Fellini '70 8869347281, 9788869347283


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Fellini '70
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Premessa

Fellini’s Dante

Questo saggio incentrato su un decennio “complicato” per Federico

Fellini (e quello successivo lo sarà ancora di più) ha un ulteriore motivo di interesse perché appare nell’anno dei festeggiamenti dai 700 anni dalla morte di Dante.

Non è un mistero che il Sommo Poeta e Federico avessero strette

frequentazioni: La dolce vita (i960) è, in fondo, concepita come il percorso di un unico personaggio nel cuore di Roma attraverso una serie di eventi tra loro collegati. La struttura narrativa del film ricorda molto da vicino il cammino di Dante all’interno della Commedia. «In fin dei conti cosa sono i miei film, se non delle discese in Inferno con un barlume di Paradiso?»:

questa l’ironica risposta dello stesso Fellini ai molti che lo avrebbero voluto impegnato in una trasposizione dantesca. Ma la critica va oltre accostando alla Commedia anche 8 e mezzo (1963), opere accomunate dall’identico autobiografismo e dalla

rappresentazione di un mondo “reale" fortemente contaminato dal sogno e da innumerevoli simbologie. In realtà, il vero adattamento dalla Commedia doveva essere II viaggio di G. Mastoma, pensato già nel 1965 e definito da Fellini “il

mio fantasmone”. Qualcuno lo ha definito “il film mai realizzato più famoso della storia del cinema”. Il fantasma in controluce è proprio quello di Dante, prepotente l’elemento visionario.

Il progetto si trascina per decenni, si potrebbe scrivere un libro, entrando negli anni ’80. Fellini sta affrontando la crisi del cinema italiano, attribuendolo alla concorrenza della televisione

berlusconiana che diventa il suo obiettivo preferito. Dopo E la nave va (1982), che racconta il naufragio di un mondo artistico raffinato e decadente di fronte alla brutalità della politica,

con Ginger e Fred (1985) denuncia appunto la “berlusconizzazione” del Paese. Ormai Fellini trova solo ostacoli per realizzare i suoi film e Intervista (1987) si rivela l’ennesima testimonianza malinconica sulla distruzione del cinema da parte della televisione.

E così arriva il suo ultimo film, La voce della luna (1989), dove il peregrinare del personaggio un po’ folle di Roberto Benigni, il

“lunatico”, non è alieno dal ricordare la Commedia. Nei cinque anni di inattività prima della morte, con in mezzo un Oscar alla carriera, ritorna il mai sopito progetto Inferno di Dante. Ne sono a conoscenza, probabilmente, solo gli addetti ai lavori.

Si doveva trattare di un film a episodi da girare in Alta Definizione, e Fellini non era uno sprovveduto: contattò la Sony per farsi aiutare. Prodotto da Alfredo Bini, il film prevedeva un cast registico formidabile oltre a Federico: Nagisa Oshima, Peter Brook, J. J.

Annaud, Wim Wenders e Francis Ford Coppola. Le note di presentazione del film recitano “un viaggio nella psiche umana da realizzare con un set-up di nuove tecniche

cinematografiche ed effetti speciali. [La] possibilità di usare il mix

degli attori, l’animazione computerizzata, ottica e chimica, e tutti gli effetti elettronici insieme, con fusioni naturalmente straordinarie e

immagini innaturali di meravigliose creature meccaniche. Una fantastica versione cinematografica deH’In/erno di Dante e possiamo essere sicuri di un risultato sensazionale che sarà assicurato dalla

diversa sensibilità dei famosi registi che abbiamo contattati scegliendo le parti a loro più congeniali”.

Ovviamente, non se fece niente. Ma chissà cosa sarebbe stato!

Massimo Moscati

Introduzione

Tra luci e ombre: il cinema italiano

negli anni ‘70 Dopo il “Sessantotto” le ideologie tradizionali che fino ad allora avevano costruito, in ambito culturale, la maggior parte dei meccanismi comunicativi cominciano a mostrare i primi segni di

affaticamento. Chi si era battuto per il cambiamento a tutti i costi della società e delle sue obsolete gerarchie sente l’esigenza di costruire un proprio spazio culturale, aperto e dinamico. In ambito politico e sociale, a partire dal 1970 assistiamo ad una proliferazione di conflittualità “positive” che daranno il via a una

stagione di cambiamenti in tutti i settori della società: il referendum sul divorzio, l’introduzione dello statuto dei lavoratori, i primi accenni di decentramento amministrativo sono solo alcuni degli argomenti sul tavolo. Siamo all’apice di un periodo di riformismo e impegno che ben presto, però, comincerà a perdere la propria spinta propulsiva. L’economia del Paese ha dovuto affrontare un autunno caldo fatto di lotte sindacali, mentre la crisi energetica comincia a fare sentire i primi effetti acutizzandosi nel biennio 1973/1975 con le restrizioni

dovute all’aumento improvviso del greggio. Il panorama politico,

naturalmente, non si sottrae a questi complessi stravolgimenti e a questo desiderio di modernizzazione. Il prodotto di questa nuova

stagione è il “compromesso storico” scaturito dalle riflessioni di Enrico Berlinguer e Aldo Moro.

Questa instabilità economica e politica viene percepita dalla società con distacco e diffidenza, provocando forti reazioni al cambiamento

mentre gli spazi culturali assumano un’identità e un ruolo sempre più riconoscibili. In questo panorama dall’incerto futuro irrompe con violenza l’inizio della crisi dell’industria cinematografica italiana. Il 16

aprile 1973 nasce su iniziativa del giovane imprenditore Silvio

Berlusconi Tele Milano, prima tv privata italiana a trasmettere sul territorio dopo Telecapodistria e Telemontecarlo. È l’inizio della fine. Il crescente influsso della televisione sulle abitudini “culturali” della popolazione inizierà, ben presto, a mostrare i primi disastrosi effetti.

Il drastico calo degli spettatori nelle sale cinematografiche non viene contrastato in alcun modo, evidenziando l’incapacità del nostro

cinema di interpretare il presente rinnovando il suo linguaggio e distaccandosi dagli anni ‘60 pur mantenendone lo slancio e la

capacità di interpretare la società in modo efficace e credibile. Inevitabilmente lo spettacolo cinematografico perde quella che era sempre stata la sua principale prerogativa, intrattenere le masse e

interpretare i cambiamenti. I cedimenti si fanno evidenti anche in rapporto ad un pubblico sempre più giovane e gli autori faticano a individuare chiavi di lettura differenti non riuscendo a raccontare le

nuove ansie e le nuove disillusioni di una generazione a loro

sconosciuta. È pur vero che fino alla metà del decennio assistiamo ad un sostanziale prolungamento del livello qualitativo degli anni '60.

Questa rinnovata vitalità è dovuta in larga parte agli effetti della Legge n. 1213 del 1965 che si era occupata di riordinare il settore. Nel titolo 1 disposizioni generali, presupposti e finalità della legge leggiamo:

Lo Stato considera il cinema mezzo di espressione artistica, di formazione culturale, di comunicazione sociale e ne riconosce

l’importanza economica ed industriale. Le attività di produzione, di distribuzione e di programmazione di film sono ritenute di rilevante interesse generale. Pertanto lo Stato:

a) favorisce il consolidarsi dell’industria cinematografica nazionale nei suoi diversi settori; b) promuove la struttura industriale a partecipazione statale, assicurando che sia di integrazione all’industria privata ed operi

secondo criteri di economicità; c) incoraggia ed aiuta le iniziative volte a valorizzare e diffondere il cinema nazionale con particolare riguardo ai film di notevole interesse artistico e culturale;

d) assicura, perfini culturali ed educativi, la conservazione del patrimonio filmico nazionale e la sua diffusione in Italia ed all’estero; e) cura la formazione di quadri professionali e promuove studi e ricerche nel settore cinematografico'".

La legge, con grande lungimiranza, consente di mettere mano e

riqualificare i meccanismi della produzione cinematografica, agendo in particolare sui prodotti di qualità grazie a incentivi (premi, crediti, interventi statali). Gli effetti benefici non tardano. In particolare, si

rileva nell’immediato una netta ripresa del prodotto italiano rispetto alle produzioni americane, mentre la politica di contenimento dei prezzi fa da repellente rispetto alle prime avvisaglie di crisi. Assistiamo quindi a un rilancio del prodotto italiano. A partire dal 1966, inoltre vengono firmati i primi accordi con la televisione per

limitare e regolamentare la concorrenza. All’inizio del decennio il dibattito sulla collocazione del cinema all’interno del quadro più complesso della cultura di massa diventa pressante e ricco di riflessioni interessanti. Nonostante il proliferare degli apparecchi televisivi il cinema resta ancora la forma di

intrattenimento privilegiata anche se il dibattito sulla cultura e la sua fruizione, all’intemo di una società in continua mutazione, diventa necessario e improcrastinabile. La cultura di massa per tutti gli anni ‘60 era vista come un «4 complesso integrato sia a livello di mezzi che di pubblico che di contenuti”(a). Il suo compito era quello di dare risposte all’intemo di

un sistema di valori politico-sociali condivisi. Persistono però, all’interno di un panorama culturale piuttosto statico, angoli di riflessione e di ricerca, capaci di declinare la tematica della contestazione in maniera tanto caotica quanto vitale. Questo tipo di meccanismo creativo era fondamentalmente generato e tenuto in vita

da una precisa identità indisciplinata e anarchica, ricca di contraddizioni positive. Le idee sono ancora alla base del processo

culturale e artistico anche se il Paese continua a preferire linguaggi più tradizionali e consolidati. L’Italia fra il 1967 e il 1971 è un immenso laboratorio di idee, di sperimentazioni, di ricerca di quell’idea di libertà e di indipendenza artistica dalle logiche del mercato manifestatasi nell’underground e in altre forme di produzione alternativa che nascono e muoiono nel

categorico rifiuto della cultura borghese, la quale se ne impadronirà

dimostrando innanzitutto che non vi è produzione senza mercato, che il processo di comunicazione di massa deve necessariamente passare

attraverso coloro che ne possiedono i mezzi.™

È un periodo, questo, in continua evoluzione, dove le utopie

velleitarie del sessantotto hanno lasciato il passo a forme più esasperate di protesta ma anche improvvisi desideri di fuga. L’individuo prende lentamente il posto del collettivo (intrappolato e compromesso dalle derive inaccettabili della violenza) orientandosi,

sempre più, a un neutrale rispetto dell’ideologia imperante,

indirizzata verso una regolarizzazione dello status delle persone attraverso la promozione dei simboli e dei beni di consumo e schiacciata all’interno di regole precise volte a privatizzare i problemi

e le conflittualità. Anche i modelli proposti, soprattutto in ambito familiare e affettivo ricercano una condivisione pressoché totale. Condivisione e identificazione diventano necessari per costruire un

modello di riferimento capace di prevedere e quindi proporre i valori dominanti. Tuttavia, in Italia il cinema, pur mostrando le prime avvisaglie di cedimento e stanchezza, riesce ancora a proporre un

modello alternativo, critico-interpretativo, rispetto al mezzo televisivo. La cultura cinematografica nazionale, a partire dal

dopoguerra (con il Neorealismo) e in seguito (con la Commedia all’italiana) ha saputo mediare con spirito critico il rapporto fra una sempre più arrembante cultura dei consumi e le esigenze, spesso problematiche e conflittuali, che ribollivano nel tumultuoso contesto sociale italiano. Per capire, nella sua complessità e interezza, il lento

progredire della crisi, bisogna analizzare il cambiamento delle modalità di fruizione della cultura di massa. Da un sistema aggregante come il cinema si passa progressivamente alla fruizione “familiare » della televisione. L’unicità dell’industria cinematografica italiana non sembra in grado di reggere all’irruzione violenta e totalizzante delle logiche privatistiche. In conclusione quindi la presenza in Italia di alcunifattori caratterizzanti, (assenti quasi del tutto nella situazione americana): intervento pubblico, forti partiti di sinistra, tradizione sindacale e

associativa degli operatori culturali (si pensi all’Ordine dei giornalisti ma anche alle Associazioni degli autori cinematografici e ai sindacati dello spettacolo) non sono serviti a costruire un disegno

di politica culturale che potesse contrastare efficacemente le tendenze e le logiche privatistiche dell’industria culturale™.

Detto questo i biglietti venduti si assestano intorno ai 500/550 milioni e il 60% di questi è riservato a pellicole italiane. Dal 1970 al

1975 assistiamo alla realizzazione di opere di grandi autori (Antonioni, Fellini, Visconti) mentre giungono a maturazione le carriere di registi importanti (Scola, Bertolucci, Petri). Nel 1972 a Cannes assistiamo alla vittoria ex-aequo di Elio Petri con La classe operaia va in paradiso e II Caso Mattei di Francesco Rosi. Alcuni

segnali, però, racchiudono in se tracce di riflusso che spingono alcuni autori a ripiegare verso rimembranze soggettive (Fellini), storiche (Visconti), favolistiche (Pasolini). Siamo ancora in un sistema industriale abbastanza solido, che comincia a risentire dei primi colpi inferii dalle nuove forme di intrattenimento televisivo ma che sostanzialmente affronta e interpreta le nuove istanze che la società

propone attraverso il film di genere. Gli ultimi anni ‘60 e i primi ‘70 costituiscono infatti il periodo storico in cui il cinema italiano, confidando ancora su un apparato

industriale che si dissolverà di lì a poco a causa dell’avvento della Tv

commerciale, riesce a fare ancora affidamento sui generi per dare vita ad un consumo “di denuncia che si configura come l’altra faccia del cinema civile dei Rosi e dei Petri™.

Quindi un inizio di decennio che ritrova un cinema in buona salute, con una produzione di film che nel complesso non si discosta dagli anni precedenti. Nel 1972, addirittura, assistiamo a un picco

produttivo inaspettato (280 film) con un sensibile incremento rispetto al biennio 1970-1971. Ma chi è lo spettatore tipo in Italia nel 1972? È possibile ricavarne

una descrizione analizzando i dati disponibili. Partiamo dal dato,

molto interessante, dei biglietti venduti nell’anno 1972 suddiviso per regioni. Il numero di biglietti più elevato è stato venduto in Lombardia (84,2 milioni) mentre il più basso in Val D’Aosta (1,3

milioni). In Emilia-Romagna e Liguria i residenti hanno acquistato singolarmente il più elevato numero di biglietti (14) mentre in

Calabria ne hanno acquistato il numero più basso (5). La spesa maggiore è in Lombardia (44,8 miliardi di lire), mentre la più bassa in Molise (386 milioni di lire). RK'.iJfrrri

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Continuando ad analizzare i dati sulle frequenze emergono chiaramente alcuni dati che contribuiscono a delineare il profilo del nostro spettatore tipo.

Prima di tutto appare evidente che gli spettatori diminuiscono con l’aumentare dell’età. Inoltre in rapporto alle classi sociali notiamo che la percentuale degli spettatori è maggiore nelle classi alte mentre diminuisce progressivamente se si passa alle classi inferiori. Altro dato interessante è quello relativo alle classi d’età e al sesso degli spettatori. Prendendo il totale della popolazione maschile superiore a 15 anni il 21% risulta essere andato al cinema una o più volte in ima

settimana mentre prendendo a campione la popolazione femminile la percentuale corrispondente è dell’8%. Il divario si attenua leggermente tra le fasce di pubblico più giovane (15-24 anni).

Grazie ad un panorama di questo tipo che contribuisce a mantenere

alta la percentuale degli incassi registrati dalle produzioni italiane, i registi si sentono ancora in grado di rischiare scegliendo strade e direzioni spesso azzardate, rinnovando soprattutto il proprio impegno

sociale, civile e politico.

Figli di questo rinnovato clima creativo sono ad esempio Zabriskie Point e Professione Reporter di Michelangelo Antonioni, oppure Ultimo tango a Parigi di Bernardo Bertolucci, che sfidando apertamente la morale corrente riesce a rinvigorire la censura che da tempo non faceva sentire la sua voce. n 1975 si apre con risultati tutto sommato positivi: biglietti venduti

sopra i 500 milioni, molti film di qualità, qualche pellicola che diventerà cult. Nel 1976 le cose cambiano repentinamente; proprio quell’anno la

sentenza n° 202 della Corte costituzionale stabilisce la “libertà di

antenna” aprendo ad un mercato che comincia ad espandersi senza regole precise; questa svolta rivoluzionerà l’universo delle comunicazioni, abbattendo la domanda cinematografica e spingendo

milioni di spettatori verso il piccolo schermo. A livello politico e legislativo la televisione diventa immediatamente il luogo ideale dove

coltivare e sviluppare interessi e clientelismi mentre il cinema con le sue istanze di aggiornamento legislativo non può far altro che soccombere. Ad aggravare la situazione si aggiunge la crisi economica

che attanaglia il Paese, e che estendendosi anche al cinema fa venire alla luce le gravi debolezze strutturali che affliggono il settore. In particolare, la mancanza di forme organizzative solide capaci di dare stabilità e continuità alla produzione. La crisi però, questa volta, sembra avere caratteristiche in grado di modificare se non stravolgere

il nostro cinema. La mancanza di liquidità mette immediatamente in crisi decine di piccole imprese consentendo la formazione di gruppi monopolistici e finanziari come Fiat che si assicura il controllo della

Titanus, una delle maggiori società di distribuzione, ampliando il suo

raggio di influenza anche in capo produttivo stipulando un accordo con la Vides di Cristaldi. Stesso discorso per la Rizzoli capace di accrescere la sua importanza in virtù di un accordo con la Montedison allora guidata da Eugenio Cefis.

I motivi della crisi Semplificando la questione è possibile individuare tre cause scatenanti della crisi che investe il cinema italiano nella seconda metà degli anni ‘70:

1. deterioramento progressivo e inarrestabile delle strutture

economico finanziarie che fino a quel momento avevano “governato il settore;

»

2.

deterioramento delle strutture merceologiche e mediologiche;

3.

dissesto ideologico politico.

Quest’ultimo punto, in particolare, comporta una sempre maggiore

difficoltà nel leggere il presente, a una spoliticizzazione delle

tematiche con un’inevitabile fuga verso la sfera privata. “Una cinematografia come quella italiana, che fin dalle stagioni neorealistiche aveva trovato abbondante ispirazione nella “realtà

oggettiva” e aveva fatto della propria capacità testimoniale, e del proprio “impegno civile”, la propria “etica dell’estetica", cominciò a

non saper più individuare agganci con la realtà’"».

Questa progressiva incapacità di rappresentazione del reale in tutte le sue molteplici declinazioni comporta un marcato prevalere delle rievocazioni storiche. “Nella difficoltà di leggere il presente, di definirne i nodi, di scegliere

le alternative, di prendere insomma posizione su tutto ciò su cui il Paese era obbligatoriamente chiamato a prendere posizione, nei film cominciarono a prevalere le rievocazioni storiche, le ricostruzioni di

antiche cronache, le fughe parossistiche verso il privato, le tematiche di scarso o nullo spessore, e la “spoliticizzazione” si trasformò in vera e propria categoria portante della conoscenza estetica * 12345678910 *. 13 12 11

Se confrontiamo la ripartizione delle quote di mercato delle

pellicole italiane nel 1975 e nel 1979 è possibile riscontrare con

puntualità la gravità della crisi: si passa dal 59,3% al 37,5% mentre i film che arrivano dagli Stati Uniti subiscono un’evidente impennata dal 26,8% al 43%. A questo improvviso e inarrestabile cambiamento si somma una sensibile riduzione del numero delle sale, delle giornate di spettacoli e degli incassi al botteghino. Il declino è generale e incontrastato, figlio di motivazioni politiche, ideologiche e sociali.

Una crisi che non risparmia gli altri Paesi europei ma che in molti casi viene affrontato con politiche strutturali molto più solide e profìcue. È il caso, ad esempio, della Francia che ha cercato sin dal principio della crisi di avviare un processo di integrazione tra le reti di distribuzione e di diffusione delle pellicole cinematografiche. Il

raggruppamento dei tre gruppi più grossi (Pathé, Gaumont e Parafrance) ha permesso di controllare una quota altissima della diffusione, incentivando gli investimenti a lungo termine come il

rinnovo dei servizi e della programmazione. In Italia, invece, i tentativi di arrestare lo stato emorragico non sembrano dare risultati soddisfacenti e nel 1977 si registra una perdita rispetto al 1976 di circa 80 milioni di biglietti, gli incassi al botteghino diminuiscono e le giornate di spettacolo si riducono. Il dato più grave e preoccupante è

che la riduzione degli incassi verificatasi nel 1977 è pagata esclusivamente dalla cinematografìa nazionale mentre il prodotto

americano registra un aumento del 3%. La strada intrapresa dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti non viene seguita puntando invece sul restringimento del mercato e sullo sfruttamento intensivo del prodotto attraverso le lunghe teniture, l’aumento del

prezzo del biglietto, l’abbassamento del numero delle copie dei film in circolazione. Se gli autori tendono a vedere la ragione della crisi nell’inarrestabile

declino qualitativo dei prodotti proposti, si possono individuare altre, non meno importanti, concause, come la mancanza di una legge organica sul cinema, da tempo attesa e reclamata da tutti i

professionisti del settore. Produttori, esercenti e distributori puntano il dito anche sulla progressiva diminuzione della partecipazione famigliare alle proiezioni, incidendo in maniera sensibile sugli incassi.

In aggiunta a tutto questo le già note congiunture economiche sfavorevoli e l’offerta televisiva sempre più competitiva e accattivante per un pubblico medio sempre più svogliato. Vengono così chiamati in causa la congiuntura economica ed il

rincaro della vita, l'aumento del prezzo dei biglietti (che i gestori di

sale, tuttavia, sostengono essere stato contenuto entro limiti ragionevoli) [...], la concorrenza sempre più minacciosa delle varie

reti televisive e della motorizzazione, perfino il divieto di fumare ed i

rischi cui si può andare incontro ad uscire di sera nelle grandi città. Altri fattori concorrono poi a spiegare la concomitante crisi della produzione: dalla mancanza d’idee che affligge la sfera creativa

all’aumento vertiginoso di tutti i costi (costo del denaro, salito ormai

al 25%, e costo degli autori, degli attori, delle maestranze, dei tetri di posa), dalle insufficienze legislative al ridursi degli introiti delle

esportazioni™.

Questa crisi diventa lo specchio di una società stanca, che vede all’orizzonte lo scadimento progressivo di un’industria che fino ad allora aveva dimostrato la sua supremazia sia economica che qualitativa. La progressiva perdita di potere della figura del

produttore, fa sì che il mezzo televisivo diventi il nuovo referente per tutti quelli che vogliono continuare a fare cinema. La televisione di stato si fa improvvisamente garante di un sistema produttivo in evidente affanno, e le grandi firme del nostro cinema non possono far altro che accettarne l’influenza e la protezione.

Se poi guardiamo oltre ai dati puramente statistici, soffermandoci sul valore estetico e artistico delle pellicole le ombre si fanno più

minacciose ed evidenti. Se la filmografia italiana a livello di numeri rimane la più ricca d’Europa (2.000 pellicole dal 1970 a 1978), lo

stesso non si può dire per l’aspetto qualitativo che appare nettamente deficitario rispetto al decennio precedente. Anche la produzione alta, d'autore, risente di un clima poco vitale, di ripiegamento, di sfiducia e disaffezione da parte degli spettatori;

sono stagioni durante le quali l'intervento finanziario statale

chiamato a proteggere la qualità dalla riforma del 1965 (la Legge 1213: strumenti, l'articolo 28 e lltalnoleggio) non solo attira su di sé i

sospetti di un neo clientelismo di “sinistra" ma produce un cinema che si allontana in modo allarmante dai gusti e dalfavore delle platee' ».

L’appannamento generale del cinema nazionale e la sua costante perdita di capacità attrattiva nei confronti del “nuovo pubblico rr sembrano andare di pari passo con il declino della figura del produttore che fino agli anni Sessanta era l’assoluto protagonista del successo internazionale della nostra cinematografia più acclamata e

vitale. La scelta di molti grandi nomi come Ponti e De Laurentiis di emigrare e l’indebolimento di figure chiave come Lombardo e Cristaldi sono i segnali più evidenti di un processo inarrestabile.

Naturalmente i grandi maestri continuano a produrre opere molto spesso memorabili: Indagini di un cittadino al di sopra di ogni sospetto di Elio Petri, Il conformista di Bernardo Bertolucci, Morte a

Venezia di Luchino Visconti, Amarcord, Casanova, Prova d’Orchestra di Fellini, La grande abbuffata, Ciao maschio di Marco Ferrerà, Professione: reporter di Michelangelo Antonioni, Il Decameron e Salò di Pier Paolo Pasolini sono solo alcuni dei

capolavori che i grandi autori del nostro cinema fanno uscire nel corso del decennio. Il problema, però, sta nel fatto che questi prodotti di qualità

costituiscono, rispetto al totale dei film prodotti, il 10%. Esiste poi una fascia intermedia di bravi registi che cercano, soprattutto utilizzando

il linguaggio del film di genere, uno spazio dove provare a confezionare un prodotto interessante e appetibile al grande pubblico.

Si possono scorgere, all’interno dei generi allora in voga, alcuni titoli che si allontanano dalla fascia bassa cercando una dignità artistica che naturalmente la critica gli nega. Questa è dunque la realtà “culturale” del cinema italiano del decennio: un ristrettissimo gruppo di artisti o intellettuali, solitari e

distaccati da tutto il resto - i Taviani, gli Olmi, gli Antonioni, i Fellini, i Rosi ecc. - che producono queifilm cui poi vengono

attribuite palme e statuette nei Festival, accreditando la leggenda di

un “cinema italiano" ancora in epoca aurea; un gruppo ristretto di

seri professionisti, talora illuminati da qualche brillante intuizione, più spesso quietamente immersi in una produzione dignitosamente

spettacolare, non di rado inclini allo scivolone verso il sottoprodotto;

un enorme gruppone di confezionatori di pellicola impressionata, rqffazzonatori di paccottiglia filmata, veri e proprio magliari del cinema. Il “cinema italiano” è solo la somma aritmetica di tutti

costoro e dei loro film: culturalmente parlando “il" cinema italiano

non esiste proprio'"».

Se nel decennio precedente la commedia aveva rappresentato il

modello privilegiato per un’analisi concreta e sensibile della classe media italiana (con tutte le sue grottesche storture), ora vengono meno tutte quelle caratteristiche sociologiche e antropologiche che

facevano della commedia un genere autoriale. A questo si aggiunge l’atavica tendenza della società italiana a rifuggire dall’autocritica e dall’analisi delle proprie intrinseche debolezze. Il rapporto tra cinema e società italiana è un rapporto a senso unico,

dal cinema alla società e non viceversa. La società italiana è una

società che non sa, non vuole e non può vedersi qual è realmente: è

una società che vuole ignorarsi. La funzione del cinema nell'evoluzione della società italiana è raramente critica, più spesso

di cassa di risonanza. In questo senso il rapporto tra il cinema e la

società italiana non è cambiato da quello che si era instaurato nel

primo dopoguerra"».

Diretta conseguenza di questa perdita d’identità sono i figli de­ generi che giocano o con la comicità bassa di matrice erotico boccaccesca o con la lettura violenta, pessimista e manichea di una

realtà metropolitana sempre più insicura e minacciosa (poliziottesco e giallo). Nella maggior parte dei casi, però, questo ripiegamento nel cinema di genere fallisce l’opportunità di rinnovare il linguaggio cinematografico italiano riducendo progressivamente il proprio valore estetico e denunciando uno svuotamento allarmante di contenuti e ambizioni autoriali. Naturalmente ci sono eccezioni ma sono nella maggior parte dei casi il punto di arrivo di un percorso iniziato precedentemente e giunto qui a compimento. Purtuttavia va sottolineato come proprio all’interno delle regole rigide del film di genere diventa possibile cogliere le esigenze di cambiamento e i fermenti della società italiana. La capacità interpretativa di alcuni di questi generi popolari, se spesso non produce null’altro che pellicole

figlie di una cinematografìa oramai disgregata, in alcuni casi dimostra una vitalità sorprendente. Allontanandosi da queste oasi creative si avverte una perdita d’identità dovuta in primis all’inesorabile

invecchiamento delle ideologie e a un progressivo avanzamento del disimpegno come reazione giustificata. Nel profondo permangono in una zona oscura e instabile i radicalismi più oscuri che ben presto

esploderanno con inusitata violenza. Insomma, se i primi tre anni del decennio ’70 sono sostanzialmente anni felici per la produzione italiana che riesce ad assorbire il 60% degli incassi al botteghino, la svolta negativa avviene (dopo insistenti avvisaglie di resa già a partire dal 1975) a partire dal 1978, con una

perdita sensibile di 10 punti (da 52,4% a 43,1%). Per ritrovare un

segno positivo si dovrà attendere fino al 1982. La progressiva perdita di potere della cinematografia interna trova le sue cause principali nell’aggressività debordante della

programmazione televisiva e nell’invasione sempre più violenta dell’industria americana. Manca tuttavia un coordinamento efficace fra le politiche del cinema e del sistema industriale nel suo complesso,

sia esso pubblico o privato. Questo clima genera incertezza soprattutto negli autori che si sentono sempre meno invogliati a ricercare forme di linguaggio alternative e tematiche coraggiose per interpretare la società e le sue istanze rinnovate. Efficiente (suo malgrado, si dovrebbe dire) ma inadeguato, il cinema

italiano rivela la sua debolezza soprattutto sul terreno su cui più drammatiche si manifestano le contraddizioni della società. La

vecchia bussola del mimetico ricalco offerto dal Neorealismo non è

più utilizzabile, neppure sotto la forma - tentata qualche volta negli anni passati - dell'inchiesta o del documentario" 2*.

Quello che appare evidente non è tanto la contrazione della

domanda quanto invece il netto e inequivocabile cambiamento delle modalità e delle tempistiche della fruizione. L’offerta introdotta dai canali televisivi, nonostante gli accordi presi con l’Anica, per non alimentare una concorrenza sleale, diventa un’alternativa solida e

credibile che inizia a erodere il bacino di spettatori, un tempo

appannaggio indiscusso dello spettacolo cinematografico. Il declino ha mosso i primi passi, e fin da subito se ne intuisce, tristemente la portata. L’avvento della televisione privata e l’azione di saccheggio e trasmissione selvaggia di qualsiasi tipo di prodotto, al di fuori di

ogni regolamentazione daranno, dalla seconda metà degli anni '70,

un definitivo colpo di grazia a un pubblico ormai costretto a ripiegare e assottigliare le sue file.

Il pubblico che si affaccia nelle sale alle soglie degli anni Ottanta è

costituito da poco più di 240 milioni di spettatori, meno di un terzo

rispetto agli anni Cinquanta e con una perdita secca di oltre il cinquanta per cento nel solo quinquennio 1974-1979."^

(1) Legge Ordinaria n. 1213 del 04/11/1965 (Pubblicata nella G.U. del 12 novembre

1965 n. 282). (2) E. Morin, L'industria culturale, Il Mulino, Bologna, 1963. (3) Maurizio Fantoni Minella, Non riconciliati. Politica e società nel cinema italiano dal Neorealismo a oggi, Torino, Utet, 2004, p. 34. (4) Giovanni Bechelloni, Crescita di dimensioni e razionalizzazione dell'industria culturale, in Bianco e Nero mensile 1973 fascicolo 9/10, pag. 12. (5) Christian Uva, Schermi di piombo. Il terrorismo nel cinema italiano, Soveria

Mannelli, Rubettino, 2007, pag. 11. (6) Lino Miccichè (a cura di), Il cinema del riflusso. Film e cineasti italiani degli anni '70, Venezia, Marsilio Editori, 1997, p. 10. (7) Ibidem, p. 11. (8) Dario Zanelli, Troppifilm senza qualità, Il resto del Carlino, 21/10/1976, pag. 3.

(9) Paolo D’Agostino, Il cinema Italiano da Moretti a oggi in Storia del cinema

mondiale: volume terzo. L'Europa, le cinematografie nazionali, Einaudi, Torino, p. 1077. (10) Lino Miccichè, Cinema Italiano degli anni ‘70, Marsilio Editore, Venezia, 1980,

pp. 13-14. (11) Alberto Moravia, Il cinema specchio involontario della società italiana in Bianco e Nero, gennaio/febbraio 1977, n° 1, pag. 6. (12) Femaldo Di Giammatteo, Lo sguardo inquieto. Storia del cinema italiano (1940-1990), La Nuova Italia Editrice, Firenze, 1994, pag. 350. (13) Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano dal 1945 agli anni Ottanta, Roma, Editori Riuniti, 1982, p. 542.

Capitolo 1

Il decennio d’oro Gli anni ’60 ci consegnano un Federico Fellini completamente trasformato. La sua personale visione del cinema, quella stessa che a

partire dal film Lo sceicco bianco lo aveva fatto diventare uno dei registi più apprezzati e acclamati del mondo, inizia a mostrare i primi

segni di cambiamento, stimolata dall’influenza sempre più evidente della psicanalisi junghiana nella quale Fellini sembra trovare motivazioni e insegnamenti.

Gli strumenti per interpretare questa nuova esperienza gli vengono fomiti da Ernst Bernhard, medico berlinese e allievo di Cari Jung del quale si parlerà ampiamente in uno dei prossimi capitoli. Fatto sta che Bernhard, a partire dal i960, diventa una figura centrale

nell’esistenza del regista, contribuendo in maniera determinante a molti dei film che il regista riminese realizzerà nel corso del decennio. Il film La dolce vita (i960) è un vero e proprio spartiacque, tra il

Fellini narratore degli anni ‘50 e il Fellini aperto all’attività onirica: il debito con il neorealismo, ora, è definitivamente pagato. Con La dolce vita, però, non si è ancora completamente abbandonato al “mondo

privato della fantasia”, anche se all’interno di quest’opera si percepiscono i segnali di un’inevitabile metamorfosi che si consacrerà definitivamente tre anni dopo con 8 l/2 (1963). Una caratteristica fondamentale della celebre pellicola è la presenza pressoché costante di una rinnovata libertà nella regia che invade gli spazi con un’energia e un furore creativo del tutto nuovi.

La Dolce vita irrompe nello scenario culturale italiano rompendo certezze e equilibri, influenzando il modo di pensare, anticipando argomenti fino ad allora mai affrontati, modificando il costume sociale di un Paese prossimo al cambiamento. La pellicola diventa, in breve tempo, un fenomeno probabilmente senza che Fellini stesso lo volesse o lo immaginasse. Da qui, però, iniziano anche le critiche

feroci, le polemiche, le prime pagine scandalizzate dei quotidiani, le invettive politiche. Dopo La Dolce vita inizia una nuova fase nella quale Fellini si interroga sul rapporto tra cinema e realtà e riflette profondamente sull’importanza dell’analisi interiore nelle varie fasi del processo creativo. Questo nuovo approccio è il risultato del folgorante incontro

con il pensiero e il lavoro di Cari Gustav Jung. Attraverso le sue riflessioni, Fellini porta a termine il processo di frantumazione del confine tra fantasia e realtà, facendo riemergere il potere narrativo del

suo mondo immaginativo. La trasformazione del linguaggio artistico e cinematografico, fino ad allora utilizzato, si arricchisce di nuovi caratteri espressivi come quello simbolico, spazzando via i limiti

imposti dalla rappresentazione del reale. “Le tentazioni del dottor Antonio”, episodio del film Boccaccio 70 (1962) si presenta come un ispirato “pamphlet satirico” in risposta

agli attacchi subiti dopo l’uscita de La Dolce vita. In questo insolito lavoro, il regista sperimenta per la prima volta l’uso del colore per raccontare la battaglia puritana e bigotta del Dottor Antonio

Mazzuolo nei confronti dell’imponente e provocatoria immagine di Anita Ekberg raffigurata in un cartellone pubblicitario. Il povero Antonio, simbolo della censura e di un becero e ipocrita moralismo, si

troverà suo malgrado a combattere contro desideri e pulsioni sessuali represse, che rischieranno di condurlo alla follia. La lunga sequenza di Anita Ekberg che uscendo dal cartellone pubblicitario cerca di irretire

Antonio è un interessante citazione “capovolta” del King Kong di Cooper e Schoedsack (1933) oppure, azzardando i riferimenti, del

b-movie di fantascienza, uscito nel 1958 e diretto da Nathan Hertz, Attack of the 50 Foot Woman. L’atmosfera onirica e allucinata dell’episodio felliniano si sposa alla perfezione con l’intento del regista che, oltre a sbertucciare i censori della morale tanto in voga in quel

periodo, inizia a prendere confidenza con il linguaggio dell’inconscio, che diverrà fondamentale nelle pellicole successive.

Con 8 V2 (1963) il regista riminese introduce in modo massiccio la componente autobiografica, già espressa ne I vitelloni ma con accenti e modi differenti, che abilmente mescolavano, alternandoli, toni lirici e ad altri più comici. Il film è una vorticosa discesa nella realtà

interiore del regista, nella rappresentazione dei suoi dubbi e delle sue paure più nascoste. Il racconto si tinge di toni amari, ironici, grotteschi e a tratti disperati, il tutto immerso in un’atmosfera che si tiene in perfetto equilibrio tra la confusione e il sogno. Quella realizzata da Fellini è una “costruzione in abisso”, un film nel film che

si autoalimenta di riferimenti autobiografici, incursioni simboliche e improvvisi slanci filosofici il tutto in un continuo scavalcamento di

campi tra reale e immaginario. Per molti 8 ¥2 rappresenta l’apice

della creatività felliniana, l’opus magnum di un regista che ormai ha raggiunto la piena maturità stilistica ma che intravede i primi segnali di un preoccupante stallo creativo.

Con Giulietta degli spiriti (1965) Fellini si abbandona ad una sfrenata creatività espressiva. L’attenzione per la costruzione dell’inquadratura si fa necessaria e insopprimibile, soprattutto nelle scelte fotografiche e scenografiche. Fellini predilige ancora una volta il disordine in funzione del messaggio, affastellando con precisione ed estro maniacali simboli, metafore, ossessioni e allucinazioni. La storia di Giulietta, storia di una liberazione, viene relegata in secondo piano dal furore figurativo del regista che questa volta privilegia il

virtuosismo della messa in scena alla concretezza del racconto. Dopo aver terminato le riprese di Giulietta degli spiriti il regista

inizia a progettare il prossimo lavoro. Si tratta de “Il viaggio di G. Mastorna” scritto assieme a Dino Buzzati. La preparazione del film è immediatamente funestata da una serie di eventi negativi, tra cui

un’improvvisa malattia che lo costringe al ricovero in ospedale. Tutti questi impedimenti vengono interpretati da Fellini come segnali negativi e si fa strada in lui l’idea di abbandonare il film. Ne nasce un violento scontro con il produttore Dino De Laurentiis. Il Mastorna, storia di un viaggio post mortem, dopo infiniti ripensamenti non viene realizzato anche se il set, in parte già costruito, viene utilizzato

nella scena iniziale di Block-Notes di un regista una sorta di special di un’ora prodotto dalla NBC e trasmesso per la prima volta in America nel 1969, che racchiude molti degli spunti e delle riflessioni che verranno sviluppate dal regista negli anni ‘70. Nel 1968 Fellini partecipa assieme ai registi Louis Malie e Roger

Vadim al film a episodi Tre passi nel delirio, progetto ispirato ai racconti di Edgar Allan Poe. Il contributo felliniano all’opera prende il titolo di “Toby Dammit”, il nome del protagonista interpretato

dall’attore inglese Terence Stamp. L’episodio è uno straordinario viaggio agli inferi, suddiviso in quattro meravigliose sequenze contraddistinte da un’atmosfera decadente e allucinata nella quale

aleggia una continua sensazione di morte. Con l’aiuto dello sceneggiatore Bernardino Zapponi, Fellini ci racconta il viaggio di un attore shakespeariano in Italia per girare un western cattolico. Del racconto di Poe rimane ben poco oltre la decapitazione finale del protagonista, che contiene riferimenti al film di Mario Bava Operazione Paura del 1966. Lo stile narrativo del film, che alterna

toni funerei e tetri ad altri più sprezzanti e ironici, segue un andamento caotico e allucinato, ben rappresentato dall’interpretazione “stravolta” di Stamp. Fellini, colpito dal finale del racconto, si concentra sulle potenzialità espressive della sequenza conclusiva che rimane una delle più riuscite grazie a una ricostruzione

scenografica perfettamente funzionale alla deriva emotiva del protagonista.

La realizzazione del film successivo, il Fellini Satyricon (1969) impegna il regista in una lunga preparazione che serve per avvicinarsi nuovamente all’opera letteraria di Petronio che riemergeva ogni tanto come possibile progetto da realizzare assieme all’inferno di Dante, e

all’Orlando furioso di Ariosto. L’opera di Fellini risente del periodo

storico evidenziando un’insolita propensione al linguaggio alternativo e anticonformista tanto caro alla cultura underground del post ’68.

L’opera di Petronio Arbitro, giunta a noi sotto forma di alcuni frammenti, viene rielaborata da Fellini e dai suoi collaboratori in modo minuzioso, con un’attenzione maniacale agli ambienti, ai volti

dei personaggi, alla scelta delle inquadrature e della resa luministica. Tullio Kezich lo definì un saggio di fantascienza del passato, ed effettivamente la chiave visionaria, a tratti psichedelica, utilizzata dal

regista ci restituisce l’immagine di un passato rivisitato e centrifugato attraverso i riferimenti culturali tanto cari al regista, da Flash Gordon

agli affreschi romani, dagli affreschi bizantini alla pittura astratta, il tutto realizzato con un’assoluta libertà narrativa e un gusto particolare per le atmosfere oniriche e grottesche.

Questa traiettoria, intrapresa dal cinema felliniano, sembra voler sacrificare gli aspetti lirici e poetici, fino ad allora privilegiati per abbandonarsi al potere taumaturgico dell’illusione e del prodigio. In questo periodo il cinema italiano stava vivendo un periodo molto favorevole. Il boom economico e la crescente spinta ai consumi incidono profondamente sul comportamento degli italiani, che in ambito cinematografico sono sempre più orientati a premiare i

prodotti nazionali. Si afferma progressivamente lo spirito

imprenditoriale di matrice hollywoodiana, con la produzione di pellicole che, pur mantenendo uno stretto legame con le tradizioni e la

cultura nazionale, cercano di coinvolgere e catturare un pubblico “nuovo”, più consapevole e aperto a nuovi stimoli culturali. Se si analizza la classifica dei film più visti nel i960, notiamo l’affermazione travolgente di autori ritenuti fino ad allora avulsi dal

successo di botteghino: Fellini con La dolce vita, Visconti con Rocco e i suoifratelli, De Sica con La Ciociara e Comencini con Tutti a casa. Sugli schermi del Paese si affermano pellicole che raccontano una

crisi di coscienza esistenziale e ideologica di una società in profondo mutamento. Nella seconda metà degli anni *60, però, l’euforia generata dal boom economico inizia progressivamente a scemare. La

lenta e macchinosa modernizzazione del Paese, il mancato ricambio della classe dirigente, la crescita smisurata di un ceto medio immaturo e deresponsabilizzato sono tutti sintomi di una crisi sociale

che investirà tutti gli ambiti della società. Anche il cinema italiano, apparentemente ancora in buona salute e capace di sorprendenti

sprazzi di lucentezza, mostra timidi ma preoccupanti segnali di stanchezza e debolezza. Manca un ricambio generazionale degli autori, e mentre i giovani riescono a ritagliarsi solo spazi marginali, i

“Maestri” come Fellini, Antonioni, Visconti, De Sica e Rossellini,

devono fare i conti con una maturità problematica e carica di incognite. Lo scontro tra padri e figli, che negli altri Paesi aveva contribuito alla nascita di movimenti e tendenze significative, in Italia viene disatteso, sancendo una frattura generazionale che nel decennio

successivo diventerà insanabile. Tutto questo mentre l’Italia cerca faticosamente di modernizzare le proprie strutture produttive ed economiche. Federico Fellini affronta la fine del decennio trasformando con

Toby Dammit il moderno in incubo, esorcizzando i fantasmi del Mastoma con il Block Notes di un regista, splendido autoritratto di un universo poetico in pericolo, rifugiandosi con il suo Satyricon in un

passato visionario fatto di caotiche suburre e abitato da un’umanità decadente e orrida. Tra il 1965 e il 1969 Fellini, bloccato da progetti che non riesce a

realizzare, fiaccato da rapporti ormai logori con produttori e collaboratori, si spoglia dei doveri creativi affidandosi, a suo modo, a testi preesistenti (Poe e Petronio) e soprattutto cambiando gran parte

del suo staff tecnico.

Dopo aver raccolto premi e riconoscimenti in tutto il mondo, aver segnato profondamente l’immaginario di un decennio con capolavori assoluti, Fellini si trova improvvisamente immerso in un presente

incerto nel quale ricercare un equilibrio anche se precario e indefinito.

Gli istinti di fuga che lo avevano attanagliato durante la gestazione del Mastoma vengono allontanati dalla brezza ristoratrice di nuovi progetti e di un cinema autobiografico, consolatorio, contemplazione idilliaca di un mondo lontano e perduto.

Capitolo 2

L’annunciazione fatta a Federico:

l’arrivo del circo Molti critici hanno visto nella filmografia felliniana degli anni ‘70 un momento di ripensamento creativo. Una stagione nuova, per certi

aspetti difficile, che coincide con il risveglio in lui di incubi e angosciose presenze che sembravano essersi consumate all’ombra (o meglio alla luce) delle riflessioni psicanalitiche del decennio

precedente. Tra residui più o meno appariscenti di un’infanzia perduta, ancora immersa nel mito e allegorie di un mondo misterioso e impenetrabile, Fellini cerca di trovare un proprio equilibrio. Reduce

dai successi del decennio d’oro del cinema italiano, dai grandi riconoscimenti, dai capolavori acclamati in tutto il mondo, ora il futuro sembra regalare più incognite che certezze. Come lui, altri grandi Maestri del nostro cinema (Antonioni e

Visconti in primis) si scontrano con la difficoltà, sempre più evidente, di raccontare il presente. Difficoltà che per taluni sembra una vera e propria “impasse”, che il

regista decide di affrontare facendo ricorso al suo universo interiore. Che comunque Fellini sia stretto in un’impasse (da cui non uscirà

fuori che alla fine del decennio) è evidente anche dal capolavoro di questa sua stagione controversa, Amarcord (1973), un geniale strip­ tease autobiografico costruito con sapiente effervescenza, un

lussuoso e gustosissimo "avanspettacolo della memoria”, in cui il regista si accovaccia sulla propria adolescenza, con un occhio ai

ricordi provinciali riminesi, un altro alle vignette del "420” e del “Marc'Aurelio” (nonché, come sempre, al varietà e al circo) e

mediante una ricostruzione d'epoca che non sfiora neppure alla lontana il quadro storico e ostenta come artificio scenico ("mare”, di plastica, "barche” di carta, "transatlantico” di cartone ecc..), in un

esplicito irrealismo scenografico cui corrisponde un pari "irrealismo”

dei protagonisti00.

La società sta cambiando e con essa anche i gusti di un pubblico

sempre più pigro e distratto. Il cinema si appresta a cedere il passo alla televisione, che sembra incontrare i favori, soprattutto del “nuovo” pubblico, quello giovane, che l’industria cinematografica non

riesce a intercettare. Per l’Italia, questi sono anni complicati, nei quali emergono conflitti e paure, desideri di cambiamento e improvvisi ripiegamenti verso la conservazione e I'individualismo.

Fellini inizia un percorso volto a riflettere sui miti del suo passato, quelli che ne hanno caratterizzato l’infanzia, contribuendo, in un certo senso, alle creazioni di queirimmaginario che diventerà riconoscibile

in tutto il mondo. Il decennio è inaugurato da I clowns progetto destinato alla televisione e si chiude con Prova d’Orchestra altra opera prodotta con

il supporto della Rai, nel mezzo Roma, Amarcord e il Casanova. Cinque film caratterizzati da una struttura frammentaria, episodica, fatta di apparizioni enigmatiche, angosciose e mostruose, rivelazioni puntuali dell’aspetto magico della vita e che ricevono nutrimento dall’inconscio del regista, dal suo passato e dai fantasmi di un futuro incerto. Sul loro sfondo sembra emergere, ancora una volta, il volto

del Mastorna, progetto rimasto miracolosamente intatto nella

struttura nonostante i vari prestiti voluti dal regista. Alla fine degli anni ‘60 il regista riminese aveva già sperimentato il

circuito televisivo con Fellini: A director’s Notebook. (Block-Notes di un regista, 1968), girato per la NBC (National Broadcasting Company). Era una sorta di omaggio commemorativo del Mastoma,

progetto mai nato e più volte rievocato da Fellini nei suoi film. Con questo special il regista fissa sulla pellicola i resti delle scenografie mai utilizzate, che rimangono sui prati di Dinocittà come un monito,

triste e silenzioso che ci restituiscono lo smarrimento e l’incertezza del regista di fronte a un’opera per lui troppo “troppo pericolosa”. Magnifico esempio di questo sentimento contrastato è il provino di Marcello Mastroianni per la parte di Mastorna, immortalato dalle splendide fotografie di Tazio Secchiaroli. In questa sequenza

Mastroianni percepisce la tensione e la paura di Fellini nei confronti di una tematica, la morte e l’aldilà, che da sempre hanno affascinato e turbato l’animo del regista. Il Mastorna resta, nella carriera di Fellini, come un fantasma al quale avvicinarsi senza, però, mai toccarlo. Block — Notes di un regista, in definitiva serve proprio a questo. Forse Fellini intendeva esorcizzare ifantasmi del Mastoma con

questo film e chiudere una volta per tutte la faccenda, o forse con la promessa "scritta” nella pellicola (“lo farò perché è il film a cui tengo

di più”) voleva evitare di abbandonare per sempre il progetto. Il Mastorna, comunque continuerà ad essere allo stesso tempo il suo

incubo ricorrente e la sua fonte inesauribile di idee... fino all'arrivo di Manara00.

Era ancora fresca la delusione per il fallimento di Duetto d’amore, progetto che avrebbe dovuto vedere finalmente insieme Fellini e il

regista svedese Ingmar Bergman. Nato dall’idea del produttore americano Martin Poli, Duetto d’amore avrebbe dovuto essere un film composto da tre episodi, tutti realizzati a Roma e avrebbe dovuto coinvolgere anche Akira Kurosawa che però si ritira quasi subito. A

gennaio del 1969 Bergman e Liv Ullmann fanno visita a Fellini sul set del Satyricon. Il progetto parte. Poli, in settembre era giunto a Chianciano per incontrare il regista riminese, ospite della località

termale toscana per un breve periodo di riposo dopo la faticosa lavorazione del Satyricon. Il produttore, in quell’occasione fece

trapelare le prime indiscrezioni sul progetto. Duetto d’amore sarebbe stato il primo film di Bergman fuori dalla Svezia; inoltre sarebbe stato girato in presa diretta e in lingua inglese e avrebbe avuto come tema centrale l’amore e le donne. Il protagonista dell’episodio felliniano sarebbe stato un uomo; l’idea era di portare sullo schermo un

racconto di Bernardino Zapponi pubblicato su Playboy dal titolo

“L’effeminazione”. Era la storia di un avvocato di provincia, solitario e zitellesco, la cui

vita è sconvolta da una splendida bionda che gli si installa in casa. Passione rovente, finché lei - una cabarettista - lo lascia bruscamente. Egli quasi impazzisce dal dolore. Si aggira solo per la casa, annusando i suoi profumi e abbracciando i suoi vestiti, rimasti

lì nella fretta della fuga. Finché pian piano mette la sua parrucca,

indossa i suoi vestiti, si trasforma in lei. Diventa anche lui una splendida ragazza00.

Bergman avrebbe invece raccontato il punto di vista di una donna.

Grande riserbo sui protagonisti, mentre la data d’inizio riprese era già fissata per novembre. Tante le incognite per un progetto che sin dal principio mostrava molte fragilità, soprattutto per la diversità con cui i due maestri affrontavano il processo creativo. All’inizio il progetto prevedeva una storia aperta, all’interno della quale i due registi

avrebbero dovuto sviluppare le loro idee, quindi una compenetrazione di tematiche che avrebbero dovuto sconfinare luna nell’altra. Le cose, però, incominciarono a prendere una piega diversa e a Fellini

l’atteggiamento di Bergman non piacque affatto. «Eravamo d’accordo sul mettere insieme una chiacchierata sulle

donne», dice Fellini. «Lui ha chiesto di essere il primo. Io magari ero del parere di aspettare di averfinito i due pezzi per decidere l'ordine secondo la loro stessa composizione. Comunque, ho acconsentito alla

richiesta. Ma ora ho l’impressione che Bergman abbia cambiato un poco le carte in tavola. Ha già presentato il suo trattamento tutto scritto, a posto. Durata: ottantacinque minuti, e mi assicurano che

lui i tempi stabiliti li rispetta, che gira con il cronometro. Si tratta di

un vero film, di un racconto chiuso, su una donna in crisi, una sola, con certe vicende particolari, certe svolte particolari, certi colpi di

scena particolari. Così mi toccherà modificare il mio pezzo, non più

una chiacchierata, debbo girare un racconto pure io. Altrimenti non verrebbe fuori un unico film, ma verrebbero fuori due film

casualmente programmati allo stesso cinema. Ecco: come se uno stesso cinema programmasse di seguito, dico due nomi a caso, Sade e

Topolino...»00

A dicembre nessuno dei due ha iniziato le riprese, anzi Bergman annuncia che si sta accingendo a girare un lungometraggio, prodotto da Martin Poli, per la Universal Pictures (L’adultera), stessa accoppiata che avrebbe dovuto finanziare Duetto d’amore. Fellini

appare stupito, soprattutto dal comportamento di Bergman. Il suo copione era pronto e l’episodio era entrato in fase di produzione,

inoltre la scelta degli attori era in fase di definizione e i luoghi nei quali ambientare gli esterni erano già stati fìssati. Il film sembra definitivamente tramontato e Fellini, impegnato con

il completamento del Satyricon, sembra voler voltare pagina. L’esperienza del Satyricon dona al regista nuovi stimoli, e un invito a ricercare forme espressive più dirette e meno “mediate” dai pesanti condizionamenti della “macchina” cinematografica. La TV appare lo

strumento giusto al posto giusto. Senza contare il potenziale bacino di spettatori che può raggiungere, in un periodo di grave crisi del

cinema.

Durante una discussione con Bernardino Zapponi nasce l’idea di un

film sui clown e sul circo, antica passione del regista. I Clowns, come Block-Notes di un regista è, come lo definisce lo stesso Fellini un quaderno di appunti, un’inchiesta un po’ folle sui

clown di ieri e di oggi. Un viaggio in giro per l’Italia e l’Europa alla ricerca degli ultimi grandi pagliacci e dei loro eredi. Un omaggio dovuto ai veri ispiratori del suo immaginario creativo. Sullo sfondo

sembra di scorgere ancora qualche traccia del Mastoma, che, come un fantasma desideroso di lasciare traccia del suo passaggio, ritorna costantemente in tutte i progetti felliniani fino La voce della luna. Anche I clowns è vittima e beneficiario dell'effetto Mastorna. Non

tanto in riferimento alla scena del bar di provincia gremito di vitelloni che ricorda quello frequentato dal professor de Cercis in Mastoma, quanto al sempre più evidente alone di morte che circonda ilfilm. Con I clowns, Fellini inaugura una serie di esplorazioni nel

suo passato che hanno l'aspetto e l’atmosfera di un viaggio nostalgico in un mondo oramai sepolto, quale l’infanzia e il circo00.

Se Luci del varietà (prima pellicola che vede Fellini accreditato come regista a fianco di Alberto Lattuada), in un certo senso

raccontava un ambiente, quello dell’avanspettacolo, affine a quello circense, è con La strada che il regista entra con forza narrativa

all’interno di un mondo che sembra appartenergli. Gelsomina, Zampano, il Matto, sono artisti di strada, saltimbanchi, protagonisti di un mondo perduto dove il comico e il tragico sono facce della stessa

medaglia. Ma è con I clowns che Fellini ci regala la perfetta

rappresentazione dello spettacolo circense, vera e propria dichiarazione d’amore verso un mondo che egli considera parte

fondante del proprio essere. Quando Fellini inizia a girare lo special (23 marzo 1970) è ancora vivo il successo, soprattutto all’estero del Satyricon; dagli Stati Uniti

arrivano riconoscimenti e attestati di stima e riconoscenza da parte di tanti grandi maestri del cinema intemazionale. Proprio nei primi mesi dell’anno la Columbia University lo informa che nel mese di giugno gli verrà conferita la laurea “honoris causa”, notizia che lui commenta

con la solita irriverenza verso le istituzioni accademiche. Nel mese di giugno le riprese sono già terminate. Il film è girato in 35 mm, con una troupe di pochi elementi per rispettare il tono confidenziale del progetto, da inchiesta, e per sottolineare come in fondo non esista nessuna differenza tra una troupe cinematografica e

un circo itinerante. E infatti il cinema, voglio dire fare del cinema, vivere con una troupe

che sta realizzando un film, non è come la vita del circo?00

Nonostante l’approccio di Fellini al mezzo televisivo sia

assolutamente adeguato e per niente ingenuo, I clowns non avrà un grosso successo tanto che nel 1977 si tenterà di riproporlo sul grande

schermo insieme all’episodio di Tre passi nel delirio “Toby Dammit”. L’operazione dal titolo “2 Fellini 2” (1977) non ebbe però il riscontro di pubblico atteso. Ma perché Fellini si imbarcò in un progetto come questo? Le sue parole sembrano contenere, già da ora, le prime riflessioni e le prime inevitabili critiche a un mezzo che il regista vedeva come

“insostituibile” solo per la sua capacità di catturare l’attualità. "Molti mi chiedono perché ho accettato di farlo. Sinceramente non lo so. Probabilmente perché mi è stato proposto e io mi sono lasciato

sedurre dalla curiosità, dalla novità dell’esperimento. Magari in modo strettamente privato posso anche inventare, trovare ragioni di

natura letteraria per convincermi dell’utilità, della necessità dell’esperimento, come il pensare che la televisione permetta un rapporto più intimo, più diretto con lo spettatore, ma in realtà le cose

stanno diversamente. Il pubblico televisivo è un pubblico distratto, casuale, generico, guarda la televisione mangiando, chiacchierando,

litigando'

I Clowns è un viaggio temporale, tra luoghi fisici e mentali, tra ricordi vissuti e immagini inventate, la componente autobiografica

dell’inizio si svela attraverso l’apparizione di un tendone da circo e con essa ci immergiamo in un mondo popolato da personaggi reali e immaginari. È un inizio in cui gli elementi ricorrenti del cinema felliniano “sfilano” in perfetta armonia con le scelte stilistiche del

regista. Il clown è per Fellini un privilegiato, perché saper far ridere è un

dono. Ma i “pagliacci” non fanno solo ridere, e tra i ricordi affiorano personaggi dalla mente obnubilata, non clown bianchi ma augusti,

figure mitiche le cui imprese, completamente distaccate dalla ragione, animano i racconti del “borgo”. Il clown bianco è invece misterioso, lunare, armato di sana follia, saggio perché avulso dalla realtà grigia

della vita, interprete poetico di un mondo capovolto. Sono figure che incarnano alla perfezione le dinamiche dei rapporti

e degli equilibri che sottostanno alle regole del vivere civile, e che costituiscono la grammatica di base dei principali numeri clowneschi. La dialettica proposta da questi due protagonisti entra di prepotenza neH’immaginario del regista che inevitabilmente la estende anche al di

fuori dello spettacolo circense in primis a sé stesso. Fellini si sente parte di entrambi, perché proprio in entrambi vede

un’origine e una tradizione destinate a perdersi. Il film parte proprio dalla consapevolezza che la società moderna, con le sue deboli certezze, non ha più spazio per questi strani personaggi. Sì, io credo proprio di essere un augusto, anche un clown bianco. I clowns sono i primi e più antichi contestatori, ed è un peccato che

siano destinati a sparire sotto l’incalzare della civiltà tecnologica. Non sparisce soltanto un microuniverso umano affascinante, ma

anche un’esperienza di vita, una concezione del mondo, un capitolo

della storia della civiltà'J”.

Circo e clown sono chiavi interpretative per raccontare ciò che si

cela sotto il primo strato della realtà; solo guardando attentamente le cose è possibile individuare quella linea invisibile che collega il mondo

del sogno e della memoria con quello della reale. Ed è proprio in questa continua e folle rincorsa che le maschere clownesche assumono un significato speciale. La loro capacità evocativa rimane intatta al di là dello spazio e del tempo, negli occhi rapiti di intere generazioni. Al di là del vissuto individuale esiste un immenso territorio che ha alimentato per secoli l’immaginazione collettiva, ha cementato la cultura popolare, consentito l’accesso a territori affascinanti e

misteriosi, rinnovando lo stesso senso di stupore panico, di arresto del tempo vissuto di fronte alle apparizioni dei clown, alle evoluzioni

degli equilibristi o alle sfide alla morte degli acrobati al trapezio'™'.

H film parte con un viaggio a ritroso nella memoria per svelare l’origine delle prime esperienze del regista con il circo. Quindi prosegue, in chiave documentaristica, analizzando la figura del clown nella società contemporanea. Il finale invece utilizza un linguaggio fantastico per evocare la resurrezione del clown; è il trionfo della

fantasia sulla realtà. L’arte circense non può morire perché animata

da un’immaginazione che trova nuova linfa nei ricordi del passato. Ma cosa c’è nella figura del clown che colpisce così tanto la fantasia di Fellini? Sicuramente il suo aspetto “irrazionale”, l’istintività quasi animalesca, la ribellione come forma d’arte, volta a scardinare le regole di una società polverosa e opprimente. Il clown augusto e il

clown bianco, l’uno ribelle, l’altro autoritario sono facce della stessa medaglia, caratterizzazioni che coesistono in ognuno di noi. Questa

analisi evidenzia la trasposizione di queste caratteristiche non tanto nello spettacolo circense ma, soprattutto, nella vita di tutti i giorni, vita che spesso è anche parodia divertente della realtà.

In generale la figura del clown, per Fellini, assume in ogni sua

rappresentazione, i caratteri del fantastico e dell’irrazionale, racchiudendo in sé l’innocenza, spesso crudele, del bambino, soprattutto nell’Augusto che presenta le caratteristiche dell’“outsider”, di colui che escluso da tutto è capace di attuare una rivoluzione inaspettata delle regole. Come i bambini, Fellini, prende le parti dell’Augusto contrapponendosi alla tracotanza borghese del Bianco, che con la sua personalità autoritaria cerca di smontare ogni meccanismo di protesta. Quando assistono a uno spettacolo, i bambini, ovviamente, si immedesimano subito nell’Augusto, perché fa tutto quello che

vorrebbe fare ogni bambino, come rotolarsi per terra, rompere i

piatti, tirare secchiate d’acqua, insomma fare tutto ciò che è proibito con l’aggiunta che non viene punito per questo ma, addirittura

'. * applaudito'

Questa passione smisurata per l’aspetto più aggressivo e rivoluzionario della comicità viene evidenziato anche dalle preferenze

cinematografiche che Fellini in ogni intervista tende a sottolineare.

Un’appartenenza sbandierata con orgoglio nei confronti dei “cattivi maestri” della comicità americana: Buster Keaton, Harold Lloyd,

Laurel & Hardy, Charlie Chaplin, i Marx Brothers, sono spiriti affini che agiscono con ferocia irrazionale per ripristinare la loro idea di

giustizia e il loro dis-ordine. La loro è una comicità che, per usare una formula utilizzata da Augusto Sainati, ha radici nomadi, e va ricondotta nei suoi

meccanismi interni a origini circensi, dove la trasformazione e la mobilità ne erano caratteristiche fondanti. Come si manifesta questo spirito "nomade” che il comico mutuerebbe

dalle origini? Certamente lo si può ritrovare - come nei Marx - in

tutte le espressioni dell’estroversione e dell'eccesso, che possono

assumere le forme più diverse, dalla frammentarietà a capacità di rottura (narrativa, stilistica, logica, ecc.) tipica del gag fino a quel

carattere onnivoro e impertinentemente distruttivo tipico del comico di improvvisazione' '. *

Alle radici di questa propensione ad una comicità “sfacciata”

troviamo naturalmente il fumetto, altra grande passione di Fellini. La centralità del suo rapporto con l’immagine caricaturale è stata oggetto di studi approfonditi che ne hanno evidenziato la matrice nella lettura del “Corriere dei Piccoli” che a cavallo tra gli anni ‘20 e ‘30 proponeva storie e personaggi indimenticabili. Queste storie e questi personaggi

entreranno prepotentemente neH’immaginario prima del giovane Federico, promettente disegnatore e umorista del Marc’Aurelio, poi del maturo Fellini, regista apprezzato e conosciuto in tutto il mondo. Quest’ultimo guarda con ammirazione l’universo del fumetto, trasportando in molte delle sue pellicole quei disegni colorati e

fracassoni. E così troviamo Attalo in alcune sequenze di Roma, Alex

Raymond e il suo “Pianeta Mongo” nelle sfumature “fantascientifiche” del Satyricon, senza tralasciare le tracce Al Capp ne La città delle

donne o il Mandrake di Lee Falk in Intervista. Fellini, in tutta la sua nutrita filmografìa, rende evidente il debito di riconoscenza che il cinema ha nei confronti dei comics. Personaggi asciutti, resi nella propria essenza, capaci di rappresentare ritmo e movimento.

