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Italian Pages 176 [178] Year 1996
Tullio l(ezich
FELLINI DEL GIORNO DOPO con un alfabetiere felliniano
ASSOCIAZION E FELLINI
Guaraldi
STUDI FELLINIANI
Prima edizione: ottobre 1996
© 1996 by Guaraldi/Gu.Fo Edizioni s.r.l. Via Covignano 302, 47037 Rimini
ISBN 88-8049-119-9 I manoscritti inviati al!'attenzione della casa editn"ce, anche se non pubblicati: non verranno restituiti
FELLINI DEL GIORNO DOPO con un alfabetiere felliniano
Tullio Kezich
Prefazione di Maddalena Fellini
ASSOCIAZIONE FELLINI
Guaraldi
INDICE
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Prefazione di Maddalena Fellini
FELLINI DEL GIORNO DOPO 11
Lo spettacolo continua
15 19 22 24 26 28 35 37 41 43 46 49 51 53 55 60 62 73
Comincia un grande futuro L'amico sognatore Bergman: viva Fellini! Cantò l'italianità dell'Istria? Quando Nadia faceva la mossa Un manoscritto nella bottiglia Il bidone numero 2 Brindisi a Giulietta Cuny, il sorriso della sfinge Nella Bosnia del fellinismo Qualcosa c'è Marcello 70 Madre Cabrini Il disperso dei dispersi Spariscono le tracce Tutti Un tuono nella notte Presenti 4, esclusi 96
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Michelangelo e Federico Per quanto ne sa Zapponi La signora amica Un fantasma a Piazza di Siena La "figlia segreta" 25 domande a Titta Alla faccia del diritto d'autore Un felliniano a Berlino Flaiano cameriere? Oscar mani di forbice Il viaggio di G. Strehler
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ALFABETIERE FELLINIANO
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Nota
Prefazione
di Maddalena Fellini
((Se volete sapere che cosa ho fatto venerdì scorso non domandatelo a me: chiedetelo a Tullio Kezich Era una battuta questa che Federico ripeteva spesso. Perché considerava davvero Tullio il suo biografo ufficiale: non soltanto per la professione che esercita1 ma soprattutto per il forte legame che li univa1 e che faceva del giornalista un amico grande conoscitore oltre che dei suoi film dei suoi pensieri e sentimenti. Proprio nel nome di questa profonda amicizia1 è con un misto di gioia e nostalgia che scrivo oggi due righe (prefazione mi sembra una parola grossa)1 a introdurre un libro che1 con un titolo quanto mai appropriato - perché i tre anni che ci separano dalla morte di Federico possiamo davvero considerarli un giorno1 che siamo in tanti a sentire appena trascorso ... - 1 si presenta come un nuovo atto 1 d amore. In esso ritrovo il Fellini grande regista1 e insieme l'uomo più vero sempre imprevedibile a volte scontroso e scorbutico altre volte buffo tenero e fragile come era la sua Giulietta; capace di commuoversi~ di gioire per le piccole cose1 di sorridere per un niente1 raccontato da chi gli è rimasto vicino nei lunghi anni della carriera artistica e della vita di ogni giorno. Ch~ dunque1 meglio di Tullio Kezich può inaugurare una collana di ((Studi Felliniani11 in collaborazione con l'Associazione Fellini? 1
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Perché il libro di Kezich) con il quale t editore Mario Guaraldi: anzi ''Mariolino))) inaugura oggi la nuova collana) corona una ormai lunga serie di testi - dal saggio di Peter Bondanella alle Patachédi di Titta Benzi: dai ricordi di Ennio Cavalli alla chicca di Dario Zanelli - pubblicati soprattutto in nome deltamicizia che lo univa a Federico. I:Associazione a lui intitolata che ho t onore di presiedere - e che mi auguro possa presto diventare Fondazione dovrà essere altaltezza di un artista di così straordinaria genialità) curando che la sua memoria) nella quale si comprendono non solo i film) ma anche i disegni: gli scritti: le testimonianze dei collaboratori e degli attori) t immensa documentazione radiofonica e televisiva) le tesi di laurea e tutto il cinema) il teatro) la musica scaturiti dalla sua opera) non vada dispersa) e diventi anzi un Centro di ricerche ed un Museo. Se un auspicio posso esprimere) infatt~ è proprio nella direzione della ricerca rigorosa e neltapprofondimento della poetica del regista e delle suggestioni che il suo linguaggio creativo ha lasciato nel costume e nelle arti) nulla concedendo ai cascami di un giornalismo di colore che non lascia traccia: quello dei troppi che Kezich) nella sua denuncia veemente e appassionata) chiama i falsi amici) i "felliniani postumt)) gli stessi che oggi proclamano impettiti "mi ha rivelato un soggetto bellissimd)) "a me ha confidato tutto))) "sono stato t unico a capirld).
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Fellini del giorno dopo
Lo spettacolo continua
((La morte è un mostro che ci scaccia dal teatro prima della fine della commedia": lo scrisse Giacomo Casanova, un felliniano avanti lettera. Mi guardo intorno e rifletto che dopo il 31 ottobre 1993 noi felliniani storici (e anche fellinist( fellinologi e fellinizzanti) siamo come una compagnia teatrale che perduto il capocomico ha deciso comunque di andare avanti con gli spettacoli. Immaginate che i compagni della divina Eleonora Duse, orfani e randagi dopo il triste evento di Pittsburgh avessero voluto continuare le recite con tutti i rischi del caso: incluso quello di veder salire sulla scena a pretendere di recitare anche gli inservienti del teatro, le guardarobiere, i pompieri, gli amministrativi e altri personaggi in cerca d'autore. È esattamente quello che è successo nei quasi tre anni dalla scomparsa di Federico: e fin qui niente di male, ma nella nostra compagnia hanno tentato e tentano continuamente di infiltrarsi come scritturati a pieno titolo anche i passanti occasionali e, peggio ancora, i nemici di ieri, i fischiator~ gli stroncator~ i farneticatori. Insomma fra inverecondi fenomeni di pentitismo postumo e avide appropriazioni indebite, ne abbiamo viste delle belle; e chissà quante ne vedremo ancora. Tutti amici dello Scomparso, tutti intimi confidenti: tutti depositari di segreti prontamente trasformabili (ed esitabili) in forma di ((scoop". Mi è spesso capitato di pensare come il nostro ne riderebbe: 11
oppure come si arrabbierebbe perché in questo tipo di reazioni era imprevedibile. Di positivo c)è il fatto che qualcosa ci accomuna tutti) dai fedelissimi della prima ora agli abusivi della sesta giornata) ed è il bisogno di parlare tanto di lui) sentircelo addosso) fare come se fosse ancora qui con noi. Inventare dei trucchi per evocarlo) per farlo vivere: articoli: libri) mostre) documentari) spettacoli. Tutte cose promosse con entusiasmo e anche ingenuamente) dimenticando che il grande mago si è precostituito da solo il suo teatrino delt eternità. Mi riferisco) ovviamente) ai film . Che sono (quante volte li abbiamo contati e ricontati? lui stesso sbagliò il conto intitolando il suo capolavoro 8 1/ 2) mi pare 24. Stracciatore infaticabile di fotografie) lettere) contratt~ ritagli stampa e altri document~ inclusi perfino i libri che lo riguardavano) Federico teneva soltanto ai film. Non li rivedeva mai dopo averli completati: ma gli piaceva pensare che potessero vederli gli altri/ e il tema della buona conservazione delle pellicole lo appassionò sempre. Del suo famoso viaggio a Tokyo per il Premio Imperiale ricordava volentieri soprattutto il dischetto) non più grande del palmo della mano) in cui quei maghi giapponesi della tecnologia erano riusciti a far entrare tutta intera La strada: splendente nella straordinaria fotografia in bianco e nero e con la musica "che aveva lo stesso suono di quando la sentimmo per la prima volta alla Fono Roma)). I; impegno di difendere il film dalt imporchettamento pubblicitario delle televisioni: subito come una barbarie) spinse addirittura il regista (fino a quel momento considerato apolitico) a differenza di molti suoi colleghi) a scendere autorevolmente in campo contro i malversatori. Ai margini deltopera si snoda comunque un )"historia altera)) che giorno per giorno suggerisce occasioni di memo12
ria) riflessione e magari polemica. Mi sono accorto di aver proseguito) dopo la scomparsa di Federico) a tenere un ((diario in pubblico)' (per usare un'espressione di Elio Vittorinz)) una specie di vigile contrappunto agli eventi riguardanti il regista man mano che si svolgevano. E ho pensato di riunire questi interventi senza modifiche né ritocchi (solo compilando in calce un alfabetiere felliniano perché il lettore possa meglio sbrogliarsi fra titoli e personaggi) date e riferimenti) a beneficio dei curiosi e degli studiosi di domani. Tutto qui.
TK.
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Comincia un grande futuro
Questo secolo inaugurale della Settima Arte, in via di conclusione, è stato caratterizzato da due figure fondamentali che ne hanno incarnato simbolicamente la prima e la seconda metà: Chaplin e Fellini. Con la sua marsina strapazzata, le sue scarpe scalcagnate, la bombetta e il bastoncello, Charlie the Tramp rappresenta la comicità pura, la rivincita buffonesca di quello che prende gli schiaffi, lo spleen che c'è nella vita di tutti. Mentre Federico con il cappellone a larghe tese di 8 112, il vestito nero, il megafono in mano per guidare la sarabanda, rappresenta il mago, il coreografo, il visionario. Abbiamo avuto altri cineasti straordinari, artisti supremi della pellicola. Ma questi due indubbiamente sono stati "il cinema" nei suoi archetipi che discendono da una più antica forma di spettacolo: il saltimbanco e il direttore del circo, il Clown e Monsieur Loyal. Ho il privilegio di aver visto crescere dall'inizio il fenomeno Fellini: quando lo conobbi presentava a Venezia, fra aperte disapprovazioni e consigli di cambiar mestiere, la sua opera prima Lo sceicco bianco. Su questo esordio che a molti parve catastrofico mi piace richiamare l'attenzione di chi non c'era: ci volle una bella grinta a superare la sfiducia, il disprezzo, la repentina chiusura di credito nei riguardi di uno sceneggiatore desideroso di fare il regista. E non era neppure, quella del riminese, 15
una chiamata irresistibile, al cinema ci era andato poco e più che altro per portarci le ragazze. In realtà il giovanetto voleva scarabocchiare pupazzi e scrivere storielle, voleva soprattutto cambiare aria. Aspirava alla Zweite Heimat, o seconda patria, della cui necessità ha narrato Edgar Reitz; e la trovò in quel paesone accogliente, morbido e affettuoso che era la Roma del '39. Dove insensibile agli imperativi del momento, passò con tutta naturalezza dalle redazioni dei giornali umoristici alle luci del varietà di Aldo F abrizi, che se lo portò dietro nel cinema con le conseguenze che sappiamo. Sempre con l'aria di essere uno di passaggio, orgoglioso di tenere il passo con un amico geniale e inaffidabile come Rossellini e con un irrefrenabile divertimento nel vivere: "Quando entrava lui, entrava la primavera", mi confessò un cinematografo d'altri tempi. Federico diceva che scoprirsi regista fu l'affare di un minuto, come se lo fosse stato da sempre senza saperlo. Comunque da quel momento non cambiò più idea, protetto dalla sua musa Giulietta Masina: un film dopo l'altro, frugando nella memoria (I vitelloni), sconfinando nella favola (La strada), intessendo variazioni grottesche sugli emarginati della società (Il bidone e Le notti di Cabina). Fino ad approdare all'affresco di La dolce vita. Nel '60 fu uno scandalo, per mesi non si parlò d'altro, protestò tutta la vecchia Italia conformista e bigotta che sotto lo schermo felliniano s'accorse d'aver perso la partita: e lui, scatenato tutto questo putiferio, stava in mezzo sorridendo con l'innocenza impunibile dei bambini. E rivelandosi, da apolitico confesso, il più politico dei registi italiani. Ma in fin dei conti chi sono? Che cosa sto facendo? Dove sto andando? La crisi della mezza età rischiò di stroncare il nostro e lo avvicinò alla psicoanalisi, non 16
quella rigorosa di Freud ma quella aperturista di Jung. Lo sbocco fu di raccontare la propria crisi in 8 112, buttando sulle spalle dell'alter ego Mastroianni un' esperienza ben più complicata e sconvolgente di La dolce vita. Cento volte imitato, idolatrato, frainteso 8 112 diventò il classico ritratto dell'uomo magari con qualche qualità, ma perennemente in dubbio fra l'espressione di sé e la carriera, la verità e la vanità, la moglie e l'amante. Finché in fondo a un vortice di esperienze contrastanti affiora, sull'immortale marcetta di Rota, la morale che tutto è vita e noi ne facciamo parte. Seguirono altre awenture in serie ininterrotta. Le f emministe protestarono anziché sollevare la bandiera di Giulietta degli Spiriti dove Fellini si metteva fra i primi "dalla parte di lei". Paura e sconforto di una repentina malattia produssero l'episodio, ispirato a Poe, di Tre passi nel delirio, sostitutivo di un film mai girato sulla morte, Il viaggio di G. Mastorna, le cui costruzioni marcirono sotto la pioggia davanti ai teatri della via Pontina. Venne il periodo delle grandi evocazioni fantastoriche, dal Satyricon a Casanova, la voglia di raccontare la Roma antica e moderna e la Rimini di Amarcor~ l' omaggio al varietà di Cinger e Fred, l'autoritratto geniale di Intervista, la solenne e misteriosa riflessione di La voce della luna. Il tutto in una dimensione più grande della vita, pantografata senza badare a spese, inventata al di fuori degli opportunismi e talvolta dell'opportunità. E percorrendo un sentiero alto che non sempre stimolò seguaci e mai più mobilitò le folle di La dolce vita. Come era stato isolato agli inizi della carriera, così l'anziano regista si trovò con scarsa compagnia nelle ultime battute. E intanto l'uomo Fellini, nel corso del suo lungo viaggio, diventava sempre più attento, saggio e sapiente. Pur 17
catafratto sotto il peso di un "io" cresciuto irresistibilmente a dismisura, non era per niente egoista, distratto, indifferente ai destini altrui. Chi ha militato nei suoi film lo ricorda gentilissimo, scherzoso e palesemente pronto a deporre quello che considerava il suo scettro di Re del Carnevale. Chi è stato semplicemente folgorato dalle sue opere, in ogni parte del mondo, se lo porta dentro per sempre. Perciò si può scommettere che da oggi per Federico Fellini comincia un grande futuro. 1 novembre 1993
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L'amico sognatore
Tanti anni fa, appena uscito da una malattia, Fellini mi raccontò che la paura maggiore l'aveva provata quando, immerso nella penombra della clinica, aveva visto stagliarsi nel vano luminoso della porta la figura piangente del Grande Nemico. Il ragionamento di Federico era stato: se viene a trovarmi uno che mi ha giurato odio eterno devo proprio essere spacciato. Chissà quante volte si è ripetuta la situazione negli ultimi mesi, mentre le portinerie dei vari ospedali di Zurigo, Rimini, Ferrara e Roma si affollavano di coloro che se c'è un aggravato illustre fanno a spintoni per intrufolarsi e mettersi in posa. Finché ne ha avuto coscienza, il . ,. . ' .... . paziente un po se ne sara 1rr1tato, un po avra sorrtso e un po' in fondo al cuore, si sarà sentito responsabile. Perché se la sua ultima spiaggia si è trasformata in un porto di mare, la colpa è anche sua, di come era fatto, di come viveva in mezzo alla gente. Per definire ciò che il riminese ha rappresentato, al di là della sua grandezza di artista, mi soccorre il titolo di una vecchia commedia di Bertolazzi, I:amico di tutt~· e un altro titolo sovrapporrei all'estremo tristissimo e prolungato episodio, La bella confusione, originariamente destinato a La dolce vita: di cui l'agonia solitaria del Grand'Uomo, al centro di un frenetico carosello massmediologico, potrebbe rappresentare l'epilogo apocrifo. )
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Fatto sta che Fellini lo piangiamo tutti senza eccezioni; e questo vale perfino per quelli che non l'hanno mai conosciuto se non attraverso i film: e si sono a volta a volta identificati nella sposina ingenua di Lo sceicco bianco, nei Vitelloni annoiati e smargiassi, in Gelsomina vittima e Zampanò carnefice, nei bidonisti che coltivano l'arte di arrangiarsi, in Marcello che galleggia sull'onda dolcevitaiola o si confessa homo perplexus in 8 112)· e in tantissimi altri personaggi. Senza dimenticare Cinger e Fred, gli intrepidi volteggiatori sulla pista della terza età che sarebbero potuti essere Federico e Giulietta, in coppia da mezzo secolo; se il destino non fosse stato tanto crudele. Credo di avere identificato il dono particolare del nostro comune amico nell'osservarlo mentre si staccava dalla macchina da presa e andare a parlottare sommesso con un attore o un tecnico, secondo un tratto che gli era congeniale anche fuori del set; e trovando sempre il tono giusto per rivolgersi a chiunque in modo non generico, ispirato nel toccare a sorpresa la corda profonda, trasmettendo il calore galvanizzante di una presenza fraterna, suscitando una risata. E non di rado riuscendo metaforicamente a pilotarti sul grande fiume che discende dagli antenati, più indietro nel tempo delle vertiginose visioni settecentesche di Casanova o della romanità fiabesca di Satyricon, fino a un passato remoto dove sul panorama misterioso degli archetipi si disegnano le care ombre di padre e madre: ossia il sole e la luna illuminanti intorno a noi le presenze che ci accompagnano nel viaggio. Ecco perché Fellini ci ha sempre parlato e continuerà a parlarci. Una volta, dopo una giornata trascorsa a fare le selezioni dei personaggi per un film, gli chiesi: hai trovato qualcuno che andava bene? Mi guardò stupito e rispose: 20
"Tutti". Improvvisamente consapevole di una rivelazione, avvertii il sussulto che si prova leggendo la pagina di Delitto e castigo dove Marmeladov pronuncia l'assoluzione generale dell'umanità. Nell'incommensurabile film dell'esistenza, nel kolossal di cui siamo protagonisti o comparse, Fellini è intervenuto benevolmente per rassicurare che abbiamo tutti il diritto a esserci. Perfino i carissimi nemici, perfino i necrofori esibizionisti del1' ultimo atto. Il letto del Maestro ha sponde abbastanza grandi per farei sedere insieme vicino a lui; e certamente è un letto magico come quello del suo adorato Little N emo, il piccolo sognatore in camicia da notte dei "comics" americani: un letto capace di mettere le gambe e trasportarci in comitiva, al seguito del legittimo proprietario, negli sterminati regni della fantasia. 1 novembre 1993
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Bergman: viva Fellini!
Nel suo rifugio del Baltico, in agosto, appena informato del male che aveva colpito a Rimini il fratello d'arte italiano, Ingmar Bergman ha voluto sintetizzare in un manifesto il turbamento, la residua speranza e un' ammirazione che sempre si rinnova; e accanto a un'immagine di Giulietta ha vergato di suo pugno queste due parole, "Viva Fellini", che oggi continuano a esprimere nel modo più semplice e diretto il sentimento di tutti. Nell'iniziativa felliniana di "EuropaCinema" c'è il desiderio di rispondere alla tragicità del momento stringendosi intorno ai film del Maestro: con affetto, con gratitudine, con l'impegno di farli conoscere a chi non li ha visti. Per l'occasione abbiamo pensato di fornire qualche chiave di lettura, corroborare la valutazione e riaccendere la discussione attraverso un florilegio critico inteso come una semplice scorreria problematica nell'enorme bibliografia sull'argomento. Tale immenso materiale già nel '78 fornì a uno studioso americano, John C. Stubbs, riferimenti in numero tale da riempire un volume di 346 pagine: Fellini-A Guide to References and Resources, G.C. Hall Company, Boston, Massachusetts. Nei tre lustri trascorsi da allora si sono aggiunti tanti di quei libri e articoli da riempire tranquillamente, con i soli titoli, un secondo e forse un terzo tomo. E molti altri ne verranno perché la gloria di La 22
strada, Le notti di Cabiria, La dolce vita, 8 112, Amarcard e via enumerando continuerà a rifulgere anche nel secondo secolo del cinema candidando Federico Fellini all'immortalità.
5 novembre 1993
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Cantò l'italianità dell'Istria?
"Si è spento Federico Fellini. Cantò l'italianità dell'Istria": la spiegazione di questo titolo surreale, che trovo sul giornale "L'incontro", è che il giovane cineasta fu nel '49 uno dei quattro sceneggiatori del film La città dolente sull'esodo da Pola. Si dirà che è pochino per attribuire allo scomparso meriti patriottici: ma quando muore un uomo illustre si diffonde una strana sindrome e individui, giornali, partiti, associazioni e ufficialità fanno ressa per avanzare diritti sull'estinto. A conferma di ciò si veda come nel nostro caso si sono triplicate le onoranze funebri: a Cinecittà, la patria della fantasia; a Roma, la seconda patria; e a Rimini, la patria d'origine. Nelle dolorose settimane dell'agonia molti si sono esibiti in passerella: visite ai cancelli del Policlinico fra i lampi dei fotografi e i microfoni protesi dai telecronisti, tutta una gara a vantare antiche amicizie, legami ineffabili, primogeniture nella scoperta e nell'esaltazione del genio. Orgogliosamente alcuni giornali hanno riportato le interviste storiche in archivio: quella di Simenon su "L'Express", quella di Scalfari su "Il Venerdì". Il celebre articolo di trent'anni fa di Federico su Via Veneto è stato riprodotto molte volte, dimenticando di aggiungere che l'uscente amministrazione capitolina ha ridotto la strada della "dolce vita" a un tristissimo lager. Si sono affacciati provocatori e confusionari d'ogni genere, co24
me quel lettore di "La Stampa" che ha deplorato la presunta latitanza di Mastroianni e della Ekberg dopo che i due attori erano stati ampiamente fotografati in atto di rendere omaggio al feretro. Per tacere dello sciagurato giornalista americano che ha voluto distinguersi con una stroncatura postuma. Dall'esperienza di queste celebrazioni si potrebbero ricavare, per future occasioni, alcune regole di comportamento. Non elogiarsi per bocca dello scomparso: "Mi disse sei l'unico che mi ha capito". Non mettere in bocca al morto insulti contro i vivi: "Quello l'ha sempre considerato un cretino". Non avanzare ipotesi dietrologiche per danneggiare i medici: "Gli hanno sbagliato le cure", "Non dovevano dargli la mozzarella" ... Non lanciarsi in ipotesi su ciò che avrebbe fatto: "Mi confidò un soggetto bellissimo", "Mi voleva accanto a lui nel suo prossimo film". E soprattutto non rievocare o inventare episodi insignificanti di vita in comune: "Fu una grande emozione quel caffè che prendemmo insieme da Canova ... ". 2 dicembre 1993
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Quando Nadia faceva la mossa
Mi accorgo che non ne sapevo molto di Nadia Gray, scomparsa due settimane fa a New York. Non dovevano saperne granché neanche i quotidiani, che in genere l'hanno liquidata con la notiziola d'agenzia e senza prendersi la briga di consultare l'aureo Dizionario del cinema italiano 1915-1969 di Gianni Rondolino. Nell'utilissimo repertorio pubblicato venticinque anni fa da Einaudi (a quando un aggiornamento?) si apprende che la bella attrice di cognome faceva Kujnir, era nata a Bucarest il 23 novembre '23 e aveva esordito nel cinema francese per poi passare in Germania, Austria, Gran Bretagna e Italia. Da noi, a partire dal '52, interpretò oltre 3 O film "quasi tutti di scarso rilievo, imponendosi per l'eleganza della recitazione e una certa finezza di tratto". Ne parlo perché di Nadia ricordo lo zenit della carriera, quando sotto il Ferragosto del '59 la vidi girare a Cinecittà la scena dell'orgia di La dolce vita. Era la padrona di casa che a un certo punto, sul motivo di Patricia, si lancia in uno spogliarello per divertire gli ospiti, una turpe masnada capitanata da Mastroianni. A Fellini seccava che lo si mormorasse, ma la scena non poteva non ricordare il recente spogliarello del "Rugantino" finito al commissariato per l'esibizione troppo generosa di una ballerina turca: uno dei tanti episodi della situazione ormai conflittuale fra la nuova voglia di folleggiare 26
della "café society" e i rigori quaresimali della Roma appena uscita dalla tutela di Papa Pacelli. Il regista aveva progettato che la romena si spogliasse sornionamente sotto la pelliccia; e oggi farebbe sorridere come trucco e sartoria avevano conciato la poveretta. Sulla pelle, nei punti strategici, le avevano applicato delle pecette color carne tenute ferme con grandi cerotti: sicché la Gray doveva stare attenta a mostrare quel tanto che rendesse plausibile la gibigianna del nudo integrale e attentissima a non mostrare un centimetro di illecito. Il film era sotto il tiro dei moralisti e sul set pullulavano le spie pronte a telefonare in questura. Se si pensa a come ormai le attrici quando la scena lo richiede si spogliano in tutta serenità, fra la rispettosa indifferenza degli addetti ai lavori, bisogna proprio riconoscere che molta acqua è felicemente passata sotto i ponti. E in quel teatro di Cinecittà sarebbe da metterci una lapide per ricordare Nadia Gray, l'intrepida pioniera dei quasi-nudo che s'industriò a fare la "mossa" in equilibrio fra le pulsioni della novità e il comune senso del pudore. 30 gennaio 1994
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Un manoscritto nella bottiglia
Nell'ambiente del cinema si racconta che un regista, trovandosi in vacanza a Cortina d'Ampezzo e dovendo spedire delle cartoline agli amici, fece venire a gran velocità da Roma due sceneggiatori e gli raccomandò: "Buttatemi giù qualche idea". È una storiella che fa capire quanto poco credono ali'" autorismo" alla francese i faticatori del set, inesorabili nel deridere i finti autori e nel rispettare i pochi veri. In questo senso l' autorevolezza creativa di Federico Fellini non è stata mai messa in discussione nemmeno dai nemici. Si è sempre saputo, del resto, che il riminese arrivò ai vertici della regia dal versante della scrittura, con l'aggiunta capacità di visualizzare tipi e situazioni nei suoi icastici disegnetti. Aveva fatto la sua università nel bisettimanale "Mare' Aurelio" pubblicandovi, tra il '39 e il '43, quasi ottocento interventi, in prevalenza racconti umoristici oltre a numerose vignette; e quando allargò l'operosità ali'avanspettacolo, come battutista del comico Aldo Fabrizi, e poi alla radio e al cinematografo, nessuno si stupì. Eppure lo scriba prolifico e poliedrico spergiurava di non aver mai buttato giù una paginetta senza che fosse destinata all'immediata pubblicazione sul giornale o a venir recitata al microfono o utilizzata per un film: Fellini ci teneva a identificarsi con una simile concezione rigorosamente artigianale e finalizzata dello scrivere; e 28
se il teatro drammatico lo sentiva estraneo, per la letteratura vera nutriva un reverente rispetto. In gioventù aveva letto poco, ma nella maturità grazie all'insonnia diventò un autentico divoratore di libri. Le cose che scriveva lui, le note scarabocchiate chissà quando e furtivamente trasferite da una tasca all'altra, le battute appuntate la mattina facendo colazione o sul tavolo del ristorante durante la pausa e perfino le stesure più elaborate dei suoi soggetti, le faceva sparire man mano che le traduceva, inquadratura dopo inquadratura, in pellicola. Qualche volta ammetteva ridacchiando di avere "il complesso dell'assassino" perché stracciava tutto in minutissimi pezzetti, con diligente e compiaciuto accanimento. Quando ebbi modo di seguirlo su un paio di lavorazioni per compilare i diari del relativi film, di rado mi consentì di sbirciare i suoi appunti e sempre evitò di affidarmi qualche paginetta a futura memoria. Non mi aspetto dunque grandi scoperte da coloro che si apprestano a istituire degli archivi felliniani sperando di trovare chissà che cosa nei suoi cassetti vuoti. A maggior ragione mi sono stupito di veder riaffiorare, come un manoscritto in una bottiglia, questo racconto lungo che è un grazioso documento di rara preziosità: nientemeno che la prima idea-soggetto di Giulietta degli Spiriti. Che Federico non l'abbia distrutto o nascosto o dimenticato, ma ne abbia invece suggerito la pubblicazione in lingua tedesca all'amico svizzero Daniel Keel della Diogenes, vorrà pur dire qualcosa. Come mai fece quest'eccezione, firmando il relativo contratto nell'aprile dell' '89? E devo dire che per me, a suo tempo curatore di un libro sulla lavorazione di Giulietta degli Spiriti, la resurrezione dell'incunabolo costituisce una specie di beffa postuma: perché il regista non me lo fece mai vedere? 29
La lettura mi ha riportato al periodo immediatamente seguente al trionfo di 8 112 quando i Fellini, lasciato l'appartamento di via Archimede, decisero di trasferirsi in una villa nella pineta di Fregene, in tutto simile a quella che Piero Gherardi ricostruì per il film. Giulietta aveva già tirato su, istruendo personalmente il capomastro, una casetta per passarci l'estate, ma nacque l' esigenza di una casa più grande, con tante stanze per gli amici, in cui abitare tutto l'anno. In realtà l'esperimento, affrontato con entusiasmo, durò appena un paio di stagioni in capo alle quali Giulietta e Federico, afflitti da dolori reumatici, per sfuggire all'umidità del litorale trasportarono i penati prima all'EUR e poi nell'approdo definitivo di via Margutta. Intorno alla casa madre felliniana ne sorsero rapidamente altre perché non pochi ambivano a fare il nido all'ombra del Maestro. E mentre mi pilotava nel giro dei vari cantieri lui commentò: "È un grave errore costruire vicino agli amici, si corre il rischio che l'amicizia sia finita prima della costruzione". Devo dire che almeno in un caso, deplorevolissimo, fu davvero profeta. In Giulietta ritrovo insomma la cornice di quella fase della cronistoria felliniana e molto di più: appena trasfigurati, dilatati, caricaturati riconosco i personaggi della cerchia di Fregene, gli usi e costumi, le tensioni e i problemi del momento. Nell'insieme il soggetto anticipa il quadro generale, i caratteri principali e la successione degli eventi del film. Che fu, bisogna ricordarlo, un relativo insuccesso. Molti scrissero che Fellini aveva fatto Giulietta degli Spiriti solo per accontentare sua moglie, il che è falso perché il personaggio aveva una sua autonomia tant'è vero che a un certo punto si pensò perfino di contattare Katharine Hepburn. All'origine, certo, c'era stata l'ipotesi, gradita anche al benevolo produttore An30
