FORUM IULIUM L'area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005-2008: Le fasi arcaica, repubblicana e cesariano-augustea 9781407312385, 9781407342061

The book is the result of three years of excavations (2005-2008) on the north-west side of Rome's Via dei Fori Impe

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Italian Pages [312] Year 2014

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INDICE
PREFAZIONE
INTRODUZIONE
I. LA STORIA DEGLI STUDI SUL FORO DI CESARE
II. LA GEOMORFOLOGIA DELL’AREA
III. LO SCAVO E LA RICOSTRUZIONE
IV. IL SACCO GALLICO: MITO E REALTÀ DI UN EVENTO STORICO
V. IL CONTESTO STORICO-URBANISTICO DEL FORO DI CESARE
APPENDICE
APPARATI
BIBLIOGRAFIA
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FORUM IULIUM L'area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005-2008: Le fasi arcaica, repubblicana e cesariano-augustea
 9781407312385, 9781407342061

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BAR S2607 2014

FORUM IULIUM L’area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005-2008

DELFINO

Le fasi arcaica, repubblicana e cesariano-augustea



Alessandro Delfino

FORUM IULIUM

B A R

BAR International Series 2607 2014

FORUM IULIUM L’area del Foro di Cesare alla luce delle campagne di scavo 2005–2008 Le fasi arcaica, repubblicana e cesariano-augustea

Alessandro Delfino con i contributi di Eugenia Braione, Lucio Calcagnile, Marisa D’Elia, Jacopo De Grossi Mazzorin, Valeria Di Cola, Valentina Gaballo, Helga Di Giuseppe, Patrizia Maisto, Claudia Minniti, Beatrice Pinna Caboni, Gianluca Quarta, José Remesal Rodriguez, Carlo Rosa e Sabrina Zampini

BAR International Series 2607 2014

ISBN 9781407312385 paperback ISBN 9781407342061 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407312385 A catalogue record for this book is available from the British Library

BAR

PUBLISHING

A mio padre

[…] Aggiungo che, a partire da quest’anno, secondo un programma preordinato, a lunga scadenza, lo scavo sarà ripreso, con obiettivi analoghi ai precedenti, in un’area del Foro di Cesare posta più a nord-ovest, quasi dinanzi al Tempio di Venere Genitrice, ove l’asportazione delle lastre pavimentali cesariane dovrebbero lasciare più ampio spazio per attingere i livelli e le costruzioni di età repubblicana che precedettero il Foro di Cesare. I risultati potranno essere forse collegati un giorno, in una trama unitaria, fissando anche per Roma una serie stratigrafica di valore assoluta, in relazione alle discusse fasi della sua più antica storia civile ed urbanistica. (Lamboglia 1980, p. 134)

INDICE

Prefazione

iii

Introduzione

iv

I. La storia degli studi sul Foro di Cesare

1 1 10 10 14

1. Premessa 2. Gli studi sul Foro di Cesare: da Corrado Ricci agli scavi per il Giubileo del 2000 2.1. Gli interventi del Governatorato al Foro di Cesare (1930-1934) 2.2. Gli scavi di Nino Lamboglia e le indagini di Gabriella Fiorani (1960-1970) 2.3. Le indagini degli anni Ottanta: lo scavo di Edoardo Tortorici e Chiara Morselli e la campagna di rilievo di Carla Maria Amici 2.4. Gli scavi per il Giubileo: le indagini del 1998-2000

II. La geomorfologia dell’area 1. Premessa 2. Breve storia degli studi geologici riguardanti l’area del Foro di Cesare: la “sella” tra Campidoglio e Quirinale 3. La geologia e la geomorfologia dell’area del Foro di Cesare alla luce delle ultime campagne di scavo

III. Lo scavo e la ricostruzione

16 20 30 30 31 37

1. Premessa La modalità di intervento I reperti ceramici. Il metodo della classificazione 2. Breve sintesi sulle fasi protostoriche: dall’età del Bronzo Recente all’età arcaica 3. La sequenza stratigrafica 3.1. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.) 3.2. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.) 3.3. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.) 3.4. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.) 3.5 Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.)

48 48 48 50 51 64 64 93 124 136 183

IV. Il sacco gallico: mito e realtà di un evento storico

226

V. Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

240 240 241 244 248 252 253

1. Premessa 2. Il contesto storico-urbanistico 2.1. Templum Felicitatis, Curia Hostilia e Curia Iulia 3. Forum Iulium: il progetto iniziale e la prima inaugurazione 3.1. L’Equus Caesaris 4. Forum Iulium: l’ampliamento e la seconda inaugurazione

i

Appendice Datazione al radiocarbonio mediante Spettrometria di Massa con Acceleratore (AMS) di carboni provenienti dal Foro di Cesare Apparati

Elenco delle Attività

257 271

Bibliografia

274

ii

PREFAZIONE di Roberto Meneghini

Nel 1812-1814 l’amministrazione napoleonica a Roma realizzò dei grandi scavi attorno alla Colonna di Traiano liberando il settore centrale della Basilica Ulpia e attivando un inarrestabile impulso alla scoperta archeologica dei Fori Imperiali che esattamente due secoli più tardi non si è ancora esaurito. Questa ricorrenza del duecentesimo anniversario dell’inizio degli scavi nei Fori rappresenta una occasione per tracciare un rapido bilancio della vicenda. Tolto l’episodio iniziale napoleonico ed altri minori, le indagini si sono raggruppate principalmente in due fasi: la prima, realizzata dal Governatorato di Roma tra il 1924 e il 1934, ha visto la completa demolizione del quartiere Alessandrino e lo scoprimento di larghi settori dei Fori di Cesare, Augusto, Nerva e Traiano; la seconda, compiuta tra il 1989 e il 2008 dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma (ex X Ripartizione Antichità e Belle Arti), ha comportato lo scavo di alcune ampie aree a giardino, predisposte da Antonio Muñoz a conclusione del precedente episodio, e la messa in luce, nel loro sottosuolo, di porzioni consistenti di tutti e cinque i Fori Imperiali. Nella prima occasione furono liberati 1,6 ettari della antica area mentre nella seconda ne sono stati scavati 1,7, ma la profonda diversità tra i due interventi, separati da più di mezzo secolo di stasi totale, risiede sicuramente nel metodo e nelle motivazioni che li hanno generati e governati. Da una parte infatti il motore dell’intervento fu Corrado Ricci che, pur di attuare il suo progetto, accettò di condividere con il fascismo scelte oggi discutibili e certo irrealizzabili, come la demolizione del quartiere e la “deportazione” degli abitanti in periferia oltre all’adozione di una tempistica stretta, scandita dalle ricorrenze di regime, che non permise di documentare nulla di ciò che si era rinvenuto negli interri nonostante la metodologia stratigrafica fosse in qualche modo già nota grazie alle intuizioni di Giacomo Boni. Dall’altra parte l’intervento recentemente compiuto dal Comune di Roma ha prestato invece attenzione all’irrisolto problema urbanistico dell’area e alla possibilità di ottenere nuove conoscenze sulla storia della città grazie a scavi condotti con una maggiore sensibilità e con un metodo più scientifico. Se il primo obiettivo non è stato completamente acquisito (e si spera per questo che i tavoli progettuali inter-istituzionali annullati dagli ultimi mutamenti politici vengano quanto prima ripristinati) non si può dire altrettanto del secondo che appare del tutto centrato. Lo testimonia il gran numero di pubblicazioni scientifiche realizzate durante e dopo gli scavi: decine di saggi e l’edizione integrale delle indagini in due Fori su cinque (gli altri tre vedranno la luce entro pochi anni) oltre a monografie su diversi argomenti di interesse collaterale come quelle relative ai contesti ceramici una delle quali è tuttora in corso di stampa in questa stessa collana. Questo aspetto conoscitivo è certo quello che fa la differenza tra i due grandi interventi di scavo sui Fori Imperiali. I risultati delle indagini del Governatorato sono infatti relegati nell’ambito di pochi articoli di carattere descrittivo mentre quelli dell’intervento compiuto dalla Sovraintendenza comunale costituiscono ormai una consistente sezione bibliografica nella storia dell’archeologia romana. In tal senso questo volume, curato da Alessandro Delfino che ha coordinato le indagini più recenti nel Foro di Cesare, rappresenta un punto di arrivo poiché completa e arricchisce una gran parte del panorama degli scavi realizzati nel Foro stesso tra il 2005 e il 2008 già delineato negli atti di un convegno tenutosi il 17 dicembre 2008 a Roma e pubblicati in Scienze dell‘Antichità 16, del 2010. L‘apporto che questi nuovi dati forniscono allo studio e alla ricostruzione della Roma arcaica e repubblicana dimostra quanto sia importante il proseguimento delle indagini archeologiche nelle aree centrali pluristratificate della città.

iii

INTRODUZIONE A. Delfino

Il Foro di Cesare costituisce un elemento fondamentale nella comprensione dello sviluppo urbanistico dell’area a nord del Foro Romano. Il suo inserirsi con effetto rivoluzionante nella maglia abitativa cresciuta senza soluzione di continuità dall’età arcaica fino alla tarda età repubblicana e il carattere di polo generatore di tutti i Fori Imperiali, hanno fatto sì che l’interesse degli studiosi si incentrasse su questo monumento cercando di capirne le dinamiche di sviluppo e le relazioni con il contesto urbanistico circostante. Nonostante studi e campagne di scavo mirate abbiano apportato notevoli contributi per una maggiore comprensione del Foro di Cesare, fino a pochi anni fa mancava una visione di insieme del monumento che permettesse di apprezzarne l’unità architettonica e, sopratutto, la sua evoluzione nel tempo. Il raggiungimento di tali obiettivi nel corso delle ultime indagini, pertanto, ha consentito non solo di ottenere un’immagine affatto inedita del complesso cesariano ma anche di ripensare su nuove basi il significato politico e ideologico dell’operato di Cesare di cui il Forum Iulium è l’espressione monumentale più rappresentativa. Il presente lavoro costituisce il risultato di tre anni di scavi condotti nell’area del Foro di Cesare tra l’ottobre del 2005 e l’agosto del 2008. Le indagini si sono svolte nell’ambito del Progetto “Fori Imperiali”, promosso dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, diretto da Eugenio La Rocca e coordinato da Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli Valenzani, in collaborazione diretta con la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma. Le campagne sono state condotte da chi scrive, inizialmente come socio della cooperativa archeologica Parsifal, vincitrice dell’appalto di scavo nell’anno 2005-2006, e successivamente in qualità di dottorando del Dipartimento di Archeologia Classica dell’Università di Roma “La Sapienza”. Dopo la campagna di scavo del 1998-2000, intrapresa nell’ambito dei lavori per il Giubileo e ancor più nelle campagne del 2005-2008, realizzate con gli stessi fondi, è stato possibile avere per la prima volta non solo una visione del monumento nella sua interezza ma, grazie all’approfondimento sotto i piani pavimentali della piazza, anche delle fasi archeologiche precedenti ad esso. Quest’ultimo aspetto è tanto più importante se si considera che l’impianto di ciascuno dei Fori Imperiali ha comportato, con le sue opere di sbancamento e i suoi potenti sistemi di fondazioni, la cancellazione pressoché totale della maglia abitativa più antica. A questo stato di cose si aggiunge che gli esigui brani di strutture murarie e livelli di frequentazione di età arcaica e repubblicana pur noti da tempo nelle immediate vicinanze del Foro di Cesare (Foro di Nerva, Basilica Emilia, Curia, chiesa dei SS. Luca e Martina), per il carattere occasionale e, in alcuni casi, per le modalità scarsamente scientifiche del loro rinvenimento hanno impedito fino ad ora una lettura coerente sia sul piano storico che su quello topografico. Tuttavia, anche se l’aspetto di disiecta membra di queste evidenze è destinato per il momento a rimanere tale, i nuovi rinvenimenti nell’area del Foro di Cesare pur nella loro limitatezza possono apportare un contributo significativo nella difficile opera di ricucitura di quelle realtà. Se i risultati e gli spunti per ricerche future sono stati notevoli per quanto riguarda le fasi arcaiche e repubblicane, non da meno si sono rivelate alcune evidenze legate al complesso monumentale cesariano. L’indagine mirata ad alcune parti costitutive e più problematiche del Foro di Cesare, infatti, ha permesso se non di risolvere annose questioni, almeno di proporre ipotesi alternative, utili a riaprire un dibattito quanto mai proficuo e stimolante. Acquisizioni come l’esistenza di una fase costruttiva più antica e differente, per aspetto e dimensioni, da quella attualmente visibile; il dimezzamento del colonnato interno alla piazza previsto sin dalla fase originaria del foro; la possibilità che esistesse un secondo ordine sovrapposto dei portici che circondavano la piazza, sono tutti risultati ottenuti grazie all’estensione, come mai prima d’ora, del campo d’indagine. iv

La strategia adottata, infatti, è stata quella di uno scavo estensivo e simultaneo di tutta la porzione sudorientale della piazza del foro nel tentativo di “ricucire” i due settori storici di indagine del monumento: l’area nord-occidentale del foro, indagata da Corrado Ricci negli anni Trenta del XX secolo e quella retrostante la Curia Iulia, indagata da Nino Lamboglia negli anni Sessanta e da Chiara Morselli ed Edoardo Tortorici alla metà degli anni Ottanta. Pur privilegiando lo scavo estensivo come strategia più adatta per una migliore conoscenza del sito, l’area è stata suddivisa in settori di indagine corrispondenti alle diverse parti in cui si presentava frazionato il Foro di Cesare. Tale suddivisione, infatti, è stata motivata dalla particolare situazione dell’area che anche dopo il raggiungimento delle quote antiche su tutta l’estensione del foro in occasione della campagna di scavo 1998-2000, presentava ancora ben evidenti le tracce del quartiere Alessandrino sortovi sopra a partire dalla fine del XVI secolo (via del Tulliano, via Bonella, sostruzioni dell’Accademia di S. Luca, fondazioni del convento di S. Adriano). Tale organizzazione dello scavo ha permesso di focalizzare l’attenzione su determinate problematiche relative al monumento (la piazza, i portici, le tabernae) e sopratutto di realizzare un proficuo svolgimento dell’attività didattica. Sin dalla campagna del 2005, infatti, il progetto scientifico ha contemplato, come parte integrante nelle attività di scavo, di documentazione e di elaborazione dei dati, la presenza costante di laureandi e laureati in archeologia dell’Università di Roma Tre, trasformando il più grande cantiere di scavo urbano italiano in una grande esperienza di crescita professionale sia per gli studenti che per l’équipe che ha diretto il progetto. Il piano dell’opera è stato concepito con l’intento di privilegiare al massimo il dato di scavo inedito e la sua interpretazione, concentrando nel primo capitolo l’esposizione della problematica archeologica e della storia degli studi. Ciò è stato dettato dalla volontà di non riproporre ciò che prima e meglio di noi ha presentato l’équipe di Chiara Morselli ed Edoardo Tortorici, dove tali argomenti sono stati trattati con estrema chiarezza e completezza. Analogo discorso vale anche per le fonti d’archivio trattate in quella stessa sede con estrema esaustività. Pertanto, dopo un’esposizione sintetica sullo stato delle conoscenze acquisite sull’area del Foro di Cesare e sul complesso monumentale cesariano fino alla prima campagna di scavo del Progetto “Fori Imperiali” (1998-2000), la trattazione si apre con un capitolo (cap. II) dedicato all’aspetto geologico e geomorfologico della zona, con il quale si è voluta sottolineare l’importanza del paesaggio naturale nell’evoluzione storicourbanistica di questo settore della città, mostrandone i caratteri originari e l’entità delle trasformazioni subite. A questa parte, segue la trattazione vera e propria dello scavo e dei suoi risultati (cap. III). In questo capitolo, dopo l’esposizione sul metodo di organizzazione dei dati di scavo e sul criterio di presentazione dei materiali rinvenuti, si è scelto di inserire una breve premessa sulle fasi protostoriche per non spezzare quel continuum temporale che grazie in particolare alle ultime indagini è stato possibile ricostruire nell’area a partire dal Bronzo Recente. Dopo questa breve premessa comincia l’esposizione, divisa per sezioni/paragrafo, della sequenza stratigrafica compresa tra l’età arcaica (inizio VI sec. a.C.) e l’età cesariano-augustea. I vari paragrafi corrispondenti ad ogni singolo periodo in cui si articola la sequenza stratigrafica, sono suddivisi in sotto paragrafi all’interno dei quali sono affrontati nell’ordine, la descrizione delle attività, la presentazione dei reperti e la ricostruzione di quanto rinvenuto. La scelta di una tale presentazione è stata motivata dalla volontà di mantenere il più distintamente possibile il dato di scavo dalla sovrastruttura interpretativa. A questo capitolo, infine, ne seguono altri due che mirano ad approfondire tematiche specifiche quali il sacco gallico del 390 a.C. (cap. IV), e quello sulla ricostruzione del contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare (cap. V). Questi due ultimi capitoli costituiscono un approfondimento critico su alcuni degli aspetti che l’interpretazione del dato di scavo ha suggerito. L’intenso e costante scambio di idee con studiosi, colleghi e amici che è stato alla base di questo lavoro, vuole essere in questa sede ricordato attraverso alcuni sentiti ringraziamenti. Il mio primo pensiero è rivolto ad Eugenio La Rocca, Andrea Carandini, Riccardo Santangeli Valenzani, Lucilla Anselmino e soprattutto Roberto Meneghini per la grande opportunità concessami e per la fiducia dimostratami durante tutte le fasi del lavoro. Allo stesso modo, un sentito ringraziamento va a Paolo Carafa, Daniela Bruno, Alessandro Viscogliosi e Domenico Palombi che hanno discusso con me le ipotesi ricostruttive e le problematiche più controverse relative a quest’area, fornendomi preziosi e indispensabili consigli.

v

Desidero ringraziare inoltre: Anna De Santis e Marco Pacciarelli, per le fasi protostoriche; Helga Di Giuseppe, Dunia Filippi, Massimiliano Munzi, Elisabetta Carnabuci, Sabina Zeggio e Gabriele Cifani, per le fasi arcaiche e repubblicane; John Thornton e Jean Claude Richard, per la ricostruzione storica del sacco gallico del 390 a.C.; Maura Medri, Gianni Ponti, Massimo Vitti, Fabio Cavallero, Patrizia Maisto, Monica Ceci, Beatrice Pinna Caboni, Antonella Corsaro, Marina Milella, Elisabetta Bianchi, Leonardo Lombardi e Sabrina Zampini, per l’aspetto monumentale del foro nelle fasi cesariana e augustea; Giuseppe Zecchini, per la ricostruzione delle vicende storiche legate al progetto e alla realizzazione del Foro di Cesare; Carlo Rosa, Antonia Arnoldus-Huyzendveld, Renato Matteucci e Mauro Lucarini, per gli aspetti legati alla geologia e alla geomorfologia dell’area. A Renato Funiciello, al quale devo molta parte della mia formazione geologica, va tutta la mia gratitudine e il mio ricordo più affettuoso. Per quanto riguarda il lavoro sul campo un aiuto indispensabile è stato fornito da Marisa Fochetti, architetto responsabile della sicurezza e dalle Cooperative PARSIFAL, ARCHEOMETRA, ARCHEOLOGIA DI FIRENZE e ARCHEOPROGRAMMA che hanno reso possibile un progetto di così vaste proporzioni. Il loro costante impegno nell’organizzazione dello scavo e della documentazione ha permesso di poter elaborare un quadro coerente e unitario di una realtà che altrimenti sarebbe sfuggita alla comprensione. Desidero ricordare in particolare Fabrizio Felici, Ricardo Stocco, Emanuele Brienza, Anna Giulia Fabiani, Stefano Coccia, Andrea Coletta, Daira Nocera e Ilaria De Luca. Un ringraziamento speciale va a tutti quegli studenti che infaticabilmente hanno partecipato alle attività di scavo e in particolare ai responsabili di settore Giulio Del Buono, Susy Ann Bianco, Daniele Provenzano, Emanuela Rossetti e Patrizia Specchio, Caterina Nasti, Laura Volpe, Eleonora Cossu per la gestione del rilievo sul campo. Allo stesso modo, un ringraziamento tutto particolare rivolgo al capo cantiere Michele Zaccardo che con grande professionalità ha agevolato nel miglior modo possibile le operazioni di scavo. Da ultimo, ma non certo per ordine di importanza, il mio più affettuoso ringraziamento è rivolto a Valeria Di Cola, Fabrizio Rosati e Michela Rossi perché senza il loro costante e infaticabile aiuto questo lavoro non sarebbe mai stato possibile.

vi

vii

Pianta ricostruttiva dei Fori Imperiali (da CARANDINI, CARAFA 2012).

I. LA STORIA DEGLI STUDI SUL FORO DI CESARE A. Delfino 1. Premessa Al visitatore che oggi, dopo i grandi scavi per il Giubileo del 2000, si affaccia sul Foro di Cesare dalla passeggiata di Via dei Fori Imperiali si presenta una vasta area libera di forma stretta e lunga che giace 5 m sotto l’attuale livello stradale. Sul lato destro (nord-ovest) domina la mole del Tempio di Venere Genitrice; di fronte un portico colonnato, dietro il quale si aprono undici vani denominati tabernae, sovrastati dalla mole della chiesa barocca dei SS. Luca e Martina (fig. I.1); a sinistra (sud-est) una serie di colonne ancora in posizione di crollo e i resti di una ricca pavimentazione in marmo e granito (fig. I.2); in fondo sulla sinistra si erge la Curia Iulia. Compresa tra queste strutture e il tracciato di Via dei Fori Imperiali si estende la piazza del Foro di Cesare, ormai priva della originaria pavimentazione, fatta eccezione per alcune lastre di travertino ancora visibili.

I.1. Foro di Cesare. Veduta del settore nord-occidentale. A destra i resti del Tempio di Venere Genitrice; a sinistra un tratto del portico sud-occidentale.

La leggibilità del complesso monumentale è complicata dai resti delle infrastrutture del quartiere Alessandrino, che qui sorgeva sin dalla fine del XVI secolo, di cui restano le cantine dei palazzi residenziali, a ridosso dell’affaccio panoramico, e le fognature, sotto il tracciato ora interrotto di via Bonella (fig. I.3), visibili sulla sinistra. Di fronte, sotto la chiesa dei SS. Luca e Martina, si scorgono le fondazioni dell’Accademia di S. Luca degli inizi degli anni Trenta del Novecento, mai portata a termine (fig. I.4). A destra, infine, un alto muraglione di contenimento chiude l’area del Foro di Cesare verso via dei Fori imperiali e alle spalle del Tempio di Venere Genitrice. Grazie ad una lettera scritta da Cicerone all’amico Pomponio Attico datata al 1° ottobre del 54 a.C. sappiamo che i lavori per la costruzione di un nuovo e grandioso complesso (monumentum) che doveva estendersi dall’antico foro repubblicano fino all’Atrium Libertatis, ebbero inizio a partire da quell’anno.1 Cic., Ad. Att. IV 16, 8. “Paulus in medio foro basilicam iam paene refecit isdem antiquis columnis, illam autem, quam locavit, facit magnificentissimam. Quid quaeris? Nihil gratius illo monumento nihil gloriosius. Itaque Caesaris amici, me dico et Oppium, dirumparis licet, in monumentum illud, quod tu tollere laudibus solebas, ut forum laxaremus et usque ad atrium Libertatis explicaremus, contempsimus sexcenties HS; cum privatis non poterat transigi minore pecunia. Efficiemus rem gloriosissimam; nam in Campo Martio saepta tributis comitiis marmorea sumus et tecta facturi eaque cingemus excelsa porticu […]”. Su questo passo vedi Thomsen 1941, p. 197; Anderson 1984, p. 39 e ss. e Morselli, Tortorici 1989, p. 41; Tortorici 1991, pp. 101-106. Come viene detto nella lettera di Cicerone, il complesso cesariano si sarebbe dovuto estendere fino all’Atrium Libertatis. Sull’ubicazione di questo edificio in corrispondenza della sella intercollinare che univa il Quirinale al Campidoglio si veda Castagnoli 1946; Tortorici 1991, pp. 75-80 e LTUR I, 1993, pp. 133-135 (F. Coarelli). Da ultimo si segnala il lavoro di Carla Maria Amici che colloca l’Atrium Libertatis nell’area ad ovest della chiesa dei SS. Luca e Martina; Amici 1999, pp. 295-321. 1

I.2. Foro di Cesare. Veduta del settore sud-orientale. In primo piano i resti della pavimentazione tardo antica del lato breve sud-orientale; sulla destra alcune delle colonne del portico rinvenute in posizione di crollo; sullo sfondo il retro della Curia Iulia.

1

Forum Iulium

muoveva tra la Gallia e la Britannia, incaricò Cicerone e Gaio Oppio di espropriare i terreni sui quali doveva essere realizzato il nuovo complesso monumentale, operazione che come racconta Cicerone ammontò alla cifra esorbitante di 60 milioni di sesterzi.5 Una volta terminato lo sbancamento dell’area ebbe inizio la costruzione del complesso monumentale, progettato in forma di grande piazza rettangolare circondata su tre lati da portici a due navate (figg. I.5 e I.6). Dietro il muro di fondo del portico del lato lungo sud-occidentale, nello spazio compreso tra questo e il taglio operato nelle pendici della balza del Campidoglio, furono previsti una serie di ambienti di dimensioni variabili, noti come tabernae.6 Si trattava in realtà di uffici pubblici adibiti alle attività amministrative e giuridiche che si svolgevano nel foro (fig. I.7).7 I.3. Foro di Cesare. Veduta del lato nord-orientale della piazza occupato dai resti delle infrastrutture e delle cantine del quartiere Alessandrino.

Sul lato nord-occidentale della piazza, incassato nel fianco sud-orientale del Campidoglio, fu eretto il tempio dedicato a Venere Genitrice, madre di Enea e mitica progenitrice della Gens Iulia,8 votato nel 48 a.C., in occasione della battaglia di Farsalo contro Pompeo (fig. I.8 e I.9).9 A partire da questo momento, come riferito da Appiano,10 il complesso assunse l’aspetto di un grande temenos dominato dal tempio, destinato all’attività politica e giudiziaria dello Stato. L’edificio di culto sorgeva su un alto podio di forma rettangolare che svettava per una altezza di 5 m circa rispetto al piano della piazza. La facciata, in stile corinzio, era ottastila e picnostila11 mentre la peristasi colonnata girava solo su tre lati poiché il quarto era costruito contro A questo riguardo è utile ricordare che nelle fonti antiche non vi è accordo sulla reale cifra spesa per le operazioni di acquisto dei terreni. Se, come si è detto, Cicerone riporta la cifra considerevole di sessanta milioni di sesterzi, altri autori come Suetonio (Caes. 26, 2), Plinio (Nat. Hist. XXXVI 25, 103) e Dione Cassio (XLIII 22, 1-2), riportano un prezzo ancora più alto: cento milioni di sesterzi. Proprio questa differenza nel riferire l’effettivo costo delle operazioni ha indotto alcuni studiosi ad ipotizzare due momenti costruttivi diversi nella realizzazione del Foro di Cesare. Si veda al riguardo Tortorici 1991, pp. 101-104, dove viene avanzata l’ipotesi di una manovra speculativa ai danni di Cesare da parte dei suoi mandatari, primo fra tutti Cicerone Vedi da utlimo Tortorici 2012, p. 8. Quest’ultimo, infatti, conoscendo in anticipo il progetto di Cesare, avrebbe acquistato immobili nell’area in cui sarebbe sorto il complesso cesariano per cederli a prezzo maggiorato al momento degli espropri. Contro tale interpretazione vedi Viscogliosi 2000, p. 22. 6 Si tratta di vani con profondità variabili da un minimo di 2 m (taberna I) ad un massimo di 17 m (taberna V). 7 Il termine tabernae, in riferimento ai vani presenti lungo il lato sudoccidentale del Foro di Cesare, fu dato per la prima volta da Corrado Ricci che in base alla presenza di un mezzanino li interpretava come comuni botteghe commerciali. Ricci 1932; Lugli 1933 p. 166; Idem 1946, p. 249. La funzione di questi ambienti è oggi più appropriatamente identificabile con quella di uffici pubblici dove probabilmente si trovavano gli archivi giudiziari, necessari alle attività amministrative che si svolgevano nel foro. Vedi Amici 1991, p. 57; LTUR II, 1995, p. 300 (C. Morselli); Traina 2000, p. 124; Meneghini 2007, p. 36; Idem 2009, p. 49. La numerazione delle tabernae segue un ordine progressivo da nord-ovest verso sud-est (Amici 1991). I vani finora riconosciuti ammontano a diciassette, di cui gli ultimi tre si trovano sotto la chiesa dei SS. Luca e Martina. 8 Sul Tempio di Venere Genitrice vedi Lugli 1933, pp. 166-180; Bardon 1940; Gros 1976, pp. 124-143; Amici 1991, pp. 31-35 e pp. 77-100; LTUR II, 1995, pp. 306-307 (P. Gros); Gros 1996, pp. 140-141. Da ultimo vedi Maisto, Vitti 2009 pp. 31-80. 9 App., Bell. Civ. II 68, 281. 10 App., Bell. Civ. II 68, 281. 11 Vitr., III 3, 1-2. 5

I.4. Foro di Cesare. Veduta del lato sud-occidentale. Al centro la chiesa dei SS. Luca e Martina; in basso a sinistra le sostruzioni dell'Accademia di S. Luca; in basso a destra le tabernae; sullo sfondo a sinistra la Curia Iulia.

Nelle prime intenzioni di Cesare vi era l’idea di realizzare una nuova piazza destinata all’amministrazione della giustizia, allargando verso nord-est l’area del Foro Romano, ormai non più adatta a contenere le numerose attività politiche e amministrative che da tempo vi si svolgevano.2 Il progetto, dal quale traspare una precisa volontà propagandistica e una aperta competizione con Pompeo che l’anno prima aveva inaugurato il suo grandioso complesso monumentale in Campo Marzio,3 venne messo in atto acquistando una vasta area alle pendici sud-orientali del Campidoglio, fino a quel momento occupata da un settore del quartiere dell’Argileto.4 Cesare, che in quell’anno si App., Bell.Civ., II 101, 424. La Rocca 1987-1988, pp. 265-292; Coarelli 1997, pp. 539-580; LTUR V, 1999, pp. 35-38 (P. Gros). 4 Tortorici 1991, pp. 32-37; Zevi 1991; Palombi 2005a, pp. 83-87. 2 3

2

La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.7. Foro di Cesare. Interno della taberna IV (da LUGLI 1946).

I.5. Foro di Cesare. Pianta ricostruttiva (da MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007).

I.6. Foro di Cesare. Veduta ricostruttiva elaborata sulla base dell’ipotesi di C. M. Amici (Inklink-MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2007).

I.8. Foro di Cesare. Pianta ricostruttiva del Tempio di Venere Genitrice nella fase traianea (da AMICI 1991).

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Forum Iulium

cambiò le fattezze del volto del principe ellenistico con le proprie.14 Numerose altre opere d’arte abbellivano sia il foro che l’interno del tempio. Nel primo dovevano essere collocate una statua loricata del dittatore, dalla quale dovette derivare il toponimo a loricata con cui in alcune iscrizioni di età augustea si designava il luogo del Foro di Cesare dove alcuni liberti avrebbero svolto la funzione di procuratori;15 il colossus Tiberii, una statua dedicata nel 30 d.C. a Tiberio dagli abitanti delle città asiatiche colpite da terremoti, per i benefici ottenuti da quest’imperatore;16 una statua di Drusilla, sorella di Caligola, posta nel 38 d.C., dopo la sua morte.17 Nel tempio si conservavano una statua di bronzo di Cesare sormontata dal sidus Iulium, posta da Ottaviano nel 44 a.C. in occasione del passaggio di una cometa dopo la morte del dittatore;18 una statua in oro di Cleopatra, collocata vicino alla prima nel 29 a.C.19 Da Cesare, inoltre, erano state collocate nella cella sei collezioni di gemme o dactylothecae che, a detta di Plinio, rivaleggiavano in bellezza con quelle di Mitridate donate da Pompeo al Tempio di Giove Capitolino,20 una ricchissima corazza ornata di perle proveniente dalla Britannia21e, infine, due tavole di Timomachos raffiguranti Aiace e Medea.22 L’intero complesso, venne inaugurato il 26 settembre del 46 a.C.,23dopo che Cesare ebbe celebrato il quadruplice trionfo ex Gallia, ex Aegypto, ex Ponto, ex Africa de rege Iuba (agosto 46 a.C.).24 Come si evince dalle fonti antiche25 e come sembra ormai accertato dai dati archeologici, al momento dell’inaugurazione i lavori di costruzione non erano ancora giunti al termine.26

I.9. Foro di Cesare. Assonometria ricostruttiva del Tempio di Venere Genitrice nella fase traianea (da AMICI 1991).

14 Sulla statua equestre di Cesare vedi Bergemann 1990, p. 160, n. L22; Kreikenbom 1992, pp. 56-58; Cadario 2006, p. 36; Zanker 2008, pp. 7475. Durante l’ultima campagna di scavo (2008), il rinvenimento di una fossa di spoliazione medievale nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice e il riconoscimento di alcuni frammenti architettonici relativi al coronamento di un basamento stretto e lungo, già rinvenuti da Corrado Ricci nella medesima zona, hanno permesso di riaffrontare l’argomento del posizionamento e della ricostruzione della statua equestre di Cesare. Vedi Delfino et al. 2010, pp. 349-361e il punto III.3.4.2., infra. 15 CIL VI, 8688, 8690, 8691, 8692. Plin. Nat. Hist. XXXIV 18; Stat. Silv. I 84 e ss. Vedi LTUR II, 1995, p. 300 (C. Morselli). 16 Tac., Ann. II 47; Phlegon mirab. 42; Vell. Pat., II 126; Cass. Dio., LVII 17. 17 Cass. Dio., LIX 11 2. 18 Cass. Dio., XLV 7, 1; Plin., Nat. Hist. II 93-94. 19 App., Bell. Civ. II 102; Cass. Dio. LI 22, 3. 20 Plin., Nat. Hist. XXXVII 11. 21 Plin., Nat. Hist. IX 116. 22 Plin., Nat. Hist. VII 126; XXXV 26. 23 Plut., Caes. 55, 4; App., Bell Civ. II 102; Cass. Dio., XLIII 22, 2; Fast. Pinc.: Degrassi 1963, p. 48; Fast. Vall.: Degrassi 1963, p. 151. 24 G. Sp. 1, 1; Liv., Per. 115; Plut., Caes. 55, 2; Suet., Div. Jul. 37, 1; App., Bell. Civ. II 101; Cass. Dio., XLIII 19-22; Fest., 272 L; Fast. Ost.: Degrassi 1947, p. 183. 25 Vedi in particolare R. Gest. D. Aug. 19, 1 e 20, 3; Plin., Nat. Hist. XXXV 156; Cass. Dio., XLV 6,4. 26 Basti accennare che al momento dell’inaugurazione del 46 a.C., un fervente cantiere edilizio, nascosto dal muro di fondo del portico del lato lungo sud-occidentale, lavorava al completamento delle tabernae. Vedi Morselli, Tortorici 1989, p. 42; Amici 1991, pp. 31-58; LTUR II, 1995, p. 300 (C. Morselli). Vedi il punto III.3.4.2., infra.

il versante collinare (peripteros sine postico). Al tempio, privo di scala sul lato frontale, si accedeva grazie a due scale laterali che permettevano di raggiungere una sorta di tribuna da cui si dipartiva una gradinata che conduceva al pronao. All’interno della cella, posta nell’abside che si apriva sul lato di fondo, si trovava la statua di culto di Venere, opera in terracotta realizzata dallo scultore greco Archesilao.12 Davanti al Tempio di Venere Genitrice, fu eretta una statua equestre bronzea di Cesare.13 L’opera, ritenuta un originale di Lisippo raffigurante Alessandro in sella al suo cavallo Bucefalo, fu modificata da Cesare che probabilmente Plinio, trattando degli scultori che realizzarono opere in terracotta (Plin., Nat. Hist. XXXV 151-158), menziona la Venus Genetrix di Archesilao, posta nel tempio omonimo del Foro di Cesare; Plin., Nat. Hist. XXXV 156. “Ab hoc [scil. Arkesilaos] factam Venerem Genetricem in foro Caesaris et prius quam absolveretur festinatione dedicandi positam“. Vedi da ultimo Ghisellini 2008, pp. 61-62 e Tortorici 2012, p. 7. Sulle opere di Archesilao al Foro di Cesare vedi Tortorici 1991, p. 112 e ss. 13 Stat., Silv. I 1, 84-90; Plin., Nat. Hist. VIII 155; Suet., Caes. 61. Vedi il punto V.5., infra. 12

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

Soprattutto, in questo momento, risulta ancora assente uno degli elementi più peculiari che connota architettonicamente e ideologicamente il Foro di Cesare: la Curia Iulia.

un aspetto altamente scenografico all’intero complesso.34 Si è supposto, sulla base di un passo di Ovidio,35che questo sistema di fontane avesse una qualche relazione con il gruppo statuario delle Ninfe Appiadi, posto nel vicino Atrium Libertatis,36opera dello scultore greco Stephanos.37

La ragione di questa assenza va ricercata nelle vicende relative alla più antica Curia Hostilia. Dopo essere andata a fuoco insieme alla basilica Porcia in occasione dei tumulti scoppiati per l’assasinio di Clodio da parte delle bande di Milone nel 52 a.C.27, la Curia Hostilia venne ricostruita per ordine del Senato da Fausto Silla, figlio del dittatore, rimanendo in funzione almeno sino al 48-47 a.C.28 Dopo pochi anni, tuttavia, l’edificio simbolo del potere senatorio, venne abbattuto e al suo posto Emilio Lepido, magister equitum di Cesare, diede avvio alla costruzione di un tempio dedicato a Felicitas (46-45 a.C.).29 Dalla dinamica di questi eventi, ben si comprende che l’operazione condotta dal braccio destro di Cesare costituiva un abile escamotage giuridico-religioso per sostituire un edificio inaugurato come la Curia Hostilia con un altro di pari se non superiore dignità religiosa. A questa data, quindi, non vi è ancora traccia della realizzazione della Curia Iulia, il cui progetto venne approvato dal Senato solo a partire dal gennaio del 44 a.C.30 Sembra probabile, pertanto, che poco prima o contestualmente all’accordo senatorio, venisse demolito anche il tempio di Felicitas. In questo modo Cesare aveva perseguito ciò che prima di lui Silla, con la Curia Hostilia, e Pompeo, con la Curia Pompei, avevano cercato di ottenere legando la sede del Senato al proprio nome: diventare garanti dell’assemblea senatoria.

Allo stato dei fatti non esistono tracce sicure di un eventuale intervento di restauro del Foro di Cesare da parte di Domiziano, forse a seguito dei danni causati dall’incendio del 64 d.C. Sembra plausibile, tuttavia, che avendo restaurato la Curia,38 Domiziano sia potuto intervenire anche sui portici del foro e sul Tempio di Venere Genitrice.39 Sicuramente sono da attribuire a questo imperatore le prime operazioni di sbancamento della sella tra Campidoglio e Quirinale e la costruzione del Foro Transitorio, che comportò sensibili modifiche al lato corto sud-orientale del Foro di Cesare. Il muro perimetrale nord-occidentale del Foro Transitorio, infatti, comportò la tamponatura del colonnato frontale del foro cesariano, originariamente affacciato sull’Argileto, trasformandolo in una quinta architettonica semicolonnata, fornita di passaggi di collegamento tra le due piazze. Ben più consistenti e accertabili sono gli interventi attribuibili a Traiano che nel 113 d.C. reinaugurò il Foro di Cesare insieme alla colonna traianea.40 L’intervento si concentrò in particolare sul Tempio di Venere Genitrice dove, pur mantenendo l’aspetto originario della facciata ottastila e della peristasi, fu modificata l’articolazione interna e la decorazione esterna.41 Le pareti interne della cella, infatti, vennero articolate in due ordini sovrapposti di colonne in marmo pavonazzetto nella parte inferiore e in marmo portasanta in quella superiore, separati da una trabeazione decorata da un fregio di amorini. Alcuni frammenti sono attualmente conservati nel Museo dei Fori Imperiali (fig. I.10).42

Alla morte di Cesare, avvenuta appena due mesi dopo il permesso de Senato, non è chiaro se i lavori per la costruzione della nuova sede senatoria fossero stati effettivamente avviati. Il progetto di inserire la nuova Curia collegandola direttamente al Foro di Cesare, anche se già nella mente del suo ideatore, venne realizzato da Ottaviano a partire dal 42 a.C.31 A lui è da attribuirsi anche il completamento di tutto il complesso che ha previsto una serie di modifiche all’impianto planimetrico, tra cui la costruzione di un colonnato frontale sul lato corto sud-orientale del foro affacciato sull’Argileto, in perfetto allineamento con il muro sud-orientale della Curia Iulia.32 Nel 29 a.C., a lavori ultimati, Ottaviano reinaugurò il foro insieme alla nuova sede del Senato.33

L’abside della cella, che da questo momento fu affiancata da due vani, fu pavimentata con lastre rettangolari di giallo antico, delimitate da fasce di pavonazzetto. La peristasi, di cui nel 1933 vennero rimontate tre colonne trovate in posizione di crollo durante gli scavi, era costituita da fusti scanalati in marmo bianco lunense, con basi ioniche e capitelli corinzi, al di sopra delle quali si trovava una trabeazione decorata da un fregio floreale con girali di acanto (fig. I.11).43

Per quanto riguarda il fronte del tempio che chiudeva il lato nord-occidentale del foro, non sappiamo se già nel progetto cesariano fossero previste le fontane marmoree, indiziate dalle tracce di due basse vasche quadrangolari inserite nella pavimentazione della piazza, ma sembra probabile che in età augustea queste facessero bella mostra di sé, conferendo

Come accennato, uno degli interventi più radicali attuato Amici 1991, pp. 97-100. Ov., Ars am. I 81. 36 Sull’argomento vedi in particolare Ulrich 1986 e Tortorici 1991, p. 115. 37 Plin., Nat. Hist. XXXVI 33. 38 Valentini, Zucchetti, I, p. 275 (Chron. ann. 354); Hieron., Euseb. Chron., Olymp. 217, X, 6; Aurel. Vict., Caes. 13, 5. 39 Anderson 1984, p. 56; Meneghini 2009, p. 50. 40 Fasti Ost., Inscr. It. XIII. 1, 5, 203. 41 Vedi da ultimo Maisto, Vitti 2009, con bibliografia di riferimento. 42 Alcuni frammenti sono attualmente conservati nel Museo dei Fori Imperiali: vedi Amici 1991, pp. 77-100; Milella 2007; Pinna Caboni 2008. 43 Meneghini 2009, p. 50. 34 35

Cic., Pro Mil. XIII 33, 61; 90-91; Cic., Phil. VI 10, 13, 27; Cic., De finibus V 2; App., Bell. Civ. II 21, 77; Cass. Dio., XL 49, 2; XLIV 5, 2. Vedi da ultimo Tortorici 2012, pp. 9-10. 28 Cic., De Finibus V 2. 29 Cass. Dio., XLIII 1, 1-3; XLIV 5; Coarelli 1985, p. 236 e ss. 30 Cass. Dio., XLIV 5, 2. 31 R. Gest. D. Aug. 19, 1. 32 Morselli, Tortorici 1989, pp. 228-237. 33 R. Gest. D. Aug. 19, 1 e 20.3; Cass. Dio., LI 22; XLV 6, 4; Herodian., VII 11, 13. 27

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Forum Iulium

I.10. Foro di Cesare. Fregio con amorini che decorava l'ordine inferiore della cella del Tempio di Venere Genitrice (da LUGLI 1946).

I.12. Foro di Cesare. Assonometria ricostruttiva della Basilica Argentaria (da AMICI 1991).

I.13. Foro di Cesare. Veduta ricostruttiva del lato nordoccidentale del foro dopo gli interventi tardo antichi (InklinkMENEGHINI 2009).

Basilica Argentaria.44 Si tratta in realtà di un portico a due navate su pilastri in blocchi di peperino coperto da una teoria di volte a crociera, inserito tra il Tempio di Venere Genitrice e il Clivo Argentario, posto a quota più alta lungo le pendici sud-orientali del Campidoglio (fig. I.12). La funzione dell’edificio risulta evidente quando si considera la sua caratteristica forma ad “L” che permette di collegare direttamente il portico sud-occidentale del Foro di Cesare, di cui costituisce una sorta di prolungamento, e la Grande Esedra meridionale del Foro di Traiano.

I.11. Foro di Cesare. Tempio di Venere Genitrice. Veduta delle tre colonne della peristasi rimontate nel 1933.

Un ultimo intervento sicuramente attribuibile a Traiano è la costruzione di una grande latrina semicircolare, dotata di un impianto di riscaldamento, alla quale si accedeva dal Clivo Argentario.45 Sembra probabile che la costruzione della latrina, inserita al piano superiore di tre delle tabernae che fiancheggiano il lato sud-occidentale del Foro di Cesare, costituì uno degli esiti di un più vasto rifacimento dei portici, la cui entità, tuttavia, non è comprensibile nella sua totalità.

da Traiano fu quello di portare a definitivo compimento lo sbancamento della sella intercollinare che congiungeva i colli del Campidoglio e del Quirinale. Il risultato immediato fu quello di ottenere una vasta area disponibile per nuove costruzioni. Se presso il versante del Quirinale la costruzione destinata a lasciare un segno indelebile nel panorama urbano fu il Foro di Traiano, nello spazio libero creatosi lungo il lato sud-occidentale del Tempio di Venere Genitrice, e dietro di esso, fu la costruzione della così detta

Sulla Basilica Argentaria vedi in particolare Amici 1991, pp. 101-116 e LTUR I, 1993, pp. 169-170 (C. Morselli). 45 Amici 1991, p. 116 e ss. 44

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.14. Foro di Cesare. Veduta ricostruttiva del lato nord-occidentale del foro dopo gli interventi tardo antichi (Inklink-MENEGHINI 2009).

Una serie di evidenze permette di avere un quadro abbastanza preciso degli interventi apportati al complesso cesariano nell’età tardoantica.

restauro integrale del portico sud-occidentale, ripristinato impiegando fusti di colonne di granito rosa e grigio di dimensioni più piccole di quelle originali, montate su plinti di marmo alti mezzo metro. Quest’ultimo espediente, permise di raggiungere la stessa altezza dei portici cesariano-augustei (fig. I.14).49

In seguito al disastroso incendio del 283 d.C. avvenuto durante il regno di Carino e Numeriano,46 alcune modifiche dovettero essere attuate su quelle parti del complesso maggiormente danneggiate dall’evento. Se è certo il completo rifacimento della Curia ad opera di Diocleziano nel 303 d.C.,47 altrettanto sicuro è l’intervento da parte di questo imperatore al Foro di Cesare e al Tempio di Venere Genitrice. In quest’ultimo caso, grazie all’analisi di grandi brani di murature rinvenuti in posizione di crollo durante gli scavi degli anni Trenta del XX secolo, è stato accertato un massiccio restauro della facciata del tempio, che ne cambiò sensibilmente l’aspetto.48 Il colonnato frontale, infatti, venne inglobato da uno spesso muro in laterizio dal quale le colonne vennero fatte sporgere per poco meno della metà del loro diametro; al centro del muro, in corrispondenza della coppia di colonne centrali, appositamente eliminate, fu aperto un portale; tramite due arconi laterali, lo stesso muro fu agganciato ai lati lunghi del foro, in corrispondenza delle testate dei portici (fig I.13).

Ma è il portico del lato breve sud-orientale a mostrare la modifica più sostanziale di questo periodo, che studi recenti attribuiscono al periodo di rinnovamento urbanistico attuato da Massenzio.50 Qui, infatti, fu eliminato del tutto il colonnato mediano, le cui tracce sono state individuate sotto la nuova pavimentazione in opus sectile di marmi colorati, che da questo momento ricoprì il braccio del portico. Il risultato dell’operazione fu quello di creare una grande aula (12 x 47 m circa) il cui trattamento architettonico doveva distinguerla dal resto del foro, rendendola un luogo del tutto privilegiato. Per tali ragioni, è stato ipotizzato che l’aula così ricavata sia da identificare con la cameram auro fulgentem citata in due epigrafi databili rispettivamente all’inizio del IV e all’inizio del V secolo, la prima rinvenuta all’interno della Curia nel 1655 e la seconda dietro lo stesso edificio negli anni Trenta del XX secolo.51 Tale identificazione, come è stato suggerito recentemente, stabilirebbe un nesso diretto tra l’ambiente ricavato nel braccio del portico sudorientale del foro e l’Atrium Libertatis, attestato in questo stesso luogo sicuramente dall’inizio del V secolo.52

Allo stesso momento costruttivo è attribuibile anche il 46 Valentini, Zucchetti, I, p. 279 (Chron. Ann. 354). His (Carino et Numeriano) imperantibus...operae publicae arserunt: Senatum, forum Caesaris, basilicam Iuliam et Graecostadium... 47 Valentini, Zucchetti, I, p. 279 (Chron. Ann. 354). His (Diocletiano et Maximiano) imperantibus multae operae publicae fabricatae sunt: Senatum, forum Caesaris, basilica Iulia...Vedi anche Aurel. Vict., Caes. 13, 5. 48 Sulle modifiche apportate al tempio in questo periodo vedi Amici 1991, pp. 153-157 e Meneghini 2010, pp. 508-509. Studi recenti, attribuiscono la paternità dell’intervento a Massenzio (306-312); vedi Bianchi 2009, pp. 34-47 e Eadem 2010, pp. 379-410.

Con quest’ultima fase edilizia, cessano le iniziative atte Meneghini 2010, pp. 504-505. Meneghini 2010, pp. 506-508. 51 CIL VI, 30314. Vedi Lanciani 1883; Bartoli 1963, pp. 60, 66; Amici 1991, p. 148; Meneghini 2010, p. 507. 52 Vedi in particolare Fraschetti 1999, pp. 175-217; La Rocca 2001, p. 180; Meneghini 2009, p. 55; Idem 2010, pp. 507-508. 49 50

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Forum Iulium

a conferire al complesso una nuova veste monumentale. Tuttavia l’importanza del Foro di Cesare dovette rimanere immutata ancora per lungo tempo, se tra la fine del IV e l’inizio del V sec. il prefetto urbano Virio Nicomaco Flaviano il Giovane vi istituì il Secretarium Senatus,53 dando avvio probabilmente ad un nuovo abbellimento della piazza che prevedeva l’inserimento di statue poste all’interno dei portici.54

primi decenni dell’XI secolo a causa dell’impaludamento a cui era soggetta l’area dei Fori Imperiali, fenomeno così esteso e periodico che già da questo periodo la zona doveva essere denominata “pantani”.62 Come dimostrato dagli scavi, infatti, uno spesso ed esteso strato argillo-limoso databile a questo periodo, ricoprì l’intera superficie dell’area, cancellando definitivamente ogni traccia di quest’abitato. Ciò che ancora emergeva delle antiche strutture del foro, come ad esempio il fronte delle tabernae oppure gli scarsi resti del Tempio di Venere Genitrice, apparivano ormai disgiunti dal loro contesto architettonico. La scomparsa dei nessi fra le singole parti costruttive, pertanto, fece sì che si perdesse l’unità architettonica del complesso cesariano.63

Pur subendo sensibili trasformazioni nelle articolazioni degli spazi e soprattutto nelle sue funzioni, il foro proseguì la propria vita fino al IX secolo, mantenendo pressoché invariate le quote d’uso antiche.55 Dopo questo periodo, a partire dal tardo X secolo, il complesso si avviò verso una graduale e inarrestabile scomparsa dovuta ad eventi naturali e a nuove trasformazioni urbanistiche.

Dalle fonti documentarie sappiamo che l’intera area dei Fori Imperiali in questo periodo si caratterizzava come una zona periferica della città, dove alle cave di materiali edilizi e agli impianti produttivi, si alternavano orti e vigneti come quelli di S. Adriano e di S. Martina che si estendevano proprio nell’area della piazza del Foro di Cesare.64

Si devono a Ridolfino Venuti56 e poi a Luigi Canina57 le prime proposte di localizzazione del Foro di Cesare nell’area alle pendici sud-orientali del Campidoglio, dietro le chiese di S. Adriano e dei SS. Luca e Martina. Fino ad allora l’esatta collocazione del Foro di Cesare era pressoché sconosciuta.58

Pertanto, fino alla seconda metà del XVI secolo, l’area appariva con specifiche caratteristiche di marginalità rispetto al centro abitato, concentrato ancora nel Campo Marzio.

La causa della perdita della memoria del luogo esatto in cui sorgeva il complesso cesariano è imputabile alle vicissitudini che subì l’area dei Fori Imperiali e, in particolare, quella del Foro di Cesare, nel corso del medioevo e della prima età moderna. Grazie alle recenti indagini svoltesi nell’area, infatti, si è compreso che a partire dalla metà del IX secolo, subito dopo la spoliazione delle pavimentazioni antiche, progressivi interri dovuti ad attività di bonifica intervallati a fenomeni di impaludamento invasero la piazza, cancellandone i tratti originari.59 Il fenomeno andò ad aggiungersi alle massicce spoliazioni degli elevati del foro che già dall’età tardo-antica e ancora nel IX secolo,60 determinarono la distruzione e la scomparsa di ampie porzioni del complesso. Questa capillare opera di smontaggio è testimoniata dal materiale, interamente di recupero, impiegato per costruire alcune modeste abitazioni (domus terrinee) che a partire dal X secolo sorsero al centro dell’area della piazza.61 Questo agglomerato di case, tuttavia, ebbe breve durata poiché venne abbandonato nei

Una vera e propria rivoluzione urbanistica dell’area si ebbe sotto papa Pio V Ghislieri (1566-1572), per iniziativa del quale si decise di ripianificare tutta la zona costruendovi un grande quartiere abitativo che perdurerà sino agli anni Trenta del XX secolo (fig. I.15). La realizzazione del progetto venne affidata al nipote del papa, il cardinale Michele Bonelli, originario di Alessandria, da cui il quartiere prese il nome.65 In previsione dei lavori venne intrapreso un vasto intervento di bonifica - reso necessario a causa del periodico impaludamento a cui era soggetta la zona - attuato per mezzo di un esteso spianamento dell’area e del conseguente scarico di potenti colmate terrose che rialzarono sensibilmente i piani d’uso della zona.66 A pochi anni da questa operazione, nel 1580, papa Sisto Sui “pantani” vedi Adinolfi 1881, p. 59; Passigli 1989; Roca de Amicis 1993. Da ultimo vedi: Meneghini, Santangeli Valenzani 2007, pp. 144150, Meneghini 2009, pp. 203-205, 215-217, Cousì, Pischedda 2010, pp. 149-154; Di Fabbio, Lucarini, Stocco 2010, pp. 173-183. 63 La perdita definitiva della memoria del complesso monumentale è resa evidente da un noto disegno di Fra’ Giocondo databile ai primi anni del XVI secolo, nel quale, a margine della raffigurazione del fronte di alcune tabernae del foro, compare un appunto dello stesso artista che denomina la zona “Zecca vecchia”, all’epoca sfruttata come cava di materiali da costruzione. Sull’argomento vedi Viscogliosi 2000, p. 27 e pp. 142-143. Se l’area delle tabernae è identificata con l’antica zecca di Roma, che invece era presso il Tempio di Giunone Moneta sull’Arx capitolina, allo stesso modo anche il Tempio di Venere Genitrice è ormai confuso dal Palladio con un tempio dedicato a Nettuno. Vedi Palladio 1570, IV, pp. 15-22 e 128-133. Il passo è riportato da Conti 1983, pp. 9-10. 64 Vedi Lanciani 1883, p. 14; Passigli 1989, pp. 281-282; Meneghini 2004, p. 193 e p. 204; Santangeli Valenzani 2007, p. 150. 65 Sul quartiere Alessandrino vedi in particolare: Passigli 1989 passim; Roca de Amicis 1993, pp. 111-129; Di Marco 2003, p. 175 e ss. 66 Meneghini 2004, p. 202; Santangeli Valenzani 2007, p. 159. Tali riporti sono stati individuati ed indagati durante la campagna di scavo del 19982000 al Foro di Cesare e in quella del 2004-2006 al Foro di Augusto; per quest’ultima vedi Evangelista, Pischedda 2010, pp. 197-210. 62

CIL VI, 1718. Vedi Morselli, Tortorici 1989, p. 40. L’ipotesi di attribuire a Virio Nicomaco Flaviano il Giovane l’inserimento delle statue nei portici è in Corsaro 2010, pp. 471-492. 55 A questo proposito, lo scavo effettuato nel 2006 all’interno della taberna XI, ha permesso di individuare le tracce di una officina metallurgica la cui attività è da circoscrivere nel corso della metà-seconda metà del V secolo. Vedi Delfino et al. 2013, pp. 93-127. 56 Venuti 1824, pp. 133-134. 57 Canina interpretò i resti di alcune tabernae come parti del recinto del complesso cesariano; Canina 1850, pp. 248-252. 58 Significativa al riguardo è l’ipotesi di Nibby che poneva il Foro di Cesare tra la Curia e la Basilica Giulia; Nibby 1839, pp. 147-151. 59 La spoliazione delle lastre di travertino che ricoprivano la piazza del Foro di Cesare è stata datata nel corso della prima metà del IX secolo; vedi da ultimo Santangeli Valenzani 2001, p. 273 e ss.; Idem 2007, pp. 144-145; Meneghini 2009, p. 203. 60 Sull’inizio delle spoliazioni al Foro di Cesare a partire dal V secolo vedi Santangeli Valenzani 2007, p. 121; Delfino et al. 2013. 61 Sul quartiere delle domus terrinee del Foro di Cesare vedi da ultimo Santangeli Valenzani 2001, pp. 278-279; Santangeli Valenzani 2004, pp. 54-55; Meneghini, Santangeli Valenzani 2004, pp. 45-51 e pp. 178-179. 53

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.15. L'area del Foro di Cesare nella Forma Urbis Romae di R. Lanciani (FUR, tav. XXII).

V donò la chiesa di S. Adriano ai padri Mercedari che vi costruirono l’annesso convento,67 mentre subito dopo venne concessa all’Accademia di S. Luca la chiesa medievale di S. Martina.68 Insieme al complesso delle tabernae, che rappresentava una presenza monumentale ancora ben visibile, le due chiese costituirono i poli generatori di questo settore del nuovo quartiere.69 Dalle fonti d’archivio sappiamo che, a partire da questo periodo, l’area del Foro di Cesare fu oggetto di manovre speculative operate dalla famiglia Della Valle, proprietaria di terreni in questa zona già dalla fine del XIV secolo.70 Questa famiglia, quando fu intrapresa la costruzione del quartiere Alessandrino, concesse in enfiteusi i propri terreni a privati cittadini che si incaricarono di costruire le case a proprie spese.71 Dalla sovrapposizione delle planimetrie catastali con quelle archeologiche e dall’elenco dei singoli enfiteuti, per lo più muratori e in minor misura venditori di vino, falegnami, fornai e rigattieri che acquistarono terreni nell’area del Foro di Cesare tra il 1584 e il 1590 è stato possibile individuare le tracce di quelle prime lottizzazioni conservatesi senza soluzione di continuità fino alle demolizioni degli anni Trenta del XX secolo (fig. I.16).72 Su S. Adriano vedi Lanciani 1883, pp. 13-14; Armellini 1887, pp. 99-100; Hülsen 1927, pp. 260-261; Bartoli 1963; Mancini 1967-1968, pp. 198-245; LTUR III, 1996, pp. 8-9 (S. Episcopo). 68 Vedi Lanciani 1883, pp. 13-14; Armellini 1887, pp. 451-453; Hülsen 1927, p. 381; Viscogliosi 2000, pp. 41-51. 69 Vedi Roca de Amicis 1993, p. 116, fig. 10. 70 Roca de Amicis 1993, in particolare pp. 113-114. 71 Significativa in quest’ottica speculativa fu l’operazione che Lelio Della Valle intraprese di sua iniziativa per la costruzione nel suo orto del Pantano, di strade di utilità pubblica, chiedendo in cambio al papa Gregorio XIII di essere dispensato dalle spese di demolizione dei casalini lungo via dei Carbonari. Roca De Amicis 1993, p. 114 e ss. 72 La planimetria riportata nella fig. I.16 (Archivio Segreto Vaticano -Della Valle-Del Bufalo- b. 100, int. 28), rappresenta l’area delle tabernae appena lottizzata e il tracciato della nuova viabilità. Nel caso delle tabernae XI, XII e XIII, le prime due oggetto di indagine nelle ultime campagne, si constata che furono lottizzate in un’unica unità (lotto n. 5). Il lotto, confinante con la strada di via del Ghettarello, venne acquistato da Giacomo Mangoni in data 10 gennaio 1590 probabilmente ad uso di fienile o “grotta”. Vedi Roca de Amicis 1993, p. 116, fig. 10. Sullo scavo delle fasi medievali e moderne della taberna XI vedi Delfino et al. 2013. 67

I.16. Foro di Cesare. Area delle tabernae. Restituzione della prima lottizzazione dei terreni di proprietà Della Valle, effettuata sulla base della planimetria conservata presso l'Archivio Segreto Vaticano. I numeri corrispondono all'originaria assegnazione dei lotti agli enfiteuti (da ROCA DE AMICIS 1993).

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siano da attribuire all’intervento cesariano e quali a quello di Ottaviano-Augusto, per poter determinare, in ultima istanza, la reale estensione in lunghezza del complesso monumentale in ciascun periodo. E’ a questo punto che il dato archeologico acquisisce un valore fondamentale, se letto in rapporto all’intero contesto di riferimento. Tale premessa, come si vedrà nel corso della trattazione, non è stata sempre tenuta in considerazione negli studi sul Foro di Cesare dando così luogo a ricostruzioni parziali e ambigue, se non addirittura del tutto fantasiose. Oltre a ciò, un impedimento di natura pratica alle ipotesi finora formulate è stato determinato dal fatto che fino a circa un decennio fa il Foro di Cesare era diviso in due settori distinti, l’uno costituito dall’area di scavo aperta da Corrado Ricci nella porzione nord-occidentale del complesso, l’altra, circoscritta alla zona retrostante la Curia Iulia, coincidente con l’angolo meridionale del foro.

I.17. Area dei Fori Imperiali con indicata la viabilità del X secolo: 1. Via della Salara Vecchia – via Cremona; 2. Fundicus Macellorum; 3. via dei Carbonari; 4. via del Ghettarello (rielaborazione da MENEGHINI, SANTANGELI VALENZANI 2004).

Dopo la campagna di scavo del 1998-2000, per la prima volta e caso unico tra i Fori Imperiali, si è avuta la possibilità di percepire integralmente la profondità del Foro di Cesare, dall’abside del Tempio di Venere Genitrice al muro perimetrale sud-orientale attiguo al Foro di Nerva. Tale circostanza ha avuto conseguenze estremamente positive nella lettura della sintassi spaziale e architettonica del complesso e nel lavoro di ricucitura ed elaborazione di vecchi e nuovi dati.

Un elemento di estremo interesse emerso dalle recenti indagini archeologiche, inoltre, è stata la constatazione della esatta sovrapponibilità di alcuni tratti viari del quartiere Alessandrino con i tracciati stradali medievali. Gli scavi del 1998-2000, a questo proposito, hanno messo in luce il tracciato stradale alto-medievale di via della Salara Vecchiavia Cremona che correva parallela all’asse longitudinale del Foro di Cesare e che si raccordava rispettivamente a nordovest con via dei Carbonari e a sud-est, con il Fundicus Macellorum, strada quest’ultima che ripeteva il più antico asse viario dell’Argiletum (fig. I.17).73

2.1. Gli interventi del Governatorato al Foro di Cesare (1930-1934)

Il nuovo assetto dato all’area si mantenne pressoché invariato fino agli inizi del XX secolo quando, sotto il Governatorato fascista, si diede avvio ad una nuova stagione di politica urbanistica che trasformò radicalmente l’impianto della zona.74

Il progetto di scavo dei Fori Imperiali realizzato dal Governatorato fascista tra il 1924 e il 1933,75 si inseriva in una più vasta pianificazione urbanistica dell’area compresa fra il Colosseo e Piazza Venezia, prospettata all’indomani della proclamazione di Roma Capitale al fine di ottenere una modernizzazione dell’impianto urbano e sopratutto di una adeguata circolazione che consentisse il collegamento del centro cittadino con l’area sud-ovest della città.76

2. Gli studi sul Foro di Cesare: da Corrado Ricci agli scavi per il Giubileo del 2000 Sebbene nelle fonti antiche si percepisca la complessità dell’iter costruttivo che ha portato alla definitiva realizzazione del foro, tuttavia, non vi è alcun accenno a come si deve essere articolato il monumento nei diversi momenti.

Già dal 1911 Corrado Ricci era intervenuto nel dibattito prospettando la grande occasione di portare alla luce buona parte dei complessi imperiali, abbattendo interamente le case vecchie e recenti che sorgono tra via del Foro Traiano, via Marforio, via Tor de’Conti e via di Campo Carleo, ossia tutto l’enorme quartiere solcato da via delle Chiavi d’Oro, Cremona, Priorato, Alessandrina, in un senso; Carbonari, Marmorelle, Bonella e Croce Bianca nell’altro (fig. I.18).77

Proprio per tale motivo uno dei problemi maggiori che ha sempre impegnato coloro che si sono occupati della ricostruzione del Foro di Cesare è stato quello di stabilire, per le varie fasi edilizie, l’aspetto e le proporzioni dei colonnati dei portici, la presenza o meno di un doppio ordine sovrapposto e, infine, quali parti del complesso

L’intervento, volto a porre l’interesse archeologico su un piano prioritario rispetto alle logiche speculative che si andavano configurando dietro il progetto degli enormi

L’origine della strada è fatta risalire all’inizio del X secolo. Vedi Santangeli Valenzani 2001, pp. 276-277; Idem 2007, pp. 125-126. 74 Sui piani, le demolizioni e gli sventramenti del quartiere Alessandrino attuati dal Governatorato vedi soprattutto Conti 1983, pp. 42-57; Racheli, pp. 117-155; Manacorda, Tamassia 1985, passim; Cederna 2006, pp. 165-196; Insolera, Perego 1999, passim; Leone, Margiotta 2007, passim; Leone, Margiotta, Betti, D’Amelio 2009, passim.

75 Sporadici interventi di scavo, spesso inediti o inadeguatamente documentati, continuano fino al 1942, soprattutto nell’area del Foro di Cesare e in quella del Foro di Nerva. Vedi D’Amelio 2007, pp. 428-526. 76 Per l’intera trattazione riguardante i piani urbanistici elaborati dopo l’Unità d’Italia si veda in particolare, Insolera 1971; Cederna 1979; Racheli 1983, pp. 61-163; Insolera, Perego 1999, pp. 3-30. 77 Ricci 1911, pp. 445-455; Idem 1913, p. 3 e ss.

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“liberazione” dell’area dei Fori Imperiali prese avvio sotto la direzione di Corrado Ricci, l’idea che ancora permaneva era quella di effettuare solo un minimo di demolizioni circoscritte rispettivamente all’area posta a nord-est della via Alessandrina (Foro di Augusto) e a quella posta a sudovest della via Cremona, verso il fronte delle tabernae del Foro di Cesare. I lavori furono portati avanti con ritmo incessante dapprima nel Foro di Augusto, dove si demolì l’intero complesso tardo rinascimentale della chiesa della SS. Annunziata e, sotto di esso, la chiesa e il monastero di S. Basilio risalente alla seconda metà IX secolo; poi nella Casa dei Cavalieri di Rodi, nel Foro di Traiano e nel complesso dei Mercati che furono interamente “liberati” dagli edifici che nel corso del medioevo e dell’età moderna erano sorti sui complessi antichi.82 A complicare l’iter attuativo del progetto fu la decisione “in corso d’opera” di realizzare via dell’Impero, i cui lavori presero avvio nell’agosto del 1931 senza che il percorso della nuova arteria stradale fosse definito con esattezza.

I.18. Il progetto di C. Ricci per la sistemazione dell'area dei Fori Imperiali (da RICCI 1913).

Proprio lo sterro dei Fori Imperiali e, soprattutto, la costruzione della via dell’Impero costituisce il miglior piano di osservazione per vedere in pratica gli effetti dei progetti urbanistici fondati su sventramenti e demolizioni che a partire dai governi post-unitari caratterizzarono il modus operandi nel centro monumentale di Roma. Tuttavia, come è stato fatto notare,83 se fino agli anni Venti del XX secolo permaneva l’idea della funzione urbana del monumento come “memoria sociale”, senza nessuna finalità pedagogica, con il Fascismo prese forza una visione delle antichità come “memoria collettiva”, dove gli edifici antichi dovevano essere selezionati e concertati accuratamente, al fine di comunicare lo stesso imperativo messaggio politico: il regime, e quindi la cittadinanza tutta, ha come fondamento identitario la Roma Imperiale e questa soltanto.

sventramenti, non stigmatizzava affatto, tuttavia, la proposta di demolizione di un intero settore urbano, condizione ritenuta necessaria per portare in luce i monumenti della Roma imperiale.78 L’attuazione di un progetto che prevedeva la creazione di un grande asse di scorrimento che attraversava la vasta area archeologica dei complessi imperiali si scontrò ben presto con l’enorme impegno finanziario che un tale piano richiedeva. Lo stesso Ricci dovette ammettere che momentaneamente si sarebbe dovuto operare con interventi parziali, mirati alle aree ritenute di maggior interesse archeologico, tralasciando quelle meno significative. In quest’ottica, che mirava ad individuare il monumento come una scenografia urbana funzionale al nuovo messaggio politico che si voleva trasmettere, l’interesse fu posto verso quell’area che, grazie agli scavi effettuati sotto il Governatorato francese nei primi anni del XIX secolo e a quelli condotti da Rodolfo Lanciani alla fine dello stesso secolo, aveva rivelato il maggiore effetto scenograficomonumentale: la Grande Esedra dei Mercati di Traiano79 e l’esedra meridionale del Foro di Augusto.80 Pertanto, in un primo momento l’area a nord-est della via Alessandrina fu privilegiata rispetto alla zona sud-ovest della stessa via e cioè quella del Foro di Cesare, giudicata di interesse secondario perché ritenuta occupata solo da ruderi limitati alle fondamenta o poco più, non restando in vista (che si sappia) da quel lato, se non i robusti avanzi della cinta, in tufo e travertino del Foro di Cesare.81

Pertanto, la concezione vigente già all’indomani della proclamazione di Roma capitale di rendere “moderna” la città inglobando le strutture antiche di volta in volta messe in luce durante le demolizioni in aree verdi create ad hoc intorno ad esse,84 assunse con il Fascismo connotazioni del tutto diverse. Per la prima volta, infatti, ai Fori Imperiali si fece strada il proposito di distruggere indiscriminatamente quanto si frapponesse fra la città attuale e quel passato investito di un messaggio nuovo per tutta la collettività.85 L’attenzione, quindi, non voleva essere rivolta alla ricomposizione di quei valori spaziali che avevano caratterizzato l’articolazione delle piazze forensi antiche, bensì a proporre esclusivamente una sfilata ininterrotta e indistinta di quinte teatrali, che fungessero da sfondo alle parate del regime.

A partire dall’aprile del 1924, quando il progetto di

Un’ampia raccolta di tutta la documentazione fotografica effettuata in quegli anni è in Leone, Margiotta 2007 e in Leone, Margiotta, Betti, D’Amelio 2009. 83 Ricci 2006, pp. 15-23. 84 Ricci 2006, pp. 16-17. 85 Ricci 2006, pp. 26-27. 82

Insolera, Perego 1999, in particolare pp. 26-30. 79 La Padula 1969, pp. 119-121; Conti 1983, pp. 11-12; Insolera, Perego 1999, p. XVIII, figg. 12 e 13. 80 Lanciani 1889 pp. 26-34 e pp. 73-79; Idem 1901 pp. 20-51. 81 Ricci 1911, pp. 445-455; Idem 1913, p. 3 e ss. 78

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Ritornando allo stadio dei lavori, se fino agli inizi del 1931 la fattibilità di un piano di tale portata si scontrava con gravi difficoltà economiche a ciò si aggiunse l’urgenza di completare la nuova via dell’Impero entro il 28 ottobre 1932, anniversario del decennale della marcia su Roma. Lo scavo al Foro di Cesare venne realizzato proprio in questo contesto. Sebbene gli studi topografici di Rodolfo Lanciani86 avevano fornito la posizione esatta e le dimensioni di massima del Foro di Cesare, fino al 1930 non era ancora stato effettuato uno scavo estensivo che ne restituisse le giuste proporzioni e quindi comprovasse quanto ipotizzato fino ad allora. I.19. Area del Foro di Cesare. In retino puntinato le zone indagate prima degli interventi per il Giubileo del 2000 (rielaborazione da AMICI 1991).

I lavori di demolizione e scavo iniziarono il 22 dicembre del 1931 e terminarono ufficialmente il 20 aprile 1932, così che l’inaugurazione del complesso potesse coincidere con i festeggiamenti per il Natale di Roma (fig. I.19).87

Ad uno scavo così esteso e alle numerose strutture messe in luce si contrappose la quasi totale assenza di documentazione di scavo ridotta a poche fotografie, planimetrie per lo più generali e ricostruttive, succinti articoli a carattere sopratutto divulgativo.90

L’intervento interessò il gruppo di isolati compresi tra il tracciato di via del Ghettarello88 ad est e l’ultimo tratto di via dei Carbonari ad ovest; il limite sud era costituito dal tracciato del Clivus Argentarius, anch’esso oggetto di indagine nello stesso periodo. Il fronte nord dell’area, invece, fu stabilito in due momenti successivi: entro il 1932 fu posto in corrispondenza di via Cremona, ancora risparmiata dagli sventramenti e opportunamente sostruita con arcuazioni impostate sul piano del foro appena messo in luce (fig. I.20); poi, entro il 1934, il margine dello scavo fu portato definitivamente fino al rettifilo di via dell’Impero.89 L’intera area venne recintata con un muro a scarpa in spezzoni di tufo che tuttora segna il perimetro dell’area archeologica in questo settore del foro.

Oltre il tracciato di quella che era stata via del Ghettarello, pochi metri più ad est, fu ripristinata la nuova viabilità con la costruzione di via del Tulliano che collegava lo slargo antistante la chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami con via dell’Impero. La nuova via, nel primo tratto, venne impostata direttamente sulla taberna XI non ancora messa in luce e sulla metà orientale della taberna X. Uno dei maggiori problemi che si presentarono all’indomani della conclusione degli scavi al Foro di Cesare, nel dicembre del 1934, fu quello di restituire la scansione esatta dei colonnati del portico che delimitava la piazza. Il problema fu accresciuto dal fatto che nello stesso anno morì Corrado Ricci, che avrebbe dovuto sovrintendere alla conclusione dei lavori di restauro e ripristino del monumento.

Lo scavo riportò in luce la porzione nord-occidentale della piazza, quasi interamente il podio del Tempio di Venere Genitrice, la Basilica Argentaria e dieci delle tabernae (I-X) esistenti lungo il lato sud-occidentale foro, per un totale di circa 5000 mq, pari a poco più della metà dell’intero complesso monumentale.

Come risulta evidente dalle piante ricostruttive redatte da Italo Gismondi durante gli scavi91 (fig. I.21, a, b), Ricci aveva proposto un portico a due navate provvisto di un colonnato interno alla piazza e uno mediano con intercolumnio di pari larghezza (2,50 m); in realtà, il valore dell’intercolumnio dei due colonnati corrispondeva alla metà esatta di quello che venne effettivamente realizzato alla fine dei lavori e che si conserva ancora oggi (5 m).

Dopo l’anastilosi delle tre colonne della peristasi del Tempio di Venere Genitrice, realizzata su proposta dello stesso Corrado Ricci nel 1934, la parte del Foro di Cesare messa in luce figurava come degno pendant scenografico del Foro di Augusto che già da alcuni anni faceva da quinta sull’altro lato della via dell’Impero.

Lanciani 1883, in particolare pp. 14-15; Idem FUR, Tav. XXII. Per una raccolta di tutta la documentazione fotografica relativa ai lavori di demolizione e scavo effettuati al Foro di Cesare durante quegli anni, vedi da ultimo D’Amelio 2007, pp. 428-526. 88 Nel primo tratto la via del Ghettarello aveva lo stesso andamento di quella che di lì a pochi anni sarà via del Tulliano, costruita pochi metri più ad est; la stessa via del Tulliano, nell’ultimo tratto prima di incrociare via dei Fori Imperiali, ripercorreva, pochi metri più ad est, l’antica via delle Marmorelle. 89 In questo secondo momento di indagine, in cui si demolisce via Cremona, viene scoperto il basamento del Tempio di Venere Genitrice, fino a quel momento in buona parte coperto dalla stessa via. 86

Ricci 1932, pp. 157-172 e pp. 365-390; Ricci et al. 1933, pp. 37-45; Colini 1933b, p. 261-265; Grossi 1936, p. 217 e ss; Colini 1941, pp. 91-92; Idem 1946-1948, p. 195. 91 Si tratta di due piante: la prima edita nella rivista romana Capitolium (Ricci 1932, p. 386, fig. A), l’altra depositata nell’Archivio della X Ripartizione ed edita in Morselli, Tortorici 1989, p. 27, fig. 15. Da ultimo vedi Giuliani 2007a, pp. 75-77 e Filippi 2007, pp. 79-81 dove vengono presentate una serie di planimetrie ricostruttive dei Fori Imperiali redatte dal 1933 al 1946 dall’architetto Italo Gismondi, nelle quali i colonnati mediani e interni alla piazza presentano entrambi un intercolumnio di pari larghezza (2,50 m).

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Considerando che la scansione del portico ha costituito argomento di acceso dibattito fino ad oggi è opportuno ripercorrere in questa sede le principali tappe che durante quella campagna di scavo condussero alla ricostruzione attualmente visibile. Durante gli sterri del 1932-1933 Ricci rinvenne sul lato lungo sud-occidentale del foro le basi di due colonne e altre furono rinvenute nell’area retrostante la chiesa dei SS. Luca e Martina.92 In base alla pianta redatta in quella occasione e pubblicata sulla rivista Capitolium, tutte e quattro le basi figuravano in relazione al colonnato mediano (vedi fig. I.21, a). Ad un attento esame, tuttavia, tale collocazione si rivela in parte errata. Come risulta chiaramente dalla stessa descrizione dello scavo e soprattutto dagli schizzi quotati conservati nell’Archivio della ex-X Ripartizione del Comune, solo le due basi rinvenute nel tratto nord-ovest del portico – da interpretare in realtà come impronte circolari relative a basi attiche di età cesariano-augustea - appartengono al colonnato mediano; le altre due, corrispondenti invece a sottobasi in travertino, sono da attribuire al colonnato interno alla piazza (fig. I.22). Significativo, a questo proposito, è il confronto tra la pianta depositata nell’Archivio della ex-X Ripartizione del Comune di Roma (vedi fig. I.21, b) e quella pubblicata sulla rivista romana Capitolium. In quest’ultima, le due basi di colonna rinvenute dietro la chiesa dei SS. Luca e Martina risultano chiaramente aggiunte a penna in corso di stampa, probabilmente proprio da Corrado Ricci, a testimonianza del fraintendimento avvenuto nella attribuzione ai colonnati degli elementi individuati.

I.20. Foro di Cesare. Scavi 1930-1933. Veduta da sud-est dell'area di scavo dopo la sistemazione provvisoria (ottobre 1932). Sulla destra è visibile via Cremona non ancora demolita (da AMICI 1991).

Per quanto riguarda l’elevato dei portici, l’ipotesi ricostruttiva formulata da Ricci contemplava un unico ordine su cui si impostava una copertura a doppio spiovente sostenuta dai due colonnati, svincolata dal muro delle tabernae.93 Nel IV secolo, secondo Ricci, una radicale ristrutturazione avrebbe riproposto la stessa scansione per entrambi i colonnati; in questo periodo, infatti, tutte le colonne sarebbero state impostate su plinti quadrangolari, collocati nello stesso punto delle basi di età cesariano-augustea. Non si comprende, a questo punto, il motivo per cui nell’anastilosi del portico, realizzata all’indomani degli scavi (1933-1934), furono ricostruiti per entrambi i colonnati intercolumni di 5 m.

I.21. Foro di Cesare. Scavi 1930-1933. a. planimetria del complesso nella quale sono state inserite erroneamente le due basi di colonna individuate dietro la chiesa dei SS. Luca e Martina (da RICCI 1932); b. planimetria del complesso senza le due basi di colonna (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

Una possibile spiegazione dell’origine di questa confusione Ricci 1932, p. 379. Ricci 1932, pp. 378-381e p. 386, fig. A. La stessa soluzione di portici ad un ordine e copertura a doppio spiovente viene proposta da Italo Gismondi nell’ambientazione volumetrica e ricostruttiva dei Fori Imperiali ora pubblicata in Giuliani 2007b, p. 68, fig. 3. Analoga proposta viene avanzata da Lugli che tuttavia propone anche un’ipotesi alternativa di un portico a due ordini alto quanto l’intera altezza delle tabernae; Lugli 1946, p. 251. 92 93

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I.22. Foro di Cesare. Scavi 1930-1933. Colonnato interno alla piazza. Schizzo misurato delle due sottobasi individuate dietro l’Accademia di S. Luca (da AMICI 1991).

può essere ricercata nel difficile iter di elaborazione dei dati che seguì alla fine dello scavo.

I.23 Foro di Cesare. Veduta attuale del colonnato interno alla piazza dopo la ricostruzione degli anni Trenta del XX secolo. Al centro il basamento di statua inserito al posto della colonna prevista inizialmente da Corrado Ricci.

Come si è visto, il rilievo planimetrico dell’area di scavo venne eseguito da Italo Gismondi nel 1932 e pubblicato a corredo del testo di Corrado Ricci, quando lo scavo era ancora in corso (vedi fig. I.21, a). Da quella pianta figura chiaramente che la restituzione dell’intercolumnio dei colonnati mediano e interno alla piazza è di circa 2,50 m.

Grazie ad una serie di saggi stratigrafici, egli comprese per la prima volta che nell’area dietro la Curia era da riconoscersi l’angolo di raccordo fra il portico del lato lungo sud-occidentale e quello del lato corto sud-orientale del Foro di Cesare; elaborò quindi una pianta ricostruttiva del foro, nella quale veniva proposta una nuova lettura della scansione dei colonnati dei portici sud-occidentale e sudorientale (fig. I.25).97

Sembra probabile, pertanto, che concluso lo scavo nuovi interrogativi siano sorti, come ad esempio dove ubicare i basamenti di statua rinvenuti in grande quantità, ma fino a quel momento non tenuti in giusta considerazione.94 Il problema della loro collocazione, ignorata al momento di redigere il rilievo pubblicato nel 1932, venne a proporsi nella fase del restauro (1934), quando Corrado Ricci era ormai scomparso. E’ verosimile che proprio a questo punto sia sorta la contraddizione maggiore di tutta la problematica ricostruttiva dei portici del Foro di Cesare. Come è possibile vedere ancora oggi, infatti, i basamenti di statua furono collocati tra gli intercolumni del colonnato interno alla piazza che, pertanto, risultava in questo modo doppio rispetto a quello proposto nelle planimetrie presentate inizialmente da Corrado Ricci (fig. I.23). Tale fraintendimento, di riflesso, trascinò con se anche il colonnato mediano che venne ricostruito con una spaziatura analoga.95

Lamboglia poteva basare le proprie ricostruzioni sul rinvenimento della fondazione cementizia e di due basi di colonne ancora in situ, pertinenti al colonnato mediano del lato lungo sud-occidentale. Proprio la distanza fra queste due basi suggerì allo studioso un intercolumnio del colonnato mediano di 5 m, analogo quindi a quello ricostruito dopo lo scavo di Corrado Ricci. Del colonnato interno alla piazza, invece, non furono rinvenute tracce consistenti che rendessero possibile una ricostruzione certa. Le evidenze, infatti, si limitavano ad una sola base in posto e ad un’altra non più in situ. Nonostante ciò, fu proposto anche per il colonnato interno un intercolumnio pari a quello del colonnato mediano sulla falsa riga di quanto era stato ricostruito nei restauri degli anni Trenta.

2.2. Gli scavi di Nino Lamboglia e le indagini di Gabriella Fiorani (1960-1970)

Infine, lo scavo della trincea di fondazione del colonnato mediano permise di datare all’età cesariana l’intera fase costruttiva.98

Il problema della scansione dei colonnati dei portici del Foro di Cesare non venne più riaffrontata fino agli anni Sessanta del secolo scorso, quando Nino Lamboglia intraprese una nuova campagna di ricerca nell’area retrostante la Curia Iulia (fig. I.24).96

Per quanto riguarda il lato corto sud-orientale del foro, lo studioso proponeva, anche in questo caso, una articolazione scandita da un colonnato interno alla piazza e da uno mediano con intercolumnio di 5 m.99 Questo lato, tuttavia, si differenziava dagli altri per la presenza di un colonnato esterno, quello affacciato direttamente sull’Argileto, dal

Sulle basi di statue rinvenute nello scavo di Corrado Ricci vedi Paribeni 1933, pp 431-455. Da ultimo vedi Corsaro 2010, pp. 474-492, dove vengono descritte anche le basi di statue rinvenute nelle campagne di scavo del 2005-2006. 95 Si confronti, ad esempio, la planimetria presentata da Thomsen alcuni anni dopo la fine dei restauri, nella quale vengono proposti per entrambi i colonnati dei lati lunghi del foro, intercolumni di 5 m. Vedi Thomsen 1941, p. 215, fig. 9. 96 Lamboglia 1964-1965, pp. 105-126; Idem 1980, pp. 123-134. 94

Lamboglia 1964-1965, p. 112 e pp. 123-124, figg. 8, 10 e 14; Idem 1980, p. 125. 98 Lamboglia 1964-1965, p. 116. 99 Lamboglia 1980, pp. 125-128. 97

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.24. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Planimetria delle strutture individuate da Lamboglia (da LAMBOGLIA 1980).

I.26. Foro di Cesare. Lato corto sud-orientale. Fronte colonnato affacciato sull’Argileto. Plinto e base di colonna inglobati nel muro di età tardo-antica.

In conclusione, Lamboglia ricostruiva i portici dei lati lunghi del Foro di Cesare articolati in colonnati mediani e interni alla piazza con intercolumnio di pari larghezza (5 m); solo il colonnato esterno del portico del lato breve sudorientale mostrava la caratteristica di un ritmo più serrato (2,50 m circa). A pochi anni di distanza dagli scavi effettuati da Lamboglia, venne intrapreso da parte di Gabriella Fiorani uno studio analitico delle strutture murarie presenti nel settore nordovest del foro. La constatazione che il complesso delle tabernae fosse realizzato in opera quadrata di tufo e travertino e che solo all’interno dei primi tre vani vi fosse l’impiego di murature in opera reticolata, permise alla studiosa di avanzare l’ipotesi che esistessero almeno due fasi costruttive nella realizzazione del foro, riconducibili rispettivamente a Cesare e ad Augusto.101 Relativamente alle murature in opera reticolata, poi, la presenza di due diversi moduli nelle tessere faceva supporre in un caso a ripensamenti da parte del cantiere cesariano, ben visibili nella realizzazione dei primi due vani e, nell’altro, a modifiche effettuate dal cantiere augusteo, come appariva evidente nelle pareti di chiusura di alcuni passaggi nella taberna III. In quest’ultima, la traccia di un canale verticale che correva per tutta l’altezza del muro di facciata, unita all’esistenza di un’altra evidenza analoga in corrispondenza della taberna VIII, consentiva di ipotizzare l’esistenza di discendenti pluviali relativi allo scolo delle acque del tetto del portico, immaginato a due ordini.102

I.25. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Planimetria ricostruttiva (da LAMBOGLIA 1980).

ritmo più serrato, con un intercolumnio dimezzato rispetto a quello mediano e interno alla piazza. A questo colonnato più esterno, ascritto alla fase cesariana, era attribuita una base di colonna in situ con unico toro e attacco del fusto baccellato, inglobati nel muro in laterizio che divide il foro dall’Argileto (fig. I.26). Degna di un certo interesse, inoltre, fu la constatazione che in prossimità dell’angolo est della Curia Iulia, la fondazione di questo colonnato si allargava fino a creare una sorta di avancorpo interno al portico (vedi fig. I.25).100

Fiorani 1968, pp. 91-93. Per il Tempio di Venere Genitrice veniva proposta una scansione in almeno quattro fasi: la prima riconducibile a Cesare, la seconda, attestata da un muro in opera mista presso lo spigolo ovest del podio, databile tra Augusto e Domiziano, la terza attribuibile a Domiziano e, infine, la quarta a Traiano. Fiorani 1968, pp. 97-99. 102 Fiorani 1968, p. 100. Pochi anni dopo, anche Bauer nella ricostruzione isometrica che propone del punto in cui si incontrano il Foro di Nerva, la Curia Iulia, la Basilica Aemilia e il Foro di Cesare, ricostruisce quest’ultimo con portici a due ordini di colonne sovrapposte. Vedi Bauer 1976-1977, p. 142, fig. 18. 101

Le misure dell’avancorpo di fondazione sono 2,80 x 4 m. Lamboglia 1980, pp. 125-126 e fig. Lam. III,1.Vedi anche Pallarés 2007, p. 29 e p. 33 fig. 14. 100

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Il portico attualmente visibile era considerato dalla studiosa frutto di un restauro dell’inizio del V secolo che tuttavia riproponeva fedelmente la scansione di quello augusteo. Ciò veniva spiegato con la presenza, sul pavimento marmoreo del portico, di alcune impronte circolari lasciate dalle basi originarie sulle quali furono posizionati i plinti delle colonnato tardo antico. 2.3. Le indagini degli anni Ottanta: lo scavo di Edoardo Tortorici e Chiara Morselli e la campagna di rilievo di Carla Maria Amici Alla metà degli anni Ottanta del secolo scorso una nuova campagna di scavo diretta da Edoardo Tortorici e Chiara Morselli prese nuovamente in esame l’area sud-orientale del Foro di Cesare. In quella occasione furono riportate in luce le strutture già individuate da Lamboglia e fu ulteriormente allargata l’area di indagine, scoprendo nuovi tratti di fondazione relativi ai colonnati del lato lungo sud-occidentale e del lato breve sud-orientale. Ciò permise di avanzare una nuova ipotesi sulla scansione dei colonnati del portico (fig. I.27). I.27. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Planimetria delle strutture individuate durante gli scavi degli anni Ottanta (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

L’individuazione sulla superficie delle fondazioni di plinti di colonna o delle loro impronte permise di ricostruire per la fase cesariana un colonnato interno alla piazza con intercolumnio pari a 5 m. Per quanto riguarda il colonnato mediano veniva proposta una spaziatura analoga, con la differenza, tuttavia, che nel tratto in cui i lati lunghi si articolavano con il lato breve, la distanza tra le colonne aumentava arrivando a misurare 5,60 m, larghezza pari a quella di una singola navata.

Nella pianta ricostruttiva della fase cesariana si immaginava un foro il cui lato corto sud-orientale, non ancora affacciato direttamente sull’Argileto, era costituito da una sola navata. I suoi colonnati corrispondevano esattamente a quelli che nella fase successiva avrebbero costituito il colonnato interno e mediano del nuovo portico sud-orientale. In questa prima fase, la Curia Iulia non risultava ancora costruita (fig. I.29).

In quella occasione furono individuate, in corrispondenza di alcune sottobasi relative al colonnato interno alla piazza, tracce di scalpellatura che secondo i due studiosi indicavano il volontario dimezzamento dell’originario intercolumnio.

Nella ricostruzione della fase successiva, al precedente impianto venne aggiunta la Curia Iulia e il colonnato affacciato sull’Argileto per la cui scansione ci si avvalse sia della base inglobata nel nucleo cementizio del muro in laterizio che divide il foro dall’Argileto sia dell’impronta di una colonna presente nello stesso muro sia dell’assenza di usura sulle soglie marmoree dello stilobate. Nella stessa pianta ricostruttiva il colonnato interno alla piazza appariva ora dimezzato grazie all’aggiunta di una colonna intermedia tra quelle già esistenti. L’immagine che se ne ricavava, quindi, era quella di una porticus duplex che circondava la piazza su tre lati (fig. I.30). Apprezzabile fu, in questo studio, il tentativo di ricostruire gli elevati dei portici, ipotizzando l’esistenza di un unico ordine di colonne con copertura piana per entrambe le fasi riconosciute.

Uno dei risultati di maggiore importanza, per i motivi che vedremo in seguito, fu quello di stabilire che la fondazione del colonnato che si affacciava sull’Argileto era in comune con il lato sud-orientale della Curia Iulia e che, quindi, le due strutture erano state costruite contestualmente (fig. I.28).103 In considerazione del fatto che il permesso di costruire una nuova sede per il Senato venne concesso a Cesare solo nel gennaio del 44 a.C., i due studiosi attribuivano ad Ottaviano-Augusto sia la costruzione del colonnato affacciato sull’Argileto sia l’edificazione della Curia. Alla stessa fase veniva anche attribuito il dimezzamento degli intercolumni del colonnato interno alla piazza, indiziato dalla scalpellatura notata in prossimità di due basi.

Ad un paio di anni di distanza dalla pubblicazione degli scavi di Edoardo Tortorici e Chiara Morselli veniva pubblicata la monografia di Carla Maria Amici che presentava una ricostruzione del Foro di Cesare in buona parte divergente.

Delle due fasi, quella di Cesare e quella di OttavianoAugusto, vennero proposte due ipotesi ricostruttive. 103

Morselli, Tortorici 1989, p. 229.

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.28. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. In retino la fondazione del lato sud-orientale della Curia Iulia condivisa con il colonnato esterno del portico sud-orientale della piazza del foro (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

I.29. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Pianta ricostruttiva e assonometria della fase cesariana (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

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I.30. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Pianta ricostruttiva e assonometria della fase augustea (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

Riguardo ai portici perimetrali, infatti, si optava per una soluzione che prevedeva in entrambe le fasi edilizie un intercolumnio di circa 4,60 m e interasse di 5,90 m circa sia per il colonnato mediano che per quello interno alla piazza (fig. I.31). Il dimezzamento di quest’ultimo, secondo la studiosa, sarebbe avvenuto soltanto in età dioclezianea.104 Anche il colonnato che si affacciava sull’Argileto veniva attribuito alla fase cesariana con la differenza che ad esso si attribuiva un intercolumnio pari alla metà degli altri per accentuarne la funzione di ingresso principale (fig. I.32).105 In base alle misure delle impronte delle basi già individuate da Corrado Ricci, la Amici presentava una assonometria ricostruiva in cui figurava un portico ad unico ordine con una copertura piana a terrazza, alto complessivamente 12 m (fig. I.33).106 Veniva quindi proposta già per la fase cesariana (54-46 a.C.) una ricostruzione che prevedeva un foro lungo 160 m, provvisto del colonnato pervio affacciato sull’Argileto e comprensivo della Curia Iulia. Amici 1991, pp. 37-39. Tale ricostruzione è stata riproposta sostanzialmente invariata in Amici 2007a, pp. 164-168. 105 Ancora alla fase originaria veniva attribuita la base attica su stilobate, inglobata nella muratura tardo-antica. 106 Amici 1991, pp. 41-42 e p. 52, fig. 62. 104

I.31. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Ipotesi ricostruttiva della scansione dei colonnati dei portici sudoccidentale e sud-orientale, nella fase cesariana (da AMICI 1991).

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

Ad Ottaviano-Augusto era attribuito unicamente il completamento di alcune parti del monumento che, secondo la studiosa, non modificarono affatto l’aspetto generale del complesso voluto e realizzato da Cesare. In questo studio una trattazione particolare era dedicata al complesso delle tabernae.107 Vi si riconoscevano due fasi costruttive distinte (II e III fase). La prima, nella quale venne realizzato l’intero complesso dei vani posti lungo il lato sud-occidentale del foro, databile ad un periodo compreso tra il “46-44 a.C. e oltre”; la seconda, in cui vennero operate solo piccole modifiche in alcune tabernae, attribuibile all’età augustea. Più in dettaglio, la fase augustea veniva riconosciuta nella chiusura in opera reticolata di alcuni passaggi presenti nella taberna III e nella creazione, nel medesimo vano, di una rampa di scale di collegamento fra il foro e il clivo Argentario. Uno dei risultati più importanti ottenuti da questa indagine fu la dimostrazione dell’esistenza di un muro rettilineo in blocchi di travertino antistante il fronte delle tabernae, ora del tutto scomparso.108 Tale assunto si basava sulla constatazione della totale assenza di tracce relative alla copertura del portico sud-occidentale sul muro attualmente visibile delle tabernae. Inoltre, veniva evidenziato il lieve ma significativo scarto esistente tra il lato posteriore della Curia e il fronte delle tabernae che, invece, la presenza del muro ipotizzato avrebbe reso perfettamente allineati (fig. I.34).

I.32. Foro di Cesare. Area retrostante la Curia. Ipotesi ricostruttiva dell'articolazione del colonnato del lato lungo sud-occidentale con quello del lato corto sud-orientale, nella fase cesariana (da AMICI 2007).

Ad ulteriore conferma dell’ipotesi veniva posta l’attenzione su altre due significative evidenze: la fondazione cementizia rettilinea individuata negli anni Trenta davanti alle tabernae VII e VIII, sulla cui superficie erano ben visibili le impronte dei blocchi di fondazione del muro in questione e la presenza delle impronte dei blocchi d’elevato del medesimo muro sulla testata della Basilica Argentaria che in età traianea vi si appoggiò (fig. I.35). Proprio per questa sua fondamentale funzione di sostegno della copertura del portico sud-occidentale, il muro veniva datato all’età cesariana e quindi doveva già esistere al momento dell’inaugurazione del complesso nel 46 a.C. La ragione della totale scomparsa di questa struttura venne ricondotta ad una pesante spoliazione avvenuta in età tardo-antica.109 L’intuizione della studiosa è stata in seguito suffragata da una serie di disegni di architettura del XVI e del XVII secolo che mostravano inequivocabilmente la presenza di un doppio muro che costituiva il fronte delle

I.33. Foro di Cesare. Portico sud-occidentale. Schizzo assonometrico ricostruttivo del portico e delle tabernae (da AMICI 1991).

Amici 1991, pp. 49-64. Amici 1991, pp. 40-42, figg. 41 e 43 109 A questo proposito è stato fatto notare che tutto il settore sudoccidentale del foro, conosciuto nel basso Medioevo e nel Rinascimento con il toponimo di Zecca Vecchia, veniva sfruttato come cava di materiali edilizi e in particolare di travertini (“cavar travertini alla Secca Vecchia”). Lanciani 1883, p. 14 e ss; Amici 1991, pp. 13-14 e 40; Viscogliosi 2000, pp. 27 e 143. 107 108

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ai lati della via dei Fori Imperiali,111 permase immutato fino al 1998 quando, in occasione del Giubileo del 2000, venne avviato il più vasto progetto di archeologia urbana del nostro paese: lo scavo dei Fori Imperiali.112 Tale progetto costituisce il capitolo conclusivo di un più lungo e difficile percorso cominciato già a partire dai primi anni Ottanta, che si poneva come obiettivo primario quello di indagare su vasta scala e secondo un’ottica diacronica tutte le fasi storiche dell’area dei Fori Imperiali; l’esigenza nasceva dalla volontà di recuperare informazioni utili alla ricostruzione dell’evoluzione storica dell’area che gli sterri del Fascismo avevano in molti casi irrimediabilmente cancellato.

I.34. Foro di Cesare. Pianta ricostruttiva. Calcolo dello scarto tra l’allineamento del fronte delle tabernae e il lato posteriore della Curia (da AMICI 1991).

Un progetto archeologico così concepito maturò nel 1984 quando la Soprintendenza Statale e la Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma decisero, in collaborazione con il Dipartimento di Scienze dell’Antichità sezione di Topografia di Roma e dell’Italia Antica dell’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, di intraprendere un primo intervento nell’area a nord del Foro Romano, nella zona compresa tra via della Salara Vecchia, via della Croce Bianca e via Bonella (fig. I.37).113 Come accennato, il progetto subì numerosi arresti dovuti alle polemiche, spesso aspre e dalle forti coloriture politiche, che un intervento del genere incontrava sul piano urbanistico. A prescindere dalle accesissime dispute nate dal timore, oggettivo o presunto, di demolire via dei Fori Imperiali, oppure dal fatto che nessuna novità di interesse scientifico sarebbe derivata dagli scavi, fin da allora l’aspetto più esposto a critiche era rappresentato dall’assetto urbanistico che si sarebbe dovuto dare all’area durante e, soprattutto, dopo lo scavo.

I.35. Foro di Cesare. Portico sud-occidentale. La freccia indica il muro di testata della Basilica Argentaria sul quale sono visibili le impronte dei blocchi del muro di schermatura delle tabernae.

Nei primi anni Novanta la legge relativa al piano di interventi per Roma Capitale diede un nuovo impulso al

tabernae, perfettamente in linea con il lato posteriore della Curia (fig. I.36).110

Dopo la morte di Corrado Ricci viene a mancare l’intento conoscitivo che, pur con tutti i limiti del caso, era presente nei lavori urbanistici realizzati fino a quel momento nell’area dei Fori Imperiali. A partire dal 1935, infatti, si decise di rinunciare a qualsiasi scavo archeologico che proponesse il dilemma di come inserire il monumento antico nel nuovo contesto urbano e si optò per gli economici e asettici giardinetti. Sull’argomento vedi Ungaro 1997, p. 39 e Viscogliosi 2000, p. 58. 112 Gli scavi che a partire dal 1998 e fino al 2000 hanno interessato tre vasti settori dei Fori di Cesare, della Pace e di Traiano, sono stati realizzati grazie ai fondi del finanziamento della legge 651/96, stanziati per il Piano del «Grande Giubileo del 2000». La superficie interessata dall’intervento è stata di circa un ettaro e mezzo per un volume totale di terreno rimosso di 70.000 metri cubi. Lo scavo archeologico è stato condotto dalla Sovrintendenza ai BBCC del Comune di Roma, sotto la Direzione unica di Eugenio La Rocca e il coordinamento di Silvana Rizzo e Piero Giusberti; la Direzione Scientifica delle operazioni di scavo è stata condotta da Roberto Meneghini e Riccardo Santangeli Valenzani. Sul progetto di scavo si veda: Insolera, Perego 1999, in particolare, pp. 377-384; Rizzo 2000, pp. 6278; Giusberti 2000, pp. 103-113. Sul complicato iter politico, urbanistico e ideologico che a partire dal dopoguerra ha portato alla realizzazione definitiva del Progetto Fori Imperiali vedi soprattutto Insolera, Perego 1999, pp. 177-384. Sulla difficoltà, ancora non risolta, di giungere ad una “soluzione urbanistica” compatibile con quanto è stato messo in luce dagli scavi dei Fori Imperiali e sull’esigenza di una “progettualità culturale” che spesso manca nella progettazione dei grandi scavi urbani vedi Carandini 1985, p. 81; Ricci 1999, p. 105; Manacorda 2004, pp. 110-113; Idem 2007, in particolare pp. 82-112. 113 Castagnoli, Tortorici, Morselli 1985, pp. 245-271. 111

2.4. Gli scavi per il Giubileo: le indagini del 1998-2000 L’assetto dato all’area all’indomani della morte di Corrado Ricci con la scelta “rinunciataria” di creare dei giardinetti

Vedi Viscogliosi 2000, pp. 102-108. In particolare viene segnalato un disegno a inchiostro su carta di Antonio da Sangallo il Giovane datato al 1520 circa molto significativo per il suo carattere di rilievo archeologico. Al centro del disegno, infatti, compreso nello spazio tra le due chiese di SS. Luca e Martina e S. Adriano, è visibile il doppio muro di facciata delle tabernae. Di estremo interesse sono le due annotazioni relative ai due muri:“Tufi e tevertino” per il muro più interno e “fodera di mattoni” per quello più esterno. Mentre per il muro di“Tufi e tevertino” non vi è difficoltà nel riconoscerlo in quello che attualmente è ancora visibile nell’ultimo tratto nord-ovest del porticato sud-occidentale, per quanto riguarda quello definito “fodera di mattoni” si è supposto molto convincentemente che potesse trattarsi di un tardo restauro, forse dioclezianeo, della parte superiore del muro. 110

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.36. Area della chiesa dei SS. Luca e Martina. Disegno di Antonio da Sangallo il Giovane: a sinistra la chiesa medievale di S. Martina, prima della ricostruzione barocca; a destra S. Adriano (Curia Iulia) e il primo tratto del colonnato esterno del lato corto sud-orientale del Foro di Cesare (da MORSELLI, TORTORICI 1989).

progetto che nel 1994 riprese con efficacia attuando lo scavo di un settore nell’area sud-occidentale del Foro di Nerva.114 Grazie ai risultati che scavi come questo, seppur limitati nell’estensione, restituivano, la Sovrintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma riuscì ad inserire il progetto di realizzazione di un parco archeologico dei Fori Imperiali nel Piano di interventi per il Giubileo del 2000. Ritenute valide le premesse scientifiche che avevano accompagnato sin dal 1984 il progetto di scavo dei Fori Imperiali, si affrontò il problema dell’impatto che un tale intervento avrebbe avuto sulla città e sulla percezione da parte del pubblico di quella nuova realtà spaziale. Si propose di superare il problema del rapporto tra l’area scavata e la città conferendo un ruolo di primo piano ai margini delle aree archeologiche di volta in volta messe in luce.115 Ad essi, infatti, si demandò il compito di creare quelle connessioni mentali e visive grazie alle quali il tessuto urbanistico poteva non solo essere ripristinato, ma anche restituito alla città con un valore aggiunto: la sequenza storica. Come in una sezione archeologica, i margini dello scavo avrebbero riproposto le varie tappe

I.37. Progetto per l'intervento di scavo nell'area dei Fori di Cesare, Augusto e Nerva (da CASTAGNOLI, TORTORICI, MORSELLI 1985).

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Rizzo 1997-1998, pp. 137-149. Giusberti 2000, pp. 110-113.

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interrompeva quell’unità spaziale che si voleva rendere al pubblico con il massimo grado di comprensione.117 L’indagine archeologica che a partire dal 1998 interessò l’area del Foro di Cesare venne concentrata nella zona corrispondente alla metà sud-orientale della piazza. 118 In quella occasione fu possibile individuare e documentare le fasi relative al quartiere Alessandrino mettendo in luce i vani cantina degli edifici risparmiati dalle demolizioni fasciste e adoperati come contenitori di macerie (fig. I.39). L’indagine, quindi, proseguì con lo scavo sotto i piani pavimentali delle cantine, incontrando vari livelli di frequentazione medievale che giacevano sopra il piano della piazza antica.

I.38. Area del Foro di Cesare. Settore sud-occidentale. A sinistra i resti delle infrastrutture del quartiere Alessandrino; a destra le fondazioni dell'Accademia di S. Luca.

Ai notevoli risultati raggiunti nella conoscenza del Foro di Cesare e di cui si parlerà diffusamente più avanti, si aggiunsero i dati inaspettati e sorprendenti relativi alle fasi precedenti l’impianto del complesso monumentale cesariano.

dell’evoluzione di questo settore urbano, che dalle piazze forensi antiche aveva visto svilupparsi prima l’abitato medievale, poi il quartiere Alessandrino e, infine, i grandi interventi di sventramento operati durante il Fascismo. Una successione ininterrotta di epoche, quindi, che restituivano il senso della trasformazione e della continuità nel tempo di questa porzione di città.

Nessuno scavo archeologico, infatti, aveva mai avuto la possibilità di indagare approfonditamente e su una così ampia porzione di terreno, la stratificazione sottostante il piano del foro che, pertanto, era ancora pressoché sconosciuta. Fu così possibile raggiungere livelli protostorici119 dove la novità che destò più sorpresa fu la scoperta di due tombe ad incinerazione in pozzetto di forma ovale (fig. I.40), databili in un ambito cronologico

Per limitarci al Foro di Cesare le tracce visibili di questa sequenza storica sono costituite, lungo il margine nordorientale dell’area, sia dai resti di alcune domus terrinee alto medievali e, sopra queste, dalle cantine dei palazzi del quartiere Alessandrino demoliti negli anni Trenta, sia dalla sezione di via Bonella, sotto la quale sono visibili le infrastrutture fognarie post-unitarie. Ma è sul margine sud-occidentale dello scavo che la connessione fra la realtà archeologica e la città attuale trova l’esempio più chiarificatore degli intenti perseguiti e, per questo, più soggetti a critiche. In quest’area, infatti, sono state riportate in luce le fondazioni in cemento armato - uno dei primi esempi di impiego di questa tecnica - dell’Accademia di S. Luca, progettata da Gustavo Giovannoni e mai definitivamente realizzata.116 Ora, a prescindere dalle difficoltà logistiche che sono state sollevate in merito alla eventuale demolizione di tali strutture, la conservazione e il mantenimento di questo impianto è stata riconosciuta di fondamentale importanza proprio perché a quelle fondazioni è stato demandato il compito di creare quel difficile ma improrogabile dialogo con la città attuale (fig. I.38).

Sull’argomento vedi Giusberti 2000, pp. 110-111, che a queste critiche ha risposto spiegando che quanto finora è stato conservato e reso visibile al pubblico non ha carattere definitivo bensì provvisorio. Si tratterebbe di un progetto che l’ideatore stesso ha definito “leggero”nel senso che implica una gradualità nel tempo della trasformazione urbanistica, prevedendo di passare da un assetto teso a rendere la massima diacronicità di quanto finora scavato, ad un assetto, che è quello definitivo e non ancora raggiunto, teso alla restituzione dell’unità spaziale delle piazze forensi. A questo riguardo non ci si può esimere dal considerare che se tale progetto, pur con tutte le critiche del caso, manteneva una sua validità nell’immediato (2000), ora, dopo la prosecuzione degli scavi (2005-2008) e il conseguente ampliarsi dell’area archeologica è diventata una improrogabile necessità andare oltre quel “progetto leggero”, che proprio adesso potrebbe dimostrare la sua efficacia. 118 La campagna di scavo del 1998-2000 ha interessato un’area di 3500 mq che aggiungendosi a quelle precedentemente messe in luce dagli scavi di Corrado Ricci, Nino Lamboglia e Edoardo Tortorici, ha fatto ammontare a 8500 mq su un totale complessivo di 15000 mq, la porzione visibile del Foro di Cesare. Vedi Rizzo 2000, p. 65; La Rocca 2001, pp. 171-213. La documentazione di scavo è stata eseguita dalla Cooperativa ARCHEOLOGIA ed è depositata nell’archivio dell’Ufficio “Fori Imperiali” della Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma. Una relazione preliminare riguardante gli scavi al Foro di Cesare si trova in Rizzo 1997-1998, pp. 146-147; Eadem 2000, pp. 67-69 e Vacca 2000, pp. 98-102; La Rocca 2001, 174-184; Rizzo 2001, pp. 224-230. Da ultimo vedi Meneghini, Santangeli Valenzani 2007, dove viene fornita una sintesi complessiva di tutti i risultati ottenuti dagli scavi svolti nell’area dei Fori Imperiali dal 1991 al 2007. 119 Lo scavo della fase protostorica del Foro di Cesare fu affidato al Servizio di Protostoria della Soprintendenza Speciale ai Beni Archeologici di Roma in collaborazione con la Sovrintendenza per i BBCC del Comune di Roma. Le indagini vennero condotte da Anna De Santis della Soprintendenza ai Beni Archeologici di Roma coadiuvata dalla Cooperativa ARCHEOLOGIA, in particolare da Maddalena Vacca e Alessia Savi Scarponi. 117

Proprio sul progetto di restauro si appuntarono le maggiori critiche. La volontà di conservare le varie testimonianze che ogni epoca aveva lasciato sulle piazze antiche fu vista come un eccesso di zelo feticistico, che invece di rendere fruibili e comprensibili i resti dei Fori Imperiali, al contrario, Sulle vicende dell’Accademia di S. Luca vedi Cederna 2006, pp. 172175; Insolera, Perego 1999, pp. 112-114. 116

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.39. Foro di Cesare. Area sud-occidentale. Planimetria delle strutture del quartiere Alessandrino (archivio Ufficio Fori Imperiali/ scavi 1998-2000).

compreso tra il Bronzo Finale e l’inizio dell’età del Ferro (I periodo laziale-fase II A1).120 Le due tombe (T.1 e T.2), rinvenute immediatamente sotto la preparazione pavimentale della piazza, erano scavate nel banco naturale argilloso e coperte entrambe da accumuli di spezzoni di tufo lionato.121 Il corredo della prima tomba (T. 1) era costituito da un’olla biconica monoansata d’impasto usata come cinerario e da nove vasi d’impasto miniaturizzati. Sul fondo della tomba, fuori dal cinerario, erano presenti quattro dischi di lamina di bronzo decorati a sbalzo (doppi scudi), una fibula ad arco serpeggiante e resti di fauna (agnello). La seconda tomba (T. 2) presentava un corredo costituito da un’olla globulare d’impasto usata Vedi Catalano, Cucina, De Santis 2001, pp. 197-199; De Santis 2001, p. 270 e ss.; La Rocca 2001, pp. 175-177; Rizzo 2001, pp. 220-221; Bietti Sestieri, De Santis 2003, p. 750; De Santis 2005, pp. 156-163. Secondo la nuova cronologia dell’età del Ferro confermata su base dendrocronologica (Bettelli 1997, pp. 191-198; Nijboer et al. 1999-2000, pp. 163-176; Bietti Sestieri, De Santis 2003, pp. 745-763; Bettelli 2003, pp. 595-596), le due tombe si datano tra la fine dell’XI e l’inizio del X sec. a.C. (I periodo laziale-fase II A1). Secondo la cronologia tradizionale, invece, la datazione delle due tombe sarebbe molto più bassa: fine del X sec. a.C. 121 Sulle tombe 1 e 2 del Foro di Cesare vedi da ultimo De Santis et al. 2010, pp. 264-265. Il corredo della Tomba n. 2 è esposto nella sezione protostorica del Museo Nazionale Romano presso le Terme di Diocleziano.

I.40. Foro di Cesare. Tombe 1 e 2. Piante e sezioni (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

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come cinerario circondata da nove vasi miniaturizzati anch’essi d’impasto. Anche in questa tomba erano collocati alcuni bronzi, fra cui una fibula con arco serpeggiante e staffa a disco a spirale di filo, un coltello, una lancia con asta fusa e quattro dischi di lamina di bronzo decorati a sbalzo (doppi scudi). Fuori dal cinerario erano presenti alcuni resti di fauna (maialino e parti di volatili). La scoperta permise di ipotizzare la presenza di un’area di sepoltura nella valle compresa tra Campidoglio e Quirinale, apportando un elemento significativo nella discussione sulla nascita del centro pre-urbano. Per l’età arcaica e alto-repubblicana, va segnalato che lo scavo del 1998-2000 accertò una fase di abitato, seppur estremamente frammentaria, che venne datata in via preliminare al VI sec. a.C.122 I dati andarono ad aggiungersi a quelli raccolti da Nino Lamboglia nello scavo effettuato negli anni Sessanta dietro la Curia123 e a quelli, purtroppo ancora in gran parte inediti, del Foro di Nerva,124 dove in entrambi i casi furono individuate stratificazioni risalenti all’età tardo-arcaica/alto-repubblicana. In particolare, sotto i livelli del Foro di Cesare furono individuati brani di murature in opera quadrata di tufo granulare “cappellaccio” e alcune strutture ipogee quali un pozzo circolare125 e una fossa di forma ovoidale con approfondimento centrale circolare, interpretata come una cisterna/granaio.126

I.41. Planimetria generale dell'area dei Fori Imperiali e dell'area settentrionale del Foro Romano. In grigio la viabilità moderna precedente gli interventi per il Giubileo del 2000; in nero le strutture di età repubblicana pertinenti al quartiere dell'Argiletum (da TORTORICI 1991).

Un ulteriore elemento di novità emerso dalla campagna 1998-2000 fu la constatazione della quasi totale assenza di livelli di vita medio e tardo repubblicani.127

che con andamento nord-est/sud-ovest divideva un settore commerciale, localizzabile nell’area sud-est del quartiere (Forum Piscarium, Forum Cuppedinis, Forum Coquinum, Macellum) da uno residenziale che si sviluppava a nordovest dello stesso tracciato.131

La causa di tale lacuna venne imputata all’intervento del cantiere di costruzione del Foro di Cesare, che aveva operato una consistente rasatura dell’area a 14 m s.l.m., cancellando gran parte degli edifici di epoche precedenti che si trovavano al di sopra di tale quota. Proprio questa constatazione può spiegare il motivo per cui nell’area del Foro di Cesare non vennero rinvenute quelle strutture che nel vicino Foro di Nerva,128 invece, erano state da tempo identificate ora con la piazza commerciale che almeno dal III secolo a.C. occupava l’area a nord-est del Foro Romano (Macellum),129 ora con edifici del quartiere dell’Argiletum,130 che intorno a quel mercato si era sviluppato. Grazie agli studi condotti da Edoardo Tortorici abbiamo oggi un’idea più precisa di questo quartiere che in età repubblicana si estendeva lungo la fascia pedecollinare a nord-est del Foro Romano, in un’area compresa tra le pendici della sella tra Campidoglio e Quirinale e la collina della Velia (fig. I.41). L’Argiletum, secondo l’ipotesi proposta da Tortorici, era suddiviso in due parti dalla via omonima

Altrettanto fondamentali nella conoscenza del sito si rivelarono i risultati pertinenti al complesso monumentale cesariano. Con la scelta di indagare l’intera metà sud-orientale del foro fu possibile, per la prima volta, restituire l’unità architettonica del monumento. Si portarono così in luce, alcune sottobasi in travertino pertinenti ai colonnati del lato lungo sud-occidentale e di quello corto sud-orientale; alcuni tratti di canalizzazioni presenti lungo i lati della piazza e brani della pavimentazione relativi ad essa (figg. I.42 e I.43). I risultati ottenuti in quella occasione misero nuovamente in discussione le conoscenze fino a quel momento acquisite sull’articolazione del complesso cesariano e sulla sequenza costruttiva delle varie fasi.

Rizzo 2001, pp. 221-223. Lamboglia 1964-1965, p. 106 e ss. 124 Morselli, Tortorici 1989, p. 138 e ss.; Rizzo 2001, p. 222. 125 Rizzo 2001, p. 221. Vedi il punto III.3.1., infra. 126 Rizzo 2001, p. 221. 127 Rizzo 2001, p. 222. Vedi il punto III.3.3., infra. 128 Morselli, Tortorici 1989, pp. 185-199 e pp. 218-222; Tortorici 1991, pp. 37-55. 129 Coarelli 1985, pp. 150-155. 130 Tortorici 1991, in particolare pp. 32-37. 122 123

Di recente sono stati avanzati nuovi argomenti di riflessione circa i confini nord-orientali dell’Argiletum che senza soluzione di continuità doveva passare nel quartiere della Subura. Da un passo di Giovenale (Iuv., I 5, 104-106), secondo il quale i pesci del Tevere erano soliti risalire la Cloaca Massima fino alla “media Suburra” (mediae cryptam penetrare Suburae), si è avanzata l’ipotesi che il quartiere suburano potesse forse estendersi fin quasi al Foro Romano, riducendo, di conseguenza, l’estensione verso nord-est dell’Argiletum. Palombi 2005a, pp. 86-87. 131

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.42. Foro di Cesare. Area del portico sud-occidentale e del settore sud-orientale della piazza. Pianta di fine scavo (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

Partendo dal presupposto che la lunghezza del complesso nelle due fasi, di Cesare e di Ottaviano, non fosse mai cambiata, veniva ricostruito un foro provvisto già nella fase cesariana del colonnato che si affacciava sull’Argileto e allineato con il lato meridionale della Curia Iulia (fig. I.44). Tale colonnato fu ricostruito di diciannove colonne con intercolumnio pari a circa 2 m, nel tratto centrale e di 5 m, in prossimità della Curia. Il colonnato interno alla piazza del lato corto sud-orientale, grazie alla presenza delle impronte delle sottobasi (base inf.:1,10x1,10 m) e alle fosse di spoliazione medievali individuate in corrispondenza di queste, veniva ipotizzato anch’esso provvisto di diciannove colonne ma con intercolumnio costante di circa 2 m. Per quanto riguarda il colonnato mediano, l’individuazione di due elementi circolari in travertino (diam.1,06 m), interpretati dagli scavatori come plinti di colonna (fig. I.45), consentì di ricostruire un intercolumnio di 4 m pari al doppio di quello dei colonnati interno ed esterno. La larghezza stimata per ciascuna delle due navate era di 5 m.

Sempre in relazione con il lato corto sud-orientale, infine, veniva individuata ai piedi della gradinata tra il portico e la piazza una canaletta in marmo lunense in situ funzionale alla raccolta delle acque (fig. I.46); tramite un foro del diametro di 10 cm ricavato nella canaletta stessa, l’acqua veniva convogliata dentro un condotto che correva a quota più bassa sotto il primo scalino della gradinata. La canaletta, insieme ad alcuni tratti delle gradinate in marmo lunense che dalla piazza conducevano ai portici,venivano datate all’età augustea. Come per il lato corto sud-orientale, anche per quello sud-occidentale veniva ricostruito un colonnato interno con intercolumnio dimezzato già in fase cesariana. Il rinvenimento in situ di quattro elementi di travertino interpretati come plinti, infatti, permise di ricostruire un intercolumnio di 2 m circa (fig. I.47). Anche su questo lato venne individuata parte della gradinata e il condotto di deflusso delle acque, sottostante il primo gradino.

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I.43. Foro di Cesare. Area del portico sud-orientale. Pianta di fine scavo (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

Grazie alla messe di dati ottenuti fu quindi possibile risolvere l’annoso problema del dimezzamento degli intercolumni dei colonnati interni alla piazza, considerato fino a quel momento una operazione legata al restauro tardo-antico, avvenuto dopo l’incendio del 283 d.C.132

In conclusione, i risultati ottenuti consentirono di stabilire che nella fase cesariana il colonnato interno alla piazza presentava già il dimezzamento dell’intercolumnio; il colonnato mediano, invece, aveva un intercolumnio doppio.134 Veniva, quindi, ricostruita una piazza estesa dal Tempio di Venere Genitrice all’Argileto, delimitata su tre lati da una porticus a due navate che si articolava in un gioco di doppia alternanza di pieni e di vuoti, che accresceva l’effetto prospettico e scenografico dell’intero complesso.

Relativamente al colonnato mediano del lato lungo sudoccidentale furono individuate sia le sottobasi in travertino sia le impronte circolari per l’alloggiamento delle basi di colonna (fig. I.48), che permisero di ricostruire un intercolumnio pari a 4 m, uguale a quello del lato corto sud-orientale.

Durante la medesima campagna di scavo fu effettuata una scoperta di fondamentale importanza per i risvolti che ha avuto durante le ultime indagini del 2005-2008. Nella parte sud-orientale della piazza del foro, infatti, coperta dal massetto preparatorio per l’alloggiamento delle lastre pavimentali, venne individuata una struttura cementizia con orientamento nord-est/sud-ovest che risultava perfettamente

Ad una fase successiva, veniva assegnata con ampio beneficio del dubbio riguardo alla datazione e all’identificazione, la costruzione di un muro in opera quadrata individuato in corrispondenza del tratto sud-est del lato lungo nord-orientale (fig. I.49).133

La Rocca 2001, pp. 179-180. Rizzo ricostruisce una scansione dei colonnati in fase cesariana leggermente diversa da quella sopra riportata: intercolumnio del colonnato interno alla piazza di 2,50 m; intercolumnio del colonnato mediano di 5 m. Rizzo 2001, p. 225. 134

132 133

Amici 1991, p. 39. Rizzo 2001, pp. 226-227.

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.45. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Dettaglio di una sottobase in travertino del colonnato mediano, coperta dalla pavimentazione di età tardo-antica. I.44. Foro di Cesare. Planimetria ricostruttiva redatta dopo la campagna di scavo 1998-2000 (da RIZZO 2000).

perpendicolare all’asse longitudinale del foro (fig. I.50).135 La struttura, alla quale fu attribuita una notevole importanza sul piano urbanistico in considerazione proprio del suo orientamento, venne interpretata come la fondazione di un grande muro di terrazzamento del fianco collinare databile agli anni immediatamente precedenti l’arrivo del cantiere cesariano. Tale ipotesi portava a considerare l’orientamento fatto proprio dal Foro di Cesare come preesistente, proprio perché determinato da un impianto urbanistico di cui la struttura scoperta doveva costituire una traccia tangibile. Come si vedrà in seguito,136 proprio questa fondamentale scoperta ha costituito la premessa all’ipotesi di una prima fase costruttiva del Foro di Cesare.

I.46. Foro di Cesare. Lato corto sud-orientale. Dettaglio della canaletta in marmo lunense, ubicata ai piedi della gradinata di accesso al portico.

Quello sin qui tracciato è il panorama delle conoscenze acquisite sul Foro di Cesare fino all’ottobre del 2005. A partire da quella data ha preso avvio una nuova campagna di scavi, protrattasi fino all’agosto del 2008. 135 136

Rizzo 2001, p. 223, fig. 11. Vedi il punto III.3.4., infra.

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I.47. Foro di Cesare. Portico sud-occidentale. Elementi in travertino (sottobasi) relativi al colonnato interno alla piazza, individuati nella campagna di scavo 1998-2000.

I.48. Foro di Cesare. Portico sud-occidentale. Sottobase in travertino e impronta circolare di una base di colonna pertinente all’ordine mediano (foto B. Pinna Caboni).

I.49. Foro di Cesare. Portico nord-orientale. Dettaglio del muro in opera quadrata di tufo individuato in una cantina del quartiere alessandrino.

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La storia degli studi sul Foro di Cesare

I.50. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Scavi 2005-2008. La freccia indica la fondazione cementizia del colonnato interno alla piazza del primo impianto costruttivo del foro, già individuata nella campagna di scavo 1998-2000.

Nei capitoli seguenti, verranno illustrati in dettaglio i risultati ottenuti dalle ultime indagini, che hanno consentito di delineare una più circostanziata successione cronologica

degli interventi relativi ai due cantieri del Foro di Cesare e di rileggere da un nuovo punto di vista le intuizioni e le scoperte pregresse.

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II. LA GEOMORFOLOGIA DELL’AREA

1. Premessa (A. Delfino, C. Rosa)

Quirinale e il versante nord-orientale dell’Arx (vedi fig. II.1).

In un recente studio sul paesaggio urbano dell’area dei Fori Imperiali prima della costruzione delle piazze forensi, si è fatto notare che l’impatto ambientale che tale operazione ha avuto su questo settore urbano è paragonabile a quello causato dalle demolizioni e dagli sbancamenti dei quartieri medievali e moderni operati dal regime fascista nella stessa zona tra gli anni 1924 e 1932.1

Proprio l’esistenza di questo alto topografico compreso tra Campidoglio e Quirinale, come vedremo meglio più avanti, ha costituito e costituisce ancora oggi uno dei punti più controversi nella ricostruzione della geomorfologia del centro di Roma. La zona del Foro di Cesare, ubicata al margine nordoccidentale della valle dell’Argileto, era compresa fra due rilievi: la propaggine del colle capitolino dove oggi sorge la chiesa dei SS. Luca e Martina, sul lato sud-ovest; l’ultimo tratto della “sella” nel punto in cui questa si saldava con l’Arx, sul lato nord-ovest. A sud-est e a nordest, invece, l’area digradava rispettivamente verso la vallata dell’Argileto e verso la vallecola posta sotto Via dei Fori Imperiali.5

La necessità di ricavare spazi per far posto ai nuovi complessi monumentali ha determinato, a partire dall’età di Cesare, la creazione di vaste aree pianeggianti in quello che fino a quel momento era stato un paesaggio collinare. La zona, infatti, prima di queste operazioni si presentava come un invaso naturale chiuso a sud-ovest dalle pendici del Campidoglio, a nord da quelle del Quirinale e della sella interposta tra questi due colli e a sud-est dall’altura della Velia. Tale invaso, pertanto, faceva confluire le acque di superficie di tutte le alture circostanti verso il Velabro e quindi verso il Tevere (fig. II.1).2

Tutta la zona, caratterizzata dall’incontro dei versanti collinari sopramenzionati, era lambita ma non interessata dalle esondazioni del Tevere e dei suoi affluenti che arrivavano ad invadere, in caso di eventi particolarmente eccezionali, la zona sud-occidentale del Foro di Nerva (valle dell’Argileto) e la porzione meridionale del Campo Marzio.6

Grazie allo studio parallelo delle fonti antiche e alle indagini geoarcheologiche che dal 1999 si svolgono contemporaneamente agli scavi, è possibile ottenere un’idea, seppur vaga, del paesaggio urbano prima della costruzione dei Fori Imperiali.3 L’immagine che se ne ricava è quella di un abitato, identificabile con un settore del quartiere dell’Argiletum,4 proteso sulle pendici del Campidoglio e del Quirinale e degradante verso la valle del Foro. Un abitato, dunque, che senza soluzione di continuità si estendeva anche nell’area sulla quale sarebbe sorto il Foro di Cesare, protendendosi fin sulle pendici della “sella” una volta esistente tra il versante sud-occidentale del colle

I terreni più antichi presenti nella zona sono costituiti da litotipi limosi-argillosi-sabbiosi di origine fluviale, relativi all’attività del Paleotevere databile al Pleistocene medio.7 Alla base di questa sequenza deposizionale è presente, non visibile in affioramento ma incontrato dai numerosi sondaggi meccanici a carotaggio continuo effettuati nell’area, un livello conglomeratico sede di una notevole Vedi il punto II.3., infra. Corazza, Lombardi 1995, pp. 182 e 183; Ammerman, Filippi 2004, p. 16 e ss. A questo riguardo, una lunga tradizione di studi che risale a Lanciani, identifica il corso d’acqua che con andamento da nord-est verso sud-ovest scorreva nel fondovalle compreso tra Esquilino e Quirinale, seguendo il percorso che sarà ricalcato dalla Cloaca Maxima, con lo Spinon o il Nodinum. Si tratta di due affluenti di sinistra del Tevere che vengono menzionati per la prima volta in una passo di Cicerone relativo all’area a nord-est del Foro Romano (Cic., De Nat. Deor. III 52. “…in augurum precatione Tiberinum, Spinonem, Almonem, Nodinum alia propinquorum fluminorum nomina videmus”). Vedi Lanciani 1880, p. 230 e ss., tav. 2.1; Idem 1897, p. 29; Colini 1940, p. 206. La critica più recente, tuttavia, considera tali identificazioni del tutto arbitrarie, mancando nel passo di Cicerone qualsiasi riferimento topografico specifico; vedi Tortorici 1991, p. 19; LTUR IV, 1999, p. 338 (H. Bauer); Palombi 2005a, p. 82. 7 Gli stessi depositi si presentano spesso intercalati a livelli di travertino, originatosi dall’attività di sorgenti idrotermali presenti nella zona. Vedi Marra, Rosa 1995. Per una introduzione aggiornata sulla geomorfologia e sui litotipi della zona vedi Sappa, Sappa 2000 e Lugli, Rosa 2001, pp. 281-285. 5

Palombi 2005b, p. 21. 2 La superficie morfologica di fig. II.1 è il risultato della elaborazione su GIS di tutti i dati disponibili (sondaggi, scavi archeologici e dati di letteratura) che hanno fornito le quote del terreno vergine attualmente presente nell’area sui quali è stata effettuata una modifica per reintrodurre i volumi di terreno eliminati in età storica e di cui si ha documentazione. Si ringrazia Patrizia Fortini, responsabile del progetto e la Soprintendenza Speciale per i Beni archeologici di Roma per aver permesso la pubblicazione del dato, tuttora in fase elaborazione. 3 Fra le fonti letterarie che descrivono il paesaggio urbano prima della costruzione dei complessi imperiali sono state segnalate la descrizione dell’incendio del 210 a.C. fornita in Liv., XXVI 27, 1-5 e alcune commedie di Plauto (Curcul. IV 1, 470-472, 475) e Terenzio (Adelph. IV 2, 568-586). Per una analisi critica dei passi sopra citati vedi Palombi 2005a e Idem 2005b, pp. 26-28, con bibliografia relativa. Sullo studio ambientale in base al dato archeologico e geoarcheologico vedi Tortorici 1991, pp. 21-55 e pp. 83-97; Ammerman 1996; Ammerman, Terrenato 1996; Ammerman, Filippi 2000; Arnoldus-Huyzendveld 2000. 4 Tortorici 1991, pp. 32-37; Palombi 2005a, pp. 84-87. 1

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II. La geomorfologia dell’area

II.1. Paleomorfologia dell’area dei Fori Imperiali. In rosso il perimetro dell’area; in celeste i presunti corsi d’acqua (elaborazione grafica C. Rosa).

falda acquifera sfruttata sin dall’età più antica tramite pozzi e cisterne.8 Sulla sommità e sui versanti dei colli, invece, sono presenti depositi vulcanici legati all’attività esplosiva del Distretto Vulcanico dei Colli Albani9 e del Distretto Vulcanico Sabatino, sopra il tetto dei quali è presente un ultimo deposito sedimentario in facies fluvio-lacustre.10

II.2. Dettaglio dell'area compresa tra Campidoglio e Quirinale tratto dalla Carta fisica del suolo di Roma (1820) di G. B. Brocchi (da FUNICIELLO 1995).

2. Breve storia degli studi geologici riguardanti l’area del Foro di Cesare: la “sella” tra Campidoglio e Quirinale (A. Delfino)

Il primo studio geologico, in senso moderno, su Roma si deve a Giovan Battista Brocchi (1772-1826) che nei primi anni del XIX secolo intraprese una fitta campagna di rilevamento e analisi dei terreni dell’area romana, affrontando per la prima volta lo studio della geologia di Roma con un approccio di tipo fisiografico, rappresentando cioè sulla base topografica di Giovan Battista Nolli (1748) i caratteri essenziali del suolo fisico della città (fig. II.2).13

Fino all’epoca di Traiano, la “sella” una volta esistente tra il Campidoglio e il Quirinale ha rappresentato per l’area in oggetto, l’elemento naturale forse più significativo del paesaggio storico. Il suo sbancamento pressoché totale ha fatto sì che nel corso del tempo se ne perdesse la memoria a tal punto che alcuni studiosi arrivarono a negarne l’esistenza. Nonostante l’iscrizione posta sul plinto della Colonna Traiana11 e un passo di Cassio Dione12 attestassero non solo l’esistenza di una collina ma perfino la sua altezza, per lungo tempo non vi è stato accordo tra gli studiosi su cosa dovesse intendersi con il mons citato nell’epigrafe e soprattutto dove questo effettivamente si trovasse.

Relativamente all’area in esame, di estremo interesse fu il parere espresso dallo studioso veneto riguardo all’esistenza e alla reale configurazione della “sella”. Egli, infatti, affermò non solo che il Campidoglio era da considerarsi un colle da sempre isolato, ma anche che gli sbancamenti condotti in età traianea, furono intrapresi con il semplice ed unico scopo di allargare la valle esistente tra Campidoglio e Quirinale.14 La presenza di un alto topografico interposto tra i due colli era, pertanto, negata.

8 Nell’area del Foro di Cesare una falda acquifera di una certa consistenza si trova in un deposito di sabbie giallastre con screziature ocra relativo all’attività del Paleotevere, posto a 8.40 m circa s.l.m. Vedi De Santis et al. 2010, pp. 279-280. 9 Si tratta principalmente di due depositi originatisi da flusso piroclastico, identificati rispettivamente con l’Unità del Palatino (il cosiddetto “cappellaccio”; Funiciello, Giordano 2008, pp. 55-57) e con il Tufo Lionato (Funiciello, Giordano 2008, p. 65). I due depositi sono ben visibili in affioramento in via della Consolazione, dove dal basso verso l’alto è visibile l’Unità del Palatino, datata a 517.000 anni B.P. e il Tufo lionato, datato a 353.000 anni B.P. Vedi Alvarez et al., 1996; Karner, Marra 1998. 10 Tali depositi, legati all’attività del Paleotevere, sono stati identificati con l’Unità Aurelia databile al Pleistocene superiore; Marra, Rosa 1995, pp. 107-108 e Funiciello, Giordano 2008, p. 68. 11 Senatus populusque Romanus / Imp(eratori) Caesari divi Nervae f(ilio) Nervae / Traiano Aug(usto) Germ(anico) Dacico pontif(ici) / maximo trib(unicia) pot(estate) XVII, imp(eratori) VI co(n) s(uli) VI p(atri) p(atrie) / ad declarandum quantae altitudinis / mons et locus tan[tis oper]ibus sit egestus. CIL VI, 960; Lugli 1946, pp. 286-292. 12 Cass. Dio., LXVIII 16, 3: […] καὶ ἔστησεν ἐν τῇ ἀγoρᾷ καὶ κίoνα μέγιστoν, ἅμα μὲν ἐν ταφὴν ἐαυτῳ|, ἅμα δὲ ἐς ἐπίδειξιν του| κατὰ τὴν ἀγoρὰν ἔργoυ παντὸς γὰρ τoυ| χωρίoυ ἐκείνoυ ὀρεινoῦ ὄντoς κατέσκαψε τoσoῦτoν ὅσoν ὁ κίων ἀνίσχει, καὶ τὴν ἀγoρὰν ἐκ τoύτoυ πεδινὴν κατεσκεύασε.

A circa cento anni da questo studio, una nuova campagna di indagini condotta da Gioacchino De Angelis D’Ossat Sull’importanza della figura di Brocchi nel panorama degli studi geologici sull’area romana all’inizio del XIX secolo, vedi Funiciello et al. 2006, pp. 249-256. La carta geologica di Roma del Brocchi è ristampata in Funiciello 1995, Tavole. 14 Brocchi 1820, p. 133: “Non si potrà mai inferire che il Campidoglio fosse una volta connesso con il Quirinale. Queste due eminenze erano affatto distinte fin dai primi tempi di Roma…..”Idem, p. 135: “…diremo che Traiano allargò bensì la valle acciochè piana e più ampia riuscisse l’area del Foro; ma che l’essenziale dell’operazione fu di abbassare la troppo ripida falda del Quirinale togliendo terra fino da quella altezza ove il raggio visuale va prossimamente a ribattere al capitello della colonna medesima, preparando così un dolce clivo che da quel monte conducesse alla sua magnifica piazza. 13

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riapriva la questione proponendo una diversa ricostruzione geomorfologica dell’intera area.15 Come noto tra il 1931 e il 1932 De Angelis D’Ossat ebbe modo di seguire i grandi lavori di sbancamento e sistemazione relativi a via dei Fori Imperiali, che gli permisero di correlare alcuni affioramenti presenti sulle pendici occidentali del Quirinale con altri visibili in quel momento sulle pendici orientali dell’Arx capitolina. L’esame delle sezioni geologiche esposte dagli sbancamenti gli consentì di comprendere che le stratificazioni visibili sul versante del Quirinale, analogamente a quelle del versante capitolino, erano state troncate in antico e, a questo riguardo, segnalava come prova inconfutabile l’esistenza di muri di contenimento alti fino a 9 m presenti su entrambi i versanti.16

II.3. Sezione geologica schematica (nord-est/sud-ovest) fra i colli Quirinale e Campidoglio. 1. Depositi marini di spiaggia e mare sottile; 2. sedimenti vari di maremma; 3. tufi antichi; granulare; 4. pozzolane rossa e grigia; 5. tufo litoide, lionato, da costruzione; 6. depositi fluvio-lacustri con mammiferi fossili (da DE ANGELIS D’OSSAT 1931).

In particolare veniva segnalata, per la sua alta rappresentatività, la sezione esposta presso l’ingresso del Museo del Risorgimento la quale spiccava da una quota di cantiere di 12.78 m s.l.m. fino ad una quota di 37.80 m s.l.m., per un’altezza totale di circa 25 m. In quella stessa occasione il De Angelis D’Ossat redasse anche una serie di sezioni geologiche passanti tra Campidoglio e Quirinale nelle quali rappresentava l’evoluzione geomorfologica dell’area e la genesi della “sella”, della quale, quindi, non solo ne rilevava la presenza ma ne stabiliva anche la natura essenzialmente sabbiosoargillosa (fig. II.3).17 Questa, secondo lo studioso, si sarebbe formata in seguito all’erosione di due corsi d’acqua che scendevano dal crinale del Quirinale, oggi corrispondente a Largo Magnanapoli, in direzione opposta verso il fondo valle.18 L’evento, verificatosi in tempi recenti,19 faceva parte di un più vasto ciclo erosivo conseguente ad un ulteriore sollevamento della regione che aveva interessato il Tevere e tutti i suoi affluenti.

II.4. Sezione geologica schematica (nord-ovest/sud-est) fra i colli Quirinale e Campidoglio. 1. tufi antichi; 2. rocce maremmane; 3. tufo litoide da costruzione; 4. strati fluviolacustri; tratti neri verticali: muri di sostegno (da DE ANGELIS D’OSSAT 1946).