I clowns risente fortemente di questa influenza, arrivando alla citazione, collocata all’inizio della pellicola, dove alcune tavole tratte

da “Little Nemo” di Winsor McCay sono perfettamente riconoscibili nel risveglio dell’artista da bambino e nella scoperta del tendone. I clowns è proprio un omaggio ai fumetti. Anche Amarcord è nello

stile dei fumetti, quadretti fissi dove la macchina da presa fa il minimo dei movimenti, anzi in Amarcord non l'ho proprio mai mossa volutamente. Anche Satyricon è un po’Flash Gordon, certifumetti

fantascientificiNerbini degli anni ‘30-35. Ma soprattutto in Giulietta degli spiriti, che è un film liberty floreale, dove tutti gli oggetti esprimono una certa visione nevrotica della realtà soggettiva, dove

l'oggetto è tutto soggettivato, dove i paralumi diventano delle serpi o

dei pappagalli e tutto l’arredamento liberti tende a un antropomorfizzazione a sfondo sessuale, il ricordo di Rubino, di un

mondo stregato, di una narrazione ridotta a calligrafìa che si

traduce in una serie di simboli e segni che corrispondono a una visione geroglifica inesorabile, dove tutto deve restare sospeso e

immobilizzato, ha sicuramente pesato, attraverso la scenografia, il costume, la trasformazione antropomorfica delle cose, per rendere

più evidente come le turbe nevrotiche della protagonista fossero talmente schiaccianti da bagnare se stesse e tutta la realtà che le circondava. Ecco quindi allora l’immobilità stilizzata da vetrata di chiesa, la visione difantasmi fermati dal flash al magnesio. In conclusione, l’illustratore, il disegnatore di comics è qualcuno che

apprezzo, stimo, verso il quale c’è un sentimento di solidarietà e di

amicizia, di gratitudine' '. *

E ancora: E mentre a nessun critico è sfuggita la citazione del personaggio di Little Nemo di Winsor McCay, nell’incipit de I clowns del 1970, con

l’autobiografico protagonista bambino che scivola dal letto per

correre a spiare alla finestra l’arrivo del circo, altrettanta fortuna non ha avuto quella di personaggi storici prediletti da Fellini, come la banda creata da Frederick Burr Opper: da Happy Hooligan

(Fortunello) a Uncle Si (Ciccio) fino a Maud (la mula Checca),

sanguigni protagonisti di gags come quelle in cui si esibirà il padre di

Titta in Amarcord del 1973, quando, paonazzo di rabbia per l’impossibilità difar scendere dall’albero il fratello Teo, si schiaffeggia strappandosi dalla testa la paglietta per morderla e gettarla a terra pestando ipiedi come un bambino o, ancora, la

citazione dei leggendari Bringing Up Father di George McManus, con l’oriundo irlandese Jiggs (Arcibaldo) e la moglie Maggie

(Petronilla), il guardaroba della cui bellissima e procace figlia Nora

- irresistibile campionario di moda degli anni Venti e Trenta sempre in Amarcord, ispira quell’abbigliamento e relative movenze

della Gradisca, locale "signorina Grandi firme” in formato balneare, composto da vistosi abitifasciati, aderenti completini alla marinara

che includono sbarazzini boschetti col pompon, creati da sartine di provincia perdutamente intente a rivisitare quanto l’autarchia lasciava filtrare dalle riviste di moda intemazionali^'.

Oltre a questo, però, alle origini c’è una passione sincera e smisurata per il circo, e per tutte le sue declinazioni. Fellini ne percepiva anche le sfumature più paurose, anzi questo era l’aspetto

per lui più interessante e ricco di fascino. Sapeva cogliere l’aspetto drammatico del clown, la sua capacità di risvegliare antiche paure infantili. Insomma, per Fellini il circo era un pensiero ricorrente, a tratti ossessivo, che andava necessariamente affrontato come solo lui

sapeva fare. Il film diventa, allora, lo strumento più efficace per elaborare e in un certo senso superare questa tematica. Disse che sperava, anche, di liberarsi di antiche impressioni, brutti

ricordi: «i pagliacci mi angosciavano perché troppo simili a certi

personaggi dell’infanzia, gli ubriachi, i matti, i mutilati, e ifascisti con ilfez alto, e il capostazione che non si levava il berrettone

nemmeno a tavola. In ogni paese italiano c’è l’idiota, il pazzo, il

mostro, che hanno proprio funzioni di clown presso la gioventù '. * sguaiata»'

Per approfondire l’argomento Fellini e Bernardino Zapponi vanno a trovare gli amici del circo Orfei, osservano i clown durante e dopo lo

spettacolo. Il regista cerca un punto di partenza, una scintilla che faccia decollare il progetto, che lo instradi in un percorso che non

preveda né retorica né luoghi comuni. L’ordine del generale ai suoi è chiaro: andare alle fonti. Andando a spulciare all’interno della nutrita biblioteca del regista

(a tal proposito è fondamentale il testo a cura di Oriana Maroni e Giuseppe Ricci I libri di casa mia. La biblioteca di Federico

Fellini^), notiamo molti titoli interessanti sull’arte circense e sui clown come il testo di Kelly Emmett del 1956 “Clown”, la storia del

circo italiano di Alessandro Cervellati del 1961, il periodico francese “Le circ dans l’univers”, “Le cirque: l’equitation et l’athletisme” di Ernest Molier del 1925 oppure “Le cirque” di Jean Durkheim del 1955 o “Le cirque: iconographie” catalogo della Biblioteca dell’Opera di Parigi datato 1969. Fellini prepara il progetto con la solita cura e

pignoleria, raccogliendo una quantità straordinaria di foto di circhi e di clown provenienti da tutto il mondo. Contattò molti protagonisti

sia del mondo circense sia del cinema comico, in particolare ai Fratellini, a Red Skelton e a Groucho Marx, suo idolo insieme ai famosissimi fratelli. Nel bellissimo volume curato dall’amico Renzo

Renzi e pubblicato dall’editore Cappelli nel 1970 e poi fortunatamente

ristampato nel 1988, completamente dedicato alla preparazione del film, sono raccolti molti di questi materiali. Quello che bisogna avere chiaro nella mente è che i tempi sono

cambiati, il circo attraversa un periodo di crisi e i bambini non sono più quelli di un tempo. È cambiato il loro sguardo nei confronti del

mondo e il loro modo di meravigliarsi e sognare. Inizia un vero e proprio viaggio nel passato dell’arte circense attraverso libri, giornali, foto, racconti e testimonianze. Il progetto, lentamente, ha preso forma e Fellini sembra rapito

soprattutto da quegli aspetti capaci di rievocare le sue paure infantili. Federico si attarda a sfogliare le vecchie foto dei giocolieri, delle acrobate, deifenomeni viventi. È incantato come al solito, da quelle mostruosità: che atroce galleria di donne a due teste, donne irsute,

uomini tronco, c’è perfino il vero Elephant Man'

Ma in che modo portarlo sullo schermo? Come utilizzare il linguaggio televisivo per raggiungere l’obiettivo?

Come già detto il film inizia con la sequenza del bimbo che si sveglia nel cuore della notte, scoprendo con stupore e meraviglia un tendone nel piazzale antistante la casa. Ecco svelato il protagonista. Il circo. Il bambino si avventura alla scoperta di questo magico mondo fatto di domatori, mangiatori di fuoco, nani e donne forzute e soprattutto

clown, pagliacci che spaventano il bambino facendolo piangere. Come spiega la stessa voce del regista “i pagliacci non mi avevano fatto ridere. Al contrario mi avevano spaventato”. Tornano così alla sua mente, come ricordi tenuti nascosti, tutta una serie di personaggi

inquietanti che avevano popolato i suoi ricordi d’infanzia: Giovannone il matto, la monaca nana (che verrà recuperata in Amarcord nella bellissima sequenza dello zio Teo), l’ubriacone, i vetturini, Giudizio.

Dopo questo viaggio a ritroso nella memoria inizia il finto documentario con la visita al circo di Liana e Rinaldo Orfei dove Fellini incontrerà Anita Ekberg accanto alla gabbia delle tigri. Poi si parte per Parigi, che, come lo stesso regista afferma, è “...la città che ha fatto del circo un vero spettacolo d’arte”. Qui assistiamo

all’incontro con alcuni grandi down bianchi e con Tristan Rémy

storico del circo che non comprende l’esigenza di fare un film sul circo dato che è oramai evidente la sua insignificanza in una società come

quella moderna. La sentenza di Rémy è senza appello “i veri downs sono tutti scomparsi”.

La trasferta parigina prosegue con la visita al Cirque d’Hiver, in una clinica dove è ricoverato il cavallerizzo Jean Houcke,

nell’appartamento di Charlie Rivel clown spagnolo dal passato pieno di successi.

A questo punto la troupe si reca a casa di Pierre Etaix per vedere un

vecchio film dei Fratellini. Il pellegrinaggio procede poi alla volta della casa del clown Loriot e successivamente di Manrico Meschi in arte Bario, originario di Livorno. Il finale sancisce definitivamente la scomparsa del clown e lo

fa mettendo in scena un funerale folle e sgangherato, dove la consapevolezza di un mondo destinato a perdersi nell’oblio si trasforma in rimpianto malinconico e poetico. La sequenza che vede i

due clo^vn, il Bianco e l’Augusto, che insieme se ne vanno, rappresenta perfettamente il senso di un progetto nato con l’intento di recuperare

l’immagine originaria del circo. Fellini cerca di scongiurare la morte

dei clown riscoprendo e ricercando le radici che li hanno generati, giungendo alla conclusione che comunque il clown esisterà sempre perché espressione profonda della nostra parte irrazionale e

fanciullesca. Proprio a causa di questo ultimo e insuperabile baluardo, Fellini

sostiene che la clownerie, come l'infanzia, esiste e esisterà per sempre'3"*.

L’operazione portata avanti da Fellini è tutta rivolta al recupero di uno spettacolo che nonostante si senta sempre più lontano dalla

fruizione e dalla percezione artistica del mondo contemporaneo mostra evidenti segni di vitalità. Se lo spettacolo di rivista ha battuto gli ultimi colpi memore di un fulgido quanto perduto passato, il circo ha, secondo Fellini, ancora molto da dire. La materia gli è congeniale, gli appartiene perché appartiene al suo stesso immaginario creativo.

Gli odori e le immagini di quello spettacolo gli sono familiari, hanno aderito fin dall’infanzia al suo modo di percepire la realtà donandogli le armi della meraviglia, della fantasia, della favola. Chi incarna perfettamente tutte queste caratteristiche è il Clown,

espressione genuina dell’irrazionale, del puro istinto che crea per il gusto di distruggere. Che rifugge dall’ordine convenzionale perché ne sarebbe assorbito, distrutto, dissolto. È una caricatura dell'uomo, nei suoi aspetti di animale e di bambino, di sbeffeggiato e di sbeffeggiatore. Il clown è uno specchio in cui l'uomo si rivede in grottesca, deforme, buffa immagine. È proprio

l’ombra. Ci sarà sempre. È come se ci chiedessimo: è morta l’ombra? Muore l’ombra? Per far morire l’ombra occorre il sole a picco sulla

testa: allora l’ombra scompare. Ecco, l'uomo completamente illuminato ha fatto sparire i suoi aspetti caricaturali, buffoneschi, deformi. Di fronte a una creatura tanto realizzata, il clown - inteso

come il suo aspetto gobbo - non avrebbe più ragione di essere130.

Il clown è un personaggio goffo, impacciato e grottesco che è da

sempre presente all’interno dei meccanismi dello spettacolo. Racchiude in sé tutte le caratteristiche del personaggio comico, compresa la parte più misteriosa e sacra. La sua spontaneità eversiva

e apparentemente irrazionale attinge dalla tradizione della commedia

dell’arte e diventa una figura necessaria per provocare nello spettatore il magico meccanismo della risata. Per ottenere questo utilizza e canonizza particolari formule comiche, tutte incentrate su nonsense, follia, a volte esaltazione della stupidità. Ma non solo: deve saper

danzare, suonare, saltare, insomma deve utilizzare tutte le arti per raggiungere il suo scopo. Eppure non si può non notare anche l’aspetto triste e malinconico di questa figura, costretta sempre e comunque a far ridere, prigioniero di uno spettacolo folle e

travolgente che deve sempre e comunque andare avanti. Questa caratteristica è perfettamente descritta da una lettera, datata 1970, inviata dal comico statunitense Richard Red Skelton a Fellini. Il clown è veramente un tipo triste, e quando gli dolgono le gambe o il ventre egli non deve far vedere la sofferenza. Deve mantenere quel

sorriso poiché la sua faccia è così fluida nella espressione, così fresca

di accennate idee di divertimento, che la sua deliziosa bellezza è tenuta viva dal tuo riso. Egli è infantile, non puerile. La sua arte è

devozione, come per il più fervente monaco. Se egli mostra la sua personale agonia, raccoglie pochissima simpatia poiché il pubblico

ride scioccamente del suo martirio, credendolo un nuovo espediente

teatrale.'3’*

Il 30 agosto del 1970 il film viene presentato, alla 31? Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e viene accolto positivamente dalla critica che ne sottolinea il tono intimo e affettuoso. La ricerca intrapresa da Fellini volta a riscoprire le esili

tracce di una tradizione artìstica che lentamente scompare, affascina e intenerisce, soprattutto nei momenti più lirici e struggenti. Come scrive Alberico Sala in una recensione del 31 agosto e pubblicata sul

Giorno: Dicevamo, requiem ed affettuosa galleria di personaggi, non solo del

circo, ma anche di quell’altro spettacolo più vasto che è la vita, sotto il tendone azzurro del cielo'™ *.

All’inizio del decennio Fellini cerca una chiave di lettura del proprio passato per poter affrontare un futuro che gli appare carico di incognite e fantasmi minacciosi. Con I clowns diventa evidente la necessità di reinventare i ricordi per poter rappresentare efficacemente il proprio immaginario creativo e la propria idea di

cinema. Tra progetti irrealizzabili e idee cariche di fascino nasce in Fellini il desiderio (o forse l’esigenza) di raccontare i luoghi del suo vissuto prima fra tutti quella Roma che lo aveva accolto quando era

poco più che un ragazzino regalandogli la possibilità di poter rappresentare i suoi sogni. In fuga da una provincia soffocante priva di prospettive, il giovane Fellini si tuffa tra le braccia svogliate ma rassicuranti di una Roma simbolica, dentro la quale è impossibile diventare adulti, una città dove antico e moderno, laico e cattolico,

alto e basso si ritrovano indissolubilmente uniti. (14) Lino Micciché, Cinema italiano: gli anni’ 60 e oltre, Venezia, Marsilio, 1995, P-359­ (15) Laura Maggiore, Fellini e Manara. Tra mistero, esoterismo ed erotismo, Marsala-Palermo, Navarra Editore, 2011, p. 121. (16) Bernardino Zapponi, Il mio Fellini, Marsilio, Venezia, 1995, p. 83.

(17)

Oreste Del Buono, Duetto d'amorefra due stregoni, La Stampa, 31/08/1969.

(18) Alessandro Casanova, Scritti e immaginati. Ifilm mai realizzati di Federico Fellini, Rimini, Guaraldi, 2005, p. 87. (19) Federico Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1974. (20) Federico Fellini, Un film che mi tenia, Il Resto del Carlino, 23/06/1970. (21) Federico Fellini, Fellini. Raccontando di me. Conversazione con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996, p. 102.

(22) Gian Piero Brunetta, Cent’anni di cinema italiano. Dal 1945 ai giorni nostri, Bari, Editori Laterza, p. 270. (23) Alessandro Serena (a cura di), Il Circo oltre il Circo. Daifunamboli di Marco

Aurelio agli eredi di Fellini, Milano-Udine, Mimesis, 2011, pp. 286-87. (24) Augusto Sainati, Il visto e il visibile: sul comico nel cinema, Pisa, Edizioni Ets, 2000, p. 132. (25) Paola Pallottino (a cura di), La matita di zucchero. Antonio Rubino, Bologna, Cappelli Editore, 1978, p. 13. (26) Paola Pallottino, Antonio Rubino e Federico Fellini Ipotesi sulla genesi iconografica de La strada, Ti con zero, http://venezian.altenista.org/Figure / i._La_strada.pdf

(27) Bernardino Zapponi, Il mio Fellini. Massiccio e sparuto, furente e dolcissimo, vecchio e infantile: l'uomo e il regista nel racconto del suo sceneggiatore, Venezia,

Marsilio, 1995, p. 57. (28) I libri di casa mia. La biblioteca di Federico Fellini, a cura di Oriana Maroni e Giuseppe Ricci, Rimini, Fondazione Federico Fellini, 2008.

(29) Bernardino Zapponi, Il mio Fellini. Massiccio e sparuto, furente e dolcissimo, vecchio e infantile: l'uomo e il regista nel racconto del suo sceneggiatore, cit., p. 51.

(30) Alessandro Serena (a cura di), H Circo oltre il Circo. Dai funamboli di Marco Aurelio agli eredi di Fellini, Milano-Udine, Mimesis, 2011, p. 301. (31) Federico Fellini, Un viaggio nell’ombra, in Fellini Tv: Block-notes di un regista, I clowns, a cura di Renzo Renzi, Bologna, Cappelli Editore, 1972, pp. 111-112. (32) Federico Fellini, Il clowns, a cura di Renzo Renzi, Bologna, Cappelli editore, 1970, p. 303. (33) Alberico Sala, Requiem per il circo, Il Giorno, 31/08/1970.

Capitolo 3

Lupa e vestale, aristocratica e stracciona, tetra e buffonesca: la Roma di Fellini Che cos’è Roma? Tutt’alpiù posso tentare di dire che cosa penso quando sento la

parola “Roma”. Me lo sono spesso domandato. E più o meno lo so.

Penso a un faccione rossastro che assomiglia a Sordi, Fabrizi, la Magnani.

Un’espressione resa pesante e pensierosa da esigenze gastrosessuali.

Penso a un terrone bruno, melmoso: a un cielo ampio, sfasciato, da fondale dell’opera,

con colori viola, bagliori giallastri,

neri, argento; colori funerei.

Ma tutto sommato è un volto confortante. Confortante perché Roma ti permette

ogni tipo di speculazione in senso verticale. Roma è una città orizzontale, di acqua e di terra, sdraiata,

ed è quindi la piattaforma ideale per dei volifantastici.^

L’esperienza televisiva, tutto sommato positiva de I clowns fa ipotizzare un nuovo “special” questa volta incentrato sulla figura di

Alighiero Noschese, imitatore di successo. E proprio il regista è protagonista di una delle geniali imitazioni di Noschese, che utilizzando tutti i titoli della filmografia felliniana, racconta in chiave

grottesca una sua giornata tipo. Un personaggio come Noschese affascina e allo stesso tempo inquieta Fellini, con la sua capacità di indagare i personaggi imitati con rigore quasi scientifico, partendo

dalla necessità di una somiglianza esasperata e amplificando ogni

dettaglio, dalla voce ai movimenti del corpo. Un grande artista che però nascondeva un lato fragile e oscuro, e forse è proprio questo che attirava l’interesse di Fellini. In quel periodo Federico Fellini è attratto morbosamente da Noschese, da quella faccia artificiale, malleabile a ogni

trasformazione, così docile da lasciarsi truccare, imparruccare,

cancellare come individuo e risorgere come maschera, ogni volta

diversa. Gli piace specchiarsi nell'imitazione che Noschese gli ha dedicato, con tanto di pigolio romagnolo invasato d'ispirazione, sciarpona d'ordinanza e cappello che esplode d'idee, affiancato da

una Loretta Goggi trasformata in Masina piagnucolante, appesa al braccio come una bambina'3*'.

Questo sentimento di ammirazione sembra però racchiudere un

turbamento, un’inquietudine dovuta principalmente alla capacità di Noschese di cogliere l’essenza di ogni personaggio imitato. Fellini si sente messo di fronte al suo doppio, attraverso una metamorfosi

magica che sembra provenire dall’inconscio. La perfezione del lavoro di Noschese diventa un elemento disturbante perché proprio di un

animo che non ha nulla di umano. Sembra il pupazzo di chissà quale ventriloquo: un guscio vuoto, dotato di un magico marchingegno artificiale, segreto delle sue continue trasfigurazioni. Come quegli automi settecenteschi che tanto

ossessionano il regista riminese, intelligenze artificiali ante litteram,

che troveranno posto nel Casanova * 36’.

Questo turbamento però intriga Fellini che decide di lavorare su un

progetto biografico, uno special incentrato sulla figura di Noschese. Il regista inizia a frequentare il comico cercando di carpirne i segreti. E un lavoro di osservazione attenta, che cerca di sondare gli aspetti meno conosciuti, i segreti, le ossessioni e le paure. Fellini lavora molto, scrive disegna, annota ma poi, quando deve passare alla fase di

realizzazione, come spesso gli accadeva, abbandona il progetto.

Noschese viene abbandonato ai suoi mille volti e alle tante ossessioni che lo porteranno il 3 dicembre del 1979 al suicidio. Comunque i primi anni ‘70 sono ricchi di progetti e proposte. Per alcuni di essi, il regista inizia a buttare giù qualche idea. È il caso di «

Mandrake” che un Dino De Laurentiis sempre più infatuato

deH’America propone con insistenza arrivando a portare, addirittura, sul set di Roma, il suo creatore, Lee Falk. Mosso da una passione smodata per il fumetto, Fellini prende in considerazione l’idea e butta

giù un brevissimo soggetto nel quale inquadra storicamente il

personaggio analizzandone i possibili sviluppi cinematografici. La materia trattata è nelle sue corde, sia per l’aspetto irreale e

fantastico delle vicende, sia per la possibilità di portare sul grande schermo le avventurose vicende di un misterioso eroe con spiccate capacità paranormali. Il rischio, forse a causa dell’improvviso fallimento del progetto, è quello di rendere la materia in chiave troppo «

americana”, lontana dal suo spirito caricaturale e fumettistico.

In una delle possibili soluzioni sembra di scorgere il piccolo Federico, sul suo piccolo letto, che fantastica di mondi e galassie

lontane, e che costruisce armato di fantasia i primi personaggi del suo

meraviglioso universo creativo. Immaginiamo un bambino che sta a letto per una delle tante malattie infantili. Passato il periodo più acuto della crisi, diminuita la febbre, il bambino chiede alla mamma di portargli la sua collezione di

fumetti di Mandrake, suo personaggio preferito. Ma la mamma ha

approfittato della malattia del ragazzo per “mettere ordine”; ha sistemato la sua stanza e ha buttato via tutto quanto le sembrava ormai superato, ingombrante, inutile, fra cui ifumetti di Mandrake.

Disperazione del bambino. Suoi pianti. Scende la sera. Solo nel suo lettino egli pensa a Mandrake. Ed ecco apparire Mandrake in

persona, preceduto e annunciato dal gigantesco Lothar. "Credevi che ti avessi abbandonato?”, sorride il mago. “No, io non ti lascerò mai.

Vieni, facciamo un viaggetto insieme. * 37*

Un’esperienza fantastica, che mette in primo piano la sensibilità dei bambini verso l’aspetto magico della vita, capitolo importante nella vita di Federico. In molte occasioni il regista ha parlato di questa particolare propensione, soprattutto durante i primi anni di vita, a percepire le sfumature e gli aspetti più nascosti della realtà. Io credo che tutti, almeno da bambini abbiamo avuto esperienze che

oggi si definiscono parapsicologiche, ma non sapevamo riconoscerle per tali. Io, per esempio, ero convinto che certe cose un po’ insolite

che vedevo fossero del tutto normali, facessero parte del modo un po’ trasognato di percepire la vita, la realtà che si ha quando si è

* piccoli 3** .

La notte diventa il luogo ideale ove sperimentare il contatto con

altre realtà e altre dimensioni.

Fuori dal letto, oltre la finestra della camera, tra le pagine di un

libro, sullo schermo di un vecchio cinema di provincia si può essere risucchiati all’interno di mondi paralleli, meravigliosi e allo stesso tempo terrificanti. Basta solo chiudere gli occhi e lasciarsi invadere

dal potere magico dell’immaginazione. Mi accadeva di perdere la coscienza, di scivolare in una dimensione

di assenza totale, in un sonno senza sonno, in una perdita totale di consapevolezza. Da questa zona nera e buia ero di colpo riscosso, come se qualcuno mi prendesse violentemente per la spalla e mi desse

uno strattone repentino. Questa scossa mi riportava nell’oscurità consapevole della mia stanza, cioè nella coscienza di essere a letto e forse addormentato. ,39‘

L’infanzia magica che Federico descrive e rielabora in immagini si ricollega a un dialogo costante con il ricordo, e attraverso il ricordo

con gli aspetti più “irrazionali” della memoria. La cosa fondamentale è guardare le cose che ci circondano, anche quelle invisibili agli occhi, non come rappresentazioni di un mondo ignoto e angosciante ma come possibilità del nostro universo interiore. Accettare senza porsi

troppe domande, un po’ come fanno i bambini. Ricordo ad esempio certe festose fantasie infantili a cui mi abbandonavo abitualmente nei mesi estivi, che trascorrevo in casa di

mia nonna a Gambettala, in provincia di Forlì. Avevo battezzato i quattro angoli del mio letto con i nomi dei quattro cinematografi di Rimini: Fulgor, Savoia, Sultano e Opera Nazionale Dopolavoro. Non

appena coricato mi volgevo verso il primo angolo (Fulgor), e a occhi

chiusi - ma ancora perfettamente desto - aspettavo che accadesse "una certa cosa”. E infatti la cosa accadeva. A poco a poco il buio si diradava, acquistando un aspetto vellutato, e quasi subito

cominciavano a palpitare in esso punti luminosi, sfere, cerchi lucentissimi, fiammelle, stelle, vetri colorati. Era come un immenso

albero di Natale rutilante di luci e di colori, una galassia in miniatura che cominciava a ruotarmi intorno fino a darmi la sensazione di essere risucchiato a poco a poco anch’io in quel

girotondo'4"'.

Tornando al Mandrake, Fellini oltre a descrivere le possibilità cinematografiche del personaggio, sollecitato dalla rivista Vogue Francia, ne cura il numero natalizio. Per l’occasione fa indossare i panni dell’illusionista a Marcello Mastroianni e quelli di Narda a Claudia Cardinale in un divertente fotoromanzo dal titolo “Moi, Mandrake de Prosinone”. Lo stesso personaggio, sempre interpretato da Mastroianni ritornerà nel film Intervista nella magnifica sequenza

del ballo tra Marcello e Sylvia (Anita Ekberg). L’apparizione sul lenzuolo bianco delle mitiche sequenze de La dolce vita viene evocata

da una formula magica pronunciata da Marcello/Mandrake: «Bacchetta di Mandrake, il mio ordine è immediato: fai tornare i bei tempi del passato!».

In mezzo a tutto questo, il 2 novembre del 1970, erano iniziate le

riprese del nuovo lungometraggio di Fellini: Roma. Il regista inizia a elaborare il progetto assieme al fidato Bernardino Zapponi con le solite modalità, lunghe gite in macchina per scovare ambientazioni e

spunti utili al film. Fellini inizia ricercando lo squallore, inteso non come brutto ma come un aspetto della vita rimasto tagliato fuori dal tempo, una

deviazione che resta fìssa e immutabile. Ma cosa vuole raccontare di

Roma, Fellini, quale realtà rappresentare e in che modo? Le indicazioni date al fido Zapponi sono chiare: lasciare che i

ricordi fluiscano liberi riportando alla luce i colori di due città ben

distinte nella mente del regista: la Roma prima della guerra e la Roma moderna”. I due, allora, si immergono in quella Roma multiforme cercando di trovare il giusto punto di vista. Il produttore è Alberto

Grimaldi, che aveva collaborato con Fellini per Satyricon e Tre passi nel delirio. Pur approvando il progetto, fin dall’inizio, sembra

pessimista sul buon esito commerciale della pellicola e infatti poco dopo l’inizio delle riprese si ritira dal progetto con il timore di non reggere da solo il peso economico di quell’impresa. Così entra in scena Elio Scardamaglia della Leone Film, con il quale Fellini aveva portato a termine I clowns. Il nuovo produttore si getta con entusiasmo nel

nuovo progetto felliniano, ma giorno dopo giorno anche lui inizia a indietreggiare. Arriva quindi il momento di Turi Vasile della “Ultra Film”, che in breve tempo concluse le trattative portando a casa la

pellicola.

Ecco che Zapponi prova ad abbozzare una sorta di soggetto che

possa funzionare da motore e da evocatore di idee. La domanda è sempre la stessa, quale Roma raccontare? Ci si inizia a interrogare sulla vera identità della città eterna, sulla

sua anima femminile, con la duplice funzione di madre e amante, ambigua soprattutto per la molteplicità di caratteri che la animano. Talvolta è cupa, torva, bisbetica. Imprendibile, indefinibile, irritante, languida. Una città come Roma possiede ogni età e ogni aspetto contemporaneamente, e, a seconda del nostro stato d'animo, vi si

adatta'4'*.

Una città che in quanto femmina mostra senza pudore la sua

imprevedibilità, il suo bipolarismo accentuato, fatto di improvvise e

chiassose risate contrapposte a silenzi imperscrutabili. Quello di Fellini è un atto d’amore nei confronti di una città dal volto e dal comportamento confortante e consolatorio, ma che proprio

in questa benevolenza materna racchiude un’immobilità profonda e innaturale. S’intende che questo conforto ha i suoi lati negativi, e se è vero che a

Roma ci sono pochissimi nevrotici, è anche vero, come sostiene lo psicanalista, che la nevrosi è provvidenziale, serve a scoprire se stessi

in profondità; è come tuffarsi in mare per ritrovare il tesoro nascosto delle favole; obbliga il bambino a diventare adulto. Roma questo non

lo fa. Col suo pancione placentario e il suo aspetto materno evita la

nevrosi ma impedisce anche uno sviluppo, una vera maturazione. Qui non ci sono nevrotici, ma nemmeno adulti. È una città di bambini svogliati, scettici e maleducati; anche un po’ deformi, psichicamente,

giacché impedire la crescita è innaturale144'.

Il film si articola in nove capitoli differenti nel tono e nella

lunghezza: i primi ricordi di Roma nella vita di provincia, l’arrivo a Roma in treno, il raccordo anulare, la sequenza di Villa Borghese, il

teatro Jovinelli/Barafonda, la metropolitana, i casini, la sfilata ecclesiastica, Trastevere. La materia che Fellini vuole plasmare ci riconsegna una Roma

perennemente immersa nella contraddizione e nel mito, una città che vive tra religione e peccato, che sa travestirsi per incantare e illudere.

Il prologo è un’anticipazione della materia trattata in Amarcord, un viaggio nella memoria del borgo nativo, con ambientazioni scolastiche, scorci di piazza, Giudizio, il matto del paese, il bar popolato dai soliti vitelloni, ancora un frammento di vita scolastica tra

inni alla patria e tentativi goliardici di ribellarsi a così tanta retorica.

Un linguaggio che utilizza il folklore della storia, i ricordi di scuola e una fìnta regalità che proprio per la sua pompa artificiosa finisce per risultare ridicola e sciatta.

Una Roma che Fellini smaschera subito, fin dal suo arrivo alla stazione nel 1938. La città che si trova davanti è un coacervo di linguaggi urlati e fracassoni, calda e sudaticcia, perennemente

affamata, sorniona e allo stesso tempo feroce. Dietro a tutto questo c’è la Roma che colpisce profondamente l’immaginario del regista, con i suoi bordelli e i teatri d’avanspettacolo, luoghi pulsanti di vita, in cui

manifestare lo sgomento di chi scopre il rumore assordante della vita. Chi conosce il cinema felliniano, la sua estrosità e sovrabbondanza e

soprattutto la sua tendenza a sconfinare nella costruzionefantastica o fantasmagorica (e Satyricon e I clown ne sono state le punte più avanzate ) non si sorprenderà di ritrovare in Roma un'alterazione

concettuale volta a non superare i limiti geografici del titolo per conseguire una più vasta significazione, come se Roma fosse solo il

punto di avvio per un discorso sull'Italia di ieri e di oggi, bensì ad esasperare i ricordi e in essi inserire, con analoga deformazione prospettica, un presente parimentifrastornato e frastornante.^

Oltre a questo, c’è la fìnta inchiesta, utilizzata come linguaggio per

smascherare la Roma contemporanea, quella fatta di luoghi fantascientifici e misteriosi, come le catacombe della metropolitana, o

il raccordo anulare, palcoscenico del perenne scontro tra uomini e macchine. Un luogo assurdo, popolato da figure mostruose, da prostitute, illuminato dalle luci artificiali delle stazioni di servizio,

girone infernale dentro il quale sfrecciano senza mai fermarsi moto e automobili in un fragoroso ribollire di vita e di morte. Tutto questo sotto gli occhi assolutori del regista e della fìnta troupe, formata da giovani che parlano una lingua aliena fatta di frasi ideologiche e politicizzate. Una generazione che si muove lentamente per la città,

invadendone i luoghi più rappresentativi, portatori di linguaggi,

costumi e gesti differenti, ma che la città tollera più per pigrizia che per scelta consapevole e che assiste alla violenta reazione della polizia continuando a mangiare bucatini cacio e pepe, trippa e lumache.

Un’inchiesta che naturalmente vira improvvisamente verso altri linguaggi, mescolati e amalgamati insieme in un pastiche che contiene ricordi, riflessioni, suggerimenti, paure, il tutto in un’atmosfera incantata.

Quello che sembra affiorare attraverso il prisma del ricordo è una città che racchiude tutte le ossessioni felliniane, un circo a cielo aperto

fatto di continue parate, popolate da caricature di persone e da oggetti e ambienti che sembrano venire fuori dalla penna di un disegnatore

del Marc’Aurelio. Ed è proprio alla lezione del Marc’Aurelio e in particolare di Attalo che Fellini si ispira per rappresentare i suoi ricordi della Roma popolare, quella che con spirito materno lo accolse

appena diciottenne.

Gioacchino Colizzi, in arte Attalo (re di Pergamo che in punto di

morte lasciò tutto il suo patrimonio al popolo) esordì come disegnatore nel 1922 sulle pagine umoristiche del Serenissimo

proseguendo poi nelle più importanti riviste satiriche del periodo come il "Travaso delle idee”, il “Bertoldo”, il "Pasquino” e il “Candidow’ per diventare infine una colonna insostituibile del “Marc’Aurelio”. Sì,

il Marc’Aurelio bisettimanale umoristico che sfornò in pochi anni i più grandi scrittori e vignettisti del nostro Paese. Oltre a Attalo e a Fellini

ricordiamo Metz, Migneco, Maccari, Marchesi, Brancacci, De Seta e moltissimi altri, tutti agli ordini del mitico Vito De Bellis.

Fu il creatore di personaggi che entreranno nella storia della satira italiana come il Gagà, un bellimbusto dai modi cialtroneschi che

rappresenta le miserie e le contraddizioni dell’Italia degli anni ‘30 o « Genoveffa la racchia” rappresentazione di una donna brutta e impacciata in una società che voleva invece esaltare la forza e la

bellezza della donna italica. Il disegno di Attalo era meticoloso, pulito e preciso, un tratto quasi neorealistico con accenti dissacratori. Nelle sue vignette Attalo racconta soprattutto la piccola borghesia romana,

un po’ stracciona, e con grandissimo spirito d’osservazione i suoi interni pervasi da odori forti, malandati ma dignitosi, popolati da gatti miagolanti, bambini urlanti, vasi da notte, lavapiedi e serve dai seni

prosperosi. Una popolazione sciatta e abulica figlia di un ceto impiegatizio e bottegaio perfettamente descritto da Bernardino Zapponi. ...una folla romanesca e triste, avvezza agli espedienti e ai debiti col

pizzicagnolo; mondo sordo, senza riscatto, sciroccoso, vinto, ma

comunque ancorato al suo poverissimo decoro'" . *

La scena dell’appartamento, dove il giovane prende la camera è

tutta costruita sui ricordi del lavoro e dell’arte di Attalo. Ed ecco, rifatta con cura meticolosa, una vasta cucina col tavolo di marmo, ifagioli a bagno, la ragazza che si lava i capelli e il nonno

che esce dall’attiguo bagnetto; ecco un corridoio ingombro di canterani e biciclette, e lo stanzino della serva, a sezione triangolare,

opprimente come un incubo; ecco i clisteri e i semicupi e le pentole e i

ninnoli nel buffet e gli altarini della nonna e l’ondina di ceramica; i personaggi di Attalo perdono di bonarietà e si trasformano in

simboli di scostante estraneità: il giovanottone con la retina in testa, scottato dalla gita a Ostia; la mamma ammalata alle ovaie, che pesa

cento chili e non s’alza dal letto, il nonno impazzito che fa l’imitazione del Duce, la bambina occhialuta che, al gabinetto, urla: Ho

fattoooo !l45}.

Ogni cosa, ogni persona è interpretata da Fellini in chiave caricaturale, come bozzetto da contemplare nella dimensione magica del ricordo. Il rapporto tra Fellini e il Marc’Aurelio di Attalo è un

rapporto stretto e intenso, che avrà forti ripercussioni nell’educazione artistica del regista. Il Marc’Aurelio rappresenta una realtà alternativa, più vera di quella proclamata dal regime e dai suoi falsi

miti, fi Marc’Aurelio voleva raccontare un’Italia diversa, lontana da quella scolastica magari più miserabile e sporca ma sicuramente più

affascinante e Attalo era il campione di questo modo di affrontare la

società italiana. Una società, comunque oppressiva e permissiva allo stesso tempo, intrisa di clericalismo e fascismo, immobile e schiacciata sotto il peso dei suoi rituali secolari. Ed è proprio l’occhio

attento e indagatore di Attalo che può raccontare con un’efficacia che in un certo senso anticipa il Neorealismo, l’Italia e gli italiani. Fellini s’innamora proprio di questa capacità, fuori dal comune, di interpretare gli umori del tempo e di rappresentare la realtà con ferocia ma senza dimenticare l’aspetto comico della vita.

Ecco come il regista ricorda l’amico vignettista: Un caricaturista satirico con una grande forza rappresentativa e

una carica di comicità che raramente trovi in altri disegnatori. Lui faceva proprio ridere... Erano personaggi che incontravi sull’autobus, nelle trattorie all’aperto, era tutta un’umanità riconoscibile... Poi io ero arrivato a Roma da poco e mi sembrava di

vivere nel mondo di Attalo. Stavo in camere ammobiliate, e le

padrone erano le padrone di Attalo, gli altri pensionati erano personaggi di Attalo, che vedevo girare in camicia, nei corridoi, con

le bretelle a penzoloni, in pantofole. Quei sederoni di impiegati affacciati alla finestra, a trascorrervi interi pomeriggi della

domenica a guardare sotto, nella stradai.

Con Roma, Fellini, conclude una trilogia sulla decadenza della città eterna, trilogia iniziata con La dolce vita e proseguita con il Satyricon. Quando parliamo di Roma naturalmente parliamo di una Roma felliniana, fatta di intuizioni e ricordi, di personali riflessioni e

di improvvisi picchi creativi; la sua è una soggettività spinta all’estremo ma che impone uno scatto avanti verso uno sguardo più maturo. È una visione definitiva costruita attraverso la stratificazione

di tutte le visioni che nel corso degli anni Fellini ha inserito nei suoi film. Dietro l’apparente forma dell’inchiesta e l’altalenare di memorie, attualità e immaginazione, anche Fellini centrifuga nel film tutte le

visioni di Roma sin lì entrate nella sua filmografia: la Roma sognata nella provincia, come ne Lo sceicco bianco o I vitelloni, quella

sgangherata e popolare di II bidone e Le notti di Cabiria, quella

mondana de La dolce vita, quella antica e misteriosa del Satyricon e di A Director’s Notebook”34 4748 46 45 44 43 42 41 40 39 38 37 36 35 ’. 51 50 49

La Roma che Fellini rimpiange, e in un certo senso s’impegna a rievocare, è quella lontana, la città mito nella quale da ragazzo si era immerso; quella delle osterie, delle tavolate rumorose che

traboccavano di vitalità ostentata, unica risposta possibile e sensata alla miseria. Una Roma che non esiste più, imbastardita, dominata dal caos, una Nuova Babilonia ricolma di umanità convulsa e disperata. Una Roma che nasconde la sua vera origine e identità nelle viscere, in

un cantiere della metro, meravigliosa e fragile come gli affreschi che

svaniscono al tocco dell’aria. In questa sequenza poetica e terrificante, si condensa il significato profondo del film: quello di Fellini è uno sfogo necessario e urgente, nato dal rimpianto, dai fantasmi che attanagliano la sua fantasia. Il vertiginoso percorso immaginativo a cui si affida è fatto di manierismo, senso barocco della composizione figurativa, propensione all’artificio come forma di poetica

mistificazione, un apparente e disperato disordine immaginativo, che però riesce a far emergere tutto il timore per un mondo in disfacimento sopra il quale incombe, inesorabile e ghignante, il volto

spettrale della morte.

Quello che la memoria riporta a galla viene reinterpretato tenendo conto delle verità storiche. Esempio perfetto ne sono la sequenza del

bordello che ci restituisce un luogo prodotto del sistema educativo del tempo e la sfilata ecclesiastica, visivamente sublime, satira precisa e

attenta della vacuità della chiesa con i suoi orpelli bizzarri che sfociano nel macabro e nel profano. Una sequenza in cui il sogno diventa incubo e il grottesco diventa rappresentazione intensa di immobilismo polveroso e catacombale. Insomma, se il film si apre con gli accenti ironici del fascismo provinciale, nel finale riecheggia insistente il fantasma della morte, l’angosciosa rappresentazione di

una Roma notturna, abbandonata all’invasione dei nuovi barbari che, come in passato, allungano la loro ombra minacciosa su palazzi e

monumenti. L’orda abbagliante dei motociclisti irrompe verso Via dei Fori Imperiali, e in immagini indistinte sfreccia sullo sfondo dell'arco di Settimio Severo. Sull’asfalto la lunga striscia bianca scorre via come

ingoiata dal frastuono dei motori. La mole del Colosseo illuminato

incalza sempre più grandiosa e spettrale. In tute di pelle e caschi d’acciaio, i motociclisti avanzano impassibili fra i bagliori accecanti

dei fari... imboccano Porta Ardeatina e si allontanano lungo la Cristoforo Colombo, nella notte!41".

La sequenza è preceduta dal breve cameo di Anna Magnani, ultima

apparizione dell’attrice prima della morte. Un’apparizione poetica, che s’inseriva nella volontà di Fellini di dare la parola ai simboli di Roma (Mastroianni, Sordi, e appunto Nannarella). A differenza della

sceneggiatura originale rimarrà solo il contributo dell’attrice romana

mentre gli altri verranno estromessi e ripresi in parte nella versione restaurata dalla Cineteca Nazionale in collaborazione con il Museo Nazionale del Cinema di Torino e la Cineteca di Bologna. La Magnani appare come se fosse il frutto di una visione, con il suo volto dolente ma carico di vita, simbolo inesauribile di una romanità

scontrosa e regale. L’attrice aveva accettato la parte dopo lunga

riflessione. Fellini gli fece vedere un montaggio della pellicola e a lei

piacque moltissimo, tuttavia non riusciva a capire il desiderio di Fellini di mostrare lei come simbolo della città, nutriva una certa

diffidenza nei confronti dei registi, come se temesse di essere usata. Inoltre era molto timida, nonostante l’atteggiamento aggressivo e sicuro che ostentava come un’armatura. Ecco nascere la battuta: «A Federi, nun me fido». Alla fine però accettò e quando arrivò il

momento di girare era emozionatissima come un’attrice al suo debutto. Questo finale pacato e delicato, intriso di equilibrata forza nostalgica, ci fa conoscere un Fellini capace di rendere predominante

la poesia della parola sul potere evocativo dell’immagine. In questa

scena troviamo tutte le varie anime di Roma, la sua decadenza monumentale, le sue contraddizioni, la sua eterna propensione al caos come espressione di bellezza e magnificenza. Una scena che è la sintesi, ironica e autoironica, di tutto ciò che è stato detto e si dirà attorno al metacinema: Federico Fellini che è il regista che interpreta se stesso; Anna Magnani che rappresenta se

stessa, Roma e l’attore; l'attore che finge di non stare al gioco del patto cinematografico, che prova a ribaltare il rapporto creativo col

regista; Roma che mette in soggezione, stanca, sfuggente e impenetrabile; l’affettuosa, sempre in bilico tra il simulato e il reale,

mancanza di fiducia attore/regista, cinema/autore, nella chiusura con la battuta «Nun me fido» pronunciata da Anna Magnani-

Roma.1^

Una città “morta tante volte e tante volte rinata”, ideale, come dice

Gore Vidal nella scena della “Festa de Noantri”, per vedere se tutto finisce o no.

A ben vedere Roma è un viaggio del tempo, tra memorie di un passato autobiografico e visioni apocalittiche di un futuro prossimo. Se taluni cercano di risolvere il tutto sottolineando il primato del primo aspetto, sono le incursioni nell’atmosfera della capitale moderna che ci regalano i momenti più riusciti: il traffico impazzito

del raccordo anulare sotto un cielo livido, i cortei di protesta e la repressione poliziesca, anticipazione di un clima sempre più conflittuale, i centauri del finale, fantasmi contemporanei di una

società caotica e roboante. Capita poi che passato e presente cerchino un punto di equilibrio in cui coesistere, come nella sequenza degli affreschi scoperti durante gli scavi della metropolitana, nella quale appare chiaro come sia sempre più difficile il recupero del passato che mantiene la sua forza solo grazie all’aspetto evocativo e onirico. D’altronde la coesistenza del passato e del presente in Roma sifa

icastica nelle scene dedicate alla scoperta delle arcaiche vestigia durante gli scavi per la metropolitana: oltre un muro appena

abbattuto i magnifici affreschi millenari di una camera stagna svaniscono velocemente al contatto con l’aria. L’archeologia come metafora non della memoria ma della disparizione, del nihil che

s'allarga alla storia, all'arte, alla bellezza di cui in un attimo non

resta che nullah.

All’uscita del film la critica come al solito si divide tra chi vede un Fellini ispirato e profetico e chi invece rimpiange il passato. Alcuni

criticano l’abbandono definitivo dell’idea classica di cinema con una chiara e comprensibile successione di eventi, contestando il gusto, troppo fine a sé stesso, della giustapposizione apparentemente confusa di idee e visioni. Si vede in tutto ciò una perdita di senso e un’incapacità, sempre più evidente di analisi. L’inchiesta Felliniana viene vissuta come un pretesto per dare libero sfogo alla rappresentazione allucinata di una società che fatica a trovare un punto di equilibrio. La sfilata ecclesiastica, ad esempio, è criticata nel

suo gusto esasperato per la messa in scena, se ne evidenzia il limite proprio nell’attenzione ossessiva al gusto estetico che ne depotenzia drasticamente il messaggio. Un Fellini che inizia a risentire del

decennio e dei suoi influissi negativi e pessimisti, che si abbandona alla consapevolezza della fragilità dell’uomo, un uomo sempre più

caricatura ghignante di sé stesso, un uomo piccolo, ridicolo, a tratti

deforme e mostruoso. Con Roma Fellini spinge la sua demolizione fino a sentire che dietro

la realtà soggettiva delle cose c’è una realtà più profonda e invisibile,

quella del ricordo e dell’immaginario, che però non riesce a

compensare il vuoto che sottende ogni cosa. La "bella confusione” di Roma è già diventata un involucro senza corpo, nel quale la memoria

e la fantasia scavano per estrarne reperti desolati (l’universo

cloacale dell’anulare, del casino, dell’avanspettacolo), già deformati in caricature (gli inquilini e i proprietari della pensione, le prostitute, i grevi avventori delle trattorie, i modelli del defilé, il cardinale stesso, la vecchia aristocratica)15'1.

(34) Federico Fellini, Fare un film, cit., pag. 144. (35) Giuseppe Sansonna, Hollywood sul Tevere, Roma, Minimum Fax, 2016, p. 9. (36) Giuseppe Sansonna, Hollywood sul Tevere, cit., pp. 11-12. (37) L. Tomabuoni (a cura di), Federico Fellini, Milano, Rizzoli, 1995, p. 86.

(38) F. Fellini, Io e la bio-energia, Pulsazione 1 (rassegna dell'istituto di bio­ energetica W. Reich), Milano, SugarCo Edizioni, 1977, pp. 11-12. (39) Ivi, pp. 15-16. (40) L. Talamonti, L’infanzia magica di Federico Fellini, in Scienza e Ignoto, Faenza,

Faenza Editrice, 1972, p. 37. (41) B. Zapponi (a cura di), Roma di Federico Fellini, Bologna, Cappelli Editore, 1972, p. 23. (42) F. Fellini, Fare un film, Torino, Einaudi, 1993, pp. 144-145. (43) L. Quaglietti, Sotto il segno di una fantasia disordinata: Roma di Federico Fellini, in Cinema sessanta, n. 89, maggio - giugno 1972, p. 62. (44) Gioacchino Colizzi Attalo, a cura di Lamberto Antonelli, Editrice Napoleone,

Roma, 1986, pag. 48. (45) Ibidem. (46) Lamberto Antonelli e Gabriele Paolini, Attalo e Fellini al Marc’Aurelio: scritti e

disegni, Napoleone, Roma, 1995 pag. 15. (47) Andrea Minuz, Viaggio al termine dellTtalia. Fellini politico, Rubettino, Soveria

Mannelli, 2012, pag. 126. (48) Roma di Federico Fellini, cit. (49) Lingue e linguaggi del cinema italiano, a cura di Marco Gargiulo, Ariccia, Aracne editrice, 2016, p. 132. (50) Oscar larussi, L'infanzia e il sogno, Edizioni Fondazione Ente dello Spettacolo,

2009, p. 77. (51) Ennio Bispuri, Federico Fellini, il sentimento latino della vita, Il Ventaglio, Roma, 1981, pp.179-180.

Capitolo 4

Adolescenza di una nazione Al so, al so, al so,

Che un om a zinquent’ann L’ha sempra al ménipuloidi

E me a li lèv do, trez volti e de Ma l’è sultént s’a m void al meni sporchi

Che me a m’arcord

Ad quand ch’a s’era burdéll. Lo so, lo so, lo so,

Che un uomo a cinquantanni

Ha sempre le mani pulite E me le lavo due, tre volte al giorno.

Ma è solamente se mi vedo le mani sporche Che mi ricordo Di quando ero ragazzo.

Prima di tutto Amarcord non è un film autobiografico. Fellini in tutte le interviste rilasciate per promuovere il film insiste molto su questo aspetto; secondo lui interpretare il film in chiave

autobiografica non solo risulta fuorviente ma anche piuttosto riduttivo. Come evidenzia saggiamente Alberto Moravia in una

recensione del 1973 pubblicata su l’Espresso non c’è all’interno della pellicola nessun richiamo autobiografico. Ecco allora entrare in scena con prepotenza il titolo, per molti il vero protagonista del film.

Amarcord è una citazione, che viene con tutta la sua misteriosa forza e capacità evocativa da una poesia, “A m’arcord”, del nuovo collaboratore di Fellini, Tonino Guerra, posta in epigrafe al volume

pubblicato da Rizzoli nell’agosto del 1973, (firmato Federico Fellini & Tonino Guerra), contenente il trattamento del film. Guerra, poeta, scrittore, sceneggiatore aveva collaborato con alcuni dei più illustri registi del cinema italiano e internazionale (Andrej Tarkovskij,

Francesco Rosi, Michelangelo Antonioni, Luchino Visconti, Theo Angelopoulos, i fratelli Taviani, Marco Bellocchio, Vittorio De Sica, Elio Petri). Lo legava a Fellini oltre all’anno di nascita e alla provenienza geografica, una sincera e solida amicizia e un immaginario poetico per molti versi affine. Con Tonino Guerra ho scritto Amarcord e E la nave va. Ci lega lo

stesso dialetto, un’infanzia passata tra quelle stesse colline, la neve, il mare, la montagna di San Marino. I due paesi dove siamo nati distano l’uno dall’altro nove chilometri; da ragazzino andavo in

bicicletta con altri amici fino a Sant’Arcangelo, e ci sembrava che parlassero un’altra lingua' '. *

Ma cosa significa veramente Amarcord per Fellini? Può essere letto

semplicemente come un “mi ricordo”? Il regista riminese allontana immediatamente questa interpretazione. Amarcord è una specie di suono evocativo, una specie di “asa nisi masa”, che una volta

pronunciato è in grado di risvegliare apparizioni e presenze misteriose. Fermarsi al “mi ricordo” è un errore, ecco perché il regista è indeciso sul titolo, forse è meglio cambiarlo. “Viva l’Italia”, viene scartato perché troppo sarcastico e “Il borgo” che voleva sottolineare la chiusura, quasi medievale, della provincia per molto tempo sembra essere il più adatto, tanto da comparire sulla prima stesura della

sceneggiatura. Poi per problemi con i diritti del libro di William Faulkner questa opzione viene accantonata. Giorno dopo giorno, però, Amarcord diventa per Fellini quasi una parola-talismano, evocatrice di memorie sopite, come lui stesso scrive

“una paroletta bizzarra, un carillon, una capriola fonetica, un suono cabalistico”^.

Una parola che diventa stato d’animo, medicina per curare le ferite provocate dalla separazione da un passato pericoloso e oscuro dal quale è necessario liberarsi per diventare finalmente consapevoli del

presente. Il luogo nel quale si sviluppano le azioni del film è un

piccolo borgo della Romagna, mentre per individuare il periodo storico, come nota giustamente Tullio Kezich, bisogno leggere

correttamente gli indizi che Fellini dissemina qua e là, tra le pieghe della storia. L’azione di Amarcord dura un anno esatto, da una primavera a un’altra primavera. Ma di quale anno si tratta? Sempre riluttante a

fornire precisazioni, l’autore sparge segnali contraddittori. Potrebbe

trattarsi del 1933, anno della VII Mille Miglia e del viaggio inaugurale del transatlantico Rex, citati nel film; ma anche del ‘35, quando con la guerra in Etiopia si cominciò a cantare “Faccetta

nera”; o del ‘37, quando uscì Voglio danzare con te con Ginger & Fred cui si vede un manifesto. Siamo, insomma in un anno ballerino fra il ‘33 e il *37 nel cuore degli Anni Trenta"" '. *

Ma come nasce l’idea di Amarcord? Bernardino Zapponi, l’allora fidato sceneggiatore di Fellini racconta che nel 1972, non appena

terminate le riprese di Roma il regista lo informa del desiderio di

raccontare la “sua Rimini”. Zapponi, appare fortemente contrario a un’operazione che, erroneamente, giudica un pericoloso ripiegamento verso un passato nostalgico. Il regista cerca di convincerlo spiegando che quello che ha in mente nasce più dall’influenza del “Corriere dei piccoli” che da un’esigenza di fare i conti con le proprie radici.

Zapponi non sente di poter dare nessun valido apporto al progetto e si

defila rimanendo come semplice revisore del lavoro fatto da Guerra. L’opera di Fellini appare immediatamente slegata da uno

svolgimento lineare della trama, caratterizzandosi per una stratificazione di episodi che emergono dai ricordi dei personaggi che popolano la pellicola. Alla base di tutto questo, però, c’è lo scorrere

del tempo e in particolare delle stagioni che attraverso gli elementi e le manifestazioni della natura accompagnano l’impetuoso progredire della vita. Dentro questo mutevole palcoscenico, si muovono i personaggi creati da Fellini, fragili caricature di una commedia

dell’arte capace di raccontarci le miserie della provincia italiana. Il film comincia con la primavera, con le manine che annunciano l’arrivo della bella stagione e con il falò (la fogarazza) che saluta finalmente il freddo inverno. Qui conosciamo i vari personaggi e in particolare Titta che seguiremo nel suo difficile percorso di crescita. Si

passa quindi all’estate, conosciamo meglio la “Gradisca”, la più bella e desiderata dagli uomini del Borgo, vediamo il Grand Hotel, luogo mitico, palcoscenico di avventure esotiche, lo zio matto di Titta, il

passaggio del Transatlantico Rex che con il suo carico di sogni e nostalgici rimpianti preannuncia l’arrivo dell’autunno. Il veloce cambiamento del tempo getta il paese in un torpore ben

rappresentato dalla nebbia che avvolge tutto, nascondendo strade e case, inghiottendo le persone come accade al nonno di Titta.

L’inverno porta con sé il freddo e la neve e la morte (la madre di Titta). Il passaggio all’età adulta coincide con il ritorno delle manine e della primavera e con essa all’addio della Gradisca che dopo aver

trovato il suo principe saluta commossa il paese mentre la vita continua inesorabile il suo ciclo. Quello che appare subito evidente è

la subalternità dei personaggi al veloce progredire delle stagioni. Il

Borgo rappresenta per Fellini la provincia in generale, con la sua chiusura, le sue azioni rallentate e prive di prospettiva e le rappresentazioni della società (il Rex, le Mille Miglia, l’arrivo del Sultano), che di volta in volta, irrompono nella quotidianità assopita del paese, vengono vissute come proiezioni di un mondo lontano.

Il film ci parla di una realtà immaginata e in un certo senso deformata, senza però abbandonarsi a un compiaciuto e masochistico rimasticamento della memoria; come si diceva in precedenza nessun autobiografismo ma rievocazione appassionata e allo stesso tempo distaccata. Quando il progetto era ancora nella sua fase iniziale, Fellini cercò di confondere le acque e sviare la curiosità dei tanti

giornalisti che gli chiedevano informazioni sul suo nuovo film. Prima

cercò di far credere che stava girando un film di fantascienza dal titolo “L’uomo invaso” poi quando alcune notizie sul vero titolo

incominciarono a trapelare trasformò Amarcord in Hammarkord, le avventure di uno scienziato scandinavo che un giorno scopre di non saper più riconoscere le persone che gli vivono accanto. In Amarcord, quando Fellini descrive la società e i personaggi che la animano, ricorre alla caricatura, in questo caso feroce e impietosa. La provincia che il regista mette in scena è immersa in un torpore adolescenziale,

che ritrova nel fascismo la sua rappresentazione più efficace. Un’adolescenza che diventa debolezza, che rispecchia nella falsa

autorità del regime la volontà di rimanere immobile. Mentre la natura muta con il passaggio delle stagioni, l’evoluzione dei personaggi è completamente assente, schiacciata tra le maglie opprimenti di una

famiglia di matrice tribale, all’interno della quale gli equilibri sono solamente apparenti. Detto questo però, Fellini non intende assurgere a giudice, non stabilisce gerarchie, non condanna i cattivi e non

assolve i buoni. Quello che gli interessa è la rappresentazione dello spettacolo della vita, ridotto nella sua patetica comicità a eterna commedia. Certo, ilfascismo di Amarcord non è esaminato dal di fuori, restituito

e rappresentato attraverso prospettive ideologiche e ricognizioni storiche; non sono capace di giudizi distaccati, le diagnosi asettiche,

le definizioni esaurienti e totali mi sembrano sempre un po’ astratte e

disumane, perfino un po’ nevrotiche se sono formulate da quelli che il fascismo l’hanno vissuto, ne sono stati inevitabilmente condizionati, si è intessuto, diramato anche nelle zone e negli aspetti più privati

della vita' '. *

Fascismo come cieca espressione di un’autorità sterile, grottesca e

ridicola, come risultato di una bieca e stupida ambizione ad affermare una nuova concezione di patria e di civiltà. Il desiderio malcelato di abbandonare la propria volontà tra le coltri spesse e pericolose

dell’irrazionale. Fellini cerca in qualche modo di suggerirci che è proprio aH’intemo di queste piccole riserve autoritarie, come sono le comunità di provincia, che si è sviluppato quel sentimento che ha portato alla fascistizzazione dell’intera nazione. Scuola, famiglia,

religione, paese sono i luoghi privilegiati e inconsapevoli di questo pericoloso e inarrestabile contagio. Qualche anno più tardi anche Ettore Scola con Una giornata particolare ci regalerà un ritratto del fascismo come resa collettiva delle masse alla forza irrazionale. Una giornata particolare è ilfilm speculare ad Amarcord; racconta

anch’esso di un borgo, il gigantesco condominio di Palazzo Federici

dove vivono centinaia difamiglie pronte a spiarsi l’un l’altra. Ma mentre Fellini riempie il borgo di un’umanità brulicante, Scola lo

svuota: ha bisogno che i due emarginati interpretati da Sophia Loren e Marcello Mastroianni restino soli, perché si realizzi il loro incontro

impossibile. Scola ci racconta, in modo persino programmatico, la

solitudine di due vittime del regime. Fellini mette invece tutti assieme, pigiati come nella gabbia delle scimmie allo zoo, tanti

piccoli esseri umani che dentro il regime, stanno tutto sommato, benissimo. Con poche eccezioni.^

La mediocrità che fuoriesce da questo affresco travolge il concetto di provincia, la sua banale e penosa retorica, la sua tragicità comica e allo stesso tempo malinconica.

L’adolescenza quindi vista non solo come ritratto sociale del borgo ma più in generale come rappresentazione di una deformazione politica del Paese. I fascisti per Fellini sono clown patetici, figli degeneri un’ideologia ridicola e delirante. Insomma privando il

fascismo di qualsiasi valenza storica, Fellini attua una perfetta ricostruzione (quasi sociologica) dell’Italia senza rinunciare alle chiavi interpretative tanto care al suo cinema. La critica politica promossa dal regista non cerca facili approdi ideologici ma sbircia tra i

significati nascosti del potere e delle sue emanazioni. In Amarcord convivono tutti i lati dell'animo di Fellini, quali la malinconia per gli esseri umani, la partecipazione al dolore, la

tensione verso il sogno, l’irrisoria caricatura. Nessuno può compiere il male, ci suggerisce Fellini, perché ognuno è vittima del proprio

destino ridicolo. Così anche la sequenza dell’arrivo delfederale è

costruita con il massimo della satira. Non vi è mai acrimonia, condanna, disprezzo, ma solo compatimento o, al più, derisione

caricaturale. Per Fellini ifascisti, ancorché essere oggetto di condanna, sono soltanto degni di ridicolo, come fossero clownw>.

Amarcord è senza dubbio il film più personale di Fellini, un vero e proprio inno alla memoria che sfugge al pericoloso ricatto della nostalgia e lascia libero sfogo ad una consapevole vena visionaria. "La mia non è una memoria nostalgica, ma una memoria di rifiuto. Prima di dare un giudizio, bisogna tentare di capire: la realtà non va

contemplata estaticamente, ma rivista criticamente^.

Un viaggio delicato, poetico, a tratti doloroso fra i ricordi, che affonda le radici nella nostra storia, nel nostro passato. Amarcord ci

racconta la vita del Borgo, luogo inventato e ricostruito interamente a

Cinecittà, luogo da cui traspare la Rimini dell’infanzia e che racchiude in sé i connotati della provincia italiana, con i suoi infantilismi grotteschi, le sue piccole tragedie, le sue illusioni. L’operazione messa in atto dal regista sembra voler condurre a una resa dei conti con i

fantasmi del passato e con una provincia che gli appare sempre più un artifìcio ingannevole della memoria. “Mi sembrava che ilfilm che volevo fare rappresentasse proprio

questo: la necessità di una separazione da qualcosa che ti è

appartenuta, nella quale sei nato, e vissuto, che ti ha condizionato, ammalato, ammaccato, dove tutto si confonde emozionalmente,

pericolosamente, un passato che non deve avvelenarci, e che perciò è necessario liberare da ombre, grovigli, vincoli ancora operanti [...fwì

E Fellini, a ben vedere, quando ci parla di questa provincia e di questa Italia non si lascia incantare dal ricordo nostalgico; ne esce

fuori un paese schiacciato dal peso opprimente della dittatura fascista,

disposto a barattare la propria libertà, appesantito da una polverosa educazione cattolica. I ricordi, filtrati dalla lente grottesca, tanto cara al maestro

riminese, non abbandonano la loro matrice. La realtà meschina di quell’Italia non trova assoluzione e non viene addolcita dal sopraggiungere del mito. La forma scelta da Fellini è quella degli

episodi intrecciati, dilatati e impreziositi da delicate fughe nei territori

del fantastico. Come molti critici sottolinearono all’uscita del film, Amarcord è il prodotto di un Fellini cresciuto, la maturazione avviene

soprattutto nella consapevolezza storica, nella giusta commistione tra stupore e ferocia, tra riflessione poetica e violenza espressiva; un trionfo del tragico tutto giocato sull’equilibrio tra accenti gravi e lievi, spunti comici e aperture liriche, satira e poesia. Il sentimento tragico dell’esistenza investe tutti ipersonaggi di

Amarcord,/ino a culminare nella sequenza dello zio pazzo, che

esprime col suo gesto la disperazione dell’umanità inibita e violentata. Tutti i personaggi sembrano agire senza moventi, come se

fossero spinti da forze ignote e nascoste: il passaggio lungo il corso,

l’attesa del Rex, la solita vita familiare, il Grand-Hotel, fino al non­ senso puro, rappresentato dal motociclista che irrompe sullo

schermo, venendo dal nulla e perdendosi nel nulla((M\

Ma la nostalgia come rimpianto del passato nel film qui non trova spazio e il sentimento del regista nei confronti di quel periodo è di rifiuto totale. Non solo per il fascismo ma anche per la mancanza da

parte degli italiani di una presa di coscienza individuale. Nonostante gli evidenti richiami alla sua Rimini, Fellini cerca di parlare della provincia evitando di individuarne una con precisione. Per il dialetto tenta un’operazione filologica mescolando romagnolo, marchigiano ed emiliano cercando di non cadere nel folclore ambientale. Anche per

quanto riguarda il periodo trattato, cerca di allontanarsi il più

possibile dal ricatto nostalgico della memoria rivendicando fortemente l’attualità dell’opera. Quello che a mio avviso traspare con maggior forza è la rappresentazione di un mondo isolato e

abbandonato, di una provincia/nazione capace di meravigliarsi grazie ad un’ingenuità che non cerca risposte né soluzioni. La vita si palesa attraverso il ciclico passaggio delle stagioni e con essa arrivano i

cambiamenti, spesso incomprensibili e strazianti, come la morte. Nel vivere con maggiore o minore coscienza la meraviglia delle stagioni naturali, sia meteorologiche sia psicologico-individuali, e la

realtà, non sempre altrettanto meravigliosa delle stagioni politiche e sociali, l’uomo mostra il suo istintivo bisogno di evadere e di sognare

e il suo troppo facile adattarsi a consuetudini e imposizioni esterne,

tuttavia questa debolezza è da considerarsi con un occhio di benevola comprensione'6".