gelo Rizzoli, di ricomporre la coppia regista-interprete di La strada e di Le notti di Cabiria, dopo la lunga interruzione di La dolce vita, Le tentazioni del dottor Antonio e 8 112, dove la figura della moglie dell'"io" protagonista era stata assunta da Anouk Aimée; e dopo aver affidato alla regia poco convinta di Eduardo un altro personaggio felliniano, Fortunella, per una pellicola dal1'esito commercialmente disastroso. Insomma la Giulietta del film non è affatto, o è solo a momenti, la Giulietta della vita. Me lo confermò lei stessa nel corso di una lunga intervista dell' '84 che fu poi pubblicata in volume: "(Giulietta) non mi assomiglia per niente; e questo, scusami, non l'ha capito nessuno. Io non sono quella Giulietta là, come Mario Pisu non è Fellini. Ma ti pare? Schiacciata dalla madre, succuba delle sorelle? Nella mia famiglia, faccio per dire, ho sempre comandato io. Il film è nato come una scusa per parlare di un tipo di educazione cattolica repressiva? Ma le mie Orsoline avevano una scuola con metodi e mentalità più avanti di tutto quello che c'era in giro allora nel campo della didattica. Se qualcuno mi assomiglia nel film è il personaggio di Sylva Koscina: la sorella attrice che va sempre in giro, fa i provini, appare e scompare ... Giulietta sullo schermo è timida, complessata, oppressa. Ti dirò anzi che mi è sempre stata antipatica, non l'ho mai mandata giù. Non mi piace il tipo della donna mediterranea, prima succuba dei genitori e poi parassitaria nel rapporto col marito. Io non sono mai stata sottomessa a nessuno, fin da bambina ho quasi adottato i miei genitori. Giulietta l'ho affrontata come un'inconscia difesa mia, di quello che sarei potuta diventare se non avessi avuto questo carattere. Ma ti pare che io facevo andare via mio marito così, senza una parola, senza neanche avere il gusto di una spiegazione? Altro che lasciarlo 31
andare, io gli avrei spaccato la testa." Più chiaro di così! E allora se la Masina non si riconobbe nel personaggio, chi è la Giulietta del racconto e del film? "Molte delle esperienze ed emozioni che Federico attribuisce alla protagonista del film sono cose sue. Quella scuoletta clericale, quel preside bigotto, quella paura dell'inferno. Ma sono i collegi dei preti che ha fatto lui in Romagna. E così quella visita al santone indiano: c'era andato lui, che in quel periodo si interessava di queste cose. In realtà tutti i personaggi che ho fatto io non sono Giulietta Masina, sono in gran parte Federico. Cabiria è Federico. Non si può capire La strada se non si accetta il fatto che Gelsomina, Zampanò e il Matto sono un'unica persona. Certo qua e là ci sono anche cose mie e di altri, ma fondamentalmente tutti i personaggi di Federico sono degli autoritratti." Sembrerebbe dar ragione a questa teoria coniugale, basata su.Il' attenta e lunga osservazione dell'individuo privato e dell'artista, il fatto che Fellini nel racconto usa la prima persona parlando in nome di un personaggio donna. L'assunzione del ruolo femminile da parte del narratore costituisce comunque, badiamo alle date, uno sforzo molto avanzato di rappresentarsi i problemi e le tensioni dell'altro sesso: sforzo che non fu assolutamente capito né apprezzato dalle femministe. Mentre rappresentò una novità, oltre che un segno dei tempi in trasformazione, quel punto d'arrivo in cui la protagonista, dopo essersi messa in discussione dall'infanzia in poi di fronte al trauma del minacciato abbandono del marito, riesce a scacciare gli spiriti negativi e molesti e ad accettare quelli buoni. Di questo racconto ci sono due letture possibili. La prima è quella, pura e semplice, del piacere di leggerlo. La seconda, riservata agli specialisti, è quella di raffrontarlo 32
al film in fieri per evidenziare e interpretare le differenze. Che sono poche e direi non sostanziali: il marito si chiama Luigi anziché Giorgio, sparisce la figura del padre "non vero" fascista e repressivo (certi suoi conti in sospeso con il ventennio nero Fellini li rimanderà ad Amarcora); il santone Bisma (Bishma nella sceneggiatura) è un uomo affascinante e misterioso, forse un imbroglione di classe che nel film diventa una caricaturaccia interpretata da un'anziana e doppiata dall'imitatore Noschese; il fantasma di Casanova (un appuntamento che il regista sposterà di dieci anni) sarà sostituito dal gentiluomo ispanico José de Villalonga più o meno nella parte di se stesso. Il Nonno professore fa una lezione che non comparirà nel film e fugge con la sua ballerina su un pallone aerostatico anziché su un aereo d'epoca, il tradimento del marito non è ancora un filmato che Giulietta è costretta a vedere, il potenziale seduttore della festa di Susy è un robusto negro che forse per timore del mercato americano diventerà un aitante sceicco. Molte cose però rimangono invariate, dal ricordo traumatico della recita in collegio, alla tripartizione dell'Eterno Femminino rappresentato dallo spiritello Iris, dalla vicina di casa Susy e dalla Ballerina del Nonno, tutte poi impersonate dalla stessa attrice. Qualche variante è introdotta nello scioglimento della situazione con Gabriella, l'amante del marito: nel film è solo una voce al telefono, che ammette l'adulterio come un fatto compiuto e taglia corto; mentre nel racconto appare in carne ed ossa, ma elusiva, ipocrita e conciliante (il risultato non cambia). Di veramente diverso c'è soprattutto la situazione in cui Giulietta assiste, in una fantasticheria tra morbosa e liberatoria, ali'amplesso del marito con Gabriella, che avrebbe potuto essere il corrispettivo dell'harem di 8 112 arricchito dal punto di vista di una delle donne. E forse il regista, 33
accingendosi a realizzare l'azzardata ipotesi erotica, si spaventò della sua stessa audacia; e magari fu bloccato dalla palese impossibilità di chiedere un atteggiamento simile alla sua Giulietta interprete e moglie. In tutti i casi mi pare che il racconto restituisca il progetto nella sua complessità e ambiguità con maggiore chiarezza del film che ne derivò. Magari il fatto che gli incubi descritti sono sempre più inquietanti degli incubi rappresentati. Del resto Giulietta stessa, nella sua intervista, lamentava che Federico si fosse fatto troppo distrarre dalla cornice: " . . . Insisto a dire, come vent'anni fa, che se la storia di Giulietta con il marito fosse stata più concentrata, meno distratta da elementi esteriori, da tutti quei costumi, da tanta psicoanalisi, sarebbe stata capita dal più grande pubblico. Perché è in ballo un problema come il matrimonio, che riguarda tutti. E la liberazione della donna, tirata fuori ben prima che se ne parlasse tanto ... ". Al di là del piacere della lettura e dell'interesse del documento, resta il problema del perché Fellini volle pubblicare questo soggetto a preferenza di altri. Forse la sua decisione va interpretata come un gesto di tenerezza per un film segnato fin dall'inizio da una mancata coesione fra coloro che ci lavorarono, fonte di liti e molteplici separazioni dolorose, accolto e capito dal pubblico e dalla critica con minore prontezza di altri; e che tuttavia conteneva tanti problemi personali trasfigurati in chiave di visionarietà e soprattutto l'approdo a un modo di convivere con i propri fantasmi che Federico, dopo averlo maturato alla scuola junghiana di Ernst Bernhard, non abbandonò più. Avviandosi a diventare il vecchio saggio, scherzoso e un po' malinconico che fu negli ultimi anni della sua vita. marzo 1994 34
Il bidone numero 2
"Il bidone numero 2" sarebbe il titolo felliniano da applicare alla fase che sta attraversando la fama postuma del Maestro, affidata a un proliferare di iniziative (mostre, rassegne, premi, pubblicazioni) in cui si parrà la nobilitate degli enti, degli assessorati e dei singoli. Per non parlare dell'ondata di testimonianze spontaneiste, dove tra i venditori di reliquie prevalentemente false chi ha appena sfiorato l'Illustre Estinto vanta confidenze particolari, concede interviste e spara rivelazioni; sicché per l'involontario tono grottesco e le frequenti stonature sembra davvero di assistere a un numero speciale della Corrida televisiva ... In questo bailamme un vertice è stato toccato dalla notizia che ha conquistato domenica 6 marzo l'onore della prima pagina di alcuni autorevoli quotidiani: "Quando anche Fellini provò l'LSD ... ". Anticipando la rivelazione sensazionale del suo libro Fedenco Fellini -Imago, la storica dell'arte Toni Maraini rievoca con palpitante partecipazione quel ventoso giorno di marzo del 1990 in cui fu ammessa alla presenza del Maestro, quando afoni per infreddatura tutti e due trovarono comunque modo di comunicare fino alla confidenza estrema alla quale Federico si abbandonò, la confessione di aver assunto una volta l'acido lisergico per un esperimento sotto controllo medico. L'attonita intervistatrice precisa che poi il regista si pentì e le te35
lefonò supplicandola di sopprimere il brano della registrazione relativo all'episodio eccetera eccetera. Il che suona davvero strano perché l'intera faccenda è raccontata nei particolari nella mia biografia Fellini, pubblicata da Camunia nel 1987 e poi da Rizzali nella Bur, letta e approvata dal biografato. Ma un racconto ancora più dettagliato, trascritto dalla viva voce del protagonista, si può trovare nel remoto volume sulla lavorazione di Giulietta degli Spiriti da me curato per Cappelli nel 1964. Se si tratta di uno scoop, insomma, è uno scoop Gran Riserva invecchiato di trent'anni: troppo antiquariale, direi, per venir sbattuto in prima pagina. Debbo aggiungere che anche all'"altro episodio rimosso della vita di Fellini" (vedi articolo-intervista di Simonetta Fiori nelle pagine culturali di "la Repubblica": Fellini on the Road), vale a dire il Viaggio a Tulum in compagnia di Carlos Castaneda di cui il cineasta (parla la Maraini) "volle censurare tutti i dettagli bizzarri" e i "troppi misteri", sono dedicate numerose pagine della mia biografia. Per cui a giornali e agenzie non resta che lanciare un appello: diffidate dei f ellinisti della sesta giornata. 24 marzo 1994
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Brindisi a Giulietta
Rimembro ancora il clamore dell'applauso che alla Mostra di Venezia del '48 lanciò la carriera di Giulietta Masina. In Senza pietà di Lattuada c'è una scena notturna in cui una "segnorina" di Tombolo sta per prendere il largo sul mare con un nero disertore dell'esercito americano quando all'improvviso rifà di corsa la spiaggia per abbracciare di nuovo l'amica Carla Del Poggio. Benché la consuetudine di applaudire a schermo acceso non fosse ancora invalsa, venne giù il Palazzo; e fu il primo, per Giulietta, di infiniti battimani in tutto il pianeta, sempre con quel particolare timbro partecipe, grato, affettuoso. Ma la sconosciuta attrice non c'era: stava nel suo letto a Roma, ancora sofferente per una complicata e tragica gravidanza, e la notizia la ricevette al telefono dall'emozionatissimo marito sceneggiatore del film. All'epoca Fellini aveva 28 anni, la Masina 27 ed erano sposati da cinque. Molto graziosa e vivace senza essere una bellezza, Giulia (divenuta da poco Giulietta per assecondare Federico infaticabile ribattezzatore diminutivo) aveva alle spalle tanta radio, qualche promettente apparizione al teatro universitario e il matrimonio giovanile con quel quasi coetaneo che decollato come battutista del comico F abrizi si stava facendo strada nel cinema serio. Se Senza pietà diede all'attrice il passaporto 37
per la notorietà e il primo dei suoi quasi 200 premi, fu anche il film che la condannò al ruolo fisso della prostituta buffa e patetica. Per fortuna la ragazza aveva al suo fianco un grande drammaturgo in crescita impegnato a inventarle dei personaggi sulla misura del suo talento. Nacque così in La strada (1954) la straordinaria figura di Gelsomina, il clown femminile, vittima del bruto Zampanò, un uccellino spaurito; e quando Federico definiva la sua favola come una metafora del tipico matrimonio italiano, Giulietta lo esortava a non colpevolizzarsi. Agli amici diceva: "Nessuno ha mai capito che Gelsomina non sono io, ma lui: cioè la sua parte femminile, vulnerabile, poetica". E pur orgogliosa di quell'incarnazione che l'aveva portata alla ribalta dell'Oscar e all'elogio del suo modello Charlie Chaplin, l'attrice non la sentiva come cosa sua, ne detestava gli stracci, il trucco da circo e la rassegnazione. Le andò a genio, invece, la protagonista di Le notti di Cabiria (1957), altro Oscar in rapida successione: ancora una battona, ma fiera, combattente, inaffondabile nel suo ottimismo cromosomico. Poi Giulietta tornò a mostrarsi dubbiosa di fronte alla moglie di mezza età pronta a farsi mettere sotto che Federico le affidò in Giulietta degli Spiriti (1964): un personaggio che solo nel finale, in un soprassalto di protofemminismo, riusciva a prendere in mano la situazione. Del film, pure fatto in suo onore, Giulietta odiò tutto: le sue scomposte reazioni alle infedeltà del coniuge, i vestiti che le aveva disegnato Piero Gherardi, il modo in cui la fotografavano. Questo per dire che il rapporto artistico fra Federico e Giulietta non fu la tranquilla passeggiata trionfale di cui parlano le agiografie, proprio come il loro lunghissimo matrimonio non fu l'idillio ininterrotto sul quale hanno sviolinato i media. Quello dei coniugi Fellini fu l'incon38
tro vero di due persone reali: il confronto fra un uomo complicato, difficile, scettico, a tratti infantilmente capriccioso, più duro ed esigente con la moglie che con gli altri anche sul lavoro, e una donna rigorosa e severa, religiosissima, dominata da un super-io che le veniva da un'educazione ineccepibile. Tanto per fare qualche esempio, Giulietta era laureata e Federico era stato uno studentello svogliato, lei correva ai concerti e lui subiva la musica come un rumore, lei amava avere amici a cena e lui preferiva il ristorante e i vagabondaggi notturni, lei fumava continuamente e lui aborriva solo la vista delle sigarette. Osservata da vicino, la loro unione sembrava la quadratura del cerchio: un azzardato connubio tra volatilità e pragmatismo, tra dubbi e certezze, tra nomadismo e stanzialità. In realtà Federico aveva bisogno di Giulietta quanto Giulietta di Federico, ciascuno si nutriva dell'altro: lei cercava qualche ventata rilassante di buffoneria, lui nascondeva un'aspirazione alla serietà. Narrata come l'amore fra Romeo e Giulietta, la loro vicenda non ha senso: parlerei, per restare a Shakespeare, del rapporto fra Prospero e Ariele, dove il mago chiama e il folletto accorre a rendere concrete le sue fantasie. Sul fronte della quotidianità il quadro è altrettanto sconcertante. Da una parte Giulietta che regge la casa, prepara a Federico gli abiti e le cravatte, cerca di prevenire i suoi desideri, gli tiene lontani i seccatori. E dal1'altra il regista che, pur scontroso e impaziente, è incapace di resistere un'ora senza la moglie, le telefona continuamente, la pesca perfino sotto il casco del parrucchiere. E intanto lei sacrifica serenamente la sua carriera (anche se al di fuori di Federico ottiene due successi popolari in tv con Eleonora e Camilla) e si guarda bene dal chiedere se ci sarà una parte per lei nel prossimo 39
film del Maestro. Finché approda alla straordinaria interpretazione di Ginger e Fred (1985), dove il burattinaio la induce a fare più o meno il monumento di se stessa, delle sue virtù, della sua solidità umana, del suo talento. L'alchimia di queste scene da un matrimonio, ininterrottamente replicate in pubblico e in privato sull'arco di mezzo secolo, si fondava su una specie di trepida ammirazione reciproca, sul rispetto, sulla comprensione, su una tacita ripartizione dei compiti sul set e in famiglia. È stato già detto che quel figlio morto appena nato, con la conseguente impossibilità di averne, fece di Giulietta la madre di Federico e di Federico il padre di Giulietta. In tali ruoli furono ambedue ineccepibili. Ma si scoprirono all'altezza di ruoli ben più ineffabili come il Poeta e la Musa. E in definitiva furono soprattutto un marito e una moglie nel senso osmotico e totalizzante che Thomas Mann descrive così acutamente nel suo Brindisi a Kat.fa: ''Su questa terra restami a lato e tutto alfine sarà terminato". 24 marzo 1994
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C uny, il sorriso della sfinge
Quando gl'infilarono la vestaglia di generale austriaco per La rosa rossa, il film di Franco Giraldi, e qualcuno lo informò che era la stessa indossata da Burt Lancaster con Il Gattopardo, ricordo che Alain Cuny si limitò enigmaticamente a sorridere. Il sorriso è il più bel ricordo che resta di lui: agro, pudico, ironico, sostitutivo di molte parole. Quella volta, forse, voleva dire che pur costando meno un attore francese poteva valere quanto un divo americano; oppure, semplicemente, sottolineare i casi bizzarri del mondo del cinema. Nel quale il nostro, provenendo da studi di psichiatria, dalla pittura e dal gran teatro parigino degli anni Trenta, era immerso fino al collo; ma conservando un'aria di distacco, da plenipotenziario d'alto livello, che ricordava un po' Erich von Stroheim. Tutta un'alternanza di sguardi soppesati e brevi sorrisi fu una non-intervista che gli feci alla vigilia di La dolce vita, quando su insistente consiglio di Pasolini fu scelto da Fellini per far diventare l'intellettuale suicida "una statua di una cattedrale gotica": molte domande l'una dopo l'altra, nessuna risposta, una vaga promessa mai mantenuta di rifletterci su per iscritto. Sul set, pur comportandosi con una professionalità impeccabile, Cuny sembrava eternamente in prestito, con quella nobile rassegnazione che mostrava già in La signora senza camelie di Antoniani e che ritrovò in Irene) Irene di Peter Del Monte. Se lo in41
ducevi a confidenze sulla carriera, si illuminava parlando della sua amicizia con il poeta Paul Claudel che era stato il suo idolo di "anarchiste chrétien"; e che onorò in vecchiaia come regista di un film tratto da L annuncio fatto a Maria. Per altri incontri di vita e lavoro aveva parole in cui il giudizio negativo si tingeva volentieri di sdegno. Fellini lo ammirava moltissimo, anche se ho l'impressione che ne avesse un po' di paura, forse da quando lo aveva visto interpretare una figura infernale in Lamore e il diavolo di Carné. Certo Federico trattava l'attore con riguardi perfino esagerati, suscitando nell'altro le affabilità di un sovrano in incognito. Del resto quella di Alain Cuny era una personalità così totalizzante che nessuno riuscì a inserirlo in un qualsiasi contesto facendolo rinunciare alla sua essenza profonda. Benché non riuscisse a dire due parole nella nostra lingua, amava molto lavorare in Italia, dove realizzò alcuni dei suoi personaggi memorabili: con Marco Ferreri in Ludienza; e soprattutto con Francesco Rosi nella personificazione allucinante del paranoico generale in Uomini contro, in Cadaven· eccellenti e in Cristo si è fermato a Eboli. Sul finire d'una colazione in un ristorante di Piazza del Popolo, quando aveva già passato da un pezzo la sessantina (era nato a Saint-Malo nel 1908), Cuny uscendo improvvisamente dal suo riserbo cominciò a raccontarci di una femmina stupenda che aveva visto poche ore prima stesa al sole sulla spiaggia di Ostia; e nel suo discorso concitato finì per descriverci, più che un essere umano, un'opera d'arte o addirittura una divinità. Tanto che a un certo punto, lasciando tutti esterrefatti, salutò in fretta e uscì di corsa avviandosi a un taxi. Aveva deciso di tornare a Ostia nel caso che la bella sconosciuta fosse ancora là. 18 maggio 1994 42
Nella Bosnia del f ellinismo
Noi vitelloni della prima ora ci aggiriamo angosciati in mezzo al tiro incrociato delle polemiche di questi giorni sul modo proprio e improprio di gestire l'eredità di Fellini. C'è chi si oppone all'annunciata mostra commemorativa, chi già critica l'erigenda istituzione riminese, chi grida al sacrilegio per l'inevitabile proliferare dei gadgets a pagamento ispirati a Federico e Giulietta. Anzi, ora che ci penso, mentre scrivo queste righe ho addosso una maglietta con lo schizzo di Gelsomina sulla spiaggia, acquistata al Festival di Cannes: prima di proseguire devo andare a cambiarmi? Ai campioni in campo, che conosco uno per uno da quel dì e considero tutti in buona fede, rivolgo l'accorata raccomandazione di arrivare a un rapido armistizio. Perché almeno di una cosa sono sicurissimo: Federico non avrebbe gradito questa guerra di successione che è venuta fuori, una vera e propria Bosnia del fellinismo. Si sa che il morto stracciava tutto: lettere, contratti, disegni, copioni, fotografie. Non voleva lasciare del suo passaggio sulla terra nessun'altra testimonianza al di fuori dei film. Del proprio itinerario esistenziale a lui premeva una sola cosa, alla quale sta provvedendo, speriamo in modo ottimale, Cinecittà International: la conservazione delle pellicole, la qualità delle copie. Ricordo con quanta emozione, tornando da Tokyo, mi 43
raccontò che i giapponesi gli avevano fatto rivedere La strada da un dischetto piccolo piccolo; e che il suono era "come quello del giorno in cui incidemmo la musica di Nino Rota alla Fono Roma nell'estate del '54" e concluse: "Un regista esisterà sempre se continuano a esistere i suoi film". Perciò si ribellò, ed è storia di ieri, all'incultura bottegaia delle interruzioni pubblicitarie in tv, fino a schierarsi contro gli imporchettatori privati e di stato. Fece dichiarazioni di fuoco, lui che era da sempre immune dall'italianissima febbre della politica. Ma come è scoppiato e si sta trascinando questo conflitto fra felliniani, fellinisti e fellinologi? Alla luce di vecchie letture di Freud e Abraham, e del soccorso del1' amica psicoanalista Simona Argentieri che ho consultato per l'occasione, la mia diagnosi è questa. Siamo in presenza di una forma collettiva di lutto patologico, il cui aspetto fondamentale è la pretesa di aver avuto un rapporto privilegiato con lo scomparso. E senza dubbio la colpa è soprattutto di Federico, il quale coltivava il dono pericoloso di presentarsi a ciascun interlocutore (anche occasionale) come se lui fosse stato creato esclusivamente per la persona che aveva davanti in quel momento. Questo è il segreto della sua comunicativa con gli attori, i collaboratori, i tecnici. Era un incantatore alla Rossellini, un Casanova della psiche, un Pifferaio magico che si trascinava dietro chi voleva lui. Per cui non c'è da stupirsi se oggi gli amici, i conoscenti e persino le comparse della cerchia allargata sentono la mancanza di Fellini come un acuto dolore personale. Però attenzione, la letteratura analitica ci insegna che in ogni pretesa di esclusività del lutto c'è amore, ma nello stesso tempo c'è ambivalenza, aggressività rimossa, rimorso. Colui che il dolore se lo porta dentro non ha bisogno di tirarlo fuori; mentre chi ha avuto con lo scom44
parso un rapporto di amore-odio (determinato da gelosia, competitività o altro) sente l'esigenza di rimuovere gli aspetti negativi ed evidenziare quelli positivi. Se vogliamo far cessare la guerra mondiale dei vedovi, reali o immaginari, affrettiamoci ad accettare l'idea che Fellini deve continuare a essere ciò che è sempre stato: l'amico di tutti, un patrimonio universale. 23 luglio 1994
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Qualcosa c'è
Giuro di dire la verità e nient'altro che la verità sull'unica visita che feci a Gustavo Adolfo Rol in compagnia di un comune amico, l'editore Giuseppe Sormani. Altri frequentatori assidui del mago appena scomparso, inclusi non pochi nomi illustri, potrebbero raccontare ben di più; ma riferendo in maniera notarile la mia piccola esperienza vorrei essere creduto. Correva l'anno 1970, lo ricostruisco dal fatto che Dino De Laurentiis stava allestendo il film Waterloo, e Rol si doleva che il produttore non l'avesse chiamato come consulente. Di quella battaglia affermava, infatti, di sapere tutto in qualità di "testimone oculare"; e quasi a comprovarlo appena entrati nella sua casa torinese, dopo una cena a tre in un ristorantino, ci accolse un'alzata di tamburi napoleonici che sembravano ancora ricoperti dalla polvere dell'epoca. Ormai tutti e due verso la settantina, Sormani e Rol avevano fatto il militare insieme nel primo dopoguerra e pur essendosi persi di vista nel corso della serata ripresero un rapporto cameratesco intessuto di vecchi scherzi da caserma. Ogni tanto Rol si alzava e andava alla porta della camera accanto, parlando ad alta voce alla moglie che (se n'era scusato) non poteva fare gli onori di casa in quanto ammalata, e le offriva inutilmente un marron glacé. Durante uno di questi sposta46
menti dell'ospite, Sormani mi sussurrò sogghignando: "Non c'è". E al mio sguardo interrogativo, insistette: "La moglie, di là, se la sta inventando". Arrivò invece una scolorita condomina del piano di sopra che aveva insistito per assistere ai "giochi". Nel frattempo avevamo fatto una fugace visita allo studio di pittura, dove Rol esercitava il suo mestiere di restauratore di quadri antichi. Non mancò di precisarci, con ineffabile tono sornione, che di solito lavorava al buio, limitandosi con la mano a reggere il pennello e lasciandolo "correre da solo". Lì per lì mi parve una vanteria metafisica, ma sospesi il giudizio ricordando i racconti straordinari che su Rol mi aveva fatto Federico Fellini. E feci bene perché una volta seduti intorno a un tavolinetto quadrato, maneggiando due mazzi di carte con virtuosistica abilità, il mago ci fece assistere a una serie velocissima, prolungata ed elegantissima di trasformazioni a vista: ora il mazzo era tutto di assi di cuori, ora erano tutti re o fanti o dame. Non avevi il tempo di stupirti che già stavi dentro a un'altra mutazione. Quando attaccò il gioco di mettere una carta coperta sul tavolo e farti scegliere mentalmente una carta qualsiasi, per poi coprirla e sorprenderti con l'apparizione di quella che avevi pensato, mi tornò in mente un incidente capitato a Fellini. Curioso come sempre, il regista aveva allungato la manina per sbirciare la carta in via di trasformazione intravedendo così un magma indefinibile in atto di scomporsi e ricomporsi, un'immagine da dissolvenza incrociata che gli aveva provocato seduta stante un urto di vomito. Stavo appunto meditando di imitare Fellini, per decidere una volta per tutte quanta retta si dovesse dare a lui e a Rol, quando il cartaio avendomi letto nel pensiero mi prevenne: "Non vorrà mica fare come il suo amico ... ". 47
Provai un brivido e da quel momento non riuscii più a pensare che a una sola cosa, tagliare la corda. L'anfitrione lo capì al volo e, congedandoci poco dopo, mi disse: "Avrei voluto farle vedere qualche altro gioco, per esempio trasferire un oggetto da una stanza all'altra, ma lei ha troppa paura". Allontanandomi dall'antro dello stregone per le vie notturne di Torino, città magica, conclusi che come visita al pianeta dell'irrazionale l' esperienza mi sarebbe bastata a lungo. E sull'argomento, da allora, penso più che mai che abbia ragione il prestigiatore in frac di 8 112 quando alla domanda di Mastroianni-Fellini sull'esistenza del sovrannaturale, r1sponde enigmatico: "Qualcosa c'è". 24 settembre 1994
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Marcello 70
Alziamo il calice, oggi si festeggia il settantesimo compleanno di Marcello Mastroianni e potrei approfittare della circostanza per celebrare trentacinque anni d'amicizia. Quando l'incontrai a Cinecittà, in occasione dei provini di La dolce vita, subito Marcello m'apparì, rara avis tra gli attori, un essere umano non corroso dai tarli della professione. Non ha il culto di se stesso, non è vanitoso, non è avaro. In precedenza, però, l'avevo visto impersonare Astrov nello Zio Vanja di Visconti (ho ancora le sue intonazioni cecoviane nel cuore) e non potevo che considerarlo un grande. Ed ecco la prima, fondamentale contraddizione: Mastroianni non-attore, Mastroianni super-attore. Studiandola ci si avvicina al segreto di Marcello, ma non più di tanto. Perché ogni artista per le vie della razionalità è imprendibile. Il nostro ha l'aria di quello che non s'è mai creduto il moderno Casanova, non s'abbandona ali'autocontemplazione di un'icona divistica e considera il proprio iter esistenziale come un regalo della dea bendata. Eppure sul set o in palcoscenico diventa un esigentissimo perfezionista, capace di certe furie imprevedibili e temibili se coglie cialtronerie o disattenzioni. Da una parte è un convinto assertore del carattere ludico della sua scelta di vita, dall'altra ne difende l'oscura sacralità. 49
