Fondamenti di spagyria. Come in cielo così in terra
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Carlo Conti

Fondamenti di spagyria Come in cielo così in terra

EDIZIONI ENEA

Fare Naturopatia

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Carlo Conti

Fondamenti di spagyria Come in cielo così in terra

EDIZIONI ENEA

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i Sito internet dell’autore www.spagyria.info : ; i

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I © 2015 Edizioni Enea - SI.RI.E. srl Prima edizione: giugno 2015 Seconda edizione: novembre 2017

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ISBN 978-88-6773-035-3 Art Direction: Camille Barrios / ushadesign Stampa: Graphicolor (Città di Castello) Edizioni Enea Ripa di Porta Ticinese 79, 20143 Milano [email protected] - www.edizionienea.it Tutti i diritti riservati. Nessuna parte di quest’opera può essere riprodotta in alcuna forma senza l’autorizzazione scritta dell’editore, a eccezione di brevi citazioni destinate alle recensioni.



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Carta prodotta da materiale riddato

Questo libro è stampato su carta riciclata certificata FSC®

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“Mah...!”, disse Giòve, “incolperà Vuom dunque sempre gli dei? Quando a se slesso i mali fabbrica, de3 suoi mali a noi da carco, e la stoltezza sua chiama destino”. OMERO

Odissea (Canto I, 47-50)

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Indice

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Ringraziamenti

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1. ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI

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2. DEL DUALISMO E DELL’IDENTITÀ: SOLE FILOSOFICO E LUNA FILOSOFICA Luna filosofica Sole filosofico Del dualismo e dell’identità

37 39 43 49

3. DEI TRE PRINCIPI FILOSOFICI: SALE, SOLFO, MERCURIO Sale filosofico Solfo filosofico Mercurio filosofico

55 56 59 62 66

4.1 QUATTRO ELEMENTI Terra Acqua Aria Fuoco

71 72 81 88 96 104 111 121

5.1 GENI PLANETARI Saturno Giove Marte Sole Venere Mercurio Luna

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131 134 137 140 142 146 149 153 156 159 162 166 169

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6. LO ZODIACO E I SEGNI ZODIACALI Ariete Toro Gemelli Cancro Leone Vergine Bilancia Scorpione Saggittario Capricorno Acquario Pesci

173 173 175 176 178

7. LA CIRCOLAZIONE ENERGETICA Energia sa Energia nw Energia acht Relazioni soli-lunari

181 181 184

8. FITOTERAPIA SPAGYRICA II rimedio spagyrico La segnatura

189 190 192 194 196 198 200 202 204 206 208 210 212 214 216 218 220

9. LE PIANTE Acacia Achillea Aglio Angelica Assenzio Bardana Betulla Biancospino Calluna Camomilla Cardo mariano Edera Equiseto Erba medica Imperatoria Lavanda

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222 224 226 228 230 232 234 236 238 240 242 244 246 248 250 252 254

Malva Melissa Menta Nocciolo Olivo Ortica Pino silvestre Pungitopo Ribes nigrum Rosa canina Rosmarino Salvia Sambuco Santoreggia Spaccapietra Timo Verga aurea

256

Segnature planetarie dei rimedi

257

10. TAVOLE RIASSUNTIVE

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Bibliografia

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Ringraziamenti

Essendo dedito ormai da molti anni allo studio e all’insegnamento di questa antica disciplina, la stesura di questo libro ha rappresentato per me anche l’occa­ sione di ripercorrere a ritroso i momenti più importanti della formazione filosofica e professionale grazie alla quale, oggi, è stato possibile realizzare questo lavoro. Intendo ricordare e ringraziare Solanimus, che ha guidato i miei primi passi nel mondo delle preparazioni laboratoriali, e Luigi Vernacchia con cui ho approfon­ dito la conoscenza della materia e che ancora oggi mi onora della sua pazienza e della sua disponibilità. L’incontro con Stefano Stefani e la collaborazione che ne seguì dettero inizio al cammino che ancora oggi percorro, e tanto la sua amicizia quanto la sua com­ petenza mi sono state di grande sostegno nello studio e nella perseverante ricerca degli insegnamenti e delle operatività nascoste nei testi antichi. Il compianto dottor Angelini, che non ho avuto occasione di conoscere in vita, fu uno dei suoi maestri e, una volta considerata personalmente la vastità della sua visione, divenne per me un riferimento costante: la lettura dei suoi scritti è infatti fonte costante di comprensione e di ispirazione per nuove ricerche e per la quoti­ diana pratica terapeutica. Desidero dunque ringraziarli tutti per quanto hanno saputo darmi e, confidando nella loro benevolenza, sperare che apprezzino questo modesto frutto dei loro insegnamenti. Intendo inoltre rinnovare la mia personale stima alle tante persone che, a diver­ so titolo, si sono generosamente impegnate in collaborazioni inerenti alla divulga­ zione e alla realizzazione di progetti formativi per la conoscenza della disciplina. Da ultimo, ma non per importanza, voglio rivolgere il più sentito apprezzamento a tutti gli allievi incontrati durante le mie lezioni, senza l’incoraggiamento e la ri­ chiesta dei quali non mi sarei esposto a un’impresa così impegnativa. A loro, quindi, è giusto dedicare quest’opera.

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I TRE PRINCIPI FILOSOFICI Sale filosofico 0 Solfo filosofico ^ Mercurio filosofico V

I QUATTRO ELEMENTI Terra V Acqua V Aria A Fuoco A

I GENI PLANETARI Saturno 3 Giove \ Marte c? Sole© Venere ? Mercurio $ Luna'ì)

I SEGNI ZODIACALI Ariete T Torotf Gemelli D Cancro 69 Leone ^ Vergine Bilancia Q Scorpione IR, Sagittario / Capricorno Z Acquario ^ Pesci H

1 Archetipi, dei e funzioni

Tratto comune e distintivo di tutte le civiltà antiche è la visione dell’intero creato come di un’unità costellata da forze operanti, di natura non materiale, che proprio grazie alla loro attività e in ragione delle loro qualità, rendono possibile 1’esistenza concreta e la permanenza in vita di ogni individualità. Non è certo questo il luogo in cui approfondire una tematica così complessa'dal punto di vista teologico, né tantomeno evidenziare i parallelismi esistenti tra que­ sto assunto e le scoperte scientifiche più recenti; cercheremo piuttosto di conside­ rarne gli ambiti più pertinenti alla nostra trattazione, cioè quelli relativi allo studio e alla ricerca delle modalità con cui i nostri antichi antenati compresero se stessi e il contesto in cui erano inseriti e, conseguentemente, cercheremo di apprendere il senso della loro memoria e il loro insegnamento. Da qualche secolo l’ambito della logica scientifica si è imposto quale esclusivo strumento per giungere a una corretta indagine della realtà, stabilendo nella separa­ zione tra osservatore e cosa osservata, tra soggetto e oggetto del processo conosci­ tivo la distanza necessaria a rendere oggettiva, quindi non contestabile, ogni suc­ cessiva e conseguente valutazione; ancor più, la si considera quale unica modalità attraverso cui le capacità della nostra mente possono adeguatamente esprimersi. Certo questo approccio non era affatto sconosciuto a chi è stato in grado di lasciarci, decine di secoli fa, testimonianze tali da dimostrare la piena e raffinata padronanza degli strumenti necessari alla realizzazione di opere che, ancora al giorno d’oggi, metterebbero a dura prova la nostre avanzate tecnologie e gli scien­ ziati più esperti. Innumerevoli documenti testimoniano, infatti, l’importanza attribuita allo stu­ dio della matematica, dell’ingegneria, dell’astronomia, della medicina ecc. che, sia per la rigorosità con cui venivano trattate allora tutte le discipline che attual­ mente definiamo scientifiche, sia per la capacità di perseguire concretamente le fi­ nalità desiderate, dimostrano come nulla avevano e ancora hanno da invidiare alle attuali modalità di ricerca e alle conseguenti applicazioni tecniche: semplicemente si nutriva una diversa considerazione di ciò che ha senso perseguire, in ragione di un diverso intendimento di quel che la realtà rappresenta e, soprattutto, di cosa qualifica la natura e il senso dell’esistenza di ogni essere umano.

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FONDAMENTI DI SPAGYRIA

Se allo studio di tutto ciò che era considerato inerente all’indagine e alla valu­ tazione quantitativa, vale a dire alle sole componenti dimensionali e di carattere materiale che contraddistinguono ogni forma di esistenza, erano ritenuti utili e quindi applicati gli strumenti della logica, non altrettanto valeva per considerare le qualità di ciò che era indagato. Una qualsiasi valutazione qualitativa sfugge, infatti, alla superficialità descritti­ va di questo approccio che, nella migliore delle ipotesi, non riesce a definire altro che la corrispondenza o meno tra ciò che è ricercato e ciò che viene individuato, non avendo nessuno strumento per definire che cosa quella qualità rappresenta effettivamente e quindi come è. La logica scientifica è del tutto impotente nel l’indagare ogni fenomeno che non sia riducibile a dato numerico, astratto dal suo senso e dalla ragione della sua esi­ stenza; è una metodica che, per sua stessa ammissione, non si interessa e quindi nega qualsiasi ambito che non rispetti le leggi che essa stessa si è data, anteponendo alla considerazione delle cose e ancor più delle persone la propria coerenza di indagine. Per dirla con Pascal, che pure era un insigne scienziato, “il cuore ha ragioni che la mente non sente” e l’animo umano, come tutto ciò che è della stessa natura, sfugge a qualsiasi ossen/azione che non sia partecipata da chi la compie. Soggetto e oggetto, infatti, vengono intesi come polarità distinte ed estranee an­ ziché componenti di uno stesso fenomeno, come parti integrate di uno stesso pro­ cesso: questa frattura, postulata dalla logica scientifica, implica la negazione delle nostre più tipiche e fondanti qualità umane e determina quindi un rapporto alterato con la nostra interiorità, e conseguentemente con l’altro e la realtà che ci circonda. Come è ben descritto nel Corpus Ermeticum: Dio dunque distribuì la ragione, o Tat, a tutti gli uomini, ma non l’intelletto. [...] Poiché egli volle, o figlio, che questo prendesse dimora nelle anime come premio da conquistare. Quelli, al contrario, che non hanno accolto l’annuncio sono i “logici”, dotati di sola ragione: non hanno ricevuto in più l’intelletto e non sanno per cosa sono nati e da chi”. “Le sensazioni di questi uomini sono simili a quelle degli animali senza ragione e, poiché hanno il temperamento soggetto alla passione e alla collera, non ammirano le cose degne di meraviglia, essi si dedicano ai piaceri del corpo e credono che per queste cose l’uomo sia nato. (Discorso di Ermes a Tat) Per avere una diversa visione delle cose occorre quindi non solo ampliare l’oriz­ zonte della conoscenza possibile e ammettere che quella materiale sia solo una delle possibili forme di esistenza, ma anche e soprattutto non limitare le nostre ca­ pacità conoscitive all’ambito della logica e quindi riscoprire, ricordare, quali altre qualità ci siano proprie e, specificamente, qual è la nostra propria natura e quale la natura del mondo in cui esistiamo e da cui traiamo sussistenza. La modalità seguita dai nostri antichi antenati mostra una costante tendenza a in­ tegrare le diverse forme e varietà attraverso cui si esprime tutto ciò che ci circonda e

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le diverse componenti di cui noi stessi siamo costituiti, riportando a unità e coerenza ciò che invece appare come individualmente distinto e diversamente caratterizzato. La risposta a questa necessità di comprendere risiede nella possibilità di inda­ gare noi stessi e ciò che ci circonda chiedendoci come “tutto si tenga” piuttosto che perché quel che c’è esiste effettivamente: il termine che più si addice a defi­ nire questo strumento conoscitivo è quello di Analogia o Processo Analogico di Conoscenza, che esprime la capacità di porre in relazione fenomeni differenti in ragione della loro apparenza ma che svolgono una stessa funzione e operano se­ condo una stessa finalità, e che quindi hanno uno stesso senso. Le straordinarie potenzialità di questo modo di considerare il mondo e se stessi sono da porre irt relazione innanzitutto con il dinamismo intrinseco a ogni forma di esistenza, che ne impedisce un’indagine statica e frammentata, dato che, più che essere, ogni cosa è in costante mutamento e quindi in costante divenire, pur mantenendo le qualità individuali che la caratterizzano. Negando questa banale realtà si è costretti a indagare il mondo e l’uomo non come frutto di processi dinamici e adattativi ma come oggetti privi di vitalità e di intenzione, quindi ridotti a spoglie inanimate che si prestano all’indagine fredda, distaccata e meccanicistica del tavolo da dissezione. In realtà tutto si tiene e tutto si muove in ragione di forze e quindi di funzioni operanti che, grazie alla loro presenza, consentono e determinano, modellano e qualificano tanto noi uomini quanto l’universo intero. Nei tempi antichi fu percepita l’immanenza di questa realtà e quindi concepita 1’esistenza di entità che vennero considerate immateriali ma determinanti ogni materia, senza spazio poiché originarie di ogni spazio, dotate di potere illimitato e quindi determinanti ogni possibile volontà, eterne in quanto esistenti in ogni tempo: per qualificarle le chiamarono divine, vale a dire appartenenti a Dio, l’Uno da cui ebbe origine ogni molteplicità. Non è mai esistita una filosofia o una qualsivoglia forma di religiosità che non abbia ricondotto il fenomeno creativo a un’unitaria origine comune, non fosse altro che per la semplice constatazione che tutto ciò che esiste, esiste sotto forma individuale, e che distruggendo una singola individualità, anziché annientarla, la si moltiplica ineluttabilmente in ulteriori forme di esistenza a loro volta individua­ li: provenendo tutto da Uno, ogni sua possibile manifestazione ne celebra neces­ sariamente la memoria. Si può facilmente considerare che non si tratta, allora come oggi, di credere o non credere, di avere o non avere fede, ma semplicemente di constatare senza pregiudizio come tutto ciò che è esiste ed è rappresentato. La tendenza a elucubrare e a generare ideologia, tipica dei nostri tempi così pieni di costrutti mentali del tutto avulsi dalla realtà e dall’esperienza vissuta di­ rettamente, ci impedisce troppo spesso di vedere davvero le cose per come esse sono; troppo frequentemente ci perdiamo nel labirinto delle idee e dei pensieri,

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inconsapevoli di sostenere e nutrire punti di vista e certezze che non sono frutto di personali elaborazioni ma sono stati acquisiti acriticamente dall’educazione rice­ vuta e dalla necessità, così tipicamente infantile, di sentirsi normali e accettati in quanto obbedienti al comune sentire e intendere. La stessa nozione di tempo, senza la quale non è possibile articolare alcun ra­ gionamento circa la realtà sensibile, è stata stravolta e asservita a una mentalità che, anziché orientarsi alla comprensione, ha preteso di stabilire a suo modo rego­ le e criteri attraverso cui costruire un mondo artificiale del tutto estraneo all’evi­ denza delle cose. . Oggi, infatti, si vive nell’illusoria certezza che il tempo abbia una struttura line­ are, avendo posto l’anno zero come confine che divide lo scorrere degli anni prima e dopo la nascita di Cristo, e si ritiene, più o meno consapevolmente, che questo garantisca una progressiva e parallela crescita delle nostre potenzialità e del nostro potere su ciò che-ci circonda. Ma se consideriamo senza pregiudizio come effettivamente stanno le cose è fuor di dubbio che, come gli antichi sostenevano, il tempo abbia invece una strut­ tura circolare e che ogni anno, compiuto il suo ciclo, succeda agli anni per costi­ tuire cicli sempre più ampi, determinando non una progressiva crescita o aumento di alcunché ma, semmai, un ritorno periodico a condizioni certo non identiche ma caratterizzate dalle stesse qualità dominanti. Questa considerazione ci può fare intendere come la facoltà della preveggenza, che un tempo era considerata sinonimo di intelligenza, possa trovare una sua sem­ plice spiegazione, mostrandoci quanto approssimativo e fuorviante sia il nostro attuale modo di pensare e progettare il futuro. Attualmente il concetto di novità equivale a progresso e incremento di possibi­ lità, ma si dovrebbe considerare il senso ciclico e quindi l’inevitabile ritorno su se stessa di ogni azione e ancor più di ogni innovazione, le sue inevitabili conseguen­ ze, proprio in ragione della ciclicità a cui ogni fenomeno è sottoposto. Ma se il tempo è considerato un’entità lineare questa capacità di vedere oltre viene smarrita, ogni cosa prende semplicemente il posto dell’altra, in un gioco di successioni infinite senza che sia possibile coglierne il senso e il portato, tutto vie­ ne consumato dal tempo anziché maturato, nulla viene imparato dall’esperienza e gli errori, inevitabilmente, continuano a perpetuarsi. “Oh Solone, voi greci rimarrete sempre bambini, non fate in tempo a mettere una pietra sull’altra che subito vi industriate a distruggere ciò che avete appena edificato”; così Platone, nel Timeo, testimonia il parere dei sacerdoti egizi sulle ragioni della scarsa memoria storica di quella che, a giusta ragione, consideriamo essere la civiltà che ci ha più direttamente influenzato in senso filosofico e cultu­ rale, evidenziando l’insorgere di quella dimenticanza che ha trovato poi massima espressione nella mentalità moderna. Se quindi il senso del movimento va intenso come costante ritorno su se stesso si

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ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI

può immaginare come un’ipotetica iniziale qualità totalizzante conteneva indistinta­ mente in sé ogni possibilità e irraggiava in modo caotico e indiscriminato la sua po­ tenzialità, si sia successivamente potuta manifestare, mantenendo integra la propria natura, sotto forma di individualità esistenti nel tempo ancora prima che nello spazio. In questa modificata prospettiva il moto lineare e omnidirezionale si trasforma in movimento circolare e distinto, ogni raggio si incurva e toma al suo punto di origine, l’Uno si riflette nel molteplice in cui e di cui ogni singola presenza rap­ presenta una particolare frazione della sua interezza. Da qui l’immaterialità delle diverse funzioni divine, delle divinità descritte come componenti parziali e differenziate necessarie alla declinazione del tempo e dello spazio, della materia, dell’esistenza di noi stessi e di tutto ciò che ci circonda. Il termine “archetipo” racchiude, nella sua sintetica espressione, la profondità di questi concetti, significando infatti “ciò che da sempre definisce ogni forma”, rappresentando quindi la modalità-matrice originaria di ogni esistenza. Lo studio e l’indagine partecipata di questi ambiti costituisce la finalità e l’og­ getto di ogni filosofìa antica, e indica ancora oggi la via da seguire per comprende­ re e accogliere nella loro complessità tanto i significati dei fenomeni e dei processi che ci caratterizzano, quanto le ragioni profonde e le necessarie modalità attraver­ so cui ciò che ci circonda ha trovato una definizione. Se quindi è grazie all’articolazione di queste forze-funzioni che ogni cosa ha preso esistenza, la nostra attenzione dovrà rivolgersi da un lato alla qualificazione delle stesse, procedendo a definirne le diverse qualità e modalità di comportamen­ to, dall’altro a indagare con quali diverse proporzionalità esse sono presenti in ciò che analizziamo. Non stupirà, al riguardo, che tutta la matematica egizia fosse basata non sull’uso di numeri interi ma esclusivamente di numeri frazionari e lo stesso Pitagora, che proprio nella valle del Nilo apprese le sue conoscenze, utilizzasse questa metodica per studiare le leggi di proporzionalità che avrebbero reso possibile descrivere e comprendere l’esistenza di rapporti armonici, vale a dire di quelle relazioni con­ cordanti che sostengono il mantenimento e l’integrità di ogni singola individuali­ tà, indagando i rapporti intercorrenti tra le diverse parti che concorrono a costitu­ ire un’unità e l’unità nella sua interezza. Gli bastò, a conferma della semplicità che oggi è diffìcile a farsi, un budello ritorto e un supporto su cui tenderlo, grazie all’uso di due capotasti: il monocordo. Ben consapevole che tutto ebbe origine dal Verbo e il Verbo è formalmente vi­ brazione sonora, una volta teso il budello pose in relazione il suono emesso dalla corda nella sua interezza e i diversi suoni che si ottenevano interponendo un terzo capotasto tra i due di partenza. Riuscì così a descrivere e a dare testimonianza nu­ merica delle relazioni assonanti tra le parti, quando queste si fondono arricchendo e sostenendo la sonorità di base, tanto quanto delle loro relazioni dissonanti che, al contrario, disturbano e distorcono il rapporto con l’intero.

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FONDAMENTI DI SPAGYR1A

A quei tempi il concetto di numero e ogni conseguente processo di calcolo non erano infatti per nulla disgiunti dalla ricerca delle modalità e delle forze che ave­ vano dato vita al Creato, ma anzi i numeri stessi erano considerati sacri in virtù della loro capacità di descriverne e dimostrarne resistenza e la permanenza. La scienza non era altra dalla filosofìa e la filosofìa non era altra dalla relazione con il divino e quindi con se stessi: distante dall’attuale mentalità che la riduce a sterile sfoggio di assunti teorici, rappresentava l’arte operativa attraverso cui nutrirsi di ciò che aveva reso possibile ragione e virtù, da cui la vita stessa aveva avuto origine e a cui saggezza, benessere e salute, così come ogni processo di cre­ scita, di cura e di guarigione andavano, in ultima analisi, ricondotti. Se, come si è detto, queste forze operano nel concorrere a definire ogni individualità, allora la loro attività non è da considerarsi temporalmente limitata a un originario momen­ to creativo ma intesa come costante presenza attiva in ogni ambito dell’esistente. Il famoso motto “così in cielo come in terra” implica infatti, oltre la specularità tra ciò che è in alto e ciò che è in basso, anche la relazione tra ciò che è esterno e ciò che è interno, sottolineando che questa operatività riguarda non solo la forma che la realtà assume ma la sua sostanza e quindi i movimenti intrinsechi che ne caratterizzano la struttura più intima. Le divinità, infatti, nell’antichità non erano considerate esterne ed estranee alla terra e all’uomo, ma anzi proprio sulla terra e particolarmente nell’uomo, al suo interno, dispiegavano la loro potenza e pregnanza di significato. Per questa ragione la grandezza e la singolarità della nostra specie è così spesso celebrata nei testi antichi, proprio in forza della capacità che ci è potenzialmente data di assumere piena consapevolezza della nostra natura e quindi di acquisire la capacità di governare, contenere, portare a sintesi armonica quelle forze che inve­ ce dirigono e determinano ineluttabilmente la vita e le sorti di tutte le altre specie viventi, inconsapevoli vittime del ciclo vitale. La nostra origine, infatti, veniva qualificata come divina, mentre la natura era considerata madre di tutte le altre forme attraverso cui il disegno creativo si dispiega: Egli ha costituito gli uomini con le lacrime del suo occhio, egli ha detto ciò che ap­ partiene agli dei. [...] Gli uomini sono usciti dai suoi due occhi, gli dei si manifestano quando egli parla [...] egli ha emesso il Verbo e gli dei si manifestano...gli uomini escono dai suoi due occhi divini, gli dei dalla sua bocca. (Inni del Nuovo Impero) In analogia con l’Uno che tutto comprende, a ogni essere umano è data capacità di comprensione, di porsi in relazione a se stesso in qualità di osservatore e di os­ servato, di soggetto che produce coscienza e conoscenza attraverso la riflessione in sé e quindi nell’altro da sé. Come recita l’Antico Testamento: “Adamo giacque con Èva e la conobbe” e quindi si conobbe, si scoprì nel suo divenire, si rese consapevole della potenza cre-

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ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI

ativa che lo aveva generato e celebrò nella memoria di quell’originaria riflessione, attraverso le lacrime della sua propria commozione, il desiderio di esistere e di vivere secondo Volontà, di consacrare la relazione con l’altro quale testimonianza della continuità del legame con la propria interiorità, stabilendo nella comunione il senso della propria provenienza e quindi l’orizzonte di ogni suo possibile futuro. La capacità di liberarsi dalle catene del bisogno dimostra l’originalità della no­ stra specie che, resasi autonoma dalla legge naturale della necessità, è vissuta da sempre secondo desiderio e quindi, come prima manifestazione della propria Volontà, si dedicò alla costruzione di templi e teatri, ovvero dei luoghi in cui rap­ presentare la propria origine, in memoria dell’esistenza e della permanenza del nutrimento necessario ad alimentare il fuoco di cui è portatrice. La sacralità che ancora contraddistingue queste antiche edificazioni è infatti proiezione esteriore e quindi testimonianza della presenza interiore del luogo in cui la divinità trova la sua propria sede, posto al centro della nostra struttura a rappresentare il punto da cui tutto si irradia, in stretta analogia con il Sole che risplende in cielo e dona luce, calore, vita a tutto ciò che ci circonda e a noi stessi: il luogo del cuore. Indagando l’insieme degli scritti di epoca egizia riguardanti questo termine, dall’Antico, al Medio e fino al Nuovo Impero, ci si può rendere conto della com­ plessità e della particolare rilevanza di questo concetto, con attinenze non solo filosofiche e morali ma direttamente legate, come si vedrà, al mantenimento e al ripristino dello stato di salute e di benessere della persona. Nella scrittura geroglifica c’erano due diverse rappresentazioni per significare questo termine; si esprimeva sotto forma di Hati il cuore fìsico, il muscolo cardia­ co, mentre si indicava il cuore metafìsico, interiore e immateriale, con il simbolo Ib. 11 simbolo ha forma di anfora, in quanto contiene, protegge e mantiene nel suo stato ciò che vi è contenuto, che rende possibile ogni ulteriore processo di maturazione di quell’individualità che definisce determinandone il confine ma nel contempo realizzando le condizioni di ogni possibilità di scambio e di relazione che, infatti, non potrebbe realizzarsi senza un’alterità tra ciò che è interno e ciò che esiste al di fuori e al di là del limite. In questo senso VIb viene indicato quale luogo in cui tutto ciò che abbiamo esperito, tutto ciò di cui ci siamo nutriti, viene a essere vagliato, digerito, assimila­ to, reso parte integrante della propria individualità in quanto accolto e contenuto, quindi compreso, nel proprio cuore. In questo ambito trovano origine e vengono percepiti i diversi stati dell’animo ed è quindi la sede in cui si vivono le sensazioni e le dinamiche emotive, in cui si sperimenta la propria sensibilità in rapporto alla relazione con sé e con gli altri. Nel Trattato del cuore contenuto nel Papiro di Ebers, forse il più importante dei papiri medicali egizi e risalente a circa il 2000 a.C., leggiamo:

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FONDAMENTI 1)1 SPAGYR1A

Il principio del segreto del medico: Conoscenza della marcia del cuore, conoscenza del cuore. Ci sono dei vasi in lui per tutte le membra. In qualsiasi posto in cui ogni medico, ogni web di Sekmet, ogni mago metta le sue dita, sulla nuca, sulle mani, sul posto dell’Ib, sulle due braccia, sui due piedi, ovun­ que egli incontra il cuore poiché i suoi vasi sono per tutte le membra; vale a dire che egli parla dei vasi di tutte le membra. Poi, al passo successivo: Esaminare come contare alcune cose dell’Energia Vitale in stai [...] contare l’Energia Vitale con le dita per conoscere [...] esamina l’Energia Vitale Negativa (piccola o debole) di un Uomo per conoscere la marcia nel cammino del cuore e più precisamente dei vasi in lui, verso gli Organi tutti. (Ebers 99, 1-5) E più oltre: Riguardo all’uomo, 12 vasi sono in lui per il suo cuore Ib. Sono loro che recano il soffio alle diverse parti del corpo. (Ebers 856 b 103, 3-5) Come è facile constatare siamo di fronte a una vera e propria definizione degli aspetti caratterizzanti qualsiasi medicina che oggi definiremmo “energetica” e che, per ignoranza, si è considerata frutto esclusivo di culture lontane ed estranee alla nostra. Al contrario, studiando con più attenzione le diverse testimonianze, si può constatare come, intorno al 2000/2500 a.C., la cultura umana abbia concepito e condiviso, pur con le ovvie diversità, una stessa visione dell’uomo e della natura, orientata filosoficamente in coerenza con quanto già descritto. Le radici storiche della nostra tradizione, come si è documentato, risalgono alla terra d’Egitto e da allora quelle stesse conoscenze e modalità operative hanno con­ tinuato a esistere e a essere applicate negli ambiti propri dell’alchimia e, secondo la definizione data nel 1500 da Paracelso riguardo agli aspetti più attinenti alla pratica della medicina e della terapia, della “spagyria”. Per valutare le condizioni in cui versa la persona il terapeuta dovrà quindi con­ siderare lo stato e la marcia del suo cuore, giungendo infine a definire precisamente quali componenti della Forza Vitale siano “piccole o deboli”, quali forzefunzioni, non in grado di esprimersi adeguatamente, determinino le “dissonanze” che, in quel particolare momento della vita, impediscono un armonico rapporto tra le diverse componenti di cui l’individuo è costituito. Riguardo a questi concetti, ovviamente, si tratterà più oltre in modo approfon­ dito, ma sin da ora è bene ricordare un’importante indicazione che ci viene data dalla descrizione della ritualità relativa alla “pesatura del cuore” a cui, secondo

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ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI

la teologia egizia, ogni uomo è sottoposto quando, venuto meno a questo mondo, dovrà affrontare l’estremo giudizio. Il defunto verrà condotto, così ci raccontano gli antichi scritti, al cospetto degli dei, dinnanzi a una bilancia su un piatto della quale verrà posto il suo Ib mentre sull’altro una piuma fungerà da contrappeso: solo se il cuore metafìsico sarà altret­ tanto leggero per lui si schiuderanno le porte della beatitudine mentre, nel caso la sua pesantezza risulti maggiore, un’entità detta “la divoratrice” lo ricondurrà nei mondi inferiori. Tutto ciò che appesantisce il cuore impedisce l’elevazione e quindi la crescita della persona, ne limita le potenzialità espansive e creative, determina resistenza all’incessante processo di cambiamento cui tutti siamo sottoposti e, quindi, espone a ogni forma di corruzione, distorce e deturpa l’anelito del desiderio nella paura para­ lizzante della perdita di ciò che si è e di ciò che si ha, inducendo a conservare e a cri­ stallizzare quel che invece assume significato nel suo divenire e nel suo trasmutarsi. Le nostre intenzioni divengono così proiezioni che si materializzano nel corpo come nel mondo, mostrando l’ombra del senso che attribuiamo al vivere. La pesantezza e la fatica dei giorni sono frutto della pesantezza e della fatica del nostro cuore, troppo spesso oscurato e sopraffatto dalle scure coltri dei nostri pensieri. Affinché il sole possa nutrire di luce e calore la terra, infatti, occorre che il cielo sia terso e sgombro da nuvole. Diviene così estremamente importante lo studio del “cielo interiore” della per­ sona, costellato dalle stesse presenze ohe caratterizzano la ricchezza e la com­ plessità della volta celeste o macrocosmo e che, in relazione di corrispondenza analogica, determinano la modalità con cui l’individuo si rapporta con la propria centralità, con il Sole-cuore del suo microcosmo, tanto sul piano fìsico che nelle dimensioni immateriali delle dinamiche emotive e psichiche. Paracelso, in particolare nel suo Paramirum, chiarisce con molta nettezza la relazione che intercorre tra “ciò che è in alto e ciò che è in basso”, stabilendo che tra le due sfere non esiste alcun rapporto diretto e quindi nega e irride la visione deterministica tipica di certa astrologia: l’uomo è semmai colui che può governare gli astri, non colui che ne è governato. Il cielo è di per sé libero come è potenzial­ mente libero ogni uomo. La ricerca andrà quindi orientata in senso funzionale, valutando in “stai”, quin­ di con precisione, la presenza e la potenza delle diverse forze operanti, delle di­ verse qualità energetiche che sono rappresentate in cielo sotto forma di astri e che trovano sulla terra e nell’uomo una particolare manifestazione, formalmente diversa ma in stretta relazione analogica con l’attività da queste svolta. Se ciò è vero per quanto riguarda le diverse componenti che caratterizzano, sul piano fìsico, il corpo dell’uomo, altrettanto avviene per le sue dimensioni interiori, descrivibili anch’esse in funzione della minore o maggiore attività delle qualità che quelle stesse forze imprimono a livello emotivo e psichico.

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FONDAMENE DI SPAGYR1A

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Proprio riguardo a questi ambiti, i testi mitologici della classicità andrebbero ben diversamente indagati e riletti alla luce delle ragioni che spinsero i nostri anti­ chi antenati a rappresentare in modo così esaustivo e dettagliato le caratteristiche e le relazioni intercorrenti tra le diverse divinità, ognuna descritta come portatrice di una determinata sensibilità, di un dato carattere, di una particolare personalità: “conosci te stesso” è il monito che ci hanno lasciato i Greci, e proprio con questa intenzione raccontavano le storie degli dei e degli eroi, non per ingannare il tempo o fantasticare di cose inesistenti, ma per rendersi consapevoli della presenza attiva e costantemente operante di queste entità che proprio nell’animo umano e nel suo mondo psichico trovano, allora come oggi, la loro massima rappresentazione. Gli assunti delle moderne e molteplici discipline che sostengono la necessità di una visione psicosomatica dell’essere umano e delle sue problematiche, come si può constatare, non hanno affatto l’originalità che è loro attribuita e anzi ogni visione distica del mondo e dell’uomo è antica quanto la nostra specie, da sempre consapevole dell’intreccio strettissimo esistente tra le molteplici dimensioni che ci contraddistinguono. Occorre però sottolineare che la visione filosofica di quei tempi appare lonta­ nissima dal materialismo che inficia molte delle attuali convinzioni, tendenti sì a dimostrare l’intrinseca interdipendenza di ogni parte costituente una data indivi­ dualità, ma anteponendo la rilevanza dell’ambito fìsico rispetto alle altre compo­ nenti che, in ragione del suo stato, ne risulterebbero determinate. Che ogni moto interiore trovi una sua testimonianza nel corpo è evidente, ma attribuire al corpo la stessa capacità significa non aver compreso che l’idea prece­ de l’azione, che senza volontà non si manifesta alcuna opera, che ogni esistenza fisica presuppone una matrice energetica, un progetto, un’intenzionalità e un’in­ telligenza che la prefiguri e quindi la anticipi. Nell’affermazione “Oh Egitto, Egitto... verrà tempo in cui il tuo popolo non sarà in grado di vedere altro che sabbia e sassi” sembra trovare conferma l’odierna tendenza a non vedere altro che materia, a concepirsi come organizzazione cellu­ lare, quali animali tra gli animali, divenuti ciechi come cieco si rese Edipo, una volta posto dinnanzi all’evidenza delle proprie responsabilità. E quindi necessario, ora più che mai, dare nuova voce alla saggezza dei nostri anti­ chi predecessori e trarre dal loro insegnamento le conoscenze e gli strumenti necessari per affrontare tanto le sempre più difficili condizioni di vita quanto le insidiose “sire­ ne” che a livello culturale vanificano l’attenzione di chi avverte l’insufficienza e i li­ miti della mentalità attuale, prospettando l’abbandono acritico a sedicenti pratiche mi­ steri osofìche che distraggono da un possibile e necessario percorso di consapevolezza. La rigorosità, la concretezza e l’operatività sono infatti aspetti fondanti e tipici tanto dell’alchimia che della spagyria e, per le finalità di questo testo, può essere utile una sintetica esemplificazione di come gli assunti filosofici di cui si è trattato abbiano una conseguente e coerente applicazione in ambito terapeutico.