L’Italia perduta di Amarcord, in sostanza, non suscita rimpianti ma altresì rende evidenti gli archetipi più nascosti e sinistri della nostra psicologia collettiva e con essi lo sbigottimento del regista nei

confronti di una coscienza profondamente ferita e offesa dal potere. Lo stordimento della provincia, mascherato da incantesimo non viene minimamente scalfito dagli episodi più dolcemente descrittivi (lo zio matto, la morte della madre, il matrimonio della Gradisca). Amarcord è un perfetto caleidoscopio di intuizioni; un insieme di emozioni

stratificate che combaciando formano un mosaico di rara bellezza. Uscito in Italia il 18 dicembre del 1973, il film riscuote immediatamente un enorme successo e i critici quasi all’unanimità lo

promuovono a pieni voti: “Splendido, delicato, commoventissimo” (Il Tempo), “Uno dei film migliori di Fellini” (L’Espresso), "Fellini al sommo della sua arte” (Il Giorno), “Un’opera di poesia” (Il Mattino). L’8 maggio del 1974 la pellicola inaugura il XXVII Festival di Cannes, mentre il 9 aprile del 1975 arriva la notizia della vittoria dell’Oscar come miglior film straniero, il quarto dopo La strada, Le notti di

Cabiria e 8^2. Fellini, impegnato sul set del Casanova e vista la travagliata lavorazione che il nuovo progetto stava incontrando,

preferisce non partecipare alle premiazioni delegando il produttore Franco Cristaldi per il ritiro dell’ambita statuetta. Nella sua mente ci

sono tanti possibili progetti da realizzare. Alcuni sono solo semplici suggestioni, infatuazioni momentanee che stuzzicano la sua debordante fantasia, come quella per Uri Geller e per i suoi strani e

controversi poteri. I due probabilmente si erano conosciuti nel 1975 a Bogotà, dove il 24 agosto si era tenuto un congresso sulle arti magiche(6a). Un simposio di appassionati e professionisti dell’occulto dedicato interamente alla dimostrazione di tecniche e rituali come, per esempio, la macumba brasiliana e il voodoo haitiano.

La notizia è confermata da una nota interna della Cia recentemente

desecretata. Tra gli ospiti del meeting vengono citati oltre a Federico Fellini e Uri Geller anche Edgar Mitchell, astronauta e esperto di fenomeni Esp, lo scrittore e giornalista colombiano Gabriel Garcia

Marquez e Carlos Castaneda, figura misteriosa a metà strada tra lo scrittore e l’antropologo-sciamano che affascinerà Fellini per molti anni, portandolo a progettare la realizzazione di un film tratto dai suoi libri (Viaggio a Tulum) che rimarrà, purtroppo, solo una

sceneggiatura firmata FeUini/PineUi e che poi con l’aiuto di Milo Manara si trasformerà in una graphic novel pubblicata su “Corto

Maltese” a partire dal 1989. Ma torniamo a Uri Geller. Fellini, affascinato dai suoi poteri di telecinesi, rabdomanzia e telepatia, pensò di ideare un film o un documentario incentrato sulla sua figura. Si incontrarono in due occasioni, una allliotel Byron di Roma e l’altra nell’abitazione del regista. In una di queste occasioni Fellini regalò all’illusionista due statue, ima delle quali raffigurante Buddha, in

cambio Geller gli mostrò il famoso “trucco” del cucchiaio piegato con la forza del pensiero, un suo cavallo di battaglia che lo rese celebre in tutto il mondo. Il progetto, come tanti altri nel corso della carriera del regista, venne accantonato, forse anche per le molte critiche agli esperimenti di Geller mosse da vari esponenti del mondo scientifico.

Anche Piero Angela, che già in precedenza aveva messo in dubbio i poteri di Gustavo Rol, durante la prima puntata del programma “Indagine critica sulla parapsicologia" (andato in onda nel 1977 su Rai

1), smascherò alcuni esperimenti di Geller tra cui le celebri “fotografie psichiche”. Da questo programma nacque il libro "Viaggio nel mondo

del paranormale: indagine sulla parapsicologia”, che Angela, nel luglio

del 1978, regalò a Fellini con la dedica: «A Federico Fellini, senza avere l’ambizione di convincerlo (ma ugualmente con stima)». (52) Federico Fellini, Intervista sul cinema, a cura di Giovanni Grazzini, Roma-Bari,

Laterza, 2004, pag. 150. (53) Federico Fellini, Fare un film, Einaudi, 1974, pag. 156.

(54) (55)

Tullio Kezich, Fellini, Bur, Milano,1996, pag. 426. F. Fellini, Fare un film, Einaudi, Torino 1993, pagg. 152-153.

(56) A. Crespi, Storia d’Italia in 15film, Bari-Roma, Editori Laterza, 2016, pp. 65-66. (57) Ennio Bispuri, Interpretare Fellini, Guaraldi, Rimini, 2003, pagg. 171-172. (58) Costantini Costanzo, Fellini. Raccontando di me. Conversazioni con Costanzo Costantini, Roma, Editori Riuniti, 1996, p. 134.

(59) Costantini Costanzo, ibidem, p.156. (60) Ennio Bispuri, Federico Fellini, il sentimento latino della vita, Il ventaglio, Roma, 1981, pag. 133-134. (61) Nazareno Taddei sj e collaboratori, Tutto Fellini, Edizioni Edav, Roma,

pag. 362. (62) www.cia.gov/library/readingroom/document/cia-

rdp79too86saooi6ooiooooi-4

Capitolo 5

Genesi di uno stronzone Più che un incontro quello tra Fellini e Casanova fu un vero e proprio scontro. L’idea di trarne un film continuava a girare nella testa del regista da oltre vent’anni, anche se non aveva mai letto le famose “Memorie” dell’eccentrico seduttore veneziano. Arriva quindi il giorno in cui

Fellini, braccato da Dino De Laurentiis dopo la firma di un contratto e l’incasso di un cospicuo anticipo, deve necessariamente sposare un nuovo progetto e quasi senza pensarci, butta lì l’idea del Casanova.

Per Fellini il capitolo contratti è sempre stato un problema da tutti i punti di vista. La grandissima facilità con cui il regista si innamorava

di un progetto sposandolo immediatamente per poi magari abbandonarlo poco dopo, lo costringe ad una modalità di lavoro che prevede la richiesta di anticipi. Naturalmente il produttore si tutela facendo firmare un contratto che deve assolutamente essere

rispettato. Ma, come il “caso Mastoma” insegna, le cose non sempre vanno in questo modo e tra creativo e uomo d’affari si crea un rapporto di tensione e opposizione che per Fellini sembra essere più

una necessità che un intralcio. Faccio un film perché ho firmato un contratto, mi danno un anticipo

e non voglio restituirlo, quindi devo fare il film. La mia costituzione psicologica deriva probabilmente dall'artista del quindicesimo secolo

che aveva bisogno di un Papa, un arciduca, un principe, qualcuno, insomma, che gli dicesse in tono sinistro, "Dipingimi un affresco su

questo soffitto!" oppure, "Scrivi un madrigale per il matrimonio di

mia sorella!”. L'artista di corte, adulato e successivamente minacciato di amputazione delle mani, era obbligato a creare per esaudire una commissione. In modo analogo, mi sembra che i miei film siano nati perché ho firmato un contratto e quindi sono

molestato e minacciato. Sono un tipo di artista che ha bisogno di un padrone, non solo per dargli delle cose da fare ma, più importante,

una figura contro cui potersi ribellare, qualcuno che può temere'63'.

Naturalmente l’idea piace al produttore, che in piena espansione

del mercato hollywoodiano cerca di accreditarsi con i finanziatori americani e il binomio Casanova - Fellini fa decisamente gola a tutti. In più, dalla metà degli anni ‘60 assistiamo a un vero e proprio

innamoramento di storici e letterati per il Casanova. Nel 1965 viene pubblicata da Mondadori una nuova edizione delle memorie a cura di Piero Chiara, nel 1974 Roberto Gervaso fa uscire la biografìa del grande amatore, mentre Giampiero Bozzolato pubblica “Casanova, uno storico alla ventura”. Nel maggio del 1975, inoltre, esce l’edizione italiana di "Il ritorno di Casanova” di Arthur Schnitzler, edito da Adelphi e scritto nel 1917.

Dalla produzione arriva l’indicazione di scritturare per la parte del protagonista un grosso attore: si fanno i nomi di Robert Redford, Al Pacino e Marion Brando. Fellini, naturalmente, rifiuta, giudicando le loro facce poco adatte al tipo di film che aveva in mente.

Il primo vero problema che si presenta allo sceneggiatore

Bernardino Zapponi e al regista è il rapporto con “Le memorie”.

L’autobiografia del Casanova, pubblicata nel 1820, diventa immediatamente una fastidiosa e ingombrante presenza, da gettare in un angolo, come lo erano stati in precedenza il Satyricon e i racconti

di Edgar Allan Poe per la preparazione dell’episodio felliniano di Tre passi nel delirio. Sembra impossibile riuscire a domare un mostro di

2.000 pagine diviso in 6 tomi. Già la lettura delle Memorie era un'impresa da far tremare. Libro

fluviale, noioso perché ripetitivo; stile minuzioso, da inventario; quei sei volumi ci atterrivano. Io ne avevo già letti una parte, disordinatamente; come si legge un libro per devozione culturale ma

senza gioia. Ora invece si trattava di lavoro, si dovevano spulciare

coscienziosamente!6*'.

Appare subito chiaro che il personaggio del Casanova crea in Fellini

un malumore persistente. Lo trova antipatico, come dice lui “uno stronzone”, che mai potrà piacere al pubblico e in cui il pubblico non potrà mai identificarsi. Fellini e Zapponi si rivolgono anche a Tonino Guerra, cercando un aiuto concreto per scovare una chiave interpretativa adeguata all’immaginario del regista. L’idea è quella di

costruire una riflessione analitica sul Mito del Casanova come simbolo dell’erotismo maschile italiano. Fellini intende sin dal principio

dissacrare quel mito, renderlo vulnerabile agli occhi di tutti, farne una specie di adolescente troppo cresciuto, intrappolato in un complesso materno irrisolto. Un personaggio triste, ombra di sé stesso, costretto

a vivere avventure erotiche sempre nuove unicamente per fuggire dal grembo materno. Ma il suo temperamento lo spingeva soprattutto alle avventure solitarie, misteriose, proibite; la sua vera gioia era isolarsi da ogni

compagnia, troncando il rapporto sul più bello, e andare in cerca

della donna: la sua ossessione. Quale donna? La donna-mistero: la compagna inafferrabile; il suo lato femminile: o forse un'immagine

dominatrice dalla quale bisognasse affrancarsi definitivamente'6*'.

L’idea di trattare il Casanova in chiave psicanalitica soddisfa sia Fellini che Zapponi e quindi si procede in quella direzione. Le

dichiarazioni del regista, nelle prime interviste sono tutte “giocate” sul

rapporto diffìcile con il personaggio Casanova, un’antipatia e un senso di fastidio che sembra voler supportare l’indagine psicanalitica del nuovo progetto felliniano. O forse è la solita crisi di rigetto che colpisce il regista ogni qualvolta si appresta a iniziare un film. Tutto però sembra far parte di un rituale ben rodato, che coinvolge tutti, dai

collaboratori più stretti ai produttori. La crisi iniziale diventa un momento necessario per poter trovare il giusto punto di vista, la distanza ideale per poter interpretare

correttamente il personaggio. Ecco allora nascere le invettive contro il nuovo protagonista (o meglio antagonista): un personaggio inesistente, squallido, collezionista di donne e così via. La critica

feroce di Fellini non si limita al Casanova uomo ma anche allo scrittore e alle sue “Memorie”. Sono l'elenco del telefono, un catalogo d'incontri, un inventario di donne tutte eguali, tutte descritte come se uscissero dai quadri

dell’Arcimboldo: le labbra sempre paragonate alle ciliegie, i denti

alle perle, le gote alle pesche, le zinne ai meloni, questo no... ma

insomma ha capito. Sono le memorie di un contabile: tante avventure registrate scrupolosamente ma senza rilievo, senza

partecipazione, senza slanci, quasi che non avessero lasciato in lui alcuna traccia. Quella di Casanova non è la vita di un grande

seduttore: è la vita di un cavallo!'66'

Ecco qui il colpo di genio, rimpicciolire il personaggio, toglierlo dal mito, metterlo sullo sfondo per giustificare l’allontanamento dal testo e l’interpretazione personale del suo protagonista e del mondo nel

quale si trova immerso: non “Casanova” ma II Casanova di Fellini. Più che il personaggio Casanova e le sue avventure ripetitive e noiose

il protagonista diventa il “casanovismo” come vizio esistenziale di una società e di un Paese. L’impotenza affettiva del protagonista viene esasperata, evidenziandone la condanna alla ricerca incessante di un piacere mai trovato. Il sesso diventa un automatismo masturbatorio,

privo di gioia, un esercizio fìsico faticoso, che non cela in se nessuna traccia di erotismo e che in certi momenti sfiora il ridicolo e l’assurdo. Nel suo film, seguendo il suggerimento dell'amico Zapponi, Fellini

avrebbe potuto incarnare l'eterno mito del dongiovanni neU'avventuriero veneziano, comporre un'allegoria sulla continua necessità della seduzione come indice d'impotenza; invece Fellini ha giocato uno scherzo ancora peggiore al nostro monumento fallico

nazionale: ha preso Casanova come cavia per un'indagine

psicanalitica sul comportamento dell'italiano medio. Chi meglio di

quel campione dell'esteriorità, dell'opportunismo della retorica, simbolo del bisogno maschile di conquista, si prestava per un

discorso insieme classico e attuale sui meccanismi della libido? Solo distruggendo il mito, facendone una vittima, descrivendone la

cronica immaturità, il regista si è riconciliato con il personaggio, con

l’uomo'67'.

La realizzazione del film sembra essere fin dal principio molto impegnativa: dalle 25 alle 30 settimane di lavorazione previste, 300 maestranze specializzate coinvolte, scene di massa con 500 e più

partecipanti, 110 costruzioni disegnate da Danilo Donati dislocate tra i nove teatri di posa di Cinecittà e i suoi 40 mila metri quadrati di superficie all’aperto. Le trattative per la scelta del protagonista dopo molti provini si concentrano su due nomi, Donald Sutherland e Gian Maria Volontà, mentre la produzione riesce a coinvolgere anche Francia e Germania. L’attesa è tanta e il film viene venduto negli Usa

e in molti altri Paesi. Alla fine del mese di novembre del 1974 però, a causa dei costi molto elevati, la macchina si blocca e il progetto

sembra sul punto di saltare. Fulvio Frizzi direttore commerciale della Cineriz, considerati i costi eccessivi decide di fermare tutto. Il preventivo di spesa, fatto un anno prima, di 2 miliardi e 800 milioni, arriva in giugno alla cifra astronomica di 3 miliardi e 200

milioni di lire e non accenna a fermarsi. In settembre è a 3 miliardi e 600 milioni e a novembre cresce ancora. Naturalmente senza contare

i contributi previdenziali e gli interessi passivi. In tutto la cifra si avvicina ai 4 miliardi e mezzo. Il quadro preoccupa seriamente il produttore Andrea Rizzoli che di fronte al pericolo di un disastro economico non recuperabile chiede a Fellini di rivedere la struttura del film togliendo alcune scene, rivedendo le scenografie modificando, in sostanza, la sceneggiatura. Il regista sembra comprendere le

esigenze e le paure del produttore, ma difende le necessità obiettive del suo lavoro. Afferma di essere già intervenuto per contenere i costi

e di non volere togliere più nulla ma inizia a circolare la voce che in

realtà Fellini, questo, film, non lo ha mai voluto girare. Il 23 gennaio del 1975, quando oramai sembra tutto compromesso arriva la telefonata di Alberto Grimaldi che si dichiara disposto a subentrare purché i costi non superino i 5 miliardi e mezzo e si giri in inglese e a Londra. Su quest’ultimo punto, dopo varie trattative, la spunta naturalmente Fellini che impone Cinecittà come luogo per le riprese. In aprile il film finalmente riparte. Per quanto riguarda l’attore

protagonista, senza troppo entusiasmo, Fellini conferma Donald Sutherland già incontrato sul set di II mondo di Alex di Paul Mazursky, nel quale si trovarono per interpretare una sequenza insieme. Mi sembra che il volto di Donaldino [Donald Sutherland]fosse perfettamente adatto all'immagine di un italiano immaturo, infantile, una specie di Pinocchio nell'utero, che era l'immagine che avevo del vero Casanova, che consideravo uno stronzo, uno stupido,

un idiota. Solo un grande attore professionista come Sutherland poteva effettivamente incarnare queste qualità negative. In più, Don

ha dei favolosi occhi blu. Come mio Casanova, questi occhi esprimevano le sterilifantasie masturbatone del voyeur, una banca

dello sperma ambulante che soffre d'insonnia cronica'6*'.

L’interesse di critici e giornalisti intorno al Casanova di Fellini

cresce e come sempre il regista inizia a sviare, nascondere, inquinare con dichiarazioni contraddittorie, sempre diverse, costruite ad arte per disorientare e impedire la messa a fuoco e il chiarimento del suo punto di vista. Tuttavia alcune di queste dichiarazioni sono illuminanti e indirizzate a cercare una risposta alla domanda che tutti

si pongono: come sarà il Casanova di Fellini? Ecco come risponde a una domanda di Gian Luigi Rondi che chiede chiarimenti sulla struttura del racconto, sul suo svolgimento e sulle soluzioni pensate

per realizzarlo. Sarà un film sul vuoto: non c’è ideologia, sensazione, sentimento, non c’è soprattutto il Settecento. Un’assenza totale di tutto, un film mortuario, disemozionato, Ci sono soltanto delle forme che si

configurano in volumi, prospettive scandite in un’iterazione raggelante, ipnotica. Disperatamente mi sono aggrappato a questa

"vertigine di vuoto” come all'unico punto di riferimento per raccontare Casanova e la sua inesistente vita'69'.

La scelta di Sutherland per la parte di Casanova lascia tutti un po’ spiazzati. Dopo i grandi nomi tirati in ballo e l’interesse dello stesso Fellini per Gian Maria Volontà, si fatica a comprendere la decisione. L’attore trentottenne di origini canadesi ma trapiantato negli Stati Uniti, aveva interpretato pellicole di successo come MA.S.H., Il giorno della locusta, Una squillo per l’ispettore Klute,A Venezia un

dicembre rosso shocking, ma Fellini non ne aveva visto neanche uno. Incalzato dai giornalisti che chiedono spiegazioni il regista sfodera l’arma del paradosso, affermando che a convincerlo è stata proprio

l’insensatezza di tale scelta. Nel volto di Donald Sutherland Fellini

cerca una traccia concreta del suo personaggio. La scelta di Sutherland mi convince per la sua totale immotivatezza. Vuoi la verità a livello psicanalitico o ad uso stampa? In effetti, la

scelta mi convince proprio perché non trovo delle giustificazioni che

possano sembrare razionalmente valide. Forse è I’attore ideale perché ha un volto che è difficile ricordare: e in fondo quella che io

voglio fare è la storia di qualcuno che non esiste come individuo, ma che si proietta in certi atteggiamenti, in certe facciate, in certe esteriorità che sono tipiche dell'italiano che non è mai diventato adulto ed è rimasto adolescente. È un personaggio incerto, si muove

tra le nebbie, è qualcosa di informe e vago. Sutherland ha questa

faccia direi medusacea™.

Oltre alle motivazioni tecniche, a far propendere la decisione verso Sutherland sono anche le sue richieste economiche che, rispetto a quelle di Volontà, sono decisamente più vantaggiose per la

produzione: 150 milioni di lire contro i 400 richiesti dall’attore italiano. Viene quindi fissata la data per l’inizio della lavorazione (14 luglio 1975)> con una durata presumibile di 21 settimane. Grimaldi dichiara che al momento à impossibile fare un preventivo credibile dei costi. Sul contenuto invece Fellini mostra una loquacità insolita. Come al solito le riprese saranno tutte effettuate a Cinecittà. Il suo sarà un

Settecento visto da una prospettiva differente, un luogo per certi versi soffocante che imprigiona il personaggio; non sarà la storia di amori e avventure sessuali, ma la visione quasi onirica di un archetipo. Un film che non ha paura di rappresentare il vuoto di sentimenti e

ideologie, un film in cui à costante la presenza della morte e dove il

Settecento non si mostra, nonostante la meticolosa preparazione scenografica e figurativa. Ma dal punto di vista figurativo il Settecento è il secolo più esaurito, svenato da tutte le parti. Restituire una originalità, una nuova

seduzione, una visione nuova di questo secolo, è già - sul piano

figurativo - un'impresa disperata. Così, ho aggirato il progetto, mettendomi in una zona buia, livida come un astronauta, in un posto dove non c’è il conforto di cose conosciute, ma solo questa fissità vitrea, su forme che cambiano continuamente, che si scompongono in

nuove geometrie, affascinanti ma sempre indecifrabili come un caleidoscopio™.

Alla vigilia dell’inizio delle riprese il cast non à ancora completo, una dozzina di ruoli minori sono stati assegnati, ma ci sono ancora

tanti personaggi importanti senza interprete. Una di queste à il

personaggio della marchesa D’Urfà, protettrice di Casanova per il quale Fellini ha provinato una serie di importanti attrici italiane come Isa Miranda, Doris Duranti, Wanda Osiris e Germana Paolieri. La

scelta ricadrà poi su Cicely Browne, vista qualche anno prima nel film

di Gillo Pontecorvo Queimada. Fellini poi, dopo aver visto durante una partita di basket la cestista russa Ul’jana Semènova, 213 cm d’altezza e taglia 58 di scarpe, decide di offrirle il ruolo della gigantessa. Lei, per i troppi impegni sportivi à costretta a rifiutare e così Fellini à costretto a ripiegare sulla ventenne Sandy Alien, 2 metri e 39 cm, 140 kg di peso, scarpa 51, segretaria di Shelbyville nell’indiana. Le riprese cominciano in un clima di grande attesa. L’imponente

creatura felliniana prende lentamente vita. Il regista sembra concentrarsi sulla figura di Donald Sutherland in modo quasi ossessivo; come uno scultore di fronte ad un blocco di marmo ancora da plasmare, si accanisce sulla faccia dell’attore che con grande

professionalità si sottopone alla metamorfosi senza dire una parola.

Con i suoi collaboratori più stretti, in primis il truccatore Giannetto De Rossi, Fellini scolpisce e modifica il volto e il corpo di Sutherland, trasformandolo nella sua personale reinterpretazione (mortuaria e

vampiresca) del Casanova. Il volto di Donald Sutherland diviene nelle mani di Fellini quello di un

manichino, le cui singole parti (naso, bocca, mento, capelli)

assumono ruoli autonomi rispetto al tutto e possono essere infinitamente manipolate e combinate tra loro. Sui bozzetti non si

leggono semplici glosse, ma il regista elenca vere e proprie istruzioni, come se i responsabili del trucco avessero dovuto smontare un

giocattolo, modificarne gli elementi e infine ricomporlo, trasformato e pronto all’uso. Depilare le sopracciglia per poi ridisegnargliele,

rasare il cranio per sette centimetri, applicare naso e mento posticci,

usare dei tiranti per modificare la forma degli occhi, queste sono

solamente alcune delle interminabili operazioni cui doveva sottoporsi

l’attore inglese tutte le mattine™.

Eccolo finalmente, “il mostruoso neonato mai stato bambino né adulto, il vuoto fatto a persona, il crostaceo corazzato di scaglie sociali, il figlio della controriforma che crede di essere ribelle e non lo

à”(73). Il 27 agosto, però, un’altra tegola si abbatte sul film. In seguito a

un misterioso furto avvenuto negli stabilimenti Technicolor

spariscono migliaia di metri di pellicola in negativo dei film Salò o le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, il Casanova di Fellini e Un genio, due compari e un pollo di Damiani. Fellini perde le prime tre

settimane di girato mentre per Pasolini e Damiani a sparire à buona

parte delle pellicole. Come dichiarato in seguito dal montatore Ugo De Rossi che in quel momento stava lavorando al “Salò”, il danno era piuttosto grave in quanto non erano state fatte copie dal negativo e quindi si sarebbe dovuto ripartire dai “doppi di scarto”. Si parla immediatamente di un furto a scopo di estorsione. Il regista riminese

dichiara immediatamente di essere contrario al pagamento di un riscatto per non creare un pericoloso precedente * 74). Come racconta Kezich nella sua fondamentale biografìa felliniana, i giornali parlano

di una richiesta di 500 milioni di lire, che Grimaldi prontamente rifiuta. Poi nel maggio del 1976, parte delle scatole vengono ritrovate a

Cinecittà(73). L’accanimento perpetrato da Fellini su Sutherland sembra creare

una spaccatura e la distanza tra i due sembra più ricalcare la distanza

tra il regista e il Casanova. Il contrasto, però, sembra foriero di spunti

e indicazioni creative. Fellini si rende conto che à necessario allontanarsi immediatamente dalla deriva pericolosa del film storico sul Settecento, il suo deve essere un secolo “manomesso”, rarefatto e

impalpabile, attraversato da un’atmosfera cimiteriale. Casanova sicuramente non sarà raccontato nella veste (per Fellini falsa e

improbabile) di letterato, illuminista e scienziato. Il risultato sarà sicuramente spiazzante per un pubblico abituato ad una versione del Casanova retorica e fuorviante: il suo sarà un film sul vuoto, quello di

una società fredda e distaccata, dove gli uomini si muovono e agiscono in modo meccanico, come marionette. Nessun giudizio

morale ma racconto di un mondo privo di umanità e incosciente. Il tutto senza un intreccio chiaro e definibile ma costruito tramite un’architettura apparentemente senza regole, fatta di singole sequenze indipendenti. E, per sottolineare il contrasto fra la sostanza cadaverica del

personaggio e l’apparente vitalità, l’assenza di dialettica fra il piacere e la realtà, Fellini corrode ogni struttura narrativa, abolisce il tempo (del racconto e dell’esistenza) e impiega - da par suo - gli

elementi interni al quadro, la scenografia, l’illuminazione, i costumi, il trucco (mediante il quale enfatizza la maschera, specialmente, ma

non solo, del protagonista). Ilfilm non ha uno svolgimento lineare: nel 1976 il regista si è già impadronito della “forma senza forma”, di

un modo di narrare per allusioni e deviazioni, sicché crea non un

racconto ma - e sono parole sue - «una serie di visioni della realtà

che si ricompone in tanti quadri senza senso, perché il protagonista è incapace di darglielo»™.

Punto di forza dell’intera pellicola, oltre alla forza “oscura” del simbolismo scenico à il colorismo pulsante che Fellini elabora, con un

intento puramente rivelatore. La costruzione dell’immagine acquista senso compiuto anche in virtù del complesso gioco di coincidenze

cromatiche tra l’universo interiore del Casanova e la realtà più allargata di una società allucinata e irrazionale. Questa à una costante che accompagna e caratterizza l’universo creativo del regista negli anni ‘70, diventando matrice imprescindibile di incubi, visioni, epifanie e ricordi.

Un uso del colore totalizzante capace di trasfigurare la realtà tramutandola in una dimensione puramente fantasmatica. Tutto il colorismo di Fellini, da Satyricon a Roma, da 1 clowns a II Casanova a La città delle donne, si muove nell’orizzonte di questa

marcata complessità: è sempre l’espressione di una visualità

debordante e libera, percussiva e afasica, è sempre una forza cieca, autoreferenziale, puramente spettacolare e tuttavia, e assai spesso in modo decisivo, è ciò che nutre e sostanzia le ragioni immaginative e configurative portanti dei testi in cui è compresa. È una detonazione

insensata del visivo - un fuoco d’artificio, chiassoso, rutilante e in fondo elementare - già sempre chiamata a riverberarsi nell'ordine

della costruzione del senso™.

Qui però, Fellini utilizza i colori in modo esplicito per raccontare l’aspetto funebre, disperato e lugubre delle cose. Il suo à un incessante “Trionfo della Morte”, che rimanda in ogni dettaglio all’aspetto oscuro e sepolcrale della realtà. Mentre Satyricon offre l’orizzonte di uno sviluppo attraverso temi di iniziazione e di continuità in espansione, le tonalità nette di Casanova s’inseriscono nei colori scuri di riti notturni di magia e di occultismo, di sortilegi e stregonerie di ogni genere, in una commistione di

culture solcate dai crepuscoli di quell'Europa™.

Il 22 dicembre però succede l’inimmaginabile. Viene

improvvisamente diramata la notizia che l’intera troupe del film à stata licenziata dalla produzione. Circa duecento persone, fra operatori elettricisti, fonici, costumisti, scenografi, parrucchieri, sarte e attrezzisti, improvvisamente perdono il lavoro. Ma cosa à successo? Quella che secondo i programmi doveva essere una breve interruzione si è trasformata in un licenziamento di massa. Le prime indiscrezioni parlano di un contrasto forte e insanabile tra i vertici della Pea, casa cinematografica di Grimaldi che assieme a molti associati produce e sostiene la pellicola, e lo stesso Federico Fellini. Il regista interviene immediatamente nella polemica sulla

sospensione usando parole di fuoco.

Parla di dichiarazioni diffamatorie da parte di Grimaldi, non veritiere e lesive della sua onorabilità e reputazione professionale. Prosegue precisando alcuni punti: in primo luogo afferma che le riprese non avrebbero dovuto terminare il 20 dicembre ma, secondo il

piano di lavorazione predisposto dagli organizzatori, il 21 gennaio 1976; viene inoltre definita sleale l’affermazione di Grimaldi per quanto concerne la parte finanziaria. Secondo Fellini è un tentativo di addebitargli la responsabilità dei costi e della programmazione

finanziaria quando invece à palese a tutti che il preventivo di costo e il piano economico erano stati predisposti e approvati dagli uffici della

società produttrice senza nessuna sua ingerenza * 79). Il regista poi dichiara di aver dato incarico ai suoi avvocati di intraprendere le

opportune azioni legali sia per quanto riguarda la soddisfazione

dell’impegno contrattuale nei suoi confronti sia in relazione al pregiudizio subito per il contenuto offensivo delle dichiarazioni rilasciate da Grimaldi * 80).

Grimaldi parte per New York non dando nessuna spiegazione. Dopo i primi momenti di tensione, la Pea cerca di sdrammatizzare,

sostenendo che la pausa à stata imposta dai sindacati per far riposare

i lavoratori. La dichiarazione viene smentita subito dai sindacati con un comunicato della Federazione Nazionale dello spettacolo FILS­ FULS e UILS * 81). Lentamente affiora una nuova versione secondo la quale dato che i componenti della troupe erano stati assunti con contratti a termine che scadevano il 16 dicembre una proroga li

avrebbe trasformati in dipendenti a tempo indeterminato, cosa che la Pea voleva evitare. Ma le voci che circolano sono tante: ennesimo

sforamento di budget, difficoltà finanziare della casa produttrice in

seguito al ritardo di programmazione del “Salò” pasoliniano, ripensamento di Fellini annoiato dalle difficoltà di portare a termine il film. Le ipotesi più catastrofiche, però, vengono immediatamente stoppate dai funzionari della Pea che annunciano l’imminente preparazione di un nuovo piano di lavorazione e nuove assunzioni. Di

fatto però il film à fermo per almeno un mese.

Il 9 gennaio esce la notizia che Grimaldi avrebbe dirottato fondi destinati al film di Fellini a Novecento di Bernardo Bertolucci. Il produttore si affretta a smentire e invita tutti coloro che mettono in

dubbio il superamento di 600 milioni del preventivo di spesa del Casanova negli uffici della Pea per esaminare i libri contabili. Nella polemica si inserisce con veemenza anche Bernardo Bertolucci che

infastidito da queste voci, secondo lui raccolte dai giornalisti in seguito alle insinuazioni di Fellini, precisa che le riprese di Novecento

sono finite in maggio quando il Casanova era ancora in fase progettuale, inoltre il suo film è stato realizzato rispettando il preventivo di spesa. Bertolucci, rivolgendosi direttamente a Fellini

conclude seccamente che: Queste sono verità che tu conosci perfettamente e io sono costretto a

ripeterle pubblicamente soltanto perché un tuo pettegolezzo da ristorante romano è stato preso sul serio(Bj\

Il 10 gennaio le riprese non sono ancora cominciate e in Fellini cresce l’amarezza. Il film è fermo, la troupe dispersa, tre anni di lavoro finiti in fumo e Donald Sutherland è tornato negli Stati Uniti. Come al solito inizia a parlare di offerte e nuovi progetti, parla di emigrare in Iran o Kuwait dove gli hanno messo a disposizione somme

economiche stratosferiche. Riaffiora anche il vecchio progetto con Bergman finanziato dalla Warner Bros63 (83)84 82 81 80 79 78 77 76 75 74 73 72 71 70 69 68 67 66 65 64 . Ma sembrano tutti progetti 85

introdotti per non pensare alla delusione del Casanova che ancora

brucia. Fellini a 56 anni si sente stanco e privo di prospettive. Sono progetti seducenti, affascinanti che presumerebbero però un pochino meno di anni da parte mia, molta avidità di denaro e un

sentimento avventuroso della vita che in questa mia stagione non mi infiamma più come prima. Per arrivare a concludersi, oltre a tutto,

esigono dei preamboli diplomatici, politici, turistici, mondani cui io mi sento abbastanza estraneo. Anche se per quello che riguarda l'Iran, ossia un diretto intervento dello Scià nella produzione di un

mio film, la cosa non sarebbe proprio da buttare via1*** .

In breve il suo film si trasforma in un’altra opera incompiuta, il viaggio nei fantasmi del Casanova si è improvvisamente fermato, e il regista si trova improvvisamente immerso tra possibili progetti da

sviluppare e la consapevolezza che comunque, in un modo o nell’altro questo “Casanova” dovrà essere finito. I segnali di apertura ci sono, Fellini attende fiducioso, infastidito e annoiato dal periodo di riposo

forzato. Mi sento come certi vagoniferroviari che si sono trovati

all'improvviso in una stazione sconosciuta, su un binario morto, in un crepuscolo nebbioso [...]. In fondo si sta anche abbastanza bene. È

una vacanza improvvisa, che tira fuori da noi quella parte adolescenziale, di scolaretti: come quando ci dicevano che il professore di matematica era malato. Non si poteva uscire di scuola,

ma si stava in classe senza insegnante, ed era bellissimo^.

Il 29 gennaio, finalmente, con un comunicato ufficiale Grimaldi annuncia che la lavorazione del film riprenderà entro una settimana con l’allestimento del set, e che la pellicola sarà completata entro la data stabilita. Il produttore aggiunge che il merito della felice

conclusione della vicenda va attribuita soprattutto all’alto senso di

responsabilità professionale di Federico Fellini(86). La pace viene sancita con un ulteriore stanziamento di soldi da

parte del patron della Pea: 1 miliardo e 200 milioni per un costo finale che supera i 6 miliardi. Mentre ci si appresta a ricominciare, a Cinecittà, Fellini decide di

confezionare uno special per la Tv dedicato a Casanova, che avrebbe dovuto andare in onda a Pasqua. Vengono incaricati del progetto i collaboratori del Maestro riminese Gianfranco Angelucci e Liliana Betti. I protagonisti saranno Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi e Alain Cuny che interpreteranno 5 variazioni del seduttore veneziano. Il titolo sarà “È il Casanova di Fellini?”. Per il ruolo di Giacomo Casanova furono chiamati a raccolta i quattro colonnelli del cinema italiano - Marcello Mastroianni,

Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Alberto Sordi - più un veterano del

pantheon felliniano, il francese Alain Cuny (già Steiner ne La dolce vita e Lica nel Satyricon.), ognuno di essi impegnato a vestire ipanni

del celebre amatore, delineandone l'aspetto che meglio si addiceva

alle caratteristiche della propria personalità artistica. Olimpia

Carlisi, musa del momento, fungeva da conduttrice e intervistatrice, provocatoria e abilmente svagata; l'unica presenza nel cast che

sarebbe entrata a far parte dell'opera maggiore nella parte di una delle due sorelle entomologhe della cupa e inquietante sequenza

* svizzera' 7'.

Il 22 marzo 1976 Fellini è a Cinecittà per completare il suo travagliatissimo Casanova. Le riprese finiranno a luglio e il film sarà nelle sale italiane per Natale.

Il 7 maggio a Cinecittà si gira la scena del Carnevale di Venezia, il

bacino artificiale che già accolse il Rex di Amarcord è stato

trasformato in un frammento del Canalgrande, compreso Rialto, due palazzi e un campanile. Più di 600 comparse animano la sequenza. La grande polena di nave costruita da Arnaldo Galli (maestro carrista del Carnevale di Viareggio), si staglia all’orizzonte mentre appare l’enorme volto di Venusia, riemerso dalle acque nere e profonde della laguna, animata dalle 60 gondole create da Gian Tito Burchiellaro con l’aiuto di Danilo Donati. Uno spettacolo, policromo, ineguagliabile costato 200 milioni(88)89 . L’ultimo ciak per dare un degno saluto a 90

Casanova e a un modo di fare cinema che sta velocemente svanendo. Casanova è il primo mio film completamente chiuso. Non resta aperto

a nessuna soluzione. Ti ricordi il mio odio iniziale per il personaggio? Hanno parlato in tanti di incomprensione, Casanova ha avuto un sacco di difensori d'ufficio. Ma il mio odio iniziale per il personaggio

era ispirato dall'apprensione di quanto sarebbe successo nel film. Questo film è una rappresentazione d'addio, d'addio a un certo modo

di fare cinema' *' 1'.

Il 7 dicembre del 1976 il film esce nelle sale italiane, senza destare particolare entusiasmo nel pubblico. La critica come al solito si divide

tra chi ne esalta il carattere visionario e simbolico e chi, invece, lo liquida come l’ennesima rappresentazione felliniana del vuoto assoluto.

Su “Il Giorno” dell’11 dicembre, Morando Morandini, lo incorona come la miglior prova dopo Otto e 1/2, proprio perché svincolato dal

fellinismo: il film si distingue per le sue invenzioni figurative che mescolano con sapienza e equilibrio l’orribile con il tenero, il favoloso

con l’ironico passando con grande facilità dal caricaturale al visionario. Mino Argentieri su “Rinascita” del 24 dicembre ne sottolinea il tratto disperato e drammatico capace di abbandonarsi a

improvvise aperture liriche, malinconiche e nostalgiche. Per Argentieri Fellini è un meraviglioso incantatore ora incupito, creatore

di visioni opprimenti e il suo Casanova si abbandona a imprese prive di luce e vitalità. Dalle colonne del Corriere della Sera dell’11 dicembre, Giovanni Grazzini pur apprezzando l’eleganza e il feroce sarcasmo della

pellicola si rammarica della mancanza di quell’inquietudine lirica e quell’ironia malinconica che ha reso celebre il regista in tutto il mondo. Interessante il punto di vista di Alberto Moravia che sulle

pagine dell’Espresso del 26 dicembre, parla della sostituzione operata dal regista che passa da un Settecento reale a un Settecento onirico, fatto di un’affascinante mescolanza di erotismo e laidezza,

mostruosità e follia nel quale il realismo è sorpassato grazie al ricorso insistito alla deformazione culturale. Su Repubblica dell’11 dicembre, Tullio Kezich lo definisce "una specie di viaggio al termine della

notte”, “fuga dall’impegno dei suoi film-confessione”, “il film più algido e distaccato del regista riminese”. Non mancano le critiche

feroci. Su “Il Giorno” del 7 gennaio 1977, Ferdinando Camon parla senza mezzi termini di “accozzaglia di brandelli” e di “tentativo impossibile

e velleitario di estendere il proprio mondo di traumi privati a tutto il nostro mondo e il nostro tempo”; per Lino Micciché su “L’Avanti” dell’11 dicembre, il Casanova di Fellini è un film deludente che denuncia lo sterile imprigionamento del regista in un erotismo

casanoviano infantile e riduttivo. Anche per Guglielmo Biraghi sul “Il Messaggero” il film è un passo indietro in quanto l’universo disgregato raccontato dal Fellini “si affloscia su se stesso formando un

torbido stagno da cui affiora alla rinfusa lo sfarzoso ciarpame di un’ideazione spettacolare, spinta ormai oltre il punto di no return". Uno a cui il film non piacque affatto fu Gustavo Rol, grande amico e

ammiratore di Fellini. In molte occasioni espresse questo giudizio motivandolo con il fatto che a suo modo vedere, questo illustre personaggio era stato maltrattato dal regista. A Rol non era affatto piaciuto Casanova, che aveva ricevuto numerosi consensi di pubblico e critica. Anzi, si dimostrò molto dispiaciuto per come questo personaggio era stato rappresentato nel film. Rol spiegò

che provava molta stima per Casanova, che riteneva affascinante e che secondo lui possedeva una sua moralità; tra il seduttore veneziano e Don Giovanni c'era una grande differenza: Don

Giovanni collezionava donne senza amarle, Casanova in realtà, ogni

volta che aveva una storia amorosa era sincero perché amava la donna del momento e cercava di renderla felice. Durante un

esperimento a cui avevamo partecipato anche noi, si presentò proprio lo spirito intelligente di Casanova, che si rammaricava di essere stato messo in una luce sbagliata nel film. Alla fine però Giacomo Casanova pronunciò parole di perdono e di stima per

Fellini, e l'orizzonte si rasserenò'’’"'.

Nonostante alcuni giudizi negativi e alcune stroncature inaspettate quello che alla fine sembra convincere maggiormente nel film è il

ricorso ossessivo all’illusione e alla sovrapposizione di strutture artificiali per elevare l’antirealismo a vero protagonista della riflessione felliniana sul Settecento. Il ricorso alla teatralità non cade

mai nella nell’artificiosità rintronante ma mantiene una vitalità spiazzante, proprio in virtù di questo ricorso manifesto e sbandierato al falso e all’inverosimile come chiavi di lettura storica. (63) Damian Pettigrew, Federico Fellini. Sono un gran bugiardo, ElleU Multimedia,

Roma, 2003, pp. 58-59. (64) Bernardino Zapponi, Il mio Fellini, cit., pag. 86. (65) Bernardino Zapponi, Casanova. In un romanzo la storia delfilm di Fellini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano, 1977, pag. 9. (66) Dario Zanelli, Fellini è in piena crisi per colpa di Casanova, La Nazione, 12/11/1974.

(67) Gian Piero Consoli, Lo schermo che pensa. Cinema, scrittura eformazione, Le

Lettere, Firenze, 2009, pag. 33. (68) Damian Pettigrew, Federico Fellini. Sono un gran bugiardo, ElleU multimedia, Roma, 2003, pag. 119. (69) Gian Luigi Rondi, 7 domande a 49 registi, Società Editrice Intemazionale,

Torino, 1975, pp. 232-233. (70) Mario Galdieri, Il Casanova di Fellini avrà il volto di Sutherland, in II Messaggero, 06/06/1975, pag. 15 (71) Gian Luigi Rondi, Fellini: tutto sul mio «Casanova», in H Tempo, 07/06/1975,

pag. 8. (72) Mauro De Clemente, La melancolia del corpo: H Casanova di Fellini e Barry Lyndon di Kubrick, in Fellini Amarcord - Rivista di studi Felliniani 1-2 settembre 2009, Fondazione Federico Fellini, Rimini, 2009, pp. 91-92. (73) Alberto Moraria, Casanova era un insetto, L’Espresso, 07/11/1975 p. 105. (74) Mistero suifilm «rapiti», L’Unità, 28/08/1975, p. 6.

(75) Tullio Kezich, Fellini, cit., p. 451. (76) Maurizio Regosa (a cura di), Immagini del Piacere, Alinea Editrice, Firenze, 1999, P- MS(77) Roberto De Gaetano (a cura di), Lessico del cinema italiano. Forme di

rappresentazione eforme di vita. Volume I, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2014, pp.212-213. (78) Jean-Paul manganato, Federico Fellini, H Saggiatore, Milano, 2014, p. 292. (79) Fellini accusa, Il Messaggero, 27/12/1975, p. 11.

(80) Casanova: azioni giudiziarie di Fellini contro il produttore, Il Tempo, 28/12/1975. (81) I misteri di Casanova, Il Tempo, 01/01/1976.

(82) Fra Fellini e Grimaldi si inserisce Bertolucci, Il Tempo, 09/01/1976. (83) Fabio Rinaudo, Quel pasticciaccio del Casanova, Il Resto del Carlino, 11/01/1976. (84) Gian Luigi Rondi, Fellini - Bergman: erotikonper due, Il Tempo, 14/01/1976, p.9. (85) Giorgio Calcagno, Fellini il “disoccupato", La Stampa, 20/01/1976.

(86) Tra Grimaldi e Fellini pace fatta, Il Messaggero, 29/01/1976.

(87) Gianfranco Angelucci, Glossario Felliniano, Avagliano Editore, Roma, 2019, pag. 127. (88) Carlo Giovetti, Un solo ciak: 200 milioni, La Stampa, 08/05/1976. (89) Oreste Del Buono, L'opera di un altro Fellini, L’Europeo, 09/07/1976.

(90) Maria Luisa Giordano, Rol e l’altra dimensione, Milano, Sonzogno, 2000, p.p. 169-170

Capitolo 6

Prova d’orchestra: il sopraggiungere di un disordine annunciato La «metafora» di Prova d’orchestra S’avvia con la naturalezza di qualcosa che non vuole essere tale ma che tale per l’appunto è.

Così, via via, sale, si dilata ed allarga. L’orchestra diventa insomma la società,

anzi la vita della nostra società^. (Giovanni Testori)

Nel 1977 Fellini è impegnato nella preparazione de La città delle donne, idea nata all’interno del progetto con Ingmar Bergman ripreso

e abbandonato infinite volte. L’interesse di Franco Rossellini e di Bob Guccione, patron di “Penthouse” sembra avere, inizialmente, buone potenzialità. Fellini si mette al lavoro a Cinecittà ma per problemi

produttivi, il film s’interrompe subito. Il regista allora comincia ad elaborare, in collaborazione con Brunello Rondi, un progetto per la televisione dal titolo Prova d’orchestra.

Apparentemente il film sembra rispondere all’esigenza espressa più

volte di raccontare una prova d’orchestra attraverso le dinamiche complesse che la animano. A Fellini non interessa tanto la musica,

arte ai suoi occhi misteriosa e malinconica, ma le persone che compongono l’orchestra, gli orchestrali come il primo violino, l’arpa, il violoncello, il basso tuba, il flauto ecc... Più volte il regista esprime la sua diffidenza nei confronti della musica pur ammettendo di subirne il fascino. Ammetto che il rapporto che ho con la musica è puramente difensivo.

Ho sempre cercato di difendermi dalla musica. Non sono uno che va volontariamente ai concerti o all'opera. Se qualcuno mi dicesse che Pavarotti sta cantando l’Ossobuco anziché il Nabucco, probabilmente gli crederei, anche se negli ultimi anni sono giunto a comprendere la grandezza di Verdi e anche quella di Pavarotti. Dato che la musica ha

il potere di condizionarti subliminalmente preferisco evitarla anche

se l'ascolto inconsciamente, per esempio quando lavoro. La musica è

troppo importante per essere relegata allo stato di rumore di fondo{,,t\

In un bellissimo colloquio con il cantautore Lucio Dalla, andato in onda nel 1990 a Rai Stereo Due, Fellini spiega con grande sincerità il

suo rapporto conflittuale con la musica. Fin da bambino, infatti, viene travolto dall’aspetto malinconico della musica, solo il lavoro, come un grande scafandro, è in grado di proteggerlo da questa capacità di

restituire all’uomo la miserabilità della sua situazione. Con la sua continua allusione ad un mondo armonioso e perfetto, la musica ci costringe, in modo quasi ricattatorio, a riflettere sulla nostra esistenza così imperfetta. Con la sua immediatezza riesce a farti arrendere mostrandosi in tutta la sua disarmante pericolosità. La

musica, insomma, è capace con la sua atmosfera magica e religiosa di

bussare a una porta, occulta e segreta, che si vuole tenere chiusa. I musicisti, quindi, appaiono agli occhi del regista, come dei coraggiosi astronauti, che con incoscienza riescono a esplorare luoghi splendidi e pericolosi. L’altra figura che incuriosisce Fellini è naturalmente il direttore

d’orchestra, con la sua mimica spettacolare, gesto, danza, rituale. Un domatore un po’ mago che cerca di trasformare il disordine in

armonia. La felicità e la commozione più profonda si raggiungono quando tutti sono d'accordo. La musica nasce da noi e noi nasciamo dalla musica, conduttori e nello stesso tempo condotti, direttori e al tempo

stesso diretti. Questo è il divenire della musica. E lì, la gioia è

unanime, la senti esplodere sonora, inequivocabile, l'orchestra

esprime finalmente tutta la sua felicità^.

A detta di Fellini Prova d’orchestra” sarà un semplice “fìlmettino”, fatto per la televisione, che durerà appena un’ora; un’opera minore che finalmente spazzerà via la leggenda del regista spendaccione. Ma

cos’è veramente Prova d’orchestra?

Prima di addentrarci tra le pieghe profonde dell’apologo felliniano dobbiamo necessariamente capire com’era quell’Italia e quale era il suo panorama sociale, culturale e politico.

Si è soliti far coincidere l’inizio dei cosiddetti “anni di piombo” con l’attentato di Piazza Fontana, avvenuto il 12 dicembre del 1969. Tragico teatro della strage fu la Banca Nazionale dell’agricoltura di

Milano, all’interno della quale fu fatto scoppiare un ordigno contenente 7 kg di tritolo che causò la tragica morte di 16 persone. Questo grave episodio, considerato da molti “la madre di tutte le

stragi”, coincise con l’inizio di una delle pagine più tristi e misteriose della storia repubblicana del nostro Paese. Nel 1972 un altro episodio sanguinoso e controverso sconvolge la nazione: l’omicidio del commissario Luigi Calabresi, freddato davanti alla propria abitazione da due uomini. Questi tragici avvenimenti vengono recepiti dalla

cinematografìa italiana in modi differenti, in alcuni casi raccogliendo

semplicemente gli spunti di cronaca, altre volte testimoniando con efficacia i rigurgiti rivoluzionari che la società esprimeva. In ogni caso

i protagonisti del nostro cinema non restano in disparte ma cercano di interpretare i segnali che arrivano dall’esterno. L'eliminazione delfunzionario dell'ufficio politico della questura

milanese accusato di essere tra i responsabili della morte di Giuseppe Pinelli (l'istruttoria contro il commissario si concluse nel 1975 col suo

proscioglimento), imputata, secondo la magistratura italiana, a

quattro militanti di Lotta Continua (Bompressi, Marino,

Pietrostefani e Soffi), è uno degli avvenimenti dalla ricaduta cinematografica più forte, a testimonianza dell’impressione che la notizia suscitò all'epoca, tanto da indurre numerosi intellettuali,

scrittori, uomini di cinema (tra cui Federico Fellini, Luigi Comencini, Bernardo Bertolucci, Marco Bellocchio, Gillo Pontecorvo, Folco

Quilici, Nanni Log) a firmare un documento, pubblicato su “L'Espresso” del 13 giugno 1971, in cui Calabresi veniva descritto come «commissario torturatore (...) responsabile della morte di

Pinelli»^.

In un momento così difficile è soprattutto il cinema di genere a mostrare una capacità interpretativa credibile e mai scontata deH’immaginario di massa. Il poliziesco all’italiana, in particolare,

prosegue il discorso già iniziato dal “western rivoluzionario”, sottogenere dello “Spaghetti western” ambientato nel Messico di Villa e Zapata. Titoli, ad esempio, come La polizia ringrazia (Stefano

Vanzina, 1972), Milano trema: la polizia vuole giustizia (Sergio Martino, 1973), La polizia incrimina la legge assolve (Enzo G. Castellari, 1973), raccontano per la prima volta e con insolita

incisività, le trame eversive che sconvolgono il Paese, arrivando a tirare in causa servizi segreti deviati e insabbiamenti politici.

Nel 1976 anche il cinema d’autore entra, prepotentemente, nel dibattito e lo fa con due pellicole di grande spessore e impatto: Todo Modo di Elio Petri e Cadaveri eccellenti di Francesco Rosi entrambe tratte da due romanzi di Leonardo Sciascia, Todo Modo del 1974 e II

contesto, una parodia del 1971, pubblicati per Einaudi. Il cinema politico cerca in qualche modo di affermare con forza la propria militanza a sinistra, anche se in alcuni casi, il tentativo si trasforma in

un vero e proprio conservatorismo grottesco, limitandosi a creare schemi linguistici lontani anni luce da un discorso artistico e poetico. Questo è il risultato di un’elaborazione linguistica e stilistica nata alla fine degli anni ‘60, attuata con il contributo della critica che in quel preciso momento storico stava gettando le basi per una

radicalizzazione del confronto culturale. Tra il '67 e il ‘70 lafantasmatica politica e la cinéphilie italiana si

condensavano differentemente in riviste ideologicamente turbolente quali «Cinema&Film», «Ombre Rosse», senza dubbio marcando un

preciso periodo critico-ideologico-politico in sintonia con le tesi del

Movimento e la nascita della “nuova sinistra” in Italia. L'estremismo politico e/o stilcritico che le designava ha prodotto una ferita non

ancora compostasi: la frattura fra gli autori del cinema italiano “impegnati”, coinvolti professionalmente nelle strutture produttive

dell’industria cinematografica e una generazione di critici che si rappresenta in termini di bisogni deliranti. Le ipotesi di lavoro

praticate ruotavano vorticosamente attorno al problema dell'enunciato politico o ad esso quale radicalizzazione del linguaggio

poetico.™

Nel 1977 assistiamo a una ripresa decisa dei movimenti di contestazione e contemporaneamente anche all’inizio della fase più

sanguinosa e violenta degli “anni di piombo”.

I nuovi movimenti sembrano distinguersi fortemente da quelli che avevano animato il ‘68 per un utilizzo politico dell’ironia, con un forte

richiamo alla fantasia come arma per la libertà. Ciononostante la violenza non accenna a diminuire, e proprio il ‘77 vedrà un’escalation tremenda e inarrestabile di morte. L’11 marzo Pier

Francesco Lorusso, giovane militante di Lotta Continua muore a Bologna dopo essere stato colpito da un proiettile sparato da un carabiniere. Il tragico episodio innescò una serie di volenti scontri tra forze dell’ordine e gruppi extraparlamentari che si protrassero anche

nei giorni seguenti. Sempre nel mese di marzo a Roma vengono uccisi l’agente di Polizia Claudio Graziosi e l’allievo sottufficiale di pubblica

sicurezza Settimio Passamonti. Il primo ucciso a bordo di un autobus da un membro dei NAP (Nuclei Armati Proletari) il secondo durante una manifestazione a Roma indetta dai gruppi autonomi. La

primavera di sangue si conclude con l’uccisione il 12 maggio della studentessa Giorgiana Masi e solo due giorni dopo dell’agente

Antonio Custra a Milano. Questa improvvisa esplosione di violenza non fa che indebolire la vitalità creativa del movimento lasciando campo libero alla deriva armata che lascerà dietro di sé una lunga scia

di sangue. Il 16 marzo del 78 un nucleo armato delle Brigate Rosse, intercetta la macchina dell’onorevole della De Aldo Moro in Via Fani a Roma. E l’inizio di una delle pagine più tragiche del dopoguerra che

si concluderà il 9 maggio del 1978 con il ritrovamento del cadavere del politico nel bagagliaio di una Renault 4 parcheggiata in Via Caetani. Per il Paese la stagione degli «anni di piombo» è in pieno svolgimento: la strategia berlingueriana del «compromesso storico» e l'avanzamento del partito comunista - fino a guadagnare i

consensi di un terzo dell’elettorato - trovano un interlocutore

sensibile in quello stesso Aldo Moro che all'inizio del decennio

precedente ha voluto, preparato e realizzato, il primo centrosinistra,

l'ingresso dei socialisti diNenni nel governo, e ora favorisce l’ingresso dei comunisti nella maggioranza parlamentare. Nel pieno

di questo processo, l'attacco terrorista alle istituzioni trova il suo momento più tragico e più simbolico proprio nel rapimento e nell’assassinio del leader democristiano da parte delle Brigate Rosse

(marzo-maggio 1978). Il cinema italiano è partecipe del clima di disorientamento e d'allarme senza trovare però la forza e la strada

per esprimersi, per raccontare l'Italia contemporanea. Gli sparsi

tentativi di Francesco Rosi con Tre fratelli (1981) come Giordana con

La caduta degli angeli ribelli come, dello stesso anno (che è anche l’anno di Anni di piombo di Margarethe von Trotta, dedicato alla parallela vicenda tedesca della «Baader-Meinhof»), La festa perduta,

isolata prova di Pier Francesco Murgia, denunciano che il cinema italiano è ben lontano dalla sintonia con la società circostante dimostrata all’epoca del boom o nell’immediato dopoguerra. Esso

esita, tarda, è spaventato dai temi che sono tabù e che in un’atmosfera generale di autocensura, d’allarme e d’emergenza peraltro fondatissimi, imbarazzano anche la contemporanea pratica giomalistica. (‘,bì

Questo il quadro all’interno del quale si inserisce il film più politico

di Federico Fellini, regista considerato da sempre estraneo agli sviluppi ideologi e ideologizzati della politica.

Lo spunto è il desiderio di raccontare le dinamiche interne che animano una “prova d’orchestra”. Come suo solito, Fellini, nelle

prime interviste sminuisce il progetto, sottolineandone il budget basso e la velocità di esecuzione (16 giorni di girato); l’idea iniziale è quella del documentario, che sia in grado di raccontare la vita degli

orchestrali, la loro lenta trasformazione da musicisti a semplici

esecutori, la magia della musica che lentamente, grazie a un direttore, ritrova la sua armonia. Ma è solo questo? Cosa si nasconde sotto la

superfìcie? Forse un’esigenza più profonda di mettere in scena un gruppo di persone diverse, che tendono, tra mille difficoltà a raggiungere lo stesso obiettivo. Prova d'orchestra è la descrizione della nascita di un’utopia, l’esecuzione armonica di un progetto comune. Fellini, qui sembra voler tracciare una via d’uscita dal caos e quindi entra con forza nel dibattito storico, sociale e politico dell’Italia

di quel periodo. Tuttavia non ci troviamo in presenza di un discorso univoco, anche se il campo delle possibili interpretazioni sembra per

la prima volta restringersi. Fellini ricorda a tutti che il fallimento della concertazione e della ricerca dell’armonia deriva principalmente dal mancato raggiungimento di un obiettivo comune. Prova d'orchestra non vuol essere un film consolatorio, la sua maggior forza è la schiettezza e la semplicità di un messaggio lineare e preciso, che

raggiunge e si impone sullo spettatore. Eppure considerare il film come un semplice apologo politico è troppo riduttivo, e non tiene conto della sua vitalità e Fellini sin dal primo momento cerca di

evitare che il suo lavoro sia analizzato attraverso la lente deformata

della società italiana e della sua deriva politica. Ed io che ho fatto in tutto questo tempo? Ho fatto un breve film; si chiama Prova d’orchestra e volevo raccontare appunto l’atmosfera, la confusione, i tentativi, gli sforzi, di un gruppo di orchestrali per

arrivare a riprodurre quel momento di prodigiosa armonia che è

l’espressione musicale. Naturalmente, insieme agli orchestrali c’è anche un direttore il quale, nella difficoltà dialettica di questo rapporto, vede che l’obiettivo comune che sarebbe quello di far della

musica viene mortificato, misconosciuto, allontanato, ignorato. Nel piccolo film naturalmente ci sono e succedono altre cose; quello che

invece mi sembrava di non averci messo e di non aver mai avuto

l’intenzione di metterci sono i significati, gli spunti, la simbologia, che stanno scatenando in questi giorni accese polemiche alimentate da

uomini politici, ministri, giornalisti, sociologia, sindacalisti, perfino la Confindustria e forse, tra poco, anche la SMEl"’”

Ma la tensione politica che anima il Paese finisce inevitabilmente

per travolgere anche il dibattito culturale italiano. Nell’ottobre del 1978 viene organizzata una proiezione al Quirinale alla quale

partecipano oltre al presidente della Repubblica Sandro Pertini, il

presidente del Consiglio Giulio Andreotti, il presidente della Camera Pietro Ingrao e il presidente della Rai Paolo Grassi. Le cronache parlano di un consenso generalizzato dei presenti, che sottolineano l’importanza della “parabola” felliniana, che descrive la riscoperta di una coscienza collettiva raggiunta attraverso il prevalere dell’armonia sulla confusione. Nel coro degli elogi stride la polemica di Ingrao, che

contesta il concetto della rigenerazione dopo il caos: il cambiamento arriva lentamente e faticosamente attraverso piccole e grandi

conquiste. Il film scatena comunque un intenso dibattito nel pubblico che, scosso dai fatti di cronaca di quei tragici mesi, si interroga e si diride sul messaggio felliniano. Per evitare inutili fraintendimenti, più volte, il regista, si era espresso, cercando in diverse occasioni di dissipare i dubbi e gli enigmi, entrando senza reticenze nel dibattito. L’enigma stava in questo: come dal caos degli orchestrali in prova, dalla quotidianità trita e fastidiosa, dal magma cialtronesco con aria

di ricreazione, come da tutto ciò improvvisamente possa nascere un suono compatto che ti strazia, ti emoziona, ti conforta. Era un

miracolo da raccontare. Solo che in piena lavorazione Aldo Moro venne sequestrato e ucciso, e forse inconsciamente la seconda parte

del film ne ha risentito. Tremenda fu quella suggestione, con un gran numero di proiezioni private. Una ebbe luogo a Piazza del Popolo,

tutta presidiata dalla polizia perché vi assisteva mezzo Parlamento. Fellini entrò più tardi, impedito dalla calca, e vide seduto, seduto in

una saletta adiacente, un uomo con la testafra le mani, capelli grigio chiari, in lacrime. «Mi scusi, Fellini, questo film mi sconvolge...». Era

Francesco Cossiga^.

Ma in un film in cui è evidente il richiamo al “conflitto” e alle sue ripercussioni sull’individuo e sulla società, diventa diffìcile non

lasciarsi prendere dal desiderio di esegesi polemica. Fellini, del resto, gioca a carte scoperte, mettendo in scena un’opera

lontana dai film d’impegno politico in voga negli anni Settanta, ma carico di richiami e allusioni alle conflittualità di quel decennio.

L’errore, commesso da molti commentatori dell’epoca, era quello di ritenere Prova d'orchestra il primo film politico di Fellini, dimenticando, in molti casi volutamente, l’analisi critica della società che in ogni suo film si mostrava con evidenza e forza.

Fatto sta che i giornali dell’epoca costruiscono una fìtta rete di reazioni polemiche al film, alternando pareri favorevoli ad altri critici. Tutti comunque sono concordi nel definire Prova d'orchestra un

apologo volto a sottolineare una delle grandi debolezze della società italiana. La prima lettura proposta sulle pagine dei giornali vede dunque in Prova d’orchestra un apologo sulla storica tentazione autoritaria

della vita italiana. Un’allegoria della nostra democrazia, storicamente fragile, endemicamente predisposta a risoluzioni

violente e alle prese, in quel momento, col punto di maggior tensione

raggiunto dalla lotta armata^.

Le letture diventano molteplici, la febbre interpretativa colpisce

ogni aspetto del film, arrivando a esaltarne il valore civile per una volta preminente rispetto all’aspetto estetico. Il finale, poi, scatena una vera e propria ridda di ipotesi e letture. Fellini di fronte a tutto

questo frastuono si ritrae, scappa, sminuisce, applicando una delle sue operazioni più rodate, lo stupore di chi non capisce il linguaggio

dei grandi. Eppure, questa volta, il linguaggio non potrebbe essere più chiaro e immediato. In Prova d’orchestra, uscito negli anni tragici dell’assassinio dell’On.

Moro, non si può fare a meno di percepire nei litigifra gli orchestrali

l’immagine del caos e della disarmonia che caratterizza il microcosmo della società italiana di quel periodo: le sequenze finali del film che danno evidenza al fatto che l’anarchia possa favorire la

repressione dispotica (simboleggiata dal comando in lingua tedesca del direttore che impone autoritariamente l’ordine) è un ulteriore

richiamo al significato che Fellini assegnava al ruolo dell’artista

nella società: smascherare le bugie, identificare l’autentico, smantellare l’approssimativo o i falsi assoluti"""'.

Fellini, spaventato dal polverone creato dal film, cerca di

allontanarsi dalla disputa politica e dal tentativo di interpretare, a seconda delle proprie esigenze, il suo messaggio. Gli preme riportare

al centro del dibattito il punto di vista dell’artista, sottolineando l’incompatibilità tra il processo creativo e l’applicazione esclusivamente razionale propria della politica. L’arte tende a parlare dell’universale, del misterico, la politica, invece del quotidiano, dell’immanente, del pratico. Come può un artista

partecipare integralmente a un’ideologia politica, a un’attività

basata sull’immanente? La politica per me continua a conservare un aspetto difficile e complicato, come fare i conti. Il governo politico

della società mi riguarda solo nei limiti in cui minaccia la mia libertà di espressione. Voglio essere libero di esprimere quello che mi suggerisce la mia ispirazione""".

Il mondo politico, però, non sembra prendere in considerazione la presa di distanza del regista. In particolare, Ugo La Malfa, di cui

Fellini ha grande stima, esprime in un articolo sul “Tempo” del 14 dicembre del 1978, la propria ammirazione per l’opera, sottolineandone la capacità di analizzare con lucidità la crisi che

attanaglia il Paese. Il valore etico del film, espresso attraverso la sua veste simbolica, diventa un appello urgente e necessario alla coscienza

democratica del Paese. L’esprimersi per così dire armonico di un’orchestra, che poi è il suo

solo modo di esprimersi, presuppone un’adeguata reciproca

comprensione fra direttore ed orchestra. Ciò vuol dire che una democrazia si svolge all’altezza dei suoi compiti quando vi sia un’autorità democratica capace di comprendere ipropri doveri e le

proprie responsabilità e un popolo che sappia fare altrettanto""3'.