Altra contraddizione: la sua fedeltà a Federico Fellini, che nel tempo s'è sublimata nell'identificazione, è leggendaria. Però il regista avrebbe voluto che il suo alter ego tra un film e l'altro andasse in letargo, mal sopportava i continui tradimenti dello svolazzante complice. Quante volte l'ho sentito ripetere, con una smorfia di perplessità: "Marcellino va a fare il film del tale, deltalaltro ... Mah!". E intanto l'attore, pur disponibile senza riserve alle fantasie del maestro e sopportandone i ten tennamenti (per il protagonista di 8 112 fu addirittura contattato Laurence Olivier) da fedelissimo infedele s'è sempre allogato nei film altrui. Significativo è il cofanetto della Rcs, pubblicato per i settant'anni, dove su cinque videocassette che rappresentano altrettanti capolavori d'interpretazione in una gamma di virtuosistica estensione dal grottesco al drammatico (Divorzio altitaliana, I compagni, Dramma della gelosia, La grande abbuffata, Verso sera) non c'è neanche un titolo felliniano. Attesta, tale raccolta, l'impareggiabile eclettismo d'un commediante che ha affrontato ogni sorta di personaggi - incluso l'uomo incinto - senza minimamente preoccuparsi di "curare l'immagine", che però ne esce vittoriosa. Quando l'incontrai, il divo si considerava in un momento "no" della carriera: "Ho trascorso gli ultimi mesi accanto a un telefono che non squillava", mi confidò. Fui facile profeta nel garantirgli che non doveva preoccuparsi, lui era il tipo che avrebbe lavorato sempre. Non ho neanche bisogno, quindi, di fargli gli auguri: glieli formulai allora e si sono pienamente avverati. Anzi, ciò che più conta, con l' adattamento cinematografico di Sostiene Pereira in vista, sotto i settant'anni di Mastroianni c'è scritto "continua". 28 settembre 1994 50
Madre Cabrini
Non vorrei insistere con il tema dei falsi scoop intorno a Fellini & Masina, ma agenzie e giornali continuano ad accoglierli con prontezza degna di miglior causa. Adesso ha fatto notizia, come una preziosa rivelazione della sorella Mariolina, che il sogno segreto di Giulietta fu quello di interpretare Francesca Cabrini (1850-1909), detta la protettrice degli emigranti perché partita povera dal nativo Sant'Angelo Lodigiano operò principalmente negli Stati Uniti diventando la prima santa americana. Ma questo non fu affatto un sogno e tanto meno un segreto: fu un concreto progetto dell'attrice, di cui parlarono ampiamente i giornali nei primi anni Sessanta. La vicenda posso riferirla di prima mano perché vi ebbi una piccola parte. A consigliare a Giulietta questo personaggio fu un caro amico di famiglia, il commediografo Salvato Cappelli. A me veramente pareva che la santa, con la faccetta lombarda che aveva nelle foto, assomigliasse di più ad Anna Maria Guarnieri, ma ciò nonostante Fellini e Clemente Fracassi, allora titolari della Federiz, vollero affidarmi la stesura di un trattamento; e analogo incarico affidarono a Cappelli, con lo stravagante impegno bilaterale di non parlarci né consultarci, in modo che alla fine si potessero avere due diversi elaborati da cui pescare meglio. Devo dire che studiando la vita della Cabrini non fui tanto colpito dall'aspetto 51
della santità, quanto dal suo virtuosistico talento nel mettere su un'impresa dopo l'altra, spesso in concorrenza con i gesuiti che le fecero perfino causa. Più che la vita di una creatura celestiale, la sua mi parve una versione al femminile di una carriera dall'ago al milione tipo quella del nostro produttore Angelo Rizzoli, il vecchio. Penso che Cappelli fosse più nobilmente ispirato, ma non lo seppi mai perché rispettammo la consegna di non comunicare. Auspici poco favorevoli trapelarono dall'espressione sgomenta di Fracassi quando ebbe letto i due copioni, però bisogna dire che lui era un pessimista cronico. Quanto a Federico Fellini si limitò a rimproverarmi scherzosamente di aver messo nella faccenda tanto scarso entusiasmo da chiamare per 50 pagine la protagonista Teresa anziché Francesca. Sul progetto calò comunque l'ala nera dei costi: film d'epoca, difficoltà di girare in Usa e soprattutto di trovarvi dei soci, la Masina che non aveva voglia di recitare in inglese. Intanto venne avanti Giulietta degli Spiriti e di Madre Cabrini non si parlò più. 13 ottobre 1994
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Il disperso dei dispersi
Mi è capitato recentemente di affermare che per i suoi amici Fellini sarebbe stato Fellini anche se non avesse mai girato un metro di pellicola. E negli occhi degli astanti ho colto un moto di sorpresa. Ebbene vorrei che quelle persone leggessero il racconto-documento di Gianfranco Angelucci (pubblicato su "Sette") che copre i tre mesi della malattia terminale di Federico dall'Ospedale di Ferrara al Policlinico di Roma, dove si è spento il 31 ottobre '93. Nell'anno trascorso da allora ho accennato più volte al fenomeno dei f ellinisti della sesta giornata, dell'imperversare dei falsi "scoop" intorno alla coppia Fellini-Masina, dei troppi amici immaginari che si autoproclamano tali ora che non c'è più l'interessato a smentirli. Ebbene, il caso di Angelucci si colloca esattamente ali' opposto ed è quello di un felliniano doc, sodale e collaboratore da tempo immemorabile, sensibile annotatore ed ermeneuta dei detti e dei sentimenti del maestro. In queste pagine il buon samaritano si rivela anche scrittore nel ripercorrere le tappe di una sofferenza riottosa, indocile, fantasticata e a tratti paradossalmente ilare: stretta tra l'avidità impietosa dei mass-media, ai quali tuttavia da vero uomo di spettacolo il malato si sforza di dare qualcosa da mordere, e la squallida realtà dell'istituzione ospedaliera. Come ritrovo Federico in un diario che mi permette di accostarmi 53
all'ultimo capitolo della sua biografia oltre il paravento della mia personale viltà: un sentimento che, congiunto alla discrezione e all'insofferenza di ritrovarmi fianco a fianco con l'esibizionismo dei falsi dolenti, mi tenne lontano (non certo con il pensiero) dalla stanza del dolore. Vorrei comunque invitarvi a fare un esperimento: leggete le pagine di Angelucci dimenticando La dolce vita e Amarcord. Fate conto che registrino l'estrema odissea di un uomo qualsiasi folgorato, e tuttavia non ancora annientato, dalla malattia. Un essere umano consapevole del proprio stato, e lo prova lo straordinario sogno in cui Fellini si rappresenta come il "disperso dei dispersi", ma capace in ogni momento di reagire disegnando, progettando, chiacchierando e parlando perfino di soubrette in quella maniera golosa, metaforica e vitellonesca che i non iniziati troveranno magari grossolana. Il che conferma la mia tesi: non c'è bisogno di collocare l'uomo Fellini sullo sfondo dei suoi capolavori per toccare con mano lo spessore del personaggio e la debordante ricchezza della sua lezione esistenziale. 27 ottobre 1994
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Spariscono le tracce
Che stretta al cuore passare sotto Corso d'Italia 35 D e buttando un occhio alle familiari finestre dell'ammezzato scoprire che lo studio di Federico Fellini non c'è più. Quelle stanze pittoresche e ordinatissime (piene di manoscritti, di quadri, di oggettini divertenti, di blocchi di carta, di matite perfettamente appuntite e pronte per l'uso) il pubblico televisivo le scoprì nel corso di una travolgente incursione di Chiambretti: una cornice su misura per l'ultima immagine che abbiamo di un Federico burlone, come ai bei tempi de I vitelloni, dove nel duetto scherzoso con Piero si mise perfino in testa il berretto del "Portalettere" e alla fine non si capiva chi dei due fosse il comico e chi la "spalla". È passato appena un anno dalla morte in una mesta e inadeguata stanzetta del Policlinico (la ricorrenza è domani) e dal triplice rito funebre (Cinecittà, Santa Maria degli Angeli, Rimini) che Sergio Zavoli evocherà per noi giovedì prossimo (in tv), e già del Poeta del cinema si sono cancellate le tracce. Anche in via Margutta 11 O A, scala B, interno 6, l'appartamento che Fellini abitò per tanti anni con Giulietta, è stato svuotato e venduto sul cavallo di premura. Ebbene, senza voler istituire paragoni, mi è tornato in mente che l'estate scorsa a Vienna mi sono messo in fila per ascendere il piano di scale che porta allo studio del "Prof. Dr. Sigm. Freud" (così sta 55
scritto sul tagliando d'ingresso, che riproduce il biglietto da visita) in Berggasse 19. Dove per la verità c'è poco da vedere: qualche mobile residuo, lettere in bacheca, prime edizioni delle opere, fotografie. Ma la gente viene da tutto il mondo per respirare quell'aria, per immergersi nello stesso ambiente in cui trascorse buona parte della sua operosa esistenza il Mosè della psicoanalisi. È un'il1usione, certo: eppure anche le illusioni, ce l'insegna proprio Freud in un suo saggio famoso, hanno diritto a un futuro. Non è forse lecito pensare che da ogni punto cardinale sarebbero convenuti i pellegrini a visitare il luogo dove Federico Fellini pensò, scrisse, sceneggiò, telefonò, ricevette amici e giornalisti, dormicchiò e magari sognò uno dei grandi sogni che poi annotava e illustrava nel suo misterioso librone? Inutile sarebbe gettare la croce addosso agli eredi che non hanno saputo, non hanno voluto, non hanno potuto, non hanno capito. Non si diventa parenti di ungenio attraverso un concorso per titoli, spesso il destino mette noi tutti di fronte a responsabilità che non siamo in grado di affrontare. E sarebbe comunque ingiusto, per una volta, tirare in ballo i pubblici poteri: tutto è stato smantellato, disperso e obliterato tanto in fretta da rendere impossibile qualsiasi intervento del Comune o dello Stato. E questo è solo un esempio di un genocidio ambientale, culturale e spirituale in corso a Roma da decenni: e che ha visto sparire in via Veneto (ed è ancora uno smacco all'autore di La dolce vita, genius loci) caffè famosi come Rosati e Strega e tutte, proprio tutte, le tre librerie che vi aprivano le loro vetrine, tra le quali quella famosissima di Rossetti dove pontificavano Cardarelli, Brancati e Flaiano. Per quanto riguarda la cancellazione della memoria di Fellini, potrei anche fare l' awocato del diavolo e asseri56
re che lui sarebbe stato contento così: infatti, vittima dichiarata di quello che chiamava il "complesso dell' assassino", l'ho sempre visto stracciare lettere, fotografie, copioni, documenti e addirittura i libri che gli mandavano. Si vantava di essere diventato bravo come quei forzuti che sul palcoscenico spaccano in due gli elenchi telefonici. E dopo dieci minuti dall'arrivo della posta ai piedi del regista si alzava una montagna di carta nella quale noi tutti intorno cercavamo furtivamente di recuperare qualche paginetta o frammento. Elusivo per vocazione, puntiglioso eliminatore di tracce anche nelle evocazioni del passato, fantasiosissimo depistatore dei biografi, per quanto tempo andò avanti con la storiella della sua fuga da bambino dietro al circo? Il nostro non ha certo aspettato L uomo che uccise Liberty Valance di John Ford per adottarne il motto: "print the legend", tra la storia e la leggenda stampa quest'ultima. Però su un fronte particolare Fellini diventava un conservatore intransigente, serissimo, non riconciliabile: ed era quello della difesa dell'integrità dei suoi film. Per salvare dai tagli Le notti di Cabiria, criticatissimo dalle sinistre, andò di notte nei caruggi di Genova a un incontro con il cardinale Siri e tornò vincitore; per La dolce vita si batté contro l'intero apparato cattolico mobilitato dalla manina misteriosa (forse la stessa che oggi saluta la folla dal balcone del Quirinale) che ribattezzò il film Schifosa vita sull'"Osservatore Romano"; per l' atroce imporchettamento pubblicitario delle pellicole in tv si mobilitò in tutti i modi, con la furia in politica del1'apolitico, contro il berlusconismo dilagante prevedendo (come accadde) che la praxis bottegaia avrebbe contaminato anche la Raie l'intera nazione. Felice sarebbe dunque Federico di sapere che Cinecittà International sta provvedendo al restauro della sua ope57
ra omnia; e certo incuriosito dalla grande mostra che stanno preparando Vincenzo Mollica e altri amici veri per il suo 75esimo anniversario (20 gennaio). Se l' avessero allestita lui vivo, e mi pare che la stiano realizzando proprio in questo spirito, avrebbe certo trafficato per visitarla da solo, di notte, con quella timidezza orgogliosa che lo caratterizzava quando parlavano di lui nei termini ammirativi divenuti consueti solo negli ultimi tempi. Prima e' era stata una rabbiosa opposizione al suo cinema, addirittura un libro intitolato Contro/ellini, e il nostro, secondo la sua abitudine di minimizzare le apologie e ingigantire gli attacchi, ci tornava su di continuo e ne soffriva. Di libri felliniani me ne vedo arrivare in casa due o tre per settimana, sono una pioggia e non sempre sono quelli che si potrebbero o dovrebbero scrivere. Ce n'è di tutte le qualità, spesso pieni di inesattezze. Ne apro uno a caso e leggo: "Subito dopo la Liberazione, in coppia con Vittorio De Seta - il futuro regista di Banditi a Orgosolo - apre a Roma the /unny /ace shop ... ". È una bella svista, o no?, confondere l'austero documentarista siciliano con il disegnatore del "Mare'Aurelio" Enrico De Seta, che non è neanche parente. E via smarronando. Aspetto con fiducia il libretto di chiacchierate con la vispa Rita Cirio, la monografia scritta dal professor Mario Verdone che sostituirà nella collana del "Castoro" il precedente infelice saggio sullo stesso tema. E mi sono incantato, proprio come i bambini che ne sono i destinatari, nel contemplare i bei disegni che Letizia Galli, su un delicato testo della svedese Monica Zangberg, ha realizzato per Il sogno di Federico, edito da Rosellina Archinto: la definitiva apoteosi del mito della fuga da Rimini, con gentili invenzioni di circostanza, fan tasia aggiunta a leggenda. Nel circo Federichino incon58
tra il clown Gelsomina e nel finale, sotto il cono di luce del riflettore come il fanciullino di 8 112, ha la folgorazione del suo destino: "Allora Federico capì che qualsiasi cosa avesse fatto, qualsiasi cosa gli fosse successa, ormai lui era un Mago e lo sarebbe stato sempre e per sempre". Nel pullulare dei festeggiamenti noto con fastidio alcuni antifellinisti storici partecipare sfacciatamente ai riti e prendere luce dal celebrato, insomma proprio trasformismi da Seconda Repubblica. E nell'assistere a tante tardive conversioni, ho fatto voto di astenermi da ulteriori commenti. Per non sbilanciarmi, quando mi interpellano sul personaggio preferisco rispondere, mentendo alla Fellini (fu lui a insegnarmi che è il metodo più spiccio): "Non lo conoscevo bene". In fin dei conti ha forse ragione Mario Soldati nell'affermare che nelle nostre bugie c'è più verità che nelle nostre verità: chi può dire di aver veramente conosciuto Federico Fellini? 3 O ottobre 1994
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Tutti
Il triplice funerale che ebbe un anno fa il regista della Dolce vita rappresenta tre versioni dello stesso film, ciascuno si può scegliere quello che preferisce. Nello special In morte di Federico Fellini Sergio Zavoli li fonde sforzandosi di frenare la commozione in omaggio al dovere di cronista. Vi si parla pochissimo: solo la testimonianza di un uomo-massa qualsiasi tra i ventimila accorsi al Teatro 5 di Cinecittà (sullo sfondo il cielo azzurro con le nuvolette di Intervista, ai lati del feretro due carabinieri impennacchiati che sembrano usciti da Pinocchio); più avanti c'è una variazione dell'amico romagnolo Titta Benzi sul tema del rapporto tra Federico e l'Adriatico; e infine la voce di Zavoli rilegge un brano dell'orazione funebre da lui tenuta a Rimini e, rivolto allo scomparso, dice una cosa bella e incontrovertibile: "Con gli occhi non sbagliavi mai". In mezzo, tra il bagno di folla nel luogo per lui sacro del lavoro e l'immagine dell'intero borgo nativo stretto intorno al suo Poeta, la sfilata dei volti noti (inclusi un paio di traditori che avrebbero fatto meglio a restare a casa) nelle esequie di Stato a Santa Maria degli Angeli: ma anche qui l'ultimo applauso spetta al popolo ammassato in Piazza Esedra lungo il passaggio del carro funebre. Sulle musiche di Nino Rota, senza scivolare nel pateti60
co persino quando risuona la tromba di La Strada e senza fellinismi di circostanza, Zavoli ha saputo intrecciare le folgoranti immagini mitiche ai ruderi scenografici dei film stessi, soffermandosi con un'ironia che avrebbe divertito l'interessato sui busti in gesso degli uomini illustri nel magazzino di Cinecittà; e a Fellini sarebbe piaciuto sapere che la statua del Cristo Lavoratore, quella che fece volare in elicottero sopra Roma con grande scandalo dell'"Osservatore Romano", è ancora là. Ciò che tuttavia colpisce di più è la partecipazione che si legge sul volto della gente comune, in uno di quei rari momenti in cui (come dice l'anonimo testimone) "l'umanità si sente unita". Solo ora capisco, alla luce di questo misterioso intreccio, la battuta in apparenza paradossale e in realtà stupendamente ecumenica, che Federico aveva tirato fuori al termine di un lungo pomeriggio passato insieme a vedere facce. Quando gli chiesi se qualcuno gli andava bene, mi guardò stupito . "Tuttl.,, . e rispose: 3 novembre 1994
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Un tuono nella notte
Nel corso della vita, per motivi attinenti al mestiere di regista, Federico Fellini è stato costretto a viaggiare parecchio, ma si è sempre mosso malvolentieri. In realtà l'unico viaggio che nella memoria continuava ad apparirgli ineluttabile era quello da Rimini a Roma nel gennaio del 193 9, con sottobraccio la cartella delle vignette da presentare alla redazione del "Mare'Aurelio". E come itinerario di cinema, quello compiuto nel 1946 agli ordini di Roberto Rossellini per Paisà, da Amalfi a Comacchio via Firenze, gli sarebbe bastato a riassumerli tutti. Comunque, fosse dipeso da lui, negli ultimi vent'anni Federico non sarebbe mai uscito dal rassicurante triangolo costituito dall'abitazione di via Margutta, lo studio di corso d'Italia e Cinecittà. Quando i giapponesi gli assegnarono il Premio Imperiale con la clausola di andare a ritirarlo a Tokyo, il festeggiato propose al1' esterrefatto ambasciatore "uno sconto del cinquanta per cento" purché la cerimonia avvenisse al Caffè Canova, tappa preferita dei suoi passaggi in piazza del Popolo. E ci volle tutta la forza di persuasione degli amici per spingerlo, già un po' stralunato e malfermo sulle gambe, a volare a Los Angeles in occasione dell'Oscar nel marzo del 1993, l'anno stesso della sua morte. Eppure l'abbiamo sempre visto tornare dalle varie trasferte coatte arricchito di emozioni, ricaricato e traboccante 62
di racconti straordinari. Suo malgrado, insomma, Fellini è stato un grande viaggiatore incantato. Vaie la pena di osservare che, se la parabola artistica del nostro è costellata di progetti non realizzati, di un'infinità di spunti accennati e più o meno rapidamente abbandonati, i film incompiuti veri e propri si riducono a due, che stranamente hanno la stessa fatidica parola nel titolo: Viaggio d) amore e Il viaggio di G. Mastorna. Il primo si colloca sulla fine degli anni Cinquanta, tra Le notti di Cabiria e La dolce vita; il secondo dopo la metà degli anni Sessanta, tra Giulietta degli Spiriti e Toby Dammit. In mezzo si svolge la stagione creativa più importante del romagnolo nell'atto di varcare la soglia della quarantina: il grande affresco su via Veneto e dintorni, l'autoritratto problematico di 8 112 e il ritratto fantasticato di Giulietta che celebra l'incontro con la psicoanalisi di Carl Gustav Jung. Due eventi luttuosi aprono e chiudono questo irripetibile capitolo: la scomparsa del padre a Rimini (1956), di cui Viaggio d)amore, detto anche Viaggio con Anita, rappresenta un diario affabulato; e la morte dell'analista Ernst Bernhard (1965), che costituì per l'artista la perdita del più importante sostegno spirituale. I due film si possono leggere come un viaggio di morte che va verso la vita, quello a Fano (ovvero Rimini) dello scrittore Guido al capezzale del babbo colpito da improvviso malore; e un viaggio di vita che va verso la morte, quello del violoncellista Giuseppe Mastorna (ma in certe tarde correzioni a mano sul copione diventa Guido anche lui, il nome del protagonista di 8 112), che da Amburgo prende l'aereo per recarsi a Firenze dove lo attende un concerto. È un tratto tipicamente felliniano il fatto che in entrambi i casi bisogna dire "cherchez la femme": in apparenza inopportunamente, e tuttavia con imprevisto 63
vantaggio per la salute dell'anima, Guido si trascina dietro nel pietoso pellegrinaggio filiale la bella Anita, che oppone ai rovelli intellettualistici dell'amante le rassicuranti risposte dell'assoluto naturale. Mentre Mastorna ha l'aria di autoinfliggersi l'incubo di attraversare alcuni gironi infernali per espiare l'ennesimo tradimento alla moglie Luisa (anche questo nome viene dal corrispettivo personaggio di 8 112), praticato con una ragazza tedesca che gli ha fatto perdere il treno awiandolo al volo della catastrofe. Due profili contrastanti dell'Eterno Femminino: la donna che ti innalza, Anita; e la donna che ti spinge alla dannazione, l'anonima tedeschina. Si può aggiungere, per amore di completezza, che anche un progetto più tardo, rimasto allo stadio di abbozzo narrativo, porta nel titolo la fatidica parola: Viaggio a Tulun (poi chiamato Tulum nella versione a fumetti elaborata con Milo Manara), cronaca reinventata di una spedizione nello Yucatan, tanto realmente awenuta quanto misteriosa, alla scoperta del mondo magico in compagnia dell'antropologo Carlos Castaneda. Ma a questo punto (1985) nell'artista è già intervenuta la saggezza di chi è consapevole che nessun viaggio può assicurare all'uomo le illuminazioni definitive alle quali inutilmente anela. Di Viaggio d) amore, in maniera più serena e distesa, il regista riprenderà temi e figure in Amarcord, mentre una versione abbondantemente travisata del soggetto originale sarà girata da Mario Monicelli. Il destino di Mastorna è invece quello di segnare le colonne d'Ercole dell'universo felliniano: con iniziale spavalderia il regista si accinge a scimmiottare burlescamente il Sommo Poeta (un burattino di Dante recita endecasillabi in uno dei flash televisivi di Cinger e Fred), affrontando la sua 64
personale traversata dei tre regni oltremondani, inferno, purgatorio e paradiso. Nella biografia Fellini ho rievocato l'angosciosa e vana tragedia produttiva di Mastorna, che si estende sull'arco di due o tre anni: dall'estate 1965 fin dentro il 1968. Si comincia con il divorzio di Fellini da Angelo Rizzali, paterno mecenate incontrato con La dolce vita, per ricadere fra le braccia di Dino De Laurentiis, ansioso di rimediare all'errore di essersi fatto sfuggire quel successo. È un momento in cui Federico, innervosito dalla tiepida accoglienza della critica, del pubblico e dell' ambiente a Giulietta degli Spiriti, ha una gran voglia di cambiare l'atmosfera intorno, i collaboratori abituali, le facce. Per un futile motivo ha litigato con Ennio Flaiano, è in temporanea freddezza con Tullio Pinelli, con lo scenografo Piero Gherardi non si saluta più, ha bruciato nella svogliata impresa della società Federiz la fraterna amicizia con l'organizzatore Clemente Fracassi, al quale rimprovera la turbativa del suo rapporto con Pier Paolo Pasolini per non aver voluto produrre Accattone. A Dino, scalpitante dalla voglia di associare il suo nome a quello di "Fefè" come ai tempi di Le notti di Cabiria, il regista sollecita l'acquisto del libro di fantascienza What Mad Universe, inventa che vuol fare quello e il progetto viene rubricato sotto il titolo italiano del romanzo di Frederic Brown pubblicato da Urania: Assurdo universo. Poco dopo, però, in una lettera-soggetto indirizzata al produttore, il cineasta mostra di avere già chiaramente in testa le grandi linee del nuovo film, che abbandona completamente la traccia dello scrittore americano. Nel frattempo Federico si è assicurato la collaborazione di un personaggio non romano ed estraneo al cinema, uno scrittore e pittore da lui sempre molto ammirato, Dino Buzzati. I termini reali del rap65
porto creativo fra i due restano abbastanza segreti per non dire ineffabili. Insomma nessuno potrà mai dire, a meno che non si ritrovino appunti e manoscritti, quanto c'è di buzzatiano nella stesura del copione di Mastorna. Che del resto, quale lo leggiamo oggi, è frutto di ripetute elaborazioni successive, cui Fellini si dedicò da solo o con complici occasionali. Appena capito che il film parla della morte, da buon napoletano, De Laurentiis prende a fare gli scongiuri e perde gran parte dell'entusiasmo iniziale. Però il 14 settembre 1966, quando come un fulmine a cielo (quasi) sereno riceve una farmale lettera di rinuncia da parte del regista, sfiduciato e spaventato per suo conto, il produttore si arrabbia moltissimo: ormai vorrebbe fare a tutti i costi quel film che non ama, e passa a vie legali. Il finto duomo di Colonia edificato sul prataccio prospiciente Dinocittà, nero e sinistro, oltre che pagato con i suoi quattrini, lo fa impazzire di rabbia, e intende assolutamente recuperare le spese. Tanto che domenica 25 settembre manda gli ufficiali giudiziari a operare un sequestro sui beni di Federico nella villa di Fregene. Ormai senza esclusione di colpi, la faida tra produttore e regista procede a fasi alterne: Fellini annuncia che farà il film sotto altre bandiere, Dino non demorde nel vantare i propri diritti. A sorpresa prevale un soprassalto di amicizia: in un incontro a Villa Borghese, con la benedizione dei rispettivi avvocati, i due si abbracciano e la preparazione riprende in apparenza rasserenata, e tuttavia nel segno della diffidenza reciproca. Man mano che si avvicina il giorno in cui il film dovrebbe partire, messo in allarme nel sogno e nella realtà da espliciti segnali, Federico tentenna sempre più, cerca pretesti per rimandare e ha addirittura l'allucinazione che il funesto duomo gli stia crollando addosso con i 66
suoi mattoni. Finché, la sera del 10 aprile 1967, il regista viene ricoverato d'urgenza, si parla di una malattia gravissima, la Roma del cinema vive con il fiato sospeso. Ma c'è chi sostiene che il maestro si è buttato malato per non fare più il film e De Laurentiis, insospettito, pretende la visita fiscale. Quando i professori ritornano dall'ospedale con le facce atteggiate sul tragico, il produttore non regge alle lacrime. Per fortuna la diagnosi viene presto rovesciata da un medico romagnolo in trasferta da Rimini e, dopo qualche settimana, Federico può affrontare una convalescenza non più turbata dal1'obbligo di mandare avanti la produzione in tempi stretti. Qui entra in scena un napoletano alternativo, Alberto Grimaldi, che rileva l'impresa dalle mani di Dino, ormai felice di liberarsene; e ne consegue la rinuncia pressoché definitiva di Fellini a trasformare in pellicola il tormentatissimo copione. Ho scritto "pressoché" in quanto Mastorna, ufficialmente abbandonato dopo le riprese dell'episodio Toby Dammit, convincendo Grimaldi a sostituirlo con il progetto Fellini Satyricon, resiste come lo spettrale duomo sotto le intemperie della Pontina e non sparisce mai del tutto dall'orizzonte del maestro. Spesso e volentieri, nelle interviste, Fellini ne continua a parlare come dell'impresa che affronterà "in un secondo momento", quando avrà finito il film in corso o magari più in là. Infinite volte ci torna su, chiacchierandone anche con Tonino Guerra, ma poi, per un motivo o per l'altro, lo rinchiude nel cassetto. Si direbbe contagiato dalla pregiudiziale superstiziosa di De Laurentiis, che a vero dire ne ha ricavato abbastanza guai. Questo atteggiamento non è stato però condiviso dal fratello di Dino, Luigi, appassionato studioso di scienze occulte che, nel ricorso esaltante dei sopralluoghi fatti con Federico, in qualità 67
di organizzatore generale, e tutt'altro che rassegnato alla delusione di non aver realizzato il film, verso la metà degli anni Ottanta, tramite il sottoscritto, lancia un segnale al regista sulla propria disponibilità a "mettere insieme una ventina di miliardi" per montare Mastorna. Fellini, che ha sempre insistito di non aver fatto il film per colpa dei produttori, non risponde né sì né no e cambia discorso. Nel quarto di secolo che trascorre dall'abbandono di Mastorna alla sua morte, Fellini continua a spenderselo a pezzi, a cominciare dall'episodio tratto da Poe dove, tra altri spunti, riprende quello della premiazione infernale. In Fellini Satyricon, tanto per fare qualche altro esempio, quando Encolpio è costretto a soddisfare caram papula le brame di Arianna, ritroviamo la scena in cui il violoncellista alla stazione è sul punto di fare all' amore con una hostess davanti a tutti; in Roma riaffiora l'abbagliante apparizione del papa in sedia gestatoria; in Amarcord ovviamente si ritrovano alcuni degli scorci riminesi previsti per Mastorna; altri film successivi, come Il Casanova di Federico Fellini, La città delle donne e E la nave va, riprendono dal copione abbandonato il tipico flusso onirico, procedendo per associazioni e sorprese in un clima vagamente angoscioso. Prova d'orchestra ci mostra, pessimisticamente, il disfacimento di quella comunità di musicisti in cui il regista pensava di celebrare un rito di sublimazione alla fine del Viaggio. E l'approdo di Giulietta al Manager Palace Hotel di Cinger e Fred rispecchia l'analoga situazione del film non fatto. Intervista evoca le difficoltà della preparazione di un film da Kafka (nome spesso citato per Mastorna), con le relative discussioni sui costi. La voce della luna ci riporta nel camposanto visitato dal violoncellista. Ma c'è sicuramente dell'altro, tanto che si potrebbe addirit68