Boni presso la Colonna Traiana,21 dove il rinvenimento di un tratto di strada “pre-traianea” che saliva al Quirinale dal fondovalle, dimostrava che le estreme pendici settentrionali della “sella” arrivavano sino a quel punto. Più incerto, invece, era l’andamento che dovevano avere le pendici meridionali. In questo caso, infatti, l’assenza di una indagine scientifica sotto i piani pavimentali del Foro di Cesare e la frammentarietà dei ritrovamenti di strutture preesistenti nell’area del Foro di Augusto e in quello di Nerva, rendevano impossibile un qualsiasi discorso sull’aspetto di questo versante. Dalla medesima sezione, infine, si evinceva chiaramente che su tutto il tratto occidentale del Quirinale il litotipo argilloso basale (rocce maremmane) e i tufi antichi soprastanti erano stati troncati artificialmente in antico. Sul versante nord-orientale in prossimità del Campidoglio, invece, il tetto delle argille (18.50-19 m s.l.m.) non risultava intercettato in nessun modo da tali interventi. In questo settore, infatti, il taglio operato in antico interessava unicamente depositi fluviolacustri e, sottostanti ad essi, tufi litoidi.

Una nuova sezione geologica della “sella” venne pubblicata da De Angelis D’Ossat nel 1946; il disegno rendeva in modo evidente l’entità del taglio dell’altura intercollinare operato in antico, raffigurando, su entrambi i versanti, i terrazzamenti artificiali sostruiti da potenti muri (fig. II.4).20 L’analisi dimostrava che la saldatura della “sella” sul versante del Quirinale avveniva in corrispondenza dell’esedra dei Mercati di Traiano, mentre, sul versante capitolino, all’altezza del Museo del Risorgimento. Più sfumata, al contrario, e meno percepibile risultava la sua larghezza. A questo riguardo furono di grande importanza alcuni saggi eseguiti circa quaranta anni prima da Giacomo De Angelis D’Ossat 1931, p. 227 ss; Idem 1935, p. 6 ss; Idem 1942, p. 29 ss; Idem 1946, p. 17 ss. 16 De Angelis D’Ossat 1931, pp. 232-233. 17 De Angelis D’Ossat 1931, p. 234, figg. I-VII. 18 De Angelis D’Ossat 1931, p. 232. 19 Secondo lo studioso la “sella” si sarebbe formata durante la fase di modellamento dei colli romani, successivamente alla messa in posto dei depositi fluvio-lacustri “pre-Würmiani”. 20 De Angelis D’Ossat 1946, p. 18. Contra si veda van Buren che proprio pochi anni prima aveva negato l’esistenza della “sella”; Van Buren 19411942, pp. 65 e ss. 15

La sequenza stratigrafica che si ricava dalla descrizione di De Angelis D’Ossat si riassume, quindi, in quattro unità 21

32

Boni 1907, p. 366 e p. 394.

II. La geomorfologia dell’area

principali che sono, a partire dall’alto: depositi fluviolacustri, tufi litoidi, tufi antichi, rocce maremmane (depositi fluviali argilloso-sabbiosi). Il lavoro interdisciplinare fra archeologi e geologi che in quegli anni si occuparono della questione, portò alla definitiva prova non solo della originaria esistenza di una “sella” intercollinare che univa Campidoglio e Quirinale, ma anche alla comprensione delle modalità e dei tempi con cui questa fu sbancata. Riguardo a ciò, infatti, Corrado Ricci giunse alla conclusione che lo sbancamento iniziò dalla zona dei Mercati di Traiano, già a partire da Domiziano e fu portato a termine da Traiano.22 A Domiziano vennero anche attribuiti alcuni interventi di taglio del versante capitolino sia in corrispondenza dell’area retrostante il Tempio di Venere Genitrice sia in prossimità della Basilica Argentaria.

II.5. Foro di Cesare. Pianta schematica con l'indicazione delle quote rilevate sugli affioramenti geologici. Con A le quote ricavate sulla base dei sondaggi, con B quelle desunte dai dati editi e d'archivio (da AMICI 1991).

foro, era costituita da una sequenza di tufi argillosi ricchi di pomici,27 attestati ad una quota compresa tra i 22 e i 17 m s.l.m.; ad una quota più bassa compresa tra i 16 e i 14 m s.l.m., veniva rilevato un banco di “argille calabriane” molto compatto (rocce maremmane, auct.).

Negli stessi anni, infine, De Angelis D’Ossat seguito da Colini per l’aspetto archeologico, pose le basi per affrontare lo studio dell’altura sulla quale sorge la chiesa dei SS. Luca e Martina.23 Risale all’inizio degli anni Trenta, infatti, l’ipotesi che questo alto topografico fosse da interpretarsi come una terrazza tufacea direttamente collegata con l’angolo nord-orientale del Campidoglio e affacciata sulla valle del Foro Romano.24

Nell’area della piazza forense, davanti al podio del Tempio di Venere Genitrice, veniva individuato il medesimo deposito di “argille calabriane” ad una quota di 14 m circa s.l.m.: quest’ultima quota, come si vedrà meglio in seguito, coincide con la superficie di rasatura operata dal cantiere cesariano. Merito di questi nuovi studi, infine, fu quello di porre nuovamente l’attenzione sulla porzione di terreno naturale conservatasi nella parte posteriore del podio del Tempio di Venere Genitrice che costituisce la base di partenza di ogni ricostruzione dell’originario profilo collinare.28

Nei decenni successivi la questione della “sella” non fu più riaffrontata,25sino a quando alla metà degli anni Ottanta una nuova stagione di studi sulla geologia e la geomorfologia dell’area dei Fori Imperiali riuscì ad ottenere risultati tali che tuttora rivestono un ruolo decisivo in ogni tentativo di ricostruzione e comprensione del paesaggio antico. Di fondamentale importanza, infatti, si rivelarono i dati dei sondaggi e dei prelievi geologici che furono eseguiti nell’ottobre del 1986 da Carla Maria Amici con la collaborazione di Albert Ammerman nell’area del Foro di Cesare (fig. II.5).26 Dai risultati di queste indagini apparve evidente che l’area mostrava una doppia pendenza sia in senso nord-ovest/sud-est e cioè dalle pendici del Campidoglio verso l’Argiletum, sia in senso nord-est/sudovest e cioè dalle pendici orientali dell’Arx capitolina verso il pendio del Quirinale. I risultati restituivano, inoltre, la sequenza stratigrafica dei principali litotipi dell’area. La planimetria con le quote degli affioramenti, infatti, rendeva chiaro che la zona compresa tra il lato nord-ovest della chiesa dei SS. Luca e Martina e il lato occidentale del Tempio di Venere Genitrice, passante dietro le tabernae del

Di rilevante interesse, fu la pubblicazione di due disegni inediti, una pianta e una sezione del podio del tempio redatti nel 1942, nei quali erano indicati gli affioramenti del banco naturale e le strutture preesistenti all’edificio templare (fig. II.6).29 Sulla scia di questi primi risultati, un nuovo studio presentato da Edoardo Tortorici nel 1993, rendeva evidente che lo sbancamento della “sella” era stato iniziato già da Domiziano non solo con tagli praticati in corrispondenza del versante capitolino ma anche in quello del Quirinale.30 In questo studio veniva presentata, inoltre, una pianta schematica nella quale si proponevano le dimensioni di massima della “sella” con particolare attenzione ai suoi limiti nord-occidentali e sud-orientali (fig. II.7).31

Ricci 1929, pp. 13 e 16; Idem 1930, pp. 181-182. De Angelis D’Ossat 1932a, pp. 327-335; Idem 1932b, pp. 83-86; Idem 1935, pp. 5-34; Colini 1933b, pp. 261-264. 24 Sopra questo terrazzo naturale, come vedremo meglio più avanti, proprio in virtù della sua supposta natura tufacea e della sua conformazione, alcuni studiosi hanno ipotizzato che vi sorgessero importanti edifici quali la Curia Hostilia e la basilica Porcia; vedi Coarelli 1983, pp. 153-154; LTUR I 1991, pp. 331-332 (F. Coarelli). La stessa opinione è presente in Carafa 1998, p. 119 e p. 140. Per l’intera problematica vedi da ultimo Ammerman, Filippi 2000, pp. 28-33. 25 Va sottolineato che dopo gli studi del De Angelis D’Ossat l’esistenza della “sella” non venne più messa in dubbio costituendo un punto fermo in ogni discorso sulla geomorfologia dell’area; vedi Ventriglia 1971, p. 89. 26 Amici 1991, pp. 21-27. 22 23

A pochi anni di distanza da questo studio venne pubblicata Come si vedrà più avanti, l’identificazione di questo deposito è stata oggetto di uno studio specifico da parte di Ammerman che ne ha riconsiderato radicalmente la natura geologica e il processo deposizionale. 28 Fiorani 1968, pp. 97-98; Amici 1991, pp. 21-22. 29 I due disegni, in scala 1:50, erano conservati nell’Archivio della X Ripartizione. Vedi Amici 1991, p. 23, fig. 18. 30 Tortorici 1993, pp. 7-24. 31 Tortorici 1993, p. 20. 27

33

Forum Iulium

la nuova carta geologica del centro di Roma a cura di Francesco Marra e Carlo Rosa, sotto la direzione scientifica di Renato Funiciello (fig. II.8). Relativamente all’area del Foro di Cesare, la pianta mostrava che i depositi prima identificati come argille calabriane erano da identificarsi con l’Unità b del Paleotevere 2 (rocce maremanne, auct.).32 Questo deposito venne ricondotto ad una sequenza deposizionale di ambiente fluvio-palustre costituita da depositi argilloso-sabbiosi di colore giallo che nella parte più alta dell’Unità si presenta intercalata con livelli a piroclastiti rimaneggiate (pomici, augite, biotite).33 Dalla carta geologica appariva evidente che l’estensione dell’Unità del Paleotevere 2 b copriva tutta l’area ad est delle pendici del colle capitolino. In questo contesto di studi storico-ambientali sull’area dei Fori Imperiali venne ad aggiungersi il lavoro di Paolo Carafa sul Comizio.34 Sulla base dei dati forniti dai carotaggi e dai prelievi geologici operati nell’area del Comizio,35 lo studioso ricostruì la morfologia delle propaggini orientali del Campidoglio con particolare attenzione al pianoro oggi occupato dalla chiesa dei SS. Luca e Martina (fig. II.9). Quest’ultimo veniva descritto come una stretta e lunga fascia di terreno pianeggiante (50 x 100 m circa) che, a quota di poco inferiore ai 20 m s.l.m, formava una balza estesa dal Tempio di Saturno alla chiesa dei SS. Luca e Martina. Lo studioso faceva notare, inoltre, che in prossimità dell’area della chiesa tale altura piegava quasi ad angolo retto in direzione nord-ovest, verso le pendici orientali dell’Arx. Proprio quest’ultimo tratto della balza è stato interessato, come vedremo, dallo sbancamento cesariano per la costruzione delle tabernae.

II.6. Tempio di Venere Genitrice. Pianta e sezione del tempio (scala 1:50) redatte nel 1942 (da AMICI 1991).

Lo studio di questo particolare assetto geomorfologico fu ripreso negli anni 1998-2000 dalla Sovraintendenza ai Beni Culturali del Comune di Roma, nell’ambito della nuova campagna di scavo ai Fori Imperiali. In tale occasione fu fatta definitivamente luce sulla vera natura geologica di questa altura dimostrando che lo sperone da sempre considerato come una propaggine tufacea del Campidoglio era in realtà una “lingua” di colluvio in pendenza sia verso il Comizio sia verso l’area del Foro di Cesare.36 Il colluvio era costituito da un deposito limoso molto compatto caratterizzato dalla presenza di frammenti di tufo lionato, ritenuti la causa principale dell’errore in cui Marra, Rosa 1995, pp. 49-118; Fortini 1998, pp. 7-9. La presenza di intercalazioni a piroclastiti rimaneggiate presenti nella parte superiore di questa successione sedimentaria è stata messa in relazione con l’inizio dell’attività del Vulcano Laziale datato a circa 0.6 M A (stage isotopico 15); Marra, Rosa 1995, pp. 83-87. I sondaggi eseguiti nel 2006 nell’area della piazza del Foro di Cesare hanno consentito di accertare che i livelli di piroclastiti rimaneggiate immergono costantemente verso nord-est con direzione ovest/nord-ovest. 34 Carafa 1998, pp. 91-100. 35 Amici 1991, pp. 21-27; Alvarez et al. 1996; Ammerman 1996. 36 Ammerman, Filippi 2000, pp. 27-38. 32 33

II.7. Area dei Fori Imperiali. In tratteggio i limiti della sella che univa il Campidoglio al Quirinale (da TORTORICI 1993).

34

II. La geomorfologia dell’area

erano incorsi i precedenti studiosi.37 Risultò chiaro, quindi, che si trattava di un deposito piroclastico rimaneggiato originatosi dall’erosione del tufo lionato presente sulla sommità dell’Arx. La superficie del deposito affiorava immediatamente sotto il livello stradale davanti alla chiesa di S. Giuseppe dei Falegnami ed era attestata alla quota di 19.60 m s.l.m.; la stessa unità geologica affiorava a quota nettamente inferiore nell’area della chiesa dei SS. Luca e Martina (15 m s.l.m.).38 Sotto il deposito colluviale, inoltre, vennero segnalati livelli di limi giallastri caratterizzati da locali lenti di pomice bianca, riconosciuti anche nell’area della piazza del Foro di Cesare, ma ad una quota nettamente inferiore (14 m circa s.l.m.). A seguito di questo studio fu quindi possibile ricostruire l’assetto geomorfologico di questo specifico settore che era caratterizzato dal naturale digradare del pendio sia verso il Comizio che verso l’area del Foro di Cesare. Sul piano storico-topografico tali studi riaprirono la questione sulla possibilità di collocare su questa altura edifici come la Curia Hostilia, da tempo localizzata proprio in quest’area. Alcuni studiosi, a causa della natura fortemente incoerente del litotipo di cui era costituita l’altura, misero in dubbio o addirittura esclusero che su terreni del genere potessero sorgere edifici di grande mole, meno che mai l’antica sede del Senato.39

II.8. Carta geologica del Campidoglio. Scala 1:2500. In celeste le alluvioni recenti; in ocra i depositi fluvio-lacustri dell’Unità Aurelia; in marrone il tufo lionato; in grigio i tufi litoidi e piroclastici rimaneggiati (“tufi antichi”, auct.); in giallo depositi fluviali del Paleotevere 2 (da FORTINI 1998).

Sempre in questo stesso contesto di studi e alla luce dei nuovi dati provenienti dagli scavi fu riaffrontata anche la questione della “sella” tra Campidoglio e Quirinale.40 Il controllo incrociato dei dati dei sondaggi degli anni Trenta con quelli nuovi, infatti, consentì ad alcuni studiosi di precisare ancor meglio le caratteristiche morfologiche di questa dorsale. La serie di sondaggi eseguiti dimostrò che l’affioramento del tufo lionato (tufo litoide, auct.) sul versante capitolino nei pressi della basilica Argentaria era alla quota base di 18.50 m s.l.m. mentre sul versante del Quirinale veniva rilevata unicamente la presenza di tufi antichi alla quota base di 40 m s.l.m. (fig. II.10). Come già reso noto dal De Angelis D’Ossat, quindi, appariva evidente la profonda differenza litologica dei due colli, con la presenza quasi esclusiva di tufo lionato sul versante capitolino e la presenza di tufi antichi quasi unicamente sul versante del Quirinale. Pertanto, la correlazione stratigrafica tra i depositi vulcanici del versante capitolino con quelli del Quirinale, rendeva ipotizzabile che fosse in prossimità del centro della “sella”, a quota 20 m s.l.m., che avveniva la transizione litologica tra il tufo lionato del Campidoglio e i tufi antichi del Quirinale. I due depositi vulcanici poggiavano entrambi sui depositi basali argilloso-sabbiosi (Unità b del Paleotevere 2; rocce maremmane, auct.).

II.9. Pianta schematica dell’area compresa fra il Campidoglio e la valle del Foro (da CARAFA 1998).

37 38 39 40

35

Ammerman, Filippi 2000, pp. 34-35. Ammerman, Filippi 2000, p. 34. Ammerman 1996, p. 134 e n. 95; Amici 1999, pp. 295-321. Arnoldus 2000, pp. 1-5; Rizzo 2001, pp. 215-220.

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II.10. Sezione geologica nord-sud dell’area compresa tra il Quirinale e l’Arx del Campidoglio (la misura verticale è ingrandita rispetto a quella orizzontale). In giallo sabbie ed argille prevulcaniche; in rosso e arancione tufi vulcanici; in blu argille postvulcaniche. g ipotetica linea di appoggio delle formazioni vulcaniche sulle sabbie e le argille; v ricostruzione ipotetica del versante del Quirinale in corrispondenza del Foro di Traiano (da RIZZO 2001).

Allo stesso modo il controllo incrociato di una serie di sondaggi effettuati nell’area del Foro di Cesare e in quello di Traiano permise di arrivare alla conclusione che la Colonna Traiana e la Basilica Ulpia erano fondate su depositi precedenti a quelli che costituivano la “sella” e quindi che entrambi i monumenti si trovassero al di fuori del taglio operato dal cantiere traianeo.41 In questo stesso periodo vennero pubblicati da Albert Ammerman e Dunia Filippi importanti risultati storicoambientali sulla valle del Velabro ottenuti da più di un decennio di ricerche svolte nella zona.42 II.11. Valle dell’Argileto. Pianta con l’indicazione dei carotaggi e degli scavi dove è stato raggiunto il suolo naturale. In linea continua nera il limite dei 9 m s.l.m. (da AMMERMAN, FILIPPI 2004).

Grazie alle sistematiche campagne di scavo e di carotaggi che a partire dal 1985 e fino al 2003 interessarono l’area compresa tra il Tevere e l’Argileto, i due studiosi riuscirono a tracciare vari profili del suolo naturale fino ad allora mai rilevato così nel dettaglio.

risultavano attestati sui 9 m s.l.m., quota coincidente con il tetto delle alluvioni recenti del Tevere in età antica.43

Le novità più importanti in relazione all’area in esame sono molteplici (fig. II.11).

In secondo luogo venne messa in discussione l’esistenza di una palude che avrebbe occupato la valle del Velabro ancora durante la prima età regia. Più precisamente l’esistenza di una palude non veniva negata assolutamente ma sulla base di una serie di analisi del terreno si poté stabilire che questa era scomparsa molti millenni prima dell’età arcaica.44 Sopra i depositi della palude, infatti, furono individuati una serie di sedimenti che attestavano l’esistenza di un piccolo corso d’acqua stagionale datato tra il il 5000 e il 1000 a.

In primo luogo fu data una forma meglio definita alla valle del Velabrum che, in larghezza, si rivelò molto più circoscritta di quello che si credeva comunemente. Tale risultato fu ottenuto prendendo in esame una serie di quote rilevate sulla superficie naturale in corrispondenza dell’asse longitudinale del fondo della valle; queste risultavano comprese tra i 6.89 m s.l.m., nell’area del Foro Romano, i 4.30 m s.l.m., all’altezza della chiesa di S. Giorgio al Velabro e i 2.26 m s.l.m., dietro il Tempio di Portunus, in prossimità del Tevere.

Sul tetto delle alluvioni del Tevere comprese entro i 9 m s.l.m. nella zona del Velabro vedi: Le Gall 1953, pp. 15-18 e 33; Ammerman 1990; Idem 1992; Idem 1998; Corazza, Lombardi 1995, p. 179 e ss; Ammerman, Filippi 2004, p. 16 e ss.; Segarra Lagunes 2004, pp. 69-133; Testa et al. 2008, p. 159. Il tetto delle alluvioni recenti in età medievale e moderna è invece più elevato. 44 In base all’analisi dei sedimenti, la facies palustre è collocata dagli studiosi all’inizio dell’Olocene (8000-5000 a. C.) ed è messa in relazione con l’innalzamento del livello marino dopo l’ultimo periodo glaciale. Vedi Ammerman, Filippi 2004, pp. 17-20. 43

Fu così possibile definire anche i margini della valle che

41 42

Rizzo 2001, p. 244. Ammerman, Filippi 2004, pp. 7-28.

36

II. La geomorfologia dell’area

C.45 Tuttavia, proprio la presenza di questo corso d’acqua che scorreva nel fondovalle e la quota dei 9 m s.l.m. testimoniavano che la valle si caratterizzava per la presenza di zone acquitrinose ed era soggetta ad almeno un’alluvione all’anno del Tevere, motivo per cui l’insediamento umano non poteva essere stabile. Per tali caratteristiche ambientali le aree ottimali allo stanziamento umano dovevano essere quelle poste in prossimità della valle e cioè, per quel che riguarda il nostro discorso, la zona compresa tra l’Arco di Augusto e il Tempio di Antonino e Faustina, quella occupata dai Fori di Nerva e di Augusto e, infine, quella del Foro di Cesare. Si trattava di una fascia di terreno posta a coronamento della terminazione nord-est del Velabrum, in leggera pendenza e sopraelevata (tra i 10 e i 14 m s.l.m.), rispetto alla valle. 3. La geologia e la geomorfologia dell’area del Foro di Cesare alla luce delle ultime campagne di scavo (A. Delfino, C. Rosa) In occasione della campagna di scavo 2005-2006, il raggiungimento delle quote naturali ha permesso di comprendere non solo l’entità dello sbancamento operato per la costruzione del complesso monumentale ma anche il profilo geomorfologico originario dell’area (fig. II.12). In particolare, l’individuazione della superficie di rasatura del banco naturale creata dal cantiere cesariano (14 m s.l.m. in corrispondenza della piazza, 15 m s.l.m. in corrispondenza del portico sud-occidentale) e la presenza/ assenza di strutture e strati archeologici in relazione con tale intervento, ha consentito di tracciare con estrema precisione la curva di livello dei 14 m s.l.m. passante nell’area del Foro di Cesare (figg. II.13 e II.14).46 Nella stessa occasione sono stati presi nuovamente in esame i litotipi presenti che, grazie all’estensione delle aree di indagine, ha consentito una loro migliore determinazione relativamente alla sequenza stratigrafica “tipica”di Roma (fig. II.15).

II.12. Foro di Cesare. Pianta di dettaglio della paleomorfologia dell'area (da DE SANTIS ET AL. 2010).

limoso-argilloso, fino a questo momento identificato con il Paleotevere 2 b, all’Unità di S. Paolo (fig. II.16).48 Le indagini delle ultime campagne di scavo al Foro di Cesare hanno permesso di confermare questa attribuzione. Si tratta di un sedimento fluviale composto sia da argille siltose giallastre con fossili dulcicoli e da argille grigie con pomici, attribuibile alle esondazioni del Paleotevere, sia da livelli di sabbie grossolane e di piroclastiti rimaneggiate, spesso ricchi di pomici di dimensioni anche centimetriche, riconducibili ai depositi di alveo del Paleotevere. I livelli di pomici attribuiti a questa Unità sono presenti nell’area retrostante le tabernae (fig. II.17),49dietro la basilica Argentaria (figg. II.18 e II.19) e dietro il Tempio di Venere Genitrice (fig. II.20); tale Unità affiora al di sopra di depositi fluviali limoso-argillosi e risulta coperta in parte dal tufo lionato (vedi fig. II.18; figg. II.21- II.23). L’Unità di S. Paolo occupa tutta la zona di Via dei Fori Imperiali dove precedentemente era stato identificato il deposito attribuito al Paleotevere 2b interessando, quindi, anche l’area del Foro di Cesare. L’analisi Ar40/Ar39 delle pomici presenti nel deposito, indicato come “bedded pumice unit”, effettuata in passato50 su un campione di un sondaggio meccanico a

Dai dati emersi è apparso evidente che il massetto pavimentale della piazza del foro poggia direttamente sulla superficie di rasatura di un deposito limoso-argilloso di colore giallastro (Munsell: 2.5Y 5/4), intercalato a livelli di pomici e a livelli sabbioso-argillosi. Lo stesso deposito affiora dietro il muro di fondo delle tabernae già messo in luce durante la campagna di scavo 1998-2000.47 In un recente studio sulla geologia del Campidoglio e dei settori limitrofi, è stato proposto di attribuire il deposito I sedimenti pertinenti a quest’ambiente meno umido, caratterizzato dal corso d’acqua stagionale, sono costituiti da depositi di argilla (clay beds), che coprono i sottostanti depositi palustri. Vedi Ammerman, Filippi 2004, p. 20. 46 Vedi il punto III.3.3.1., infra. Le piante in cui figura l’orografia originaria dell’area del Foro di Cesare (isoipse delle alture e delle valli) presentate in questo e nei capitoli successivi, sono state ricostruite sulla base dei dati contenuti nella nuova Carta Geologica del Centro storico di Roma. Vedi Funiciello et al. 2008 e in particolare Testa et al. 2008, pp. 158-165, figg. 12 e 13. 47 Ammerman, Filippi 2000 fig. 5 p. 34). 45

Corazza et al. 2004, p. 419, 426 e p. 429; Jackson et al. 2010, pp. 410-411. Vedi anche Marra, Rosa 1995, pp. 104-105. L’Unità di S. Paolo nell’ultima edizione della Carta Geologica d’Italia al 50.000-Foglio 374 Roma e nella Carta Geologica del Comune di Roma al 10.000 è stata rinominata come “Formazione di Fosso del Torrino” appartenente all’omonimo Sintema. Vedi Funiciello, Giordano 2008, pp. 60-61. 49 Si tratta di quattro saggi di 1,50 x 1,50 m effettuati nell’ottobre del 2007 dietro la taberna XI, in occasione del suo restauro. 50 Alvarez et al. 1996. 48

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Forum Iulium

II.13. Il Foro di Cesare nel contesto topografico circostante. In evidenza i valori delle curve di livello (rielaborazione da DAMIANI 2010).

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II. La geomorfologia dell’area

II.15. Foro di Cesare. Pianta schematica con l'indicazione dei principali affioramenti geologici presenti nell’area. Il quadrato nero indica gli affioramenti di varia litologia; il pallino gli affioramenti di litotipi limi-argillosi. Con A affioramenti; con B dati di archivio. Le frecce nere indicano gli affioramenti presi nuovamente in considerazione (rielaborazione da AMICI 1991). II.14. Foro di Cesare. Area sud-orientale. In evidenza le curve di livello passanti per la piazza (14 m s.l.m.) e dietro il portico del lato lungo sud-occidentale (15 m s.l.m.).

II.17. Foro di Cesare. Area delle tabernae. Saggio di scavo dietro la taberna XI. In basso depositi di argilla; in alto livelli di sabbie grossolane, piroclastiti rimaneggiate e pomici.

II.16. Carta geologica del Campidoglio (da CORAZZA ET AL. 2004).

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II.18. Foro di Cesare. Affioramento (A 2 in fig. II.15) visibile attraverso una breccia nel muro perimetrale della Basilica Argentaria (elaborazione grafica C. Rosa).

II.19. Foro di Cesare. Affioramento (A 8 in fig. II.15) visibile in una grotta-pozzo alle spalle del muro perimetrale della Basilica Argentaria (elaborazione grafica C. Rosa).

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II. La geomorfologia dell’area

II.20. Foro di Cesare. Tempio di Venere Genitrice. Parte posteriore del podio. Resti della stratificazione geologica (A 1 in fig. II.15) attaccati al nucleo cementizio (elaborazione grafica C. Rosa).

II.21. Foro di Cesare. Area del portico sud-occidentale. Saggio in corrispondenza delle tabernae X, XI, XII (A 11 in fig. II.15).

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II.22. Foro di Cesare. Area compresa tra la Basilica Argentaria e il Tempio di Venere Genitrice. Sezione di correlazione tra le stratigrafie A1, A7 ed A2 di fig. II.15 (elaborazione grafica C. Rosa).

II.23. Foro di Cesare. Sezione di correlazione tra le stratigrafie A9, A11 ed A10 di fig. II.15 (elaborazione grafica C. Rosa).

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II. La geomorfologia dell’area

carotaggio continuo, aveva rivelato infatti una datazione a circa 400 Ka, molto più recente, quindi, di quella attribuita al Paleotevere 2b.51 Ciò ha spinto52 ad attribuire all’unità di San Paolo i depositi presenti nel Foro di Cesare. Nella nuova Carta Geologica del Comune di Roma in scala 1:10.000, tuttavia, si attribuiscono i depositi affioranti nell’area del Foro di Cesare alla Formazione di S. Cecilia53 che, nella nuova nomenclatura e suddivisione stratigrafica basata sulle unità stratigrafiche a limiti inconformi (UBSU), sostituisce il Paleotevere 2b,54 anch’esso relativo alla sedimentazione avvenuta durante lo stage isotopico 15 (fig. II.24). Si tratta di una unità costituita dai depositi alluvionali del Tevere caratterizzati da facies sabbiosoghiaiose con presenza al loro interno di elementi vulcanici che testimoniano l’inizio dell’attività dei vulcani albano e sabatino i cui primi depositi si datano a circa 700 Ka. Due livelli vulcanici intercalati nella Formazione in un’area lontana da quella qui indagata hanno restituito una datazione a 614 ± 15 Ka e 605 ±11 Ka. Purtroppo al momento della stesura della Carta55 gli autori non disponevano ancora dei dati emersi dallo scavo del Foro di Cesare; unicamente al fatto che i depositi non erano ancora visibili in estensione è da imputare la loro errata attribuzione alla Formazione di S. Cecilia invece che alla Formazione di S. Paolo (stage isotopico 11).56

II.24. Carta geologica di Roma. Particolare dell’area del centro storico. CIL: Unità di Santa Cecilia (in verde); PT: Unità del Palatino (in rosa); AEL: Formazione Aurelia (in giallo); VSN1: pozzolanelle (in lilla); in celeste: depositi alluvionali recenti (da FUNICIELLO ET AL. 2008).

Grazie ai dati ottenuti è stato quindi possibile ricavare un profilo dell’originario rilievo che presentava una doppia pendenza, sia da nord-ovest (19 m circa s.l.m.) verso sud-est (13.70 m s.l.m.) e cioè dalle propaggini dell’Arx verso la valle dell’Argileto (pendenza circa del 5%), sia da sud-ovest (18 m circa s.l.m.) verso nord-est e cioè dalla sommità della balza del Campidoglio in direzione dell’area più depressa del Foro di Augusto.57 Una vallecola, probabilmente formatasi nel corso della fine dell’ultima glaciazione (Würm), scendeva dalla cima della sella che divideva il La datazione ottenuta dall’analisi delle pomici ha restituito una datazione tra 434 Ka e 406 Ka (stage 11). Vedi Funiciello 1995, pp. 104105; Corazza et al. 2004, p. 427. 52 Corazza et al. 2004. 53 Funiciello, Giordano 2008, pp. 52-53. 54 Marra, Rosa 1995 pp. 83-87. 55 Al progetto ha partecipato uno degli scriventi (Carlo Rosa) in qualità di rilevatore dell’area del centro storico. 56 In termini cronostratigrafici alla Formazione di Fosso del Torrino. Vedi Funiciello, Giordano 2008, pp. 60-61. 57 L’area corrispondente all’attuale via dei Fori Imperiali ricalca il tracciato seguito dal corso del Paleotevere tra 450.000 e 400.000 anni fa. Tale percorso si originò in seguito ad un collasso tettonico locale che “catturò” il Tevere spostando il suo corso, fino a quel momento simile a quello di oggi, in una direzione parallela all’attuale via dei Fori Imperiali (lo scorrimento del fiume era in direzione sud-est). La depressione così formatasi fu colmata dai depositi del Paleotevere (Unità di S. Paolo) costituiti da limi argillosi e sabbie talora contenenti pomici di dimensioni anche centimetriche (in termini cronostratigrafici tale evento coincide con la Formazione di Fosso del Torrino; Funiciello, Giordano 2008, pp. 60-61.). Vedi De Santis et al. 2010, p. 260. Successivamente, seguendo un percorso un poco più spostato lungo il margine meridionale della depressione tettonica nella quale scorreva il Paleotevere e con scorrimento inverso (da sud-est verso nord-ovest), il corso d’acqua Labicano incide i depositi dell’Unità di S. Paolo. Due catture successive del Labicano, legate alla presenza di faglie ad andamento circa nord/sud, ne spostano la terminazione prima verso il Velabro Maggiore e in seguito verso la zona di via di S. Gregorio. 51

II.25. Fori Imperiali. Pianta idrografica schematica dell'area (da DE ANGELIS D’OSSAT 1956).

rilievo del Campidoglio da quello del Quirinale; le acque meteoriche provenienti dal versante sud-orientale della sella, quindi, andavano ad alimentare il Fosso dell’Argileto, che scendeva da Nord-Est attraversando tutta l’area del Foro Romano (fig. II.25).58 L’immagine, ben più antica di quella descritta finora, di un ambiente vallivo attraversato da corsi d’acqua in continua evoluzione, è resa percettibile dall’individuazione del paleoalveo di un fosso con direzione circa est-ovest e scorrimento verso est e cioè dal Campidoglio verso l’area del Foro di Augusto (vedi fig. II.12; fig. II.26). L’alveo, 58

43

De Angelis d’Ossat 1956, pp. 64-69, fig. 7.

Forum Iulium

che attraversa tutta la porzione “geologica” dello scavo del Foro di Cesare è riempito da depositi sabbioso-limosi con leucite analcimizzata e abbondanti clasti centimetrici costituiti da frammenti di tufo lionato e in misura molto minore di Tufo del Palatino (il cosiddetto “cappellaccio”). L’età del paleoalveo, in base al contenuto di frammenti di tufo lionato, e in un contesto di forte erosione della copertura costituita da questa unità, è da attribuire ad un momento successivo alla fase erosiva verificatasi dopo la messa in posto di tale deposito vulcanico, e cioè minore di 250.000 anni fa. Il risultato che interessa maggiormente in questa sede è stato quello di aver ottenuto la restituzione del profilo del rilievo collinare prima dell’intervento cesariano e, di conseguenza, la determinazione dell’area interessata dai lavori di sbancamento pari a circa 5.388 mq (fig. II.27). L’individuazione, nella porzione sud-occidentale e nordoccidentale del foro, della superficie del deposito limosoargilloso (14 m s.l.m.), ha consentito di comprendere che tale superficie costituiva il piano di cantiere cesariano, ottenuto a spese del settore urbano che sorgeva lungo le pendici sud-orientali del Campidoglio (fig. II.28).59 Tale operazione si è rivelata di tanto più grandi proporzioni quanto più il rilievo collinare saliva sopra la quota di rasatura di cantiere. Ciò è avvenuto presso l’estremità nord-occidentale dell’area del foro dove si trovano le prime pendici del Campidoglio con quote attestate tra i 18 e i 20 m circa s.l.m.60 La stessa entità ha avuto lo sbancamento per la costruzione delle tabernae, poste lungo il fianco orientale della balza su cui si trova la chiesa dei SS. Luca e Martina (18 m circa s.l.m.).61

II.26. Foro di Cesare. Veduta da nord-est del paleoalveo.

Per contro nella metà sud-est dell’area del foro, dove le propaggini sud-orientali del Campidoglio vanno addolcendosi verso la valle dell’Argileto con quote inferiori ai 14 m s.l.m., lo sbancamento cesariano ha interessato unicamente livelli medio-tardo repubblicani, non intaccando in nessun modo le stratificazioni sottostanti ad essi. Per questo motivo, relativamente alla porzione sud-orientale della piazza, è stato possibile individuare una complessa e articolata sequenza stratigrafica, compresa tra la prima età del Ferro e la tarda età repubblicana. Per le fasi più antiche, degna di nota è stata la scoperta di un gruppo di dieci tombe di cui le più antiche datate in un periodo compreso tra la fine del Bronzo Finale e l’inizio dell’età del Ferro (XI-X

La fonte principale relativa al quartiere che in questo periodo esisteva nell’area del Foro di Cesare è la nota lettera di Cicerone ad Attico (Ad Att. IV 16, 18), datata al 54 a. C. Per una analisi storico-topografica del quartiere dell’Argiletum vedi Tortorici 1991, pp. 32-55 e pp. 66-80; da ultimo Palombi 2005a, pp. 81-92 e Idem 2005b, pp. 21-37. 60 A questo riguardo è interessante constatare la differenza di quote tra il pozzo di età arcaica scavato nel banco naturale presente sotto la pavimentazione in opus sectile della cella del Tempio di Venere Genitrice (quota del pavimento: 19.96 m s.l.m.; Amici 1991, p. 21; Maisto, Vitti 2009, p. 69) e i resti murari in opera quadrata ancora affioranti davanti al Museo del Risorgimento (25 m s.l.m.; da ultimo Mazzei 1998, pp. 28-31 e p. 36 con bibliografia di riferimento). 61 Da ultimo vedi Jackson et al. 2010, p. 410. 59

II.27. Foro di Cesare. In retino l'area interessata dallo sbancamento cesariano. In tratteggio le isoipse (elaborazione V. Di Cola).

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II. La geomorfologia dell’area

Il gruppo di tombe del Foro di Cesare, analogamente agli altri nuclei contemporanei di necropoli presenti lungo i margini nord-orientali della valle del Velabro,64 veniva così a trovarsi in una zona rilevata (14 m s.l.m. in media), posta al di sopra del letto delle alluvioni recenti (9 m s.l.m.). Per maggiore comprensione di quanto finora detto vengono presentate tre sezioni geomorfologiche della zona (fig. II.30). I profili delle sezioni sono stati realizzati integrando le quote sul suolo naturale ricavate da sondaggi noti con quelle rilevate durante la campagna di scavo 2005-2006; la geologia è stata ricavata dai numerosi dati di carotaggio disponibili nelle aree limitrofe (fig. II.31). Il primo profilo, A-A’, attraversa la zona compresa tra il Tempio di Venere Genitrice e l’area del sepolcreto arcaico presso il Tempio di Antonino e Faustina (fig. II.31).

II.28. Foro di Cesare. Area della piazza. Dettaglio della pavimentazione in lastre di travertino e del massetto preparatorio. In primo piano la superficie del banco naturale argilloso rasata dallo sbancamento cesariano.

Da questo profilo, che copre una lunghezza di 300 m circa, risulta ben evidente sulla sinistra (1, 2, 3, 4)65 il taglio del versante collinare operato dal cantiere cesariano. 64 Il riferimento è nello specifico alle due tombe dell’età del Ferro rinvenute al Foro di Augusto nel 1932 in occasione dei lavori di costruzione del muraglione di sostruzione di via Alessandrina (Colini 1933b, pp. 264-265; Idem 1940, p. 206; Lugli 1946, p. 275; Gjerstad 1956, pp. 269-274, figg. 234, 236; Colonna 1974, p. 302; Delpino 1976, p. 120; Colini, Paroli 1978, pp. 456 e ss.; Morselli, Tortorici 1989, p. 114; Tortorici 1991, pp. 19-21; Tabò 1995; Eadem 1997) e alla necropoli presso il Tempio di Antonino e Faustina (Boni 1903, pp. 123-170 e 375-427; Gjerstad 1956, pp. 13-161). Le due tombe del Foro di Augusto furono rinvenute presso l’esedra meridionale, a confine con il Foro di Nerva. Si tratta di due sepolture ad incinerazione in pozzetto, datate al periodo Laziale II Aı (1020-985 a. C., secondo la nuova cronologia assoluta su base dendrocronologica). Per il nuovo schema cronologico della cultura laziale, vedi Bietti Sestieri 1996, tabella 8.4., Bettelli 1997, pp. 191-198; Nijboer et al. 1999-2000, pp. 163-176; Bietti Sestieri, De Santis 2003, pp. 745-763; Bettelli 2003, p. 596 con bibliografia relativa. Entrambi i pozzetti erano scavati direttamente nel banco naturale argilloso e presentavano una copertura costituita da lastroni di arenaria rinvenuti in frammenti. (Colini 1940, p. 207; per una descrizione delle due tombe e dei loro corredi vedi da ultimo Tabò 1997, pp. 41-46). La quota relativa dal piano del portico meridionale del Foro di Augusto (15 m circa s.l.m.) presa sulla copertura delle tombe è di circa 3,50-4 m; vedi Tabò 1995, p. 50; Delfino 2010c, p. 17. La stessa quota, calcolata assolutamente sul livello del mare (12 m circa s.l.m.), è riportata in Ammerman, Filippi 2004, p. 14, nota 23. Grazie alla conservazione ancora in situ della copertura superiore delle due tombe, è possibile stimare che in questo punto l’originaria quota di frequentazione della necropoli protostorica era a 12 m circa s.l.m. e che, di conseguenza, doveva essere debolmente pedogenizzata. Quote analoghe sono state rilevate presso il Tempio di Antonino e Faustina dove il suolo naturale è stato individuato a 11.50 m circa s.l.m. Vedi Ammerman, Filippi 2004 pp. 12 e 14. Dalla disposizione delle necropoli di fondovalle (area del Foro di Cesare, tombe del Foro di Augusto e necropoli del Tempio di Antonino e Faustina), tutte attestate su quote comprese tra i 10 e i 14 m s.l.m., si è giunti alla conclusione che tra Bronzo Finale e prima età del Ferro esistessero più nuclei abitativi separati presenti sulle sommità collinari (Quirinale, Palatino, Campidoglio). Vedi De Santis 2001, p. 273; Cazzella 2001, pp. 266-268; Lugli, Rosa 2001, pp. 281-290. 65 La quota del punto 1 (18.40 m s.l.m.) è stata rilevata nella parte posteriore del podio del Tempio di Venere Genitrice, dove all’interno di un incavo nel nucleo cementizio si conserva un brano di stratificazione naturale. La sezione testimonia per un’altezza di quasi 3 m., la situazione geologica e geomorfologica ancora presente al momento della costruzione del Foro di Cesare. Amici 1991, pp. 21-23. I punti 2 e 3 sono ricavabili da una pianta e una sezione del Tempio di Venere Genitrice realizzate nel 1942 e riprodotte in fig. II.6. Dai disegni si evince che la quota di rastaura del banco naturale presente sotto il pavimento della cella del tempio (19.96 m s.l.m.) si attesta sui 19 m s.l.m. Amici 1991, p. 21, fig. 15 e pp. 22-23, fig. 18; Maisto, Vitti 2009, p. 69. Il punto 4 si riferisce alla quota di rasatura del deposito naturale rilevata già da Ammerman (B 6) davanti al podio del Tempio di Venere Genitrice (argille calabriane). Vedi Amici 1991, p. 21.

II.29. Foro di Cesare. Area sud-orientale della piazza. Tomba ad incinerazione in pozzetto della prima età del Ferro (T.5).

sec. a.C.), di cui si tratterà nel capitolo successivo.62 Ciò su cui si vuole porre l’attenzione sin da ora è il fatto che le sepolture, tutte scavate nel banco naturale limoso-argillososabbioso a partire dalla quota di 14 m circa s.l.m., hanno permesso, grazie in molti casi alla conservazione della loro copertura originaria, di ricostruire la superficie di calpestio della necropoli (fig. II.29). Tale coincidenza di quota fra le coperture delle tombe e la superficie naturale, infatti, ha permesso di ipotizzare che quest’ultima nell’età del Ferro doveva presentarsi debolmente pedogenizzata con un suolo argilloso non superiore ai 30 cm di spessore (14.20-14.65 m s.l.m.).63 Da ultimo vedi Meneghini 2007, pp. 18-21; De Santis, Mieli 2008, pp. 12-14; De Santis et al 2010, pp. 263-272. 63 Vedi Ammerman, Filippi 2000, p. 35 e Arnoldus 2000, passim. Questo suolo è ben visibile nell’area nord-orientale dello scavo (dati di scavo luglio 2008). De Santis et al. 2010, pp. 260-261. 62

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Forum Iulium

II.30. Area dei Fori Imperiali. Pianta con l'indicazione delle sezioni geomorfologiche A-A’, B-B’, C-C'.

Proseguendo da sinistra verso destra, all’altezza dell’area corrispondente al centro della piazza del Foro di Cesare, la superficie naturale non viene più interessata dallo sbancamento cesariano poiché si abbassa gradualmente sotto la quota di rasatura (5).66 Da questo punto in poi, quindi, è possibile seguire l’originario profilo del rilievo che mostra una graduale e costante pendenza verso la valle dell’Argileto (6, 7).67 Raggiunta la parte più bassa della vallata, il profilo risale al di sopra dei 10 m s.l.m., in corrispondenza del sepolcreto arcaico presso il Tempio di Antonino e Faustina (8).68 Il secondo profilo, B-B’, è compreso tra l’area ad ovest della chiesa dei SS. Luca e Martina e l’arco dei Pantani nel Foro di Augusto, passando trasversalmente attraverso la piazza del Foro di Cesare e la vallecola sotto Via dei Fori Imperiali (fig. II.31). Questo profilo, che copre una lunghezza di circa 230 m, mostra sulla sinistra l’imponenza dello sbancamento cesariano delle propaggini capitoline (9, 10),69 e il netto dislivello creatosi tra queste e il piano del foro (11).70Da questo punto proseguendo in direzione est, sono state Il punto 5 corrisponde alla quota dei depositi argilloso-sabbiosi su cui si è attestato il cantiere cesariano (campagna di scavo 2005-2006). 67 La quota 6 è stata ottenuta dal carotaggio manuale (17) eseguito da Ammerman in prossimità del confine tra il Foro di Nerva e la basilica Emilia (8.47 m s.l.m.; Ammerman, Filippi 2004, pp. 12 e 14). La quota 7 si riferisce ancora ad un carotaggio meccanico eseguito da Ammerman in prossimità del Tempio del Divo Giulio che ha individuato il suolo naturale a quota 8.08 m s.l.m. (Ammerman, Filippi 2004, pp. 12 e 14 punto 10). 68 Il punto 8 è ricavato da alcuni sondaggi eseguiti da Ammerman nell’area centrale del sepolcreto arcaico presso il Tempio di Antonino e Faustina. In questo punto il suolo naturale è stato individuato a quota di 11.50 m s.l.m. (vedi Ammerman, Filippi 2004 pp. 12 e 14 punto 13). Proprio in corrispondenza del Tempio di Antonino e Faustina i sondaggi eseguiti nel 1986 dall’Unigeo ai piedi del Palatino hanno rilevato a quota 15.54/16.69 m s.l.m. l’affioramento delle argille naturali identificate con il Paleotevere 2b. Questo dato dimostra ancora una volta che si trattava di un’area in declivio verso la valle dell’Argileto (vedi Arnoldus 2000, p. 18). 69 I punti 9 e 10 sono relativi agli affioramenti di tufi argillosi (B3 e B 4) rilevati da Ammerman ad ovest della chiesa di SS. Luca e Martina. Vedi Amici 1991, p. 21; Ammerman, Filippi 2000, p. 34. 70 Il punto 11 è relativo alla superficie di rasatura del banco naturale (argille calabriane; Paleotevere 2b) rilevate da Ammerman a quota di 15.20 m s.l.m. al di sotto del portico sud-occidentale del Foro di Cesare (sond. B 2; vedi Amici 1991, p. 21). 66

II.31. Sezione A-A’: dal Tempio di Venere Genitrice al Tempio di Antonino e Faustina; sezione B-B’: dalla chiesa dei SS. Luca e Martina all’arco dei Pantani nel Foro di Augusto; sezione C-C’: dall’area della prima taberna del Foro di Cesare all’area del Comizio (disegno A. Delfino; elaborazione grafica V. Di Cola,C. Rosa).

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II. La geomorfologia dell’area

rilevate una serie di quote (14 m circa s.l.m.) prese sulla superficie naturale, solo sfiorata dalla rasatura cesariana (12).71

Il profilo tracciato, lungo circa 150 m, mostra eloquentemente il notevole salto altimetrico, quasi ex abrupto, tra la balza del Campidoglio con quote massime attestate sui 21-22 m s.l.m. (15, 16, 17, 18)74 e l’area in graduale declivio compresa tra la chiesa dei SS. Luca e Martina e il Comitium (19, 20)75 compresa tra i 14 e i 12 m circa s.l.m. Proprio tale profilo accidentato della parete dell’altura prospiciente l’area del Comizio, che può essere stato ancora più verticale di quello reso dalla semplice unione dei punti 18 e 19, induce a credere che tale morfologia sia il risultato di un taglio artificiale effettuato in tempi molto antichi. Il fine di tale operazione sarebbe stato quello di ricavare, in corrispondenza della zona oggi occupata dalla chiesa dei SS. Luca e Martina, un’area pianeggiante attestata sui 14 m circa s.l.m.76

Il profilo in questo tratto rende bene evidente l’andamento verso est del rilievo, in debole declivio verso la vallecola sotto via dei Fori Imperiali. Il rilievo torna a risalire di quota (14 m s.l.m.) in prossimità dell’area centro meridionale della piazza del Foro di Augusto, dove la rasatura augustea in questo punto sembra non aver intaccato sensibilmente il profilo naturale (13).72 Questa quota si mantiene costante fino all’area della testata nord-est (arco dei Pantani) del portico meridionale del foro augusteo (14).73 Infine, il terzo profilo, C-C’, prende in considerazione il tratto che va dall’area alle spalle della prima taberna del Foro di Cesare all’area del Comizio, passando per la chiesa dei SS. Luca e Martina e la Curia (fig. II.31).

Il punto 15 si riferisce ad un prelievo effettuato da Ammerman dietro il muro perimetrale della basilica Argentaria, dove a quota variabile tra i 17.80 e i 18.50 m s.l.m. è stata individuata la superficie del tufo argilloso. Vedi Amici 1991, p. 21, prelievo A 2. Il punto 16 è stato rilevato subito al di sotto del piano di scorrimento del fognone che passa sotto il clivo Argentario. In questo punto la quota rilevata sulla superficie del tufo argilloso è di 19.75 m s.l.m. (Vedi Amici 1991, p. 21, prelievo A 4). I punti 17 e 18 si riferiscono rispettivamente ad un saggio effettuato da Colini nel 1941 alle spalle del muro in blocchi di tufo rinvenuto davanti al Carcere Mamertino (Amici 1991, p. 21, dato d’archivio B 3) e ad uno scasso praticato per la costruzione di via del Tulliano, analizzato da De Angelis D’Ossat (De Angelis D’Ossat 1946, p. 20; Amici 1991, p. 21, dato d’archivio B 5). 75 Il punto 19 è stato rilevato sul pavimento in mosaico relativo ad una struttura muraria in blocchi di tufo rinvenuta sotto l’angolo meridionale della chiesa dei SS. Luca e Martina (Colini 1933b, p. 262; Idem 1941, p. 91; Idem 1946-1948, p. 195; Bartoli 1963, p. 37; Tortorici 1991, pp. 58-63, tav. II; LTUR II, 1995, p. 246 (E. Tortorici); Amici 1999, p. 309 e fig. 7). Pertanto la quota rilevata di 14 m s.l.m. non costituisce la superficie del terreno naturale che deve essere ipotizzata ancora più in basso. Il punto 20 si riferisce alle quote rilevate da Ammerman nell’area del Comitium e riportate da Carafa; Ammerman 1996, fig. 3; Carafa 1998, pp. 91-96. 76 Vedi i punti III.3.4. e V.1.3., infra. 74

Il punto 12, non interessato dalla rasatura cesariana, si riferisce alla quota della superficie delle argille naturali, rilevata nella campagna di scavo 2005-2006. 72 Il punto 13 è stato rilevato nell’ultima campagna di scavo (2004-2006) immediatamente al di sotto del massetto preparatorio per le lastre pavimentali del Foro di Augusto. Delfino 2010c, pp. 26-29. 73 Il punto 14 è stato rilevato anch’esso nell’ultima campagna di scavo (2004-2006) al di sotto di una preesistenza di età repubblicana. Delfino 2010c, p. 27, fig 13. 71

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III. LO SCAVO E LA RICOSTRUZIONE

1. Premessa La modalità di intervento (A. Delfino) Lo scavo archeologico nell’area del Foro di Cesare si è svolto in quattro campagne distinte: la prima tra l’ottobre 2005 e il giugno 2006; la seconda tra l’ottobre e il novembre 2006; la terza tra il settembre 2007 e il gennaio 2008; la quarta tra il maggio e l’agosto 2008. L’intervento ha interessato una vasta area di forma rettangolare di 53 x 18,50 m, corrispondente alla metà sud-orientale della piazza del Foro di Cesare. L’indagine ha previsto anche un settore più piccolo (9,40 x 6,50 m circa), ubicato all’interno di una delle tabernae (taberna XI). Infine, durante l’ultima campagna, un ulteriore settore (10 x 6 m circa) è stato aperto nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice.

III.1. Foro di Cesare. Pianta dei settori di scavo delle campagne 2005-2008. Settore E: l’area all’interno delle sostruzioni dell’Accademia di S. Luca, dietro l’abside della chiesa dei SS. Luca e Martina; Settore F: l’area a sud-est del settore C; Settore G: l’area antistante il Tempio di Venere Genitrice.

Ad esclusione di quest’ultimo, tutti i settori sono stati posti in corrispondenza delle aree di scavo aperte durante la campagna di indagine 1998-2000. In quella occasione, lo scavo si era attestato quasi ovunque sulla superficie del massetto pavimentale della piazza del foro e solo in un’area (ex area B), l’indagine era stata condotta più in profondità fino ad intercettare livelli archeologici databili tra l’età protostorica e tardo-repubblicana.

Sulla superficie dello scavo è stata impiantata una quadrettatura topografica, con una maglia di quadrati di 5 x 5 m orientati in senso nord-sud, secondo le coordinate Gauss-Boaga.

Per tali ragioni, le nuove campagne di scavo sono cominciate direttamente dai livelli cesariano-augustei della piazza o da quelli immediatamente sottostanti al pavimento del foro. Analogo discorso è valido sia per la taberna XI, dove lo scavo ha preso avvio dal piano pavimentale antico dell’ambiente, sia per il settore aperto in prossimità del Tempio di Venere Genitrice, dove l’indagine è cominciata dalla quota pavimentale del foro raggiunta da Corrado Ricci negli anni Trenta del XX secolo.1

La descrizione della sequenza stratigrafica si è basata sul raggruppamento di tutte le unità stratigrafiche (US) in attività (Att.), cioè in insiemi che raccolgono azioni strettamente interconnesse, distinte da un numero progressivo a partire dalla più antica (fig. III.2).2 Le singole attività, in alcuni casi, sono state riunite in gruppi di attività (GA), ordinate in fasi costruttive che costituiscono la struttura dell’avvenimento/periodo. Gli avvenimenti/periodi, numerati progressivamente dal più antico al più recente, sono riferiti a soluzioni di continuità che riguardano uno o più gruppi di attività relativi ad un determinato momento storico; la descrizione di ciascun periodo è corredata da una o più piante composite.

L’intera area di intervento, quindi, è stata suddivisa in sette settori di scavo così denominati (fig. III.1): Settore A: l’area sottostante il tracciato di via del Tulliano; Settore B: l’area compresa tra il limite sud-est del settore A e il settore C; Settore C: l’area sottostante il tracciato di via Bonella; Settore D: il vano della taberna XI e l’area antistante ad essa;

L’estrema frammentazione e in molti casi l’esiguità dell’evidenza archeologica, sopratutto per le fasi più antiche, ha fatto scegliere come criterio di esposizione quello di un racconto che, pur mantenendo la suddivisione Vedi Carandini 1991, pp. 140-143; Volpe 1996, pp. 13-14 e 19-60; Carandini, Carafa 2000; Carandini, Papi 2005; Carandini et al. 2006, pp. 70-335. 2

1

Vedi il punto I.2, supra.

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Lo scavo e la ricostruzione

III.2. Foro di Cesare. Diagramma delle attività.

49

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in periodi e fasi, fosse il più continuo e discorsivo possibile, rimandando alle note il riferimento alle singole attività e in generale al dato archeografico.

interessanti ora che a Roma numerosi scavi sono attestati sulle fasi alto e medio-repubblicane. In particolare, il periodo compreso tra la metà del V e la metà del IV sec. a.C., cui rimandano alcuni dei contesti indagati, presenta ancora notevoli problemi di riconoscibilità per quanto riguarda i fossili guida, sia perché dominato da tipi comparsi in epoca arcaica che rimangono in uso a lungo e la cui evoluzione morfologica non è sempre facilmente individuabile, sia perché il numero delle sequenze stratigrafiche edite e utili a costruire una seriazione dettagliata per questo periodo è ancora troppo basso.

I reperti ceramici. Il metodo della classificazione (H. Di Giuseppe, S. Zampini) Le campagne di scavo condotte nel Foro di Cesare tra il 2005 e il 2008 hanno restituito sequenze stratigrafiche estremamente utili - per quanto caratterizzate da scarsa presenza di materiali - per fissare le tappe cronologiche della storia di questo settore centrale della città.3 La ricostruzione della sequenza stratigrafica e lo studio dei reperti hanno permesso di individuare 5 periodi nell’ambito dei quali si distinguono fasi di costruzione, vita, ricostruzione e abbandono sintetizzabili nel seguente schema:

Le campagne di scavo hanno restituito nel complesso 9.577 frammenti di reperti, tra cui 64,1% (= 6.141) pertinente a vasellame d’uso quotidiano e il 35,9% (=3.436) ad altre categorie di reperti, come tegole, coppi, scorie, pesi da telaio e così via. L’arco cronologico coperto va dal tardo VII sec. a.C. all’età cesariano-augustea.

Periodo 1. Fase A - La costruzione (600-575 a.C.) Periodo 1. Fase B - La vita (575-525 a.C.) Periodo 1. Fase C - La ricostruzione (525-500 a.C.) Periodo 1. Fase D - La vita (500-420/380 a.C.) Periodo 1. Fase E - La distruzione (420-390/380 a.C.) Periodo 2. Fase A - La sistemazione dell’area (390/380-350 a.C.) Periodo 2. Fase B - La costruzione (350-325/310 a.C.) Periodo 2. Fase C - Modifiche all’impianto di deflusso (310-120 a.C.) Periodo 3. Fase A - La costruzione (120-100 a.C.) Periodo 3. Fase B - Costruzione di alcune strutture esterne all’Edificio 2 (100-75 a.C.) Periodo 3. Fase C - Abbandono e cambio di funzione di alcune infrastrutture (75-50 a.C.) Periodo 4. Fase A - La costruzione (54 a.C.) Periodo 4. Fase B - La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.) Periodo 5. Fase A - La costruzione (42 a.C.) Periodo 5. Fase B - La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (42-29 a.C.) Periodo 5. Fase C - Dismissione delle canalizzazioni della taberna XI (fine I sec. a.C.-inizi I sec. d.C.)

In base alla ricostruzione della sequenza stratigrafica i reperti vengono presentati all’interno dei periodi arcaico e medio-repubblicano (Periodi I e II a cura di H. Di Giuseppe) e tardo-repubblicano-augusteo (Periodi III, IV e V a cura di S. Zampini). L’ordinamento e la presentazione dei reperti ha obbedito ai metodi di classificazione esplicitati nella pubblicazione della villa dell’Auditorium.4 I manufatti sono stati preliminarmente registrati in apposite schede di materiale, corrispondenti all’US di pertinenza (Spot-date). Nelle schede, elaborate mentre lo scavo era in corso, sono state riportate le quantità dei frammenti relative alle singole classi ceramiche, per ognuna delle quali si è proceduto ad un’ulteriore divisione in orli, fondi, anse e pareti. Questa prima quantificazione ha permesso di ottenere un quadro generale della distribuzione dei reperti e delle potenzialità informative dei contesti indagati, utile alla ricostruzione della funzione degli spazi, dello status sociale ed economico di coloro che vi avevano abitato e, non meno importante, utile a comprendere le sorti subite da questo quartiere nel corso della sua storia. Inoltre, man mano che le unità stratigrafiche venivano asportate e contestualmente alla realizzazione della scheda Spot-date, sono state fornite cronologie preliminari dei reperti datanti. Gli strumenti principali a tal fine sono stati i repertori bibliografici utilizzati come comparanda. È stato così possibile costruire una periodizzazione preliminare e una messa in fase della sequenza indagata, che è andata perfezionandosi con la fase più avanzata dello studio. L’analisi di dettaglio ha comportato la realizzazione di un catalogo dotato di un vasto apparato bibliografico grazie al quale si è arrivati alla datazione assoluta di ogni singolo frammento. Tuttavia, all’edizione dei frammenti ceramici non abbiamo dedicato un catalogo tradizionale, ma abbiamo optato per scelte strategiche specifiche al fine di valorizzare al meglio i contesti indagati. La qualità e quantità dei reperti hanno spinto a prediligere l’approccio contestuale, quantitativo

I contesti rinvenuti nei settori F e G relativi a fasi di frequentazione, costruzione, vita, distruzione e ricostruzione di un’area occupata da edifici abitativi prospicienti una strada si presentano per lo più come contesti chiusi e rappresentano per questo osservatori ideali. Infatti, nonostante le estese operazioni per la realizzazione del Foro di Cesare, la sequenza stratigrafica alto, medio e tardorepubblicana fino all’età augustea non sembra aver subito quei pesanti fenomeni post-deposizionali che di solito compromettono la leggibilità dei dati archeologici, come testimonia la scarsissima presenza di residui o intrusi negli strati. Tali peculiarità insieme alla possibilità di leggere i reperti in relazione ad una sequenza stratigrafica ben individuata, permettono di proporre alcune osservazioni sulla cronologia e sulla funzione del vasellame, tanto più Il testo che segue propone l’edizione completa dei reperti rinvenuti, riprendendo e ampliando, alla luce di una riflessione più approfondita, quanto già in parte anticipato in Di Giuseppe 2010 e Zampini 2010. 3

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Argento, Di Giuseppe 2006, pp. 33-40.

Lo scavo e la ricostruzione

e distributivo a quello tipologico che pure non viene trascurato.

di sistemazione del versante.5 Si tratta, come si è potuto constatare nel corso di alcuni saggi effettuati nell’estrema parte nord e nord-orientale del settore B,6 di riporti di terreno limo-argilloso con scarso materiale ceramico al loro interno, funzionali alla creazione di una più ampia superficie praticabile (fig. III.3).

Ogni periodo viene corredato da un breve testo critico sulla cronologia della sequenza stratigrafica e da una tabella in cui vengono riportati solo gli elementi datanti in relazione alle fasi e alle attività. In questo modo rendiamo immediatamente evidenti al lettore le ragioni della periodizzazione proposta.

Come detto più sopra (vedi fig. II.31, sezione B-B’), la morfologia dell’area della piazza del Foro di Cesare presentava una graduale pendenza verso la vallecola situata sotto via dei Fori Imperiali, circostanza che ha reso necessaria la creazione di terrazzamenti artificiali che estendessero verso nord-est lo spazio fino allora disponibile. La superficie di tali terrazzamenti si attesta sui 14 m circa s.l.m., raccordandosi con la quota dei depositi naturali, affioranti in questo punto del versante alla medesima quota.

Sempre nell’ambito di ogni periodo, apposite sezioni sono dedicate alla discussione critica dei contesti ceramici, dal più antico al più recente. Considerata l’importanza della sequenza individuata e i temi emersi, abbiamo deciso di illustrare graficamente tutti i reperti (almeno quelli dei Periodi 1 e 2) - residui e contestuali - compresi quelli di cui sono già note tipologie consolidate. All’interno dei contesti, i reperti vengono illustrati con attenzione alla funzione, dalle ceramiche fini alle comuni, dalle più antiche alle più recenti, dalle forme chiuse a quelle aperte. Ogni vaso ha un riferimento grafico segnalato dalla figura e dal numero del reperto evidenziato in neretto, ed è accompagnato da note bibliografiche in cui vengono riportati i confronti più pertinenti articolati per località e cronologie. Per i confronti abbiamo usato prevalentemente i repertori editi più recenti, cui rimandiamo per la bibliografia precedente, ma non mancano riferimenti a vecchie edizioni laddove queste risultino fondamentali per i richiami crono/morfologici. In tabelle finali a più voci abbiamo elencato i reperti rinvenuti negli strati delle varie fasi. Per definire classi e forme abbiamo usato la terminologia corrente per ogni periodo salvo nel caso della rozza terracotta, che in letteratura archeologica, a seconda del periodo e della tradizione di studio, viene definita di volta in volta in modo diverso. Abbiamo preferito evitare termini come “coarse ware”, “impasto rosso-bruno”, “impasto rosso-bruno arcaico o tardo”, “impasto arcaico”, “impasto grezzo”, “impasto”, “ceramica grezza” di solito usati per il materiale di periodo arcaico, e abbiamo scelto un più generico “ceramica da cucina” adatto a comprendere tutte le forme realizzate con impasto grezzo e destinate alla cucina (per la cottura, immagazzinamento e consumo dei cibi) di ogni periodo storico.

Lette in un’ottica più ampia, queste opere di terrazzamento vanno ad aggiungersi alle analoghe e coeve sistemazioni di versante, rinvenute presso il Palazzo Caffarelli e il Giardino Romano sul Campidoglio;7 operazioni che considerate globalmente fanno percepire il notevole impegno di forza lavoro profuso e, di conseguenza, l’importanza dell’insediamento presente sulla sommità del colle capitolino.8 Tale insediamento, pertanto, doveva inserirsi con un ruolo di primo piano nel circuito di una viabilità pedemontana di collegamento fra i vari nuclei abitativi e il Tevere. A questo riguardo, riveste un certo interesse il ritrovamento di un tracciato stradale risalente alla fase antica del Bronzo Finale, messo in luce per una lunghezza di circa 15 m nella porzione sud-est dell’area del Foro di Cesare (figg. III. 4 e III.5).9 Il tracciato, che correva lungo le pendici sudorientali del Campidoglio con pendenza da nord verso sud è costituito da una serie di solchi rettilinei e paralleli incisi nel banco naturale d’argilla (fig. III.6).10 Il ritrovamento al Vedi De Santis et al 2010, pp. 261-262; Damiani 2010, p. 110. Un piano di frequentazione che giaceva sopra un deposito di colmata è stato individuato nell’angolo settentrionale dell’area di scavo; il rinvenimento di reperti ceramici databili nell’ambito del XIII secolo a.C. ha permesso di datare a quest’epoca l’opera di terrazzamento del pendio. De Santis et al. 2010 p. 261. 7 Cazzella 2001, pp. 266-267; Lugli, Rosa 2001, pp. 285-288; Damiani 2010, pp. 106 e 108-109. 8 Attestazioni di questo periodo provengono dall’area del Comizio e sono state messe in relazione con un abitato presente sulla sommità del Campidoglio già dal Bronzo Medio; Peroni 1988, p. 17; Carafa 1998, pp. 96-97; Cazzella 2001, pp. 265-268; Cazzella et al. 2007, p. 805. Sul carattere di primo insediamento stabile che assume l’abitato del Campidoglio a partire dal Bronzo Medio e ancora nel Bronzo Recente in funzione di controllo del guado del Tevere vedi da ultimo Cazzella 2001, p. 268 e Cazzella et al 2007, p. 809. 9 Vedi Meneghini 2007a, p. 18; De Santis et al. 2010 p. 262. Un valido terminus ante quem per il tracciato stradale è offerto dal rapporto stratigrafico con alcune tombe ad incinerazione (T. 3, T. 5, T. 8) databili tra l’ultima fase del Bronzo Finale e la prima età del Ferro (XI-X secolo a.C. secondo la cronologia calibrata) che tagliano i solchi di carro; una datazione orientativa al Bronzo Finale (XII sec. a.C.), inoltre, è data dal rinvenimento, all’interno di uno dei solchi, di un frammento di ceramica di impasto con bugna e decorazione a file di solcature parallele e una fila di cuppelle (US 347). 10 I solchi, fino ad un massimo di sei (UUSS 207, 209, 269, 271, 273, 312, 350, 926, 928, 936, 1013, 1084, 1099, 1315, 1383, 1386, 1396, 1450), presentano una sezione ad U e misurano tra i 10 e i 20 cm di larghezza; 5 6

In queste sedi trovano spazio anche le discussioni su classi e forme che presentano ancora problemi di definizione funzionale e soprattutto cronologica e la cui risoluzione è fondamentale per l’individuazione di alcuni processi storici. I disegni sono stati realizzati a matita con l’ausilio del profilografo e ripassati al computer tramite programma CorelDRAW X4 e AUTOCAD. 2. Breve sintesi sulle fasi protostoriche: dall’età del Bronzo Recente all’età arcaica (A. Delfino) Le tracce di frequentazione più antiche riconosciute nell’area del Foro di Cesare risalgono al Bronzo Recente (XIII sec. a.C.) e sono attribuibili ad interventi

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Forum Iulium

III.3. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. In grigio chiaro l'area dove sono stati individuati i riporti del Bronzo Recente; in grigio scuro la superficie del banco naturale (rilievo ed elaborazione grafica V. Di Cola).

III.4. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Tracciato stradale del Bronzo Finale (rilievo A. Delfino; elaborazione grafica V. Di Cola).

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Lo scavo e la ricostruzione

III.5. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Sezioni dei solchi di carro (rilievo A. Delfino; elaborazione grafica coop. Parsifal).

Considerando che la porzione superiore dei solchi risulta appena rasata dal cantiere cesariano (14 m s.l.m), è plausibile supporre che il piano stradale originario in questo tratto, fosse ad una quota di poco superiore. La posizione e l’andamento del tracciato stradale, inoltre, lasciano supporre che questo, salendo in direzione nord lungo le pendici sud-orientali dell’Arx, doveva poi allontanarsene raccordandosi forse con un percorso di cresta passante sopra la dorsale posta tra Campidoglio e Quirinale;12 in direzione sud, invece, lo stesso percorso doveva raggiungere la viabilità di fondovalle (Argiletumvicus Iugarius) che collegava la valle del foro con il Foro Boario e il guado tiberino (fig. III.7).13 III.6. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Particolare dei solchi di carro.

Come da tempo si è notato, i tracciati stradali più antichi seguivano necessariamente il rilievo naturale sfruttando creste e fondi valle, raccordandosi con la viabilità regionale;14 dalle valli prossime al Tevere, luoghi di riunione e di scambi (Foro Boario, Foro Romano), dovevano diramarsi tutti quei percorsi che in una economia di pastorizia dovevano costituire le arterie vitali di tutto il sistema economico. Il colle capitolino, posto all’incrocio di questa maglia di percorsi naturali, costituiva per questa

loro interno di grandi concentrazioni di ciottoli fluviali ha permesso di ipotizzare l’esistenza di crepidini e/o pianciti laterali alla carreggiata.11 la loro profondità è di 10-12 cm. L’interasse calcolato fra i solchi è di circa 1,30 m; la carreggiata misura circa 1,60 m di larghezza. I solchi vanno assottigliandosi in direzione nord fino a scomparire del tutto a causa della rasatura dell’area operata dal cantiere cesariano (14 m s.l.m.). Vedi De Santis et al. 2010, p. 262 che sulla base di un diverso orientamento di alcuni solchi ipotizza l’esistenza di due fasi distinte nell’uso della carreggiata. 11 Il confronto più stringente è costituito dalla strada datata al 725 ca. a. C. che saliva al Palatino dalla pendice settentrionale (Brocato, Ricci 1992, pp. 111-117.) e dalla strada databile allo stesso periodo che correva tra la Regia e il limite settentrionale dell’Atrium Vestae (Gjerstad 1960, pp. 321-333; Carafa 1998, p. 114).

Damiani 2010, p. 105. Sull’esistenza di questo tracciato in età repubblicana vedi Palombi 2005a, p. 90. 13 Sul vicus Iugarius inteso come asse principale di collegamento tra la valle del foro e il guado del Tevere vedi Platner, Ashby 1929, p. 574; Lugli 1935, p. 257; Lugli 1946, p. 78; Coarelli 1988c, p. 34; LTUR V, 1999, pp. 169-170 (P. Virgili). 14 Lugli 1935, pp. 257-258; Idem 1963, pp. 112-118; Idem 1985, pp. 223-228. 12

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Forum Iulium

III.7. Pianta schematica della viabilità protostorica del centro di Roma con in evidenza il tracciato stradale individuato nell'area del Foro di Cesare (disegno A. Delfino, V. Di Cola).

ragione il luogo ottimale per un insediamento che già dagli inizi del Bronzo Medio si prefiggeva il controllo di questa rete di scambi, incentrata sul guado dell’Isola Tiberina, “primo ponte” del territorio in riva sinistra.15

Alla luce di queste considerazioni e del ritrovamento del tracciato stradale presso il Foro di Cesare, potrebbe trovare maggiore consistenza l’ipotesi avanzata di recente16 secondo cui già nell’età del Bronzo esisteva un percorso, identificato con la via Salaria che invece di aggirare il Campidoglio da

Peroni 1959-1960, pp. 36-37; Coarelli 1988a, pp. 133-136; Le Gall 2005, pp. 48-49; Cazzella 2001, p. 267; Pacciarelli 2000, p. 89; Carandini 2003, p. 113 e ss; Filippi 2005, pp. 98-99; Cazzella et al 2007, pp. 808-810. 15

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Filippi 2005, p. 99.

Lo scavo e la ricostruzione

III.8. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Pianta delle tombe della prima età del Ferro (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

nord, come ipotizzato da Lugli,17 passava a sud dello stesso colle; una via decisamente più diretta al guado tiberino e di cui il tracciato individuato nell’area del Foro di Cesare potrebbe costituirne un tratto significativo.

permesso di individuare due tombe (T.1 e T.2),19 che sommate alle altre otto rinvenute nelle campagne di scavo 2005-2008, hanno fatto ammontare a dieci il numero delle deposizioni, di cui quelle più recenti databili nella piena fase II A.20 Si tratta, nella maggior parte dei casi, di tombe ad incinerazione in pozzetto (T. 1, T. 2, T. 3, T. 5, T. 7, T. 8) e, in quattro casi (T. 4, T. 6, T.10, T.12), di tombe a inumazione con il defunto deposto in una fossa oblunga orientata in senso nord-ovest/sud-est (T.4, T.12) o in senso quasi nord-sud (T.6, T.10).

In un momento successivo, inquadrabile tra l’ultima fase dell’età del Bronzo Finale e la prima età del Ferro (I periodo laziale e fase IIA1), il tracciato stradale viene messo fuori uso dall’impianto di alcune tombe a pozzetto con incinerazione che attestano l’uso della zona come luogo di sepoltura.18 Anche in questo caso, il felice ritrovamento è avvenuto in quella stretta fascia di terreno ubicata in corrispondenza della porzione sud-orientale del foro dove la rasatura cesariana non è arrivata ad intaccare in modo consistente i livelli più antichi posti ad una quota prossima ai 14 m s.l.m. Come si è detto nel capitolo precedente, alcune delle tombe conservano integra la copertura, circostanza che ha consentito di supporre che la superficie di calpestio della necropoli si trovasse ad una quota di poco superiore a quella stabilita da Cesare per l’impianto del foro (fig. III.8).

Tutte le sepolture sono state scavate direttamente nel banco naturale argilloso-sabbioso, mentre la copertura, nei casi in Sulle prime due tombe vedi Catalano, Cucina, De Santis 2001, pp. 197-199; De Santis 2001, p. 270 e ss.; La Rocca 2001, pp. 175-177; Rizzo 2001, pp. 220-221; Bietti Sestieri, De Santis 2003, p. 750. 20 Secondo la nuova cronologia stabilita su base dendrocronologica (vedi Bietti Sestieri 1996, tabella 8.4; Bettelli 1997, in particolare pp. 191-198; Nijboer et al. 1999-2000, pp. 163-176; Bietti Sestieri, De Santis 2003, pp. 745-763), le tombe più antiche (T. 1, T. 2, T. 3, T. 5, T. 8) sarebbero datate tra la fine dell’XI e l’inizio del X sec. a.C. e cioè in un range compreso tra l’ultima fase del Bronzo Finale e l’inizio dell’età del Ferro. Le tombe più recenti (T. 4, T. 6, T. 7, T. 10, T. 12), invece, sempre secondo la nuova cronologia nel corso della prima metà del X secolo a.C. (fase laziale IIA). Secondo la cronologia tradizionale, invece, la datazione delle tombe più antiche sarebbe molto più bassa: fine del X sec. a.C.; vedi De Santis 2001, p. 270 e ss.; La Rocca 2001, pp. 175-176; De Santis 2005, pp. 156-163; De Santis et al 2010, p. 263 e ss. 19

Già la prima campagna di indagini (1998-2000) aveva Lugli 1985. Meneghini 2007, pp. 18-21; De Santis, Mieli 2008, pp. 12-14; De Santis et al 2010, pp. 263-272. 17

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cui si è conservata, è costituita per lo più da accumuli di schegge e scapoli di tufo (figg. III. 9 e III. 10). Le tombe ad incinerazione, sono state realizzate scavando un pozzetto di forma circolare sul cui fondo è stato deposto un grande cinerario d’impasto e un corredo di vasetti miniaturistici, anch’essi in ceramica d’impasto. In alcuni casi il corredo risulta deposto all’interno di un grosso dolio d’impasto, come nella Tomba 5. La presenza all’interno di molti cinerari di armi in bronzo miniaturizzate (lance, spade, scudi, coltelli) ha permesso di leggere tali elementi come indicatori di ruoli verticali e, quindi, di ipotizzare un alto status sociale del defunto.21 Fra le tombe a pozzetto colpisce per la sua monumentalità la Tomba 3 che venne realizzata scavando un largo e profondo pozzo cilindrico (diam sup.: 1,15 m; diam. inf.: 1 m; prof.: 1,64 m), coperto da una lastra circolare di tufo granulare verdognolo (figg. III. 11 e III. 12).22 Ad una profondità di circa 0,40 m, una seconda copertura costituita da una lastra di forma sub-circolare di tufo granulare poggiata su di un cordolo di grossi frammenti di tufo, copriva una grande custodia di tufo lionato a forma di capanna ovale (diam.: 0,70/0,80 m; altezza: 0,90 m). La custodia si caratterizzava per una copertura a forma di tetto di capanna a doppio spiovente con ben evidenti, alle terminazioni del columen centrale, le aperture di fuoriuscita del fumo. Lungo il margine inferiore della copertura, inoltre, erano visibili due coppie di incavi verticali, funzionali alla sistemazione delle funi necessarie a calare il manufatto sul fondo del pozzetto (fig. III.13).23 Dentro la custodia si trovava il cinerario in ceramica d’impasto e il corredo costituito da nove vasetti miniaturistici anch’essi d’impasto e resti di fauna. All’interno del cinerario erano presenti oggetti in bronzo (fig. III.14).

III.9. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Particolare della tomba n. 5, in corso di scavo.

L’analisi al C14 dei resti organici presenti nella tomba ha permesso di datarla in un arco cronologico compreso tra l’età del Bronzo Finale e la prima età del Ferro (XI-X sec. a.C.).24

III.10. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Pianta e sezione della tomba n. 5 (rilievo A. Delfino; elaborazione grafica coop. Parsifal).

Le tombe più antiche dell’area del Foro di Cesare, (ultima fase del Bronzo Finale/fase iniziale del primo Ferro), seguono in ordine di tempo le quattro tombe ad incinerazione rinvenute al Foro Romano presso l’Arco di Augusto25 (I periodo) e sono contemporanee a quelle del sepolcreto presso il Tempio di Antonino e Faustina (IIA1)26

De Santis 2001, pp. 270-271; Bietti Sestieri, De Santis 2003, pp. 756757 e tab. II, p. 760; Bietti Sestieri, De Santis 2006, pp. 83-85. 22 Lo scavo della tomba è stato eseguito da chi scrive in collaborazione con Anna De Santis che ha effettuato in laboratorio l’analisi del contenuto del cinerario. Vedi De Santis et al 2010, pp. 265-266. 23 Proprio la rarità e la monumentalità di questa custodia, di cui se ne conosce un solo esemplare analogo rinvenuto a Pratica di Mare databile all’inizio del I periodo (Guaitoli 1995, pp. 554-555, figg. 2/5, 5; Jaia 2007, pp. 246-247), costituisce di per sé un indicatore di status elevato del defunto. Vedi De Santis et al. 2010, p. 271. 24 Vedi De Santis et al. 2010, p. 266. 25 Gjerstad , 1954-1955, p. 295 e ss; Puglisi 1954-1955, p. 301 e ss; Peroni 1979, pp. 171-176. 26 Boni 1903, pp. 123-170 e 375-427; Gjerstad 1956, pp. 13-161. 21

III.11. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Particolare della tomba n. 3, in corso di scavo.

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Lo scavo e la ricostruzione

III.12. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Pianta e sezione della tomba n. 3 (rilievo A. Delfino; elaborazione grafica coop. Parsifal).

III.13. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Tomba n. 3. Particolare della copertura della custodia.

III.14. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Particolare della tomba n. 3, in corso di scavo.

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Forum Iulium

e alle due tombe rinvenute negli anni Trenta al Foro di Augusto.27 Considerando che le tombe individuate al Foro di Cesare sono comprese entro una fascia di terreno stretta e lunga risparmiata dalla rasatura cesariana, è possibile ipotizzare che quanto è stato finora scoperto corrisponda solo ad una porzione di una più grande necropoli che si estendeva lungo le pendici sud-orientali dell’Arx. A questo proposito alcune fosse di forma sub-circolare rinvenute nella porzione nord e nord-orientale dell’area di scavo, a pochi metri di distanza dalla T.1 e dalla T.2, possono costituire un valido indizio al riguardo. Si tratta di nove fosse sub-circolari coperte direttamente dal massetto preparatorio della piazza, scavate nei depositi di colmata risalenti al Bronzo Recente (vedi supra), del tutto analoghe per forma e dimensioni ai pozzetti delle sepolture della prima età del Ferro (fig. III.15). L’ipotesi che si può avanzare è che si tratti di originarie sepolture ad incinerazione in pozzetto, svuotate del contenuto al momento della loro intercettazione durante le fasi di costruzione del foro.28

III.15. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Veduta da nord delle nove fosse interpretate come sepolture ad incinerazione in pozzetto.

La presenza nel corso delle ultime fasi del Bronzo Finale e della prima età del Ferro di sepolture attestate nella valle del foro (Arco di Augusto32 e Tempio di Antonino di Faustina33), sul Palatino (tomba sotto la casa di Livia34), e ora nell’area del Foro di Cesare (T.1, 2, 3, 5 e 8) consente di ipotizzare per tutti i gruppi di sepolture sopra citati una loro pertinenza a nuclei abitativi posti rispettivamente lungo le pendici del Palatino e, come i recenti scavi sembrano dimostrare,35 sulla sommità del Campidoglio. Queste evidenze, pertanto, permettono di percepire che in questo momento è in atto un processo di ridefinizione del tessuto insediativo caratterizzato da piccole comunità indipendenti stabilite in prevalenza sulle sommità o i versanti collinari (Palatino, Campidoglio) con le rispettive aree di sepoltura poste generalmente nel fondo valle.36

Il rinvenimento del gruppo di tombe del Foro di Cesare rappresenta una novità di rilievo all’interno del dibattito sulla valutazione dei caratteri dell’abitato di Roma tra Bronzo Finale e prima età del Ferro.29 Come noto, a fianco del più vasto processo di selezione e concentrazione dell’insediamento che a partire dall’età del Bronzo Finale interessa i gruppi umani dell’Italia medio-tirrenica, in particolare dell’Etruria, il Latium Vetus si caratterizza per un modello di sviluppo del tutto particolare;30 a differenza dell’Etruria, qui gli abitati già esistenti nel Bronzo Finale e, in alcuni casi come Roma, già dal Bronzo Medio, proseguono senza soluzione di continuità nell’età del Ferro. Il caso di Roma, in questo periodo uno degli insediamenti marginali e di dimensioni contenute all’interno del territorio del Latium Vetus gravitante sui Colli Albani, si pone all’attenzione per due ordini di motivi strettamente interconnessi: la presenza di un abitato naturalmente difeso posto sulla sommità del Campidoglio, Arx inclusa, e il controllo, grazie alla sua posizione strategica, che tale insediamento esercita sulle vie di comunicazione, prima fra tutte il guado del Tevere.31

In un momento successivo (fase IIA), l’abitato fino a quel momento circoscritto all’area della valle del foro e alle colline immediatamente circostanti ad essa assume una estensione e una densità insediativa mai prima raggiunta, comprendendo il Campidoglio, il Quirinale37 e il sistema orografico Palatino-Velia; proprio quest’ultimo sembra

Si tratta di quattro tombe a incinerazione della fase Laziale I, scavate nello strato che oblitera l’insediamento del Bronzo Recente. Vedi Gjerstad 1954-1955, p. 295 e ss; Puglisi 1954-1955, p. 301 e ss; Gjerstad 1956, pp. 86-88 e 111-117; Müller-Karpe 1959, pp. 101-102; Colonna 1974, p. 292; Delpino 1976, pp. 107-109; Peroni 1979, pp. 171-176; Idem 1988, p. 17; De Santis 2001, pp. 269-271. 33 Gjerstad 1956, pp. 26-32, 74-79, 86-88; Müller-Karpe 1959, pp. 102103, 108; Delpino 1976, pp. 109-112. 34 Müller-Karpe 1959, p. 101; Gjerstad 1960, p. 72 e ss; Delpino 1976, pp. 121-122. 35 Lugli, Rosa 2001, pp. 281-290. 36 De Santis 2001, p. 273; Cazzella 2001, pp. 266-268; Carandini 2003, p. 128 e p. 238; Bietti Sestieri, De Santis 2007, pp. 213-218; De Santis et al. 2010, p. 272. 37 Secondo alcuni studiosi nel caso del Quirinale si tratterebbe di un abitato di dimensioni ridotte rispetto a quello ben più esteso comprendente valle del foro, Palatino e Campidoglio. Guidi 1982, p. 282; Idem 1983, p. 447. Da ultimo vedi Ziolkowsky 2008, pp. 111-114 che considera le comunità del Palatino e del Quirinale come due entità all’origine (prima età del Ferro) distinte poi unitesi in un unico organismo politico (seconda metà del VII sec. a.C.). 32

Si tratta di due tombe a pozzetto con incinerazione rinvenute presso l’esedra meridionale del Foro di Augusto nel 1932, in occasione dei lavori di costruzione del muraglione di sostruzione di via Alessandrina. Le due sepolture, secondo la nuova cronologia assoluta (vedi supra), sono databili al periodo Laziale II Aı (1020-985 a. C.). Vedi Colini 1933a, pp. 264-265; Idem 1940, p. 206; Gjerstad 1956, pp. 269-274, figg. 234, 236; Delpino 1976, p. 120; Morselli, Tortorici 1989, p. 114; Tortorici 1991, pp. 19-21. Da ultimo vedi Tabò 1997, pp. 41-46. 28 Vedi Delfino 2010a, p. 167 e ss. 29 La Rocca 2001, pp. 175-177; Cazzella 2001, pp. 265- 268; De Santis 2001, pp. 269-280; Bietti Sestieri, De Santis 2007, pp. 205-230; Cazzella et al. 2007, pp. 803-814; De Santis et al. 2010, p. 272. 30 Fugazzola Delpino 1976, pp. 18-19; Peroni 1979, p. 171 e ss.; Idem 1988, p. 13 e ss; Idem 2000, pp. 26-30; Pacciarelli 2000, in particolare pp. 89-179, con bibliografia di riferimento. 31 Colonna 1974, pp. 292-295; Peroni 1988, p. 7 e 16-17; Carafa 1998, p. 97; Pacciarelli 2000, p. 127; Cazzella 2001, pp. 268. 27

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Lo scavo e la ricostruzione

assumere da ora il ruolo di centro predominante.38 Se ancora nella fase IIA le aree del Foro di Cesare (T. 4, 6, 7, 10) e quella del Foro di Augusto (due tombe)39 continuano ad accogliere nuove sepolture, il riflesso più evidente dell’espansione e della densità dell’abitato è reso evidente dal sempre più crescente sviluppo del sepolcreto del Foro Romano (Tempio di Antonino e Faustina) che costituisce in questo momento la principale area funeraria per la comunità.40

buchi di palo; questi ultimi sono disposti lungo i lati nordovest e sud-ovest dell’abitazione, ad intervalli regolari di 40 cm. Trovandosi nel punto in cui il pendio scendeva sotto la quota dei 14 m s.l.m., la capanna è stata fondata in parte sul banco naturale e in parte sui terreni di colmata, in seguito parzialmente asportati per la costruzione dell’edificio di VI sec. a.C.46 La capanna di cui mancano pertanto dati relativi ai suoi piani d’uso sembra persistere fino alla fase IIIB, quando alcuni interventi operati nell’area la mettono fuori uso (fig. III.17). Il primo intervento è costituito dall’impianto di una struttura che è stata interpretata come una fornace per la cottura della ceramica.47 Le sue tracce sono costituite da due muretti paralleli48 con orientamento nord-est/sud-ovest, fondati su un riporto di terreno argilloso;49 le due strutture sono costruite a faccia vista impiegando scheggioni di tufo giallastro (grandezza max.: 40-50 cm), legati tra loro con argilla (figg. III.18 e III.19b).50 La realizzazione di questo impianto produttivo ha comportato un preliminare sbancamento, non sappiamo di quale entità, di una porzione delle precedenti colmate di livellamento poste, come si è detto, ad una quota prossima ai 14 m s.l.m.51 Il piano d’uso della fornace, infatti, è posto a 13.40 m circa s.l.m. ed è costituito dalla superficie di una colmata a matrice argillosa52 stesa contro la porzione inferiore dei due muretti, la cui superficie,53 ricca di cenere e carboncini, è posta a 13.40 m circa s.l.m. La fornace, pertanto, risultava infossata rispetto all’area circostante dove, in base al materiale rinvenuto, è stato ipotizzato un impianto abitativo in relazione con essa.

Il dato che merita di essere posto in evidenza è che a partire dall’orizzonte recente della fase iniziale della prima età del Ferro (passaggio tra la fase IIA e IIB o, secondo altre proposte, nel corso della fase IIB),41 la necropoli del Foro Romano cessa di essere lo spazio funerario di tutta la comunità che, a partire da questo momento, sposta le sue aree di sepoltura principali fra i colli Viminale, Quirinale ed Esquilino.42 Proprio lo spostamento verso un’area marginale come quella esquilina, testimonia l’allargamento esponenziale del nuovo abitato, ormai da considerarsi protourbano, che si estende fino a comprendere grossomodo la superficie che sarà poi della città serviana.43 Ora, considerando che come nella necropoli del Foro Romano anche nell’area del Foro di Cesare è osservabile una totale assenza di tombe posteriori alla metà del X secolo a.C. (fase IIA), è possibile che tale evidenza sia ugualmente da mettere in relazione con la nascita del centro protourbano, restituendoci un ulteriore elemento utile per la valutazione dell’imponenza del fenomeno in atto. Per le fasi protostoriche databili tra la fase laziale IIB e il periodo IV (IX-inizi VI sec. a.C.), le indagini del 2006-2008 hanno accertato la presenza di un abitato.44

Le altre evidenze relative a questo periodo, sono costituite da due tombe ad inumazione di bambine: la prima in fossa (T. 9), datata alla seconda metà VIII secolo a.C. (fase laziale IIIB2/IVA1),54 la seconda in dolio (T. 11), datata alla metà dell’VIII sec. a.C. (fase laziale IIIB1).55

La fase più antica (fase IIB; fine X-inizi IX sec. a.C.) è costituita dai resti di una capanna a pianta rettangolare (lungh.: 7 m; largh. conservata: 2,40 m circa) orientata in senso nord-ovest/sud-est (fig. III.16). Della capanna, la cui metà nord-orientale non è conservata a causa del taglio operato all’inizio del VI sec. a.C. per la costruzione di un edificio (Edificio 1), è stato individuato un tratto della canaletta di fondazione45 con al suo interno una serie di

Le due tombe, poste ai lati della struttura artigianale, ripropongono una disposizione già riscontrata in altri contesti limitrofi - Giardino Romano in Campidoglio,56

Müller-Karpe 1962, taf. 41,7 e taf. 42, 6; Colonna 1974, p. 295; Peroni 1988, p. 18; Pacciarelli 2000, p. 127 e p. 179; Cazzella 2001, p. 268. Vedi anche Carandini 2003, pp. 126-137, secondo il quale l’estensione dell’abitato dal Campidoglio al Palatino è da collocarsi già nella seconda fase del Bronzo Recente. Vedi da ultimo Bietti Sestieri, De Santis 2007, p. 222. 39 Colonna 1974, p. 302; Delpino 1976, p. 120; Bietti Sestieri, De Santis 2007, p. 222. 40 Bietti Sestieri 1980, pp. 69-71; Pacciarelli 2000, p. 60; Cazzella 2001, p. 268; De Santis et al. 2010, p. 272. 41 Per un quadro della problematica vedi Bettelli 1997, pp. 19-35. 42 Peroni 1960, pp. 463 e ss; Müller-Karpe 1959; Idem 1962; Colonna 1974, pp. 301-302; La Rocca 1974-1975, p. 86 e ss; Bietti Sestieri 1980, pp. 79-80; Guidi 1982, p. 282; Bartoloni 1985, p. 25, n. 98; Colonna 1988, p. 448 e ss; Peroni 1988, pp. 18-19; Bettelli 1997, pp. 136, 156-157, 216; Pacciarelli 2000, p. 127; da ultimo vedi Bietti Sestieri, De Santis 2007, p. 225. 43 Bettelli 1997, p. 135 e ss. e p. 209 e ss. dove la fase protourbana viene rialzata alla fase IIA2. Contra vedi Bietti Sestieri, De Santis 1997 e Pacciarelli 2000, p. 60 e pp. 127-128. 44 Vedi De Santis et al. 2010, pp. 273-284. 45 US 3181, il lato sud-occidentale e US 3152, il lato nord-occidentale. 38

Vedi il punto III.3.1, infra. US 3002. Vedi Meneghini 2007a, p. 21; De Santis, Mieli 2008, p. 13; De Santis et al. 2010, pp. 275-277. 48 UUSS 2312 e 2313. 49 US 2317. 50 I due muri, che sono stati individuati per una lunghezza di circa 2 m, hanno uno spessore di 0,45 m. La loro tecnica edilizia trova ampi confronti già a partire dall’VIII e specialmente nel VII sec. a. C. Vedi Cifani 2006, p. 337 e figg. 34 e 35. 51 Una porzione di queste colmate di livellamento poste a 14 m s.l.m. è costituito dallo strato a matrice argillo-sabbiosa US 1325. Vedi fig. III. 19a. 52 UUSS 2314, 2315, 2316. 53 US 2302. 54 De Santis, Mieli 2008, pp. 12-14; De Santis et al. 2010, pp. 273 e 278-279. 55 De Santis et al. 2010, p. 278 56 Per tombe infantili databili tra gli inizi del VII e la prima metà del VI sec. a.C. in relazione ad abitazioni e a strutture per la fusione dei metalli, vedi De Santis 2001, p. 280; Giardino, Lugli 2001, Danti 2001, pp. 333 e 336-337. 46 47

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Forum Iulium

III.16. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. In grigio scuro pianta della capanna del periodo Laziale IIB (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Foro Romano,57 Palatino58- dove in più occasioni sono state rinvenute sepolture di infanti posti in prossimità di abitazioni e/o impianti produttivi,59 facendo ipotizzare anche per l’area del Foro di Cesare una situazione analoga.

A questo periodo (metà circa dell’VIII sec. a.C.) va attribuito anche un pozzo di captazione idrica posto pochi metri più a nord-est rispetto all’area della fornace, forse da mettere in relazione con un edificio abitativo.61

Il ricco corredo di una delle due inumate (T. 9),60 inoltre, permette di ipotizzare che nell’area vi fossero edifici di abitazione appartenenti al ceto aristocratico.

Tale impianto sembra perdurare ancora nel corso del VII sec. a.C., quando tracce di nuovi edifici e varie strutture di servizio attestano una nuova fase di occupazione dell’area. Fra questi sono da segnalare le tracce di una capanna di notevoli dimensioni attestata da file di grandi buchi di palo (diam.: 50-60 cm; prof max.: 1 m) e la trasformazione della fornace per la ceramica in forgia per la fusione dei metalli (fig. III.20).62 Tale uso è stato indiziato dal ritrovamento intorno al pozzetto di forgia, di indicatori di processi siderurgici (blumo, sferule scoriacee, semilavorati, macro scorie). Il pozzo situato a nord-est della fornace, continua ad essere in funzione.

Sulle sepolture di infanti databili all’VIII e al VII sec. a.C. rinvenute nell’area della Regia e del Tempio di Antonino e Faustina vedi in particolare: Boni 1903, p. 138 e ss; Muller-Karpe 1962, p. 39; Ampolo 1976, pp. 117-118; Rathje, Van Kampen 2001, pp. 383-388; De Santis 2001, p. 279; Van Kampen et al. 2005, pp. 745-753. 58 Il riferimento è alla sepoltura infantile rinvenuta sotto l’Aula Regia del Palazzo dei Flavi databile all’orientalizzante recente (fase laziale IVB). Vedi Gjerstad 1960, pp. 70-71. 59 Sull’argomento vedi in generale Bietti Sestieri, De Santis 1985, in particolare p. 41; Modica 1993 passim; Eadem 2007, in particolare pp. 218-220. Da ultimo vedi De Santis, Fenelli, Salvadei 2008 con bibliografia di riferimento. 60 Il corredo era costituito da una tazza con ansa crestata e numerosi ornamenti personali quali: un grande pendente semicircolare in bronzo con decorazione a sbalzo, due pendenti più piccoli in terracotta, due bracciali a nastro spiraliforme in bronzo, un bracciale di lamina di bronzo, quindici fibule del tipo a navicella e a sanguisuga, cinque fibule ad arco con decorazione in dischi d’ambra, due anelli di sospensione, due o più collane di perle, numerosi pendenti in ambra e pasta vitrea. Erano presenti, inoltre, alcune offerte di resti di maiale e di pecora. Vedi De Santis et al. 2010, pp. 278-279. 57

A questa stessa fase, infine, sono da attribuirsi tre pozzi di Il pozzo (US 1357 e US 1406) ha un diametro di 0,80 m ed una profondità di oltre 6 m. Vedi De Santis et al. 2010, pp. 279-280. 62 De Santis et al. 2010, p. 277. La fornace metallurgica viene impiantata al centro della fornace ceramica dopo aver steso alcuni strati a matrice argillosa (UUSS 2300 e 2301) che rialzano il piano di una decina di centimetri. 61

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Lo scavo e la ricostruzione

III.17. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. In grigio scuro pianta della fornace ceramica del periodo Laziale IIIB (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

captazione idrica di forma circolare (diam. 0,70 m ca.)63 individuati all’estremità nord-ovest dell’area, presso il Tempio di Venere Genitrice (settore G). Le tre infrastrutture, distanti tra loro un paio di metri, sono state scavate nell’argilla naturale e sono prive di rivestimento interno; sulle pareti sono presenti pedarole di forma semicircolare tra loro sfalsate (fig. III.21).64

UUSS 2005, 2007, 2024. Anche se durante lo scavo non è stato possibile raggiungere il fondo delle tre strutture, le loro caratteristiche costruttive e tipologiche permettono di identificarli con pozzi di captazione idrica. 64 Le tre strutture, rinvenute a circa trenta metri dal fronte del podio del Tempio di Venere Genitrice, risultano rasate dallo sbancamento cesariano che ha cancellato ogni traccia del contesto circostante. Per questo motivo l’attribuzione a questo periodo si è basata esclusivamente sul confronto tipologico con altri pozzi privi di rivestimento quali quelli individuati sulla sommità della Velia durante gli sbancamenti del 1932 e quelli scavati da Colini nel 1940 presso il Clivo Capitolino. Sui pozzi della Velia vedi: Colini 1933b, p. 79 e ss.; Idem 1940, pp. 207-209; Gjerstad 1960, p. 132; Magagnini 1990, pp. 105-107. Per la proposta di datazione di alcuni di essi vedi in particolare: Magagnini 2001, pp. 389-394; Cifani 2008, pp. 153-154 e p. 313 e da ultimo Magagnini, Van Kampen 2009, pp. 67-84. Sui pozzi presso il Clivo Capitolino vedi: Colini 1941, pp. 90-93; Gjerstad 1960, pp. 212 e ss; Cifani 2008, p. 109. Validi confronti provengono anche dai pozzi rinvenuti presso l’area sacra di Vesta; vedi Bartoli 1933, pp. 259-260; Idem 1961, pp. 11-12; Arvanitis 2010a, in particolare pp. 37, 42 e passim. 63

III.18. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. a. particolare del muro nord-occidentale della fornace; b. particolare del muro sud-orientale della fornace.

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III.19. Foro di Cesare. Settore sud-orientale (settore B). a. sezione stratigrafica b-b' (nord-ovest/sud-est), vista del lato nord-est (rilievo F. Rosati, M. Rossi); b. sezione stratigrafica a-a' (nord-ovest/ sud-est), vista del lato nord-est (rilievo ed elaborazione grafica M. Rossi); c. sezione stratigrafica c-c' (sud-ovest/nord-est), vista del lato nord-ovest (rilievo P. Giannini, V. Di Cola).

Forum Iulium

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Lo scavo e la ricostruzione

III.20. Foro di Cesare. Settore sud-orientale. Particolare della forgia per la fusione dei metalli (da DE SANTIS ET AL. 2010).

III.21. Foro di Cesare. Settore antistante il Tempio di Venere Genitrice (settore G). Foto, sezione e pianta dei pozzi 1, 2, 3 (rilievo S. Ann Bianco, C. Nasti, V. Di Cola).

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Forum Iulium

Questo assetto abitativo della zona perdura fino al principio del VI sec. a.C., quando alcuni interventi di sistemazione e livellamento dell’area attestano l’inizio di una nuova fase costruttiva.65

databili nell’ambito del VI-V secolo a.C.68 Lo scavo della struttura ha permesso di stabilire che si tratta di un pozzo di captazione idrica che si approfondiva fino ad intercettare il livello acquifero; quest’ultimo, quando venne costruito il pozzo, era contenuto in un orizzonte sabbio-limoso di colore grigiastro che si trovava alla quota di 11 m circa s.l.m. Allo stesso edificio è pertinente una seconda struttura ipogea (pozzo B) identificata finora con una cisterna/ granaio,69 posta pochi metri più a nord-ovest del pozzo circolare sopra ricordato.

3. La sequenza stratigrafica (A. Delfino) 3.1. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.)66 3.1.1. Descrizione delle attività

L’Edificio 2, sembra provvisto di una grande struttura ipogea in opera quadrata, riconducibile ad una cisterna di forma rettangolare, alimentata da una canaletta di adduzione.

Nell’area corrispondente alla porzione centrale e sudorientale del Foro di Cesare (settori B e C) sono state individuate alcune strutture murarie in opera quadrata di tufo granulare “cappellaccio” pertinenti a due edifici a pianta rettangolare (Edifici 1 e 2), orientati in senso nord-ovest/sud-est databili all’inizio del VI secolo a.C. Il terminus post quem per la loro costruzione è fornito dai livelli immediatamente sottostanti ad essi che come si è visto sono datati tra la metà dell’VII e il principio del VI sec. a.C. L’attribuzione al primo venticinquennio del VI sec. a.C. è, invece, fornita dai materiali ceramici provenienti sia dagli strati di costruzione degli edifici sia dai livelli stradali esterni ad essi.

In ciascun edificio, infine, era presente almeno un focolare, testimoniato da un piano di cottura in tegole disposte di piatto delimitate da lastre di tufo come nell’Edificio 1 e da accumuli di cenere come nell’Edificio 2. Entrambe gli edifici si affacciavano su una strada con orientamento nord-ovest/sud-est, in forte pendenza verso la valle dell’Argileto, che correva lungo il loro fronte orientale. Il tracciato, pavimentato in scapoli di tufo e frammenti di tegole (glareatio), era largo 2,10 m (circa 8 piedi da 27 cm, crepidini escluse) ed era bordato da un filare di piccoli blocchi e spezzoni di tufo. Nel tratto in cui la strada costeggiava l’Edificio 1 questa era delimitata da una crepidine gradonata in scapoli di tufo, che consentiva di raggiungere il piano dell’edificio posto a quota poco più alta.

Delle strutture messe in luce sono stati individuati alcuni segmenti dei muri di fondazione in scheggioni di tufo e, in alcuni casi, i primi filari dell’elevato in blocchi di tufo squadrati irregolarmente e legati con argilla; nel caso dell’Edificio 2, sono stati rinvenuti alcuni tratti delle partizioni interne. Entro i muri perimetrali sono stati inoltre individuati alcuni brani pavimentali, costituiti da battuti di argilla ben compattata (Edificio 1) o da piani di tegole e ciottoli fluviali (Edificio 2). Entrambi gli edifici erano provvisti di infrastrutture idriche.

I due edifici, inoltre, erano separati da una piccola stradina (ambitus) pavimentata in frammenti di tegole e piccoli scapoli di tufo, con orientamento nord-est/sud-ovest, perpendicolare alla strada principale.

All’Edificio 1, come si vedrà, è relativo un pozzo di forma circolare rivestito in lastre di tufo granulare “cappellaccio” (pozzo A).67 La porzione superiore della struttura è stata rasata, insieme al contesto stratigrafico circostante, dai lavori di sbancamento per la costruzione del Foro di Cesare; per questo motivo la sua cronologia si è potuta proporre solo grazie al confronto tipologico con altri pozzi

Ancora in questo periodo e fino agli inizi del IV secolo a.C. i tre pozzi di captazione idrica rinvenuti nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice continuano ad essere in funzione. Verso la fine del VI sec. a. C. alcune modifiche interessano sia gli edifici che la strada. All’interno dell’Edificio 2, in particolare, vengono rialzati notevolmente i piani di

Meneghini 2007, p. 21; De Santis, Mieli 2008, pp. 12-14; De Santis et al. 2010, pp. 279-281. Il pozzo costruito alla metà dell’VIII sec. a.C. situato a nord-est della fornace (vedi supra) viene riempito con uno scarico unitario (UUSS 1358, 1378, 1407, 1414, 1416), il cui materiale non scende oltre la fine del VII-inizio del VI sec. a.C. Vedi De Santis et al. 2010, p. 280. Dopo esser stato riempito il pozzo viene coperto dal muro nordorientale dell’edificio di inizio VI sec. a.C. (Edificio 1). 66 Una preliminare e sintetica presentazione dei dati relativi ai periodi 1 e 2 è stata fornita in occasione del convegno “Il Foro di Cesare. Nuovi dati da scavi e studi recenti”, tenutosi a Roma presso Palazzo Massimo nel dicembre del 2008 (Delfino 2010b, pp. 285-302). Come si vedrà, la datazione della fase costruttiva relativa ai due edifici a partire dalla metà del VI sec. a.C. offerta in quel convegno è stata, dopo lo studio definitivo di tutto il materiale, rialzata al principio dello stesso secolo. Al contempo, sono state apportate alcune modifiche nella proposta ricostruttiva dei due edifici. 67 Si tratta del pozzo individuato nella campagna di scavo 1998-2000 (US 5112) che è stato oggetto di una nuova analisi nel corso delle ultime indagini. 65

Per un confronto con pozzi analoghi vedi: Colini 1941, pp. 73-82 e 86-99; Pisani Sartorio 1985, pp. 36-42; Carafa 2000b, pp. 228-230; Vitti 2007, p. 60, fig. 68; Mazzei 2007, pp. 190-191. Un confronto molto vicino è rappresentato da un pozzo circolare in lastre di tufo provvisto di pedarole rinvenuto negli anni Trenta in corrispondenza dell’angolo interno settentrionale della cella del Tempio di Venere Genitrice. Colini 1946-1948, pp. 197-198. Tale struttura fu realizzata scavando il substrato naturale per almeno 5 m di profondità. Dopo la costruzione del Tempio di Venere Genitrice, la struttura fu coperta dal pavimento della cella posto a 19.96 m s.l.m. Lo scavo, purtroppo, risulta inedito ad esclusione di una pianta e una sezione in scala 1:50, conservati nell’Archivio della X Ripartizione (anno 1942) riprodotti in fig. II.6; Amici 1991, p. 22, fig. 18. Da ultimo vedi Maisto, Vitti 2009, pp. 69-72. 69 Come il pozzo US 5112 anche questa struttura (UUSS 5328, 5336) è stata individuata e parzialmente scavata durante la campagna di scavo 1998-2000. Vedi Rizzo 2001, p. 221. 68

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Lo scavo e la ricostruzione

III.22. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

calpestio e impiantati nuovi focolari. Contestualmente, la strada principale viene nuovamente ripristinata con un piancito stradale steso direttamente sul precedente.

dalla maggior disponibilità di banco naturale pianeggiante presente in quest’area, che permette di ridurre al minimo le operazioni di riporto di terreno e di livellamento. Per tale ragione, l’apporto di terreno funzionale alla creazione di un terrazzo uniforme viene circoscritta alla porzione nord-est dell’area edificabile, laddove il pendio scende al di sotto della quota prestabilita (vedi fig. III.43). Nel caso dell’Edificio 2, costruito per tre quarti fuori della curva di livello dei 14 m s.l.m., si rende necessario un maggior apporto di terreno per la creazione di un terrazzo artificiale su cui fondare le nuove strutture i cui piani di spiccato si trovano a quote leggermente più basse rispetto a quella dell’Edificio 1.71

L’assetto così stabilito perdura fino agli inizi del IV secolo a.C., quando un violento incendio distrugge entrambi gli edifici. Lo stesso incendio investe la strada che saliva lungo le pendici del Campidoglio. Fase A. La costruzione: 600-575 a.C. (fig. III.22) E’ questo il momento in cui vengono costruiti i due edifici (Edificio 1 e 2), nell’area prima occupata dall’impianto della fornace ceramica e poi metallurgica (VIII-VII secolo a.C.).70

L’Edificio 1 Posto a cavallo della curva dei 14 m s.l.m., l’Edificio 1 è realizzato in parte su colmate artificiali, in parte su terreno naturale. In particolare, la porzione nordorientale dell’edificio viene fondata su una colmata a

Come prima operazione i costruttori dell’Edificio 1 sono obbligati a creare un nuovo piano uniforme sul quale poter impiantare le nuove strutture. La scelta della quota – 14 m circa s.l.m. - è determinata, come per le fasi precedenti, 70

UUSS 2312 e 2313.

71

65

Vedi il capitolo II, supra.

Forum Iulium

III.24. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Veduta da nord-ovest del muro perimetrale nord-orientale dell'Edificio 1.

III.23. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Veduta da sud-est del muro perimetrale nord-orientale dell'Edificio 1 e della strada (US 1742=1784).

a 13.90 m circa s.l.m., viene a raccordarsi con la quella della porzione sud-occidentale dell’edificio. Sulla superficie superiore delle fondazioni ormai coperte, si costruiscono le zoccolature delle pareti realizzate per lo più in blocchi di tufo granulare “cappellaccio” squadrati irregolarmente, legati con argilla.76 La zoccolatura del muro sud-orientale, in particolare, viene realizzata alloggiando il primo filare di blocchi alternativamente per testa e per taglio.77

matrice argillosa72 stesa sopra le strutture precedenti73 che rialza il piano di circa 0,30 m (13.67 m s.l.m.; vedi fig. III.19b-c). Nella parte sud-occidentale, invece, i muri, non più conservati, sono fondati direttamente sul terreno naturale. Dove ancora si conservano i resti degli antichi terrazzamenti, questi sono livellati per creare un piano uniforme su cui impostare le fondazioni del nuovo edificio. Sulla superficie così ottenuta si costruiscono, a faccia vista, le fondazioni dei muri perimetrali nord-orientale e sudorientale (figg. III. 23 e III.24).74 Tali strutture, alte circa 0,30 m, sono realizzate in blocchi irregolari e scheggioni di tufo “cappellaccio” e lionato, legati tra loro da un sottile strato di argilla. Si procede, quindi, con la stesura di un secondo strato di colmata a matrice argillosa (spessore 0,22 m), gettato contro il lato interno delle fondazioni che vengono, pertanto, ricoperte.75 Tale nuova superficie, posta

Sulla superficie superiore della zoccolatura sono ricavati alcuni incassi sub-circolari (diam. 0,20 m circa) relativi ai montanti lignei che dovevano sostenere l’elevato, probabilmente in pisè. Il tetto, per i motivi che vedremo più avanti, è ipotizzabile in tegole. Dopo la costruzione dei muri perimetrali, nella parte nordest dell’edificio, sulla superficie della seconda colmata78 viene steso un sottile strato di argilla (5 cm circa)79 che costituisce il battuto pavimentale (13.87 m s.l.m.). Nella parte nord-ovest, il battuto è costituito da uno strato a

Att. 1; US 1799. In corrispondenza delle due strutture in scheggioni di tufo pertinenti alla fornace ceramica e poi metallurgica (UUSS 2312 e 2313), la quota di rasatura è rispettivamente 13.76 e 13.52 m s.l.m. Agli inizi del VI sec. a.C. è attribuibile anche il riempimento del pozzo costruito alla metà dell’VIII sec. a.C., posto pochi metri a nord della fornace. Vedi De Santis et al. 2010, pp. 279-280. 74 Att. 2; UUSS 1048=1716 e 2306, 2307, 2308, 2309, 2322. La costruzione del muro nord-est dell’Edificio 1 deve aver comportato la cancellazione della metà orientale della capanna della fase IIB -fine X-inizi IX sec. a.C. (vedi supra). 75 Att. 2; US 2311. 72

73

Il muro nord-orientale misura 0,85 m di larghezza per 0,40 m di altezza; il muro sud-orientale misura 0,60 m di larghezza per 0,40 m di altezza. 77 I blocchi disposti per testa misurano: lungh.: 0,50 m; largh.: 0,35. altezza: 0,38. I blocchi disposti per taglio misurano: lungh.: 0,57 m; largh.: 0,48. altezza: 0,38. 78 Att. 2; US 2311. 79 Att. 3; US 2319. 76

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Lo scavo e la ricostruzione

granulare “cappellaccio” infissi di punta;82 il fondo presenta una tegola disposta di piatto. Contemporaneamente, viene costruito un pozzo di forma circolare (pozzo A; diam. 0,75 m; vedi fig. III. 19c e fig. III.26a).83 La struttura, profonda circa 3 m, è stata realizzata scavando il substrato naturale argilloso fino all’orizzonte acquifero; le sue pareti sono rivestite con lastre rettangolari di tufo granulare “cappellaccio”, nelle quali sono state ricavate delle pedarole di forma semicircolare. Le lastre presentano un profilo concavo (0,60 x 0,40 x 0,13 m circa); il fondo è in opus doliare (quota fondo: 11.12 m s.l.m.). Quest’ultimo presenta a metà delle pareti due fori quadrati speculari, entro i quali è inserito un blocchetto parallelepipedo di tufo. Tali elementi sono serviti al fissaggio delle funi per calare il dolio sul fondo del pozzo. La struttura era alimentata direttamente dall’acqua di falda.

III.25. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Edificio 1. Foto e sezione del focolare (rilievo A. Delfino; elaborazione grafica coop. Parsifal).

Pochi metri più a nord-ovest, nello stesso momento, viene realizzata un’altra infrastruttura idrica, in passato identificata senza certezza con una cisterna/granaio.84 Al momento della scoperta, essa appariva come una fossa a pianta ovale (1,20 x 0,75 m)85 con un approfondimento centrale di forma circolare (diam. 0,70 m),86 scavata nel banco naturale. La struttura risulta priva di rivestimento interno ed è stata indagata fino ad una profondità di m 1,50 circa, senza individuarne il fondo (fig. III.26b). In base a queste caratteristiche, comuni ad altri casi di studio,87 è possibile interpretare la struttura come un pozzo (pozzo B), spoliato del suo rivestimento interno, allargato nella parte superiore e riutilizzato in un momento successivo come fossa per discarica.88 Lungo il lato esterno nord-orientale dell’edificio viene costruita una crepidine, costituita da due gradini in scapoli di tufo, di pezzatura diversa,89 legati da uno strato a matrice argillosa.90 A circa 2 m in direzione nord-est, parallelamente alla crepidine, viene allestito un filare di piccoli blocchi irregolari e scheggioni di tufo disposti a secco,91 largo 0,55/0,60 m. Sia quest’ultimo che la crepidine sul lato III.26. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Edificio 1. a. sezione e foto del pozzo A (rilievo A. Delfino, V. Di Cola); b. foto del pozzo B (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

I blocchi misurano in media 0,48 x 0,30 x 0,15 m. Att. 5; US 5112. 84 Rizzo 2001, p. 221. 85 US 5328. 86 Att. 6; US 5336=5328. 87 Un caso del tutto simile è riscontrabile nel pozzo C dell’Atrium Vestae, per il quale si veda da ultimo Arvanitis 2004, pp. 147-148 con bibliografia di riferimento e Arvanitis, Turchetta 2010, pp. 44-45. Un altro caso è costituito da un pozzo-cisterna indagato da Nino Lamboglia e Francisca Pallarès nel maggio del 1977, ubicato nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice. La struttura, scavata nel banco naturale e rasata nella porzione superiore dai lavori cesariani per la realizzazione del foro, ha un diametro di circa 0,80 m e raggiunge una profondità di 2,55 m. Le sue pareti presentano un rivestimento a lastre di tufo e una serie di pedarole. In base agli strati di abbandono, la cui cronologia cade tra la fine del VI e l’inizio del V sec. a.C., il pozzo è databile in età arcaica. Vedi Amici 1991, p. 22 e Ricci 2013, pp. 11-12. 88 Vedi infra Fase C. 89 Att. 2. Il gradino più prossimo alla fondazione del muro nord-orientale dell’Edificio 1 è costituito da scapoli di tufo grandi fino a 0,50 m (US 1725); l’altro, da scapoli di 0,12 m in media (US 1708=1541). 90 Att. 2; US 1720. Vedi il punto III.3.1.2., infra. 91 Att. 13; US 1735. La struttura è realizzata per lo più con scheggioni di tufo “cappellaccio” e in minor misura di tufo lionato. 82 83

matrice sabbio-argillosa misto a radi frammenti ceramici, ugualmente poggiante sui precedenti livelli di colmata.80 Nella porzione sud-occidentale dell’edificio, al contrario, i pavimenti, non più conservati, sono stesi a contatto della superficie del banco naturale opportunamente livellato. Subito dopo la stesura dei battuti pavimentali viene realizzato, in prossimità dell’angolo nord-est dell’edificio, un focolare di forma quadrangolare (0,48 x 0,37 m; fig. III.25).81 La struttura è costituita da tre blocchi di tufo 80 81

Att. 3; US 1776. Vedi il punto III.3.1.2., infra. Att. 4; UUSS 1070, 1071, 1072;

67

III.27. Foro di Cesare. Settore sud-orientale (settori B, C, F). a. sezione stratigrafica d-d' (sud-ovest/nord-est), vista del lato nord-est (rilievo A. Delfino, V. Di Cola); b. sezione stratigrafica e-e' (nord-est/sud-ovest), vista del lato sud-est (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

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Lo scavo e la ricostruzione

opposto, delimitano la strada diretta all’Argileto, di cui si dirà più avanti. L’Edificio 2 A sud-est dell’Edificio 1, a quota poco più bassa, viene costruito un secondo edificio di forma rettangolare, anch’esso realizzato con zoccolatura in tufo, elevati in materiale deperibile e tetto in tegole. La prima operazione riconosciuta è la messa in opera, alla quota di 12.20 m circa s.l.m., di un filare di blocchi rettangolari di tufo granulare “cappellaccio” (fig. III.27a e fig. III.28a).92 La differenza di quota (circa 1 m) tra i piani di calpestio dell’edificio, più alti, e il filare di blocchi in questione, più basso, permette di ipotizzare l’esistenza di una struttura ipogea di forma rettangolare orientata in senso nord-sud, probabilmente identificabile con una cisterna. Dopo la costruzione dell’infrastruttura, infatti, viene gettato contro il lato ovest dei blocchi un consistente strato di argilla sterile (spessore: 0,70 m), con funzione isolante,93 all’interno del quale, a circa 0,50 m dalla struttura e a quota più alta, viene fondata una canaletta.94 Essa è orientata in senso nord-sud ed è costituita da due spallette di lastre di tufo granulare “cappellaccio” ben squadrate, disposte di taglio e copertura in lastre analoghe poste di piatto (fig. III.28, b);95 il piano di scorrimento è realizzato in tegole di impasto rosso. Il condotto, che misura 0,31 m di larghezza per 0,40 m di altezza, presenta una pendenza da nord verso sud. La posizione stratigrafica, l’orientamento e la pendenza del condotto, inducono ad ipotizzare che esso alimentasse la struttura rettangolare sottostante.96

III.28. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Edificio 2. Le infrastrutture idriche (cisterna?). a. filare in blocchi di tufo; b. canaletta di adduzione.

Dopo la costruzione della canaletta viene steso sopra di essa e in tutta l’area circostante uno strato a matrice argillosa misto a scaglie di tufo e frammenti ceramici,97 del tutto analogo a quello rinvenuto nell’Edificio 1. La funzione dello strato è quella di rialzare il livello dell’area per creare il piano di calpestio del nuovo edificio che si attesta ad una quota di 13.68 m s.l.m. Si procede, quindi, alla costruzione del muro nordoccidentale dell’Edificio 2 con andamento parallelo al muro sud-orientale dell’Edificio 1.98 La porzione messa in luce dallo scavo è relativa alla zoccolatura del muro stesso. Essa è larga 0,60 m ed è costruita in blocchi irregolari di tufo “cappellaccio” e lionato, poggiati direttamente sulla superficie dello strato di colmata.99

III.29. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Edificio 2. Ambiente 1. Muro di delimitazione sud-ovest.

Att. 7; UUSS 1689 e 1690. I blocchi misurano 0,62 m di larghezza per 0,28 m di altezza. La lunghezza non è accertabile. 93 Att. 7; US 1683. 94 Att. 8; US 2505. 95 La canaletta si presenta in pessimo stato di conservazione poiché è stata intercettata sia dal taglio di fondazione della cisterna a tholos Att. 38 sia dalla fondazione del primo lato corto del Foro di Cesare (periodo 4; Att. 70). Lo spessore di tutte le lastre è di 17 cm circa. 96 Att. 7; UUSS 1689 e 1690. 97 Att. 9; US 1663. Vedi il punto III.3.1.2., infra. 98 Att. 10; US 2323; UUSS 1790 e 2305. 99 Att. 1; US 1799. 92

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Forum Iulium

All’interno dell’Edificio 2 vengono creati due ambienti (amb. 1 e amb. 2), divisi da una struttura muraria in blocchi di tufo orientata nord-ovest/sud-est,100 realizzata tagliando lo strato di colmata steso precedentemente.101 Si conservano un blocco di fondazione (0,55 x 0,55 x 0,27 m) e uno di alzato (larghezza 0,47 m), che ne costituiscono la testata nord-ovest, oltre la quale doveva trovarsi una soglia testimoniata dall’impronta lasciata sul piano di preparazione. Nel medesimo strato di colmata vengono fondati contemporaneamente il muro sud-ovest dell’ambiente 1,102 di cui si conserva un filare di cinque blocchi rettangolari di tufo granulare “cappellaccio” (0,70 x 0,50 m circa) disposti per testa e per taglio orientato in senso nord-ovest/sud-est (fig. III.29)103 e il muro perimetrale nord-est104 dell’ambiente 2, costruito in blocchi di tufo lionato con orientamento nord-ovest/sud-est. Anche in questo caso, sul piano di preparazione in corrispondenza dell’estremità nord-ovest del muro è stata individuata la traccia di una soglia che doveva mettere in comunicazione questo ambiente con un altro attiguo. Nell’ambiente 1, sopra la colmata stesa in precedenza,105 viene allestito un pavimento in ciottoli calcarei disposti di piatto (fig. III.30)106 posto a filo del muro sud-ovest107 dell’ambiente e alla medesima quota del piano di spiccato della fondazione (13.53 m s.l.m.).

III.30. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione (600-575 a.C.). Edificio 2. Ambiente 1. Pavimentazione in ciottoli.

Un altro pavimento108 viene steso a poca distanza dal primo. Si tratta di un piano costituito da frammenti di tegole disposte di piatto, posto alla medesima quota dell’acciottolato pavimentale. La strada Compresa tra la crepidine esterna all’Edificio 1 e il filare di piccoli blocchi e scheggioni di tufo ad essa parallelo109 viene allestita una strada (vedi fig. III.19a e fig. III.22).110 La preparazione è ottenuta stendendo una gettata a matrice sabbio-argillosa mista a frammenti di tufo111 seguita da sottili strati sabbio-argillosi misti a radi frammenti ceramici;112 sopra questi ultimi viene messo in opera un piancito di ciottoli calcarei, frammenti di ceramica di impasto e piccoli scapoli di tufo, disposti di piatto (fig. III.31).113 Att. 11; US 1643. US 1663. 102 Att. 11; UUSS 1637, 1638, 1639, 1640, 1641. 103 La struttura è visibile per una lunghezza di circa 1,80 m. 104 Att. 11; US 1674. 105 US 1663. 106 Att. 12; US 1642. 107 Att. 11; UUSS 1637, 1638, 1639, 1640, 1641. 108 Att. 12; US 1695. 109 Att. 13; US 1735. 110 La strada viene allestita su precedenti depositi (US 1723=1540) individuati e non scavati. 111 Att. 14; US 1742=1784. 112 Att. 14; US 1766=1770. Vedi il punto III.3.1.2., infra. 113 Att. 14; US 1783. 100 101

III.31. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase A. La costruzione: 600-575 a.C. La strada. Veduta da nord-ovest.

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Lo scavo e la ricostruzione

III.32. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase C. La ristrutturazione (525-500 a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

La strada ha un orientamento nord-ovest/sud-est e presenta una forte pendenza verso la valle dell’Argileto.114 La sua larghezza, escluse le crepidini, è di 2,10 m, pari a 8 piedi da 27 cm.115

di piatto. La sua larghezza è di 79 cm, pari a 2,5 piedi. La stradina presenta un orientamento nord-est/sud-ovest e si attesta ad una quota di 13.50 m s.l.m. Il suo andamento sembra indicare che proseguisse in salita verso la balza del Campidoglio.

L’ambitus

Costruzione di una canaletta (settore F)

Perpendicolarmente alla strada, viene allestita una stradina (ambitus)116 compresa tra il muro sud-orientale dell’Edificio 1 e il muro nord-occidentale dell’Edificio 2 (vedi fig. III.19b e fig. III.22). Il piancito stradale è costituito da piccoli scapoli di tufo con superficie arrotondata, disposti

All’estremità sud-orientale dell’area di scavo viene costruita una canaletta con orientamento nord-ovest/sud-est (vedi fig. III.22).117 La struttura è costituita da due spallette in lastre di tufo granulare “cappellaccio” ben squadrate, disposte di taglio118 e da un piano di scorrimento realizzato in lastroni dello stesso materiale, disposti di piatto.119 La copertura non è conservata. Il condotto, che misura complessivamente

Il tratto stradale messo in luce è lungo circa 14,50 m e presenta una pendenza pari al 10%. Le sue quote assolute sono attestate fra i 13.81 e i 13 m s.l.m. 115 Varro, De Re Rust. I 10. Sul piede da 27 cm vedi: Giuliani 1983, p. 116; Cifani 1997, p. 623; Idem 2008, pp. 239-240. L’impiego di unità di misura riconducibili a questo piede, è attestato nelle strutture in opera quadrata di età arcaica rinvenute alle pendici nord-orientali del Palatino. Zeggio 2005, p. 69. La larghezza della strada trova una chiara corrispondenza con il tracciato stradale rinvenuto alla metà degli anni Venti del XX secolo nell’area della Protomoteca Capitolina, recentemente identificato con il clivo precapitolino. Vedi Mazzei 2007, p. 173 e ss. con amplia bibliografia di riferimento. 116 Att. 15; US 1798. 114

Att. 16; UUSS 1963, 2102, 2103, 2104 e 1993. La struttura è stata solo individuata. La sua posizione stratigrafica fornisce solo una datazione ante quem alla seconda metà del IV sec. a.C. Verso una cronologia alta potrebbe spingere la tecnica costruttiva e l’uso del materiale impiegato (tufo granulare “cappellaccio”) ma all’infuori di questi minimi elementi, la datazione nell’ambito del VI secolo a.C. rimane del tutto ipotetica. 118 Lungh.: tra i 62 e i 69 cm; largh. cons.: 24 cm; altezza: tra i 14 e i 20 cm. 119 Le lastre misurano 66 cm di larghezza per 10 cm di altezza. 117

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Forum Iulium

III.34. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase C. La ristrutturazione (525-500 a.C.). Veduta da nord-ovest della strada (US 1724=1740).

III.33. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase C. La ristrutturazione (525-500 a.C.). Edificio 2. Ambiente 2. Il focolare.

0,66 m di larghezza per un’altezza conservata di 0,24 m, ha una pendenza verso sud-est. Fase B - La vita: ante 525 a.C. L’uso degli ambienti dell’Edificio 2 è rappresentato da depositi e pellicole di cenere e carbone, relativi a uno o più focolari posti nelle vicinanze. Analoghi depositi ricoprono anche l’intera superficie dell’ambiente 2.120 Il piancito stradale, fortemente danneggiato dall’uso, viene risarcito con depositi a matrice sabbiosa misti a frammenti di tufo e tegole121 stesi in corrispondenza delle lacune. Fase C - La ristrutturazione: 525-500 a.C. (fig. III.32) In questa fase vengono effettuate alcune opere di sistemazione dell’area, riguardanti sia gli edifici che la strada. Nel caso dell’Edificio 1 l’evento più significativo è costituito dall’obliterazione del pozzo B, che dopo essere stato spogliato del suo rivestimento interno viene riempito interamente con scarichi di rifiuti ricchi di materiale ceramico.122

III.35. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase E. La distruzione: 420-390/380 a.C. Edificio 1. Pianta schematica delle tracce di incendio (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Nell’Edificio 2, l’ambiente 1 viene privato delle pavimentazioni123 in ciottoli e in tegole;124

contemporaneamente viene demolito il muro125 che chiudeva l’ambiente 2 sul lato est.126 Successivamente, viene stesa una colmata a matrice argillo-sabbiosa mista a scapoli di tufo,127 al fine di rialzare il piano di calpestio fino

Att. 17; US 1634=1608. Vedi il punto III.3.1.2., infra. Att. 18; US 2324. 122 Att. 20; UUSS 5327, 5329, 5337, 5341, 5342, 5343. Vedi il punto III.3.1.2., infra. 123 US 1642 e US 1695. 124 Att. 21; US 2512. 120 121

125 126 127

72

US 1674. Att. 21; US 2513. Att. 22; US 1660 e US 1669. Vedi il punto III.3.1.2., infra.

Lo scavo e la ricostruzione

III.36. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Fase E. La distruzione: 420390/380 a.C. La strada. a. veduta da nord-ovest dello strato di bruciato sulla superficie della strada (UUSS 1724=1740); b. veduta da sud-est dello stesso strato; c. dettaglio di accumuli di tegole e suppellettile domestica.

alla quota di 13.70 m s.l.m. La colmata viene stesa contro il lato ovest del muro divisorio128 tra i due ambienti, che in questo modo viene in parte sepolto.

la cui superficie si trova a 13.58 m s.l.m. Il piano di cottura, di forma quadrangolare, è costituito da frammenti di tegole disposte di piatto (fig. III.33).

Analogamente, nell’ambiente 2 viene steso un deposito argilloso129 sopra il piano d’uso della fase precedente.130 Anche in questo caso il deposito è gettato contro il lato orientale del muro divisorio e raggiunge la quota di 13.70 m circa s.l.m. Permane in questa fase la divisione dei due ambienti tramite la costruzione, a quota più alta, di una paratia lignea o una struttura deperibile, posta sullo stesso allineamento del muro precedente.131

Il piano della strada che costeggia i due edifici viene rialzato stendendovi sopra una massicciata di scapoli di tufo immersi in una matrice sabbio-argillosa.133 Sulla superficie della massicciata, quindi, viene allestito il piancito stradale vero e proprio costituito da piccoli scapoli di tufo disposti di piatto, immersi in una matrice argillo-sabbiosa.134 La nuova strada mantiene sempre lo stesso orientamento e la stessa pendenza del tracciato precedente (fig. III.34).135

Sullo strato di colmata viene allestito un nuovo focolare,132

Att. 19; US 1719=1753. Vedi il punto III.3.1.2., infra. Att. 19; US 1724=1740. Vedi il punto III.3.1.2., infra. 135 Il nuovo piancito stradale, riconosciuto per una lunghezza di 9 m, presenta una pendenza del 10% circa. Le sue quote sono variabili tra i 13.90 m s.l.m., nella porzione nord-ovest e i 13.15 m s.l.m., nella porzione sud-est. 133

128 129 130 131 132

US 1643. Att. 22; US 1673=1611=1679=1680. Vedi il punto III.3.1.2., infra. US 1634=1608. US 1643. Att. 23; US 2509.

134

73

Forum Iulium

Fase D - La vita: 500-420/380 a.C.

2.726 frammenti di cui il 72,3% (= 1.972 frr.) pertinente a vasellame ceramico e il 27,7% (=754 frr., fig. III.37) ad altre categorie di oggetti (fig. III.38).

L’uso del focolare nell’Edificio 1 è testimoniato da uno strato di carboncini rinvenuto a diretto contatto del fondo.136 Anche nell’Edificio 2, invece, l’uso del focolare crea uno strato di cenere e carboni137 intorno al piano di cottura.

La presentazione quantitativa delle classi in relazione alle fasi (vedi fig. III.37) fornisce una sintesi dei reperti rinvenuti, ma non ha nessuna valenza statistica. Infatti, lo scarso numero dei frammenti documentati e la diversa natura degli strati, non tutti interamente scavati, rendono le quantità registrate inutilizzabili per confronti attendibili. La divisione in fasi appare, comunque, utile per la valutazione delle presenze/assenze delle classi ceramiche.

L’uso della strada138 rende necessaria la risarcitura delle lacune createsi con il tempo, mediante depositi a matrice sabbiosa misti a frammenti di tufo e tegole.139 Fase E - La distruzione: 420-390/380 a.C.

Il grafico mostra una presenza minima di reperti residui dei periodi precedenti (impasto e impasto bruno) e una prevalenza del vasellame in uso nel corso del VI e V sec. a.C. Si tratta per lo più di ceramica d’uso comune, scarse le presenze della ceramica fine e ancor meno di quella d’importazione. Notiamo la comparsa dell’external slip ware nel Periodo 1A e la totale assenza dell’Internal slip ware; la ceramica a vernice rossa, invece, appare rappresentata da un solo esemplare nel Periodo 1A per diventare molto più consistente nel Periodo 1C. Tra le tegole, quelle con omphalos compaiono solo nel Periodo 1C, mentre pesi da telaio e rocchetti pertinenti ad attività di tessitura quotidiana sono in quantità irrilevanti, probabilmente per via della continuità di occupazione dell’edificio che non ha consentito la conservazione dei reperti più antichi.

Un violento incendio investe i due edifici, distruggendoli. Il fuoco colpisce i lati nord-orientale e sud-orientale dell’Edificio 1 e quello nord-occidentale dell’Edificio 2 (fig. III.35). Sul lato nord-est dell’Edificio 1, uno spesso strato di bruciato di colore nero si accumula sia sul crollo delle pareti e del tetto, sia sulla superficie della strada (vedi fig. III.19a e fig. III.36).140 Il deposito si caratterizza per un’alta percentuale di grumi di argilla concotta di colore arancione, grumi di cenere grigia e carboni lignei, di cui sette campioni sono stati analizzati al 14C mediante AMS.141 Le datazioni al radiocarbonio (non calibrate) dei singoli campioni hanno restituito i seguenti risultati: campione A: 2417± 40 BP; campione B: 2385± 40 BP; campione C: 2393± 40 BP; campione D: 2385± 40 BP; campione A2: 2390± 40 BP; campione B2: 2378± 40 BP; campione C2: 2400± 40 BP. La combinazione statistica di tutte le datazioni non calibrate (2393 ± 15 BP) ha permesso di ottenere una data calibrata che con un range di confidenza del 95,4 % (2σ), è compresa tra il 520 BC e il 400 BC.

Periodo 1. Fase A. La costruzione (600-575 a.C.) La cronologia della fase di costruzione degli Edifici 1 e 2 è basata sul termine post quem fornito dagli strati su cui poggia la prima messa in opera dei due edifici e dal termine ante quem offerto dagli strati di vita.

All’interno del deposito numerosi sono i frammenti di tavole carbonizzate, anche di grandi dimensioni (fino a 50 cm di lunghezza), vasi di uso domestico frammentati, alcuni conci e scapoli di tufo e, infine, grandi frammenti di tegole in impasto rosso con vistose tracce di bruciature.

Il termine post quem per l’Edificio 1 è dato dai frammenti contenuti nello strato di argilla143 che legava gli scapoli della crepidine esterna all’edificio. La presenza di un calice in bucchero,144 rinvenuto in associazione con un fondo in ceramica d’impasto sabbioso, una brocca in ceramica a vernice rossa, frammenti di external slip ware lasciano immaginare che ci troviamo intorno agli inizi del VI sec. a.C. Lo strato di argilla145 steso con lo scopo di creare un piano di calpestio nei pressi dell’Edificio 2, gli strati di costruzione della stradina (ambitus)146 e il battuto pavimentale147 restituiscono solo pochi frammenti di bucchero, di ceramica depurata dipinta, impasto rosso e impasto grezzo, nessuno dei quali identificabili e per questo inquadrabili solo genericamente nel corso del VI sec. a.C.

L’incendio, dalla strada, penetra nella stradina (ambitus) compresa tra i due edifici. Di conseguenza, anche in questo caso, sopra il crollo dei muri e nell’ambitus si accumula un strato di bruciato142 del tutto analogo a quello rinvenuto sulla strada. 3.1.2. I reperti ceramici (H. Di Giuseppe) Periodo 1. La costruzione dei due edifici arcaici e i materiali ceramici (600-390/380 a.C.)

Il calice in bucchero nello strato 1720 e il termine ante quem della fase di vita fissato tra il secondo e il terzo quarto del VI sec. a.C. consentono di proporre la datazione della Fase

I materiali del Periodo 1 ammontano nel complesso a 136 137 138 139 140 141 142

Att. 24; US 1074. Att. 25; US 1667. Vedi il punto III.3.1.2., infra. US 1724=1740. Att. 26; US 2325. Att. 27; US 1710=1539. Vedi il punto III.3.1.2., infra. Vedi Appendice, infra. Att. 27; US 1797.

143 144 145 146 147

74

US 1720. Rasmussen calice type 5b, tav. 40, 240 (625-575 a.C.). US 1663. US 1742=1784. US 1776.

Lo scavo e la ricostruzione

III.37. Periodo 1. Fasi A-E. Confronto percentuale tra le classi ceramiche (totale frr. 1.972).

III.38. Periodo 1. Fasi A-E. Confronto percentuale tra i reperti non ceramici (totale frr. 754).

75

Forum Iulium

A entro la prima metà del VI sec. a.C. e più probabilmente verso gli inizi del secolo.

e da cucina, comprendente un oinochoe (fig. III.39, 1),158 due kantharoi (fig. III.39, 2-3),159 un calice (fig. III.39, 4),160 una patera (fig. III.39, 5),161 una coppa (fig. III.39, 6)162 e una coppetta su piede (fig. III.39, 7)163 in bucchero, una coppa in ceramica etrusca a fasce (fig. III.39, 8),164 due olle in impasto rosso (fig. III.39, 9165-10166), tre olle (fig. III.39, 11167, 12168, 13169), un’olletta (fig. III.39, 14),170 tre ciotole/coperchio (fig. III.39, 15171, 16-17172), una grande ciotola (fig. III.39, 18)173 in ceramica da cucina e un piccolo dolio (fig. III.39, 19).174 Purtroppo il contesto non è stato scavato interamente, per cui non è possibile fare nessuna considerazione sulla natura del servizio, sugli individui che lo hanno usato e su un eventuale rito di obliterazione messo in atto nel momento in cui si dismetteva il pozzo, coprendolo con il pavimento della dimora ristrutturata.

Gli strati stesi per la creazione della prima strada che dall’Argileto saliva verso il Campidoglio, servendo verosimilmente un quartiere abitativo, non hanno restituito elementi datanti, pertanto la sua cronologia è affidata esclusivamente al termine ante quem fornito dal rifacimento della stessa strada avvenuto nella Fase B. Anticipiamo che molto probabilmente anche questa strada potrebbe essere stata costruita intorno agli inizi del VI sec. a.C. come sembrerebbero indicare i reperti residui rinvenuti negli strati di ristrutturazione della strada.148 Periodo 1. Fase B. La vita (575-525 a.C.)

Un’ulteriore precisazione cronologica è forse possibile grazie alla lastra architettonica raffigurante una teoria di cavalieri, rinvenuta nel pozzo 1, ove giacevano i resti della distruzione occorsa nella Fase E (vedi infra). La lastra appartiene ad un gruppo inquadrabile nell’ultimo terzo del VI sec. a.C. ed è per questo possibile che costituisse l’arredo architettonico di uno dei due edifici di Fase C. Se accettiamo questa ricostruzione possiamo anche pensare che il rifacimento delle strutture e della strada antistante sia da attribuire ai decenni finali del VI sec. a.C.

Gli strati di vita,149 rappresentati da depositi di cenere e carbone, restituiscono pochi frammenti di una coppa in bucchero,150 una coppetta su piede in ceramica depurata dipinta151 e un bacino in ceramica d’impasto sabbioso152 genericamente databili tra la metà del VI e la metà del V sec. a.C. Considerato il termine ante quem fornito dalla fase successiva possiamo dire che i due edifici costruiti agli inizi del VI sec. a.C. vivono almeno fino al terzo quarto del VI sec. a.C.