Il finale, poi, scatena una vorticosa rincorsa all’interpretazione: che

cos’è quell’enorme palla d’acciaio, perché abbatte la parete travolgendo e uccidendo l’arpista? Cosa avrà voluto dire il Maestro, cosa si nasconde dietro questa misteriosa sequenza? Perché il direttore d’orchestra è tedesco? Ecco allora arrivare, puntuale, il plauso di chi vede il richiamo al caos per ristabilire l’ordine e la necessità dell’avvento di un uomo forte capace di condurre e guidare,

con decisione, l’orchestra. Naturalmente Fellini gioca a nascondere, scardinare e depotenziare il suo messaggio. Rifugge dal significato profondo e dall’interpretazione forzata svelando, invece, una verità

molto più accessibile. In fondo come spesso si affretta a dire ai giornalisti la comunicazione è per lo più un’arte, ben lontana dalla limpida precisione del processo scientifico e proprio per questo, molto spesso, ciò che si vuole comunicare si dimostra assai lontano da

quello che viene comunicato. E poi c’è l’aspetto grottesco e deforme evidente per esempio negli orchestrali contestatori, veri protagonisti di questa allegoria etico politica. È possibile costruire una società sana senza armonia?

Attenti: armonia non significa per Fellini, una piatta esecuzione degli ordini impartiti dal direttore d’orchestra, ma un vivido susseguirsi di dissonanze alla ricerca di un equilibrio diffìcile ma non impossibile.

Su Fellini naturalmente piovono critiche ingenerose e nella maggior

parte dei casi dettate da una partigianeria di comodo. I personaggi quindi diventano approssimativi, la protesta dell’orchestra parodistica e banale, addirittura l’intera opera viene liquidata come una improvvisa follia non si sa se più senile o infantile(‘°3). Le critiche non

tengono conto del fatto che a Fellini non interessa la conquista dell’ordine, ma la creazione di armonia che si ottiene magicamente nel momento in cui il direttore scende dal palco e la perfetta fusione

che ha trasformato gli individui in un unico perfetto organismo improvvisamente si rompe.

Mentre le polemiche lentamente si spengono e si ritorna a lavorare sul progetto de La città delle donne, Fellini il 4 aprile del 1979 viene

eletto membro associato straniero all’Accademia delle Belle Arti di Parigi, una delle cinque istituzioni culturali che formano l’Institut de

France casa degli immortali della scienza e della cultura mondiale.

Fellini succede al conte Vittorio Cini. La cosa rilevante è che con l’ingresso del regista, l’Accademia parigina accoglie per la prima nella sua lunga storia un uomo di cinema. Inoltre, per la prima volta, viene riconosciuta accanto alla sua opera cinematografica anche la sua attività di disegnatore. (91) Giovanni Testori, Una insubordinazione di natura metefisica. Il Tempo, 14/01/79(92) Chariot Chandler, Io Federico Fellini, Arnoldo Mondadori Editore, Milano,

1995, p. 219. (93) Federico Fellini, Prova d’orchestra, Garzanti, Milano, 1980, p. 43. (94) Christian Uva, Schermi di Piombo. Il terrorismo nel cinema italiano, Rubettino, Soveria Mannelli, 2007, p. 29. (95) A. Rossi, Elio Petri e il cinema politico italiano, Mimesis, Milano-Udine, 2015,

P-39­ (96) P. D’Agostini, Il cinema italiano da Moretti a oggi, in Storia del cinema mondiale - L’Europa. Le cinematografie nazionali III, Einaudi, Torino, 2000, p. 1090. (97) Claude Gauteur e Silvia Sager (a cura di), Carissimo Simenon, Mon cher Fellini, Adelphi, Milano, 1998, pp.66-67. (98) Andrea Ferruccio (a cura di), Il mio cinema. Intervista a Federico Fellini, in Nuova Antologia, ottobre-dicembre 1992, Le Monnier, Firenze, 1992, p. 209. (99) Andrea Minuz, Viaggio al termine dell’Italia. Fellini politico, Rubettino, Cantalupo in Sabina, 2012, p. 180. (100) Renzo Canestrai!, Creatività e passaggio dall’età di mezzo: un omaggio a Fellini, in Psicoterapia Psicoanalitica, n° 2 - Luglio 1996, pag. 100. (101) Mario Guidotti, Fellini: vivere con molta fantasia, in “Il giorno” del 05/09/78.

(102) Ugo La Malfa, Per autorità e popolo il dovere della democrazia, in “Il Tempo”, 14/12/1978-

(103) Carlo Vallami, Fellini e l’orchestra alla Menenio Agrippa, in La Sinistra, 25/O2/1979-

Capitolo 7

L’invadenza minacciosa dei ricordi Si possono discutere ifilm di Fellini. Ma nessuno come lui, con la macchina da presa, riesce a vedere

“tutto”, e a far vedere anche tutta la vanità di ciò che si vede.

Fellini crea e vanifica continuamente, crea e dissolve.

Fa esistere le cose nello spazio di un prodigio, afferrandole un momento prima che si affloscino,

a un passo dalla loro apparenza. Più di Bergman, più dello stesso Bunuel.

Fellini è il cinema^°4\

A partire dal 1977 Federico Fellini inizia a lavorare a La città delle donne. Questo nuovo progetto prendeva spunto dall’episodio scritto

per Duetto d’amore, il film che avrebbe dovuto sancire la collaborazione con il regista svedese Ingmar Bergman. I due si erano

conosciuti a Roma e, fin dal primo momento, erano entrati in perfetta sintonia. L’idea era semplice e intrigante, due registi per un film. Due personalità così forti e creative, però, diffìcilmente avrebbero potuto limitarsi a vicenda, quindi il progetto lentamente si spense generando due film indipendenti. La mia idea divenne La città delle donne più di un decennio dopo. Come il film di Bergman, strada facendo subì molte trasformazioni.

Come il suo non conobbe altro che un tenue successo di pubblico, diversamente da quanto mi aspettavo. Secondo alcuni quella sera

avremmo fatto meglio a non incontrarci!'"^.

A ben vedere anche qui, si sente fortemente la presenza del Mastorna, che continua a ossessionare il regista, costringendolo a continui dissanguamenti in ogni sua nuova opera. Come spesso

accade ai progetti del regista, anche in questo caso, la lavorazione deve assoggettarsi ad un andamento quanto mai travagliato, fatto di interruzioni, incidenti, riprese, problemi finanziari. Ma che periodo stava vivendo il cinema italiano al tramonto di un decennio così difficile? La situazione si può riassumere in modo sintetico ma

efficace: grande crisi produttiva e sale vuote. Fellini è reduce dal Casanova, con tutti i suoi problemi realizzativi, i suoi costi eccessivi e gli scarsi incassi al botteghino. Questa volta, per il ruolo del

protagonista, Snaporaz, chiama il suo alter ego Marcello Mastroianni, attore che si avvicina ai 60 anni, al culmine di una carriera meravigliosa, ricca di successi e grandi collaborazioni. L’intesa fra i due è ancora perfetta, sembra che non si siano mai lasciati. Sul set mostrano una complicità assoluta che si riflette positivamente anche sull’atmosfera del set. Il metodo di lavoro è sempre il solito, nessuna seduta per leggere i copioni, nessun provino, libero sfogo alla creatività del Maestro. Sonia Schoonejans, coreografa francese di 26

anni, assunta da Fellini per coordinare l’ufficio stampa del film nel suo libro/diario “Fellini" descrive alla perfezione la magia del set

durante le riprese di una delle sequenze più importanti: quella del treno. In questo disordine apparente, con Varia di chi si sente perfettamente

a proprio agio, Fellini sta discutendo con Mastroianni, Così, insieme, sembrano due collegiali che stanno allestendo un’allegra farsa per i

compagni. A poco a poco, intorno ad essi il frastuono si placa, cessa

l'agitazione. Operatori, assistenti, macchinisti, tutti in attesa; i

truccatori, coi pennelli in mano, son lì pronti all'ultimo ritocco. Fellini si alza, sistema Marcello in un compartimento del treno,

vicino al finestrino, e gli parla a bassa voce, mostrandogli la posizione esatta. Marcello è docile, preciso, pieno di fiducia; l'occhio del regista, dietro la cinepresa, inquadra il suo viso appoggiato al

vetro delfinestrino: «Pronti? Azione! Effetti speciali!...». E all'improvviso, così da quel caos di materiali eterogenei, da quella confusione di persone e di cose, da quell'oscuro disordine nasce

l’incanto: il treno fila attraverso la tempesta['"bì.

L’inizio delle riprese è stravolto e funestato dalla notizia della morte

di Nino Rota per arresto cardiaco. L’amico di sempre di Fellini se ne va, lasciandolo solo con le sue paure e i suoi fantasmi. Una collaborazione nata sul set de Lo sceicco bianco e proseguita senza

interruzioni fino a Prova d’orchestra. Il regista si trova improvvisamente senza uno dei suoi punti di riferimento; Rota era

per lui una figura indispensabile, capace di interpretare ogni sua sollecitazione creativa trasformandola in musica. Una presenza discreta, silenziosa, una specie di guru-medium senza il quale Fellini

si sente perso. La produzione cerca, immediatamente, di affrontare la situazione, si fanno i nomi di Ennio Morricone, Piero Piccioni e Armando Trovaioli. Fellini però si ricorda di un compositore di cui gli

aveva parlato molto bene Rota e così la triste e difficile scelta ricade su Luis Bacalov. Questo è solo il primo di una serie di eventi che disturberanno e

interromperanno la lavorazione del film. Prima, durante, al termine delle riprese, la lavorazione del film viene

contrassegnata da un incalzarsi di avvenimenti incredibili: malattie, decessi, funerali, corti circuiti, incendi, ustioni, scioperi, matrimoni,

nascite, battesimi: un compendio di eventi lieti e tristi, felici e funesti, la commedia umana, la proiezione, in una troupe di duecentocinquanta persone, di ciò che avviene nello stesso periodo, dall’aprile al dicembre del 1979, nella vita sociale in Italia. «È notorio

- dirà Fellini quando il film sta per uscire - che io non rifuggo dalle

iperboli, ma non esagero se dico che ciò che è accaduto durante la lavorazione de La città delle donne non si era mai verificato nella

storia del cinema da Meliés fino al 1979. Se di Casanova furono

trafugati i negativi del film, ne La città delle donne è successo di peggio.»{'"1}

Sin dai primi giorni di lavorazione piovono su Fellini gli attacchi

delle femministe, che non comprendono il lavoro fatto dal regista su

alcune tematiche care al movimento. In particolare, Quotidiano Donna, settimanale femminista nato nel 1978 come supplemento al “Quotidiano dei lavoratori” di Avanguardia Operaia esce nel giugno

del ‘79 con due pagine intere sul film. Il titolo dell’articolo rappresenta alla perfezione il clima che si viveva in quel periodo:

«L’ultimo Fellini vuole svendere il femminismo». All’interno erano raccolte molte testimonianze di donne coinvolte nel film tra cui quella decisamente critica di Adele Cambria. Le donne sono protagoniste assolute del set, gli unici uomini sono Mastroianni/Snaporaz e Ettore Manni/Kazzone. Fellini dirige questa moltitudine rumorosa

alternando la provocazione al suggerimento. Tra le tante comparse spiccano alcune figure di primo piano del movimento femminista come Meri Franco Lao, musicista e scrittrice, Ippolita Avalli, Gloria

Guasti, Anna Maria Chio e Michela Caruso, tutte attrici vicine al movimento e ai suoi ideali.

Tutte si mettono a disposizione del regista, attratte da un artista capace di percepire certe tematiche così lontane dall’universo

maschile. Naturalmente, tutte, mantengono una buona dose di

diffidenza cercando di non farsi coinvolgere troppo nelle provocazioni del grande Mago. «Sì, è vero, nel mettere insieme tante donne diverse, attrici,

professioniste, femministe, studentesse universitarie, generiche e comparse», parla Gloria Guasti, attrice, femminista, «è innegabile

che Fellini deve aver contato sul “pollaio”. Ed è altrettanto innegabile

che provoca continuamente perché pollaio sia: in una delle scene alle quali io ho preso parte, si doveva dar vita a un congresso femminista in un albergo. Fellini distribuiva personalmente Coca Cola e gomma

da masticare, e poi dietro, la macchina da presa, invitava “masticate, masticate, forza, tutte insieme”. Però bisogna anche dire che se qualcuna riusciva, ed è riuscita, a non accettare la provocazione, a rifiutarsi di masticare, lui non ha fatto obiezioni.»1'"^

Il 27 luglio una nuova tragedia si abbatte sulla pellicola. Ettore

Manni, protagonista maschile con Mastroianni del film, muore in

seguito a un incidente. L’attore, a causa di circostanze non meglio accertate, si spara accidentalmente all’inguine con una Smith e Wesson calibro 38 special; il colpo recide l’arteria femorale provocando un’emorragia e la morte dell’attore. Restano i dubbi sulla volontarietà o meno dello sparo, sul set girano voci che Manni non

stava bene, che la parte di Katzone aveva in un certo senso minato il

suo già debole equilibrio mentale. Fatto sta che il film si ferma e Fellini ne approfitta per tornare a Rimini in visita alla madre

gravemente malata. Ad agosto Renzo Rossellini, responsabile della Gaumont Italia, decide per l’interruzione delle riprese. Si cerca una soluzione e si pensa di rigirare tutte le sequenze di Manni con un nuovo attore. Ma i problemi sono tanti, a partire dalle settimane di lavorazione necessarie e alla ricostruzione della villa di Katzone

distrutta per fare posto ad altre costruzioni. Questo comporterebbe un

prolungamento delle riprese di circa due mesi. La produzione decide di aspettare e vedere l’atteggiamento della compagnia assicurativa del film, anche se il danno economico

provocato dalla morte di Manni è, in ogni caso, considerevole. L’uscita

del titolo, programmata per Natale, deve slittare e questo provoca non pochi problemi alla filiale italiana della Gaumont che vede dipendere dalle sorti del film di Fellini la programmazione della stagione successiva e i film di Ferreri, Polanski e Losey.

A settembre Fellini torna a Cinecittà, le riprese devono riprendere, la decisione presa è di proseguire il film senza rigirare le scene

interpretate da Manni. Per alcune scene finali Fellini utilizza come controfigura Guglielmo Spoletini, ripreso di spalle, dall’alto o nella semioscurità. L’idea della Gaumont è di uscire nelle sale tra febbraio e marzo. Spoletini è un organizzatore di comparse, ma ha la stessa età e la stessa taglia di Manni e a detta di tutti, una volta truccato e vestito, la somiglianza è impressionante.

Il 24 settembre, finalmente, si riprende il lavoro. Il numero di persone della troupe viene ridimensionato in modo da ridurre i costi e contenere le perdite dato che l’assicurazione pagherà una cifra

inferiore a quella preventivata dalla Gaumont. Il dieci ottobre l’ennesimo incidente. Fellini inciampa su un cavo elettrico, cade e si rompe un braccio. Due giorni dopo, il falegname Luigi Sergiani, impegnato in una scena come controfigura all’intemo di una macchina si schianta contro un muro, riportando per fortuna solo qualche ferita. Tutto questo mentre ogni giorno il set viene invaso da

visitatori e star del cinema: Martin Scorsese, Sergio Leone, Leonardo Sciascia, Isabella Rossellini, Giscard d’Estaing, tutti desiderosi di rendere omaggio al grande Maestro. Il 6 novembre s’inizia a girare l’ultima grande sequenza, la scenografia è imponente, un circo da quattromila posti costruito attorno a un ring. Fellini, immerso nel

caos, è come al solito perfettamente a suo agio, sposta, indica, grida, insomma dirige; per alcune scene arriva a dover gestire 500 comparse. Il regista non si scompone, ha fatto chiamare amiche, vicine di casa, giomaliste, ce persino la sua portinaia, tutte pedine da posizionare per la grande sequenza. Finalmente le riprese proseguono

senza nessun intoppo e sul set la tensione giorno dopo giorno si allenta. A metà novembre, però, le maestranze scendono in sciopero, la loro rivendicazione si riferisce al mancato pagamento del salario durante le settimane di interruzione in seguito alla morte di Ettore

Manni. La protesta dura circa una settimana, durante la quale la produzione prima si mostra inflessibile, poi cede accogliendo le

richieste dei lavoratori. E così si arriva al 29 novembre, ultimo giorno di riprese, Fellini nasconde a stento la malinconia, ora però inizia un periodo altrettanto duro e faticoso, che il regista, da sempre, segue

senza tralasciare nulla: montaggio, doppiaggio e registrazione delle musiche. Ne La città delle donne l’aspetto onirico ritorna ad essere

predominante e sfacciatamente ostentato. La riflessione di Fellini viene volutamente nascosta all’intemo di un meccanismo narrativo che manipola la memoria, la tiene sospesa in un luogo incerto, una

struttura chiusa, che inghiotte il protagonista gettandolo in un universo che alterna il comico al grottesco e al surreale. Proprio come Prova d’orchestra, La città delle donne (1980) integra la struttura chiusa in una serie complessa di variazioni. È il tunnel nel quale finiscono inghiottiti l’inizio e la fine del film, e che lo accerchia;

è il Grand Hotel Miramare con tutti i suoi piani, dove si sviluppa una delle situazioni delfilm, ovvero La città delle donne e la questione

eventuale delfemminismo; è la casa-fortezza, anch’essa su più piani, in cui vive Katzone, che si fa carico della questione del maschilismo;

sono poi gli spazi - anch’essi su più piani - di requisizione, di

contenzione, di interrogazione, di giudizio e di punizione in cui sono mischiate le due questionifondamentali, maschilismo e femminismo;

ed anche la campagna con le serre, i sentieri e le divisioni che la chiudono, i sentieri e le strade tracciate come labirinti; è infine la notte pressoché eterna che avvolge il film, diversa però da quella del Casanova',o,,>.

Il film fu ingiustamente criticato, bollato come anti-femminista,

ignorando completamente il suo intento grottesco, divertente e sfrontato. Sul quotidiano “Il Giorno” di domenica 30 marzo 1980

Adele Cambria, figura di spicco della cultura alternativa, vicina alla sinistra e al partito radicale di Marco Pannella, sostenitrice dall’inizio del movimento femminista, spara su Fellini e sul film. La Cambria non è nuova ad attacchi nei confronti del regista e soprattutto della sua poetica. Già in un articolo pubblicato su “Effe" del dicembre del

1973 dal titolo “F.F., l’antifemminista del mese” si scagliava contro la rappresentazione del corpo femminile in Amarcord, un corpo “opulento, frugato, pizzicato, succhiato, palpato, impalato, mercificato”. Lei che era stata chiamata dal regista per collaborate alla raccolta di materiale per il film. D’altra parte, Fellini, non poteva fare un’opera femminista, ma poteva rappresentare le sue fantasie

rapportandole a una nuova ideologia che in un certo senso sovvertiva

e scardinava il suo ideale di donna. Così le chiede informazioni, nozioni per poter affrontare l’argomento. Il rapporto però non è semplice, Fellini si aspetta cose

che lei non può dargli e così il contributo si limita a qualche cartella che il regista probabilmente non utilizza. Ho già raccontato mille volte come è andata a finire: le cose che il regista voleva che io scrivessi non sarei mai stata capace di scriverle,

anche volendo farlo, teorizzazione femminista del coito paritetico, musica vaginale e simili. Scrissi tuttavia nove modeste cartelline informative, che mifurono puntualmente, e modestamente, pagate, e

non se ne parlò più(,,u).

La Cambria, nonostante la collaborazione, colpisce duramente il

regista, il suo messaggio viene svilito, ridotto a semplice prodotto di

una sottocultura da Caffè dello Sport, con velleitarie proposizioni filosofiche. Secondo la lettura della giornalista la donna è spogliata del suo volto umano, e ridotta a maschera grottesca, con una volontà

denigratoria del regista che si palesa in ogni singola sequenza del film. Tuttavia il “no” gridato con veemenza dalla Cambria, sembra contenere in se un rancore sordo, che travalica la critica ad un’opera cinematografica sfociando nell’attacco personale ad un artista considerato oramai fuori dal tempo, ancorato ad un’ideologia reazionaria, conservatrice e fallocentrica. Mi permetterò di sintetizzare la filosofia che esprime l’ultimo film di Fellini, «La città delle donne», in alcune «proposizioni» [...] Dunque,

svolgerei le proposizioni, numerandole; 1) Il mondo è un culo femminile ed io questo (oggetto parziale) lo chiamo donna; 2) L’ultimo essere umano dal volto umano sono io: naturalmente maschio, utracinquantenne [...J, un po’porcellone ma

fondamentalmente “bbuono”; 3) Le generazioni venute dopo di me sono quelle dei mostri: e guarda caso sono tutte donne; 4) Le

femministe? Tutte lesbiche. Anzi lesbicacce, Oppure fallo-deliranti. Oppure tutte e due le cose insieme. E poi: drogate. E poi: fasciste.

Anzi naziste; 5) Le donne di ieri erano pure dei mostri: però la loro mostruosità - ossia deformità anatomica, come supertette,

supercosce, ecc. ecc. - a me piaceva tanto, mi piaceva soprattutto come me la mettevano a disposizione senza tante storie1"'*.

Il finale dell’articolo sminuisce e depotenzia l’aspetto onirico del film, sentenziando senza possibilità di difesa, la fine del regista e della sua arte: Dice il regista, dicono e diranno gli esperti: ma è tutto un sogno, non vedete che Mastroianni si risveglia su quel treno da cui, nella realtà,

non è mai sceso? No, non credo che basti qualche fil di fumo a scrivere la didascalia esplicativa “sogno” sullefigure delle femministe-poliziotte, delle femministe-SS. E, in ogni caso, se di

psicanalisi si tratta, perché non rivolgersi, da paziente, ad uno

psicanalista? Perché non stendersi sulfamoso lettino, invece di continuare a fare film?"' *

Certo, una critica figlia dei tempi, del contesto storico diffìcile, carico di fermenti e contrapposizioni anche violente, eppure, sembra

strano che proprio quel mondo, che sul set del film aveva potuto confrontarsi con il Maestro, ne travisi, con superficialità, il messaggio e il contenuto. Come non vedere l’umorismo, l’abbandono al fantastico, come non cogliere la metafora costruita sulla categoria “femminista” per raccontare il caos sociale che mina la convivenza umana. Così come gli orchestrali di Prova d'orchestra erano termini

allegorici di un discorso più ampio, così le femministe sono un pretesto per trasformare in immagine l’angoscia per il contemporaneo. Come un moderno Hieronymus Bosch, Fellini ci

invita a sprofondare con “Snaporaz” in un mondo infernale e visionario, dominato dall’irrazionale, un musical demoniaco che contiene in se frammenti di satira, spesso feroce, con tocchi di burlesque e magmatici riferimenti psicanalitici.

E poi come non vedere, nella figura di Katzone, una critica feroce al maschio italico, archivista del sesso, prepotente e volgare. Fellini

capisce che quello di Katzone è un mito in declino, che traballa sotto i colpi prepotenti della donna emancipata, ma per fare questo non può non usare gli strumenti della farsa e del grottesco; questa è la sua cifra

stilistica. Ma come interpreta questo personaggio, Bernardino Zapponi, colui che assieme a Fellini lo ha creato? Egli rappresentava il maschilismo fallito, l’aggressività fascista, la

stupidità del “pragma” erotico; quindi un personaggio tutto sommato malinconico e anacronistico, giustamente confinato in una

villa anni Quaranta fatiscente. Katzone non sorride, morde; non

ama, ma stupra. Ha solo un momento lirico, quando canta la Donna

perduta; ma non commuove. Sarebbe un errore circoscrivere Katzone nel ghetto banale dei playboys, dei seduttori da cronaca. C’è in lui certamente l’aspetto ghiotto d*una

lussuria da rotocalco; la

vanità degli elenchi; il collezionismo dei cacciatori; ma il suo atteggiamento è più ampio e minaccioso, e si capisce che l’approccio con le donne lo trasferisce anche nella politica becera, nell’intrallazzo

finanziario)"'^.

(104) C. Garboli, La gioia della partita. Scritti 1950-1977, Milano, Adelphi, 2016,

p. 252. (105) Chariot Chandler, Io Federico Fellini, Milano, Arnoldo Mondadori, 1995, p. 227. (106) S. Schoonejans, Fellini, Roma, Lato Side Editori, 1980, p. 38. (107) C. Costantini, Marcello Mastroianni. Vita amori e successi di un divo involontario, Roma, Editori Riuniti, 1996, p.184. (108) A. M. Mori, Scusi, c'è una ricetta chiamata femminismo?, La Repubblica, 26 luglio 1979, p. 13 (109) Jean-Paul Manganare, Federico Fellini, Milano, Il Saggiatore, 2014, pp. 321-322. (110) Adele Cambria, Al principio non vi è che l’invettiva, in L’Avanti, 13/04/1980,

P-5­ (111) Adele Cambria, No, caro Federico, la donna non è il concime dei tuoi vizi, Il Giorno, 30/03/1980, p.i.

(112) Adele Cambria, cit., p. 2. (113) Né Casanova né Don Giovanni, L’Europeo, 22/04/1980, p. 72.

Capitolo 8

Una decade onirica Una delle opere “felliniane” più misteriose, dense e interessanti,

soprattutto per gli sviluppi che potrebbe avere sul processo interpretativo del corpus filmico del regista riminese è il “Libro dei sogni”. L’opera, di proprietà del Comune di Rimini, è racchiusa in due

libri di differente formato.

Il primo volume, di formato più piccolo (25 x 35 cm) è costituito da circa 245 pagine che raccolgono la produzione onirica del regista dal

novembre del i960 al 2 agosto del 1968. Il secondo, di formato più grande (34 x 48 cm), va dal febbraio del 1973 al 1982. All’interno di questo lunghissimo arco temporale, troviamo pagine e appunti datati 1990. La prima cosa che immediatamente balza gli occhi è il “bucon1

temporale dall’agosto del ‘68 al febbraio del ‘73. Questo particolare è tutt’oggi un mistero da affrontare, perché potrebbe indicare l’esistenza di un libro intermedio, smarrito o

nascosto in qualche luogo. A questa breve descrizione va aggiunta

un’informazione molto importante, perché ci racconta molto del rapporto del regista con quest’opera e con la sua funzione. Alcuni fogli sono stati tagliati e regalati per la pubblicazione su riviste o per spiegare un’idea che Fellini avrebbe voluto trasformare in immagine. Ma perché Fellini, alla fine del i960, inizia a trascrivere le proprie esperienze notturne sopra un libro? Una delle risposte che possono

quanto meno contribuire alla comprensione di questa scelta tirano in ballo una figura fondamentale per la storia della psicanalisi,

soprattutto in Italia, il medico tedesco Ernst Bernhard. Medico pediatra, nato a Berlino nel 1896, Bernhard aveva avuto in gioventù esperienze di lotta politica nel movimento socialista. Nel 1932 abbandona la sua clinica pediatrica per studiare con Julius Spier, allievo di Jung che aveva oltrepassato i confini della psicanalisi per

affrontare lo studio della chirologia. Nel 1935, Bernhard, inizia i colloqui con Jung che andranno avanti fino all’ottobre del 1935. In seguito alle persecuzioni razziali messe in atto dal regime nazista si trasferisce a Roma, non intuendo, inizialmente la pericolosità

dell’ideologia fascista. L’atteggiamento di Bernhard nei confronti della scienza ufficiale è connotato da un forte anti intellettualismo e da una sfrenata curiosità nei confronti delle infinite possibilità della mente umana. Eminenza grigia del mondo culturale italiano del dopoguerra, personaggio introverso e figura sfuggente a chi si accinga a una ricerca su di lui, spirito eclettico ed eretico, informato di una lucida

razionalità, Bernhard studiò il buddismo e la mistica chassidica, operò sperimentando in branche di sapere antico e inconsueto,

armonizzò differenti aspetti della psicologia del profondo, fu

affascinato dal taoismo e morì avvolto nel tailed, il mantello di preghiera ebraico, con i nodi che vengono tagliati ad indicare che i

doveri della persona verso la vita sono terminati" '. *

A Roma frequenta un gruppo di freudiani come Emilio Servadio,

con il quale condivide la passione per gli studi orientali e Edoardo Weiss, anch’egli ebreo, tra i fondatori della psicanalisi in Italia. Fin dal principio l’approccio di Bernhard alla psicanalisi si caratterizza per un utilizzo, alternato a seconda della tipologia del paziente, di tecniche freudiane e junghiane, anche se queste ultime

incontrano il suo favore.

Nel giugno del 1940, assieme ad altri ebrei, viene rinchiuso prima a

Regina Coeli e poi inviato al campo di internamento di Ferramenti vicino a Cosenza. In seguito all’intervento di Giuseppe Tucci, orientalista, storico delle religioni e in quel periodo presidente

dell’istituto Italiano per il Medio ed Estremo Oriente, Bernhard, riesce ad uscire dal campo Tu aprile del 1941.

Per circa 20 anni, dal 1945 al 1965, lavora con grande intensità e successo con molti pazienti, diventando una figura centrale del

panorama psicanalitico nazionale, in un periodo di grande interesse verso l’introspezione e lo studio della psiche. Oltre a Federico Fellini, molti altri personaggi illustri frequentano

lo studio del medico tedesco: Natalia Ginzburg, Adriano Olivetti, Giorgio Manganelli, Cristina Campo, Vittorio De Seta. Nel 1961 fonda a Roma l’Associazione Italiana di Psicologia

Analitica (AIPA), svolgendo il ruolo di caposcuola per molti importanti e noti psicanalisti junghiani come Mario Trevi, Aldo Carotenuto, Marcello e Michele Pignatelli, Bianca Garufì e Antonino Lo Cascio.

Fellini arriva a Ernest Bernhard, dopo il successo de La dolce vita grazie all’amico Vittorio De Seta, che era entrato in analisi da lui nel

1955. Dopo il successo di quel film, il produttore, Rizzoli, finanzio la “Federiz”, una casa di distribuzione, affidata a Fellini, con l'intento di

favorire il cinema d’autore. Aprirono una sede sontuosa in via della Croce. Ma non funzionò. Fellini, a causa del suo genio, particolare,

non riusciva a badare al lavoro degli altri. Non aveva la pasta

critica, cinefila, di un Pasolini, un Truffaut, uno Scorsese. Fra l'altro aveva un collaboratore, regista anche lui, al quale non andava bene

niente. In poco tempo riuscirono a bocciare II posto di Ermanno

Olmi, Banditi a Orgosolo, già fatti, e Accattone, di Pasolini, pronto per le riprese. Ciononostante, diventammo amici. Un giorno eravamo nella sua “500" bianca - che decisamente ci stava stretta, eravamo grossi tutti e due - in un piccolo largo, sopra il Tritone. Ci

mettemmo a parlare e lui diede fondo al suo malessere, proprio come si fa con le persone conosciute da poco. Davanti a noi si apriva la

prospettiva accattivante di via Gregoriana, dove abitava Bernhard.

Un segno del destino? Ricordo come fosse adesso. Mi venne

spontaneo dirgli: "Perché non vai da Bernhard?". Ci andò in capo a qualche giorno1"4'.

Bernhard amava prendere in considerazione come importante strumento di lavoro IT Ching, il Libro dei mutamenti, ma anche

l’astrologia e la chirologia. Tutti i pazienti, e quindi anche Fellini, iniziarono a consultare o

meglio interrogare questo importante testo. Entrambi erano attratti dall’aspetto esoterico delle cose e degli eventi, tutti e due avevano una spiccata sensibilità per l’aspetto razionale e irrazionale della realtà senza preconcetti e preclusioni. Una mentalità aperta all’insolito e

attratta dal mutevole aspetto dell’inconscio, ogni aspetto della vita, riservava, per loro un angolo nascosto, che andava “illuminato” attraverso un attento lavoro di ricerca. L’esoterismo era per Bernhard una ricerca, (“in lui tutto era ricerca, si serviva anche, forse soprattutto, delle proprie incertezze o errori

per cercare di capire meglio le problematiche dell'anima”) ed entrava organicamente a innervare ed ampliare la sua struttura terrena,

ebraica, gaudente, profondamente curiosa, una struttura umana volta alla conoscenza delle persone e delle loro storie, e dunque del

mondo di cui il destino - accettato con serenità e scavato con

lungimiranza - volle fargli parte " * b>.

Fellini, del resto, non ha mai nascosto la sua passione per il mondo dell’occulto e di tutto ciò che trascende i limiti dell’esperienza e della conoscenza umana. Fellini voleva chiaramente uscire dalla caverna del mito di Platone. Il

suo desiderio di abbandonare le ombre per cercare la luce e sfidare l'illusione di quel mondo, anche kantiano, che potremmo definire

oggi Matrix - dove nulla è reale e tutto è semplicemente un'apparenza che colpisce i nostri sensi ingannandoci costantemente

- era diventata una sorta di ossessione per il regista. La sua libreria era colma di libri antroposofici e teosofici, sulla mitologia, sull’occultismo e l'esoterismo, non mancavano neanche quelli sulle

percezioni paranormali"7'.

Per comprendere meglio il legame del regista con il mondo dell’ignoto dobbiamo necessariamente partire dalla sua biblioteca all’interno della quale esisteva ed esiste tutt’ora, ima ricca sezione dedicata all’esoterismo e alla magia e nella quale ci imbattiamo in opere molto particolari come il dattiloscritto originale dell’esoterista e alchimista italiano Giuliano Kremmerz dal titolo “13=La morte”.

L’opera e il lavoro di Kremmerz furono fatti conoscere a Fellini dall’amico e collaboratore Nino Rota, grandissimo compositore ma anche studioso e praticante di Ermetismo ed esponente della scuola

Kremmerziana. Rota negli anni ‘40 iniziò a frequentare a Roma Vincenzo Verginelli anch’egli aderente all’ermetismo. Nella biblioteca

del regista troviamo anche classici dello spiritismo e della parapsicologia come “La veggente di Prevorst” di Justinus Kemer, o le opere della medium americana Jane Roberts, “Dialoghi con Seth” e le «

Comunicazioni con Seth”. La scrittrice affermava di aver canalizzato

una personalità maschile di nome Seth che attraverso lei comunicava con il mondo. Questi libri, in particolare, colpirono molto Fellini, e

questo si evince in primis dalle numerose sottolineature e note a margine, poi dal fatto che Fellini in una lettera del gennaio del 1993 a Giulio Andreotti fa riferimento al libro “Le comunicazioni di Seth”

(definito “libro occulto”) e poi consegnato in dono al senatore in

occasione del suo compleanno. Lo spiritismo in Italia viene approfondito da Fellini, attraverso la storia scritta da Massimo Biondi, la demonologia e la stregoneria attraverso il libro “Demoni, streghe e guaritori” di Adalberto Pazzini.

La parapsicologia esercita un grande fascino su una personalità

curiosa e aperta come quella di Fellini; anche in questo caso ci giungono in aiuto i volumi della biblioteca del regista che ci parlano di un interesse non superficiale. In particolare sembra molto incuriosito

dalla figura di Corrado Piancastelli e dalle sue comunicazioni in stato di trance e incorporazione con l’entità A. Piancastelli era un medium napoletano che a partire dal 1950 inizia un lungo dialogo con

un’entità che chiamerà A (Andrea). Sino al 1990 mantiene l’anonimato, abbandonato in seguito alla separazione dall’allora

presidente del Centro Italiano di Parapsicologia Giorgio Di Simone (frequentatore anch’egli di casa Rol). Un altro libro, presente all’interno della biblioteca felliniana, ci parla dell’interesse per il cosiddetto “Cerchio Firenze 77”, uno dei più importanti movimenti

spiritisti italiani nato e cresciuto attorno alla figura carismatica del medium Roberto Setti e alle sue comunicazioni che si manifestarono a partire dal 1946 e si protrassero fino al 1984, anno della sua morte. La dottrina propugnata dal movimento è fortemente imbevuta di cultura spiritista e teosofico-occultista, prendendo a modello la figura di Allan Kardec, pedagogista e filosofo francese considerato il fondatore e

codificatore dello spiritismo. Il Cerchio Firenze 77, era inoltre un movimento reincarnazionista, sostenitore di tematiche

orientaleggianti, molto simili a quelle della New Age, con richiami forti alla mistica cristiana. Tornando all’analisi attenta delle letture felliniane, ci imbattiamo in alcune opere del medico Donato

Piantanida, figura vicina a Boris de Rachewiltz egittologo e esoterista italiano e a Julius Evola filosofo, pittore, scrittore che, come noto, avrà una forte influenza nel variegato mondo della cultura esoterica di

destra. Fellini conobbe Piantanida (entrambi frequentavano la casa di Gustavo Rol insieme all’amico comune Leo Talamonti) e si dice che il medico donò al regista un anello (ricevuto in dono dal Maestro Enel)

raffigurante uno scarabeo. Tra i tanti libri di Piantanida posseduti da Fellini ricordiamo il “Libro dei Morti” di Enel e “L’uomo e il suo

divenire secondo la Kabbala”. Fellini affronta anche l’occultismo attraverso studi più importanti come “Inconscio, occultismo e magia”

di Jung e la bibbia esoterica di Louis Pauwels e Jacques Bergier dal titolo “Il mattino dei maghi”, testo considerato il precursore del realismo magico. Insomma l’interesse e la curiosità di Fellini per tutto ciò che è paranormale e magico diventa negli anni un aspetto importante del

suo pensiero andando inevitabilmente a influenzare in qualche modo anche il suo immaginario creativo. Lo spiritismo in particolare, soprattutto negli anni ‘60, sembra

catturare l’attenzione e la curiosità di Fellini, alla ricerca costante di nuove esperienze e nuovi stimoli creativi. Proprio in quegli anni

Fellini frequenta Anna Salvatore, pittrice, scultrice e scrittrice e convinta spiritista. Fellini la volle ne La dolce vita nella scena del salotto letterario accanto a Laura Betti e allo scrittore Leonida Repaci. Nel 1966 la Salvatore pubblica per Arnoldo Mondadori il libro

Subliminal tu”, storia di un gruppo di persone che nella Roma degli anni ‘60 si dedicano allo spiritismo. Citando la Salvatore “tutto il racconto è contrappuntato dal dialogo subliminale con gli “Amici”, le

creature astrali con le quali l’autrice entra in rapporto attraverso l’Autoscrittura: Kerner, Federica, Home, individui fisicamente vivi in una dimensione più febee”. È facile riconoscere nei nomi di fantasia i personaggi in carne e ossa, in particolare Big (Federico Fellini), Lietta (Giulietta Masina), Fifty (Salvato Cappelli). Gli “Amici” di cui parla la Salvatore sono Kerner (Justinus Kemer), Federica (Frederica Hauffe medium tedesca resa celebre dal libro “La veggente di Prevorst”). Si

possono trovare alcune analogie tra il libro della Salvatore e il Libro

dei Sogni. A pagina 152 di “Subliminal tu” durante una visita dello spirito di Kemer, questi parla ai partecipanti alla seduta: "Vorrei pregare a Lietta e all’altro Signore di uscire”. Nel libro dei sogni troviamo la trascrizione della Seduta del 24/01/1962. In un passo lo spirito Home dice “fate uscire dalla catena Giulietta e Salvato”. Le similitudini continuano facendo pensare a una trascrizione di sedute

realmente accadute in una delle semitrance della Salvatore nell’opera felliniana indicata con le iniziali del nome e cognome (A. S.). Nel Libro dei Sogni nell’anno 62 troviamo la trascrizione di 3 sedute.

Ma tanti furono gli sconfinamenti e le esperienze di Fellini nei vari campi delle scienze e delle pratiche alternative. In un’interessante intervista di Luigi De Marchi a Fellini pubblicata su "Pulsazione n

(rivista dell’istituto di bio-energetica W. Reich) nel 1977 si fa riferimento ad alcuni trattamenti bio-energetici ai quali il regista si sarebbe sottoposto sotto la supervisione di Alberto Zucconi. Ecco cosa dice il regista in merito ai trattamenti e agli assunti teorici reichiani: “A livello personale, direi che queste esperienze abbiano giovato a

una riaccordatura del mio organismo, ad una riarmonizzazione con queste forze che avevo dentro. A livello più generale mi sembra di aver sperimentato, di aver potuto riconoscere quanto profonda sia

l’intuizione, quanto valida l’idea che le cicatrici neurovegetative e

somatiche create dalla vita sui traumi originali, o le primitive ammaccature malamente ricucite dall’esperienza, si possono affrontare e in qualche misura sanare con il contatto manuale, con lo scioglimento dei blocchi muscolari, con il riorientamento della nostra

energia biologica”)" *'

Ricordiamo che Wilhelm Reich partendo dalla rielaborazione di teorie Freudiane (fu allievo di Freud), divenne famoso per le sue ricerche sul ruolo sociale della sessualità, per arrivare alla

formulazione della teoria sull’energia “orgonica” con derive fantascientifiche che tiravano in ballo gli alieni. Per la pratica della teoria orgonica fu condannato e messo in carcere dove morì per

arresto cardiaco nel 1957. Luigi De Marchi subì la sua influenza e nel ventennio 60-80 fu iniziatore della scuola reichiana in Italia e

fondatore dell’istituto di Bioenergetica Wilhelm Reich. Ma quali sono i primi contatti e le prime esperienze di Fellini con il

magico? Una bellissima testimonianza relativa all’infanzia magica di Fellini ci arriva dall’intervista fatta a Fellini da Leo Talamonti per il

numero 1 di “Scienza e ignoto” del settembre 1972. Anche Talamonti è un esperto dell’occulto, del paranormale e della magia di cui si occupa

a partire dagli anni ‘50 dopo aver abbandonato la carriera militare e mostra, da sempre, simpatia per le idee di Evola. Nelle confidenze di Fellini raccolte da Talamonti il regista riflette sul concetto di soprannaturale sottolineando il fatto che tutti hanno avuto delle esperienze che rientrano in quest’ambito. Nelle sue però, la fantasia concorre ad arricchirle e a renderle più sfavillanti.

Fellini ricorda, ad esempio, le estati a Gambettola, nella casa dei nonni quando dopo aver ribattezzato i 4 angoli del letto con i nomi dei 4 cinema di Rimini si abbandonava a spettacolari e luminose fantasie fatte di punti luminosi e sfere, cerchi, fiammelle, stelle, in un rutilante gioco fatto di colori. Delle vere e proprie visoni (o meglio illusioni)

ipnagogiche che evidenziavano già a quel tempo una spiccata attitudine a far riemergere il proprio inconscio. In un altro episodio il regista riminese racconta di aver visto il

muggito di una mucca trasformarsi in un grosso nastro rosso che avanzava sino alla sua testa. Questo fenomeno sensoriale e percettivo

di “audizione colorata” (chiamato anche sinestesia) è stato raccontato anche da Berlioz e Beethoven. Altra esperienza simile quando tre colpi dell’orologio a pendolo si trasformano in palline d’argento che si

disperdono nel cielo. E ancora, visioni stereometriche, e percezioni di presenze accanto; usando le parole del regista era come affacciarsi in un'altra dimensione. Questa percettività accentuata e sviluppata si interrompe per molti anni e riaffiora dopo i trentanni in un periodo

difficile della sua vita, all’alba di una crisi dell’inconscio che lui stesso definirà rinnovatrice. Fellini nelle sue confessioni a Talamonti ci parla

anche del suo rapporto con lo spiritismo e con le sedute medianiche iniziate quando aveva 22/23 anni. Il suo interesse in questo caso si concentrava sull’aspetto umano, folkloristico e psicologico. Verso i 33 anni, racconta, ebbe un’esperienza extracorporea che

interpreta come ritorno allo stato originario dell’energia pura. Fu il primo di molti viaggi astrali che lentamente il regista incomincia a governare. Ecco che peso dava Fellini a queste esperienze: L’essenziale è guardare a questo genere di cose non come a un mondo sconosciuto situato al di fuori di se, ma come ad un universo

interiore, e ricco di possibilità impreviste, enigmatiche e talora un po’ ambigue; ma che presenta spesso qualche lato utile, interessante. Si

tratta in sostanza di accettare queste cose senza stupirsene - come sanno fare soltanto i bambini -, ma al tempo stesso con la piena consapevolezza degli adulti, e cioè con uno spirito vigile e scanzonato. Più che inibire ilfenomeno, il problema è di tenerlo sotto controllo. In fin dei conti si tratta di una dimensione umana latente e

ricca di possibilità, e non c’è ragione per vietarsene l’accesso""1'.

Un altro intervento molto interessante di Fellini sul suo rapporto con l’occulto risale al giugno del 1972 sulle pagine del n° 1 di Arcana, mensile che, come riportato nell’editoriale, «...tratta di cose cosiddette paranormali, perché non rientrano nelle conoscenze che la

nostra cultura e la scienza ufficiale danno per acquisite». Nell’articolo intervista dal titolo “Fellini una serata con Garibaldi e papa Sarto” il regista esprime tutto il suo interesse e la sua curiosità

per questo mondo e in particolare per il misterioso, lo sconosciuto, l’inatteso, che danno alla vita un sapore e un incanto maggiore. Il mondo dell’occulto mi ha sempre attratto e incuriosito profondamente, proprio perché occulto. Niente è più affascinante del

mistero, come ha detto Einstein. Vivere in una parte di mistero in

fondo è confortevole, è protettivo. Lo sconosciuto, l’inaudito,

l’inatteso dà alla vita, un sapore, un incanto maggiore. E, secondo me, è psicologicamente sano coltivare il senso del mistero"1'".

Tra le testimonianze portate da Fellini, ce naturalmente quella legata a Gustavo Adolfo Rol, e il racconto della sua prima seduta

spiritica (ricco di accenti e sfumature ironiche che solo un grande umorista come Fellini sapeva tratteggiare). Curioso il fatto che la copertina (due figure nere senza volto su sfondo rosso con un grosso simbolo esoterico al centro) sia firmata da Maurilio (Milo) Manara

che con Fellini collaborerà alla fine degli anni ‘80 per la realizzazione a fumetti dei progetti "Viaggio a Tulum” e u-H viaggio di G. Mastorna detto Fernet”. Questo atteggiamento curioso e aperto gli permette di accettare senza stupore o spavento i fenomeni prodotti da personaggi insoliti

come Gustavo Adolfo Rol, con il quale ebbe un’amicizia e una frequentazione intensa. “L’uomo più sconcertante da me incontrato” così amava definirlo Fellini, che assisteva divertito e pieno di

meraviglia ai suoi famosissimi esperimenti nella casa di Rol a Torino

nel parco del Valentino. Tra Rol e Federico Fellini c’era qualcosa di ancora più profondo di una grande amicizia, si stimavano e si capivano al volo, anche senza

parlare: tra loro bastava uno sguardo. Gustavo riteneva il regista

non solo un genio ma anche un illuminato; diceva infatti di lui: «Definire Fellini un illuminato mi sembra giustificato, a considerare

la luce immensa che viene da lui». Era entusiasta di tutti i suoifilm,

l’unico che non gli era piaciuto era quello su Giacomo Casanova)'1''.

Come racconta Franco Rol, nel saggio “Fellini nel paese delle meraviglie. L’amicizia con Gustavo A. Rol” pubblicato sulla rivista «

Luce e ombra dell’ottobre-dicembre 2019: In base a una mia ricostruzione, il primo vero incontro tra i due per il tramite dello scrittore Leo Talamonti - avvenne a Torino nel 1963, dopo l’uscita del film 8 V2. Fu l’inizio di una frequentazione che durò 30 anni, fino alla morte del regista nel 1993. Pare tuttavia che

Fellini avesse conosciuto Rolforse in maniera fugace già dieci anni

prima all’epoca de I vitelloni (1953) e quando stava già girando La

strada, tramite l’attrice Valentina Cortese, amica di Maria Rol,

sorella di Gustavo che conosceva sin dall’infanzia a Torino. Filippo Ascione, assistente alla regia di Felliniper Ginger e Fred (1985) e

Intervista (1987), che ha conosciuto bene sia il regista che Rol, ha detto in più occasioni che Fellini voleva incontrarlo sin dai tempi de La dolce vita (1959-1960), ma che non ci riusciva, nonostante fosse

già famoso mondialmente''11'.

Nato a Torino nel 1903, Rol, è diventato nel corso degli anni un vero e proprio maestro spirituale. Era solito eseguire dimostrazioni sperimentali (che chiamava possibilità) di fronte a testimoni, con la ferma volontà di dimostrare le infinite capacità della mente umana. Sulle magie di Rol, Federico indugiava ammirato, con profusione di dettagli. Raccontava incredibili fenomeni di telecinesi, grazie ai quali con la sola forza della mente il paragnosta era in grado di spostare

gli oggetti da una stanza all’altra, smaterializzarli e ricomporli in

uno schiocco di dita anche da grande distanza, in altre abitazioni, in città lontane. A un ex aiuto che aveva ottenuto di poter assistere a un

incontro con il mago, era accaduto qualcosa di sbalorditivo:

tornando a Roma, esattamente come era stato preavvertito, aveva

trovato un pesante portacenere di vetro di Murano non più sulla scrivania, dove giaceva abitualmente, ma dentro la vetrinetta del soggiorno. E ifamiliari giuravano di non averlo spostato. Fellini

stesso conservava religiosamente un paio di scarpe a cui Rol, per gioco, aveva scambiato i tacchi, togliendolo a una e raddoppiandolo

all’altra"1^'.

Cercò, senza mai trovarlo, un confronto con la scienza ufficiale, che invece si dimostrò sempre scettica nei confronti delle sue capacità. Nel 1965 Dino Buzzati scrive una serie di articoli per il Corriere della Sera dal titolo “In cerca dell’Italia misteriosa” (raccolti poi nel volume «

I misteri d’Italia”), per questo chiede la collaborazione di Federico

Fellini, con il quale aveva cominciato a lavorare per il progetto mai realizzato del “Viaggio di G. Mastorna”. Buzzati che definisce Fellini

“la persona più carica di misteri in Italia” chiede consigli sui personaggi dell’Italia magica che maggiormente lo avevano impressionato. Fellini gli parla di Pasqualina Pezzola di Porto Civitanova che dopo essere caduta in trance visita e guarisce i malati,

gli parla, naturalmente, del grande Rol e di Zio Nardu, contadino di Nuoro che posseduto da un’entità strana sapeva trasformarsi in un cavallo. Anche Buzzati sentì in modo irresistibile il fascino dell’ignoto.

In molte parti della sua opera si possono scorgere tentativi di conciliare reale e immaginario, abbattendo le barriere dell’inconscio e

lasciando libero sfogo al potere illusorio e salvifico del prodigio. Suggestivo, inoltre, il legame tra Fellini e la pittrice Leonor Fini che era solita riunire nel monastero di Nonza in Corsica (sua dimora estiva), una serie di amici, artisti, pittori, fotografi, scrittori e attori. Tra loro anche il pittore Colombotto Rosso spiritista e frequentatore

della Soffitta Macabra di Lorenzo Alessandri dalla quale nacque il

movimento Surfanta. Segnaliamo, infine, negli anni ‘80 l’interesse del regista per il notissimo mistico Osho. In particolare, tramite Andrea Valcarenghi fondatore della rivista “Re Nudo” e uno dei primi discepoli del santone in Italia, Fellini assieme ad altri personaggi noti del panorama culturale italiano firmò alcune petizioni in suo favore in

seguito agli scandali nati negli Stati Uniti attorno a questa controversa figura. Non solo, poco prima della sua scomparsa, quando era ricoverato all’ospedale di Rimini, il santone gli fece recapitare un cristallo a forma di parallelepipedo e un messaggio che gli consigliava di lasciare l’ospedale e mettersi nelle mani di un pranoterapista. Ma torniamo al rapporto tra Fellini e Bernhard e all’importanza che esso ha avuto nella vita e nella carriera del regista Riminese. Bernhard muore nel 1965, il 29 agosto. Fellini il 5 maggio ha un sogno premonitore della sua morte. È un sogno pieno di angoscia e commozione dove affiorano chiaramente i sensi di colpa nei confronti

della famiglia (in particolare della madre) e dove la paura del futuro si fa insostenibile e opprimente. La morte dell’analista non viene

affrontata dal regista in chiave onirica ma attraverso un messaggio sincero e disarmante, carico di rimpianti e frustrazione. Ti debbo moltissimo, della mia vita. Ti debbo la possibilità di

continuare a vivere con momenti di gioia. Ti debbo la scoperta di una nuova dimensione, di un nuovo senso di tutto, di una nuova

religiosità. Grazie per sempre amico fraterno, mio vero padre."14'

Il libro dei sogni” di Fellini deve, a mio avviso, necessariamente intrecciarsi con lo studio dei suoi film, costruendo un vero e proprio M

percorso di indagine critica che analizzi l’opera alla luce delle varie forme dell’universo creativo felliniano. Il libro è infatti disseminato di tracce e indizi più o meno intellegibili, che ne contraddistinguono la

struttura evidenziandone le tematiche più ricorrenti. L’utilizzo di una forma diaristica a supporto di una struttura prevalentemente disegnata contribuisce a enfatizzare la chiave onirica dell’intero progetto. “Il libro dei sogni” appare come un vero e proprio “unicum”

nella storia della letteratura e dell’arte mondiale, un progetto costruito per accumulo e sovrapposizioni, un’architettura complessa che si regge su solide fondamenta abilmente costruite sull’irrazionale, sulla fantasia sfrenata, sulla sublimazione di un’interiorità sfacciata. Quello che scopriamo nel libro dei sogni è un mondo abitato dalla

morte e dall’angoscia, dal pericolo, dalla consapevolezza di una vita precaria e fragile. Il sentimento dello sterminio di massa, che ha funestato la crescita di

due o tre generazioni, trapela nelle pagine felliniane attraverso un ininterrotto riproporsi di disastri. Si susseguono mareggiate e

inondazioni (non era ancora diffuso il termine tsunami, ma il

fenomeno era lo stesso) incidenti ferroviari, aerei precipitati come

quello di Mastorna, il crollo di una gigantesca torre di cristallo (probabilmente ispirato, correndo l’anno 1974) dal coevo Kolossal catastrofico L’inferno di cristallo - The Towering Inferno di John

Guillermin), il disintegrarsi silenzioso di una torre gotica,

l’esplosione di vari dirigibili, l’allarme per lo scoppio delle atomiche e via in un crescendo di distruzione"1*'.

Quest’opera risente in modo evidente della grande passione di Fellini per il mondo del fumetto. L’attrazione smodata per tutto ciò

che era disegnato e dipinto contribuisce a sviluppare e amplificare la sua predisposizione per l’immaginazione e la fantasia. Sin dai suoi primi approcci al mondo del disegno inizia a formarsi in Fellini una

propensione alla rappresentazione per immagini. Il suo processo

creativo incomincia lentamente a lavorare per astrazione e ridefinizione della realtà. Tutto questo si auto-alimentava grazie alle benefiche influenze dei

fumetti portati in Italia dall’editore fiorentino Mario Nerbini che con grande e inaspettato successo, trova nelle tavole de “L’avventuroso”, il luogo ideale per diffondere le avventure degli eroi americani,

portando nelle case di bambini e adulti personaggi come Flash Gordon e Jungle Jim di Alex Raymond, Radio Patrol di Sullivan e Schmidt, Mandrake di Lee Falk.

Questo meccanismo creativo del giovane Fellini si affina nel corso degli anni attraverso le varie e note esperienze come ritrattista per il

cinema Fulgor, nel connubio artistico con Demos Bonini nella bottega di ritratti “Febo” a Rimini, o nella redazione del periodico satirico u 420”, prima vera esperienza del regista. Poi nel 1939 inizia la

collaborazione con il “Marc’Aurelio”, popolare periodico di satira

sociale e politica, sopravvissuto alla censura fascista grazie all’abile commistione di uno stile comico e buffonesco, apparentemente

innocuo, con uno più feroce e tagliente. Qui Fellini ha modo di

conoscere e lavorare con una serie di grandi nomi che troveranno poi fortuna nel mondo del cinema e della televisione: Stefano Vanzina (Steno), Ruggero Maccari, Marcello Marchesi, Gioacchino Colizzi

(Attalo), e più tardi Ettore Scola e Bernardino Zapponi. Tutte queste esperienze avranno un peso importante anche nella sua carriera di regista, e nella capacità di rappresentare la realtà in modo grottesco e caricaturale. Anche il “Libro dei sogni” risente di questi riferimenti illustrativi e pittorici, caratterizzandosi per un impianto fortemente

connotato su immagini esuberanti e barocche arricchite da colorazioni accese e mai scontate. Fellini attinge copiosamente alla propria vocazione per il disegno ed

ecco la materia onirica trasferita efficacemente in seducenti

illustrazioni. I testi a volte copiosi, a volte sintetici, sono di accompagnamento, di esplicitazione, di descrizione, ma al centro

concettuale di ogni rappresentazione del sogno ci sono le immagini.

A volte le raffigurazioni sono estremamente delineate, a volte più stilizzate, ma sempre ricche di colori. Come strumenti di lavoro Fellini usa un po’tutto, tranne gli acquarelli: biro, chine, matite

colorate. Poi a un certo punto scopre il pennarello, della cui tecnica si impadronisce in maniera sorprendente. Il pennarello è uno strumento efficace per dare effetti surreali e psichedelici (che Fellini

predilige) allefigure, ma il suo uso è particolarmente complicato in quanto lascia un tratto piatto che non prevede la fusione dei colori, né la loro sovrapposizione [...JLe illustrazioni di Fellini sono

sagomate da colorazioni accurate, variopinte, multiformi e, sempre barocche. Il colore è esuberante rispetto alla linea che, a volte, è

formata dal colore stesso. Se il contorno può essere approssimativo la colorazione non è mai piatta, piuttosto eseguita con cura e sempre

molto appariscente"Jbì.

I sogni di Fellini negli anni ‘70 sono contenuti, come abbiamo visto, nel secondo volume e partono, cronologicamente, con un vecchio sogno del 5 gennaio del 1972.

Poi si passa alle visioni oniriche che vanno dal 1973 ai primi mesi

del ‘74. Notiamo una certa apprensione per la realizzazione di Amarcord. Fellini sogna l’interruzione delle riprese del film prima a causa di un’influenza e poi del suo arresto insieme al direttore di

produzione Lamberto Pippia, e alfaiuto regista Maurizio Mein. Il senso incombente di pericolo e precarietà aleggia su tutti questi sogni, coinvolgendo immagini che riportano all’infanzia e al rapporto

con la famiglia. Anche il 1974 porta con se sentimenti negativi. Il 10 agosto 1974 Fellini scrive «Depressione, sfiducia, senso di colpa, inerzia, mortificazione e disprezzo di me stesso. Faccio un I king su questa situazione» * 127128 126 125 124 123 122 121 120 119 118 117 116 115 114 ). Risultato 6 - la lite. Il commento a questo 129

esagramma sentenzia «Fermarsi a mezza strada senza arrivare agli estremi. Rendersi conto delle conseguenze negative. Si deve trovare

un compromesso»; e ancora «si deve meditare prima molto bene che cosa si debba fare». Ecco che in una situazione di sconforto, Fellini chiama in suo aiuto la lezione di Jung e soprattutto di Bernhard; lo strumento utilizzato è

“Il libro dei mutamenti”, 1’1 Ching, antichissimo volume sacro cinese, scritto probabilmente intorno all’anno 1000 a.C. Oltre ad essere un testo sacro, “Il libro dei mutamenti” racchiude al

suo interno una serie di principi che riguardano l’etica e la condotta dell’uomo. Tuttavia, quello che maggiormente ha attratto la cultura occidentale è il suo complesso sistema oracolistico e divinatorio. Il

testo incominciò a farsi conoscere in occidente nel Seicento grazie Joachim Bouvet, missionario gesuita e ambasciatore. La prima traduzione fu in latino per mano di Leibniz nel 1697 mentre nel 1887

l’irlandese James Legge termina quella in inglese. Il libro riscontra subito un grande interesse nella Londra vittoriana, dove l’occultismo e

lo studio delle dottrine Orientali erano molto apprezzate. Lo conosce e lo utilizza anche William Butler Yeats, amico di molti teosofi, membro della Dublin Hermetic Society e dell’associazione esoterica della Golden Dawn, società segreta iniziatica che ospitò molti importanti occultisti del ventesimo secolo tra i quali anche Aleister Crowley, considerato il fondatore dell’occultismo moderno e ispiratore del pensiero satanista e di vari movimenti magici.

L’atteggiamento di queste personalità nei confronti dell! Ching si scontrava con l’atteggiamento consigliato da Bernhard. È importante, avvicinandosi a I Ching, avere un atteggiamento corretto verso l’esoterismo, diverso da quello disfunzionale. Il modo

giusto di avvicinarsi all’occulto è quello di cominciare dall’Ombra. [...] L’occultismo è la degenerazione della spiritualità. Ed è male tutto ciò che deresponsabilizza, tutto ciò che fa attribuire la negatività a un

altro, al mondo esterno"’*'.

Nel 1924 il missionario Richard Wilhelm traduce il libro in tedesco, grazie al contributo del suo maestro Lao Nai-Hsun. L’introduzione è

scritta direttamente da Jung, che aveva studiato molto approfonditamente il testo, che diventerà molto importante per la sua teoria della sincronicità. La traduzione in italiano, invece, risale al

1950, su iniziativa di Bernhard e per mano di Bruno Veneziani, cognato di Italo Svevo e paziente di Freud. Proseguendo l’analisi dell’attività onirica felliniana negli anni ‘70 notiamo un persistente sentimento di ansia e di inadeguatezza nei confronti della vita, contraddistinto da immagini disturbanti.

Nel sogno del 16 febbraio del 1972 un apparecchio televisivo proietta l’immagine di una statua, forse una divinità; sulla statua è

adagiato il corpo senza vita di una bambina. La madre inginocchiata piange disperata. Il 30 agosto del 1973 un’altra figura misteriosa turba

i sogni del regista. Si tratta di una figura imponente dal camice bianco. Fellini pensa sia un fantasma e si sveglia pieno di terrore. Il 13 agosto del 1974 Fellini ricorre ancora al “Libro dei mutamenti" per

comprendere meglio un sogno che gli sembra preannunciare l’addio definitivo al film Casanova. L’oracolo risponde con un doppio esagramma, 23 (lo sgretolamento) e 27 (l’alimentazione). Il primo è

un momento del destino, a cui non ci si può opporre, in cui la situazione che si sta vivendo precipita. Bisogna accettare questo evento e pensare che da questo evento apparentemente negativo

nasceranno cose nuove. Il secondo afferma l’importanza delle cose essenziali contro le cose superficiali, inoltre ricorda che bisogna inseguire l’ordine e la disciplina senza farsi trascinare in situazioni

futili e occasionali. Il mese di agosto porta ancora un sogno negativo, un incidente ferroviario; il regista e l’assistente Liliana Betti guardano la scena divertiti. Nel sogno del 20 agosto del 1974, Fellini è in macchina con Walter Chiari, il clima è scanzonato e goliardico ma improvvisamente, all’altezza di via Veneto, vedono sul marciapiede

due cadaveri insanguinati, forse si sono suicidati. La scena però

diventa ancora più terrificante, quando si accorgono che i corpi sono 14, inginocchiati in un lago di sangue. Altri ospiti illustri si susseguono nei sogni del ‘74: Oreste del Buono, Rol, Flaiano, Strehler. Sempre nel 1974 riaffiora il progetto del Mastoma e Fellini interroga

l’oracolo per avere indicazioni e consigli. Le difficoltà del Casanova si

proiettano con ombre inquietanti su tutti i sogni del ‘74, tra ripensamenti, slanci improvvisi, disperate richieste di aiuto. Il Casanova sembra il protagonista assoluto delle visioni notturne del

regista. Nel sogno del 18 novembre la domanda che Fellini pone a se stesso è: «Apparirà, entrerà Casanova?». Lui e Vittorio Gassman

aspettano in un lussuoso salone arredato in stile seicentesco, ma la porta non si apre. Casanova non c’è. Il 20 novembre si sogna in un letto, ammalato, colpito da un male incurabile alla testa, assistito da

un Marcello Mastroianni, triste e piangente, - come spesso gli accade in quel periodo - annota sarcasticamente il regista (allusione alle

pene d’amore dell’attore che proprio in quell’anno fu lasciato dall’amante Catherine Deneuve). L’anno si chiude con un sogno carico di inquietudine, in cui la madre di Fellini sembra morire e poi

improvvisamente risuscitare. Il 1975 si apre con visioni oniriche più surreali e magiche, nelle quali Fellini interagisce con i suoi collaboratori e i vari produttori.

