Evoluzionismo e creazionismo: il dibattito dopo Darwin. Antologia di testi 9788843085682, 8843085689

La teoria di Darwin esposta nel 1859 in "On the Origin of Species" segnò il declino inesorabile dell'idea

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Italian Pages 182 [183] Year 2017

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Evoluzionismo e creazionismo: il dibattito dopo Darwin. Antologia di testi
 9788843085682, 8843085689

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Evoluzionismo • e creaz1on1smo: il dibattito dopo Darwin •

Antologia di testi

A cura diAlessandro Ottaviani Carocci editore @, Studi Superiori

STUDI SUPERIORI/ 1061 STORIA DELLA SCIENZA

Serie diretta da Marco Ciardi e Franco Giudice

Una serie di antologie dei più importanti testi della storia della scienza relativi sia a singoli autori ( Galileo, Newton, Einstein ...), sia a temi di particolare rilievo ( co­ smologia, evoluzionismo, meccanica quantistica ... ). Ogni volume, oltre a un'introduzione generale, è dotato di apparati critici che forniscono al lettore gli strumenti indispensabili non solo per inquadrare i testi e gli autori nel loro preciso contesto storico, ma anche per apprezzare il ruolo che ancora oggi svolgono nel dibattito scientifico e culturale. Già uscito:

Galileo Galilei. Antologia di testi, a cura di Michele Camerata In preparazione:

La medicina antica. Antologia di testi, a cura di Mario Vegetti La medicina medievale. Antologia di testi, a cura di Chiara Crisciani Charles Darwin. Antologia di testi, a cura di Pietro Corsi La meccanica quantistica. Antologia di testi, a cura di Enrico Giannetta

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 42 81 84 17 fax 06 42 74 79 31

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Evoluzionismo e creazionismo: il dibattito dopo Darwin Antologia di testi A cura di Alessandro Ottaviani

Carocci editore

edizione, gennaio 2017 © copyright 2017 by Carocci editore S.p.A., Roma 1

a

Impaginazione e servizi editoriali: Pagina soc. coop., Bari Finito di stampare nel gennaio 2017 da Grafiche VD srl, Città di Castello (PG) ISBN 978-88-430-8568-2

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

9

1.

All'ombra di Darwin

39

1.1.

1.2. 1.3. 1.4. 1.5. 1.6. 1.7. 1.8. 1.9. 1.10. 1.11.

Il vitalismo secondo Hans Driesch La terza via: Henri Bergson e l' élan vitale Ernst Haeckel: filogenesi dell'anima e mistica del monismo Creazionismo e trasformismo: prove di conciliazione 1893-1907: due pronunciamenti ufficiali della Chiesa Agostino Gemelli ed Erich Wasmann: critica al monismo La teoria evoluzionistica è inapplicabile ali' anima umana Il "caso" Henry de Dorlodot La scienza moderna dimostra la verità del racconto biblico Louis Vialleton e le illusioni del trasformismo , Ritorno all'evoluzione creatrice nell'idealismo di Edouard Le Roy

43 48 50 59 62 67 71 75 78 80

2.

Dalla "Nuova Sintesi" alla biologia molecolare

87

2.1.

Erwin Schrodinger: organismo e orologio visti da un fisico L'origine della vita: l' ipotesi di Oparin George Gaylord Simpson: "il problema dei problemi" T heodosius Dobzhansky: evoluzione a più livelli Francis Crick: il vitalismo ha i giorni contati Jacques Monod: invarianza, teleonomia e il principio di . . ' oggett1v1ta François Jacob: la vita e la sua "logicà' Ernst Mayr: evoluzione cosmica ed evoluzione biologica

90 93 96

2.2.

2.3. 2.4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

7

82

101

103 108 113 116

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO: IL DIBATTITO DOPO DARWIN

3.

La teologia fra creatio continua e contingenza

123

3.1. 3.2. 3.3. 3.4. 3.5. 3.6. 3.7.

Teilhard de Chardin: l'evoluzione convergente L' Enciclica Humani generis Antonin-Dalmace Sertillanges: novità sull'idea di creazione Karl Barth: la creazione non è teologia naturale Paul T illich: gerarchie, livelli, dimensioni e regni Karl Rahner: l'ominizzazione come autotrascendimento Wolfhart Pannenberg: caso e contingenza come segni del1' attività creatrice divina

127 132 134 139 141 145

4.

Dal creazionismo scientifico ali' Intelligent Design

157

4.1. Il creazionismo scientifico alla prova dei fatti: la "geologia del Diluvio" 4.2. Stephen Jay Gould: l'evoluzione come fatto e come teoria 4.3. William Dembski: l' Intelligent Design e l'obiezione della disteleologia 4.4. Dawkins e la "Grande Convergenzà' 4.5. Una critica filosofica ali' Intelligent Design: Hans Jonas 4.6. Una critica teologica ali' Intelligent Design: Wolfhart Pannenberg

152

159 161 167 171 174 176 179

Indice dei nomi

8

Introduzione

Non molto tempo fa ebbi occasione di dare un'occhiata ad alcune fra le ul­ time controversie del secolo fra scienza e religione, controversie che ebbero per protagonisti uomini come Gladstone e mio nonno Thomas Huxley, e che, a quell'epoca, agitarono il mondo del pensiero. Devo confessare che le trovai non soltanto scialbe, ma morte. Nello spazio di mezzo secolo aveva­ no perduto ogni vita. Infatti la discussione riguardava argomenti che oggi sembrano di scarsa importanza: se il racconto mosaico della Creazione fosse esatto alla lettera o secondo un valore simbolico, se la balena avesse realmente inghiottito Giona, se vi sia stato o meno un diluvio storico. La controversia in realtà si svolgeva fra il buon senso scientifico e la libertà di pensiero da una parte e l'ossequio all'autorità religiosa, la teoria del Verbo ispirato dall'altra. Quelle dispute annientarono le pretese dell'ortodossia, e oggi la lotta non può più avvenire su quel terreno, gli argomenti non possono più partire da quelle premesse 1 •

Questa pacata riflessione, risalente a quel decorso di anni che separa i due conflitti mondiali, si deve a Julian Sorel! Huxley (1887-1975), bio­ logo di grande levatura, tanto che di lì a breve sarebbe stato ricono­ sciuto senza esitazione come uno degli artefici della "Teoria sintetica dell'evoluzione"; il senso di totale estraneità che egli confessa di perce­ pire rispetto ai termini entro cui, solo mezzo secolo prima, si dibatteva il nonno, T homas Henry Huxley (1825-1895), può riuscire, paradossal­ mente, meno ovvio al lettore di oggi, sollecitato piuttosto da un teatro di controversie, di cui lo stesso Julian Huxley si sarebbe stupito, per l'ampiezza e l'asprezza dei toni via via conseguiti. Possiamo anzi facilmente sospettare quanto a fatica avrebbe po­ tuto comprendere per quali ragioni la ripresa del cosiddetto "creazio­ nismo scientifico" abbia conferito insospettata "contemporaneità" ad argomenti che egli sarebbe stato certo di poter dare per totalmente 1.

J. S. Huxley, Cio che oso pensare, Hoepli, Milano 1935, pp. 141-2. 9

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO: IL DIBATTITO DOPO DARWIN

estinti, assieme a quelle forme di "letteralismo storico della Bibbia" con il quale il nonno era stato costretto a misurarsi nel fuoco delle controversie con William Ewart Gladstone (1809-1898), ovvero nelle fasi successive all' ingresso dell'opera che ovviamente riformulò inte­ ramente i rapporti fra scienza e religione, l' Origin ofSpecies di Charles Darwin. In realtà, la considerazione di Julian Sorell Huxley aveva ben più di una ragione dalla sua parte e soprattutto in essa si riverberava l'eco di una lunga stagione in cui i rapporti fra sapere biologico e dottrina cristiana si erano vieppiù stabilizzati in forme tendenzialmente pacifi­ che, in ragione anche di una serie di mutamenti che erano intervenuti in entrambi i campi2 • Sinteticamente, per quanto concerne le scienze biologiche, in riferi­ mento alle due decadi a cavallo del XIX secolo, il quadro complessi­ vo si atteggerà in modo cale da rendere storiograficamente persuasi­ va la formula a suo tempo introdotta da Peter J. Bowler di "eclissi del darwinismo" 3; sul terreno della teologia, cattolica e riformata, si affac­ cia quel fenomeno noto come Modernismo. L'eclissi del darwinismo si è mossa sotto molti punti di vista in so­ stanziale continuità con i nodi problematici che erano stati ben presto focalizzati dai primi critici: un loro elenco fu fornito nel 1871 da Se. George Jackson Mivart, che, come lo stesso Darwin riconobbe, si se­ gnalò per la raffinatezza e l'ingegnosità delle obiezioni: La "selezione naturale" non è capace di spiegare gli stadi iniziali delle strutture utili. Non è armonizzabile con la coesistenza di strutture altamente simili di diverse origini. Ci sono margini per pensare che le differenze specifiche potrebbero svi­ lupparsi all'improvviso piuttosto che gradualmente. Che il parere secondo cui le specie pongono limiti definiti sebbene molto diversi alla loro variabilità è ancora sostenibile. Cfr., in particolare P. J. Bowler, Reconciling Science and Religion: The Debate in Early-Twentieth-Century Britain, University of Chicago Press, Chicago-London 2.

2001.

3. Cfr. ancora P. J. Bowler, The Eclipse

oJ Darwinism: Anti-Darwinian Evolu­

tion Theories in the Decades around I!)OO, The Johns Hopkins University Press, Bal­ timore-London 1983. IO

INTRODUZIONE

Che certe forme di transizione fra i fossili, che ci si attendeva presenti, . . sono invece assenti. Che alcuni fatti relativi alla distribuzione geografica forniscono ulteriori difficoltà. Che l'obiezione derivante dalle differenze fisiologiche fra "specie" e "raz­ ze" rimane ancora irrefutabile. Che ci sono molti rimarchevoli fenomeni nella forma organica su cui la "selezione naturale" non getta alcuna luce, la spiegazione dei quali, per con­ verso, se essa potesse essere raggiunta, potrebbe invece illuminare l'origine specifica4•

Nonostante le abili e ben articolate contro-argomentazioni, che Dar­ win ritenne indispensabile allegare nelle giunte alla sesta e definitiva edizione di Origin ofSpecies, le difficoltà comprese in quell'elenco non solo permasero, ma furono, paradossalmente, rafforzate nel momento in cui per larga parte le teorie darwiniane finirono per essere identi­ ficate sul finire del XIX secolo con il Darwinismus, ovvero con quella loro riscrittura che si era affermata in Germania, soprattutto grazie al biologo Ernst Haeckel, che fra gli anni Settanta e Ottanta aveva riela­ borato il trasformismo entro i termini di una rigorosa visione monistica della natura. Sulla spinta di questa precisa opzione cosmologico-filosofica molti dei "paesaggi': per cui Darwin aveva adottato un tratto sottile e ricco di cautele, assunsero una tonalità carica e compatta: ad esempio, Darwin sugli istanti iniziali della comparsa della vita sulla terra aveva mantenu­ to un'igienica epoche, ritenendo non vi fossero gli estremi per decidere sulla modalità e sulla numerabilità della "primogenitura" 5• Per Haeckel invece, avendo egli preliminarmente ammesso la generazione sponta­ nea, il vuoto di questi primi istanti è riempito di colpo da una distinta presenza, quella dello stadio della "monera': intesa come una massa pro­ toplasmatica, omogenea, priva di forma e di struttura. 4. St. G. J. Mivart, On the Genesis ofSpecies, D. Appleton and Company, New York 1871, p. 34 (trad. mia). 5. (C. Darwin, L'origine della specie. Edizione integrale del 1859 ed appendici con le varianti dell'edizione del 1872. Introduzione di Pietro Omodeo, Newton Compton, Roma 1973, pp. 556-7). II

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO: IL DIBATTITO DOPO DARWIN

Ancora, Darwin, ben avvertito della incompletezza dei dati a di­ sposizione delle scienze biologiche, non pretese mai di poter tracciare esaurientemente il "cammino evolutivo". Haeckel, applicando al regno vegetale e animale, come vero e proprio passe-partout, la cosiddetta leg­ ge biogenetica fondamentale, nota piuttosto secondo la formula per cui l'ontogenesi ricapitola la filogenesi, disegnò alcuni "alberi filogenetici" in cui quel cammino, restituito con ben altro livello di completezza e dettaglio, mediante una soluzione iconografica indubitabilmente effi­ cace, si dispiega obbedendo rigorosamente ai dettami del gradualismo filetico e di un monofiletismo pressoché assoluto. Nella complicata e ovviamente sfaccettata reazione al darwinismo, che qui dobbiamo presentare in forma necessariamente sintetica e sem­ plificata, la disaffezione verso il meccanismo proposto da Darwin della selezione naturale, o comunque, la tendenza a ridimensionarne cospi­ cuamente il ruolo, favorì la ripresa di approcci alternativi, quali il neo­ lamarckismo e le cosiddette teorie ortogenetiche. In entrambi i casi la fisionomia del processo evolutivo era ricondotta a un principio di dire­ zionalità interna, per cui alla dialettica variabilità-selezione si sostituiva l'effetto continuo di un fattore interno, la cui natura era ricondotta a due diverse matrici, ovvero una di tipo "riduzionisticà', chimico-fisica, l'altra invocante un principio vitalistico. Lo sfondo comune a tutte queste forme di allontanamento dal dar­ winismo muoveva da un profondo ripensamento della gradualità del processo evolutivo, intrinseco al meccanismo della selezione naturale. In sua vece si prospettavano scenari in cui, in luogo della ramificazione continua tipica dei solidi alberi filogenetici haeckeliani, vi era una map­ pa disunita di gruppi accostati fra loro e che tornavano a essere intesi alla stregua dei tipi cuvieriani. Laddove il processo di disarticolazione fu esteso non solo alle unità sistematiche superiori, ma anche alla specie, si arrivò di fatto a formu­ lare una versione del trasformismo così debole da far coincidere il suo raggio d'azione all'area della varietà distribuita attorno alla specie, per lo statuto della quale dalle soluzioni nominalistiche adottate sia da La­ marck sia da Darwin si tornò molto sovente a recuperare la lezione di Linneo. A una evoluzione per salti sembravano assentire sia gli esperimen­ ti condotti da Hugo de Vries, sia, più indirettamente, i risultati che stava producendo quel programma di ricerca avviato sulla scia della riscoperta delle leggi mendeliane, ovvero la genetica che aveva nei suoi 12

INTRODUZIONE

primi cultori una schiera di biologi di impostazione tutt'altro che dar• • w1n1ana. Anche nelle ricerche embriologiche non tardò ad aprirsi un dissen­ so verso la legge biogenetica formulata da Haeckel, in cui l' indagine delle diverse fasi dello sviluppo embrionale importava solo ai fini della ricostruzione dei rapporti filogenetici. La rinnovata attenzione alla dimensione ontogenetica, recuperata a una piena autonomia, comportò sovente anche il distacco dalla scuo­ la meccanicista fondata da Wilhelm Roux, e il contestuale recupero di istanze schiettamente vitalistiche, quali quelle elaborate da Hans Driesch. Il vitalismo, che per tutta la prima metà del xx secolo continuò a essere un'opzione "forte" nella filosofia biologica, rappresentò an­ che un trait d'union con le "esigenze" spiritualistiche presenti nella cultura. Sul piano dell'elaborazione schiettamente filosofica il caso probabilmente più interessante fu quello costituito da Henri Bergson (1859-1941). Il filosofo parigino nel 1907 dava alle stampe L'évolution créatrice, sua terza opera di grande respiro e probabilmente anche la più celebrata e discussa, al centro della quale Bergson pone la nozione di slancio vitale. Lo spettro dei motivi che agitano il panorama della biologia fra Otto e Novecento, come sollecitò la riflessione più propriamente filosofica, così, prevedibilmente, non poté non entrare in risonanza con la teolo­ gia, la quale fu percorsa in quel medesimo giro di anni da una violenta dialettica interna generata dal Modernismo 6• Va da sé che il problema dell'evoluzione non fu centrale, ma vi rientrò fra i temi propri dell'ese­ gesi biblica, che si innestava nell'alveo di quella "critica storica'' che co­ minciava ad annoverare alcuni autorevoli esponenti, dal domenicano francese Marie-Joseph Lagrange (1855-1938), fondatore a Gerusalemme 6. Sul Modernismo cfr. M. Guasco, Modernismo. Ifatti, le idee, i personaggi, San Paolo, Cinisiello Balsamo 1995; G. Sale, ''La Civilta Cattolica" nella crisi modernista (I!)OO-I!)07) fra

transingentismo politico e integralismo dottrinale, Jaca Book, Milano 2001; A. Botti, R. Cerrato (a cura di), Il modernismo tra cristianita e secolarizzazione, QuattroVenti, Urbino 2000; M. Nicoletti, O. Weiss (a cura di), Il modernismo in Ita­ lia e in Germania nel contesto europeo, il Mulino, Bologna 2010; C. Arnold, G. Vian (a cura di), La condanna del modernismo. Documenti� interpretazioni, conseguenze, Viella, Roma 2010; G. Vian, Il modernismo. La Chiesa cattolica in conflitto con la mo­ dernita, Carocci, Roma 201 2.

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EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO: IL DIBATTITO DOPO DARWIN

nel 1890 dell' École pratique d'études bibliques, al biblista Alfred Fir­ min Loisy (1857-1940), per finire a Salvatore Minocchi (1869-1943)7• Questo rinnovamento negli studi biblici allora sembrò ricevere un avallo in alcuni passi dell'enciclica Providentissimus Deus emanata da papa Leone XIII nel novembre 1893. Prevedibilmente, "il problema delle origini" svolse un ruolo strategico. La possibilità di un' interpreta­ zione "metaforica'' dei primi tre capitoli della Genesi si riverberò sul ver­ sante della teologia dogmatica incoraggiando tentativi di conciliazione con l'evoluzionismo, che nel frattempo, come riferito in precedenza, si sfrangiava in una pluralità di approcci, contemplando versioni decisa­ mente moderate, e dando corpo a una serie di opere e pronunciamenti. Fra questi furono particolarmente rilevanti quelli del francese Dalmace Leroy (1828-1905), autore di L'évolution des especes organiques (1887) e di L'évolution restreinte aux especes organiques (1891), e del teologo statunitenseJohn Augustine Zahm (1851-1921), autore diEvolution and Dogma (1896). Simili tentativi furono esperiti anche fuori dall'ambiente propria­ mente ecclesiastico, come accadde con lo scrittore Antonio Fogazzaro. Particolarmente significativa fu la sintesi a cui pervennero il gesuita Erich Wasmann e il francescano Agostino Gemelli, che intervennero nel dibattito nella duplice veste di "modernisti" e scienziati. Wasmann era un accreditato entomologo. Gemelli, che sarebbe divenuto successivamente psicologo e fondatore della Cattolica di Mi­ lano, proveniva da solidi studi di istologia sotto la guida di Camilla Golgi. Nel 1904 Wasmann dava alle stampe un libro intitolato Die mo­ derne Biologie und die Entwicklungstheorie, prestamente tradotto in 7. Se si volesse avere un esempio di come la critica storica potesse incrociare l'evo­ luzionismo entro le discipline "religiose", cfr. A. Loisy, L'évangile et l'église, Alphonse Picard et fìls, Paris 190 2, pp. 111- 2: «Il n'est aucune institution sur la terre ni dans l' his­ toire des hommes dont on ne puisse contester la légitimité et la valeur, si l'on pose en principe que rien n' a droit d'etre que dans son état origine!. Ce principe est contraire à la loi de la vie, laquelle est un mouvement et un effort continue! d'adaptation à des conditions perpétuellement variables et nouvelles. Le christianisme n'a pas échappé à cette lai, et il ne faut pas le blamer de s'y etre soumis. Il ne pouvait faire autrement»; su Loisy cfr. R. Ciappa, Storia e teologia. L'itinerario intellettuale di A/fred Loisy (ISS3Igo3), Liguori, Napoli 1993; E. Goichot, A/fred Loisy et ses amis, Éditions du Cerf, Paris 200 2; H. Hill, The Politics ofModernism: A/fred Loisy and the Scientific Study, Catholic University of America Press, Washington 2002; M. Guasco, A/fred Loisy, Morcelliana, Brescia 2004. 14

INTRODUZIONE

italiano (La biologia moderna e la teoria dell 'e voluzione) da Agostino Gemelli; esso testimonia, nel suo complesso, il tentativo di legitti­ mare una versione debole del trasformismo, in cui la teoria della di­ scendenza è ammessa entro determinate serie di forme, assimilabili al concetto linneano di "specie naturali"; il mondo che si affaccia, posto in essere da un Creatore distinto, è un mondo naturale, polifiletico e finalistico. Secondo Gemelli la via suggerita aveva il merito di evitare i rischi che si erano corsi nei tentativi conciliativi di Zahm e Fogazzaro, ovvero di inclinare verso posizioni agnostiche e panteistiche, le quali furono puntualmente addebitate fra gli "errori del Modernismo" nella severa enciclica Pascendi Dominici gregis emanata nel 1907 da papa Pio x. Pur tenendo conto delle limitazioni che questo pronunciamento reintroduceva, i margini per una prosecuzione nella definizione di soluzioni conciliatorie furono tuttavia non del tutto annichiliti. Nel 1909 infatti la Pontificia commissione biblica, chiamata a pronunciarsi sul "carattere storico" dei primi tre capitoli della Genesi, ammetteva la licenza a discostarsi dal "senso letterale" nei casi in cui le espressioni > 8• 8. Di particolare interesse sono le ultime questioni: > 3 3 . Con tutto ciò bisognerebbe tener conto che mentre la semplicisti­ ca antitesi fra caso e disegno, cui soggiace la logica dei fautori dell' 1n, ha fatto breccia (si pensi ad esempio ai pronunciamenti del cardinale Christoph Schonborn3 4 ), il depauperamento complessivo del dibattito ha investito anche il contraltare "ateo e naturalistico': il quale, pur da un inizio promettente e improntato a una lodevole attitudine divul­ gativa3 5, è sempre più scivolato verso una strategia di intervento pam3 2. 20 0 6. 33. 20 0 9,

p.

Una brillante disamina è in T. Pievani, Creazione senza Dio, Einaudi, Torino S. Morandini, Darwin e Dio. Fede, evoluzione, etica, Morcelliana, Brescia 19.

Cfr. C . Schonborn, Caso o disegno? Evoluzione e creazione secondo una fede ragionevole, ESD, Bologna 20 07. 3 s. L'esempio più persuasivo è, a mio avviso, rappresentato dal libro di R. Daw­ kins, L'orologiaio cieco. Creazione o evoluzione?, Mondadori, Milano 20 0 3 (ed. or. 1 9 8 6 ) , in part. p. 4 22: 3 9 , e quella espressa dal già citato Saverio Morandini, secondo il quale la biologia evoluzionistica ha lanciato alla teologia una sfida che > 4 0 • Ci si potrebbe dunque chiedere se un "salomonico" punto di in­ contro possa davvero essere indicato nella formula dei "Magisteri in­ dipendenti", di cui si fece interprete Gould in un saggio del 1997, poi trasformato in un libro nel 19994 1 • La proposta, come prevedibile, ha luogo, che esse sono superflue e, in secondo luogo, che presuppongono l'esistenza della cosa principale che vogliamo spiegare, ossia della complessità organizzata. L'unica cosa che fa dell'evoluzione una teoria così meravigliosa è che essa ci spiega in che modo la complessità organizzata possa derivare dalla semplicità primordiale» . 36. In italiano: R. Dawk.ins, L'illusione di Dio. Le ragioni per non credere, Mon­ dadori, Milano 20 07 (ed. or. 20 06); R. Dennett, Rompere l'incantesimo. La religione comefenomeno naturale, Cortina, Milano 20 07 (ed. or. 200 6 ). 37. Di questa letteratura in italiano è disponibile A. McGrath, J. Collicutt McGrath, L 'illusione di Dawkins. Ilfondamentalismo ateo e la negazione del divino, Alfa&Omega, Caltanissetta 20 07; T. Crean, Non di sola materia. In risposta a 4 2 • APP RO F ON D I M ENTO B IB LI OG RAFI CO

Sui rapporti fra scienza e religione si raccomanda, in lingua italiana, la lettura dei seguenti studi con diverse prospettive: D . c. LINDB E RG , R. L. NUMBERS (a cura di), Dio e natura. Saggi storici sul rapporto tra cristianesimo e scienza, La Nuova Italia, Firenze 1 9 94 (ed. or. 1 9 8 6 ) ; T. D IXON, Scienza e religione, Codice, Torino 20 0 9 ; B. SWEETMAN, Religione e scienza. Un 'introduzione, Queriniana, Brescia 201 4; s. KAUF FMAN, Reinventare il sacro. Scienza, ragione e religione: un nuovo approccio, Codice, Torino 2 0 1 0 ; c. ALLÈG RE , Dio e l 'impresa scientifica. Il millenario conflitto tra religione e scienza, Cortina, Milano 1 9 9 9 ; J. HABERMA S , Tra scienza efede, Laterza, Roma-Bari 2 0 0 6 ; J. c. P O LING H O RNE , Credere in Dio nell 'eta della scienza, Cortina, Milano 2 0 0 0 ; G . BONI O L O , Il limite e il ribelle. Etica, naturalismo, darwinismo, Cortina, Milano 20 0 3 ; F. s. C O LLIN S , Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell 'armonia tra scienza efede, Sperling & Kupfer, Milano 20 0 7 ; c. B O RA S I , Scienza e teologia. Ragioni di un dialogo, EDB, Bologna 1 9 9 3 ; J. F. HAUG H , Dio e il nuovo ateismo, Queriniana, Brescia 20 0 9 ; A . E. M C G RAT H , Scienza efede in dialogo. Ifonda­ menti, Claudiana, Torino 20 0 2 ; P. O D IFREDD I , Il Vangelo secondo la scienza. La religione alla prova del nove, Einaudi, Torino 1 9 9 9 ; L. GALLENI, Scienza e teologia. Proposte per una sintesi feconda, Queriniana, Brescia 1 9 9 2 ; D . LAM­ BERT, Scienza e teologia. Figure di un dialogo, Città Nuova, Roma 20 0 6 ; G. MART ELET, Evoluzione e creazione. Dall'origine del cosmo all 'origine dell'uo­ mo, Jaca Book, Milano 200 3 ; v. MARALD I , Lo Spirito creatore e la novita del cosmo, Edizioni Paoline, Milano 20 0 2 ; H. RAHNER, Scienza e fede cristiana, Edizioni Paoline, Roma 1 9 84. 42. A. La Vergata, Darwinismo,

scienza, religione, in C. Giuntini, B. Lotti (a cura di), Scienza e teologiafra Seicento e Ottocento. Studi in memoria di Maurizio Mamiani, Olschki, Firenze 20 0 6, p. 137.