US 5329: Rasmussen oinochoe type 7f, tav. 18, 71-73 (600-525 a.C.). US 5329: Rasmussen kantharos type 3g, tav. 33, 174 (625-550 a.C.). 160 US 5329: Rasmussen calice type 3a, tav. 28, 146-147 (625-550 a.C.). 161 US 5329: Rasmussen coppa type 4, p. 125, tav. 41, 256; Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 84, 394 (550-400 a.C.). 162 US 5329: Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 85, 399 (550-500 a.C.). 163 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 2, 20a-b (550-400 a.C.) ma realizzato in ceramica depurata. 164 US 5329: Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav.76, 354 (600-500 a.C.); Tarquinia: Bagnasco Gianni 1999, tav. 44, 12-14 (VI-V sec. a.C.). 165 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 99, n. 202 (600-530/20); Tarquinia: Chiaramonte Treré 1999, tav. 23, 8 (600500 a.C.). 166 US 5329: Tarquinia: Chiaramonte Treré 1999, tav. 14, 14 (500-450 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 4, 36 (550-530/520 a.C.). 167 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 130, n. 294 (650-530/520-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 5, 45 (550-475/450 a.C.). 168 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 147, n. 354 (600/590-530/20-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 9, 72 (600-400 a.C.). 169 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 140, n.331 (530/20-500 a.C.); Tarquinia: Chiaramonte Treré 1999, tav. 14, 5 (550-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 9, 72 (600-400 a.C.). 170 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 139, n. 332 (530/20-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 85 (600-400 a.C.). 171 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 177, n. 448 (700-500-475/450 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 90 (550-400/350 a.C.). 172 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 181, n. 468 (500-475/450 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 85 (600-400 a.C.). 173 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p.177, n. 453 (630/20-500-475/450 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 87 (550-500 a.C.). 174 US 5329: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 230, n. 634 (530/20-500-475/450 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 53, 214 (700-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 21, 161 (600-500 a.C.). 158

Periodo 1. Fase C. La ristrutturazione (525-500 a.C.)

159

La fase di ristrutturazione dell’area è meglio databile grazie ai materiali restituiti dagli strati stesi per innalzare il piano di calpestio dell’Edificio 2.153 Questi, significativamente privi di residui, contengono ceramica fine e comune cronologicamente coerente e inquadrabile nel complesso tra la metà del VI e il primo quarto/metà del V sec. a.C. Gli elementi datanti più significativi sono costituiti da coppe in bucchero,154 olle in impasto rosso155 e thymiateria in ceramica depurata dipinta e impasto sabbioso.156 Tale cronologia viene confermata dalla chiusura definitiva di un pozzo arcaico (pozzo B) all’interno dell’Edificio 1, scavato in anni precedenti e il cui riempimento non sembra scendere oltre la fine del VI sec. a.C.157 Il riempimento conteneva i resti di un servizio composto da ceramica fine Vedi il punto III.3.2.2., infra. US 1634=1608. 150 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 4 (550-400). 151 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 2, 20a (550-400). 152 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 17, 140 (550-450). 153 UUSS 1660, 1669, 1673=1611=1679=1680. 154 UUSS 1660, 1673=1611: Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 3 (550-500 a.C.), tav. 1, 4 (550-400 a.C.) e tav. 1, 6 (550-400). 155 US 1673=1611: Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 45 (550475/450 a.C.), tav. 1, 46 (550-500 a.C.), tav. 1, 48 (550-500 a.C.). 156 US 1660: Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 2, 22 (550-500 a.C.) e tav. 16, 129 (500-300 a.C.). Meno utili ai fini della datazione, ma cronologicamente coerenti con il contesto sono una ciotola in ceramica depurata tipo Argento 2006, tav. 2, 19 (550-300 a.C.) e olle in ceramiche da cucina tipo Argento 2006, tav. 4, 42 (550-500 a.C.), tav. 5, 50 (600-500), tav. 7, 58 (550-500 a.C.), tav. 8, 63a-b (550-200 a.C.). 157 Per lo scavo di questo pozzo vedi Rizzo 2001. 148 149

76

Lo scavo e la ricostruzione

III.39. Periodo 1. Fase C. Riempimento del pozzo B (US 5329). Bucchero: 1. Oinochoe. 2-3. Kantharoi. 4. Calice. 5. Patera. 6. Coppa. 7 Coppetta su piede. Ceramica depurata dipinta (o etrusca a fasce): 8. Coppa. Impasto rosso: 9-10. Olle. Ceramica da cucina: 11-14. Olle. 15-17. Ciotole/coperchio. 18. Scodella. Dolio. 19. (disegno A. Delfino, H. Di Giuseppe).

Come accennato, i materiali presenti negli strati che concorrono al rifacimento della strada antistante i due edifici,175 pur essendo tutti residui, meritano di essere menzionati in quanto offrono elementi di conferma alla datazione della Fase A. Sono stati rinvenuti un fondo in ceramica etrusco-corinzia (fig. III.40, 20),176 una coppa ionica (fig. III.40, 21),177 coppe (fig. III.40, 22),178 calici

(fig. III.40, 23,179 24-25,180 26181), tra cui uno decorato a ventaglietti, in bucchero, una patera in ceramica depurata dipinta (fig. III.40, 27),182 due piatti in ceramica a vernice

US 1753: Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 80, 380 (625-575 a.C.). 180 US 1719, 1753: Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 79, 373 (625-575 a.C.). 181 US 1719: Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 79, 375 (625-575 a.C.). 182 US 1753: Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 75, 353 (625-300 a.C.). 179

UUSS 1745, 1753, 1719. US 1745. 177 US 1719. 178 US 1753: Roma, Palatino (Magna Mater): coppa sim. Rossi, Valerio 2001, tav. 83, 391 (575-350 a.C.). 175 176

77

Forum Iulium

III.40. Periodo 1. Fase C. Materiali dagli strati che concorrono al rifacimento della strada (UUSS 1745, 1753, 1719). Ceramica etrusco-corinzia: 20. Fondo. Ceramica ionica: 21. Coppa. Bucchero: 22. Coppa, 23-26. Calici. Ceramica depurata dipinta: 27. Patera. Ceramica a vernice rossa: 28. Piatto. Ceramica depurata: 29. Piatto. Impasto rosso: 30. Olla. Ceramica da cucina: 31-32. Olle, 33. Ciotola. (disegno H. Di Giuseppe).

rossa (fig. III.40, 28)183 e depurata (fig. III.40, 29)184 databili nell’insieme agli inizi del VI sec. a.C. Cronologicamente coerenti con il precedente gruppo di materiali sono nell’ambito degli stessi strati le olle cilindro-ovoidi (fig. III.40, 30,185 31,186 32187) e una ciotola (fig. III.40, 33188) in impasto rosso e ceramica da cucina.

coerentemente con la ristrutturazione dei due edifici, ovvero nei decenni finali del VI sec. a.C., i materiali sopra descritti vanno considerati residui e relativi piuttosto alla costruzione e vita della prima strada (Fase A) da collocare, coerentemente con la datazione degli edifici, agli inizi del VI sec. a.C.

Immaginando che il rifacimento della strada sia avvenuto

È possibile pensare che la strada esistesse già nel periodo precedente e che servisse strutture – anch’esse forse abitative –, di cui sono stati rinvenuti alcuni resti sotto gli Edifici 1 e 2.

US 1753. US 1753: Roma, Palatino (Magna Mater):Angelelli 2001, tav. 76, 360 (625-575 a.C.). 185 US 1753: Tarquinia: Chiaramonte Treré 1999, tav. 14, 5 (600-500 a.C.). 186 US 1753: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 139, n. 334 (700-500-475/450 a.C.). 187 US 1753: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 101, n. 222 (600/590-550 a.C.). 188 US 1753: Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 181, n. 467 (600/590-550 a.C.). 183 184

Periodo 1. Fase D - La vita (500-420/380 a.C.) Il focolare (US 1667) dell’Edificio 2 contiene solo due frammenti di un bacino in ceramica d’impasto sabbioso189 189

78

Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 18, 143b (550-400 a.C.).

Lo scavo e la ricostruzione

III.41. Periodo 1. Fase E. Materiali dallo strato di incendio (US 1710). Bucchero: 34. Calice. Ceramica depurata sovradipinta in rosso: 35. Brocchetta/situla, 36. Forma chiusa. Ceramica da cucina: 37-38. Olle, 30-40. Ciotole, 41. Bacino, 42. Piastra di Fornello. (disegno H. Di Giuseppe).

e un coperchio in ceramica da cucina190 databili tra la metà del VI e il V/IV sec. a.C. Il termine ante quem per fissare la fine dell’occupazione di questi edifici è fornito dagli strati di distruzione e dai riempimenti dei pozzi, inquadrabili tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C.

calice in bucchero (fig. III.41, 34)192 di VI-V sec. a.C. e una brocchetta/situla in ceramica depurata con tracce di sovradipintura in rosso, appartenente alle forme di lunga durata, che non trova confronti stringenti ed è solo genericamente assimilabile a forme di tardo VI, V e IV sec. a.C. (fig. III.41, 35).193 Ad un grosso contenitore per liquidi va ricondotto il fondo in ceramica depurata con tracce di

Periodo 1. Fase E - La distruzione (420-390/380 a.C.)

Rasmussen calice, type 4c, tav. 29, 155 (530-400). Sembra essere una forma più evoluta di un tipo di situla in ceramica d’impasto sabbioso rinvenuta a Roma Auditorium: Argento 2006, tav. 14, 114b (550-500 a.C.); il tipo è presente anche negli strati di Periodo 2 (Fase 1) databile tra gli inizi e la metà del V sec. a.C.. Tipi analoghi sono tra le anfore di Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 66, 728; Tarquinia: Scotti 1999, tav. 87, 2, 550-500 e Aléria: Jehasse 2001, pl. 77, 3054, 410-400 a.C.; tra le olle di Satricum: Stibbe 1992, fig. XXI, 120b.5 e 60.2 (500-480 a.C. ca.), di Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, p. 118, fig. 33, D1 e di Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 44, 480 (500-400 a.C.). Brocche analoghe sono documentate nello scavo di Roma, Centro Commerciale Colasanti di via Aurelia: Rossi 2007, p. 528, II, 1087-1088. Il contesto chiuso, rinvenuto all’interno di un’abitazione e formatosi a seguito di un evento violento viene datato preliminarmente al pieno V sec. a.C. Tuttavia coppe con orlo non distinto piatto superiormente in ceramica a vernice rossa, bacini con orlo ingrossato in ceramica depurata dipinta, brocchette in ceramica depurata, olle in Internal slip ware e in ceramica da cucina decorate con cordoni plastici, skyphoi in ceramica a vernice nera sovradipinta del gruppo Sokra, kylikes in ceramica a vernice nera (Rossi 2007, p. 526), permettono di datare il contesto in una fase piuttosto avanzata del IV sec. a.C., probabilmente seconda metà del secolo. In area campana orli come quelli in esame sono definiti “a bombarda” e sono attribuiti ad olle che coprono un ampio arco cronologico dal VII al IV sec. a.C. (Russo 1990, p. 119).

L’incendio

192 193

L’intera area viene distrutta da un violento incendio191, di cui sono state rinvenute ampie tracce sulla superficie del clivus che saliva verso il Campidoglio e nei pressi dei due edifici ad esso prospicienti. Purtroppo i materiali ivi rinvenuti – solo dieci frammenti identificabili – non sono molto utili per una datazione puntuale sia per via delle ampie cronologie, sia perché si trovano in giacitura chiaramente secondaria, come avremo modo di approfondire più avanti. Tra la ceramica fine è presente un frammento di un

190 191

Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 12, 92 (550-350/300 a.C.). US 1710.

79

III.42. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Edifici 1 e 2. Pianta ricostruttiva (rilievo V. Di Cola, C. Nasti, M. Rossi).

Forum Iulium

80

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 1. Tabella riassuntiva dei frammenti ceramici rinvenuti negli strati del Periodo 1, articolata per fasi, frammenti e attività. Frr. = frammenti; Att. = attività; C. = ceramica; Non id. = non identificabile. Fase A Classe

Forma

Impasto Impasto bruno Impasto rosso Impasto rosso

Frr.

Att.

Non id.

135

2, 3, 14

Non id

14

3, 14

19, 22

fig. III.39, 10

1

20

Calice

Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero

Patera Coppa Coppetta su piede Coppa Calice Calice Calice Calice

Bucchero

Non id.

C. a vernice rossa C. a vernice rossa C. d’impasto sabbioso

13

Olla

Bucchero

C. attica

Att.

20

Oinochoe Kantharoi Calice

C. etrusco corinzia C. etrusco corinzia

Frr.

1

Bucchero Bucchero Bucchero

C. depurata

Att.

fig. III.39, 9

Non id.

C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata

Frr.

Fase C

Olla

Impasto rosso

Bucchero

Figura

Fase B

25 fig. III.39, 1 fig. III.39, 2-3 fig. III.39, 4 fig. III.41, 34

2, 3, 9, 14

168 1 2 1 1 1

20 20

fig. III.39, 7

1

20

fig. III.40, 22 fig. III.40, 23 fig. III.40, 24 fig. III.40, 25 fig. III.40,26

1 1 1 1 1

19 19 19 19 19 19, 22, 20

9

4

17

222

Att.

Frr.

Att.

1

27

4

8

27

Patera

fig. III.40, 27

Brocchetta

fig. III.41, 35

1

27

Fondo

fig. III.41, 36

1

27

2

27

2

27

Non id. Piatto

4

9

1

17

fig. III.40, 29

Non id Fondo

1

Frr.

Fase E

19, 22, 20 20 20 20

fig. III.39, 5 fig. III.39, 6

1

Fase D

1 2

2,14

2

17

fig. III.40, 20

Non id. Non id. Piatto

1

9

fig. III.40, 28

Non id.

1

2

Non id.

1

2

C. da cucina

Olle

C. da cucina

Olle

C. da cucina

Olle

C. da cucina

Olletta

93

3

fig. III.39, 11-13 fig. III.40, 30-32 fig. III.41, 37-38 fig. III.39, 14

17

77

19, 22 19 19, 22

1

19

6

19

19

22, 20

1

19

12

19

26

21, 22

3

20

3

19

1

81

19

20

3

25

Forum Iulium

Fase A Classe C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina

Forma

Figura

Ciotola/ coperchio Ciotola/ coperchio Grande ciotola Grande ciotola

fig. III.39,1517

Frr.

Att.

Frr.

Att.

Fase C Frr.

Att.

3

20

Fase D Frr.

Att.

fig. III.41, 40 fig. III.39, 18

1

fig. III.40, 33

Ciotola

C. da cucina

Bacino

C. da cucina

Non id.

58

2, 9, 14

External slip ware

Non id.

1

2

Anfore

Non id.

4

Dolia

Piccolo dolio

2, 9, 14

Dolia

Non id.

Fornelli

Non id.

1

19

738

19, 21, 22, 20

16

22

1

20

98

19, 22, 20

18

19

fig. III.41, 41 18

fig. III.39, 19 8 fig. III.39, 19

14

4 259

28

vernice rossa non meglio identificabile (fig. III.41, 36).194 Tra la ceramica da cucina sono presenti stoviglie da cottura caratterizzate da un lungo periodo d’uso, come due olle cilindro-ovoidi (fig. III. 41, 37-38),195 una grande ciotola (fig. III.41, 39),196 una ciotola/coperchio (fig. III.41, 40),197 un bacino dall’ampio diametro con pareti esterne segnate da solcature parallele (fig. III.41, 41198) e un dolium molto mal conservato, databili nell’insieme tra la seconda metà del VI e il V/IV sec. a.C. Segnalo, inoltre, la presenza di un anello (fig. III.41, 42) in ceramica da cucina, con un foro

17

1537

Fase E Frr.

Att.

1

27

1

27

1

27

20

fig. III.41, 39

C. da cucina

Totali

Fase B

5

25

97

27

1

25

8

27

12

27

13

135

centrale (diam. 6 cm ca.) e superficie superiore ondulata, molto probabilmente pertinente alla piastra di un fornello. La lunga durata d’uso della maggior parte delle forme presenti nello strato di incendio rende difficile proporre una datazione più puntuale del VI-V sec. a.C. Inoltre, le forme documentate sembrano far parte dei resti di un servizio da cucina deputato alla preparazione, cottura e consumo del cibo, le cui parti mancanti potrebbero trovarsi nella porzione di scavo non ancora esposta. La presenza di simile vasellame mal si giustifica al centro di un’asse viario, per cui appare logico pensare che la giacitura sul manto stradale non sia primaria e che i vasi vi siano finiti per trascinamento dagli edifici adiacenti, crollati in occasione dell’incendio o per qualche altra ragione a noi ignota. Ne consegue che tali rinvenimenti non costituiscono elementi certi per la datazione dell’incendio.

Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 69, 772. Roma, S. Omobono: Colonna 1963-64, fig. 6, 86; Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 139, n. 330 (550-500 a.); Roma, Acquafredda: Damiani, Pacciarelli 2006, fig. 212, 1 (625-550); Tarquinia: Chiaramonte Trerè 1999, tav. 14, 4 (600-500 a.C.). La forma corrisponde al tipo 1 della tipologia di Maria Letizia Buonfiglio ed è diffusa tra la fine del VII, il VI e il V sec. a.C.: Antenne: Buonfiglio 1994-95, p. 265, fig. 101, n. 1. Nel Comizio, scavi Boni (lapidario Forense, Cassetta 3) viene rinvenuta in un contesto di IV sec. a.C.: Carafa 1995, p. 140, n. 330. 196 Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 181, 464 (675-475/450); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 12, 95 (500-400). 197 Roma, Palatino (Magna Mater): Colazingari 2009, fig. 12, 265. Su queste ciotole con fondo ondulato a ditate vedi Colonna 1963-64, 21. 198 Roma, S. Omobono: corrispondente al Tipo C di Colonna 1963/64, pp. 24-28; Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 213, n. 582 (600/590-550 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 40, 164; Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 14, 112 (500-350/300). Sulla possibilità che questi bacini siano stati usati come testi per la cottura di focacce su tegole riscaldate sia per la presenza di fori sfiatatoi, sia per le prese cosiddette a livello di cui sono dotati in corrispondenza del fondo vedi Zifferero 2004, p. 260 e Argento 2006, p. 363; per l’ipotesi tradizionale che si tratti di teglie, invece, vedi discussione in D’Alessio 2001, p. 202. 194

195

Vedremo in seguito, alla luce di un più ampio spettro di dati, derivanti dalla sequenza stratigrafica, quali sono gli indicatori che permettono di restringere la cronologia dell’evento distruttivo. Anticipo fin d’ora che l’ipotesi su cui si continua a lavorare è che si tratti di un residuo dell’incendio gallico, come già proposto in altra sede199 sulla base della sola associazione di materiale ceramico e sequenza stratigrafica. Tale proposta ha ora un elemento di forte supporto nelle analisi al 14C condotte da Lucio Calcagnile su una serie di campioni prelevati nello strato di 199

82

Vedi anticipazioni in Di Giuseppe 2010.

Lo scavo e la ricostruzione

Tab. 2 - composizione del campione faunistico (NR= numero di resti) US 5327

US 5329

US 5337

US 5341

US 5342

Totale

Resti identificati Ffr. coste grandi Ffr. coste medie/piccole Vertebre Resti non identificabili

12 11 4 20

76 6 98 64 76

9 3 21 27 40

2 2 1 -

8 8 8 13 9

107 17 140 109 145

Totale

47

320

100

5

46

518

Tab. 3 - elenco dei taxa identificati e relativo numero di resti (NR) Taxa

US 5327

US 5329

US 5337

US 5341

US 5342

Totale

Bos taurus L. Ovis vel Capra Ovis aries L. Sus domesticus Erx. Canis familiaris L. Aves ind.

1 11 -

34 5 34 3

1 7 1 -

2 -

8 -

1 35 5 62 1 3

Totale

12

76

9

2

8

107

Tab. 4 - elenco dei taxa identificati e relativo numero minimo di individui (NMI) Taxa

US 5327

US 5329

US 5337

US 5341

US 5342

Totale

Bos taurus L. Ovis vel Capra Ovis aries L. Sus domesticus Erx. Canis familiaris L. Aves ind.

1 -

-

1

-

-

1

-

-

5

3 -

4 2

2 1 -

2 -

3 -

14 1 2

Totale

4

10

4

2

3

23

4

agli elementi lignei degli edifici che qui si trovavano. Il dato, combinato con il termine ante quem fornito dalla sequenza stratigrafica e fissato alla metà del IV sec. a.C. (vedi infra), rende alquanto ragionevole l’ipotesi che l’evento distruttivo coincida proprio con gli orrori messi in atto durante il sacco gallico.

Tab. 5 - percentuale dei principali animali domestici utilizzati nell’alimentazione. Taxa

NR

%

NMI

%

Bovini Caprovini Suini

1 40 62

1,0 38,8 60,2

1 5 14

5 25 70

Totale

103

20

3.1.3. Analisi faunistica dei resti osteologici provenienti dal pozzo B (J. De Grossi Mazzorin) Il campione faunistico, oggetto di questa analisi, proviene dal riempimento del pozzo B individuato nell’area sudorientale del Foro di Cesare e relativo a un edificio arcaico realizzato agli inizi del VI sec. a.C. (Edificio 1). Il pozzo, indagato per circa un metro di profondità, è stato colmato verso la fine del VI sec. a.C. con una ingente quantità di materiale ceramico, prevalentemente di uso domestico.

incendio (vedi appendice). Come anticipato da Alessandro Delfino, la combinazione statistica delle datazioni non calibrate ottenute dai singoli campioni restituisce una radiocarbon age al 2393 ± 15 BP; una volta calibrata, tale data ha permesso di ottenere una datazione generica compresa tra il 520 e il 400 a.C. con un range di confidenza del 95,4% (2σ). I diagrammi mostrano che vi è un’alta probabilità che le datazioni dei campioni prelevati dallo strato d’incendio siano prossime alla fine del V sec. a.C., il che costituisce un importantissimo termine post quem per l’incendio stesso, appartenendo i carboni verosimilmente

Il campione osteologico è costituito da 518 frammenti, prevalentemente in buono stato di conservazione, di cui è stato possibile identificare a livello di specie circa il 20,7% dei resti; il 51,3% circa è costituito da coste e vertebre di

83

Forum Iulium

Tab. 6 - dati sulla mortalità dei suini in base alla fusione delle epifisi articolari (in base a BULL, PAYNE 1982). Osso Scapola Coxale Radio pross. Omero dist. Seconda falange Tibia dist. Prima falange Metapodio dist. Fibula dist. Omero pross. Radio dist. Ulna pross. Ulna dist. Femore dist. Tibia pross. Calcagno

Tab. 8 - elenco dei resti di maiale suddivisi per elemento anatomico.

Età

NF

F

Maiale

7-11 mesi 7-11 mesi +11 mesi +11 mesi 12-18 mesi 19-23 mesi 19-23 mesi +23 mesi +23 mesi +35 mesi +35 mesi +35 mesi +35 mesi + 35 mesi +35 mesi +35 mesi

2 1 3 2 2 1 2

2 2 4 2 1 2 7 1 1 2 1 1 -

Elemento anatomico Neurocranio Mascellare+osso incisivo Mandibola Atlante Epistrofeo Scapola Omero Radio Ulna II metacarpo III metacarpo IV metacarpo V metacarpo Coxale Femore Tibia Fibula Astragalo Altri tarsali IV metatarso III-IV metapodio ind. Prima falange Seconda falange

NR 5 1 4 1 1 4 3 6 8 2 2 1 1 5 3 4 2 1 1 2 2 2 1

Totale

62

2 -

Tab. 7 - dati sulla mortalità dei suini in base all’eruzione, rimpiazzamento e usura dei denti (in base a BULL, PAYNE 1982). Età

NR

%

Meno di 7 mesi

4

100

Totale

4

100

cui non si è determinata la specie di appartenenza, mentre il restante 28%, dato il grado di frammentarietà, risulta non determinabile (Tab. 2).

Totale

per ogni specie a partire dall’elemento anatomico più rappresentato ed effettuando la cosiddetta “centratura”200 ovvero utilizzando come discriminante per accoppiare i diversi elementi anatomici anche i dati sull’età, il sesso e le dimensioni. Si è pertanto stimato nel caso dei suini almeno 14 individui dei quali 5 individui neonatali, 4 sub-adulti, 5 adulti.

I 660 frammenti determinati sono rappresentati quasi esclusivamente da specie domestiche impiegate a scopo alimentare, come bovini, ovicaprini e suini (il 96,3% circa dei resti) mentre gli altri animali domestici (cane) sono presenti con appena lo 0,9% circa dei resti; per quanto riguarda infine la fauna selvatica questa è rappresentata solo da tre ossa di uccelli non identificati a livello specifico che costituiscono il restante 2,8% del campione (Tabb. 3-4). Da una prima analisi della composizione di questo si nota un forte sbilanciamento di alcuni animali domestici, come suini e caprovini, a discapito di altri, in particolare i bovini; questi ultimi infatti risultano appena rappresentati tra i resti determinati (un solo frammento di coxale), ma in realtà tra gli indeterminabili almeno una decina di coste (Tab. 2) e alcune vertebre di grosse dimensioni sono con molta probabilità da riferire a questa specie.

Dall’esame delle ossa lunghe201 sembra che la mortalità nei primi mesi di vita non fosse molto alta, solo un paio di elementi non oltrepassavano i 12 mesi e la maggior parte raggiungeva i due anni di vita; gran parte degli animali era uccisa tra il primo e il terzo anno, inoltre molti individui erano sopravvissuti oltre i tre anni. (Tab. 6). Diverso sembra invece il quadro che emerge dall’osservazione dell’eruzione, rimpiazzamento e usura dei denti: tutti e quattro i frammenti di mandibola rinvenuti appartenevano a individui di età inferiore ai 7 mesi (Tab. 7). Questa differenza sostanziale fornita dal confronto tra i due sistemi di valutazione dell’età di morte è sicuramente condizionata dal fatto che nel campione in nostro possesso gli elementi dentari sono scarsissimi. A tale proposito nella Tabella 8 è mostrata la frequenza dei singoli elementi anatomici,

I suini costituiscono la specie maggiormente rappresentata sia per il numero di resti (62 frammenti che corrispondono al 60,2% sul totale dei resti identificati delle tre principali categorie di animali domestici) sia per il numero minimo di individui (almeno 14 individui: il 70% sul totale degli individui) (Tab. 5). Quest’ultimo calcolo è stato compiuto

De Grossi Mazzorin 2008, p. 132 e ss. Bull e Payne hanno stimato l’età in cui si saldavano le epifisi articolari. Questi dati permettono pertanto di rilevare se un reperto abbia oltrepassato o meno una certa età. Vedi Bull, Payne 1982. 200 201

84

Lo scavo e la ricostruzione

Tab. 12 - altezza al garrese dei suini in base ai coefficienti di TEICHERT 1969 (in mm).

Tab. 9 - elenco dei resti di pecora e capra suddivisi per elemento anatomico. Elemento anatomico

Ovis/Capra

Ovis aries

Neurocranio Mascellare Denti superiori Mandibola Denti inferiori Osso ioide Atlante Epistrofeo Scapola Omero Radio Ulna Metacarpali Coxale Tibia Calcagno Metatarsali Prima falange Terza falange

1 2 1 4 2 1 1 2 1 3 2 1 6 4 2 1 1

2 1 1 1 -

Totale

35

5

osso radio III metacarpo III metacarpo IV metacarpo IV metatarso Minimo Massimo Media Dev. standard

Omero dist. Radio pross. Coxale Scapola I falange Tibia dist. Metapodio dist. Tibia pross. Omero pross. Radio dist. Ulna pross. Calcagno

Età

NF

F

-12 mesi -12 mesi -12 mesi 12 mesi 14-35 mesi 35 mesi 48 mesi 48 mesi 48-60 mesi 48-60 mesi 48-60 mesi 48-60 mesi

2 1 1 1 3 2 2

2 2 1 1 1 1 2 1

NR

%

Tra i 6 e i 12 mesi Tra i 6 e i 24

2 1

66,6 33,3

Totale

3

100

60,2 69,4 63,4 64,3 62,4 60,2 69,4 63,9 3,4

I caprovini costituiscono invece la seconda categoria di animali domestici per importanza nel campione faunistico preso in esame, con il 38,8% dei resti determinati e il 25% del numero minimo di individui (NMI); quest’ultimo corrispondente ad almeno 5 individui (tre adulti, un subadulto e un neonato). Ogni volta che è stato possibile effettuare la distinzione tra i due generi Ovis e Capra i resti appartenevano sempre e solo al primo. Per quanto riguarda la distribuzione degli elementi anatomici (Tab. 9) i resti dei mascellari, delle mandibole e dei relativi denti sono meglio rappresentati che non nel maiale, inoltre le ossa dell’arto posteriore (6 coxali, 5 tibie e un metatarso) sono maggiormente rappresentate rispetto a quelle dell’arto posteriore (una scapola, 3 omeri, 2 radii, 2 ulne e un metacarpo). Dall’esame della saldatura delle epifisi articolari delle ossa lunghe e sulla base della registrazione dell’eruzione, rimpiazzamento e usura dei denti si è cercato di valutare quale fosse il modello di abbattimento dei caprovini. Dalla Tabella 10 si può osservare che parte, circa un terzo, degli individui veniva macellato entro il primo anno, il 24% tra il secondo e il terzo anno mentre il restante 43% oltre i 4-5 anni. I dati dedotti dall’esame dei denti invece sono troppo scarsi per poter formulare qualsiasi ipotesi sull’abbattimento animale (Tab. 11).

Tab. 11 - dati sulla mortalità dei suini in base all’eruzione, rimpiazzamento e usura dei denti (in base a PAYNE 1973). Età

Altezza al garrese

dell’arto posteriore costituiti dal coxale (5), dal femore (3), dalla tibia (4) e fibula (2).

Tab. 10 - dati sulla mortalità dei caprovini in base alla fusione delle epifisi articolari (BULLOCK, RACKHAM 1982 ; NF=non fuse; F=fuse)). osso

GL 114,5 74,4 59,2 61,1 70,6

Solo pochi dati ci permettono di ricostruite le taglie delle specie rinvenute nel pozzo del Foro di Cesare e di confrontarle con quelle dei siti coevi dell’Italia centrale. Per quanto riguarda i suini sono stati misurati un radio e alcuni metapodiali; i valori delle altezze al garrese ricavati, secondo i coefficienti di Teichert,202 da questi resti sono riportati nella Tabella 12, da cui si può notare una sensibile differenza tra le altezze ricavate soprattutto dai due III metacarpi (Tab. 12). La popolazione suina varia quindi da un minimo di 60,2 cm ad un massimo di 69,4 cm con una media di 63,9 cm (dev. standard = 3,4). L’unico osso di pecora di cui è stato possibile stimare l’altezza al garrese è

gli elementi del cranio sono poco rappresentati, solo 10 resti, mentre per quanto riguarda gli arti si nota una leggera prevalenza delle ossa dell’arto anteriore rispetto a quelle posteriori; infatti se sommiamo le ossa principali degli arti anteriore ovvero la scapola (4), l’omero (3), il radio (6) e ulna (8) abbiamo un totale di 21 frammenti contro i 14

202

85

Teichert 1969.

Forum Iulium

Tab. 13 - confronto delle altezze al garrese dei suini provenienti dai siti dell’Italia centrale tirrenica. Sito

Bibliografia

Datazione

NR

Minima

Massima

Media

Fidene “capanna” Roma “Palatino” Roma “Foro di Cesare” Monteriggioni (capanna C) Ficana Anagni Tarquinia Pyrgi (pozzo area sacra C)

De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin 1989

IX a.C. IX-VIII a.C. VI-V a.C. VIII-VII a.C. VIII-VI a.C. VI-V a.C. VI-V a.C. V sec. a.C.

2 2 5 1 18

72,3 71,4 60,2

73,1 74,6 69,4

6 2

68 51 70,9 61,1

78,2 68 84,6 62,0

72,7 73 63,9 64,6 72,3 62,1 75,9 61,6

IV sec.

5

51,9

68

59,3

III a.C.

47

59

80,4

70,2

Veio Populonia

Bartoloni et al. 1997 De Grossi Mazzorin 1989 Ruffo 1994-1995 Bedini 1997 Cardini 1970 De Grossi Mazzorin, Cucinotta 2009 De Grossi Mazzorin 1985

Tab. 14 - confronto delle altezze al garrese delle pecore provenienti dai siti dell’Italia centrale tirrenica. Sito

Bibliografia

Datazione

Fidene “capanna” Roma “Palatino” Roma “Foro di Cesare” Monteriggioni (capanna C) Ficana

De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin 1989

IX a.C. IX-VIII a.C. VI-V a.C. VIII-VII a.C. VIII-VI a.C.

1 1 1 3 1

VI sec. a.C.

1

Anagni Tarquinia

Bartoloni et al. 1997 De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin, Cucinotta 2009 Ruffo 1994-1995 Bedini 1997

Pescorocchiano

De Grossi Mazzorin 1995

Populonia

De Grossi Mazzorin 1985

Veio

VI-V a.C. VI-V a.C. fine IV- metà II a.C. III a.C.

NR

Minima

Massima

55,5

61,9

Media 52 61,7 67,7 57,8 60,4 68,7

5

52,1 55,5

63,9 64,9

57,4 58,8

4

61,5

71,4

67,5

30

53,2

75,2

65,3

Tab. 15 - percentuali dei resti di fauna domestica e selvatica di alcuni siti del Ferro situati nel Lazio arcaico (*= percentuali calcolate dal numero minimo di individui). Sito

Bibliografia

datazione

Fidene “capanna” Roma – Palatino “capanna Puglisi” Fidene U.P.F. Cures Sabini* Ficana – zona 3b-c (II)

De Grossi Mazzorin 1989

Roma – Domus Regia Cures Sabini* Ficana – zona 5a Ficana – zona 3b-c (III) Ficana – zona 3b-c (II+III) Roma – Velia Roma – Foro di Cesare

bovini

ovicaprini

suini

IX a.C.

22,9

54,3

22,9

De Grossi Mazzorin 1989

IX-VIII a.C.

21,2

24,2

54,5

De Grossi Mazzorin 1989

VIII a.C. VIII a.C. VIII-VII a.C.

31,4 36,6 26,8

42,1 41,9 37,7

26,4 21,5w 35,4

VIII-VII a.C.

19,7

44,3

36,1

VII a.C. VII a.C. VII-VI a.C. VIII-VI a.C.

38,6 18,8 33,3 48,2

38,6 50,6 33,9 29,2

22,8 30,7 32,7 22,4

VII-VI a.C.

6,8

40,5

52,7

1

38,8

60,2

De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin, Minniti 2010 Ruffo 1985; 1987 De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin 1989 De Grossi Mazzorin, Minniti 2010

VI-V a.C.

un calcagno (GL=59,4) che ha restituito un valore, stimato con i coefficienti di Teichert,203 di 67,7 cm.

dal paragone tra le faune degli insediamenti di VIII-VII secolo con i valori (generalmente inferiori ai 60 cm) degli insediamenti dell’ultima fase dell’età del Bronzo.204

In generale, dal confronto con le altezze al garrese di maiali e pecore rinvenute negli insediamenti del versante tirrenico dell’Italia centrale (Tabb. 13-14), si può notare un generale incremento nella statura che emerge in particolare 203

In conclusione la fauna proveniente dal pozzo B del Foro di Cesare è sicuramente da attribuirsi al consumo alimentare anche se qualche osso, come il piccolo frammento

Teichert 1975.

204

86

De Grossi Mazzorin 1989.

Lo scavo e la ricostruzione

di metapodiale di cane, potrebbe essere intrusivo. La frequenza delle diverse specie e la loro età di morte indica un prevalente consumo di carne suina e ovina, anche di animali molto giovani. Nella Tabella 15 sono mostrate le percentuali delle tre principali categorie di animali domestici (bovini, caprovini e suini) in alcuni contesti dell’età del Ferro di Roma, a partire dal IX secolo a.C., e dei grossi centri vicini alla città come Cures, Fidene e Ficana. Dai valori mostrati si può notare un progressivo incremento dell’allevamento suino e in particolare a Roma dove nel periodo arcaico si raggiungono punte massime superiori al 50% (nei pozzi della Velia e Foro di Cesare).

IV metatarso: 1) GL=70,6 (US 5329) 3.1.4. La ricostruzione (fig. III.42) (A. Delfino) Agli inizi del VI sec. a.C., in un’area in precedenza occupata da strutture produttive e abitative, vengono costruiti due edifici interpretabili come abitazioni private. Il terminus post quem per la loro costruzione è dato dai livelli di vita sottostanti databili nell’ambito del VII e degli inizi del VI secolo a.C.; elementi utili per la loro datazione al principio del VI sec. a.C., invece, provengono dallo studio del materiale ceramico rinvenuto negli strati di costruzione e in quelli di preparazione della strada.206

Questo incremento probabilmente potrebbe indicare un sensibile aumento demografico nella città in stretta relazione con un allevamento di animali molto economici (nel senso del lavoro che richiedono per la loro manutenzione e alimentazione) e prolifici come i maiali che raggiungerà il suo massimo nei primi secoli dell’Impero con percentuali che si aggirano tra il 70 e l’80% dei resti determinati.205

La ricostruzione effettuata sul minimo conservato e che quindi rappresenta un modello del tutto ideale, ha permesso di restituire due edifici di forma rettangolare allungata orientati in senso nord-ovest/sud-est con ambienti disposti ad L affacciati su una corte interna (Edificio 1: 494,84 mq; Edificio 2: 802,09 mq).207 Tale disposizione, impostata secondo uno sviluppo nel senso della larghezza, come vedremo, rimarrà una prerogativa costante anche nelle fasi successive. A questa proposta ricostruttiva si è pervenuti in considerazione del grado di distribuzione delle evidenze archeologiche (strati e strutture), che risultano concentrate esclusivamente lungo i margini di un’area libera, la corte appunto.

Appendice misure: le misure osteometriche (riportate in mm) sono state prese in accordo a quanto stabilito dalla von den Driesch (1976) e riportate in appendice suddivise cronologicamente per specie animale ed elemento scheletrico; le abbreviazioni usate per indicarle sono quelle in lingua inglese adottate dall’Autrice. Ovis aries L.

Le dimensioni di massima dei due edifici sono state ricavate tenendo conto di tre fattori: il tracciato stradale che corre lungo il lato nord-orientale delle due abitazioni; lo spazio d’ambitus posto tra il lato sud-est dell’Edificio 1 e il lato nord-ovest dell’Edificio 2; l’estensione del terrazzo, in parte naturale e in parte artificiale, attestato sui 14 m circa s.l.m. circa (fig. III.43. Vedi anche figg. II. 14, II. 27, II. 31).208 In quest’ultimo caso, proprio l’andamento a gomito della curva di livello dei 14 m s.l.m., ha permesso di delimitare, seppur approssimativamente, sia il margine sud-est dell’Edificio 2 sia il lato sud-occidentale di entrambi gli edifici. L’ipotesi avanzata, pertanto, è che i due edifici occupassero il terrazzo in parte naturale in parte artificiale compreso tra i 13.50 e i 14.30 m circa s.l.m. Le dimensioni dei singoli vani posti ai due lati delle corti, nei casi in cui non è stato possibile ricostruirli in base alle evidenze conservate, sono state stabilite sul confronto con esempi di case appartenenti a questa tipologia, replicandone le misure (fig. III.44).

Calcagno: 1) GL=59,4 (US 5329) Tibia: 1) Bp=42,1; Dd=34,2 (US 5329) Ovis vel Capra Scapola: 1) GLP=28,2 BG=17 SLC=16,2 (US 5329) Omero: 1) Bd=27,9 Dd=22,3 BT=24,8 HT=13,6 (US 5329); 2) Bd=26,8 Dd=22,6 BT=24,3 HT=13,4 (US 5329) Metatarso: 1) Bp=18,3; Dp=17,9 (US 5329) Sus domesticus Erx. Epistrofeo: 1) BFcr=41,5 SBV=29,2 (US 5329) Scapola: 1) GLP=35 BG=24,9 SLC=22,4 (US 5342); 2) GLP=31,7 BG=21,6 SLC=22,4 (US 5329) Omero: 1) Bp=42,6 Dd=54,4 (US 5329); 2) Bd=34,4 Dd=33,1 BT=25,6 HT=15,9 (US 5329) Radio: 1) GL=114,5 Bp=24,2 Dp=16,7 SD=14,6 DD=9,9 Bd=29,8 Dd=23,4 (US 5329); 2) Bp=27,4 Dp=17,6 (US 5329) Ulna: 1) DPA=34,7 SDO=26,3 LO=53,7 (US 5329); 2) DPA=32 SDO=23,4 LO=46,9 (US 5329) Femore: 1) Bp=48,8 DC=21,5 (US 5329); 2) Bd=36,8 Dd=49,3 (US 5329) II metacarpo: 1) GL=42,9 (US 5327) III metacarpo: 1) GL=69,4 (US 5329); 2) GL=59,2 (US 5329) IV metacarpo: 1) GL=61,1 (US 5329) 205

Il confronto con le dimensioni di altre strutture abitative di età arcaica note a Roma e nelle immediate vicinanze permette di avvicinare i due edifici a domus a corte di un certo tenore (fig. III.45).209 Vedi il punto III.3.1.2., supra. Il confronto più stretto a livello planimetrico è dato dall’edificio arcaico V,1 rinvenuto all’Acqua Acetosa-Laurentina (Bedini 1981, pp. 253-257; Bedini 1990, p. 171) e da quello del Torrino (Bedini 1984, p. 86, fig. 2). 208 Vedi i punti II.3. e III.2., supra. 209 A questo proposito si veda Cifani 1998, pp. 54-55; Idem 2002, pp. 247-260 e Idem 2008, pp. 278-279 dove viene presentata una tipologia degli edifici rurali arcaici in base alle loro superfici. Ad un primo tipo che 206

207

De Grossi Mazzorin, Minniti 2010.

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III.43. Pianta schematica dei principali assi di percorrenza di età arcaica in diretto rapporto con il tracciato individuato nell'area del Foro di Cesare (disegno A. Delfino, V. Di Cola).

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III.44. Foro di Cesare. Periodo 1. I due edifici arcaici e le loro trasformazioni (600-inizi del IV sec. a.C.). Edifici 1 e 2. Pianta ricostruttiva con l'indicazione delle principali misure ricostruite (elaborazione grafica V. Di Cola).

Si tratta di una tipologia abitativa ampiamente attestata nel corso del VI secolo a.C. in Etruria e nel Lazio,210 che si caratterizza per la presenza di un ampio cortile rettangolare sul quale, inizialmente su uno, poi su tre lati, si affacciano i vari ambienti della casa; l’intero complesso è delimitato comprende piccole strutture con una superficie compresa tra i 20 e i 50 mq (come le “capanne“ arcaiche del Torrino) seguono altri due tipi compresi rispettivamente tra i 120 e i 300 mq (come l’edificio del Torrino, la prima fase dell’Auditorium e l’edificio V,1 dell’Acqua Acetosa Laurentina) e tra i 600 e i 1500 mq (come la seconda fase dell’Auditorium). Se al primo tipo è stato attribuito il termine moderno di casupole rurali e al secondo quello di fattoria, per il terzo è stato proposto quello di villa con un riferimento diretto alle grandi domus urbane. 210 I casi più conosciuti sono quelli di: Murlo (Nielsen, Phillips 1985, pp. 64-69); Acquarossa (Rystedt, Strandberg Olofsson, Wikander, Wikander 1985, pp. 41-58; Wikander, Wikander 1994, pp. 189-205); Regia (Brown 1974-1975, pp. 15-36; Brown, Scott 1985, pp. 186-188); Satricum (Maaskant-Kleibrink 1992, vol. I, pp. 95-100; vol. II, p. 128 e ss; Gnade, Stobbe 2012, pp. 454-462). Vedi da ultimo Argento, D’Alessio 2006a, pp. 72-98 e l’ipotesi ricostruttiva dell’edificio Ib7 individuato nel Santuario di Vesta, databile al 530/520 a.C.; Arvanitis 2010b, pp. 45-48. Un confronto molto interessante è costituito dal rinvenimento presso la domus Regia nel Santuario di Vesta di una struttura abitativa datata a partire dalla metà dell’VIII sec. a.C. Vedi Filippi 2004, pp. 101-121. Se la ricostruzione proposta dell’edificio con vani affacciati su una corte interna si rivelasse esatta si avrebbe un possibile modello di riferimento per tutti gli edifici urbani appartenenti a questa tipologia.

III.45. 1. Roma, loc. Acqua Acetosa Laurentina, Edificio V (da BEDINI 1990); 2. Roma, Auditorium, la fattoria (da CARANDINI ET AL. 2006); 3. Roma, Auditorium, la prima villa (da CARANDINI ET AL. 2006); 4. Roma, loc. Torrino, edificio (da BEDINI 1984).

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da un recinto in muratura. Una organizzazione degli spazi - casa e area antistante recintata - tipica del ceto dominante di questo periodo che permane sostanzialmente invariata fino almeno alla fine del VI sec. a.C.211

più avanti, nei riempimenti delle infrastrutture idriche, permette di ipotizzare tetti con coperture in tegole218 ed eventualmente decorazioni fittili. A questo riguardo proprio dal riempimento di uno dei pozzi posti nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice, proviene il frammento di una lastra in terracotta con teoria di cavalli del tipo Roma-VeioVelletri che potrebbe essere ricondotta alla decorazione architettonica di una delle due abitazioni, databili nel corso della fine del VI sec. a.C. (Fase C).219

Se la proposta ricostruttiva degli edifici del Foro di Cesare si rivelasse esatta si avrebbero due abitazioni che per dimensioni sarebbero comparabili con la fattoria e la villa rinvenute all’Auditorium. In particolare, il primo edificio sarebbe confrontabile con la fattoria di seconda fase,212 databile tra il 550 e il 500 a.C., mentre il secondo con la villa di prima fase,213 databile all’inizio del V secolo a.C.

Già da questi primi elementi (dimensioni, tecnica costruttiva, coperture in tegole, decorazione architettonica) sembra possibile evincersi un carattere elitario delle due strutture in questione e, quindi, un alto livello sociale dei suoi proprietari.

Se si tiene conto che le domus tardo-arcaiche (530/520 a.C. circa), rinvenute alle pendici settentrionali del Palatino sono state interpretate come grandi dimore di circa 800 mq abitabili (tra piano terra e piano superiore)214 risulta significativo il confronto con i due edifici del Foro di Cesare, specialmente con il secondo, nei quali il conteggio dei metri quadrati si riferisce ai soli pianterreni.

Tornando alle caratteristiche costruttive dei due edifici, si è visto che nel caso dell’Edificio 1, l’ipotesi di file di ambienti lungo i lati nord-est e sud-est è stata motivata dalla presenza di un focolare e di battuti di argilla che difficilmente possono essere immaginati in uno spazio privo di copertura; al contrario, l’assenza, ad esclusione del pozzo B, di qualsiasi traccia in un’ampia porzione di terreno posta a nord-ovest della fila di ambienti, ha permesso di ipotizzare in questo settore la corte. L’ingresso dell’abitazione, quindi, è stato ipotizzato dalla strada, attraverso un accesso posto all’estremità nord-ovest nel muro nord-orientale che costituiva uno dei lati del recinto della domus a corte.

Le due strutture, realizzate a ridosso del fianco collinare, erano costruite con basse fondazioni in blocchi irregolari e scheggioni di tufo granulare “cappellaccio” legati con argilla;215 sopra le fondazioni si impostavano direttamente i muri di zoccolatura, realizzati in blocchi squadrati di tufo “cappellaccio”.216 Per gli elevati dei muri, come si è visto, è stata ipotizzata una loro realizzazione in pisè217 mentre per i piani pavimentali è possibile immaginare che fossero realizzati in argilla eventualmente coperti da stuoie e tavolati lignei, come nel caso dell’Edificio 1.

Anche per l’Edificio 2 non sembra del tutto inverosimile ricostruire un’articolazione degli ambienti interni disposti ad “L” intorno a una corte/cortile. In questo caso, infatti, oltre all’individuazione dei muri perimetrali nord-ovest e nord-est e alla ricostruzione della fila di ambienti lungo questi due lati è stato possibile individuare alcune tracce relative alla loro articolazione. Si sono così potuti ricostruire almeno due vani (amb. 1 e amb. 2), ubicati in prossimità del lato nord-ovest e del lato nord-est, separati tra loro da muri divisori in blocchi o spezzoni di tufo disposti a secco. I piani di cottura in tegole e le pavimentazioni in ciottoli o frammenti di tegole stesi al loro interno, si trovavano ad una quota di poco più bassa rispetto a quelli dell’Edificio 1. Questa caratteristica si può spiegare con l’originario profilo collinare che al momento della realizzazione degli edifici ha determinato la creazione di terrazzi artificiali disposti a quote diverse.

Le alte percentuali di frammenti di tegole rinvenute nei livelli di distruzione dei due edifici e, come si vedrà Vedi da ultimo Carafa 2000c, pp. 266-274; Carandini 2006, pp. 587589; Filippi 2004, pp. 119-121. 212 Argento, D’Alessio 2006a, pp. 72-98, figg. 41-42. 213 Argento, D’Alessio 2006b, pp. 103-114 e pp. 141-158, figg. 71-72. 214 Carandini 1990, pp. 97-99; Carafa 2000d, pp. 237-250. Forti dubbi sull’ipotesi ricostruttiva delle domus tardo-arcaiche proposta da Carandini e dalla sua équipe sono espressi Moormann 2001; in Torelli 2011, pp. 25-26; Jolivet 2011, pp. 68-72; Coarelli 2012, pp. 287-288. 215 Per la datazione, in ambito domestico, a tutto il VI sec. a.C. della tecnica a scheggioni di tufo legati con argilla vedi Cifani 2008, p. 237. In area extra-urbana validi confronti per tecnica edilizia, provengono dall’abitato presso l’Acqua Acetosa Laurentina (Bedini 1990, pp. 171-173; Nijboer 2004, pp. 314-315), da Satricum (Gnade, Stobbe 2012, pp. 454462) e dal sito di Ficana-Monte Cugno (Jarva 1981, pp. 92-94; Pavolini 1981, pp. 258-268; Pavolini, Rathje 1981, pp. 76-82; Rathje 1983, p. 7 e ss.; Rathje 1985, pp. 164-172; Magagnini 1985, pp. 172-175; Pavolini 1990). Un confronto topograficamente molto vicino, infine, è dato dai resti di strutture di età arcaica messi in luce nel Giardino Romano in Campidoglio; vedi Danti 2001, pp. 328-332. 216 Cifani 2008, pp. 237-238. Anche quest’ultimo particolare invita ad una riflessione circa l’importanza dei due edifici in quanto si tratta di una tecnica costruttiva che per questo periodo (inizi VI sec. a.C.) dimostra una certa eccezionalità nel panorama finora conosciuto. Un riferimento puntuale per tecnica costruttiva e datazione è costituito dalla struttura Ib6.1 individuata nel Santuario di Vesta databile al 600-575 a.C. Vedi Turchetta 2010, p. 41. 217 Tale tecnica costruttiva sarebbe indiziata da piccoli incassi subcircolari sulla superficie superiore dei blocchi della zoccolatura e da resti di argilla concotta e tavole carbonizzate rinvenuti nel livello di incendio che investe gli edifici 1 e 2 all’inizio del IV secolo a.C. (vedi infra). 211

La notevole distanza - circa 6 m - tra il muro perimetrale nord-occidentale dell’Edificio 2 e il muro di fondo dei due ambienti permette di ipotizzare la presenza di uno spazio aperto, retrostante i vani posti su questo lato dell’abitazione (hortus?). Sull’uso delle tegole per copertura dei tetti e sulla loro diffusione in Italia centrale (Etruria e Lazio) a partire dalla metà del VII sec. a.C. vedi Wikander 1990 e Winter 1993. Nel caso di Roma il terminus ante quem non nell’uso delle tegole è fissato al 650 a.C. Vedi Colonna 1977a. La più antica domus con copertura in tegole rinvenuta alle pendici settentrionali del Palatino si data al terzo quarto del VII sec. a.C. Ammerman, Filippi 2004, p. 26. 219 Vedi il punto III.3.2.2., infra. 218

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Come si e visto, l’Edificio 2 doveva essere provvisto di una cisterna ipogea, alimentata da un canale di adduzione. L’ipotesi si è basata sul rinvenimento di alcuni blocchi di tufo “cappellaccio” intercettati dal taglio di fondazione della cisterna a tholos di IV secolo a.C. (vedi infra), rinvenuti ad una quota più bassa rispetto ai piani degli ambienti e sulla presenza di una canaletta la cui pendenza verso sud ha permesso di interpretarla come un’adduzione della struttura ipogea.220 La cisterna, presumibilmente a pianta rettangolare,221 trovandosi in prossimità dell’angolo formato dalle due file di ambienti posti lungo i lati nordovest e nord-est dell’edificio poteva essere alimentata dalle acque di gronda dei tetti, direttamente convogliate in un apposito canale. Questa struttura sembra essersi mantenuta in funzione fino alla prima metà del IV sec. a.C., quando, subito dopo la distruzione dell’Edificio 2, viene costruita al suo posto la cisterna a tholos.222

a circa due piedi e mezzo (0,75 m) dimostra che vi è stata un’osservanza strettissima di quanto stabilito dalle leggi delle XII Tavole, circa le regole sulla distanza che doveva intercorrere tra gli edifici.224 Come si è visto, entrambi gli edifici si affacciavano su una strada che per la sua marcata pendenza può essere interpretata come un clivus.225 Come nel caso dell’ambitus, anche in questo caso si ripropone la stretta concordanza con le Leggi delle XII Tavole, che prevedevano nei tratti in rettilineo una larghezza della carreggiata pari a 8 piedi da 27 cm (2,10 m).226 La tecnica costruttiva, una glareatio di ciottoli, frammenti di tegole e scaglie di tufo stesi su un preparato sabbioargilloso, trova ampi confronti in ambito urbano ed extra urbano.227 L’andamento del tracciato dimostra che questo, salendo dalla valle dell’Argileto, si dirigeva verso la porta Fontinalis, la cui ubicazione è stata riconosciuta ai piedi dell’Arx.228

Una ulteriore fila di ambienti era probabilmente disposta lungo il lato sud-orientale dell’Edificio 2, dalle caratteristiche analoghe a quelle ricostruite nell’Edificio 1. Anche per l’Edificio 2, l’ingresso è stato ipotizzato direttamente dalla strada principale, in corrispondenza dell’estremità sud-est del muro nord-orientale.

Se tale ricostruzione cogliesse nel segno, avremmo per l’età arcaica l’evidenza di almeno due percorsi stradali principali, che a quote diverse attraversavano in forte pendenza le pendici sud-orientali del Campidoglio: il clivus

Come accennato, l’abbondanza di tegole rinvenute negli strati di distruzione consente di ipotizzare, per entrambi gli edifici, un sistema di coperture in materiale fittile. Tuttavia, la scarsità di elementi a disposizione non ne ha reso possibile una ricostruzione precisa. Nel caso dell’Edificio 2, si può supporre una copertura autonoma per ciascun blocco di ambienti, il cui sviluppo planimetrico risulta abbastanza irregolare. I tre vani posti sul lato nord-orientale dell’edificio, in affaccio sulla strada, potevano essere coperti da un tetto a falda unica, displuviato verso la strada stessa. Un discendente avrebbe potuto raccogliere le acque di scarico, convogliandole nella canaletta di adduzione della cisterna. I quattro vani disposti lungo il lato nordoccidentale potevano essere ugualmente coperti da un tetto a falda unica, displuviato però verso l’interno della domus, servito da un discendente che avrebbe convogliato le acque di scarico direttamente nella cisterna.

Tabula VII, 1; Festo, De verb. Sign., s.v. ambitus (5L): Ambitus prope dicitur circuitus aedificiorum patens in latitudines pedes duos et semissem, in longitudinem idem quod aedificium: sed et eodem vocabolo crimen avaritiae vel affectati honoris appellatur. Festo, De verb. Sign., s.v. ambitus (15L): Ambitus proprie dicitur inter vicinorum aedificia locus duorum pedum et semipedis ad circumeundi facultatem relictus. Un’analoga misura (circa 80 cm) è riscontrabile tra i due edifici rinvenuti all’Acqua Acetosa-Laurentina (Bedini 1981, p. 252) e nello spazio che separa due edifici di Regisvilla (Tortorici 1981, p. 157, fig. 9). Sull’ambitus nell’accezione più vasta di spazio materiale, ideologico e giuridico si veda soprattutto Zaccaria Ruggiu 1995, pp. 191-195 e pp. 255-256, con amplia bibliografia di riferimento. Da ultimo, sull’argomento e sulla desuetudine alla norma che prevedeva spazi prestabiliti tra gli edifici, si veda Franchini 2005, p. 28 e ss. con ricca bibliografia giuridica e fonti di riferimento. 225 Degno di nota è il fatto che pochi metri più a sud della strada, verso le pendici della balza capitolina, si trova il tracciato stradale databile al Bronzo Finale (XII secolo a.C.) di cui si è parlato più sopra. 226 Tabula VII, 6: Viae latitudo, ex lege XII tab., in porrectum octo pedes habet, in anfractum id est ubi flexum est, sedecim. 227 Vedi Bedini 1979, p. 23; Tortorici 1981, p. 157, fig. 9; Scott 1988, p. 23; Zeggio 2005, p. 65; Carbonara, Ceracchi 2009, pp. 615-618. Un utile e puntuale confronto a livello costruttivo e cronologico è costituito dalla sequenza di battuti stradali del Vicus Vestae. Vedi Paolillo 2010, p. 37. Per un’ampia rassegna di strade arcaiche rinvenute a Roma e nel Lazio vedi Quilici 2000, pp. 73-82, con bibliografia di riferimento. 228 L’ubicazione della porta Fontinale ai piedi dell’Arx è stata stabilita per primo da Hülsen che la collocò davanti all’attuale ingresso del Museo del Risorgimento, dove oggi sono visibili i resti di mura in opera quadrata; Hülsen 1894, p. 411; Säflund 1932, p. 207. Tale collocazione è stata ribadita da Coarelli: vedi LTUR III, 1996, p. 328 ss (F. Coarelli); Coarelli 1997, pp. 251-258 e LTUR IV, 1999, pp. 180-185 (F. Coarelli). Da ultimo vedi Mazzei 1998 e Palombi 2005a, pp. 87-92 con ampia bibliografia di riferimento. Di recente è stata avanzata l’ipotesi che la Porta Fontinale sia da collocare all’angolo nord-orientale del Campidoglio, presso la sorgente del Tullianum e che quindi la strada individuata nell’area del Foro di Cesare si dirigesse verso una posterula delle mura capitoline; vedi Filippi 2012, pp. 148, 155, 189, n. 242 e tav. 4. La ricostruzione del tracciato stradale messo in luce dallo scavo lo rende del tutto simile, nel suo andamento e nella sua funzione di raccordo con la viabilità di fondovalle, al vicus che scendeva dal Quirinale, oggi ricalcato dalla Salita del Grillo. Vedi Bauer 1983, p. 116 e Idem 1985, pp. 229-240. Da ultimo vedi Pentiricci, Schingo 2000, p. 324. Anche in questo caso, la via che alcune ipotesi tendono ad identificare con il vicus Laci Fundani, permetteva di raccordare la sommità dei colli Muciale e Laziare con l’Argileto-Clivo Suburano. Vedi LTUR III, 1996, p. 167 e ss, (F. Coarelli) e da ultimo Palombi 2005a pp. 88-89. 224

Nel caso dell’Edificio 1, dove non sono state individuate, almeno in questa fase, tracce di canalizzazioni, si può solo supporre una soluzione analoga a quella dell’Edificio 2. La ricostruzione, tuttavia, potrebbe essere confortata dalla costruzione, nel periodo successivo, di una canalizzazione che attraversa il settore settentrionale dell’edificio dirigendosi verso la strada.223 Un’ultima osservazione riguarda l’ambitus. Come si è visto, si tratta di una stretta stradina (0,79 m) che separa i due edifici, più volte ricostruita. La sua larghezza corrispondente US 2505. La tipologia di questa cisterna è assimilabile a quella della domus 3 rinvenuta alle pendici settentrionali del Palatino. Vedi Carafa 2000b, pp. 229-232. 222 Vedi il punto III.3.2.1., infra. 223 Vedi il punto III.3.2.1., infra. 220

221

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Sulla scorta delle fonti letterarie, sappiamo che l’area alle spalle della Basilica Aemilia ancora in età mediorepubblicana era occupata da un vasto quartiere di abitazioni private che si estendeva fino alla zona delle Lautumiae occupando anche l’area del Foro di Cesare.236 Sembra verosimile, quindi, immaginare in questa zona un quartiere residenziale che in età arcaica fosse disposto su terrazzamenti artificiali ricavati lungo le pendici sudorientali del Campidoglio;237 un quartiere, pertanto, analogo nell’aspetto a quello sorto nello stesso periodo sul versante settentrionale del Palatino, digradante verso i margini nordorientali della piazza del foro.

Lautumiarum, più in alto229 e la strada in esame, più in basso. Si tratterebbe di due clivi che, partendo entrambi dalla Porta Fontinalis, raggiungevano il fondovalle: l’uno sboccando direttamente nella valle del foro e l’altro raccordandosi con l’Argileto.230 La presenza di domus affacciate su un clivo e separate da un ambitus, come quelle rinvenute nell’area del Foro di Cesare, unita all’evidenza di numerosi pozzi di captazione idrica, spesso molto ravvicinati fra loro,231 distribuiti nella zona (vedi supra), consente di ipotizzare un più vasto agglomerato di abitazioni, con caratteristiche simili al quartiere aristocratico di età arcaica individuato alle pendici settentrionali del Palatino.232

Le tracce di questo insediamento, che come vedremo in seguito, perdura senza soluzione di continuità fino alla costruzione dei complessi imperiali, sono riconoscibili in alcuni resti di strutture murarie in opera quadrata rinvenuti sotto i piani pavimentali della Curia238 e della Basilica Aemilia.239 In quest’ultimo caso può essere interessante il confronto con la struttura “e” individuata da Carettoni, datata genericamente tra il VI e il IV secolo a.C. e posta lungo il tracciato dell’Argileto ad una quota stimabile sugli 11 m s.l.m.240 Si tratta di un edificio a pianta rettangolare orientato in senso nord-est/sud-ovest, la cui tecnica edilizia - opera quadrata di tufo granulare “cappellaccio” - e la sua datazione, permettono di confrontarlo con i due edifici del Foro di Cesare. Tale confronto potrebbe essere ancora più stringente se la cisterna a tholos rinvenuta da Carettoni pochi metri a sud-est dell’edificio “e”, potesse essere messa in relazione con quest’ultimo. Se così fosse, avremmo un edificio dalle caratteristiche simili a quelli del Foro di Cesare, dove, come nel caso dell’Edificio 2, se una cisterna a tholos è sicuramente attestata per la fase di metà IV sec. a.C. (vedi infra), allo stesso modo una struttura con analoga funzione è ipotizzabile anche nella fase di VI sec. a.C. Pertanto, saremmo di fronte, sicuramente nel caso dell’Edificio 2 e verosimilmente anche nell’edificio “e”, ad abitazioni di un certo tenore provviste di infrastrutture idriche di grande portata.241

Sembra possibile, grazie agli elementi datanti a nostra disposizione, circoscrivere il progetto di questo nuovo quartiere residenziale in un ambito cronologico che la tradizione letteraria attribuisce al regno di Tarquinio Prisco (616-578 a.C.). Da Livio, infatti, sappiamo che fu per primo Tarquinio Prisco ad iniziare consistenti opere di bonifica nella valle del foro e ad operare vere e proprie lottizzazioni delle aree circostanti ad esso, assegnandole a persone ed amici (sodales) di un certo grado sociale, che per tale ragione occuparono i maggiori posti del potere.233 Allo stesso re, inoltre, è dovuto il raddoppiamento del numero dei senatori nella Curia.234 Si tratta di un momento epocale nello sviluppo urbanistico della città, dove a partire da questa data e per tutto il VI secolo a.C. si costruiscono impianti abitativi intensivi e regolari nelle aree limitrofe alla valle del foro.235 Proprio la zona retrostante la Curia, per la sua posizione ai margini di una delle aree più importanti del centro politico, costituisce uno dei luoghi meglio deputati all’insediamento di domus aristocratiche. Vedi Coarelli 1983, pp. 74, 154, 202; Idem 1985, pp. 60, 62, 67, 79, 153; LTUR I, 1993, p. 280, (C. Buzzetti, G. Pisani Sartorio). 230 Le quote del clivus Lautumiarum/clivus Argentarius, strada che correva ad ovest del Foro di Cesare con andamento nord-ovest/sud-est, sono attestate tra i 20.65 m circa. s.l.m., nella parte sud e i 25 m circa. s.l.m., nella parte nord. La quota ricostruita per il tratto più a nord della via, prossimo alla Porta Fontinale è di 27.90 m s.l.m. Vedi da ultimo Mazzei 1998, pp. 35-36 con bibliografia di riferimento. Da ultimo vedi Meneghini 2007a, p. 32. 231 Secondo quanto riferisce Vitruvio (De Arch. VIII 1), la presenza nella stessa area di più pozzi vicini e comunicanti tra loro tramite cunicoli, si giustifica con la necessità di sfruttare al meglio la falda acquifera. Nell’area del Foro di Cesare e in particolare nella zona del Tempio di Venere Genitrice sono stati individuati in passato numerosi pozzi di captazione e molti altri potrebbero ancora non essere stati scoperti. Per tale ragione è possibile considerare il versante sud-orientale del Campidoglio come un’area ricca di acqua che analogamente ad altre aree della città (Velia, Foro Romano, Quirinale) è stata sfruttata intensivamente. 232 Carandini 1990, pp. 97-99; Carafa 2000e, pp. 260-266; Bruno 2012, p. 222, tavv. 62 e 63. 233 Liv., I 38, 6 […] et infima urbis loca circa forum aliasque interiectas collibus convalles, quia ex planis locis haud facile evehebant aquas, cloacis fastigio in Tiberim ductis siccat[…]; Liv., I 35, 10 Ab eodem rege et circa forum privatis aedificanda divisa sunt loca; porticus tabernaeque factae. 234 Liv., I 35, 6 […] nec minus regni sui firmandi quam augendae rei publicae memor centum in patres legit qui deinde minorum gentium sunt appellati, factio haud dubia regis cuius beneficio in curiam venerant. 235 Carandini 1990, p. 82; Quilici 1990, p. 38; Pallottino 1993, pp. 205213; Cornell 1995, p. 130; Carandini 1997, pp. 580-582; Carafa 1998, pp. 121-125; Carafa 2000c, p. 274; Zaccaria Ruggiu 2003, p. 248 e ss. 229

I due edifici del Foro di Cesare, non sembrano subire modifiche di rilievo sino alla fine del VI sec. a.C., quando, In un passo di Livio relativo all’incendio del 210 a.C., lo storico fa menzione esplicita di privata aedificia distrutti dalle fiamme, ubicati sul sito in seguito occupato dalla basilica Emilia (Liv., XXVI 37, 2-4). Sull’estensione dei privata aedificia nell’area del Foro di Cesare vedi Zevi 1991, pp. 475-476. 237 Resti di muri di sostruzione in opera quadrata di “cappellaccio”, datati in età arcaica, sono stati rinvenuti nell’area del Carcer-Tullianum. Vedi Fortini 1998, pp. 46-50; Eadem 2000, pp. 325-326. 238 Bartoli 1963, p. 33, nota 3; vedi da ultimo: Amici 2005, p. 369 e fig. 25. 239 Carettoni 1948, pp. 118-119 ep. 127; Morselli, Tortorici 1989, pp. 72-80. 240 Il piano della struttura “e” è posto da Carettoni a circa 3,40 m di profondità rispetto al pavimento imperiale della Basilica Emilia, la cui quota assoluta è attestata sui 14,40 m s.l.m. (rilievo S.A.R.A. Nistri). Vedi Carettoni 1948, pp. 127; Coarelli 1985, pp. 135-136. 241 La presenza di cisterne sia a sezione ogivale che a pianta rettangolare all’interno di edifici privati di età arcaica è stata segnalata in più occasioni nel caso di Fidenae e del suo territorio: vedi in particolare: Belelli Marchesini, Di Gennaro 1990, p. 158; Di Gennaro, Messineo 1986 (1988), p. 697. Nel caso di Roma, la stessa relazione è riscontrabile nelle domus rinvenute alle pendici settentrionali del Palatino, datate, come si è 236

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Lo scavo e la ricostruzione

come si è visto, alcuni interventi attestano una più ampia ristrutturazione dell’area. L’operazione, infatti, ha interessato non solo i due edifici ma anche la strada su cui questi si affacciavano, che viene ripavimentata e impostata ad una quota più alta. Nel caso delle due abitazioni sembra evincersi che gli interventi si siano concentrati sul restauro delle strutture murarie, mantenendo inalterata la disposizione degli ambienti.

che i carboni analizzati possono provenire da travi lignei pertinenti al tetto degli edifici o da carpenterie relative agli stessi, tale datazione ben si attaglierebbe con legname vecchio di una quarantina d’anni andato a fuoco nei primi decenni del IV secolo a.C., permettendo di conseguenza di circoscrivere a questa data la distruzione delle due abitazioni. Per queste e altre ragioni che considereremo nel IV capitolo, può essere avanzata l’ipotesi che le tracce dell’incendio individuato siano da mettere in relazione con le distruzioni operate dai Galli durante la presa di Roma del 390 a.C.

La datazione di questa fase, 525-500 a.C., riconduce la ristrutturazione al regno di Tarquinio il Superbo (530 circa-509 a.C.) con il quale si da avvio all’ultima e più grande stagione edilizia del periodo regio, che conferirà alla città un aspetto monumentale.242 Se per il restauro dei due edifici è lecito pensare ad un rifacimento delle loro parti dovuto al fatto che si trattava di strutture vecchie di ottant’anni, nel caso della ripavimentazione della strada è possibile ricondurre tale intervento nell’ambito di una più generale riqualificazione della zona sulla quale sappiamo che i Tarquini esercitavano uno stretto controllo.243

3.2. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.) 3.2.1. Descrizione delle attività (A. Delfino) All’incendio che devasta gli Edifici 1 e 2, segue una prima fase di risistemazione dell’area (Fase A). Gli strati di macerie vengono sgomberati e parte di essi gettata all’interno dei tre pozzi arcaici, situati a nord-ovest dell’Edificio 1 (settore G), che per questo motivo cessano di funzionare. Contestualmente, vengono ripristinati, a quota leggermente più alta, i percorsi stradali funzionali in questa prima fase alle operazioni di bonifica dell’area.

Il periodo 1 si chiude con la distruzione degli Edifici 1 e 2 e della strada, investiti da un violento incendio. L’analisi con il metodo del 14C mediante AMS su sette campioni di carboni lignei, ha restituito una serie di date non calibrate la cui combinazione statistica restituisce una datazione al 2393 ± 15 BP; la stessa combinazione è stata applicata ai risultati ottenuti dalla calibrazione di tutti i campioni analizzati che, con un livello di confidenza del 95,4 % (2σ), ha permesso di ottenere una datazione in anni calendariali compresa tra il 520 BC e il 400 BC.244 Ora, l’esame nel dettaglio dei singoli diagrammi conferma che vi è un’alta probabilità che tale datazione possa essere ulteriormente circoscritta alla fine del V secolo a.C., il che fornirebbe un valido termine post quem per l’incendio dei due edifici. A questo dato, già di per sé abbastanza puntuale, va ad aggiungersi quello della datazione su base ceramica sia degli strati di colmata posteriori all’incendio, sia della fase edilizia seguente che si data a partire dalla prima metà del IV sec. a.C., fornendo di conseguenza un sicuro termine ante quem dell’evento in questione.245 L’alta deperibilità agli agenti atmosferici dello strato di bruciato, inoltre, induce a credere che la colmata di bonifica stesa al di sopra debba essere stata accumulata non molto tempo dopo questo avvenimento. Considerando

Successivamente viene attuata una vera e propria ristrutturazione (Fase B). Si gettano in più punti colmate di terreno volte a bonificare l’area, che rialzano sensibilmente i piani di calpestio. Il materiale ceramico ha permesso di datare il periodo a partire dalla prima metà del IV sec. a. C. L’asse stradale di età arcaica che scendeva verso l’Argileto viene riallestito ad una quota più alta, ricalcando il tracciato più antico. Tuttavia, in luogo del consueto acciottolato, la nuova strada viene pavimentata con lastre di tufo “cappellaccio” e assume per la prima volta un andamento in piano. La sua costruzione comporta la scomparsa della crepidine che correva lungo il lato nord-orientale dell’Edificio 1, obliterata dal deposito di colmata funzionale al rialzamento della nuova strada. Subito dopo viene costruito un condotto di deflusso delle acque in lastroni di tufo “cappellaccio”, che attraversa nel primo tratto il settore nord-est dell’Edificio 1; la nuova infrastruttura taglia in parte la fondazione del muro perimetrale nord-orientale dell’edificio e corre parallela al lato sud della strada (settore B).

visto, al 530/520 a.C. In questo caso si ha l’evidenza di ben due cisterne, una a pianta quadrangolare, all’interno della domus 3 e l’altra circolare, all’interno della domus 1. Carafa, Munzi 2000, pp. 216-218 e Carafa 2000b, pp. 229-231. Sempre collegate con abitazioni di un certo livello e databili in età tardo-arcaica, sono tre cisterne rinvenute nell’area sud-ovest del Palatino. Si tratta di strutture scavate nella roccia e rivestite di blocchi di tufo granulare “cappellaccio”, delle quali una a pianta rettangolare rinvenuta sotto l’edificio a nord dell’Auguratorium, le altre, di forma cilindrica con probabile copertura a ogiva, individuate rispettivamente presso una domus arcaica sotto la casa di Livia e presso l’angolo nordest del podio del Tempio della Vittoria. Vedi da ultimo, con bibliografia di riferimento, Pensabene 2000, p. 74 e Pensabene, Falzone 2001, in particolare p. 4 e ss. 242 Pallottino 1993, pp. 269-289; Cornell 1995, pp. 92-103; Carafa 1998, pp. 125-131; Carafa 2000e, pp. 260-266. 243 Dion. Hal., IV 42, 1-5. Pallottino 1993, pp. 272-273; Zaccaria Ruggiu 2003, pp. 309-315 con bibliografia di riferimento. 244 Vedi Appendice, infra. 245 Vedi i punti III.3.1.2. e III.3.2.2., supra.

Anche l’Edificio 2 subisce alcune modifiche al suo impianto. I lati nord-est e nord-ovest vengono totalmente ricostruiti (settori B e C), impiegando per la prima volta grandi blocchi parallelepipedi di tufo perfettamente squadrati, sia in fondazione che in elevato. Inoltre, si registra una sensibile trasformazione dell’articolazione interna dell’edificio. Una volta rialzati i piani di calpestio, nel settore settentrionale si

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Forum Iulium

III.47. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase A. La sistemazione dell’area distrutta (post 380 a.C.) La strada. Dettaglio del piancito stradale (US 1703=1519).

diventa estremamente difficoltosa, a causa della rasatura dell’area operata dal cantiere cesariano; tale operazione, come più volte ricordato, ha asportato quasi del tutto le fasi edilizie che giacevano sopra la quota di cantiere del foro (14 m circa s.l.m.).

III.46. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase A. La sistemazione dell’area distrutta (post 380 a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Fase A - La sistemazione dell’area distrutta: post 380 a.C. (fig. III.46) In questa fase, nella quale possiamo immaginare un vero e proprio cantiere volto alla riqualificazione dell’area, vengono sgomberate le macerie causate dall’incendio e si ripristinano i principali assi di percorrenza tramite pianciti temporanei. Durante questa operazione, alcune strutture idriche fino a quel momento funzionanti vengono obliterate definitivamente.

procede alla stesura di una pavimentazione in lastre di tufo finemente tagliate; a poca distanza da questa, viene allestito un nuovo focolare, anch’esso in lastre di tufo. La trasformazione più evidente che interessa l’Edificio 2, tuttavia, è costituita dalla costruzione di una grande cisterna a tholos, ubicata nell’area in parte corrispondente al bacino idrico quadrangolare della fase precedente (settori C e F).

La dismissione dei pozzi arcaici presso il Tempio di Venere Genitrice (settore G)

Anche nell’area a nord-est dell’Edificio 2 (settore F) è attestata una nuova fase edilizia, testimoniata dalla costruzione di un pozzo (pozzo C), forse da mettere in relazione con un altro edificio che sorgeva al di là della strada.

A seguito delle distruzioni causate dall’incendio, si rende necessario lo sgombero delle macerie. All’interno dei tre pozzi di età arcaica vengono scaricate grandi quantità di detriti edilizi che ne determinano la cessazione d’uso. I detriti sono costituiti per lo più da carboni e materiali edilizi, in particolare frammenti di tufo e tegole con vistose tracce di bruciature, immersi in un deposito di cenere.246

Infine, viene ripavimentato l’ambitus. Tra il III sec. a.C. e la seconda metà del II sec. a.C. vengono effettuate alcune operazioni per la canalizzazione delle acque piovane, attestate dall’alloggiamento di due tubuli fittili nell’area di confine tra i due edifici (Fase C). Tali condutture scaricavano entrambe nel condotto in lastre di tufo che corre a lato della strada.

Gli assi di percorrenza L’asse viario diretto all’Argileto viene rimesso in funzione, gettando una colmata di terreno a matrice sabbiosa

A partire da questo momento e fino alla costruzione del Foro di Cesare, la lettura della sequenza stratigrafica

Att. 30; pozzo 1: UUSS 2006, 2019, 2020, 2021; pozzo 2: UUSS 2023, 2041; pozzo 3: UUSS 2004, 2031, 2033, 2038, 2039, 2040. Vedi il punto III.3.2.2., infra. 246

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Lo scavo e la ricostruzione

In questa fase si procede ad una bonifica dell’area che rialza i piani di frequentazione e prepara alla ricostruzione dei due edifici. Nella stessa fase si da avvio al ripristino dell’asse stradale su cui continuano ad affacciarsi i due edifici e alla costruzione di nuove infrastrutture di servizio. L’Edificio 1 Ripristinati i piani stradali funzionali allo smantellamento e alla ricostruzione degli edifici, vengono stesi su tutta l’area depositi di colmata a matrice argillosa, mista a frammenti di tegole e frammenti di tufo. Nella zona corrispondente all’Edificio 1 una serie di strati di colmata251 rialza il piano di calpestio fino alla quota di 14.02 m s.l.m. (vedi fig.19b). Sopra il temporaneo piancito stradale steso precedentemente252 viene deposta una nuova colmata che raggiunge la quota variabile di 13.70 – 14 m s.l.m.253 Dopo questa operazione, la crepidine posta sul lato nord-orientale dell’Edificio 1 viene coperta definitivamente (fig. III.50). Entro tali colmate viene fondato un condotto di deflusso delle acque,254 che attraversa trasversalmente il muro nordorientale dell’Edificio 1 (fig. III.51). Il condotto, proveniente dall’area centrale dell’edificio, presenta un andamento spezzato con pendenza da ovest verso sud-est; uscita dall’edificio la struttura prosegue parallelamente al lato meridionale della strada. Il piano di scorrimento è realizzato impiegando lastre di tufo granulare “cappellaccio” di forma rettangolare (0,80 x 0,55 x 0,14 m) sulle quali si impostano due spallette in blocchi parallelepipedi dello stesso materiale (0,70 x 0,50 x 0,15 m); la copertura è costituita da analoghi lastroni rettangolari disposti di piatto (0,83 x 0,60 x 0,27 m). Complessivamente il condotto misura 0,42 m di altezza x 0,42 m di larghezza.

III.48. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase A. La sistemazione dell’area distrutta (post 380 a.C.). Veduta da nord-est dell'ambitus.

ben compattata247 sulla quale viene steso un piancito di frammenti di tegole (fig. III.47).248 Il deposito viene steso a diretto contatto dello strato di bruciato, coprendo parzialmente anche la crepidine presente sul lato nordorientale dell’Edificio 1 (vedi fig. III.19a). La quota del nuovo piancito stradale si attesta tra i 13.85 e i 13.40 m s.l.m., mantenendo più o meno invariata la forte pendenza della strada precedente (7%). L’apprestamento è funzionale alle operazioni di bonifica e di sistemazione dell’area, necessarie per la ricostruzione.

Una volta costruita la struttura, il cavo di fondazione viene riempito con due strati a matrice argillosa misti a frammenti ceramici e frammenti di tufo.255 Colmata e realizzazione del pozzo C (settore F) Anche nella porzione sud-est dell’area di scavo vengono stesi analoghi depositi256 che coprono le precedenti strutture257 ed entro i quali viene fondata la nuova fase edilizia. In quest’area, infatti, viene realizzato un pozzo (pozzo C),258 di cui è stata messa in luce l’imboccatura (14.10 m s.l.m.; diam.: 0,60 m circa), costituita da una serie di lastre di tufo granulare “cappellaccio” di forma trapezoidale disposte di piatto (vedi fig. III.49 e fig. III.52).

Contemporaneamente e per lo stesso scopo, viene ripristinato l’ambitus che separa gli Edifici 1 e 2 (vedi fig. III.19b). Questo è delimitato dal muro nord-ovest dell’Edificio 2 e da quello sud-est dell’Edificio 1. Il nuovo piancito (13.75 m s.l.m.)249 viene steso su un allettamento di strati sabbiosi250 ed è costituito quasi esclusivamente da frammenti di tegole disposte di piatto, immerse in una matrice sabbiosa (fig. III.48).

Att. 31; UUSS 1371, 1372, 1373 e 1327. Vedi il punto III.3.2.2., infra. Att. 28. 253 Att. 31; UUSS 1702, 1736, 1732=1737. 254 Att. 32; US 1330. 255 Att. 32; UUSS 1521=1709 e 1530=1706. 256 Att. 31; UUSS 2105, 2100, 1987, 1968=1969, 1988. Vedi il punto III.3.2.2., infra. 257 Att. 16. 258 Att. 33; UUSS 1908, 1909, 1952, 1953, 1996.

Fase B - La costruzione: seconda metà del IV sec. a.C. (fig. III.49) 247 248 249 250

251

252

Att. 28; UUSS 1704, 1738. Att. 28;US 1703=1519. Att. 29; US 1786. Att. 29; UUSS 1782 e 2310.

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Forum Iulium

III.49. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

III.50. Foro di Cesare. Settore B. Veduta della parete nordorientale dello scavo.

III.51. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 1. Veduta da nord-est del condotto di deflusso delle acque.

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Lo scavo e la ricostruzione

III.52. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Dettaglio dell'imboccatura del pozzo C.

III.54. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio del muro perimetrale nord-occidentale dell'edificio e dell'ambitus.

nuovo tracciato stradale viene imposto un andamento orizzontale, alla quota costante di 13.85 m s.l.m. L’Edificio 2 All’interno dell’Edificio 2 si effettuano alcune modifiche che prevedono lo smantellamento del muro divisorio tra gli ambienti 1 e 2264 e la deposizione di strati di colmata funzionali al rialzamento dei livelli d’uso (vedi fig. III.27).265 Si procede, quindi, alla ricostruzione dei muri perimetrali dell’edificio, impiegando blocchi parallelepipedi di tufo granulare “cappellaccio”. L’operazione ha previsto il rifacimento integrale del muro perimetrale nord-orientale e il ripristino di quello perimetrale nord-occidentale (figg. III.53 e III.54).

III.53. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio del muro perimetrale nord-orientale dell'edificio.

Il pozzo, individuato e solo parzialmente scavato, taglia la canaletta in lastre di tufo259 di età arcaica.

Il muro nord-orientale poggia su una fondazione in blocchi parallelepipedi di tufo (0,87 x 0,46 x 0,61 m), accuratamente squadrati e disposti di taglio.266 La fondazione viene realizzata tagliando gli strati della colmata precedentemente stesa.267 Alloggiati i blocchi, il cavo di fondazione viene riempito con uno strato a matrice sabbio-argillosa.268 Sopra la fondazione, quindi, si costruisce l’elevato in blocchi parallelepipedi di tufo di cui quello messo in luce dallo scavo (0,31 m di altezza x 0,57 m di larghezza),269 costituisce lo stipite di un’apertura.

Allestimento di una nuova strada Direttamente sulla superficie della colmata,260 viene allestita una nuova strada261 con orientamento analogo a quella della fase precedente (vedi fig. III.19a). Vengono impiegate per la prima volta lastre di tufo granulare “cappellaccio” di forma approssimativamente rettangolare, disposte di piatto.262 La crepidine sud-ovest della strada è costituita dai blocchi di copertura del condotto di deflusso delle acque263 che corre parallelo ad essa. Al 259 260 261 262 263

US 1643. Att. 31; UUSS, 1513, 1522, 1533, 1093; UUSS 1681, 1601, 1646=1647, 1648=1651=1652, 1656, 1657, 1658, 1659, 1665, 1666, 1619=1612=1618=1645, 1649. Vedi il punto III.3.2.2., infra. 266 Att. 35; UUSS 1045 e 1046. 267 Att. 31; UUSS 1513, 1522, 1533, 1093. 268 Att. 35; US 1515. 269 Att. 35; US 1047. 264

265

Att. 16. Att. 31; US 1702. Att. 34; UUSS 1510 e 1711. Le lastre hanno uno spessore variabile tra i 15 e i 23 cm. Att. 32.

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Forum Iulium

Il muro nord-occidentale viene realizzato impiegando analoghi blocchi parallelepipedi (0,87 x 0,46 x 0,61 m), alloggiati di taglio sulla superficie di distruzione del muro precedente.270 Solidali ai blocchi del muro nord-occidentale, sul lato sud-est, ne vengono impostati perpendicolarmente altri due di fattura analoga.271 Ultimata la ricostruzione delle strutture portanti, nella porzione settentrionale dell’edificio viene allestita una nuova pavimentazione in lastre di tufo granulare “cappellaccio” (13.80 m circa s.l.m.).272 Le lastre, di forma rettangolare (0,82 x 0,55 x 0,12 m), sono messe in opera direttamente sullo strato di colmata;273 il loro lato lungo è perpendicolare al muro perimetrale nord-orientale dell’edificio (fig. III.55).274 La connessione fra le singole lastre viene assicurata dalla lavorazione ad anathyrosis dei margini verticali. Il margine rialzato a squadro visibile sul lato lungo di una delle lastre, attesta il limite originario della pavimentazione. La presenza, inoltre, di un taglio di forma semicircolare sul margine della stessa lastra,275 indica probabilmente l’esistenza di una soglia successivamente asportata.

III.55. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio della pavimentazione in lastre di tufo.

Alla stessa quota della pavimentazione e a poca distanza da questa viene allestito un piano di cottura276 costituito da lastre rettangolari di tufo disposte di piatto (fig. III.56). Nella porzione sud-est dell’edificio viene costruita una cisterna semi-ipogea, a pianta circolare, con copertura a falsa cupola (fig. III.57).277 La struttura è realizzata scavando una grande fossa circolare (diam. 6,40 m circa; prof. 4 m circa),278 che taglia sia lo strato di colmata steso all’interno dell’Edificio 2279 sia le infrastrutture idriche precedenti,280 sia il muro divisorio dei due ambienti.281 Le pareti della cisterna sono costruite in filari sovrapposti di blocchi parallelepipedi di tufo granulare “cappellaccio”, resi concavi sulla faccia vista interna; sull’ultimo filare viene impostata la copertura a falsa cupola (figg. III.58 e III.59). Quest’ultima, conservata per quattro filari, è costruita in blocchi trapezoidali di tufo “cappellaccio” (0,86 x 0,58 x 0,27 m); i piani di posa sono inclinati verso l’interno, rastremati verso l’alto e resi concavi sulla faccia vista interna. La sommità della cupola era provvista di un foro apicale (diam. 0,40 m), sagomato nei blocchi della copertura e rivestito da una vèra fittile (fig. III.60). Il fondo, concavo, è stato scavato direttamente nel banco naturale di argilla fino a raggiungere la quota di 10.40 m s.l.m. Il diametro interno della cisterna misura 3,75 m mentre l’altezza complessiva conservata è di 3,62 m (altezza delle 270 271 272 273 274 275 276 277 278 279 280 281

III.56. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Pianta composita di dettaglio del focolare (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

pareti: 2,50 m circa; altezza della copertura conservata: 1,10 m). Una volta completata la struttura, lo spazio presente tra le pareti della fossa di fondazione e i muri della cisterna viene riempito con uno strato di argilla sterile, con funzione di intercapedine.282

Att. 35;UUSS 998, 999. Att. 35; 1012, 1014. Att. 36; UUSS 1030, 1077, 1078, 1079, 1080, 1081. Att. 31. US 1047. US 1505. Att. 37; US 1300. Att. 38; US 1945. Att. 38; US 1603. Att. 31; US 1601. La cisterna rettangolare Att. 7 e la canaletta di adduzione Att. 8. US 1643.

L’ambitus Dopo la ricostruzione del muro perimetrale nordoccidentale dell’Edificio 2, viene stesa, tra questo e il muro 282

98

Att. 38; UUSS 1602=1668=1691 e 2142=2152.

Lo scavo e la ricostruzione

III.57. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Pianta composita di dettaglio e sezione ricostruttiva della cisterna a tholos (rilievo C. Baione, R. Catone, G. Del Buono, V. Di Cola).

III.58. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Veduta da sud-ovest della cisterna a tholos tagliata dalla fondazione cesariana; sulla sinistra il taglio di fondazione della cisterna.

sud-orientale dell’Edificio 1, una preparazione di strati a matrice argillosa;283 sopra di essa, quindi, viene sistemata una massicciata di scapoli di tufo284 che rialza il piano fino ad una quota di 14 m circa s.l.m. (vedi fig. III.19b). Sopra il nuovo piano viene alloggiata, in posizione inclinata verso il condotto di deflusso,285 una lastra rettangolare di tufo granulare “cappellaccio”.286 La lastra, con superficie

III.59. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio della copertura a pseudo cupola della cisterna.

Att. 39; UUSS 1744, 1767 e 1771. Vedi il punto III.3.2.2., infra. Att. 39; US 1743. 285 Att. 32. 286 Att. 40; US 1772;. Le misure originarie della lastra sono: largh.: 40 cm; spessore: 8 cm; lunghezza: non misurabile. 283 284

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Forum Iulium

III.60. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio dei blocchi nei quali è stato sagomato il foro apicale.

superiore concava, è pertinente ad una canaletta di deflusso delle acque di gronda degli edifici (fig. III.61). Fase C - Modifiche all’impianto di deflusso: III- II sec. a.C. (fig. III.62) Le tracce riconducibili a questa fase sono piuttosto labili e si riducono essenzialmente ad interventi di allaccio, tramite tubazioni fittili, al condotto di deflusso delle acque parallelo alla strada. In considerazione della totale assenza di stratigrafie relative ad essi e in base alla loro posizione stratigrafica si è potuta fornire solo una datazione di massima che è compresa tra il III e il II secolo a.C.

III.61. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase B. La costruzione (seconda metà del IV sec. a.C.). L’ambitus. Dettaglio della canaletta di deflusso delle acque.

Le condutture fittili In uno dei lastroni della copertura del condotto di deflusso in lastre di tufo287 viene inserito, in posizione verticale, un tubulo fittile in impasto chiaro sabbioso (diam.: 17 cm; lungh. conservata: 40 cm).288

a vasellame ceramico e il 46,7% (=2.235 frr.) ad altre categorie di oggetti (figg. III.63 e III.64 e Tab. 16).

Contemporaneamente, in corrispondenza del lato sud-ovest dello stesso condotto, viene alloggiato un altro tubulo fittile pertinente ad una più lunga conduttura (diam. 17 cm).289 La nuova conduttura, che taglia il muro perimetrale nordorientale dell’Edificio 1, è stata alloggiata all’interno della colmata di bonifica stesa precedentemente.290

Vanno considerati residui e pertinenti alle fasi più antiche di occupazione degli edifici l’impasto, l’impasto bruno, la ceramica etrusco-corinzia, a figure nere e i fornelli. Contestuali al momento della distruzione sono il bucchero, la ceramica depurata acroma e dipinta, a vernice nera etrusca, a vernice rossa, d’impasto sabbioso, da cucina, l’Internal slip ware, le anfore, i dolia e i bracieri. Contestuali alla fase di ricostruzione dell’area sono la ceramica a vernice nera, a vernice nera sovradipinta, a vernice rossa, d’impasto sabbioso, da cucina e l’Internal slip ware. L’unico frammento di parete sottile va considerata un’intrusione dai contesti cesariani che hanno obliterato gli strati qui in discussione. Da notare il notevole aumento delle presenze di ceramica a vernice rossa e di Internal slip ware tra la Fase A e B, segno che siamo nel momento in cui queste due classi si affermano e sviluppano, come vedremo meglio più avanti.

Vista la loro collocazione, i due condotti dovevano probabilmente far parte del sistema di smaltimento delle acque del fronte verso la strada dell’Edificio 1. 3.2.2. I reperti ceramici (H. Di Giuseppe) Periodo 2. La ristrutturazione dell’area e i reperti ceramici (390/380-120 a.C.) I materiali del Periodo 2 ammontano nel complesso a 4.784 frammenti di cui il 53,3% (= 2.549 frr.) pertinente

Tra i materiali non ceramici si rivela la presenza di tegole con tracce di forte esposizione al calore e abbondanti grumi di argilla concotta.

Att. 32. 288 Att. 41; US 1062. Inzeppati tra il tubulo e il lastrone di copertura sono stati rinvenuti dieci frammenti ceramici (vedi Tabella 16, infra). 289 Att. 41; US 1555. 290 Att. 31; US 1372. 287

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Lo scavo e la ricostruzione

III.63. Confronto percentuale tra le classi ceramiche del Periodo 2, fasi A-C (totale frr. 2.549).

III.62. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Fase C. Modifiche all’impianto di deflusso (III-II sec. a.C.). Infrastrutture idriche esterne all’Edificio 1. Pianta composita e veduta da nord-est (rilievo S. Bianco, V. Di Cola). III.64. Confronto percentuale tra i reperti non ceramici del Periodo 2, fasi A-C (totale frr. 2.235).

Periodo 2. Fase A. La sistemazione dell’area distrutta (390/380-350 a.C.)

seconda metà/fine del V e la prima metà del IV sec. a.C.291 Svilupperemo in seguito gli argomenti che ci guidano verso il restringimento di questa prima datazione alla prima metà del IV sec. a.C.

I pozzi Le operazioni di ripristino dell’area in seguito all’incendio che devasta l’intero quartiere consistono in una serie di azioni volte a dismettere infrastrutture idriche e a creare nuovi piani di calpestio che obliterino i resti del disastro e innalzino nel contempo la quota generale su cui ricostruire.

La cultura materiale documentata è piuttosto povera in termini di varietà di classi e di forme ed è composta per lo più da ceramica da cucina, d’impasto sabbioso, impasto rosso tardo, fornelli e dolia. Le ceramiche fini, di gran lunga meno attestate, sono presenti con forme di bucchero grigio di pessima qualità, di ceramica depurata acroma e dipinta e a vernice rossa. Mancano quasi del tutto le ceramiche fini d’importazione e il vasellame a carattere rituale, quali i vasetti miniaturistici, il che ci porta ad anticipare almeno due considerazioni. Siamo in presenza di un quartiere

Innanzitutto si procede al riempimento dei tre pozzi arcaici (settore G) che, evidentemente, da questo momento in poi non vengono più utilizzati per la captazione della falda idrica. Non è facile datare i riempimenti, in quanto molte delle forme di ceramica comune e fine appartengono a tipi di lunga durata. Tuttavia la presenza dello stesso tipo di macerie che ritroviamo nello strato di incendio al di sopra della strada, lascia presupporre che la chiusura sia avvenuta nella fase di bonifica e ripristino dell’area, ovvero tra la

Nonostante in fase di scavo ogni riempimento sia stato distinto in varie unità stratigrafiche, nell’ambito dei singoli pozzi il materiale viene presentato in maniera unitaria per classi, essendo state riscontrate connessioni tra frammenti deposti in strati situati a diverse altezze. 291

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Forum Iulium

pienamente abitativo e le attività di obliterazione non appaiono, almeno per quanto possiamo ricostruire dai dati parziali in nostro possesso, essere avvenute con modalità rituali. La pressoché totale assenza di ceramiche attiche tra i servizi obliterati all’interno dei pozzi ci induce a stabilire che ci troviamo comunque in una fase successiva alla metà del V sec. a.C., quando in seguito alla legge delle XII tavole che vietava l’ostentazione del lusso in ambito funerario, l’accumulo dei beni preziosi, tra cui verosimilmente anche le ceramiche d’importazione sembra verificarsi prevalentemente in ambito santuariale.292 Lo studio dei reperti ci guida verso l’individuazione dello stato sociale medio-alto degli abitanti delle domus che qui si trovavano. Come vedremo, la distribuzione dei materiali all’interno dei tre pozzi è piuttosto disomogenea dal punto di vista morfologico/funzionale, indizio forse che servivano tre domus distinte dotate di servizi diversi o piuttosto che siano pertinenti ad un’unica abitazione la cui suppellettile è stata tesaurizzata nei tre pozzi? E’ un aspetto su cui varrà la pena interrogarsi, non trascurando il fatto che i pozzi sono stati parzialmente rasati in occasione degli interventi cesariani – come dimostra anche qualche intrusione di quel periodo – e che nessuno di essi è stato scavato completamente per motivi di sicurezza, per cui i dati che vengono pubblicati sono incompleti. E’ possibile anticipare fin d’ora che i materiali dei Pozzi 1 e 2 appartengono al pieno V sec. a.C., mentre quelli del pozzo 3 sembrano più esplicitamente spingersi verso la prima parte del IV sec. a.C.

III.65. Pozzo 1. Confronto quantitativo dei rinvenimenti (totale frr. 938).

III.66. Periodo 2. Fase A. Riempimento del pozzo 1 (USS 2006, 2019, 2020, 2021). Ceramica da cucina. 43: bacino. Ceramica d’impasto sabbioso. 45-46: bacini. Internal slip ware. 46: olla. Dolio: 47. Anfora: 48. (disegno H. Di Giuseppe).

Pozzo 1 Il pozzo 1 ha restituito 938 reperti tra cui il 9,8% (=92 frr.) è costituito da ceramica e il 90,2% (=846 frr.) da resti di macerie (tegole, coppi, scorie, lastra architettonica), oggetti d’uso quotidiano (macine) e resti di pasto (ossi) (fig. III.65).

47)297 e un’anfora chiota (fig. III.66, 48).298 I reperti di lunga durata si datano tra la fine del VI e il IV sec. a.C.

Tra il vasellame ceramico sono stati rinvenuti un bacino in ceramica da cucina (fig. III.66, 43)293 e due in impasto sabbioso (fig. III.66, 44294-45295), un’olla in Internal slip ware (fig. III.66, 46),296 un’olla o piccolo dolio (fig. III.66,

Sono presenti anche parti di macine granarie a trazione manuale che rimandano alle attività domestiche praticate nelle domus vicine e un’unica lastra architettonica con raffigurazione di cavallo in rilievo di epoca arcaica (fig. III.67; vedi infra), verosimilmente pertinente agli edifici privati di cui ne qualifica lo status.

Vedi a tal proposito Colonna 1977b. US 2006=2019. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 223, n. 623 (500-475/450 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 46, 188 (600-400 a.C.); Roma, Auditorium: sim. Argento 2006, tav. 14, 113 (500-575/450). 294 US 2006=2019. Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 7, 74 (600-400 a.C.). 295 US 2006=2019. Il tipo appartiene ai bacini con orlo ingrossato e cordone plastico digitato sulla parete esterna: Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 17, C.1-10 (550-350/325 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 19, 150-153 (550-350/300). Il nostro esemplare, però, non trova un confronto preciso per via dell’inclinazione dell’orlo a fascia e della distanza della cordone plastico dall’orlo. 296 US 2006=2019. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 63 a (550200 a.C.); Satricum: Bouma 1996, tav. XCXI, 664 (440/430-375 a.C.); Antenne: Buonfiglio 1994-1995, fig. 101, 8-9 (500-200 a.C.); Veio: Lucidi 2009, fig. 13, 2 (500-200 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 32, B.7 (550-350/325 a.C.); Narce: Potter 1976, fig. 98, 868 (400-240 a.C.); Caere, Vigna Parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, ka 3.1. 292 293

L’olla in Internal slip ware induce ad abbassare la cronologia del deposito almeno alla fine del V se non alla prima metà del IV sec. a.C. per ragioni su cui torneremo più US 2006=2019. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 10, 80a-b (450350/300) con collo più lungo e dritto o tav. 20, 159 (600-400) in impasto sabbioso; Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 45, 37 (320-300 a.C.); Roma, Prima Porta: Messineo 1989-90, fig. 296, 27 (600-300 a.C.); Antenne: Buonfiglio 1994-1995, fig. 101, 22-24 (600-400 a.C.); Ardea, Casarinaccio: Arena 2005a, tav. XVII, 857 (650-400 a.C.). Simile anche a un tipo veiente realizzato in impasto rosso, con collo più lungo e più dritto del nostro esemplare: Veio: Giuliani 2009, fig. 6, 6. 298 US 2006=2019. Caere: Boss 1993, fig. 521, L31 (600-580); Vulci: Rizzo 1990, fig. 376, t.7 (625-570 a.C.). 297

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Lo scavo e la ricostruzione

avanti con una più ampia riflessione. Nel riempimento del pozzo 1, come del resto nel pozzo 3, è notevole la presenza di una gran quantità di scorie d’argilla e di tegole con una faccia interessata da estese tracce di fusione. Questa risultanza, molto diversa dagli scarti di fornace che tendono ad assumere un colore verde e un aspetto pietrificato, lascia pensare che si tratti di tegole che hanno subito una forte esposizione al calore, non in fase di cottura, ma in fase di vita, quando cioè svolgevano la loro funzione di elementi di copertura e vanno pertanto ricondotti alle macerie causate dall’incendio che ha interessato la strada prospiciente le domus e parte delle abitazioni stesse. Lastra arcaica (fig. III.67) Il riempimento del pozzo 1 comprendeva anche una lastra architettonica dipinta in rosso e decorata nella parte conservata da un cavallo in rilievo in movimento verso sinistra.299 Del cavallo restano parte della testa, in cui si intravede l’attacco dell’orecchio sinistro e la criniera resa in maniera schematica tramite intagli paralleli.300 La muscolatura del volto e del collo è appena accennata; sono visibili parti di finimenti e di due mani nell’atto di tenere strettamente le redini, particolare che lascia intuire la presenza di un individuo al galoppo verso sinistra. L’esiguità del frammento non consente un’attribuzione specifica, tuttavia, in base ai confronti, è facilmente ricostruibile una scena di processione o ludus di cavalieri al galoppo, motivo ornamentale molto diffuso in età arcaica, ad esempio, sulle lastre del gruppo “Roma-Veio-Velletri”, tradizionalmente attribuito a officine veienti o a maestranze itineranti e databili all’ultimo quarto del VI sec. a.C.301 In questo gruppo di solito la scena centrale viene interpretata da processioni di cavalieri a piedi, al galoppo e alla guida di bighe (tutti rivolti a sinistra o a destra a seconda dei punti di convergenza), oppure da cortei nuziali e da banchetti mentre le parti basse e alte possono essere definite rispettivamente da un listello liscio o decorato e da una cornice a baccellature colorate.302 Nelle processioni note la presenza di uno scudo di solito copre interamente le mani, mentre nel nostro caso queste sono libere, lasciando intuire che si tratta di individui comunque non armati.

III.67. Pozzo 1. Frammento di lastra architettonica.

edifici abitativi di rango sociale elevato che ne restituiscono testimonianza. Rispetto all’opinione comune che voleva le lastre fittili appartenenti esclusivamente a luoghi di culto, i rinvenimenti della Regia di Roma, Acquarossa, Murlo e di molti altri siti che si sono andati aggiungendo ad una casistica sempre più ricca nel tempo, tra cui da ultimo è da menzionare il caso della cisterna di Piazza d’Armi a Veio,304 è stato possibile dimostrare che esse potevano decorare, almeno all’inizio, indistintamente luoghi di culto e edifici palaziali appartenenti a re e principi (regiae o anaktora).305 Il cavaliere al galoppo sulla lastra del pozzo 1, per quanto la sua presenza sia solo supponibile, permette, dunque, di ipotizzare che siamo di fronte ad un soggetto ben preciso dall’esplicito significato ideologico, verosimilmente riconducibile alla sfera dei capi di potenti gentes consolidatesi in coincidenza con il ruolo politico-miltare assunto dalla cavalleria nel corso del VI sec. a.C.306

L’uso di decorare gli edifici pubblici e privati con fregi in rilievo si afferma tra la fine del VII e il VI sec. a.C., probabilmente seguendo influssi greco-orientali.303 Sia Roma, sia l’intera area etrusco-laziale accolgono pienamente tale moda, come dimostrato da luoghi di culto e

In base a queste osservazioni si pone il problema della possibile attribuzione della lastra a un edificio templare o palaziale. A Roma, il luogo più vicino in cui sono state rinvenute lastre con cavalieri è la zona intorno al Comizio;307

Pozzo 1. US 2006=2019. H. cons. 10, largh. cons. 9, sp. cons. 2 cm. Ringrazio Nancy Winter per le osservazioni sulla lastra. 300 Una resa analoga, anche se i confronti non sono puntuali, sono nelle lastre di Palestrina (Andrén 1940, pp. 373-374, pl. 115.406) e di Velletri (Andrén 1940, pp. 409-410, pl. 126-127.442-446). 301 Andrén 1971-1974; Battistelli 1990, p. 95 con ampia bibliografia; Torelli 1997. Vedi ora anche il gruppo di Caprifico in Palombi 2010a. 302 Per i rinvenimenti a Roma di scene in cui sono presenti cavalli vedi Andrén 1940, p. 324 e ss., pl. 104.370-371, pl. 105.373.375-377. Per questo tipo di lastre in genere vedi Andrén 1940, pl. 4.6-12 (Caere); pl. 22.75 (Tarquinia); pl. 24.85-88 (Tuscania); pl. 25.89-91 (Poggio Buco); pl. 57.188 (Vignanello); pl. 115.406 (Palestrina); pl. 126-127.442-446 (Velletri); pl. 137.484-487 (Satricum); Battistelli 1990, pp. 92-95. 303 von Mehren 1997, p. 219. 299

ten Kortenaar, van Kampen 2009, pp. 59-61, fig. 36; vedi anche a Roma: area della cisterna arcaica nei pressi della casa di Livia (Battistelli 1990, p. 92, scheda 4.11-13, 4.19, 4.24, 4.26); area sud-ovest della casa di Livia (Battistelli 1990, p. 94, scheda 4.21), afferenti a edifici abitativi. 305 Su questi argomenti vedi gli importanti articoli di Torelli 1997, pp. 88, 111 e ss. e Menichetti 1994, pp. 95-100. Vedi anche Cifani 2008, p. 251. 306 Così Torelli 1997, pp. 89 e 111. 307 Gantz 1974; Cristofani 1987, pp. 95-97, fig. 1. 304

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nei pressi dell’area di scavo, invece, non è nota la presenza di edifici di culto né da indagine archeologiche né dalle fonti letterarie. Inoltre, nessun oggetto nei riempimenti dei tre pozzi arcaici rimanda a funzioni votive o anche semplicemente di natura rituale. Al contrario, l’associazione della lastra a vasellame d’uso domestico, macine granarie e macerie provenienti dalla distruzione per incendio degli Edifici 1 e 2, permettono di ipotizzare che essa facesse parte della decorazione architettonica di una delle due dimore qui scavate o, comunque, situate non lontane dall’area della ricerca. La lastra poteva far parte di un fregio di eques al galoppo che decorava la parte terminale delle falde di copertura convergenti verso la corte centrale di uno degli edifici. In base alla cronologia proposta per questo tipo di lastre (ultimo quarto del VI sec. a.C.), è possibile pensare che l’apparato decorativo sia stato allestito non nella prima fase di costruzione degli edifici, ma nella seconda, quando tutta l’area subisce un’opera di risistemazione che coinvolge anche il clivus e che in base ai materiali abbiamo genericamente inquadrato verso la fine del VI sec. a.C. Se accettiamo questa ricostruzione, abbiamo un ulteriore elemento per ipotizzare l’appartenenza delle due dimore a potenti gentes dell’aristocrazia romana, come del resto farebbe pensare anche la vicinanza al foro e la ricostruzione della pianta a corte centrale, tipica delle dimore principesche di tradizione orientale ed etrusco-italica.308

III.68. Pozzo 2. Confronto quantitativo dei rinvenimenti (totale frr. 509).

III.69, 57)316 confrontabile con forme datate tra la seconda metà del V sec. a.C. e la prima metà del IV sec. a.C.; la ceramica da cucina, invece, è presente con elaborazioni tarde di olle legate alla tradizione dell’impasto rosso e a quella arcaica (fig. III.69, 58,317 59,318 60-61,319 62320), e con un bacino (fig. III.69, 63)321 genericamente inquadrabili tra VI e V sec. a.C. Varie di queste forme rimangono in uso fino al pieno IV sec. a.C. (vedi ad esempio fig. III.69, 56, 57, 62).

Pozzo 2

Pozzo 3

Il pozzo 2 restituisce 509 reperti, tra cui il 76,4% (=389 frr.) è costituito da ceramica e il 23,6% (=120 frr.) da macerie (tegole) e resti di pasto (ossi) (fig. III.68).

Il pozzo denominato 3, ha restituito 1.109 reperti, tra cui il 54% (=599 frr.) è costituito da ceramica e il 46% (=510 frr) da macerie (tegole, reperti fusi), scarti di produzione (scorie metalliche, scarti di fornace), oggetti d’uso quotidiano (pesi da telaio, fornelli) e resti di pasto (ossi) (fig. III.70). La ceramica d’uso comune è prevalente rispetto a quella da banchetto. Dei tre pozzi è quello che contiene reperti che più degli altri si spingono verso il pieno IV sec. a.C.

La ceramica fine è presente con una patera (fig. III.69, 49),309 scodelle (fig. III.69, 50,310 51-52,311 53,312 54313) e un’olpetta (fig. III.69, 55)314 in bucchero grigio inquadrabili tra il VI e il pieno V sec. a.C. e con una coppa dall’orlo ingrossato a mandorla dubitativamente in ceramica depurata dipinta in rosso o in vernice rossa (fig. III.69, 56),315 rimasta in uso per un lungo periodo di tempo tra il V e il III sec. a.C. e realizzata anche in bucchero, ceramica depurata e, in seguito, in ceramica a vernice nera. La ceramica d’impasto sabbioso è rappresentata da una ciotola con orlo a fascia (fig.

Tra le ceramiche fini sono presenti coppe (fig. III.71, 64322-

US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 19, 155 (450-400 a.C.); Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 45, 58 (450-375 a.C.); Veio: Merlo 2009a, fig. 17, 7 (500-400 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 18, D.10 (550350/325 a.C.); Gravisca: Gori, Pierini 2001a: tav. 2, 23 (450-380 a. C.). Sulla cronologia di questa forma e sulla sua evoluzione morfologica vedi anche Merlo 2009b, pp. 356-357. 317 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 3, 28 (630-590 a.C.); Veio: Giuliani 2009, fig. 6, 3 (520-400 a.C.). 318 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 5, 47b (600-500 a.C.). 319 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 4, 35 (550-490 a.C.); Antenne: Buonfiglio 1994-1995, fig. 101, 34 (600-400 a.C.); Veio: Giuliani 2009, fig. 7, 2 (620-490 a.C.). 320 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 65a (550-350/300 a.C.); Veio: Bartoloni 2004, fig. 5, 113 (510-480 a.C.); Caere, Vigna Parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, ka 1.13. 321 US 2023. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 223, n. 621 (530/20-500); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 14, 113 (500470/450 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 45, 186 (550-400 a.C.). 322 US 2039. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 84, 398 (550/525-400 a.C.); Roma, Casa delle Vestali (Pozzo C): Gusberti 2010, fig. 38, 16 (575-525 a.C.). 316

Per un’ampia casistica vedi il punto III.3.1.4., infra. US 2023. Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 3, B.8 (550-350/325 a.C.). 310 US 2023. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 85, 399 (550-500 a.C.). 311 US 2023. Rossi, Valerio 2001, tav. 84, 398 (550/525-400 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 4 (550-400 a.C.); Roma, Casa delle Vestali (Pozzo C): Gusberti 2010, fig. 38, 10 (575-525 a.C.). 312 US 2023. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 86, 408; Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 3 (550-500 a.C.); Roma, Casa delle Vestali (Pozzo C): Gusberti 2010, fig. 38, 20 (575-525 a.C.). 313 US 2023. Roma, Palatino (Magna Mater): sim. Falzone, Rossi 2009, fig. 5, 5 (625-580 a.C.). 314 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 2 (550-525 a.C.). 315 US 2023. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 2, 18 (550-300 a.C.); Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 44, 28 (420-380 a.C.); Veio: Bartoloni 2004, fig. 5, 5 (580-480 a.c.); Gravisca: Gori, Pierini 2001b, tav. 61, 663 (400-200 a.C.). 308

309

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Lo scavo e la ricostruzione

III.69. Periodo 2. Fase A. Riempimento del pozzo 2 (UUSS 2023, 2041). Bucchero. 49: patera, 50-54: scodelle, 55: olpetta. Ceramica depurata dipinta. 56: coppa. Ceramica d’impasto sabbioso. 57: bacino. Ceramica da cucina. 58-62: olle, 63: bacino.

65323) in bucchero grigio che nascono in epoca arcaica ma rimangono in uso per tutto il V e parte del IV sec. a.C.; una coppa in ceramica depurata dipinta decorata con motivo puntinato (fig. III.71, 66),324 un’olpetta in ceramica depurata (fig. III.71, 67)325 e un’olla in impasto rosso (fig. III.71, 68).326 L’ampia cronologia del contesto compresa tra la seconda metà del VI e il V/IV sec. a.C. è restringibile al primo quarto/metà del IV sec. a.C. grazie a due frammenti di kylikes in ceramica a vernice nera attica (fig. III.71, 69)327 e a una probabile lekythos in ceramica depurata dipinta (fig. III.71, 70).328 Tale datazione non sembra in contrasto con il resto del riempimento.

del V e il IV sec. a.C., come una brocca (fig. III.71, 71)329 con orlo ad arpione, rinvenuta in esemplare unico, che non compare prima della metà del V sec. a.C. e che faceva verosimilmente servizio con bacini dall’ampio diametro (fig. III.71, 72330-73331) utilizzati per contenere liquidi (acqua, latte) o derrate varie e un mortaio per impastare ingredienti (fig. III.71, 74).332 Tra la ceramica da cucina è prevalente l’impiego delle olle (fig. III.71, 75,333 76,334 77,335 78,336 79,337 80,338 81,339 82340), ciotole/coperchio US 2038. Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 30, 270 (450200 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 20, F4 (530-350/325 a.C.). Ardea, Casarinaccio: Merlo, Kortenaar 2005, tav. II, 77, 84 (450-300 a.C.). Questo tipo di brocca nella villa dell’Auditorium è spesso associato con i bacini d’impasto sabbioso: Di Giuseppe 2006b, p. 504. 330 US 2039. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 245, n. 683 (500-475/450 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 59, 251 (450-400 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 17, 138a (550-450 a.C.). 331 US 2033. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 249, n. 678 (500-475/450 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 17, 148 (550-475/450 a.C.); Fidene: di Gennaro et al. 2009, fig. 19, 9 (520-300 a.C.). 332 US 2033. Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 63, 268 (550-350 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 20, 157 (450-375 a.C.); Caere, Vigna Parrocchiale: Nardi 1993, fig. 582, N 11b.2; Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 3, 47 (600-400 a.C.). 333 US 2004. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 5, 51 (600-500 a.C.). 334 US 2031. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 9, 71 (500-400/350 a.C.); Veio: Giuliani 2009, fig. 6, 9. 335 US 2039. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 10, 77 (500-350/300 a.C.). 336 US 2039. Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 32, B14 (530-350/325 a.C.). 337 US 2038. Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 15, 4 (530-350/325 a.C.) ma in ceramica depurate dipinta; Veio: Merlo 2009a, fig. 17, 10 (500-400 a.C.) in impasto sabbioso. Tale forma non trova confronti puntuali tra la ceramica da cucina, ma appare accostabile alle olle stamnoidi molto diffuse in epoca medio-repubblicana: vedi ad esempio Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 30, 267 (400-200 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 22, I3 (530-350/325 a.C.). 338 US 2038. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 67 (530-350/300 a.C.); Caere, Vigna Parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, ka 21.2. 339 US 2038. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 63a (550-200 a.C.); Caere, Vigna parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, ka 13.1. 340 US 2004. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 7, 62a (550-300 a.C.); Satricum: Gnade 1992, fig. V, 52a2 (500-400 a.C.); Caere, Vigna parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, ka 3.6. 329

Sono attestate forme d’impasto sabbioso databili tra la metà US 2040. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 84, 396 (550-400 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 9 (500-400 a.C.); Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 44, 13 (520-380). Alessia Argento non esclude il protrarsi dell’uso di questo tipo di coppa con orlo a sezione quadrangolare anche per parte del IV sec. a.C. in base alla sua presenza cospicua negli strati posteriori alla fine del V sec. a.C.: Argento 2010, p. 75, nota 6. L’osservazione sembrerebbe confermata anche dai reperti dell’US 1366 dello scavo del Foro di Cesare, databili nel complesso alla seconda metà del IV sec. a.C. e comprendenti questa forma di coppa tra gli esemplari in bucchero ancora in circolazione (vedi infra). 324 US 2004. 325 US 2004. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 17 (450-300 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 73, 330 (500-300 a.C.); Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 45, 54 (450-350 a.C.); Veio: Ambrosini 2009a, fig. 29, 385 (300-250 a.C.), fig. 30, 401 (300-250 a.C.). 326 US 2038. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 4, 37 (550-500/450 a.C.); Roma, Casa delle Vestali e Tempio di Vesta (Area X): Argento 2010, fig. 45, 36 (375-325 a.C.); Veio: Giuliani 2009, fig. 6, 1 (520-400 a.C.). 327 US 2004. Sparkes, Talcott 1970, fig. 5, 513 o 515 (400-375 a.C.); Morel 4221 e1 (400-350 a.C.). 328 US 2039. Gravisca: sim. Gori, Pierini 2001b, tav. 65, 715; Tarquinia: Bagnasco Gianni 1999, tav. 57, 10 (epoca arcaica e ellenistica); assimilabile a Morel 5416 d1 (ca. 350 a.C.) ma anche a olla stamnoide di Satricum: Stibbe 1992, fig. XXI, 60.30 (ca. 480 a.C.). Questo tipo di recipiente, altrimenti definibile olpetta o olpetta lekythoide, deriva da forme in bucchero e viene usata dalla fine del VI alla metà del III sec. a.C. prevalentemente in ambito rituale e funerario. Il nostro esemplare potrebbe essere l’antecedente di un tipo di olpetta documentata nella cisterna di Portonaccio a Veio: Ambrosini 2009a, fig. 35, 453. Per un’ampia tipologia si rimanda a: Ambrosini 2009a, pp. 168-189. 323

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Forum Iulium

III.70. Pozzo 3. Confronto quantitativo dei rinvenimenti (totale frr. 1.109).

III.71. Periodo 2. Fase A. Riempimento del pozzo 3 (USS 2004, 2031, 2033, 2038-2040). Bucchero. 64-65: coppe. Ceramica depurata dipinta. 66: coppa. Ceramica depurata acroma. 67: olpetta. Impasto rosso. 68: olla. Ceramica attica a vernice nera. 69: kylix. Ceramica depurata dipinta. 70: lekythos? Ceramica d’impasto sabbioso. 71: brocca, 72-74: bacini. Ceramica da cucina. 75-82: olle, 83-84: ciotole. 85: bacino. 86-87: testi/clibani. (disegno H. Di Giuseppe).

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Lo scavo e la ricostruzione

(fig. III.71, 83-84)341 e bacini (fig. III.71, 85,342 86,343 87344), alcuni dei quali (fig. III.71, 86-87) interpretabili per morfologia dell’orlo, ampiezza del diametro e presenza di foro sfiatatoio come testi o clibani, ovvero coperchi che venivano coperti di brace per la cottura di focacce (libum o turunda) sub testu su tegole riscaldate.345 Nel complesso le forme documentate nel pozzo 3 sono in uso tra la metà/fine del VI e tutto il V sec. a.C., spingendosi in alcuni casi fino a tutto il IV sec. a.C. La presenza di alcuni frammenti databili entro la prima metà del IV sec. a.C. (fig. III.71, 69-70) permette di immaginare che tutti i materiali nel pozzo siano in fase e che anche quelli apparentemente più antichi fossero ancora in uso nella prima parte del IV sec. a.C., anche se non più prodotti. Si segnalano tra i rinvenimenti scarti di cottura, grumi di argilla e scorie di metallo (fig. III.72a) che rimandano ad attività produttive indicate nell’area da vari altri reperti, come un bacino con orlo ingrossato a fascia (fig. III.72b, vedi anche fig. III.69, 57) in impasto sabbioso diffuso fin dall’epoca arcaica, con particolare attestazione nei contesti di seconda metà V-inizi IV sec. a.C., rinvenuto in uno degli strati di bonifica.346

III.72. Periodo 2. Fase A. Pozzo 3. A. Grumi di argilla fusa e scarti di cottura. B. Scarto di cottura di bacino di impasto sabbioso in cui si riconosce la forma in Fig. 69, 57.

l’impiego del legno e di materiale deperibile doveva essere particolarmente diffuso.347

Alcune riflessioni

La difficoltà di datare questa fase (soprattutto metà V-metà IV sec. a.C.), come abbiamo visto, è legata al fatto che siamo nel pieno di quel periodo definito oscuro della storia del Lazio e del Mediterraneo in genere, caratterizzato da una profonda crisi sociale, economica, demografica e ambientale,348 che trova riscontri anche nell’estrema povertà della cultura materiale se messa a confronto con la ricchezza e la varietà delle classi ceramiche e delle forme della seconda metà VI-prima metà V e della seconda metà IV-prima metà del III sec. a.C.

Per sintetizzare, la maggior parte dei rinvenimenti depositati nello strato di incendio e nei pozzi è genericamente inquadrabile tra la fine del VI e il V sec. a.C., ma significative sono le presenze di forme databili tra la seconda metà/fine V e prima metà del IV sec. a.C. (vedi soprattutto i Pozzi 2 e 3). Le tegole parzialmente fuse e le scorie rinvenute sia nello strato di incendio sia entro i pozzi lasciano presumere che questi ultimi siano stati riempiti con le macerie accumulatesi a seguito dell’incendio stesso che ha investito la strada e le aree limitrofe.

Fatta questa premessa, come sopra anticipato, siamo costretti a mettere in dubbio che il vasellame contenuto nello strato d’incendio possa aiutarci a puntualizzarne la cronologia non solo per il suo ampio periodo d’uso, ma anche perché situato in giacitura secondaria. Infatti si tratta di un servizio perfetto per la preparazione e cottura di alimenti liquidi e di focacce, rinvenuto in ottimo stato di conservazione che difficilmente, però, ha la sua collocazione naturale al centro di una strada di importante percorrenza.349 Ci troviamo ad 1,5 m dalla cucina dell’Edificio 1, nel cui angolo sudorientale è stato rinvenuto un focolare coperto da cenere ma privo di materiale ceramico. È dunque probabile che il vasellame sia scivolato in strada per trascinamento a seguito dei crolli causati dall’incendio o che vi sia stato sparpagliato

È doveroso chiedersi se è possibile restringere ulteriormente tale cronologia, molto ampia a causa dei materiali di lunga durata, e di quale incendio possa trattarsi, visto che molti ne dovevano scoppiare in una città come Roma, in cui

US 2004, 2039. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 13, 103 (500350/300 a.C.); Caere, Vigna parrocchiale: Rendeli 1993, fig. 503, kc 7.2; Ardea, Casarinaccio: Ulisse 2005, tav. V, 15, 33 (500-300 a.C.). 342 US 2004. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 223, n. 621 (530/20-500 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 45, 186 (550-400); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 14, 113 (500-475/450 a.C.). 343 US 2004. Roma, S. Omobono: Colonna 1963-1964, fig. 13, 129 (575500 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 45, 186 (530/520-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 13, 111 (500-475/450 a.C.); Ardea, Casarinaccio: Arena 2005b, tav. XIII, 438 (620/580-300 a.C.). 344 US 2004. Roma, Palatino (Magna Mater): D’Alessio 2001, tav. 45, 186 (530/520-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 13, 107 (575-500 a.C.); Ardea, Casarinaccio: Arena 2005b, tav. XIII, 441 (620/580-300 a.C.). 345 Cato De Agricultura 75. Vedi Cubberley et al. 1988; Zifferero 2004, p. 260. 346 US 1366. 341

Ad esempio in epoca tardo-repubblicana se ne registrano vari avvenuti nel giro di pochi anni: 83, 50, 38, 31 26, 25, 23, 14, 12, 7 o 6, 3 o 2 a.C.: Biffi 2001, p. 19 con relative citazioni di fonti letterarie. 348 Vedi contributi in Crise et transformation 1990. Per la media valle del Tevere vedi Di Giuseppe, Witcher 2004 pp. 5-13; Di Giuseppe 2005, pp. 1058-1059; Eadem 2008, pp. 438-442 e più in generale Lepore 1988. 349 I frammenti rinvenuti sono di grandi dimensioni e in alcuni casi sono state rinvenute le connessioni tra i pezzi; è pertanto assai probabile che altri frammenti utili a ricomporre le forme intere giacciano ancora nella porzione di incendio non scavata. 347

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fatto che quasi ovunque il massetto su cui si imposta il foro si trova direttamente a contatto con gli strati di bonifica alla base del quartiere stesso. Pertanto la datazione di tali azioni risulta preziosissima in quanto fornisce un termine ante quem per l’incendio e un termine post quem per la costruzione del quartiere repubblicano distrutto da Cesare. La bonifica Gli strati di bonifica stesi al di sopra dell’incendio (fig. III.73) contengono alcuni materiali provenienti dall’incendio stesso evidentemente parzialmente rimaneggiato e altri provenienti dall’area limitrofa, come patere (fig. III.74, 88),351 piatti (fig. III.74, 89)352 e coppe (fig. III.74, 90353-91354) in bucchero grigio, la cui produzione continua fino al IV secolo avanzato con orli che si presentano ormai estremamente semplificati; scodelle e coppe in ceramica depurata acroma (etrusco-corinzia?) (fig. III.74, 92),355 dipinta (fig. III.74, 93356-94357) e a vernice rossa (fig. III.74, 95),358 inquadrabili tra il VI e la seconda metà del V/IV sec. a.C. Tra la ceramica fine si annovera anche un’olla in impasto rosso piuttosto antico (fig. III.74, 96).359 La ceramica comune è rappresentata da forme di lunga durata, alcune delle quali chiaramente residue, altre rimaste in circolazione per tutto il V e in alcuni casi anche IV sec. a.C., come i bacini in impasto sabbioso con orlo a fascia ingrossata (fig. III.74, 97)360 di seconda metà V sec. a.C. e oltre. Di lunga durata anche la ceramica da cucina, come alcune delle olle (fig. III.74, 98,361 99,362 100,363 101,364 102365), scodelle (fig. III.74, 103366-104367) e un bacino (fig. US 1703. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 85, 403 (550-400 a.C.). 352 US 1703. Rasmussen piatto type 3, tav. 40, 245 (420-400). 353 US 1703. Rasmussen calice type 2b, tav. 27, 134 (625-600). 354 US 1703. Roma, Palatino (Magna Mater): Rossi, Valerio 2001, tav. 85, 399 (550-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 1, 4 (550400 a.C.). 355 US 1703. Tarquinia: Bagnasco Gianni 1999, tav. 47, 11 (600-500 a.C.); sim. Bruni 2009, tav. XLVIII, 255-256. 356 US 1702. Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 64, 275-276 (580-350 a.C.); Gravisca: Gori, Pierini 2001b, tav. 59, 630 (400300 a.C.); Tarquinia: Chiaramonte Trerè 1999, tav. 44, 24; Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 8, A.27 (550-350/325 a.C.). 357 US 1703. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 2, 18 (550-300 a.C.); Tarquinia: Bagnasco Gianni 1999, tav. 49, 4 (600-400 a.C.). 358 US 1703. Tarquinia: sim. Bagnasco Gianni 1999, tav. 53, 7 o 11 (600500 a.C.); sim. Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 43, 33, fig. 91, 74 (320-280 a.C.). 359 US 1702. Roma, Palatino (pendici settentrionali): Carafa 1995, p. 99, n. 201 (630-500 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 3, 28 (630590 a.C.); Roma, Palatino (Magna Mater): Falzone 2001, tav. 23, 108 (600-550 a.C.). 360 US 1703. Roma, Palatino (Magna Mater): Angelelli 2001, tav. 63, 269 (550-400 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 19, 155 (450-400 a.C.). 361 US 1702. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 65b (500-350/300 a.C.). 362 US 1702. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 4, 40 (550-500 a.C.). 363 US 1703. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 4, 36 (550/530-520 a.C.) in impasto rosso. 364 US 1703. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 5, 50 (600-500 a.C.). 365 US 1703. Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 32, B14 (530-350/325 a.C.); Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 9, 69c (500-350/300 a.C.). 366 US 1702. Roma, Palatino (Magna Mater): sim. D’Alessio 2001, tav. 46, 189; Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 8, A.2 (550-350/325 a.C.) in ceramica depurata. 367 US 1703. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 90 (550-400/350 a.C.). 351

III.73. Diagramma della sequenza stratigrafica relativa allo scavo del clivus su cui si affacciano gli Edifici 1 e 2. La sequenza comprende, a partire dal basso, il rifacimento del clivus (fine VI sec. a.C.), l’incendio (420-390/380 a.C.), gli strati di bonifica post-incendio (390/380-350 a.C.), la ricostruzione del clivus (prima metà IV sec. a.C.?) e i piani di cantiere cesariano (1366=1507=1700 sotto il massetto) che rimescolano strati di frequentazione repubblicana (di metà IV sec. a.C.).

per qualche ragione: in entrambi i casi vasellame e incendio sarebbero contemporanei. Tuttavia non possiamo nemmeno escludere che tali vasi siano stati presi da altri contesti e qui accumulati nella fase del ripristino dell’area. Ben più utili ai fini di una precisazione cronologica dell’incendio, oltre ai riempimenti dei pozzi che ne contenevano in parte le macerie, sono gli strati di bonifica stesi a coprire i resti dell’evento distruttivo con lo scopo di creare un piano di cantiere, su cui mettere in opera il nuovo asse stradale e il quartiere di epoca repubblicana arrivato fino a noi solo attraverso labili resti. Infatti sappiamo da Cicerone350che Cesare per la costruzione del suo foro rasò al suolo case private e altre strutture di epoca repubblicana, e che l’opera fu sistematica e drastica è testimoniato dal 350

Cic., Ad Att. IV 16, 18.

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Lo scavo e la ricostruzione

III.74. Periodo 2. Fase A. Strati di bonifica. Bucchero. 88: patera (US 1703), 89: piatto (US 1703), 90-91: coppe (US 1703). Ceramica depurata. 92: scodella (US 1703). Ceramica depurata dipinta. 93-94: coppe (USS 1702-1703). Ceramica a vernice rossa. 95: coppa su piede? (US 1703). Impasto rosso. 96: olla (US 1702). Ceramica d’impasto sabbioso. 97: bacino (US 1703). Ceramica da cucina. 98-102: olle (US 1702, 1703), 103-104: scodelle (USS 1702, 1703), 105: bacino (US 1702), 106: braciere (US 1703), 107: fornello (US 1702), 108: sostegno? (US 1703). (disegno H. Di Giuseppe)

III.74, 105).368 Tra lo strumentario d’uso quotidiano sono presenti fornelli (fig. III.74, 106,369 107370) e probabili piastre per fornelli (fig. III.74, 108).371

repubblicano qui sviluppatosi dopo il ripristino dell’area e servito dal nuovo asse stradale è stato interamente rasato per l’alloggiamento del foro, come del resto ricordato anche dalle fonti letterarie già citate.

Al di sopra della serie di strati di bonifica viene messo in opera il nuovo asse stradale che rispetta in linea di massima l’andamento del clivus di epoca precedente, ma per la prima volta si presenta realizzato con una superficie in lastre di tufo. Immediatamente al di sopra di questa strada ricostruita dopo l’incendio è stato rinvenuto il piano di cantiere372 su cui viene messo in opera il massetto cesariano, il che vuol dire, come sopra accennato, che tutto il quartiere

Vale la pena sottolineare che il piano di cantiere cesariano è uno strato (US 1366) steso per innalzare il piano di calpestio e per livellare l’area. Questo, accanto a pochi reperti di epoca cesariana relativi alla fase di costruzione del foro, rimescola materiali delle stratigrafie più antiche, tra cui i reperti più recenti sono databili alla seconda metà del IV sec. a.C. e costituiscono dunque un buon termine ante quem per la nuova strada e per le operazioni di ripristino successive al grande incendio, evidentemente antecedenti alla metà/seconda metà del IV sec. a.C.

US 1702. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 11, 90 (500-475/450 a.C.). 369 US 1703. 370 US 1702. Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 21, 168 (600-400 a.C.). 371 US 1702. 372 US 1366. L’US è stata correttamente inserita nel Periodo 4 (54-46 a.C.), ma viene trattato qui per la cospicua presenza di residui cronologicamente coerenti relativi al Periodo 2 (Fase B). 368

Lo strato contiene frammenti di una coppa (fig. III.75, 109)373 e una kylix (fig. III.75, 110)374 in bucchero, uno 373 374

109

Per i confronti vedi fig. III.71, 65. Rasmussen kylix type 5, tav.40, 237 (520-400 a.C.).

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III.75. Strato di cantiere cesariano al di sotto del massetto del foro (US 1366=1507=1700). Bucchero. 109: coppa, 110: patera. Ceramica attica. 111: skyphos, 112: kylix. Ceramica a vernice nera sovradipinta. 113: skyphos. Ceramica etrusca a figure rosse. 114: piattello Genucilia. Ceramica a vernice nera. 115: patera, 116: coppa, 117: coppa miniaturistica. Ceramica a vernice rossa. 118119: coppa. Ceramica depurata. 120: brocca, 121: piattello. Ceramica d’impasto sabbioso. 122: situla, 123-127: bacini. Ceramica da cucina. 128: ciotola/coperchio, 129-130: olle. Anfora: 131. (disegno H. Di Giuseppe)

miniaturistica (fig. III.75, 117)380 in ceramica a vernice nera, una coppa (fig. III.75, 118381-119382) in ceramica a vernice rossa, una brocca (fig. III.75, 120)383 e un piattello (fig. III.75, 121)384 in ceramica depurata, una situla (fig.

skyphos (fig. III.75, 111)375 e un fondo modanato (fig. III.75, 112)376 in ceramica attica, uno skyphos in ceramica a vernice nera sovradipinta (fig. III.75, 113),377 un piattello Genucilia con decorazione a onde correnti sull’orlo (fig. III.75, 114)378 in ceramica etrusca a figure rosse, una patera (fig. III.75, 115),379 una coppa (fig. III.75, 116) e una coppa

Morel 2786c1 (350-300 a.C.). Ambrosini 2009b, fig. 1, 13 (350-300 a.C.). 382 Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 16, Q2 (350-325 a.C.). 383 Ardea Casarinaccio: Merlo, Kortenaar 2005, tav. III, 95 in ceramica d’impasto sabbioso. 384 Sim. Cavagnaro Vanoni 1996, fig. 15, 103 (350-280 a.C.); fig. 67, 13 (320-280 a.C.). 380

Morel 4312a (350-300 a.C.). 376 Morel 4251 (350-300 a.C.); Cavagnaro Vanoni, Serra Ridgway 1989, pp. 66–69, fig. 5, 50 (350-280 a.C.). 377 Vedi Morel 4383 a2 (ca. 350 a.C.). 378 Morel 1112a1 (330-270 a.C.) 379 Morel 2963c1 (ca. 350 a.C.). 375

381

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Lo scavo e la ricostruzione

132,394 133395) e due coppe (fig. III.77, 134,396 135397) in ceramica a vernice rossa opaca, caratterizzate da pareti rettilinee e orlo non distinto superiormente piatto, in un solo caso arrotondato e un fondo ad anello (fig. III.77, 136), probabilmente pertinente alle coppe più grandi.398 La morfologia degli orli rimanda ai tipi di IV sec. a.C. di questa classe. Da varie parti è stato proposto che la comparsa della ceramica a vernice rossa possa essere anticipata alla fine del V sec. a.C.,399 ipotesi che appare confermata anche dai contesti del Foro di Cesare, dove la classe è presente con pochissimi esemplari nei riempimenti dei pozzi che abbiamo datato tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C. e si fa leggermente più consistente negli anni centrali del IV sec. a.C. Per via della differenza formale e tecnica, è difficile stabilire un collegamento tra le coppe con orlo ingrossato, rivestite da una vernice brillante rossa e generalmente attribuite al V sec. a.C.400 e le forme a vernice rossa opaca qui esaminate, che mancano del tutto dell’orlo ingrossato. In base alla seriazione elaborata da Antonio Ferrandes su 45 contesti, risulterebbe che la ceramica a vernice rossa opaca è attestata dal 325 al 290 a.C.401 E’ certo, comunque, che nel corso del IV sec. a.C. e, in particolar modo, a partire dalla metà del secolo, la classe si diffonde, con le forme qui presentate, in concomitanza con la ceramica a vernice nera sovradipinta per affiancare successivamente anche la ceramica a vernice nera fino agli inizi del III sec. a.C., ma con quantità sempre molto ridotte, rispetto alle altre ceramiche fini.402

III.76. US 1969. Confronto quantitativo dei rinvenimenti (totale frr. 411).

III.75, 122) e bacini (fig. III.75, 123,385 124,386 125, 126387 e 127388) in ceramica d’impasto sabbioso, una ciotola (fig. III.75, 128) e olle (fig. III.75, 129,389 130390) in ceramica da cucina e un’anfora greca (fig. III.75, 131).391 Ricostruzioni nel settore F Nella porzione sud-orientale dello scavo contestualmente alla costruzione di una grande cisterna a tholos viene realizzato un pozzo (pozzo C) che taglia una serie di strati di bonifica stesi per creare un nuovo piano di cantiere. Uno di questi strati392 presenta un corpus piuttosto omogeneo di materiali ceramici, meritevole di una trattazione a sé stante per le potenzialità informative che possiede, nonostante lo strato non sia stato completamente scavato e quindi la natura del deposito non possa essere delineata con precisione. Il vasellame presente permette di fissare momenti cronologici ben precisi per l’affermazione di alcune classi e per l’individuazione di tappe dell’evoluzione morfologiche di forme che iniziano ad essere prodotte in epoca arcaica e continuano fino all’età medio-repubblicana. Come sopra anticipato,393 le ristrutturazioni di quest’area potrebbero essere ricondotte alle azioni di rifacimento del 338 a.C. riguardanti il Comizio e le zone adiacenti ad opera di C. Maenius, datazione con la quale il contesto sembrerebbe essere pienamente coerente.

Forme in ceramica a vernice rossa sono presenti, sempre in quantità modeste, nei depositi di pieno IV sec. a.C., quali quelli di Casale Pian Roseto403 chiuso intorno all’ultimo quarto del IV sec. a.C., in un pozzo di Piano di Comunità a Veio chiuso agli inizi del III sec. a.C. con un repertorio ceramico molto vicino a quello di Casale Pian Roseto404 e nella cisterna di Portonaccio chiusa tra il III e II sec. a.C.,405 per citare solo alcuni esempi, a cui si rimanda per la vasta bibliografia sulle attestazioni in contesti sacri e funerari. Ambrosini 2009a, fig. 1, 18. Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 16, Q.3-4 (550-350/325 a.C.); Roma, Meta Sudans: Zeggio 1996, fig. 81; Aléria: Ferrandes 2006, fig. 8, 6 (325-290). 396 Acquafredda: Damiani, Pacciarelli 2006, fig. 214, 7 (450/425-390 a.C.). A giudicare dai materiali attribuiti alla Fase 3 di Acquafredda datata appunto tra il 450/425 e 390/380 a.C. sembrerebbe di trovarsi piuttosto in un orizzonte cronologico più basso rispetto a quanto proposto, individuabile intorno al terzo quarto del IV sec. a.C. per la presenza di olle con orlo a mandorla schiacciata, i buccheri grigi con orli semplificati, le coppe di ceramica a vernice rossa con orlo superiormente piatto e per forme di ceramica a vernice nera sovradipinta. 397 Gravisca: Valentini 1993, tav. 40, 39 (400-200 a.C.); Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 29, 258 (310-270 a.C.). 398 10 frr. pari a 5 vasi. 399 Vedi Gnade 1992, pp. 141-142, t, 8.4, pl. 1, fig. II; Zeggio 1996, p. 99, nota 30; Mantia 2002, pp. 464-465; Damiani, Pacciarelli 2006, p. 523, nota 57; Ambrosini 2009a, p. 42. 400 Vedi Ambrosini 2009a, p. 42. 401 Ferrandes 2006, figg. 3-4. 402 Di Giuseppe 2006a, pp. 387-389. 403 Murray Threipland, Torelli 1970, p. 78, 16, Q3-5. 404 Ambrosini 2009b, pp. 95-96. 405 Ambrosini 2009a, pp. 42-43. 394 395

Nel complesso lo strato restituisce 411 frammenti di cui 79,5% (=327 frr.) pertinente a ceramica e il 20,5% (= 84 frr.) ad altro materiale (fig. III.76). Tra le ceramiche fini sono presenti tre coppette (fig. III.77,

Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 20, 156 (500-375 a.C.). Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 20, 157 (450-375 a.C.). 387 Ardea Casarinaccio: Merlo, Kortenaar 2005, tav. I, 1 (500-250 a.C.); Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 6, 70 (500-400 a.C.). 388 Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 7, 74 (550-200 a.C.). 389 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 8, 63a (550-200 a.C.). 390 Sim. Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 28, H8, H14 (550-350/325 a.C.). 391 MGS II (450-300 a.C.). 392 US 1969. 393 Vedi il punto III.3.2.1., supra. 385 386

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III.77. Periodo 2. Fase B. Settore F. Strato di livellamento (US 1969) tagliato dal pozzo C. Ceramica a vernice rossa. 132-136: coppe. Ceramica ad ornati neri. 137: skyphos. Ceramica a vernice nera sovradipinta. 138-139: Skyphoi. Ceramica a vernice nera. 140-141: fondi di coppe. Ceramica d’impasto sabbioso. 142: brocca, 143: olla stamnoide, 144-146: bacini. Internal slip ware. 147150: olle. Ceramica da cucina. 151: olla, 152: ciotola, 153: bacino, 154: testo o clibano, Ceramica depurata. 155-156: thymiaterion. (disegno H. Di Giuseppe)

Particolarità di questa classe è l’estrema selezione delle forme, tutte aperte per lo più destinate ad uso potorio e caratterizzate da una estrema semplicità morfologica; vengono realizzate in dimensioni normali e miniaturizzate, cosa che insieme alle scarse attestazioni rispetto ad altre

classi e ai contesti di rinvenimento, fa pensare a un loro utilizzo in chiave rituale.406 Tra la ceramica fine sono presenti anche uno skyphos con banda risparmiata sulla spalla e decorata con palmetta a 406

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Di Giuseppe 2006a, p. 388.