tura ipotizzare uno studio sul tema: "Tracce di Mastorna nella filmografia felliniana dopo il 1968". Al film rimasto sulla pagina ci richiamano perfino gli ultimissimi spot per la Banca di Roma, dove un Paolo Villaggio adeguatamente mastornizzato è una vera calamita di catastrofi. Un'altra ricognizione da fare sarebbe quella intitolabile: "I cento volti di G. Mastorna". Inizialmente legato a Mastroianni (per cui secondo certi giornali, smentiti da Fellini, il cognome Mastorna sarebbe la contrazione di "Mastroianni ritorna" dopo l'intermezzo di Giulietta degli Spiriti), il personaggio gli viene sottratto, sotto la spinta della patologica indecisione dell'autore, e gli ritorna a più riprese con notevoli complicazioni contrattuali, e perfino il danno di dover pagare a Giovannini e Garinei la penale per la mancata ripresa del musical su Valentino Ciao, Rudy. Discretissimo come sempre, sorridente e sornione, forse nella tranquilla certezza di venir riconosciuto alla fine come l'unico possibile Mastorna (lo incarnò, ornato di un paio di baffetti e imbracciando il violoncello, in Block-notes di un regista, film in parte girato sulle rovine scenografiche intorno al duomo), Marcello vede passargli davanti il solito ipotetico Laurence Oliver già tirato in ballo ai tempi di 8 112, Enrico Maria Salerno ancora rammaricato per esserci visto strappare da Alain Cuny la parte dell'intellettuale suicida in La dolce vita, il sanguigno Ugo Tognazzi che dal rapporto con Fellini, dopo un breve momento di euforia, ricaverà solo amarezze, Paul N ewman che per lo spazio di una serata attraversa come una meteora l'universo del film; e, molto più tardi, l'uno dopo l'altro e a conferma che il cineasta non abbandonò il progetto, gli ameni compari di La voce della luna, Roberto Benigni e Paolo Villaggio. Il quale presta le sue fattezze, previe 69
accuratissime sedute di trucco e costume, al protagonista trasformato in clown bianco con il soprannome di Fernet della versione a fumetti del disegnatore Manara: 23 tavole realizzate con la tecnica dell'acqua tinta e pubblicate da Vincenzo Mollica su "Il Grifo" nel luglio-agosto 1992. Dopo un lavoro lungo e laborioso con Milo, al quale in un primo momento aveva suggerito di dare al personaggio il volto romantico-archeologico del divo Ronald Colman, il regista scoprì che in fondo a quella prima puntata, alla quale ne dovevano seguire altre due, era stata messa per errore la parola "End". In quei giorni arrivò una telefonata di Ermanno Cavazzoni, l'autore del libro La voce della luna, entusiasta per la trovata che considerava finale: Villaggio nella sua stanza d'albergo sente in tedesco dalla TV, senza capirci niente, la notizia della sciagura aerea. Di colpo Fellini, sensibile come sempre alla vocazione di incompiutezza del suo soggetto, decise: "Consideriamolo finito." Il lungo travaglio, un'interminabile selezione per scoprire attraverso tanti candidati il vero volto di Giuseppe Mastorna, significa soltanto una cosa: Fellini non ha il coraggio di confessare che, sotto il labile travestimento da musicista, il viaggiatore è lui, schiacciato dal peso dei suoi personali ricordi e rimorsi più o meno immaginari. A provarlo basterebbe il fatto che l'artista non ha mai evocato tanto esplicitamente la figura di Urbano, suo padre, come nella scena in cui l'anziano piazzista detta alla segretaria le bolle delle ordinazioni. Ma sarà dopo aver scritto il suo eterno "film da fare" che Fellini prenderà poco a poco l'abitudine di comparire in prima persona sullo schermo in Block-notes di un regista, in I clowns, in Roma e in Intervista. Nel mio ricordo, visto che stiamo personalizzando il discorso, Mastorna è un tuono improvviso nella notte, 70
uno schianto che fa tremare basi e culmini, insomma un risveglio in mezzo alla fine del mondo. Accadde nella villa di F regene, una notte dell'estate 1966. N ell' accompagnarmi alla camera degli ospiti, Federico mi aveva dato il copione appena finito. Pensavo di sfogliarne qualche pagina prima di dormire e invece mi trovai sbalzato nell'"assurdo universo" della fantasmagoria felliniana, trascinato in un carosello di emozioni, sbalordito, identificato, irritato, commosso, incuriosito. Non posai il dattiloscritto se non dopo essere approdato, dietro al protagonista, a Firenze, in una giornata luminosa con l'orchestra in attesa, la moglie nel palco, le rondini che volano nel cielo oltre la cupola e il direttore sul punto di impartire l'attacco. Mi addormentai nel cuore di questo paradiso terrestre faticosamente conquistato quando, a riportare il disagio e l'orrore di tutto ciò che l'aveva preceduto, arrivò la catastrofe, un terremoto da mettere a rischio i vetri delle finestre e i muri. Nel risvegliarmi ansimante, in un bagno di sudore, mi venne subito in mente, guarda caso, proprio quel racconto di Buzzati (o è un atto unico?) dove il protagonista è annichilito dal passo pesante e minaccioso di una creatura certo mostruosa che passeggia al piano di sopra cercando ahimè la scala per scendere ... Stranamente, però, pur immerso nel terrore, mi sentii pronto a tutto e pensai: se la vita è anche questa, accada ciò che deve accadere. Così, nella stoica attesa del peggio, immagino che ripiombai subito nel sonno e confusamente mi parve di ripercorrere a ritroso le tappe di un' esperienza iniziatica già praticata, come quando si riavvolge una pellicola. La battuta con cui mi accolse Fellini la mattina dopo, nella bella luce che pioveva sulla tovaglia della colazione preparata da Giulietta, fu: "Mi sono dimenticato di av71
vertirti che alle tre e mezzo, puntualmente tutte le notti, passa qui sopra l'aereo proveniente da Bangkok e chi non lo sa pensa che sia cominciato il Giudizio universale." E ridacchiò, come se avesse fatto apposta a non avvertirmi. Come se quell'annuncio di apocalisse risolta in burletta fosse il perfetto finale a sorpresa del viaggio semiserio di Mastorna. Per ritrovarci sul versante solare della vita, con la tazza di caffè e il croissant; e con meno ansia e paura avendo sperimentato il peggio. Ora sì che potevamo parlare del film. Cominciammo quella mattina e negli anni che seguirono l'Alter Ego con il suo nobile strumento "dai fianchi femminili" rimase sempre con noi. E mi accompagnava ancora, come l'ombra ritrovata di Peter Schlemihl, mentre il nostro comune amico è partito per il suo ultimo viaggio involontario. Chissà che racconto meraviglioso ce ne potrebbe fare; ma forse il racconto l'ha già scritto battendo il destino sul tempo (a lui questi miracoli talvolta riuscivano ... ) ed è proprio il copione di Il viaggio di G. Mastorna. gennaio 1995
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Presenti 4, esclusi 96
Come mai la mostra romana Federico Fellini è stata preceduta da un'insistente campagna di denigrazione a mezzo stampa, quasi si trattasse di una iniziativa abborracciata e ai fini di lucro? Anche sull'ultimo numero di "Epoca" un pleonastico articoletto di rivelazioni sul conto bancario del Maestro si apre con l'accusa: "Questa Mostra è solo un business". Ma siamo impazziti? Chi si recherà da oggi all'EUR, e saranno moltissimi, a visitare la doppia rassegna, "La vita" e "I film", nei due palazzi delle Civiltà e delle Fontane, si renderà immediatamente conto che si tratta di un avvenimento storico. Ovvero, per dirla con altre parole, di un omaggio che nessun cineasta, nemmeno Chaplin, ha avuto nell'intero corso del secolo. Quel tale pregiudizio, da vecchio frequentatore del giro, io lo spiego così. Mettiamo che Fellini abbia avuto cento amici stretti di vita e lavoro. Nel comitato scientifico della manifestazione ce ne sono quattro (e vanno ringraziati): Mario Longardi, Vincenzo Mollica, Pietro Notarianni e Lietta Tornabuoni (autrice dello splendido catalogo). Gli altri 96 si sono sentiti esclusi e soltanto i loro mugugni, propagati e raddoppiati dai giornali, hanno fabbricato il pregiudizio. Quasi sempre in buona fede, perché Fellini possedeva il dono pericoloso di dare a ciascuno l'impressione di essere nato solo per lui. 73
Ecco qui, a proposito, l'atto di nascita del Comune di Rimini, dove il futuro regista per errore figura come "Fillini". Ed è solo la prima delle cento e cento curiosità che la mostra riserva anche a chi Fellini riteneva di conoscerlo bene. In una sfilata di pezzi originali, che vanno dai costumi ai modellini, dalle fotografie ai manifesti ai disegni. Saltano fuori il quadernino con gli schizzi del leggendario volo in Libia, (allora c'è stato veramente ... ) fatto durante la guerra per Gli ultimi Tuareg; i numeri del "Campanello", il giornale per bambini dove Federico si divertiva a pubblicare fumetti; "Il libro di Mario" illustrato insieme con un gruppo di pittori per il figlioletto di uno di loro. E anche, ahimè, l'allegro disegno a colori per il figlio suo e di Giulietta, Federichino, che morì dopo due settimane. L'impressione che si ricava dalla "bella confusione" (per usare un'espressione cara al nostro) è quella di un genio perpetuamente all'opera, che con la sua prodigiosa attività inventiva ha mobilitato un esercito di collaboratori, artisti ed artigiani. Ecco uno che, senza chiedere voti, ha creato veramente molti posti di lavoro. Tra un richiamo e l'altro (i monitor con le interviste, le donne della sua vita, i ventitré film che passano in continuazione in un panorama orchestrato dall'architetto Maurizio Di Puolo) il visitatore arriva alla fine del percorso con un senso di meraviglia e di gratitudine. Manca solo, forse, una parete dedicata a quegli stretti collaboratori che hanno contribuito a fondare l'immagine di Fellini e, a voler essere amari, mancano sotto il ring ricostruito, che avrebbe dovuto essere il set principale del film Attore) le foto dei responsabili dei continui rimandi e della definitiva cancellazione del progetto. Con sopra la scritta "Wanted". 21 gennaio 1995 74
Michelangelo e Federico
Sul terreno della fama, sembra quasi una fatalità, Fellini e Antonioni si rincorrono da quasi mezzo secolo. El' amichevole sfida continua anche al di là della morte: il 20 gennaio, giorno in cui avrebbe compiuto 75 anni, Federico è stato festeggiato con l'inaugurazione all'EUR della più grande mostra mai dedicata a un cineasta e con lo scoprimento di una lapide nella via Veneto da lui immortalata; ma Michelangelo (classe 1912, tuttora attivo sul set) gli ha prontamente rubato la prima pagina dei giornali con l'annuncio dell'assegnazione dell'Oscar alla carriera. Scartabellando in archivio ritrovo una mia doppia intervista del '59, quando Fellini stava preparando La dolce vita e Antonioni J;avventura: "Sono i due registi più interessanti del momento, gli unici che hanno detto una parola nuova dopo le grandi prove della triade Rossellini De Sica Visconti: Antonioni nella dimensione di un rinnovato psicologismo borghese, Fellini in quella della fantasia picaresca. Antonioni si confessa intellettuale con una punta d'orgoglio, Fellini si dichiara 'di un'ignoranza enorme' con una punta di civetteria. L'uno viene dalla critica cinematografica, l'altro dal 'Mare'Aurelio'; l'uno ha letto tutti i libri, l'altro pochissimi; l'uno segue la logica, l'altro l'istinto; l'uno ama i problemi, l'altro il racconto. Antonioni ha l'aria di mangiare poco, 75
Fellini divora maccheroni al sugo. Non sappiamo quanto siano amici, quanto possono andare d'accordo: certo è che si stimano molto, pur sentendosi diversi ... ". Nei decenni che seguirono le cose cambiarono un po' (Fellini, tanto per dirne una, prese a mangiare meno e a leggere di più), ma la competitività rimase; e fra i cinefili perdurò (e si potrebbe sostenere che dura ancora) la spartizione fra felliniani e antonioniani. Il bello è che il primo film firmato dal solo Fellini, Lo sceicco bianco, doveva farlo Antoniani e nasce da un soggetto di quest'ultimo: dell'incidente Michelangelo promise un giorno di raccontarmi "la vera storia", poi l'occasione saltò e forse il mistero resterà tale. Ricordo invece quello che mi disse il regista di L'avventura reduce nel '60 da Cannes, dove il suo capolavoro era stato dapprima accolto a fischi e poi entusiasticamente rivalutato fino a strappare uno dei premi minori; ma la giuria, presieduta da Simeon, aveva assegnato la Palma d'oro a La dolce vita. "Ti assicuro che se il festival durava ancora una settimana - asserì sornione il neo premio Oscar - vincevo io". 22 gennaio 1995
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Per quanto ne sa Zapponi
Ha fatto bene Bernardino Zapponi a mettere su carta, con sensibilità di contemporaneo e finezza di scrittura, i ricordi della sua lunga collaborazione come sceneggiatore con Fellini, durata da Toby Dammit a La città delle donne. In un diluvio di saggismo scadente, opinionismi beceri e interviste inventate, le occasioni di ritrovare il maestro a tu per tu sono ormai rare. Zapponi avverte subito che il titolo Il mio Fellini (Marsilio) "non ha nulla di appropriativo, vuol dire soltanto: Fellini per quanto ne so io". E in effetti ne sa più che abbastanza, come uno che per anni ha osservato l'artista all'opera e goduto della confidenza dell'uomo: che emerge da queste pagine con la fresca vitalità di una serie di istantanee. Imprevedibile, a volte capriccioso e non facile da fronteggiare; ma nel contempo attentissimo alle persone e ai fatti del giorno, aduso a sintetizzare situazioni e problemi con battute memorabili. Ogni lettore, alla fine del libro, sentirà di aver trovato un amico. O magari due, il personaggio e il memorialista. 26 marzo 1995
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La signora amica
Non so se per esibizionismo o per i classici trenta denari, qualcuno della cerchia felliniana ha rotto la trenten nale consegna del silenzio e ha reso pubblico un segreto di Pulcinella: quello della vecchia amica che Federico intratteneva da tempi immemorabili. Era inevitabile che succedesse e forse persino giusto: perché non riconoscere a una gentile signora, ormai anziana e valetudinaria, di aver occupato così a lungo un certo ruolo nell' esistenza del Poeta del cinema? Succede nelle migliori famiglie; e il Riminese, pur essendo un genio, era un uomo anche lui. Tale amicizia amorosa, così almeno me la raccontò lui pasticciando alla solita maniera date e circostanze mentre scrivevo la sua biografia, contribuì a tirarlo fuori dalla grave crisi depressiva che l'aveva colto sulla fine della lavorazione di La strada, lo confortò e lo aiutò a vivere. Bisogna esserne grati a questa sorta di milite ignota della tenerezza, che per tanti anni rappresentò un rifugio affettuoso e discreto nelle frenetiche giornate del cineasta. Del resto Fellini stesso, incalzato dai rimorsi sui due fronti del suo universo femminile, aveva talvolta fatto affiorare nei film la vicenda, soprattutto in Giulietta degli Spiriti (1964), dove la protagonista sospettando l'infedeltà del coniuge lo fa pedinare e fotografare da un poliziotto privato. Quando rivedrete quella pellicola 78
sottovalutata (nessuno, ali' epoca, ne sospettò la chiave di lettura) apprezzerete lo sforzo di lui nel reinventare un'odiosa situazione reale mettendosi dalla parte di lei, e l'eroismo di lei nel rivivere un momento di debolezza in forma artisticamente trasfigurata. Questo piccolo esempio la dice lunga sull'intesa profonda, rispettosa e indissolubile che legò Federico e Giulietta nel mezzo secolo in cui vissero e lavorarono insieme. Per cui definire la signora amica "la vera compagna della vita di Fellini", come ha fatto il quotidiano che ha lanciato lo scoop, è una stupidaggine senza senso. Bisognerebbe dimostrare che clandestinamente con l'"altra" il maestro ha girato quattro film equivalenti per valore a La strada e Le notti di Cabiria, Giulietta degli Spiriti e Cinger e Fred, i monumenti imperituri di un patto esistenziale; e, in definitiva, le sole cose che contano. Temo proprio che il modesto altarino scoperchiato sarà fonte, come già sta succedendo, di squallidi pettegolezzi fuori tempo; o scatenerà la brama di far scoppiare tra la moglie e l'amante una postuma battaglia di dame, tanto più incongrua e volgare in quanto il buon gusto delle due signore seppe non f aria divampare nei momenti in cui l'irritazione reciproca avrebbe potuto giustificarla. Fra eredi legittimi e illegittimi già si intreccia una girandola di insulti, si dibatte sulla proprietà di quattro mobili e si mettono di mezzo gli avvocati. L'interessata sembra orgogliosa per le richieste degli editori riguardanti le 45 lettere di Federico all'amante: mica tante, poco più di una lettera all'anno. Per quanto concerne l'offerta di Daniel Keel, posso testimoniare che l'editore della Diogenes Verlag aveva in mente una sola destinazione per il carteggio: la cassetta di sicurezza di una 79
banca di Zurigo. Proprio per non far scoppiare lo scandalo, che invece sta dilagando nel peggiore dei modi. Se affrontata con delicatezza, questa vicenda avrebbe potuto arricchire e non sminuire le vite parallele dei coniugi Fellini coinvolgendo un personaggio che fino ali' altro ieri aveva saputo tenere il suo ruolo con misura. Ma non è il caso di buttar la croce addosso a nessuno: siamo tutti immersi nell'Italiaccia dei veleni e dei dossier, che hanno ormai soppiantato la politica nel clima mefitico della Seconda Repubblica, e il modo in cui rischia di venir trattato dai media il piccolo segreto di un grande artista si conferma che dove trionfa la sguaiataggine al peggio non c'è fine. 21 giugno 1995
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Un fantasma a Piazza di Siena
Cosa penserebbe Fellini di un balletto a lui intitolato? La domanda di un'amica, l'altra sera a cena, mi ha messo in crisi. Lì per lì ho esitato nel rispondere, ho detto una cosa qualsiasi e ho cambiato discorso. Tento di rispondere adesso, dopo averci riflettuto. Di fronte alla locandina del balletto Fellini, Federico sarebbe stupito, incuriosito, allarmato, diffidente, scontroso, elusivo. Magari rassicurato, sotto sotto, dalla presenza di tanti amici: Nicola Piovani, il suo congenialissimo musicista; lo scenografo Milo Manara, con il quale concepì le stupende tavole di Viaggio a Tulum e Il viaggio di G. Mastorna; Tonino Delli Colli, frequente autore delle luci nei suoi film. E quanto al coreografo van Hoecke, a lui noto solo di fama, vi assicuro conoscendo bene entrambi che basterebbero cinque minuti per stabilire tra Micha, poeta della danza, e Federico, poeta del cinema, il rapporto di affettuosa sintonia che c'è tra due vecchi compagni di scuola. Eppure, mi è facile immaginare come si comporterebbe Fellini invitato alla "prima" del 20 agosto. "Proprio domenica? - si scuserebbe - Che peccato, domenica mi aspettano a Rimini. Vuol dire che verrò a una replica. Se potrò". Però non rinuncerebbe a ronzare nei pressi di Piazza di Siena la sera della prova generale. Qualcuno verrebbe a informarci: "C'è Fellini, sta na81
scosto là dietro, in cima alla gradinata, con Leopoldo Trieste". Mi precipiterei subito a vedere: niente, spariti. In seguito arriverebbero ulteriori segnalazioni: "L'hanno visto al bar, beveva l'aranciata". "È passato nel camerino della Makarova, le ha fatto tanti complimenti". "Cinque minuti fa era qui, si sforzava di parlare francese con Babilée, ci ha fatti morire dal ridere ... ". E la mattina dopo, molto presto (lui svegliava sempre la gente alle otto); una finta telefonata "da Rimini": "E allora, com'è andata la prova? Mi dispiace proprio non esserci. stasera ... " Suppongo che l'avrebbe messo in imbarazzo sentirsi in qualche modo effigiato: perciò, appena il sovrintendente Giorgio Vidusso mi partecipò la sua straordinaria idea di un balletto chiamato Fellini, feci subito un proponimento irrinunciabile: bisognerà non tentare di rappresentarlo, fare in modo che ci sia e non ci sia, raccontarlo dal di dentro senza illustrarlo, fotografare di lui le cose che non possono venir fotografate. Negli ultimi anni la sensibilità di Federico nei riguardi della propria immagine era arrivata a punte di morbosità. Quando gli portai la prima copia della biografia che ho scritto su di lui, pur commosso e imbarazzato, contestò subito la copertina: "Che mascherone da carnevale, non avevate niente di meglio?". Una sovraccoperta americana recante un suo faccione sorridente la strappò sotto i miei occhi prima di regalarmi il libro: "Mi hanno conciato che sembro Aldo Fabrizi". E non voglio pensare a come reagirebbe di fronte alla medaglia d'oro celebrativa coniata dalla Zecca dello Stato, dove ha veramente l'aria greve e solenne di un ministro tedesco. La verità è che il Nostro non voleva invecchiare, ogni mattina davanti allo specchio si riconosceva sempre meno e con rabbia; mentre Giulietta molto più 82
pragmatica e serenamente arrendevole alle leggi di natura, sospirava: "Purtroppo Federico invecchia male, prende le rughe, i capelli bianchi e gli acciacchi come un insulto personale". Proprio a un discorso fatto con la Masina devo l'ispirazione, se è lecito usare una parola tanto smisurata, del presente balletto. Mi disse pressappoco: "Non è vero, come hanno scritto, che Gelsomina di La strada sono io, quella non mi somiglia per niente. Gelsomina è Federico. Ma lui è anche Zampanò, è anche il Matto. Insomma è uno e trino. Dirò di più, è tutti i personaggi dei suoi film. Solo se si capisce questo, si può accostare il suo lavoro nella maniera giusta". Il sottotitolo originario dell'azione coreografica, "Biografia immaginaria di una coppia di ballerini che forse sono una persona sola", significa appunto che Lui e Lei potrebbero essere (come da sviluppo dell'azione) un uomo e una donna destinati a incontrarsi e a condividere da un certo punto in poi i rischi, le dolcezze e i dolori della vita; ma potrebbero anche essere le due anime (maschile e femminile) di un'unica individualità. L'evocazione del loro itinerario esistenziale passa ovviamente attraverso un immaginario fin troppo noto (quello del titolo); e proprio per ciò ci siamo preoccupati che la sua messinscena (scenografia, costumi, musiche, luci, coreografie) non fossero mai copia, imitazione, parafrasi o peggio caricatura degli evidenti riferimenti alla vita e alle fantasie del Maestro. Sulle suggestioni dell'universo di Fellini, vita e opere, gli artisti che hanno animato l'azione scenica si sono mossi nella piena libertà della loro vena creativa, reinventandosi in termini di poetica personale un mondo poetico altrui. Sicché ne dovrebbe derivare un risultato vagamente simile a qualcosa di conosciuto, che ne prende spunto, 83
che lo ricorda ogni tanto e lo riflette a capricciose intermittenze. Un "dejà vu" mai visto prima. Sulla scena si allude contemporaneamente a Federico anziano, come si rappresentò in forma autoironica nei film della terza età; ma anche al giovanotto di cui un testimone d'epoca mi disse: "Quando entrava lui entrava la primavera"; e comparirà perfino il Fanciullino romagnolo sul quale azzardò un riferimento pascoliano Pier Paolo Pasolini: Federico ci scherzò sopra, ma fanciullo rimase dentro fino all'ultimo. Sarebbe emozionante se questo rituale coreografico, collocato nel cuore estivo della città amatissima dal suo più moderno cantore, riflettesse almeno a intermittenze la presenza viva di un artista il cui nome è divenuto sull'intero pianeta una magica parola d'ordine per entrare nel regno della fan tasia. E se davvero tra il pubblico potesse circolare durante lo spettacolo l'incredibile, bellissima notizia: "C'è Fellini, sta nascosto là dietro, in cima alla gradinata". 20 agosto 1995
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La "figlia segreta"
Sappiamo tutti che Federico Fellini era l'uomo dei miracoli, ma i giornali di ieri gli hanno attribuito un miracolo troppo grande anche per lui: aver concepito una figlia cinque anni prima di conoscerne la madre. Parlano le date: quando il Poeta del cinema incontrò la signora Anna, l'ormai nota sua Musa in seconda di cui s'è abbondantemente chiacchierato, correva l'anno 1957 e la donna aveva già una figlia nata nel settembre del 1952. Eppure un quotidiano ritenuto serissimo (e non è stato il solo) ha intitolato "Fellini aveva una figlia segreta" senza neanche il punto interrogativo, e ci ha schiaffato accanto la foto del presunto papà. La fola proviene da uno dei soliti giornaletti che accontentano la clientela miscelando "scoop", amore e fantasia; e certo si può osservare che la grande stampa dovrebbe attingere altrove le proprie informazioni o, per lo meno, sottoporle a un minimo di controllo. Mentre qui siamo di fronte allo sforzo di ringiovanire il poco eccitante pettegolezzo sui passati amori di una bella signora oggi ahimé anziana tirandone in ballo la figlia incolpevole. Come prove il settimanale adduce: 1) una serie di sparse e generiche espressioni affettuose nei riguardi della bambina, tratte dall'esiguo epistolario segreto dell' artista; 2) la riproduzione di un ritratto di madre e figlia 85
dove (cito testualmente) "i colori e il tocco ricordano in modo impressionante quelli di Geleng ... un pittore raggiungibile da Fellini": ma l'esercizio di attribuzione è inutile perché il quadro è regolarmente firmato da Rinaldo Geleng, che era addirittura uno dei più vecchi amici di Federico, tranne che l'opera non è databile "fra il '56 e il '57", come si afferma, in quanto la ragazzina vi appare molto più grandicella; 3) una foto del matrimonio della ragazza, con Fellini e il maestro Nino Rota compunti testimoni. C'è da aspettarsi, nelle prossime puntate, ulteriori illazioni sull'amico musicista: era forse in Campidoglio come padre naturale dello sposo? 11 novembre 1995
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25 domande a Titta
In taluni casi la pubblicistica postuma su Federico Fellini sfiora vertici di surrealismo pseudoautoriale. Ecco, a esempio, una docente universitaria che pubblica una nutrita rassegna-stampa post mortem intitolata Fellini a m'arcord, alla quale appone tranquillamente il proprio nome sopra il titolo e sedici righe fitte di compiaciuta autobiografia in controcopertina, il tutto per aver scritto sette pagine sulle 182 di cui si compone il libro. E c'è pure la dedica "Ai miei studenti dell'anno accademico 1993-94", che non so quanto possano essersi giovati d'un simile esempio d'immodestia ex cathedra. Meno male che a migliorare il panorama arrivano due libretti dell'editore riminese Guaraldi, dovuti rispettivamente a un felliniano doc come Dario Zanelli e a un felliniano "gran riserva" come il leggendario Luigi "Titta" Benzi. In L inferno immaginano di Federico Fellini, che vanta il viatico d'una calorosa introduzione di Enzo Biagi, Zanelli ricostruisce la malasorte del film mai realizzato Il viaggio di G. Mastorna, aggiungendo con la precisione del testimone intelligente e affettuoso molti particolari inediti anche per chi, come me, quella storia l'ha vissuta e ne ha ripetutamente scritto. Né mi trattengo dal profetizzare che la vicenda Mastorna potrebbe ancora avere - attenti nelle prossime settimane alle pagine degli spettacoli - qualche sorprendente sviluppo. 87
Quanto all'avvocato Benzi, coetaneo e amico fraterno, complice di ribalderie vitellonesche in gioventù e costante riferimento di un'intera vita, fu l'incarnazione di tutto ciò che per Federico rappresentava il borgo natio: e lo dimostrava il fatto che il maestro, al momento di rivisitare la propria adolescenza negli anni '30, raffigurò proprio Titta nel giovanetto di Amarcord, impersonato da Bruno Zanin, tal quale era stato, nomignolo incluso. Il titolo del libro è Patachédi, l'espressione dialettale che significa "cose da poco, da ridere o da piangere". Scrivendo a ruota libera, proprio come si può immaginare che abbia sempre gestito le arringhe della sua fortunata carriera, l'ineffabile Titta c'intrattiene con una miriade di vicende personali e giudiziarie, nelle quali s'affaccia, ora come ricordo e ora come presenza reale, il grande amico di sempre. Tuttavia ciò che trasforma questa piacevole chiacchierata in un documento importante per gli studiosi felliniani è lo spunto da cui nacque: una lunga lettera del gennaio 1982 in cui il regista sottoponeva a Benzi un puntiglioso questionario di ben venticinque domande sulla sua vita e la sua professione. In quel momento a Federico era balenata l'idea di fare un film su un avvocato di provincia, "che non fosse come quel panzone di Perry Mason", in pratica un ritratto di Titta adulto dopo aver fatto quello del ragazzo, e perciò si rivolse all'interessato per cavarne le opportune informazioni. E Patachédi riunisce le risposte che fornì l'intervistato. Le domande di Fellini spaziano sull'intero arco esistenziale dell'amico, partendo da "perché avvocato" e arrivando a "Titta privato", passando attraverso "il primo avvocato presso il quale hai lavorato", "il tuo studio oggi", "come dovrebbe essere secondo te l'avvocato", "quale dote ti riconosci", "il tuo maggior difetto", 88
"quali sono gli articoli del codice più ingiusti", "quanti dei processi che hai vinto erano meritevoli del verdetto ottenuto", "le carceri", "le trasferte", "le minacce", "il caso più comico", "il più atroce", "il più disgraziato", "ti sei mai innamorato di una tua cliente" (qui l'impressione usata da Federico è più rude), "un caso di coscienza", "i trucchi del mestiere", "quelli che non ti pagano", e via interrogando. Questo fuoco di fila di domande dimostra due cose. La prima, che la molla principale del cinema italiano dal neorealismo in poi (Zavattini docet) fu la curiosità. La seconda, che Fellini non fu l'improvvisatore di cui a sproposito s'è sempre parlato. E poiché il talento non s'insegna, ma il metodo sì, per quest'impeccabile questionario il libro di Titta Benzi potrebbe diventare un testo di riferimento nelle scuole di cinema.
