova re ligiosit à contemporanea (il Cristo eterico di stampo gnosti co, il Cristo apocalittico delle nuove rive lazioni, il Cristo guaritore delle energie vitali prin cipio mentale di sapienza interiore, il Cristo leg gendario del populismo post e spesso anti- cristiano) che in qual che modo confluis cono nel New Age dove Cristo non è una figura stori ca, ma l'idea del pro cesso evolutivo del cosmo. Cf. su quest'ultimo tema an che A OLIVIERI PENNESI, Il Cristo del New Age, LEV, Citt à del Vati cano 1999. 20 a. M. BoRDONI, «Riflessioni introduttive>>, in L SANNA (a cura), Il sapere teologico e il suo me todo. Teologia, ermeneutica e verità, EDB, Bologna 1993, 34-36. 29
telligibile nel cuore stesso dell'essere, ne svela le profondità ultime, lo rischiara dal di dentro. Gesù di fronte alle nuove religiosità propone oggi la questione del rapporto tra teologia, ragione umana e storia.21 Si fa strada ai nostri giorni, in modo diverso dal passato, il problema della ve rità: essa è attingibile attraverso la questione storica che ci porta a Gesù di Naza ret, ma implica per questo tutto il tema della traduzione in termini di ragione della verità medesima. Voler risolvere il problema dell'essere di Cristo solo dal punto di vista storico, senza riflettere sulle sue implicanze antologiche, potrebbe trarre fatalmente in errore. Si tratta evidentemente di inquadrare la problematica cri stologica nel rapporto più ampio tra teologia e istanza metafisica; la metafisica in questo senso «SÌ pone come mediazione privilegiata nella ricerca teologica. Una teologia priva dell'orizzonte metafisica non riuscirebbe ad approdare oltre l'ana lisi dell'esperienza religiosa e non permetterebbe all'intellectus fidei di esprimere con coerenza il valore universale e trascendente della verità rivelata».22 La sfida del cristianesimo si gioca tutta sul paradosso di una tale universalità e trascendenza che si coniuga con l'unicità e particolarità dell'evento storico di Gesù, l'ebreo di Nazaret. La verità di un simile paradosso consiste nel fatto di sal vaguardare contemporaneamente i due dati: singolarità irripetibile del dato sto rico Gesù di Nazaret e rilevanza-universalità per tutti e per sempre dell'avveni mento medesimo.23
21 «L'evento Cristo e la sua accoglienza da parte della comunità credente ha una sua valenza fi losofica di enorme portata. La rivelazione feconda non solo il pensiero teologico, bensì anche quello filosofico e diremmo le culture umane storicamente determinate. Se è vero che senza la categoria della storicità e l'ingresso della ragione storica non si può spiegare buona parte della vicenda filoso fica moderna e post-modema, è anche vero che il grembo originario del pensiero storico va indicato nella religione ebraico-cristiana» (G. LoRiziO, «>, in lo., Gesù, identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperienza, LEV, Città del Vaticano 2008, 49-81. 31
secondo un adagio dei monaci sciiti, oggi reinterpretato e ripresentato in un dif ferente contesto.27 2. «Voi chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Incontri e scontri con Gesù Cristo, l'atteso delle genti
Dopo aver delineato, sebbene a grandi linee, una possibile situazione conte stuale nella quale si colloca il discorso cristiano su Gesù, cercherò subito d'in dividuare alcuni campi specifici dove quell'interesse si è mostrato più vivo, pur con immancabili contraddizioni e battute d'arresto. E allora volendo dare uno sguardo alla situazione presente si può affermare, senza temere di sbagliare, che una ricerca latente di Gesù Cristo è presente in diversi strati della cultura e della società moderna e contemporanea. Davvero l'uomo è nell'attesa di Cristo (anche inconsciamente, senza saperlo), come tito lava un interessante saggio del teologo ceco Vladimir Boublik all'indomani del concilio Vaticano II, impegnato partico larmente a decifrare l' «invocazione» di Gesù in quelle culture e situazioni di atei smo dove si voleva negare ogni germe di sentimento religioso.28 Si tratta di un'attesa spesso nascosta, di una voce quasi sommessa, che si ma nifesta come ammirazione, altre volte come coinvolgimento, oppure come ribel lione o domanda sofferta: con Cristo ci si può incontrare o scontrare, mai si rimane indifferenti. Ne è prova l'atteggiamento di letterati, filosofi, artisti o più in gene rale l'interesse viene testimoniato dalla sensibilità moderna e contemporanea che vive un approccio al Cristo in modo maggiormente esistenziale. In lui si intravede l'uomo dei dolori, il compagno di viaggio, colui che è partecipe delle sorti del l'umanità perché capace di piegarsi sui drammi e la disperazione che la storia più recente ha conosciuto. Si percepisce, sebbene in modo a volte riduttivo, il senso della comune fratellanza con lui, dal momento che è sceso nella nostra impotenza e miseria per trasformare in amore ogni dolore. 2. 1. Il Gesù dei letterati
Un ambito di particolare attenzione verso la figura di Gesù è rappresentato dal mondo della letteratura. La Chiesa negli ultimi decenni ha guardato con partico lare attenzione alla ricerca di Gesù affiorata nelle opere di letterati e artisti. Un grande impulso in proposito è venuto dal Vaticano II (basti pensare all'insegna mento sulla cultura, contenuto nella Gaudium et spes 62, o ai messaggi finali agli artisti e agli intellettuali del medesimo concilio) fino ad arrivare alla Lettera agli
27 Si tratta cioè di una rilettura della cristologia in chiave trinitaria che vuole richiamare alla di
mensione antropologica del mistero di Cristo, correlandola con quella teologica. Cf. in proposito W. KAsPER, «"Uno della Trinità . . . ". Rifondazione di una cristologia spirituale in prospettiva di teologia trinitaria», in Io., Teologia e Chiesa, Queriniana, Brescia 1989, 226-243. 28 V. BouBLIK, L'uomo nell'attesa di Cristo, Paoline, Bari 1972. 32
artisti di Giovanni Paolo II e all'incontro con gli artisti di Benedetto XVJ.29 Sia nel documento agli artisti che nel discorso tenuto nell'occasione dell'incontro del 2009, in modo particolare si esalta il contributo che l'arte può offrire nell'esegesi del mistero del Dio fatto uomo. Il mistero dell'incarnazione ha introdotto nel l'umanità «tutta la ricchezza evangelica della verità e del bene e con essa ha sve lato anche una nuova dimensione della bellezza».30 L'arte può rappresentare una magnifica via di accesso al mistero, di fronte al quale soltanto lo stupore e l'adora zione sono risposte adeguate. Le realizzazioni artistiche sono in certo qual modo «mediazioni» attualizzate del mistero del Verbo incarnato. L'arte, quando scruta le profondità più recondite dell'animo umano o le pieghe più oscure del male, si fa essa stessa attesa di redenzione.31 È proprio da questa bellezza del mistero che il mondo - come affermava F. Dostoevskij , citato nel documento appena richia mato32 - può trovare la salvezza: «La bellezza è cifra del mistero e richiamo al trascendente. È invito a gustare la vita e a sognare il futuro»Y La letteratura e le arti diventano perciò nella vita dell'uomo motivo non solo di illustrazione della realtà, ma ancor più di elevazione dello spirito e di percezione dell'assoluto. La bellezza non solo preserva dalla disperazione, ma infonde gioia e rende più ama bile il mistero. Si conosce Dio non solo nella riflessione teologica, ma anéhe nelle realizzazioni artistiche, le quali diventano veri e propri «luoghi teologici».34 Nel cristianesimo infatti il mistero del Dio fatto uomo è particolarmente adatto a sug gerire e interpretare la ricerca del senso della vita sul piano letterario e figurativo. Gesù stesso nella sua vita pubblica si è servito di immagini, essendo egli stesso l'immagine (icona) di Dio invisibile. Attraverso la letteratura e l'arte, il mondo può essere redento in Cristo, infatti il genio dell'uomo può essere raggiunto da un'illuminazione interiore che «unisce insieme l'indicazione del bene e del bello, e risveglia in lui le energie della mente e del cuore rendendolo atto a concepire l'idea e a darle forma nell'opera d'arte».35 Lo stupore di fronte alla «bellezza che salverà il mondo» può diventare motivo di risurrezione e perciò di indicibile gioia. Insomma l'arte può assumere davvero una «valenza religiosa e trasformarsi in un percorso di profonda riflessione interiore e di spiritualità».36 Vengono così aperti e allargati gli orizzonti della coscienza umana che viene rimandata oltre se stessa e si affaccia sull'abisso dell'infinito diventando così via verso il trascendente, verso il mistero ultimo, verso Dio.37
29 L'incontro è avvenuto il 21 novembre 2009 nella Cappella Sistina in Vaticano. 30 GIOVANNI PAoLO II, Lettera agli artisti, LEV, Città del Vaticano 1999, 5: EV 18/416. 31 Cf. ivi, 10: EV 18/434. 32 Cf. ivi, 16: EV 18/447 (la citazione dell'espressione «la bellezza salverà il mondo» di F. Do STOEVSKU è contenuta ne L'Idiota, parte III, c. V, Feltrinelli, Milano 1998, 645). 33 lvi, 16: EV 18/448.
34 Giovanni Paolo II nella lettera in questione (n. 11) cita espressamente M.D. Chenu, nei suoi noti studi circa la teologia medievale del XII secolo. 35 GIOVANNI PAOLO Il, Lettera agli artisti, 15: EV 18/446. 36 BENEDETIO XVI, Annunciatori e testimoni di speranza per l'umanità. Agli artisti incontrati nella Cappella Sistina, in Insegnamenti di Benedetto XVI, V/2 (2009), LEV, Città del Vaticano 2010, 591.
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Osservando lo sviluppo della letteratura tra Ottocento e Novecento si può con statare come il rapporto con Cristo faccia parte dell'interrogazione stessa dell'esi stenza umana. In questo senso S. Kierkegaard potrebbe essere considerato - come sostiene ad esempio LA. Chiusano38 - all'inizio di quella sensibilità moderna dove Gesù Cristo inquieta sempre, dove quell'evento fondamentale della nostra storia non ha nulla di oleografico e non è per niente scontato, rappresenta invece la ri cerca drammatica, talvolta disperata, dell'esistenza umana in cerca di risposte non effimere. In breve: Gesù fa continuamente capolino nella lettura più profonda dell'animo umano e come punto di rottura inquieta e riappacifica, si fa questione ineludibile ed esito sicuro in un cammino spesso impervio. La scuola del Dio biblico - scrive giustamente Chiusano - quella del Dio fatto uomo in Gesù, è una scuola di continua battaglia sull'orlo della disperazione. I presepi consumistici suggeriscono la natività come idillio, l'adorazione dei pastori e dei magi come ornata recita scolastica. Invece quell'evento fondamentale della nostra storia è tutto fasciato dalle bende della tragedia, del dubbio, della fatica, della paura, della persecuzione, della fuga, della tirannia sanguinaria, dell'intervento solo parziale e molto velato di Dio, tra grandi silenzi e grandi macchie di buio . . . Verrebbe da pensare che tutto il cristianesimo sia lutto e rovina. E non è vero. Il cristianesimo è anche la più grande, (direi l'unica) polla di gioia totale che gorgogli freschissima e ininterrotta nella calura del nostro deserto.39
La storiografia, che ha cercato di interpretare la ricerca dei letterati su Gesù, si presenta negli ultimi due secoli piuttosto variegata. Sono state proposte alcune an tologie40 che riportano il pensiero degli autori moderni e contemporanei su Gesù, siano essi credenti e non-credenti, e alcuni saggi interpretativi che cercano di co gliere i volti di Gesù nella letteratura del nostro tempo. Oltre alla classica e meri tevole opera di Charles Moeller,41 vanno segnalati negli ultimi anni i saggi di Jo seph Imbach,42 Paolo Pifano43 e la poderosa opera del gesuita italiano Ferdinando Castelli.44 Soprattutto in quest'ultimo lavoro traspaiono chiaramente alcune linee fondamentali attraverso le quali scrittori e poeti contemporanei si confrontano con Gesù Cristo. Vi è una prima chiave interpretativa che tende ad approcciare in modo indi retto Gesù di Nazaret. Nei personaggi immaginari o reali che si ritrovano in autori
38 I.A. CmusANO, «Introduzione», in F. CASTELLI, Volti di Gesù nella letteratura moderna, Paoline, Cinisello Balsamo 1 1987, 5-9. 39 lvi, 9. 40 D. PoRzio, Incontri e scontri con Cristo, 2 voli., Ferro-Massimo, Milano 1971. 41 C. MoELLER, Letteratura moderna e cristianesimo, 5 voli., Vita e Pensiero, Milano 1956-1977,
soprattutto il vol. Il. 42 J. IMBACH , Gesù nella letteratura contemporanea, Città Nuova, Roma 1983. 43 P. PIFANO, Tra letteratura e teologia, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1990. 44 F. CASTELLI, Volti di Gesù nella letteratura moderna, 3 voli., San Paolo, Cinisello Balsamo 2 1990-1990-1995. A questa trilogia vanno aggiunti, del medesimo autore, anche altri lavori come Nel grembo dell'ignoto. La letteratura moderna come ricerca dell'Assoluto, 2 voli., San Paolo, Cinisello Balsamo 2001-2006; Dio come tormento. Da Dante a Julen Green. Scrittori di fronte al Mistero, An cora, Milano 2010. 34
come Dostoevskij ,45 Elsa Morante,46 Giovanni Testori,47 il giapponese Shusaku Endo,48 vi è come un'incognita la cui assenza rende la vita assurda, enigmatica, disperata; viceversa la presenza di quella incognita restituisce alla vita tutto il suo senso. Ci troviamo di fronte a una rappresentazione indiretta, allusiva e nasco sta di Gesù Cristo, come a dire: se egli è presente, tutto trova senso, se è assente vi è la disperazione. In altre parole: Gesù Cristo è la chiave di volta dell'umanità dell'uomo, anche se tutto questo non è affermato appunto esplicitamente e in modo diretto. Una seconda chiave interpretativa è quella delle biografie letterarie di Gesù come, ad esempio, quella classica di Giovanni Papini49 o di François Mauriac50 o del polacco Roman Brandstatter.51 In questo genere letterario prevalgono più che altro gli aspetti soggettivi e psicologici della figura e dell'opera di Gesù. Queste vite di Gesù diventano veicolo di un messaggio profondo che il letterato vuol dare perché possa cambiare il modo di essere uomini e cristiani. Così i toni possono an che essere accesi e sferzanti, ma tendono sempre a ritrovare in Gesù qualcuno che coinvolge fino in fondo. Vengono sottolineati, come ad esempio in Mauriac, l'ine sauribile misericordia del Salvatore e nello stesso tempo l'infallibile intuito del Figlio di Dio. Gesù è il protagonista dell'unica storia che narra l'amore di Dio che si incarna sulle nostre strade per incrociare i nostri passi. Proprio questo amore in carnato fatto di bontà e misericordia può conquistare l'uomo. Vale la pena ascol tare la confessione di Mauriac all'inizio della sua Vita di Gesù: Devo confessarlo? Non avessi conosciuto il Cristo, «Dio» sarebbe stato per me un vocabolo vuoto di senso. Salvo il caso di una grazia particolarissima, l'Essere infinito mi sarebbe stato inimmaginabile, impensabile. Il Dio dei filosofi e degli eruditi non avrebbe occupato nessun posto nella mia vita morale. È bisognato che Dio s'immergesse nell'umanità e che a un preciso momento della storia, sopra un determinato punto del globo, un essere umano, fatto di carne e di sangue pronunciasse certe parole, compisse certi atti, perché io mi getti in ginocchio. Se il Cristo non avesse detto: «Padre nostro . . . » io non avrei mai avuto da me stesso il senso di questa filiazione; questa invocazione non sarebbe mai salita dal mio cuore alle mie labbra. Io non credo che a ciò che tocco, che a ciò che vedo, che a ciò che si incorpora nella mia sostanza; ed è perciò che ho fede nel Cristo. Tutti gli sforzi per diminuire in lui la condizione umana, si scontrano con la mia ostinazione a preferire al volto del Cristo-Re, del Messia trionfante, l'umile figura torturata che nella locanda d'Emmaus i pellegrini di Rembrandt riconobbero alla frattura del pane: il fratello nostro coperto di ferite, il nostro Dio. 52
45 DOSTOEVSKIJ, L'Idiota. 46 E. MoRANTE, La storia, Einaudi, Torino 1974. 47 G. TESTORI, Factum est, Rizzoli, Milano 1981. 48 S. ENDO, Vita di Gesù, Queriniana, Brescia 1977. 49 G. PAPINI, Storia di Cristo, Vallecchi, Firenze 1942. 5° F. MAuRIAc, Vita di Gesù, Mondadori, Milano 1976 (1 1943). 51 R. BRANDSTATTER, Gesù di Nazaret, introduzione di G. RAvAsi, trad. di B. VERDIANI, 2 voli., Piemme, Casale Monferrato 1992 (l'opera or. polacca è stata pubblicata in quattro voll. tra il 1967 e il 1973). 52 MAuRIAc, Vita di Gesù, 18. 35
Una terza chiave interpretativa è il genere letterario epico attraverso il quale si vuole narrare la vicenda umana universalizzandola a tal punto da vederla come parabola del ritorno a Dio grazie al riscatto dal male operato da Cristo. Egli di venta così figura epica di ogni ritorno al bene e al vero amore. Un esempio può essere rinvenuto nell'opera di J.R.R. Tolkien, Il Signore degli Anelli,53 il quale intravede nell'alba del 25 marzo, giorno dell'Annunciazione, l'ora della sconfitta definitiva di Satana. Volendo esprimere una valutazione, certamente ancora provvisoria e fram mentaria, riguardo al Gesù dei letterati, possiamo dire che i volti del Nazareno che più si avvicinano al vero sono quelli che trascendono le riduzioni a «provocatore sociale», «anarchico», o «pacifista», tanto per fare degli esempi. Nella galleria plu riforme dei volti di Gesù nella letteratura moderna e contemporanea certamente hanno la meglio gli scrittori e poeti che si sono imbattuti in Gesù restando in modo più aderente fedeli al Gesù storico che la fede ha trasmesso lungo i secoli.54 L'im patto del tutto originale con il Figlio di Dio ha permesso di esaltare la sua squisita umanità, mostrando davvero in lui l'ideale più alto che l'uomo contemporaneo va da sempre ricercando. È questa in fondo la linea ermeneutica che la Chiesa con il Vaticano II ha perseguito: Gesù riassume e incarna i più alti ideali umani; nei tratti della sua realtà umano-divina egli esprime l'umanità che noi vorremmo raggiun gere. Ciò è reso possibile dal mistero stesso della sua persona che nella fede della Chiesa si è espresso in una precisa figura, quella dell'Incarnato. Gesù esprime la perfetta umanità dell'uomo, perché l'umanità di un uomo così poteva essere sol tanto quella del Figlio di Dio. Gesù è al vertice delle aspirazioni umane, è il termine delle nostre speranze e delle nostre preghiere, è il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, è cioè il Messia, il centro dell'umanità, colui che dà un valore alle azioni umane, colui che forma la gioia e la pienezza di tutti i cuori, il vero uomo, il tipo di perfezione, di bellezza, di santità, posto da Dio per impersonare il vero modello, il vero concetto di uomo, il fratello di tutti, l'amico insostitui bile, l'unico degno di ogni fiducia e di ogni amore: è il Cristo-uomo. E nello stesso tempo Gesù è alla sorgente di ogni nostra vera fortuna, è la luce per cui la stanza del mondo prende proporzioni, forma, bellezza e ombra; è la parola che tutto defi nisce, tutto spiega, tutto classifica, tutto redime; è il principio della nostra vita spirituale e morale; dice che cosa si deve fare e dà la forza, la grazia, per farlo; riverbera la sua imma gine, anzi la sua presenza, in ogni anima che si fa specchio per accogliere il suo raggio di verità e di vita, che cioè crede in lui e accoglie il suo contatto sacramentale; è il Cristo-Dio, il Maestro, il Salvatore, la vita.55
53 Rusconi, Milano 1977 (1 1954-1955). Per una valutazione su questo autore, cf. P. GmLISANO, Tolkien: il mito e la grazia, Ancora, Milano 2001; F. CASTELLI, «Tolkien, signore della fantasia>>, in La Civiltà Cattolica 153(2002)11, 432-444; A. MONDA - S. SIMONELLI, Tolkien. Il signore della fanta sia, Frassinelli, Roma 2002. 54 CHIUSANO, «Introduzione>>, 18. 55 PAOLO VI, Allocuzione del 3 febbraio 1965, in Insegnamenti di Paolo VI, III, Città del Vatica no 1965, 848. 36
2. 2. Il Cristo dei filosofi
Anche la filosofia, oltre alla letteratura, ha dovuto fare i conti con la figura di Gesù. Il rapporto del profeta di Nazaret con i diversi areopaghi della sapienza umana lungo la storia non è mai stato facile, ma sicuramente è sempre risultato stimolante. Si va dalla «riduzione» di tipo gnostico che ingloba il mistero in una visione razionalistica che perciò schiaccia la verità dell'incarnazione, alla valoriz zazione del percorso filosofico come «via di accesso» al Logos fatto carne, propria del cristianesimo nell'antichità. Dai padri apologisti a Clemente Alessandrino, da Origene fino a Gregorio di Nissa o a sant'Agostino, una corrente fresca e benefica è stata capace di attraversare la cultura riuscendo a mostrare, con indubbia mae stria, i punti di contatto e di distanza tra Logos cristiano e logos umano. Ciò che era impensabile per la cultura classica, cioè che l'Assoluto entri nella storia coin volgendosi attraverso la vicenda di Gesù di Nazaret, il cristianesimo è stato capace di affermarlo in un quadro concettuale dove la dottrina classica del logas non fu ri pudiata, ma debitamente purificata e reinterpretata; fu utilizzata e valorizzata per illustrare il Logos eterno, trascendente e finalmente divenuto uomo. Una filosofia pertanto che si confronta con la fede, ma anche una fede che nell'impatto con il pensiero umano ne è risultata meglio illustrata. Già nell'antichità si profilava però una formidabile problematica che di fatto ha inquietato una schiera innumerevole di menti: ciò che potrebbe essere conside rato un cammino «questionante», quello della filosofia appunto, rimane sconvolto da un'eccedenza che il messaggio cristiano rilancia al pensiero umano proponendo inedite conseguenze. Quel logos che vuole interpretare la realtà non è solo un lo gas divino, ma il Trascendente nei confronti del mondo e della realtà, colui che si fa storia, entra in essa senza perdere la sua assolutezza. Ciò che san Giovanni enuncia - «il Verbo carne è diventato» (1 ,14) - diventa il punto discriminante tra pensiero filosofico e cristianesimo. La filosofia si ritrova così di fronte a una que stione eccezionale, apparentemente irrisolvibile: il rapporto fra eternità e tempo, l'infinito che si fa finito senza perdere la sua identità, Dio che si fa uomo senza dissolversi nell'orizzonte antropologico. Tre sembrano essere gli atteggiamenti prevalenti, ieri come oggi, di fronte a quelle che potrebbero essere considerate delle insolubili aporie. - Vi è in primo luogo l'atteggiamento di assoluta eccedenza della filosofia ri spetto alla cristologia. La verità di Cristo rappresenta un pane duro per la ra gione umana, avvezza ai giochi del linguaggio dialettico, abituata a ragionare in termini universali e astratti. Bisognerà dunque tenere ben distinti i campi e rispet tare le reciproche competenze. In questo modello, che potremmo chiamare della distanza razionale tra filosofia e cristologia, sono individuabili in modo pendolare un'attitudine riduzionista (quella di stampo razionalista) e una pan-logista (di tipo chiaramente idealista). Le accomuna una certa mentalità e inflessione gnostico razionalista che tende a ridurre Cristo, come evento accaduto, a una spiegazione già data razionalmente. Nel primo caso Gesù è perfettamente soggetto a un'inter pretazione razionale e perciò non può essere più che un uomo, anche se del tutto singolare. Nel secondo caso (l'attitudine pan-logista invece) si vuole integrare la 37
verità di Cristo e del cristianesimo in un sistema superiore, per spiegarlo come momento necessario ai fini del proprio schema ideologico. Non si disdegna di mi surarsi con la verità cristiana e con il suo linguaggio trascendente, nonché con le categorie forti che la illustrano: incarnazione, Trinità, kenosis, esaltazione . . . Ma tutto questo viene riletto piegando e riducendo il mistero a una spiegazione in tellettuale, cosicché quei significati (Trinità, incarnazione, esinanizione . . . ) diven tano cifre interpretative di qualcos'altro. Così è stato per la filosofia di Hegel «che ha "sistematizzato" Cristo nella struttura del Tutto nella logica di una filosofia del compimento, di un pensiero che vuoi comprendere razionalmente anche il Cristo o per mezzo della sua dottrina o come "figura" massima della speculazione)). 56 Il tarlo razionalista, come si può constatare, è presente nei due modi suddetti che, alla fin fine, piegano il significato del mistero, non si lasciano interrogare da Cristo, ma riducono lo spessore teologico della sua figura. Rimandiamo a studi già affermati la documentazione di tutto questo, soprattutto per quanto riguarda il rapporto tra pensiero trinitario-cristologico e pensiero umano nella parabola della filosofia moderna in generale e nell'interpretazione dell'idealismo in particolare. 57 - Un secondo atteggiamento è rinvenibile all'interno del pensiero cristiano. Può essere chiamato modello dell'alterità tra filosofia e cristologia. Si ritiene, sì, che la filosofia possa anche essere una via propedeutica alla teologia, ma sempre in modo ancillare e subordinato, per lasciare poi posto alla fede. Essendo Gesù, nel suo mistero umano-divino, attingibile soltanto dalla fede, è evidente che non può essere un caso rilevante del rapporto tra ragione umana e rivelazione. Si tratta di due generi letterari differenti . . . e irriducibili! Nell'antichità questo modello si è manifestato con una certa ostilità nei con fronti di quella che oggi potremmo chiamare «inculturazione)), Si ritenevano peri colose certe categorie troppo logiche e dialettiche per interpretare la fede, perché troppo sospette di razionalismo. Ciò può essere riscontrato in taluni aspetti della teologia monastica58 o in tutte quelle correnti di pensiero che accoglievano fredda-
56 S. ZucAL (a cura di), La figura di Cristo nella filosofia contemporanea, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, 45. L'opera è stata rifusa e sostanzialmente ampliata e ora ripresentata in due tomi: S. ZucAL (a cura di), Cristo nella filosofia contemporanea, 1: Da Kant a Nietzsche; 2: Il Novecento, San Paolo, Cinisello Balsamo 2000-2002. Nel nostro esposto, d'ora in avanti, ci riferiremo sempre a quest'ultima edizione. 57 In mezzo a una letteratura già abbastanza caratterizzata ci limitiamo a richiamare per un in quadramento generale A. MILANO, «La Trinità dei filosofi e dei teologi. L'intelligenza della persona in Dio», in A. PAVAN - A. MILANO (a cura di), Persona e personalismi, Dehoniane, Napoli 1987, 125147. Più specificamente per quanto riguarda Hegel: X. TrLLIETIE, La cristologia idealista, Querinia na, Brescia 1993 (ed. or. francese 1986); J. SPLETI, Die Trinitiitslehre G. W F. Hegels, Alber, Freiburg Mi.inchen 31984; E. BRITo, La christologie de Hegel, Beauchesne, Paris 1983; P. CODA, Ipotesi su He gel. Il negativo e la Trinità, Città Nuova, Roma 1987; ID., La percezione della forma. Fenomenologia e cristologia in Hegel, Città Nuova, Roma 2007. 58 Va in tal senso considerato il passaggio dalla teologia simbolica alla teologia dialettica che, nell'unica eredità di sant'Agostino, ha condotto a esiti diversi, come ha ben illustrato De Lubac: «Essere "razionali" o essere "contemplativi" era allora, fondamentalmente, la stessa cosa. La ra gione, che definiva l'uomo, era attitudine alla contemplazione: hominis est rationale contemplati vumque proprium . . . A partire dalla natura, a partire dalla storia o dalla Scrittura o dalla liturgia, 38
mente l'ingresso di Aristotele in Occidente. 59 Rimane significativo il detto di Alano di Lilla che si opponeva a Pietro Abelardo, più incline a utilizzare la ragione in teo logia: «In hac Verbi copula l stupet omnis regula (Di fronte all'unione del Verbo di Dio con la realtà umana, resta sconvolta ogni norma del sapere razionale)».60 Questa posizione di Alano di Lilla61 va letta nel senso positivo di chi vede nel mistero dell'incarnazione il paradosso metafisica per eccellenza; essa potrebbe essere prototipica di un atteggiamento piuttosto comune in certi strati del pen siero cristiano: di fronte al mistero del Verbo fatto carne la ragione non può nulla, deve arrestarsi e cedere il posto alla fede senza poter cercare altra spiegazione che possa in qualche modo esplicitare il mistero attraverso il linguaggio filoso fico. Un simile atteggiamento, pur nella mutazione del paradigma culturale, lo ritroviamo nell'età moderna con Pascal che oppone il Dio dei filosofi al Dio di Abramo, !sacco e Giacobbe e finalmente al Dio di Gesù Cristo che solo un'illu minazione interiore dall'alto, e perciò la fede, può in qualche modo raggiungere. Cristo è la risposta teandrica al «paradosso» dell'uomo.62 Più vicino a noi, Kierkegaard è stato decisivo per superare la ragione, la quale - secondo lui - per definizione sta agli antipodi con il «Verbo fatto carne». Il filo sofo, secondo Kierkegaard, non potrebbe mai sopportare la verità che un uomo pretenda di essere Dio ! Il filosofo potrebbe dire: Non si è ancora mai sentita una vanità così terribile o meglio così pazzesca che un semplice uomo pretenda di essere Dio! È una cosa finora inaudita. Non si è mai vista una simile forma di pura soggettività, di pura negazione spinta così all'estremo. . . Che l'individuo pretenda di essere qualcosa, questa è in generale una presunzione della soggettività; ma che il singolo voglia spacciarsi per Dio, questa è una pazzia. Se fosse vera questa pazza ipotesi che un uomo particolare possa essere Dio,
a partire da qualsiasi cosa, la ragione tendeva con uno stesso slancio verso l'intelligenza spirituale, sempre nella luce del Verbo e sotto l'impulso dello Spirito. In questo senso, la dottrina agostiniana dell'illuminazione è assai più che la teoria di un autore particolare: fu l'espressione, e rimane per noi la testimone, d'uno stato dell'intelligenza . . . Già alla fine dell'XI secolo l'equilibrio ch'essa sup pone si era spezzato. Anselmo e Ruperto, Abelardo e Ugo di San Vittore erano tutti quanti eredi di Agostino. Tutti cercavano quell'intelligenza della quale egli aveva trasmesso loro l'ardente deside rio. Ma tra la teologia "razionalista" di Anselmo e di Abelardo e la teologia "simbolista" o mistica di Ruperto e di Ugo s'era già scavato un fossato» {H. DE LuBAC, Corpus mysticum. L'Eucaristia e la chiesa nel Medioevo. Studio storico, Gribaudi, Torino 1968). 59 Cf. per tutti M.D. CHEN U, La teologia come scienza. La teologia nel XIII secolo, Jaca Book, Milano 1971. Certo, a fronte di questo atteggiamento, non va però disconosciuta anche quell'atti tudine della teologia monastica che proprio per amore della parola di Dio e della sua intelligenza, valorizzava tutte quelle scienze umanistiche e profane (grammatica, retorica, musica . . . ) come via di preparazione per un incontro vitale verso la lingua vera che è la Parola divenuta carne. Cf. per que sto fecondo filone la classica opera di J. LECLERCQ, L 'amour des lettres et le désir de Dieu. Initiation aux auteurs monastiques du Moyen A ge, Cerf, Paris 1957. 60 ALANO DI LILLA, Rytmus de Incarnatione Domini, citato in H. DE LUBAC, Esegesi medievale. I quattro sensi della Scrittura, Paoline, Roma 1972, l, 166. 61 Per una puntuale ricostruzione del contributo di Alano di Lilla, cf. V. LICCARO, «La figura di Cristo nel XII secolo: tentativi e limiti della speculazione filosofica», in Il Cristo dei filosofi. Atti del XXX Convegno del Centro di studi filosofici tra professori universitari (Gallarate 1975), Morcellia na, Brescia 1976, 227-238. 62 Cf. A. DI GmvANNI, «Per una cristologia filosofica: Pascal», in Il Cristo dei filosofi, 183-192. 39
bisognerebbe di conseguenza adorare quest'uomo particolare: non è possibile concepire una bestialità filosofica più grande ! 63
Non resta dunque per Kierkegaard che il «salto nella fede» di fronte a un'irri ducibilità evidente e inconciliabile tra Cristo e il pensiero filosofico. Cristo resta sempre colui che sconcerta e scandalizza non solo e non tanto per quello che egli ha fatto come uomo, ma proprio perché umanamente lo ha fatto dicendosi Dio. Davvero quindi Gesù Cristo è pietra di inciampo per la filosofia! Evidentemente a un occhio attento non può sfuggire che la pre-comprensione propria di pensatori come Pascal e Kierkegaard guardava a modelli filosofici al quanto razionalisti (Cartesio per Pascal e Hegel per Kierkegaard); questo attenua senz'altro la contrapposizione, ma pur tuttavia resta la difficoltà in questi autori a istituire un rapporto sereno che sia nello stesso tempo di fiducia per una ricerca razionale che assuma la rilevanza filosofica dell'evento unico e irripetibile di Gesù di Nazaret. Più di recente si è attestata una posizione certamente debitrice alla mentalità kierkegaardiana, paradossalmente da parte di chi ha creduto fermamente nella speculazione filosofica come via propedeutica alla rivelazione. Mi riferisco alla nota tesi del filosofo Cornelio Fabro, il quale riteneva che il problema di Cristo resti ostico per il pensiero filosofico: esso non è un caso emblematico tra ragione umana e rivelazione. Il rapporto di Gesù Cristo si gioca sul piano esistenziale e va molto al di là della speculazione formale circa il rapporto metafisico tra infinito e finito. Occorre tenere ben distinto il campo della storia da quello della specu lazione - sostiene il filosofo stimmatino64 - secondo il quale Gesù Cristo è una realtà della storia che interpella da un punto di vista esistenziale. Egli è colui per il quale si ha salvezza e perdizione, perciò non è un «caso» per la ragione filosofica. E poiché appunto la sua non è una dottrina ma una prassi di vita, non può essere oggetto di indagine filosofica alla maniera dei pensatori che la storia del pensiero ha conosciuto. Va affermata pertanto una radicale alterità tra il Cristo dei filosofi e il Cristo che la fede ci fa incontrare. Il Cristo dei filosofi rischia sempre di es sere perdente passando al vaglio dell'evidenza razionale. Gesù del resto non ha mai voluto essere un filosofo, ma si è presentato come l'uomo-Dio. Ora è precisa mente l'eliminazione dell'uomo-Dio, il male mortale del pensiero moderno e con temporaneo. È meglio lasciare che il Cristo continui a scandalizzare e inquietare una ragione che continua a considerarlo come irriducibile pietra d'inciampo per la filosofia: «È sul momento teologico quindi, più che su quello formale delle qua lità visibili del personaggio, che la filosofia urta con (in . . . ) Cristo il quale, lungi dal fortificare la logica naturale, piuttosto la confonde e la spezza deludendo tutte le attese di comprensione della ragione».65
63 S. KlERKEGAARD, «Esercizio del cristianesimo», in Io., Opere, a cura di C. FABRO, Sansoni, Fi renze 1972, 111. 64 C. Fabro espose la sua concezione del rapporto filosofia-cristologia nell'ambito dell'importan te convegno del Centro studi filosofici di Gallarate (Milano ) ; cf. Il Cristo dei filosofi. 65 C. FABRO, «L'eliminazione dell'Uomo-Dio nel pensiero moderno», in Il Cristo dei filosofi, 54. 40
Tutto ciò che Gesù è stato e ha compiuto è contrario alla ragione, anche per ché il problema si deve porre sul piano esistenziale e non speculativo. Di fronte a Gesù si può decidere coinvolgendo a propria volta tutta la propria vita: lo si può accettare come Figlio di Dio o meno, ma non ridurlo a un caso di decifrazione filo sofica. Tutti, compreso i filosofi, sono da lui coinvolti, ma in quanto esseri umani, non in quanto filosofi di fronte a un «caso filosofico». Si tratta di due formalità di verse: la verità attinta dalla filosofia è una conoscenza universale, quella che pro viene da Cristo è personale e singolare e a essa si deve l'obbedienza della fede. La filosofia interroga, la fede si lascia interrogare da Cristo, l'uomo da interrogante diventa interrogato.66 La verità, dopo l'evento Cristo, non è solo aspirazione della mente ma è fatto storico oggettivo e decisivo per la propria salvezza eterna. In breve: non resta che il salto della fede di kierkegaardiana memoria, vale a dire la decisione pro o contro Cristo e questo la ragione umana non può davvero com pierlo se non è supportata dall'atto di fede. - Vi è infine un terzo atteggiamento nel rapporto filosofia-cristologia che po tremmo chiamare il modello della relazione legittima e feconda. In altre parole Gesù non è stato soltanto rilevante perché storicamente i filosofi si sono imbattuti in lui e hanno parlato di lui, ma il rapporto può essere istituito dal punto di vista speculativo medesimo. Si può parlare perciò di cristologia filosofica così come si parla di teologia filosofica. Sostenitore di questa tesi è stato il filosofo gesuita, pa dre Xavier Tilliette, in numerose pubblicazioni tra le quali voglio qui ricordare il suo capolavoro Filosofi davanti a Cristo67 e, dal punto di vista più speculativo, Il Cristo della filosofia.68 Secondo Tilliette il Cristo è anche per il filosofo un enigma irritante e affasci nante che interroga oltre a lasciarsi interrogare, egli in qualche modo giudica la filosofia medesima. Certamente la filosofia non deve sconfinare nel campo della fede e della rivelazione, ma la sua funzione propedeutica è significativa nel con durre fin sulla soglia di questa, può essere in questo senso una praeparatio evan gelica. L'evento Cristo pone questioni che già la filosofia è impegnata a studiare. Secondo Tilliette sono decifrabili nel corso della storia due posizioni filosofiche nei riguardi di Cristo. Vi è la vigorosa protesta di una schiera di filosofi cristiani che vedono sottolineata l'infinita eccedenza dell'evento Cristo sulle pretese della ragione umana. Essa va da Pascal a Kierkegaard, da Dostoevskij a Laberthon nière, da Max Scheler a Gabriel Marcel. Pur nella diversità dei temperamenti e delle pre-comprensioni religiose e culturali, sembra in questi autori quanto mai palpitante la contrapposizione paolina tra croce e saggezza umana, tra ciò che è considerato follia (lCor 1,22-23), scandalo (Gal 5,11), e proprio per questo la glo ria autentica del credente («Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del
66 Cf. ivi, 82. 67 X. TILLIETIE, Filosofi davanti a Cristo, Queriniana, Brescia 1989 (l'opera è apparsa successiva mente in ed. francese con il titolo: Le Christ des philosophes. Du Maltre de sagesse au divin Témoin,
Culture et Vérité, Namur 1993).
68 In., Il Cristo della filosofia. Prolegomeni a una cristologia filosofica, Morcelliana, Brescia 1977. 41
Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo è stato per me croci fisso, come io per il mondo», Gal 6,4). La filosofia, secondo questa opinione, si è mostrata sempre incapace di cogliere la novitas cristiana: all'evento Gesù Cristo ha sempre corrisposto un rifiuto filosofico. Vi è inoltre una seconda posizione, che storicamente può essere identifi cata dall'illuminismo in poi, la quale rivendica una tale autonomia della ragione umana da generare perfino una critica radicale nei confronti della religione (e perciò di Cristo), tanto da ridurla a uno stato di inferiorità deprimente. È pra ticamente questo il dramma della filosofia moderna che da Kant in poi ha ra zionalizzato il mistero cristiano fino a renderlo speculativamente indifferente. Gesù ne è sempre risultato rimpicciolito nella sua statura, quando non travisato o completamente dimenticato. Passando attraverso la galleria dei volti di Cristo nella filosofia contemporanea,69 ci si accorge immediatamente dell'insufficienza di queste letture. I filosofi hanno coinvolto Gesù nella loro prospettiva. - Così, ad esempio, Immanuel Kant ne ha fatto il perfetto ideale, quasi una per sonificazione della moralità.70 Non è neppure importante, per il filosofo tedesco, la figura storica di Gesù di N azaret quale modello di moralità pura. Il «Maestro dell'evangelo»71 non supera le capacità razionali dell'uomo. Anche quando la pre dicazione originale di Gesù e la tradizione teologica cristiana presentano le dot trine teoretiche su Gesù Cristo come Figlio di Dio fatto uomo, della sua passione e morte quale fonte di salvezza, fino a giungere alla Trinità, tutto questo è rein terpretabile in termini etici. Un eventuale «Cristo storico», per Kant, non potrà mai essere criterio della moralità umana, perché solo il «Cristo ideale» che rifulge nella ragione di ogni uomo potrà a sua volta misurarne l'effettivo valore. L'idea a priori della perfetta moralità umana mal sopporta la necessità di incarnarsi in un uomo, divenendo una «realtà oggettiva)), soprannaturale e perciò aliena alla di mensione della ragione: «La ricostruzione a priori della figura ideale di Cristo, sia come "maestro dell'Evangelo" che come "modello morale", sembra così conchiu dere a tutto vantaggio della "idea di Cristo", da sempre insita nella ragione, con la completa marginalizzazione del "Cristo storico", la cui importanza viene relegata in una funzione del tutto contingente e secondaria)).72
69 Si rimanda a tal proposito all'importante opera già precedentemente richiamata, che resta punto di riferimento obbligato per quanto qui di seguito si dirà: ZucAL (a cura di), Cristo nella filo sofia contemporanea. 70 Tra gli scritti del filosofo tedesco in materia, quello più importante è senz'altro l. KANT, La re ligione nei limiti della semplice ragione, in lo., Scritti di filosofia della religione, a cura di G. R.rcoNDA, Mursia, Milano 1989, 107-127. 71 Acutamente G. FERRETII, «Dal Cristo "ideale" della perfetta moralità al ritorno del Cristo della fede ai "confini" della ragione», in ZucAL (a cura di), Cristo nella filosofia contemporanea, l, 61, fa notare che «Maestro dell'evangelo» è l'appellativo più usuale adottato da Kant che evita nor malmente il nome di Gesù Cristo. 72 lvi, 64. 42
- Anche Friedrich Schleiermacher, nella sua prospettiva soggettivista, ha ri dotto Gesù ad archetipo perfetto dell'uomo inabitato da Dio.73 Nelle opere della maturità, nelle quali ripetutamente Schleiermacher affrontò l'esegesi dei vangeli per decifrarne meglio la persona storica, Gesù è la potenza vigorosa della «CO scienza di Dio». Il «Cristo archetipo» si misura sì con il Gesù storico, a tutto van taggio della prima figura e perciò anche i dogmi del cristianesimo, pazientemente analizzati da questo filosofo, non vengono interpretati come veri e propri elementi della dottrina riguardanti la persona di Gesù. Non si deve tanto guardare, secondo Schleiermacher, a Dio in Cristo; infatti per lui la fede negli eventi principali della vita di Gesù (passione, morte, risurrezione, ascensione . . . ) non rappresenta un mo mento autonomo che appartiene agli elementi essenziali della fede in Cristo.74 - Georg Wilhelm Friedrich Hegel, più di ogni altro, ha inglobato Gesù Cristo in un sistema filosofico dove tutto è storia e superamento, ma sempre nella suprema chiarezza speculativa che alla fine però riduce il mistero.75 Lo sforzo di Hegel ri sultò ad alcuni certamente apprezzabile come petizione di principio; egli si sforzò di dimostrare come concettualmente fosse necessaria l'incarnazione di Dio con centrata in una singola creatura. Questo evento non poteva accadere nell'uomo in generale, ma solo in un uomo dove l'unità di Dio e uomo fanno una sola realtà. Per Hegel questo unico evento dell'Incarnato significava anche redenzione per tutta l'umanità; perfino la morte in croce di Gesù rimandava al suo sistema con cettuale dialettico in cui tutto viene riletto nel divenire spirito della realtà mede sima. Ma tra l'esigenza speculativa postulata e la risultante conseguita, si vengono a creare irrimediabili aporie, infatti alla fine l'idea universale del divino (I grado dialettico) e l'idea in quanto apparizione in Gesù (II grado dialettico) si espri mono nel soggetto che diviene spirito (III grado dialettico) e così cittadino del re gno di Dio.76 Insomma la religione e Cristo devono trovare rifugio nella filosofia, solo quest'ultima può mostrare la razionalità della religione: «Il significato che la figura e la storia di Gesù Cristo hanno per Hegel diviene chiaro proprio perché tutte le affermazioni che possiamo fare in proposito sono intessute nel complesso
73 Le opere maggiormente coinvolte sono anzitutto F. SCHLEIERMACHER, Das Leben Jesu, a cura di K.A. RtiTENIK, Reimer, Berlin 1984 ( tr. it. a cura di M. FARINA) ; Io., Die Weihnachtsfeier. Ein Ge spriich, Halle, Niemeyer 1806 (tr. it. La festa di Natale. Un dialogo, a cura di G. MoRETIO, Querinia na, Brescia 1994) ; lo., Ober die Religion. Reden an die Gebildeten unter ihren Veriichtern, a cura di H.J. ROTHERT, Felix Meimer, Hamburg 1958 (tr. it. Discorsi sulla religione e monologhi, a cura di G. DuRANTE, Sansoni, Firenze 1947 ) ; Io., Die Glaubenslehre, a cura di M. REDEKER, de Gruyter, Berlin 1960 (tr. it. La dottrina della fede, a cura di S. SoRRENTINO, Paideia, Brescia 1981 ) . 74 M. FARINA, «> (87s). 28 SAccm, Gesù e la sua gente, 27. 200
Certamente una delle prime e più vistose relazioni è quella con il mondo fari saico, dove si dovranno usare severi criteri di discernimento andando al di là, lad dove è possibile, della sottile polemica antigiudaica che ha caratterizzato la reda zione dei testi evangelici, per cogliere l'effettiva portata del movimento farisaico e della sua relazione con Gesù. Fin dalle prime battute è evidente il riscontro che, già a partire dalle pagine evangeliche, si è andata formando un'immagine ostile del fariseo come oppositore di Gesù e dell'annuncio del vangelo. Oggi si tende a una valutazione più pacata e veritiera che faccia trasparire maggiormente - come si è detto antecedentemente - l'ebraicità di Gesù e la sua reale collocazione nella religiosità del suo ambiente. In questo senso il fariseismo viene rivalutato come un movimento di pietà religiosa di stretta osservanza, capace di abbracciare diversi strati sociali sia tra i più abbienti che tra i più poveri.29 Il fariseismo non era per ciò soltanto ipocrisia. I farisei (perushim = separato, cioè dagli impuri) al tempo di Gesù erano un esempio di osservanza e di santità, in genere al di fuori di mire politiche. La loro religiosità si esprimeva attraverso le abluzioni rituali, l'obbe dienza alla Torah e alla Halakhah (tradizione orale) e così santificavano la vita quotidiana. La dottrina farisaica era piuttosto nota: importanza alla tradizione dei padri, retribuzione oltretomba e risurrezione dopo la morte, presenza degli angeli come messaggeri divini.30 Una certa rivalutazione del fariseismo, soprattutto come osservanza, non deve però far concludere per una continuità tra fariseismo e Gesù, che non è un rabbì di tendenza farisaica. Le infinite differenze sono visibili soprattutto nel diverso atteggiamento di Gesù nei confronti del culto (verso il quale manifesta una so vrana libertà) e della Legge, verso la quale è osservante ma, nello stesso tempo, superiore. Di per sé il fariseo non è oppositore di Gesù, lo è piuttosto il partito dei sadducei, al quale va attribuita la principale responsabilità della sua morte. Più precisamente, i sadducei erano un clan piuttosto che un partito. La grande sintonia tra i sadducei e le famiglie aristocratiche che fornivano i sommi sacerdoti e controllavano il tempio fa pensare che le leve del potere politico, religioso ed economico fossero nelle loro mani, certamente nella misura consentita da Roma e dagli Erodi. È facile perciò pensare che «per quel che riguarda la partecipazione giudaica alla morte di Gesù si può parlare realisticamente soltanto della fazione dei sommi sacerdoti)).31 Il confronto di Gesù con l'area sadducea è meno vistoso rispetto a quella fari saica. È necessario quindi conoscere meglio questa corrente religioso-politica per collocare il più correttamente possibile Gesù nel suo ambiente. Balzato alla ri balta nella ricostruzione post-esilica avvenuta dopo il 538, al tempo di Gesù il par tito dei sadducei era il principale detentore del potere in Israele (beninteso quel
29 Per quanto riguarda la collocazione storico-religioso-sociale dei farisei, cf. le valutazioni di J.D.G. DuNN, Gli albori del cristianesimo, III: La memoria di Gesù. Fede e Gesù storico, Paideia, Brescia 2006, 282-286. 30 SACCHI, Gesù e la sua gente, 35-38, riassume in dieci punti le specificità dottrinali e prassiche dell'area farisaica rispetto a quella dei sadducei e degli esseni. 31 DUNN, Gli albori del cristianesimo, 111, 287.
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potere religioso, e in parte politico-sociale, che il governo di occupazione, cioè i romani, concedevano ai capi della nazione ebraica. In poche parole, i sadducei erano collaborazionisti dei romani). Gesù non ha grandi rapporti con la classe sa cerdotale rappresentata dai sadducei: quando saliva al tempio non andava mai per riti o pasti sacrificati. Dai sadducei era considerato un laico e da loro avversato.32 I sadducei dal punto di vista sociale erano considerati aristocratici; religiosamente si dichiaravano estranei alla fede nella risurrezione dei morti e non credevano all'e sistenza dell'anima immortale.33 Gesù ebbe poco a che fare con i sacerdoti (caso mai più con i farisei) . Nei racconti della passione, in Marco più di tutti, non com paiono i farisei bensì sempre i sommi sacerdoti, gli anziani, gli scribi. Vi sono poi questioni di carattere storico-religioso, interne a Israele, che mettono in risalto al cune problematicità di questo gruppo che, più che una setta, va considerato come una classe sociale. Dal 152 a.C. la successione dei sommi sacerdoti non avveniva più nella linea sadocita indicata da Davide e Salomone (1Re 2,35), ma i sommi sacerdoti erano semplici membri della classe sacerdotale comune. Addirittura dal 37 a.C. il loro ufficio non era più ereditario e a vita, ma potevano essere nominati e deposti dall'autorità romana o anche dall'autorità religioso-politica locale ero diana. I sadducei sommi sacerdoti che ebbero a che fare con Gesù furono Annas (in carica dal 6 al 15 d.C.) e il genero Caifa (dal 18 al 37 d.C.), come è riportato nei vangeli. 34 Il conflitto di Gesù con i sadducei riguardò il culto; ora il culto aveva a che fare direttamente con il tempio, quale luogo espressivo della manifestazione della religiosità per il pio israelita. I sadducei e la loro classe sacerdotale avevano le «chiavi» del tempio e del culto. Determinavano comportamenti e modi di accesso e non trovavano l'opposizione dei farisei (classe declericalizzata) che però ripro vava comportamenti disdicevoli e criticava il modo in cui si compivano i sacri fici espiatori. Sotto questo punto di vista esistevano critiche interne, oltre che dal mondo ellenistico, anche dalla diaspora giudaica e dal giudaismo palestinese. In fatti alla sbilanciata affermazione dei riti sacrificati si opponeva che il vero culto dovesse avvenire non con ablazioni e sacrifici, ma con l'offerta di se stessi e la fede pia. Esisteva perciò verso il 70 d.C. una latente crisi della religione del tempio. Questa crisi era sentita anche nella primitiva comunità cristiana. I testi neotestamentari non parlano quasi per niente del sistema cultuale giu daico e Paolo, che pur era ebreo, non menziona affatto il tempio e se tratta dei sa crifici è per dire che essi sono ormai del tutto superati, come in 1Cor 3,16-17: «Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi? Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi».
32 Osservando le cose dal punto di vista storico, Gesù veniva considerato «laico>>, secondo la so ciologia religiosa di Israele, semplicemente perché non apparteneva alla tribù sacerdotale di Levi. 33 Cf. ancora per queste informazioni SAccm, Gesù e la sua gente, 33s. 34 Importanti informazioni su questo quadro storico-religioso-sociale si possono rinvenire nel lavoro di J. JEREMIAS, Gerusalemme al tempo di Gesù. Ricerche di storia economica e sociale per il periodo neotestamentario, Ed. Dehoniane, Roma 1989, 286-310. 202
Tutto questo ha un forte peso nell'anamnesi narrativa dei vangeli, dove addi rittura Gesù afferma in Gv 2,19: «Distruggete questo tempio e in tre giorni lo farò risorgere» (ma è tutto il testo di Gv 2,13-22 che è interessato). Gesù non vuole an nullare l'importanza preparatoria e simbolica del tempio, nello stesso tempo però vuole annunciare una nuova verità rispetto all'antico ordinamento cultuale. Lo si può notare in alcuni luoghi peculiari: la cacciata dei venditori dal tempio, il di scorso escatologico di Marco 13, la rottura del velo del tempio nell'episodio della morte di Gesù. Per quanto riguarda l'episodio della cacciata dei venditori dal tempio, va su bito affermato il forte grado di storicità per il criterio della molteplice attestazione (Mc 11 ,15-17 e par.). Va pure annotato che il gesto di Gesù non voleva essere quello di un rivoluzionario che dichiarava illeciti i sacrifici e perciò anche la ven dita degli animali, pienamente ammissibile per poter offrire i sacrifici, del resto prescritti dalla Legge. Il gesto di Gesù non va letto nel senso di una difesa della sacralità del luogo da ogni profanazione e perciò bisognoso di ulteriore purifica zione. Questo tipo di lettura, sostenuta da E.P. Sanders,35 ha un suo plausibile fon damento, ma non può oscurare il fatto che Gesù, analogamente a ciò che notiamo in vari settori della letteratura giudaica [ . . . ] abbia voluto compiere un gesto fortemente polemico verso il sacerdozio templare. Che il suo gesto intendesse qualcosa di radicale, afferente insieme al Tempio e al sacerdo zio, risulta anche dalla reazione dei «gran sacerdoti e gli scribi», i quali udito ciò «cerca vano come farlo perire».36
Dunque si trattò nello stesso tempo sia di un gesto polemico nei confronti dell'aristocrazia potente e oppressiva dei sadducei e della loro cerchia, sia di un'azione «simbolica» altamente profetica di distruzione e di compimento esca tologico, così come ricordato dagli oracoli profetici (ls 56,7; Ger 7,4-11; MI 3,14; Zc 14,21). Si voleva alludere a un nuovo tempio escatologico, libero dall'at taccamento a traffici materiali, al luogo materiale in se stesso, esente da sacrifici cruenti, insomma un luogo di preghiera aperto a tutti i popoli indistintamente. Il comportamento di Gesù annunciava la fine del tempio antico e del suo sistema cultuale, l'avvento del nuovo tempio escatologico.37 Seguendo il filo del Vangelo
35 E.P. SANDERS, Gesù e il giudaismo, Marietti, Genova 1992, 83-121. 36 R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neo-testamentaria, 1: Gli inizi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 69-78. L'autore, alla p. 72 nota 122, spiega in detta glio in che cosa la critica di Gesù al sacerdozio poteva consistere nel tempo coevo del Profeta galileo, sulla base cultuale o di indegnità morale. 37 B. MAGGIONI, Il racconto di Marco, Cittadella, Assisi 1987, 160: «Gesù proclama che il tempio è decaduto. Ha finito la sua funzione (non il tempio, ma l'economia ebraica): la presenza di Dio è un fatto "universale" (ecco perché Marco prolunga la citazione di Isaia fino a comprendere "per tutte le genti") ed è una presenza per tutti, anche per i rifiutati (ecco perché Mt 21,14 parla anche di "ciechi e zoppi"). Se Dio giudica Israele è perché questi si è chiuso, e non vuole decidersi ad aprirsi al Messia e alle genti. Non si considera più una realtà aperta, provvisoria, disponibile».