Lo scavo e la ricostruzione

vernice nera e petali distinti (fig. III.77, 137),407 due skyphoi in ceramica a vernice nera sovradipinta decorati con motivi vegetali (fig. III.77, 138),408 o imitazioni del gruppo St. Valentin (fig. III.77, 139),409 due frammenti di fondo di cui uno sagomato legato alla tradizione attica (fig. III.77, 140)410 e l’altro semplice (fig. III.77, 141)411 in ceramica a vernice nera.

(fig. III.77, 152),425 un bacino (fig. III.77, 153)426 e un probabile testo/clibano (fig. III.77, 154)427 per la cottura di focacce sopra tegole riscaldate. Infine, all’illuminazione o alla combustione di incensi era deputato un unico probabile thymiaterion, cui possono attribuirsi un orlo (fig. III.77, 155)428 e un fondo (fig. III.77, 156).429

Le ceramiche comuni sono presenti con una brocca (fig. III.77, 142),412 un’olla stamnoide (fig. III.77, 143)413 e tre bacini (fig. III.77, 144,414 145,415 146416) d’impasto sabbioso che continuano la tradizione delle forme arcaiche e tardo-arcaiche, ma si presentano con morfologia dell’orlo semplificato. Completano il gruppo delle ceramiche comuni quattro olle di Internal slip ware caratterizzate da orlo a mandorla ingrossata (fig. III.77, 147,417 148,418 149,419 150420). Si fa notare che gli orli a mandorla sono ancora piuttosto ingrossati e staccati dalla parete esterna del collo, ben diversi da quelli a mandorla schiacciata che caratterizzeranno i contesti di III sec. a.C., come ad esempio quelli della villa dell’Auditorium,421 della cisterna di Portonaccio,422 del riempimento della camera sotterranea a Caere,423 osservazione quest’ultima che, unitamente ai confronti, ci orienta verso una datazione dell’US 1969 ancora compresa entro il IV sec. a.C.

La selezione delle forme nello strato tagliato dal pozzo, nonché la qualità, la presenza di uno skyphos miniaturizzato più antico delle altre forme (fig. III.77, 137) e il thymiaterion di solito caratterizzanti dei depositi votivi potrebbero rimandare a una valenza rituale del contesto, la cui esegesi va, però, rimandata, essendo stato lo scavo interrotto per motivi di sicurezza. Nel complesso le forme di ceramica a vernice rossa, a vernice nera sovradipinta e attica, oltre alle olle in Internal slip ware ci permettono di inquadrare il contesto del settore F verso il terzo quarto del IV sec. a.C., datazione perfettamente compatibile con le opere di risistemazione di quest’area da parte di C. Maenius. Ancora sulla cronologia dell’Internal slip ware

La ceramica da cucina priva di rivestimento è rappresentata da un’unica olla (fig. III.77, 151),424 una ciotola/coperchio

Prima di procedere con una proposta interpretativa sul significato dei materiali presentati, è necessario soffermarsi di nuovo sull’annoso problema della cronologia iniziale dell’Internal slip ware.430 Da questa infatti, oltre che da una serie di altre osservazioni che faremo, dipende la possibilità o meno di individuare l’evento storico che ha portato alla distruzione del quartiere e della strada antistante.

Questo tipo di skyphos attribuibile al Gruppo Vaticano 246 del Beazley, è legato alla produzione attica e si caratterizza per una forma fortemente standardizzata con spalla risparmiata e decorata con motivo a palmetta o, più frequentemente, a goccia con la punta rivolta verso il basso: Fortunelli 2007, p. 193 (con bibliografia), tav. 19, E68 (520-480 a.C.). Si ritiene per via delle dimensioni ridotte e standardizzate che queste forme abbiano un uso tendenzialmente cerimoniale. 408 Vedi Morel 4383 a2 (ca. 350 a.C.). 409 Vedi Morel 4311 c1 (340-305 a.C.); vedi Pianu 1982, 119a (ca. 350 a.C.). 410 Vedi Morel 4221g (325-300 a.C.). Aléria: Jehasse 1973, p. 316 (t. 59), pl. 112, 1038 (350-330); Idem 2001, (t. 168), pl. 96, 3762 (350-325 a.C.). 411 Morel 321 b1 (320-280 a.C.). 412 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 30, 270 (450-200 a.C.); Veii: Murray Threipland 1963, fig. 17, 2-3 (450-300 a.C.). 413 Veio: Bartoloni 2004, fig. 5, 4 (580-480 a.C.); Merlo 2009a, fig. 17, 10 (500-400 a.C.); Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 46, 508 (500-400 a.C.). 414 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 31, 273 (550-300 a.C.); Lavinium, Tredici are: Sommella 1975, fig. 51, 219 (400-300 a.C.); Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 8, 90 (550-200 a.C.). 415 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 31, 275 (550-200 a.C.); Lavinium, Tredici are: Sommella 1975, fig. 41, 165; Gravisca: Gori, Pierini 2001a, tav. 5, 63 (550-400 a.C.). 416 Roma, Auditorium: sim. Argento 2006, tav. 18, 147 (550-450 a.C.). 417 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 31, 289 (400-200 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 31, A.12 (550350/325 a.C.). 418 Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 32, B.12 (550-350/325 a.C.); Veio: Lucidi 2009, fig. 13, 5. 419 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 33, 290 (400-200 a.C.); Veio: Lucidi 2009, fig. 14, 1; Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 31, A.10 (550-350/325 a.C.). 420 Roma, Auditorium: Di Giuseppe 2006a, tav. 33, 290 (400-200 a.C.); Veio: Lucidi 2009, fig. 13, 4; Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 31, A.13 (550-350/325 a.C.). 421 Di Giuseppe 2006a, tav. 33, 291-292. 422 Ambrosini 2009a, figg. 42-46. 423 Caere, Vigna Parrocchiale: Bellelli 2003a, fig. 80, 1762-1767. 424 Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 10, 78a (500-300); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 28, H.20 (550-350/325 a.C.). 407

Il momento della prima comparsa dell’Internal slip ware rimane ad oggi oggetto di dibattito tra studiosi che oscillano tra una cronologia iniziale bassa di seconda metà/fine V sec. a.C.431 e una alta di fine VI/prima metà V sec. a.C.432 Leslie Murray Threipland, a cui si deve anche la prima definizione della classe, allora denominata anche

Roma, Auditorium: Argento 2006, tav. 12, 100 (500-400/350 a.C.); Casale Pian Roseto: Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 24, A.24 (550350/325 a.C.); Veio: Cucinotta 2009, fig. 12, 1. 426 Casale Pian Roseto: sim. Murray Threipland, Torelli 1970, fig. 24, A.24 (550-350/325 a.C.). 427 Sembra essere una forma più evoluta di testi diffusi tra età orientalizzante e arcaica: vedi Ulisse 2005, tav. VII, gruppo 12. 428 Ardea, Casarinaccio: ten Kortenaar 2005, tav. IV, 155. 429 ten Kortenaar 2005, tav. IV, 167 (500-350 a.C.). 430 Termine con il quale si intende un tipo di ceramica comune caratterizzato da impasto grezzo e spesso rivestimento a base caolinica (ringrazio Maria Letizia Buonfiglio per l’informazione), color rosso/rosato/ crema steso all’interno del vaso e sull’orlo esterno. Il repertorio formale è composto per lo più da olle di diverse classi dimensionali, piccoli dolia e raramente ciotole. 431 Vedi da ultimo Di Giuseppe 2006a, pp. 393-397, dove si sostiene una comparsa della classe nella seconda metà/fine V sec. a.C. con massima diffusione tra la seconda metà del IV e il III sec. a.C. per via della sua completa assenza nelle stratigrafie della villa dell’Auditorium di prima metà V sec. a.C., oltre che in altre stratigrafie coeve. 432 Vedi da ultimo Cascino, Di Sarcina 2008 con bibliografia precedente. 425

113

Forum Iulium

“cuniculus” ware,433 aveva proposto una cronologia iniziale intorno alla metà del V sec. a.C., abbassata in un secondo momento alla fine dello stesso secolo.434 Negli anni Settanta del secolo scorso, Ingrid Pohl si era espressa, per quanto dubitativamente, a favore della cronologia alta (metà V sec. a.C.) per due ragioni principali. La prima era che nelle stratigrafie dell’area del tempio di Campetti a Veio, al di sotto della strada (saggio C) la Internal mancava del tutto, mentre erano presenti classi e forme del VI e degli inizi del V sec. a.C. La seconda motivazione era legata al fatto che frammenti con orli diversi dall’Internal ma caratterizzati da un ingobbio grigiastro erano stati rinvenuti nelle stratigrafie di Lavinium di seconda metà VI e di prima metà V sec. a.C. Pertanto la Pohl aveva arguito che se forme di sperimentazioni della classe si fossero affermate già nella seconda metà del VI secolo, sarebbe stato improbabile che ci fosse voluto quasi un secolo prima che l’Internal entrasse nell’uso quotidiano; più logico era pensare che l’affermazione della classe si dovesse far risalire ad un periodo più vicino alla seconda metà del VI sec. a.C., ovvero alla metà del secolo successivo.435

contesto veiente in una fase piuttosto avanzata del V sec. a.C., se non agli inizi del IV, cronologia accettabile anche per gli altri esemplari dell’edificio B.

Da allora, come vedremo nel dettaglio più avanti, gli studiosi oscillano tra le due datazioni a seconda del contesto analizzato, metodo di studio e grado di approfondimento usati. Di recente, seguendo la corrente di pensiero, chiamiamola così, “rialzista”, è stata di nuovo affermata l’apparizione della classe tra la fine del VI e gli inizi del V sec. a.C. in base a una serie di contesti che vale la pena riprendere in esame in questa sede con una riflessione critica.436 L’edificio B scavato da Gilda Bartoloni a Veio/Piazza d’Armi presenta tre fasi inquadrabili nel complesso tra il 580 e il 480 a.C. Le fasi II e III restituiscono percentuali bassissime di Internal slip ware (rispettivamente 1 e 5%).437 Tuttavia, se gli elementi datanti sono quelli presentati in Fig. 5,438 è necessario ammettere che si tratta di tipi di lunga durata, la cui cronologia potrebbe tranquillamente scendere oltre la seconda metà del V/inizi IV sec. a.C. Ad esempio, forme come l’olla in impasto sabbioso con orlo a sezione triangolare,439 non compaiono nelle stratigrafie del Palatino che arrivano al 475/450 a.C.,440 mentre sono presenti con evoluzioni dell’orlo chiaramente derivate da queste in contesti databili a partire dalla metà del V sec. a.C.,441 il che potrebbe autorizzare a spostare anche la datazione del

Sempre a Veio, il pozzo di Piano di Comunità, sopra richiamato, viene chiuso tra la fine del IV e gli inizi del III sec. a.C. con un repertorio ceramico genericamente inquadrato tra il VI e V sec. a.C.444 I materiali presenti, soprattutto le ceramiche fini d’importazione445 hanno permesso alle autrici dello scavo di inquadrare la maggior parte del materiale tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., ovvero in un momento prossimo alla conquista di Veio. Tuttavia l’associazione tra forme di buccheri grigi di ultima produzione, come le coppe con orlo ingrossato, i calici carenati con orlo non distinto, i kyathoi miniaturistici,446 le forme in ceramica depurata acroma447 e depurata a fasce448 e soprattutto la specifica tipologia degli orli ancora ingrossati di Internal slip ware,449 repertorio, nel complesso, molto vicino a quello di Casale Pian Roseto, come riconosciuto dalle autrici, inducono a non escludere che parte dei materiali sia relativo al pieno IV sec. a.C., ovvero ad un momento successivo la presa di Veio. Infatti, sappiamo dagli autori antichi e dalle evidenze archeologiche provenienti da scavi e ricognizioni che la città non fu completamente abbandonata dopo il 396 a.C.450 E del resto, molti dei materiali presenti nel pozzo stesso di Comunità testimoniano la frequentazione della collina per attività religiose intorno alla metà/seconda metà del IV

La denominazione derivava dal rinvenimento di queste olle rivestite entro un cunicolo tagliato dalla mura urbane di fine V sec. a.C. di Veio: Judson, Kahane 1963, p. 57; Kahane et al. 1968, p. 9. 434 Ward Perkins 1959, pp. 43-44, 67; Idem 1961, p. 36; Murray Threipland 1963, pp. 54-58, 61; Murray Threipland, Torelli 1970, pp. 83-84. 435 Torelli, Pohl 1973, p. 219, nota 4. 436 Cascino, Di Sarcina 2008, pp. 563, 566. 437 Bartoloni 2004, pp. 194-195, fig. 4. Desidero ringraziare Gilda Bartoloni per le informazioni che mi ha messo a disposizione sul contesto. Vedi anche Bartoloni et al. 2005. 438 Bartoloni 2004, p. 196. 439 Si fa riferimento a Bartoloni 2004, p. 196, fig. 5, 4. 440 Carafa 1995, p. 235. 441 Si veda una forma analoga in Argento 2006, p. 365, tav. 15, 123 che compare per la prima volta nella villa dell’Auditorium in uno strato del Periodo 2, fase 3 (fine V/inizi IV-fine IV sec. a.C.). Vedi anche l’olla

stamnoide in Di Giuseppe 2006a, p. 391, nota 75, tav. 30, 267. Una forma (fig. III.77, 143) del tutto simile a quella del contesto veiente è presente nello strato di bonifica post-incendio (US 1969) dello scavo del Foro di Cesare, precisamente databile, come sopra detto, al terzo quarto del IV sec. a.C. 442 Murray Threipland 1969, p. 10, type A, fig. 6, nn. 12-13. 443 A lei, scomparsa poco dopo la consegna dell’articolo, va la mia gratitudine per l’enorme e ottimo lavoro svolto sulla ceramica del South Etruria survey. 444 Ambrosini et al. 2009; Ambrosini, Belelli Marchesini 2009. 445 Ambrosini et al. 2009, figg. 30-31. 446 Ambrosini et al. 2009, figg. 24-28. 447 Ambrosini et al. 2009, fig. 32, 10-19 e fig. 33. 448 Ambrosini et al. 2009, figg. 20-22. 449 Ambrosini et al. 2009, figg. 13-14. 450 Di Giuseppe 2004, p. 20, fig. 10; Eadem 2012.

Per rimanere in ambito veiente, va ricordato il deposito votivo scavato alle pendici dell’abitato, a sud del Cremera, all’altezza di località Macchiagrande (forse da collegare con il santuario scavato a Campetti da Massimo Pallottino nel 1938), per il quale si è proposta una cronologia al 480/475 a.C. Il deposito restituisce due olle caratterizzate da un “red internal slip” che riveste la superficie interna dei vasi e parte dell’orlo.442 Anche in questo caso il contesto andrebbe rivisto nella sua interezza, mancando dal novero delle classi edite dalla studiosa quelle tipiche di questo periodo, come la ceramica d’impasto sabbioso e la ceramica depurata acroma e dipinta che potrebbero aiutare a precisare la cronologia del contesto. Una datazione alla fine V-inizi IV sec. a.C., ad esempio, fase prossima alla conquista di Veio da parte di Roma, non sarebbe in contrasto con molte delle forme sia in bucchero sia in ceramica da cucina pubblicate da Murray Threipland.443

433

114

Lo scavo e la ricostruzione

sec. a.C., ovvero immediatamente prima che la città venisse riorganizzata nell’ambito di una generale rivitalizzazione dei luoghi di culto. Pozzi e cisterne sparsi sul pianoro451 diventano i principali custodi della memoria passata ormai distrutta. Se la prosecuzione della ricerca dovesse confermare quanto osservato, la maggior parte del corpus ceramico del pozzo di Comunità si candiderebbe ad essere tra i contesti, insieme a Casale Pian Roseto, che meglio di altri riflettono la cultura materiale del pieno IV sec. a.C.

del materiale non era stato ancora interamente effettuato. E infatti, in un recente riesame dei contesti relativi alle stratigrafie e ai depositi votivi dell’area compresa tra l’Auguratorium e il santuario della Magna Mater, le autrici dello studio, in base alle associazioni con la ceramica fine, riconoscono le prime attestazioni dell’Internal negli ultimi decenni del V sec. a.C.456 Qualche riserva permane, non essendo lo studio della ceramica comune ancora completato e trattandosi di un’area fortemente compromessa dai rimaneggiamenti successivi che potrebbero aver determinato qualche intrusione nei vari contesti.457

Rimanendo nell’ager Veientanus, va enfatizzata la totale assenza dell’Internal slip ware nella fase 2 di Acquafredda (550-450/425 a.C.) e la sua presenza nella fase 3 (450/425380 a.C.)452 dello stesso insediamento, oltre che la sua attestazione sul sito di Torre di Prima Porta, distrutto tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C.,453 dati che lascerebbero intendere che anche nell’ager Veientanus questa classe cominci ad essere diffusa solo nella seconda metà/fine del V sec. a.C. Sempre nell’ager Veientanus va tenuto presente il materiale di Casale Pian Roseto.454 E’ vero che l’edificio sotterraneo contiene materiale che copre un ampio arco cronologico (fine del VI-seconda metà/fine del IV sec. a.C.), per cui è difficile sapere a quale momento appartengano le forme soprattutto di ceramica comune, ma il momento di chiusura del contesto (ca. ultimo quarto del IV sec. a.C., comunque prima della comparsa della ceramica a vernice nera dell’Atelier des petites estampilles) ci autorizza a pensare che il deposito contenga soprattutto materiale di IV sec. a.C., come anche molte forme di bucchero tardo e ceramica depurata presenti sembrerebbero confermare. Anche le olle di Internal slip ware, caratterizzate da un orlo a mandorla rigonfio o non distinto dal collo, sembrerebbero pertinenti ad un preciso momento evolutivo inquadrabile nel pieno IV sec. a.C.

A confermare la recenziorità della cronologia iniziale di questa classe concorrono le stratigrafie da poco scavate di vari altri contesti di Roma e del suo suburbio. Possiamo citare i riempimenti degli edifici A e B individuati sul pianoro di Centocelle e databili tra la fine del VI/inizi V sec. a.C. che non restituiscono Internal;458 anche le stratigrafie di prima metà V sec. a.C. delle pendici settentrionali del Palatino,459 della villa dell’Auditorium460 e del santuario di Vesta,461 non restituiscono frammenti di questa classe. Inoltre, sempre nell’area del santuario di Vesta, stratigrafie di prima metà IV sec. a.C. restituiscono pochissimi frammenti di Internal,462 altro argomento utile ad abbassare la cronologia della classe. Se infatti essa cominciasse ad essere prodotta alla fine del VI o anche nella prima metà del V sec. a.C., alla fine dello stesso secolo e agli inizi del successivo le quantità dovrebbero essere consistenti, cosa confermabile solo a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C.463 Infine, spostandoci fuori Roma, né l’abitato di Satricum, né le sue necropoli restituiscono Internal prima del 400 a.C.464 Alla luce di queste considerazioni andrebbero rivisitati anche i riempimenti dei Pozzi 1 e 2 dell’edificio tardoarcaico di Acqua Acetosa Laurentina datati entro la prima metà del V sec. a.C. fondamentalmente per due motivi. In primo luogo per la presenza di una sola olla di Internal slip ware, di cui viene rialzata la cronologia perché il contesto presenta materiali databili tra la seconda metà del VI e gli inizi del V sec. a.C. e per la presenza di una brocchetta in ceramica depurata con graffito Manias assimilabile a forme in bucchero.465 Entrambe le ragioni possono essere messe in discussione sia perché la maggior parte dei materiali potrebbe essere residua, come accade spesso nei riempimenti di pozzi, sia perché la brocchetta in ceramica

Spostandoci ora a Roma, i contesti che farebbero propendere per un inizio della produzione dell’Internal slip ware alla fine del VI sec. a.C. meritano anch’essi di essere sottoposti a una riflessione. I dati provenienti dai contesti dell’Auguratorium sulla sommità del Palatino ci informano sull’obliterazione di seconda metà VI sec. a.C. di una cisterna arcaica contenente solo tre frammenti di Internal slip ware.455 Al momento in cui fu proposta questa prima interpretazione, però, lo studio Ambrosini, Belelli Marchesini 2009, p. 287. Damiani, Pacciarelli 2006, pp. 516-517. Le stesse Roberta Cascino e Maria Teresa Di Sarcina notano l’assenza dell’Internal dagli strati di distruzione di metà V sec. a.C. di Acquafredda, ma preferiscono attribuirla ad un’ancora scarsa diffusione della classe: Cascino, Di Sarcina 2008, p. 563. 453 Messineo 1987, p. 133. 454 Murray Threipland, Torelli 1970. 455 Borrello, Colazinagari 1998, p. 82, tab. 1; Pensabene et al. 2000, pp. 163, 183, 220; Colazingari 2009, p. 15, fig. 3. Si vedano anche le considerazioni di D’Alessio (2001, p. 199, nota 18) circa l’“attestazione pressoché irrisoria (neppure l’1%), di prodotti di internal/external slip ware, peraltro abbondantemente rappresentati in altri contesti della prima età repubblicana indagati nell’area del santuario della Magna Mater”. In realtà, tutti i casi ricordati dallo studioso (Pensabene 1981, p. 114, fig. 7.2-3; Pensabene 1983a, pp. 72-74, figg. 1-4 e 15-5 e 18; Pensabene 1984, pp. 157-158, fig. 5) paiono far riferimento, per le associazioni di materiali, all’età medio-repubblicana. 451 452

Borrello et al. 2006, pp. 402-404. Sono molto grata ad Olga Colazingari per avermi resa partecipe delle sue considerazioni su questo contesto. 458 Volpe et al. 2009, p. 129, figg. 3 e 5. 459 Vedi Carafa 1995. 460 Nella villa dell’Auditorium una sola olla di Internal slip ware compare in uno strato di obliterazione del periodo 2, fase 3 (fine V/inizi IV-fine IV sec. a.C.): Argento 2006, pp. 352, 370. Vedi anche Di Giuseppe 2006a, pp. 393-397. 461 Ringrazio Alessia Argento per l’informazione. 462 Argento 2010. 463 Un altro contesto utile per la verifica è il riempimento di un pozzo situato nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice, contenente solo due frammenti di Internal. Ricci 2013, p. 21. 464 Bouma 1996, p. 29. 465 Bedini 1979, pp. 25-26, fig. 3. 456 457

115

Forum Iulium

Tabella 16. Tabella riassuntiva dei frammenti ceramici rinvenuti negli strati del Periodo 2, articolata per fasi, frammenti e attività. Frr. = frammenti; Att. = attività; C. = ceramica; Non id. = non identificabile. Fase A Classe

Forma

Impasto

Figura

Fase B

Fase C

Frr.

Att.

Frr.

Att.

Non id.

22

28, 30

3

Impasto bruno

Non id.

15

28, 30

9

Impasto rosso Impasto rosso

Olla Olla

1 1

30 28

31 31, 34, 39

Impasto rosso

Non id.

82

28, 30

Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero Bucchero

Patera Patera Piatto Scodelle Olpetta Coppe Coppe

1 1 1 5 1 2 2

30 28 28 30 30 30 28

Bucchero

Non id.

156

28, 30

C. depurata C. depurata C. depurata C. depurata C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. depurata dipinta C. etrusco corinzia C. a figure nere C. attica C. attica C. a vernice nera etrusca C. a vernice nera C. a vernice nera C. a vernice nera sovradipinta C. a vernice rossa C. a vernice rossa C. a vernice rossa C. a vernice rossa C. a vernice rossa C. a pareti sottili C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso

Olpetta Coppa Thymiaterion Non id. Coppa Coppa Coppe Lekythos Non id. Non id. Non id. Kylix Non id.

fig. III.71, 67 fig. III.74, 92 fig. III.77, 155, 156

1 1

30 28

71 1 1 2 1 26 3

28, 30 30 30 28 30 28, 30 28

fig. III.71, 69

2 3

30 28, 30

Skyphos

fig. III.77, 137

1

Fondi Non id.

fig. III.77, 140-141

2

Skyphoi

fig. III.77, 138-139

Coppa Coppe Coppette Fondo Non id. Non id.

fig. III.74, 95 fig. III.77, 134-135 fig. III.77, 132-133 fig. III.77, 136

1

28

8 1

30 30

Brocca

fig. III.71, 71

1

30

Brocca

fig. III.71, 68 fig. III.74, 96

23

31, 34, 39

167

31, 34, 39

2 113

31 31, 39

3 4

31 31

4

31

16

31

30

1

31

30

2 16

31 31

2

31

2 2 1 23

31 31 31 31

fig. III.77, 142

1

31

Olla

fig. III.77, 143

1

31

Ciotola

fig. III.69, 57

1

30

Bacino

fig. III.66, 44-45

2

30

Bacino

fig. III.71, 72-73

2

30

Bacino

fig. III.74, 97

1

28

Bacino

fig. III.77, 144, 145, 146

3

31

fig. III.69, 49 fig. III.74, 88 fig. III.74, 89 fig. III.69, 50, 51-52, 53, 54 fig. III.69, 55 fig. III.71, 64-65 fig. III.74, 90-91

fig. III.69, 56 fig. III.71, 66 fig. III.74, 93-94 fig. III.71, 70

116

Frr.

Att.

2

41

Lo scavo e la ricostruzione

Fase A Classe C. d’impasto sabbioso C. d’impasto sabbioso C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina

Forma

Figura

Mortaio

fig. III.71, 74

C. da cucina

Olle

C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina C. da cucina

C. da cucina C. da cucina

Olla Bacino Bacino Bacini Bacino Bacino Ciotole/ coperchio Ciotole/ coperchio Scodelle Testo/clibano

C. da cucina

Non id.

Internal slip ware

Olla

Internal slip ware

Olle

Internal slip ware Anfore Anfore Dolia

Non id.

Dolia

Non id.

Fornelli Fornelli

Non id.

C. da cucina C. da cucina

Frr.

Att.

1

30

59

28, 30

fig. III.69, 58, 59, 60, 61, 62 fig. III.71, 75, 82 fig. III.71, 76 fig. III.71, 77-78 fig. III.71, 79, 80, 81 fig. III.74, 98, 99, 100, 101, 102 fig. III.77, 151 fig. III.66, 43 fig. III.69, 63 fig. III.71, 85, 86, 87 fig. III.74, 105 fig. III.77, 153

5 2 1 2 3

30 30 30 30 30

5

28

1 1 3 1

30 30 30 28

fig. III.71, 83-84

2

30

Non id. Olle Olle Olla Olle Olle

Non id. Piccolo Dolio

Fase B

fig. III.77, 152 fig. III.74, 103-104 fig. III.77, 154 fig. III.66, 46 fig. III.77, 147, 148, 149, 150 fig. III.66, 48 fig. III.66, 47 fig. III.74, 106, 107, 108

Totali

2

28

849

28, 30

1

30

Frr.

Att.

180

31, 39

1

31

1

31

1

31

1

31 31, 38, 39

385 4

31

2 1 19 1

30 30 28, 30 30

71

31

6

31, 39

54

28, 30

20

3 30

28 28, 30

1470

depurata appartiene ad un tipo rimasto in uso nel V, IV e III sec. a.C. con poche varianti del corpo.466 In realtà, se guardiamo anche al resto dei materiali dei due depositi,467 tolti la kylix attica del tipo Floral band cup del pozzo 2 (525-500 a.C.) e qualche altro frammento ancora più antico (anforetta a spirali, stamnos protostorico), la maggior parte del vasellame - in ceramica comune, in bucchero e depurata - potrebbe agevolmente essere ancora in uso alla fine del V/inizi IV sec. a.C. Si pensa, in particolare, allo skyphos in bucchero468 che si presenta ormai semplificato e privo di scanalature, pienamente compatibile con i contesti di IV sec. a.C.469 Anche le olle in ceramica da cucina, ad esempio,

Fase C

1

31, 34, 39 1 39

1069

Frr.

Att.

8

41

10

quelle con bugnetta sulla spalla sono di lunga durata.470 In altre parole la kylix attica potrebbe essere un residuo, come lo sono altri frammenti del pozzo stesso e come se ne trovano in genere in contesti di questo tipo, riferibili a obliterazioni rituali, cui rimandano i vasetti miniaturistici, i pesi da telaio e i graffiti. Proprio la presenza dell’unico frammento di olla di Internal slip ware e della brocchetta in ceramica depurata, insieme a tutto quanto sopra detto in relazione alle sequenze stratigrafiche e alle presenze/ assenze di Internal, potrebbe spingerci a prendere in considerazione la possibilità che anche il contesto di Acquacetosa si sia formato non entro la prima metà del V sec. a.C., ma piuttosto nella seconda metà dello stesso secolo, se non più tardi, quando cioè la produzione dei contenitori rivestiti era ancora ai suoi esordi.

Vedi Argento 2006, p. 348, tav. 2, 16 e Di Giuseppe 2006a, p. 378, tav. 22, 180; da ultimo Ambrosini 2009a, pp. 168-189. 467 Presentato in Bedini 1990, pp. 174-177. 468 Bedini 1990, p. 177, 8.1.40. 469 Come ad esempio Casale Pian Roseto (Murray Threipland, Torelli 1970), Prima Porta (Messineo 1989-90) e il pozzo di Veio a Piano di Comunità (Ambrosini et al. 2009). 466

Alla luce di queste osservazioni e in attesa di ulteriori 470

117

Vedi Ambrosini 2009a, pp. 206-207.

Forum Iulium

verifiche stratigrafiche, si ritiene che l’inizio della produzione di questo vasellame debba essere fissato alla seconda metà o meglio ancora alla fine V/inizi IV sec. a.C., come sostenuto fin dall’inizio da Leslie Murray Threipland.471 È’possibile che l’origine di questa produzione vada cercata nelle forme più tarde di impasto rosso con il quale l’Internal slip ware condivide rivestimento colorato di rosso/rosato e le prime forme di olle con orlo rigonfio.472

fine VI o del V sec. a.C., dovremmo spiegare come mai esso sia rimasto esposto senza usurarsi e come mai l’area non sia stata più frequentata né risistemata fino alla metà del IV sec. a.C. Si potrebbe pensare che la zona sia stata bonificata e obliterata da un nuovo quartiere abitativo, a sua volta completamente azzerato fino a riesporre lo strato di incendio verso la fine del V/inizi IV sec. a.C., quando viene ricostruito il clivus? In altre parole, è possibile che sia avvenuto ciò che molti secoli più tardi metterà in atto Cesare per la costruzione del suo foro, ovvero il completo annullamento di un quartiere abitativo di epoca repubblicana? Ci appare sinceramente una spiegazione difficilior, in quanto onerosa e antieconomica per una fase così alta del periodo repubblicano.

Ma vediamo ora come l’intera sequenza stratigrafica, oltre alla cronologia iniziale dell’Internal slip ware, permetta di avanzare alcune proposte circa l’individuazione dell’incendio. L’incendio dal punto di vista del vasellame

La composizione dei contesti al di sopra dell’incendio e dentro i pozzi, in particolare l’assenza della ceramica a vernice rossa opaca e della vernice nera sovradipinta, che si affermeranno in una fase avanzata del IV sec. a.C.,473 la presenza esigua dell’Internal slip ware, della kylix in ceramica attica e di tutte le forme descritte, rendono assai più probabile che l’incendio sia avvenuto in un momento in cui la produzione e diffusione dell’Internal slip ware era ancora agli inizi ovvero, come sopra sostenuto, tra la fine del V e gli inizi IV sec. a.C.

Ricapitolando quanto finora esposto, abbiamo visto che i pochi materiali rinvenuti permetterebbero di inquadrare l’incendio (US 1710) in un momento qualunque compreso tra la fine del VI e il V sec. a.C. Tuttavia, la possibile giacitura secondaria del vasellame non ci permette di considerarlo pienamente affidabile ai fini della datazione dell’incendio stesso. Molto più significativi sono gli strati stesi sopra l’incendio (UUSS 1703 e 1702, 1366), su cui verrà messo in opera il nuovo clivus per il collegamento dell’Argileto al Campidoglio, e i riempimenti dei pozzi effettuati nella fase di ripristino dell’area post-incendio, contesti che nell’insieme forniscono un valido terminus ante quem per l’evento disastroso. In tali ambiti un’olla in Internal slip ware (fig. III.69, 46 da pozzo 1), una brocca in ceramica d’impasto sabbioso (fig. III.71, 71 da pozzo 3), una kylix in ceramica a vernice nera attica (fig. III.71, 69 da pozzo 3), una probabile lekythos in ceramica depurata dipinta (fig. III.71, 70 da pozzo 3) consentono di restringere la datazione delle operazioni post-incendio alla fine del V-inizi del IV sec. a.C., cronologia con la quale sarebbero congruenti le coppe in bucchero (fig. III.69, 50-53 da pozzo 2; fig. III.71, 65 da pozzo 3; fig. III.74, 91 da Bonifica) e in ceramica depurata dipinta (fig. III.69, 56 da pozzo 2; fig. III.74, 94 da Bonifica) oltre a tutte le altre forme di lunga durata in ceramica comune.

Fatta questa riflessione e considerata l’entità dell’incendio che non è stato interamente rimosso in antico, ma è diventato quasi il monumento di se stesso all’interno del clivus, non si può fare a meno di pensare che l’evento distruttivo occorso tra la fine del V e la prima metà del IV sec. a.C. sia da collegare proprio con il sacco gallico (390 a.C.). Dalle fonti letterarie, messe spesso in discussione dagli storici,474 sappiamo quanto diffuso e devastante, anche sul piano psicologico, sia stato questo episodio e come gli effetti furono ricordati nel tempo.475 Il trauma fu tale che i Romani, finito il sacco, preferirono fuggire e rioccupare le case rimaste vuote a Veio dopo la conquista del 396 a.C., piuttosto che rimanere in città e ricostruire le loro dimore; fu necessario un decreto senatoriale accompagnato da minaccia di condanna a morte per convincerli a rientrare a Roma.476

A questo aggiungiamo che il massetto cesariano su cui viene allestito il foro (US 1366) e che si imposta direttamente sui pozzi rasati, sulle strutture arcaiche e sul clivus, è uno strato che rimescola molto materiale cronologicamente coerente inquadrabile all’incirca tra il 350 e il 320 a.C., quando cioè l’intero quartiere repubblicano doveva essere in fase di ristrutturazione dopo l’incendio. Il dato è importantissimo in quanto fornisce un preciso termine ante quem per l’incendio che deve essere avvenuto prima della metà del IV sec. a.C.

In base alla tradizione letteraria, i Galli entrati a Roma e rimastivi per 6/7 mesi si sarebbero acquartierati nell’area del Foro Romano, imponendo un regime di terrore tramite saccheggi, massacri, incendi e abbattimenti di qualche dimora aristocratica e plebea situate nei pressi del foro - o poco lontane da questo - al fine di impressionare i Romani asserragliati in Campidoglio.477 E’ importante insistere sul

Detto questo, se ammettessimo che si tratta di un incendio avvenuto in un momento qualsiasi della seconda metà/

Vedi seriazioni in Ferrandes 2006. I termini storiografici del dibattito sul sacco gallico sono sintetizzati già in Roberts 1918 e in Ampolo 1983, p. 12, nota 11 con bibliografia precedente. Ora vedi anche Briquel 2008 e Delfino 2009b. 475 Pol., II 18, 1; Liv., V 33-55; VI 1, 9-10, Diod. Sic., XIV 115, 6 e XIV 116, 8. 476 Liv., VI 4, 5-6. 477 Liv., V 41-42; Plut., Cam. 22, 6; Rom. 22, 2. Per una più ampia raccolta delle fonti vedi Briquel 2008; Delfino 2009b e il cap. IV, infra. 473

474

Vedi supra. Si vedano ad esempio le olle del pozzo di Piano di Comunità realizzate in impasto rosso con forme identiche a quelle più antiche dell’Internal slip ware: Ambrosini et al. 2009, fig. 7, 3-6, fig. 8, 1-2, fig. 9, 1. Si vedano anche le osservazioni di Alessia Argento in Argento 2010, p. 76, nota 2. 471 472

118

Lo scavo e la ricostruzione

fatto che non tutti i capi dei Galli volevano la distruzione di Roma e che non tutte le case furono bruciate - Livio parla di qualche incendio - quaedam incendia, come dimostrazione finalizzata a spingere i Romani alla capitolazione.478 I Romani asserragliati sul Campidoglio vedevano i nemici in tutte le strade, sentivano le urla di donne e bambini e i rumori delle fiamme e delle case crollate.479 Se seguiamo il racconto di Livio, appare evidente che i quartieri distrutti e interessati dagli incendi dovevano essere visibili dal Campidoglio e così vicini che chi stava sul colle poteva sentire i fragori della distruzione: l’area del Foro di Cesare con il suo quartiere abitativo sulle pedici del Campidoglio sembra essere tra le candidate migliori a interpretare una delle scene della distruzione.

cui a Roma si registra un programma di ristrutturazione generale che potrebbe essere motivato proprio dal passaggio dei Galli.484 Casi utili sono rappresentati, ad esempio, dai pozzi arcaici obliterati in gran numero nelle aree limitrofe al Foro Romano proprio tra il IV e III sec. a.C. Solo nella ristretta porzione delle aree indagate nel Foro di Cesare si contano ben cinque pozzi obliterati485 tra IV e III sec. a.C., Colini ne menziona altri cinque tra il Tempio di Saturno e il portico degli dei Consenti,486 Boni ne ricordava 70 nell’area del Foro Romano.487 La costruzione dei primi acquedotti - risalente ai primi decenni del III sec. a.C. -, che avrebbe vanificato la funzione dei pozzi può essere una spiegazione valida per la dismissione solo di alcune di queste infrastrutture ma non per tutte. Molti pozzi infatti, come quelli del Foro di Cesare, mostrano riempimenti che precedono di molto la costruzione dei primi acquedotti e si accompagnano a profonde trasformazioni delle aree della città e alla costruzione di nuovi percorsi viari, sulle cui ragioni è necessario continuare ad interrogarsi.

Nonostante l’entità degli avvenimenti narrati dalle fonti va rilevato che finora l’archeologia ha stentato a individuarne a Roma un’adeguata corrispondenza. Il Gjerstad aveva riconosciuto questo episodio in strati di incendio nell’area del santuario della Magna Mater sul Palatino, nel comizio e nella Regia;480 mentre nel primo caso l’associazione dei materiali risultava coerente con la cronologia del sacco gallico,481 nel secondo e nel terzo, l’analisi dei reperti aveva portato ad escluderlo, in quanto di molto più antichi.482 I troppo labili indizi del sacco gallico avevano dunque spinto Filippo Coarelli a sostenere che esso rientrava tra gli ultimi grandi episodi mitico-storici della città e che i suoi effetti negativi andavano certamente ridimensionati non essendo mai stata trovata a Roma “alcuna traccia sicura dell’incendio gallico”.483

Un caso emblematico è rappresentato dal Tempio di Vesta nel Foro Romano ugualmente interessato dagli episodi del sacco gallico in base ai racconti della tradizione letteraria. Finora gli scavi estensivi sulle pendici settentrionali del Palatino non avevano fatto emergere strati di incendio riconducibili al sacco. Tuttavia, proprio la recente ricerca archeologica e una meritoria esegesi dei reperti ceramici hanno permesso nuove acquisizioni. Il Tempio di Vesta sembra aver acquistato per la prima volta la pianta rotonda, che tuttora vediamo, intorno alla metà del IV sec. a.C., a seguito di una profonda opera di ristrutturazione dell’edificio. Le fosse di fondazione del nuovo tempio si datano intorno alla prima metà del IV sec. a.C. e gli strati stesi al di sopra di questi per innalzare il piano di calpestio tra le seconda metà e la fine dello stesso secolo.488 Anche gli autori dello scavo ammettono che una simile e importante ricostruzione possa essere motivata dagli episodi del sacco gallico.489 Sappiamo che alle Vestali fu ordinato di preservare i sacra publica e di tenerli lontani dagli incendi e dalle fiamme.490 Non è chiaro se questo voglia dire che il Tempio di Vesta fu incendiato o se lo Stato avesse semplicemente espresso il timore che accadesse. In ogni modo forme di distruzione dovettero essere messe in atto se poco dopo il sacco l’edificio sacro fu riedificato.

Credo, in realtà, che vada posto un problema di carattere squisitamente metodologico. Nel caso specifico, la tendenza alla specializzazione di noi studiosi di vasellame antico fa sì che, in genere, chi si occupa di ceramica arcaica non studi la ceramica medio-repubblicana e, viceversa, chi studia il materiale più recente non si occupi di quello più antico. Questo ha generato nel tempo un gap artificiale che ha reso quasi invisibile dal punto di vista dei fossili guida il periodo che va dalla metà del V alla metà del IV sec. a.C., comunque oggettivamente difficile da riconoscere per via delle ragioni sopra esposte. Come rintracciare, quindi, sul piano archeologico i resti di questo evento traumatico? Bisogna innanzitutto sgomberare il campo da un luogo comune, ovvero che il sacco gallico vada identificato con un incendio che interessò l’intera città di Roma: gli incendi furono episodici ed ebbero un carattere puramente dimostrativo, come abbiamo visto. Ai fini del riconoscimento del disastro sembra essere più costruttiva l’analisi della formazione dei depositi in relazione all’obliterazione e ricostruzione di strutture e pubbliche e private tra il IV e gli inizi del III sec. a.C., momento in

Se la ricostruzione fin qui proposta coglie nel vero, potremmo spingerci oltre, fino a immaginare la scena del massacro: le due dimore del Foro di Cesare potrebbero essere tra quelle nobili saccheggiate e distrutte dai Galli e le ragioni per cui non sono stati rinvenuti importanti depositi all’interno di esse potrebbero essere legate al fatto che i

Coarelli 1988b, pp. 331-332. Tre sono stati presentati in questa sede (Pozzi 1, 2, 3), uno è stato pubblicato da Marina Ricci. Ricci 2013, pp. 11-23. 486 Colini 1941, pp. 86-99. 487 Boni 1913, p. 47. 488 Argento 2010, pp. 77-80. 489 Arvanitis 2010c, p. 57. 490 Liv., V 9, 11; 39, 7-8; Plut., Cam. 20, 3. 484

Liv., V 42, 1. 479 Liv., V 42, 2-4. 480 Gjerstadt 1960, pp. 82 220, 294, 354. 481 Si vedano le considerazioni di Pensabene 1983b, p. 158. 482 Coarelli 1978, pp. 229-230; Torelli 1978, p. 227. Si vedano anche le considerazioni di Carafa 1998, pp. 42-47, nota 28. 483 Coarelli 1988b, p. 332. 478

485

119

Forum Iulium

III.78. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Edifici 1 e 2. Pianta ricostruttiva (rilievo V. Di Cola, C. Nasti, M. Rossi).

nemici dopo aver ucciso i nobili, svuotarono le loro case e poi le incendiarono, come riportato da Livio e Plutarco.491

3.2.3. La ricostruzione (fig. III.78) (A. Delfino) Lo studio del materiale proveniente dallo strato d’incendio, dagli strati di bonifica e dal riempimento dei pozzi ubicati nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice rende credibile l’ipotesi che la distruzione dei due edifici possa essere ricondotta ad un evento accaduto durante il sacco gallico del 390 a.C. La nuova sistemazione dell’area, che prende avvio subito dopo questo episodio distruttivo e quindi già nel corso della prima metà del IV sec. a.C., interessa direttamente gli Edifici 1 e 2 fortemente danneggiati dall’incendio.494

Il caso del Foro di Cesare, qualunque sia la verità, offre l’opportunità di tornare ad interrogarci ancor più criticamente su questo episodio. La pubblicazione di sequenze stratigrafiche non inquinate, che pure stanno emergendo a Roma, a volte associate a tracce di incendio,492 la valutazione delle presenze/assenze,493 un’attenta seriazione del bucchero, della ceramica depurata e dell’impasto sabbioso, una revisione dei contesti coevi che sono sempre più numerosi e anche un’analisi dei contesti di inizio III sec. a.C., che tramite i residui conservano memoria di ciò che circolava nel secolo precedente, potrebbero aiutarci a meglio caratterizzare la facies ceramica di questo controverso periodo rappresentato appunto dalla prima metà del IV sec. a.C., restituendo dignità storica a lembi di devastazione di cui Roma potrebbe aver conservato più memoria di quel che crediamo.

Dell’Edificio 1, come si è visto, non esistono tracce sufficienti che possano aiutare a stabilire l’entità della sua ricostruzione. Per questa ragione è sembrato più opportuno astenersi da una proposta ricostruttiva della sua articolazione interna, pur azzardando una restituzione dell’ingombro complessivo, indiziato da tracce meno labili. Fra queste, la più evidente è senza dubbio la costruzione del condotto di deflusso delle acque che attraversa in senso obliquo uno degli ambienti ipotizzati sul lato nord-orientale

Liv., V 41, 10; Plut., Cam. 22, 6. Dopo la pubblicazione delle sequenze delle pendici settentrionali del Palatino, area Vesta (Arvanitis 2010a), si auspica una altrettanto veloce edizione di quelle nord-orientali del Palatino stesso, indagate sotto la direzione di Clementina Panella, che conterrebbero resti dell’incendio gallico: ringrazio Sabina Zeggio per le informazioni fornite. 493 Ricordo il recente riassetto delle cronologie delle ceramiche figurate, a vernice nera sovraddipinta e stampigliate di Antonio Ferrandes: Ferrandes 2006; Idem 2008a. 491 492

L’operazione di bonifica e rialzamento dei livelli attuata dopo la distruzione dei due edifici trova una diretta analogia con quella riconosciuta nell’area sacra del Cermalus datata all’inizio del IV sec. a.C. e messa in relazione con il sacco gallico. Vedi Puglisi 1951, pp. 2-98; Ampolo 1976, pp. 143-145; Pensabene 1993, p. 158; Pensabene, Falzone 2001, pp. 117121; Bruno 2012, p. 224. 494

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Lo scavo e la ricostruzione

dell’abitazione. Tale condotto, per la sua posizione, doveva raccogliere le acque reflue provenienti dall’area centrale dell’edificio e/o le acque di gronda delle coperture degli ambienti posti su questo lato. Tale interpretazione implicherebbe, pertanto, un rifacimento delle coperture, delle quali alcune falde dovevano essere displuviate verso l’interno dell’abitazione.

a modifiche intervenute al suo originario impianto. Si è tentato, pertanto, di applicare lo schema tipico della casa ad atrio - fauces-atrium-alae-tablinum - all’interno del perimetro, questo sì, ritenuto invariato, dell’Edificio 2. Lo schema è stato sovrapposto all’evidenza archeologica reintegrando le parti, che sono la maggioranza, mancanti. Seppur in gran parte di ricostruzione, la disposizione generale degli ambienti è il risultato di questo confronto il cui unico scopo è stato quello di accertare una compatibilità con i modelli di riferimento.

I muri perimetrali dell’Edificio 1, quello nord-orientale e quello sud-orientale, non sembrano essere stati modificati nel loro tracciato, restando in uso ancora nel periodo successivo; quello sud-orientale, in particolare, continua a costituire uno dei limiti dell’ambitus. Lungo il tracciato di quest’ultimo viene realizzata una canalizzazione interpretabile come deflusso dell’acqua di gronda dei due edifici.495

Pur tenendo conto della scarsità degli elementi a disposizione e rimarcando il carattere di proposta suscettibile di ipotesi anche molto diverse dalla nostra, la presenza di un atrium provvisto di impluvium centrale può essere indiziata proprio dalla presenza, in questo punto dell’abitazione, della cisterna a tholos e di strutture ad essa pertinenti attestate nel periodo successivo. La cisterna, mancante solo della parte sommitale della copertura, doveva svilupparsi in altezza per circa 4 m, con un diametro di 3,75 m e una capacità, calcolata fino all’imposta della copertura (alt. 2,75 m circa), di 30,603 m3, pari a 30.603 litri.497 Diversamente da quanto indicato in una precedente pubblicazione,498 è possibile supporre che la copertura si sviluppasse in altezza per circa 1,40 m, in rapporto al sistema di approvvigionamento, che doveva essere assicurato da una canaletta o da un condotto in terracotta proveniente dall’impluvium centrale, che si innestava nella copertura della cisterna ad una quota superiore al quarto anello di blocchi conservato (vedi fig. III.57).499 Un foro apicale del diametro di 0,40 m era ricavato nei blocchi sommitali della pseudo-cupola ritrovati in frammenti nei depositi di riempimento della cisterna ed era probabilmente rivestito da una vèra fittile, forse costituita dalla porzione superiore di un dolio, rinvenuto anch’esso in frammenti all’interno della struttura.500

Una continuità d’uso è attestata anche per il pozzo arcaico (A), ubicato nella porzione centrale dell’edificio, che continua a funzionare fino alla fine del periodo successivo. Un grande cambiamento, al contrario, interessa l’asse stradale diretto all’Argileto. A partire da questo momento, infatti, la strada viene allargata fino ad obliterare la crepidine presente lungo il lato nord-orientale dell’Edificio 1; per la prima volta, inoltre, il manto stradale viene pavimentato con lastre di tufo. La strada, ipotizzando che il suo limite settentrionale non sia stato modificato, avrebbe ora raggiunto una larghezza di circa 3 m pari a 10 piedi (crepidini escluse). Dell’Edificio 2 possediamo maggiori elementi per definire almeno le sue modifiche principali. Una delle più importanti è costituita dal muro perimetrale nord-orientale, che viene ricostruito in posizione più arretrata rispetto a quello precedente l’incendio. Tale modifica, come nel caso dell’Edificio 1, è forse spiegabile con l’esigenza di allargare la sede stradale. Il resto del perimetro dell’edificio sembra non aver subito modifiche rispetto al periodo precedente.

Per quanto riguarda gli ambienti coperti disposti intorno allo spazio centrale, la presenza di almeno due di essi è attestata

All’interno dell’edificio le modifiche più sensibili sono costituite dal rialzamento dei piani pavimentali e dalla creazione di nuove infrastrutture. Fra queste, quella che riveste maggiore interesse è certamente la cisterna a tholos, costruita nello stesso luogo dove era situata quella precedente di forma rettangolare.

In questo stesso periodo viene datata la cisterna a sezione ogivale della villa repubblicana di Grottarossa (vocabolo Monte delle Grotte), sulla via Flaminia; Stefani 1944-1945, pp. 52-72; Terrenato, Becker 2009, pp. 393-401; Carnabuci 2012, pp. 92-93. Oltre la datazione, quello che avvicina la cisterna di Grottarossa a quella del Foro di Cesare sono le sue misure: altezza originaria fino al cervello della volta: 4,60 m; diametro interno: 3,50 m circa. Vedi Cozza 1947, pp. 101-110. Misure analoghe sono riscontrabili anche in alcune cisterne rinvenute in contesti urbani come ad esempio quella scavata dal Boni nel 1912-1914, sotto la Domus Augustana. In questo caso si tratta di una specie di tholos scavata nel tufo le cui misure (larghezza max.: m 3,30; altezza: m 5 circa), la avvicinano a quella del Foro di Cesare. Vedi Gjerstad 1960, p. 124 e Pensabene, Falzone 2001, p. 5. Significativo è anche il caso di Fidene, dove alcune cisterne rinvenute negli ultimi anni e databili tra la tarda età arcaica e la prima età repubblicana, sono state messe in relazione con edifici abitativi. Vedi Belelli Marchesini, di Gennaro 1990, p. 158 con bibliografia precedente. 498 Delfino 2010b, pp. 299-301. 499 Il sistema di adduzione doveva essere simile a quello riconosciuto da Carettoni presso la cisterna a tholos della Basilica Emilia. Vedi Carettoni 1948, p. 118 e Carnabuci 2012, pp. 89-90. Per casi analoghi vedi Carafa 2000d, p. 246 con bibliografia di riferimento. 500 Il diametro del foro apicale stimato sui 0,40 m, trova un diretto confronto con l’analoga misura riscontrata alla base del puteale fittile rinvenuto dal Boni sulla Via Sacra. Vedi Van Kampen 1995, p. 236. Sulle vere fittili di pozzi e cisterne vedi da ultimo; di Gennaro, Foddai 2003, pp. 7-18. 497

Proprio la presenza della cisterna a tholos, considerando la funzionalità e i confronti con domus vicine e coeve,496 indirizza verso un tentativo ipotetico di applicazione a questi resti di una tipologia architettonica ad atrio. Tale scelta si è basata sul presupposto che poiché risulta accertata una continuità dell’Edificio 2 durante tutto il periodo repubblicano non sia del tutto azzardato pensare Sistemi analoghi sono ricostruiti in Colonna 1986, p. 465 e De Albentiis 1990, p. 69. 496 Il riferimento è al quartiere di domus ad atrio del Palatino databile dalla fine dell’età arcaica fino al 64 d.C. Vedi in particolare Carafa 2000c, pp. 266-274 e Papi 2005, pp. 199-224. 495

121

Forum Iulium

da un tratto murario501 perpendicolare al muro perimetrale nord-ovest da cui sono ricostruibili rispettivamente: un piccolo vano in corrispondenza dell’angolo settentrionale dell’edificio e un ambiente più grande di cui faceva parte il focolare menzionato più sopra.502 A sud-ovest di questo, in base alle strutture individuate nel periodo successivo,503 è ipotizzabile una delle due alae e uno degli ambienti laterali al tablinum. Un’ultima evidenza importante è costituita dal lacerto di pavimentazione a lastre di tufo granulare individuato presso il lato nord-orientale dell’edificio. Come si è visto, una lastra, quella posta più ad ovest, presenta il margine finito e forse le tracce di una soglia asportata. Il muro perimetrale, inoltre, in corrispondenza della pavimentazione conserva lo stipite di un’apertura. In base a queste caratteristiche e alla posizione della pavimentazione è stato possibile stabilire sia i limiti e le dimensioni di massima dei due ambienti sopra descritti sia, come vedremo tra breve, l’ingresso dell’edificio (vedi fig. III.78). III.79. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Edificio 2. Pianta ricostruttiva delle coperture (elaborazione grafica V. Di Cola).

A questo punto, non avendo ulteriori elementi utili per la proposta di ricostruzione si è fatto ricorso ancora una volta alle evidenze strutturali attestate nel periodo successivo. Si è reso così possibile proporre l’esistenza di almeno altri due ambienti posti in corrispondenza del tratto nordoccidentale del lato sud-est dell’edificio e, analogamente al lato opposto, l’altra ala e l’ambiente a sinistra del tablinum.

a tholos. La falda opposta, rivolta all’esterno della casa, avrebbe invece riversato le acque meteoriche in strada. Così ricostruito l’Edificio 2 si caratterizza come una domus ad atrio di tipo tuscanico (13 x 12 m circa), sviluppata nel senso della larghezza, dalla pianta non propriamente canonica dovuta alla disposizione non perfettamente regolare degli ambienti intorno allo spazio centrale e alla mancanza di un profondo e assiale corridoio di accesso (fauces), come ci si aspetterebbe in edifici di questo tipo.506 Tale impianto può essere spiegato con il vincolo determinato dalla ristrettezza dello spazio in cui si trovava la domus, stretta come era fra altre abitazioni, limitata dalla strada diretta verso l’Argileto e posta contro il versante del Campidoglio. Per questo motivo la trasformazione della domus a corte interessò unicamente gli spazi interni dell’abitazione, mantenendo invariato il suo perimetro originario.

Per quanto riguarda quest’ultimo, pertanto, mancando del tutto evidenze al riguardo, la sua presenza si è potuta proporre sulla base dei modelli di riferimento dai quali sono state ricavate le dimensioni di massima, la misura dell’apertura, l’ampiezza dei vani laterali ad esso.504 Partendo dall’ipotesi avanzata più sopra che l’Edificio 2 possa essere stato trasformato in una domus ad atrio, la presenza dell’apertura presso l’angolo settentrionale dell’edificio, unita a quella della pavimentazione posta in sua corrispondenza e, infine, il piccolo ambiente posto al lato di entrambe, potrebbero giustificare la ricostruzione di un ingresso all’abitazione articolato in un corridoio (vestibolo e fauces?) e in un vano comunicante con esso (cella ostiaria?).

In conclusione, le dimensioni dell’abitazione (circa 9 m di altezza per circa 807 mq), la posizione in uno dei luoghi più importanti della città e la sua stessa tipologia edilizia,

Come nel periodo precedente, il sistema di copertura a causa dell’assenza di tracce può essere soltanto ipotizzato sulla base di esempi coevi di domus ad atrio (figg. III.79 e III.80).505 Si può supporre, quindi, che i blocchi di ambienti distribuiti sui quattro lati, fossero coperti da un tetto a due falde delle quali quella rivolta verso l’atrio della casa displuviata verso l’interno, così che l’acqua di gronda raccolta nell’impluvium avrebbe alimentato la cisterna

Analoghi impianti planimetrici possono essere riconosciuti nella casa della regio V di Marzabotto datata al V secolo a.C. Vedi Colonna 1986, pp. 465-466, tav. XX e De Albentiis 1990, pp. 67-69; Jolivet 2011, pp. 7981. Analogie nella disposizione e nelle dimensioni degli ambienti interni possono essere rintracciabili nella domus 5 del Palatino databile a partire dalla fine del III sec. a.C. secolo (Gualandi 2005, pp. 18-27, fig. 15), nella fase 1 del periodo 4 (225-150 a.C.) della Villa dell’Auditorium (De Davide 2006, pp. 252-268, fig. 151), nella domus 7 di Fregellae databile a partire dalla fine del IV sec. a.C. con interventi sostanziali fino all’inizio del II sec. a.C. (De Albentiis 1990, pp. 104-106 e pp. 138-139; Coarelli 1998b, pp. 64-65, tav. XI, fig. 18, p. 131) e nella fase databile tra il 200 e il 125 a.C. della Domus Regia poi Domus Publica presso il Santuario di Vesta; Carandini et al. 2010, pp. 80-81 e fig. 38. 506

Att. 35; UUSS 1012, 1014. Att. 37; US 1300. 503 Vedi il punto III.3.3.1., infra. 504 Per i modelli di case ad atrio a cui si è fatto riferimento vedi note seguenti. 505 Gualandi 2005, p. 27, tavv. VII-VIII (domus 5) e Papi 2005a, pp. 49-50 tavv. XXV-XXVI (domus 8); De Davide 2006, pp. 263-264, fig. 159. 501 502

122

Lo scavo e la ricostruzione

III.80. Foro di Cesare. Periodo 2. La ricostruzione e la vita dei due edifici (prima metà IV sec. a.C.-120 a.C.). Edificio 2. Sezione ricostruttiva a-a' (nord-ovest/sud-est) vista da sud-ovest; sezione ricostruttiva b-b' (nord-est/sud-ovest) vista da nord-ovest (elaborazione grafica V. Di Cola).

inducono ad ipotizzare che il suo proprietario fosse un personaggio di alto rango.

tufo “cappellaccio” individuate e datate da Antonio Maria Colini genericamente tra l’età medio-repubblicana e il I secolo a.C. Sulla loro tipologia edilizia o funzione, poco si può dire a causa del pessimo stato di conservazione. La struttura che più di tutte suscita interesse, è costituita da un potente muro in blocchi di tufo,508 che secondo le interpretazioni di Colini e di coloro che si sono occupati dell’argomento, è da considerarsi come una sostruzione connessa ad un taglio operato sul fianco collinare del Campidoglio. La struttura doveva delimitare un’ampia

L’area circostante La fase edilizia messa in luce nell’area del Foro di Cesare, sembra trovare una qualche corrispondenza cronologica, con i ritrovamenti avvenuti negli anni Trenta del XX secolo nella zona compresa tra il Carcer e la chiesa dei SS. Luca e Martina.507 Si tratta di alcune strutture in opera quadrata di Colini 1933b, p. 262 e ss; Idem 1941, pp. 91-92; Idem 1946-48, p. 195; Idem 1981, pp. 79-81; Coarelli 1983, pp. 154-156; Idem 1985, pp. 60-63.

Colini 1941, p. 92; Tortorici 1991, p. 58 e ss; Amici 1999; Eadem 2005.

507

508

123

Forum Iulium

area pianeggiante,509 sulla quale doveva ergersi un edificio di grandi dimensioni orientato nord-sud e con piano di spiccato sui 21.5 m s.l.m., di cui rimangono solo alcuni resti murari in blocchi di tufo.510 L’insieme di queste strutture riveste una notevole importanza poiché attesta una grande fase di ristrutturazione edilizia del versante capitolino che in base a quanto finora proposto è possibile datare a partire almeno dal IV-III secolo a.C. Sulla scorta di tale datazione, seppur generica, sembra possibile stabilire un collegamento ideale con le strutture rinvenute nell’area del Foro di Cesare.

rifacimento del Comitium514 e interventi di ristrutturazione nelle aree adiacenti.515 L’area sud-orientale del futuro Foro di Cesare, trovandosi alle spalle del Comizio, può essere stata interessata dal progetto di risistemazione della zona operato dal console del 338 a.C., periodo con il quale sono estremamente coerenti i materiali contenuti negli strati di costruzione delle nuove strutture. 3.3. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.) 3.3.1. Descrizione delle attività (A. Delfino)

L’immagine che se ne può ricavare, infatti, è quella di un impianto costruttivo che senza soluzione di continuità si estendeva dall’area del Foro di Cesare alla balza del Campidoglio, attraverso potenti muri di sostruzione, scalinate e terrazzi artificiali.511

La lettura della sequenza stratigrafica relativa a questo periodo è resa alquanto difficoltosa dalla scomparsa pressoché totale dei livelli medio e tardo repubblicani. Tale situazione è dovuta, come accennato precedentemente, alle operazioni di sbancamento operate dal cantiere cesariano.

Un discorso analogo può esser proposto per le strutture murarie rinvenute da Alfonso Bartoli sotto la Curia Iulia e di recente prese nuovamente in considerazione da Carla Maria Amici.512 Tra queste, escludendo tutte le strutture databili tra il II sec. a.C. e l’età sillana, si vuole prendere in esame quelle datate tra il IV e il III secolo a.C., costituite da muri in opera quadrata di tufo con orientamento nordest/sud-ovest e con piano di spiccato attestato intorno ai 13-13.50 m circa s.l.m.513 Significativo è non solo il loro orientamento, del tutto compatibile con quello delle coeve strutture dell’area del Foro di Cesare ma, soprattutto, la quota degli spiccati attestati costantemente sui 13.50 m circa s.l.m.

Le scarse tracce che si sono potute rilevare, pertanto, possono restituire solo un dato estremamente parziale seppur di un certo interesse. Alla fine del II sec. a.C. (Fase A) si rilevano alcuni interventi che interessano almeno uno dei due edifici. In questo periodo, infatti, si assiste alla ricostruzione di alcune parti dell’Edificio 2, in seguito alla stesura di un nuovo deposito di colmata. La cisterna a tholos, costruita nel periodo precedente, è ora oggetto di un intervento di manutenzione che prevede il rivestimento delle pareti interne con uno spesso strato di cocciopesto.

A questo riguardo, il confronto più immediato è sia con i livelli della strada diretta all’Argileto, che assume in questo momento un andamento in piano e una quota di 13.85 m s.l.m., sia con le quote riscontrabili sui piani di calpestio dell’Edificio 2 attestati sui 13.70-13.80 m s.l.m. La compatibilità delle quote fra le due aree, a questo punto, permette di ipotizzare che a partire dalla seconda metà del IV sec. a.C., viene creata una vasta area pianeggiante, estesa dalla zona del Foro di Cesare a quella della Curia Iulia.

Degno di nota è l’uso, preponderante ancora in questo periodo, del tufo granulare “cappellaccio”. Nell’area a nord-est dell’Edificio 2 viene obliterato il pozzo C. Del tutto assenti sono i dati relativi all’articolazione interna dell’Edificio 1 del quale, pur essendo accertata la sua continuità di vita, nella planimetria ricostruttiva viene riproposto con la sola evidenza dei muri perimetrali e delle infrastrutture di servizio presenti al suo interno.

Per tali motivi è forse possibile mettere in relazione queste importanti operazioni urbanistiche con l’attività di Caius Maenius al quale, nello stesso periodo sono attribuiti il

Ad una fase successiva (Fase B), circoscrivibile agli inizi del I sec. a.C., appartengono gli scarsissimi resti di un muro in opera incerta connesso ad una pavimentazione in lastre di

Amici 1999, p. 299 e ss. L’ipotesi avanzata di recente è che queste strutture siano pertinenti ad un grande edificio databile tra il III e gli inizi del II secolo a.C. identificato con l’Atrium Libertatis. Amici 1999. La tesi tradizionale, invece, vedeva in queste strutture i resti della Curia Hostilia e dei suoi annessi. Coarelli 1985, p. 59 e ss. 511 Una esaustiva disamina di tutti i resti murari rinvenuti sull’Arx del Campidoglio è in Mazzei 1998, pp. 7-50. Sull’argomento vedi anche Fortini 1998, Eadem 2000, pp. 325-326 e Karner et al. 2001, dove viene fornita una datazione al IV secolo a.C. per la costruzione o ricostruzione del Tullianum; quest’ultimo, viene messo in relazione con un edificio sacro legato al culto delle acque. Da ultimo vedi Tucci 2006, pp. 66-67; Mazzei 2007. 512 Bartoli 1963; Amici 2005, in particolare p. 369 e ss; Eadem 2007, pp. 162-163. 513 Amici 2005 p. 369 e fig. 25; Eadem 2007, p. 162. 509 510

514 Nel caso del Comizio, secondo Coarelli vengono rialzati i suggesti C ed E; Coarelli 1983, pp. 124-126, p. 131, p. 145 e ss; Idem 1985, pp. 4446. L’intervento di rifacimento del Comizio sarebbe stato realizzato con i proventi derivanti dalla conquista della ricca città mercantile di Antium (338 a.C.). Secondo la ricostruzione dei livelli del Comizio proposta da Coarelli, il quarto livello pavimentale è quello relativo all’attività di Caio Maenio. 515 Si veda da ultimo Carandini et al. 2010, p. 50, dove ai lavori di Caio Maenio viene attribuita, seppur a livello di ipotesi, la creazione di spazi commerciali legati alla vendita di generi alimentari posti in un’area vicina alla piazza del foro, nella zona in seguito occupata dal Macellum mediorepubblicano.

124

Lo scavo e la ricostruzione

III.81. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). L'Edificio 2 e l'area circostante. Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

tufo (settore F). Si tratta di strutture esterne ai due edifici, forse riferibili ad un altro edificio, di cui sfugge al momento una interpretazione precisa.

e modifica degli spazi interni dell’Edificio 2. Tale ristrutturazione, che ha forse interessato anche il vicino Edificio 1, ha previsto una preliminare rasatura dell’area interna all’abitazione.517

La fine del periodo (Fase C), che precede l’arrivo del cantiere di costruzione del foro, è segnato dal cambio d’uso o dall’abbandono di alcune infrastrutture idriche. La cisterna a tholos dell’Edificio 2 viene adibita a discarica; il condotto di deflusso delle acque516 dell’Edificio 1, invece, come anche il pozzo arcaico (A), vengono abbandonati.

L’Edificio 1

Fase A - La costruzione: fine del II sec. a.C. (fig. III.81)

Come accennato, quasi del tutto assenti risultano i dati relativi ad eventuali modifiche apportate all’Edificio 1. In questa fase continua ad essere mantenuto il limite sud-orientale dell’edificio, il cui muro perimetrale ancora delimita l’ambitus che lo separa dall’Edificio 2.

La fase si caratterizza per un intervento di risistemazione

L’intera area interna e quella esterna all’edificio è interessata

516

Att. 32.

517

125

Att. 42; US 1785.

Forum Iulium

da un’opera di bonifica che ha previsto la stesura di uno strato di livellamento (vedi fig. III.19).518 Lo strato viene deposto sopra la copertura del condotto di deflusso delle acque519 e a diretto contatto della strada.520 Si tratta di un deposito di spessore esiguo (massimo 0,30 m), a matrice argillosa, misto ad abbondanti frammenti ceramici e piccoli scapoli di tufo. Il pozzo A permane in funzione. Colmata e obliterazione del pozzo C (settore F) Depositi analoghi,521 con la stessa funzione di rialzamento e livellamento, vengono deposti nell’area a nord-est dell’Edificio 2, obliterando il pozzo C.522 L’Edificio 2 In questa fase, viene operata una rasatura generale dell’area interna all’edificio fino ad una quota di 13.70 m s.l.m.523 L’operazione comporta lo smantellamento di una parte della precedente pavimentazione in lastre di tufo,524 intaccando gli strati di colmata sottostanti. Si procede, inoltre, alla demolizione delle strutture che si trovavano nell’area circostante la cisterna a tholos; anche in questo caso, l’operazione si è approfondita fino ai depositi di colmata stesi nel periodo precedente.525 Lungo il lato nord-ovest del cortile dell’edificio vengono costruite tre strutture murarie in blocchi di tufo granulare orientate in senso nord-ovest/sud-est, tra loro parallele e interpretabili come muri divisori tra gli ambienti. Il muro più a sud-ovest526 è realizzato in blocchi rettangolari di tufo granulare “cappellaccio”, disposti di piatto (fig. III.82a).527 I conci vengono poggiati direttamente sulla superficie di rasatura del banco naturale. Con la medesima modalità e con blocchi delle stesse dimensioni, viene realizzato un secondo muro a circa 4,70 m in direzione nord-est dal primo.528 Infine, un’ultima struttura muraria costituita da blocchi di modulo maggiore rispetto agli altri muri viene costruita in corrispondenza dell’angolo settentrionale dell’edificio (fig. III.82b).529 L’impiego di blocchi di altezza maggiore, in questo caso, sembra giustificata dalla natura del deposito sottostante non più costituito dal banco naturale ma dalla colmata stesa nel periodo precedente. Come ultima operazione vengono allestite le nuove pavimentazioni

III.82. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). Edificio 2. a. muro divisorio di uno dei vani posti lungo il lato nord-ovest dell'edificio (US 205); b. muro divisorio di uno dei vani posti lungo il lato nord-ovest dell'edificio (UUSS 1053, 1054, 1055).

Att. 43; US 1401. Vedi il punto III.3.3.2., infra. Att. 32. 520 Att. 34. 521 Att. 43; UUSS 1970, 1984. Vedi il punto III.3.3.2., infra. 522 Att. 33. 523 Att. 42. 524 Att. 36. 525 Att. 22 e 31. 526 Att. 44; US 226. 527 I blocchi misurano: 0,73 x 0,45 x 0,18 m. Il confronto più diretto per questa tecnica costruttiva è costituito dalle tabernae novae presso la Basilica Emilia. Da ultimo vedi: Ertel, Freyberger 2007, pp. 110-111 e pp. 115-116. 528 Att. 44; US 205. 529 Att. 44; UUSS 1053, 1054, 1055. I blocchi misurano: 0,78 x 0,47 x 0,30 m. 518 519

di cui, tuttavia, se ne conservano solo labili tracce (fig. III.81).530 In prossimità del lato sud-orientale dell’edificio, si costruiscono altre due strutture murarie tra loro perpendicolari. La prima è rappresentata da un potente muro di fondazione costituito da nove blocchi di tufo giallo Att. 45; UUSS 1026 e 1027. Si tratta di un lacerto di pavimentazione in lastroni parallelepipedi di tufo granulare “cappellaccio” di 0,55 m di lunghezza poggiati sulla superficie del banco naturale. 530

126

Lo scavo e la ricostruzione

di forma parallelepipeda,531 orientato in senso nord-est/ sud-ovest e realizzato in cavo libero (vedi fig. III.27a e fig. III.83). Una volta alloggiati i blocchi, il cavo di fondazione viene riempito con uno strato a matrice argillo-sabbiosa misto a frammenti ceramici, frammenti laterizi e frammenti di tufo lavorato.532 La superficie superiore dei blocchi è lavorata ad anathyrosis per l’alloggiamento del primo filare d’alzato. Nella parte messa in luce, la fondazione intercetta in minima parte il tratto sud-est dell’anello esterno della cisterna a tholos, senza tuttavia metterla fuori uso. Inoltre, in corrispondenza del lato sud-est della fondazione, viene realizzata un’altra struttura fondale solidale e perpendicolare ad essa .533 Lungo entrambi i lati della fondazione in blocchi di tufo giallo, viene steso uno strato di preparazione pavimentale a matrice argillosa, misto a piccole scaglie di tufo.534 La superficie del deposito si attesta sui 14 m s.l.m.

III.83. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). Edificio 2. Veduta da nord-est della fondazione in blocchi di tufo giallo. In alto la cisterna a tholos parzialmente intercettata dalla fondazione.

La seconda struttura messa in evidenza è costituita da un’altra fondazione, questa volta in blocchi di tufo granulare “cappellaccio”535 che sembra articolarsi perpendicolarmente alla prima. In base alla disposizione delle due fondazioni è stato possibile ipotizzare che queste delimitassero un vano ubicato in corrispondenza dell’angolo nord-est dell’edificio. Sulla superficie della rasatura operata in questa fase,536 in corrispondenza della cisterna a tholos e presso l’angolo settentrionale dell’edificio, viene allestita una pavimentazione in blocchi di tufo granulare “cappellaccio”537 la cui superficie si attesta sui 14.05-14.10 m s.l.m. (figg. III.84 e III.85). Nel caso della pavimentazione posta in prossimità della cisterna a tholos,538 dei due filari di blocchi paralleli, quello a sud-est risulta più alto di circa 5 centimetri. Contestualmente, si procede al rivestimento539 delle pareti interne della cisterna a tholos540 tramite uno strato di cocciopesto ben pressato (fig. III.86).

III.84. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). Edificio 2. Pavimentazione in blocchi di tufo (UUSS 799-806).

L’area a nord-est dell’Edificio 2 Esternamente all’Edificio 2, in direzione nord-est (settore

F), viene realizzato un piano pavimentale541 costituito da un battuto in tritume di tufo con superficie inclinata verso est, posto ad una quota variabile tra i 14.06 e i 13.89 m s.l.m.

Att. 46; UUSS 2127, 2128, 2129, 2120, 2126, 2130, 2131, 2136, 2150, 2160. I blocchi misurano: 1,27 x 0,59 x 0,59 m. 532 Att. 46; UUSS 2140=2170. Vedi il punto III.3.3.2., infra. 533 Att. 46; UUSS 2161, 2162. 534 Att. 48; UUSS 2138, 2139, 2157. 535 Att. 47; UUSS 2183, 2184, 2185, 2186, 2188. La struttura è stata solo individuata e non scavata. I blocchi misurano: 0,65 x 0,46 m. 536 Att. 42. 537 Att. 49; UUSS 777, 778, 779, 780, 781, 782 e Att. 50; UUSS 799, 800, 801, 802, 803, 804, 805, 806, 807. I blocchi misurano: 0,69 x 0,47 x 0,26 m. 538 Att. 49; UUSS 777, 778, 779, 780, 781, 782. 539 Att. 51; US 2177. 540 Il rivestimento presenta uno spessore di 2 cm nella parte superiore e di 3 cm nella parte inferiore. In corrispondenza della base del muro si segnala la presenza di alcune fenditure verticali presenti nel rivestimento di cui al momento sfugge una interpretazione precisa. 531

La strada In questa stessa fase, ha luogo un rifacimento della strada che corre esternamente ai due edifici. Parallelamente al lato orientale del canale di deflusso,542 infatti, viene alloggiato un filare di lastre di tufo granulare “cappellaccio” di

541 542

127

Att. 52; US 2202=2203. Att. 32.

Forum Iulium

III.86. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). Edificio 2. Dettaglio del rivestimento in cocciopesto della cisterna a tholos.

di tufo realizzato precedentemente viene parzialmente coperto da uno strato di colmata a matrice argillosa misto a frammenti di tegole.546

III.85. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase A. La costruzione (fine del II sec. a.C.). Edificio 2. Pavimentazione in blocchi di tufo presso la cisterna a tholos. In basso la fondazione cementizia di forma sub-circolare di età cesariana (US 774).

Contro lo strato di colmata547 viene costruito un muro in opera incerta con orientamento nord-ovest/sud-est (fig. III.88a).548 Il muro si imposta direttamente sul piano pavimentale in tritume di tufo,549 una parte del quale continua ad essere utilizzato. Il paramento è costituito da tessere di tufo lionato tagliate a sega, di dimensioni variabili.550 I giunti, spessi tra i 2 e 3 cm, sono rifluenti e lisciati. Il legante è costituito da una malta di calce di color grigiastro mista a caementa di tufo lionato e “cappellaccio”.551 Complessivamente la struttura presenta una larghezza di 0,60 m.

forma rettangolare,543 disposte di piatto e messe in opera direttamente sulla superficie dello strato di livellamento precedentemente steso.544 Il filare di lastre, interpretabile come crepidine, si attesta alla quota di 14 m s.l.m. (vedi fig. III.19a). Fase B - Costruzione di alcune strutture murarie a nord-est dell’Edificio2: inizi del I sec. a.C. (fig. III.87) La fase è attestata da scarse strutture murarie, tra loro non connesse, che testimoniano tuttavia una attività edilizia nell’area a nord-est dell’Edificio 2.

In relazione con il muro in opera incerta, viene realizzata una pavimentazione in lastre rettangolari di tufo lionato,552 la cui quota si attesta sui 14.06 m s.l.m. (fig. III.88b).553

L’area a nord-est dell’Edificio 2 (settore F) Nell’area esterna all’Edificio 2, il battuto

Att. 54; US 2191. Vedi il punto III.3.3.2., infra. Att. 54. 548 Att. 55; US 2193. 549 Att. 52. 550 Misure delle tessere: 18 x 10 cm e 10 x 10 cm. 551 Le misure dei caementa sono: 10 x 15 cm circa. 552 Att. 56; US 2210. 553 L’esiguità del brano pavimentale non ha permesso di accertare le misure effettive delle lastre. 546

545

547

in tritume

Att. 53; UUSS 1089, 1090, 1091. Le lastre misurano: 0,75 x 0,45 x 0,12 m. 544 Att. 43. 545 Att. 52. 543

128

Lo scavo e la ricostruzione

Fase C - Abbandono e cambio di funzione di alcune infrastrutture: metà circa del I sec. a.C. (75-50 a.C.) La cisterna e la defunzionalizzazione delle condutture di deflusso Da questo momento, la cisterna a tholos viene adibita a immondezzaio (fig. III.89). Depositi di discarica, testimoniati da un’altissima percentuale di frammenti ceramici, ossi animali, frammenti di tegole e piccoli scapoli di tufo, immersi in una matrice sabbiosa,554 si accumulano sul fondo della cisterna riempiendola per circa 0,60 m (vedi fig. III.27a). Sia il condotto di deflusso delle acque555 sia le tubazioni fittili ad esso relative vengono ostruiti da una sequenza di depositi limo-argillosi intercalati a livelli sabbiosi, archeologicamente sterili.556 3.3.2. I reperti ceramici (S. Zampini) I materiali relativi a questo periodo ammontano nel complesso a 1407 frammenti di cui il 60% (= 845 frr.) pertinente a vasellame ceramico e il 40% (= 562 frr.) ad altre categorie di oggetti, provengono soprattutto da strati di livellamento ed accumulo molto ricchi di materiale residuo. Periodo 3. Fase A. La costruzione ( fine del II sec. a.C.) La classe ceramica più numerosa è costituita dalle ceramiche comuni che rappresentano più dell’56% del totale, seguono le ceramiche fini (7,7%) mentre le anfore sono solo il 4,4% del materiale, si registra, infine, un elevato numero di frammenti relativi a classi ceramiche residue (31,8%).

III.87. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase B. Costruzione di alcune strutture murarie a nord-est dell'Edificio 2 (inizi del I sec. a.C.). L'Edificio 2 e l'area circostante. Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Gli elementi datanti sono offerti soprattutto dalla classi fini: ceramica a vernice nera e ceramica a pareti sottili. Sono attestate, infatti, una coppa, con pareti arrotondate ed orlo diritto segnato esternamente da due scanalature, tipo Morel 2324a557 ed una, con pareti emisferiche ed orlo indistinto, tipo Morel 2985a.558 L’unico orlo conservato di ceramica a pareti sottili è relativo ad un bicchiere ovoide dal corpo allungato e orlo arrotondato ed estroverso.559 Tra la ceramica comune da mensa e dispensa si segnala la presenza di una brocca con orlo estroflesso ed arrotondato,560 mentre tra i pochi frammenti identificabili di ceramica da

III.88. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase B. Costruzione di alcune strutture esterne all'Edificio 2 (inizi del I sec. a.C.). a. dettaglio del muro in opera incerta; b. dettaglio della pavimentazione in lastre di tufo, coperta dalla pavimentazione della piazza del foro.

Att. 57; UUSS 2175, 2176. Vedi il punto III.3.3.2., infra. Att. 32. 556 Att. 58; UUSS 1061, 1051, 1329. Seppur non inserita nella seriazione delle attività, appartiene a questa fase la sequenza dei primi cinque strati di abbandono (a partire dal basso) che riempiono il pozzo A (UUSS 5321, 5320, 5319, 5318, 5317; vedi fig. III.26). Lo scavo, effettuato durante la campagna di scavo 1998-2000, ha permesso di comprendere che si tratta di depositi di sabbia con scarsissimo materiale all’interno, accumulati in seguito alla cessazione d’uso della struttura. 557 Databile tra la metà del II sec. a.C. e la metà del I sec. a.C. 558 Databile probabilmente nella prima metà del I sec. a.C. 559 Ricci I/7 databile tra la seconda metà del II sec. a.C. ed il 50 a.C. 560 Vedi Dyson 1976 V-D 88, da un contesto datato 70/60 a.C. 554 555

129

Forum Iulium

III.89. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Fase C. Abbandono e cambio di funzione di alcune infrastrutture (metà circa del I sec. a.C.). Edificio 2. Sezione stratigrafica della cisterna a tholos (rilievo C. Baione, R. Catone, G. Del Buono, D. Provenzano,V. Di Cola).

cucina sono attestati un’olla con piccolo orlo a mandorla,561 un coperchio con pareti rettilinee ed orlo indistinto562 ed un altro con pareti rettilinee ed orlo rialzato.563

la ricostruzione di alcuni ambienti, a quota di poco più alta rispetto a quelli attestati nel periodo precedente. L’abitazione, nel complesso, sembra mantenere lo stesso perimetro determinato per il periodo 2.

Pochissime le anfore presenti e tutte provenienti dal versante tirrenico della penisola: l’ansa di un’anfora Dressel 1 e poche pareti di anfore greco-italiche.

L’esistenza di un atrio nell’area centrale della casa può essere proposta sulla base di due indizi: la presenza della cisterna a tholos, ancora funzionante e il rinvenimento, in prossimità di essa, di un lacerto di pavimentazione che in base alla sua posizione e alla particolare disposizione dei blocchi può essere interpretato come il bordo dell’impluvium (vedi fig. III.85)565

Periodo 3. Fase C. L’inizio del riempimento della cisterna (75-50 a.C.) Dal momento che i materiali dell’attività 57 costituiscono la parte più bassa del riempimento della cisterna, si è preferito presentarli in dettaglio insieme al resto del riempimento (periodo 5, Fase B, attività 80). Pochissimi e non databili, invece, i materiali dell’attività 54.564

Dalle tracce messe in luce, è stato possibile ricostruire una serie di ambienti posti intorno allo spazio centrale. Come nel periodo precedente, lungo il lato nord-occidentale dell’edificio sono stati ricostruiti nell’ordine: un piccolo vano in corrispondenza dell’angolo settentrionale e un ambiente più grande ad esso attiguo. Solo ipotizzabili, sempre sullo stesso lato, sono una delle due alae e uno degli ambienti laterali al tablinum. Il piano di calpestio interno, ricostruibile dai preparati pavimentali e da un piccolo lacerto di pavimentazione a lastre individuato in uno degli ambienti, si attesta mediamente sui 14.10 m s.l.m., risultando più alto di circa 0,20 m rispetto a quelli precedenti. Lungo il lato sud-orientale dell’edificio, supponendo che il suo limite sia rimasto invariato, l’esistenza di due ambienti può essere ricostruita in base alla fondazione in blocchi di tufo giallo alla quale si articola perpendicolarmente l’inizio di un’altra struttura fondale.566 Dei due ambienti, quello posto

3.3.3. La ricostruzione (fig. III.90) (A. Delfino) Trattandosi delle fasi costruttive più recenti e, quindi, più superficiali, pochissimo si è conservato dopo la rasatura operata dal cantiere cesariano. Tuttavia, le strutture conservate dell’Edificio 2, seppur esigue, consentono di avanzare alcune brevi considerazioni sull’evoluzione di questa abitazione. Gli interventi che a partire dalla fine del II sec a.C. interessano questo edificio riguardano esclusivamente Vedi Dyson 1976 FG 29, da un contesto datato 200 a.C. Il confronto migliore è tra i materiali di Sutri databili tra il 150 e il 1 a.C.: Duncan 1965, fig. 14, form 51, A121. 563 Anche in questo caso il confronto migliore è con i materiali tardorepubblicani di Sutri: Duncan 1965, fig. 14, form 51, A127. 564 Dall’US 2191 provengono solo 2 pareti di ceramica da cucina e una parete di ceramica d’impasto sabbioso, il resto del materiale è costituito da frammenti d’intonaci e laterizi. 561 562

Att. 49; UUSS 777, 778, 779, 780, 781, 782 Un confronto puntuale, per tecnica e disposizione dei blocchi, si ha nell’impluvio del cortile della villa dell’Auditorium. Vedi Ricci 2006, pp. 197-198, fig. 120. 566 Att. 46. 565

130

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 17. Tabella riassuntiva dei frammenti ceramici datanti del Periodo 3

Periodo 3A (fine del II sec. a.C.)

La costruzione

US

Attività

1401

43: livellamento

1984

43: livellamento

2170=2140

46: costruzione muro di fondazione

Periodo 3B (inizi del I sec. a.C.)

Costruzione di alcune strutture esterne all'Edificio 2

2191

54: strato di accumulo

Periodo 3C (75-50 a.C.) 2175 2176

Abbandono e cambio di funzione di alcune infrastrutture 57: deposito di discarica dentro la cisterna 57: deposito di discarica dentro la cisterna

Reperti datanti a.C. Cer. a vernice nera: coppa Morel 2615a (II sec.). Cer. comune da mensa e dispensa: brocca Dyson 1976 V-D 88 (70-60). Abbondante materiale residuo Cer. da cucina: olla Dyson 1976 FG 29 (200), coperchio Duncan 1965, fig. 14, Form 51, A121 (150/100-1). Anfore Dressel 1(145/135-10) Cer. a vernice nera: coppa Morel 2324 a (150-50), coppa Morel 2985a (probabilmente 100-50). Cer. a pareti sottili: bicchiere Ricci I/7 (150-50). Cer. da cucina: coperchi Duncan 1965, fig. 14, A 121 (150/1001), Duncan 1965, fig. 14, A 127 (150/100-1)

Cer. Impasto sabbioso (non id.). Impasto grezzo (non id.).

Cer. a vernice nera: patera Morel 2265f (150-125), attacca con 2176 Cer. a vernice nera: patera Morel 2286f (110-70; fig. III.155, 4). Anfore: Dressel 2-4 (70/60 a.C.-100 d.C.

più a nord-est aveva come limite nord-orientale lo stesso muro perimetrale dell’edificio. Anche in questo caso, la conservazione dei preparati pavimentali567 ha permesso di ipotizzare una quota d’uso analoga a quella degli ambienti sul lato opposto. L’altra ala e l’ambiente a sinistra del tablinum sono riproposti con le stesse misure e nella stessa posizione stabilite nel periodo precedente, non essendo stato individuato alcun elemento utile alla loro ricostruzione.

150-10

150-50

100-50 (per posizione stratigrafica)

150-125 100-50

Il sistema di coperture dell’Edificio 2, è ricostruibile con qualche difficoltà in meno rispetto ai periodi precedenti. Infatti, l’identificazione della pavimentazione individuata presso la cisterna tholos con l’impluvium, permette di meglio definire la struttura dell’atrio e, quindi, supporre una soluzione simile a quella proposta per il periodo precedente, in cui i quattro lati della casa sono coperti da un tetto a doppia falda (figg. III.91 e III.92).

Sebbene l’impianto dell’abitazione così restituito sembra riproporre sostanzialmente la disposizione di quello ipotizzato nel periodo precedente, alcune novità testimoniano l’avvenuta modifica di alcune sue parti. Come si è visto, infatti, la fondazione in blocchi di tufo giallo dei due ambienti posti sul lato sud-est dell’edificio, viene costruita intercettando in parte la cisterna a tholos che tuttavia continua ad essere in funzione. Questa evidenza, pertanto, sembra suggerire la volontà da parte dei costruttori di potenziare il fronte degli ambienti affacciati sull’atrio. Una seconda importante modifica, indiziata dalla nuova pavimentazione in blocchi di tufo rinvenuta in corrispondenza del lato nord-orientale dell’edificio, è lo 568

200-70

spostamento dell’ingresso più a sud-est rispetto a quello ipotizzato nel periodo 2; tale modifica, di conseguenza, determina l’ampliamento della superficie del piccolo vano a lato dell’entrata (cella ostiaria ?).

La presenza di intonaci dipinti rinvenuti in gran quantità nei depositi di riempimento di epoca cesariana del pozzo A,568 induce a credere che gli ambienti dell’edificio avessero un rivestimento analogo.

567

Datazione a.C.

Per quanto riguarda la strada, anche in questo caso, è sconfortante l’assenza di elementi utili alla ricostruzione del suo tracciato. La presenza di una crepidine569 realizzata in lastre di tufo granulare, comunque, potrebbe essere l’indizio di un rifacimento che ne imposta la quota di percorrenza a 14 m circa s.l.m. A nord-est dell’Edificio 2, oltre la strada, vi è un battuto in tritume di tufo570 che in considerazione della quota più bassa rispetto agli altri piani d’uso, può essere interpretato come il piano pavimentale di un ambiente semi-interrato, forse pertinente ad un’altra abitazione.

Att. 48; UUSS 2138, 2139, 2157. Vedi il punto III.3.4.1.

569 570

131

Att. 53; UUSS 1089, 1090, 1091. Att. 52.

Forum Iulium

III.90. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Edificio 2. Pianta ricostruttiva (rilievo V. Di Cola, C. Nasti, M. Rossi).

L’area circostante La datazione e l’orientamento delle strutture dell’Edificio 2, compatibili con quelli della vicina Basilica Aemilia e con quelli delle strutture repubblicane rinvenute presso il Foro di Nerva,571 consentono di leggere i due edifici dell’area del Foro di Cesare nel più vasto contesto storico-topografico della zona a nord della valle del foro. Il saggio effettuato da Carettoni572 presso il lato nord-ovest della Basilica Aemilia di epoca imperiale, ha messo in luce livelli e strutture di II secolo a.C., pertinenti al primo impianto dell’edificio. Relativamente a questo primo impianto sono state riconosciute due fasi edilizie distinte: la prima, più antica, costituita da una fondazione (α e β) in blocchi di tufo di Grottaoscura, disposti alternativamente per testa e per taglio; la seconda, da un’altra fondazione (F) sempre in blocchi di tufo di Grottaoscura, analogamente disposti. Proprio questa seconda fondazione, secondo Coarelli, sarebbe relativa al lato nord-occidentale della Basilica Aemilia del 179 a.C.573 L’orientamento della

III.91. Foro di Cesare. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Edificio 2. Pianta ricostruttiva delle coperture (elaborazione grafica V. Di Cola).

Morselli, Tortorici 1989, pp. 185-199 e pp. 218-222; Rizzo 2001, p. 224; Meneghini 2007a, pp. 26-27. 572 Carettoni 1948. 573 Coarelli 1985, pp. 137-138. Di opinione contraria è Gaggiotti che ritiene la fondazione F databile all’80 a.C. Lo studioso ritiene, inoltre, che la prima fase individuata da Carrettoni (fondazione α-β) sia pertinente alla 571

132

Lo scavo e la ricostruzione

III.92. Periodo 3. La ristrutturazione dei due edifici (fine del II sec. a.C.-54 a.C.). Edificio 2. Sezione ricostruttiva c-c’ (nord-ovest/ sud-est) vista da sud-ovest; sezione ricostruttiva d-d’ (nord-est/sud-ovest) vista da nord-ovest (elaborazione grafica V. Di Cola).

struttura è nord-ovest/sud-est; il piano di calpestio di questo periodo, in base alle sezioni redatte da Carettoni, è stimabile sui 13.70-13.80 m s.l.m. Come si può constatare, si tratta dello stesso orientamento e delle stesse quote, rilevate sulle strutture della fine del II secolo a.C. individuate nell’area del Foro di Cesare.

in lastroni rettangolari di peperino, dalla fondazione in cementizio di una colonna (diam. 0,80 m ca.) e da un condotto fognario in lastre di tufo.574 La loro datazione è compresa tra la fine del III e l’inizio del II secolo a.C. Come messo in evidenza dagli scavatori che attribuiscono tali strutture al Macellum repubblicano,575 il loro orientamento è del tutto compatibile con quello della Basilica Aemilia.

Per quanto riguarda i ritrovamenti avvenuti presso il Foro di Nerva, questi sono costituiti: da un brano di pavimentazione

Morselli, Tortorici 1989, pp. 185-199; pp. 218-222. Il Macellum è ipotizzato da Tortorici come una vasta piazza lastricata circondata da colonne in stretta relazione con la Basilica Aemilia. Vedi Morselli, Tortorici 1989, pp. 68-71; Tortorici 1991; Palombi 2005a, pp. 83-87; Idem 2005b, pp. 21-28. 574 575

ricostruzione, dopo l’incendio del 210 a.C., dell’Atrium Regium. Il 179 a.C., infine, coinciderebbe con la rifondazione dell’ex Atrium Regium. Vedi Gaggiotti 1985a, pp. 60-61; Idem 1985b, pp. 62-63.

133

Forum Iulium

Di particolare importanza, ai fini del nostro discorso, sono soprattutto le quote di calpestio di queste costruzioni576 che si attestano a 14 m circa s.l.m., poco più in alto, quindi, del piano della Basilica Aemilia della metà circa del II sec. a.C. (13.70-80 m s.l.m.). Se, nel caso della Basilica Aemilia, il leggero salto di quota rispetto all’area del Foro di Cesare può spiegarsi con l’andamento naturale del rilievo, perfettamente compatibili risultano, invece, le quote del Macellum. Da questa serie di dati, pertanto, si deduce che l’area nord-orientale del Foro Romano si saldava senza soluzione di continuità con quella sud-orientale del Foro di Cesare.

a proposito delle fasi medio repubblicane, al massiccio sbancamento operato dal cantiere cesariano, che nel settore nord-occidentale dell’area è arrivato ad intaccare pesantemente il profilo naturale della pendice capitolina. Tuttavia, i pochi livelli databili agli inizi del I secolo a.C. rinvenuti nell’estrema porzione sud-orientale dell’area del foro, sono sufficienti per dimostrare che le quote di calpestio rimangono invariate rispetto a quelle della fase precedente. Le strutture databili nel corso dei primi decenni del I sec. a.C. sono costituite da un muretto in opera incerta580 e da un piano pavimentale ad esso relativo, la cui superficie si trova a 14.30 m circa s.l.m. Il resto delle evidenze è costituito da strutture di II secolo a.C. che continuano ad essere mantenute in funzione.

La continuità di vita dell’Edificio 2 fino all’arrivo del cantiere cesariano, permette di avanzare ancora una considerazione. Tale evidenza, infatti, testimonia che il noto fenomeno del fagocitamento da parte della piazza del Macellum a scapito delle aree private circostanti,577 non deve aver interessato gli edifici di abitazione presenti nell’area del Foro di Cesare e, in parte, nemmeno quelli presenti nell’area del Foro di Nerva.

Anche se scarsi, i dati a disposizione permettono di comprendere che almeno l’Edificio 2 ha avuto una continuità di vita sino all’arrivo del cantiere cesariano e che quindi può essere ricondotto ad uno di quei privata aedificia citati da Cicerone,581 espropriati e poi demoliti per la costruzione del foro.

Proprio con alcuni di questi edifici sono da mettere in relazione i numerosi lacerti di strutture tardo-repubblicane individuati durante le indagini condotte nella metà sudoccidentale del Foro di Nerva nel 1995/1996.578 Si tratta di strutture che per le loro caratteristiche (mosaici figurati, condutture idriche in relazione con impianti termali, ambienti ipogei e semi-ipogei) sono state attribuite a parti di più grandi domus aristocratiche di età tardo-repubblicana.

L’area circostante A questo punto, risulta nuovamente utile il confronto con le strutture rinvenute sotto la Curia, a cui si è fatto cenno in precedenza.582 Come evidenziato da Carla Maria Amici, le strutture murarie databili tra il IV e il III sec. a.C. individuate sotto la Curia si caratterizzano per un orientamento nord-est/sudovest e per un piano di spiccato attestato sui 13-13.50 m circa s.l.m. A partire dal II sec. a.C., invece, l’orientamento delle nuove strutture cambia sostanzialmente, assumendo un andamento nord-ovest/sud-est; al contrario, il loro piano di spiccato rimane pressoché invariato. La ragione di tale mutamento negli orientamenti, secondo la studiosa, sarebbe da mettere in relazione con la costruzione, agli inizi del II sec. a.C., della Basilica Porcia (184 a.C.) che viene ubicata nella zona compresa tra la Curia e la chiesa dei SS. Luca e Martina.583 A riprova di tale identificazione viene segnalato

La presenza di queste ricche abitazioni non lontane dall’Edificio 2 consente di avere un’idea, seppur molto evanescente, del quartiere di abitazioni private nominato nella famosa lettera di Cicerone ed esistente in questa zona fino alla costruzione del complesso cesariano. Un quartiere, di cui uno dei percorsi stradali di collegamento con il Campidoglio e la valle dell’Argileto, è rappresentato dal clivo che in questo momento viene ripavimentato579 a quota di poco superiore rispetto a quello precedente. A questa fase, databile alla fine del II sec. a.C., ne segue una seconda ascrivibile ai primi decenni del I secolo a.C. Come per il periodo precedente, si constata un’assenza pressoché totale di strutture. Ciò è dovuto, come si è detto

Il confronto più vicino è dato da un muro in opera incerta e con lo stesso orientamento nord-ovest/sud-est rinvenuto da Lamboglia dietro la Curia. Lamboglia 1964-1965, p. 105; Amici 2007, p. 163. 581 Cic., Ad. Att. IV 16, 8. 582 Da ultimo vedi Amici 2005, pp. 351-379; Eadem 2007, pp. 162-163. 583 Amici 2005, p. 373, fig. 25. Contra vedi Coarelli 1985, pp. 60-63 che identifica la basilica Porcia nei resti di due ambienti stretti e lunghi rinvenuti negli anni Trenta del XX sec. tra la chiesa dei SS. Luca e Martina e il Carcer (Colini, 1941, pp. 91-92; Colini 1946-48, p. 195). Tali ambienti, che si caratterizzano per la presenza di un muro con paramento in opera incerta, di una copertura a volta e di una base di colonna in fondo all’ambiente più orientale, sono identificati dallo studioso con fondazioni di una sala ipostila relativa proprio alla basilica Porcia. Questa si sarebbe trovata alla quota di 20 m circa s.l.m., vicino alla Curia Hostilia. In base alla descrizione fattane da Colini, Coarelli avanza l’ulteriore ipotesi che i resti messi in luce facciano parte del rifacimento della basilica operato da Silla intorno all’80 a.C.; tale intervento sarebbe stato parte integrante del più vasto progetto di ricostruzione che comprendeva anche la Curia e il Comizio. In conclusione, lo studioso localizza la basilica Porcia e, prossima a questa, la Curia Hostilia, in un’area grosso modo corrispondente alla chiesa dei SS. Luca e Martina. 580

Morselli, Tortorici 1989, pp. 165, 181-182, 193, 229-237, tav. I; Palombi 2005a, p. 83. 577 Si tratta di un processo di acquisizione in publicum che a partire dalla media età repubblicana, soprattutto tra III e II sec. a.C., vede coinvolte le aree circostanti la piazza del Macellum. Vedi Zevi 1991, p. 483. Al riguardo si veda anche Carandini et al. 2010, pp. 50-51, dove viene posta l’attenzione sulla etimologia dei termini Macellum e forum cuppedinis fornita dagli autori antichi (Don., Ter. Eun. II, 2, 25; Fest., 112 L; Paul. Fest., 42 L). I due termini deriverebbero dall’acquisizione (acquisizione in publicum) delle case di due briganti, Manius Macellus e Numerius Equitius Cuppes che vivevano in questa zona prima della costruzione del mercato alimentare. 578 Di questi ritrovamenti sono state date finora solo comunicazioni preliminari in Rizzo 2001, p. 224; Meneghini 2007, pp. 26-27; Idem 2008, p. 75. 579 Att. 53. 576

134

Lo scavo e la ricostruzione

un fognone voltato, largo 1,70 m, il cui orientamento nordovest/sud-est avrebbe rispettato la Basilica Porcia, che dalle fonti sappiamo iuncta curiae.584 Secondo Amici, pertanto, si tratta di un nuovo orientamento che nasce nel II secolo a.C. e che, nonostante un ulteriore rialzamento di quota (14 m s.l.m.), verrà rispettato da Silla al momento di restaurare la Curia.585 L’ipotesi sembra trovare conferma, secondo la studiosa, nei resti di strutture sillane individuati da Lamboglia dietro la Curia, che rispettano tale assetto.586 A questo punto, i seppur scarsi resti databili ai primi anni del I sec. a.C. individuati nell’area del Foro di Cesare, appaiono del tutto compatibili, per quote e orientamento, con quelli appena descritti.

individuati è quella della domus a corte, un’abitazione provvista di un vasto cortile, su due lati del quale si affacciano una serie di ambienti. Le caratteristiche delle due abitazioni (disposizione delle strutture, dimensioni ricostruibili dell’edificio, tecnica costruttiva, copertura con tetti in tegole, presenza di infrastrutture di servizio quali pozzi, cisterne e focolari) ha indirizzato obbligatoriamente la ricerca verso tale tipologia abitativa, tipica delle classi aristocratiche di questo periodo nel Lazio e in Etruria. La ricostruzione della pianta ha restituito due edifici, separati da uno stretto corridoio (ambitus), posti a quote leggermente diverse, ubicati lungo il versante sudorientale del Campidoglio su un’area terrazzata posta a 14 m circa s.l.m. L’ipotesi avanzata è che questo assetto ha determinato uno sviluppo planimetrico nel senso della larghezza, che rimase invariato anche nei periodi successivi. Lo scavo, inoltre, ha permesso di comprendere che contemporaneamente alla costruzione delle due abitazioni venne realizzata anche la strada sulla quale queste si affacciavano. Il tracciato stradale, di cui sono stati individuati almeno quattro livelli d’uso compresi tra l’età arcaica e l’età tardo repubblicana, può essere interpretato come un clivus che metteva in comunicazione la valle dell’Argileto con le pendici sud-orientali dell’Arx.

In un ottica più generale, tutte le evidenze considerate potrebbero essere lette alla luce di un ampio intervento di risistemazione urbanistica operato in questo periodo nell’area compresa tra il Comizio, la Curia e le pendici sud-orientali del Campidoglio.587 Nel caso specifico sembra di poter concludere che il cantiere sillano sia intervenuto con l’intento principale di raccordare, per mezzo di colmate terrose, la zona retrostante la Curia, posta a quota più bassa, con i piani di calpestio dell’area del Foro di Cesare, questi ultimi già dal II sec. a.C. attestati sui 14 m s.l.m. 588 3.3.4. Conclusioni sui periodi 1, 2, 3 (A. Delfino)

La messa in luce di due edifici di abitazione costruiti a stretto contatto tra loro, la presenza di una strada e le numerose infrastrutture individuate in tutta l’area del Foro di Cesare e nelle zone limitrofe, hanno consentito di ipotizzare l’esistenza di un più vasto quartiere di cui le due case dovevano far parte; quartiere che, come abbiamo visto, giunse senza soluzione di continuità fino alla metà del I secolo a.C., quando venne espropriato e distrutto per la costruzione del complesso cesariano.

Le proposte ricostruttive avanzate circa l’assetto assunto dagli edifici 1 e 2 nei diversi periodi hanno permesso di seguire l’evoluzione e le trasformazioni di due ricche abitazioni, poste alle pendici sud-orientali del Campidoglio, dall’età arcaica all’età tardo repubblicana. Consapevoli dei limiti insiti in una documentazione frammentaria ma allo stesso tempo convinti che compito fondamentale della ricerca archeologica è quello di fornire proposte ricostruttive ben distinguibili dal dato di scavo, si è tentato di restituire i volumi delle strutture individuate e il contesto storico-topografico di riferimento.

L’origine di tale insediamento disposto a terrazze lungo le pendici sud-orientali del Campidoglio, sembra risalire all’inizio del IX sec. a.C (fase laziale IIB) quando, dopo la cessazione d’uso della necropoli, proprio nell’area sud-orientale del Foro di Cesare è testimoniata una serie di strutture artigianali e abitative. Nel caso dell’Edificio 1 si è visto che, prima una capanna databile all’inizio del IX sec. a.C., poi una serie di strutture artigianali e/o abitative, si susseguono con esatta sovrapposizione fino alla costruzione della domus a corte all’inizio VI secolo a.C., determinandone l’orientamento di massima (nord-ovest/ sud-est).

Lo schema adottato nella presentazione dei dati di scavo e delle ipotesi ricostruttive, ha consentito di tenere nettamente separati i due aspetti della ricerca e cioè quello della realtà oggettiva fornito dall’evidenza archeologica e quello che, basandosi su tale realtà, è frutto di speculazione. Per quanto riguarda il periodo arcaico, la tipologia edilizia presa a modello per la ricostruzione dei due edifici

I due edifici permangono invariati fino alla fine del del VI secolo a.C. quando ha luogo un intervento di ristrutturazione della cui entità, tuttavia, non è stato possibile avere un’idea più precisa.

Ascon., in Mil. II 34. Da queste considerazioni, la Amici arriva alla conclusione suggestiva che tale orientamento abbia determinato anche quello del Foro di Cesare. Come vedremo in seguito parlando della fase cesariana, l’orientamento del Foro di Cesare sembra invece modificare, seppur lievemente, gli orientamenti di II sec. a.C. e quindi, anche quelli sillani. 586 Lamboglia 1980, pp. 123-130; Amici 2005, p. 369 e ss; Eadem 2007, pp. 163-164. 587 Sull’attività edilizia di Silla in questa zona vedi Coarelli 1985; Grassigli 1991. 588 Significativo al riguardo, è che nell’area retrostante la Curia non siano stati riconosciuti livelli medio-repubblicani Amici 2007, p. 162. Ciò sembra imputabile alle colmate terrose che in età sillana vengono stese sopra la fase edilizia precedente. 584 585

Ma è nel corso dell’inizio del IV sec. a.C. che si registra un evento distruttivo dopo il quale le due abitazioni subiranno un consistente rifacimento. Come si è accennato e come si vedrà meglio nel capitolo IV, è possibile mettere in

135

Forum Iulium

relazione questo evento distruttivo con il sacco gallico del 390 a.C.

epoca precedente (seconda metà II - inizio I sec. a.C.) che nell’area compresa tra la Curia e la zona dell’Argileto sono attestati sui 14 m s.l.m.589

In seguito a questo accadimento, nel corso della seconda metà del IV sec. a.C., i due edifici vengono ricostruiti con una articolazione interna diversa (Periodo 2). Nel caso dell’Edificio 2 viene arretrato il muro perimetrale nordorientale e ricostruito quello nord-occidentale sfruttando come fondazione i blocchi del muro di epoca precedente. All’interno dell’abitazione, dopo un rialzamento dei piani d’uso e la realizzazione di nuove infrastrutture, viene riprogettata la distribuzione degli ambienti, che sembrano ora disporsi lungo tutti e quattro i lati dell’edificio. Tale nuova disposizione ha indotto a cercare una compatibilità tra l’evidenza messa in luce dallo scavo e il modello della casa ad atrio. Il motivo della scelta è stata dettata oltre che dal dato di scavo, sopratutto dallo stato delle conoscenze che riconoscono nella domus ad atrio l’abitazione privata tipica del periodo repubblicano. Tali conoscenze, basate su ritrovamenti anche recenti e avvenuti in aree anche molto vicine alla nostra, hanno permesso di applicare il modello tipico dell’abitazione repubblicana all’Edificio 2 dei periodi 2 e 3. Si è così proposta una ricostruzione secondo lo schema di una domus ad atrio di tipo tuscanico.

La peculiare geomorfologia delle pendici sud-orientali del Campidoglio, che digradano sia in direzione dell’Argileto sia verso la Subura, impone l’adozione di due soluzioni distinte per realizzare le fondazioni dei portici. In corrispondenza delle pendici capitoline, infatti, lo sbancamento si approfondisce fino a 14.50/15 m s.l.m., prevedendo di realizzare in quest’area il portico del lato lungo sud-occidentale. In questo caso i cavi di fondazione sono scavati per tutta la loro profondità nel fianco del colle. Diversamente, nei portici nord-orientale e sud-orientale, rivolti rispettivamente verso la Subura e verso l’Argileto, le fondazioni sono gettate a partire da 14 m s.l.m.; per raggiungere la quota stabilita di 14.50/15 m s.l.m., pertanto, la parte superiore di esse è realizzata a vista. Nella prima fase dei lavori si procede allo smontaggio delle strutture preesistenti, ancora affioranti dopo la rasatura generale dell’area; l’operazione crea un deposito di macerie che viene ridistribuito uniformemente su tutta la superficie di cantiere.590

A questo punto, se le ricostruzioni proposte cogliessero nel vero, si avrebbe l’evoluzione di due edifici a corte databili all’inizio del VI secolo a.C. che nel corso della seconda metà del IV secolo a.C. vengono trasformati in domus ad atrio; queste ultime avranno una continuità di vita fino alla metà del I secolo a.C. quando Cesare azzererà questo settore del quartiere alla quota di 14 m s.l.m.

Predisposta l’area per la costruzione del complesso monumentale, i lavori proseguono con la realizzazione delle infrastrutture fognarie e con la gettata delle fondazioni cementizie relative ai muri di fondo e ai colonnati perimetrali del foro. Contemporaneamente, presso il lato lungo sud-occidentale del complesso è avviata la costruzione delle tabernae. Queste vengono costruite dietro un potente muro di travertino che svolge la duplice funzione di schermatura dei vani e di muro di fondo del portico (settore D). Le tabernae, tuttavia, al momento dell’inaugurazione del 46 a.C. non sono ancora ultimate.591

Riguardo la strada diretta all’Argileto, infine, l’arretramento del muro perimetrale nord-orientale dell’Edificio 2 sembra denotare un allargamento del tracciato stradale che a partire da questo momento viene per la prima volta pavimentato in lastre di tufo. In questa situazione, caratterizzata da un quartiere disposto sulle pendici sud-orientali del Campidoglio, intervengono gli intermediari di Cesare espropriando abitazioni, sbancando ampie porzioni di terreno e adattandosi, la dove possibile, all’assetto urbano ereditato dal periodo precedente.

La novità sostanziale, emersa dagli ultimi scavi è costituita da un sistema di tre fondazioni cementizie che chiudono la piazza sul lato corto sud-orientale (settori B, C, E, F). Le tre strutture, perfettamente perpendicolari all’asse longitudinale del foro e, come risulta nel caso indagato, appoggiate contro la fondazione del lato lungo sud-occidentale, sono arretrate di circa 20 m rispetto a quelle pertinenti ai colonnati del lato breve sud-orientale del complesso attualmente visibile. Come si vedrà in seguito le tre strutture sono interpretabili come fondazioni del lato breve sud-orientale del primo foro progettato da Cesare.

3.4. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.) 3.4.1. Descrizione delle attività (A. Delfino)

Oltre che dal rapporto con le fondazioni dei lati lunghi, il terminus post quem per le tre strutture è dato dal fatto che esse tagliano sia alcuni muri in opera quadrata datati al II secolo a. C., sia gli strati maceriosi592 esito dello sbancamento cesariano (vedi fig. III.19a).

In questo periodo inizia la costruzione del Foro di Cesare (fig. III.93). La prima operazione compiuta dal cantiere cesariano è lo sbancamento delle pendici sud-orientali del Campidoglio, al fine di ricavare un’area pianeggiante su cui impiantare il nuovo complesso monumentale. Il progetto prevede l’impostazione della piazza ad una quota di 14 m s.l.m., e dei portici a 15 m circa s.l.m. Nel caso della piazza, la nuova quota va a raccordarsi con i piani di calpestio di

589 590 591 592

136

Vedi il punto III.3.3.3., supra. Att. 60; US 1366=1507=1700. Vedi il punto III.3.4.2., infra. Att. 60; US 1366=1507=1700.

III.93. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Lo scavo e la ricostruzione

137

Forum Iulium

In questa fase il lato corto sud-orientale del foro era probabilmente chiuso da un muro di fondo continuo. Esternamente ad esso viene realizzato un sistema di fondazioni cementizie di cui, tuttavia, dubbia rimane la funzione (settore F). Un valido terminus ante quem sia per le tre fondazioni del lato corto sud-orientale, sia per le strutture esterne ad esso, è costituito dal fatto che tutte, dopo esser state rasate alla quota uniforme di 14 m s.l.m., sono state coperte dal massetto pavimentale della piazza relativo alla seconda fase costruttiva del complesso.593 La quota della superficie originaria delle tre strutture, 15 m circa s.l.m., è ricavabile dalla risega lasciata dalla fondazione più interna alla piazza sul fronte di quella del lato lungo sud-occidentale. Se ne deduce, quindi, che le tre strutture pertinenti a questa prima fase sono state rasate di circa 1 m.

protostoriche situate nell’area centrale della piazza (settore B),598 il condotto di deflusso delle acque realizzato nel corso della metà del IV sec. a.C. (settore B)599 e il pozzo circolare di età arcaica (pozzo A; settore B).600 Una volta completato lo sbancamento dell’area vengono recuperati i materiali edilizi delle strutture più antiche.601 Tale operazione è stata condotta, in molti casi, approfondendosi fino a m 1 dalla quota di rasatura. A questa attività di recupero sono da ricondurre lo smontaggio pressoché integrale delle pavimentazioni di II sec. a.C. e di IV sec. a.C. Contemporaneamente, le nove tombe protostoriche intercettate dallo sbancamento vengono svuotate del loro corredo (vedi fig. III.15). Dopo tali operazioni si accumula uno strato di macerie e detriti sull’intera superficie dell’area.602 Il deposito macerioso viene livellato e sulla sua superficie vengono impiantati una serie di macchinari atti alla movimentazione dei materiali edilizi.603 Si tratta molto probabilmente di argani e caprae, riconoscibili dalle numerose impronte circolari presenti su tutta l’area del foro (fig. III.94). 604

Fase A. La costruzione: 54 a.C. Il primo intervento operato dal cantiere di costruzione del foro consiste nello sbancamento e nel livellamento dell’area (vedi fig. II.27).594

A questa fase è verosimilmente collegabile anche una struttura cementizia di forma sub-circolare,605 rinvenuta in prossimità della pavimentazione in blocchi di tufo606 posta ad ovest della cisterna a tholos. La fondazione è realizzata in malta di calce, pozzolana grigia e caementa di tufo giallo (vedi figg. III.27b, III.85).

L’operazione tiene conto sin da questo momento delle varie parti in cui sarà articolato il complesso monumentale. Infatti, la quota di cantiere si attesta sui 14 m s.l.m. in corrispondenza della piazza e sui 14.50/15 m s.l.m. in corrispondenza del portico sud-occidentale. L’intera operazione modifica sensibilmente l’originario profilo geomorfologico della pendice sud-orientale del colle capitolino. Lo sbancamento, infatti, si rivela di maggiori proporzioni in relazione alla crescita di quota: presso l’estremità nord-occidentale e occidentale dell’area, in direzione della sella tra Campidoglio e Quirinale e della balza sulla quale sorge la chiesa dei SS. Luca e Martina, viene cancellata ogni traccia dell’insediamento precedente, arrivando ad intaccare pesantemente il banco naturale.595 In questa zona, solo alcune strutture ipogee vengono parzialmente risparmiate, come ad esempio i tre pozzi arcaici nell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice.596 Per contro, nella metà sud-est dell’area, verso l’Argileto, il cantiere si attesta sui 14 m sl.m., quota analoga a quella dei piani di calpestio delle strutture del II e dell’inizio del I sec. a.C.

Le nove fosse sono tutte di forma sub-circolare e hanno misure variabili tra 1,50 x 0,80; 1 x 0,80 e 1,20 x 0,70 m; la loro profondità è di 0,30-0,40 m. Sull’interpretazione come originarie tombe a pozzetto intercettate e svuotate durante le operazioni del cantiere cesariano vedi Delfino 2010a, p. 172. 599 Att. 32. 600 Att. 5. Il pozzo è stato scavato durante la campagna del 1998-2000 e pubblicato in via preliminare (Rizzo 2002, pp. 27-28). Il riempimento era costituito da otto strati: i primi cinque a partire dal basso sono stati interpretati, in base alle loro caratteristiche morfologiche, come depositi di abbandono (UUSS 5321, 5320, 5319, 5318, 5317). Si tratta di accumuli di sabbia con scarsissimo materiale archeologico. Gli ultimi tre strati, invece, appartenevano ad un’unica attività di scarico databile in età cesariana (UUSS 5313, 5312, 5311). Al loro interno è stata rinvenuta una consistente quantità di materiali, databili in un arco di tempo compreso tra il II sec. a.C. e il 50 a.C. Si segnala soprattutto la presenza di quattro lucerne biconiche, di cui una conservava ancora lo stoppino, un attingitoio in bronzo, una grande quantità di coperchi in ceramica acroma depurata, alcuni stili in osso, un quadrante in bronzo con prora di nave sul rovescio, una fibula ad arco in bronzo, due pesi in piombo a forma di amphoriskoi e una valva di conchiglia del tipo Cerastoderma glaucum, rinvenuta alla base della sequenza. Lo strato superiore conteneva una notevole quantità di frammenti di intonaci dipinti e tegole, probabilmente provenienti dalla demolizione di edifici di età repubblicana presenti nell’area. Vedi Delfino 2010a, pp.171-172; Bertoldi, Ceci 2013, pp. 45-59. 601 Att. 60. 602 Att. 60; US 1366=1507=1700 e US 1029. Fra i materiali datanti rinvenuti nell’US 1366=1507=1700, si segnalano: alcuni frammenti di ceramica a vernice nera (coppa Morel 2323d: 120-40 a.C.; un frammento di parete di Campana A) e alcuni frammenti di anfore rodie (120-40 a.C.). Fra i materiali datanti rinvenuti nell’US 1029 si segnalano alcuni frammenti di anfora Dressel 1 (145/135-10 a.C). 603 Att. 61; UUSS 257, 278, 281, 290, 913, 915, 916, 943, 945, 960, 962, 967, 968, 970, 972, 1015, 1714, 1730, 1733, 1761, 1769, 1795. 604 Si tratta di piccole fossette di forma circolare o sub-circolare del diametro medio di 55 cm e profonde in media 40 cm. 605 Att. 61; US 774. Diam. ricostruibile della struttura: 1,50 m circa. 606 Att. 49; UUSS 777, 778, 779, 780, 781, 782. La struttura cementizia US 774 è stata solo individuata e messa parzialmente in luce poiché si trovava lungo il limite sud-occidentale dl settore C costituito dalle fondazioni delle infrastrutture sotto via Bonella. 598

Una volta operato il taglio della pendice del Campidoglio, diventa necessario sostruire il fianco collinare con una struttura di contenimento. Questa, come vedremo più avanti, è costituita dallo stesso muro di fondo delle prime dieci tabernae (I-X). In sintesi, la rasatura ha interessato i tre pozzi arcaici presso il Tempio di Venere Genitrice con i loro rispettivi riempimenti (settore G),597 un gruppo di nove tombe 593 594 595 596 597

Vedi il punto III.3.5.6., infra. Gruppo di attività 1: Att. 59; US 2327. UUSS 1104, 1111, 2011; US 206=2318. Vedi il punto III.3.2.1., supra. Att. 30.

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Lo scavo e la ricostruzione

Una volta completate le operazioni di movimentazione dei materiali edilizi, vengono smontati gli argani. Subito dopo, le impronte lasciate dai macchinari sono riempite con depositi di sabbia gialla ben compattata.607 Nello stesso momento si riempiono anche le nove tombe protostoriche con i medesimi depositi;608 In questo caso, tuttavia, prima del riempimento, sul fondo di alcune di esse viene deposta una valva di conchiglia del tipo Cerastoderma glaucum e Glycymeris violacescens (pectunculus) o un frammento di anfora tipo Dressel 1, interpretabili come oggetti rituali (fig. III.94).609 Terminate le operazioni di smontaggio dei macchinari vengono stesi alcuni strati di livellamento per creare un piano uniforme, funzionale alla stesura del massetto pavimentale (vedi fig. III.19a).610 Tali strati, purtroppo, non hanno restituito materiale datante. Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati: 54-46 a.C.

III.94. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase A. La costruzione (54 a.C.). a. impronta circolare pertinente ad un macchinario; b. riempimento della stessa impronta; c. dettaglio del riempimento di due tombe a pozzetto protostoriche; d. valva di conchiglia tipo pectunculus rinvenuta sul fondo di una delle due fosse.

Preparata l’area si procede alla realizzazione delle infrastrutture del complesso monumentale.611 Si costruiscono, quindi, i due condotti di deflusso delle acque, lungo i lati nord-orientale e sud-occidentale della piazza (fig. III.95). Il condotto sud-occidentale, il solo indagato, è realizzato scavando una trincea rettilinea nel substrato naturale sabbioso, entro la quale viene costruita un’armatura lignea; la malta è gettata contro tavola, nello spazio compreso tra la parete della trincea e il lato esterno dell’armatura. Il piano di scorrimento è a sezione concava e privo di rivestimento, con pendenza da nord-ovest verso sud-est. Solidali con il piano di scorrimento sono le spallette, che in alcuni tratti presentano specchiature in opera reticolata di tufo giallo (modulo delle tessere: 5,5 x 5,5 cm in media). La copertura, ad arco ribassato con estradosso piatto, è in cementizio. Nel complesso il condotto misura 1 m di altezza x 0,60 m di larghezza. Successivamente si procede alla costruzione di un muro in blocchi di travertino che chiude il lato lungo sudoccidentale della piazza del foro, oltre il quale verranno realizzate le tabernae.612 Tale muro è realizzato scavando nel banco naturale una trincea di 1,70 m di larghezza per 0,60 m di profondità;613 sul fondo della trincea, quindi, viene stesa una platea Att. 62; UUSS 258, 279, 282, 914, 944, 946, 961, 963, 964, 966, 969, 971, 973, 1715, 1731, 1734, 1760, 1768, 1794. 608 Att. 63; UUSS 496, 500, 906, 908, 910, 912, 918, 942, 948, 949, 984, 986, 987, 989. 609 Vedi Delfino 2010a, pp. 167-181. 610 Att. 64; UUSS 1701=1508. 611 Gruppo di Attività 2: Att. 65; UUSS 1814, 1815, 1816, 1817. 612 Att. 66. 613 Att. 66; US 1105. La trincea è stata messa in luce solo nel tratto corrispondente alle tabernae X e XI ma, come si evince dalla documentazione di vecchi scavi (vedi Amici 1991, p. 40, fig. 41), questa doveva proseguire lungo tutto il limite sud-occidentale. 607

III.95. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Veduta da sud-est del condotto di deflusso delle acque presso il portico del lato lungo sudoccidentale della piazza (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

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Forum Iulium

cementizia,614 sulla quale dovevano essere alloggiati i blocchi di fondazione del muro (fig. III.96). Il primo filare di blocchi era fissato alla fondazione tramite perni di cui sono state individuate le tracce sulla superficie cementizia.615 Le impronte rettangolari dei conci lasciate sulla superficie della platea e sulle pareti della trincea misurano, in media, 1,40 m di lunghezza x 0,70 m di larghezza x 0,60 m di altezza. Costruito il muro in blocchi, si procede alla realizzazione dei vani delle tabernae, ricavate nello spazio compreso tra la struttura muraria e il taglio del fianco del colle capitolino.616 Nel caso della taberna XI, si procede dapprima alla costruzione dei muri perimetrali orientale617 e occidentale (figg. III.97 e III.98a, b).618 Le loro fondazioni vengono gettate perpendicolarmente a quelle del muro di schermatura in blocchi di travertino, antistante i vani. La fondazione del muro perimetrale orientale619 è gettata in cavo libero; sopra di essa viene costruito il muro, realizzato in opera quadrata con l’impiego di conci di tufo lionato litoide.620 La fondazione del muro perimetrale occidentale621 è realizzata anch’essa in cavo libero, tagliando direttamente il substrato naturale sabbioso; il suo alzato, tuttavia, risulta diverso, in quanto è costituito da due segmenti murari distinti: il primo,622corrispondente al tratto sud-ovest, è costruito contro il taglio della pendice nord-orientale del Campidoglio e in appoggio al muro orientale dell’attigua taberna X;623 il suo spessore è di 0,50 m e ha una cortina in opera reticolata di tufo giallo, quasi completamente abrasa da interventi successivi. Il secondo segmento,624 è costituito dallo stesso muro perimetrale orientale della contigua taberna X che presenta su entrambi i lati una cortina in opera reticolata con tessere di tufo giallo in media di 5/5,5 x 5/5,5 cm di lato, dalla tessitura abbastanza regolare.625 Lo spessore del muro è di 0,50 m.

III.96. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Veduta da sud-est della trincea e della platea di fondazione del muro in blocchi che schermava il fronte delle tabernae.

Realizzati i due muri perimetrali, la costruzione della taberna XI si interrompe. Il muro di fondo, infatti, verrà costruito solo nella fase successiva.626

tabernae si provvede a realizzare il sistema di canalizzazioni di servizio che sfrutta in parte le strutture fondali appena costruite.627 Nel caso della taberna XI, vengono costruiti due condotti rettilinei e perpendicolari tra loro,628 ubicati rispettivamente lungo i lati occidentale e settentrionale del vano (fig. III.99). Il primo,629 proveniente dalla taberna X con una pendenza da nord-ovest verso sud-est, prosegue in direzione dell’attigua taberna XII. L’infrastruttura è realizzata scavando una trincea rettilinea630 nel substrato sabbioso, entro la quale viene costruita un’armatura lignea; la malta è gettata contro tavola, nello spazio compreso tra la parete della trincea e il lato esterno dell’armatura. Il piano di scorrimento del condotto, costituito da una gettata di malta cementizia opportunamente lisciata, presenta un

Contestualmente ai lavori di costruzione dei vani delle Att. 66; US 1102. Att. 66; UUSS 1102, 1105, 1122, 1124, 1125, 1126, 1127, 1131, 1132, 1133, 1134, 1135, 1136, 1137, 1138, 1139, 1140, 1142, 1143, 1144, 1145, 1146, 1147, 1148, 1213, 1214, 1215, 1216, 1218. 616 Gruppo di Attività 3: Att. 67. Sulle dinamiche costruttive delle tabernae vedi Amici 1991, pp. 49-58. 617 Att. 67; US 1188; US 1178. 618 Att. 67; US 1186; UUSS 1176 e 1258. 619 Att. 67; US 1188. 620 Att. 67; US 1178. Le misure dei blocchi sono: 1 m di alt. x 0,60 m di largh. x 0,60 m di spessore in media. 621 Att. 67; US 1186. 622 Att. 67; US 1258. 623 L’appoggio del muro US 1258 su quello orientale della taberna X è stato realizzato con una ammorsatura in blocchetti rettangolari di tufo giallo di 7-8 cm di altezza e 24-29 cm di lunghezza. 624 US 1176. 625 Dimensione minima delle tessere: 4,5 cm; dimensione massima: 6 cm. Spessore minimo dei giunti: 0,5 cm; spessore massimo: 1 cm 626 Vedi Att. 83 al punto III.3.5.1., infra. 614 615

627 628 629 630

140

Att. 68. UUSS 1199, 1212. US 1199. US 1171.

Lo scavo e la ricostruzione

III.97. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Pianta composita della taberna XI (rilievo P. Specchio, L. Volpe; elaborazione grafica V. Di Cola).

profilo leggermente concavo.631 La struttura misura 0,70 m di altezza x 0,60 m di larghezza (fig. III.100). Il secondo condotto,632 perpendicolare al primo, viene realizzato sfruttando come spalletta la fondazione del muro occidentale della taberna.633 Il condotto misura: 0,30 m circa di altezza x 0,60 m di larghezza. Contemporaneamente alla costruzione del muro di schermatura delle tabernae vengono gettate le fondazioni III.98. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Taberna XI. a. veduta dell’interno del vano; sulla sinistra il muro perimetrale orientale in blocchi di tufo; b. dettaglio della cortina del muro perimetrale occidentale della taberna.

La copertura del condotto, asportata al momento della spoliazione della pavimentazione della taberna in età tardo antica, è conservata solo per un breve tratto nel punto in cui l’infrastruttura passa sotto il muro perimetrale occidentale dell’ambiente (US 1176). Relativamente a questo tratto, la copertura è costituita da una volta ribassata sagomata direttamente nello spessore del muro. Il resto del condotto doveva esser coperto dalle stesse lastre pavimentali della taberna, disposte di piatto sopra le spallette. 632 US 1212. 633 US 1258. 631

141

Forum Iulium

III.99. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Taberna XI. Veduta dall'alto del vano con in evidenza le infrastrutture.

III.101. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Portico sud-occidentale. a. fondazione del colonnato interno alla piazza del portico sud-occidentale; b. sottobasi di colonne in travertino; c. resti della gradinata marmorea di accesso al portico; d. brano della pavimentazione della piazza in lastre di travertino; e. fondazione cementizia relativa al colonnato interno alla piazza del portico sud-orientale; f. condotto di deflusso delle acque passante sotto il primo gradino di accesso al portico del lato lungo sud-occidentale.

Lo scavo nell’area compresa tra le sostruzioni dell’Accademia di S. Luca (settore E), ha consentito di determinare la sequenza costruttiva dei portici colonnati (fig. III.101). Si è compreso che dopo aver realizzato le fondazioni dei lati lunghi, a queste sono state addossate quelle del lato breve sud-orientale. La fondazione del colonnato sud-occidentale interno alla piazza è gettata direttamente contro il lato esterno del condotto di deflusso principale (fig. III.101, f).635 La malta impiegata è costituita da calce, sabbia e pozzolana rossa, mista ad abbondanti bottacioli; i caementa sono costituiti da scapoli di tufo lionato. La superficie superiore della fondazione è appositamente lisciata per alloggiarvi le sottobasi di colonna in travertino, alcune delle quali rinvenute ancora in situ.636 Queste, che risultano appoggiate sulla fondazione senza nessuna traccia di scalpellatura o manomissione che ne attesti un inserimento successivo, sono costituite da due elementi sagomati nello stesso blocco: un plinto quadrangolare (0,90 x 0,90 m) e un elemento cilindrico sovrapposto (0,90 m), sul quale doveva essere collocata la base marmorea della colonna. Ogni sottobase presenta una altezza costante di 0,57 m. La distanza fra i plinti varia tra 1,69 e 1,85 m, scarto dovuto al modulo differente di una delle sottobasi individuate.637 Una di queste, infatti, ha sia il plinto (1,20 x 1,10 m) sia l’elemento circolare sovrapposto (1 m), più grandi delle altre sottobasi. Tali caratteristiche sono dovute alla peculiare funzione di questa sottobase che è collocata nel punto di raccordo tra il colonnato interno del

III.100. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Taberna XI. Sezioni stratigrafiche EEE-EEE’ e FFF-FFF’ (rilievo E. Rossetti, L. Volpe; elaborazione grafica V. Di Cola).

dei colonnati mediani e interni dei lati lunghi del foro.634 Se nel caso del portico sud-occidentale tutte le fondazioni vengono gettate interamente nel cavo libero tagliato nel banco naturale affiorante alla quota di 14.50/15 m s.l.m., nel caso del portico nord-orientale, per raggiungere la medesima quota di spiccato, si deve essere reso necessario adottare un sistema misto. Come si è visto, infatti, poiché in quest’area la superficie del banco naturale era molto più bassa dei 14 m s.l.m., la fondazione deve essere stata realizzata in cavo libero solo a partire da questa quota; nella porzione più alta, invece, la stessa fondazione deve essere stata gettata in parte in cavo armato tagliato entro gli accumuli di macerie delle strutture precedenti e in parte costruita a vista.

635 636

634

Att. 69; US 1806.

637

142

Att. 65. Att. 69; UUSS 1808, 1809, 1810. US 1810.

Lo scavo e la ricostruzione

lato lungo sud-occidentale e quello interno del lato breve sud-orientale. L’interasse ricostruibile, pari a 2,75 m, risulta costante. Subito dopo la realizzazione dei lati lunghi, viene costruito il lato breve sud-orientale (fig. III.102).638 Anche in questo caso, le fondazioni sono state realizzate con tecnica mista, gettandole in cavo libero a partire dalla quota del banco naturale coincidente con il piano di cantiere (14 m s.l.m.) e realizzandole a vista nella parte superiore. Il lato breve sud-orientale si articola in tre strutture di fondazione che dovevano sostenere rispettivamente il colonnato interno alla piazza, il colonnato mediano e il muro di fondo del foro. La fondazione del colonnato interno,639 realizzata in cavo libero, impiega un conglomerato cementizio costituito da caementa di tufo giallo e “cappellaccio”, affogati in una malta di calce, mista a pozzolana rossa e bottaccioli. La struttura, dopo aver scavalcato la copertura del condotto principale di deflusso delle acque,640 incontra perpendicolarmente quella del portico sud-occidentale, appoggiandovisi (vedi fig. III.101). Proprio in questo punto, grazie ad una risega lasciata sul fronte della fondazione sud-occidentale, è apprezzabile la sua altezza originaria, pari a quella dei portici dei lati lunghi. La sua larghezza complessiva misura 1,90 m ed è stata messa in luce per circa 25 m di lunghezza; l’altezza accertata è superiore ai 2 m. Contemporaneamente, vengono realizzate le fondazioni del colonnato mediano e del muro di fondo. La fondazione del colonnato mediano641 è distanziata di circa 4,40 m da quella del colonnato interno alla piazza. La struttura ha una larghezza di 3,50 m e, dunque, una prestanza doppia rispetto alla precedente.642 A circa 4 m dalla fondazione del colonnato mediano viene realizzata la fondazione più orientale643 che misura 1,90 m di larghezza. Quest’ultima, nel tratto centrale, presenta due aggetti rettangolari di circa 2,10 x 1,05 m, distanziati tra loro di circa 3,30 m (fig. III.103). I due aggetti si trovano a circa 2,80 m dalla fondazione mediana e dovevano presumibilmente sostenere una nicchia, posta esattamente a cavallo dell’asse longitudinale mediano del foro. La medesima fondazione intercetta la cisterna a tholos repubblicana.644 In questo caso, il ritrovamento ancora in situ delle tavole lignee della cassaforma ha permesso di comprendere che la gettata è avvenuta in cavo armato quando la cisterna era stata già in parte riempita (fig. III.104).

III.102. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Settore sud-orientale. a. Veduta da sud-ovest della fondazione pertinente al colonnato interno alla piazza del portico sud-orientale; b. veduta da nord-est della fondazione del colonnato mediano del portico sud-orientale (a sinistra) e di quella del muro di fondo del foro (a destra).

Conclusa la costruzione del lato breve sud-orientale Att. 70. US 204=1804. 640 Att. 65. 641 US 714. 642 La fondazione US 714 è stata riconosciuta per 8,20 m di lunghezza. 643 La fondazione US 784=1903 è stata riconosciuta per circa 35 m di lunghezza. 644 Vedi Att. 38 al punto III.3.2.1., supra. 638 639

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III.103. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Settore sud-orientale. Dettaglio della fondazione del muro di fondo con in evidenza i due aggetti rettangolari.

III.104. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). In alto veduta da sud-est della fondazione del muro di fondo del portico sud-orientale che taglia la cisterna a tholos; in basso dettaglio di una delle tavole lignee della cassaforma di contenimento del conglomerato cementizio.

viene predisposto, esternamente ad esso, un sistema di fondazioni cementizie discontinue orientate nord-ovest/ sud-est (fig. III.105).645 Il loro spessore accertato è di circa 0,70 m, mentre il conglomerato è costituito da malta di calce di colore violaceo misto a caementa di tufo giallo e “cappellaccio”, simile a quello delle fondazioni del lato breve sud-orientale. Come queste ultime, le fondazioni sono state gettate a partire dalla quota di 14 m circa s.l.m., direttamente contro il lato esterno sud-orientale del foro e tagliando alcune strutture dell’inizio del I secolo a.C.646 Non sappiamo se il loro spiccato coincidesse con quello dei portici (15 m s.l.m.); ad ogni modo, la parte superiore di esse doveva essere realizzata a vista fino al raggiungimento della quota prestabilita. L’intero sistema doveva esser funzionale al sostegno di una serie di strutture addossate al lato esterno del muro di fondo del foro e prospicienti la via dell’Argileto.647 La struttura cementizia più nord-orientale di questo sistema è attraversata da un condotto,648 ricavato nel suo spessore al momento della gettata, che termina a

III.105. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Veduta dall'alto del sistema di fondazioni cementizie discontinue esterne al muro di fondo del portico sud-orientale e del condotto ricavato all'interno di una di esse. Sulla sinistra un brano della pavimentazione della piazza pertinente alla fase successiva.

Att. 71; UUSS 2195=1914 e 809=2174. Vedi Att. 55 al punto III.3.3.1., supra. 647 Un tratto di questo tracciato stradale attribuito alla fase cesarianoaugustea è stato rinvenuto tra la Curia e la Basilica Emilia alla quota di 13.80-13.90 m s.l.m. Vedi Morselli, Tortorici 1989, p. 165; Tortorici 1991, pp. 35-36; Palombi 2005a, p. 83. 648 Att. 71; US 1962. 645 646

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Lo scavo e la ricostruzione

filo della fondazione del muro di fondo del foro (vedi fig. III.105). Le spallette, larghe circa 0,30 m e costruite in conglomerato cementizio misto ad abbondanti scapoli di tufo granulare “cappellaccio”, dovevano essere rivestite con un sottile strato di malta di calce, analogo a quello rinvenuto parte inferiore del condotto e sul piano di scorrimento. L’intera struttura presenta un andamento spezzato con pendenza da nord-ovest verso sud-est. La sua larghezza è variabile tra i 0,70 m nel tratto nord-ovest e i 0,50 m nel tratto sud-est. Completata la costruzione dei muri perimetrali, dei colonnati e delle coperture del foro, di cui si tratterà più avanti, viene allestita la pavimentazione della piazza.649 Questa è realizzata stendendo inizialmente uno strato ben compattato di tritume di travertino misto a sabbia, calce e frammenti di malta pozzolanica, spesso circa 0,30-0,40 m;650 sopra il preparato, quindi, vengono alloggiate le lastre pavimentali. Si tratta di lastroni rettangolari di travertino che hanno misure variabili tra i 1,60 x 0,90 x 0,20 m e i 1,35 x 0,90 x 0,12 m.651 Solo in prossimità dell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice (settore G), in corrispondenza dell’asse mediano longitudinale del foro, è stato accertato l’impiego di lastre con modulo maggiore: 3,08 x 0,87 x 0,27 m.652 La superficie della piazza è sistemata in modo tale da mantenere una graduale pendenza, pari allo 0,2 %, da nord-ovest (14.50 m s.l.m.) verso sud-est (14.35 m s.l.m.). Contestualmente ai lavori della piazza, davanti al portico sud-occidentale, è allestita una fontana di forma allungata (2,80 x 0,70 m), orientata in senso nord-est/sud-ovest (fig. III.106). La fontana risulta incassata di circa 0,40 m nella pavimentazione della piazza e ha il fondo in cocciopesto.653

III.106. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati (54-46 a.C.). Veduta dall'alto della fontana ricavata nello spessore della pavimentazione della piazza.