Ancora una volta, però, giunge in sogno la figura di Ennio Fiatano, quasi a esplicitare un latente senso di colpa del regista per le incomprensioni con lo scrittore. Il sogno è del 21 gennaio del 1975,

Flaiano è nel letto completamente paralizzato, i parenti decidono di ricoverarlo in una clinica. Nel momento del trasferimento, però, il paziente scompare. Il regista si domanda turbato «Chi ha fatto

scomparire Flaiano?». Nel marzo del 1975, Fellini si sogna senza gambe, sistemato su una piccola carriola mentre vaga per i corridoi di un ospedale in cerca di un’uscita. Il 20 marzo ancora un sogno di

aereo che a velocità fortissima atterra nel centro di una città. Ancora il

fantasma del Mastorna? Il 25 marzo un sogno che parla di Rimini e della Prima Guerra Mondiale. In più occasioni Fellini si sogna intento a defecare in pubblico oppure coperto di feci (15 febbraio 1975 e 6 aprile 1975), segno di una crescente sentimento di vergogna, angoscia e stress. Il 27 maggio del 1975 Fellini sogna la morte di Rol. Anche in questo caso, come nel sogno precedente della madre, l’amico risuscita. In alcune visioni notturne il regista sembra risentire del clima politico di quel periodo, fortemente turbato dalla piaga del terrorismo. Il 25 maggio Fellini sogna di aver aderito (per pigrizia) alle Brigate Rosse. Il 29 agosto, in un clima di rivoluzione e scontri di piazza sogna di

sparare a Pierre Clementi, attore ribelle e anticonformista. L’anno si chiude con l’ennesimo sogno angoscioso in cui Giulietta Masina è

ammalata e ferita al collo. Il regista esce dalla casa e si allontana a testa bassa nel freddo. Il nuovo anno si apre ancora con i dubbi e le paure relative al Casanova. Il regista interroga l’oracolo, le risposte

sono 18 (emendamento delle cose guaste) e 15 (la modestia). Il 3 giugno del 1976 Fellini sogna Totò. È un sogno carico di dolcezza e gioia, quella che trasmette l’attore attraverso il suo sguardo e il suo sorriso. In novembre sogna Michelangelo Antonioni, sullo sfondo gli

ultimi fotogrammi di Zabriskie Point, film del regista ferrarese uscito 6 anni prima. Nel sogno del 10 dicembre del 1976, Fellini sta per essere fucilato da alcune guardie in borghese. È colpevole di aver ucciso una donna e per questo è oggetto di pubblico ludibrio. La condanna, fortunatamente, viene trasformata in ergastolo, cosa che però getta il regista in un forte sentimento disperazione. Affiora il senso di colpa soprattutto nei confronti di Giulietta che dovrà vivere il

resto della sua vita nell’attesa di una visita al marito. Il 1977 è ancora caratterizzato da incertezza, angoscia e percezione di un pericolo imminente. Il 7 marzo a farne le spese è Sofia Loren, sognata

annegata nella sua vasca da bagno. Il 22 aprile è Eduardo de Filippo,

mentre recita, a rendersi conto della sua morte imminente. Fellini e tutti gli altri attori si uniscono a lui collaborando a questo ultimo grande spettacolo: la morte in scena di Eduardo. Il 12 ottobre ha una

terrificante immagine ipnagogica * 12’). Fellini sogna una bambina di due o tre anni mentre sta per essere schiacciata da un enorme e pesantissimo portone. La visione lo turba molto, inducendolo a consultare nuovamente 1’1 Ching. Il responso sembra confermare il

disagio: 29 (l’Abissale), non tradire la propria natura e affrontare

serenamente i pericoli. Un secondo responso produce l’esagramma 49 (il Sovvertimento, La Muda), ovvero affrontare il cambiamento solo al momento giusto. Nell’ottobre del 1977 è ancora il clima violento della società di quel periodo a influenzare Fellini, che sogna il rapimento di Gianni Agnelli per mano di Renato Vallanzasca boss della famosa

Banda della Comasina, dedita a rapine, sequestri di persona e traffico d’armi. In questo periodo il fantasma del Mastoma sembra aleggiare insistentemente nei sogni e negli incubi del regista, andando a appesantire il suo senso di immobilità, soprattutto lavorativa. In un sogno del 26 dicembre del 1977 i dubbi sul prossimo progetto da

intraprendere sono tanti. Riprendere il Mastorna? Rinviarlo? Iniziare La città delle donne? Il regista vive una situazione di contrarietà, svogliatezza e stanchezza e in cerca di un consiglio interroga IT Ching in merito a questa situazione di lavoro. Responso: 44 (farsi incontro),

fiducia nelle circostanze senza abbandonarsi all’analisi forzata; 56 (il viandante) l’estraneità del luogo o della situazione in cui si è immersi

deve spingere a privilegiare l’aspetto nobile e dignitoso del proprio essere. Il 9 settembre del 1978 un altro sogno sul Mastorna. Fellini giace in un letto, ai suoi piedi una grande fotografia ritrae il

protagonista di questo sfortunato progetto. Giulietta al suo fianco sembra volerlo proteggere da questa visione oscurando la sua visuale

con un fazzoletto bianco. Il decennio si chiude con un nuovo film che sta per iniziare (La città delle donne} e con le solite paure che tormentano le notti del regista. In definitiva il processo creativo

messo in atto da Fellini con il “Libro dei Sogni” si presenta come un’appendice del lavoro analitico fatto con Bernhard e proseguito poi, dopo la morte del professore, in maniera autonoma. Il sogno felliniano è un’esperienza primitiva, nella maggior parte dei casi angosciosa e carica di presagi negativi. Fellini però non è un soggetto onirico passivo, al contrario cerca di comprendere, interpretare e associare gli elementi sparsi all’interno dei suoi sogni, con la realtà concreta che lo circonda. (114) 1934/1959 Lettere tra Ernest Bernhard e Cari Gustav Jung, a cura di Giovanni Sorge, Rivista di Psicologia Clinica/Quademi 1, Masenzana (VA), La biblioteca di

Vivarium, 2001, pag. 69. (115) Le radicijunghiane del cinema italiano d’Autore. Intervista a Vittorio De Seta, il regista dell”mbra, http://centrostudipsicologiaeletteratura.org/2014/01/le-radicijunghiane-del-cinema-italiano-dautore-intervista-a-vittorio-de-seta-il-registadellombra/

(116) 1934/1959 Lettere tra Ernest Bernhard e Cari Gustav Jung, a cura di Giovanni Sorge, Rivista di Psicologia Clinica/Quaderni 1, Masenzana (VA), La biblioteca di

Vivarium, 2001, pag. 84. (117) Emanuele Cerquiglini, L’atto magico. Fellini, Lynch, Jodorowsky, StreetLib

Write, 2020, pag. 36. (118) Federico Fellini, Io e la bio-energia in “Pulsazione” (rassegna dell’istituto di bio-energetica “W. Reich", Milano, SugarCo Edizioni,1977, p. 23.

(119) L’infanzia magica di Federico Fellini, confidenze raccolte da Leo Talamonti, in Scienza e Ignoto, n. i/settembre 1972, Faenza, Faenza Editrice, p. 43. (120) Fellini una serata con Garibaldi e papa sarto, in Arcana mensile del mondo occulto e misterioso, n. 1/giugno 1972, Milano, Armenia Editore, pp.12-13. (121) Maria Luisa Giordano, Rol mi parla ancora, Milano, Sonzogno, 1999, p. 180. (122) Franco Rol, Fellini nel paese delle meraviglie. L’amicizia con Gustavo A. Rol, Luce e Ombra, voi. 119, fase. 4, ottobre-dicembre 2019, pagg. 291-299.

(123) Gianfranco Angelucci, Glossario Felliniano, Roma, Avagliano Editore, 2019, pag. 111. (124) Ferdinando Camon, Cosa c’è sotto le cancellature?, in Federico Fellini il libro dei miei sogni, Rimini, Fondazione Federico Fellini, 2008, pp. 159-160. (125) Federico Fellini, Il libro dei sogni, Milano, Rizzoli, 2007, p. 11. (126) Antonio Tripodi e Marco Dalla Gassa, Approdo a Tulum. Le Neverland a fumetti di Fellini e Manata, Milano, Studio Lt2, p. 47. (127) Federico Fellini, Il libro dei sogni, Op. cit., p. 267. (128) Luciana Mariangeli (a cura di), I Ching di Ernst Bernhard, Roma, La Lepre

edizioni, 2015, p. 67. (129) Esperienza onirica molto intensa che solitamente si presenta allo stadio 1 del sonno e coinvolge tutti i sensi, in particolare rista, udito e tatto.

Capitolo 9

Luci e ombre degli ‘80 Strage di Bologna, strage di Ustica, scandalo P2, ascesa del

Craxismo, morte di Berlinguer. Questi sono solo alcuni dei tanti avvenimenti che caratterizzano, spesso tragicamente, la prima metà degli anni ’80.

L’Italia è un Paese ancora tramortito dai colpi inferii da terrorismo e dai tanti misteri italiani molti dei quali, ancora oggi, irrisolti.

Il cinema italiano non se la passa meglio. Con l’abolizione del monopolio televisivo e l’avvento delle tv locali le cose iniziano a precipitare. Tra il 1976 e il 1985 il totale dei biglietti venduti è di 123 milioni, gli schermi cinematografici diminuiscono dai 10.000 degli anni ’60 ai 5.000 del 1985. Anche la produzione non ha mezzi per

arrestare la crisi e dagli oltre 300 film degli anni ’60 si passa ai 90 del 1985. L’aumento massiccio della proposta cinematografica in televisione allontana il pubblico dalle sale. La ricaduta sulla produzione nazionale

è devastante e non viene assolutamente compensata dall’aumento della produzione televisiva che si limita a incentivare una proposta

legata principalmente a film e telefilm americani.

Una fase delicata nella quale diventa necessario un ricambio

generazionale, processo che negli Stati Uniti aveva portato sul grande schermo autori provenienti dalla televisione e dalle aule universitarie. Questo aspetto contribuirà a spostare l’immaginario italiano verso i valori, le prospettive e i messaggi proposti con efficacia dal cinema

americano.

Da noi il cinema comico, ultimo baluardo in una guerra che sembra ormai persa, continua a fare grandi numeri. I vari Celentano, Pozzetto, Villaggio e i tanti comici che passano dal varietà televisivo al

grande schermo cercano, soprattutto, di portare in sala nuove

generazioni di spettatori. I desolati anni ’80 aspramente criticati da Morando Morandini nella relazione al convegno "Voci, volti e storie

per gli anni ’90. Quali personaggi e quali attori per il cinema italiano” (Milano, 18 marzo 1991), ci consegnano un cinema fortemente provato che si appella alle nuove generazioni per evocare una rinascita necessaria e non più procrastinabile. Il graduale isolamento

del nostro cinema, con conseguente ridimensionamento delle sue prospettive internazionali non fa altro che abbassare la qualità media del prodotto. Le tragedie e le violenze vissute durante gli anni di piombo spingono gli spettatori verso una rappresentazione illusoria e rassicurante della realtà. La risata, anche quella più bassa e meno

ragionata, diventa una necessità insopprimibile, dando respiro a un genere fatto principalmente di erotismi provinciali, sguaiati e dozzinali che, mortificando la memoria e l’eredità della gloriosa

commedia all’italiana, propone con successo pellicole in fotocopia. Le macerie morali sulle quali si fonda questo nostro cinema evidenziano uno scenario desolante, che ha come principale conseguenza il

progressivo svuotamento delle sale. I grandi maestri mantengono, seppur con fatica, un’egemonia incontrastata sulle produzioni autoriali. Fellini e Antonioni su tutti,

ma anche, naturalmente, i grandi protagonisti della commedia all’italiana come Risi e Monicelli. A questi numi tutelari della cinematografìa italiana si affiancano gli altri “grandi”, quelli che negli

anni ’60 e ’70 avevano dimostrato di saper tenere il passo, raccontando con efficacia il cambiamento del Paese; su tutti

Bertolucci, Ferreri, Scola, Bellocchio, i Taviani, Olmi. Poi ci sono gli esordienti, quei giovani che incominciano (finalmente) a contestare i padri, a ricercare nuovi linguaggi e nuovi punti di vista. Sono i vari Moretti, Giordana, Amelio a cui si aggiungono nella seconda metà del

decennio Soldini, Mazzacurati, D’Alatri e Archibugi.

Fellini però non sembra intenzionato a mollare lo scettro. Aveva salutato gli anni ’70 con il suo film più politico, Prova d’orchestra

(1979), e iniziato il nuovo decennio con La città delle donne, il sognoincubo di Snaporaz/Fellini all’intemo dell’universo femminile e

femminista a lui ostile e incomprensibile, il tutto impreziosito da

invenzioni scenografiche e un gusto debordante per il grottesco.

Ora però si prepara a raccontare, attraverso intuizioni, invettive e poetiche riflessioni il cambiamento di un Paese che non riconosce più. Nel 1983 realizza E la nave va sorprendendo tutti, pubblico e critica. Il linguaggio questa volta è completamente diverso, non più una narrazione frammentaria intrisa di onirismo, ma molteplici piani

semantici per raccontare la deriva di un continente e la fine di

un’epoca. Il film, basato su un fatto storico preciso, lo scoppio della Prima Guerra Mondiale nel 1914, è un apologo, come dice lo stesso regista una favoletta, sull’eccesso di informazione dei mass media che investe tutto, senza nessun tipo di controllo. L’invasione di notizie altera il concetto di realtà, amplifica e distorce ogni cosa, anche il

dolore e la morte. Solo due anni prima l’Italia venne sconvolta dalla

tragedia di Alfredino Rampi, il bambino precipitato in un pozzo artesiano a Vermicino. Una tragedia che aveva segnato un confine netto tra un prima fatto da un’informazione mediata in modo responsabile, e un dopo, un circo mediatico selvaggio fatto di ricerca

spasmodica del dolore a tutti costi per drogare gli ascolti. Una diretta di 36 ore dalla quale il Paese, il pubblico e il giornalismo non torneranno più indietro. E la nave va è anche questo, una riflessione ironica e grottesca sugli eccessi e le derive dell’informazione. Quello che lo spettatore vede è il racconto riportato da due giornalisti, un racconto deformato, esagerato e compiaciuto di un viaggio funereo e di un’umanità alla deriva. Fellini ci mette in guardia dagli inganni,

dalla manipolazione della realtà e dalla creazione del mito. Siamo tutti testimoni di una civiltà avviata all’autodistruzione e la causa è

un’informazione che altera la conoscenza. Oltre al messaggio, però, c’è un film bello da vedere, traboccante di vitalità, di rumori e colori, un Fellini ancora saldamente in sella al grande gioco del cinema, un

cinema che nel finale svela il suo trucco e la sua irripetibile magia. Nel 1984 il regista realizza lo spot pubblicitario "Oh che bel paese”

per la società Campari: è la sua prima esperienza nel mondo dei

commercial televisivi. La lavorazione durò quasi 2 mesi, costando circa 300 milioni e coinvolgendo una troupe di 52 persone. Da applausi il lavoro minuzioso di Dante Ferretti. Nel 1986, cedendo alle insistenze di Pietro Barilla, replica con “Alta società rigatoni Barilla”.

In questi due lavori, Fellini utilizza il linguaggio cinematografico, riducendo al minimo i codici e gli strumenti comunicativi del mondo pubblicitario, sacrificando in questo modo il messaggio, a fronte di

una rappresentazione più vicina al suo mondo e al suo immaginario.

Nel giugno del 1992, in tre settimane di riprese frenetiche, Fellini realizza la trilogia del “sogno", tre spot realizzati per la “Banca di Roma”. Il primo sogno del “Dejeuner sur l’herbe” è interpretato da Paolo Villaggio, Anna Falchi e Fernando Rey, il secondo del “leone in

cantina” e il terzo della “galleria" da Paolo Villaggio, Fernando Rey ed

Ellen Rossi Stuart. Il messaggio è semplice, tutte le paure, le ansie e le ossessioni che ognuno di noi si porta dietro nella vita quotidiana possono essere rimosse e curate affidandosi alla Banca di Roma. Non

mancano gli elementi ironici, amplificati dalla recitazione di Villaggio, il tema del sogno, sempre presente nella filmografia felliniana, e

atmosfere cupe e inquietanti, utilizzate per rappresentare le insicurezze e gli ostacoli del vivere quotidiano.

Nel 1984 il regista aveva incontrato a Roma Carlos Castaneda per parlare di una possibile trasposizione cinematografica delle sue opere. Da questo primo incontro nasce l’idea di un viaggio sui luoghi dei racconti per raccogliere idee e impressioni. Un anno dopo Fellini e il

giovane scrittore Andrea De Carlo partono per l’America dove si uniscono a Grimaldi jr., la sua ragazza Sybil e a Castaneda. I cinque si dirigono in automobile fino in Messico, ma ben presto l’antropologo

peruviano si dilegua. Da qui il racconto, che non si tradurrà mai in un film, ma solo in un soggetto pubblicato nella primavera del 1986 sul Corriera della Sera, diventa confuso e misterioso. Quello che avrebbe

dovuto chiamarsi “Viaggio a Tulum”, è l’ennesima tappa di Fellini nel

mondo dell’ignoto e dello straordinario, ma come scrive lo stesso regista la realtà dell’arte è molto più esigente della realtà sensoriale. E così Viaggio a Tulum finisce a far compagnia al Mastoma. Nel 1985 Fellini realizza Ginger & Fred. L’attacco qui è portato con rinnovata veemenza alle miserie televisive del belpaese. Il mezzo

televisivo, secondo il regista, ha reinterpretato la realtà, appiattendola, spettacolarizzandone gli aspetti più truci, enfatizzandone le emozioni e gli istinti, anche quelli più bassi e abietti. Fellini anticipa nel film, un modo di fare televisione che si affermerà

definitivamente a partire dagli anni ’80 e che troverà la sua massima espressione ai giorni nostri. Una televisione fatta di imitatori,

imbonitori e freaks; la mostruosità e il culto dell’effimero, l’abnormità e il cattivo gusto vengono proposti come novità, come nuove avanguardie di un nuovo modo di interpretare il reale. La sua è una

satira corrosiva che si tinge qua e là di accenti comici e nostalgici. Ancora una volta l’invettiva è corale, vitale e dolorosa perché ci mette

di fronte alla nostra parte mostruosa, alla nostra morale annacquata. Nel racconto del regista non c’è spazio per l’ironia affettuosa ma solo per il furore parodistico, necessario anche questa volta per raccontare

la resa di un Paese sempre più distratto e incattivito. Il successivo Intervista (1987) avrebbe dovuto essere uno special televisivo per festeggiare il cinquantennale di Cinecittà. Con il supporto alla sceneggiatura di Gianfranco Angelucci, Fellini si affida,

anche per questo progetto, a un registro narrativo costruito per sovrapposizione di eventi, situazioni e personaggi; un caos creativo che procede per continue evocazioni, per lampi narrativi. Una

riflessione sul cinema che diventa lezione di cinema, grazie alla freschezza delle sue immagini e alla capacità del maestro di

raccontare il passato mettendo in guardia lo spettatore dai rischi di un presente sempre più dominato dal culto dell’effimero. Un film che

nella sua complessità mostra la grande capacità del regista di mettere in scena un non-racconto attraverso la potenza visuale delle immagini. In questo risiede la grande modernità del film, nella definitiva disgregazione e nel rifiuto della forma-racconto classica; uno sguardo libero che privilegia la bellezza del rappresentato alla

necessità comoda dell’intreccio.

Tanti i temi e gli spunti che Fellini sviluppa e in alcuni casi accenna soltanto: ancora una volta il circo e l’avanspettacolo, l’invadenza della cultura televisiva e della pubblicità, la magia del fare cinema e il suo misterioso caos creativo. All’uscita nelle sale la critica si schiera

compatta dalla parte del Maestro, utilizzando, in alcuni casi, toni entusiastici. Tutti sono concordi nel rilevare che il regista, nonostante l’età, abbia ancora il tocco magico e sappia inventare e sorprendere

attraverso una rielaborazione poetica della sua eterna fanciullezza, attraverso la perenne lotta tra presente e passato. La lezione di cinema impartita da Fellini, ancora una volta, parte

dall’assunto che la scintilla della verità può nascere solo dalla rappresentazione della finzione. L’aspetto che in Intervista sorprende di più è il perfetto equilibrio espressivo ed emotivo; la tavolozza dei

colori qui è fatta di cadenze crepuscolari, a volte struggenti, a volte semplicemente poetiche, di sarcasmo garbato e agile, magari autoindulgente ma comunque sempre appassionato. Un piccolo gioiello, apparentemente fragile, che ci riporta il Fellini dei tempi migliori, quello capace di regalare allo spettatore pagine memorabili di cinema, come l’intensa rievocazione della Dolce vita, in cui le

implicazioni nostalgiche sono attenuate dall’equilibrio e dalla grazia composta dell’intera sequenza, magistralmente interpretata da Mastroianni e dalla Ekberg.

L’ultimo Fellini, quello de La voce della luna (1990) è un regista

sempre più avvilito, che capta i rumori di fondo, il disordine e la mancanza di senso della società ma non smette di cercare tra le pieghe della realtà una spiegazione e una speranza.

Ispirato a II poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni, il film è una candida e dolorosa denuncia della volgarità del caos e del vuoto del

presente. Affidandosi all’interpretazione di due grandi attori comici (Roberto

Benigni e Paolo Villaggio), Fellini costruisce un racconto indisciplinato e volutamente discontinuo, ricco di componenti oniriche e simboliche, un viaggio sincero in un mondo privo d’identità. Il regista si libera dal peso di una rigida sceneggiatura e procede a ruota libera sovrapponendo memorie, impressioni e

intuizioni. Il pessimismo leopardiano, le atmosfere lunari, lo sviluppo di realtà alternative disseminate di elementi propiziatori, sono solo alcuni degli elementi che il regista mette in campo, per parlarci della

contiguità tra due mondi: quello superficiale fatto di rumori

assordanti e quello sotterraneo, apparentemente invisibile, un mondo fatto di silenzio, di rapimenti e incanti, di voci indecifrabili, un passaggio obbligato al quale siamo appartenuti e al quale tutti, prima o poi torneremo, attirati dal suo dolce richiamo al silenzio.

Biografia 1920: Federico Fellini nasce a Rimini, il 20 gennaio, da Urbano e

Ida Barbiani.

1921: Nasce il fratello Riccardo (27 febbraio). 1925: Fellini incontra la magia del cinema: al Fulgor, assiste assieme al padre alla proiezione del film di Guido Brignone Maciste all’inferno.

1926: Frequenta la Scuola Statale Carlo Tonini di Rimini. 1930: Viene iscritto alla prima classe del ginnasio al Giulio Cesare. Incontra l’amico di una vita Luigi Benzi detto Titta.

1933: Visita per la prima volta Roma con il padre e la madre.

* 1935 Sostiene l’esame di quinta ginnasio al liceo Monti di Cesena. 1936: S’innamora della vicina di casa Bianca Soriani. 1937: La rivista dell’Opera Balilla “La Diana” pubblica con il titolo “Campeggisti 1936” le caricature realizzate da Federico durante il campeggio fatto l’anno prima a Verucchio. Il gestore del Cinema Fulgor gli commissiona una serie di caricature di attrici e attori

famosi. Sempre nel 1937, assieme al pittore Demos Bonini, apre una bottega, dove realizza ritratti caricaturali.

1938: All’interno della rubrica Cartoline del pubblico, della “Domenica del Corriere”, viene pubblicata la sua prima vignetta, dal

titolo “Il gelosone”. Lo stesso anno viene pubblicata sulla rivista politico-satirica “420” la vignetta “Il Circo”. Collaborerà con questa

rivista fino al 1939. 1939: Si trasferisce a Roma con la madre e la sorella Maddalena, che dopo un anno tornano a Rimini. Si iscrive a Giurisprudenza e prova a fare il giornalista collaborando con il quotidiano "Il Piccolo -

Giornale d’Italia” di cui era redattore Ferrante Alvaro de Torres, conosciuto l’anno prima sulle spiagge di Rimini. Inizia a collaborare con il bisettimanale satirico “Marc’Aurelio” pubblicando rubriche,

raccontini e vignette. Conosce Aldo Fabrizi e inizia a collaborare con lui in qualità di gag-man per spettacoli di varietà e film. Viene

chiamato per collaborare alla creazione di gags per i film interpretati dal comico Ermino Macario Lo vedi come sei... lo vedi come sei?! e Imputato alzatevi!. 1940: Inizia a scrivere per l’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche

(EIAR) e collabora, sempre come autore di gags, per i film di Mario Mattoli Non me lo dire! e II pirata sono io ancora con Macario.

1942: Incontra Giulietta Masina e iniziano a collaborare per la trasmissione radiofonica “Terziglio”. E tra gli autori della sceneggiatura dei film Avanti c’è posto di Mario Bonnard, Documento Z3 di Alfredo Guarini, e I cavalieri del deserto conosciuto anche come

Gli ultimi Tuareg diretto da Gino Talamo, con Osvaldo Valenti. Del film, mai realizzato, restano 11 disegni realizzati da Fellini, conservati presso la Cineteca del Comune di Rimini - Archivio Federico Fellini.

1943: Collabora alla sceneggiatura e al soggetto di alcuni film (Campo de’fiori, L’ultima carrozzella, Quarta Pagina, Chi l’ha visto?, Tutta la città canta). Il 30 ottobre sposa Giulietta Masina. 1944: Con l’amico De Seta apre il negozio “The Funny Face Shop”.

Qui eseguono ritratti e caricature soprattutto per i soldati americani che, il 4 giugno, avevano liberato Roma. Dopo quella in Via Santa Maria delle Fratte, seguono altre aperture in via della Vite, in via

Tomacelli, in Piazza San Silvestro, in Piazza Barberini e in via Nazionale. A fine estate inizia la collaborazione con Roberto Rossellini per il film Roma città aperta. 1945:

Nasce il figlio Federichino che sopravvive solo due settimane.

1946: Il successo di Roma città aperta lo spinge a proseguire l’esperienza nel mondo del cinema; partecipa alla sceneggiatura di Paisà sempre per Rossellini, Scrive venti puntate della rubrica radiofonica “Chico e Pallina”, interpretata dalla moglie Giulietta

Masina. Pubblica vignette per “Il Travaso” e per il periodico “Campanello” disegna numerose “strips”.

1947: Compare tra gli sceneggiatori dei film II passatore di Duilio Coletti, Il delitto di Giovanni Episcopo e Senza pietà di Alberto

Lattuada.

1947: Conosce Mastroianni e Nino Rota e scrive la sceneggiatura di “Il Miracolo” episodio del film L’amore in cui, per la prima volta,

appare in qualità di attore.

1950: Con Alberto Lattuada co-dirige e co-produce il film Luci del varietà. 1952: Dirige il film Lo sceicco bianco, interpretato da Alberto Sordi. 1953: Dirige il film I vitelloni. Il film ottiene il Leone d’argento alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia. Dirige anche Agenzia matrimoniale, quarto episodio del film L’amore in città.

1954: Il film La strada ottiene il Leone d’argento alla Mostra

Internazionale del Cinema di Venezia.

1955: Esce, in versione tagliata, il film II bidone, accolto con

freddezza da pubblico e critica. 1956: Il 31 maggio muore a Rimini il padre Urbano.

1957: A marzo il film La strada viene premiato con l’Oscar per il migliore film straniero. A maggio Le notti di Cabiria viene presentato a Cannes e Giulietta Masina riceve il premio come migliore attrice.

1958: Le notti di Cabiria vince l’Oscar per il miglior film straniero.

i960: A febbraio esce La dolce vita. Il film ottiene la Palma d’oro al Festival di Cannes. Inizia le sedute psicanalitiche da Ernst Bernhard che gli consiglia di disegnare e trascrivere i propri sogni. Nasce il

celebre “Libro dei sogni”.

1961: Gira un episodio del film Boccaccio 70 dal titolo Le tentazioni

del dottor Antonio. 1962: A maggio inizia le riprese di 81/2 che uscirà a febbraio del 1963.

1963: Il film 8V2 ottiene il primo premio al Festival di Mosca. A luglio il film coglie un altro successo a Saint Vincent, dove la giuria del

Grolle d’oro gli assegna il premio preferendolo al II gattopardo di Visconti. 1964: 8 ¥2 vince l’Oscar come migliore film straniero. Il 2 giugno in

occasione della Festa della Repubblica viene nominato “Grande

Ufficiale”. 1965: Con Dino Buzzati inizia a lavorare alla sceneggiatura di “Il viaggio di G. Mastorna”. Lo stesso anno muore Ernst Bernhard. A

ottobre esce il film Giulietta degli spiriti. 1966: Abbandona il progetto sul “Mastorna” e il produttore De Laurentis fa sequestrare i beni del regista per il mancato rispetto del

contratto.

1967: Il 10 aprile, Fellini viene ricoverato per una pleurite. Lo stesso anno firma un contratto per tre film con il produttore Alberto Grimaldi, che rileva anche i diritti del “Viaggio di G. Mastorna”. Nel mese di ottobre inizia le riprese di Toby Dammit terzo episodio del film Tre passi nel delirio. Con questo film inizia la collaborazione con Bernardino Zapponi.

1968: Esce Toby Dammit. A settembre, gira per la NBC Fellini - A

director’s Notebook che verrà trasmesso nel 1969 negli Stati Uniti. 1969: Il Fellini Satyricon viene presentato, il 4 settembre, nella serata conclusiva della XXX Mostra del Cinema di Venezia. A

dicembre il film viene presentato al Madison Square Garden di New York davanti a 10.000 persone, in maggioranza giovani. 1970: Inizia le riprese de I clowns prodotto dalla RAI. Il film verrà presentato ad agosto al Festival di Venezia. 1972: Esce Roma, presentato fuori concorso al Festival di Cannes. 1973: A dicembre, esce nelle sale Amarcord, riscuotendo un grande

successo di pubblico e critica. 1975: Amarcord vince l’Oscar come miglior film straniero.

1976: Esce il Casanova di Federico Fellini. 1977: Danilo Donati ottiene l’Oscar per i costumi di II Casanova di Federico Fellini.

1978: A ottobre, con una proiezione speciale, viene presentato in anteprima al Quirinale il film Prova d’orchestra che uscirà nelle sale

nel febbraio del 1979 suscitando molte polemiche.

1979: Il 10 aprile muore Nino Rota, l’amico magico di una vita. Qualche giorno dopo iniziano le riprese di La città delle donne che dopo alcune interruzioni (una delle quali in seguito alla morte dell’attore Ettore Manni), si concluderanno alla fine di novembre.

1980: Alla fine di marzo esce La città delle donne.

1983: E la nave va viene presentato il 10 settembre fuori concorso alla XL Mostra del Cinema di Venezia. 1984: Fellini realizza lo spot “Oh che bel paesaggio” per Campari. Il

26 settembre muore la madre Ida. 1985: Il 6 settembre ritira il Leone d’oro alla carriera alla Mostra di Venezia. Realizza lo spot “Alta società - Rigatoni” per Barilla. A dicembre il film Ginger e Fred è presentato in anteprima al Quirinale e a gennaio a Parigi al Palais de Chaillot a Parigi.

1987: Esce nelle sale Intervista. Il film otterrà il Premio del Quarantennale del Festival di Cannes. 1989: Pubblica “Viaggio a Tulum” con i disegni di Milo Manara. 1990: A gennaio esce La voce della Luna.

1991: Il 26 marzo muore il fratello Riccardo.

1992: Il mensile “Il Grifo” pubblica il fumetto “Il viaggio di G.

Mastoma” scritto da Fellini e disegnato da Milo Manara. Realizza per la banca di Roma tre spot pubblicitari interpretati da Paolo Villaggio: “Sogno del Dejeuner sur ITierbe”, “Sogno del leone in cantina” e “Sogno della galleria”.

1993: Il 29 marzo riceve a Los Angeles l’Oscar alla carriera. Il 31 ottobre Federico Fellini muore a Roma, dopo una settimana di coma. 1994: Il 23 marzo Giulietta Masina muore a Roma.

Breve cronologia di un decennio 1970 3 gennaio: Entra in vigore la legge, approvata il 24 dicembre 1969, che stabilisce l’obbligo di assicurazione per tutti gli autoveicoli. 9-11 gennaio: Si riunisce a Firenze il Congresso costitutivo

nazionale di Potere operaio, movimento politico della sinistra extraparlamentare, nato nel 1969 e sciolto nel 1973. 28 gennaio: Dopo l’approvazione della legge elettorale regionale, viene varata la legge finanziaria che istituisce le regioni a statuto

ordinario, Nel corso dell’anno esploderanno numerose proteste per l’istituzione dei capoluoghi di regione, in Abruzzo contro la scelta de L’Aquila, a Reggio Calabria contro quella di Catanzaro. 7febbraio: Dimissioni del secondo governo monocolore De

presieduto da Mariano Rumor, a seguito di contrasti interni al centro­ sinistra, soprattutto intorno alla legge sul divorzio. 28 febbraio: Alla XX edizione del Festival di San Remo risultano

vincitori Adriano Celentano e Claudia Mori con la canzone “Chi non lavora, non fa l’amore”.

24 marzo: Luciano Lama è eletto segretario generale della Cgil, ricoprirà l’incarico fino al 1986.

27 marzo: Mariano Rumor forma un governo quadripartito composto da De, Psi, Psdi e Pri.

11-14 aprile: Vengono compiuti diversi attentati in Valtellina. Tutti gli attentati sono rivendicati dal MAR (Movimento Azione

Rivoluzionaria) e dalla Lega Italia Unita.

16 aprile: In alcune parti del Nord Italia il telegiornale nazionale è interrotto da una voce che annuncia la nascita dei Gruppi d’Azione Partigiana (GAP), riconducibili all’editore Giangiacomo Feltrinelli. Si

scioglierà nel 1972 dopo la scomparsa di Feltrinelli e alcuni dei suoi aderenti confluiranno nelle Brigate rosse. 22 aprile: I sei Stati fondatori della Cee - Francia, Paesi Bassi, Olanda, Lussemburgo, Italia e Germania - firmano il Trattato di Lussemburgo che amplia i poteri del Parlamento europeo. 20 maggio: Viene istituito lo Statuto dei lavoratori redatto da una

commissione presieduta dal sindacalista socialista Gino Giugni.

1-2 giugno: A Milano, durante la notte, muore il poeta Giuseppe

Ungaretti a ottantadue anni. 7 giugno: Si tengono per la prima volta le elezioni per la nomina dei consigli regionali.

3 luglio: Il giudice Antonio Amati accoglie la richiesta di archiviazione del caso Pinelli dichiarando la sua morte un «fatto accidentale». Prende avvio la campagna giornalistica di Lotta

Continua contro il commissario Calabresi, ritenuto responsabile della

morte di Giuseppe Pinelli. 6 luglio: Il presidente del Consiglio Rumor si dimette. 7 luglio: Prima puntata del programma radiofonico “Alto

gradimento”, condotto da Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. Rimarrà in onda fino al 1976. 14 luglio: Scoppia una rivolta a Reggio Calabria contro l’assegnazione di Catanzaro a capoluogo di regione.

22 luglio: Deraglia il treno La freccia del sud in prossimità di Gioia

Tauro a causa dell’esplosione di una carica di tritolo. 6 agosto: Emilio Colombo forma un nuovo governo quadripartito composto da De, Psi, Psu, Pri.

17 agosto: In provincia di Reggio Emilia, si svolge un convegno

organizzato da Sinistra Proletaria, gruppo nel quale era confluito il Collettivo Politico Metropolitano. E comunemente considerato l’inizio dell’attività delle Brigate Rosse. 16 settembre: Mauro De Mauro, giornalista del quotidiano “L’Ora”,

scompare a Palermo. Il suo corpo non sarà mai ritrovato.

17 settembre: A Milano, una bomba fa esplodere l’autorimessa del dirigente della Sit-Siemens, Giuseppe Leoni. È il primo atto firmato

ufficialmente dalle Brigate Rosse. 24 settembre: Muore a Milano l’editore Angelo Rizzoli, all’età di

ottantuno anni. ottobre: Riprendono le agitazioni dei lavoratori. Negli stabilimenti della Pirelli si protesta contro il «decretane Pirelli» che prevede, fra le altre cose, il lavoro nei giorni festivi, con riposo a scorrimento, l’aumento dei ritmi di lavoro. 9 ottobre: Si apre a Milano il processo per diffamazione intentato

dal commissario Luigi Calabresi contro Pio Baldelli, direttore del giornale “Lotta Continua”.

26-29 ottobre: Si svolge a Firenze la prima riunione unitaria delle segreterie di Cgil, Cisl e Uil, nasce il progetto per la costituzione della Federazione unitaria.

1° dicembre: Viene approvata definitivamente la legge FortunaBaslini sul divorzio, con 319 sì e 286 no. 5 dicembre: A Varese, Dario Fo e la sua compagnia teatrale

debuttano con Morte accidentale di un anarchico, dedicata a Giuseppe Pinelli.

7-8 dicembre: Junio Valerio Borghese e l’industriale romano Remo Orlandini tentano un colpo di Stato. L’operazione, chiamata in codice

«Torà Torà», verrà addebitata al Fronte Nazionale di Borghese. In realtà esso è sostenuto dalle organizzazioni armate di estrema destra, dalla massoneria, da alcuni ambienti delle forze armate, dai servizi segreti italiani e statunitensi nonché da Cosa Nostra.

12 dicembre: Muore lo studente Saverio Saltarelli, colpito da un lacrimogeno sparato ad altezza d’uomo dalle forze dell’ordine, in

occasione di una manifestazione per commemorare il primo anniversario della strage di Piazza Fontana.

1971 15 gennaio: Sono resi pubblici gli atti della commissione d’inchiesta parlamentare sul fallito colpo di Stato del 1964 (Piano Solo).

25 gennaio: Un commando delle BR piazza otto ordigni incendiari sotto altrettanti autotreni parcheggiati su una pista a Lainate. 2 febbraio: Duri scontri all’università di Roma tra giovani e forze

dell’ordine. 27-28 febbraio: Si tiene a Roma il I convegno del Movimento di Liberazione della Donna (Mid), organizzazione federata al Partito Radicale. Il convegno diventa una occasione di incontro e di scontro tra i primi gruppi femministi.

26 marzo: A Genova, Mario Rossi, esponente del gruppo XXII ottobre, durante un tentativo di rapina ai danni dell’istituto case

popolari, uccide il fattorino Alessandro Floris.

29 marzo: Il maresciallo Tito, presidente della Jugoslavia, incontra Paolo VI in Vaticano. E la prima visita ufficiale di un capo di Stato di area comunista al papa. 7 aprile: Cgil, Cisl e Uil proclamano uno sciopero generale per le riforme sociali e per il diritto alla casa.

28 aprile: La rivista mensile “Il Manifesto”, diretta da Lucio Magri e Rossana Rossanda, diventa un quotidiano. 5 maggio: Il procuratore della Repubblica Pietro Scaglione viene ucciso a Palermo insieme all’agente autista Antonino Lo Russo per ordine del clan dei Corleonesi.

8 giugno: Muore Arnoldo Mondadori, il fondatore della omonima casa editrice.

13-14 giugno: Si tengono le elezioni amministrative regionali in Sicilia e quelle provinciali e comunali in molte altre città italiane, tra cui Roma. Il risultato complessivo vede la vittoria della De, al secondo posto quella del Partito Comunista, ma il dato che sorprende di più è la netta affermazione del MSI di Giorgio Almirante. 5 luglio: Si svolge al Vigorelli di Milano l’atteso concerto dei Led

Zeppelin che hanno fatto il tutto esaurito. In molti rimangono fuori di fronte a un cordone di poliziotti. Ben presto cominciano gli scontri e le forze dell’ordine sparano candelotti lacrimogeni che finiscono

all’interno del Vigorelli, provocando la sospensione del concerto. 17 settembre: Durante una manifestazione a Reggio Calabria, la polizia carica i dimostranti, ferendo al torace con un lacrimogeno un giovane di quattordici anni e uccidendone un altro, Carmelo Jaconi, colpito al cuore da un colpo di pistola. 21 ottobre: In Parlamento viene approvata la riforma della legge

per la casa, volta a favorire l’utilizzo dei terreni per l’edilizia pubblica

e popolare. 6 dicembre: Con legge vengono istituiti i Tribunali Amministrativi Regionali (TAR).

28 dicembre: Giovanni Leone è il nuovo Presidente della

Repubblica. Il duello tra quest’ultimo e Pietro Nenni si risolve con l’elezione del primo, grazie all’appoggio decisivo del MSI con 518 voti contro 408.

30 dicembre: Viene approvata la legge che introduce la tutela delle lavoratrici madri. Essa prevede l’obbligo di astensione dal lavoro per i primi cinque mesi della maternità e il diritto a ricevere l’8o% della

retribuzione.

1972 20 gennaio: Dopo oltre dieci anni di proteste e contestazioni, anche violente, sull’onda delle attività terroristiche del Comitato per la liberazione del Sudtirolo, entra in vigore lo statuto che concede all’Alto Adige un’ampia autonomia. 28 gennaio: Per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana il

Presidente della Repubblica Leone scioglie le camere anticipatamente e indice nuove elezioni per il maggio successivo. Leone affida ad Andreotti il compito di formare il nuovo esecutivo.

28 gennaio: Muore all’età di sessantasei anni lo scrittore e giornalista Dino Buzzati. 23 febbraio: Si apre, a Roma, in Corte d’Assise fi processo per la

strage di Piazza Fontana, in cui, i principali imputati sono Pietro

Valpreda e Mario Merlino.

3 marzo: Un dirigente dell’azienda Sit-Siemens di Milano, Idalgo Macchiarini, viene rapito in un sequestro lampo dalle Brigate Rosse

per poi essere rilasciato neanche un’ora più tardi. 13-17 marzo: Al XIII congresso nazionale del Pei, viene nominato segretario Enrico Berlinguer, in sostituzione di Luigi Longo. 14 marzo: Muore Giangiacomo Feltrinelli, trovato ai piedi di un

traliccio a Sagrate. 1-3 aprile: Si svolge a Rimini il convegno nazionale di Lotta Continua.

7-8 maggio: Si svolgono le elezioni politiche: la De si mantiene stabile sul risultato del 1968 raggiungendo il 38,%; il Pc avanza di

poco arrivando al 27,1% e conquistando due seggi in più; in flessione il Psi, che cade sotto il 10%, come pure il Psdi, il Pri e il Pii. Buono il risultato del Msi che avanza fino ad ottenere 1’8,7%. 17 maggio: Viene ucciso il commissario Luigi Calabresi sotto la sua

casa di via Cherubini, a Milano, da colpi di arma da fuoco sparati da due persone. I primi sospetti si concentrano intorno agli ambienti di

Lotta Continua che da tempo porta avanti una violenta campagna contro il commissario accusato della morte di Pinelli.

21 maggio: Laszlo Toth, un geologo australiano, colpisce con un

martello la Pietà di Michelangelo più volte, danneggiando soprattutto

il viso e il braccio sinistro della Madonna. 31 maggio: Cinque carabinieri vengono uccisi in un attentato a Peteano in provincia di Gorizia. Gli autori sono alcuni esponenti di

Ordine Nuovo.

26 giugno: Si costituisce il secondo governo Andreotti. Si tratta di una formazione tripartita, composta di De, Psdi e Pii, con l’appoggio esterno dei repubblicani.

4 luglio: A Berlino, Pier Paolo Pasolini riceve l’Orso d’oro con I

racconti di Canterbury. 25 luglio: Si costituisce la Federazione unitaria dei tre sindacati, Cgil, Cisl e Uil.

16 agosto: Durante una immersione a Riace Marina, in Calabria,

vengono ritrovati i “bronzi di Riace”. 25 agosto: Viene ucciso a coltellate in un agguato di neofascisti, Mariano Lupo, un esponente di Lotta Continua, davanti a un cinema

di Parma, vengono individuati come responsabili tre esponenti del Msi. 7 novembre: Viene presentata, al salone dell’automobile di Torino, la Fiat 126. Pensata per sostituire la 500.

14 novembre: Il Consiglio dei ministri approva il disegno di legge

presentato da Rumor sul fermo di polizia e sulla pratica delle perquisizioni. In questa occasione viene approvata anche la cosiddetta «legge Valpreda» che abroga la norma precedente secondo cui un imputato per gravi reati non poteva essere scarcerato fino alla sentenza di assoluzione.

20 novembre: Muore a Roma lo scrittore Ennio Flaiano.

3 dicembre: Viene arrestato ed estradato dalla polizia brasiliana il

boss mafioso Tommaso Buscetta. 15 dicembre: Viene approvata la legge che consente l’obiezione di coscienza e istituisce, in sostituzione al servizio militare, quello civile.

1973 12 gennaio: Cgil, Cisl e Uil indicono uno sciopero generale contro il governo Andreotti per protestare contro la disoccupazione, la

situazione del Mezzogiorno e le mancate riforme. 18 gennaio: A Roma, si aprono all’Eur i lavori del X congresso nazionale del Msi che, per la prima volta, aggiunge alla sua denominazione quella di Destra nazionale.

23 gennaio: In occasione di un’assemblea convocata all’università

Bocconi di Milano dal Movimento studentesco, la polizia spara colpi di arma da fuoco che colpiscono l’operaio Roberto Piacentini alla schiena. Il ventunenne Roberto Franceschi, colpito alla testa, morirà

una settimana dopo. 4 febbraio: A Brescia, una bomba esplode nella sede provinciale del Psi in largo Torrelunga. Gli autori dell’attentato sono militanti di

Avanguardia Nazionale. 12 febbraio: Le BR rapiscono a Torino Bruno Labate, segretario provinciale della Cisnal. Tenuto prigioniero per alcune ore, il

sindacalista viene rilasciato vicino a uno dei cancelli di Mirafiori. 21 febbraio: È indetta, dal Movimento studentesco e dalla sinistra extraparlamentare, una giornata di mobilitazione contro la repressione e la nuova legge che vorrebbe reintrodurre il fermo di polizia. Violenti scontri con le forze dell’ordine avvengono a Roma e a Napoli.

9 marzo: L’attrice Franca Rame, impegnata insieme a Dario Fo

nelle attività di Soccorso rosso, organizzazione di sostegno ai detenuti di sinistra, è aggredita in una via di Milano, fatta sabre con la forza su un furgone e sottoposta a violenze e sevizie da parte di un gruppo di neofascisti. 12 aprile: La questura di Roma vieta la manifestazione missina in cui è previsto un comizio che dovrebbe tenere il senatore Francesco Franco. Gli esponenti del Msi avviano ugualmente la partenza del corteo in marcia verso la prefettura. Durante gli scontri l’agente Antonio Marino morirà colpito da una bomba a mano. 15 aprile: Durante la notte, un incendio doloso nel quartiere di Primavalle devasta l’appartamento di Mario Mattei, segretario della

sezione locale del Msi. Nel rogo la gran parte della famiglia riesce a salvarsi tranne due figli, Virgilio di vent’anni e Stefano di otto. 17 maggio: Nell’anniversario dell’uccisione del commissario Calabresi, Gianfranco Bertoli - appartenente al gruppo eversivo di destra Rosa dei Venti - compie un attentato davanti alla questura di

Milano lanciando una bomba a mano sulla folla che esce da una

cerimonia presieduta dal ministro dell’interno Rumor. Il bilancio è di quattro morti e decine di feriti. 21 maggio: Muore a Roma Carlo Emilio Gadda.

24 maggio: Su richiesta del procuratore Luigi Bianchi d’Espinosa, la Camera concede l’autorizzazione a procedere contro Giorgio Almirante per il reato di ricostituzione del Partito fascista, con 484

voti favorevoli e 60 contrari. 28 maggio: La proprietà del “Corriere della sera” viene ripartita tra Gianni Agnelli, Angelo Moratti e Giulia Maria Crespi Mozzoni.

5 giugno: A Padova, si svolge il processo a carico di Gigliola Pierobon per aborto. Condannata a un anno con la condizionale.

28 giugno: Le Brigate Rosse operano un altro sequestro-lampo,

questa volta ai danni dell’ingegnere Michele Monguzzi, un dirigente dell’Alfa Romeo, che, dopo essere stato interrogato per alcune ore, viene rilasciato con un comunicato appeso al collo.

7 luglio: Mariano Rumor vara un nuovo governo quadripartito

composto da De, Psi, Pri, Psdi. Aldo Moro è nominato ministro degli

Esteri.

io luglio: In piazza Farnese a Roma viene rapito John Paul Getty

III dalla ‘ndrangheta calabrese. agosto: A Napoli si diffonde il colera, provocato dalle scarse condizioni igieniche della città, dallo stato della rete idrica e delle fognature. L’epidemia approda anche ad altri centri del Sud.

11 settembre: A Santiago del Cile il generale Augusto Pinochet

rovescia il regime democratico di Salvador Allende con un colpo di Stato militare. 26 settembre: Muore a Roma Anna Magnani all’età di

sessantacinque anni. 6 ottobre: Scoppia la guerra del Kippur. Israele è attaccato nel Sinai dall’Egitto e dalla Siria. 9 novembre: Scattano i primi arresti di alcuni membri

dell’organizzazione Rosa dei Venti. Gruppo eversivo di stampo neofascista collegato con molta probabilità alla Nato e ai Servizi segreti italiani. 23 novembre: Il governo, in seguito all’aumento del costo del greggio, vara misure di austerità per contenere i consumi di energia. Vengono introdotti nuovi limiti di velocità ed è vietato l’uso dei veicoli

a motore nei giorni festivi. Teatri, bar, ristoranti e trasmissioni

televisive devono chiudere alle 23 e i negozi alle 19, con l’obbligo di spegnere insegne e vetrine.

10 dicembre: Le Brigate Rosse sequestrano a Torino il dirigente della Fiat-Auto, Ettore Amerio. Sarà rilasciato dopo otto giorni di prigionia.

17 dicembre: All’aeroporto di Fiumicino, un commando palestinese

attacca un Boeing della Pan Am provocando la morte di una trentina

di persone.

1974 io gennaio: A Roma, gruppi riconducibili all’estrema sinistra compiono attentati dinamitardi contro le succursali italiane di due importanti società statunitensi. 11 gennaio: A Roma, nel corso di una spedizione punitiva compiuta

da attivisti di estrema destra a danno della sezione del Partito Comunista Italiano di via Alessandro Scarlatti, restano gravemente feriti due giovani militanti comunisti.

13 gennaio: È tratto in arresto a Padova il colonnello Amos Piazzi di Corte Regia, esponente dell’organizzazione neofascista Rosa dei Venti coinvolto nel fallito colpo di Stato del principe Junio Valerio Borghese

del dicembre 1970. 9 febbraio: A Torino, l’esplosione di una bomba distrugge la sede locale dell’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia (ANPI).

L’attentato è rivendicato dalle Squadre armate Mussolini (SaM), organizzazione presente negli anni precedenti con la rivendicazione di diversi attentati.

28febbraio-2 marzo: All’Hotel Giada di Cattolica, in provincia di Rimini, una ventina di militanti di estrema destra danno vita a Ordine

Nero, formazione paramilitare clandestina di matrice fascista. 4 marzo: A Mestre, militanti delle Brigate Rosse attaccano la sede locale della Cisnal, tenendo sequestrati per alcune ore quattro

funzionari. 13 marzo: A Milano, una bomba esplode nella sede della concessionaria pubblicitaria del “Corriere della sera”. L’attentato è rivendicato da Ordine Nero.

14 marzo: Rumor forma il suo quinto governo, sostenuto da una

coalizione fra Democrazia cristiana, Partito socialista italiano, Partito socialista democratico italiano e con l’appoggio esterno del gruppo

repubblicano. 31 marzo: Allo Stadio olimpico di Roma, si verificano violenti scontri al termine del derby. Almeno quaranta i feriti, numerosi gli

arresti tra le opposte tifoserie. 6-8 aprile: Si svolge a Rimini la prima Conferenza unitaria delle

strutture di base di Cgil, Cisl e Uil. 17 aprile: H Senato della Repubblica approva in via definitiva la legge che istituisce il finanziamento pubblico ai partiti.

18 aprile: Il sostituto procuratore della Repubblica di Genova

Mario Sossi, pubblico ministero nell’ambito del processo a carico dell’organizzazione extraparlamentare di sinistra XXIII ottobre, è rapito da un commando delle Brigate Rosse. Dopo trentacinque giorni

di prigionia, trascorsi in una casa colonica a pochi chilometri da Tortona, Sossi viene rilasciato a Milano il 23 maggio. 9 maggio: A Brescia, le forze dell’ordine arrestano Carlo Fumagalli, militante di estrema destra a capo del Movimento Azione

Rivoluzionaria (MAR) e numerosi esponenti degli ambienti della

destra eversiva. 13 maggio: Si chiude con una netta sconfìtta del comitato organizzatore il referendum per l’abrogazione della legge sul divorzio, con la vittoria dei no al 59,1%.

16 maggio: Le forze dell’ordine arrestano a Milano il boss mafioso

Luciano Liggio. 22 maggio: È costituito presso la Brigata dell’Arma dei Carabinieri

di Torino un corpo speciale per la lotta alle attività terroristiche. Le redini del nuovo organismo militare sono affidate al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa.

28 maggio: A Brescia, durante una manifestazione contro il terrorismo neofascista organizzata dalle tre principali sigle sindacali

nella centralissima piazza della Loggia, l’esplosione di un ordigno

nascosto in un cestino portarifiuti provoca la morte di otto persone e più di cento feriti.

30 maggio: Giovanni Agnelli è eletto presidente della Confederazione generale dell’industria italiana (Confindustria). 7 giugno: Nasce la Commissione nazionale per le società e la borsa (Consob).

11 giugno: Muore a Roma l’ideologo di estrema destra Julius Evola (Giulio Cesare Andrea Evola). 17 giugno: A Padova, militanti delle Brigate Rosse irrompono nella sede della Federazione del Movimento sociale italiano, uccidendo in una colluttazione Giuseppe Mazzola e Graziano Giralucci. 9 luglio: La Corte Costituzionale riconosce la piena legittimità della

trasmissione via cavo di programmi televisivi da parte di emittenti private diverse dalla Rai, sancendo la conclusione del monopolio

dell’emittenza pubblica. 4 agosto: Nel cuore della notte, un ordigno esplode sul convoglio passeggeri delle Ferrovie dello Stato Italicus, in servizio fra Roma e Monaco di Baviera. La deflagrazione provoca la morte di dodici persone e il ferimento di altre quarantotto. 5 agosto: Sono inaugurate le trasmissioni in lingua italiana dell’emittente Telemontecarlo, con sede nel Principato di Monaco.

17 agosto: Muore a Roma, il poeta e scrittore fiorentino Aldo Palazzeschi (Aldo Giurlani). 8 settembre: Le forze dell’ordine arrestano a Pinerolo, in provincia di Torino, Renato Curcio e Alberto Franceschini, entrambi esponenti

di primo piano delle Brigate Rosse mentre a Roma, muore nel corso di violenti scontri fra la polizia e un gruppo di studenti di estrema sinistra, il diciannovenne Fabrizio Caruso.

18 settembre: Alla Borsa di Milano le transazioni finanziarie si

chiudono nel segno di gravissime perdite per gli investitori (-8,1%). La giornata sarà ricordata come il mercoledì nero.

3 ottobre: In seguito a gravi contrasti emersi all’interno della maggioranza, Mariano Rumor rassegna le proprie le dimissioni. 15 ottobre: A Robbiano di Mediglia, nel milanese, perdono la vita in

un conflitto a fuoco il brigadiere dei Carabinieri Felice Maritano, membro del reparto speciale antiterrorismo guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, e il brigatista Roberto Ognibene. 29 ottobre: A Firenze, nel corso di un tentativo di rapina in una

filiale della Cassa di risparmio di Firenze, militari dei Carabinieri uccidono con colpi di arma da fuoco Luca Mantini e Giuseppe Romeo,

attivisti dei Nuclei Armati Proletari (NAP).

30 ottobre: Le forze dell’ordine arrestano a Torino i brigatisti Prospero Gallinari e Alfredo Buonavita. 31 ottobre: Nell’ambito delle indagini sull’organizzazione segreta di

matrice neofascista Rosa dei Venti, il giudice istruttore Giovanni Tamburino ordina l’arresto per cospirazione contro lo Stato e falso ideologico del generale Vito Miceli. 8 novembre: La Corte Costituzionale sancisce la legittimità dello

sciopero politico.

13 novembre: Muore a Neuilly-sur-Seine, nei pressi di Parigi, all’età di settantatré anni, l’attore e regista Vittorio De Sica. 20 novembre: La Camera dei deputati concede l’autorizzazione a

procedere contro Pino Rauti nell’ambito delle indagini condotte dalla

Procura di Milano sulla strage di piazza Fontana.

23 novembre: Aldo Moro forma il suo quarto governo, con il sostegno dei repubblicani. Entrano nella nuova compagine esecutiva

Ugo La Malfa alla vicepresidenza del Consiglio, Mariano Rumor agli Affari esteri e Luigi Gui all’interno. 5 dicembre: Muore a Roma Pietro Germi. 14 dicembre: È istituito il Ministero per i Beni culturali e per

l’ambiente.

1975 18 gennaio: Il movimento femminista organizza nelle città di Milano e di Roma grandi manifestazioni a favore dell’aborto. 19 gennaio: Il settimanale “L’Espresso” esce in edicola con una foto raffigurante una donna incinta, nuda e crocifissa, titolando Ecce

Mater. Aborto: una tragedia italiana.

24 gennaio: A Empoli, il vicebrigadiere dei Carabinieri Leonardo Falco e l’appuntato Giovanni Ceravolo restano uccisi in uno scontro a fuoco con il terrorista di estrema destra Mario Tufi, membro del

Fronte Nazionale Rivoluzionario. 26 gennaio: A Roma, le forze dell’ordine arrestano con l’accusa di procurato aborto le militanti del Cisa Adele Faccio ed Emma Bonino,

autodenunciatesi per il reato di aborto. 15 febbraio: Nei pressi della capitale, un gruppo di esponenti

dell’estrema destra scaglia una bomba incendiaria contro l’auto di Franco Galluppi, consigliere alla Regione Lazio del Partito socialista democratico italiano di ritorno da un dibattito sul terrorismo di matrice neofascista.

18 febbraio: In seguito all’intervento di un commando armato

guidato da Mara Cagol, evade dal carcere di Casale Monferrato, nell’alessandrino, il leader brigatista Renato Curcio. 24 febbraio: Nel centro di Savona, la deflagrazione di un ordigno collocato nell’androne di una palazzina provoca numerosi feriti e una

vittima, il settantenne Virgilio Gambolati. La responsabilità dell’attentato sarà attribuita dagli inquirenti all’organizzazione di estrema destra Ordine Nero.

28 febbraio: Nel corso di violenti scontri fra gruppi studenteschi di destra e di sinistra nella periferia della capitale, perde la vita il ventitreenne militante del Fronte Universitario d’Azione Nazionale (FUAN) Mikis Mantakas. 1° marzo: Il ministro degli Affari esteri Mariano Rumor inoltra alle

autorità americane la richiesta di estradizione del banchiere Michele Sindona, accusato dai magistrati di Milano di bancarotta fraudolenta

nell’ambito del processo per i fatti relativi al fallimento della Banca privata italiana. 6 marzo: Muore a Roma il politico e scrittore Emilio Lussu,

antifascista e tra i principali esponenti del movimento Giustizia e

Libertà e in seguito del Partito d’Azione. 8 marzo: La soglia della maggiore età è abbassata per legge dai ventuno ai diciotto anni.

13 marzo: A Milano, attivisti di Avanguardia Operaia aggrediscono a colpi di spranghe e chiari inglesi Sergio Ramelli, militante diciottenne del Fronte della Gioventù. Lo studente morirà all’ospedale

Policlinico dopo quarantasette giorni di agonia per i postumi del pestaggio (29 aprile).

18-22 marzo: Si svolge a Roma il quattordicesimo Congresso nazionale del Partito comunista italiano. L’assemblea approva a

maggioranza la linea del cosiddetto compromesso storico tra comunisti, democristiani e socialisti. 21 marzo: L’imprenditore milanese Silvio Berlusconi fonda a Roma

la società finanziaria Fininvest.

14 aprile: Il Presidente della Repubblica Giovanni Leone promulga

la legge sulla riforma della Rai. Il provvedimento, oltre a confermare il monopolio dello Stato sul servizio radiotelevisivo pubblico, dispone la

creazione della terza rete, l’allestimento di una nuova sezione dedicata alla divulgazione popolare (Dipartimento scuola educazione) e infine il passaggio del controllo del servizio pubblico dall’esecutivo al

Parlamento attraverso l’istituzione di un’apposita commissione parlamentare di vigilanza. 6 aprile: Nel centro di Milano, un gruppo di studenti di sinistra è

assalito da militanti di Avanguardia Nazionale. Il diciottenne Carlo Varalli, membro del Movimento Lavoratori per il Socialismo, è ucciso da un proiettile partito dalla pistola dell’attivista missino Antonio

Braggion. 17 aprile: A Torino, la guardia giurata Paolo Fiocco uccide con un

colpo di pistola alla nuca l’operaio venticinquenne Tonino Miccichè, militante di Lotta Continua. 20 maggio: È introdotto in modo organico nell’ordinamento

italiano, con la legge recante «Provvedimenti perla garanzia del salario», l’istituto della Cassa Integrazione Guadagni (CIG).

29 maggio: Nasce a Milano, per iniziativa di Roberto Formigoni e

di altri esponenti di Comunione e Liberazione, il Movimento Popolare.

22 luglio: Il Parlamento approva in ria definitiva la legge sull’ordinamento regionale e sulla organizzazione della pubblica

amministrazione. 4 agosto: I vertici del Lingotto decidono la sospensione della produzione in serie della Fiat 500, dal luglio 1957 utilitaria di punta

del marchio automobilistico torinese. 16 ottobre: Renato Dulbecco è insignito del premio Nobel per la

medicina per le sue scoperte sulla relazione tra virus tumorali e patrimonio genetico presente nelle cellule. 21 ottobre: Enrico Boffa, direttore del personale degli stabilimenti

Singer di Leinì, nel Torinese, è sequestrato per alcune ore da un commando di tre brigatisti e infine gravemente ferito alle gambe con

numerosi colpi di arma da fuoco. 29 ottobre: Il Parlamento approva in via definitiva la legge che

introduce il divieto di fumo nei locali pubblici. 1-2 novembre: Nel corso della notte è ucciso in circostanze che non saranno mai definitivamente chiarite Pier Paolo Pasolini.

10 dicembre: A Stoccolma, nel corso della tradizionale cerimonia di

fine anno, è insignito del premio Nobel per la letteratura il poeta Eugenio Montale. 30 dicembre: È pubblicata sulla «Gazzetta Ufficiale» la legge sulla «Disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope. Prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza». Il provvedimento introduce per la prima volta nell’ordinamento la distinzione fra spacciatore e consumatore nonché il concetto di modica quantità, la cui detenzione non costituisce di per sé reato.

1976 14 gennaio: Eugenio Scalfari fonda il quotidiano “La Repubblica”.

18 gennaio: Con un blitz in un appartamento di Porta Ticinese, a Milano, le forze dell’ordine arrestano Renato Curcio, Nadia

Mantovani, Angelo Basone, Silvia Rossi Marchese. 29 gennaio: La Corte di Cassazione boccia il ricorso, presentato da Bernardo Bertolucci, contro la condanna per oscenità emessa per

Ultimo tango a Parigi. 12 febbraio: Dopo le dimissioni del 7 gennaio, Aldo Moro forma un governo monocolore democristiano che ottiene l’appoggio del Partito socialdemocratico e del Sudtiroler Volkspartei.

14 marzo: Gruppi di estrema sinistra tentano di assaltare l’ambasciata di Spagna, a Roma.

17 marzo: Muore a Roma il regista Luchino Visconti.

27-29 aprile: Due gravi episodi di violenza si verificano a Milano. Il 27 viene colpito a morte Gaetano Amoroso, uno studente di sinistra. Come ritorsione, il 29, viene assassinato, l’avvocato e militante del

Movimento Sociale, Enrico Pedenovi.

1° maggio: Sono sciolti anticipatamente Camera e Senato. 6 maggio: Un terremoto di magnitudo 6,4 investe il Friuli

provocando la morte di 989 persone e il ferimento di circa tremila. 8 giugno: Il procuratore di Genova, Francesco Coco, viene ucciso

insieme a due membri della sua scorta, Giuseppe Saponara e Antonio Dejan.

14 giugno: Il settimanale americano “Time” dedica ampio spazio all’awicinarsi delle elezioni politiche in Italia e al pericolo che il Partito comunista possa ottenere la maggioranza. Sulla copertina

figura l’immagine del segretario del partito, Enrico Berlinguer, e il titolo La minaccia rossa.

20-21 giugno: Alle elezioni politiche la Democrazia cristiana mantiene la maggioranza relativa dei voti, attestandosi al 38,7%. Il Partito comunista vede invece il maggiore successo elettorale della sua storia attestandosi al 34,4%. 5 luglio: per la prima volta nella storia dell’Italia repubblicana, viene eletto un presidente della Camera non appartenente alla

maggioranza: il comunista Pietro Ingrao.

10 luglio: A Seveso, in provincia di Milano, si sprigiona una nube tossica di diossina dallo stabilimento Icmesa, causando l’inquinamento di tutta l’area circostante.

26 luglio: Una sentenza della Corte Costituzionale consente la trasmissione di programmi radiotelevisivi su scala locale. Di fatto viene confermato il monopolio della Rai, ma è resa possibile la nascita

di emittenti locali che trasformano presto l’Italia nel Paese col più alto numero di emittenti. 29 luglio: Giulio Andreotti forma il nuovo governo. Si tratta di un

monocolore democristiano d’unità nazionale. 1° settembre: Il vicequestore aggiunto di Biella Francesco Cusano viene ucciso in uno scontro a fuoco con due esponenti delle Brigate

Rosse.

ottobre: H governo Andreottì per far fronte alla crisi economica

mette in atto misure di austerità, tra le quali l’aumento delle tasse sulla benzina.

novembre: Alcuni componenti del gruppo armato Prima Linea

fanno irruzione a Torino nella sede del Gruppo dirigenti Fiat. 12 dicembre: L’Italia si aggiudica la Coppa Davis di tennis battendo

in finale, all’Estadio naciónal di Santiago de Cile, la squadra cilena. 15 dicembre: A Sesto San Giovanni perdono la vita, in un conflitto a

fuoco, il vicequestore Vittorio Padovani e il maresciallo Sergio Bazzega.

1977 1° gennaio: Va in onda l’ultima puntata di “Carosello”, la popolare

trasmissione televisiva della rete di Stato nata nel 1957. 4 gennaio: Muore lo scrittore Achille Campanile all’età di 77 anni.

17febbraio: Luciano Lama, durante un comizio nel piazzale

antistante l’Università «La Sapienza» di Roma, è costretto ad abbandonare il palco per le contestazioni del pubblico. 21 febbraio: Il ministro dell’interno Francesco Cossiga annuncia alla televisione l’adozione di nuove misure di polizia per fronteggiare

la violenza dei vari gruppi eversivi.

24 febbraio: La Rai manda in onda le prime trasmissioni a colori.