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di Marco,38 una tale dimensione escatologica risulta confermata dalla risposta di Gesù al sommo sacerdote durante il processo davanti ai giudei. Egli parla di «Ve nuta sulle nubi del cielo come Figlio dell'uomo». Ebbene, proprio quello sarebbe stato il momento della vera «riedificazione>> che sarebbe coinciso non con una semplice restaurazione, ma con la nuova riedificazione di un tempio non più ad opera di mano umana («Lo abbiamo udito mentre diceva: "Io distruggerò questo tempio, fatto da mani d'uomo, e in tre giorni ne costruirò un altro, non fatto da mani d'uomo">>: Mc 14,58). Qui va ricollegato anche l'episodio del velo del tempio che si squarcia in occasione della morte di Gesù (Mc 15,38; Mt 27,51). In fondo, il passo di Mc 14,58 è una conferma che la risurrezione di Gesù è l'affermazione del nuovo tempio escatologico, appunto non più fatto da mani d'uomo. Questo nuovo tempio che è Gesù non esigerà più sacrifici cruenti, come ben spiega la Lettera agli Ebrei (9,11.14) ; egli stesso è colui che si sacrifica una volta per sempre, e davvero nel nuovo tempio che è Gesù (né a Gerusalemme, né sul monte Garizim) si potrà adorare il Padre in Spirito e verità (Gv 4,23-24). Rispetto poi ai sin ottici, il Vangelo di Giovanni presenta una lettura ancora più densamente «cristologica», infatti Gesù viene presentato come il nuovo tempio che ora viene identificato con il suo corpo: «Gli dissero allora i Giudei: "Questo tempio è stato costruito in quarantasei anni e tu in tre giorni lo fai risorgere?". Ma egli parlava del tempio del suo corpo» (Gv 2,20-21). Proprio il voler distruggere il corpo di Gesù, da parte del potere religioso del momento, sarebbe coinciso con la distruzione del tempio fatto da mano d'uomo. L'autore del quarto vangelo ha potuto rileggere la promessa di riedificazione, anche alla luce del fatto che nel 70 d.C. il tempio distrutto non venne più ricostruito: l'evento della morte e risurre zione permise di interpretare redazionalmente in senso ancora più strettamente cristologico quanto le versioni di Marco e Matteo avevano già formulato.39 Infine il rapporto di Gesù con il tempio lo si può comprendere dal noto testo di Mc 13,1-3, («Non sarà lasciata qui pietra su pietra che non venga distrutta . . . »), quando Gesù esce dal tempio ed è interrogato da un discepolo. Dopo questi primi tre versetti segue il discorso escatologico marciano. L'esegesi qui mette l'accento più sulla profanazione del tempio (abominio della devastazione: Mc 13,14) che non sulla distruzione; infatti si nota come tutto il discorso sia teso verso la manife stazione parusiaca del Figlio dell'uomo in modo glorioso sulle nubi del cielo tanto da convocare tutti gli eletti, cioè il nuovo popolo di Dio (Mc 13,27). Il discorso escatologico dell'evangelista è perciò da intendersi positivamente: dopo la profanazione del tempio (probabilmente ci si riferisce alla guerra giudaica con la distruzione di Gerusalemme) non vi sarà una restaurazione del tempio an-
38 Per un convincente inquadramento del significato del tempio nel Vangelo di Marco, cf. la mo nografia di G. BIGUZZI, > sottende un'immedia tezza più che il futuro. «E così proprio mentre la sua storia sembra chiudersi, Gesù dichiara che essa è aperta. Pensano di zittirlo condannandolo a morte, e invece gli aprono un nuovo cammino».56 Quel «vedrete» non allude a un tempo lontano,
56 B. MAGGIONI, I racconti evangelici della passione, Cittadella, Assisi 1994, 138.
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ma a un tempo che inizia già ora, e così nel cuore di quello che umanamente può essere un fallimento si introduce la via della gloria. È la sua intronizzazione come Messia glorioso, che Gesù annuncia nel contesto della sua passione. Il gran sacer dote, i giudei, se vorranno aprire gli occhi, vedranno Cristo risorgere, la Chiesa trionfare e il giudaismo declinare. Quanto fin qui affermato sul titolo gesuano di «Figlio dell'uomo» apre ad altri orizzonti, che risulteranno più chiaramente nello sviluppo della cristologia neo testamentaria: la posizione a cui Gesù perverrà lungo il corso della sua esistenza, fino al compimento nella Pasqua, rivelerà pienamente chi egli era, mostrando a tutti che «nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo» ( Gv 3,13). La gloria che Gesù riceve dal Padre è quella che aveva presso di lui prima che il mondo fosse (Gv 17,5). La differenza tra la prospettiva dei sinottici e quella di Giovanni è evidente. Essa però non sta nel fatto che la letteratura giovannea esplicita uno sviluppo cristologico, mentre quella sinottica resterebbe soltanto a livello gesuano. Altri sono i criteri nel rilevare un simile passaggio. Se si osserva, per esempio, come Matteo riporta i titoli cristologici (compreso quello di «Fi glio dell'uomo» di cui stiamo trattando), non si farà fatica a riscontrare «la domi nanza dei titoli improntati dall'esperienza pasquale. Matteo vede la storia e l'in segnamento di Gesù riflessi nello specchio dell'esperienza della chiesa».57 In defi nitiva, il titolo di Figlio dell'uomo manifesta un'interessante tensione profetica tra lo stato presente terrestre contrassegnato dal «segreto messianico» e la funzione escatologica di Gesù. Il titolo di Figlio dell'uomo unisce, a livello tematico, vari elementi della coscienza storica di Gesù: egli è l'umile servitore, la sua sofferenza è strada necessaria per giungere alla gloria regale e divina che gli è propria. Il tor nante decisivo, quindi, per distinguere la prospettiva sinottica e giovannea del ti tolo di Figlio dell'uomo non sta nella presunta «gesuanità» della prima prospettiva e «cristologia» della seconda. Mentre nei sinottici i detti sul «Figlio dell'uomo» fungono praticamente da contrappunto al messaggio sul regno di Dio, in Gio vanni il titolo di «Figlio dell'uomo» si integra perfettamente con quello di «Figlio di Dio». In Giovanni questo appellativo non risente tanto delle idee apocalittiche giudeo-palestinesi, piuttosto vuole veicolare orizzonti ancora sconosciuti temati camente dai sinottici, vale a dire l'idea dell'incarnazione e il ritorno pasquale, !ad dove l'intento era quello di mostrare che l'origine di Gesù viene dall'alto, da Dio. In Giovanni il «Figlio dell'uomo», più che il misterioso personaggio apocalittico che viene «sulle nubi del cielo», è colui che era preesistente, rivolto verso il Padre; diversamente dai sinottici, in Giovanni l'espressione «Figlio dell'uomo», più che una parusia futura, annuncia l'attualizzazione del potere di giudicare che trova la sua acme attraverso l'esaltazione della croce (Gv 12,31-32).
57 J. ERNST, Matteo. 292
Un
ritratto teologico, Morcelliana, Brescia 1992, 41.
Capitolo VIli IL RAPPORTO DIALOGICO DI GESÙ CON DIO SUO PADRE La radicale novità e l'unicità della invocazione di Dio come abba nella preghiera di Gesù mostra che essa esprime il momento cen trale dei rapporti suoi con Dio. Egli si è rivolto a Dio come un fan ciullo a suo padre: con fiducia totale, piena sicurezza e nello stesso tempo con riverenza e pronta obbedienza [. . . ] il fatto che in ori gine abba fosse una parola infantile ha dato occasione di pensare che Gesù, invocando Dio come padre abbia adottato il linguaggio dei più piccoli, io stesso per l'addietro ho creduto così. Invece la constatazione che già nel periodo precedente il Nuovo Testamento anche i figli adulti si rivolgevano al loro padre con 'abba vieta di accettare questa restrizione. (J. JEREMIAS, Teologia del Nuovo Testamento, 1: La predicazione di Gesù, Paideia, Brescia 2 1976, 83)
l. «D Padre», polo centrale dell'esistenza di Gesù
Il dato letterario a disposizione che proviene dal materiale evangelico ha per messo fin qui di evidenziare, dell'esistenza di Gesù, quei caratteri di richiamo all'urgenza escatologica, all'immanenza e anticipazione del Regno, unitamente allo stile di una personalità eccezionale dove autorevolezza (exousia) e libertà si manifestano attraverso l'insegnamento e i segni miracolosi. Entrambi gli aspetti, l'inaugurazione dei tempi escatologici e la sua eccezionale personalità, ci ripor tano a un dato imprescindibile: la novità stessa dell'annunzio escatologico di Gesù affonda le sue radici proprio nella rivelazione della sua persona di «Figlio», e per ciò del suo singolare e unico rapporto con Dio suo Padre. Ciò che Gesù è e fa, rappresenta l'epifania di una relazione che viene da lontano e che ora si manifesta storicamente. Gesù ha vissuto in prima persona, nella sua coscienza, questa relazione con Dio Padre. L'ha interpretata in modo singolarissimo, ma anche nel contesto vitale e religioso di un pio israelita. Vogliamo qui domandarci, attraverso i dati a nostra disposizione, quali sono state le modalità attraverso le quali Gesù viveva ed espri meva il suo rapporto con Dio suo Padre e inoltre, andando ancora più a fondo, cosa ha significato per lui vivere questa dimensione fondamentale? I testi nei quali Gesù parla del Padre hanno questo andamento: - «Padre vostro)), quando Gesù vuole distinguere il suo modo di rivolgersi al Padre rispetto a quello dei discepoli che sono con lui (Mc 11,25; Mt 5,48; Le 6,36; Mt 6,32; Le 12,30; Le 12,32); - «Padre nostro)) (Mt 6,9; Le 11,2) è la preghiera che Gesù insegna per i disce poli, i quali potranno in questo modo rivolgersi a Dio Padre, ma egli non dice
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mai questa preghiera insieme ai discepoli, l'ha insegnata perché siano loro a pronunciarla. In Gv 20,17 questa distinzione tra Gesù e i discepoli nell'invocare il Padre è fortemente marcata: «Gesù le disse [rivolto a Maria Maddalena]: "Non mi trattenere, perché non sono ancora salito al Padre; ma va' dai miei fratelli e di' loro: Salgo al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro"»; - «Padre mio» (Mt 7,21 ; 10,32.33; 12,50; 15,13; 16,17; 18,10.14.19.35; 20,23; 25,34; 26,53; Le 2,49; 24,49). Questo modo di rivolgersi a Dio crescerà progressiva mente nella tradizione, tanto che diventerà in Giovanni, che lo impiegherà ben 24 volte, il modo più comune di rivolgersi al Padre, da parte di Gesù e solo di lui; - «Padre suo». Questa formula è presente in Mc 8,38, il quale la mette sulla bocca di Gesù, allorquando la riferisce al «Figlio dell'uomo», e inoltre in Mt 16,27. Tutti questi luoghi, nei quali è riportato il modo di riferirsi a Dio da parte di Gesù, attestano indubitabilmente che l'esistenza di Gesù ha sempre un polo di ri ferimento: Dio Padre; ma vi è ancora qualcosa in più. 2. Gesù si coglie storicamente come «Figlio» in rapporto al Padre
Il Padre è l'interlocutore di un dialogo perenne, il destinatario della preghiera di Gesù, la quale svela il rapporto profondo che intercorre tra lui e il Padre. Le affermazioni escatologiche che abbiamo precedentemente studiato, e che rappre sentano un po' la chiave ermeneutica della storia di Gesù di Nazaret, affermano la «prossimità» esistenziale di Dio rispetto a Gesù. Questo dato della coscienza di Gesù, che si mostra storicamente non solo nella straordinarietà delle sue parole ma anche nell'intimità del suo essere, cioè la sua «filialità», appare anch'esso at traverso i criteri evidenziati dalla critica storica applicata al Nuovo Testamento. Qui l'apporto di quei criteri è davvero determinante. Sulla loro base autori come Joachim Jeremias sono giunti a una delle più interessanti conclusioni intorno alla coscienza del Gesù storico, che si esprimeva in modo del tutto nuovo e straordi nario nei confronti di Dio, chiamato 'Abbii} rendendo così i credenti partecipi di questo rapporto. Questo dato porta al cuore della coscienza storica di Gesù e può essere ve ramente considerato, come ora vedremo, «il punto centrale del messaggio neotestamentario».2 È bene fermarci qualche istante per vagliare la portata teolo gica di questo contributo offertoci da Jeremias. Nel suo studio sul termine «Padre»
1 Alludiamo qui al noto lavoro di J. JEREMIAS, Abbà, Morcelliana, Brescia 1968. Per una sintesi dettagliata della posizione di Jeremias, cf. R. PENNA, I ritratti originali di Gesù, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, l, 120s. 2 J. JEREMIAS, Il messaggio centrale del Nuovo Testamento, Paideia, Brescia 1968; Io., Teologia del Nuovo Testamento, 1: La predicazione di Gesù, Paideia, Brescia 21976, 83: «La radicale novità e l'uni cità della invocazione di Dio come 'abbii nella preghiera di Gesù mostra che essa esprime il momento centrale dei rapporti suoi con Dio»; per il nostro scopo vanno tenute in considerazione le pp. 76-84. 294
nelle preghiere di Gesù, egli giunge anzitutto all'accertamento che i cinque strati della tradizione evangelica concordano nell'attestare che Gesù si è sempre rivolto a Dio come «Padre». Ecco i testi dei cinque strati: - Mc 14,36 - Mt 6,9; 11,25-26; Le 10,21b - Le 23,34.46 - Mt 26,42 - Gv 1 1 ,41; 12,27ss; 17,1.5.11 .21.24ss. Gesù si rivolse costantemente in tutte le sue preghiere a Dio chiamandolo «Pa dre», con la sola eccezione di Mc 15,34 («Alle tre, Gesù gridò a gran voce: "Eloì, Eloì, lemà sabactàni?", che significa: "Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbando nato?"» ) ( = Mt 27,46 ) , ove il termine «Dio>> è giustificato dalla citazione del testo del Salmo 22. L'uso dell'invocazione «Padre>> era saldamente radicato nella tradizione delle parole di Gesù. Il che è già in se stesso abbastanza nuovo, in quanto il rivolgersi a Dio come Padre non era affatto un uso costante nella tradizione del giudaismo. Nell'Antico Testamento solo quindici volte Dio è chiamato «Padre». In un simile caso, quindi - sempre secondo Jeremias -, è il criterio storico della dissomiglianza a spiegare questa situazione. L'uso del termine 'abbii riferito al Dio di Israele, da parte di Gesù, è un fatto davvero singolare. Negli evangeli esso appare esplicita mente una volta sola nel contesto del Getzemani, prima del tradimento, in Mc 14,36: «E diceva: "Abbà! Padre ! Tutto è possibile a te: allontana da me questo ca lice! Però non ciò che voglio io, ma ciò che vuoi tu"». Jeremias, con attenta analisi del testo, rileva che nelle forme greche, pur nelle diverse modulazioni di Patér (Padre ) , Pater emou (Padre mio ) , O ' Patér (il Padre ) ,3 va ravvisato come sottofondo il termine 'abbii. L'invocazione «Padre», quindi, che si ritrova costantemente nelle preghiere di Gesù, viene fatta risalire in tutti i casi ad 'abbii, come in Mc 14,36. Questa conclusione di Jeremias - che riprese le pro spettive di Kittel (nella sua voce «'abbii» che scrisse per il Grande Lessico del Nuovo Testamento, da lui stesso curato ) - sembra del tutto consequenziale, infatti sia l'aramaico, sia l'ebraico, al tempo di Gesù, avevano altre forme per esprimere l'invocazione al Padre; ora 'abba consentirebbe, invece, di cogliere la singolare re lazione filiale di Gesù con il Padre, evidenziando un fattore che contraddistingue la preghiera di Gesù ( e di conseguenza quella dei discepoli ) . Questo uso è determinato, oltre che dal fondo aramaico degli strati della tra dizione evangelica, anche dal fatto che san Paolo impiega questo termine nei due noti passi di Rm 8,15: « . . . avete ricevuto lo Spirito che rende figli adottivi, per mezzo del quale gridiamo: "Abbà! Padre! "», e di Gal 4,6: «E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale
3 Per la forma Patér: Mt 11,25; Le 10,21; 11,2; 22,42; 23,34.46); per la forma Patér mou: Mt 26,39.42; per la forma O' Patér: Mc 14,36; Mt 11 ,26; Le 10,21.
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grida: "Abbà! Padre ! "». Nelle comunità cristiane delle origini ci si rivolgeva a Dio con lo stesso appellativo, e proprio in comunità non palestinesi (Galazia e Roma). Questo uso in comunità greche e latine non è comprensibile se non per fedeltà a una tradizione originale che risale proprio a Gesù, alla sua ipsissima vox, resa viva dall'azione dello Spirito filiale che grida 'Abbii nel cuore dei credenti. Queste con clusioni - nelle argomentazioni di Jeremias - sono di estrema importanza per la rilevanza teologica che esse adducono. Altri autori, come J.D.G. Dunn, ritengono che su questo punto le argomentazioni di Jeremias vadano anche riformulate, in fatti, più ancora che su Mc 14,36, le ragioni per sostenere che Gesù si sia regolar mente rivolto a Dio nella sua preghiera chiamandolo 'Abbii dipendono maggior mente dalla testimonianza dei due testi paolini. Infatti, sempre secondo Dunn, la restrizione dell'uso di 'abbii a Gesù va al di là della documentazione consentita, perché al tempo di Gesù non era del tutto insolito rivolgersi a Dio in preghiera alla stesso modo di Gesù (patér abi). Nondimeno la tradizione dell'uso cristiano attestato da Rm 8,15 e Gal 4,6 presuppone chiaramente che la preghiera con 'abbii fosse un segno caratteristico del culto cristiano, e quindi, distintivo dei cristiani. Secondo la stessa logica ne consegue che questi devono avere considerato l'apostrofe 'abbii, usata da Gesù, una caratteristica della preghiera di Gesù [ . . . ] . L'ovvia precisazione necessaria per inquadrare meglio l'af fermazione di Jerernias è che la peculiarità non consistesse tanto nell'uso di 'abbii fatto da Gesù nelle sue preghiere quanto che 'abbii fosse il suo modo usuale e pressoché costante di rivolgersi a Dio.4
Come si può constatare, l'opinione di Dunn va oltre la tesi di Jeremias secondo la quale, nei vangeli, la voce storica di Gesù rivela una coscienza assolutamente unica, irriducibile a tradizioni religiose e letterarie dell'ambiente giudaico o ex tragiudaico. È infatti noto come nell'Antico Testamento e nei documenti del giu daismo palestinese venga escluso l'uso personale e singolare del rivolgersi a Dio chiamandolo Padre mio. La paternità di Dio era intesa solo in modo «collettivo», cioè nei confronti di Israele: solo «Israele» era considerato «Primogenito di Dio» (Dt 14,1; Es 4,22; Ger 31 ,9). Per quanto concerne l'antico giudaismo palestinese, si deve ritenere che anche in esso prevalesse l'interpretazione collettiva, e quando il singolo chiamava Dio suo padre (e questo non era affatto abituale), ciò era sem pre in quanto Padre di Israele, del popolo eletto. È sempre la «comunità», dunque, che in Israele invoca Dio come «Padre« (Padre nostro: abinu). «Sebbene la comu nità preghi Dio come Padre e il singolo parli sovente di Dio come suo Padre ce leste, l'invocazione personale "Padre mio" non è attestata sinora nella letteratura dell'antico giudaismo palestinese».5 La novità dell'uso introdotto da Gesù non sta però solo nel non trovare ri scontro nell'ambito della vita religiosa del tempo, consentendo così attraverso il criterio della dissomiglianza di cogliere la voce stessa di Gesù. Si tratta cioè, se-
4 J.D.G. DuNN, Gli albori del cristianesimo, deia, Brescia 2006, 751-752. 5 JEREMIAS, Abbà, 22.
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U2:
La memoria di Gesù. La missione di Gesù, Pai
condo Jeremias, di un problema non solo linguistico, bensì contenutistico. Que sto modo di dialogare con il Padre è inedito, infatti, per il suo contenuto religio samente nuovo, unico, e perciò sommamente rilevante riguardo alla straordinaria relazione di Gesù di Nazaret con il Padre. Un altro punto di discussione, poi, è stato suscitato dalle analisi di Jeremias circa il vocabolo 'abbii, il quale troverebbe la sua origine - sempre secondo quella prospettiva - nel linguaggio infantile, poi largamente diffuso nell'aramaico pale stinese anteriore al NT. Esso esprimerebbe, data l'origine, un senso estremamente confidenziale di rapporti tra il figlio e il proprio padre naturale. Per questo mo tivo la lingua religiosa di Israele e le formule di preghiera tramandate dal Talmud, ignorano questo vocabolo come indecoroso e assurdo per la sensibilità giudaica; esso sarebbe stato troppo confidenziale, appartenente a rapporti familiari profani e perciò inadatto a esprimere i rapporti religiosi con Dio. Per questo Jeremias è convinto che «Gesù, quindi, ha recato una innovazione assoluta. Egli ha parlato con Dio come il fanciullo parla con suo padre, con la stessa semplicità, la stessa in timità, lo stesso abbandono fiducioso. Con il vocabolo 'abbii Gesù ha manifestato l'essenza stessa del suo rapporto con Dio».6 Proprio, e in particolar modo, su questo punto si è attestata la discussione cri tica intorno agli studi di Jeremias.7 Gesù, per rivolgersi al Padre, ha davvero at tinto direttamente alla parola 'abbii dal linguaggio infantile per dare al termine un tono di semplicità idilliaca? Questo modo di rivolgersi al Padre nella letteratura ebraica antica era davvero solo quello del rapporto di un bambino con suo padre? Oppure il senso del termine va preso anche nell'uso invalso nel vocabolario stesso degli adulti del tempo, come esprimente un rapporto speciale e confidenziale pro prio dell'ambito familiare? Riguardo alla provenienza di 'abbii dal linguaggio infantile, e perciò dal si gnificato di intimità familiare (papà, babbo), la critica susseguente a Jeremias ha fatto notare che anche sulla bocca degli adulti, e non solo dei bambini, può essere rinvenuto quel modo di esprimersi (il Targum per esempio), e inoltre anche nel NT 'abbii è tradotto correntemente con 'ho patér (oppure patér), e questa parola veniva usata anche dagli adulti e non come diminutivo. Dunque, il significato può venire a indicare semplicemente «padre» e non solo «papà, babbo».8 Il contributo di J. Jeremias, come si è detto, non è stato però da tutti condiviso,9 soprattutto gli si è addebitato - tra le altre cose - quello di un fraintendimento di
6 Ib.
7 Su questo punto, ma più globalmente, i critici di Jeremias sono stati: A. FrrzMYER, «'Abba und Jesus' Relation to God», in A cause de l'Evangile: Etudes sur /es Synoptiques et Actes offertes à Jac ques Dupont O. S. B. à l'occasion de son 70° anniversaire, Cerf, Paris 1985, 14-38; J. BARR, «Abbà isn't "Daddy">>, in lournal of Theological Studies 39(1988), 28-47; M.R. D'ANGELO, «Abbà and "Father": Imperia! Theology and the Tradition about Jesus>>, in Journal of Biblica/ Literature 111(1992), 611630. 8 a. la documentazione delle argomentazioni, per quanto riguarda il Targum e non solo, in PEN NA, I ritratti originali di Gesù, I, 121s. 9 Per un discernimento delle critiche rivolte globalmente a J. Jeremias, vanno valutate attenta mente le osservazioni di PENNA, ib. 297
'abbii, nel senso di un rapporto «infantile» e «maschilista», quando invece lo stesso esegeta - secondo chi invece sembra difendere Jeremias10 - sosteneva che deve es sere compreso nell'orizzonte della fiducia e della speranza in Dio, le quali si fon dano sulla sua tenerezza divina e caratterizzano la spiritualità dei poveri (anawim) riflessa nell'intero salterio. Se però non si vuole cadere nel rischio di maggiorare i testi riguardo a tutta questa questione, si dovrà avere l'avvertenza di considerare 'abbii non isolata mente, bensì nel contesto complessivo dei passi biblici che testimoniano la co scienza filiale di Gesù nei confronti di Dio. «Allora non vi può essere dubbio che anche l'invocazione aramaica rappresenta perlomeno un originale e tipico svi luppo gesuano, e poi cristiano, nei confronti del giudaismo del tempo, per quanto riguarda il modo di pregare di Dio e quindi la coscienza di una particolare filia zione, che sta all'origine di questa preghiera».11 Dunque tutto questo deve significare che Gesù aveva davvero una coscienza di straordinaria vicinanza e familiarità con il Padre. Questo dato, che si rifà alla storia di Gesù di N azaret, va preso allora in grande considerazione: esso tocca appunto l'esperienza più intima di Gesù nella sua espressione immediata, appartenente alla sfera del vissuto e del quotidiano che si riflette nello strato più arcaico (ara maico) della tradizione evangelica, portandoci l'autenticità della sua parola nella sua veste di spontaneità e immediatezza irriflessa e rivelandoci la straordinaria dimensione filiale della sua persona. Il termine 'abbii, diversamente da quello di «Figlio dell'uomo», riporta una tradizione biblica dove ancora non viene eviden ziata pienamente la coscienza soteriologica di Gesù; esso, però, proprio per il suo carattere di spontaneità, ci rivela il fondo di una tale dimensione. La coscienza di Gesù, come rapporto filiale al Padre, coinvolge dunque tutta la sua vita umana, si colloca al centro della sua esistenza; non è una realtà a parte rispetto alla sua espe rienza di uomo, ma è il modo più umano e diretto di vivere la vita. In questo senso l'impulso dato dai lavori di Jeremias, pur in alcune sue parziali e personali correzionF2 e al di là di un dibattito che è ancora in corso, 13 ha avuto
10 G. OoAsso, >, in M. DE JoNGE (a cura di), L'Evangile de Jean. Sources, rédaction, théologie, Peeters, Gembloux 1977, 177-201 ; Io., «Gesù e lo Spirito secondo il vangelo di Giovanni>>, in Parola Spirito e Vita 4 ( 1981 ) , 114-129. 3 R. CANTALAMESSA, «Spirito Santo>>, in R. PENNA - G. PEREGO - G. RAvASI (a cura di), I Dizio nari San Paolo. Temi teologici della Bibbia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 1337. 4 Rimandiamo a un secondo momento del nostro progetto di cristologia sistematica le riflessio ni, peraltro oggi di grande attualità, che riguardano la questione della «personalità>> dello Spirito Santo e delle conseguenze su altri temi sensibili, come l'unzione di Spirito Santo su Gesù Cristo e della relativa formula nello Spirito Santo. Le problematiche suscitate da queste figure si riveleranno significative in ordine, soprattutto, al loro impiego nella spiegazione del mistero immanente di Dio. 302
2. L'opera dello Spirito su Gesù
Si può iniziare senz'altro dalla pericope di Le 10,21-24, dove la relazione Spi rito/preghiera di Gesù è subito evidente e lascia già intravedere un tema post pasquale fortemente sviluppato, cioè che la relazione Gesù-Padre non può essere pensabile se non alla luce dello Spirito. Il testo in questione recita: In quella stessa ora Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse: «Ti rendo lode, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza. Tutto è stato dato a me dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo» (vv. 21-22).
Il fulcro di tutto il brano, al nostro scopo, ruota attorno all'espressione «Gesù esultò di gioia nello Spirito Santo e disse» (v. 21), a differenza del semplice «Gesù disse» del parallelo di Mt 11 ,25-27. Il contesto è quello della preghiera, e il conte nuto del discorso di Gesù è un ringraziamento al Padre perché ha nascosto «que ste cose» ai dotti e ai sapienti e le ha rivelate ai piccoli. In Luca segue una bea titudine rivolta ai discepoli, perché hanno visto ciò che molti profeti e re hanno desiderato vedere, ma invano («Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete. Io vi dico che molti profeti e re hanno voluto vedere ciò che voi guardate, ma non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, ma non lo ascoltarono»: Le 10,23-24) . In Matteo questo discorso è unito a quello relativo al Battista, che è venuto ma non è stato riconosciuto, così come si è verificato per la sapienza (Mt 11,2-15 + 17-19); infatti la finale del testo parla (riferendosi al Figlio dell'uomo, che è consi derato un mangione e beone) della sapienza la quale «è stata riconosciuta giusta per le opere che essa compie» (v. 19). In Luca lo stesso testo (relativo alla testimonianza che il Battista rende a Gesù) si trova in 7,18-30 + 31-35. Il discorso riecheggia un tema sapienziale noto: la sa pienza venuta e non riconosciuta, la quale però poi fa giustizia a se stessa, ossia si «giustifica» (cf. Pr 1,23-32) . Qui è rilevante l'affermazione secondo cui alla sa pienza è stata resa giustizia «per le opere» (Mt 11,19) e anzi (secondo l'interes sante variante di Le 7,35) «da tutti i suoi figli». Tutto ciò, inquadrato in questo motivo sapienziale, può essere considerato come un'applicazione neotestamentaria dell'opera dello Spirito (di cui si parla anche nell'opera del Battista) sia per testimoniare l'azione di Gesù sia per qua lificare la sua persona, in relazione al Regno che in lui si compie. Per questo complesso di tematiche si possono allora cercare alcune premesse nell'Antico Testamento. Bisogna tenere presente, anzitutto, che lo «spirito)) rappresenta sostanzial mente un modo di conoscere (e di ciò si ha anche eco nel NT per Gesù [cf. Mc 2,8 nel contesto della guarigione di un paralitico: «E subito Gesù, conoscendo nel suo spirito che così pensavano tra sé, disse loro . . . ))] e per Paolo [nel culto: Rm 1,9: «Dio, al quale rendo culto nel mio spirito . . . ))]), prima ancora di divenire ciò che investe particolari personaggi per una loro missione (ad esempio, i giudici e i pro feti veggenti più antichi).
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Di fronte a queste manifestazioni dello «spirito» bisogna notare che i profeti classici (quelli cioè di cui l' AT testimonia un'attività confluita poi negli scritti pro fetici) non attribuiscono quasi mai all'intervento dello spirito la loro vocazione e l'esercizio della loro missione: è solo la parola di Dio che li spinge a operare (un'eccezione si può vedere in Mi 3,8: «Mentre io sono pieno di forza, dello Spi rito del Signore, di giustizia e di coraggio, per annunciare a Giacobbe le sue colpe, a Israele il suo peccato»); dunque, in questa prima fase del profetismo, il profeta è l'uomo della parola e non dello spirito. Solo in epoca tardiva si ritrova l'idea che molti personaggi, tra cui i profeti (del passato), fossero mossi dallo spirito: cf. Nm 9,20.30; Is 63,10-14 (si dice di Mosè, nel contesto del v. 11: «Dov'è colui che gli pose nell'intimo il suo santo spirito? . . . »); Zc 7,12 («Indurirono il cuore come un diamante, per non udire la legge e le parole che il Signore degli eserciti rivolgeva loro mediante il suo spirito, per mezzo dei profeti del passato»). Significativo è il passo di Is 59,21 : lo spirito è sul profeta e in ciò consiste l'alleanza: Quanto a me - dice il Signore - ecco la mia alleanza con loro: il mio spirito che è sopra di te e le parole che ho posto nella tua bocca non si allontaneranno dalla tua bocca né dalla bocca dei tuoi discendenti né dalla bocca dei discendenti dei tuoi discendenti - dice il Signore - ora e sempre.
Qui il profeta e la sua parola sono dunque dotati dello spirito per espletare la propria missione.5 Si sviluppa quindi una duplice concezione: l) lo spirito è su tutto Israele ed è riversato sul profeta soprattutto in fase escatologica (Ez 39,29; Gl 3,1ss; Is 32,15); 2), lo spirito è dato soprattutto a un eletto, cioè a una figura escatologico-messianica, in vista di una missione che gli è affidata (cf. in partico lare i celebri passi di Is 42,1; 61,1 che verranno riferiti nei testi evangelici a Gesù come compimento, e ormai rivelazione definitiva, della figura regale-profetica e messianico/escatologica dell' AT). Su questo sottofondo si può capire il tentativo del NT di identificare i perso naggi principali di cui tratta: a) Giovanni Battista è pieno di Spirito Santo e camminerà con lo spirito e la forza di Elia (Le 1,15.17). Evidentemente qui l'interconnessione tra fase ge suana e cristologica è evidente; b) Gesù agisce nello Spirito e ciò è segno della venuta del Regno (Mt 12,28: «Ma, se io scaccio i demòni per mezzo dello Spirito di Dio, allora è giunto a voi il regno di Dio»): si noti che poco prima in Mt 12,17-21 viene citato ls 42,1-4 dopo l'episodio dell'uomo dalla mano inaridita e la conseguente deci sione dei farisei di togliere di mezzo Gesù (Mt 12,9-14). Qui Gesù adempie la profezia del servo prediletto sul quale si è posato lo spirito del Signore. Proseguendo sempre su questa linea Gesù, nella sinagoga di N azaret, può leggere e applicare a sé il noto testo di Is 62,1ss: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione . . . » (cf. Le 4,14ss).
5 a. in proposito la sintesi di H. CAZELLES, «L'apport de l' Ancien Testament à la connaissan ce de l'Esprit Saint», in Credo in Spiritum Sanctum, LEV, Città del Vaticano 1983, l, 719-727, qui 726-727. 304
Sviluppando questa funzione dello Spirito per la venuta del Regno, si viene a dire che ogni atto solenne della vita e della missione di Gesù è opera dello Spirito e ne rivela la presenza. l) Il fatto che la nascita di Gesù sia dovuta allo Spirito Santo si spiega in quest'ottica (Mt 1,18; Le 1 ,35). Addirittura nel testo secondo l'evangelista Luca anche i personaggi che hanno preparato la venuta di Gesù sono stati in un certo senso predisposti a ricevere lo Spirito. Così era successo per Giovanni il Battista fin dal seno di sua madre (Le 1,15.17), così per Elisabetta (Le 1,41 : «Appena Elisa betta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo») e Zaccaria, tanto da farlo profetizzare (Le 1,67-68: «Zaccaria, suo padre, fu colmato di Spirito Santo e profetò dicendo: "Benedetto il Signore, Dio d'Israele, perché ha visitato e redento il suo popolo"»). E per due volte la presenza profetica dello Spirito si manifesta anche su Simeone, uomo giu sto e timorato di Dio, predisponendolo a vedere il compimento delle attese mes sianiche (Le 2,26-27: «Lo Spirito Santo gli aveva preannunciato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Cristo del Signore. Mosso dallo Spirito, si recò al tempio . . . »). 2) Al battesimo, in cui si rivela la missione di Gesù da parte del Padre, lo Spirito discende su di lui6 (Mt 3,16s; Mc l ,lOss; Le 3,22; cf. Gv 1,33ss). 3) Gesù è condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato, ossia perché da queste tentazioni risulti chiara qual è la sua missione (Mt 4,1 ; Mc 1,12s; Le 4,1). Una riflessione sul significato delle diverse prospettive redazionali, riguardo al tema delle tentazioni, non può far altro che lasciar emergere come lo Spirito su Gesù sia forza di liberazione in due sensi: quella di superamento dello spirito del male nella sua esistenza e quella di scacciata dei demoni dalle persone, sempre in virtù del legame con lo Spirito.7 4) Ancora in questa prospettiva, Gesù con la potenza dello Spirito Santo ri torna in Galilea, dove si svolge una parte consistente della sua predicazione (Le 4,14-15: «Gesù ritornò in Galilea con la potenza dello Spirito e la sua fama si dif fuse in tutta la regione. Insegnava nelle loro sinagoghe e gli rendevano lode»). Anche negli altri evangelisti è presente il legame tra Spirito e predicazione, nel senso che, siccome su Gesù c'è lo Spirito, egli può predicare in un certo modo, per esempio in Mc 1,22 si afferma: «Insegnava loro come uno che ha autorità, e non come gli scribi», e in Mc 1,27: «Tutti furono presi da timore, tanto che si chiede vano a vicenda: "Che è mai questo? Un insegnamento nuovo, dato con autorità. Comanda persino agli spiriti impuri e gli obbediscono ! "». È soprattutto l'evan-
6 Rimandiamo su questo punto a quanto già trattato precedentemente nel contesto del significa to storico-teologico del battesimo di Gesù (cf. pp. 196-199 di questo nostro lavoro). 7 Questo aspetto, e tutti quelli riguardanti la vita pubblica di Gesù, sono ben descritti in LAM BIASI - VITALI, Lo Spirito Santo: mistero e presenza, 59-64. 305
gelista Luca a presentare il legame tra la predicazione di Gesù e lo Spirito Santo: siccome lo Spirito che è su Gesù lo ha aiutato nella lotta contro Satana, egli ora può predicare la buona novella. L'inizio dell'attività di evangelizzazione di Gesù è collegato con l'azione dello Spirito, dopo che era stato tentato dal diavolo. Il col legamento tra i vv. l, 14, 15 del capitolo 4 di Luca è evidente: Gesù, siccome nello Spirito vince il diavolo, inizia il suo ministero in Galilea nella forza dello Spirito, predica la Parola perché lo Spirito è su di lui. Subito dopo Gesù si reca a Nazaret e inizia a predicare di sabato nella sinagoga del suo paese, e questo suo solenne inizio è contrassegnato dalla presenza dello Spirito Santo: Gli fu dato il rotolo del profeta Isaia: aprì il rotolo e trovò il passo dove era scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto messaggio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l'anno di grazia del Signore» (Le 4,17-19).
Gesù rivolge a se stesso il celebre brano di Is 61,1-2, dove si parla del messia profetico sul quale riposa lo Spirito del Signore. Ma qui in Le 4,18-19 il compito del messia profetico, dovuto all'unzione dello Spirito su di lui, è diverso rispetto a quello del personaggio veterotestamentario, infatti Gesù non è venuto ad annun ciare «il giorno di vendetta del nostro Dio>> (Is 61 ,2b ) , ma «l'anno di grazia» del Signore; la citazione di Le 4,19 si arresta a quel punto. Possiamo quindi sinteticamente affermare che lo Spirito Santo fa di Gesù il profeta-messia per eccellenza e definitivo. Il Messia-Gesù è unto di Spirito Santo e lo Spirito risiede stabilmente in lui, a differenza dei profeti dell'Antico Testa mento sui quali lo Spirito si posava per un certo tempo, relativamente alla loro missione. Ciò che Luca ha così bene presentato è detto da san Giovanni (3,34) in un solo versetto, che può essere considerato quasi la carta d'identità di Gesù: egli è insieme il profeta di Dio, cioè l'uomo della Parola e l'uomo dello Spirito: «Colui infatti che Dio ha mandato dice le parole di Dio: senza misura egli dà lo Spirito» (ib. ) . In Giovanni l'accento è posto sul «donare» lo Spirito. Evidentemente Gesù può fare ciò perché è l' Uomo dello Spirito, cioè colui sul quale è «sceso» (kata bainon) e «rimasto» ( émeinen, ménon) lo Spirito, così come attestato per ben due volte in Gv 1,32-33: «Ho contemplato lo Spirito discendere come una colomba dal cielo e rimanere su di lui. [ . . . ] "Colui sul quale vedrai discendere e rimanere lo Spirito . . . "». I commenti più attenti al testo giovanneo in questione fanno a questo proposito rilevare che «con ciò Giovanni attesta che in Gesù si compie un altro annuncio di Isaia: "Su di lui riposerà lo Spirito del Signore" (Is 11,2). Gesù è dav vero il Messia promesso».8 5) Attraverso questa predicazione di Gesù, veniamo a sapere (nel contesto del discorso sul brano relativo all'efficacia della preghiera) che il Padre dà lo Spi-
8 X. LÉON-DUFOUR, Lettura dell'Evangelo secondo Giovanni (Capitoli 1-4) , San Paolo, Cinisel lo Balsamo 21998, 250. 306
rito Santo a coloro che glielo chiedono. «Se voi dunque, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro del cielo darà lo Spirito Santo a quelli che glielo chiedono!», così recita Le 11,13 rispetto al semplice «cose buone» di Mt 7,11. 3. D «segreto pneumatologico» e la rilettura del rapporto Figlio-Padre
Una volta affermata la funzione dello Spirito nel manifestare Gesù e la sua missione,9 si può capire come la rivelazione che il Padre fa di «queste cose» coin volga strettamente anche la figura di Gesù che, attraverso lo Spirito, vive l'espe rienza del Padre nel momento in cui si rivela, rivendicando la giustizia di questa sua rivelazione se essa non è accolta (Le 10,21-24; Mt 11 ,25-27). Il legame con lo Spirito, quale rivelazione del rapporto di Gesù con il Padre, è percepibile come spiegazione della sua missione profetica del tutto particolare. È qui che propria mente si può parlare di Gesù e della sua esperienza di Dio/Padre, nel senso sopra precisato che Gesù è la manifestazione vivente del Padre. È a questo punto che va rilevato il problema centrale dal punto di vista storico ed ermeneutico, infatti la difficoltà sta nel determinare cronologicamente l'arcaicità palestinese della ste sura degli scritti neotestamentari in proposito, dal momento che il materiale che abbiamo a disposizione (molto contenuto) riguardo al nostro tema riflette già gli sviluppi post-pasquali, dove la figura dello Spirito è imprescindibilmente connessa a Gesù ormai «costituito figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti», come recita Rm 1,4.10 Il nostro compito vuole essere quello di osservare possibilmente il passaggio tra la fase gesuana e quella cristologica riguardo alla presenza dello Spirito Santo di cui Gesù fa esperienza. Riguardo alla prima fase ci si imbatte in quel «riserbo pneumatologico» che le redazioni evangeliche hanno rispettato, perché hanno tra dotto la realtà effettiva. Gesù non si è manifestato immediatamente per quel che era, è stato piuttosto riservato nello svelare la sua identità. Come si è rivelato pro gressivamente Figlio del Padre, così è avvenuto anche per il suo legame con lo Spi rito. L'essere dotato di una particolare forza divina (lo Spirito per l'appunto) non può trascinare nell'equivoco di un messianismo esteriore e spettacolare che non
9 È soprattutto nella visione cristologica lucana che si insiste sulla venuta di Gesù come compi mento dell'attesa del dono escatologico dello Spirito annunciato dalla Scrittura negli ultimi tempi. Cf. E. MANICARDI, «L'esperienza dello Spirito Santo nel Vangelo secondo Luca e in Atti», in Luca. Alcuni percorsi, San Lorenzo, Reggio Emilia 1998, 57: «La messianicità di Gesù di Nazaret viene collegata decisamente con la presenza in lui dello Spirito di Dio e con l'effusione conseguente sui discepoli. In forza di questo testo programmatico (Le cap. 4) il destinatario dell'opera lucana è in vitato, una volta per tutte, a fare costante attenzione al dato della presenza dello Spirito nell'azione di Gesù». 10 «La cosa importante è di stabilire quali sono gli elementi pre-paolini, proto-cristiani e possi bilmente già palestinesi di questo specifico tema. Una cosa è certa: nella tradizione giudaica di sfon do (biblica ed extra-biblica) la dotazione pneumatica del Messia è ben documentata» (R. PENNA, I ritratti originali di Gesù. Inizi e sviluppi della cristologia neo-testamentaria, 2: Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsamo 32011, 64). 307
sia coerente con il progetto vitale di Gesù, che ormai si andava ben delineando. Del resto, proprio il numero limitato di loghia sullo Spirito11 mostra che la riser vatezza pneumatologica di Gesù si spiega in un profondo mutamento di orizzonte rispetto ai carismatici del passato. Il N azareno infatti non è semplicemente un profeta soggetto allo Spirito, e se è vero che neppure lo Spirito è un funzionario di Gesù, risulta caratteristico il fatto che Gesù, pur muovendosi, pregando e agendo «nello>> Spirito, non è ad esso assoggettato. «Non ci sono cenni nei racconti evan gelici di eventuali irruzioni dello Spirito che di volta in volta dicesse a Gesù come doveva parlare>>.12 Fatte queste precisazioni, non si può comunque negare che la fase gesuana prepasquale è senz'altro contrassegnata da un orizzonte dove prevale il rapporto Spirito-Gesù (piuttosto che Cristo-Spirito, come avverrà nella fase pasquale) ; nello stesso tempo, però, lo Spirito è coinvolto nella sua vicenda messianica e il rapporto Spirito-Gesù va inquadrato nel dialogo che intercorre tra lui e il Padre, sebbene tutto questo venga manifestato attraverso un'accurata redazionalità. Os servando la documentazione dei vangeli sinottici di cui disponiamo si nota subito, nell'esistenza prepasquale di Gesù, l'azione dello Spirito Santo su di lui. Un tale dato si connette subito con quello concernente il primato del rapporto di Gesù con il Padre. E questo vuol dire che, nella prospettiva prepasquale sinottica, il rap porto di Gesù con il Padre è come sostenuto, guidato e animato dall'azione dello Spirito Santo su di lui. Giustamente fa notare M. Bordoni che, tuttavia, ciò che colpisce, nei dati evangelici, è che non esiste un dialogo, per così dire, tra Gesù e lo Spirito Santo. Non ci sono riferite né parole dette da Gesù allo Spirito Santo, né preghiere di Gesù rivolte allo Spirito Santo, il quale non è il «TU» di Gesù. Questo «Tu» è solo il Padre. Gesù parla anche poco dello Spirito Santo (segreto pneumatologico). I dati narrativi sinottici, però, evidenziano piuttosto la presenza dello Spirito Santo come forza vitale «nella quale» Gesù «proviene dal Padre», è proclamato Figlio prediletto dal Padre, combatte la tentazione, compie la sua missione evangelizzatrice, sconfigge le potenze sata niche, si rivolge al Padre nella preghiera, compie l'offerta suprema al Padre nell'evento della croce (Eb 9,14), ritorna al Padre nel passaggio pasquale.B
L'orizzonte poi si allarga, perché quello Spirito è nello stesso tempo connotato in senso cristologico e per questo si avvera il seguente dinamismo: lo Spirito riposa su Gesù (cf. Gv 1,32) e lo Spirito Santo è donato da Gesù (cf. Gv 19,30; 20,22). Evidentemente la fase gesuana deve essere considerata alla luce degli sviluppi cristologici seguenti. In altre parole, è proprio nella luce della Pasqua14 che vanno
11 Nella fattispecie quelli sulla bestemmia contro lo Spirito Santo, sulla cacciata dei demoni e sull'assistenza nei momenti delle contrarietà e prove perfino di fronte ai tribunali. 12 R . PENNA, «Gesù di Nazaret e la sua esperienza di Dio: continuità e novità nel giudaismo», in In., Gesù di Nazaret nelle culture del suo tempo. Alcuni aspetti del Gesù storico, EDB, Bologna 2012, 107. 13 M. BoRDoNI, «Cristologia e pneumatologia nel contesto trinitario. Approccio biblico-sistema tico», in Miscellanea Francescana 99(1999), 569. 14 Questo appare evidente nell'impostazione del Vangelo secondo Giovanni, dove la promessa dello Spirito è in relazione alla rivelazione totale del medesimo che appartiene all'«ora pasquale>>,
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riletti quei testi dove si manifesta la grande novità rispetto all'orizzonte pneuma tico giudaico. Un testo esemplare può essere quello del racconto del battesimo di Gesù nella versione di Luca, dove lo Spirito è collocato nello stesso tempo in uno scenario trinitario (3,21) e di preghiera (3,20). Questa descrizione può assurgere a simbolo dell'esistenza «nello» Spirito della persona di Gesù e del suo sperimentarsi come Figlio diletto (agapet6s) in dialogo con il Padre. Qui lo Spirito è davvero colui che si definisce in un quadro trinitario, e cioè nella relazione dialogica tra Gesù e il Padre. La preghiera non è solo lo scenario entro il quale Gesù è in rapporto con il Padre, ma costituisce come la tessitura del rapporto stesso, la condizione di possibilità e nello stesso tempo il farsi stesso di quel rapporto. E proprio questa preghiera avviene nell'orizzonte pneumatologico, come a dire che è lo Spirito a dinamizzare il dialogo medesimo tra Gesù e il Padre. La riflessione cristologica sul rapporto intimo di Gesù con il Padre, che alla luce della Pasqua dovrà sempre essere considerato come un rapporto «nello Spirito», mostra così una grande novità rispetto all'antica concezione dello spirito: la straor dinaria dotazione pneumatica di Gesù si definisce nel rapporto con il Padre. È nel dialogo interpersonale tra Padre e Figlio che emerge la figura dello Spirito Santo: egli risulta essere il luogo del singolare e unico rapporto di Gesù con il Padre.15 Il testo emblematico del battesimo, interpretato già in At 10,38 come «Un zione» di Gesù Cristo nello Spirito Santo,I6 apre la strada a fruttuose interpreta zioni che, per esempio, nella cristologia paolina o giovannea esibiranno in senso esperienziale-pneumatologico il rapporto di Gesù con il Padre. Si viene a creare un rapporto di complementarità: da una parte Gesù può fare esperienza dell'inti mità con il Padre «nello Spirito», approfondire quindi il dialogo con lui; dall'altra parte proprio nel dialogo Figlio-Padre lo Spirito Santo si rivela con un volto per sonale come lo Spirito di Gesù stesso e del Padre. Una personalità, quella dello Spirito, che si manifesta definita, come si dirà negli sviluppi della cristologia siste matica, nel modo del Noi, più che del Tu. 4. La relazione Padre-Figlio in chiave esperienziale-pneumatologica
Cercheremo ora di riflettere sul rapporto Padre-Figlio alla luce dello Spirito, avendo continuamente presenti le prospettive di Paolo e Giovanni. Evidente mente qui ci troviamo già in una «rilettura post-pasquale» del dato neotestamen tario; se lo affrontiamo a questo punto del nostro percorso, è per dare compiu tezza alla tematica Gesù-Spirito che si sta trattando.
così come è affermato in Gv 7,39: «Non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato». 15 M. BoRDONI, La cristologia nell'orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia 1995, 50s. 1 6 «Dio consacrò in Spirito Santo e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e ri sanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui» (cf. anche At 2,32-33). 309
L' «Unzione» di Spirito Santo ha operato nel battesimo una comunicazione in tima tra il Padre e Gesù; in lui, proprio per l'ascolto interiore ed esistenziale della voce del Padre e per l'azione dello Spirito, si è plasmata sempre più la sua co scienza filiale, tanto che egli risulterà il veicolatore stesso dello Spirito. Gesù addi rittura è colui che ripieno di Spirito Santo battezzerà nello Spirito Santo (Gv 1,33). Tutta l'esistenza filiale di Gesù può essere intesa come una grande preghiera of ferta al Padre nello Spirito Santo. La sua preghiera ha origine nell'amore che il Padre gli testimonia fino all'evento della Pasqua, la quale rappresenta l'apice della sua «filiazione» divina. La morte di Gesù è stata una suprema esperienza di pre ghiera e offerta che ha «generato» il Cristo in pienezza grazie all'azione dello Spi rito Santo. Questi ha eternizzato il senso del suo sacrificio rendendolo salvifico per tutti e per sempre, secondo l'ormai nota esegesi di Eb 9,14 sviluppatasi in senso personalisticoY Lo Spirito Santo ha reso Gesù una preghiera vivente al Pa dre, è l'anima della sua esperienza filiale che nella Pasqua trova il suo apice. L'e vento della morte e risurrezione di Gesù è ricolmo di Spirito Santo. C'è chi, come F.X. Durrwell, arriva a dire che la Pasqua di Gesù è piena di Spirito che è il dinamismo della sua generazione, lo Spirito della filiazione; è sempre lui lo slancio della preghiera di Gesù, che lo fa passare da questo mondo al Padre. La Pasqua di Gesù è la fonte e l'archetipo di ogni preghiera, così come lo è di ogni vita cristiana. Essa dimostra che pregare significa lasciarsi generare da Dio nello Spirito Santo, che la preghiera fa parte della lenta genesi dei figli di Dio.18
E difatti l'esperienza della paternità di Dio, pneumaticamente connotata, è la grande novità cristiana che può essere sperimentata dai discepoli perché è già appartenuta al Maestro. La prospettiva paolina di Rm 8,15 e Gal 4,6 è fondamen tale: si può pregare e perciò fare esperienza di Dio/'Abba perché lo Spirito plasma dentro di noi l'attitudine a essere figli. Ma ciò è conseguenza dell'esperienza vitale e della preghiera di Gesù stesso. La «coscienza filiale)) di Gesù è un'esperienza in tima, una singolare comunione; Gesù sperimenta la paternità di Dio nello Spirito Santo. «Il Padre lo nutre nello Spirito nel quale lo genera; lo istruisce nella genera zione stessa che è lo Spirito Santo. Gli dona il pane "spirituale" della conoscenza filiale e quello dell'amore filiale)).19 Il salto di qualità della prospettiva paolina è ora quello di fondere insieme dimensione teocentrica e dimensione eristica dell'esperienza dello Spirito,20 e la Pasqua ne è il luogo rivelativo. Nell'evento pasquale Cristo, divenuto «Spirito vi vificante)) per l'azione dello Spirito di Dio (come attesta il noto passo di 1Cor 15,45: «l'ultimo Adamo divenne Spirito datore di vita))), è egli stesso donatore dello Spirito del Padre. Ciò sta a significare che d'ora in poi «Spirito di Dio)) e
17 VANHOYE, «L'azione dello Spirito Santo nella passione di Cristo secondo l'Epistola agli Ebrei», 759-773. 18 F.X. DuRRWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, Città Nuova, Roma 1995, 207. 1 9 lvi, 186. 20 R. PENNA, Lo Spirito di Cristo. Cristologia e pneumatologia secondo un'originale formulazione paolina, Paideia, Brescia 1976. 310
«Spirito di Cristo» vanno pensati insieme, senza confusione certamente, ma in mutuo rapporto. Al di là della deriva in una «cristologia funzionale», la cristicità dello Pneuma è al tempo stesso affermazione di personalità dello Spirito Santo e luogo di ogni esperienza di Dio. Ciò emerge chiaramente soprattutto laddove san Paolo, in forma quasi circolare, attribuisce allo Spirito la qualità di effondere nei cuori l'amore di Dio (Rm 5,5) che configura al Cristo (1Cor 1,9), entrando così in rapporto con il Padre. Proprio attraverso questa esperienza pneumatica è possi bile cogliere il senso della paternità di Dio. Il grido 'Abbii-Padre! (Rm 8,15; Gal 4,6) viene suggerito dallo Spirito, che appare sempre più come testimone e forza trainante verso la piena maturazione in Cristo. Tutto ciò fa dire alla teologia si stematica odierna che lo Spirito è quella persona nella cui immediazione si può acquisire il gusto delle cose di Dio, così come nel Gesù terreno egli è stato quella persona che ha plasmato il senso della sua filialità.21 Anche nella letteratura giovannea emerge con forza la duplice dimensione che lega da una parte lo Spirito, rivelatoci in Cristo, come grembo dell'esperienza della paternità di Dio, e dall'altra parte la sua attitudine «personale», che mette in circolo il mutuo ed espansivo rapporto Gesù-Padre fino a raggiungere tutte le creature. Sulla dimensione pneumatico-esperienziale della letteratura giovannea assi stiamo a una corale convergenza a livello di studi biblici, da D. Mollat22 a R. Schnackenburg,23 da l. De la Potterie24 a G. Segalla25 e a A. Dalbesio.26 È l'in dole stessa dell'impianto giovanneo incentrato sull'idea di rivelazione e cono scenza che viene dall'alto (Gv 3,5; 4,10.13) a chiamare in causa la categoria di esperienza. La rivelazione infatti è comunicazione dell'amore del Padre verso gli uomini che viene «conosciuta>> in quanto accolta nella fede, cosicché l'ascoltare la Parola dà potere di diventare figli (Gv 1,12), non per virtù naturale, ma per la grazia di essere da lui generati (v. 13). Ciò che a livello sistematico oggi si può dire sull'esperienza religiosa e mistica, da Mouroux27 a De Lubac,28 a Vagaggini,29
21 BoRDONI, La cristologia nell'orizzonte dello Spirito, 60. 22 D. MoLLAT, L'èspérience de l'Esprit-Saint dans le Nouveau Testament, Feu Noveau, Paris 1973. 23 R. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, 4: Esegesi ed excursus integrativi, Paideia, Bre scia 1987, 47-51. 241. DE LA POTTERIE, «L'unzione del cristiano con la fede>>, in l. DE LA POTTERIE - S. LYONNET, La vita secondo lo Spirito condizione del cristiano, AVE, Roma 1967, 125-199; ID., Saggi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 21986, 296-302. 25 G. SEGALLA, «Ritualità cristologica ed esperienza spirituale nel Vangelo secondo Giovanni», in Teologia 23(1998), 330-361. 26 A. DALBESIO, Quello che abbiamo udito e veduto. L'esperienza cristiana nella prima lettera di Giovanni, EDB, Bologna 1990; ID., Alle sorgenti dell'esperienza cristiana, EDB, Bologna 1993. 27 J. MouRoux, L'esperienza cristiana. Introduzione a una teologia, Morcelliana, Brescia 1956. 28 H. DE LUBAC, Mistica e mistero cristiano, Jaca Book, Milano 1979. Le pp. 3-38 ebbero una pri ma redazione nel volume A. RAVIER (a cura di), La mystique et les mystiques, Desclée de Brouwer, Paris 1965 e ora stampato anche in italiano da San Paolo, Cinisello Balsamo 1996, dove lo studio di De Lubac compare come prefazione al volume collettaneo. 29 C. VAGAGGINI, «Connaturalità ed esperienza mistica cristiana», in Quaderni di Vita monastica 40{1985), 104-142.