Contemporaneamente alla pavimentazione della piazza si procede alla messa in opera del lastricato pavimentale dei portici. 654 Nel caso del portico del lato lungo sud-occidentale (settore E), dopo aver alloggiato le sottobasi delle colonne viene steso intorno ad esse uno strato di preparazione655 analogo a quello utilizzato nella piazza. Per la pavimentazione, invece, vengono impiegate lastre di marmo bianco lunense, delle quali, nel settore di scavo in esame, sono stati messi in luce solo pochi frammenti.656 La quota del portico, in questo punto, si attesta sui 14.95 m circa s.l.m.

lunense con alzata di 0,26 m e pedata di 0,47 m (vedi fig. III.101). Nei tratti visibili lungo i lati sud-occidentale e sudorientale del foro, i gradini presentano una omogeneità nel sistema di imperniatura dei blocchi, nel tipo di materiale e nelle dimensioni; tale evidenza fa pensare ad un intervento unitario e contestuale. Seppure il materiale ceramico rinvenuto sotto di essi ha permesso di comprendere che il loro attuale posizionamento è frutto di una risistemazione di età tardo-antica,657 la conformazione della fondazione originaria consente di stabilire che anche i gradini del foro cesariano-augusteo rispettavano lo stesso modulo.

I tre gradini che dalla piazza permettevano di salire ai portici sono costituiti da blocchi parallelepipedi di marmo

Un sistema di tombini, posti a intervalli regolari lungo la base della gradinata,658 assicuravano il deflusso delle

Att. 72. UUSS 244, 386, 2011. 651 UUSS 293, 418, 419, 420, 421, 422, 423, 424, 425. 652 US 2016. 653 Att. 72; US 292. 654 Att. 73. 655 Att. 73; US 1812. 656 Att. 73; US 1829. Le lastre del pavimento del portico sud-occidentale sono meglio conservate nel tratto nord-ovest, indagato da Corrado Ricci negli anni Trenta. Le loro misure sono: 2,10 x 0,89 x 0,08; 2,10 x 1,37 x 0,08; 1,35 x 0,90 x 0,08. 649

Un piccolo saggio di scavo effettuato sotto il primo gradino di un tratto della gradinata che si conserva presso l’angolo tra il portico sudoccidentale e quello sud-orientale, ha permesso di rinvenire alcuni frammenti di sigillata africana C e un frammento dell’orlo della scodella Hayes 67, databile tra il 360 e il 420 d.C. Per la datazione del materiale si ringrazia Gianfranco De Rossi. 658 In una fotografia scattata durante i lavori di Corrado Ricci, si distinguono chiaramente le tracce di alcuni tombini ricavati nella fondazione del portico, in relazione alla fogna sottostante. Vedi Amici 1991 p. 37, fig. 36.

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acque provenienti dai tetti e dalla piazza, direttamente nel condotto principale.

altimetrie del nuovo complesso con l’area del Macellum663 e con la zona retrostante la Curia.664

3.4.2. La ricostruzione (fig. III.107)

Il dato archeologico che ha consentito di confermare l’ipotesi di una prima fase costruttiva del Foro di Cesare è costituito da un sistema di tre fondazioni cementizie, individuate in anni diversi,665 orientate perpendicolarmente all’asse longitudinale della piazza. Le tre strutture, messe in luce solo parzialmente, presentano analoghe caratteristiche tecniche e risultano realizzate nello stesso momento.666 La fondazione più interna alla piazza, inoltre, si appoggia ortogonalmente a quella del lato lungo sud-occidentale, confermandone la coerenza strutturale. Oltre ad essere state rasate alla stessa quota (14 m s.l.m.) e ad essere state obliterate dal massetto pavimentale attribuibile agli interventi di Ottaviano,667 esse risultano arretrate di circa 20 m rispetto a quelle che delimitano il lato breve sudorientale oggi visibile, attribuibile anch’esso all’intervento di Ottaviano.

L’impianto planimetrico (A. Delfino, V. Di Cola) Le recenti indagini svolte nell’area del Foro di Cesare hanno permesso di individuare le tracce del primo progetto costruttivo del complesso monumentale,659 databile tra il 54 a.C., anno di inizio dei lavori di costruzione e il 46 a.C., momento in cui il foro è inaugurato per la prima volta.660 La costruzione del complesso ha inizio con il taglio delle pendici sud-orientali del Campidoglio661 e con lo sbancamento dell’area su cui sorgerà il foro (vedi figg. II.27, II.31, sezione A-A’ e II.31, sezione B-B’). Dal confronto delle quote rilevate sulla superficie di rasatura del banco naturale, si è potuto accertare che l’operazione è stata di maggiore entità presso l’estrema porzione nordoccidentale dell’area, dove venne cancellato completamente il quartiere di età repubblicana che vi sorgeva fino a quel momento; nella metà sud-est dell’area, verso l’Argileto, invece, lo sbancamento si è rivelato di minori proporzioni, non intercettando i livelli di vita di epoca più antica. Si è potuto stimare che lo sbancamento cesariano ha interessato complessivamente un’area pari a circa 5.388 mq.

Il Foro di Cesare, nella sua prima realizzazione, era dunque più corto e, dato ancor più interessante, non comprendeva la Curia Iulia.668 Sulla fondazione più interna alla piazza del lato lungo sudoccidentale sono attualmente alloggiate cinque sottobasi,669 costituite da un dado di travertino al quale è sovrapposto un plinto circolare, parzialmente messe in luce durante la campagna di scavo del 1998-2000. Le indagini riprese nel novembre 2007 si sono nuovamente concentrate in questo settore del complesso, per meglio comprendere l’articolazione tra il portico del lato lungo sud-occidentale e quello del più antico lato breve sud-orientale del foro (fig. III.108). Lo scavo intorno alle sottobasi ha chiarito le modalità di costruzione del portico colonnato: una volta gettate le fondazioni e alloggiate le sottobasi in travertino si è proceduto alla stesura dello strato di preparazione pavimentale del portico che le ha inglobate.670 Delle cinque sottobasi messe in luce, solo quattro possono considerarsi relative al primo progetto cesariano, mentre la sottobase posta all’estremità sud-est apparterrebbe al prolungamento del foro messo in atto da Ottaviano.671 Infatti, delle quattro

La differente entità dell’operazione nelle due aree è spiegabile con l’originaria estensione del colle Capitolino, le cui propaggini sud-orientali si protendevano fino all’Argileto, scendendo al di sotto della quota stabilita per la costruzione del foro.662 Per questo motivo, come si è visto, presso la metà sud-orientale dell’area del complesso è stata individuata una consistente e complessa sequenza stratigrafica, compresa tra la prima età del Ferro e l’età tardo-repubblicana. Un dato di un certo interesse è costituito dal fatto che nel settore sud-orientale la quota della piazza risulta poco più alta (14.35 m s.l.m) dei piani di calpestio tardo repubblicani (14 m s.l.m.) individuati presso l’Edificio 2 e, in generale, di quelli della zona a nord del Foro Romano; tale evidenza testimonia la volontà, da parte di Cesare, di uniformare le

Il Macellum e parte del quartiere dell’Argiletum gravitante intorno ad esso, continua ad essere in funzione fino all’età Flavia. Nonostante le modifiche al suo impianto originario e la costruzione di edifici con la stessa funzione sorti in zone più periferiche della città (Macellum Liviae, Macellum Magnum ecc.), l’antica piazza del mercato continua a svolgere la sua funzione fino alla definitiva distruzione in occasione della costruzione del Foro di Nerva. Vedi Anderson 1982, pp. 101-110; Tortorici 1991, pp. 44-47; Gros 1996, p. 216; La Rocca 1998, pp. 1-12; Viscogliosi 2000, p. 68; Idem 2009, pp. 202-203; Carandini 2010, pp. 49-51. 664 Vedi il punto III.3.3.3., supra. 665 Vedi il punto I.2.2.4., supra. 666 Vedi Att. 70 al punto III.3.4.1., supra. 667 Vedi Att. 81 al punto III.3.5.1., infra. 668 Quest’ultimo aspetto verrà ripreso più approfonditamente nei punti V. 3 e V.4. 669 Vedi Att. 69 al punto III.3.4.1., supra e Att. 77, al punto III.3.5.1., infra. 670 A questo punto la scalpellatura notata durante la campagna di scavo 1998-2000 sotto alcune sottobasi, può essere letta non già come traccia di un loro inserimento posteriore, quanto piuttosto come segno di operazioni di riposizionamento delle stesse in seguito ad un restauro successivo dei colonnati. 671 Vedi Att. 77 al punto III.3.5.1., infra. 663

La notizia è stata data in Carandini 2007, p. 26, fig. 21; Meneghini 2007b, p. 32; Delfino 2008, pp. 52-54; Idem 2009a, pp. 28-33; Idem 2010c, pp. 335-347; Delfino, Di Cola 2012, pp. 207-208, tav. 28. L’ipotesi di due fasi costruttive del Foro di Cesare è stata proposta in passato da vari studiosi: Thomsen 1941, p. 197; Anderson 1984, p. 39 e ss.; Morselli, Tortorici 1989, pp. 41-44; Amici 1991, pp. 29-58; Tortorici 1991, pp. 104-106; Ulrich 1993, pp. 49-80; LTUR II 1995, p. 302 (C. Morselli); Amici 1999, pp. 319-320; Viscogliosi 2000, p. 25; Haselberger 2007, pp. 54-56. 660 Vedi il punto I.1., supra. 661 Rizzo 2001, p. 225; Jackson et al. 2010, p. 410. Significativa, a questo proposito, è la recente scoperta (2006) di un tratto del clivo Argentario provvisto di un condotto fognario laterale in lastroni di tufo, databile al II-I sec. a.C. La strada, che ha un andamento quasi nord-sud, risulta tagliata al momento della costruzione delle tabernae e ricostruita poco più a monte secondo il tracciato attuale. Vedi Meneghini 2007b, p. 32; Idem 2009, p. 43, figg. 36-37. 662 Vedi il punto II.3., supra. 659

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Lo scavo e la ricostruzione

III.107. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Pianta ricostruttiva. In grigio scuro il dato archeologico; in grigio chiaro la ricostruzione (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

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pari a 2,75 m (poco più di due p.r.), confermerebbe le ipotesi proposte da Corrado Ricci, da Nino Lamboglia e dall’équipe di Edoardo Tortorici,674 successivamente messe in dubbio da Carla Maria Amici675 e parzialmente riconfermate dalle indagini del 1998-2000.676 L’interasse del colonnato mediano, invece, pari a 5,5 m (18,5 p.r.), corrisponde al doppio di quello interno, così come si evince dalla anastilosi effettuata negli anni Trenta del secolo scorso sulla scorta di alcune sottobasi in travertino individuate nel settore nord-ovest del portico sud-occidentale. Dai valori degli interassi si sono ricavate le distanze degli intercolumni, dei quali si tratterà dettagliatamente nella ricostruzione degli elevati. Va premesso, tuttavia, che le sottobasi del colonnato interno alla piazza hanno un diametro di dimensioni inferiori, pari a 0,90 m circa e a 1,03 m nel caso della sottobase angolare, rispetto a quelle del colonnato mediano che presentano un diametro di 1,30 m. Nel calcolare il dimensionamento dei colonnati, si è quindi tenuta in considerazione la possibilità che in corrispondenza del colonnato mediano si sia fatto ricorso ad un ordine architettonico potenziato (vedi infra). L’acquisizione della documentazione grafica pregressa in parte edita677 e in parte depositata nell’archivio dell’Ufficio Fori Imperiali, congiuntamente al rilevamento di tutte le nuove evidenze strutturali messe in luce nelle ultime campagne di scavo hanno consentito di effettuare alcune verifiche sugli orientamenti e le reciproche relazioni che caratterizzano le singole parti del complesso (il Tempio di Venere Genitrice, i portici e le tabernae).

III.108. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Colonnato interno alla piazza del portico del lato lungo sud-occidentale. Schema dei rapporti dimensionali tra le sottobasi in travertino (elaborazione grafica V. Di Cola).

A questo proposito si è riscontrato che l’asse generatore del Tempio di Venere Genitrice risulta abbastanza coerente con quello delle tabernae, mentre una lieve divergenza si riscontra tra questi e l’allineamento del portico sudoccidentale, ruotato leggermente in direzione nord-ovest/ sud-est.678 Tale scarto troverebbe una spiegazione sia in una modalità progettuale di tradizione ancora greca nel modo di concepire i corpi di fabbrica di un complesso come parti

sottobasi di epoca cesariana, le prime tre, a partire da nord-ovest, hanno dimensioni analoghe, pari a 0,90 m di lato, mentre la quarta è di forma più allungata e di dimensioni maggiori (1x1,25 m). Questo dettaglio, correlato all’evidenza che tale sottobase si trova nel punto di raccordo tra la fondazione interna alla piazza del lato lungo sudoccidentale e quella del lato breve sud-orientale, consente di interpretarla come elemento angolare.672 Si è potuto pertanto escludere dal primo progetto cesariano la sottobase posta più a sud-est, anche questa di 0,90 m di lato, aggiunta in un secondo tempo, quando, ad opera di Ottaviano viene prolungato il foro verso sud-est.673 Diversamente, infatti, tale sottobase avrebbe occluso il passaggio dalla navata interna alla piazza del lato breve sud-orientale a quella del lato lungo sud-occidentale (fig. III.109).

Vedi i punti I.2.2.2. e I.2.2.3., supra. La Amici, non disponendo di dati archeologici utili per attribuire all’età cesariana il dimezzamento dell’intercolumnio del colonnato interno alla piazza - documentato invece per l’età tardo antica - aveva ritenuto opportuno collegare tale intervento ai restauri seguiti all’incendio di Carino (283 d.C.). L’ipotesi nasceva dal presupposto che il rapporto tra i diametri delle nuove colonne rialzate nei portici e l’intercolumnio dimezzato risultasse più favorevole che non tra il diametro delle colonne di età cesariana, maggiore, e l’intercolumnio medesimo (Amici 1991, p. 39). In realtà, le indagini successive hanno ulteriormente dimostrato il diverso proporzionamento tra il colonnato interno e quello mediano, evidentemente potenziato (vedi infra). 676 Vedi La Rocca 2001, p. 180. Durante la campagna del 2007, si è definitivamente accertato che nella prima fase costruttiva del foro, attribuita a Cesare, l’intercolumnio del colonnato interno è pari alla metà di quello mediano (vedi infra). 677 La Rocca 2001, p. 179, fig. 7. 678 Si ringrazia l’équipe del progetto Atlante di Roma diretto da Andrea Carandini e coordinato da Paolo Carafa per la proficua collaborazione e lo scambio di dati. 674 675

Individuate le sottobasi attribuibili al primo progetto cesariano si è quindi potuta ricostruire con certezza la distanza interassiale che le separa e, di conseguenza, il ritmo del colonnato interno alla piazza. Il valore dell’interasse, Vedi Vitr. III 11 dove si dice che le colonne angolari dei templi, in particolar modo dei colonnati con ritmo picnostilo, debbono essere realizzate più spesse della cinquantesima parte del loro diametro per evitare i rischi della distorsione ottica. 673 Vedi più avanti il punto III.3.5.6., infra. 672

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Lo scavo e la ricostruzione

III.109. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Pianta ricostruttiva. Sovrapposizione delle strutture relative al lato corto sud-orientale dell'impianto di età cesariana su quello di età augustea. In grigio scuro il dato archeologico, in grigio chiaro la ricostruzione (elaborazione grafica V. Di Cola).

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indipendenti dello stesso,679 sia nei diversi momenti in cui è avvenuta la costruzione che ha interessato prima i portici colonnati, poi il muro di fondo che riveste il fronte delle tabernae (54 a.C.) e infine, come sappiamo dalle fonti, il Tempio di Venere Genitrice votato in corso d’opera (48 a.C.).680

Una seconda considerazione può essere avanzata circa le dimensioni originarie del podio. Nella ricostruzione proposta infatti, questo è stato ricostruito più corto di circa 1,40 m rispetto a quanto sinora ipotizzato,683 in base a due ordini di evidenze: l’esistenza di due fasi costruttive indiziate dall’uso di conglomerati cementizi diversi impiegati nel nucleo del podio, di cui quello più recente databile in età domizianeo-traianea e finalizzato ad ampliare e regolarizzare il podio stesso; la presenza, presso lo spigolo sud-ovest del podio, di alcuni blocchi di peperino lavorati a bugnato liscio che vengono coperti dalla gettata cementizia più recente.684

Se è vero che il lato lungo nord-orientale, obliterato da via dei Fori Imperiali, è stato progettato in modo speculare rispetto a quello sud-occidentale, il Foro di Cesare nel suo primo progetto costruttivo si sarebbe configurato come una piazza quadrangolare, delimitata sul lato breve nordoccidentale dal Tempio di Venere Genitrice e sugli altri tre lati da un portico colonnato a due navate disposto a π rovesciato, assimilabile a una porticus duplex. Il dislivello tra la quota della piazza e i portici, posti circa 0,90 m più in alto, era superato mediante tre gradini. Il lato di fondo, occupato in gran parte dal tempio costruito contro il fianco sud-orientale del Campidoglio, era strutturato in modo da risolvere l’articolazione tra le testate dei portici, l’edificio templare e la pendice del colle che doveva esercitare una spinta considerevole. La soluzione scelta, come ipotizzato da Gabriella Fiorani e poi da Carla Maria Amici, ha previsto strutture a profilo curvilineo, atte a contenere le sollecitazioni del terreno681 (vedi fig. III.107).

Il lato breve sud-orientale della piazza rivolto verso l’Argileto era probabilmente chiuso da un muro continuo. L’ipotesi è suggerita in primo luogo dalla presenza della cisterna a tholos685 posta in corrispondenza dell’asse longitudinale mediano del complesso; quest’ultima, infatti, seppur resecata dalla fondazione più esterna del lato breve del foro cesariano risulta solo in parte riempita.686 Un ulteriore indizio potrebbe essere costituito dai due avancorpi quadrangolari in cementizio di 1,07 x 2,12 m, solidali con la fondazione più esterna del lato breve sudorientale, posti esattamente ai lati dell’asse longitudinale mediano del foro. Gli aggetti, distanziati tra loro di circa 3 metri e rivolti verso la fondazione mediana, potrebbero essere riconducibili alla sistemazione di una nicchia monumentale inquadrata da pilastri, situata al centro del lato corto del complesso; al suo interno, poteva esservi collocata una statua, forse proprio di Cesare.

Per quanto riguarda il Tempio di Venere Genitrice, mancando ancora uno studio analitico approfondito che prenda in considerazione le varie fasi costruttive che pur da tempo sono state riconosciute,682 è possibile avanzare solo qualche considerazione. La prima e più importante è dovuta alla sua modalità costruttiva. Come si è visto nel secondo capitolo, immediatamente sotto la pavimentazione della cella del tempio è attestata la superficie del banco naturale con quote stimabili sui 19 m s.l.m. Una quota analoga è rilevabile nella parte posteriore del podio dove ancora si conserva un lacerto della stratificazione naturale inglobata nel conglomerato cementizio. Queste due evidenze segnalate da tempo permettono di comprendere che per realizzare il podio del tempio si procedette analogamente a come si era proceduto per la realizzazione del portico del lato lungo sud-occidentale. Nel caso del tempio, infatti, una volta risparmiata la porzione delle pendici sud-orientali della collina si provvide a gettare dietro di essa un muro di contenimento in conglomerato cementizio e a rivestire gli altri tre lati con una muratura in blocchi di tufo. Sopra la porzione di terreno risparmiato venne quindi realizzato l’elevato vero e proprio del tempio il cui spiccato si attestava alla quota di 20 m circa s.l.m.

Se l’ipotesi del muro di fondo continuo cogliesse nel vero, si potrebbe supporre che fosse costruito in blocchi di travertino, analogamente a quello ipotizzato dalla Amici a rivestimento del fronte delle tabernae,687 di cui avrebbe costituito la prosecuzione sul lato corto sud-est; un muro analogo può essere ipotizzato anche sul lato nord-est del complesso. Le navate della porticus duplex, scandite da due colonnati e concluse all’esterno da un muro di fondo continuo, dovevano sviluppare una larghezza non inferiore ai 13 m circa. Supponendo, quindi, che il lato breve sud-orientale fosse chiuso da un muro continuo movimentato da una nicchia monumentale in posizione centrale, è stata di conseguenza esclusa la possibilità di un accesso alla piazza in asse con il tempio. Pertanto gli ingressi sono stati supposti alle estremità dello stesso lato breve, aperti Amici 1991, p. 33, fig. 30. In questo caso, contrariamente a quanto ipotizzato dalla Amici, dovremmo pensare che in età cesariana la zona di disimpegno che si creava al termine delle strette scale laterali del podio, nel settore centrale antistante la scalea frontale, fosse ancora più stretto (1,10 m circa), rispetto a quello di età traianea (2,50 m). 685 Vedi Att. 38 al punto III.3.2.1., supra. 686 La cisterna, come si vedrà più avanti, viene colmata del tutto negli anni in cui Ottaviano prolunga la piazza cesariana in direzione sud-est. Vedi il punto III.3.5.6., infra. 687 Amici 1991, p. 40. Già Lugli nel postulare l’esistenza di un muro di rivestimento del fronte delle tabernae, ipotizzò che potesse essere in marmo oppure in semplice travertino (Lugli 1946, p. 247). 683

A questo riguardo, come è stato fatto notare da tempo, è significativo il confronto con il Foro di Augusto dove le singole parti sono state concepite secondo un progetto unitario. Vedi Zanker 1984, p. 10. 680 App., Bell. Civ. II 68, 281. 681 Vedi Fiorani 1968, pp. 93-97 e fig. 13. La Fiorani, in base ad alcune tracce ancora in situ, ha ipotizzato l’esistenza di un’abside di dimensioni maggiori alla testa di ciascuno dei portici dei lati lunghi e una di raggio inferiore ma più profonda ai lati del podio del tempio. Vedi anche Amici 1991 pp. 42-46. 682 Tra gli studi analitici sulle fasi costruttive del Tempio di Venere Genitrice si segnalano: Bardon 1940; Fiorani 1968, pp. 97-99; Amici 1991, pp. 31-35 e pp.77-100; Bardon 1990; Maisto, Vitti 2009. 679

684

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Lo scavo e la ricostruzione

sulle navate dei portici dei lati lunghi.688 La loro ubicazione in questo punto, inoltre, li porrebbe in stretta relazione topografica con il tracciato stradale dell’Argileto, che, come vedremo tra breve, doveva passare a poca distanza dal lato corto sud-orientale del complesso cesariano.

progettazione del foro.695 La conformazione delle tabernae, dunque, espliciterebbe la volontà di sfruttare al massimo possibile lo spazio compreso tra le pendici del colle e il lato di fondo del portico, realizzando un complesso di vani con funzione sostruttiva.

Gli ingressi si articolavano molto probabilmente con alcune strutture poste all’esterno del muro di fondo del foro. L’esistenza di queste strutture, almeno in fase progettuale, è indiziata da un sistema di fondazioni cementizie sviluppate per un’ampia porzione dell’area esterna al lato breve sud-orientale (vedi figg. III.105 e III.107). Non è possibile determinare se abbiano mai sostenuto strutture, in seguito distrutte da Ottaviano all’atto di prolungare il foro cesariano,689 oppure se siano state semplicemente gettate e non ultimate.690 Un indizio circa la loro funzione, tuttavia, potrebbe essere fornito dalla presenza di un canale ricavato in una di esse691 che, dato il suo andamento e la terminazione contro la fondazione del lato breve sudorientale del foro, farebbe pensare a un condotto porta tubi e quindi, a livello di ipotesi, a una infrastruttura per l’approvvigionamento di una grande fontana addossata esternamente al muro di delimitazione del foro. Ad ogni modo la realizzazione, compiuta o meno, di strutture esterne al lato breve sud-orientale del foro sembra dimostrare che gli accessi alla piazza non fossero stati concepiti in scala monumentale e che a questi si giungesse dall’Argileto, il cui tracciato può essere posto a circa 22,50 m di distanza dal complesso cesariano.692

In conclusione, l’ingombro totale del complesso cesariano, comprensivo dei portici e del Tempio di Venere Genitrice, misurava 136,7 x 75,9 m (460 x 255 p.r. da 0,297 m), pari ad una superficie di 9.145 mq circa; includendo anche le tabernae, il cui ingombro complessivo è stato calcolato sui vani esistenti o ricostruibili con buona approssimazione (I-XIV), la superficie del complesso avrebbe superato i 10.000 mq. Gli elevati e le coperture (fig. III.110) (V. Di Cola) A partire dalle prime indagini di Corrado Ricci, le opinioni di coloro che si sono occupati della ricostruzione degli elevati del complesso cesariano possono essere raggruppate in due filoni interpretativi principali. Al primo appartengono le sintesi proposte da Lugli,696 Fiorani,697 Bauer,698 Anderson699 e studi di recente pubblicazione,700 in cui il portico che delimita la piazza del Foro di Cesare è ricostruito a due ordini sovrapposti coperto da un tetto a doppio spiovente.701 Al secondo appartiene l’ipotesi ricostruttiva di Amici,702 che prevede, in estrema sintesi, un portico a due navate sviluppato su un solo ordine, i cui colonnati interno e mediano sono distanziati da un interasse di 5,5 m.703 La struttura avrebbe sviluppato un’altezza complessiva di 10,40 m dal piano di calpestio dei portici alla cornice della trabeazione.704 Il dimensionamento dei colonnati è stabilito dalla studiosa a partire dalle impronte circolari delle basi di colonna relative all’ordine mediano, già individuate da Corrado Ricci sulla pavimentazione del portico sud-occidentale;705 da queste

Alle spalle del lato lungo sud-occidentale si aprivano le tabernae693 che, come si è detto, non erano state ancora ultimate al momento dell’inaugurazione del 46 a.C. Il complesso attualmente visibile è costituito da un muro in blocchi di peperino provvisto di aperture in corrispondenza di ogni vano; sopra ciascun accesso si susseguono, in allineamento verticale, un’apertura di forma rettangolare e una di forma semicircolare. Alcune aperture di forma rettangolare risultano tamponate da specchiature in opera laterizia dovute a modifiche strutturali di epoca traianea.694

Coarelli 1983, p. 154; Amici 1999, pp. 305 e 309. Lugli, pur ritenendo valida l’ipotesi che i portici del Foro di Cesare si sviluppassero su un solo livello, prospettò anche la possibilità che potessero essere allestiti su due livelli raggiungendo una elevazione considerevole, pari almeno allo sviluppo del fronte delle tabernae rivolto verso la piazza (Lugli 1946, p. 247 e ss; Idem 1970, p. 251). 697 Fiorani 1968, p. 100 698 Bauer affrontando lo studio del Foro di Nerva e in particolare la questione dell’esistenza di un tempio nella porzione sud-occidentale della piazza, ricostruisce l’intero assetto monumentale circostante costituito dalla Basilica Aemilia, dalla Curia Iulia e dall’angolo meridionale del Foro di Cesare. In quest’ultimo caso l’assonometria ricostruttiva proposta dallo studioso mette in evidenza la presenza di un doppio ordine architettonico al quale quello del Foro di Nerva vi si adatta nelle proporzioni dimensionali (Bauer 1976-77, p. 143, fig. 18). 699 Anderson 1984, p. 48 ss. 700 Nünnerich-Asmus 1994, p. 59; Gros 1996, p. 100; Ungaro 2004, p. 20. 701 L’ipotesi avanzata da Fiorani di una copertura a doppio spiovente del portico, la cui falda più esterna si impostava sul fronte delle tabernae, si fondava sulla presenza di due incassi semicircolari presenti all’interno delle tabernae III e VIII, interpretati come sedi di discendenti di scolo. Fiorani 1968, p. 100. 702 Amici 1991, p. 49 ss., figg. 62 e 80; vedi anche La Rocca 2001, p. 180. 703 Amici 1991, pp. 37-39. Il colonnato affacciato sull’Argileto, certamente attribuibile ad una fase costruttiva successiva, verrà preso in considerazione più avanti. 704 Amici 1991, p. 39. 705 Vedi il punto I.2.2.1. 695 696

Come si vedrà più avanti, i muri di fondo dei singoli vani descrivono un profilo a linee spezzate, dovuto alla irregolarità del taglio operato sul fianco del Campidoglio. Da tempo è stata avanzata l’ipotesi che un profilo così irregolare sia dovuto alla presenza di uno o più edifici importanti che sorgevano sulla sommità della balza capitolina e che Cesare volle preservare al momento della Tali ingressi, dopo il prolungamento del foro effettuato da Ottaviano, non sono più individuabili. 689 Vedi Att. 74 al punto III.3.5.1., infra. 690 Tali fondazioni, al momento dello scavo, risultavano coperte dal massetto pavimentale attribuibile agli interventi di Ottaviano; vedi Att. 83 al punto III.3.5.1., infra. 691 Vedi Att. 71 al punto III.3.4.1., supra e ‘il sistema idraulico’ al punto III.3.4.1. 692 Un tratto della via databile in età augustea è stato riconosciuto in corrispondenza della porzione sud-occidentale del Foro di Nerva con quote attestate tra i 13.80-13.90 m s.l.m., vedi Morselli, Tortorici 1989, p. 165; Tortorici 1991, pp. 35-36; Palombi 2005a, p. 83. 693 Vedi Att. 67 al punto III.3.4.1., supra. 694 Amici 1991, p. 53. 688

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Forum Iulium

III.110. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Sezioni ricostruttive longitudinale (a-a') e trasversale (b-b'). In grigio scuro il dato archeologico, in grigio chiaro la ricostruzione (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

impronte, del diametro di 1,30 m, sono stati ricostruiti fusti di colonna del diametro di circa 0,90 m.706

tabernae.708 Non è chiaro, infatti, se tale muro replicasse in facciata la stessa articolazione di quello in peperino, addossatogli in un secondo tempo, oppure se tale muro fosse interrotto solo in corrispondenza degli accessi ai vani, lasciando alle aperture soprastanti la sola funzione statica.

Per quanto riguarda la copertura Amici propone due possibili soluzioni, entrambe impostate sui colonnati e sul muro di foderatura delle tabernae, ora perduto: un tetto a doppio spiovente o, più probabilmente, una terrazza. Quest’ultimo tipo di copertura e la sua quota di imposta, nell’interpretazione di Amici, sono strettamente connesse alla cronologia delle due tracce verticali scalpellate sulla faccia interna delle tabernae III e VIII; esse non posso essere attribuite allo scarico delle acque di gronda della copertura in quanto le testate in peperino in cui sono ricavate non dovevano essere state ancora ultimate al momento di inaugurare il Foro.707 Pertanto, secondo Amici, la copertura sarebbe stata costituita da un tetto piano a terrazza, lievemente inclinato verso la piazza, che avrebbe scaricato le acque nel condotto di deflusso principale situato sotto il primo gradino di accesso al portico.

Il problema è stato affrontato da Amici, la quale ipotizza che solo in corrispondenza dei vani I-III le aperture fossero a vista come prese di luce, mentre in tutti gli altri vani esse erano nascoste dal muro in travertino, svolgendo una funzione statica (fig. III.111).709 La differenza di funzione tra le aperture, secondo Amici, è dovuta alla diversa articolazione interna delle tabernae: tutte hanno una suddivisione su due piani ad eccezione dei vani I, II, III.710 Questa caratteristica è strettamente legata al passaggio, alle spalle delle tabernae, del Clivus Latumiarum, che, proprio in corrispondenza dei vani I-III, si alza bruscamente di quota. Tale pendenza avrebbe quindi determinato una suddivisione interna delle prime tre taberne che favorisse la comunicazione con la strada. Pertanto, fu necessario aprire delle finestre per illuminare i tre piani nel muro di schermatura.

Nella ricostruzione del sistema dei portici del Foro di Cesare proposta in questa sede si è partiti da due aspetti relativi al fronte delle tabernae: quale fosse la funzione delle aperture semicircolari e rettangolari presenti nel muro di schermatura in blocchi di peperino, attualmente visibile, e come esse si articolassero con il muro di foderatura in blocchi travertino, che doveva dividere il portico dalle

Il collegamento diretto tra le tabernae e il Clivus Latumiarum711 sarebbe quindi avvenuto con modalità Vedi Att. 66 al punto III.3.4.1., supra. Amici 1991, p. 53. 710 Amici 1991, p. 54 e ss. La sistemazione originaria dei piani superiori delle tabernae è stata totalmente distrutta dagli interventi di epoca traianea, in particolare nel caso dei vani IV-IX, sopra i quali è stata costruita una forica semicircolare. Vedi Amici 1991, p. 116 ss. 711 Amici 1991, pp. 54 e 57. 708 709

Amici 1991, pp. 37-39. Questa ipotesi, come si vedrà in seguito, è stata parzialmente confutata dal ritrovamento delle sottobasi dell’ordine interno alla piazza, il cui diametro pari a 0,90 m, costituisce l’indizio di un colonnato di proporzioni più ridotte. 707 Amici 1991, p. 42. 706

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Lo scavo e la ricostruzione

differenti: nei vani IV-X, alla quota degli estradossi piatti delle volte a tutto sesto che coprivano i piani terreni; nei vani I-II, al livello degli estradossi delle volte a sesto ribassato tra secondo e terzo piano. La taberna III costituisce una struttura a sé stante in quanto vano-cerniera tra il Clivus e la piazza del foro e unico collegamento con i piani superiori dei vani I-II. Questi ultimi, poiché interamente incassati nel versante capitolino, non erano raggiungibili dal Clivus, che in questo tratto corre a quota superiore; pertanto all’interno del vano III sarebbe stata prevista, fin dal progetto originario, una rampa di risalita a tornante con muro di spina a blocchi e volta di sostegno inclinata, accessibile dal portico sudoccidentale del foro, collegata al piano superiore del vano II e, da questo, al piano superiore del vano I.712 In prossimità dell’inizio della rampa una porta metteva in comunicazione il vano III con il piano terreno del vano IV. In questa fase non è prevista un’apertura sul Clivus Latumiarum.713

III.111. Foro di Cesare. Veduta del fronte delle tabernae.

Tornando al problema delle aperture ricavate nel muro frontale delle tabernae, la scansione differenziata degli spazi interni ai vani appena descritta implicherebbe quindi un esito differenziato delle aperture (fig. III.112). Nel caso dei vani IV-X, infatti, il cervello delle volte a tutto sesto avrebbe invaso lo spazio tra prima e seconda piattabanda, escludendo quindi la possibilità che le aperture potessero fungere da prese di luce; dovevano quindi essere necessariamente tamponate per nascondere l’articolazione delle coperture.714 Nei vani I-II, al contrario, le volte a sesto molto ribassato incassate nella piattabanda più bassa avrebbero lasciato libera l’apertura rettangolare, che avrebbe quindi potuto costituire la fonte di illuminazione del primo piano. Per quanto riguarda gli archi di scarico semicircolari, invece, è dubbia la loro eventuale funzione lucifera. Si può supporre che essi abbiano potuto illuminare almeno il primo piano dei vani IV-X715 e il vano III, con la rampa a tornante.

III.112. Foro di Cesare. Schema della facciata delle tabernae (in alto) e della disposizione interna dei vani (da AMICI 1991).

impostata sulla cornice in travertino più bassa.717 Inoltre, si può supporre che l’articolazione interna della rampa prevedesse un muro di spina che non raggiungeva il tetto della taberna ma che terminava alla quota di arrivo della prima rampa, lasciando la possibilità di usufruire di uno spazio libero davanti alla porta di collegamento con l’attigua taberna II (fig. III.115).

A questo riguardo, non sembra improbabile che la copertura del vano III, finora ricostruita con due volte a botte parallele impostate sul muro di spina della rampa a tornante (fig. III.113),716 potesse invece essere costituita da un’unica volta a botte impostata ad una quota più alta, della quale rimarrebbero le tracce dell’incasso sulla superficie interna dell’arco di scarico (fig. III.114). Le tracce relative all’allestimento della rampa di età cesariana, tuttavia, non sembrerebbero escludere la possibilità che l’ambiente fosse già in questa fase coperto da un’unica volta a botte,

Sulla parete sud-est della taberna III si conserva una fila di incassi quadrangolari relativi molto probabilmente a un solaio (fig. III.116), che non può essere attribuito né alla fase augustea, quando si costruisce la scala, né alla fase traianea.

Amici 1991, p. 54. Questa sarà ricavata da Ottaviano che trasformerà la rampa in una scala accessibile dai portici, abolendo la percorrenza verso il pianterreno del vano IV e i piani superiori dei vani I e II. Amici 1991, pp. 61-63 e vedi il punto III.5.6. ‘Gli elevati e le coperture’, infra). 714 Amici 1991, pp. 52-53. 715 Amici 1991, p. 53. 716 In Amici 1991, p. 54 e ss. Le tracce conservate sulla faccia interna dell’arco di scarico sono state attribuite alla ristrutturazione augustea della taberna III, dove la rampa a tornante di età cesariana sarebbe stata sostituita da una scala, coperta da due segmenti di volte a botte impostate, a quote differenti, su cornici in blocchi travertino ancora visibili (Amici 1991, fig. 83, p. 62). 712

713

La leggibilità della parete sud-ovest della taberna III, alterata dalla costruzione della scala di età augustea e da massicci restauri integrativi, non consente di distinguere con certezza quali interventi siano da attribuire alla fase cesariana e quali a quella augustea. Pertanto, immaginando la presenza di un solaio ligneo all’arrivo della prima rampa, non è escluso che la cornice di blocchi di travertino posta a quota più alta sia stata inserita nella parete da Augusto al momento di realizzare la scala diretta al Clivo Argentario. 717

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Forum Iulium

III.114. Foro di Cesare. Taberna III. Veduta del lato posteriore del muro frontale del vano. Le frecce bianche indicano le tracce lasciate dall’alloggiamento del discendente; le frecce nere indicano la traccia della copertura a botte (in alto) e la superstite cornice di imposta in blocchi di travertino (sinistra).

III.113. Foro di Cesare. Schema assonometrico delle tabernae II e III (da AMICI 1991).

In questo modo l’arco di scarico avrebbe costituito un ulteriore punto di luce, forse in relazione ad un possibile piano agibile ricavato alla quota di arrivo della rampa di risalita e impostato nel muro di spina che la sorreggeva. La ricostruzione proposta dalla Amici di un portico alto oltre 10 metri basata soprattutto sui diametri ricavati dalle impronte conservate sul pavimento del portico sud-occidentale, ha risolto il problema posto da questa possibile alternanza tra aperture e tamponature sul muro di schermatura delle tabernae impostando una copertura a terrazza del portico al di sopra della quota riportata dagli archi di scarico semicircolari. Di seguito si cercherà di dimostrare la fondata possibilità che i portici perimetrali del Foro di Cesare potessero svilupparsi, non su uno solo ma su due ordini, grazie all’analisi combinata delle evidenze archeologiche emerse dagli ultimi scavi e dallo studio della decorazione architettonica.

III.115. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Taberna III. Pianta e sezione ricostruttiva. In grigio scuro il dato archeologico, in grigio chiaro la ricostruzione (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

Lo scavo, come si è visto, ha messo in luce un sistema di tre fondazioni cementizie parallele che dovevano costituire il lato breve sud-orientale del primo foro. La struttura centrale, larga 3 m circa e di prestanza doppia rispetto a quella interna larga 1,75 m, farebbe supporre la necessità

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Lo scavo e la ricostruzione

A questo proposito, il contributo apportato dallo studio degli elementi architettonici si è rivelato decisivo per un tentativo di dimensionamento degli ordini.723 Una prima serie di frammenti, tra più di mille esaminati, è stata attribuita al colonnato interno alla piazza. Lo studio tipologico, complicato dalla estrema frammentarietà dei pezzi e dalla oggettiva difficoltà di stabilire una distinzione stilistica tra la fine dell’epoca cesariana e l’età proto augustea, attestata invece dallo scavo, ha preso avvio da alcuni frammenti ancora in posto attribuibili con certezza all’impianto originario del complesso forense.724 L’elemento principale sul quale si fonda l’ipotesi ricostruttiva proposta in questa sede è un frammento di base attica di colonna, senza plinto, con imoscapo rudentato, attualmente esposta al Museo dei Fori Imperiali.725 Le dimensioni ricostruibili, restituiscono un diametro inferiore di 1,08 m e un diametro superiore all’imposcapo di 0,76 m, dimensioni ben compatibili con le proporzioni delle sottobasi ancora inglobate nella fondazione interna alla piazza del lato lungo sud-occidentale. Più in dettaglio, nel piano di posa inferiore della base è risparmiata una fascia perimetrale, lavorata in sottosquadro, che delimita la parte centrale della base stessa, elemento che trova piena corrispondenza con il diametro delle sottobasi citate. La evidente pertinenza di questo elemento al colonnato interno alla piazza ha consentito di elaborare un primo proporzionamento del colonnato.

III.116. Foro di Cesare. Taberna III. Veduta del muro sud-orientale del vano. In evidenza le tracce relative alla sistemazione di un solaio ligneo tra primo e secondo piano.

di supportare un carico maggiore rispetto alle altre due. Tuttavia non sono state trovate sottobasi in posto che potessero suffragare ulteriormente questa differenziazione dimensionale poiché le modifiche operate dal cantiere di Ottaviano al momento di prolungare la piazza ne ha cancellato ogni traccia.718

Desunto l’intercolumnio dalla posizione delle quattro sottobasi alloggiate sulla fondazione, pari a circa 2 metri, si è potuto stabilire che esso, non coincidendo con alcuno dei ritmi descritti da Vitruvio, si avvicinerebbe tuttavia a quello diastilo che prevede colonne alte 8,5 volte il diametro di base.726 L’altezza massima ricostruibile per il colonnato interno alla piazza sarebbe dunque di 6,5 m (22 p.r. da 0,2957 m). L’attribuzione a quest’ultimo di parte di un capitello corinzio727 e la rudentatura che caratterizza l’imoscapo lavorato con la base attica sopra evocata hanno consentito di definire anche stilisticamente il colonnato, che quindi doveva essere corinzio, con colonne scanalate e rudentate nel terzo inferiore.728

D’altra parte, si è potuto constatare come sul lato lungo sud-occidentale quattro sottobasi con un diametro di 0,90 m, ad eccezione di quella angolare più grande, distanziate da un interasse di 2,75 m, fossero ancora alloggiate nella fondazione interna alla piazza.719 Incrociando questa evidenza con le dimensioni raddoppiate della fondazione mediana del lato breve sud-orientale e le proporzioni maggiorate720 delle sottobasi del diametro di 1,30 m individuate in corrispondenza del colonnato mediano del lato lungo sud-occidentale – del quale però non è stata vista la fondazione della fase originaria721 – se ne ricava che il colonnato interno alla piazza doveva avere un aspetto più snello rispetto a quello mediano.722

A partire da queste premesse, si è tentata una prima ricostruzione dei portici, poi scartata, secondo il modello di porticus duplex ad un piano teorizzato da Vitruvio,729 nel quale il colonnato centrale, normalmente afferente ad un ordine architettonico diverso, avrebbe potuto sviluppare

Vedi Att. 74 al punto III.3.5.1., infra. Vedi Att. 69 al punto III.3.4.1., supra. 720 Il medesimo dettaglio lo si è riscontrato presso il colonnato mediano del lato breve sud-orientale del foro ricostruito da Ottaviano, indizio di una continuità strutturale con l’impianto di epoca precedente (vedi periodo 5, infra). Tale colonnato sarà poi abolito in epoca tardo antica per la realizzazione di una grande aula. Vedi Meneghini 2010, p. 507 e ss. 721 Un segmento della fondazione mediana, relativa però al prolungamento operato da Ottaviano, è stata messa in luce durante i saggi di approfondimento effettuati da Nino Lamboglia nell’area retrostante la Curia. Le dimensioni della struttura non sembrano essere diverse rispetto a quelle della fondazione interna alla piazza, ma questo dato potrebbe essere motivato dall’appartenenza dei sistemi di fondazione a due momenti distinti del cantiere di realizzazione del Foro di Cesare. Quel che è certo è l’uso, in entrambe le fasi, di sottobasi di dimensioni maggiori per il sostegno del colonnato mediano rispetto a quelle utilizzate nell’ordine interno alla piazza. 722 Soluzioni simili, come l’uso di pilastri mediani nei portici, sono ampiamente attestate nel mondo ellenistico. Non dissimile sembra anche la soluzione adottata nella Basilica Iulia, edificio a due ordini e coevo al Foro di Cesare, dove le arcate del perimetro esterno erano inquadrate da pilastri con ordine tuscanico applicato; LTUR I, 1993, p. 178 (C.F. Giuliani, P. Verduchi). 718 719

Lo studio, ancora in corso, è stato condotto, e in parte pubblicato, da Patrizia Maisto e Beatrice Pinna Caboni. Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 419-454 e il punto III. 3. 4. 3., infra. 724 Si tratta della base di pilastro di tipo attico senza plinto lavorata insieme all’imoscapo rudentato del fusto, appartenente all’allestimento della testata del portico sud-occidentale, alla quale è stato associato un capitello di pilastro lavorato in due blocchi, uno dei quali esposto al Museo dei Fori Imperiali. Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 428 (schede 1 e 5). 725 FC 170. Il frammento di base, in marmo bianco lunense, misura 0,24 m altezza, con imoscapo di 0,39 m. Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 428 (scheda 6). 726 Vitr. III 3, 10; Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 431. 727 Del capitello si conserva solo parte del blocco inferiore (FC 1184); vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 431. 728 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 430. 729 Vitr., V 9, 2-4. 723

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un’altezza maggiore rispetto al colonnato interno alla piazza. Tale soluzione ha mostrato una prima grave difficoltà, legata alla quota di imposta di una possibile copertura a doppio spiovente, con le falde inclinate di circa 18°, in rapporto al muro di schermatura delle tabernae: non potendo svettare oltre la quota delle aperture semicircolari di cui si è detto in precedenza, attestandosi invece poco sopra gli 8 metri in coincidenza delle aperture rettangolari generate dalle coppie di piattabande, non avrebbe avuto concreta possibilità di realizzazione.

all’imoscapo, delle quali si è recentemente identificato un possibile frammento scanalato del fusto.732 Sui colonnati del primo ordine si imposta la trabeazione che è possibile ricostruire, in proporzione, di altezza pari a 1,5 m. Lo studio della decorazione architettonica ha rilevato la presenza di alcuni frammenti plausibilmente attribuibili alla cornice e all’architrave.733 Due frammenti di cornice ionica a dentelli sono stati rinvenuti rispettivamente negli anni Trenta del XX secolo e negli scavi giubilari del 19982000.734 Il secondo di questi presenta un fianco lavorato obliquamente, dettaglio che ben si accorderebbe con una ripetizione del motivo sui tre lati porticati della piazza. Per quanto concerne l’architrave, invece, si è da tempo a conoscenza di un frammento, oggi esposto al Museo dei Fori Imperiali,735 caratterizzato da un lacunare decorato da una doppia fila di tondini affiancati da un astragalo, che già Amici aveva attribuito alla trabeazione delle esedre di testata dei portici longitudinali. Un secondo frammento, restituito dagli ultimi scavi, è stato recentemente assimilato al precedente.736 Tuttavia, poiché gli altri frammenti esaminati sembrano appartenere ad un diverso sistema decorativo, cronologicamente posteriore, si è supposto che l’intera estensione dell’architrave prospiciente la piazza fosse decorata con il motivo riscontrato nel frammento attribuito alle esedre.737

Una ulteriore riflessione è sorta dal confronto tra le proporzioni del portico ricostruito in questo modo e il contesto architettonico circostante. La mole del Tempio di Venere Genitrice, il cui tetto raggiungeva un’altezza di almeno 26 metri rispetto alla quota della piazza,730 e l’altezza dello stesso muro di schermatura delle tabernae, pari ad almeno 14,40 m, apparivano eccessivamente disarmoniche in relazione ad un portico di dimensioni così ridotte. Si è scelto, quindi, di optare per un’altra ipotesi ricostruttiva che prevedesse un secondo ordine sovrapposto al primo, che contribuisse a snellire l’impianto e, soprattutto, a raggiungere una quota tale da risolvere il problema dell’imposta della copertura in rapporto al muro di schermatura delle tabernae.

L’insieme costituito dal primo ordine e dalla trabeazione avrebbe quindi raggiunto gli 8 metri di altezza, andando a coincidere con la quota della seconda piattabanda del muro frontale delle tabernae. In questo modo, l’impostazione del solaio tra primo e secondo ordine avrebbe rispettato le eventuali aperture collocate nei vani I-III tra prima e seconda piattabanda.

Correlando le dimensioni del colonnato interno alla piazza, più sottile e ben definibile nella sua struttura, e di quello mediano, più massiccio, ricostruibile sulla base delle impronte circolari lasciate dalle basi sul pavimento del portico (diametro 1,30 m), si è proceduto ad un nuovo dimensionamento del portico. La prestanza maggiore della fondazione mediana e delle sottobasi è stata valutata in rapporto a un maggiore carico statico supportato; infatti, troverebbe giustificazione nella presenza di un colonnato potenziato dovuto probabilmente al raddoppiamento degli intercolumni ma di altezza pari a quello affacciato sulla piazza. In questo caso, purtroppo, non vi sono elementi architettonici validi sui quali poter basare calcoli proporzionali; i pochi frammenti eventualmente compatibili con il colonnato mediano sono stati attribuiti principalmente su base deduttiva e, tra questi, non ne è stato individuato alcuno che potesse dare indicazione circa l’ordine architettonico di appartenenza, che potrebbe però essere in via ipotetica ricostruito come ionico sulla base dei frammenti attribuiti all’ordine superiore.731

Il diaframma tra primo e secondo piano è stato ricostruito con una contignatio, la cui orditura lignea sarebbe stata incassata nello spessore del muro di schermatura in travertino del fronte delle tabernae.738 Questo sistema avrebbe garantito la copertura sia della luce degli interassi del colonnato mediano pari a 5,5 m, sia di quella più ampia delle navate, pari a 6,6 m. Trattandosi di un edificio di una certa importanza è plausibile che la struttura lignea del solaio fosse decorata da lacunares rivestiti di stucco ad imitazione del marmo usato invece nella trabeazione dell’ordine prospiciente la piazza, la cui larghezza pari a 2,75 m, poteva essere più agevolmente coperta.

In merito alle proporzioni, tuttavia, essendo certo che l’interasse dell’ordine mediano, pari a 5,5 m, corrisponde al doppio di quello del colonnato interno alla piazza pari a 2,75 m, si è potuto almeno inquadrarlo con poco margine di dubbio entro lo schema aerostilo descritto da Vitruvio costituito da colonne di diversa proporzione. Si sarebbe trattato, quindi, di colonne di 0,90 m di diametro

730 731

FC 4518. Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 434 (scheda 9). Non vi sono altri frammenti significativi attribuibili a quest’ordine. 733 Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 438-440. 734 Il primo frammento fu già attribuito da Leon alla decorazione del Foro di Cesare; il secondo è stato recentemente assimilato al precedente. Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, rispettivamente p. 438 e bibliografia relativa e p. 439 (scheda 13). 735 Amici 1991, pp. 43-44. 736 Pinna Caboni 2008, p. 57, fig. 3; Maisto, Vitti, 2009, p. 40, fig. 6; Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 439 (scheda 14). 737 Gli altri frammenti di architrave, infatti, sembrerebbero pertinenti al colonnato affacciato sull’Argileto, realizzato da Ottaviano nella fase successiva. 738 Giuliani 2006, pp. 79-82. 732

Amici 1991, p. 97, figg. 161-162. Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 433-437. Vedi il punto III.3.4.3., infra.

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Lo scavo e la ricostruzione

Le proporzioni delle colonne del secondo ordine della porticus sono state stabilite secondo il canonico rapporto di riduzione di ¼ descritto da Vitruvio.739 Prendendo come parametro di riferimento l’altezza di 6,5 m ricostruita per l’ordine inferiore, si è ottenuto un valore di 4,73 m, pari a 16 piedi. I colonnati dell’ordine superiore, sormontati da una trabeazione alta in proporzione 1,20 m, avrebbero raggiunto l’altezza di circa 5,70 m, che sommata agli 8 m dell’ordine inferiore restituisce un totale di circa 14 m. Tale valore risulterebbe ben compatibile con l’elevazione documentata del muro frontale delle tabernae, come si è detto pari a circa 14 m, e del relativo muro di schermatura cui sarebbe stato addossato. L’intero ordine superiore, inoltre, avrebbe abbondantemente superato in altezza la quota degli archi di scarico, evitando la difficoltà di impostare la copertura in corrispondenza di quelli adibiti a prese di luce.

modelli ellenistici, facendo ricorso, tuttavia, alla tecnica e ai materiali della tradizione locale.745 In merito alla copertura del sistema di portici così ricostruiti occorre fare una breve premessa. In passato abbiamo ipotizzato che essa potesse consistere in un tetto a doppio spiovente impostato sui colonnati e, nel caso del braccio lungo sud-occidentale, sul muro di schermatura delle tabernae.746 Pur non potendo escludere né questa né l’ipotesi di una copertura a terrazza proposta dalla Amici,747 data la scarsità di elementi a disposizione, si ritiene ora più probabile che la copertura dei portici fosse a falda unica, displuviata verso l’interno della piazza. Questa soluzione sembrerebbe rispondere meglio ai problemi legati allo smaltimento delle acque di gronda, rispetto al quale, tuttavia, abbiamo scarsissimi dati in nostro possesso. Le uniche evidenze archeologiche sulle quali fondare eventuali ipotesi consistono nel condotto fognario diretto alla Cloaca Massima, che corre parallelo al braccio porticato sud-occidentale e nelle tracce di due tubazioni individuate nelle tabernae III e VIII, di cui si è detto a proposito dell’impianto planimetrico del foro e sulle quali si tornerà più avanti. Queste ultime, in particolare, pongono alcuni problemi interpretativi. Trattandosi di tracce scalpellate sulla superficie delle testate dei vani, non è possibile stabilire se siano state realizzate in fase con la costruzione dell’impianto forense originario, oppure se siano state ricavate in un momento successivo.748 Dal momento che il diametro degli incassi misura circa 30 cm e che ne sono stati individuati solo due, a una distanza di circa 22 m, non sembra possibile che potessero risolvere adeguatamente il problema dello smaltimento delle acque di gronda. Inoltre, la mancanza di un condotto fognario in corrispondenza del fronte delle tabernae, analogo a quello individuato ai piedi del portico sud-occidentale, rende poco plausibile l’ipotesi che le tracce ospitassero dei discendenti pluviali e che, quindi, i portici potessero essere coperti da un tetto a doppia falda.

Anche nel caso dell’ordine superiore, lo studio della decorazione architettonica ha dato un utile contributo, pur essendo molto scarsi i pezzi ad esso attribuibili.740 Partendo dalle proporzioni ricostruite, se da un lato si è potuto escludere alcuni frammenti di fusti scanalati e rudentati in precedenza attribuiti all’ordine superiore,741 dall’altro si è riusciti a isolare altri pezzi, metricamente e cronologicamente compatibili con l’impianto originario. In merito all’ordine prospiciente la piazza, si può supporre che appartenesse anch’esso allo stile corinzio, accertato per l’ordine inferiore. Di conseguenza, si è potuto includere nel gruppo di elementi attribuiti all’impianto cesariano un frammento di base attica di colonna senza plinto, in marmo bianco lunense del diametro superiore di 0,45 m, emersa durante gli scavi giubilari.742 Nessun frammento di fusto né di capitello è stato al momento individuato. Per quanto riguarda l’ordine mediano, resta ugualmente incerta l’identificazione dei pezzi. Da alcuni frammenti di volute marmoree, riferibili a capitelli a quattro facce, di proporzioni compatibili con quelle ipotizzate per l’ordine superiore si è potuta supporre la presenza dell’ordine ionico.743 Tuttavia, si è anche potuto isolare un nucleo di frammenti in peperino con resti di stuccatura provenienti dall’area del portico sud-occidentale, tra cui un frammento di voluta e resti riferibili ad una colonna scanalata, proporzionalmente compatibili con l’ordine in esame.744 Tali frammenti testimonierebbero ulteriormente la presenza di un ordine ionico, ma il ricorso al piano superiore di un materiale diverso dal marmo, stuccato per imitarne l’aspetto, sembrerebbe documentare anche nel Foro di Cesare una prassi diffusa a Roma già dal II secolo a.C., volta a conferire alle architetture l’aspetto decorativo dei

In conclusione, un tetto a falda unica inclinata verso la piazza, sostenuto da colonnati opportunamente potenziati nel tratto mediano e dal muro di schermatura delle tabernae nel tratto sud-occidentale, sembrerebbe adattarsi meglio ai dati di cui attualmente disponiamo. Tale copertura, inoltre, non sarebbe stata in conflitto con la presenza di eventuali

Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 436. Delfino 2010d, p. 343. 747 Amici 1991, pp. 42 e p. 52, fig. 62. 748 A tal proposito è possibile che le tracce scalpellate siano riferibili ad un sistema di adduzione dell’acqua, mediante tubazioni, ai piani superiori delle tabernae (vedi più avanti il punto sul sistema idraulico del foro). Va inoltre considerato che in epoca traianea questo settore del foro è stato oggetto di una vasta risistemazione; la costruzione di una forica monumentale sui piani superiori dei vani IV-VIII, che ha implicato l’allestimento di una complessa rete fognaria per lo smaltimento delle acque scure (Amici 1991, p. 116 e ss.), potrebbe aver sfruttato il sistema di adduzione originario per il funzionamento dell’impianto. 745 746

Vitr., V 1, 3. Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 432. 741 Delfino 2008, p. 53; Maisto, Vitti 2009, p. 38 e p. 40, fig. 6. 742 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 432 e 451, scheda 8. 743 Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 435-436. Si tratta dei frammenti FC 19197 e 1090. 744 FC 4213 (frammento di voluta), FC 2048 (frammento di colonna scanalata). Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 436, fig. 13. 739 740

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sotto la Basilica Emilia755 con il tratto di recente scoperta, consentendo, di conseguenza, la ricostruzione del percorso della più antica fognatura che con andamento nord-est/sudovest doveva passare sotto l’area del Macellum; da questa ricostruzione, quindi, il tracciato della cloaca repubblicana risulta più spostato verso sud-est rispetto a quello Flavio.756

aperture lucifere poste sul fronte delle tabernae, di cui si è detto in precedenza.749 Così ricostruiti, i portici del Foro di Cesare avrebbero raggiunto circa 20 m di altezza (67 p.r.). Il sistema idraulico (A. Delfino, V. Di Cola)

Tornando al sistema fognario del Foro di Cesare, l’assenza, presso il lato breve sud-orientale, di tracce relative ad un condotto sotterraneo interno alla piazza, induce a pensare che in questo punto fosse prevista una canalizzazione non molto profonda o a cielo aperto, che con doppia pendenza scaricasse in entrambi i condotti principali posti ai piedi dei lati lunghi del complesso (fig. III.117, c). Tale condotto dovette essere asportato durante i lavori di prolungamento della piazza promossi da Ottaviano.

Il deflusso delle acque Già nel primo progetto costruttivo del foro, come si è visto, erano previsti i due condotti rettilinei750 che correvano sotto il primo gradino dei portici dei lati lunghi della piazza (fig. III.117, a). La funzione principale delle due strutture era quella di raccogliere le acque reflue provenienti dalla piazza e dal tetto dei portici. Nel caso di quest’ultimo, se l’ipotesi di una copertura a falda unica inclinata verso la piazza si rivelasse esatta, dovremmo immaginare che questo scaricasse le acque di gronda direttamente ai piedi della gradinata e da qui, tramite caditoie, nei condotti.751

Al sistema di deflusso, infine, sono da attribuire i due segmenti di condotti messi in luce sotto il piano pavimentale della taberna XI, uno dei quali è stato riconosciuto anche nelle contigue tabernae X e XII (fig. III.117, d, e).757 Come si vedrà in seguito,758 tali strutture hanno funzionato solo per un breve periodo di tempo, poiché già a partire dall’età augustea sono messe fuori uso dai lavori di completamento delle tabernae. In base a queste considerazioni e all’andamento di uno dei due condotti parallelo al profilo del taglio del colle (vedi fig. III.117, d) è possibile interpretarli come fognoli di raccolta delle acque meteoriche provenienti dalla sommità del versante del colle. Queste infrastrutture, pertanto, risulterebbero connesse alle fasi iniziali del cantiere costruttivo del foro quando, una volta operato il taglio del fianco collinare, si rese necessario proteggere l’area delle tabernae in costruzione (15 m s.l.m.) dalle acque provenienti dalla sommità della parete (20 m s.l.m.); tramite un sistema di canalizzazioni soprastanti, l’acqua sarebbe stata incanalata nei condotti riconosciuti e da questi, passando sotto il portico sud-occidentale, direttamente nel condotto di deflusso principale (vedi fig. III.117, d). A quest’ultima conclusione si è giunti in considerazione della presenza, a circa 16,50 m di distanza dalla taberna XII, in direzione est, di un canale di scarico a volta ribassata759 che si apre nella spalletta sud-ovest del condotto principale del foro (vedi fig. III.117, m; fig. III.118). La sua direzione, infatti, unita alle caratteristiche tecnico-costruttive e alla pendenza da nord-ovest verso sud-est permettono di identificarlo con l’ultimo tratto della canalizzazione rinvenuta sotto le tabernae X, XI, XII.

Per quanto riguarda la piazza, grazie alla doppia pendenza data alla pavimentazione, sia verso i lati lunghi del foro sia verso il lato corto sud-orientale,752 le acque reflue venivano convogliate anch’esse nelle caditoie poste ai piedi della gradinata dei portici e quindi direttamente nei due condotti principali; da qui, considerata la loro pendenza verso sudest, le acque erano convogliate nella Cloaca Maxima (fig. III.117, b).753 Il tracciato originario di quest’ultima, prima che gli interventi dei Flavi ne rettificassero l’andamento in occasione della costruzione del Templum Pacis e del Foro Transitorio, è stato in gran parte ricostruito grazie ad una nuova campagna di esplorazione e rilevamento che ha permesso di individuare sotto la Torre de’Conti un nuovo segmento del condotto più antico.754 Ciò ha permesso di collegare il tratto della Cloaca Maxima di età repubblicana individuato alla fine del XIX secolo

A questo proposito, la Amici ha ricostruito una serie di aperture rettangolari al di sopra degli archi di scarico semicircolari (Amici 1991, fig. 62, p. 52). Le tracce di queste aperture, tuttavia, non vanno confuse con gli scassi operati nelle epoche successive per ricavare prese di luce. Sul fronte della taberna III, infatti, vi è il forte sospetto che quella che sembra essere l’imposta di un’apertura rettangolare in fase con la costruzione del muro, è in realtà l’esito di uno scasso posteriore. Si può quindi supporre che la quota di imposta di tali aperture, sicuramente esistite per dar luce ai piani superiori delle tabernae, fosse più alta. 750 Vedi Att. 65 al punto III.3.4.1., supra. 751 Una serie di tombini venne individuata lungo il tratto nord-ovest del portico sud-orientale durante la campagna di scavo degli anni Trenta. Nel restauro effettuato all’indomani dello scavo, i tombini furono ricoperti dalle lastre della piazza. Vedi Amici 1991, pp. 35-37 e fig 36. 752 Le quote rilevate lungo l’asse longitudinale del foro sono comprese tra i 14.85 m s.l.m., in prossimità del Tempio di Venere Genitrice e i 14.35 m s.l.m., nell’area sud-orientale della piazza; vedi più avanti il punto sulla piazza. 753 Sulla Cloaca Maxima e in particolare sul tratto compreso tra la Subura e il Foro Romano vedi Narducci 1889, p. 39 e ss; Boni 1900, p. 279; De Ruggiero 1913, p. 15 e ss; Frank 1924, p. 71; Platner, Ashby 1929, p. 126 e ss; Lugli 1946, p. 80; Nash 1968, p. 258; Morselli, Tortorici 1989, pp. 47-49; Tortorici 1991, pp. 23-31; LTUR I, 1993, pp. 288-290 (H. Bauer); da ultimo Antognoli, Bianchi 2009 con bibliografia aggiornata. 754 Antognoli, Bianchi 2009, p. 101, tavv. IV e VIIIa. 749

Boni 1900, p. 279; Frank 1924, p. 71; Lugli 1946, p. 80; Morselli, Tortorici 1989, pp. 47-49. Per il collegamento del tratto di Cloaca Maxima in questione con la Basilica Emilia del 179 a.C. vedi Tortorici 1991, pp. 25-26. 756 Antognoli, Bianchi 2009, pp. 101-102, tav. VIIIa. 757 Vedi Att. 70 al punto III.3.4.1., supra. 758 Vedi Att. 85 e 86 al punto III.3.5.1., infra. 759 Il condotto, che è stato ricavato nello spessore della fondazione cementizia del portico sud-occidentale e realizzato insieme ad essa, venne parzialmente messo in luce durante la campagna di scavo 1998-2000 (US 2210). Il condotto, largo 60 cm, risulta del tutto analogo per tecnica costruttiva a quello individuato sotto le tabernae X, XI, XII. 755

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Lo scavo e la ricostruzione

III.117. Foro di Cesare. Periodo 4. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Pianta ricostruttiva del sistema idraulico. In rosso la rete di deflusso; in azzurro quella di adduzione (elaborazione grafica A. Delfino, V. Di Cola).

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III.118. Foro di Cesare. Portico sud-occidentale. Con la freccia è indicato lo sbocco del canale di scarico proveniente dalla taberna XII nel condotto di deflusso principale (archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

Il sistema di adduzione La presenza di alcune fontane poste lungo il fronte del podio del tempio760 e l’individuazione di due fontanelle incassate nella pavimentazione della piazza in corrispondenza del portico sud-occidentale,761 pone il difficile problema di determinare le modalità di approvvigionamento delle varie utenze del foro. Sebbene l’insufficienza di elementi a disposizione rende arduo seguire il percorso della rete di adduzione762 è logico pensare che il Foro di Cesare fosse rifornito da una derivazione dell’aqua Marcia che, come noto dalle fonti antiche, fu portata al Campidoglio dal pretore dell’anno 144/3 a.C., Q. Marcius Rex (vedi fig. II.7 e fig. III.119).763

III.119. Planimetria dell'area compresa tra il Quirinale e il Campidoglio. In tratteggio l'ipotetico tracciato dell'Aqua Marcia, prima della costruzione del Foro di Traiano; a tratto continuo il tracciato dello stesso acquedotto dopo la costruzione del complesso traianeo (da TUCCI 2006).

L’aqua Marcia dopo essere entrata a Roma all’altezza di Porta Maggiore (Spes Vetus) e dopo aver percorso il tratto urbano compreso tra via Giolitti, Porta S. Lorenzo e Porta

Tiburtina,764 terminava in un castello di distribuzione circolare ubicato presso la Porta Viminalis.765 Da qui l’acqua in tubazione,766 doveva proseguire in direzione dell’attuale via del Quirinale fino a giungere all’altezza di Piazza del Quirinale. Una serie di fortunati ritrovamenti avvenuti in quest’area alla fine del XIX secolo, infatti, ha consentito di stabilire che l’acquedotto Marcio arrivasse in questa zona seguendo un percorso in molti tratti parallelo a quello delle mura “serviane”.767

Da tempo è stata riconosciuta la presenza di un sistema di fontane davanti al Tempio di Venere Genitrice la cui datazione non è stata ancora concordemente definita. Una proposta di datazione in età adrianea è stata fornita da Ulrich 1986, pp. 405-423. La Amici, invece, non esclude un inserimento delle due fontane già in età augustea; Amici 1991, p. 36. 761 Oltre alla fontanella individuata nelle ultime campagne di scavo (vedi Att. 72 al punto III.3.4.1., supra) se ne segnala un’altra posta a pochi metri dalla prima, individuata nella campagna di scavo 1998-2000. In quest’ultimo caso si tratta di una vasca di forma quadrangolare con fondo realizzato in lastre di marmo (2 x 2 m circa). Sul lato sud-est del bacino è presente una canaletta di deflusso dell’acqua collegata direttamente con il condotto principale che scorre ai piedi del portico. Vedi Rizzo 2000, p. 68, fig. 51; Eadem 2001, p. 227, fig. 18. 762 Come si può vedere in corrispondenza della fontana posta a sinistra del podio del Tempio di Venere Genitrice, gli alloggiamenti delle fistule di adduzione delle varie utenze dovevano essere ricavate nello spessore delle lastre o nel loro preparato (vedi Amici 1991, p. 99). Per questo motivo, in seguito alla spoliazione pressoché integrale delle lastre pavimentali nel medioevo, non si conservano che minime tracce della presenza del reticolo di tubazioni. 763 Front., 7 […] ita in Capitolium esse aquam perductam; Liv., Epit. Oxyrhync. 188-190; aqua Anio, aqua (Marcia in Capi)tolium contra sibyllae carmina perductae. Sull’ipotesi che l’acqua arrivasse al Campidoglio tramite fistule plumbee vedi Cic. Pro Rab., 11, 31, […] Marius quod fistulas quibus aqua suppeditabatur Iovi Optimi Maximi templis ac sedibus praecidi imperarat quod in clivo capitolino. Vedi anche App., Bell. Civ. I 32; Plut., Mar. 30, 3; Flor., II, 4=II, 16; Oros., Histor. V, 17, 7. 760

Su questo tratto dell’Aqua Marcia vedi in particolare Volpe 1996, pp. 63-75. 765 La struttura è tuttora visibile in Piazzale dei Cinquecento, davanti alla Stazione Termini. Vedi Lanciani 1880a, p. 97 e ss; FUR, tav. 26; Ashby 1935, p. 149; Nash 1968, p. 51, fig. 46; Tortorici 1993, p. 19. 766 Una lunga conduttura in piombo (1750 m) del diametro di oltre 30 cm, venne rinvenuta nel dicembre del 1880 in Piazza della Repubblica. Vedi Lanciani 1880b, p. 19 e ss; Lanciani 1893, p. 220, n. 59. La tubazione venne messa in relazione da Lanciani con il Castellum dell’Aqua Marcia presso la Porta Viminalis da cui si dipartiva in direzione del Foro di Traiano. 767 Nel 1877, in via XXIV Maggio, davanti all’ingresso di Palazzo Rospigliosi venne rinvenuto un tratto di tubazione (diam. 0,25 cm), interpretato come prosecuzione di una conduttura in piombo rinvenuta in piazza della Repubblica. Vedi Lanciani 1877, p. 180, n. 172; Lanciani 1893, p. 220, n. 60. In base all’iscrizione relativa all’imperatore Adriano 764

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Lo scavo e la ricostruzione

Da tali constatazioni nacque l’ipotesi, tuttora accettata da molti studiosi, che nel tratto corrispondente alla sella tra Quirinale e Arx capitolina l’acquedotto Marcio, o meglio una sua derivazione, si appoggiasse alle mura “serviane” e raggiungesse il Campidoglio.768 La sommità di quest’ultimo doveva essere raggiunta tramite un sifone rovescio posto nel punto in cui la sella si saldava al colle capitolino.769 A questo punto, la posizione del Foro di Cesare posto lungo il percorso seguito dalla derivazione dell’acquedotto Marcio, induce a credere che questa, prima di salire al Campidoglio, rifornisse tramite tubazioni in pressione,770 le varie utenze del complesso cesariano (fig. III.117, f). Considerando che la derivazione arrivava da nord-est, passando dietro il lato di fondo del complesso cesariano,771 è probabile che questa entrasse nel Foro di Cesare attraverso le due absidi minori poste sul fondo della piazza, tra il podio del Tempio di Venere Genitrice e i portici colonnati;772 da qui, le prime utenze ad essere rifornite dovevano essere le fontane delle Ninfe Appiadi che le fonti letterarie antiche ricordano su questo lato del foro e che alcuni studiosi identificano nel sistema di bacini e canali ancora presente sia sulla fistula rinvenuta presso Piazza della Repubblica sia su quella rinvenuta davanti a Palazzo Rospigliosi, è stato ipotizzato un rifacimento in età adrianea della derivazione dell’Aqua Marcia diretta al Campidoglio. Vedi Volpe 1996, p. 80. Dall’area della Piazza del Quirinale e di via XXIV Maggio provengono anche alcuni tratti di tubazioni di piombo scoperti nel 1887, interpretati da Tortorici come parti della stessa conduttura principale che dalla Porta Viminalis portava l’acqua al Campidoglio. Vedi Gatti 1887, p. 8; Tortorici 1993, p. 19. L’iscrizione su alcune di queste fistule della Decuria Sacerdotium Bidentalium addetta alla custodia del Tempio di Semo Sancus ubicato in prossimità della Porta Sanqualis in corrispondenza dell’attuale Largo Magnanapoli (Säflund 1932, p. 91 e ss e p. 206; Lugli 1934, p. 118 e ss, tav. II), ha permesso di mettere in relazione l’ultimo tratto del percorso dell’acquedotto Marcio prima della sella intercollinare tra Quirinale e Campidoglio, con quello delle mura “serviane”. Vedi Tortorici 1993, pp. 20-21. 768 Vedi Lugli 1934, p. 346 e 359; suppl. I, p. 47 e ss; von Gerkan 1940, p. 3 e ss; De Angeli D’Ossat 1946, p. 17 e ss; LTUR I, 1993, pp. 67-69 (D. Cattalini). A sostegno dell’ipotesi di una perfetta corrispondenza di percorso tra mura “serviane” e acquedotto Marcio, Tortorici segnala la presenza di numerose fistule e condutture idriche riportate nella Forma Urbis di Lanciani (Lanciani FUR Tav. XXII), rinvenute sul versante capitolino in corrispondenza della Porta Fontinalis. Vedi Tortorici 1993, p. 24, n. 43. 769 Ashby 1935, p. 185; Volpe 1996, p. 80. Sull’ipotesi che il tragitto dell’aqua Marcia dopo lo sbancamento traianeo della sella intercollinare ricalcasse un percorso a nord del Foro di Traiano, seguendo parallelamente la via Flaminia e raggiungendo la sommità dell’Arx dal versante settentrionale, vedi Tucci 2006, pp. 67-73. 770 Una riprova al riguardo è costituita da alcuni passi letterari antichi, dai quali sembra evincersi che l’acqua raggiungesse il Campidoglio in tubazione: Cic., Pro Rab. XXXI; Horos. Adv. Pag. V 17, 7; Auct. de vir. ill. 73, 10; App., Bell. Civ. I 144; Flor., II 4. 771 Da ultimo, Tortorici 1993, p. 20, fig. 20; Tucci 2006, p. 72, fig. 5; Tortorici 2012, p. 12. 772 L’ipotesi, da verificare con un’indagine archeologica più approfondita, è basata sulla presenza, dietro l’abside minore di sinistra, di un ambiente di forma irregolare scavato interamente nel terreno naturale. Tale ambienteera collegato con l’abside tramite una porta (largh.: 1,20 m circa) di cui resta una soglia in travertino posta al centro del giro absidale. La soglia si trova ad una quota del tutto compatibile con quella della piazza. Dalla parete di fondo dell’ambiente si diparte, in direzione nord, un corridoio (largh.: 1,40 m) delimitato da due muri tra loro quasi paralleli, che in via di ipotesi è possibile interpretare come un condotto porta-tubi. Oltre a murature in opera mista che denotano una continuità d’uso di questo vano almeno fino alla fine del I sec. d.C., l’esistenza di alcuni tratti murari in opera reticolata inglobati nel conglomerato cementizio di età traianea pertinente al rifacimento del tempio, hanno permesso di datarne l’origine in età cesariano-augustea. Sulle due absidi minori vedi Fiorani 1968, pp. 96-98; Amici 1991, pp. 43-46 e pp. 71-72; Maisto, Vitti 2009, p. 71.

III.120. Foro di Cesare. Taberna VIII. Incasso semicircolare ricavato nella testata interna del muro perimetrale nord-ovest del vano.

visibili nell’area antistante il tempio.773 Dal settore nordoccidentale, proseguendo, le tubazioni dovevano alimentare anche le due fontanelle individuate nella parte sud-est della piazza, davanti al portico del lato lungo sud-occidentale.774 Come si è visto più sopra, al sistema di adduzione è attribuibile anche il tratto di un condotto con pendenza da nord-ovest verso sud-est ricavato in una delle fondazioni esterne del lato breve sud-orientale del complesso.775 In considerazione del suo andamento è possibile che il condotto alimentasse una struttura, forse una grande fontana, posta contro il lato esterno del muro di fondo del foro (fig. III.117, g). Il condotto, ancora parzialmente visibile, venne defunzionalizzato dalle fondazioni del portico sud-orientale del nuovo complesso inaugurato da Ottaviano. Pertinenti al sistema di adduzione del complesso, infine, potrebbero essere anche gli incassi semicircolari presenti all’interno delle testate del muro frontale delle tabernae III e VIII (vedi fig. III.114 e fig. III.120). Tali incassi, infatti,

Ov., Ars am. I 81; III 451-2. Sull’argomento vedi Gros 1976, p. 142; Ulrich 1986, pp. 405-423; Tortorici 1991, pp. 77 e 115; Amici 1991, pp. 97-100 ; Tortorici 2012, p. 12 con bibliografia. 774 Vedi Att. 74 al punto III.3.4.1., supra. 775 Att. 71 (US 1962) al punto III.3.4.1., supra. 773

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Forum Iulium

III.121. Foro di Cesare. Area antistante il Tempio di Venere Genitrice (settore G). La fossa di spoliazione di età medievale. Pianta composita di dettaglio (rilievo ed elaborazione grafica V. Di Cola).

potrebbero essere identificati non con discendenti pluviali776 ma con ascendenti che rifornivano i piani superiori delle tabernae (fig. III.117, h, i).777 Tale ipotesi troverebbe una sua giustificazione nell’esistenza, sotto il muro sudest della taberna III, di un cunicolo scavato nel banco naturale argillo-sabbioso, privo di rivestimento interno (fig. III.117, l).778 Considerando che il cunicolo presenta un orientamento sud-ovest/nord-est e che corre in direzione dell’incasso semicircolare è probabile, viste soprattutto le sue caratteristiche tecniche niente affatto adatte al passaggio di acqua, che l’infrastruttura sia identificabile come una galleria di ispezione per raggiungere la tubazione che riforniva i piani superiori delle tabernae.

le lastre sono alloggiate su un sottile strato di preparazione steso direttamente sulla superficie di rasatura del banco naturale; al contrario, nel settore sud-orientale, le stesse sono alloggiate su uno spesso massetto pavimentale che poggia a sua volta su strati di macerie opportunamente livellati. Tale differenza è spiegabile con l’originario profilo collinare dell’area, in pendenza verso sud-est e verso est. Lo sbancamento alla quota prestabilita di 14 m circa s.l.m., infatti, ha fatto sì che il banco naturale fosse intercettato solo nella metà nord-ovest e occidentale dell’area del foro; in questo caso, le caratteristiche geognostiche del deposito naturale - argille pleistoceniche consolidate – ha consentito ai costruttori di poggiare la pavimentazione direttamente sulla superficie del banco argilloso. Viceversa, nella metà sud-orientale dell’area del foro, dove il banco naturale non è stato raggiunto, si è resa necessaria la stesura di consistenti strati di preparazione.

La piazza (A. Delfino) Il rinvenimento di alcuni resti della pavimentazione della piazza nel corso delle ultime campagne di scavo, ha reso possibile formulare alcune considerazioni sulle modalità della sua messa in opera.779

Per quanto riguarda le lastre pavimentali, tutte in travertino, è stato constatato che la loro superficie è attestata tra i 14.85 m s.l.m., in prossimità del Tempio di Venere Genitrice e i 14.35 m s.l.m., nell’area sud-orientale della piazza. Oltre a questa pendenza in senso longitudinale è dato di osservarne anche un’altra, doppia, dall’asse mediano verso i lati lunghi.

Si è riscontrato che nel settore nord-occidentale della piazza L’interpretazione degli incassi semicircolari (diam. 30 cm) presenti nelle tabernae III e VIII come sedi di tubazioni fittili per il deflusso dell’acqua del tetto è in Fiorani 1968, p. 100. Vedi anche Amici 1991, p. 42 e p. 63 che considera i discendenti un indizio a favore di una copertura a terrazza del portico. 777 Si ringrazia Leonardo Lombardi per le discussioni avute in proposito. Un confronto con tracce di tubazioni poste sul lato interno di pilastri è riscontrabile nel Teatro di Marcello; vedi Nota, De Nuccio, Labianca, Petrecca 1986, pp. 390-391; LTUR V, 1999, p. 34 (P. Ciancio Rossetto). 778 Vedi Amici 1991, p. 61, fig. 81/82 e pp. 125-126 e fig. 232. Il cunicolo, largo 0,60 m e alto 0,80 m circa, è scavato nel substrato naturale; per la sua realizzazione sono state tagliate le strutture relative alla rampa a tornante di epoca cesariana. 779 I pochi brani di lastricato pavimentale rinvenuti da Corrado Ricci nel settore nord-ovest della piazza vengono attribuiti unanimemente alla fase cesariana. Amici 1991, p. 35. 776

Nel settore antistante il Tempio di Venere Genitrice si è riscontrato un aumento dello spessore di alcune lastre di rivestimento della piazza. Queste, infatti, hanno un modulo nettamente maggiore (3,30 x 0,90 x 0,27 m) rispetto alle altre (mediamente 1,60 x 0,90 x 0,20 m), segno di un volontario potenziamento del piano pavimentale in questo punto. Il dato acquista maggior interesse se unito all’evidenza che il margine sud-orientale delle lastre coincide con il limite di una grande fossa di spoliazione medievale, posta a circa 27 m dal podio, lungo l’asse mediano della piazza

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Lo scavo e la ricostruzione

III.122. Foro di Cesare. Giugno-ottobre 1933. Veduta del cantiere di restauro per il ripristino di tre colonne della peristasi del Tempio di Venere Genitrice. In basso al centro un frammento del coronamento del basamento della statua equestre (da AMICI 1991). III.123. Foro di Cesare. Dettaglio dei cinque frammenti marmorei pertinenti al coronamento del basamento della statua equestre.

(fig. III.121).780 Nell’area circostante la fossa, sono stati inoltre individuati cinque frammenti modanati di marmo lunense già messi in luce durante lo scavo di Corrado Ricci, pertinenti al coronamento di un basamento di forma molto allungata (fig. III.122).781 La presenza di incassi per perni di sostegno di un gruppo statuario, visibili sulla superficie superiore di alcuni di questi frammenti ha reso suggestiva l’ipotesi che tale coronamento fosse pertinente a quello di una statua equestre, posizionata in questo punto della piazza.

del perno, che era a sezione quadrata. Un altro foro, questa volta di forma rettangolare e relativo all’alloggiamento di un’olivella di sollevamento, è visibile parzialmente all’estremità del piano del frammento. Sulla superficie inferiore, invece, è presente un riquadro di anathyrosis (fig. III.123-1b). Tre lati del frammento mostrano una modanatura continua che si compone, a partire dal basso, di un cavetto, un listello, un tondino, un ovolo liscio, una gola e un listello. Il retro, dove è visibile l’incasso dell’olivella di sollevamento la cui posizione doveva coincidere con la metà del blocco originario per agevolarne il sollevamento, risulta fratturato. La distanza tra la traccia di olivella e il lato anteriore modanato è stato quindi ribaltato per simmetria consentendo di ricostruire la profondità originaria del blocco pari a 2,65 m.

Di seguito l’analisi dei singoli frammenti. Il frammento n. 1 misura 1,36 x 1,14 x 0,27 m e presenta la superficie superiore liscia con tre alloggi di forma subcircolare per l’inserimento di perni (fig. III.123-1a). In uno di essi sono conservate le tracce dell’originaria piombatura La fossa di spoliazione (US 2046), è compresa entro i limiti del taglio (US 2013) per la ruberia delle lastre della pavimentazione che prosegue oltre i limiti del Settore G. La fossa US 2046 ha forma semicircolare (largh. 9 m) e si approfondisce fin sotto il massetto pavimentale della piazza, intercettando il banco naturale. All’interno di essa è stata rinvenuta un’altra fossa di forma sub circolare (US 2003) il cui riempimento ha restituito alcuni frammenti di ceramica a vetrina sparsa databile all’XI secolo, che forniscono un utile terminus ante quem per l’inquadramento cronologico della spoliazione. 781 Uno dei frammenti, il n.1 della nostra numerazione (vedi infra), è visibile in due fotografie rispettivamente del giugno-ottobre e del novembre del 1933, scattate nel corso dei lavori di scavo e restauro dell’area antistante il Tempio di Venere Genitrice. Vedi Amici 1991, p. 31, fig. 25 e D’Amelio 2007, p. 450, fig. 3.47. 780

Il frammento n. 2 misura 0,93 x 1,12 x 0,27 m e presenta i lati sinistro e destro modanati; quelli anteriore e posteriore sono invece lisci. Questi ultimi costituiscono i piani di giunzione verticali per la sistemazione dei blocchi adiacenti (fig. III.123-2a). Anche in questo caso la superficie superiore presenta un foro di alloggiamento per olivella che questa volta è posizionato esattamente al centro del blocco conservato. Sulla stessa superficie sono presenti, inoltre, due alloggi per staffe a π poste in prossimità del bordo posteriore e distanziati tra loro di 0,65 m. La superficie 163

Forum Iulium

III.124. Foro di Cesare. Schema ricostruttivo del coronamento con l'indicazione degli incassi dei perni della statua equestre (rilievo ed elaborazione grafica F. Rosati, M. Rossi).

inferiore presenta lo stesso riquadro di anathyrosis del frammento n.1 (fig. III.123-2b).

collegamento orizzontale a π presenti sui frammenti nn. 2 e 3 ha permesso di proporne il loro accostamento.

Il frammento n. 3 misura 0,42 x 0,67 x 0,27 m e presenta sulla superficie superiore due incassi: uno di forma ovoidale e l’altro, spezzato, di forma vagamente quadrangolare (fig. III.123-3a). Ambedue hanno sul fondo una mortasa per il fissaggio di un perno. In corrispondenza del lato destro del frammento si conserva un alloggio per grappa di collegamento orizzontale a π, mentre per il resto risulta liscio per facilitare la giunzione con il blocco adiacente. Il lato anteriore presenta una modanatura analoga a quella riscontrata negli altri due frammenti. Sia il lato sinistro che quello posteriore sono fratturati. La superficie del piano inferiore mostra la medesima lavorazione ad anathyrosis (fig. III.123-3b). I fori di alloggiamento delle staffe di

I frammenti n. 4 e n. 5, in pessimo stato di conservazione, misurano rispettivamente 0,51 x 0,21 x 0,27 m e 0,17 x 0,46 x 0,27 m e mostrano le stesse modanature conservate negli altri frammenti (fig. III.123-4 e 5). L’analisi dei singoli pezzi così assemblati ha permesso di ricostruire un coronamento di forma rettangolare di 5,24 x 1,23 x 0,27 m modanato su quattro lati (fig. III.124). Il riquadro di anathyrosis presente sulla superficie inferiore dei blocchi assicurava il suo posizionamento su un basamento probabilmente di marmo. Le caratteristiche stilistiche della modanatura e il materiale impiegato (marmo lunense), permettono di attribuire

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Lo scavo e la ricostruzione

il coronamento ad un periodo compreso tra la tarda età repubblicana e la prima età imperiale.782

utili alla definizione delle due fasi edilizie del Foro di Cesare.

Trattandosi dunque di un coronamento di basamento, l’ipotesi che esso potesse sostenere una statua equestre sarebbe giustificabile dalla posizione reciproca degli incassi per perni (vedi fig. III.124, a-b e a-c), ubicati in prossimità dei due lati corti del coronamento e dalla distanza tra i medesimi (a-b: 0,65 m, a-c: 2,55 m), traducibile in un rapporto proporzionale di 1:4. Tale disposizione permette di collocare sul coronamento una statua equestre di bronzo – come indiziato dai residui di piombatura all’interno del foro b – costituita da un cavallo lungo 4,90 m dal muso alla coda, alto 3,35 m al garrese e in appoggio su tre zampe (fig. III.125).783 L’andatura così ricostruita sarebbe “al passo”, in cui la zampa anteriore destra è sollevata e piegata al ginocchio, la anteriore sinistra poggiata a terra, la posteriore sinistra leggermente più avanzata della destra e in posizione semiflessa. L’andatura, complessivamente, riprodurrebbe il movimento proprio del trotto raccorciato, colto al momento dell’arresto.

Tra le prime operazioni compiute dal cantiere cesariano vi è stato il taglio della pendice sud-orientale del Campidoglio che ha dovuto comportare, come diretta conseguenza, la sostruzione del fianco collinare con un alto muro di contenimento, posto in corrispondenza del blocco di tabernae I-X. Il muro, che costituiva allo stesso tempo la parete di fondo delle prime nove tabernae, era provvisto di muri-speroni costituiti sia da contrafforti veri e propri sia dagli stessi setti divisori dei vani III, IV, V, VI, VII, VIII e IX.786 Contestualmente, una rete di canalizzazioni poste ai piedi del taglio operato sul fianco collinare e davanti al muro di fondo delle tabernae dovette essere realizzata per ovviare ai problemi delle acque provenienti dal versante.787 Da un semplice controllo della larghezza dei singoli vani e dell’andamento del taglio delle pendici collinari è possibile comprendere che il gruppo di tabernae I-X costituisce un blocco unitario a sé stante, rispetto a quello del gruppo di tabernae XI-XVII.788 Questa osservazione ha fatto avanzare l’ipotesi che il complesso delle tabernae sia stato realizzato in due fasi distinte.789

L’intero gruppo, comprensivo del basamento e del cavaliere, sarebbe stato alto circa 7,5 m, corrispondente a circa il doppio del naturale. A questo punto, considerata la datazione su base stilistica dei frammenti, il tipo di statua e la sua ubicazione sull’asse mediano della piazza nella zona antistante il Tempio di Venere Genitrice,784 la possibilità che possa trattarsi della statua equestre di Cesare citata dalle fonti antiche785 acquista un certo rilievo.

Come è stato osservato, nel tratto nord-occidentale (tabernae I-X) il taglio nel fianco collinare entra molto in profondità (fino a 20 m in corrispondenza della taberna V) mentre nel tratto compreso tra le tabernae XI e XVII, la profondità dei vani è più ridotta. Tali caratteristiche già in passato sono state imputate al fatto che in corrispondenza delle tabernae XI-XVII, sulla sommità pianeggiante della balza, si trovavano importanti edifici che il cantiere cesariano volle rispettare.790 Al contrario, nel tratto corrispondente alle tabernae I-X, la lunghezza dei vani poteva spingersi molto in profondità, fino al punto di modificare il tracciato del clivus Latumiarum/clivus Argentarius, perchè l’area soprastante risultava in forte pendenza e libera da edifici.

Le tabernae (A. Delfino, V. Di Cola) Il complesso delle tabernae ubicato alle spalle del portico sud-occidentale costituisce un’altra fonte di dati stratigrafici

La presenza del cavetto, che dopo l’età augustea tende a non essere più usato con frequenza, può costituire un elemento a favore di questa datazione. La penuria di dati sui basamenti di statue equestri databili all’età tardo-repubblicana non ha consentito di individuare confronti puntuali. Tuttavia, si è potuto far riferimento a modanature, della medesima epoca, ma appartenenti a diverso contesto architettonico. Vedi Gros 1996, p. 134, nn. 7-8. 783 La posizione reciproca dei perni a e b, obliqua rispetto all’asse longitudinale del basamento, esclude l’ipotesi di un cavallo rampante. In tal caso, infatti, le zampe posteriori sarebbero dovute essere parallele, per favorire la spinta verso l’alto. Si vedano, al proposito, i seguenti esemplari di statue equestri rampanti, di età ellenistica: il cavallo bronzeo rivenuto a Roma in vicolo delle Palme, conservato in Palazzo dei Conservatori a Roma (Roques De Maumont 1958, pp. 36-37, fig. 18, Calcani 1989, p. 92 ss.; Moreno 2007, n. 11), la statuetta bronzea di cavaliere in combattimento, conservata al Museo Nazionale di Napoli (Roques De Maumont 1958, pp. 24-25, fig. 11) e la statuetta in bronzo, conservata a Klagenfurt, Landesmuseum für Kärnten (Idem, pp. 22-24, fig. 10). 784 A questo proposito si veda il recente ritrovamento della fossa di fondazione dell’Equus Traiani nel Foro di Traiano ubicata non al centro, bensì spostata verso il lato sud-orientale della piazza. Vedi Meneghini 2001, pp. 253-254; Idem 2007, pp. 86-87. 785 Plin., Nat. Hist. VIII 155, “[…] Locatus ante Veneris Genitricis aedem”; Suet., Caes. 61 “[…] cuius etiam instar pro aede Veneris Genetricis postea dedicavit; Stat., Silv. I 1, 84-90: “Cedat equus, Latiae qui contra templa Diones//Cesarei stat sede fori quem traderis ausus// Pelleo, Lysippe, duci, mox Caesaris ora //mirata cervice tulit.” 782

Nel caso della taberna XI, si è avuto modo di constatare che Tali muri sono stati realizzati contemporaneamente al muro di fondo delle tabernae. I setti divisori degli ambienti, infatti, se nella parte inferiore e mediana sono in rapporto di appoggio al muro di fondo, nella parte superiore, al livello delle cornici in aggetto, appaiono in certi casi perfettamente solidali con questo. 787 Vedi Att. 68 al punto III.3.4.1., supra. 788 Il blocco delle tabernae I-X si presenta inscritto in un triangolo il cui vertice cade in corrispondenza del muro di fondo della taberna V. All’interno del triangolo i vani presentano una larghezza costante di 4,60 m e ad esclusione dei vani I, II e X, una profondità notevole (fino a 17 m circa). Al contrario, in prossimità delle tabernae XI-XVII, il taglio nel colle si presenta molto più frastagliato; anche l’ampiezza dei vani sembra variare con una profondità nettamente minore (fino ad un max. di 6 m). 789 Coarelli 1983, p. 154. Anche la Amici riconosceva due fasi costruttive: la prima, datata al “44 a.C. e oltre”, in cui venne ultimato l’intero complesso dei vani (II fase); la seconda, all’età augustea, in cui vennero apportate solo alcune modifiche agli ambienti, come nel caso della taberna III che venne trasformata in corpo scala (III fase). Vedi Amici 1991, pp. 49-64. 790 Coarelli 1983, p. 154; Amici 1999, pp. 305 e 309. 786

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il sistema di canalizzazioni, costruito contestualmente al muro perimetrale occidentale del vano durante la prima fase costruttiva, rimane in funzione solo fino alla realizzazione del muro di fondo dell’ambiente, avvenuta in occasione del prolungamento del foro effettuato da Ottaviano. In questo caso, l’individuazione di due momenti costruttivi nella realizzazione di questa taberna, sembra trovare riscontro nella differenza di apparecchiatura, di materiale e di modulo delle tessere del reticolato osservabile nel muro occidentale e nel muro di fondo del vano. I dati strutturali desunti dall’analisi della taberna XI sono stati quindi confrontati con quanto visibile negli altri ambienti. Dall’esame delle murature presenti nelle altre tabernae è emerso che dove viene impiegato l’opus reticulatum questo è riconducibile alle due tipologie riconosciute nel vano XI. Il primo tipo, riscontrato sul muro occidentale della taberna XI e più antico, è confrontabile con quello dei muri dei vani I, II, III, X;791 il secondo, presente sul muro di fondo del vano XI,792 invece, è visibile nelle murature che chiudono gli accessi al vano III dalle tabernae II e IV e nei muri perimetrale occidentale e di fondo del vano XII (fig. III.126). Potrebbe dunque non essere un caso che le murature appartenenti al secondo tipo di reticolato siano presenti in quantità preponderante proprio a partire dal vano XI. Si potrebbe immaginare, infatti, che il cantiere interrottosi per la morte di Cesare in prossimità della taberna XI non ancora finita, sia ripreso nel periodo successivo proprio a partire da questo vano. Il nuovo cantiere, operante già a partire dal 42 a.C. e protrattosi almeno fino alla data della seconda inaugurazione (29 a.C.), potrebbe aver utilizzato in un primo momento le scorte di materiale ancora a disposizione (trasformazione del vano III in corpo scala);793 in seguito, con le nuove forniture di materiale, si portarono a compimento i vani non ancora ultimati e la costruzione del blocco di tabernae XII-XVII (tamponature del vano III, muro di fondo della taberna XI e costruzione della taberna XII).

III.125. Foro di Cesare. Sezione schematica ricostruttiva della statua equestre (rilievo ed elaborazione grafica V. Di Cola, F. Rosati, M. Rossi).

fondazione del loro muro di schermatura che, come si è visto, nel tratto esaminato risulta indipendente e realizzato precedentemente rispetto alle fondazioni del vano XI. L’anteriorità di questo muro rispetto alle tabernae, dimostra, quindi, che al momento dell’inaugurazione del foro nel 46 a.C. si volle dare un aspetto di compiutezza al monumento, nascondendo alla vista il cantiere delle tabernae ancora in costruzione.

Un’ulteriore riprova dell’esistenza di due fasi distinte nella realizzazione del complesso delle tabernae è dato dalla 791 I paramenti in reticolato presenti nelle tabernae I, II, X e nel setto divisorio occidentale della taberna XI (periodo 4, Att. 70), presentano tessere di tufo giallo di 5-5,5 x 5-5,5 cm in media di lato. Si tratta di un modulo a maglia stretta che la Fiorani attribuiva alla fase cesariana; Fiorani 1968, p. 91. Il confronto più diretto con questi reticolati si trova nelle murature dei cunei radiali di sostruzione alla cavea del Teatro di Pompeo; Lugli 1957, p. 508 e ss.; Misiani 2005, pp. 191-192. 792 Il reticolato del muro di fondo della taberna XI (vedi Att. 83 al punto III.3.5.1., infra), trova un diretto confronto con i muri della taberna XII e con alcune specchiature presenti nel condotto fognario Att. 81. Il tipo di tufo (lionato) e il modulo delle tessere è, in tutti i casi citati, di 6-7 x 6-7 cm di lato. La Fiorani datava le tamponature degli accessi alla taberna III, in età augustea e stabiliva un confronto diretto con le murature in reticolato del Mausoleo di Augusto; Fiorani 1968, p. 91. Ulteriori confronti sono in Misiani 2005, p. 193 e in Bossi 2012, tav. XI, tipo 2.1.3.1 che cita il confronto con il Theatrum Balbi. 793 Ciò si deduce dal fatto che la foderatura delle pareti del vano III, operata in età augustea quando l’ambiente venne trasformato in corpo scala, è stata realizzata con l’impiego di un reticolato analogo a quello della prima fase costruttiva; vedi Amici 1991, pp. 61-63.

In conclusione, nell’ottica di una momentanea interruzione del cantiere delle tabernae, non sarebbe azzardato considerare le differenze riscontrate nelle murature come riflesso di due fasi distinte, attribuibili l’una a Cesare e l’altra, intesa come un vero e proprio completamento, a Ottaviano-Augusto.794 Tale ipotesi è in accordo con quella avanzata dalla Fiorani che considera la fase di Ottaviano-Augusto delle tabernae molto consistente. La studiosa, in base all’esame delle cortine, stabilisce che tutte le murature in opera reticolata presenti nelle tabernae appartengono all’età augustea. Vedi Fiorani 1968, p. 91. La Amici, al contrario, ritiene che l’uso differente di muri in opera quadrata e in reticolato nei vani delle tabernae, dipenda in principal modo dallo spazio ogni volta diverso nel quale si sono trovati a lavorare i costruttori. Alla fase augustea, infatti, la studiosa attribuisce solo alcune modifiche, quali la tamponatura dei passaggi nel vano III, al fine di creare un nuovo corpo scala. Amici 1991, pp. 61-64. 794

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Lo scavo e la ricostruzione

3.4.3. Gli elementi architettonici (P. Maisto, B. Pinna Caboni) Le evidenze archeologiche scoperte in oltre un decennio di scavi recenti invitano a un riesame di alcuni elementi architettonici che, unitamente a quelli venuti in luce negli anni Trenta, risultino attribuibili con sufficiente certezza, per compatibilità metrica e stilistica, alla piazza forense.795 Il suo elevato resta, ad oggi, problematico per la difficoltà di definire con precisione la sequenzialità delle singole partiture architettoniche cronologicamente ascrivibili alla fase originaria tardo-cesariana e a quella immediatamente successiva proto-augustea. La progressiva acquisizione di nuovi dati sulle strutture di fondazione e sulle modifiche spaziali susseguitesi nell’area, ha permesso di ottenere una nuova visione d’insieme del complesso e della sua storia costruttiva e di effettuare una parziale restituzione architettonica delle tre porticus duplices della piazza forense, alla luce delle due fasi individuate, che possono senz’altro considerarsi come una delle acquisizioni più significative di questi ultimi anni sull’architettura dei Fori Imperiali.796 La definizione dell’assetto cesariano del complesso è emersa dalle strutture di fondazione scoperte nel 1998 nell’area dell’Accademia di San Luca dove già C. Ricci aveva lavorato negli anni Trenta. A questa fase sono così risultate appartenere, ad un’attenta rilettura dei resti,797 quattro sottobasi in travertino (vedi fig. III.101), tre delle quali pertinenti al lato lungo sud-occidentale del fronte verso la piazza e una quarta relativa all’angolo del fronte interno dell’originario braccio corto del portico: attualmente è ancora visibile parte della sua fondazione, rasata nel corso dei successivi lavori di ampliamento.798

III.126. Foro di Cesare. Taberna XII. Dettaglio del muro di fondo in opera reticolata.

Premesso che qui, oltre ad alcuni dati nuovi emersi nel proseguo degli studi, si ripropone quanto più dettagliatamente esposto in “Scienze dell’Antichità”,802 è opportuno ricordare che questo nuovo dimensionamento dell’alzato dei portici ha portato a escludere i numerosi fusti ritrovati nell’area, riconducibili invece al restauro tardo antico,803 e a individuare frammenti di colonne compatibili con questa nuova scansione e con l’unico elemento in situ costituito da una base di pilastro relativa all’abside di testata del portico sud-occidentale. Ad essa sono stati da tempo attribuiti un capitello di pilastro e un frammento di architrave, ora esposti al Museo dei Fori Imperiali.804

Da queste evidenze archeologiche era stata peraltro già dedotta quella nuova scansione dei colonnati rivolti verso la piazza che, edita subito dopo la conclusione degli scavi nel 2000,799 è stata confermata anche nelle recenti planimetrie relative alle due fasi attestate della piazza. Il ridimensionamento dell’intercolumnio, pari a m 2, ha determinato anche la rilettura degli elementi architettonici superstiti alla luce di questo nuovo ritmo che, vicino al diastilo vitruviano,800 dimezza quello aerostilo dell’ordine mediano, precedentemente attribuito, in mancanza di dati alternativi, anche al colonnato verso la piazza.801

Alcuni frammenti di base attica senza plinto, il più significativo dei quali è conservato sempre nel Museo dei Fori Imperiali (FC 170) (fig. III.127),805 hanno evidenziato sia la coincidenza del diametro dell’imoscapo con quello del lato dominante della base di pilastro, sia la caratteristica lavorazione senza plinto e con l’imoscapo rudentato intagliato nello stesso blocco. La mancanza di frammenti di fusto pertinenti a questo ordine è solo parzialmente

La decontestualizzazione è relativa soprattutto agli elementi architettonici recuperati nel corso degli scavi degli anni Trenta e smembrati in diversi depositi. Anche il materiale recuperato nei recenti scavi offre però motivi di incertezza dovuti al suo rinvenimento in stratigrafie che vanno dall’alto medioevo al XVI secolo (quartiere alessandrino) e quindi frutto di spoliazioni, progressive destrutturazioni e, in alcuni casi, accumuli intenzionali per attività di calcinazioni come attesta la calcara nella pianta in fig. I.27, compresa tra le strutture nn. 324 e 1100d. 796 Vedi i punti III.3.4., supra e III.3.5., infra. 797 Vedi il punto III.3.4.2. 798 Vedi il punto I.2.2.4. Per una diversa interpretazione di questa fondazione vedi Rizzo 2001 pp. 222-223, fig.11. 799 Rizzo 2001, pp. 225-226. 800 Vitr., III 3, 4. 801 Amici 1991, p. 39 795

Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 419-452: a questo contributo si fa riferimento anche per gli approfondimenti metrici e bibliografici. 803 Meneghini 2010, pp. 503-512. 804 Amici 1991, pp. 42-44, figg. 50-52; Milella 2007, pp. 94-100, figg. 110-111. 805 Una prima contestualizzazione di questa base è già in: Pinna Caboni 2008, p. 57 e Maisto, Vitti 2009, pp. 38-40, fig.6. 802

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III.127. Foro di Cesare. Frammento di base attica con imoscapo rudentato (FC 170) attualmente esposta nel Museo dei Fori Imperiali.

compensata dalla lavorazione dell’imoscapo delle due basi sopracitate che permette comunque di ricostruirli in marmo bianco, scanalati e rudentati nel terzo inferiore.806 L’unico frammento di capitello corinzio conservato (FC 1184) è stato oggetto di una ricostruzione grafica (fig. III.128) che ne ha permesso l’attribuzione a quest’ordine, confortata anche dalle peculiarità compositive e stilistiche che, tipiche dell’orizzonte tardo-repubblicano e cesariano, lo accomunano al capitello di pilastro del Museo: la lavorazione in due blocchi sovrapposti, il tipo di intaglio a giorno nelle volute delle elici, la presenza di un fiore a quattro petali nello spazio vuoto del calato e la peculiare lavorazione con doppio caulicolo, per citare le più significative.807 Malgrado la scarsità di dati, le verifiche dimensionali eseguite hanno permesso di ricostruire, in base al nuovo ritmo del colonnato e al diametro ricavato dall’imoscapo della base (0,76 m), una colonna alta 8,5 volte il diametro di base, 808 ovvero circa 6,50 m, pari a 22 piedi romani da 29,57 cm. L’intercolumnio stabilito in m 2 consente di ipotizzare una trabeazione marmorea, per cui è possibile riproporre, anche per i colonnati corinzi prospicienti la piazza, un architrave con lo stesso tipo di lacunare già attribuito all’abside di testata e caratterizzato da due tondini delimitati solo lateralmente da un motivo ad astragalo (FC 4565) (fig. III.129)809. Si confermerebbe così quel coordinamento I numerosi fusti presenti nell’area non sono attribuibili, come detto, all’alzato cesariano così ipotizzato per la presenza dell’imoscapo lavorato insieme al fusto e per le dimensioni più ridotte (Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 430 nota 27). 807 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 431. 808 Vitr. III, 3,10. 809 La verifica grafica sul frammento esposto al Museo dei Fori Imperiali (FC 185), per la quale si ringrazia la Direzione, ha permesso di determinare l’articolazione del lato superstite con due fasce e alto coronamento. Tenendo conto che l’architrave del portico doveva essere necessariamente a due facce, è difficile stabilire quale si sia conservata e se l’altra avesse la canonica ripartizione a tre fasce, come supposto in Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 439, scheda n°14 p. 452. 806

III.128. Foro di Cesare. Frammento di capitello corinzio (FC 1184; disegno ricostruttivo M.L.Vitali).

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metrico e tipologico tra l’esedra e il fronte, già evidenziato dalle colonne di quest’ultimo. Purtroppo i pochi elementi superstiti della trabeazione di questo primo ordine colonnato rivolto verso la piazza offrono non pochi motivi di perplessità legati principalmente alla loro resa formale e stilistica. In effetti il rinvenimento di un secondo tipo di lacunare, con un solo tondino privo di astragalo (FC 4562, FC 4582) (figg. III.129 e III.130) e più vicino al lessico compositivo augusteo,810 sembra suggerire un possibile inserimento di questo secondo tipo di trabeazione - o di alcune sue parti - tra le lavorazioni del terzo venticinquennio del I secolo a.C., sebbene con modalità difficilmente quantificabili e localizzabili. Significativo in tal senso l’inquadramento cronologico dato dal Leon ad una cornice di tipo ionico, da lui attribuita al portico del Foro di Cesare e confrontata, tra le altre, con quelle del portico del Foro di Augusto.811 Della stessa cornice sono stati recentemente individuati altri frammenti,812 in base ai quali può evidenziarsi la peculiare lavorazione della parte inferiore del blocco dove non sempre appare intagliato l’astragalo (fig. III.131): se ne deduce che quest’ultimo, laddove il blocco termina col kyma ionico, doveva essere intagliato nel sottostante fregio. In particolare la resa dell’astragalo offre un ulteriore motivo di riflessione stilistica se confrontato con l’intaglio più piatto e le forme più incerte riscontrabili sul lacunare attribuito all’architettura cesariana dell’abside di testata dei portici. Ricollocare dunque il tipo di lacunare più augusteo, privo di astragalo, nell’intera lunghezza del primo ordine dei portici porterebbe ad escludere il tipo cesariano con astragalo e abbasserebbe la lavorazione della trabeazione all’età protoaugustea, lasciando aperto l’interrogativo sull’originaria sistemazione cesariana e su eventuali sostituzioni o rilavorazioni. Confinare invece il tipo di lacunare più augusteo nel settore più meridionale della piazza, confermerebbe quella che può definirsi come una convivenza di lavorazioni simili ma non uguali nel corso dei due principali interventi strutturali nei portici. Mentre le due tipologie di lacunari consentono questo interrogativo, non altrettanto avviene con la cornice poiché l’unica tipologia ad oggi attestata è quella ionica vicina al lessico proto-augusteo, il che porterebbe ad escludere la convivenza di stilemi legati ai due interventi. Purtroppo l’unico dato significativo è il fianco obliquo di uno dei frammenti che suggerisce una messa in opera angolare possibile solo nel settore meridionale, soggetto all’intervento augusteo. In considerazione della complessiva scarsità dei rinvenimenti, e in particolare di quelli attribuibili con certezza all’età cesariana, è difficile stabilire quanto III.129. Foro di Cesare. Frammenti di lacunare (FC 4565, FC 4582 e FC 4562; Archivio Fori Imperiali).

Ungaro 2007, p.133. Leon 1971, pp. 181-185, 226, 269, 271, tav.77,1 (inv. FC 5). 812 Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, p.452, scheda 13 relativa al frammento recentemente ritrovato (FC 4523) e dove vengono elencati anche quelli risalenti agli anni Trenta. 810 811

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Nell’ambito del lungo processo edificatorio che ha interessato il complesso cesariano e che deve inevitabilmente aver comportato differenze stilistiche più o meno marcate, è significativa la problematica del fregio. Come già analizzato,814 la ricostruzione di un fregio ionico figurato composto da almeno sette frammenti di lastre decorate con leogrifi e amorini, è risultata sovradimensionata rispetto alle proporzioni ricostruite per il primo ordine verso la piazza.815 Un fregio simile nello stile e nell’iconografia è stato successivamente individuato nel corso dell’analisi dei materiali conservati nei depositi del Foro di Cesare e provenienti dagli scavi 1995 e 1998-2000 nell’area del portico meridionale. La sua proposta ricostruttiva (figg. III.132 e III.133) rientrerebbe meglio, per le proporzioni, nello schema architettonico del primo ordine del portico rivolto verso la piazza, nel quale l’altezza del fregio è ipotizzabile intorno ai 60 cm. I cinque frammenti finora individuati, caratterizzati da uno spessore totale di cm 16 e di cm 11 del piano di fondo della lastra816 e da un rilievo abbastanza piatto e poco sottolavorato, consentono una ricostruzione parziale del tema iconografico che, al momento, comprende solo parti di animali alati (probabilmente grifi per la presenza di una stilizzata peluria nella parte anteriore del collo) e di un sobrio decoro vegetale che si staglia sul fondo liscio della lastra. I due frammenti di ali contrapposte (FN 1665 e FN 1669) fanno pensare ad animali affrontati il che comporta la presumibile presenza, nello schema compositivo, di elementi divisori (vasi contenenti acqua per abbeverare gli animali?) ma non necessariamente di amorini, la cui presenza, al momento, non è comprovata.

III.130. Foro di Cesare. Foto di scavo 1998-2000 con il frammento di lacunare FC 4582 inserito nella muratura di una domus terrinea (Archivio Fori Imperiali).

Il frammento con la parte terminale di ala (FN 1669) permette inoltre di ricostruire quest’ultima con un andamento lineare e privo della più diffusa terminazione ricurva. Tre frammenti (FN 2332, FN 1665, FN 1669) sono stati contestualizzati anche in base alla presenza di un astragalo di coronamento uguale per misure e fattura; un altro frammento con decoro vegetale (FN 2334) si attacca al precedente con astragalo (FN 2332) mentre il frammento con parte del corpo e dell’ala di un animale (FC 4710) è stato associato per congruità di misure e fattura, con gli altri due frammenti di ali con le piume caratterizzate da una semplice nervatura centrale. Lo stesso frammento, inoltre, ha suggerito, per la postura desumibile dalla porzione di corpo conservata, una composizione con animali affrontati presumibilmente accovacciati sulle zampe posteriori piuttosto che stanti.

III.131. Foro di Cesare. Frammento di cornice (FC 4523; Archivio Fori Imperiali).

abbia inciso sulla decorazione architettonica originaria l’intervento augusteo e quali fossero stati i materiali usati nella prima fase costruttiva, di cui peraltro le fonti ricordano l’incompletezza all’atto dell’inaugurazione del 46 a.C., e nella quale non è da escludere il ricorso alla polimatericità, come attestato da numerose architetture coeve. Questi interrogativi nella restituzione degli elevati non trovano soluzione non solo per la già citata scarsità di resti ma, più in generale, anche per le limitate conoscenze del linguaggio architettonico di età cesariana e proto-augustea in ambito urbano, che comunque ha restituito una notevole ricchezza e varietà di soluzioni formali e compositive che solo di lì a poco troveranno espressione compiuta, come dimostra il Foro di Augusto.813

Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 441-445, figg. 19-20. Per le sue dimensioni, il fregio potrebbe essere pertinente alla peristasi esterna del Tempio di Venere Genitrice nella sua fase cesariana, posto che il rifacimento traianeo ne abbia conservato lo stesso proporzionamento ma non la medesima iconografia. 816 Misure in cm: due frammenti di fregio vegetale: FN 2332 (largh. max. 31; h. max. 19); FN 2334 (largh. max. 29,5; h. max. 23); due frammenti di ala FN 1665 (largh. max. 22; h. max. 25); FN 1669 (largh. max. 33,5; h. max. 31); frammento di corpo con attacco dell’ala: FC 4710 (largh. max. 34; h. max. 24). 814 815

Leon 1971, pp. 184, 266, tav.75; Ganzert, Kockel 1988, p.169 (cat. 64). 813

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III.132. Foro di Cesare. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Proposta ricostruttiva della trabeazione del primo ordine corinzio con architrave (FC 185), fregio ionico con grifi (da sinistra: FN 1669, FC 4710, FN 1665, FN 2332 e 2334) e cornice (FC 4523) (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

La stretta analogia tra l’astragalo di questi frammenti di fregio a lastra e quello presente nella già citata cornice ionica, attribuita al portico, permette di associare tra loro questi due elementi della trabeazione. Poiché nella cornice infatti è talvolta assente l’astragalo, quest’ultimo doveva evidentemente essere lavorato nel fregio, come sembrano dimostrare i frammenti di lastra conservati che, curiosamente, terminano con il solo astragalo invece che con la consueta sequenza astragalo-kyma: una peculiare soluzione compositiva che troverebbe giustificazione in un precoce inquadramento cronologico di questo rilievo, attribuibile all’orizzonte proto-augusteo se non prima. Difficile stabilire tale confine specie in considerazione dei parametri ancora sfuggenti del linguaggio decorativo tardo-cesariano che, saldamente ancorato alla tradizione ellenistica, sembra sempre più aver dettato le linee guida dello sviluppo urbanistico, architettonico e artistico dell’Urbe, che andavano progressivamente acquistando autonomia artistica. Tale impronta è stata purtroppo sistematicamente cancellata nei più importanti luoghi d’intervento cesariano, come - oltre al foro – provano le

vicine Basiliche Aemilia e Iulia, note infatti attraverso gli interventi augustei e i successivi rimaneggiamenti. Purtroppo, in mancanza di confronti diretti in ambito cesariano, i due fregi ricomposti in base ai frammenti ritrovati nell’area, apparirebbero come un interessante precedente per questa tipologia iconografica caratterizzata da animali alati con o senza amorini, destinata a diventare un motivo assai diffuso, e offrirebbero un contributo ancora tutto da approfondire alle tematiche dei fregi di età tardo cesariana o proto-augustea. Considerando che simili iconografie compaiono nel repertorio decorativo tardo-cesariano e augusteo della coeva e variegata produzione di lastre Campana, non è da escludere, per la fase tardo cesariana, il ricorso alla polimatericità che, ancora in piena età augustea, non sembra aver sminuito la monumentalità e il valore degli impianti architettonici caratterizzati da un uso più spregiudicato di soluzioni costruttive e formali. In tal caso dunque, il fregio marmoreo, nell’ambito delle due principali fasi

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III.133. Foro di Cesare. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Proposta ricostruttiva del portico sud-occidentale. In retino grigio il dato archeologico (elaborazione grafica di V. Di Cola su disegno ricostruttivo di M.L.Vitali in MAISTO, PINNA CABONI 2010, p. 429).

costruttive del foro, avrebbe sostituito, con Augusto, un precedente decoro fittile la cui derivazione da modelli marmorei ellenistici è evidente. La tradizione coroplastica sembra attestata, per quest’area, dal rinvenimento, negli sterri degli anni Trenta, di alcuni frammenti in terracotta dove appaiono schemi araldici con figure alate, animali ed elementi divisori (kantharos) nonché decori vegetali (fig. III.134).817

dei resti, il problema della ricostruzione delle originali trabeazioni e dell’eventuale processo di marmorizzazione, come è anche difficile, in considerazione della notevole libertà interpretativa attestata nell’adozione di un modello, proporre una ricostruzione più dettagliata dell’iconografia di questo fregio. La definizione dell’impianto delle porticus duplices del Foro di Cesare è strettamente connessa con l’analisi del colonnato mediano che correva al centro dei tre lati dei porticati. Esso non è documentato con certezza nel suo elevato architettonico ma il suo ritmo è attestato da dati archeologici certi costituiti da fondazioni cementizie continue di ampiezza doppia rispetto a quelle del colonnato verso la piazza e dalle sottobasi con relative impronte circolari lavorate in sottosquadro sulle lastre pavimentali. Tre di esse sono conservate in corrispondenza del settore

È di difficile soluzione, per la frammentarietà e sporadicità D’Amelio 2007, p. 464. Da rilevare che in questo stesso contesto, a riprova della nota diffusione degli stampi e dell’ampio ambito cronologico del loro utilizzo, è stata individuata la presenza di un frammento fittile il cui decoro, con colonna e palmette con volute, appare del tutto simile a quello di un frammento di sima rinvenuto nella villa di Livia dove, peraltro, sono stati trovati anche numerosi frammenti di lastre Campana con una grande varietà di motivi iconografici che troveranno poi ampia diffusione nei fregi marmorei di età imperiale; Messineo 2001, p. 111, fig.124; pp. 111-119. 817

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Lo scavo e la ricostruzione

III.135. Atene. Stoa di Attalo. Veduta dello spazio interno nell’attuale ricostruzione (foto R. Meneghini).

diverso per ritmo e proporzioni intrinseche, si distinguesse anche per la messa in opera di un ordine diverso che può ipotizzarsi come ionico nel solco della tradizione ellenistica, ben rappresentata dalla Stoa di Attalo (fig. III.135) e da coeve porticus urbane.823

III.134. Foro di Cesare. Scavi 1930-1933. Frammenti in terracotta provenienti dal Foro di Cesare (da LEONE, MARGIOTTA 2007, p. 464, fig. 3.74).

Rientrerebbe bene in questo linguaggio decorativo, fortemente condizionato da modelli classici ampiamente diffusi e rielaborati poi in ambito microasiatico, un consistente frammento di voluta ionica sinistra dal Foro di Cesare (FC 2051), individuata nei depositi del Foro di Cesare, che conserva parte del pulvino con due fasce rialzate decorate da un astragalo (fig.III.136).824 Dal punto di vista metrico esso si adatterebbe bene alle esigenze dimensionali di questo ordine mediano e risulterebbe congruo con le misure degli altri – purtroppo scarsi – elementi architettonici identificati (FC 4518 e FC 4927).

più settentrionale del portico sud-occidentale, una quarta è visibile nei pressi del muro di delimitazione nord dell’Accademia di S. Luca (vedi fig. I.48).818 Ne emerge un intercolumnio doppio rispetto a quello del portico di facciata (m 4) e con un ritmo che richiama lo schema aerostilo vitruviano.819 Le colonne, proporzionalmente maggiori, sono state ricostruite con un diametro inferiore di circa 90 cm in base alle impronte circolari nel pavimento (diam. 130 cm) e alla loro congruità metrica con un frammento di base (FC 4927) e di fusto (FC 4518).820

Dal punto di vista decorativo la tipologia della voluta e del pulvino appare come una evidente citazione dei capitelli dell’Eretteo825 e questo porta a riconsiderare un gruppo di tre frammenti di capitelli ionici analoghi in marmo lunense rinvenuti negli anni Trenta. I due più consistenti sono costituiti da una voluta destra (FA 2940) conservata nei depositi dei Mercati di Traiano, e una voluta sinistra (2.005977) attualmente nel chiostro di Michelangelo del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano (fig. III.137)826. Queste due volute, diversamente dal frammento FC 2051, conservano anche un’esile traccia del kyma ionico

Il sovradimensionamento di questo ordine e delle fondazioni, unitamente alle tracce sul muro delle tabernae,821permettono di ipotizzare una strutturazione dei portici su due livelli sovrapposti di colonne per un’altezza complessiva di circa 14 m.822 La necessità di sostenere l’orditura lignea di un solaio giustificherebbe bene la maggiore dimensione dei fusti mediani e, di conseguenza, di un capitello proporzionato ricostruito in circa 2 piedi e mezzo: non è da escludere che il colonnato mediano, Amici 1991, p. 37, fig. 37; La Rocca 2001, p. 179-180; Rizzo 2001, p.225; più nel dettaglio vedi il punto III.3.4.2.“Gli elevati e le coperture”, supra. Analoga tecnica costruttiva è ben documentata anche nelle fondazioni dei colonnati della Basilica Aemilia, datata intorno all’80 a.C. (Ertel, Freyberger 2007, p. 116, fig. 6). 819 Vitr. III 3, 4. 820 Il frammento minimo di base (FC 4927) conserva quanto basta del piano inferiore per stabilire la mancanza del plinto e ricostruire il diametro inferiore (130 cm) e l’altezza totale (30 cm circa). Il frammento di rocchio scanalato (FC 4518) è attribuibile per il diametro ricostruito alla porzione mediana del fusto (85 cm circa). Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 433-434, fig. 10. 821 Vedi il punto III.3.4.2.“Gli elevati e le coperture”, supra. 822 Vedi il punto III.3.4.2.“Gli elevati e le coperture”, supra. 818

Da ultimi: La Rocca 2011, pp. 8-24, Palombi 2010b, p.76, Liverani 2008, pp. 43-45. 824 Frammento FC 2051, misure in cm.: largh. max. 27; h. max. 25, spess. max. 35; diam. occhio della voluta 6, h. fascia con astragalo 3; largh. canale tra le fasce 8. La lavorazione dell’astragalo, con perline tondeggianti e coppie di fusarole tendenzialmente a cappelletto unite da tratti risparmiati, inquadrano il capitello nel solco delle lavorazioni tardo repubblicane e primo-augustee. 825 Da ultimi: Jenkins 2006, pp.117-129; Rocco 2003, pp.123-132. 826 Frammento FA 2940, misure in cm: largh. max. 35.2; h. max. 34 sp. max. 29; diam. occhio della voluta 6,7; h. fascia con astragalo 3, largh. canale tra le fasce 8. (Kockel 1983, p. 435, tav. 114, figg. 2,4; Ganzert 1996, pp. 208-211, tav. 91, fig. 1-5, tav. allegata 44 a-c). Frammento 823

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III.136. Foro di Cesare. Frammento di capitello ionico (FC 2051) con dettagli della voluta e del pulvino (Archivio Fori Imperiali).

che decorava l’echino, a conferma della loro attinenza decorativa con il modello dell’Eretteo. Il terzo frammento, citato da V. Kochel come “una piccola parte laterale di voluta”, è stato identificato nel frammento FA 2548 (fig. III.137)827, conservato anch’esso nei depositi dei Mercati di Traiano ed effettivamente costituito da una parte di pulvino che conserva una sola fascia con astragalo compatibile con i due frammenti precedentemente citati. Questi tre frammenti, attribuiti malgrado la loro provenienza incerta al secondo ordine interno del tempio di Marte Ultore per l’eco classica delle forme e i parametri dimensionali828, risultano ora assimilabili per tipologia e misure anche alla voluta rinvenuta nel Foro di Cesare (FC 2051) e di

III.137. Foro di Cesare. Frammenti di capitello ionico con dettagli della voluta e del pulvino: FA 2940, FA 2548 e FA 2817 nei depositi del Museo dei Fori Imperiali; frammento 2.005977 nel chiostro di Michelangelo del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano (su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo- Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma).

(2.005977), misure in cm: largh. max. 26; h. max.36; sp. max. 27; diam. occhio della voluta 6,7; h. fascia con astragalo 3, largh. canale tra le fasce 8 (Ramieri 1982, p.202; Kockel 1983, pp. 436-437, tav.114, fig. 3). Si ringraziano la Direzione del Museo dei Fori Imperiali e in particolare Lucrezia Ungaro, per aver permesso l’analisi e la pubblicazione dei frammenti dei capitelli ionici conservati nei depositi del Museo dei Fori Imperiali e la Direzione del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano e in particolare Rosanna Friggeri, per aver messo a disposizione il frammento conservato nel Chiostro di Michelangelo. 827 Frammento FA 2548, misure in cm: largh. max.18; h. max.15,5; sp. max. 22,6; h. fascia con astragalo 3 (Kockel 1983, p. 436, nota 48). 828 Tale attribuzione, riferita al frammento FA 2940, è per la prima volta in Strong 1963, p. 81 e poi ripresa in Gros 1976, p. 190. In Kockel 1983, pp. 435-436, tav. 114, 2-4 il gruppo viene ampliato con i frammenti FA 2548 e 2.005977 ma l’ipotesi attributiva al tempio di Marte Ultore viene lasciata in forma dubitativa. In Ganzert 1996, pp. 208-211, tav. 91- fig. 1-5, tavv. allegate 44 a-c, 48 a, il frammento FA 2940 viene accuratamente descritto e rilevato, confermandone l’analogia con i capitelli del lato nord dell’Eretteo e ipotizzando un’altezza ricostruita della colonna di m 6,58 utile per l’architettura interna del tempio di Marte Ultore. Questa ipotesi di ricollocazione non è però più riproposta in Ganzert 2000, p. 76, fig. 134 a-b.

conseguenza questo gruppo di quattro frammenti di capitelli è associabile agli elementi architettonici di colonna identificati ugualmente nel Foro di Cesare e in particolare alla base senza plinto (FC 4927) tipica dell’impianto cesariano del portico. Date queste premesse, è plausibile attribuire, alla luce degli attuali dati a disposizione e in maniera ovviamente solo speculativa, questa tipologia di capitello ionico al primo ordine del colonnato mediano della fase originaria delle porticus duplices del Foro di Cesare, la cui ricostruzione, con gli altri elementi identificati, dà luogo a una colonna ionica, di altezza pari a quella dell’ordine

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corinzio rivolto verso la piazza (6,50 m) (fig. III.138). Il capitello è stato ricomposto con la voluta sinistra FC 2051 e con quella destra FA 2940, già proporzionata dal Ganzert, e il fusto è stato ipotizzato col terzo inferiore rudentato solo per analogia con quelli del colonnato rivolto sulla piazza. Purtroppo, data l’estrema erraticità dei frammenti già più volte evidenziata per tutta l’area dei Fori Imperiali829, il luogo di rinvenimento dei frammenti non appare dirimente per le possibili ipotesi di ricontestualizzazione negli apparati decorativi dei diversi fori che devono quindi avvalersi anche di altri tipi di conferme, in particolare metriche e stilistiche. Il processo attributivo non appare quindi privo di interrogativi e difficoltà specie in presenza di elevati architettonici incerti e di un linguaggio decorativo ancora poco noto come, in particolare, nel caso del Foro di Cesare. In questo quadro, la scelta di proporre per il colonnato mediano dei portici un ordine ionico su modello dell’Eretteo comporta, dal punto di vista stilistico, l’identificazione di un preciso e innovativo linguaggio a partire dal progetto cesariano, evidentemente ripreso, per ovvie esigenze di omologazione, nell’intervento augusteo dello stesso foro (42-29 a.C): non può però escludersi che la messa in opera di questa tipologia di capitelli appartenga a tale fase, specie in considerazione delle limitate conoscenze a nostra disposizione sull’entità di questo intervento e della sua stretta contiguità cronologica con quello cesariano (5446 a.C). In base ai dati attualmente raccolti, appare invece debole la proposta attributiva al secondo ordine dell’articolazione della cella del tempio di Marte Ultore che, diversamente da quanto è stato possibile fare per il Foro di Cesare, non può contare sull’individuazione di altri elementi componenti la colonna e la sua altezza ricostruita non si integrerebbe perfettamente nell’alzato architettonico proposto per la cella.830 Resta il fatto però che in questo secondo foro, dove si potrebbe pensare comunque ad una successiva reiterazione del modello già proposto in età cesariana o proto augustea nei portici del Foro di Cesare, la ripresa di temi classici trova la sua migliore compiutezza espressiva, come ben dimostrano le Cariatidi dell’attico dei portici e altri decori declinati nelle esedre e nella c.d. Aula del Colosso831. Malgrado gli interrogativi sulle diverse proposte attributive per la colonna ionica sul modello dell’Eretteo, è comunque interessante sottolineare che la scelta di “citare”, in due contesti così importanti, quali i primi due fori imperiali dell’Urbe, significativi elementi della tradizione greca, quali quelli dell’Eretteo, fu certamente dettata dalla particolare valenza simbolica di questo edificio dell’Acropoli ateniese.

III.138. Foro di Cesare. Il primo progetto del Foro di Cesare (54-46 a.C.). Proposta ricostruttiva di una colonna ionica dell’ordine mediano inferiore con capitello (FC 2051 a sinistra e FA 2940 a destra), spezzone di fusto (FC 4518) e base (FC 4927) (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

Vedi nota 795 e Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 419-423, figg. 2-4. Nella proposta ricostruttiva graficizzata del Ganzert (Ganzert 1996, tav. allegata 48a) si nota la presenza di un elemento aggiuntivo, un basamento, per integrare l’altezza della colonna ricostruita (6.58,6 m) nel proporzionamento dell’ordine superiore della cella del tempio di Marte Ultore che supera i 7,50 m. 831 Ungaro 2004, pp. 17-35; Ungaro 2007, pp. 118-169. 829

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Il suo preponderante valore di monumento celebrativo e dinastico era legato al mitico Eretteo quale capostipite della più antica famiglia reale ateniese e paredro, nelle complesse e variegate vicende della mitologia greca, di Atena Polias, come dea di tutte le arti, garante di abbondanza e prosperità fecondatrice nonché patrona di virtù profetiche e militari. Questo messaggio sembra così trasferirsi a Roma e in particolare, attraverso l’articolato linguaggio elaborato per legittimare gli sconvolgimenti politici della tarda repubblica, nei complessi architettonici che dovevano celebrare i suoi “rifondatori” e che contenevano, l’uno il tempio della progenitrice divina della Gens Iulia e l’altro quello del dio vendicatore del torto subito da questa stessa gens. Che l’imitazione dei capitelli dell’Eretteo e la loro messa in opera in un edificio romano non sia stato casuale ma frutto di una scelta intenzionale e funzionale all’affermazione del nuovo corso politico di Roma, è ben leggibile ancora nel Foro di Augusto dove questo messaggio è inequivocabilmente esplicitato dalle Cariatidi: la loro valenza simbolica rimane intatta benché “usate” in una diversa scenografia architettonica, collegate a un ordine diverso, il corinzio, e leggermente mortificate nelle forme rispetto al prototipo ateniese.832 Anche i capitelli a imitazione di quelli dell’Eretteo, a prescindere dalle loro ipotesi di ricontestualizzazione, appaiono il frutto di una produzione locale, come suggerisce l’impiego del marmo lunense833, che utilizza maestranze qualificate e ormai naturalizzate anche se di possibile origine attica o microasiatica. In questo scorcio della tarda-repubblica che prelude all’impero, la scelta dei modelli per la creazione di spazi altamente rappresentativi per la vita politica, civile e religiosa, sembra trovare ancora ad Atene la chiave dei codici più espressivi. In quest’ottica, frutto di un’appropriazione più consapevole e selettiva che, pur in un’epoca di pluralismo culturale, si rifaceva ancora ai modelli eccellenti del mondo greco e specificatamente attici, si spiegano, oltre naturalmente al restauro augusteo dell’Eretteo seguito alle distruzioni sillane dell’86 a.C.834, la ripresa dei suoi motivi decorativi nel tempio rotondo di

Roma e Augusto (20/19 a.C.) a est del Partenone835 e nel Foro di Augusto a Roma.

A conferma del capillare e ininterrotto processo di “grecizzazione” di Roma, con la progressiva ridefinizione dei contenuti e delle forme delle diverse espressioni artistiche, vale la pena ricordare che il decoro dell’attico del Foro di Augusto con le Cariatidi di fatto ripropone in chiave ufficiale un modello aulico e “dotto” già invalso nell’edilizia privata che si distingueva, nelle domus e nelle ville, per lusso e magnificenza ma anche per la sperimentazione di temi e forme originali (Pensabene 1997, pp. 149-192; Tomei 2002, pp. 440-442, fig. 1). 833 La verifica autoptica dei frammenti, fa propendere per il marmo lunense anche per il frammento 2.005977 del Museo Nazionale Romano alle Terme di Diocleziano che A.M. Ramieri proponeva in via dubitativa in marmo pentelico (Ramieri 1982, p. 202). 834 I restauri e la ripresa dei modelli greci sono indicativi dell’evoluzione nell’approccio verso questo mondo: nella programmazione delle specificità compositive degli edifici dell’Urbe non è più previsto il riuso di bottini di guerra come i capitelli bronzei probabilmente spoliati nel corso della campagna di Grecia da Cn. Octavius e riusati nella sua Porticus Octavia (168 a.C.) (Plin., Nat. Hist. XXXIV 13; Viscogliosi 1996, pp.154-157; LTUR IV, 1999, pp. 139-141 (A. Viscogliosi), in particolare p. 140) o le colonne dell’Olympieion di Atene reimpiegate probabilmente nel rifacimento del Capitolium (Plin., Nat. Hist. XXXVI 45; La Rocca 2011, p. 3) ad opera di quello stesso Silla cui si doveva la parziale distruzione dell’Eretteo nel corso della conquista di Atene (86 a.C). In particolare per il restauro augusteo dell’Eretteo (Rocco 2003, pp. 124-125, n. 57).

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Purtroppo la scarsità dei resti attribuibili con certezza all’originario apparato decorativo della piazza del Foro di Cesare non permette una decodificazione più precisa dei suoi aspetti formali e compositivi in modo da stabilire quanto il progetto cesariano sia risultato innovativo e capace di inserirsi pienamente nelle nuove correnti del panorama architettonico e artistico di Roma. In realtà il suo carattere innovativo rispetto alla tradizione repubblicana, sembra suggerito dal suo stesso schema icnografico e in particolare dal ritmo picnostilo del tempio interamente marmoreo di Venere Genitrice836 e dallo schema della porticus duplex della piazza forense che, dalle stoai greco-ellenistiche, era approdato a Roma fin dalla metà circa del II a.C.837 Fisionomie e ritmi di un’architettura nuova che, superando le antinomie, sembra aver progressivamente abbandonato i dettami della primitiva tradizione romana. Nell’ordine superiore, in base ai canoni vitruviani,838 l’altezza delle colonne dovrebbe essere inferiore di circa un quarto rispetto a quella dell’ordine sottostante, il che circoscrive la ricerca degli elementi compatibili con l’eventuale secondo ordine cesariano, entro una griglia metrica di 16 piedi di altezza, pari a m 4,73.839 Nonostante la ricerca abbia permesso di trovare – ad oggi - solo alcuni frammenti di basi attiche senza plinto,840 è possibile ipotizzare un colonnato superiore esterno, stilisticamente omogeneo con quello corinzio sottostante, secondo uno schema chiaramente mediato dalle architetture porticate ellenistiche e ben attestato nei coevi edifici basilicali del vicino Foro Romano. Non può essere ignorata, tuttavia, l’ipotesi di un attico, di cui mancano però prove concrete e che verrebbe a configurarsi come un ulteriore modello proposto in questo Foro e poi reiterato nelle architetture delle successive piazze forensi.841 D’altra parte, in un’epoca che andava codificando un linguaggio architettonico ufficiale, la strutturazione dell’elevato su due ordini della piazza forense cesariana, potrebbe essere stata oggetto Jenkins 2006, p.124. Vitr. III 3,3. 837 In particolare, al colonnato mediano dei portici laterali del quadriportico della ermodoriana Porticus Metelli è stata recentemente proposta la ricontestualizzazione di un frammento di capitello ionico (La Rocca 2011, pp. 9-11, figg. 8-9). 838 Vitr., V 1, 3. 839 Malgrado la progettazione secondo gli schemi vitruviani sia scarsamente attestata è parso comunque corretto, in questa sede, partire da questa codificazione per ipotizzare rapporti metrici e proporzionamenti della compagine architettonica dell’insieme dei portici (Gros 1997, pp. LII-LXIII), fermo restando i vincoli determinati anche dalle retrostanti strutture delle tabernae. 840 E’ incerto se le basi, tipologicamente affini a quelle contestualizzate nell’ordine a terra per la mancanza di plinto (Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 451, n.8), avessero o meno l’imoscapo lavorato nello stesso blocco. Attualmente è in corso un’ulteriore verifica su un gruppo di fusti in lunense lavorati, però, con l’imoscapo. Al momento non sono stati individuati frammenti compatibili di capitelli. 841 Degli altri quattro Fori Imperiali, tre hanno l’attestazione certa di un attico per il secondo ordine rivolto sulla piazza (Augusto, Transitorio, Traiano); la presenza di un attico è stata solo supposta per il Foro della Pace (Tucci 2009, pp. 158-162) e sono in corso le verifiche sui materiali architettonici rinvenuti nel corso dei recenti scavi.

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di un’ampia serie di sperimentalismi compositivi e di libertà interpretative riguardo agli originari modelli classici ed ellenistici che, la casualità che sovrintende alla conservazione delle architetture antiche, ha impedito di verificare già nel complesso cesariano.

riprende lo schema del téménos ellenistico con un edificio di culto al centro che già dalla metà del II sec. a.C. aveva fatto la sua comparsa a Roma con i quadriportici di Ottavio e Metello costruiti in Campo Marzio presso il Circo Flaminio.847 Singoli elementi del complesso cesariano, quali i portici dei lati lunghi e in particolar modo il sistema di tabernae realizzate dietro il muro di fondo del portico sud-occidentale a due navate, trova un suo esplicito riferimento nelle stoai delle grandi piazze porticate medio-ellenistiche di matrice greco-orientale sviluppatesi nelle capitali dei regni dei Diadochi in funzione di una evidente e monumentale esaltazione del potere. Si tratta di grandi complessi caratterizzati da un ampio spazio scoperto di forma quadrangolare, delimitato su uno o più lati da portici a uno o due piani (stoai), a navate multiple. Tale composizione architettonica, unita al concetto di spazio delimitato da un téménos con edificio di culto al centro, ha giocato un ruolo determinante nella scelta dei modelli ispiratori del complesso cesariano.

Ugualmente incerta appare l’identificazione del colonnato superiore dell’ordine mediano che, pur rispettando gli stessi parametri di proporzionamento adottati per le colonne corinzie prospicienti la piazza, potrebbe essersi caratterizzato, come proposto anche per l’ordine inferiore, per la messa in opera di un ordine diverso, già ipotizzato come ionico in base ad alcuni frammenti.842 Come già recentemente rilevato843, non sono stati esclusi da una possibile ipotesi di contestualizzazione nel colonnato mediano del secondo piano, anche alcuni frammenti in peperino con tracce di stuccatura rinvenuti nel corso di recenti scavi nel Foro di Cesare e il cui impiego risulterebbe compatibile con l’alleggerimento strutturale richiesto ad un ordine superiore e con la coeva tradizione polimaterica ancora ampiamente attestata a Roma. In particolare, sono stati presi in considerazione, malgrado le dovute riserve dettate dal ritrovamento in stratigrafie tardo antiche e moderne, alcuni elementi proporzionalmente congrui per una colonna scanalata (FN 2048) e per un capitello ionico ricostruibile a quattro facce (FC 4213).

Questa considerazione di ordine generale trova un puntuale riscontro in alcuni complessi ellenistici costituiti, in particolare, da un portico a due navate (porticus duplex) delimitato su un lato da tabernae, distribuite su una fila singola come è dato di vedere nella stoa di Attalo, nella stoa sud ad Atene (fig. III.139)848 e nella stoa del Bouleuterion a Sicione (fig. III.140),849 o su due file attigue come nella stoa sud di Corinto articolata su due piani (fig. III.141).850 Ancora più calzante sembra, poi, il confronto con l’agorà di Assos (fig. III.142)851 e con la stoa dell’agorà di Magnesia sul Meandro (fig. III.143),852 la cui morfologia a π ricorda molto da vicino il portico a tre bracci del Foro di Cesare.

Non può dunque al momento escludersi, nell’alzato del piano superiore del Foro di Cesare, l’impiego di materiali diversi che non andrebbe in conflitto con l’eventuale impiego mirato del marmo come ipotizzato per la Porticus Metelli.844

Interessanti risultano le affinità dimensionali che si riscontrano nelle ampiezze delle navate dei portici, pari a circa 13,60 m nel complesso cesariano, a 13,30 m nella stoa di Attalo e a 13,20 m nella stoa di Magnesia sul Meandro, e nelle larghezze dei vani-tabernae, pari a 4,99 m nel Foro di Cesare, a 4,90 m nella stoa di Attalo, a 4,95 m nella stoa sud di Corinto e a 4,80 m nella stoa sud di Atene.