11 marzo: A Bologna si verificano disordini tra gli studenti, che tentano di contestare una riunione di Comunione e Liberazione, e la polizia. Durante gli scontri, viene ucciso lo studente Francesco

Lorusso. 20 marzo: Muore all’età di settanta anni lo scrittore e politico Emilio Sereni. 21 aprile: Negli scontri tra la polizia e gli studenti, nel quartiere San

Lorenzo di Roma, rimane ucciso l’agente ventitreenne Settimio

Passamonti. 28 aprile: Viene assassinato a Torino Fulvio Croce, presidente dell’Ordine degli avvocati.

12 maggio: Il Partito radicale indice una manifestazione a Roma

per celebrare l’anniversario della vittoria nel referendum. Gli scontri che seguono, tra le forze dell’ordine e i manifestanti, causano il ferimento di due persone e la morte di una studentessa diciottenne di nome Giorgiana Masi, colpita da un proiettile. 21 maggio: Ha inizio il programma televisivo d’intrattenimento «■

Portobello” ideato e condotto da Enzo Tortora. 3 giugno: Muore a Roma il regista Roberto Rossellini.

30 settembre: Un militante di Lotta Continua, il diciannovenne Walter Rossi, viene assassinato a Roma. 5 novembre: Muore a Firenze Giorgio La Pira. 2 dicembre: A Roma la federazione dei metalmeccanici porta in

piazza duecentomila persone, per protestare contro la politica governativa.

1978 7 gennaio: Sono uccisi a Roma, da un nucleo terroristico di sinistra, gli studenti missini Franco Bigonzetti e Francesco Ciavatta.

13 gennaio: A Roma, le Brigate Rosse feriscono l’avvocato Gabriele De Rosa, responsabile delle relazioni esterne della Sip. 20 gennaio: Militanti di Prima Linea uccidono a Firenze l’agente di

polizia Fausto Dionisi. 14 febbraio: Le Brigate Rosse uccidono a Roma il magistrato Riccardo Palma.

21 febbraio: Esponenti di Ordine Nuovo piazzano una bomba nella sede del giornale veneziano “Gazzettino”. Nell’esplosione muore la guardia giurata Franco Battagliarin.

28 febbraio: Nel pieno della crisi di governo, il presidente della De Aldo Moro persuade la Direzione del partito ad accettare l’appoggio

del Pei per una nuova maggioranza di governo. 9 marzo: Si riapre a Torino il processo alle Brigate Rosse. Sono a giudizio quasi cinquanta esponenti dell’organizzazione.

10 marzo: Brigatisti sparano e uccidono in largo Belgio a Torino il

maresciallo di polizia Rosario Berardi. 11 marzo: Giulio Andreottì forma il suo quarto governo. Si tratta di un monocolore democristiano di solidarietà nazionale, che può

contare sull’appoggio esterno di Pei, Psi, Psdi e Pri. 16 marzo: Mentre viene annunciata la composizione del governo Andreotti per il voto, le Brigate Rosse rapiscono in via Fani, a Roma, Aldo Moro e uccidono i cinque uomini che componevano la scorta.

18 marzo: Fausto Tinelli e Lorenzo lanucci, due studenti di sinistra militanti del centro sociale Leoncavallo, sono uccisi a Milano da esponenti di estrema destra. 21 marzo: Con il cosiddetto «decreto Moro», un provvedimento

antiterrorismo, il governo attribuisce maggiori poteri alle forze dell’ordine, alle quali è permesso l’uso del fermo di polizia, interrogatori senza avvocato e intercettazioni telefoniche.

3 aprile: A Palazzo Chigi si tiene un vertice dei segretari di partito che formano la maggioranza di governo. Al termine della riunione è approvato un comunicato nel quale ufficializzata la linea della

fermezza nei confronti dei rapitori di Aldo Moro.

14 aprile: Inizia la discussione alla Camera del disegno di legge per la depenalizzazione dell’aborto. 20 aprile: Un commando delle Brigate Rosse uccide a Crescenzago, vicino a Milano, l’agente Francesco De Cataldo, capo degli agenti di

custodia del carcere di san Vittore. 21 aprile: Papa Paolo VI si rivolge alle Brigate Rosse perché liberino Aldo Moro.

24 aprile: Le Brigate Rosse rendono noto un nuovo comunicato su

Moro, l’ottavo, nel quale propongono uno «scambio di prigionieri»

tra i quali Renato Curcio. 5 maggio: Con un nuovo comunicato, la Brigate Rosse rispondono

alla linea intransigente del governo Andreotti annunciando

l’esecuzione della condanna a morte di Aldo Moro. 9 maggio: Viene ritrovato in via Caetani a Roma, nel bagagliaio di una Renault 4, il corpo di Aldo Moro. 9 maggio: L’attivista antimafia Giuseppe Impastato, noto con il nome di Peppino, viene assassinato a Cinisi (Palermo).

10 maggio: Si dimette il ministro dell’interno, Francesco Cossiga, in seguito all’uccisione di Aldo Moro. 13 maggio: Viene approvata la legge Basaglia, che prevede la chiusura degli ospedali psichiatrici.

22 maggio: Il Senato approva la legge n. 194 che legalizza l’aborto.

21 giugno: Le BR uccidono Antonio Esposito, capo dell’antiterrorismo della questura di Genova. 23 giugno: A Torino termina il processo contro le BR con le condanne degli organizzatori del movimento. 8 luglio: Il socialista Sandro Pertini è eletto Presidente della

Repubblica. 6 agosto: Muore a Castel Gandolfo papa Paolo VI.

26 agosto: Al quarto scrutinio del Conclave, viene eletto papa Albino Luciani, con il nome di Giovanni Paolo I.

28 settembre: Dopo soli trentatré giorni di pontificato, muore a

Roma papa Giovanni Paolo I a causa di un infarto.

10 ottobre: I brigatisti uccidono a Roma Gerolamo Tartaglione, giudice di Cassazione e direttore generale degli affari penali al ministero di Grazia e giustizia. 11 ottobre: Militanti di Prima Linea uccidono a Napoli il docente universitario di antropologia criminale e consulente presso il carcere

di Pozzuoli Alfredo Paolella. 16 ottobre: Il cardinale polacco Karol Wojtyla è eletto papa con il nome di Giovanni Paolo II, il primo pontefice non italiano dal 1523.

25 novembre: Viene investito e ucciso a Milano il giornalista de «4 L’Unità” Mauro Brutto.

1979 9 gennaio: Un gruppo armato dei Nuclei Armati Rivoluzionari

(NAR), organizzazione armata di estrema destra, irrompe nella sede di Radio Città Futura, storica emittente romana di sinistra mentre è in corso una trasmissione gestita da un gruppo femminista. I terroristi

danno fuoco ai locali e feriscono cinque donne. io gennaio: A Roma durante alcuni scontri con la polizia in seguito all’assalto dei neofascisti alla sezione del Pei di Centocelle, muore il diciassettenne Alberto Gianquinto. In serata, esponenti dell’estrema

sinistra sparano al diciannovenne di destra Stefano Cecchetti. 19 gennaio: Un commando di Prima Linea uccide a Torino l’agente di custodia Giuseppe Lorusso.

24 gennaio: Le Brigate Rosse uccidono a Genova il sindacalista della Cgil Guido Rossa, colpevole secondo i terroristi di aver denunciato nell’ottobre 1978 la distribuzione di volantini brigatisti.

29 gennaio: Un commando di Prima Linea uccide a Milano il sostituto procuratore Emilio Alessandrini.

23 febbraio: Si conclude a Catanzaro il primo processo per la strage di piazza Fontana, con la condanna all’ergastolo di Franco Freda, Giovanni Ventura e dell’ex agente dei servizi segreti Guido Giannettini. 28 febbraio: A Torino la Polizia uccide, in un conflitto a fuoco,

Matteo Caggegi e Barbara Azzaroni, appartenenti alle BR. 20 marzo: Viene assassinato a Roma il giornalista Carmine

Pecorelli, detto Mino, direttore dell’agenzia stampa e poi settimanale “Osservatore Politico - OP”. Nelle sue inchieste giornalistiche era spesso riuscito a fare uso di informazioni riservate dei servizi segreti,

delle quali si era servito per accusare uomini potenti come Giulio Andreotti. 21 marzo: Le Brigate Rosse uccidono a Cuneo l’imprenditore Attilio

Dutto. 26 marzo: Muore a Roma il politico repubblicano Ugo La Malfa. 29 marzo: Le Brigate Rosse uccidono a Roma il consigliere provinciale della De Italo Schettini. 19 aprile: I Proletari Armati per il ComuniSmo uccidono a Milano l’agente della Digos Andrea Campagna. Sarà accusato di omicidio

Cesare Battisti.

3 maggio: Le Brigate Rosse attaccano la sede della De a Roma. Negli scontri che seguono con le forze dell’ordine, vengono uccisi gli agenti di polizia Antonio Mea e Pietro Ollanu.

3-4 giugno: Alle elezioni politiche si registra un avanzamento del Partito radicale e un forte calo del Pei, che perde quattro punti percentuali rispetto al 1976.

IO giugno: Si svolgono le prime elezioni per il Parlamento europeo.

20 giugno: La parlamentare comunista Nilde lotti è eletta presidente della Camera dei deputati. E la prima donna a ricoprire questo incarico. 11 luglio: Viene assassinato a Milano l’avvocato Giorgio Ambrosoli,

dal 1974 curatore fallimentare della Banca privata italiana di Michele

Sindona. 13 luglio: Il tenente colonnello dei Carabinieri Antonio Varisco, stretto collaboratore del generale Dalla Chiesa, viene assassinato a Roma dalle Brigate Rosse. 21 luglio: A Palermo, viene assassinato dal mafioso Leoluca Bagarella il vicequestore Boris Giorgio Giuliano. 4 agosto: Si insedia il primo governo Cossiga, composto da

esponenti di De, Psdi e Pii.

27 agosto: Vengono rapiti da uomini armati, nella loro casa in Sardegna, i cantanti Fabrizio De André e Dori Ghezzi. Saranno rilasciati dopo centodiciassette giorni di prigionia. 13 settembre: Silvio Berlusconi fonda a Milano la società

concessionaria di pubblicità Publitalia ’80. 21 settembre: Militanti di Prima Linea uccidono a Torino il responsabile del settore pianificazione della Fiat Carlo Ghiglieno. 25 settembre: A Palermo, la mafia uccide il magistrato Cesare

Terranova e la sua guardia del corpo, il maresciallo Lenin Mancuso. 9 novembre: Le Brigate Rosse uccidono a Roma l’agente di polizia giudiziaria Michele Granato.

23 novembre: Il Parlamento delibera la costituzione della commissione parlamentare d’inchiesta sulla strage di via Fani, sul sequestro e l’assassinio di Aldo Moro e sul terrorismo in Italia.

14 dicembre: Il governo emana il decreto-legge che istituisce una serie di misure antiterrorismo, sospendendo diverse garanzie

costituzionali. 17 dicembre: A Roma, un gruppo dei NAR uccide a colpi di mitra il giovane studente di sinistra Antonio Leandri.

1980 1° gennaio: Muore a Roma Pietro Nenni.

6 gennaio: La direzione del Pei condanna l’intervento sovietico in

Afghanistan. 6 gennaio: Il presidente della regione Sicilia, il democristiano

Piersanti Mattarella, viene ucciso, per mano della mafia, con sei colpi di pistola mentre sta salendo sulla sua auto.

12 gennaio: Viene approvato il piano decennale dell’Enel che avvia

la costruzione di cinque centrali nucleari. 25 gennaio: A Genova, le BR uccidono il colonnello dei carabinieri Emanuele Tuttobene e l’appuntato Antonio Casu. 29 gennaio: Viene assassinato Sergio Gori, vicedirettore del petrolchimico di Porto Marghera. L’omicidio viene rivendicato con

una telefonata dalla formazione «Nuovi partigiani».

12 febbraio: All’Università La Sapienza di Roma un commando delle Brigate Rosse uccide il professore di diritto amministrativo Vittorio Bachelet.

22 febbraio: A Roma, i neofascisti dei NAR uccidono nella sua abitazione lo studente Valerio Verbano. 6 marzo: La colonna «Fabrizio Pelli» delle Brigate Rosse uccide a

Salerno il procuratore della Repubblica Nicola Giacumbi. 18 marzo: Durante un agguato delle BR viene assassinato a Roma il consigliere di Corte di Cassazione Girolamo Minervini. 19 marzo: Un commando di Prima Linea uccide a Milano il giurista e criminologo Guido Galli.

23 marzo: Per lo scandalo del calcio-scommesse, vengono arrestati undici calciatori, tra i quali Bruno Giordano e Paolo Rossi, e il presidente del Milan.

28 marzo: A Genova, i carabinieri del Nucleo Speciale

Antiterrorismo penetrano in un covo delle BR in via Fracchia e uccidono i brigatisti Riccardo Dura, Lorenzo Betassa, Pietro Panciarelli e Anna Maria Ludmann.

3 maggio: A Monreale, in un agguato mafioso resta ucciso il capitano dei carabinieri Emanuele Basile. 19 maggio: A Napoli le BR uccidono l’assessore regionale al Bilancio, il democristiano Pino Amato.

28 maggio: Viene assassinato dagli esponenti del gruppo

terroristico «XVIII marzo» il giornalista del “Corriere della sera” Walter Tobagi. 8-9 giugno: Si svolgono in tutto il Paese le elezioni regionali: la De

cala al 36,8%, il Pei si attesta al 31,5%, il Psi sale al 12,7%. 17 giugno: La Corte Costituzionale riconosce alle televisioni private

il diritto di trasmettere via etere sulle bande di frequenza assegnate dal ministero delle Poste e telecomunicazioni. 23 giugno: A Roma, i neofascisti dei NAR uccidono il sostituto

procuratore della Repubblica Mario Amato. 27 giugno: L’aereo DC-9 dell’Itavia, diretto da Bologna a Palermo, scompare dai radar in una zona di mare nei pressi di Ustica. Nessun superstite tra le 81 persone a bordo. La versione iniziale parla di

«cedimento strutturale», ma presto il disastro viene collegato al ritrovamento di un Mig 23 libico (il 18 luglio) sui monti della Sila. 2 agosto: Una bomba esplode nella stazione di Bologna causando la

morte di ottantacinque persone e il ferimento di molte altre. Per la strage saranno condannati in via definitiva i neofascisti Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini; per i depistaggi saranno invece condannati Licio Gelli, Francesco Pazienza, collaboratore del Sismi, il generale Pietro Musumeci e il suo collaboratore, colonnello Giuseppe Belmonte.

13 settembre: È ucciso a Roma Franco Giuseppucci, uno dei capi

della banda della Magliana.

29 settembre: Iniziano le trasmissioni di Canale 5 (già Telemilano

58), rete televisiva di proprietà dell’imprenditore Silvio Berlusconi.

23 novembre: Un terremoto di magnitudo 6,9 colpisce Campania e Basilicata. 1° dicembre: Giuseppe Furci, direttore sanitario del carcere di Regina Coeli, viene assassinato dalla colonna delle Brigate Rosse «Walter Alasia». 31 dicembre: A Roma le BR uccidono il generale dei carabinieri Enrico Galvaligi, responsabile dell’ufficio sicurezza interna della

Direzione generale degli Istituti di prevenzione e pena.

La parola al maestro I clowns Un dubbio mi rimane, a proposito di questo film: lo stupore, quel senso di sgomento e di conforto, di minaccia e di protezione, di terra sconosciuta e familiare che ho provato la prima volta che ho visto il

clown Pierino, sono riuscito a raccontarlo così come l’ho vissuto? E l’odore della segatura, e quello delle belve, la misteriosa penombra, lassù sotto la cupola, la musica straziante, quell’aria di gioco e

d’esecuzione, di festa e di macello, di grazia e di follia, che è il circo, c’è nel mio film? (Federico Fellini, Fare un film, 1974 Einaudi)

Quando dico: ‘il clown’, penso all’augusto. Le due figure sono, infatti, il clown bianco e l’augusto. Il primo è l’eleganza, la grazia, l’armonia, l’intelligenza, la lucidità, che si propongono moralisticamente come le situazioni ideali, le uniche, le divinità

indiscutibili. Ecco quindi che appare subito l’aspetto negativo della faccenda: perché il clown bianco, in questo modo diventa la Mamma, il Papà, il Maestro, l’Artista, il Bello, insomma ‘quello che si deve fare’. Allora l’augusto, che subirebbe il fascino di queste perfezioni se non fossero ostentate con tanto rigore, si rivolta. Egli vede che le ‘paillettes’ sono splendenti; però la spocchia con cui esse si propongono le rende irraggiungibili. L’augusto, che è il bambino che si caca sotto, si ribella a una simile perfezione; si ubriaca, si rotola per

terra e anima, perciò, una contestazione perpetua. Questa è, dunque, la lotta tra il culto superbo della ragione (che giunge a un estetismo proposto con prepotenza) e l’istinto, la libertà dell’istinto. Il clown bianco e l’augusto sono la maestra e il bambino, la madre e il figlio

monello; si potrebbe dire, infine: l’angelo con la spada fiammeggiante e il peccatore”. (Federico Fellini, Fare un film, 1974 Einaudi)

Certo, sul circo si è già detto tutto: è un’impalcatura inflazionata, ormai fradicia di letteratura.

Eppure, ciononostante, alla fine essa esiste, riproponendosi come un nucleo preciso: una dimensione, una metafora autentica, che non si riescono ad archiviare, che non sono impolverate, perché quel modo di vivere e di rappresentarsi raccoglie in sé, in maniera esemplare alcuni miti durevoli: l’avventura, il viaggio, il rischio, la

minaccia, raffrettarsi, l’apparire alla luce, e anche l’aspetto più

mortificante, che si ripropone sempre, della gente che viene a vederti e tu devi esibirti: un esame mostruoso da parte degli altri, che hanno questo diritto biologico, razzistico, quando vengono per dire: ecco, io sono qua, fammi ridere, emozionami, fammi piangere. Io penso che lo spettacolo del circo, nonostante certi suoi palesi stridori con il mondo

contemporaneo debba essere recuperato. Il circo non è tramontato,

semmai lo sono maggiormente il melodramma e lo spettacolo di rivista. (Federico Fellini, I clowns, Cappelli Editore, 1970)

Non è un film. Non so bene neanch’io cosa sia. Un carnet di ricordi d’infanzia. Una specie di conferenza sceneggiata intorno al tema dei clowns, dei veri clowns. Una indagine assai personale sui grandi pagliacci del passato e sui loro eredi. Una inchiesta un po’ folle,

contestata via via che viene svolgendosi, su un mondo che

probabilmente non esiste più: un viaggio alla ricerca di un profumo perduto. Un tentativo d’interpretare i clowns come maschere stravolte

e terrorizzanti: nella dimensione della memoria di un’infanzia che subiva con sgomento i loro scherzi violenti, quell’aria da massacro che vi circola dentro, la martellata sulla testa e il palloncino rosso che spunta fra i capelli, come un enorme, raccapricciante bernoccolo.

(Dario Zanelli, Nel mondo di Federico, Nuova Eri, 1987)

Roma Avevo dinanzi a me una materia immensa, e non volevo affogarvi dentro, fare la fine del naufrago della Medusa. Avevo la Roma immaginata da ragazzo a Rimini, sulla base dei libri scolastici, il

fascismo, Mussolini, Giulio Cesare, il cinema americano, Fabiola, Nel

segno della croce; la Roma di I vitelloni, una specie di Damasco, Bagdad, ninive, un pastiche pop, in cui si mescolavano

capricciosamente le immagini rispondenti a queste nozioni deformate; la Roma del 38-39, l’anno del mio sbarco in città, una Roma vista con gli occhi assetati e abbagliati del provinciale, con la

guerra, il varietà, l’avanspettacolo, le donne romane turgide e languorose come odalische; la Roma degli anni 50-60, con la sua follia, la sua tensione esplosiva, il suo delirio travolgente; la Roma di

sempre, con la sua bellezza disumana, il suo aspetto di sirena, la sua luce da Fata Morgana; i suo palazzi, le sue ombre, i suoi cortili, i suoi colori, le sue prospettive assurde e stupende. (Fellini. Raccontando di me conversazione con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, 1996)

Allora la città era più piena di grosse moto di adesso, e una notte stavo tornando a casa in taxi e dei ragazzi in moto passando mi hanno riconosciuto, si sono avvicinati tutti intorno alla macchina e mi hanno accompagnato come un corteo di moto fino a piazza del Popolo con un gesto gentile e simpatico, facendomi da scorta. E credo che quello sia

stato l’episodio che mi ha influenzato.

(Il mestiere di regista. Intervista con Federico Fellini, Rita Cirio,

Garzanti, 1994) Me la immaginavo così Roma: imperiale, fascista, papale. Ma

quando ci arrivai nel 1938, con un treno a vapore, mi accorsi che non era vero niente. Nella realtà, Roma era una città africana. Mi colpì il

suo clima mediorientale di sbracamento e di caldo, i ragazzini scorrazzanti a migliaia per le strade, la gente con gli occhi neri

sfuggenti, le voci roche e dialettali. (Intervista a Federico Fellini di Lietta Tornabuoni, La Stampa,

21/03/1971)

Amarcord Io un pochino sempre mi offendo quando sento dire di un mio film che è “autobiografico”: mi sembra una definizione riduttiva, soprattutto se poi come succede spesso, autobiografico viene inteso

nel senso di aneddotico, di uno che racconta ricordi di scuola. Tanto

per dire, all’inizio io sentivo molta resistenza a parlarne. Continuavo a dire: badate, Amarcord non vuol dire affatto “mi ricordo”, è invece una specie di suono cabalistico, una parola seducente, la marca di un

aperitivo... Sentivo che autorizzare una lettura in chiave autobiografica sarebbe

stato un grave errore. (Intervista a Federico Fellini di Valerio Riva, Il mondo, 1973)

Quella di Amarcord è una campagna agghiacciante. Basta pensare soltanto al bambino che tenta di uccidere il fratellino nella carrozzina. In Amarcord c’è il rifiuto, c’è lo sconforto. Ci può essere qualcosa di sospeso, come la nebbia che attenua i contorni delle cose. Ma il rifiuto

è totale, definitivo. (Fellini. Raccontando di me conversazione con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, 1996).

Perché ho fatto Amarcord? Per la stessa ragione per cui ho fatto gli altri. Immagina che sia un’operazione di igiene della memoria:

Satyricon per liberarmi del liceo e degli antichi romani; Roma per escludere la capitale sfrontata dal bagaglio degli incubi; I clowns per liberarmi dal circo ed ora Amarcord contro l’incubo della Romagna,

della sensualità infantile, dei fascisti di allora, dell’educazione goffa di quegli anni. (Intervista a Federico Fellini di Pietro Bianchi, Il Giorno,

14/12/1973)

Amarcord voleva essere il commiato definitivo da Rimini, da tutto

il fatiscente e sempre contagioso teatrino riminese con gli amici della scuola in testa e i professori e il Grand Hotel d’estate e d’inverno e la visita del re e la nave sul mare e Clark Gable e i labbroni di Joan Crawford e Mussolini che nuota a largo di Riccione mentre attorno a lui guizzano, come pinne di squali che girano in cerchio, i nuotatori delle milizie. Ma basta con il rosario di questi impolverati scampoli, rischierei di non finirla più. Soprattutto Amarcord voleva essere l’addio a una certa stagione della vita, quell’inguaribile adolescenza

che rischia di possederci per sempre... Fascismo e adolescenza

continuano a essere in una certa misura stagioni storiche permanenti della nostra vita. L’adolescenza della nostra vita individuale, il fascismo di quella nazionale: questo restare, insomma, eternamente

bambini. (Federico Fellini, L'Arte della visione. Conversazione con Goffredo

Fofi e Gianni Volpi, Roma, Donzelli, 2009)

Casanova Ho già detto fino alla noia che non rivedo i miei film, e quindi non sono in grado di dare un giudizio obiettivo, distaccato; comunque Casanova mi sembra il mio film più compiuto, più espresso, il più

coraggioso. Proprio tu l’hai ben definito come un film che poteva coincidere con una lugubre resa dei conti. Quella fu l’unica volta che mi parve di non essere d’accordo. (Federico Fellini. Intervista sul cinema, a cura di Giovanni Grazzini, Editori Laterza, 1983)

Sarà un film sul vuoto: non c’è ideologia, sensazione, sentimento, non c’è soprattutto, il Settecento. Un’assenza totale di tutto, un film mortuario, disemozionato. Ci sono soltanto delle forme che si configurano in volumi, prospettive scandite in un’interazione raggelante, ipnotica. Disperatamente, mi sono aggrappato a questa

vertigine di vuoto come all’unico punto di riferimento per raccontare Casanova e la sua inesistente vita (Gian Luigi Rondi, 7 domande a 49 registi, Sei, 1975)

Mi sembra che il volto di Donaldino [Donald Sutherland] fosse perfettamente adatto all’immagine di un italiano immaturo, infantile,

una specie di Pinocchio nell’utero, che era l’immagine che avevo del

vero Casanova, che consideravo essere uno stronzo, uno stupido, un idiota. Solo un grande attore professionista come Sutherland poteva effettivamente incarnare queste qualità negative. (Federico Fellini. Sono un gran bugiardo, Damien Pettigrew, Elleu, 2003)

In un primo momento avevo pensato di affidare il ruolo di Casanova a Gian Maria Volonté. Sarebbe stato giovevole all’attore italiano, dopo tante figure tormentate che avevano fatto fare un balzo in avanti all’umanità, interpretare un personaggio destinato, per contro, a farle fare un balzo indietro, ma i successivi rinvii avevano

portato a una rottura dei contratti. Avevo così affidato il ruolo di Casanova a Donald Sutherland, un candelone spermatico dall’occhio

del masturbatore, quanto di più lontano si potesse immaginare da un

avventuriero e dongiovanni come Casanova, ma un attore serio, preparato, professionale. (Fellini. Raccontando di me, conversazioni con Costanzo Costantini, Editori Riuniti, Roma, 1996) [...] debbo ammettere che, di tutti i miei film, Casanova è quello che con il pubblico ha avuto l’impatto più difficile. Voglio però

aggiungere che le ragioni, le riserve, i sentimenti, le attese, le pretese,

le convinzioni che hanno determinato questa delusione non sono sostanzialmente riferibili al film, ma credo che riguardino esclusivamente gli spettatori che sono entrati al cinema con in testa

un loro film che avrebbero voluto confermato.

(Aldo Tassone, Fellini 23I/2. Tutti i film, Cineteca di Bologna, 2020)

Prova d’orchestra Benché io non creda allo stile televisivo, ho pensato però che Prova

d’orchestra si adattasse alla televisione meglio, ad esempio, de I clowns, e che vi corresse meno il rischio di essere tradito. L’intervista, i primi piani degli artisti che parlano, l’auditorium, e anche la visione

d’insieme di un’orchestra, sono immagini abituali per gli spettatori televisivi. Potevo dunque giocare su questa familiarità che assume talvolta proporzioni eccessive, come in quelle interminabili interviste in cui vengono snocciolate per l’intera trasmissione enormi stupidaggini, perché tutti parlano di qualunque cosa.

(Intervista apparsa sul numero 217 di Positif, aprile 1979)

La prima proiezione di Prova d'orchestra avvenne in circostanze insolite. Sandro Pettini, prima di diventare presidente della

Repubblica, aveva chiesto di poter vedere privatamente il mio ultimo film. Quella prima visione non ufficiale ebbe luogo così, al Quirinale

nell’ottobre del 1978 davanti a un pubblico di politici. Era un onore che avrei preferito evitare ma, avendo acconsentito alla richiesta di Pettini prima che venisse eletto a quell’alta carica, ero in trappola. I politici furono sinistramente educati. Alcuni erano sconcertati dal

linguaggio, ma il presidente mi difese. Non potè fare lo stesso davanti ad altre critiche. Tutti considerarono il film come se li riguardasse personalmente, o almeno politicamente. Se un’interpretazione negativa poteva essere imputata a qualcosa, quel collegamento veniva fatto immediatamente.

(Charlotte Chandler, Io, Federico Fellini, Arnoldo Mondadori

Editore, 1995) Quello che mi preoccupa, quello che mi infastidisce, quello che mi

scoccia è che di questo filmetto si possa dare, forse è inevitabile che si dia, un’interpretazione politica, una riduzione rozzamente politica. (Oreste Del Buono, Re prigioniero di Cinecittà, La Stampa, 15

ottobre 1978) “[...] avevo altri progetti, non era urgente, non sentivo l’urgenza di

fare questo. Non corrispondeva a un bisogno. A un certo punto il bisogno l’ho sentito, quando hanno ammazzato Moro. Sì, quando ho

saputo che avevano ammazzato Moro. Mi fece un’impressione

enorme. Ma non il fatto in sé, io me l’aspettavo. Ma il rifletterci su, per capire il senso profondo di quello che era accaduto e del perché

era accaduto. Che cosa avevano voluto fare quelli che l’avevano ammazzato? Che ci era successo a tutti noi che viviamo in questo Paese? Perché eravamo ridotti a questo punto? Tra questo e il film non c’è stata nessuna connessione diretta, o almeno io non me ne sono reso conto. Il nesso l’ho percepito molto tempo dopo, quando il

film era già finito, anzi quando era già in programmazione. Non è che

fin dall’inizio io non annettessi al film i significati che ha, ma non avevo coscienza del perché a un certo punto mi fosse diventato urgente il farlo. Ebbene, poi l’ho saputo: è stato l’assassinio di Moro”.

(Franca Faldini, Goffredo Fofi, Il cinema italiano d'oggi, 1970-1984. Raccontato dai suoi protagonisti, Mondadori, 1984)

La città delle donne Sono sempre stato attratto dai sogni, ma di tutti i miei film solo La città delle donne è quasi interamente un sogno. Ogni cosa nel film ha un significato nascosto, proprio come in un sogno, tranne l’inizio e la

fine, quando Snaporaz è sveglio nel vagone letto. E il risvolto da

incubo del sogno di Guido in Otto e mezzo”. (Charlotte Chandler, Io, Federico Fellini, Mondadori, Milano, 1995)

La città delle donne è un film sull’oscurità, sul rapporto con la parte nera, con la parte sconosciuta, con la notte, con l’acqua; qualsiasi spiegazione razionale tu cerchi di dame non può fare a meno di privarlo del suo aspetto enigmatico, sfingeo, che è il suo più vero. Oltre a tutto è un film “donna”, con tutta la diversità, l’estraneità che

ti può proporre una donna. Come puoi fissarlo, catalogarlo? Se lo fai decodificandolo, mettendo a nudo i suoi segni, le sue strutture emblematiche, vicino alla verità ci arrivi, perché il mio cinema lo conosci e mi conosci, ma a mio parere, la verità vera dei film, il suo

buio, non arrivi a restituirli al lettore dal di dentro e sarà come se avessi rinchiuso il mio film in una gabbia, in una rete, dove se ne starà

come prigioniero, mortificato, avvilito, mentre invece tendeva a restare elusivo, inafferrabile, con tutto quel mistero attorno che è

proprio del femminile, della donna. Non dimenticarti, infatti, che non è un film sul femminismo ma sul femminile e cosa è il femminile? È

tutto, e non perché si riferisca alla donna, ma perché è la punta

dell’iceberg, la parte di te che non conosci e che ti diventa religione, etica, arte, scelta.

(Federico Fellini, Il Tempo, 29/03/1980)

La parola ai critici I clowns Film all’apparenza scompensato e diverso, tutto inteso a giocare con i ricordi preziosissimi d’infanzia ed insieme a riprendere ancora

una volta il magico tema compiaciuto del regista al lavoro su se stesso, I clowns è opera minore di Fellini, per chi voglia avere riguardo a catalogazioni del genere, ma certo splendida: ha momenti di baluginanti invenzioni, fìtte di semplicità e talento, secondo l’estro

proprio di questo curioso autore, genio astuto ed elusivo, beffardo e falsamente candido, assai compreso di sé e della sua importanza, e

bravo a raccontarsi da grande artista, come non a tutti i grandi artisti riesce.

(Claudio G. Fava, Corriere Mercantile, 2 aprile 1974)

Il film è risultato ricco di poesia e di intelligenza, degno frutto di quel geniale clown che Fellini è nel fondo e non solo nel fondo [...] C’è

un po’ di tutto in questi clown. Talora anche cacciato dentro a forza, come le feline apparizioni di Anita Ekberg fra le gabbie del Circo Orfei. Ma c’è anche tutto Fellini, sparso a piene mani: tutte le costanti

della sua vena creativa, le sue dolcezze e le sue cattiverie, i suoi pudori e le sue effusioni, le sue credulità e i suoi scetticismi [...] (Guglielmo Biraghi, Il Messaggero, 31 agosto 1970)

[...] Lui, che così spesso gioca al paradosso, si trova davanti ad una micro-società interamente costruita sul dualismo: clowns

bianchi/Augusto; acrobati/pagliacci; spettatori/spettacolo; ricordi/presente. Talvolta ciò diventa clamoroso come quando I Fratellini (tre clowns) recitano davanti ai loro doppi (due matti) che li imitano con tenerezza in un’atmosfera infernale. Sottolineiamo che tutto questo torna a porre l’accento sul principale dato storico del cinema di Fellini: il cristianesimo. Perché Fellini, dei numeri dei clowns, ricostruisce solo la violenza manichea, la trasgressione apparente dei tabù. [...] In breve, Fellini continua a raccontare qui il

suo Satyricon; ma lo fa in modo più accorto e con minore ridondanza

(Noèl Simsolo, La Reveu du Cinema - Image et Son, 253-253, settembre-ottobre 1971)

Roma [...] Il film, in definitiva, è questo, una lunga, struggente dolorosa contemplazione della morte suggerita, ancora una volta, dagli aspetti più appariscenti, vitali, della vita. Come la Roma classica del

Satyricon, anche questa Roma, in apparenza reale, chiusa in un arco

di tempo che va dal ’39 ad oggi, è soltanto emblematica, è lo spunto per un sogno, il supporto di un incubo, la proiezione visualizzata e tutta esterna di una tormentosa angoscia interiore. [...] Inutile

insistere sulla maestria di Fellini nel dar forma a tutto questo. Sequenze come quelle dell’autostrada, delle case di tolleranza, del

defilé ecclesiastico sono cinema allo stato puro, prorompente, esemplare. Quello stile che mescolala cronaca fìnta ai ricordi inventati

tocca, in più momenti, la poesia; in altri s’impone con una furia barocca che si sposa, maliziosamente con il gusto del kitsch, del deformato, dell’orrido; ed anche se qua e là potrebbe tendere a più

meditati equilibri, raggiunge sempre, egualmente, i risultati voluti. In una féerie che alterna gli incubi di Bosch, ai neri orrori di Goya, ai graffi sferzanti di Grosz [...]

(Gian Luigi Rondi, Il Tempo, 18 marzo 1972) Le muse felliniane sono qui la memoria (la rievocazione di Roma

durante la guerra) e la deformazione fantastica (il grande raccordo

anulare visto come l’anticamera dell’inferno o forse addirittura come la sua bolgia più dannata). In questi episodi Fellini porge la misura

del suo immenso talento, cioè della sua forza nell’evocare e nel rappresentare, forzando e modificando. Qui la realtà felliniana prende il posto della realtà, diventa la realtà [...] (Sergio Prosali, La Nazione, 17 marzo 1972) [...] Mescolandosi all’azione senza mai risultare pleonastico [...] il

regista ci dà un ritratto della città, certamente univoco, passionale,

deformato, grottesco, ma che è felliniano al cento per cento: e del Fellini più autentico. (Dario Zanelli, Il Resto del Carlino, 17 marzo 1972)

Amarcord Amarcord, è il film più semplice, più indifeso e meno aggressivo di Fellini da parecchi anni a questa parte; ed è la ragione per cui ci piace. [...] La nuova misura che il regista trova qui ha qualcosa di delicato e di modesto che finisce, tanto più che inattesa per lui, per catturarci. Lo stregone non ricorre più a incantesimi magniloquenti, quanto a una specie di realismo magico sotterraneo, dove la magia magari

ottunde un poco la realtà, però nel contempo ce la restituisce filtrata in risvolti meno appariscenti del solito ma più sottili e profondi [...]

(Ugo Casiraghi, L’unità, 19 dicembre 1973) Quasi tutto Amarcord è danza macabra su ilare sfondo e palio di

buffi fra quinte sinistre, con pause di assorto rapimento e amare discese agli inferi dove l’infanzia, quella infanzia, alimenta le nostre nevrosi, la vocazione al patetico, al rissoso. Emozione e fantasia, invenzione d’artista e padronanza assoluta del mestiere si danno la mano in uno spettacolo senza ombra di intellettualismo dove nulla è vero, perché tutto è ricostruito (anche il mare), e tuttavia la realtà,

portata al limite del tripudio onirico, ha come non mai peso e spessore, abitata da attrazioni e ripulse, attese e spaventi, che sono il tessuto della vita e il suo controcanto elegiaco. [...] (Giovanni Grazzini, Corriere della Sera, 19 dicembre 1973)

Non si sentono in Amarcord, né disegni né scopi, né idee prefabbricate. Quello che è il nucleo essenziale del film lo scopriamo più tardi, ricordando il film. Per ora, finché guardiamo, tutto sembra esserci dato in regalo. Non abbiamo la sensazione di vedere un film,

ma di guardare esistere la natura. Quando qui vediamo la neve, o la nebbia, o la campagna, non pensiamo alla abilità di Fellini, o alla

genialità di Fellini, ma diciamo a noi stessi che avevamo sempre sospettato che così fossero la neve o la nebbia e finalmente sappiamo, sulla neve o sulla nebbia, tutta la verità. Una simile sensazione è di

grande libertà e pace, e anche di nervosa irrequietezza, perché il sapere la verità sulle cose che abbiamo sempre portato con noi sconvolge i nostri paesaggi interiori e fa tremare e vacillare in noi vecchie terre sulle quali usavamo vivere in un cauto e rassegnato grigiore. L’evocazione degli anni Trenta, in Amarcord, a me ha dato dei brividi, perché mai mi era successo di vedere evocati gli anni della

mia giovinezza, e il fascismo di allora, con tanta verità e tanto orrore.

Verità e orrore sono enunciati né con parole né con avvenimenti, ma sempre e solo con il linguaggio delle immagini. (Natalia Ginzburg, Vita immaginaria, Mondadori, Milano, 1974)

Il Casanova Nel descrivere enormi banchetti, salotti mondani, camere e osterie che sopportino ogni eccesso, il film ha sovente note preziose contrapposte ad atmosfere rarefatte che compensano degli arbitrii storici, e insieme scoppi di genio visionario da levare il fiato. Il grande Fellini, venuto alle prese con parrucche e crinoline, insomma né

dorme né - salvo far aprire le gambe a qualche attrice - profitta della materia scabrosa per scendere nel lubrico. Però nel totale ha un momento di stanchezza, che può anche coincidere con una lugubre

resa di conti con se stesso. (Giovanni Grazzini, Il Corriere della Sera, 11/12/1976) Casanova per Fellini, è quel rebus che per gli intellettuali italiani è l’italiano tipico o che tale è reputato. L’Italia è la sola nazione al

mondo nella quale sia capovolta la solita proporzione tra spettatori e attori. Di solito, in tutti, i paesi, poche centinaia di intellettuali recitano sul palcoscenico nazionale per un pubblico di milioni di loro

concittadini non intellettuali. In Italia, invece, poche centinaia di intellettuali assistono alla recita continua e imperterrita di milioni di loro concittadini non intellettuali. Casanova, per Fellini, è un tipico

esemplare di questo popolo di attori. Cosa recitano, da sempre, i milioni di Casanova per la platea di pochi intellettuali? Essi fìngono con se stessi, via via, di essere liberali, fascisti, democristiani, di essere religiosi, patriottici, ideologici, di essere sportivi, colti, bellicosi, di essere bambini, giovani, vecchi, e così via. Mentre in

realtà non sono niente di tutto questo; lo sa soltanto il diavolo cosa sono. E il diavolo, maliziosamente, se interrogato, confermerebbe: «Lo vedete cosa sono, sono attori». Fellini è dunque l’intellettuale

italiano insieme affascinato e spaventato dalla perpetua recita dei suoi

compatrioti. (Alberto Moravia, Espresso, 7/12/1975)

Il film è una fredda galleria di caricature, le solite caricature di Fellini, che tra l’altro è un gran disegnatore, rivisitate di volta in volta

più meccanicamente. L’autore si cita continuamente. Anche nel suo Casanova troviamo il circo, il clown, la donna-fenomeno gigantesca, la

balena mostruosa e tutti gli altri stilemi di cui egli ha sempre riempito lo schermo. Ridotto all’osso e fellinizzato il personaggio Casanova vaga di amplesso in amplesso come un automa, inascoltato dai potenti ai quali chiede con petulanza favori, trattato come un oggetto dalle

donne (oggetto anch’esse) che incontra sul suo cammino, fino all’ultima tristissima scena del ballo con la bambola meccanica sulla laguna ghiacciata. Una scena delicatissima, accompagnata dal suono

del carillon, che stride profondamente col tono grossolano della maggior parte del film, ma che non concede alcuna via d’uscita. È una rappresentazione della disperazione intesa come trionfo

dell’indifferenza, come negazione senza speranza dei valori umani. (Sergio Trasatti, L’Osservatore Romano, 18/12/1976) Casanova è forse il miglior film di Fellini dopo Otto e mezzo,

probabilmente il più svincolato dal fellinismo, certamente il più unitario e compatto (e non ha molto senso discettare se era proprio necessario arrivare alle 2 ore e 43 minuti di durata) per ricchezza e genialità di invenzioni figurative, tenuta narrativa, sapienza nel contemperare l’orribile col tenero e il favoloso con l’ironico, capacità di passare dal caricaturale al visionario. È sempre stata una delle

peculiarità del suo talento ma qui, pur con qualche ripetizione, si

mantiene a un alto livello di omogeneità, appoggiata a un tessuto

fonico che nel suo mistilinguismo, è ammirevole quanto la stupenda tavolozza cromatica della tavolozza di Rotunno. Ma è difficile dare un giudizio su Donald Sutherland tanto l’attore mi sembra inseparabile

dal personaggio sebbene qua e là si abbia l’impressione che il primo sia gestito dal secondo, ossia da Fellini come un cieco condotto per mano.

(Morando Morandini, Il Giorno, 11/12/1976) [...] io però trovo che, se un difetto in Casanova c’è, sta nell’essersi

il regista affidato troppo all’artificio e poco alla narrazione poetica. Per questo invano si cercheranno in Casanova tracce di sincerità e di

umiltà come in Amarcord e per questo Casanova rimane, a mio avviso, inferiore a Amarcord: per il resto, però, Casanova è un Fellini fra i migliori. La poesia, d’altronde, scaturisce con impeto nel finale, in cui Casanova invecchiato, dileggiato e vicino alla morte, rievoca una Venezia gelata e una magica e lugubre danza con la bambola meccanica: una delle conclusioni più belle di un’opera felliniana. Ma, oltre a ciò, ci sono in Casanova invenzioni stupefacenti, come il ferrigno uccello meccanico la cui ombra sinistra si proietta sul muro.

(Angelo Solmi, Oggi, 27/12/1976)

Prova d’orchestra L’impressione nostra, però, è che fra le varie idee raggruppate dagli sceneggiatori, fra i molteplici piani mixati in Prova d’orchestra, il Fellini più autentico e realizzato non sia quello che ammicca ai timori e ai sussulti della società e armeggia simbologie facilotte, ma l’altro, lo showman, il cinematografaro, il fabulatore, che di fronte alla finitezza

dell’uomo e se il brontolio cupo, che prelude al disastro, fosse un travestimento della morte?) confessa l’insopprimibilità dell’aspirazione a fantasticare grazie alla mediazione dell’arte. (Mino Argentieri, Rinascita, 09/03/1979)

Prova d’orchestra di Federico Fellini è un’allegoria del ruolo

dell’arte nella vita individuale e sociale. L’orchestra, protagonista del film, non rappresenta la società: l’orchestra è l’orchestra. La società è fuori, è il concerto stonato di clacson che scorre sotto i titoli di testa, è la radiocronaca calcistica ascoltata furtivamente dall’orchestrale, è la sfera metallica dell’impresa di demolizione che sfascerà la chiesa sconsacrata trasformata in sala di musica. Prova d’orchestra è la

risposta rifiuto alle teorizzazioni sociologiche dell’arte-come-vita, oltre che a tutti i realismi più o meno socialisti. Ciò che Fellini denuncia è l’applicazione di criteri sociologici nella creazione e nel giudizio dell’opera d’arte. (Cesare Cavalieri, L’avvenire, 28/12/1979)

Prova d’orchestra non è una parabola o una predica. Riflette piuttosto lo stato d’animo di un regista che non trova più tanto simpatici, degni di indulgenza e di sorriso gli uomini e le loro

passioni. Ci sono follie che escludono ogni partecipazione, ogni complicità; coloro che ne sono posseduti ci appaiono lontani, avvolti

in se stessi. L’occhio del regista li vede, da questa distanza maggiore, anche più nitidamente senza pietà e senza indignazione, con una chiarezza di giudizio che si potrebbe chiamare una condanna per descrizione. Raramente Fellini ha raccontato una selva di personaggi

con altrettanta minuziosa e feroce estraneità. (Renato Ghiotto, L’espresso, 11/03/1979)

Prova d’orchestra è un film politico e da questo punto di vista (da questo soltanto) tenterò di analizzarlo. Che cosa si intende dire quando si dice che un film (o una qualsiasi opera d’arte) è politica

(indipendentemente dalla consapevolezza del suo autore)? Che contiene un discorso, un comizio, un messaggio). Mai più. Non ci sarebbe bisogno di un film come questo. A ciascuno il suo mestiere. I discorsi si fanno in parlamento, i comizi in piazza e i messaggi (pubblicitari) ce li dà la televisione. Si vuole innanzitutto dire che con Prova d’orchestra il regista de La dolce vita e di 8V2 è tornato alle capacità di presa di una volta. Troppe volte in questi ultimi anni, appoggiato mollemente al tiro a segno del Luna Park della Riviera

adriatica dove idealmente vive Fellini ci ha preso in giro (venghino signori venghino), o irritato addirittura. Questa volta si è girato di

scatto verso il bersaglio e ha fatto centro. Ha colto un nodo politico

problematico e ci ha costretto a prenderne atto, ma con le buone maniere, divertendoci anzi. Cosa che ovviamente non si riesce a fare altrettanto bene con un discorso o con un comizio. Meno che mai con un messaggio. (Beniamino Placido, La Repubblica, 23/02/1979)

La città delle donne Opera, i lettori l’avranno capito, slegata ma a suo modo coerente, unita dallo straordinario catalogo di immagini impreviste e stimolanti, La città delle donne è il più fantasioso e sfrenato film di Fellini, ciò non significa che sia il migliore. Certe parti ripetono, anche

se dilatati e affinati, alcuni temi ricorrenti del regista (Rimini, il Luna Park), sicché non si può dire che l’originalità delle trovate riesca sempre a nascondere qualche caduta di tono e anche di gusto. È

tuttavia un’opera di fronte alle quali è difficile annoiarsi, a patto, come si diceva all’inizio, di non esercitarvi una genesi inutilmente puntigliosa ma di abbandonarsi al puro godimento delle immagini. In quanto alla polemica se sia o no un’opera provocatoria per le donne, in particolare per le femministe, a me pare che essa sia, tutto

sommato, dalla parte delle donne, visto che il protagonista non fa che difendersi in modo volutamente goffo.

(Angelo Solmi, Oggi, 19/04/1980)

Immagini, come al solito, ricchissime di curve e spigoli, di trappole accattivanti e di graffianti provocazioni, le cui impennate fantastiche

meglio non potrebbero essere servite dalla fotografia di Giuseppe Rotunno, dalla scenografìa di Dante Ferretti, dai costumi di Gabrielle Pescucci, dal montaggio di Ruggero Mastroianni (mentre forse sarebbe stato opportuno non chiedere all’ottimo musicista Luis Bacalov di limitare il suo apporto ad un’imitazione del compianto

Nino Rota). (Guglielmo Biraghi, Il Messaggero, 29/03/1980)

Nelle convulsioni di una visionarietà sempre geniale, fin troppo

alacre e a momenti perfino congestionata, s’impongono gli squarci in cui la metafora femminile schiude spiragli sul nostro presente: la

violenza pronta a esplodere nella scena delle ragazze in macchina, la tortura morale imposta al prigioniero (un modo personalissimo per meditare su “L’affaire Moro”?). Mastroianni galleggia, con onirico abbandono sul grande magma felliniano [...] e gli apporti dei collaboratori (l’operatore Rotunno, lo scenografo Ferretti, il montatore Ruggero Mastroianni, il musicista Bacalov cha abbonda in

citazioni) sono di preziosa qualità. E le donne? A parte la suscettibilità

di tipo ultrafemminista, il senso del film è nonostante tutto dalla parte di lei. (Tullio Kezich, La Repubblica, 29/03/1980)

La città delle donne è un film onirico. Tutti i miei film sono sogni, dice Federico Fellini; ma questo lo è più di ogni altro, per la sua stessa

struttura che fa partire la vicenda dal ciondolante assopimento in treno del protagonista Marcello Mastroianni [...] Così in una dimensione surreale, ha inizio il suo viaggio nel mondo delle donne:

con una discesa nell’inferno delle loro accuse e delle loro rivendicazioni nei confronti del maschio. A mano a mano che

Snaporaz [...] si addentra nell’albergo, cresce ossessiva, l’aria da tregenda che vi spira. E il cinema celebra il proprio trionfo nella rappresentazione stupefacente di una folla non anonima ma gremita

di figure. Creativa al massimo l’immaginazione del regista, non da meno le è la tecnica, con Giuseppe Rotunno alla macchina da presa e Ruggero Mastroianni al tavolo del montaggio.

(Domenico Meccoli, Epoca, 05/04/1980) Prova d’orchestra separa e unisce due film molto simili e anche profondamente diversi, Casanova e La città delle donne. Il secondo mantiene i temi fondamentali del primo, onanismo mascherato ed eros funereo; varia invece l’atteggiamento fondamentale. In La città

delle donne Fellini è molto più diretto, molto più semplice, molto più preoccupato di inventare (di orchestrare) che in Casanova. La sinfonia si fa meno a effetto, meno titanica. È diventata quasi una “cosetta, uno scherzo”.

(Roberto Escobar, Federico Fellini. La città delle donne, Cineforum, N° 6 giugno 1980)

Hanno detto di lui Negli anni Sessanta, Federico Fellini diventò più di un regista.

Come Chaplin, Picasso e i Beatles, era molto di più della sua stessa arte. A un certo punto, non era più una questione di questo o quel film, ma di tutti i film combinati come fossero un unico gesto

maestoso scritto nella galassia. Andare a vedere un film di Fellini era come ascoltare la Callas cantare o Olivier recitare o Nureyev ballare. I suoi film cominciarono addirittura a incorporare il suo nome: Fellini Satyricon, H Casanova di Federico Fellini. L’unico esempio

comparabile in ambito cinematografico era Hitchcock, ma lì si trattava di qualcos’altro: un marchio, un genere a sé stante. Fellini era il virtuoso del cinema. (Martin Scorsese)

Fellini disse che mi scelse perché secondo lui avevo gli occhi da onanista. È stato un rapporto bellissimo: prime settimane

imbarazzanti, poi undici mesi di idillio. Mi dava le pagine da memorizzare subito prima di girare le scene, è stato magico.

(Donald Sutherland) “Federico Fellini, artista sommo. Mi volle incontrare subito dopo

Quel pomeriggio di un giorno da cani', stava preparando il Casanova, andai all’incontro tremando, era un mito. Cominciò a scrutarmi senza

dire niente, poi all’improvviso mi prese la guancia destra con le dita e mi disse: ‘Sei troppo bellino’. È stato il rifiuto più bello della mia carriera. Quando il film uscì mi piacque enormemente e rimasi

incantato dalla straordinaria interpretazione di Donald Sutherland”.

(Al Pacino) Mi voleva anche Fellini. Ed è il mio più grande rimpianto. Mi aveva offerto il ruolo che fu poi di Mastroianni in La città delle donne. Ma io gli chiesi se sarei stato doppiato e lui mi rispose: “Certo, come sempre

nei miei film”. Rinunciai. Era un genio e avrei dovuto essere sul set

con lui, anche a pronunciare numeri al posto delle parole. (Dustin Hoffmann)

Mi sento un prodotto della sua genialità. Sono nato e cresciuto a Brooklyn e lì Fellini era già una leggenda. I suoi film erano oggetto di culto. È stato un artista talmente grande che non solo io, ma tutti i

registi che sono venuti dopo di lui ne sono stati in qualche modo influenzati. Ho un grande rimpianto per il fatto che non è più con

noi... ma non ho mai immaginato di lavorare con lui; sono stato felice di aver trascorso buona parte della mia vita godendomi il suo talento. (Woody Alien)

Federico Fellini è stato il regista a cui devo tutto, uno di quelli che ho amato di più assieme a Mario Bava e a Dario Argento. Guardare i film di Fellini e di Bava, provoca in me uno stato di sogno. Sebbene

siano molto diversi tra loro, mi danno entrambi una condizione onirica molto viva.

(Tim Burton)

Fellini disegnava probabilmente per comunicare con se stesso. Sono certo che la sua mano aveva una parte fondamentale nella genesi

dei suoi film soprattutto a partire dagli anni ‘70. Un film come Roma avrebbe potuto avere una sceneggiatura tutta fatta di disegni, con note

a margine che spiegassero cosa sarebbe successo. In Amarcord ogni personaggio potrebbe partire da, e forse lo fece davvero, una caricatura, un disegno. Quei personaggi sono inventati a partire dagli attori, anche se sono certo fossero ispirati da persone reali. Sono delle caricature che però diventano delle persone reali, per le quali provi

dei sentimenti. (Wes Anderson) Il mio preferito è Amarcord, e adoro il Satyricon, mentre 8V2, man mano che invecchio, non mi sembra più il ‘gigante’ che mi parve al tempo. Ma qui stiamo parlando della differenza che passa tra ‘grande’

e ‘magnifico’. (Sydney Lumet)

Molti dei film che ho fatto riguardano la realtà. Ammiro molto di più l’opera di Federico Fellini che non proviene dalla realtà, ma affonda le radici in una visione personale. Per me è più interessante un regista che si ispira ai propri sogni di uno che racconta ciò che vede, purtroppo io non possiedo la fantasia per realizzare quel tipo di sequenze oniriche. Ma una scena di Fellini vale dieci inseguimenti de

Il braccio violento della legge. I suoi film sono più reali della realtà

perché parlano dell’uomo, dell’essenza dell’anima. Un giorno spero di riuscire a realizzare un film buono almeno la metà dei suoi.

(William Friedkin) [...] mi è tornato in mente il mio incontro con Fellini: abbiamo

avuto un breve dialogo che non ho mai dimenticato. Io, all’epoca, nel

1990, ero a Roma per Santa Sangre e qualcuno mi chiese chi fosse il regista che mi aveva influenzato di più. Io ho risposto Fellini. Credo che lui l’abbia letto e gli sia piaciuto e così mi ha invitato sul set de La voce della luna. Era su un campo di notte, cerano molte nubi, lo vidi da lontano, era alto, più grande di me. Lui mi ha detto "Jodorowsky” e

io gli ho detto “papà”, poi ha cominciato una pioggia terribile, siamo

corsi via e non l’ho più rivisto. Ma credo che questo dialogo dica tutto. (Alejandro Jodorowsky)

Fellini mi ha confermato che il modo migliore di concepire un film è quello di sentirsi liberi di esprimersi, senza doversi preoccupare della struttura e del pubblico. E nemmeno dei produttori. (Roman Polanski)

Faceva freddo a Roma, Fellini pensò che avessi l’aria di uno che

muore di freddo. Il giorno dopo ci incontrammo ancora, lui mi portò una sciarpa. Una splendida sciarpa in cachemire. Da allora la porto

sempre quando fa freddo a Berlino. Oh, è un uomo così soave. Lo vedo come un monumento alla soavità. Alcune persone portano nel volto il volto che avevano ricevuto da bambini. Lui ha un volto così di

saggezza e curiosità. Sereno e innocente. I suoi film anche, contengono tutti questa preziosa e rara contraddizione. Portano la firma di un peccatore e di un santo, del genio e del bambino.

(Wim Wenders) Una volta mi chiamò perché era saltato il film che stavo

preparando. Gli spiegai che era stato il produttore a tirarsi indietro.

Ma lui mi rimproverò: “Non eri convinto e hai fatto in modo che non si facesse. Ricordati: esistono solo i film che fai, non quelli che non hai fatto. Anche se un progetto non ti convince del tutto, vai avanti.

Buttati. Poi lo migliori, lo aggiusti, lo cambi. Alla fine ti accorgerai che sarà molto più bello dei film di cui eri convintissimo”. Federico mi ha insegnato che la perfezione non esiste e ci vuole una certa leggerezza. (Giuseppe Tomatore)

Anche coloro con i quali non ho mai avuto modo di lavorare hanno influenzato la mia carriera. Ho ammirato John Huston e Federico Fellini e, pur non avendo mai recitato con loro, vedere i loro film mi

ha fatto cogliere altri punti di vista, altre idee interessanti.

(Clint Eastwood) L’opera di Federico Fellini ha avuto un ruolo determinante nella

cultura italiana, soprattutto per quelli della mia generazione. Purtroppo, o per fortuna, non ha lasciato eredi. Nessuno ha mai tentato di imitare il suo modo di fare regia, probabilmente per paura

di fallire miseramente di fronte alla grandezza del maestro. Sono dell’idea che andrebbero istituiti dei corsi di cinema felliniano in tutte le facoltà universitarie, non solo nelle scuole specializzate perché ormai c’è una distanza sufficiente per poterne parlare con serenità e serietà. La proposta culturale di Fellini è qualcosa di imprescindibile

per il cinema italiano. Dal mio punto di vista ogni mezzo espressivo ha una propria vita biologica: una nascita, il momento in cui raggiunge la sua massima grandezza e un declino. Con Fellini il cinema ha

raggiunto la sua acme.

(Pupi Avati)

Ho avuto qualche incontro con lui, perché era amico di mio padre. L’ho visto molte volte. E mia sorella Floriana è stata sua segretaria per un periodo e io andavo a trovarla sul set di Giulietta degli spiriti (1965). So per certo che Fellini mi stimava, che il mio lavoro gli piaceva. (...) C’è questa dimensione fantastica, in tutto il suo lavoro, in tutti i suoi film, che mi ha sempre affascinato moltissimo. Vedere Toby Dammit per me che amavo Edgar Allan Poe, fu una grande emozione. Il film che ho visto più volte di ogni altro è 8M2 [1963]. Il cinema sognato, il cinema come sogno. Mi piace perdere la testa,

quando vedo un film. (Dario Argento)

Un film di Fellini lo si riconosce subito perché ha uno stile personale. Ci sono cose che non si possono imparare. Sono una dote innata. Nella vita di tutti i giorni, quando eri assieme a Federico,

sapevi che stavi con lui e che non poteva trattarsi di un altro. Lui aveva una propria orbita. Quando qualcuno come Fellini muore, non

puoi cavartela con frasi di circostanza, perché non ne esistono. Quel che lui faceva aveva qualcosa di personale, di tutto suo. Lo si può studiare, analizzare, copiare e forse qualcuno può anche riuscire a far

sì che la gente dica “Questo regista ricorda Fellini”, ma potrà essere solo simile a Fellini. Quando non puoi copiare qualcosa, questa è la

vera arte. (Billy Wilder) Era una maniera diversa di fare cinema, era veramente il

cinematografo: quando si dice “che confusione, che casino! Sembra un cinematografo!” E Fellini diceva: “Mentre tutti fanno casino io posso pensare. Se stanno tutti lì ad aspettare che io dica il verbo... Questo mi rende la giornata più complicata”. Vedeva sempre per paradossi. Fellini è stato accusato di essere bugiardo: ma sì, certo che lo era. Bugiardo è anche misura di fantasia, l’ho detto altre volte. Ma non erano mai bugie gravi; erano bugie per accomodare, per far stare tutti meglio, più contenti.

(Marcello Mastroianni)

Fellini aveva questa maniera di sedurre particolare, che partiva

dalla sua voce e ti faceva entrare nel suo mistero. Per lui eri sempre il centro, la persona privilegiata della sua vita. E tuttavia non ti portava mai dentro al cuore, ma sempre alla periferia. Anche parlando di una cosa stupida, come una bottiglia, riusciva a trasformarla da una cosa semplice a qualcosa di meraviglioso, e così era anche il suo cinema. Quando arrivava sul set si sentiva un vento fresco che cambiava il

cuore. Io sembravo un cagnolino sul set, gli stavo sempre addosso perché amavo vedere come lavorava, e lo stesso era anche con Paolo Villaggio. Era il suo ultimo film, una specie di testamento sulla nostra

società e sul nostro mondo, mostrando la volgarità della nostra fine, un commento molto amaro sui nostri tempi ma con la sua solita grandezza stilistica, che guardavo ammirato. (Roberto Benigni)

La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. Mi identifico

con quel film, nel quale c’è un implicito riferimento a san Francesco. La strada è un film che tratta del sacro, di quel bisogno primitivo e specifico all’uomo che ci spinge ad andare oltre, all’attività metafisica,

sia sotto forma religiosa che sotto quella artistica. Sembra che Federico Fellini sappia perfettamente che questo istinto è all’origine sia delle religioni che dell’arte. (Papa Francesco)

Da bambino andavo ogni sabato in un cinema di Toronto frequentato da una marea di ragazzi. Vedevamo film sui pirati e sui cowboy. Essendo nel quartiere italiano di fronte a noi c’era un’altra

sala, Lo Studio, ma da lì non uscivano bambini ma solo adulti. E tutti gli adulti che uscivano piangevano. In quella sala proiettavano La strada di Fellini. Quando pochi anni dopo lo vidi, capii che il cinema

non era solo divertimento per bimbi, ma che i film erano arte.

(David Cronenberg)

Fellini mi fa una gran rabbia con i suoi clown, con il suo modo di essere visionario, il suo cattolicesimo, però quando fa un film mi mette dentro un sacco e mi porta esattamente dove vuole lui perché

Fellini è irresistibile. (Bernardo Bertolucci)

Fellini lo amo molto perché penso che sia il poeta del cinema italiano, un poeta un po’ provinciale ma comunque e per questo molto importante. Mi sento molto vicino a lui.

(Marco Ferreri)

Federico era un creatore geniale, aveva una specie di fuoco interno come Balzac. [...] Aveva uno stile suo proprio, inconfondibile, felliniano, per usare una sua parola. Aveva dato una dimensione speciale al cinema. Federico è grande non meno di Chaplin, Bergman,

Kurosawa. Nei suoi film c’è un’aura favolosa, un’atmosfera magica, un

qualcosa che evoca la pittura e che me lo fa sentire della stessa famiglia. (Balthus)

Nessuno ha saputo vivere attraverso opere e immagini, con così lucida e al tempo stesso così generosa partecipazione, la realtà del nostro Paese. E pochi hanno saputo essere artisti così rigorosamente fedeli a se stessi, così autentici e sinceri nelle folgorazioni come negli

errori come Fellini. (Giorgio Strehler) Non è solo un regista, ma uno dei pochi narratori italiani di questa

seconda metà del secolo. E non soltanto un narratore, ma un poeta.

(Carlo Bo) Ha vissuto sempre in un suo mondo poetico, anche alla ricerca di

un contatto con forze curiose e misteriose. Era molto vicino al mondo dei simboli e amava e sapeva raccontare le follie, quelle apparenti, che

sono poi le grandi saggezze. (Vittorio Gassman) Fellini? Il genere di uomo sul quale ho modellato la mia carriera, perché è sempre stato un filosofo capace di fare film molto divertenti e commoventi. Resterà uno dei pilastri più significativi della storia del

cinema. [...] Un altro come lui non si troverà tanto facilmente. Nell’arco di un secolo emergono poche persone con una visione e un grande talento come il suo.

(Mel Brooks) Sono cresciuto con Fellini, ho sempre adorato i suoi film. Era unico,

nessuno può essere come lui. (James Ivory)

I suoi film dovrebbero farli vedere ai giovani, perché in questo mondo senza spessore e senza utopia, il suo cinema era il sogno. Fellini dava ai suoi spettatori l’impossibile e i giovani oggi hanno bisogno di questo.

(Pier Vittorio Taviani) Nei suoi film troviamo gli italiani con le loro qualità e i loro difetti,

ma trattati sempre con fraternità e amore.

(Francesco Rosi)

Avrei tanto desiderato fare film come i suoi, imporli a un’audience distratta e avvinta ai sensazionalismi e all’action. [...] Quando gli dissi che avevo problemi con la casa di produzione sia perché non riuscivo

a stare nel budget previsto, sia perché volevano tagliarmi Malcolm X selvaggiamente prima di distribuirlo nelle sale cinematografiche, mi confortò con una frase lapidaria. Tu, mi disse, mandali affanculo e fai

i tagli che ritieni opportuni e utili. Ho fatto proprio quello che lui mi aveva detto ed è stato un successo. (Spike Lee)

Ètra i più grandi narratori e poeti che il nostro secolo abbia dato: per la singolarità della sua scrittura cinematografica ma anche per la complessità del suo comunicare sguardi e forme, idee e valori.