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EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO : IL DIBATTITO DOPO DARWIN

Di gran lunga più nutrita la letteratura in altre lingue, per cui si veda : J. H. B RO O KE , Science and Religion : Some Historical Perspectives, Cambridge Uni­ versity Press, Cambridge 1 9 9 1 ; T. SO M B EK, A . VERING , A. WILLERT (Hrsg.), Das Bild von der Welt in Naturwissenschaft und Theologie, Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1 9 9 3 ; J. BRO OKE, G. CANTOR, Reconstructing Nature: The Engagement ofScience and Religion, Oxford University Press, Oxford et al. 1 9 9 8 ; G. B . FERNGREN (ed.), The History of Science and Religion in the Western Tradition : An Encyclopedia, Garland Publishing, New York-London 20 0 0 ; R. G. OLS ON, Science and Religion I450-I900: From Copernicus to Dar­ win, TheJohns Hopkins University Press, Baltimore 2004; T. D I XON, Science and Religion: A Very Short Introduction, Oxford University Press, Oxford et al. 20 0 8 ; T. D I XON, G. CANTO R, s. PUMFREY (eds.), Science and Religion: New Historical Perspectives, Cambridge University Press, Cambridge et al. 2010 ; P. M EUSBURG ER, P. HARRI SO N (eds.), The Cambridge Companion to Science and Religion, Cambridge University Press, Cambridge et al. 2 0 1 0 ; N. MO RVILL O , Science and Religion: Understanding the Issues, Wiley-Blackwell, Oxford 20 1 0. Può riuscire ancora utile, oltre che storiograficamente illuminante, la lettura di alcuni seguenti "classici", tenendo ovviamente conto della peculiarità del momento storico che ne ha sollecitato la scrittura : J. w. D RAPER, History ojthe Conflict between Religion and Science, Henry S. King and Co., London 1 8 7 5 ; A . D . WHITE , A History ofWarfare ofScience with Theology in Christendom, 2 voll., Appleton and Company, New York 1 8 9 6 ; B. c. A . WINDLE , The Church and Science, B. Herder Book Co., London 1 9 1 7 (1 ed. 1 9 1 6 ) ; J. c. HARDWI C K, Religion and Sciencefrom Galileo to Bergson, McMillan and Co., New York­ London 1 9 2 0 ; J. NEEDHAM (ed.), Science Religion and Reality, The Sheldon Press-The Macmillan Co., London-New York-Toronto 1 9 25 ; J. IVE RACH , Evolution and Christianity, Hodder and Stoughton, London 1 8 94; L . T. M O ­ RE , The Dogma ofEvolution, Princeton University Press, Princeton 1 9 2 5 . Il dibattito fra evoluzionismo e creazionismo non investe unicamente la sfera dei rapporti fra scienza e cristianesimo; in riferimento ai rapporti con le altre due religioni monoteiste, qui non trattati, cfr. però s. F O RES TIERO ( a cura di), Evoluzione e religioni. Un rapporto complesso, Carocci, Roma 20 1 5 . Assai più ampia l'offerta di letture in altre lingue, fra cui si raccoman­ dano : N. M . SAMUELSON,judaism and the Doctrine of Creation, Cambridge University Press, Cambridge et al. 1 9 94; ID.,jewish Faith andModern Science: On the Death and Rebirth ofjewish Philosophy, Rowman & Littlefield Pub­ lishers, Lanham et al. 20 0 9 ; G . CANT O R , Quakers,jews, and Science: Religious Responses to Modernity and the Science in Britain, I650-I900, Oxford Univer­ sity Press, Oxford et al. 2 0 0 5 ; G. CANTOR, M. SWETLITZ ( eds.) ,jewish Tradi34

INTRODUZIONE

tion and the Challenge ofDarwinism, The Chicago University Press, Chicago­ London 2 0 0 6 ; A. A. ZIADAT, Western Science in the Arab World.· The Impact oj Darwinism, rS60-r930, St. Martin's Press, New York 1 9 8 6 ; P. A. HOODBH OY, Muslims and Science.· Religious Orthodoxy and the Struggle far Rationality, Vanguard Books, Lahore 1 9 9 1 ; s. HAMEED, Evolution and Creationism in the Islamic World, in Dixon, Cantar, Pumfrey (eds.), Science and Religion.· New Historical Perspectives, cit., pp. 1 3 3- 5 2 . Più specificamente sul dibattito fra religione e sapere naturalistico e biolo­ gico si possono consultare, in lingua italiana: J. ARNOULD, La teologia dopo Darwin. Elementi per una teologia della creazione in una prospettiva evoluzio­ nistica, Queriniana, Brescia 2 0 0 0 ; F. FACCHINI, Le sfide della evoluzione. In armonia tra scienza efede, Jaca Book, Milano 2 0 0 8 ; ID., Evoluzione. Cinque questioni nel dibattito attuale, Jaca Book, Milano 2 0 1 2 ; H. KUNG, L'inizio di tutte le cose. Creazione o evoluzione l Scienza efede a confronto, Rizzali, Milano 2 0 0 6 ; A. MCGRATH, Dio e l'e voluzione. La discussione attuale, Rubbettino, Saveria Mannelli 2 0 0 6 ; s. o. HORN, s. WIEDEHO FER (a cura di), Creazione ed evoluzione. Un convegno con Papa Benedetto XVI a Castel Gandolfo, prefazione del cardinale Ch. Schonbrod, Dehoniane, Bologna 2 0 0 7 ; s. MORANDINI, Darwin e Dio, cit.; A. PIOLA, Non litigare con Darwin. Chiesa ed evoluzio­ nismo, Edizioni Paoline, Roma 20 0 9 ; D . DENNETT, A. PLANTINGA, Scien­ za e religione. Sono compatibili l, ETS, Pisa 20 1 2 ; inoltre: R. J. RUSSELL, w. STOEGER, F. J. AYALA (eds.), Evolutionary and Molecular Biology: Scientiflc perspectives on Divine Action, Vatican Observatory Press- Center for Theology and the Natural Sciences, Città del Vaticano-Berkeley 1 9 9 8 ; G. AULETTA, M. LECLERC, R. A. MARTINEZ (eds.), Biologica/ Evolution.· Facts and Theories, Gregorian & Biblica! Press, Rame 2 0 1 1 . Una utile presentazione di testi relativi si trova in c. c. YOUNG, M. A. LAR­ GENT (eds.), Evolutionism and Creationism .· A Documentary and Reference Guide, Greenwood Press, Westport ( CT )-London, 2 0 0 7 e in R. P. PENNO CK (ed.), Intelligent Design Creationism and Its Critics.· Philosophical, Theologi­ cal, and Scientiflc Perspectives, The MIT Press, Cambridge (MA)-London 2 0 0 1. Su di un versante più proprio dell'analisi dei processi storici è consigliabile la lettura di: P. OMODEO, Creazionismo ed evoluzionismo, Laterza, Roma-Bari 1 9 8 4 ; P. CASINI, Darwin e la disputa sulla creazione, cit.; c. MOLARI, Darwi­ nismo e teologia cattolica, cit. ; J. ARNOULD, La chiesa e la storia della natura, Jaca Book, Milano 2 0 0 2 . Per opere in altre lingue si raccomanda la lettura dei seguenti libri: J. R. MO O RE, The Post-Darwinian Controversies.· A Study ofthe Protestant Strug­ gle to Come to Terms with Darwin in Great Britain and America, rS70-r900, 35

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO : IL DIBATTITO DOPO DARWIN

Cambridge University Press, Cambridge et al. 1 9 7 9 ; D. N. LIVINGSTONE, Darwin 's Forgotten Dejènders, Regent College, Vancouver 1 9 8 7 ; P. J. BOWL­ ER, Reconciling Science and Religion, cit. ; R. L. NUMB ERS, J. STENH OUSE ( eds.), Disseminating Darwinism.· The Role ofPiace, Race, Religion, and Gen­ der, Oxford University Press, Oxford et al. 2 0 0 1 ; M. ARTI GAS, T. F. GLI CK, R. A. MARTINEZ, Negotiating Darwin .· The Vatican Confronts Evolution, IS77I9 02 , The Johns Hopkins University Press, Baltimore 2 0 0 6 ; P. J. BOWLER, Monkey Trials and Gorilla Sermons.· Evolution and Christianityfrom Darwin to Intelligent Design, Harvard University Press, Cambridge (MA)-London 2 0 0 7.

Sul creazionismo scientifico nordamericano e sull' Intelligent Design si rac­ comanda la lettura di: T. PIEVANI, Creazione senza Dio, cit. ; ID., In difesa di Darwin, Bompiani, Milano 2 0 0 7 ; o. FRANCESCHELLI, Dio e Darwin. Natu­ ra e uomo tra evoluzione e creazione, Donzelli, Roma 2 0 0 5 . Davvero sterminata la letteratura in altre lingue, specialmente in inglese; si raccomanda innanzitutto la lettura dei seguenti saggi particolarmente at­ tenti a fornire un quadro storico del dibattito: J. DURANT (ed.), Darwinism and Divinity.· Essays on Evolution and Religious Belief, Blackwell, New York 1 9 8 5 ; R. L. NUMBERS, The Creationists.· The Evolution ofScientific Creation­ ism, University of California Press, Berkeley-Los Angeles 1 9 9 2 ; ID., Darwin­ ism Comes to America, Harvard University Press, Cambridge (MA) 1 9 9 8 ; ID., The Creationists.· From Scientific Creationism to lntelligent Design, Harvard University Press, Cambridge (MA) 2 0 0 6 ; E. J. LARSON, The Creation-Evolu­ tion Debate.· Historical Perspectives, The University of Georgia Press, Athens­ London 2 0 0 7 ; D. LECOURT, L'Amérique entre la Bible et Darwin, PUF, Paris 2 2 0 0 7 ; J. B. FO STER, B. CLARK, R. YORK, Critique ofIntelligent Design.· Ma­ terialism versus Creationism from Antiquity to the Present, Monthly Review Press, New York 20 0 8 ; J. s. SCHEIDERMAN, w. D. ALLMON (eds.), For the Rock Record.· Geologists on lntelligent Design , University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2 0 0 9 ; c. GRIMOULT, Créationnismes. Mirages et controvérités, CNRS Editions, Paris 2 0 1 2 . Con più accentuata intenzione controversistica sono da vedere: M. RU­ SE (ed. ), But is it Sciencel The Philosophical Question in the Creation/Evo­ lution Controversy, Prometheus Book, New York 1 9 9 6 ; N. ELDRED GE, The Triumph ofEvolution: and the Failure of Creationism, Nevraumont Publish­ ing Company, New York 2 0 0 0 ; M. RUSE, Can a Darwinian Be a Christian ? The Relationship between Science and Religion, Cambridge University Press, Cambridge et al. 2 0 0 1 ; J. A. M O O RE, From Genesis to Genetics.· The Case oj Evolution and Creationism, University of California Press, Berkeley-Los Angeles-London 2 0 0 2 ; L. A. WITHAM, Where Darwin Meets the Bible.· Cre­ ationists and Evolutionists in America, Oxford University Press, Oxford et al.

INTRODUZIONE

N. A. MAN SON ( ed.), God and Design: The Teleologica/ Argument and Modern Science, Routledge, London-New York 20 0 3 ; M. RUSE, Darwin and Design : Does Evolution Have a Purposel, Harvard University Press, Cam­ bridge (MA) -London 2 0 0 3 ; B. F0RREST, P. R. GR0 SS, Creationism 's Trojan Horse: The Wedge of Intelligent Design, Oxford University Press, Oxford et al. 2 0 0 4 ; N. SHANKS, God, the Devii, and Darwin: A Critique of Intel­ ligent Design Theory, Oxford University Press, Oxford 2 0 0 4 ; M. Y0 UNG, T. EDIS (eds.) , Why Intelligent Design Fails: A Scientifìc Critique ofthe New Creationism, Rutgers University Press, New Brunswick-London 2 0 0 4 ; w. A. DEMBSKI, M. RUSE (eds.) , Debating Design From Darwin to DNA, Ox­ ford University Press, Oxford et al. 20 0 6 ; A. MCCALLA, The Creationist De­ bate: The Encounter between the Bible and the Historical Mind, T&T Clark lnternational-A Continuum Print, London-New York 20 0 6 ; E. c. SC0TT, G. BRANCH (eds.) , Not in Our Classrooms: Why Intelligent Design ls Wrong far Our Children, Beacon Press, Boston 20 0 6 ; s. SARKAR, Doubting Dar­ win ? Creationist Designs on Evolution, Blackwell, Malden- Oxford 2 0 0 7 ; G. SLACK, The Battle Over the Meaning ofEverything: Evolution, lntelligent Design, and a School Board in Dover, John Wiley & Sons, San Francisco 20 0 7 ; c. c. Y0 UNG, M. A. LARGENT, Evolution and Creationism: A Docu­ mentary and Reference Guide, Greenwood Press, Westport-London 2 0 0 7 ; E. c. SC0TT, Evolution vs. Creationism: An lntroduction, second edition, foreword by N. Eldredge, foreword to second edition by Judge E. Jones III, Greenwood Press, Westport-London 2 0 0 9 (1 ed. 2 0 0 4 ) ; M. SINGHAM, God vs. Darwin : The War between Evolution and Creationism in the Classroom, Rowman & Littlefìeld Publishers, Lenham et al. 20 0 9 ; M. Y0UNG , P. K. STRODE, Why Evolution Works (and Creationism Fails), Rutgers University Press, New Brunswick-London 2 0 0 9 ; J. c. AVISE, lnside the Human Genome: A Case far Non-Intelligent Design, Oxford University Press, Oxford et al. 20 1 0 ; A. PHY-0LSEN, Evolution, Creationism, and Intelligent Design , Green­ wood Press, Santa Barbara-Denver- Oxford 2 0 1 0. 2002;

Per una ricostruzione delle vicende della biologia fra Otto e Novecento si può rimandare ad alcune sintesi disponibili in lingua italiana: w. C0LEMAN, La biologia nell'Ottocento, il Mulino, Bologna 1 9 8 4 (ed. or. 1 9 7 1 ) ; G. E. ALLEN, La biologia contemporanea, il Mulino, Bologna 1 9 8 5 (ed. or. 1 9 7 8 ) ; E. MAYR, Storia delpensiero biologico. Diversita, evoluzione, eredita, Bollati Boringhieri, Torino 1 9 9 0 (ed. or. 1 9 8 3 ) ; G. BARSANTI, Una lunga pazienza cieca. Storia dell'e voluzionismo, Einaudi, Torino 2 0 0 5 ; sul corso del darwinismo fra Otto e Novecento non si può fare a meno di tener conto del quadro interpretativo offerto da P. J. B 0WLER, The Eclipse ofDarwinism, cit. In lingua italiana si può inoltre far riferimento ad alcune utili antologie : v. S0MENZI (a cura di) , L'e voluzionismo, Loescher, Torino 1 9 7 1 ; B. FANTINI 37

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO : IL DIBATTITO DOPO DARWIN

(a cura di), La macchina vivente. Meccanicismo e vitalismo nella biologia del Novecento, cit. ; A . LA VERGATA (a cura di), L 'evoluzione biologica: da Linneo a Darwin, I735-IS7I, Loescher, Torino 1 9 79. Parallelamente, per la storia della teologia novecentesca si può consultare la recente monografia di F. FERRARio , La teologia del Novecento, Carocci, Ro­ ma 201 1 ; inoltre: R. GI B ELLINI, La teologia del xx secolo, Queriniana, Brescia 2007 6 ; G. ANG ELINI, s. MAC C H I (a cura di), La teologia del Novecento. Mo­ menti maggiori e questioni aperte, Glossa, Milano 20 0 8 ; variamente utili: F. FESTORAZZI, La Bibbia e il problema delle origini, Paideia, Brescia 1 9 6 6 ; P. MERL O (a cura di), L:Antico Testamento. Introduzione storico-letteraria, Ca­ rocci, Roma 2 0 0 8.

Avvertenza Ove non altrimenti specificato, la traduzione è da intendersi a carico del curatore. Qualora siano state omesse le annotazioni presenti negli originali, non è stata introdotta alcuna segnalazione.

I

All'ombra di Darwin

Uno dei sintomi più significativi delle crescenti difficoltà a cui andò incontro la teoria darwiniana, calibrata sulla centralità della selezione naturale come motore del cambiamento evolutivo, fu il riemergere a fine XIX secolo delle istanze vitalistiche che, specialmente in area germanica, segnarono al contem­ po l'insorgere di una crescente insofferenza nei confronti sia del monismo haeckeliano sia di modelli meccanicistici che si erano inizialmente affermati in ambito embriologico. Uno dei protagonisti di questa ripresa del vitalismo fu per l'appunto l'em­ briologo tedesco Hans Driesch, di cui qui si propone un brano tratto dalla versione italiana del volume edito in lingua tedesca nel 19 05, sotto il titolo Der Vitalismus als Geschichte und als Lehre (Il vitalismo come storia e come dottri­ na) ; in cui Driesch si presenta sotto la duplice veste di biologo, la professione d'esordio, da cui si sta di fatto accomiatando, e di filosofo, la disciplina a cui dedicherà il resto della sua esistenza. Nel brano qui proposto il lettore è introdotto proprio alle considerazioni di esordio, in cui Driesch espone per sommi capi gli aspetti principali della questione relativa al finalismo, che costituisce nella sua filosofia biologica il correlato indispensabile mediante il quale strappare l'organismo dal prevalen­ te paradigma meccanicista. Altrettanto radicata in questa fase di profondi ripensamenti, che inve­ stono soprattutto la biologia tedesca di cui è peraltro attento osservatore e conoscitore, è la potente riflessione filosofica che Henri Bergson consegna in L 'évolution créatrice, edita nel 1 9 07, giusto due anni dopo il volume di Driesch. Ugualmente connesso alla reazione nei confronti del darwinismo hae­ ckeliano è il contesto di temi che il lettore troverà esemplificati nei brani suc­ cessivi, in cui la polemica vede questa volta coinvolte due figure esemplari del tentativo di coniugare le aperture del Modernismo con una adesione a un evoluzionismo assai moderato. Per intendere lo scontro bisognerà tener presente un dato aggiuntivo re­ lativo alla parabola scientifica di Haeckel, ovvero il suo sempre più convinto impegno nel proporre la filosofia monistica anche come una sorta di religione 39

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

razionale capace di soppiantare definitivamente le confessioni tradizionali di cui qui si offre un esempio nei brani presentati al PAR. 1.3. Il progetto, che peraltro Haeckel espose in una serie di opere cui arrise un notevole successo grazie a una proverbiale felicità di scrittura ed efficacia iconografica, attirò su di sé la reazione estremamente negativa da parte del clero colto. Uno dei momenti più significativi della polemica coincise con la pubblicazione nel 1904 di Moderne Biologie und die Entwicklungstheorie (La biologia moderna e la teoria dell'evoluzione) a opera del gesuita Erich Was­ mann, in cui venivano sviluppate alcune critiche ali' indirizzo del monismo. Seguì una risposta di Haeckel e l'organizzazione di un dibattito pubblico a Berlino, in cui al gesuita fu offerta la possibilità di rispondere a sua volta ed esporre in forma divulgativa i termini della discussione. L'esemplarità della disputa fu colta in Italia da Agostino Gemelli, desti­ nato a divenire una figura di rilievo nella vita religiosa, culturale e politica dell' Italia fra le due guerre. Allora si era appena fatto francescano, dopo aver compiuto una fulminea conversione al cattolicesimo, partendo da posizioni laiche e positivistiche che lo avevano condotto a optare per una austera forma­ zione medico-biologica, alla scuola di Camilla Golgi ( 1 843-1926). Il brano è tratto dalla Introduzione che Gemelli premise alla traduzio­ ne dell'opera del 1904 del gesuita austriaco, in cui il francescano riassume e amplia le prospettive della polemica antihaeckeliana, alla luce di una prima e convinta adesione al movimento modernista, che poi Gemelli rigetterà dopo l'enciclica papale del 1 9 07, la Pascendi Dominici gregis. Le aperture presenti nell'intervento di Gemelli, con tutti i limiti che lo caratterizzano, sono a loro volta frutto di una stagione particolare, nella quale la Chiesa stessa si trovò a fronteggiare internamente il fenomeno del Modernismo, che indirettamente incoraggiava un dialogo con le teorie evo­ luzioniste; nel corso di questo confronto la Chiesa virò da un'iniziale tolle­ ranza a una condanna esplicita: i due pronunciamenti ufficiali che segnano i rispettivi momenti si possono qui leggere nei due ampi stralci tratti dalle encicliche papali Providentissimus Deus e Pascendi Dominici gregis. Un docu­ mento esemplificativo della dialettica che si aprì in seno alle posizioni della teologia è dato dal brano al PAR. 1.4 del teologo Joseph Brucker ( 1 845-1926), francese, originario della regione alsaziana, membro della Compagnia di Ge­ sù, alle vicende storiche della quale dedicò una erudita monografia storica, La Compagnie de jésus. Esquisse de son Institut et de son Histoire (I52I-I773) , pubblicata a Parigi nel 1919. Brucker, pur partito da posizioni moderatamente conservatrici, con gli anni accentuò la propria opposizione nei confronti della teologia e dell'esegesi scritturale "liberali", facendosi assertore di una versione rigorosa della "veracità" della Bibbia. Fu a lungo redattore della rivista "Etudes religieuses, philosophiques, historiques et littéraires", da cui è tratto il saggio qui proposto, risalente al 1 8 8 9. Per comprendere appieno la portata delle ar40

I . ALL' OMBRA DI DAR�1IN

gomentazioni del gesuita, va inoltre tenuto conto che l'obiettivo polemico immediato investe non tanto ( o per lo meno non solo) gli sviluppi del sapere biologico, quanto piuttosto le aperture che, sia pur estremamente moderate, si andavano professando in opere come L'évolution des especes organique di Leroy, che era uscita nel 1 8 8 7. Ad ulteriore esemplificazione dei modi in cui la teologia poteva tentare di assumere una posizione di equilibrio in mezzo a questo complesso di tensioni interne ed esterne sta il brano tratto da un'opera di Angelo Zacchi ( 1 8 74-1927 ), domenicano, intitolata L'uomo, che usciva in due volumi nel 1921; Zacchi non muove da una posizione oltranzista, ammettendo la plausibilità di un trasfor­ mismo "moderato", a patto che si escluda il caso umano e si guardi all'evoluzio­ ne come a un processo stringentemente finalistico ( ; questo altissimo comanda­ mento naturale veniva predicato e seguito già millenni prima che Cri­ sto dicesse: > . Questo principio fu in ogni tempo considerato come naturalissimo nella famiglia umana, perché già ereditato come "istinto etico" dai nostri antenati animale­ schi. Esso si riscontra nello stesso modo e con significato più largo già nelle primitive comunità ed orde di popoli selvaggi più antichi, come pure nelle mandre di scimie e di altri mammiferi sociali. "L'amore del prossimo", vale a dire il reciproco appoggio, reciproca cura e difesa, ecc., appare già in questi animali socievoli come dovere sociale; perché senza di esso non è possibile l'esistenza duratura di quelle società. Quindi se anche quei fondamenti morali si sono più tardi maggiormente svilup57

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

pati nell'uomo, ciò nullameno la loro fonte preistorica più antica si trova, come ha dimostrato Darwin, negli istinti sociali degli animali. Tanto nei vertebrati superiori (cani, cavalli, elefanti, ecc.) quanto negli articolati superiori (formiche, api, termiti, ecc.) la convivenza in società ordinate necessita lo sviluppo di rapporti e doveri sociali; questi sono diventati anche per l'uomo civile le leve più importanti del progresso intellettuale e morale. [ ...] Contro quest'etica monistica, che si fonda sulle scienze naturali razionali, fu mosso il rimprovero che essa seppellisca la cultura attua­ le e faccia progredire specialmente le tendenze, contrarie alla cultura, della moderna democrazia sociale. Noi crediamo affatto ingiustificato questo rimprovero. L'applicazione di principi filosofici alla vita pratica, e specialmente alle questioni sociali e politiche, può farsi nei modi più diversi. Il così detto "liberalismo" politico non ha nulla a che fare col "libero pensiero" della nostra religione naturale monistica. Oltre a ciò io sono persuaso che l'etica razionale di quest'ultima non stia affatto in contraddizione colla parte buona e veramente di grande pregio della morale cristiana, e che unita a questa servirà anche per l'avvenire al vero progresso dell'umanità. Naturalmente è ben altra cosa se si tratta della mitologia cristiana e della forma speciale della credenza in Dio fondata su quella. In quanto quest'ultima racchiude l'idea di un cosiddetto "dio personale", essa è di­ venuta affatto insostenibile per gli ultimi progressi delle scienze naturali monistiche. Del resto è stato dimostrato da eminenti antesignani della filosofia naturale, già da più di duemila anni, che col concetto di un "dio personale creatore e reggitore dell'universo" non si è guadagnato nulla per una nozione veramente razionale dell'universo. Ché se anche si dà una risposta al problema della "creazione universale" nell'usuale senso triviale, ammettendo l'attività meravigliosa di un dio finalista che risiede al di fuori dell'universo, si solleva subito una nuova domanda: > . Perciò nel campo della filosofia veramente scientifica, il concetto di un "dio perso­ nale" antropomorfo perderà ogni valore prima dello spirare del secolo; il concetto corrispondente di un "demonio personale" (contrapposto al primo e ritenuto giusto dalla generalità, ancora nel secolo scorso) è abbandonato definitivamente dalle persone colte d'oggidì. [ ...] La nostra "idea monistica di Dio" che solo si adatta all'odierna co­ noscenza più alta della natura, riconosce lo "spirito di Dio in ogni cosa". 58

I . ALL' OMBRA DI DAR\X1IN

Essa non può vedere in Dio un "essere personale", il che in altre parole significa un individuo di una estensione limitata nello spazio o magari di forma umana. Al contrario "Dio" è ovunque. [ ... ] Ogni "atomo" è perciò animato e così pure "l'etere universale"; si può quindi designare "Dio" come la somma infinita di tutte le forze della natura, come la somma di tutte le forze atomiche e di tutte le vibrazioni dell'etere. [ ... ] Non si tratta del nome in questo principio altissimo di fede, ma dell'u­ nità del concetto fondamentale, dell'unità di dio ed universo, di spirito e natura. Al contrario l' "omoteismo': il concetto antropomorfico di Dio, abbassa questo altissimo concetto cosmico ad un vertebrato allo stato gassoso. [ ... ] Lo studio monistico della natura come conoscimento del vero, l'e­ tica monistica come educazione al bene, l'estetica monistica come cul­ to del bello, questi sono i tre rami principali del nostro monismo; col loro sviluppo armonico e concatenato raggiungiamo quel vincolo fra religione e scienza che veramente soddisfa, e la cui mancanza è ancora sentita tanto dolorosamente da molti. Il vero, il bene ed il bello sono le tre sublimi divinità, dinanzi a cui pieghiamo devotamente le ginoc­ chia: nella loro unione naturale, e nel completarsi a vicenda otteniamo il puro concetto di Dio. A questo "ideale di Dio uno e trino': a questa naturale trinità del monismo innalzerà altari il secolo ventesimo che . . , s avv1c1na.

[E. Haeckel, Der Monismus als Band zwischen Religion und

Wissenschaft. Glaubensbekenntniss eines Naturjòrschers ( 1 8 9 2) , trad. it. Il monismo quale vincolofta religione e scienza. Professione difede di un naturalista pronunciata il 9 ottobre ad Altenburg in occasione del 75 ° Giubileo della ''Naturjòrschende Gesellschaft des Osterlandes", in Id. , Antropogenia, o Storia dell'evoluzione umana, prima traduzione italiana fatta sulla quarta edizione tedesca, a cura del dott. Daniele Rosa, Unione Tipografico Editrice, Torino 1 8 9 5 , pp. 670-4, 676 ] 1.4

Creazionismo e trasformismo : prove di conciliazione I principi che noi abbiamo stabilito per l'interpretazione delle prime pagine della Genesi sono sufficienti a giustificarle di fronte alle scoper­ te della geologia e della paleontologia. Ci permetteranno inoltre, se lo 59

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

volessimo, di tagliare la questione dei rapporti della dottrina biblica con il trasformismo, per via di semplici corollari. In effetti per quel che concerne le forme più radicali di questa teoria coloro i quali conferisca­ no a tutti gli esseri o quanto meno a tutti i viventi un'origine unica, non c'è molto da esitare. La sola questione che si pone in relazione a questo trasformismo estremo o monista, supposto che esso cerchi un appiglio nella Bibbia, è il seguente: si possono interpretare le prime pagine della Genesi in questo modo, cioè che Dio, dopo aver cominciato a creare la materia del mondo con tutte le sue forze naturali, compresa la potenza di trasformarsi e di perfezionarsi indefinitamente, l'abbia lasciato pro­ durre da lui stesso tutte le forme dell'essere visibile ? Bisogna rispondere: certamente no; perché, senza tirare in ballo le ragioni filosofiche che rendono l'ipotesi impossibile, questa interpre­ tazione sopprimerebbe tutta l'opera dei sei giorni. Di fatti, si lascereb­ be spazio all'intervento speciale di Dio, nella formazione del mondo, solo alla creazione della materia, che precede i sei giorni. Tutto il re­ sto sarebbe opera della materia evolvente, si svilupperebbe tramite le sue forze naturali. Si tratterebbe dunque di una pura operazione della natura. La formazione degli esseri, benché si realizzi in virtù e sotto la direzione di una legge posta dal Creatore, non apparterrebbe a lui più specialmente che qualsiasi delle produzioni di esseri nuovi, che si fanno giornalmente tramite la generazione naturale. In una parola, la formazione del mondo per tramite dell'evoluzione della materia non sarebbe stata altro che opera della Provvidenza generale, ordinaria. Ora, è certo, secondo il racconto biblico della creazione, che l'opera dei sei giorni, vale a dire la prima produzione delle grandi divisioni dell'essere visibile, è stata un'operazione del tutto diversa, e che si è compiuta per interventi diretti, speciali, più volte reiterati di Dio. [ ...] Il Creatore non ha mai cessato né interrotto un solo istante l'azione della sua Provvi­ denza ordinaria, generale; egli continua ad agire nella natura attraverso la conservazione degli esseri, per concorso conferito a tutti i loro atti e specialmente alla produzione naturale di esseri nuovi. L'operazione, per tramite della quale è stata compiuta l'opera dei sei giorni, è per conseguenza del tutto differente. Questa ragione generale che noi opponiamo al trasformismo estre­ mo rifiuta ugualmente le altre teorie meno azzardate. Non basta, per trovare un accordo con la Bibbia, ammettere due o tre interventi diret­ ti, speciali del Creatore all'origine delle cose. Senza dubbio, noi non possiamo più definire esattamente il numero di quelli che si devono ac60

I . ALL' OMBRA DI DAR\X1IN

cettare. Ma è una curiosa logica concludere, come alcuni fanno, dall' in­ certezza, che la Scrittura scopre su questo punto, al diritto di contestare l'intervento speciale allorché il testo sacro l'afferma senza reticenze. Ed è almeno questo il caso per le opere caratteristiche dei sei giorni. [ ...] Vorrei ben rimarcarlo, io parlo di interventi speciali, e non atti di crea­ zione propriamente detti. Che Dio, in tutte le opere dei sei giorni, abbia fatto agire più o meno le cause naturali che egli aveva precedentemente create, ebbene io son ben lungi dal contestarlo. Ne consegue che queste opere non possono essere state tutte creazioni nel senso rigoroso che si applica solo alle cose estratte dal nulla. La Genesi incoraggia questa ipotesi: ma sicuramente ella non permette di attribuire le formazioni caratteristiche dei sei giorni alla sola azione delle forze naturali, diretta dalla Provvidenza generale, ordinaria, come vorrebbero i trasformisti moderati. Tutto qui ? Che bisognerà pensare circa la creazione delle specie? Raccontando l'apparizione dei vegetali e degli animali, Mosè osserva e ripete che sono stati prodotti > . Si è discusso molto su quest'ultima parola. Gli uni vogliono scorgervi la prova che la distinzione attuale delle specie vegetali e zoologiche è un fatto pri­ mordiale, non il risultato della trasformazione da uno o da qualche tipo primitivo. Altri negano siffatta deduzione perché, dicono, lo scopo del­ lo scrittore sacro è solamente quello di ben stabilire che >, senza dire se queste esistono o no dall'origine. ' E sicuramente un bene spiegare un autore secondo l'intenzione che ha inteso perseguire; non si deve, però, invocare ciò che si crede essere il proprio scopo contro ciò che è espressamente affermato. Ora, noi vediamo che secondo la testimonianza formale di Mosè la prima pro­ duzione di piante, così come quella della grande categorie di animali, è opera di un intervento diretto, speciale di Dio, e lo scrittore biblico' osserva espressamente che questa produzione è fatta per specie. [ ... ] E impossibile non vedere che il senso naturale di queste espressioni è che Dio al terzo, al quinto e al sesto giorno ha creato delle specie, vale a dire delle forme vegetali e animali, manifestamente differenti nell'organiz­ zazione, nelle attitudini, ecc. Del resto, i saggi credenti non possono sentirsi così imbarazzati nei loro lavori dall'affermazione della distinzione primordiale delle specie, così come è formulata nella Bibbia. Di fatto, l'autore sacro non speci61

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

fica affatto in dettagli quali specie sono uscite direttamente dalle mani del Creatore; non dice nulla di più del loro nome. I botanici e gli zoolo­ gi sono dunque del tutto liberi di ricostruire secondo quanto osservano le genealogie di ciascun regno vivente; di ridurre la cifra delle specie vere e proprie e quelle dei tipi primitivi, fin dove i progressi della scienza esigeranno. Quello che la Bibbia vieta loro (ma non solo lei, anche la vera scienza) è affermare che il trasformismo è la legge primordiale e universale dello sviluppo degli esseri. ,

[J. Brucker, Lesjours de la création et le transformisme, in "Etudes

religieuses, philosophiques, historiques et littéraires", 4 6, 1 , 1 8 8 9, pp. 5 8 9-92]

1 .5

1 8 9 3- 1 9 0 7 : due pronunciamenti ufficiali della Chiesa Scrittura e scienze naturali