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ARCHETIPI, DEI E FUNZIONI

Se, come si è detto, nell’uomo si riscontra la più compiuta articolazione delle forze che informano ogni aspetto del creato, ogni individualità di cui quest’ultimo è composto risulta costituita ed è descrivibile in ragione di una loro particolare configurazione, grazie alla quale sia l’ambito formale che funzionale di quell’uni­ tà trovano una propria ragione di essere. Da questa constatazione ebbe origine la ricerca delle radici energetiche di ogni singolo rappresentante del regno minerale e dei metalli, del regno vegetale e ani­ male che va sotto il nome di segnatura rerum, ovvero lo studio di ciò di cui sono segnate, quindi definite, le cose. In spagyria ogni “individuo di natura” viene quindi valutato in ragione delle qualità di cui è frutto e conseguentemente testimonianza vivente, veicolo e riserva a cui attingere ogni qual volta si riterrà necessario utilizzare quelle particolari virtù. Focalizzando l’attenzione al solo mondo vegetale, ogni pianta trova così una particolare distinzione sulla base della sua segnatura, che esprime tanto le funzio­ nalità di cui è portatrice quanto le particolari modalità di comportamento che la caratterizzano, sia in natura che sotto forma di rimedio. Lo stesso termine “spagyria”, oltre alla consueta spiegazione che ne fa risalire il significato etimologico a spao (solvere, estrarre) e agheiro (“riunire, coagulare”), può anche essere inteso come sintesi di spao e ieros (“ciò che è sacro, divino”), assumendo quindi il senso di “estrarre il dono divino”, come il dottor Angelini ebbe modo di evidenziare. Questi “doni divini” sono le virtù di quel vegetale, l’informazione di cui è porta­ tore, l’insegnamento che è in grado di dare a chi vorrà nutrirsene in senso energetico. Su questi assunti si basa la terapia spagyrica, che infatti utilizza i rimedi otte­ nuti dalle piante in ragione delle forze-funzioni, degli archetipi che in esse sono contenuti e che vengono resi disponibili grazie a una particolare lavorazione del vegetale, in grado di estrarre integralmente, di liberare le qualità di cui abbiamo parlato, rese così attive ed efficaci su ogni piano della persona, operando sia a livello fisico che sul “cielo interiore” della stessa. Al riguardo è utile ricordare che, come recita il citato papiro di Ebers, per giun­ gere a una corretta valutazione dello stato della persona occorre giungere infine a individuare le componenti “piccole o deboli” che caratterizzano la marcia del suo cuore: questa importante specificazione ci indica un’ulteriore particolarità dell’an­ tica medicina, che intende ristabilire lo stato di salute e benessere non contrastando i processi morbosi in atto ma invece sostenendo le naturali capacità di autogua­ rigione, grazie al rafforzamento delle componenti energetiche che non sono ade­ guatamente presenti ed efficienti nella persona sofferente e che la rendono tanto vulnerabile agli attacchi esterni, quanto vittima dei propri scompensi interiori. Non si tratta quindi di utilizzare i rimedi per fare in modo che essi agiscano sosti­ tuendosi alle capacità e alla volontà dell’individuo, finalità questa perseguita dalla terapia allopatica, né di suscitare una reazione della forza vitale che giunga a essere

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abbastanza forte da risolvere il malanno, atteggiamento tipico dell’omeopatia, quan­ to invece di sostenere il riequilibrio energetico della persona, il suo processo di ma­ turazione e di adattamento, aiutandola a compiere in prima persona e consapevol­ mente il percorso della guarigione, a rafforzarne la propria integrità e, conseguente­ mente, le capacità di resistenza e le proprie potenzialità creative e realizzative. L’ispirazione e l’intenzione dell’intervento terapeutico sono quindi tese a rispet­ tare pienamente la dignità dell’individuo e le sue particolari disposizioni, sfuggendo alla tentazione di prefigurare un cambiamento dei suoi aspetti costituzionali e carat­ teriali in ragione di ciò che il terapeuta ritiene giusto o sbagliato, ma intervenendo unicamente per armonizzare il rapporto tra le diverse componenti di cui è costituito, non imponendo dall’esterno e artificiosamente una diversa modalità di vivere ma, al contrario, valorizzandone le qualità che lo rendono unico e irripetibile. ‘il cuore dell’uomo è il suo dio personale”, così è scritto negli antichi papiri, e il rispetto dovuto non è quindi semplicemente un atteggiamento di particolare sensibilità o correttezza morale ma soprattutto il riconoscimento dell’umiltà e della . pietà di cui il terapeuta deve essere primo testimone e strenuo difensore: oltre la presunzione di stabilire ciò che è bene e ciò che è male, occorre che egli sappia scegliere ciò che è giusto; tra ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, è necessario che egli sappia decidere ciò che è opportuno, affinché abbia a realizzarsi pienamente il destino e quindi il progetto di cui ogni persona è portatrice, a maggior ragione quando questa è minacciata e distratta dal disagio, dal dolore, dalla malattia. Non a caso la virtù costituisce uno dei quattro pilastri su cui Paracelso Fonda l’arte della medicina e gli antichi Egizi indicavano in Sekmet la divinità protet­ trice dei terapeuti e, al contempo, la severa sorvegliante del loro operato: costei rappresentava l’ipostasi di Neit, detta “la grande tessitrice” in quanto artefice dell’intreccio energetico di cui ogni creatura è frutto, e veniva raffigurata sotto forma di donna, archetipo della ricettività attiva e feconda, con testa di leonessa, a sottolineare la virile capacità di proteggere, più di ogni altra fiera, l’integrità dei propri cuccioli e quindi di ogni uomo, di ogni persona. Questa infatti costituisce la prova più ardua a cui si sottopone chi decide di intraprendere e praticare l’arte della terapia, che è anche ragione della sacralità un tempo attribuita al prendersi cura delle persone sofferenti: la relazione diretta con la divinità stessa, con la più intima parte di sé e, conseguentemente, la necessaria pulizia interiore, che non è da intendersi come assenza di difetti o parzialità ma, al contrario, come impegno a mantenersi in stato di piena consapevolezza dei propri limiti e in assenza di pregiudizio, nell’umile atteggiamento di chi sa contenere e comprendersi oltre le dinamiche di esaltazione del proprio io e i gorghi depressivi del rifiuto di sé, entrambe parti della stessa deriva egoica, in costante ascolto della voce del cuore e quindi in grado di condividere e comunicare in piena responsabi­ lità e in coscienza, con dignità e coraggio, la fiducia e la determinazione necessa­ ria a ogni percorso di crescita e di guarigione.

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2 Del dualismo e dell’identità: sole filosofico e luna filosofica

Ogni individuo è caratterizzato da una propria costituzione, da una particolare disposizione di forze che insieme concorrono alla definizione, allo sviluppo e al mantenimento della sua esistenza. La natura di ognuno è quindi composita, non omogenea e anzi differenziata sia in senso materiale che funzionale: pur con diversi gradi di complessità, ogni aspetto della realtà è comunque espressione di un progetto che si realizza attraver­ so l’intervento sinergico di molteplici entità. Volendo descrivere come queste svolgano attività particolari e in che modo si rapportino Luna all’altra, si rende innanzitutto necessario evidenziare la bipolarità che le contraddistingue, tanto dal punto di vista formale che riguardo alla loro attività. Questa doppia natura è già banalmente constatabile nella compresenza, in ogni ambito del creato, di un dentro e di un fuori, di un alto e di un basso, oltre che della lateralità, che assume un significato solo se definita in relazione a polarità distinte e diversamente qualificate. In chiave filosofica, l’esistenza stessa di un individuo implica necessariamente la sua presenza o la sua assenza e il suo comportamento è sempre frutto del mani­ festarsi di un’azione o della capacità di adattarsi all’operatività altrui. Lo stesso battito vitale consiste, infatti, in un’alternanza di aspetti funziona­ li che definiscono la necessaria compresenza di due movimenti alternativi, che esprimono da un lato la potenzialità espansiva, dall’altro la disponibilità a ricevere anziché a dare. Nel macrocosmo questo dualismo è rappresentato nel succedersi quotidiano del giorno e della notte, che descrivono rispettivamente le virtù dative di segnatura so­ lare e quelle riflessive tipicamente lunari, così come nel ciclo annuale si assiste alla periodica preponderanza temporale della luce o del buio dovuto alla sua assenza. In senso logico si sarebbe portati a considerare queste due modalità, così diver­ se tra loro, come opposte e antagoniste, commettendo così un grossolano errore le cui conseguenze distorcerebbero inevitabilmente ogni successiva valutazione. Stiamo infatti trattando del primo passaggio grazie a cui è derivata e deriva ogni forma di esistenza individuale, e quindi delle sue radici essenziali, delle sue

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fondamenti di spacyria

ragioni di essere e di divenire: se si considerano inconciliabili queste funzioni, la visione di sé e del creato non potrà che essere intesa quale costante scontro tra le parti, come se tutto consistesse in un equilibrio precario ottenuto al costo di un continuo stato di belligeranza, come se l’incomunicabilità con ciò che è diverso facesse parte a pieno titolo delPineluttabile destino di ogni creatura. Al contrario, osservando quanto sia armonico il dispiegarsi del disegno crea­ tivo, è facile constatare come, pur con il verificarsi di momenti critici comunque orientati al ripristino di condizioni concordanti, tutto si regge senza alcun con­ trasto, grazie a un reciproco e ordinato rapporto di complementarità: nel mondo della natura, secondo la generale legge della necessità legata alla soddisfazione del bisogno; nell’uomo in ragione delle più complesse dinamiche relative alla manifestazione di una propria e autonoma volontà. È invece lo stato di malattia che evidenzia lo strazio relazionale tra le diverse parti che, anziché concorrere alla realizzazione di un progetto comune, si con­ trastano o non svolgono adeguatamente la loro funzione, mostrandosi comunque incapaci a fondere compiutamente le loro virtù. Anche in questo caso, è singolare constatare come molte delle più diffuse convin­ zioni sulla natura e sull’uomo siano frutto di idee e valutazioni relative agli stati di alterazione di cui possono patire, piuttosto che alle potenzialità che possono espri­ mere: secondo questa mentalità, infatti, il cielo è sereno quando non piove, così come pare ragionevole ridurre il concetto di salute a stato di assenza di malattia. In ben altro modo i nostri antichi antenati riflettevano sulla propria sorte e sulle difficoltà che comporta il cammino della guarigione, che invece ritenevano fosse impegno nella realizzazione delle proprie potenzialità piuttosto che mantenimento di ciò che si è o, per meglio dire, di ciò che il proprio io è, costantemente in guerra contro la minacciosa prospettiva dei necessari processi adattativi che ne minano la stabilità e l’immanenza dell’inevitabile declino. Della doppia natura che caratterizza qualsiasi aspetto del creato troviamo pun­ tuale testimonianza nelle teologie antiche, da cui possiamo trarre interessanti in­ dicazioni su questa primaria articolazione funzionale, la principale delle quali è costituita proprio dalla rappresentazione data loro: si tratta sempre di coppie di­ vine di cui viene evidenziata la differenza di genere, si afferma la compresenza di un dio e di una dea, una componente viene qualificata come maschile, l’altra come femminile. Non si fraintenda il significato di questi termini rapportandoli direttamente all’essere maschi o femmine poiché, rappresentando aspetti costituzionali di tutto ciò che è stato creato, vanno invece intesi come fondanti ogni forma di esistenza e quindi inerenti a qualsiasi individuo, indipendentemente dalla sua specificazione in senso sessuale. Il concetto può essere più chiaramente inteso se si considera che la descrizione dei passaggi necessari alla creazione specifica, specularmente, le componenti di

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cui ogni cosa è costituita e quindi, passaggio dopo passaggio, gli ambiti strutturali che le sono propri, e di quale articolazione di forze essa è frutto. Diviene perciò estremamente importante valutare ciò che ci circonda e noi stes­ si in ragione della commistione creativa di queste due prime entità che radical­ mente operano in ogni creatura. Come da un punto originario si è costituita una circonferenza, un ciclo, un’or­ bita, così si è posta in manifestazione la necessaria compresenza di movimento e staticità, di mutevolezza e stabilità; si è cioè definita la presenza di una forza che tende a superare il limite e di una qualità che la attrae irresistibilmente, indicando, come funzioni primarie per l’esistenza individuale, da un lato la capacità di espri­ mere, dall’altro la sensibilità necessaria a saper contenere.

Luna filosofica Se consideriamo da questo punto di vista il momento della nostra stessa nascita, constatiamo che la prima prova da superare, appena comparsi in questo mondo, consiste nell’imparare ad accogliere: inspiriamo profondamente e, come solo un desiderio appassionato può indurre a fare, ci facciamo pervadere intimamente da ciò che ci circonda. La nostra prima esperienza consiste nel vivere quella poten­ zialità magnetica che permette di attrarre, di portare dentro di sé, di contenere, di rendere proprio ciò che prima era estraneo. Non a caso sia l’albero respiratorio che il canale digerente sono rappresentati da invaginazioni del corpo, mostrando come ogni fenomeno relativo ai rispettivi processi fisiologici sia da porre innanzitutto in relazione alla capacità di accogli­ mento, che sempre precede l’elaborazione attiva del nutrimento introdotto. La capacità di integrare, quindi, implica necessariamente la volontà di operare inte­ riormente affinché ogni adattamento necessario all’accettazione venga compiuto. Questa virtù è alla base di qualsiasi scambio o relazione, consente e determina la possibilità stessa di comunicazione tra le parti in quanto occorre, evidentemen­ te, che il messaggio venga recepito prima ancora di essere ricambiato. In natura una tale plasticità adattativa è particolarmente rappresentata dal com­ portamento dell’acqua che, pur essendo dotata di peso e massa e quindi di un cor­ po, non ha però una propria estensione definita ed è quindi in grado di assumere qualsiasi forma, venendo modellata da quella che la contiene o avvolgendo com­ pletamente ciò che vi è contenuto, facendo comunque suo quel che vi sia immer­ so, mostrando disponibilità a legarsi con tutto ciò con cui entra in intimo contatto. In essa la virtù dell’accoglimento trova una delle sue migliori rappresentazioni materiali e le qualità che le sono proprie vengono comunicate e condivise da qual­ siasi composto la contenga: il grado di adattabilità è infatti sempre in relazione con il grado di umidità, ciò che rappresenta davvero la natura filosofica di questa virtù.

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Metaforicamente è il grembo fertile che si apre al seme e porta a compimento ogni possibile esistenza futura, che ha in sé la competenza necessaria all’accudimento, alla cura e alla crescita di ciò che contiene, che si rende utero del mondo e quindi titolare della complessità filosofica che è inerente all’archetipo della gran­ de madre o, come venne chiamata dai nostri antichi antenati, di luna filosofica.

Sole filosofico Ma una volta che attraverso l’inspirazione abbiamo operato sotto la dominanza della luna filosofica, l’aspetto invasivo del successivo processo espiratorio mostra la comparsa di una nuova presenza che determina la nostra prima azione diretta al mondo circostante, la nostra prima espressione. E questo un processo di natura ben diversa dalla disponibilità magnetica dimo­ strata nel passaggio precedente, è qualcosa che rappresenta una natura espansiva, che si muove in senso centrifugo, che sfida il contenimento, che è portatrice di de­ siderio e quindi tende a proiettarsi verso l’esterno, a realizzarsi in ogni operatività che tenda a mutare le condizioni preesistenti alla sua comparsa, a trovare nuovo contenimento. Agisce a costo di un dispendio energetico molto elevato e infatti alla dinamicità di questa finzione è sempre associato il manifestarsi espansivo del calore, dovuto alla peculiare virtù di essere apportatrice di movimento e quindi dispensatrice di ogni attiva partecipazione ai processi. Le trasformazioni che operiamo nelle nostre profondità, che su un piano fisico chiamiamo digestioni, sono operate proprio grazie a questa qualità, che fornisce al nostro alchimista interiore lo strumento necessario a rendere non solo compatibile e assimilabile, ma purificato da ogni veleno l’alimento di cui ci siamo nutriti, la prova che abbiamo vissuto, l’esperienza a cui ci siamo esposti. Se l’acqua mostra in modo così particolare la modalità femminile di operare, il fuoco esalta invece la rappresentazione dell’attività del maschile, in grado di inne­ stare e sostenere ogni processo di trasmutazione e quindi di superamento dei tra­ guardi precedentemente raggiunti, arrecando il movimento necessario al divenire di ogni stato già conseguito, di ogni ciclo già compiuto, di ogni istante già trascorso. In analogia con quanto accade in natura grazie alla presenza del fuoco celeste, che così generosamente irraggia di luce e calore, questa componente venne chia­ mata sole filosofico, il padre, l’archetipo che sovrintende a tutti le funzioni che hanno a che fare con la facoltà di estroflettere, di manifestare ciò che è contenuto all’interno, di portare a compimento, anche in senso espulsivo, il senso della pro­ pria volontà. Le virtù comunicative di questa componente sono quindi decisamente più orientate all’espressione piuttosto che all’ascolto, il Verbo è di per sé di natura

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invasiva e fecondativa, è in grado di attecchire e prosperare nelle menti e nei corpi così come un seme può radicarsi e svilupparsi pienamente quando è accolto da una terra fertile. Il seme infatti è portatore del senso di un’edificazione futura, di un progetto che vuole tradursi in esistenza, di una prospettiva che supera il presente e dispone ogni processo nella certezza che la trasformazione e il cambiamento operato troveran­ no rinnovato contenimento.

Del dualismo e dell’identità Osservando come si sviluppa nel tempo la presenza di questa funzione, scopria­ mo un’ulteriore aspetto della sua particolare natura. Come avviene in ogni forma di combustione, per potersi manifestare il fuoco deve necessariamente attecchire a un corpo: può mantenersi attivo solo in forza di qualcosa che lo sostiene. Dalle qualità del corpo di cui si nutre viene infatti di­ rettamente determinato il suo comportamento; il grado di secchezza del materiale impiegato è così sempre in diretta relazione con la veemenza e la breve durata del fenomeno, mentre la presenza di umidità garantisce un processo più temperato e molto più persistente nel tempo, meno dispersivo e irruento. La sopravvivenza del fuoco è quindi intimamente legata alla presenza dell’ac­ qua, e solo un sinergico rapporto tra loro garantisce la sua persistenza in ogni individuo. Ovunque vi sia presenza di caldo e di umido la terra è piena delle sue espres­ sioni, la natura raggiunge i suoi più alti gradi di fecondità e ricchezza di varietà, il vitalismo si espande fino alla massima rigogliosità. Quando invece il calore prende il sopravvento, la conseguente secchezza deter­ mina condizioni aride e inospitali, si verifica una progressiva desertificazione am­ bientale; a uno scenario simile si assiste anche quando è il calore a essere inibito, cioè in dominanza di freddo e di umido. Il nostro stesso essere in vita è garantito da questo equilibrio dinamico, e lo stato e il grado di benessere o di malattia dipendono da come si realizza l’intreccio tra queste due forze: il governo degli astri, che Paracelso riteneva fosse una nostra esclusiva capacità, a questo livello si pratica garantendo il necessario nutrimento di entrambe, riconoscendo l’eventuale scompenso e operando affinché le compo­ nenti debilitate siano ristabilite, così come la natura ci insegna. La cura del fuoco è quindi da intendersi come arte del femminile, in quanto è solo in funzione e nel rispetto di questa qualità umida che può perdurare. Nella profondità del suo carattere inquieto risiede infatti il desiderio di essere contenuto in una nuova forma, di trovare pace attraverso qualità che ne temperino l’ardore e l’irruenza, che sappiano accoglierlo e metterne a frutto il seme.

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D’altra parte, lo stato delle acque interiori dipende invece dall’attività del ma­ schile, dalla sua capacità di mantenerle in movimento e di impedirne il ristagno, garantendo ogni processo di purificazione e di elevazione, provvedendo al loro dinamismo in ragione della sua virtù fecondativa e quindi rendendole gravide di una prospettiva futura. Due momenti diversi ma un solo respiro, due diverse nature di cui consiste ogni singolo processo. Non a caso, nelle pratiche antiche, è stata data così tanta rilevanza all’atto re­ spiratorio e alle caratteristiche che può assumere, sia per ritmo che per profondità, questa manifestazione così esplicita del rapporto esistente tra le due componenti di base: quando la relazione è armonica le parti hanno pari dignità, desiderio e at­ trazione, si alimentano l’un l’altra, il respiro è lieve, calmo e profondo, la persona è in sé, non agitata o alterata dagli stati dell’animo o del corpo; al contrario, se il respiro è breve e superficiale, se il suo ritmo è discontinuo e altalenante, allora abbiamo indicazioni sufficienti per constatare la dissonanza tra le forze che, pur coinvolte in uno stesso processo, anziché collaborare si fronteggiano: nella rela­ zione si fa strada il conflitto, il rapporto diviene teatro della tragedia del prevalere, la persona non è in sé, è disturbata, soffre sia interiormente che fisicamente di questa lotta intestina. La stretta relazione intercorrente tra processo respiratorio e ambito cardiaco, così spesso evidenziata dai papiri egizi, è quindi da intendersi come testimonianza della connessione energetica che lega tra loro gli organi dotati di maggiore elasti­ cità e che più di altri evidenziano il senso ritmico dell’alternanza, in cui cioè sono attive in modo particolarmente visibile e percepibile le due qualità di cui stiamo parlando. Inoltre questo rapporto fornisce anche una precisa indicazione diagnostica, in quanto parlare di respiro o di battito cardiaco significa descrivere la stessa fun­ zione-coppia archetipale, e quindi si può considerare il primo per giungere a defi­ nire lo stato del secondo, vale a dire lo stato del cuore, la marcia del cuore: dalla diversa rappresentazione, per qualità e quantità, che assumono i diversi momenti dell’atto respiratorio, possiamo trarre una prima ma fondamentale valutazione dello scompenso esistente, riportando le problematiche di cui soffre la persona a un’alterata capacità di integrazione e di sostegno di una delle due componenti. Tanto più la relazione tra le parti sarà caratterizzata dalla resistenza a condivi­ dere armoniosamente le dimensioni comuni, tanto più in profondità avanzerà lo squilibrio, riversandosi negli ambiti emotivi, scuotendo dall’interno la persona e coinvolgendo inevitabilmente il corpo che, ultima spiaggia, verrà a essere ag­ gredito e corroso dalle agitate acque interiori: al termine di un processo spesso lungo e doloroso, questa dinamica può giungere fino all’annullamento della stessa volontà individuale, come accade quando si assiste all’avvento annichilente della paura, del panico e della depressione.

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In questo senso tutte le sindromi distoniche, le alterazioni dovute a una non fisiologica alternanza del tono del sistema parasimpatico e delPortosimpatico che sempre accompagnano lo stato di malattia, hanno una segnatura energetica che implicitamente esprime una scorretta relazione tra l’ambito delle funzioni ma­ schili, o sole filosofico, e la dimensione delle qualità femminili, o luna filosofica. Finora abbiamo trattato dell’alternanza e del conseguente ritmo che caratteriz­ za la dinamica di questo rapporto, ma almeno un altro aspetto è da prendersi in considerazione. Nel dinamismo vitale, infatti, queste due funzioni, oltre a essere dominanti in modo alternativo e complementari in ogni processo, testimoniano anche di essere l’una frutto dell’altra, di trasmutare continuamente e costantemente le qualità che le identificano in ragione del ruolo che si trovano a svolgere. Volendo esemplificare, si può procedere all’osservazione di un vero e proprio esperimento spagyrico, che consiste nel guardare con occhi diversi a un gesto che abbiamo compiuto mille volte: riempire un bicchiere d’acqua. Il recipiente vuoto è evidentemente di segnatura femminile, assume significato e svolge il ruolo per cui è stato creato nel momento in cui opera in senso contenitivo, mentre l’acqua che lo riempie compie decisamente un’attività maschile, di tipo attivo e invasivo, tesa a pervadere di sé lo spazio che può occupare. Ma se consideriamo con attenzione questo processo dobbiamo prendere atto che, appena l’acqua ha invaso il bicchiere, il bicchiere stesso ha iniziato a operare direttamente sul liquido attribuendogli una forma e quindi trasmutando la propria natura da femminile in maschile, mentre l’acqua, che precedentemente aveva ma­ nifestato un’attività dativa, ora accoglie l’attività altrui e ne viene modellata. Non solo alternanza e complementarietà, quindi, ma coesistenza funzionale, impossibilità della determinazione e della presenza esclusiva di una sola delle componenti, indissolubilità della diade creativa a fondamento di ogni processo vi­ tale: sole e luna filosofici sono parti dell’Uno, operano in ogni individuo e in ogni sua parte nutrendosi e rispecchiandosi l’uno nell’altra, così come analogicamente in cielo viene descritto il rapporto tra i due luminari. Alla luce di queste constatazioni perde completamente di significato l’inter­ rogativo circa l’originale preponderanza o precedenza dell’una rispetto all’altra, l’una è l’altra, sono movimenti diversi che descrivono lo stesso ciclo, ineluttabil­ mente in relazione per consentire che il corso più alto si compia, che l’individuo descriva la sua orbita. A conferma della pari dignità loro attribuita, basta considerare come ci appa­ iono i due corpi celesti che sono maggiormente in relazione analogica con queste funzioni, che cosa intendono indicarci, osservandoli dal punto di vista terrestre, cioè dal nostro punto di vista: pur essendo una stella dalle proporzioni enormi rispetto alla modesta estensione della Luna, il Sole ha la stessa grandezza appa­ rente: la visione di un’eclissi solare completa mostra infatti come il disco lunare

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riesca a sovrapporsi oscurando completamente il corpo dell’astro, lasciando visi­ bile solo il riverbero del suo fuoco, la sua ultima espressione volitiva. Ma al di là di aspetti particolari, in cui la rappresentazione di queste forze porta in sé il monito e la drammaticità dovuta all’inevitabile presenza di momenti criti­ ci, la relazione tra i due luminari avviene in modo graduale e completo, ciclo dopo ciclo, fase dopo fase, cedendo costantemente l’uno all’altra le qualità di cui sono portatori, quindi temperando vicendevolmente le loro qualità. Aumento e riduzione, espansione e concentrazione, contrazione e rilascio sono processi che vengono direttamente sostenuti dalle fasi lunari che definiscono, fin dalle origini, la modalità attraverso cui il fenomeno vitale può manifestarsi e man­ tenersi, la circolarità comunicativa che è insita nel rapporto amoroso, in cui ogni processo viene alimentato dalla presenza di desiderio e propiziato dal principio dell’attrazione. Si può quindi descrivere la natura e noi stessi, pur in senso generale, attraverso l’indagine di come le attività di queste due funzioni si articolano tra loro e quali caratteristiche assume la loro relazione: il punto di equilibrio che indica la massi­ ma sinergia e comunione operativa si ha, come già detto, quando entrambe sono in grado di esprimere pienamente le loro facoltà al fine di garantire l’efficacia di un processo, la realizzazione di un’opera, l’integrazione feconda nell’atto creativo che riproduce e sostiene il fenomeno vitale. Alla radice di ogni comportamento, di ogni modalità espressiva così come negli aspetti disfunzionali e in ogni sintomo di uno stato morboso, troveremo sempre la testimonianza fisica, emotiva e psichica della qualità che informa di sé quel fenomeno. Dalla lettura di quest’ultima si possono quindi trarre le prime indicazioni utili per valutare lo stato energetico della persona. Tutto ciò che viene espresso è in relazione alla funzione dominante, le qualità che sono trattenute e sottaciute, che non hanno energia sufficiente per farsi sentire e quindi operare, appartengono invece alla funzione debilitata. In particolare, quando la malattia si manifesta, gli aspetti dissonanti acquisi­ scono maggiore visibilità e le diverse capacità e modalità di azione di sole e luna filosofici vengono a essere rappresentate con più evidenza. A.fronte di scompensi dovuti alla carenza di luna filosofica si verificheranno quindi fenomeni di tipo espulsivo e di rifiuto, processi infiammatori che tende­ ranno a consumare e corrodere il corpo, ogni attività energetica verrà proiettata violentemente, come se si dovesse far fronte a un attacco o si fosse trascinati dalla foga di un’incontenibile desiderio; in questi casi si constata la tendenza a opporre una resistenza contrattiva alle dinamiche vitali: gli spasmi e gli aspetti congestizi, i dolori acuti, brucianti, pulsanti sono tutti caratteristici aspetti attraverso cui viene descritta dal corpo la dominanza maschile che lo sta mettendo a dura prova. In modo ancora più evidente il comportamento e la verbalizzazione del disagio

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percepito, il modo con cui la persona parla del proprio vissuto indicano la segna­ tura che questa sta vivendo: in tali casi il tono della voce tende a essere secco, lo stile espressivo diretto e perentorio, le parole descrivono come “oggettivamente” stanno le cose, le considerazioni si fanno sprezzanti e stizzite, spesso svelando un sottofondo di risentito cinismo; le ragioni della malattia vengono riferite tentando di allontanarsene emotivamente e dando spazio al processo di razionalizzazione, alla modalità attraverso cui è possibile “farsi una ragione” dell’accaduto, di trova­ re la dimostrazione logica al perché esista la condizione in cui ci si trova. Lo stato d’animo è agitato ma, se già non si è di fronte o prossimi all’esau­ rimento che segue inevitabilmente una troppo a lungo protratta fase dispersiva, viene tenuto sotto attento controllo: l’instabilità degli altalenanti ambiti emotivi rende la persona molto sensibile, tendenzialmente intollerante e reattiva; questa trattiene a stento la rabbia e l’indignazione, così come faticosamente riesce a con­ tenere il profondo sentimento di rifiuto che nutre per il suo essere, o meglio, per il suo percepirsi in stato di malattia. In preda a costante tensione non sa trovare pace, i pensieri affollano la mente, spesso compaiono fissazioni che confermano la sua scarsa elasticità, la soddi­ sfazione non segue alla fatica del desiderio, l’attività non viene compensata dal riposo e questa sofferenza interiore approfondisce sempre più il distacco tra le forze, estremizza le reciproche tendenze e ne determina quindi una progressiva incomunicabilità. Quando invece si è in presenza di una carenza di sole filosofico appaiono le con­ seguenze dovute a una mancanza di dinamismo e reattività, l’indeterminazione fa­ talistica e la commiserazione di sé oscurano le potenzialità creative della persona. Possono presentarsi stasi e ristagni sotto forma di edemi e ritenzioni, ogni fun­ zione risente di un rallentamento generalizzato che toglie forza e vitalismo, che contrasta ogni entusiasmo e induce al ripiegamento su di sé; l’inerzia sopravanza la disponibilità agli scambi e sia l’attenzione che la sensibilità sono rivolte verso l’interno, le sensazioni sono profonde, i dolori sordi e continui, ogni squilibrio tende ad assumere i caratteri tipici della cronicità. . La rassegnata disposizione a tollerare e a giustificare il proprio stato sovrasta la volontà, gli aspetti emotivi si insinuano nelle dinamiche mentali determinando un progressivo offuscamento delle capacità ideative e progettuali: si è come in balia delle proprie acque, sospesi dal contatto con la terra-realtà e in attesa di essere raccolti-salvati. La persona parla di sé come se la questione non la riguardasse o, comunque, non considera determinante il proprio impegno nel superamento della difficoltà, il rimpianto di ciò che era, o ritiene che fosse, tende a escludere la visione del suo divenire, la richiesta d’aiuto spesso esprime il desiderio di essere compatiti piut­ tosto che sostenuti in un attivo processo di guarigione.

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FONDAMENTI di SPACYR1A

Quelli che sono stati descritti vogliono essere solo esempi di come possa ma­ nifestarsi questa dissonanza, e certamente la complessità che ci contraddistingue sfugge a uno schematico e inevitabilmente riduttivo elenco degli ambiti specifici che sono propri all’una o all’altra forza. Occorre considerare la relazione tra sole e luna filosofici tenendo ben presente il ruolo che svolgono, le qualità filosofiche che sono state a loro attribuite e consi­ derare come nella persona sono rappresentate, quale spazio riescono a occupare, in che modo e a che costo sanno rapportarsi tra loro. Di questo si parlerà dettagliatamente più oltre, ma è bene considerare che que­ sta iniziale valutazione della persona, pur descrivendone lo stato in base ai criteri più generali, orienta già in modo discriminante ogni ulteriore indagine diagnostica e, conseguentemente, il successivo consiglio terapeutico. A questo riguardo è bene chiarire che, in senso filosofico, le ragioni di una qualsiasi affezione non sono mai dovute all’eccedenza di una componente, quanto invece alla carenza della virtù che le è complementare: l’individuo è uno, l’ambito vitale è limitato, ogni funzione ha comunque un campo di esistenza definito oltre il quale la stessa unità si frantuma. Le possibilità di operare un processo di guarigione sono quindi relative alla capacità di dare sostegno e nuovo vigore alla parte che “è piccola o debole”, affin­ ché, grazie alla ritrovata prestanza, sappia temperare adeguatamente le esaltazioni dell’altra e quindi sia ricondotta a normalità la disfunzione in cui è coinvolta. Se quindi si evidenzia la debilità di una componente, occorre ricercare le mo­ dalità particolari attraverso cui questa si manifesta e gli ambiti che maggiormen­ te ne patiscono, valutando attentamente come si esprime, sia a livello fìsico che nell’interiorità della persona, lo scompenso di cui soffre, osservando attentamente i luoghi e le forme che assume la sua rappresentazione. Conseguentemente la cura verrà operata attraverso rimedi, sia materiali che immateriali, che possano apportare quelle qualità di cui si è rintracciata carenza. Le stesse piante infatti, come tutti gli ambiti del corpo e le dimensioni della nostra interiorità, hanno una propria segnatura, una loro appartenenza energetica che, da questo punto di vista, indica in modo chiaro e sintetico la vicinanza a questa o a quella funzionalità, la capacità,di arrecare virtù maschili o femminili e secondo gradazioni e sfumature diverse. Ma il terapeuta, oltre all’individuazione dei rimedi opportuni e alle raccoman­ dazioni relative alla loro corretta assunzione, dovrà anche sapere comunicare alla persona quali siano gli ambiti interiori che sono sofferenti, le potenzialità ine­ spresse che richiedono una diversa disposizione, le qualità che non rispetta e a cui fa mancare sia il sostegno che l’alimento adeguato, in modo da indurre una presa di coscienza della parzialità che, in quel momento, ne caratterizza la condizione. Ciò che a questo livello qualifica davvero rincontro terapeutico risiede infatti nella motivazione che il terapeuta è in grado di condividere con il paziente, in

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DEL DUALISMO E DELL’IDENTITÀ: SOLE FILOSOFICO E LUNA FILOSOFICA

quel senso di ritrovata fiducia che coinvolge la persona e la sostiene nelFacquisire consapevolezza della propria natura, che la induce a intervenire attivamente e con nuova speranza sullo squilibrio di cui soffre, iniziando a rispettare e a dare nuovo ascolto alle parti di sé di cui si è dimenticata. Il dialogo con il paziente diviene così momento estremamente importante, in esso viene a delinearsi il percorso che porta all’uscita dal labirinto, dal conteni­ mento e dalla comprensione del proprio stato si creano le premesse per elevarsi oltre le barriere che impediscono la visione di un orizzonte più ampio, di un pro­ getto ancora da vivere, di una vita ancora in divenire. Non si sottovaluti quindi la profondità trasformativa che è attribuita al Verbo, la potenza che assume quando riesce a farsi consiglio e ammonisce sulla necessità di maggiore riflessione o di rinnovato coraggio: il sacerdote egizio di rango più elevato, infatti, veniva insignito del titolo di “macru”, il giusto di voce. Ciò che occorre ottenere è una migliore integrazione tra le parti, e non si può certo trascurare il ruolo fondamentale che nell’uomo svolge la capacità di orienta­ re il proprio desiderio e la propria volontà nelle complesse dinamiche del cambia­ mento, dell’adattamento e della guarigione. Già da questa fase iniziale della diagnostica spagyrica è quindi possibile trarre indicazioni importanti e conseguentemente applicare nel colloquio terapeutico i primi e più generali correttivi che si rendono necessari. È solo un primo passo, la cui correttezza è però fondamentale per ogni ulteriore e più precisa determinazione.

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3 Dei tre principi filosofici: sale, solfo, mercurio

Trattando di sole e luna filosofici abbiamo descritto la loro compresenza in tutti gli aspetti della natura e della nostra stessa costituzione, constatando come ogni attività sia direttamente conseguente alla disposizione delle loro forze. Tutto ciò, va ricordato, avviene in un individuo, in un’unità, in un progetto che ha in sé criteri e modi della propria esistenza: ogni processo sottostà a una legge che lo governa e che ne limita entro ambiti stabiliti la tolleranza e l’adattabilità a cui può essere sottoposto. Quando questi non vengono rispettati la vita stessa viene messa a repentaglio e l’insorgenza dei fenomeni morbosi ne è diretta conseguenza. Il rapporto tra le parti deve quindi obbedire a una finalità che temperi la tenden­ za egocentrica di ognuna di esse e si apra alla potenzialità creativa, alla realizza­ zione di una volontà condivisa, di una comunione. Questi concetti sono ben rappresentati nelle tavole della medicina umorale, che descrivono gli squilibri a cui può andare incontro questa relazione: all’intemo di un cerchio vengono raffigurate una figura maschile e una femminile che si rappor­ tano con diversi gradi di conflittualità e di incomunicabilità. Due sono gli agenti, ma entrambi contenuti da e in una dimensione che li supera e che esprime il senso del loro interagire. Questa terza presenza rappresenta quindi il progetto secondo cui le singole parti acquisiscono significato, ne specifica le attività e ne specializza i compiti in modo che ogni funzione venga portata a compimento nel rispetto dell’integrità e a soste­ gno del divenire individuale. Se avessimo considerato questa articolazione funzionale seguendo i dettami della matematica antica, che utilizzava i numeri sacri, avremmo subito evidenzia­ to che il due, ottenuto per bipartizione dell’unità, porta già in sé l’esistenza della trinità, in quanto tre sono gli elementi che ne risultano: l’Uno e i frutti della sua prima separazione. Se quindi i luminari sono fautori di ogni operatività e a essi sono dovuti tutti i processi vitali, esiste una terza entità che induce l’intelligenza necessaria ad articolarne le funzioni, in modo tale da garantire la sopravvivenza e propiziare il pieno sviluppo di ogni creatura.