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trova riscontro nella concezione giovannea di esperienza. Il linguaggio stesso di Giovanni, nell'impiego di alcuni verbi caratteristici come rimanere, vedere, ascol tare, appella a ciò che connota più da vicino l'esperienza della mutua immanenza con Gesù, e quindi esemplarmente il rapporto tra Gesù e il Padre. Non esiste co noscenza di Dio Padre se non nell'inserimento di quel circuito d'amore che, quasi per contagio, tocca l'essere umano e la sua libertà. E qui evidentemente si inse risce la figura «personale» dello Spirito, nel quale è praticabile l'esperienza di Dio Padre. Lo Spirito è la spiegazione del conoscere giovanneo che si configura sempre come attrazione-inclinazione amorosa verso Gesù. Nella Prima lettera di Giovanni viene messo chiaramente a fuoco come l'esperienza di fede sia inesora bilmente un'esperienza pneumatica. Anche nei passi del capitolo 2,20-27 (dove si parla di unzione per designare la Parola30 che penetra interiormente nel cristiano) occorre interpretare in senso pneumatologico. Cioè la mutua immanenza in Cri sto e in Dio è assicurata dallo Spirito. Infatti la Parola è ripiena dello Spirito ed è intelligibile per mezzo di lui. Lo Spirito diventa un mezzo di conoscenza della medesima, come chiaramente affermato in 1Gv 3,24 («Chi osserva i suoi coman damenti rimane in Dio e Dio in lui. In questo conosciamo che egli rimane in noi: dallo Spirito che ci ha dato») e in 4,13-14 («In questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha donato il suo Spirito. E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo»). In quest'ultimo passo lo Spirito è il principio della comunione d'amore con Dio Agape, e contemporaneamente di intelligibilità e sperimentabilità del mistero del Padre che ha inviato il suo Figlio per la salvezza.31 Cipriano Vagaggini ha sostenuto che quei caratteri di connaturalità che oggi vengono riscoperti per connotare l'esperienza mistica e religiosa si trovano già pre-contenuti nella letteratura giovannea. Si tratta di una conoscenza/esperienza fatta di intimità personale e reciprocità. Impiegando una categoria propria di san Tommaso, quella appunto di connaturalità, si può affermare che il rapporto di co noscenza tra Gesù e il credente è di natura istintiva. «In virtù del dono della grazia e dello Spirito Santo, nel credente-amante vi è verso Gesù conoscenza-propen sione istintiva».32 Lo Spirito Santo entra nel dinamismo del conoscere giovanneo; egli esplicita quella conoscenza-amore del Padre e del Figlio che, presente nel dia logo eterno, si effonde fino a noi. Lo Spirito non solo penetra esperienzialmente nel credente per fargli conoscere la verità del mutuo amore del Padre e del Figlio, ma è colui che personalmente dilata e interpreta questo stesso amore fino a diven tarne l'Esegeta, per dirla con von Balthasar.33 La disposizione dei capitoli dei discorsi di addio nel Vangelo secondo Gio vanni è eloquente. Non deve trarre in inganno la collocazione dei capitoli 14-16
30 DE LA PorrERIE, «L'unzione del cristiano con la fede», 148-170. 31 SCHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, IV, 50: «Per colui che adempie i comandamenti di Dio la comunione con Dio non è soltanto una promessa, ma anche una realtà sperimentabile me diante lo Spirito. In lui Dio si attesta come amante e precisamente come essere che dona amore ed esige amore nei suoi stessi confronti>>. 32 VAGAGGINI, «Connaturalità ed esperienza mistica cristiana>>, 122. 33 H.U. VON BALTHASAR, Teologica, 3: Lo Spirito di verità, Jaca Book, Milano 1987, 94ss.
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(a più alto potenziale pneumatologico e riferentisi al tempo della Chiesa) rispetto al capitolo 17, in cui non si menziona lo Spirito Santo, e dove è in gioco la mutua immanenza-conoscenza tra il Padre, Gesù e noi. È proprio nello Spirito Santo che si comprende il dialogo-comunione terreno ed eterno tra Padre e Figlio. La perso nalità dello Spirito Santo si manifesta nel ruolo unitivo ed espansivo della comu nione tra Padre e Figlio. Il Padre è come «il luogo di Gesù», la casa dove egli abita, finché nell'ora pa squale Gesù dimorerà interamente presso il Padre. Il pensiero del Padre è on nipresente in Gesù e in questa sua «filialità» egli dimostra di essere in relazione perenne con il Padre. «Il Padre costituisce a tal punto l'orizzonte del pensiero che persino la grammatica di Gesù è retta dal riferimento al Padre».34 Lo stesso compiere la volontà del Padre (Gv 14,31; 15,10) significa vivere nella comunione relazionale. L'obbedienza fino alla morte va vista come l'ingresso di Gesù nella sua pienezza filiale: è lo Spirito Santo che nella Pasqua rende veramente «filiale» il Cristo. Il vocabolario di unità e comunione tra Padre e Figlio è deter minato pneumaticamente. Le espressioni più forti, come: «lo e il Padre siamo una cosa sola» (Gv 10,30), «Sappiate e conosciate che il Padre è in me, e io nel Padre» (v. 38); «Io sono nel Padre e il Padre è in me» (Gv 14,10. 11) . . . e così tutto il lin guaggio di unità-immanenza Padre-Figlio-discepoli del capitolo 17 non può avere altra spiegazione se non nella comunione-unità tra lo Spirito, il Padre e Cristo. Le stesse promesse del Paraclito contenute nei capitoli 14-16 di Giovanni, giu stamente interpretate nel contesto del ritorno di Gesù al Padre e della testimo nianza di Cristo presso i discepoli nel tempo della Chiesa, illuminano sulla figura dello Spirito Santo come motivo di comunione esperienziale nei rapporti tra le di vine persone e verso le creature. Infatti le espressioni Spirito di verità e Paraclito (Gv 14,16-17; 15,26; 16,7. 13.15) indicano quella jìmzione pericoretica che lo Spirito rende possibile, proprio in quanto egli è colui che è per essenza dono-alterità.35 Le promesse del Paraclito certamente sono riferite al tempo della Chiesa e perciò alla fede dei credenti. In esse si esalta l'opera di interiorizzazione e penetrazione che lo Spirito opera nei confronti della Verità, che è Cristo in quanto rivelatore del Padre. Lo Spirito infatti è l'impercettibile trasparenza del Padre e del Figlio, così come è stato messo in evidenza nella riflessione sistematica, soprattutto pro veniente dall'Oriente cristiano.36
34 DuRRWELL, Il Padre. Dio nel suo mistero, 193. 35 GIOVANNI PAOLO Il, Dominum et vivificantem, n. 10: EV 10/472: «Si può dire che nello Spiri to Santo la vita intima del Dio uno e trino si fa tutta dono, scambio di reciproco amore tra le divine Persone, e che per lo Spirito Santo Dio "esiste" a modo di dono. È lo Spirito Santo l'espressione personale di un tale donarsi, di questo essere-amore. È Persona-amore. È Persona-dono». 36 S. BULGAKOV, Il Paraclito, EDB, Bologna 21987, 145: «Egli è l'ambiente trasparente, imper cettibile nella sua trasparenza. Non esiste per sé, perché è tutto negli altri, nel Padre e nel Figlio; e il suo essere proprio è come un non-essere». Per un inquadramento dell'opera pneumatologica di Bulgakov, cf. P. CoDA, L'altro di Dio. Rivelazione e kenosi in S. Bulgakov, Città Nuova, Roma 1998; B. PETRÀ, «Lo Spirito Santo nella recente letteratura ortodossa», in ATI, Verso una nuova età dello Spirito. Filosofia-Teologia-Movimenti, Messaggero, Padova 1997, 158-176; Y. SPITERIS, «Lo Spirito Santo nella tradizione teologica cristiana: la prospettiva dell'oriente cristiano», in N. OoLA ( a cura di) , Spirito, eschaton e storia, Mursia-PUL, Roma 1998, 64-76.
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Ma lo Spirito Santo dunque, anima del rapporto Figlio-Padre, può dirsi nel NT una «persona», così come oggi siamo abituati a considerare questa categoria? E inoltre, nella fase prepasquale questa configurazione è già chiara? Non penso che a livello biblico si possa risolvere questa questione. Certamente occorre distin guere la fase gesuana dalla riflessione cristologica post-pasquale. Evidentemente la luce della Pasqua ha operato una rilettura in chiave pneumatologica molto più consistente, rispetto alla fase precedente dove non si parla moltissimo dello Spi rito Santo. La domanda sulla «personalità» dello Spirito Santo diventa certo ineludibile, ma è venuta dopo. Il cammino che, partendo dall'impulso della Scrittura, conduce alla riflessione sulla «personalità» dello Spirito Santo non è certo facile e neppure scontato, ma siamo già su un altro piano, quello della riflessione speculativa. Qui il discorso si fa quanto mai delicato, anche studi recenti lo hanno registrato. Bernard Sesboiié, ad esempio, ha studiato il raccordo tra lo Spirito come soggetto personale nel NT e la riflessione sistematica.37 Lo Spirito Santo, che soprattutto in Paolo e Giovanni appare come soggetto, è :però senza volto e non parla. L'incontro con lui non è faccia a faccia come un Tu. E un po' come la terza persona dei nostri para digmi grammaticali: si parla di lui, ma non è l'interlocutore al quale ci si rivolge. Anche le simbologie che lo rappresentano (soffio, vento, colomba, fuoco . . . ) non sembrano dare volto allo Spirito. Egli non parla, non è mai l'interlocutore di un dialogo divino; il rapporto è sempre Padre-Figlio o Padre-Figlio-uomini. La rive lazione divina, nel suo sviluppo «oikonomico», non contempla un messaggio pro prio per lo Spirito Santo. Mentre il Padre ha una sua propria parola e così pure il Figlio, lo Spirito Santo è un soggetto che non parla a proprio nome, ma a nome del Padre o di Gesù (Gv 16,13; 14,16.26; 15,26).
37 B. SESBOOÉ, «La personalità dello Spirito Santo nella testimonianza biblica, nella teologia tri nitaria recente e nell'esperienza storica della Chiesa e degli uomini>>, in S. TANZARELLA (a cura di), La personalità dello Spirito Santo. In dialogo con Bernard Sesboiié, San Paolo, Cinisello Balsamo 1998, 21-60. Il testo è stato riveduto a fondo, aggiornato, ampliato e riproposto in B. SESBOOÉ, Lo Spirito senza volto e senza voce. Breve storia della teologia dello Spirito Santo, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010.
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Capitolo X
«CHI» È GESÙ SI MANIFESTA DAL «VERSO DOVE» GESÙ VA: L'EPILOGO A GERUSALEMME L'ultima parte della vita pubblica di Gesù, oltre che alla forma zione dei discepoli in comunità intorno alla sua persona ed alla sua sorte è dominata dal suo movimento verso Gerusalemme, la città del gran Re. Tale movimento esprime non solo un dato biografico, ma anche, in un certo modo, un movimento della stessa cristolo gia di Gesù che va accentuando per i discepoli l'importanza deci siva della sua persona, della sua identità e del suo destino. La sua cristologia appare in chiave alquanto esplicita. Questa rivelazione aperta del segreto messianico è strettamente connessa con l'annun cio della morte e del futuro di Gesù che è anche il futuro della sua comunità messianica. (M. BoRDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo. Saggio di cristolo gia, Herder-PUL, Roma 1982, II, 347)
l. La «crisi» della Galilea:
Gesù rompe con le folle e si dedica alla formazione dei discepoli
I dati fin qui evidenziati aiutano a proseguire il cammino che ci siamo proposti, cioè quello di delineare la fisionomia di Gesù di Nazaret dal punto di vista storico. Stiamo però constatando che, in questo itinerario che vuole tenere ben presenti i criteri e gli indici di storicità, il cerchio si restringe sempre più fino ad arrivare alla questione cruciale: in Gesù è presente Dio stesso. Egli è figura della rivelazione di un Dio annunciato e svelato come Padre di tutti; la sua «dotazione pneumatica» lo rende non omologabile, rispetto a tutte le figure messianico-profetico-escatolo giche del passato, per cui la domanda sulla sua identità ritorna inevitabilmente e molto più radicalmente di come già era posta per i discepoli di Giovanni il Batti sta: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 1 1 ,3). D 'ora in poi egli stesso porrà la questione agli apostoli in modo diretto: «Ma voi, chi dite che io sia?» (Mt 16,15). Utilizzando uno schema tipico del Vangelo di Luca, possiamo registrare una duplice immagine per illustrare il passaggio dalla missione pubblica di Gesù alla sua piena rivelazione messianica, che si comprenderà dal modo in cui egli affronta il suo destino: due luoghi geografici, Galilea e Gerusalemme, assurgono a catego rie teologiche. La prima parte della vicenda storica di Gesù è stata compresa come la grande predicazione del Regno. La Galilea è stata lo scenario dove questo annuncio esca tologico si è diffuso. Subito quel messaggio sull'urgenza del Regno veniente ha 315
suscitato grande attenzione in relazione alla straordinaria autorevolezza dell'an nuncio medesimo. Gesù è subito apparso al di sopra non solo degli uomini che contavano allora, cioè gli scribi, i farisei o i sadducei, ma anche dei grandi pro feti, compreso Mosè. Gesù compiva poi segni e prodigi tanto da destare uno stu pore incredibile, così che attorno alla sua persona si creava un grande mistero. Possiamo dire che la predicazione in Galilea è stata come la fase preparatoria di questa rivelazione, anche se va osservato che nella fase galilaica Gesù è stato piut tosto riservato riguardo al far conoscere la sua completa identità. Gli indizi però sono già determinanti: il suo stile personale, la sua prassi parabolica, la preghiera al Padre, e perciò la sua singolare esperienza, permettono già di conoscere più da vicino il mistero del regno di Dio in mezzo a noi. Questo mistero personale di Gesù di Nazaret fu oggetto di controversia e di vise le coscienze, risultava difficile non prendere posizione di fronte a lui. Si an dava dalla domanda circospetta dei discepoli del Battista: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» (Mt 11,3) all'indifferenza di una genera zione presente bollata da Gesù come superficiale, perché incapace di leggere i se gni dall'alto che egli compiva anticipando così la nuova era escatologica: «A chi posso paragonare questa generazione? È simile a bambini che stanno seduti in piazza e, rivolti ai compagni, gridano: "Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato, abbiamo cantato un lamento e non vi siete battuti il petto ! "» (Mt 11 ,1617). La generazione presente manifestava verso Gesù una grave cecità, perché incapace di vedere in lui una presenza straordinaria e determinante di Dio stesso. Gesù la chiamò persino «generazione malvagia e adultera» (Mt 12,39), non solo per l'incapacità di vedere le opere di Dio, ma anche per un rifiuto sempre in cre scendo che si andava profilando come accusa aperta fino alla trama per una sua eliminazione fisica. Nei vangeli troviamo molti incisi significativi al riguardo, per esempio dopo il racconto della guarigione di un uomo dalla mano morta in Mc 3,6 (e par.): «E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire». 2. Uomini e donne al seguito di Gesù
Dobbiamo dire che proprio questi contrasti pieni di timori e avversioni, alla fine, sono stati una controprova della straordinaria statura della figura di Gesù. Attorno a lui si sono registrati grandi odi e grandi amori, infatti il discepolato cre sce sempre più, uomini e anche donne lo seguono e lo assistono con i loro beni (Le 8,2-3). L'atteggiamento di Gesù verso le donne, poi, ha in sé qualcosa di sorpren dente. Il dato neotestamentario fa emergere che il ruolo delle donne nei confronti di Gesù non era solo quello dell'ospitalità e dell'assistenza materiale, ma di una sequela vera e propria, sebbene esse non siano incluse nel gruppo dei «dodici».1 La relazione tra Gesù e le donne è sorprendentemente moderna. La tradizione
1 Cf. gli spunti pertinenti di A. MODA, «Gesù e le donne. Qualche pista metodologica», in A. PAS SONI DELL'AcQUA (a cura di), «Il vostro frutto rimanga» (Gv 16,16). Miscellanea per i/ 70° complean-
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rabbinica, infatti, non avrebbe mai né concepito, né tollerato che una donna po tesse seguire il suo maestro, insieme agli altri discepoli. Il semplice uscire fuori casa era sinonimo di cattiva condotta. Ciononostante la donna discepola è una realtà incontestabile e un dato fondamentale del Nuovo Testamento [ . . . ] così facendo egli va contro il costume codificato del suo tempo e del suo ambiente, susci tando meraviglia e sospetto in chi lo vede, e persino nei suoi discepoli.2
Oltre alla relazione con le donne, si può dire che non vi è gruppo o classe so ciale che non sia toccato dalla missione di Gesù, che tende sempre a instaurare anzitutto un rapporto con la persona. Egli è davvero un trascinatore, ma accanto all'entusiasmo delle folle della Galilea va subito segnalata anche l'incompren sione delle medesime, che identificano le loro attese messianiche con il personag gio Gesù, dimenticando che la sua identità non corrisponde ai loro desideri, ma va molto oltre. Così è avvenuta quella che è stata chiamata la crisi o la rottura con la Gali lea. Sembra quasi che Gesù cambi interlocutore. Ciò non significa che egli non si curi più della gente, ma vuole fugare il campo da ogni equivoco. Egli è un Messia diverso, al di là di ogni interpretazione magica o «politica» (non vuole essere re dopo l'episodio della moltiplicazione dei pani: Gv 6,15). Gesù sa di non essere sempre accettato, ne fa esperienza nel suo stesso paese d'origine, a Nazaret (Mt 13,53-58), è per questo che lasciando le folle si ritira solo sul monte a pregare e, dopo quel «pasto d'addio» alle folle che è la moltiplicazione dei pani, constatando che quel discorso proprio sull'eucaristia (Gv 6) è piuttosto ostico alle loro orecchie, si ritira in disparte verso i confini della Galilea (Gv 7,1: «Dopo questi fatti, Gesù se ne andava per la Galilea; infatti non voleva più per correre la Giudea, perché i Giudei cercavano di ucciderlo»). L'espressione di Mt 14 ,13: «Avendo udito questo, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in un luogo deserto, in disparte» è emblematico di un disagio che ormai Gesù prova in mezzo alla folla; e difatti, nonostante compia altri miracoli e sia ancora per un po' pre sente (come documentano i cc. 14-17 di Matteo), già al capitolo 16,13 si afferma che Gesù, «giunto nella regione di Cesarèa di Filippo, domandò ai suoi discepoli: "La gente, chi dice che sia il Figlio dell'uomo?">>. Siamo perciò a una svolta della missione del Maestro di Nazaret che può es sere chiamata periodo post-galilaico. Egli si dedica alla formazione dei discepoli, fa di loro una comunità, li istruisce, li prepara a nuovi e formidabili eventi. Ed è in questo contesto che si manifesta ancor più la sua persona. Si può dire che con la confessione di Pietro, in risposta alla domanda appena menzionata, cominci a palesarsi il segreto della sua identità. D'ora in poi Gesù fa tutta un'opera di per suasione per purificare la concezione messianica che i discepoli avevano, e intro duce quelle profezie della passione che sveleranno un messia sofferente, umile, di-
no di Giuseppe Ghiberti, EDB, Bologna 2005, 341-351, in particolare 347-349, per quanto riguarda il rapporto del «discepolato» delle donne con Gesù. 2 A. AMATO, «Gesù liberatore della donna», in Io., Gesù, identità del cristianesimo. Conoscenza ed esperienza, LEV, Città del Vaticano 2008, 179.
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sprezzato, ma poi glorificato da Dio suo Padre. Il testo della confessione di Pietro è dunque centrale nella comprensione dell'identità di Gesù. Egli stesso risponde (Mc 8,31; Mt 16,21-23; Le 9,22), chiarisce, orienta la fede dei suoi seguaci: spiega che questo cammino di sofferenza e morte è necessario; si tratta del suo ultimo viaggio verso Gerusalemme (Mt 16,21 aggiunge che «cominciò a spiegare ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme»). Quindi per la prima volta Gesù svela il suo segreto messianico, ma ancora non del tutto, perché prima il Figlio dell'uomo deve soffrire e morire. Nella dinamica della domanda di Gesù a Pietro e della risposta di Pietro a Gesù vi è tutto il senso del suo messianismo: egli non è soltanto il Figlio di Dio davidico (dichiarazione di Pietro) ma anche il Servo sofferente e Figlio dell'uomo glorioso. Così dicendo, bisogna anche sfatare un luogo comune: lo svelamento del «se greto messianico» non è dovuto soltanto a fini pedagogici, tendenti a formare nei discepoli una nozione meno politica e più spiritualizzata del Messia. Il segreto messianico infatti poté essere palese con l'evento della risurrezione, ma fino a quel momento non fu del tutto svelato, infatti la sua piena glorificazione dovrà scaturire sempre dalla croce. 3. «Verso dove» Gesù va, cioè la «salita» a Gerusalemme
Il periodo post-galilaico di Gesù di Nazaret prelude all'ultima fase della sua esistenza, nella quale egli vuole compiere il suo ministero fino in fondo andando a Gerusalemme. Così la sua «causa» si sarebbe completata definitivamente e si sarebbe svelato il mistero della sua persona. La scansione in due fasi dell'intera vicenda di Gesù, così come è presentata ad esempio nella struttura del Vangelo di Luca - Galilea-Gerusalemme-, aiuta non poco nella comprensione dell'iden tità di Gesù. È evidente che questa «impressionante drammatizzazione narrativa» riguarda fondamentalmente il livello teologico.3 Gli esegeti del Vangelo di Luca ritengono che il viaggio stesso si svolse in modo incoerente, impossibile da seguire su di una carta geogra fica. Si ha l'impressione che "Gesù viaggi sempre verso Gerusalemme, ma non riesca a progredire realmente in questo viaggio". Chiaramente, Luca non ha l'interesse per una localizzazione degli episodi, né per l'itinerario preciso, né per la successione cronologica. È un viaggio che ha valore teologico.4
L'attenzione metodologica nel distinguere il livello «teologico» dalla ricostru zione dei fatti storici, peraltro difficile,5 consentirà di procedere nel nostro itine-
3 L'espressione è di J. ScuwssER, Gesù di Nazaret, Borla, Roma 2002, 232, il quale peraltro so stiene che - su questo punto, cioè sull'intenzionalità del viaggio di Gesù a Gerusalemme - il livello storico è profondamente differente da quello teologico. 4 G. RossÉ, Il vangelo di Luca. Commento esegetico e teologico, Città Nuova, Roma 42006, 358. 5 ScuLOSSER, Gesù di Nazaret, 232.
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rario con l'obiettivo di comprendere meglio l'identità effettiva di Gesù. Ora, al di là delle motivazioni e della successione dei fatti, tutta la vicenda di Gesù va inter pretata in questa direzione: la città santa viene a rappresentare davvero il destino di Gesù. Le 9,51 fa diventare il viaggiare di Gesù un procedere verso la sofferenza: «Men tre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, egli prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé» (Le 9,51-52). Le attuali traduzioni mettono meglio in risalto ciò che Luca anche stilisticamente voleva evidenziare, e cioè la serietà della sua decisione mentre stava per «essere consegnato/assunto»: la lezione da preferirsi è senz'altro: «Compiendosi i giorni della sua assunzione, egli rese duro il suo volto per partire verso Gerusalemme».6 Il richiamo lucano al Servo di YHWH è evidente: accet tando pienamente e risolutamente la sofferenza che lo attende nella totale fiducia in Dio, Gesù si rivolge verso Gerusalemme, la città santa dove si compirà la sua «assunzione», vale a dire la sua passione unita alla manifestazione della sua rega lità messianica fino all'ascensione. Evidentemente questa lettura del passo lucano si gioca molto sulla parola analémpsis («assunzione, rapimento») riportata dall'e vangelista in forma di sostantivo e proveniente dal vocabolario del rapimento di Elia (2Re 2,9-11), che Luca ha utilizzato altrove per parlare dell'ascensione di Gesù (At 1,2.11 .22). «Ma se Luca vuole soltanto alludere all'ascensione di Gesù, perché parla "dei giorni" (al pl.) della sua assunzione? L'evangelista, evidente mente, vi include anche la passione e la morte».7 La ricchezza teologica del passo lucano che abbiamo qui evidenziato (Le 9,51) mostra dunque, se ancora ce ne fosse bisogno, che la salita di Gesù a Gerusalemme va interpretata nel senso di una forte sottolineatura di chi è Gesù e dove va Gesù. Ora, è proprio la vicenda gerosolimitana a mostrarlo, non solo come profeta esca tologico (prospettiva galilaica), ma anche e soprattutto come Messia regale. In somma lo svelamento della sua persona si comprende nell'epilogo della sua umana vicenda: la persona di Gesù emerge dal suo destino di croce e di risurrezione.
6 Così RossÉ, Il vangelo di Luca, 360. Riguardo al significato letterale dell'espressione «rese duro il suo volto» (to prosopon esterisen), è chiaro il richiamo veterotestamentario; mentre però for malmente l'espressione può provenire da Ezechiele o Geremia, l'evangelista Luca sembra avergli dato un senso che si ispira piuttosto al canto del Servo di YHWH (Is 50,6-7). Così ritiene sempre RossÉ, ivi, 361s note 241s. 7 lvi, 361s. L'autore è convinto che forse Luca ha scelto di proposito, alla maniera giovannea, un termine a doppio senso, per ricordare al lettore sia la morte che il suo termine glorioso, cioè l'ascen sione, che nella mente di Luca sono una realtà inseparabile. Sul significato dell' «ascensione/assun zione» di Gesù, anche in riferimento a Le 9,51, cf. R. PENNA, «Il racconto della "ascensione" di Gesù e la sua funzione retorica nell'opera lucana», in G. MARANGO - J. PRADES L6PEZ - G. RICHI ALBERTI (a cura di), Sufficit gratia tua. Miscellanea in onore del Card. Angelo Scola per il suo 70° compleanno, Marcianum Press, Venezia 2012, 539-553 e, per il nostro testo in particolare, 540: «> sul Gesù storico. I racconti evangelici, dunque, sono fedeli al dato storico dal quale emerge un principio importantissimo: la morte di Gesù illumina tutto ciò che precede e tutto ciò che segue nella sua personale vicenda. La morte di Gesù è in continuità con il messaggio escatologico da lui predicato, essa rischiara il significato della sua intera esistenza. Gesù in qualche modo ha avuto coscienza che la morte che lo attendeva era il compimento del senso che egli aveva dato alla sua missione, non quindi una necessità ineluttabile o un prezzo da pagare a qualcuno, ma il coerente sviluppo del suo stile vitale. Qui davvero la sua «causa» e la sua «persona» coin cidono: era prevedibile che il confronto tra il Regno veniente e le potenze demo niache di questo mondo avrebbero portato all'ora delle tenebre, che Gesù viveva con apprensione e nello stesso tempo con totale abbandono. È così che la morte di Gesù divenne un'offerta di tutto se stesso, come conseguenza del suo essere filiale nei confronti del Padre. Il destino di passione e morte di Gesù è emerso fortemente come rivelazione messianica nel Vangelo di Giovanni, che colloca appunto l'apice del ministero di Gesù a Gerusalemme: interessa meno come un dato topografico e più come un fatto teologico.8 Gerusalemme riassume la questione dell'identità di Gesù, che soltanto con il suo sacrificio potrà essere rivelata. I conseguenti dibattiti gerosoli mitani riportati da Giovanni dischiudono l'orizzonte dell'o rigin e di Gesù e della
8 Sul rapporto del Vangelo di Giovanni con i sinottici riguardo al «viaggio» verso Gerusalem me e al suo significato «teologico», cf. R. ScHNACKENBURG, Il Vangelo di Giovanni, Paideia, Brescia 1973, I, 17.
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sua fine, cioè dove Gesù va. Mentre però l'origine di Gesù (giudicata umana dai giudei) è un enigma indecifrabile, il dove Gesù va può diventare una risposta. Egli attraverso la sua morte va verso il Padre per poi ritornare (Gv 13,3; 16,28). La sua morte coincide perciò con la sua esaltazione gloriosa. Ciò che per Gesù rappre senta il compimento del suo itinerario storico, cioè l'ora della sua glorificazione presso il Padre, ne costituisce il luogo definitivo dell'autentica rivelazione dell'i dentità. Il ritorno di Gesù al Padre rivela pienamente il senso della discesa («Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo e vado al Padre)): Gv 16,28). Lo scontro con esponenti del giudaismo del tempo, che i di battiti gerosolimitani hanno evidenziato, ruotava dunque attorno alla questione dell'origine del Maestro di Nazaret. Attraverso le sue parole e il suo operato Gesù fa luce sul mistero della sua provenienza, ma vedremo tra poco che proprio su questa questione (potremmo dire «cristologica))) si attestano le incomprensioni, fino ad arrivare all'incredulità e all'odio, così che egli verrà addirittura eliminato.
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Capitolo Xl
GESÙ DI FRONTE AL SUO DESTINO DI PASSIONE E MORTE È penoso vedere il mondo lacerato dall'odio allearsi per breve ora contro Gesù. E che fa Gesù? Per sé, ogni processo è una lotta; qui non si lotta. Gesù non combatte, non prova, non contraddice, non attacca, non fa del chiasso. Nulla di tutto ciò, ma lascia libero corso agli avvenimenti, anzi a un dato momento dice per l'appunto ciò su cui contano gli avversari, e che è necessario per la sua rovina. Gesù non parla e non agisce affatto in base alla logica del processo ed alle esigenze dell'autodifesa, ma in base ad altri criteri. Egli cerca di non stornare nulla; il suo silenzio però non è debolezza né di sperazione. È- possiamo dire soltanto - realtà divina; sacro con fluire di avvenimenti; perfetta solerzia. Il suo tacere fa sì che av venga quel che deve avvenire. Pure vi è una lotta, ma di genere oscuro: contro la verità. La verità è così rudemente presente che tutto il processo sembra avere un significato solo: attenebrarla fino a tanto che il giudizio premeditato possa venire raggiunto. (R. GUARDINI, Il Signore. Meditazioni sulla vita e la persona di N.S. Gesù Cristo, Vita e Pensiero, Milano 1 949, 416s)
Il dato storico sulla figura di Gesù di Nazaret, che fin qui abbiamo analizzato soprattutto riguardo alla predicazione, alla fisionomia filiale della sua persona, conduce verso il mistero della morte in croce, che rappresenta un punto di rife rimento fondamentale della testimonianza evangelica. La vicenda del destino di passione e morte di Gesù costituisce, da un punto di vista storico, la sezione più vasta e circostanziata della narrazione evangelica. Questo dato, però, s'impone non solo per l'ampiezza della sua documentazione, ma anche per la sua coerenza con il messaggio centrale della stessa predicazione di Gesù. Si potrebbe dire in breve: le cose non potevano andare se non così come poi sono accadute. Il suo stile di vita, l'asprezza del contrasto suscitato, la libera accettazione dello sviluppo degli eventi hanno portato Gesù a consegnarsi volontariamente a una morte ac cettata per amore. Nessuno poteva costringere il Giusto al suo destino, se egli non si fosse liberamente offerto. Ora, nella nostra ricostruzione della vicenda storica di Gesù, ci domandiamo in quale luogo e con quale metodo noi possiamo attingere a questo evento che si curamente è centrale nella narrazione evangelica. Vi è una convergenza nella so stanza del racconto e anche in molti particolari, tanto da poter dire che il racconto della passione e morte di Gesù è forse il caso più eclatante dove si verifica il crite rio storico della molteplice attestazione. Riguardo al luogo più espressivo di attingimento della storia della passione e morte di Gesù, certamente si dovrà ricorrere all'anamnesi ecclesiale, come al grembo fecondo per ogni possibile discernimento. Evidentemente il materiale 323
a nostra disposizione riporta i ricordi storici dei primi testimoni ormai come fa centi corpo in un'esperienza personale e comunitaria del Signore risorto. Questo non significa che la luce della Pasqua abbia maggiorato la portata storica di quei fatti, i quali sarebbero una ricostruzione tesa a controbilanciare l'eccessivo en tusiasmo religioso delle prime comunità cristiane ellenistiche. La luce della Pa squa non ha stravolto, ma ci permette di interpretare un dato né inventato, né idealizzato. In questo senso elementi già determinanti della storia della passione di Gesù erano presenti all'inizio della tradizione cristiana; addirittura, come ve dremo più avanti, si ipotizza con buone ragioni una tradizione pre-marciana dalla quale avrebbero attinto le altre redazioni evangeliche.1 Insomma, mentre ciò che precede il racconto della passione e morte di Gesù costituisce una sezione narra tiva piuttosto discontinua, di carattere catechetico, nonostante vi siano anche al cune coordinate spazio-temporali, per quanto riguarda il racconto della passione dobbiamo dire che esso ci appare molto più coordinato, continuativo, con un più accentuato interesse biografico, senza mai dimenticare però che «il racconto della Passione di Gesù risente dell'interpretazione della comunità post-pasquale né più né meno del racconto che riguarda la sua attività pubblica. In questo senso si ha una convergenza dei quattro Vangeli, come in nessun'altra parte della narrazione evangelica».2 Per quanto riguarda il metodo di approccio alla narrazione storica della pas sione e morte del Signore, esporrò il dato più avanti, dopo aver trattato dell'im portanza dell'anamnesi ecclesiale quale luogo per comprendere i tratti caratteri stici della narrazione medesima. l. La cena d'addio come anamnesi
della vicenda della croce e della risurrezione
Vi è una sostanziale convergenza circa la risposta alla domanda che ci siamo fatti: qual è il luogo privilegiato dove si possono rinvenire i dati riguardanti la sto ria della passione? Senza ombra di dubbio la critica storica riconosce il culto, e in particolare la cena cristiana, come il luogo privilegiato nel quale si è attestata la narrazione della passione e morte che poi ha preso corpo nei racconti evangelici. Qui certamente entra in gioco la funzione del ricordare, fare memoria in senso biblico. Infatti non si tratta di una mera funzione mentale; per Dio, «ricordare» o «ricordarsi del popolo» è agire, intervenire in suo favore . . . e per il popolo «ri cordarsi di Dio» che ha salvato e salverà, è ritrovare continuamente l'alleanza perduta e corrispondervi. Questa funzione «anamnestica» trova nel culto il suo
1 Cf. per un primo discernimento: B. MAGGIONI, I racconti evangelici della passione, Cittadella, Assisi 1994, 7s; C. PERROT, Gesù, Queriniana, Brescia 1999, 106-108; R. PENNA, I ritratti originali di Gesù. Inizi e sviluppi della cristologia neo-testamentaria, 2: Gli sviluppi, San Paolo, Cinisello Balsa mo 32011, 14-27. 2 R. FABRIS, Gesù il «Nazareno». Indagine storica, Cittadella, Assisi 2011 , 707, ma anche 703707, dove vengono esposte sinteticamente le caratteristiche complessive del racconto della passione di Gesù nei vangeli canonici.
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momento di massima espressività. Infatti in esso si rivive in qualche modo ciò che Dio ha operato, vi è perciò una forza prorompente di attualizzazione nel tempo. In proposito nella rilettura deuteronomistica della Legge viene affermato: «Il Si gnore, nostro Dio, ha stabilito con noi un'alleanza sull'Oreb. Il Signore non ha stabilito quest'alleanza con i nostri padri, ma con noi che siamo qui oggi tutti vivi» (Dt 5,2-3). Il modo nel quale avviene questa «memoria vivente» è tipico della narrazione solenne che rievoca gli interventi di Dio lungo la storia. In questo «ricordare» giocano un ruolo importantissimo la parola e l'ascolto. Vi è una forte accentua zione di queste categorie bibliche che rendono tutta la densità della rievocazione, la quale diventa via via una lode a Dio e un culto profondo nei riguardi dell'Al tissimo (Sal 44 ,2: «Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito, i nostri padri ci hanno raccontato l'opera che hai compiuto ai loro giorni, nei tempi antichi»). Il racconto di quanto Dio ha operato, che si traduce in inno di lode, viene vissuto nel culto giudaico soprattutto nei «sacrifici di lode» (zèbah todah) dove si ringrazia il Si gnore per le opere compiute (così per esempio i Sal 105; 106; 107). Ciò che veniva vissuto nel culto antico di Israele ancor più accade ora nella «Cena del Signore», la quale rappresenta il luogo per eccellenza della memoria (anamnesi) degli eventi salvifici nella cornice del culto di lode. La cena per i primi cristiani rappresentava un momento cultuale nel quale si riviveva l'evento libera tore di Dio attraverso il suo servo Gesù, e questa celebrazione era già entrare nel regno escatologico. Qui non si offrivano più vittime sacrificati come nell' AT, ma si faceva memoria dell'evento della croce-risurrezione, si rievocavano i gesti di Gesù sul pane e sul calice, perciò si rendeva presente a livello cultico l'avvenimento stesso della sua morte e risurrezione. È chiaro che vi è un indubbio nesso tra la cena pasquale ebraica, quella istituita da Gesù3 e gli altri banchetti giudaici, dove si rinvigoriva il senso di appartenenza a gruppi di stretta osservanza che separa vano i puri dagli impuri. Questi riti venivano fatti soprattutto per salvaguardare il proprio stato di purità. Se è vero comunque che la cena di Gesù va vista nella prospettiva della Pasqua, va altresì mantenuta una certa prudenza poiché, argomenta R. Fabris, sul piano storico è impossibile arrivare a una conclusione sicura e condivisa circa il carat tere «pasquale» dell'ultimo pasto di Gesù con i discepoli alla vigilia della sua morte. Oltre alle difficoltà di ordine cronologico - la morte di Gesù sarebbe avvenuta secondo i sinot tici, nel giorno di Pasqua! - resta il fatto che nella tradizione dei vangeli non c'è traccia degli elementi tipici della cena pasquale ebraica: erbe amare, agnello, diverse coppe di vino - almeno quattro -, spiegazione narrativa o haggadàh pasquale.4
3 ll legame tra la cena di Gesù e la Pasqua ha dato adito a una discussione che a livello storico non si è per niente esaurita. Ne discuteremo più avanti. Cf. qui, come primo approccio al tema, le riflessioni di J.D.G. DUNN, Gli albori del cristianesimo, U3: La memoria di Gesù. L'acme della mis sione di Gesù, Paideia, Brescia 2007, 825-827. 4 FABRIS, Gesù il «Nazareno», 691 .
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Si deve dunque asserire che nel racconto sinottico dell'Ultima cena di Gesù vi è, sì, un carattere pasquale che fa da sfondo alla tradizione della cena di Gesù, ma senza un'identificazione materiale e cronologica.5 Una riprova di quanto si sta af fermando è evidente dal fatto che la rilettura in chiave pasquale della cena di Gesù - così come riportata nella tradizione sinottica - per alcuni ha creato difficoltà per la cronologia della passione e morte del Profeta di N azaret. Infatti, secondo que sta chiave di lettura la sua condanna ed esecuzione sarebbero dovute accadere il 15 di Nisan, cioè nel giorno di Pasqua, e la cena la sera del 14 di Nisan, secondo il calendario ufficiale. Questa coincidenza, della morte di Gesù con la festa di Pasqua, è esplicitamente esclusa dalle autorità giudaiche, quando prendono la decisione di catturarlo per metterlo a morte (Mt 26,5; Mc 14,2). Nel suo racconto Luca evita questa contraddizione, perché riporta le precauzioni dell'autorità per non provocare una reazione popolare, senza menzionare la festa (Le 22,1-2). L'autore del quarto vangelo, che pure pone in relazione la morte di Gesù con la «preparazione» della Pasqua ebraica, costringe a ripensare la cronologia della morte di Gesù. 6
Di fronte alla domanda se l'ultima notte di Gesù fu la notte pasquale, come si è visto, sembra difficile rispondere, per la non concordanza dei testi a disposizione e per la difficoltà cronologica. Alla domanda, invece, di come si svolse quel rito particolare, Joachim Gnilka ha formulato la seguente ipotesi: All'inizio del pasto principale Gesù prese una focaccia di pane, pronunciò una preghiera di benedizione, la spezzò e distribuì ai discepoli i pezzi spiegando l'offerta. Alla fine, dopo una preghiera di ringraziamento, fece circolare il (suo) calice di vino dando una spiega zione anche di questo. Per la sua particolare difficoltà, si potrebbe rinunciare al tentativo di una ricostruzione delle parole di spiegazione proferite da Gesù e parlare semplicemente di un banchetto di commiato proiettato verso il banchetto escatologico o, ancor più mode stamente e inesplicabilmente, di un banchetto importante.7
Volendo ora passare a riflettere sul significato della cena d'addio, va ribadito decisamente il fatto che la cena di Gesù viene a interpretare la sua morte come
5 Sempre su questa linea cf. J. ScHLOSSER, Gesù di Nazaret, Boria, Roma 2002, 254-256 (e, pre cedentemente, 46-48), che però intende privilegiare la cronologia di Giovanni, secondo la quale Gesù fu crocifisso alla vigilia della Pasqua ebraica. 6 FABRIS, Gesù il > radunato a Gerusalemme in occasione della grande festa. Cf. J. JEREMIAS, Le parole dell'ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 91-93 e la citazione ivi riportata, a p. 92, di Tosafta Sanhedrin Xl,7. 7 J. GNILKA, Gesù di Nazaret. Annuncio e storia, Paidea, Brescia 1993, 364s. A fronte dell'ipo tesi appena citata, vi è invece chi ritiene che la sommarietà del rito in questione potrebbe corrispon dere a un'esemplificazione ecclesiale.
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dono della sua vita e fondamento dell'alleanza nel suo sangue. Nella cena cri stiana, a differenza dei pasti ebraici, non vi erano discriminazioni tra i puri e gli impuri, donne comprese, tutti trovavano posto, anzi vi era un aiuto più intenso verso i più poveri. La cena cristiana, in forza della memoria del sacrificio univer sale di Gesù, assolveva così due compiti: creare maggior coesione tra i credenti (koinonia = comunione), soccorrere i più indigenti (diakonia = servizio). Tutto questo avveniva rifacendosi alla Cena del Signore, dove i simboli del pane e del vino significavano la comunione con il suo corpo e il suo sangue. Qui restano fon damentali i brani di 1 Cor 10,16 nel contesto del discorso di Paolo sui pasti sacri e gli idolotiti («il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comu nione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?») e 1Cor 11,17-32, dove si descrive il significato del «pasto del Signore». La Cena del Signore che i primi cristiani celebravano, altro non era dunque che la memoria della croce-risurrezione e la prognosi della parusia che attendevano vivamente; essi invocavano il Signore con l'espressione Maranà thà («Vieni, Signore Gesù!»). Nel libro degli Atti degli apostoli (come ad es. in 2,42.46-48) la celebrazione liturgica della cena veniva chiamata fractio panis, essa metteva in relazione con Gesù nella sua prassi dell'Ultima cena. Mentre nell'assemblea liturgica ebraica si ascoltava l'insegnamento della Torah, nella cena cristiana si ascoltava l'insegna mento sulla vita e le opere del Signore risorto. È in questo senso che la luce della Pasqua illuminava i fatti accaduti in Gesù di Nazaret e li contestualizzava in un piano divino di salvezza utilizzando, per esempio, la profezia del Servo di YHWH. Ed è proprio a questo punto che si collocava la memoria della Cena del Signore e il racconto della sua passione e morte. Per quanto riguarda il racconto della cena d'addio, abbiamo due componenti: quella cultuale e quella cosiddetta testamentaria.8 La prima componente, quella «cultuale», intende collegare la prassi cultuale cristiana con quella di Gesù: si nota in essa una particolare sensibilità liturgica e storica. Vengono a tal proposito ri presi i gesti e le parole del Maestro nel contesto della cena d'addio. La seconda tradizione è detta «testamentaria», perché intende collegare la prassi della carità dei primi gruppi cristiani con la prassi di Gesù, il quale si fa dono d'amore dando la sua vita per gli uomini. Possiamo dire comunque, prima di segnalare i luoghi di riferimento delle due tradizioni, che il racconto dell'istituzione dell'eucaristia ha sì una tonalità biografica, ma incastonata nella preoccupazione di giustificare e presentare la prassi del culto, dell'anamnesi e della carità vissute nelle prime co munità cristiane. Per esemplificare si può affermare, dunque, che il racconto di ciò
8 Sulle «tradizioni>> della cena d'addio e sul significato della cena in se stessa, vanno consultati anzitutto alcuni lavori ormai divenuti classici: P. BENOIT, «< racconti dell'istituzione dell'Eucaristia e il loro valore>>, in Io., Esegesi e teologia, Ed. Paoline, Roma 1964, 163-204 (per il contesto che stiamo trattando, soprattutto la prima parte) ; X. LÉON-DUFOUR, «Tradizione cultuale e tradizione testamentaria>>, in Io., Condividere il pane eucaristìco secondo il Nuovo Testamento, ElleDiCi, To rino 1983, 86-97; JEREMIAS, Le parole dell'ultima cena, soprattutto i cc. 3 e 4. Una ripresa sintetica in chiave sistematica di queste prospettive è rinvenibile in M. BORDONI, Gesù di Nazaret. Presenza, memoria, attesa, Queriniana, Brescia 1988, 191-195.
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che si riferisce a Gesù avviene nel contesto dell'ambiente vitale ( Sitz im Leben ) della primitiva comunità credente. a) I principali brani di riferimento della componente cultuale sono i seguenti. - 1Cor 1 1,23-26: «lo, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese il pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me". Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue: fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me". Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finché egli venga». - Le 22,19-20: «Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: "Questo è il mio corpo che è dato per voi; fate questo in memoria di me". E, dopo aver cenato, fece lo stesso con il calice dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi"». - Mc 14,22-24 : «E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: "Prendete, questo è il mio corpo". Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti"». - Mt 26,26-28: «Ora, mentre mangiavano, Gesù prese il pane, recitò la bene dizione, lo spezzò e, mentre lo dava ai discepoli, disse: "Prendete, mangiate: questo è il mio corpo". Poi prese il calice, rese grazie e lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti per il perdono dei peccati"». Va subito notato che in questa tradizione «cultuale» l'interesse primario non è tanto il riferire un episodio dal punto di vista biografico ma, come si è detto, il fondare il culto cristiano nella prassi della cena di Gesù. Vi è un substrato comune ai quattro testi riportati dove primeggiano i gesti fondamentali di Gesù dello spez zare il pane e del bere al calice; questo substrato nasconde due orientamenti: quello antiocheno e quello marciano. Il primo tipo di orientamento, quello antiocheno (sempre della componente cultuale), in Paolo e Luca insiste sul dono personale di Gesù e sottintende una teologia dell'alleanza, infatti vi sono alcune sfumature tipiche soprattutto di Luca e Paolo dove si insiste sul corpo dato per voi e il sangue versato per voi, che non si presentano però immediatamente con accenti cultuali. Che cosa succedeva in buona sostanza? Le assemblee dei primi cristiani erano pervase da una grande gioia per la liberazione operata da Gesù, era la riunione in un pasto di lode dove già si pregustava la gioia del banchetto escatologico, anzi era già quello il ban chetto escatologico che Gesù aveva prefigurato. In esso convergevano i ricordi del recente passato, cioè la cena di Gesù, la sua passione e la sua morte in croce. Per giunta, ricorrendo alle Scritture (Ger 31,31 ), i primi cristiani erano convinti che mangiando dell'unico pane e bevendo al calice si attualizzasse la nuova annun ciata alleanza tra Gesù e i suoi discepoli.
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Il secondo tipo di orientamento (sempre della componente cultuale), quello marciano (in Mc e Mt), si presentava invece con caratteri più liturgici e vedeva in Gesù il compimento dei sacrifici antichi espiatori. Si risaliva alla memoria dell'al leanza di Mosè sul Sinai (Es 24 ,6-8) e quindi al tipico modello del «sacrificio di comunione» espresso dal sangue versato in parte come libagione sull'altare e in parte asperso sul popolo. Mentre in questo gesto si compiva l'alleanza tra Dio e il popolo, ora invece in Gesù, morto per i nostri peccati, si compie l'alleanza nuova e definitiva. Si può qui intravedere la rievocazione della profezia del Servo di YHWH che ormai diventava realtà in Gesù, come colui che si è dato «per molti» (upèr poll6n). In sintesi, in questa prima tradizione, si fondono insieme l'idea dell'alleanza (nuova) e dell'espiazione del peccato che porta all'universalità della redenzione. La cena cristiana era pertanto un sacrificio di lode che commemorava la nuova alleanza superando il sacrificio antico mosaico.9 b) I testi principali della seconda componente, quella testamentaria, sono i se guenti. - Gv 15,12: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi». - Mc 14 ,25: «In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». - Mt 26,29: «Io vi dico che d'ora in poi non berrò di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi, nel regno del Padre mio». - Le 22,15-18: «[ . . . ] E, ricevuto un calice, rese grazie e disse: "Prendetelo e fa telo passare tra voi. . . "». Dobbiamo dire anzitutto che si dice componente testamentaria quella forma letteraria che accosta una serie di testamenti biblici, nei quali emerge il comporta mento di una persona che si congeda dai suoi cari radunandoli (come per esempio nell'aprocrifo Testamento dei 12 patriarchi)1 0 e dando loro l'addio in occasione di un pasto, che diventa nello stesso tempo un evento di addio. Nei racconti in que stione si sottolineano non tanto i gesti eucaristici, quanto il pasto d'addio come consegna, da parte di Gesù, del comandamento dell'amore reciproco. Gesù appare in questi testi come il vero servitore e perciò come colui che associa i discepoli come commensali nel banchetto escatologico. Così, ad esempio, il testo del capi tolo 13 di Giovanni e Le 22,27-30: Infatti chi è più grande, chi sta a tavola o chi serve? Non è forse colui che sta a tavola? Eppure io sto in mezzo a voi come colui che serve. Voi siete quelli che avete perseverato con me nelle mie prove e io preparo per voi un regno, come il Padre l'ha preparato per me,
9 ScHLOSSER, Gesù di Nazaret, 267-269; GNILKA, Gesù di Nazaret, 366s; FABRIS, Gesù il >. «Luca ci invita ad entrare nella Passione insieme con Gesù, a ri conoscere insieme a Pietro la nostra fragilità, a !asciarci convertire dallo sguardo di bontà di Gesù, a portare la sua croce e a seguirlo insieme con Simone di Cirene, ad abbandonarci nelle mani del Padre».22 Giovanni scrive più tardi e ha tempo di rimeditare su tutte le vicende, presen tando la passione come un viaggio trionfale di Gesù verso il Padre. Cura partico larmente alcuni dettagli storici, mostra come Gesù sia consapevole di quanto sta accadendo, e di come si adempiano le Scritture e quanto egli stesso aveva prean nunciato. Giovanni penetra nei particolari degli avvenimenti e ne evidenzia i si gnificati simbolici facendone così emergere la portata soteriologica, ecclesiologica e teologica insieme. L'«ora» del Cristo è l'ora del passaggio al Padre, e perciò la più grande rivelazione di amore del Padre e dello Spirito. Addirittura Giovanni mostra la maestà di Gesù che soffre (alcuni particolari più avanti lo metteranno in rilievo) e presenta in senso glorioso il suo patire. Men tre Gesù viene arrestato dichiara «� (v. 30), come a preparare il suo effondere lo Spirito. Se ci
115 DE LA PoTIERIE, La passione di Gesù secondo il Vangelo di Giovanni, 127. Ma per la docu mentazione di tutta la scena circa la maternità spirituale di Maria, cf. ivi, 116-134. 1 16 Per la documentazione in proposito cf. ivi, 140-143.