30 novembre 1995
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Alla faccia del diritto d'autore
"Anch'io ho commesso un errore ... ". Prevedo che Alessandro Curzi, il più popolare calvo televisivo degli anni '90, dovrà ripetere la classica frase dell'ispettore Rock, quello che nei Caroselli d'epoca scoprendo la testa pelata si doleva di non aver usato la brillantina Linetti. Di altro tipo, comunque, l'errore di Curzi. Quello di aver imprudentemente avallato, con una prefazione e con l'annunciata presenza odierna alla romana Libreria dello Spettacolo "Il Leuto", un nuovo mostro della dilagante fantaeditoria felliniana. Dopo lo zibaldone della professoressa di Catania che se n'è fregiata avendone scritto solo poche pagine, ecco a firma di ben due sedicenti "autori", Attalo e Fellini al aMarc'Aurelio" (Napoleone editore) Chi sfoglia questo libro ci trova, oltre al viatico di Curzi, due pagine che raccontano il disegnatore Attalo e altre quattro pagine di una vecchia intervista a Fellini (sei pagine in tutto) del primo autore Lamberto Antonelli (presentato in controcopertina come titolare di 13 tomi e regista di due film, Vietnam guerra e pace e Il mondo si spoglia); del secondo autore, Gabriele Paolini (ricordato nella stessa sede per opere precedenti come Patente più facile, Patente i nuovi quiz, e Alla faccia della patente) non riesco a trovare niente. Soprattutto non riesco a trovare sopra il titolo del libro il nome dell'unico 90
vero autore, Federico Fellini di cui qui sono raccolti in 123 pagine, ben 108 articoli trafugati dal "Mare'Aurelio". Altro che Alla faccia della patente, questa incredibile pubblicazione si dovrebbe intitolare Alla faccia del diritto d'autore,· e per l'editore Napoleone rischia di configurarsi come una vera Waterloo. 13 dicembre 1995
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Un felliniano a Berlino
Nei nostri giornali sempre più catatodici (propongo un neologismo che fonde "catatonico" e "catodico": chissà se rende l'idea), insomma assorbiti dall'impegno di non farsi sfuggire una sillaba dei bisticci fra Pippo e Mara, non ha trovato posto una notizia che fa onore allo spettacolo italiano. Dal 12 ottobre nei Kammerspielen del Deutsche Theater di Berlino si rappresenta un dramma che ha mezzo secolo, Cronaca di Leopoldo Trieste. Il titolo è stato cambiato in Die Umarmung, vale a dire L abbraccio, e si riferisce a un bacio di Giuda: quello con cui Massimo, incontrandolo per una via di Roma, consegnò alla Gestapo il suo amico ebreo Daniele. Quando si alza il sipario vediamo costui, soprawissuto al campo di sterminio, ricomparire davanti al suo denunciatore, non per vendicarsi, solo per chiedere il perché. Fu per assicurarsi l'amore della bella Lucia, la donna contesa fra i due? Fu per denaro? Nel '46 Trieste suscitò contrasti con questo copione tra sociologia e "melò", considerato da Diego Fabbri "il miglior frutto del neorealismo a teatro"; e tuttavia nel portarlo sullo schermo nel '53, in un film intitolato Febbre di vivere che vanta tre stellette nel Dizionario di Mereghetti, Claudio Gora regista cancellò l'ebraismo del personaggio di Daniele, affidato a Marcello Mastroianni, e ne f ece un semplice avanzo di galera. All'opposto di tale 92
scelta, operata in armonia con un mercato che metteva al bando le implicazioni politiche, l'odierno regista Michael Gruner ha sottolineato in Cronaca la problematica dell'Olocausto, tanto che il programma di sala reca testi di Adorno, Musil e Primo Levi. Le recensioni parlano di una scena in ombra, sferzata dalla pioggia, attraversata da folate del jazz di Miles Davis; e poi di tempi lenti, dettagli iperrealistici, molta violenza. Qualcuno avrebbe preferito una cornice "più italiana" nel senso della meridionalità, ma gli interpreti (e soprattutto le due donne, Ulrike Krumbiegel e Cathlen Gawlich) sono eccellenti. Tutti sanno come Leopoldo Trieste dopo l'incontro di destino con Fellini che ne fece lo sposino di Lo sceicco bianco cambiò mestiere e da scrittore si trasformò in attore. Il successo berlinese alimenterà certo nel drammaturgo il ricorrente rimorso per una vocazione tradita, ma può consolarsi con il favore che incontra la sua ultima allucinante incarnazione: il matto che recita in spagnolo l'inno del Quinto Reggimento davanti alla cinepresa dell'attonito Sergio Castellitto in L}uomo delle stelle. Anche come attore, Leopoldo è rimasto un autore. 14 dicembre 1995
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Flaiano cameriere?
Sfogliando l'ultimo numero dell'"Espresso" mi è dispiaciuto constatare, nell'articolo sull'epistolario di Ennio Flaiano edito da Bompiani, che anche un fuoriclasse dell'anticonformismo come Alberto Arbasino accoglie e tramanda l'annoso e infondatissimo luogo comune sui rapporti fra lo stesso Flaiano e Fellini. Infatti Arbasino annovera fra le delusioni dello sceneggiatore scomparso "la mancanza di generosità di Fellini che nel trionfo della Dolce vita gli nega ogni riconoscimento, secondo l'iniqua 'teoria dell'autore' per cui solo il regista è l' artefice a tutto tondo del film all'italiana, mentre i collaboratori sono praticamente dei camerieri e si fanno viaggiare in classe turistica". Tale allusione, che molti lettori avranno trovato oscura, riguarda un famoso viaggio di trent'anni fa con destinazione Los Angeles per seguire le sorti delle cinque "nominations" di 8 112, vincitore di due Oscar il 13 aprile '64 all'Auditorium di Santa Monica. In previsione del1' evento, decollò da Roma una nutrita cinecomitiva capeggiata dal "commenda" Angelo Rizzali; e fu allora che uno sciagurato funzionario della Cineriz operò un'offensiva distinzione fra gli ospiti, riservando a Flaiano un posto in classe turistica anziché in prima. Donde il legittimo risentimento dell'interessato, che in un empito d'ira se la prese con tutti, incluso l'ignaro 94
Federico: sicché i due passarono il resto della vita l'uno a rigirarsi il coltello nella piaga, l'altro a scusarsi di una colpa che non aveva commesso. L'incidente è tutto qui e niente autorizza a scrivere che Fellini abbia mai trattato Flaiano come un cameriere. Posso al contrario testimoniare che l'atteggiamento del regista nei riguardi dell'amico, dal primo incontro sul lontano Luci del varietà alla morte di Ennio, anche nei momenti di crisi fu sempre improntato ad affetto e ammirazione; se mai con una punta di apprensione, all'interno di uno scambio fraternamente ilare, riguardante certe suscettibilità talvolta eccessive dello scrittore che tutti noi amici e conoscenti abbiamo sperimentato. E a proposito della Dolce vita, quando feci leggere a Federico il manoscritto del mio diario sulla lavorazione del film, l'unica preoccupazione che mi espresse fu: "Hai trattato bene Flaiano? ". Il fatto è che nel cinema, come nella vita, ci si ama, poi ci si odia magari per una sciocchezza, poi si fa la pace, poi si litiga di nuovo. E del resto Arbasino è troppo disincantato osservatore della realtà per non sapere che il problema dell'equa misura del dare e dell'avere fra chi scrive il copione e chi lo gira sta a monte dei casi personali, tanto che lo dice chiaramente nell'articolo: "L' attività di sceneggiatore confina lo scrittore di talento in posizioni comunque subalterne". Da ciò gli inevitabili ricorrenti malumori fra Flaiano e Fellini, fra Zavattini e De Sica, fra Jacques Prévert e Marcel Carné; ed è sempre questa subalternità, ancora oggi, il cruccio di tutti gli uomini di penna arruolati sotto le bandiere della Decima Musa. 11 gennaio 1996
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Oscar mani di forbice
"Oscar lo sa ma no )l dirà ... " canta il Paggio nel Ballo in maschera. Avevo sempre ritenuto che i famigerati articoli anonimi apparsi nel '60 all'uscita di La dolce vita sull'"Osservatore Romano" (a cominciare da quello intitolato "Basta!") fossero opera del direttore Raimondo Manzini, ma una nota del Dizionario dei film di Paolo Mereghetti ("pare siano stati scritti da Oscar Luigi Scalfaro") mi mise una pulce nell'orecchio. Detto fatto telefonai all'ufficio stampa del Quirinale per porre il problema (da storico del cinema, non da polemista); e un gentile funzionario mi assicurò che avrebbe chiesto lumi in proposito al presidente, "forse non oggi, ma domani senz'altro ... " Sono passati tre anni e non ho più avuto notizie. Ho letto invece il libro Scalfaro) una vita da Oscar di Caldonazzo e Fiorelli (160 pagine, 27.000 lire, Ferruccio Arnoldi Editore), che pur non dicendo niente sul fatto specifico rievoca la stagione meno felice del politico novarese: quella in cui, nel quadro del governo Scelba tra il '54 e il '55, fu sottosegretario allo spettacolo. Quando Guareschi, sottolineando che il nostro non andava mai né al cinema né a teatro, giustamente scrisse: "Sarebbe come affidare a un vegetariano il compito di giudicare le bistecche". Pur considerando il teatro di prosa come "un genere archeologico, da museo", Scalfaro si sbizzarrì a proibire e tagliuzzare l'intera dramma96
turgia planetaria da Sartre a Carlo Maria Pensa. E per quanto riguarda il cinema censurò !;arte di arrangiarsi con Alberto Sordi, tentò di non mandare a Cannes L'oro di Napoli, si accanì contro un film innocentissimo come Le avventure di Casanova di Steno infliggendo 22 tagli alla sceneggiatura e 28 alla pellicola. Era ancora fresco allora il ricordo dell'intemerata che il giovane deputato aveva fatto in una trattoria di via della Vite a una signora secondo lui troppo scollata: un grottesco episodio che, per tornare a Fellini, si ritrova in forma di comica del muto in Le tentazioni del dottor Antonio, dove Peppino De Filippo è perseguitato dalla traboccante gigantessa Anitona Ekberg scesa giù da un manifesto pubblicitario. Si potrebbe sospettare che da parte di Federico quella sia stata una piccola vendetta per gli attacchi dell'"Osservatore", dato e non concesso (io aspetto sempre la telefonata dal Quirinale ... ) che li abbia scritti Scalfato. Non c'è comunque da stupirsi che il presidente, quando il riminese era ancora in circolazione, abbia fatto orecchie da mercante alla reiterata proposta di Enzo Biagi e altri di nominare Fellini senatore a vita. 6 giugno 1996
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Il viaggio di G. Strehler
Giorgio Strehler sarebbe pronto a girare Il viaggio di G. Mastorna, il film che Fellini non riuscì a portare sullo schermo, ma ne è stato finora impedito da complicazioni sui diritti. Ho approfittato del convegno indetto a Rimini per inaugurare l'attività dell'Associazione Federico Fellini, presieduta dalla sorella Maddalena e guidata da Vittorio Spiga, per dare la notizia. Ora la riporto qui, con maggiori particolari e a futura memoria. Qualche mese fa, parlando al telefono con Strehler, lui mi disse: "Sai che nella mia lunga carriera mi è sempre rimasta di traverso questa cosa di non aver potuto fare del cinema. Insomma prima di chiudere bottega mi piacerebbe fare un film, il primo e l'ultimo; e il film che vorrei fare è Mastorna". Il triestino mi ricordò fra l'altro che era stato molto vicino a Federico durante la stesura del primo copione, negli anni '60, e per un attimo si era perfino illuso che il regista pensasse a lui come a un possibile protagonista. "Vorrei trovare un produttore concluse Giorgio - che mi permettesse di eseguire questo copione, di inscenarlo non certo come l'avrebbe potuto fare Federico, ma come un gesto di amicizia, con il massimo rispetto, con devozione". Si dà il caso che dai tempi di La leggenda del Santo Bevitore io conosco un cineasta adatto a un certo tipo di imprese: e quando misi Roberto Cicutto in contatto con Strehler, il loro ac98
cardo fu sancito rapidamente con una stretta di mano, senza impegni scritti e senza che corresse denaro, con l'impegno di cominciare anche da subito. Parve l'inizio di una bella favola, ma l'impresa si è subito impelagata in una confusa questione di diritti. Dapprima sembrava che ci fossero complicazioni sul fronte degli eredi di Dino Buzzati e di Brunello Rondi, coautori in qualche misura del copione. Poi saltò fuori che c'era una trattativa con l'attore Terence Stampe il regista del film transessuale Priscilla. Più tardi ancora si disse che è difficile mettere d'accordo su qualsiasi decisione i numerosi eredi di Fellini (non certo Maddalena, ma quelli del ramo Masina). Insomma il bel progetto è ormai impelagato nel porto delle nebbie; e quanto a Strehler, hanno fatto di tutto per fargli passare l'entusiasmo: a parte che in questo momento delicatissimo per il futuro del Piccolo Teatro ha altre cose a cui pensare. Mi pare di poter concludere che stiamo assistendo a troppe prove di un modo sbagliato di gestire l'eredità felliniana: diritto di pochi sul piano legale ed economico, patrimonio di noi tutti e del mondo intero sul piano morale. 20 giugno 1996
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alfabetiere felliniano
ABRAHAM, KARL (1877-1925)
Figura eminente della psicoanalisi, suscitò la deplorazione di Sigmund Freud, che gli era amico per aver compromesso la scienza con il cinema: aveva infatti accettato di essere il consulente del film divulgativo Geheimnissen einer seele (1926) di G.W. Pabst. AIMÉE, ANOUK (1932)
Dopo un approccio timido all'inizio delle riprese di La dolce vita, dove impersonava la corrotta Maddalena, "Anucchina" intrecciò con F. un rapporto di grande intesa. Il regista la richiamò per impersonare un personaggio completamente opposto, e cioè Luisa, la dolcissima moglie del protagonista di 8 112, convinto che "il suo viso ha la stessa sensualità intrigante della Garbo, della Dietrich e della Crawford, queste grandi regine misteriose, queste sacerdotesse della femminilità ... ". ALIGHIERI, DANTE (1265-1321)
Il sommo poeta viene allegramente dissacrato, in figura di burattino che declama i suoi versi in uno spot pubblicitario della TV, nelle prime scene di Cinger e Fred. Più volte sollecitato dagli americani 103
a girare l'Inferno, F. avrebbe voluto dedicare al tema dell'impossibilità di una simile impresa un block-notes cinetelevisivo dedicato alla figura del produttore. AMARCORD (1973)
La parola, poi entrata nel comune uso giornalistico, sintetizza il romagnolo "A m' arcord" (Io mi ricordo). AMORE E IL DIAVOLO (L')
(Les visiteurs du soir, 1943) di Marcel Carnè Film-favola su sceneggiatura di Jacques Prévert, girato nella Francia di Vichy e arrivato da noi nel dopoguerra, segnalò per la prima volta all'attenzione di F. la figura di Alain Cuny nella parte del diabolico Gilles. ANGELUCCI, GIANFRANCO (1946)
Incontrò F. nel '69 lavorando alla tesi Il Satyricon neltopera di FF, relatore Francesco Arcangeli, che nel febbraio '70 fu la prima dissertazione di laurea di argomento cinematografico all'Università di Bologna. Da quel periodo Angelucci è rimasto sempre vicino al regista in qualità di collaboratore tra occulto e palese. In tale veste ha firmato con F. la sceneggiatura di Intervista. Ha realizzato vari specials come Casanova rendez vous (1976), Fellini nel cestino (tre ore di brani tagliati e inediti), Gli attori di Fellini. Consulente artistico per il restauro e la ristampa dei film felliniani a cura di Cinecittà International, ha scritto un romanzo-verità ancora inedito sugli ultimi mesi di F. intitolato Il fantasma di Fellini. 104
ANNA (1916)
Di cognome fa Giovannini, è l'ex farmaci sta che per oltre trent'anni fu segretamente legata a F. e che dopo la morte del regista finì al centro di un piccolo scandalo giornalistico di breve durata. Al regista furono attribuite molte fotografie scattate alla signora (trascurando il fatto che in vita sua F. non ha mai preso in mano una macchina fotografica) e perfino la paternità della figlia Patrizia, nata il 18 ottobre '52, alcuni anni prima dell'incontro fra sua madre e F. ANNONCEFAITEAMARIE (L') (1990)
Opera prima e unica realizzata da Alain Cuny come regista, devota trascrizione cinematografica del poema teatrale di Paul Claudel di cui l'attore si professava seguace e che lo ricambiò definendolo "una cattedrale gotica". Benché piuttosto sospettoso di fronte all'algida religiosità del testo, che del resto conosceva appena, F. si prodigò inutilmente in più occasioni per trovare a Cuny un coproduttore italiano. ANTONIONI, MICHELANGELO (1912)
I rapporti del regista ferrarese con F. furono sempre improntati a reciproca simpatia, pur nell'inconciliabilità delle rispettive poetiche e nel diverso modo di affrontare la quotidianità del set: Michelangelo imponendo con autorità la sua visione dei problemi, F. cercando la complicità della troupe. Non è stato finora ritrovato nell'archivio di Antoniani il soggetto originale di Lo sceicco bianco, scritto per dirigerlo personalmente e poi passato dal produttore Luigi Rovere a F. che (a quanto ri105
petutamente asserì) ne conservò soltanto il titolo. L'intervista a F. e Antonioni di cui si fa cenno nel testo apparve su "Settimo Giorno" n. 12, 19 marzo 1959. ARBASINO, ALBERTO (1930)
Si occupò di F. in varie occasioni (da ricordare una sua cronaca dal set di via Veneto rifatta a Cinecittà dall'architetto Piero Gherardi per La dolce vita) apparsa su "Settimo Giorno"), non di rado con simpatia, a volte con punzecchiante insofferenza. ARCHIMEDE, VIA
Dal giorno del loro matrimonio (30 ottobre 1943) Giulietta e Federico abitarono in via Lutezia 11, nell'appartamento della zia di lei, Giulia Sardi Pasqualin, morta nel 1955. Il trasloco della famiglia Fellini da via Lutezia all'attico di via Archimede 141 A, piano quarto, interno 12 (nel quartiere Parioli, prediletto dalla gente di cinema) è ufficialmente registrato al Comune di Roma in data 12 gennaio '56. F. e Giulietta vi rimarranno fino al 1965, cioè al momento in cui decideranno di trasferirsi a Fregene nell'illusione di poter vivere tutto l'anno al mare. ARGENTIERI, SIMONA
Psicoanalista romana particolarmente interessata alle cose del cinema e autrice di vari libri sull' argomento. Di Mastorna la Argentieri ha scritto: "Quest'opera incompiuta non ha nulla a che fare con la proverbiale capricciosità e sregolatezza dell'artista e soprattutto non ha niente a che fare 106
con la volontà del fare e del non fare. Ma illumina invece un conflitto che urge dall'inconscio e chiede di essere riconosciuto ed elaborato, ma contemporaneamente esprime una resistenza disperata - fino all'assurdo, fino alla malattia fisica per non voler pagare il prezzo di sofferenza psichica che ogni consapevolezza porta inevitabilmente con se.," . ATTALO (COLIZZI, GIOACCHINO, 1894-1986)
Scrive Angelo Olivieri in J; imperatore in platea (Dedalo 1986): "C'è chi lo ritiene in qualche modo un anticipatore del neorealismo cinematografico, per via dei cessi e delle altre 'vergogne' che illustrava sul 'Marc'Aurelio' dei primissimi anni Trenta, scontrandosi con le levigatezze littorie degli altri vignettisti italiani, tanto che l'unica vera fronda del giornale l'ha fatta proprio lui". F. si ispirò alla vignette di Attalo per le scene della pensione in Roma. Di Attalo parla ampiamente Adolfo Chiesa in La satira politica in Italia (Laterza, 1990). ATTORE
È il titolo del block-notes al quale F. lavorò dal '92 alla primavera del '93, affidandosi al produttore Leo Pescarolo con cui aveva fatto Prova d' orchestra e a una coproduzione francese. Come risulta dall'appunto pubblicato sul catalogo della Mostra Federico Fellin~ doveva essere un'inchiesta sulla professione dell'attore, sulle sue tecniche, sui suoi misteri. Il film avrebbe dovuto partire (un po' alla Mastorna) con Mastroianni alla ricerca di qualcosa in giro per le vie di un borgo notturno; e 107
con l'approdo a un teatro dove ad attenderlo avrebbe trovato la Masina, Villaggio, Benigni e altri convocati per un misterioso show. Era previsto che Giulietta e Paolo impersonassero Arcibaldo e Petronilla O"iggs e Maggie), i famosi personaggi del disegnatore Geo McManus. Nelle intenzioni di F., secondo la testimonianza di Angelucci che vi collaborò, Attore doveva essere il primo di una serie di block-notes dove il regista ormai installato nella terza età si proponeva di riassumere a ruota libera e senza obbligo di trama le sue molteplici esperienze di vita, lavoro e fantasia. Già pronti erano gli abbozzi del film sui produttori (con l'impossibilità di girare l'Inferno di Dante) e di quello su Venezia. F. fu colpito dal male mentre, pur nelle difficoltà di chiudere il discorso produttivo di Attore con la RAI, F. stava progettando un episodio su Napoli. AVVENTURA (L') ( 1960) di Michelangelo Antoniani Sconcertante l'avventura di J; avventura al Festival
di Cannes: acccolta a fischi, fu immediatamente rivalutata a furor di critica e dalla giuria presieduta da Georges Simenon ottenne un premio "pour sa contribution remarquable à la recherche d'un nouveau langage cinematographique". BENIGNI, ROBERTO (1952)
Il grande fenomeno della comicità insolente degli anni '90, spesso bollato come blasfemo ed eversore, era benevolmente considerato da F. "un bravo ragazzino". Furono tutti e due stimolati dalla collaborazione a La voce della luna e speravano di lavorare ancora insieme, magari a un Pinocchio. Su 108
F. e la troupe di La voce della luna Benigni ha scritto dei bellissimi versi estemporanei, e alla domanda di Vincenzo Mollica, che in TV gli ha chiesto "Cosa le manca di F.?", ha risposto: "Mi manca tutta la persona intera". BENZI, LUIGI detto TITTA ( 1920)
Avvocato di chiara fama, per otto anni compagno di banco di F. al riminese ginnasio-liceo Giulio Cesare e incarnazione dell'umorismo romagnolo. Il suo personaggio (interpretato dall'attore Bruno Zanin) è il protagonista di Amarcord. Titta è autore di un affettuoso libro di autentici ricordi felliniani intitolato Patachédi (Guaraldi, 1995). BERGMAN, INGMAR (1918)
Il rapporto di reciproca ammirazione fra il grande regista svedese e F. funzionò meglio a distanza che faccia a faccia. Quando Bergman nel '69 venne a Roma per discutere il film Tre storie di donne in cui il produttore americano Martin Poll voleva riunire tre episodi, girati separatamente da altrettanti grandi registi (in un primo momento era previsto anche Akira Kurosawa), sorse qualche difficoltà. Divenuto Love Duet, cioè Duetto d' amore, il progetto non andò oltre una cena all'Hotel Hassler, a Trinità dei Monti, dove (secondo la testimonianza di Mario Longardi) "entrambi i registi sembravano interessati soprattutto a far domande, ma nessuno di loro aveva la minima intenzione di raccontare il soggetto del proprio episodio". Sicché, con grande disappunto di Poll, Bergman e Fellini finirono per sfruttare i loro spunti separatamente: il primo per T he Touch 109
(L'adultera, 1970), il secondo per La città delle donne. Il nordico rimase tuttavia un irremovibile ammiratore di F. e alla Mostra di Venezia dell"84, trionfalmente acclamato dal pubblico dopo la proiezione pomeridiana della versione integrale di Fanny e Alexander, chiese come un particolare favore di potersi vedere da solo in una saletta sotterranea del Palazzo del cinema E la nave va. A F. scriveva chiamandolo "brother and friend". BERNHARD, ERNST (1896-1965)
Psicoanalista ebreo berlinese approdato alla scuola di Carl Gustav Jung, a Roma dal 1936: F. prende a frequentare il suo studio di via Gregoriana 12 per consiglio del regista Vittorio De Seta e ne ricava suggestioni evidenti in tutti i suoi film da 8 112 in poi. Oltre alla raccomandazione di aprire il famoso Libro dei sogni. Una scelta dai quaderni e appunti di Bernhard è pubblicata da Adelphi con il titolo Mitobiogra/ia (1969). BERTOLAZZI, CARLO (1870-1916)
Commediografo milanese, autore di I.;amico di tutti, riproposto all'attenzione del teatro italiano da Giorgio Strehler con la storica messinscena di El nost Milan (3 dicembre 1955) al Piccolo Teatro. BIAGI, ENZO ( 1920)
Maestro del giornalismo italiano, coetaneo e amico di F. fin dal giorno (autunno '45) in cui quest'ultimo si presentò a Bologna alla redazione del settimanale "Cronache", in via Montello, per chiedere di collaborare. Però F. sperava in un an ticipo e Biagi, che aveva messo su il settimanale di 110
cui era direttore con 250mila lire prese in prestito da un cugino rappresentante di stoffe, gli obiettò che in cassa non c'erano neanche i soldi per pagare gli stipendi di fine mese. Nel suo libro Lunga è la notte (Nuova ERI-Rizzoli, 1995) Biagi riporta la risposta del regista morente alla domanda: come ti piacerebbe essere ricordato? "Ha vissuto come a una prova generale in attesa del debutto". IL BIDONE (1955)
Uno dei film felliniani peggio accolti dalla critica e dal pubblico, tagliato di mezz'ora dopo la sua sfortunata presentazione alla Mostra di Venezia e in seguito ampiamente rivalutato. L'espressione per indicare una truffa o un imbroglio era già diffusa prima che F. la adottasse come titolo, ma da allora è divenuta di uso comune. BOCCACCIO '70 (1970)
Prodotto da Carlo Ponti, lo "scherzo in quattro atti ideato da Cesare Zavattini" insieme all'episodio felliniano Le tentazioni del dottor Antonio (v.) schiera Renzo e Luciana di Mario Monicelli, Il lavoro di Luchino Visconti e La riffa di Vittorio De Sica. Una parodia con Totò e Peppino De Filippo, annunciata con il titolo Forcaccio '69, fu provvidenzialmente annullata. BRANCATI, VITALIANO ( 1907 -1954)
L'autore di Il be/l'Antonio era una delle figure carismatiche dei caffè letterari di via Veneto, inaccessibili per il giovane F.