Bisogna combattere in secondo luogo coloro che, abusando della pro­ pria scienza di fisici, indagano in ogni modo i Libri sacri, per rimpro­ verare agli autori la loro imperizia in tali cose, e trovano da ridire sugli stessi scritti. Queste accuse, riguardando le cose oggetto dei sensi, di­ ventano perciò stesso più pericolose, diffuse tra il popolo, e soprattut­ to tra i giovani studenti, i quali, una volta perso il rispetto riguardo a qualche punto della divina rivelazione, perderanno facilmente ogni fede in ogni punto di essa. E ben manifesto quanto le scienze naturali siano atte a far comprendere la gloria dell'Artefice impressa nelle cose create, purché vengano rettamente proposte, come pure quale grande potere abbiano nello svellere gli elementi di una sana filosofa e nella corruzione dei costumi, se perversamente infuse nei giovani animi. La cognizione perciò delle cose naturali sarà un valido sussidio per il dot­ tore di sacra Scrittura, per scoprire più facilmente e confutare anche siffatti cavilli addotti contro i Libri divini. Nessuna vera contraddizione potrà interporsi tra il teologo e lo stu­ dioso delle scienze naturali, finché l'uno e l'altro si manterranno nei propri confini, guardandosi bene, secondo il monito di sant'Agostino, di > . Se poi vi fosse qualche dissenso, lo stesso santo dà som­ mariamente le regole del come debba comportarsi in tali casi il teologo: > , per cui essi più che attendere direttamente ali' inve­ stigazione della natura, descrivevano e rappresentavano talvolta le cose con una qualche locuzione metaforica, o come lo comportava il modo comune di parlare di quei tempi ed ancora oggi si usa, riguardo a molte cose, nella vita quotidiana, anche tra uomini molto colti. Dato che nel comune linguaggio viene espresso in primo luogo e propriamente ciò che cade sotto i sensi, così anche lo scrittore sacro (e come ci avverte anche il dottore angelico) > , ossia a ciò che Dio stesso, parlando agli uomini, espresse in modo umano per farsi comprendere da essi. Dicendo che la difesa della sacra Scrittura deve essere condotta stre­ nuamente, non ne segue che si debbano ugualmente sostenere tutte le sentenze che i singoli padri e successivamente gli interpreti affermano nello spiegarla, in quanto essi, date le opinioni del tempo, nell' inter­ pretare i passi in cui si tratta di cose fisiche non sempre forse giudica­ rono secondo la verità oggettiva, di modo che alcune interpretazioni allora proposte, ora sono meno accettabili. Occorre perciò distinguere diligentemente quali siano di fatto le interpretazioni che essi traman­ darono come spettanti alle cose di fede o strettamente connesse con essa; quali poi siano state tramandate con unanime consenso, poiché infatti > , secondo la sentenza di san Tommaso. Il quale in altro luogo molto prudentemente avverte: > . Quantunque sia certamente compito dell'interprete dimostrare che le cose proposte come certe per mezzo di argomenti certi dagli studiosi di

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scienze naturali non contraddicono affatto le Scritture, se rettamente spiegate, non deve tuttavia sfuggire all'interprete questo fatto e cioè che talora avvenne che alcune cose date come certe furono poi poste in dubbio e quindi ripudiate. Che, se poi gli scrittori di scienze na­ turali, oltrepassati i confini della propria disciplina, invadessero con errate opinioni il campo della filosofia, l'interprete teologo domandi ai filosofi di confutarle. [Leone PP. XIII, Providentissimus Deus ( 1 8 9 3 ) , trad. it. http: / /w2.vatican.va/content/leo-xiii/ it/ encyclicals/documents/hf_l-xiii_ enc_1 8 1 1 1 8 9 3_providentissimus-deus.html)

Per compiere tutta questa materia della fede e dei diversi suoi germi, ri­ mane da ultimo, Venerabili Fratelli, che ascoltiamo le teorie dei moder, nisti circa lo sviluppo dei medesimi. E lor principio generale che in una religione vivente tutto debba essere mutevole e mutarsi di fatto. Di qui fanno passo a quella che è delle principali fra le loro dottrine, vogliam dire all'evoluzione. Dogma dunque, Chiesa, culto, Libri sacri, anzi la fede stessa, se non devon esser cose morte, fa mestieri che sottostiano alle leggi dell'evoluzione. Siffatto principio non si udrà con istupore da chi rammenti quanto i modernisti son venuti affermando intorno a ciascuno di questi oggetti. Posta pertanto la legge dell'evoluzione, i modernisti stessi ci descrivono in qual maniera l'evoluzione si effettui. E cominciamo dalla fede. La forma primitiva, essi dicono, della fede fu rudimentaria e comune indistintamente a tutti gli uomini; giacché nasceva dalla natura e dalla vita umana. Il progresso si ebbe per sviluppo vitale; che è quanto dire non per aggiunta di nuove forme apporta­ te dal di fuori, ma per una crescente penetrazione nella coscienza del sentimento religioso. Doppio indi fu il modo di progredire nella fede: prima negativamente, col depurarsi da ogni elemento estraneo, come ad esempio dal sentimento di famiglia o di nazionalità; quindi positi­ vamente, mercè il perfezionarsi intellettuale e morale dell'uomo, per cui l'idea divina si ampliò ed illustrò e il sentimento religioso divenne più squisito. Del progresso della fede non altre cause assegnar si pos­ sono che quelle stesse onde già si spiegò la sua origine. Alle quali però fa d'uopo aggiungere quei genii religiosi, che noi chiamiamo profeti e dei quali Cristo fu il sommo; sì perché nella vita o nelle parole ebbero un certo che di misterioso, che la fede attribuiva alla divinità, e sì per-

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ché toccaron loro esperienze nuove ed originali in piena armonia coi bisogni del loro tempo. Il progresso del dogma nasce principalmente dal bisogno di superare gli ostacoli della fede, di vincere gli avversari, di ribattere le difficoltà, senza dire dello sforzo continuo di viemeglio penetrare gli arcani della fede. Così, per tacer di altri esempi, è avvenuto di Cristo; in cui, quel più o meno divino, che la fede in esso ammet­ teva, si venne gradatamente amplificando in modo, che finalmente fu ritenuto per Dio. Lo stimolo precipuo di evoluzione del culto sarà il bisogno di adattarsi agli usi ed alle tradizioni dei popoli; come altresì di usufruire della virtù che certi atti hanno ricevuto dall'usanza. La Chiesa finalmente trova la sua ragione di evolversi nel bisogno di ac­ comodarsi alle condizioni storiche e di accordarsi colle forme di civil governo pubblicamente adottate. Così i modernisti di ciascun capo in particolare. E qui, innanzi di farci oltre, bramiamo che ben si avverta di nuovo a questa loro dottrina dei bisogni; giacché essa, oltreché di quanto finora abbiam visto, è quasi base e fondamento di quel vantato metodo che chiamano storico. Or, restando tuttavia nella teoria della evoluzione, vuole di più os­ servarsi che quantunque i bisogni servano di stimolo per la evoluzione, essa nondimeno, regolata unicamente da siffatti stimoli, valicherebbe facilmente i termini della tradizione, e strappata così dal primitivo principio vitale, meglio che a progresso menerebbe a rovina. Quindi studiando più a fondo il pensiero dei modernisti, deve dirsi che l'evo­ luzione è come il risultato di due forze che si combattono, delle quali una è progressiva, l'altra conservatrice. La forza conservatrice sta nella Chiesa e consiste nella tradizione. L'esercizio di lei è proprio dell'auto­ rità religiosa; e ciò, sia per diritto, giacché sta nella natura di qualsiasi autorità il tenersi fermo il più possibile alla tradizione; sia per fatto, perché sollevata al disopra delle contingenze della vita, poco o nulla sente gli stimoli che spingono a progresso. Per contrario la forza che, rispondendo ai bisogni, trascina a progredire, cova e lavora nelle co­ scienze individuali, in quelle soprattutto che sono, come dicono, più a contatto della vita. Osservate qui di passaggio, o Venerabili Fratelli, lo spuntar fuori di quella dottrina rovinosissima che introduce il laicato nella Chiesa come fattore di progresso. Da una specie di compromesso fra le due forze di conservazione e di progressione, fra l'autorità cioè e le coscienze individuali, nascono le trasformazioni e i progressi. Le coscienze individuali, o talune di esse, fan pressione sulla coscienza col­ lettiva; e questa a sua volta sull'autorità, e la costringe a capitolare ed 65

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a restare ai patti. Ciò ammesso, ben si comprendono le meraviglie che fanno i modernisti, se avvenga che siano biasimati o puniti. Ciò che loro si ascrive a colpa, essi l'hanno per sacrosanto dovere. Niuno meglio di essi conosce i bisogni delle coscienze perché si trovano con queste a più stretto contatto che non si trovi la potestà ecclesiastica. Incarnano quasi in sé quei bisogni tutti: e quindi il dovere per loro di parlare aper­ tamente e di scrivere. Li biasimi pure l'autorità, la coscienza del dovere li sostiene, e sanno per intima esperienza di non meritare riprensioni ma encomii. Pur troppo essi sanno che i progressi non si hanno senza combattimenti, né combattimenti senza vittime: e bene, saranno essi le vittime, come già i profeti e Cristo. Né perché siano trattati male, odia­ no l'autorità: concedono che ella adempia il suo dovere. Solo rimpian­ gono di non essere ascoltati, perché in tal guisa il progredire degli animi si ritarda: ma verrà senza meno il tempo di rompere gl' indugi, giacché le leggi dell'evoluzione si possono raffrenare, ma non possono affatto spezzarsi. E così continuano il lor cammino, continuano benché ripresi e condannati, celando un'incredibile audacia col velo di un'apparente umiltà. Piegano fintamente il capo: ma la mano e la mente proseguono con più ardimento il loro lavoro. E così essi operano scientemente e volentemente; sì perché è loro regola che l'autorità debba essere spinta, non rovesciata; si perché hanno bisogno di non uscire dalla cerchia della Chiesa per poter cangiare a poco a poco la coscienza collettiva; il che quando dicono, non si accorgono di confessare che la coscienza collettiva dissente da loro, e che quindi con nessun diritto essi si dànno interpreti della medesima. [ ...] In quanto alle discipline profane basti richiamare quel che il No­ stro Predecessore disse con molta sapienza (Allocuz. 7 marzo 1 580): 3 • [ ••• ] Tutti gli sforzi del monismo, il quale per mezzo della indagine fi­ sico-chimica dei fenomeni naturali tenta abbattere principi filosofici e tenta mostrare la incapacità della filosofia a sciogliere i problemi fon­ damentali di metafisica, sono riusciti vani. [ ...] Vi sono quistioni alle quali la filosofia non può assolutamente ri­ spondere. Essa non può dirci se le forme organiche attuali furono create come esse sono oggi, o se piuttosto noi dobbiamo ammettere un'evo­ luzione progressiva tale che da una protocellula si siano svolti tutti gli altri organismi, o se invece dobbiamo ammettere per ciascun tipo una serie di forme filogeneticamente affini. Ossia essa non sa dirci se dob­ biamo ammettere una evoluzione monofilogenetica, o una evoluzione polifilogenetica, o se piuttosto dobbiamo ammettere la teoria della in­ variabilità delle specie organiche. Solo quando le scienze naturali dalle induzioni dei fatti paleontologici, embriologici, ontogenetici e filoge­ netici avranno determinato se le specie sistematiche sono immutabili o variabili, solo allora essa potrà dirci se tale conclusione ripugna o no con i principi di ragione e se si accorda con quanto essa ha premesso e cioè che vi è un Creatore. [ ...] Le idee del p. Wasmann [ ... ] segnano una nuova tappa nella via della ricerca della nozione delle specie organiche, apre [sic] il campo a nuovi problemi, a nuove domande le quali si affollano subito innanzi alla mente del lettore il quale tosto vuole vederne il nesso con quanto ne insegna la Chiesa, con quanto ci dimostra con la Scrittura e con la Tradizione. [ ...] Ad ogni modo questa nuova ipotesi, accanto alle altre due, cioè a quella della creazione di specie immutabili e a quella darwinistica in tutte le sue gradazioni e trasformazioni, e che vanno da quelle fonda­ te sulla selezione naturale sino a quelle che sono il fondamento della cosmogonia monistica, ha il diritto di essere presa in considerazione e

3. Riferimento ad Emil H. Du Bois-Reymond (1818-1896 ), fisiologo tedesco, che nel 18 8 0 pubblicò Die sieben Weltratsel, a cui qui si allude, in cui si pronunciò pessimi­ sticamente sulla possibilità di risolvere i sette "enigmi" dell'universo.

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discussa dagli studiosi delle scienze naturali, poiché ci si presenta con un corredo di fatti e di osservazioni molto notevole. [ ...] La teoria dell'evoluzione, intesa nel senso di Wasmann, la quale ammette la trasformazione delle specie attuali da alcuni tipi di forme principali e primitive, ossia parecchie serie di forme organiche ciascuna delle quali è originata da un tronco primitivo (Phylum) per ciascun processo evolutivo. Queste forme primitive, il numero delle quali allo stato attuale della scienza non conosciamo, furono create immediata­ mente dal Creatore; ben poco noi sappiamo delle cause le quali hanno determinato il formarsi delle forme attuali da questi tipi primitivi; tut­ tavia possiamo dire che fattori esterni e fattori interni di varia natura hanno determinato un tale processo e più che tutti in quei > si sono svolte quelle > [ ...] poste in essi dal Creatore. Basterebbe ciò per dimostrare che essa si oppone dia­ metralmente a tutte quelle teorie moniste che ammettono un processo evolutivo secondo il quale tutte le cose si sarebbero formate per mezzo di un graduale e successivo processo evolutivo da una materia eterna, e considerano l'evoluzione come un'integrazione della materia ed una concomitante dissipazione del moto, per mezzo delle quali la materia passa da una relativamente infinita incoerente omogeneità ad una rela­ tivamente definita e coerente eterogeneità. [ ...] Molti dei nostri lettori ad una tale affermazione non potranno [fare] a meno di rimanere stupiti; ma ciò a torto. Innanzitutto non è questo un rinnovamento della teoria dell'evoluzione come quello ten­ tato alcuni anni or sono da alcuni cattolici; tra la teoria dell'evoluzione (intesa nel senso dato ad essa dai monisti) e la cosmogonia cristiana non vi può essere conciliazione, perché non vi può essere conciliazione tra errore e verità, tra l'evoluzione, intesa in questo senso, e il dogma. [ ...] La nuova ipotesi non contraddice [ ...] ai principi della filosofia cri­ stiana in quanto ammette come necessaria la creazione di parecchie specie primitive; e si oppone all'evoluzionismo monista in quanto am­ mette l'intervento immediato di Dio. [ ...] D'altra parte anche fra gli stessi naturalisti troviamo parecchi, [ ...] , ad es, Weetsteim Reinke, Driesch 4 , i quali negano il principio evolu­ zionista del monismo secondo il quale il mondo organico si sarebbe svolto da una sola forma organica primitiva; ossia negano che da una 4. Il riferimento, oltre al già noto Driesch, è aJohannes Reinke ( 1849-193 1 ) , bota­ nico tedesco, e a Richard van Wettstein (1 8 63-1 9 3 1 ) , botanico austriaco.

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protocellula si siano formati gli animali e i vegetali su su sino agli esse­ ri altamente organizzati e così sino all'uomo compreso. Ne consegue che essi si oppongono a quegli evoluzionisti secondo i quali il mondo organico può essere rappresentato da un albero le cui radici sono i pror­ ganismi senza differenziazione di parti e la cui vetta è l'uomo, il quale non sarebbe altro che un ramo, l'estremo, di questo albero genealogico immaginato da E. Haeckel. Ed invece sostengono che vi è stato un certo numero di forme primitive (tipi originari) dalle quali si sono svolte le forme attualmente viventi; ossia ammettono una evoluzione delle for­ me polifilogenetica e non già monofilogenetica. [ A. Gemelli, Introduzione a E. Wasmann, La biologia moderna e la teoria dell 'e voluzione. Versione italiana sulla seconda edizione tedesca con un capitolo d 'introduzione, note ed aggiunte di Agostino Gemelli, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze 1 9 0 6, pp. XV-XVI, XVII I-XXI I I ; XXVI-XXVI I]

1 .7

La teoria evoluzionistica è inapplicabile ali ' anima umana Per meglio chiarire quanto abbiamo detto fìn qui intorno alla natura dell'uomo, e quanto staremo per dire intorno alla sua origine e ai suoi destini, credo necessario definire, a mezzo di uno studio comparato, quale sia la posizione del bruto di fronte all'uomo. [ ...] Secondo l'evo­ luzionismo integrale, portato alle sue estreme conseguenze da E. Hae­ ckel, non si dà soluzione alcuna di continuità tra il mondo inorganico e quello organico, tra la vita organica e quella psichica, tra il psichismo inferiore e quello superiore. I primi germi vitali sono il portato dell'e­ voluzione dei viventi inferiori. La razionalità non è altro che l'ultimo termine finora raggiunto dagli esseri cosmici nella loro incessante mar­ cia in avanti. Gli uomini debbono rinunziare alla usurpata sovranità, poiché non differiscono essenzialmente dalle bestie, ma sono semplice­ mente primi fra uguali; fortunati podisti, che hanno lasciato alquanto indietro i compagni di gara meno favoriti dalla sorte. Per obbedire alle esigenze di una simile teoria e per fare scomparire l'abisso che separa gli uomini dai bruti, si è lavorato senza posa ad abbassare i primi e ad innalzare i secondi [ ...] .Non è dunque una questione di poco momento quella che stiamo per affrontare. Si tratta addirittura di salvaguardare, con la nostra dignità di creature ragionevoli, la nobiltà della nostra ori­ gine e l'altezza de' nostri destini. 71

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L'uomo e il bruto dunque, dal punto di vista psichico, non differiscono soltanto quantitativamente, bensì qualitativamente. L'anima umana e quella belluina non sono separate unicamente da differenze accidenta­ li, bensì da differenze essenziali. La prima non si trova solamente ad un grado superiore di sviluppo, dentro i confini di una medesima natura; essa si trova in un ordine più alto, e costituisce una natura del tutto diversa. [ ... ] Mentre l'anima dell'animale è esclusivamente sensitiva e legata soggettivamente all'organismo, quella dell'uomo all'opposto è intellettiva, spirituale, e, nelle operazioni come nell'esistenza, indipen­ dente all'organismo. Ciò ammesso, il problema della discendenza dell'uomo dal bru­ to, per quanto riguarda l'anima, è già definitivamente risolto in senso negativo. Se l'uomo fosse della stessa natura animale, sebbene di un grado più elevato, avrebbe potuto benissimo essere il prodotto di una scimmia o di qualche altro mammifero. Ma supposta la diversità di na­ tura, una tale derivazione diventa assolutamente impossibile. In questo caso la discontinuità è così profonda, che non può esser soppressa da nessuna evoluzione. L'evoluzione sviluppa le latenti energie di un sog­ getto e mette alla luce tutte le sue perfezioni, ma non produce nulla di totalmente nuovo. Modifica la natura, ma non la crea. Il supporre che l'anima puramente sensitiva possa, per un processo più o meno lungo, dare origine ad una anima intellettiva, accendere la luce del pensiero dove essa non esiste, ed emanciparsi dalla schiavitù del corpo, è lo stes­ so che supporre un effetto superiore alla sua causa, supporre che il più derivi dal meno, supporre l'assurdo. La chiave per la soluzione del problema dell'origine dell'anima del primo uomo, deve ricercarsi quindi nella sua stessa natura. Chi vede nell'anima umana un semplice principio vitale sensitivo, distinto da quello che vivifica gli animali per un più alto grado di sviluppo, non può non ammettere la teoria evoluzionistica, come la più logica e la più ovvia. Chi al contrario vede nell'anima una sostanza spirituale del tutto distinta dall'anima dei bruti non può accettare l'evoluzionismo senza cadere nell'assurdo. Il modo di acquistare l'essere, in un determinato soggetto è sempre proporzionato alle esigenze della sua natura. Una sostanza spirituale non potrà mai aver origine da una sostanza mate­ riale. Un principio vitale privo d'intelligenza e di volontà non potrà mai trasformarsi in un principio capace di pensare, di volere, di amare. Per noi che tanto ampiamente abbiamo dimostrato la spiritualità dell'anima umana e la inferiorità di natura dell'anima delle bestie, non

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v'è e non vi può essere dubbio o incertezza di sorta. L'uomo nella parte principale e caratteristica della sua essenza, cioè nell'anima, non può in alcun modo venir considerato figlio dell'evoluzione animale. Se voglia­ mo in conseguenza spiegare l'origine dell'anima del primo uomo, non resta che ricorrere ad un'azione diretta di Dio. Soltanto il soffio divino dell'onnipotente poté far risplendere anche nella bassa sfera della terra la meravigliosa luce del pensiero, e per mezzo di questo costituire l'uo­ mo re e sovrano di tutti i viventi.

[ ... ]

Allo stato attuale degli studi scientifici, non vi è nessun argomento serio e sicuro, che ci obblighi ad accettare come una realtà l'origine animale dell'uomo, neppure per rispetto al suo corpo. Ma se la scienza non è riuscita a trovare fino ad ora dati di fatto favorevoli a questa ori­ gine, non potrebbe forse trovarli in avvenire ? Chi può garantirci dalle sorprese future ? Queste ragioni ci obbligano ad esaminare la questione dal punto di vista della mera possibilità. Se l'origine animale del corpo umano non è un fatto rigorosamente provato, è almeno possibile ? Ecco il problema che dobbiamo risolvere. Molti, anche tra gli spiritualisti e teisti più convinti, non esitano a rispondere affermativamente. Se l'evoluzione - essi dicono - ha potuto produrre le altre forme viventi, perché non avrebbe potuto produrre il corpo umano, che con le forme più alte ha tante e sì profonde somi­ glianze morfologiche e fisiologiche ? Se l'evoluzione del mondo organico ha preparato l'ambiente, nel quale Dio ha posto il primo germe vitale, perché l'evoluzione del mon­ do organico non avrebbe potuto preparare quel corpo, nel quale Dio doveva infondere l'anima spirituale ? [ ...] Prescindendo dal valore di queste ragioni di convenienza, penso sia meglio distinguere tra possi­ bilità fisica e possibilità metafisica. Considerando gli organismi animali, come sono ora conosciuti, sembra impossibile che possano, per via di evoluzione, produrre il cor­ po umano. A capir ciò, bisogna tener presente quanto è stato detto sopra intor­ no l'unione dell'anima col corpo. Si è visto allora, che l'unione di questi due principi non è meramente estrinseca ed accidentale, ma intrinseca e sostanziale. L'anima non sta al corpo, soltanto come il principio mo­ vente al soggetto mosso, bensì ancora come la forma alla materia, come l'atto alla potenza; o in altre parole, come il principio, che dà l'essere e 73

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l'operare specifico, sta al soggetto che questo essere ed operare riceve. Per tale motivo il corpo umano ha con l'anima umana una proporzio­ ne rigorosa e assoluta; proporzione che nessun altro corpo può avere. Soltanto il corpo umano ha tutti quei caratteri, che permettono un'e­ splicazione della vita sensitiva atta a cooperare alle operazioni superiori dell'anima intellettiva. Senza essere propriamente funzioni del cervello le operazioni in­ tellettive ne dipendono in qualche modo; e quando quest'organo non risponde, nella qualità e nella quantità a certe condizioni speciali, esse diventano assolutamente impossibili. Ciò posto, non è facile capire in quale modo le sole forze organiche animali potessero - per quanto spinte dalla tendenza evolutiva al mas­ simo rendimento - produrre un organismo così perfetto e complicato come quello umano. Non è facile capire in quale modo forze per natura loro destinate a formare un corpo vivificato dall'anima sensitiva, po­ tessero formarne uno vivificato dall'anima intellettiva, che è di natura completamente superiore. E la difficoltà cresce ancora quando si riflette che, ad assicurare la conservazione del prodotto dell'evoluzione, questa non doveva pro­ durre un solo organismo umano, ma due organismi morfologicamente e fisiologicamente diversi, destinati ad integrarsi e a compiersi. Se però dalla possibilità fisica passiamo a quella metafisica, che im­ porta una mera non repugnanza di termini, allora la risposta non può non essere diversa. Purché si pongano le clausole già accennate, quando si è parlato della possibilità dell'evoluzione in generale; purché non si insista su di un'assurda evoluzione basata unicamente sul cieco adatta­ mento meccanico, ma si ammetta una vera e propria tendenza finali­ stica, non si vede perché debba ritenersi impossibile. Se Dio può dare all'anima sensitiva il potere di formare un corpo animale, perché non potrebbe darle il potere di formare un corpo umano, che per quanto più perfetto di quello animale, ha nondimeno con esso tanta somiglianza ? Secondo S. Tommaso nello sviluppo embrionale dell'uomo l'ani­ ma intellettiva viene infusa da Dio, solo dopo che il corpo è stato suffi­ cientemente preparato a riceverla per mezzo dell'anima sensitiva. Per­ ché non potrebbe verificarsi nella origine del primo organismo umano, quello che l'Aquinate dice dei singoli organismi ? Perché il primo corpo umano non avrebbe potuto esser formato da un'anima sensitiva, alla quale fosse stata concessa la virtù di portare ad una più alta perfezione il corpo di un qualche animale ? 74

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Certamente Dio poteva dare ad un organismo animale la capacità di svilupparsi ulteriormente; e questo poteva - offertasene l'occasione propizia - entrare in azione e raggiungere il termine a cui Dio stesso lo destinava. Se infatti non vi è alcuna difficoltà ad ammettere che Dio traesse il corpo umano dalla materia morta, non ve ne può essere nem­ meno ad ammettere che Dio lo traesse dalla materia organica e viven­ te di un animale. E se Dio poteva trarre il corpo umano da un corpo animale immediatamente, non si capisce perché non potesse trarvelo mediatamente, servendosi cioè del progressivo sviluppo delle energie organiche a questo scopo preparate e predisposte. Nel caso dell'origine del corpo non si ha più, come nel caso dell'origine dell'anima, una spro­ porzione tra la causa e l'effetto. Una sostanza spirituale, come l'anima umana, non può esser contenuta virtualmente in una sostanza dipen­ dente dall'organismo, come è l'anima sensitiva delle bestie; mentre un organismo più sviluppato, come il corpo umano, può ben virtualmente essere contenuto in un organismo meno sviluppato, come è il corpo animale. Non vi è infatti organismo - per quanto complesso e perfet­ to - che non abbia origine da una o più cellule, vale a dire da un altro organismo sommamente imperfetto ed elementare. Quanto abbiamo detto fin qui, in base agli insegnamenti della scienza e della filosofia, ci permette ormai di confermare una tradi­ zione storica di cui si fanno eco, insieme con la cosmogonia biblica, le cosmogonie di tutti i popoli: il primo uomo, che ha rallegrato della sua presenza la terra, e stato prodotto per mezzo di una speciale azione della divinita. [A. Zacchi, L 'uomo, 2 voli., Francesco Ferrari, Roma 1921, I , pp. 471-2; I I , pp. 85-7, 98-103 ] 1.8

Il "caso" Henry de Dorlodot La questione generale che intendo trattare nelle prime due conferenze si può così formulare: Quale giudizio bisogna avere, dalpunto di vista dell 'ortodossia catto­ lica, circa la teoria darwiniana, se si eccettua la questione speciale dell 'o ­ rigine dell 'uomo? Precisiamo subito come noi intendiamo questo problema. ' E evidente che noi non abbiamo da occuparci qui dei dettagli 75

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

d'ordine puramente scientifico che la teoria comporta: l'origine di nuove specie deve essere attribuita principalmente alla trasmissione ereditaria delle qualita acquisite nel corso della vita individuale degli organismi, - o piuttosto grazie all' apparizione brusca di modificazioni cospicue, come quelle che si producono per esempio quando dai semi di una pianta a fiori semplici ne nasce una a fiori doppi; - o piuttosto ancora, bisogna considerare come fattore più importante l'azione del­ la selezione naturale sulle differenze minime che distinguono sempre i discendenti dai genitori. Questi punti, sui quali i naturalisti discutono e discuteranno ancora a lungo, sono evidentemente indifferenti alla teologia; e, se la filosofia ha qualcosa a vedervi, è unicamente perché nessuna scienza può fare a meno della logica. Noi dobbiamo quindi qui occuparci della dottrina fondamentale di Darwin, che può essere riassunta secondo le due seguenti proposizioni: 1. la prima origine degli esseri viventi è dovuta ad una influenza spe­ ciale del Creatore, che ha inspirato la vita a un solo o ad un piccolo numero d'organismi elementari; 2 . questi organismi, evolvendosi nel prosieguo dei secoli, hanno dato vita a tutte le specie organiche che esistono attualmente, o di cui sono stati conservati i resti allo stato fossile. In riferimento a siffatto sistema, tutto considerato moderato, di evoluzionismo naturale, si possono configurare due soluzioni estreme: la teoria detta dell' evoluzionismo assoluto e la teoria detta creazionista ofissista. La teoria dell'evoluzionismo assoluto nega l ' intervento speciale di Dio, anche all 'origine della vita: ella attribuisce la prima origine degli esseri viventi ad una evoluzione naturale della materia inorganica, che si sarebbe organizzata e sarebbe divenuta vivente per la semplice azione di forze, o per meglio dire di potenze che le sono inerenti o che, almeno, lo erano nei tempi antichi. Per contro, la teoriafissista o creazionista ammette un intervento spe­ ciale di Dio ali'origine di ciascuno dei gruppi che si vuole propriamente chiamare specie. Entro quest'ultima teoria e quella darwiniana c'è dun­ que spazio per una messe di teorie intermedie, che possono essere deno­ minate come creazionismo moderato o evoluzionismo moderato. Quella più prossima alla teoria fissista è stata quella che ammetteva un interven­ to speciale di Dio all'origine di ciascun genere. Altre richiedono un in­ tervento speciale all'origine di ciascun grande gruppo, o per meglio dire, se si vuole, delle classi o embranchements. Infine c'è un certo numero di

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evoluzionisti moderati che si limitano oggi a reclamare, oltre l' inter­ vento ammesso da Darwin per l'origine della vita, un nuovo intervento speciale di Dio per il passaggio dalla vita vegetativa a quella animale; poi un ultimo intervento speciale per il passaggio dall 'animale all'uomo. La questione in esame può essere considerata dal punto di vista del­ la teologia positiva e da quello della teologia speculativa. La teologia positiva studia direttamente le fonti della dottrina cri­ stiana, che sono in primo luogo le Sacre Scritture e l'insegnamento dei Santi Padri e dei Dottori. La teologia speculativa, che si confonde qui con la filosofia catto­ lica, muovendo dalle verità stabilite dalla teologia positiva, ne ricava delle deduzioni logiche, sia ragionando su queste verità da sole, sia ser­ vendosi, inoltre, dei dati delle scienze umane. Facendo per ora astrazione, come abbiamo già detto, dell'origine dell'uomo, l'esame, sotto questi due punti di vista, della questione così circoscritta, ci condurrà alle quattro seguenti conclusioni. I. Non si può trovare nelle Sacre Scritture, interpretate secondo le regole cattoliche, alcun argomento probativo contro la teoria dell'evo­ luzione naturale, compresa l 'assoluta. I I . L'insegnamento dei Santi Padri è molto favorevole verso la teoria dell' evoluzione naturale assoluta. Tuttavia, l'esempio dei grandi Dotto­ ri autorizza ad accettare semplicemente, in questa materia, la soluzione indicata dallo stato attuale della scienza. III. L'applicazione dei principi certi della teologia e della filosofia cat­ tolica ai dati concreti delle scienze osservative trasforma in certezza as­ soluta la convinzione del semplice naturalista in appoggio di un sistema trasformista molto avanzato: ella spinge, inoltre, ad accettare, almeno come eminentemente probabile, la teoria che fa derivare tutti gli esseri viventi da uno o qualche tipo d'organismi molto elementari, come vuo­ le Darwin. D'altra parte, sembrando le difficoltà di ordine scientifico opporsi alla teoria dell'evoluzionismo assoluto, l'ipotesi dell' interven­ to speciale di Dio all'origine della vita, tale quale lo postula Darwin, sembra legittimo, almeno a titolo provvisorio. IV. La teoria cattolica sulle operazioni naturali delle cause seconde basta a rendere conto dell' evoluzione naturale trasformista, così come la inten­ de Darwin, e permette di rigettare, come assolutamente superflui, gli altri interventi speciali postulati dai fìssisti o dai creazionisti moderati.