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soffermiamo anzitutto sulla summenzionata espressione, dobbiamo dire con R.E. Brown che «il suo " È compiuto" si riferisce sia all'opera che il Padre gli ha dato da compiere che all'adempimento della Scrittura. Come "agnello di Dio" egli ha tolto il peccato del mondo, realizzando e completando così il ruolo dell'agnello pasquale nella teologia dell'AT».117 Se consideriamo la frase con ciò che immedia tamente segue («E, chinato il capo, consegnò lo spirito fparédoken to pneuma]»: Gv 19,30b ), si deve dire - con una parte significativa dell'esegesi contemporanea che l'ultimo alito di vita significa il dono pasquale dello Spirito Santo.118 Dalla morte di Gesù viene donato lo Spirito, principio di vita per la comunità messia nica. Questa esegesi si è andata sempre più affermando. Gesù, emettendo il suo ultimo alito di vita che annuncia il dono dello Spirito, porta a compimento la sua sete, vale a dire il forte desiderio di colmare la Chiesa del dono della salvezza che avviene appunto mediante lo Spirito. «Questa formula inconsueta, a doppio senso [cioè quella contenuta in Gv 19,30], significa che l'ultimo respiro di Gesù era un segno del passaggio al tempo nuovo, quello dello Spirito: ormai si compirà il dono "senza misura", ormai si realizzerà il "battesimo nello Spirito Santo"».U9 Una tale interpretazione «teologica» del rapporto tra croce ed effusione dello Spirito ri sulta coerente con quanto l'intero quarto vangelo ha rilevato circa la rivelazione dello Spirito. Il quale viene a rappresentare quel «cantus firmus» che fa da sot totraccia a tutto il racconto giovanneo, per trovare nella croce del Risorto il suo apice. Heinrich Schlier lo ha spiegato chiaramente, quando ha affermato che «in vio e comunicazione dello Spirito, che era presente già nelle parole del Cristo ter reno, avvengono solo tramite il Cristo trasfigurato. Solo l'innalzamento del Verbo incarnato al Verbo originario scioglie lo Spirito che il Verbo porta in sé. Lo Spi rito, si può dire, è il soffio della gloria del Verbo eterno».120 - La quinta scena del racconto giovanneo della crocifissione121 è quella del colpo di lancia e del sangue e acqua (19,31-37). È chiaro che le citazioni del Sal 34,21 («Custodisce tutte le sue ossa: neppure uno sarà spezzato»), di Es 12,46 («>. Categorie bibliche interpretative della morte e risurrezione di Gesù nei vangeli sinottici, Boria, Roma 1992. 7 B. MAGGIONI, Le parabole evangeliche, Vita e Pensiero , Milano 72005, 56s. 8 Cf. la documentazione di R. PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo. Inizi e sviluppi della cristologia neo-testamentaria, 1: Gli inizi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2010, 155-158, che legge tutto questo come «soteriologia implicita».
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Questa missione, particolarmente in Mc 10,45 («Il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire», cf. anche Mt 20,28), è chiaramente posta in riferimento alla missione del Servo di YHWH (Is 53,10-12). Qui si con giunge insieme la figura del «giusto perseguitato» e del «Servo sofferente». Que ste due figure hanno esercitato un influsso notevole nella formazione del racconto della passione e morte di Gesù, ripensata alla luce delle Scritture sante. Tale riferimento appare ancora più chiaramente nei testi della cena (Mc 14,24: «Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è versato per molti»; Mt 26,23; Le 22,1921), ove la berakah aramaica che sta alla base delle versioni greche mostra l'arcai cità dei testi medesimi.9 Gesù offrì se stesso attraverso il suo sangue versato, si gnificato attraverso il vino nel gesto della cena; i discepoli di Gesù ricevono la sua vita offerta sulla croce per tutti. Con il dono della sua vita Gesù diventa il Media tore della nuova alleanza. Partecipando a quel calice si è inseriti in questa nuova realtà, predisposta da Dio, in compimento delle Scritture.10 2. La morte di Gesù svela pienamente la sua causa e la sua persona
Un secondo aspetto cha va considerato, dopo aver riflettuto sulla morte di Gesù come compimento delle Scritture, è quello che la interpreta come rivelazione piena della sua causa e della sua persona. Nella morte in croce, per amore, si è ma nifestato il regno escatologico che egli non solo ha predicato, ma con il quale si è anche identificato. La morte di Gesù non fu soltanto un fatto casuale dovuto alla perfidia giudaica, bensì un evento epocale essenziale che ha inaugurato il regno escatologico di Dio. La stessa predicazione di Gesù riguardo al regno di Dio si era concentrata, dopo la confessione di Pietro a Cesarea di Filippo, nella «sorte» del Figlio dell'uomo; compimento del Regno e destino di Gesù vanno dunque di pari passo. In breve: da una parte, la morte di Gesù presenta un aspetto peculiare dell'avvento definitivo del regno escatologico; e, dall'altra parte, la predicazione sulla venuta del regno di Dio getta luce sull'evento della morte di Gesù, facendo così vedere come tutto il cammino storico della sua vita doveva condurre all'of ferta totale di sé. Consideriamo in dettaglio queste due dimensioni. - In primo luogo la morte di Gesù prepara l'avvento definitivo del regno esca tologico, è con esso connessa e lo manifesta. L'aggancio con i temi classici del «giorno del Signore», presenti nei messaggi profetici, è evidente. Il legame con il motivo delle «afflizioni escatologiche», presentate con i colori della «catastrofe cosmica» che si sarebbe verificata alla fine dei tempi o alla «fine dei giorni», è d'obbligo. Così Am 3,2; Mi 4,1: «Alla fine dei giorni il monte del tempio del Si gnore sarà saldo sulla cima dei monti. . . »; Is 2,2). Così pure ritorna il filone delle «doglie messianiche» per cui Israele, come sposa di Dio (Os 1,2-3,5), avrebbe par-
9 Si veda su questo punto J. JEREMIAS, Le parole dell'ultima cena, Paideia, Brescia 1973, 217223.
10 H. ScHLIER, La passione secondo Marco, Jaca Book, Milano 1979, 39s.
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torito il Messia nel dolore (Mi 4,10: «Spasima e gemi, figlia di Sion, come una par toriente, perché presto uscirai dalla città . . . »; Is 26,17: «Come una donna incinta che sta per partorire si contorce e grida nei dolori, così siamo stati noi di fronte a te, Signore»; cf anche Ap 12,2). Il dolore si sarebbe riversato sullo stesso Servo messianico di YHWH (Is 53). Dal richiamo escatologico della signoria di Dio ( ba si/eia tou Theou ) parte, dunque, quasi un raggio vettore che giunge al mistero della passione: il «giorno di Dio», l'avvento del «Regno», è intimamente connesso alle afflizioni che colpiscono sia Israele che il Messia. Vi sono sofferenze che sono determinate dal giudizio di Dio su Israele e sul mondo, e sofferenze conseguenti al rifiuto, da parte di Israele, dell'Inviato di Dio l il Messia di Israele. Già si è richiamata l'attenzione su alcuni testi redazionali evangelici, dove il le game tra passione-morte di Gesù e avvento escatologico del regno di Dio è forte. I testi della cena, ad esempio, mostrano come Gesù annunciasse con la sua morte l'avvento del Regno: «In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio» (Mc 14,25 = Le 22,1518). Vi sono poi altri esempi che mostrano il compimento del Regno attraverso la narrazione di eventi di carattere «cosmico-apocalittico» che presentano la morte di Gesù nel quadrante della storia, come evento epocale che segna il passaggio dal vecchio al nuovo mondo, come a dire che con il sacrificio di Gesù sulla croce ha avuto inizio una nuova epoca per il genere umano.U Come già si è richiamato più sopra, la testimonianza evangelica, dunque, in una «cornice cosmica», pre senta la morte di Gesù in cui si determinano fatti di natura apocalittica: le tenebre (dall'ora sesta all'ora nona, comune ai tre sinottici, Mc 15,33; Mt 27,45; Le 23,44) . Le «tenebre», che erano un elemento abituale nella descrizione del giorno del Signore (Am 5,18: «> profetica di Gesù era strettamente connessa al suo cammino verso Gerusalemme, al punto da risultare una marcia trionfale verso la completa rivelazione messianica. La morte in croce ignominiosa veniva a essere l'apice della manifestazione del Regno. Nel progetto sapiente di Dio, tutto il cammino verso il supremo sacrificio viene trasformato in simbolo grandioso di vittoria e di trionfo del regno di Dio e della sua giustizia sal vifica. In breve: il «martirio» di Gesù crocifisso è segno di amore e di obbedienza, il sacrificio fino all'estremo svela la natura profonda di quel regno di Dio ormai giunto alla sua completa maturazione.14 3. «Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum»: la morte in croce come avvenimento soteriologico
Vi è poi un terzo aspetto di capitale importanza che qui va richiamato; esso tenderà a mettere in luce come l'evento del Calvario abbia una portata di salvezza universale per tutti e per sempre. Elemento soteriologico e universale vanno qui di pari passo. La morte in croce di Gesù non è solo un fulgido esempio di martirio profetico, essa appella a un altro dato: si tratta di una morte salvifica, in riscatto dell'intera umanità. Nell'evento della morte in croce di Gesù la fede e la teologia hanno colto un altro elemento fondamentale, radicato nella storia concreta: egli è davvero morto per noi. Questo motivo è intimamente congiunto ai temi prece denti, già trattati in questo contesto, vale a dire: la morte di Gesù è conforme al volere di Dio ( «secundum Scripturas») ed è un evento escatologico che ha cam biato la storia del mondo. Il primo kerygma apostolico - lo si è già sottolineato - aveva dichiarato espli citamente, e direi in modo preminente, l'aspetto soteriologico: la morte di Gesù è collegata alla remissione dei peccati. Nel libro degli Atti degli apostoli si afferma chiaramente che noi, per mezzo di Cristo, riceviamo ora la remissione dei peccati (At 2,38: «E Pietro disse loro: "Convertitevi e ciascuno di voi si faccia battezzare nel nome di Gesù Cristo, per il perdono dei vostri peccati"»), di conseguenza ne deriva l'appello alla conversione: «Convertitevi [ . . . ] perché siano cancellati i vo stri peccati» (3,19). Vanno compulsati a tal proposito anche altri testi degli Atti degli apostoli: 4,10-12; 5,30-32; 10,36-43; 13,17-41 . In san Paolo si era trovata l'e spressione: «Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture» (1Cor 15,3); egli fu «Consegnato alla morte a causa delle nostre colpe» (Rm 4,25).
14 Una ripresa in chiave sistematica delle prospettive bibliche enunciate in questo paragrafo 2 viene offerta in A. NITROLA, Trattato di escatologia, 1: Spunti per un pensare escatologico, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001, 404-407.
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In tutta la teologia neotestamentaria tale affermazione sembra essere alquanto presente (1Pt 2,24: «Egli portò i nostri peccati nel suo corpo sul legno della croce, perché, non vivendo più per il peccato, vivessimo per la giustizia»; Eb 9,28: «Così Cristo, dopo essersi offerto una sola volta per togliere il peccato di molti, apparirà una seconda volta, senza alcuna relazione con il peccato, a coloro che l'aspettano per la loro salvezza»). Questa ambientazione iniziale consente di scendere più in profondità, per scandagliare il tema della «soteriologia» della morte di Gesù. Anzitutto occorre investigare brevemente per cercare il legame con la soterio logia veterotestamentaria. Il rapporto tra la sofferenza di Gesù e il peccato degli esseri umani va letto in primo luogo alla luce delle idee veterotestamentarie circa la redenzione-espiazione. Israele possiede una concezione soteriologica unitaria nella quale si trovano due indirizzi: il primo è legato al codice sacerdotale (Lv 17,1 1), per cui l'espiazione si compie nel sangue, il secondo è connesso al punto di vista profetico. Tutto questo lo si evince attraverso un approfondimento di temati che specifiche che studiano la terminologia, il campo semantico e la tipologia dei sacrifici nell'Antico Testamento.15 Il primo dei due indirizzi trova la sua più alta espressione nel famoso testo del libro del Levitico: «Poiché la vita della carne è nel sangue. Perciò vi ho concesso di porlo sull'altare in espiazione per le vostre vite; perché il sangue espia, in quanto è la vita» (17,1 1). La teologia sacerdotale è fondata dunque sul principio che il Si gnore è «il Dio della vita» (Nm 27,16) e la riprende a causa del peccato. Nel sacrifi cio l'uomo muore di una morte simbolica attraverso l'offerta di un lytron (riscatto) e così riconquista pienamente quell'amicizia con Dio che era stata compromessa con il peccato. Il secondo indirizzo è legato a una sensibilità di tipo profetico e si contestua lizza diversamente, cioè si pone come superamento della degenerazione forma listico-ritualista che aveva talora richiamato i profeti a denunciare l'inutilità del rito del sangue, del gesto materiale dell'uccisione delle vittime senza una coerente corrispondenza negli atti interiori di obbedienza e pentimento. Ora i profeti pre dicano invece l'obbedienza e il cuore contrito: sono questi il vero fondamento dell'espiazione del peccato (cf. Sal 50,8: «Non ti rimprovero per i tuoi sacrifici, i tuoi olocausti mi stanno sempre davanti»; Is 1,10-20; 66,1-4; Ger 6,20; 7,21; Os 6,6; 8,1 1; Am 4,4; 5,22). Dunque, in questo secondo indirizzo tutto l'accento sull'espia zione viene spostato verso il pentimento e l'osservanza della Torah, piuttosto che sui riti esteriori sacrificali. Va, a questo punto, operata un'indagine su quali sono gli agganci veterote stamentari che hanno avuto particolare rapporto con la concezione soteriologica della morte di Gesù. Possiamo qui richiamare una triplice serie di luoghi vetero testamentari.
15 Questo lavoro è stato portato avanti nella monografia di l. CARDELLINI, I sacrifici dell'Antica Alleanza. Tipologie, Rituali, Celebrazioni, San Paolo, Cinisello Balsamo 2001.
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Anzitutto vi sono alcuni testi del libro dell'Esodo riguardanti l'agnello pa squale (Es 12,46: «In una sola casa si mangerà: non ne porterai la carne fuori di casa; non ne spezzerete alcun osso»; poi Nm 9,12 a cui si richiama Gv 1 ,29-36: «Ecco l'agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo !»; inoltre Gv 19,36: «Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato al cun osso» (che richiama Ap 1,7 e 1Pt 1,19; At 8,32). Un'altra serie di testi si riferisce all'alleanza del Sinai nell'aspersione del san gue sacrificale (Es 24,8: «Mosè prese il sangue e ne asperse il popolo, dicendo: "Ecco il sangue dell'alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole ! "», Zc 9,11), ad esso si richiamano le formule eucaristiche, come si è già ricordato precedentemente quando si è trattato della cena d'addio. Infine, abbiamo altri passi dell'Antico Testamento che presentano la figura profetica del Servo il quale riunisce in sé, nella sua persona profetico-soteriolo gica, i contenuti più significativi della soteriologia biblica veterotestamentaria. Il «Servo di YHWH», infatti, nella sua «giustizia» giustificherà molti (Is 53,11): ciò che giustifica (cioè rende giusti, accetti a Dio) è l'obbedienza del Servo al disegno di Dio. Ma il Servo è l'alleanza fatta persona: «Ti ho stabilito come alleanza (berit 'am) del popolo e luce delle nazioni» (Is 42,6). Egli è immolato (come agnello) tra fitto, per i nostri misfatti, «il castigo che ci dà salvezza si è abbattuto su di lui, per le sue piaghe noi siamo stati guariti» (Is 53,5). Siamo, a questo punto, di fronte alla domanda che già ci siamo posti prece dentemente: la morte in croce del Crocifisso che ha redento il mondo (così la Chiesa ha sempre percepito la morte di Gesù) è stata vissuta da Gesù come un evento soteriologico? Gesù era consapevole dell'unicità e universalità salvifica del suo gesto? Nella risposta affermativa a questa domanda16 gioca un ruolo impor tante il senso che Gesù ha dato alla sua morte, alla luce delle profezie del Servo di YHWH. Le allusioni che le parole di Gesù presentano ai carmi profetici di Isaia sono numerose, specie nella tradizione sinottica. Ne richiamo solamente un paio, tra le più chiare delle parole di Gesù riferite al Servo sofferente di Isaia. La prima allusione è contenuta in un testo famoso sul servizio. Mi riferisco a Mc 10,45 ( = Mt 20,28) : «Anche il Figlio dell'uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti». L'esegesi è abbastanza concorde nel ritenere che questo loghion costituisca un vertice cristo logico in tutto il Nuovo Testamento. Questo è un passo del Vangelo di Marco, unico nel suo genere, in cui viene attribuito un valore salvifico alla morte del Fi glio dell'uomo. Nello stesso tempo, anche se può permanere la discussione se l'e spressione suddetta di Gesù non sia una citazione diretta di Isaia, essa si ricollega, perlomeno quanto al contenuto, al quarto canto del Servo di YHWH, dove la di-
16 Per una prima informazione su queste tematiche si potrà utilmente cf. M. HENGEL, Crocifissio ne ed espiazione, Paideia, Brescia 1988, nella seconda parte dell'opera «La morte espiatoria di Gesù per "sostituzione", genesi di un'idea>> (133-228), e PuLCINELLI, La morte di Gesù come espiazione, 31-59, dove vengono recensite le opere degli autori e le questioni legate all'interpretazione della morte di Gesù come espiazione.
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mensione del servizio è legata all'ablazione di tutto se stesso. Anche se il Servo di YHWH è servitore di Dio e il richiamo citato di Marco parla di Gesù che serve gli uomini, i due servizi, di fatto, sono un'unica cosa. Infatti, salvare gli uomini è lo scopo del progetto di Dio e per Gesù, come per il Servo di Dio, servire Dio porta al servizio nella salvezza di tutta l'umanità. Quindi, come il servo dell' AT offre la sua vita (Is 53,10), la versa nella morte (53,12), «in riscatto)) (lytron), così Gesù. Decisiva è la comprensione, a livello semantico e teologico, del termine lytron che si trova nella versione greca della LXX e probabilmente è una ripresa dell'espressione asam di Is 53,10: «Ma al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori. Quando offrirà se stesso in sacrificio di riparazione, vedrà una discendenza, vivrà a lungo)). In ogni caso, il termine «riscatto)) (lytron) sintetizza bene la situazione gene rale del servitore che paga per gli altri. Gesù versa il suo sangue come suprema e disinteressata manifestazione di amore. La relazione di questo loghion evangelico con la profezia del Servo è dunque plausibile. Ormai, argomenta Martin Hengel, non si dovrebbe più contestare che Is 53 abbia influito sulla nascita e sulla redazione del più antico kerigma. Era forse una reazione comprensibile; dopo aver a lungo accentuato il motivo del servo di Dio nei detti di Gesù stesso, si può aver voluto, per un movimento in senso inverso, cacciare lo «ebed Yhwh)) da altre parti del Nuovo Testamento «Con spade e bastonh). Ma ciò non è possibile senza fare al testo una certa violenza. Né la formula di «Consegna)) di Gesù, né quella della sua morte sostitutiva «per i molti» o «per noh) avreb bero potuto nascere senza lo sfondo di questa misteriosa profeziaY
Vi è poi una seconda allusione delle parole di Gesù al Servo sofferente di Isaia, essa si riferisce alle parole pronunciate da Gesù sul vino nel momento dell'i stituzione dell'eucaristia. Qui il riferimento ai solidi studi di J. Jeremias è d'ob bligo. L'esegeta tedesco ha dimostrato in modo convincente il carattere arcaico e palestinese della formula eucaristica nella forma più originaria e ricca di semi tismi di Mc 14,24: «E disse loro: "Questo è il mio sangue dell'alleanza, che è ver sato per molti">). In essa i riferimenti al Servo sono evidenti: il sangue versato è il «sangue dell'alleanza)) (cf. Is 53,12: egli ha consegnato, cioè versato la sua vita nella morte). Il richiamo a Es 24,3-8, e più precisamente alla nuova alleanza ( Ger 31,31-34) , è evidente. La scena di Mosè che asperse il popolo con il sangue delle offerte sacrificali, dopo aver letto il «libro dell'alleanza)>, diventa qui emblema tica. Ora però si tratta di rinnovare l'alleanza, violata dai peccati del popolo. Il patto non sarà più sancito su tavole di pietra, ma nel cuore delle persone, e il nuovo Servo, cioè Gesù, sarà deputato a rimettere così i peccati della moltitudine, inverando quanto già preannunciato nel primo canto del Servo di YHWH: «Io, il Signore, ti ho chiamato per la giustizia e ti ho preso per mano; ti ho formato e stabilito come alleanza del popolo e luce delle nazioni, perché tu apra gli occhi ai ciechi e faccia uscire dal carcere i prigionieri, dalla reclusione coloro che abitano nelle tenebre)) (Is 42,6-7).
17 HENGEL, Crocifissione ed espiazione, 209.
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Vi è però un'altra differenza sostanziale tra il sangue versato da Gesù e la fi gura dell'antica alleanza nel sangue, ed è l'universalità. La missione di Gesù va oltre Israele (Is 49,6), il suo sangue è versato per molti, cioè per la moltitudine di tutti i popoli (cf. lTm 2,6). Questa portata universale dell'alleanza è espressa nelle formule eucaristiche dall'espressione «i molti» (pollòi). Tale espressione «i molti» è un semitismo che traduce (ha)rabbim, ma non si presta a un'interpreta zione oppositiva, come nelle lingue moderne, tra un gran numero e la totalità. Il termine «molti» (ha)rabbim ricorre quattro volte solo nel quarto carme del Servo di YHWH (ls 52,13-53,12) e sta a significare moltitudini; esso sta per tutti, ne sot tolinea il senso di collettività anziché di totalità, la quale potrebbe riferirsi di per sé anche a poche persone. In buona sostanza, tale espressione, nel suo substrato semitico, afferma tutta la massa dell'umanità, il sangue di Cristo è davvero offerto per tutta l'umanità. Alla luce di tutto quanto è stato fin qui detto, si può ritenere con Joachim Je remias che «paragonando se stesso all'agnello pasquale escatologico Gesù indica la propria morte come morte salvifica».18 Sempre l'esegeta tedesco, nel suo la voro sulle parole dell'Ultima cena, ha confutato in modo convincente che non è pensabile che Gesù non abbia attribuito alla sua morte un'efficacia espiatoria. Le obiezioni secondo le quali le affermazioni in senso soteriologico-espiatorio sono da ascrivere piuttosto alla «dogmatica» della comunità primitiva o dell'apostolo Paolo, suscitano meraviglia in chiunque conosca le fonti palestinesi. In esse, vice versa, è presente l'idea dell'effetto espiatorio della morte e questo anche nell'am biente di Gesù: ogni morte ha efficacia espiatrice, anche quella del malfattore, se muore disposto alla penitenza! Anche la morte degli innocenti o di chi è consa crato a Dio può avere un'efficacia espiatoria vicaria che ridonda a vantaggio de gli altri. Le fonti dunque - sempre secondo Jeremias - costringono ad affermare che è impensabile che Gesù non avesse alcuna idea sulla forza espiatrice della sua morte. «Questo dice dunque Gesù nella cena circa il significato della sua morte: la sua morte è la morte vicaria del servo di Dio per i pollòi, il mondo dei popoli, morte espiatrice dei peccati che introduce la redenzione finale e fa entrare in vi gore il nuovo patto di Dio».19 Infine, si vuole qui toccare un'ultima questione: quale sviluppo è presente nel Nuovo Testamento circa il senso soteriologico della morte di Gesù? È possibile intravedere un effettivo sviluppo di questa coscienza soteriologica della morte di Gesù, soprattutto attraverso l'interazione dei due aspetti, che abbiamo riscon trato complementari, della soteriologia veterotestamentaria più sopra accennati? Si tratta di stabilire in che modo l'accentuazione dell'espiazione che si compie nel sangue e il punto di vista profetico sono coordinati in un'interpretazione della morte di Gesù nel senso di un'ablazione di amore.
18
JEREMIAS, Le parole dell'ultima cena, 280.
19 lvi, 288.
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Anzitutto si può cominciare con l'affermare che la morte di Gesù è un vero e proprio riscatto dal peccato, ma non nel senso delle religioni antiche, dove la divi nità doveva essere placata con i sacrifici. Il riscatto dai nostri peccati, da parte di Gesù, è un atto di obbedienza e amore per il Padre,20 ne è coinvolta la volontà di Gesù come volontà di obbedienza al progetto del Padre, e le profezie della pas sione, come si è visto precedentemente, lo hanno mostrato. Egli infatti respinge la tentazione di chi voleva distoglierlo dal compiere quella volontà (Mc 8,33: «Disse [rivolto a Pietro] : "Va' dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini"»; inoltre Mt 16,23). Del resto, anche tutto il dramma del Get semani, come già si è avuto modo di vedere, è oblazione della volontà (Mc 14,36) fino al sacrificio della croce, dove le sue ultime parole sono ancora quelle dell'of ferta e dell'affidamento confidente al Padre (Le 23,46). L'opera della redenzione non è quindi un placare un Dio irato, quanto piut tosto un' ope ra di amore: «Dio dimostra il suo amore verso di noi nel fatto che, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi» (Rm 5,8). Questa pro spettiva decisamente agapica è stata tradotta in termini teologici di vicarietà-rap presentanza21 e di pro-esistenza;22 quest'ultima categoria, in particolare, è stata di chiarata del tutto pertinente come esemplificazione del dato biblico che riporta la storia effettiva di Gesù, essa «funge ottimamente da trait-d'union tra la fase del Gesù terreno e il pro no bis dell'interpretazione redentrice post-pasquale, se gnando un elemento di continuità e quindi di omogeneità tra la storia di Gesù e il kerigma cristologico della chiesa».23 Anche in Giovanni questo legame tra l'amore di Dio (agape ) e la morte di Cri sto è esplicitamente affermato. La salvezza-redenzione è un'iniziativa dell' agape di Dio che riconcilia a sé gli esseri umani; questo traspare chiaramente in l Gv 4,10: «In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione ( ilasmòn ) per i nostri peccati». Parimenti Paolo insegna che «era Dio infatti che riconciliava a sé il mondo in Cristo, non imputando agli uomini le loro colpe e affidando a noi la parola della riconciliazione» (2Cor 5,19; cf. anche Rm 3,25). Una tale riconcilia zione viene donata nel sangue di Cristo (Col 1,20), nel quale abbiamo «la pace» e l'accesso di coloro che erano lontani al Padre in un solo Spirito (Ef 2,13-15). Tale opera di riconciliazione, che si compie per iniziativa di Dio «nel sangue» della croce di Cristo (Col l ,20) , riguarda non solo il popolo giudeo e pagano ma tutta la creazione, ciò che è sulla terra e nei cieli ( ib. ) , creazione che geme nel tra vaglio del parto attendendo la liberazione definitiva del nostro corpo (Rm 8,22).
20 Per quanto riguarda il lessico biblico e le sue «traduzioni» teologiche cf. PuLCINELLI, La morte di Gesù come espiazione, 37-40. 21 K.L. MENKE, Stellvertretung. Schlusselbegriff christlichen Lebens und theologische Grundkate gorie, Johannes Verlag, Einsiedeln 1991 . 22 H . ScHURMANN, «Il Cristo proesistente è il centro della fede di domani? Una meditazione teo logica», in Io., Riflessioni esegetiche e prospettive, Morcelliana, Brescia 1983, 149-190; lo., «"Pro-exi stenz" als christologicher Grundbegriff», in K. SCHOLTISSEK (a cura di), Jesus. Gesta/t und Geheimnis Gesammelte Beitriige, Bonifatius, Paderbon 1994, 286-315. 23 PENNA, I ritratti originali di Gesù il Cristo, I, 161.
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Va infine richiamato un altro aspetto, del quale però accenno soltanto som mariamente.24 La redenzione non comprende solo l'aspetto della carità-obbe dienza, vi è un ulteriore sviluppo nella teologia neotestamentaria ed è il seguente: la nuova e definitiva alleanza avviene in modo definitivo nel sangue. Esiste una vera e propria teologia del sangue come motivo di redenzione; la morte in croce di Gesù è vero e proprio «sacrificio» della nuova alleanza avvenuta nel suo sangue. Nel Nuovo Testamento è soprattutto la Lettera agli Ebrei a offrirei una «teologia neotestamentaria del sangue», legata però strettamente all'idea dell'obbedienza e del patto. Mi limito qui a offrire solo i motivi fondamentali di questa poderosa idea, essi troveranno adeguato sviluppo nella nostra riflessione sistematica. In Eb 5,7-10 si sostiene che Cristo, sebbene Figlio, imparò l'obbedienza nella sofferenza e che egli è venuto per fare la volontà di Dio (Eb 10,7.9). Con la morte di Gesù il patto antico è superato dal nuovo (Eb 8,6-13; 10,15). Singolare è poi la figura di Gesù che, storicamente non appartenente alla classe sacerdotale, viene ora presentato come l'unico sommo ed eterno Sacerdote (archieréus) dei tempi escatologici. Egli è entrato nel «Santo dei santi» una volta per sempre versando il proprio sangue (Eb 9,1-14), che ci ha definitivamente redenti. Il significato del versare il suo sangue sta allora nel suo amore smisurato, nella sua esistenza obbe diente. In riferimento al sangue dell'AT, il sangue di Cristo (non nel senso ma teriale) vuole dire la nostra purificazione da ogni peccato; ancora una volta, la redenzione è un dono d'amore che parte dall'alto.25 Non si è trattato per Cristo, sommo Sacerdote, di entrare in un santuario fatto da mani di uomo, ma in cielo, e una volta per sempre. Non più molteplici sacrifici che si ripetevano ogni anno nel sangue dei sacrifici animali (Eb 9,24-25). Adesso ciò avviene «una sola volta» (hapax) e in un solo sacrificio per la distruzione del peccato, che è avvenuto in uno «Spirito eterno» (Eb 9,14), diventato universalmente salvezza.26 Così Cristo «una sola volta» si è offerto per distruggere i peccati di molti (Eb 9,28), compiendo una «redenzione eterna» (aion{an lytrosis) (Eb 9,12). Si può, a questo punto, conve nire con quanto ha sostenuto Albert Vanhoye commentando i passaggi qui richia mati del capitolo 9 della Lettera agli Ebrei: In realtà il sacrificio di Cristo è un evento escatologico, che fa uscire dal sistema ciclico: ha avuto luogo «una sola volta, alla fine dei secoli». Cristo è così «apparso» come una realtà completamente nuova «per annullare il peccato mediante il sacrificio di se stesso», il che introduce un cambiamento radicale nel mondo, dove il peccato era senza rimedio. L'altro argomento è che il sacrificio di Cristo si è realizzato con la sua morte, evento irreversibile: si muore solo una volta. Non è stata semplicemente una morte, ma una morte trasfor-
24 Lo sviluppo completo di questo punto si troverà nel II volume di questo progetto, nella sezio ne riguardante la soteriologia. 25 Per tutte queste prospettive, cf. A. VANHOYE, Gesù Cristo il Mediatore nella Lettera agli Ebrei, Cittadella, Assisi 2007, soprattutto il c. 8: «L'oblazione sacerdotale di Cristo. Fase ascendente della sua mediazione (Eb 8,1-9,28) » ( 171-192) . 26 Sull'interpretazione «personalistica» dello Spirito nel sacrificio di Cristo esiste una significativa convergenza sia sul versante esegetico che su quello sistematico. Per il primo ambito cf. VANHOYE, Gesù Cristo il Mediatore, 187-192, la cui esegesi è stata pioneristica. Per il secondo ambito, quello sistematico, richiameremo a suo tempo nel II volume del nostro progetto la letteratura specifica.
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mata in una offerta sacrificale e quindi efficace contro il peccato, come aveva annunciato il profeta Isaia (53,12), una morte nondimeno non reiterabile. «Cristo risorto dai morti non muore più; la morte non ha più potere su di lui» (Rm 6,9). Ritornerà, sì, ma il suo ritorno non sarà un ritorno alla vita mortale; Cristo non dovrà affatto morire di nuovo «per i nostri peccati» (1Cor 15,3), l'ha fatto una volta per tutte. Ritornerà nella sua gloria per apportare «la salvezza a coloro che l'aspettano». 27
27 lo.,
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L'epistola agli Ebrei. « Un sacerdote diverso», EDB, Bologna 2010, 216s.
Capitolo Xl i i
LA RISURREZIONE COME COMPIMENTO DELLA STORIA DI GESÙ Di fatto l'annuncio apostolico col suo entusiasmo e con la sua au dacia è impensabile senza un contatto reale dei testimoni con il fenomeno totalmente nuovo ed inaspettato che li toccava dall'e sterno e consisteva nel manifestarsi e nel parlare del Cristo risorto. Solo un avvenimento reale di una qualità radicalmente nuova era in grado di rendere possibile l'annuncio apostolico, che non è spie gabile con speculazioni o esperienze interiori mistiche. Nella sua audacia e novità, esso prende vita dalla forza impetuosa di un av venimento che nessuno aveva ideato e che andava al di là di ogni immaginazione. (J. RATZINGER-BENEDETTO XVI, Gesù di Nazaret, 2: Dall'ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione, LEV, Città del Vaticano 201 1 , 305)
Si è fin qui constatato quanto sia determinante l'evento della morte di Gesù per delineare il profilo della sua figura storica, del suo stile vitale e della sua mis sione evangelizzatrice. Si è anche cercato di riflettere, alla luce dei testi biblici, sui diversi significati della sua morte, sia come compimento che come redenzione dai peccati «secondo le Scritture». Tutto però acquista ancora più luce con l'evento della sua risurrezione. Se è vero dunque, com'è vero, che la morte di Gesù di N azaret è avvenimento escatologico e soteriologico insieme, ciò è maggiormente comprensibile se correlato con la risurrezione dai morti. Gli annunci profetici della passione e morte, nei quali Gesù si presenta come il Figlio dell'uomo, sono sempre riferiti alla risurrezione al «terzo giorno» e sono presentati come un unico grande evento salvifico. a) Occorre subito sgombrare il campo da un'interpretazione ideologico-dia lettica dell'evento pasquale, quasi che la morte rappresenti il negativo e la risur rezione l'antitesi positiva dello stesso avvenimento salvifico. Queste visioni non appartengono alla fede cristiana. La morte non è il passaggio dal negativo da ri muovere, infatti il paradosso cristiano risiede nel fatto che la risurrezione di Gesù è capace di conferire significato e valore positivo alla stessa morte, la quale è ora umanizzata e redenta. Dietrich Bonhoeffer distinse acutamente tra «morire» e «morte».1 Quest'ultima dal canto suo conferisce una luce particolare alla risur-
1 D. BoNHOEFFER, Resistenza e Resa. Lettere e scritti dal carcere, a cura di E. BETGHE, ed. it. a cura di A. GALLAS, Ed. Paoline, Cinisello Balsamo 1988, 314: «Pasqua? Il nostro sguardo cade più sul morire che sulla morte. Per noi è più importante come veniamo a capo del morire che non come vinciamo la morte. Socrate ha vinto il morire, Cristo ha vinto la morte in quanto éschatos echtr6s (1Cor 15,26). Venire a capo del morire non significa ancora venire a capo della morte. La vittoria
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rezione, che riguarda colui che è stato crocifisso. Gesù non è stato solo esempio quanto al morire, ma ha vinto effettivamente la morte. Questo dato va sempre tenuto presente, i due eventi infatti non possono essere scissi: è Risorto colui che è stato crocifisso, colui che porta le stigmate del suo pa tire. Nello stesso tempo la croce del Crocifisso è già la croce del Risorto, di colui cioè che nella sofferenza è la Gloria vivente dell'amore del Padre. b) Un'altra accortezza da tenere presente è quella di evitare di confondere la risurrezione di Gesù con gli altri fatti di risurrezione (sarebbe meglio dire di «ria nimazione») operati da intermediari di Dio nella storia della salvezza, sia nell'An tico Testamento che da Gesù stesso2 (risurrezione di Lazzaro, del figlio della ve dova di Naim, della figlia di Giairo ) . I suddetti miracoli, infatti, erano solo «segni», certamente reali, ma indicativi di quella risurrezione finale escatologica che solo Gesù ha anticipato con la sua risurrezione, avvenuta senza alcun intermediario! In questo nostro lavoro toccheremo tre aspetti del dato neotestamentario circa la risurrezione di Gesù: anzitutto considereremo la risurrezione di Gesù come un avvenimento che appartiene alla storia, ma insieme la trascende, in secondo luogo parleremo della risurrezione in quanto evento che manifesta compiutamente la potenza dell'amore trascendente di Dio, e infine considereremo la risurrezione come pasqua della nostra salvezza capace di ricreare tutta la realtà attraverso la potenza dello Spirito. l. La risurrezione di Gesù: tra storia e metastoria
Seguendo il filo dei racconti evangelici, la risurrezione di Gesù di Nazaret viene menzionata mediante due dati: la tomba vuota e le apparizioni del risuscitato. a) Il tema della visita al sepolcro e della tomba vuota lo troviamo nei sinottici (Le 24,1-12; Mc 16,1-8; Mt 28,1-15) come riferentesi a un fatto reale, ma illuminato dall'angelofania come scenario nel quale emerge l'annuncio della risurrezione: «Non abbiate paura! Voi cercate Gesù il Nazareno, il crocifisso. È risorto, non è qui. Ecco il luogo dove l'avevano posto» (Mc 16,6) . L'annuncio dell'angelo si con clude con la missione affidata ai discepoli: «Ma andate, dite ai suoi discepoli e a Pietro: "Egli vi precede in Galilea. Là lo vedrete, come vi ha detto"» (Mc 16,7). Osservando poi il racconto presentato nella redazione di Giovanni, il dato sto rico circa la visita al sepolcro, trovato vuoto, emerge ancora con più forza, tanto da presentare una descrizione minuziosa della tomba stessa, delle bende (oz6nia)
sul morire rientra nell'ambito delle possibilità umane, la vittoria sulla morte si chiama risurrezione. Non è dall'ars moriendi, ma è dalla risurrezione di Cristo che può spirare nel mondo presente un nuovo vento purificatore». 2 Casi di «risurrezioni» nell'AT sono: 1Re 17,17-24 (risurrezione del figlio della vedova di Za repta); 2Re 4,8-37 (risurrezione del figlio della sunammita); 2Re 13,21 (risurrezione dell'uomo che venne gettato nel sepolcro di Eliseo). Sull'analogia di queste «risurrezionilrianimazioni» e i miracoli di risurrezione di Gesù cf. M. CARREZ, «L'eredità dell'Antico Testamento», in X. LÉoN-DUFOUR (a cura di), I miracoli di Gesù secondo il Nuovo Testamento, Queriniana, Brescia 1980, 37-47.
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giacenti (keimena) e del sudario (soudàrion) che era sul capo, non giacente con i panni di lino ma ripiegato in un luogo a parte. «Ripiegato» è la traduzione di en tetyligménon, che viene a significare «arrotolato», quasi che il sudario possa aver conservato la sagoma stessa della testa di Gesù. Letteralmente il testo dice: Viene dunque anche Simon Pietro che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e guarda i panni di lino giacenti, e il sudario, che era sul suo capo, non giacente con i panni di lino, ma ravvolto in un luogo a parte (Gv 20,6-7).
La teologia, soprattutto cattolica, ha dato molta importanza al fatto reale del sepolcro vuoto come «segno» che predispone a riconoscere il Risorto. Un'impor tante verità, che sottostà a tutto questo, dovrà essere riconosciuta: è per la potenza di Dio stesso che Gesù è stato risuscitato dai morti e glorificato. Il sepolcro vuoto, unitamente alle apparizioni del Risorto e ai primi testimoni oculari, diventò senza dubbio un aiuto interpretativo per poter comprendere e annunciare la risurre zione come il risveglio dalla morte fisica, e perciò come la risurrezione del suo corpo. Dal momento che nel giudaismo di allora l'idea di risurrezione implicava la materialità fisica del corpo terrestre, il fatto che il corpo non ci fosse più e che il sepolcro venisse trovato vuoto, poteva rendere più credibile l'annuncio della ri surrezione. Il constatare che il sepolcro era vuoto, però, va subito collegato con la fede credente ( «Allora entrò anche l'altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette»: Gv 20,8) e col fatto che Gesù apparve ai suoi. In questo caso il verbo «credette» (riferito al discepolo amato ) può voler significare «cominciò a credere». Si trattava infatti di una fede iniziale, forse basata sul segno della pietra rimossa, della presenza delle vesti funebri, del sepolcro vuoto.3 L'argomento del sepolcro vuoto non può essere visto, però, solo sotto la luce apologetica. In particolare, la redazione sinottica che collega il racconto della tomba vuota con la luce pasquale della risurrezione va considerata anche nel qua dro della fede della Chiesa di Gerusalemme e delle espressioni cultuali di questa fede, che aveva una speciale attenzione per i luoghi santi, e in particolar modo per la «tomba» di Gesù. Dunque occorre tenere sempre insieme il dato dell'attendibi lità storica, che è fuori discussione,4 e quello della rilettura di fede. I motivi della fede e del culto, oltre che la valenza storico-apologetica, come si può constatare, sono una componente essenziale che risalta nella struttura lette raria del racconto della tomba vuota, come racconto di un avvenimento credibile.
3 Per questa interpretazione cf. l. DE LA PorrERIE, «Genesi della fede pasquale secondo Gv 20», in Io., Studi di cristologia giovannea, Marietti, Genova 1986, 196s. 4 Riguardo alle argomentazioni circa l'attendibilità storica della visita al sepolcro di Gesù e della tomba vuota, R. FABRIS, Gesù il >: Mc 16,13).
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a coloro che ascoltano la sua parola.15 Il Risorto infatti è uno che appartiene alla terra, ma anche un uomo sottratto alle condizioni ordinarie dell'esistenza terrena. Sebbene i contesti delle apparizioni siano molto concreti (una passeggiata, un'as semblea liturgica, il mangiare, la pesca) e Gesù appaia come un personaggio di questa terra (il giardiniere davanti a Maria), egli non è un uomo come gli altri.16 Le apparizioni del Risorto affermano la presenza terrestre di Gesù, ma per un tempo limitato, cioè fino all'ascensione (40 giorni nello schema lucano), e re stano un argomento fondamentale, ma esse trascendono la dimensione del tempo e della storia per proiettarsi in una nuova dimensione metastorica, dove Gesù sarà ancora presente tra i suoi, ma in un modo nuovo nella Chiesa, attraverso la Pa rola, lo Spirito, i gesti che ne fanno memoria (soprattutto l'eucaristia) e la stessa missione apostolica. In questo senso l'esperienza dei discepoli con Gesù risorto è «sui generis», tanto che appare fuori posto discettare se le apparizioni siano espe rienze soggettive o oggettive, esteriori o interiori. Risulta, questa, una curiosità intellettuale, in questo caso sterile, un po' come quella di chi si domanda se l'espe rienza di Dio, della sua parola e del suo Spirito sia interiore o esteriore, sogget tiva o oggettiva. Molti eventi raccontati nella Bibbia sono storicamente verificabili sulla base dei documenti letterari e dei riscontri archeologici, ma non per questo la chiave di interpretazione del loro crittogramma è meramente fenomenologicaY In modo analogo si può dire che le parole e le azioni di Gesù, il suo rapporto con i disce poli, la sua morte in croce e anche il suo sepolcro a Gerusalemme, sono realtà ed eventi accessibili e accertabili attraverso i documenti che ne parlano. Tutto questo non rivela ancora il volto di Gesù Cristo, il Signore, che si manifesta invece nella risurrezione. Come azione potente di Dio, che, in Gesù di Nazaret, il crocifisso a Gerusalemme, manifesta la sua signoria sul mondo e sulla storia umana, la risurrezione sta oltre la possibilità di verifica intramondana. Dio e la sua azione non sono circoscritti nell'orizzonte del mondo creato e della storia degli esseri umani. Tuttavia l'esperienza della manifestazione di Dio in Gesù, vissuta dai suoi discepoli nella fede e trascritta nel linguaggio della tradizione biblica, può essere documentata e accertata nella storia. In questo senso si può parlare di esperienza «storica» della risurrezione di Gesù. 18
c) Vi è poi una terza costante nei racconti delle cristofanie ed è il carattere rive lativo della sua persona: non si è trattato soltanto di un incontro in cui i discepoli hanno riconosciuto e rivisto Gesù e ristabilito con lui rapporti familiari, come era stato nella sua vita terrena. Le apparizioni mettono in luce alcune caratteristiche del tutto inedite di Gesù: ci troviamo di fronte alla rivelazione più totale e completa del mistero della sua persona che, a questo punto, trascende le dimensioni dell'esi stenza terrena e manifesta una realtà divina. Certamente questa rivelazione era già storicamente compiuta nella sua vita terrena, essa non era però ancora pienamente manifestata e assimilata dai disce-
15 FABRIS, Gesù il . L'esegesi di questo testo di san Paolo tende a unire insieme remissione dei peccati e giustifi cazione, sarebbe infatti fuorviante collegare la morte di Gesù con la remissione del peccato da una parte e la risurrezione con l'opera di giustificazione dall'altra parte. L'espressione «consegnato a causa delle nostre colpe e risuscitato per la no stra giustificazione» va considerata un parallelismo letterario soltanto, e non una dichiarazione di contenuto simmetrica. Ciò che libera dal peccato e giustifica è il tutto dell'avvenimento salvifico di «morte-risurrezione». La croce è sempre croce del Risorto e la risurrezione è sempre quella di colui che è stato crocifisso. Certa mente la risurrezione costituisce il termine del passaggio pasquale, ma è già pre sente al principio di questo passaggio: lo presiede e guida il passaggio medesimo, trasforma e conferisce un significato positivo il dolore e la morte. In buona sostanza, i due momenti soteriologici espressi da Paolo in Rm 4,25, la cui enun ciazione sarebbe assai restrittivo considerare anche solo dal punto di vista formale come
33 lvi, 229.
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puro espediente retorico, quasi che la doppia costruzione servisse solo per una più felice memorizzazione di una formula, non si possono disgiungere come se fossero due dichiara zioni diverse e autonome. Esse piuttosto sono coordinate e complementari, sicché nessuna delle due può essere considerata isolata. 34
Diamo qui brevemente un cenno del ruolo salvifico della risurrezione del Cri sto «in noi e per noi», evocando le due prospettive diverse e complementari di san Paolo e san Giovanni. a) La soteriologia paolina,35 fortemente connotata in senso cristologico-pneu matologico, si concentra in un punto focale dal quale si irradiano diverse dimen sioni: il mistero pasquale inaugura la «nuova creazione» (2Cor 5,17: «Se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove»; 5,4; Gal 6,15); essa, come la prima creazione, è un dispiegamento della potenza di Dio (dynamis). Gesù sulla croce richiama il mondo antico divenuto schiavo della Legge, della morte e delle potenze malefiche, che viene sconfitto per lasciare spazio alla nuova creazione. La croce contrappone l'uomo vecchio all'uomo nuovo ed è la risurrezione di Cristo a portare a compimento tale nuova creazione nel mondo e nell'uomo. Il motore e l'animatore di questo cambiamento (o nuova creazione) del mondo e dell'uomo è lo «Spirito», che è Spirito di «colui che ha risuscitato Cri sto dai morti» (Rm 8,1 1) e penetra l'umanità del Cristo facendola, nella risurre zione, «spirito datore di vita» (1Cor 15,45), principio universale di salvezza. Lo Spirito porta a compimento l'opera salvifica di Cristo risuscitato il quale, mediante il suo Spirito, diviene principio di vita nuova per il cristiano che «ri sorge» dalla vita secondo la carne (Rm 8,9ss) a una vita secondo lo Spirito (Gal 5,16-25). Questo dono pasquale dello Spirito, che già adesso fa risorgere l'uomo alla condizione di >.
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CALDUCH-BENAGES, «Sapienziali, libri», 1261.
Non sembra azzardato intravedere, data la prossimità temporale del libro della Sapienza con il NT, come la speranza e gli attributi messianici, espressi anche at traverso i temi dello Spirito e della Sapienza, si ritroveranno poi nella figura mes sianica di Cristo come «Sapienza di Dio». Ciò che però in Cristo, come Mediatore, apparirà più chiaro, nella letteratura sapienziale resta ancora nella dialettica tra trascendenza di Dio e immanenza nella sua opera. Particolarmente nel libro della Sapienza si cerca di salvare trascendenza e immanenza di Dio, sviluppando una teologia della sapienza che non è proprio distante da quella cristiana della grazia. La sapienza, inoltre, è presente fin dall'inizio della creazione ed è alle origini dell'intera storia della salvezza (cf. Sap 9,1 e 18). Non c'è però frattura alcuna nel disegno di Dio: egli crea l'uomo in vista della salvezza, e la sapienza è il punto di contatto tra questi due poli dell'azione divina.45
b) Cristo sapienza di Dio. Va subito detto che la «preesistenza» di Gesù non è attestata soltanto da scritti neotestamentari degli ultimi decenni del I secolo, tanto meno non deriva da discussioni filosofiche estranee al contesto delle comu nità cristiane primitive. Invece è nei primi due o tre decenni del cristianesimo che si è verificata un'esplosione ermeneutica eccezionale anche su questo punto. Vi sono anzitutto alcuni testi prepaolini e poi paolini che attestano la preesistenza di Gesù. Il tema poi si estende a una letteratura più tardiva fino a quella giovannea (a partire da Gv 1,14) o alla Lettera agli Ebrei (1,2b-3a), che però tratteremo più avanti. Una delle attestazioni più esplicite viene considerata Fil 2,6-1 1, in partico lare i vv. 6-8: «Egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio essere come Dio; ma svuotò se stesso assumendo la condizione di servo . . . ». Tutto sta nell'interpretare correttamente «essendo nella condizione di Dio» o, più let teralmente «nella forma di Dio» (en morphe tou Theou ) , che però non è un altro modo per dire «secondo l'immagine di Dio» a seguito del testo della Genesi. Il serrato dibattito in proposito tra Larry W. Hurtado e J. Dunn lo ha mostrato chia ramente.46 L'essere pari a Dio (to einai isa Theo) appare in questo testo (e nel suo contesto) come qualcosa di già posseduto da Cristo, come una condizione che egli non sfrutta a suo vantaggio. Anzi, l'«essere pari a Dio» o «in forma di Dio» è il fondamento di una condizione che sarà di svuotamento e donazione, insomma di una condizione di umiltà. «Per quanto possa sorprendere che questo concetto sia stato elaborato tanto presto, tutto ciò significa che Fil 2,6-7 andrebbe interpretato come rappresentazione dell'azione del Cristo "pre-incarnato" o "preesistente">>Y Un altro testo importante, sempre sulla linea della preesistenza di Cristo, è quello di 1Cor 8,6: «Per noi c'è un solo Dio, il Padre, dal quale tutto proviene e noi siamo per lui; e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose e noi esistiamo grazie a lui». Gesù viene associato a Dio, e la preposizione «in virtù di» (dià ) ne mette in risalto il ruolo di mediazione nella creazione, oltre
45 MAZZINGHI, «Sapienza (libro della)>>, 1248. 46 HuRTADO, Signore Gesù Cristo, l, 128-131. 47 lvi, 131.
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che nella redenzione. Anche qui è bene rilevare che una tale funzione mediatrice non dipende da interessi speculativi, come cioè la divinità possa creare il mondo materiale, bensì dalla tradizione apocalittica giudaica per la quale tutta la storia è sottomessa all'unico Dio. Il quale nella sua opera di redenzione escatologica è lo stesso creatore: Cristo è preesistente presso Dio, perché mediatore escatologico della redenzione. Ora, il fatto che già nei primi tre decenni del cristianesimo si sia giunti ad attribuire a Cristo la preesistenza e una funzione attiva nella creazione, dipende dal legame con le tradizioni biblico-giudaiche sulla Sapienza di Dio con cepita come compagna di lui nella creazione (qui ritornano alcuni dei testi che ab biamo già incrociato di Pr 8,22-31; Sir 24,9; Sap 7 ,22; 8,4; 9,9). Cristo è dunque «Sa pienza di Dio». Le referenze le troviamo già all'inizio della 1 Cor 1,30: «Grazie a lui voi siete in Cristo Gesù, il quale per noi è diventato sapienza per opera di Dio, giustizia, santificazione e redenzione». Il contesto è quello in cui Paolo intende pronunciarsi nei confronti della falsa saggezza del mondo per annunciare la vera «Sapienza di Dio» che è Gesù Cristo crocifisso (1Cor 2,2) . Una tale sapienza, che poi Paolo esplicita nel prosieguo del capitolo 2 (vv. 6-8), è nascosta nel «mistero» che Dio dall'inizio dei secoli ha destinato a nostra gloria e che nessuno dei principi di questo secolo ha ricevuto, né può conoscere (1Cor 2,7-8) . Come la Sapienza, così il Cristo è «mistero nascosto da secoli in Dio, creatore dell'universo» (Ef 3,9). Gesù Cristo, «Signore della gloria» (1Cor 2,8), è la Sapienza stessa in persona, prima ancora della creazione. Poiché la sapienza del mondo era limitata, non ha potuto riconoscere Cristo e ha ritenuto una follia ciò che invece era Sapienza su prema, cioè Cristo crocifisso (1Cor 1,23.30). Vi è però un'analogia strettissima tra la Sapienza, manifestatrice della «gloria di Dio» apparsa presso gli uomini (Sap 9,1 1; 10,14), e Gesù Cristo, salvatore venuto dall'alto, non riconosciuto dagli uo mini ma ora esaltato: egli ha svelato a quelli che l'accolgono la conoscenza vera di Dio e la vita. Cruciale in questo senso è il testo poc'anzi richiamato di 1Cor 8,6: « . . . e un solo Signore, Gesù Cristo, in virtù del quale esistono tutte le cose (di'autoii ta pànta) e noi esistiamo grazie a lui». Dunque dall'affermazione paolina che non c'è salvezza per gli uomini, se non per mezzo di Gesù Cristo crocifisso, si approda alla convinzione che è per Cristo, Sapienza di Dio, che Dio ha creato il mondo. Dal piano soteriologico si passa a quello protologico: la creazione è come la premessa della storia salvifica. Il Padre è principio e fine di tutto, ma è attra verso la mediazione di Cristo che si manifesta. Il mediatore salvifico, per la sua virtù universale, non può non essere mediatore cosmico. Nell'inno cristologico di Col 1,15-20, in modo particolare, viene presentato Cristo in quanto vincitore della morte e re dell'universo, servendosi del linguaggio e delle concezioni propri della tradizione sapienziale.48 Complessivamente si può affermare che esistono due re gistri riguardo al Cristo Sapienza di Dio: uno più riferito al suo essere e l'altro al suo agire. Soprattutto nei testi prepaolini e paolini vengono espresse due convin zioni cristologiche: le origini e il significato di Gesù stanno in Dio, prima e sopra
4g Per una puntualizzazione sul tema della Sapienza personificata che agisce in Cristo, sia prima che dopo la creazione, cf. ancora CALDUCH-BENAGES, «Sapienziali, libri», 1260-1265.