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FONDAMENTI DI SPAGYRIA

Nelle teologie antiche la triade padre-madre-figlio rappresenta infatti l’espli­ cazione dell’originario dualismo, manifesta la finalità insita nella relazione tra le forze affermando che il significato e il destino di .quel rapporto consiste nella determinazione di una nuova unità, nel dare esistenza e prospettiva vitale. Questa intenzionalità ordinatrice opera sia internamente, garantendo il rinno­ varsi delle componenti che costituiscono l’individuo, sia esternamente, nel con­ sentirne l’attività volitiva. Secondo gli Egizi questa è la sorte a cui è sottoposto quotidianamente il Sole, Osiride, quando, giunto il tramonto, si congiunge con Iside e viene rigenerato dalle acque fecondate dal suo stesso seme: grazie all’accoglienza feconda di quel grembo e al suo sacrificio, rinascerà all’alba sotto forma di Horus, il nuovo sole, il figlio. Ficino, riecheggiando in epoca rinascimentale i contenuti della filosofia greca, ne tratta sotto forma di essenza, potenza e atto, vale a dire resistenza di una vo­ lontà, la capacità di operarla e infine di ottenerne il risultato. Lo spirito, l’anima e il corpo di ogni creatura nell’ambito della tradizione cri­ stiana vengono considerati inerenti ai concetti filosofici di fede, speranza e carità, di cui dissertarono così approfonditamente gli alchimisti medievali spesso operan­ ti proprio nelle abazie e nei conventi. Il senso del processo non sta quindi nelle distinte fasi che lo compongono, così come il tutto non è affatto la sommazione delle sue parti: occorre quindi ammette­ re l’esistenza di un disegno creativo che precede e prefigura le modalità attraverso cui ogni soggetto può esistere e ogni sua funzione interiore svolgersi in sinergia con le altre. Gli ambiti individuali sono quindi caratterizzati da specifiche operatività e compatibilità e ognuna di esse concorre a una finalità stabilita, limitata e parziale rispetto alla totalità di cui è partecipe. Successivamente alla prima bipartizione funzionale, i filosofi della natura de­ scrissero quindi un altro passaggio per esprimere come sia più complessa e artico­ lata la struttura energetica che regge l’esistenza. Se è grazie all’operatività dei due luminari che viene garantita ogni possibilità di scambio e relazione, l’articolazione e la manifestazione delle loro qualità si esprime infatti in tre diverse dimensioni, attraverso tre diverse finalità, in tre modi diversi. Ogni aspetto del creato venne quindi descritto dalla compresenza di un’entità tesa alla conservazione, di una forza che induce il cambiamento, di una volontà che ne indica il senso: questi principi vennero rispettivamente denominati sale, solfo e mercurio.

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DEI TRE PRINCIPI FILOSOFICI: SALE, SOLFO, MERCURIO

Sale filosofico © La rappresentazione simbolica di questo principio è costituita da una circonfe­ renza attraversata da una linea orizzontale che così la divide in due metà esatte. Il circolo, come già detto, è da sempre posto in relazione con resistenza in­ dividuale, definendo simultaneamente l’essere portatore di una centralità.e di un’estensione, di un fulcro attorno a cui orbita e dello spazio che occupa, descri­ vendo il ciclo vitale e inscrivendolo nella sua limitatezza. La linea che lo dimezza è parallela all’orizzonte terrestre e vuole sottolineare lo stretto rapporto analogico con questa dimensione. L’individuo è la circonferenza, in relazione alla terra che è la linea. Quest’ultima evidenzia come il concetto di sale filosofico sia da un lato atti­ nente all’esistenza concreta delle cose, dall’altro alla stabilità che ne consente la permanenza. Inoltre interseca due punti molto particolari del ciclo, che indicano condizioni di massimo equilibrio nel manifestarsi delle forze. In senso celeste congiunge i luoghi in cui il Sole sorge e tramonta, il punto est­ ascendente e ovest-discendente, il momento del nascere e il suo divenire, l’inizio dell’attività e il suo compiersi dopo aver superato la prova dell’abbandono, la notte, nella realizzazione dell’opera. Tutto si muove ma i cardini del sistema sono fissati, i limiti e i modi attraverso cui ogni cosa si tiene definiti. Qualsiasi funzione dovrà sottostare alla ciclicità che la contiene, così come l’in­ dividuo sarà sottoposto alla ciclicità che governa la sua esistenza terrena. Tempo e spazio sono infatti aspetti costitutivi di questa dimensione in cui si esprime la potenzialità coagulante grazie alla quale l’energia assume consistenza materiale, la possibilità che la volontà abbia una sua manifestazione concreta. È il “così sia” che segue il messaggio portato dal Verbo e raccolto dalle acque, • il figlio che viene generato dal loro intreccio, il destino creativo che si compie. Ogni atto volitivo è quindi produttore di questo principio, ravvisabile ovunque vi sia rappresentazione di un’attività che abbia lasciato una testimonianza, un se­ gno, una memoria di sé. La componente fìsica è così in stretta relazione con il concetto di sale filosofico, ogni corpo ne costituisce una rappresentazione tangibile grazie alla ponderazione e all’estensione che lo caratterizza. Come recita il vecchio detto alchemico, “ogni cosa in natura ha peso e misura”, a sottolineare come la sua presenza sia da considerarsi inerente a qualsiasi aspetto quantificabile della realtà, alla sua struttura e al suo grado di stabilità. Indipendentemente dagli ambiti che si intendono indagare, ogni volta che os­ serveremo la persistenza di una forma, sia essa emotiva, di pensiero anziché fìsica, allora si starà considerando il sale di quel fenomeno, la sua fissità, la sua inerzia conservativa.

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Paracelso sottolinea come la vita nasconda agli occhi la presenza delle forze che costituiscono l’individuo, in quanto grazie a essa le une sono così intimamen­ te legate alle altre da risultare indistinguibili. Per questa ragione consiglia di sottoporre la materia alla prova del fuoco e di osservare attentamente cosa accade quando questa, sottoposta a combustione, vie­ ne ridotta ai minimi termini. Se bruciamo un pezzo di legno ciò a cui assistiamo è un processo di separazione della materia in tre componenti diverse: un’aerea e sottile, il fumo, l’altra calda e bruciante, la brace e infine la parte più pesante, la cenere. In quest’ultima troviamo testimonianza di tutte le componenti fìsiche dell’indi­ viduo a cui apparteneva, le parti dotate di maggiore Stabilità, quelle più fìsse e resi­ stenti, una vera e propria memoria minerale e metallica della terra di cui era costitu­ ito: spogliato dalla sua apparenza il corpo manifesta la sua ultima natura, la materia prima necessaria alla sua realizzazione, ovvero il sale con cui è stato edificato. Tutto ciò che manca, l’intelligenza creativa e la capacità di trasformazione, non riguardano questo principio che invece svolge la sua funzione nel garantire la stabilità necessaria al mantenimento dell’integrità individuale. Così come nel mondo fisico il sale manifesta la sua presenza attraverso la pon­ derazione e l’estensione, in ambito emotivo dona la capacità di percepire le sen­ sazioni, mentre sul piano mentale induce le dinamiche istintive tese alla soddisfa­ zione dei bisogni. La sua volontà è tutta spesa a fornire gli strumenti che possono essere utili al sosten­ tamento e alla conservazione dell’esistenza, a mantenere e a preservare gli elementi di cui è costituita, a salvaguardare la sua permanenza nel tempo oltre che nello spazio. L’inerzia, quel particolare fenomeno attraverso cui la materia oppone resistenza al cambiamento del proprio stato, è quindi dovuta a questa qualità, che si adope­ ra per fissare i processi entro ambiti stabiliti, per cristallizzare il movimento in struttura organizzata, permettendo che le trasformazioni avvengano nel rispetto dell’integrità necessaria al mantenimento della vita. Le sue qualità sono così marcatamente contenitive da mostrare il tratto femmi­ nile della sua natura, il legame di discendenza da luna filosofica, data la comune volontà di garantire protezione e accudimento. Il sale non ha però la plasticità adattativa dell’acqua: ogni suo aspetto è deter­ minato, ogni modalità fissata, ogni compatibilità definita. Non si è più di fronte a una disponibilità aperta a qualsiasi possibile realizzazione, a una forza attrattiva che accoglie e opera senza un disegno preordinato: in quanto agente in uno speci­ fico individuo, questa originaria funzione deve ora sottostare alla limitatezza che è imposta a quella particolare forma di esistenza. Il nostro stesso corpo, la più pesante e materiale tra le nostre componenti, ne costituisce già di per sé un’evidente espressione ma, al suo interno, vi sono ambiti che sono particolarmente attinenti alle qualità di questo principio.

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1)1.1 tre ERINGI PI FU-OSOnei: SAI.K, solfo, mercurio

Osserviamo innanzitutto i tessuti ossei, in cui l’aspetto della rigidità e della stabilità è testimoniato in modo particolarmente evidente, e che costituiscono, nel loro insieme, la struttura portante dell’intero organismo. In questo apparato, così fortemente mineralizzato, le qualità contenitive si mostrano presenti a tal punto da esaltare le potenzialità coagulanti e costrittive, la capacità di attrarre, legare e infine fissare tra loro sostanze diverse in modo da dare massima consistenza e resistenza al risultato ottenuto. Osserviamo inoltre tutti i tessuti, indipendentemente dalla loro specificità, in quanto costituiti comunque da componenti chimico-fìsiche, così come le particel­ le e le sostanze veicolate dai fluidi utili al nutrimento del corpo e allo svolgersi dei suoi processi adattativi. Per quanto riguarda l’aspetto fisiologico, i processi di coagulazione, di con­ centrazione e di sedimentazione sono inerenti a questo principio che quindi trova espressione tanto nelle dinamiche di sintesi e di consolidamento, quanto in quel­ le relative alla depurazione. Tali attività possono svolgersi in modo adeguato e nei luoghi di pertinenza, in questo caso garantendo la salute dell’organismo, o in modo improprio, provocando l’insorgenza di problematiche patologiche a carico degli apparati che ne abbiano a soffrire. Se, ad esempio, la virtù magnetica che determina i processi di coagulazione si attiva appropriatamente nel tentativo di impedire la fuoriuscita di sangue a seguito di una ferita, non altrettanto avviene quando, applicandosi fuori dai propri ambiti, propizia la formazione di calcoli e trombi. Lo stesso si può dire riguardo alla capacità di metabolizzare e di integrare op­ portunamente i sali, anziché originare sclerosi e indurimenti tissutali dovuti al loro depositarsi in ambiti che non sono quelli dovuti. La stessa capacità di governare la presenza di queste sostanze è da imputarsi alla sua così specializzata capacità selettiva, in grado di vagliare i fluidi corporei e di liberarli dai sali in eccesso, attraverso i severi processi di filtrazione e di con­ centrazione che precedono la loro espulsione. Paracelso, infatti, parla diffusamente delle malattie tartariche proprio in riferi­ mento alle improprie sedimentazioni dovute a questi squilibri, che determinano incrostazioni e ispessimenti, che tolgono elasticità, pervietà e mobilità agli organi, ai visceri e ai dotti che ne sono coinvolti. Ma, oltre a ciò, queste caratteristiche proprietà sono da considerarsi in stretta relazione analogica con tutte le funzioni e i processi che, indipendentemente dagli ambiti in cui si svolgono, vengono portati a compimento affinché la struttura man­ tenga una sua consistenza e le sia garantita la necessaria stabilità: Ogni aspetto della realtà ha sempre in sé una componente di sale, semplicemen­ te in quanto esiste concretamente o comunque, se non dotato di consistenza fisica, mostra la capacità di occupare stabilmente un proprio spazio e di mantenersi nel tempo.

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FONDAMENTI DI SPAGYRIA

E quindi corretto spingere l’analogia oltre i confini del mondo fisico e indagare la presenza di questo principio in ambiti che solo in apparenza sembrano lontani dalla sua materialità, come uno stato d’animo o l’attività del pensiero. Anche a questo livello, infatti, esistono diversi gradi di pesantezza e persistenza, di stabili­ tà o di mutevolezza, oltre che di maggiore o minore attinenza con ciò che riguarda la realtà. La memoria rappresenta il luogo in cui la cenere di ogni esperienza viene a essere contenuta e, tra le capacità della mente, è quella che meglio testimonia la pervasiva operatività di sale filosofico, assegnandogli la titolarità di questa dimen­ sione, ultima dimora in cui conservare e custodire le spoglie di ciò che è stato. Più in generale, le doti della concretezza e della costanza evidenziano la sua presenza nella mentalità e nel comportamento, denotando in che misura e in che modo questa componente è rispettata e sostenuta. Inoltre le diverse modalità con cui si articolano i pensieri, la tendenza a fissare le idee in costrutti rigidi e definiti o, al contrario, l’incapacità a dare loro la neces­ saria consequenzialità, la presenza di certezze stabilite una volta per tutte e a cui viene fatto costante riferimento anziché l’indeterminazione fatalistica tipica del sognatore, sono tratti che indicano la quantità e la qualità del sale che contraddi­ stingue, in quel momento, questi aspetti della persona. Da questo punto di vista, anche le cosiddette “fissazioni mentali” sono da inten­ dersi come una delle sue possibili manifestazioni che, invadendo impropriamente la dimensione interiore maggiormente dotata di sottilità e volubilità, determinano la permanenza di un costante assillo, concentrano l’attenzione in una visuale ri­ stretta, costringono l’orizzonte ideale della persona. I pensieri ricchi di fantasticherie e la facile credulità, d’altra parte, mostrano invece una carenza di questa forza che quindi contrasterà la tendenza a sperimen­ tare operativamente la propria creatività, venendo meno il rigore e la concretezza necessari alla realizzazione di ciò che si vorrà perseguire. La sua vicinanza con gli ambiti fìsici e la particolare attenzione che rivolge alle necessità del corpo inclinano la volontà dell’individuo verso la soddisfazione di ciò che è percepito come nutrimento, materiale o immateriale, necessario alla propria sussistenza. L’ego è quindi la struttura psichica che meglio esprime la qualità conservativa di questo principio, così legato agli ambiti istintivi e terreni in cui gli stati interiori vengono percepiti con l’urgenza del bisogno e la determinazione indotta dalla necessità. In questa dimensione ogni attività viene ispirata dalla necessità di provvedere per sé e il proprio appagamento è anteposto a qualsiasi altra considerazione. Le dinamiche dell’esistenza e della sopravvivenza sono quindi alla base degli atti volitivi che il sale governa, utili per la loro funzione conservativa ma forte­ mente limitanti le potenzialità dell’individuo.

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DEI TRE PRINCIPI FILOSOFICI: SALE, SOLFO, MERCURIO

Così, in ambito emotivo, questo principio garantisce la possibilità stessa di ave­ re sensazioni, assicurando ogni processo di percezione della realtà, senza la quale non sarebbe possibile avere alcuna impressione né dal mondo esterno né in rela­ zione alla propria interiorità. Ciascun recettore di senso rappresenta quindi la componente fìsica in cui si ma­ terializza questa funzione e attraverso cui si alimenta la sua complessa e articolata attività di comunicazione e di scambio tra ciò che è proprio dell’individuo e ciò che, al contrario, è altro da lui. In fondo è l’archetipo del confine, quindi anche del suo superamento o della sua assenza. Non è di questa dimensione invece la successiva valutazione qualitativa dell’im­ pressione ricevuta, a meno che non riguardi risposte dovute a riflessi condizionati, che infatti rappresentano modalità reattive non dovute ad attività volontarie ma comportamenti tesi alla salvaguardia dell’integrità fìsica e quindi espressione di­ fensiva di questa stessa componente. In senso filosofico rappresenta l’oggetto su cui si costruisce quella particolare proiezione mentale, il polo magnetico che attrae l’attenzione di quella intelligen­ za, la testimonianza interiorizzata di ciò attorno a cui orbita il suo desiderio. È il “rispetto a che cosa” ci si applica, non la ragione dell’azione ma la dimen­ sione o l’ambito verso cui tende l’intenzione di quella volontà. Gli antichi Egizi sostenevano che ognuno di noi si nutre di ciò su cui “ha po­ sto il proprio cuore” e quindi, per valutare adeguatamente il sale filosofico nelle dinamiche interiori della persona, occorre comprendere quali sono gli aspetti su cui questa ha fondato e fonda la propria esperienza esistenziale, il nutrimento che ritiene proprio, la selettività e quindi il grado di tolleranza che la caratterizza, la severità e il rigore con cui si rapporta a sé e agli altri, in definitiva la natura dell’at­ taccamento che la sostiene e la motiva.

Solfo filosofico 4^ 11 simbolo che rappresenta questo principio è composto da un triangolo equila­ tero, con il vertice rivolto verso l’alto, retto da una croce. In questa antichissima figura, di migliaia di anni precedente alla sua definizione in senso cristiano, l’incrocio tra la linea orizzontale e quella verticale descrive l’integrazione e l’interazione tra le forze celesti e quelle terrene, l’intreccio ener­ getico alla base di ogni esistenza. A entrambe è attribuita pari dignità, e il loro intersecarsi indica il punto che ga­ rantisce il massimo equilibrio, il luogo in cui avviene la loro più intima relazione sinergica, stante che, così rappresentate, evidenziano il centro della circonferenza in cui sono inscrivibili, in quanto diametri della stessa e tra loro perpendicolari.

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Il riferimento è quindi alle dinamiche energetiche che si svolgono all'interno di ogni creatura, al processo di incarnazione che viene operato attraverso l’intreccio tra luna filosofica e sole filosofico, rispettivamente rappresentati dalla linea oriz­ zontale e da quella verticale. 11 triangolo, che sovrasta questa strutturale bipolarità, è orientato verso l’alto a significare la virtù trascendente e quindi trasmutativa che agisce in ogni processo di modificazione, di adattamento e di purificazione dell’individuo. Se il sale rappresenta le virtù della ponderazione e della stabilità, solfo mostra di essere apportatore del movimento e del dinamismo insito in ogni processo di trasformazione e di crescita. La diversità e la variabilità sono quindi frutto dell’operatività di questo prin­ cipio che rende specifico ciò che prima era generico, trasforma l’appartenenza a una specie in una sua particolare espressione, realizza il passaggio tra ciò che è comune e condiviso à ciò che è individuale ed esclusivo. A fronte della consistenza salina del cosa, viene definita la variabilità del come, il risultato che si ottiene applicando le qualità del fuoco nel modellare una forma individuale, nell’articolare il fenomeno vitale in senso personale, determinandone un aspetto e una forma particolare, rendendo ogni creatura unica e irripetibile. Non è l’intelligenza che regge il disegno creativo ma lo strumento attraverso cui questa può operare sulla e nella materia, la dimensione in cui le possibilità potenziali vengono consolidate in qualità personali.. Da questo punto di vista, pur nel rispetto del progetto di cui è interprete, solfo stermina la mutevolezza cui è necessariamente sottoposto l’individuo anche in iferimento alle possibilità evolutive che lo caratterizzano e quindi rappresenta lo strumento necessario per operare ogni processo di maturazione e di adattamento. Alla fissità del sale si applica la dinamica attività di solfo, la brace che radica il fuoco nel legno e libera verso l’alto le sue componenti più sottili, consentendo, attraverso la sua laboriosità, che la terra possa avere contatto con il cielo e se ne possa nutrire. Rappresenta la potenzialità trasmutativa che scaturisce dall’interazione tra le forze, che veicola il senso del progetto creativo nel corpo inducendo il movimento necessario alla comunione e al ricongiungimento con le dimensioni più elevate, più rarefatte e pure. Così come il sale trova rappresentazione di sé non solo nella concretezza delle cose ma in ogni aspetto della realtà, anche questo secondo principio si esprime attraverso apparenze diverse, relative al contesto che si intende indagare. Se lo consideriamo dal punto di vista fisico, manifesta la sua presenza in tutto ciò che differenzia un individuo dall’altro: il colore, l’odore, la consistenza, il sapore, l’espressività che è data a ogni creatura comunica la presenza del solfo di cui è portatrice. Questi aspetti non sono contraddistinti dalla pesantezza tipica del sale, ma sono

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dotati di maggiore sottilità e capacità di penetrazione, della mobilità necessaria a ogni processo espansivo che intende informare di sé l’ambito in cui si manifesta. La loro forma, infatti, è aerea o liquida, modalità della materia meno gravate daH’ancoramento alla stabilità terrena. Così come gli elementi gassosi ed eterei, tutti i fluidi si mantengono in quello stato in ragione della presenza di questo principio e quindi ne sono particolarmente ricchi. Essi sono testimonianza della duttilità che precede ogni strutturazione della ma­ teria, ed è infatti attraverso un loro ispessimento che vengono successivamente a de­ terminarsi i diversi comparti, organi, visceri, dotti e apparati di qualsiasi organismo. In queste componenti scorre la vita, la linfa nel mondo vegetale così come il sangue nel corpo degli animali e dell’uomo. In ambito celeste questo processo è ben testimoniato dal costante dinamismo che nutre la relazione tra microcosmo e macrocosmo, in cui solfo filosofico è in analogia con le qualità solari che sollecitano l’acqua, la sottilizzano e la sollevano dagli ambiti più prossimi al suolo fino alle altezze in cui si materializza nuova­ mente nelle lacrime del cielo, per poi ricadere in basso sotto forma di meteore, le gocce di pioggia che riportano sulla terra il fuoco celeste. Per queste ragioni gli antichi erano soliti erigere pire e compiere sacrifìci, per fare in modo che le fragranze di ciò che veniva combusto si liberassero e comunicassero ai mondi superiori la devozione e il desiderio di alimentarne e sostenerne il rapporto, di celebrare la continuità della loro presenza nella dimensione umana e terrena. Nel compiere questi riti venivano usate piante ricche di essenze odorose i cui fumi costituivano il vero nutrimento degli dei: non il corpo fisico di ciò che veniva sacrificato, ma le sostanze sottili che da questo si liberavano attraverso l’attività purificatrice svolta dal fuoco, pratica che ancora oggi continuiamo a compiere scordandoci però delle sue profonde ragioni. Gli oli essenziali sono infatti, per quanto riguarda i vegetali, la componente che più di altre risulta essere ricca di questo principio, di cui infatti testimoniano la natura sottile, ignea e personalizzante. Analogamente nell’uomo solfo si manifesta nell’operatività svolta dal san­ gue, ma ancor più dalle sostanze secrete che modulano ogni ambito fisiologico e che vengono da questo veicolate: gli ormoni, così denominati dal dr. Starling nel 1905. Il termine deriva dal greco hormé, che significa impulso, appetito, ed è radicale di svariate espressioni che hanno il senso di qualcosa che irrompe e porta movimento, slancio, forza. Nell’antichità, infatti, le ghiandole endocrine erano considerate i luoghi in cui venivano in esistenza “le secrezioni divine”, la testimonianza fisica dell’operati­ vità delle diverse qualità energetiche. Ad ognuna di esse è associata un’attività specifica che evidenzia le particolari caratteristiche della segnatura di appartenenza, la funzione di cui è portatrice, la forza planetaria, come vedremo più oltre, di cui è informata.

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Nel solfo va infatti riconosciuta la forza necessaria a porre in atto ogni processo di modulazione, di costruzione e di rinnovamento dell’organismo, così come la capa­ cità di operare attivamente le trasformazioni necessarie alla metabolizzazione delle sostanze utili al mantenimento e all’efficienza della componente salina del corpo. Apportando il dinamismo necessario allo svolgersi delle diverse funzioni, pre­ siede anche ai processi catabolici e in particolare alla distruzione e all’eliminazione delle presenze inopportune, delle sostanze venefiche, delle forme, materiali e immateriali, che parassitano l’individuo. La sua rappresentazione simbolica ci dà chiara indicazione di quale sia lo stru­ mento utile per espellere queste invalidanti presenze. Il termine puro, l’essere privo di impurità, deriva dal greco “piro” che indica il fuoco ed è proprio grazie al sua operatività che è possibile ogni processo di liberazione da ciò che avvelena, dalle presenze che limitano le potenzialità della persona, che ne ammorbano l’anima e ne intossicano il corpo. Ogni volta che le qualità saline tendono a imporre eccessiva rigidità e consistenza alle sue strutture o all’interno di esso si determinano improprie coagulazioni e accumuli, viene atti­ vata la funzionalità ignea di solfo che modificherà quelle condizioni disgregando­ le e quindi separandole in modo che, ridotte a una forma più elementare, vengano riutilizzate oppure eliminate dall’organismo. In quest’ultimo caso, così come grazie all’attività della brace dal legno si libera il fumo nell’aria e l’acqua ne viene separata, l’aggressione alle componenti tos­ siche sedimentate può manifestarsi sotto forma di infiammazioni essudative che tendono a espellere, anche per vie improprie, quelle venefiche presenze attraverso la loro risoluzione in forma liquida e/o gassosa. Le conseguenze indotte da un suo eccessivo e persistente stato di eccitazione provocano la consunzione del corpo, sottoposto a processi corrosivi che ne intac­ cano la struttura, inducendo nei tessuti processi di acidificazione tali da impedire certo l’attecchimento di qualsiasi forma parassitarla ma, purtroppo, anche il man­ tenimento dell’organismo in vita. Queste dinamiche, a diversi livelli di gravità, sono ravvisabili in molte affezioni causate da abusi alimentari o dovute al consumo di sostanze che non si è in grado di tollerare, da dispendi energetici non compensati da adeguato riposo, dalla per­ manenza di stati irritativi che impediscono le relazione e gli scambi in virtù della loro natura oppositiva e difensiva, da condizioni di stress che costringono il fuoco interiore così tanto da renderlo esplosivo e devastante. Da questo punto di vista risultano altrettanto dannose le sovraesposizioni a esperienze o contesti in cui l’eccesso di stimoli provoca il dinamismo sconsiderato degli stati di esaltazione, spesso fraintesi con l’espressione del meglio di sé nelle persone più inclini alle chimere di questo principio. La qualità sulfurea può quindi manifestarsi attraverso un equilibrato processo di maturazione e di risoluzione dei problemi, in modo da garantire una risposta rispet-

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DEI TRE PRINCIPI FILOSOFICI: SALE, SOLFO, MERCURIO

tosa e adeguata alla finalità da perseguire, oppure determinando eccessi curativi che possono giungere a ledere l’integrità del corpo o a limitarne la funzionalità. Così come avviene a livello fisico, in cui il dinamismo insito nel solfo si mani­ festa con la comparsa del calore e con i frutti dovuti alla sua deliquescente attività, altrettanto accade per quanto attiene agli ambiti interiori della persona. La determinazione che caratterizza la sua azione, così votata al fare e convinta di compiere ciò che deve essere fatto, si esprime in ambito emotivo nell’intensità della carica energetica che viene rilasciata per il raggiungimento di ciò che si vuole ottenere, nella passione e nel trasporto che si nutre per la soddisfazione che si intende conseguire. Se del sale è la dinamica del bisogno, la dimensione di solfo è invece quella del desiderio, nel perseguire il quale l’individuo si distingue, si trasforma e si evolve in persona. Non è di questo ambito la necessità di rendere proprio ciò che prima era estra­ neo, così come per il cibo, ma di nutrirsi di ciò che tramite l’oggetto del desiderio è possibile perseguire. Se Lego del sale persegue il suo fine senza alcuna tendenza a condividere, una diversa struttura psichica rappresenta la specifica funzionalità di solfo filosofico che invece, in quanto agente personalizzante, esalta le diversità e porta in mag­ giore evidenza la ricchezza insita nelle dinamiche relazionali, le possibili comple­ mentarietà creative, le potenziali affinità. In questa dimensione volitiva ogni sollecitazione è sempre vagliata in ragione della sua appetibilità, della soddisfazione che il rapporto con l’altro può procurare, della conferma gratificante che l’individuo può trarne. La considerazione di sé è quindi conseguente al successo ottenuto nel coinvol­ gimento dell’altro, nell’essere stato compreso, nel vedere riconosciute le proprie virtù, il proprio valore, le proprie capacità. Il grado di calore che descrive un sentimento è sempre indicativo dello stato del solfo della persona che lo prova e, così come per l’ambito fisico, le sue poten­ zialità possono esprimersi sia in un’ottica costruttiva che corruttiva, inducendo nello stato dell’animo tanto l’abbandono al desiderio amoroso quanto lo sdegno rabbioso degli scatti d’ira. La possessività e la gelosia sono dimensioni che si alimentano di questa in­ tenzionalità autoreferenziale, il timore di perdere o di non avere “tutta per sé” la persona amata esprime infatti la necessità di cristallizzare il rapporto, di difendersi dal cambiamento dilatando la sua dimensione salina e facendogli mancare il dina­ mismo sulfureo, esaltando la stabilità a discapito delle sue potenzialità evolutive. Polarità attrattiva e quindi costitutiva di queste dimensioni dell’affettività è in­ fatti la necessità di salvaguardare e di sostenere la propria autostima, di tutelarsi da eventuali contraccolpi dovuti al disconoscimento della grandezza di cui ci si ritiene portatori e della quale si cerca disperatamente conferma.

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Al limite di questa parziale concezione degli ambiti relazionali è la rappresen­ tazione mitologica di Narciso, talmente preso dalla propria contemplazione da essere risucchiato al di sotto delle acque in cui si rifletteva, perduto nel limbo della celebrazione di sé. E l’amore che si nutre per l’altro ma in funzione dell’amore che si prova per sé, il riconoscimento del diverso in ragione della sua possibile complementarietà: il rapporto diviene funzionale alla soddisfazione che se ne può trarre e quindi tende a riprodurre desiderio anziché a portare pace. Questa dimensione va quindi ben oltre le strutture egoiche caratteristiche di sale, basilari per la sopravvivenza e proprio per questo così scontate e impersonali. 11 concepirsi come dotati di un’identità e delle capacità che sono necessarie alla sua realizzazione, svincola dalla costrizione legata al bisogno e apre le prospettive al manifestarsi della creatività e dell’originalità individuali. Questa struttura psichica, l’io, rappresenta un passaggio fondamentale nella crescita di ognuno di noi e non si può certo dire che non procuri eventi trasfor­ mativi di grande portata: stiamo infatti parlando di ciò che accade in particolare durante il periodo dell’adolescenza, momento a partire dal quale a tutti è data la facoltà di concepire e quindi di dare nuova vita, di essere potenziali autori della propria esistenza, di poter affermare la propria identità. In ciò sta il concetto di pathos, così spesso celebrato tanto dai poeti che dai sa­ cerdoti, legato alla croce su cui si fonda il simbolo di questo principio, alla quale ognuno è sottoposto in quanto protagonista di quel sacrifìcio, portatore del legno a li è crocifisso ma possibile interprete del fuoco che da questo scaturisce. Ove vi siano problematiche a questo livello, solfo ne avrà a patire e non sarà le condizioni di svolgere adeguatamente la sua funzione, sia a livello fisico che le dimensioni interiori della persona. La speranza è infatti la virtù che meglio esprime l’intensità e la determinazione che caratterizza il senso filosofico di questo principio, da intendersi come interiore certezza del raggiungimento del fine perseguito, in forza di una dedizione e di un impegno tale da rendere impossibile il fallimento dell’impresa. E il senso del mito di Pandora e del vaso che riversò nel mondo ogni malanno, metafora del nostro'stato esistenziale, al cui interno rimase solo Elpis, la speranza, la facoltà di finalizzare il fuoco in senso creativo, di porre in essere la volontà. Quando questo principio abbandona il corpo la stessa vita viene meno, o me­ glio, quella particolare rappresentazione perde la forza necessaria alla sua esi­ stenza, privata delle potenzialità creative ed espressive che ne caratterizzavano la dinamicità, non più in grado di rinnovarsi e di nutrirsi nel rapporto con ciò che l’ha determinata, con l’intelligenza che l’ha concepita.

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DK1 TRE PRINCIPI FII-OSOF1CI: SALE, SOLFO, MERCURIO

Mercurio filosofico ? La simbologia di questo principio è dotata di una maggiore complessità rispetto a quanto abbiamo potuto constatare per sale e solfo filosofico. Alla presenza della croce, anche in questo caso alla base della figura, si associa la sovrastante circonferenza dalla cui sommità spuntano due coma divaricanti, quasi a suggerire che dalla struttura si libera ciò che vi è contenuto. Dell’intreccio energetico che sostiene resistenza si intende porre in risalto la sua espressione più elevata, la più eterea e leggera, dotata di massima capacità penetrativa e non delimitata da alcun confine, priva di ogni consistenza in quanto essa stessa progetto e intelligenza creativa della materia, che informa di sé e dà un senso a ogni aspetto del creato. La modalità con cui opera nella realtà terrena è ben descritta dalla parte centrale e inferiore del simbolo che, così considerato, corrisponde alla rappresentazione di Venere, dea dell’armonia e della grazia come anche dell’amore, virtù ampiamente impiegate da mercurio filosofico per garantire pienezza ed equilibrio alla sua azione. Le coma che si spingono oltre il limite individuale e si aprono a coinvolgere il mondo sono infatti quelle del segno di Ariete, per il resto occultato dalla cir­ conferenza, che ciclicamente celebra l’avvento della primavera, stagione in cui si rinnova il disegno creativo in virtù del Verbo nuovamente pronunciato. Proprio in questo periodo dell’anno, infatti, si assiste alla massiccia presenza di questo principio che, precedentemente innalzato dalla laboriosa attività del solfo, ricade copiosamente a irrorare la terra del fuoco celeste. E quindi mercurio filosofico che garantisce la fertilità e determina la finalità creativa insita in ogni creatura, che è veicolo delle qualità più sottili ed essenza del seme che le radica nella materia, testimone e interprete della relazione con l’unità da cui ogni cosa è stata generata e che, in senso individuale, Io contiene. Come recita Ficino: “E tale da cogliere le cose superiori senza trascurare le inferiori [...] per istinto naturale, sale in alto e scende ih basso. E quando sale, non lascia ciò che sta in basso e quando scende, non abbandona le cose sublimi; infatti, se abbandonasse un estremo, scivolerebbe verso l’altro e non sarebbe più la copula del mondo”. Insinuandosi tra l’inerzia del sale e il dinamismo del solfo, mercurio filosofico riesce a rapportarsi a entrambi e quindi a garantire lo scambio e la comunicazione armonica tra dimensioni che, di per sé, sono mosse da intenzionalità contrastanti e tendenzialmente inconciliabili. La sua natura è quindi caratterizzata dalla commistione di qualità tra loro di­ verse, le une più inclini al magnetismo femminile del sale e quindi attrattive per l’attività del maschile, le altre con caratteristiche tipiche di sole e solfo filosofico e quindi desiderose di congiungersi con le componenti lunari a esse complementari. Si dice infatti che questo principio sia bicorporeo e androgino, in quanto porta-

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tore di entrambi i generi, memoria dell’Uno originario, sessualmente indistinto, e ragione profonda dell’unicità della persona. 11 suo stato è quindi determinante per garantire un rapporto equilibrato e una feconda relazione tra le parti, in quanto qualsiasi distorsione e parzialità nel re­ cepire, elaborare e comunicare i messaggi che l’una invia all’altra provocherebbe inevitabilmente l’insorgere di processi caotici e disadattativi tali da indebolire e mettere a repentaglio l’intera struttura. La relazione tra sale e solfo può infatti sortire effetti assai diversi e svolgersi secondo differenti modalità, in ragione non solo della maggiore presenza dell’uno o dell’altro, ma proprio a causa dell’attività mediatrice svolta da mercurio filoso­ fico, dalla sua funzione ordinatrice che dispone e finalizza ogni processo vitale, dalla volontà che esprime e determina ogni conseguente azione. In senso filosofico è quindi da intendersi quale intelligenza che prefigura la materia, che precede e determina la stabilità strutturata del sale e ne guida i muta­ menti attraverso l’operatività del solfo. Ogni creatura ne è animata ma, in quanto espressione parziale e individualiz­ zata della sua potenzialità creativa, potrà diventarne interprete consapevole solo in ragione dell’ascolto e della comprensione che ne riuscirà a maturare, della vo­ lontaria permeabilità alla sua azione, della capacità di sostenerne la presenza e raccoglierne l’insegnamento. In esso, infatti, risiede il messaggio di cui ognuno è portatore e il praticarlo richiede il rigore e l’impegno necessari a operare secondo le sue modalità, agendo cioè secondo volontà. Precedentemente abbiamo attribuito a solfo la dinamica del desiderio, dimen­ sione costitutiva dell’identità personale ma anche della sua intrinseca limitatezza, la cui natura autoreferenziale nutre l’io della persona e quindi oppone resistenza al concepirsi come parte integrante di un disegno più ampio. Mercurio supera questa dimensione non rinnegandone la necessità, ma indican­ do il percorso attraverso cui l’identità individuale assume davvero senso e valore, quando si esprime nel movimento espansivo della condivisione, le coma di Ariete, che riproduce tra sé e l’altro la circolazione volitiva che intercorre tra cielo e terra. E infatti portatore di vita e si individualizza in tutto ciò con cui entra in contatto, non oppone resistenze alla sua diffusione e anzi sostiene ogni attività che possa concorrere a determinare armonia e relazione amorosa tra le creature, così come indicato dal glifo di Venere. La volontà operata in tal senso nutre il rapporto con questa dimensione e rende la persona consapevole della sua natura più profonda, dell’esistenza di un luogo interiore in cui si concepisce e si riconosce come sé. La condivisione e la reciprocità divengono quindi fondamento di questa diversa struttura psichica, in cui viene provata soddisfazione non nell’appagamento del proprio desiderio ma nella gioia della comunione.