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BROWN, FREDRIC (1906-1972)
Autore di What Mad Universe (1949), tradotto in italiano nel '53 nei "Romanzi di Urania" di Mondadori con il titolo Assurdo universo. Da questo romanzo scaturì la prima scintilla di Mastorna. BUZZATI, DINO (1906-1972)
L'autore di Il deserto dei Tartari approfondì la conoscenza di F. nel '64, quando gli fece un'intervista su Giulietta degli Spiriti per il "Corriere della Sera". Scoperto il comune interesse per il mondo occulto i due partirono insieme per un'inchiesta intitolata "In cerca dell'Italia misteriosa" (poi raccolta nel volume I misteri d'Italia), visitando maghi, indovini e guaritori. Tutta ancora da ricostruire la storia della collaborazione di Buzzati e F. per Mastorna, alla luce dell'evidente parallellismo fra il copione felliniano e il Poema a fumetti dello scrittore di Belluno (corrispondono anche le date, dal 1966 al 1968): le due opere appartengono alla medesima ispirazione raccontando un viaggio nel mondo dei morti, Buzzati più fedele al mito classico (Orfeo ed Euridice). Sulla partecipazione di B. alla sceneggiatura F. rimase sempre piuttosto elusivo, forse anche perché la morte del prezioso collaboratore gli parve confermare il carattere funesto che nel tempo aveva finito per attribuire allo sfortunato progetto. CABRINI, FRANCESCA SAVERIO (SAINT FRANCES XAVIER) (1850-1917)
Nata a Sant'Angelo Lodigiano, fondò nel 1880 l'ordine delle Sorelle Missionarie del sacro Cuore e nel 1889 fu mandata da papa Leone XIII negli 112
USA per prestare assistenza agli emigrati italiani sempre più numerosi. In un crescendo di portentose attività imprenditoriali creò scuole, ospedali, orfanotrofi e conventi nelle due Americhe. Canonizzata nel '46, diventò la prima santa americana. Sulla sua vita esiste un romanzo di Pietro Di Donato. Su consiglio di Salvato Cappelli, Giulietta si interessò per un certo periodo di un eventuale film (non diretto da F., ma prodotto dalla Federiz) in cui impersonare Madre Cabrini. CAPPELLI, SALVATO (1911-1983)
Come giornalista creò il settimanale fotografico "Le ore", che inizialmente ebbe un certo successo (poi, quando il giornale andò in crisi e il giornalista si trovò un altro lavoro, a Milano circolò la battuta: "Ore contate, salvato Cappelli"); come autore di teatro si affermò con Il diavolo Peter (1957), sulle gesta del Mostro di Duesseldorf, e con Duecentomila e uno (1966) fu rappresentato da Strehler al Piccolo Teatro. Frequentatore assiduo di casa Fellini, soprattutto come amico e consigliere di Giulietta, la sua figura è adombrata in mezzo al gruppo del salotto di Giulietta degli Spiriti. CALDONAZZO, GIORGIO (1968)
Giornalista, co-autore con Paolo Fiorelli della biografia Scalfaro - Una vita da Oscar (Ferrucci Arnoldi editore, 1995). CAMILLA (1976)
Sceneggiato in quattro puntate tratto dal romanzo Un inverno freddissimo di Fausta Cialente 113
(1898-1994) su copione di Tullio Pinelli e del regista Sandro Bolchi, protagonista Giulietta Masina. A cavallo fra guerra e dopoguerra, la protagonista vive i difficili rapporti con la famiglia: la madre, i tre figli, i due nipoti e un marito che torna dalla Francia dopo una lunga assenza. Scrisse sul "Corriere della Sera" (20 aprile '76) Natalia Ginzburg: "... Del tutto felice è . . . l'incontro fra il mondo della Cialente, mondo civile e sommesso, e la persona della Masina. . . Il suo viso mite e intenso ha le sfumature e le pieghe del dolore, del coraggio e della serenità che suggellano un viso . . . ". dentro ad una stona. CANNES (FESTIVAL DI)
Nel '94 il 4 7esimo Festival du Film ha onorato la memoria di F. facendo dipingere da Giuliano Geleng un grande sipario con il regista circondato suoi personaggi e da alcuni fra i più noti simboli del suo cinema. A Cannes F. ha presentato complessivamente dieci titoli: nel '57 Le notti di Cabiria, premiato all'unanimità dalla giuria presieduta da Jean Cocteau per l'interpretazione di Giulietta Masina "avec hommage a Fellini"; nel '60 La douceur de vivre, Palma d'oro all'unanimità della giuria presieduta da Georges Simenon; e dal '62, sempre fuori concorso, si sono susseguiti Boccaccio '70, 8 112 (1963), Histoires extraordinaires ovvero Tre passi nel delirio (1968), Roma di Fellini (1972), Amarcord (1973), Prova d'orchestra (1979), La città delle donne (1980). Nel 1982 F. ha consentito che un suo disegno raffigurante il Rex di Amarcord fosse riprodotto sul manifesto del festival; nel 1987 la giuria presieduta da Yves Mon114
tand, benché Intervista fosse fuori concorso, ha voluto ugualmente assegnare al film un premio inventato ad hoc: quello del Quarantennale del Festival. CANOVA
Sito a Roma in Piazza del Popolo 16 (ufficialmente definito "Ristorante - Buffet - Ricevimenti Piano bar") fu uno dei luoghi fissi della topografia felliniana. F. vi ambientò qualche scena di Il bidone ed era uso frequentarlo più volte al giorno, usandolo come punto di riferimento per gli appuntamenti. CARDARELLI, VINCENZO (NAZARENO) (1887-1959)
Il poeta di Tarquinia era una delle più venerate figure intellettuali nei caffè di via Veneto quando il giovane Fellini cominciò a frequentarli. CARNÈ, MARCEL (1909)
Anche F. fu suggestionato, come tutti i giovani della sua generazione, dal pessimismo lirico del regista di Alba tragica e di Il porto delle nebbie. CASANOVA, GIACOMO (1725-1798)
A un film tratto dalle Memorie dell'avventuriero, che paradossalmente dichiarava di non amare, F. pensava già negli anni '50 quando Steno realizzò Le avventure di Giacomo Casanova (1954) con Gabriele Ferzetti, bersaglio privilegiato delle attenzioni censorie dell'allora sottosegretario allo spettacolo Oscar Luigi Scalfato. In ogni modo la storia cinematografica del personaggio precede e segue il film Il Casanova di Federico Fellini (1976) 115
con Donald Sutherland: dal Casanova (1927) di Alexandre Volkoff con Ivan Mosjoukine a Infanzia) vocazione e prime esperienze di Giacomo Casanova veneziano (1969) di Luigi Comencini con Leonard Whiting per arrivare al Casanova anziano di Mastroianni (che forse volle sornionamente vendicarsi di non essere stato considerato dall'amico Federico per questo ruolo) in Il mondo nuovo (1982) di Ettore Scola. CASTANEDA, CARLOS
Stranissimo il rapporto fra F. e l'antropologo peruviano, autore di A scuola dallo stregone) che inspiegabilmente scomparve nel corso del famoso viaggio nello Yucatan poi raccontato nel soggetto Viaggio a Tulun (o Tulum). CAVAZZONI, ERMANNO (1947)
Docente di estetica all'Università di Bologna, è autore di vari libri fra i quali Il poema dei lunatici (Bollati-Boringhieri, 1988) da cui è tratto La voce della luna. CHAPLIN, CHARLES SPENCER (1989-1977)
Sempre enormemente ammirato da F. e ipotizzato come modello di certi suoi protagonisti, dal regista di 8 112 al giornalista di E la nave va. Una splendida divagazione di F. su Chaplin si trova nella cassetta Fellini racconta di Vincenzo Mollica. CHIAMBRETII, PIERO (1957)
Nella fortunata e provocatoria serie televisiva in titolata Il portalettere, è rimasta famosa l'incursione di Pierino nello studio di F. in Corso d'Italia, a 116
seguito dell'articolo "Fellini compleanno da disoccupato" apparso sulla prima pagina del "Corriere della Sera" il 19 gennaio '92 (sottotitolo: "Il regista festeggia i 72 anni e non lavora da due: che cosa accade al nostro cinema?"). Evitando lamentazioni e polemiche, F. approfittò dell' occasione solo per farsi quattro risate con Chiambretti in uno degli ultimi intermezzi pubblici di ilarità della sua esistenza. Un anno dopo, il 21 gennaio 1993, scrivevo sul "Corriere": "L'anno scorso il nostro giornale festeggiò un po' amaramente il settantaduesimo compleanno di Federico Fellini con un pezzo in prima pagina nel quale si deplorava che Rai, enti di Stato e cinema italiano in generale lasciassero languire inoperoso il nostro più popolare talento registico. Subito si scatenarono grandi proteste, piovvero lettere telefonate, rassicurazioni. Tutti a dire: 'Ma no! Ma come? Siamo qui, siamo pronti ... '. In realtà, passata la festa, non è successo granché ... ". L'articolo continuava rallegrandosi per l'annuncio del conferimento a F. dell'Oscar alla carriera e si chiudeva con un "piccolo suggerimento per un gesto simbolico" al presidente Scalfaro, quello di nominare F. senatore a vita. F. ha fatto in tempo ad andarsene, nove mesi dopo, senza che dal Colle arrivasse un cenno. Da morto gli hanno concesso, quelli sì, i funerali di stato. CIAO, RUDY (1966)
Questa commedia con musiche di Armando Trovajoli, prodotta da Pietro Garinei e Sandro Giovannini (1915-1977) che ne avevano scritto il copione con Luigi Magni, andò in scena al Sistina di 117
Roma il 7 gennaio 1966. F. non condivise la scelta di Mastroianni di tornare sulle scene impersonando Rodolfo Valentino (1895-1926), ma forse quella del regista era soltanto una forma inconscia di gelosia che si manifestava puntualmente quando Marcello andava a lavorare con altri. In ogni caso l'attore si adattò a pagare una cospicua penale per non riprendere il suo ruolo nella stagione '66-'67, risoluto a tenersi libero per interpretare l'eternamente rinviato e infine cancellato Mastorna. Solo dopo qualche anno Garinei e Giovannini si ripagarono in parte della delusione per la mancata ripresa scritturando Alberto Lionello, che fu Rudy nell'ottobre del '72. CICUTTO, ROBERTO (1948) Distributore e talvolta produttore di film di qualità (il suo La leggenda del Santo Bevitore di Ermanno Olmi ha vinto nell' '88 il Leone d'oro a Venezia) si è candidato per realizzare Il viaggio di G. Mastorna con la regìa di Strehler. CINECITTÀ Solennemente inaugurata da Benito Mussolini il 21 aprile 193 7, nell'immaginario collettivo la città del cinema al Quadraro ha finito per appartenere molto più a F. che al suo fon datore. Il regista, al quale per molti anni la direzione dello stabilimento assicurò un ufficio stabile, vi girò numerosi film e ambientò l'autobiografico Intervista. Da Cinecittà all'ora di colazione F. si spostava volentieri al Nuovo Fico di Grottaferrata, sulla via Anagnina, dov'era amico del proprietario che faceva spesso lavorare come attore nei suoi film. Nel 118
prediletto Teatro 5 di Cinecittà, il più grande, fu allestita la camera ardente, che vide convenire da ogni parte di Roma decine di migliaia di persone desiderose di rendere omaggio allo Scomparso. CIRIO, RITA
Critico drammatico di "L'Espresso", nel suo libro Il mestiere di regista (Garzanti, 1994), che contiene anche un utilissimo Glossario di riferiment~ interroga con molta pertinenza e capacità maieutica F. sulla sua vita e la sua carriera. CITTÀ DELLE DONNE (LA) (1980)
Uno dei film più ingrati di F., contrassegnato da una contestazione anticipata delle femministe e da ritardi nella lavorazione dovuto a incidenti anche gravi. Come la morte dell'attore Ettore Manni (nato nel 1927), interprete del grottesco personaggio del seduttore Katzone, rimasto ucciso il 27 luglio 1979 nella sua abitazione di via Flaminia Vecchia da un colpo partito (non si sa se accidentalmente o meno) da una rivoltella Magnum, che gli troncò un'arteria della coscia facendolo morire dissanguato. CITTA DOLENTE (LA) ( 1949) di Mario Bonnard F. era legato al veterano Bonnard (1889-1965, ex-
attore e ispiratore del personaggio di "Gastone" immortalato da Ettore Petrolini) dalla comune amicizia con Alberto Sordi. Ne conseguì la partecipazione (con Bonnard stesso, Anton Giulio Majano e Aldo De Benedetti) alla sceneggiatura di questo film, che mescolava brani documentari dell'esodo della popolazione italiana da Pola asse119
gnata alla Jugoslavia (1947) a una vicenda melodrammatica. Nella divisa di una partigiana di Tito vi compare la bellissima sorella bionda della Doris Dowling di Riso amaro1 Constance (morta nel 1969), che fu la causa involontaria del suicidio amoroso di Cesare Pavese (27 agosto 1950). CLOWNS (I) (1970)
Ci fu un infelice tentativo di far uscire il film a colori nelle sale dopo la trasmissione del 25 dicembre '70 sulla TV ancora in bianco e nero: I clowns fu la vittima più insigne di un rapporto sbagliato fra grande e piccolo schermo sulla strada della ricerca di una possibile convivenza. COLMAN, RONALD (1891-1958)
Oggi praticamente dimenticato fu un attore popolarissimo negli anni Trenta, quando trovò molti imitatori tra i quali il proprietario del cinema Fulgor di Rimini. F. continuò sempre a riferirsi a Colman, inglese naturalizzato hollywoodiano, ricordandolo in film come Orizzonte perduto (Lost Horizon, 1937) e Il prigioniero di Zenda (The Prisoner ofZenda, 1937). Il divo ottenne un Oscar nell'ultima parte della sua carriera per Doppia vita (A Double Li/e, 1947) di George Cukor, dov'è un attore che si identifica morbosamente con il personaggio di Otello fino a strangolare la propria amante. COMPAGNI (I) (1963) di Mario Monicelli
Famosa interpretazione di Mastroianni, che si invecchiò e imbruttì per impersonare un intellettuale sovversivo che capeggia uno sciopero di tessili nella Torino fine Ottocento. 120
CON1ROFELLINI. IL FELLINISMO FRA RESTAURAZIONE E MAFIA BIANCA di Pietro Angelini (Ottaviano, 1974)
È il caso più unico che raro - e come tale meritevole di una citazione - di un intero libro scritto "contro" un autore cinematografico. Può essere portato come prova che nel corso della sua lunga carriera F. non fu affatto un nume venerato o un intoccabile monumento nazionale. Pietro Angelini è presentato in controcopertina come "autore di una singolare etnografia marxista del maschilismo inconscio" e curatore del volume collettivo Sport e repressione. CORRIDA (LA)
Popolare spettacolo radiofonico di lunghissima durata lanciato dai fratelli Mantoni, Riccardo (regista) e Corrado (presentatore, che subentrò dopo un primo ciclo condotto da Mario Carotenuto) nel gennaio '68, poi trasferito dallo stesso Corrado in TV dal 5 luglio 1986. Nel corso di ogni trasmissione un gruppo sempre diverso di cantanti dilettanti, in genere niente affatto dotati o addirittura deplorevoli, si esibiscono coraggiosamente fra i fischi e i sarcasmi del pubblico. CORSO D'ITALIA, 35 D
Fu per tutti gli ultimi anni l'indirizzo dello studio di F., un ambiente pittoresco e ordinato che gli assomigliava, tant'è vero che è un peccato non averlo potuto conservare come un museo in sua memoria. Lo smantellamento avvenne negli ultimi mesi di vita del Maestro, che nella speranza di una sia pur imperfetta guarigione si era determinato a trasferire il suo rifugio lavorativo in via Ca121
po le Case 18 dove l'amico pittore Rinaldo Geleng ha casa e studio. CUNY, ALAIN ( 1908-1994)
Ex-pittore, allievo di Jacques Lacan in psicologia, interprete teatrale di gusti raffinatissimi, fu quasi più presente nel cinema romano che in quello francese senza tuttavia riuscire a imparare l'italiano. Gli intellettuali nostrani rifiutarono di riconoscersi nel suo Steiner di La dolce vita. Con F. Cuny ha impersonato anche il pirata Lica in Fellini Satyricon, con Antonioni ha interpretato La signora senza camelie, con Franco Giraldi La rosa rossa; ma il regista con cui ha lavorato di più è Rosi per il quale ha creato fra l'altro il personaggio del generale Leone in Uomini contro (1970). Fu Cuny negli anni successivi a La dolce vita a introdurre F. all'amicizia del pittore Balthus, alias Balthazar Klossowski (1908), direttore dell'Académie de France a Villa Medici. CURZI, ALESSANDRO
Ex-giornalista della stampa comunista, soprannominato Kojak per la presunta somiglianza con l'attore oriundo greco Telly Savalas, ha raggiunto una vasta notorietà con i suoi editoriali al tempo in cui diresse il telegiornale di Rai Tre ovvero Tele Kabul secondo l'ironica definizione di Giuliano Ferrara. DE FILIPPO, EDUARDO (1900-1984) e PEPPINO (1903-1980)
Fra i due partiti nei quali gli italiani si dividevano riguardo ai fratelli De Filippo (il partito del pen122
siero e il partito della risata) F. scelse Peppino, che aveva conosciuto preparando Luci del varietà: l'attore racconta l'incontro nel suo libro Strette di mano (Marotta, 1974). A Eduardo, pur riconoscendone i grandi meriti, F. non riusciva a perdonare l'insuccesso di Fortunella (1958): "Come si fa a prendere un soggetto mio e di Pinelli, Sordi nel suo massimo fulgore e Giulietta dopo Le notti di Cabiria e realizzare un fiasco completo?". Peppino, invece, lo divertiva come persona e lo stimolava come interprete, anche se per il censore moralista di Le tentazioni del dottor Antonio aveva dapprima pensato a Romolo Valli che contava di ispirarsi alla figura di Giulio Andreotti. DE LAURENTIIS, DINO (1919)
Affettuoso e terremotato il rapporto fra il grande produttore napoletano e F., da lui ribattezzato Fefè. Dopo aver vinto gli Oscar per La strada e Le notti di Cabiria, Dino non si diede pace per aver rifiutato La dolce vita e tramò ininterrottamente per strappare F. ad Angelo Rizzoli che lo chiamava "quel napoletano là". In seguito agli impedimenti di vario genere che intralciarono e alla fine resero impossibile la realizzazione di Il viaggio di G. Mastorna ci fu perfino un sequestro conservativo chiesto e ottenuto dai legali del produttore nella villa di F. a Fregene (25 settembre 1966). Ben presto però i buoni rapporti si ristabilirono senza peraltro concretarsi in una nuova collaborazione: da Waterloo a La Bibbia e al più volte proferito e mai realizzato Mandrake, Dino continuò a sentire come un impegno quello di ricondurre F. sulla retta via del cinema dei grandi guadagni, preoccupan123
dosi della sua vecchiaia. E il regista, mentre respingeva ridacchiando le proposte del produttore, era comunque gratificato dalla fiducia e amicizia che ne trapelavano: neppure escludendo, proprio come una donna bella e corteggiata, di poter un giorno o l'altro cedere all'assedio. DE LAURENTIIS, LUIGI (1917-1992)
Laureato in legge, esperto di slavistica, l'intellettuale della famiglia De Laurentiis fu risucchiato nel cinema dall'esempio e dall'incitamento del vulcanico fratello minore Dino, di cui fu l'ombra protettrice fino al suo trasferimento negli USA. Era un uomo a sorpresa per chi l'avvicinava alla luce del pregiudizio caricaturale che vuole il produttore rozzo e ignorante; e si trovava invece davanti un signore dal tratto raffinato, lettore onnivoro, conversatore di estrema piacevolezza. Non a caso F., che lo ebbe come direttore di produzione in Le notti di Cabiria, lo ricordava come uno degli alleati più sensibili di tutto il suo lavoro cinematografico. E Luigi accarezzava come una medaglia il ricordo dei sopralluoghi fatti insieme al regista per Mastorna, tanto che verso la secon da metà degli anni '80 mandò a F. un segnale di disponibilità per riprendere il progetto con la società nel frattempo costituita in coppia con il figlio Aurelio: ma F. stranamente non rispose. DELLI COLLI, TONINO (1923)
Operatore fra i più stimati e attivi del cinema italiano, ben noto a F. fin dai tempi di La città dolente (1949), collaboratore entusiasta e sensibilissimo di Pasolini cineasta:" ... metta, metta, Tonino/il 124
cinquanta, non abbia paura/che la luce sfondi facciamo/ questo carrello contro natura" si legge in una poesia del 23 aprile 1962, scritta sulla lavorazione di Mamma Roma. Delli Colli diventa l'insostituibile complice fotografico di F. negli ultimi tre film: Cinger e Fred, Intervista e La voce della luna. Ha anche curato le luci del balletto Fellini. DEL MONTE, PETER ( 1943)
Fra i giovani registi italiani degli anni '70 risente l'influenza di Antonioni più che quella di F.: nel suo film d'esordio, Irene Irene, ha il merito di offrire ad Alain Cuny uno dei suoi ruoli poiù significativi. DEL POGGIO, CARLA (ATTANASIO, MARIA LUISA) ( 1925)
Ragazza in fiore negli anni della guerra, ragazza perduta nei film neorealisti dopo il '45 sotto la regìa di suo marito Alberto Lattuada, precocemente ritiratasi dal cinema alla fine degli anni Cinquanta. Tra "Carletta" e Giulietta Masina nacque una grande amicizia sul movimentato set di Senza pietà. Nacque in quel periodo il progetto della società di produzione fra mariti registi (Lattuada, Fellini) e mogli attrici (Del Poggio, Masina) che realizzò in forma cooperativa Luci del varietà ( 1951) ricavandone amarezze, debiti e un raffreddamento dell'amicizia. DE SETA, ENRICO (1908)
Disegnatore umoristico del "Mare'Aurelio" (è il creatore del "Mago Bacù") e complice di F. nell'impresa del "Funny Pace Shop", i negozi di caricature aperti nel '44 a Roma per attirare l'inge125
nua clientela dei militari americani. Cartellonista di cinema, ha realizzato circa 1500 manifesti tra i quali quelli di I vitelloni, La strada, Le notti di Cabiria e Fortunella. DE SETA, VITTORIO (1923)
Documentarista sommo, autore di film importanti come Banditi a Orgosolo e Diario di un maestro, studioso di psicoanalisi, fu lui a indirizzare F. allo studio di Ernst Bernhard. Da non confondere, come qualcuno ha fatto, con il De Seta disegnatore. DE SICA, VITTORIO (1901-1972)
Per diffidenza non infondata verso la solvibilità della produzione, rifiutò il ruolo del capocomico omosessuale di I vitelloni (poi incarnato da Achille Majeroni) dopo il leggendario colloquio con F. mentre cenava in una carrozza ristorante ferma a un binario morto durante le riprese di Stazione Termini. Non si delinearono ulteriori occasioni di collaborazione artistica, anche perché i rapporti fra i due maestri, pur improntati a reciproca ammirazione, furono inquinati da una lieve punta di reciproca gelosia. Ma la splendida caricatura che F. dedicò a Vittorio basta a testimoniare l'ammirazione di un "fan". DI PUOLO, MAURIZIO
Autore dell'immagine e del progetto di allestimento della grande mostra fellinana all'EUR e di altre importanti esposizioni come quella intitolata Sotto le stelle del '44 - Storia arte e cultura dalla Guerra alla Liberazione (Roma, Palazzo delle Esposizioni, 1995). 126
DIOGENES VERLAG
È la casa editrice svizzera di Zurigo, in lingua tedesca, titolare dei diritti delle opere di F. scrittore e pittore. DOLCE VITA (LA) (1960)
Sulla lavorazione del famoso film si può leggere, dello stesso autore di questo libro, il diario Su La Dolce Vita con Federico Fellini (Marsilio, 1996). DIVORZIO ALL'ITALIANA (1961) di Pietro Germi
Grande numero grottesco di Mastroianni nella parte del barone Cefalù, che premedita ed esegue l'omicidio della moglie trincerandosi dietro l' assurdo articolo 587 del Condice Penale. Nato con l'idea di portare sullo schermo il romanzo Un delitto d'onore di Giovanni Arpino (1927-1987), su una trovata dello sceneggiatore Ennio De Concini il film si trasformò in una commedia nera ottenendo un grande successo. DRAMMA DELLA GELOSIA- TUTTI I PARTICOLARI IN CRONACA (1969) di Ettore Scola
Una delle interpretazioni più riuscite di Mastroianni (insieme con Monica Vitti e Giancarlo Giannini), impegnato a rendere l'umorismo gergale di uno straordinario copione di Age e Scarpelli. DUSE, ELEONORA (1858-1924)
Arrivata a Pittsburgh (Pennsylvania) nel corso della tournée americana, la sera di sabato 5 aprile 1924 la Duse uscì dal suo appartamento situato al quinto piano dello Schenley Hotel e si fece portare in taxi al teatro Syria Mosque dove doveva in127
terpretare La porta chiusa di Marco Praga. Ironia di un titolo, trovò effettivamente la porta del teatro chiusa (il taxista, dopo averla lasciata per errore a un ingresso secondario, se n'era andato) erimase a lungo in attesa sotto la pioggia. Pur tremando per la febbre, volle ugualmente andare in scena, ma tornata all'albergo non riuscì più ad alzarsi dal letto. Morì di miocardite il lunedì di Pasqua 21 aprile. EKBERG, ANITA (1931) Reginetta di bellezza svedese approdata in USA nel '51 per il concorso di Miss Universo dopo aver avuto a Hollywood il suo battesimo di attrice raggiunse la fama impersonando la diva Sylvia in La dolce vita (F. insisteva per chiamare il personaggio Anita, ma lei rifiutò). Quando apparve nel film aveva 28 anni, era ancora sposata con l'attore Anthony Steele e nel pieno fulgore della sua avvenenza. F., che l'aveva ribattezzata affettuosamente Anitona, la volle anche in Le tentazioni del dottor Antonio e molti anni dopo in Intervista) dove va a trovarla in compagnia di Mastroianni nella sua villa dei Castelli Romani. Dando credito alla leggenda che questa residenza fosse stata donata alla diva da un mecenate innamorato, F. si divertiva a riferire (o a inventare?) che assistendo a una visione privata del film il personaggio in questione nel momento in cui appare la villa si sarebbe chinato verso il regista per chiedere: "Ma qui dove siamo veramente?". I rapporti del regista con Anitona sono sempre stati improntati a una grande affettuosità, rallegrata da ricorrenti sfumature di umorismo. Quando durante la lavo128
razione di La dolce vita gli raccontai che a Milano, in rapporto a una chiacchiera infondata, molti mi chiedevano se lui andava a letto con la Ekberg, F. mi rispose pronto: "Tu di' di sì, mi raccomando". ESEDRA, PIAZZA (denominazione tradizionale
di Piazza della Repubblica a Roma) Uno dei punti di riferimento del cinema felliniano: in La città si difende (1950) di Germi, sceneggiato anche da F., per recuperare certe valigie con la refurtiva il bandito Renato Baldini entra di notte nella fontana delle N ajadi all'Esedra come dieci anni dopo farà Anitona a Trevi nella Dolce vita. Sulla piazza si affaccia la basilica di Santa Maria degli Angeli, dove la Capitale diede l'ultimo solenne saluto alla salma del regista avviata al cimitero di Rimini. ELEONORA (1973)
Originale televisivo in sei puntate scritto da Tullio Pinelli per l'interpretazione di Giulietta Masina nella parte di una donna della buona borghesia milanese del 1870 fuggita con un pittore scapigliato (Giulio Brogi) che riuscirà ad affermarsi solo in punto di morte. Ne curò la regìa Silverio Blasi (1922-1995), eccellente caratterista nelle sue apparizioni in teatro e sullo schermo e straordinario direttore d' attori. EUROPACINEMA
Manifestazione culturale dedicata al cinema europeo fondata da Felice Laudadio nel 1984 a Rimini, in seguito trasferita a Bari, Viareggio e Saint Vincent. F. ne disegnò il primo manifesto e il logo.
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FABRIZI, ALDO (1905-1990)
Amico fraterno e iniziatore della carriera di F. nello spettacolo, prima come battutista del varietà e poi come sceneggiatore cinematografico. In seguito il "sor Aldo" ebbe l'impressione (non del tutto infondata) che il giovane discepolo crescendo d'importanza tendesse a sottrarsi alla sua tutela. Dopo anni di freddezza, il colpo di grazia ai periclitanti rapporti fu la scelta del tavoleggiante Moro per la parte di Trimalcione in Fellini Satyricon, per la quale Fabrizi si considerava il candidato naturale. Dopo la morte del grande attore romanesco il suo immenso archivio viene scientificamente riordinato e catalogato, nella casa romana di via Ravenna, dalla nipote Maria Cielo Pessione. FANO
Città delle Marche che nel soggetto semiautobiografico Viaggio con Anita, nonostante alcune riconoscibilissime notazioni riminesi, sostituisce per pudore la vera patria dell'autore. FEDERIZ
La società di produzione con gli uffici siti al primo piano del palazzetto di via della Croce 70, caratterizzato da due omenoni barbuti ai lati del portone, da F. "arredati con felicità e fierezza di ragazzo" (come scrisse Pasolini), prese la "fede" dal nome Federico e la "riz" dal cognome Rizzoli (Angelo senior). In un primo momento F. l'aveva annunciata come "Fracafel" o "Felfracà" perché vi partecipò, nel 50 per cento lasciato disponibile dal finanziatore milanese, l'organizzatore di La dolce vita Clemente Fracassi. Breve fu la vita e ancor più 130
brevi furono le speranze della nuova società dopo che F. e il suo socio nel '61, ovvero a poche settimane dalla costituzione, lasciarono cadere l'uno dopo l'altro le offerte di produrre o coprodurre Accattone di Pasolini, Il posto di Olmi e Banditi a Orgosolo di De Seta (vale a dire i tre titoli destinati a costituire in settembre l'intero "cartello" del nuovo cinema italiano). Dell'impresa F. si disamorò quasi subito, scoprendosi inadatto all'attività di produttore, e la Federiz rimase solo un'etichetta per imprese varie del gruppo Rizzali. FELLINI (balletto)
Da un'idea del sovrintendente Giorgio Vidusso, su soggetto di Tullio Kezich, musica di Nicola Piovani, coreografia di Micha van Hoecke, scenografie di Milo Manara, luci di Tonino Delli Colli, maestro concertatore e direttore Giuseppe Graziali, il balletto andò in scena a Piazza di Siena per la stagione estiva del teatro dell'Opera di Roma il 20 agosto 1995 e contemporaneamente teletrasmesso in diretta da Rai Tre. Nonostante la presenza di "étoiles" quali Jean Babilée e Natalia Makarova, l'attenzione si polarizzò sulla presenza in scena (un minuto e mezzo, a titolo grazioso e soltanto alla "prima") della soubrette televisiva Valeria Marini (del resto molto ammirata da F., secondo la testimonianza di Gianfranco Angelucci) e sulla stampa non si parlò d'altro. Nel programma del balletto stampato dal Teatro dell'Opera accanto alle foto di tutti i collaboratori manca quella del soggettista Kezich perché per uno scambio di persona non infrequente i curatori vi inserirono la fotografia (poi strappata) di Callisto Cosulich. 131
FELLINI FABBRI, MADDALENA (1929)
Sorella di F. e di Riccardo (1921-1991), sposata con il pediatra Giorgio Fabbri, madre di Francesca (1965). Attrice dilettante in gioventù e più tardi interprete di alcuni film fra i quali l'episodio La neve sul fuoco di La domenica specialmente (1991) diretto da Marco Tullio Giordana. Ha pubblicato un libro di memorie: Storia in briciole d'una casalinga straripata (Guaraldi, 1992). Vive a Rimini occupandosi dell'Associazione Federico Fellini. FELLINI SATYRICON (1969)
Il nome di Fellini fu accostato al titolo di Petronio Arbitro per distinguere il suo film da un Satyricon concorrenziale, prodotto da Alfredo Bini e diretto da Gian Luigi Polidoro con Ugo Tognazzi: una pellicola che ebbe vita breve e sfortunata. FELLINI, URBANO (1894-1956)
La figura del padre, rappresentante di commercio, ricorre più volte nel cinema felliniano, da La dolce vita a 8 112, impersonato dall'attore veterano Annibale Ninchi (1887-1967). Ma è soprattuttto nel soggetto di Viaggio d'amore che l'Edipo si rivela più tenero e doloroso. Nel suo libro Maddalena descrive il padre, morto per un'ischemia alle coronarie, come "allegro, burlone, chiacchierone e pieno di fantasia". FERRERI, MARCO (1928) Produttore di Amore in città, che conteneva l' episodio Agenzia matrimoniale, F. ebbe con F. un
rapporto simpatico. Più avanti, quando Marco si affermò come regista, i due presero a trattarsi re132
ciprocamente in chiave di scherzosa rivalità. "Chi è il più grande di noi due?" diceva Federico; e Marco: "Ah, su questo non ho dubbi". FIORELLI, PAOLO (1971)
Giornalista anche lui, è l'altro autore, con Giorgio Caldonazzo (v.) della biografia Scalfaro - Una vita da Oscar. FLAIANO, ENNIO (1910-1972)
Ormai c'è tutta una letteratura, alimentata da illazioni per lo più sgradevoli, sui rapporti ora affettuosi ora risentiti fra lo sceneggiatore pescarese e F. che collaborarono a ben nove film. Se la vera biografia di Flaiano è ancora da scrivere, pagine molto vive sono quelle di Suso Cecchi d'Amico nel volume di ricordi Storie di cinema (e d'altro) (Garzanti, 1996) a cura della nipote Margherita d'Amico. FORD,JOHN (1895-1972)
F. considerava il regista di Ombre rosse il più grande cineasta di tutti i tempi, con una preferenza particolare per Il traditore. FORTUNELLA (1958)
Al momento di decidere se dirigere personalmente per la produzione di De Laurentiis questo soggetto, da lui scritto con Pinelli nell'intento di offrire a Giulietta un altro dei suoi tipici personaggi, F. si tirò indietro temendo che si rivelasse troppo simile a La strada: anche qui, infatti, la protagonista è la moglie- schiava di una specie di bruto, stavolta il rigattiere Peppino impersonato da 133
Alberto Sordi. Affidato alla regìa di Eduardo, Fortunella ebbe un esito disastroso. FRACASSI, CLEMENTE (1917-1993)
Organizzatore impareggiabile, regista di film popolari (Romanticismo, Sensualità) che si autoaffondò non sopportando l'idea di fare del cinema mediocre ("O sei Fellini o non sei niente"), fu da La dolce vita a Giulietta degli Spiriti la "spalla" ideale di E Dopo quattro o cinque anni di idillio, i rapporti si guastarono anche in conseguenza del fallimento dei programmi della Federiz: F. li attribuiva al paralizzante pessimismo del socio ipercritico e superintelligente, Clemente alla vaghezza di E quando si discuteva di qualcosa che non riguardava direttamente i suoi film. Nel caso famoso del rifiuto di propiziare l'esordio registico di Pasolini, l'indecisionismo patologico di F. fu travolto dal decisionismo negativo del socio: "Togliamoci questo gatto morto da sotto il tavolo! ". Passato a dirigere gli stabilimenti di Rizzali sul Palatino, Fracassi radicalizzò e cronicizzò la propria misoginia. Quando l'autore di questo libro gli chiese un'intervista sul suo film Aida (1956) con Sophia Loren, in occasione di una ripresa dell'opera alla Scala, l'ex-regista accettò di concederla solo alla condizione che venisse presentata come un discorso fatto molti anni prima: "Non intendo ripropormi in nessuna forma". Tale programma di sparizione dalla scena gli valse di andarsene insalutato e dimenticato, proprio come asseriva di desiderare.