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la creazione e la storia umana; la mediazione di Cristo nella creazione corrisponde al suo ruolo nella redenzione, in un disegno divino unitario.49 c) Cristo «capo» e «primogenito». Il progetto di Dio, che ha al suo centro il Cri sto, è conoscibile nella fede attraverso la storia salvifica: è in essa che viene alla luce e si attesta la sua «primogenitura». Ancora una volta a far testo è l'esperienza viva del Crocifisso-Risorto, che lo fa cogliere come il «primogenito dai morti». La risurrezione è l'anticipazione di un mondo nuovo, una nuova creazione nella quale Cristo ha un ruolo primario di capo (kefale: Col 1,18b) e pienezza (pléroma: Col 1 ,19) che Dio fa inabitare in lui. Attraverso l'evento pasquale tutta l'opera di Cristo ha mostrato tutte le potenzialità della sua immensità; egli, in un certo senso, porta in sé tutto l'universo facendo opera di riconciliazione con Dio. Que sto legame tra le funzioni di «Capo» della nuova creazione nata dalla risurrezione, e di «Riconciliatore» di tutta l'umanità, è molto forte. Nella carne di Cristo viene a morire la causa della divisione (Ef 2,16: « . . . per mezzo della croce, eliminando in se stesso l'inimicizia»). Poiché in lui abita la pienezza, il pléroma, il suo corpo glorioso è il germe della nuova creazione che ha bisogno di maturazione. Si tratta di una «primogenitura escatologica» che si esprime sul piano della storia salvifica, ma che si espande in dimensioni di totalità cosmica e di pienezza, cosicché Cristo è il Primogenito che sta al principio della creazione. L'una e l'altra sono tra loro indissolubilmente congiunte: la prima creazione è comprensibile dalla seconda e quest'ultima è il fine e la completezza della prima. Dire che Cristo è «il Primo» nel progetto di Dio significa affermare che è mediante la risurrezione dai morti che si svela il senso cristologico della prima creazione. Il primato di Cristo nella crea zione vuol dire dunque che ogni cosa fu creata «per lui». Attraverso l'esperienza del mondo nuovo che ha avuto inizio nella Pasqua, è stata conosciuta la sua pre esistenza presso il Padre, cosicché tutto è stato fatto «in vista di lui» (eis autòn ). Una tale «preminenza>> del Cristo nell'ordine salvifico è riscontrabile nell'idea di Cristo- Capo ; questo titolo cristologico si trova soprattutto nelle lettere deutero paoline di Colossesi-Efesini (Col 1,16-18; 2,10-19; Ef 1,21-22; 4,15; 5,13). Nella fi gura di Cristo- Capo è come racchiuso il progetto divino che va dalla prima alla se conda creazione: in Cristo infatti si compie, malgrado il peccato e le condizioni da esso introdotte, il disegno di Dio sull'uomo e sul cosmo. Due sono i campi ai quali si riferisce il ruolo di Cristo-Capo: Cristo è il Capo del corpo che è la Chiesa, e l'altro è il cosmo e le potenze angeliche. In quanto Capo della Chiesa e Capo del cosmo, cioè Primogenito della creazione, Cristo è all'inizio e al compimento del progetto di Dio tutto viene a lui ricondotto e sottomesso (Ef 1,10.22.23). Le due prospettive si inter secano, ciò che appare determinante è il ruolo di mediazione della Chiesa, corpo di Cristo, nell'opera di riconciliazione, perché sia ritrovata l'armonia di tutto il cosmo. Cristo è stato donato alla Chiesa come «Capo», su tutto (Ef 1,23), è per questo che occorre «afferrarsi a lui», per «crescere sotto ogni aspetto verso di lui che è il capo». Qui occorre leggere in parallelo i testi di Col 2,18-19 e di Ef 4,15-16, i quali alla fine
49 HURTADO,
Signore Gesù Cristo, I, 134. 443
conducono a un'esemplare conseguenza: al di fuori di Cristo non esistono pratiche religiose, né potenze intermedie che possano sostituirsi o essere surrogato dell'u nica funzione salvifica di Cristo. «Ma, poiché il concetto di corpo richiama inevi tabilmente la chiesa di cui egli è il capo (Col 1,18), a lui si può saldamente aggrap pare solo chi partecipa alla comunità cristiana». 5° Tutto questo mostra la rilevanza della presenza della Chiesa, come corpo di Cristo, nel mondo; essa non è qualcosa a parte, separata nell'universo, poiché Cristo è «Capo» della Chiesa, egli è divenuto «Capo dell'universo» intero, ma è tale in quanto Capo della Chiesa. Non si tratta di una primazialità di carattere politico, bensì spirituale. Tutto l'universo è ordinato a Cristo, in lui trova la sua pienezza e armonia, ma la Chiesa è il luogo in cui tale sovranità di Cristo già oggi si realizza adeguatamente. L'idea del Cristo come Capo esprime una verità complessa e profonda insieme e l'analisi dei testi su tale materia, come il già richiamato Ef 1 ,22-23 («Tutto infatti egli ha messo sotto i suoi piedi e lo ha dato alla Chiesa come capo su tutte le cose: essa è il corpo di lui, la pienezza di colui che è il perfetto compimento di tutte le cose»), lo conferma: - Cristo ha il dominio universale e tutto a lui è sottomesso ma la Chiesa, però, non può pretendere di far combaciare il Cristo con i suoi confini, perché egli è più grande della Chiesa; - è vero però che soltanto nella Chiesa vi può essere la piena consapevolezza della signoria universale di Cristo. « è riferito alla sola Chiesa d'Oriente, ma progredendo negli anni l'e cumenicità di questo concilio si estese a tutta la Chiesa, sia d'Oriente che d'Oc cidente. Fu il concilio di Calcedonia (451) a riconoscere il Costantinopolitano I come concilio «ecumenico»: infatti, all'inizio della definizione di fede, Calcedo nia rinnovò la propria adesione alla fede ortodossa dei padri «predicando a tutti il simbolo dei 318 [padri di Nicea], e riconoscendo come propri padri coloro che hanno accolto questa sintesi della pietà, e cioè i 150, che si raccolsero nella grande Costantinopoli e confermarono anch'essi la medesima fede».77 Fu indubbiamente il Simbolo niceno-costantinopolitano a rendere famoso, e dal respiro ecumenico, il secondo concilio della Chiesa antica, celebratosi nel 381. La discussione sull'origine di questo simbolo, e la sua originalità dal punto di vista contenutistico, è stata ampia e per certi versi non si può dire del tutto conclusa. Riguardo all'origine del simbolo, non potendo qui ripercorrere in dettaglio le tappe della critica, mi limiterò a presentare le tesi conclusive di Kelly,78 senza ri nunciare agli apporti di altri studi critici come quelli di Ritter79 e Dossetti.80 Come si è appena detto, di fatto il testo del Credo costantinopolitano apparve per la prima volta il 10 ottobre 451 al concilio di Calcedonia, quando il diacono Aezio di Costantinopoli lesse, su invito dei legati imperiali, «la fede dei 150 padri di Costantinopoli». Tale formula di fede fu poi incorporata al «Credo di Nicea». Nascono allora alcune domande: come mai per settant'anni, vale a dire dal 381 (anno della celebrazione di Costantinopoli I) al 451 (anno della celebrazione del concilio di Calcedonia) non si parla mai del simbolo di Costantinopoli? Inoltre: è proprio vero che il Simbolo di Costantinopoli è una continuazione di Nicea? Kelly sostiene che le differenze sono tante,81 per cui la soluzione più plausibile alla que stione è che quando si sente parlare di Simbolo niceno-costantinopolitano, più che a un preciso testo letterale, bisogna fare riferimento al contenuto teologico del simbolo. Vi sono alcune espressioni chiave della fede nicena come l'homoousios che rimangono fisse, ma accanto a questa costante contenutistica vi è una variabile linguistica dovuta alla molteplicità delle formulazioni. Le varianti furono spesso conseguenza di adattamenti in ordine alla liturgia, oppure alle prese di posizione contro le eresie. Poiché però il contenuto dottrinale si rifaceva sempre alla «fede di Nicea», il testo del simbolo restava comunque, per antonomasia, «il Simbolo di Nicea».
76
mio.
11
Decisioni dei concili ecumenici, a cura di G. ALBERIGO, UTET, Torino 1978, 121; il corsivo è lvi, 162.
78 KELLy, I simboli della chiesa antica. 79 A.M. RrrrER, Das Konzil von Konstantinopel
und sein Symbol, Vandenhoeck Gottingen 1965. 80 G.L. DossEm, Il Simbolo di Nicea e Costantinopoli, Herder, Roma 1967. 81 KELLY, I simboli della chiesa antica, 300.
&
Ruprecht,
517
Che cosa successe, dunque, a Costantinopoli I? Vi fu un testo del «Credo ni ceno» usato a Costantinopoli I? Oppure Costantinopoli I compose un simbolo originale, in proprio? L'opinione degli studiosi più sopra citati, in particolare Kelly, Dossetti, Ortiz De Urbina, è che il Simbolo costantinopolitano sia stato un simbolo di fede pre-esistente cui furono aggiunte nel 381 delle verità, nella di scussione con i vescovi di tendenza macedoniana. Concretamente la struttura del Credo costantinopolitano «è molto probabile fosse una confessione battesimale locale di uso corrente durante gli anni '70 del IV secolo, e con tutta probabilità ap partenne o alla Chiesa di Antiochia o alla comunità di Gerusalemme. Come molti simili formulari battesimali dell'epoca successiva al sinodo di Alessandria (362), era stato modificato in senso niceno con l'inclusione dell'homoousion».82 Ortiz De Urbina ritiene che il Simbolo niceno è incluso quasi per intero nell'Anchoratus di Epifanio di Salamina, che è del 374, e quindi sostiene che il probabile autore sia lo stesso Epifanio.83
4.3. L 'articolo cristologico-pneumatologico del Costantinopolitano I Quando si entra nel merito della definizione dogmatica del Costantinopoli tano I vanno subito rilevate le differenze e le novità strutturali di Costantinopoli I rispetto a Nicea. È sull'articolo cristologico-pneumatologico che si vuole qui at tirare l'attenzione: - riguardo al Padre e al Figlio, si ribadisce quanto già formulato a Nicea. L'unica differenza è che Costantinopoli I aggiunge a «creatore» l'espressione del cielo e della terra; - riguardo al Figlio, vi sono alcune aggiunte significative. Ecco le principali: generato (prima di tutti i secoli); (si è incarnato) dallo Spirito Santo e da Maria Vergine; è stato crocifisso per noi sotto Ponzio Pilato; è stato seppellito (è risorto il terzo giorno) secondo le Scritture siede alla destra del Padre; verrà di nuovo con gloria e del suo regno non ci sarà fine. Accanto alle aggiunte, del cui significato si dirà subito, vi sono anche alcune omissioni, sempre riguardo all'articolo cristologico, nel confronto con Nicea. Ec cole: dalla stessa sostanza del Padre; Dio da Dio; in cielo e in terra (cioè Cristo come mediatore nell'opera creatrice) .
82 lvi, 229. 83 ORTIZ DE URBINA, Storia dei concili ecumenici, l, 173; 175-176.
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Balza subito agli occhi, riguardo all'articolo cristologico, l'allargamento di orizzonte nella professione di fede riguardo al mistero di Cristo. Si nota subito che esso è più narrativo, più storico, con riferimenti puntuali alla vicenda di Gesù di Nazaret, come la crocifissione sotto Ponzio Pilato e la sepoltura. La critica ri tiene che le aggiunte cristologiche non necessariamente siano da attribuirsi all'in tenzione di Costantinopoli l. Infatti alcune di esse facevano già parte del simbolo della fede nicena, adoperato come base dai padri conciliari. Le aggiunte, invece, tipiche di Costantinopoli I sono: si è incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine e del suo regno non ci sarà fine. Mi soffermo brevemente su queste due espressioni. Riguardo alla prima - si è incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine ci troviamo di fronte a un ampliamento dell'espressione nicena si è incarnato. La menzione dallo Spirito Santo e da Maria Vergine non è di poco conto. L'intento anti-apollinarista è evidente e tradizionalmente questa è stata l'interpretazione più seguita. Poco importa se non vi è unanimità nel riconoscere l'intenzione diret tamente anti-apollinarista in questa formula, come opina il Kelly.84 Ciò che conta è che il mistero di Cristo venga riconosciuto come il mistero dell'Incarnato e Spi rito Santo/Maria Vergine stanno a significare la sua origine dall'alto, da Dio, e da donna, nel senso paolino dell'espressione («nato da donna», Gal 4,4). In altre pa role l'espressione incarnato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine di Costantino poli I è già un modo per riconoscere in qualche modo l'integrità divino-umana del Figlio di Dio. R. Cantalamessa, che ha studiato a fondo questo articolo nel Credo di Costantinopoli I e nella patristica, ha potuto sostenere che, all'origine, la frase «nato dallo Spirito Santo e da Maria Vergine» voleva dire che Gesù Cristo è nato da Dio e da Maria, non però nel senso secondo cui la sua nascita umana è frutto dell'azione congiunta di Dio e di Maria (o di Dio su Maria), ma nel senso che egli è nato due volte (o meglio da due principi): come Dio da Dio (rimanendo imprecisato il momento in cui viene collocata tale nascita da Dio) e come uomo da Maria. È esattamente il senso della frase di Ignazio di Antiochia, in cui, parafrasando Rm 1,3-4, dice che Gesù è nato «e da Maria e da Dio». 85
La seconda aggiunta tipica dell'articolo cristologico di Costantinopoli I è rite nuta essere l'espressione del suo regno non ci sarà fine. Essa si rifà al testo del Ma gnificat di Le 1 ,33 ed è una risposta alla dottrina di Marcello di Ancira e di Potino. La dottrina di questi due vescovi non è del tutto identica e andrebbe perciò mag giormente approfondita, sebbene ci sia giunta da pochi e incerti frammenti. Di Marcello di Ancira, difensore di Nicea, ad esempio, resta incerta l'interpretazione
84 L'opinione tradizionale si basa sull'intervento di Diogene, vescovo di Cizico, durante la pri ma sessione del concilio di Calcedonia del 451 . Per una ricostruzione di questo segmento di storia conciliare cf. A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, EDB, Bologna 5 1999, 256-257, dove viene riportata l'opinione di Diogene di Cizico e anche richiamata l'opinione contraria di KELLY, I simboli, 344-353. 85 R. CANTALAMESSA, «Cristologia, mariologia e pneumatologia nel simbolo costantinopolitano e nella patristica», in In., Dal kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei Padri, Vita e Pensiero, Milano 2006, 85.
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del suo pensiero, poiché su di essa pesa l'incomprensione tra orientali e occiden tali. Fotino poi sembra aver radicalizzato la dottrina di Marcello. Sta di fatto che la recezione della vulgata prevalente, come si può leggere da alcuni Frammenti sto rici di Ilario di Poitiers, è che «i difensori di Marcello e di Fotino, tutti e due di An cira di Galazia, respingono la sussistenza eterna del Cristo, la sua divinità e il suo regno eterno, sotto il pretesto di salvaguardare la sua unità divina, simili in questo ai giudei».86 In altre parole, nella formula del suo regno non ci sarà fine si voleva evitare la negazione della sussistenza eterna di Cristo e perciò l'eternità dell'incar nazione del Logos, quasi che dopo la parusia l'unione ipostatica si sarebbe dissolta nell'eternità del mistero divino. Complessivamente si può affermare che l'articolo cristologico del concilio Co stantinopoli I, nel suo complesso e nelle due aggiunte tipiche che abbiamo mo strato, ha una forte rilevanza teologica, perché l'evento Cristo non viene consi derato solo in rapporto al Padre, ma anche in se stesso - come evento storico e metastorico permanente - e in relazione allo Spirito Santo e a Maria Vergine. La formula, così come ci è giunta, segna un indubbio progresso rispetto a Nicea e di fatto rappresenta un allargamento da una visione «binitaria>> a una «trinitaria». Quest'ultima è evidente dall'articolo pneumatologico di cui brevemente rife riamo. Nel testo del Simbolo di Costantinopoli I si trova di fatto una specie di sin tesi della riflessione sviluppata con i macedoniani e gli pneumatomachi. Dall'ana lisi strutturale del testo emerge dello Spirito Santo quanto segue: - è to Kyrion, cioè il Signore, o con più precisione colui che è nella sfera della «signorilità». Kyrion è usato come aggettivo con l'articolo davanti, in senso anaforico. Appartiene perciò alla sfera divina, a lui si deve la kuri6tes o la despotefa. Sono modi di dire la divinità dello Spirito Santo, come risposta a chi in quei tempi la escludeva; - è zoopoi6n, cioè egli è colui che dà la vita, egli vivifica nel senso di diviniz zare, cioè santificare, e questo avviene nel battesimo, ma qui si intende la funzione dello Spirito nell'attività creatrice; - è to ek tou patr6s ekporeu6menon, il quale procede dal Padre, cioè ha la stessa natura del Padre. Qui è evidente che si vuole neutralizzare l'errore dei ma cedoniani. Lo Spirito proviene dall'ipostasi del Padre e non è creatura del Figlio. Come per il Figlio, anche nei confronti dello Spirito il Padre è fonte e sorgente della divinità; - è sùn Patrì kai Uio sun-proskunoumenon kai sun-doxaz6menon, cioè con il Padre e il Figlio è con-adorato e con-glorificato. In altre parole, se vi è la con glorificazione, ciò significa che vi è la divina consustanzialità. L'adorazione e la gloria allo Spirito Santo è motivata dall'unione di natura (koinonfa tes physeos) esistente tra il Padre e il Figlio. Non può qui sfuggire il fatto che viene evitata l'espressione homoousios riguardo allo Spirito Santo. Probabil-
86 Il testo dei Fragmenta di sant'Ilario è riportato da C. KANNENGIESSER, > (ivi, 372-385).
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non ci sono in lui due sussistenti, ma si deve anche dire che il Verbo di Dio è diventato di Gesù persona umana, proprio in ragione della sua incarnazione che è una vera umanizza zione. Egli ha dunque assunto tutti i caratteri propri di una personalità umana, caratteri legati all'esistenza storica di una natura umana e che hanno riguardato la sua persona divina.112
Con vigore dobbiamo perciò sostenere che Efeso non mortifica la personalità umana di Gesù, caso mai la esalta; Gesù, più di qualsiasi altro personaggio storico, ha una spiccata e unica personalità umana. E poiché personalità umana significa vivere nelle modalità del divenire storico (e qui va recuperata l'istanza della filo sofia moderna . . . ), Gesù ha vissuto e interpretato le condizioni di realizzazione di una normale persona umana attraverso la progressione delle relazioni con il suo ambiente e con gli altri esseri umani. Va affermata perciò la verità del pro gresso della coscienza e libertà di Gesù in tutte le sue manifestazioni. Il suo «Io», in tutte le sue manifestazioni, era sempre rivolto e correlato al Padre. Il suo essere persona-divina, il Verbo di Dio, l'ha vissuto in una modalità umana. Il suo essere integralmente «uomo» non era mai separato dalla persona del Verbo di Dio che in lui ha vissuto umanamente. Comunque Efeso non voleva chiarire gli aspetti della personalità umana di Gesù, ma soltanto dire che il Verbo di Dio era unito al l'umanità di Gesù e che non era indegno del Verbo nascere e patire nell'umanità di Gesù.11 3 In questo senso Efeso ha lasciato aperta un'eredità che Calcedonia ha portato avanti e che oggi può essere ripresa e ri-detta in altre categorie, come ve dremo più avanti. In sintesi, si può affermare che il concilio di Efeso ha una grande verità da in segnarci: l'umanizzazione di Dio in Gesù Cristo. L'iniziativa di questa umanizza zione è venuta da Dio. È il Verbo di Dio che ha assunto l'umanità, non la presunta «persona umana» di Gesù che ha assunto la divinità del Verbo. Piet Schoonenberg non può essere seguito quando vuole capovolgere le cose, considerando l'unione ipostatica partendo da quella che egli definisce «persona umana di Gesù», la quale annetterebbe in sé il Verbo eterno.114 L'iniziativa invece parte da Dio, ma non nel senso di un privilegio concesso dalla divinità all'umanità, considerata meno im portante, quasi fosse un incidente di percorso. In Gesù non è l'uomo che fa il primo passo verso Dio, è Dio che si avvicina all'uomo [ . . . ] . Nel cristianesimo il movimento discendente fonda sempre il movimento ascendente [ . . . ] . L'umanizzazione di Dio in Gesù è anche l a rivelazione dell' «Umanità» di Dio. Dio è capace di vivere come uomo, di essere un uomo; ma anche Dio è «umano», più umano di qualsiasi uomo al mondo. Se l'umanità esprime il calore e la misericordia, allora Dio è più uomo di tutti.115
112 SESBOUÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 121-122. 113 lvi, 122. 1 14 P. ScuooNENBERG, Un Dio di uomini. Questioni di cristologia, Queriniana, Brescia 1971, 90102.
115 SESBOOÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 126.
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Se a Nicea era garantito il fatto che Gesù è il Figlio di Dio, qui a Efeso viene spiegato che, per l'unione ipostatica, Dio in persona ha veramente assunto un volto umano. Dio è conoscibile in Gesù Cristo, la verità di Dio è data dalla sua autentica umanizzazione in Gesù. Dio si manifesta come dono assoluto di sé al l'umanità. Mentre a Nicea veniva insegnato che il mistero di Dio è ab aeterno comu nicazione amorosa del Padre e del Figlio, a Efeso si mise in risalto che questa auto-comunicazione è radicale apertura all'esterno: il Padre dona il Figlio per no stro amore; egli, nella sua umanità concreta e reale, ama il Padre e include gli esseri umani nel suo amore ! Attraverso Gesù mediatore la comunione trinita ria si estende a noi.l16 La verità del suo divenire uomo è «propter nos hornines et propter nostram salutem». In Cristo, Dio non vuole assorbire l'uomo, lo mantiene nella sua alterità e lo rispetta e vuole stringere con lui alleanza. Nel dibattito teologico contemporaneo alcuni noti autori come W. Pannenberg e J. Moltmann hanno mosso appunti alla cristologia antica riguardo ai suddetti temi. Le loro petizioni di principio devono senz'altro essere prese in considera zione, ma non sempre le loro esemplificazioni e soluzioni sono condivisibili. W. Pannenberg, per lo meno nei suoi primi e innovativi lavori di cristologia,117 affermava che va maggiormente sottolineato che Gesù è Dio proprio in quanto è l'uomo concreto di Nazaret. La rivendicazione è giusta, ma Efeso proprio questo voleva affermare: in forza dell'unione ipostatica, l'umanità di Gesù è l'umanità del Figlio di Dio. Quindi Gesù è il Figlio di Dio che parla, agisce e vive nell'uomo Gesù. Dal canto suo J. Moltmann, un po' in tutte le sue opere, critica la teologia classica perché non sa coinvolgere - secondo lui - la natura divina nella sofferenza della natura umana. La Trinità per Moltmann non sarebbe per niente coinvolta nella storia di Gesù di Nazaret.118 Il teologo del «Dio crocifisso» dimentica però che proprio Efeso (e poi Calcedonia) sostengono precisamente l' «appropriazione)) della sofferenza umana da parte del Verbo, il quale soffre sulla croce e questo non è per niente sottrazione della sua divinità. Sulla croce sono presenti Padre e Figlio, questo lo ammette anche Efeso! È chiaro che a questo punto Efeso apre per noi oggi prospettive nuove e de nuncia alcuni limiti. Occorrerà riconsiderare il tema dell'immutabilità di Dio, compito questo ben assolto dalla teologia contemporanea. Il paradosso cristolo gico porta a dire che già nella cristologia dei padri è entrata la concezione di un Dio in divenire. Non si tratta certo di una mutazione metafisica del suo essere, ma del superamento di concetti puramente oppositivi. Il Verbo fatto carne, pur ri manendo se stesso, nella sua suprema libertà è capace di assumere una relazione di amore con l'uomo: la sua libertà è perciò adatta a vivere in un certo senso il cambiamento.
116 lvi, 127. 117 Ci si riferisce qui al suo pionieristico volume W. PANNENBERG, Cristologia. Lineamenti fonda mentali, Morcelliana, Brescia 1974, 449-510. 118 Per quanto riguarda una valutazione delle problematiche suscitate da Ji.irgen Moltmann in proposito, mi permetto di rinviare al mio Teologia trinitaria. Storia - metodo - prospettive, 172-174.
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Gli inevitabili limiti del dettato di Efeso possono essere così ravvisati: - non siamo di fronte a una definizione cristologica in senso stretto. Efeso ha fatto sua l'impostazione di Cirillo di Alessandria e sul piano linguistico ha af fermato la The6tokos e il principio dell'appropriazione. Inoltre ha introdotto l'espressione unione secondo l'ipostasi o unione ipostatica che Calcedonia poi fece sua e sviluppò. Proprio quest'espressione è ancora incompleta, ecco il limite di Efeso: non riuscì a dire del tutto la diversità tra divinità e umanità. La sua originalità, però, è riscontrabile per quanto attiene l'aspetto dell'unità dell'essere del Cristo. Cirillo non fu sempre chiaro nell'impiego dei termini natura e ipostasi (cf. la terza lettera), infatti parlò dell'«unica ipostasi incar nata del Verbo di Dio» e dell' «unica natura incarnata del Dio Verbo». Calce donia corresse un linguaggio ancora incompleto e andò oltre; - il limite dello schema di Efeso, isolato dai contesti precedente e seguente, rischiava di stemperare la consistenza dell'umanità di Gesù nel suo essere Figlio di Dio e Dio lui stesso. Lo schema dell' «unione ipostatica» deve es sere sempre fecondato dalla considerazione dell'evento di Gesù nella sua interezza. Esso sta nella conclusione concettuale, e non solo all'origine del l'evento di Gesù di Nazaret! In questo senso l'impostazione della teologia contemporanea svolge un «ruolo critico» davvero prezioso. Proprio in un mi gliore approfondimento dell'antologia della «natura» e della «persona», che progredì poi con Calcedonia, si può sostenere che «l'aspetto della relazio nalità resta sullo sfondo»119 dell'affermazione dogmatica di «natura» e «per sona» che trovò in Calcedonia il suo epicentro. 6. L'unità di Cristo, «vero Dio-vero uomo»: il concilio di Calcedonia (451)
È importante, prima di introdurre il discorso circa il concilio di Calcedonia, dare uno sguardo ai vent'anni che separarono le due assise ecumeniche. Il conci lio di Calcedonia rappresenta l'emblema della dottrina cristologica della Chiesa antica. È importante studiare le celebri definizioni di questo concilio nel contesto storico in cui sono nate, altrimenti diventano definizioni aride e non l'interpreta zione viva della Scrittura e della tradizione della Grande Chiesa. Molte osserva zioni critiche alla cristologia avvenute negli ultimi decenni, in realtà, sono più che altro la critica ad alcune definizioni di Calcedonia «rese concettuali» nel tempo, avulse dal contesto e considerate al di là di ogni interazione con la situazione sto rica nelle quali sono nate. L'ambientazione storica nella quale fu celebrato il concilio di Calcedonia fu quella di chiarire ulteriormente e portare a compimento la dottrina di Efeso. Calcedonia, soprattutto, si inserisce nei limiti di quanto ottenuto a Efeso e negli sviluppi ancora da compiersi dopo quel concilio. Se a Efeso si era raggiunto un
1 19 P. CODA, Dalla Trinità. L'avvento di Dio tra storia e profezia, Città Nuova, Roma 201 1, 531; sull' «ontologia della natura e della persona», in cristologia, teologia trinitaria e antropologia, cf. ivi, 527-531.
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buon risultato riguardo all'umanizzazione di Dio, affermando l'umanità di Cristo, adesso bisognava andare più in profondità e marcare la distinzione tra umanità e divinità di Gesù Cristo e il loro rapporto. Bisognava precisare la terminologia di natura (physis) e persona (hyp6stasis) e portare avanti ciò che diceva l'«Atto di unione» del 433 tra Cirillo di Alessandria e Giovanni d'Antiochia, che fu una formula certamente fondamentale e non del tutto accettata dagli estremisti delle due parti. Lo schema di Efeso, come abbiamo già detto, era discendente, cioè tutto par tiva dal Logos che si incarna; lo schema antiocheno era invece ascendente, cioè considerava Cristo già incarnato e cercava di rendere conto in lui dello stato delle due componenti dell'unione, vale a dire l'umanità e la divinità (era lo schema dell'assumptus homo). Insomma, bisognava tener conto delle due prospettive va lorizzando entrambe e proponendo una visione nuova, originale e nello stesso tempo rispettosa della tradizione.
6.1. L 'eresia di Eutiche Uno sguardo agli eventi storico-ecclesiali è determinante per comprendere il dibattito e la definizione finale. Dopo Efeso, come si è già detto, fu sgominato il nestorianesimo, ma dal fianco dei seguaci di Cirillo di Alessandria e della scuola alessandrina si diffuse un nuovo errore, che fu quello del monofisismo. Il concilio di Calcedonia fu motivato immediatamente dall'insorgere di que sta nuova eresia, quella di Eutiche, personaggio giudicato negativamente (su Ne storio il giudizio della storiografia, come si è detto, rimane controverso) per le sue corte vedute. Praticamente Eutiche non usciva dalla lettera di Cirillo, ma ad dirittura ne peggiorava l'interpretazione e ne travisava anche il senso. Egli non ammetteva che in Cristo dopo l'unione ipostatica vi fossero due nature, perché secondo lui quest'unione mescolava le proprietà divine e umane con una specie di mutua assimilazione. La risultante era una confusione tra umanità e divinità di Cristo (egli usava l'ambiguo termine di krtisis) e perciò la dissoluzione del con cetto di consustanzialità, cosicché il corpo di Cristo per Eutiche era diverso dal nostro corpo. Gesù non poteva essere detto veramente uomo, la sua natura umana è stata come assorbita dalla divinità «come una goccia d'acqua dal mare»; dopo l'incarnazione era derivata una sola natura (mia physis) e così l'essere partorito dalla Vergine «aveva fatto assumere dal Verbo un'umanità "divinizzata" non più simile alla nostra».120 Fu così che Eutiche venne processato in un sinodo tenutosi nel 448 a Costan tinopoli, essendo patriarca Flaviano. Alois Grillmeier, nel documentare quel processo ad Eutiche, sostiene che si trattò di «un importantissimo sinodo» nel quale «la confessione delle "due nature" incontrò un'approvazione incondizio-
120 Per una sintetica ricostruzione della controversia eutichiana cf. CARCIONE, Le eresie, 160-163.
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nata, mentre l'espressione "una sola ipostasi" era accettata solo con considerevoli riserve>> .121 Insomma, con Eutiche avanzava un nuovo errore, il monofisismo, che veniva fatto risalire al docetismo e più ancora ad Apollinare di Laodicea. Il monofisismo era un'eresia insidiosa e riprovevole che, di fatto, dissolveva l'autentico significato dell'incarnazione. Si era spaventati e si indietreggiava di fronte allo scandalo pa radossale dell'incarnazione e veniva così a essere menomata la stessa umanità del Cristo e perciò la nostra redenzione ! Se infatti il Logos non ha preso realmente la nostra carne umana, come possiamo dire che ha salvato l'umanità? Possiamo dare atto a Eutiche che l'espressione «come una goccia d'acqua nel mare» può avere un fondo di verità, cioè natura umana e natura divina non sono dello stesso ordine;122 ma lo sbaglio di Eutiche fu nel non ammettere un rapporto tra le due realtà.
6.2. L 'evolversi degli eventi Eutiche era archimandrita, cioè abate di un monastero di Costantinopoli e non aveva fama di profondo teologo, più che altro era un acerrimo anti-nestoriano. Venne condannato ne1 448 - come si è detto - in un sinodo locale tenuto a Costan tinopoli dal patriarca Flaviano, ma si era guadagnato l'appoggio del patriarca Dio scuro di Alessandria, successore di Cirillo come patriarca di quella città. Dioscuro fece pressione sull'imperatore Teodosio II e questi convocò un concilio imperiale a Efeso dove Eutiche fu riabilitato (449). Il clima era alquanto teso, anche perché vi era certamente la pressione delle milizie imperiali e di molti monaci venuti a so stenere Eutiche; ma il fatto ben più grave fu la presidenza negata ai legati di papa Leone l, detto poi «Magno», che aveva inviato uno scritto chiarificatore circa la dottrina di Cristo (era il famoso Tomo a Flaviano di cui parleremo più avanti). Papa Leone non esitò a definire questa operazione «latrocinio di Efeso» (449) e pregò l'imperatore per due volte di annullare tutto e di convocare un concilio in Italia, ma solo il successore di Teodosio Il, Marciano, convocò un concilio nel 451 per il 17 maggio a Ca/cedonia, sul Bosforo. Papa Leone Magno fu il protagonista indiscusso di questo concilio di cui possediamo le fonti ufficiali. I legati papali fu rono cinque e presiedettero l'assemblea, l'Occidente fu poco rappresentato, ma significativamente. Fin dalla prima seduta il patriarca Dioscuro di Alessandria fu svergognato per i suoi metodi disonesti e nella terza seduta del 13 ottobre 451 fu deposto. Il vertice del concilio di Calcedonia fu nella sesta sessione, presieduta diretta mente da Marciano e dalla moglie Pulcheria, dove ormai fu assunta come base di discussione comune la dottrina di Leone Magno, come diremo tra poco. L'impe-
121 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, U2, 932. 122 SESBOUÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 134.
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ratore inoltre si adoperò grandemente per la piena riabilitazione di due capi della scuola antiochena, Teodoreto di Ciro e Ibas di Edessa.123
6.3. Il ruolo di san Leone Magno e della teologia latina Una volta presentati gli eventi che contestualizzarono l'assise conciliare, è im portante inquadrare quali furono le domande dalle quali partiva il concilio di Cal cedonia. Esse possono essere riassunte nel modo seguente. - Dato per assodato che il Verbo di Dio si è appropriato di una natura umana (Efeso), che cosa diventa questa natura umana in seguito all'unione iposta tica? Perde la sua identità, oppure avviene forse una «trasformazione» della medesima? - La natura umana di Cristo ha una sua reale consistenza, oppure è assorbita dalla divinità? Detto in altre parole: la verità dell'uomo in Gesù di Nazaret viene mantenuta nell'unione ipostatica? E perciò si può parlare di «natura umana», come si parla di natura divina, e quindi di dualità di nature?124 - Così come a Nicea si è parlato di «consustanzialità» (homoousia) di Cristo in quanto Figlio e perciò in quanto Dio come il Padre, si può ora parlare, ri guardo a Cristo, di «consustanzialità» a noi in quanto uomo? Queste problematiche erano ben note al papa il quale, mentre nei precedenti concili fu presente per lo più attraverso legati pontifici, nel concilio di Calcedonia invece scese in campo direttamente. Papa Leone Magno fu una personalità teo logica veramente di spicco e lo dimostrò decisamente in questa occasione. La sua preparazione teologica veniva da lontano e i suoi consiglieri teologici erano certa mente attenti e ben attrezzati. Pregevoli monografie, come ad esempio quelle di L. Casula125 e H.R. Drobner,126 lo hanno convincentemente evidenziato. La sua lunga Epistola dogmatica a Flaviano, patriarca di Costantinopoli, espose il suo pensiero su Cristo, neutralizzando l'errore di Eutiche. Nella lettera, che ri prende gli insegnamenti contenuti nei Sermoni sul Natale e l'Epifania, si risente
123 Per la ricostruzione dei fatti, tra il «latrocinio di Efeso e l'inizio del concilio di Calcedonia», cf. ancora CARCIONE, Le eresie, 163-169. Non deve però sfuggire il ruolo della potente imperatrice Pul cheria la quale, come ha sostenuto C. CAPIZZI, «dispiegò tutta la sua energia negli affari ecclesiastici: fece eliminare Crisafio fautore di Eutiche, mise il legato pontificio Giuliano di Cos in relazione con il patriarca Anatolio che sottoscrisse il Tomus Leonis. Nonostante varie opposizioni e le perplessità dello stesso papa Leone l, convocò il concilio di Calcedonia (451), di cui probabilmente presenziò la VI sessione» («Pulcheria», in Dizionario enciclopedico dell'Oriente cristiano, 629). 124 SESBODÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 133. 125 a. L. CASU LA, La cristologia di San Leone Magno. Il fondamento dottrinale e soteriologico, Glossa, Milano 2000, dove alle pp. 71-86 si studiano le fonti della teologia leoniana (che furono prin cipalmente Ilario, Ambrogio e altri, e in particolar modo Agostino, ma con propria rielaborazione secondo l'opinione di Yves-Marie Duval, Michele Pellegrino e Basil Studer) e la cristologia leonia na a Calcedonia. 126 H. R. DROBNER, «Fonti teologiche e analisi della formula calcedoniana», in Il concilio di Cal cedonia 1550 anni dopo, a cura di A. DucAY, LEV, Città del Vaticano 2003, 42-52.
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dell'influsso dei capisaldi della teologia latina espressa in particolar modo da Ter tulliano. I principali criteri di lettura possono riassumersi così: - affermazione dell'unità di Cristo e perciò recezione della linea di Cirillo di Alessandria; - accoglienza della prospettiva antiochena e proposta del linguaggio delle due nature in Cristo con le loro proprietà e due principi naturali di azione. Ogni natura fa ciò che le è proprio in comunione con l'altra. Ciò che a questo punto successe è noto e lo abbiamo appena richiamato. Il fatto che fu fisicamente impedito a Flaviano di far leggere dai legati del papa la lettera dogmatica a quello che doveva essere il II concilio di Efeso del 449, pre sieduto da Dioscuro di Alessandria, non impressionò più di tanto il forte papa Leone, il quale annullò giustamente le decisioni dell'invalido concilio del 449, ris soso e violento (verbalmente e fisicamente), definendolo latrocinium, cioè opera di brigantaggio.
6. 4. La prima parte della definizione dogmatica Bisogna innanzitutto registrare che la prima parte della definizione di Calce doma sintetizza quanto è stato insegnato nei tre precedenti concili e dichiara au torità ecumenica il Simbolo niceno-costantinopolitano. Il substrato della formula cristologica nuova, che segue immediatamente, è quindi il rifiuto di tutte le ere sie precedenti come l'arianesimo, l'apollinarismo, il nestorianesimo, cioè quelle eresie che minavano all'integrità delle due nature in Cristo: «I padri del concilio mostrano così di essere già convinti che il simbolo base di Nicea conteneva quella stessa teologia che essi esplicitano a motivo delle nuove esigenze».127 Si va però ol tre, elaborando una confessione di fede cristologica sviluppata dove si ripropone, aggiornato, l'insegnamento precedente sul Cristo. Il testo dell'atto di unione del 433 ha un indubbio influsso, ma si fanno significativi passi in avanti. Riportiamo la parte finale dell'intera definizione di fede di Calcedonia, per soffermarci poi distintamente sulle singole due parti di cui si compone questa definizione: [Questo concilio] si oppone a coloro che tentano di separare in una dualità di figli il mistero della divina economia di salvezza; esclude dall'ordine clericale quelli che osano affermare soggetta a sofferenza la divinità dell'Unigenito; resiste a coloro che pensano a una mesco lanza o confusione delle due nature di Cristo; scaccia quelli che hanno la follia di ritenere celeste, o di qualche altra sostanza, quella forma umana di servo che egli assunse da noi; e scomunica, infine, coloro che favoleggiano di due nature del Signore prima dell'unione, e di una sola dopo l'unione. Seguendo i santi padri, all'unanimità noi insegniamo a confessare un solo e medesimo Figlio, il Signore nostro Gesù Cristo, perfetto nella sua divinità e perfetto nella sua umanità, vero Dio e vero uomo, (composto) di anima razionale e di corpo, consustanziale
127 DROBNER, «Fonti teologiche e analisi della formula calcedoniana», 55.
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al Padre per la divinità, e consustanziale a noi per l'umanità, simile in tutto a noi, fuor ché nel peccato, generato dal Padre prima dei secoli secondo la divinità, e in questi ultimi tempi per noi e per la nostra salvezza da Maria vergine e madre di Dio, secondo l'umanità; uno e medesimo Cristo Signore Unigenito; da riconoscersi in due nature, senza confusione, né mutamento, senza divisione né separazione, non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi; egli non è diviso o separato in due persone, ma è un unico e medesimo Figlio, Unigenito, Dio, Verbo e Signore Gesù Cristo, come un tempo hanno insegnato i profeti e lo stesso Gesù Cristo e infine ci ha trasmesso il simbolo dei padri. 128
È importante analizzare il testo tenendo presente che la confessione di fede in Gesù Cristo inizia mettendo in rilievo l'unità e si conclude (almeno per quanto riguarda la prima parte) sottolineando ancora l'unità della figura di Cristo. Con questo ritorno all'unità si chiude la prima parte del testo e inizia la seconda. a) L'espressione lo stesso (riferita a Cristo) è quanto mai emblematica. Essa è ripetuta molte volte e sempre per affermare l'unità del Cristo nella differenza della sua umanità e divinità. Da questo si deduce che il concilio costruisce tutto il suo discorso a partire e in funzione dell'unità di Cristo. Si prendono le mosse per ciò da Efeso per dichiarare, una volta acquisita l'unità, la distinzione e la dualità dell'essere in Cristo. Esempio: •
a Dio consustanzialità del Cristo a noi
•
perfetto in divinità, veramente DIO
perfetto in divinità, veramente uomo
•
generato dal Padre prima dei secoli secondo la sua natura
negli ultimi tempi, per noi e per la nostra salvezza generato da Maria Vergine secondo l'umanità
La definizione, poi, sviluppò ancora di più questa tendenza a distinguere l'es sere di Cristo, fino ad arrivare alla definizione delle due nature. b) Un'analisi anche grammaticale del testo porta a sottolineare che la distin zione viene posta sempre in relazione all'unità fondamentale. Tutti gli epiteti e attributi sono sempre dell'unico Cristo; si tratta sempre infatti di complementi di specificazione dove ciò che risalta è l'unità nella distinzione. Quando vengono affermate le differenze è per affermare maggiormente l'identità divina e umana di Gesù. Anzi, il vero problema di Calcedonia fu quello della piena consistenza
128 Denz 300-302.
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dell'umanità di Gesù. Si mantengono le affermazioni precedenti riguardo alla di vinità (Nicea, Costantinopoli I, Efeso) con qualche piccola variante e si introdu cono forme parallele per esprimere la piena integrità dell'umanità di Gesù, cosic ché si possa proclamare che Gesù il Cristo è perfetto e compiuto sia in umanità (e sia perciò vero uomo), così come è affermato essere vero Dio. Se Gesù è vero uomo, contrariamente a quanto dichiaravano Apollinare di Laodicea e i docetisti, o Eutiche, egli ha un corpo e un'anima. Il termine ho moousios (consustanziale) venne quindi usato per esprimere la sua umanità, come un secolo prima (a Nicea) la sua divinità. Mentre un secolo prima questo termine era problematico, ora è acquisito pacificamente. Questo ritorno al termine-chiave di Nicea e la sua applicazione al rapporto dell'uomo Cristo con noi prende indubbiamente di mira Eutiche, il quale ammetteva questo termine «consustanziale» per il nostro rapporto con Maria, ma non con Cristo. La carne di quest'ul timo non era della stessa sostanza della nostra. A questa tendenza eutichiana verso il monofisismo, Calcedonia contrappone l'accentuazione enfatica delle due nature. È questa pertanto la nota decisiva della definizione. Se ne possono individuare dei precedenti nel simbolo antiocheno (ovvero nel simbolo di unione del 433 ) e in Leone Magno. 129
La grande novità del concilio di Calcedonia consiste nel riconoscimento della consustanzialità del Cristo a noi secondo l'umanità. Mentre la consustanzialità del Cristo a Dio stabilisce un'identità numerica, la consustanzialità di Cristo a noi de termina un'identità specifica. Nella persona del Verbo l'umanità assunta è consu stanziale alla nostra umanità, tranne il peccato. Il parallelismo simmetrico delle formule impiegate a Calcedonia evidenzia come lo stesso Gesù Cristo sia tale in rapporto alla sua divinità e umanità: «Me diante l'incarnazione il Verbo ha posto tra se stesso e questo essere-altro, che è la sua umanità, lo stesso rapporto di identità concreta che egli ha con la sua divinità».1 30 c) È da osservare inoltre come alla fine di questa prima parte della definizione di Calcedonia il parallelismo tra divinità e umanità conosce un nuovo elemento: la storia. Si dice che «il Verbo è generato dal Padre prima di tutti i secoli», ma che riguardo all'umanità egli è generato «negli ultimi tempi>>, per opera di Maria, la Madre di Dio (acquisizione di Efeso). In più si aggiunge «per noi e per la nostra salvezza» per rimarcare ancora la dimensione storica dell'essere del Cristo. Vi è una solidarietà umana (e perciò storica) tra noi e Cristo; essa deve essere totale perché noi possiamo essere salvati. Per essere vero mediatore, Cristo deve essere generato dall'eternità dal Padre e deve essere appartenuto totalmente alla storia degli uomini. Gesù non è la comparsa di Dio fra noi, ma è realmente Dio-con-noi e il riferimento a Maria concretizza questa storia, che certamente è qui espressa in modo piuttosto contenuto. È stato fatto notare che questo è l'unico luogo, nella
129 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, I/2, 964. 130 SESBOOÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 140.
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definizione calcedonese, in cui si fa riferimento alla storia. Con onestà intellet tuale si può affermare che un tale riferimento, sebbene non sia immediato, resta senz'altro rilevante, infatti il rapporto di questa definizione con la Scrittura è notevole ma non immediato: passa attra verso i simboli di fede anteriori, anch'essi intessuti di formule scritturistiche. I titoli dati a Gesù, in modo ripetuto, sono biblici, ma integrati in modo organico in una titolatura il cui nocciolo è la realtà del Nuovo Testamento e il cui sviluppo è quello dei grandi Simboli anteriori.131
6.5. La seconda parte della definizione di Ca/cedonia Nella seconda parte della definizione dogmatica di Calcedonia entrano in gioco categorie filosofiche ellenistiche, quasi un'ulteriore spiegazione concettuale della forma letteraria della definizione medesima in questo passaggio. Tali stru menti concettuali intendono rendere ragione di un equilibrio logico dell'unità del Cristo e della differenza delle nature (è a questo punto che si fanno interagire i termini «natura» e «persona» ) . a ) In Cristo ci sono dunque due nature («in due nature» recita il testo ) . Quell'in è importantissimo; non si dice che in Gesù vi sono una sola persona e due nature (come spesso con molta imprecisione si afferma ) , bensì Calcedonia proclama che vi è un solo Cristo in due nature, perciò un 'ipostasi in due nature. In Cristo vi è un'unità completa e totale che resta composta e complessa. In Cristo esiste un'alterità reale, che si basa sulla stessa alterità di Dio e dell'uomo. Questa alterità, ben tradotta dall'espressione «in due nature», significa che l'unione ipostatica pone un'alterità mantenuta all'interno dell'unità di un solo sog getto. L'espressione due nature non deve però far cadere nel tranello di due en tità che si assommano tra loro. «In due nature» e non «da due nature»: «In questo modo l'unità in Cristo non può essere cercata nella sfera delle nature in quanto tali (non in natura et secundum naturam). Anzi le nature in quanto tali rimangono intatte [ . . . ] . Le nature sono pertanto il principio inequivocabile della distinzione in Cristo».132 In senso stretto Dio non ha natura! Se infatti la natura è ciò che deli mita un essere, Dio è al di sopra e non conosce limitazioni di essere ! La formula «in due nature», conforme alla dottrina di Leone, è stata adottata, forse impo sta, contro quelli che volevano restare alla formula «di (ek) due nature», della quale però la posizione di Eutiche aveva mostrato l'insufficienza. Questa scelta deliberatamente «duofisita», sarà carica di conseguenze per la futura resistenza a Calcedonia.133
131 lvi, 141. 132 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 112, 966. 133 B. SESBOOÉ, «Cristologia e soteriologia. Efeso e Calcedonia (secoli IV e V)», in B. SEsBoOÉ - J. WouNsKI, Storia dei dogmi, 1: Il Dio della salvezza. I-VIII secolo: Dio, la Trinità, il Cristo, l'eco nomia della salvezza, Piemme, Casale Monferrato 1996, 371.
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Non si deve interpretare il linguaggio di Calcedonia come una spiegazione ra zionale del mistero, ma come uno strumento linguistico-concettuale che vuole il lustrare il meno indegnamente possibile il paradosso dell'incarnazione. Parlare perciò di «dualità» in Cristo vuol dire salvaguardare la sua umanità perché non venga assorbita (come voleva Eutiche) dalla sua divinità. b) Vi sono poi (sempre nella seconda parte della definizione dogmatica) quat tro avverbi importantissimi senza confusione né cambiamento
si bolla l'errore di Eutiche
senza divisione né separazione
si respinge l'errore di Nestorio
I primi due avverbi (senza confusione: asynchytos = inconfuse; senza cambia mento: atreptos = immutabiliter) attestano che le due nature restano se stesse. I secondi due avverbi (senza divisione: adiairetos = indivise; senza separazione: ach6ristos = inseparabiliter) spiegano che umanità e divinità sono un unico Cristo, misteriosamente, ma realmente. Esse cioè ineriscono in una sola persona, e non in due persone! - È necessario collegare con i primi due avverbi senza confusione, né cambia mento le altre espressioni: «non essendo la differenza delle nature minima mente soppressa dall'unione, ma restando salve al contrario le proprietà di ciascuna delle due nature».134 Insomma in Gesù, unico Figlio di Dio, non vi è una traslazione del Verbo nella carne e nemmeno l'assorbimento di quest'ul tima in Dio; restano salve appunto le proprietà di ciascuna delle due nature. Dio rimane Dio e l'uomo resta uomo; in Gesù misteriosamente vive questo rapporto che diventa ipostatico, cioè in lui l'uomo e Dio non si confondono, si differenziano restando uno. L'esistenza di Gesù è interamente divina e umana. Proprio questa unità del suo essere fa sì che, con questi avverbi, si possa sostenere che «Dio vuole rimanere uomo per sempre. Un netto rifiuto è stato opposto a ogni annullamento, di tipo origenista, all'ordine dell'incar nazione. In tal modo è fondata la rilevanza soteriologica del concilio di Cal cedonia anche sul versante della teologia della storia».135 - I secondi due avverbi senza divisione, né separazione, stanno a significare che le due nature del Cristo non sono enti sussistenti autonomi. Pur non essendo tra loro confuse, le due nature non sono concorrenziali l'una con l'altra, l'una accanto all'altra, senza rapporto. Non ci sono due Gesù Cristo, uno divino e l'altro umano. Affermare che non vi è divisione, né separazione tra le due na ture, le quali «si incontrano in una sola persona e in una sola ipostasi»,136 vuol
134 Denz 302. 135 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 112, 980. 136 Denz 302.
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dire che vi è un solo e medesimo Cristo che agisce come Dio e come uomo. In Cristo vi è perciò un solo atto di sussistere concreto. La specificazione, poi, che fa seguito ai secondi due avverbi «non essendo venuta meno la differenza delle nature a causa della loro unione, ma essendo stata, anzi, salvaguardata la proprietà di ciascuna natura, e concorrendo a formare una sola persona e ipostasi»,137 rende bene l'unità della differenza in Cristo. Non era intenzione dei padri del concilio di Calcedonia tirare tutte le conseguenze della distin zione delle nature in Cristo. «Infatti non è compito dei concili insegnare una metafisica, ma porsi al servizio dell'annuncio della Chiesa, il cui contenuto è la rivelazione di Dio in Cristo e nello Spirito Santo».U8 È importante notare il rafforzativo «una sola ipostasi» rispetto a «una sola per sona» che è la traduzione di pr6sopon greco. lpostasi esprime in modo ancora più incisivo l'idea di soggetto reale sussistente. L'accoppiamento dei due termini [hyp6stasis e p r6sopon] è capitale per riguardo ai dibat titi greci. L'unità di persona (pr6sopon) deve essere compresa nel senso forte, dell'unità dell'ipostasi concreta. La distinzione tra natura (aspetto della distinzione) e ipostasi (aspetto dell'unità) è dunque chiaramente posta, benché non sia ancora speculativamente spiegata.139
A un'analisi attenta dei vv. 17-22 della formula dogmatica di Calcedonia non può sfuggire quello che tradizionalmente è stato considerato «il contributo più originale della teologia latina». Proprio nel raddoppiamento di hypostasis e pr6so pon del v. 21 si può constatare non solo l'introduzione del termine latino persona, ma anche l'elemento che «riconcilia la teologia antiochena con quella alessan drina e mette fine alla concorrenza di questi due termini».140 Concludendo, possiamo affermare che le due nature del Cristo trovano la loro unità nell'unico e reale soggetto sussistente (ipostasi) che è il Verbo. Il concilio di Calcedonia non intendeva offrire una spiegazione speculativa di natura e ipostasi, ma soltanto illustrare l'evento e la persona di Gesù Cristo. Il suo grande messag gio è quello di proporre la differenza nell'unità: Gesù è totalmente e perfetta mente mediatore tra Dio e gli uomini. Le formule «negative» (senza confusione, né mutamento, senza divisione e separazione) delimitano il percorso che «in po sitivo» vuole affermare un'unione (in Cristo) del tutto unica e sui generis. Calce donia, in questo senso, vuole offrire quegli strumenti indispensabili per fornire un veicolo linguistico sicuro per dire qualcosa di non insensato su un mistero che ci sorpassa sempre.