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Amore, a questo livello, significa nutrirne per sé quanto se ne prova per l’altro, senso del motto cristico “ama il prossimo tuo come te stesso”. Stante la maturità che questo atteggiamento richiede, non desta stupore con­ statare quanto siano diffuse le difficoltà ad accogliere e a praticare le virtù di mercurio filosofico, così universali da richiedere il superamento dei limiti che costringono la persona, l’uscita dal labirinto interiore in cui si è smarrita. Il “conosci te stesso” che gli antichi greci ostentavano all’entrata del tempio di Apollo a Delfi si riferisce proprio all’attenzione che occorre prestare a questi ambiti poiché in essi, oltre alle potenzialità di cui si è portatori, risiede anche la salvaguardia del proprio stato di salute e benessere, sia esso fisico o interiore. In senso analogico, quando un individuo esprime una volontà, il processo a cui questa è applicata viene a essere investito dalla sua attività trasformatrice nella quantità e secondo le modalità consentite dalle condizioni in cui versa mercurio filosofico, dalle dinamiche emotive e mentali di cui è portatore. Indagare questo principio significa quindi muoversi nella conoscenza dell’ani­ ma di ciò che si considera, in virtù della sua capacità di rapportarsi allo spirito, il mercurio del macrocosmo che attraverso essa si riverbera in ogni esistenza indi­ vidualizzata. Paracelso, al riguardo, ricorda che il primo compito al quale il terapeuta deve applicarsi consiste proprio nella conoscenza della propria anima, passaggio senza il quale non sarebbe possibile comprendere né l’anima del mondo, né quella altrui. Si potrebbe sostenere che è la prova a cui è sottoposto Sisifo, in quanto gravato da un compito che continuamente si rinnova, ma va intesa nel senso della costante attenzione al suo stato, a seguirne i percorsi senza attaccamento e pregiudizio, prendendo atto di ciò che vi si vede rappresentato senza ritenere che questa di­ mensione sia davvero rappresentazione della propria ricchezza interiore ma solo testimonianza della propria parziale capacità di comprenderla, di ciò che la sensi­ bilità e la mentalità personale è in grado di contenere e quindi di tollerare. Per acquisire questo grado di coscienza è necessario riconoscersi nella dimen­ sione del sé. Non nella testimonianza teatralizzata del corpo, non nella sentimen­ talità di ciò che si sente e nemmeno nel mondo immateriale dei propri pensieri, ma nella capacità di contenere tutte queste dimensioni in una sintesi, di operare consapevolmente il governo delle forze che le animano rispettandone il senso e la finalità creativa. La capacità di riflettere diviene così importante strumento attraverso cui agire interiormente in funzione del superamento dei propri limiti, il saperli riconoscere e nobilitarli in una dimensione che dia loro altro significato, che li integri in una prospettiva diversa, che li riconosca come aspetti parziali di una rappresentazione più ampia, come parti di sé di cui si è fraintesa la natura per insensibilità e parzia­ lità di giudizio, potenzialità non comprese e quindi umiliate dalla ristrettezza delle proprie vedute.

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Da questa dinamica scaturisce la stessa possibilità di maturazione e di crescita dell’individuo, così come è evidente nella raffigurazione pittorica delle erte che occorre calcare per giungere a una dimensione più elevata, le fatiche del percorso che conduce dove, privata dalla greve umidità della terra, l’aria è pura e lo sguardo può spingersi a scrutare più oltre, a comprendere un più ampio orizzonte. Lo stato in cui versa mercurio filosofico risulta quindi essere determinante per garantire un rapporto armonioso tra cielo e terra, in modo che il sottile si con­ giunga allo spesso e quest’ultimo ne sia fedele rappresentazione, poiché da que­ sta dinamica dipende l’effettiva realizzazione del disegno di cui ogni individuo è portatore. Se è grazie al medio che è possibile l’intero, quest’ultimo che lo contiene ne esprime così la sua rappresentazione più alta, ne riproduce in ambiti sempre più complessi la funzione espansiva e armonizzante, la potenzialità creativa che lo pone in diretta relazione con l’Uno da cui è stato originato. In ciò sta la ragione per cui il tutto è più della somma delle componenti che lo costituiscono; all’ineffabile operatività di mercurio si devono il senso e le poten­ zialità che acquisisce quell’insieme di parti senza le quali non avrebbero alcuna ragione di essere. La sua centralità lo pone in stretta relazione analogica con il cuore di ogni cosa, tanto più con il concetto di cuore in ambito umano. E la sede degli dei, il nostro Olimpo interiore, la rappresentazione dello spirito nel corpo, la sua testimonianza incarnata in una forma individuale e che quindi solo parzialmente, in modo limitato, può manifestarlo. A questo livello ciò che rende davvero giustizia, così come indica l’antico rito tizio della pesatura dell’//), è lo stato del cuore, la sua leggerezza o la persistenza esso di componenti che lo appesantiscono e ne rendono faticosa la marcia. Un’eccessiva promiscuità di mercurio con gli ambiti propri del sale inclina de­ nsamente verso quest’ultima possibilità, l’eccessiva accondiscendenza alla sod­ disfazione di bisogni materiali operata senza opporre alcun vaglio e alcun criterio di selettività rende greve l’alimento di cui ci si nutre, solo la volontà istintiva ne viene soddisfatta e questa è solo una delle dimensioni della persona, la meno do­ tata di coscienza e infatti tipica dell’età infantile. Non meno pericolosa è l’inclinazione a nutrirsi degli stati di esaltazione tipici della natura di solfo, così irrispettosi della tolleranza e delle necessità del corpo da disperderne le forze e provocarne la consunzione, che pongono in risalto ciò che distingue piuttosto di quel che è condiviso, a cercare certezza di sé nella pro­ pria esclusività, esponendosi alla secchezza inaridente del fuoco identitario tipico dell’età adolescenziale. Gli ambiti volitivi, come già detto, sono infatti in stretta relazione con questo principio ed è quindi dei processi che concorrono a formarli che occorre occuparsi con attenzione.

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Spesso gli squilibri che caratterizzano tanto il corpo che il nostro stato inte­ riore sono infatti dovuti all’incapacità di integrare ed elaborare in senso vitale le diverse sollecitazioni a cui si è sottoposti, processo nel quale il riverbero emotivo procurato da quelle esperienze e l’elaborazione cognitiva che a loro attribuisce un senso, risultano essere determinanti nella maturazione tanto dei sentimenti che si provano che delle valutazioni che si traggono. Precedendo di millenni le considerazioni recentemente espresse dalla PNEI (psiconeuroendocrinoimmunologia), la medicina spagyrica intende da sempre le affezioni quali somatizzazioni delle difficoltà e degli impedimenti che distorcono l’attività di mercurio filosofico, testimonianza fisica dell’incapacità a integrare in modo armonioso le diverse parti di sé, i segni evidenti di un’insensibilità co­ municativa che impedisce di comprendere e di intendere il senso della volontà da mettere in atto, e che induce a fraintendere il compito che occorre espletare, generando processi reattivi anziché risposte adattative. Le problematiche disfunzionali che colpiscono il corpo trovano proprio in que­ sta dimensione il terreno in cui radicarsi, l’origine della loro esistenza e le ragioni della loro permanenza. In questi casi, infatti, non si riscontra ancora traccia fisica della malattia, il sale dell’individuo non è ancora stato intaccato, mentre è invece l’attività di quell’ap­ parato, la volontà che esprime, a essere distorta. Quel che viene a mancare è il governo di un processo, non gli strumenti neces­ sari per condurlo a compimento. Il grado di sensibilità e la capacità di contenere, di vivere i propri stati interiori senza esserne travolti diviene quindi questione di estrema importanza e coinvolge ■ direttamente la funzionalità mercuriale di raccordo e di modulazione tra sale e solfo, disturbando la quale si verificano forme di aggressione e di corruzione, lesive del corpo non meno che della serenità e delle potenzialità della persona. La mentalità di cui si è portatori risulta allora determinante nel temperare le sensazioni percepite e nell’attribuire loro una ragione che non ne rappresenti sem­ plicemente il rispecchiamento, ma sappia purificarle dalla loro natura più prossi­ ma al corpo e ne elevi le componenti più sottili dapprima in forma di sentimenti, per poi esprimersi sotto forma di pensiero, di coscienza e di comportamento, quin­ di di volontà. Senza operare questa facoltà, qualsiasi offesa patita dalla sensibilità della per­ sona può invadere senza alcuna elaborazione la sua dimensione mentale, saturan­ done ogni ambito e riducendola a quel che prova, che sente, anziché maturare quel che ritiene e ancor più quello che è. D’altra parte se invece è la vivacità emotiva a essere inibita, e a ogni moto interiore viene opposta resistenza e rigido controllo, se il governo delle capacità mentali anziché applicarsi alla loro comprensione ne risulta insensibile e distacca­ to, allora sarà il rapporto con il corpo a essere rifiutato e con esso il contatto con

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FONDAMENTI DI Sl’AGYRIA

la realtà. La persona si troverà allora “con la testa tra le nuvole”, dissociata dal contesto in cui è inserita e posseduta dai suoi pensieri, smarrita nelle nebbie del rispecchiamento autoreferenziale, privata della solarità espansiva e comunicativa che sostiene i processi vitali. In entrambi i casi lo squilibrio coinvolgerà l’individuo in tutte le sue compo­ nenti, la sua risonanza evocherà nel corpo le presenza degli stati morbosi che sono in accordo a quell’atteggiamento disadattativo, incidendo in ambito sia fìsico che emotivo e mentale. La cura, oltre al consiglio dei rimedi più opportuni, in questi casi dovrà neces­ sariamente basarsi sulla relazione e sul dialogo che il terapeuta saprà costruire con il paziente, sulla capacità di indurre nuova consapevolezza e motivazione ad acquisire maggior rispetto di sé. La terapia dell’anima è una disciplina gentile, che non esclude la rigidità della bacchetta di betulla anticamente usata dal maestro per richiamare l’allievo distrat­ to, ma che opera analogamente alle arti di Venere, con l’intento di indurre una diversa attenzione, una nuova disponibilità che spinga a volgere lo sguardo oltre la dimensione limitata del proprio percepire, sentire o pensare, per disporsi final­ mente a comprendere e, quindi, a comprendersi. In questo senso, paradossalmente solo in senso logico, la guarigione avviene quando si toma in sé, in quanto ci si è finalménte riconosciuti come sé.

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4 I quattro elementi ;

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Nei capitoli precedenti abbiamo constatato come il disegno creativo abbia pre­ so le mosse da una prima polarizzazione delle forze, corrispondente alla definizio­ ne di sole e luna filosofici, per poi esprimersi nella triplicità attraverso le diverse dimensioni dei principi filosofici chiamati sale, solfo e mercurio. Il termine “filosofico”, che contraddistingue tutte le componenti sinora descrit­ te, intende sottolineare che il processo da cui scaturirà ogni forma di esistenza è ancora inerente alle sue linee più generali, alla definizione delle condizioni ne­ cessarie affinché la manifestazione vera e propria possa realizzarsi, alla fase in cui vengono determinati i passaggi e le presenze indispensabili a ogni successiva materializzazione in senso individuale. Finora abbiamo quindi trattato di argomenti che riguardano i presupposti in base ai quali è possibile resistenza di ogni creatura, non a caso chiamati “principi” in quanto relativi agli aspetti costituzionali da cui prenderà atto ogni ulteriore sviluppo. La loro natura è quindi immateriale, il loro senso legato ai presupposti costitu­ tivi e costruttivi di ogni possibile forma di esistenza. Infatti, pur avendone evidenziato le relazioni analogiche con aspetti della real­ tà, la loro funzione è stata descritta in ragione delle loro particolari qualità piutto­ sto che di una particolare condizione o stato. Per giungere alla definizione delle modalità attraverso cui da queste dimensioni si giunge alla rappresentazione materiale dei corpi è necessario operare un ulte­ riore passaggio: occorre cioè considerare come la trinità si manifesti nella quadru­ plicità dei quattro elementi, non più filosofici ma attinenti all’esistenza effettiva di ogni individuo. Dal punto di vista simbolico, questi ultimi sono tutti rappresentati da un trian­ golo equilatero, cioè dallo spazio che è contenuto dalla relazione e dal contatto tra tre lati di pari grandezza, a conferma della continuità con i tre principi di cui rappresentano la manifestazione; d’altra parte portano con loro la memoria della duplicità che viene espressa, come vedremo, attraverso il diverso orientamento che può assumere la loro raffigurazione. Inoltre, considerando il quattro come numero sacro, la sommatoria delle unità che lo precedono con il suo stesso valore (1+2+3+4) è pari a dieci, che nell’an-

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FONDAMENTI DI SFAGYR1A

tichità non veniva indicato come oggi ma inteso come decina, vale a dire come nuova unità a un grado di complessità più elevato. Dall’Uno originario si è quindi giunti a definire nelle dinamiche della quadru­ plicità gli aspetti determinanti resistenza terrena, si sono cioè finalmente stabilite le modalità attraverso cui ogni esistenza può assumere consistenza reale e acqui­ sire specificità individuale. Il progetto è ora compiutamente determinato, tutti i suoi aspetti costitutivi sono stati delineati e definiti: oltre tale dimensione, in forza dell’esistenza di questa, scaturiranno le forze che direttamente modelleranno la materia e determineranno il suo stato. Così come si è posto in relazione analogica i concetti di sole e luna filosofici con il maschile e il femminile, e ai tre principi l’ambito fisico, animico e spirituale di ognuno, ora si ha quindi la possibilità di indagare qualsiasi aspetto della realtà attraverso la sua descrizione in termini “dementali”, vale a dire considerando la condizione della terra, dell’acqua, dell’aria e del fuoco dell’individuo che, in quanto aspetti costitutivi dello stesso, rivestono particolare importanza sia nel de­ terminarne lo stato fisico che nell’animare le sue più sottili dimensioni interiori.

Terra V Il simbolo dell’elemento terra è costituito da un triangolo con il vertice rivolto verso il basso e da una linea orizzontale che ne interseca i lati. Se, come già detto, questa figura geometrica composta da tre lati ricorda la -dazione con i precedenti principi, il suo orientamento indica invece la direzione 'erso cui si muove, la dimensione che le è propria, qualificandola quale compo­ nente più prossima agli ambiti inferiori, ai quali viene ulteriormente riferita dalla presenza del segno di staticità. 11 concetto che intende esprimere riguarda tutto ciò che è stabilmente fissato verso il basso o, per meglio dire, che in rapporto alle altre componenti risulta avere mag­ giore attinenza con gli aspetti più definiti e persistenti della costituzione individuale. . La terra è quindi ravvisabile in ogni aspetto della realtà che abbia le medesime caratteristiche, che nutra con esse la stessa relazione analogica. Si rende quindi necessario indicare più precisamente in base a quali criteri si possono definire le qualità tipiche di questo elemento. Se cercassimo nel mondo naturale qualcosa che lo rappresenti, inevitabilmente saremmo costretti ad accogliere esemplificazioni che solo in parte rispondereb­ bero alla nostra domanda: potremmo porlo in relazione con la terra, intesa come suolo che calpestiamo, e considerare questa come parte inferiore rispetto al cielo, ma così facendo non avremmo ancora stabilito quale funzione svolga, ma solo indicato il suo verso.

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I QUA'ITRO ELEMENTI

Oppure potremmo constatarne la presenza in tutte le forme materiali contrad­ distinte da elevata resistenza agli sforzi e dotate di maggiore stabilità, ma anche in questo caso gli strumenti si rivelano insufficienti a intendere, riuscendo solo parzialmente a evidenziare le modalità comportamentali di questo elemento. Stante che si tratta di indagare la realtà e noi stessi in modo da individuare quali sono le articolazioni funzionali che rendono possibile il fenomeno vitale, i filosofi della natura, con sconcertante semplicità, ci invitano a riflettere su ciò che caratte­ rizza ed è comune a ogni tipo di esistenza, sia materiale o immateriale. Ogni esistenza può allora essere definita, nei suoi aspetti più generali, in quanto • dotata di un corpo e di una forma o, diversamente, in base alla loro assenza. Considerando le cose da questo punto di vista, l’elemento terra, così rivolto alla consistenza delle cose, appare caratterizzato tanto da un corpo che da una forma stabilita e, quindi, tutto ciò che si manifesta attraverso tali modalità appartiene a questa dimensione dementale. Dal punto di vista costituzionale è evidente la relazione con la nostra componente fisica e con tutte le parti di noi stessi che risultano, pur nel loro costante divenire, maggiormente definite e in grado di resistere allo scorrere del tempo. Le qualità di questo elemento sono quindi di tipo conservativo e la sua natura esprime resistenza a ogni cambiamento che possa determinarne la consunzione o la sua disgregazione. La terra viene infatti definita comefredda proprio perché è questa la condizione che ini­ bisce maggiormente l’estroflessione trasformativa tipica del calore, che più di altre ne contrasta il tipico dinamismo e determina la consistenza materiale di ogni cosa. Ogni forma, inoltre, può essere più o meno dotata dell’adattabilità e delle ca­ pacità necessarie al variare di aspetto, al sapersi modellare in ragione dei diversi contesti in cui è inserita pur mantenendo integre le proprie qualità. 11 tratto orizzontale che è descritto nel suo simbolo esprime scarsa attitudine a mutare il proprio stato, e anzi sottolinea la sua stabilità anche in senso formale e di comportamento. Per questa ragione è considerata secca, in quanto priva delle virtù adattati ve che sono sempre dovute alla presenza di umidità. Entrambe le caratteristiche mostrano con molta evidenza il legame di filiazione che la lega a sale filosofico, con cui infatti condivide la tendenza centripeta e in­ trospettiva necessaria all’esistenza concreta di ogni cosa. In senso celeste a questo elemento è associata la stagione dell’autunno, tempo in cui, a partire dal momento dell’equinozio, la luce è sempre meno presente e il buio della notte la sovrasta in senso temporale. A partire da quel momento il calore, che così generosamente era diffuso du­ rante la primavera e l’estate, cala progressivamente e induce in ogni creatura i movimenti necessari al contenimento e al mantenimento di questa qualità che, non essendo più disponibile esternamente, deve ora essere interiorizzata e svilup­ pata dall’individuo stesso, in quanto indispensabile per il mantenimento della sua stessa esistenza.

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fondamenti di spagyria

Nel mondo vegetale le forze iniziano il loro percorso verso il basso concentrando nelle radici il vitalismo necessario al futuro risveglio, mentre nel mondo animale si assiste a una generalizzata tendenza al contenimento delle stesse in funzione con­ servativa. Nell’uomo, in cui risiede la potenziale capacità di essere comprensivo di tutte le dimensioni, il significato si amplia e indica il movimento di introversione necessario a ogni processo di conoscenza di sé, l’inizio di un percorso che conduce all’illuminazione solstiziale in cui la solarità, minimamente presente nel cielo este­ riore, potrà risplende con pienezza nell’interiorità della persona. La natura terrigna di una così elevata facoltà, apparentemente lontana da questi ambiti, vuole infatti indicarci come ogni processo di comprensione della realtà sia possibile solo grazie all’esperienza vissuta direttamente, ponendo alla base di ogni apprendimento la capacità di confronto e di scambio con questa dimensione. Solo grazie alla propria personale modalità di relazione con queste dinamiche sarà possibile valicare il confine dell’elemento terra e scendere nelle sue profondità. L’albero della conoscenza, come indica l’Antico Testamento, è infatti radicato nella terra e, penetrandola, da essa trae il nutrimento necessario alla propria esi­ stenza. Certo, si potrebbe sostenere, la pianta cresceva nel giardino dell’Eden e di terra adamitica era costituito il suo pasto ma, si rifletta, intratteneva pur sempre con questa un intimo attaccamento. L’indagine di questa dimensione può quindi svelare, non solo sul piano fisico, le particolari modalità con cui ognuno di noi articola il rapporto con ciò a cui è o si sente legato, con i luoghi del corpo, dell’anima e dello spirito che ama frequentare e da cui si sente alimentato. Il bisogno di attaccamento è la prima proiezione psichica che esprimiamo quan­ do veniamo a questo mondo, rispondendo così alla disperata richiesta di soccorso e di accudimento che percepiamo alla nascita, ed è così tanto innato in noi da esprimersi come forza istintiva, quale frutto di un apprendimento già maturato che ci spinge a introiettare, a rendere proprio ciò che ci viene dato. La presenza dell’archetipo della madre è quindi presente ancora prima del distacco dalla sua rappresentazione terrena e ci predispone alla relazione con l’altro, dentro di noi il seno materno è già compreso quale rappresentazione immaginaria della fonte filosofica da cui trarre ogni nutrimento. Se sul piano fìsico si è predisposti ad accogliere l’alimento dal seno materno, in ambiti interiori la stessa intenzionalità si esprime nella facoltà dell’apprendi­ mento, capacità che infatti presuppone il riconoscimento della figura del maestro e della sua indispensabile presenza in ogni processo conoscitivo, essendo questi metafora del latte da cui si trae la forza necessaria all’esistenza e che ne rende possibile il divenire. Per queste ragioni nell’antichità la conoscenza veniva trasmessa oralmente, proprio in forza dell’aspetto formativo che solo la relazione interpersonale può comunicare: in essa la comprensione si costruisce, non si dà; non è importante

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quanto o cosa si sappia, quel che conta è imparare come è possibile produrre co­ noscenza, in che modo occorre disporsi per sostenere i processi che conducono alla comprensione. L’invito che ci viene rivolto da questo elemento è quindi di intenderlo come strumento attraverso il quale operare nella concretezza delle cose, rispettandone le compatibilità ma superandone il limite e divenendo così agenti attivi nella e della relazione con le altre dimensioni di cui siamo composti, garantendo loro adeguato spazio e sinergica integrazione. Come in cielo ogni presenza orbita attorno a un’altra, così in terra ogni indivi­ duo compie il proprio percorso nei processi di attrazione e di rifiuto che determi­ nano la sua prossimità agli ambiti a cui si applica, le conseguenti influenze a cui si espone e quindi, inevitabilmente, la parzialità che lo caratterizza. La ricerca va quindi condotta non stabilendo a priori se i processi di attacca­ mento debbano esistere o meno ma, più umilmente, constatando riguardo a cosa vengano vissuti e soprattutto in che modo e in quali forme questo rapporto si manifesti. Così come l’elemento terra garantisce al seme la possibilità di attecchire e di evolvere, altrettanto avviene per quanto riguarda ogni processo di radicamentoattaccamento si voglia considerare.

Acqua V Un semplice triangolo equilatero con il vertice rivolto verso il basso è il simbolo dell’elemento acqua. E molto simile alla rappresentazione della terra, vista precedentemente, da cui però si differenzia per la mancanza del tratto orizzontale. Il comune orientamento evidenzia la tendenza a portare verso il mondo inferio­ re e quindi verso l’interno di ogni individuo, manifestando così la condivisione delle dimensioni femminili del contenimento e dell’attrazione tipiche di luna filo­ sofica e del sale. Se questo è l’ambito che è loro proprio, la diversità risiede nella presenza o meno di una relazione di stabile costanza con queste dinamiche. Infatti, a diffe­ renza della terra, l’acqua non è limitata da alcuna presenza, non è fissata verso il basso in uno stato definito, non ha le proprietà necessarie per assumere una pro­ pria consistenza. La sua natura è quindi quella di avere un corpo, così come è per la terra, ma di non avere invece una forma determinata e di essere quindi in grado di assumere qualsiasi forma. Per questa ragione la sua qualità principale è di essere umida, vale a dire dotata di un’adattabilità contenitiva tale da non essere sottoposta a limiti, e quindi poten­ zialmente in grado di pervadere le dimensioni più intime dell’individuo.

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Viene inoltre qualificata come fi-edda, in quanto ogni processo di incarnazione o materializzazione si fonda sulla temperanza delle forze e sul governo contenitivo dei processi dinamici tipici del calore. La relazione analogica che lega questo elemento ai diversi aspetti del creato va quindi ricercata in funzione della presenza di queste qualità, individuando a livello costituzionale lo stato deirelemento. In ambito celeste l’elemento acqua è posto in relazione con la stagione invernale, di cui condivide le qualità dell’umido e del freddo. Le analogie sono, da questo pun­ to di vista, particolarmente attinenti al momento del solstizio che dà inizio a questo periodo dell’anno, a partire dal quale la presenza della luce riprende a crescere gior­ no dopo giorno, congiungendo l’autunno-terra con la primavera-aria, corrisponden­ te al risveglio della natura e, in ambito umano, dello stato di coscienza. Dal punto di vista fìsico ne sono rappresentazione tutti i fluidi del corpo, e dalla valutazione del loro grado di purezza e di dinamicità si possono portare in evi­ denza e iniziare a comprendere le condizioni dell’acqua di cui si nutre la persona. Attraverso la ritmicità funzionale del soffio vitale, questo elemento funge in­ fatti da veicolo di trasporto per tutte le sostanze che si muovono nel corpo, garan­ tendo tanto la disponibilità dei nutrienti che la rimozione di presenze inopportune. L’acqua non svolge direttamente alcuna attività selettiva o di vaglio di ciò che trasporta ma, grazie alla sua presenza, fa sì che tali processi possano avere luogo ed essere portati a compimento. Il suo grado di inquinamento è quindi da porre in diretta relazione con lo stato del corpo, nel quale e del quale rappresenta la capacità di contrastare quei processi di sedimentazione che ne determinerebbero inopportune rigidità e quindi resisten­ za all’adattabilità richiesta dai processi vitali. La relazione tra l’elemento terra e l’acqua può quindi dare origine ai circoli vi­ ziosi tipici degli stati di intossicazione e di intossinazione in cui alla purificazione tissutale corrisponde un appesantimento dei fluidi del corpo e, viceversa, uno stato morboso di questi conduce invariabilmente all’inquinamento delle componenti fisiche dotate di maggiore stabilità. Gli interventi terapeutici che si intendono operare per il riequilibrio di questi processi patologici incidono quindi sulle dinamiche relazionali che intercorrono tra questi due elementi, da intendersi non solo in considerazione della loro rappre­ sentazione fisiologica ma in senso filosofico, in quanto non si ha semplicemente a che fare con una struttura organizzata per apparati e funzioni ma con una creatura, con un’unità dotata di un suo proprio grado di materialità, di una sensibilità che la anima e dell’intelligenza che la ispira. Nella medicina antica si è infatti sempre parlato di cure che miravano alla puri­ ficazione della persona, indicando chiaramente come questi interventi dovessero riguardare la sua complessa natura e non semplicisticamente l’attività emuntoriale che la caratterizza.

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In senso spagyrico è quindi improprio e fiiorviante definire pratiche di questo tipo con il termine “drenaggi”, da un lato perché operando un drenaggio si porta verso il basso solo la componente più fluida di una soluzione e si lasciano dove sono le parti più pesanti e inquinanti, dall’altro perché il termine descrive un pro­ cesso meccanico che poco ha a che fare con le modalità attraverso cui si svolge, anche a questo livello, la nostra fisiologia e la nostra vita interiore. In senso analogico, se abbiamo attribuito all’acqua la capacità di penetrare e coinvolgere la terra nei'processi di integrazione delle relazioni con l’esterno, nell’interiorità dell’uomo questo elemento è ben rappresentato dalla dimensione emotiva di cui è portatore. Nell’antichità si parlava infatti delle “acque interiori” della persona per intendere il suo stato d’animo e in particolare il suo grado di sensibilità. Se è della terra la capacità del corpo di comunicare gli stimoli ricevuti e tutto ciò che attiene all’ambito della percezione, è invece della dimensione dell’acqua la facoltà di maturare quelle impressioni in sensazioni, trasformando ogni impul­ so in una risonanza interiore, in un particolare stato emotivo che quindi risulterà determinato, per intensità e tollerabilità, tanto dall’evento esterno che dalla perso­ nale elaborazione di quell’esperienza. Le emozioni divengono così ciò che consente la consapevolezza di un corpo, che ne modulerà le funzioni in ragione dei processi adattativi a cui questo verrà sottoposto. La dimensione fluida e nel contempo contenitiva che caratterizza questi am­ biti è evidentemente meno rassicurante della stabilità terrigna della materia e le loro manifestazioni meno prevedibili e scontate. L’acqua, come natura insegna, si muove continuamente e in base al calore o alla frigidità a cui è esposta può addi­ rittura sottilizzarsi e invadere l’aria per evaporazione oppure congelarsi e quindi, acquisendo propria stabilità formale, assumere le stesse proprietà della terra. Per meglio comprenderne la funzione vitale, osserviamo con attenzione l’azio­ ne che questo elemento svolge sul nostro corpo nel momento in cui ci rapportiamo fisicamente a esso. Quando il mare è calmo e non agitato dai venti del cielo, se ci immergiamo e ci abbandoniamo senza timore alla sua disponibilità, quel che accade è che l’acqua sostiene il corpo, garantendo il suo galleggiamento e consen­ tendogli la permanente relazione con gli ambiti propri dell’aria. Se invece fossimo in preda a uno stato d’animo carico di tensione e ci sotto­ ponessimo alla stessa prova verificheremmo facilmente che, anziché sostenerci, quelle stesse acque ci inghiottirebbero, sottraendoci completamente la possibilità di interagire con le dimensioni dotate di maggiore sottilità. A questi possibili scompensi fanno riferimento le numerose parabole relative alla necessità di integrare l’ambito emotivo nella dimensione mentale: la racco­ mandazione egizia di “tenere la testa sopra le proprie Acque” quanto la capacità del Cristo di “camminare” sopra di esse, di usarle come sostegno per il proprio

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cammino, sono infatti testimonianza dell’importanza attribuita al governo del di’ namismo necessario alla manifestazione dell’interezza della persona, senza il qua­ le rischia di ridursi a essere espressione di una sua singola componente. Se infatti la dimensione emotiva occupa così tanto spazio da risultare deter­ minante riguardo alla condizione in cui versa la persona, occorrerà prendere atto che questa si trova in uno stato in cui le sue acque interiori hanno già superato il limite dovuto e invaso e saturato di sé il piano mentale, riducendo una creatura intelligente a un essere senziente, dominato unicamente da ciò che sente e quindi . molto lontano da ciò che è. Le emozioni sono invece per natura necessarie al sostegno del dinamismo in­ teriore della persona e ne rappresentano il primo alimento non materiale, la prima fase di quello che potremmo definire come il processo digestivo di ogni esperien­ za personale. Rappresentando l’elemento acqua solo una delle componenti elementari che ci costituiscono, è evidente che una sua eccessiva presenza e attività può provocare processi corruttivi a carico del corpo che, in analogia con quanto accade lungo le coste, verrà a essere violentemente investito, eroso e sommerso dalla forza delle acque. i Una sorte altrettanto dolorosa si realizza se, al contrario, viene fatto mancare ; loro adeguato spazio e mobilità: in questo caso i processi di corruzione e di pu­ trefazione tipici delle acque stagnanti prenderebbero piede e impoverirebbero il vitalismo della persona, facendole mancare gli stimoli necessari al rinnovamento e quindi esponendola alle sabbie mobili delle proprie paludi interiori. Queste dimensioni così delicate e sensibili sono oggi particolarmente sotto­ poste alla continua sollecitazione del nostro vivere, in cui la mancanza di tempo richiede una così elevata velocità di adattamento da mettere a dura prova le nostre capacità digestive, assimilative e di purificazione, tanto da determinare frequente­ mente stati di intossicazione e di sovraccarico. Quando viene perso il governo di questi ambiti, spesso si assiste alla compre­ senza di stati di agitazione e di prostrazione che manifestano chiaramente l’inca­ pacità della persona a emergere dalle proprie acque, a riprendere la relazione con gli altri elementi di cui è costituita, a superare tanto le tendenze depressive insite nell’allontanamento difensivo dalla realtà, quanto le dinamiche ansiose associate a momenti di maggior reattività.

Aria A Con la definizione dell’elemento aria il triangolo equilatero, che abbiamo visto essere rappresentazione comune a tutti gli elementi, cambia il verso di orienta­ mento e quindi mostra il vertice rivolto in alto.