Nel complesso, comunque, non sono di facile soluzione gli interrogativi riguardo a proposte di ricontestualizzazione di materiale architettonico non marmoreo (individuabile sia nella pietra sia nella terracotta, come già evidenziato per la decorazione del fregio) che implicano una progettualità architettonica che non escludeva di avvalersi della polimatericità, come del resto altrove attestato nel gusto dell’epoca,845 non solo per l’ottimizzazione funzionale e temporale del cantiere ma anche per le potenzialità plastiche e policrome insite nella pietra stuccata e nella coroplastica.

Gros 1996, p. 100 e p. 212. La grande piazza rettangolare circondata su tre lati da portici a due navate del Foro di Cesare è stata letta da alcuni come un prodotto di così chiara matrice ellenistica, che si è supposto che l’architetto del complesso fosse un ateniese venuto a Roma al seguito di Cesare nel 47 a.C. Vedi Carcopino [1935] 1975, p. 571; Duret Néradau 1983, p. 47; Franchetti Pardo 2006, p. 212 ; Tortorici 2012, p. 23. Tale ipotesi ha il suo fondamento in un passo di una lettera di Cicerone ad Attico (Ad. Att. XIII 35, 1 ) datata 13 luglio 45 a.C. da cui sembra trasparire un marcato filoellenismo del dittatore nei progetti monumentali da lui intrapresi. Gentilis tuus (ateniese come Attico) Urbem auget quam hoc biennio primum vidit, et ei parum magna visa est, quae etiam ipsum capere potuerit. 848 Coulton 1976, fig. 24, p. 197; p. 219 e fig. 53.5. 849 Coulton 1976, fig. 24 p. 197 e p. 283 e fig. 108.2. 850 Coulton 1976, fig. 24 p. 197; p. 228 e fig. 58.4; Broneer 1954, fig. 3 p. 21; plan X, XI; Idem, p. 57 e ss; Gros 1996, pp. 97-98. Il confronto con Corinto è tanto più stringente in considerazione del fatto che Cesare visitò personalmente la città (Diod. Sic., XXXII 27, 1-3; Cic., Tusc. III 22, 53) e vi dedusse a partire dal 44 a.C., la Colonia Laus Iulia Corinthiensis (Strab., VIII 6, 23; XVII 3, 15; Plut., Caes. 57, 8; Paus., II 1, 2; II 3, 1; App., Lyb. 136; Cass. Dio., XXLIII 50, 3). Su Corinto romana e la deduzione cesariana vedi Broneer 1954, p. 100; Wiseman 1979, p. 497 e ss.; Bearzot 2000, p. 35-53. 851 Lauter 1999, fig. 12b. 852 Coulton 1976, p. 253 e fig. 81.1. 847

3.4.4. Modelli architettonici (A. Delfino) Il Foro di Cesare è da tempo oggetto di studi incentrati sull’aspetto architettonico, sull’individuazione dei modelli culturali di riferimento e sugli effetti che l’impatto della sua costruzione ha avuto sul tessuto urbano.846 Il progetto cesariano, come comunemente si ritiene, Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 435-436, figg.12-13. Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 436, fig.13. 844 La Rocca 2011, pp. 10-11. 845 Viscogliosi 1996, pp. 221-227; La Rocca 2011, p. 24. 846 Fra quelli più recenti si ricordano: Viscogliosi 2000, pp. 21-39; La Rocca 2001, pp. 178-180.; Liverani 2008, pp. 43-51; Idem 2009, 14-27; Gros 2010, pp. 265-284; Tortorici 2012. 842 843

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III.139. Atene, stoa sud (da COULTON 1976).

III.140. Sicione, stoa del Bouleterion (da COULTON 1976). III.143. Magnesia sul Meandro, stoa dell'agorà (da COULTON 1976).

erano progettate tenendo conto del contesto urbanistico in cui erano inserite e, allo stesso tempo, erano concepite come luoghi di passaggio e aggregazione cittadina, in quanto sedi di mercato e di assemblee civili. Al contrario, i Fori Imperiali, e in primis il Foro di Cesare, sono stati concepiti come recinti monumentali autocelebrativi all’interno dei quali si trovavano templi non visibili dall’esterno.853

III.141. Corinto, stoa sud (da COULTON 1976).

La morfologia dell’impianto cesariano sembrerebbe quindi assumere non tanto - o non solo - l’aspetto di una semplice piazza porticata per la pubblica fruizione, bensì la fisionomia di un téménos del tempio dinastico della Gens Iulia.854 Lo sviluppo planimetrico del Foro di Cesare originario, più vicino a un quadrato che a un rettangolo, richiama dunque l’attenzione non solo sull’organizzazione delle aree pubbliche greco-orientali, ma anche sulla configurazione architettonica dei santuari ellenistici, nei quali all’interno di aree quadrangolari cinte da portici campeggiano uno o più edifici di culto. Proprio il richiamo ai modelli santuariali ellenistici e la declinazione che questi, a partire dalla fine della seconda guerra punica, hanno avuto sul suolo medio-italico e in particolare laziale, ha consentito di scorgere nel progetto cesariano l’elaborazione e la sintesi architettonica di tutti questi precedenti. Come vedremo nel corso della discussione la “membrana ellenistica”, come è stata definita la componente culturale, artistica e scientifica che permea la cultura romana tardo-repubblicana,855

III.142. Asso, stoa dell'agorà (da LAUTER 1999).

Pur configurandosi le piazze pubbliche greco-orientali quali modelli ispiratori del progetto cesariano, non si può trascurare la presenza del Tempio di Venere Genitrice che domina dall’interno il Foro di Cesare. Ciò costituisce necessariamente un valore aggiunto all’insieme, dal punto di vista architettonico e concettuale. Ed è proprio, come vedremo meglio più avanti, la dedica “in corso d’opera” del Tempio di Venere Genitrice a costituire un importante elemento di valutazione per comprendere fino in fondo la differenza sostanziale fra le agorai della Grecia classica e le piazze dei Fori Imperiali. Le agorai greche, infatti,

Zanker 1984, p. 9; Viscogliosi 2000, p. 79; La Rocca 2001, pp. 185186; Idem 2006, p. 124. 854 App., Bell. Civ. II 102; Gros 1996, p. 212; Viscogliosi 2000, pp. 22-23; La Rocca 2001, pp. 186. 855 Franchetti Pardo 2006, p. 238. 853

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costituirà l’elemento di riferimento principale nella resa formale delle singole parti che costituiscono i complessi edilizi di questo periodo a Roma e nel Lazio; mentre è sul piano di una progettualità unitaria e organica che è più evidente l’impronta specificatamente romana. Tuttavia è bene non irrigidire troppo questa distinzione fra un’architettura greca poco sensibile alla simmetria e all’assialità e una architettura romana nella quale queste componenti rappresentano l’essenza più profonda. Come è stato fatto notare in passato,856 infatti, non mancano esempi nell’oriente ellenistico di complessi monumentali quali il santuario di Asklepios a Cos, il tempio di Athena Lindia a Rodi, il santuario di Asklepios di Messene e il santuario di Cibele a Mamurt-Kale presso Pergamo, dove una rigorosa assialità compare già dalla fine del III-prima metà del II sec. a.C. costituendo, per tale motivo, uno dei modelli ispiratori dei santuari laziali e italici. Si tratta, pertanto, di prendere atto che alla base del processo culturale che porterà alla realizzazione dei monumentali complessi romani tardo-repubblicani (Teatro di Pompeo e Foro di Cesare) vi è una amalgama di tradizioni greche-orientali e romano-italiche che vengono rielaborate e sintetizzate in modelli del tutto nuovi nei quali risulta difficile e forse inutile ricercare le singole componenti dell’una o dell’altra tradizione. In diverso modo si può dire che nella tarda età repubblicana il modello italico, anch’esso risultato di una più antica commistione fra elementi locali e elementi greci, si trova coinvolto in un processo di acculturazione dove il modello greco viene recepito e rielaborato in forme del tutto autonome che influenzano a loro volta altre costruzioni nelle quali la ricerca di un unico modello di riferimento o di un’unica classe di monumenti (fori, santuari ecc.) perde ogni valore.857 Premesso quindi che la ricerca dei modelli del Foro di Cesare non può ridursi ad un’unica area culturale e ad un unico schema architettonico vediamo i monumenti che in ambito greco e italico hanno maggiormente influenzato la scelta dei costruttori del Foro di Cesare.

complessi costruiti nel Campo Marzio meridionale: la porticus Octavia e la porticus Metelli. La porticus Octavia,862 inaugurata molto probabilmente nel 165 a.C. da Cn. Octavius vincitore sulla flotta di Perseo nel 168 a.C., è localizzabile nell’area compresa tra la porticus Philippi e il Teatro di Pompeo.863 La porticus, secondo quanto è stato ipotizzato sulla base di un passo di Plinio,864 si componeva di portici a due navate (porticus duplices), chiusi all’esterno da un muro di fondo continuo, abbinati a portici a navata unica i cui muri di fondo erano forse articolati in nicchie semicircolari.865 Di solo un ventennio posteriore alla porticus Octavia è la porticus Metelli.866 Sull’aspetto originario di questo monumento prima della sua trasformazione nella porticus Octaviae in età augustea, siamo meglio informati. La porticus repubblicana fu inaugurata probabilmente nel 143 a.C. da Q. Caecilius Metellus Macedonicus vincitore su Andrisco re di Macedonia.867 In questo caso, un passo di Velleio Patercolo, non lascia dubbi sulla reale forma architettonica del complesso: […] porticus, quae fuere circumdatae duabus aedibus[…].868 Si trattava, pertanto, di un complesso monumentale costituito da una piazza quadrangolare circondata da portici (135 x119 m) al centro della quale si trovavano due templi: uno, preesistente al complesso di Metello e da questi inglobato nel suo complesso, dedicato a Iuno Regina, l’altro, che costituisce il primo esempio a Roma di tempio in marmo, opera di Hermodoros di Salamina,869 dedicato a Iuppiter Stator e voluto dallo stesso Metello. La caratteristica del quadriportico di Metello che riveste maggiore interesse è non solo la sua pianta quadrangolare ma soprattutto la presenza di un muro continuo movimentato da esedre semicircolari che chiude la piazza verso l’esterno. Si tratta di una particolarità di schietta matrice ellenistica che, come vedremo più avanti, influirà fortemente sui complessi monumentali di Pompeo e di Cesare. L’aspetto che tuttavia lo pone al principio della tradizione delle grandi piazze imperiali è il carattere di spazio unitario e organico che si fonde con la volontà di autocelebrazione e glorificazione del suo committente.

Durante i decenni centrali del II secolo a.C. nei santuari laziali e nei fori dell’Italia meridionale si assiste all’adozione di schemi e tipologie tratte direttamente dall’architettura medio-ellenistica. I casi dei santuari di Gabii,858 di Fregellae,859 del foro di Pompei860 e del foro di Minturnae,861 dove lo schema della piazza triporticata e del tempio assiale rappresentano una costante, sono fin troppo noti.

Come accennato, il termine di paragone forse più vicino per una riflessione sugli antecedenti architettonici del Foro Sulla porticus Octavia vedi La Rocca 1990, p. 383; Gros 1996, p. 97-98; Coarelli 1997, pp. 515-528. 863 Coarelli 1997, p. 520. 864 Plin., Nat. Hist. XXXIV 13. 865 In ambito greco-orientale, nicchie inserite entro un portico si ritrovano nella stoa J del Santuario di Artemide Lafria a Kalydon, dove tali elementi sono collocati in corrispondenza delle estremità nord-est e sud-ovest del complesso e con la curva rivolta ad ovest (vedi Coulton 1976, fig. 70, p. 273). Come vedremo più avanti, anche nel Foro di Cesare è presente un sistema di absidi posto alla terminazione delle testate nord-ovest dei lati lunghi. 866 La Rocca 1990, pp. 391-392; Nünnerich-Asmus 1994, p. 25 e ss; Gros 1996, p. 98; Coarelli 1997, pp. 529-538; D’Alessio 2012, p. 502, tav. 212. 867 Vell., I 11, 2-5. 868 Vell., I 11, 3. 869 Vitr., III 2, 5. 862

A Roma, l’attestazione più antica di questo processo di elaborazione e di sintesi di elementi ellenistici in un organico rapporto delle parti dallo spiccato valore simbolico e celebrativo del committente, è rappresentata da due Coarelli 1997, p. 561; La Rocca 2001, p. 184 con bibliografia di riferimento. 857 Vedi soprattutto Coarelli 1997, p. 559. 858 Almagro Gorbea 1965, pp. 586-599; Coarelli 1987, pp. 11-21 ; Gros 1996, pp. 136-137. 859 Fregellae 2, 1986; Coarelli 1987, pp. 23-33. 860 Gros 1996, pp. 211-212. 861 Johnson 1935, pp. 4-5 e pp. 42-60; Gros 1978, p. 25; Idem 1996, pp. 209-212. 856

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di Cesare lo si può rintracciare nel grandioso complesso monumentale costruito da Pompeo in Campo Marzio. Con il theatrum Pompei, dominato dalla vasta cavea sormontata dal tempio dedicato a Venere Vincitrice e introdotto dalla monumentale porticus Pompeianae in cui trova sede la Curia Pompei, il generale Pompeo aveva impiantato in Campo Marzio il più grandioso edificio autocelebrativo del momento.870

e il ritmo serrato dei filari di fontanelle o di colonne che circondavano il nemus duplex contribuivano ad indirizzare la percorrenza in senso longitudinale. Per quanto concerne la morfologia dell’insieme architettonico cavea-aedes,contrariamente a quanto finora ritenuto878 sulla base dei frammenti disponibili della FUR, alcuni dei quali sensibilmente rimaneggiati e integrati nel XVI secolo,879 studi recenti hanno ipotizzato che l’edificio templare poteva essere inglobato all’interno della curva esterna della cavea.880 Le nuove ipotesi ricostruiscono un tempio a cella trasversale, con fronte esastila e ritmo picnostilo,881 al cui interno trovavano sede tutti i culti ricordati dalle fonti, distribuiti in vani attigui: in posizione centrale il culto principale dedicato a Venere Vincitrice, ai lati Honos et Virtus, Felicitas, Fortuna e Victoria.882

Inaugurato in occasione del compleanno di Pompeo, il 29 settembre del 55 a.C.,871 il complesso si componeva di due nuclei principali: un edificio teatrale del tipo in plano, costituito da un emiciclo in opera cementizia autoportante su sostruzioni voltate, sormontato dal tempio in summa gradatione dedicato a Venus Victrix; un monumentale quadriportico pone scaenam, sul cui lato orientale, all’estremo opposto del tempio, si apriva un’esedra nella quale doveva esser collocata una statua di Pompeo Magno «novus Neptunus» e nella quale venne ospitata una nuova sede del senato (Curia Pompei).872 Così articolato il theatrum Pompei doveva misurare 329,67 m (1.120 piedi) di lunghezza x 165 (560 piedi) m di larghezza;873 il solo quadriportico era lungo 180-200 m di lunghezza x 135 m di larghezza.874

Da un punto di vista architettonico è stato da molti sottolineato come la compresenza di un edificio di culto annesso ad una cavea teatrale, in posizione dominante e assiale, e di un quadriportico monumentale che include una curia, possa essere inquadrata nell’ambito del noto modello Teatro-Tempio.883 A prescindere dal dibattito ancora in corso su tale tipologia architettonica, anche in questo caso il modello di riferimento più volte richiamato dei santuari laziali e quindi considerato del tutto autoctono, non può non tenere in conto che soluzioni analoghe erano già presenti nella tradizione ellenistica orientale (santuari di Coo, Delo, Lindos).884 Pertanto, vale ancora una volta quello che è stato detto più sopra e cioè che anche in questo caso in Italia e a Roma il modello greco viene recepito rielaborandolo secondo un linguaggio sintetico che in ultima istanza costituisce una delle manifestazioni più caratteristiche della cultura italico-romana del tardo ellenismo. Ciò premesso anche se è indubbio che il modello Teatro-Tempio affondi le sue radici nel mondo ellenistico è vero anche che tale modello trova la sua espressione più compiuta, nell’ambito dei santuari laziali e centro-italici, sia con esempi di semplice giustapposizione dei due elementi costitutivi (Gabii, Pietrabbondante) sia con esempi progettati secondo una coerente e modulare concezione compositiva (Praeneste, Tivoli).885 Proprio nei santuari laziali, in particolare in quello tiburtino, è stata riconosciuta la fonte di ispirazione più diretta del theatrum Pompei.886

Una rigida logica compositiva sovrintende le singole parti del complesso incentrando l’insieme su un perfetto allineamento tra gli opposti costituiti dalla esedra/Curia e dal Tempio di Venere, generando un asse focale fortemente centripeto diretto inevitabilmente verso l’edificio di culto.875 Il quadriportico pone scaenam, uno spazio quadrangolare più tendente a un quadrato che a un rettangolo doveva articolarsi in un sistema di portici colonnati scanditi da nicchie, esedre e vani rettangolari, che delimitavano un’area scoperta centrale suddivisa in cinque settori. In posizione mediana era previsto uno stretto viale fiancheggiato forse da filari di fontanelle ornate di statue,876 o da file di colonne su plinti,877 oltre i quali si stendeva un duplice boschetto di platani. L’asse rigorosamente orientato in senso est-ovest Lanciani FUR, Tav. XXVI; Coarelli 1985, p. 110 e ss, p. 190 e ss; Grassigli 1991, p. 44; Coarelli 1997, p. 539 e ss. 871 La data si può dedurre dalla lettera di Cicerone a M. Marius scritta nella prima metà dell’ottobre del 55 a.C. (Cic., fam. I 15) e dall’orazione contro Pisone (Cic., Pis. XXVII 65). Coarelli 1997, pp. 567-568; LTUR V, 1999, pp. 35-36 (P. Gros). 872 Vedi in proposito Carettoni, Colini, Cozza, Gatti 1960, p. 103, tav. XXXII; La Rocca 1987-1988, p. 271; e pp. 286-287; Idem 1990, pp. 391392 e p. 461; LTUR I, 1993, pp. 334-335 (F. Coarelli); Coarelli 1997, p. 561 e pp. 572-573; LTUR V, 1999, p. 36 (P. Gros). Per le fonti antiche vedi in particolare Plut., Brut. 14; Plin., Nat. Hist. XXXV 59. Se l’ipotesi, più sopra avanzata (vedi il punto III.3.4.2., supra), di una statua monumentale di Cesare posta nella nicchia anch’essa centrale e in asse con il Tempio di Venere Genitrice risultasse vera, si avrebbe la ripetizione dello stesso schema del Theatrum Pompei. 873 Tosi 2003, p. 761; Monterroso Checa 2010, p. 393. 874 Gros 1996, p. 99. 875 Coarelli 1997, p. 573-575; Tosi 2003, p. 727 e 757-761, con bibliografia relativa; Monterroso Checa 2010, p. 281 e ss. 876 Coarelli 1997, pp. 573-574. A questo proposito, sarebbe di estremo interesse poter avere un’idea più precisa delle fontanelle individuate sulla piazza del Foro di Cesare, per poter verificare l’eventualità di una ripetizione dello stesso schema. 877 Cressedi 1960, pp. 201-202. 870

In contesto italico, il quadriportico associato ad un edificio templare, in particolare, è già attestato a Pompei alla fine del II secolo a.C. nell’area del Foro Triangolare, dove un Vedi LTUR V, 1999, pp. 35-38 (P. Gros) e bibliografia relativa. Vedi da ultimo D’Alessio 2012, p. 505, tav. 220 dove viene mantenuta l’interpretazione tradizionale con il tempio sopraelevato ed esterno rispetto al teatro. 879 Tosi 2003, pp. 728-729. 880 Monterroso Checa 2010, pp. 267-281. 881 Monterroso Checa 2010, pp. 274-275 e fig. 237, p. 276. 882 Monterroso Checa 2010, pp. 267-270. 883 Sull’argomento si veda Coarelli 1997, p. 562 e ss; Tosi 2003, pp. 721-750 con amplia bibliografia di riferimento. 884 Coarelli 1987, p. 29; Gros 1996, p. 277; Tosi 2003, p. 739. 885 La Regina, Coarelli 1984, p. 254; Tosi 2003, p. 721 e ss. 886 Gros 1996, pp. 139-140; Tosi 2003, p. 743; Giuliani 2004, p. 54; Monterroso Checa 2010, p. 340. 878

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Lo scavo e la ricostruzione

teatro cui è annessa una porticus pone scaenam con esedra assiale, in connessione con il tempio dorico collocato nel foro, costituiva verosimilmente una via processionale diretta all’edificio scenico.887

complesso pompeiano nel settembre del 55 a.C. anteriore di nemmeno un anno rispetto all’inizio dei lavori per la costruzione del foro cesariano; la forte rivalità politica tra i due leader; la volontà comune a entrambi di dotare la città di nuove sedi per la gestione del potere, alternative e/o sostitutive a quelle tradizionali.

Ma è ormai condivisa da più studiosi l’idea che alla radice di tali complessi vi sia la tradizione architettonica di matrice greco-orientale, che nei Kaisareia di Alessandria, Antiochia, Cirene, Pergamo e Mitilene, ad esempio, trova la sua maggiore espressione attraverso la realizzazione di complessi edilizi connotati da giardini porticati e portici annessi a cavee teatrali sontuosamente decorati.888

L’apertura del cantiere cesariano nel 54 a.C. non può che leggersi come la risposta diretta alla sfida lanciata da Pompeo che, occupando il Campo Marzio con il suo grandioso complesso polifunzionale costituito da teatrotempio-curia-quadriportico, imponeva con forza alla città il proprio messaggio politico.

Il complesso pompeiano, quindi, se da un lato si compone di singoli elementi di cui è accertata una derivazione culturale ellenistica pur filtrata dalla tradizione italica,889 dall’altro, tuttavia, si configura come una innovativa e coerente sintesi architettonica, nella quale l’associazione dell’aspetto santuariale con quello più propriamente politico rispondono ad un rigoroso programma ideologico890 che prefigura la fisionomia di una piazza forense891 sul modello di quella che Cesare realizzerà di lì a breve.

Dal canto suo, Cesare sembra raccogliere la sfida designando l’area alle pendici sud-orientali del Campidoglio come il luogo deputato per il suo monumentum. Una scelta che varca per la prima volta i confini, fino a quel momento rispettati anche da Pompeo, del pomerium cittadino.894 Il complesso cesariano, se nel suo aspetto definitivo è stato inserito al termine di quel percorso nel quale le porticus Octavia e Metelli avevano segnato una tappa fondamentale, costituendo un esempio compiuto della sintesi formale tra linguaggio ellenistico e tradizione italica, allo stesso tempo si pone all’inizio di un processo di elaborazione delle stesse forme architettoniche il cui risultato trova il suo compimento nei Fori Imperiali.895

Come il foro cesariano, infatti, il theatrum Pompei si presenta già come un complesso di dimensioni eccezionali e di grande organicità dove con un intento di autocelebrazione tutte le parti sono messe in rapporto tra loro entro il perimetro di uno spazio unitario quadrangolare.892 L’excursus fin qui descritto vuole illustrare come il progetto del Foro di Cesare si sia inserito in un preciso contesto storico-culturale, connotato da un altrettanto preciso linguaggio architettonico e formale. Cesare, dapprima cauto e diffidente verso Pompeo (autunno del 54 a.C.) e poi, a partire dal 50-49 a.C., sempre più apertamente in lotta contro di lui,893 è coinvolto in una accesa battaglia propagandistica che sul piano urbanistico si traduce in una frenetica attività costruttiva finalizzata a imporre il proprio nome al nuovo volto della città. La costruzione del Forum Iulium costituisce a questo riguardo la summa politica e ideologica espressa a livello monumentale da Cesare.

L’individuazione di una prima fase finora inedita del Foro di Cesare, pertanto, permette di seguire più nel dettaglio le tappe iniziali di questo complesso processo formativo, apportando elementi nuovi e significativi sia per la ricostruzione sia per l’interpretazione della genesi del monumento. Il primo foro, così come si è potuto ricostruire, al momento della sua prima inaugurazione nel 46 a.C. si prefigurava come una piazza di forma più vicina a un quadrato che a un rettangolo, delimitata su tre lati da una porticus duplex su due ordini sovrapposti896 coperta con tutta probabilità da un tetto a falda unica.897 I portici erano chiusi all’esterno da un muro continuo, interrotto sul lato breve affacciato sull’Argileto da ingressi posti probabilmente alle estremità; all’interno, al centro di questo lato era probabilmente sistemata una nicchia monumentale, in posizione assiale, possibile sede di una statua di Cesare. Tale aspetto, vale a dire un’area quadrangolare chiusa da un muro continuo, risulta forse il più significativo in quanto permette di scorgere un precedente diretto nell’ “agorà inferiore” di Pergamo e nell’agorà degli Italici a Delo.898 Ancor più immediato, poi, è il confronto con la porticus Metelli dove, come si è visto, anche qui lo schema del temenos

Numerosi e significativi sono gli elementi comuni con il theatrum Pompei, al punto che si potrebbe ammetterne una ripresa volontaria, seppure con le dovute modifiche. La ragione principale che spinge a rimarcare questa analogia risiede in tre aspetti tra loro connessi: la stretta successione cronologica che vede l’inaugurazione del Sauron 1987; Coarelli 1997, p. 576. La Rocca 1987-1988, pp. 265-292; Idem 1990, pp. 410-411 e pp. 461-462; Tosi 2003, p. 758 ss. per un aggiornamento sulla problematica e per la bibliografia specifica. 889 Gros 1996, p. 140; Franchetti Pardo 2006, p. 211; Monterroso Checa 2010, p. 339. 890 Gros 1996, pp. 99-100. 891 Sauron 1987, p. 472; Grassigli 1991, p. 44; Coarelli 1997, p. 579 892 Tosi 2003, pp. 760-761; Monterroso Checa 2010, p. 393. 893 Sulle fasi iniziali del conflitto fra Cesare e Pompeo si veda Carcopino [1935] 1975, pp. 355-380; Meier [1982], 2004, pp. 271-409; Canfora 1999, pp. 140-151. 887

888

Coarelli 1997, pp. 544-545. Gros 1996, p. 100 e ss e pp. 212-213. 896 Vedi il punto III.3.4.2., supra. 897 Un confronto per la tipologia di copertura a falda unica, impostata su un portico colonnato a due navate, è costituito dal complesso della biblioteca della città di Pergamo. Franchetti Pardo 2006, fig. 92, p. 186. 898 Gros 1996, p. 97; Lauter 1999, pp. 94-95; Gros 2010, p. 274. 894 895

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Forum Iulium

ellenistico si traduce in una piazza quasi quadrata con al centro gli edifici di culto, chiusa da un muro continuo movimentato da esedre semicircolari. Proprio queste esedre possono costituire un precedente di quelle presenti sul lato nord-occidentale del Foro di Cesare, le quali, disposte in sequenza ternaria ai lati della cella ad abside del Tempio di Venere Genitrice, assolvono insieme a questa alla doppia funzione di movimentazione della parete di fondo della piazza e di sostruzione della collina retrostante;899 proprio tale particolarità sembra avvicinarle ancor più direttamente alle soluzioni escogitate nei santuari ellenistici laziali, primo fra tutti quello della Fortuna Primigenia a Palestrina,900 dove emicicli posti lungo il fronte delle terrazze costruite contro il pendio naturale hanno lo scopo di contenere le spinte del terreno e di rendere scenografico l’insieme.

di Venere Genitrice, il confronto con la turma Alexandri nella porticus Metelli, che secondo la descrizione di Velleio Patercolo904 “guardava” la facciata dei due templi (quae frontem aedium spectant), induce a credere che anche l’Equus Caesaris potesse essere rivolto verso il tempio della progenitrice della dinastia Iulia, costituendo per questo il fulcro ideologico dell’intero complesso. Tale disposizione e articolazione dello spazio, nel complesso, non può non ricordare da vicino l’analoga corrispondenza che nel theatrum Pompei metteva in relazione l’esedra/Curia, nella quale era posta la statua di Pompeo, il quadriportico, la cavea/gradinata e il Tempio di Venere Vincitrice in summa gradatione. Da quanto detto, se l’ipotesi relativa all’esistenza di un muro di fondo continuo che chiudeva su tre lati i portici verso l’esterno risultasse vera, la logica di spazio “chiuso” che è alla base di tutti i Fori Imperiali troverebbe in questa prima fase progettuale del Foro di Cesare la sua origine.905

Il lato corto nord-occidentale del Foro di Cesare era dominato dal tempio periptero sine posticum con facciata ottastila dal serrato ritmo picnostilo, dedicato a Venere Genitrice.901 Propagandisticamente dedicato alla Venere progenitrice della Gens Iulia - scelta che tradisce un velato richiamo alla Venere Vincitrice cui Pompeo dedicò l’aedes nel proprio teatro – il tempio è l’esito di un voto agli dei che Cesare espresse prima della battaglia di Farsalo nel 48 a.C.

Così scenograficamente aggrappato al fianco del Campidoglio, simile nell’aspetto ad un teatro-tempio costruito in montibus, il Foro di Cesare era dominato dal Tempio di Venere Genitrice posto in posizione assiale ed eccentrica richiamando nell’aspetto gli assetti dei santuari laziali. Ciò dimostra che gli indiscussi riferimenti agli impianti urbanistici ellenistici erano stati abilmente coniugati attraverso il filtro della tradizione architettonica autoctona che da tempo era riuscita a fondere nello stesso organismo costruttivo le esigenze di autorappresentazione con quelle di pubblica utilità, unendo in un complesso ormai considerato polifunzionale la sfera religiosa e quella civile. La presenza di portici a due ordini sovrapposti che circondavano la piazza, infatti, doveva contribuire non solo ad aumentare l’effetto plastico dell’insieme architettonico, ma sacralizzava allo stesso tempo lo spazio interno in una sorta di percorso processionale verso il tempio ad abside assiale, anch’esso, non a caso, concepito con pareti interne scandite da un doppio ordine sovrapposto.906

L’edificio di culto, che costituisce anch’esso una perfetta fusione di tradizione etrusco-italica e di tradizione ellenistica, venne realizzato incassando l’abside presente sul fondo della cella nel fianco del Campidoglio; grazie alla posizione assiale, alla sua complessa articolazione con scale laterali all’alto podio che conducevano ad un primo terrazzo e quindi alla scalinata centrale che permetteva di salire al pronao, il tempio risultava sopraelevato di circa 5 m rispetto alla piazza, dialogando direttamente con la nicchia posta sul fronte opposto del complesso dove era probabilmente posta una statua del dittatore. La minore severità (gravitas) e la maggiore leggerezza (subtilitas) del ritmo quasi diastilo dei colonnati dei portici rispetto a quello più serrato e svettante della facciata picnostila del tempio, avrebbe quindi creato un giusto proporzionamento delle parti dando uno slancio ascensionale all’intero complesso.

Proprio la scelta del luogo, le pendici sud-orientali del Campidoglio, tradisce la volontà da parte di Cesare di sfruttare al massimo la naturale conformazione del rilievo al fine di realizzare nel cuore della città un complesso monumentale che si richiama direttamente alle architetture scaenographicae ellenistiche.

Sul lato lungo sud-occidentale, invece, oltre il muro di fondo, dovevano aprirsi una serie di ambienti (tabernae) costruiti a ridosso del fianco del Campidoglio che tuttavia al momento delle celebrazioni per l’inaugurazione del 46 a.C. erano ancora in costruzione.902 Sull’asse mediano della piazza, davanti all’alto podio del tempio, campeggiava la statua equestre di Cesare. Ora, anche se in altra sede903 è stato proposto di vedere il gruppo statuario rivolto verso l’Argileto, con le spalle al Tempio

A questo punto, se è vero che l’analogia riscontrata tra il Vell. Pat., I 11, 3-5. Hic est Metellus Macedonicus, qui porticus, quae fuere circumdatae duabus aedibus sine inscriptione positis, quae nunc Octaviae porticibus ambiuntur, fecerat, quique hanc turmam statuarum equestrium, quae frontem aedium spectant, hodieque maximum ornamentum eius loci, ex Macedonia detulit…Hic idem primis omnium Romae aedem ex marmore in iis ipsis monumentis molitus, vel magnificentiae vel luxuriae princeps fuit. Sul termine spectant inteso nel senso che i gruppi statuari erano rivolti con lo sguardo verso i templi di Giunone Sospita e Giove Statore vedi Hellegouarc’h 1982, p. 11. 905 Sui Fori Imperiali intesi come spazi chiusi e separati dal contesto urbanistico circostante vedi Viscogliosi 2000, p. 79; La Rocca 2001, pp. 185-187; Idem 2006, pp. 121-143. 906 Amici 1991, p. 77; Maisto, Vitti 2009, pp. 37-38. 904

Gros 1976, pp. 130-131. Vedi supra il punto sulla ricostruzione planimetrica del foro di età cesariana. 900 Vedi Fasolo, Gullini 1953, in particolare pp. 17-193 e pp. 339-455; Gullini 1984, pp. 527-592 ; Coarelli 1987, p. 48 e ss e fig. 11, p. 41. 901 Vedi Lugli 1933, pp. 166-180; Bardon 1940; Gros 1976, pp. 124-143; Amici 1991, pp. 31-35 e pp. 77-100; LTUR II, 1995, pp. 306-307 (P. Gros); Gros 1996, pp. 140-141. Da ultimo vedi Maisto, Vitti 2009 pp. 31-80. 902 Vedi il punto III.3.4.2., “Le tabernae”, supra. 903 Delfino et al. 2010, pp. 349-361. 899

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Lo scavo e la ricostruzione

Foro di Cesare e il Theatrum Pompei verte sul legame che entrambi stabiliscono tra i portici della piazza con l’edificio di culto e con l’esedra/Curia, non può sfuggire il fatto che nel complesso cesariano il tempio sia stato votato a Venere Genitrice solo in corso d’opera (48 a.C.)907 e la costruzione della Curia Iulia sia stata decisa solo dopo l’inaugurazione del 46 a.C. se non addirittura dopo.908

il complesso cesariano.912 Con ciò non si esclude affatto che un edificio di culto fosse già previsto dal 54 a.C. nello stesso luogo e sempre dedicato a Venere (non ancora “Genitrice”) ma il complesso monumentale sarebbe apparso alquanto diverso, nella conformazione architettonica e nelle finalità ideologiche, rispetto a quello modificato a partire dal 48 a.C. e inaugurato nel 46 a.C. Vedremo nell’ultimo capitolo come queste diverse fasi progettuali prima della realizzazione definitiva del complesso riflettano precise ragioni storiche che hanno determinato di volta in volta le scelte di Cesare.

Proprio la recenziorità della dedica alla divinità tutelare di Cesare unita allo scarto, seppur leggero, rilevato nell’allineamento dell’edificio di culto rispetto ai portici dei lati lunghi, fa sorgere il sospetto che inizialmente nei propositi di Cesare vi fosse l’idea di realizzare un tempio in parte diverso, sia nell’aspetto costruttivo sia, soprattutto, nell’intitolazione alla divinità, da quello che realizzerà a partire dal 48 a.C.909 Allo stesso modo, come si è visto più sopra, anche per la statua equestre di Cesare dobbiamo pensare che inizialmente non fosse prevista e che venne inserita solo nel corso del 46 a.C. Ad una analoga constatazione conducono i dati sulla Curia Iulia. Il tortuoso iter che ha condotto alla costruzione della nuova sede del Senato, come si vedrà più avanti,910 è passata attraverso alcune tappe cruciali che incrociano la nota vicenda del Templum Felicitatis, divinità che ancora una volta, come nel caso di Venere, richiama l’analogia con uno dei culti presenti nel complesso pompeiano. Pur considerando la Curia come una componente fondamentale del foro probabilmente già dal 46 a.C., va tenuto presente che una serie di circostanze ne ha reso difficoltosa la costruzione, dilatandone i tempi di realizzazione fin oltre la morte del dittatore. Sappiamo, infatti, che la Curia Iulia verrà inclusa nel Foro di Cesare soltanto grazie all’intervento di Ottaviano, che tra il 42 e il 29 a.C. ampliò di 20 m la lunghezza della piazza fino a lambire il percorso dell’Argileto.

In conclusione possiamo affermare che il Foro di Cesare inaugurato nel 46 a.C. sembra essere stato concepito come uno spazio pubblico-religioso organizzato secondo il modello ellenistico della piazza porticata comprensiva di un edificio di culto dinastico, ormai acquisito in ambito italico grazie all’esperienza dei santuari monumentali. E’ un téménos rigidamente chiuso in se stesso,913 centripeto, calato prepotentemente nel cuore della città, così come lo fu il complesso pompeiano, con la differenza sostanziale che questa volta i confini del pomerio sono stati irrimediabilmente varcati. 3.5 Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.) 3.5.1. Descrizione delle attività (A. Delfino) All’indomani della morte di Cesare è attivo, poiché forse già nelle intenzioni del dittatore, il cantiere per prolungare il foro e per costruire una nuova sede del Senato (fig. III.144). In un primo momento si provvede alla demolizione integrale del lato corto sud-orientale del complesso e di tutte le strutture esterne ad esso (Fase A). Tale spazio sarà occupato dalla nuova porzione della piazza, realizzata con la stessa tecnica costruttiva impiegata nella fase cesariana. Prima di porre in opera la pavimentazione, è riempita definitivamente la cisterna a tholos (settore F).

Questa serie di evidenze permette di ottenere un’idea ancora più articolata dell’iter costruttivo del Foro di Cesare consentendo di comprendere che le strette somiglianze a buona ragione suggerite con il complesso pompeiano911 furono ottenute solo gradualmente, con un lento susseguirsi di tentativi e modifiche in corso d’opera. È così possibile intravedere un primo progetto costruttivo addirittura antecedente a quello da noi individuato di una piazza più corta di 20 m rispetto a quello oggi visibile, inaugurato nel 46 a.C. privo ancora della Curia Iulia ma già provvisto del Tempio di Venere Genitrice. Infatti, prima di questa fase, già di per sé inedita, doveva esistere un monumentum, così come citato, forse non a caso, da Cicerone nella lettera ad Attico del 54 a.C., che era privo sia della nuova sede del Senato sia del tempio dedicato alla divina progenitrice dei Iuli e cioè dei due elementi (politico e religioso) che connotano così fortemente in senso dinastico e autocratico

Dopo la demolizione del primo lato corto sud-orientale, quindi, si procede al prolungamento dei lati lunghi nordorientale e sud-occidentale del foro (Fase B). Nello stesso tempo vengono realizzate nuove infrastrutture di servizio, tra le quali un grande collettore fognario che attraversa trasversalmente la piazza nella porzione sudorientale (settore B). Contemporaneamente al prolungamento della piazza, vengono ultimate le tabernae. Nella taberna XI, si costruisce il muro di fondo dell’ambiente, che mette fuori uso i due condotti di deflusso qui presenti (settore D). Infine (Fase C) si procede al restauro della pavimentazione della

App., Bell. Civ. II 68, 281. Vedi il capitolo I e il capitolo V. 909 Sull’ipotesi che il Tempio di Venere Genitrice non fosse inizialmente previsto nel complesso cesariano o che fosse stato inserito in un secondo tempo vedi Thomsen 1941, p. 214; Von Blanckenhagen 1954, p. 21; Gros 1967, p. 519; Leon 1971, p. 29 e ss; Martin 1972, p. 919; Viscogliosi 2000, pp. 22-23. 910 Vedi il punto V.3., infra. 911 Gros 1996, p. 100. 907 908

912 Un’ipotesi analoga è stata avanzata da Anderson, secondo il quale Cesare inizialmente (54 a.C.) prevedeva solo di allargare la piazza del Foro Romano verso nord-ovest. Anderson 1984, p. 39 e ss. 913 Gros 1996, p. 100.

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III.144. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Pianta composita (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

Forum Iulium

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Lo scavo e la ricostruzione

taberna XI, durante il quale si accumulano una serie di depositi di discarica all’interno dei condotti non più in funzione. Fase A. La costruzione In questa fase viene demolito l’intero lato breve sudorientale del primo foro rasandolo alla quota di 14 m s.l.m. (vedi fig. III.19a e III.27a).914 L’operazione interessa anche il sistema di fondazioni esterne al muro di fondo915 e la cisterna a tholos916 di cui viene demolita la copertura rasandola a livello della piazza (fig. III.145).917 Alla demolizione segue la stesura di un deposito macerioso a matrice sabbiosa misto a schegge di travertino, scapoli di tufo e frammenti di calcestruzzo,918 funzionale alla creazione del piano di cantiere.

III.145. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase A. La costruzione. Veduta del crollo della pseudo cupola della cisterna.

Analogamente a quanto accaduto durante le operazioni di costruzione della fase cesariana, in questa occasione vengono impiantati sulla superficie dell’area, opportunamente livellata, una serie di macchine elevatorie per le operazioni di smontaggio e posizionamento degli elementi costruttivi. Le impronte lasciate da tali macchinari sono costituite da fosse sub-circolari che misurano in media 55 cm di diametro e sono profonde circa 40 cm.919 Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati Dopo le operazioni di rasatura e livellamento dell’area si procede al prolungamento verso sud-est dei portici dei lati lunghi nord-orientale e sud-occidentale.920 Nel caso del muro di fondo del lato lungo nord-orientale viene scavata, a partire dalla quota di 14.60 m circa s.l.m., una trincea di fondazione larga 2,12 m. All’interno della trincea, con una tecnica del tutto simile a quella impiegata per il muro di schermatura delle tabernae, viene gettata una fondazione in conglomerato cementizio; sulla superficie di questa vengono poi posizionati blocchi quadrangolari di travertino di 0,56 x 0,56 m. Una volta realizzata la fondazione, si costruisce l’alzato, costituito da filari sovrapposti di blocchi parallelepipedi di tufo lionato di

III.146. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Dettaglio di un tratto del muro perimetrale nord-orientale del foro, rinvenuto in una cantina del quartiere Alessandrino.

Gruppo di Attività 1; Att. 74; US 816. Att. 71. 916 Att. 38. 917 Att. 74; US 2135. 918 Att. 75; UUSS 2179, 2146. 919 Att. 76; UUSS 2125, 2143, 2149, 2169, 2172, 2205, 2206; UUSS 742, 753, 785, 788, 789, 790, 791, 793, 794, 796, 810, 811. Tutte le fossette sono riempite dallo stesso deposito di sabbia gialla usato nel massetto pavimentale della piazza. 920 Gruppo di Attività 2; Att. 77; UUSS 1811; 2211; 2212; 2213. A questa fase è da attribuirsi anche la costruzione del nuovo lato corto-sud-orientale del foro già indagato nella campagna di scavo 1998-2000 e per tale motivo non inserito nella trattazione delle attività. Relativamente al nuovo lato corto sud-orientale è da considerare anche la costruzione del condotto di deflusso (US 4357) che corre sotto il primo gradino del portico, anch’esso già individuato e in parte indagato nella medesima campagna di scavo. Tale condotto, largo 0,60 m e alto 1 m, presenta le spallette in opus reticulatum con tessere di 7 x 7 cm circa; la sua copertura è costituita da embrici di colore rosato (lungh.: 0,56; altezza: 2,5; larghezza non accertabile), disposti alla cappuccina. 914 915

1,18 x 0,60 x 0,55 m (fig. III.146).921 Lo spessore del muro è di 1,18 m. Per quanto riguarda i colonnati mediani e interni alla piazza, una volta gettate le fondazioni si procede all’alloggiamento delle nuove sottobasi in travertino del tutto analoghe a quelle impiegate nella fase cesariana. Nel caso del colonnato sud-occidentale interno alla piazza, il raccordo con l’impianto precedente avviene collocando una sottobase922 in prosecuzione di quella angolare relativa al Entrambe le facce vista del muro presentano risarciture in laterizio (modulo 5 x 5: 20 cm), attribuibili alla fase tardo-antica. 922 US 1811. 921

185

Forum Iulium

III.147. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Portico sud-occidentale. Dettaglio delle sottobasi relative al colonnato interno alla piazza. La freccia nera indica la sottobase aggiunta da Ottaviano al momento del prolungamento del foro verso sud-est (Archivio Ufficio Fori Imperiali/scavi 1998-2000).

primo foro,923 rispettando l’intercolumnio originario (fig. III.147). Nell’area prima corrispondente al tratto centrale del portico sud-orientale del primo foro, viene costruita una fondazione cementizia di forma rettangolare,924 orientata in senso nord-est/sud-ovest, perfettamente perpendicolare all’asse longitudinale della piazza; tale struttura presenta sul lato lungo sud-orientale un avancorpo quadrangolare (fig. III.148).925 La fondazione, realizzata in cavo libero, impiega un legante costituito da malta pozzolanica di colore rosato, mista a caementa di tufo giallo e tufo lionato. Dopo la costruzione della fondazione viene realizzato un condotto fognario con orientamento nord-est/sud-ovest (fig. III.149, a).926 Il suo tracciato presenta un andamento spezzato che piega ad angolo ottuso in prossimità della fondazione rettangolare appena costruita. La galleria

III.148. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Settore sud-orientale della piazza. Veduta da nord-est della fondazione cementizia.

US 1810. Att. 78; US 703. 925 La fondazione (US 703) è stata intercettata sul lato sud-ovest dalle infrastrutture sottostanti via Bonella. Le sue misure complessive sono: lungh.: 4,30 m; largh.: 4,15 m; altezza accertata: 1 m. L’aggetto quadrangolare misura: 2 x 2,20 m. 926 Att. 79; US 217. 923 924

186

Lo scavo e la ricostruzione

variabile tra i 12 e i 20 cm).930 La pavimentazione in questo settore è a quota 14.40 m circa s.l.m. Dopo la costruzione dei colonnati del lato lungo nordorientale e sud-occidentale, vengono stesi i depositi di preparazione pavimentale.931 Nel caso del portico sudoccidentale, tali depositi sono costituiti da strati di sabbia e tritume di travertino, stesi direttamente sulla superficie della fondazione e contro i lati delle sottobasi in travertino. Sulla superficie di questi depositi, quindi, vengono alloggiate le lastre pavimentali in marmo lunense. La quota del porticato rimane invariata (14.95 m circa s.l.m.).932 Contemporaneamente riprendono i lavori di completamento delle tabernae.933 Nel caso della taberna XI, viene costruito il muro di fondo dell’ambiente, realizzato scavando una trincea di fondazione che taglia il condotto ubicato lungo il lato occidentale del vano (fig. III.150).934 La fondazione935 è costituita da una malta cementizia, gettata in cavo libero. Successivamente viene costruito l’elevato.936 Il muro di fondo, dello spessore di 0,35-0,40 m, è costruito in appoggio ai muri perimetrali orientale e occidentale della taberna, foderando il taglio effettuato nel fianco collinare (fig. III.151); il paramento è in opera reticolata ben ordinata con tessere tagliate finemente (fig. III.152).937

III.149. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. a. dettaglio dell'interno del condotto fognario; b. sezione stratigrafica (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

misura 1,20 x 0,60 m ed è provvista di una copertura in conglomerato cementizio a volta ribassata; il piano di scorrimento, privo di rivestimento, presenta un profilo leggermente concavo (fig. III.149, b). In alcuni tratti, le spallette sono realizzate in opera reticolata con tessere di tufo lionato litoide di 6-7x 6-7 cm di lato.927

Subito dopo la costruzione del muro di fondo, viene realizzata la pavimentazione dell’ambiente stendendo un massetto di sabbia mista a tritume di travertino, spesso circa 0,20 m e ben compattato, sulla cui superficie sono alloggiate le lastre pavimentali in marmo lunense. Il piano pavimentale si attesta ad una quota di 15.30 m circa s.l.m.

Dopo la rasatura della sommità della cisterna a tholos, questa viene riempita definitivamente (vedi fig. III.89). Una serie di strati a matrice argillosa e argillo-sabbiosa misti ad un’alta percentuale di materiale ceramico, fra cui anche anfore intere, vengono deposti all’interno della struttura fino a colmarla del tutto.928

Da ultimo, si realizzano la copertura dell’ambiente e il soppalco (vedi fig. III.98).938 La copertura è costituita da una volta a botte, realizzata gettando il cementizio direttamente sulla cornice di imposta dei muri perimetrali orientale e occidentale dell’ambiente. La taberna così ultimata misura complessivamente 6,10 x 5,10 m.

Dopo aver livellato il settore sud-orientale della piazza a 14 m s.l.m., si procede alla stesura del massetto pavimentale, funzionale all’alloggiamento delle lastre pavimentali.929 Tale preparazione presenta le stesse caratteristiche di quella impiegata nella fase cesariana. Allo stesso modo, anche la pavimentazione è costituita da lastre di travertino del tutto analoghe a quelle impiegate nella fase precedente (largh. 0,85 m; lunghezza max. conserv.: 1,03 m; spessore:

Att. 81; UUSS 1915, 1916, 1917, 1918, 1919, 1920, 1927, 1928. Att. 82; UUSS 1829 e 1830. 932 A questo riguardo può essere interessante il confronto con la diversa modalità costruttiva adottata nei portici del Foro di Augusto. In questo caso, infatti, le basi delle colonne poggiano, senza impiego di sottobasi, direttamente sui blocchi di travertino, che in rapporto di uno a cinque con analoghi blocchi di tufo, costituiscono l’ossatura della gradinata. Le lastre pavimentali, invece, sono alloggiate su un sottile strato di malta steso sia sulla superficie dei blocchi menzionati sia sulla superficie della fondazione cementizia. Vedi Felici 2010, pp. 39-43; Bianchi, Bruno 2010, pp. 87-91. Sembra evidente, quindi, che diversamente dalla tecnica impiegata nel proprio foro, Ottaviano nel caso del Foro di Cesare abbia mantenuto la stessa tecnica usata nella fase cesariana. 933 Att. 83; UUSS 1187 e 1177. 934 US 1212. 935 US 1187. 936 US 1177. 937 Tessere in tufo lionato litoide di 6-7 x 6-7 cm di lato. Spessore minimo dei giunti: 1 cm; spessore massimo; 1,5 cm. 938 Le tracce del soppalco ligneo sono visibili sui muri orientale e occidentale dell’ambiente dove a 2,20 m dal piano di spiccato, è ben evidente una fila di incassi quadrangolari (da 15 x 15 a 20 x 20 cm circa) funzionali all’alloggiamento delle travi. 930 931

Il paramento è costituito da tessere molto regolari con un ordito ben composto. Spessore minimo dei giunti: 1 cm; spessore massimo: 1,5 cm. La galleria si presentava parzialmente riempita da un deposito di argilla sterile accumulatosi per lenta decantazione di acqua presente al suo interno. Nel tratto sud-ovest della galleria, in corrispondenza di un foro artificiale praticato sull’estradosso della copertura, è stata individuata una concentrazione di materiale ceramico tra cui una brocca in vetrina pesante databile al X secolo. Il rinvenimento di un vaso intero in corrispondenza di uno dei tanti fori riconosciuti sulla copertura del condotto, ha permesso di identificare questi ultimi come pozzetti per la captazione dell’acqua. In prossimità delle sostruzioni dell’Accademia di S. Luca, il condotto è stato intercettato dalle fondazioni dell’edificio. In prossimità di via dei Fori Imperiali, lo stesso condotto è stato tagliato dalle fondazioni delle cantine del quartiere Alessandrino. 928 Att. 80; UUSS 2109, 1974, 1967, 1966, 1961, 1944. Vedi il punto III.3.5.2., infra. 929 Att. 81; UUSS 202, 230, 705; UUSS 1912=1913, 1902=1937, 1959. In questa attività è da collocare anche il riempimento, tramite gli stessi depositi di preparazione, del condotto US 1962 ricavato nella fondazione US 1914=2195 (Att. 71). Lo stesso condotto, inoltre, viene tagliato dalla fondazione del nuovo lato corto sud-orientale del foro. 927

187

Forum Iulium

III.150. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Taberna XI. Pianta composita (rilievo P. Specchio; elaborazione grafica V. Di Cola).

III.151. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Taberna XI. Dettaglio del muro di fondo del vano in appoggio al banco naturale e alla parete occidentale della taberna X.

III.152. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Fase B. La costruzione delle infrastrutture e degli elevati. Taberna XI. Dettaglio del paramento in opera reticolata del muro di fondo.

188

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 18. Tabella riassuntiva dei frammenti ceramici datanti del Periodo 5 Periodo 5B (prima età augustea)

Riempimento della cisterna

US

Attività

1944

80: riempimento della cisterna

1961

80: riempimento della cisterna

1966

80: riempimento della cisterna

1967

80: riempimento della cisterna

1974

80: riempimento della cisterna

1976

80: riempimento della cisterna

1977

80: riempimento della cisterna

1978

80: riempimento della cisterna

1980

80: riempimento della cisterna

1982

80: riempimento della cisterna

2109

80: riempimento della cisterna

Periodo 5C (fine I se. a.C.-inizi I sec. d.C.)

Dismissione delle canalizzazioni della taberna XI

1233 1236

1229=1243=1252

84: Accumulo di strati di discarica all’interno delle canalizzazioni della taberna XI 84: Accumulo di strati di discarica all’interno delle canalizzazioni della taberna XI 84: Accumulo di strati di discarica all’interno delle canalizzazioni della taberna XI

Reperti datanti Anfore: Dressel 1 (145/135-10 a.C.), Lamboglia 2/ Dressel 6 (150/100 a.C.-100 d.C.) Anfore: Dressel 2-4 (70/60 a.C.-100 d.C.), Haltern 70 (50 a.C. – 50 d.C. fig. III.162, 37), Dressel 7-13 (27 a.C.-50 d.C.) Anfore: Lamboglia 2/ Dressel 6 (150/100 a.C.-100 d.C.), Camolodunum 184 (27 a.C.-200 d.C.; ) Anfore: Dressel 2-4 (70/60 a.C.-100 d.C.), Dressel 7-13 (27 a.C.- 50 d.C. fig. III.162, 35). Lucerna: Dressel 3 (100/80-10 a.C.). Anfore: Dressel 2-4 (70/60 a.C.-100 d.C.), Dressel 21-22 (27 a.C. -100 d.C. fig. III.162, 33), Camolodunum 184 (27 a.C.-200 d.C.; fig. III.162, 46) Anfora: ovoide di Brindisi (150-50 a.C.) Anfora: Van der Werff 2 (150 a.C.-100 d.C. fig. III.162, 40) Anfora: Gallica 7? (27 a.C.-14 d.C. fig. III.162, 34) Anfora: anfora egeo-microasiatica non id Anfora: anfora neo punica non id (200 a.C.-100 d.C.) Sigillata italica: coppa Conspectus 8.1.1 (27-14 a.C.; fig. III.155, 5). Anfore: Dressel 2-4 (70/60-100), Camolodunum 184 (27 a.C.-200 d.C.; fig. III.162, 45).

Datazione 100-1 a.C. 27 a.C.-50 d.C. 27 a.C.-50 d.C. 27-1 a.C.

27-1 a.C. 150-50 a.C. 150 a.C.-100 d.C 27 a.C.-14 d.C Non databile 200 a.C.-100 d.C. 27-1 a.C.

C. a pareti sottili: boccalino Ricci I/109 (27 a.C.-50 d.C.). Lucerne: variante Dressel 3 (50-1 a.C.).

27 a.C. – 50 d.C.

Sigillata italica: coppa Conspectus 7.2.1 (14 a.C.-14 d.C.).

14 a.C. – 14 d.C.

Sigillata italica: piatto Conspectus 4.3.1 (14 a.C.-14 d.C.), coppa Conspectus 13.2 (14-1 a.C.) coppa Conspectus 13.3.1 (14-1 a.C.). C. a pareti sottili: bicchiere Ricci I/161 (27 a.C.-14 d.C.), bicchiere Ricci I/378 (27 a.C.-14 d.C.).

14 a.C. – 14 d.C.

pertinente a vasellame ceramico e il 18% (= 301 frr.) ad altre categorie di oggetti. I contesti esaminati risultano particolarmente interessanti poiché sono entrambi contesti chiusi, con pochissimi materiali residui. Sebbene non siano particolarmente ricchi di materiale, possono dare un contributo alla conoscenza della cultura materiale di un periodo ancora poco noto a Roma.

Fase C. Dismissione delle canalizzazioni della taberna XI; fine I sec. a.C. - inizio I sec. d.C. (vedi fig. III.100) In seguito alla rimozione di alcune lastre della pavimentazione della taberna XI, forse a causa di un loro restauro, si accumulano sul piano di scorrimento delle canalizzazioni ormai fuori uso, una serie di strati di rifiuti.939

Periodo 5. Fase B. Riempimento della cisterna (prima età augustea)

3.5.2. I reperti ceramici (S. Zampini) I materiali del periodo 5 ammontano nel complesso a 1650 frammenti di cui l’82% circa (= 1349 frr.)

Questi materiali sono stati rinvenuti all’interno della cisterna individuata, nel luglio del 2008, nel Foro di Cesare. Si tratta di una cisterna940 con copertura a falsa cupola e con pianta circolare, costruita intorno alla metà del IV sec.

Att. 84; UUSS 1232=1233; 1243=1252; 1236=1237. Nel punto in cui il condotto occidentale (US 1212) è stato tagliato dal muro di fondo della taberna si è potuto verificare che uno dei depositi (US 1243=1252) si appoggiava alla fondazione di quest’ultimo. La datazione del materiale ceramico rinvenuto negli strati è compresa tra il 14 a.C. e il 14 d.C. (vedi il punto III.3.5.2., infra). 939

Per i dettagli dello scavo si rimanda ai punti III.3.2.1. e III.3.5.1., supra. 940

189

Forum Iulium

III.153. Le classi ceramiche all’interno della cisterna.

III.154. Le classi fini.

a.C. Questa struttura è stata tagliata e poi riempita fino ad esser colmata di inerti e materiale ceramico, nel corso del I sec. a.C.941

esaminato.944 Seguono le anfore con il 36% circa, mentre le classi fini raggiungono solo il 4% del totale. Si registra, infine, la presenza di un piccolo nucleo di materiali (poco più del 5%) riconducibili a classi sicuramente residue in questi contesti.

Lo scavo della cisterna, come si vede dalla sezione (vedi fig. III.89), è stato condotto fino a raggiungere il fondo dell’ambiente, ma non è stato possibile svuotarla completamente a causa dell’acqua di falda che risale ancora dal sottosuolo.

Le classi ceramiche residue I frammenti appartenenti a classi ceramiche sicuramente residue sono poco numerosi e costituiti soprattutto da pareti. Tra i pochi frammenti identificabili si sottolinea la presenza di una coppa di bucchero con labbro ingrossato e distinto, piatto nella parte superiore e con vasca emisferica;945 un frammento di orlo di un piattello di Genucilia e l’orlo di un bacino di ceramica d’impasto sabbioso946 con tracce di decorazione dipinta in rosso – marrone nella parte interna dell’orlo. Tali residui in base alla cronologia sembrano essere pertinenti alla fase di ripristino dell’area successiva all’incendio che ha distrutto il clivus e le domus aristocratiche che su di esso affacciavano.947

Il riempimento è avvenuto presumibilmente in due momenti diversi. Un primo deposito942 è stato trovato a contatto con il pavimento della cisterna e su questo si era poggiata, crollando, la copertura della cisterna stessa (vedi fig. III.145). Lo spazio rimasto è stato riempito in un secondo momento con altri materiali943 fino a colmare l’ambiente; l’intera cisterna, quindi, è stata definitivamente obliterata dalla pavimentazione del Foro che sappiamo inaugurato da Ottaviano nel 29 a.C., circostanza che fornisce un sicuro termine ante quem per datare con precisione il momento in cui il deposito è stato sigillato all’interno della cisterna.

Le classi fini

Gli strati di riempimento hanno restituito poco più di 1.500 frammenti ceramici: 272 di questi provengono dal deposito basso, a contatto con il fondo, gli altri 1.276 sono stati recuperati, invece, al di sopra del crollo della copertura. Parecchi dei vasi recuperati, soprattutto nella parte alta del riempimento, sono integri o ricostruibili quasi totalmente; sono state ritrovate, infatti, alcune anfore intere o buttate dopo essere state private delle anse e dell’orlo; sono integri o comunque ben conservati una lucerna e diversi vasi di ceramiche comuni.

Ceramica a vernice nera (Tab. 19) La ceramica a vernice nera costituisce poco più della metà delle classi fini attestate (fig. III.154); all’interno della cisterna sono stati, infatti, recuperati 34 frammenti, 12 dei quali identificati. All’Atelier des petites estampilles sono riconducibili due frammenti di coppe emisferiche con orlo leggermente rientrante, serie Morel 2783/2784. Alla medesima produzione sono stati attribuiti inoltre due fondi di coppe di

La classe ceramica più numerosa all’interno della cisterna (fig. III.153) è costituita dalle ceramiche comuni che rappresentano poco più della metà del materiale

944 Queste percentuali sono state calcolate sul totale dei frammenti conservati. Meno di un quinto del materiale proviene dal deposito più antico ed è così ripartito: 0,2% di materiali residui, 1,2% di classi fini, 12,3% di ceramiche comuni, 3,8% di anfore. 945 Vedi Rossi, Valerio 2001, scodella tipo 5, tav. 84, 396, p. 266, databile tra la metà del VI e il V a.C. 946 Threipland, Torelli 1970, fig. 17, D 4, p. 102. La decorazione conservata è costituita da X separate da punti. 947 Vedi il punto III.2.

Sulla possibilità che la defunzionalizzazione della cisterna sia stata accompagnata da un rito piaculatorio si veda: Delfino 2010a. 942 UUSS 2175 e 2176. 943 UUSS 1944, 1961, 1966, 1967, 1974, 1976, 1977, 1978, 1979, 1980, 1982, 1983, 2109. 941

190

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 19. La ceramica a vernice nera della cisterna. CERAMICA A VERNICE NERA US

Forma

Tipo

coppa

Morel 2783/4 non identificato non identificato Morel 1642 Morel 2255b Morel 2255 Morel 2265f Morel 2257a Morel 2286 f Morel 7551/7553 non identificato non identificato non identificato non identificato

coppa coppa patera patera patera patera patera patera pisside coppa forma aperta forma aperta non identificata

Decorazione

Cronologia

Figura

1944

1961

1967

1974

2109

2176

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

305-265 a.C. Rotella e palmette Rotella e rosetta

2

305-265 a.C.

1

305-265 a.C.

1 III.155, 3

200-50 a.C.

Frr. 2

1

250-190 a.C. 220-150 a.C. 200-100 a.C. 150-125 a.C. 150-100 a.C. 110-70 a.C.

TOT

1

III.155, 4

1 1 1 1 1 1

1 1 1 1 1 1

III.155, 1

2

2

1

1

III.155, 2

Rotella

1 1

1 4

Totale

1

tipo non identificato, decorati rispettivamente con palmette radiali in rilievo948 e fascia di striature a rotella l’uno, con una rosetta ad otto petali in rilievo,949 circondata da una fascia di striature a rotella, l’altro.950

1

4

1

1

3

1

7

5

17

3

10

15

34

Ceramica a pareti sottili (Tab. 20) Il 30% circa delle classi fini è costituito dalla ceramica a pareti sottili, ma l’estrema frammentarietà del materiale e la totale mancanza di orli ne ha reso difficile l’identificazione.

Questi frammenti provengono tutti dalla parte superiore del riempimento, quella sopra il crollo della volta, mentre la maggior parte del materiale proviene dal deposito più basso, quello a contatto con il pavimento della cisterna (US 2176) ed è attribuibile soprattutto alla produzione Campana B o a produzioni coeve di area romana. Sono presenti due frammenti di pissidi con pareti concave e orlo leggermente estroflesso serie Morel 7551/7553 (fig. III.155, 1) e diverse patere, quasi tutte attestate con un unico esemplare, poco profonde e con parete leggermente arrotondata all’esterno, riconducibili alle serie Morel 2255 (fig. III.155, 2), 2257 e 2265, o con parete svasata, come la patera serie Morel 1642 (fig. III.155, 3).

Pochissimi anche i frammenti decorati: la sola decorazione presente è quella à la barbotine con piccole scaglie di pigna951 attestata su una parete con rivestimento di colore grigio scuro/nero, pertinente ad una forma chiusa di tipo non identificato. Lucerne (Tab. 21) Le lucerne non sono molte, soltanto 8 frammenti; nella parte inferiore del riempimento (US 2176), si conserva il becco ad incudine di una lucerna a corpo aperto con tubo centrale verticale, è tornita e caratterizzata da un’argilla nocciola chiaro con un rivestimento di colore rosso che ricopre l’esterno e la parte superiore della vasca all’interno; è databile tra la metà del II e il I sec. a.C.952

Solo un orlo infine è stato attribuito alla produzione della ceramica aretina a vernice nera: è una patera poco profonda con parete diritta, serie Morel 2286 (fig. III.155, 4).

Nei depositi di riempimento individuati al di sopra del crollo della volta (US 1974), c’è invece una lucerna tipo Dressel 3 (fig. III.156) con un’argilla molto depurata di

Simile a Bernardini 1986, tav. LVIII, n. 101, p. 201. 949 Per uno stampiglio simile dell’Atelier des petites estampilles vedi Bernardini 1986, tav. LVI, n. 40, p. 199. 950 Per l’appartenenza di questa decorazione alla fase più tarda della produzione dell’Aterlier des petites estampilles vedi Brecciaroli Taborelli 2005, p. 67. 948

951 952

191

Vedi Ricci decorazione 84, tav. CVII, 8. Ricci 1973, lucerna tipo F, pp. 219-222.

Forum Iulium

Tabella 20. La ceramica a pareti sottili della cisterna. CERAMICA A PARETI SOTTILI US

Forma

Tipo

Decorazione

Rivestimento

F. chiusa

non identificato

Ricci 1985, 84

grigio scuro/ nero

F. chiusa non identificata

non identificato non identificato

TOT

1961

1966

1967

2109

2176

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

1

1

10

1 1

2 14

10

3

17

1

Totale

2

1

3

1

1

Tabella 21. Le lucerne della cisterna. LUCERNE US

Tipo

Rivestimento

Dressel 3

rosso

Lucerna a vasca aperta

rosso

non identificato

rosso

Cronologia

Figura

110/80-10 a.C. 150-1 a.C.

1961

1974

2109

2176

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

III.156

TOT Frr.

1

1 1

1

1

non identificato

5

Totale

5

1 5

1

1

1

8

Tabella 22. La sigillata italica della cisterna. SIGILLATA ITALICA

Forma

Tipo

Cronologia

Figura

coppa

Conspectus 8.1.1

prima età augustea

III.155, 5

non identificata

non identificato

Totale

colore nocciola chiaro, rivestita da una vernice rossa che è scomparsa in più punti. La lucerna è lacunosa nel becco, ma per il resto ben conservata:953 ha un’ansa ad anello con costolature verticali, prese laterali ad aletta ornate da foglie e disco leggermente incavato e decorato da nervature concentriche. Il fondo, circolare e rialzato su un piccolo piede, ha cinque cerchietti impressi disposti a croce.954 È databile tra il 100/80 ed il 10 a.C.955

2109

TOT

Frr.

Frr.

1

1

1

1

2

2

Sigillata italica (Tab. 22) I frammenti di sigillata italica sono soltanto 2 e sono stati rinvenuti entrambi nella parte superiore del riempimento (US 2109). Si tratta di una parete non identificabile e di un orlo pertinente ad una coppa con parete svasata e orlo distinto leggermente pendente, assimilabile al tipo Conspectus 8.1.1 (fig. III.155, 5), databile nella prima età augustea.956

Gli altri frammenti di lucerne, a causa del cattivo stato di conservazione, non sono purtroppo identificabili.

Le ceramiche comuni957 Sono 835 i frammenti di ceramiche comuni rinvenuti nella

La lucerna ha una lunghezza massima conservata di 12 cm, è alta 4 cm, il diametro del fondo è di 3,5 cm. 954 Vedi Ricci 1973, n. 5, p. 229. 955 Ricci 1973, pp. 193-197. 953

Vedi Conspectus p. 66. Per l’uso della definizione al plurale si veda: Olcese 1993, pp. 44-45 e Panella 1996, pp. 9-10.

956 957

192

Lo scavo e la ricostruzione

III.155. Periodo 3. Fase C. Le ceramiche fini: 1-4 ceramica a vernice nera, 5 sigillata italica. (disegno A. Delfino, V. Di Cola).

III.157. Le percentuali di attestazione delle ceramiche comuni nella cisterna.

III.156. Periodo 5. Fase B. Lucerna tipo Dressel 3 dall’US 1974.

193

Forum Iulium

cisterna (fig. III.157), la maggior parte di questi è costituito dalla ceramica da mensa e dispensa, un terzo circa del materiale è invece rappresentato dalla ceramica da cucina cui bisogna aggiungere una piccolissima percentuale di ceramica a vernice rossa interna.

dente all’interno965 (fig. III.159, 12). Per quanto riguarda le bottiglie, una (fig. III.159, 13) ha l’orlo estroflesso con versatoio e il collo con un rigonfiamento angolato sotto cui s’imposta l’ansa a nastro,966 conserva tracce di rivestimento rosso; l’altra (fig. III.159, 14) ha un piccolo orlo a fascia leggermente estroflessa ed è biansata.967 Poche le coppe presenti, con vasca poco profonda e l’orlo a mandorla968 (fig. III.159, 15), o con pareti arrotondate ed orlo indistinto.969 Pochissimi anche i coperchi, uno ha una presa troncoconica, parete quasi orizzontale ed orlo leggermente rialzato,970 l’altro, probabilmente un tappo d’anfora, è quasi piatto con pareti ingrossate ed orlo arrotondato971 (fig. III.159, 16). L’unico unguentario identificato ha corpo fusiforme, collo troncoconico, orlo a fascetta arrotondata972 e presenta un rivestimento di colore rosso-marrone sull’orlo e sul collo. L’esame macroscopico delle argille permette di ipotizzare per tutti i contenitori presi in considerazione una probabile produzione locale; da questi si distingue un piccolo gruppo, di almeno 3 olle diverse (fig. III.159, 17-19) rinvenute nel riempimento sopra al crollo della copertura. Hanno il fondo piatto, anse a nastro ed orlo estroflesso e sagomato con incavo per il coperchio;973 sono caratterizzate da una scialbatura bianca sulla superficie esterna e da un impasto di colore rosso scuro-violaceo, ricchissimo di inclusi neri, riconducibile ad una probabile produzione vesuviana, l’argilla infatti è del tutto simile a quella che si riscontra nella anfore Dressel 2-4 che provengono da Pompei.974 Ceramica comune da cucina

Dal deposito a contatto con il pavimento958 della cisterna provengono soprattutto brocche di ceramica comune da mensa e dispensa e coperchi di ceramica da cucina, quello superiore è invece più ricco di materiali ed ha restituito un maggior numero di forme e di tipi identificabili. Ceramica comune da mensa e dispensa Tra i contenitori di ceramica comune da mensa e dispensa, prevalgono le forme chiuse; i vasi destinati al contenimento dei liquidi sono infatti quasi l’80% di quelli conservati. La forma di gran lunga più frequente è quella delle brocche e la maggior parte di quelle trovate nella cisterna ha delle caratteristiche tecniche comuni: quasi tutte hanno un impasto non molto depurato,959 di colore variabile dal beige al rosa, corpo ovoide, fondo piatto, piccolo orlo estroflesso e sagomato e l’ansa a nastro oppure ovale che si imposta sull’orlo. Nella cisterna, le più numerose sono quelle con orlo arrotondato e leggermente pendente (fig. III.158, 6), o segnato da una piccola modanatura (fig. III.158, 7-8) oppure, ed è la più attestata, con una piccola fascia con il margine inferiore arrotondato (fig. III.158, 9-10). È un tipo noto di brocca che trova confronto tra i materiali della fornace tardo-repubblicana di Sutri, pubblicati dal Duncan nel 1965960 e in diversi contesti urbani e suburbani editi di recente;961 alcune di quelle rinvenute nella cisterna sono interamente ricostruibili.962 L’altro tipo di brocca attestata, testimoniata da un unico esemplare, ha invece un piccolo orlo estroflesso ed ansa a nastro.963 Due le anforette presenti: una ha un piccolo orlo a fascia modanata e anse a nastro964 (fig. III.158, 11), l’altra è caratterizzata da un orlo ad imbuto segnato da un piccolo

Tra la ceramica comune da cucina le olle sono la forma maggiormente attestata; il tipo più ricorrente (fig. III.160, 20) è quello con orlo a mandorla e corpo ovoide,975 piuttosto frequente in contesti databili tra la media e tarda età repubblicana e la metà del I sec. d.C., in tutta l’Italia centrale. Un altro tipo di olla, attestata due volte, è quella Ostia II, 403 e Olcese 2003, brocca tipo 4, p. 94. Per la presenza di questo tipo di anforetta in contesti di età augustea si veda: Quercia 2008, anfora tipo 2, p. 211. 966 Una bottiglia simile proviene da un riempimento ostiense databile in età claudia e ricco di materiali residui: Carta, Pohl, Zevi 1978, fig. 91, 214; questo tipo è attestato anche a Sutri: Duncan 1964, fig. 14, form 37, 158. Per dei confronti in ambito urbano si veda invece: Quercia 2008, fig. 11, 2 che però è biansata e Morselli, Tortorici 1989, fig. 261, 176. 967 Questa bottiglia è priva di confronto tra i materiali editi. 968 Il confronto migliore è in un contesto di Cosa, datato al II sec. a.C.: Dyson 1976 FG 61. 969 Dyson 1976 PD 99, in un contesto datato tra il 100 e il 30 a.C. 970 Per un confronto si veda: Ostia III, 441, da un contesto di età flavia. 971 Per un coperchio simile, si veda: Pavolini 2000, fig. 68, 176, p. 295, datato tra il I e gli inizi del II sec. d.C. 972 Vedi Camilli 1999 forma B, serie 12.4, attestato in contesti databili tra la fine del III sec. a.C. e l’età augustea. 973 Sia per la forma, sia per l’argilla e la presenza di una scialbatura bianca, queste olle sono assimilabili ad un gruppo di contenitori rinvenuti a Pompei, in particolare l’olla biansata con corpo ovoide (fig. III.159, 19) ha un confronto in Gasperetti 1996, fig. 2, 17, Forma 1213c, p. 30; quella con il corpo globulare (fig. III.159, 17) è più simile a Gasperetti 1996, fig. 2, 14, Forma 1212c, p. 31 che però è monoansata. L’ultima delle olle (fig. III.159, 18), del tutto paragonabile alle altre per caratteristiche tecniche, non ha un confronto puntuale tra i materiali pompeiani. 974 Per la descrizione e l’analisi delle argille delle anfore vesuviane si veda: Panella, Fano 1977, tav. I, 1-10. 975 Ostia II, 507, corrispondente ad Olcese 2003, tipo 3a, pp. 37-38 e 80-81. 965

Nel deposito più basso (UUSS 2175 e 2176) è presente quasi un quarto delle ceramiche comuni ed è così ripartito: 20,4% della comune da mensa e dispensa, 27,5% della ceramica da cucina, 42,8% della ceramica a vernice rossa interna. 959 Ad un’osservazione macroscopica risultano evidenti piccoli inclusi di mica e di calcare, sia in frattura che sulla superficie dei vasi. 960 Il confronto con le brocche di Sutri è possibile sia da un punto di vista tipologico, sia per il tipo di impasto. Per i quattro esemplari disegnati i confronti migliori sono con i tipi Duncan 1965, Fig. 8, Form 27, A36 (fig. III.158, 6), A38 (fig. III.158, 7), A39 (fig. III.158, 8) e Fig. 9, Form 27, A40 (fig. III.158, 9-10), ma sono attestati anche i tipi Duncan 1965, Fig. 9, Form 27, A41 e 42. 961 Caspio et al. 2009, tav. III, n. 3-6 e tav. IV, n. 3-4, p. 485. Bertoldi 2011, Brocche tipo 1-6, pp. 69-73. Brocche simili alle nostre sono state rinvenute nel pozzo A riempito di materiale tardo-repubblicano. Bertoldi, Ceci 2013, pp. 50-54. 962 Le brocche trovate nella parte inferiore del riempimento sono riconducibili ad un numero minimo di 7 esemplari, quelle nella parte superiore sono invece almeno 8; quelle interamente ricostruibili sono 4. 963 Trova confronto puntuale ad Ostia, nello scavo del Piazzale delle Corporazioni, in un contesto di età claudia ricco di materiali tardorepubblicani: Carta, Pohl, Zevi 1978, fig. 105, 853. 964 Il confronto migliore anche in questo caso si trova ad Ostia, nel Piazzale delle Corporazioni: Carta, Pohl, Zevi 1978 fig. 105, 862 che però ha un’unica ansa. 958

194

Lo scavo e la ricostruzione

III.158. Periodo 5. Fase B. Ceramica comune da mensa e dispensa: 6-10 brocche, 11 anforetta (disegno A. Delfino, V. Di Cola).

195

Forum Iulium

III.159. Periodo 5. Fase B. Ceramica comune da mensa e dispensa: 12 anforetta, 13-14 bottiglie, 15 coppa, 16 coperchio, 17-19 olle. (disegno A. Delfino, V. Di Cola)

196

Lo scavo e la ricostruzione

III.160. Periodo 5. Fase B. Ceramica comune da cucina: 20-24 olle, 25 casseruola, 26-27 coperchi, 28-30 tegami. (disegno A. Delfino, V. Di Cola)

197

Forum Iulium

con l’orlo a tesa che termina con un piccolo dente976 (fig. III.160, 21). Diverse le olle rappresentate da un unico esemplare: una è caratterizzata da orlo estroflesso indistinto,977 un’altra ha orlo estroflesso e leggermente ingrossato978 (fig. III.160, 22) mentre in un altro tipo l’orlo estroflesso ha la parte inferiore ingrossata a formare una mandorla979 (fig. III.160, 23) oppure l’orlo, sempre estroflesso, ha all’interno l’incavo per il coperchio980 (fig. III.160, 24); l’ultima infine è caratterizzata da un piccolo orlo a fascia con incavo per il coperchio.981

ritrovati due contenitori di piccole dimensioni, poco profondi, uno con orlo indistinto e piccolo listello988 (fig. III.160, 29) e l’altro con orlo appena pronunciato e listello pendente989 (fig. III.160, 30), entrambi hanno tracce di esposizione al fuoco. Ceramica a vernice rossa interna Per quanto riguarda infine la ceramica a vernice rossa interna, nella cisterna sono presenti soltanto tegami e sono solo due gli orli ritrovati: il primo990 con pareti arrotondate e orlo a mandorla leggermente pendente, l’altro991 con pareti concave e orlo leggermente ingrossato.

È attestata un’unica casseruola, di piccole dimensioni, con orlo estroflesso indistinto e pareti bombate982 (fig. III.160, 25).

Le anfore (Tab. 23)

I coperchi più frequenti sono quello con parete rettilinea e orlo indistinto983 e quello con orlo leggermente rialzato984 (fig. III.160, 26), meno frequente il coperchio con orlo ingrossato ed arrotondato e parete rettilinea.985 Infine è presente un piccolo coperchio, integro, con orlo indistinto e parete leggermente curvilinea986 (fig. III.160, 27).

Le anfore costituiscono il 36% circa del riempimento della cisterna, con 567 frammenti, 92 dei quali pertinenti a parti significative.992 Poco più della metà dei contenitori da trasporto esaminati è di produzione italica (fig. III.161): la maggior parte di questi (quasi il 37% del totale delle anfore) proviene dalle regioni tirreniche, in particolare Campania e area vesuviana, mentre gli altri arrivano dall’area adriatica; erano quasi tutti destinati al trasporto del vino.

Il tegame più attestato è quello con orlo bifido, pareti bombate e fondo piatto987 (fig. III.160, 28), molto diffuso a partire dalla tarda età repubblicana ed almeno fino alla fine del I sec. d.C., solo uno degli esemplari della cisterna è caratterizzato da un impasto campano.

Tra i contenitori provenienti dal versante tirrenico della penisola le più frequenti sono le anfore vinarie Dressel 1993 (fig. III.162, 31); l’esame macroscopico delle paste ha permesso di attribuire, genericamente, la produzione della maggior parte degli esemplari studiati all’Italia tirrenica, ma per alcuni è stato possibile specificare la provenienza dalla Campania e, in un caso, dall’area vesuviana.

Oltre a questo tipo di tegame, nella cisterna sono stati Il confronto migliore è tra i materiali del Piazzale delle Corporazioni ad Ostia, nel contesto di età claudia: Carta, Pohl, Zevi 1978, fig. 110, 1593. Sul tipo si veda anche: Quercia 2008, olla tipo 9b, p. 201. 977 Vedi Dyson 1976, V-D 49, in un contesto di 70-60 a.C. 978 Il confronto migliore è tra i materiali di Cosa: vedi Dyson 1976, PD 53, in un contesto datato 100-30 a.C. 979 Un buon confronto per quest’olla si trova tra i materiali di Cosa datati tra il 70 e il 60 a.C. e tra quelli di Sutri di media e tarda età repubblicana: vedi Dyson 1976, V-D 50 e Duncan 1965, form 38b, fig. 12, A91. 980 Un buon confronto è tra i materiali di Mola di Monte Gelato in un contesto di inizi II sec. d.C.: Roberts 1997, fig. 221, 38b; per un altro confronto si veda anche: Duncan 1964, form 30, fig 13, 112, databile nel terzo quarto del I sec. d.C. Inoltre proprio nel Foro di Cesare, residuo all’interno di un pozzo medievale, è stato ritrovato un vaso con profilo del tutto simile al nostro; l’ansa mancante nel nostro esemplare può essere ipotizzata nella porzione di vaso non conservata. Vedi Amici 2007, n. 106, fig. 48, p. 65. 981 Vedi Dyson 1976 22II54, in un contesto di età claudia. 982 Non è stato possibile trovare un confronto puntuale tra i materiali editi, per un contenitore simile, ma che si differenzia dal nostro per il profilo dell’orlo, si veda: Olcese 2003, casseruola tipo 1, in particolare tav. VI, n. 4. 983 Vedi Ostia II, 511, da strati di età flavia, e Dyson 1976 PD 87 da un contesto databile tra il 100 e il 30 a.C. Uno degli esemplari presenta un impasto campano. 984 Vedi Ostia II, 513, da un contesto di età flavia. Su questo coperchio, databile tra il I e il II sec. d.C., si veda anche Olcese 2003, coperchio tipo 3, p. 20. Per la presenza di questo tipo in un contesto augusteo e per la sua probabile comparsa in età tardo-repubblicana, si veda: Quercia 2008, coperchio tipo 1, p. 204, nota 58 con relativa bibliografia. Uno dei frammenti ha un impasto campano. 985 Vedi Ostia II, 515 da strati di età flavia. Due dei coperchi hanno un impasto campano. 986 Simile al nostro, ma di dimensioni maggiori, è un coperchio attestato ad Ostia, nello scavo del Piazzale delle Corporazioni, nel contesto ricco di materiali tardo-repubblicani ed augustei, chiuso in età claudia: Carta, Pohl, Zevi 1978, fig. 112, 1812. 987 Ostia II, 308, corrispondente ad Olcese 2003, tegame tipo 3, pp. 42 e 86. 976

Meno numerose risultano le Dressel 2-4, i contenitori che a partire dal 70/60 a.C., sostituirono le Dressel 1 nel trasporto del vino tirrenico;994 la maggior parte di quelle rinvenute nella cisterna è caratterizzata da un impasto vesuviano. Ancora dalle regioni tirreniche, ed in particolare dall’area campana, provengono infine tre orli di anfore greco-italiche tarde,995 residue nei contesti in esame. Non è stato possibile trovare un confronto puntuale per questo vaso, un contenitore simile al nostro, ma con il listello meno pronunciato, è attestato ad Ostia in un contesto di età claudia: vedi Carta, Pohl, Zevi 1978, fig. 111, 1719. 989 Non è stato possibile trovare un confronto tra i materiali editi. 990 Il confronto migliore è a Cosa: Dyson 1976, PD 14 in un contesto datato tra il 100 e il 30 a.C.; un altro confronto piuttosto puntuale è con i materiali di Albintimilium: Olcese 1993, fig. 46, n. 120, p. 227, attestato in contesti di media e tarda età repubblicana. 991 Vedi Goudineau 1970, tav. 2, 19. 992 Nove di questi provengono dalla parte più bassa del riempimento (US 2176), otto sono di italiche, una è egea. 993 L’unica variante attestata è la 1A. La produzione di queste anfore ebbe inizio tra il 145 e il 135 a.C. e terminò alla fine del I sec. a.C., dal momento che l’ultima data consolare presente sulle Dressel 1 del Castro Pretorio è del 13 a.C.: Tchernia 1986, p. 42, Empereur, Hesnard 1987, pp. 30-32. 994 Panella 2001, pp. 193-194. 995 Intorno alla metà del II sec. a.C. si esaurisce la produzione di questo tipo di contenitori dai quali si evolve la Dressel 1: Lyding Will 1989, pp. 297-309, Manacorda 1989, pp. 443-467 e in particolare nota 2. 988

198

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 23. Le anfore della cisterna. ANFORE ITALICHE

Area di produzione

Tipo

versante tirrenico

Greco-italica tarda

Campania

Greco-italica tarda

versante tirrenico

Dressel 1

versante tirrenico

Figura

1944

1961

1966

1967

1974

1976

2109

2176

TOT

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

2

2

1

1

4

2

3

1

2

3

15

Dressel 1 (pareti)

9

12

7

11

8

4

51

Campania

Dressel 1

1

1

1

area vesuviana

Dressel 1

area vesuviana

Dressel 1 (pareti)

versante adriatico

ovoide di Brindisi

versante adriatico

versante tirrenico

Lamboglia 2 Dressel 6/ Lamboglia 2 Dr. 6/Lamb. 2 (pareti) Dressel 2-4

versante tirrenico

Dressel 2-4 (pareti)

3

area vesuviana

Dressel 2-4

1

area vesuviana

Dressel 2-4 (pareti) non identificato (pareti) non identificato (pareti) Dressel 21-22

2

versante adriatico versante adriatico

versante tirrenico area vesuviana Sicilia Occidentale

III.162, 31

3

1

1 1

1 1

III.162, 32

1 1

1

1

1

1

7

3

3

6

15

4

1

1

2

9

2

1

13

8

3

42

1

5

1

5

2

1

2

14

4

6

7

9 1

20 6

2

1 1 5

27

30

56

32

1

36

ANFORE GALLICHE 1978

TOT

Area di produzione

Tipo

Figura

Frr.

Frr.

Gallia Narbonensis

Gallica 7 (?)

III.162, 34

1

1

1

1

Totale ANFORE SPAGNOLE

1961

1967

1974

2109

TOT

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Area di produzione

Tipo

Figura

Frr.

Baetica

Haltern 70

III.162, 37

2

2

Baetica

Haltern 70 (pareti)

Baetica

Dressel 7-13

III.162, 35

1

1

Baetica

Dressel 12 “a collarino”

III.162, 36

1

1

Baetica

da garum non identificato

Baetica

da garum (pareti)

Tarraconensis

non identificato (pareti)

1

1

1

1

2 4

199

1

3 2

1

Totale

1 5

1

30 1

III.162, 33

Totale

7

1

11

1 17

204

Forum Iulium

ANFORE AFRICANE

Area di produzione

Tipo

Figura

Africa settentrionale

Van der Werff 2

III.162, 38-43

Africa settentrionale

neo-punico non id. neo-punico non id. (pareti)

Africa settentrionale

1961

1966

1967

1974

1976

1977

1982

2109

2176

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

1

4

2

3

1

7

5

1

4

11

7

1

1961

1966

1967

Frr.

Frr.

Frr.

12

1

2

10

Totale

1

2

3

8

1

2

5

8

1974

1980

2109

2176

TOT

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

1

1

ANFORE EGEE E MICROASIATICHE

Area di produzione

Tipo

Figura

Rodi e Perea Rodia

rodia classica

Rodi e Perea Rodia

Camolodunum 184

Creta

non identificato

1

1

Creta

non identificato (pareti)

3

3

area egeo-microasiatica

Dressel 5

1

area egeo-microasiatica

non identificato

3

area egeo-microasiatica

non identificato (pareti)

5

area siro-palestinese

non identificato (pareti)

2

III.162, 44 III.162, 45-46

1

Totale

1

1

3

1 1

5

4

6

17

1

2

11

6

4

7

1

2

1

32

ANFORE NON IDENTIFICATE

Area di produzione non identificata non identificata Totale

Tipo non identificato non identificato (pareti)

Figura

1944

1961

1966

1967

1974

1976

2109

2175

2176

tot

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

3

2

5

37

64

41

21

1

58

4

29

260

5

40

66

41

21

1

62

4

29

269

4

9

Tra i contenitori adriatici, abbiamo l’orlo di una Lamboglia 2996 (fig. III.162, 32), destinata al trasporto del vino tra la fine del II sec. a.C. e l’età augustea997 e anse e fondi per i quali non è stato possibile distinguere il tipo di anfora e che sono state quindi indicate genericamente come Lamboglia 2/Dressel 6. È presente, infine, un solo esemplare di anfora ovoide di Brindisi, destinata al trasporto dell’olio tra il terzo quarto del II sec. a.C. e la metà del I sec. a.C.998 Per terminare l’esame delle anfore italiche, bisogna segnalare la presenza dell’orlo di una Dressel 21-22 (fig. L’anfora (fig. III.163) ha un bollo impresso sull’orlo in cartiglio rettangolare: NU(merius) o MA(nius) MIN(ucius). Per la presenza del bollo MIN sull’orlo di una Lamboglia 2 si veda: Bruno 1995, p. 140. Un ringraziamento a Giorgio Rizzo e a Clementina Panella per la lettura del bollo. 997 Empereur, Hesnard 1987, pp. 33-34. 998 Cipriano, Carre 1989, pp. 68-77. 996

III.161. Le percentuali di attestazione delle anfore nella cisterna.

200

Lo scavo e la ricostruzione

III.162, 33), recipiente destinato, dall’età augustea alla fine del I sec.d.C., al trasporto della frutta;999 l’impasto del frammento della cisterna permette di ricondurne la produzione alla Sicilia Occidentale.1000

destinata, tra la metà del I sec. a.C. e la metà del I sec. d.C., al trasporto di merci diverse quali, il defrutum, le olive e il vino.1005 Solo una parete testimonia la presenza delle anfore tarraconesi.

Anche se con qualche incertezza, si è deciso di attribuire alla produzione della Gallia Narbonese, non altrimenti attestata, un contenitore piuttosto particolare.

I contenitori africani invece sono abbastanza ben rappresentati, costituiscono il 16% circa delle anfore della cisterna e rientrano tutti nel gruppo delle anfore neopuniche. Gli orli attestati sono tutti riconducibili al tipo Van der Werff 21006 (fig. III.162, 38-43) destinato probabilmente al trasporto del vino.1007 Una di queste è stata trovata integra, altre due hanno il profilo ricostruito.

Si tratta di un’anfora di piccole dimensioni1001 conservata quasi interamente, ma priva del fondo. È caratterizzata da un piccolo orlo arrotondato ed estroflesso, collo cilindrico, corpo globulare e anse a nastro (fig. III.162, 34). Il collo è costituito da due parti separate, la superiore più bassa e concava all’esterno, l’inferiore più alta e con una concavità meno accentuata. Le due parti si uniscono all’altezza dell’attacco superiore delle anse e il punto di giunzione è segnato, all’esterno, da un doppio anello a rilievo e, all’interno, da una rientranza piuttosto pronunciata.

Poco più del 10% delle anfore, infine, è costituito da contenitori provenienti dal Mediterraneo orientale, destinati a portare il vino. All’area di Rodi e della Perea rodia è stato possibile attribuire almeno quattro esemplari: il primo (fig. III.162, 44), proveniente dalla parte più bassa del riempimento, è identificabile con le anfore rodie classiche di produzione più antica, caratterizzate da anse a sezione circolare o ovale che formano un gomito piuttosto marcato e presentano quasi sempre sulla parte orizzontale dell’ansa un bollo.1008

Inoltre nella parte compresa tra l’attacco superiore delle anse e la spalla, il collo è decorato con un motivo ad onde inciso su tre registri, il centrale dei quali più alto degli altri; la decorazione non è molto curata e i tratti hanno altezze molto variabili. Sulle anse poi, sia nei punti in cui queste si attaccano al corpo, sia nella parte più alta del gomito, sono presenti piccole borchie.

A questo contenitore se ne affiancano altri tre (fig. III.162, 45-46), provenienti invece dalla parte più alta del riempimento, che hanno le anse a bastone con la coda rilevata, assimilabili alla tardo-rodia Camolodunum 184.1009. Genericamente all’area egea-microasiatica può essere attribuita un’anfora tipo Dressel 5 di cui si conserva tutto il corpo privato dell’orlo e delle anse; veramente scarsa, infine, la presenza del vino cretese.

Il profilo di questo contenitore è abbastanza simile a quello dell’anfora Gauloise 7, prodotta in età augustea, forse adibita al trasporto del vino e molto poco diffusa,1002 sugli esemplari noti però non sono presenti decorazioni.1003

Se l’esigua quantità di anfore rinvenute nel contesto più antico non permette di fare alcun discorso di carattere generale, il deposito più recente, sigillato dalla pavimentazione del Foro, può dare un piccolo contributo alla conoscenza delle anfore in circolazione a Roma, all’inizio dell’età augustea.

Le anfore della penisola iberica non sono molte ed arrivano dalla Baetica: le più numerose sono le Dressel 7-13, adibite al trasporto del garum1004(fig. III.162, 35-36); dalla cisterna provengono anche due orli di Haltern 70 (fig. III.162, 37) Panella 2001, p. 194. Un recente riesame di questi contenitori propone come contenuto dei cadi non più la frutta, ma le conserve di pesce. Nelle nuova classificazione proposta, l’orlo della cisterna del Foro di Cesare coinciderebbe, anche per il suo impasto, con il tipo 1b: Botte 2009, p. 131-135. 1000 È un impasto molto ricco di microfossili e simile a quello di alcune anfore tunisine. Le analisi minero-petrografiche condotte su alcuni dei frammenti ritrovati nelle officine individuate di recente ad Alcamo Marina (TP) permettono di attribuire proprio alla Sicilia occidentale e in particolare alla zona di Alcamo la produzione: Capelli, Piazza 2006. 1001 L’altezza massima conservata è di 42 cm, il diametro esterno dell’orlo è di 11,9 cm, il punto di massima espansione del corpo è di 33,8 cm. Ha un impasto marrone (Munsell 5 YR 6/6 ) abbastanza depurato, con piccolissimi inclusi calcarei e rari inclusi micacei. 1002 Laubenheimer 1985, pp. 302-306 e pp. 385-386; Bertucchi 1992, pp. 107-109, variante 6B, datata nella seconda metà del I sec. a.C. 1003 Solo l’anfora Gauloise 12, prodotta tra il I e il III sec. d.C., presenta una decorazione almeno in parte assimilabile a quella del nostro contenitore: le anse sono decorate da borchie e c’è un motivo inciso ad onde disposto sulla spalla o sulla parte superiore della pancia, ma non sul collo. Il profilo di quest’anfora però è del tutto diverso da quello del contenitore trovato nella cisterna: Laubenheimer, Lequoy 1992, pp. 75-92. 1004 Panella 2001, p. 202. Una delle due anfore (fig. III.162, 36), caratterizzata dalla presenza di un collarino piuttosto pronunciato sotto l’orlo, può essere identificata con una Dressel 12 “a collarino”, ringrazio E. Garcia Vargas per l’identificazione. 999

Dall’esame di questo materiale si ricava una prevalenza assoluta dei contenitori italici, quasi esclusivamente vinari e provenienti soprattutto dal versante tirrenico della penisola. Dalla penisola iberica arrivano il garum e il defrutum, ma i contenitori ispanici sono veramente molto pochi: è presente

Panella 2001, p. 205. Quattro dei contenitori esaminati (fig. III.162, 38-39 e 40-41) trovano un confronto preciso nel deposito della Longarina ed in quello recentemente scavato a Roma, in via Sacchi: Hesnard 1980, tav. VII, 3 e Ferrandes 2008b, fig. 5, 24. Altri due orli della cisterna (fig. III.162, 42-43) sono confrontabili con esemplari attestati ancora nello scavo di via Sacchi e in quello in località Quarto del Cappello da Prete a Roma: Ferrandes 2008b, fig. 5, 23 e Caspio et al. 2009, tav. VII, 9. 1007 Fentress 2001, p. 263. 1008 Anche quella trovata nella cisterna ha un bollo sull’ansa, purtroppo del tutto illeggibile. Sull’evoluzione delle anfore rodie si veda: Empereur, Hesnard 1987, pp. 18-20. 1009 Su questo tipo di anfora non sono più attestati i bolli, sui tituli picti presenti su due dei tre esemplari provenienti dalla cisterna, si veda l’intervento di Remesal Rodriguez al punto III.3.5.3, infra. 1005 1006

201

Forum Iulium

III.162. Periodo 5. Fase B. Anfore: 31 versante tirrenico dell'Italia, 32 versante adriatico dell'Italia, 33 Sicilia occidentale, 34 Gallia Narbonese, 35-37 Betica, 38-43 Africa settentrionale, 44-46 Rodi e Perea Rodia (disegno A. Delfino, V. Di Cola).

202

Lo scavo e la ricostruzione

pressoché esclusivamente la regione Baetica, ma manca traccia dell’olio che vi si produceva. Sono abbastanza ben rappresentati i contenitori africani, probabilmente destinati al trasporto del vino, mentre le anfore provenienti dal Mediterraneo orientale, anch’esse vinarie, sono presenti, ma non troppo numerose. Del tutto irrilevante, infine, l’incidenza delle presenze galliche. Dati in parte simili ai nostri si riscontrano in due contesti che hanno una cronologia leggermente posteriore, essendo datati nella tarda età augustea: il deposito della Longarina ad Ostia1010 e lo scavo di via Sacchi a Roma1011 di recente pubblicazione.

III.163. Periodo 5. Fase B. Bollo su anfora tipo Lamboglia 2.

Rispetto a questi, anche forse per le dimensioni più ridotte, il nostro contesto appare meno ricco, con una minore varietà tipologica degli esemplari presenti. Considerando le aree di provenienza delle anfore, il dato che più emerge è la maggiore frequenza, tra i materiali della cisterna, di contenitori italici. L’alta percentuale delle presenze italiche nella cisterna del Foro di Cesare si registra a discapito non delle provenienze africane ed orientali, i cui valori sono abbastanza simili negli altri contesti, quanto piuttosto delle presenze ispaniche ridotte, tra i nostri materiali, alle poche anfore da garum e alle Haltern 70, con una assenza quasi totale non solo delle anfore olearie provenienti dalla Baetica che invaderanno il mercato romano nei decenni successivi, ma anche dei contenitori vinari della Tarraconensis.

III.164. Le classi ceramiche.

Conclusioni

Il materiale che viene depositato, invece, sopra al crollo della volta e che arriva a riempire completamente la cisterna, ha una datazione diversa, più recente.

A questo punto è necessario riassumere la situazione che finora si è cercato di delineare: il riempimento della cisterna è divisibile in due contesti, il più basso è stato trovato a contatto con il pavimento e ricoperto dal crollo della volta, il secondo è invece quello deposto al di sopra del crollo, fino a riempire completamente la cisterna ed è stato sigillato dalla pavimentazione del Foro.

Questa datazione ci viene data da alcuni elementi in particolare: la coppa di sigillata italica, il cadus, le anfore spagnole e quelle anfore rodie che evidentemente non appartengono alla tradizione più antica, ma sono ormai riconducibili alla tardo-rodia Camolodunum 184. Tutti questi elementi ci indicano una datazione piuttosto puntuale nella prima età augustea.

Il riempimento più basso, non scavato interamente a causa dell’acqua di falda che ancora risale, è meno ricco di materiale, ha restituito soprattutto ceramiche comuni, poche anfore e una buona parte della ceramica a vernice nera conservata.

Ma questa cronologia può essere maggiormente circoscritta da un’indicazione che non arriva dalla ceramica, ma dai dati dello scavo e dalle fonti storiche: la cisterna fu coperta dalla pavimentazione della seconda fase del Foro che venne inaugurato da Augusto nel 29 a.C., momento in cui evidentemente il nostro deposito doveva ormai essere stato sigillato.

Gli appigli cronologici non sono dunque molti, ma la ceramica a vernice nera, con la patera della serie Morel 2286 e la pisside Morel 7551/7553, e la presenza, tra le anfore, di alcune Dressel 2-4, ci permettono di datare questa parte del deposito al secondo quarto del I sec. a.C.

La datazione dunque è circoscrivibile ai primissimi anni dell’età augustea e per molti dei materiali illustrati questa è quindi una delle prime attestazioni nei contesti romani.

La ripresa dei lavori nel Foro da parte di Ottaviano a partire dal 42 a.C., porta alla rasatura del lato sud-orientale della piazza che coinvolge anche la cisterna, la cui copertura, crollata, è stata trovata al di sopra di questo contesto (vedi fig. III.149). 1010 1011

Periodo 5. Fase C. Accumulo di strati di discarica all’interno delle canalizzazioni della taberna XI (14 a.C.-14 d.C.) Si tratta di un contesto di materiali esiguo, ma molto

Hesnard 1980. Ferrandes 2008b.

203

Forum Iulium

Tabella 24. La sigillata italica del condotto SIGILLATA ITALICA US

Forma

Tipo

Piatto Coppa Coppa Coppa Piatto Coppa

Conspectus 1.1 Conspectus 13.2 Conspectus 13.3.1 Conspectus 7.2.1 Conspectus 4.3.1 non identificato

Decorazione

rotella

Cronologia

Figura

40 a.C. - prima età augustea media età augustea media età augustea media – tarda età augustea media – tarda età augustea

Totale

TOT

1236

1243=1252

Frr.

Frr.

Frr.

1 1 1

1 1 1 1 1 1

fig.III.165, 47

1 1 2 1

6

7

coerente, privo di residui e riconducibile ad una datazione piuttosto puntuale. I frammenti ceramici sono poco numerosi, se ne conservano infatti soltanto 73, 21 di questi sono stati identificati in base alle tipologie note. Le più frequenti sono le ceramiche comuni che costituiscono il 46,6% del contesto, seguite da una discreta quantità di classi fini (38,4%); decisamente ridotto, invece, è il numero delle anfore che raggiungono solo il 15% del totale del materiale esaminato (fig. III.164). Alcuni frammenti sono abbastanza ben conservati: una lucerna è integra mentre alcuni vasi hanno il profilo ricostruito.1012 I materiali inoltre non sono fluitati, come ci si aspetterebbe trattandosi di un condotto di scolo, ma tutti i frammenti esaminati presentano spigoli vivi a testimonianza del fatto che il condotto non era in funzione e dunque il passaggio dell’acqua non ha avuto modo di arrotondare le fratture dei frammenti ceramici.

III.165. Periodo 5. Fase C. Le ceramiche della taberna XI: 47 sigillata italica, 48 ceramica comune da mensa e dispensa, 49 ceramica comune da cucina. (disegno D. Nocera, V. Di Cola).

La sigillata italica (Tab. 24)

vasca abbastanza profonda, una decorazione a rotella copre interamente la parete esterna1015 (fig. III.165, 47).

Si conservano cinque coppe e due piatti e l’unica decorazione presente è quella a rotella. I due piatti, entrambi poco profondi e con orlo arrotondato ed indistinto, hanno uno la parete svasata, l’altro convessa.1013 Due delle coppe hanno le pareti svasate e l’orlo pendente variamente sagomato,1014 due sono prive di identificazione perché non se ne conserva né orlo, né fondo. L’ultima delle coppe, infine, è carenata e caratterizzata da un orlo indistinto ed arrotondato, pareti rettilinee ed inclinate verso l’esterno e

La ceramica a pareti sottili (Tab. 25) Tra le classi fini è quella più frequente e costituisce quasi un quarto del totale del materiale studiato; le uniche forme conservate sono quelle chiuse, soprattutto bicchieri. Tra questi sono presenti due esemplari del tipo con corpo quasi cilindrico, pareti diritte ed orlo indistinto;1016 un altro dei bicchieri invece ha corpo ovoide piuttosto allungato ed orlo a fascia alta e arrotondata.1017 Gli altri due tipi attestati sono anche decorati: uno, caratterizzato da corpo

Hanno il profilo ricostruito: l’unguentario e i bicchieri tipo Ricci I/89 e I/378. È stato trovata invece priva dell’orlo, ma per il resto integra l’olletta miniaturistica. 1013 Sono identificabili rispettivamente con i tipi Conspectus 1.1, databile tra il 40 ed il 15/10 a.C. e Conspectus 4.3.1, riconducibile alla media e tarda età augustea. 1014 Sono identificabili con le coppe del tipo Conspectus 13.2 e 13.3.1, prodotte nel corso della media età augustea.

Il profilo di questo vaso è del tutto simile a quello della coppa tipo Conspectus 7.2.1, databile nella media e tarda età augustea e corrispondente al tipo Pucci 1985, 15, varietà 1; solitamente però su questo tipo di coppe non è presente la decorazione a rotella attestata, invece, nell’esemplare in esame. 1016 Vedi Ricci I/161, databile in età augustea. 1017 Si tratta del tipo Ricci I/362, prodotto dal 75 a.C. circa fino all’età augustea.

1012

1015

204

Lo scavo e la ricostruzione

Tabella 25. La ceramica a pareti sottili del condotto. CERAMICA A PARETI SOTTILI US

Forma

Tipo

Decorazione

Cronologia

Bicchiere

Ricci I/89

barbotina

Bicchiere

Ricci I/362

Bicchiere Bicchiere Boccalino F. chiusa Non identificata Non identificata

Ricci I/161 Ricci I/378 Ricci I/109 non identificata non identificato non identificato

I a.C. 75 a.C. - prima età augustea età augustea età augustea età augustea - 50 d.C.

rotella

TOT

1233

1236

1243=1252

Frr.

Frr.

Frr.

Frr.

1

1

1 2 1

1

4 1

1 3 1

2 1 1 1 9 2

2

6

9

17

1

rotella

Totale

1

Tabella 26. Le lucerne del condotto LUCERNE US 1243=1252 Frr.

Frr.

1 1 1

1 1 1 1

3

4

Tipo

Datazione

Figura

Frr.

Dressel 3 variante Bailey A-B Non identificato (disco) Non identificato (parete)

seconda metà del I a.C. età augustea - prima età traianea

Fig. III.166

1

Totale

1

globulare e orlo a fascia leggermente bombata,1018 ha una decorazione à la barbotine, costituita da strisce di argilla diritte, disposte verticalmente e trasversalmente sul corpo del vaso e poi interrotte dal passaggio della rotella;1019 l’altro,1020 con corpo cilindrico, pareti leggermente svasate ed orlo diritto, è decorato a rotella.1021 È presente, infine, un unico boccalino, monoansato, con corpo globulare, orlo arrotondato ed inclinato verso l’esterno.1022

TOT

1233

decorazione purtroppo illeggibile.1024 L’ultima infine è integra1025 (fig. III.166), con una scheggiatura sul becco, ha un impasto grigio ed è rivestita da una vernice nera piuttosto sottile. Il corpo è circolare a profilo troncoconico rovesciato, la spalla strettissima è separata dal disco da una scanalatura profonda e continua. Il disco, molto ampio, non è decorato, è leggermente incavato, con al centro il foro di riempimento; un forellino per l’aria è presente sulla scanalatura ed è in asse tra il foro di riempimento e quello per lo stoppino; becco ad incudine, base tonda a disco.1026

Le lucerne (Tab. 26)

Le ceramiche comuni

Sono soltanto quattro: di una si conserva solo una parete ed è pertanto non identificabile, di un’altra rimangono la spalla e l’inizio del disco con una decorazione a nervature,1023 della terza si conservano solo parte della spalla con una piccola presa laterale e un frammento del disco con una

Rappresentano quasi la metà del materiale esaminato; si tratta soprattutto di pareti dalle quali spesso non si è potuto risalire neanche alla forma, non sono presenti decorazioni

È identificabile con il tipo Ricci I/89, prodotto per tutto il I sec. a.C. 1019 Si tratta della decorazione Ricci 3. 1020 Vedi Ricci I/378, datato in età augustea. 1021 Decorazione Ricci 5. 1022 Vedi Ricci I/109, databile tra l’età augustea e la metà del I sec. d.C. 1023 Per una decorazione simile si veda: Bailey 1975, tav. 136, Q 736, lucerna databile probabilmente verso la fine del I sec. a.C.

È una lucerna a volute tipo Bailey A-B. La lucerna è lunga 11,5 cm, alta 4,5 cm ed il diametro del fondo è di 5,5 cm. 1026 È confrontabile con il tipo Provost 1976, IV, 1, variante 1, sottovariante 2, databile dalla fine del I a.C., al I d.C. Per degli esemplari simili, ma di dimensioni minori si veda: Sapelli 1979, n. 87, p. 49 e Cuomo di Caprio, Sartoro Bianchi 1983, n. 20, pp. 113-114 , entrambe datate nella seconda metà del I a.C. 1024

1018

1025

205

Forum Iulium

III.167. Periodo 5. Fase C. Olletta miniaturistica dall’US 1236.

con fondo piatto, ma priva di orlo (fig. III.167), per la quale non è stato possibile trovare un confronto tipologico.1033 La ceramica da cucina costituisce invece il 9,6% del totale, gli orli conservati ed identificati sono riconducibili a due olle di piccole dimensioni e ad un tegame: una delle olle è caratterizzata da orlo a mandorla estroflesso e corpo ovoide,1034 l’altra (fig. III.165, 49) ha corpo globulare e orlo estroflesso ed indistinto;1035 il tegame invece ha pareti leggermente arrotondate ed orlo ingrossato.1036

III.166. Periodo 5. Fase C. Variante della lucerna tipo Dressel 3 dall’US 1233.

e solo l’unguentario ha tracce di rivestimento; tutti i frammenti, da un esame macroscopico delle paste, sono attribuibili ad un produzione locale. Mancano del tutto le forme di grandi dimensioni, quali ad esempio i catini o le casseruole.

Le anfore Sono veramente poche, pari soltanto al 15% del totale del materiale esaminato; l’unico orlo conservato è pertinente ad un’anfora Dressel 2-4 di produzione campana,1037 per il resto si tratta di pareti: pochissime sono di probabile produzione tirrenica, alcune sono riconducibili alle anfore spagnole da garum prodotte nella Baetica, mentre per le altre non è stato possibile determinare provenienza.

La ceramica comune da mensa e dispensa è la più numerosa;1027 i pochi orli conservati sono pertinenti ad una coppetta con piccolo orlo estroflesso e pareti bombate,1028 ad una brocca con orlo estroflesso ed ansa sull’orlo1029 e ad una bottiglia ansata, con collo cilindrico, orlo molto piccolo e a sezione quasi triangolare1030 (fig. III.165, 48). L’unico unguentario attestato è piriforme, con corpo ovoide, collo allungato ed orlo estroflesso arrotondato, sia l’orlo che la parte superiore del collo sono rivestiti di rosso.1031

Conclusioni Come anticipato all’inizio, i frammenti recuperati nello scavo del condotto sono davvero pochi, alcuni sono ben conservati o addirittura integri; le più numerose sono le ceramiche comuni, ma si tratta quasi solo di pareti, c’è poi una buona quantità di classi fini, soprattutto ceramica a pareti sottili, mentre sono pochissime le anfore.

Resta da segnalare la presenza di un’olletta miniaturistica,1032

Proprio le classi fini recuperate ci permettono di ricavare Ci sono 26 frammenti di ceramica comune da mensa e dispensa e 8 di ceramica da cucina. 1028 Per il confronto si veda Pavolini 2000, fig. 65, 142, purtroppo priva di datazione. 1029 Questo frammento trova un confronto a Sutri: Duncan 1965, fig. 8, F. 27, A36, da un contesto databile tra il 150 e la fine del I sec. a.C. 1030 Il confronto più puntuale è con un esemplare di Cosa che presenta però un orlo più arrotondato di quello della bottiglia in esame: Dyson 1976, PD 170, attestato in un contesto databile tra il 150 ed 30 a.C. 1031 Si veda: Camilli 1999, forma C, serie 11.3, databile dall’età augustea a quella giulio-claudia. 1032 L’olletta è alta 2 cm ed il diametro del fondo è di 2 cm, ha un’argilla beige chiaro, molto depurata.

Mancando l’orlo è stato impossibile trovare un confronto puntuale a quest’oggetto, ma per le ridotte dimensioni ed il tipo di argilla potrebbe essere assimilabile ad un esemplare rinvenuto ad Ostia e schedato tra le pareti sottili: Ostia III, 454. Per questo tipo di piccoli contenitori si veda anche: Pavolini 2000, n. 153, p. 273 ed in particolare le note 23 e 25. 1034 Un confronto puntuale per questa olla si trova a Cosa in un contesto datato tra il 70 ed il 60 a.C.: Dyson 1976, V-D 50. 1035 Anche in questo caso il confronto migliore è con il materiale di Cosa, nel contesto datato 70-60 a.C.: vedi Dyson 1976, V-D 37. 1036 Vedi Dyson 1976, V-D 6. 1037 Su questo tipo di contenitore che, a partire dal 70/60 a.C. e fino agli inizi del III sec. d.C., fu destinato al trasporto del vino si veda: Panella 2001, pp. 193-194

1027

1033

206

Lo scavo e la ricostruzione

una datazione piuttosto puntuale del contesto esaminato: la maggior parte dei vasi di ceramica a pareti sottili infatti è databile a partire dall’età augustea e fino alla metà del I sec. d.C. ed anche le poche lucerne conservate sono riconducibili ad un ambito cronologico del tutto simile. Infine, i pochi frammenti di sigillata italica suggeriscono, per il nostro deposito, una cronologia ancora più puntuale, compresa tra la media e la tarda età augustea. A questa datazione, ben si adattano anche le poche anfore conservate e le ceramiche comuni.

Dado que se encuentra sobre un ánfora de la misma tipología y hallada en el mismo contexto, podría proponerse una lectura similar, aunque en este caso existe claramente un numeral. La primera línea podría leerse también P(ondo) L(ibrae) XXIX y estaría indicando el peso del vino contenido. Podría leerse también T(esta) L(ibrae) XXIX y, entonces estaría indicando la tara del ánfora. En este caso debería existir otra línea indicando el peso del contenido. En comparación con el titulus anterior podría leerse PHL(---) A (nnorum)XIX ó PHILAXIX, pues la escritura está muy desvanecida.

3.5.3. Nota sobre los tituli picti (J. Remesal Rodriguez)

La segunda línea se lee sin dificultad N·G·, para esta abreviatura tampoco encuentro una explicación.

Titulus de una línea: PLAG; PHLAG ó PHILAG A primera vista parece que puede leerse PLAG; PHLAG ó PHILAG (PHL ó PHLI ligadas. Incluso podrái proponerse la ligadura PEL). En este caso, tal vez, pueda proponerse que se refiere al nombre del vino contenido.

La tercera línea no plantea problemas para la lectura del praenomen y del nomen: C(ai) Scaniani; sí para la lectura del cognomen: [---]VCI ó [---]NCI. Delante de la V, ó N hay un signo alzado que podría ser leído como L, B ó D en el sistema cursivo latino.

Podría proponerse la lectura P(ondo) L(ibrae), pero la ligadura PHL parece bastante segura, en este caso, quedaría sin explicación AG(---) ó A(---) G(---).

Podría proponerse también la lectura: C(ai) SCANIANI [Q(uinti) F(ilius) ---]VCI

En varios tituli picti recogidos por Dressel (CIL. XV 4660), pertenecientes a ánforas del tipo Dressel 6, aparece con cierta frecuencia la abreviatura PHL, seguida de la indicación VE(ligadas) y un nombre al genitivo, a veces el nombre al genitivo precede a la abreviatura VE. Tal vez, VE sea la abreviatura de VE(tus). En este caso, podría proponerse que la abreviatura PL ó PHL(---) corresponde a una variedad de vino, del que a veces si se indica, en el caso de las ánforas Dressel 6A, su calidad de ve(tus) y el nombre del productor. Si este esquema fuese útil para nuestro titulus, podría proponerse la lectura PH ó PHL(---), variedad de vino, AG(---) o A(---) G(---) abreviatura del nombre del productor.

El nomen Scannianum es poco frecuente en Roma. Particularmente interesante es la inscripción CIL 6, 706: Soli Lunae Silvano / et Genio cellae / groesianae / M(arcus) Scanianus / Zosa ex viso / posuit. La inscripción es datada a mediados del s. II d.C.1038 No sabemos con qué tipo de productos comerciaba la cella groesiana, ni cuando tuvo su origen. Si su creación tuvo algo que ver con el personaje de nuestro titulus, o con alguien de su familia, podría remontarse a finales del s. I a.C., pero, igualmente, la constitución de la cella podría ser anterior o posterior a nuestro titulus. De todos modos, aunque hoy por hoy sólo podemos señalar esta coincidencia nominal, dada la rareza del nombre en Roma, podría pensarse que el personaje referido en el titulus pueda relacionarse con la familia que fundó, o gestionó por un largo periodo, la cella groesiana.

Buscando una lectura más difícil, si observamos la letra G vemos que tiene su cabeza alzada, en sí es un fenómeno normal, pero si consideramos que son dos trazos podría leerse G´, en este caso podría tratarse de la latinización del numeral griego γ´ (= 3), por lo que podría proponerse una lectura del tipo PHL(---) A(nnorum) III.

Salvo esta interesante cuestión sobre la cella groesiana los tituli aquí presentados no permiten hacerse una idea precisa sobre la estructura de los mismos, esperemos que nuevos hallazgos permitan mejores precisiones.

Podría proponerse también que esta línea representase una sola palabra: Philag(---) o Pelag(---) y que representase la variedad de vino contenido.

3.5.4. I resti ossei dalla cisterna a tholos (C. Minniti)

Titulus a tres líneas:

I resti ossei animali recuperati all’interno della cisterna a tholos del Foro di Cesare provengono da diverse unità stratigrafiche di riempimento.

PLXXIX ó PHLAXIX (PL ó PHL ligadas. Incluso PEL) NG

Il campione faunistico risulta numericamente piuttosto esiguo (Tab. 27) ed è formato esclusivamente da frammenti ossei appartenenti ad alcune delle tradizionali categorie di

C SCANIANI·[-----]VCI En la parte izquierda de la primera línea la tinta está bastante desvanecida. A la derecha puede leerse con seguridad XIX.

LTUR I, 1993, pp. 256-257, (E. Rodríguez Almeida); Rodríguez Almeida 1984, p. 35, nº 3; Gregori 2001, p. 270. 1038

207

Forum Iulium

animali domestici impiegate nell’alimentazione (bovini, caprovini, suini), cui si aggiunge il cane, un resto di volatile non identificato a livello tassonomico e una conchiglia di murice (Hexaplex trunculus).

US

Tabella 27 - elenco dei resti faunistici suddivisi per taxon1039 (NR=numero dei resti). US Taxa Bos taurus L. Pecora/Capra Ovis/Capra Sus domesticus Erx. Canis familiaris L. Uccelli - Aves ind. Molluschi Mollusca ind. Totale determinati Coste Vertebre Frammenti non determinabili Totale complessivo

1944

1961

1967

1974

2109

NR

NR

NR

NR

NR

1

1

4 6

2

3

4

2

1

12 2

1 4

1

1

1

2

5

7

5

3

24

2

2

37

NR

NR

NR

NR

NR

1

1 1

3 1 1 1 1 1 1 1

2

12

1 1

Totale

2

1

2

2

1

3

4

1944

1961

1967

1974

2109

NR

NR

NR

NR

NR

1944

1961

1967

1974

2109

7-11 7-11 +23 +23 +35 + 35

0-1 0-1 1-0

0-1 1-0 0-1 1-0

Tabella 30 - dati sulla mortalità dei suini in base allo stadio di sviluppo dentario. US

1967

2109

Età

NR

NR

7-11 mesi 31-35 mesi

1

1 1

I pochi frammenti ossei riferibili ai caprovini e provenienti tutti dall’US 2109, appartengono a due esemplari rispettivamente di età adulta, probabilmente di sesso femminile, e giovanile. I bovini sono attestati da pochi resti riferibili a tre esemplari di età adulta (Tab. 31).

Tabella 28 - elenco dei resti di suini suddivisi per elemento anatomico.

Mascellare+osso incisivo Denti superiori

2109

Mandibola Denti inferiori Scapola Omero Radio Ulna Metacarpali Coxale Femore Metapodiali Astragalo

scapola coxale metacarpo dist. metapodio dist. omero pross. femore dist.

Il maiale è la specie che in assoluto prevale sulle altre e dall’analisi della rappresentazione degli elementi anatomici si evince la presenza di tutte le parti anatomiche. I pochi dati sulle età di abbattimento (Tabb. 28-30)1040 indicano chiaramente come i maiali da cui derivano i resti esaminati fossero sia di età giovanile o giovane/adulta che adulta. Sono infatti documentati i resti mascellari di un esemplare di età compresa tra 7 e 11 mesi, i resti di almeno uno di età inferiore ai 24 mesi e di un altro di età inferiore ai 35 mesi, i resti mandibolari di due esemplari di età stimabile intorno ai 31-35 mesi, cui si aggiungono i resti di almeno 5 esemplari di età imprecisabile.1041 L’altezza al garrese di un maiale di età adulta risulta di 67 cm.1042

US

1974

Età NF-F NF-F NF-F NF-F NF-F (mesi)

11 5

1967

US

1

6

1961

Tabella 29 - dati sulla mortalità dei suini in base alla fusione delle epifisi articolari (pross. = epifisi prossimale; dist. = epifisi distale; NF= epifisi non fusa; F = epifisi fusa).

1

3

1944

Appartengono infine a cane 3 resti appartenenti ad almeno due esemplari di età adulta; l’altezza al garrese di uno è risultata di 34 cm.1043 Cani di taglia piccola simili a quello rinvenuto nella cisterna del Foro di Cesare sono ben attestati in età romana.1044

1 1

Il campione faunistico esaminato pur nella sua esiguità conferma ancora una volta l’importanza del maiale nella dieta alimentare dell’antica Roma, mentre bovini e caprovini venivano primariamente utilizzati per i prodotti

Per la nomenclatura scientifica degli animali domestici si fa riferimento a Gentry et al. 2004. 1040 Le età di morte dei suini sono calcolati in base alla fusione epifisiaria delle ossa lunghe e all’eruzione, sostituzione e usura dei denti (Bull, Payne 1982). 1041 Il conteggio del numero minimo di individui viene effettuato per singola unità stratigrafica. 1042 L’altezza al garrese viene calcolata per un astragalo sinistro in base ai coefficienti di Teichert (Teichert 1969). 1039

Si tratta di un IV metacarpale sinistro al quale sono stati applicati i coefficienti di Clark (Clark 1985). 1044 Manconi 1996; De Grossi Mazzorin, Tagliacozzo 1997 e De Grossi Mazzorin, Tagliacozzo 2000. 1043

208

Lo scavo e la ricostruzione

dell’animale vivente.1045 Del resto le fonti letterarie1046 testimoniano chiaramente il particolare gradimento che la carne porcina incontrava in quella epoca. Nel più famoso trattato di cucina, il De re coquinaria attribuito al ricco patrizio Apicio (I secolo d. C.) e giunto a noi con una edizione tarda del IV secolo d. C.,1047 si contano 17 ricette dedite alla preparazione di carne suina, oltre ai primi 10 capitoli del settimo libro interamente dedicato a cibi che lo scrittore indica come vere leccornie, ad esempio alcune porzioni del maiale, come l’utero, le mammelle, il fegato e lo stesso prosciutto. Le interiora e la carne di suino sono inoltre ingredienti di molte ricette piuttosto elaborate descritte nel quarto libro. Di contro, alla preparazione di carne di agnello e capretto sono dedicate 11 ricette, mentre solo in 4 si prescrive la cucina di carne di manzo e vitello.

NR

1 1 1

1

4

6

1

1233

1243=1252

NR

NR

1 3 4 3

Ovis/Capra Sus domesticus Erx. Totale determinati Coste Vertebre Frammenti non determinabili

29

28 28 8 2 10

Totale complessivo

36

48

Tabella 33 - elenco dei resti di suini suddivisi per elemento anatomico. US

Tabella 31 - elenco dei resti di bovini e caprovini suddivisi per elemento anatomico.

Denti inferiori Omero Radio Ulna Metacarpali Coxale Femore Tibia Calcagno Astragalo

Ovis/Capra 2109

1 2 2

1

US

Suina era inoltre la carne che a partire dal principato di Caracalla venne distribuita gratuitamente alla plebe.1054

1974

1

1

Tabella 32 - elenco dei resti faunistici suddivisi per taxon1057 (NR=numero dei resti).

Il maiale è largamente attestato anche tra i resti osteologici recuperati all’interno di un condotto radiale del Colosseo, derivati dai pasti consumati dal popolo sugli spalti dell’anfiteatro durante gli spettacoli.1053

1967

Totale

NR

Nei livelli augustei1055 individuati nella taberna XI del Foro di Cesare (Tab. 32) sono stati raccolti 31 resti di maiale e 1 solo resto di caprovino (un frammento di mandibola di un esemplare giovanile). I resti (Tab. 33) si riferiscono soprattutto a porzioni di buona resa carnea (porzioni superiori degli arti) e in misura minore a parti di scarsa resa (zampetti e testa). I pochi dati sulle età di abbattimento calcolati in base alla fusione epifisiaria delle ossa lunghe1056 indicano come i resti di maiale appartengano ad individui sia adulti che giovanili di età inferiore ad un anno (Tab. 34).

A Roma altri contesti riferibili a cantieri di restauro di età augustea hanno restituito piccoli campioni osteologici formati prevalentemente da resti di maiale. E’ il caso ad esempio dell’area dell’acquedotto dell’Aqua Marcia1048 e della taberna XI del Foro di Cesare.1049 Nei livelli augustei1050 individuati nella taberna XI del Foro di Cesare sono stati raccolti quasi esclusivamente resti di maiale.1051 Nell’area dell’Aqua Marcia sono stati recuperati soprattutto resti suini, cui si aggiungono tra gli animali utilizzati ai fini alimentari pochi resti di caprovini, pochi di pollo e alcune valve di telline (Donax trunculus). Numerosi sono invece i resti di bovini, ma il dato sembrerebbe influenzato dall’elevato numero di denti sciolti.1052

US

1

NR

3.5.5. I resti ossei animali dai livelli augustei della taberna XI (C. Minnniti)

L’intensificazione dell’allevamento suino appare strettamente associato alla crescita urbana che Roma conobbe soprattutto nei primi due secoli dell’Impero. Il consumo di carne suina doveva riguardare le abitudini alimentari di tutte le classi sociali.

Bos taurus

Cavicchia Mandibola Scapola Radio Metacarpali Coxale Tibia Metatarsali

NR

2109

De Grossi Mazzorin 2001; De Grossi Mazzorin, Minniti 2010 . Plin., Nat. Hist. VIII 209; Aelianus, De nat. anim. IX 28; Varro, De Re Rustica II 4, 10; Cic., De Nat. Deor. II 160; Cato, Orig. 39. 1047 Carazzali 2004. 1048 De Grossi Mazzorin 1996; in particolare l’attività 6 si riferisce alla fase di restauro di età augustea. 1049 Vedi Delfino et al. 2013, pp. 120-123. 1050 Le unità stratigrafiche sono le seguenti: 1233, 1243, 1252. 1051 Vedi il punto III.3.5.5., infra. 1052 De Grossi Mazzorin 1996. 1053 Delfino, Minniti 2005. 1054 Mazzarino 1966, p. 441. 1045

1046

1233

1243=1252

NR

NR

1 1

1

2 2 7 5 2 1 4 1 2

Le unità stratigrafiche sono le seguenti: 1233, 1243, 1252. Bull, Payne 1982. 1057 Per la nomenclatura scientifica degli animali domestici si fa riferimento a Gentry et al. 2004. 1055 1056

209

Forum Iulium

US

1233

1243=1252

NR

NR

Prima falange

dell’angolata della piazza.1060 Alla stessa fase veniva attribuita anche una canalizzazione marmorea alloggiata ai piedi della gradinata dei portici e un brano di pavimentazione in travertino della piazza (vedi fig. I.27, numeri 1000, 1100, 1102).1061

2

Totale

3

28

Alla seconda fase edilizia, quella augustea, erano invece attribuite la realizzazione del colonnato più esterno del lato breve sud-orientale e la Curia.1062 La costruzione contestuale di questi due corpi di fabbrica, testimoniata dalle fondazioni tra loro solidali (quella del lato breve sud-orientale del foro e quella sud-orientale della Curia), dimostrava l’esistenza di una seconda fase edilizia durante la quale il foro venne ampliato tramite l’aggiunta di una seconda navata al portico sud-orientale. In questo modo, la Curia sarebbe stata definitivamente inclusa nello spazio architettonico del complesso cesariano.

Tabella 34 - dati sulla mortalità dei suini in base alla fusione delle epifisi articolari (pross. = epifisi prossimale; dist. = epifisi distale; NF = epifisi non fusa; F = epifisi fusa).

Radio pross. Omero dist. Prima falange Metacarpo dist. Femore pross. Radio dist. Ulna pross. Ulna dist. Femore dist. Calcagno

US

1233

1243=1252

Età (mesi)

NF-F

NF-F

+11 +11 19-23 +23 31-35 +35 +35 +35 + 35 +35

1-0 1-0

0-3 2-0 0-2 0-2 1-0 4-0 2-1 1-0 2-0 0-1

Il nuovo intervento si uniformava alla struttura dei portici dei lati lunghi originari, con alcune differenze: sul lato prospiciente l’Argileto fu realizzato un colonnato monumentale pervio (vedi fig. I.30) e sul lato interno alla piazza fu ridotto l’intercolumnio fino a 1,70-1,80 m, inserendo nuove basi negli interspazi del precedente colonnato. La stessa distanza fu riproposta nella porzione centrale del colonnato pervio ma non alle estremità, dove invece furono distribuite tre basi per parte, distanziate di 2,20-2,25 m, per creare un collegamento alla percorrenza dei portici del lati lunghi.

3.5.6. La ricostruzione (fig. III.168) L’impianto planimetrico (A. Delfino, V. Di Cola) Il riesame dei dati ricavati dalle precedenti indagini e l’incrocio con quelli desunti dagli ultimi scavi ha reso possibile delineare con maggior dettaglio la portata dell’intervento di Ottaviano, precisandone modalità e tempi di realizzazione. La scoperta di un primo impianto costruttivo del Foro di Cesare databile tra il 54 e il 46 a.C., infatti, ha consentito di attribuire al prolungamento operato da Ottaviano tra il 42 ed il 29 a.C., quegli elementi strutturali che in passato erano stati attribuiti indistintamente ora all’epoca cesariana, ora a quella augustea.

Un notevole contributo al chiarimento dell’impianto architettonico del foro in questa seconda fase si è avuto con le scoperte degli anni 1998-2000. Presso il portico sud-orientale, rimuovendo parte della pavimentazione tardo-antica1063 sono state messe in luce due sottobasi circolari in travertino del diametro di 1,06 m con un interasse di 5,50 m circa, relative al colonnato mediano. Le sottobasi risultavano di forma analoga a quelle utilizzate per il colonnato interno alla piazza di epoca cesariana1064 ma avevano dimensioni maggiori, misurando 1,06 m di diametro invece di 0,90 m. Inoltre, in corrispondenza del punto di raccordo tra il lato breve sud-orientale e quello del lato lungo nord-orientale furono scoperti alcuni tratti di fondazioni e un segmento murario (fig. III.169) che consentirono di determinare l’effettiva ampiezza della piazza del Foro di Cesare.

Un contributo importante alla conoscenza storica e strutturale del complesso monumentale, soprattutto per quanto riguarda il prolungamento della piazza originaria, lo si deve allo studio effettuato dall’équipe di Edoardo Tortorici alla fine degli anni Ottanta.1058 Sui risultati raggiunti in quella occasione, in parte rivisti in questa sede, si è basata l’ipotesi ricostruttiva della seconda fase edilizia del Foro di Cesare.

Il segmento murario, in particolare,1065 è stato ripreso in esame durante le ultime indagini. Si tratta di una struttura in opera quadrata di tufo pertinente al muro di fondo del lato lungo nord-orientale, che ha caratteristiche tecnicocostruttive simili a quello che costituisce il fronte delle

Secondo Tortorici la prima fase del complesso prevedeva portici a due navate sui lati lunghi, raccordati da un braccio ad essi perpendicolare, a navata unica. L’ipotesi nasceva dall’individuazione di un tratto delle fondazioni dei colonnati interno e mediano1059 e di alcune basi di colonna poste alla distanza di 5,5-5,6 m che mostravano una dilatazione dell’intercolumnio in corrispondenza

1058 1059

Morselli, Tortorici 1989, p. 227 e fig. 198. Morselli, Tortorici 1989, pp. 222-225. 1062 Morselli, Tortorici 1989, pp. 229-237. 1063 Sull’allestimento del foro in età tetrarchica vedi Meneghini 2011, p. 503 ss. 1064 Vedi il punto III.3.5.1., supra. 1065 Vedi Att. 77 al punto III.3.5.1., supra. Vedi anche Rizzo 2001, pp. 226-227. 1060 1061

Vedi il punto I.2.2.3., supra. Morselli, Tortorici 1989, pp. 143-145 e fig. 108; p. 222 e fig. 198.

210

Lo scavo e la ricostruzione

III.168. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Pianta ricostruttiva (rilievo A. Delfino, V. Di Cola).

211

Forum Iulium

da Tortorici e da Lamboglia passano conseguentemente alla seconda fase edilizia del complesso cesariano, databile tra il 42 e il 29 a.C. A questa apparterrebbero anche le due sottobasi del colonnato mediano individuate nel 1998-2000 presso il lato corto sud-orientale oggi visibile, coperte dal pavimento di età tetrarchica di cui si è detto in precedenza. Queste, essendo di dimensioni maggiori, sono assimilabili a quelle del colonnato mediano del lato lungo sudoccidentale di epoca cesariana. Se ne ricava che Ottaviano nell’ampliare la piazza avrebbe rispettato, in linea generale, l’impostazione strutturale originaria. La coerenza architettonica con l’impianto originario che caratterizza i colonnati interno e mediano prolungati da Ottaviano sembrerebbe ritrovarsi, sebbene con alcune lievi difformità, nel colonnato monumentale rivolto verso l’Argileto, del quale si conservano in situ una base tuscanica posta su basso plinto inglobata nel nucleo cementizio del muro il laterizio che divide il foro dall’Argileto (diametro inferiore di 1,1 m e superiore di 0,90 m)1069 e le impronte di colonne rudentate, anch’esse visibili nello stesso muro.1070 Come già a suo tempo Tortorici, anche nell’attuale proposta ricostruttiva della scansione di questo colonnato ci si è avvalsi dell’assenza di usura sulle soglie marmoree dello stilobate. Tali evidenze testimoniano la realizzazione di un fronte caratterizzato da una sintassi più serrata, con proporzioni e ritmo, quindi, diversi dagli altri colonnati dei portici; l’interasse ricostruibile dalla posizione delle impronte e dall’usura dello stilobate,1071 infatti, è di 2,68 m, al quale corrisponde un intercolumnio di 1,90 m. Tuttavia, lo sviluppo in altezza delle colonne, pari a 6,50 m secondo un rapporto di 1:7 circa, sembra essere coerente con i colonnati mediano e interno alla piazza.1072

III.169. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Pianta ricostruttiva e dettaglio delle fondazioni del lato lungo nordorientale. In grigio scuro il dato archeologico; in grigio chiaro la ricostruzione (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

tabernae sul lato opposto. La sua collocazione in un punto esterno al perimetro del primo impianto di età cesariana, induce ad attribuirlo alla seconda fase costruttiva del complesso. Inoltre, la distanza fra il fronte del muro in esame e il colonnato interno alla piazza (calcolata all’interasse) è pari a circa 12,80 m, misura che trova corrispondenza sul lato opposto, tra il colonnato interno e il muro di schermatura delle tabernae. Come anticipato, il riesame complessivo delle conoscenze pregresse ha permesso di ridefinire funzione e attribuzione cronologica di alcuni dei resti strutturali già noti.

La misura dell’interasse così ricostruita (2,68 m) è inferiore di 7 cm rispetto a quella, calcolata su base archeologica, del colonnato del lato lungo sud-occidentale interno alla piazza. Questa lievissima difformità nei ritmi, probabilmente impercettibile agli occhi di chi si trovava all’interno del foro, costituirebbe la traccia materiale della volontà da parte di Ottaviano di raccordarsi all’impostazione originaria del complesso anche sul lato breve sud-orientale, connotato, come si è visto, da una struttura aperta e da un ordine architettonico monumentale.

Una traccia dell’operato di Ottaviano si riscontra in corrispondenza della sottobase più a sud-est tra quelle conservate sul lato lungo sud-occidentale.1066 La sottobase, infatti, anche se posta alla stessa distanza interassiale delle altre (2,75 m), testimonia l’inserimento in un momento costruttivo successivo essendo collocata subito dopo la colonna angolare interna alla piazza del primo foro; diversamente, essa avrebbe parzialmente interrotto la percorrenza dalla navata interna del lato breve verso quella del lato lungo sud-occidentale (vedi fig. III.109). La sottobase, quindi, è stata messa in relazione sia con le strutture individuate da Tortorici nella porzione sudorientale della piazza, sia con quelle messe in luce da Lamboglia nell’area retrostante la Curia,1067 dove ancora resta in situ una base di colonna su sottobase in travertino, appartenente al colonnato interno alla piazza.1068

Una questione strettamente legata a questo lato della piazza è costituita dagli accessi al complesso monumentale. Anche in questa fase, infatti, la via preferenziale di accesso al Foro di Cesare continua ad essere l’Argileto sul quale si affaccia il colonnato monumentale pervio. Anche se tutti gli intercolumni, vista la loro interdistanza (1,90 m), dovevano essere praticabili è possibile che gli ingressi preferenziali

Se, dunque, il prolungamento di Ottaviano si raccordava al primo foro a partire dal lato breve originario – demolito o forse mai ultimato del tutto – tutte le strutture individuate 1066 1067 1068

Morselli, Tortorici 1989, p. 140 e fig. 106, p. 143; Amici 1991, p. 35; sullo studio stilistico degli elementi architettonici vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 424-426. 1070 Il muro tardo-antico conserva le impronte in negativo dei blocchi del muro perimetrale del Foro Transitorio, al quale è stato addossato. Vedi Morselli, Tortorici 1989, pp. 140-141 e 253; Amici 1991, p. 35. 1071 Già osservato in Amici 1991, p. 35. 1072 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 424 e fig. 5, p. 425. Vedi infra. 1069

Vedi il punto III.3.4.2., ‘L’impianto planimetrico’, supra. Vedi il punto I.2.2., supra. Pallarés 2007, p. 25, fig. 7.

212

Lo scavo e la ricostruzione

fossero quelli che davano accesso diretto alle navate dei lati lunghi, più ampi (2,45 m). Inoltre, è verosimile supporre che in corrispondenza delle estremità del lato breve sudorientale fossero collocati dei vani scala per accedere ai piani superiori.1073 L’ipotesi potrebbe trovare una conferma nella guancia di rinforzo, già messa in luce da Lamboglia, ubicata presso l’angolo sud-occidentale della fondazione del colonnato pervio.1074 Si potrebbe pertanto immaginare che in questo punto del lato breve del foro vi fosse una struttura in muratura che contenesse una scala a due rampe, ciascuna larga un metro circa, accessibile dall’interno del portico oppure direttamente dall’Argileto attraverso un piccolo ingresso. Per analogia, la stessa struttura potrebbe essere ricostruita dalla parte opposta del braccio porticato.

presumibilmente in corrispondenza delle testate dei portici del foro augusteo.1078 Inoltre, se, come ipotizzato, il portico nord-orientale del Foro di Cesare avesse avuto una scansione analoga a quella del portico del lato opposto, allora la stessa presenza dei colonnati su questo lato della piazza cesariana avrebbe escluso un ingresso monumentale tra i due fori.1079 Se, invece, tra i due complessi vi fosse stato uno spazio libero, come nell’ipotesi di Gismondi, le soluzioni potrebbero essere state diverse in base a come si sarebbe articolato il colonnato nord-orientale del Foro di Cesare. Solo se quest’ultimo è immaginato identico a quello del lato sud-occidentale per i motivi sopra detti si potrebbe escludere la presenza di un accesso monumentale e prevedere soluzioni analoghe a quelle adottate da Ottaviano lungo il lato sud-occidentale del Foro di Cesare e cioè l’apertura di uno o più piccoli passaggi.

Più complicato è immaginare il raccordo tra il lato breve sud-occidentale del Foro di Augusto e il lato lungo nordorientale del Foro di Cesare. Italo Gismondi1075 aveva immaginato un’asse stradale che doveva correre dietro il lato lungo nord-orientale del Foro di Cesare, creando tra i due complessi uno spazio-diaframma transitabile.

Per quanto riguarda il sistema idraulico, gli elementi a disposizione non permettono di apportare nulla di più a quanto si è detto per la fase cesariana. Tuttavia, va osservato che una significativa innovazione è costituita dalla realizzazione del condotto per il deflusso delle acque, individuato sotto il primo gradino del nuovo portico sudorientale (fig. III.170, m).1080 Tale condotto, che raccoglieva sia le acque della piazza sia quelle del tetto del portico, si raccordava perpendicolarmente con gli altri due condotti principali presenti sotto il primo gradino dei portici dei lati lunghi del foro (vedi fig. III.170, a). Tranne la copertura, realizzata alla cappuccina con l’impiego di embrici, il nuovo condotto è analogo a quelli di fase cesariana individuati sui lati lunghi.