137 lb. 138 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 1/2, 967. 139 SESBOUÉ, «Cristologia e soteriologia. Efeso e Calcedonia (secoli IV e V)», 372. 140 DROBNER, «Fonti teologiche e analisi della formula calcedoniana», 57.
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6. 6. Per un'ermeneutica del dogma calcedonese dell'incarnazione Uno dei maggiori motivi di discussione odierna circa il valore delle formule dogmatiche del concilio di Calcedonia verte proprio sulla questione se esse siano il frutto di una «ellenizzazione» più o meno radicale del messaggio cristiano. Tale accusa mossa a Calcedonia e ai concili della Chiesa antica non è certo solo di oggi;141 essa trovò poi una consistenza notevole con la scuola storico-critica di A. Ritschl e A. von Harnack. Per quest'ultimo il dogma cristiano è l'opera dello spi rito greco sul terreno del vangelo; la sua opera Dogmengeschichte ha fatto epoca e ha influenzato molti spiriti.142 Nel nostro tempo, soprattutto dopo il 1951, anno nel quale si celebrò un im portante convegno per commemorare Calcedonia, 143 e per tutti gli anni '60-80 del XX secolo con lo sviluppo della scienza ermeneutica, le vecchie accuse sono state riproposte sotto altra forma. Da Schoonenberg ad Hans Kiing, da Schillebeeckx a Pannenberg (sebbene in toni differenti e a partire da differenti infrastrutture concettuali), il dogma calcedortese è stato interpretato come l'espressione di una cristologia ontologica e meno biblica, una cristologia che sarebbe stata contami nata dal pensiero greco, che dimenticava l'evento e la storia, a favore della so stanza e dell'essere. Le formule conciliari sarebbero la risultante di una radicale ellenizzazione del messaggio cristiano. Un giudizio di questo tipo è tentato di for mulare un programma di de-ellenizzazione caratterizzato da un processo di elimi nazione degli elementi ostili o estranei al cristianesimo per ritornare alla purezza del kerygma autentico. Ma questo procedimento, alla prova dei fatti, è apparso semplicistico e antistorico, soprattutto per l'avvento della sana ermeneutica che ha mostrato come non si può adottare, nei confronti di un testo antico, un metodo di eliminazione del rivestimento per cogliere un nucleo genuino, ma bisogna sem mai operare in termini di «interpretazione». In realtà sarebbe illusorio credere che si possa stabilire l'esistenza di un pro cesso di ellenizzazione della fede dal solo uso di vocaboli greci. È l'intero processo spirituale, che ha portato all'uso di questi termini, che si deve analizzare e com prendere. Ora, il credo cristologico calcedonese, per essere compreso nella sua struttura composta di termini greci, deve essere veduto non come risultato di un processo di ellenizzazione, quanto, piuttosto, come reazione a questo processo che si era andato verificando in alcuni ambienti teologici dei primi secoli del cristiane simo. È perfettamente normale che la predicazione del messaggio cristiano in un determinato ambiente culturale tenda a inculturarsi in quell'ambiente; ma non è normale che tale processo debba soggiacere rigorosamente agli schemi rappresen tativi delle strutture linguistiche di quel determinato ambiente. «Ellenizzazione
141 La si può far risalire già a G. BuoÉ, De transitu Hellenismi ad Christianismum, Paris 1535. 142 Dopo una prima edizione del 1889-1891, fu la seconda edizione del 1893 che presentò l'opera nella sua forma pressoché definitiva che anche oggi conosciamo. Rimandiamo al nostro scopo ad A. voN HARNACK, Dogmengeschichte, J.C.B. Mohr, Tiibingen 1991 (tr. it. Storia del dogma. Un compen dio, a cura di G. CAMPOCCIA - P. GAJEWKI, Claudiana, Torino 2004). 143 Ne tratteremo più avanti nel c. IV, par. 5.
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e de-ellenizzazione sono due aspetti connessi di un unico processo: la storicizza zione del kerygma biblico. E tuttavia, nel portare avanti questo processo, ci fu nella Chiesa una spartizione di ruoli e di responsabilità che è ancora oggi ricca di indicazioni metodologiche per la teologia».144 Ora, nella cristologia dei primi secoli non si può negare che si sia verificato un processo di ellenizzazione nella linea di due modelli fondamentali: quello del Logos-sarx e quello del Logos-anthropos fino a giungere alle grandi polemiche cristologiche del IV-VI secolo. 6.6. 1 . Pregi e limiti dei modelli Logos-sarx/Logos-anthropos Il primo modello, quello del Logos-sarx, quando veniva declinato nella sua ma trice ariana e apollinarista, tendeva infatti a spiegare l'unità del Logos e della sarx attraverso lo schema neoplatonico della sintesi naturale (unione fisica) del corpo e dell'anima. L'analogia antropologica dell'unità fisica di anima e di corpo, rite nuta come espressione suprema dell'unità di due sostanze, è applicata con rigore alla relazione tra il Logos e la sarx umana: il Logos prende il posto dell'anima ed entra in unione vitale, cioè naturale, con il corpo per formare un essere unico fisi camente.145 Già nella seconda metà del III secolo si ritrovava l'idea che nell'uomo Gesù il Logos sostituisce la presenza dell'anima, sia che questo Logos fosse inteso come vero Dio, sia che esso fosse considerato come un essere celeste creato (così era per l'arianesimo). In questa ottica l'incarnazione esprime un'unità tra il Lo gos e la carne di tipo fisico-biologico. Lo schema Logos-sarx appare molto diffuso nella Chiesa antica presso gli ariani, i semiariani e soprattutto presso Apollinare di Laodicea. In lui, anche se con intenzioni diametralmente opposte all'arianesimo, data la sua accettazione piena dell'homoousios di Nicea, il modello antropologico della sintesi di corpo e anima fu pesantemente sovrapposto alla dottrina del Logos incarnato; per lui, infatti, l'uomo-Dio è una synthesis antropoeidès, unità composta in forma umana. Per questa unità tra Logos e sarx, il Verbo incarnato è un «uomo celeste»; in esso, le parti componenti, non sono uguali; lo pneuma è preminente. Dire che il Logos si è fatto carne significa che esso possiede il controllo assoluto di tutta la vita di Gesù uomo. Il Cristo è «uno» come «unità vivente» (synthesis zotikè) del Logos e della sarx per cui il Logos divino diviene l'anima della carne i cui influssi vitali costituiscono il vincolo di unità.146 Non è difficile scorgere in questa cristo logia apollinarista il peso decisivo dell'antropologia «stoico-alessandrina» che, già prima di Apollinare, esercitava un notevole influsso; in essa, la physis non è un'es senza astratta, ma il vivente che si autodetermina (zoon autokinèton).
144 CANTALAMESSA, «Dal Cristo del Nuovo Testamento al Cristo della Chiesa: tentativo di in terpretazione della cristologia patristica», in Io., Dal kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei padri, 43. 145 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 112, 626. 146 lvi, 627.
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L'autodeterminazione che ha la sua sede nell'hegemonikon è l'elemento capi tale della physis. Il principio formale esplicativo della cristologia apollinarista è perciò l'unione Logos-sarx intesa come unità naturale analoga a quella di corpo e anima, per cui le energie fisiche del Logos si espandono nell'essere corporeo dando sviluppo alle sue attività vitali. Giustamente A. Grillmeier ha rilevato, sulla scorta dell'Ad Serapionem di Apollinare di Laodicea, che il nome di «uomo cele ste», dato al Verbo incarnato, non deve trarre in inganno, quasi che egli insegnasse che la carne di Cristo fosse discesa dal cielo: «Al contrario, Apollinare insegna che la natura umana e corporea è stata presa dalla Vergine e solo diventa divina me diante la sua unione con la divinità».147 Da quanto qui sostenuto si può evincere che l'esempio della cristologia apolli narista (come della cristologia ariana) manifesta quanto profonde siano le infiltra zioni di elementi non-cristiani derivati dalla cultura greca nell'ambito del pensiero originario cristiano, determinando così un notevole grado di «ellenizzazione». Del tutto diverso è invece l'insegnamento della Chiesa: «Il costituirsi dell'umanità di Cristo è distinto logicamente dalla sua unione con la divinità di Cristo, perché ha luogo mediante l'unione dell'anima e del corpo. Naturalmente, l'interpretazione ariana e apollinarista stabilisce un legame straordinariamente stretto tra il Lo gos e la natura corporea, ma l'ottiene a prezzo della trascendenza del Logos».148 In sintesi si può affermare che il primo modello, quello del Logos-sarx, nella sua matrice ariana e apollinarista ha rappresentato l'infiltrazione più seria e dannosa delle idee ellenistiche nell'ambito della fede cristiana; siamo dunque di fronte a un vero e proprio caso di «ellenizzazione» del kerygma. All'opposto del modello cristologico Logos-sarx vi è il modello Logos-anthro pos. Entrambi i modelli cristologici si muovono nell'ambito di una tematica gene rale riguardante i rapporti tra Dio e il mondo; mentre nel primo (Logos-sarx) ci si orienta verso un tipo di unità naturale fisico-biologica ( simbiosi fisica tra Dio e l'uomo), nell'altro (Logos-anthropos) si tende a sottolineare la distinzione tra il creato e l'increato, tra la natura e il Logos. Un noto rappresentante di questa im postazione fu Gregorio di Nissa che aveva cercato per primo di definire con mag giore precisione il linguaggio tipico della teologia trinitaria attraverso l'analisi di categorie appropriate come hyp6stasis, pr6sopon, physis e ousfa. Il punto di par tenza di Gregorio di Nissa era quello dell'infinità di Dio e della differenza e non mescolanza delle nature. Si è molto discusso sulla sua formazione classica e il suo utilizzo della filosofia pagana. Al di là della disputa sulla sua eventuale attitudine a unire filosofia e dottrina cristiana o meno,149 non può certo sfuggire quanto sul
147 lvi, 611. La citazione di Apollinare di Laodicea si riferisce all Ad Serapionem fr. 69 ed è ri portata nel testo appena citato. 148 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 627. 149 Riguardo a questo dibattito, va senz'altro segnalata la monografia di W. WoLKER, Gregorio di Nissa filosofo e mistico, Vita e Pensiero, Milano 1993 (l'edizione originale tedesca è del 1955), ma cf. anche le osservazioni contenute nel dotto saggio introduttivo di C. MoRESCHINI al Contra Eu nomium del Nisseno (GREGORIO DI NISSA, Teologia trinitaria. Contro Eunomio. Confutazione della professione di fede di Eunomio, intr., trad., note e apparati di C. MoRESCHINI, presentazione di G. '
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versante della cristologia abbiano potuto influire le possenti intuizioni speculative del Nisseno, il quale sostiene una netta differenziazione delle due nature in Cristo che non vanno confuse e assorbite l'una con l'altra. È tuttavia sullo sfondo di quel problema speculativo generale che il modello cristologico Logos-anthropos tende a sottolineare la distinzione difisita tra la na tura umana integra del Cristo e la realtà del Logos. Gregorio di Nissa si muove en tro un orizzonte che riconosce in modo aurorale la possibilità della communicatio idiomatum che viene a essere giustificata in modo molto lucido. Il contrasto con l'eresia di Eunomio gliene diede una forte occasione, dal momento che l'eretico non distingueva le due nature in Cristo, anzi voleva sottoporre a passione la natura divina del Cristo: «Come, infatti, non è possibile vedere le peculiarità della carne nel Logos che era nel principio, così, viceversa, non è lecito scorgere nella natura della carne quello che è specifico della natura divina».150 Gregorio di Nissa ricercò le attestazioni scritturistiche di tale distinzione, e la sostenne attraverso una serie di ragionamenti dove veniva salvaguardata l' «operazione umana» del Cristo senza confusione. Nello stesso tempo, per la communicatio idiomatum, il Cappadoce in tuì ante litteram, sebbene con strumenti differenti da quelli che abbiamo noi oggi, il tema della sofferenza di Dio, del quale si è poi occupata la teologia contemporanea. Poiché, dunque, solo il pensiero divide in due parti quell'essere che è stato fatto una cosa sola per amore degli uomini, ma che è diviso in astratto, l'apostolo, allorquando proclama l'essere supremo e superiore ad ogni intelletto, impiega i nomi più elevati, chiamandolo «Dio al di sopra dell'universo» e «Dio grande» e «potenza e sapienza di Dio>>, e altre cose del genere; ma quando descrive tutta la prova delle passioni che egli prese su di sé di neces sità a causa della nostra debolezza, chiama per nome, in base alla nostra realtà, quello che è formato dai due, e lo definisce «uomo»; non che, usando questa parola, renda comune con la restante natura colui che viene così indicato, ma vuole che si osservi la pietà a propo sito di entrambi gli esseri, in quanto l'essere umano viene glorificato perché è assunto e l'essere divino non si macchia perché è accondisceso, ma assegna alle passioni la parte umana e opera per mezzo della potenza divina la resurrezione di quell'essere che ha patito. E così la prova della morte non viene attribuita a colui che ha partecipato alla natura passibile, perché l'uomo si è unito con quello, ma i nomi sublimi e degni di Dio discendono sull'uomo, nel senso che colui che si è manifestato sulla croce è chiamato «signore della gloria», in quanto, insieme con l'unione della sua natura con l'elemento umile, anche la grazia dei nomi è passata da Dio all'elemento umano. 15 1
Nell'indirizzo teologico del Logos-anthropos, cui senz'altro il Nisseno ha dato un contributo significativo, bisogna però distinguere l'orientamento dei Cappa doci rimasto nell'ambito dell'ortodossia, da quello che, nella linea della scuola d'Antiochia, è sfociato nella posizione nestoriana che è giunta a compromettere l'unità reale del Cristo. In realtà anche il modello cristologico Logos-anthropos
REALE, Rusconi, Milano 1994, LIX-LXI; ma è tutta l'introduzione, alle pp. XI-LXV, che va atten tamente compulsata) . 150 GREGORIO DI NISSA, Contro Eunomio III,IV,69,7. Il testo è contenuto in GREGORIO DI NISSA, Teologia trinitaria. Contro Eunomio. Confutazione della professione di fede di Eunomio, 431. 151 GREGORIO DI NISSA, Contro Eunomio III,IV,61,15 (ivi, 433). Al nostro scopo va però tenuto presente tutto il tomo IV del libro III del Contra Eunomium (nn . 59-67; ivi, 430-446).
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è legato alle idee stoiche penetrate nella cultura patristica prima dell'epoca delle controversie cristologiche del V secolo. Nei padri cappadoci tale penetrazione è abbastanza evidente; ma è soprattutto in Nestorio che l'analisi stoica del concreto è stata determinante per la sua posizione eterodossa. Negli scritti stoici la ousia è anzitutto determinata dalla qualità specifica (koinè poiotès) per cui essa diviene «specie» e quindi dice riferimento alla proprietà individuante (idia poiotès) per cui è costituita individuo. Ora, cercando un'unità reale in Cristo (unità ontica), Nestorio non poteva giungere a migliori risultati di quanto potesse offrire l'analisi del concreto allora corrente. Egli infatti riteneva che le due ousìe in Cristo dove vano restare integre; allora tutto il problema dell'unità era spostato sulle notae individuantes. Ma una volta riconosciuto ugualmente che ciascuna delle due na ture in Cristo va presa concretamente, nella sua individualità, non poteva restare come via di spiegazione dell'unità del Cristo che la comprensione del prosopon di unione. D'altra parte, ogni natura nel Cristo ha la sua realtà concreta (ousìa koinè + idìa poiotès = hyp6stasis) e ha perciò anche la sua apparenza, cioè il suo prosopon «naturale»; ma ciascuna delle due nature del Cristo fa uso del prosopon naturale dell'altra: è così che si costituisce l'unico prosòpon di unione. Non è dif ficile scorgere il limite di tale unità: essa non appare qualcosa di antologico in quanto non concerne che l'ambito periferico nelle nature e per di più qualcosa di «morale» (unità di attitudine). Le analisi della filosofia del tempo riguardo al concreto avrebbero dovuto mettere in guardia Nestorio da quelle concezioni me tafisiche che non potevano fare giustizia alla tradizione. La fedeltà alla tradizione ecclesiale avrebbe dovuto indurlo a rivedere i suoi presupposti speculativi, ma il monaco, poi patriarca di Costantinopoli, tendeva a leggere la tradizione più attra verso il suo personale schema speculativo, che non il contrario: «Il limite antolo gico della cristologia nestoriana rivela l'impossibilità di fondare l'unità reale del Cristo restando solo sul piano delle nature-sostanze e anche il difetto degli stru menti filosofici dell'analisi del concreto di cui egli disponeva, mutuandoli dalla filosofia stoica» . 152 Tutto questo fa vedere, ancora una volta, come il peso eccessivo di una strut tura mentale metafisica imposta al pensiero di fede cristiana sia la causa, nel primo modello cristologico (Logos-sarx) e nel secondo (Logos-anthropos) , di sconfina menti che escono dal terreno dell'ortodossia nella misura in cui il tentativo di el lenizzazione della fede appare radicale. Si registra perciò un carattere piuttosto «conservatore» dell'eresia e uno «innovatore» e creativo dell'ortodossia. La teologia eretica, assumendo spregiudicatamente il punto di vista secolare della teologia del momento, perde la sua forza provocante e contestativa che consente invece all'orto dossia di spingersi oltre ogni filosofia e di spingere ogni filosofia oltre se stessa, facendola aprire ai valori autentici rimasti ancora fuori del suo orizzonte. Fu così che il cristiane simo ortodosso, grazie anche alla sua precedente esperienza giudaica, riuscì a far recepire dall'ellenismo valori basilari, come quelli di persona e di storia.153
152 BoRDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo, III, 824. 1 53 CANTALAMESSA, «Dal Cristo del Nuovo Testamento al Cristo della Chiesa», 43-44.
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In questa luce, la dottrina del concilio di Calcedonia appare tutt'altro che un tentativo di ellenizzazione della fede: piuttosto essa risulta essere uno sforzo di de-ellenizzazione, come è stato mostrato in modo convincente. Questo sforzo di de-ellenizzazione va inteso però nell'ambito di quell'approccio verificatosi nei primi secoli, nell'area mediorientale, tra kerygma cristiano e mentalità greca e che in certi momenti ha raggiunto forme esasperate di riduzione cosmologica o antropologica. La posizione di equilibrio raggiunta a Calcedonia ha operato in questo ambito per uno spazio necessario alla fede, per una certa rottura di schemi e per una ri vendicazione di originalità e irriducibilità. Le eresie cristologiche, infatti, in con trasto con l'accostamento legittimo tra fede e cultura greca intrapreso dalla pa tristica orientale, mostrano come di fatto sia avvenuta una contaminazione tra il messaggio biblico e l'ellenismo. In fondo, ciò che la Chiesa ha sostenuto con l'ho moousios di Nicea o la definizione di Calcedonia (una persona in due nature) è la strada più difficile, ma più affidabile per conservare il paradosso della fede evan gelica nel mistero di Cristo. La definizione dogmatica di Calcedonia guarda in avanti, verso il futuro e apre a nuove prospettive, diverse da quelle già esistenti nella cultura di quel tempo. È importante perciò approfondire il senso della definizione dogmatica tenendo conto di tre aspetti fondamentali che si riflettono abbastanza chiaramente nella redazione del testo. 6.6.2. L'autentica intenzione del testo dogmatico di Calcedonia a) Anzitutto il carattere che potremmo chiamare negativo o apofatico della definizione: esso è costituito da un'intenzione anti-eretica del testo; con esso i pa dri del concilio di Calcedonia hanno voluto porre degli sbarramenti alle tendenze ellenizzanti esasperate che si erano verificate nell'arianesimo, nell'apollinarismo, nel nestorianesimo, nel monofisismo.154 Questa intenzione appare in modo chiaro anzitutto nel «proemio» che afferma che il concilio si sarebbe sciolto ribadendo semplicemente il simbolo di Nicea se non si fosse resa necessaria una nuova definizione a causa di nuove eresie;155 e quindi dal testo stesso della definizione attraverso le due coppie di termini: in confuse (asynchytos), immutabiliter (atreptos) e indivise (adiairetos), inseparabili ter (ach6ristos) che portano al cuore della definizione con espressioni antitetiche nei confronti delle diverse affermazioni eretiche. Così la «formula dogmatica» ap pare come la risposta della traditio fidei al processo di radicale ellenizzazione del tempo. Questa risposta, però, risuona dall'interno di quel processo interpretativo
154 GRILLMEIER, Gesù il Cristo nella fede della chiesa, 980 155 Giustamente sostiene CANTALAMESSA, «Dal Cristo del Nuovo Testamento al Cristo della Chiesa», 46, che «l'indicazione metodologica migliore ci viene dall'analisi del Proemium della de finizione calcedonese: un documento quasi del tutto trascurato e che invece è essenziale per capire Calcedonia».
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della fede che si era andato verificando nei primi secoli. Il carattere «antieretico» della formula conciliare di Calcedonia non deve essere considerato come un dato solamente negativo: esso, infatti, afferma un limite. E ciò merita attenta conside razione perché è proprio la negazione nei confronti delle posizioni eretiche che fa del dogma un punto di non-ritorno, cioè un limite invalicabile per l'ortodossia della fede, un'acquisizione irreversibile per la fede della Chiesa, per cui la teologia non potrà più ignorarlo nelle sue analisi future. Il senso normativa della definizione dogmatica calcedonese sta proprio in ciò che essa risolutamente nega circa le so luzioni di Ario, Apollinare, Nestorio, Eutiche. Nel tempo posteriore della storia della Chiesa resterà pertanto sempre valido il rifiuto di queste posizioni: esso pone come delle dighe di sbarramento che consentiranno al progresso dogmatico e al cammino teologico di fluire nella giusta direzione indicata dalla traditio fidei.156 Si può dunque affermare che, in negativo, il «limite» del dogma tocca il passato delle polemiche che, essendo superate una volta per sempre, non potrà più essere riproposto in futuro. Ma questo consente di vedere, in senso positivo, il rapporto del dogma al futuro della coscienza di fede e della riflessione teologica: rispetto al futuro, il dogma di Calcedonia è un indice proteso verso il progresso in questo cammino. Le formule dogmatiche esprimono la volontà della Chiesa di avere un intellectus fidei sempre più profondo; perciò non si può rinunciare a nessuna di esse, anche se nessuna deve considerarsi come l'ultima parola della Chiesa sulla rivelazione divina. b) Dobbiamo allora far emergere le caratteristiche positive della definizione dogmatica: la prima di esse va riscontrata nella forma mentis della definizione stessa. Questa, per quanto utilizzi un vocabolario composto di termini lontani dal linguaggio scritturistico e che riecheggiano le disquisizioni teologiche del tempo (homoousios, physis, hyp6stasis, pr6sopon, énosis, hypostatiké . . . ), possiede però il carattere di professio fidei: è, cioè, un testo religioso che documenta il pensiero di fede e non la struttura di un pensiero metafisico-speculativo. Ciò che interessa ai padri non è la definizione delle componenti filosofiche dell'essenza del mistero cristiano, ma l'espressione del significato religioso-sote riologico del mistero stesso. I termini usati vengono compresi in questo contesto teologico: i padri conciliari volevano collegare la loro professione di fede con il passato biblico e con la proclamazione kerygmatica del mistero. Perciò la formula si articola sul modello fondamentale dell' «uno e identico» (éna kai ton autòn ), for mula cristiana primitiva che compare due volte, mentre sei volte ci si richiama a essa in forma abbreviata, quando i padri dicono: «lo stesso» (tòn autòn ). Con que ste parole essi intendevano collegare l'espressione della fede della Chiesa catto lica con quanto Paolo e Giovanni, Ignazio di Antiochia, Ireneo e lo stesso concilio niceno dicevano di Gesù: per la nostra salvezza, il «Figlio stesso di Dio è venuto». Egli non è un essere intermedio, un mezzo Dio e un mezzo uomo.
156 Su questo aspetto normativo perenne del dogma di Calcedonia cf. BoRDONI, Gesù di Nazaret Signore e Cristo, III, 842-846.
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Così il termine «persona» risponde alla domanda «chi è il Cristo» (identità); il concilio di Calcedonia vuole affermare quanto segue: Cristo è realmente l'unico Signore, il Figlio eterno di Dio. E il termine >, quella eterna e quella nel tempo; ora a Costantinopoli II questa stessa dottrina dell'«appropriazione>> si estende alla passione da parte del Verbo, fino a dichiarare che proprio Uno della Trinità è stato crocifisso per noi. Si verificò a Costantinopoli II quella che Carlo Dell'Osso definisce nella sua monografia sul calcedonismo «l'interferenza tra teo logia trinitaria e cristologia>>.177 Cosa vuol dire? Costantinopoli II si ritrova a for nire l'interpretazione autentica della definizione dogmatica di un concilio prece dente, quello di Calcedonia. I padri conciliari del Costantinopolitano II ritennero necessario introdurre degli elementi nuovi destinati a connotare il successivo calcedonismo, ovvero il riconoscimento a pieno titolo della formula degli sciiti «Unus de Trinitate>> e l'acco glienza della teologia cirilliana in toto, ossia anche dei dodici anatematismi allegati alla terza lettera di Cirillo a Nestorio che, pur essendo stati letti pubblicamente a Efeso e a Calcedonia, soltanto ora ottenevano un solenne riconoscimento. Queste novità contribui vano a chiarire il senso di unione ipostatica, in cui Gesù Cristo non era più considerato l'effetto dell'unione delle due nature, ma il Verbo incarnato: e questo cambiamento era stato possibile grazie anche all'interferenza tra teologia trinitaria e cristologia, che aveva causato un cambiamento di prospettiva nella teologia calcedonese».178
Riletta nella problematica teologica contemporanea l'affermazione di Costan tinopoli II dell'«Unus de Trinitate» risulta essere gravida di conseguenze: Dio non è insensibile alla sofferenza umana, proprio perché è stato Uno della Trinità ad aver patito e a morire. Nella teologia contemporanea le istanze del coinvol gimento del Dio cristiano trinitario nella sofferenza sono state portate avanti da Jiirgen Moltmann nei suoi noti saggil79 e poi sono state rielaborate nella teologia contemporanea, anche cattolica, soprattutto dalle «teologie della croce» o più in
176 SESBOtiÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 168-169. DELL'Osso, Cristo e Logos, 289. 178 lb. 179 J. MoLTMANN, Il Dio Crocifisso. La croce di Cristo, fondamento e critica della teologia cristia na, Queriniana, Brescia 1973; lo., Trinità e Regno di Dio, Queriniana, Brescia 1983; Io., Nella storia del Dio trinitario. Contributi per una teologia trinitaria, Queriniana, Brescia 1993. m
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generale del «mistero pasquale». Sembra davvero che tali istanze abbiano trovato in questo concilio un antecedente illustre. Esso ha in qualche modo completato Calcedonia, inserendo il tema della passione e appropriandolo al mistero eterno della santa Trinità. Costantinopoli II può essere un esempio di come una cristolo gia dall'alto può essere mediata dal basso. Affermare infatti che la Trinità è coin volta nella passione non è una deduzione dell'unione ipostatica, ma viceversa è un modo per sottolineare che proprio la storia concreta di Gesù di N azaret spiega l'unione ipostatica. 8. D concilio Costantinopolitano m (680-681). L'integrità della libera volontà umana di Cristo
8. 1. Gli antecedenti Passarono 127 anni dal concilio di Costantinopoli Il, ma ancora la recezione della dottrina di Calcedonia e del suo corollario di Costantinopoli II non fu pa cifica. La Chiesa antica, soprattutto in Oriente, visse una situazione alquanto dif ferenziata e per tanti versi frammentata. Il problema del monofisismo fu una co stante spina nel fianco e gli animi non si pacificarono tanto facilmente. Così ac cadde anche per il patriarca Sergio di Costantinopoli (610-638), il quale aveva buoni intenti ma, senza volerlo, proponeva soluzioni inadeguate. Egli, muovendo dall'unità morale dell'attività divino-umana di Gesù Cristo, sosteneva soltanto un 'energia naturale divino-umana e una volontà divino-umana in Gesù Cristo. Di fatto il patriarca Sergio di Costantinopoli veniva a sostenere il monotelismo, una formula compromissoria accettata dai seguaci di Severo patriarca d'Antio chia (465-538), ma avversata da coloro che restavano fedeli al concilio di Calcedo nia. Sergio di Costantinopoli riuscì a strappare parere favorevole a papa Onorio I (625-638) circa il monotelismo, anche perché Onorio I non era molto edotto in questioni tanto sottili. La sua fu un'adesione di massima alle posizioni di Sergio di Costantinopoli, ma di fatto provocò un equivoco, poiché il monotelismo fu pre scritto con un editto imperiale (Echtesis) nel 638. Le cose cambiarono però con il successore di Onorio l, il papa Martino I (639655), che per nessun motivo accettò il monotelismo, anzi in un sinodo locale molto importante che si tenne a Roma al Laterano nel 649 (al quale prese parte attiva san Massimo il Confessore) riprovò il monotelismo e si dichiarò apertamente per due volontà e due operazioni in Cristo: la volontà divina e la volontà umana. In fatti dichiarare la duplice volontà in Cristo significava essere coerenti con il conci lio di Calcedonia. Questa fermezza gli costò la deportazione a Costantinopoli, la deposizione da pontefice e l'esilio in Crimea, dove morì di stenti nel 655. Vi furono ancora anni di tentennamenti riguardo a questa dottrina e ci volle il concilio Costantinopolitano III (680-681) per chiarificare meglio ufficialmente le cose.
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8.2. La celebrazione del concilio di Costantinopoli III e la problematica teologica soggiacente Questo concilio fu convocato dall'imperatore Costantino IV in accordo con papa Agatone (678-681). Il concilio durò un anno ( dal 7 novembre 680 al 16 set tembre 681) e si celebrò nella sala a cupola del palazzo imperiale (Trullus, di qui concilio Trullanum ) e la presidenza fu dei legati papali. La situazione storico-poli tica era alquanto precaria, le invasioni degli arabi impedirono la presenza dei pa triarcati di Alessandria e Gerusalemme, quasi per nulla rappresentati. Il Costantinopolitano III riprovò l'errore del monotelismo, difeso da Macario di Antiochia. Alla seduta finale fu presente l'imperatore Costantino IV ( aveva preso parte anche alle prime undici sedute) e venne proclamata una professione di fede dove si dichiarava la dottrina delle due volontà naturali e delle due energie in Cristo, giudicata concorde con i precedenti cinque concili ecumenici. Tutto nacque dall'interpretazione di alcuni testi scritturistici dove veniva di stinta la volontà di Gesù da quella del Padre. Ad esempio: «Sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato» ( Gv 6,38), oppure il famoso passo dell'agonia del Getsemani: «Abbà, Padre ! Tutto è possi bile a te, allontana da me questo calice ! Però non ciò che io voglio ma ciò che vuoi tu» (Mc 14,36). Era importante coordinare queste affermazioni con le definizioni cristologiche dei concili ecumenici, soprattutto con Calcedonia.180 È vero che il Costantinopolitano II cercò di tranquillizzare i monofisiti orien tali, soprattutto attraverso la dottrina dell'enipostasia, ma esistevano ancora pre senze monofisite; ora, come far accettare a queste frange la dottrina che si andava chiarendo circa la volontà di Cristo? I patriarchi Sergio di Costantinopoli e Ciro d'Alessandria ritenevano di aver superato lo scoglio affermando che vi è «una sola operazione teandrica» del Cri sto. Ma, come ho accennato più sopra, la risposta non fu soddisfacente, anzi ri sultò ambigua: infatti se nel suo lato positivo poteva essere intesa nel senso che unico è l'agire concreto di Gesù poiché vi partecipano la sua umanità e la sua di vinità, dall'altro lato non può essere sostenuto che in lui esiste una sola modalità d'azione. Se in Gesù vi fosse una sola operazione, il dogma di Calcedonia delle due nature sarebbe dissolto e si cadrebbe palesemente nel monofisismo. In questo caso la natura umana di Cristo non sarebbe per nulla un principio di attività, poi ché sarebbe del tutto assorbita nel principio divino di azione (monoenergismo ). Il patriarca Sergio di Costantinopoli espose queste idee in una lettera (Psephos, cioè «voto») al patriarca Ciro di Alessandria dove sosteneva che va ignorata sia l'espressione «Una sola operazione», sia l'espressione «due operazioni». Secondo Sergio di Costantinopoli, parlare di due volontà vuol dire metterle in contrappo sizione; la volontà umana risulterebbe essere contraria e resistente alla passione.
180 Per la problematica dell'agonia di Gesù in riferimento al tema delle volontà del Cristo, è ormai un classico il lavoro di F.M. LÉTHEL, Théologie de l'agonie du Christ. La liberté humaine du Fils de Dieu et son importance sotériologique mises en lumière par Saint Maxime Confesseur, Beauchesne, Paris 1979.
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Dunque Cristo - secondo Sergio di Costantinopoli - non può avere due volontà, infatti nell'esperienza più comune dell'umanità, la volontà umana tende sempre a far resistenza al volere divino. Sergio di Costantinopoli interpretava, per esempio, la riluttanza di Gesù, durante l'agonia del Getsemani, alla carne umana che tende a ribellarsi di fronte al volere divino, in senso contrappositivo. Infatti, secondo lui, è impossibile, umanamente parlando, che si possa accettare la sofferenza. Come si può subito constatare, il patriarca Sergio di Costantinopoli, come già Apollinare di Laodicea, non riusciva a concepire una libertà e volontà umana di Gesù, poiché considerava la volontà umana, per definizione, in opposizione a quella divina. Questa precipua visione delle cose poneva interrogativi molto seri, le conseguenze erano piuttosto negative, per non dire disastrose: se Gesù non ha una libera volontà umana, si può dire che egli sia stato veramente uomo? La sua vicenda umana è da considerarsi come una farsa? Egli era teleguidato da una vo lontà divina, senza un'adesione veramente libera del suo essere umano? «La pas sione allora non viene più assunta dall'atto volontario di un uomo libero che si impegna per obbedienza amante nella missione affidatagli dal Padre. Gesù non è più un uomo come noi. Che cosa diventa allora la sua mediazione?».181 Quando Sergio di Costantinopoli inviò il suo Psephos al papa Onorio l, questi piuttosto ingenuamente rispose complimentandosi e aderendo alla proposta, di cendo: «Unam voluntatem fatemur Domini nostri Iesu Christi, quia profecto a di vinitate assumpta est nostra natura, non culpa»:182 nell'unico Cristo quindi vi è una sola volontà. Anche Onorio I restò prigioniero dell'equivoco secondo il quale par lare di volontà altra avrebbe significato affermare una volontà contraria. Fu per questo che Onorio I venne condannato dal concilio Costantinopolitano III con parole forti, usate all'inizio della definizione.183 Questo incidente non fu indolore nella storia della Chiesa e lasciò degli strascichi che provocarono una controver sia destinata a durare a lungo per tutta la storia successiva, soprattutto da parte di chi, più vicino a noi, voleva vedere in questa vicenda l'inconsistenza della pretesa di definire l'infallibilità pontificia. Ma la condanna di Sergio di Costantinopoli e di Onorio colpì un effettivo errore, oppure il contesto nel quale essi vissero equi vocò le loro intenzioni? Chi ha studiato a fondo la questione, come F. Carcione, è convinto che il papa di fatto approvò Sergio di Costantinopoli perché lesse le sue argomentazioni con gli occhi dei progressi della soteriologia latina. Secondo Onorio l, nella persona del Cristo l'umanità esercitava lo stesso thélema, cioè la stessa volontà del Verbo assunta nella sua purezza primigenia, perciò condivideva ipostaticamente la sua azione deliberante con la divinità, sempre nella distinzione delle nature.
181 SESBOOÉ, Gesù Cristo nella tradizione della Chiesa, 173. 182 Denz 486-487. 183 Una ricostruzione e interpretazione della vicenda è stata fatta da F. CARCIONE, Sergio di Co stantinopoli ed Onorio I nella controversia monotelita del VII secolo. Alcuni chiarimenti sulla loro dottrina e su/ loro ruolo nella vicenda, Pontificia Università Lateranense-ISSR «Ecclesia Mater», Roma 1985.
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Purtroppo il calcedonismo integralista non recepì il peculiare contesto cristologico del monotelismo professato da Sergio e avallato da Onorio; ancora una volta il pluralismo terminologico vigente ebbe buon gioco nell'equivoco: a differenza del patriarca e del papa, i loro interlocutori intendevano il thélema come la facoltà appetitiva propria di una natura intellettiva, ovvero la «capacità volitiva in potenza» che era duplice in Cristo, essendo necessariamente distinta quella del Verbo da quella dell'uomo, a meno di non voler intro durre mescolanze di stampo apollinarista o eutichiano. Tale incomprensione determinerà la condanna di Sergio, ma anche di Onorio. 184
8.3. Il ruolo eccezionale di san Massimo il Confessore Lo sbroglio della fastidiosa matassa fu possibile grazie all'opera di Massimo il Confessore, di origine greca e monaco a Cartagine. Proprio la meditazione dell'agonia di Gesù permise a san Massimo di affermare decisamente la volontà umana di Cristo, cercando di coordinare tutto questo con la definizione calcedo nese. Massimo ispirò le più importanti decisioni di quel sinodo locale di Roma che si tenne in Laterano nel 649 per opera di papa Martino l, cui più sopra ab biamo accennato e al quale, come si è più sopra ricordato, il santo teologo parte cipò personalmente. Il testo di questo sinodo locale si compone di un Simbolo e di 20 canoni che ri provano gli errori circa la Trinità e Cristo. Vale la pena anzitutto riportare il testo del Simbolo: E come confessiamo le sue due nature unite senza confusione né divisione, così, confor memente alle nature, affermiamo due volontà, la divina e l'umana, come anche due opera zioni naturali, la divina e l'umana, e questo per confermare perfettamente e senza omis sione che lo stesso e unico Gesù Cristo nostro Signore e Dio è veramente per natura Dio perfetto e uomo perfetto - a eccezione del solo peccato - e che in questo modo egli voleva e costruiva nello stesso tempo divinamente e umanamente la nostra salvezza. 185
Non meno importanti sono i pronunciamenti dei canoni 10 e 1 1 del medesimo sinodo Lateranense: 10. Se qualcuno non confessa, secondo i santi padri, in un senso proprio e vero, due volontà intimamente unite del solo e medesimo Cristo Dio, quella divina e quella umana, poiché con l'una e l'altra delle sue nature egli ha voluto naturalmente la nostra salvezza, sia anatema. 1 1 . Se qualcuno non confessa, secondo i santi padri, in un senso proprio e vero, due operazioni intimamente unite del solo e medesimo Cristo Dio, la divina e l'umana, poiché con l'una e l'altra delle sue nature egli ha operato naturalmente la nostra salvezza, sia anatema. 186
184 CARCIONE, Le eresie, 205; cf. per tutta la questione le pp. 201-210. 185 Denz 500. 1 86 Denz 510.511.
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Giustamente fa osservare A. Amato187 che sono tre i pronunciamenti fonda mentali di questo sinodo: l'affermazione della duplice volontà in Cristo; la con ferma che egli ha voluto umanamente la nostra salvezza; la consequenzialità fra prospettiva ontologica e soteriologica: ciò che Gesù opera, cioè la salvezza, è pos sibile perché egli è perfettamente uomo e Dio. San Massimo Confessore aveva offerto una spiegazione profonda delle due volontà in Cristo, applicando lucidamente il dettato di Calcedonia. Nell'opuscolo n. 9 scrisse: Il Cristo che è per natura ciascuna delle due [nature] - lo stesso è per natura Dio e uomo possiede per natura ciò che è proprio a ciascuna natura: la volontà e l'operazione divine cosl come la volontà e l'operazione umane, e non una sola con l'esclusione di due opera zioni naturali, né un'altra in più delle due che esistono per natura, ciò che farebbe tre operazioni e tre volontà.188
Importante fu anche l'opuscolo n. 6 dedicato alla preghiera di Gesù nel Get semani, dove san Massimo respinse chiaramente e decisamente la tesi secondo la quale nel rifiuto del calice amaro vi è la volontà umana di Gesù contrapposta alla volontà divina e, nell'accettazione, la messa in opera della volontà divina di Gesù. San Massimo il Confessore, per primo, sostenne invece che è proprio la volontà umana a aderire al progetto del Padre che era anche il progetto del Figlio. Mentre il monotelismo vedeva nella passione di Gesù la negazione della volontà umana, san Massimo, al contrario, partiva proprio da qui per affermare la volontà umana del Cristo che si fa accettazione completa della volontà divina. Proprio le parole di Gesù: «Padre, se è possibile allontana da me questo calice, però non ciò che vo glio io ma ciò che tu vuoi» (Mt 26,39) diventarono alla fine rivelatrici del fatto che la volontà umana di Gesù aderì alla volontà del Padre e sua, in quanto Verbo del Padre, e cioè che gli uomini potessero essere salvati: Se invece tu intendi l'espressione: «Non si attui ciò che io voglio, ma la tua volontà» come proveniente non dall'uomo che è come noi, ma da quello considerato il Salvatore, allora tu proclami il sommo consenso della volontà umana con la volontà divina di lui e del Padre e riconosci due volontà e operazioni sussistenti per natura di colui che è duplice rispetto alla natura e non contiene contraddizione di alcun genere in nessuna delle due, anche se possiede la distinzione naturale in tutto ciò da cui e in cui e rispetto a cui egli stesso era secondo natura [ ] Perciò, divenuto per noi come noi, diceva in modo umano a Dio e Padre: «Non si attui la mia, ma la tua volontà», poiché egli, che è per natura Dio, anche come uomo aveva come volontà l'adempimento della volontà del Padre. Di conseguenza, secondo entrambe le nature da cui e in cui e di cui era costituita la sua persona, si rivelava essere colui che naturalmente vuole e opera la nostra salvezza: da un lato, acconsentendo a questa insieme con il Padre e con lo Spirito; dall'altro, facendosi ubbidiente per questa al Padre fino alla . . .
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187 AMATO, Gesù il Signore, 334. 188 PG 91,1 17CD.
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morte, e alla morte di croce e realizzando lui stesso mediante il mistero dell'incarnazione il grande piano di salvezza per noi.189
Tutto questo e il contributo che egli diede al sinodo Lateranense del 649 co starono al santo confessore esilio e sofferenze. Quando, dopo la sua permanenza a Roma, ritornò a Costantinopoli nel 653, venne arrestato, processato ed esiliato temporaneamente in Bitinia. Venne ancora processato nel 662 e dopo le orribili mutilazioni della lingua e della mano destra morì a Lanzika sul Mar Nero nello stesso anno.190
8.4. Il dettato del Costantinopolitano III Dopo le chiarificazioni di san Massimo e del sinodo Lateranense, la strada era spianata verso le definizioni di Costantinopoli III, il quale riprese decisamente la dottrina di Calcedonia e la ampliò passando dall'affermazione delle due nature in Cristo all'affermazione delle due volontà naturali e delle due operazioni naturali. Soprattutto nella conclusione finale troviamo applicati alla volontà di Cristo gli stessi avverbi calcedonesi utilizzati per delimitare il rapporto tra le due nature: «senza divisione, senza separazione, senza cambiamento e senza confusione». La volontà umana non è diminuita dalla volontà divina, essa viene divinizzata, ma sal vaguardata nella sua specificità, così come la natura umana non veniva soppressa dall'unione ipostatica, ma mantenuta nella sua peculiarità. La definizione di fede del concilio di Costantinopoli III si presenta come un tutto unico, ma possiamo effettuare alcune sottolineature per comprenderne me glio tutta la ricchezza. - Anzitutto si ripetono i simboli di Nicea e di Costantinopoli, si nominano i fautori delle eresie precedenti, e si denuncia la nuova eresia del monotelismo (si condanna anche il defunto Onorio). Letteralmente il testo riprova «l'ere sia di una sola volontà e di una sola attività in relazione con le due nature di una persona della santa Trinità, il Cristo nostro vero Dio [ . . . ]. Questa ere sia ha tentato di togliere di mezzo con invenzioni fraudolente la perfezione dell'incarnazione dello stesso e unico Signore Gesù Cristo nostro Dio, intro ducendo, quindi, in modo insensato l'idea che la sua carne fosse senza vo lontà e senza attività propria, benché fornita di vita intellettuale».191
189 MASSIMO IL CONFESSORE, Meditazioni sull'agonia di Gesù, tr., intr. e note a cura di A. CERESA GASTALDO, Città Nuova, Roma 21996, VI, 18.19 (PG 91,68C). 190 «Massinlo era monaco, ma non prete; la sua vita esemplare, coronata con simile testinlonian za, lo rende particolarmente affascinante, specie come ponte tra Oriente e Occidente, siccome sof frì accanto a un papa romano, san Martino I e per un caposaldo dell'ortodossia, com'è l'integrità della persona di Cristo» (E. G. FARRUGIA, >, in Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques 81(1997), 21-56. MuRPHY F.X. - SHERWOOD P., Constantinople II e III, Ed. de l'Orante, Paris 1974. PERRONE L., La Chiesa di Palestina e le controversie cristologiche. Dal concilio di Efeso (431) al secondo concilio di Costantinopoli (553) , Paideia, Brescia 1980. PoGGI V., «La controverse des Trois Chapitres», in Istina 43(1998), 99-1 10. STUDER B., «L'impatto del dogma di Calcedonia nella riflessione teologica fra IV e V concilio Ecumenico», in A. DI BERARDINO - B. STUDER, Storia della Teologia. 1: Epoca Patristica, Piemme, Casale Monferrato 1993, 511-581 . ToRRANCE J.R., Christology after Chalcedon. Severus of Antioch and Sergius the Monophysite, The Canterbury Press, Norwich 1998. CHEDAT G.,
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7. Concilio di Costantinopoli III P.M., Exegesis and Spiritual Pedagogy in Maximus the Confessar: an Investigation of the «Quaestiones ad Thalassium», University of N otre Dame Press, Notre Dame 1991. CARCIONE F., Sergio di Costantinopoli ed Onorio I nella controversia monotelita del VII secolo, Ecclesia Mater - Pontificia Università Lateranense, Roma 1985. CoNTE P., «> infinita. L'uomo non è in grado di operare un tale riscatto essendo per se stesso incapace di compiere un'opera di merito infinito. A partire esattamente da qui si spiega «perché» c'è stato bisogno di un uomo-Dio: Cur Deus homo? Per l'incarnazione, Dio si fa uno della nostra carne, che in forza della sua dignità personale divina è in grado di compiere atti di merito infinito, adempiendo così una «infinita soddisfazione». La teoria anselmiana ha avuto discreto successo nella teologia cattolica. In che senso essa va reinterpretata perché non scada in una visione «giuridicista», per cui l'opera della redenzione potrebbe quasi apparire la conseguenza di un contratto stipulato e onorato? Cercheremo, più avanti, di rispondere a questa domanda, soprattutto dando uno sguardo a come le eredità anselmiane non si siano sempre ispirate correttamente a sant'Anselmo. Per quanto riguarda il discorso su Cristo e il motivo per cui Dio ha scelto di unirsi a un essere umano, le argomentazioni del Cur Deus homo? anselmiano sono state spesso intese male, perché non considerate insieme alle motivazioni più profonde di quel «id quo maius cogitaci nequit» del Proslogion. Di questo si sono accorti studiosi più vicini a noi i quali, ristabilendo la reale portata dell'ar-
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gomento anselmiano,9 hanno intravisto come le «ragioni» dell'incarnazione non stiano in una deduzione dialettica, quasi che l'operato di Cristo sia un'esigenza della ragione, bensì nella dinamica del desiderio di Dio che anima l'uomo e della dignità dell'essere umano che, per essere salvaguardata e onorata, riconosce solo nel Dio-uomo la sua vocazione e configurazione.10 L'eredità anselmiana non riu scì ad andare al di là dello schema concettuale feudale, che certamente condizionò sant'Anselmo, ma non lo catturò. Occorreva chiedersi che cosa stava sotto, qual era il perché di quella concezione, quasi si trattasse di ristabilire la giustizia verso un signore (Dio Padre in questo caso), restituendogli un bene di cui il peccato dell'uomo l'aveva privato. Secondo una tale visione, Cristo si sarebbe sostituito a noi e il prezzo del risarcimento sarebbe stata la sua morte sacrificale. Visione an gusta e difficilmente accettabile anche da uno spirito cristiano ! Valenti storici del pensiero medievale, come Jean Leclercq, hanno mostrato magistralmente come la risoluzione decisiva del pensiero di Anselmo vada ricercata nella modalità tipica dell'essere di Dio e dell'uomo e cioè la libertà. L'essere umano è tale per la sua di gnità che è possibile solo nell'incontro con la libertà di Dio. Questi rispetta e prov vede a questa libertà partecipata, che mai schiaccia o manipola a suo piacimento. L'incarnazione del Figlio di Dio viene così a spiegarsi antropologicamente e a fon darsi teo-logicamente: soltanto un Dio-uomo può ridare onore e dignità all'essere umano, perché lo rappresenta e lo fa crescere a una misura eccelsa: Grazie all'opera di Cristo, l'onore dell'uomo coincide con l'onore di Dio. Giovanni di Fécamp aveva scritto che in Cristo «è la nostra carne che ci ama» (caro nostra nos diligit). Allo stesso modo per Anselmo, in Cristo, è l'esercizio della nostra libertà umana, unita a Dio che ci libera. Da qui l'ottimismo della soteriologia di Anselmo. La vetta, il capolavoro dell'umanesimo è per lui, infatti, l'incarnazione di Dio in Gesù Cristo.U
Questa riscoperta della mediazione umana, nell'accostarsi al mistero di Dio e di Cristo, costituisce un filone fecondo per bene interpretare il pensiero di Anselmo. In questa linea si muove oggi parte della storiografia su Anselmo, nell'intento di partire da una certa concezione dell'essere umano per agganciare il tema di Dio e di Cristo. Si può fare questo, ricostruendo il modello antropologico sotteso al pensiero del nostro, nella certezza che esiste davvero un'antropologia in Anselmo d'AostaP Occorre essere fermamente consapevoli che l'antropologia anselmiana
9 A. MoLINARO, «"Unum argumentum". La peculiarità del pensiero di Dio>>, in Io., Frammenti di una metafisica, Ed. Romane di Cultura, Roma 2000, 19-46. 10 P. GI LBERT, Introduzione alla teologia medioevale, Piemme, Casale Monferrato 1992, 92-96. Di questo autore si vedano, tra gli altri studi, le importanti monografie: Dire l'Ineffable. Lecture du >, in Divus Thomas 45(2006)3, 13-54, soprattutto laddove afferma: «È sintomatico che alla fine della sua vita, quando decide di raccoglieme il senso e di trasmetterlo in un unico gesto all'umanità, non dica: "Prendete, questa è la mia anima", ben sì "Questo è il mio corpo" (Mc 14,22 e par.). La corporeità appare in tal modo la cifra riassuntiva dell'evento di Gesù anche in quanto si trasmette lungo la storia a tutti gli uomini, attraverso la pre senza del suo corpo glorificato nel corpo eucaristico e nel corpo eccclesiale>> (ivi, 43). 19 Riportiamo qui solo una bibliografia indicativa (e incompleta) della tematica richiamata alla quale ci siamo maggiormente riferiti: M. ANTONELLI, Alla ricerca del corpo perduto. Un tentativo di riflessione, Àncora, Milano 2004; J. BASTAIRE, Eros redento, Qiqajon, Magnano (BI) 2005; X. LA CROIX, Il corpo di carne. La dimensione etica, estetica e spirituale dell'amore, EDB, Bologna 2001; G. LAITI, «Il corpo nell'intelligenza della fede. La fede cristiana come grazia di vivere unificati>>, in Espe rienza e teologia 19(2004), 18-31; J. LE GoFF - N. TRUONG, Il corpo nel Medioevo, Laterza, Bari 2005; V. MELCHIORRE, Corpo e persona, Marietti, Genova 1987; lo., Il corpo, La Scuola, Brescia 1984; E. MOLTMANN-WENDEL, Il mio corpo sono io. Nuove vie verso la corporeità, Queriniana, Brescia 1996; R. PENNA, «Corpo e storia. Luoghi della rivelazione biblica>>, in Hermeneutica. Annuario di filosofia e teologia, Morcelliana, Brescia 2007, 201-223; R. REPOLE (a cura), Il corpo alla prova dell'antropo logia cristiana, Glossa, Milano 2007; J.A .T. RoBINSON, Il corpo. Studio sulla teologia di San Paolo, Gribaudi, Torino 1967; S. SPINSANTI, Il corpo nella cultura contemporanea, Queriniana, Brescia 1984. 20 «Questo esito sembra inversamente proporzionale, invece, al fervore interno al tema che è av venuto nella riflessione filosofica, e non solo, del Novecento>> (F. G. BRAMBILLA, «>, in R. REPOLE [a cura di] , Il corpo alla prova dell'antropolo gia cristiana, Glossa, Milano 2007, 147), e ancora: «La ripresa del tema del corpo nell'antropologia teologica resta per molti versi un compito ancora da svolgere>> (ivi, 176). 21 Cf. l'intero saggio di BRAMBILLA, «>, 147-185, e in particolare, per una ripresa - in positivo - del tema del corpo nell'antropologia teolo gica, 176-185.