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Questa differenziazione indica il senso del suo movimento, il tendere verso le dimensioni superiori, la capacità penetrativa degli ambiti dotati di maggiore sotti­ lità grazie alla volatilità e alla leggerezza che lo contraddistinguono. Se considerando terra e acqua ne abbiamo sottolineato la natura femminile, attrattiva e contenitiva, che si manifesta nel portare verso l’interno, il compor­ tamento di aria inverte questa disposizione mostrando invece le qualità maschili dell’estroflessione,'espressione tesa a investire di sé l’ambito esterno. Questo movimento centrifugo trova però una sua limitazione nell’espansione verso l’alto: un segno orizzontale tracciato sotto il vertice mostra come anche que­ sto elemento intrattenga relazioni con le dimensioni inferiori e, particolarmente, con l’elemento che gli è, per qualità, più prossimo. La terra è stata definita come uno stato della materia contraddistinto da un corpo e da una forma stabiliti, l’acqua dalla presenza di un corpo a cui non corrisponde una forma definita. L’aria, dotata di maggiore sottilità, è invece l’elemento caratteriz­ zato dal non avere né corpo, né forma o, per meglio dire, che rispetto agli altri ne è minimamente dotato. La sua qualità maggiore è di essere calda, virtù maschile che esprime la tenden­ za espansiva di ogni processo di irraggiamento, così come evidenziato dall’orien­ tamento del simbolo che la rappresenta. In forza del contenimento che opera, e quindi per la comprensione che garan­ tisce, è inoltre umida e quindi dotata dell’adattabilità tipica dell’acqua, pur non condividendone il senso del movimento e l’operatività. La stessa disponibilità ad assumere qualsiasi aspetto, infatti, si manifesta su piani diversi, la fluidità può applicarsi tanto alle profondità della terra che alla va­ stità del cielo e in questo caso permette di giungere fino al limite in cui anche l’ul­ tima resistenza, l’ultimo attaccamento alla stabilità terrena può essere superato. In questa dimensione ogni esistenza perde le caratteristiche di concretezza e di materialità che contraddistinguono ogni aspetto del mondo sensibile: si è, per così dire, fuori dalla realtà, in un mondo popolato da presenze prive di una qualsiasi corporeità e formalità, per loro natura pervasi ve e mutevoli, sottili e penetrative. I venti, gli anemos dei Greci così come fen degli Egizi, vennero indicati come la rappresentazione terrestre più prossima a questo elemento, di cui testimoniano fedelmente il comportamento e la capacità di determinare i processi a cui vengono sottoposti gli ambiti inferiori. Questi ultimi vengono infatti investiti potentemente dalla sua azione modella­ trice e conseguentemente mossi, coniugati e trasformati in ragione del suo stato. Nella cultura ebraica si indica l’aria con il termine shamain, che significa lette­ ralmente “acqua signorile, nobilitata”, ovvero resa leggera in quanto liberata dalle componenti più grevi e prossime alla terra. In senso alchimico la genesi di questo elemento è quindi da intendersi come frutto di un processo di distillazione, frequentemente praticato in laboratorio, ov-

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vero di separazione delle componenti più sottili da quelle più spesse, operando una purificazione di ciò a cui ci si è applicati. Ogni volta che questa lavorazione non avviene in modo appropriato, spesso per l’eccessivo vigore dato al fuoco e quindi a causa del mancato rispetto dei tempi dovuti, l’aria viene a essere invasa dalle impurità inferiori, che possono inquinarla e appesantirla al punto da renderla satura e causarne la violenta ricaduta sulla terra. Al contrario, se viene fatto mancare il calore necessario, la freddezza dell’ac­ qua resisterà al processo e impedirà la liberazione delle componenti più sottili. La congiunzione tra ciò che è in alto e ciò che è in basso può così avvenire secondo diverse modalità, ben rappresentate dalla varietà delle forme che assume nel mondo naturale la circolarità del movimento a cui è costantemente sottoposta l’acqua, in gran parte dipendente dallo stato dell’aria. Questo elemento è di particolare importanza proprio riguardo alla costituzione dell’uomo in cui, oltre a essere rappresentato dalla funzionalità degli apparati re­ spiratori così come avviene per le altre creature, assume una spazio e una rilevan­ za che non ha eguali tra tutte le specie viventi. Ogni esperienza in grado di produrre una risonanza interiore coinvolge la no­ stra terra, il corpo, facendoci percepire di cosa si tratta, muove l’acqua, le emozio­ ni che ci inclinano verso un dato stato d’animo, e quindi viene sottoposta al vaglio dell’aria in cui tutto diviene immateriale, legato sì alla realtà esperienziale ma tra­ smutato in rappresentazione, nella personale considerazione che la si attribuisce. E quindi nella mentalità della persona che va indagato lo stato di questo ele­ mento ih quanto, garantendo la possibilità di contenere e maturare gli effluvi emo­ tivi che promanano dal corpo, determina lo spazio in cui può avvenire la compren­ sione di ciò che è stato vissuto. Al riguardo, un vecchio detto alchimico ammonisce: “Quando si opera in labo­ ratorio, il cielo deve essere sereno”. Se la prima parte di questo motto è da consi­ derarsi in relazione a ogni istante della nostra vita, in quanto il nostro alchimista interiore è costantemente al lavoro, il senso della seconda affermazione non è da ricercarsi nelle condizioni metereologiche del momento, ma nello stato interiore dell’operatore, nella disposizione della sua aria e, quindi, nella relazione che in­ trattiene con la propria acqua. La serenità che viene raccomandata è quella particolare disposizione che con­ sente la massima espressione della solarità, così come avviene nel macrocosmo quando il cielo è sgombro da nubi, privo di presenze oscuranti e quindi pienamen­ te in grado di sostenere tanto i processi attivi e irraggianti del pensiero quanto le dimensioni.interiorizzanti dovute alla riflessività lunare. La cultura in cui siamo cresciuti ci ha educato a dare massima importanza a questa capacità, in particolare per quanto riguarda la possibilità di inferire un sen­ so logico, per deduzione e induzione, nel considerare gli accadimenti e noi stessi. Attualmente siamo infatti portati a dilatare così tanto questa dimensione da ante-

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porla all’esperienza vissuta, a sostituire la realtà con il pregiudizio che si è matu­ rato, a proiettare la visione che abbiamo delle cose sulle cose stesse, sottoponendo la loro ricchezza al solo vaglio della ragione. In questi casi la componente aria della persona è invariabilmente destinata a in­ quinarsi, in quanto la perdita di contatto con la propria sensibilità, che pure per un tempo limitato può essere tollerata, implica comunque la progressiva inabilità a governare le dinamiche del proprio animo che, privato di qualsiasi processo di pu­ rificazione, determinerà la presenza di forme mentali che ne legittimano e quindi ne giustificano resistenza; produrrà cioè convinzioni a sostegno delPinevitabilità della propria condizione che, come il vento sul mare, soffieranno potentemente sulle acque sollevandole fino al cielo e trascinando la persona in un vero e proprio naufragio interiore. Gli scompensi che colpiscono a questo livello determinano gli stati di panico, quando di particolare intensità, ma più comunemente si riscontrano nell’ansia e nel senso di inadeguatezza che così comunemente disturbano le persone. Accade spesso, infatti, che i costrutti mentali altro non siano che il rispecchiamento dello stato emotivo di cui si soffre e non esprimano niente di più del processo di razio­ nalizzazione a cui si sottopone l’esperienza vissuta e in base al quale si esprimono i giudizi e si commisurano le pene. Così facendo, pur producendo tanti pensieri, si annulla completamente la funzio­ ne per cui l’aria è presente nella nostra costituzione e così peculiarmente dotata di potenza: la capacità di intendere l’insegnamento delle acque senza esserne sopraffat­ ti, di distillare conoscenza dal proprio vissuto riuscendo a separare il veleno da ciò che è nutrimento, di acquisire una dimensione intellettuale che trasformi la sensibi­ lità da potenziale abisso della perdita di sé a strumento per la propria realizzazione. Fatta eccezione per accadimenti di tale portata da scuotere in profondità la stes­ sa struttura fisica dell’individuo, per cui si assiste necessariamente a una veemente sollecitazione del suo stato interiore, il grado di emotività che lo caratterizza non è tanto da porre in relazione all’intensità delle emozioni provate, quanto piuttosto alla successiva elaborazione mentale a cui queste vengono sottoposte. Una sensazione non è ancora un sentimento, ed è proprio in questo passaggio che viene coinvolta l’aria della persona, l’ambito creativo che trasforma l’espe­ rienza in rappresentazione ideale, che trasmuta la materia in pensiero. È infatti l’elaborazione mentale che determina lo spazio che può occupare quel­ la che, in origine, non era niente più di un’impressione, una semplice sensazione. Questa è la dimensione in cui si definisce ciò che si prova e si stabilisce ciò che è, trasformando un dato di realtà in una valutazione soggettiva; ciò che per alcuni è privo di importanza, per altri è degno della massima considerazione. L’aria porta in sé la virtù maschile del cambiamento e quindi induce la disposi­ zione a esprimere la diversità che, intesa in senso individuale, diviene la propria diversità, la propria identità, la propria visione delle cose.

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Si può quindi ben comprendere la straordinaria potenza di cui è dotato questo elemento, la cui sottilità è tale da poter letteralmente disintegrare la materia e ricondurla al senso e alla ragione che le si intende attribuire. La sua capacità pene­ trativa è così pervasiva da procurare profonde conseguenze in ogni ambito le sia sottoposto e, come già detto, sia la dimensione emotiva che il corpo fìsico vengo­ no sempre coinvolti nei suoi movimenti e investiti dalle sue agitazioni. Se questa capacità non viene coscientemente applicata la sua natura creativa si perverte nella più insinuante delle debolezze: la facoltà di trovare soluzioni, se male utilizzata, può infatti risolversi nell’infausta tendenza a moltiplicare i pro­ blemi e la linearità dei pensieri stravolgersi in una spirale che trascina sempre più in basso la persona fino a che questa, esaurita dalla spossante alternanza dei propri stati emotivi o dalla mancanza di questi stimoli, abdicherà alla fatica del vivere e comincerà a nutrire desideri di morte, disconoscendo le proprie potenzialità crea­ tive e quindi determinando l’avvento della cronicità. Quando viene smarrita la distinzione tra sé e i pensieri che si producono o che si accolgono, se si ritiene che tutto ciò che è meritevole di attenzione appartenga a questa sfera e che questo ambito sia determinante per la propria identità, allora il proprio cielo interiore sarà gravido di pioggia e le nuvole destinate a oscurare a lungo il sole. Ma se queste sono le inevitabili conseguenze di una scorretta relazione con l’aria, proprio il ciclo naturale del tempo ci riporta alla sua vera funzione: nel macrocosmo ha infatti relazione con la primavera, irresistibile risveglio a una vita nuova, momento in cui la luce vince sulle tenebre e, riportando sulla terra il calore e la permanenza della luminosità, rende possibile sia la chiarezza visiva verso ciò che costituisce esperienza, sia la forza necessaria ad agire, a esprimere il frutto della propria volontà. E la stagione da cui questo percorso ha inizio, che dai rigori dell’inverno con­ duce all’avvento della piena solarità, sottolineando quindi la necessità di nutrire, accudire e mantenere questa dimensione per poter accedere agli ambiti che garan­ tiscono la massima potenzialità espressiva e realizzativa.

Fuoco A Un semplice triangolo con il vertice rivolto verso l’alto è il simbolo che identi­ fica l’elemento fuoco. In questa rappresentazione il senso della verticalità viene ad acquisire piena forza, non essendo tracciato alcun limite alla capacità di elevazione verso gli am­ biti superiori. Un così importante grado di espansività è espressione della natura maschile che lo caratterizza e che in questo elemento trova la sua più pura manifestazione. E

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infatti caldo e secco, virtù che escludono tanto la presenza dell’adattabilità femmi­ nile, propiziata dall’umido, quanto la tendenza contenitiva, garantita dalla frigidità. In esso nessun processo viene più trattenuto e tutti i passaggi che hanno concorso alla sua formazione e ne precedono la comparsa vengono proiettati all’esterno, oltre l’ultima resistenza possibile. Se ne ricercassimo un’espressione nel mondo naturale saremmo tentati di asso­ ciarlo alle fiamme che, attraverso la luce e il calore che diffondono, ne mostrano in modo sensibile la presenza. Ma cosi facendo ridurremmo la sua attività a un particolare tipo di combustio­ ne, mentre sappiamo che questo fenomeno può manifestarsi con modalità molto diverse tra loro, come avviene, ad esempio, grazie all’attività di sostanze acide o nelle reazioni atomiche. Non è quindi questo l’approccio che conviene adottare per considerarne l’operatività e la funzione. Per comprendere l’attività del fuoco occorre apprezzare pienamente le virtù maschili di cui è il più fedele interprete, e ricordare il senso più profondo di sole filosofico: la capacità di portare il movimento, di propiziare il dinamismo neces­ sario a ogni cambiamento e a ogni trasformazione. Se terra e acqua hanno in comune un corpo ma non una forma e l’aria è priva di entrambi, il fuoco non risulta definibile secondo questo criterio, in quanto la sua funzione consiste proprio nel determinare qualsiasi stato della materia, dal punto di vista sia formale che sostanziale. Tramite la sua presenza ogni elemento è dina­ mizzato e trasmutato in un altro, risolto nelle sue componenti essenziali e separato dalle più grevi. Oltre le dimensioni restrittive della consistenza e dell’aspetto, la definizione che gli è più propria è dunque di essere ciò che tutto trasforma. Agente di qualsiasi processo di elevazione e di purificazione della materia, li­ bera verso l’alto le parti più sottili di cui questa è costituita e, così facendo, lascia in basso quelle maggiormente legate agli ambiti terreni. In sua assenza nessun processo avrebbe più luogo, nemmeno il movimento ciclico del tempo potrebbe persistere e, quindi, nessun battito vitale consentirebbe resistenza degli individui. La stagione che gli è propria è l’estate, momento in cui ogni essere vivente, sot­ toposto alla massima esposizione di luce e calore, compie il suo percorso di ma­ turazione fino a dare una forma compiuta e definita alla sua particolare esistenza. In questo periodo il grano, vegetale di attribuzione solare, giunge a piena realiz­ zazione del seme e testimonia simbolicamente la conquista della facoltà creativa tipica delle dinamiche riproduttive, l’acquisita capacità di distillare interiormente la propria essenza individuale, di celebrare la propria identità e di poterla riflettere esteriormente. In ambito umano è quindi da porre in relazione a quel periodo della vita in cui si assiste allo sviluppo delle stesse virtù, analogicamente correlate al faticoso percorso che inizia dall’adolescenza e porta alla maturità. Ognuno di noi vive in questa stagione della vita la prova del fuoco, e il livel­ lo di indisponibilità e di spietatezza che contraddistingue il tipico atteggiamento

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dell’adolescente è evidente testimonianza dell’inesperienza e dell’incapacità a go­ vernare una forza così possente e potenzialmente devastante. Al riguardo la spagyria fa notare che ogni volta ci si applica a distillare qualcosa, gli spiriti che per primi si levano sono i veleni e solo successivamente a questi si otterrà davvero il frutto desiderato: l’esempio più banale, un tempo pratica diffusa, è dato dalla distillazione di prodotti alcolici di cui la prima parte, detta testa, viene opportunamente eliminata, in quanto costituita da alcol metilico, sostanza altamen- ' te tossica. Solo dopo essere stato sottoposto a purificazione quello spirito diviene alimento per il corpo, se ciò non avviene lo può invece avvelenare e mortificare. 11 fuoco, quindi, è elemento da governare con estrema attenzione e con partico­ lare competenza in quanto, così come può essere strumento realizzativo di ciò che si è, allo stesso modo può rivelarsi agente di dispersione delle proprie energie e finalità se impiegato senza alcuna selettività o senza l’adeguata costanza, come nel caso del fuoco di paglia, di grande effetto ma di breve durata e di nessuna incisività. Nel corpo umano tutti i processi fisiologici che determinano la presenza di ca­ lore sono testimoni del suo stato, e gli apparati direttamente coinvolti nei processi di termogenesi e termoregolazione sono in stretta relazione analogica con questo elemento: l’ambito ematico e cardiocircolatorio, ovviamente, ma anche le molte­ plici dinamiche metaboliche e cataboliche, la funzionalità epatica e, in generale, il grado di vitalismo che la persona esprime. Quando la sua presenza è dominante si verificano puntualmente processi infiammatori che intendono risolvere in forma gassosa o liquida le presenze venefiche che parassitano l’organismo. Come affer­ ma Paracelso, là dove il fuoco si esprime l’acqua se ne fògge, il fumo si alza, il legno si consuma. Dalla forma che assume una data patologia è quindi possibile risalire allo squiibrio dementale che la caratterizza e alle radici di quel processo morboso. Si considerino, ad esempio, le differenze esistenti tra un eczema secco e privo di ros­ sore e un eczema caldo ed essudativo: nel primo dominano le qualità della terra, secca e fredda, in stretta relazione con sale e luna filosofici, nel secondo invece l’operatività del fuoco, come il solfo di discendenza solare, che attraverso il calore determina la risoluzione del corpo in acqua e aria. Al di là della banale esemplificazione, ogni sintomatologia è descrivibile nel linguaggio dei quattro elementi, attraverso la corrispondenza tra le qualità che la caratterizzano e le virtù che sono loro proprie: il caldo, il freddo, il secco e l’umido. Quando tra questi sussiste una relazione equilibrata i processi del corpo si mantengono nell’ambito fisiologico; quando invece questo rapporto sinergico viene meno la preponderanza di un elemento sugli altri causerà tanto la somatizzazione patologica che le sue particolari modalità espressive. Escludendo l’inedia conseguente a stati di carenza dei nutrienti necessari al sostentamento della persona, tutti i processi di consunzione e di esaurimento del­ le forze sono sempre da porre in relazione a un mancato governo del fuoco che,

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privo di adeguato contenimento e finalizzazione, sottopone a un eccessivo dina­ mismo le altre componenti, impedendo così che le qualità complementari del fred­ do e dell’umido garantiscano la temperanza e l’adattabilità necessarie al rispetto dell’integrità individuale. A causa di una sua carenza si manifestano, al contrario, processi di sedimenta­ zione e di incapacità a eliminare eventuali presenze parassitane, di ispessimento delle componenti fluide che, private del necessario dinamismo, depositano nei tes­ suti i veleni che gli apparati preposti all’operatività purifìcatoria dovevano invece separare e condurre agli emuntori. Così come in ambito fìsico questo elemento è portatore del movimento ne­ cessario al mantenimento dei processi vitali, similmente agisce nell’intimo della persona, donandole la capacità di portare a compimento ogni percorso interiore, di maturare e infine esprimere il frutto della propria volontà. Il fuoco si nutre dell’aria, si mantiene grazie all’acqua e si sostiene nella terra. L’atto volitivo, quindi, viene alimentato dalla coscienza che lo ha concepito, in ragione del contenimento emotivo che si è operato, in funzione del cambiamento che si intende concretamente perseguire. Il concetto di circolarità ancora una volta viene ribadito quale senso della re­ lazione vitale, della modalità attraverso cui è possibile la compresenza di entità diverse in una sintesi armonica. Dall’esperienza vissuta si viene coinvolti attraverso i sensi del corpo, si prova un movimento emotivo, si matura un sentimento, si nutre un’idea e infine si opera un’azione; a sua volta dall’azione operata si riceve un’impressione, si avverte un’emozione, si elabora un’idea che prefigura un nuovo intendimento. Il fuoco scalda la terra, da questa si liberano l’aria e l’acqua: questa, salita al limite del cielo, ricade in basso portando con sé il fuoco con cui si è congiunta e che così può tornare a manifestarsi, come indicato della successione dei segni dello zodiaco che vedremo più avanti. Questo è il significato profondo e il saggio consiglio operativo contenuto nel motto ora et labora di francescana memoria: matura la volontà e opera secondo i suoi dettami, in modo che la tua azione nutra la forza necessaria alla preghiera e alla speranza. Ogni aspetto del creato rappresenta quindi una volontà, un segno lasciato nella ter­ ra dalla potenza trasformatrice di questo elemento. Nulla accade per caso, ogni atto è sempre frutto di un processo elaborativo che lo prefigura e a cui, solo successivamen­ te, segue un’operatività che lo realizza. Allo stesso modo dovremmo comprendere che ogni aspetto del nostro mondo interiore è frutto di una volontà, che le dinamiche che lo caratterizzano sono espressione di ciò che noi siamo in grado di volere. La mancanza di questa consapevolezza fa sì che al posto del libero arbitrio si sostituiscano complessi psichici che non ci sono propri, che non ci appartengono ma che nondimeno determinano il nostro stato e il nostro comportamento.

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rappresenta il luogo da cui viene irradiata l’energia necessaria a tutti i processi fisiologici. Sotto il suo governo sono poste inoltre le arterie e la pressione arteriosa che, pur incidendo a vario livello sugli altri organi, sottopone soprattutto il cuore alle dirette conseguenze dei suoi stati di alterazione. In particolare l’operatività dei geni planetari che lo precedono ne determina­ no in gran parte lo stato. Un’eccessiva attività di Saturno può infatti favorire la sedimentazione dei sali e sostenere processi sclerotici a carico sia dei grandi che dei piccoli vasi, limitandone l’elasticità e rallentandone la portata. Se Giove non sostiene adeguatamente la funzionalità epatica, si assisterà invece a un’eccessiva presenza di sostanze lipidiche nel flusso sanguigno che, coagulandosi e ancoran­ dosi alle pareti arteriose, ne ridurranno il lume e la pervietà. Marte infine, man­ cando dell’adeguato governo, può procurare danno ancor più direttamente sotto­ ponendo il cuore a sforzi eccessivi e a un costante stato di affannosa fatica oltre, ovviamente, alla possibilità di provocare affezioni al pericardio. La conoscenza del cuore e della sua marcia era lo studio a cui erano dediti gli antichi terapeuti egizi e, seppure il concetto sia da intendersi in senso filosofico, è pur vero che il muscolo cardiaco rappresenta la testimonianza fìsica delle sue qualità. Nel suo ritmo si riflette inevitabilmente lo stato emotivo della persona ed è quindi esposto tanto agli scompensi somatici quanto alle alterazioni interiori. A una così straordinaria sensibilità corrisponde la sua grande generosità dativa e, pur di non venir meno al proprio compito, è addirittura in grado di indurre l’aumento della propria massa e della sua capacità di resistenza. Ma, come purtroppo accade frequentemente, una volta superato il limite delle sue pur ampie possibilità il danno che viene a procurarsi è drammatico e tale da mettere comunque a repentaglio la vita della persona che ne ha a patire: il cuore letteralmente si strappa, le sue fibre si sfiancano in quello che potrebbe rappresentare l’ultimo suo anelito espansivo. Se questa è la sofferenza e il destino a cui è sottoposto dagli stati ipertensivi, non meno incidenti sulla qualità di vita della persona sono le conseguente deri­ vanti da una sua scarsa tonicità e da una pressione arteriosa al di sotto dei valori fisiologici. Il grado di vitalismo che prima sollecitava oltremisura e tendeva a portare al limite la tenuta dell’intero organismo, ora fa difetto e ogni processo diviene fati­ coso e impegnativo, la lentezza e la pesantezza rallentano gli scambi, la solarità sembra essere così soffocata e soverchiata da non riuscire più a imprimere le sue virtù trasformatrici e adattativi la vista diviene confusa, si ha tendenza a vertigini e capogiri, ci si affatica facilmente e persino l’energia richiesta dai processi dige­ stivi può risultare eccessiva per l’esiguità delle forze disponibili. In ambedue i casi il cuore opera comunque in senso compensativo per ristabili­ re condizioni di media intensità, ed è solo il perpetuarsi di stati di alterazione che rende vana la sua opera e ne può mettere a repentaglio l’integrità.

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I CENI PLANETARI

Lo stile di vita e i ritmi a cui siamo sottoposti dalla frenesia del tempi in cui vi­ viamo male si accordano con le leggi che ne regolano l’attività, tanto che a tutt’oggi la causa di morte più frequente è rappresentata da patologie a carico dell’appa­ rato cardio-circolatorio, segno evidente della fatica che il nostro sole interiore deve compiere per svolgere il suo ruolo e quindi mantenersi in stato di dignità. La sua condizione ideale, ammoniscono i papiri, è infatti la leggerezza. Aspetto emotivo La nascita di Apollo generò una tale fecondità da ricoprire di rigogliosa vegeta­ zione l’isola brulla che lo aveva accolto, e l’evento fu salutato dal librarsi in volo dei cigni e dal l’affollarsi dei delfini in prossimità delle sue coste. Tutta la natura fu partecipe del suo avvento e persino Giove, ammirato da tanto splendore, si af­ frettò a riconoscere la grandezza del figlio donandogli una mitra d’oro, una lira e un carro su cui solcare il cielo e diffondere ovunque le sue virtù. Tra queste, di particolare rilevanza sul piano emotivo e motivazionale, al Sole vanno riferite la generosa gratuità con cui riscalda i cuori e la gioiosa laboriosità con cui sostiene la realizzazione delle opere. E un dio che non nutre aspettative e che porta a impegnarsi in ciò che si fa non in vista di una ricompensa ma già ricompensati da ciò che si sta facendo, o meglio, in ciò che si sta facendo. Il concetto di centralità trova quindi modo di esprimersi emotivamente attra­ verso la percezione dell’ispirazione, che dona la forza e il desiderio interiore di applicarsi senza riserve o secondi fini a ciò che comanda il cuore. In analogia con ciò che accade nel macrocosmo, il sole potrà risplendere in noi solo se il cielo sarà sgombro da nuvole e quindi non offuscato da melanconiche no­ stalgie o dalle illusorie chimere della progettualità: entrambe avulse dal momento che si sta vivendo, ne distorcono il significato e ne trascurano l’originale messag­ gio, riconducendolo emotivamente a ciò che è già stato o a ciò che potrà essere. Quel che va perduto è proprio la percezione del presente, così come già ebbero ad affermare i saggi: “Non dire che oggi è uguale a ieri, poiché per te oggi non è mai venuto e ieri non è mai trascorso”. La gioia è infatti il frutto dell’ammirato stupore che si prova quando si sco­ pre l’intima grandezza di ogni aspetto della vita, ma questa disposizione interiore richiede un notevole grado di partecipazione e di abbandono in ciò di cui si è partecipi, poco presente in chi assume atteggiamenti di sufficienza o di scarsa attenzione. Questo stato dell’animo dà sollievo proprio perché solleva il cuore, lo rende più leggero, lo libera dalle pesanti zavorre delle disillusioni e delle umiliazioni patite per rinnovare la fiducia e la speranza insita in ogni suo battito, così come viene quotidianamente testimoniato dall’alba che celebra, nel sorgere di un nuovo giorno, la rinascita delle virtù solari e la loro calda luminosità. E il senso della continuità nella diversità e della permanenza nella mutevolezza.

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Ha a che fare quindi con la percezione della propria ricchezza interiore e, nel riconoscimento delPoriginale creatività di cui si è portatori, con il complesso pro­ cesso di costruzione della propria identità. Così come evidenziato dalla simbologia assegnata a questo genio planetario, questa dinamica avviene nella più intima delle dimensioni, al centro della circon­ ferenza e attraverso la personale maturazione che questo comporta: quel punto rappresenta ciò attorno a cui tutto viene strutturato, ma esprime anche la separa­ tezza da quanto lo circonda e la sua solitaria unicità. L’equidistanza che questa posizione comporta si riflette allora non in estranei­ tà distaccata ma nella sensazione che, in realtà, ogni esperienza si stia vivendo sia testimonianza parziale delle virtù solari e che nessuna di esse è in grado di esprimerle pienamente. Si è quindi pienamente coinvolti, ma non si percepisce di essere risolti in ciò che si vive. Si partecipa allora con piena disponibilità ma non si smarrisce il senso di ciò che si sta facendo con la ragione della propria vita. Apollo non è il dio della passione ma dell’amore. Di questa esistenziale duplicità che coniuga la massima espressività con la più profonda capacità introspettiva consiste lo spessore emo­ tivo dell’archetipo Sole che, lontano dal clamore della risata sguaiata, si esprime attraverso la purezza e la dignità del sorriso che illumina lo sguardo e riscalda il cuore. Aspetto psichico In stretta relazione analogica con la luce che irraggia nel macrocosmo, Sole induce il riconoscimento di sé e dell’altro, l’essere presenti a se stessi e in grado di muoversi nel mondo con consapevolezza. La sua comparsa simboleggia il ri­ sveglio della natura e delle sue creature così come nell’uomo lo stato di coscienza. Anch’esso successivo all’abisso del sonno e del sogno, mette in mostra la realtà in tutta la sua evidenza senza alcuna indulgenza per gli occhi che la contemplano e senza bisogno di alcun permesso per manifestarsi. Che la si voglia intendere o meno, la sua voce si fa comunque sentire, profonda e pervasiva, in quanto espressione della continuità della persona nel tempo e per­ manenza della propria individualità. Ogni giorno è un nuovo giorno ma non è la prima alba quella che illumina i nostri occhi: ogni precedente visione si è sedimentata in noi come memoria della nostra esistenza e, quindi, parte costitutiva della nostra identità. Nella capacità di potere intendere tanto ciò che ci circonda quanto noi stessi risiede la testimonianza della discendenza che ci è propria, dell’intelligenza che ha originato l’intero creato riflettendosi su se stessa e quindi comprendendosi. Siamo, al tempo stesso, osservatori del mondo e osservati da noi stessi. Il concetto di centralità tipico di questo genio planetario indica il punto di equi­ librio auspicabile tra queste due tendenze: non lasciarsi attrarre né dalla prima,

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I GKNI riANETARI

rivolgendo la propria attenzione principalmente all’esterno, né dalla seconda pos­ sibilità, privilegiando l’introspezione intimistica ed esaltando la separatezza che ci distingue dagli altri. La sua presenza ci richiama all’attività e alla quotidiana esperienza conoscitiva nel confronto con la realtà, ci sostiene nella scoperta dei limiti e delle capacità che ci caratterizzano mostrandoci, al tempo stesso, il rifles­ so e l’ombra di ciò che il nostro sguardo riesce a vedere. L’acutezza conoscitiva può allora esprimersi e con essa la profondità a cui può giungere la comprensione quando è data la possibilità di considerare sé e il mondo sotto diversi punti di vista e secondo inclinazioni diverse. Come evidenziato dalla totale assenza di ombre, la perpendicolarità dei suoi raggi rappresenta così il massimo grado di solarità possibile, di una tale identifica­ zione con le sue virtù da non proiettare alcuna parte di sé nel processo conoscitivo. Ogni sua altra disposizione determina una maggiore o minore resistenza al suo irraggiamento e quindi la presenza di zone non chiare, ponendo in risalto ambiti che non si è ancora in grado di penetrare. L’estensione che occupa la riflessione di ogni creatura sulla terra, la sua ombra, descrive lo stato del sole in cielo, ne de­ clina le possibilità ed è quindi indice delle modalità con cui ci si rapporta alla sua presenza: dalla massima potenzialità del suo sorgere, alla pienezza cui giunge alla metà del cielo, all’accettazione del graduale declino che lo conduce al tramonto. La rettitudine è infatti a pieno titolo virtù da attribuirsi a questo genio plane­ tario, e con essa il grado di onestà con cui si riesce a considerare tanto gli altri quanto se stessi. Nelle complesse dinamiche del nostro mondo psichico la rile­ vanza di questi ambiti è così importante da influire profondamente nei processi di formazione dell’identità della persona e dei valori a cui ispira la sua moralità. Ogni essere umano nutre un proprio dialogo interiore che ne orienta sia il pensie­ ro che lo stato d’animo e il modo con cui questo avviene indica il grado di solarità di cui è portatore, descrive quale particolare tipo di luce stia illuminando la sua visione, e quindi quanto estese siano le ombre che ne limitano la consapevolezza. La determinazione della volontà, nostro particolare privilegio, viene così forte­ mente influenzata dallo stato di questo archetipo e alle sue alterazioni sono sempre correlati scompensi delle potenzialità creative della persona. Ma i frutti dell’espe­ rienza restano visibili e quindi invitano a constatare i limiti e le virtù di quanto si è fatto: il Sole risplende in ciò in cui ci riconosciamo, l’ombra si estende in ciò che non ci attribuiamo, che rifiutiamo e non riusciamo a comprendere. Il potenziale antagonismo tra ciò che si è fatto e ciò che si è, o si considera di essere, pone in risalto un ulteriore aspetto della rilevanza psichica di questo genio planetario: la relazione con la responsabilità delle proprie azioni e quindi con la paternità delle stesse. È questa la profonda dinamica che si svolge intorno all’archetipo del padre, che rimanda alla stima che nutriamo per le nostre origini e prefigura il senso che attribuiamo alla nostra stessa esistenza. Questo complesso psichico non si limita infatti alla sola figura genitoriale, ma

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coinvolge con altrettanta intensità la figura del maestro e del saggio, senza il cui insegnamento non si impara a intendere e a volere portando il rispetto dovuto a sé, alla sensibilità dei nostri simili e alle leggi della natura.

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Il simbolo di questo genio planetario è un cerchio che sovrasta una croce, il segno deirindividualità che si sostiene grazie airintreccio delle qualità spirituali o, leggendolo in senso inverso, le due qualità originarie che si esprimono nella persona e la elevano. Considerando che la sua presenza è la prima sotto il Sole, occorre intendere che questo genio planetario indica la modalità attraverso cui qualsiasi forma di vita può esistere al meglio delle sue possibilità, e quindi in grado di manifestare gioiosamente la propria creatività. Venere, acquisite le virtù delle altre forze, le dispone non interferendo in al­ cun modo con la loro natura ma preoccupandosi unicamente di garantire che la relazione tra le parti avyenga in modo rispettoso delle diversità e delle singolari particolarità, sapendo infine ricondurre ogni funzione a un’operatività pienamente sinergica con le altre. Grazie alla sua influenza umida e temperata, addolcisce le irruenti componenti maschile educandone i focosi desideri e sostenendone la vitalità, mentre è in gra­ do di rendere irresistibile l’attrazione e la disponibilità degli ambiti tipici del fem­ minile. Accoglie senza riserve ma induce ogni processo di reciproca adattabilità. Il risultato della sua ineffabile azione è il costituirsi di relazioni armoniche tra le parti, così come avviene a un insieme di suoni quando si fondono in una sintesi che non ne annulla la singolare esistenza ma li esalta in una dimensione intima­ mente condivisa, che li supera e li contiene. Allora, oltre il limite di ogni parzialità, si assiste non più a un rapporto tra le parti ma alla loro comunione. Non a caso è indicata quale dea dell’amore, certa­ mente coinvolta anche nel desiderio fìsico che questo sentimento comporta ma, in igni caso, sempre posta in relazione alla magia e alla poeticità di questa estatica limensione: Venere conquista Marte attraverso la grazia che gli è propria, ed è questa virtù che rende belle e quindi desiderabili le persone e le cose. Il suo mitico velo è infatti testimonianza della pudicizia che le è propria e dell’assoluta fedeltà che richiede a chi abbia a beneficiare del suo abbraccio, quando anche quel l’ul­ tima resistenza viene a essere abbandonata e la dea si mostra nella sua pienezza. Le sue origini ci riportano all’inizio della nostra narrazione mitologica, quan­ do Saturno spodesta il padre Urano recidendone simbolicamente il fallo. Il seme di quest’ultimo, il fuoco, cadde allora negli abissi inferiori e si congiunse con l’umido radicale che, al contatto con un calore così veemente, iniziò a ribollire.

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I GENI PIANETÀRI

Da questo intima unione si produsse la schiuma, ovvero quello stato della materia costituito dall’elemento aria e dall’elemento acqua, che fino ad allora non erano ancora entrati uniti in qualcosa di vivo. A partire da un universo arido e secco, ancora testimoniato dalla ritrosità saturnina, si assiste alla comparsa di ciò che è mediano e quindi funge da mediatore nella relazione tra gli estremi. Venere nasce infatti come frutto di quel concepimento, di genere squisitamente femminile e quindi dotata delle virtù che rendono possibile tanto il moltiplicarsi degli individui quanto il raggiungimento della loro piena realizzazione. Esiodo ci racconta che il benevolo Zefiro, vento sempre propizio, appena nata la sospinse sulle rive di Citerea, un’isola fino ad allora brulla e priva di vita: ad attenderla,vi erano le quattro stagioni, i tempi alterni della ciclicità già stabiliti da Saturno, ancora prive del senso che solo grazie alla sua presenza avrebbero acqui­ sito. Appena ebbe toccato il suolo e quindi venne a contatto con la terra, tutta la natura si animò, ogni pianta crebbe e il terreno si rivestì dello splendore dei fiori e del colore verde delle foglie e dell’erba. L’apertura alla rigogliosità e alla varietà delle forme è quindi diretta emana­ zione di questo genio planetario, che porta con sé la modalità attraverso cui ogni esistenza sotto il Sole può avere piena e bella rappresentazione di sé. In ragione dell’armoniosa espansione vitale di cui è portatrice, a Venere ven­ nero attribuite la virtù della bellezza e dell’avvenenza, entrambe dovute alla pro­ porzione tra le parti di cui ogni cosa è composta e che con Venere si esprime così compiutamente da poter generare le opere d’arte. La seduzione è la forza magnetica che emana, che induce al desiderio di essere presi da quella magia e rapiti nella sacrale contemplazione della sua potenza. Se Saturno, suo fratello per parte di padre, si è reso strumento del Verbo e attraverso le proprie labbra ha emesso il primo suono, con Afrodite quella stessa sonorità si tinge della solarità da cui è irraggiata e si trasmuta in un canto soave e ammaliante, ricco delle tonalità espressive e della temperanza che danno pace e serenità all’animo. La relazione di comunanza tra Venere e Cronos si esprime nell’applicazione delle stesse direttive, nel rispetto delle stesse leggi a cui però viene dato un senso diverso, riconoscendo nella centralità solare dell’intero sistema l’ispirazione che occorre seguire, piuttosto che risolversi nella limitatezza costrittiva di una delle -sue parti. Gli antichi Egizi attribuirono una tale rilevanza a questa divinità da indicarla nel cielo stellato con il nome di Sotis, l’attuale Sirio, dalla cui posizione traevano indicazioni precisissime sullo scorrere del tempo, sia in senso filosofico che per le più svariate applicazioni pratiche come, ad esempio, per quanto riguardava la previsione delle periodiche esondazioni del Nilo. Più prossima al nostro genio planetario è la dimensione di Hator, la dea che ogni notte partecipa con Iside al sacrifìcio e alla rinascita del Sole-Osiride: in piena consonanza di significato con

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la tradizione greca, il Verbo che Seth-Satumo aveva preteso di trattenere a sé, toma irresistibilmente a esprimere la sua legge attraverso il canto di Venere che celebra il risorgere della solarità, così come alla comparsa di ogni nuovo giorno gli uccelli amano fare. Una tale disponibilità a integrare in senso creativo aspetti così diversi tra loro richiede però il dinamismo necessario a ogni processo di adattamento, e quindi la costante presenza del calore maschile per realizzarsi in senso trasformativo e accrescitivo. Da ciò la sua intensa passione per Marte, così ben documentata in ambito mitologico e pittorico da offuscare la fama funesta di questo dio, ponendo in risalto la sua temerarietà non nell’affrontare e vincere avversari armati ma nel saper abbandonare le proprie difese dinnanzi alla dea, sublimando il proprio onore nell’abbraccio con l’amata.