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FREGENE
Spiaggia tirrenica a 3 7 chilometri da Roma, molto frequentata dalla gente di cinema e prediletta dai Fellini che vi possedettero l'una dopo l'altra due ville immerse nella pineta: la prima in via Portovenere, in tutto simile a quella che compare in Giulietta degli Spiriti; la seconda, più grande, in via Volosca, dove verso la metà degli anni Sessanta progettarono di vivere tutto l'anno cambiando poi idea a causa dell'eccessiva umidità. FREUD, SIGMUND (1856-1939)
F. ebbe sempre un invincibile timore reverenziale nei confronti del Mosè della psicoanalisi, tanto che nel tempo sviluppò una certa awersione e si risolse a preferire il più congeniale Jung. GELENG, RINALDO (è nato un giorno prima di F., il 19 gennaio 1920) e figli GIULIANO (1943, pittore) e ANTONELLO (1946, scenografo)
Celebre ritrattista (una sua ampia personale si è svolta nell'aprile '96 alla Galleria Ca' d'oro di piazza di Spagna, con catalogo edito da Alpi Editori) Rinaldo discende dal berlinese barone Otto, detto "il Prussianone", che fu uno degli scopritori di Taormina dove visse dal 1862 al 1939 facendo il pittore e il gallerista. Diventò grande amico di F. nel luglio '39, ai tempi della loro bohème romana; e la vicenda è rispecchiata nel soggetto Moraldo in città dove il pittore viene ribattezzato Lange. Insieme F. e " Rinaldino" fecero anche caricature nei ristoranti. Geleng e i suoi figli, entrambi artisti, hanno spesso lavorato a vario titolo nei film felliniani. Giuliano è l'autore del sipario cele135
brativo del Festival di Cannes i personaggi e i simboli dei film che circondano un F. nei tratti del quale qualcuno ha voluto tuttavia vedere la mano dell'amico Rinaldo. GHERARDI, PIERO (1909-1971)
Geniale costumista e scenografo, legatissimo a F. da Le notti di Cabiria a Giulietta degli Spiriti, due volte vincitore dell'Oscar per il "Black-and-white Costume Design" di La dolce vita e 8 112, altre due volte "nominated" per le scene e i costumi di Juliet o/ the Spirits. Su quest'ultimo film si creò uno scontro fra il regista e il suo collaboratore: F. accusava Gherardi di essere diventato troppo indipendente, cioè di decidere le cose senza consultarlo; Piero aveva un rapporto difficoltoso con Giulietta e accusava il regista di dare indicazioni imprecise. Il contrasto si acuì al punto che il Grande Nemico, che tanto spaventò Federico accorrendo in ospedale durante il suo ricovero del '67, era proprio Gherardi. GINGEREFRED (1985)
Quando F. annunciò il suo film, Fred Astaire (1899-1987) non si fece vivo, mentre Ginger Rogers (1911-1995) awiò un'inutile e awentata azione giudiziaria a difesa del proprio buon nome. GIULIETTA DEGLI SPIRITI (1965)
Poco capito e accolto freddamente, fu il film sul quale si consumò una serie di rotture fra F. e i suoi abituali collaboratori. Finirono a questo punto i rapporto di lavoro con Angelo Rizzali, con Fracassi, con Flaiano, con l'operatore Gianni Di 136
Venanzo (che morì di lì a poco), con lo scenografo-costumista Gherardi; e anche le firme di Brunello Rondi e Pinelli sparirono per riapparire in un film felliniano solo parecchi anni dopo: il primo nel '79 con Prova d'orchestra, il secondo addirittura nell"85 con Cinger e Fred. GRANDE ABBUFFATA (LA)
(La grande bou/fe, 1973) di Marco Ferreri Imperniato su quattro amici (tra i quali Mastroianni nella parte di un pilota civile) che decidono di suicidarsi a furia di mangiare, fin dalla sua presentazione a Cannes con scandalo della presidente della giuria Ingrid Bergman risulta tra i film di Ferreri il più indigesto al palato dei conformisti. GRAY, NADIA (KUJNIR-HERNESCU, NADIA, 1923-1994)
Rumena esule a Parigi negli anni della guerra, si legge di lei in The Macmillan International Film Encyclopedia: "Apparve in molte produzioni internazionali di cui la più memorabile fu forse quella in La dolce vita, dove eseguì un intrigante spogliarello nella sequenza dell'orgia. Nei tardi anni '60 sposò un awocato di Manhattan e si trasferì a New York, dove nel '76 figurò in un nightclub show". Noel Coward (come si legge in The Noel Coward Diaries, Papermac, 1991) scritturandola per un suo spettacolo la definì "estremamente attraente e molto intelligente". GRIMALDI, ALBERTO (1925)
Produttore con la PEA (Produzioni Europee Associate) di vari film importanti tra i quali alcuni di 137
Sergio Leone, il napoletano Grimaldi realizza con F. Toby Dammit, Fellini Satyncon e Il Casanova di Federico Fellini. Nel corso di questo mastodontico film, il rapporto fra regista e produttore diventa conflittuale e porta a un'interruzione delle riprese. È il momento in cui Grimaldi, trascinato dalla vena polemica, paragona F. ad Attila. Poi si arriva a un accordo, l'amicizia si ristabilisce, tant'è vero che la PEA torna a produrre Cinger e Fred. GUARESCHI, GIOVANNI (1908-1968)
Animò il "Bertoldo", omologo lombardo del "Mare'Aurelio" sul quale scriveva F. Nel dopoguerra diresse "Candido" (fino al '57) e creò la fortunata serie di racconti sul parroco Don Camillo e il sindaco comunista Peppone, trasferiti sullo schermo da Fernandel e Gino Cervi. GUERRA, TONINO (1920)
Pochi chilometri separano Rimini da Santarcan gelo di Romagna, pochissimo distingueva il poeta della collina dal coetaneo vitellone della spiaggia: ciò nonostante la collaborazione ufficiale fra i due comincia relativamente tardi con Amarcord e si prolunga attraverso E la nave va fino a Cinger e Fred e (sul terreno dei progetti) anche oltre. Dopo la scomparsa di F. Guerra scrive i soggetti e presta la voce per due disegni animati di ispirazione felliniana del russo Andrei Khryanosky: Il leone dalla barba bianca (1994), che si svolge nel mondo del circo, e Il lungo viaggio (1996), imbastito su disegni di F.
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HEPBURN, KATHARINE ( 1909)
Per qualche giorno la produzione di Giulietta degli Spiriti, a insaputa dello stesso F., mise in ballo il nome della diva americana come un'alternativa a Giulietta intesa a conferire maggiore attrattiva al film sui mercati internazionali. In seguito la coppia Fellini instaurò con rapporto di amicizia con Kate durante le riprese negli studi della Victorine di Nizza di The Madwoman o/ Chaillot (La pazza di Chaillot, 1969) di Bryan Forbes. Errore imperdonabile, vera e propria discriminante fra gli addetti ai lavori e gli altri, è scrivere "Katherine" anziché Katharine. INTERVISTA ( 1987)
È significativo che F. abbia scelto il tema dell'intervista, da parte di una troupe televisiva giapponese, per l'atteggiamento ambiguo che mantenne durante tutta la vita nei riguardi del rapporto fra intervistatore e intervistato. Spesso elusivo e sfuggente nei riguardi delle infinite richieste di questo tipo, non di rado F. finiva per abbandonarsi volentieri alla situazione tanto da diventare (come accade nel film) il vero autore dell'intervista. Da notare che molte fra le più durevoli amicizie del regista in campo giornalistico sono cominciate proprio così. Intervista fu l'ultimo film di F. vincitore di un festival: il Gran premio di Mosca fu consegnato nelle mani del regista nell'estate del 1987 da Robert De Niro presidente della giuria. JUNG, CARL GUSTAV (1875-1961)
F. approfondì la conoscenza dell'opera junghiana attraverso il rapporto con Bernhard, nella prima 139
metà degli anni Sessanta, e fin dall'apparizione di Ricordi sogni riflessioni (Il Saggiatore, 1965) si tenne accanto il libro rileggendolo infinite volte. KEEL, DANIEL e ANNA Daniel è l'editore svizzero titolare a Zurigo della
Diogenes Verlag, marito della pittrice Anna (curatrice fra l'altro con Christian Strich del volume Aufsi.itze und Notizen, Diogenes, 1974, tradotto dall'editore londinese Eyre Methuen con il titolo Fellini on Fellini~ 197 6): tutti e due grandi felliniani fin dal giorno in cui durante una vacanza romana si recarono in via Margutta ad ammirare dal di fuori la casa dove abitava il maestro ed ebbero la sopresa di vederselo capitare davanti. Dall'incontro fortuito nacque una salda e durevole amicizia e il contratto che legò definitivamente F. come scrittore e artista alla Diogenes. KOSCINA, SYLVA (1933 o 1934-1994)
Curiosamente Giulietta rifiutava di riconoscersi nel personaggio mortificato e sottomesso di Giulietta degli Spiriti: "Se qualcuno mi assomiglia nel film è il personaggio di Sylva Koscina: la sorella attrice che va sempre in giro, fa i provini e scompare .... " LIT1LE NEMO (1905)
Dal 1904 al 1911, per l'edizione domenicale del "New York Herald", Winsor McCay disegnò Little Nemo in Slumberlan~· ovvero le notti inquiete di un bambino fra i sei e gli otto anni che vive in camicia da notte ogni sorta di avventure oniriche accompagnato dal pagliaccio Flip. 140
LONGARDI, MARIO (1930)
Ex-direttore dell'ufficio stampa della Metro Goldwyn Mayer, dalla fine degli anni '60 assunse con suo fratello Ennio l'onore e l'onere delle pubbliche relazioni di F. Incarico complicato dal fatto che, come ha scritto lo stesso Longardi, "gli stranieri importanti che sono passati per Roma, anche quelli che non s'interessavano di cinema, chiedevano soprattutto due incontri: il Papa e Fellini". Longardi ha sempre svolto il suo compito con squisita diplomazia, continuo divertimento e qualche imbarazzo. Come quando F., non volendo presentarsi a Venezia per la proiezione di un film, gli inviò da via Margutta un telegramma fingendosi su uno yacht in mezzo al Mediterraneo: "Caro Marietto forti venti allontanano il battello sempre di più da Venezia stop awerti con cautela tutti gli amici ma non mi va proprio di venire stop telegraferò da Pantelleria tuo Federico". LUCI DEL VARIETÀ (1950)
di Alberto Lattuada e Federico Fellini Molto discussa dagli storici del cinema la misura della partecipazione al film dei due registi, il primo già espertissimo, il secondo esordiente. In realtà ci vuol poco a capire che Alberto e Federico si spartirono la forma e il contenuto: sicché la materia del piccolo varietà frequentato e raccontato da F. fin dai tempi del "Mare'Aurelio" e del sodalizio con Fabrizi, trova un rigoroso inquadramento stilistico nel modo di cogliere cinematograficamente le situazioni tipico di Lattuada.
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MANARA, MILO
Scelto come scenografo del balletto Fellini per aver lavorato in collaborazione con il maestro al1'adattamento disegnato di Viaggio a Tulum (pubblicato sulla rivista "Corto Maltese" tra il settembre '89 e il febbraio '90, poi da Milano Libri nel 1990 e dagli Editori del Grifo nel 1991); e successivamente a quello della prima parte di Il viaggio di G. Mastorna detto Fernet (pubblicata su "Il Grifo" nel luglio-agosto 1992) in cui il protagonista assume le fattezze di Paolo Villaggio. MANN, TIIOMAS (1875-1955)
Lo scrittore pronunciò il Brindisi a Katja (nata Pringshein) il 24 luglio 1953 in un simposio organizzato a Zurigo per il settantesimo compleanno della moglie. I versi conclusivi della poesiola di Mann scritta per Katja sulla prima copia del romanzo Carlotta a Weimar sono citati nella traduzione di Lavinia Mazzucchetti (Feltrinelli) e nel1'originale tedesco suonano: "Bleibe Du mir auf dieser Erden, - So soll alles fertig werden !" MANZINI, RAIMONDO
Approfitto dell'occasione per fare ammenda di un errore in cui sono ripetutamente incorso dai tempi della mia biografia Fellini (1987) fino a quelli dell'articolo del 6 giugno '96 riprodotto in questo libro, parlando a proposito della campagna di stampa di "L'Osservatore Romano" contro La dolce vita di "una serie di articoli non firmati, opera del direttore Raimondo Manzini". In realtà nei due mesi, febbraio e marzo, in cui apparvero i virulenti attacchi al film, almeno una dozzina a 142
cominciare da quello famoso intitolato "Basta!" (8-9 febbraio) e continuando in forma martellante nella rubrica "Voci ed echi", direttore del foglio vaticano era ancora il venerando Conte Della Torre. Fu solo con il 1 aprile, per volontà di Papa Giovanni XXIII, che la direzione fu assunta da Manzini: lodigiano, ex direttore del mensile "Il carroccio", poi del quotidiano bolognese "L'Avvenire d'Italia", infine deputato democristiano e sottosegretario alla presidenza con Fanfani. Il giornalista cattolico, che rimase al timone dell"'Osservatore" per diciotto anni, ha fama di aver dato al quotidiano un taglio meno bigotto e più consono alle direttive conciliari: quindi associarlo a una campagna delle più stolte e retrive, oltre che precedente alla sua nomina, è stato un fare torto alla memoria di Manzini. Il mistero sul vero autore (o i veri autori) degli anonimi attacchi, insistentemente attribuiti a Oscar Luigi Scalfato (v.), rimane ancora da sondare. MARC'AURELIO
Bisettimanale fon dato il 14 marzo 1931 da Vito De Bellis, editore Angelo Rizzali. F. vi approda direttamente da Rimini nel gennaio '39, in compagnia di Ruggero Maccari, accolto dal caporedattore Stefano Vanzina (Steno). Nei quattro o cinque anni successivi il giovane giornalista vi pubblicherà quasi un migliaio di articoli, racconti e disegni diventando molto popolare fra i giovani lettori come Federico (firma con il solo nome anche la sua prima sceneggiatura, Avanti c}è posto).
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MARGUTTA, VIA
L'appartamento di via Margutta 110 A, scala B, interno 6, ultima residenza dei Fellini, fu acquistato da Giulietta un pezzo alla volta dalla vedova del commediografo Aldo De Benedetti (18921970), dapprima come studio per Federico, quando ancora abitavano in albergo all'EUR dopo la fuga da Fregene, poi allargandolo a casa di abitazione. F. era affezionatissimo al centro di Roma, alle soste al bar Canova, alle puntate nelle librerie Bocca e Feltrinelli e alle cene da Giuseppe in via Angelo Brunetti o da Bruni in via Germanico. MARMELADOV
Personaggio del romanzo Delitto e castigo (1866) di Fedor Michajlovic Dostoevskij (1821-1881): è il padre ubriacone di Sonja, perennemente immerso in un delirio misticheggiante e autopunitivo. MASINA, GIULIETTA (1921-1994)
Vedi il libro-intervista di Tullio Kezich Giulietta Masina (Cappelli, 1991), riedizione italiana aggiornata di un precedente libro apparso in lingua spagnola a Valencia nel 1985 in occasione di un omaggio all'attrice. Dei quattro fratelli Masina, Giulietta era la più grande: Eugenia, più giovane di 15 mesi, è morta prima di lei, lasciando due figli; le sopravvivono i gemelli Mario e Mariolina, nati nel '29. MASTROIANNI (all'anagrafe MASTROJANNI, il cognome è di origine greca) MARCELLO (1924)
Partner di Giulietta sulla scena del Teatro Ateneo 144
in Angelica di Leo Ferrero, prodotto dal Centro Universitario teatrale (febbraio '48), Marcello ebbe con F. rapporti vaghi (come attore della Compagnia Visconti militava, fra l'altro, nel clan avversario) finché il regista non lo richiese con particolare insistenza per La dolce vita. Sulla grande amicizia nata da quell'esperienza si intrecciarono altri cinque film. MEREGHETTI, PAOLO (1949)
Critico cinematografico e curatore del monumentale Dizionario dei film (Baldini & Castoldi), è il principale attribuzionista degli articoli dell'"Osservatore Romano" contro La dolce vita alla penna di Oscar Luigi Scalfato. MOLLICA, VINCENZO (1953)
Amico personale e intervistatore televisivo privilegiato di F. (vedi la cassetta Fellini racconta, edita da De Agostini in collaborazione con Musumeci Editore e VideoRai), lo legò al maestro la comune passione per i fumetti d'epoca e no. L'incontro avvenne nel '77 al Grand Hotel di Chianciano, dove il giovane giornalista Mollica allora in forza alla rete privata TeleAmiata si presentò a chiedere un'intervista a F. che stava facendo la cura accompagnato da Giulietta. In seguito i due realizzarono insieme lo special televisivo intitolato Walt Disney: due chiacchiere con Federico Fellini (trasmesso come speciale del TG 1 il 10 luglio '87), al quale il regista partecipò divertendosi molto e coinvolgendo anche la sua assistente Fiammetta Profili: la trasmissione contiene molte interessanti osservazioni sul mondo poetico di Disney, oltre al rac145
conto della visita a Disneyland che F. e Giulietta, accolti dal padrone di casa, fecero al tempo dell'Oscar per La strada. È stato poi Mollica a determinare l'incontro fra Manara e F. che ha prodotto Viaggio a Tulum e i disegni con Villaggio come Mastorna, passando molte domeniche pomeriggio in casa Fellini a preparare gli storyboard. Animatore principale della grande Mostra commemorativa Federico Fellini all'EUR, Mollica ha pubblicato un certo numero di sogni felliniani sulla sua rivista "Il Grifo" (1991, numeri 1-9). NEWMAN, PAUL (1924)
Proferito da De Laurentiis e rifiutato da F. ai tempi di La dolce vita (voleva un attore italiano, voleva Mastroianni), ricompare fugacemente nel '67 a Manziana (dove F. sta trascorrendo la convalescenza dopo la pleurite essudativa) per parlare inutilmente di Mastorna. NOSCHESE, ALIGHIERO (1932-1979)
F. coltivò assiduamente l'amicizia del grande imitatore, di cui cercò invano di carpire i segreti di bottega. Gli fece doppiare l'Amorino di Le tentazioni del dottor Antonio, il santone Bishma (Valeska Geert) in Giulietta degli Spiriti, alcuni personaggi del film Roma e altri ancora. Il regista meditava di dedicare uno special all'arte particolarissima di N oschese, che purtroppo morì suicida vittima della depressione. NOTARIANNI, PIETRO
Figura carismatica del cinema italiano su cui s1 esercitarono le amichevoli ironie di Age, Scarpelli 146
e altri con una pioggia di nomignoli: da "Il tergiCristaldi" (per la sua lunga fedeltà al produttore della Vides) a "Uno sguardo dal Conte" (idem per Visconti), da "Il braccio maldestro" (per la sua disponibilità di factotum delle produzioni) a "Il finzionario" e via enumerando. Un divertente elenco dei soprannomi, di cui l'interessato è orgoglioso, si trova in calce al libro La commedia alfitaliana. Il cinema comico in Italia dal 1945 al 1975 (Mondadori) di Masolino d'Amico. In realtà Notarianni, che contemporaneamente svolse anche un'intensa attività a livello politico presso le alte sfere del PCI (Pietro Ingrao è suo cugino), s'impone come uno degli uomini più seri e impegnati del cinema italiano. Dopo averlo ereditato da Visconti, F. se lo tenne sempre vicino (lo chiamava Pìter) e gli fece lo scherzo di travestirlo da finto gerarca fascista per Intervista. Quanto a Notarianni, che figura nel Comitato scientifico della Mostra felliniana all'EUR, ha sempre sostenuto con grande sorpresa di chi lo ascolta la sostanziale somiglianza fra Visconti e F.: tutti e due rigorosi, esigentissimi con se stessi prima che con gli altri, profondamente dediti al film in lavorazione. NOTTI DI CABIRIA (LE) ( 1957)
Il nome della protagonista, una prostituta della Passeggiata Archeologica, ha forse una sfumatura ironica nei confronti della Cabiria (owero "figlia del fuoco") così battezzata dall'Imaginifico nel "tradurre in dannunziano" le didascalie del film di Pastrane.
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OLIVIER, LAURENCE (1907-1989)
Spauracchio spesso agitato per mettere in crisi Mastroianni ai tempi di 8 112 e poi di Mastorna. In realtà F. disdisse sempre gli appuntamenti che la produzione gli prendeva a Londra con il gran de attore, imbarazzato di presentarsi a una sorta di monumento nazionale. OSCAR
Nella sua carriera F. ha ottenuto complessivamente 15 nominations e 4 Oscar (tutti per il miglior film straniero), oltre a un Oscar per il complesso della sua attività. Nel '46 festeggiò come caduta dal cielo la prima nomination per la sceneggiatura di Open City (Roma città aperta), in coppia con Sergio Amidei. Nel '49 seguì la candidatura, con altri, per la sceneggiatura di Paisà. Nel '56 arrivarono due candidature per La strada: per la sceneggiatura, con Tullio Pinelli, e per il "best foreign picture", assegnato. Secondo l'uso hollywoodiano, che attribuisce la paternità del film al produttore, il premio lo ritirò Dino De Laurentiis dalle mani del regista George Seaton mentre F. rimase in platea. Nel '57 si realizzò il bis per The Nights of Cabiria, nuovamente nominato e premiato come miglior straniero: Dana Wynter e Fred Astaire consegnarono la statuetta alla Masina. Nello stesso '57 F. risultò inaspettatamente nominato (con Pinelli ed Ennio Flaiano) per la sceneggiatura di I vitelloni (uscito negli USA solo in quell'anno). Nel '61 le nominations furono due, per la regìa e per la sceneggiatura di La dolce vita (con Pinelli, Flaiano e Brunello Rondi); e nel '63 l'identico gruppo di autori ottenne analoga candidatura per 148
8 112, ma il film nominato anche nella categoria del best f oreign vinse il premio per lo straniero: e stavolta Fellini in persona lo ritirò dalle mani di J ulie Andrews. Altre nominations: nel '70 per la regìa di Fellini Satyricon/ nel '74 per Amarcord, vincente come miglior straniero e consegnato da Susan George e Jack Valenti al produttore Franco Cristaldi; nel '75 due nominations per la regìa e per la sceneggiatura (con Tonino Guerra) di Amarcord (uscito negli USA con un anno di ritardo); nel '76 nominato con Bernardino Zapponi per lo "Screenplay - Based on materia! from another medium" di Fellini's Casanova. Infine nel tardo pomeriggio del 29 marzo 1993, al Dorothy Chandler Pavilion di Los Angeles, F. ricevette personalmente l'Honorary Award "in recognition of bis cinematic accomplishments that bave thrilled and entertained worldwide audiences" dalle mani di Sophia Loren e Marcello Mastroianni. 8 1/2 (1963)
Scritto spesso con grafie sbagliate, Otto e mezzo o 8 e 112 (da evitare rigorosamente la "e" congiunzione), è un fortunato titolo cabalistico che Pietro Bianchi bollò come sbagliato. Infatti il film rappresenta il titolo numero 1Onella filmografia felliniana; e per scendere a 8 1/2 bisognerebbe contare metà Luci del varietà (girato in collaborazione), l'episodio Agenzia matrimoniale da Amore in città e l'episodio Le tentazioni del dottor Antonio da Boccaccio '70: dieci meno uno e mezzo fanno otto e mezzo. Se questo è il laborioso calcolo che fece Federico, sarebbe in contrasto con altre occasioni in cui si attribuì disinvoltamente l'intera paternità 149
del film girato con Lattuada e contò per uno gli episodi realizzati. PACELLI, EUGENIO (PAPA PIO XII) (1876-1958)
Fu messo in rapporto con la scomparsa dell' austero pontefice, notoriamente avverso al fatto che Roma capitale della cristianità avesse una vita notturna di carattere mondano o peggio libertino, lo scoppio del fenomeno che ispirò F. per La dolce vita. C'è tuttavia da osservare che, scomparso nel1'ottobre '58, nel pieno della famosa estate di via Veneto, Pio XII era ancora vivo. PAISÀ (1946)
Il momento più intenso della collaborazione fra Rossellini e F., sceneggiatore e aiuto regista: un lungo viaggio da Amalfi alle paludi di Comacchio, la scoperta di un'umile Italia che sarà quella di La strada. F. asseriva di aver girato, in assenza di Rossellini, la scena in cui attraverso una via di Firenze bersagliata dai cecchini fascisti annidati sui tetti viene fatta passare su un carrello a ruote una damigiana d'acqua. PASOLINI, PIERPAOLO (1922-1975)
Fa da guida a F. nelle periferie romane per la preparazione di Le notti di Cabiria, di cui reinventa il romanesco gergale dei dialoghi. Rimane nella cerchia dei consiglieri più o meno segreti del maestro durante La dolce vita, che difende coraggiosamente come "film cattolico" nelle accese polemiche successive all'uscita: protagonista fra l'altro con Alberto Moravia di un dibattito sul film organizzato il 17 febbraio 1960 dal circolo Charlie Chaplin alla 150
galleria "L'Incontro", dove si affollano quasi duemila persone. Il rapporto con F. si guasta per un breve periodo quando la Federiz, fattagli fare una mortificante "prova di regìa" che è una trovata di Fracassi per mandare le cose in lungo, rifiuta a Pasolini di produrgli Accattone. Del resto, pur ammirando Pasolini come intellettuale onnisciente e volendogli bene, F. non riuscirà mai ad accettare l'idea che l'amico sia anche un regista. PA1RICIA (1958)
Mambo di Perez Prado utilizzato da F., con la calorosa approvazione di Nino Rota ("Non potrei scrivere niente di più adatto") per la scena dello spogliarello di Nadia Gray in La dolce vita. PENSA, CARLO MARIA ( 1921)
In cartellone al milanese Teatro Sant'Erasmo, e in possesso della regolare autorizzazione della censura, la sua commedia Il fratello, regìa di Carlo Lari, fu bloccata con procedimento d'urgenza dal sottosegretario Scalfaro perché nella scena iniziale la protagonista Lida Ferro rivelava in confessione a un frate l'intendimento di compiere un fratricidio. Dopo lunghe trattative, che comportarono alcuni giorni di sospensione, si arrivò a un ridicolo compromesso per cui la confessione (sacramento di cui il sottosegretario paventava fosse offesa la riservatezza) diventò un semplice colloquio. PIFFERAIO MAGICO (1845)
The Pied Piper o/ Hamelin. A Child}s Story è il poemetto di Robert Browning (1812-1889) che diede fama imperitura alla figura del suo protago151
nista. Suonando il suo strumento, un misterioso Pifferaio libera la città di Hamelin dai topi e in un secondo momento, per non aver ricevuto il compenso promesso, ne rapisce tutti i bambini. PINELLI, TULLIO (1908)
Quando nel dopoguerra formò con F. una delle più fortunate coppie di sceneggiatori del cinema italiano, l'ex-magistrato piemontese Pinelli era già un noto commediografo. La sua collaborazione con il riminese si estende, con qualche interruzione, per quasi mezzo secolo e ha certo un'importanza fondamentale non sempre riconosciuta dalla critica rispetto ad apporti di altri collaboratori. Sarebbe auspicabile un confronto fra l'opera drammaturgica di Pinelli, oggi un po' dimenticata nella generale disattenzione del nostro teatro per il repertorio nazionale, e i film di F. per scoprirvi analogie e convergenze tematiche e di gusto. Da ricordare che negli anni in cui non lavorò con Federico, Pinelli mantenne il suo ruolo di "spalla" scrivente di Giulietta. PIOVANI, NICOLA (1946)
Uscendo da importanti esperienze di colonne sonore per vari registi tra i quali i fratelli Paolo e Vittorio Taviani, il romano Piovani diventa dall"85 il musicista fisso di F. assumendo con umiltà e discrezione il ruolo dello scomparso Nino Rota. È autore delle musiche del balletto Fellini. PISU, MARIO (1910- 1976)
Eccellente attore di teatro (apprezzatissimo il suo Professore nello Zio Vanja di Visconti) e amico di 152
F. che lo utilizzò in maniera significativa: in 8 112 affidandogli la figura di Mezzabotta che in maniera caricaturale ricorda un po' Carlo Ponti, in Giulietta degli Spiriti facendone addirittura un alter ego di se stesso nel personaggio di Giorgio, il marito della protagonista. PRÉVERT,JACQUES (1900-1977)
La collaborazione come sceneggiatore del poeta di Paroles con il regista Marcel Carné (otto film tra il '36 e il '47) viene frequentemente paragonata a quelle fra Zavattini e De Sica o fra Fellini e Flaiano. RIZZOLI, ANGELO (1889-1970)
Fu il produttore preferito di F. (La dolce vita, 8 112 e Giulietta degli Spiriti), che chiamava "caro artista". Un'intervista con F. su Rizzali si trova nel volume volume Su La Dolce Vita con Federico Fellini. ROL, GUSTAVO ADOLFO (1903-1994)
Torinese, esperto restauratore di pittura antica, studioso di scienze occulte, mago e sapiente, molto stimato e forse un po' temuto da F. sulla cui vita e carriera influì con consigli e profezie. Dopo la morte di F. il Mago scrisse una lettera aperta alla Masina su "La Stampa" (24 novembre '93) intitolata "Cara Giulietta salva Mastorna" invitandola a propiziare la realizzazione di un'opera considerata "un dono immenso per gli uomini". Ciò smentisce la chiacchiera, più volte rimbalzata sui giornali, che fosse stato Rol a sconsigliare F. di procedere nella preparazione del film.
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RONDOLINO, GIANNI
Professore universitario, autore fra l'altro di una Storia del cinema (Utet, 1996) in quattro volumi, oltre che di informate biografie di Visconti e Rossellini. ROSI, FRANCESCO ( 1924)
Pur rappresentando un tipo di cinema lontanissimo dalla poetica felliniana, il regista di Salvatore Giuliano fu uno dei colleghi che F. tenne sempre nella massima considerazione: tanto da includere Uomini contro (1970) nella lista dei suoi film preferiti. ROSSELLINI, ROBERTO ( 1906-1977)
Incontratisi lavorando tutti e due all'ACI di Vittorio Mussolini, i due divennero inseparabili da Roma città aperta a Europa '51. Stimando moltissimo F. come sceneggiatore, Roberto si mostrò sempre perplesso sulle sue capacità di regista e fu addirittura violentemente contrario a La dolce vita ("Mi guardò come Socrate avrebbe guardato Critone se il discepolo fosse improvvisamente impazzito"). Ovviamente i rapporti personali ne risentirono, ma non più di tanto. ROTA, NINO (1911-1979)
Spalla musicale di tutti i film di F., i suoi temi (la tromba di La strada, la marcetta di 8 112) sonorapidamente diventati il contrassegno sonoro della poetica del regista. Oltre che ispirato collaboratore si rivelò in ogni occasione uno dei più saldi e discreti amici di Federico e la sua scomparsa rappresentò per il cineasta una perdita dolorosissima e incolmabile. 154
RUGANTINO
F. rifiutava ogni derivazione tra lo spogliarello di Nadia Gray in La dolce vita e quello cosiddetto del "Rugantino", dal nome del locale notturno dove il 5 dicembre '58 ci fu uno scandalo di cui si occuparono i giornali. Organizzando la festa per duecento invitati in occasione dei 24 anni della contessa Olghina di Robilant, la cantante Laura Betti aveva invitato a esibirsi la ballerina turca Haish (o Aiché) Nanà. Nota come un'ex-reginetta dello strip-tease parigino, la ragazza si esibì in uno spogliarello durato 35 minuti e finito con addosso soltanto uno slip trasparente. L'evento, prontamente segnalato, provocò l'intervento delle forze dell'ordine. SALERNO, ENRICO MARIA (1926-1994)
Dopo aver doppiato Antonio Cifariello in Agenzia matrimoniale e Richard Basehart in Il bidone, l'attore sembra destinato a restare nell'orbita felliniana: ma avendolo provinato per la parte di Steiner in La dolce vita, su consiglio di Pasolini il regista sceglie Cuny; e più tardi lo considera, ma solo per poco, un papabile Mastorna. SARTRE,JEAN-PAUL (1905-1980)
Il dramma di Sartre che cadde sotto i fulmini del sottosegretario Scalfaro è Morti senza tomba (Morts sans sépulture, 1946), su un gruppo di partigiani torturati dalla Gestapo. Andò in scena, superate le difficoltà censorie, al Teatro di Genova nel '54 con la regìa di Edmo Fenoglio.