Gli va riconosciuta, ad esempio, la qualità, anche civile, della sua opera: basti pensare a La dolce vita, a Roma, a Prova d'orchestra, a E la nave va, a La voce della luna. Cinque film non soltanto tra i suoi più belli, ma anche più vicini al controverso rapporto che lega il vivere quotidiano alla Storia, la qualità individuale a quella collettiva. E sempre nella consapevolezza di doverci ugualmente guardare tutti da

due pericoli: quello di disperare senza scampo e dello sperare senza fondamento. (Sergio Zavoli) Come si fa a racchiudere il genio di un artista e il sentimento

dell’amicizia sincera che a lui mi legava in una battuta, peggio ancora

in un aneddoto? (Marcello Mastroianni, 2)

È stato il più politico, contro ogni apparenza, dei registi italiani. (Ettore Scola)

Fellini è stato uno di quegli artisti, uomini straordinari che hanno creato questo nostro secondo rinascimento: il grande cinema del dopoguerra. È anche per questo che il mondo è tornato a guardare

con simpatia ed attenzione l’Italia. E gli uomini politici potevano muoversi a testa alta, nonostante le sconfitte. [...] La cosa che Federico amava di più nei suoi film era la luce; la luce che impolverava in modo dorato la sua infanzia e quella della nostra generazione. La luce che è entrata nella memoria di tutti. [...] Come

sarà oscuro il cielo del mondo se dopo Fellini non ci sarà più Fellini.

(Tonino Guerra) Fellini, uno dei pochi ad aver reso il cinema una parte dell’arte moderna; l’unico la cui immensa opera può essere messa sullo stesso piano di quella di Picasso, di quella di Stravinsky [...] Le ultime opere

di Fellini raggiungono l’apice dell’arte moderna. Sono l’immagine che meglio svela il nostro mondo così com’è [...] In un mondo che non vuol più conoscere Fellini, mi sento un po’ a disagio ad essere letto. (Milan Kundera)

Non credo che Fellini sia di questo mondo. Non lo è mai stato. Da quando lo conobbi, ho sempre pensato che fosse più vicino all’aldilà,

vicino al nirvana. (Anthony Quinn)

Vorrei che Fellini potesse fare di tutti noi ciò che ha fatto per i suoi film: renderci immortali.

(Milos Forman)

La dolce vita è il film che mi ha commosso di più ed è stata quell’esperienza a determinare il tipo di film che faccio. (Robert Altman)

Fellini è il poeta visionario del cinema e mi sento onorato di fare il

suo stesso mestiere. (Sidney Lumet)

I suoi film non sono mai tragici perché Fellini stesso sembra assorbire calore dai propri personaggi. (Jim Jarmush)

Fellini ha il potere di Chaplin al meglio: quell’abilità di toccare il tuo cuore in modi che a volte non comprendi, per poi farti ridere della stoltezza del tutto. (Paul Mazursky)

Fellini ha decostruito la realtà, ha riscoperto il concetto impressionistico del cinema muto smarrito con l’avvento del sonoro: la soggettiva. (Oliver Stone)

È ciò che noi tutti sogniamo di essere. Anche se sappiamo bene che

c’è un Fellini solo e non ce ne sarà un altro. (Louis Malie)

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il-regista-dellombra/

Filmografia Luci del varietà - 1950 regia: Alberto Lattuada e Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini, Alberto Lattuada, Tullio

Pinelli, con la collaborazione di Ennio Flaiano; fotografia: Otello Martelli; operatore: Luciano Trasatti; musica: Felice Lattuada; scenografia: Aldo Buzzi; costumi: Aldo Buzzi; montaggio: Mario

Bonotti; aiuto regia: Angelo D’Alessandro; interpreti: Carla Del Poggio (Liliana “Lilly” Antonelli), Peppino De Filippo (Checco Dalmonte), Giulietta Masina (Melina Amour), Folco Lulli (Adelmo

Conti), Franca Valeri (la coreografa ungherese), Carlo Romano (aw. Enzo La Rosa), John Kitzmiller (John), Silvio Bagolini (Bruno Antonini, il giornalista), Dante Maggio (il capocomico Remo), Alberto

Bonucci e Vittorio Caprioli (duo teatrale), Giulio Cali (il fachiro), Mario de Angelis (maestro), Checco Durante (proprietario del

Teatro), Joe Fallotta (Bill), Giacomo Furia (Duke), Renato Malavasi (albergatore), Fanny Marchiò (soubrette), Gina Mascetti (Valeria Del Sole), Vania Orico (Gypsy Singer), Enrico Piergentili (il padre di Melina), Marco Tulli (spettatore), Alberto Lattuada (inserviente

teatrale); direttore di produzione: Bianca Lattuada, Federico Fellini; produzione: Capitolium Film; prima distribuzione italiana: Fincine; durata: 100 minuti

Lo sceicco bianco - 1952 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini e Tullio Pinelli, da

un’idea di Michelangelo Antonioni; sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, con la collaborazione di Ennio Flaiano; fotografia: Arturo Gallea; operatore: Antonio Belviso; musica: Nino Rota, diretta da Fernando Previtali; scenografìa: Raffaello Tolfo; montaggio:

Rolando Benedetti; aiuto regia: Stefano Ubezio; suono: Armando Grilli, Walfredo Traversari; trucco: Franco Tiri; fotografo di scena: Osvaldo Civirani; interpreti: Alberto Sordi (Fernando Rivolo, “lo

sceicco bianco”), Brunella Bovo (Wanda Giardino in Cavalli), Leopoldo Trieste (Ivan Cavalli), Giulietta Masina (Cabiria), Lilia Landi (Felga), Ernesto Almirante (il regista di fumetti), Fanny Marchiò (Marilena Vellardi), Gina Mascetti (la moglie dello “sceicco bianco”), Enzo Maggio (il portiere d’albergo), Ettore M. Margadonna

(lo zio di Ivan), Jole Silvani; segretario dedizione: Moraldo Rossi; produttore: Luigi Rovere; direttore di produzione: Enzo Provenzale; segretario di produzione: Renato Panetuzzi; produzione: P.D.C.O.F.I.; prima distribuzione italiana: P.D.C.; durata: 85 minuti

I vitelloni -1953 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano,

Tullio Pinelli, da un’idea di Tullio Pinelli; sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Fìaiano; fotografìa: Otello Martelli, Luciano Trasatti,

Carlo Carlini; operatori: Roberto Girardi, Franco Villa; musica: Nino Rota, diretta da Franco Ferrara; scenografia: Mario Chiari; costumi: M. Marinari Bomarzi; montaggio: Rolando Benedetti; interpreti:

Franco Interlenghi (Moraldo), Alberto Sordi (Alberto), Franco Fabrizi

(Fausto), Leopoldo Trieste (Leopoldo), Riccardo Fellini (Riccardo), Eleonora Ruffo (Sandra), Jean Brochard (il padre di Fausto), Claude Fateli (la sorella di Alberto), Carlo Romano (Michele, l’antiquario), Lida Baarova (Gliulia moglie di Michele), Enrico Viarisio e Paola Borboni (i genitori di Moraldo e Sandra), Arlette Sauvage (la

sconosciuta nel cinema), Vira Silenti (la “cinesina”), Maja Nipora (la soubrette), Achille Majeroni (il capocomico), Silvio Bagolini (l’idiota), Giovanna Galli; direttore di produzione: Luigi Giacosi; ispettore di produzione: Danilo Fallani; segretario di produzione: Ugo Benvenuti; produzione: Peg Film (Roma)/Cité Film (Paris); prima

distribuzione italiana: ENIC; durata: 103 minuti

Agenzia matrimoniale (episodio di Amore in citta) -1953 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini; sceneggiatura:

Federico Fellini, Tullio Pinelli; fotografia: Gianni Di Venanzo; musica: Mario Nascimbene; scenografìa: Gianni Polidori;

arredamento: Giovanni Checchi; aiuto regia: Luigi Vanzi; montaggio: Eraldo da Roma; interpreti: Antonio Cifariello (il giornalista), e attori non professionisti; produttore: Cesare Zavattini;

produzione: Faro Film; prima distribuzione italiana: D.C.N.; durata:

16 minuti EPISODI: L’amore che si paga di Carlo Lizzani, Paradiso per quattro ore di Dino Risi, Tentato suicidio di Michelangelo Antonioni,

Storia di Caterina di Francesco Maselli e Cesare Zavattini, Gli italiani

si voltano di Alberto Lattuada.

La strada -1954 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli;

sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, con la collaborazione di Ennio Flaiano; dialoghi: Ennio Flaiano; fotografia: Otello Martelli; operatore: Roberto Girardi; musica: Nino Rota, diretta da Franco Ferrara; scenografia: Mario Ravasco; costumi: Margherita Marinari; montaggio: Leo Catozzo; assistente al montaggio: Lina Caterini;

suono: A. Alpini; aiuto regia: Moraldo Rossi; collaborazione artistica: Brunello Rondi; assistente alla regia: Paolo Nuzzi; trucco: Eligio Trani; segretario di edizione: Narciso Vicari; fotografo di scena: A. Piatti; interpreti: Giulietta Masina (Gelsomina Di Costanzo), Anthony Quinn (Zampano), Richard Baserhart (il Matto), Aldo Silvani (signor Giraffa), Marcella Rovere (la vedova), Livia

Venturini (la suora), Mario Passante, Yami Kamedeva, Anna Primula; direttore di produzione: Luigi Giacosi; organizzazione generale: Danilo Fallani, Giorgio Morra, Angelo Cittadini; produzione: Dino De

Laurentis, Carlo Ponti; prima distribuzione italiana: Paramount; durata 94 minuti

Il bidone -1955 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, da un’idea di Federico Fellini; fotografia: Otello Martelli; operatore: Roberto Gerardi; aiuto

operatore: Arturo Zavattini; musica: Nino Rota, diretta da Franco Ferrara; scenografia e costumi: Dario Cecchi; montaggio: Mario Serandrei, Giuseppe Vari; suono: Giovanni Rossi; aiuto regia: Moraldo Rossi, Narciso Vicario; assistente alla regia: Dominique Delouche, Paolo Nuzzi; collaborazione artistica: Brunello Rondi;

trucco: Eligio Trani; parrucche: Fiamma Rocchetti; arredamento: Massimiliano Capriccioli; fotografo di scena: G.B. Poletto; interpreti: Broderick Crawford (Augusto), Richard Basehart (Picasso), Franco

Fabrizi (Roberto), Giulietta Masina (Iris), Giacomo Gabrielli (“Baron”

Vargas), Alberto De Amicis (Rinaldo), Sue Ellen Blake (Susanna), Lorella De Luca (Patrizia), Mara Werlen (la danseuse), Xenia Walderi,

Mario Passante, Irene Cefaro (Marisa); segretaria di edizione: Nada Delle Piane; direttore di produzione: Giuseppe Colizzi; ispettore di produzione: Antonio Negri; segretario di produzione: Manolo

Bolognini; segretario amministrativo: Ezio Rodi; produzione: Titanus (Roma), S.G.C. (Paris); prima distribuzione italiana: Titanus; durata: 104 minuti

Le notti di Cabiria - 1957 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, da un’idea di Federico Fellini;

collaborazione ai dialoghi: Pier Paolo Pasolini; consulente artistico:

Brunello Rondi; fotografia: Aldo Tonti; musica: Nino Rota, diretta da Franco Ferrara; scenografìa e costumi: Piero Gherardi; montaggio: Leo Catozzo; assistente montaggio: Adriana Olasio; suono: Roy Mangano; aiuto regia: Moraldo Rossi, Dominique Delouche; segretario di redazione: Narciso Vicario; trucco: Eligio Trani;

interpreti: Giulietta Masina (Cabiria), Francois Périer (Oscar D’Onofrio), Franca Marzi (Wanda), Dorian Gray (Jessy), Amedeo Nazzari (Alberto Lazzari), Aldo Silvani (il fachiro), Mario Passante (lo

zoppo), Pina Gualandi (Matilda), Polidor (il frate), Ennio Girolami (un “magnaccia”), Christian Tassou, Jean Molier, Riccardo Fellini,

Maria Luisa Rolando, Amedeo Girard, Loretta Capitoli; direttore di produzione: Luigi De Laurentis; produzione: Dino De Laurentis (Roma), Les Films Marceau (Paris); prima distribuzione italiana:

Paramount; durata: 110 minuti

La dolce vita - i960 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, da un’idea di Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano; collaborazione alla sceneggiatura: Brunello Rondi; fotografia (Totalscope): Otello Martelli; operatore: Arturo Zavattini;

aiuto operatore: Ennio Guarnieri; musica: Nino Rota, diretta da

Franco Ferrara; cantanti: “I Campinino” e Adriano Celentano; scenografia e costumi: Piero Gherardi; aiuto scenografia: Giorgio

Giovannini, Lucia Mirisela, Vito Anzalone; trucco: Otello Fava; montaggio: Leo Catozzo; assistente montaggio: Adriana e Wanda

Olasio; aiuto regia: Guidarino Guidi, Paolo Nuzzi, Dominique Delouche; assistenti regia: Giancarlo Romani, Gianfranco Mingozzi, Lilli Veenman; collaborazione artistica: Brunello Rondi; suono: Agostino Moretti; acconciature: Renata Magnanti; interpreti: Marcello Mastroianni (Marcello Rubini), Walter Santesso (Paparazzo), Giulio Paradisi (20 fotografo), Enzo Cerusico (3 o

fotografo), Enzo Doria (40 fotografo), Anouk Aimée (Maddalena), Cesare Miceli Picardi (signore irritato nel dancing), Donatella Esparmer (signora con signore irritato), Maria Pia Serafini (2a

signora con signore irritato), Adriana Moneta (prostituta), Anna Maria Saemo (2a prostituta), Oscar Ghiglia (1° sfruttatore), Gino Marturano (20 sfruttatore), Yvonne Fourneaux (Emma), Thomas

Torres (giornalista ospedale), Carlo Mariotti (infermiere), Leonardo Botta (medico), Anita Ekberg (Sylvia), Carlo Di Maggio (Totò Scalise,

produttore), Francesco Luzi (radiocronista), Francesco Consalvo (assistente Scalise), Guglielmo Leoncini (segretario Scalise), Sandy von Norman (interprete conferenza stampa), Lex Barker (Robert),

Tiziano Cortini (operatore cinegiornale), Maurizio Guelfi (giornalista conferenza stampa), Adriano Celentano (cantante Rock’n’Roll), Gondrano Trucchi (cameriere Caracalla’s), Gio Staiano (giovane effeminato), Archie Savage (ballerino negro), Alan Dijon (Frankie

Stout), Paolo Labia (cameriere casa Maddalena), Giacomo Gabrielli (padre di Maddalena), Alain Cuny (Steiner), Valeria Ciangottini (Paola), Alfredo Rizzo (regista Tv), Alex Messoyedoff (il prete del

miracolo), Rina Franchetti (la madre dei miracolati bugiardi), Aurelio Nardi (lo zio dei miracolati bugiardi), Maria Leibl (signora con Ivonne

al miracolo), Giovanna e Massimo (i due bambini miracolati), Renée Longarini (signora Steiner), Iris Tree, Leonida Rapaci, Anna Salvatore, Letizia Spadini, Margherita Russo, Winie Vagliani, Desmond O’Grady (inviati casa Steiner), Nello Meniconi (litigante via Veneto), Massimo Busetti (pettegolo via Veneto), Annibaie Ninchi

(padre di Marcello), Vittorio Manfrino (direttore tabarin), Polidor (Clown tabarin), Magali Noèl (Fanny), Lilly Granado (Lucy), Gloria Jones (Gloria), Nico Otzak (ragazza sofisticata via Veneto), principe

Vadim Wolkonsky (principe Mascalchi), Giulio Questi (don Giulio

Mascalchi), Ida Galli (la debuttante dell’anno), Mario De Grenet (il ragazzo stanco coi cani), Franco Rossellini (il bel cavallerizzo), Maria Marigliano (Massimilla), Loretta Ramaciotti (l’invasata alla seduta), Giuseppe Addobbati (dottore), Paolo Fadda (vice commissario),

Vando Tres (commissario di zona), Franco Giacobini (giornalista che telefona), Giuliana Lojodice (cameriera casa Steiner), Federika André (inquilina casa Steiner), Giancarlo Romani (carabiniere), Nadia Gray (Nadia), Mino Doro (amante di Nadia), Antonio Jaconi (“travesti”),

Carlo Musto (20 “travesti”), Tito Buzzo (il bruto muscoloso), Sandra Lee (la ballerina di Spoleto), Jacques Semas (il divo), Leontine von Strein (l’amante divo), Leo Coleman (il ballerino di colore), Laura

Betti (Fattrice-cantante bionda, Laura), Daniela Calvino (Daniela), Christine Denise (la signora che mangia il pollo), Riccardo Garrone

(Riccardo, il padrone di casa), Decimo Cristiani, Umberto Orsini, Sandra Tesi, Renato Mambor, Mario Conocchia, Enrico Glori, Lucia Vasilicò, Franca Pasutt; produttore: Giuseppe Amato; produttore

esecutivo: Franco Magli; segreteria di edizione: Isa Mari; direttore di produzione: Manlio M. Moretti, Nello Meniconi; ispettore di produzione: Alessandro Von Norman; segretari di produzione: Mario Basile, Mario De Biase, Osvaldo De Micheli; produzione: Riama Film (Roma), Pathé Consortium Cinéma (Paris); prima distribuzione

italiana: Cineriz; durata: 178 minuti

Le tentazioni del dottor Antonio (episodio di

Boccaccio '70) -1962 regia: Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, con la collaborazione di Brunello Rondi e Goffredo Parise; fotografìa (Technicolor): Otello martelli; operatore: Arturo Zavattini; musica: Nino Rota; scenografia: Piero Zuffi; montaggio: Leo Catozzo; interpreti: Peppino De Filippo (il dottor

Antonio Mazzuolo), Anita Ekberg (la donna del cartellone), Antonio Acqua (il commissario), Eleonora Nagy (la bambina), Dante Maggio, Donatella Della Nora (sorella del dottor Antonio), Giacomo Furia, Alfredo Rizzo, Alberto Sorrettine, Monique Berger, Polidor;

produttore: Carlo Ponti; produzione: Concordia Compagnia Cinematografica e Cineriz (Roma), Francinex e Gray Films (Paris);

prima distribuzione italiana: Cineriz; origine: Italia-Francia; visto censura: 6 febbraio 1962; durata: 60 minuti

Gli altri episodi del film sono: Renzo e Luciana di Mario Monicelli, Il lavoro di Luchino Visconti, La riffa di Vittorio De Sica.

Otto e mezzo - 1963 regia- Federico Fellini; soggetto-. Federico Fellini, Ennio Flaiano,

ideato da Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano, Brunello Rondi; fotografia: Gianni Di Venanzo; operatore: Pasquale De Santis; musica: Nino Rota; scenografia e costumi: Piero Gherardi; aiuto scenografia: Luciano Riccieri, Vito Anzalone, Orietta Nasalli Rocca; montaggio: Leo

Catozzo; aiuto regia: Guidarino Guidi, Giulio Paradisi, Francesco Aluigi; collaborazione artistica: Brunello Rondi; trucco: Otello Fava; acconciature: Renata Magnanti; fotografo di scena: Tazio Secchiaroli; segretaria di edizione: Mirella Comacchio; interpreti: Marcello Mastroianni (Guido Anseimi), Anouk Aimée (Luisa, moglie

di Guido), Sandra Milo (Carla), Claudia Cardinale (Claudia), Rossella Falk (Rossella), Barbara Steele (Gloria), Guido Alberti (Pace, il produttore), Madeleine Lebeau (l’attrice francese), Jean Rougeul (l’intellettuale), Caterina Boratto (la signora delle terme), Annibaie

Ninchi (padre di Guido), Giuditta Rissone (madre di Guido), Edra Gale (la Saraghina), Mario Conocchia (direttore di produzione),

Cesarino Miceli Picardi (ispettore di produzione), Tito Masini (il

cardinale), Mario Pisu (Mezzabotta), Jacqueline Bonbon (Yvonne, la soubrette), Jan Dallas (Maurice, il telepata), Georgia Simmons (la nonna di Guido), Edy Vessel (Edy, Indossatrice), Annie Gorassini (l’amica di Pace), Rossella Como (amica di Luisa), Gilda Dahlberg

(moglie del giornalista americano), Olimpia Cavalli (Olimpia), Hazel Rogers (la negretta), Bruno Agostini (segretario di produzione), Elisabetta Catalano (sorella di Luisa), Sebastiano De Leandro (un prete), Frazier Rippy (segretario laico del cardinale), Roberta Valli

(bambina), Èva Gioia e Dina De Santis (ragazze dell’ispettore di produzione), Roby Nicolosi (un medico delle terme), Polidor (un clown); produttori: Federico Fellini, Angelo Rizzoli; direttore di

produzione: Nello Meniconi; organizzazione generale: Clemente Fracassi, Alessandro Von Norman; ispettore di produzione: Mario Basili; segretario di produzione: Albino Morandin; produzione:

Cineriz (Roma), Francinex (Paris); prima distribuzione italiana: Cineriz; visto censura: 6 febbraio 1963; durata: 114 minuti

Giulietta degli spiriti - 1965 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli, da un’idea di Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Ennio Flaiano; collaborazione alla sceneggiatura: Brunello Rondi; fotografìa (Technicolor): Gianni Di Venanzo; operatore: Pasquale De Santis; musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina;

scenografia e costumi: Piero Gherardi; aiuto scenografo: Luciano Ricceri, E. Benazzi Taglietti, Giantito Burchiellaro; aiuto costumi: Bruna Parmesan, Alda Marussig; montaggio: Ruggero Mastroianni;

arredamento: Franco Cuppini; aiuto regia: Francesco Aluigi, Liliana Berti, Rosalba Zavoli; suono: Mario Faraoni, Mario Morici; segretario di edizione: Eschilo Tarquini; trucco: Otello Fava, Eligio Trani;

acconciature: Renata Magnanti, Marisa Fraticelli; assistente montaggio: Adriano Olasio; interpreti: Giulietta Masina (Giulietta

Boldrini), Mario Pisu (Giorgio, suo marito), Sandra Milo (Susy, Iris, Fanny), Valentina Cortese (Valentina), Caterina Boratto (madre di Giulietta), Lou Gilbert (nonno di Giulietta), Sylva Koscina (Sylva,

sorella di Giulietta), Luisa della Noce (Adele, altra sorella di Giulietta), José de Villalonga (José, il cavaliere romantico), Valeska Gert (Nhishma, la veggente), Silvana Jachino (Dolores), Fred Williams (principe arabo), Milena Vukotic (domestica di Giulietta), Genius (Genius, il medium pederasta), Dany Paris (l’amica disperata

di Susy), Alberto Plebani (“Occhio di lince", il detective del sogno), Yvonne Casadei (cameriera della corte di Susy), Mario Canocchia (l’avvocato di famiglia), Cesarino Miceli Picardi (amico di Giorgio), Felice Fulchignoni (dr. Raffaele), Lia Pistis (amica della spiaggia), Alba Cancellieri (Giulietta bambina); produttore: Angelo Rizzoli; direzione di produzione: Mario Basili, Alessandro Von Norman; organizzazione generale: Clemente Fracassi; ispettore di produzione: Walter Benelli; segretari di produzione: Renato Fié, Ennio Onorati; produzione: Federiz (Roma), Francoriz (Paris); prima distribuzione

italiana: Cineriz; origine: Italia-Francia; visto censura: 23 settembre 1965; durata: 120 minuti

Toby Dammit (episodio di Tre passi nel delirio) -1968 regia: Federico Fellini; libera riduzione dal racconto Non scommettere la testa col diavolo di Edgar Allan Poe; sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia (Technicolor­ Eastmancolor): Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota; scenografia e

costumi: Pietro Tosi; montaggio: Ruggero Mastroianni; operatore alla macchina: Giuseppe Maccari; effetti ottici: Joseph Natanson; canzone: Ruby di Mitchell Parish (parole) e Heinz Roemheld

(musica); cantante: Ray Charles; arredamento: Carlo Leva; assistenti regia: Eschilo Tarquini, Francesco Aluigi e Liliana Betti; assistenti montaggio: Adriana e Wanda Olasio; direttore di produzione:

Tommaso Sagone; interpreti: Terence Stamp (Toby Dammit), Salvo

Randone (Padre Spagna), Antonia Pietrosi (l’attrice), Polidor (un vecchio attore), Anne Tonietti (commentatrice televisiva), Fabrizio Angeli (primo regista), Ernesto Colli (secondo regista), Aleardo Ward (primo intervistatore), Paul Cooper (secondo intervistatore), Marisa

Traversi, Rick Boyd, Mimmo Poli (partecipanti alla festa), Marina Yarn (la bambina), Brigitte Qa ragazza alta due metri); organizzazione generale: Enzo Provenziale; produttori: Alberto

Grimaldi, Raymond Eger; produzione: P.EA. (Roma), Les films

Marceau (Paris), Cocinor (Paris); prima distribuzione italiana:

P.EA.; origine: Italia-Francia; visto censura: 24 luglio 1968; durata: 37 minuti

Gli altri episodi del film sono: Metzengerstein di Roger Vadim e

William Wilson di Louis Malie.

Block-notes di un regista (Fellini: A Director’s Notebook) -1969 regia: Federico Fellini; sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia: Pasquale De Santis; musica: Nino Rota; montaggio: Ruggero Mastroianni; assistente montaggio: Adriana Olasio; produttore: Peter Goldfarb; organizzazione generale: Lamberto Pippia; segretaria di edizione: Norma Giacchero; aiuto regia: Maurizio Mein, Liliana Betti; series unit manager: Joseph

Nash; direttore dei dialoghi: Christopher Cruise; dialoghi inglesi: Eugène Walter; interpreti: Federico Fellini, Giulietta Masina,

Marcello Mastroianni, Caterina Boratto, Marina Boratto, David

Maumsell, prof. Genius, Cesarino, Bernardino Zapponi, Lina Alberti (tutti nel ruolo di se stessi) e numerosi attori non professionisti; produzione: N.B.C.; origine: Usa; durata: 60 minuti

Fellini-Satyricon -1969 regia: Federico Fellini; soggetto: liberamente tratto da Petronio Arbitro; sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi;

fotografia (Technicolor-Panavision): Giuseppe Rotunno; operatore: Giuseppe Maccari; effetti ottici: Joseph Natanzon; musica: Nino Rota,

con la collaborazione di Ilhan Mimaroglu, Tod Docksader, Andrew Rudin; ideazione scenografica: Federico Fellini; scenografia: Danilo Donati, Luigi Scaccianoce; costumi e arredamenti: Danilo Donati; aiuto scenografia: Dante Ferretti, Carlo Agate; aiuto costumi: Franco Antonelli, Renzo Bronchi, Dafne Cirrocchi; consulenza per le pitture: Rino Scordia; capo reparto pitture: Italo Tornassi; architetto: Giorgio

Giovannini; montaggio: Ruggero Mastroianni; aiuto montaggio: Adriana Olasio; edizione: Enzo Ocone; segretaria di edizione: Norma

Ghiacchero; aiuto regia: Maurizio Mein; assistenti regia: Liliana

Betti, Lia Consalvo; trucco: Rino Carboni; acconciature: Luciano Vito; consulente lingua latina: Luca Canali; fotografo di scena: Mimmo Cattarinich; interpreti: Martin Potter (Encolpio), Hiram Keller (Ascilto), Max Bom (Gitone), Salvo Randone (Eumolpo), Mario Romagnoli (Trimalcione), Magali Noèl (Fortunata), Capucine (Trifena), Alain Cuny (Lica), Fanfulla (Vernacchio), Danika La Loggia (Scintilla), Giuseppe Sanvitale (Abinna), Genius (liberto arricchito), Lucia Bosé Qa matrona suicida), Joseph Wheeler (il suicida), Hylette

Adolphe (la schiavetta), Tanya Lopert (l’imperatore), Gordon Mitchell (il predone), Luigi Montefiori (Minotauro), Marcello Di Falco

(Proconsole), Elisa Mainardi (Arianna), Donyale Luna (Enotea), Carlo Giordana (il capitano della nave), Pasquale Baldassarre (l’ermafrodita), Lina Alberti (l’idolo d’oro [parte tagliata al

montaggio]); produttore: Alberto Grimaldi; direttore di produzione

generale: Enzo Provenzale; ispettori di produzione: Lamberto Pippia, Gilberto Scarpellini, Fernando Rossi; segretario di produzione: Michele Pesce; produzione: P.E A- (Roma) - Les - Productions Artistes Associés (Paris); origine: Italia-Francia; prima distribuzione italiana: P.EA.; visto censura: 3 settembre 1969; durata: 138 minuti

I clowns -1970 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia (Technicolor): Dario Di Palma; operatore: Blasco Giurato; musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina; costumi: Danilo Donati; montaggio: Ruggero Mastroianni; assistente al montaggio: Adriana Olasio; aiuto regia: Maurizio Mein; assistente regia: Liliana Betti; segretaria di edizione: Norma

Giacchero; trucco: Rino Carboni; effetti speciali: Adriano Pischiutta; acconciature: Paolo Franceschi; scenografia e arredamento: Renzo Gronchi; mixage: Alberto Bartolomei; interpreti: Liana, Rinaldo, Nando Orfei, Franco Migliorini, Anita Ekberg (loro stessi); Billi,

Scotti, Fanfulla, Reder, Valentini, Merli, Rizzo, Pistoni, Furia, Sbarra, Carini, Terzo, Vingelli, Fumagalli, Zerbinati, i 4 Colombaioni, I Martana, Maggio, Janigro, Maunsell, Peverello, Sorrentino,

Valdemaro, Bevilacqua (i clowns); Maya Morin, Lina Alberti, Alvaro Vitali, Gasparino (la troupe); Alex, Bario, Pere Loriot, Ludo, Charlie Rivel, Maiss, Nino (i clowns francesi); e con Pierre Etaix, Victor

Fratellini, Annie Fratellini, Baptiste e Tristani Rémy, Pipo e Rhum,

l’ex domatore Buglioni, il vecchio direttore di circo Hugue; produttori: Elio Scardamaglia, Ugo Guerra; direttore di produzione: Lamberto Pippia; produzione: Rai-Radio Televisione Italiana (Italia) - O.R.T.F.

(Francia) - Bavaria Film (R.F.T.) - Compagnia Leone cinematografica; origine: Italia-Francia-R.F.T.; prima distribuzione italiana: Italnoleggio; visto censura: 17 ottobre 1970; durata: 93 minuti

Roma -1972 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi ; fotografia (Technicolor): Giuseppe Maccari; aiuto operatore: Pietro Servo; assistenti operatori: Roberto Aristarco

e Michele Picciaredda; musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina; ideazione scenografica: Federico Fellini; scenografia e costumi: Danilo Donati; aiuto scenografi: Giorgio Giovannini, Ferdinando

Giovannoni; arredatore: Andrea Fantacci; assistenti costumisti: Romano Massara, Rita Giacerò; montaggio: Ruggero Mastroianni; aiuto montaggio: Adriana Olasio; assistente al montaggio: Leda Bellini; aiuto regia: Maurizio Mein; assistenti regia: Paolo Pietrangeli, Tonino Antonucci; effetti speciali: Adriano Pischiutta;

trucco: Rino Carboni; acconciature: Amalia Paoletti; segretaria di edizione: Norma Giacerò; mixage: Renato Caduer; coreografìa: Gino Landi; affreschi e ritratti: Rinaldo, Antonello e Giuliano Geleng;

interpreti: Peter Gonzales (Fellini a 18 anni), Fiona Florence (Dolores, giovane prostituta), Marne Maitland (guida alle catacombe), Britta Bernes, Pia De Doses (la principessa), Renato Giovannoli, Elisa Mainardi, Paule Riut, Paola Natale, Marcelle Ginette Bron, Mario Del Vago, Alfredo Adami, Stefano Mayore, Gudrun Mardou Khiess, Giovanni Serboli, Angela De Leo, Libero Frissi, Dante Cleri (un padre

di famiglia), Mimmo Poli (un avventore), Galliano Sbarra (presentatore avanspettacolo), Alvaro Vitali (si esibisce al Teatro Jovinelli), Norma Giacchero (intervistatrice di Mastroianni), Federico Fellini (se stesso). Sono stati intervistati: Marcello Mastroianni, Anna Magnani, Gore Vidal, John Francis Lane, Alberto Sordi; organizzazione generale: Danilo Marciani; direttore di produzione: Lamberto Pippia; ispettori di produzione: Alessandro Gori, Fernando Rossi, Alessandro Sarti; produzione: Ultra film (Roma), Les

Productions Artistes Associeés (Paris); prima distribuzione italiana: Italnoleggio; origine: Italia-Francia; durata: 119 minuti

Amarcord -1973 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra, da un’idea di Federico Fellini;/oto^rq/za (Technicolor): Giuseppe Rotunno; operatore: Giuseppe Maccari;

aiuto operatore: Massimo Di Venanzo, Roberto Aristarco; musica:

Nino Rota, diretta da Carlo Savina; ideazione scenografia: Federico Fellini; scenografia e costumi: Danilo Donati; architetto: Giorgio

Giovannini; collaboratori scenografìa: Antonello e Massimo Geleng; collaboratore costumi: Rita Giacchero, Aldo Giuliani; montaggio: Ruggero Mastroianni; aiuto montaggio: Adriana Olasio; suono: Oscar De Arcangelis; segretaria di edizione: Norma Giacchero; aiuto regia: Maurizio Mein; assistenti alla regia: Liliana Betti, Gerard Morin, Mario Garriba; trucco: Rino Carboni; effetti speciali: Adriano

Pischiutta; acconciature: Amalia Paoletti; arredamento: Andrea Fantacci; pittore scenografo: Italo Tornassi; interpreti: Bruno Zanin (Titta), Pupella Maggio (Miranda, madre di Titta), Armando Brancia (Aurelio, padre di Titta), Stefano Proietti (Oliva, fratello di Titta), Giuseppe Lanigro (nonno di Titta), Nandino Orfei (“il Pataca”, zio di Titta), Ciccio Ingrassia (Teo, lo zio matto), Carla Mora (Gina, la

cameriera), Magali Noèl (la “Gradisca”), Luigi Rossi (l’avvocato), Maria Antonella Beluzzi (la tabaccaia), Josiane Tanzilli (la “Volpina”),

Domenico Pertica (il cieco di Cantare!), Antonino Faà di Bruno (il Conte di Lovignano), Carmela Eusepi (la figlia del Conte di

Lovignano), Gennaro Ombra (Biscein), Gianfilippo Carcano (Don Baiosa), Francesco Maselli (Bongioanni, professore di scienze), Dina Adorni (signorina De Leonardis, professoressa di matematica),

Francesco Vona (Candela), Bruno Lenzi (Gigliozzi), Lino Patrono (Bobo), Armando Villella (Fighetta, professore di greco), Francesco Magno (il preside Zeus), Gianfranco Marrocco (il ragazzo conte

Pollavo), Fausto Signorotti (il vetturino Madonna), Donatella Gambini (Aldina Cordini), Fides Stagni (professoressa di belle arti),

Frodo Pistoni (Colonia), Marcello Di Falco (il Principe), Bruno

Scagnetti (Ovo), Alvaro Vitali (Naso), Ferdinando De Felice (Cicco); produttore: Franco Cristaldi; direttore di produzione: Lamberto Pippia; ispettori di produzione: Alessandro Gori, Gilberto Scarpellini; segretari di produzione: F.C. Produzioni (Roma), P.E.C.F. (Paris); prima distribuzione italiana: Dear International; origine: ItaliaFrancia; visto censura: 15 dicembre 1973; durata: 127 minuti

Il Casanova -1976 regia: Federico Fellini; soggetto: liberamente basato su Storie della mia vita di Giacomo Casanova; sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; fotografia (Technicolor): Giuseppe Rotunno;

operatore: Massimo Di Venanzo; aiuto operatore: Wolfango Soldati, Bruno Garbuglia; musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina; canzoni: La grande monna di Tonino Guerra, La mantide religiosa di Antonio Amurri, Il cacciatore di Wurtemberg di Carl A. Walken, versi in dialetto veneziano di Andrea Zanzotto; ideazione scenografica:

Federico Fellini; scenografia e costumi: Danilo Donati; aiuto costumista: Gloria Mussetta, Raimonda Gaetani, Rita Giacchero; architetto: Giantito Burchiellaro, Giorgio Giovannini; aiuto scenografo: Antonello Massimo Geleng; montaggio: Ruggero Mastroianni; aiuto montaggio: Adriana Olasio, Marcello Olasio e Ugo

De Rossi; aiuto regia: Maurizio Mein, Liliana Betti, Gerald Morin;

arredamento: Emilio D’Andria; coreografie: Gino Landi; aiuto coreografie: Mirella Agujaro; suono: Oscar De Arcangelis; aiuto suono: Franco e Massimo De Arcangelis; segreteria d’edizione: Norma Giacchero; trucco: Rino Carboni; trucco di D. Sutherland:

Giannetto De Rossi; acconciature: Vitaliana Patacca; aiuto acconciature: Gabriella Borzelli, Paolo Borzelli, Vincenzo Cardella; effetti speciali: Adriano Pischiutta; interpreti: Donald Sutherland (Giacomo Casanova), Tina Aumont (Henriette), Cicely Browne (la

marchesa d’Urfé), Carmen Scarpitta e Diane Kourys (le signore Charpillon), Clara Algranti (Marcolina), Daniela Gatti (Giselda),

Margareth Clementi (Suor Maddalena), Mario Cencelli (dr. Mobius, l’entomologo), Olimpia Carlisi (Isabella, figlia dell’entomologo), Silvana Fusacchia (altra figlia dell’entomologo), Chesty Morgan

(Barberina), Adele Angela Lojodice (la bambola meccanica), Sandra Eiaine Alien (la gigantessa), Clarissa Maryè Roll (Anna Maria), Alessandra Belloni (la principessa), Marika Rivera (Astrodi), Angelica

Hansen (attrice gobba), Marjorie Belle (contessa di Waldestein), Marie Marquet (madre di Casanova), Daniel Emilfork-Berenstein (Du Bois), Luigi Zerbinati (il Papa); produttore: Alberto Grimaldi; organizzazione generale: Giorgio Morra; direttore di produzione: Lamberto Pippia; assistenti alla produzione: Alessandro Von

Normann, Maria di Biase; segretari di produzione: Titti Pesaro,

Luciano Bonomi; produzione: PEA; origine: Italia; prima distribuzione italiana: Titanus; visto censura: 1 dicembre 1976; durata 170 minuti

Prova d’orchestra -1979 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini; sceneggiatura:

Federico Fellini, con la collaborazione di Brunello Rondi; fotografia

(Technicolor): Giuseppe Rotunno; musica: Nino Rota, diretta da Carlo Savina; scenografia: Dante Ferretti; arredamento: Nazzareno

Piana; montaggio: Ruggero Mastroianni; assistente montaggio: Adriana Olasio; effetti speciali: Adriano Pischiutta; costumi: Gabriella Pescucci; aiuto regia: Maurizio Mein; assistenti regia: Christa Reeh, Giovanna Bentivoglio; consulente musicale: Carlo Savina; operatore

alla macchina: Gianni Fiore; direttore di doppiaggio: Carlo fiaccarmi; interpreti: Baldwin Baas (il direttore d’orchestra), Clara Colosimo (l’arpista), Elisabeth Labi (la pianista), Ronaldo Bonacchi (il controfagotto), Ferdinando Villella (il violoncello), Giovanni Javarone (la tuba), David Mauhsell (il primo violino), Francesco Aluigi (il

secondo violino), Andy Miller (l’oboe), Sibyl Mostert (la flautista), Franco Mazzieri (la tromba), Daniele Pagani (il trombone), Luigi Uzzo

(il violino), Cesare Martignoni (il clarinetto), Umberto Zuanelli (il copista), Filippo Trincia (il responsabile dell’orchestra), Claudio Ciocca (il sindacalista), Angelica Hansen e Heinz Kreuger (violini), Federico Fellini (la voce dell’intervistatore); organizzazione generale: Lamberto Pippia; delegato Rai alla produzione: Fabio Storelli; produzione: Daime Cinematografica S.p.A. e Rai-Tv (Roma), Albatros

Produktion G.M.B.H. (Monaco); origine: Italia-R.F.T.; prima distribuzione italiana: Gaumont-Italia; visto censura: 19 febbraio 1979; durata: 70 minuti

La città delle donne - 1980 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Bernardino Zapponi; collaboratore alla sceneggiatura: Brunello Rondi; fotografia (Technovision - Colore): Giuseppe Rotunno;

operatore alla macchina: Gianni Fiore; musica: Luis Bacalov, diretta da Gianfranco Plenizio; canzoni: Una donna senza uomo è (parole e

musica: Mary Francolao), Donna addio (versi: Antonio Amurri); balletto: Mirella Aguiaro; consulente coreografie: Leonetta Bentivoglio; ideazione scenografica: Federico Fellini; scenografia: Dante Ferretti; assistente scenografia: Claude Chevant; architetto: Giorgio Giovannini; arredamento: Bruno Cesari, Carlo Gervasi; scenotecnico: Italo Tornassi; aiuto architetto: Nazzareno Piana;

sculture: Giovanni Chianese; pitture e affreschi: Rinaldo e Giuliano Geleng; costumi: Gabriella Pescucci; aiuto costumi: Maurizio Millenotti, Marcella De Marchis; abiti di Mastroianni: Piattelli; aiuto

regia: Maurizio Mein; assistenti regia: Giovanni Bentivoglio, Franco Amurri; aiuto regia 2a unità: Jean-Louis Godfroy; effetti speciali:

Adriano Pischiutta; suono: Tommaso Quattrini, Pierre Paul Marie Lorrain; trucco: Rino Carboni; montaggio: Ruggero Mastroianni; assistente montaggio: Bruno Sarandrea, Roberto Puglisi; aiuto

montaggio: Adriana Olasio; interpreti: Marcello Mastroianni (Snàporaz), Anna Prucnal (sua moglie), Bernice Stegers (la signora

del treno), Ettore Manni (dr. Sante Katzone), Iole Silvani (la motociclista-contadina grassa), Donatella Damiani (Donatella, la soubrettina), Fiammetta Baralla (“Ollio”), Helene G. Calzarelli,

Catherine Carrel, Marcello Di Falco (omosessuale alla festa Katzone), Silvana Fusacchia, Gabriella Giogelli (la pescivendola), Dominique Labourier, Stephane Emilfork, Sylvie Mayer, Meerberger Nahyr,

Sibilla Sedat, Katren Gebelein, Alessandra Panelli (massaia con bimbo in braccio), Nadia Vasil, Loredana Solfizi, Fiorella Molinari, Rosaria

Tafuri (Sara, seconda soubrettina), Sylvie Wacrenier, Carla Terlizzi (una femminista), Jill e Viviane Lucas (le gemelle), Mara Ciukleva (la

vecchia signora di 85 anni), Mimmo Poli (partecipa alla festa di Katzone), Nello Pazzafini (compare nella scena finale dello stadio),

Armando Paracino, Umberto Zuanelli e Pietro Fumagalli (i tre vecchi maghi nella sequenza dei ricordi); produttore esecutivo: Franco Rossellini; organizzazione generale: Lamberto Pippia; direzione di produzione: Francesco Orefici; direzione produzione 2a unità: Philippe Lorain Bernard; produzione: Opera Film Produzione (Roma), Gaumont (Paris); distribuzione italiana: Gaumont-Italia;

origine: Italia-Francia; visto censura: 27 marzo 1980; durata: 145

minuti

E la nave va - 1983 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra (testi delle opere liriche di Andrea Zanzotto); fotografia (Technicolor): Giuseppe Rotunno; operatore alle

macchine: Gianni Fiore; assistenti operatori: Gian Maria Majorana, Luigi Bernardini; musica: Gianfranco Plenizio (diretta dall’autore); orchestra e coro: Rai Radiotelevisione italiana; maestro del coro: Ines Meisters; maestro collaboratore: Elvio Monti; scenografìa: Dante Ferretti; costumi: Maurizio Millenotti; assistente ai costumi: Barbara Mastroianni; coreografia: Leonetta Bentivoglio; architetti: Nazzareno

Piana, Massimo Razzi; arredamento: Massimo Tavazzi, Francesco Lo Schiavo: pitture e affreschi: Rinaldo e Giuliano Geleng; pittore scenografo: Italo Tornassi; scultore: Giovanni Gianese; effetti: Adriano Pischiutta; montaggio: Ruggero Mastroianni; assistenti al

montaggio: Adriana Olasio, Leda Bellini, Rosanna Landi; aiuto regia: Giovanni Arduino; assistente alla regia: Andrea De Carlo; interpreti: Freddie Jones (Orlando), Barbara Jefford (Ildebranda Cuffari), Victor

Poletti (Aureliano Fuciletto), Peter Cellier (Sir Reginald Dongvy), Elisa Mainardi (Teresa Valegnani), Norma West (Lady Violet Dongby), Paolo Paoloni (il maestro Albertini), Sara Jane Varley

(Dorotea), Fiorenzo Serra (il Granduca di Harzock), Pina Bausch (la principessa Lherimia), Pasquale Zito (il conte di Bassano), Janet Suzman (Edmea Tetua), Linda Polan (Ines Ruffo Saltini), Philip

Loche (Primo ministro), Jonathan Cecil (Ricotin), Maurice Barrier (Ziloev), Fred Williams (Sebastiano Lepori), Elizabeth Kaza (Produttrice); cantanti: Mara Zampieri (Ildebranda Cuffari), Elizabet

Norberg Schulxz (Ines Ruffo Saltini e Primo Soprano serbo), Nucci Condò (Teresa Valegnani), Giovanni Bavaglio (Aureliano Fuciletto), Carlo Di Giacomo (Sabatino Lepori), Boris Carmeli (Ziloev),

Bernadette Lucarfini (Secondo Soprano serbo), Bruno Beccaria (Tenore serbo); segretaria di edizione: Norma Giaccero; direttore di produzione: Lucio Orlandini; produzione: Rai Radiotelevisione e Vides Produzione (Italia), Gaumont (Francia); teatri di posa: Cinecittà; origine: Italia-Francia; troupe francese: Catherine Breillat

(sceneggiatore), Therry Nahon (aiuto regia), George Dybman (direttore di produzione), Willy Rahau (ispettore di produzione); adattamento dialoghi italiani: Roberto De Leonardis; visto censura:

31 ottobre 1983; durata: 132 minuti

Ginger e Fred - 1985 regia: Federico Fellini; soggetto: Federico Fellini, Tonino Guerra;

sceneggiatura: Federico Fellini, Tonino Guerra, Tullio Pinelli; fotografia (Colore): Tonino Colli, Ennio Guarnieri; operatori macchina: Aldo Marchiori, Carlo Tafani, Giovanni Fiore; assistenti

operatori: Gianfranco Torinti, Antonio Scaramuzza, Marco Sperduti, Luca Luparini; musica: Nicola Piovani, diretta dall’autore; scenografia: Dante Ferretti; assistente scenografo: Franco Ceraolo; effetti speciali: Adriano Pischiutta; costumi: Danilo Donati; arredatore: Gian Franco Fumagalli; architetto: Nazzareno Piana; assistente costumi: Rosanna Andreoni; pitture: Rinaldo e Giuliano

Geleng; coreografo: Tony Ventura; montaggio: Nino Baragli, Ugo De Rossi, Ruggero Mastroianni; assistente montaggio: Marcello Olasio; segretaria di edizione: Norma Del Pace Giacchero; aiuto regia: Gianni Arduini; assistente regia: Filippo Ascione, Daniela Barbiani, Eugenio Cappuccio, Anke Zindler; capo truccatore: Rino Carboni; truccatore: Alfredo Tiberi; parrucchieri: Aldo Signorelli, Rosa

Luciani, Giancarlo Marin; produttore: Alberto Grimaldi; organizzazione generale: Luigi Millozza; direttore di produzione: Walter Massi, Gianfranco Coduti, Roberto Mannoni, Raymond

Leplont; ispettori di produzione: Tullio Lullo, Fernando Rossi, Vieti Spadoni, Franco Marino; segretari di produzione: Alessandro Mancini, Lyda Garozzo, Carla Ferroni, Maurizio Pigna, Filippo Spoletini, Marcello Mancini; direttore del doppiaggio: Mario Maldesi; mixage: Fausto Ancillai; interpreti: Giulietta Masina (Ginger), Marcello Mastroianni (Fred), Franco Fabrizi (presentatore), Frederick Ledenburg (ammiraglio), Augusto Poderosi (travestito),

Martin Maria Blau (aiuto regista), Jacques Henri Lartigue (frate volante), Toto Mignone (Toto), Ezio Marano (intellettuale), Antoine Saint Jean (assistente), Frederick Thun (sequestrato), Antonio Lorio

(ispettore tv), Barbara Scoppa (giornalista), Elisabetta Flumeri (giornalista), Salvatore Bilia (Clark Gable), Ginestra Spinola (madre voci trapassati), Stefania Marini (segretaria tv), Francesco Casale

(mafioso), Gianfranco Casale (mafioso), Gianfranco Alpestre (avvocato), Filippo Ascione (pianista), Elena Cantatone (infermiera), Cosimo Chiusoli (moglie spretato), Claudio Ciocca (cameraman),

Sergio Ciulli (figlio voci trapassati), Federica Paccosi (ballerina), Alessandro Partexano (marinaio), Tiziana Bucarella (fotografìa),

Leonardo Petrillo (Marcel Proust), Renato Grilli (Franz Kafka), Daniele Aldrovandi (Marty Feldmann), Barbara Montanari (Bette Davis), Barbara Golinska (Marlene Dietrich), Luigi Duca (Adriano

Celentano), Eolo Capritti (Kojak); produzione: Pea (Roma), Revcom

Films in associazione con Les Film in associazione con Anthea (Miinchen), in collaborazione con Rai Uno; teatro di posa: Cinecittà; distribuzione intemazionale: Sacis; distribuzione italiana: Istituto Luce, Italnoleggio Cinematografico; origine: Italia-Francia-R.F.T:; visto censura: 30 ottobre 1985; durata: 125 minuti

Intervista -1987 regia: Federico Fellini; soggetto e sceneggiatura: Federico Fellini; collaborazione alla sceneggiatura: Gianfranco Angelucci; fotografia (Eastmancolor - Dolby stereo): Tonino Delli Colli; musica: Nicola

Piovani, con un omaggio a Nino Rota; registrazione musica: Dolby Spectar Recording; scenografia e costumi: Danilo Donati; montaggio: Nino Baragli; assistenti alla regia: Daniela Barbiani e

Filippo Ascione; collaborazione al casting: Fiammetta Profili; segretaria di edizione: Norma Giacchero Del Pace; direttore del doppiaggio: Carlo fiaccarmi; effetti sonori: Luciano e Massimo Anzelotti; fonico di mixage: Romano Pamaloni; interpreti: Federico Fellini (se stesso), Sergio Rubini (il giornalista), Paola Liguori (la

diva), Maurizio Mein (assistente alla regia), Nadia Ottaviani (la vestale), Lara Wendel (la sposa), Antonella Ponziani (la ragazza), Pietro Notarianni (il gerarca fascista), Anita Ekberg (se stessa), Marcello Mastroianni (se stesso), Maria Teresa Battaglia, Antonio Cantafora, Roberta Cariucci, Ettore Gerì, Èva Grimaldi, Armando

Marra, Lionello Pio di Savoia, Germana Dominici, Adriana Pacchetti, Mario Miyakawa, Patrizia Sacchi, Antonello Zanini, “Il Chiodo” e tutta la troupe del film; organizzazione generale: Gino Millozza; direttore di produzione: Roberto Mannoni; produttore esecutivo: Pietro Notarianni; produttore associato: Fernlyn; supervisore alla produzione: Michele Janczreck; post produzione: Lillo Capoano; delegato alla produzione Rai: Silvio Specchio; segretario di produzione: Mario Mearelli; produzione: Aljosha Productions (Ibrahim Moussa), in collaborazione con Cinecittà e Rai Uno; origine:

Italia-Francia; prima distribuzione italiana: Academy; durata: 113

minuti

La voce della Luna - 1990 regia: Federico Fellini; soggetto: liberamente ispirato al romanzo II poema dei lunatici di Ermanno Cavazzoni; sceneggiatura: Federico

Fellini; collaboratori alla sceneggiatura: Tulli Pinelli e Ermanno Cavazzoni; fotografìa (Technicolor): Tonino Delli Colli; tecnico del colore: Carlo La Bella; musica: Nicola Piovani; scenografia: Dante

Ferretti; costumi: Maurizio Millenotti; assistenti costumisti: Alfonsina Lettieri, Carlo Poggioli; montaggio: Nino Baragli; aiuto regia: Gianni Arduini; assistenti alla regia: Daniela Barbiani, Marco

Polimeni; operatore di macchina: Marco Spelduti; aiuto operatore: Massimo Intoppa, Roberto De Franceschi; primo Architetto: Massimo Razzi; architetto: Nazzareno Piana; arredatore: Francesco Lo Schiavo; coreografia: Mirella Aguyaro; fonico: Tommaso

Quattrini; edizione: Lillo Capuano; interpreti: Roberto Benigni (Ivo Salvini), Paolo Villaggio (il prefetto Gonnella), Nadia Ottaviani

(Aldina Ferruzzi), Marisa Tornasi (Marisa, ‘la vaporiera”), Sim (l’oboista), Syusy Blady (la sorella di Aldina), Angelo Orlando (Nestore), Dario Ghiradi (il giornalista), Dominique Chevalier (Tazio, primo fratello Micheluzzi), Nigel Harris (Giuanin, secondo fratello Micheluzzi), Vito (terzo fratello Micheluzzi), Eraldo Turra (l’avvocato), Giordano Falzoni (il professore), Ferruccio Brembilla (il

medico), Giovanni Javarone (il becchino), Lorose Keller (la duchessa), Patrizio Roversi (il figlio del prefetto Gonnella), Uta Schmidt (la nonna), Stefano Antonucci; produttori esecutivi: Bruno Altissimi e

Claudio Saraceni; direttore di produzione: Roberto Mannoni; organizzazione generale: Pietro Notarianni, Maurizio Pastrovich; ispettore di produzione: Piero Spadoni, Nicola Mastrolilli; produzione: Mario e Vittorio Cecchi Gori, per la C.G. Group Tiger Cinematografica e la Cinemax, con la collaborazione della RaiRadiotelevisione italiana; teatri di posa: Stabilimenti Cinematografici Pontini SpA; distribuzione: Penta Distribuzione; origine: Italia-

Francia; visto censura: 1 febbraio 1990; durata 118 minuti

Pubblicità

Campari Filmetto pubblicitario per la soc. Campari: “Oh, che bel paesaggio!” regia: Federico Fellini; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia: Dante Ferretti; musica: Rumbetta del trenino di Nicola Piovani; montaggio: Ugo De Rossi; interpreti: Silvia Dionisio, Vittorio Potetti,

Antonella Barchiesi; produzione: Giulio Romieri per Brw & Partners; durata: imoos; Italia, 1984

Barilla Alta società rigatoni regia: Federico Fellini; fotografia: Ennio Guarnieri; scenografia:

Danilo Donati; musica: Nino Rota; montaggio: Ugo De Rossi, Anna Amedei; interpreti: Greta Vaian, Maurizio Mauri; produzione:

Fabrizio Capucci per International Cbn; durata: 33s / imoos; Italia, 1986

Banca di Roma Sogno della galleria

regia: Federico Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografìa: Antonello Geleng; musica: Nicola Piovani; montaggio: Nino Baragli; interpreti: Paolo Villaggio, Fernando Rey; produzione: Roberto Mannoni per Filmmaster; durata: 2mO9s; Italia, 1992

Sogno del leone in cantina regia: Federico Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Antonello Geleng; musica: Nicola Piovani; montaggio:

Nino Baragli; interpreti: Paolo Villaggio, Fernando Rey, Ellen Rossi Stuart; produzione: Roberto Mannoni per Filmmaster; durata: 2mios; Italia, 1992

Sogno del “déjeuner sur l’herbe” regia: Federico Fellini; fotografia: Giuseppe Rotunno; scenografia: Antonello Geleng; musica: Nicola Piovani; montaggio:

Nino Baragli; interpreti: Paolo Villaggio, Fernando Rey, Anna Falchi; produzione: Roberto Mannoni per Filmmaster; durata: imsis; Italia, 1992

Soggetti, sceneggiature e collaborazioni varie 1939 Lo vedi come sei... Lo vedi come sei?!

Fellini, non accreditato, partecipa al film in qualità di “gagman”.

Regia: Mario Mattoli; Soggetto: Anacleto Francini (Bel Ami); Sceneggiatura: Vittorio Metz, Stefano Vanzina (Steno), Mario Mattoli; Fotografia: Ugo Lombardi; Musica: Vittorio Mascheroni,

Luigi Spaggiari (Giari); Montaggio: Fernando Tropea; Scenografia:

Piero Filippone; Arredamento: Mario Rappini; Direttore di produzione: Piero Cocco; Organizzazione generale: Eugenio Fontana; Aiuto regia: Stefano Vanzina (Steno); Assistente alla regia:

Paolo Moffa; Operatore: Guglielmo Lombardi; Fonico: Giovanni Bianchi; Interpreti: Erminio Macario: Michelino Bernisconi, Franca Cioeta: Rosetta, Amleto Filippi: Michelino Bernisconi, Enzo Biliotti: il

notaio Cassetta, Lina Tartara Minora: Adelaide, Greta Gonda: Emily, Carlo Rizzo: il piazzista, Carlo Campanini: il postino, Guglielmo Barnabò: lo zio Sofia, Armando Migliati: l’imbonitore al luna park e arbitro sul ring, Nino Marchesini: il banditore d’asta, Luigi Erminio D’Olivo: l’impresario, Nino Eller: l’aiutante genovese dell’impresario,

Federico Collino: il proprietario del ristorante, Alfredo Rizzo: l’uomo della mosca nel piatto, Augusto Di Giovanni: Giovanni Mazzocchi il puglie sfidante, Giorgio Capecchi: il gioielliere, Eduardo Passarelli: il

bigliettaio alla stazione, Emilio Petacci: il portiere d’albergo, Riccardo Cassano: il maestro di piano, Alfredo De Antoni: John McFergusson il maggiordomo, Mario Ersanilli: Lionel Smith il notaio, Ori

Monteverdi: la segretaria notaio Cassetta, Vinicio Sofìa: il sindaco del paese; Anno: 1939; Durata: 73 min.; Produzione: Eugenio Fontana per l’Alfa Film; Distribuzione: C.LN.F.

1940 Non me lo dire!

Fellini, non accreditato, partecipa al film in qualità di “gagman”.

Regia: Mario Mattoli; Soggetto: Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Stefano Vanzina (Steno); Sceneggiatura: Mario Mattoli, Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Stefano Vanzina (Steno); Fotografia: Aldo

Tonti; Musica: Giovanni Fusco; Canzoni: Cesare A. Bixio; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografìa: Piero Filippone; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Mario Rappini; Operatore: Giovanni Vitrotti; Assistente operatore: Franco Vitrotti; Direttore di produzione: Eugenio Fontana; Fonico: Franco Croci; interpreti: Erminio Macario: Michele Colombelli visconte di Castel Perrone detto Jimmy; Vanda Osiri: Priscilla; Silvana Jachino: Luisella; Enzo Biliotti: il

maggiordomo Battista; Tino Scotti: il matto; Guglielmo Barnabò: l’organizzatore dei giochi di società; Nino Pavese: Joe l’autista; Luigi Erminio D’Olivo: il capo cameriere; Cesare Fantoni: il proprietario

della “Casa della comodità” Vinicio Sofìa: il cliente che si fa lucidare le

scarpe; Guglielmo Sinaz: primo falso creditore; Lino (o Armando) Furiai: terzo falso creditore; Pina Gailini: la madre di Luisella; Giulio

Gattiferri; Nino Marchetti: impiegato Casa della comodità; Ciro Berardi: il proprietario del “Caffè dei cacciatori”; Carlo Rizzo: primo medico; Emilio Brunetta: il benzinaio; Nino Marchesini: un cliente del negozio di elettrodomestici; Livia Minelli: la cliente che rimane in sottoveste; Anno: 1940; Durata: 75 min; Produzione: Liborio Capitani

per la Capitani Film; Distribuzione: E.N.I.C. Il pirata sono io! (gagman)

Fellini, non accreditato, partecipa al film in qualità di “gagman”.

Regia: Mario Mattoli; Soggetto: Mario Mattali; Sceneggiatura: Mario Mattoli, Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Stefano Vanzina (Steno); Dialoghi: Mario Mattoli, Vittorio Metz, Marcello Marchesi, Stefano Vanzina (Steno); Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Giovanni

Fusco; Canzoni: “Macariolita” e “Terra Lontana” cantate da Carlo Moreno e Macario, “Coretto dei Pirati” di Cesare A. Bixio e B. Cherubini; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Piero

Filippone; Arredamento: Mario Rappini; Costumi: Mario Rappini; Direttore di produzione: Eugenio Fontana; Aiuto regia: Marcello Marchesi, Stefano Vanzina (Steno); Operatore: Beniamino Fossati;

Anno: 1940; Durata:J5 min; Produzione: Liborio Capitani per la Capitani Film; Distribuzione: E.N.I.C.

Avanti c’è posto... Regia: Mario Bonnard; Soggetto: Aldo Fabrizi, Piero Teliini, Cesare

Zavattini; Sceneggiatura: Aldo Fabrizi, Piero Teliini, con la collaborazione di Federico Fellini e Mario Bonnard; Fotografia: Vincenzo Seratrice; Musica: Giulio Bonnard; Montaggio: Maria Rosada; Scenografia: Gianna Sarazani; Arredamento: Vittorio Nino

Novarese; Direttore di produzione: Teofilo Mariani; Aiuto regia: Vittorio Nino Novarese; Assistente alla regia: Augusto Cavicchia, Gastone Bartolucci; Fonico: Arrigo Usigli; Ispettore di produzione:

Giorgio Papi; Interpreti: Aldo Fabrizi: Cesare Montani; Andrea Checchi: Bruno Bellini; Adriana Benetti: Rosella; Virgilio Riento: il controllore; Carlo Micheluzzi: Angelo Pandolin; Jone Morino: la

signora svanita; Pina Gailini: la padrona di Rosella; Gioconda Stari: Teresa; Arturo Bragaglia: Tullio; Walda Capodaglio: la signora Camilla; Vinicio Sofia: il portiere dell’albergo Pace; Anna Maria Zuti; Giuseppe Ciabattini; Olga Capri; Anno: 1942; Durata: 82 min;

Produzione: Giuseppe Amato per la Cines; Distribuzione: E.N.I.C. I cavalieri del deserto (Gli ultimi tuareg) (film non terminato) Regia: Gino Talamo, Osvaldo Valenti; Soggetto: da un romanzo di

Emilio Salgari; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tito Silvio Mursino (Vittorio Mussolini), Osvaldo Valenti; Fotografìa: Angelo Jannarelli; Scenografia: Virgilio Marchi; Musica: Renzo Rossellini; Direttore di

produzione: Luigi Giacosi; Interpreti: Osvaldo Valenti: il capitano Serra; Luisa Fenda: el-Burnì; Luigi Pavese; Guido Celano; Pino Camera; Piero Lulli; Erminio Spalla

Documento Z 3

Regia: Alfredo Guarini; Soggetto: da un’idea di Corrado Sofia; Sceneggiatura: Sandro De Feo, Alfredo Guarini, Ercole Patti, Piero Tellini (non accreditato), Federico Fellini (non accreditato);

Fotografia: Gabor Pogany; Musica: Eugenio Steccanella; Montaggio: Dolores Tamburini; Scenografia: Boris Bilinsky; Assistente scenografia: Angelo Zagame; Direttore di produzione: Giorgio

Genesi; Ispettore di produzione: Alessandro Befani; Aiuta regia: Vico Perroni; Assistente operatore: Marcello Gatti; Isa Miranda: Sandra Merini; Claudio Gora: Paolo Sullich; Luis Hurtado: Ivan Petrov commissario sovietico; Guglielmo Barnabò: Kavelic capo dei servizio

segreto iugoslavo; Tina Lattanzi: la Semenoff; Carlo Tamberlani; Aroldo Tieri; Amedeo Trilli: un ufficiale iugoslavo; Nicola Timofejev;

Anno: 1942; Durata: 85 min; Produzione: Artisti Associati; Distribuzione: Artisti Associati Quarta pagina (soggetto e sceneggiatura)

Regia: Nicola Manzari, Direzione artistica e tecnica: Domenico M. Gambino, Soggetto: Piero Tellini, Federico Fellini; Sceneggiatura:

Edoardo Anton, Ugo Betti, Federico Fellini, Nicola Manzari, Spiro Manzari, Giuseppe Marotta, Ottavio Poggi, Gianni Puccini, Piero Tellini, Stefano Vanzina (Steno), Cesare Zavattini; Fotografia:

Giorgio Orsini, Renato Del Frate; Musica: Alessandro Drevitsky, Alessandro Cicognini; Montaggio: Fernando Tropea; Scenografia: Piero Tosi; Arredamento: Arrigo Equini; Direttore di produzione:

Giulio Fabris; Organizzazione generale: cav. Magliano; Interpreti: Claudio Gora: l’avvocato; Valentina Cortese: Valentina la sua segretaria; Paola Barbara: l’impiegata del banco del lotto; Bella

Starace Sainati: sua madre; Gino Cervi: il pregiudicato ex-detenuto; Sergio Tofano: il professore naturalista; Lina Bacci: sua sorella; Ruggero Ruggeri: l’impiegato di banca ladro; Oretta Fiume: sua figlia

educanda in un collegio; Armando Falconi: il nobile decaduto; Annibaie Betrone: il suo maggiordomo; Memo Benassi: il pazzo; Elena Altieri: sua moglie; Camillo Pilotto: il vinaio; Pina Renzi: sua moglie; Vera Worth: la dattilografa; Giuseppe Zago: il capo ufficio pignolo; Domenico M. Gambino; Luigi Abiurante; Amelia Chellini;

Giovanni Grasso; Giacomo Moschini; Giulio Stivai; Guglielmo Sinaz; Alessandra Adari; Elvira Betrone; Luciana Danieli; Lori Randi; Tina Santi; Anno: 1942; Durata: 90 min; Produzione: I.NA..C. / Cervinia;

Distribuzione: Rex Film 4 passi fra le nuvole Regia: Alessandro Blasetti; Soggetto: Cesare Zavattini, Piero Tellini; Adattamento: Giuseppe Amato; Sceneggiatura: Aldo De

Benedetti, Giuseppe Amato, Alessandro Blasetti, Cesare Zavattini; Federico Fellini (collaborazione alla sceneggiatura, non firmata); Fotografia: Vaclav Vich, Musica: Alessandro Cicognini; Montaggio:

Mario Serandrei; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento:

Ferdinando Ruffo; Costumi: Emma Calderini; Direttore di produzione: Jacopo Comin; Aiuto regia: Lionello De Felice;

Assistente alla regia: Amleto Pannocchia; Fonico: Umberto Picistrelli; Interpreti: Gino Cervi: Paolo Bianchi; Giuditta Rissone: Clara sua moglie; Adriana Benetti: Maria; Guido Celano: Pasquale suo fratello; M Giacinto Molteni: il nonno Matteo; Aldo Sivani: Luca il padre di Maria; Margherita Seglin: Luisa la madre di Maria; Carlo Romano: Antonio l’autista della corriera; Mario Siletti: il fattorino

della corriera; Gildo Bocci: il contadino sulla corriera; Lauro Gazzolo: il controllore sul treno; Enrico Viarisio: Magnaschi rappresentante

farmaceutico; Umberto Sacripante: Francesco il girovago; Silvio

Bagolini: suonatore di tromba sulla corriera; Pina Galiini: signora Clelia; Luciano Manara: il settentrionale sulla corriera; Arturo Bragaglia: il viaggiatore nervoso sulla corriera; Armando Migliali: Sor Antonio il capostazione; Ada Colangeli: Anna contadina; Aristide Garbini: Giovanni il benzinaio; Paolo Bonecchi: altro viaggiatore; Anno: 1942; Durata: 94 min; Produzione: Giuseppe Amato per la Cines; Distribuzione: E.N.I.C.