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Aspetto fisico Gli elementi appartenenti al primo gruppo della tabella di Mendeleev sono di segnatura venusina; tra questi,di particolare importanza anche a fini terapeutici, il litio, il sodio e il potassio. Questi metalli alcalini sono caratterizzati da un’elevata reattività con l’aria e ancor più con l’acqua, al cui contatto possono incendiarsi o addirittura produrre effetti esplosivi. La notevolissima disponibilità a processi os­ sidativi li rende particolarmente diffusi e quindi presenti in notevoli quantità nella crosta terrestre, seppure come componenti di molecole più complesse. Se la virtù venusina dell’armonia è certo da porre in relazione all’attività che il litio svolge nei processi fisiologici che sostengono il tono dell’umore, nel sodio e nel potassio va invece riconosciuta la capacità equilibrante che consente a ogni cellula di svolgere attivamente gli scambi con l’ambiente esterno determinando un effetto di “pompa” necessario a controllare il volume cellulare, a conferire ec­ citabilità alle cellule nervose e muscolari e a stimolare il trasporto attivo di glucidi e aminoacidi. Questi ultimi elementi sono inoltre coinvolti tanto nella funzionalità cardiaca che renale. Caratterizzato da un maggior peso atomico, segue poi il rame che è forse il pri­ mo metallo lavorato dall’uomo, data 1’esistenza di manufatti di questo materiale risalenti a più di 8000 anni fa. 11 suo simbolo chimico è Cu, quale abbreviazione ’i Cuprutn, vale a dire Cipro, isola dedicata dai greci a questa divinità e allora iportante miniera di questo elemento. Ricordiamo gli specchi ottenuti attraverso . sua laminatura, che rendono l’immagine riflessa più gradevole dell’originale, ddolcendone i tratti e donando colore e luminosità all’incarnato. Nel mondo vegetale è rappresentata dai rami e dal fusto e le è attribuita, in sen­ so lato, la fioritura di ogni pianta, momento in cui questa sboccia e si apre alla so­ larità: in particolare la rosa, fiore dall’inebriante profumo e dalla sublime bellezza al quale però conviene rapportarsi con rispetto, data la copiosa presenza di spine con le quali è possibile ferirsi, poste ad ammonire chi desidera coglierla dei rischi

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I GIvNI PLANETARI

che questo comporta. Ancora Venere trova rappresentazione nel mirto, delle cui frasche era costituito il letto su cui si cuocevano le carni dei capri espiatori durante le ritualità rivolte agli dei e, tra le piante a lei dedicate, vanno inoltre ricordate la bardana, la betulla, il cardo mariano, la rosa canina e il sambuco. Si racconta che il carro di Venere fosse trainato da candide colombe, e l’Antico Testamento conferma il simbolismo di questo volatile quale messaggero tra l’uomo e la divinità, affermando che fu proprio una colomba bianca a testimoniare a Noè, serrando nel becco un ramoscello d’ulivo, la ritrovata armonia con il Creatore. Il colore che le è tipico è il verde, dalle tonalità che lo stemperano nell’az­ zurro alle più calde sfumature con cui si avvicina al giallo. Rappresentando la dea dell’armonia e della bellezza toglie alle forme ogni traccia di asprezza e ne arrotonda ogni potenziale spigolosità, delineando il contorno dei corpi come suc­ cessione di linee curve. Privo delle dilatazioni mascellari che tendono a dargli un aspetto squadrato, il volto venusino assumerà quindi la forma di un uovo con la parte acuta rivolta verso il basso, che dall’ampiezza della volta cranica declina gradualmente verso la meno pronunciata rotondità del mento. Più in generale l’attrattività magnetica dello sguardo è segno evidente della presenza attiva di questa funzionalità nella persona che ne sia portatrice e in grado di esprimerla. Aspetto fisiologico Nel nostro corpo Venere svolge la sua attività innanzitutto attraverso i processi di purificazione del sangue che vengono attuati a livello renale, per mezzo dei quali può garantire, assieme al fratello Saturno, il controllo idrosalino ed elettroli­ tico dei fluidi del corpo. Questo raffinatissimo sistema di filtrazione è in grado di processare oltre 150 litri di sangue al minuto, non solo liberandolo dai cataboliti e dai prodotti tossici in esso presenti, ma provvedendo a regolare il volume dei liquidi extracellulari dell’intero organismo. Come si ricorderà il sangue è di attribuzione marziale, ed proprio in questo aspetto della nostra fisiologia troviamo conferma delle attenzioni che Venere ri­ volge al suo complementare, della cura da lei costantemente prestata nell’impe­ dirne l’appesantimento e l’irrigidimento che inevitabilmente si verificherebbero a causa dell’eccessiva presenza di forze coagulanti e conservative. Desiderosa di mantenere serenità nella loro relazione, si prodiga inoltre a con­ servare entro i limiti stabiliti l’acidità del fluido ematico, agendo direttamente sul riassorbimento o sulla liberazione delle sostanze tampone, rispettivamente sotto forma di bicarbonato e ione idrogeno. A ulteriore conferma dell’intima relazione intrattenuta da queste due divinità, le reni svolgono anche un’importante attività endocrina caratterizzata dalla secre­ zione di renina, ormone coinvolto nel controllo della pressione sanguigna, di pro-

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staglandine, veri e propri mediatori dei processi infiammatori, e di eritropoietina, indispensabile per la formazione e la maturazione dei globuli rossi. Dal punto di vista endocrino, poste come un cappuccio all’apice delle reni, le ghiandole surrenali sono di piena pertinenza venusina e nelle loro molteplici attività testimoniano a un livello ancora più profondo la sinergica relazione che lega la dea dell’armonia al dio dell’azione. La parte corticale di queste strutture ghiandolari seceme infatti cortisolo, ormone che da un lato stimola la gliconeogenesi epatica al fine di rendere disponibile una maggiore quantità di glucosio nel flusso sanguigno, e dall’altro svolge un’importante azione antiflogistica, operando attivamente per contenere e temperare l’intensità dei processi infiammatori e gli affaticamenti prolungati. Nella componente midollare vengono invece prodotti ormoni ancor più diret­ tamente collegati alla prestanza marziale, quali l’adrenalina e la noradrenalina, messi in circolo in caso di eventi stressanti al fine di garantire adeguate capacità di reazione: attraverso una complessa rete di relazioni determinano infatti maggiore disponibilità di glucosio e di ossigeno nell’organismo e, aumentando sia la pres­ sione sanguigna che il ritmo cardiaco, garantiscono agli organi più coinvolti dallo stress opportuna irrorazione. Sostenengono in generale il sistema ortosimpatico, grazie alla loro presenza viene a essere particolarmente stimolata l’attività del cervello, del cuore e dei muscoli. Ancora in riferimento agli ambiti neurovegetativi Venere presiede, insieme a Giove, all’equilibrio dinamico del sistema nervoso autonomo, evidenziando an­ che materialmente come non possa esistere armonia senza che, nel contempo, vi sia giustizia. Venere risulta poi direttamente coinvolta anche nei processi in cui il governo del fuoco, cui si applica costantemente, è essenziale per il loro corretto svolgimento: la velocità e l’intensità del metabolismo e la complementare capacità catabolica e depurativa sono infatti aspetti che evidenziano l’efficienza e l’efficacia di questo genio planetario nel garantire il mantenimento delle compatibilità fisiologiche. In relazione all’abilità seduttiva che le è propria, sono inoltre sotto il suo gover­ no gli organi della fonazione, la laringe, la faringe e le corde vocali, intesi quindi come strumenti attraverso cui è possibile modulare i suoni e dare magnetismo alle parole, dotandole di una pregnanza e di uno spessore che va oltre il mero signifi­ cato dei termini e coinvolge emotivamente chi ascolta, così come accade in modo particolarmente evidente con il canto. Con esplicito riferimento alla capacità attrattiva del femminile, il seno è di sua ittribuzione e non vi è statua o raffigurazione in cui la dea non lo ostenti orgo­ gliosamente, consapevole del simbolismo che questa parte del corpo racchiude: attrattivo fin dal primo giorno di vita e apportatore della prima soddisfazione, ma proprio per questo ancora frutto del desiderio materno, così lontano dalla matura affettività che Venere intende richiamare e che infatti tiene opportunamente celata.

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Riguardo alla struttura scheletrica sia il tratto cervicale che lombare sono a lei riferiti e le così diffuse problematiche patite a questi livelli sono quindi da inten­ dersi non limitatamente al piano fisico ma come sintomo che evidenzia Io stato di sofferenza in cui versa, nella persona, questa divinità. Aspetto emotivo Le qualità venusine, che già abbiamo considerato in relazione agli ambiti fisici, trovano a questo livello espressione nella simpatia e nell’attrattività che donano a chi sa riconoscere e rispettare questo genio planetario. Il magnetismo che Venere infonde ha il senso del richiamo persuasivo e insieme perentorio con cui sa attirare irresistibilmente l’attenzione dell’altro. Grazie alle arti dell’avvenenza e della seduzione di cui è maestra, induce desiderio di avvici­ namento e di condivisione, inclina a percepire la disponibilità a un diverso futuro, ravviva la speranza con la promessa di nuove e inaspettate possibilità. La sua dolcezza contrasta le tendenze sclerotiche che affliggono chi è “duro di cuore” e non sa gioire dell’abbandono, troppo preso dal controllo delle proprie emozioni e insicuro delle proprie capacità. In questo senso sa suscitare il corag­ gio necessario al superamento del limite, e quindi dei propri limiti, attraverso il riconoscimento stesso della parzialità e dell’inevitabile incompletezza che carat­ terizza ogni individuo, della necessità di confrontarsi e congiungersi con l’altro per generare nuova vita e così poter divenire. Sorella del dio del tempo e dello spazio, si prende gioco degli amanti facendo perdere loro queste cognizioni e rendendo possibile una dedizione tanto intensa da trasmutare ogni aspetto di sé e della realtà in un particolare stato estatico. Certo questo accade nelle relazioni amorose, ma non si banalizzi il significato di tali dimensioni, in quanto caratterizzano ogni attività in cui ci si impegni con pieno coinvolgimento e disponibilità d’animo. Dea che suscita il desiderio, abbiamo affermato, quindi forza posta a sostegno di qualsiasi relazione che origina da questa percezione interiore, che si alimenta nell’accoglimento dell’altro, che apre il cuore a ogni processo di apprendimento. Grazie alla sua presenza anche i compiti più gravosi ed estenuanti vengono vissuti con gioia e risolti con vigore, non patendo della fatica che questo comporta ma, al contrario, sentendosi onorati di poterla compiere. In questi casi la circolarità della dinamica relazionale è tale da garantire, nell’animo di chi ne è coinvolto, la serenità interiore di aver trovato conferma del proprio senso, di essere meritevole di contenimento. Stante la delicatezza degli ambiti posti in relazione con questo genio planeta­ rio è evidente che un suo comportamento dissonante può provocare scompensi emotivi molto profondi e orientare la persona tanto verso il progressivo inaridi­ mento difensivistico delle derive depressive, quanto verso l’eccessiva indulgenza nel celebrare le proprie capacità attrattive. In entrambi i casi si assiste alla scom-

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parsa della castità, virtù tipicamente venusina, la cui radice etimologica significa infatti “essere privi di colpa” ovvero agire senza nutrire alcun secondo fine, senza inquinare lo stato di abbandono emotivo con la presenza di complessi psichici o pregiudizi che ne limitino la forza evocatrice. E l’emozione di essere rapiti da uno stato di contemplazione partecipata quella in cui si esprime la dea della bellezza, colei che chiede di rompere gli ormeggi e partire per un nuovo viaggio, non per una nuova meta. Aspetto psichico Le mentalità che esprimono un’adeguata presenza venusina sono sempre ca­ ratterizzate da notevole duttilità e disponibilità a dare nuovo senso a quanto si ritiene, garantendo comunque integrità e continuità al processo di comprensione che, d’altronde, senza questa capacità di riportare armonia in ogni mutamento risulterebbe molto limitato se non addirittura impossibile. Grazie alle sua adattabilità Venere riesce a svolgere pienamente la virtù fem­ minile del contenimento, privilegiando l’atto stesso del contenere a qualsiasi altra dinamica. Così come Marte porta con sé la tendenza aH’esprimere e a risolvere i conflitti. Venere agisce in modo temperante, talora distraendolo dai suoi intenti, talvolta finalizzandone l’attività. La tradizione la indica quale “dea della piccola fortuna” ovvero la soccorritrice nei momenti difficili, mentre a Giove spettava il titolo di “dio della grande fortu­ na” in quanto propiziatore di ogni trionfo. La consapevolezza della sua potenza induce il pudore, non da intendersi quale limitazione delle propria spontaneità ma come acquisita selettività nel concedersi, nella capacità di modulare in modo appropriato la propria capacità di seduzione. Come spesso accade la radice eti­ mologica dei termini svela il loro senso più profondo: “pudico” infatti deriva dal verbopudere, ovvero “avere vergogna” e quest’ultimo termine, contrariamente al concetto che oggi ne abbiamo, significa “portare rispetto”. La dea, così spesso raf­ figurata o scolpita dagli artisti, porta con sé sempre un velo e questa presenza, se da un lato ne esalta la bellezza, dall’altro ne sottolinea la ritrosia a mostrarsi nella sua vera natura, a svelarne il segreto che concederà solo a chi riterrà degno della sua intimità. E quindi nel riconoscimento della propria e dell’altrui sensibilità che si basano le virtù venusine, così armonizzanti in quanto opportune e persuasive. A ben vedere è la radice archetipale delle riflessioni attrattive, così ricche di magnetismo da rapire i pensieri e piegarli alla volontà che si nutre, alla ricerca desiderante di significato di ciò che si è e del senso che ha ciò che si vive; il suo insegnamento indica il percorso necessario al superamento della parzialità indi­ viduale attraverso la complementarietà con l’altro, in un processo di rispecchia­ mento creativo che, varcati i limiti della propria integrità, liberi nuova vita, crei le condizioni affinché abbia luogo una nuova esistenza. Non a caso Venere veniva celebrata quale dea dell’arte, matrimonio fecondo in

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cui intelletto e materia si fondono in piena armonia formale e sostanziale, rappre­ sentazione della capacità tutta umana di poter risolvere in estatica bellezza qual­ siasi aspetto della realtà. Indipendentemente dagli ambiti specifici che si vogliono indagare, la presenza di Venere è infatti sempre ben testimoniata dalla circolarità del rapporto tra disponibilità alla comprensione e desiderio di contenimento, tra l’accoglimento o la resistenza a ciò che si riceve e la prodigalità o il ritegno che si ha nel dare e nel darsi. Seppure queste dimensioni mentali sono per loro natura particolarmente eteree e mutevoli, è la presenza o meno di reciprocità e di armonia tra le polarità in gioco che esprime l’attività di questa funzione, mostrando ancora una volta che solo indagando il come le dinamiche archetipali divengono leggibili. Quando invece le capacità sedurti ve vengono poste a fondamento dell’identità personale e vissute come strumento di affermazione del proprio io, allora la persona si rende preda della dissonante e sterile chimera della vanità, dimensione in cui la disponibilità selettiva e rigorosa di Venere si stravolge in atteggiamenti manipolatori finalizzati al perseguimento di secondi fini, quando nella relazione si ricerca la celebrazione di sé piuttosto che la comunione con l’altro. Il culmine di questa deriva della sen­ sualità venusina è infatti rappresentato dallo stato di isteria, in cui la teatralità del comportamento attrae l’attenzione dell’altro al solo fine di soddisfare il bisogno egocentrico di considerazione e quindi il desiderio di sostenere la propria auto­ stima. Venere, si ricordi, è sorella di Crono e della sua natura fa quindi parte la dimen­ sione attrattiva dell’abisso in cui perdersi ó da cui risalire per celebrare la piena solarità. Apollo, infatti, è posto in cielo direttamente sopra di lei ed è solo grazie alla virtù dei suoi raggi che la dea della grazia riesce a essere così luminosa.

Mercurio $ Il simbolo di questo genio planetario è una luna rivolta verso l’alto che si adagiasopra una circonferenza, a sua volta sostenuta da una croce: un’attività di raccolta che porta nell’individuo ciò che è retto dalla sua spiritualità. Viceversa la chiave di lettura è attinente alle componenti più sottili ed energicamente essenziali che sostengono la persona nell’accoglimento e nella nutrizione degli ambiti superiori. La sua natura è primariamente secca e può mostrare tanto la sua parte fredda, femminile, che il suo versante caldo, quindi maschile. E infatti qualificato come androgino, dal greco andros, “maschio”, e gynè, “femmina”, e quindi dotato di entrambi i generi, sempre a suo agio nel rivolgersi all’una o all’altra delle possi­ bili dimensioni nella costante ricerca di relazione e di scambio. La comunicazio­ ne tra le diverse parti di ogni creatura e tra questa e il mondo che la circonda è così garantita dall’attività di questo genio planetario che alla doppiezza associa la

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mancanza di adattabilità insita nell’esclusiva presenza della secchezza. Si direbbe perfettamente adatto a perseguire un proprio fine sapendolo presentare nel modo più adeguato all’orecchio che lo sta ascoltando. L’arte del linguaggio e della persuasiva sottigliezza della logica astuta e auto­ riferita sono infatti suoi esclusivi domini, nei quali celebra tanto la sua potente forza, quanto la sua totale mancanza di sensibilità e di rispetto di ogni regola. Così viene infatti descritta la storia della sua nascita e dei suoi primi giorni negli Inni omerici: Ermes, così era chiamato dai Greci, era figlio di Giove e di Maia, una delle Pleiadi, ovvero le stelle che compaiono al momento opportuno per indicare la rotta ai naviganti. Appena nato, il piccolo dio parve comportarsi del tutto normalmente e, giunta ormai la notte, venne posto a riposare nella culla, così che anche la madre potesse riprendersi dalle fatiche del parto. All’alba del giorno successivo Apollo iniziò il suo corso in cielo e, come ogni mattina, sorvolò i prati in cui le vacche a lui sacre, dalle coma ricurve e dal manto immacolato, usavano pascolare. Alle prime fu un sentimento di incredulità e di grande sorpresa quello che gli prese il cuore quando si accorse che dei bovini non v’era più alcuna trac­ cia, o meglio, che le orme si interrompevano a un certo punto del percorso e da lì in avanti non compariva più alcun segno impresso nel terreno. Ben presto allo stupore si sostituì la consapevolezza di essere stato derubato di ciò che gli era così caro, e l’ira e il desiderio di vendetta oscurarono i suoi pensieri. Iniziò quindi la ricerca del suo gregge rubato e del ladro che, così gli indicò un vecchio vignaiolo, aveva sembianze di bambino ma grande abilità nel governare la mandria, tanto da riuscire a spostarla facendola retrocedere anziché, come acca­ de di solito, muovendola in avanti. A quel punto si rese conto che l’unico possibile colpevole non poteva che essere l’ultimo nato e quindi Mercurio, figlio di Maia. Davanti alle esplicite accuse che Apollo gli rivolse, Ermes si dimostrò così abile nell’uso della dialettica, nella capacità di modellare e piegare il senso delle cose per perseguire i propri fini o per giustificarsi, da riuscire perfino a divertire il dio derubato, che insistette a incalzarlo con la sussistenza di indizi inoppugnabili, puntualmente contestati attraverso sottili sofismi o vere e proprie menzogne. Giove, alla fine, venne chiamato a emettere il giudizio sulla vicenda: sentenziò, dopo aver apprezzato a sua volta l’acume e l’astuzia del suo ultimo figlio, che le vacche fossero subito restituite e che senza ulteriori trucchi si compisse la ripara­ zione. Ma, quando ormai la situazione sembrava chiarita e la colpevolezza accer­ tata, Mercurio mostrò un ulteriore frutto della sua notte insonne: ancora prima di catturare le vacche sacre si era infatti imbattuto in una tartaruga e ne aveva utiliz­ zato il carapace per tendervi sette corde, così da realizzare la prima lira. Appena pizzicò le corde, l’aria si riempì di suoni celestiali e la dolcezza si impossessò del cuore di Apollo il quale, in cambio di quello strumento, gli concesse non solo la proprietà della mandria precedentemente frutto della contesa ma anche il caduceo, la verga d’oro che, nelle mani di Ermes, induce il sonno o propizia il risveglio.

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I GENI PI.ANETARI

Ormai assunto a pieno titolo tra gli dei dell’Olimpo, venne formalmente inve­ stito del titolo di “araldo celeste” e sottoposto all’autorità di Giove, messaggero - e mediatore tra gli uomini e gli dei, sovrintendente a ogni forma di scambio e di relazione, ambiti nei quali le arti della comunicazione e della contrattazione as­ sumono un rilievo che va ben oltre il mero oggetto della trattativa e assumono la dimensione di un sistematico esercizio del potere e della persuasione. Per gli Egizi era Anubi, il dio dalla testa di sciacallo e rappresentato dal gero­ glifico che simboleggiava la vipera cornuta, a sottolinearne la natura magnetica e la proverbiale doppiezza della lingua biforcuta, non meno della pericolosità del suo morso e della sinuosa modalità del suo incedere. Veniva inoltre chiamato la “stella di Seth”, a sottolineare la vicinanza tra le due divinità, che nell’attributo della secchezza trovano il loro punto d’incontro, ambito non vitale per eccellenza. Per entrambe le culture era “psicopompo”, vale a dire il trasportatore delle ani­ me dei defunti, prima divinità con cui si entrava in contatto con l’aldilà, infatti rappresentata nel macrocosmo dalla prima presenza planetaria oltre l’orbita de­ scritta dal cielo della Luna o, per meglio dire, dalla diade Terra-Luna. Aspetto fisico Tra gli elementi della tavola di Mendeleev Mercurio è da porsi innanzitutto in relazione con l’azoto, uno dei pilastri su cui si regge l’intera chimica organica insieme al carbonio, all’ossigeno e all’idrogeno. L’atmosfera terrestre ne risulta composta in gran parte (pari al 78,09% del totale) e, quale costituente di tutte le sostanze proteiche, risulta essere un presenza essenziale del protoplasma cellula­ re, degli acidi nucleici e di molti altri composti biochimici. Se nell’aria trova la sua massima espressione, rispetta la sua segnatura mercuriale non meno nella dif­ fusissima partecipazione ai processi organici, a cui garantisce sostegno grazie alla relazione tra le diverse parti dell’individuo e nella sua relazione con l’ambiente. In particolare, per quanto riguarda l’intero mondo animale e l’uomo, la possi­ bilità di acquisire questo elemento è mediata dall’attività del regno vegetale, dalla sua capacità di fissare l’azoto in molecole più complesse, che grazie all’attiva collaborazione dei microrganismi del terreno, possono poi essere elaborate dal processo digestivo e rese nutrimento per il nostro organismo. La sua disponibilità prevede quindi una precedente digestione, richiede neces­ sariamente l’interazione con dimensioni diverse, pone alla base del fenomeno vi­ tale la comprensione della diversità e lo scambio fecondo tra le parti. Ciò nono­ stante, seppur privo di intrinseca tossicità, deve il suo nome al fatto che, piante o animali, se posti nelle condizioni di respirare aria satura di questo gas, muoiono rapidamente: significa infatti “privo di vita”, ad ammonire sulle infauste conse­ guenze derivanti da un’eccessiva esposizione alla forza di questo dio. Nel secondo piccolo periodo è rappresentato dall’attività del fosforo, così stret­ tamente legato agli ambiti vitali da essere coinvolto tanto nei processi costitutivi

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del corpo quanto nel garantirgli la dovuta disponibilità di energia. Indispensabile come costituente delle molecole del DNA, delFRNA, dell’ATP e dei fosfolipidi, è grazie alla sua presenza che il metabolismo dei grassi, dei carboidrati e delle proteine può aver luogo; Mercurio inoltre garantisce la funzionalità renale, la tra­ smissione degli impulsi nervosi, la contrattilità muscolare, la struttura dei tessuti ossei e, più in generale, lo svolgimento dei processi di mediazione intracellulare. In particolare la fosforilasi, un enzima altrimenti detto glicogeno fosforilasi, è direttamente coinvolto nella liberazione di glucosio nel flusso sanguigno, operan­ do in sincronia tanto con il pancreas endocrino che con il fegato, al fine di garan­ tire energia immediatamente disponibile alle diverse necessità corporee. Chimicamente molto affine al fosforo è l’arsenico, anch’esso di segnatura mer­ curiale, che è così dotato di tossicità proprio in ragione di questa somiglianza: assai conosciuto fin dai tempi più antichi, colpisce inesorabilmente le difese an­ tiossidanti dell’organismo, disturba i processi endocrini sostenuti dagli estrogeni, sottopone a stress ossidativo l’ambiente intracellulare fino a intaccare la stessa molecola del DNA e quindi determinare l’insorgenza di forme tumorali. Gli apparati più colpiti dalla sua azione risultano essere il sistema digestivo e il sistema nervoso, distretti corporei che vedremo essere anch’essi di pertinenza mercuriale. Nel mondo dei metalli questo genio planetario è rappresentato dal mercurio, chiamato da Plinio il Vecchio hydrargyrwn (da cui deriva la denominazione chi­ mica Hg) ovvero argento acqueo, stante che ha forma liquida e aspetto splendente. Tra le sue molteplici particolarità, che indagheremo meglio più oltre, emerge la capacità di mantenere la propria integrità nonostante lo si sottoponga a separazio­ ne: una volta diviso in parti distinte, queste continueranno a mantenere la stessa forma originale che precedentemente le conteneva, riproducendo su scala ridotta la perfetta circolarità di partenza. L’intossicazione procurata dall’eccessiva esposizione a questo elemento, so­ prattutto ai vapori che già si liberano a temperatura ambiente, porta a degenera­ zione le cellule del sistema nervoso centrale, del fegato, dell’epitelio tubulare e delle reni, e determina disturbi infiammatori e alterazioni a livello dell’apparato digerente quali gengiviti, stomatiti ed enterocoliti. Le offese arrecate da Mercurio nel suo stato più reattivo colpiscono così gli ambiti corporei che, come vedremo, gli sono direttamente sottoposti oltre ad attac­ care le funzionalità che tendono a temperarlo, quali Giove e Venere. Nel mondo vegetale rappresenta l’apparato fogliare di ogni pianta e sono di sua tradizionale attribuzione l’acacia, l’achillea, la lavanda, dalla fragranza così pene­ trante e secca, la menta, così invasiva e raffreddante, il nocciolo, sempre presente al limitare del bosco a rappresentarne la soglia, e l’odorosissimo timo. Il colore che gli è proprio è il giallo ocra, mentre nel mondo animale è analo­ gicamente correlato allo sciacallo e alla volpe. Le forme caratterizzate da questa

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I GENI PIANI-TARI

presenza sono allungate, assottigliate e fortemente comunicative, come appare nei volti delle persone mercuriali, dal mento appuntito e dallo sguardo vivace, curio­ so, veloce e irrequieto. Aspetto fisiologico La respirazione e gli organi a essa correlati sono posti sotto il governo di Mer­ curio, che quindi si configura come forza energetica necessaria a dotare il cor­ po della capacità di trarre nutrimento dall’aria per sostenere il fuoco individuale. L’ossigenazione del sangue rappresenta infatti la modalità fisica di acquisizione della solarità che ci circonda, data la segnatura di questa molecola gassosa e l’im­ plicita relazione con l’esterno che questo processo necessariamente comporta. Tutto ciò che è scambio e relazione richiama sempre l’attività di questo genio planetario e, per la familiarità mitologica con gli ambiti eterei nei quali sfreccia velocissimo, si esprime nella sua pienezza funzionale particolarmente in relazione a questo elemento, in cui l’assenza di un corpo e di una forma stabiliti consentono di prefigurare qualsiasi determinazione possibile in senso individuale. Ogni sua alterazione coinvolge infatti direttamente il cuore e ogni alterazione del ritmo cardiaco si riflette a livello respiratorio, confermando l’intreccio relazionale tra l’araldo divino e Apollo descritto negli inni. Considerati come luoghi in cui avvengono il contatto e gli scambi, anche la pelle e tutti i tessuti epiteliali sono di attinenza mercuriale, e quindi il loro stato informa della condizione in cui versa questa funzionalità nella persona. Oltre a mediare la relazione con l’aria, Ermes svolge analoga attività nel rapportarsi alla terra, garantendo, attraverso i processi digestivi e assimilativi dell’intestino tenue, la capacità di estrarne nutrimento e quindi donando a ogni creatura la possibilità di interagire con questo elemento, ben più coriaceo e resistente del primo ma altrettanto necessario. Le problematiche che frequentemente colpiscono questo processo fisiologico così sensibile sono quindi da imputarsi, prima di ogni ulte­ riore approfondimento, alla scorretta funzionalità di questo genio planetario che, ora arrecando eccessiva frequenza agli impulsi nervosi ora negando un’adeguata stimolazione, determina mali assorbimenti e stasi, causando spesso gonfiori addo­ minali dovuti a improprie fermentazioni e putrefazioni viscerali. Anche in questo caso gli apparati coinvolti rappresentano la soglia e il vaglio tra ciò che proprio e ciò che ancora non lo è, tra ciò che verrà riconosciuto come compatibile e acquisito e ciò che invece verrà avvertito come veleno e disposto all’espulsione emuntoriale. Già Paracelso, a proposito dell’ente del veleno, sottolineava come su questa condizione patologica si possa innestare qualsiasi forma di malattia, stante la cre­ scente intossicazione a cui viene sottoposto l’intero organismo e la dispersione delle forze necessaria a contenere il danno, condizione che conduce il corpo a impoverirsi e a inquinarsi sempre più. Non a caso la prima cura per propiziare un

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processo depurativo viene dallo stesso indicata nel riposo, nel rispetto dei propri tempi, nel ricondurre Mercurio sotto il governo di Giove che, riportando equità e giustizia, impedisce i ritmi ansiogeni e gli stati di irritazione e di ipersensibilità tipici delle alterazioni mercuriali. Punto di contatto che pone in stretta relazione tutti gli apparati descritti e ne esprime la simbolica identità, il sistema immunitario è appannaggio di questa forza, che proprio a quei livelli ci informa direttamente del suo stato: il segno distintivo della sua dissonante attività è infatti sempre rappresentato da uno stato irritativo a cui si associa una flogosi più o meno importante, indipendentemente dal luogo in cui si esprime. Si può quindi assistere a un’allergia respiratoria, a un’intolleranza alimentare, a un eczema cutaneo ma la causa da cui scaturiscono forme patologiche o di­ sfunzionali così diverse tra loro è da porsi sempre in relazione a un’inadeguata attività di Mercurio che, non in grado di interpretare, trasportare o comunicare correttamente i messaggi, crea condizioni caotiche e di alterata funzionalità degli apparati coinvolti. Direttamente inerente a queste tematiche, in quanto struttura fìsica votata alla trasmissione degli impulsi, anche il sistema nervoso periferico ha questa segna­ tura e a essa si deve tanto la velocità con cui i segnali si propagano nel corpo che la sua capillare distribuzione. L’eccitabilità nervosa e, più in generale, le algie conseguenti al permanere di stati irritativi a carico di questi tessuti sono dunque sintomi tipicamente mercuriali. In relazione con la funzione di trasporto da queste assicurata, anche la circolazione periferica e linfatica sono sotto il governo di que­ sto genio planetario, che così presiede a tutte le vie di scambio. Dal punto di vista endocrino, a conferma del rilievo che gli è attribuito, Mercu­ rio è rappresentato dall’attività di produzione di insulina svolta dal pancreas che, in sinergia con il fegato, partecipa al controllo della concentrazione di glucosio nel sangue ed è quindi coinvolto nel diffìcile equilibrio dinamico tra la necessità di liberare energie per l’attività e il doveroso mantenimento di adeguate riserve. An­ cora una volta si ripropone la diade Mercurio-Giove, così come precedentemente era accaduto per la particolare relazione che nutriva con Apollo. Ermes, infatti, risulta complementare a entrambe le funzioni e, quando scompensato, può essere causa delle disfunzioni che colpiscono gli organi e gli apparati di loro pertinenza. Al riguardo si consideri che la più comune delle affezioni mercuriali è rappresen­ tata dallo stress, che ha come bersagli predestinati da un lato il fegato, dall’altro il cuore. In modo non meno conflittuale può inoltre rivolgersi verso Venere, contrastan­ do le sue potenzialità adattati ve, o arrecare disturbo a Luna, inducendo eccessiva velocità e asprezza ai processi da questa sostenuti.