Dopo i recenti scavi condotti in due riprese nel settore centrale del Foro di Augusto, invece, è stata ipotizzata la perfetta aderenza dei due complessi, senza alcuno spazio libero frapposto.1076 Tale soluzione, che prevede un raccordo dei portici dei lati lunghi del Foro di Augusto direttamente sul suo lato breve sud-occidentale, si giustificherebbe per la presenza del tratto murario individuato nella campagna di scavo 1998-2000 in una delle cantine del quartiere Alessandrino e qui ripreso in esame (Att. 77). Tale struttura, pertanto, è stata interpretata come muro di fondo continuo del Foro di Augusto, che risulta del tutto analogo al “muraglione dei Pantani”.

Un ulteriore condotto di deflusso correva sotto il settore sudorientale della piazza, del quale è stato possibile ispezionare solo un breve tratto (fig. III.170, n). Tuttavia l’andamento da nord verso sud della struttura consente di ipotizzare che essa provenisse dal Foro di Augusto e fosse diretta verso la Curia Iulia, dove sarebbe confluita nella Cloaca Maxima. A questo proposito, un cunicolo individuato in prossimità dello spigolo nord-orientale della Curia è forse da mettere in relazione con un tratto di questo condotto (fig. III.170, o; fig. III.171).1081

Ora, come si è potuto ricostruire in base alla nuova campagna di rilievo che ha preso in considerazione anche la struttura muraria in questione, risulta evidente che quest’ultima è identificabile con un tratto del muro di fondo del portico nord-orientale del Foro di Cesare attribuibile al prolungamento di Ottaviano. La struttura, inoltre, si presenta del tutto isolata senza la men che minima traccia di muri costruiti in aderenza al lato rivolto verso il Foro di Augusto. Tale precisazione risulta di estrema importanza in quanto lascerebbe ancora aperta la possibilità delle due ipotesi descritte, destinate a rimanere tali fino a quando non verrà indagata l’area sotto via dei Fori Imperiali.

Come già si è detto in merito ai gradini che dalla piazza conducevano ai portici,1082anche la canaletta marmorea presente lungo il lato corto sud-orientale del foro è da considerarsi, se non realizzata ex novo in età tardo-antica, sicuramente rimaneggiata in questo periodo insieme a tutto il sistema di gradinate della piazza (vedi fig. I.46).

L’ipotesi avanzata in questa sede, tuttavia, è che il muro di fondo nord-orientale del Foro di Cesare fosse in comune con il lato sud-occidentale del Foro di Augusto (vedi fig. III.168).1077 Tale soluzione, pertanto, comporta che gli accessi tra le due piazze fossero aperti nel muro suddetto,

Infine, per quanto riguarda la pavimentazione della piazza, anche nella nuova porzione vengono impiegate lastre di travertino del tutto analoghe a quelle utilizzate nella fase cesariana.

Vedi il punto seguente “Elevati e coperture”. Vedi il punto I.2.2., supra. 1075 Sulla planimetria ricostruttiva dei Fori Imperiali proposta da Gismondi nel 1933 si veda da ultimo Filippi 2007 e Giuliani 2007a. 1076 Rizzo 2000, p. 67 e ss; Eadem 2001, pp. 226-227; Carnabuci 2010, pp. 129-133; Carnabuci, Braccalenti 2011, pp. 55-60. 1077 Filippi 2012, p. 170, tavv. 30, 38. 1073 1074

Carnabuci 2010, p. 130; Carnabuci, Braccalenti 2011, p. 57. La Rocca 2006, p. 125. 1080 Vedi il punto III.3.4.2., “Il sistema idraulico”, supra. 1081 Il cunicolo, che misura 0,50 m circa di larghezza, è realizzato in conglomerato cementizio con copertura a doppio spiovente. 1082 Vedi il punto III.3.4.2., “L’impianto planimetrico”, supra. 1078 1079

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Forum Iulium

III.170. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Pianta ricostruttiva del sistema idraulico. In rosso la rete di deflusso; in azzurro quella di adduzione (elaborazione grafica A. Delfino, V. Di Cola).

214

Lo scavo e la ricostruzione

terminale del Foro di Cesare all’orientamento dell’attiguo Foro di Augusto, in via di costruzione. Il prolungamento della piazza e l’inserimento della Curia, quindi, avrebbero comportato la leggera rotazione degli orientamenti dei colonnati il cui interasse, originariamente di 2,75 m, viene ridotto a 2,68 m nella porzione costruita in questa occasione, consentendo una corrispondenza precisa con il colonnato monumentale rivolto verso l’Argileto. Dal punto di vista planimetrico, la conformazione del lato breve sud-orientale si presta ad alcune riflessioni interpretative. La stretta connessione tra questa parte del foro e la Curia, che ne costituisce un’appendice, insieme all’ordine architettonico tuscanico che decora il fronte rivolto verso l’Argileto, richiamano all’attenzione il problema del Chalcidicum. Come noto, tale monumento, costruito da Augusto continens Curia,1084 è da intendersi come un atrio o una sorta di vestibolo colonnato di ingresso ad un edificio pubblico.1085 Le ipotesi avanzate in passato sulla sua collocazione sono essenzialmente tre. La prima che lo pone dietro la Curia Iulia,1086 la seconda che lo colloca sul lato sinistro della stessa,1087 la terza, infine, davanti ad essa.1088 Nonostante le speranze nutrite in passato1089 che la prosecuzione degli scavi e la maggior conoscenza dell’impianto del Foro di Cesare di età cesariano-augustea avrebbero un giorno fatto luce sulla sua reale identificazione, una soluzione al problema non è ancora stata raggiunta.

III.171. Foro di Cesare. Area nord-orientale della Curia Iulia. Veduta del cunicolo.

Ciò premesso e ritenendo doveroso esprimersi su un argomento che tocca così da vicino l’oggetto di questo studio, crediamo che la proposta già a suo tempo avanzata da Lamboglia1090 di identificare il Chalcidicum nel portico del lato corto sud-orientale del Foro di Cesare sia, tra le ipotesi avanzate, quella maggiormente sostenibile. Anzi, in base a quanto si è potuto verificare, tale ipotesi risulterebbe rafforzata.

Alla luce di quanto detto e considerando il prolungamento di circa 20 m dell’originario impianto cesariano, il nuovo Foro di Cesare, re-inaugurato da Ottaviano nel 29 a.C., misurava 159 x 75 m circa, pari a 535 x 252 piedi romani. Come già rilevato a proposito della prima fase costruttiva, gli orientamenti che governano le singole componenti del complesso cesariano sembrano essere tre. I primi due, come si è visto, caratterizzano i portici del lato lungo sud-occidentale, l’altro le tabernae e il Tempio di Venere Genitrice, realizzati verosimilmente in un momento posteriore. Un ulteriore orientamento caratterizza le strutture realizzate in occasione dell’ampliamento della piazza attuato da Ottaviano, ossia la Curia e la porzione terminale dei portici che delimitano la piazza verso l’Argileto.1083 La rotazione verso sud-est compiuta dai colonnati, leggermente divergenti, quindi, da quelli appartenenti al primo progetto costruttivo, si deve molto probabilmente alla necessità di adeguare la porzione

Si è visto, infatti, che il prolungamento augusteo ha comportato la realizzazione sul lato breve sud-orientale di un porticato con un ordine potenziato rispetto a quelli dei lati lunghi, il cui aspetto richiama da vicino un monumentale vestibolo di accesso al Foro di Cesare e che in virtù del suo serrato colonnato affacciato sull’Argileto creava al R. Gest. D. Aug. 19, 1: Curiam et continens ei Chalcidicum […] feci; R. Gest. D. Aug. 35: Curiam cum Chalcidicum; Cass. Dio., LI 22: ἐπεὶ δὲ ταῦτα διετέλεσε, τό τε Ἀϑήναιον τό Χαλκιδικὸν ὠνομασμένον καὶ τὸ βουλευτήριον τὸ Ἰουλίειον, τὸ ἐπὶ τῇ τοῦ πατρὸς ἀυτοῦ τιμῇ γενόμενον, καθιέρωσεν. 1085 Zevi 1971, pp. 237-251; LTUR I, 1993, p. 265 (F. Zevi). 1086 Lanciani 1883, p. 6 e ss; Thomsen 1941, p. 105 e ss; Lamboglia 1980, p. 126; Morselli, Tortorici 1989, pp. 231-235; LTUR I, 1993, p. 332 (E. Tortorici); LTUR II, 1995, p. 303 (C. Morselli); Gros 2001-2002, pp. 124125 e 128; Idem 2010, p. 274; Filippi 2012, p. 170; Tortorici 2012, p. 30. 1087 Hülsen 1905a, p. 97-99; Bartoli 1963, p. 61 e ss; Lugli 1970, p. 230; Balty 1991, pp. 149-151; Torelli 2004. 1088 Zevi 1971, pp. 245-250; LTUR I, 1993, pp. 265-266 (F. Zevi); Fraschetti 1999, pp. 144-155. 1089 Morselli, Tortorici 1989, p. 36. 1090 Lamboglia 1980, p. 126. 1084

L’Amici aveva già osservato come l’allineamento che caratterizza il fronte delle tabernae divergesse leggermente rispetto al fronte della Curia, e suggeriva che tale scarto potesse essere assorbito dal muro di foderatura in blocchi di travertino (Amici 1991, pp. 40-42; vedi anche il punto I.3.4., supra). Va precisato, tuttavia, che la Curia appartiene a un momento costruttivo più recente rispetto alle tabernae, per cui dobbiamo supporre che Ottaviano abbia aggiunto anche altri vani, o quantomeno modificato il muro di foderatura in travertino. 1083

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Forum Iulium

III.172. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Sezione ricostruttiva longitudinale (d-d'). In grigio scuro il dato archeologico; in grigio chiaro la ricostruzione (disegno ricostruttivo V. Di Cola).

suo interno uno spazio conchiuso tra la strada e la piazza cesariana. Naturalmente, non è possibile stabilire se questo nuovo fronte/vestibolo che Augusto realizza continens Curia coincida realmente con il Chalcidicum citato nelle Res Gestae, ma sicuramente ne ha tutto l’aspetto. Un vestibolo, che per la sua stessa posizione, doveva svolgere la doppia funzione di transito, sia dall’Argileto alla piazza del Foro di Cesare, sia dalla Curia al foro stesso.

accordo con quelli originari: corinzio nell’ordine interno alla piazza e ionico in quello mediano.1092 Un cambiamento significativo, come si è detto, avviene invece sul lato breve, in corrispondenza del colonnato monumentale affacciato sull’Argileto. L’ordine ricostruibile sulla base dei frammenti conservati in situ e trovati nelle immediate vicinanze è il tuscanico. Oltre alla base di colonna con imoscapo inglobata nelle strutture tardo antiche, sono stati attribuiti a questo ordine un capitello tuscanico con sommoscapo lavorato insieme, ritrovato negli scavi del 1998-2000, e un rocchio rudentato di colonna.1093 Altri frammenti emersi durante gli stessi scavi sono stati attribuiti ad una possibile decorazione della trabeazione. Questa poteva prevedere un fregio a palmette, montato su un architrave a due fasce con lacunare decorato da modanature lisce.1094

Gli elevati e le coperture (V. Di Cola) Lo studio delle evidenze archeologiche relative all’impianto planimetrico del Foro di Cesare in epoca augustea ha consentito di elaborare una ricostruzione in elevato del complesso cesariano (fig. III.172). L’impostazione globale dei portici dei lati lunghi non deve aver subito modifiche significative, rimanendo invariato l’assetto. Il raccordo del prolungamento operato da Ottaviano all’impianto architettonico originario deve aver tuttavia comportato una parziale risistemazione delle coperture, che si può supporre ancora a falda unica.1091

L’ordine inferiore, come si è detto in precedenza, poteva raggiungere i 6,5 m di altezza, raccordandosi con i colonnati dei lati lunghi di epoca cesariana. Tuttavia, non è possibile stabilire quale fosse la soluzione architettonica applicata per il secondo ordine. Si potrebbe ipotizzare, come per i lati lunghi, un colonnato proporzionalmente ridotto in altezza; in alternativa, si potrebbe immaginare un attico, forse costituito da specchiature marmoree intervallate da semicolonne, in analogia con quanto accade contemporaneamente nel Foro di Augusto. Va detto, però, che non si hanno elementi archeologici, almeno per il momento, che possano confermare quanto ipotizzato. E’ suggestivo immaginare, in ogni caso, un richiamo alla decorazione della vicina Basilica Giulia, restaurata dallo stesso Augusto.

Gli intercolumni dei colonnati vengono rispettati fino al punto di innesto della Curia, dove invece la distanza tra gli elementi dell’ordine prospiciente la piazza si dilatano leggermente, in rapporto all’angolata dei portici. Della decorazione architettonica non si hanno elementi sufficienti a far luce sul problema della continuità stilistica; si può soltanto supporre che anche in questa fase i colonnati mediano e interno alla piazza siano stati realizzati in

Un elemento a sostegno dell’ipotesi di una copertura a una falda, soprattutto in questa fase, deriva dal confronto con la struttura del Foro Transitorio, attiguo al Foro di Cesare. Le strutture murarie di epoca flavia che delimitano il corpo di fabbrica raggiungono almeno i 25 m, altezza che avrebbe molto probabilmente reso problematico lo smaltimento delle acque di gronda provenienti dalla falda esterna dei portici cesariani. 1091

Vedi il punto III.3.5.7., infra. Vedi Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 424-425 e il punto III.3.5.7., infra. 1094 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 437 e il punto III.3.5.7., infra. 1092

1093

216

Lo scavo e la ricostruzione

Differente, tuttavia, sarebbe l’organizzazione strutturale. I portici del Foro di Cesare, come si è visto, consistevano in una porticus duplex articolata in due bracci lunghi, raccordati da un segmento breve, articolati probabilmente su due piani, con i colonnati mediani rinforzati rispetto a quelli affacciati sulla piazza. I portici del Foro di Augusto, invece, consistono in lunghe porticus simplices a un solo piano, caratterizzate da un poderoso colonnato sormontato da un attico, decorato con statue di cariatidi alternate a grandi clipei.1097 Per quanto riguarda le coperture, si ha la certezza che i portici del Foro di Augusto fossero coperti da un tetto ligneo a doppio spiovente molto probabilmente mascherato internamente da una contro soffittatura, come lasciano supporre gli incassi quadrangolari dei travi dell’orditura lignea conservati nel muro perimetrale nord-est del foro.1098 I portici del Foro di Cesare sono stati invece ricostruiti a falda unica in rapporto al sistema di smaltimento delle acque di gronda. Indizi a favore dell’ipotesi sono costituiti dalla rete fognaria individuata all’interno della piazza1099 e dalla soluzione costruttiva adottata successivamente per addossare il Foro Transitorio al lato corto sud-orientale del complesso cesariano.

III. 173. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Taberna III. Sezione ricostruttiva (disegno ricostruttivo V. Di Cola)

L’opera di Ottaviano all’interno del complesso cesariano si rintraccia anche in alcuni interventi presso le tabernae. Questi consistono principalmente nella realizzazione di setti murari in opera reticolata, di modulo maggiore rispetto a quello attestato per l’età cesariana. Caso emblematico è quello della taberna XI, il cui muro di fondo, per posizione stratigrafica e tecnica edilizia è stato attribuito ai lavori di completamento del complesso da parte di Ottaviano. All’interno della taberna III, invece, in questa fase viene demolita la precedente rampa a tornante, sostituita da una scala che dai portici raggiunge direttamente il clivo Argentario, aprendo così anche il lato sud-occidentale del foro verso l’esterno (fig. III.173).

Sebbene, quindi, il Foro di Cesare e il Foro di Augusto differiscano per molti aspetti, rimane elemento comune a entrambi la monumentalità dei portici, i quali, allo stato dei fatti, dovevano risultare piuttosto simili nelle dimensioni. Si può supporre, pertanto, che Augusto abbia scelto di adeguare il proprio progetto monumentale ad un sistema proporzionale già determinato dal complesso cesariano, volendo forse istituire un legame prima di tutto visivo, ma plausibilmente anche strutturale, tra le due piazze. La vicinanza topografica e cronologica dei due fori, dunque, potrebbe in sintesi contribuire a rafforzare la plausibilità dell’ipotesi ricostruttiva dei portici del Foro di Cesare proposta in questa sede, avendo forse costituito la fonte diretta di ispirazione del progetto architettonico del Foro di Augusto.

Per poter cogliere, anche se solo in via ipotetica, quale doveva essere la mole architettonica del Foro di Cesare, vale la pena di tentare un confronto con il vicino Foro di Augusto, costruito da Ottaviano a partire dal 42 a.C. in appoggio al lato nord-orientale del foro cesariano.1095

3.5.7. Gli elementi architettonici (P. Maisto, B. Pinna Caboni)

L’altezza raggiunta dai portici di epoca cesariana, secondo la ricostruzione proposta in questa sede, è pari a 20 metri circa, dimensione molto vicina a quella dei portici del Foro di Augusto, alti circa 18 metri.1096 Sebbene questi ultimi siano parte di una composizione architettonica molto più complessa, correlata alle grandi esedre poste sui lati lunghi nord-ovest e sud-est, rappresentano comunque una unità strutturale distinta e per alcuni aspetti paragonabile a quella ricostruita nel Foro di Cesare.

L’assetto augusteo del complesso, come già avvenuto per quello cesariano, è emerso dall’analisi delle strutture di fondazione pertinenti al settore più meridionale del portico lungo sud-occidentale e a quello del braccio corto sud-orientale. E’ stato possibile definire l’allungamento della piazza verso sud-est di circa 20 m, caratterizzato da analoga tecnica costruttiva e analoga scansione dei colonnati, grazie alla rilettura dei resti scoperti nell’area dell’Accademia di San Luca dove sono state attribuite all’assetto cesariano solo

Suet., Aug. 29, 1; R. Gest. D. Aug. 21, 1-2; Cass. Dio., LV 10. L’altezza sviluppata dai portici si può dedurre dalle ricostruzioni misurate edite in Bauer 1985, fig. 7, p. 239 e in Idem 1987, fig. 1, p. 764; la stessa altezza viene riproposta anche nell’ultima elaborazione della Sovraintendenza del Comune di Roma - progetto Museo dei Fori Imperiali, in Ungaro 2004, p. 20. 1095

1096

1097 1098 1099

217

Ungaro 2004, pp. 19-24. Bauer 1985, p. 232-233. Vedi il punto III.4.2. “Il sistema idraulico”, supra.

Forum Iulium

III.175. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Dettaglio della pianta di scavo con le fosse di spoliazione delle sottobasi (Archivio Fori Imperiali). III.174. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Montaggio dei rilievi di scavo relativi all'area dell'Accademia di S. Luca (Archivio Fori Imperiali) e al settore angolare di raccordo tra il portico sud-orientale e quello sud-occidentale (da LAMBOGLIA 1980) sulla planimetria ricostruttiva. In alto campite in grigio chiaro le sottobasi della fase cesariana; in basso in grigio scuro le sottobasi della fase augustea.

spoliazione di età altomedievale rinvenute più a settentrione negli scavi del 1999 e relative alle sottobasi delle colonne frontali (figg. III.175 e III.176). Non vi sono elementi per stabilire variazioni nell’assetto architettonico del braccio di portico sud-orientale seguite ai lavori per il prolungamento della piazza verso l’Argiletum;1102 una recente verifica planimetrica ha portato però a evidenziare un leggero restringimento degli intercolunni di questo portico (pari a 7 cm) che, come sarà qui di seguito analizzato, sembra attribuibile a un accorgimento costruttivo.

quattro delle cinque sottobasi in travertino. La quinta, più a sud-est (vedi fig. III.147), è stata quindi interpretata come l’inizio dell’allungamento del foro il cui settore angolare, di raccordo tra i colonnati interni alla piazza dei due bracci di portico, era già stato individuato negli scavi di N. Lamboglia e poi di C. Morselli e E. Tortorici (fig. III.174).1100 In tale occasione, infatti, fu messa in luce l’impronta della sottobase angolare seguita, lungo il fronte sud-occidentale, da una ulteriore impronta e da una sottobase in travertino che permette l’aggancio con le sottobasi ritrovate nell’area dell’Accademia. All’impronta angolare seguono, lungo il lato corto, un’altra impronta e un’altra sottobase1101 che risultano coerenti con l’allineamento delle fosse di

Allo stato attuale delle indagini, inoltre, non sono stati individuati elementi architettonici tali da suggerire un’articolazione dell’ordine corinzio affacciato sulla piazza diversa rispetto all’originario impianto cesariano la cui sostanziale omogeneità, malgrado le eventuali variazioni stilistiche imputabili alla successione dei due interventi, sarebbe stata garantita anche dalla cromia che doveva caratterizzare gli elevati. Analoghe considerazioni possono effettuarsi anche per il colonnato mediano, per il quale il rinvenimento, nell’area del prolungamento augusteo, di quattro sottobasi, prive però di lastre pavimentali contigue,

Vedi i punti I.2.2.2., I.2.2.3., III.3.4.2., “La ricostruzione”, III.3.4.4 “Gli elementi architettonici”, III.3.5.6. “La ricostruzione”, supra. 1101 Morselli, Tortorici 1989, fig. 99 e p. 214 dove il numero 1100d è riferito alle sottobasi in travertino costituite da un plinto rettangolare con faccia superiore a sagomatura circolare, e il numero 1403 indica le impronte di forma quadrangolare scalpellate sulla fondazione n. 1000 (pp. 135, 149, figg. 98-100 e 115-116). 1100

1102

218

Delfino 2010d, pp. 335-347.

Lo scavo e la ricostruzione

III.176. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Foto di scavo 1998-2000 con le fosse di spoliazione delle sottobasi del colonnato prospiciente la piazza (Archivio Fori Imperiali).

conferma la scansione aerostila: due sottobasi sono state infatti rinvenute nel settore più meridionale del lato lungo sud-occidentale, scavato negli anni Sessanta e due nel lato corto, obliterate dalla successiva pavimentazione in opus sectile della ristrutturazione tardo-antica di questo braccio di portico (vedi fig. I.25).1103

di colonna in situ, ora inglobata in un muro tardo,1106 un capitello tuscanico ritrovato nel 1999 (FC 4745), un frammento di rocchio rudentato di colonna (FC 4743), conservato nell’area fin dai lavori degli anni Trenta, e un secondo liscio (FC 4765, fig. III.178) inglobato nella fondazione a sacco di una cantina rinascimentale impiantata nel settore occidentale del portico.1107 La verifica della compatibilità metrica di questi elementi ha permesso di ricostruire una colonna di 22 piedi di altezza, pari a quelle corinzie ma di diametro leggermente maggiore. La conservazione di almeno 4 impronte delle colonne,1108 ancora visibili all’interno dei resti murari tardo-antichi

Se la ricostruzione dei colonnati interno e mediano si è potuta avvalere di dati sostanzialmente connessi alle fondazioni,1104 non altrettanto può dirsi per il fronte verso l’Argiletum per il quale la rilettura degli elementi superstiti1105 ha permesso di proporre una nuova architettura caratterizzata dalla presenza di un ordine tuscanico che, rivolto verso la strada, offriva un’articolazione decisamente diversa e originale, svincolata dagli altri ordini del complesso e in particolare da quello corinzio all’interno della piazza forense.

Nella successiva realizzazione del Foro di Nerva, il fronte colonnato sud-orientale del Foro di Cesare venne chiuso con un muro a blocchi cui venne addossato in epoca tetrarchica un possente muro in calcestruzzo che inglobò, nel sostanziale rifacimento di questa parte del foro, il colonnato probabilmente già rovinato e parzialmente crollato, come dimostrano le impronte nella muratura stessa (Morselli, Tortorici 1989, pp. 138-148). 1107 Il rocchio liscio in lunense FC 4765 non è stato incluso nella ricostruzione dell’ordine tuscanico proposta in Maisto, Pinna Caboni 2010, poiché identificato più recentemente e contestualizzato, per congruità di misure, nella parte alta del fusto liscio, subito sotto il capitello. Il frammento è inserito in una fondazione a sacco del quartiere alessandrino realizzata a pochi metri dal fronte in questione e pertanto è ipotizzabile la sua pertinenza al colonnato tuscanico. Il rocchio conserva parte dei due piani e ha un’altezza di 74 cm; il diametro ricostruito misura 75 cm. Per completezza si riporta qui anche il diametro inferiore del capitello FC 4745 che misura 76,5 cm (Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 449, N.3). 1108 Amici 1991, pp. 38-39, figg. 39-40; Morselli, Tortorici 1989, pp. 140141. 1106

Gli elementi che hanno portato a questa originale ricostruzione (fig. III.177) consistono in una base tuscanica

Morselli, Tortorici 1989, pp. 253-255; VItti 2004, pp. 693-706. Vedi il punto III.3.4.2. e il punto III.3.5.6., “Gli elevati e le coperture”, supra. 1105 Gli scavi dal 1932 al 2000 hanno interessato a varie riprese il settore meridionale del Foro di Cesare e quello adiacente del Foro di Nerva. Per la bibliografia relativa vedi i punti I.2.2.2. e I.2.2.4., supra. 1103 1104

219

Forum Iulium

III.178. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Rocchio di fusto liscio di colonna (FC 4765) inglobato in una fondazione rinascimentale.

piazza, tale scarto di soli 7 cm nella scansione del portico meridionale, deve aver avuto un impatto visivo quasi impercettibile per cui sembra indice di un accorgimento costruttivo avvenuto nel corso dell’ampliamento augusteo del portico verso meridione e probabilmente dettato dalla necessità di adattarsi alla larghezza disponibile per il lato corto.1110 Le evidenti tracce in negativo dei fusti, ivi compresa la sagoma di una base tuscanica1111 con imoscapo (vedi fig. III.179, c), che si accorda perfettamente con quella in situ, permettono di dare ulteriore conferma della sintassi architettonica della colonna con il fusto a rocchi, rudentato nel terzo inferiore, e base tuscanica lavorata in unico blocco con l’imoscapo rudentato.1112 L’originale capitello tuscanico (fig. III.180)1113 rinvenuto nel 1999 nella vicina fossa di spoliazione del muro perimetrale del lato lungo nordoccidentale del Foro di Nerva, si presenta metricamente congruo con gli altri elementi identificati e stilisticamente inquadrabile nella seconda metà del I sec a.C. III.177. Foro di Cesare. Fronte colonnato verso l’Argileto. Ricostruzione grafica di una colonna tuscanica con capitello (FC4745), spezzoni di fusto, liscio (FC 4765) e rudentato (FC4743) e base in situ (elaborazione grafica V. Di Cola).

A riguardo è indicativa la resa spinosa e metallica delle foglie d’acanto che, con le caratteristiche zone d’ombra ad occhiello, campiscono la superficie dell’echino alternandosi a delicate foglie d’acqua. Tipico anche il sommoscapo lavorato in un unico blocco con il capitello e decorato da un elegante motivo vegetale con tralci nascenti da fiori di loto.

lungo l’Argileto (fig. III.179), ha permesso di restituire un colonnato pervio - obliterato solo dalla successiva costruzione del Foro Transitorio1109 – e di individuarvi anche una leggera anomalia nella scansione rispetto a quella documentata nel lato interno verso la piazza. Infatti un recente controllo metrico delle impronte ha permesso di misurare in m 1,82 l’intercolumnio del tuscanico (pari ad un interasse di m 2,68, corrispondente a 9 piedi di 29,57 cm) e di verificare anche che tale distanza, come già detto sopra, risulta maggiormente compatibile con le fosse di spoliazione del colonnato rivolto verso la piazza. Dall’interno della 1109

In considerazione del fatto che la larghezza del foro resta immutata, non è da escludere che anche la scansione cesariana di questo lato corto, avesse adottato lo stesso accorgimento che attualmente però, non è più verificabile. 1111 Scoperta nel 1932, è già edita in: Morselli, Tortorici 1989, pp. 140143; Amici 1991, pp. 37-39, fig. 40; Rizzo 2001, pp. 225-226, fig. 13; Maisto, Vitti 2009, p. 38; da ultimo: Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 424-426. 1112 Il rinvenimento di un frammento di base di lesena (FC 1096) rinvenuto negli scavi del 1932, tipologicamente affine con quella in situ, permette di delineare un possibile raccordo stilistico con i muri perimetrali dei portici laterali che terminavano probabilmente con un’anta di incerta articolazione caratterizzata da un rivestimento a lesene Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 425 e 448 n. 2b.. 1113 Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 425-426, fig.6. 1110

Rizzo 2001 pp. 226-227.

220

Lo scavo e la ricostruzione

III.179. Foro di Cesare. Portico sud-orientale. Impronte del colonnato tuscanico prospiciente l’Argileto conservate in un muro tardo. a) e b) impronte di fusti rudentati; c) impronta di una base tuscanica.

Per una porzione minima conservata, il fusto può ricostruirsi liscio nei due terzi superiori, come sembra confermare anche la recente identificazione del rocchio (vedi fig. III.178). Un confronto stringente per questo capitello è individuabile in quelli rialzati nel 1663 in due delle quattro colonne, con fusto scanalato e base tuscanica, poste agli angoli del perimetro sacro del sepolcro di C. Cestio (18-12 a.C.) (fig. III.181). Le caratteristiche costruttive di questi capitelli, con il sommoscapo lavorato in un unico blocco e la peculiare sequenza dei registri compositivi, richiamano molto da vicino, sebbene con un decoro meno raffinato, quella del capitello forense. Quest’ultimo sembra dunque costituire l’illustre prototipo di un modello reiterato non

solo in età augustea in ambito pubblico e privato ma ancora in piena età imperiale, come attestano alcuni capitelli adrianei di Ostia.1114 Tra il materiale rinvenuto sempre nell’area tra il Foro di Nerva e questo settore del portico sono stati selezionati alcuni elementi che, per stile e misure, possono essere associati alla trabeazione marmorea dell’ordine tuscanico. Si tratta, al momento, di tre frammenti, più un quarto noto Si ringraziano Marina Milella e Massimo Baldi per la proficua collaborazione. Per il sepolcro di Caius Cestius vedi LTUR IV, 1999, pp. 278-279, figg. 133-134 (C. Krause); per i capitelli ostiensi: Pensabene 1973. 1114

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Forum Iulium

III.180. Foro di Cesare. Capitello tuscanico (FC 4745) conservato nell’area archeologica.

III.181. Roma. Piramide di C. Cestio. Particolare del capitello di una delle colonne tuscaniche (foto P. Maisto).

III.182. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Ricostruzione grafica della trabeazione dell’ordine tuscanico con architrave (FC 4516), fregio ionico con palmette (da sinistra FN 2030, FN 2189, FN 2543, frammento rinvenuto negli sterri degli anni Trenta e riconosciuto nella foto del 1933 (D’AMELIO 2007, p. 468, fig. 30.8) e cornice (FN 2549, FN 2565) (disegno ricostruttivo di V. Di Cola).

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Lo scavo e la ricostruzione

III.183. Foro di Cesare. Periodo 5. Modifiche e prolungamento del primo impianto del Foro di Cesare (42-29 a.C.). Proposta ricostruttiva del fronte tuscanico verso l’Argiletum (elaborazione grafica di V. Di Cola su rilievo di M.L. Vitali).

solo da una foto del 1933,1115 pertinenti ad un elegante fregio ionico a lastra decorato con motivo a palmette alternate a fiori di loto (fig. III.182) tipico del linguaggio tardo-ellenistico.1116 Pur nella generale omogeneità di questi frammenti, tutti in lunense, si rilevano però lievi differenze esecutive dovute probabilmente alla diversa

abilità dei lapicidi nell’esecuzione del modellato del motivo vegetale. Il dimensionamento di questo fregio a lastre si accorda bene con un frammento di architrave (FC 4516), la cui decorazione frontale a due fasce si coniuga bene, a sua volta, con l’ordine tuscanico. Il rilievo di questo frammento di architrave ha evidenziato una buona corrispondenza metrica tra il centro della specchiatura del lacunare e quello del capitello tuscanico e tra la larghezza di un alloggiamento ricavato nella parte anteriore del suo piano superiore e quello dello spessore delle lastre del fregio vegetale ricontestualizzato nell’ordine (fig. III.183).1117

Nel fregio con palmette e fiori di loto, il frammento (FN 2189) è stato recentemente individuato e aggiunto ai due frammenti (FN 2543 e FN 2030) già ricontestualizzati in Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 437-438, fig. 15 dove il numero d’inventario FN 2030 compare, per errore, come FC 4687. Nella proposta di ricomposizione del fregio è stato inserito, per l’assoluta uguaglianza della composizione e dei dettagli decorativi, anche il frammento ritratto in una foto d’epoca assieme ad altri ritrovamenti architettonici dal Foro di Cesare (D’Amelio 2007, p. 468, fig. 30.8). 1116 Si evidenzia, nella fig.7, la presenza di un frammento di palmetta con andamento simile a quello di questo fregio marmoreo, a riprova della traduzione in marmo di modelli diffusi nella decorazione fittile tra la tarda repubblica e la prima età imperiale. 1115

1117 Maisto, Pinna Caboni 2010, p. 437, fig. 14. Si rettifica quanto ipotizzato nella scheda 12 a p. 452 riguardo all’altezza ricostruibile dell’architrave pari a 54 cm in favore di quanto detto in questa sede; si confermano invece le misure reali del pezzo (in cm): largh. max.98; spess. max.44; fascia inf. h. 12; fascia sup. h.16; coronamento h.13.

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Forum Iulium

A seguito dell’identificazione di due frammenti di sottocornice (FN 2549, FN 2565), 1118 caratterizzati da un originale decoro costituito da una sequenza continua di guttae alternate a elementi geometrici, è stato possibile ricostruire anche parte della cornice attribuibile a quest’ordine, la cui fattura riporterebbe ad una trabeazione di tipo dorico. L’associazione tra questi diversi elementi di trabeazione con il colonnato tuscanico non presenterebbe una mescolanza eccessiva di ordini ricollegandosi, prevalentemente, a quello dorico-tuscanico malgrado l’ipotizzato inserimento di un fregio di tipo ionico (vedi fig. III.182). In base a tale proposta, l’elevato del colonnato sud-orientale potrebbe dunque rientrare tra quegli interessanti episodi di ordini misti che caratterizzano la progettualità di quest’epoca di transizione contraddistinta ancora da composizioni ardite e sintassi libere.1119

III.184. Foro di Cesare. Capitello corinzio (FC 4507) conservato nell’area archeologica.

Ad oggi non si hanno dati certi relativamente alla composizione dell’ordine sovrastante quello tuscanico: l’ipotesi della copertura a una falda rivolta verso la piazza del foro1120, obbliga a immaginare il fronte rivolto verso l’Argiletum alto poco più di 1/3 rispetto a quello ricostruito verso l’interno della piazza. Purtroppo i resti architettonici per tentarne una ricomposizione non sono stati al momento individuati ma l’altezza ricostruita in m 20,20, simile a quella proposta nella ricostruzione della vicina basilica Emilia,1121 potrebbe parlare a favore di una compatibilità nell’articolazione tra questi due fronti cronologicamente e topograficamente così vicini.

verso l’Argileto,1124 avvenuta grazie a una eloquente serie di elementi che ha permesso di restituire con verosimiglianza le singole membrature dell’alzato, si configura come un intervento legato, come architettura, a soluzioni profondamente influenzate dalle esperienze tardo-ellenistiche ma, dal punto di vista urbanistico, in controtendenza rispetto al primitivo impianto cesariano “chiuso”. Esso risponde, infatti, a una concezione spaziale “aperta” che, dall’età proto-augustea, sopravvivrà fino agli stravolgimenti di quest’area connessi alla costruzione del Foro Transitorio.1125

Al momento, solo il colonnato tuscanico in corrispondenza del primo ordine presenta strette analogie con il fronte della basilica Emilia mentre nel secondo, per analogia con il fronte interno, non può essere escluso un colonnato corinzio. A tale riguardo rimane ancora incerta la ricollocazione del capitello corinzio (FC 4507) (fig. III.184) ritrovato nel crollo del rifacimento tetrarchico del portico sud-orientale e già escluso dalla ricostruzione del secondo ordine interno alla piazza per le proporzioni leggermente eccedenti.1122 Future ricerche potranno avvalorare, fatta salva la corrispondenza con gli altri colonnati interni, il leggero sovradimensionamento di questo secondo ordine adeguato al più possente tuscanico. Del resto, le caratteristiche stilistiche e compositive del capitello rientrano nell’orizzonte proto-augusteo1123 e si adatterebbero bene alla fase costruttiva di questo fronte.

I grossi lavori emersi dai recenti scavi hanno permesso di focalizzare l’intervento augusteo nel consistente ampliamento planimetrico, di oltre venti metri, della piazza forense verso l’asse viario dell’Argiletum.1126 Il conseguente rifacimento del braccio corto sud-orientale, oltre ad aver rivelato l’accorgimento strutturale della lieve diminuzione dell’intercolumnio, si qualifica ora anche per l’importante peculiarità del colonnato pervio sull’Argiletum caratterizzato da un ordine architettonico diverso - ossia quello tuscanico - e peculiare per l’originalità delle soluzioni formali adottate che, come sembra aver dimostrato lo studio degli elementi architettonici rinvenuti nell’area, fornisce un nuovo contributo alle conoscenze del linguaggio architettonico della prima età augustea a Roma che, ancora variegato e ricco nel repertorio e nelle diverse opzioni sintattiche, appare meno condizionato dal quel classicismo

L’identificazione del fronte di ordine tuscanico aperto

L’importanza di questo asse viario sopravvisse anche agli sconvolgimenti urbanistici di epoca tardo-flavia: Morselli, Tortorici 1989, pp. 44 -46; Tortorici 1991, pp. 32-37. 1125 Delfino 2008, p. 54. 1126 I portici, differentemente dal tempio, non sembrano aver subito radicali cambiamenti con il successivo intervento traianeo, come dimostra la presenza, in situ, delle lastre pavimentali in marmo lunense e della base di pilastro. Questo non esclude che all’intervento augusteo siano seguiti parziali riassetti, specie nel piano superiore dei portici e nel tetto. A tale proposito fa riflettere la gran quantità di coppi marmorei rinvenuti negli scavi degli anni Trenta e alcune significative e compatibili antefisse, inquadrabili stilisticamente in età Traianea come sembra potersi leggere, in modo preliminare, in una foto d’epoca (D’Amelio 2007: fig. 3.75). 1124

Maisto, Pinna Caboni 2010, pp. 438-439, fig.16 dove nei numeri d’inventario 2549 e 2565 compare, per errore in precedenti schedature, la sigla FC al posto di FN. 1119 Pensabene 1997, pp. 184-189. 1120 Per la copertura a una unica falda vedi il punto III.3.4.2. ‘Gli elevati e le coperture’. 1121 Da ultimo Ertel, Freyberger 2007, pp.118-136, fig. 23. 1122 Maisto, Pinna Caboni 2010, p.446, fig.22, scheda n°16, p. 453. 1123 Viscogliosi 1996, p. 188, fig.104; Lipps 2007, pp. 146-152; figg. 6-10. 1118

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Lo scavo e la ricostruzione

formale, erede del repertorio attico, che condizionerà invece pesantemente le successive soluzioni architettoniche.

loro collegamento con l’esterno attraverso il colonnato tuscanico.

Il dato emerso dagli scavi del 19861127 di una fondazione continua tra il muro sud-orientale della Curia Iulia e il fronte esterno del portico affacciato sull’Argileto, implica la contemporaneità progettuale tra i due edifici la cui realizzazione, in base alle recenti scoperte, è stata avviata a partire dal 42 a.C.1128 con l’allungamento dell’asse longitudinale del foro fino al limite perpendicolare dettato dal lato lungo sud-orientale della Curia. Alla morte del dittatore dunque, l’annessione fisica e politica della Curia al suo foro era ancora in nuce e si sarebbe certo realizzata solo dopo l’autorizzazione del Senato concessa poco prima, nel gennaio del 44 a.C.1129 Solo induttivamente però si può supporre1130 che i lavori di costruzione della nuova Curia siano iniziati già nel 46, forse dopo la sfarzosa inaugurazione del foro e forse nell’ambito della più ampia sistemazione in corso dell’area testimoniata dalle fonti e nascosta allo spazio forense proprio dall’originaria chiusura del fronte sud orientale.1131 In tutti i casi, a partire dal 42, o forse già dal 45 a.C., viene attuata la realizzazione di un progetto “politico” che, superando la morte del suo geniale ideatore, si configura come l’integrazione (l’interdipendenza?) di due importanti edifici pubblici per la legittimazione del potere. Essi troveranno poi la loro monumentale connessione proprio in quel rinnovato braccio di portico sud-orientale che, come Chalcidicum ovvero come vestibolo d’ingresso,1132 costituirà il legame topografico tra il Foro e la Curia e, al tempo stesso, il

I lavori augustei nel Foro di Cesare si qualificano dunque come un impegno morale e politico che va oltre gli eventuali interventi dovuti all’incompletezza del monumento al momento della sua inaugurazione nel 46 a.C.1133 Chiariscono questi aspetti della vita del complesso, le lapidarie quanto eloquenti parole del settantaseienne Cesare Ottaviano Augusto: Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Castoris et aedem Saturni, coepta profligataque opera a patre meo, perfeci […]1134 Il Foro paterno, citato tra i numerosi edifici dell’Urbe bisognosi di restauri o potenziamenti, è l’unico, insieme alla vicina Basilica Iulia, a essere qualificato nel puntiglioso elenco delle Res Gestae1135 come incompiuto dal grande Cesare e pertanto bisognoso di essere portato a termine (perficere): un’opera di completamento, certo, il cui impegno però, lungi dall’essere solo nominale, si sarebbe dovuto qualificare come un episodio niente affatto marginale nell’attività edilizia che accompagnò il lungo percorso dell’affermazione politica del suo promotore.1136 Non a caso, infatti, nelle Res Gestae, l’intervento nel Foro di Cesare viene citato tatticamente come un episodio a sé stante, scisso da quello della Curia (curia et continens ei Chalcidicum […] feci) e antecedente rispetto ai lavoriper la realizzazione del Foro di Augusto, illustre capofila dell’attività edilizia promossa in prima persona da Ottaviano Augusto.1137 Uno iato narrativo che suggerisce magistralmente un preciso percorso politico, raccontato ora anche dall’architettura del Forum Iulium.

Tortorici, Morselli 1989, p. 229. Delfino 2008, p. 54; Gros 2010, p. 274. 1129 Cass. Dio., XLIV 5, 2. 1130 Delfino 2008, p. 54; Gros 2010, pp. 272-274. 1131 Giustamente già Edoardo Tortorici si poneva il problema che il foro venisse inaugurato col portico colonnato meridionale aperto su un’area ancora in pieno fermento edilizio e non solo ad opera di Cesare (Morselli, Tortorici 1989, p. 229). 1132 Gros 2010, p. 274-276 con bibliografia aggiornata.

Plin., Nat. Hist. XXXV 155-156. R. Gest. D. Aug. 20. 1135 R. Gest. D. Aug. 20,7-8. 1136 Il Tempio di Venere Genitrice non viene specificatamente citato nelle Res Gestae ed è ipotizzabile che non sia stato interessato dall’intervento augusteo in quanto portato a termine da Cesare stesso, essendo stato affidato a questo edificio il principale compito celebrativo all’interno del complesso. I forti rimaneggiamenti avvenuti in età traianea, si giustificano con gli imponenti lavori connessi allo sbancamento della collina tra il Campidoglio e il Quirinale per la realizzazione del Foro di Traiano: di qui l’ovvia necessità di rimettere mano al tempio (vedi da ultimo Maisto, Vitti 2009). 1137 R. Gest. D. Aug. 21 e ss. 1133 1134

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IV. IL SACCO GALLICO: MITO E REALTÀ DI UN EVENTO STORICO A. Delfino1

La datazione agli inizi del IV sec. a.C. dei livelli di distruzione dei due edifici di abitazione del Foro di Cesare, costituisce un valido stimolo ad affrontare nuovamente la questione del sacco gallico del 390 a.C.

Il dibattito nacque attorno ad un noto passo di Livio nel quale si dice che la “maggior parte” dei documenti più antichi della città andò perduta durante l’incendio gallico.4 La dissertazione, fondata sulla convinzione che la storia antica non era ricostruibile a causa della parzialità delle fonti scritte, concludeva una disputa nata nell’Académie des Inscriptions et Belles Lettres nel corso degli anni venti del XVIII sec.,5 in merito al valore storico non solo di Livio, ma anche delle sue fonti di riferimento.6

Nonostante la critica storica si sia recentemente impegnata in una revisione dei fatti, facendo luce sull’effettiva entità delle distruzioni causate dai Galli, è ancora fortemente radicata la tendenza ad una “lettura storicizzante”2 che, considerando l’evento in conformità con quanto narrato dalle fonti scritte, adotta il criterio della presenza/assenza di tracce di incendio databili all’inizio del IV secolo a.C. nella ricostruzione dell’avvenimento.

L’intervento di de Beaufort, schierato a favore dell’inattendibilità delle fonti antiche per la ricostruzione dei fatti storici anteriori al IV sec. a.C., gettò le basi dell’ipercritica moderna. L’incendio gallico, dunque, entrò definitivamente nel novero degli avvenimenti più importanti della storia di Roma.7

La convinzione che vi sia stata un’impostazione sbagliata nel modo di considerare la tradizione scritta, ha dato spunto ad un riesame dei dati a disposizione, prendendo in considerazione la bibliografia storica, le fonti scritte antiche e i dati archeologici.

L’importanza che da allora venne data alla questione dell’attendibilità delle fonti antiche non venne meno nel dibattito storiografico del XIX secolo.8 Continuarono ad

Si tenterà di dimostrare, quindi, come siano stati erroneamente considerati sinonimi i termini “sacco” e “incendio” e come l’evento narrato dalle fonti non sia consistito in un vasto incendio, quanto piuttosto in una distruzione attuata secondo precise tattiche predatorie.

Liv., VI 1, 2 […] et quod, etiam si quae in commentariis pontificum aliisque publicis privatisque erant monumentis, incensa urbe pleraeque interiere. 5 I protagonisti della disputa furono gli accademici Lévesque de Pouilly e l’abate Claude Sallier. Su questo argomento vedi Raskolnikoff 1992 e da ultimo Leghissa 2007, p. 160 e ss. 6 Le dissertazioni di de Pouilly e di Sallier si svolsero fra il 1720 e il 1724 e furono pubblicate nel 1729 nel VI volume dei Memoires de Letterature de l’Académie Royale des Inscriptions et Belles Lettres. Lévesque de Pouilly già nel 1722 aveva tacciato di inattendibilità quanto tramandato dagli storici romani circa la storia dei primi secoli di Roma, adducendo come prova il fatto che le fonti più antiche erano state distrutte da guerre e incendi, soprattutto quello gallico, del quale veniva accettata aprioristicamente la veridicità storica; inoltre anche se qualche documento si era salvato, questo non era sufficiente per una ricostruzione storica attendibile. Tale posizione suscitò la reazione dell’abate Sallier (Sallier 1729, pp. 52-70, in particolare p. 52) che accusò il de Pouilly di pirronismo storico e ribadì fermamente l’attendibilità della tradizione alla quale aveva attinto Livio. Le premesse di questo dibattito possono essere rintracciate nelle tesi contrapposte di Philippus Cluverius e Theodorus Ryckius. Il primo negava valore alla storiografia di matrice romana che narrava episodi anteriori all’incendio gallico; solo gli autori greci potevano restituire la verità sulla storia più antica di Roma (Parum igitur vel nihil certi de iis, quae ante captam incensamque urbem gesta fuerunt, scribere potuerunt Romani auctores). Cluverius 1624, p. 828 e ss. Theodorus Ryckius, al contrario, partendo dal passo di Liv., VI 1, 1-3 relativo alla distruzione dei documenti più antichi della città, affermò che non di distruzione totale si trattò ma solo della maggior parte (pleraeque) di essi (Ryckius 1684, p. 437). 7 Si veda per esempio l’opera del De Vertot sulla storia delle rivoluzioni di Roma repubblicana dove l’incendio gallico figura come evento storicamente certo; De Vertot 1785, II, p. 269. 8 L’idea di un incendio devastante della città che avrebbe distrutto la maggior parte dei documenti scritti della storia più antica della città ha 4

La questione dell’ incendio gallico nella storiografia moderna e il contributo dell’archeologia L’opinione che Roma fosse stata bruciata dai Galli nel 390 a.C. (=386 a.C.) occupò un posto centrale nel dibattito storiografico moderno già a partire dalla Dissertation sur l’incertitude des cinq premiers siècles de l’histoire romaine di Louis de Beaufort, edita la prima volta nel 1738.3

Quanto segue costituisce l’approfondimento, alla luce dei nuovi risultati ottenuti dopo la fine scavo, di alcuni lavori apparsi recentemente. Vedi Delfino 2009b, pp. 339-360; Idem 2010b, pp. 285-302; Di Giuseppe 2010, pp. 303-320. 2 L’espressione, coniata da Poucet, viene adoperata in riferimento all’uso di elementi del racconto tradizionale per spiegare i dati materiali portati in luce dalla ricerca archeologica; Poucet 1985, pp. 161-166. 3 de Beaufort 1738. Per una panoramica sulla storiografia moderna con particolare riferimento al sacco gallico vedi Roberts 1918, pp. 55-65; Ampolo 1983, pp. 9-26. La credenza che l’incendio appiccato dai Galli avesse distrutto tutta la città, è già presente in Petrarca: Victi igitur Romani et fuga effusi atque, insequentibus Gallis, capta urbs, trucidatus senatus, incensa omnia preter Capitolium egre a paucis Manlio duce defensum, […]. Petr. De vir. illustr., I, De Marco Furio Camillo, 22. 1

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Il sacco gallico

avvicendarsi i sostenitori della tesi “catastrofista” che enfatizzava ogni singolo episodio riguardante la presa di Roma, primo fra tutti l’incendio e quelli a favore di un’impostazione più razionale, che pur non mettendo in dubbio la veridicità storica del fatto, preferiva trovare conferma nelle tracce archeologiche, ridimensionando gli effetti distruttivi dell’incendio.

Nonostante il parere autorevole di De Sanctis, la netta contrapposizione tra le due teorie storiografiche non riusciva ad appianarsi e la questione dell’incendio continuava a dividere coloro che accettavano la tesi dell’esistenza di documenti scritti precedenti al 390 a.C. (=386 a.C.) da quelli che invece ne ribadivano l’assenza.13 Le stesse ricostruzioni storiche proposte dagli archeologi si basavano sull’affannosa ricerca della prova che confermasse o smentisse l’una o l’altra teoria storica.14

Date queste premesse, gli archeologi del XX secolo si inserirono nel dibattito storiografico ponendo l’attenzione, durante gli scavi al Foro Romano che proprio allora prendevano avvio, ai livelli archeologici ritenuti contemporanei al sacco gallico, ricercando le traccie di incendio che, a parer loro, avrebbero dimostrato la realtà degli avvenimenti narrati dalla tradizione.9

Nell’ambito degli studi topografici, tuttavia, iniziò ad affacciarsi la convinzione che un incendio gallico fosse realmente esistito. Tale assunto si basava su un altro passo di Livio nel quale si affermava che per ricostruire Roma fu dato il permesso di cavare materiale a piacimento occupando aree pubbliche e ignorando i tracciati delle vie e delle infrastrutture fognarie.15 Questa ricostruzione caotica della città, che si credeva di riscontrare nella tortuosità dei tracciati e nella costruzione disordinata degli edifici, alimentò la credenza che ciò avvenne a causa dell’incendio che aveva cancellato ogni traccia dell’ordinamento urbanistico precedente.

Alle teorie ipercritiche che consideravano l’incendio gallico come un evento devastante che avrebbe cancellato ogni traccia di documento storico ad esso anteriore, si contrappose Gaetano De Sanctis con argomentazioni che per acume e ponderatezza risultano, come si vedrà, condivisibili ancora oggi.10 Nota, infatti, è la sua teoria che vedeva nel racconto della distruzione di Roma da parte dei Galli un mito eziologico creato dagli antichi per spiegare la scarsità di documenti anteriori al IV secolo a.C.11 Per questa ragione, il supposto incendio della città veniva riportato ad una visione più equilibrata e più aderente alla realtà dei fatti narrati dalle fonti.12

Con il contributo di Einar Gjerstad il dibattito parve giungere definitivamente ad un punto di svolta. L’archeologo svedese, infatti, riconosceva le tracce del sacco gallico nei punti più importanti della città quali il Comizio, la Regia16 e presso la Casa Romuli sul Germalo;17 laddove queste tracce non venivano ritrovate, come nell’area Sacra di S. Omobono se ne giustificava l’assenza con il rispetto osservato dai Galli

trovato in Niebuhr uno dei più validi assertori (Niebuhr 1812, p. 527; Idem 1850, p. 267). In ambito italiano la stessa idea è in Micali 1826, p. 112 e nelle numerose traduzioni dall’inglese e dal francese di Goldsmith 1812, p. 85. L’opinione di Niebuhr è accettata da Mommsen che in più occasioni ribadisce il carattere catastrofico della presa di Roma da parte dei Galli, insistendo sull’incendio totale della città (Mommsen 1879, p. 297 e ss; Idem [1888] 1973, vol. II, pp. 413-414). Allineato con tale interpretazione è anche Pais che tuttavia ammette una certa enfasi delle fonti nel riportare l’entità del disastro; Pais 1899, pp. 54, 97-98 e pp. 725-728. Contrario alle teorie sopra dette era, invece, Thouret che negava l’esistenza dell’incendio; Thouret 1880, p. 95 e ss. 9 Esemplificativo del fermento che suscitò nel campo degli studi archeologici la problematica dell’incendio gallico, fu il diverso atteggiamento critico che assunsero Boni e Pinza di fronte ai livelli di bruciato che vennero individuati nelle stratificazioni del Comizio. Se il primo dichiarava di aver intrapreso lo scavo “non per provare, ma per controllare le ipotesi da cui sono partito; quella per esempio che i monumenti coperti dal niger lapis fossero stati distrutti dai Galli. Nè mi vergognerei di lasciarla allo stato di ipotesi.” (Boni 1900, pp. 295340, in particolare p. 340), l’altro, al contrario, affermava senza mezzi termini che “non mi sembra dubbio che l’incendio gallico abbia distrutto il Comizio B…” (Pinza 1905, p. 47). Sull’interpretazione come tracce del sacco gallico dei livelli di distruzione rinvenuti dal Boni al Comizio vedi anche Studniczka 1903, pp. 129-155, in particolare p. 153 e ss; Hülsen 1905b, p. 43. In questo stesso periodo esemplificativo è anche lo scavo di Vaglieri presso la Casa Romuli sul Germalo dove le tracce di combustione presenti nei depositi medio-repubblicani furono interpretati come la prova del “bivacco dei Galli, i quali evidentemente si accamparono in questo posto“. Vedi Vaglieri 1907, p. 205. 10 Si veda da ultimo Ziolkowski 2006, pp. 88-91 dove, in sostanziale accordo con De Sanctis, la portata del disastro gallico è valutata non tanto dalla distruzione di edifici quanto sopratutto dallo shock, in termini di vite umane, causato dalla disfatta dell’Allia e dalla perdita di beni mobili che la città fu costretta a pagare agli occupanti. 11 De Sanctis 1907, I, p. 5 e ss. 12 De Sanctis 1907, II, p. 176 e ss. Lo studioso afferma che furono appiccati incendi qua e là nella città e che l’entità dei danni fu notevole, specialmente sul piano psicologico. Tuttavia l’idea di una distruzione totale dell’abitato e di un incendio devastante che avrebbe cancellato ogni traccia dei documenti fino allora esistenti, secondo De Sanctis è da ritenersi una invenzione degli annalisti romani che crearono, come in molti altri casi, un mito eziologico per spiegare un fatto di cui non era chiara l’origine.

Si confronti l’atteggiamento di Pais che ribadisce la realtà dell’incendio devastante e generale di tutta la città, adducendo come prova i ritrovamenti archeologici sul Palatino e al Foro Romano (Pais 1913, pp. 3-5; Idem 1918, pp. 3-65), con quanto invece affermano Roberts 1918, p. 55 e ss. e Frank 1924, p. 35 che invece negano effetti distruttivi sui più importanti edifici della città. Vedi anche pochi anni dopo Giannelli 1937, p. 184 e Ciaceri 1937, pp. 82-85 che ripropongono sostanzialmente quanto già detto da De Sanctis. 14 Non mancarono, naturalmente, posizioni contrarie a questa tendenza dominante come quella assunta da Brown che nonostante avesse incontrato nello scavo della Regia edifici danneggiati nel IV secolo a.C., non si lasciò indurre alla facile conclusione di aver trovato le tracce delle distruzione gallica. Soprattutto, ai fini della ricostruzione del clima che il dibattito storiografico aveva assunto anche nel campo archeologico, è interessante sottolineare come l’archeologo americano dichiarasse che “sarebbe vano cercare di desumere dalle rovine alcun tipo di certezza circa la distruzione o conservazione delle liste dei pontefici durante l’invasione gallica”. Brown 1933, p. 72. 15 Liv., V 55; Diod. Sic., XVI 116. Tac., Ann. XV 38, 2. 16 Gjerstad interpretava le tracce di distruzione individuate da Boni sotto il secondo pavimento del Comizio e da Brown presso la Regia come relative al sacco gallico del 390 a.C. Vedi Boni 1900, p. 327 e ss; Brown 1933, p. 72; Gjerstad 1941, p. 77 e ss., in particolare 148 e ss; Idem 1960, pp. 82, 220, 294, 354; Idem 1973, p. 14 n. 1. 17 Si tratta di una sequenza stratigrafica in relazione con alcuni fondi di capanne databili all’VIII secolo a.C., individuati e in gran parte scavate per la prima volta dal Vaglieri all’inizio del XX secolo; vedi Vaglieri 1907, pp. 264-282; Puglisi 1951, pp. 2-98; Gjerstad 1960, p. 45 e ss. Un’utile sintesi dello scavo di una delle capanne lasciate intatte da Vaglieri e scavata da Puglisi nel 1948 è in Ampolo 1976, pp. 143-145, che conferma l’attribuzione dei livelli di distruzione all’incendio gallico. La sequenza stratigrafica individuata era costituita da quattro strati sovrapposti, il terzo dei quali (strato III), a partire dal basso, è stato messo in relazione con l’incendio del 390 a.C. Il deposito, datato in base al materiale ceramico tra la fine del V e gli inizi del IV sec. a.C., presentava vistose tracce di cenere e bruciature che hanno permesso di interpretarlo come un deposito di bonifica, accumulato dopo la distruzione dell’area. 13

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Forum Iulium

verso gli edifici sacri.18 Sembrava, quindi, che l’archeologia avesse dato una risposta positiva al secolare dibattito sull’esistenza di un incendio gallico.19

a.C. questo costituisca la prova dell’incendio, rimettendo in discussione ogni certezza acquisita fino a quel momento. I due edifici distrutti dalle fiamme all’inizio del IV sec. a.C. rinvenuti nell’area del Foro di Cesare, dunque, a ragion veduta riaprono il dibattito sulla presa di Roma da parte dei Galli.26

L’intera questione, tuttavia, venne nuovamente messa in discussione nel corso degli anni Settanta del Novecento, quando i materiali e le stratigrafie degli scavi dove fino a quel momento si credeva di aver riconosciuto le tracce certe della distruzione, furono sottoposti ad ulteriori analisi critiche.

Le fonti scritte antiche e l’incendio gallico Secondo quanto riferisce Livio,27 dopo aver saccheggiato Roma per sette mesi e averla data alle fiamme, i Galli, ottenuto il pagamento richiesto, lasciarono la città ridotta ad un cumulo di cenere e macerie. Case, templi ed edifici pubblici andarono distrutti e con questi la “maggior parte” dei commentari pontifici, dei documenti pubblici e privati. Unico baluardo della difesa opposta dai Romani fu il Campidoglio, sedes deorum e simbolo della perpetuitas di Roma, che, nonostante il grave pericolo intercorso, rimase inespugnato.

Se per lo scavo presso la Casa Romuli sul Germalo l’associazione dei materiali ceramici e la sequenza stratigrafica ricostruita, alla prova dei fatti, risultava ancora coerente con la cronologia del sacco gallico,20 per quel che riguardava il Comizio e la Regia l’analisi dei reperti portava verso una cronologia decisamente più alta e quindi escludeva categoricamente ogni relazione con il sacco del 390 a.C. (=386 a.C.).21 Allo stesso modo venne riconsiderata anche la supposta crescita disordinata della città, che fu spiegata con la stessa morfologia naturale del sito su cui essa sorse in modo graduale e spontaneo.22

Sulla base di questa versione dei fatti, considerata la Vulgata, sono stati effettuati in passato alcuni studi28 che hanno avuto il merito di dimostrare l’esistenza di una lunga evoluzione della tradizione scritta relativa al sacco gallico, sviluppatasi nel tempo con l’apporto di diverse versioni concepite per un fine politico-ideologico ogni volta diverso.29 Tra gli episodi verificatisi durante il sacco gallico, quello dell’incendio risulta essere un tipico esempio di ciò che Poucet ha chiamato “amplificazione narrativa” della tradizione, attuata per un preciso intento politico-ideologico da parte di alcuni gruppi gentilizi.30

Il fatto che non vi fosse “alcuna traccia sicura dell’incendio gallico”23 nei luoghi che tradizionalmente erano implicati nelle vicende dell’assedio come ad esempio l’area sacra di S. Omobono,24 portò per la prima volta gli archeologi a considerare l’evento come uno dei tanti episodi miticostorici, spostando l’interesse verso l’indagine del contesto politico-sociale nel quale si svolse la presa di Roma.25 Se la ricerca archeologica degli ultimi anni ha avuto il merito di depurare la questione del sacco gallico dai tanti aspetti acritici che la rivestivano, primo fra tutti l’incendio totale della città, immutata, tuttavia, è rimasta la premessa di ogni indagine: la presenza/assenza di livelli di bruciato databili all’inizio del IV sec. a.C. costituisce ancora la conditio sine qua non per stabilire l’esistenza della distruzione gallica. Sembra, infatti, che ogni volta che venga individuata la traccia di un incendio databile alla prima metà del IV sec.

Per rintracciare le fonti da cui Livio deriva il racconto dell’incendio, si prenderanno in considerazione le più antiche testimonianze scritte che menzionavano l’evento, con lo scopo di verificare quanto può essere stato frutto di aggiunte posteriori. La presa di Roma da parte dei Galli che secondo la cronologia varroniana avvenne nel 390 mentre secondo quella greca nel 387/6, ebbe immediatamente una vasta eco nel mondo antico. L’accaduto era ben noto già ad Aristotele (fr. 610 Rose in Plut., Cam. 22, 5), ad Eraclide Pontico (fr. 102 in Plut., Cam. 22, 3), a Teopompo (fr. 317 Jacoby citato in Plin., Nat. Hist. III 5, 57) e a Fabio Pittore (FGrHist 809 F33 (= Chassignet F23): quapropter tum primum ex plebe alter consul factus est duouicesimo anno postquam Romam Galli ceperunt). Nel corso di tutta la storia romana, a riprova dell’importanza di questo accadimento non mancarono accenni più o meno ampli: Enn., Ann. fr. 164 V³, in Macr., Sat. I 4,17; Polib., I 6, 2-3; II 18, 1-3; Varro, De vit pop. Rom. II fr. 61; Cic., De div. I 17, 30; II 38, 80; Diod. Sic., XIV 115, 6; XIV 116, 8; Liv., V 41, 10; V 42, 1 ss; V 43, 1; VI 1, 1-3; Strab., V 1, 6; Dion. Hal., XIII 6, 1; Verg., Aen. VIII 652-662; Luc., Bell. Civ. V 27-29; Tac., Ann. XV 41; Suet., Tib. 3; Plin., Nat. Hist. XXXIII 5, 14; App., Gall. IV 1; Plut., Cam. 22, 3; Rom. 17, 6; 22, 2; Num. 1, 2; 12, 9-13; Giust., Epit. VI 6, 5; XX 5, 8; XXIV 4, 2; XXVIII 2, 4; XXXVIII 4, 8; XLIII 5, 8; Val. Max., Fact. et dict. memor. III 2, 7; Dio. Cass., VII 25,4; Tertull., Apol. XL 8; Eutr., Brev. II 20, 3; Lact., Div. Inst. I 20, 27; Oros., Histor. II 19, 7-16; Serv., Ad Aen. VIII 652-662. 27 Vedi in particolare Liv., V 50, 2; V 53, 2; VI 1, 2. Su Livio V e VI vedi rispettivamente Ogilvie 1965 e Oakley 1997. 28 Wolski 1956, pp. 24-52; Sordi 1960, pp. 25-52; Mazzarino 1966, II, pp. 245 e ss.; Sordi, 1984, pp. 82-91. 29 Torelli 1978, p. 226; Idem 2007, p. 115. Sulla valenza politicoideologica della tradizione storica della Repubblica vedi Cornell 1986, p. 67 e ss., in particolare p. 83; Poucet 2000, pp. 54-55. 30 Poucet 1985, p. 250 e ss; Idem 2000, p. 124, n. 150. 26

Gjerstad 1959-1960, p 102. Al riguardo vedi ad esempio Kovaliov 1976, p. 117 dove viene detto che la città venne saccheggiata ed incendiata dai Galli citando a riprova le tracce archeologiche riportate da Gjerstad. Soprattutto il rinvenimento di strati di distruzione intorno alla Casa Romuli costituiva un riscontro puntuale a quanto detto dalle fonti circa la distruzione in quest’area della Curia Saliorum durante l’incendio gallico; Cic., De Divinat. I 17, 30; Plut., Cam. 32, 6; Rom. 22,2; Dion. Hal., XIV 2, 5; Val. Max., Fact. et dict. memor. I 8, 11. 20 Vedi Ampolo 1976. 21 Coarelli 1978, pp. 229-230; Idem 1983, pp. 119-138. Si vedano anche le considerazioni in Carafa 1998, pp. 42-47e nota 28. 22 Castagnoli 1958, p. 19; Ogilvie 1965, p. 751; Castagnoli 1974, pp. 425-443. 23 Coarelli 1988b, p. 332. 24 Sulle sequenze stratigrafiche dell’area di S. Omobono vedi soprattutto: Peroni 1959-1960, pp. 7-37; Gjerstad 1959-1960, pp. 33-108; Idem 1960, III, pp. 378-463; Idem, 1966, IV, pp. 363-366, 382-383, 399-400; Ioppolo 1971-1972, pp. 3-19; Virgili 1977, pp. 20-34; Pisani Sartorio, Virgili 1979, pp. 41-47; Coarelli 1988c, pp. 205-244; Pisani Sartorio 1990, p. 114. Da ultimo vedi Adornato 2003, pp. 809-835 che tende a ribassare verso la fine del VI sec. a.C. la cronologia finora data del tempio. 25 Torelli 1978, pp. 226-228; Idem 2007, p. 116. 18 19

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Il sacco gallico

nella tavola del pontefice o nelle cronache magistratuali, come mai, pur ricordando la presa di Roma, Aristotele, Eraclide Pontico e Teopompo non ne fanno menzione? La risposta più scontata è che la tradizione di un incendio globale della città non si fosse ancora formata.39

Le più antiche citazioni della presa di Roma da parte di tribù celtiche sono fornite nell’ordine: da due frammenti, rispettivamente di Aristotele e Eraclide Pontico, inseriti nella vita di Camillo di Plutarco,31 da un frammento di Teopompo riportato nella Naturalis Historia di Plinio32 e da un passo di Fabio Pittore.33 Tali notizie rivestono grande importanza perchè, seppur indirettamente, riportano l’opinione che già all’indomani dell’accaduto i primi tre autori avevano dei fatti così come si erano svolti. Seppure essi affermino chiaramente che Roma, considerata una πόλις greca, fu conquistata da una tribù celtica e che si salvò solo in extremis dall’annientamento,34 non accennano mai, tuttavia, ad un incendio quale causa della totale distruzione della città.

Oltre che nelle fonti pubbliche, il ricordo della presa di Roma doveva essere preservato con una maggior ricchezza di dettagli e particolari sia negli archivi delle famiglie aristocratiche (lettere, tituli affissi sotto le imagines maiorum, elogia funebri ecc.)40 sia, più in generale, nella tradizione orale comune.41 Quest’ultima deve aver giocato un ruolo fondamentale nella trasmissione della memoria del sacco gallico se si considera che tra l’evento storico (inizio del IV sec. a.C.) e la redazione scritta che di questo faranno i primi annalisti (fine del III-inizio del II sec. a.C.) intercorrono solo sei/otto generazioni. Si tratterebbe di un lasso di tempo pienamente incluso nei parametri stabiliti per la credibilità della trasmissione di una tradizione orale, compresi tra un minimo di 150 e un massimo di 300 anni.42 Teoricamente, pertanto, la tradizione veridica del racconto del sacco gallico avrebbe potuto trasmettersi fino ai primi annalisti. Tuttavia, non solo non possediamo i testi, in questo caso pontificali e magistratuali, che potevano riportare le notizie così come dovevano circolare nel IV sec. a.C. ma non possediamo nemmeno gli scritti dei primi annalisti che a quei testi dovevano aver attinto.43

noto che Aristotele, Eraclide Pontico e Teopompo appartengono a quegli autori greci di cui fanno parte anche Filisto di Siracusa, Timeo di Tauromenio ed Eforo, propensi a raccontare le vicende mitico-storiche delle città, ricorrendo, come nel caso di Roma, alle tradizioni locali per ricavare il materiale delle loro narrazioni.35 A Roma, in questo periodo, la storiografia è ancora in una fase definita “cronachistica”, caratterizzata da brevi registrazioni fatte giorno per giorno o anno per anno, redatte solo da parte di sacerdoti e magistrati aristocratici detentori della memoria collettiva dello Stato Romano.36 Ora, essendo la presa di Roma un evento di interesse pubblico, l’eventuale incendio doveva essere sicuramente riportato negli Annali dei Pontefici37 e nelle cronache magistratuali (annales), che dunque potrebbero aver costituito la fonte principale di Aristotele.38

Ciò nonostante è comunque possibile far luce su alcuni elementi utili ad individuare l’originario nucleo storico del racconto intorno al quale sono cresciute, nel corso del tempo, le varie versioni.

Ma se l’incendio era per eccellenza un evento da registrare

Alla fine del III sec. a.C. sul doppio sostrato costituito dalla

31 Plut., Cam. 22, 5. Άριστoτέλης, δ᾿ ὁ φιλόσoφoς τὸ μὲν ἀλῶναι τὴν πόλιν ὑπὸ Κελτῶν ἀκριbῶς δῆλός ἐστιν ἀκηκoώς, τὸν δὲ σώσαντα Λεύκιoν εἶάι φησιν ἦν δὲ Μᾶρκoς, oὑ Λεύκιoς, ὁ Κάμιλλoς. Plut., Cam. 22, 3. Ἡρακλείδης γὰρ Πoντικὸς […], φησιν άπὸ τῆς ἐσπέρας λόγoν κατασχεῖν, ὡς στρατὸς ἐξ Ὑπερboρέων ἑλθὼν ἐξωθεν ἡρήκoι πόλιν Ἐλληνίδα ᾿Ρώμην, έκεῖ πoυ κατῳκημένην περί τὴν μεγάλην θάλασσαν. 32 Plin., Nat. Hist. III 5, 57. […] nam Theopompus, ante quem nemo mentionem habuit, urbem dumtaxat a Gallis captam dixit, […]. 33 FGrHist 809 F33 (= Chassignet F23): quapropter tum primum ex plebe alter consul factus est duouicesimo anno postquam Romam Galli ceperunt. 34 Lucio, il personaggio che secondo Aristotele salvò Roma dalla estrema catastrofe, è identificato con il Lucio Albinio che portò in salvo i sacra a Caere. Vedi Sordi 1960, pp. 49-52; Mazzarino 1966, II, p. 251. 35 De Sanctis 1907, p. 166; Wolski 1956, p. 56 e ss; Sordi 1960, passim; Momigliano 1966, pp. 55-68, in particolare p. 62; Mazzarino 1966, II, pp. 54-55 e p. 251; Gabba 1966, p. 154 e ss; Sordi 1984, passim; Cornell 1986, p. 82; Musti 2001, p. 14 e ss. 36 Musti 1989, p. 179 e ss. 37 Sugli Annali dei Pontefici si veda Mazzarino 1966, II, p. 250 e ss e da ultimo l’edizione critica di Chassignet 1996, pp. XXIII-XLII, con amplia bibliografia di riferimento. Gli annali esistenti fino alla fine del II sec. a.C. erano ancora scarni elenchi di fatti affissi apud pontificem maximum, domi (Cato, Orig. IV 1) che non davano spazio ad ampie descrizioni. Solo in età graccana tale pratica fu interrotta e gli annales pontificali degli ultimi 280 anni furono riuniti in una edizione in ottanta volumi, gli Annales Maximi, che considerata la loro mole dovevano contenere per esteso non solo quanto contenuto negli archivi pontificali ma anche più versioni di uno stesso evento. Vedi Momigliano 1966, pp. 59; Gabba 1966, p. 153; Frier 1979; Montanari 1990, pp. 63-70. 38 Suggestiva è la considerazione di Mazzarino riguardo all’elogio augusteo di Lucio Albinio (CIL VI 1272=ILS 51=Inscriptiones Italiae XIII 3, n. 11) che secondo lo studioso conserverebbe un lontano ricordo

di come l’originaria cronaca pontificale dovette trasmettere la notizia del sacco gallico. Mazzarino 1966, II, p. 295. Interessante è la constatazione che seppur nell’iscrizione si fa menzione dell’assedio del Campidoglio ([Cum Galli obs]iderent Capitolium) e della riconquista della città ([urbe recup]eratá), non si faccia in alcun modo accenno all’incendio. 39 In questo contesto è sconsolante la perdita pressoché totale della tradizione etrusca che pur doveva riferire il racconto della presa di Roma. A prescindere dal dibattito ancora aperto su quando sia possibile parlare di una storiografia etrusca e soprattutto che influenza questa abbia avuto su quella latina, sembra certo che nel IV sec. a.C. dovessero esistere testi etruschi che riportavano il racconto del sacco gallico. Si tratta di fonti contemporanee ai fatti narrati che per questo devono aver giocato un ruolo fondamentale nella costruzione della tradizione del sacco gallico. Noto è, infatti, che gli autori greco-sicelioti del IV sec. a.C. (Filisto e Timeo) basarono il loro racconto sulla versione etrusca dove si parlava dell’alleanza romano-cerita e del riscatto dell’oro romano da parte degli Etruschi di Caere. Ciò che è importante sottolineare è il fatto che in questa tradizione etrusca la versione “nazionalistica” di Roma salvata in extremis dall’eroismo dei suoi paladini (Camillo in primis) non doveva comparire affatto, in quanto il merito di aver vendicato la città, riscattandone l’onore, spettava alla città di Caere (vedi da ultimo Gaertner 2008, pp. 32-33). Nonostante ciò non sappiamo in che termini dovesse essere raccontata la presa di Roma e soprattutto se vi fosse narrato un incendio totale della città. Sul peso avuto dalla tradizione etrusca nella costruzione della storia arcaica e dei primi secoli della Repubblica vedi Sordi 1960, pp. 32-36 e p. 143 e ss.; Harris 1971, pp. 4-40; Cornell 1976, pp. 411-439; Poucet 1985, p. 61. 40 Poucet 1985, p. 62; Musti 1989, pp. 181-182. 41 Sul valore storico della tradizione orale esistente a Roma prima di Fabio Pittore vedi Poucet 1985, pp. 65-70. 42 Si veda in particolare: Van Gennep 1912, p. 326 e ss.; Vansina 1961, p. 40 n. 47. Da ultimo si veda Carandini 1997, p. 14 e ss. 43 Gabba 1966, p. 153.

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tradizione indigena e da quella greca si innesta l’annalistica romana a cominciare dall’opera di Fabio Pittore.44 Noto è il ruolo di veicolatori di modelli greci45 e in generale di tutta la tradizione, orale e scritta, tramandata fino a quel momento,46 che hanno avuto gli annales fabiani. Ciò su cui si vuole porre l’attenzione è il ruolo fondamentale che Fabio Pittore ha rivestito nella celebrazione e nella giustificazione storica di Roma,47 operazione che viene svolta con un intenso lavoro di elaborazione ed amplificazione degli avvenimenti della tradizione più antica e che approda in ultima istanza ad una esplicita propaganda della gens Fabia. Quest’ultimo aspetto risulta evidente leggendo il racconto del sacco gallico così come narrato da Livio che in massima parte deriva da Fabio Pittore, dove vengono creati ad hoc tutti quegli episodi in cui la perpetuitas di Roma viene salvata grazie alla pietas dei Fabii.48 Questo “aggiustamento della verità”, sarebbe stato compiuto al fine di combattere la propaganda avversa ai Fabii che vedeva in questa gens la responsabile dell’umiliazione subita da Roma; tale operazione storiografica consentiva, quindi, di riabilitare la stessa famiglia dall’accusa infamante di aver scatenato l’ira dei Galli sulla città.49

fatto il minimo accenno ad un evento così importante.52 Lo storico, infatti, anche se per il suo stile pragmatico e per la sua ricerca della “verità” era portato a respingere le faziosità che trovava nella tradizione annalistica, doveva tener conto di quegli episodi fondamentali quali l’occupazione della città, la resistenza del Campidoglio, il patto stabilito fra Romani e Galli per togliere l’assedio, episodi che per l’appunto vengono riportati fedelmente. Ora, proprio l’incendio o la distruzione di una città con i suoi monumenti pubblici costituisce un fatto rilevante e per questo motivo, se veramente presenti nelle fonti a cui Polibio attingeva (come Timeo di Tauromenio, Fabio Pittore ecc.), sempre da riportarsi.53 È in questo contesto che gioca un ruolo di primo piano la tradizione storiografica che Mazzarino ha definito “claudia”.54 Quest’ultima si pone in netta contrapposizione con la versione “fabia”, ritenuta fino a quel momento predominante. Non è sfuggito all’attenzione degli studiosi, infatti, che fin dalla seconda metà del IV sec. a.C. la versione ufficiale del sacco gallico riportata nelle tavole pontificie è stata appannaggio esclusivo dei Fabi o di gentes a questa affini (i Furii), che in quanto membri di queste famiglie occupano senza soluzione di continuità il collegio dei pontefici fino almeno a tutto il III sec. a.C.55 Tale monopolio della tradizione fabia viene messo in discussione tra la metà del II e l’inizio del I sec. a.C.56 È’ a partire da questo periodo, infatti, che iniziano a circolare versioni alternative e molto spesso in contrasto con quella

Ora, anche se l’approccio con cui l’annalista romano affronta le fonti più antiche (gli annali pontificali, la tradizione greca e la tradizione orale) è all’insegna della descrittività e dell’amplificazione dei fatti riportati dalle due tradizioni, soprattutto quella greca,50 non si vede per quale ragione egli abbia potuto “inventare” un episodio come l’incendio di Roma, quantomeno controproducente secondo le finalità che si proponeva, cioè quella di costruire una “sua” verità storica basata su documenti da lui abilmente rimpolpati, anteriori al sacco gallico e di cui, se avesse ammesso la distruzione totale della città, non avrebbe potuto giustificare la sopravvivenza.51 Ancor più significativo è il fatto che Polibio, pur conoscendo l’opera di Fabio Pittore, riferendo della presa della città non abbia

I primi due libri delle Storie dove viene narrato l’episodio del sacco gallico sono stati pubblicati, insieme ai tre seguenti, in una data di poco anteriore al 146 a.C. Walbank 1972, p. 21 e ss; Musti 2001, p. 11. Sull’excursus gallico di Polibio II 17-35 si veda Walbank 1964, pp. 172213 e da ultimo il commento di J. Thornton in Musti 2001, pp. 648-659. Come è stato fatto notare recentemente (Musti 1989, p. 196 e p. 210; Idem 2001, p. 14 e ss.), il rapporto tra storiografia greca e storiografia romana a partire da Fabio Pittore e fino a Livio va visto più correttamente come un rapporto di reciproca influenza; questo per dire che se nel caso di Polibio è verosimile una sua dipendenza per ciò che concerne la notizia della presa di Roma, da storiografi greci quali Eforo, Teopompo, Timeo e Filisto, non è escluso che altri particolari della vicenda egli potesse ricavarli anche dagli annalisti romani contro i quali polemizzava, primo fra tutti Fabio Pittore. Sugli apporti di Fabio Pittore nell’opera di Polibio e in particolare nei primi due libri delle Storie vedi Gelzer 1933, pp. 147-151; Wolski 1956, p. 24 e ss; Walbank, 1957, p. 184 e ss; Sordi 1960, p. 153 e ss. 53 Dopo l’opera di Polibio la forma letteraria dell’annalistica romana sembra subire sensibili cambiamenti. Gli studiosi, infatti, sono concordi nel riconoscere che a partire dalla seconda metà del II sec. a.C. l’annalistica entri in una nuova fase (cosiddetta annalistica di transizione) caratterizzata da una proliferazione di falsificazioni e amplificazioni dei fatti della tradizione, specialmente relativi al sacco gallico; tali aggiunte e varianti sono riconducibili in ultima analisi alle diverse interpretazioni che le gentes, con mal celato intento politico, vogliono dare dello stesso avvenimento. Fondamentale al riguardo è lo studio di Marta Sordi sulla figura di Camillo che acquista solo nel corso del II sec. a.C. il carattere di eroe nazionale e salvatore della dignitas di Roma; Sordi 1960, pp. 145-151. Sulla divisione dell’annalistica in antica, di transizione e recente vedi Poucet 1985, p. 248 e ss., e da ultimo Chassignet 1996, p. XX e ss., con ampia bibliografia di riferimento. 54 A questa tradizione fanno capo annalisti quali Caio Acilio (II sec. a.C.) e Claudio Quadrigario (età sillana). Mazzarino 1966, II, p. 294 e ss. 55 Mazzarino 1966, II, pp. 296-297. 56 Significativo al riguardo è un frammento dei Celtica di Appiano (App., Gall. frg. 6 Viereck-Roos (=Cass. Hem. Frg. 22) nel quale viene riferita a “Cassio il Romano” una versione del miracoloso sacrificio annuale di Dorsuone per certi aspetti alternativa a quella che vedeva l’episodio svoltosi sul Quirinale da parte di un pontefice dei Fabi (Liv., V 46, 2 e 52, 3; Val. Max., I 1, 11; Flor., I 7 (I, 13), 16; Cass. Dio., VII 5). In Appiano, 52

Su Fabio Pittore vedi soprattutto: Frier 1979, pp. 231 e ss. e Chassignet 1996, pp. LIV-LXXIII. 45 Musti 1989, p. 184 e ss. 46 Vedi Poucet 1985, pp. 54-55, con bibliografia di riferimento. 47 Vedi Finley 1987, pp. 84-86. 48 Mazzarino 1966, II, p. 73 e ss e p. 247 e ss.; Sordi 1984, p. 86; Heurgon 1993, p. 228. 49 I Fabii, infatti, erano intervenuti nella guerra tra i Galli e la città etrusca di Chiusi a favore di quest’ultima, macchiandosi di uno dei più gravi atti politici e morali sia agli occhi dei Romani che dei Galli: la violazione del diritto delle genti. Gli episodi edificanti come la devotio di senatori e sacerdoti che attendono nel foro l’arrivo dei Galli sotto la guida di un pontefice Fabio (Plut., Cam. 21, 4), oppure l’episodio della pietas di C. Fabio Dorsuone che svolge i suoi sacra sul Quirinale attraversando miracolosamente indenne il campo nemico (Liv., V 46, 2-3 e 52, 3), vanno quindi spiegati con questa operazione storiografica. 50 Momigliano 1966, pp. 62-63; Mazzarino 1966, II, pp. 102-103; Cornell 1986, p. 82; Musti 1989, pp. 184-186; Poucet 2000, p. 45. 51 Un tipico esempio di falsificazione operata da Fabio Pittore è l’ante datazione al 491 a.C. della instauratio dei Ludi Magni (280 a. C.); vedi Mazzarino 1966, II, pp. 71-73. Per riabilitare la gens Fabia dall’ignominia di aver scatenato una guerra ingiusta, Fabio Pittore aveva inventato un parallelismo fra il giorno della catastrofe gallica (18 Luglio) e il sacrificio dei trecento Fabi al Cremera, avvenuta quasi cento anni prima. Accettare l’idea di un incendio devastante durante il sacco gallico avrebbe inficiato tale “aggiustamento” poiché egli non si sarebbe potuto appellare alla “verità” della tradizione anteriore a quell’evento. 44

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Il sacco gallico

scritto delle Chronikaì syntáxeis,58 nelle quali menzionava esplicitamente la distruzione totale della città da parte dei Galli. Si tratta della più antica testimonianza a noi giunta della versione catastrofica dell’avvenimento, non a caso nata in ambiente claudio. Proprio a causa di quell’evento fatidico, secondo Clodio, sarebbero andati perduti per sempre i documenti più antichi della città e con questi la possibilità di ricostruire la storia anteriore a quella data. Mutatis mutandis sembra quasi una anticipazione dello stesso nodo problematico che si svilupperà all’inizio del dibattito storiografico di età moderna sulla possibilità di ricostruire la storia arcaica di Roma basandosi sulle fonti scritte.

dei Fabii, nelle quali la questione degli effetti distruttivi del sacco gallico assume un ruolo fondamentale.57 Non è un caso, quindi, che un “cronografo” romano conosciuto sotto il nome di Clodio (Paolo Claudio?) abbia infatti, la stessa vicenda si ambienta presso il Tempio di Vesta che, come viene specificato, era stato incendiato (τὸν δὲ νεὼν ἐμπεπρησμένoν ἰδὼν […]) e vede come protagonista il pontefice Dorsuo senza tuttavia alcuna menzione del suo gentilizio. Circa “Cassio il Romano”, l’autore secondo Appiano di questa versione dell’accaduto, uno studio di Gary Forsyte lo identifica con Claudio Quadrigario in base alla lezione Καύσιoς, in luogo di Κάσσιoς, che il manoscritto dell’obliqua traditio ha conservato nel testo degli Excerpta de uirtutibus et uitiis. Secondo lo studioso americano, infatti, Καύσιoς non sarebbe altro che una deformazione di Claudius (sc. Quadrigarius). Vedi Forsyte 1990, pp. 342-343. Seppure tale spiegazione sembra andare nella direzione interpretativa fino ad ora tracciata e cioè della rivalità gentilizia che avrebbe fatto sì che i Claudi depurassero da ogni elemento fabio la versione del sacrificio di Dorsuone, più di recente è stata avanzata la proposta, ormai quasi unanimemente accettata, di identificare “Cassio il Romano” con l’annalista Cassio Hemina (vedi Santini 1995, pp. 90-92 e pp. 171-173; Chassignet 2003, pp. 8-9, n. 22 e p. 104; Beck, Walter 2001-2004, pp. 264-265, n. 22). Tale conclusione troverebbe una delle sue giustificazioni nell’assonanza del tono drammatico fra questa versione del miracolo di Dorsuo che si reca a prestare il sacrificio attraversando le schiere nemiche e quella di L. Cassius Censorius, denominazione erronea per L. Cassius Hemina, che narra con alrettanta enfasi drammatica l’episodio miracoloso compiuto da Enea che prima di imbarcarsi per l’Italia abbandona Troia passando indenne attraverso le schiere dei Greci (Santini 1995, p. 130; Chassignet 2003, p. 4, pp. 93-95 e p. 104, n. 4). A questo punto, anche se già da un breve confronto testuale fra la vulgata di Livio e la versione di Cassio Hemina appare evidente la quasi totale sovrapponibilità della descrizione del sacrificio di Dorsuone e che in prima istanza dipende dalla comune fonte annalistica -Fabio Pittore- a cui hanno attinto entrambi, significativa risulta l’assenza di ogni connotato gentilizo della vicenda nell’annalista del II secolo. Nella versione di Cassio Hemina, infatti, la scena appare svuotata di ogni caratterizzazione che possa rimandare alla gens Fabia, dal nome del pontefice Dorsuo che figura senza il gentilizio, al luogo del sacrificio che non è più rappresentato dai sacra gentilicia dei Fabi sul Quirinale ma è ambientato in un terreno “neutro”- perchè di tutti i romani- come il Tempio di Vesta. Da tutto ciò appare chiara la volontà da parte di Cassio Hemina di convertire l’exemplum della pietas fabia in un simbolo della pietas civica di tutti i Romani. Su quanto detto sono grato a Jean Claude Richard per la discussione avuta in proposito. 57 Per poter sconfessare la versione fabia, che pretendeva di poter ricostruire la storia più antica di Roma e di conseguenza l’origine dei Fabii, la tradizione claudia cominciò a far leva su questo evento amplificandone gli effetti distruttivi. Soprattutto la notizia di una distruzione totale della città e addirittura del suo incendio permetteva alla propaganda avversa ai Fabii di aumentare la colpa avuta da questa gens in quella occasione. Questa tradizione rifiuta la versione dei fatti così come narrati da Fabio Pittore, proponendo una versione alternativa dei principali accadimenti intervenuti durante il sacco gallico. Significativo a questo proposito è lo studio di Marta Sordi, nel quale si dice che la difesa ad oltranza del Campidoglio, unico luogo scampato al disastro secondo la Vulgata liviana costruita sul racconto di Fabio Pittore, è una creazione relativamente recente (metà del II sec. a.C.). La studiosa fa notare che il filoscipionico Ennio nei suoi Annales, scritti nei primi decenni del II sec. a.C., riportava la notizia dell’avvenuta conquista anche del Campidoglio: […]qua Galli furtim noctu summa arcis adorti / moenia concubia vigilesque repente cruentant; (Enn., Ann. fr. 164 V³, in Macr., Sat. I 4,17. A questa stessa tradizione sembra riferirsi Tacito in Ann. XI 23: […] quid si memoria eorum oreretur, qui Capitolio et are Romana manibus eorundem prostrati s? e in Ann. XI 24: Capti a Gallis sumus). La città fu saccheggiata e fu liberata probabilmente solo in seguito al pagamento di un riscatto che dovette apparire certamente umiliante come altrettanto umiliante dovette apparire la notizia della messa in salvo a Caere dei sacra contenuti nel Tempio di Vesta (vedi da ultimo Roberto 2012, pp. 13-14 il quale riporta un passo di Suetonio (Suet., Tib. 3) che attesta come ancora all’inizio del I sec. a.C. il bottino fosse rimasto in mano dei Galli Sénoni e che solo grazie al propretore della Gallia Marco Livio Druso fu ritrovato). In questa stessa tradizione più antica, ma aggiungiamo non per questo necessariamente più vera, non erano altresì contemplati gli atti eroici tesi a garantire la inviolabilità del colle capitolino, sedes deorum. Skutsch 1953, pp. 77-78; Sordi 1960, pp. 25-52; Skutsch 1978, pp. 93-94; Sordi 1984 p. 82. Nel medesimo conflitto storiografico tra divergenti tradizioni sul

La querelle di cui Clodio si fa portavoce è indirizzata contro quegli “annalisti interessati più a compiacere le famiglie aristocratiche con la ricerca delle loro origini più antiche che a ricostruire la verità dei fatti”. Le finalità politicogentilizie degli intendimenti di Clodio e dei suoi avversari, quindi, sono manifesti. Da quanto detto, non sembra essere un caso che in età sillana, Claudio Quadrigario,59 uno dei massimi esponenti della tradizione claudia, facesse iniziare la sua opera proprio dal sacco gallico che ormai, come altri fatti del V e del IV secolo, doveva trovare ampio spazio nelle narrazioni degli annalisti cosiddetti recenti.60 Tale scelta operata dall’annalista romano costituisce una innovazione nel pensiero storiografico romano in quanto per la prima volta viene posto un limite cronologico -il sacco gallico del 390 a.C.- alle narrazioni storiche fino a quel momento circolanti.61 Il limite imposto da Claudio Quadrigario è dettato dal fatto che, proprio a causa dell’incendio gallico, non si può ricostruire una storia certa dei fatti più antichi perché i documenti andarono irrimediabilmente distrutti in quella occasione. sacco gallico, merita un certo interesse la genesi del culto di Venus Calva. A questo riguardo le fonti tramandano due diverse versioni sull’origine del culto della divinità: l’una lo riconduce all’età regia, quando il re Anco Marcio dopo un’epidemia di porrigine che colpì le donne romane, eresse una statua della regina calva per placare l’ira divina; l’altra, invece, ambienta la nascita del culto negli anni immediatamente successivi alla presa di Roma da parte dei Galli, quando a causa della mancanza di corde per costruire armi da lancio, Domizia, seguita da tutte le donne romane, offrì i propri capelli allo scopo (Serv., Ad Aen., I 720). Anche in questo caso, l’analisi storica più recente ha ricondotto le due diverse versioni al contrasto tra le gentes plebee rispettivamente dei Marci e dei Domizi che in ultima istanza facevano capo l’una ai Fabi e l’altra agli Scipioni, il cui portavoce era il poeta Ennio. Sull’argomento vedi Palombi 1997, pp. 122-133. 58 Plut., Num. 1, 2. […] ἀλλὰ καὶ Κλώδιός τις ἐν ἐλέγχῳ χρόνων (oὗτω γάρ πως ἐπιγέγραπται τὸ bιbλίδιoν) ἰσχυρίζεται τὰς μὲν ἀρχάιας ἐκέινας ἀναγραφὰς ἐν τoῖς Κελτικoῖς πάθεσι τῆς πόλεως ἠφανίσθαι, τὰς δὲ νῦν φερoμένας oὐκ ἀληθῶς συγκεῖσθαι δι᾿ ἀνδρῶν χαριζoμένων τισὶν εἰς τὰ πρῶτα γένη καὶ τoὺς ἐπιφανεστάτoυς oἶκoυς ἐξ oὐ πρoσηκόντων εἰσbιαζoμένoις. Sull’identificazione di Clodio con Paolo Claudio e quindi con un esponente di tendenza storiografica claudia vedi Mazzarino 1966, II, pp. 141-142 e pp. 521-522, n. 431. 59 Su Claudio Quadrigario vedi Mazzarino 1966, II, pp. 293-295 e p. 300 e ss. 60 Come noto in questo momento le opere degli ultimi annalisti (in particolare Licinio Macro e Valerio Anziate) si presentano più ampie e ricche di particolari, specialmente per gli eventi del V e IV secolo, rispetto a quelle della prima annalistica; vedi Musti 1989, p. 198. 61 Musti 1989, pp. 196-197.

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Forum Iulium

Alla tradizione “claudia” fa riferimento sopratutto Diodoro Siculo attivo alla metà del I sec. a.C. 62

da romanziere, aggiungendo particolari attinti anche da altre tradizioni, persino contrarie a quella da lui maggiormente seguita.69 Potrebbe darsi, quindi, che la notizia dell’incendio della città, compresi i suoi templi e gli edifici pubblici,70 sia stata attinta da una fonte antiromana o da uno degli ultimi annalisti di tendenza “claudia” forse proprio Claudio Quadrigario.71

Noto è il metodo adottato dallo storico siciliano che attinge le notizie sui fatti storici che intende narrare, in modo spesso acritico, da fonti più antiche - Teopompo, Timeo, Eforo, forse Polibio - e soprattutto da annalisti romani di tendenza “claudia”.63 Proprio tale metodo nel riportare le notizie meccanicamente così come egli le trovava, assume per noi moderni una importanza rilevante poiché permette di recuperare una serie di informazioni poco se non per nulla interpolate. I fatti riguardanti la presa di Roma da parte dei Galli come il saccheggio della città, la missione di Cominio Ponzio, la difesa del Campidoglio da parte di Marco Manlio e il pagamento del riscatto, sono trattati con stile essenziale. Non stupisce, quindi, che lo storico faccia menzione, seppur per brevi accenni, a stragi e a devastazioni.64 Tuttavia, nessun accenno è fatto alla distruzione di monumenti pubblici e, tanto meno, ad un incendio totale della città. Sembra, quindi, che Diodoro, pur derivando dalla tradizione “claudia” le sue principali notizie, non abbia voluto enfatizzare l’incendio, proprio perchè assente nelle fonti più antiche.65

In questo contesto è utile rimarcare quanto emerso da uno studio di Ziolkowski circa la modalità con cui Livio “costruisce” i racconti di prese di città.72 Lo studioso ha posto l’attenzione sull’uso da parte dello storico patavino di determinati topoi, che seppur frutto di costruzione letteraria hanno permesso di comprendere che cosa debba intendersi con il termine direptio quando questo compare nel contesto di una conquista di città.73 Nel concetto di urbs direpta, infatti, Ziolkowski scorge una serie di azioni che contemplano la distruzione, la violenza sessuale e il saccheggio che nel caso di Livio sono avvenimenti sempre tenuti ben distinti dall’incendio. Nello schema che emerge dai racconti liviani di prese di città, pertanto, è possibile individuare vari momenti topici: l’ingresso in città degli assalitori, il massacro della popolazione e il saccheggio nel quale sono implicite anche le violenze sessuali. Caratteristica della direptio è, secondo lo studioso, la totale libertà da regole e ordini da parte del generale nei confronti della truppa; il soldato agisce individualmente seguendo il proprio desiderio. Un elemento che Ziolkowski individua come peculiare delle direptiones, sia di quelle narrate da Livio che in quelle raccontate da Polibio,74 è il signum datum cioè il segnale convenuto con il quale il generale

Tornando a Livio dove l’incendio della città si è trasformato ormai in un cliché letterario66 e confrontando il suo racconto con quello diodoreo, emerge la ricchezza di fatti e personaggi,67 relativi soprattutto alla gens fabia, che sembrano rivelare in Fabio Pittore la sua fonte principale.68 Sembra probabile, tuttavia, che nella costruzione del racconto del sacco gallico secondo l’impostazione di tendenza fabia, Livio abbia amplificato il racconto con stile

Per il racconto di Furio Camillo, Mazzarino pensa ad una tradizione “furia” risalente alla fine del IV sec. a.C. utilizzata da Livio; Mazzarino 1966, III, p. 45. Sull’evoluzione della tradizione si veda ancora Poucet 1985, pp. 233-277; Idem 2000, pp. 316-326. 70 Liv.,VI 1, 2 […] et quod, etiam si quae in commentariis pontificum aliisque publicis privatisque erant monumentis, incensa urbe pleraeque interiere; Liv., V 50, 2 […] fana omnia quod ea hostis possedisset, restituerentur, terminarentur, expiarenturque, […]; Liv., V 53, 2 […] qui meministis ante Gallorum adventum, salvis tectis publicis privatisque stante incolumi urbe […]. 71 Sulla derivazione di Livio da Claudio Quadrigario relativamente alle vicende del sacco gallico vedi Musti 1989, pp. 196-197. Per quel che riguarda l’excursus sulle invasioni galliche, in passato è stata postulata una dipendenza di Livio da Timagene di Alessandria; vedi Walsh 1963, p. 117; Ogilvie 1965, p. 700 e ss. Da Timagene sembra derivare anche la versione del gallo-romano Pompeo Trogo che non accettava la costruzione etica di Livio nel presentare alcuni degli episodi più famosi del racconto come ad esempio l’intervento di Camillo che blocca l’infamante pagamento del riscatto dei Romani; vedi Sordi 1982, pp. 778-780; Dobesch 1991, p. 37. Nella versione trogiana, al contrario, i Romani non solo pagarono il riscatto grazie all’oro inviato da Marsiglia che per questo motivo salvò la città di Roma (Iust., XLIII 5, 9). Anche per Trogo, Mazzarino pensa ad una derivazione da tradizione claudia; Mazzarino 1966, III, p. 46. Nonostante il pagamento, secondo Trogo, Roma venne comunque incendiata completamente (Iust., XXIV 4, 2 […] et urbem Romanam captam incendit […]; Iust., XLIII 5, 8 […] audiverunt urbem Romam a Gallis captam incensamque […]). Possiamo concludere, pertanto, che anche Timagene da cui Trogo e, fino ad un certo punto, Livio derivano, doveva narrare dell’incendio della città. 72 Ziolkowski 1993, pp. 69-91. 73 Ziolkowski 1993, p. 72. 74 Per Ziolkowski, Polibio presentando la presa delle città da parte dei Romani secondo tre momenti distinti e ordinati (uccisioni, saccheggio e spartizione equa del bottino), applica un modello del tutto ideale che suona più come un elogio della disciplina romana che una ricostruzione reale dei fatti. Ziolkowski 1993, p. 87 e ss. 69

Mazzarino 1966, II, p. 246 e ss. Come noto Diodoro scrisse la sua Biblioteca Storica tra il 60 e il 30 a.C. Vedi Bonnet, Bennett 1997, pp. XXVIII-XXX. 63 Per la data dell’invasione gallica (386 a.C.) Diodoro deriva da Timeo; per quanto riguarda la narrazione dell’avvenimento, anche se non vi è accordo sulla identificazione precisa delle fonti a cui egli abbia attinto, gli studiosi sono concordi nell’escludere in linea di massima una derivazione da Fabio Pittore mentre sembra verosimile una sua dipendenza da una fonte claudia. Vedi Momigliano 1942, pp. 112-114; Sordi 1960, p. 26 e ss.; Mazzarino 1966, II, pp. 283-294; Cassola 1982, pp. 750-753. 64 Diod. Sic., XIV 116, 8. […] τῶν μὲν oἰκιῶν κατασκαμμένων, τῶν δὲ πλέιστων πoλιτῶν ἀπoλωλότων […]. 65 Oltre ad autori quali Teopompo e Timeo, una delle fonti più importanti per i libri dall’ XI al XVI della Biblioteca di Diodoro è stata l’opera di Eforo che scrisse in trenta libri di Storie le vicende comprese tra l’invasione dorica del Peloponneso e il regno di Filippo II di Macedonia. Musti 2001, p. 16. 66 Un esempio autorevole si ha con Cicerone il quale conosceva l’opera del Clodio citato da Plutarco e che in un passo del De Divinatione (44 a.C.) in cui si narra del ritrovamento miracoloso del lituo di Romolo si esprime con il termine di “grande incendio”; Omitte igitur lituum Romuli, quem in maximo incendio negas potuisse comburi; contemne cotem Atti Navi. Cic., De div. II 38, 80. Sulla conoscenza di Cicerone dell’opera di Clodio vedi Mazzarino 1966, II, pp. 185. 67 Camillo, Brenno e soprattutto gli avi della gens Fabia come Caio Fabio Dorsuone che si reca sul Quirinale a prestare il sacrificio passando miracolosamente indenne attraverso gli assedianti. 68 Se la derivazione da Fabio Pittore di gran parte delle notizie sulla Roma arcaica e dei primi secoli della repubblica contenute nell’opera di Livio è cosa nota, altrettanto sicuro è il suo uso abbondante di numerose altre fonti, sopratutto annalistiche. Questa dichiarazione di metodo viene data dallo stesso Livio nella prefazione alla sua opera dove afferma di non aver dato troppo peso alle divergenze che trovava nelle varie tradizioni; vedi Mazzarino 1966, III, pp. 33-56. Vedi anche Musti 1989, p. 200 e ss. 62

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Il sacco gallico

dava inizio al saccheggio della città. In Livio tale segnale che suggella il diritto del soldato ad esercitare il proprio diritto al saccheggio viene impartito dopo il massacro sia nel caso di città prese d’assalto sia in città già arresesi.75 Lo studioso, inoltre, fa notare che in tutti gli esempi di città espugnate e sottoposte a saccheggio, il termine direptio è sempre tenuto ben distinto da quello di incendium, motivo per cui ques’ultimo non può rientrare nella medesima accezione del termine. Anzi, secondo lo studioso l’incendio di una città non era affatto la regola.

anno dalla fondazione di Roma,79 data che infatti coincide con la fine di un ciclo epocale. Secondo la stessa concezione, il fatto reale - la presa della città da parte dei Galli -, viene trattato da Livio rivestendolo di un’aura mitica che assume i connotati di una “conflagrazione cosmica”.80 L’incendio in questo contesto gioca un ruolo di primo piano in quanto la distruzione per fuoco è l’immagine che maggiormente rende esplicita questa idea.81 Tuttavia, questi stessi concetti vengono rielaborati secondo la concezione tipicamente romana del tempo lineare, dove l’evento epocale narrato non connota più la fine di un ciclo ma viene posto in una continuità temporale che è direttamente proporzionale all’ingrandimento del dominio della città.82 Nel racconto di Livio, infatti, la preservazione della rocca capitolina oltre ad essere motivata dall’orgoglio nazionalistico rappresenta la volontà di esprimere la perpetuitas di Roma oltre il ciclo di anni.83

In base a queste considerazioni è interessante il confronto con il sacco gallico di Roma così come narrato da Livio. Nel racconto liviano, infatti, è possibile individuare tutti quei motivi topici presenti in altre parti dell’opera in riferimento all’espugnazione di una città. Soprattutto, lo schema “ingresso in città-massacro-direptio-incendium”, assente in Diodoro, è ben esplicitato all’inizio del racconto, quando i Galli varcano le mura sguarnite, raggiungono la valle del foro e danno inizio alla carneficina e al saccheggio.76 Quello che interessa sottolineare è il fatto che Livio ha intenzionalmente voluto porre l’accento non solo sulla direptio ma soprattutto sull’incendium. Tuttavia, se nella presa di Roma è possibile cogliere l’applicazione di uno schema-tipo comune a molte città conquistate, il caso del sacco gallico se ne differenzia proprio perché direptio e incendium non sortiscono l’effetto che ci si aspetterebbe. La città infatti, nonostante le devastazioni e le violenze subite sopravvive perché la sua iuventas resiste sul Campidoglio. Tale esito positivo della vicenda trova una sua giustificazione nell’afflato religioso che permea tutta l’opera liviana e che individua nell’incendio il fondamento di tutta la costruzione mitica.

Risulta evidente, quindi, che il capolavoro letterario di Livio, quale è il discorso di Camillo alla plebe sulla necessità di non abbandonare la città dopo che i Galli se ne sono andati (Liv., 5, 51 e 54), possiede un valore fondamentale nell’economia del racconto proprio perché la continuità del destino di Roma si fonda e si giustifica sull’essere sopravvissuta all’incendio.84 Grazie a Camillo, nuovo Romolo, Roma viene fondata una seconda volta sulle ceneri dell’incendio gallico, assurto a mito fondante a partire dal quale Roma inizia la sua parabola ascendente verso nuove conquiste sociali (leggi Licinie-Sestie) e territoriali (l’Italia e il Mediterraneo). In quanto mito, l’episodio si veste di elementi narrativi dai caratteri pittoreschi e drammatici che enfatizzano il racconto a seconda delle scelte dell’autore.

Per Livio, infatti, l’idea dell’incendio di Roma è funzionale alla rappresentazione di quella che Mazzarino ha definito “l’ideologia dei cicli epocali” della storia di Roma; ogni ciclo si rinnova grazie all’intervento di un personaggio che ne diventa per questo il nuovo fondatore: per primo Romolo, poi Camillo, infine Augusto.77

Se fino alla tarda età repubblicana nelle tradizioni storiografiche gentilizie l’incendio costituiva un elemento dalla forte valenza politica, con l’età augustea tale valenza va stemperandosi, diventando interesse esclusivo di antiquari di varie tendenze e orientamenti.85 È a questo punto, quindi, che le varie tradizioni sul sacco gallico fino a quel momento in competizione tra loro, iniziano a fondersi in un unico racconto nel quale l’incendio diventa il principale elemento costitutivo.

Si tratta, come è stato dimostrato in passato, di una concezione ciclica del tempo propria dell’ideologia etrusca e di cui i dipinti della tomba François a Vulci databili nella seconda metà del IV sec. a.C. costituiscono la maggiore testimonianza giunta sino a noi; tale concezione, come vedremo tra breve, viene rielaborata a Roma secondo una propria visione storico-culturale continuando ad avere ampia fortuna in età augustea.78 Nel caso del sacco gallico, Livio volendo costruire una periodizzazione della storia romana secondo la concezione etrusca dell’anno di anni, è obbligato a collocare l’avvenimento nel trecentosessantacinquesimo

Liv., V 54, 5 […] trecentesimus sexagesimus quintus annus urbis, Quirites, agitur. 80 L’espressione è in Montanari 1990, p. 40. 81 A questo riguardo vedi Briquel 2008, pp. 162-167, che riconduce la distruzione di Roma per mezzo del fuoco al modello di guerra escatologica di ascendenza indo-europea. 82 Montanari 1990, pp. 39-40. 83 Come sopra ricordato, una tradizione più antica facente capo ad Ennio riportava la notizia che anche il Campidoglio fu conquistato; Enn., Ann. fr. 164 V³, in Macr., Sat. I 4,17. Se, come sembra probabile, anche il Campidoglio fu conquistato, risulta ancora più evidente l’operazione compiuta da Livio che rielabora, mitizzandolo, un avvenimento reale quale la presa totale della città. Su questo argomento vedi in particolare Montanari 1990, pp. 39-40. 84 L’importanza fondamentale che assume la figura di Camillo e sopratutto il discorso che egli fa sulla necessità di non abbandonare Roma nel momento più difficile seguito alla distruzione gallica, ha fatto sì che Livio tacesse intenzionalmente la versione del pagamento del riscatto con l’oro di Marsiglia che invece compariva nel racconto di Timagene-Trogo, a lui ben noto; vedi Sordi 1982, pp. 794-795. 85 Cornell 1986, p. 85. 79

Ziolkowski 1993, pp. 79-80. Liv., V 41, 10 […] atque ab eo (M Papirius) initium caedis ortum, ceteros in sedibus suis trucidatos; post principium caedem nulli deinde mortalium parci, diripi tecta, exhaustis inici ignes. 77 Sul tema dei “ritorni storici” vedi Mazzarino 1966, III, pp. 416-417. 78 Sordi 1960, pp. 176-182; Mazzarino 1966, III, pp. 412-461; Cornell 1976, pp. 431-432; Torelli 1981, pp. 3-4; Montanari 1990, p. 31 e ss; Coarelli 1996, pp. 177-178. Sull’argomento è intervenuto di recente Briquel 2008, in particolare pp. 35-40; pp. 383-384. 75

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Forum Iulium

È sotto questa nuova forma che l’ “incendio gallico” giunge fino a Tacito entrando per sempre nell’immaginario comune.86 Lo storico romano, narrando le dinamiche dell’incendio del 64 d.C.87 e citando uno per uno i monumenti pubblici colpiti e distrutti dal fuoco, dice che “alcuni in quella occasione stabilirono il paragone fra quella data e quella dell’incendio di Roma da parte dei Galli”.88

derivò alla città. Il 18 luglio, giorno della disfatta presso il torrente Allia, era ricordato come il maggior disastro della storia romana e in quanto tale riportato nei calendari già all’indomani di quella data.92 Quel giorno in cui la falange romana venne sbaragliata e i superstiti si diedero alla fuga precipitosa verso Roma e verso Veio, costituì per tutta l’età repubblicana una umiliazione intollerabile.

Proprio il paragone istituito tra l’incendio neroniano, evento catastrofico per antonomasia svoltosi sotto gli occhi di tutti, e l’incendio gallico farà entrare quest’ultimo nell’immaginario collettivo, come fatto realmente accaduto e, per questo, inteso come sinonimo di “sacco gallico”.89

Il metus Gallicus, il terrore gallico suscitato dal ricordo di quella catastrofe che tanto era costata in termini di vite umane e il ricordo dell’umiliante pagamento del riscatto, era destinato a rinnovavarsi ogni qualvolta un pericolo minacciava da vicino la città.93 Il metus Punicus suscitato dalla paura di un’invasione della città da parte di Annibale o il terrore sollevato dalla migrazione dei Cimbri e dei Teutoni alla fine del II sec. a.C. (113-105 a.C.)94 trovano la loro fonte di origine nel dies Alliensis e nel sacco della città del 390 a.C.95

Da questo momento, pertanto, l’entità dei danni causati dall’ “incendio gallico” costituirà il metro di misura con cui paragonare le distruzioni provocate da altri eventi traumatici occorsi alla città nel corso della sua lunga storia.90 Giunti a questo punto e constato quanto di artificioso è stato costruito intorno ad un evento storico quale la presa di Roma, bisogna porre l’attenzione sul fattore principale che ha determinato tale amplificazione. Il motivo di una tale costruzione può essere rintracciato nello shock psicologico, oltre che politico, causato dal dies Alliensis91e da ciò che ne

Nella volontà di esorcizzare quella grande paura collettiva e di cancellare quell’evento tanto infamante, pertanto, è possibile scorgere il vero motivo da parte delle gentes e dello stato repubblicano di riscrivere quella pagina della storia romana.

Prima di lui, si veda l’esempio di Lucano che riportando il discorso di Lentulo davanti ai senatori, elogia le glorie passate del Senato rimasto coeso anche nei momenti più tragici della storia della città come quando fu “arsa la rupe Tarpea dalle fiaccole dei Galli” Luc., Bell. Civ. V 27-29 […] Tarpeia sede perusta // Gallorum facibus Veiosque habitante Camillo // illic Roma fuit. 87 Tac., Ann. XV 38-44. 88 Tac., Ann. XV 41 […] fuere qui adnotarent XIIII Kal.Sextiles principium incendii huius ortum, quo et Senones captam urbem inflammaverint. 89 Si veda ad esempio, Iust., Epit. XX 5, 4; Serv., Ad Aen. VIII 652-662 dove si parla ormai, tramite l’uso di perifrasi o con menzioni esplicite, di incendio di Roma. 90 Si veda ad esempio il paragone istituito da Orosio fra l’incendio di Alarico del 410 e quello gallico del 390 a.C. Seppur bisogna tenere conto dell’ottica cristiana con la quale Orosio vede gli eventi della storia romana e interpreti, per tale motivo, i molti drammatici avvenimenti delle età precedenti alla venuta di Cristo come voluti dalla Provvidenza divina che agisce in vista di un progressivo miglioramento dell’umanità, sia l’incendio neroniano del 64 d.C sia quello gallico del 390 a.C. vengono menzionati come le catastrofi più devastanti occorse alla città, assolutamente non paragonabili per distruzione al sacco di Alarico del 410. Oros., Histor. VII 39, 15-17: Tertia die barbari quam ingressi urbem fuerant sponte discedunt, facto quidam aliquantarum aedium incendio sed ne tanto quidam quantum septingentesimo conditionis eius anno casus effecerat. Nam si exhibitam Neronis imperatoris sui spectaculis inflammationem recenseam, procul dubio nulla comparatione aequiperabitur secundum id, quod excitaverat lascivia principis, hoc, quod nunc intulit ira victoris. Neque vero Gallorum meminisse in huiusmodi conlatione debeo, qui continuo paene anni spatio incensae eversaeque urbis adtritos cineres possederunt. 91 Per un’ampia raccolta delle fonti che citano il dies Alliensis come un evento disastroso e nefasto per tutti i romani vedi Degrassi 1963, pp. 484-485. Sulla ricostruzione della battaglia del fiume Allia (Livio V 37,7) e sull’identificazione di questo corso d’acqua con il fosso Bettina/fosso della Regina-fosso Maestro che confluiva nel Tevere all’XI miglio della via Salaria (C.T.R. Sezione n. 365150, scala 1:10.000; IGM, Passo Corese, III SO, Foglio 144, scala 1:25.000), vedi in particolare Gell 1846, pp. 43-48; De Sanctis 1907, pp. 167-170; Kornemann 1911, pp. 335-342; Kromayer 1916, pp. 28-59; Idem 1922, cc. 1-2 e tavv. 1-2, pp. 165-166; Ashby [1927] 1970, pp. 49-50; De Sanctis 1929, pp. 549-550; Quilici Gigli 1977, pp. 36-37 e sopratutto Quilici, Quilici Gigli 1980, pp. 164-168 e 291-294, tav. CXV. Secondo Quilici e Quilici Gigli, in accordo con Kromayer, il sito esatto dello scontro viene posto lungo l’antico corso del fosso Maestro

Se l’incendio totale della città da parte dei Galli, come si è cercato di dimostrare, non fa parte della tradizione più antica ma è un’amplificazione letteraria che si sviluppa alla fine del II sec. a.C. all’interno della polemica fra due tradizioni storiografiche contrapposte, si vuole ora tentare una ricostruzione più realistica delle modalità con cui si è svolta la vicenda all’indomani del dies Alliensis.96

Il sacco gallico alla luce delle scoperte archeologiche

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che attraversava la pianura circa 2 Km più a nord dell’attuale. Gli stessi studiosi interpretano le tracce di spopolamento e abbandono riscontrabili in ampie porzioni del sito di Crustumerium e del suo territorio a partire dall’inizio del IV secolo a.C. come conseguenza in ultima istanza della battaglia combattuta nelle immediate vicinanze di quella città (Quilici, Quilici Gigli 1980, pp. 289-290). Vedi infine Mari 1984, p. 113 con bibliografia di riferimento; Prisco 1996, pp. 71-72; Brocato, Galluccio 1996, pp. 72-74. 92 Il dies Alliensis è ricordato nei Fasti di Anzio e nei Fasti di Amiterno: vedi Degrassi 1963, p. 15 e p. 188. Vedi anche Rüpke 1995, pp. 567-570 e da ultimo Coarelli 2010. 93 Bellen 1985 p. 9 e ss; Ziolkowski 2006, p. 91; Zecchini 2009, pp. 16-17; Roberto 2012, pp. 16-17. 94 Zecchini 2001, p. 102. 95 Un’eco del rinnovarsi del terrore gallico nel metus Punicus si ritrova in un passo di Silio Italico (VIII 641-647) dove narrando dei prodigi accaduti prima della battaglia di Canne del 217 a.C. si esprime in questi termini: Ludificante etiam terroris imagine somnos, // Gallorum uisi bustis erumpere manes; // Terque quaterque solo penitus tremuere reuulsae // Tarpeiae rupes, atque atro sanguine flumen // Manauit Iouis in templis, lacrimaeque uetusta // Effigie patris large fluxere Quirini. // Maior et horrificis sese extulit Allia ripis. 96 La spedizione gallica contro Roma avviene nel più vasto contesto della “prima espansione storica del IV secolo a.C.” che vede, già a partire dalla fine del secolo precedente, il definitivo ingresso e insediamento stabile di popolazioni celtiche transalpine in Italia settentrionale, Val Padana e Marche. Proprio da quest’ultima regione, occupata dai Galli Sénoni, sarebbe partita la spedizione militare contro Chiusi e quindi contro Roma. Vedi Kruta 1991, pp. 206-224; Vitali 1991, pp. 230-247; Kruta 2003, pp. 194-217. Gli unici rinvenimenti di oggetti che solo ipoteticamente possono essere riconducibili alla spedizione contro Roma sono una fibula ornitomorfa in bronzo databile tra la fine del V e l’inizio del IV sec. a.C.

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Il sacco gallico

Dopo esser entrati dalla Porta Collina senza incontrare alcuna resistenza97 e dopo aver percorso in breve tempo uno dei tratti stradali che conducevano alle pendici occidentali del Quirinale, i Galli si riversarono in massa nella valle del foro;98 da qui, dopo lo sbigottimento iniziale per non aver trovato nessuno a difesa della città ma solo gli anziani seduti nei vestiboli delle proprie case in attesa del loro destino,99 gli invasori cominciarono le depredazioni e le distruzioni.

A questo proposito un elemento a favore di questa ipotesi è dato dall’indagine storica che da tempo ha fatto luce sulle dinamiche e le strategie di conquista adottate dai Galli in particolare in Italia centro-settentrionale durante il IV sec. a.C.102 Radere al suolo le città conquistate non rientrava nelle strategie delle tribù celtiche, interessate principalmente a stabilire accordi (συνθήκαι) con gli assediati per ottenerne il riscatto.103 Nell’ottica di una simile strategia predatoria, le distruzioni e le violenze sulla popolazione dovevano mirare più a spaventare gli assediati per convincerli al pagamento richiesto che al loro annientamento.

Nella dinamica del saccheggio, riveste un certo interesse il fatto che dopo le scorrerie attraverso le vie della città lasciate deserte, i vari manipoli galli si riuniscano sempre nella valle del foro e nelle aree circostanti ad esso, evidentemente considerati luoghi base per l’assedio.100 Uno degli episodi del racconto che troviamo pressoché invariato in Diodoro, Livio e Plutarco, è la narrazione delle distruzioni e degli incendi di domus private perpetrati dai Galli con lo scopo dichiarato di fiaccare l’animo e la resistenza degli avversari; nell’ottica degli assedianti, ciò avrebbe permesso di ottenere il riscatto dalla popolazione asserragliata sul Campidoglio.101 Tale uniformità nel riportare la notizia può costituire, a nostro avviso, un elemento di veridicità del racconto in quanto potrebbe essere derivato da una fonte comune più antica.

rinvenuta nel Santuario di Diana a Nemi, conservata al Museo Nazionale di Villa Giulia (Moretti 1975, p. 225) e una spada con relativo fodero proveniente da una necropoli di Capena databile anch’essa all’inizio del IV sec. a.C. Vedi da ultimo Kruta 2003, pp. 198-199, fig. 14. 97 Liv., V 41, 4-5 […] ingressi postero die urbem patente Collina porta in forum perveniunt, […]. Plut., Cam. 22, 1. […] εἰσeλάσας (Βρέννος) διὰ τη̃ ς Κολλίνης πύλης […]. Resti archeologici della Porta Collina databili al VI-V sec. a.C. sono stati individuati presso l’incrocio tra via Goito e via XX settembre; vedi da ultimo LTUR III, 1996, p. 326 (F. Coarelli); Fogagnolo 1998, pp. 381-389; Cifani 2008, pp. 45-49 con bibliografia precedente. 98 Dalla Porta Collina il contingente gallico forte di circa 30.000 uomini ha probabilmente imboccato uno degli assi stradali principali costituiti dal vicus Portae Collinae/Alta Semita o dal vicus Longus; giunti alle pendici occidentali del Quirinale è probabile che i Galli siano scesi nella valle del foro da una o più strade (vicus Laci Fundani ?) che scendevano dal versante del Quirinale. Sul tracciato dell’Alta Semita vedi Lugli 1934, tav. III; sulla stima del contingente gallico basato sulle fonti letterarie (Livio e Diodoro Siculo) vedi De Sanctis 1907, p. 166. 99 Liv., V 41, 5-10. 100 Liv., V 41, 6-7 […] inde rursus ipsa solitudine absterriti, ne qua fraus hostilis vagos exciperet, in forum ac propinqua foro loca conglobati redibant; […] 101 Diod. Sic., XIV 115, 6 […] ὁμως δ´ [oὖν] oὑκ ἀφίσταντo τῆς φιλoτιμίας, ἐλπίξoντες, ἐὰν μὴ bίᾳ κρατήσωσι, τῷ γε χρόνῳ πάντως τῶν ἀναγκάιων ἐκλιπόντων καταπoνήσειν. Liv., V 42, 1-2: Ceterum, seu non omnibus delendi urbem libido erat, seu ita placuerat principibus Gallorum et ostentari quaedam incendia terroris causa, si compelli ad deditionem caritate sedum suarum obsessi possent, et non omnia concremari tecta ut quodcumque superesset urbis, id pignus ad flectendos hostium animos haberent, nequaquam perinde atquein capta urbe primo die aut passim aut late vagatus est ignis. Liv., V 42, 7-8: Nihil tamen tot onerati atque obruti malis flexerunt animos quin etsi omnia flammis ac ruinis aequata vidissent, quamvis inopem parvumque quem tenebant collem libertati relictum virtute defenderent. La stessa dinamica nelle distruzioni operate dai Galli compare in Plutarco che in questo punto deriva sostanzialmente da Livio: Plut., Cam. 22, 8 […] καὶ τὰς oἰκίας ἐπoρθoυν ἐφ᾿ ἡμέρας πoλλὰς ἆγoντες καὶ φέρoντες, ε῏ ιτα κατεπίμπρασαν καὶ κατέσκαπτoν, ὀργιζόμενoι τoῖς ἐχoυσι τὸ Καπιτώλιoν, ὁτι καλoύντων αὑτῶν oὑχ ὑπήκoυoν, ἀλλὰ καὶ πρoσbάλλoυσι πληγὰς ἐδoσαν ἀπὸ τoῦ διατεχίσματoς ἀμυνόμενoι.

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Proprio questo, come si è visto, sembra intendere Livio quando, riferendosi alle devastazioni perpetrate sotto gli occhi sgomenti della popolazione assediata sul Campidoglio, si esprime nei termini di quaedam incendia, “alcuni incendi”.104 Secondo lo storico patavino, infatti, i Galli agirono in un primo momento appiccando incendi a macchia di leopardo (non passim, non late) colpendo in particolare le domus che sorgevano intorno all’area del Comizio e che erano ben visibili dal Campidoglio.105 Gli edifici pubblici in questa prima fase non sono mai nominati. Ancor più particolareggiata è poi la ricostruzione della dinamica della distruzione degli edifici, anche in questo caso esclusivamente privati, fornita da Plutarco.106 Egli, infatti, descrivendo il saccheggio delle domus si sofferma sulle singole azioni compiute dai Galli, i quali prima saccheggiano le abitazioni (ἄγoντες καὶ φέρoντες) poi le distruggono (ἐπoρθoυν) e infine le danno alle fiamme (κατεπίμπρασαν). Anche in questo caso gli episodi drammatici delle distruzioni vengono spiegati con l’intento da parte dei Galli di far desistere i Romani dall’accanita resistenza e quindi a costringerli al pagamento del riscatto. A partire da queste premesse può essere utile ricordare alcuni studi che si sono incentrati sui luoghi in cui Valide considerazioni sul carattere non permanente della conquista di Roma da parte dei Galli ma di semplice ricerca del bottino, sono già in De Sanctis 1907, pp. 175-177. Vedi anche: Torelli 1978, p. 227 e da ultimo Briquel 2008, p. 28. Fondamentali studi sulle dinamiche dei flussi migratori celtici e sulle cause che portarono al sacco di Roma verosimilmente da parte di tribù di Galli Sénoni, rimangono: Bandelli 1988, pp. 509-514; Ogilvie 1995, pp. 159-173; Cornell 1995, pp. 313-318. Di recente sono intervenuti sull’argomento: Torelli 2007, pp. 115-116; Braccesi 2000, pp. 3-9; Landolfi 2000, pp. 19-46 e Zecchini 2009, pp. 19-24. Tali studi sono concordi nell’affermare il carattere predatorio e non stanziale delle spedizioni galliche avvenute nel corso del IV secolo a.C. in Italia centrale e meridionale. 103 A queste attività predatorie si univa anche il mercenariato prestato a principi e città. È in quest’ottica che studiosi come Sordi, Ogilvie, Braccesi e Cornell ricostruiscono il contesto politico in cui si sarebbe svolto l’episodio del sacco gallico. Tali studi individuano nelle mire territoriali di Dionigi di Siracusa verso Caere e il suo territorio la causa ultima del sacco di Roma. Quest’ultima, infatti, essendo legata da un patto di alleanza con la ricca città etrusca, costituiva un intralcio agli obiettivi espansionistici del tiranno siracusano in Italia centrale. Per tali ragioni Dionigi avrebbe stipulato una sorta di alleanza segreta con le tribù celtiche per eliminare Roma e, quindi il blocco romano-cerite. Vedi Sordi 1960, p. 32 e ss e pp. 62-72; Braccesi 1991, pp. 89-102; Vitali 1991, pp. 231-232; Szabó 1991, pp. 353-356; Tagliamonte 1994, pp. 134-137; Cornell 1995, p. 316; Lucca 1996, pp. 91-98; Kruta 2003, p. 196. 104 Liv., V 42, 1 e V 43, 1. Per i motivi esposti alla nota 56, il tema degli “incendi sparsi” potrebbe esser stato presente già in Cassio Hemina. 105 Liv., V 42, 2. 106 Plut., Cam. 22, 8. 102

Forum Iulium

avvengono gli eventi narrati dalle fonti.107 Seppure esistono due tradizioni contrastanti che riferiscono della scalata del Campidoglio da parte dei Galli avvenuta ora presso l’angolo sud-est della collina, in corrispondenza della Porta Carmentalis108 ora dall’Arx,109 non sembra esserci dubbio che l’estrema difesa del colle si sia svolta soprattutto lungo le pendici dell’arce. Proprio in corrispondenza del versante meridionale dell’Arx, di fronte al foro, infatti, è stato proposto con buone argomentazioni110 di riconoscere il luogo del saxum tarpeium o della Tarpeia rupes,111 teatro degli scontri più accesi tra Galli e Romani. Come si è visto è da questo luogo che, secondo Livio, i Romani assistono inermi alle devastazioni che avvengono nella piazza della foro, proprio sotto i loro occhi.

meridionale del Campidoglio compresa tra l’angolo sudorientale del colle (Porta Carmentalis) e l’Arx, in tutta la valle del foro e sul Palatino.116 In quest’ultimo caso, come si è visto, tracce di distruzioni seppur necessitanti di ulteriori verifiche possono essere attribuite con un certo margine di verosimiglianza proprio al sacco gallico.117 L’immagine diodorodea di una città invasa che oppone l’ultima resistenza sui luoghi fortificati118 quali il Campidoglio e il Palatino sembra acquistare, quindi, una certa rilevanza. La distruzione dei due edifici individuati nell’area del Foro Per il Campidoglio e la valle del foro le fonti sono quelle finora citate. Per il Palatino si veda in particolare Diod. Sic., XIV 115, 6 che fa menzione di alcune case risparmiate dalla distruzione a che quindi testimonia la presa anche di questo colle e Cic., De div., II 38, 80 che fornisce la notizia del miracoloso ritrovamento del lituo di Romolo sotto le ceneri della Curia Saliorum all’indomani dell’incendio appiccato dai Galli. Grazie a Verrio Flacco, che nei Fasti Prenestini al 23 marzo riporta il giudizio di Q. Lutazio Catulo circa l’origine della festa del Tubilustrium dalla purificazione del lituo di Romolo, sappiamo che la notizia della distruzione della Curia Saliorum risale almeno alla fine del II sec. a.C. Vedi Degrassi 1963, pp. 122-123; Torelli 1978, p. 228; Coarelli 2012, p. 156. Sulla localizzazione della Curia Saliorum in corrispondenza della sommità del Germalo vedi LTUR I, 1993, p. 335 e ss (D. Palombi) e da ultimo Coarelli 2012, pp. 155-157 che avanza l’ipotesi di riconoscere in questo edificio la stessa casa Romuli. Un’ulteriore indizio di distruzioni che hanno interessato il Palatino può essere scorto nel racconto dell’avvertimento, udito dal plebeo M. Caedicius poco prima dell’assedio gallico, pronunciato da una voce notturna proveniente dal lucus Vestae affinchè si ricostruissero le mura e le porte della città (Cic., Div. I 45, 101 e II 32, 69; Liv., V 50, 5 e V 52, 11; Plut., Cam. 14, 3-4 e XXX 4). Anche se nel racconto si dice che solo in seguito alla distruzione della città, in ricordo di quel prodigio rimasto inascoltato, venne eretto un piccolo tempio dedicato ad Aius Locutius, collocato nel tratto dell’infima Nova via subito fuori la Porta Romanula (Gell., XVI 17, 2; Liv. V 32, 6; Cic., Div. I 45, 101), la critica più recente è concorde nell’ammettere che un sacello dedicato ad una divinità tutelare della porta e delle mura fosse presente in quel luogo già da molto tempo e che in seguito alla clades Gallica si provvide unicamente ad una sua ricostruzione. Sul posizionamento della Porta Romanula in corrispondenza dell’angolo nord-ovest del Palatino, sulla sommità delle scale che scendono verso il Tempio di Vesta, vedi da ultimo Hurst 2007, pp. 83, 85-86, fig. 4 e Coarelli 2012, pp. 58-62. Non è escluso, pertanto, che l’area in cui il sacellum si trovava, fosse stata teatro di devastazioni durante l’assedio del Palatino e che all’indomani del sacco gallico si sia provveduto a dedicare ad Aius Locutius il nuovo edificio e, come suggerito da Hurst, a ricostruire la porta. Sul sacello di Aius Locutius vedi Platner, Ashby 1929, pp. 3-4; Coarelli 1983, in particolare p. 275; LTUR I, 1993, p. 29 (J. Aronen); Carandini 1997, pp. 309, 528, 581; Idem 2004, p. 41. Da ultimo vedi Filippi 2012, pp. 151, 185, tavv. 2 e 15; Coarelli 2012, pp. 48-53, 56, 59, 76-77, 182. 117 Vedi supra Ampolo 1976, pp. 143-145. La presenza di livelli archeologici in relazione con le distruzioni causate dal sacco gallico nell’area sud-occidentale del Palatino viene ribadita da Pensabene 1993, p. 158, Pensabene 1998, pp. 67, 85, 92 e, con alcune riserve del caso, Pensabene, Falzone 2001, pp. 117-121. Vedi anche Hurst 2007, pp. 81-82 e Bruno 2012, p. 224. Si veda da ultimo lo scavo dell’Aedes Vestae alle pendici settentrionali del Palatino dove l’indagine ha evidenziato una fossa di fondazione ad andamento curvilineo relativa ad una fase di ricostruzione del tempio databile tra il primo e il secondo quarto del IV secolo a.C. Tale impianto, che finora costituisce la testimonianza più antica dell’Aedes Vestae a pianta circolare, secondo gli scavatori potrebbe essere messa in relazione proprio con un intervento ricostruttivo attuato immediatamente dopo il sacco gallico del 390 a.C. Vedi Arvanitis 2010c, p. 57. Degna di nota, a questo punto, può essere la versione del sacrificio di Dorsuone narrata da Cassio Hemina (App., Gall. frg. 6 Viereck-Roos (=Cass. Hem. Frg. 22) il quale riferisce che il pontefice prestò la sua funzione nel Tempio di Vesta che era stato incendiato (τὸν δὲ νεὼν ἐμπεπρησμένoν ἰδὼν […]). Letta alla luce di questi nuovi dati acquista ora maggior rilevanza l’ipotesi, già avanzata in passato seppur con ampio beneficio del dubbio, che la fase di ristrutturazione delle domus tardo arcaiche del Palatino datata nella prima metà del IV sec. a.C. possa essere messa in relazione proprio con la ricostruzione conseguente alle distruzioni causate dal sacco gallico del 390 a.C. Vedi Carandini, Carafa 2000, pp. 253-254. 118 Diod. Sic., XIV 115, 6. 116

Altro argomento di carattere topografico che potrebbe gettare nuova luce su quanto è emerso dagli scavi nell’area del Foro di Cesare è costituito dalla possibilità di scorgere nel cognome Capitolinus che portano alcune famiglie patrizie, la presenza di abitazioni ad esse pertinenti poste sia sul Campidoglio sia lungo le sue pendici. Secondo alcuni, infatti, tale cognomen sarebbe riconducibile al gruppo dei cognomina geografici che richiamavano direttamente il luogo d’origine dove la gens che lo portava aveva abitato e continuava ad abitare.112 Gentes come i Manlii, i Quinctii, i Maelii e forse i Tarpeii portarono tale cognomen almeno dal VI-V sec. a.C. e sino alla metà circa del IV sec. a.C. Se è valida l’ipotesi di A. Valvo che riconosce le abitazioni di queste famiglie poste non solo sulla sommità del Campidoglio ma anche lungo le sue pendici113si avrebbe l’immagine di un Campidoglio che, al momento dell’assedio gallico, era costellato di residenze patrizie delle quali quelle poste lungo le pendici meridionali dovettero andare sicuramente distrutte durante gli assalti. Un riflesso della rovina causata al Campidoglio può essere scorta nel racconto delle disposizioni prese contro Marco Manlio Capitolino, colpevole di adfectatio regni negli anni successivi all’assedio gallico.114 Infatti, il provvedimento che dopo la Manliana seditio vietava a qualsiasi patrizio di possedere una casa sia sul Capitolium che sull’Arx, più che il desiderio di reprimere questa famiglia, ad alcuni è sembrato indicativo della volontà di attuare un progetto di riqualificazione urbanistica, resosi possibile e necessario dopo le devastazioni galliche.115 Queste ultime, stando ai pochi elementi che le fonti finora citate riportano, dovettero estendersi lungo tutta la pendice Giannelli 1978; Idem 1982; Valvo 1984, pp. 92-106; Coarelli 1985, pp. 80-87. 108 Liv., VI 47, 1 e ss. 109 Liv., VI 47, 4. Si tratta del noto passo relativo all’episodio delle oche sacre a Iuno Moneta il cui culto era posto sulla sommità dell’Arx. Vedi Giannelli 1978; Giannelli 1982; Coarelli 1985, pp. 81-82. 110 Coarelli 1985, in particolare pp. 81-83 e 86. 111 Liv., VI 17, 4; Dion. Hal., VIII 35, 5; VIII 78, 5. 112 Alföldi 1966, p. 720; Valvo 1984, pp. 94-97. 113 Nel caso dei Maelii, famiglia di origine plebea, Valvo ipotizza che la loro residenza potesse trovarsi dove è ora piazza della Consolazione e dove è forse localizzabile l’Aequimaelium, un luogo di mercato dove nel 439 venne ucciso un esponente di questa famiglia. Valvo 1984, p. 95. 114 Liv., VI 20, 13 e ss. 115 Valvo 1984, pp. 99-100. 107

236

Il sacco gallico

di Cesare sembrerebbe essere avvenuta secondo le stesse modalità che ritroviamo nei racconti di Diodoro, Livio e Plutarco dove le case prima vengono spogliate del loro arredo (come sembra indicare la suppellettile domestica sparsa sulla strada, fuori dall’Edificio 1),119 poi crollano e infine vengono distrutte dal fuoco. Inoltre, l’ubicazione ai piedi dell’Arx capitolina delle due strutture abitative, permette anche in questo caso di stabilire una coincidenza puntuale con quanto riportano gli stessi autori, secondo cui le devastazioni e l’incendio delle case avvennero sotto gli occhi sgomenti degli assediati che assistevano impotenti dalla sommità del Campidoglio.120

l’avvenimento come elemento pittoresco o drammatico per dare risonanza al loro racconto.

Dalle fonti letterarie, dai ritrovamenti archeologici e dalla toponomastica, quindi, è possibile tracciare una geografia delle devastazioni perpetrate dai Galli dalla quale si evince chiaramente come l’area meridionale e sud-orientale delle pendici del Campidoglio sia stata quella dove si sono svolti gli episodi più drammatici della vicenda (fig. IV.1).

Nel caso dei contesti archeologici, diventa pressoché impossibile trovare tracce sicure dell’incendio. Anzi è possibile ammettere che, proprio per il fatto che esse non siano mai state ritrovate, dovevano essere di per sé molto circoscritte e dunque furono subito cancellate dalle ricostruzioni di epoca successiva. I due edifici rinvenuti nel Foro di Cesare, molto probabilmente due delle domus distrutte e incendiate dai Galli, costituirebbe un ritrovamento più che fortunato.

Quanto si è finora detto permette di affermare che non si trattò di un unico e vasto incendio della città ma di incendi circoscritti e distruzioni di singole abitazioni che sul piano urbanistico non devono avere inciso profondamente.122 Tale conclusione dovrebbe indurci ad assumere nei confronti di questo avvenimento un atteggiamento più equilibrato e meno radicale nella ricostruzione degli effetti distruttivi, come già a suo tempo aveva proposto De Sanctis e poi Ampolo.123

Conclusioni Alla luce di quanto detto, vano quanto inutile sarebbe ricercare le tracce di un incendio che avrebbe coperto ampie porzioni della città colpendo i più importanti edifici pubblici come ad esempio la Regia, il Comizio, l’area sacra di S. Omobono. Come si è visto, tale immagine costituisce un mito storiografico121 che ha avuto origine all’interno dello scontro di tradizioni storiografiche gentilizie che ora negavano ora ammettevano l’esistenza dell’incendio totale della città per poter giustificare il potere politico della gens.