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SCALFAR!, EUGENIO (1924)
Il fondatore di "la Repubblica" intervistò personalmente F. mentre stava preparando I.a città delle donne. Uscito sul quotidiano il 17 luglio '79, il colloquio fu ristampato dopo la scomparsa del regista su "Il Venerdì" del 12 novembre '93. SCALFARO, OSCAR LUIGI (1918)
Presidente della Repubblica dal 1992. Oscuro deputato novarese, assurse a repentina e discutibile notorietà per lo scontro verbale (non ci furono gli schiaffi di cui si favoleggiò) che lo aveva contrapposto nella trattoria "Chiarina" di via della Vite a Roma, il 20 luglio '50 (altre fonti danno il 21) a una bella e prosperosa trentenne di nome Edith Mingoni Toussan giudicata troppo scollata dal giovane e austero deputato democristiano che l' apostrofò con parole dure spalleggiato dal collega Umberto Sampietro. Alla lite, con intervento della polizia e susseguente querela sporta dalla signora, seguì un dibattito parlamentare definito dai giornali "la battaglia del prendisole", di cui si possono gustare i risvolti folkloristici nel libretto Totò) Scalfaro e la ... "malafemmina)' di Angelo Olivieri (Daga, 1992). F. rievocò l'incidente di via della Vite in forma di comica del muto fra le bravate moralistiche del protagonista di Le tentazioni del dottor Antonio. Quanto all'attribuzione a Scalfato degli attacchi di "L'Osservatore Romano" contro La dolce vita, solo recentemente ho potuto prendere visione di una testimonianza dello stesso F. nel volume La baracca di Fellini (e strane visioni in Valtellina) (Franco Angeli, 1995). Nel libro l'ex critico dell'"Avanti!" ed ex-sindaco di Milano 156
Paolo Pilliteri, riapprodato dalle tempeste politiche e giudiziarie ai più tranquilli lidi degli studi cinematografici, riporta un'interessante intervista con il maestro registrata fra l' '85 e l' '87, in cui F. dichiara: "La permalosa e proterva censura di allora dedicò ben due articoli dell"Osservatore Romano' (in realtà furono almeno 12, Ndr) - opera di questo Scalfato, sai, il Ministro dell'Interno pieno di sdegno per l'offesa alla Città santa. Toni da crociata, da comitati civici, intimidatori e minacciosi, proprio nello stile degli schiaffeggiatori di signora in décolleté, del censore ... ". SCEICCO BIANCO (LO) (1952)
Scartato dalla selezione per il festival di Cannes a vantaggio di Guardie e ladri di Steno e Monicelli, il film ritardò l'uscita ripromettendosi un lancio dalla Mostra di Venezia. Ma al Lido, nonostante la benevola accoglienza del pubblico, ebbe avversa la stampa e andò incontro a un insuccesso commerciale. Il fiasco fu imputato principalmente ad Alberto Sordi, di cui non era andato bene neppure il precedente Mamma mia, che impressione! (1951) firmato Roberto Savarese ma in realtà prodotto e diretto da Vittorio De Sica. SENZA PIETÀ ( 1948) di Alberto Lattuada
Fu molto avventurosa la lavorazione di questo film, al quale F. partecipò come aiuto regista oltre che in qualità di soggettista e sceneggiatore in collaborazione. Nacque nel corso della preparazione a Livorno e a Tombolo, nell'estate '47, il legame di Fellini con l'organizzatore Fracassi che diventò un'alleanza risolutiva al momento di La dolce vita. 157
SIMENON, GEORGES (1903-1989)
Nata da un'antica ammirazione di F. per l'autore di Maigret, l'amicizia fra i due artisti si consolidò quando in qualità di presidente un po' prevaricatore della giuria di Cannes (non tutti erano d' accordo, nonostante la sbandierata unanimità) fece assegnare nel '60 la Palma d'oro a La dolce vita. 17 anni dopo, per il lancio di Casanova, F. accettò di andare a Lausanne per farsi intervistare da Simenon, che su "L'Express" lo proclamò "un poeta maledetto come Villon o Baudelaire o van Gogh o Egar Poe". F. fu molto intrigato dalla crisi senile di "Sim", che negli ultimi anni della sua vita non potendo più scrivere dettò numerosi libri di ricordi e riflessioni al magnetofono; e negli ambienti editoriali si mormorò che il regista avesse avuto una parte, come consigliere sui due fronti, nel clamoroso passaggio dei diritti di Simenon da Mondadori ad Adelphi. SIRI, GIUSEPPE
Su suggerimento del padre gesuita Angelo Arpa, amico di F., il cardinale di Genova accettò di visionare in privato Le notti di Cabiria e difese il film contro la censura. Non altrettanto si sentì di fare per La dolce vita. SOLDATI, MARIO (1906)
Nel suo romanzo L'architetto (1985) si trova una frase che si attaglia perfettamente al caso Fellini: "È difficile arrivare alla verità. Quando uno si decide a essere sincero, la sincerità pare sempre semplice, facile, ma la sincerità non basta mai. La sincerità è sempre, in qualche modo, anche falsa. C'è altrettanta verità, forse, e qualche volta perfi158
no una maggiore verità, nelle nostre bugie". È curioso che molti anni prima di attingere a questa suprema saggezza, quando gli chiesi il motivo della sua proclamata (e ben presto cordialmente contraddetta, alla Soldati) scarsa simpatia per F. lo scrittore-regista mi rispose semplicemente: "Troppo bugiardo". SORMANI, GIUSEPPE (1903-1994)
Editore novarese, ideatore dell'enciclopedia "Il Milione", fu attore cinematografico occasionale interpretando la parte del rappresentante liberale nel Comitato di Liberazione Nazionale nel film Il terrorista (1963) di Gianfranco De Bosio. Gran collezionista di libri e giornali, ha lasciato 30.000 volumi alla Biblioteca Civica di Novara e un imponente archivio di ritagli stampa alla Biblioteca di Monza. SOSTIENE PEREIRA (1995)
di Roberto Faenza
Dal romanzo di Antonio Tabucchi, la storia di un apatico giornalista portoghese, impersonato da un eccellente Mastroianni, che ritrova il senso della vita passando all'opposizione dopo una tragica esperienza. SPIGA, VITTORIO
Critico cinematografico de "Il Resto del Carlino", è il presidente dell'Associazione Federico Fellini di Rimini. STAMP, TERENCE (1939)
Attore di singolare temperamento (nella sua biografia figura un intervallo di cinque anni di esilio 159
volontario in India dopo una delusione d'amore) si è ricordato della collaborazione cordialmente tempestosa con F. per Toby Dammitt e ha trattato con l'avvocato Carlo Patrizi, rappresentante degli eredi Fellini, i diritti del soggetto di Mastorna. Prevista la regìa di Stephan Elliott, che ha diretto Stamp in Australia nel fortunato Priscilla) la regina del deserto (The Adventures of Priscilla) Queen of the Desert, 1994). STENO (VANZINA, STEFANO) (1917-1988)
Più tardi prolifico sceneggiatore (150 copioni) e regista (75 titoli), come redattore capo del "Marc'Aurelio" accolse F. nel gennaio '39. Daricordare il suo "diario futile" Sotto le stelle del '44 (Sellerio, 1993) dove cita F. con simpatia. STRADA (LA) (1954)
L'accento spiritualista del film, ma più ancora la contrapposizione artificiosa con Senso alla Mostra veneziana del '54, provocò nei confronti di La strada un vero e proprio odio dell'intellettualità di sinistra, che continuò ad avversare e perseguitare F. fino a La dolce vita. STREHLER, GIORGIO (1921)
Divenuto grande amico di F. negli anni '60 tramite l'allora sua compagna Valentina Cortese, il maestro del Piccolo Teatro di Milano fu molto vicino alla nascita del copione di Il viaggio di G. Mastorna. Anche per questo a un certo punto si è offerto di realizzare il film ("sarebbe per me il primo e l'unico") come omaggio a Federico.
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STUBBS, JOHN C.
Urge un aggiornamento della sua bibliografia felliniana con tutta la valanga di pubblicazioni d' ogni tipo e misura che si sono succedute anche dopo la scomparsa del regista, a volte producendo testimonianze in prima persona non autorizzate e ormai incontrollabili. TOBY DAMMIT (1968)
È l'episodio felliniano di Tre passi nel delirio (3 7 minuti), tratto dal racconto di Edgar Allan Poe Never Bet the Devi! Your Head (Non scommettete la testa col diavolo). La progettata partecipazione di Peter O'Toole finì con una litigata telefonica lasciando il posto a Terence Stamp. TOGNAZZI, UGO (1922-1990)
Subìto controvoglia sulle pressioni di De Laurentiis come protagonista di Il viaggio di G. Mastorna, nonostante il fanciullesco entusiasmo mostrato dall'attore, F. lo deluse lasciando cadere il film. In qualche modo Ugo si vendicò partecipando con scarsi esiti al Satyricon concorrenziale di Polidoro. Resta il rimpianto che l'attore e il regista, apparentemente fatti per intendersi, non abbiano trovato una vera occasione di collaborare. TOKYO
Nell'ottobre 1990 F. accettò di fare in compagnia di Giulietta un viaggio ufficiale in Giappone per ricevere il Praemium Imperia!. Rimase entusiasta del paese e dell'accoglienza che gli riservarono i due Imperatori: quello vero, cioè Akihito che lo accolse con la consorte Michiko nel palazzo resi161
denziale di Akasaka Gosho; e Akira Kurosawa, soprannominato l'Imperatore del cinema, che invitò il collega italiano al ristorante tradizionale Ten Masa. TORNABUONI, GIULIA detta LIETTA
La giornalista diventò felliniana nel '64 a Fregene, dove si era recata per intervistare Giulietta Masina sul set di Giulietta degli Spiriti: divertita e ammaliata dal modo di dirigere del regista (le scene con le cameriere, una scena con Villalonga), al posto delle poche ore previste Lietta si trattenne quattro giorni. Fedelissima del maestro, la Tornabuoni gli ha dedicato una montagna di articoli e alcuni libri: Un regista a Cinecittà (Mondadori, 1988), il libro su La voce della luna, il catalogo della mostra Federico Fellini (Rizzali, 1995). Ha anche curato la pubblicazione di alcune pagine del Libro dei sogni sul mensile "Dolce vita" (1987, n. 3; 1988,n.12). TRE PASSI NEL DELIRIO (Histoires Extraordinaires, 1968)
Passato fuori concorso a Cannes il 17 maggio, ultimo giorno del festival interrotto dalla contestazione, il film accosta a Toby Dammit due altri episodi tratti da racconti di Poe: Metzengerstein di Roger Vadim, con Jane Fonda, e William Wilson di Louis Malle, con Brigitte Bardot. TRIESTE, LEOPOLDO (1917)
F. cambiò la sua vita trasfarmandolo da giovane drammaturgo di sicuro avvenire in attore facen dolo interpretare lo sposino Ivan Cavalli di Lo 162
sceicco bianco, ma il suo dramma Cronaca è stato ripreso nel '95 a Berlino; e nel '96 Trieste ha avuto grandi riconoscimenti (Nastro d'argento, David di Donatello) per una stralunata partecipazione a I:uomo dei sogni che avrebbe molto divertito F. Di cui Trieste (che per altri impegni lasciò a François Périer il ruolo del ragioniere Oscar in Le notti di Cabiria) fu per oltre quarant'anni un referente principalissimo. Un'intervista di F. su Trieste si trova nel volume Un intruso a Cinecittà. Verso Leopoldo l'autore di questo libretto ha il non piccolo debito di essere stato introdotto nella cerchia felliniana nei giorni della presentazione a Venezia di Lo sceicco bianco (settembre '52). Di recente, stimolato dal successo berlinese, Trieste è tornato a scrivere licenziando un copione intitolato Un blocco di ghisa. ULTIMI TUAREG, GLI (1943?)
Film incompiuto affidato all'ex attore e poi montatore Gino Talamo annunciato in un primo tempo con la regìa di Rossellini come I predoni del deserto o I predoni del Sahara, prodotto dall'Alleanza Cinematografica Italiana di Vittorio Mussolini e occasione di un fortunoso viaggio aereo di F. in Libia in piena guerra. UOMO CHE UCCISE LIBERTY VALANCE (L') (The Man
Who Shot Liberty Valance, 1962) diJohn Ford Ironica parabola in chiave western sulla realtà dei fatti e sul modo in cui li tramanda la storia: l'istitualizzazione della bugia, un tema felliniano. Uno dei film più citati di Ford anche se non è tra i suoi capolavori. 163
VENETO, VIA
È il nome originario della strada nel quartiere pinciano che pur divenuta via Vittorio Veneto dopo la vittoria italiana nella guerra '15-'18 i romani continuarono a chiamare semplicemente via Veneto. Negli anni Trenta e oltre, la via fu caratterizzata dalla frequentazione di personaggi anche illustri della letteratura e del cinema. Non a caso il produttore Peppino Amato, che all'Hotel Excelsior ebbe a lungo casa e bottega, insisté a lungo e inutilmente perché La dolce vita si intitolasse al nome della strada dalla quale aveva preso l'ispirazione. Dopo l'enorme successo del film la strada cambiò subito in peggio nello sforzo di trasformarsi in uno specchietto per allodole rivolto ai turisti; e traen done un vago senso di colpa per il conseguente degrado, F. fu comunque tra i primi a deplorare il fenomeno nel noto articolo pubblicato su "L'Europeo" numero 27 del 1962 e poi in tutto il mondo: in realtà opera, su ispirazione felliniana, di un "ghost writer" che ha sempre mantenuto e continuerà a mantenere l'incognito. Oggi via Veneto non è più il crogiolo della mondanità intellettuale che fu a suo tempo, documentato anche dal fortunato libro di Eugenio Scalfari La sera anda,vamo in via Veneto. Alcuni storici caffè (Rosati, Strega) sono scomparsi; e sono sparite l'una dopo l'altra le librerie Rizzoli, Rossetti e Mondadori per Voi. In cambio ne è nata una nuova, denominata con pertinente ispirazione felliniana "La strada"; e il comune di Roma ha apposto una targa per ricordare il Maestro sul marciapiedi del Café de Paris, proprio il tratto che fu ricostruito nel gigantesco Teatro 5 di Cinecittà (giugno '59). 164
VENEZIA (MOSTRA DI)
N emo propheta in patria. Mentre a Cannes ha avuto la Palma d'oro, alla Mostra di Venezia dove in quasi quarant'anni ha presentato otto lungometraggi e tre spot, F. ha ricevuto solo un tardivo Leone d'oro alla carriera nell' '85 Poco felice, quasi traumatico, fu l'esordio al Lido nel '52 con Lo sceicco bianco, quando qualcuno giudicò quella dell'esordiente Fellini "una prova senza appello": uno dei premi internazionali della giuria presieduta da Mario Gromo andò comunque a Europa 51 di Rossellini, sceneggiato da Fellini come Il brigante di Tacca del Lupo di Germi pure presente alla rassegna (lo schieramento di titoli fa capire il peso che aveva ormai la firma di F. nel cinema italiano). Nel '53 la giuria di Eugenio Montale non assegnò il Leone d'oro, ma a I vitelloni andò uno dei sei Leoni d'argento. Nel '54 La strada si scontrò al Palazzo del cinema con Senso di Luchino Visconti (numero di centro il cazzottaggio fra il viscontiano Zeffirelli e l'aiuto felliniano Moraldo Rossi) creando la rabbiosa faida fra "sensisti" e "stradaioli" destinata a durare quasi un decennio: tra i due litiganti trionfò (per una sola estate) l'innocuo Giulietta e Romeo di Renato Castellani, Leone d'oro, mentre a La strada andò uno dei quattro Leoni d'argento e la Coppa Volpi per la migliore attrice non venne assegnata (aver ignorato Gelsomina, da quel momento e per sempre famosa in tutto il mondo, costituisce un titolo inglorioso per la giuria presieduta da Ignazio Silone). Nel '55 fiasco solenne di Il bidone, che dall'esito di Venezia (dove fu fischiato, stroncato e ignorato dalla giuria presieduta da Gromo) subì un grave danno commercia165
le. F. ci restò così male da tenersi lontano da Venezia per i successivi tre lustri: fra l'altro negando nel '65 all'ultimo momento la proiezione fuori concorso di Giulietta degli Spiriti, il che suscitò le ire del polemico direttore Luigi Chiarini. Solo nel '69 la Mostra può nuovamente tenere a battesimo un film del maestro, Fellini Satyricon: non ci sono né concorso né premi, come del resto nel '70 per I clowns. L'ultimo film felliniano che va a Venezia, fuori concorso, è E la nave va nell"83. L'8 settembre '92 la proiezione degli spot con Paolo Villaggio per la Banca di Roma, tre fantasie ispirate a pagine del famoso Libro dei sogni, non suscita il minimo interesse e si svolge a sala pressoché vuota. VERDONE, MARIO
Professore emerito di Storia e critica del film all'università romana della Sapienza, studioso del Futurismo, è autore di un sintetico e attendibile Federico Fellini pubblicato da Il Castoro (1994). VERSO SERA (1990) di Francesca Archibugi
Una delle più intense interpretazioni del Mastroianni postfelliniano nella parte del professor Bruschi, che nella cornice "movimentista" del '77 si contende con la nuora Stella (Sandrine Bonnaire) l'educazione della nipotina Papere. (poi TULUM) Dal 18 al 23 maggio 1986 F. pubblicò in sei puntate consecutive sul "Corriere della Sera" il trattamento di questo film non realizzato, e basato sul viaggio fatto nell' '84 in Messico su suggerimento e fino a un certo momento sotto la scorta dell'e-
VIAGGIO A TULUN
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nigmatico antropologo peruviano Carlos Castaneda. L'insolita decisione di rendere pubblico un soggetto prima di trasferirlo sullo schermo fu forse suggerita al regista dalla preoccupazione per l'annunciata apparizione in libreria del romanzo Yucatan (Bompiani, 1986), dove lo scrittore Andrea De Carlo (1952) avendo partecipato al viaggio rievoca in pratica la stessa avventura travestendo F. sotto le spoglie di un isterico cineasta jugoslavo. De Carlo ha raccontato la vicenda, dal suo punto di vista, nella prefazione della ristampa di Yucatan presso Einaudi (1996), riprodotta sul "Corriere della Sera" (7 giugno '96). VIAGGIO D'AMORE
Intitolato anche Viaggio con Anita, fu il soggetto scritto con Pinelli e ispirato a un episodio doloroso, il viaggio a Rimini nel '56 per la morte del padre. Pur con l'interessamento di Gregory Peck per il ruolo del protagonista, il film non si poté realizzare per l'indisponibilità di Sophia Loren. Mario Monicelli ne girò nel '79 una versione tanto infedele quanto sfortunata, Viaggio con Anita (negli USA Lovers and Liars) con Giancarlo Giannini e Goldie Hawn. VIAGGIO DI G. MASTORNA (IL)
La sceneggiatura è stata pubblicata da Bompiani ( 1995), mentre la cronistoria della mancata relizzazione del film si può ripercorrere nel'informatissimo libro di Dario Zanelli (introduzione di Enzo Biagi) L inferno immaginario di Federico Fellini - Cose dette da FF a proposito di "Il vaggio di G. Mastorna" (Guaraldi, 1995). Smentito che il 167
cognome Mastorna sia una contrazione di "Mastroianni ritorna" (in un primo tempo F. pensò ad altri interpreti), anche la G. del titolo sembra in bilico (secondo le diverse versioni della sceneggiatura) fra Giuseppe e Guido. VILLAGGIO, PAOLO (1932)
Dopo aver interpretato il Prefetto Gonnella in La voce della luna, divenne il candidato numero uno per incarnare l'inafferrabile Mastorna, come dimostrano le strisce disegnate da Milo Manara; e che furono precedute da sedute molto impegnative di trucco, costume e fotografia. Purtroppo il destino fermò la collaborazione fra Paolo e Federico agli spot sui sogni girati nel 1993 (operatore Giuseppe Rotunno) per la Banca di Roma. VILLALONGA, JOSÈ LUIS DE
Dopo aver incontrato F. a Roma nel '63 per un'intervista, l'anno successivo "Luigino" fu chiamato dal maestro per impersonare il grande seduttore di Giulietta degli Spiriti. È stato fra i primissimi a pubblicare un libro di ricordi dopo la morte di F. (Fellini, Ramsay Cinema, Michel Lafon Editions), dove tra "vittelloni" e "Aldo Palacceschi", "Bolonia" e "Ricardo", Ettore "Mutti" e "Persianne chiuse" di "Commencini", "Provo" d'orchestra e P. "Villagio" non c'è quasi un nome o un titolo italiano scritti correttamente. VITELLONI (I) (1953)
Flaiano rivendicò l'invenzione del termine, secondo lui marchigiano e non romagnolo, in una lettera del '71 come corruzione di "vudellone", grosso 168
budello, figlio di famiglia che rifiutando di assumersi responsabilità adulte continua a mangiare a ufo. Sul tema si sono susseguite nel tempo altre proposte di interpretazioni, tra le quali quella che fa risalire la parola a una "nobilissima casa dei Vitelloni tanto di Bagnacavallo che di Ravenna", famiglia di proprietari terrieri. Scrive la lettrice Alya Callea di Roma in "la Repubblica" del 21 maggio '87: "La gente del contado nell'area BagnacavalloRavenna usando il termine vitelloni con quel significato si prendeva una maliziosa rivincita sui padroni che considerava sfaccendati". VITTORINI, ELIO (1908-1966)
Nel '57 raccolse nel volume Diario in pubblico (Bompiani) molti suoi scritti con postille e pensieri. Com'è raccontato nel volume Su La Dolce Vita con Federico Fellini (Marsilio) il regista andò a trovare Vittorini nella sua casa di Porta Ticinese a milano il 22 febbraio 1959 per offrirgli la parte di Steiner, l'intellettuale suicida; ma lo scrittore, già apparso sullo schermo nella parte del Principe di Verona in Giulietta e Romeo (1954) di Castellani, non se la sentì di accettare. VOCE DELLA LUNA (LA) (1990)
"Sono dawero grato a Benigni e a Villaggio della totale spontaneità, della fiducia con la quale hanno aderito all'intuizione di un itinerario che partiva dal buio e si inoltrava nel buio ... Ho fatto un bel viaggio, sottobraccio ad Arlecchino e Brighella, o forse meglio a Lucignolo e a Pinocchio". WATERLOO (1970)
Imponente ricostruzione della sconfitta di Napo169
leone (un Rod Steiger di cui fu detto "si conquista sul campo il titolo di imperatore delle smorfie") affidata da De Laurentiis al sovietico Sergei Bondarciuk con il concorso dell'Armata Rossa. Spiacque al mago torinese Rol, che avrebbe ambito a partecipare all'impresa come imbattibile esperto della storica battaglia, che l'amico F. avesse rifiutato ridendo la regìa del film offertagli da Dino. ZANELLI, DARIO (1922)
Conobbe F. alla presentazione bolognese di La strada, quand'era vice di "Il Resto del Carlino" di cui poi divenne critico cinematografico titolare e fra i più attenti al lavoro del regista. Oltre al libretto su Il viaggio di G. Mastorna ha pubblicato il volume della collana "Dal soggetto al film" dell'editore Cappelli dedicato a Fellini Satyricon (1969) e un libro di interviste che abbracciano l'arco di un trentennio: Nel mondo di Federico) ovvero Fellini di fronte al suo cinema (e a quello degli altrz) (ERI, 1987). ZAPPONI, BERNARDINO (1927) Nel luglio '67 ("alle otto e mezzo!") F. telefonò a
Zapponi, che non conosceva, per dirgli che gli era piaciuto molto il suo libro di racconti Gobal. Sperava anche di convincere il gruppo produttivo franco-italiano che preparava un film di vari registi da Poe di accettare come suo contributo un adattamento del racconto zapponiano C'è una voce nella mia vita. Andò a finire che Bernardino e Federico sceneggiarono insieme Toby Dammit, al quale fecero seguito (dal 19967 al 1980) Block notes di un regista, Fellini Satyricon, I clowns, Roma, Casanova e La città delle donne. 170
ZAVATIINI, CESARE (1902-1989)
F. ci teneva a ricordare di essere nato come scrittore di cinema facendo le sue esperienze come "negretto" nella cerchia di Za. Del resto anche quando cominciò a collaborare ai giornali come umorista, alla pari di molti giovani della sua generazione, Federico rivela l'influenza di libri quali Parliamo tanto di me. Scarsi, seppure sempre improntati a cordialità, furono in seguito i rapporti fra i due, anche quando F. si trovò coinvolto in iniziative zavattiniane come Amore in città o Boccaccio )70. Nel suo Diario cinematografico (Mursia, 1991) Za ricorda una raccomandazione felliniana del '55 o '56: "Non devi aver paura della macchina da presa, non esiste". Commenta il diarista: "Infatti lui si muove tra le cose come l'aria". ZAVOLI, SERGIO (1923)
Ravennate di nascita e nm1nese di adozione, giornalista principe amico di F. da sempre: non tanto nell'adolescenza, per i tre anni che li dividevano e che nell'età giovanile sono molti, ma subito dopo a Roma. Oratore ufficiale alle esequie di F. a Rimini (" con gli occhi non sbagliavi mai") dedicò al regista lo special televisivo In morte di Federico Fellini. Di Zavoli è la proposta, lanciata in occasione del primo incontro pubblico dell'Associazione Federico Fellini (Rimini, 8 giugno 1996), di trasferire sul porto il monumento La grande prua di Arnaldo Pomodoro: un grande bronzo di quattro metri per quattro inaugurato nel cimitero, come omaggio a F. e a Giulietta, l' 11 febbraio 1995. 171
ZWEITE HEIMAT (DIE) (Heimat 2, 1992) di Edgar Reitz (1932) Il numero 2 nel titolo riallaccia questa lunga serie cinetelevisiva (25 ore e 32 minuti) al precedente Heimat (1984, 15 ore e 24 minuti) dello stesso autore, ma sta anche a significare come Monaco diventò la "seconda patria" di tanti giovani degli anni '60 affluiti dalla provincia tedesca. Nello stesso senso in cui Roma diventò immediatamente la seconda patria di F. arrivato da Rimini.
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Nota
Sul "Corriere della Sera" sono apparsi gli articoli del '93 in data 1 novembre (che hanno ottenuto a Ravenna nel '94 un Premio Guidarello per il giornalismo d'autore); quelli del '94 in data 24 marzo, 18 maggio, 23 luglio, 24 settembre, 28 settembre, 30 ottobre, 3 novembre; quelli del '95 in data 21 gennaio, 22 gennaio, 26 marzo, 21 giugno, 11 novembre, 30 novembre, 13 dicembre; quello del '96 in data 11 gennaio. Su "Sette" sono apparsi l'articolo del '93 in data 2 dicembre; quelli del '94 in data 30 gennaio, 24 marzo, 13 ottobre, 27 ottobre; quello del '95 in data 14 dicembre; quelli del '96 in data 6 e 20 giugno. Viva Fellini è apparso sul catalogo di EuropaCinema (5 novembre '93 ); Un manoscritto nella bottiglia è apparso come prefazione al soggetto Giulietta di Federico Fellini (Il Melangolo, marzo '94); Un tuono nella notte è apparso come prefazione a Il viaggio di G. Mastorna (Bompiani, gennaio '95); Un fantasma a Piazza di Siena è apparso sul programma del Teatro dell'Opera di Roma relativo al balletto Fellini, 20 agosto 1995.
Finito di stampare nel mese di ottobre 1996 presso Legoprint s.r.l. - Lavis (TN)
La morte è un mostro che ci scaccia dal teatro prima della fine della commedia: lo scrisse un felliniano ante litteram) Giacomo Casanova. Ma il travolgente caleidoscopio di immagini e di emozioni messo in moto dal genio del Riminese non si è affatto inceppato dopo il 31 ottobre 1993, come documenta questo "diario in pubblico" del suo biografo più accreditato. Sommando memorie, riflessioni e polemiche anche feroci con i felliniani dell'ultima ora e con gli stroncatori pentiti (gli stessi, per intenderci, che non compreranno mai questo libro), Fellini del giorno dopo si offre come il "prossimamente" di un grande futuro. Un ricchissimo alfabetiere felliniano offre infine al lettore una quantità di notizie, curiosità e inediti retroscena.
TULLIO KEZICH
Tullio Kezich, critico cinematografico del "Corriere della Sera", ha avuto il privilegio di poter seguire da vicino l'intero arco dell'avventura artistica ed esistenziale di Fellini da "Lo sceicco bianco" a "La voce della luna". Sull'argomento ha pubblicato, oltre alla fondamentale biografia Fellini (1987, Premio Volterra), il diario Su La Dolce Vita con Federico Fellini (1960, riproposto nel 1996), /;intervista lunga (la più estesa concessa dal regista fino a quel momento) nel volume su Giulietta degli spiriti (1965) e la monografia dialogata (con interventi dello stesso Fellini) Giulietta Masina (1991).
in copertina: Federico Fellini al Grand Hotel di Rimini, 25 settembre 1983 Foto di Stefano Ferroni ISBN 88-8049-119-9
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9 788880 491194