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positivo si può invece segnalare che una ritrovata visione più dinamica e realistica del mistero dell'Incarnato non può che far emergere come la corporeità umana, in tutto il suo realismo, non sia altro che il rispecchiamento nell'immagine del Verbo divenuto carne, l'unico che dà senso contemporaneamente al suo spessore e alla sua trasparenza. Lavorando a livello teologico per una corretta imposta zione del rapporto incarnazione-antropologia, si otterrà certamente un risultato confortante, quello di mostrare la bellezza della proposta cristiana di poter vivere unificati, pur nella consapevolezza che permane sempre negli esseri umani di ieri e di oggi, il timore di un Dio vicino che non disdegna di prendere un corpo e spor carsi le mani nel dramma dell'esistenza. Ma è proprio l'intera esistenza del Figlio di Dio, nel suo mistero della carne umana, che va interpretata nel senso di «ritro vamento» della nostra corporeità, che qui davvero significa la nostra esistenza sto rica. Olegario Gonzalez de Cardedal è arrivato ad affermare che «il mito, la magia e la metafisica aborriscono più d'ogni altra cosa la carne. Il cristianesimo, invece, si fonda su queste realtà: l'incarnazione di Dio, l'eucaristia della Chiesa, la risur rezione della nostra carne. Il cristianesimo è positività, storia, persona: non pura idea, non mito, non ideologia. Il mantenersi fedele a questa prospettiva rappre senta la sua salvaguardia perenne».22 2.2. L'unione ipostatica ripensata in senso relazionale
In secondo luogo, quasi un corollario di quanto appena richiamato, e sempre nell'ambito del significato in se stesso del mistero dell'Incarnato, va segnalato che nella recente letteratura cristologica si sta sviluppando un benefico ripensamento del mistero dell'unione ipostatica, ri-compresa secondo un orizzonte re/azionale. Non è certo difficile individuare il perché di questa linea di tendenza, infatti è fin troppo risaputo che essa vuole evitare il rischio insito nella cristologia cattolica occidentale la quale, sulla falsariga della definizione di Calcedonia, ha prevalen temente interpretato l'unione ipostatica nell'orizzonte di una speculazione anto logica e ne ha fatto sempre, per lo più, oggetto di una discussione «intra-cristolo gica». A smuovere le acque sono stati alcuni lavori di teologi come Pannenberg che, mostrando le aporie della dottrina delle due nature, cercarono di reinterpre tare l'unione ipostatica nel contesto di un pensiero più relazionale e dinamico. La posizione di Pannenberg divenne emblematica e influenzò non poco il dibattito.23
22 O. GONZALEZ DE CARDEDAL, Cristologia, San Paolo, Cinisello Balsamo 2004, 404. L'autore per suffragare la sua tesi cita (sempre alla p. 404) una bella considerazione di Bremond sulla dottrina dell'incarnazione di Newman, che vale la pena sia qui riportata: «La più splendida delle invenzioni divine è di avere escogitato un mezzo sicuro e autorevole per salvarci dall'indefinito e dall'astratto, per rendere la nostra religione concreta e viva. Un Dio incarnato non corre pericolo di mutarsi in una formula. Il nostro rapporto con lui o è personale, o non esiste. Invisibile come un ricordo, ma più reale di ogni creatura visibile, questo Dio incarnato costituisce il cuore della devozione di Newman (H. BREMOND, Newman, Paris 1906, 241-242)». 23 W. PANNENBERG, Cristologia. Lineamenti fondamentali, Morcelliana, Brescia 1974. Ci rife riamo qui al capitolo 8 (dove l'autore mette in evidenza le aporie della dottrina delle due nature e propone l'unità di Gesù con Dio nel senso che Gesù è Dio, in quanto è quest'uomo, cf. pp. 385-447),
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Ma anche la cristologia cattolica, sebbene attraverso itinerari tra loro diversi, av vertì l'urgenza di cambiare registro e lo cominciò a fare proponendo un'interpre tazione trinitaria re/azionale dell'unione ipostatica. Andrebbero qui compulsate le diverse proposte cristologiche di H.U. von Balthasar, D. Wiederkehr, W. Kasper, M. Bordoni, B. Forte, le stimolanti intuizioni di J. Ratzinger in alcuni saggi, ma già nella sua Introduzione al cristianesimo, laddove segnala il bisogno di parlare dei misteri principali della fede al di là della categoria di «sostanza».24 Differenze di metodo tra i vari autori, abbiamo detto, ma anche convergenza su alcuni punti fondamentali; nel caso specifico, quello di trovare nel rapporto vitale tra Gesù e il Padre il punto di forza per rileggere il mistero dell'unione ipostatica.25 Chi ha scelto la prospettiva storica, ha fatto dell'intera narrazione della vicenda del Naza reno, dalle origini fino alla croce e risurrezione, quel principio architettonico che «dal basso» recupera letteralmente le affermazioni dogmatiche e, nel caso dell'in carnazione, ne fa lo sfondo e la dimensione profonda della vita di Gesù. La storia e il destino di Gesù lo fanno comprendere come Figlio del Padre, Dio che ha vis suto sulla terra non solo alla stregua di un uomo, ma uomo fino in fondo. Altri ap procci, come quello di Balthasar, sono partiti «dall'alto» e hanno spiegato l'unione ipostatica come rivelazione del rapporto intra-trinitario tra Figlio e Padre nello Spirito. L'incarnazione del Figlio di Dio, in questo caso, non sarebbe altro che l'attuazione storica delle relazioni intratrinitarie tra Padre e Figlio nello Spirito.26 La risultante di queste diverse impostazioni (ne abbiamo richiamato solo al cune) converge comunque su alcuni dati, per esempio sul fatto che l'unione ipo statica, prima che come rapporto tra natura divina e natura umana di Cristo, va ri letta come rapporto trinitario-relazionale, cioè come relazione di Gesù Cristo con il Padre. Fin qui però stiamo proponendo un itinerario in parte realizzato. Ma in che senso la prospettiva relazionale, attraverso la quale occorre rileggere l'unione ipostatica, può aprire piste inedite di ricerca nell'odierna navigazione della cristo logia? Sembra che, sia sul versante storico-patristico che su quello speculativo, vi siano ancora spazi di ricerca. - Sul piano storico-patristico andrebbe maggiormente compulsata e rimessa in circolo tutta la tematica relativa al rapporto Padre-Figlio che era stata ristretta dalla prospettiva provocata da Calcedonia, fissata quasi esclusivamente sulla co stituzione intrinseca del Cristo e nella relazione persona-natura. C'è da chiedersi se tutta la ricchezza dei padri su argomenti del genere abbia davvero interagito con la riflessione speculativa. E anche da un punto di vista ermeneutico ci si do-
e al capitolo 9 (dove l'unità di persona di Gesù con Dio viene presentata soltanto attraverso la co munione di persona col Padre. Questa è l'unica via, secondo Pannenberg, per dimostrare che Gesù è Figlio di Dio, cf. pp. 449-510). 24 J. RATZINGER, Introduzione al cristianesimo. Lezioni sul simbolo apostolico, Queriniana, Bre scia 1971, 139-141. 25 Cf. P. HDNERMANN, «Figlio di Dio nel tempo. Abbozzo di un concetto)), in Problemi fonda mentali della cristologia oggi, a cura di L. ScHEFFCZYK, Morcelliana, Brescia 1983, 143. 26 H.U. voN BALTHASAR, «Mysterium paschale)), in J. FEINER - M. LOHRER (a cura di), Mysterium salutis, 6: L 'evento Cristo, Queriniana, Brescia 1971, 284-288; 341-356.
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manda se davvero è stata resa giustizia ad autori come sant'Agostino e poi san Tommaso, troppo sbrigativamente segnati a dito come responsabili di quella let tura sostanzialistica sia del mistero dell'incarnazione che del mistero trinitario.27 Anche una rilettura dei concili della Chiesa antica, in particolare Calcedonia, fatta senza pregiudizio, può contribuire a un'attualizzazione di quelle dottrine, perché operata con una sensibilità più storico-ermeneutica. Aveva già tentato l'impresa Alois Grillmeier, il quale si era sforzato di superare l'alternativa tra sacra Scrit tura e antologia, tra piscatorie e aristotelice;2B hanno proseguito poi altri studiosi, con una sensibilità storico-patristica e sistematica insieme. Alludo, ad esempio, ai lavori di B. Sesbotié,29 di R. Cantalamessa,30 A. Amato,31 L.F. Ladaria32 che ten dono a valorizzare al massimo la lezione di Calcedonia per la grande idea che ha portato alla teologia, cioè la perfezione dell'umanità di Gesù a causa della sua mas sima unione con il Verbo. La dottrina dell'incarnazione del Verbo ci dice fino in fondo ciò che significa la vita umana di Gesù per Dio. Essendo portata questa vita, nella sua più grande profondità, dal Figlio di Dio, la Verità divina, la vita di Gesù rivela la verità sull'uomo. La Verità di Dio e la verità dell'uomo non sono in Gesù due verità separate, ma una sola verità filiale, che assume la differenza fra l'uomo e Dio [ . . . ]. Il concilio di Calcedonia afferma la pienezza e la perfe zione dell'umanità di Cristo proprio perché è l'umanità di Dio. 33
Gli studi già fatti e che si potranno fare sul versante storico-patristico34 po tranno senz'altro confermare nella strada già intrapresa, e cioè che la perfezione dell'umanità di Gesù è davvero valorizzata a causa, e non malgrado, la dottrina dell'unione ipostatica: e questo grazie anche all'insegnamento di Calcedonia e dei
27 Per una lettura più critica che svincoli sant'Agostino dalle presunte responsabilità accennate, cf. per la teologia trinitaria P. SGUAZZARDO, Sant'Agostino e la teologia trinitaria del XX secolo. Ri cerca storico-ermeneutica e prospettive speculative, Città Nuova, Roma 2006. 28 A. GRILLMEIER, Gesù Cristo nella fede della chiesa, U2: Dall'età apostolica al concilio di Cal cedonia (451) , Paideia, Brescia 1982, 969-981; In., Ermeneutica moderna e cristologia antica. La discussione attuale sulla cristologia calcedonese, Queriniana, Brescia 1973 (soprattutto la seconda parte dell'opera). 29 B. SESBOUÉ, «Le procès contemporain de Chalcédoine. Bilan et perspectives», in Révue de Science Religieuse 65(1977) , 45-80; In., Gesù Cristo nella tradizione della chiesa. Per una attualizza zione della cristologia di Calcedonia, Paoline, Cinisello Balsamo 1987 (mi riferisco alla parte III del volume). 30 R. CANTALAMESSA, Dal kerygma al dogma. Studi sulla cristologia dei padri, Vita e Pensiero, Milano 2006. Al nostro scopo vanno ben ponderati il capitolo I e anche i capitoli II e III. 31 A. AMATO, Gesù il Signore. Saggio di cristologia, EDB, Bologna 51999, 300-308; 449-466. L'au tore è particolarmente sensibile a considerare Calcedonia sotto il profilo ecumenico e perciò a inter pretarlo come base di dialogo con le Chiese «non calcedonesi». Su questo specifico tema cf. anche A. OLMI, 11 consenso cristologico tra le chiese calcedonesi e non-calcedonesi (1964-1996), Pontificia Università Gregoriana, Roma 2003. 32 L.F. LADARIA, «La recente interpretazione della definizione di Calcedonia», in Path 2(2003), 321-340. 33 lvi, 333-334. 34 Cf. PONTIFICIA UNIVERSITÀ DELLA SANTA CROCE, 1/ concilio di Ca/cedonia 1550 anni dopo, a cura di A. DucAY, LEV, Città del Vaticano 2003; M.R. PECORARA MAGGI, Il processo a Ca/cedonia. Storia e interpretazione, Glossa, Milano 2006.
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suoi epigoni.35 Certamente è anche onesto riconoscere i limiti di Calcedonia, so prattutto se ci si fissa sui termini ipostasi, persona, natura, senza una più intensa fedeltà al Nuovo Testamento. Una saggia metodologia, in cristologia sistematica, sarà capace di non buttare a mare i summenzionati concetti, ma di intenderli come punto d'arrivo di un itinerario che rimanda necessariamente alla storia concreta di Gesù di Nazaret.36 L'equilibrio non sarà mai facile, ma sempre una sfida appas sionante. - E la sfida si presenta proprio sul versante speculativo, nella ricerca di una ri comprensione relazionale dell'unione ipostatica. La testimonianza della Scrittura su Cristo andrà riformulata con categorie che non dissolvano la teologia in filo sofia, ma che ricavino dalla teologia un'ontologia che comprenda l'essere come relazione, anziché la sostanza o la soggettività.37 Si tratterà di elaborare teoretica mente come la categoria di relazione possa essere adatta a interpretare quel rac conto di Gesù di Nazaret, dove la pro-esistenza diventa centrale per comprendere tutta la portata della sua vicenda. Il modo relazionale di recepire il significato dell'unione ipostatica non è altro che la traduzione del linguaggio che narra l'at titudine di Gesù a vivere ed essere colui che per eccellenza è l'Essere-per-l'altro, perché dall'Altro. Questa dimensione dell'alterità, tipica di Gesù e costitutiva del suo essere, può diventare figura portante, dal punto di vista speculativo, nella ca tegoria di relazione. È stato fatto notare che va superata su questo punto anche la visione classica e quella più aggiornata di K. Rahner, che pure tanto si era adope rato per fare di Calcedonia non solo un punto di arrivo, ma soprattutto un punto di partenza.38 Sia la categoria di «natura» che quella moderna di «soggetto» non riescono a rendere ragione della relazione speciale di Cristo a noi nella nostra si tuazione di peccato che deve essere riscattato. Occorrerà allora integrare la no zione di relazione, cioè esse ad aliud, la quale dice meglio chi è Cristo già in se stesso e per gli esseri umani. Il concetto di relazione, per la verità, lo si ritrova già nell'orizzonte del Dio trinitario, dove l'unità essenziale è comunione relazionale
35 Giustamente fa rilevare LADARIA, «La recente interpretazione della definizione di Calcedo nia», 332, che non sarebbe possibile concepire la dottrina del Vaticano II di Gaudium et spes 22 (ma anche 38, 42, 45) sul rapporto antropologia-cristologia se non in continuità con i concili cristologici antichi. 36 In questo senso: M. BoRDONI, «L'esperienza di Gesù e la fede dogmatica di Calcedonia», in Lateranum 65(1999), 507-529. 37 B. HILBERATH - T. SCHNEIDER, «Gesù Cristo/Cristologia. Punto di vista sistematico», in EICHER (a cura di), I concetti fondamentali della teologia, Il, 379. 38 Ci riferiamo qui al noto saggio di K. RAHNER, «Chalkedon. Ende oder Anfang?», del 1954, pubblicato nell'opera collettanea in tre volumi di H. BACHT - A. GRILLMEIER, Das Konzil von Chalkedon, Echter-Wtirzburg 1951-1954, per l'anniversario del concilio di Calcedonia. Questo sag gio è stato poi pubblicato nei suoi Schriften zur Theologie sempre nel 1954 e in traduzione italiana in K. RAHNER, Saggi di cristologia e mariologia, Paoline, Roma 1965, 3-91. Questa posizione di K. Rahner è stata lucidamente presentata e discussa da G. RuGGIERI, La verità crocifissa. Ilpensiero cri stiano di fronte all'alterità, Carocci, Roma 2007, 191-198, il quale, pur riconoscendo gli indubbi meriti a Rahner, ritiene datata la sua posizione come «un racconto senza storia», poiché interpreta l'evento Cristo non a partire da ciò che Gesù di Nazaret era effettivamente stato e dalla comprensione cre dente della prima generazione cristiana, ma muovendo da una filosofia del soggetto.
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(p erich6resis ed ékstasis nel senso di mutuo scambio e relazione all'altro); adesso c'è da domandarsi: perché la categoria di relazione è più idonea a spiegare tutta la ricchezza dell'unione ipostatica? E come questa categoria di relazione dovrà pre dicarsi anche dell'unione ipostatica? Riguardo alla pertinenza della categoria di relazione per far emergere la ric chezza dell'unione ipostatica, basta qui affermare con chiarezza che ciò che Gesù è nel suo rivelarsi come amore crocifisso ( kénosis) per noi e per la nostra salvezza, traduce ciò che egli è in se stesso. Nell'unione ipostatica viene posta in essere la relazione costitutiva della persona del Verbo, quella relazione non solo che ha definito Gesù in tutta la sua vicenda fino al dramma, ma che è Gesù stesso nei confronti del Verbo eterno nel mistero trinitario. La relazione all'altro, manife statasi storicamente, viene vissuta costitutivamente nell'assunzione dell'umanità da parte del Verbo.39 Riguardo alla seconda domanda, vale a dire: come questa categoria di relazione dovrà predicarsi anche dell'unione ipostatica, si dovrà dire che il discorso qui si allarga a orizzonti più ampi, infatti l'impiego della categoria di relazione per l'unione ipostatica coinvolge il modo di concepire la relazione in ordine al mistero trinitario. 2.3. Il mistero dell'Incarnato in un orizzonte trinitario
Siamo così giunti al terzo nodo cruciale e cioè all'affermare che la centralità del mistero dell'Incarnato apre a un orizzonte trinitario. Questo lo stiamo già consta tando appunto nel concepire in senso relazionale l'unione ipostatica. Una recente letteratura teologica in proposito40 sta evidenziando che nel mistero dell'uomo Dio si svela quella modalità della relazione intra-trinitaria in cui la sostanza non è concepibile senza la relazione e viceversa. L'esse per se diventa inconcepibile senza l'esse ad aliud. A partire dall'unico Principio senza principio che è il Padre (Arché anarchos ) , si dà la relazione costitutiva che è il Figlio nello Spirito. Questa mutua relazione nella Trinità è la sostanza di Dio stesso. Ebbene, questa vita sostanziale sussistente in quanto relazione, si manifesta nella speciale relatio assumpta del Fi glio che prende carne umana (la stessa dell'uomo peccatore). La relazione assunta del Figlio non può mai essere separata dalla relazione sussistente del Figlio al Pa dre e allo Spirito, perciò dalla relazionalità trinitaria: «È quindi la vita trinitaria
39 RuGGIERI, La verità crocifissa, 227 nota 38, mette in evidenza che esiste una triplice relazio nalità che coinvolge il Verbo: la relazione trinitaria del Verbo al Padre e allo Spirito; la relazione del Verbo con l'umanità di Gesù, la relazione all'altro che costituisce l'umanità storica di Gesù. Opportunamente l'autore distingue quest'ultima relazione dalla relazionalità corrotta che è co stitutiva del soggetto umano concretamente esistente. Precisa però che l'essenza della persona di Gesù che si manifesta nella pro-esistenza radicale è relazione costitutiva e non aggiuntiva del sog getto/sostanza. 40 Cf. le riflessioni in proposito di RuGGIERI, La verità crocifissa, 200-202; R. REPOLE, Il pensiero umile. In ascolto della Rivelazione, Città Nuova, Roma 2007, 75-82; P. GAMBERINI, Questo Gesù (At 2,32) . Pensare la singolarità di Gesù Cristo, EDB, Bologna 2005, 245-255.
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ciò che rende possibile il costituirsi dell'evento cristologico come pro-esistenza, come esse pro peccatoribus, come esse ad aliud di Gesù di Nazaret».41 Ma non è soltanto per il nuovo modo relazionale di intendere l'unione iposta tica che il mistero dell'Incarnato ha condotto e condurrà a mantenere sempre vivo il discorso nell'orizzonte trinitario. Il cammino della cristologia sistematica - si è constatato - si è evoluto in modi multiformi e da punti prospettici differenti tra loro. Un elemento determinante che ha non poco influito è stato il rinnovamento degli studi escatologici e pneumatologici. Possiamo perciò affermare che è proprio quest'ultima sensibilità ad avere contribuito per una lettura ritrovata dell'incar nazione in prospettiva trinitaria. Richiamerò brevemente gli immensi guadagni per il tema dell'incarnazione riletto nell'orizzonte di pensabilità pneumatologico.42 Il cammino fin qui operato a partire dall'impulso di Heribert Mtihlen che, senza esitazione, concepiva !'«evento di Cristo come atto dello Spirito»,43 che è passato attraverso i fondamentali contributi di von Balthasar, Congar, Durrwell, Kasper, Bordoni, per citare autori ormai classici,44 oggi viene declinato con altri fattori che si sono presentati nell'odierna temperie culturale. In questo senso si può sostenere che la riscoperta della pneumatologia è determinante per la stessa conoscenza del Cristo in un'interazione tra «affettività» e «intelletto» che sa valorizzare il meglio della tradizione medievale e spirituale della storia cristiana. L'uomo spirituale giudica ogni cosa perché, in forza della carità, è un unico spirito con Dio. L'apporto affettivo della carità nel credente si pone pertanto all'interno del sapere per via di giudizio. L'amore, come dono dello Spirito, è fonte di conoscenza non nel senso che esso direttamente conosca alcunché, ma in quanto offre un ambito nuovo alla cono scenza: l'appetibilità del concreto che il semplice intelletto non è capace di raggiungere da solo [ . . . ]. La vera conoscenza del Cristo si raggiunge allora solo attraverso la notizia che
41 RuGGIERI, La verità crocifissa, 202. 42 Cf. i due saggi complementari apparsi contemporaneamente di A. Cozzi, «Il Logos e Gesù. Alla ricerca di un nuovo spazio di pensabilità dell'Incarnazione», in La Scuola Cattolica 130(2002), 77-116, e di F.G. BRAMBILLA, «Il Gesù dello Spirito e lo Spirito di Gesù», in La Scuola Cattolica 130(2002), 161-210. 43 H. MOHLEN, «L'evento Cristo come atto dello Spirito Santo», in FEINER - LOHRER (a cura di), Mysterium salutis, 6: L'evento Cristo, 645-684. 44 Ci riferiamo qui a saggi e opere di carattere pneumatologico degli autori menzionati: H.U. VON BALTHASAR, Spiritus creator. Saggi teologici, Morcelliana, Brescia 21983, vol. III; ID., Teologica, 3: Lo Spirito della verità, Jaca Book, Milano 1992; Y. CoNGAR, Credo nello Spirito Santo, Querinia na, Brescia 1998 (nuova edizione rispetto a quella comparsa in tre volumi presso la Queriniana tra il 1981-1983); ID., «Pour une cristologie pneumatologique», in Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques 63(1979), 435-442; W. KAsPER, «La chiesa come sacramento dello Spirito», in W. KA SPER G. SAUTER, La chiesa luogo dello Spirito. Linee di ecclesiologia pneumatologica, Queriniana, Brescia 1989, 69-89; ID., «Spirito-Cristo-Chiesa», in L'esperienza dello Spirito. Scritti in onore di E. Schillebeeckx, Queriniana, Brescia 1974, 58-81; F.X. DuRRWELL, Lo Spirito Santo alla luce del miste ro pasquale, Paoline, Alba 1984; M. BoRD ONI, La cristologia nell'orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia 1995. Per una panoramica alla luce del rinnovamento generale della pneumatologia, cf. F. LAMBIASI - D. VITALI, Lo Spirito Santo: mistero e presenza. Per una sintesi di pneumatologia, EDB, Bologna 2005 (si tratta della seconda edizione interamente riveduta), soprattutto il capitolo 3 della Parte Il. -
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dona l'amore e che costituisce la «conoscenza come Sapienza» propria della fede. Essa comprende sia l'illuminazione dell'intelligenza che l'affetto del cuore.45
Ma c'è di più. Nell'orizzonte di pensabilità pneumatologico, il mistero dell'In carnato viene ritrovato e si viene a creare un prezioso ri-equilibrio metodologico, per l'affermazione di un cristocentrismo teocentrico. Va dato atto al benefico im pulso delle intuizioni, in proposito, contenute nel documento Cristianesimo e re ligioni (1997) della Commissione teologica internazionale che ha ispirato non po che ricerche e che non sarebbe stato possibile senza una rimessa in onore della pneumatologia. L'evento Cristo, proprio perché evento penumatologico-escato logico, fa riscoprire tutta la portata del mistero trinitario come mistero di dona zione e reciprocità. Il ripensamento in senso re/azionale della centralità del Cristo, possibile in un orizzonte trinitario, permetterà sempre più di impostare corret tamente il tema dell'alterità, da non considerarsi come minaccia, proprio in virtù dei misteri principali della fede cristiana, che esprimono l'unità nella diversità, la comunione nella relazione, sebbene a livelli e in gradi differenti. I problemi che si vengono oggi a creare nel dialogo interreligioso, e più in generale nella riduzione relativistica nei confronti dell'assolutezza della verità, possono trovare risposta ri percorrendo la stessa strada del Dio incarnato e crocifisso che si manifesta nella relazione all'altro e con l'altro, senza assorbirlo o eliminarlo. 2.4. L 'Incarnato e il mistero antropologico di «filializzazione»
In quarto luogo il mistero dell'Incarnato, nel suo realismo del «prendere carne da parte del Logos)), rimette in gioco la qualità dell'essere personale di ogni crea tura. La ritrovata centralità del mistero dell'Incarnato produce un indubbio gua dagno sul versante antropologico. Si registra come il tema dell' essere «Figlio», da parte di Cristo, connoti specificamente l'attenzione della cristologia più recente,46 non per un contraccolpo rispetto al largo interesse contemporaneo per la dimen sione umana di Gesù, ma per ragioni teologiche molto più profonde, non ultima quella di intravedere nella categoria della filialità una possibile rilettura dell'an tropologia, dell'etica, della spiritualitàY L'incarnazione risalterà allora come mi stero antropologico di filializzazione. Su questo tema specifico riteniamo vi sia ancora molto spazio di approfondimento, ma in un certo senso sembra che siamo ancora agli inizi di sviluppi promettenti. Fino a questo momento il tema incarna zione/filialità è stato per lo più letto nell'ottica della «divinizzazione)) e si è quindi riscoperta maggiormente la tradizione orientale in proposito. Ma altri scenari si
45 M. BoRDONI, La cristologia nell'orizzonte dello Spirito, Queriniana, Brescia 1995, 99; 157. 46 Così per esempio la proposta sistematica di Cozzi, «Conoscere Gesù Cristo nella fede. Una cristologia», 497-562. 47 In questa direzione vanno alcuni recenti lavori sul versante della teologia morale: R. TREM BLAY - S. ZAMBONI, Figli nel Figlio. Una teologia morale fondamentale, EDB, Bologna 2008; L. ME UNA - J. NoRIEGA - J.J. PÉREZ-SOBA, Camminare nella luce dell'amore. I fondamenti della morale cristiana, Cantagalli, Siena 2008.
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possono aprire, soprattutto valorizzando la tradizione dei concili antichi fino al Vaticano II e la riflessione speculativa sul rapporto incarnazione/processo di per sonalizzazione. Va maggiormente studiato il rapporto tra il processo di personalizzazione di Cristo e il nostro; infatti già la perfetta umanità del Verbo conosce un vero pro cesso di personalizzazione. Gesù vive un'autentica condizione umana, persona lizzata attraverso la sua coscienza umana e la sua libertà; questo processo di per sonalizzazione in Cristo non avviene autonomamente dal Verbo; l'uomo Gesù di Nazaret assimila, si appropria, in senso umano, dell'essere del Verbo. Gesù vive nella dimensione della sua umanità l'essere filiale, diventa questo uomo che è an che il Figlio di Dio. La sua realtà autenticamente umana è comprensibile attra verso questo processo di personalizzazione; detto in altro modo: l'appropriazione umana dell'essere filiale del Verbo. Lo sforzo di attualizzazione di Calcedonia e dei suoi epigoni - di cui si parlava più sopra - permette da una parte di non de flettere dall'affermazione di una verità perenne, cioè che non è scindibile l'essere umano di Cristo dal suo essere Dio, dal suo essere Figlio come Figlio di Dio; e dall'altra parte (e qui si aprono nuovi scenari) di studiare maggiormente quel pro cesso di «personalizzazione>> in noi che è certamente diverso da quello di Cristo, ma che ha uno stretto rapporto con quello. Come nell'assunzione ipostatica del Verbo, l'essere persona dell'uomo Gesù raggiunge il suo vertice, così l'essere umano, più si avvicina a Cristo, più eleva se stesso, è da questi perfezionato nel suo essere e nelle sue relazioni, o meglio nel suo essere re/azionale. Occorre guardare a Cristo come «analogatum princeps». Mentre Cristo è definito antologicamente «persona» dalla persona del Verbo, gli esseri umani sono «persone» in quanto partecipano di quell'immagine di Dio per eccellenza che è il Verbo. Ritorna ancora una volta preziosa la lezione del Costan tinopolitano II: proprio perché l'umanità di Cristo «en-ipostaticamente» è nella persona del Verbo, l'essere umano del Cristo trova la sua più radicale perfezione. Noi esseri umani siamo persone, nella misura in cui siamo uniti all'immagine ar chetipa che è Cristo e realizziamo così la nostra identità. Ciò che Gesù umana mente è per la sua identità antologica con il Verbo, noi lo diventiamo, grazie a lui, in modo partecipato nella nostra umanità. Su queste acquisizioni la ricerca teologica sta facendo significativi passi in avanti, ma si può andare anche oltre. Infatti se finora il mistero dell'Incarnato ha influenzato anche il modo di pensare la persona umana sul piano ontologico, ciò dovrà avvenire sempre più anche su quello antropologico ed etico per vivere come «essere unificati» nelle dimensioni spirituali e corporee.48 Come in passato la stessa nozione di «persona umana» traeva la sua spiegazione e consistenza nel di battito cristologico e trinitario,49 così oggi l'enfasi sull'incarnazione, come il pren-
48 Cf. LAm, «Il corpo nell'intelligenza della fede. La fede cristiana come grazia di vivere unifi cati», 24. 49 A. MILANO, «La persona nella novità cristiana dell'Incarnazione e della Trinità», in Persona. VI Convegno culturale di Studium d'intesa con l'Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma 1995: Stu dium 91(1995), 549-568; Io., «Persona», in Teologia. I Dizionari San Paolo, 1138-1157.
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dere carne del Logos, può aprire a orizzonti inediti in una migliore definizione di chi sia veramente «la persona umana» nel segno della «relazionalità». Può così avvenire, e in parte si sta già verificando, un'interazione tra ricerca antropolo gica (sul piano filosofico) e cristologia (non dimenticando la teologia trinitaria). La figura della «persona in relazione», che oggi si sta sempre più imponendo,50 viene a delinearsi con il concorso di molteplici competenze: sia attraverso l'ap porto delle linee fenomenologico-personalistiche, sia mediante la riflessione sul mistero dell'Incarnato colto nella sua dimensione squisitamente storica oltre che antologica. Giustamente, però, facendo attenzione al fatto che «mentre ogni per sona divina è completa fin dal principio come relazione ipostatica e quindi come "altruismo puro", nell'uomo essa deve attuarsi/perfezionarsi attraverso la comu nicazione/partecipazione».51 Non si deve confondere per nessun motivo la rela zione costitutiva (ipostatica) con le relazioni della vita umana (accidentali). Le quali possono, per natura, attualizzare la relazione ipostatica e perfezionarla, ma senza identificarsi con essa. D'altra parte neppure la relazione ipostatica si può esaurire nelle relazioni della vita umana. 52 Conclusione
Al termine del nostro percorso viene da domandarsi se la centralità data al tema dell'incarnazione, vista come motivo catalizzatore dell'odierna navigazione della cristologia sistematica, sia una di quelle sproporzionate enfasi che di tanto in tanto la teologia conosce. Avverrebbe perciò anche oggi una smisurata accentua zione di un aspetto della riflessione cristologica come fu per il tema della risurre zione, o della «mediazione dal basso», nell'immediato dibattito post-conciliare? Proprio la complessità tematica negli ultimi cinquant'anni ci ha insegnato a non assolutizzare mai un aspetto della verità a scapito di - o, peggio, contro - un altro. Il mistero dell'Incarnato è il mistero del Crocifisso-Risorto: sono un unico grande mistero. Non vi è antologia del Cristo senza dimensione soteriologica. Questa è la lezione che, proprio dal rinnovamento degli studi cristologici dopo il Vaticano Il, emerge con forza. Se oggi più che mai si impone la questione radicale della cristo logia, come più sopra si è detto, è proprio per una particolare contingenza epocale dove la tendenza sembra essere quella di ridurre Gesù a una visione puramente «umana»; la vera questione invece è quella di riconoscere, in quell'uomo Gesù di N azaret, il Figlio di Dio. Solo se egli è tale, è pertinente la «domanda di senso» che appella infallibilmente a un significato soteriologico. Quest'ultimo orizzonte (quello soteriologico) è l'inizio e il fine del discorso cristologico. L'inizio, perché il Figlio di Dio non sarebbe comprensibile al di là di una domanda di salvezza, il
50 In questa direzione va il saggio di N. GALANTINO, Sulla via della persona. La riflessione sull'uo mo: storia, epistemologia, figure e percorsi, San Paolo, Cinisello Balsamo 2006. Particolarmente per tinenti le analisi circa il passaggio concettuale della categoria di «persona» dal piano teologico/onto logico a quello antropologico/personalista (pp. 201-207). 51 lvi, 206. 52 lb.
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fine, perché il mistero dell'Incarnato è rivolto alla nostra filiazione/divinizzazione ( «propter nos homines et propter nostram salutem» ) . Affermare perciò che l'incarnazione ritorna a essere in cristologia il tornante principale della riflessione non vuole certo dire che i temi della soteriologia cri stiana siano di minore importanza. Senz'altro il tema dell'incarnazione risulta oggi quanto mai attuale per il contesto in cui ci troviamo, che ripropone ancora la que stione della verità del cristianesimo. Il concentrarsi del discorso cristiano sull'in carnazione, d'altra parte, non offusca gli altri misteri della fede, ma li comprende tutti quanti, infatti tutta la ricchezza di temi soteriologici della theologia crucis et resurrectionis con tutto lo sviluppo, per esempio, del tema del sacrificio in ordine alla nostra salvezza, per richiamare solo alcuni dati, rimangono un'irrinunciabile acquisizione, perché comprensivi ed espressione del mistero dell'Incarnato. La ri soluzione in senso agapico del mistero del chi ci ha salvato e da che cosa e per che cosa siamo stati salvati, implica tutto il senso soteriologico e incarnazionale della figura del Nazareno. Oggi, più che in passato, la riflessione sull'Incarnato è capace di raccordare meglio theologia e oikonomia, infatti ex parte Dei fa vedere come il Cristo esprime tutta la vita trinitaria nell'integrità di un'esistenza umana e la relazione iposta tica della creatura in Dio. E proprio la capacità attrattiva della persona del Figlio nella vicenda umana fa sì che, ex parte hominis, si possa guardare all'incarnazione come affermazione massima della creatura da parte di Dio. Cosicché, pur nella so stanziale differenza tra Cristo e noi, ogni processo di vera personalizzazione sarà l'espressione di quell'umanizzazione che si realizza in modo archetipo nel Figlio di Dio incarnato. Ancora una volta la realtà dell'incarnazione traduce quel mistero soteriologico di fronte al quale l'esperienza di fede dei primi testimoni e la rifles sione della Chiesa antica si sono trovate; esso non è altro che il dono del Figlio nello Spirito e l'accoglienza nella paternità di Dio. Se perciò il mistero trinitario è origine e meta e l'incarnazione (fino alla gloria crucis) è il cuore rivelativo del mi stero che mirabilmente attualizza a nostro favore, quella salvezza che altro non è se non l'anthropos téleios, cioè l'uomo compiuto?
673
BIBLIOGRAFIA GENERALE
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Ricerche cristologiche monografiche
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INDICE BIBLICO
1 9,2
Genesi 1,1
446
1 ,2
1 99
1 ,26
45 1
2,1
402
18,19
181
1 8,22-23
1 82
22,4
402
42, 1 8
402
Esodo 3 , 1 4- 1 5
261
4,22
296
1 2,46
375 385
13
25 1
1 5, 1 1 - 1 3
220
15,18
220
16
25 1
1 6, 1 0
460
17
25 1
1 9, 1 6
402
20,4
576
24,3-8
299 386
24,6-8
329
24,8
385
24, 1 5
460
25,80
459
33, 1 - 1 7
1 82
33,7- 1 1
459
33, 1 8
460
34,6
46 1
64
1 9, 1 8
53
1 9, 1 9
460
26, 1 2
459
Numeri 9, 1 2
385
9,20
304
9,30
304
1 1 , 1 7-27
181
1 4, 1 0
399
27, 1 6
3 84
Deuteronomio 4, 1 5-20
576
5,2-3
325
6,4
436
6,4-5
69
6,5
53
1 3 ,9
55
1 4, 1
296
18,15
1 8 1 228
18,18
1 8 1 228
2 1 ,23
320 378
24, 1
209
34, 1 0- 1 2
25 1
2 Samuele 7,14
22 1
l Re
Levitico 1 1 ,44
64
1 7, 1 1
329 376 3 84
17,14
376
2,35
202
8 , 1 0- 1 1
459
1 7 , 1 7-24
392
679
257
22, 1
1 23 333
1 9,4
337
22, 1 9
365 373
22, 1 9
1 79
22,23
369
22,25
369
25-27
371
31
337
1 7,23
2 Re 2,9- 1 1
319
3 1 ,6
334 369-3 7 1 402
4,8-37
392
34,2 1
375
4,32-37
257
44
371
4,42-44
259
44,2
325
1 3 ,2 1
392
47
22 1
1 8,27
435
48,3
22 1
Esdra 8,32
402
Neemia 9,30
1 83
Ester 5,1
402
Giobbe 9,8 260 1 2, 1 3
439
28, 1 - 1 7
439
28, 1 2-28
439
3 8, 1 6
260
Salmi 2,7
1 85 198 22 1 280 403 405 440
2,7-8
181
5-7
371
8
284
8, 1 9
22 1
1 1 ,6
439
1 6, 1 0
403
17
371
1 9,9
446
2 1 ,22
439
22
295 369 3 7 1 402
680
50,8
3 84
60
22 1
65,7
256
68, 1 4
1 99
72,7-8
181
72,8
1 85 440
72, 1 2- 1 4
181
74
371
77,20
260
79
371
85, 1 0
460
89,9
256
93
22 1 256
93, 1 -2
181
96-99
22 1
97,6
460
1 04,20
446
1 05
325
1 06
325
1 07
325
1 07,23-30
256
1 10
2 9 1 437
1 1 0, 1
280 290 29 1 403 405 43 7 440
1 1 0,3
280
1 1 9, 1
1 85
1 1 9, 1 3
446
1 1 9,89
446
1 45,4-20
256
1 46,4-20
256
1 47
256
1 47, 1 8
446
1 8,4
Proverbi 1 , 1 0-33
439
1 ,20-33
1 84
1 ,23-32
303
3 , 1 9-20
440
8-9
439
8
446
8,22
439
8,22-3 1
440 442
8,24-26
439
2 1 ,3 0
439
3 1 ,6
365
Cantico dei cantici 2,14
1 99
5,2
1 99
6,9
1 99
446
1 8, 1 4- 1 6
446
24,8
459
24, 1 4b
459
Siracide 1,1
439
1,1a
439
1 ,4-9
439
1 ,5
439
1,8
439
1 1 ,27-28
368
24
446
24,3
439
24,4
289 439
24,9
439 442
42, 1 5
440
Isaia
Sapienza 1 ,4-6
1 85 440
4-9
446
5, 1 -5
405
6, 1 2-25
1 84 439
7- 1 0
440
7,7
1 85 440
7,22
442
7,22-24
439
7,25
1 87 440
7,25-26
439 450
7,26
446
8
1 85
8, 1
1 85 440
8,3
439
8,4
442
9
1 85
9, 1
44 1
9, 1 -2
440 446
9,4
1 85 439 440
9,4- 1 0
289
9,9
439 440 442
9, 1 1
442
9, 1 7
1 85 440
9, 1 8
44 1
1 0, 1 4
442
14, 1 2-3 1
576
1 , 1 0-20
3 84
2,2
3 80
2,2-4
22 1
2,3
3 82
2,3-5
446
6
399
6, 1 -4
460
7, 1 0- 1 7
181
7, 1 4
181 410
9, 1 -6
22 1
9,7
446
1 1 , 1 -5
181
1 1 ,2
1 82 1 98 306
25 ,6-8
22 1
26,6
1 80
26, 1 7
381
32, 1 -5
22 1
32, 1 5
3 04
35,5
252
40,6
457
42, 1
1 9 8 304
42, 1 -4
1 83 304
42,6
385
42,6-7
386
49, 1 -6
1 83
49,3
460
49,4
337
681
49,6
387
50,4-9
1 83
Baruc 3,12
439
50,6-7
319
5 1 , 1 7-22
336
52, 1
383
52, 1 3-53 , 1 2
1 83 387
53
3 8 1 386 405
l
53,4
1 96
1 ,26
1 79
53,5
385
3,12
1 83
53, 1 0
386
8,3
1 83
53, 1 0- 1 2
3 80
1 1,1
1 83
53 , 1 1
385
1 1 ,24
1 83
53, 1 2
3 8 6 390
16
236
55, 1 0- 1 1
446
23,3 1 -34
336
56,7
203
34
22 1
Ezechiele 399
57,2
1 80
3 9,29
304
59,2 1
304
43, 1 -2
460
60,5
460
43,5
460
60, 6 1
383
61,1
1 9 8 304
6 l , l ss
252
6 1 , 1 -2
225 306
2,44
6 1 , 1 -3
1 83
4, 1 7
435
6 1 ,2b
306
4,2 1
435
62, 1 ss
304
7
222
63
1 98
7,9- 1 4
1 84
63 , 1 0- 1 4
304
7,13
286 2 8 8 29 1 402
63 , 1 1
304
7,13-14
2 8 6 29 1
63 , 1 9b
1 98
7,14
288
64
198
1 2,2-3
1 84
65 , 1 7
3 83
66, 1 -4
3 84
66, 1 0
383
66, 1 8
1 80 460
Geremia
Daniele 222
Osea 380
1 ,2-3,5 2,16
446
6,2
40 1 402
6,6
3 84
6,20
3 84
8,1 1
3 84
7,4- 1 1
203
9, 1 -2
1 95
7,2 1
3 84
1 1,1 1
1 99
25, 1 5-27
336
3 1 ,9
296
3 1 ,3 1
328
3 1 ,3 1 -34
3 86
32,40
1 80
682
Gioele 2,2
381
3 , 1 ss
304
3,3-5
435
3,15
Amos 1 ,4--2 ,5
1 95
3 ,2
380
4,4
3 84
5,18
381
5 ,22
3 84
9
399
Giona 4,9
337
Michea 3,8
304
234
3 , 1 6s
305
3,17
301
4, 1
305
4,3ss
101
4, 1 7
223
5-7
234 252
5,1
101
5,1-12
229
5,3
230 233
5 ,3-6
233
5,4
230
5,5
233
5,6
230 233
5,7
233
5,8
233
4, 1
380
5,10
1 96
4, 1 -4
22 1
5,1 1
230 234 284
4, 1 0
381
5, 1 1b
230
5 , 1 7-20
206
Sofonia 1,15
381
3,12
264
Zaccaria 7, 1 2
1 83 304
9, 1 1
385
1 2, 1 0
375
14,2 1
203
Malachia 3 , 1 -4
203
Matteo 1 , 1 -23
101
1,16
278
1,18
305
1 ,20
48 1
1 ,23
278
2, 1 1
52
2, 1 5
278
3,10
1 95
3, 1 1 - 1 2
1 95
3,13-15
1 23
5 ,20
234 235
5,22
229
5,28
229
5,32
209
5,34
229
5,38
229
5 ,44
229
5,48
293
6, 1
234
6,9
293 295
6, 1 0
222
6,32
293
7,1 1
307
7,2 1
294
7,2 1 -22
437
7,24-27
248
7,29
227
8-9
252
8, 1 7
1 96
8,23-27
257
9, 1 -9
263
9,9- 1 3
265
9, 1 0
268
9, 1 5
379
9,35
252
10
252
1 0,24
237
1 0,32
294
683
1 0,33
294
1 6, 1 6
26 1 276 279 290
11
252
1 6, 1 6- 1 8
280
1 1 ,2-6
225
1 6, 1 7
294
1 1 ,2- 1 5
303
1 6,2 1
3 1 8 40 1
1 1 ,3
23 224 25 1 3 1 5 3 1 6
1 6,2 1 -23
287 3 1 8 388
1 1 ,3-6
25 1
1 6,23
1 1 ,4-5
252
1 6,27
287 294
1 1 ,4-6
224
1 7,22-23
287
1 1 , 1 6- 1 7
316
1 8, 1 -5
266
1 1 , 1 7- 1 9
3 03
1 8,2-4
267
1 1 , 1 8- 1 9
1 96
1 8,5
266
1 1,19
287 303
1 8, 1 0
294
1 1 ,25
239 295
1 8, 1 4
294
1 1 ,25-26
295
1 8, 1 9
294
1 1 ,25-27
278 303 307 452
1 8,35
294
1 1 ,26
295
1 9,3
207
1 1 ,27
282
1 9, 1 8
207
1 2,9- 1 4
304
1 9,28
288
1 2, 1 7-2 1
3 04
1 9,30-20, 1 6
240 245
1 2 ,24-32
255
1 9,30
245
1 2,28
224 253 255 3 04
20, 1 7- 1 9
287
1 2,32
222
20,22
379
1 2,39
316
20,22ss
337
1 2,39-40
40 1
20,23
294
1 2,4 1
224
20,28
1 64 380 385
1 2,50
294
2 1 , 1 -9
277
1 3 , 1 -9
240
21,1 1
273
13,19
447
21,14
203
1 3 ,20-23
447
2 1 ,33-44
240
1 3 ,24-30
240
2 1 ,33-46
245
1 3 ,3 1 -32
240
2 1 ,37
281
1 3 ,33
240
2 1 ,46
273
1 3,44-46
246
22, 1 - 1 0
265
1 3 ,53-58
317
22, 1 - 1 4
240 242 246
1 4- 1 7
317
22, 1 5-22
214
1 4, 1 3
317
22,37ss
53
1 4 , 1 3-2 1
257-259
22,4 1 -46
290
1 4,22-23
257 2 6 1
22,42
290
1 4,22-3 3
260
22,43-45
437
1 4,28-3 1
261
22,44
290
1 4,3 1
261
23,25-34
267
1 4,33
26 1 279
23 ,34-37
3 82
1 5 , 1 -9
209
24,27
288
15,13
294
24,36
278 452
1 5,32-39
259
24,42
437
1 5,36
259
24,43-44
240
1 6, 1 3
225 284 3 1 7
24,45-5 1
240
16,15
32 3 1 5
25, 1 - 1 2
240
684
25, 1 2
437
28, 1 6- 1 7
396
25, 1 4-30
240
28, 1 6-20
395
25,3 1 -45
437
28,20
1 05
25,34
294
31
283
26,5
326
37,57
273
26, 1 4
341
26,23
380
26,26-28
328
Marco
26,29
329
1,1
278 366 452
26,39
295 569
1 ,5
1 95
26,40
336
1 ,9
1 95
26,42
295
1 , 1 0ss
305
26,45-46
336
1,1 1
301
26,47-56
338
1 , 12s
305
26,50
338
1 , 1 4- 1 5
219
26,5 1 -53
366
1,15
223 253
26,52-53
216
1 ,2 1 -22
248
26,53
294 338
1 ,22
207 305
26,54
378
1 ,23-28
253
26,54-56
338
1 ,27
207 224 227 248 305
26,55
340
1 ,29
224
26,57-67
343
2, 1 -2
255
26,59-60
345
2, 1 - 1 2
263 447
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345
2,2
26,63
279 350 378
2,5
264
26,63 -64
29 1
2,7
266
26,64
277 345 350
2,8
303
26,65-66
345
2, 1 0
263-265
27, 1
344
2, 1 0- 1 1
287
27,3
341
2, 1 5
268
27,9
378
2, 1 5 - 1 7
265
27, 1 8
353
2, 1 7
237
27,24
357
2, 1 8-20
1 96
27,24-25
356
2, 1 9-20
379
27,3 1
362
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207
27,35
373
2,27-28
208
27,37
277 3 64
2,28
287
27,45
381
3 , 1 -6
208
27 ,46
295
3,6
316
27,50
370
3,1 1
224
27,5 1
204
3,22-30
255
27,5 1 -53
366
3,23
256 240
27,53
367
4, 1 -9
28, 1 - 1 5
392
4, 1 0- 1 3
24 1
28,7
395
4,26-29
240 24 1
28,9- 1 0
395
4,30-32
240
28, 1 0
399
4,33
447
28, 1 6
400
4,3 5-4 1
257
685
214
4,40-4 1
258
1 2, 1 7
4,4 1
256
1 2,29
69
5 , 1 -20
224
1 2,35
432
5,8
256
1 2,3 6-3 7
437
6,4
273
13
203
6, 1 4- 1 6
213
1 3 , 1 -3
204
6, 1 5
273
13,14
204
6,32-44
257-259
1 3 ,2 1
432
6,45-52
257 260
1 3 ,26
288
6,48
260
1 3 ,27
204 288
6,50
260
1 3 ,32
278 2 8 1 452
6,52
26 1
1 3 ,33-37
240
7, 1 -8
207
1 3 ,34-37
240
7 , 1 -23
209
1 4, 1 -42
335
7,24-3 0
224
1 4,2
326
8, 1 - 1 0
259
1 4, 1 0- 1 1
339 3 4 1
8,6
259
1 4,22
663
8,27
225 284
1 4,22-24
328
8,28
273
1 4,23
337
8,29
276
14,24
380 386
8,3 1
287 3 1 8 379 40 1 447
1 4,25
222 329 365 3 8 1
8,3 1 -33
277
1 4,32
335
8,32
320 447
1 4,32-34
335
8,33
388
1 4,32-42
1 23
8,37
452
1 4,34-39
336 295 296 336 337 388 566
8,38
287 294
1 4,36
9, 1
222
1 4,38
336
9, 1 4-29
224
1 4,43
339
9, 1 9ss
256
1 4,43-49
338
9,30-32
287
1 4,43 -5 1
338
9,4 1
432
1 4,44
340
1 0,2-9
209
1 4,48-49
340
1 0,23
268
1 4,49
378
1 0,28
276
1 4,53-64
343
1 0,30
222
1 4,53-65
343
1 0,32-34
287
1 4,55-59
345 348
1 0,3 8
337 379
14,58
204 366
1 0,42-45
268
1 4,60-6 1
345
1 0,45
1 64 380 385
1 4,6 1
279 349 378
11
204
1 4,6 1 b
350
1 1,1-10
277
1 4,6 1 -62
225
1 1 , 1 5- 1 7
203
1 4,62
277 29 1 345 349
1 1 ,25
293
1 4,63-64
345
1 2, 1 -8
379
15,1
344
1 2, 1 -9
245 246
15,1-15
353
1 2, 1 - 1 1
240
1 5,2
357
1 2,6
28 1
1 5 ,2-5
354
1 2 , 1 3- 1 7
214
1 5 ,4-5
353 357
686
23 1
1 5 ,9- 1 1
216
1 ,53
1 5,20
362
1 ,67-68
305
1 5,2 1
361
1 ,68-79
425 52
1 5 ,22
361
1 ,78
1 5 ,23
3 6 1 365
2,26-27
305
1 5 ,24
362 365 373
2,29-32
425 294
1 5 ,24-25
361
2,49
1 5,24-29
378
3 , 1 -3
1 90
1 5 ,26
2 1 6 277 3 6 1
3 ,20
309
1 5 ,27
365
3 ,2 1
309 3 7 1
1 5 ,27-28
361
3 ,22
301 305
1 5 ,29-32
361
3,23-38
101
1 5 ,3 1 -32
365
4
307
1 5 ,32b
365
4, 1
305 3 06
1 5 ,33
381
4, 1 4
306
1 5 ,33-38
361
4, 1 4ss
304
1 5 ,34
1 23 295 369 3 7 1
4, 1 4- 1 5
305
1 5 ,36
364 378
4, 1 5
3 06
1 5,37
370
4, 1 6ss
207
1 5,38
204
4, 1 6-30
253
1 5 ,39
1 0 26 1 332 367
4, 1 7- 1 9
306 1 98
1 5 ,40-4 1
3 6 1 364
4, 1 8
1 5 ,42
191
4, 1 8- 1 9
1 0 1 2 5 3 306
1 5 ,43
222
4, 1 9
1 96 208 306
1 6 , 1 -8
392
4, 1 9-2 1
233
1 6,6
392
4,2 1
208 225 253
1 6,7
392
4,22
208
1 6,9
395
4,24
273
1 6, 1 2- 1 3
397
4,25-27
253
1 6, 1 3
397
5,1
447
1 6, 1 5
400
5 , 1 7-26
263 267
1 6, 1 5- 1 6
395
5,2 1 -24
257
1 6, 1 7
395
5,29
268
1 6 , 1 9-20
395
5,30-32
267
1 6,20
447
5,33-39
267
27, 1 -2
353
5,34-35
379
27, 1 1 -26
353
5,35-43
257
27,34
365
6, 1 - 1 0
267
6, 1 - 1 1
209
6, 1 5
216
Luca
6, 1 6
230 229
1,1
430
6, 1 7-26
1,15
304 305
6,20
23 1
1,17
304 305
6,20b
230
1 ,32
278
6,2 1
230
1 ,3 3
519
6,2 1 b
230
1 ,3 5
2 7 8 305
6,22
230 234 284
305
6,22b
230
1 ,4 1
687
267
6,27-3 5
216
1 1 ,37ss
6,36
293
1 1 ,37-54
267
6,47
248
1 1 ,4 1
23 1
7
265
1 1 ,46
268
7, 1 5
257
12
370
7, 1 6
273
1 2 , 1 3-2 1
242
7 , 1 8-30
303
1 2, 1 6-20
240
7,22-23
224
1 2,30
293
7,25
213
1 2,32
288 293
7,29-30
265
1 2,33
23 1
7,3 1 -35
3 03
1 2,35-38
240
7,34
209 265 287
1 2,39-40
240
7,35
303
1 2 ,42-48
240
7,36-50
263 265
13
273
7,37
268
1 3 , 1 8- 1 9
240
7,48
264
1 3 ,20-2 1
240
7,48-50
265
1 3 ,22ss
265
8,2-3
316
1 3 ,3 1 -3 3
213
8,4-8
240
1 3 ,33
273 3 82
8,22-25
257
1 3 ,33-34
273
9, 1 0- 1 7
257-259
1 3 ,33-35
382
9, 1 8
225 284
1 3 ,34-3 5
337
9, 1 8-2 1
58
1 4 , 1 5-24
240 265
9,20
276 280
1 4, 1 6-24
246
9,22
287 3 1 8 379 40 1
15
238 242-245
9,26
287
1 5 , 1 -2
243
9,27
222
1 5 ,3-7
238 242
9,28
447