[H. de Dorlodot, Le darwinisme au point de vue de l 'orthodoxie catholique, Vromant, Bruxelles-Paris 1 9 2 1 , pp. 9 - 1 2] 77

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

1.9

La scienza moderna dimostra la verità del racconto biblico Noi vediamo ora che le scienze naturali non hanno legittimamente nulla a che fare con lo sforzo di spiegare il processo della creazione - al minimo, riesce inutile cercare di spiegare l'origine delle cose nei termini di processi naturali ora in auge nel nostro mondo moderno. Il risultato al netto di tutte le moderne indagini sembra essere che piante e animali ora viventi non possono mai essersi originati da un siffatto metodo di graduale sviluppo così come ci è stato presentato in nome delle scienze naturali. Certo è che l'attuale biologia, geologia compresa, per quella questione ha meramente sviluppato una completa dimostrazione nega­ tiva contro la semplice assunzione che era stata adottata dai primi scien­ ziati circa il fatto che piante ed animali si sono probabilmente originati da una graduale progressione da tipi inferiori a superiori secondo un processo simile a quello che è ora in atto. [ ...] Ma in queste tre decadi del ventesimo secolo, alla luce dei mera­ vigliosi progressi che la scienza ha operato, questo mistero profondo riguardante l'origine delle cose, questa grande lezione concernente la nostra creazione e destino, ha fatto giustizia di quanto sappiamo in ogni ambito della scienza della natura; e con un senso di sfinita e ri­ luttante mestizia la scienza è costretta ad ammettere intorno l'origine della vita, o circa l'origine dell' intero mondo delle forme organiche, compresa quella del globo stesso, di non sapere assolutamente nulla. La Dimostrazione della creazione. Bisogna far chiarezza su quest' ul­ timo punto, poiché investe l'acme dei risultati della scienza moderna, l'esito di tutte le nostre attuali indagini. La scienza si fonda su ciò che noi sappiamo realmente sul mondo naturale. Quando tutti i nostri stu­ di servono solo per imprimere in noi ancor più profondamente la con­ vinzione che non sappiamo nulla e che non abbiamo alcuna speranza di sapere in un modo scientifico come il mondo è stato formato o come i vari tipi di vita sono giunti all'esistenza, la conclusione inevitabile è che la creazione deve essere stata qualcosa di differente, essenzialmente e radicalmente differente, da tutto ciò che oggi esiste in concreto. L' idea centrale della dottrina dell'evoluzione è l' un ifo rmita, vale a dire, il modo in cui vanno le cose ora è identico o simile a come è sempre andato; il presente è la corretta misura di tutto il passato; le operazio­ ni attuali della natura sono come parte della creazione alla stregua di qualunque cosa che sia accaduta in ogni momento nel passato. Ma i ri-

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sultati al netto della scienza moderna contraddicono tutto questo. Essi ci assicurano indefettibilmente che deve esserci stata una vera, diretta creazione ali' inizio, essenzialmente differente da ogni altro processo tramite il quale l'odine presente delle cose è sostenuto e perpetuato. Il racconto della creazione così come offerto nelle parole d'apertura della Bibbia è ora rivendicato dalla scienza moderna in un modo tanto sorprendente quanto conclusivo; poiché questa rivendicazione si è pro­ dotta proprio tramite quei mezzi con i quali gli uomini supponevano di screditare in maniera definitiva la dottrina della creazione. (T. Dobzhansky, Le domande supreme della biologia, De Donato, Bari 1 9 6 9, p. 9 ). Particolarmente indicativo di questa esigenza di riconciliazione è il giu­ dizio più che lusinghiero che Dobzhansky riserva a Theilhard de Chardin ( > ; ibid. ), del quale Simpson invece era ben più che restio a riconoscere siffatta gran­ dezza; ma altrettanto significativo è il dialogo instaurato con il teologo Paul Tillich, dal quale il genetista trae alcuni spunti dalla Systematic Theology (cfr. CAP. 3). La battaglia iniziata dai padri della Nuova Sintesi trovò diretta prose­ cuzione nella generazione successiva. Il quinto brano proposto è di Francis Harry Compton Crick, fisico di formazione, noto per aver condotto assieme a James Watson le ricerche che portarono alla scoperta e definizione della struttura del DNA (il saggio usciva nel 1 9 5 3 nella rivista "Nature"). Il libro in questione nasce dalle tre conferenze che Crick fu invitato a tenere presso l'università di Washington, a Seattle, nel febbraio e nel marzo del 1966. 88

2 . DALLA "NUOVA SINTESI" A LLA BIOLOGIA MOLECOLARE

Crick mette a fuoco una serie di punti o già presenti o di lì a breve destina­ ti a fornire un arsenale di motivi ricorrenti: primo fra tutti, muovendo ovvia­ mente dalla proprietà replicativa del DNA , il processo di ridefinizione della no­ zione di organismo, fissata in prima istanza dalla sua peculiarità di riprodurre copie che, tendenzialmente identiche, sono però intrinsecamente suscettibili di variazione; poi, l'introduzione della metafora del calcolatore elettronico, che finisce per soppiantare quella tradizionale dell'orologio, che Crick a ogni buon modo recupera adattandola al piano della realtà cellulare: . Mi sembra che, pur con riluttanza, dobbiamo rispondere . Finché sono in vita persone intelligenti che sono sinceramente convinte delle idee vitalistiche, pur essendo pienamente al corrente del­ le conoscenze scientifiche sullo stesso argomento, dobbiamo conclu­ dere che il vitalismo è ancora vivo. Resta il problema di come si possa confutarlo, presupponendo, come io credo, che tutte queste idee vita­ listiche sono false e finiranno per essere dimostrate tali da conoscenze scientifiche più sviluppate. Consideriamo allora, uno dopo l'altro, i nostri tre settori delicati. Cominciando dalla biologia molecolare, è chiaro che se vogliamo es­ sere ben sicuri che i concetti vitalistici non vi abbiano parte dovremo avere maggiori conoscenze. Ma penso che questo si verificherà certa­ mente, dato il gran numero di persone oggi impegnate attivamente in questi problemi, e anche perché quel che sappiamo già rende molto improbabile incontrare qualcosa che non possa essere spiegato con la fisica e con la chimica. Il settore delicato - 1'origine della vita - ci mette di fronte a un problema alquanto diverso: in questo caso può essere difficile raggiungere le conoscenze di cui abbiamo bisogno per essere certi che niente di insolito sia avvenuto nei primissimi stadi della storia della vita sulla Terra. Può darsi che passi del tempo prima che queste ricerche si sviluppino, soprattutto perché non sono molti quelli che la­ vorano oggi su questi problemi. Penso però che, grazie, alle conoscenze che acquisteremo nella biologia molecolare, resteranno relativamente pochi a nutrire preoccupazioni sulle origini della vita, dato che questi due campi di studio sono così strettamente collegati. Ben diversamente stanno le cose quando veniamo al sistema nervoso. Qui le idee vitalistiche non soltanto sono idee comuni tra i profani colti, ma sono sostenute anche da parecchi dei più autorevo­ li ricercatori specialisti. Come ho detto, questo è un campo di studi scientificamente arretrato, in senso relativo: occorre un numero molto maggiore di studiosi e bisogna imparare molto di più prima di essere in grado anche soltanto di chiarire quali siano le domande fondamentali che dobbiamo fare circa il nostro cervello, il nostro comportamento, 107

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

e la nostra strana sensazione di essere coscienti. Quando queste cono­ scenze saranno raggiunte e quando lo studio dei calcolatori elettronici avrà ancora ulteriormente progredito (cosa che è probabile avvenga molto rapidamente), allora penso che le idee vitalistiche sul cervello finiranno per apparire bizzarre, come appaiono oggi le idee vitalisti­ che nella biologia molecolare. La conoscenza esatta è la nemica del vitalismo. Purché dunque gli studi scientifici proseguano intensamente, pos­ siamo prevedere che verrà un momento in cui il vitalismo non sarà più preso seriamente in considerazione dagli uomini colti. Sarà morto al­ lora il vitalismo ? Penso che sarà morto, ma rimarrà il suo spettro. Sem­ bra impossibile eliminare completamente le credenze cui è propensa la mente umana: resta sempre un residuo di irriducibili maniaci. Ci sono ancor oggi persone convinte che la Terra sia piatta, malgrado tutto l'e­ norme cumulo di prove scientifiche che dimostrano il contrario. E così a quelli di voi che fossero per caso vitalisti io farei una profezia: quello che ieri hanno creduto tutti e che voi credete oggi, ebbene, solo dei fissati ci crederanno domani.

[F. Crick, O/Molecules and Men ( 1 9 6 6),

trad. it. di D. lnsolera, Uomini e molecole: e morto il vitalismo?, Zanichelli, Bologna 1970, pp. 59, 61-5, 6 9-70, 78- 8 0, 1 3 9-41]

2.6

Jacques Monod: invarianza, teleonomia e il principio di o ggettività Ammettiamo ora di conoscere noi stessi la Biologia [ ...] per analizzare più da vicino le proprietà in questione [ cioè degli esseri viventi] e ten­ tare di definirle in modo più preciso, se possibile quantitativamente. Ne abbiamo individuate tre: teleonomia, morfogenesi autonoma, in­ varianza riproduttiva. [ ...] Delle tre proprietà l' invarianza riproduttiva è quella che più age­ volmente si presta ad una definizione quantitativa. Poiché si tratta del­ la capacità di riprodurre una struttura con un grado d'ordine molto elevato, e poiché il grado d'ordine di una struttura si può definire in unità d'informazione, diremo che il "contenuto di invarianzà' di una data specie è uguale alla quantità d'informazione che, trasmessa da una generazione all'altra, assicura la conservazione della norma strutturale 10 8

2 . DALLA "NUOVA SINTESI" A LLA BIOLOGIA MOLECOLARE

specifica. [ ...] Ciò consentirà di avvicinarci sempre più al concetto di teleonomia, concetto che si impone con la massima evidenza e imme­ diatezza attraverso l'esame delle strutture e delle prestazioni degli esseri viventi. Se però lo si analizza, si troverà che esso è estremamente ambi­ guo poiché implica l'idea soggettiva di "progetto". [ ...] Per essere più precisi, stabiliremo arbitrariamente che il progetto teleonomico essenziale consiste nella trasmissione, da una generazione all'altra, del contenuto di invarianza caratteristico delle specie. Tutte le strutture, le prestazioni, le attività che concorrono al successo essenzia­ le saranno quindi chiamate "teleonomiche". Tali considerazioni permettono di proporre una definizione di principio del "livello" teleonomico di una specie, ed effettivamente si può ritenere che ogni struttura e ogni prestazione teleonomica corri­ sponda a una certa quantità d'informazione che deve essere trasmessa perché quella struttura si realizzi e quella prestazione si compia. Questa quantità può essere definita "informazione teleonomicà'. Si può allora affermare che il "livello teleonomico" di una data specie corrisponde alla quantità di informazione che deve essere trasferita, in media, per individuo onde assicurare la trasmissione del contenuto specifico di invarianza riproduttiva alla generazione successiva. [ ...] La pietra angolare del metodo scientifico è il postulato dell'og­ gettività della Natura, vale a dire il rifiuto sistematico a considerare la possibilità di pervenire a una conoscenza "verà' mediante qualsiasi in­ terpretazione dei fenomeni in termini di cause finali, cioè di "progetto". La scoperta di questo principio può essere datata con esattezza. Galileo e Cartesio, formulando il principio dell'inerzia, non fondarono solo la meccanica, ma anche l'epistemologia della scienza moderna, abolendo la fisica e la cosmologia di Aristotele. Certamente ai predecessori di Cartesio non erano mancate la ragione, la logica, l'esperienza, e nep­ pure l'idea di confrontarle sistematicamente. Ma la scienza, così come l' intendiamo oggi, non poteva costituirsi solo su queste basi. Le manca­ va ancora la severa censura del postulato di oggettività. Postulato vero, che non si potrà mai dimostrare poiché, evidentemente, è impossibile concepire un esperimento in grado di provare la non esistenza di un progetto, di uno scopo perseguito, in un punto qualsiasi della Natura. Il postulato di oggettività è consostanziale alla scienza e da tre secoli ne guida il prodigioso sviluppo. E impossibile disfarsene, anche provvisoriamente, o in un settore limitato, senza uscire dall'ambito della scienza stessa. 109

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

Ma l'oggettività ci obbliga a riconoscere il carattere teleonomico degli esseri viventi, ad ammettere che, nelle loro strutture e prestazioni, essi realizzano e perseguono un progetto. Vi è dunque, almeno in appa­ renza, una profonda contraddizione epistemologica. Il problema cen­ trale della Biologia moderna consiste proprio in questa contraddizione che occorre risolvere se essa è solo apparente, o dimostrare insolubile se è reale. [ ...] Qualunque concezione del mondo - filosofica, religiosa, scientifi­ ca - per il fatto che le proprietà teleonomiche degli esseri viventi met­ tono apparentemente in dubbio uno dei postulati fondamentali della teoria moderna della conoscenza, presuppone necessariamente una solu­ zione di questo problema, sia questa soluzione implicita oppure no. [ ...] Ogni soluzione, qualunque ne sia la motivazione, implica altrettan­ to inevitabilmente un'ipotesi relativa alla priorità, causale e temporale, delle due proprietà caratteristiche degli esseri viventi, cioè invarianza e teleonomia, l'una in rapporto all'altra. Riserviamo a un prossimo capitolo l'enunciato e la discussione dell'unica ipotesi che la scienza moderna considera accettabile, cioè che l'invarianza precede di necessità la teleonomia. Per essere più espliciti, si tratta dell'idea darwiniana che la comparsa, l'evoluzione e il pro­ gressivo affinamento di strutture sempre più fortemente teleonomiche sono dovuti al sopraggiungere di perturbazioni di una struttura gia do­ tata dellaproprieta di invarianza, e quindi capace di "conservare il caso" e di subordinarne gli effetti al gioco della selezione naturale. Beninteso, la teoria che io cerco di abbozzare qui brevemente e dogmaticamente non è proprio quella di Darwin che, ai suoi tempi, non poteva avere alcuna idea dei meccanismi chimici dell'invarianza riproduttiva, né della natura delle perturbazioni a cui tali meccanismi soggiacciono. [ ...] Tale teoria è finora l'unica tra quelle proposte, che sia compatibile con il postulato di oggettività in quanto riduce la teleonomia a una pro­ prietà secondaria derivata dall' invarianza (la sola proprietà considerata primitiva). [ ...] Tutte le altre concezioni, esplicitamente proposte per giustificare la stranezza degli esseri viventi o implicitamente velate dalle ideologie religiose e dalla maggior parte dei grandi sistemi filosofici, presuppon­ gono l'ipotesi inversa e cioè che l'invarianza eprotetta, l'ontogenesi gui­ data, l'evoluzione orientata da un principio teleonomico iniziale, di cui tutti questi fenomeni sarebbero manifestazioni. [ ...] 110

2 . DALLA "NUOVA SINTESI" A LLA BIOLOGIA MOLECOLARE

Si dovette giungere alla seconda metà del Novecento perché sva­ nisse anche il nuovo miraggio antropocentrico innestato sulla teoria dell'evoluzione. Credo che si possa affermare oggi che una teoria uni­ versale, per quanti consensi possa trovare, non potrebbe mai compren­ dere la biosfera, la sua struttura e la sua evoluzione in quanto fenomeni deducibili dai primi principi. Questa proposizione può sembrare oscura ma cerchiamo di chia­ rirla. Una teoria universale dovrebbe evidentemente comprendere a un tempo la relatività, la teoria quantistica, una teoria delle particelle elementari. Ammesso di poter formulare alcune condizioni iniziali, es­ sa conterrebbe anche una cosmologia capace di prevedere l'evoluzione generale dell' Universo. Noi sappiamo tuttavia che tali previsioni [ ...] potrebbero essere solo di tipo statistico. La teoria includerebbe sicu­ ramente la classificazione periodica degli elementi ma potrebbe solo determinare la probabilità di esistenza di ciascuno. Così essa sarebbe in grado di prevedere la comparsa di oggetti come le galassie o i sistemi planetari ma non potrebbe mai dedurre dai suoi principi l'esistenza necessaria di un certo oggetto, di un certo avvenimento, di un certo fenomeno particolare, sia esso la nebulosa di Andromeda, il pianeta Venere, il monte Everest, o il temporale di ieri sera. In modo del tutto generale la teoria prevedrebbe l'esistenza, le pro­ prietà e i rapporti reciproci di certe classi di oggetti o di eventi, ma non potrebbe evidentemente prevedere né l'esistenza né i caratteri distintivi di nessun oggetto, di nessun evento particolare. Secondo la tesi che presenterò qui, la biosfera non contiene una classe prevedibile di oggetti o di fenomeni, ma costituisce un evento particolare, certamente compatibile con i primi principi, ma non dedu­ cibile da essi e quindi essenzialmente imprevedibile. Non vorrei essere frainteso: affermando che gli esseri viventi, in quanto classe, non sono prevedibili sulla base dei primi principi, non intendo affatto insinuare che essi non sono spiegabili con tali principi, che li trascendono in qualche modo e che è necessario trovarne altri, applicabili solo ad essi. Secondo me la biosfera è imprevedibile né più né meno della particolare configurazione di atomi che costituiscono il sasso che tengo in mano. Nessuno rimprovererebbe a una teoria uni­ versale di non affermare e prevedere l'esistenza di quella particolare configurazione atomica; basta che quell'oggetto attuale, unico e reale, sia compatibile con la teoria. Secondo quest'ultima esso non ha il dove­ re ma il diritto di esistere. III

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

Tale ragionamento ci soddisfa nel caso del sasso, ma non di noi stessi. Noi vogliamo essere necessari, inevitabili, ordinati da sempre. Tutte le religioni, quasi tutte le filosofie, perfino una parte della scienza, sono testimoni dell' instancabile, eroico sforzo dell'umanità che nega disperatamente la propria contingenza. [ ... ] Bergson [ ... ] scorgeva nell'evoluzione l'espressione di una forza creatrice, assoluta nel senso che egli la supponeva tesa all'unico fine della creazione in sé e per sé. In questo egli differisce dagli animisti (si tratti di Engels 6 , di Teilhard de Chardin o dei positivisti ottimistici come Spencer) che, nell'evoluzione, vedono il grandioso svolgersi di un programma inscritto nella trama stessa dell' Universo. Per costoro, quindi, l'evoluzione non è in realtà creazione ma soltanto "rivelazione" degli intendimenti ancora inespressi della Natura. Donde la tendenza a scorgere nello sviluppo embrionale un fenomeno dello stesso ordine di quello evolutivo. Secondo la teoria moderna, il concetto di "rivela­ zione" si applica allo sviluppo epigenetico ma, naturalmente, non al fatto evolutivo che, proprio in quanto ha origine nell'imprevedibile essenziale, è creatore di novità assoluta. Forse che quest'apparente con­ vergenza tra le vie della metafisica bergsoniana e quelle della scienza è ancora dovuta a una pura coincidenza ? Può darsi di no: Bergson, artista e poeta quale egli era, e d'altronde molto ben informato sulle scienze naturali del suo tempo, non poteva non essere sensibile alla sfolgorante ricchezza della biosfera, alla prodigiosa varietà delle forme e dei com­ portamenti che vi si dipanano e che sembrano testimoniare quasi di­ rettamente, in effetti, una prodigalità creatrice inestinguibile, libera da ogni vincolo. Ma laddove Bergson vedeva la prova più evidente che il "princi­ pio della vita" è l'evoluzione stessa, la Biologia moderna riconosce, al contrario, che tutte le proprietà degli esseri viventi si basano su un meccanismo fondamentale di conservazione molecolare. Per la teoria del giorno d'oggi l 'evoluzione non e affatto una proprieta degli esseri viventi, in quanto ha le sue radici nelle imperfezioni stesse del mecca­ nismo conservatore che, invece, rappresenta il loro unico privilegio. Si deve dire quindi che la stessa fonte di perturbazione, di "rumore" che, in un sistema non vivente, cioè non replicativo, abolirebbe a po6. Friedrich Engels ( 1 8 29 - 1 8 9 5 ) , economista e filosofo tedesco, noto per aver dato corpo, assieme a Karl Marx, all' indirizzo filosofico noto come materialismo dialettlCO.

1 12

2 . DALLA "NUOVA SINTESI" A LLA BIOLOGIA MOLECOLARE

co a poco ogni struttura, è all'origine dell'evoluzione nella biosfera e giustifica la sua totale libertà creatrice, grazie a questo "conservato­ rio" del caso - la struttura replicativa del DNA - sordo sia al rumore sia alla musica.

[J. Monod, Le hasard et la nécessité ( 19 70 ) , trad. it. di A. Busi, Il caso e la necessita, Mondadori, Milano 1997, pp. 1 8-9, 25-7, 43-4, 108-9 ] 2 .7

François Jacob : la vita e la sua "logica" Riconoscere l'unità dei processi fisico-chimici che si svolgono a livello molecolare, significa che il vitalismo ha perduto qualsiasi funzione. Di fatto, dopo la nascita della termodinamica, il valore operativo del con­ cetto di vita è sempre più venuto meno e il suo potere d'astrazione si è progressivamente indebolito. Nei laboratori, oggi, non si interroga più la vita, non si cerca più di delinearne i contorni: si analizzano soltanto i sistemi viventi, la loro struttura, la loro funzione, la loro storia. Al tempo stesso, però, riconoscere che a ogni essere vivente è intrinseca una finalità significa che non è più possibile fare della biologia senza riferirsi continuamente al "progetto" dell'organismo vivente, al "senso" che l'esistenza stessa di un organismo conferisce alle strutture e alle fun­ zioni che lo caratterizzano. Questo atteggiamento mentale differisce profondamente dal riduzionismo che, per tanto tempo, ha dominato nelle scienze biologiche. Fino a oggi, per avere carattere scientifico, l'a­ nalisi doveva obbligatoriamente astrarre da qualunque considerazione che andasse al di là del sistema studiato e del suo ruolo funzionale. Il rigore imposto alla descrizione esigeva l'eliminazione di ogni elemento finalistico, che il biologo rifiutava di includere nelle sue analisi. Oggi, invece, non si può più dissociare la struttura dal suo significato, ove si consideri non solo l'organismo in sé e per sé, ma anche la successione di eventi che hanno condotto all'organismo come esso è attualmente. [ ...] Ogni sistema vivente deve essere analizzato da due punti di vista, secondo due tagli, uno orizzontale e l'altro verticale, che possono es­ sere disgiunti solo per comodità d'esposizione. Occorre distinguere, da un lato, i principi che regolano l' integrazione, la costruzione e il funzionamento degli organismi viventi, dall'altro i principi che ne han­ no diretto le trasformazioni e la successione del tempo. Descrivere un sistema vivente significa far riferimento, congiuntamente, alla logica 113

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

della sua organizzazione e alla logica della sua evoluzione; oggetto di studio dell'odierna biologia sono gli algoritmi del mondo vivente. [ ... ] Oggi si può dire che siano sufficientemente chiari i principi che regolano l'organizzazione dei sistemi viventi, la loro costruzione e la loro logica interna, ed è possibile anche - per estrapolazione - intra­ vederne l'origine lontana; non è ben chiaro, invece, come sia avvenuto il passaggio dalla materia organica alla materia vivente. Per il biologo, è vivente tutto ciò che risulta portatore di un programma genetico: un oggetto merita il nome di organismo solo dal momento in cui è sottoposto alla selezione naturale. Il biologo vede il segno di ricono­ scimento di un essere vivente nella facoltà di riprodursi, anche se a un organismo primitivo fossero necessari molti anni per formare il proprio simile. Per il chimico, invece, è piuttosto arbitrario voler tracciare una netta linea di demarcazione là dove non poté esservi che continuità. Ogni organismo contiene un'ampia varietà di strutture, di funzioni, di enzimi, di membrane, di cicli metabolici, di composti ricchi di ener­ gia, e via dicendo. Qualunque sia il punto di partenza attribuito a un sistema vivente, l'organizzazione di tale sistema può essere concepita solo in seno a un ambiente già preparato da lungo tempo. L'evoluzio­ ne biologica è la continuazione necessaria e ininterrotta di una lunga ' evoluzione chimica. [ ... ] E difficile, tuttavia, immaginare come abbia potuto fare la sua apparizione un sistema integrato, anche assai primi­ tivo; è difficile comprendere quale sia stata e in qual modo abbia avuto origine un'organizzazione capace di riprodursi, anche imperfettamen­ te, anche con lentezza. Il più umile degli organismi, il più modesto dei batteri è costituito, infatti, da un numero enorme di molecole. Non si può pensare che tutti i pezzi del mosaico si siano formati in modo indipendente l'uno dall'altro nell'oceano primitivo, per poi incon­ trarsi, un bel giorno, per puro caso e disporsi in un sistema ordinato; l'antenato deve essere stato, necessariamente, una specie di nucleo, una combinazione di molecole che, in qualche modo, si aiutavano recipro­ camente a ripetere se stesse. Ma tutto questo come è cominciato ? [ ... ] In mancanza di tracce da interrogare, la biologia è ridotta a formulare delle semplici congetture. Essa cerca di dare un ordine sistematico ai problemi, di distinguere accuratamente i suoi oggetti di indagine, di porre domande alle quali si possa rispondere mediante l'esperimento. Quali polimeri hanno diritto all'anteriorità storica, quelli nucleici o quelli proteici ? Qual è l'origine del codice genetico ? La prima questio­ ne induce a domandarsi se, in assenza dell'uno o dell'altro tipo di po114

2 . DALLA "NUOVA SINTESI" A LLA BIOLOGIA MOLECOLARE

limero, è concepibile qualcosa che abbia una sia pur vaga somiglianza con un essere vivente; la seconda solleva problemi evolutivi e problemi logici. Problemi evolutivi perché la corrispondenza univoca fra ogni tripletta nucleica e ogni sottounità proteica non ha potuto formarsi d'un colpo; problemi logici, perché non è facile capire per quale moti­ vo sia stata adottata quella particolare corrispondenza e non un'altra, per quale motivo una certa tripletta nucleica "significhi" proprio quella tale sottounità proteica e non altre. [ ...] A questi problemi la biologia molecolare tenta di dare una risposta. Non abbiamo, tuttavia, alcuna certezza che si giunga mai ad analizzare in concreto il passaggio fra la materia inorganica e il vivente. Forse nessuno riuscirà mai a calcolare quale probabilità aveva un sistema vivente di apparire su questa terra. Se il codice genetico è universale, ciò significa probabilmente che tutti gli esseri che sono riusciti a sopravvivere e a riprodursi derivano da un solo antenato. Ora, non esiste una probabilità misurabile per un evento che è accaduto una volta sola. L'indagine rischierebbe di smarrirsi in un dedalo di ipotesi prive di ogni possibilità di verifica; il problema dell'o­ rigine della vita finirebbe col diventare una nuova sorgente di dispute astratte e scolastiche fra teorie puramente metafisiche, slegate da ogni concreto metodo scientifico. [... ] La biologia ha dimostrato, invece, che dietro la parola "vita'' non si nasconde nessuna entità metafisica. La capacità di associarsi, di ge­ nerare strutture sempre più complesse e di riprodursi è intrinseca agli stessi elementi costitutivi della materia. Dalle particelle più semplici all'uomo si distende tutta una serie di integrazioni, di livelli, di di­ scontinuità, ma non esiste alcuna rottura nella composizione dei vari oggetti e nelle reazioni che si svolgono al loro interno; non vi è, in altri termini, nessun mutamento di "essenza'' nel passaggio da un livello all'altro, tanto che l'analisi delle molecole e degli organelli cellulari è diventato oggi un problema di competenza dei fisici. [ ... ] Ciò non significa che la biologia sia diventata un'appendice della fisica, che ne costituisca - per così dire - una filiale, caratterizzata da un maggior grado di complessità. [ ...] Tutti concordano nel vedere una direzione nel processo evolutivo. Nonostante gli errori, i vicoli ciechi, il procedere a tentoni dell'evo­ luzione, un certo cammino è stato percorso in più di due miliardi di anni. Ma è assai difficile descrivere l'orientamento imposto dalla sele­ zione naturale al caso. Parole come "progresso", "progressione", "per­ fezionamento" sono improprie, perché evocano troppe regolarità, il 115