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! CENI l’I-ANKTARI

Aspetto emotivo La selettività dei diversi stimoli e l’attenzione prestata alla loro risonanza inte­ riore contraddistinguono il mondo emotivo di Mercurio che, nella fretta del pro­ cedere, dissimula l’acuta sensibilità dalla propria natura. Delle sue qualità elementari si è precedentemente sottolineata l’estrema sec­ chezza e la doppiezza di genere, che lo dispone sia in senso espansivo che intro­ spettivo: in entrambi i casi la sua mancanza di adattabilità è tale da determinare una sorta di amplificazione dell’esperienza vissuta che, superando il limite della sua specifica rilevanza, si riverbera interiormente in modo totalizzante, assumen­ do significati e pregnanza tali da influenzare complessivamente lo stato d’animo dell’individuo. Il timore e la prudenza relazionale che caratterizzano il comportamento delle persone timide vanno quindi analogicamente riferiti a questa funzione, che in­ fatti può esprimersi sia in atteggiamenti di estrema riservatezza e resistenza agli scambi che nella spavalderia reattiva di chi, per sfuggire all’imbarazzo emotivo, si sforza di negarne resistenza mostrandosi estremamente socievole e sempre a proprio agio. In quanto messaggero è destinato a essere sempre in movimento ed è quindi dotato di grande dinamicità, in questo caso da intendersi in relazione non tanto alla virtù marziale dell’operosità, ma come costante stimolazione al superamento degli stati di insoddisfazione e di disagio che limitano le potenzialità della per­ sona. Un tono emotivo così elevato, se da un lato dona vivacità e predispone alla curiosità verso il nuovo, dall’altro tende però a scompaginare qualsiasi equilibrio raggiunto, a impedirne la sclerosi e, così facendo, espone anche al rischio della dissipazione. L’oscillazione tra queste due tendenze descrive l’ambito e lo stato del nostro Mercurio interiore che, come il mito racconta, si muove nella dimensione dell’aria e quindi tra acqua e fuoco, elementi dai quali deve sapersi tenere equidistante per non venire risucchiato dagli ambiti umidi, che lo condurrebbero negli abissi, o finire per essere combusto dall’eccessiva esposizione agli ambiti superiori. Così lo troviamo rappresentato nel racconto di Dedalo e Icaro, nella sorte altrettanto in­ fausta dovuta alla presunzione di Semele e, in modo ancora più sottile, nel passag­ gio che per ben due volte deve compiere Odisseo tra Scilla e Cariddi, sottoposto all’effetto devastante della relazione oppositiva tra queste dimensioni. L’eventualità di essere fagocitati dalla spirale emotiva e di ridursi al solo aspet­ to sensitivo della nostra ben più complessa natura è quindi da porsi in stretta rela­ zione con l’attività di questo genio planetario, in grado di annullare il nutrimento e l’insegnamento che ognuno può trarre dalla relazione con la volontà o, in senso filosofico, con la solarità; se invece la sua ardita intraprendenza lo porta a elevarsi eccessivamente, allora si risolve in atteggiamenti di distacco e di fuga dalla realtà, a loro volta determinati dall’incapacità di vivere e di porre sotto governo le dina-

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miche del proprio animo: allora la persona osserva se stessa che sente e tende a risolvere l’esperienza nel giudizio che le attribuisce, deprivandola della sua porta­ ta emotiva e riducendola a mero dato da registrare. Non a caso è il padre di Pan, il satiro “che diverte tutti gli dei” ma che invece terrorizza gli esseri umani, essendo infatti radice etimologica del termine “panico” ovvero di quel particolare stato di alterazione che determina la perdita di qualsiasi lume interiore e la possessione, feroce e profonda, da parte delle emozioni percepite o anche solo evocate. La memoria delle offese patite dalla propria sensibilità diviene così fonte di successive reiterazioni, costituendo una modalità che si attiva senza alcun bisogno di essere ulteriormente determinata, in una sorta di automatismo comportamentale che annulla le capacità volitive della persona e risolve l’indeterminazione della risposta nella paralisi agghiacciante o nella fuga precipitosa. In questo ultimo caso . si assiste ad allontanamento difensivo da tutto ciò che può procurare alterazioni al proprio stato interiore, sia aumentando la selettività con cui si scelgono le espe­ rienze a cui esporsi, sia attraverso la razionalizzazione e quindi la spoliazione di ogni aspetto che possa sfuggire al rigido e secco controllo della logica: sono le dinamiche in cui alla vita vissuta si sostituisce il farsi una ragione della pro­ pria vita, nel tentativo di ammansire i propri moti interiori grazie alla dilatazione dell’influenza coercitiva che la mente può operare su di loro. In entrambi i casi il fulcro attrattivo è costituito dall’autoreferenzialità con cui il movimento si svolge, costantemente al limite di una possibile tangente ma proprio per questo determinato dalla circonferenza sulla quale incessantemente si muove. Aspetto psichico Come appare in tutta evidenza dagli scritti mitologici, Mercurio si trova piena­ mente a suo agio nell’inconsistente dimensione dell’aria, in cui né un corpo né una forma preordinata possono ostacolarne o rallentarne la marcia, nell’incessante e velocissimo procedere cui è tenuto dalla funzione di araldo divino a lui assegnata. La borsa che porta sempre a tracolla ricorda l’attitudine al contenimento e al trat­ tenimento che è propria di Saturno, intrinsecamente connessa con ciò che attiene all’attenzione e alla raccolta dei messaggi che dovrà successivamente comunicare. Le strutture attraverso le quali si sviluppa la complessa rete di relazioni che rende sinergico e articolato il rapporto tra le parti viene da lui garantita a ogni livello e in ambito psichico si esprime nella facilità con cui si è in grado di creare collegamenti tra concetti diversi, di muoversi con dimestichezza tra la specificità del particolare e la generalità dell’astrazione, di inferire un senso logico e conse­ quenziale in ogni ambito della vita e della realtà. Quando è nel pieno delle forze, l’attenzione acuta e la velocità induttiva-deduttiva può addirittura anticipare l’evento, consentendo di precedere le conclusioni ancor prima che vengano espresse o pronunciate: a lui venne negata la virtù della preveggenza ma, quando ci si attiene all’analisi in senso razionale, allora facil-

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! CENI PLANETARI

mente individua pregi, debolezze e finalità dei diversi punti di vista. La capacità logica e l’arte della dialettica sono infatti dimensioni nelle quali può applicare pienamente la sua rigidità di atteggiamento e la sostanziale estraneità a ogni forma di coinvolgimento emotivo. Per Mercurio il fine giustifica sempre i mezzi, ed è il raggiungimento della meta l’unica cosa che conta: non importa come, quel che conta è cosa. Si scopre così un’altra affinità con Crono, l’estremo attaccamento alla propria identità che, per entrambi, risulta essere il magnete più attraente: che si esprima nella massima interiorizzazione delle virtù solari o nell’arrivismo più sfrenato, è sempre e solo in riferimento al risultato del loro operare che alimenta e sostiene l’autostima. Motivato da queste convinzioni, inclina allora a perseguire la soluzione dei proble­ mi non grazie alle virtù individuali, che disconosce, ma alla capacità di congetturare con astuzia, sacrificando le potenzialità dell’ingegno al proprio esclusivo interesse. L’autoreferenzialità è quindi l’insidia più pericolosa a cui espone questo genio planetario, la cui dissonanza può determinare, come accadde a Ulisse, un vero e proprio naufragio interiore. Il senso critico può infatti distorcersi nella tendenza a evidenziare unicamente i difetti e i limiti di ciò che si considera, sottoponendo se stessi e gli altri a un vaglio troppo severo e senza cuore, mentre non meno perico­ losa è la deriva che spesso complementa una visione così spietata dell’uomo e del mondo, descritta dall’iperbole del possibilismo più sfrenato, in cui all’attività del pensiero si sostituisce l’inconsistenza del fantasticare. Risucchiati dai gorghi dell’abisso o rapiti dalle chimere ideali, il destino di chi non sa governare l’intensa vivacità di questo genio planetario si risolve sistema­ ticamente nell’insoddisfazione per quel che si è raggiunto: la frenesia con cui si è desiderato non viene ripagata che da un fugace piacere, subito annullato dalla necessità di dare sempre nuove dimostrazioni di ciò che si è in grado di fare, così da ottenere ulteriori conferme del proprio valore. Questa insaziabile ricerca di sé nei risultati raggiunti può sostenersi solo grazie a un dispendioso e totalizzante impegno mentale che, noncurante e insensibile alle richieste di accudimento delle altre componenti di cui è costituita, consuma le energie della persona e può facilmente condurla a stati di esaurimento, così ampiamente diffusi, in cui la stessa capacità di pensare viene percepita come una sorta di condanna e patita anziché vissuta: perduti nel proprio labirinto interiore ci si scopre compagni e vittime di un demone, da cui si cerca disperatamente di sfug­ gire lungo percorsi che non si conoscono e che comunque non potranno condurre alla salvezza, al superamento di quella dimensione. Questi complessi psichici mettono in piena luce la particolare forma di egocen­ trismo che caratterizza tutte la problematiche mercuriali: l’attenzione esclusiva e costante ai propri pensieri, l’eccessiva importanza attribuita ai monologhi interio­ ri, la presenza di pregiudizi e di aspettative che prefigurano gli eventi e li depri­ vano della loro originale vitalità, la tendenza a perdere il presente per ruminare

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all’infinito i propri costrutti mentali, nell’inquietante convinzione che non esista altro che il proprio mondo, che tutto si svolga unicamente dentro di sé, che ciò che è, è ciò di cui ciascuno è o può essere persuaso. L’individuo viene così a trovarsi completamente solo e indifeso dalle pulsioni emotive che lo richiamano alla realtà e, in quanto dissociato da queste, incapace di contenerle: ogni risonanza interiore verrà così a essere amplificata dalla ricerca del suo senso e nel tentativo di dame una spiegazione razionale e causale si ali­ menterà nuovamente il circolo vizioso dei “perché” e la conseguente indetermi­ nazione dei “chi sono”. Per questa via i reiterati tentativi di dare spiegazioni logiche a ciò che per sua natura non è riducibile a queste categorie, anziché garantire incolumità affettiva ed elevata stima di sé possono invece scatenare conflitti interiori profondi che annichili­ scono la persona e la espongono ai rischi delle crisi ansiose, delle fobie e del panico. Quando invece, grazie a quelle stesse capacità raziocinanti, si riusciranno a imbrigliare momentaneamente gli stati dell’animo, allora il progressivo allonta­ namento dalla realtà che caratterizza queste dinamiche indurrà alla presunzione e all’aridità emotiva, entrambe celebrate dalla visione cinica della vita che, alla sottile ironia con la quale è ben possibile considerare le cose, sostituisce il sarca­ smo e il dileggio, così come racconta Esopo nella fiaba “La volpe e l’uva”, in cui, nell’impossibilità di dare soddisfazione al desiderio, ci si applica al dispregio di ciò che può procurarla. Negli ambiti relazionali questa ridondante attenzione al proprio mondo interio­ re Mercurio spesso si esprime nell’indurre senso e finalità arbitrari ai comporta­ menti altrui, considerati come cause esterne delle insoddisfazioni di cui si soffre e quindi elaborati sotto forma di giustificazione del proprio stato. La forma estrema di questi elaborati mentali è spesso costituita dalla concezio­ ne di una trama preordinata, di un articolato complotto perpetuato a proprio danno e in cui ogni atteggiamento altrui è ricondotto invariabilmente a un’intenzionalità interessata, frutto di proiezioni che la persona stessa induce nella realtà antepo­ nendo all’esperienza il pensiero che se ne è fatta, dando forza al pregiudizio che nutre in sé e di cui invece incolpa l’altro. Il dio della relazioni e degli scambi può così risojversi in senso involutivo ridu­ cendo le capacità comunicative della persona al solo dialogo interiore e, impeden­ do l’umiltà necessaria a ogni apprendimento, limita le capacità di comprensione che solo adeguate doti di adattabilità e di disponibilità possono consentire. Non a caso il cielo di Mercurio è interposto tra le competenze lunari e quelle venusine, a evidenziare la sua funzione di ponte tra le dimensioni più prossime alla Terra e le condizioni armoniche che danno accesso alla solarità: il rapporto che si intrattiene con questo genio planetario diviene quindi estremamente importante e decisivo per superare la gravità dei mondi inferiori e, pur con quotidiana fatica, tornare a rimirare il cielo.

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Luna ì) L’ultima presenza della sequenza caldaica è rappresentata dal simbolo del quar­ to lunare crescente, momento a partire dal quale la capacità di riflettere la luce so­ lare supera il limite dalla parzialità e si afferma fino a raggiungere la rischiarante pienezza. Questa raffigurazione, così vicina all’effettivo aspetto della presenza celeste a noi più prossima, sta a indicare la stretta relazione intercorrente tra la funzio­ ne di questo genio planetario e i processi che rendono possibile resistenza e la permanenza sulla terra di tutte le creature, scandendo attraverso la ciclicità delle sue diverse fasi i tempi del fenomeno vitale e quindi indicando quali potenzialità possano essere sostenute e realizzate in concordanza con la sua disposizione: un tempo si diceva infatti che “sulla terra non si muove foglia che la luna non voglia”, a conferma della sua pervasiva influenza sul mondo della natura. Di genere femminile, le sono proprie le qualità del freddo e dell’umido che evidenziano la sua tendenza attrattiva e la capacità di accoglimento conseguenti alla sua grande adattabilità. Venne chiamata Diana dai Romani e Artemide dai Greci e indicata da entrambi quale sorella gemella di Apollo, il Sole, di cui lei stessa fu levatrice. La madre Latona, la dea che si congiunse con Giove, infatti la generò per prima e solo successivamente e grazie al suo aiuto dette alla luce la più luminosa delle compo­ nenti maschili. La sua funzione è quindi immediatamente posta in relazione alla fecondità, alla nascita e all’accudimento cui è tenuta ogni nuova creatura, analo­ gicamente correlata al concetto del sole nascente. La sua vicinanza a questi aspetti così intimi ed essenziali di qualsiasi processo di incarnazione, di realizzazione nell’esistenza fisica e terrena di ogni forma di vita, sottolinea la sua affinità con i tempi e le leggi della natura, di cui è insieme artefice, dispensatrice e inflessibile sorvegliante. E così raffigurata priva di ogni abbellimento seduttivo, vestita di sole pelli ani­ mali, armata di arco e frecce e in compagnia di un cerbiatto, metafora di ogni cuc­ ciolo indifeso. Eternamente giovane, dotata di una bellezza selvaggia e di un’in­ dole indomita, Diana non si concede ad alcuno e la sua illibatezza è presupposta all’integrità, all’originalità, alla nuova diversità che è connaturata all’esistenza di ogni individuo: non è di nessuno, in quanto madre e matrice di tutti. Il racconto mitologico che più di altri esprime l’asprezza dei suoi modi e il rigore spietato con cui applica le sue leggi ci narra di Atteone che, all’inseguimen­ to di un cinghiale penetrato nel bosco, si ritrovò d’un tratto in un’ampia radura abbellita da una cascata e da un laghetto, nel quale proprio in quel mentre Diana si stava immergendo, nuda e nella pienezza del suo splendore. Dinnanzi a tale visione il cacciatore si arrestò e così anche la muta di cani che sempre lo seguiva e lo aiutava nella ricerca e nella cattura delle prede: la dea gli voltava le spalle e

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I quell’estatica figura lo colmò di stupore e di ammirazione, sentì quella presenza nel cuore e la riconobbe ma, anziché portarle il rispetto dovuto, nutrì invece il desiderio di possederla. Con ciò ricevette la più severa delle punizioni: essendosi comportato così come avrebbe fatto un qualsiasi animale, cedendo agli istinti e peccando della bramosia insita in ogni pulsione ridotta a bisogno, venne trasformato in cervo dallo sguardo irato della dea e, non più riconosciuto dai cani, azzannato e sbranato dai loro mor­ si. Nei suoi ultimi istanti di vita Atteone esprimerà poi il pentimento e la constata­ zione di quanta poca consapevolezza abbia l’uomo della sua natura e delle proprie potenzialità, e di come la mancata maturazione dei propri ambiti istintivi ed egoici procuri danni devastanti a se stessi e al mondo che ci circonda. Da cacciatore a preda, la sottile giustizia di Nemesi ha forme e modi che quin­ di non dipendono dal fato ma sono ineluttabile conseguenza delle scelte umane: queste si rispecchiano puntualmente nella fatica della remissione dei propri debiti che viene così commisurata a come si è ottenuta soddisfazione di ciò di cui ci si ritiene, a torto o a ragione, creditori. In ambito egizio questo genio planetario venne rappresentato sotto le sembian­ ze di Iside che, come si ricorderà, riuscì a ricomporre e a ridare fecondità alla complementare componente maschile, Osiride, restituendo il senso della solarità al marito e con esso a ogni processo vitale e creativo. Dagli ambiti più vicini alle inderogabili leggi della necessità, in cui la sua bene­ volenza si esplica nel garantire la disponibilità dei beni utili alla sussistenza, alle dimensioni più eteree della comprensione e della capacità di accudimento, così le­ gate alla riflessività e alla temperanza, Luna attende al proprio compito ribadendo ben più frequentemente di ogni altra presenza celeste l’insegnamento racchiuso nella sua costante mutevolezza, in cui viene descritta l’inesorabile alternanza di crescenza e decrescenza, di accrescimento e riduzione così radicalmente inerenti a ogni aspetto vitale. L’ultimo passaggio della successione planetaria viene così a rappresentare la prima prova che si affronta nel processo di risalita ovvero di crescita: l’acquisi­ zione della capacità di prendersi cura di sé, di mantenere feconda la propria terra e di accudire i suoi frutti, di propiziarne la crescita affinché possano essere, a loro volta, soggetti di nuova vita. Aspetto fisico Tra gli elementi chimici del primo periodo la segnatura lunare è attribuita al boro, sostanza indispensabile per la vita e la sussistenza di ogni vegetale. Laddove se ne verifichi la carenza le piante manifestano alterazioni della ramificazione (di segnatura venusina) e abnorme accumulo di amido a livello fogliare (di segnatura mercuriale). In particolare le leguminose esprimono questa incapacità ad accedere alle successive fasi di elaborazione interiore, non riuscendo neppure a sviluppare

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i noduli radicali con cui poter fissare l’azoto (anch’esso di pertinenza mercuriale) e quindi determinando arresto dello sviluppo e fragilità tissutale. Sotto forma di anione borato, non meno importante è la sua partecipazione ai processi fisiologici * negli animali e nell’uomo in cui, oltre a numerose altre attività, favorisce l’assorbi­ mento del calcio e limita la perdita di magnesio contrastando così la rarefazione dei tessuti ossei, oltre a sostenere la sintesi di estrogeni e di vitamina D. Questo elemento ha proprietà e reattività simili al silicio ed è singolare la cor­ rispondenza, seppure su piani diversi, della relazione che intercorre tra Luna e Saturno, così spesso citata nei testi antichi: la prima presenza celeste che compie la sua orbita in circa 28 giorni e l’ultimo pianeta visibile che invece impiega circa 28 anni a completare il suo corso. A confermare questi nessi analogici, molti com­ posti che lo contengono sono utili alla disinfezione e alla sterilizzazione e infatti i borati erano componenti del natron, sostanza usata dagli Egizi per la mummifi­ cazione delle salme. A un livello di maggiore gravità questo genio planetario trova rappresentazione nell’alluminio, elemento molto diffuso sulla terra come costituente di molecole più complesse. Tra questi composti è senz’altro da ricordare il silicato di allumi­ nio, comunemente chiamato argilla, che, racchiudendo in sé le segnature estreme della sequenza caldaica, risulta essere un rimedio polivalente per il trattamento di numerose affezioni: sia per uso interno che esterno garantisce comunque ef­ fetto decongestionante sui processi infiammatori e di riassorbimento dei liquidi in eccesso, contribuendo quindi alla purificazione del corpo attraverso le sue po­ tenti qualità attrattive. Nell’antichità era di largo uso anche l’allume, prodotto dalla lavorazione dell’alunite, che veniva impiegato per fissare i colori sui tessuti, conciare le pelli, produrre il vetro e, come avviene ancora ai nostri giorni, come emostatico. Più in generale, oltre che facilitare i processi di cicatrizzazione, i sali solubili di alluminio hanno proprietà astringenti e antisettiche, mentre i suoi sali • insolubili sono impiegati come antiacidi e antiputrefattivi, in forza delle loro qua­ lità assorbenti. Nel nostro corpo è presente in minime quantità e tende a concen­ trarsi nei polmoni, nel fegato, nella tiroide e nel cervello. Stati di intossicazione dovuti all’accumulo di questo elemento determinano paralisi, convulsioni e sinto­ mi simili alla demenza senile, procurando danni al sistema nervoso centrale che, come vedremo, è anch’esso posto sotto il governo di questo genio planetario. Nel mondo dei metalli è di segnatura lunare l’argento, la cui capacità di riflet­ tere la luce e l’estrema disponibilità alla conducibilità del calore e degli impulsi elettrici non ha paragone con qualsiasi altro elemento. La sua minima interferenza nei processi di conducibilità consente la fruizione dei messaggi nella forma più veritiera, come l’immagine fedele che dona agli specchi realizzati con le sue sottili lamine. Tra tutti i suoi simili è inoltre dotato di elevatissima malleabilità ma anche di minore resistenza agli urti ed è particolarmente sensibile ai composti sulfùrei che, anche se presenti solo in tracce nell’aria, sono in grado di scurirlo. L’intensa

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attività germicida e battericida che caratterizza il suo comportamento era nei tempi passati molto conosciuta, e ancora oggi lo si utilizza per la disinfezione dell’acqua o, sotto forma di oligoelemento, per prevenire e risanare dalle aggressioni esterne. In ambito vegetale la funzione lunare è rappresentata dai fiori di ogni pianta, luogo in cui hanno sede gli intimi apparati della fecondità e in cui si celebra la gioiosa apertura della pianta alla penetratività dei raggi del sole. Il fico è di sua piena attribuzione e infatti in stretta relazione analogica con le corrispettive parti del corpo in quanto, come si ricorderà, una sua foglia costituì il primo indumento che occultò alla vista le differenti attribuzioni di genere. Più in generale ogni ve­ getale è sottoposto aU’influenza dell’astro a noi più prossimo e quindi è corretto sostenere, in linea di principio, che tutte le piante siano lunari ma, stante la ne­ cessità di evidenziare le loro particolari attività terapeutiche e i diversi usi che è possibile fame, si attribuiscono le differenti segnature relativamente alle ulteriori qualità energetiche di cui ogni singolo vegetale è portatore e che quindi lo rendono distinguibile dagli altri. Operativamente, quando occorrerà sostenere questo genio planetario, si pren­ deranno in considerazione rimedi che contengano nella loro segnatura la presenza di Luna che, essendo ulteriormente ribadita, sta a indicare l’intensa attività che il rimedio stesso è in grado di svolgere a sostegno dei processi da questa propiziati. In ambito cromatico, il colore che meglio esprime la sua natura è l’indaco, ma la sua chiarezza risplendente la lega anche al bianco e in generale al pallore. Le sue forme sono rotonde ma tendono alla piena circolarità piuttosto che alla sinuosa alternanza delle curve e questa tendenza può determinare, quando risulta dominante, perdita della tonicità e dell’espressività della persona, sia dal punto di vista fisico che comportamentale: lo sguardo allora apparirà inespressivo e so­ gnante, testimone della perduta capacità di essere presenti a se stessi, dell’essere rapiti altrove, distratti dalle risonanze interiori e quindi lontani dalla realtà e dalla sua comprensione. Aspetto fisiologico Nel nostro organismo, in piena corrispondenza analogica con le caratteristiche di contenimento e di accudimento materno a lei attribuite, Luna trova una prima rappresentazione nell’attività svolta dallo stomaco e dal duodeno,-entrambi coin­ volti nel processo digestivo e quindi inerenti agli ambiti della nutrizione. A questo livello si assiste al diretto rapporto tra la funzionalità di questo genio planetario e l’operatività di Marte che, attraverso la presenza degli acidi gastrici, assicura la demolizione in forme più semplici del cibo introdotto. Le così frequenti pro­ blematiche corrosive a carico di questo viscere evidenziano quindi una scorretta relazione tra le due componenti e testimoniano un’eccessiva incisività marziale, calda e secca, a fronte di una debilità di Luna, non in grado di mantenere integre le proprie strutture ovvero le mucose che rivestono questo tratto del digerente.

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Se la disponibilità aH’accoglimento, e quindi a portare all’interno del proprio grembo il nutrimento, descrive pienamente le così spiccate qualità femminili di questo genio planetario, non si sottovaluti l’attività protettiva di vaglio cui sotto­ pone il cibo e le potenzialità espulsive e di rigetto che a questo livello possono attivarsi in caso di condizioni non opportune: lo stomaco è infatti l’ultima soglia, oltre la quale ciò che è stato introdotto potrà essere eliminato solo per via emuntoriale e quindi dopo essere stato interamente processato. Per quanto riguarda il duodeno, si assiste invece a una più complessa artico­ lazione funzionale comprendente l’attività del fegato (Giove), della cistifellea (Marte) e del pancreas esocrino (Mercurio) che, in ordine al loro grado di efficien­ za e all’adeguatezza dei processi precedenti, determinano congiuntamente lo stato di questo viscere di segnatura lunare. A conferma di quanto patiscano gli ambiti femminili dinnanzi all’irruenza pre­ varicatrice della componete maschile, anche in questo caso le affezioni che più frequentemente si riscontrano hanno a che fare con aggressioni caustiche a carico delle mucose con possibili esiti ulcerativi. In analogia con la pervasività della sua azione è invece in relazione all’attività dell’encefalo e del midollo spinale, strutture preposte al governo e alla modula­ zione di tutti i processi corporei che, seppure operati in periferia dagli apparati specifici, vengono sostenuti o inibiti in base alle direttive elaborate dal sistema nervoso centrale. Oltre a garantire questa funzione di coordinamento e di contenimento dèlie di­ verse necessità fisiologiche, le sue attitudini al rispecchiamento interiore donano al corpo anche la capacità di agire a prescindere dalla maturazione di una volontà cosciente, consentendo l’immediatezza reattiva delle attività riflesse sia in ambito motorio che nelle complesse regolazioni endocrine. Strettamente legata ai sensi e alle sensazioni, le rappresentazioni interiori degli accadimenti avvengono proprio in questa sede in cui, strutturalmente, si elabora il significato delle esperienze e su cui si sostiene l’intero nostro mondo psichico. Quest’ultimo è costellato da tutti i pianeti e non si può certo ridurre l’intera di­ mensione mentale alla sola segnatura lunare, ma certamente l’influenza di questa forma archetipale, grazie ai diversi gradi di sensibilità che induce, orienta più di altre le nostre attività psichiche e il grado di selettività con cui vagliamo il rappor­ to con noi stessi e gli altri. In ambito endocrino la dea della gravidanza e della nascita si esprime inoltre negli apparati preposti al contenimento e al mantenimento delle potenzialità crea­ tive dell’individuo, in cui massimamente si riflette la sua originalità, da intendersi tanto in relazione alla propria diversità, quanto testimonianza delle sue origini. Le gonadi, ovaie e testicoli, sono quindi posti sotto il governo di Luna ed è quindi in virtù della sua disposizione che la fecondità viene a essere sostenuta o impedita. Tale è la sua incidenza in questo ambito da scandirne cronologicamente

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il ritmo, così per quanto attiene alla durata del ciclo femminile, così relativamente al tempo richiesto dalla gravidanza. Le sue diverse fasi descrivono in cielo la disposizione alla crescita, alla pièna maturazione e al decadimento riduttivo che culmina con la comparsa del mestruo ogni 28 giorni, corrispondente alla fase di luna nera e alla nascita dopo 280 giorni, compiuta la decima lunazione. Ogni qual volta si incontrano problematiche relative a questa sfera, sia in ambi­ to maschile che femminile, occorrerà quindi valutare con molta attenzione lo stato di questa funzione ed eventualmente, attraverso l’utilizzo di rimedi appropriati, sostenerne l’attività. Portatrice del freddo e dell’umido che caratterizzano l’acqua, ha con questo elemento una particolare sintonia tanto da essere coinvolta in ogni processo che lo riguarda. Ricordando la sua attinenza con gli ambiti nutrizionali e digestivi, va così sottolineata la funzione di recupero delle componenti liquide che ha luogo a. livello del colon e, in senso sistemico, di mantenimento delle stesse all’interno del corpo. Una sua dissonanza può quindi indurre ritenzioni e stati edematosi, stasi di liquidi alla periferia del corpo e appesantimento generalizzato della persona. In quanto sorella gemella di Apollo le è infine attribuita l’attività dell’occhio sinistro, in cui la solarità del fenomeno visivo interessa la lateralità femminile. Aspetto emotivo La vicinanza di Luna alle dinamiche dei fluidi trova ulteriore conferma nell’estrema sensibilità emotiva che è in grado di sostenere e sollecitare, modulan­ do la risonanza delle sensazioni e inducendo quindi, nella persona, disponibilità al loro ascolto. Così come durante il sonno si è interamente abbandonati alla propria dimensio­ ne interiore, le qualità di accoglimento e di permeabilità allo stato dell’animo ven­ gono a essere particolarmente nutrite dall’attività di questo genio planetario anche durante lo stato di veglia. Non è certo questo il tipo di attenzione precedentemente attribuito a Mercurio, che elabora attivamente le sensazioni percepite; al contrario Luna inclina verso la contemplazione del proprio stato emotivo. Questa particolare modalità contenitiva è in stretta relazione analogica con le sue attribuzioni generative e in ambito interiore si esprime con la stessa disponi­ bilità che ha la terra fertile nell’accudire il seme, non solo annullando ogni resi­ stenza all’intrusione di una presenza estranea ma operando affinché questa giunga a pieno sviluppo e acquisisca un’autonoma esistenza. In senso lunare le emozioni risultano così più patite che provate, il loro accesso si impone alla mente e si è quindi presi o rapiti da una risonanza interiore, da un coinvolgimento esperienziale che supera il limite deH’alterità per risolversi in una comunione. Non a caso gli antichi Egizi la associavano alla capacità di comprendere, che presuppone piena disponibilità all’ascolto, assenza di pregiudizi e attiva parteci­



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pazione al processo. In questo stato si è massimamente suggestionabili, ovvero particolarmente aperti a recepire ciò che ancora non si è maturato e quindi non si è ancora compreso. Senza questa capacità di riflettersi nell’altro non sarebbe pos­ sibile alcuna vera comunicazione, che prima ancora di rappresentare uno scambio di informazioni è esperienza emotiva e quindi fisica. Una così ampia apertura verso ciò che dalPestemo si fa strada nell’interiorità della persona espone però al rischio che la sua stessa integrità ne venga intaccata e che presenze parassitarle o coercitive possano attecchire, valicandone irrispetto­ samente gli ambiti più intimi e annullando ogni capacità di contenimento emotivo. Quando la dissonanza lunare si esprime con queste modalità, si avverte una particolare ipersensibilità all’ambiente in cui si è inseriti e le cose quanto gli altri evocano ricordi, immagini, rimandi che vanno ben al di là della loro contingenza e divengono rappresentazioni che risuonano interiormente fino a saturare i sensi, rendendoci avulsi e assenti dal contesto che ci circonda. Il grado di adattabilità della persona viene così a essere notevolmente ridotto e lo stato tumultuoso delle sue acque non consente di tollerare ulteriori solleci­ tazioni, il che spesso determina reazioni umorali in sintonia con il proprio stato d’animo piuttosto che con ciò che si sta vivendo. Luna è la presenza celeste più prossima al nostro pianeta e, in quanto dea delle sensazioni, coinvolge sempre l’ambito corporeo nei suoi movimenti: in grado di indurre direttamente riflessi fisici alle emozioni percepite, è infatti metafora an­ che mitologica dello stretto legame esistente tra sensazioni e somatizzazioni delle stesse, tra sensibilità e visceralità, tra le dimensioni del sentimento e gli ambiti dell’istinto. In queste dinamiche così intime e sostanziali si articola la funzionalità lunare che, rappresentando l’anello di congiunzione tra cielo e terra, modula la stessa selettività sensitiva e, conseguentemente, può indurre processi in cui alla realtà si sostituisce l’immagine che se ne è fatta e dell’evidenza delle cose si per­ cepisce unicamente la rappresentazione emotiva che ne è scaturita. Quando la sua incidenza è particolarmente significativa, anche la dimensione onirica tende a superare gli argini del riposo notturno e a debordare negli ambiti propri della coscienza, determinando una percezione di sé e del mondò che resta sospesa tra sogno e realtà: in preda alle proprie acque interiori la persona rischia così di perdere il contatto con l’elemento terra e di vivere l’aria, ambito del pen­ siero, unicamente come proiezione immaginativa dei propri movimenti emotivi. L’estrema mutevolezza delle sue fasi celesti descrive infine l’instabilità e l’altalenanza ciclica che caratterizzano i corrispondenti stati emotivi verso cui inclina, ora risplendenti ed espansivi, ora oscuri e introversi ma comunque in continuo mutamento. Aspetto psichico La virtù della riflessione, e quindi la possibilità di compiere un percorso introiettivo nella ricerca di una visione comprensiva dì tutte le proprie componenti, di

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sfuggire alla parzialità del bisogno e alla compulsività del desiderio, di integrare e nutrire le dimensioni più grevi con le più sottili, sono da sempre attribuite a Luna che, come avviene in cielo, riesce a proiettare sulla terra la luce del Sole e quindi, in ambito umano, a portare coscienza e consapevolezza del proprio cuore nella volontà che si esprime. Per quanto riguarda questa sua specifica funzione era chiamata Thot dagli anti­ chi Egizi e associata alla capacità stessa di conoscere, intendere e comprendere il senso dell’esistenza, sia nelle sue manifestazioni celesti e naturali che per quanto riguarda l’essere umano. Per questo definivano l’intelligenza come “intelligenza del cuore”, in quanto operata dalla mente come fenomeno di riflessione fedele di ciò che è avvertito dal cuore, che in essa è contenuto e che la fa risplendere. Veni­ va allora raffigurata sotto forma di ibis, una tipo di gru che costantemente sonda il fondo del fiume, supera con il suo becco indagatore il limite dell’acqua e quindi si applica alla conoscenza di ciò che è oltre le apparenze, che è occultato alla vista ma in cui risiede la fonte di ogni possibile nutrimento. Come è esplicitamente scritto nei papiri, “il becco del dio è il cuore dell’uomo: guardati dal dimenticar­ lo”. In questa visione solare dell’uomo e della vita. Luna veniva quindi descritta quale insostituibile alleata per poter accedere alla piena comprensione delle cose e proprio la fase di luna piena riconosciuta come momento in cui la sua forza illu­ mina con la massima chiarezza la coscienza della persona. Incapace di sostenere direttamente la relazione con gli ambiti superiori, all’uo­ mo è data facoltà di comprendere attraverso la mediazione lunare, grazie al rispec­ chiamento interiore di cui quest’ultima ci fa dono. In questa dimensione la mente cessa di produrre pensieri e si pone in attesa di ricevere risposta ai propri turba­ menti, di potersi nutrire del rapporto con il Sole-cuore che rischiara il cammino e dona calore e vitalità. Nel silenzio e nel raccoglimento interiore si produce allora lo svelamento della realtà e, così come affermato nei Vangeli gnostici, “la verità ci appare per simboli e immagini”. Quanto ciò che è riflesso sia fedele riproduzione della realtà dipende dalla con­ dizione di questo genio planetario, a cui vanno dunque riferite distorsioni cono­ scitive dovute alla parzialità prospettica in cui ci si pone quando si assume un determinato punto di vista, anziché considerare le cose nella loro interezza e come aspetti della propria molteplicità. Questa particolare attenzione all’ascolto inte­ riore induce comunque una sorta di amplificazione e di sublimazione degli stati emotivi in rappresentazioni mentali, così che le sensazioni provate si esprimono in sentimenti e determinano un coinvolgimento attivo della coscienza nel dare una forma e un senso personale a ciò che si è percepito. Ogni esperienza segue ine­ luttabilmente questo percorso e viene maturata da questo primo processo elaborativo, sottoposta quindi al vaglio lunare che ne evidenzierà pregnanza e spessore, grado di coinvolgimento e livello di attaccamento. Nel suo simbolo è infatti descritta una forma individuale, il tratto di circonfe-

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renza è privo di una propria centralità e quindi indica, a questo livello, la necessità di una determinazione esterna che ne attivi la funzionalità e sulla quale possa operare. In virtù di questa sua'disponibile vacuità è quindi possibile la non inter- • ferenza nella percezione di sé, ambito della riflessione e della sentimentalità, ma al contempo,-così come indicato da Paracelso riguardo all’ente spirituale, posso­ no insorgere alterazioni e malattie dovute all’intromissione di complessi psichici altrui, che possono facilmente varcare i confini della persona e imporsi alla sua attenzione, invadendone l’animo e saturandone la dimensione mentale. Anche in questo caso la dissonanza di un genio planetario, ancor prima di con­ siderarne eccessiva o carente la presenza, si esprime chiaramente nel ledere le competenze che gli sono proprie e quindi gli ambiti funzionali che rappresenta: quanto sia attivo è dato relativo all’efficienza delle altre funzioni, come sia ope­ rante è invece di rilevanza specifica e, quindi, assoluta.

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Lo zodiaco e i segni zodiacali

Il termine “zodiaco” deriva dal greco zodiakos, frutto della radice zoo che si­ gnifica “io vivo” e, sotto forma del diminutivo zoodion, richiama il concetto di ciò che è di natura animale. La denominazione assegnata ai suoi segni è ripresa dal nome delle costellazioni che si presentano in cielo nella stessa successione ma sono per nulla attinenti allo stesso significato: queste sono state rappresentate anche sotto forma di sembianze animali, mentre le porzioni di tempo descritte nell’arco di trenta gradi zodiacali si riferiscono esclusivamente alle forze e alle qualità operanti sulla terra durante quel periodo. Lontano dalle fantasticherie e dai sedicenti esoterismi attuali, nell’antichità lo zodiaco è sempre stato considerato in relazione alla diversa disponibilità con cui il sole dispensa i suoi raggi, in quanto fedele rappresentazione del percorso dell’astro in cielo e quindi utile a descrivere le diverse condizioni e le differenti modalità attraverso cui la solarità, e con essa il vitalismo di cui è portatrice, si propaga in un dato tempo, in quel particolare spazio. Il progressivo allontanamento dalla natura e dai suoi ritmi ha indotto una mol­ teplice serie di conseguenze, tra cui una sempre maggiore indifferenza alle condi­ zioni ambientali e la parallela presunzione di poterle dominare artificiosamente e senza alcun rispetto per le leggi che le sottendono. Si è così venuta a determinare una drammatica frattura nella relazione con ciò che ci circonda e, fatto che potreb­ be renderla insanabile, con pregiudiziale trascuratezza si sono messe in soffitta le osservazioni accorte che la nostra civiltà ha prodotto in migliaia di anni di rifles­ sioni sui sottili ma sostanziali legami che intessono l’intreccio tra la dimensione celeste, terrestre e umana. La circolarità dello zodiaco ne descrive la rappresentazione più vicina a ciò che visivamente appare in cielo e proprio in ragione di questo suo mostrarsi e in relazione al movimento ciclico che lo contraddistingue, è in stretta relazione ana­ logica con il nascere, il divenire e il declinare di ogni forma di vita individuale. Le sue diverse porzioni, i segni zodiacali, rappresentano aspetti parziali di una totalità che li comprende e che trova in essi una sua particolare espressione, il frutto di un determinato momento, la manifestazione di una peculiare volontà. Queste chiave

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di lettura è dunque applicabile a qualsiasi scala di grandezza e, pur con le attenzio­ ni dovute alla specificità considerata, a qualsiasi ambito: tutto ciò che ci circonda è di natura individuale e quindi soggiace alle stesse leggi, di cui sono parte integran­ te le dodici disposizioni di cui parleremo dettagliatamente più avanti. Se con la definizione dei sette geni planetari si è dato risalto all’attività funzio­ nale che sui vari piani della persona è da questi svolta, riguardo ai segni parleremo invece dei luoghi e dei contesti in cui quell’attività viene operata, anche in questo caso sottolineando gli ambiti fìsici, emotivi e psichici che questo comporta, così come indicato dalle antiche Melotesie, frutto dello studio delle relazioni tra fun­ zioni, disposizioni e componenti costitutive dell’essere umano. Lasciando una trattazione più esaustiva alle pagine introduttive del capitolo dedicato all’uso dei rimedi spagyrici, è bene fin d’ora sottolineare come questo aspetto sia di straordinaria importanza per individuare l’intervento più opportu­ no, in quanto la segnatura di ogni pianta è espressa sì da una simbolica relativa ai pianeti, ma anche da una precisa indicazione zodiacale, che quindi indicherà dove quelle qualità energetiche verranno primariamente veicolate nella comples­ sità della persona. Tutti i precedenti passaggi attraverso cui il Verbo creativo si è espresso trovano infatti puntuale testimonianza nello zodiaco, che quindi viene a rappresentare, così in cielo come in terra, un’ulteriore specificazione di come le forze siano disposte e, di conseguenza, quali ambiti ne siano particolarmente coinvolti. In questa parte introduttiva si intende quindi dare una visione d’insieme della complessa ma in sé lineare e coerente articolazione che, nella visione spagyrica, assumono le diverse fasi del processo vitale, sulle quali si tornerà a parlare in modo più approfondito affrontando le specifiche caratteristiche di ogni segno. Da un punto di vista strutturale nello zodiaco troviamo infatti rappresentate tutte le fasi attraverso cui si è realizzato il disegno creativo, inserite e contestua­ lizzate in una totalità che ne scandisce i tempi, i luoghi, i modi. Il dualismo, di cui abbiamo trattato a proposito di sole e luna filosofici, è testimoniato dall’alternanza di genere tra i segni che, a partire dal primo maschile, si verifica lungo tutto lo zodiaco, così come riguardo all’analoga complementarietà tra semiarco diurno e notturno, tra semestre caldo e freddo o umido e secco, tra le direzionalità opposte che assume il Sole dalla nascita verso il tramonto e il movimento inverso che ca­ ratterizza il suo passaggio attraverso i segni. Se invece consideriamo la loro successione in senso ternario, rintracciamo la presenza dei principi filosofici che, coerentemente ai loro attributi, ne sottolineano la diversa inclinazione. Il primo segno, Ariete, è così in relazione al mercurio filosofo, portatore del cambiamento, e viene quindi detto tropico, il secondo, Toro, rappresenta il centro della triade e ha invece a che fare con il solfo ed è indicato come solido, mentre il terzo, Gemelli, rappresenta il sale filosofico ed è considerato bicorporeo.