1 5 ,4-6
240
9,43 -45
287
1 5 ,4-7
237
9,5 1
1 93 3 1 9
1 5 ,7
243
9,5 1 -52
319
1 5,8- 1 0
2 3 8 240 242
9,58
287
1 5, 1 1 -32
238 240 242
1 0,9
252
1 5 ,30
244
1 0,2 1
295 3 03
1 6, 1 -7
240
1 0,2 1 b
295
1 6, 1 -8
238
1 0,2 1 -22
303
1 6, 1 8
209
1 0,2 1 -24
303 307
1 6, 1 9-25
23 1
1 0,22
278 282 452
1 6, 1 9-3 1
238 240 242
1 0,23
248
1 6,22
23 1
1 0,23-24
303
1 7,20-2 1
224
1 0,24
224
1 7,24
288 23 8
1 0,29-37
240 245
1 8,9- 1 4
1 1 ,2
222 293 295
1 8,30
222
1 1,13
307
1 8,3 1 -32
287
1 1 ,20
224 252 253 255
19,1-10
265
1 1 ,23
229
1 9,2
267
1 1 ,29-32
40 1
1 9, 1 1 -27
240
1 1 ,3 1 -32
248
1 9,28-3 8
277
688
20,9- 1 8
240
23,37
277
20,9- 1 9
245
23,4 1
368
20, 1 3
28 1
23 ,42-43
368
20,20-26
214
23 ,44
381
20,42-44
437
23 ,46
295 370 3 7 1 3 8 8
2 1 ,36
288
23 ,47
368 370
22, 1 -2
326
23 ,48-49
368 222
22,3
341
23,5 1
22, 1 5 - 1 8
329 3 8 1
24, 1 - 1 2
392
22, 1 8
222
24,7
402
22, 1 9-20
328
24, 1 2
393
22, 1 9-2 1
380
24, 1 3 -33
333
22,27-30
329
24, 1 3-35
395
22,28-30b
288
24, 1 4- 1 6
397
22,30
288
24,26
405 432
22,39
335
24,35
397
22,40
338
24,36-53
395
22,40b
333
24,37
260
22,42
295
24,39
395
22,43-44
337
24,46
402 432 294
22,46
338
24,49
22,47
368
24,50-53
395
22,47-53
339
25
283
22,48
339
22,5 1
339
22,52-53
340
Giovanni
22,53
371 381
1,1
22,66
344
1,1b
457
22,66-67
344
1,1-18
425
444 448 455 458 46 1
22,66-7 1
343
1 ,2
449
22,67
350
1,10
358
22,67-70
277
1,12
3 1 1 408
22,67b-70
345
1,13
3 1 1 462 482
22,69
288 29 1
1 , 14
22,70
278 279 350 378 452
1 0 3 1 37 45 1 0 1 1 04 1 3 2 250 44 1 444 455 457-459
22,7 1
345
23 , 1 -7
353
1 , 1 4a
456
23,2
353
1 , 1 4b
459 662 459 460
462 475 627 643 66 1 662
23,4
353 357
1 , 1 4c
23 ,6- 1 2
354
1,15
1 84
23 , 1 1
3 62
1 , 1 5b
462
23 , 1 4
357
1,18
445 448 455
23, 1 4- 1 5
353
1 , 1 8c
250
23, 1 5
357
1 ,29-36
347 385
23 ,26-3 1
364
1 ,32
1 97 308
23 ,26-56
367
1 ,32-33
306
23,34
295 370 373
1 ,33
1 98 3 1 0
23 ,34a
368
689
1 ,33ss
305
6,33-5 1 c
260 262
1 ,34
452
6,35
1 ,49
452 454
6,38
566 6 1 5 408
1 ,5 1
288
6,39-40
2, 1 1
46 1
6,56
247 462
2, 1 3
207
6,62
2, 1 3-22
203
6,69
280
2, 1 8
86
7-1 0
247
2 , 1 8-2 1
1 93
7
459
2, 1 9
203 348 404
7, 1
317
2,20-2 1
1 90 204
7,2
207
2,2 1 -22
204
7 , 1 5-24
1 93
2,24-25
686
7,30
374
3,3
482
7,37-39
374 376
3,5
311
7,39
309 375 273
3,7
482
7 ,40
3,13
292 462
8
345
3,14
334 405
8 ,24
26 1
3,16
454 455
8,28
1 0 1 26 1 405
3,18
455
8,33-59
1 93 26 1 345
3,19
358
8,58
3,3 1
462
9,2-3
255
3,34
306
9, 1 0
262
4,6-7
462
9, 1 5
262
4, 1 0
311
9, 1 7
262 273
4, 1 3
311
9,35
462
4, 1 3 - 1 4
374
1 0, 1 -5
240 247
4, 1 9
273
1 0, 1 7
404
4,23-24
204
1 0, 1 8
404
4,26
432
1 0,22
207
4,44
273
1 0,23
345
4,48
249
1 0,24-3 9
1 93
5 , 1 -2
207
1 0,30
3 1 3 454 455
5,5
283
1 0,33
345 455
5 , 1 7-47
1 93
1 0,38
313
5,24
408
1 1 ,4
284 285 46 1
5 ,25
284 285
1 1 ,25
262 407
5,27
285
1 1 ,4 1
295
5,3 1 -32
358
1 1 ,45-50
342
6
317
1 1 ,50
343
6, 1 - 1 4
257-259
1 1 ,5 1 -52
373
6,3
260
1 1 ,52
455 341
6,4
260
1 2,6
6, 1 1
260
1 2,9- 1 1
342
6, 1 4
260 273
12, 1 2
207 277
6, 1 5
2 1 6 260 3 1 7
12, 1 2- 1 6
6, 1 6-2 1
257 260 26 1
1 2,23
285
6,32-58
260
1 2 ,27ss
295 335
690
1 2,3 1
255 3 5 8
1 7, 1 5
455
1 2,3 1 -32
292 3 8 1
1 7, 1 7- 1 9
455
1 2,32
405
1 7,2 1
295
1 2,32-33
334
1 7,24
462
1 2,34
405
1 7,24ss
295
1 2,39-4 1
46 1
1 8- 1 9
462 339
13
329
1 8,2
13,1
334 462
1 8,3
339
1 3 ,3
321
1 8,4-6
340
1 3 ,4-9
462
1 8, 1 0- 1 1
340
1 3 ,2 1 -3 0
341
1 8, 1 1
337
1 3 ,27
341
1 8, 1 2
339
1 3 ,3 1
285
1 8, 1 2-23
343
1 4- 1 6
302 3 1 2 3 1 3
1 8, 1 2-24
343
1 4,6
51 52 94 1 57 660
18,13
345
1 4, 1 0
313
1 8, 1 3- 1 4
344
1 4, 1 1
313
1 8, 1 5
344
1 4, 1 6
3 1 4 408
1 8, 1 9
343 345
1 4, 1 6- 1 7
313
1 8, 1 9-24
344
1 4, 1 9
250
1 8,20-2 1
343 344
1 4,26
1 05 3 1 4
1 8,22-23
343 345
1 4,28
509 5 1 2
1 8,24
343 357
1 4,3 1
313
1 8,28-1 9,22
353
1 5 , 1 -8
240
1 8 ,28
347 352 353
1 5 ,4-7
247
1 8,28b
348
15,10
313
1 8,29ss
340
15,12
329
1 8,29-3 1
353
1 5,26
1 05 3 1 3 3 1 4 359
1 8,33
358
1 5 ,26-27
1 05
1 8,33-3 8a
353
1 6,7
313
1 8,36
358
1 6, 1 1
255 3 5 8
1 8,37
3 5 8 660
1 6, 1 2- 1 5
1 05
1 8,38
359
1 6, 1 3
313 314
1 8,40-- 1 9, 1 5
353
1 6, 1 5
313
1 9 ,2-3
359
1 6, 1 6
207 3 1 6
1 9,5
359 659
1 6,25
246 334
1 9,6
359
1 6,28
32 1 462
1 9,7
378
1 6,29
246
1 9, 1 2
3 5 5 356
1 6,32
334
19,13
3 5 2 360
17
313
1 9, 1 3 - 1 6
360
1 7, 1
295 334 462
19,14
347 3 5 3 360
1 7, 1 -2
462
1 9, 1 4- 1 5
360 362
1 7, 1 -3
408
1 9, 1 5
356
1 7,3
432
1 9 , 1 6-37
372
1 7,5
292 295 448 46 1 462
1 9 , 1 7-22
373
1 7, 1 1
295
1 9, 1 9
277
1 7, 1 l b
454
1 9 , 1 9-22
354
17,12
455
1 9,23 -24
373
691
400
1 9,24
373
2,32
1 9,25-27
365 374
2,32-33
309
1 9,28
376
2,33
422 403
1 9,28-30
374
2,34-35
1 9,30
308 372 375 376
2,36
1 9 ,30b
375
98 1 77 274 422 433 434 469
1 9,3 1
191
2,38
383
1 9,3 1 -37
375
2,42
327
1 9,34
372 375 376
2,46-48
327
1 9,36
385
3,15
400 425
1 9,37
374
3,19
263 383
20,3-8
393
4,4
447
20,6-7
393
4, 1 0
425
20,8
393
4, 1 0- 1 2
383
20, 1 4- 1 8
395
4, 1 2
146 1 54 435
20, 1 6
397
4,29-3 1
447
20, 1 7
294
5,30-32
383
20, 1 9-23
395
5,32
400
20, 1 9-29
395
5,42
433
20,20-2 1
263
6,2
447
20,2 1
400
6,4
447
20,22
308 375
6,7
447
20,22-23
1 94
7,56
284 433
20,24-29
395
8,5
20,28
10 399 437
8,14
447
20,29
1 04 399
8,25
447
20,3 1
1 0 283 452 455
8,32
385
21,1-14
260
9,34
433
21,1-19
395
1 0,36
433 447 447
2 1 ,4
397
1 0,3 6-43
383
2 1 ,7
399
1 0,37-38
1 96
1 0,37-39
1 89
1 0,37-42
1 89
1 0,38
309 426
319
1 0,40
402
395
1 0,40-4 1
400
1,1 1
319
1 0,44
447
1,13
216
1 1,1
447
3 1 9 400
1 1,19
447
2-5
426 433
1 3 ,5
447
2, 1 9-2 1
435
1 3 ,7
447
249 378
1 3 , 1 7-4 1
383
2,22-36
433
1 3 ,26
426
2,23
378 422
1 3 ,30
425
425
1 3 ,32-33
403
404
1 3 ,37
425
403
1 3 ,49
447
Atti degli apostoli 1 ,2 1 ,9- 1 1
1 ,22
2,22-23
2,23-24 2,24 2,25-3 1
692
1 6,6
447
1 ,23
442 47 1 660
1 6,32
447
1 ,24
447
1 7,3
433
1 ,3 0
442 447
1 7,23
1 54
2,2
442
1 8,5
469
2,6-8
442
1 9,20
447
2,7-8
442
2 1 ,20
205
2,8
442 460
25, 1 9
400
3 , 1 6- 1 7
202
Romani
6,4
425
6, 1 8
436
8,5-6
1 54 425 436 44 1 442 447
1 ,3-4
1 04 452 5 1 9
8,6
1 ,3b-4a
425 426 452
9,1
400
1 ,4
3 07 403 458
1 0, 1 6
327
1 ,9
3 03
1 1 , 1 7-32
327
3,25
388
1 1 ,23-26
328
3,25-26
1 04
1 1 ,26
330
4,24-25
406
1 2,3
1 04 1 3 1 424 425 436
4,25
1 04 383 406 407
1 5,3
278 377 383 390
5,5
3 1 1 407
1 5 ,3-5
1 04 425 426
5,8
1 04 3 8 8
1 5 ,3-9
395
5,10
453 63 1
1 5 ,4
40 1 402 404
6, 1
425
1 5,5
396
6,9
390
1 5,8
400
6, 1 0
8 5 1 00
1 5,26
391
8,3
453
1 5 ,28
453
8,9ss
407
1 5 ,45
3 1 0 407 45 1
8, 1 1
404 407
1 5 ,45-49
45 1
8, 1 5
295 296 3 1 o 3 1 1
1 5 ,49
45 1 452
8,20-26
407
1 6,22
424 430 434 435
8,22
388
1 6,22a
435
8,22-23
408
8,29
5 1 45 1 452
8,32
453
2 Corinzi
1 0,9
1 04 425 436
3, 1 8
450
1 0,9- 1 0
425
4--6
450
1 0 , 1 2- 1 3
43 5
4,2
447
1 1 , 1 7-24
52
4,3
447
1 2, 1 1
436
4,4
450 45 1
4,4-5
447
l Corinzi
4,6
45 1 460
5,4
407
1 ,2
435
5,1 1
436
1 ,9
3 1 1 453
5,17
407 45 1
1,17
1 94
5,19
388
1 ,22-23
41 378
1 1 ,24
362
693
3 ,2 1
Galati 1,1
404
2,20
453
3,13
378
4,4
85 1 00 453 5 1 9
4,6
295 296 3 1 0 3 1 1
5,1 1
41
5 , 1 6-25
407
6,4
42
6, 1 5
407
Efesini 1,10
1 00 404 443
1,13
407
1 ,20-2 1
405
1 ,20-22
435
1 ,2 1 -22
443
1 ,22
443
1 ,22-23
444
1 ,23
443
2,4
63 1
2,6
405
2, 1 3 - 1 5
388
2, 1 4- 1 6
425
2, 1 6
443
2,20
53
3,9
442
3,10
51
4, 1 3
452
4, 1 5
443 444
4, 1 5 - 1 6
443
4,30
407
5,8- 1 4
241
5,13
443
45 1
2,6-7
44 1
2,6-8
44 1 528
2,6- 1 1
425 44 1
2,7ss
458
2,8- 1 1
435
2,9
405
2,9- 1 1
405 436
2,1 1
430
694
Colossesi 1,13
452
1,15
1 84 450 45 1
1 , 1 5b
45 1
1 , 1 5-20
425 438 442 447
1 , 1 6- 1 8
443
1 , 1 6b
45 1
1,17
45 1
1,18
444 45 1
1 , 1 8b
443
1,19
443
1 ,20
263 3 8 8 45 1
1 ,25-26
449
2, 1 0- 1 9
443
2, 1 2
404
2, 1 8 - 1 9
443
4,14
338
l Tessalonicesi 1,10
404 425 435 452 453
3,12
436
4, 1 4
404 425
5 ,2-8
24 1
5,4-6
24 1
l Timoteo 1,17
69
2,5
1 46 1 54
2,6
387
3,16
405 425 458
2 Timoteo
Filippesi 2,6
452
2,22
435
Ebrei 1 ,3
1 3 1 425 460
1 ,22
447
2,6
284
4, 1 4
452
5,7
335
5,7- 1 0
389
7,2
452
4,9
455
8,1
389
4, 1 0
388 312
8,6- 1 3
389
4, 1 3 - 1 4
9, 1 - 1 4
389
4, 1 4
1 04
9, 1 1
204
4, 1 5
9 452
9, 1 2
389
5,1
9
9, 1 4
204 3 0 8 3 1 0 389
5,5
283 455
5,13
452
9,24-25
389
9,26
1 00
9,28
3 84 389
1 0,7
389
2 Giovanni
1 0,9
389
2,7
456
1 0, 1 5
3 89
7
448 476
l Pietro
Apocalisse
1,19
385
1 ,7
385
2,24
3 84
1,13
284
3, 1 8
458
2, 1 8
452
3 , 1 8-22
425
3,12
383
7, 1 5
459
l Giovanni
1 2,2
381
12,12
459 459
1,1
1 04 444 456
1 3 ,6
2, 1 2
264
1 4, 1 4
284
2, 1 8
86
1 9, 1 3
444
2,20-27
3 12
2 1 ,2
3 83
3,2
408
2 1 ,3
459
3,24
3 12
2 1 ,40
383
4,2
456
22,20
434
695
INDICE DEl NOMI
Abramowski L. 594 Acharuparambil D. 78 Adinolfi M. 463 Aezio di Costantinopoli 517 Agostino di Ippona 37-39 474 495 540 631 666 Alano di Lilla 39 Alberigo G. 517 529 589 631 Alberti Richi G. 50 319 Aletti J.-N. 450 Alexandre J. 592 Alfaro J. 137 Alszeghy Z. 132 601 Althaus P. 115 Amaladoss M. 93 Amato A. 31 73 146 155 178 188 317 471 519 522 523 569 572 591 666 Anatolio 540 Ancilli E. 619 Ancona G. 210 Anfilochio di !conio 587 Angelini G. 638 Anselmo d'Aosta 39 603-608 617 623 Antonelli M. 663 Apollinare di Laodicea 487 488 516 525 539 543 548 549 553 567 Ardusso F. 176 655 Aristotele 39 603 621 625 Arnaldez R. 70 Ascione A. 49 Atanasio 490 492 501 502 506-509 516 578 Auer J. 78 Bacht H. 627 641 667 Balthasar H.U. von 77 136 160-162 312 606 608 665 669 Barbaglia S. 348 Barbaglio G. 99 655 Barr J. 297
Barrett C.K. 461 Barsotti D. 655 Barth K. 136 142 Basetti Sani G. 618 Basilio di Cesarea 507 515 516 578 583 Bastaire J. 663 Bastianel S. 28 Battaglia V. 128 609 Bauman Z. 140 Bawai Soro 595 Bazzani F. 44 Beinert W. 618 Belle G. Van 412 Bellini E. 593 594 Belting U. 598 Benats B. 492 Ben-Chorin S. 57 58 206 Benedetto XVI 26 30 33 45 46 54 62-65 67 77 78 106 109 217 228 243-245 268 342 347 391 422 610 637 656 657 662 663 665 Benoit P. 286 327 370 Benzerath M. 418 Berger K. 408 Berlendis A. 652 Bernardo di Chiaravalle 602 603 Betti U. 105 Biel G. 624 625 Bieler A. 656 Biffi l. 618 Biguzzi G. 204 Biser E. 44 Blackburn B .L. 250 Blinzler J. 340 341 343 351 354 356 362364 Bloch E. 44 Blondel M. 48 49 Blowers P.M. 598 Boccaccini G. 275 Bock D.L. 349 697
Boespflug F. 589 Bof G. 655 Boismard M. É . 463 Bonato A. 592 Bonaventura di Bagnoregio 609-614 621 623 Bond H.K. 352 Bonhoeffer D. 87 391 Bonnard P.E. 465 Bordoni M. 17 20 29 50 51 84-86 97-99 104 106 107 1 12 127 131 132 136 137 139 149 152 153 163 165 167 176 197 199 232-234 239 244 245 265 286 308 309 311 315 327 337 350 359 361 370 377 394 402 407 448 449 453 522 523 551 553 555 573 639 640 648-651 655 657 658 660 665 667 669 670 Borghese L. 676 Borghesi M. 44 Borgonovo G. 417 Bori P.C. 167 Bornkamm G. 95 115-117 119 248 Borrmans M. 70 71 Borusso G. 43 Bosen W. 344 347 352 Boublik V. 32 129 145 Bourgine M. 652 Bousset W. 453 Bowman F.P. 653 Brambilla F.G. 118 132 639 644 648-650 656 663 669 Brandon G.F. 212 215 277 Brandstatter R. 35 Braun H. 108 115 117 135 Bravo C. 89 Bremond H. 655 664 Brito E. 38 Brown R.E. 247 250 262 285 302 331333 339 340 359 362 364 365 367 371 375 446 447 457 461 Buber M. 57 Budé G. 547 Bujo B. 90 Bulgakov S. 313 Bultmann R. 100 101 113-117 119 228 378 423 453 478 647 Buren P. Van 470 Burkett D. 464
698
Buscemi A.M.
465
Caba J. 118 Cacciapuoti P. 652 Caietano 627 635 636 Calduch-Benages N. 438 440 442 Calvino G. 361 628-630 Camelot P.T. 532 595 Campoccia G. 547 Canobbio G. 132 141 142 655 Cantalamessa R. 301 302 487 490 502 504 519 548 551 552 666 Cantimori D. 629 Capizzi C. 540 557 575 Cappelletti L. 418 Capreolo 635 Carcione F. 507 538 540 567 568 Cardellini L 182 384 Cardin A. 629 Carrara P. 592 Carrez M. 392 Castelli F. 34 36 Castello G. 52 Castellucci E. 663 Casula L. 540 Cattaneo E. 176 Cavalcanti E. 516 Cazelles H. 109 182 188 304 Cerbelaud D. 595 Ceresa-Gastaldo A. 570 Cerfaux L. 421 Cesa C. 44 Charlesworth J.H. 122 Charpentier E. 333 334 Chedat G. 597 Chené J. 530 Chenu M.D. 33 39 Chialà S. 286 Chiereghin F. 43 Chilton B. 220 250 Chiusano LA. 34 36 Cilia L. 463 Cimosa M. 413 Ciola N. 15 99 103 105 121 133 191 313 369 478 530 628 660 Cirillo di Alessandria 492 516 524-533 537-539 541 554 557 559 560 564 578 Cirillo di Gerusalemme 516
Coda P. 20 38 127 132 152 164 167 220 237 313 537 655 658 Collins J.J. 59 220 Colzani G. 86 156 Comte-Sponville A. 140 Congar Y. 185 624 627 628 669 Conte P. 598 Conzelmann H. 286 428 Cappellotti F. 83 112 119 Corbin M. 618 Cosma patriarca di Alessandria 581 Costa F. 619 Cottier G. 44 Cottret B . 653 Cousin H. 415 Cousins E.H. 611 Cozzi A. 86 192 638 648 651 669 670 Cracco G. 602 Croce V. 677 Crociata M. 31 142 146 156 164 658 Cullmann O. 212 283 286 427 D'Angelo M.R. 297 D'Costa G. 165 Dabezies A. 90 Dahnis E. 417 Dailyde K. 395 Dal Covalo E. 592 593 Dalbesio A. 311 Danieli M.l. 477 Daniélou J. 142 143 496-499 Davis S.D. 418 De Carlo F. 369 371 De Gennaro G. 413 De Halleux A. 554 De Jonge M. 302 De la Potterie l 104 105 197 246 247 250 302 311 312 333 334 357 358 360 372376 393 448 449 461 462 De Lorenzi L. 419 De Lubac H. 38 39 142 143 311 474 495 497 498 635 636 Decloux S. 44 Del Zotto C. 618 Dell'Osso C. 562 564 Delorme J. 411 Demelas N. 394 Deneken M. 88 418 675
Dennett D. 140 Descartes R. 622 Dettloff W. 618 Dewart L. 470 Dhanis E. 419 Di Berardino A. 476 505 520 615 Di Domenico P.G. 575 584 590 Di Marco M. 532 Di Napoli G. 618 Dianich S. 99 655 Dimitros I 598 Diodoro di Tarso 516 524 Dioscuro 524 539 541 Dodd C.H. 238 Doré J. 90 Dossetti G.L. 517 518 Dostoevskij F. 23 33 35 41 44 82 Dotalo C. 412 675 Driessen W.C.H. 596 Drobner H.R. 540 541 546 Drummond R.H. 93 Ducay A. 540 666 Dumeige G. 589 Dunn J.D.G. 199 201 222 250 257 259 280 296 299 325 347 441 464 Duns Scoto G. 613 614 622 Dupont J. 230 238 243 244 Dupuy B. 595 Dupuy J. 89 Duquoc C. 127 267 268 333 334 Durante G. 43 Durrwell F.X. 310 313 669 Duval Y.-M. 540 Ebeling G. 117 423 626 Eicher P. 656 667 Ellacuria l 89 Emery G. 598 Endo Shusaku 35 Engels F. 44 Epifania di Salamina 507 518 579 587 Emst J. 292 Etcheverria R.T. 592 Eterovié N. 143 Eusebio di Cesarea 507 576-579 Eutiche 524 538-540 543-545 553 554 558 587 Evans C.A. 220 250
699
Fabris R. 111 121 191 271 324-326 329 331 337 341 344 349 361 393 397 398 400 403 461 Fabro C. 40 Fabry H.J. 413 Fantino J. 592 Faouzi Skakli 92 Farina M. 43 Farrugia E.G. 533 570 Favale A. 105 Favaro G. 93 Pazzo V. 582 Fedou M. 592 Feiner J. 421 650 665 669 Felici F. 493 Femandez Sangrador J.J. 592 Ferrara D.M. 597 Ferraro G. 598 Ferretti G. 42 Ferri R. 592 619 Festugière A.J. 595 Feuerbach L. 44 Feuillet A. 199 286 Fichte J.G. 47 Fiedrowicz M. 474 475 554 Filippi N. 90 Filone d'Alessandria 351 445 497 Filoramo G. 478 Filosseno di Mabbug 579 Fitzmyer J.A. 297 Flavio G. 122 190 351 363 Flick M. 132 133 601 Flusser D. 58 59 Forte B . 129 130 649 651 665 Potino 519 520 615 Frankemolle H. 655 Fries H. 129 Fuchs J. 117 Fuller R.H. 428 Fusco V. 121 124 125 191 210 236 Fuss M. 29 74 86 Gajewki P. 547 Galantino N. 672 Galizzi M. 416 Gallas A. 391 Galot J. 596 Gamberini P. 668
700
Garaudy R. 44 Geiselmann J.R. 97 Geisler N.L. 412 Gelio R. 181 George A. 243 Gesché A. 676 Gherardini B . 626 Ghiberti G. 417 Giametta S. 44 Gianazza P. 73 Giannini G. 49 Giannoni P. 167 Gibellini R. 28 29 Gilbert P. 605 611 621 624 Giorgi A.M. 379 Giorgio G. 595 Giovanni Damasceno 580-584 587 615 618 Giovanni d'Antiochia 515 531-533 538 Giovanni di Fécamp 605 Giovanni Paolo II 25-27 30 33 46 51-53 68 69 85 96 98 155 166 182 313 591 638 Gisel P. 652 Giuliano di Cos 540 Giulisano P. 36 Giustiniani P. 49 Giustino 473 474 480 481 496 Gnilka J. 219 223 258 259 261 280-282 290 326 329 346 382 428 464 Gockel M. 597 Gonzalez C.l. 593 Gonzalez de Cardedal O. 664 Gourgues M. 411 Grandis G. 653 Grasser E. 112 Grech P. 1 14 115 Gregorio di Nazianzo 490 491 514 516 Gregorio di Nissa 37 492 515 516 549 550 578 Gregorio Magno 556 583 Grelot P. 179 180 243 254 283 Grillmeier A. 469 487 488 497 500-502 538 539 543-546 548 549 552 554 555 627 631 641 666 667 Gronchi M. 89 170 619 677 Grossi V. 477 480 491 Guardini R. 323 Guglielmo di Saint-Thierry 603
Guglielmo d'Ockham 622 624 625 Guida A. 413 Guillet J. 418 Gujarro Oporto S. 592 Gutierrez G. 28 29 Gyatso Tenzin 93 Hahn F. 428 435 Haight R. 166 Hainthaler T. 494 Hale R. 167 Harnack A. von 547 Hartmann W. 599 Hegel G.W.F. 38 40 43 47 108 Heidegger M. 25 48 Heinzer F. 592 598 Heisler R. 277 Hengel M. 280 362 385 386 427 453 Henry M. 48 Heriban J. 463 Hersik D. 677 Hick J. 147 150-152 165 Hilberath B. 655 667 Hill C.C. 463 Hillel 59 Hitchens C. 140 Homes S.R. 415 Honoré J. 638 Horbury W. 464 Horkheimer M. 25 Houssiau A. 592 Huizinga J. 623 Hultgren A.J. 411 Hiinermann P. 665 Hurtado L.W. 434 435 441 443 445-448 453-455 460 464 Iammarrone G. 612-614 Ibas di Edessa 540 557 587 Ignazio di Antiochia 481 491 519 553 Ilario di Poitiers 506-513 520 540 Imbach J. 34 Infante R. 463 Inghilesi M. 352 356 Ireneo di Lione 473 474 476 477 480 481 490-492 496 497 553 Isaac J. 56 Isacco della Stella 602
Jaschke H. 414 Jaubert A. 346 347 Jedin H. 506 Jeremias J. 115 117 119 202 228 229 236 238 243 282-284 288 293-298 326 327 380 386 387 Jevtic A. 599 Jonas H. 494 Jossa G. 54 191 206-208 210-212 214-216 272 275-277 339 342 345 349 355-357 Jossua J.P. 592 Jiilicher A. 236 Kabaélé F. 90 Kahler M. 113 119 330 Kannengiesser C. 520 Kant L 42 Karotemprel S. 90 Kasemann E. 102 115 116 119 123 286 Kasper W. 32 97 105 107 128 162 163 503 505 506 649 650 659 665 669 Kelly J.N.D. 503 517-519 Kemmer A. 242 Kendall D. 418 Kern W. 43 Kessler H. 394 479 Kierkegaard S. 34 39-41 Kirch U. 44 Klausner J. 56 Klijn A.E.J. 480 Knitter P.F. 145 147 148 150-152 165 Kolakowski L. 44 Kourbelé L 596 Kramer W. 433 453 Kiing H. 60-62 80 470 547 La Rocca T. 44 Laberthonnière L. 41 Lacoste Y. 220 237 Lacroix X. 663 Ladaria L.F. 132 135 160 510-513 643 666 667 Laiti G. 663 671 Lamarche P. 257 258 Lambiasi F. 111 119 197 199 301 305 669 Lambrecht J. 238 243 245 Lamirande É . 599 Lamy de la Chapelle M. 619
701
Lanfranchi R. 637 Lanza S. 103 Lapide P. 60-62 Laporte J.M. 619 Uipple A. 81 Latourelle R. 27 109 114 116-1 18 252 253 257 263 Le Goff J. 663 Le Guillou M.J. 598 Leboucher M. 650 658 Leclercq J. 39 601 603 605 Lee J.S. 74 Leeb R. 593 Lefebure L.D. 93 Legasse S. 416 Lehmann K. 106 Lentzen-Deis F. 197 199 Léon-Dufour X. 250 254 257 306 327 392 395 398 401 455 458 459 461 Leone Magno 539-541 543 544 554 571 627 Leonzio di Bisanzio 562 563 Leonzio di Gerusalemme 562 563 Léthel F.M. 566 Létoumeau P. 464 Liccaro V. 39 Liébaert J. 593 Lienhard M. 627 Lilla S. 487 500 Lindars B. 464 Linnemann E. 238 Lohrer M. 421 650 665 669 Lohse E. 115 Lois J. 89 Lombardo P. 615 635 Longenecker R.N. 412 Longobardo L. 592 Lopez-Gay J. 79 Lorizio G. 30 95 394 478 637 638 Lossky N. 589 Luneau R. 90 Lutero M. 623-628 630 636 Lyonnet S. 311 Macario di Antiochia Maccarrone M. 589 Macchi S. 638 Machovec M. 44
702
566
Madec G. 593 Madonia N. 676 Maggioni B. 203 224 227 237 239 241 242 258 281 291 324 332 333 335 338 358 360 366-368 372 373 379 381 399 Malani G. 610 Malina B .J. 169 Manca G. 676 Mancini l. 44 Manicardi E. 307 Manna S. 589 Manus U.C. 90 Marango G. 319 Marcel G. 41 Marcello di Ancira 507 519 520 615 Marchel W. 414 Marchesi G. 677 Marconcini B. 220 Marguerat D. 412 Marin A. 25 Marlé R. 28 Marrou H. 16 Martini C.M. 121 191 Marx K. 44 Massimo il Confessore 492 493 565 568570 572 578 643 Maunier B. 594 Mauriac F. 35 Mauro L. 605 611 Mazza G. 676 Mazzinghi L. 439 441 Mazzolini S. 141 McCready D. 653 McGratth A.E. 625 629 Meier J. 347 Melchiorre V. 49 663 Melezio di Antiochia 514 Melina L. 670 Melloni A. 589 Memnone 532 Menke K.H. 162 388 637 Meo S.M. 595 Merklein H. 220 Merz A. 169 Meunier B. 593 Milano A. 38 49 50 534 671 Mirri E. 43 Moda A. 207 316
Moeller C. 34 Moingt J. 497 Moioli G. 639 650 Molinaro A. 605 Mollat D. 311 Moloney F.J. 247 250 285 446 Moltmann J. 24 60 61 80 117 118 128 129 139 361 536 564 663 Monda A. 36 Mondin B. 619 Morales Rios J.H. 415 Morali I. 142 143 Morante E. 35 Morard M. 597 Morati L. 49 Moreschini C. 549 Moretto G. 43 Morris J. 596 Morrone F. 638 Mouroux J. 311 Moutsoukas E. 593 Mtihlen H. 669 Mtiller K. 114 Mtiller U.B. 465 Murphy F.X. 597 598 Mussner F. 250 Narcisse G. 619 Nardin R. 607 655 Negri A. 43 Neill S. 120 Nestorio 492 524-533 538 545 551 553 554 558 564 587 Neusner J. 62-65 200 207 Nguyen-Van-Khana N. 619 Nguyen Van Tot P. 93 Nhat Hanh T. 93 Niccacci A. 466 Nichols A. 599 Nietlispach F. 145 Nietzsche F. 44 45 101 129 Nigro C. 133 Nitrola A. 383 408 Nitsche B . 655 Nkanza Ntima 90 Nobile M. 410 Nock A.D. 453 Noriega J. 670
Nyamiti C.
90
Oberti E. 43 Odasso G. 187 298 Olivieri Pennesi A. 29 Olmi A. 666 Onfray M. 140 Oort J. van 596 Orazzo A. 606 Orbe A. 496 Origene 37 77 474 480 481 496-501 576 577 Orlando L. 283 286 Ortiz De Urbina I. 503 518 554 Padovese L. 101 512 Panimolle S.A. 234 Pannenberg W. 1 17 118 536 547 664 665 Pannikar R. 156 Panteghini G. 612 613 661 Paolo VI 36 74 647 Papini G. 35 Parinetto L. 44 Parmentier E. 88 Parrat J. 90 Pasca! B. 39-41 Pasquato O. 619 Passadore G. 44 Passoni Dell'Acqua A. 207 316 Patfoort A. 619 Pavan A. 38 Pecorara Maggi M.R. 642 666 Pellegrino M. 540 Penco G. 619 Penna R. 31 54 103 110 144 177 196 203205 208 209 213 220 222-225 228 229 235 246 249 250 251 253 254 272-275 278 280 282 283 285 286 288 294 297299 302 307 308 310 319 324 326 369 379 388 404 407 421 425-428 430 432434 436-439 444 445 452 454-456 461 462 464 480 662 663 Penzo G. 44 Perego G. 220 225 272 283 298 302 438 439 452 Peretto E. 592 Pérez-Soba J.J. 670 Peri V. 594 599
703
Perrin N. 286 Perrone L. 597 Perrot C. 176 185 186 190 191 195 228 249 251 255 274 277 324 331 339 346 Pesce M. 167 Pesch R. 259 261 331 Peters T. 655 Petrà B. 313 Petriglieri I. 596 Petuchowski J. 53 Phan P.C. 90 Pié y Ninot S. 156 Pifano P. 34 Pirone B. 70 71 Poggi V. 597 Poletti G. 43 Pollastri A. 592 Poppi A. 401 Porro C. 653 Porzio D. 34 Prades L6pez J. 319 Prenga E. 610 Puech E. 413 Pulcinelli G. 191 369 378 385 388 607 633 Quasten J.
498 499
Rabano Mauro 55 Rae M.A. 415 Rahner K. 136 137 142 144 159 160 162 572 641-643 645 649 667 Randellini L. 117 Ratzinger J. v. Benedetto XVI Ravasi G. 35 220 225 256 272 283 298 302 371 438 439 452 Ravier A. 311 Rayan S. 93 Reale G. 550 Reali N. 50 Redeker M. 43 Reimarus H.S. 110 1 1 1 212 277 Repole R. 86 663 668 Rey B . 466 Ricciotti G. 82 Ricken F. 505 Ricoeur P. 412 Riconda G. 42
704
Riedinger R. 598 Rigato M.L. 373 Rinaldi B. 416 Ritter A.M. 517 Rizzacasa A. 91 Rizzardi G. 93 Roberson R. 533 Robinson J. 112 663 Rosmini A. 637 638 Rossano P. 143-145 166 Rossé G. 244 265 318 319 364 369 Rostagno S. 652 Rothert H.J. 43 Ruberti A. 411 Ruello F. 619 Ruggieri G. 667-669 Ruini C. 50 Ruperto di Deutz 39 603 Rupnik M.l. 599 Rtitenik A. 43 Sabetta A. 133 638 Sacchi P. 186 194 200-202 208-210 214 227 264 275 329 Sagi-Bunic T. 597 Saldarini A.J. 409 Salomona B. 653 Salvati G.M. 128 Samuelsson G. 363 Sanders E.P. 121 122 124 203 Sanna l. 29 134 137 140 144 160 182 642 643 Santaner M.A. 619 Sartori L. 85 555 609 637 Sauter G. 669 Scarafoni P. 592 676 Scheeben M.J. 636 637 Scheffczyk L. 129 665 Schelbert G. 414 Scheler M. 41 Schierse F.J. 428 Schillebeeckx E. 99 470 534 547 644 Schilson A. 656 Schleiermacher F. 43 Schlier H. 333 375 380 394 Schlosser J. 124 189-191 196 206 208 210 213 220 222 223 229 248 250 264 274 318 326 329 331 394 396 397 464
Schmid J. 418 Schnackenburg R. 102 197 219 220 222 225 231 233 234 248 250 253 256 260 282 285 302 311 312 320 375 421 428 444-447 454 457 458 461 464 650 Schneider T. 655 667 Scholtissek K. 388 Schonbom C. 576-578 582 590 591 Schoonenberg P. 470 534 535 547 644 645 Schtirmann H. 265 388 Schtitz C. 412 Schwartz E. 531 Schweitzer A. 83 112 119 Scipioni L. 525 Scognamiglio R. 592 Segalla G. 60 121 122 124 176 311 425 427 428 461 480 Selvadagi P. 74 Senécal B. 93 Sequeri P. 656 Sereno di Marsiglia 579 Serenthà L. 639 Serretti M. 51 153 658 Serveto M. 629 Sesbotié B. 17 83 97 102 109 114 141 175 178 314 471 474-476 479 481-484 486 499 501 502 504 527 528 530 534 535 539 540 543 544 546 559 563 564 567 573 608 632 649-651 658 666 Severios Ishak Zakka 595 Sfameni Gasparro G. 592 Sguazzardo P. 666 Sherwood P. 597 598 Simoens Y. 417 Simonelli S. 36 Simonetti M. 498 499 503 505 515 525 526 528 562 615 Siobhan Nash-Marshall 609 637 Smulders P. 494 Sobrino J. 89 Sommavilla G. 44 Song C.S. 90 Soulette J.L. 88 412 Spadaro A. 140 Spicq C. 447 Spidlik T. 559 Spinsanti S. 663
Spiteris Y. 135 313 489 Splett J. 38 Staffner H. 90 93 Staglianò A. 637 Standaert B. 281 Stegemann W. 169 Stein E. 48 49 Stewart Z. 453 Stock K. 272 283 452 Straats R. 594 Studer B. 476 496 497 503 504 508 521 526 533 540 Suarez F. 635 Tagore R. 74 75 Tanzarella S. 314 Tavares S.S. 28 29 Taylor W.R. 427 Teilhard de Chardin P. 48 49 Teodoreto di Ciro 514 540 554 557 Teodoro di Ancira 587 Teodoro di Antiochia 581 Teodoro di Gerusalemme 581 Teodoro di Mopsuestia 524 526 528 533 557 Temant P. 413 Terrin A.N. 93 Tertulliano 476 477 481 496 497 541 Testa F.S. 44 Testaferri F. 274-276 Testori G. 35 Theissen G. 169 Thévenot X. 412 Thusing W. 642 Tillich P. 100 Tilliette X. 38 41 44 47-49 Todisco O. 44 609 Tolkien J.R.R. 36 Tomasoni F. 44 Tommaso d'Aquino 52 312 410 614 615618 621-623 628 635 636 666 Tononi R. 619 Torrance T.F. 594 597 Torrell J.P. 619 Tourn G. 629 Trabucco G. 134 Tremblay R. 670 Trisoglio F. 592
705
Truong N. 663 Turner J. 494 Tweftree G.H. 225 Vagaggini C. 18 311 312 Valenziano C. 575 Vanhoye A. 310 333 334 389 Vanni Rovighi S. 606 Vannini M. 45 Varnalidis S. 599 Vattimo G. 26 472 Vauchez A. 601 602 Vazquez Allegue J. 413 Verdiani B. 35 Verdona F. 91 Vermes G. 59 60 Vemette J. 93 Visonà G. 592 Vitali D. 197 199 301 305 669 Vitelli G. 168 413 Vivekananda S. 75 Vogtle A. 464 465
706
Weber E.H. 619 Weder H. 412 Weil S. 48 49 Welte B . 505 Wendel E. 663 Wiederkehr D. 665 Wolf E. 330 Wolinski J. 474 544 632 651 Wolker W. 549 Wright T. 120 Wrobel R. 466 Yagi S.
93
Zago M. 77 150 Zamboni S. 670 Zani A. 494 Zilio P. 676 Zoppi M. 605 Zovatto P. 637 Zucal S. 38 42 43 45 50 1 1 1 Zumstein J . 237
INDICE GENERALE
ABBREVIAZIONI E SIGLE PREFAZIONE
• • . . . . . . • . • . • • • • . . • . . . • • • . . • • . . . . • • • . • . • • . • • • . • • • • . • • • • . . • • • . . . • . . • • • . • . . . . . • • . . . • • . . . • • . . . • •
• . . . • • • . . • • . . • • • • . . . • . . • . . • . • • • . • • . • . . . . . . • . • • . . . . • . . . . • • • • . . . • . • • • . . • • • • . . . • • . • • • . .• • • • • • • . • • • • • • • • • • . • . • . . • • •
INTRODUZIONE
• • • • • • . . . . • . . . • • . . • • • . . . . . . . . . . .. • • • • . . . . . . . • . • • • • • • • • . • . • • . • • • . . • • . • . • • • • • • • • . • • • • . . . • . • • • . • . . . . . . . . . . • • • •
p.
7
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9
})
15
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23
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23 25
PARTE PRIMA PROLEGOMENI: CONTESTO E PROFILO EPISTEMOLOGICO DELLA CRISTOLOGIA
Capitolo I L'IRRESISTIBILE ATTRATTIVA DI GESÙ DI NAZARET
. . .
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1. «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro? » (Mt 11,3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
l. l. Gesù e il contesto presente .................................................................. 2. «Voi chi dite che io sia? » (Mt 16,15). Incontri e scontri con Gesù Cristo, l'atteso delle genti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
.
.
2.1. 11 Gesù dei letterati ............................................................................... . 2.2. Il Cristo dei filosofi .............................................................................. . 2.3. Gesù di fronte alle grandi religioni istituzionali ...............................
.
3. Alla ricerca dell'autentico volto di Gesù di Nazaret . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
.
3.1. Superare, nell'approccio a Gesù, il retaggio della cultura secolaristica .................................................. 3.2. Gli obiettivi da conseguire nella ricerca del volto di Gesù ............. . Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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32 32 37 50 79
» » »
80 82 87
» » » » »
95 95 99 100 103
» »
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Capitolo II LA CRISTOLOGIA SISTEMATICA E IL SUO METODO
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1 . L a cristologia e i l suo profilo epistemologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La fede pasquale della Chiesa punto di partenza della cristologia . . . . . . . .
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2.1. L'evento storico-cristologico fonda la fede ecclesiale ...................... 2.2. La fede della Chiesa interpreta la storia di Gesù il Cristo ............... .
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3. Il rapporto «storia-fede» nel dibattito intorno alla cristologia nel XIX e XX secolo fino a oggi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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3.1. Circa il significato di «storia» ............................................................ . 3.2. L'approccio storico a Gesù di Nazaret ............................................. .
4. I principali orizzonti attraverso i quali si evolve la cristologia sistematica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1. Gesù di Nazaret, rivelazione escatologica del nuovo volto del Dio cristiano ....................................................... 4.2. Cristologia in prospettiva universale: tra escatologia, pneumatologia e protologia .................................... 4.3. Cristologia e antropologia ..................................................................
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5. La riapertura della «questione cristologica»: Gesù Cristo unico mediatore costitutivo di salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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5.1. 5.2. 5.3. 5.4.
L'attestarsi della teologia delle religioni ........................................... La sfida odierna all'unicità salvifica di Cristo .................................. l presupposti epistemologici ............................................................... l/ linguaggio mitologico mette in crisi la singolarità-universalità di Gesù Cristo .......................................... 5.5. L'affermazione del «modello inclusivista» e le prese di posizione magisteriali ..................................................... 5.6. Quali risorse nella riflessione cristologica fino a oggi? ................... 5. 7. Motivi fondamentali della singolarità-unicità di Gesù Cristo .........
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Bibliografia ragionata
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PARTE SECONDA GESÙ DI NAZARET TRA FEDE CREDENTE E VICENDA STORICA
Capitolo I L'ANAMNESI ECCLESIALE COME GREMBO DELLA «STORIA» DI GESÙ DI NAZARET ...
Capitolo II GESÙ E LE ATTESE DI SALVEZZA
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1 . Speranza messianica e mediazioni d i salvezza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La speranza di salvezza dell'umanità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo III GESÙ DI NAZARET, UN EBREO NON OMOLOGABILE, NEL CONTESTO VITALE DEL SUO TEMPO
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1 . Percorsi operativi nella ricostruzione della vicenda storica .................... 2. Gesù di N azaret sullo sfondo dei movimenti religiosi del tardo giudaismo: il movimento battista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Significato storico-teologico del battesimo di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Gesù e il culto: rispetto, ma sorprendente autorità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Gesù e la Legge: osservanza e sovrana libertà . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 6. Gesù nel contesto socio-politico del suo tempo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo IV LA «CAUSA» DI GESÙ
È IL REGNO
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1 . Caratteri della regalità divina . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Gesù: presenzialità e attesa futura del regno di Dio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo V GESÙ E LA SUA PAROLA «NUOVA»
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1 . I «detti>> (loghia) di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Le beatitudini del Regno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Le parabole del Regno: evento linguistico e carattere appellativo-prassico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. Le dimensioni fondamentali delle parabole di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Riepilogo provvisorio: la parola autorevole di Gesù . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo VI L'AUTOREVOLEZZA DEI «SEGNI» CHE GESÙ OPERAVA
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1 . I miracoli, segno di «compimento » , mediante il profeta degli ultimi tempi (Mt 1 1 ,3 ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2. «Sana ogni malattia e infermità» (cf. Mt 9,35) e «scaccia i demoni con il dito di Dio» (cf. Le 1 1 ,20): Gesù taumaturgo ed esorcista . . . . . . . . . . . . 3. «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono? » (cf. Mc 4,41 ): i miracoli di Gesù sulla natura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. «Il Figlio dell'uomo ha il potere di perdonare i peccati sulla terra » (Mc 2,10): Gesù riconciliatore . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. Riepilogo provvisorio: Gesù al di fuori di ogni schema . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo VII LA COSCIENZA CHE GESÙ AVEVA DI SE STESSO . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
l . Le attribuzioni della fase gesuana . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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2. L a coscienza messianica d i Gesù nel titolo evangelico di «Figlio dell'uomo>> . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. Significato di trascendenza . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo VIII IL RAPPORTO DIALOGICO DI GESÙ CON Dro SUO PADRE l. «> e la crocifissione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
9.1. Il supplizio della croce ........................................................................ 9.2. Crocifissione e morte di Gesù ............................................................
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Capitolo XII SIGNIFICATO ESCATOLOGICO E SOTERIOLOGICO DELLA MORTE IN CROCE DI GESÙ ..
1. La morte di Gesù «secondo le Scritture » . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La morte di Gesù svela pienamente la sua causa e la sua persona . . . . . . . . 3. «Quia per sanctam crucem tuam redemisti mundum» :
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la morte in croce come avvenimento soteriologico . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo XIII LA RISURREZIONE COME COMPIMENTO DELLA STORIA DI GESÙ . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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1. La risurrezione di Gesù: tra storia e metastoria . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. La risurrezione di Cristo: evento di compimento . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. La risurrezione del Crocifisso come pasqua della nostra salvezza . . . . . . . . . .
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Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo XIV IL CROCIFISSO-RISORTO ANNUNZIATO DALLA CHIESA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
.
1 . Il
«secondo inizio » del cristianesimo (e della cristologia neotestamentaria) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1. Percorsi e sviluppi delle diverse cristologie delle origini cristiane .. 1.2. Criteri di discernimento e opzioni consequenziali ...........................
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2. I contenuti essenziali delle confessioni di fede
e delle cristologie post-pasquali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2.1. Gesù confessato come «Signore» e «Cristm>: la prospettiva escatologica .................................................................. 2.2. La prospettiva protologica: Gesù Cristo all'origine del progetto di Dio ............................................................................... 2.3. La dimensione ontologico-trascendente di Gesù Cristo .................. 2.4. La prospettiva incarnazionale: Gesù, il Logos che «carne è diventato» ....................................................................... Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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PARTE TERZA GESÙ CRISTO NEGLI SVILUPPI DELLA TRADIZIONE ECCLESIALE
Capitolo I
LA CRISTOLOGIA NELLA CHIESA ANTICA ( SECOLI l-III) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.
.
Gli inizi: Gesù Signore e Cristo confessato dalla fede della Chiesa (At 18,5)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . ..
1.1. Gesù compimento delle Scritture ...................................................... 1.2. Il realismo inaudito della carne umana di Gesù Cristo .................. 1.3. L 'origine di Gesù Cristo: da Spirito Santo e da Maria Vergine ......
..
..
2. Il linguaggio di incarnazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1. L 'incarnazione nella concezione della patristica latina e greca ..... 2.2. La motivazione soteriologica dell'incarnazione ...............................
.
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Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo II L'UNITÀ DI CRISTO NEL GRANDE DffiATTITO TRA I SECOLI IV-VIII . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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l. Il passaggio dalla prospettiva soteriologica a quella «riflessa » sull'identità di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
2. Declino della teologia origeniana e crisi ariana. La fase pre-nicena . . . . . 710
.
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A. La dottrina cristologica dei primi quattro concili ecumenici dell'antichità ne/ loro contesto vitale
3.
Il contributo del concilio di Nicea
(325) alla cristologia antica . . . . . . . . . . . . . .
3.1. I cinquant'anni che separano il concilio di Nicea dal concilio Costantinopolitano /.. .. . 3.2. Il ruolo svolto da Atanasio e Ilario di Poitiers ................................. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . .
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4. Il concilio di Costantinopoli I (381) e il suo significato per la cristologia
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
4.1. Il contesto storico-ecclesiale ................................................................ 4.2. L'importanza del Simbolo niceno-costantinopolitano .................... 4.3. L'articolo cristologico-pneumatologico del Costantinopolitano /... 4.4. Significato ecumenico-ecclesiale di Costantinopoli I .......................
.
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5.
In pieno dibattito cristologico: il messaggio del concilio di Efeso
(431)
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5.1. Il ruolo di Nestorio e di Cirillo di Alessandria ................................. 5.2. Come andarono le cose al concilio di Efeso ..................................... 5.3. Cosa ha da insegnare Efeso oggi? .................................................... .
»
.. . .. 6.1. L'eresia di Eutiche .............................................................................. 6.2. L'evolversi degli eventi ........................................................................ 6.3. Il ruolo di san Leone Magno e della teologia latina ......................... 6.4. La prima parte della definizione dogmatica ..................................... 6.5. La seconda parte della definizione di Ca/cedonia ............................ 6.6. Per un 'ermeneutica del dogma calcedonese dell'incarnazione .......
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537 538 539 540 541 544 547
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.
6. L'unità di Cristo, «vero Dio-vero uomo » : il concilio di Calcedonia (451)
. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
. . . . . . . . . . . . .
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. . . . . . . . . . . . . . . . .
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B. I concili ecumenici della Chiesa antica
a complemento del dogma cristologico
7.
Il concilio Costantinopolitano II (553) ovvero l'umanità di Cristo sussiste nell'ipostasi del Logos ...................................................................
7.1. 7.2. 7.3. 7.4.
.
Una chiarificazione di Ca/cedonia ..................................................... Le conseguenze della communicatio idiomatum . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Spiegazione dell'unione «secondo l'ipostasi» e /'en-hypostasis . . . . . . . Cosa ha da insegnare Costantinopoli II oggi ? .................................
8. Il concilio
.
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.
Costantinopolitano III (680-681 ) L'integrità della libera volontà umana di Cristo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
»
.
8.1. Gli antecedenti ..................................................................................... 8.2. La celebrazione del concilio di Costantinopoli III e la problematico teologica soggiacente ............................................. 8.3. Il ruolo eccezionale di san Massimo il Confessore .......................... 8.4. Il dettato del Costantinopolitano III .................................................. 8.5. L'attualità del Costantinopolitano III ..............................................
.
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9. I l concilio d i Nicea I I (787). L e immagini sacre
espressione del realismo dell'incarnazione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
.
9.1. Il conflitto dogmatico circa le immagini sacre .................................. . 9.2. L'esplodere della crisi iconoclasta ..................................................... 9.3. Il contributo decisivo di san Giovanni Damasceno per una teologia dell'immagine .......................................................... . 9.4. La celebrazione e le decisioni del concilio di Nicea II (787) ........... 9.5. La difficile recezione di Nicea II e la definitiva affermazione della dottrina delle immagini .............................................................. .
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9.6. Il significato di Nicea II: l'affermazione del realismo dell'incarnazione ................................................................................. Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Capitolo III LA CRISTOLOGIA MEDIEVALE NEL PASSAGGIO TRA TEOLOGIA MONASTICA E TEOLOGIA SCOLASTICA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. La contemplazione di Cristo nella teologia monastica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. Sant'Anselmo e la ratio nella riflessione cristologica . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 3. L'affermarsi del cristocentrismo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 4. San Tommaso d'Aquino: incarnazione del Verbo e soteriologia . . . . . . . . . . . Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo IV LA CRISTOLOGIA TRA EPOCA MODERNA E CONTEMPORANEA . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. L'autunno del medioevo ( anche per l a riflessione cristologica) . . . . . . . . . . . . 2. La cristologia nell'epoca della Riforma: il Christus pro me .................... 3. La risposta del concilio di Trento e il suo linguaggio soteriologico . . . . . . . 4. Dalla «seconda scolastica)) alla neoscolastica (fino alla crisi della cristologia manualistica) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5. La commemorazione del concilio di Calcedonia (1951) come epicentro del rinnovamento della cristologia contemporanea . . . . . 6. Le irrinunciabili acquisizioni della cristologia sistematica a seguito del cambio epocale del concilio Vaticano II . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Bibliografia ragionata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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Capitolo V LA CRISTOLOGIA TRA XX E XXI SECOLO: SFIDE E PROSPETTIVE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1. Le risposte alle sfide più recenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
1.1. La cristologia nell'orizzonte della verità ........................................... 1.2. La verità nell'orizzonte della cristologia ...........................................
2. L'odierna navigazione della cristologia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2.1. 2.2. 2.3. 2 .4.
Conclusione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
INDICE BIDLICO
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INDICE DEI NOMI
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Prendere sul serio la «carne umana» di Gesù .................................. L 'unione ipostatica ripensata in senso relazionale ........................... Il mistero dell'Incarnato in un orizzonte trinitario .......................... L 'Incarnato e il mistero antropologico di «filializzazione» ............
B mLIOGRAFIA GENERALE
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