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

disegno prestabilito, l'antropomorfismo. I criteri a cui esse rinviano non sono ben definiti; per quanto riguarda, ad esempio, l'adattamen­ to necessario a sopravvivere, basterà osservare che il colibacillo è al­ trettanto bene adattato al suo ambiente quanto l'uomo al suo. Non migliori sono espressioni come "complicazione", "complessità". Vi sono complicazioni gratuite e altre, che, per la loro specializzazione, impediscono ogni ulteriore evoluzione. Ciò che, forse, meglio caratte­ rizza l'evoluzione è la sua "apertura", la tendenza a rendere più elastica l'esecuzione del programma genetico, il che permette ali'organismo di sviluppare sempre più i suoi rapporti con l'ambiente e di estendere il suo raggio d'azione. [ F. Jacob, La logique du vivant. Une histoire de l'héredité ( 1970 ), trad. it. di A. e S. Serafini, La logica del vivente. Storia dell'ereditarieta, Einaudi, Tori no 1971 , pp. 349- 5 0, 355 -9] 2 .8

Ernst Mayr: evoluzione cosmica ed evoluzione biologica Se noi cerchiamo di trovare il denominatore comune a tutti i processi che sembrano legittimamente essere qualificati come evolutivi, scopria­ mo che devono essere soddisfatte almeno due condizioni: 1. un continuo cambiamento; 2 . la presenza di una componente direzionale. Questa direzione non deve rimanere necessariamente immutata e perciò nessuno esita a parlare di evoluzione delle balene anche se i loro antenati vennero a somiglianza dei pesci dapprima dall'acqua sulla ter­ ra e quindi di nuovo dalla terra nell'acqua. Se colleghiamo questi due criteri arriviamo a una definizione molto ampia: > (Le domande supreme della biologia, De Donato, Bari 19 69, pp. 47-8). Peraltro, la categoria del trascendimento, cui si appoggiava sempre Dobzhansky, fatto salvo l'avvertimento di non implicare in tale riferimen­ to una "dimensione" filosofica e teologica, è al centro del brano successivo, autore del quale è il teologo Karl Rahner; le riflessioni appartengono alla sezione che Rahner curò per il volume intitolato Das Problem der Homini12 4

3 . LA TEOLOGIA FRA CREATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

sation, uscito a Basilea nel 19 61, alla cui stesura partecipò il gesuita tedesco Paul Overhage. Le tesi svolte riflettono anche l'esito delle attività della Pau­ lus- Gesellschaft, che era stata istituita in Germania nel 1 9 55 con il precipuo intento di promuovere incontri fra studiosi di teologia, storia e scienze natu­ rali, di cui Rahner divenne subito membro e animatore. L'intervento verte sulla Quaestio disputata del (A. Maranzini, Teologia e scienza in Karl Rahner. Prefazione a K. Rahner, Ilproblema dell 'o minizzazione, Morcelliana, Brescia 1 9 6 9, p. 14). Presupposto, ma anche eredità da ripensare, fu la teologia di Barth per l'autore dell'ultimo pezzo posto in antologia, ovvero Wolfhart Pannenberg ( 1928-2014), che peraltro di Barth fu allievo a Basilea. Di fatto, uno dei filoni che ha caratterizzato il pensiero di Pannenberg è stato lo sforzo di ricostruire un dialogo fra teologia e scienza passando per la mediazione epistemologica. Sul piano dogmatico il tentativo, che muove dalla complicata interpenetrazio­ ne della lezione di Teilhard de Chardin e di Barth, ha condotto Pannenberg a rileggere a partire dal 19 70, anno in cui pubblica il saggio Kontinenz und Naturgesetz, il tema della creatio continua nei termini di una interessante fo­ calizzazione sul ruolo della contingenza, recuperando qui anche un tema che era stato affrontato, sempre all'interno di una scaltrita esegesi del pensiero tomista, da Sertillanges in La contingence dans la nature selon Saint Thomas d:Aquin, in " Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques", 4, 1909, pp. 665-8 1. APP ROFONDIMENTO B I B LI O G RAFI C O

Su de Dorlodot si può rimandare alle pagine introduttive di H. DE D O RL O­ D OT, L 'origine de l 'homme. Le Darwinisme au point de vue de l'orthodoxie catholique. 2. Texte inédit présenté et annoté par Marie Claire Groessens-Van Dyck et Dominique Lambert, Editions Mardaga, Wavre 2009. Su Antonin-Dalmace Sertillanges, non esistendo studi specifici, si può rimandare a c. M O LARI , Darwinismo e teologia cattolica: un secolo di conflitti, Boria, Città di Castello 1983, pp. 49-52 e al breve profilo in B. M OND IN, Storia della metafisica, Edizioni Studio Domenicano, Bologna 1998, III, pp. 670-3. Su Teilhard de Chardin vi è un'ampia bibliografia in lingua italiana, cui riferirsi: c. CUÉNOT, L 'evoluzione di Teilhard de Chardin, Feltrinelli, Milano 1962; N. N. WILDIERS, Introduzione a Teilhard de Chardin, Bompiani, Milano 1962; G. C RES PY, Il pensiero teologico di Teilhard de Chardin, Borla, Torino 1 9 63; G. VIG O RELLI, Il gesuita proibito. Vita e opere di P. Teilhard de Chardin, il Saggiatore, Milano 1963; P. SMULDERS, La visione di Teilhard de Chardin, Boria, Torino 1965; J. PIVETEAU, Il Padre Teilhard de Chardin scienziato, Edi125

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

zioni Paoline, Modena 1 9 67 ; s. QUINZI O , Che cosa ha veramente detto Teilard de Chardin, Ubaldini, Roma 1 9 67 ; o. P. ALBERTI, La scienza nel pensiero di Teilhard de Chardin, Libreria Editrice, Roma 1 9 6 9 ; A . CANTONI, Il proble­ ma Teilhard de Chardin.· scienza, filosofia, teologia, Marzorati, Milano 1 9 6 9 ; G . STRANIERO , L'o ntologia fenomenologica di Teilhard de Chardin, Vita e Pensiero, Milano 1 9 6 9 ; A . G O SZTONYI, Teilhard de Chardin.· cristianesimo ed evoluzione, Sansoni, Firenze 1 9 70 ; c. CUENOT, Teilhard de Chardin, il Saggia­ tore, Milano 1 9 7 1 (1 ed. 1 9 6 6 ) ; L. M O RGI ONE, Teilhard de Chardin, Edizioni Paoline, Roma 1 9 77 ; H. D E LUBAC , Il pensiero religioso di padre Teilhard de Chardin, Jaca Book, Milano 1 9 8 3 (1 ed. Morcelliana, Brescia 1 9 6 6 ) ; J. CARLES , A . D UPLEIX, Teilhard de Chardin.· mistico e scienziato, Edizioni Paoline, Mila­ no 1 9 9 8 ; R. GIBELLINI, Teilhard de Chardin: l'opera e le interpretazioni, Que­ riniana, Brescia 2 0 0 5 (1 ed. 1 9 8 1 ) ; J. ARN O ULD, Teilhard de Chardin: eretico o profeta ?, Lindau, Torino 20 0 9 ; G.-H. BAUD RY, Teilhard de Chardin, o il ritorno di Dio, Jaca Book, Milano 2010. Su Karl Barth cfr. E . B U S C H , Karl Barth. Biografia, Queriniana, Brescia 1 9 77 ; H . u. VON BALT HASAR, La teologia di Karl Barth, Jaca Book, Milano 1 9 8 5 ; J. EBERHARD , L 'essere di Dio e nel divenire. Due studi sulla teologia di Karl Barth, Marietti, Genova 1 9 8 6 ; s. RO STAG N O , Karl Barth, Morcellia­ na, Brescia 20 0 3 ; utile anche l'introduzione di Italo Mancini anteposta a K. BART H , Dogmatica ecclesiale, antologia a cura di H. Gollwitzer, Dehoniane, Bologna 20 1 3 , pp. VI I-CXIII. Su Paul Tillich cfr. B. NYNFA, Paul Tillich trafilosofia e teologia, Mursia, Milano 1 9 7 5 ; s. B IAN C H ETTI, Paul Tillich, Morcelliana, Brescia 2 0 0 2 . Su Karl Rahner ampia la letteratura, fra cui si potrà indicare: I. SAN­ NI, Karl Rahner, Morcelliana, Brescia 200 0 ; I D . , L'eredita teologica di Karl Rahner, Lateran Univerity Press, Roma 20 0 5 ; G. SALAT I ELLO (a cura di), Karl Rahner. Percorsi di ricerca, Pontificio Istituto Biblico, Città del Vaticano 2012; c. RUBINI, Il divenire della creazione. In dialogo con Karl Rahner ejurgen Moltmann, Città Nuova, Roma 201 3 . Su Wolfhart Pannenberg si vedano le seguenti monografie: M. PAGANO , Storia ed escatologia nel pensiero di W. Pannenberg, Mursia, Milano 1 9 7 3 ; R. GIBELLINI, Teologia e ragione. Itinerario e opera di Woljhart Pannenberg, Que­ riniana, Brescia 1 9 8 o ; G. L. B RENA, La teologia di Pannenberg, Piemme, Casale Monferrato 1 9 9 3 ; G. AC C O RDINI, Woljhart Pannenberg, Morcelliana, Brescia 1 9 9 7 ; I D . , La rivelazione di Dio come storia e come atto. Scenari e codici nella teologia di W. Pannenberg, Glossa, Milano 2 0 0 2 .

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3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

3.1

Teilhard de Chardin : l 'evoluzione convergente Ci siamo recentemente familiarizzati, alla scuola degli astronomi, con l'idea di un universo che, da qualche miliardo di anni (soltanto !), sta­ rebbe espandendosi in galassie a partire da una specie di atomo pri­ mordiale. Tale prospettiva di un mondo in stato di espansione è ancora discussa: ma non verrebbe in mente ad alcun fisico di respingerla per­ ché viziata da una qualsiasi filosofia o da un qualsiasi finalismo. Non è male avere sotto gli occhi un esempio del genere per comprendere, nello stesso tempo, l'importanza, i limiti e la perfetta legittimità scien­ tifica dei punti di vista che vengono qui proposti. Nella sua più pura essenza, la sostanza delle molte pagine precedenti si riduce alla sempli­ ce affermazione che, se l'universo ci appare, dal punto di vista siderale, in via di espansione spaziale (dall'infimo all'immenso), del pari, e più nettamente ancora, esso si presenta a noi, dal punto di vista fisico-chi­ mico, in via di avvolgimento organico su se stesso (dall'estremamente semplice all'estremamente complesso): e tale avvolgimento particolare di "complessità" si trova sperimentalmente legato ad un correlativo au­ mento di interiorizzazione, cioè di psiche o coscienza. Nello spazio ristretto del nostro pianeta (il solo per ora in cui sia possibile studiare la biologia), la relazione strutturale qui osservata fra complessità e coscienza è sperimentalmente incontestabile e nota da sempre. Ciò che rappresenta l'originalità della posizione adottata in questo libro è il fatto di porre questo presupposto: la proprietà particolare, posseduta dalle sostanze terrestri, di vitalizzarsi sempre di più man mano che sempre maggiormente si complicano, non è che la manifestazione e l'espressione locale di una deriva altrettanto universale [ ... ] di quelle, già identificate dalla fisica, che spingono gli strati cosmici, oltreché ad espandersi esplosivamente come un'onda, a condensarsi corpuscolarmente sotto l'effetto delle forze elettroma­ gnetiche e gravitazionali, oppure a dematerializzarsi per irradiazione. Queste varie derive sono probabilmente [ ... ] strettamente correlate tra loro. Se così è, ne consegue che la coscienza, definita sperimentalmente come l'effetto specifico della complessità organizzata, supera di molto lo spazio, oltremodo ristretto, entro il quale i nostri occhi riescono a distinguerla direttamente. Da una parte, in effetti, persino laddove valori piccolissimi, o medi, 127

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

di complessità rendono la coscienza rigorosamente impercettibile (cioè a partire e al di sotto delle grandissime molecole), siamo logicamente indotti ad ipotizzare, in ogni corpuscolo, l'esistenza rudimentale [ ...] di una certa quale psiche, esattamente come il fisico ammette, e potrebbe calcolare, i cambiamenti di massa (del tutto impercettibili ad un'espe­ rienza diretta) che si producono nel caso dei movimenti lenti. D'altro lato, quando nel mondo, in seguito a svariate circostanze fisiche (temperatura, gravità ...), la complessità non riesce a raggiungere valori che permetterebbero ad una irradiazione di coscienza di influen­ zare i nostri occhi, noi ci sentiamo spinti a ritenere che, se le condizioni diventassero favorevoli, l'avvolgimento, arrestato per un momento, ri­ prenderebbe subito la sua marcia in avanti. L'universo, ripeto, osservato secondo l'asse delle complessità, nella sua totalità come in ciascuno dei suoi punti, è in una continua tensione di ripiegamento organico su se stesso e quindi d' interiorizzazione. Ciò significa che, per la scienza, la vita è da sempre e da per tutto in stato di pressione; e che ove sia pervenuta ad aprirsi un varco abbastanza ampio, niente più riuscirebbe ad impedirle di spingere sino all'estremo il processo dal quale è nata. [ ...] L'universo in via di avvolgimento, considerato nelle sue zone pre­ riflesse, per poter superare l'improbabilità di forme di organizzazione che portano ad unità di tipo più complesso,' progredisce lentamente, attraverso miliardi e miliardi di tentativi. E proprio questo processo "a tentoni': correlato al duplice meccanismo della riproduzione e dell'eredità [ ...] che dà origine allo straordinario raggruppamento di stirpi viventi costituenti ciò che più sopra ho chiamato "l'albero della vità' - che si potrebbe altrettanto bene paragonare ad uno spettro di dispersione in cui ogni lunghezza d'onda corrisponde ad una sfumatu­ ra particolare di coscienza o di istinto. Osservati sotto una certa visuale, i diversi raggi di questo venta­ glio psichico possono sembrare, e sono spesso considerati dalla scienza, vitalmente equivalenti: tanti istinti, altrettante soluzioni, ugualmente valide e non paragonabili tra loro, di uno stesso problema. Una seconda originalità della mia posizione rispetto al ''fenomeno umano': oltre a quella di considerare la vita come una funzione universale di ordine co­ smico, consiste nell'attribuire il valore di "soglià', ossia di cambiamento di stato, all'apparizione, nella stirpe umana, del potere di riflessione. Affermazione per nulla gratuita [ ...] , né fondata inizialmente su alcuna metafisica del pensiero. Ma opzione sperimentalmente appoggiata, al 12 8

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

fatto, stranamente sottovalutato, che a partire dal "passo della riflessio­ ne': noi accediamo veramente ad una nuova forma di biologia caratte­ rizzata, fra altre particolarità, dalle seguenti proprietà: a ) Emergenza decisiva, nella vita individuale, dei fattori organizzativi interni (invenzione) al di sopra dei fattori organizzativi esterni (gioco delle possibilità utilizzate). b ) Apparizione ugualmente decisiva, fra elementi, di vere forze di avvicinamento o di allontanamento (simpatia e antipatia) che sostitu­ iscono le pseudo-attrazioni e pseudo-repulsioni della previta o della vita inferiore, riferibili, sembra, le une e le altre, a semplici reazioni alle rispettive curvature dello spazio-tempo e della biosfera. e) Risveglio, infine, nella coscienza di ciascun elemento in particola­ re [ ... ] di un'esigenza di "Supervita illimitatà'. Cioè il passaggio, per la vita, da uno stato di irreversibilità relativa (impossibilità per l'avvolgi­ mento cosmico di arrestarsi, una volta iniziato) allo stato d' irreversi­ bilità assoluta (incompatibilità dinamica radicale tra una prospettiva sicura di morte totale e la continuazione di un'evoluzione divenuta riflessa). Queste varie proprietà conferiscono al gruppo zoologico che le possiede una superiorità, non soltanto quantitativa e numerica ma fun­ zionale e vitale, indiscutibile; indiscutibile, ripeto: purché ci si decida ad applicare sino alle sue estreme conseguenze, senza deflettere, la legge sperimentale di complessità-coscienza all'evoluzione globale dell' inte­ ro gruppo. [ ... ] Per terminare, devo soltanto precisare il mio pensiero su tre punti che di solito presentano difficoltà per i miei lettori. Essi sono: a ) Quale posto è lasciato alla libertà (e pertanto ad una possibilità di scacco del mondo)? b ) Quale valore è conferito allo spirito (rispetto alla materia) ? e, e) Quale distinzione sussiste tra Dio e il mondo, nella teoria dell'avvolgimento cosmico ?

a ) Per ciò che riguarda le probabilità di successo della cosmoge­

nesi - insisto su questo punto -, dalla posizione qui adottata non consegue affatto che la riuscita finale dell'ominizzazione sia neces­ saria, fatale, assicurata. Certamente, le forze "noogeniche" di com­ pressione, di organizzazione e di interiorizzazione sotto la cui azione si attua la sintesi biologica della riflessione non allentano in alcun momento la loro pressione sulla stoffa umana: donde la possibilità [ ... ] di prevedere con certezza - se tutto va bene - alcune direzioni 12 9

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

precise dell 'avvenire 1 • Ma non dimentichiamo che, per natura intrin­ seca, l'organizzazione dei grandi complessi (cioè di stati sempre più improbabili - seppure tra loro concatenati) non si opera nell'univer­ so (e più specialmente nel caso dell'uomo) che secondo due metodi connessi: 1 . utilizzazione "a tentoni" dei casi favorevoli (provocati, nel loro apparire, dal gioco dei grandi numeri), e 2. in una seconda fase, invenzione riflessa. Ciò significa che l'energia cosmica di avvol­ gimento, per quanto persistente ed imperiosa sia nella propria azione, si trova intrinsecamente gravata, nei suoi effetti, da due incertezze legate al duplice gioco - alla base, delle possibilità - in cima, del­ le libertà. Osserviamo tuttavia che, nel caso dei vastissimi comples­ si (qual è precisamente quello rappresentato dalla massa umana), il processo tende a "rendersi infallibile" poiché le possibilità di successo crescono dalla parte della casualità, mentre le probabilità di rifiuto o di errore diminuiscono dal lato delle libertà, con la moltiplicazione degli elementi impegnati 2 • b ) Per ciò che riguarda il valore dello spirito, farò osservare che, dal punto di vista fenomenologico al quale sistematicamente mi limito, ,, ,, . . . . materia e sp1r1to non s1 presentano come "cose o "nature , ma come semplici variabili connesse, delle quali si tratta di determinare, non l'essenza segreta ma la curva in funzione dello spazio e del tempo. E ricordo che, a questo livello di "riflessione", la "coscienzà' si presenta, e dev'essere trattata, non già come una specie di entità particolare e autosufficiente, ma come un "effetto': anzi come !' "effetto specifico" della complessità. Ora, entro questi limiti, e per quanto modesti essi siano, qualche cosa di molto importante mi sembra fornito dall'esperienza a favore delle speculazioni della metafisica. Da una parte, se si ammette la trasposizione più sopra indicata della nozione di coscienza, nulla c'impedisce più [ ...] di prolungare verso la base, nella direzione delle minime complessità, sotto forma invisibile, Questa, per esempio, che niente potrebbe fermare l'uomo nella sua marcia verso l'unificazione sociale, verso lo sviluppo (liberatore per lo spirito) della mac­ china e degli automatismi, verso il "tentate tutto" ed il "pensare tutto" sino in fondo 1.

[N.d.A. ] .

È interessante notare che, per un credente cristiano, il successo finale dell 'o­ minizzazione (e pertanto dell'avvolgimento cosmico) è positivamente garantito dalla 2.

virtù "resuscitante" del Dio incarnato nella sua creazione. Ma a questo punto abbiamo già abbandonato il piano del fenomeno [N.d.A. ] .

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3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

lo spettro dell' "interno delle cose": il che significa che lo "psichico", a diversi gradi di concentrazione, si rivela soggiacente alla totalità del fenomeno. E d'altro lato, seguito verso l'alto, nella direzione dei grandissimi complessi, lo stesso "psichico': a partire dal momento in cui diventa per noi percettibile negli esseri, manifesta, rispetto alla sua matrice di "complessità", una tendenza crescente all'autocontrollo e all'autono­ mia. Alle origini della vita, sembra che, in ogni elemento individuale, il focolaio di organizzazione (F 1) generi e controlli il connesso focolaio di coscienza (F 2) . Ma verso l'alto, l'equilibrio si capovolge. Anzitutto, molto nettamente, a partire dal "passo individuale della riflessione" (se non già prima !), F 2 comincia a prendere in mano (per "invenzione") i progressi di F 1. Poi, salendo ancora, e cioè nelle vicinanze (ipotizzate) della riflessione collettiva, F 2 mostra di voler dissociarsi dal suo quadro tempo-spaziale per congiungersi con il Focolaio universale e supremo Omega. Dopo l'emergenza, l'emersione ! Nelle prospettive dell'avvol­ gimento cosmico, non soltanto la coscienza diventa coestensiva all'u­ niverso, ma l'universo acquista equilibrio e consistenza, sotto forma di pensiero, in un Polo d'interiorizzazione supremo. Quale migliore base sperimentale per fondare metafisicamente il primato dello spirito ? e) E in ultimo, per finirla veramente, con i timori di "panteismo" co­ stantemente sollevati da certi sostenitori dello spiritualismo tradizio­ nale a proposito dell'evoluzione, come non vedere che, nel caso di un universo convergente, quale è stato da me presentato, il Centro universa­ le di unificazione (precisamente per adempiere la sua funzione motrice, collettrice e stabilizzatrice) - anziché nascere dalla fusione e dalla con­ fusione dei centri elementari che Egli raduna - deve essere concepito come preesistente e trascendente ? "Panteismo" ben reale, se si vuole (nel senso etimologico della parola) ma panteismo assolutamente legit­ timo: se, in fin dei conti, i centri riflessi del mondo non costituiscono effettivamente altro che "uno con Dio", tale stato si ottiene, non per identificazione (Dio che diventa tutto) ma per azione differenziante e comunicante dell'amore (Dio tutto in tutti) , - il che è essenzialmente ortodosso e cristiano. [P. Teilhard de Chardin, Le phénomene humain (1955), trad. it. di F. Ormea, Iljènomeno umano, il Saggiatore, Milano 19 68, pp. 410-5, 420-3]

131

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

3.2

L' Enciclica Humani generis Chiunque osservi il mondo odierno, che è fuori dell'ovile di Cristo, facilmente potrà vedere le principali vie per le quali i dotti si sono incamminati. Alcuni, senza prudenza né discernimento, ammettono e fanno valere per origine di tutte le cose il sistema evoluzionistico, pur non essendo esso indiscutibilmente provato nel campo stesso del­ le scienze naturali, e con temerarietà sostengono l'ipotesi monistica e panteistica dell'universo soggetto a continua evoluzione. Di quest' i­ potesi volentieri si servono i fautori del comunismo per farsi difensori e propagandisti del loro materialismo dialettico e togliere dalle menti ogni nozione di Dio. Le false affermazioni di siffatto evoluzionismo, per cui viene ripu­ diato quanto vi è di assoluto, fermo ed immutabile, hanno preparato la strada alle aberrazioni di una nuova filosofia che, facendo concorrenza all'idealismo, ali' immanentismo e al pragmatismo, ha preso il nome di "esistenzialismo" perché, ripudiate le essenze immutabili delle cose, si preoccupa solo della "esistenzà' dei singoli individui. Si aggiunge a ciò un falso "storicismo" che si attiene solo agli eventi della vita umana e rovina le fondamenta di qualsiasi verità e legge asso­ luta sia nel campo della filosofia, sia in quello dei dogmi cristiani. In tanta confusione di opinioni, Ci reca un po' di consolazio­ ne il vedere coloro che un tempo erano stati educati nei principi del razionalismo, ritornare oggi, non di rado, alle sorgenti della verità rivelata, e riconoscere e professare la parola di Dio, conservata nella Sacra Scrittura, come fondamento della Teologia. Nello stesso tempo però reca dispiacere il fatto che non pochi di essi, quanto più ferma­ mente aderiscono alla parola di Dio, tanto più sminuiscono il valore della ragione umana, e quanto più volentieri innalzano l'autorità di Dio Rivelatore, tanto più aspramente disprezzano il Magistero del­ la Chiesa, istituito da Cristo Signore per custodire e interpretare le verità rivelate da Dio. Questo disprezzo non solo è in aperta con­ traddizione con la Sacra Scrittura, ma si manifesta falso anche con la stessa esperienza. Poiché frequentemente gli stessi "dissidenti" si lamentano in pubblico della discordia che regna fra di loro nel campo dogmatico, cosicché, pur senza volerlo, riconoscono la necessità di un vivo Magistero. Ora queste tendenze, che più o meno deviano dalla retta strada, 132

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

non possono essere ignorate o trascurate dai filosofi e dai teologi catto­ lici, che hanno il grave compito di difendere le verità divine ed umane e di farle penetrare nelle menti degli uomini. Anzi, essi devono conoscere bene queste opinioni, sia perché le malattie non si possono curare se prima non sono bene conosciute, sia perché qualche volta nelle stesse false affermazioni si nasconde un po' di verità, sia infine, perché gli stessi errori spingono la mente nostra a investigare e a scrutare con più diligenza alcune verità sia filosofiche che teologiche. [ ...] Rimane ora da parlare di quelle questioni che, pur appartenendo alle scienze positive, sono più o meno connesse con le verità della fede cristiana. Non pochi chiedono insistentemente che la religione catto­ lica tenga massimo conto di quelle scienze. Il che è senza dubbio cosa lodevole, quando si tratta di fatti realmente dimostrati; ma bisogna an­ dar cauti quando si tratta piuttosto di ipotesi, benché in qualche modo fondate scientificamente, nelle quali si tocca la dottrina contenuta nella Sacra Scrittura o anche nella tradizione. Se tali ipotesi vanno diretta­ mente o indirettamente contro la dottrina rivelata, non possono am­ mettersi in alcun modo. Per queste ragioni il Magistero della Chiesa non proibisce che in conformità dell'attuale stato delle scienze e della teologia, sia oggetto di ricerche e di discussioni, da parte dei competenti in tutti e due i campi, la dottrina dell'evoluzionismo, in quanto cioè essa fa ricerche sull'origine del corpo umano, che proverrebbe da materia organica pre­ esistente (la fede cattolica ci obbliga a ritenere che le anime sono state create immediatamente da Dio). Però questo deve essere fatto in tale modo che le ragioni delle due opinioni, cioè di quella favorevole e di quella contraria all'evoluzionismo, siano ponderate e giudicate con la necessaria serietà, moderazione e misura e purché tutti siano pronti a sottostare al giudizio della Chiesa, alla quale Cristo ha affidato l'ufficio di interpretare autenticamente la Sacra Scrittura e di difendere i dogmi della fede [ ...] . Però alcuni oltrepassano questa libertà di discussione, agendo in modo come fosse già dimostrata con totale certezza la stessa origine del corpo umano dalla materia organica preesistente, valendosi di dati indiziali finora raccolti e di ragionamenti basati sui medesimi indizi; e ciò come se nelle fonti della divina Rivelazione non vi fosse nulla che esiga in questa materia la più grande moderazione e cautela. Però quando si tratta dell'altra ipotesi, cioè del poligenismo, allora i figli della Chiesa non godono affatto della medesima libertà. I fedeli non possono abbracciare quell'opinione i cui assertori insegnano che 133

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

dopo Adamo sono esistiti qui sulla terra veri uomini che non hanno avuto origine, per generazione naturale, dal medesimo come da proge­ ni core di tutti gli uomini, oppure che Adamo rappresenta l'insieme di molti progenitori; non appare in nessun modo come queste afferma­ zioni si possano accordare con quanto le fonti della Rivelazione e gli atti del Magistero della Chiesa ci insegnano circa il peccato originale, che proviene da un peccato veramente commesso da Adamo indivi­ dualmente e personalmente, e che, trasmesso a tutti per generazione, è inerente in ciascun uomo come suo proprio (cfr. Rom. v, 12-19; Conc. Trident., sess. v, can. 1-4). v. Come nelle scienze biologiche ed antropologiche, così pure in quelle storiche vi sono coloro che audacemente oltrepassano i limiti e le cautele stabilite dalla Chiesa. In modo particolare si deve deplorare un certo sistema di interpretazione troppo libera dei libri storici del Vecchio Testamento; i fautori di questo sistema, per difendere le loro idee, a torto si riferiscono alla Lettera che non molto tempo fa è stata inviata all'arcivescovo di Parigi dalla Pontificia Commissione per gli Studi Biblici (16 gennaio 1948; A. A. S., voi. XL, pp. 45-48). [Pio PP. XII, Humani Generis (19 5 0 ) , trad. it. http ://w2.vatican.va/ con tentipius-xii/ it/ encyclicals/ documents/hf_p-xii_enc_120 8 19 so_ humani-generis.html]

3.3 Antonin-Dalmace Sertillan ges : novità sull ' idea di creazione Essa [la creazione] , non un semplice cambiamento a partire da un chaos primitivo, come si è creduto per quasi tutta l'antichità. Non implica essenzialmente l'idea del cominciamento del tempo, come credeva una moltitudine di cristiani e di pensatori. Non ha luogo in un momento dato ali' interno di una durata ante­ riore considerata come vuoto o come l'eternità di Dio. Non è un'iniziativa divina che inaugura un qualcosa che concerne Dio stesso e implica da parte sua un'azione che succede ad una non• azione. Presa in se stessa, non è un fatto nuovo o quel che suol definirsi un evento. Non è accaduto nulla. Che avrebbe potuto accadere fuori da 134

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

ogni spazio, ogni durata, ogni materia o da qualsivoglia realtà suscetti­ bile di cambiamento ? La creazione dunque non è un venire all'essere. Non è una fabbri­ cazione, una produzione, un'opera. Tutti questi modi di esprimersi così come altri simili, presi letteralmente supporrebbero gli uni una falsa concezione di Dio, gli altri un'anteriorità temporale ostile all'idea di cominciamento assoluto. [ ...] Che cos'è dunque la creazione ? Se la si osserva dalla parte di Dio, la si concepisce come un'azione di un certo tipo, che denominiamo anche come un' emanazione, una comunicazione d'essere, una manifestazione obiettiva, che spesso si è in­ dicata in guisa di una illuminazione, termine che presso gli agostiniani ha giocato un grande ruolo. Ma noi abbiamo visto che questa azione creatrice, quale che sia il modo in cui l'esprimiamo, non può essere supposta intermediaria fra Dio e la creatura, in vista di porre la creatura, né in Dio, distinta da Dio. Da allora, non abbiamo dunque fatto un passo avanti. Siamo nel pieno mistero, e tanto più ogni cosa che è in Dio, essendo Dio, partecipa della necessità di Dio, così la creazione, da questo punto di vista, può apparire una necessità della natura divina, e non un atto di libertà e di generosità, come vuole la dottrina. La osserviamo da parte della cosa creata ? Come non si può sup­ porre, ancora una volta, in rapporto alla realtà tutta, alcuna specie di anteriorità, la prima cosa che noi troviamo davanti a noi, non è la crea­ zione, è la realtà creata essa stessa, che sarà allora partecipazione di Dio, rassomiglianza di Dio, immagine o vestigia, secondo che essa sia, razio­ nale o irrazionale, ma sempre prima. Strana situazione, in verità ! Ho fatto saltare più di un filosofo di­ cendogli che di fatto il mondo è anteriore in esistenza alla sua propria creazione, ciò che sottolinea, io credo, l'impotenza delle nostre parole in presenza di realtà che sfuggono ad ogni concetto. [ ... ] ... E tempo di precisare [ ...] la maniera in cui l'idea di creazione si unisce a quella dell'evoluzione così come presa nella sua generalità, in attesa che noi l'applichiamo alla questione delle origini dell'uomo. Da tutto ciò che abbiamo detto fìn qui, sembra risultare che tre siano le ipotesi fondamentali che si presentano alla scelta del pensatore. O il Creatore, in virtù della sua creazione, ha posto ogni natura in se stessa senza alcuna capacità di trasformarsi, vale a dire il creazionismo puro e semplice, alla maniera di Cuvier. Oppure il Creatore, sempre in virtù 135

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della sua creazione, ha determinato le nature ad evolversi secondo una via precisa, per semplice dispiegamento, di modo che si sarebbe potuto prevedere da questo quello che sarebbero divenute, se si fosse potuto penetrare ciò che sant'Agostino chiama le loro ragioni seminali3. O, infine, ancora in virtù della sua creazione, le nature sono lasciate libere alla ricerca della loro strada, sotto un impulso d'insieme i cui effetti possibili non si sarebbero rivelati solo dopo questo fosse successo, e la cui possibilità stessa, a considerarla oggettivamente, non è che una proiezione retrospettiva del nostro pensiero, come Aristotele dice circa la verità dei futuri contingenti. Ora, se si resta conformi a quanto abbiamo precedentemente deter­ minato circa ciò che concerne la vera natura della creazione e dell'atto creatore, non si può trovare alcun motivo razionale per preferire uno ... di questi sistemi. E fatto che spetta all'esperienza. Sia che si sia creazionisti o evoluzionisti, o evoluzionisti del tipo ,, determinista o alla maniera di Henri Bergson, di Edouard Le Roy o di padre Teilhard de Chardin, non ci si potrà mai rappresentare l'appa­ rizione degli esseri e il loro dispiegamento se non alla maniera di una spontaneità permanente, spontaneità che realizza cose nuove o antiche, del già visto o dell'inedito, ma senza che giammai nulla si possa presen­ tare alla guisa di una fabbricazione esteriore. Non ha mai luogo la fabbricazione esteriore. Non c'è posto per la fabbricazione esteriore nel creazionismo come nell'evoluzionismo, corrente o bergsoniano. Questo è un idolo dell'immaginazione che bisogna escludere dal pensiero filosofico. La creazione è una pura re­ lazione; non è un fenomeno, un fatto avente una data nel concreto in . . nessuna 1potes1. Un inizio assoluto nel corso di una durata è una novità che risponde ad una volontà eterna di Dio senza alcun gesto nuovo proveniente da alcun dove, e nemmeno da Dio stesso. Non ci si può dunque raffigurare questa novità ontologica che come una sorgente, una salita all'essere. Metafore fallaci del resto, se non per aver il ruolo di escludere una disce­ sa, in intervento attuale, un'inserzione attiva e fabbricatrice. Si tratta di una causalita radicale, come direbbe Leibniz; ma non c'è un'azione creatrice nel tempo. Se si parla di azione e la si considera dalla parte dell'agente divino, bisogna rapportarla all'eternità a alla volontà identi3. Il riferimento è ad Agostino di Ippona (354-430 ), che espone la teoria delle rationes semina/es nel commento a Genesi.