Tuttavia, seppur fortunoso e con il rischio di contraddirsi, proprio il loro ritrovamento induce ad avanzare alcune considerazioni sull’indirizzo di ricerca da perseguire. Se la traccia di quegli eventi risulta pressoché invisibile sul piano materiale, lo è anche per le modalità con cui sono state condotte le indagini nei luoghi interessati dalle devastazioni. Nella maggior parte dei casi, infatti, gli scavi sono avvenuti tramite pozzi e trincee che non hanno facilitato assolutamente l’individuazione e l’interpretazione di eventuali tracce. Lungi dal voler affermare che le ricostruzioni delle sequenze stratigrafiche finora proposte nei siti indagati non siano affidabili, si vuole sottolineare la necessità di rivedere ed approfondire i dati con scavi stratigrafici estensivi oltre che con un accurato riassetto delle cronologie ceramiche, per poter smentire o accertare la reale presenza di livelli di distruzione in relazione con il sacco del 390 a.C.124

L’idea dell’incendio, sopravvissuta a questo contesto storico d’origine, è stata acquisita da scrittori di epoca posteriore, che, animati da preoccupazioni letterarie, hanno usato

Vedi Di Giuseppe 2010, pp. 303-320 e il punto III.3.2.2., supra. A suffragare ulteriormente l’identificazione in questa zona dei fatti più drammatici avvenuti durante il sacco gallico del 390 a.C. potrebbe essere l’ipotesi avanzata da Coarelli che identifica il sito dei busta Gallica nell’area compresa tra l’ingresso del vicus Iugarius nel foro e i doliola; vedi Coarelli 1983, pp. 285-286; LTUR I, 1993, pp. 203-204 (F. Coarelli) e Carafa 1998, p. 97. Il toponimo è attestato per la prima volta da una epigrafe dell’inizio del I sec. a.C. dove vengono menzionati una serie di lavori eseguiti all’interno delle mura (CIL VI 37043 = I² 809): In [---]eis / [---]s ab cleivo [infi]mo / [a bustei]s Galliceis v[er]sus / [ad su]mmum cleivom. Secondo Varrone, il luogo si riferirebbe ad un sepolcro collettivo di Galli, morti in seguito ad una epidemia scoppiata durante l’assedio del Campidoglio; Varro, ling. V 157; Liv., V 48, 3; XXII 14, 11; Plut., Cam. 28, 1-3; Sil., VIII 641-647. Tale credenza sarebbe nata in seguito alla scoperta di una necropoli protostorica in media urbe la cui presenza nel centro della città non si sarebbe potuta spiegare altrimenti che con le sepolture dei Galli invasori (il rinvenimento di una necropoli protostorica nel centro della città è riferito in Liv., XXII 14, 11). Di recente, sulla base del toponimo in Gallicis che compare in una bulla di Innocenzo III del 1199 menzionante alcune delle proprietà della chiesa dei SS. Sergio e Bacco (omnes domos positas in Gallicis quae his finibus concluduntur: a duobus lateribus tenet ecclesia vestra a tertia tenet ecclesia S. Martinae, a quarto via publica quae pergit ante dictam ecclesiam. Jordan, Hülsen 1878-1907, II, p. 668; Platner, Ashby 1929, p. 86; Hülsen 1927, p. 317; Gnoli 1939, p. 119), è stata avanzata l’ipotesi che i busta Gallica siano da identificare nell’area compresa tra il Comitium e le mura capitoline, una zona quindi compresa tra l’arco di Settimio Severo/SS. Luca e Martina e il tratto inferiore del Clivo Capitolino. Vedi Carafa 2008, p. 680 e Filippi 2012, p. 159. 121 Vedi da ultimo Roberto 2012, p. 19. 119

120

A questo riguardo, lo scavo dei livelli sottostanti la piazza del Foro di Cesare ha permesso di affrontare sotto un’ottica più ampia gli effetti che a livello costruttivo ha causato quell’evento. In questo caso, infatti, la ricerca non si è incentrata unicamente sull’individuazione di livelli di bruciato, pur presenti, ma soprattutto sugli strati di colmata funzionali alla nuova ristrutturazione conseguente l’incendio. Dunque, è nelle ragioni delle ristrutturazioni e delle pianificazioni urbanistiche che riguardano le aree pubbliche intorno al Foro Romano nel corso del IV secolo a.C. che vanno cercate le cause e quindi la realtà stessa della presa di Roma da parte dei Galli. Vedi in proposito Cornell 1995, pp. 317-318. De Sanctis 1907, pp. 176-177; Ampolo 1983, p. 13. 124 Per l’impostazione della complessa problematica inerente i fossili guida del periodo in esame vedi Di Giuseppe 2010, pp. 304, 319-320 e il punto III.3.2.2., supra. 122 123

237

Forum Iulium

IV.1. Schema ricostruttivo dei principali eventi accaduti durante il sacco gallico, basato sulle testimonianze letterarie e sui dati archeologici. In tratteggio il percorso seguito dai Galli. I numeri indicano il passaggio dei Galli e le principali zone interessate dalle distruzioni. Dopo la battaglia dell'Allia, le schiere galliche si dirigono a Roma ed entrano dalla Porta Collina lasciata incustodita dai Romani (1). Attraversata la Porta Collina e imboccato il vicus Portae Collinae/ Alta Semita, i Galli si riversano in massa nella valle del Foro Romano (2) ponendo in stato d'assedio la cittadinanza rifugiatasi sul Campidoglio e sulle alture circostanti. Durante l'assedio, varie sortite vengono tentate per conquistare il Campidoglio (3) e il Palatino. In quest'ultimo caso, dopo alcuni scontri avvenuti presso il Poenus Vestae (4) e la Porta Romanula (5), i Galli conquistano la sommità del colle (6). Piegata la resistenza dei romani l'assedio si concentra lungo le pendici meridionali del Campidoglio (7 e 8), fino alla sua definitiva conquista (9) (disegno A. Delfino; elaborazione grafica V. Di Cola). 238

Il sacco gallico

Numerosi, poi, sono i monumenti che sorgono in aree legate a quell’avvenimento, di cui tutt’oggi rimangono sconosciute proprio le fasi relative a quel periodo.125

Non possiamo escludere, inoltre, che sia possibile una revisione dell’interpretazione stratigrafica finora restituita di alcuni scavi, data la ristrettezza degli stessi e lo studio in parte inedito dei loro materiali.126

Un caso valido fra tutti può essere il Tempio di Portunus al Foro Boario, dove le indagini archeologiche non si sono spinte più in basso dei livelli di fine IV-inizi III sec. a.C. e comunque, sempre con tipologie di intervento limitate a pozzi e trincee; vedi Colini, Buzzetti 1986, pp. 7-30; Gros, Adam 1986, pp. 31-34; Ruggiero 1991-1992, pp. 253-286. Proprio nel caso dell’area di Portunus, sotto il podio del tempio tardo-repubblicano attualmente visibile, è stato individuato un basamento in blocchi di tufo di Grotta Oscura, datato in età medio-repubblicana in considerazione del confronto con quello, di pochi anni più recente, del Tempio C di Largo Argentina; vedi Colini, Buzzetti 1986; Ruggiero 1991-1992, pp. 253286. Tale datazione, basata esclusivamente sul confronto tipologico e sull’impiego del tufo di Grotta Oscura, necessiterebbe quantomeno di una conferma su base stratigrafica e allo stesso tempo di una lettura che abbracci un più ampio contesto di scavo. Le considerazioni sollevate, infatti, non escludono che il tempio datato in età medio-repubblicana, proprio per gli elementi cronologici finora apportati, possa appartenere ad una fase più antica collocabile nella prima metà del IV secolo a.C. e direttamente collegata con il sacco gallico. Vedi Del Buono 2009, p. 24. 125

Di grande importanza, a questo proposito, è lo studio di Paolo Carafa sulla cronologia del Comizio nel quale viene proposta una lettura alternativa della stratigrafia finora data, alla luce di un nuovo esame del materiale ceramico. Grazie a quest’ultimo, lo studioso ha identificato nello strato 11 del saggio X del Boni (Boni 1900, p. 326), un livello pavimentale posto a 11.19 m s.l.m., circoscritto al settore centro-meridionale della piazza e databile tra la metà del V e la fine del IV sec. a.C. (pavimento 7). Tale nuova pavimentazione è costituita da una sottile massicciata di tufo, stesa sopra un precedente piano posto a 11.10 m s.l.m., datato tra fine VI-metà V sec. a.C. (piattello tipo Spurianas, 500/450 a.C.); la nuova pavimentazione a sua volta, viene coperta dalla più consistente fase di fine IV sec. a.C. attribuibile a Caio Maenio (pavimento 8). Pur non essendo in relazione esplicita con gli avvenimenti del 390 a.C., il pavimento 7 identificato da Carafa testimonia una fase molto vicina a quella data, di cui finora sembrava non esistessero tracce. Carafa 1998, p. 44 e pp. 144-147. 126

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V. IL CONTESTO STORICO-URBANISTICO DEL FORO DI CESARE A. Delfino

1. Premessa

volontà di instaurare un potere assoluto di stampo latino2 e poi da Meyer e da Carcopino secondo i quali tale potere avrebbe avuto le caratteristiche di quello delle monarchie di tipo ellenistico.3 A tale concezione ha fatto seguito un indirizzo di ricerca che a partire da Syme4 e fino a tempi recenti5 ha smentito un disegno preordinato di Cesare non solo verso una monarchia sul modello ellenistico, considerata inconcepibile per la mentalità romana di quel tempo ma fin’anche quello di una dittatura perpetua del tipo di quella effettivamente instaurata nel gennaio del 44 a.C.

L’individuazione di diversi progetti costruttivi prima della definitiva inaugurazione del Foro di Cesare nel 29 a.C., se da un lato ha permesso di smentire l’idea che il complesso cesariano fosse stato concepito fin dal 54 a.C. con un’articolazione delle parti analoga a quella datagli da Ottaviano, dall’altro ha stimolato la ricerca delle cause che hanno determinato questa complessa genesi costruttiva. Queste cause, come vedremo, sono riconducibili a precise ragioni storiche e risultano subito evidenti quando si analizza la figura di Cesare nel contesto socio-politico degli anni che vanno dagli accordi di Lucca del 56 a.C., alla battaglia di Farsalo del 48 a.C. e, infine all’assunzione della dittatura perpetua nei primi mesi del 44 a.C. (13 febbraio). Si vedrà che l’idea di un Cesare proiettato verso il potere assoluto sin dal primo debutto sulla scena politica e che, come diretta conseguenza sul piano monumentale, concepisce da subito il suo complesso edilizio come un “foro imperiale”, non corrisponde affatto a quanto la critica storica, anche più recente, ha ricostruito del personaggio. Vedremo che proprio l’esito inaspettato della battaglia di Farsalo, considerata da molti storici il punto di svolta della politica cesariana verso il potere assoluto, può costituire la giusta chiave di lettura per interpretare i cambiamenti, le modifiche, le aggiunte che intervengono successivamente nel complesso cesariano. Pertanto si cercherà di dimostrare che la svolta verso la creazione del primo dei Fori Imperiali prende piede solo a partire da questo momento, quando i lavori erano iniziati da almeno sette anni, come logica conseguenza del mutato assetto politico e quindi del diverso atteggiamento di Cesare.

Secondo quest’analisi storica, l’aspirazione ad ottenere una dittatura perpetua è una idea che prende piede solo gradualmente, in itinere, nel corso degli ultimi anni di vita di Cesare, passando attraverso la dittatura decennale del 46 a.C. Proprio in questo passaggio da una carica sicuramente eccezionale ma ancora rispettosa delle istituzioni politicocostituzionali repubblicane, quale è la dittatura decennale, ad un titolo straordinario come quello della dittatura perpetua, estranea al mos maiorum, è da scorgere la vera frattura che separa Cesare dalla tradizione e che, per tale motivo, sarà presa a pretesto dai cesaricidi.6 Il quadro generale che se ne ricava è quello di un uomo politico che come ogni nobile romano coinvolto nelle lotte fra optimates e populares, difende la propria dignitas attentata dalla factio avversa e tenta di assumere il potere, la ricchezza e la gloria non modificando in nessun modo l’ordinamento della società di cui si sentiva parte integrante. Partecipe del sistema di valori dato dalla tradizione e convinto che i mores antiqui erano stati corrotti dalla factio degli ottimati, Cesare scende in campo per tentare di difenderli. Solo alla fine di una lunga lotta politica condotta all’insegna del compromesso con la parte avversa, Cesare si convinse che l’unico modo per restaurare la Repubblica corrotta dalla factio degli optimates fosse quello di accogliere la carica di dictator perpetuus offertagli dal Senato (gennaio 44 a.C.). E’ qui, a nostro parere, che risalta

A questo punto alcune considerazioni di ordine generale sull’ultima attività politica di Cesare possono aiutare a comprendere meglio quanto detto. Di recente alcuni studi1 hanno dedicato una particolare attenzione alla questione, ancora viva nel dibattito storiografico attuale, dell’aspirazione alla tirannide (adfectatio regni) che Cesare avrebbe avuto in animo di realizzare sin dall’inizio della sua carriera politica. Tale interpretazione fu avanzata dapprima da Mommsen, che vedeva in ogni azione politica compiuta da Cesare la

1

Mommsen [1888] 1973, vol. V/2, in particolare pp. 1118-1119. Meyer 1919, p. 466 e ss.; Carcopino 1934, pp. 89-155; Idem [1935] 1975. Vedi anche Alföldi 1952 e Idem 1985, dove vi è una chiara esposizione di entrambe le teorie. 4 Syme 1939, pp. 49-62. 5 Green 1978, passim; Meier [1980] 1995, in particolare pp. 66, 78; Idem [1982] 2004, pp. 371-374, 464; Rawson 1994, p. 455; Shotter 1994, p. 85; Canfora 1999; Gabba 2000, pp. 143-144 e 148-149; Zecchini 2001, passim, con bibliografia di riferimento; Fraschetti 2005, p. 71 e pp. 96-99. 6 Zecchini 2001, pp. 32-34. 2

3

Canfora 1999, in particolare pp. 152-155; Zecchini 2001, passim.

240

Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

nitidamente la vera volontà di Cesare che non contemplava affatto l’instaurazione di una regalità di tipo ellenistico bensì quella di un regime paternalistico e autoritario con una più larga partecipazione delle parti sociali, finalizzato alla riforma e alla continuazione su nuove basi dell’ordinamento repubblicano. L’ampliamento del numero dei senatori con elementi esterni al gruppo degli ottimati e soprattutto la nuova politica urbanistica espressa nella Lex de urbe augenda votata probabilmente nel 45 a.C.,7 minando alla base gli interessi economici e la stessa egemonia della vecchia aristocrazia senatoria, è solo un chiaro esempio di questo nuovo corso politico che Cesare voleva attuare. Dopo aver esitato fino all’ultimo verso questa scelta che lo avrebbe portato fuori dall’ordine costituito, fu questa la prima volta che Cesare, uscendo dalle logiche della factio paucorum, ruppe con quel sistema di valori costandogli, per tale motivo, la vita.

della città, ben riflette la scena politico-sociale dominata dalle lotte tra opposte fazioni familiari che ora sotto il nome di optimates ora sotto quello di populares trovano nei nuovi spazi cittadini i simboli della loro identità politica. Alla metà del I secolo a.C. il complesso Curia-Comitium è un organismo ormai squilibrato: le due realtà una volta complementari di Comizio e Curia sono ora irrimediabilmente separate. Già il progetto sillano di una nuova Curia più grande per l’accresciuto numero dei senatori, passati da 300 a 600, aveva definitivamente cancellato dall’area gli spazi una volta di pertinenza del Comizio, spostandoli nel foro.10 Da quel momento, la Curia ricostruita da Silla e la basilica Porcia che dalla prima metà del II sec. a.C. fiancheggiava la Curia Hostilia11 sul lato ovest, dominano solitarie l’intero settore settentrionale del Comizio, rappresentando agli occhi dei cittadini una sorta di enclave dell’aristocrazia senatoria che non mancherà di far sentire il suo potere politico su ogni progetto costruttivo che interessi l’area limitrofa alle sue sedi di rappresentanza. Tale situazione di predominio degli optimates sull’area circostante alla sede senatoria, come vedremo più avanti, permane immutata ancora molti anni dopo che Cesare aveva dato avvio alla costruzione del suo complesso. Una riprova è costituita dal fatto che quando si decise di ricostruire la sede del Senato dopochè l’antica Curia Hostilia era stata data alle fiamme in occasione dei tumulti scoppiati durante i funerali di Clodio (52 a.C.), l’incarico venne affidato a Fausto Silla, figlio di Lucio Cornelio Silla e marito di Pompea, figlia di Pompeo.12

2. Il contesto storico-urbanistico Da quando il tribuno Caio Gracco nel 123 a.C. si rivolse ai cittadini dalla tribuna dei rostri verso l’area libera del Foro Romano8 e non più, come fino allora aveva fatto ogni magistrato dall’inizio della Repubblica, verso la Curia Hostilia e il Comitium, quel legame spirituale fra senatus populusque Romanus, che sul piano monumentale si rifletteva nella contiguità della sede del Senato e dell’assemblea cittadina, venne incrinato irrimediabilmente. Il processo centrifugo delle funzioni politico-amministrative che investe il complesso Curia-Comitium a partire dalla fine del II sec. a.C. ha come conseguenza diretta lo spostamento in altre parti del foro repubblicano del corpo civico che fino a quel momento esercitava le proprie funzioni nell’area comiziale.9

Sul piano monumentale i due edifici simbolo del potere degli optimates, la Curia Hostilia, sede delle sue riunioni politiche e la basilica Porcia, luogo dei più importanti tribunali giudiziari da essi monopolizzati, apparivano a chi li avesse guardati dalla piazza del Foro Romano come un blocco monolitico che giganteggiava sull’area circostante e in particolare su un Comizio ormai svuotato delle sue funzioni.

Oltre alla nascita, proprio nel corso del II secolo a.C., di numerose basiliche che assolvono a molte di quelle funzioni che fino ad allora si svolgevano presso il Comizio viene a costituirsi in questo momento, un vero e proprio polo giudiziario-amministrativo alternativo, nell’area meridionale del Foro Romano.

D’altro canto non bisogna credere che mancasse da parte degli stessi attori della “rivoluzione romana”, fossero essi optimates o populares, la volontà di ricreare su nuove basi quella unità materiale e spirituale di Popolo e Senato che costituiva malgrado tutto un ideale irrinunciabile. Proprio in questa direzione si mosse Pompeo quando probabilmente all’indomani del triplice trionfo nel 61 a.C. diede avvio nel Campo Marzio meridionale alla costruzione del gigantesco complesso monumentale che porta il suo nome. In questo caso giova sottolineare che Pompeo nella scelta del luogo optò per un’area, quella del Circo Flaminio, che da tempo era la sede prescelta per monumenti autocelebrativi. Ciò

Se alla base di questo processo è da scorgere senza dubbio la necessità impellente di trovare spazi più ampi per l’attività politica di una popolazione enormemente cresciuta, allo stesso tempo, non va sottovalutato l’enorme effetto politico-ideologico che ebbe sulla società un programma del genere. Tanto più che questa diaspora degli organi amministrativi dai luoghi tradizionali sembra riguardare quasi esclusivamente quelle funzioni popolari svolte nel Comizio dai tribuni e dalle assemblee cittadine; al contrario le funzioni espletate dal Senato nella Curia Hostilia rimangono irremovibili nella propria sede.

Coarelli 1985, p. 199; Gros, Torelli 1994, p. 120. Sulla localizzazione della basilica Porcia ad ovest della Curia Hostilia vedi Coarelli 1985, pp. 59-67; La Rocca 1990, p. 380; Grassigli 1991, p. 45; LTUR I, 1993, p. 331 (F. Coarelli). Vedi anche Carafa 1998, p. 152, fig. 95 dove la basilica Porcia è posta ancora più a sud. 12 Cass. Dio., XL 50, 2-3. τό τε βουλευτήριον τῷ Φαύστῳ τῷ τοῦ Σύλλου υἱεῖ ἀνοικοδομῆ σαι προσέταξαν. ἦν μὲν γὰρ τὸ Ὁστλον, μετεσκεύαστο δὲ ὑπὸ τοῦ Σύλλου. 10 11

Tale frammentazione delle sedi del potere in diversi luoghi 7 8 9

Vedi da ultimo Tortorici 2012, pp. 21-27 con bibliografia. Plut., Cai. Gracc. 5, 4. Coarelli 1985, p. 199; Grassigli 1991, pp. 39-42.

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Forum Iulium

che assume un carattere del tutto inedito e rivoluzionario è che nel Theatrum Pompei vi è il primo tentativo di ricreare, secondo la personale visione politica del suo ideatore, il dialogo interrotto tra Comizio e Senato.

In quell’anno Cesare si trovava lontano da Roma, dapprima in Gallia e poi impegnato nella seconda spedizione in Britannia (luglio 54 a.C.);16 per questo motivo egli incaricò due suoi emissari di fiducia -Cicerone ed Oppio- di portare avanti le trattative per l’acquisto dell’area in cui sarebbe dovuto sorgere il suo monumentum.17

Seppur inseritosi in un’area che la tradizione aveva da tempo deputato a monumenti che glorificavano le gesta dei principes repubblicani, la scelta di ubicare in quel luogo il complesso pompeiano denuncia la volontà da parte di Pompeo di creare una sorta di microcosmo urbano alternativo al Foro Romano, sede dei più antichi istituti di potere e centro dell’attività giurico-amministrativa.13

La contemporaneità dei due avvenimenti - la seconda spedizione in Britannia e l’avvio della costruzione di un nuovo complesso monumentale da realizzare alle pendici sud-orientali del Campidoglio - non può non essere letta come un tentativo esplicito da parte di Cesare di porsi sullo stesso piano di Pompeo Magno, conquistatore dell’Oriente e allora all’apice del suo prestigio. Non è un caso, quindi, che a partire da questo momento inizi una competizione politica con Pompeo che sul piano monumentale si traduce con la realizzazione di complessi edilizi di vasta portata, molti dei quali realizzati intorno alla piazza del Foro Romano.18

La valenza di centro politico alternativo al complesso Curia-Comitium è resa manifesta dal fatto che come lo spazio comiziale era collegato fisicamente e spiritualmente al Campidoglio, anche il complesso pompeiano si poneva in stretta relazione con esso ma dal versante opposto.14 A tal proposito possono sorgere dubbi se Pompeo dando al proprio Teatro uno sviluppo in senso ascendente volesse sostituirsi del tutto al Capitolium o se invece avesse soltanto cambiato prospettiva spaziale mantenendo invariato il legame ideologico e concettuale con il sacro colle.

In questa situazione di tensione latente fra i due leader si inserisce la morte di Giulia, figlia di Cesare e moglie di Pompeo.19 Il matrimonio stipulato fra Pompeo e Giulia nel 56 a.C., come ogni unione che si stabiliva fra i nobiles, era teso a creare una solida alleanza politica tra due patronati in previsione della conquista del potere. Nel caso di Cesare e Pompeo, la nuova unione matrimoniale aveva sancito di fatto l’accordo di Lucca stretto lo stesso anno rinsaldando, di conseguenza, il patto triumvirale del 60 a.C. La morte di Giulia nel settembre del 54 a.C. fece venire meno gli effetti benefici di quegli accordi di mutuo soccorso tra Cesare e Pompeo che garantivano ad entrambi la sicurezza delle loro posizioni di comando. Da questo momento, pertanto, si riaffaccia nella mente di Cesare lo spettro di sempre e cioè l’eventualità di esser destituito dal proconsolato della

A differenza delle prime porticus costruite a Roma alla metà del II secolo a.C., ancora isolate rispetto al contesto urbanistico circostante, l’edificio pompeiano si pone come un progetto architettonico coerente, rigoroso, che mira ad inserirsi con fermezza nel tessuto urbano, pur rispettandone gli spazi. Una rispetto, quello espresso da Pompeo che si esprime nella volontà di porre il complesso monumentale vicino al Campidoglio ma esterno al pomerium. L’intento dell’operazione, ciononostante, risulta chiaro: articolando il proprio complesso monumentale come una grande piazza circondata da portici (porticus pone scaenam) e inserendovi una Curia (Curia Pompei) al centro del braccio orientale, veniva ristabilito quel nesso ormai perduto di Curia/ Comizio. La novità, tuttavia, risiedeva nel fatto che da questo momento le due assemblee del popolo e del Senato venivano a trovarsi ideologicamente e materialmente sotto la protezione di Venere Vincitrice, nume tutelare di Pompeo, il cui tempio posto in summa cavea dominava l’intero complesso.

Ces., Bell. Gall. V 5-23; Cic., Ad Att. IV 15, 10; IV 18, 5; A Quint. III 1, 25; Cass. Dio., XL 1-3. Vedi Canfora 1999, pp. 122-123. 17 Se la scelta di Oppio appare coerente con il ruolo di emissario di Cesare che questo personaggio svolse sino alla fine, quella di Cicerone merita una spiegazione (Syme 1939, p. 73; Canfora 1999, pp. 107,149, 166-168). La perplessità che suscita la scelta di Cicerone è dettata dal fatto che, come noto, egli era uno degli esponenti di punta dell’aristocrazia senatoria e mal si giustifica, pertanto, la sua partecipazione in un progetto architettonico da molti inteso come traduzione monumentale del programma autocratico di Cesare. L’impasse, solitamente, viene superata tenendo conto delle complesse dinamiche di alleanze politiche che in ragione di un superiore interesse di stato poteva portare ad accordi anche tra esponenti di opposti schieramenti (Brunt 1988, pp. 49-67; Morselli, Tortorici 1989, p. 41; Tortorici 1991, pp. 101-106); Idem 2012, pp. 8-11. Se tutto ciò è vero, tuttavia, non può non considerarsi che la logica di questa dinamica avviene sempre all’interno di un sistema oligarchico di potere, dove la libertas repubblicana non viene mai messa in discussione. Se Cesare fosse stato già in questo momento il portatore di un programma che rompeva con la tradizione scardinando l’ordinamento fino a quel momento dato, difficilmente avrebbe potuto trovare l’appoggio di personaggi che di quel sistema erano parte integrante. Per tale motivo, crediamo che il rapporto di fiducia che nel 54 a.C. legava Cicerone e Cesare era basato su una identità di vedute nel bene della Res publica, a prescindere dallo schieramento di appartenenza. Sotto tale ottica, il nuovo complesso cesariano si sarebbe presentato non certo come il Forum Iulium rappresentazione del potere assoluto del suo ideatore ma, al contrario, come il monumentum che allargando il vecchio foro repubblicano simbolo dei valori da tutti condivisi ne sanciva la continuità materiale e ideologica. 18 Sull’attività urbanistica di Cesare e, in particolare, nell’area del Foro Romano vedi Coarelli 1985, pp. 233-257; Liverani 2009 pp. 19-22; Zecchini 2009a, pp. 183-194. 19 Liv., Per. 106; Vell. Pat., II 47, 2; Plut., Caes. 23, 5-7; Svet., Caes. 26, 1; App., Bell. Civ. II 19. 16

È in questa situazione di profondi dissidi politici e di lotte per la conquista del potere che Cesare, nei primi mesi del 54 a.C., diede avvio ai lavori per la costruzione del proprio complesso monumentale.15

Sauron 1987, p. 472. Sauron 1987, p. 472; LTUR V, 1999, pp. 37-38 (P. Gros); Monterroso Checa 2010, p. 387. 15 Cic., Ad. Att. IV 16, 8. I lavori per il complesso cesariano, come si può evincere dalla data della lettera di Cicerone (Scr. Romae c. Kal. Quint. an. 54) e come si può dedurre dall’espressione che l’oratore usa rivolgendosi all’amico come se questo fosse a conoscenza da molto tempo del progetto di Cesare ([…]monumentum illud quod tu tollere laudibus solebas[…]), dovevano esser già avviati almeno dai primi mesi del 54 a.C. Vedi Shackleton Bailey 1999, pp. 334- 343. 13 14

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

Gallia prima dell’ottenimento di un secondo consolato; ciò avrebbe voluto dire comparire in un processo come privato cittadino il cui esito negativo sarebbe stato del tutto scontato.

Si potrebbe seguire questa escalation di avvenimenti che portarono al lento logoramento dei rapporti tra Cesare e il partito senatorio fino alla fine, quando alle richieste concilianti del tribuno cesariano Curione di congedare da parte di entrambi gli schieramenti i rispettivi eserciti (gennaio 49 a.C.), per tutta risposta venne avanzata la richiesta senatoria di far intervenire Pompeo, ormai schierato apertamente dalla parte degli ottimati, per salvare la Repubblica; o quando, in conseguenza di ciò, tutti i tribuni della plebe vennero esautorati del loro potere di veto (intercessio).23 Quello che preme sottolineare maggiormente, invece, è il tenace tentativo da parte di Cesare di permanere nei limiti della legalità nella speranza che un compromesso con il Senato fosse ancora possibile. Ancora per tutto il 49 a.C., l’architrave su cui poggia la politica cesariana è concepita in chiave dittatoriale, cioè di non dar adito in nessun modo a sospetti di instaurazione di un modello di potere di stampo sillano.24

La situazione si aggravò ulteriormente nel 53 a.C. quando Crasso, il terzo componente del triumvirato, perse la vita a Carre contro i Parti. Il fragile equilibrio che con tanta difficoltà era stato mantenuto in vita dai tre uomini, specialmente da parte di Cesare, si incrina in modo irreversibile. L’atteggiamento di Cesare nei confronti di Pompeo, a questo punto, non sfocia ancora in lotta aperta ma diventa di estrema diffidenza verso le scelte del collega il quale, ora sembra assecondare i suoi progetti, ora gli si schiera nettamente contro favorendo i voleri dell’aristocrazia senatoria capeggiata da Catone. Dal canto suo Cesare si impegna con tutti i mezzi per ottenere il riconoscimento delle proprie iniziative politiche senza mai rinunciare tuttavia alla legittimazione da parte dei poteri istituzionali. La sua preoccupazione maggiore, infatti, è quella di resistere ai reiterati tentativi degli avversari che cercano di farlo deviare dalla leggitimità repubblicana, imputandogli accuse di corruzione o, ancor peggio, di aspirazione al regnum. In questo clima altalenante avviene una congiuntura di eventi eccezzionali che minacciano mai come ora la sua stessa esistenza di leader politico. Nel 52 a.C., infatti, egli si trova a dover fronteggiare una doppia minaccia che sul fronte esterno è costituita dalla rivolta di Vercingetorige, mentre su quello interno nasce dal timore di un provvedimento estremo da parte del Senato; quest’ultimo, infatti, per porre rimedio ai tumulti cittadini scoppiati all’indomani dell’assassinio di Clodio nel gennaio dello stesso anno, è incline a concedere pieni poteri a Pompeo per il ristabilimento dell’ordine. L’atteggiamento di Cesare in questa situazione rimane quanto più possibile neutrale ma i suoi timori si rivelano fondati. Dopo circa un mese dallo scoppio dei tumulti, un senatusconsultum ultimum elegge Pompeo “console senza collega” (fine febbraio del 52 a.C.).20 Da questo momento in poi, con la preoccupazione della scadenza del mandato di proconsole in Gallia, la politica di Cesare è tutta incentrata ad evitare un processo da privatus cittadino.21 Le armi che adotta per difendersi sono sempre armi leggittime, unica garanzia per fugare i sospetti di illegalità che i suoi avversari sollevano continuamente nei suoi confronti. Convocato un plebiscito tribunizio, la prima mossa che Cesare tenta è la richiesta, inizialmente accettata da Pompeo, di potersi candidare per il secondo consolato pur assente da Roma e tenendo allo stesso tempo la provincia fino alla fine del 49 a.C. Il segnale di una rottura irreversibile con il partito degli ottimati si ha quando Pompeo che inizialmente non aveva opposto nessun veto alla candidatura al consolato in absentia, vara una nuova legge (lex de imperio magistratuum) che ristabilisce l’obbligo incondizionato per ogni candidato al consolato di essere presente a Roma.22

Del resto ciò che nella concezione di Cesare, come di qualsiasi altro nobile romano, andava difeso più della vita era la propria posizione, il proprio onore, il proprio prestigio, in una parola la propria dignitas che costituiva un valore fondamentale da tutti riconosciuto.25 In questo suo combattere per un valore tenuto nella più alta considerazione da ogni romano, Cesare trovava una giustificazione più che valida al proprio comportamento, allontanando da sé prima che dagli altri il sospetto di una deviazione dai valori repubblicani. In altre parole, Cesare si sentiva ancora parte del sistema di valori repubblicani e la conquista del potere era ancora concepibile all’interno del sistema politico esistente.26 Dopo l’esito della battaglia di Farsalo (48 a.C.) le cose cambiano irreversibilmente. Scomparso Pompeo e annientato il potere del Senato impersonato da Catone ormai fuggito in Africa, a Cesare si presenta un quadro politico del tutto nuovo che forse mai prima di allora aveva potuto immaginare; un quadro dove gli attori principali che fino allora avevano dominato la scena politica romana, i potentati familiari sempre in lotta fra loro ma uniti dagli stessi interessi di classe, erano scomparsi o fuggiti lontano e con loro quel sistema di valori basato sulla lotta politica in funzione del primato di una famiglia. L’annientamento in blocco della factio paucorum, una Farsalo, prima del 48 a.C. sarebbe stata inconcepibile. È questa la situazione socio-politica che mette Cesare, forse per la prima volta, di fronte alla reale prospettiva di un potere supremo e assoluto. Un potere che proprio perché assoluto, autocratico, non era mai stato fino a quel momento nelle ambizioni di nessuno dei principes repubblicani il cui sistema di governo era basato sulla lotta reciproca con alleanze sempre diverse ma mai teso all’annientamento finale della controparte. La prospettiva Canfora 1999, pp. 144-147 e pp. 156-157. Raaflaub 1974; Canfora 1999, p. 169; Zecchini 2001, pp. 132-133. 25 Syme 1939, p. 50; Raaflaub 1974, pp. 155-182; 224-225; 313-316; 331-335; Meier [1980] 1995, pp. 48-53; Zecchini 2001, pp. 56-57. 26 Gabba 2000, pp. 143-144. 23

Cic., Ad Att. VII 1, 4; VIII 3, 3; Liv., Per. 107; Vell. Pat., II 47, 3; Plut., Caes. 28, 7; Pomp. 54, 6-9; App., Bell. Civ. II 23; Cass. Dio., XL 50, 4; 21 Vedi da ultimo Canfora 1999, pp. 140-151. 22 Suet., Caes. 28, 3. 20

24

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Forum Iulium

di questo potere straordinario che in ultima istanza si traduce con la dittatura a vita, gli avrebbe permesso non di governare come un monarca ellenistico ma, al contrario, gli avrebbe consentito di salvare la Repubblica ristrutturandola dall’interno, riformando per prima cosa quella classe dirigente che fino a quel momento era rimasta chiusa nelle sue logiche di parte, lontana dai problemi di un impero territoriale che si estendeva ormai ben oltre gli stretti confini politici dell’Urbe. Un segnale chiaro di questa politica autoritaria è la nuova strutturazione assunta dal Senato che da organismo riservato ad un gruppo circoscritto di poche famiglie aristocratiche, si trasforma in un’assemblea a più larga partecipazione, dove elementi italici, transpadani e popolari conferiscono alla Repubblica una dimensione più attuale e più vicina alla realtà italica.27

monarca ellenistico si voleva sostituire al loro governo, ma un imperator-dictator popularis nel quale la massima carica politica e la massima auctoritas religiosa coesistevano con il principio “democratico” dello ius provocationis; respingendo ogni onore divino in vita, a differenza di un monarca ellenistico, Cesare avrebbe governato lo Stato con un misto di autoritarismo e paternalismo, traendo il suo potere dal consenso incondizionato della plebe urbana e dei veterani.34 A questo punto, può non essere un semplice caso che proprio a partire dal 48 a.C. e fino al gennaio del 44 a.C. intervengano quelle modifiche e aggiunte di nuove parti, che trasformano il monumentum di Cesare nel primo dei Fori Imperiali. In altre parole, questa evoluzione della politica cesariana in senso assoluto troverebbe un segno tangibile proprio nel Foro di Cesare che concepito inizialmente come un complesso monumentale analogo a quello che altri imperatores repubblicani prima di lui avevano realizzato (porticus Octavia, porticus Metelli), si trasforma a partire dal 48 a.C. nel téménos dinastico del nuovo riformatore dello Stato repubblicano.

In questo quadro, pertanto, i poteri assoluti che Cesare assomma a partire dal 46 a.C. sono da intendersi come finalizzati all’ottenimento di una carica straordinaria che gli permettesse di attuare quelle riforme che riteneva necessarie per restaurare la Repubblica. Con il conferimento del titolo di parens patriae tra il 45 e il 44 a.C.28 e della dittatura perpetua tra il gennaio e il febbraio del 44 a.C., Cesare ebbe la garanzia per la prima volta di avere ottenuto un potere che, come un nuovo Romolo o un nuovo Camillo epurati da ogni accezione di regalità, gli avrebbe permesso di rifondare la Res publica sulla base delle virtù etiche dei prisci mores.29 Sotto la medesima ottica è stato letto il suo ossequio, costante sino alla fine, verso la religione capitolina.30 In qualità di Pontefice Massimo, carica che detiene sin dal 63 a.C., 31 Cesare si presenta al popolo come la figura istituzionale più adatta, perché più strettamente legata alla tradizione, alla restaurazione degli antichi costumi religiosi corrotti dalla factio degli optimates. L’aver incentrato la sua politica religiosa sulla figura di Romolo/ Quirino permetteva a Cesare di fondare il suo potere su una solida base ideologica in quanto lo collegava allo stesso tempo con il mitico antenato della sua famiglia e con l’eroe fondatore di Roma, divinizzato dopo la morte.32 Proprio la divinizzazione di Romolo che per questo motivo diviene Quirino, è stata considerata come la prova che il suo obiettivo non era quello di farsi divinizzare in vita ma di ottenere un’apoteosi post mortem, secondo il più tradizionale costume aristocratico.33 Anche in questo caso, infatti, tale pratica religiosa era del tutto consona al mos maiorum secondo cui all’interno delle gentes aristocratiche il culto dei di parentes era considerato del tutto normale.

2.1. Templum Felicitatis, Curia Hostilia e Curia Iulia La tesi di un disegno politico di Cesare mutevole a seconda delle situazioni, ma sempre attento ad evitare rotture violente con le forze avversarie e, solo dal 48 a.C. proiettato verso l’unico obiettivo del potere assoluto trova, a nostro parere, un riscontro oggettivo nell’iter costruttivo del Foro di Cesare e dei monumenti con cui questo venne in rapporto: la Curia Hostilia, il Templum Felicitatis e la Curia Iulia. Per chiarezza di esposizione, quindi, sembra opportuno affrontare la problematica topografica che ruota intorno all’area del Foro di Cesare cominciando proprio da questi tre monumenti, per poi tentarne una lettura correlata alle due fasi costruttive del complesso cesariano. Secondo Cassio Dione, M. Emilio Lepido, luogotenente di Cesare, costruì in luogo della Curia Hostilia, un tempio dedicato a Felicitas;35 l’operazione doveva costituire un abile escamotage per eliminare definitivamente l’antica sede senatoria e il terribile ricordo di Silla a questa associato.36 Dal passo citato, dal quale si arguisce che l’operazione venne effettuata negli anni precedenti al 44 a.C., sembra Sordi 1976, p. 153; Eadem 2000, pp. 307-313; Gabba 2000, pp. 148149; Zecchini 2001, pp. 52 e 86; Fraschetti 2005, p. 97. 35 Cass. Dio., XLIV 5, 1 e ss. (44 a.C.) […] βουλετήριον τέ τι καινὸν ποιῆσαι προσέταξαν, ἐπειδὴ τὸ Ὁστίλιον καίπερ ἀνοικοδομηθῆναι καθῃρέθη, πρόφασιν μὲν τοῦ ναὸν Εὐτυχίας ἐνταῦθα οἰκοδομηθῆναι, ὃν καὶ ὁ Λέπιδος ἱππαρχήσας, ἐξεποίησεν, ἔϱγῳ δέ, ὅπως μήτε ἐν ἐκείνῳ τὸ τοῦ Σύλλου ὄνομα σώζοιτο καὶ ἕτερον ἐκ καινῆς κατασκευασθὲν Ἰούλιον ὀνομασθείη, ὥσπερ που καὶ τόν τε μῆνα, ἐν ᾧ ἐγεγένητο,Ἰούλιον κἀκ τῶν φυλῶν μίαν τὴν κλήρῳ λαχοῦσαν Ἰούλίαν ἐπεκάλεσαν. Il culto di Felicitas, introdotto a Roma a partire dalla seconda metà del II secolo a.C. e adottato da Silla e da Pompeo, è connesso alla predestinazione divina verso il successo militare. Insieme a Victoria, che ne costituisce la diretta conseguenza, rappresenta una delle maggiori virtù del condottiero (vedi LTUR II, 1995, pp. 244-245 (D. Palombi); Coarelli 1997, p. 294 e p. 570). 36 Coarelli 1983, pp. 135, 154; Idem 1985, p. 236; Tortorici 1991, p. 58 e ss e p. 105 e ss; LTUR II, 1995, pp. 245-246 (E. Tortorici); Carafa 1998, p. 158; Liverani 2009 pp. 23-24. 34

Se tale aspirazione poteva benissimo essere presa a pretesto dai suoi rivali politici per accusarlo di adfectatio regni, e di fatto fu ciò che avvenne, quello di cui l’oligarchia senatoria non si accorse o non volle vedere è che non un rex o un Syme 1979, pp. 88-119; Gabba 1998, pp. 124-127; Idem 2000, pp. 145-146 e 148-149. 28 Cass. Dio., XLIV, 4,4. 29 Zecchini 2001, pp. 15-17 e 127-129. 30 Sull’argomento si veda da ultimo Zecchini 2001, pp. 35-76. 31 Plut., Caes. 7, 1-4; Suet., Div. Jul. 13. 32 Zecchini 2001, pp. 44-46 e 54-63. 33 Liou-Gille 1993, passim; Zecchini 1995, p. 601 e ss; Idem 2001, pp. 55 e 62. 27

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

La seconda ipotesi, invece, è stata avanzata recentemente da Carla Maria Amici41 che, in seguito ad un attento confronto delle quote assolute dell’area in esame, asserisce che la balza sulla quale sorge la chiesa dei SS. Luca e Martina, risulta del tutto incompatibile con la collocazione in questo luogo della Curia Hostilia.42 Infatti, la quota estremamente alta della superficie del banco naturale rilevata dietro il blocco di tabernae IX-XI (21 m circa s.l.m.) e la considerevole distanza tra quest’area e quella del Comizio, farebbe escludere ogni possibilità di ubicazione in questo luogo della Curia repubblicana.

evincersi che l’antica Curia Hostilia fu in quella occasione demolita (ἐπειδὴ τὸ Ὁστίλιον καίπερ ἀνοικοδομηθῆναι καθῃρέθη) e che al suo posto sia stato costruito ex novo il sacello dedicato a Felicitas. Da alcune notizie fornite da Cicerone, inoltre, si comprende che la Curia Hostilia, da poco restaurata da Fausto Silla in seguito all’incendio del 52 a.C., dovette rimanere in piedi almeno sino al 47-46 a.C.37 Sembra di poter concludere, pertanto, che se il tempio occupava lo stesso luogo della Curia Hostilia sillana e se quest’ultima era ancora esistente al momento dell’inaugurazione del foro nel settembre del 46 a.C., la costruzione dell’edificio templare venne iniziata subito dopo. Generalmente si ritiene che esso abbia avuto breve esistenza e che non sia stato portato a termine poiché o venne distrutto subito dopo la morte di Cesare, quando il Senato decretò la ricostruzione della Curia nello stesso luogo di quella antica (fine del 44-inizio del 43 a.C.), oppure venne demolito in occasione dell’inizio dei lavori per la Curia Iulia.38

A pochi anni di distanza la studiosa è ritornata sull’argomento avanzando la suggestiva proposta che sia la Curia Hostilia repubblicana, sia la Curia HostiliaCornelia sillana, sia la Curia Iulia cesariano-augustea non hanno mai cambiato posizione né orientamento.43 La traccia archeologica di questa continuità topografica sarebbe costituita da alcune preesistenze repubblicane rinvenute da Alfonso Bartoli sotto la Curia Iulia che, a detta della studiosa, presentano lo stesso orientamento di quest’ultima.44

A rendere più complicata la problematica è, inoltre, la mancanza di tracce archeologiche riconducibili con certezza alla Curia Hostilia e al tempio di Felicitas.

Pertanto proprio l’invariabilità, sin dalle origini, della collocazione e dell’orientamento della sede del Senato avrebbe determinato l’impianto del Foro di Cesare, orientato in senso nord-ovest/sud-est.

Due sono le tesi proposte circa l’ubicazione della Curia Hostilia. La prima è quella avanzata ormai da tempo da Filippo Coarelli, che sulla base di una dettagliata descrizione della topografia dell’area comiziale fornita da un passo di Plinio che si rifà a Varrone39 e da una serie di altre notizie letterarie riguardanti la disposizione degli edifici vicini alla Curia Hostilia, la posiziona nell’area oggi corrispondente alla chiesa dei SS. Luca e Martina.40

Sebbene tale ipotesi abbia avuto il merito di focalizzare l’attenzione sul notevole divario altimetrico che esiste tra la sommità della balza del Campidoglio sulla quale sorge la chiesa dei SS Luca e Martina (21 m s.l.m.) e l’area della piazza del Comizio (12 m s.l.m.), tuttavia sembra non tenere conto del fatto che proprio in prossimità della chiesa il rilievo subisce un forte salto di quota, passando bruscamente dai 21 m s.l.m. ai 14-15 m s.l.m. in corrispondenza di un’area pianeggiante (vedi fig. II.31, sezione C-C’). Tale area, nel corso del tempo invasa da terreni di riporto, si sarebbe potuta estendere dalla zona in corrispondenza del lato nord-occidentale della chiesa dei SS. Luca e Martina all’area della Curia Iulia.

Da un passo del De finibus che si riferisce agli anni 48-47 a.C., si comprende che la Curia Hostilia ricostruita da Fausto Silla, rimase in funzione almeno sino a quella data. Cic., De Finibus, V 1, 2. Equidem etiam curiam nostram (Hostiliam dico, non hanc novam, quae minor esse mihi videtur, posteaquam est maior). Sul commento di questo passo vedi Rackman 1951, p. X; Tortorici 1991, p. 105; Viscogliosi 2000, p. 24. Ancora nel 46 a.C. Cicerone tenne nell’antica sede del Senato la difesa di Marcello; Cic., Pro Marc. III 10: Parietes, me dius fidius, ut mihi videtur, huius curiae tibi gratias agere gestiunt, quod brevi tempore futura sit illa auctoritas in his maiorum quorum et suis sedibus; Cic., Pro Marc. V 13: Nam cum M. Marcellum deprecantibus vobis rei publicae conservavit, me et mihi et item rei publicae, nullo deprecante, reliquos amplissimos viro et sibi ipsos et patriae reddidit, quorum et frequentiam et dignitatem hoc ipso in consessu videtis, non ille hostis induxit in curiam, sed indicavit a plerisque ignoratione potius et falso atque inani metu quam cupiditate aut crudelitate bellum esse susceptum.Vedi Coarelli 1983, p. 154; Idem 1985, p. 236; LTUR I, 1993, pp. 331-332 (F. Coarelli). 38 Cass. Dio., XLV 17, 8. (43 a.C.) […] καὶ διὰ τοῦτο τό τε βουλετήριον τὸ Ὁστίλιον ἀνοικοδομηθῆναι. Vedi Coarelli 1985, p. 236; LTUR II, 1995, p. 246 (E. Tortorici). Secondo Coarelli, il progetto di ricostruire la Curia Hostilia si limitò probabilmente alla sola demolizione del tempio di Lepido poiché già nel 42 a. C. Ottaviano diede avvio ai lavori di costruzione della Curia Iulia. 39 Plin., Nat. Hist. VII 212. XII tabulis ortus tantum et occasus nominantur, post aliquot annos adiectus est meridies, accenso consulum id pronuntiante, cum a Curia inter Rostra et Graecostasin prospexisset solem; a columnia Maenia ad carcerem inclinato sidere supremam pronuntiavit, sed hoc serenis tantum diebus, usque ad primum Punicum bellum. Sulla critica delle fonti letterarie relative alla topografia del Comizio vedi Coarelli 1983, pp. 138-160. 40 Coarelli 1983, pp. 153-154; LTUR I, 1993, pp. 331-332 (F. Coarelli). La stessa opinione è in Carafa 1998, p. 140. 37

Nella stessa ipotesi, inoltre, rimane senza una spiegazione alternativa la notizia fornita da Plinio che sembra non lasciar dubbi sulla collocazione della Curia Hostilia proprio nell’area della chiesa dei SS. Luca e Martina. A prescindere dai singoli argomenti che sostanziano le due teorie, due elementi sembrano poter costituire un utile spunto di riflessione circa la collocazione della Curia Hostilia e del Templum Felicitatis. Si tratta dei noti resti di un muro in blocchi di tufo con orientamento nord-ovest/ sud-est e di un pavimento a mosaico in bianco e nero ad esso collegato, rinvenuti negli anni Trenta sotto l’angolo 41 42

95.

Amici 1999, pp. 295-321. Amici 1999, pp. 305-309. Vedi anche Ammerman 1996, p. 134 e n.

Amici 2005, pp. 359-372. La stessa opinione fu già avanzata in passato da Lanciani. Vedi Lanciani 1883, p. 3 e ss. 44 Amici 2005, p. 372. 43

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Forum Iulium

meridionale della chiesa dei SS. Luca e Martina, alla quota di 14 m circa s.l.m. (figg. V.1 e V.2.).45 L’interpretazione di questi resti non è univoca essendo stati identificati in passato ora con i resti della Curia Hostilia sillana46 ora con quelli del Tempio di Felicitas47 sorto al suo posto. Rifiutando l’identificazione di queste evidenze con la più antica sede del Senato e, tanto meno, con quelle del Tempio di Felicitas, la Amici è più propensa a vedervi un non meglio identificato edificio posto in un’area pianeggiante attestata sui 14 m s.l.m. ed estesa dalla chiesa dei SS. Luca e Martina al Comizio.48 Proprio quest’ultima considerazione può aprire la strada ad una possibile soluzione della problematica fin qui esposta. Se, infatti, consideriamo che la quota del pavimento in travertino dell’originaria chiesa medievale di S. Martina, inseritasi all’interno di una delle tabernae del Foro di Cesare e situata sotto quella barocca, è pari a 13.70 m s.l.m.,49 risulta evidente che le altimetrie di tale settore sono del tutto compatibili con quelle della zona pianeggiante posta più a sud (14 m s.l.m.) dove sono stati rinvenuti il muro in blocchi di tufo e il pavimento in mosaico. Si avrebbe, pertanto, un’area pianeggiante di circa 850 mq disponibile ad accogliere un grande edificio come la Curia Hostilia. Per tali motivi e a meno di credere che questa vasta area fosse il risultato di uno sbancamento operato solo a partire dall’età cesariana, è possibile che questa porzione di terreno pianeggiante sia il risultato di una più antica opera di sistemazione del versante capitolino iniziata già a partire dall’età arcaica. Se ciò è vero, il brusco salto di quota tra questa zona (14 m circa s.l.m.) e quella posta sulla sommità della balza (21 m circa s.l.m.), si sarebbe venuto a creare in corrispondenza del lato nord-ovest della chiesa dei SS. Luca e Martina (vedi fig. II.31, sezione C-C’).

V.1. Chiesa dei SS. Luca e Martina. Il pavimento a mosaico e il muro in opera quadrata rinvenuti nel 1933 presso l'angolo meridionale della chiesa (da TORTORICI 1991).

Alla luce di quanto detto, la collocazione topografica della Curia Hostilia e del Templum Felicitatis in un’area in gran parte coincidente con quella della chiesa dei SS. Luca e Martina non troverebbe difficoltà alcuna. A livello Colini 1933, p. 262; Idem 1941, p. 91; Idem 1946-1948, p. 195; Bartoli 1963, p. 37; Tortorici 1991, pp. 58-63, tav. II; LTUR II, 1995, p. 246 (E.Tortorici). 46 Coarelli 1983, p. 156. 47 LTUR I, 1993, p. 332 (E. Tortorici); LTUR II, 1995, pp. 245-246 (E. Tortorici). 48 Amici 1999, p. 309 e fig. 7. L’esistenza di un’area pianeggiante attestata tra i 14 e i 15 m s.l.m. nella zona della chiesa dei SS. Luca e Martina, è stata ribadita di recente da Ammerman, Filippi 2000, pp. 33-37. 49 L’originaria chiesa di S. Martina è fatta risalire al pontificato di Onorio I (625-638) che la costruì sfruttando uno dei vani delle tabernae del Foro di Cesare generalmente identificato con il Secretarium Senatus (Lanciani 1883, p. 12; Hülsen 1905a, p. 97; De Ruggiero 1913, pp. 330, 340, Lugli 1946, p. 134; Anderson 1984, pp. 51, 62). È solo nel 1588 che, a causa delle acque di risalita si procede a rialzare il piano della nuova chiesa dei SS. Luca e Martina fino a raggiungere la quota di 23.30 m s.l.m. Fino a questa data, quindi, sia la chiesa di S. Martina che quella di S. Adriano, avevano i rispettivi piani di spiccato alla stessa quota di quelli antichi. La pianta della chiesa medievale è riportata in un disegno di Antonio da Sangallo il Giovane pubblicato già dal Noehles. Vedi Panciroli 1625, p. 81-81; Armellini 1887, p. 453; Mancini 1967-1968; Noehles 1970, pp. 41-42 e figg. 262-277; Amici 1999, p. 295; Viscogliosi 2000, pp. 28 e 32-35. 45

V.2. Campidoglio. Pendici sud-orientali. Pianta delle strutture archeologiche rinvenute tra il 1933 ed il 1941. In grigio i resti del muro in blocchi di tufo e del pavimento a mosaico rinvenuti presso l’angolo meridionale della chiesa dei SS. Luca e Martina. (da AMICI 1991).

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

di quote, infatti, la sede della Curia Hostilia sillana si sarebbe trovata sopraelevata solo di qualche metro (14-15 m circa s.l.m.) rispetto alla piazza del Comizio (12 m circa s.l.m.). Tale ipotesi, pertanto, potrebbe ottenere il duplice risultato di fornire una spiegazione plausibile sia alle difficoltà obiettive di collocare la più antica sede del Senato in un punto eccessivamente elevato quale è la sommità dell’altura prospiciente il Comizio sia di rendere giustizia alla testimonianza di Plinio che colloca senza possibilità di fraintendimento la Curia Hostilia nell’area oggi occupata dalla chiesa dei SS. Luca e Martina. Anche se non è possibile stabilire con certezza se la Curia Hostilia sillana avesse già il medesimo orientamento del foro cesariano, è logico ritenere che il tempio di Felicitas debba averlo avuto di necessità, in quanto la sua costruzione avvenne per volontà dello stesso Cesare che volle articolare l’edificio di culto alla piazza del foro. È dunque possibile che il muro e il pavimento rinvenuti sotto l’angolo meridionale della chiesa dei SS. Luca e Martina, il cui orientamento e la quota risultano del tutto compatibili con quelli del Foro di Cesare, possano ritenersi relativi proprio al tempio. Se ciò fosse vero, ne conseguirebbe che la Curia Hostilia sillana, orientata verosimilmente ancora secondo i punti cardinali, fu effettivamente demolita per la costruzione del Tempio di Felicitas, che assunse invece l’orientamento del Foro di Cesare. Il tempio, sostituendosi all’antica sede senatoria, veniva quindi a trovarsi in allineamento con il lato corto sud-orientale del foro stesso (fig. V.3).

V.3. Schema ricostruttivo del rapporto topografico tra il Foro di Cesare e il Templum Felicitatis (44 a.C.).

Letto sotto questa luce, il Tempio di Felicitas potrebbe rientrare in una fase progettuale intermedia del complesso cesariano, poiché realizzato dopo la demolizione della Curia Hostilia, avvenuta probabilmente all’indomani dell’inaugurazione del foro nel settembre del 46 a.C. e prima del permesso ottenuto da Cesare di costruire una nuova Curia (gennaio 44 a.C.)

foro nel luogo fino a quel momento occupato dalla Curia Hostilia.54 Per aggirare l’eventualità di un veto senatorio Cesare dovette far affidamento sul fatto che non un edificio privato o civile si sostituiva alla vecchia sede senatoria bensì un edificio altrettanto sacro e inaugurato. Per la riuscita dell’operazione confidò in uno dei suoi più stretti collaboratori di stirpe patrizia, Lepido, che per tale origine doveva apparire agli occhi dell’aristocrazia più accetto di qualsiasi altro. Del resto la costruzione di un tempio dedicato a Felicitas non era cosa nuova in un complesso pubblico poiché lo stesso Pompeo nel 52 a.C. dopo aver ottenuto dal Senato la carica straordinaria di consul sine collega aveva inserito nel suo Theatrum un sacello dedicato alla stessa divinità.55 Muovendosi nel solco di una tradizione praticata dai più ferventi generali repubblicani il gesto di Cesare appariva più che giustificato.

La costruzione del tempio, inoltre, avrebbe rappresentato una tappa cruciale nella lotta politica contro le ultime resistenze pompeiane che nella battaglia di Thapso (aprile 46 a.C.)50 erano state sconfitte al grido di Felicitas,51 aspetto divino che ritornerà tra gli onori decretati dal Senato a Cesare nel 44 a.C. quando venne stabilito l’obbligo di prestare giuramento sulla felicitas di Cesare (τήν τε τύχην αὐτοῦ ὀμνύναι).52 Proprio la Felicitas, la predisposizione divina alla vittoria, che in quel frangente disperato della campagna d’Africa aveva salvato Cesare da sicura sconfitta, potrebbe aver motivato la scelta, una volta rientrato a Roma nel luglio del 46 a.C.,53 di dedicarle un tempio annesso al

Sembra probabile che all’indomani della morte del dittatore nel marzo del 44 a.C. vi sia stata una nuova inversione di rotta nei lavori. Da Cassio Dione,56 infatti, sappiamo che nei mesi successivi all’assassinio il Senato votò la

De Bell. Afr. 83; Liv. Per. 114; Plut., Caes. 53, 4; App., Bell. Civ. II 96-97; Cass. Dio., XLIII 7-8. Sulle fasi della campagna d’Africa e sulla ricostruzione della battaglia di Thapso vedi Meier [1982], 2004 pp. 429437; Canfora 1999, pp. 259-263. 51 De Bell. Afr. 83, 1: Quod postquam Caesar intellexit, incitatis militum animis resisti nullo modo posse, signo Felicitatis dato, equo admisso in hostem inter principes ire contendit. 52 Cass. Dio., XLIV, 6,1. 53 De Bell. Afr. 83, 2; Plut., Caes. 55, 1; Cass. Dio., XLIII 14, 2. 50

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Come già pensava Schilling 1954, p. 314. CIL I², p. 217; Coarelli 1997, pp. 569-570. Cass. Dio., XLV 17, 8.

Forum Iulium

Foro di Cesare se un nuovo ostacolo, sorto nello stesso partito cesariano, non fosse intervenuto a rimettere tutto in discussione.

ricostruzione della Curia Hostilia che comportò allo stesso tempo la distruzione del Tempio di Felicitas e l’interruzione del progetto, probabilmente ancora sulla carta, della Curia Iulia. Anche in questo caso, la causa di tale decisione sembra affondare le sue ragioni nel nuovo gioco di equilibri che si venne a creare nei mesi successivi al cesaricidio, quando, ristabilito il governo regolare, Antonio, console per quell’anno e preoccupato più di ogni altra cosa di ottenere la preminenza all’interno del partito cesariano allontanando al contempo ogni sospetto di instaurare una nuova dittatura che sarebbe sfociata in un’altra guerra civile, porta avanti un programma politico all’insegna della conciliazione con il Senato.57 Nonostante la sua leale amicizia verso Cesare, mai rinnegata, la vendetta e l’annientamento del partito di Bruto e Cassio con il rischio di far scoppiare una nuova guerra tra fazioni, non era nelle intenzioni del nuovo console. Pertanto nella seduta del Senato tenutasi il 17 marzo, a due giorni dall’assassinio di Cesare,58 la risoluzione presa fu di amnistia per i cesaricidi, come richiesto da Cicerone, e di ratifica sia degli atti promulgati dal dittatore sia del riconoscimento del suo testamento politico. Ciò che Antonio voleva evitare, quindi, era un gesto estremistico che avrebbe compromesso il difficile equilibrio che egli cercava di stabilire. In quei mesi, tra l’aprile e l’agosto del 44 a.C., egli, in nome della concordia delle parti e per fugare ogni sospetto di aspirazione al regnum arriverà ad abolire la dittatura (lex Antonia de dictatura in perpetuum tollenda)59 e a soffocare nel sangue ogni tumulto popolare scoppiato in nome di Cesare. A questo riguardo, l’episodio di Amatius,60 il capopopolo ucciso illegalmente da Antonio per porre fine alle pratiche religiose che la folla prestava sul luogo dove venne bruciato il corpo di Cesare e dove in seguito verrà costruito il Tempio del Divo Giulio, dice molto di più di qualsiasi altra considerazione che si potrebbe fare sul nuovo atteggiamento assunto dall’ex magister equitum nei confronti del Senato.61 Per queste ragioni è possibile che Antonio, in nome della concordia civica, già nel corso del 44 a.C., abbia acconsentito alla richiesta della parte senatoria di abbattere il Tempio di Felicitas in favore della ricostruzione della nuova Curia Hostilia, simbolo del ricostituito potere del Senato, pensando che questo gesto avrebbe rappresentato un buon segnale di distensione per la pacificazione delle parti.62 Tale progetto, avrebbe sicuramente bloccato ogni modifica o aggiunta prevista al

3. Forum Iulium: il progetto iniziale e la prima inaugurazione Come si è visto, quando Cesare inizia la costruzione del proprio complesso monumentale, l’organismo ComizioCuria nel Foro Romano ha perso da tempo la valenza di luogo rappresentativo dell’ideale repubblicano di populus e senatus. Tuttavia, la Curia Hostilia continua a trovarsi nello stesso luogo e a dominare materialmente e spiritualmente tutta l’area circostante ancora per parecchi anni dopo l’avvio dei lavori cesariani. Se la proposta di localizzare l’antica sede del Senato nell’area grosso modo corrispondente a quella dei SS. Luca e Martina alla prova dei fatti risulta ancora la più probabile, il primo impianto costruttivo del Foro di Cesare deve averne necessariamente tenuto conto, vista la stretta vicinanza topografica tra i due complessi (fig. V.4). Proprio la presenza dell’antica sede del Senato fino al 47-46 a.C. deve aver rappresentato per il nuovo monumentum cesariano un polo catalizzatore di primaria importanza, sia sul piano urbanistico che su quello ideologico. Nel 54 a.C., quando iniziano i lavori per il nuovo complesso monumentale, e almeno fino alla battaglia di Farsalo nel 48 a.C., Cesare, in virtù del potere di legittimazione che il Senato continua a mantenere in ogni decisione politica, instaura con esso un dialogo costante seppur difficile e non esente da violenti scontri. Si tratta di una linea politica all’insegna del compromesso, ritenuta indispensabile per il perseguimento degli obiettivi che di volta in volta egli si proponeva. Proprio alla luce di questa politica attenta ad evitare spaccature insanabili con l’aristocrazia senatoria può essere interpretato il primo progetto del foro, più corto di 20 m rispetto a quello definitivo inaugurato da Ottaviano nel 29 a.C. Nel nuovo assetto imposto da Cesare, l’antica sede del Senato, veniva a trovarsi sul prolungamento ideale del lato corto sud-orientale del foro, occupando in buona parte l’area della chiesa dei SS. Luca e Martina. Il forte impatto psicologico che il progetto cesariano dovette suscitare fu forse lievemente attenuato dal fatto che la Curia sillana rimaneva ancora un edificio autonomo e niente affatto subordinato al nuovo complesso monumentale. Se è vero, infatti, che la Curia Hostilia sillana aveva mantenuto il medesimo orientamento nord-sud della più antica sede del Senato, questa doveva ergersi in posizione fortemente divergente rispetto al Foro di Cesare. I due edifici, quindi, fino al 47-46 a.C. si imponevano sul paesaggio circostante come due entità giustapposte ma ancora indipendenti, creando un dialogo difficoltoso sia da un punto di vista ideologico che monumentale.

Sul contesto storico-politico a Roma nei mesi successivi all’assassinio di Cesare e sulla politica di equilibrio dei poteri stabilita da Antonio si è fatto riferimento sopratutto a Syme 1939, in particolare pp. 99-124; Gabba 1956, pp. 146-149; Rossi 1959, pp. 53-56 e pp. 65-83; Bengtson 1974, pp. 1-48; Idem 1977; Cristofoli 2002, pp. 97-113, 136, 151-153; Traina 2003, in particolare pp. 44-49. 58 Cic., Phil. II 35, 89; Att. XIV 10, 1; App., Bell. Civ. II 18, 127-135; Plut., Caes. 67, 7; Brut. 19, 1; Ant. 14, 3; Cic. 42, 3; Cass. Dio., XLIV 22, 3-34, 1. 59 Cic., Phil. I 2, 4; I 13, 32; II 9, 115. 60 App., Bell. Civ. III 2, 2-5; App., Bell. Civ. III 3, 6; Cic., Phil. I 5. 61 Syme 1939, p. 99 e p. 105; Alföldi 1952, p. 73 e ss; Rossi 1959, p. 75; Alföldi 1973, pp. 113-115; Fraschetti 1990, pp. 58-61; Canfora 1999, pp. 377-379; Cristofoli 2002, pp. 139-143. 62 A questo riguardo, costituisce un’ipotesi suggestiva vedere nel culto di Felicitas istituito forse da Augusto in Campo Martio e citato nei fasti palatii Urbinatis, la rifondazione del tempio prima presente nel Foro di Cesare. Sul culto di Felicitas in Campo Martio, vedi Coarelli 1997, pp. 294-295. 57

Subito dopo la demolizione della Curia Hostilia sillana,

248

Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

costruttive del Foro di Cesare nonché l’inserimento in corso d’opera e in tre momenti differenti di alcuni edifici (il Tempio di Venere Genitrice, il Tempio di Felicitas e la Curia Iulia), si ripropone con forza il quesito già avanzato da tempo:63 se il Tempio di Venere Genitrice venne votato solo nel 48 a.C., che cosa era previsto in suo luogo prima di questa data? E, dunque, come doveva essere pensato inizialmente l’impianto costruttivo e come e perché si arrivò al progetto definitivo del foro, comprensivo della Curia Iulia? E ancora, perché venne scelto proprio questo settore urbano? Uno dei modelli culturali ai quali Cesare sembra essersi ispirato al momento di realizzare il proprio monumentum, come si è visto, è senza dubbio il complesso monumentale costruito da Pompeo in Campo Marzio che con il suo portato di valori formali e ideologici ha rappresentato uno stimolo culturale fondamentale. Le strette affinità, sia sul piano ideologico che su quello formale, riscontrate tra i due complessi, sono sufficienti per avanzare l’ipotesi che nel primo progetto cesariano - definito da Cicerone, forse non a caso, monumentum – vi fosse l’idea di realizzare un complesso monumentale simile a quello pompeiano perché simili dovevano esserne le finalità. Se è vero, infatti, che non possiamo sapere esattamente quale fosse la sistemazione architettonica prevista per il lato nord-ovest del complesso prima del 48 a.C., data in cui viene votato il Tempio a Venere Genitrice, è lecito supporre l’esistenza di un progetto di sistemazione in parte diverso da quello poi effettivamente inaugurato nel 46 a.C. In altre parole, a determinare il taglio della pendice sud-orientale della sella tra Campidoglio e Quirinale potrebbe essere stata l’idea di un apprestamento che forse sfruttando la naturale conformazione del rilievo, prevedesse sì un edificio di culto, ma diverso nell’aspetto architettonico e nell’intitolazione rispetto a quello dedicato a Venere Genitrice nel 48 a.C. La questione non è di poco conto in quanto ciò che verrebbe messo in discussione è proprio il carattere di santuario dinastico del complesso cesariano che non sarebbe stato previsto prima della svolta di Farsalo. Del resto, come si è visto, la ricerca storica sembra essere concorde nell’escludere un disegno preordinato di Cesare verso il potere autocratico prima della guerra civile contro Pompeo.

V.4. Schema ricostruttivo del rapporto topografico tra il Foro di Cesare e la Curia Hostilia (47 a.C.).

in un momento prossimo all’inaugurazione del foro nel settembre del 46, Cesare potrebbe aver finalmente maturato l’idea di dar vita ad un raccordo diretto tra il suo foro e la sede del Senato, non più soltanto ideale, bensì soprattutto architettonico. Si potrebbe immaginare che proprio a partire da questa data il dittatore abbia avuto in animo di costruire una nuova Curia, direttamente connessa al proprio foro. Si tratta, in verità, di un progetto che tarderà a realizzarsi se si pensa che solo dal gennaio del 44 a.C., il Senato diede ufficialmente il permesso a Cesare di avviare i lavori di costruzione della nuova sede senatoria e che, come vedremo, non ebbe tempo di iniziare.

Ora, visti i parallelismi nell’impianto architettonico e la competizione sul piano politico-ideologico con il Theatrum Pompei, non è azzardato pensare che il tempio previsto da Cesare per il suo monumentum potesse essere dedicato a Venere sin dall’inizio anche se non ancora, per i motivi che sono stati detti più sopra, alla progenitrice della dinastia Iulia. Una serie di indizi presentati in altra sede e che ora riprenderemo in considerazione sembrano indirizzare verso questa possibilità.64

In quest’ottica non sembra azzardato leggere nei propositi del dittatore la volontà di ricreare, questa volta di propria iniziativa, quel nesso strutturale e concettuale che fino a pochi anni prima era esistito fra la Curia Hostilia sillana, simbolo del Senato, e la basilica Porcia, sede dei più importanti tribunali e, quindi, emblema del potere giudiziario. Non si può non considerare, infatti, che proprio il binomio Senato-sede giudiziaria viene riproposto dal legame fra la nuova Curia Iulia e il forum Iulium.

Il tessuto urbano entro il quale venne calato il complesso cesariano era costellato di luoghi strettamente legati al culto delle acque. Agli estremi opposti di questa zona vanno

Dopo quanto detto, se è lecito ipotizzare almeno due fasi

63 64

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Viscogliosi 2000, pp. 22-23. Delfino 2010a, pp. 167-181.

Forum Iulium

Sembra probabile quindi che, a parte il culto familiare di cui la divinità dell’amore era la mitica progenitrice ma che solo in un secondo momento Cesare poté esplicitare in senso assoluto, la scelta di dedicare sin dall’inizio a Venere il complesso monumentale e la stessa scelta del luogo in cui realizzarlo, sia stata facilitata dalle caratteristiche religiose che il sito rivestiva. Tale conclusione può essere suffragata dalla notizia fornita da Ovidio della presenza, tutt’altro che casuale, di un complesso di fontane dedicato alle ninfe Appiadi poste in corrispondenza del Tempio di Venere Genitrice, forse lungo la fronte del podio.73 Già in altra sede sono stati analizzati gli stretti legami religiosi e simbologici che uniscono Venere alle Ninfe senza dover ritornare sull’argomento.74 Ciò su cui si vuole insistere ora, invece, è che se anche non vi siano prove archeologiche sicure che tale complesso di fontane fosse previsto nel progetto iniziale e che quindi fosse stato anch’esso, come numerose altre componenti del complesso cesariano, inserito in corso d’opera, la scelta stessa delle Ninfe potrebbe richiamare, come quella di Venere, la tradizionale vocazione acquatica dell’area. A questo punto, potrebbe non essere un caso che nello scavo dei livelli di preparazione della piazza, come si è visto,75 siano state rinvenute, isolatamente all’interno di pozzi e nelle fosse, alcune valve di conchiglia deposte intenzionalmente prima della stesura dei piani pavimentali della piazza. Il significato di azione rituale a carattere piaculatorio nei confronti delle divinità ctonie attribuito a questi rinvenimenti, acquista maggior peso in considerazione del fatto che proprio la valva di conchiglia simbolizza il cosmo acquatico al quale appartengono le Ninfe Appiadi e Venere, nata appunto da una conchiglia bivalva.76 Se ciò fosse vero, trattandosi di rinvenimenti che appartengono alla prima fase costruttiva del complesso cesariano, si avrebbe un indizio a favore del fatto che non solo la valenza acquatica dell’area era realmente percepita dai costruttori cesariani ma anche che la divinità a cui si decise di dedicare sin dall’inizio l’edificio di culto fosse proprio Venere. Senza entrare nel merito dell’attività religiosa di Cesare in rapporto alla manipolazione delle acque, nonché al contatto con le divinità ctonie che progetti come il prosciugamento del lago del Fucino,77 la realizzazione di un canale collegante Roma a Terracina, il taglio dell’Istmo di Corinto,78 la costruzione della prima Naumachia a Roma79 e il progetto di deviazione del corso del Tevere80 dovettero necessariamente comportare, interessa in questa sede sottolineare il ruolo dei piacularia sacra81 cioè dei riti espiatori tendenti a ristabilire l’ordine delle cose qualora questo fosse stato compromesso, che ogni Pontifex Maximus era tenuto a prestare in occasione di una grande costruzione pubblica.

ricordati il piccolo santuario di Ianus Geminus all’ingresso dell’Argiletum65 e il tempio di Fons, divinità delle sorgenti il cui numen le rendeva inviolabili e sacre (nullus fons non sacer),66 che nel corso della seconda metà del III sec. a.C. venne costruito extra Portam Fontinalem, in un sito che è stato identificato nell’area oggi occupata dalla scalinata del monumento a Vittorio Emanuele II.67 Proprio la porta della cinta serviana, non a caso intitolata alla divinità acquatica figlia di Ianus, si trovava a metà del clivus lautumiarum/ via Flaminia, che durante le processioni pubbliche che si svolgevano il 13 ottobre in occasione della festa dei Fontinalia, doveva essere percorsa dal corteo religioso proveniente dall’Argiletum e diretto all’aedes fontis, immediatamente fuori le mura.68 La festa, come descritto da Varrone,69 prevedeva l’offerta di corone alla divinità che venivano gettate nelle sorgenti o deposte sull’imboccatura dei pozzi. Come si può constatare, l’area del Foro di Cesare veniva a cadere esattamente a metà di questo percorso sacro e soprattutto si poneva immediatamente al di qua del limite religioso della Porta Fontinalis. Senza considerare la vicina sorgente del Tullianum dalla quale prima dell’epoca dei Tarquini doveva sgorgare un rivo che sfociava nel Velabro e che fu in seguito incanalato e raccordato con la Cloaca Maxima,70 la stessa area occupata dalla piazza cesariana si caratterizzava per la ricchezza di acque circolanti71 la cui antica presenza è testimoniata dai numerosissimi pozzi di captazione e cisterne rinvenuti anche durante le ultime campagne di indagine. In questo contesto di forte presenza d’acqua un ruolo significativo e significante deve essere stato giocato soprattutto dall’Aqua Marcia, una derivazione della quale, come si è visto, doveva forse passare dietro il Tempio di Venere fino a raggiungere l’Arx.72 Ora, proprio questa fitta concentrazione di acque e sorgenti presenti nell’area del Foro di Cesare e il fatto di trovarsi lungo il percorso delle processioni dei Fontinalia deve aver creato una predisposizione naturale, dal punto di vista religioso, a considerare l’intera zona come luogo di acqua e quindi legato alla sfera sacra dei culti ad essa legati: Ianus, Fons, le ninfe e Venere. Tale connotazione religiosa non doveva passare inosservata a Cesare tanto più se consideriamo che egli, quando intraprende l’iniziativa di costruire il suo complesso, riveste da tempo la carica di Pontifex Maximus.

Coarelli 1983, pp. 89-97. Oltre allo Ianus Geminus, l’area prossima all’ingresso dell’Argileto contava numerosi altri culti legati alla presenza di acque circolanti come ad esempio quello di Venere Cloacina, prossimo alla sorgente termale di acque calde chiamata Lautolae che alimentava il Velabro Minore (Macr., Sat. I 9, 17; Serv., ad Aen. VIII 361; Varro, l. l. V 156). Vedi Coarelli 1983, p. 86; Corazza, Lombardi 1995, p. 198; Carafa 1998, p. 96; Corazza, Lombardi, Marra 2004, p. 435; Palombi 2005a, p. 84. 66 Serv., ad Aen. VII 48; LTUR, II, p. 255 (L. Chioffi). 67 LTUR II, 1995, pp. 256-257 (J. Aronen); LTUR, III, 1996, pp. 328-329 (F. Coarelli); Coarelli 1997, pp. 250-258. 68 Paul. Fest., 75 L: Fontinalia fontium sacra. Unde et Romae Fontinalis porta. 69 Varro, l. l. VI 22. 70 Carafa 1998, p. 116. 71 Camponeschi, Nolasco 1982, pp. 67-68; Corazza, Lombardi 1995, p. 197; Karner et al. 2001; Corazza et al. 2004, pp. 434-439. 72 Vedi il punto III.3.4.2., ‘il sistema idraulico’, supra. 65

Ov., Ars am. I 81; III 451-2. Sulle fontane delle Ninfe Appiadi vedi Gros 1976, p. 142; Ulrich 1986, pp. 405-423; Tortorici 1991, pp. 77 e 115; Amici 1991, pp. 97-100; Tortorici 2012, pp. 12-14 con bibliografia. 74 Delfino 2010a, pp. 173-176. 75 Vedi Att.63 al punto III.3.4.1. 76 Plaut., Rudens v. 704: Tu ex concha natam esse autumant. 77 Suet., Claud. 20. 78 Suet., Div. Jul. 44; Plut., Caes. 58. 79 App., Bell. Civ. II 102; Suet., Div. Jul. 39 e 44; Cass. Dio., XLIII 23. 80 Cic., Ad Attic. XIII 33, datata 9 luglio 45 a.C. 81 Serv., Vg II 161 73

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

A questo punto potrebbe essere una ipotesi degna di considerazione vedere all’origine del progetto cesariano l’idea di realizzare un santuario dedicato a Venere sul modello di quei santuari ellenistici dove l’acqua costituiva l’elemento caratterizzante di tutto il complesso.82 A questo proposito, infatti, oltre alla presenza delle fontane delle Appiadi, già di per sé eccezionali nel panorama dei Fori Imperiali, si aggiungono ora i rinvenimenti di due fontanelle poste in corrispondenza del margine sud occidentale della piazza83 che rendono questa valenza acquatica ancora più pregnante. Il lato nord-occidentale di questo primo complesso, pertanto, si sarebbe potuto articolare in un prospetto monumentale che, avendo alle spalle il versante della sella intercollinare, prevedeva terrazze movimentate da nicchie con funzione scenografica e di contenimento del terreno. L’edificio di culto, dedicato a Venere non ancora “Genitrice”, doveva essere posto davanti o all’interno di questa mostra, creando un effetto scenografico paragonabile a quello costituito da teatro e tempio in summa cavea realizzato pochi anni prima da Pompeo nel suo Theatrum. Non può sfuggire, infatti, che la conformazione del primo Foro di Cesare, più assimilabile ad uno spazio quadrato che rettangolare, è suggestivamente assimilabile ad un portico pone scaenam, secondo il più schietto modello dei santuari ellenistici.

esplicito riferimento alla doppia ascendenza, divina da Venere e regale da Anco Marcio. Come ben sintetizzato da Scheid,88 ciò che invece costituisce una assoluta novità, è che Cesare a partire dal 48 a.C., riuscì di fatto a far accettare all’opinione comune quel legame indissolubile, diretto e predestinato con Venere, madre di tutti i Romani. Insistendo sulle proprie origini divine e ristabilendo, in qualità di pontefice massimo, un culto pubblico condiviso da tutti e da tutti voluto, riuscì ad ottenere un potere straordinario che gli permise, come solo a Silla prima di lui era riuscito, di porsi al di sopra degli altri culti gentilizi, primo fra tutti quello di Pompeo.89 Ciò acquista ancora più rilevanza se è vero che a partire da questo momento ha inizio quel fenomeno di assorbimento da parte della divinità progenitrice degli Iuli di tutte le altre Veneri (“de la chance”, Felix, Victrix),90 di cui la prima traduzione monumentale sarà proprio la nuova titolatura assunta dal Tempio di Venere nel Foro di Cesare. In conclusione già nel progetto iniziale del complesso cesariano è dato percepire una concezione degli spazi rigidamente gerarchizzata, con un edificio di culto centrato e sopraelevato sul lato di fondo, dominante la piazza articolata con portici su tre lati. Il lato opposto al tempio presentava una nicchia posta anch’essa sull’asse mediano della piazza, nella quale trovava forse posto una statua di Cesare.

L’ipotesi di un santuario dedicato a Venere nel quale l’acqua costituiva una componente di primaria importanza, come già in parte sottolineato da Ulrich,84 ben si giustificherebbe con l’ampia fortuna che nel corso del I sec. a.C. acquista la tipologia architettonica dei ninfei (sacri e privati), sopratutto in virtù delle possibilità che questi offrivano di inserire nei loro prospetti nicchie ed esedre.85

L’elemento caratterizzante di tutto il complesso e che si manterrà anche nelle fasi successive, doveva essere costituito dall’abbondanza di acque che rendevano esplicito il richiamo a Venere e alle Ninfe.

Come si è detto più volte, il progetto di questo primo impianto dedicato a Venere non contemplava ancora, vicino al nome della divinità, l’appellativo di progenitrice della famiglia Iulia, titolo che la divinità acquista solo a partire dal 48 a.C. In un contesto sociale nel quale il culto pubblico, pur non essendo messo in discussione, si frammenta in religioni e culti facenti capo alle diverse consorterie familiari, il tentativo di glorificare Venere come proprio nume tutelare non deve affatto sorprendere poiché prendeva le mosse da una mentalità condivisa da molti patrizi che come Cesare vantavano origini sopranaturali e come lui le ostentavano apertamente.86 Tale atteggiamento, infatti, fu espresso da Cesare sin dalla laudatio funebris del 69 a.C.per la morte della zia Giulia87 nella quale veniva fatto

Non spingendoci oltre in una discussione che si aprirebbe a molteplici prospettive ma che in mancanza di dati più precisi rimarrebbe mera speculazione possiamo concludere che un progetto monumentale pensato in questi termini e cioè secondo la più schietta impronta ellenistica, non era affatto estranea a Cesare. Se consideriamo, infatti, che egli progettò a partire dal 45 a.C, un imponente teatro la cui cavea doveva addossarsi al versante occidentale del Campidoglio con il Tempio di Giove Capitolino posto scenograficamente in alto come un santuario in summa cavea,91 risulta evidente il pendant monumentale che questo grandioso edificio avrebbe costituito con il foro/ santuario dedicato a Venere, realizzato sul versante opposto; un progetto che se fosse stato portato a termine avrebbe trasformato il colle capitolino in una collina architettonica secondo un modello maturato da tempo nei santuari ellenistici laziali.

Riferimenti vicini per concezione architettonica potrebbero essere il Santuario di Esculapio a Cos datato alla fine III-inizi II sec. a.C. (SherwinWhite 1978, pp. 340-354); quello, dedicato alla stessa divinità, a Fregellae databile al secondo quarto del II sec. a.C. (Fregellae 2, 1986; Coarelli 1987, pp. 23-33) e non ultimo il Santuario della Fortuna Primigenia a Palestrina (Fasolo, Gullini 1953, in particolare pp. 17-193 e pp. 339-455; Gullini 1984, pp. 527-592; Coarelli 1987, pp. 35-84). 83 Vedi Att. 72 al punto III.3.4.1., supra. 84 Vedi Ulrich 1986, pp. 417-423, dove il Tempio di Venere Genitrice è visto come un monumentale tempio-ninfeo. 85 Gros 1976, pp. 138-139. 86 Schilling 1954, pp. 267-273; Scheid 1983, pp. 130-134; Zecchini 2001, pp. 17 e 37. 87 Suet., Div. Jul. 6; Plut., Caes. 5, 2-4. 82

Scheid 1983, pp. 133-134, con bibliografia di riferimento. Vedi in particolare Schilling 1954, pp. 299-301. 90 Schilling 1954, pp. 304-307 e 314-316; Bayet 1957 p. 170; Gros 1976, p. 132. 91 Suet., Caes. 44, 2: theatrum summae magnitudinis Tarpeio monti accubans. Vedi anche Cass. Dio., XLIII 49, 2-3 e Plin., Nat. Hist. VII 121. Sul teatro vedi Coarelli 1997, pp. 586-588; LTUR V, 1999, pp. 31-35 (P. Ciancio Rossetto); Gros 2010, pp. 267-270. 88 89

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Forum Iulium

ispiratore dell’Equus Caesaris la statua equestre di Alessandro Magno eretta dal sovrano macedone al centro di Alessandria in qualità di κτίστης della città egiziana,100 si è voluta scorgere la volontà da parte di Cesare di porsi agli occhi dei cittadini romani come il nuovo fondatore, dopo Romolo e Camillo, di Roma.101 Ora, ciò su cui si vuole porre l’attenzione è che in questo caso non si sarebbe trattato di un ennesimo episodio di imitatio Alexandri come nei casi sopraccitati dei Metelli e di Murena, ma di un confronto del tutto paritetico se non addirittura superiore con il Macedone. Si tratterebbe in altre parole non di una imitatio, da intendersi come un complesso di inferiorità in rapporto al modello di riferimento ma, al contrario, di un fenomeno di aemulatio e di comparatio, indicanti rispettivamente un confronto paritetico e un superamento del termine di paragone.102

3.1. L’Equus Caesaris Come si è visto nel capitolo III, alcuni indizi raccolti durante l’ultima campagna di scavo hanno permesso di ipotizzare che la statua equestre di Cesare fosse posta davanti al Tempio di Venere Genitrice, a circa trenta metri dal podio.92 Secondo quanto riferito da Stazio,93 Cesare riutilizzò una statua di Lisippo che ritraeva Alessandro Magno in sella al suo cavallo Bucefalo alla quale sostituì, attualizzandola, il proprio ritratto.94 Se, come sembra probabile, la statua di Lisippo faceva parte della preda alessandrina95 che Cesare portò a Roma forse già nell’ottobre del 47 a.C.,96 si tratterebbe di un altro elemento costitutivo del foro, aggiunto in corso d’opera poco prima dell’ inaugurazione del complesso.

Quindi, se sul piano storico-politico viene esclusa da parte di Cesare una imitatio Alexandri in favore invece di una emulazione che lo pone inizialmente sullo stesso livello del re macedone e poi al di sopra di esso (comparatio),103 analogamente sul piano monumentale l’Equus Caesaris è da intendersi come il simbolo di una competizione vincente con il dinasta ellenistico.104 Come vedremo più avanti, tale volontà di sostituirsi al modello e il recupero di significati e valori della più antica storia romana ben si giustificherebbe con l’atteggiamento di rispetto verso il mos maiorum che Cesare ostenta fino a poco prima della morte.

Stando alla descrizione di Stazio, dunque, ci troveremmo di fronte alla prassi, ampiamente attestata in età tardorepubblicana, del riutilizzo di un gruppo statuario ellenistico, da parte di un imperator romano. Come noto il caso più celebre è costituito dal gruppo di Alessandro con i caduti del Granico, trafugato da Quinto Cecilio Metello Macedonico dal Santuario di Zeus a Dion, che nel 146 a.C. lo pose davanti ai templi di Giove Statore e Giunone Sospita, all’interno della porticus Metelli.97 La fortuna di queste statue lisippee, è attestata dalle numerose copie che furono eseguite in seguito come quella che tra il 55 e il 52 a.C. Q. Cecilio Metello Scipione pose presso il tempio di Ops sul Campidoglio, in un luogo, come la porticus Metelli, considerato una sorta di santuario familiare;98 oppure il gruppo collocato nel Tempio di Giunone Sospita a Lanuvio ad opera probabilmente del console del 62 a.C. Lucio Licinio Murena, dove sin dal luogo stesso risultava evidente l’intento di celebrazione delle glorie familiari.99 In entrambi i casi citati, i volti dei compagni di Alessandro erano stati sostituiti con i ritratti degli antenati della famiglia del committente o attualizzati con quelli dei compagni d’arme.

A questo punto, l’ipotesi che l’Equus Caesaris fosse costituito da un cavallo in appoggio su tre zampe con andatura “al passo” rientrerebbe a pieno titolo in una tradizione di statue equestri tardo repubblicane con cui molti principes romani si facevano rappresentare nei più importanti luoghi dell’Urbe e delle città di provincia. Citando a titolo di esempio le statue di cui siamo a conoscenza grazie all’iconografia monetale come quella di L. Cornelio Silla eretta per decreto senatorio sui Rostri del Foro Romano (vedi fig. I.31)105 oppure quella datata al 61 a.C.106 (vedi figg. I.32 e I.33) che rappresentava un antenato di Marco Emilio Lepido e quelle restituiteci in seguito a fortunati scavi come l’eccezionale ritrovamento del gruppo equestre da Cartoceto di Pergola che ha servito da modello per l’ipotesi ricostruttiva della statua di Cesare qui proposta,107 è importante sottolineare che proprio questo carattere apparentemente “normale” dell’Equus Caesaris ha fatto sì che non figurasse fra gli onori eccezionali recriminati al dittatore. Lo stesso luogo scelto, la piazza del proprio monumentum, indica che la prassi seguita da

Nel caso dell’Equus Caesaris, se i termini dell’operazione attuata da Cesare richiamano da vicino quello che altri nobiles avevano compiuto in diversi luoghi della città con finalità autocelebrative, non è sfuggito alla critica che l’intento del dittatore è andato ben oltre questa prassi comune, ponendosi di fatto in una dimensione più ampia e del tutto nuova. Riconoscendo, infatti, come modello Vedi il punto III.3.4.2., “La piazza”. Stat., Silv. I 1, 84-90. 94 Moreno 1981, pp. 173-175 e 202-203; Bergemann 1990, p. 160; Ensoli 1995a, p. 303; Eadem 1995b, pp. 338-339; Corbier 1997, pp. 17-18; Sehlmeyer 1999, p. 230; Cadario 2006, pp. 35-37. 95 Itgenshorst 2005, p. 372; Cadario 2006, pp. 27 e 36. 96 Sulla presenza di Cesare a Roma in questo periodo ci informa Plutarco in Caes. 51, 1. Sulla resa di Alessandria avvenuta nel marzo del 47 a.C.: Bell. Al. 32; Plut., Caes. 49, 9; Cass. Dio., XLII 43; Fast. Caeret.: Degrassi 1963, p. 66; Fast. Maff.: Degrassi 1963, p. 74. 97 Moreno 1983-1984, pp. 28-43; Calcani 1989, pp. 23-30; Eadem 1995, pp. 148-156; Coarelli 1996, pp. 68-70; Idem 1997, pp. 529-538; Zanker 2008, p. 74. Vedi da ultimo la ricostruzione in D’Alessio 2012, tav. 212. 98 Coarelli 1996, pp. 68-70. 99 Coarelli 1996, pp. 382-417, con bibliografia di riferimento. 92 93

Moreno 1981, pp. 202-203; Ensoli 1995, p. 338; Cadario 2006, pp. 36-37. 101 Cadario 2006, pp. 27 e 36; Gros 2010, p. 277. 102 Green 1978; Zecchini 2001, pp. 133-135. 103 Mommsen [1888] 1973, vol. V/2, p. 1104 e ss; Green 1978; Zecchini 2001, p. 134. 104 Cadario 2006, pp. 59-61. 105 Sydenham 1952, p. 123, n. 762, tav. 22; Crawford 1974, p. 397, n.381/1a, tav. XLVIII; Zanker 1989, p. 42. 106 Babelón 1983, pp. 125-126; Crawford 1974, p. 443, n. 419/1b e n. 419/1e, tav. LI. 107 Bergemann 1990, p. 50 e ss.; Pollini 1993, pp. 423-446; Coarelli 1998a, pp. 92-95; Delfino et al. 2010, pp. 349-361. 100

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

Le speranze del Senato, tuttavia, dovettero presto infrangersi di fronte ad un nuovo capovolgimento del quadro politico che a partire dalla fine del 43 a.C. cambia ancora una volta il fragile sistema di equilibri bloccando, per questa ragione, la ricostruzione della Curia Hostilia e rendendo fattibile e improrogabile la realizzazione di una nuova sede del Senato così come voluto da Cesare.

Cesare era del tutto in linea con quanto altri viri triumphalis facevano nello stesso periodo, dimostrando ancora una volta la particolare attenzione rivolta alla tradizione.108 In conclusione, l’Equus Caesaris racchiuderebbe in sé la summa del programma politico che Cesare intendeva mettere in atto nell’immediato; un programma incentrato sull’instaurazione di una dittatura vitalizia che avrebbe avuto il consenso assoluto delle masse e che traeva la sua giustificazione ultima dal recupero della tradizione più autenticamente romana.

La lex Titia promulgata il 27 novembre del 43 a.C. infatti, aveva sancito, rendendola legale, la magistratura straordinaria che i triumviri rei publicae constituendae Lepido, Antonio e Ottaviano, avevano istituito una mese prima a Bologna. Da questo momento Ottaviano può perseguire apertamente i cesaricidi pietatis causa114 trovando in ciò un consenso pressoché unanime da parte del popolo e dei veterani. La legge, riconoscendo poteri straordinari domi e militiae ai triumviri per una durata quinquennale, ne faceva di fatto i capi indiscussi della politica, permettendo loro di governare senza il concorso del Senato e delle assemblee cittadine.115 Tale potere si esprimeva con il diritto di nomina dei magistrati eponimi, dei sacerdoti, dei senatori, insomma di tutti gli organi tradizionali delle istituzioni repubblicane. Il Senato, ormai svuotato dei suoi elementi migliori in seguito alle guerre e alla fuga di molti nobiles ex pompeiani nelle file di Sesto Pompeo o, in oriente, in quelle di Bruto e Cassio, non costituiva più un ostacolo a Roma. Tuttavia, è bene sottolineare che anche in questa situazione di predominio assoluto, i triumviri non disconobbero agli organi costituzionali un valore di legittimazione che si esprimeva in prima istanza con la ratifica degli acta da loro promulgati e, allo stesso tempo, coinvolgendo Senato e assemblee cittadine in ogni azione triumvirale. Seppur decisa per volontà dei triumviri, infatti, ogni legge fu rogata da magistrati ordinari (consoli e tribuni). Rimandando a studi più specifici sulle prerogative dei poteri che da questo momento assumono i triumviri e sugli effetti che questi hanno avuto sulla compagine sociale, interessa in questa sede sottolineare alcune delle caratteristiche di questa magistratura collegiale in quanto, proprio grazie a queste prerogative straordinarie, è stato possibile dare avvio ai lavori per la nuova Curia Iulia. Uno dei poteri straordinari dei triumviri che li esentava dal sottostare alle normali procedure legislative era quello di poter ricorrere ad editti per decidere la costruzione di nuovi edifici senza incorrere per questo nell’ostacolo del veto senatorio. Un esempio significativo è rappresentato dall’edificazione del Tempio di Isis et Serapis in Campo Marzio (43 a.C.)116 che a quanto pare venne deciso proprio con un editto promulgato dai triumviri. Ora quest’esempio può ben spiegare come solo a partire da questo periodo sia stato possibile poter decidere di interrompere i lavori fino a quel momento in corso della Curia Hostilia e intraprendere con un vero e proprio atto di forza, la costruzione della nuova Curia Iulia. A questo punto il noto passo delle Res

4. Forum Iulium: l’ampliamento e la seconda inaugurazione Già dal gennaio del 44 a.C., come si è detto più volte, ha forse inizio il progetto attuativo di quelle sostanziali modifiche che prevedevano il prolungamento del foro di 20 m con lo scopo di annettervi la Curia Iulia. Come noto, l’onere e il merito di tale realizzazione è dovuto ad Ottaviano che, come lui stesso dichiara, ultimò il Foro di Cesare (forum […] perfeci)109 e realizzò la Curia Iulia (Curiam […] feci).110 L’interruzione del progetto della nuova Curia, dapprima a causa della morte del dittatore e, subito dopo, per via della nuova politica conciliante nei confronti del Senato perseguita da Antonio fino all’estate del 44 a.C., dovette prolungarsi ancora per buona parte dell’anno successivo quando il Senato votò addirittura la ricostruzione della Curia Hostilia.111 Infatti, dopo il fallimento della politica di equilibrio delle parti perseguita da Antonio e divenuto ormai chiaro l’intento di conquista del potere assoluto da parte dell’ex magister equitum di Cesare, il Senato, guidato da Cicerone, con abile calcolo politico pensò di servirsi del giovane Ottaviano contro il partito cesariano.112 Dall’estate del 44 a.C. e almeno fino alla guerra di Modena (aprile 43 a.C.), Ottaviano, non rinunciando mai a presentarsi come l’erede del divus Iulius,113 sembra stare al gioco perseguendo una politica di credibilità verso il Senato, facendosi interprete di primo piano nella nuova coalizione tra pompeiani e cesariani avversi ad Antonio sostenuta da Cicerone. In questo contesto di conciliazione delle parti, unite contro il comune nemico pubblico Antonio, l’iniziativa di bloccare il progetto di ricostruzione della Curia Hostilia come voluto dal Senato sarebbe stato quantomeno sconveniente. Cadario 2006, pp. 56-57. R. Gest. D. Aug. 20, 3: Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Castoris et aedem Saturni, coepta profligataque opera a patre meo, perfeci […] 110 R. Gest. D. Aug. 19, 1-2: Curiam et continens ei Chalcidicum […] feci; R. Gest. D. Aug. 35: Curiam cum Chalcidicum; Cass. Dio., LI 22: ἐπεὶ δὲ ταῦτα διετέλεσε, τό τε Ἀϑήναιον τό Χαλκιδικὸν ὠνομασμένον καὶ τὸ βουλευτήριον τὸ Ἰουλίειον, τὸ ἐπὶ τῇ τοῦ πατρὸς ἀυτοῦ τιμῇ γενόμενον, καθιέρωσεν. 111 Cass. Dio., XLV 17, 8. 112 Syme 1939, p. 129; Rossi 1959, pp. 83-96. 113 Alföldi 1973, pp. 117-122. 108

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R. Gest. D. Aug. 2. Sull’età triumvirale si è fatto riferimento a Syme 1939, pp. 137-202; Laffi 2001, pp. 423-454; Cristofoli 2002, passim. 116 Cass. Dio., XLVII 15, 4. Vedi LTUR III, 1996, pp. 107-109 (F. Coarelli); Coarelli 1997, p. 590. 114 115

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Forum Iulium

in Italia un potere enorme basato sul più ampio consenso (per consensum universorum).120 Paura, opportunismo, rassegnazione fecero sì che Ottaviano potesse riprendere il programma politico del 44 a.C. incentrato sull’utilizzazione propagandistica del mito e della divinizzazione di Cesare.121 Se da un lato ciò comportò negli anni successivi a Filippi l’avvicinamento delle ultime frange pompeiane verso Antonio, considerato il male minore, tale sentimento popolare permise ad Ottaviano di ottenere il più ampio consenso a Roma e in Italia che si espresse in campo urbanistico nella realizzazione di monumenti volti ad onorare la memoria del padre divino. Significativo a questo proposito è che nel 42 a.C. per sua iniziativa viene decretata dal Senato la costruzione del Tempio di Marte Ultore122 e del Tempio del Divo Giulio.123 Queste iniziative, che denotano la volontà da parte del giovane triumviro di soddisfare i voleri della plebe urbana e dei veterani, che per primi avevano appoggiato l’introduzione del culto di Cesare,124 dimostrano anche che l’intento di Ottaviano è quello di porsi come unico garante della memoria del dittatore e di presentarsi al popolo come divi filius.

Gestae117 dove viene nominata la realizzazione della Curia non lascerebbe spazio a dubbi circa la costruzione ex novo da parte di Ottaviano della nuova sede del Senato. Infatti l’uso del verbo feci in riferimento all’edificio senatorio sembra indicare che se anche il progetto era già stato nei propositi di Cesare, la realizzazione sin dalla prima pietra era merito del solo Ottaviano. Del resto Augusto non era affatto restio ad ammettere che molte opere iniziate da Cesare le aveva solo portate a termine; anzi ciò serviva ancor meglio a stabilire quel legame familiare che il divi filius propugnava ostinatamente sin dall’indomani del cesaricidio. In questi casi però il verbo usato nelle Res Gestae è non a caso perfeci. Proprio tale verbo è adoperato in relazione al Forum Iulium, quando dopo aver detto che il complesso era stato iniziato (coeptus) e portato molto avanti (profligatus) dal padre, egli si limitò ad ultimarlo (perfeci).118 Se l’avvio del cantiere della nuova Curia avvenne in questo clima di esautoramento dei poteri tradizionali del Senato e del popolo è anche vero, per i motivi sopradetti, che l’operazione dovette avere l’avallo degli organi tradizionali, primo fra tutti quello senatorio. Del resto nella mente di Ottaviano doveva essere ben presente che il potere straordinario che gli permetteva di fare progetti straordinari aveva una scadenza, al termine della quale tutto poteva essere rimesso in discussione. Anche la nuova Curia Iulia, pertanto, poteva essere demolita una volta scaduto il mandato e un’altra poteva essere ricostruita da esponenti di diverso orientamento politico. Si trattava, quindi, di suggellare una volta per tutte la nuova iniziativa con un atto che ne ratificasse la leggitimità. Il Senato d’altro canto, pur essendo stato drasticamente ridotto dalle proscrizioni e rappresentando ormai un organo le cui nomine avvenivano per iniziativa dei triumviri, manteneva ciononostante un potere legittimante indispensabile ai triumviri.119 Con un Senato mantenuto in vita solo in virtù del potere della tradizione, i triumviri potevano essere certi che ogni loro progetto sarebbe stato assecondato. Dopo la vittoria di Filippi (autunno 42 a.C.), eliminato il braccio armato della fazione repubblicana rappresentato da Bruto e Cassio, l’assoggettamento del Senato al potere triumvirale si accentuò. La spartizione, in seguito al patto di Brindisi (41 a.C.), dei domini di Roma in due sfere di competenza - Antonio in Oriente e Ottaviano in Italia determinò l’andamento della politica e, alla fine, la fortuna del giovane erede di Cesare. Se, infatti, la gloria della battaglia andò tutta ad Antonio e ad Ottaviano si presentò il difficile compito di evitare una nuova alleanza tra cesariani fedeli ad Antonio e repubblicani, è vero anche che proprio perché ritornato a Roma, l’erede di Cesare nel corso dei dieci anni successivi ebbe tutto il tempo di conquistare

Proprio in questo nuovo clima propagandistico, riflesso diretto del contesto politico-sociale apertosi nel 42 a.C., l’ultimazione del Foro di Cesare e la realizzazione della Curia Iulia, così come nei progetti di Cesare, troverebbero una loro spiegazione.125 Ora, anche se la Curia Iulia come si è spesso affermato, costituisce un’appendice del Foro di Cesare denotando, per tale motivo, il ruolo subordinato del Senato al nuovo potere imperiale, è vero anche che proprio la sua ubicazione a cerniera tra il complesso cesariano e lo spazio del Comizio, la fa apparire dominante sull’antica piazza repubblicana. In questo secondo caso, non bisogna certo credere che il Senato abbia di nuovo acquistato il potere che aveva all’indomani della morte di Cesare; quello che ora si vuole dare a vedere invece è che esiste ancora una Repubblica basata sui suoi organi tradizionali che si cerca di far convivere con la memoria del dittatore da poco scomparso. Si tratta di una memoria ancora impastata di elementi sediziosi, popolari e per questa ragione rinnegati negli anni della maturità di Augusto quando il suo intento sarà quello di stabilire un legame con un governo legittimo nel quale il ricordo del periodo rivoluzionario che il culto popolare del dittatore divinizzato si portava dietro, non poteva trovare più posto.126 In base a quanto detto, considerando il parallelismo temporale tra la costruzione del Tempio del Divo Giulio e i lavori per la realizzazione R. Gest. D. Aug. 34. Syme 1939, p. 269 e 277-294; Alföldi 1973, pp. 117-122; Fraschetti 1990, pp. 61-65; Cristofoli 2002, pp. 131-153. 122 Suet., Aug. 29, 1; R. Gest. D. Aug. 21, 1-2; Cass. Dio., LV 10. 123 R. Gest. D. Aug. 19, 1: aedem divi Iuli...feci; Cass. Dio., XLVII 18, 4. Sul Tempio del Divo Giulio e sulle sue fasi di esecuzione vedi in particolare Montagna Pasquinucci 1974, pp. 144-155; Gros 1976, pp. 201-207; Coarelli 1985, pp. 231-233 e pp. 258-259, 323; Fraschetti 1990, pp. 56-65; LTUR III, 1996, pp. 116-119 (P. Gros); Cristofoli 2002, pp. 145-150. 124 Montagna Pasquinucci 1974, passim; Coarelli 1985, p. 232. 125 Alföldi 1973, p. 102. 126 Syme 1939, pp. 314-320; Idem 1958, p. 432; Idem 1979, pp. 213-225; Montagna Pasquinucci 1974, p. 155; Coarelli 1985, pp. 232 e 259; Fraschetti 1990, pp. 61-65; Zecchini 2001, p. 158. 120 121

R. Gest. D. Aug. 19, 1-2. Curiam et continens ei Chalcidicum […] feci R. Gest. D. Aug. 20, 3. Forum Iulium et basilicam quae fuit inter aedem Saturni, coepta profligataque opera a patre meo, perfeci[…]. L’uso di profligatus nell’accezione di opera quasi portata a compimento e che non compare nella traduzione greca del testo, è da considerarsi un termine tecnico in riferimento proprio alla costruzione di edifici (Gell., Noct. Att. XV 5). Si veda in proposito Scheid 2007, pp. 16 e 59. 119 Syme 1939, pp. 197-202 e pp. 244-246; Polverini 1964, pp. 253-257; Gabba 1998, pp. 117; Laffi 2001, p. 57. 117

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Il contesto storico-urbanistico del Foro di Cesare

della nuova sede del Senato è possibile scorgere, già da questo momento, i prodromi di quella divisione tra la zona orientale del Foro Romano sede del culto della famiglia del futuro imperatore, e quella occidentale dove proprio la costruzione della nuova Curia dava l’impressione o forse solo l’illusione che i valori tradizionali dello stato repubblicano erano stati ristabiliti.127 Si tratterebbe, quindi, del primo apparire in campo urbanistico di quel carattere ambiguo del principato giocato sull’apparenza della diarchia princeps-senatus che trova la sua espressione monumentale nell’antica piazza repubblicana e nelle nuove piazze del Foro di Cesare128 e del Foro di Augusto.

sorgeva il tempio di Felicitas, che, una volta demolito, avrebbe lasciato un ampio spazio disponibile. Suggestivo, per tali ragioni, sarebbe attribuire proprio alla figura di Ottaviano la realizzazione di un monumentale collegamento, fisico ma soprattutto ideologico, che dalla piazza del Foro Romano, simbolo del potere repubblicano, raggiungeva il Foro di Augusto, summa dei nuovi poteri del princeps, attraversando il Foro di Cesare; quest’ultimo, per la sua posizione e per il suo portato ideologico, costituiva lo spazio di passaggio tra l’uno e l’altro, tra il passato e il presente. Le tre piazze si sarebbero così saldate in un unico percorso visivo dal forte significato propagandistico. Se veramente Ottaviano fu l’artefice di tutte queste iniziative, egli riuscì, con un’operazione di sutura architettonica e ideologica tra le più significative a Roma, a trasformare l’originaria fisionomia del Foro di Cesare nel fulcro generatore di tutti i Fori Imperiali.

Proprio la coincidenza di committenza e la contemporaneità dei cantieri per la realizzazione dei fori di Cesare e di Augusto che si articolano fra loro perpendicolarmente, suggerisce di leggere nelle intenzioni di Ottaviano la volontà di creare un organismo unitario dal forte impatto ideologico.

Il tentativo di leggere l’evoluzione del complesso monumentale cesariano alla luce delle vicende storiche che interessano Cesare e il periodo successivo alla sua morte ha permesso di proporre una seriazione precisa degli eventi costruttivi. A conclusione di questo lavoro, pertanto, sembra utile schematizzare per punti le tappe che hanno portato alla definitiva realizzazione del Foro di Cesare.

Come si è visto, in questa fase il Foro di Cesare assume un carattere più ‘aperto’: un colonnato pervio di grandi proporzioni a delimitazione del lato breve sud-orientale, direttamente affacciato sulla via dell’Argileto, si sostituisce all’originario muro di fondo continuo; allo stesso modo, ulteriori accessi al monumento vengono aperti lungo il lato lungo sud-occidentale trasformando in corpi scala alcune tabernae che permettono di mettere in comunicazione la piazza con il clivus Argentarius.129 Altri passaggi, inoltre, si dovevano trovare sul lato lungo nord-orientale del foro per creare un collegamento con l’adiacente Foro di Augusto, generando nuovi assi focali tra le due piazze.130

1. Ad un primo progetto costruttivo databile al 54 a.C. e portato avanti fino al 48 a.C. è riferibile il monumentum citato da Cicerone che, secondo l’ipotesi proposta, si sarebbe presentato come una piazza di forma quadrangolare di 136,7 x 75,9 m (460 x 255 p.r. da 0,297 m) circondata su tre lati da portici a due navate e due ordini sovrapposti. Il quarto lato, quello nordoccidentale, prevedeva l’inserimento di un edificio di culto in posizione sopraelevata e dominante. 2. A partire dal 48 a.C., il progetto originario viene in parte modificato. La decisione di dedicare a Venere Genitrice l’originario edificio di culto, infatti, comporta un riadattamento dello stesso, che assume da ora un aspetto più simile a quello attuale. I portici che circondano la piazza, al contrario, non sembrano subire modifiche di sorta. Il complesso, ancora non finito in molte delle sue parti (Tempio di Venere Genitrice, tabernae) viene inaugurato nel settembre del 46 a.C. In questo momento è ancora presente l’antica Curia Hostilia. 3. Subito dopo l’inaugurazione viene dato avvio alla costruzione del tempio dedicato a Felicitas in sostituzione della Curia Hostilia che per tale motivo viene demolita. 4. Tra il 46 a.C. e i primi mesi del 44 a.C. proseguono i lavori di completamento delle tabernae, del Tempio di Venere Genitrice e del Tempio di Felicitas. Nel gennaio del 44 a.C. il permesso accordato dal senato di realizzare una nuova Curia permette a Cesare di progettare non solo la costruzione della sede senatoria, ma di collegarla direttamente al suo complesso. Per far ciò Cesare decide di prolungare la piazza di 20 m in direzione sud-est. A causa della morte del dittatore,

La creazione di nuovi percorsi di collegamento tra il Foro di Cesare e il contesto urbanistico circostante potrebbe giustificare la creazione di un passaggio monumentale anche dal Foro Romano al foro cesariano.131 A livello di ipotesi, il luogo dove si sarebbe potuto aprire un simile accesso può essere identificato con quello dove prima Gros 1976, pp. 85-90; Coarelli 1985, pp. 320-324. L’appartenenza ad un unico progetto monumentale, ben si percepisce dalle date di inaugurazione degli edifici citati: il 18 agosto del 29 a.C. per il Tempio del Divo Giulio (CIL I 2 , 217, 244, 248; fast. Alif., Amit., Ant. Min.: Degrassi 1963, pp. 180-181; pp. 190-191; pp. 208-209; p. 497) e il settembre dello stesso anno per la Curia Iulia e il Foro di Cesare (Cass. Dio., LI 22; Herodian., VII 11, 13; R. Gest. D. Aug. 20). 129 Vedi il punto III.3.5.6., supra. 130 Sull’argomento vedi Spannagel 1999, p. 300 e ss.; Viscogliosi 2000, pp. 37-38; La Rocca 2001, p. 173; Rinaldi Tufi 2002, p. 188. 131 In un disegno di Antonio da Sangallo il Giovane la presenza di due grandi piloni ai lati dell’ingresso della chiesa di S. Martina, ha suggerito ad Alessandro Viscogliosi l’ipotesi che in quel punto esistesse un arco monumentale di accesso al Foro di Cesare dal Foro Romano. Lo studioso ipotizza l’esistenza di un tetrapilo, forse attribuito a Marco Aurelio, sul quale dovevano essere collocati una serie di rilievi trionfali, tre dei quali potrebbero essere identificati con quelli esposti nel Palazzo dei Conservatori. Dalla planimetria proposta dallo studioso, risulta evidente l’allineamento di questo arco con il Tempio di Marte Ultore, facendo supporre che la struttura costituisse il propileo monumentale ad un percorso privilegiato tra il Foro di Cesare e quello di Augusto. La ricostruzione così proposta andrebbe a suffragare ancor di più l’idea di un Foro di Augusto concepito come conclusione di un percorso processionale e mentale. Viscogliosi 2000, pp. 29-40; Gros 2007, p. 205. 127 128

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Forum Iulium

tuttavia, il prolungamento del foro si interrompe allo stadio iniziale, mentre la nuova Curia probabilmente non viene nemmeno iniziata. 5. L’interruzione del cantiere cesariano si protrae fino agli inizi del 42 a.C. In questo lasso di tempo si assiste ad una inversione di tendenza rispetto al progetto cesariano; dapprima si demolisce il Templum Felicitatis e conseguentemente prende avvio la ricostruzione della Curia Hostilia.

6. A partire dal 42 a.C. per iniziativa dei triumviri e soprattutto di Ottaviano, viene sospeso il cantiere costruttivo della Curia Hostilia e riprende a pieno corso il progetto cesariano di prolungamento del foro e di costruzione di una nuova Curia. A lavori ultimati, il Foro di Cesare, più lungo di 20 m rispetto a quello originario e la nuova Curia, finalmente Iulia, vengono inaugurati da Ottaviano nel settembre del 29 a.C.

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APPENDICE

DATAZIONE AL RADIOCARBONIO MEDIANTE SPETTROMETRIA DI MASSA CON ACCELERATORE (AMS) DI CARBONI PROVENIENTI DAL FORO DI CESARE (L. CALCAGNILE, G. QUARTA, V. GABALLO, E. BRAIONE, M. D’ELIA) CEDAD- CEntro di DAtazione e Diagnostica- Dipartimento di Ingegneria dell’Innovazione Università del Salento-Lecce Introduzione

mediante le tecniche analitiche PIXE (Particle Induced X-Ray Emission) e PIGE (Particle Induced Gamma Ray Emission). Tali tecniche permettono la rivelazione e l’analisi dei prodotti generati dall’interazione tra il fascio sonda di particelle ad alta energia prodotto dall’acceleratore (tipicamente protoni di energia compresa tra 2 e 4 MeV) ed il campione da analizzare, dando informazioni sia a livello atomico (raggi x) che a livello nucleare (raggi gamma). La versatilità del tipo di analisi, la rapidità dei cicli di misura e la possibilità di analisi composizionale sia per gli elementi maggioritari, sia per quelli minoritari che per quelli in traccia (fino a concentrazione dell’ordine delle parti per milione) rendono queste tecniche estremamente interessanti nel campo della diagnostica dei beni culturali. Inoltre, la possibilità di analisi direttamente in aria consente di investigare i materiali in modo assolutamente non distruttivo senza limitazioni su forma e dimensione dei materiali, a differenza di quanto accade per le tecniche analisi sotto vuoto.

Il CEDAD (Centro di Datazione e Diagnostica) dell’Università del Salento dispone di un acceleratore di particelle per la datazione con il radiocarbonio e la diagnostica dei beni culturali. Le linee sperimentali connesse all’acceleratore consentono di effettuare sia la datazione con radiocarbonio mediante spettrometria AMS sia l’analisi qualitativa e quantitativa dei materiali mediante tecniche IBA (Ion Beam Analiys).1 Le linee di analisi in uso presso il CEDAD consentono di supportare progetti di studio e ricerca in vari campi disciplinari tra cui quelli relativi ai beni culturali, alle scienze ambientali, alle scienze della terra e biologiche, alle scienze forensi, alla scienza dei materiali. In particolare, la linea per la datazione con il radiocarbonio mediante AMS è dotata di una sorgente ionica per la generazione e l’estrazione dei fasci di particelle e di due spettrometri, uno di bassa e uno di alta energia, tra i quali è interposto l’acceleratore di particelle con tensione massima di accelerazione di 3 MV. Il fascio di ioni di carbonio generato dalla sorgente è analizzato, in funzione di massa e carica, nello spettrometro di bassa energia, quindi accelerato all’interno dall’acceleratore grazie ad un sistema di stripping di carica e analizzato nello spettrometro di alta energia. Le performance del sistema sono tali da consentire livelli di precisione di circa lo 0.3-0.4 % nella misura del rapporto 14C/12C, corrispondente ad un incertezza di r 3040 anni nella datazione radiocarbonica non calibrata su campioni di massa fino a 0.2 mg.2

La disponibilità presso il CEDAD delle linee AMS, PIXE e PIGE consente l’ampliamento delle informazioni ottenibili a livello archeologico permettendo, ad esempio, lo studio dei livelli di esposizione di popolazioni antiche a metalli pesanti,3 dello stato di diagenesi di ossa cremate, della provenienza di ossidiana da livelli archeologici datati con il radiocarbonio.4 Il CEDAD ha contribuito nello studio del Foro di Cesare attraverso la datazione con il radiocarbonio di campioni organici e in particolare di carboni. Produzione del radiocarbonio e principio di datazione: cenni

Data la notevole quantità di campioni analizzati (circa 1500 campioni ogni anno) e al fine di monitorare costantemente la qualità dei trattamenti che precedono la datazione per la decontaminazione dei campioni, il CEDAD dispone di laboratori chimici attrezzati per la preparazione chimica di una vasta tipologia di resti organici ed inorganici tra i quali carboni, resti vegetali, campioni osteologici, sedimenti e carbonati (conchiglie e malacofauna).

Il carbonio è presente in natura in tre diverse forme isotopiche: il 12C, il 13C e il 14C. Quest’ultimo presenta all’interno del suo nucleo un numero di neutroni maggiore rispetto agli altri due isotopi ed è instabile e quindi radioattivo. Per questo motivo il nucleo del 14C tende a trasformarsi in un nucleo stabile mediante emissione di particelle e di energia.

La linea per analisi IBA del CEDAD consente la determinazione della composizione chimica elementare 1 2

Il 14C è prodotto in modo continuo nella stratosfera dove

Calcagnile et al. 2004. Calcagnile et al. 2005.

3 4

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Quarta et al. 2008. Butalag et al. 2008.

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la collisione tra i raggi cosmici provenienti dal Sole con l’atmosfera produce neutroni ad alta energia. Questi, interagendo con i nuclei di 14N, formano 14C con emissione di un protone.

dovrebbe essere noto il valore della concentrazione di radiocarbonio effettivamente presente al momento della morte. Tale valore, però, non può essere misurato, in quanto la concentrazione del 14C nel campione, a causa del decadimento radioattivo, è variata rispetto al momento della morte di una quantità che dipende proprio dall’età del campione.

Il 14C in atmosfera reagisce prima con l’ossigeno, quindi viene ossidato dal radicale ossidrile OH- per formare anidride carbonica radioattiva. Questa rimane nell’atmosfera per 6-8 anni, si miscela alla 13CO2 e alla 12CO2 ed entra progressivamente a far parte delle diverse riserve, sia per assimilazione diretta (fotosintesi clorofilliana), sia per assimilazione indiretta (catena alimentare). Questo processo implica la formazione di uno stato di equilibrio dinamico tra l’organismo vivente e la riserva ambientale nella quale esso svolge le sue funzioni vitali. Per la riserva atmosferica, il valore attuale del rapporto 14C/12C è dell’ordine di 10-12.

Tuttavia si è verificato sperimentalmente5 che l’effetto di frazionamento isotopico misurato sul rapporto 14C/12C è il doppio rispetto a quello trovato per il rapporto 13C/12C:

Di conseguenza, essendo 12C e 13C isotopi stabili, si misurano gli effetti di frazionamento del 13C misurando il rapporto 13C/12C che non subisce variazioni nel tempo.

Il principio del metodo di datazione col radiocarbonio si basa sull’assunto che in ogni organismo, dal momento della propria morte, non avvengono più scambi con l’ambiente. Pertanto la concentrazione di 14C diminuisce seguendo la legge del decadimento radioattivo, con un tempo di dimezzamento pari a 5730 anni. Tale legge esprime la probabilità λ che un numero N(t) di atomi di radiocarbonio presente all’interno dell’organismo vivente decada nell’unità di tempo.

Il frazionamento del 13C è determinato sperimentalmente: il termine δ13C rappresenta la deviazione, in parti per mille, tra il rapporto 13C/12C misurato nel campione, rispetto a quello di uno standard di riferimento, definito dalla IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica). Lo standard, identificato nel 1957, rispecchia il rapporto isotopico misurato nella calcite della Belemnitella americana, un mollusco fossile ritrovato nella successione sedimentaria Pee-Dee del Cretaceo nel Sud Carolina (USA) e ha valore 13 C/12C pari a 0.0011237.

Il decadimento del 14C porterà alla formazione di 14N e all’emissione di una particella E 

Il termine δ13C è definito dalla formula (Craig, 1954):

Di conseguenza, la misura della concentrazione di 14C in un campione permette di stimare il tempo trascorso da quello che convenzionalmente viene definito come evento zero, ovvero la morte dell’organismo in esame. Ottenuto il valore della concentrazione di radiocarbonio del campione, la procedura convenzionale di correzione per gli effetti di frazionamento isotopico prevede che questa concentrazione venga rinormalizzata al valore che essa avrebbe se gli effetti nel materiale da cui proviene il campione fossero pari a quelli del “legno medio” dove, convenzionalmente, per il legno medio viene assunto un valore del rapporto 13C/12C pari a -25‰ dell’analogo valore per lo standard PDB.6

Tuttavia l’applicazione effettiva di questo metodo è resa più complessa dalla presenza di alcuni effetti che devono essere considerati in modo che possano essere apportate le opportune correzioni delle date radiocarboniche ottenute. Uno degli effetti di maggiore rilevanza da considerare è il frazionamento isotopico: esso è dovuto al differente assorbimento dei diversi isotopi da parte di ogni organismo nel corso dei processi biochimici che ne regolano lo scambio con la riserva di riferimento nella quale esso vive.

In questo modo si ottengono informazioni sul frazionamento isotopico conseguenza dei processi fisico-chimici avvenuti durante la vita dell’organismo e diventa quindi possibile effettuare le dovute correzioni all’età convenzionale al radiocarbonio del campione in esame.

Nel calcolo dell’età diventa perciò fondamentale capire quanto il valore misurato della concentrazione di 14C è dovuto effettivamente al decadimento radioattivo del radiocarbonio e quanto invece è legato ad effetti di frazionamento che devono essere opportunamente corretti. La procedura di correzione universalmente adottata è il risultato di una serie di convenzioni introdotte per rendere confrontabili tra loro i risultati di datazioni avvenute in anni diversi o su materiali diversi.

Tutte le datazioni dovranno quindi essere corrette per tenere conto di questo effetto usando la formula di Stuiver e Polach:7 5

Per correggere gli effetti di frazionamento isotopico,

6 7

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Bonani et al. 1990. Stuiver, Robinson 1974. Stuiver, Polach 1977.

Appendice

Per avere una corrispondenza tra l’età radiocarbonica e quella calendariale, diventa fondamentale ricostruire in modo dettagliato i cambiamenti avvenuti nella concentrazione di carbonio radioattivo nel corso dei secoli nelle diverse riserve: occorre quindi utilizzare una curva di calibrazione per la quale la concentrazione di 14C in una riserva e il tempo t siano messe in correlazione.

Il termine δ13C può essere misurato o con uno spettrometro convenzionale o on line con il sistema AMS.

La curva di calibrazione è stata determinata individuando un record della concentrazione di radiocarbonio nella riserva; si è datato in modo assoluto la sequenza che costituisce il record in modo indipendente dal radiocarbonio e si corregge infine la datazione convenzionale ottenuta dall’anno di formazione per il decadimento radioattivo del 14C.

Altri fenomeni, quali le variazioni di produzione e concentrazione di radiocarbonio dovute a fattori naturali, hanno portato e portano ad una variazione in termini di 14C/12C e 14C/13C; tra questi fattori sono di notevole importanza la variazione dell’attività solare, quella del campo geomagnetico e lo svolgimento del ciclo vitale dell’organismo in esame all’interno di serbatoi differenti rispetto alla riserva atmosferica, quali bacini calcarei, bacini marini o luoghi in prossimità di vulcani in attività. Ai fenomeni di origine naturale si aggiungono quelli di origine antropica; tra gli altri, la maggiore concentrazione di anidride carbonica radioattiva che si è avuta a seguito dei numerosi test nucleari effettuati a partire dal 1952-53 o la sua notevole diluizione a causa della combustione di grosse quantità di combustibile fossile durante la rivoluzione industriale. Tutti questi effetti possono portare ad un invecchiamento dell’età reale del campione quando si ha una presenza di anidride carbonica non radioattiva inferiore rispetto a quella attesa, o a un ringiovanimento nel caso contrario.

Il metodo più usato per lo studio della variazione di radiocarbonio in atmosfera è la dendrocronologia. Il principio di datazione dendrocronologico si basa sul fatto che ogni albero, durante la sua crescita annuale, aumenta il suo diametro di un anello; lo spessore aggiunto dipende dalle condizioni atmosferiche e ambientali che si sono presentate durante l’anno di accrescimento dell’anello stesso. Di conseguenza, alberi appartenenti alla stessa specie legnosa, se cresciuti in condizioni ambientali simili, producono, nello stesso periodo di tempo, serie anulari simili. Poiché ciascun anello “fissa” la concentrazione di 14 C presente in atmosfera nell’anno in cui si è formato è possibile individuare, anche attraverso alberi diversi parzialmente coevi, sequenze caratteristiche dei modi di accrescimento che permettono di estendere nel passato la sequenza di anelli databili.

Il metodo sviluppato da W.F. Libby e dal suo team nel 1949 presso l’Università di Chicago, si basa sul presupposto che la proporzione degli isotopi assorbiti dagli organismi rispecchia quella atmosferica del luogo in cui cresce. Essi determinarono che il tempo di dimezzamento del decadimento del 14C era pari a 5568 ± 30 anni: ciò significa che, dopo tale periodo, la quantità rimanente di 14C è la metà di quella iniziale. Dopo dieci tempi di dimezzamento la quantità di 14C è talmente scarsa da risultare di difficile rilevamento. Essi conclusero, quindi, che dal rapporto dell’attività residua di 14C in un campione, la cui età è sconosciuta, con quella di un riferimento moderno, si può risalire alla data della morte del campione stesso.

Per mezzo della sovrapposizione di curve di periodi diversi (crossing dating) si è riusciti ad ottenere una curva di calibrazione fino a circa 12˙500 anni BP. Per estendere la curva di calibrazione ottenuta attraverso la dendrocronologia fino a circa 22˙000 anni calBP sono stati utilizzati altri record (studio delle sequenze stratigrafiche di coralli marini, deposizione di sedimenti geologici come le varve) sottoposti a datazione con tecniche alternative. Il confronto tra curve di calibrazione ottenute in parti differenti dello stesso emisfero ha evidenziato che non ci sono differenze significative: questo si traduce nella possibilità di affermare che i meccanismi di miscelamento del radiocarbonio in atmosfera sono molto rapidi e che, pertanto, è possibile ottenere una curva di calibrazione valida per tutto il pianeta. I dati di calibrazione utilizzati sono quelli forniti dal programma IntCal04 (http://www. radiocarbon.org/IntCal04.htm).

Calibrazione La Radiocarbon Age derivante dall’analisi di un campione, espressa in anni BP (Before Present), non corrisponde all’età in anni storici e non offre il risultato più veritiero a causa di vari fattori: l’età radiocarbonica è espressa in anni dal presente, dove il presente è ritenuto il 1950; il tempo di dimezzamento del 14C non è quello trovato da Libby ma è pari a 5730 ± 40 anni; la concentrazione di radiocarbonio nell’atmosfera non è rimasta costante nel tempo ma ha subito variazioni, anche notevoli, sia a causa di fenomeni naturali che di fenomeni antropici. Tali assunti sono tutti corretti in fase di calibrazione.

Il principio sul quale si basa la calibrazione mediante dendrocronologia sfrutta la possibilità di determinare l’età dell’albero contando gli anelli di accrescimento, sui quali è possibile anche misurare la concentrazione di radiocarbonio. Tuttavia tanto la misura con il radiocarbonio quanto la determinazione dendrocronologia dell’età presentano

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delle incertezze statistiche che non portano alla definizione di un unico punto ma di un range di date possibili. Di conseguenza, la curva che si ottiene è riferita alla media dei valori possibili a cui deve essere associata la probabilità che la data ricada non esattamente sulla media, ma tra i valori possibili (± σ; ± 2σ ). Ciò implica un allargamento del range di errore, dipendente dall’errore nella stima della radiocarbon age e dall’andamento della curva di calibrazione nell’intervallo di tempo considerato.

stata fatta solo nel 1988 perché le tecniche tradizionali richiedevano centinaia di grammi di tessuto). A partire dalla fine degli anni ’70, la rivelazione del 14C è stata condotta attraverso una tecnica sicuramente più innovativa: l’AMS (Accelerator Mass Spectrometry). Essa permette, in pochi minuti, la misura di campioni con massa anche al di sotto di 1 mg. Si tratta di una tecnica di spettrometria ultra sensibile per l’analisi isotopica il cui principio base è la misura del rapporto isotopico 14 C/12C mediante il conteggio diretto del numero di atomi di carbonio radioattivo presenti nel campione, e non più dell’attività del radiocarbonio.

Per poter convertire la misura della radiocarbon age negli intervalli di età in anni di calendario occorre combinare due diverse distribuzioni: quella gaussiana e quella della curva di calibrazione.

Nell’AMS un acceleratore e il suo sistema di trasporto del fascio vengono utilizzati come spettrometro di massa: gli isotopi provenienti dal campione da analizzare, estratti sotto forma di ioni, vengono accelerati ad alta energia e, utilizzando filtri elettromagnetici, vengono separati in base al rapporto massa/carica ed energia/carica. Infine vengono contati individualmente da un apposito sistema di rivelazione.

Studiando la radiocarbon age attraverso un approccio statistico, si ottengono i differenti intervalli di probabilità con i corrispondenti livelli di confidenza. La calibrazione delle datazioni al radiocarbonio viene effettuata attraverso software di calibrazione basati su algoritmi matematicostatistici che permettono di convertire le datazioni convenzionali al radiocarbonio in date storiche. Confronto tra la tecnica tradizionale e la spettrometria di massa con acceleratore

La possibilità di lavorare con energie superiori al MeV attraverso l’utilizzo di un acceleratore è il fattore che contraddistingue l’AMS dalle spettrometrie tradizionali, rendendolo un metodo ad altissima sensibilità. E’ proprio grazie alle alte energie in gioco, si riesce ad avere una più marcata separazione delle traiettorie dei singoli isotopi e, di conseguenza, una migliore selezione degli ioni di interesse.

Nel 1949 il chimico americano Willard Libby pubblicò le prime datazioni ottenute con il metodo del radiocarbonio. Egli scoprì che ogni atomo di 14C, durante il processo di decadimento, emette particelle β- (14C => 14N + β-), rivelabili mediante un contatore Geiger. Nel 1960, per lo sviluppo del metodo del radiocarbonio, fu insignito del premio Nobel per la chimica. Questa scoperta ebbe un impatto di notevole portata in numerosi campi delle scienze umane, sollevando un vastissimo interesse pubblico.

I due vantaggi fondamentali di questa tecnica stanno nel fatto che, rispetto alla tecnica di datazione tradizionale, i tempi di misura si riducono di circa 100 volte e la quantità di carbonio richiesta si abbatte di oltre 1000 volte (0,51 mg contro parecchi grammi). Inoltre, la tecnica AMS dà la possibilità di misurare il δ13C direttamente con l’acceleratore e, quindi, di correggere le date per effetto del frazionamento isotopico.

La concentrazione di radiocarbonio presente in un campione può essere determinata sperimentalmente attraverso due metodi: il E counting convenzionale e la spettrometria di massa con acceleratore.

La possibilità di utilizzare il campione in quantità estremamente ridotte ha avuto un’importanza fondamentale nell’applicazione della tecnica a campi quali la storia dell’arte o l’archeologia nei quali la possibilità di prelevare materiale senza che questo implicasse allo stesso tempo la distruzione dell’oggetto ha sicuramente aperto sipari su vedute prima non ipotizzabili. Nel campo archeologico, nel quale esso ha avuto la sua più nota e diffusa applicazione, la riduzione del materiale richiesto ha portato ad un aumento delle richieste di analisi su uno stesso sito ed una stessa unità stratigrafica per una più sicura ricostruzione cronologica. Con l’applicazione alla storia dell’arte, d’altro canto, i prelievi microdistruttivi hanno dato la possibilità di datare cornici, tele, pigmenti organici dei colori e reliquie, autenticando originali o smascherando falsi d’autore.

La tecnica convenzionale del E counting si basa sulla rilevazione della radioattività del campione ovvero sul conteggio delle particelle β- emesse durante il decadimento radioattivo del radiocarbonio. Lo svantaggio maggiore di questa tecnica consiste nel fatto che, a causa della concentrazione molto bassa di 14C, per ottenere un livello di precisione ragionevole nella stima dell’età si ha la necessità di processare grosse quantità di materiale per lunghi periodi di tempo: basti pensare che in un millesimo di grammo di carbonio organico “moderno”, si ha un solo decadimento all’ora. Di conseguenza, poiché tale metodo è basato sulla misura della radioattività di un elemento con attività molto bassa, i tempi di misura sono piuttosto lunghi e aumentano con l’età del campione. Inoltre, affinché si possa avere un livello di precisione accettabile, occorrono alcuni grammi di campione, soprattutto per i campioni più antichi nei quali evidentemente il carbonio radioattivo è già in buona parte decaduto (basti pensare che la datazione della Sindone è

Tuttavia, come si può ben immaginare, la considerevole complessità degli strumenti e, soprattutto, gli ingenti costi

260

Appendice

Schema dell’acceleratore Tandetron

necessari per l’acquisto e la manutenzione rappresentano gli svantaggi di questa tecnica.

questi vengono quindi caricati nella ruota portacampioni all’interno di una sorgente a sputtering mediante ioni cesio. Il sistema portacampioni possiede 59 scomparti in ognuno dei quali viene inserito un target.

Lo spettrometro di massa con acceleratore presso il CEDAD

Gli atomi di carbonio, sono rimossi dalla superficie del target mediante un fascio di ioni Cs. Il target, carico negativamente, respinge gli ioni negativi così prodotti che vengono accelerati da un elettrodo di estrazione ad energie pari a circa 35 keV.

Al CEDAD la misura del radiocarbonio è effettuata mediante la tecnica AMS. La linea prevede un acceleratore con tensioni di accelerazione fino a 3 MV in cui l’acceleratore di particelle di tipo Tandem (Acceleratore Tandetron, Mod. 4130 HC, della High Voltage Engineering Europe) è utilizzato sia per la tecnica AMS che per analisi con fasci ionici e impiantazione ionica di alta energia.

Le diverse specie ioniche prodotte sono sottoposte ad una selezione nello spettrometro a bassa energia che avviene per mezzo dell’analizzatore elettrostatico a 54° e del magnete di Bouncer. In particolare, l’analizzatore elettrostatico seleziona gli ioni in base al loro rapporto tra energia cinetica e carica e taglia le code ad alta energia delle specie ioniche presenti nel fascio; il magnete Bouncer sfrutta la deflessione cui è sottoposta una particella carica quando attraversa un campo magnetico ad una certa velocità e quindi, con una certa energia cinetica. Esso effettua un’ulteriore selezione degli ioni d’interesse dalle eventuali fonti di contaminazione: variando il potenziale in ingresso e in uscita del Bouncer, è possibile selezionare solo gli ioni con rapporto ME/q2 voluto, eliminando gli altri. Quest’ultimo permette inoltre di compiere l’iniezione sequenziale degli isotopi del carbonio: per i tre isotopi vengono sfruttati sia potenziali che tempi di iniezione diversi, calibrati in base all’abbondanza relativa di ognuno di essi. Nella sezione ad alta energia, inoltre, sono eliminati gli ioni di diversi elementi chimici e ioni molecolari isobari (12CH-,13CH- e 12 CH2-).

Gli acceleratori di tipo Tandem sono acceleratori elettrostatici lineari in cui l’accelerazione degli ioni può avvenire fino ad alte energie in spazi relativamente contenuti. Le particelle cariche subiscono infatti una doppia accelerazione per effetto di un campo elettrico stazionario. Nella prima parte gli ioni, iniettati nel tubo di accelerazione con carica negativa, vengono accelerati verso la parte centrale dell’acceleratore, il terminale, mantenuto ad un potenziale positivo. Una volta giunti al terminale, lo stripper mediante argon induce una perdita di elettroni. Gli ioni, divenuti positivi, vengono respinti dal terminale ad alta tensione verso l’uscita del tubo di accelerazione ulteriormente accelerati. La linea AMS nel suo insieme consiste di uno spettrometro di massa a bassa energia (LE) e uno ad alta energia (HE) connesso all’acceleratore Tandetron. I campioni di grafite da essere analizzati sono pressati all’interno di target nei laboratori chimici di preparazione;

All’uscita del Bouncer, uno steerer magnetico permette la

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L’acceleratore tandetron per la datazione con il radiocarbonio del CEDAD

deflessione degli ioni. Da qui essi sono direzionati verso il tubo acceleratore. Per evitare che l’alta tensione (3 MV) del terminale dell’acceleratore possa provocare scariche elettriche, esso è montato in una tank (un contenitore a forma di T a sezione circolare, in acciaio, all’interno del quale sono sistemati il tubo di accelerazione, la colonna del generatore di alta tensione, l’avvolgimento del trasformatore di alta tensione ed il sistema di stripping di carica) in cui è posto un gas isolante, l’esafluoruro di zolfo (SF6), alla pressione di 6 bar.

vengono inviati ai rispettivi rivelatori, gli altri ioni vengono deflessi. Lo spettrometro di massa ad alta energia comprende: il magnete analizzatore a 110°, sistemi di misura per il 12C e 13 C rappresentati da due coppe di Faraday, un analizzatore elettrostatico a 33°, un magnete analizzatore a 90° ed infine, un rivelatore a ionizzazione di isobutano per la misura del 14 C. All’uscita della seconda fase di accelerazione nel Tandem, la prima e sostanziale parte dell’analisi viene effettuata da un magnete a 110° che separa i tre isotopi per dirigerli lungo traiettorie differenti: nello specifico gli ioni 12C3+ e 13 3+ C vengono inviati verso due coppe di Faraday.

Gli ioni del fascio in ingresso del tubo di accelerazione hanno cariche negative. Perché essi possano essere ulteriormente accelerati nella sezione ad alta energia dell’acceleratore, devono subire un cambio di carica (Ralph and Michael, 1974) che viene ottenuto facendo fluire argon gassoso: dalla sua interazione con gli ioni del fascio ne deriva la perdita di elettroni da parte di questi ultimi, che vengono quindi trasformati in ioni positivi per essere quindi accelerati una seconda volta in base al principio tandem.

La misura della carica raccolta in ciascuna Faraday cup consente la determinazione del rapporto 13C/12C, essenziale per la correzione degli effetti di frazionamento isotopico e dei rapporti al 14C per la datazione.

Il cambio di carica nel canale porta alla separazione degli ioni monoatomici di carbonio dalle molecole di 12CH2- e 13 CH- iniettate nell’acceleratore insieme agli ioni 14C-, ma con intensità molto maggiori. La dissociazione è resa possibile fissando la tensione del terminale per selezionare uno stato di carica 3+, che rende instabili gli ioni molecolari isobari rispetto a quelli di carbonio. La sottrazione di elettroni, determina infatti un indebolimento dei legami chimici esistenti tra gli atomi degli ioni molecolari iniettati insieme agli ioni di carbonio; pertanto le molecole, facilmente dissociabili, possono essere separate dalle specie di interesse.

Un ulteriore analizzatore elettrostatico effettua ad una successiva selezione del carbonio radioattivo poiché riduce le interferenze dovute ai fenomeni di scambio di carica; ad esso segue un magnete a 90°. La misura del 14C viene effettuata sfruttando un rivelatore a ionizzazione di gas che utilizza l’isobutano (C4H10) come elemento sensibile. Le misure effettuate tramite uno spettrometro di massa con acceleratore, hanno caratteristiche di precisione, accuratezza e grande sensibilità nella misura dei rapporti isotopici. Il range di databilità dipende invece tipicamente dalla sensibilità dello strumento e dal livello di contaminazione

Nella zona ad alta energia, si completa la selezione delle specie ioniche di interesse. Gli isotopi 12C3+, 13C3+ e 14C3+

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Appendice

Lo spettrometro di massa a bassa energia e la sorgente del radiocarbonio

Lo spettrometro di massa ad alta energia

introdotto principalmente nel corso dei trattamenti chimici di preparazione dei campioni.8

L’osservazione preliminare al microscopio ottico ha permesso di intervenire sul campione estraendo da esso le contaminazioni visibili. Per le analisi è stata prelevata la parte del campione non venuta a contatto con le contaminazioni esterne, che sono state comunque rimosse meccanicamente. I campioni sono stati poi ridotti in frammenti di piccole dimensioni in modo da aumentare la superficie di interazione con i reagenti chimici a cui sono sottoposti. I trattamenti chimici hanno lo scopo di rimuovere le contaminazioni presenti nel campione che non sono state eliminate attraverso i trattamenti fisici (acidi umici e fulvici,

Dopo la misura con l’acceleratore, i dati necessari sono analizzati e calibrati in anni di calendario. Trattamenti chimici I campioni pervenuti al CEDAD sono stati sottoposti a trattamenti fisici e chimici al fine di rimuovere le contaminazioni presenti. 8

Calcagnile, Quarta 2005.

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Forum Iulium

b)

a)

d)

c)

a) tubi di quarzo prima del sigillo con all’interno la provetta contenente il campione, l’ossido di rame e la lana d’argento; b) campione sigillato sottovuoto nella linea di pre-post combustione; c) muffola di combustione; d) disposizione dei tubi di quarzo sigillati all’interno di tubi refrattari nella muffola.

carbonati adsorbiti dal campione durante l’interramento in quanto disciolti nelle acque freatiche).



I campioni provenienti dal Foro di Cesare sono stati processati mediante trattamento alternato Acido-AlcalinoAcido,9 consistente nei seguenti passaggi: • •

9

precipitare con HCl 37%, possono essere utilizzati per una eventuale datazione comparativa. Reazione in HCl 1% al fine di rimuovere la CO2 atmosferica adsorbita durante l’attacco alcalino.

I campioni sono poi stati messi in stufa a seccare ad una temperatura di 60 °C.

Reazione in HCl 1% a temperatura ambiente fino a pH