1943 Campo de’ Fiori Regia: Mario Bonnard; Soggetto: Marino Girolami

nell’adattamento cinematografico di Aldo Fabrizi, Federico Fellini, Tullio Pinelli; Sceneggiatura: Mario Bonnard; Fotografia: Giuseppe

La Torre; Musica: Giulio Bonnard; Montaggio: Gino Talamo; Scenografia: Giovanni Sarazani; Arredamento: Ferdinando Russo; Direttore di produzione: Teofilo Mariani; Aiuta regia: Gastone

Bartolucci, Augusto Cavicchia; Assistente alla regia: Aldo Rossi; Ispettore di produzione: Amedeo Tartarone; Trucco: Giuseppe

Annunziata; Fonico: Vittorio Trentino; Interpreti: Aldo Fabrizi; Peppino Corradini; Caterina Boratto: Elsa; Peppino De Filippo: Aurelio; Anna Magnani: Elide; Olga Solbelli: Olga; Cristiano Cristiani:

il piccolo Carletto; Rina Francetti: Rosa; Guido Morisi: Giorgio; Ciro Berardi: sor Eugenio; Pina Piovani: una popolana ai mercati generali; Checco Rissone: Giovanni; Gorella Gori: la balia; Guglielmo Barnabò:

il signore grasso sul treno: Giulio Cali: l’uomo che chiede le alicette; Olga Vittoria Gentili: giocatore al tavolo di baccarat; Enrico Luzi: giocatore al tavolo di baccarat; Alfredo Martinelli: giocatore al tavolo

di baccarat: Luana Lori: la domestica veneta al mercato; Gioconda Stary: la domestica del nuovo appartamento; Olga Capri: sora Peppa la portiera; Lia Campomori: la suora del carcere; Saro Urzì; Anno: 1943; Durata: 95 min; Produzione: Giuseppe Amato per la Cines; Distribuzione: E.N.I.C.

Chi l’ha visto? - (soggetto e sceneggiatura) Regia: Goffredo Alessandrini; Soggetto: Federico Fellini, Piero Tellini; Sceneggiatura: Federico Fellini, Piero Tellini; Fotografia: Domenico Scala; Musica: Gino Filippini; Montaggio: Mario

Serandrei; Scenografia: Ottavio Scotti; Arredamento: Cesare Pavani; Costumi: Gino C. Sensani; Direttore di produzione: Antonio Rossi; Aiuto regia: Sergio Grieco; Fonico: Giovanni Bianchi; Interpreti:

Virgilio Riento: Emilio; Carlo Campanini: Gigetto; Valentina Cortese: Luisella; Ada Dondini: la zia di Luisella; Alberto Sordi: un idraulico;

Dina Perbellini; Pina Renzi; Giovanni Grasso; Tino Scotti; Aroldo Tieri; Giacinto Molteni; Guglielmo Sinaz; Anno: 1945; Durata: 81 min; Produzione: Generalcine/ICAR; Distribuzione: Generalcine

L’ultima carrozzella Regia: Mario Mattoli; Soggetto: Aldo Fabrizi; Sceneggiatura: Aldo

Fabrizi, Federico Fellini; Fotografia: Tino Santoni; Musica: Mario

Ruccione; Canzoni: Mario Ruccione; Montaggio: Fernando Tropea; Scenografia: Piero Filippone; Arredamento: Mario Rappini;

Direttore di produzione: Teofìlo Mariani; Ispettore di produzione: Arturo Galvani; Aiuta regia: Leo Catozzo; Fonico: Giovanni Paris; Interpreti: Aldo Fabrizi: Antonio Urbani detto “Tota” vetturino; Anna Magnani: Mary Dunchetti canzonettista; Anita Durante: Adele la moglie di Tota; Elide Spada: Nannarella la figlia di Tota e Adele; Enzo Fiermonte: Roberto Pinelli autista; Aristide Garbini: Pasquale suo padre; Lauro Gazzolo: Andrea il portiere; Tino Scotti: Valentino Doriani comico; Nando Bruno: Augusto Palletta vetturino; Leopoldo Valentini: Ottone Roncucci detto “Paradiso” stalliere; Oreste Fares:

medico; Marina Doge: amica Nannarella; Olga Solbelli: la padrona della pensione “Flora”; Vittorio Cuomo: Filippo il padrone

dell’osteria; Renato Mariani: un signore sul treno; Gustavo Cacini: il

vagabondo; Carlo lantaffi: un tassinaro; Ciro Berardi: Oreste Nardi il fattore, Mario Ruccione: il maestro di musica; Romolo Balzani: il

cantante di varietà; Greta Kaiser: Ivy ballerina; Paolo Ferrara: il signore che truffa all’ippodromo; Guido Verdiani: il commissario; Giacinto Molteni: il pretore; Corrado Racca: avvocato parte civile;

Amleto Patroni: il pubblico ministero; Emilio Baldanello: avvocato

difensore; Giulio Battiferri: un vetturino; Tota Mignone: un signore al processo; Pasquale Fasciano: un detenuto; Alberto Sorrentino: un passante che vuole salire sulla carrozzella; Anno: 1943; Durata: 88 min; Produzione: Artisti Associati /Continentalcine; Distribuzione: Artisti Associati

1944 Tutta la città canta

Regia: Riccardo Freda; Soggetto: Riccardo Freda, Stefano Vanzina (Steno), Marcello Marchesi, Vittorio Metz, Federico Fellini (non accreditato); Sceneggiatura: Riccardo Freda, Stefano Vanzina (Steno), Marcello Marchesi, Vittorio Metz; Fotografia: Tony Frenguelli; Musica: Giovanni D’Anzi, Oscar De Mejo, Gino Filippini,

Gomi Kramer; Canzoni: “Altalena d’amore”, “Tutta la città canta” e “6 x 6” di Kramer-Marchesi; Montaggio: Riccardo Freda; Scenografia:

Savino Fino; Costumi: Angela Freda; Direttore di produzione: Bruno Bolognesi; Interpreti: Nino Taranto: il maestro elementare; Nanda Primavera: una delle zie; Maria Pia Arcangeli: una delle zie; Vivi Gioi:

la soubrette; Natalino Otto: il cantante; Giuseppe Addobbati: il

direttore; Gianni Bonos: un membro del trio comico; Gigi Bonos: un membro del trio comico; Vittorio Bonos: un membro del trio comico; Angelo Calabrese; Piero Carnabuci; Fedele Gentile; Leonide Montesi; Erminio Nazzaro; Guido Riccioli; Umberto Silvestri; Edoardo

Toniolo; Alfredo Tupini; Gorni Kramer e la sua orchestra; Alberto

Semprini e la sua orchestra; Anno: 1945; Durata: 77 min; Produzione: Appia - Littoria - Safir - I.C.I.; Distribuzione: Effebi

1945 Roma città aperta Regia: Roberto Rossellini; Soggetto: Sergio Amidei, Alberto Consiglio (non accreditato); Sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini (non accreditato), Carlo Celeste Nagarville;

Fotografìa: Ubaldo Arata; Musica: Renzo Rossellini; Direttore d’orchestra: Luigi Ricci; Montaggio: Eraldo Da Roma; Assistente al montaggio: Jolanda Benvenuti; Scenografìa: Renato Megna;

Arredamento: Domenico Purificato, Mario Chiari; Direttore di produzione: Ferruccio De Martino; Assistente alla regia: Sergio

Amidei, Federico Fellini; Segretario di produzione: A. Manni; Segretario di edizione: Jone Tuzi; Operatore: Vincenzo Seratrice; Assistente operatore: Carlo Carlini, Carlo Di Palma, Gianni Di

Venanzo; Fonico: Raffaele Del Monte; Interpreti: Anna Magnani: Pina; Aldo Fabrizi: don Pietro Pellegrini; Vito Annichiarico: Marcello il figlio di Pina; Nando Bruno: Agostino il sagrestano; Harry Feist:

magg. Fritz Bergmann; Francesco Grandjacquet: Francesco; Maria Michi: Marina Mari; Marcello Pagherò: Ing. Manfredi; Eduardo

Passarelli: il brigadiere metropolitano; Carlo Sindici: il questore; Akos Tolnay: il disertore austriaco; Joop Van Hulsen: cap. Hartmann; Giovanna Galletti: Ingrid; Carla Rovere: Lauretta sorella di Pina; Amelia Pellegrini: Nannina la padrona di casa; Alberto Tavazzi: il

prete confessore alla fucilazione di don Pietro; Turi Pandolfìni: il nonno; Vuldc Zarko; Laura Clara Giudice; Anna Ferrazzani; Doretta Sestan; Anno: 1945; Durata: 98 min; Produzione: Excelsa Film;

Distribuzione: Minerva Film

1946 Paisà

Regia: Roberto Rossellini; Soggetto: Sergio Amidei, Federico Fellini, Marcello Faglierò, Victor Alfred Haynes, Roberto Rossellini; Sceneggiatura: Sergio Amidei, Federico Fellini, Roberto Rossellini;

Dialoghi inglesi: Annalena Limentani; Fotografia: Otello Martelli; Musica: Renzo Rossellini; Montaggio: Eraldo Da Roma; Scenografia: naturale; Direttore di produzione: Ugo Lombardi; Aiuto regia:

Federico Fellini, Massimo Mida; Assistente alla regia: E. Handamir, Annalena Limentani; Ispettore di produzione: A. Manni, Augusto Dolfi; Fonico: Ovidio Del Grande

Interpreti: Giulio Panicali: voce narrante', Carmela Sazio: Carmela - ep. Sicilia; Robert Van Loon: Joe - ep. Sicilia; Benjamin Emanuel: soldato americano - ep. Sicilia; Raymond Campbell: soldato americano - ep. Sicilia; Merlin Berth: soldato americano - ep. Sicilia;

Mats Carlson: soldato americano — ep. Sicilia; Leonard Penish: soldato americano - ep. Sicilia; Harold Wagner: soldato tedesco ep. Sicilia; Albert Heinze: soldato tedesco - ep. Sicilia; Albert Heinz: il vecchietto di Gela - ep. Sicilia; Dots M. Johnson: Joe il soldato nero ep. Napoli; Alfonsino Pasca: Pasquale lo scugnizzo - ep. Napoli;

Pippo Bonazzi: ep. Napoli; Gar Moore: Fred — ep. Roma; Lorena Berg:

sora Amalia la padrona della pensione - ep. Roma; Maria Michi: Francesca - ep. Roma; Harriet White: Harriet l’infermiera ep. Firenze; Renzo Avanzo: Massimo — ep. Firenze; Gigi Gori: Gigi un partigiano - ep. Firenze; Gianfranco Corsini: Marco un partigiano ep. Firenze; Giulietta Masina: una ragazza sulle scale di un palazzo -

ep. Firenze; William Tubbs: Bill Martin cappellano militare — ep. Appennino Emiliano; Newell Jones: cap. Jones un cappellano protestante - ep. Appennino Emiliano; Elmer Feldman: cap. Feldman

cappellano ebreo — ep. Appennino Emiliano; autentici monaci francescani di un convento di Maiori - Salerno; Dale Edmonds: Dale

l’americano dell’OSS - ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Cingolani: se

stesso; Robert Van Loel: il tedesco - ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Alan: soldato americano - ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Dane: soldato americano - ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Iride Belli: ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Anthony La Penna: ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Fattori: ep. Porto Tolle, sul Delta del Po; Anno: 1946;

Durata: 134 min; Produzione: Roberto Rossellini per O.F.I. con la collaborazione di Rod e Geiger; Distribuzione: M.G.M.

1947 Il delitto di Giovanni Episcopo

Regia: Alberto Lattuada; Soggetto: dal romanzo “Giovanni

Episcopo” di Gabriele D’Annunzio; Sceneggiatura: Suso Cecchi D’Amico, Alberto Lattuada, Piero Telimi, Federico Fellini, Aldo Fabrizi; Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Felice Lattuada; Direttore

d’orchestra: Fernando Previtali; Montaggio: Giuliana Attenni; Scenografia: Dario Cecchi con la supervisione non accreditata di

Guido Fiorini; Costumi: Gino C. Sensani; Arredamento: Luigi

Gervasi; Direttore di produzione: Raffaele Barba; Aiuto regia: Filippo Mercati (Luigi Filippo D’Amico); Operatore: Raffaele Masciocchi;

Fonico: Eraldo Giordani; Trucco: Guglielmo Bonotti; Parrucchiere: Graziella (Grazia De Rossi); Ispettore di produzione: Alfredo De Laurentis; Segretario di produzione: Bianca Lattuada; Interpreti:

Aldo Fabrizi: Giovanni Episcopo; Roldano Lupi: Giulio Wanzer; Yvonne Sanson: Canale; Ave Ninchi: Emilia la madre di Ginevra;

Amedeo Fabrizi: Ciro; Nando Bruno: Antonio; Alberto Sordi: Doberti; Francesco De Marco: Canale; Lia Giani: signora Adele; Maria Gonnelli: Santina; Gino Cavalieri: direttore archivio; Luca Cortese: Marchese Aguti; Folco Lulli: Carlini; Galeazzo Benti: ufficiale di Cavalleria, Silvana Mangano: una ballerina, Gina Lollobrigida: un’invitata alla festa; Ugo Attanasio: altro invitato; Luigi Filippo

d’Amico: un passante; Diego Calcagno: un amico, Mario Perrone: un amico, Gilberto Severi: un amico; Ferrante Alvaro De Torres; Giorgio Moser; Marco Tulli; Nella Paoli, Jone Morino; Anno: 1947; Durata: 94 min; Produzione: Marcello D’Amico per PAO, Lux Film; Distribuzione: Lux Film

La fumeria d’oppio (Ritorna Za-la-Mort)

Regia: Raffaello Matarazzo; Soggetto: Raffaello Matarazzo; Sceneggiatura: Raffaello Matarazzo, Ettore M. Margadonna, Federico Fellini, Mario Monicelli, Tullio Pinelli; Fotografia: Alberto Fusi; Musica: Ezio Carabella; Montaggio: Vanda Tuzi; Scenografia:

Amerigo Bandiera; Arredamento: Gino Brosio; Direttore di

produzione: Vittorio (Musy) Glori; Aiuto regia: Gennaro Balistrieri; Interpreti: Emilio Ghione jr.: Za-la-Mort; Mariella Lotti: Lina

Vidonis; Emilio Cigoli: De Rossi; Armando Francioli: Corrado Vidonis; Paolo Stoppa; Umberto Spadaro; Enrico Glori; Checco Durante; Fiore Davanzati; Adriana De Roberto, Marichetta Stoppa; Aedo Galvani; Ida Bracci Dorati; Fedele Gentile; Arnoldo Foà;

Augusto Di Giovanni; Erminio Spalla, Domenico Serra; Anno: 1947; Durata: 91 min; Produzione: Luciano Doria per Labor Film, Metropa

Film; Distribuzione: D.I. (Distributori Indipendenti) Il Passatore

Regia: Duilio Coletti; Soggetto: dal romanzo omonimo di Bruno Corra; Sceneggiatura: Tullio Pinelli, Federico Fellini, Duilio Coletti, Cesare Zavattini (non accreditato), Ugo Betti; Fotografia: Carlo Montuori; Musica: Enzo Masetti; Direttore d’orchestra: Ugo

Giacomozzi; Montaggio: Mario Serandrei; Scenografia: Ottavio Scotti; Costumi: Vittorio Nino Novarese; Arredamento: Antonio Leonardi; Direttore di produzione: Giovanni Laterza; Aiuto regia: Leo Benvenuti; Assistente alla regia: David Carbonari; Operatore: Mario Montuori; Fonico: Tulio Parmegiani; Interpreti: Rossano Brazzi: Stefano Felloni detto “Il Passatore”; Valentina Cortese: Barbara; Carlo Ninchi: don Morini il parroco, zio di Barbara; Carlo

Campanini: Peppino il soldato amico del Passatore; Liliana Laine: la contessa Isolina Ghilardi; Bella Starace Sainati: la madre del Passatore; Camillo Pilotto: il conte Ghilardi; Gualtieri Tumiati: il padre del Passatore; Folco Lulli: il monco; Giovanni Grasso: Gigiazzo;

Alberto Sordi: accolito del Passatore; Alfredo Anghinelli: accolito del Passatore; Luigi A. Garrone: accolito del Passatore; Carlo Tamberlani:

maresciallo Borghi; Piero Palermini: il brigadiere gentile; Agnese Dubbini: una signora nel palco a teatro; Eugenio Galadini: brigante; Memmo Carotenuto: brigante; Enrico Luzi: lo studente nel loggione;

Anno: 1947; Durata: 97 min; Produzione: Lux Film, R.D.L.; Distribuzione: Lux Film (1947)

1948 Il miracolo (episodio de L’amore)

Regia: Roberto Rossellini; Soggetto: Federico Fellini; Sceneggiatura: Tullio Pinelli, Roberto Rossellini; Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Renzo Rossellini; Montaggio: Eraldo Da Roma; Scenografia: naturale; Aiuto regia: Federico Fellini; Fonico: Kurt Doubrawskj; Interpreti: Anna Magnani: Nannina; Federico Fellini: il

vagabondo; Anno: 1948; Durata: 42 min; Produzione: Tevere Film; Distribuzione: Ceiad

Senza pietà Regia: Alberto Lattuada; Soggetto: Tullio Pinelli, Federico Fellini (da un’idea di Ettore Margadonna); Sceneggiatura: Federico Fellini,

Alberto Lattuada, Tullio Pinelli; Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Nino

Rota; Direttore d’orchestra: A. Pedrotti; Montaggio: Mario Bonotti; Scenografia: Piero Gherardi; Arredamento: Piero Gherardi; Costumi: Piero Gherardi; Direttore di produzione: Clemente Fracassi; Aiuto regia: Federico Fellini; Segretario di produzione: Bianca Lattuada; Consulente per la parte americana: Joseph Palletta; Operatore:

Beniamino Fossati, Raffaele Masciocchi; Fonico: Ennio Sensi; Interpreti: Carla Del Poggio: Angela Borghi; John Kitzmiller: Jerry Jackson; Giulietta Masina: Marcella; Folco Lulli: Jack; Pierre Claudé: Pierluigi; Daniel Jones: Richard; Enza Giovine: suor Gertrude; Otello Fava: Sordo; Lando Muzio: il capitano sudamericano Romano Villi: il

bandito; Max Lancia: Cesare; Mario Perrone: altro bandito; Paola Marchetti; Armando Libianchi; Carlo Bianco: il barone Hoffman; Joseph Palletta: un americano; Patrizia Lari: un’ospite dell’istituto di correzione; Otello Bacce e la sua orchestra; Anno: 1948; Durata: 94

min; Produzione: Carlo Ponti per Lux Film; Distribuzione: Lux Film

1949 La città dolente Regia: Mario Bonnard, per la parte documentaristica Enrico Moretti; Soggetto: Mario Bonnard (da una storia vera); Sceneggiatura: Anton Giulio Majano, Aldo De Benedetti, Federico Fellini, Mario Bonnard; Fotografia: Tonino Delli Colli; Musica: Giulio

Bonnard; Montaggio: Giulia Fontana; Sceneggiatura: Mario Rappini; Costumi: Mario Rappini; Organizzazione generale: Francesco Alessandri; Direttore di produzione: Franco Magli; Aiuto regia: Alberto Cardone, Ermete Tamberlani; Operatore: Riccardo Pallottini; Fonico: Tulio Parmeggiani, Enrico Palmieri; Ispettore di produzione:

Francesco Palaggi; Segretario di produzione: Aristodemo Petri; Interpreti: Luigi Tosi: Berto; Barbara Costanova: Silvana; Gianni Rizzo: Sergio; Elio Steiner: Martini; Gustavo Serena: il frate francescano, Raimondo Van Riel: don Felice; Milly Vitale: Maria; Attilio Dottesio: il fuggiasco; Ivo Karavany: la spia slava; Felice Minotti: il padre di Maria; Aristide Garbini: Cesare; Pina Piovani: una

esule; Fedora Ratti; Anita Farra; Constance Dowling: Lubitza; Anno: 1949; Durata: 80 min; Produzione: Istria, Scalerà Film; Distribuzione: Scalerà Film

Il mulino del Po - (sceneggiatura) Regia: Alberto Lattuada; Soggetto: dal romanzo omonimo di Riccardo Bacchelli; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli; Collaborazione alla sceneggiatura: Riccardo Bacchelli, Mario Bonfantini, Luigi Comencini, Alberto Lattuada, Carlo Musso, Sergio Romano; Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Idebrando Pizzetti;

Direttore d’orchestra: Franco Ferrara; Montaggio: Mario Bonotti; Scenografia: Aldo Buzzi; Costumi: Maria De Matteis; Arredamento: Luigi Gervasi; Direttore di produzione: Clemente Fracassi; Aiuto regia: Carlo Lizzani, Aldo Buzzi; Assistente alla produzione: Silvio Clementelli, Pasquale Misiano, Mentore D’Offizi; Segretario di

edizione: Paolo Heusch, Paolo Gargano; Operatore: Raffaele Masciocchi, Beniamino Fossati, Ubaldo Terzano; Fonico: Giovanni Cavanero, Tulio Parmeggiani; Trucco: Otello Fava; Parrucchiere:

Graziella (Grazia De Rossi); Interpreti: Carla Del Poggio: Berta Scacemi; Jacques Sernas: Orbino Verginesi; Giulio Cali:

Smarazzacucco; Anna Carena: l’Argìa; Giacomo Giuradei: Princivalle Scacerni; Mario Besesti: il Clapassòn; Leda Gloria: la Suiza; Nino Pavese: RaiboUini; Isabella Riva: Cecilia Scacerni; Dina Sassoli:

Susanna Verginesi, Pina Gailini, Pasquale Misiano; Mario Cavicchioni; Enrico Mazzoli; Tina Perna; Gilio Spaggiari; Alfredo Ragusa; Edith Bieber; Maria Pia Arcangeli; Luigi Lazzarini; Anna Maria Pinti, Tazio Pozzi; Enrico Urbini; Bruno Salvalai; Carlo Lizzani;

Anno: 1949; Durata: 107 min; Produzione: Carlo Ponti per Lux Film; Distribuzione: Lux Film

In nome della legge

Regia: Pietro Germi; Soggetto: Giuseppe Mangione (dal romanzo «

Piccola Pretura” di G. G. Lo Schiavo); Sceneggiatura: Mario

Monicelli, Federico Fellini, Tullio Pinelli, Giuseppe Mangione, Pietro Germi; Fotografia: Leonida Barboni; Musica: Carlo Rustichelli; Direttore d'orchestra: Ugo Giacomozzi; Montaggio: Rolando

Benedetti; Scenografia: Gino Morfei; Direttore di produzione: Antonio Musu, Maggiorino Canonica; Aiuto regia: Enzo Provenzale; Assistente alla regia: Salvatore Rosso, Argi Rovelli; Ispettore di produzione: Rosario Capaci, Sergio Barbonese; Operatore: Gianni Villa; Trucco: Anacleto Giustini; Interpreti: Massimo Girotti: il

pretore Guido Schiavi; Jone Salinas: la baronessa Teresa Lo Vasto; Charles Vanel: il massaro Turi Passalacqua; Camillo Mastrocinque: il barone Lo Vasto; Saro Urzì: il maresciallo dei carabinieri, Turi Pandolfini: don Fifì; Peppino Spadaro: aw. Faraglia; Ignazio Balsamo: Ciccio Messana; Saro Arcidiacono: il cancelliere M Nanda De Santis: Lorenzina; Nadia Niver: Vastianedda; Bernardo Indelicato:

Paolino; Piero Sabella: Gallinella; Aldo Sguazzini; Luigi Abbene; Alfio Macrì, Franco Navarra; Pietro Sabella; Carmelo Olivieri; Guido Medici; Anno: 1949; Durata: 99 min; Produzione: Luigi Rovere per Lux Film; Distribuzione: Lux Film (1949)

1950 Il cammino della speranza

Regia: Pietro Germi; Soggetto: Federico Fellini, Pietro Germi,

Tullio Pinelli dal romanzo “Cuori negli abissi” di Nino De Maria; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli; Fotografia: Leonida Barboni; Musica: Carlo Rustichelli; Direttore d'orchestra: Fernando

Previtali; Montaggio: Rolando Benedetti; Assistente al montaggio: Lina Caterini; Scenografia: Luigi Ricci; Direttore di produzione: Antonio Musu, Enzo Provenzale; Aiuto regia: Marcello Giannini, Salvatore Rosso; Ispettore di produzione: Sergio Babonese; Segretario di produzione: Piero Beldi, Ferruccio Viotti; Assistente alla regia: Argi Rovelli; Operatore: Argi Rovelli; Assistente operatore: Alfieri Canavero; Trucco: Attilio Camarda; Sarta:

Annunziata Piacentini; Fotografo di scena: Salvatore D’Urso; Interpreti: Raf Vallone: Saro; Elena Varzi: Barbara; Saro Urzì: Ciccio; Franco Navarra: Vanni; Liliana Lattanzi: Rosa; Saro Arcidiacono: il

ragioniere; Francesco Tomolillo: Misciu; Paolo Reale: Brasi; Giuseppe

Priolo: Luca; Renato Terra: Mommino; Carmela Trovato: Cirmena; Angelo Grasso: Antonio; Assunta Radico: Beatificata; Francesca Russella: la nonna; Giuseppe Cibardo: Turi; Nicolò Gibilaro: nonno; Nicolò Gibilaro: nonno; Luciana Coluzzi: Luciana; Angelina

Scaldaferri: Diodata; Ciccio Jacono; Michele Raffa; Anno: 1950;

Durata: 100 min; Produzione: Luigi Rovere per Lux Film; Distribuzione: Lux Film

Francesco giullare di Dio

a

Regia: Roberto Rossellini; Soggetto: Roberto Rossellini (ispirato ai Fioretti” di San Francesco); Sceneggiatura: Federico Fellini,

Brunello Rondi (non accreditato); Consulente religioso: padre Felix Morlion, padre Antonio Lisandrini; Fotografia: Otello Martelli; Musica: Renzo Rossellini (canti liturgici di Padre Enrico Buondonno);

Montaggio: Jolanda Benvenuti; Scenografia: Virgilio Marchi; Costumi: Marina Arcangeli; Arredamento: Giuseppe Rissone; Assistente alla regiaiMarcello Caracciolo (Di Laurino), Brunello Rondi; Operatore: Luciano Trasatti; Assistente operatore: Roberto Gerardi, Enrico Betti Berutto; Fonico: Eraldo Giordani, Raffaele Del

Monte; Direttore di produzione: Luigi Giacosi; Ispettore di

produzione: Mario Gabrielli; Segretario di produzione: Mimmo Salvi; Segretario di edizione: Gianfranco Parolini; Interpreti: fra Nazario Gerardi: san Francesco; Aldo Fabrizi: il tiranno Nicolai; Peparuolo: Giovanni il sempliciotto; Aribella Lemaitre: Santa Chiara; padre

Roberto Sorrentino; Fra’ Nazareno e autentici frati; Anno: 1950, Durata: 75 min; Produzione: Giuseppe Amato, Rizzoli Film; Distribuzione: Cineriz

1951 Cameriera bella presenza offresi...

Regia: Giorgio Pastina; Soggetto: Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Aldo De Benedetti, Federico Fellini, Ruggero Maccari, Nicola Manzari, Tullio Pinelli; Sceneggiatura: Agenore Incrocci

(Age), Furio Scarpelli, Aldo De Benedetti, Federico Fellini, Ruggero Maccari, Nicola Manzari, Tullio Pinelli; Fotografia: Domenico Scala;

Musica: Alessandro Cicognini; Montaggio: Eraldo Da Roma; Scenografia: Alfredo Mentori; Costumi: Gaia Romanini; Arredamento: Raffaello Tolfo; Operatore: Marcello Gatti; Fonico: Bruno Brunacci; Trucco: Bruno Brunacci; Organizzazione generale: Bruno Brunacci; Direttore di produzione: Giacomo Aragnoa; Aiuto regia: Roberto Fabbri; Segretario di edizione: Elvira D’Amico;

Ispettore di produzione: Marcello Giannini; Interpreti: Elsa Merlini: Maria, la cameriera; Gino Cervi: Berto il suo fidanzato; Peppino De Filippo: il padre di Maria; Delia Scala: sua moglie; Titina De Filippo:

la vecchia signora; Giulietta Masina: Ermelinda la sua cameriera Vittorio De Sica: Leonardo Leonardi l’attore di prosa; Isa Miranda: sua moglie; Milly Vitale: l’amica dell’attore; Aroldo Tieri: il segretario

dell’attore; Alberto Sordi: un alpino, fidanzato di Ermelinda; Arturo Bragaglia: zio di Berto; Aldo Fabrizi: commesso viaggiatore; Enrico Viarisio: un amico; Eduardo De Filippo: il professore di matematica;

Armando Migliari; Bella Starace Sainati; Vittoria Crispo; Paolo Ferrara; Dina Sassoli; Pina Piovani; Enrica De Simone; Cesare Fantoni; Mariolina Bovo; Domenico Modugno; Rio Nobile; Gina Mascetti; Giulio Battiferri; Elena Del Mare; Michele Raffa; Pina Ingros; Anno: 1951; Durata: 95 min; Produzione: Cines;

Distribuzione: Regionale

La città si difende Regia: Pietro Germi; Soggetto: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Luigi Comencini; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli; Collaborazione alla sceneggiatura: Pietro Germi, Giuseppe

Mangione; Fotografia: Carlo Montuori; Musica: Carlo Rustichelli;

Direttore d'orchestra: Franco Ferrara; Montaggio: Rolando Benedetti; Arredamento: Carlo Egidi; Organizzazione generale: Carlo Civallero; Direttore di produzione: Vittorio Forges Davanzati; Aiuto regia: Marcello Giannini; Assistente alla regia: Ottrino Vidotto; Ispettore di produzione: Orazio Tassara; Segretario di produzione:

Carlo Gargano Belisario; Fonico: Mario Messina; Trucco: Franco Freda; Interpreti: Gina Lollobrigida: Daniela; Renato Baldini: Paolo Leandri; Cosetta Greco: Lina Gitosi; Fausto Tozzi: Luigi Gitosi; Paul Miiller: Guido Marchi; Patrizia Manca: Sandrina Gitosi; Enzo Maggio jr.: Alberto Tosi; Emma Baron: sua madre; Tamara Lees: donna del

ritratto; Vittorio André; Nino Javert; Giuseppe Chinnici; Vincenzo Tocci; Gino Anglani; Amedeo Trilli; Francesco Di Marco; Rosolino Bua Yvonne Cocco; Anno: 1951; Pellicola: bianco e nero; Durata: 90

min; Produzione: Cines; Distribuzione: Variety Film.

Europa ‘51

Regia: Roberto Rossellini; Soggetto: Roberto Rossellini da un’idea

di Massimo Mida (Puccini) e Antonello Trombadori; Sceneggiatura: Roberto Rossellini, Sandro De Feo, Mario Pannunzio, Ivo Perilli, Brunello Rondi, Federico Fellini (non accreditato); Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Renzo Rossellini; Montaggio: Jolanda Benvenuti; Scenografia: Virgilio Marchi; Arredamento: Ferdinando Ruffo;

Costumi per I. Bergman: Fernanda Gattinoni; Organizzazione generale: Bruno Todini; Direttore di produzione: Nando Pisani; Aiuto regia: Antonio Pietrangeli, William Demby; Assistente alla regia: Marcello Caracciolo (Di Laurino), Marcello Girosi; Ispettore di produzione: Federico Teti; Segretario di edizione: Sandro Corso;

Operatore: Luciano Tonti; Fonico: Piero Cavazzuti, Paolo Uccello; Interpreti: Ingrid Bergman: Irena Girard; Alexander Knox: George Girard; Sandro Franchina: Michel loro figlio; Ettore Giannini: Andrea

Casati; Giulietta Masina: Giulietta detta "Passerotto"; Teresa Pellati: Ines; Marcella Rovena: signora Puglisi; Tina Perna: Cesira; Tina Perna: signora Galli; William Tubbs: prof. Alessandrini; Alberto Plebani: signor Publisi; Cicely Browne: sacerdote; Giancarlo Vigorelli: giudice; Gianna Segale Damiani: infermiera; Antonio Pietrangeli;

Carlo Hintermann; Alessio Ruggeri; Vera Wicht; Francesca Uberti;

Bernardo Tafuri; Mary Jokam; Mariemma Bardi; Gerda Forrer; Rossana Rory; Giuseppe Chinnici; Charles Moses; Attilio Dottesio;

Gipsy Kim; Marinella Marinelli; Graziella Polacco; Rodolfo Lodi; Barbara Berg; Eric Blyte; Jane Spague; Dany Guy; Elisabetta Cini; Dianora Veiga; Bruno Armonioso; Anno: 1952; Durata: 96 min;

Produzione: Carlo Ponti e Dino De Laurentis per Lux Film; Distribuzione: Lux Film Persiane chiuse

Regia: Luigi Comencini; Soggetto: Massimo Mida, Gianni Puccini, Franco Solinas, Sergio Soliima; Sceneggiatura: Massimo Mida, Gianni Puccini, Franco Solinas, Sergio Sollima; Federico Fellini

(collaboratore alla sceneggiatura non accreditato); Fotografia: Arturo Gallea; Musica: Carlo Rustichelli; Direttore d'orchestra: Ugo

Giacomozzi; Canzoni: “A baci, baci” di Pippo Barzizza; Montaggio:

Rolando Benedetti; Direttore di produzione: Enzo Provenzale; Aiuto regia: Massimo Patrizi, Armando Crispino; Ispettore di produzione: Marcello Giannini, Sergio Barbonese; Segretario di produzione: Serena Benvenuti; Operatore: Antonio Belviso, Alfieri Canavero;

Fonico: Aldo Calpini, Giovanni Canavero; Trucco: Libero Politi;

Fotografo di scena: Luigi Pertazzini; Sarta: Annunziata Piacentini; Interpreti: Massimo Girotti: ing. Roberto Eleonora Rossi Drago: Sandra Giulietta Masina: “Pippo”; Liliana Gerace: Lucia; Renato

Baldini: Primavera; Sidney Gordon: il commissario; Antonio Nicotra: Barale; Cesarina Gheraldi: Gianna; Adriana Sivieri: Iris; Goliarda Sapienza: la prostituta religiosa; Octavio Senoret: Edmondo; Pietro

Pastore: il “Cinque”; Antonio Carrera; Arturo Gallea: il padre di Sandra e Lucia; Luisa Rivelli; Ignazio Balsamo; Lina Acconci; Carmen

Nazzari; Jone Salinas; Alberto Collo; Lalla Ambraziejus; Marcella

Genuino; Gino Passarelli; Anno: 1951; Durata: 95 min; Produzione: Luigi Rovere per Rovere Film; Distribuzione: Lux Film (1951)

1952 Il brigante di Tacca di Lupo

Regia: Pietro Germi; Soggetto: dalla novella omonima di Riccardo Bacchelli; Sceneggiatura: Federico Fellini, Tullio Pinelli, Pietro Germi, Fausto Tozzi; Fotografia: Leonida Barboni; Musica: Carlo

Rustichelli; Direttore d'orchestra: Franco Ferrara; Montaggio: Rolando Benedetti; Scenografia: Carlo Egidi; Costumi: Andrea Fantacci; Assistente costumista: Mirella Morelli; Direttore di produzione: Antonio Musu; Aiuto regia: Marcello Giannini, Ottrino

Vidotto; Assistente alla regia: Giorgio Arlorio; Operatore: Enzo

Barboni; Fonico: Aldo Calpini; Trucco: Libero Politi; Parrucchiere: Marrico Spagnoli; Ispettore di produzione: Guglielmo Colonna; Assistente alla produzione: Riccardo Fellini; Segretario di produzione: Renato Panetuzzi; Segretario di edizione: Serena Benvenuti; Interpreti: Amedeo Nazzari: capitano Giordani; Cosetta Greco: Zitamaria; Saro Urzì: commissario Francesco Siceli; Fausto Tozzi: ten. Magistrelli; Aldo Bufi Landi: ten. Righi; Vincenzo Musolino: De Giustino; Vincenzo Musolino: Carmine; Oscar

Andriani: Carmine; Amedeo Trilli: serg. Trilli; Natale Cirino: sindaco Lo Cascio; Paolo Reale: Fenoli; Vittorio Scarabello: Tonin; Aldo Lorenzon: medico; Sergio Bergonzelli; Lilli Cerasoli; Renato Terra;

Pietro Fumelli; Ljuba Soukhanova; Gianni Latini; Oreste Romoli; Giuseppe Carraretto; Piero Beldi; Guerrino Berenato; Dino

Maronetto; Saro Arcidiacono; Giuseppe Priolo; Ettore Jannetti; Anno:

1952; Durata: 97 min; Produzione: Luigi Rovere per Rovere Film, Cines, Lux Film; Distribuzione: Lux Film

1957 Fortunella

Regia: Eduardo De Filippo; Soggetto: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli, Eduardo De Filippo (non accreditato); Sceneggiatura: Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli,

Eduardo De Filippo (non accreditato); Fotografia: Aldo Tonti; Musica: Nino Rota; Direttore d'orchestra: Franco Ferrara; Montaggio: Leo Catozzo; Assistente al montaggio: Adriana Olasio; Scenografia: Mario Chiari; Arredamento: Mario Garbuglia; Costumi: Maria De Matteis; Organizzazione generale: Bruno Todini; Direttore

di produzione: Alfredo De Laurentis; Aiuto regia: Carlo Moscovini; Ispettore di produzione: Aldo Puccini; Segretario di produzione: Riccardo Fellini; Segretario di edizione: Narciso Vicario; Fonico: Roy

Mangano; Trucco: Eligio Trani; Interpreti: Giulietta Masina: Nanda Diotallevi detta “Fortunella”; Alberto Sordi: il rigattiere Peppino; Paul

Douglas: professore Golfìero Paganica; Franca Marzi: Amelia; Carlo Dapporto: un attore della compagnia; Aldo Silvani: principe Guidobaldi; Nando Bruno: l’americano; Guido Celano: il portiere

Carlo Delle Piane: Riccardino; Enrico Glori: il biscazziere; Piera Arico:

Katya; Mimmo Poli: “Orso Bruno”; Eduardo De Filippo: il capocomico; Anno:i958; Durata: 95 min; Produzione: Dino De Laurentis Cin.ca (Roma) /Les Films Marceau (Parigi); Distribuzione:

R.K.O. (1958)

Ruoli da attore

1970

Il mondo di Alex - (Alex in Wonderland) Regia: Paul Mazursky; Sceneggiatura: Paul Mazursky, Larry Tucker; Fotografia: Laszlo Kovacs; Musica: Tom O’Horgan; Montaggio: Stuart H. Pappe; Interpreti: Donald Sutherland; Ellen

Burstyn; Viola Spolin; Andre Philippe; Meg Mazursky; Glenna

Sargent; Michael Lerner; Federico Fellini; Jeanne Moreau; Anno: 1970; Durata: 109 min; Produzione: Larry Tucker per M.G.M.;

Distribuzione: M.G.M.

1974 Ceravamo tanto amati Regia: Ettore Scola; Soggetto: Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Ettore Scola; Sceneggiatura: Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Ettore Scola; Fotografia: Claudio Cirillo; Scenografia: Luciano Riccieri; Musica: Armando Trovajoli; Montaggio: Raimondo

Crociani; Interpreti: Vittorio Gassman: Gianni; Nino Manfredi: Antonio; Stefania Sandrelli: Luciana; Stefano Satta Flores: Nicola; Aldo Fabrizi: Romolo Catenacci; Giovanna Ralli: Elide Catenacci; Marcella Michelangeli: Gabriella; Vittorio De Sica: se stesso; Federico Fellini: se stesso; Marcello Mastroianni: se stesso; Isa Barzizza; Livia

Cerini; Elena Fabrizi; Fiammetta Baralla; Armando Curcio; Carla Mancini; Lorenzo Piani; Anno: 1974; Durata: 115 min; Produzione: Dean Cinematografica/Delta

1983 Il tassinaro

Regia: Alberto Sordi; Soggetto: Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Alberto Sordi; Sceneggiatura: Agenore Incrocci (Age), Furio Scarpelli, Alberto Sordi; Fotografia: Sergio D’Offìzi; Scenografia: Massimo Razzi; Musica: Piero Piccioni; Montaggio: Tatiana Casini Morigi; Interpreti: Alberto Sordi; Giorgio Gobbi; Anna

Longhi; Angelo Villa; Marilù Tolo; Federico Fellini; Giulio Andreotti;

Silvana Pampanini; Anno: 1983; Durata: 137 min; Produzione: Fulvio Lucisano per Italian International Film; Distribuzione: DLF

Premi e riconoscimenti Oscar 1993 Oscar alla carriera (Federico Fellini)

Praemium Imperiale 1990 Premio alla carriera assegnato dalla Japan Art Association (Federico Fellini)

Mostra di Venezia 1985 Leone d’Oro alla carriera (Federico Fellini)

Amarcord

Oscar 1974 miglior film straniero Amarcord Nastro d’argento 1974 miglior regia (Federico Fellini);

miglior soggetto originale (Federico Fellini e Tonino Guerra); miglior sceneggiatura originale (Federico Fellini e Tonino Guerra

Amarcord David di Donatello 1973-1974 miglior regia (Federico Fellini) Amarcord

Nomination Oscar 1975 miglior regia (Federico Fellini)

E la nave va Nastro d’argento 1984 miglior regia (Federico Fellini); miglior fotografìa (Giuseppe Rotunno); miglior scenografìa (Dante Ferretti);

migliori costumi (Maurizio Millenotti); migliori effetti speciali (Dante Ferretti)

E la nave va David di Donatello 1983-1984 miglior film; miglior sceneggiatura (Federico Fellini e Tonino Guerra; miglior fotografìa (Giuseppe Rotunno); miglior scenografia (Dante Ferretti);

Premio David Luchino Visconti a Federico Fellini in omaggio alla carriera

Fellini-Satyricon Nastro d’argento 1970 miglior attore non protagonista (Fanfulla); miglior fotografia a colori (Giuseppe Rotunno); miglior scenografia (Danilo Donati, Luigi Scaccianoce);

migliori costumi (Danilo Donati)

Fellini-Satyricon Nomination Oscar 1970

miglior regia (Federico Fellini)

Ginger e Fred

Nastro d’argento 1986 miglior attore (Marcello Mastroianni); miglior attrice (Giulietta Masina); miglior scenografia (Dante Ferretti);

migliori costumi (Danilo Donati)

Ginger e Fred David di Donatello 1985-1986 miglior attore (Marcello Mastroianni); miglior musica (Nicola Piovani); migliori costumi (Danilo Donati);

Premio David René Clair a Federico Fellini per il film

Giulietta degli spiriti

Nastro d’argento 1965 miglior attrice non protagonista (Sandra Milo); miglior fotografia a colori (Gianni Di Venanzo); miglior scenografìa (Piero Gherardi); migliori costumi (Piero Gherardi)

Giulietta degli spiriti

David di Donatello 1965-1966 miglior attrice (Giulietta Masina)

I clowns Nastro d’argento 1971 migliori costumi (Danilo Donati)

I vitelloni Nastro d’argento 1953-54 miglior regia (Federico Fellini); miglior attore non protagonista (Alberto Sordi)

I vitelloni Mostra di Venezia 1953 Leone d’Argento

I vitelloni Nomination Oscar 1957 miglior soggetto e sceneggiatura originali (Federico Fellini, Ennio

Flaiano e Tullio Pinelli) Il Casanova

Oscar 1976 migliori costumi (Danilo Donati) Il Casanova Nastro d’argento 1977 miglior fotografia (Giuseppe Rotunno); miglior scenografìa (Danilo Donati); migliori costumi (Danilo Donati)

Il Casanova David di Donatello 1976-1977 miglior musica (Nino Rota) Il Casanova

Nomination Oscar 1976 miglior sceneggiatura non originale (Federico Fellini e Bernardino Zapponi)

Intervista Cannes 1987 Premio speciale per il 40° anniversario a Federico Fellini per il film e

il complesso della sua opera

Intervista Festival di Mosca 1987 Gran premio - Trofeo d’oro

La città delle donne Nastro d’argento 1980 miglior regia (Federico Fellini); miglior fotografia (Giuseppe Rotunno); migliori costumi (Gabriella Pescucci)

La dolce vita

Nastro d’argento 1961 miglior attore (Marcello Mastroianni); miglior soggetto originale (Federico Fellini, Ennio Flaiano e Tullio

Pinelli); miglior scenografìa (Piero Gherardi)

La dolce vita

David di Donatello 1959-1960 miglior regia (Federico Fellini) La dolce vita Cannes i960 Palma d’Oro al miglior film

La dolce vita

Nomination Oscar 1961 miglior regia (Federico Fellini); miglior soggetto e sceneggiatura originali (Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi)

La strada

Oscar 1956 miglior film straniero La strada Nastro d’argento 1954-55 miglior regia (Federico Fellini);

miglior produzione (Ponti-De Laurentiis)

La strada Mostra di Venezia 1954 Leone d’Argento

La strada

Nomination Oscar 1956 miglior sceneggiatura originale (Federico Fellini e Tullio Pinelli) La voce della luna Nastro d’argento 1991 miglior musica (Nicola Piovani)

[nel premio a Piovani assieme al film di Fellini vengono menzionati anche In nome del popolo sovrano e II male oscuro]

La voce della luna David di Donatello 1989-1990 miglior attore (Paolo Villaggio); miglior scenografìa (Dante Ferretti); miglior montaggio (Nino Baragli)

Le notti di Cabiria Oscar 1957 miglior film straniero Le notti di Cabiria

Nastro d’argento 1958 miglior regia (Federico Fellini); miglior produzione (Dino De Laurentiis); miglior attrice (Giulietta Masina)

Le notti di Cabiria David di Donatello 1956-1957 miglior regia (Federico Fellini); miglior produttore (Dino De Laurentiis)

Le notti di Cabiria Cannes 1957 miglior attrice (Giulietta Masina)

Le notti di Cabiria Cannes 1957 Premio OCIC - Menzione speciale

Luci del varietà Nastro d’argento 1950-51 miglior attrice non protagonista (Giulietta Masina)

Otto e mezzo

Oscar 1963 miglior film straniero; migliori costumi in bianco e nero (Piero Gherardi)

Otto e mezzo Nastro d’argento 1964 miglior regia (Federico Fellini); miglior produzione (Angelo Rizzoli); miglior attrice non protagonista (Sandra Milo); miglior soggetto originale (Federico Fellini e Ennio Flaiano); miglior sceneggiatura (Federico Fellini, Ennio Flaiano, Tullio Pinelli e

Brunello Rondi; miglior fotografia in bianco e nero (Gianni Di Venanzo); miglior musica (Nino Rota)

Otto e mezzo Festival di Mosca 1963 Gran premio

Otto e mezzo Nomination Oscar 1963 miglior regia (Federico Fellini); miglior soggetto e sceneggiatura originali (Federico Fellini, Ennio

Flaiano, Tullio Pinelli e Brunello Rondi)

Paisà Nomination Oscar 1949 miglior sceneggiatura originale (Federico Fellini, Alfred Hayes, Sergio Amidei, Roberto Rossellini e Marcello Pagherò)

Prova d’orchestra Nastro d’argento 1979 miglior musica (Nino Rota)

Roma città aperta

Nomination Oscar 1946 miglior sceneggiatura originale (Federico Fellini e Sergio Amidei)

Classifica dei film più visti nel

decennio 1970-1980 1970 Lo chiamavano Trinità

Regia di: Barboni E. Distribuito da: Delta 15/12/70

Moglie del prete (La)

Regia di: Risi D. Distribuito da: Dear 12/11/70

Anonimo Veneziano Regia di: Salerno E. M. Distribuito da: Interfìlm 22/09/70 Girasoli (I)

Regia di: De Sica V. Distribuito da: Euro 04/03/70

Borsalino Regia di: Deray J. Distribuito da: Paramount 21/07/70

Prete sposato (II) Regia di: Vicario M. Distribuito da: Cidif 07/10/70

Venga a prendere il caffè da noi Regia di: Lattuada A. Distribuito da: Paramount n/09/70

Indagini su un cittadino al di sopra di ogni sospetto

Regia di: Petri E. Distribuito da: Euro 06/02/70

Brancaleone alle crociate

Regia di: Monicelli M. Distribuito da: Titanus 22/06/70

Quando le donne avevano la coda Regia di: Festa Campanile P. Distribuito da: Euro

06/10/70

Presidente del Borgorosso Football Club (II)

Regia di: D’Amico L. F. Distribuito da: P.a.c. 21/10/70 Metello

Regia di: Bolognini M. Distribuito da: Titanus 05/02/70 Califfo (La) Regia di: Bevilacqua A.

Distribuito da: Titanus 01/12/70

Contestazione generale Regia di: Zampa L.

Distribuito da: Columbia 06/03/70

Dramma della gelosia, tutti i particolari in cronaca Regia di: Scola E.

Distribuito da: Titanus 14/04/70

1971 Continuavano a chiamarlo Trinità Regia di: Barboni E. Distribuito da: Delta 15/12/70 Decameron (II) Regia di: Pasolini P. P.

Distribuito da: United 12/11/70

Per grazia ricevuta Regia di: Manfredi N. Distribuito da: Cineriz 22/09/70

Bello onesto emigrato Australia sposerebbe compaesana illibata Regia di: Zampa L. Distribuito da: Columbia 04/03/70

Sole rosso Regia di: Young T.

Distribuito da: Titanus 21/07/70

Giù la testa Regia di: Leone S.

Distribuito da: Euro 07/10/70

Gatto a nove code (II) Regia di: Argento D. Distribuito da: Titanus 11/09/70

Er più - Storia d'amore e di coltello Regia di: Corbucci S. Distribuito da: Titanus 06/02/70

Quattro mosche di velluto grigio Regia di: Argento D. Distribuito da: C.i.C. 22/06/70

Homo Eroticus Regia di: Vicario M. Distribuito da: Cidif 06/10/70 Betia, ovvero nell’amore per ogni gaudenzia ci vuole sofferenza

Regia di: De Bosio G. Distribuito da: Titanus 21/10/70 Confessioni di un commissario di polizia al Procuratore della

Repubblica Regia di: Damiani D. Distribuito da: Euro 05/02/70

Scassinatori (Gli) Regia di: Verneuil H.

Distribuito da: Columbia 01/12/70

Detenuto in attesa di giudizio Regia di: Loy N. Distribuito da: Fida 06/03/70

Roma bene Regia di: Lizzani C.

Distribuito da: Columbia 14/04/70

1972 Ultimo tango a Parigi

Regia di: Bertolucci B. Distribuito da: United 12/12/72 Più forte ragazzi

Regia di: Colizzi A. Distribuito da: Delta 13/12/72

Mimi metallurgico ferito nell’onore Regia di: Wertmuller L. Distribuito da: Euro 19/09/72

E poi lo chiamarono il magnifico Regia di: Barboni E. Distribuito da: United 07/09/72

Prima notte di quiete (La)

Regia di: Zurlini V. Distribuito da: Titanus 21/10/72

Alfredo, Alfredo Regia di: Germi P.

Distribuito da: Cineriz 08/07/72

Joe Valachi -1 segreti di cosa nostra Regia di: Young T. Distribuito da: Cineriz

24/10/72 Racconti di Canterbury (I) Regia di: Pasolini P. P.

Distribuito da: P.EA. 22/06/72 Lo chiameremo Andrea

Regia di: De Sica V. Distribuito da: C.I.C. 12/10/72

Una ragione per vivere una per morire Regia di: Valerii T. Distribuito da: CIDIF

26/10/72

Scopone scientifico (Lo)

Regia di: Comencini L. Distribuito da: C.I.C. 24/02/72

Polizia ringrazia (La) Regia di: Steno Distribuito da: PA..C. 24/02/72

Bianco, rosso e... Regia di: Lattuada A.

Distribuito da: Columbia 08/03/72

Richiamo della foresta (II) Regia di: Annakin K.

Distribuito da: Titanus 27/11/72 Uccello migratore (L’) Regia di: Steno

Distribuito da: Medusa 13/10/72

1973 Malizia

Regia di: Samperi S. Distribuito da: Cineriz 22/03/73

Sessomatto Regia di: Risi D. Distribuito da: Delta 11/12/73 Mio nome è nessuno (II)

Regia di: Valerii T. Distribuito da: Titanus 01/02/73 Anche gli angeli mangiano i fagioli

Regia di: Barboni E. Distribuito da: Cidif 01/02/73

Amarcord Regia di: Fellini F.

Distribuito da: Dear 17/02/73

Paolo il caldo Regia di: Vicario M.

Distribuito da: Medusa 15/12/73

Piedone lo sbirro Regia di: Steno Distribuito da: Titanus 18710/73 Pane e cioccolata

Regia di: Brasati F. Distribuito da: C.I.C. 24/10/73

Zanna bianca

Regia di: Fulci L. Distribuito da: Titanus 20/12/73

Emigrante (L’)

Regia di: Festa Campanile P. Distribuito da: Titanus 19/12/73 Polvere di stelle

Regia di: Sordi A. Distribuito da: Fida 18/04/73 Ultima neve di primavera (L’)

Regia di: Del Balzo R. Distribuito da: Alpherat 14/11/73

Teresa la ladra Regia di: Di Palma C. Distribuito da: Euro 24/11/73

Colonnello Buttiglione (II) Regia di: Guerrini M. Distribuito da: Cineriz 05/10/73 Tony Arzenta (Big guns) Regia di: Tessali D. Distribuito da: Titanus 08/08/73

1974 Altrimenti ci arrabbiamo Regia di: Fondato M. Distribuito da: Cineriz 28/03/74 Porgi I’altra guancia Regia di: Rossi F.

Distribuito da: Titanus 18/12/74 Peccato veniale Regia di: Samperi S.

Distribuito da: Cineriz 24/01/74

Bestione (II) Regia di: Corbucci S.

Distribuito da: P.ic. 01/07/74

Romanzo popolare Regia di: Monicelli M. Distribuito da: Fida

n/09/74

Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare di agosto Regia di: Wertmuller L. Distribuito da: Medusa

14/12/74 Ceravamo tanto amati

Regia di: Scola E. Distribuito da: Delta 06/12/74

Serpico Regia di: Lumet S. Distribuito da: Columbia 07/02/74

Portiere di notte (II) Regia di: Cavani L. Distribuito da: I.n.c. 04/04/74

Ultime grida dalla savana (La grande caccia) Regia di: Climati A. /Morra M. Distribuito da: Titanus 23/10/74 Profumo di donna

Regia di: Risi D. Distribuito da: Fida 11/12/74

Poliziotta (La) Règia di: Stènò

Distribuito da: Interfilm 01/10/74

Gruppo difamiglia in un interno Regia di: Visconti L.

Distribuito da: C.i.c.

03/12/74 Finché c’è guerra c’è speranza Regia di: Sordi A. Distribuito da: Cineriz 14/12/74 Mio Dio come sono caduta in basso

Regia di: Comencini L. Distribuito da: Titanus 19/10/74

1975 Amici miei Regia di: Monicelli M.

Distribuito da: Cineriz 07/08/75

Fantozzi Regia di: Salce L. Distribuito da: Cineriz 26/03/75

Di che segno sei? Regia di: Corbucci S.

Distribuito da: P.i.c. 17/10/75

A mezzanotte va la ronda del piacere Regia di: Fondato M.

Distribuito da: Cineriz

13/02/75 Paolo Barca maestro elementare praticamente nudista

Regia di: Mogherini F. Distribuito da: Cineriz 08/03/75

Profondo rosso Regia di: Argento D. Distribuito da: Cineriz 06/03/75

Yuppi Du Regia di: Celentano A. Distribuito da: Alpherat 25/02/75

Piedone a Hong Kong Regia di: Steno Distribuito da: Titanus 23/03/75 Anatra all’arancia (L’)

Regia di: Salce L. Distribuito da: Cineriz 19/12/75

Padrone e l’operaio (II)

Regia di: Steno Distribuito da: United 15/11/75

Due cuori, una cappella Regia di: Lucidi M.

Distribuito da: Cineriz 08/09/75

Una sera c’incontrammo Regia di: Schivazappa P.

Distribuito da: Euro

29/11/75 Zorro Regia di: Tessali D.

Distribuito da: Titanus

28/02/75 Un genio, due compari, un pollo Regia di: Damiani D. Distribuito da: Titanus 18/12/75

Pasqualino settebellezze

Regia di: Wertmuller L. Distribuito da: Medusa 20/12/75

1976 Novecento (Atto I e II)

Regia di: Bertolucci B. Distribuito da: Fox 17/05/76

Bluff storia di truffe e imbroglioni Regia di: Corbucci S. Distribuito da: Cineriz 14/04/76

Cassandra Crossing Regia di: Cosmatos P. G. Distribuito da: Gold Film 17/12/76

Sturmtruppen Regia di: Samperi S. Distribuito da: Cidif

11/12/76 Corsaro Nero (II)

Regia di: Sollima S. Distribuito da: Cineriz 20/12/76 Secondo tragico Fantozzi (II)

Regia di: Salce L. Distribuito da: Cineriz 09/04/76

Salon Kitty

Regia di: Brass T. Distribuito da: Titanus 21/02/76 Soldato di Ventura (II) Regia di: Festa Campanile P.

Distribuito da: Titanus 10/02/76

Quelle strane occasioni Regia di: Comencini/Magni/Loy Distribuito da: Cineriz 22/04/76

Innocente (L’) Regia di: Visconti L.

Distribuito da: Cineriz 13/05/76

Signor Robinson (II) - Mostruosa storia d’amore e d’avventure Regia di: Corbucci S. Distribuito da: United 21/12/76

Ultima donna (L’) Regia di: Ferreri M. Distribuito da: Fida 09/06/76

Casanova di Federico Fellini (II)

Regia di: Fellini F. Distribuito da: Titanus 11/12/76 Oh, Serafina!

Regia di: Lattuada A. Distribuito da: Cineriz 22/10/76 Scandalo Regia di: Samperi S. Distribuito da: Cineriz

26/03/76

1977 Due superpiedi quasi piatti (I) Regia di: Barboni E.

Distribuito da: Cidif 31/03/77

Ecco noi per esempio... Regia di: Corbucci S. Distribuito da: Cidif

28/10/77 Stanza del vescovo (La) Regia di: Risi D.

Distribuito da: Titanus

16/03/77 In nome del Papa Re

Regia di: Magni L. Distribuito da: Cineriz 01/12/77

Suspiria Regia di: Argento D. Distribuito da: P.a.c.

26/01/77 Altra metà del cielo (L’)

Regia di: Rossi F. Distribuito da: P.i.c.

02/03/77

Tre tigri contro tre tigri Regia di: Corbucci S./Steno Distribuito da: I.i.f. 31/08/77

Un borghese piccolo piccolo Regia di: Monicelli M. Distribuito da: Cineriz 10/03/77

Pane, burro e marmellata Regia di: Capitani G. Distribuito da: I.i.f. 08/11/77

Belpaese (II) Regia di: Salce L.

Distribuito da: 77cinem 15/12/77

Al di là del bene e del male Regia di: Cavani L.

Distribuito da: I.n.c. 28/09/77

Gatto (II) Regia di: Comencini L. Distribuito da: United 15/12/77 Prefetto diferro (II)

Regia di: Squitieri P. Distribuito da: Cineriz

22/09/77 Nuovi Mostri (I)

Regia di: Monicelli/Risi/Scola Distribuito da: Titanus

15/12/77 Porci con le ali

Regia di: Pietrangeli P. Distribuito da: Titanus 20/05/77

1978 Vizietto (II)

Regia di: Molinaro E. Distribuito da: United 20/10/78 Pari e dispari Regia di: Amendola M.

Distribuito da: Cidif

28/10/78

Mazzetta (La) Regia di: Corbucci S. Distribuito da: United

16/03/78

Geppo ilfolle

Regia di: Celentano A. Distribuito da: Cidif

20/12/78

Albero degli zoccoli (L’) Regia di: Olmi E. Distribuito da: I.n.c.

11/05/78 Amori miei Regia di: Steno

Distribuito da: Cineriz 19/12/78 Dove vai in vacanza? Regia di: Sordi/Bolognini/Salce

Distribuito da: Cineriz 19/12/78

Piedone l’africano Regia di: Steno Distribuito da: Titanus 21/03/78 Come perdere una moglie... e trovare un’amante Regia di: Festa Campanile P.

Distribuito da: Titanus 26/10/78 Lo chiamavano Bulldozer Regia di: Lupo M.

Distribuito da: C.i.c. 12/08/78

Eutanasia di un amore Regia di: Salerno E. M. Distribuito da: Cineriz 06/10/78

Zio Adolfo in arte Fuhrer

Regia di: Castellano & Pipolo Distribuito da: Medusa zb/vg/yS

Primo amore Regia di: Risi D. Distribuito da: United

24/06/78

Corleone Regia di: Squitieri P. Distribuito da: Cineriz 04/11/78 Squadra antimafia

Regia di: Corbucci B. Distribuito da: Titanus 07/10/78

1979-80 Qua la mano Regia di: Festa Campanile P.

Distribuito da: Titanus 28/03/80 Malato immaginario (II)

Regia di: Cervi T. Distribuito da: C.i.c 20/12/79 Mani di velluto

Regia di: Castellano & Pipolo Distribuito da: Cineriz 20/12/79 Café Express

Regia di: Loy N. Distribuito da: Cineriz 16/02/80 Io sto con gli ippopotami Regia di: Zingarelli I.

Distribuito da: Pentavideo 01/12/79

Ratataplan

Regia di: Nichetti M. Distribuito da: Cineriz 01/09/79

Patata bollente (La) Regia di: Steno

Distribuito da: Cidif 16/11/79

Inferno Regia di: Argento D.

Distribuito da: 20th Century Fox Film Corporation 07/02/80

Ladrone (II) Regia di: Festa Campanile P.

Distribuito da: Medusa/Iif 01/02/80 Luna (La)

Regia di: Bertolucci B Distribuito da: 20th Century Fox Film Corporation 29/08/79

Un sacco bello Regia di: Verdone C. Distribuito da: Medusa

19/01/80 Aragosta a colazione

Regia di: Capitani G. Distribuito da: United 01/03/79

Città delle donne (La)

Regia di: Fellini F. Distribuito da: Gaumont 28/03/80 Sabato, domenica e venerdì

Regia di: Festa Campanile P. Distribuito da: Medusa 20/10/79 Cicala (La)

Regia di: Lattuada A. Distribuito da: P.i.c.

18/04/80

1980-81 Ricomincio da tre

Regia di: TroisiM. Distribuito da: Distribuito da: Medusa 13/03/81

Bisbetico domato (II) Regia di: Castellano & Pipolo Distribuito da: Distribuito da: Cineriz

20/12/80 Fantozzi, contro tutti Regia di: Villaggio P. / Parenti N. Distribuito da: Distribuito da: Titanus 20/11/80 Asso Regia di: Castellano & Pipolo

Distribuito da: Distribuito da: Cineriz 16/04/81 Pap’occhio (II)

Regia di: Arbore R. Distribuito da: Distribuito da: Titanus 19/09/80 Mia moglie è una strega Regia di: Castellano & Pipolo

Distribuito da: Distribuito da: Cineriz 01/12/80

Vizietto 2 (II) Regia di: Molinaro E.

Distribuito da: Distribuito da: United 10/12/80

Fico d’india Regia di: Steno

Distribuito da: Distribuito da: Titanus 09/10/80

Zucchero miele e peperoncino

Regia di: Martino S. Distribuito da: Distribuito da: Medusa 03/10/80 Mifaccio la barca

Regia di: Corbucci S. Distribuito da: Distribuito da: Cineriz

23/12/80

Io e Caterina Regia di: Sordi A. Distribuito da: Distribuito da: Dlf/Iif/Medusa

19/12/80

Camera d’albergo Regia di: Monicelli M. Distribuito da: Distribuito da: Titanus 12/02/81

Manolesta Regia di: Festa Campanile P. Distribuito da: Distribuito da: Titanus 12/02/81

Uno contro l’altro praticamente amici Regia di: Corbucci B. Distribuito da: Distribuito da: Titanus 11/04/81

Carabbinieri (I) Regia di: Massaro F. Distribuito da: Distribuito da: Cinemaster/Medusa 24/04/81