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ca a Dio stesso. [ ... ] il fatto nuovo è; l'essere nuovo EST, ed è da parte di ' Dio. E perché Dio ha voluto eternamente che fosse. Ha avuto il luogo e il tempo ove Dio ha voluto che egli figurasse nella trama dell'essere. Ma egli non viene di fatto da nessun luogo. La sua presenza non è l'effetto di una venuta; è una presenza pura, in relazione con la Presenza prima. E tutto qui. Ciò sgomenta, ma noi abbiamo visto che non si può esprimere altrimenti la cosa. In queste condizioni, la differenza fra le tre concezioni suddette non può che essere accidentale all'idea della creazione, ed è la seguente. Nella tesi creazionista o delle creazioni successive, la spontaneità della natura realizza delle forme interamente chiuse, ciascuna in discontinui­ tà con l'altra: sono le specie permanenti. Nella tesi evoluzionista, c'è una continuità e dipendenza causale entro forme vicine, sia nel caso di variazioni brusche o spasmodiche, alla maniera di de Vries, sia con maggior ragione se si ammettono come Lamarck delle variazioni insen­ sibili. Infine nella tesi bergsoniana e in quelle che le sono imparentate, la spontaneità naturale stessa conduce a creazioni concatenate secondo il tipo dell'invenzione umana, cosa che porta a concepire lo scorrere universale come una sorta di via che si accresce e che rivela da sé le proprie forme. Sono queste grandi differenze, certo, dal punto di vista della scien­ za; ma in riferimento al nostro problema sono nulla. Sia che si adotti l'una o l'altra fra queste teorie, questo non cambia assolutamente niente rispetto alla creazione in rapporto a ciò che ella presenta di specifico o di estraneo, come abbiamo già detto, rispetto all'idea di cominciamento. Piuttosto, la teoria creazionista, che parrebbe così chiara al primo sguardo, sembra che si presenti, a questo punto della riflessione, come la più sfavorita. Giacché apparizioni improvvise senza alcun legame di continuità con il passato, senza aggancio con l'ambiente che dovrebbe, normalmente aiutarle ad essere e allo stesso tempo a definirsi, e per di più, come saremmo forzati a dire, senza che niente sia accaduto, visto che la creazione non è un evento, né un cambiamento, né è una venuta all'essere (accessus ad esse), né un divenire - questa è una condizione ben strana, difficile da far entrare nella testa di un naturalista, per poco che sia un filosofo. [ ...] In tutti i casi, l'idea di creazione resta intatta. La sua affermazione non dipende da queste teorie; la sua negazione non le avvantaggia. Il di, vario è su un altro terreno. E sul piano metafisico che ci si scontra. Ora l'evoluzione è una tesi scientifica, ed è capitale per noi lasciarla lì dov'è. [ ...] 1 37

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Allo sguardo della creazione di Dio, il creazionismo e l'evolu­ zionismo non differiscono né fanno più difficoltà di quella relativa alle classificazioni di Linneo, di Cuvier o di Geoffroy Saint-Hilaire. Questi autori dispongono le specie su un medesimo piano spaziale, mentre Lamarck e Darwin le distribuiscono su un piano temporale; ma visto che la causalità creatrice non è nel tempo, poiché Dio vede e regola le cose su un piano eterno, e che per il suo sguardo e per la sua azione la diversità temporale e quella spaziale non fanno alcuna differenza, l'dea di creazione non ha nulla da soffrire a causa della nuova teoria. [ ...] La creatura, l'abbiamo già detto, è lasciata dalla sua creazione pie­ namente autonoma, o, piuttosto, è resa autonoma dalla sua creazio­ ne, come se ella stessa si creasse, diciamo noi, come se ella si slanciasse all'incontro dell'atto che la pose, aggiungiamo per metafora. L'espres­ sione si giustifica, dopo tutto, visto che noi abbiamo riconosciuto con San Tommaso che le cose sono anteriori, nell'essere, alla loro creazione, a titolo di soggetto della creazione, che è relazione pura. Questa concezione della creazione-relazione ci mette a nostro agio. L'evoluzione a colpo sicuro è da parte di Dio, con i suoi esseri, le sue attività, le sue finalità e tutto ciò che comporta. Ma questo non impe­ disce, ci obbliga anzi, dal punto di vista della concretezza, a considerare l'azione dell'evoluzione come una spontaneità permanente. Poco importa che la spontaneità della natura si manifesti in questo modo o in quello. Il reale non avrà ad accordarsi che con lui stesso e, per esempio, non ha da pretendere di far uscire il più dal meno o l'essere dal niente. Si tratta, se posso così esprimermi, di una questione di legisla­ zione interiore. Ma dal punto di vista della creazione, ciò non cambia nulla. Dio fa ciò che vuole. Può volere per la sua opera un semplice dispiegamento determinato a partire dalle sue cause. Può volere del­ le novità sempre rinnovate e umanamente impreviste. Basterà, perché questa ultima supposizione sia valida, che ci sia nel concreto una fonte sufficiente di energia per esplicare ciò che si fa, e d' intelligibilità, chiara o latente, per la giustificazione delle forme. Ma è ancora una volta una questione di ordine interiore; è stato regolato in anticipo se tale sia stata l'intenzione creatrice, e non c'è bisogno di dire che questa forma d'esistenza sia antitetica all'idea di creazione. [A.-D. Sertillanges, L'idée de création et ses retentissements en philosophie, Aubier, Paris 194 5 , pp. 43- 5 , 136-42]

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

3.4

Karl Barth : la creazione non è teologia naturale Noi non conosciamo Dio come nostro Padre e creatore, finché non lo conosciamo per mezzo di Gesù Cristo... Se si accetta e si prende sul serio l'esclusività di questa affermazione, la possibilità di concepi­ re il primo articolo del Credo come un articolo di teologia naturale è esclusa. Il messaggio di Gesù su Dio Padre non lo si può comprendere come se Gesù avesse formulato la nota verità che il mondo deve avere ed effettivamente ha un creatore e poi avesse osato chiamare questo creatore con l'appellativo confidenziale di "padre" - come se con il nome (non sconosciuto al linguaggio religioso) di "padre" egli avesse inteso consacrare, interpretare cristianamente e per così dire battezza­ re, quello che ogni serio sistema filosofico ha chiamato la prima causa o il bene supremo, l' esse a se o l' ens perfectissimum, oppure l'universo, la sorgente del senso, l'incondizionato, il limite, la negazione critica, l'origine. Una cosa è certa: che le si appiccichi o meno il titolo di "pa­ dre", questa grandezza che passa per essere l'equivalente filosofico del Dio creatore non ha nulla a che fare con il messaggio di Gesù su Dio Padre. E non avrebbe nulla a che fare con questo messaggio nemmeno se la si mettesse in relazione con il principio del "morire per divenire", con la sorgente e il fine superiori della dialettica del perdere la propria vita per ritrovarla. Alla luce dell'esclusività della testimonianza biblica un'idea che pretenda di essere l'idea di Dio è necessariamente un idolo, non in quanto idea, ma a motivo di questa pretesa. Anche l'idea di Dio veramente pura, pericolosamente pura, di un Platone non costituisce un'eccezione. Se l'affermazione esclusiva che abbiamo fatta è valida, Gesù nella sua predicazione non ha parlato del creatore che già tutti conoscevano, interpretandolo con l'aiuto del nome, anch'esso non sco­ nosciuto, di "padre", ma ha manifestato il Padre sconosciuto, suo Padre e nel far questo, ma soltanto nel far questo, ha detto anche che c'è un creatore e questo creatore è nostro Padre. [ ... ] La dottrina della creazione, non meno di tutte le altre parti della confessione Cristiana, è articolo di fede, cioè riproduzione di una co­ noscenza che nessun uomo ha mai potuto procurarsi o mai si procurerà da solo, perché non è innata nell'uomo e non è nemmeno accessibile per le vie dell'esperienza e della logica. L'uomo non dispone di nessun organo e di nessuna facoltà per pervenire a questa conoscenza; ciò puo accadere effettivamente soltanto nella fede; nella fede però, cioè acco139

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gliendo la testimonianza che Dio dà di se stesso e rispondendole, gli uomini pervengono realmente a questa conoscenza, perché colui che, quando si prende cura di loro, entra per le porte chiuse, come dice il racconto di Pasqua, li rende forti nella loro debolezza, fa sì che vedano nella loro cecità ed odano nella loro sordità. Chi confessa, assieme a tutta la cristianità, che Dio è il creatore del cielo e della terra, proclama una conoscenza e una verità difede. [ ... ] La creazione è il fatto che Dio, nella sua libera volontà, pone una realtà diversa dalla propria. S' impone allora la domanda seguente: qua­ le è stata, qual è l'intenzione di Dio nel porre questa realtà ? Egli non vuole essere solo nella sua Gloria: vuole avere un'altra realtà accanto a sé. Ma ciò non può certo voler dire che Dio avrebbe voluto e fatto il mondo senza uno scopo oppure per soddisfare un suo bisogno, e nem­ meno che egli si sarebbe trovato nella necessità di non essere e di non rimanere solo. L' idea poi che ci sia una seconda realtà oltre a quella di Dio, la quale ora condurrebbe la sua esistenza anche indipendente­ mente da lui, è inconciliabile con la sua libertà; ponendo questa realtà diversa, Dio non può certo aver posto un limite alla propria Gloria, alla propria volontà, alla propria potenza; in quanto creatore divino non può certo aver creato una realtà indipendente nella quale non avrebbe più nulla da dire, una sfera abbandonata a se stessa o alla propria teleo­ logia. Se dunque la creazione non è qualcosa di accidentale, se non cor­ risponde a un bisogno di Dio e non implica una limitazione della sua Gloria, non ci rimane che ricordare che Dio è colui che è libero nel suo amore. Anche questo fatto della creazione, altrimenti incomprensibile, lo possiamo allora comprendere soltanto come l'opera del suo amore. Se Dio dà l'essere alla creatura non è né per capriccio né per necessità, ma perché fin dall'eternità l' ha amata e vuole dimostrarle il suo amore, cioè con l'esistenza e l'essenza del creato non vuole limitare la propria gloria, ma anzi la vuole manifestare e dispiegare nel suo rapporto con questa realtà diversa. Il creatore vuole esistere per la sua creatura. Que­ sta è la ragione per la quale egli dà alla creatura una sua esistenza e una sua essenza. E questa è anche la ragione per la quale dall'esistenza e dall'essenza della creatura non deriva né una finalità o teleologia im­ manente, né una pretesa della creatura a un diritto, a un senso e una dignità che le spetterebbero comunque, indipendentemente dal fatto che le siano dati. [ ...] Il mondo creato non gira intorno a se stesso, ma va incontro ad un destino che gli è posto dall'esterno, sicché in tutta la sua attività non

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può in fondo che attenderne il compimento. Tutta la creazione è qual­ cosa di provvisorio, cioè si trova presa in un processo. La ragione e il fine di questo processo non sono alla portata della creatura, ma dipendono soltanto dal Dio che la governa. E la sua azione che determina il corso vero e definitivo del mondo [ ...] . Naturalmente bisogna tener presente il concetto teologico di cre­ atore e creare, creazione e creatura; non si può scambiare il creatore con un artigiano e la sua opera con il prodotto finito. Un artigiano, per quanto nobile, geniale e potente sia, può sempre lasciarsi alle spalle il suo prodotto, affinché conduca la sua esistenza, anzi, ciò è tanto più facile quanto più il prodotto è perfetto. Ma questo è proprio quel che il creatore non può fare con la sua creatura ... Proprio il Dio che in se stes­ so non è in nessun senso creatura, che non ha in sé assolutamente nulla che sia di natura creata e non ha bisogno di alcuna creatura per essere perfetto, il Dio accanto al quale non ci può essere nulla che gli sia pari, cioè nulla che abbia in sé la propria origine, il proprio senso e il proprio scopo - proprio questo Dio vuole essere creatore, vuole avere accanto a sé - alle condizioni inflessibili che il suo essere pone - il creato, una realtà diversa dalla sua. Questo Dio che sta di fronte alla sua creatura in questa trascendenza sta evidentemente con la durata e con la storia del creato in un rapporto che per un qualsiasi "essere supremo" o per un semplice demiurgo potrebbe anche essere soltanto contingente o forse addirittura mancare, ma per lui, per il creatore, è necessario. Proprio la libertà sovrana che sta alla base del rapporto tra Dio e la creatura, è la garanzia della stabilità di questo rapporto; proprio l'eternità di Dio è la garanzia del fatto che egli continuerà sempre, cioè finché lo vuole, ad avere tempo per la sua creatura. [K. Barth, Kirchliche Dogmatik, 111, 1-3 (1945- 5 0 ), trad. it. Dogmatica ecclesiale, antologia a cura di H. Gollwitzer, Dehoniane, Bologna 201 3, pp. 1 67-70, 174- 6 ]

3 .5 Paul Tillich : gerarchie, livelli, dimensioni e re gni La diversità degli esseri ha portato la mente umana a cercare l'unità nella diversità, perché l'uomo può cogliere la molteplicità delle cose che incontra soltanto mediante l'aiuto di princìpi unificatori. Uno dei princìpi più universali adoperati a questo scopo è quello dell'ordine 141

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gerarchico che assegna un posto a ogni essere e specie di cose e, grazie a queste, ad ogni realtà individuale. Tale modo di scoprire un ordine nell'apparente caos della realtà opera una distinzione tra gradi e livelli dell'essere. Le qualità ontologiche, come un più alto grado di universa­ lità o uno sviluppo più ricco di potenzialità, determinano il posto che è assegnato a un livello di essere. Il vecchio termine "gerarchià' (> ) è quello che mette meglio in evidenza questo modo di pensare. Può essere applicato a governatori terreni come pure ai generi e alle specie di esseri in natura, per esempio nel campo inorganico, in quello organico e in quello psicologico. In questo modo di vedere, la realtà è intesa come una piramide di livelli che si susseguono l'uno all'altro in direzione verticale secondo il loro potere di essere e il loro grado di valore. [ ... ] Il termine "livello" è una metafora che sottolinea l'uguaglianza di tutti gli oggetti appartenenti ad un livello particolare. Sono "livellati" cioè portati allo stesso piano e ivi mantenuti. Non v'è un movimento organico dall'uno ali' altro, il più alto non è implicito nel più basso e il più basso non è implicito nel più alto. Il rapporto tra i livelli è quello dell'interferenza sia come controllo sia come rivolta. [ ... ] La metafora "livello" tradisce la sua inadeguatezza quando si prende in esame il rapporto tra i diversi livelli. La scelta della metafo­ ra ebbe conseguenze di vasta portata per l'intera situazione culturale e, inversamente, la scelta stessa esprimeva una situazione culturale. La questione del rapporto tra il "livello" organico e quello inorgani­ co della natura solleva il problema ricorrente se i processi biologici possano essere interamente capiti applicando i metodi usati dalla fi­ sica matematica, oppure se si debba usare un principio teleologico per spiegare la direzionalità interna della crescita organica. Sotto il predominio della metafora "livello", l'inorganico assorbe l'organico (controllo), ovvero i processi inorganici subiscono l' interferenza di una forza "vitalista" estranea (rivolta); un' idea, questa, che natural­ mente produce reazioni appassionate e giustificate da parte dei fisici e dei loro seguaci. Un'altra conseguenza dell'uso della metafora "livello" appare chia­ ramente quando si considera il rapporto tra l'organico e lo spirituale, generalmente discusso come rapporto tra il corpo e la mente. Se il cor­ po e la mente sono livelli, il problema dei loro rapporti può essere risol­ to solo riducendo il mentale all'organico (biologismo e psicologismo), 142

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oppure affermando l'interferenza delle attività mentali nei processi biologici e psicologici; un'asserzione, quest'ultima, che provoca la re­ azione appassionata e giustificabile dei biologi e degli psicologi contro l'instaurazione di un' "animà' concepita come sostanza separata che esercita una causalità particolare. [ ...] Il risultato delle considerazioni precedenti è che la metafora "livel­ lo" (e altre simili come "strato" o "piano") dev'essere esclusa da ogni descrizione dei processi vitali. Suggerisco di sostituirla con la metafora "dimensione': insieme ai concetti corrispondenti di "regni" e "gradi". Tuttavia la cosa importante non è la sostituzione di una metafora con un'altra, ma il cambiamento di concezione della realtà che tale sostitu­ zione produce. La metafora "dimensione" è anch'essa tratta dalla sfera spaziale, ma descrive la differenza dei settori dell'essere in modo tale che non vi possa essere interferenza reciproca; la profondità non interferisce con la larghezza, perché tutte le dimensioni s'incontrano nello stesso pun­ to, s'incrociano senza disturbarsi; non c'è conflitto tra le dimensioni. La sostituzione della metafora "livello" con "dimensione" rappresenta, quindi, un incontro con la realtà in cui l'unità della vita è vista al di so­ pra dei suoi conflitti. Questi ultimi non vengono negati, ma non sono derivati dalla gerarchia dei livelli; sono conseguenze delle ambiguità di tutti i processi vitali e sono pertanto superabili senza che un livello distrugga l'altro: non respingono la dottrina dell'unità multidimensio­ nale della vita. Un motivo per servirsi della metafora "livello" è il fatto che vi so­ no ampie aree della realtà in cui alcune caratteristiche della vita non sono per nulla manifeste, per esempio la grande quantità di materiale inorganico in cui non si trova traccia di una dimensione organica e le molte forme di vita organica in cui non sono visibili né la dimensione psicologica né quella spirituale. Può la metafora "dimensione" essere usata in questi casi ? Io ritengo sia possibile. Può indicare il fatto che, anche se certe dimensioni della vita non appaiono, nondimeno sono potenzialmente reali. La distinzione tra potenziale e attuale implica che tutte le dimensioni siano sempre reali, se non attualmente almeno potenzialmente. L'attualizzazione di una dimensione dipende da con­ dizioni che non sono sempre presenti. La prima condizione per l'attualizzazione di alcune dimensioni del­ la vita è che altre debbano già essere state attualizzate. Non è possibile alcuna attualizzazione della dimensione organica senza l'attualizzazio1 43

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ne dell'inorganica; e la dimensione dello spirito rimarrebbe potenziale senza l'attualizzazione di quella organica. Ma questa è solo una delle condizioni. L'altra è che nel "regno" caratterizzato da dimensioni già attualizzate si verifichino particolari costellazioni che rendano possibi­ le l'attualizzazione di una nuova dimensione. Possono essere trascorsi miliardi di anni prima che il "regno" inorganico permettesse l' appa­ rizione di oggetti nella dimensione organica e milioni di anni prima che il "regno" organico permettesse l'apparizione di un essere dotato di linguaggio. Occorsero ancora decine di migliaia di anni prima che l'essere dotato di linguaggio diventasse l'essere umano storico che noi stessi sappiamo di essere. Dimensioni potenziali dell'essere divennero attuali in tutti quei casi perché erano presenti le condizioni per l'attua­ lizzazione di ciò che era sempre stato potenzialmente reale. Si può usare il termine "regno" per indicare una sezione della vita in cui sia predominante una dimensione particolare. "Regno" è una metafora come "livello" e "dimensione", ma non è fondamentalmente spaziale (per quanto lo sia pure); è fondamentalmente sociale. [ ... ] In questo senso si parla del regno vegetale o del regno animale o del regno storico. [ ... ] Il problema teologico che sorge dalle differenze tra la dimensione organica e quella inorganica è connesso con la teoria dell'evoluzione e le devianti polemiche nei suoi confronti da parte della religione tradi­ zionale. Il conflitto è scoppiato non solo sull'importanza della dottri­ na dell'evoluzione per quella dell'essere umano, ma anche a proposito della transizione dall' inorganico ali'organico. Alcuni teologi sostene­ vano l'esistenza di Dio basandosi sulla nostra ignoranza della genesi dell'organico dall' inorganico; affermavano che la "prima cellulà' può essere spigata solo come effetto di una speciale interferenza divina. Ovviamente la biologia dovette respingere l'affermazione di tale cau­ salità soprannaturale e cercare di ridurre la nostra ignoranza sulle con­ dizioni della comparsa degli organismi (un tentativo che ha avuto un risultato ampiamente positivo). La questione dell'origine delle specie di vita organica è più seria. Quei [sic ma si legga "qui": "here" nel testo originale] due punti di vista si contrappongono: quello aristotelico e quello evoluzionistico; il primo sottolinea l'eternità delle specie in ter­ mini della loro dynamis, la loro potenzialità, mentre il secondo mette in risalto le condizioni della loro comparsa come enérgeia, attualità. E evidente che, se formulata in questi termini, la differenza non dovreb­ be necessariamente creare un conflitto: la dimensione dell'organico è 1 44

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essenzialmente presente nell'inorganico; il suo apparire in atti dipen­ de dalle condizioni che la biologia e la biochimica hanno il compito di descrivere. [P. Tillich, Systematic Theology (1 9 63 ) , trad. it. di R. Bertalot, Teologia sistematica, Claudiana, Torino 2003, III, pp. 19-23, 26-7]

3.6 Karl Rahner: I 'ominizzazione come autotrascendimento Oggi l'evoluzionismo moderato non è contestato dal Magistero eccle­ siastico. Tuttavia non si può concludere che la questione teologica sia risolta e il problema riguardi ancora solo le scienze naturali. La creazio­ ne immediata dell'anima spirituale e la composizione essenziale unita­ ria dell'uomo, in spirito e corpo, sono anzi un dogma di fede. Quindi un cattolico può sostenere un evoluzionismo moderato solo quatenus nempe de humani corporis origine inquirit (in quanto cioè fa ricerche sulla origine del corpo umano), come afferma l'enciclica Humani ge­ neris [ ... ] . Si potrebbe perciò considerare evoluzionismo moderato la teoria che, conformemente all'oggetto formale, già metodologicamente fis­ sato, delle scienze biologiche, indaga solo la realtà biologica dell'uomo e partendo da questa afferma una connessione reale e ontologica col regno animale. [ ... ] Questa limitazione metodologica ed oggettiva di quanto si affer­ ma con l'evoluzionismo moderato non è però la soluzione adeguata al problema antropologico. Infatti la filosofia e la teologia, conforme­ mente alla loro antropologia, che precede quella delle scienze naturali, affermano una creazione immediata di quella che chiamano "animà'. Tale "animà' e la parte biologica dell'uomo, da cui prendono l'avvio le scienze per affermare l'evoluzionismo, non si possono considerare semplicemente due "cose" diverse, su cui evidentemente si possano fare senza difficoltà affermazioni contrarie. Sorge allora la questione: come intendere dialetticamente queste due affermazioni, tenendo conto nell'una dell'altra, in modo che non operino solo come un pigro compromesso tra un'asserzione teologica e un'altra scientifica ? Infatti, se si trascura l'unità essenziale dell'uomo, si costituiscono corpo e anima in oggetti di affermazioni solo verbal1 45

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mente diverse, mentre l'ammettere in maniera adeguata la creazione immediata dell'anima implica necessariamente un'affermazione sulla parte corporea dell'uomo e sul suo divenire. Tale affermazione sul cor­ po come tale non può essere che un tratto della vera "preistorià' dell'a­ nima, altrimenti si scompone l'uomo in corpo ed anima alla maniera platonica. Questa "preistorià' deve quindi essere propria di una persona spi­ rituale. Come può esserlo, se la méta verso cui deve tendere questo svi­ luppo è qualcosa di assolutamente nuovo e irriducibile, che la materia, sostenitrice di tale sviluppo, non può produrre con le sue forze ? Questa preistoria, si potrebbe dire, è orientata a tale méta da Dio, che crea l'anima spirituale. E vero, però si deve in ogni caso aggiungere innanzitutto che questo orientamento dello sviluppo evolutivo rag­ giunge un punto che rappresenta la "causa materiale" idonea per la cre­ azione di un nuovo principio spirituale. Se si afferma ciò e non si vuole concepire questo orientamento dell'evoluzione da parte di Dio solo come una serie di interventi arbitrari di Lui, che "spinge dall'esterno" il moto evolutivo, concezione che è metodologicamente e oggettivamen­ te assurda per i motivi più diversi, si può concepire tale orientamento solo in modo che derivi "dallà' realtà stessa di ciò che si evolve. Allora però sorge il problema: come si può pensare che un ente per la sua immanente teleologia, nel senso restrittivo ora accennato, si evol­ va verso uno stadio che ha propriamente un "senso" solo per un ente, che supera essenzialmente quella realtà evolventesi; sorge il problema del come si possa pensare l'evoluzione di un ente che permanga dopo il suo autosuperamento, o almeno conduca ad esso. Si deve vedere la problematica della distinzione ordinaria tra l'e­ voluzione del corpo e la creazione dell'anima nell'uomo ancora da un altro punto di vista del tutto diverso. La scienza naturale e la stessa metafisica, qualora s'intenda come un modo di conoscenza naturale e non si intrometta involontariamente nella riflessione teologica intorno all'azione salvifica di Dio nella storia della salvezza, possono dal loro punto di vista concepire molto bene Dio come fondamento trascen­ dente di tutta la realtà nel suo essere e nel suo divenire, come la realtà originaria che tutto abbraccia e tutto sorregge, ma proprio per questo Egli non è un fattore parziale della realtà che ci viene incontro, né un anello di una serie di cause. Per la metafisica Dio non è il primo membro di una serie di cause, che è quasi arbitrariamente il primo e "dietro" al quale non ne viene un

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altro, perché non si può procedere "ali' infinito" (come si espone spesso nella comune "dimostrazione della esistenza di Dio"). In tale catena di cause solo il penultimo membro avrebbe un rapporto immediato col primo, cioè con Dio. Per una metafisica che si dimostri autentica proprio per il tipo esat­ to della sua "dimostrazione dell'esistenza di Dio': che in fondo è unica, Dio è la condizione ugualmente immediata della possibilità di ogni en­ te. Perciò la prova dell'esistenza di Dio e quella di ciò che la metafisica e la teologia cristiana chiamano conservazione e concorso immediato da parte di Dio sono identiche. Ora proprio per questo, Dio non può es­ sere un momento della e nella intera realtà, è invece il fondamento tra­ scendente dell'intera realtà, che è in sé molteplice. Perciò anche per una pura metafisica Dio non può > confuso fra gli altri. La sua attività non è un momento della nostra esperienza; come fondamento, implicitamente affermato in concomitanza, d'ogni realtà che si incontra e si afferma, come l' Essere, che è il fondamento dell'ente, è presente [a noi] solo e sempre mediante il finito. Questa concezione fondamentale ovvia del rapporto tra Dio cre­ atore e il mondo, dal tempo di san Tommaso e del suo insegnamento sulle > è diventata principio metodologico delle scien­ ze naturali: e non contro la metafisica teistica e cristiana, bensì a partire da essa: se si riscontra un fenomeno, lo si deve ricollegare ad un'altra realtà come a sua causa, sia che la si trovi già nell'esperienza sia che la si postuli e la si cerchi nell'ambito del mondo empirico. Il ricorso a Dio per "spiegare" un fenomeno riscontrato non è ammesso dal metodo scientifico. Non si può spiegare qui perché e come sia così ammissibile invece un procedimento del genere nell'ambito dell'esperienza, total­ mente umana e non ristretta metodologicamente, relativa alla storia della salvezza come, per esempio, nella conoscenza di un prodigio. [ ...] Sulla base di quanto si è precedentemente assodato, si possono ora comprendere le affermazioni seguenti. 1. Il divenire è sempre e per sua natura un autosuperamento e non una replica di ciò che già esisteva. Tale replica, vista più a fondo, risol­ leverebbe la questione sul modo e sulla forza con la quale "una identica cosa" sarebbe stata prodotta per causalità efficiente da un ente finito. Infatti, anche se questa è "soltanto" un duplicato di se stessa, è sempre qualcosa di più che non ciò che l'ha prodotta. Dal punto di vista on­ tologico si può quindi senz'altro riconoscere come falso il concepire il divenire dell'agente originariamente come la posizione di un duplicato 1 47

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

e pensare che dietro non si celi un problema metafisico, dal momento che l'agente produrrebbe appunto "solo" ciò che è esso stesso, cosicché la realtà prodotta sarebbe ovvia e naturale come il producente stesso. Il divenire è invece l'autotrascendimento dell'agente, operato da ciò che sta a un livello inferiore, è un superamento di se stessi. Perciò nel paradigma ontologico originario si deve tener conto che il moto di autotrascendimento verso l'essere in assoluto è veramente un ascendere più in alto. Il possesso dell'essere, che qui si realizza, è nel modo più radicale determinazione del soggetto stesso in questione. Perciò si ha qui il caso più radicale di autotrascendimento nel proprio agire, perché l'effetto prodotto è anche ciò che è ricevuto dallo stesso come sua determinazione. Non si può svilire infatti in maniera banale il movimento verso l'essere in assoluto col pretesto che sia un suo posses­ so puramente "intenzionale", cioè "concettuale': perché si tratta di un vero possesso dell'essere stesso, anche se questo per la sua trascendenza sta permanentemente al di sopra del soggetto. Si ha qui una vera deter­ minazione ontologica del soggetto che conosce da parte dell'essere che • sopravviene. 2. L'autosuperamento nel divenire e nell'azione si verifica, perché l' Essere assoluto ne è causa e fondamento originario in modo tale da costituire un intimo fattore, che questo automovimento ha in sé. Si ha .. . . ' perc10 un vero autosup eramento e non un essere trasportati in maniera puramente passiva al di sopra di sé. Nessun divenire si verifica nell' Es­ sere assoluto, perché questo, come intimo momento dell'automovi­ mento del soggetto che diviene superando se stesso, resta nello stesso tempo libero e non tocco al di sopra di esso, come movente ma non mosso. Però qui precisamente risulta che il movimento non cessa di essere automovimento là dove diventa autosuperamento; anzi là attin­ ge la propria essenza. Ogni causalità finita è tale in se stessa proprio in forza dell'essere, che sempre ed essenzialmente la domina dall'interno e dall'alto. Di conseguenza si può attribuire all'ente finito in quanto mosso interiormente dall'essere in assoluto la causalità capace di pro­ durre qualcosa di superiore a se stesso.Nell'ambito di questi presuppo­ sti metafisici si può senz'altro dire, secondo le necessarie precisazioni che si faranno al numero 3 , che un ente finito può produrre più di quel che è. Il negarlo, quando lo si fa tuttavia per particolari motivi, può fon­ damentalmente solo sottolineare e chiarire che tale autosuperamento può verificarsi unicamente mediante un autoabbassamento dell'essere assoluto, se così si può dire.