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IX) ZODIACO EI SEGNI ZODIACALI

Essendo dodici i segni, questa alternanza viene a essere ribadita con le me­ desime attribuzioni per quattro volte nello svolgersi del ciclo zodiacale e quindi ognuno di essi sarà caratterizzato dalla corrispondente segnatura filosofica. Un’altra interessante chiave di lettura la si ottiene sottoponendo l’intero zodia­ co a una tripartizione: la prima parte, da Ariete a Cancro, sarà quindi in relazione analogica con il sale, la seconda, da Leone a Scorpione, con il solfo e l’ultima, da Sagittario a Pesci, con il mercurio filosofico. Ricordando quanto detto in merito a ogni singolo principio, si possono quin­ di considerare questi ambiti costituzionali dell’individuo e acquisire importanti elementi sulla loro condizione, valutando lo stato di ogni singola componente in relazione alla funzione che dovrebbe, a tutti i livelli, garantire. Si raccomanda quindi la massima permeabilità nel considerare l’intreccio tra i diversi piani della persona e di rapportare costantemente il suo stato alle modalità con cui essa, nel senso più ampio, si esprime. La quadruplicità è invece rappresentata dalla segnatura dementale che assegna le qualità del fuoco a tre segni (Ariete, Leone, Sagittario), così come per la terra (Toro, Vergine, Capricorno), l’aria (Gemelli, Bilancia, Acquario) e l’acqua (Can­ cro, Scorpione, Pesci). Questa disposizione viene reiterata per tre volte e descrive la particolare successione che assumono i quattro elementi nella rappresentazione zodiacale, diversa da quella utilizzata precedentemente, in cui era invece l’aspetto della sottilità a essere preso in considerazione. Questa diversa modalità descrittiva ci invita a una lettura ancora più attenta de­ gli effettivi aspetti con cui avviene la relazione tra gli elementi nella concretezza dei processi vitali: il fuoco riscalda la terra, dalla terra si levano i vapori che costi­ tuiscono l’aria che a sua volta, facendosi sempre più prossima al sole, si condensa in acqua e precipita, riportando alla terra il fuoco celeste che, con il suo calore e la sua luce, perpetuerà questo vitale movimento di circolazione sinergica. Lo zodiaco, come si è detto, rappresenta il percorso che il Sole descrive nella volta celeste e, ovviamente, è raffigurazione delle diverse condizioni che si al­ ternano durante lo svolgersi di un intero anno solare: da questa considerazione è possibile trarre un’ulteriore relazione analogica con i quattro elementi. Gli antichi, che certo non mancavano di senso pratico, si dedicarono allo studio del cielo per conoscere precisamente il modo con cui il tempo scorreva, non con finalità filosofiche ma per trarre da queste tutte le indicazioni utili a operare corret­ tamente sulla terra: per ottenere i migliori frutti dal proprio lavoro in armonia con le condizioni naturali, presero in considerazione quei particolari momenti astro­ nomici in cui la luce è massimamente assente o presente e quelli in cui il giorno e la notte sono invece di pari durata: congiungendo i punti dello zodiaco che hanno queste caratteristiche si ottiene rispettivamente la linea dei solstizi, verticale, e la linea degli equinozi, orizzontale. Questa croce, vero e proprio simbolo filosofico di ogni intreccio energetico in-

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dividuale, divide la circonferenza in quattro settori temporali distinti, cui abbiamo attribuito il nome di stagioni. Così ogni anno, all’entrata del Sole nel segno di Ariete, ovviamente in esatta concordanza col fenomeno dell’equinozio in senso astronomico, si assiste alFinsorgere della primavera, stagione dell’aria; a questa segue l’estate al primo grado di Cancro, momento del solstizio estivo e inizio della stagione del fuoco; compare poi l’autunno quando invece il Sole supera i confini di Bilancia, punto equinoziale al di là del quale sono particolarmente operanti le qualità della terra; infine l’oroborus, il serpente che si morde la coda, compie il suo quarto movimento scandendo il solstizio invernale al sorgere del Sole nel segno di Capricorno, che inaugura l’inverno, portatore del freddo e dell’umido tipici dell’acqua. Vanno quindi considerate anche da questo punto di vista non solo la costituzio­ ne della persona ma anche le diverse condizioni energetiche in cui questa è inse­ rita, che possono essere tanto di tipo ambientale e naturale, come per il succedersi delle stagioni che impongono specifiche adattabilità, quanto relative al contesto umano da questa vissuto e da cui è non meno influenzata. Inoltre la condizione delle qualità primarie, il caldo e il freddo, così come le secondarie, il secco e l’umido, può essere utile indice dello stato interiore della persona se, come già detto a suo tempo, viene posto in relazione al significato che esse assumono in queste più sottili dimensioni. Relativamente ai sette geni planetari, che il Sole trascina con il suo movimento, questi risiedono inevitabilmente in uno dei dodici settori in cui è diviso il cielo: il grado di assonanza tra le qualità di quella particolare funzione e la competenza attribuita a quel segno renderanno finalmente operativa l’attività interessata, che così si esprimerà tanto in un processo fisiologico che in un particolare stato d’ani­ mo e in un determinato psichismo.

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Ariete



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Il nome che gli è attribuito è dovuto alla particolare posizione celeste che la costellazione di Ariete occupava nel primo secolo avanti Cristo, che allora risul­ tava contenuta nei primi trenta gradi dello zodiaco. Da questa omonimia deriva la grossolana critica all’intero impianto astrologico che ha portato anche personalità insigni del mondo accademico a sostenerne la manifesta illogicità, in quanto, at­ tualmente, non sussiste più quella configurazione celeste. In realtà, quindi in piena coerenza con i dati astronomici, l’inizio di questo pe­ riodo dell’anno corrisponde al noto punto gamma, determinato dall’intersezione dell’equatore celeste con l’orbita descritta dal Sole, così come scritto ampiamente dagli antichi autori. La loro visione, come si sa, era geocentrica, ma si consideri che ancora oggi

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IX) ZODIACO E I SECNI ZODIACALI

permette la modalità più veloce e diretta per determinare l’esatta posizione di una qualsiasi presenza celeste e soprattutto pone al centro ciò che interessa e che si intende valutare, vale a dire la Terra stessa. Non era certo sconosciuta la centralità del Sole e la forza attrattiva che costrin­ ge gli altri pianeti a orbitargli intorno, al contrario se ne aveva una tale certezza scientifica da trasporne il significato in ambito filosofico e mitologico, come più volte sottolineato in precedenza. In corrispondenza con queste condizioni celesti, intorno al 23 di marzo di ogni anno si assiste all’avvento della primavera e da quel momento, per circa sei mesi, la durata del giorno risulterà essere sempre maggiore rispetto a quella della notte. La stagione è contraddistinta dalle qualità dell’aria, calda e umida, in cui alla disponibilità adattativa si associano le virtù accrescitive: nella natura si celebra il ritorno alla relazione diretta con il sole, e ne è crescente testimonianza il verde delle foglie e dell’erba che toma a colorare il mondo. In senso spagyrico rappresenta l’inizio dell’anno, in quanto momento in cui, dopo la gestazione autunnale e invernale, una nuova creatura viene alla luce e quindi un nuovo ciclo succede al precedente. Il glifo che lo simboleggia è costituito da un’asse centrale, robusta e vertica­ le, da cui si innalzano due curve simmetriche che poi tendono a ripiegarsi verso il basso, come ad attribuirgli le qualità di un’azione che si propaga in qualsiasi direzione e che coinvolge in modo pervasivo ogni ambito possibile. Il risveglio viene così a essere propiziato da questa radicale e intensa disposizione all’attività, come avviene nell’arco dell’anno all’inizio della primavera o, su scala più ridotta, all’alba di ogni giorno. Conseguentemente alle qualità espansive che gli sono proprie, è un segno ma­ schile e in ragione della sua impetuosità prevaricante gli è inoltre attribuito un grado elevato di secchezza: in senso elementare è infatti appartenente alla tripli­ cità del fuoco, delle cui attribuzioni ricordiamo la capacità trasformativa e quindi l’attinenza alla sfera della volontà e alle sue manifestazioni. E un segno tropico, in quanto portatore del cambiamento, ed essendo il primo dello zodiaco ne rappresenta la componente più radicale e originaria, la fiamma grazie alla quale i processi più grevi possono essere portati a compimento. Ha a che fare quindi con gli ambiti del sale dell’individuo ed è in relazione a questo principio che, sui diversi piani, esprime la sua forza ignea. Nel corpo è infatti simboleggiato dal sangue che apporta calore e garantisce con il suo fluire il vitalismo necessario alla nostra struttura, le dà la forza e le capacità prestazionali conseguenti alla solarità che è in grado di integrare, attraverso la captazione e il trasporto di ossigeno nell’organismo svolti dall’emoglobina. L’irrompere della luminosità e della chiarezza visiva è inoltre testimoniata da un altro apparato che si rapporta alla cardialità solare e che peraltro le è anatomi­ camente attiguo: il pericardio. Quest’organo membranoso, oltre a proteggere il

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cuore avvolgendolo e garantendogli adeguata flessibilità ma anche limitandone la distensibilità, favorisce la scorrevolezza delle sue fibre muscolari, dà stabilità alle inserzioni dei grossi vasi e garantisce il suo ancoramento nel mediastino, essendo aderente al diaframma in basso e lateralmente alle pleure polmonari. Anche la bocca, per la volontarietà istintiva insita in ogni atto della nutrizione, è rappresen­ tata in questo segno, cosi come, in relazione all’apparato scheletrico, il cranio, dal vertex alla mandibola. Se sangue, pericardio e cavo orale individuano i corrispettivi aspetti fìsici e fi­ siologici attinenti a questo segno, di non minore importanza sono da considerarsi gli aspetti emotivi e psichici che sostiene e che vengono a essere colorati dalla stessa inclinazione che hanno i raggi solari all’inizio della primavera. L’entusia­ smo e la generosa partecipazione anche corporea alle attività che si svolgono, l’impeto e la foga di cui si investono il mondo esterno e gli altri, la percezione di forza d’animo che si avverte quando si ha piena fiducia nelle proprie capacità ca­ ratterizzano infatti gli ambiti interiori significati da questo primo segno di fuoco. Ariete esprime la volontà di essere e di esistere, ubbidiente alla necessità di dare soddisfazione ai propri bisogni e quindi strettamente legata agli ambiti istin­ tivi da cui originano e in cui vengono risolti. E infatti domicilio di Marte e luogo di esaltazione del Sole, in assonanza con il primo per l’irruenza e il comportamen­ to poco adattabile che lo contraddistinguono, con il secondo per l’ampiezza delle possibilità insite nell’inizio di ogni nuova opera o percorso. In queste condizioni la delicatezza di Venere non trova spazio e infatti questa funzione si trova in esilio nel segno; al contempo anche la compostezza di Satur­ no e il suo ritegno alle azioni espansive non vengono rispettate, determinando la caduta delle sue virtù. La secchezza e il calore di Ares si esprimono nell’elemento che è della sua stes­ sa natura e quindi, non avvenendo alcun temperamento di queste qualità, la pe­ rentorietà e l’assoluta indisponibilità ad alcun accomodamento e contenimento si esprimono liberamente, con le prevedibili conseguenze cui questo può condurre. Se infatti la fiducia in sé e la forza per operare sono condizioni indispensabili per la realizzazione del progetto di cui si è portatori, è altrettanto evidente che espon­ gono a drammatici fraintendimenti e a presuntuose certezze sulle proprie capacità. Le potenzialità interiori, se non ben amministrate, possono infatti disperdersi nelPirriflessiva veemenza con cui si praticano le azioni, in preda a una sensazione di onnipotenza che induce a pretendere piuttosto che a meritare e riduce in senso egoico e autoreferente la considerazione di sé, degli altri e della realtà. In queste mentalità così carenti di umiltà e prive della delicatezza che invece ci caratterizza, non viene portato il rispetto dovuto alle qualità femminili dell’ac­ coglimento, dell’accudimento e della comprensione, così che al posto di un fuoco alimentato da un legno duraturo si assiste alla violenta e inconcludente fiammata del cosiddetto “fuoco di paglia”, di grande luminosità, di brevissima durata e di

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LO ZODIACO EI SEGNI ZODIACAIJ

nessuna efficacia. L’inconsistenza di queste dinamiche è ben rappresentata dalla volubilità che caratterizza le persone dai facili entusiasmi, che credono di conqui­ stare quando invece vengono sedotte e, di conseguenza, non tollerano la dedizione duratura, sempre alla ricerca di stati di illuminazione che non rappresentano altro che la propria individuale esaltazione. Lo stesso senso del sacrificio viene così a essere inteso quale tributo ultimo allo stato di acuto conflitto che disturba la persona, costretta a vivere le esperienze come sfide da vincere e l’altro come rivale da battere. Da questa parziale e ridutti­ va concezione delle virtù marziali si origina la tendenza a usare il proprio corpo in modo strumentale, come se non fosse davvero parte di sé ma un mezzo attraverso cui operare, dissipandone le energie in funzione di ciò da cui ci si sente attratti, fermamente convinti dell’assoluta bontà e intimamente persuasi della necessità di perseguire quel fine, così come descrive la metafora dell’eroe tragico, in bilico sull’orlo da cui può prendere il volo o cadere nel più oscuro degli abissi.

Toro tì Alla maschile intraprendenza di Ariete fa seguito il primo segno femminile del­ lo zodiaco che, già nella sua simbolica, manifesta chiaramente piena disponibilità all’accoglimento di ciò che dall’esterno è in grado di richiamare a sé. Una luna distesa a ricevere dall’alto sovrasta il cerchio individuale e lo dispone a integrare e a nutrire il messaggio da lei raccolto, metafora tanto dell’attrazione feconda che la terra opera sul seme, quanto della competenza necessaria al suo accudimento. È infatti questo l’elemento a cui appartiene Toro, che di conseguenza è caratte­ rizzato dalla secchezza e dalla freddezza, la prima virtù in comune con Ariete, la seconda invece di piena pertinenza femminile. Così come tramandato dalla mito­ logia, l’incarnazione dello spirito richiede il pieno rispetto di ogni passaggio e di ogni singola componente, e a una manifestazione così imperiosa delle potenzialità trasformatrici del maschile viene contrapposta un’altrettanto caparbia tendenza al loro contenimento e al mantenimento dei risultati già ottenuti, attraverso una modalità accrescitiva che istante dopo istante integri e assommi nuove dimensioni e possibilità a quelle precedentemente consolidate. La femminilità, come si può considerare, non ha molto a che fare con la re­ missività o con la passiva attitudine alla sopportazione: in questo segno infatti ha domicilio Venere, nella sua versione più vicina agli ambiti terreni, e si esalta Luna, la selvaggia e indomita Diana che protegge i cuccioli e colpisce senza pietà chi abbia a mancare di rispetto alle sue leggi. La disponibilità alFattecchimento e al radicamento, infatti, implica inevitabilmente per lo stesso seme il superamento del vaglio operato da parte della terra e quindi l’accettazione delle sue compatibi­ lità, dei suoi modi e dei suoi tempi. Anche per queste ragioni è luogo di esilio di

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Marte, che vede le sue virtù vinte in quanto contenute dal possente magnetismo di Afrodite. In questo segno si celebra rincamazione della luce, il primo processo fecon­ dativo, la radice archetipale delPesistenza di ogni creatura: in esso risiede quindi la capacità di contenere il fuoco più aspro e istintivo all’interno di una struttura individuale, determinando così i corpi e le forme, la consistenza fisica di noi stessi e del mondo che ci circonda. Da una potenzialità di partenza si attua una realtà, si compie il passo che dà inizio al fenomeno vitale. Stiamo infatti assistendo solo alla prima successione tra i segni e queste dimensioni sono quindi molto vicine alle componenti di base del­ le diverse costituzioni, ne descrivono l’originalità delle attribuzioni in relazione alla loro stessa capacità di sussistenza. Si tratta quindi degli ambiti istintivi, dalle caratteristiche rigidità che impongono letteralmente un conseguente comporta­ mento e che sottostanno alle leggi della natura, dove necessità e bisogno dettano le regole e i tempi del corpo. Appartenendo alla prima quaterna, Toro è infatti il segno di terra del sale dello zodiaco, così come Ariete ne rappresentava il fuoco. Questo periodo dell’anno corrisponde alla parte centrale della primavera e ne rappresenta per così dire l’ani­ ma, il momento in cui le sue qualità sono pienamente dispiegate. Nel regno vegetale i processi di attecchimento dei semi maturano in una vera e propria esplosione di rigogliosità e di crescita indifferenziata, le tonalità verdi di Venere dominano incontrastate e si abbelliscono delle prime fioriture: tutta la natura si ridesta sotto i suoi passi, proprio come il mito racconta. Il sole ormai ri­ splende in cielo ben più a lungo della durata della notte e il tepore, tipico di questa stagione, riscalda il cuore anche alle creature animali che infatti la riconoscono come inizio del periodo dei loro amori. Nel corpo fìsico, in relazione alla particolare gioiosità canora manifestata dagli uccelli, che infatti per primi comunicano la comparsa della primavera e con con­ tinuità ne celebrano la potenza, a Toro sono attribuiti gli organi della fonazione e quindi la laringe, la faringe e le corde vocali. Con piena attinenza agli aspetti più prosaici della nutrizione, ovvero della relazione che si intrattiene con l’elemento terra, il segno rappresenta invece l’insieme dei processi metabolici dell’organi­ smo, la sua capacità di mettere a frutto il fuoco o, direbbe Paracelso, l’abilità e le condizioni in cui versa il nostro “alchimista interiore”. Relativamente alla struttura scheletrica, è il tratto cervicale della colonna a es­ sere coinvolto nelle dinamiche di questo segno: fornendo sostegno e via di rela­ zione agli ambiti cerebrali e in grado di articolare l’orientamento e l’attenzione nel mondo, diviene strumento attraverso cui la volontà si integra nel resto del corpo ed è quindi molto sensibile alle modalità con cui questo movimento si attua. Gli stati di costante tensione, come è risaputo, inducono pressoché invariabilmente contratture di questa zona e manifestano quindi non un indistinto senso di disagio

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IX) ZODIACO EI SEGNI ZODIACAIJ

ansioso ma una lesione significativa agli ambiti di Venere e alle compatibilità di Luna. Essendo entrambe coinvolte nei processi di temperanza degli intensi processi di trasformazione e di purificazione operati dalle componenti maschili, occorrerà prestare adeguata attenzione a queste affezioni, così spesso banalizzate, e ricono­ scere in esse il senso dello squilibrio e le possibili implicazioni, anche somatiche, profonde. Su piani più sottili e in analogia con il significato di costruttore del corpo di ogni creatura, Toro si esprime nelle dinamiche sostenute dagli attaccamenti di cui la persona è portatrice e che descrivono tanto gli ambiti dai quali trae il suo nutrimento interiore, quanto le dimensioni nelle quali si rifugia quando si sente minacciata. L’inerzia, a volte misericordiosa, del più greve tra gli elementi può così manifestare la sua doppia funzione di resistenza passiva al cambiamento e di attiva partecipazione al mantenimento dei risultati conseguiti, impedendo che comportamenti avventati mettano a repentaglio la stabilità personale. Il complesso psichico attorno al quale orbitano tutte queste dinamiche è infatti costituito da un atteggiamento conservativo rivolto all’accrescimento di ciò che si è e di ciò che si ha, che quindi inclina ad assommare, a includere e a integrare senza soluzione di continuità, alla ricerca di uno stato di sicurezza che sia testi­ moniato dalla presenza concreta di rassicuranti, in quanto permanenti, risultati. Una ricerca così orientata alla sicurezza è evidentemente motivata da un’emo­ tività molto sensibile alle sensazioni provate che, amplificate dalla particolare at­ tenzione al mantenimento del proprio stato, risuonano interiormente e si riflettono nel corpo con estrema facilità e in modo viscerale. Questo intenso coinvolgimento induce quindi una prima disposizione difensiva ma successivamente, in ragione della necessità di includere e integrare il cambiamento e di determinare un nuovo e stabile equilibrio, questo atteggiamento si risolve nel senso attrattivo della sedu­ zione, tesa a richiamare a sé il desiderio al fine di educarlo, ammansirlo e renderlo compatibile con la propria natura. L’affettività, nell’accezione più radicale e istintiva, trova in questo segno di terra la sua rappresentazione più netta e il coinvolgimento anche fìsico che que­ sto comporta trova espressione nella sensualità, in quella magica suggestione che induce Marte ad abbandonare le armi e a riconoscere il proprio valore nella rela­ zione feconda con Venere. Successivo al cambiamento portato da Ariete e propiziando il sorgere di Gemel­ li, che già preannuncia l’avvento dell’estate, è in virtù di queste qualità e modalità che a Toro è assegnata la centralità del periodo primaverile, così accrescitivo e ricco di magnetismo vitale. Per questa ragione, come tutti i segni che si trovano in analoga posizione, viene indicato come solido, ovvero stabilmente coerente con le proprietà tipiche della stagione di appartenenza, in ragione delle particolari condizioni in cui versa la solarità in quel periodo dell’anno.

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Gemelli II

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Con l’entrata del Sole in questo segno la primavera inizia a percorrere il suo ultimo tratto, che si concluderà con il solstizio vernale in coincidenza del quale l’estate le succederà. In questo periodo dell’anno convivono e si alternano, anche in modo caotico e contraddittorio, le qualità elementari delle due stagioni, fino a quando il calore, dotato di sempre maggiore forza, ridurrà al minimo l’umidità e quindi determinerà condizioni di progressiva secchezza. 11 segno è infatti Incorporeo e rappresenta quindi, in senso analogico, la convi­ venza di ambiti diversi contenuti in una stessa unità, e quindi la possibilità che si realizzi una comunicazione, uno scambio, che si articoli un rapporto tra le parti. Dal punto di vista grafico il simbolo che lo rappresenta è infatti costituito da due linee verticali che si fronteggiano con pari dignità, mentre due tratti orizzontali ne garantiscono l’indissolubile legame, il senso del rispecchiarsi l’una nell’altra. Dopo che il seme è stato versato, che la terra lo ha accolto e nutrito, ha inizio la dimensione della relazione tra sé e sé e tra sé e l’altro da sé, si assiste al riconosci. mento di quel che è proprio da ciò che è estraneo: ha così luogo un primo movi­ mento coagulativo della propria interiorità basato sulla coscienza di sé in quanto esistenza in grado di accogliere e di proporre, di dare ascolto e di rispondere, di interagire in modo appropriato e quindi, nello stesso tempo, di comprendere e di farsi intendere. E infatti un segno di aria, in cui convivono la qualità dell’umido e la virtù del caldo, l’adattabilità del femminile e l’espansività maschile che consentono il lega­ me tra terra e cielo, lo spazio vitale entro cui la sottilità è tale da annullare la con­ sistenza dei corpi e delle forme. In ambiti dotati di una così elevata permeabilità, ogni messaggio può dunque propagarsi senza incontrare resistenza e giungere a destinazione in modo fedele, privo di distorsioni o inquinamenti. Appartiene al sale dello zodiaco e quindi, riferendosi agli aspetti strutturali del­ la costituzione di ogni individuo, il suo significato è da considerarsi inerente alla capacità stessa di comunicare e alla dotazione degli strumenti e delle competenze necessarie a intessere la fitta trama di relazioni che si svolgono tanto in senso in­ teriore e che in rapporto al mondo esterno. L’interdipendenza dei movimenti, e anzi l’impossibilità che una delle due di­ mensioni possa esistere senza l’altra, sottolinea come si tratti in realtà della stessa dinamica che si esprime in direzioni diverse ma che comunque è caratterizzata da una sola modalità, indipendentemente dagli aspetti a cui si applica: in senso strut­ turale stabilisce che il rapporto che abbiamo con il mondo è frutto della particolare relazione che nutriamo con noi stessi e che quest’ultima è a sua volta sottoposta alle ineluttabili necessità di adattamento che la vita comporta. Il senso dell’indi­ vidualità propiziata da Ariete e contenuta da Toro, ora dilata lo spazio limitato del

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corpo e si esprime nel messaggio e quindi nel linguaggio, nelle complesse artico­ lazioni attraverso cui ci si rende consapevoli di sé e del contesto in cui si è inseriti, sia in senso fisico che su piani più sottili. A confermare ulteriormente la sua natura eterea e la pertinenza con gli aspetti relazionali, Gemelli è domicilio di Mercurio, il messaggero divino, che vi risiede in modo esclusivo in quanto nessun’altra for­ za planetaria si esalta in questo segno. Se si considera inoltre che per Giove, il dio della giustizia, rappresenta invece il luogo e il tempo dell’esilio, in cui le sue qualità vengono a essere particolarmente inibite, si può ben comprendere la scarsa propensione ad accettarne l’ospitalità: così come ogni altro segno rappresenta un ineluttabile passaggio e porta con sé i rischi e i pericoli insiti in ogni mutamento ma, evidentemente, è questo un ambito di particolare delicatezza. L’araldo divino è noto infatti per la tendenza a risolvere le contese a proprio vantaggio in modo astuto e truffaldino e proprio tramite il lin­ guaggio, l’uso sapiente della dialettica e della retorica riesce a confondere le idee perfino ad Apollo, il dio della chiaroveggenza. Considerando la pertinenza del segno con gli ambiti corporei e fisiologici, in esso trovano rappresentazione innanzitutto i polmoni e la funzione respiratoria, che descrive la relazione con l’elemento cui appartiene, l’aria, ambito attraverso cui il primo messaggio viene recepito e la prima espressione accolta e veicolata. Nell’alternanza e nella ritmicità che caratterizza questo primo processo nu­ tritivo, di natura tipicamente istintiva, risuona la modalità archetipica attraverso cui si manifesta il battito vitale che, in questa particolare espressione, diviene testimonianza della comparsa a questo mondo di ogni nuova vita, celebrandone la capacità di intendere l’insegnamento ricevuto e di saperlo restituire come ela­ borazione personale di quanto appreso. Così come attraverso il respiro l’aria può portare solarità in ogni distretto corporeo, il sistema nervoso periferico consente la trasmissione degli impulsi tanto dal centro alla periferia quanto, viceversa, da questa agli apparati della volontà. Anche in tali dinamiche è evidente il rispecchiamento fisiologico delle spicca­ te competenze relazionali precedentemente attribuite a questo segno che quindi, retto dal velocissimo Mercurio, è rappresentazione delle capacità del corpo di mantenere costante ascolto percettivo alle informazioni che giungono dall’esterno e di esprimere le risposte maturate interiormente. In analogia con le parti del corpo che mediano tanto la nostra conoscenza del mondo che il suo cambiamento, le braccia sono attribuite a Gemelli, non certo le mani che direttamente si applicano alla materia, ma ciò che rende possibile l’ini­ zio dell’atto volitivo. Dal punto di vista interiore la curiosità rappresenta il tratto saliente di questo segno, in cui le qualità mercuriali inclinano la persona a non essere mai sazia di quanto già appreso e la stimolano a intraprendere sempre nuove esperienze. 11 tono emotivo, sostenuto da questa sorta di eccitazione mentale, è vivace e altale­

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nante, sensibile a ogni mutamento e trattenuto a fatica da chi si trova a vivere in questa dimensione, così dinamica e priva di punti fermi. Ogni esperienza viene perseguita in funzione della possibilità che sia risolutiva di questo subbuglio interiore e porti alla particolare sensazione di stasi che corri­ sponde allo stupore: in esso finalmente ha luogo Pabbandono a ciò che si vive e la partecipazione scaccia la comprensione mentale dell’evento e ogni sua alterità. Certo è difficile rintracciare in questa modalità conoscitiva la costanza e la fedele dedizione necessaria all’apprendimento, che semmai si regge sulle capacità rifles­ sive della persona e sull’umile rispetto dei tempi dovuti; ma ne rappresenta la fase “infantile”, il punto di partenza senza il quale non sarebbe possibile alcun ulteriore sviluppo, la disponibilità alla comprensione piuttosto che la comprensione stessa. Quando questi aspetti sono carenti il pensiero diventa povero e la persona è rallentata, privata del dinamismo mentale che dà vivacità e colore al suo mondo interiore, senza alcun trasporto spontaneo verso sé o verso il mondo. La velocità con cui si pongono in relazione i pensieri e si intrecciano i ragio­ namenti, la dimestichezza a dipanare o a complicare le trame mentali sono infatti competenze tipiche dell’attività di Mercurio in questo segno d’aria, già per sua na­ tura votato a condizioni di “instabilità funzionale”, ovvero di ricerca di un diverso equilibrio dinamico tra le parti. Proprio per queste ragioni, se non adeguatamente integrato e contenuto, se non riconosciuto come prima motivazione spontanea che deve ancora essere educata, il portato potenzialmente caotico del genio planetario si dilata nell’interiorità della persona e la superficialità e l’incostanza, gli stati di agitazione ansiosa e la difficoltà a rispettare una qualsiasi disciplina determinano uno stato di costante tensione che inevitabilmente conduce all’esaurimento, per altro inconcludente, delle proprie forze.

Cancro 2?

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Intorno al 21 di giugno di ogni anno giunge il solstizio d’estate, momento in cui il semiarco diurno della giornata raggiunge la sua massima ampiezza, mentre la notte è ridotta al minimo della sua durata. I termini usati per indicarlo sono en­ trambi di radice latina e derivano rispettivamente da solis statio, ovvero “stazione del sole”, in ragione della sua orbita che per tre giorni è apparentemente la stessa, e da ver, la primavera, in quanto a questa succede. L’avvento del segno che dà inizio alla stagione estiva è celebrato dalla massima disponibilità di luce che, unitamente alla presenza del calore, garantisce l’energia necessaria ai processi vitali che propiziano gli ambiti creativi, celebrati sia dalla maturazione del grano, il frutto solare della terra, che dalla fioritura delle piante. Nel seme è racchiusa tutta la memoria dell’individuo a cui appartiene e nel fiore si esprime la disponibilità a propiziarne la formazione: in entrambi i casi il vege-

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tale esteriorizza, in questo periodo dell’anno, una vera e propria riflessione della proprie virtù, determinando forme e apparati che ne garantiscono continuità, nel mantenimento delle particolari caratteristiche di cui è portatore e nell’intento di tutelarne la stessa identità. Come tutti i cereali rappresentano, pur nella diversità, uno stato coagulato di qualità solari, le infiorescenze mostrano invece l’apertura estrema della pianta alla solarità stessa, di cui celebra la gioiosità ornandosi dei più vari colori e profumando l’aria di essenze odorose. Dalla stagione dell’aria si passa a quella del fuoco, in cui all’umido succede la secchezza mentre il caldo continua nella sua crescita. A questo elemento sono attribuite le virtù trasformative le quali, manifestandosi, proiettano all’esterno la volontà individuale che è, prima di ogni altra cosa, volontà di esistere e di restare in vita. Nel simbolo compaiono due forme di uguale foggia e grandezza, speculari l’una rispetto all’altra e orientale secondo un criterio di orizzontalità, non evidenziata in modo risoluto da un tratto come abbiamo visto in altre rappresentazioni, ma co­ munque orientata parallelamente alla terra. Il glifo è infatti dotato di un intrinseco dinamismo e le due figure che lo compongono sembrano rincorrersi, dando l’im­ pressione dell’alternanza ciclica con cui si dispiegano le forze vitali per garantire movimento e quindi vita, descrivendo la complementarità che consente la determi­ nazione in senso individuale, la circonferenza entro cui tutto questo ha luogo. E il primo segno di acqua dello zodiaco, ultimo della quaterna del sale e quindi ancora in relazione con gli ambiti fondanti ogni esistenza terrena, di cui sostiene tanto la sussistenza che l’adattabilità. Le qualità fredde donano il magnetismo attrattivo che dispone all’accoglimento, a ricevere e a trattenere, dando la possibi­ lità di integrare nella propria natura il nutrimento che si assume e quindi di avere soddisfazione di ciò di cui si abbisogna. Nel contempo, a fronte di una così decisa tendenza centripeta che inclina a portare dentro di sé, la sua componente umida garantisce la minima resistenza ai processi trasformativi necessari al contenimen­ to e quindi induce adattabilità e tolleranza in ogni rapporto tra le parti, siano esse relative a processi interiori o alla qualificazione della relazione con l’esterno. Luna trova in questo segno il suo unico domicilio, in piena consonanza con le competenze gestazionali, di nutrizione e di accudimento che la caratterizzano, mentre per Giove, il dio della crescita espansiva, è luogo di esaltazione. Per le stesse ragioni Cancro non si addice invece alle forze aspre di Saturno e di Marte che in questo periodo dell’anno sono scarsamente presenti, essendo il primo in esilio e il secondo in caduta. In ambito corporeo queste configurazioni planetarie sono ben rappresentate dall’attività dello stomaco, di pertinenza cancerina, in cui l’irruenza marziale vie­ ne costretta ad applicarsi internamente, invertendo così il senso del suo movi­ mento, e le qualità coagulanti tipiche di Cronos vengono annullate dagli intensi processi demolitivi determinati dall’aggressività degli stessi acidi gastrici.

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I FONDAMENTI DI SI’AGYRIA

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Anche il duodeno appartiene a questo segno, che quindi non solo rappresenta Fultima soglia prima che ciò che è estraneo diventi proprio ma costituisce anche il tramite attraverso cui si accede alle profondità viscerali in cui si elabora e si assimila il nutrimento. E interessante la specularità, altro aspetto della Luna, con cui in basso la si pone in relazione al luogo in cui si effettua il primo vero e proprio vaglio interiore del cibo e, in più elevata sede, con la funzione svolta dal cervello, in cui questa dinamica digestiva è costituita dalle sensazioni che originano dalle esperienze, dal rispecchiamento di queste nello stato di coscienza. L’intero sistema nervoso centrale, encefalo e midollo, è infatti rappresentato in questo segno e ne ribadisce la pertinenza sia con i processi necessari a una prima valutazione di ciò con cui si ha a che fare, sia con le modalità adattative che questo comporta. Entrambi gli apparati sono i luoghi in cui vengono coordinate ed elaborate tanto le attività volitive che le risposte involontarie, nelle quali infatti si constata l’efficienza dei riflessi della persona. In ambito endocrino, lo stretto nesso analogico che lega l’ambito riproduttivo alle qualità di questo segno è ragione della sua attinenza con le gonadi e quindi le ovaie, per quanto riguarda il genere femminile, e i testicoli per quello maschile. Sono i luoghi in cui trova sede ciò che per gli antichi era la più fedele e pura tra­ sposizione dello spirito nel corpo umano, tanto potente da consentire il miracolo del concepimento di una nuova vita, testimonianza della creatività divina che si è resa volontà individuale. Problemi di infertilità vanno quindi ricondotti, per entrambi i sessi, a una de­ bilità lunare che si esprime a carico del segno, indicando quindi l’opportunità di utilizzare rimedi che sostengano l’attività di questo genio planetario e che si applichino, vale a dire finalizzino la loro attività, a Cancro. Per quanto attiene all’apparato muscolo-scheletrico infine, il segno è in relazione al primo quarto delle vertebre dorsali. Su piani più sottili, in quanto primo segno appartenente all’elemento acqua, è rappresentazione della disponibilità all’introspezione, della capacità di ascolto ai costanti movimenti cui è sottoposto lo stato dell’animo dagli ambiti più prossimi alle necessità esistenziali. È il segno che celebra la sensibilità, la dimensione emotiva in cui vengono vis­ sute le dinamiche dell’accudimento e del contenimento che la vita stessa impone a ogni creatura, pena la sua stessa sopravvivenza. I tratti salienti di quest’insieme di competenze sono quindi innanzitutto da ricercare nella capacità di prendersi cura di sé ma, in ragione della nostra particolare complessità, anche di tutto ciò che è inerente alla natura e alla funzione che viene percepita come propria. Se in senso biologico questa dimensione si risolve infatti nella particolare mo­ dalità con cui i mammiferi assolvono ai propri compiti genitoriali, così definiti proprio in quanto specie portatrice degli apparati con cui assolvere al fabbisogno

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