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

3. L"'essenzà' dell'ente determinato, di cui s'indaga di volta in volta l'autotrascendimento, non è corrispondentemente il limite di ciò che può divenire in questo suo autosuperamento. Indica piuttosto in primo luogo che da una potenza limitata deriva qualcosa, e che non è sempre ' già realizzato ciò che deve divenire. E quindi un segno della necessità che ancora qualcosa divenga. In secondo luogo, senza scapito del rea­ le autosuperamento, il punto di partenza del movimento resta sempre anche una legge limitativa di ciò che può derivarne immediatamente. Certo, non perché ogni agente supera e trascende se stesso, può tutto derivare da ogni cosa, e per di più immediatamente. Il punto di parten­ za, anche se superato, può bene indicare la mèta verso cui si avanza e fino a che punto vi si può andare immediatamente. Perciò il concetto di agire e di divenire come autosuperamento non autorizza affatto a collegare in senso causale tutto con ogni cosa. Così non si possono rigettare a priori come prive di senso neppure le dichiarazioni negative: questo non può produrre quello, questo non può derivare da quello. Ciò vale soprattutto per gli esseri non spiritua­ li, in cui non si ha una presenza ontologica dell'essere assoluto. In essi l'autosuperamento è sempre nel vero senso un superamento dell' essen­ za. (L'essenza di un ente spirituale è sempre già ontologicamente aper­ ta all'autotrascendimento verso l'essere in genere. Può quindi essere sempre possibile un autosuperamento, quale sarebbe, per elevazione gratuita dall'alto, la chiamata alla partecipazione della natura divina mediante la grazia e la gloria, senza che l'ente interessato debba perdere la propria essenza). Non si può dichiarare a priori impossibile tale caso di autosuperamento essenziale. Tanto più che secondo la metafisica to­ mistica esistono diverse essenze solo come diversi gradi di limitazione dell'essere. Un'essenza inferiore, perciò, non si contrappone e diver­ sifica per il contenuto positivo di essere da un'essenza superiore, ma solo per la sua partecipazione relativamente più limitata all'essere. Se quindi si supera essenzialmente nel suo stesso divenire, passando anche ad un ordine superiore, ciò non significherebbe la posizione di un ente del tutto disparato e dall'essenza assolutamente estranea, né si avrebbe in tal caso una generatio puramente aequivoca. Il nuovo ente potrebbe conservare in sé tutte le realtà positive dell'antica essenza quali sue pro­ prietà, allo stesso modo come l'essenza umana conserva in sé tutte le realtà degli enti inferiori. Tutto ciò però non esclude, anzi include che anche in tale auto­ superamento il punto di partenza, quindi la stessa essenza propria di 149

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colui che diviene autosuperandosi, sia la legge limitante a priori ciò che può divenire hic et nunc. In modo identico l'assoluto trascendimento verso l'essere in assoluto non fa sì, già di per sé, che tutto possa essere conosciuto in ogni istante dal soggetto conoscente; solo il materiale di volta in volta dato a posteriori è norma e limite della conoscenza. Il di­ venire come autosuperamento in virtù dell'essere assoluto quindi non esclude ma include il problema del più esatto susseguirsi delle tappe di tale progressivo divenire che non ha limiti davanti a sé. Non si può constatare solo a posteriori che cosa possa derivare direttamente da tale ' successione di mutazioni e in che modo. E questa una questione difficile per la natura stessa della cosa. Infatti da una parte il concetto dell'autosuperamento importa sempre un certo tratto di discontinuità, che non si può e non è leci­ to evitare. Dall'altra però il limite alla possibilità di divenire, posto dall'essenza finita dell'ente che diviene trascendendosi, postula che non si concepisca troppo grande la discontinuità, anzi implica il po­ stulato euristico che i "salti" siano quanto più piccoli possibili e i pas­ saggi fluidi al massimo, senza, certo, voler dare così una "spiegazione" dell'evoluzione verso un grado superiore. Dove quindi tale autotra­ scendimento non è osservabile immediatamente, come si verifica al massimo nella generazione umana, perché le altre evoluzioni osserva­ bili finora non si possono considerare trasformazioni essenziali nel senso metafisico, non si eviterà mai del tutto un duplice procedimento nell'impostazione metodologica; si terrà conto senza difficoltà di tali "salti" anche verso una nuova essenza metafisica e non esigendo affatto una continuità assoluta, che sarebbe un assurdo metafisico; e si cer­ cheranno sempre nuovi stadi intermediari che creino una transizione più fluida. [ ... ] Per quanto riguarda le affermazioni delle scienze, si deve anzitut­ to sottolineare che per ora non siamo in grado, e forse non lo saremo mai, d' immaginarci in maniera concreta Io stato interno ed esterno in cui si trovò il primo uomo. Le apparenze, osservabili empiricamente nella forma esterna e nel modo biologico di vivere, possono presenta­ re tali passaggi tra l'animale e l'uomo, che sotto questo aspetto forse non possiamo stabilire con chiarezza e precisione la linea di demar­ cazione tra l'uomo e l'animale. Tuttavia sappiamo che l'uomo non è solo un animale un po' diverso e più complicato. Se esiste, come c'è di fatto, una distinzione metafisica essenziale, questa deve sussistere tra spirito e non spirito, tra il trascendimento dalla portata illimitata,

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

che rende possibile la vita più primitiva dell'uomo, e una limitazione, in linea di principio, dell'orizzonte della coscienza, che è nascosta anche a se stessa. Se esiste questa capacità di trascendimento, si ha l'uomo, se no, si ha solo un animale, per quanto "intelligentemente" dovesse padroneg­ giare la sua vita biologica. Dove esiste la capacità di trascendimento, là si ha conoscenza di Dio e libertà, anche se in maniera non tanto esplicita. Perciò è possibile quanto ci dice la narrazione biblica sulla storia originaria del primo uomo e della sua apparizione. La forma e la riflessione esplicita su questa accettazione dell'esistenza nell'oriz­ zonte del trascendimento assoluto possono essere così modeste, che non possiamo immaginarcele partendo dalla nostra esperienza attuale. Esse sono però possibili, altrimenti non si avrebbe ciò che costituisce l'uomo. [ ...] Le affermazioni della scienza e della teologia sugl' inizi della uma­ nità non si possono tuttavia identificare positivamente in una rappre­ sentazione concreta, per cui si direbbe che le cose si svolsero veramente così. Ciò non è evidentemente possibile e neppure c'è da aspettarselo. D'altra parte neanche si può dire che le due serie di affermazioni si contraddicano. Ogni affermazione sugl' "inizi" che non è come tale un dato immediato ma è dedotta a ritroso per via etiologica da una fase posteriore, è per sua essenza dialettica. Deve esprimere solo come tale l'inizio, che è meno di quello che viene dopo, e deve farlo in modo che si possa comprendere ciò che poi ne deriva, se dev'essere un vero inizio. Così per un pensiero veramente metafisico tutta l'altra realtà, che de­ riva posteriormente dall'inizio, è anche una rivelazione della pienezza in esso nascosta. Quanto più cresce lo "sviluppo evolutivo': tanto più si manifestano le genuine e reali possibilità incluse in quell'inizio. Non v'è quindi alcun pericolo che l'evoluzione, se intesa esatta­ mente in senso veramente metafisico e teologico, ci porti a pensare l'uomo in maniera meno decorosa di quanto si faceva prima. L'uomo che oggi conosciamo, l'uomo della metafisica, del pensiero astratto, il creatore del suo ambiente, il percorritore del mondo, l'uomo di Dio e della grazia, della promessa della vita eterna, proprio quest'uomo che si distingue radicalmente da ogni animale e nel momento dell'ominiz­ zazione percorse, anche se forse lentamente, una via che lo portò tanto lontano da tutto il regno animale, da assumere nello stesso tempo tutta l'eredità della sua preistoria biologica in queste profonde e intime di­ mensioni della sua esistenza concreta, era là quando l'uomo cominciò 15 1

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

ad esistere. Quando si manifesta nell'oggettivazione storica, esisteva già là come compito e potenzialità attiva. Essendo ora presenti gli elementi biologici, spirituali e divini, si de­ ve affermare senza ambagi che lo furono anche a principio. Se fa diffi­ coltà il pensare all'esistenza di queste tre dimensioni dell'uomo agl' ini­ zi della sua storia, non si può dimenticare che ciò è ugualmente difficile al presente. Si danno infatti anche oggi non poche teorie che credono di dover privare l'uomo di una di queste dimensioni esistenziali, per poterlo comprendere. In questa necessità di vedere senza menomazioni l'uomo nella pienezza impreteribile della sua essenza, della sua storia e della sua de­ terminazione, sta la difficoltà della questione dell'ominizzazione. Da questa necessità però appare anche chiaro che vi può essere solo una risposta molto complessa e sfumata e che ogni semplificazione porta unicamente all'errore. [K. Rahner, Das Problem der Hominisation (1961), trad. it. di A. Marranzini, Ilproblema dell 'ominizzazione, Morcelliana, Brescia 1 969, pp. 68-72, 8 9-9 3 , 104-7]

3.7

Wolfhart Pannenberg : caso e contingenza come segni dell 'attività creatrice divina L'affermazione che Dio è il creatore del mondo si riferisce al mondo nell' interezza della sua estensione spaziale e temporale. Essa non in­ tende solo riferirsi all'origine del mondo, sebbene il racconto biblico della creazione di fatto descriva come Dio abbia > cre­ ato il cielo e la terra: anche in questa esposizione si tratta dell' insieme del mondo, indicato dalla formula > . Ora però i redat­ tori di questa narrazione erano convinti, in sintonia con il pensiero mitico della loro epoca, che l' insieme del mondo e del suo ordine fosse fondato una volta per tutte nella sua origine. In seguito nulla più sarebbe cambiato. Il nostro modo attuale di vedere concepisce invece l'universo come un processo, entro il quale sorgono continua­ mente nuove figure. L'evoluzione della vita è solo l'esempio a noi più vicino di quanto sto sostenendo. Di conseguenza, l'oggetto della nostra professione di fede circa la creazione dev'essere inteso come creatio continua, come attività creatrice continuativa. Ciò richiede

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

una nuova comprensione del rapporto tra creazione e conservazione nell'agire divino. Ali' interno della tradizione teologica il concetto di creatio continua indicava in origine la conservazione di ciò che Dio aveva creato in ori­ gine. Senza l'azione conservatrice di Dio la creatura sarebbe tornata a sprofondare nel nulla. Si vedeva in ciò la stretta relazione tra creazione e conservazione, senza però che si fosse in grado di render conto del fatto che apparissero realtà sempre nuove. L'orientamento unilaterale nel senso della concezione del primo capitolo della Bibbia, ovvero della creazione all'inizio, portava a sottovalutare altre asserzioni bibliche, specialmente le affermazioni dei profeti circa il fatto che l'agire di Dio nella storia "creà' cose sempre nuove. La continua attività creatrice di Dio è più che una mera conservazione di quanto creato in origine. Ogni vita individuale si deve in maniera diretta all'agire creatore di Dio, non solo alla conservazione della specie. L'antica distinzione tra creazione e conservazione considerava tut­ te le figure della realtà creata come fondate una volta per tutte "all'i­ nizio", come nel caso delle specie per i singoli viventi. Le specie non sarebbero dovute cambiare in seguito. Sarebbero solo sorti individui della medesima specie. In questo punto si giunse al conflitto della teo­ ria dell'evoluzione con concezioni di creazione troppo unilateralmente orientate alla visione di una creazione ali'origine e dunque ali' immu­ tabilità dell'ordine della natura una volta per tutte. La disputa con la teoria dell'evoluzione è stata per la teologia un'occasione per ripensare la pluralità delle affermazioni bibliche circa l'agire creatore di Dio e per superare la ristrettezza della concezione della creazione del mondo al suo inizio. [ ...] L'idea del nuovo all'interno della creazione, che compare nel pro­ cesso di quanto avviene con ogni nuova forma di realtà creaturale, in principio, anzi con ogni evento, è centrale per la nuova concezione del mondo come processo di creazione continua. Il nuovo ali' interno della creazione, per dirla in termini filosofici la contingenza di ogni singolo evento, si trova in rapporto con l'apertura del futuro nei riguardi di ogni circostanza attuale. Dall'apertura del futuro, il nuovo evento, di volta in volta, si attua nel corso degli accadimenti. Una simile casualità di ogni nuovo evento la riscontriamo oggi nell'indeterminismo della fisica quantistica. La casualità degli eventi non esclude una certa legge nel loro apparire, bensì è già premessa nella descrizione dei processi naturali mediante affermazioni relative a leg153

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

gi. Le leggi naturali formulano conformità nei processi dell'accadere, conformità che si manifestano in ciò che è dato in maniera contingente. L'apparire di simili conformità già di per sé presuppone che qualco­ sa avvenga. Esse d'altra parte non escludono nemmeno che avvenga qualcosa di nuovo. Solo che il nuovo non può essere descritto come infrazione delle leggi di natura; in tal modo infatti verrebbe eliminato il concetto stesso di legge naturale. Invece a nessuna descrizione naturale viene collegata la pretesa che essa spieghi proprio in ogni senso il corso dell'evento. Senza un ordine naturale dell'evento non vi sarebbero forme dura­ ture delle realtà create. Questa non è una visuale del tutto nuova. Già la Bibbia ha preso atto del significato di un regolare succedersi di > [ cfr. Genesi 8, 2 2] per la vita dell'uomo. Qui non abbiamo altro se non un' incipien­ te figura di conoscenza delle leggi di natura. Il racconto della creazione nel primo capitolo della Bibbia ha descritto l'ordine delle figure create secondo la serie della loro apparizione e non come ordine delle conse­ guenze degli eventi. Oggi noi vediamo che l'ordine delle conseguenze degli eventi, che è oggetto di descrizione da parte delle scienze naturali grazie alla formulazione di leggi, è la forma fondamentale di ordine nella vita della creazione. L'ordine nella sequenza degli eventi determina il sorgere e anche lo scomparire di figure creaturali e permette anche l'apparire di nuo­ ve figure. L'ordine delle conseguenze degli eventi, descrivibile in base alle leggi di natura, in rapporto all'ordine di comparsa è più ampio e comprensivo, ma anche più elastico. Esso è più elastico, in quanto maggiormente aperto al nuovo che il futuro recherà. Esso rende possi­ bile l'apparire di figure entro l'attuale visuale della storia dell'universo, ovvero la formazione di atomi, molecole, costellazioni e sistemi solari in ogni tempo, e infine la formazione delle condizioni particolari per il sorgere della vita organica sulla terra e per il suo sviluppo nel manife­ stare sempre nuove figure, fino ad arrivare all'uomo. [ ...] L'ordine dell'universo tenderebbe allora sin da principio alla pro­ duzione della vita. Una simile convinzione s' impone per via della concordanza di vari fattori, di per sé casuali, con il risultato che essi insieme costituiscono le condizioni complesse per la comparsa della vita. Tale impressione sorge però solo guardando indietro a partire dal dato di fatto che appunto la vita organica effettivamente è comparsa. Valutando la questione a partire dai processi precedenti, si resta dell' i154

3. LA TEOLOGIA FRA CRE,ATIO CONTINUA E C ONTING ENZA

dea che la comparsa della vita è altrettanto casuale come i fattori la cui concordanza rappresenta la condizione previa per tale evento. Come si rapporta questo stato delle cose però se visto dalla prospettiva della teologia ? [ ... ] Abbiamo già detto che l'affermazione circa la creazione si riferi­ sce alla totalità dell'universo nella sua estensione spaziale e temporale. In questa prospettiva alla riflessione filosofica e teologica la creazione della vita, e tra i viventi quella dell'uomo può presentarsi senz'altro, come ha affermato la dottrina tradizionale sulla creazione, come il fine dell'universo. Con una simile affermazione tuttavia si collegano, dal punto di vista teologico, due problemi: anzitutto essa comporta il pe­ ricolo di una concezione eccessivamente antropomorfa del rapporto tra il creatore e la sua creazione; in secondo luogo un modo di vedere le cose che punta alla creazione dell'uomo quale fine dell'universo tra­ scura facilmente il fatto che ogni creatura, in quanto prodotto dell'a­ more creativo di Dio, esiste anche e originariamente per sé e non solo in funzione di un altro. Per quanto riguarda anzitutto il pericolo di un eccessivo antropo­ morfismo nella descrizione dei rapporti tra creatore e creatura in ba­ se all'idea della finalizzazione della storia dell'universo alla comparsa dell'uomo, esso consiste nel fatto che il fine da raggiungere mediante un'azione si riferisce a un futuro che è diverso dal presente dell'agente, e che deve essere introdotto dallo stesso, mediante la scelta e l' impiego di mezzi adeguati. Dio viene immaginato quasi come stesse all' inizio del processo del mondo, scrutando il futuro e ponendosi dei fini, che porta a compimento mediante il suo agire creatore. Una simile visuale non è però compatibile con l'eternità di Dio. Nella prospettiva dell'eternità ciò che per noi è passato, presente e futuro non è separato ma contem­ poraneo. La concezione di un Dio che all'inizio del tempo scruta un futuro da esso distinto, lo sottomette a una situazione dell'agire umano che non è consona ali'eternità di Dio. In tal senso questa concezione va giudicata come eccessivamente antropomorfica. [ ... ] Oggigiorno da una parte non è quasi più possibile rendere plau­ sibile la concezione di una ragione che esisterebbe senza dimensione corporea, mentre dall'altra il concetto di Dio che ne risulta segnato ap­ pare antropomorfo, specie in relazione con la concezione di un Dio che pone e realizza dei fini mediante l'interazione di intelletto e volontà. Questa idea di un Dio personale è divenuta l'oggetto principale della critica atea, che ha inteso tale immagine di Dio come riflesso speculare 1 55

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

dell'uomo. Se la teologia attuale vuole continuare a pensare Dio in senso personale, addirittura tripersonale nella terna delle Persone trinitarie, allora deve fondare in maniera del tutto diversa il concetto di persona. Oggi è chiaro che la concezione di Dio quale intelligenza suprema che guida gli eventi del cosmo non corrisponde nemmeno alla conce­ zione biblica di Dio come spirito; infatti il temine biblico per "spirito" indica nella sua accezione fondamentale piuttosto l'aria mossa, il sof­ fio, ma anche il vento. Per tale motivo nel Vangelo di Giovanni si dice dello Spirito che esso > [ cfr. Genesi 3 , 8] . Questa non è solo un' immagine relativa all'agire dello Spirito. Un'immagine o una metafora è piuttosto la concezione dello Spirito divino come una volontà intelligente che pone dei fini. Il significato proprio e radicale dello spirito nella Bibbia è piuttosto quello di soffio e vento. La concezione biblica dello Spirito trova il suo parallelo più prossimo nell'antichità, non nella visione pla­ tonica di un'intelligenza divina, bensì nella dottrina degli stoici circa lo spirito (pneuma) nel senso di un soffio di aria che tutto permea, che tiene insieme il cosmo mediante la sua tensione. Dato che questa con­ cezione stoica dello spirito dal punto di vista della storia del pensiero precorre il concetto di "campo" nella fisica moderna, come ha mostrato MaxJammer 4 , si può dire che la concezione biblica di Dio quale spirito è più vicina al concetto di campi della fisica che non alla concezione di un'intelligenza suprema che esisterebbe in maniera incorporea. Ciò non significa sicuramente che lo Spirito divino, mediante il quale Dio è presente alle sue creature e tramite il quale le vivifica, potrebbe venir identificato con una delle grandezze conosciute dalla nostra attuale fisica dei campi. Gli effetti dello Spirito divino non si estendono sotto forma di onde nella dimensione spazio-temporale. La descrizione dello Spirito quale campo è dunque una semplice metafo­ ra ? Non lo credo, proprio per il fatto che la descrizione dello Spirito quale campo si pone in un rapporto spiegabile con i concetti di spazio e di tempo. [W. Pannenberg, Teologia della creazione (200 3 ), in S. Rondinara,

a cura di, Dio come Spirito e le scienze della natura. In dialogo con Wo/jhart Pannenberg, Città Nuova, Roma 2008, pp. 5 4-8, 60-1]

4. Max Jammer ( 1 9 1 5-2010 ) , israeliano, è stato un fisico e uno storico della scien­ za; il riferimento è al saggio Concept o/Force.· A Study in the Foundations ofDynamics del 1 9 57.

4 Dal creazionismo scientifico all 'Intelligent Design

Il primo brano proposto in questo capitolo è tratto da uno dei classici della rinascita del creazionismo scientifico, ovvero The Genesis Flood: The Biblical Record and Its Scientific Implications, scritto a quattro mani daJohn C. Whit­ comb Junior ed Henry M. Morris, pubblicato per la prima volta nel 1961, e più volte ristampato. Del libro sono riportati alcuni stralci in cui i due autori, muovendo da una interpretazione davvero stretta della lettera biblica, elaborano una serie di calcoli relativi al noto episodio del diluvio noaico, che pertiene, secondo una lunga tradizione esegetica, anche alla stima delle dimensioni dell'arca. Il secondo brano è tratto da un saggio pubblicato da Stephen Jay Gould sulla rivista "Discover" nel 1 9 8 1, poi riedito nel 1 9 8 3 in Hen 's Teeth and Horse 's Toe, terzo della fortunatissima serie di volumi in cui il paleontologo statu­ nitense andò raccogliendo i saggi divulgativi che in larga parte affidava alle pagine del magazine "Natural History". Il saggio è particolarmente significativo anche nella vicenda biografica di Gould, poiché legato al suo coinvolgimento come "consulente" nell'Ar­ kansas Trial. Punto di riferimento della critica di Gould è per l'appunto il creazioni­ smo scientifico, rispetto al quale il paleontologo statunitense si avvale anche della sua specifica competenza per evidenziare la inconsistenza delle conferme che l'interpretazione letterale della Bibbia riceverebbe dalla geologia. Per evidenti motivi di ordine cronologico, restano fuori dall'orizzonte dell'analisi di Gould i temi che sono invece al centro del brano successivo, che è tratto da uno dei testi più rappresentativi del movimento a favore dell' In­ telligent Design, l'autore del quale è William Albert Dembski, di formazione matematico; da Intelligent Design: The Bridge between Science and Theology, edito nel 1999, viene qui proposto il passo in cui Dembski contesta a Gould e a Dawkins il ricorso alla topica dell'imperfezione come paradossale prova a favore dell'evoluzione. Come quarto brano si presenta un saggio di Richard Dawkins, pubblicato nel 1999, riproposto poi nel 2003 nella silloge A Devil 's Chaplain , ovvero Il 157

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

cappellano del diavolo, titolo che riprende un'espressione usata da Darwin in una lettera inviata a Joseph Dalton Hooker nel 1 8 5 6. La riproposizione di questo intervento, a prescindere dal rispondere appieno alle esigenze di sinteticità, a cui qui Dawkins approda senza nulla togliere alla efficacia delle argomentazioni, muove da più ragioni: prima fra tutte, il lettore vi troverà condensate alcune delle principali argomentazioni che il biologo britannico è andato fissando nel corso di una continua e cre­ scente polemica con la religione, dal 1 9 8 6, anno di pubblicazione in The Blind Watchmaker (L 'orologiaio cieco) , al 20 0 6 in cui è uscito The God Delusion (L 'illusione di Dio). In questo saggio, che dunque si situa cronologicamen­ te a metà della traiettoria, Dawkins, oltre a ribadire la nettezza di giudizi e la sua ferma opzione atea, riflette sulla questione relativa alla tesi secondo cui i rapporti fra scienza e religione potrebbero in definitiva configurarsi nei termini di una pacifica convivenza fra istituti complementari. Tale ipotesi è dal biologo britannico rigettata, mosso anche dalla necessità di contenere i consensi che su tale ipotesi poteva riscuotere il favorevole pronunciamento di Stephen Jay Gould in un saggio del 1997, Non-Overlapping Magisteria (J distinti magisteri di scienza e religione) , poi rielaborato nel libro Rocks ofAge (Ipilastri del tempo) , edito nel 1999. Il brano che segue è tratto da un saggio di Hans Jonas, intitolato originariamente Materie, Geist und Schiipfung. Kosmologoscher Befund und kosmo­ gonische Vermutung risalente al 1 9 8 8. Hans Jonas, ebreo tedesco di origine, poi naturalizzato statunitense, si è formato filosoficamente con Martin Hei­ degger, Rudolf Bultmann, studiando inizialmente lo gnosticismo. Costretto a lasciare la Germania sotto il nazismo per via delle leggi antisemite, si è poi interessato anche a questioni di filosofia della biologia, a cui dedicò una mo­ nografia nel 1 9 64 intitolata Organismo e liberta: verso una biologiafilosofica; le considerazioni tratte da questo saggio del 1 9 8 8 procedono dunque da una duratura e profonda riflessione, nel corso della quale Jonas ha finito per oc­ cupare una posizione eccentrica rispetto sia alle soluzioni "naturalistiche" sia alle derive "creazioniste" e alle tentazioni del disegno divino. Chiude il capitolo un altro intervento di Wolfhart Pannenberg, risalente al 2 0 0 1 , assai rilevante poiché esemplificativo di come anche ali' interno della tradizione teologica si faccia difficoltà a sintonizzarsi sulla centralità dei temi posti in agenda dall' Intelligent Design. APPRO F ON D I MENTO B I B LI O G RAFI C O

Su Stephen Jay Gould cfr. w. D . ALLM ON, P. H. KELLEY, R . M. RO S S (eds.), Stephen ]ay Gould: Reflections on His View ofLift, Oxford University Press, Oxford et al. 20 0 9 ; D . F. PRINDLE , Stephenjay Gould and the Politics ofEvolu-

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

tion, Prometheus Book, New York 20 0 9 ; R. YO RK, B . C LARCK, The Science and Humanism o/Stephen]ay Gould, Monthly Review Press, New York 2 0 1 1 ; F. CIVILE, B. DAN E S I , A . M . RO S S I ( a cura di), Grazie Brontosauro! Per Stephen ]ay Gould, ETS, Pisa 2 0 1 2 ; A. OTTAVIANI , Stephen ]ay Gould, Ediesse, Roma 2012; G. A. DANI ELI, A . MINELLI, T. PI EVANI (eds.), Stephen ]ay Gould: The Scientific Legacy, Springer, Milan et al. 201 3 . Su Richard Dawkins cfr. A . G RAFEN, M. RID LEY (eds.), Richard Dawkins: How a Scientist Changed the Way we Think, Oxford University Press, Oxford et al. 2 0 0 7. Su Hans Jonas, limitatamente ai temi in esame, cfr. v. O RLAND O , Contro ilprincipio gnostico. La liberta del vivente in Hans]onas, Aracne, Roma 2014; R. F RANZINI T IBALD E O , La rivoluzione ontologica di Hans Jonas. Uno studio sulla genesi e il significato di , Mimesis, Milano 20 0 9 ; L. GUIDETTI, La materia vivente. Un confronto con Hans Jonas, Quodlibet, Macerata 2 0 0 7 ; P. P I C C O LELLA, Il limite di Prometeo. Pensare Uomo, Natura e Dio con Hans]onas, Lithos, Roma 2 0 0 6 ; N. RUS S O , La biologiafilosofica di Hansjonas, Guida, Napoli 20 0 5 . Su Pannenberg si rimanda alle indicazioni fornite nel CAP. 3. 4. 1

Il creazionismo scientifico alla prova dei fatti: la "geolo gia del Diluvio" In armonia con il nostro convincimento che la Bibbia è l'infallibile Pa­ rola di Dio, verbalmente inspirata negli autografi originali, noi diamo inizio alle nostre indagini sull'estensione geografica del Diluvio me­ diante sette argomenti biblici in favore della sua universalità. [ ...] La profondita del diluvio. Uno dei più importanti argomenti tratti dalla Bibbia a sostegno del Diluvio universale è quanto affermato in Genesi 7,19-20 [ ...] . Non è necessario essere uno scienziato di professio­ ne per comprendere le enormi implicazioni di queste asserzioni della Bibbia. Se solo una (per non dire di tutte) di queste alte montagne è stata ricoperta dall'acqua, il Diluvio deve essere stato sicuramente uni­ versale; [ ...] La frase [ ...] non deve essere intesa nel senso che il Diluvio fu solo quindici cubiti (22 piedi) profondo, poiché la frase è specificata da quella che segue immediatamente: > . Né questo deve essere necessariamente interpretato nel senso che le montagne fu­ rono ricoperte fino ad un'altezza di soli quindici cubiti, poiché questo richiederebbe che tutte le montagne antidiluviane fossero esattamente della stessa altezza. 1 59

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

Il vero significato della frase è da ricercarsi confrontandolo con Genesi 6,15, dove siamo informati che l'altezza dell'Arca era di trenta cubiti. Quasi tutti i commentatori convengono che la frase "quindici cubiti" deve dunque riferirsi al pescaggio dell'Arca. In altre parole, l'Arca stava immersa nell'acqua fino ad una profondità di quindi­ ci cubiti (appena la metà del totale), quando a pieno carico. Siffatta informazione aggiunge ulteriore sostegno a questo particolare argo­ mento a favore del Diluvio universale, poiché ci dice che il Diluvio sormontò oltre la vetta delle montagne più alte fino ad una profon­ dità di almeno quindici cubiti. Se il Diluvio non avesse ricoperto le montagne fino ad almeno codesta altezza, l'Arca non avrebbe potuto navigare sopra di loro durante quei cinque mesi in cui le acque sor­ montarono la terra. La durata del diluvio. Un accurato studio dei dati tratti dalla Bibbia rivela il fatto che il Diluvio durò per 371 giorni, ovvero poco più di un anno [ ...] . Che il Diluvio si sia protratto per più di un anno è interamen­ te conforme alla dottrina della sua universalità, mentre non può essere propriamente riconciliato con la teoria del diluvio locale. Mentre può essere ammessa una differenza di opinione fra gli studiosi cristiani per quanto riguarda la profondità generale del Diluvio (dipendendo essa dall'altezza delle montagne antediluviane), non c'è alcuna questione per la durata. [ ...] Le dimensioni dell:A.rca. Secondo Genesi 6,16, a Noè fu ordinato di far sì che > . Il primo problema che deve esse­ re considerato, naturalmente, è la lunghezza del cubito in riferimento all'uso invalso in questo passo. I babilonesi avevano il "cubito reale" pari a circa 19,8 pollici, gli egiziani avevano un cubito più lungo e uno più corto, pari rispettivamente a 20,65 e 17,6 pollici, mentre gli ebrei avevano certamente un cubito lungo, pari a 20,4 pollici (Ezech. 40,5) e un cubito di uso comune di circa 17,5 cubiti. Per quanto sia certamente possibile che il cubito a cui si riferisce Genesi 6 fosse più lungo di 17,5 pollici, noi prenderemo questo cubito più corto come base per i nostri calcoli. In accordo a questa unità di mi­ sura, l'Arca era lunga 437,5 piedi, larga 72,92 e alta 43,75. Dal momento che possedeva tre ponti (Gen. 6,16), aveva un'area ponte complessiva pari approssimativamente a 95.700 piedi quadrati (ovvero a poco più dell'area di venti campi standard da basket dei college), e il volume totale era di 1.396.000 piedi cubici. La stazza lorda dell'Arca [ ...] era 160

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

all'incirca di 13.960 tonnellate, che la collocherebbe bene nel rango dei grandi bastimenti transoceanici odierni. [ ...] Le dimensioni dell'Arca da sole sarebbero sufficienti a destituire la teoria del Diluvio locale da ogni seria considerazione in coloro che prendono per buono il libro della Genesi. [J. C. Whitcomb Jr. , H . M. Morris,

The Genesis Flood:

The Biblica/ Record and Its Scientific Implications, Baker Books House, Grand Rapids (M I) 1 9 7 3 (1 ed. 1 9 6 1 ) , pp. 1-4 , 1 0 ]

4.2

Stephen Jay Gould: l 'evoluzione come fatto e come teoria Kirtley Mather, che morì lo scorso anno all'età di novanta anni, fu un pilastro sia della scienza sia della religione cristiana in America e uno dei miei amici più cari 1 • La differenza di mezzo secolo nella nostra età svaniva dinanzi ai nostri interessi comuni. La cosa più curiosa che con­ dividemmo fu una battaglia che ciascuno di noi combatté alla stessa età. Kirtley si era infatti recato nel Tennessee con Clarence Darrow a testimoniare a favore dell'evoluzione nel processo Scopes del 1925. Quando penso che oggi siamo impigliati di nuovo nella stessa lotta a sostegno di uno dei concetti meglio documentati, più convincenti ed esaltanti di tutta la scienza, non so se ridere o piangere. Secondo princìpi idealizzati del discorso scientifico, la ripresa di problemi da molto tempo accantonati dovrebbe riflettere dati nuovi che restituiscano nuova vita a nozioni abbandonate. Le persone estra­ nee alla controversia in corso possono perciò essere scusate se sospet­ tano che i creazionisti abbiano trovato qualcosa di nuovo o che gli evoluzionisti siano venuti a trovarsi alle prese con qualche grave diffi­ coltà interna. In realtà non è cambiato nulla; i creazionisti non hanno presentato un solo fatto nuovo o un solo argomento nuovo. Darrow e Bryan furono almeno più divertenti degli antagonisti meno grandi in lizza oggi2 • L'avvento del creazionismo è politica pura e semplice; esso rappresenta un tema (e non è certo la preoccupazione maggiore) della Gould si riferisce a Kirtley Fletcher Mather (1 8 8 8-197 8 ) , che è stato geologo presso la Harvard University, esperto nei giacimenti petroliferi e in mineralogia. 2. Riferimento a Clerence Darrow e William J. Bryan, protagonisti, su opposte posizioni, del famoso "Scopes Monkey Trial" celebrato nel 1 9 25 . 1.

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

risorgente destra evangelica. Argomenti che sembravano folli solo un decennio fa sono stati ripresi in considerazione e riproposti. L'attacco principale dei creazionisti moderni viene a cadere per due motivi principali prima ancora di considerare i presunti particolari di fatto del loro attacco all'evoluzione. Innanzitutto essi giocano su un fraintendimento abituale della parola "teoria" per trasmettere l' impres­ sione erronea che noi evoluzionisti ci diamo da fare per occultare le strutture putride del nostro edificio. In secondo luogo, essi si servono in modo sbagliato di una filosofia della scienza molto diffusa per soste­ nere che, nel loro attacco all'evoluzione, si comportano scientificamen­ te. Eppure la stessa filosofia dimostra che le loro convinzioni non sono scienza e che la stessa espressione "creazionismo scientifico" è priva di significato e intrinsecamente contraddittoria, un esempio di quella che Orwell chiama "neo-lingua" 3 • Nel linguaggio comune americano, "teoria" significa spesso "fatto imperfetto": una parte di una gerarchia della fiducia che va, in senso discendente, dal fatto alla teoria, all'ipotesi, alla congettura. Così i cre­ azionisti possono sostenere che l'evoluzione è "solo" una teoria, e oggi è in corso un' intensa controversia su molti aspetti della teoria. Se l'evo­ luzione è meno di un fatto, e persino gli scienziati non sono in grado di decidere sulla teoria, quale fiducia possiamo noi avere in essa ? Di fatto il Presidente Reagan riecheggiò quest'argomento dinanzi a un gruppo evangelico a Dallas quando disse (in quella che io spero sinceramente fosse solo retorica a fini elettorali): > . L'evoluzione e dunque una teoria. Essa è però anche un fatto, e fatti e teorie sono cose diverse, non gradini o pioli in una gerarchia di certezza crescente. I fatti sono i dati del mondo. Le teorie sono struttu­ re di idee che spiegano e interpretano fatti. I fatti non vengono meno mentre gli scienziati discutono su teorie rivali per spiegarli. La teoria della gravitazione di Einstein sostituì quella di Newton, ma le mele non rimangono sospese a mezz'aria in attesa dell'esito della discussione. E 3. Il riferimento è allo scrittore britannico George Orwell (19 03-19 5 0 ); cfr. il ro­ manzo I984 pubblicato nel 1949; la neo-lingua è la lingua imposta nello stato totali­ tario, immaginato nel romanzo, in cui sono bandite tutte le forme lessicali suscettibili di una significazione ambigua o sfumata.

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

gli esseri umani si evolsero da progenitori scimmieschi sia che il mecca­ nismo operante sia stato quello proposto da Darwin o un qualche altro, ancora da scoprire. " Fatto" non significa, inoltre, "certezza assoluta." Le dimostrazioni della logica e della matematica derivano deduttivamente da premesse poste e conseguono la certezza solo perché non riguardano il mondo empirico. Gli evoluzionisti non pretendono a una verità eterna, a dif­ ferenza dei creazionisti (i quali ci imputano poi uno stile di pensiero che è quello prediletto da loro). Nella scienza "fatto" può significare solo "confermato in grado tale che sarebbe perverso non concedergli un assenso provvisorio". Io ammetto che domani le mele potrebbero cominciare a cadere verso l'alto, ma questa possibilità non merita un tempo di insegnamento uguale nei corsi di fisica. Gli evoluzionisti sono stati chiari su questa distinzione fra fatto e teoria sin dal principio, se non altro perché hanno sempre ricono­ sciuto quanto siamo lontani da una comprensione completa dei mec­ canismi (teoria) mediante i quali l'evoluzione (fatto) ha avuto luogo. Darwin sottolineò di continuo la differenza fra i due risultati grandi e distinti da lui conseguiti: l'accertamento del fatto dell'evoluzione e la proposta di una teoria - la selezione naturale - per spiegarne il mec­ canismo. [ ...] Gli scienziati considerano le discussioni su problemi fondamentali della teoria un segno di salute intellettuale e una fonte di stimolazione. [ ...] La teoria dell'evoluzione sta godendo oggi di un vigore non comune. Eppure, nonostante tutte le discussioni, nessun biologo è stato indotto a dubitare del fatto dell'evoluzione; le discus­ sioni vertono sul modo in cui essa ha avuto luogo. Noi tutti stiamo cercando di spiegare la stessa cosa: l'albero genealogico che lega fra loro tutti gli organismi con legami di parentela più o meno diretti. I creazionisti stravolgono e mettono in caricatura questa discussione trascurando per loro comodità la convinzione comune che sta alla sua base, e insinuando falsamente che noi dubitiamo del fenomeno stesso che ci sforziamo di capire. In secondo luogo, i creazionisti sostengono che "il dogma delle creazioni separate': come lo definì Darwin un secolo fa, è una teoria scientifica che merita lo stesso tempo di insegnamento concesso all'e­ voluzione nei programmi scolastici di biologia delle scuole medie. Un punto di vista molto diffuso fra i filosofi della scienza invalida però questo argomento dei creazionisti. Il filosofo Karl Popper ha sostenuto per decenni che il criterio primario della scienza è la falsificabilità delle

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

sue teorie 4 • Noi non possiamo mai dimostrare nulla in modo assoluto, ma "falsificare" una teoria, ossia dimostrarne l'erroneità, attraverso il confronto con i fatti empirici. Un insieme di idee che non possono essere falsificate per principio non è scienza. L'intero programma creazionistico contiene poco più che un ten­ tativo retorico di falsificare l'evoluzione presentando presunte con­ traddizioni fra i suoi sostenitori. I cosiddetti creazionisti "scientifici" giustificano la loro presunta scientificità affermando di seguire il mo­ dello popperiano nel loro tentativo di distruggere l'evoluzione. Ma l'argomento di Popper dev'essere applicato in entrambe le direzioni. Non si diventa scienziati in virtù del semplice tentativo di falsificare un sistema scientifico rivale e veramente scientifico, ma si deve presen­ tare un sistema alternativo che soddisfi anch'esso il criterio di Popper: anch'esso dev'essere falsificabile in linea di principio. Il "creazionismo scientifico" è privo di senso e intrinsecamente con­ traddittorio proprio perché non può essere falsificato. Io posso con­ siderare la possibilità di osservazioni ed esperimenti in grado di con­ futare qualsiasi teoria evoluzionistica che io conosca, ma non riesco a immaginare quali dati potenziali potrebbero indurre i creazionisti ad abbandonare le loro convinzioni. I sistemi che non possono essere confutati sono dogmi, non scienza. [ ... ] La nostra fiducia sul fatto dell'evoluzione si fonda su tre argomen­ ti di carattere generale. Innanzitutto possediamo prove empiriche ab­ bondanti e dirette dell'evoluzione in azione, prove da noi accumulate sia con ricerche sul campo sia con esperienze di laboratorio. Queste prove vanno da innumerevoli esperimenti sul mutamento in quasi tutti i caratteri in drosofile sottoposte a selezione artificiale in laboratorio alle famose popolazioni di Biston betularia, le famose falene che di­ vennero nere in Gran Bretagna quando la fuliggine annerì gli alberi su cui questi lepidotteri, in precedenza chiari, erano soliti riposare. [ ... ] I creazionisti non negano queste osservazioni; e del resto come potreb­ bero ? Essi sostengono oggi che Dio creò solo i "tipi [kinds] principali': permettendo limitate oscillazioni evoluzionistiche al loro interno. [ ...] 4. Karl Raimund Popper (1902-1994), viennese, poi naturalizzato britannico, è stato una delle figu re più autorevoli del panorama novecentesco negli studi episte­ mologici; il criterio della falsificabilità delle teorie, cui Gould allude, era indicato da Popper come criterio per la demarcazione fra i saperi scientifici e non-scientifici, tale per cui una teoria può dirsi legittimamente scientifica solo se falsificabile.

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

Il secondo e il terzo argomento a sostegno dell'evoluzione - la di­ fesa di mutamenti importanti - non implicano un'osservazione diretta dell'evoluzione in azione. Essi si fondano sull'inferenza, ma non so­ no perciò meno sicuri. I mutamenti evolutivi importanti richiedono troppo tempo per l'osservazione diretta alla scala della storia umana documentata. Tutte le scienze storiche si fondano sull'inferenza, e l'e­ voluzione non si differenzia in ciò dalla geologia, dalla cosmologia o dalla storia umana. In linea di principio, non possiamo osservare pro­ cessi che operarono in passato, ma dobbiamo inferirli dai loro risultati che ci circondano ancor oggi: organismi viventi e organismi fossili nel caso dell'evoluzione, documenti e artefatti nel caso della storia umana, strati e topografia nel caso della geologia. Il secondo argomento - che l'imperfezione della natura è una pro­ va dell'evoluzione - è sentito da molte persone come un'ironia, giacché si tende a pensare che l'evoluzione dovrebbe manifestarsi nel modo più elegante nell'adattamento quasi perfetto espresso da alcuni orga­ nismi: la curvatura dell'ala di un gabbiano, o farfalle che sono presso­ ché invisibili al suolo perché imitano con grande precisione le foglie. Ma la perfezione potrebbe essere o imposta da un creatore sapiente o sviluppata dalla selezione naturale. La perfezione copre le tracce della storia passata, e la storia passata - la prova della derivazione delle specie attuali da specie anteriori - è il marchio dell'evoluzione. L'evoluzione si manifesta nelle imperfezioni che documentano una storia di discendenza. Perché un ratto dovrebbe correre, un pipistrello volare, un marsuino nuotare e io battere a macchina questo saggio con strutture costruite con le stesse ossa, se non le avessimo derivate tutti da un progenitore comune ? Un ingegnere, partendo da zero, potrebbe progettare in ciascun caso arti migliori. Perché tutti i grandi mammife­ ri indigeni dell'Australia dovrebbero essere marsupiali, se non perché sono discesi tutti da un progenitore comune rimasto isolato su questo continente-isola ? [ ... ] Questo principio dell'imperfezione si estende a tutte le scienze storiche. Quando riconosciamo l'etimologia di set­ tembre, ottobre, novembre e dicembre, sappiamo che un tempo l'anno cominciava in marzo e che altri due mesi devono essere stati aggiunti a un calendario originario di dieci mesi. Il terzo argomento è più diretto: spesso nella documentazione fos­ sile si trovano transizioni. Le transizioni conservate non sono comuni, e non dovrebbero esserlo, secondo la nostra comprensione dell'evolu­ zione [ ... ] : ma non sono del tutto mancanti, come spesso affermano i

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

creazionisti. La mandibola dei rettili comprende varie ossa, quella dei mammiferi un osso solo. Le ossa di mandibole non mammaliane si ri­ ducono gradualmente, nei progenitori dei mammiferi, fino a diventa­ re minuscoli rudimenti situati nella parte posteriore della mandibola. Il "martello" e ! "'incudine" dell'orecchio dei mammiferi derivano da tali ossicini. Come poté realizzarsi una tale transizione ? Chiedono i creazionisti. Senza dubbio un osso si trova per intero o nella mandi­ bola o nell'orecchio. Eppure i paleontologi hanno scoperto due linee di transizione di terapsidi (i cosiddetti rettili simili a mammiferi) con una doppia articolazione della mandibola: una composta dalle vecchie ossa del quadrato e dell'articolare (che sarebbero diventate poco a poco il martello e l' incudine) e l'altra dall'osso squamoso e dal dentale (co­ me nei mammiferi moderni). E, del resto, come potremmo attenderci di trovare forme di transizione migliori dell'essere umano più antico, I' Austrolopithecus afarensis, col suo palato di tipo scimmiesco, la stazio­ ne eretta umana e una capacità cranica maggiore di quella di qualsiasi scimmia antropomorfa delle medesime dimensioni corporee ma di ben 1.0 0 0 centimetri cubi inferiore alla nostra ? Se fu Dio a creare ciascuna della mezza dozzina di specie umane che sono state scoperte in antiche rocce, perché le creò in una sequenza temporale ininterrotta di carat­ teri progressivamente più moderni: crescente capacità cranica, faccia e denti sempre più piccoli, dimensioni corporee crescenti ? Egli creò forse in modo da imitare l'evoluzione e mettere in tal modo alla prova la nostra fede ? Di fronte a questi fatti dell'evoluzione e alla bancarotta filosofica della loro posizione, i creazionisti si fondano su deformazioni e su insi­ nuazioni per puntellare le loro tesi retoriche. Se sembro aspro o amaro, devo confessare che lo sono, perché sono diventato uno fra i bersagli principali di tali modi di procedere. [ ...] lo sono al tempo stesso divertito e irritato dai creazionisti; ma so­ prattutto sono profondamente rattristato. [ ...] Io sono rattristato per­ ché il risultato pratico di tutto questo rumore non sarà un ampliamen­ to dei programmi per includervi il creazionismo (già questa prospettiva mi rattrista) ma la riduzione o l'eliminazione dell'evoluzionismo dai programmi delle scuole medie superiori. L'evoluzione è una della mez­ za dozzina di "grandi idee" sviluppate dalla scienza. Essa si occupa dei profondi problemi della genealogia che affascinano noi tutti: il feno­ meno delle "radici" nella sua accezione più vasta. Da dove veniamo ? Dove ebbe origine la vita ? Come si sviluppò ? Quali rapporti hanno gli 1 66

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

organismi fra loro ? Essa ci costringe a pensare, a ponderare e a porci domande. Dobbiamo privare milioni di persone di questa conoscenza e insegnare di nuovo la biologia come un insieme di fatti noiosi e privi di alcuna connessione fra loro, senza il filo che cuce assieme materiali diversi in un'unità flessibile ? [S. J. Gould, Hen's Teeth and Horse's Toes ( 1 9 8 3) , trad. it. di L. Sosio, Quando i cavalli avevano le dita. Misteri e stranezze della natura, Feltrinelli, Milano 1 9 8 9, pp. 255- 62, 264]

4 .3

William Dembski: l ' Intelligent Design e l 'obiezione della disteleologia Il progetto intelligente deve essere distinto dal progetto apparente, da un lato, e dal progetto ottimale, dall'altro: il progetto apparente sembra progettato, ma non lo è veramente; il progetto ottimale è un progetto perfetto, e quindi non può esistere, se non in un regno idealizzato [ ... ] . Il progetto apparente e quello ottimale svuotano il progetto di ogni valenza pratica. Una strategia abbastanza comune fra coloro che si oppongono al progetto, come Stephen Jay Gould e Richard Dawkins, è di assimilare l' Intelligent Design ad una di queste due categorie - progetto apparente o progetto ottimale. Il problema è che questa mossa non è altro che un tentativo di evasione, un tentativo di evitare completamente la que­ stione dell' Intelligent Design. Le automobili che escono dagli impianti di assemblaggio di Detroit sono progettate in maniera intelligente, nel senso che delle intelligenze umane sono responsabili della loro pro­ gettazione. Ciononostante, anche se pensiamo che Detroit produce le migliori automobili del mondo, sarebbe comunque sbagliato dire che sono progettate in maniera ottimale. Né sarebbe corretto dire che sono solo apparentemente progettate. Per quanto riguarda la biologia, l' Intelligent Design sostiene che un'intelligenza progettuale è indispensabile per spiegare la complessità specificata dei sistemi viventi. Ciononostante, come teoria strettamen­ te scientifica, l' Intelligent Design si rifiuta di speculare sulla natura di questa intelligenza progettuale. Mentre il progetto ottimale richiede un architetto perfezionista, che deve fare tutto al meglio, l' Intelligent Design si colloca all'interno della nostra ordinaria esperienza del pro-

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

getto, che è sempre condizionata dalla necessità di una determinata situazione, e alla quale manca sempre, quindi, un qualche optimum idealizzato. Nessun architetto reale cerca l'ottimo, nel senso di un proget­ to perfetto. Il progetto perfetto, infatti, non esiste. I veri architetti tendono a una ottimizzazione vincolata, che è qualcosa di completa­ mente diverso [ ...] . L'ottimizzazione vincolata è proprio questo ge­ nere di compromesso fra obiettivi contrastanti. Qui sta tutto il sen­ so del progetto. Sostenere che il progetto biologico è fallace perché non raggiunge un optimum ideale, come fa abitualmente Stephen Jay Gould, è quindi del tutto ingiustificato. Non conoscendo gli obiettivi dell'architetto, Gould non è assolutamente nella posizione di dire se l'architetto abbia raggiunto un compromesso insoddisfacente fra questi obiettivi. Nonostante tutto, l'affermazione secondo la quale l' Intelligent De­ sign sarebbe non ottimale ha avuto un enorme successo nel mettere a tacere la discussione sul progetto. Curiosamente, questo successo non viene dall'analisi di una determinata struttura, dimostrando in che modo si sarebbe potuta migliorare l'ottimizzazione vincolata per co­ struire quella struttura. Questa costituirebbe una legittima indagine scientifica, se i miglioramenti proposti potessero essere concretamente implementati, e non degenerare nella realizzazione di un desiderio, in cui si immagina un miglioramento senza avere idea di come realizzarlo, e senza tener conto dell'eventualità che causi dei deficit in altri punti. Solo perché è sempre possibile immaginare dei miglioramenti al pro­ getto, ciò non vuol dire che la struttura in questione non sia progettata, né che si possa effettivamente ottenere quel miglioramento, né che quel miglioramento, ammesso di poterlo ottenere, non implicherebbe l' in­ sorgere di nuovi problemi in altri punti. Il successo di questa obiezione riguardo all'ottimalità non viene affatto dalla scienza, ma da uno slittamento dei termini della discus­ sione dalla scienza alla teologia. Invece di chiedersi in che modo una struttura esistente potrebbe essere migliorata, ci si chiede invece che ge­ n ere di Dio creerebbe una struttura come questa. Darwin, ad esempio, pensava che ci fosse > per accettare la progettualità: >, promuovendo così al rango di dogma ufficiale ciò che il suo predecessore, Benedetto xv, sempre nel xx secolo, aveva definito > . Convergenza ? Solo quando serve. A giudicare la cosa onestamente, la convergenza tra religione e scienza che viene spesso invocata è una finzione superficiale, vuota e inconsistente, una mistificazione da pro­ paganda politica. [R. Dawkins, The Great Convergence (1 999 ) , trad. it. di E . Faravelli e T. Pievani, Il cappellano del diavolo, Cortina, Milano 2004, pp . 1 9 7-205]

4 .5

Una critica filosofica ali ' Intelligent Design : Hans Jonas L' "informazione" ha già bisogno per se stessa, come suo substrato fisi­ co, di un sistema indifferenziato e stabile, qual è ad esempio il genoma degli esseri viventi, compiutamente articolato nella sua struttura mo­ lecolare e in ciò persistente (o la programmazione - il software - dei computer, compitata magneticamente in modo altrettanto esaustivo). L'informazione non è quindi solo la causa, bensì già di per se stessa il risultato di un'organizzazione, sedimento ed espressione di uno sta­ dio precedentemente raggiunto, che in tal modo viene perpetuato, ma non ulteriormente incrementato. Ora, siccome né l'articolazione né la stabilità trovano posto nello stato (ipotetico) di completa indifferen­ za e dinamicità proprio della "sostanza" del big bang - in generale nel "caos" -, l'ipotesi di un "logos" cosmologico insito sin dall'inizio nella 1 74

4. DA L CREAZIONISMO SCIENTIFIC O A LL' INTELLIGENT DESIGN

materia in divenire, e in generale l'ipotesi di qualsiasi programmazione e conformità a un piano prestabilito, non può valere come modello esplicativo dello sviluppo. In breve: l'informazione è qualcosa che deve essere salvata nella memoria e il big bang non aveva ancora avuto tempo per memorizzare alcunché. Del resto, il concetto di informazione, l'idea cioè di un logos già esi­ stente, fallisce non solo da un punto di vista genetico, ma anche logico: tralasciando la questione di come nel caso singolo si sia giunti alla sua durevole articolazione, esso può solo ripetere se stesso, mantenere il li­ vello conseguito e diffondersi nel mondo, ma non è in grado di spiegare il benché minimo progresso al di là di sé. Per far ciò ha bisogno che si aggiunga un fattore trascendente capace di condurre a qualche cosa di nuovo. Quale potrebbe essere questo fattore ? Sono propenso a rispondere che in questo ambito le cose procedo­ no da un lato in maniera più banale e anarchica, e dall'altro più miste­ riosa di quanto facciano credere i concetti di logos o di informazione, i quali sono in sé fin troppo comprensibili, vengono postulati a ritroso a partire dal risultato e sono in fin dei conti deterministici. Il primo cor­ no della questione riguarda il versante fisico, il secondo quello mentale.

[ ... ]

Ci volgiamo anzitutto, dunque, alla questione dell'assenza di un piano precostituito nel divenire delle formazioni naturali: fondamen­ to di ogni ordine in natura, quindi di una natura in generale, sono le leggi di conservazione. Queste però hanno conquistato una posizione dominante, proprio perché si conserva solo ciò che conserva se mede­ simo. Questa tautologia spiega come la natura a noi data sia sottoposta a delle leggi; essa è già il risultato di una selezione, un risultato univer­ sale, che pone a sua volta le regole per selezioni ulteriori, più specifiche e locali. Ovvero, le leggi di natura si sono formate nello stesso istante in cui, nell'ambito di ciò che era privo di regole, si formavano anche entità stabili e relativamente durature, le quali si comportano sempre (o per intervalli temporali piuttosto lunghi) nello stesso modo, e perciò si "imposero". Si tratta del più primordiale e fondante caso di "survival of the fittest" (sopravvivenza del più adatto). È probabile che ciò che è privo di leggi e di regole, ciò che non obbedisce ad alcuna legge di . . ' . . . conservazione, sia stato presente 1n gran quant1ta, ma esso, 1n quanto di volta in volta fugace, presto o tardi è destinato a scomparire, finendo per essere sostituito da ciò che è regolare e che da ultimo rimane pres­ soché da solo. [ ...] 1 75

EVOLUZIONISMO E CREAZIONISMO

Perché c'è sviluppo ? Perché il mondo non si è irrigidito una vol­ ta prodotti gli elementi, la radiazione e le leggi causali ? Perché non si è fermato semplicemente a questo ordine permanente di forma assai generica e alle formazioni del macrocosmo e della chimica che ne deri­ vano direttamente ? Darwin ha dato la seguente risposta: rimaneva pur sempre sufficiente "disordine" per assicurare alle formazioni, sussisten­ ti nella cieca accidentalità e singolarità, nuove caratteristiche (fattori strutturali), mentre i successi momentanei soggiacevano al processo se­ lettivo dell'evoluzione con il suo criterio di sopravvivenza meramente numerico-differenziale. Questo è il "fattore trascendentale" necessario, quello che conduce a qualcosa di nuovo e infine anche a qualcosa di superiore - tutto questo senza informazione preliminare, senza logos, senza progetto, addirittura senza tensione, solo grazie all'inclinazione dell'ordine dato, già codificato come "informazione': verso il disordine circostante che gli si impone come informazione supplementare. [ H. Jonas, Materie, Geist und Schopfung. Kosmologischer Befund un kosmogonische Vermutung ( 198 8), trad. it. di P. Becchi e R. Franzini Tibaldeo, Materia, spirito e creazione. Reperto cosmologico e supposizione cosmogonica, Morcelliana, Brescia 2012, pp. 3 1- 6 ]

4.6

Una critica teolo gica all ' Intelligent Design : Wolfhart Pannenberg Nell'apice di una meccanicistica descrizione dell'universo della natura, tutto il peso di un'argomentazione razionale a favore dell'esistenza di Dio è caduto sull'argomento teleologico. Indicazioni di un progetto o di un ordine teleonomico, specialmente nel mondo degli organismi, potrebbero essere prese come indizio o come prova dell'esistenza di una mente progettante, che li ha creati. Questo è lo sfondo della passione altrimenti sorprendente presente nel dibattito intorno Charles Darwin e la sua teoria dell'evoluzione, dacché